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Wednesday, January 1, 2025

GRICE ITALO A-Z G GI

 

Grice e Giacchè: la ragione conversazionale e l’implicataura conversazionale dell’altra visione dell’altro – Barba, Bene, e Fellini antropologo – filosofia perugina – la scuola di Perugia – filosofia umbra -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Perugia). Filosofo perugino. Filosofo umbro. Filosofo Italiano. Perugia, Umbria. Grice: “I like Giacché; for one, he philosophises on theatre, which any Sheldonian should appreciate!” Grice: “Giacché is what I would call a philosophical anthropologist.” Grice:”Giacché has an ability with language: “l’altre vision dell’altro,” for example – difficult to translate, but genial nonetheless, or perhaps genial because uneasily translatable!” – “He has philosophised on spectator and participant, which is conversational in tone – there’s no monologue, but dialogue --.” “He has criticised authoritarian types of performances like traditional teaching which he has compared to religion!” Insegna a Perugia. Si occupa di varie problematiche socio-culturali quali condizione giovanile, devianza, comunicazione di massa, solitudine abitativa, politica culturale. Saggi: Una nuova solitudine. Vivere soli fra integrazione e liberazione, Roma); “Lo spettatore partecipante. Contributi per un'antropologia del teatro, Guerini, Milano, Bene. Antropologia di una macchina attoriale, Bompiani, L'altra visione dell'altro. Una equazione fra antropologia e teatro, Ancora del Mediterraneo, Napoli, Ci fu una volta la sinistra. Ovvero il silenzio dei post-comunisti, Asino, Roma.  CURRICULUM di Piergiorgio Giacchè (Perugia, 16.04.46), Professore a contratto (incarico gratuito), docente di “Etnologia europea: patrimonio culturale immateriale” presso la Scuola di Specializzazione in Beni demo-etno- antropologici, Università di Perugia, Firenze, Siena e Torino (sede di Castiglione del Lago, PG) - anni accademici TITOLI DI STUDIO E INCARICHI ACCADEMICI Laurea in lettere (indirizzo moderno), con tesi in Etnologia conseguita nell’anno acc. 1969-70 presso l’Università degli studi di Perugia, con voti 110/110 e lode. Abilitazione all’insegnamento delle materie letterarie nelle scuole medie inferiori - titolo conseguito il 3.2.1973 con voti 100 su 100. Borsa di studio quadriennale (dal 1.11.77 al 31.08.76) per “ricerche nel campo sociale”, usufruita presso l’Istituto di Etnologia e Antropologia culturale dell’Università di Perugia. Titolare di contratto quadriennale presso la Facoltà di lettere e filosofia della stessa università. Addetto alle esercitazioni presso la cattedra di Etnologia della stessa Facoltà, per gli anni accademici Ricercatore confermato dal 1° settembre 1981 al 28 dicembre 2004, presso l’Istituto di Etnologia e Antropologia culturale dell’Università di Perugia; in tale ruolo ha condotto seminari, cicli di lezione, moduli didattici e progetti speciali (in prevalenza sui temi della devianza, della condizione giovanile, della società dei consumi e dello spettacolo, dell’antropologia e sociologia del teatro) fino all’anno acc. 1994-95, in cui è divenuto affidatario di un Corso di Antropologia teatrale (unico corso attivato in Italia), riconfermato per tutti i successivi anni accademici. E’ stato altresì docente affidatario del corso di Antropologia culturale presso la facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Perugia, nell’anno accademico 1998-99. Professore associato presso il Dipartimento Uomo et Territorio – Sezione antropologica ; docente di Fondamenti di Antropologia e di Antropologia del teatro e dello spettacolo presso la  Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Perugia, Professore a contratto, docente di Antropologia culturale presso la Facoltà di Scienze della Formazione della L.U.M.S.A. di Roma – corso per Educatori professionali, sede di Gubbio – anni accademici  Professore invitato, nel quadro del progetto “Socrates”, presso l’Université Libre de Bruxelles - facoltà di Scienze Sociali e di Filosofia e lettere Visiting Professor presso l’Università di Malta, Facoltà di Scienze della Formazione. Professore invitato, nel quadro del progetto “Socrates”, presso l’Université Paris VIII – Département d’Etudes théâtrales Professore invitato dall’Université Paris VIII per un seminario da tenersi presso il laboratorio di Etnoscenologia della Maison de l’Homme – Paris Nord Membro della Commissione per la Procedura di valutazione comparativa per il reclutamento di un ricercatore presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Cagliari, M05X – Discipline demoetnoantropologiche. Docente del Dottorato Internazionale in Antropologia ed Etnologia (A.E.D.E.) CONSULENZE, COLLABORAZIONI E ALTRI INCARICHI ISTITUZIONALI Consulente socio-antropologico per alcuni programmi R.A.I. della Sede Regionale dell’Umbria: “Decentramento e sviluppo urbanistico”; “Anticamera” (novembre 1980 - aprile 1981); “Aperitivo” (aprile-luglio 1982). Consulente antropologico del Centro Regionale Umbro per le Ricerche Economiche e Sociali, nel 1978 (Ricerca sulla “popolazione reale”). Consulente del Comitato Regionale Umbro Radiotelevisivo e curatore di numerose indagini sul sistema dell’emitttenza locale e sull’ascolto radiotelevisivo. Consulente e collaboratore del Festival Internazionale del Teatro in Piazza di Santarcangelo di Romagna . Consulente e collaboratore del Teatro Studio 3 di Perugia, Consulente e collaboratore della 1^ Rassegna Internazionale del Teatro di Strada (Montecelio di Guidonia). Consulente artistico e scientifico del festival di teatro, musica e cinema “Segni Barocchi” di Foligno (edizioni). Consulente del Teatro San Geminiano di Modena, poi centro teatrale “Dramma Teatri”.  Consulente e assistente, in qualità di antropologo del teatro della rappresentazione teatrale de “La escuela de la escena y la escena de la escuela jesuita en el siglo XVII” a cura di Filippi, nel quadro del congresso De los Colegios a las Universidades. Las ensenanzas jesuitas y sus relatos cotidianos, organizzato da la Universidad Iberoamaricana de Ciudad de Mexico (Città del Messico). Membro del comitato scientifico dell’International School of Theatre Anthropology diretta da Barba, con sede a Holstebro, Danimarca. Membro del gruppo di lavoro internazionale di Sociologia del teatro, con sede presso l’Université Libre de Bruxelles, Belgio (fino al suo scioglimento). Membro del gruppo di lavoro della Maison de Sciences de l’Homme (E.H.E.S.S.) “Spectacle vivant et sciences humaines” Membro del comitato scientifico della quinta sezione di ricerca “Créations, Pratiques, Publics” della Maison de Sciences de l’Homme – Paris Nord Membro del Laboratorio di Ricerca Interdisciplinare dell’Istituto di Psicosomatica Psicoanalitica “Aberastury” di Perugia Membro del Comité de Rédaction de “L’Ethnographie. Noveaux objets, nouvelles méthodes. Revue de la Société d’Ethnographie de Paris” (dal 2002). Collaboratore della rivista “Lo straniero. Arte Cultura Società” diretta da Goffredo Fofi (dalla sua fondazione); già redattore della rivista “Linea d’ombra e co-direttore de “La terra vista dalla luna” Collaboratore della rivista “Gli asini. Educazione e intervento sociale”, diretta da Luigi Monti, dalla sua fondazione Membro del Comitato scientifico della rivista trimestrale “Catarsi. Teatri della diversità”, dalla sua fondazione – 1996. Membro del Comité scientifique de la revue trimestrelle “Théâtre Public” Presidente della Fondazione “L’Immemoriale di Carmelo Bene Membro della Commissione Consultiva per il Teatro – Ministero per i Beni e le Attività Culturali (Membro della Commission di valutazione dei progetti di cofinanziamento per lo spettacolo – Ministero per i Beni e le Attività culturali. Consulente della Regione dell’Umbria – Assessorato alla Cultura, con l’incarico di ricognizione ed esplorazione del settore teatro nel territorio regionale Membro della Commissione Consultiva per il Teatro – Ministero per i Beni e le Attività Culturali Membro del Comitato Scientifico della Fondazione Centro Studi “Aldo Capitini” di Perugia (dal 2012). Membro del Comitato scientifico PerugiAssisi, candidata a capitale europea per . CORSI E SEMINARI DIDATTICI SPECIALI Partecipazione, in qualità di docente, ai seguenti corsi o seminari: • Corso biennale per la formazione di tecnici della ricerca sulle tradizioni popolari nella regione umbra (Perugia corso regionale di preparazione e aggiornamento per operatori socio-sanitari impegnati nell’attività di prevenzione, cura e riabilitazione degli stati di tossicodipendenza (Bologna Corso regionale per operatori culturali nel settore del cinema (Orvieto Corso di riqualificazione professionale per operatori audiovisivi: il videotape (Foligno, febbraio-ottobre 1978). • Corso di formazione professionale per i 28 diplomati di scuola media superiore (schedatori) previsti dal progetto di “catalogo unico regionale dei beni bibliografici” (Perugia Corso di formazione professionale per i diplomati di scuola media superiore (ordinatori di biblioteca) previsti dal progetto “sistemi bibliotecari comprensoriali” (Perugia Corso Animatori Q/1 - Seminario sulle comunicazioni di massa (Spoleto Seminario residenziale “L’Atelier: centro internazionale di ricerche artistiche” (Volterra Soglie: esperienze di confine tra attore e spettatore”, seminario-laboratorio per studenti e insegnanti delle scuole medie superiori (Perugia e Todi Corso di Formation Doctorale Esthetique, Sciences et Technologies des arts della Université Paris VIII à Saint Denis (lezioni Corso di Scenografia della Facoltà di Architettura e del Dipartimento di Musica e Spettacolo dell’Università “La Sapienza” di Roma (lezione “Teatro, gioco, narrazione”, progetto teatrale per insegnanti delle scuole materne (Perugia e Città di Castello L’attore consapevole. Seminario teorico-pratico sull’arte dell’attore” (Fara Sabina, Rieti La società italiana del dopoguerra”. Seminario di aggiornamento per gli italianisti polacchi, organizzato dall’Ambasciata d’Italia, dall’Università Jagellonica di Cracovia e dall’Istituto Italiano di cultura di Cracovia (Cracovia Corso di aggiornamento A/41 dell’I.R.R.S.A.E. dell’Umbria (Perugia, lezioni Seminario di Antropologia del teatro per gli allievi della Scuola Civica d’Arte drammatica “Paolo Grassi” (Milano, Corso Universitario Multidisciplinare di Educazione allo sviluppo, “La cultura del confronto”, organizzato dall’Unicef di Roma (lezione Uomini e teatro: culture del mondo a confronto”). • I Corso di aggiornamento sulla didattica del teatro nella scuola - Seminario internazionale su Scuola e Teatro (Marcellina, Roma Corso di aggiornamento per insegnanti delle scuole medie superiori della regione Lazio (Roma Corso Universitario Multidisciplinare di Educazione allo sviluppo, organizzato dall’Unicef di Bari (lezione Università del Teatro Euroasiano, sessione dedicata alla “Storia sotterranea del teatro contemporaneo. Solitudine, tecnica, drammaturgia e rivolta” (Scilla, Reggio Calabria, Le età del teatro. Corso triennale di storia e cultura teatrale” - II anno: Dalla Commedia dell’arte alla Riforma goldoniana - organizzato da Emilia Romagna Teatro (Modena, Teatro Storchi, Corso Uni-Tea Figli della storia e maestri del teatro” (Parma, Corso d’aggiornamento per docenti e dirigenti di ogni ordine e grado, organizzato dal C.I.D.I. Versilia e dal Provveditorato agli studi di Lucca e intitolato “Letteratura teatrale e scuola” (Forte dei Marmi, Convegno-seminario “La musa fra i banchi di scuola. Esperienze e modelli di relazione / incontro fra teatro e scuola” (Cervia Università del Teatro Euroasiano, sessione dedicata alla formazione dell’attore e intitolata “Apprendere ad apprendere” (Scilla, Reggio Calabria Corso Uni-Tea 1998, “Oplà noi viviamo! Tecniche originarie e tecniche nuove nel teatro d’attore” - seminario interno al Corso di Sociologia dell’Educazione dell’Università di Parma (Parma Vedere Fare Pensare Teatro, per una formazione dell’educatore teatrale”, organizzato dall’E.T.I., dal Teatro delle Briciole, dal G.S.A Fontemaggiore, dal Teatro Kismet OperA e tenutosi in tre sessioni a Bari a Isola Polvese - Perugia e a Parma Corso d’aggiornamento per insegnanti degli Istituti medi e superiori Gli anni della contestazione” (Parma Sulla verticalità del verso », seminario di e con Carmelo Bene, organizzato dall’Ente Teatrale Italiano (Roma, Teatro Valle Criticando criticando. Laboratorio d’analisi dello spettacolo”, organizzata in collaborazione con l’Associazione Nazionale Critici di Teatro (sessione dedicata al Teatro Ragazzi – Bagnacavallo sessione dedicata al Teatro di Ricerca - Reggio Emilia I mestieri e le lingue del teatro”, Seminario di autoapprendimento per operatori dell’area penale esterna, organizzato dal Teatro Kismet e dall’Università di Bari, con il patrocinio del Ministero di Grazia e Giustizia (Bari Teatro e Carcere: l’esperienza della Compagnia della Fortezza” - conversazione con P. Giacchè e Armando Punzo, in collaborazione con l’E.T.I. (Volterra Ciclo di incontri organizzati dall’Istituto Sardo per la Storia della Resistenza e dell’Autonomia (ottobre-dicembre 1998) “Rivelazioni e promesse del ‘68”; relazione su “Il ‘68 e il teatro” (Cagliari La magia del leggere”, Corso di aggiornamento per insegnanti e genitori della Scuola Elementare “Ciro Menotti”, Villanova di Modena Corso di aggiornamento per insegnanti delle scuole elementari del comprensorio Valle Umbria (Foligno Teatro e Carcere: l’esperienza della Compagnia della Fortezza”, nel quadro di “Maggio cercando i teatri” organizzato dall’E.T.I. (Roma, Teatro Valle Il verso dannunziano e il concerto d’autore”, seminario con A. Asor Rosa, C. Bene, P. Giacchè (Roma, Teatro dell’Angelo Ciclo di incontri “La parte dello spettatore” (relatore del 1° incontro – Faenza Corso Uni Tea “Il teatro come disagio antropologico” (Parma Divenire teatro”, incontri su Antonin Artaud organizzati dal Centro Teatro Universitario di Ferrara. Relatore dell’incontro: “Artaud fatto Bene” (Ferrara Politica e società”, ciclo di incontri di formazione politica (Roma, Relatore dell’incontro: “Minoranze e movimenti nell’Italia del dopoguerra”, insieme a G. Fofi (Roma, Incontri in scena. Per un’indagine sull’antropologia dell’infanzia” (Vicenza, Teatro Astra, organizzati dalla compagnia “La Piccionaia – I Carrara” con la collaborazione dell’Università di Cà Foscari di Venezia. Relatore dell’incontro: “Antropologia dell’infanzia” “L’utopia del teatro vivente. Living Theatre” (Siena nel quadro di incontri organizzati dall’Università degli studi di Siena attorno ai “Cinque sensi del teatro. Cinque trasmissioni monografiche sulla filosofia del teatro” (Rai-Pontedera Teatro). • “Strumenti innovativi per favorire l’inclusione sociale”, lezione inaugurale (“Altro è narrare”) del corso organizzato dal Centro Solidarietà di Modena (CEIS) e da Emilia Romagna Teatro (Modena Giornate di studio per l’inaugurazione della sezione di ricerca “Créations, Pratiques, Publics”, presso la Maison de Sciences de l’Homme – Paris Nord (St. Denis Conferenza sul Living Theatre, nel quadro del seminario “Maestri del ‘900. Gli uomini e le idee che hanno fatto la storia del teatro contemporaneo” organizzato dal Teatro Nuovo “Giovanni da Udine” (Udine Conferenza su Carmelo Bene o delle provocazioni del genio, nel quadro del seminario “Maestri del ‘900. Gli uomini e le idee che hanno fatto la storia del teatro contemporaneo” organizzato dal Teatro Nuovo “Giovanni da Udine” (Udine Le risorse della diversità”, seminario organizzato da Proteo Fare Sapere e dal Movimento Cooperazione Educativa (Firenze, Educandato SS. Annunziata Corso per attrici “Il corpo del testo”, organizzato da Emilia Romagna Teatro Fondazione; docente di Elementi di antropologia e cultura del teatro e spettacolo (30 ore di Antropologia del Teatro Seminario sulle “Quattro lezioni sul teatro” di Carmelo Bene, organizzato dalla Fondazione L’Immemoriale di Carmelo Bene” e dall’Università di Lecce (Lecce Dimostrazione-conferenza “L’attore compositore: Mejerchol’d e la biomeccanica teatrale”, organizzata dal Centro Internazionale Studi Biomeccanica Teatrale (Perugia giornate di lavoro teatrale: incontri, dimostrazioni di lavoro, spettacoli Pontedera, Teatro di via Manzoni), nel quadro di “Generazioni Festival organizzazione e cura della Fondazione Pontedera Teatro. • Seminario dell’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales, “Carmelo Bene. Voir la voix, écouter le visible”, coordinato da B. Filippi e G. Careri (Parigi, Institut National d’Histoire de l’Art comunicazione Le Sud du Sud des Saints, Teatro in forma di libri”, incontri organizzati dal Teatro Due Mondi – Casa del Teatro (Faenza Arte dello spettatore”.Corso di formazione per insegnanti, organizzato dal Teatro Stabile d’Innovazione Fontemaggiore (Perugia, Teatro Sant’Angelo, Seminario orientativo sul settore spettacolo, organizzato dalla Fondazione Emilia- Romagna Teatro nel quadro della Laurea specialistica “Progettazione e gestione di attività culturali” della Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Modena (lezione Seminario di studio nel quadro della Mostra “Carmelo Bene. La voce e il fenomeno. Suoni e visioni dall’archivio”, organizzato dalla Fondazione L’Immemoriale e dal Comune di Roma (Casa del Teatri-Villino Corsini comunicazione L’ultimo Bene. La verticalità del verso, 7.5.05. • Incontro seminariale “Parole chiave per il teatro” (Lecce organizzato dai Cantieri teatrali Koreja. • “Un’antropologia della memoria” Conferenza dibattito sul libro di C. Severi Il percorso e la voce (Perugia, Palazzo dei Priori, Corso “Salute mentale, Antropologia e Teatro: confronto su un’esperienza di pratica laboratoriale” (Perugia, Parco di S. Margherita, Padiglione Neri organizzato dal Centro di Formazione della ASL 2 di Perugia. • “Pasolini antropologo” (Gubbio, Biblioteca Comunale Sperelliana nel quadro del ciclo di incontri “Pasolini e la nuova barbarie. Conversazioni su un testimone del nostro tempo” organizzato dal Comune di Gubbio Atelier intensif S.P.O.T. (Spectacle vivant, Opèra, Thèâtre)”, organizzato nel quadro del Master Europeen conjoint en Etude du spectacle vivant, coordinato dall’Université Libre de Bruxelles e organizzato dalla Universitad de La Coruña - Spagna docente di un corso di Antropologia teatrale. 8  • “Teatro come impegno civile”, seminario-incontro con Marco Paolini organizzato dai Cantieri Teatrali Koreja (Lecce  Laboratorio di ricerca interdisciplinare – Quello che ci fa la vita che facciamo, nel quadro del “50° Seminario di Louis Chiozza”, organizzato dall’Istituto di Psicosomatica “Aberastury” e dalla Scuola di specializzazione in Psicoterapia psicoanalitica di Perugia (Città di Castello, Palazzo Vitelli Quadri concettuali per l’analisi del sistema cultura – Seminari di studio”, organizzati dalla Fondazione Mario Del Monte di Modena comunicazione su L’antropologia e il “teatro” della cultura (Modena, Teatro delle Passioni L’ultimo Bene”, conferenza-lezione nel quadro delle attività didattiche speciali della Fondazione Accademia di Belle Arti di Perugia (Perugia, 17 maggio 2007). • Seminario di studio “Economia della cultura, sviluppo umano e politiche culturali”, a cura del CAPP (Centro di Analisi delle Politiche Pubbliche), Modena; comunicazione su La domanda di teatro. Una prospettiva antropologica (Modena, Facoltà di Economia, S.P.O.T. II (Spectacle vivant, Opèra, Thèâtre) “Espectàculos y dialogo entre culturas: La adaptacioòn y la escena”, organizzato nel quadro del Master Europeen conjoint en Etude du spectacle vivant, coordinato dall’Université Libre de Bruxelles e organizzato dalla Universitad de Sevilla; docente di un corso di 8 ore di Antropologia del teatro e dello spettacolo. • Laboratorio Interculturale di Pratiche Teatrali (III edizione in collaborazione con l’International School of Theatre Anthropology, organizzata dal Teatro Potlach, Fara Sabina (Rieti), 13 – 26 ottobre 2008); comunicazione su L’antropologia dello spettatore Seminario – Convegno “Omaggio a Carmelo Bene” (Centro Teatro Ateneo – Dipartimento Arti e Scienze dello Spettacolo dell’Università “La Sapienza” di Roma, 12 – 14 novembre 2008); Prologo al seminario e comunicazione dal titolo A scuola da Bene Il potere di tutti. Conversazione su Aldo Capitini” (Perugia, Sala Miliocchi organizzata dall’Associazione “Vivi il borgo”, dalla Società Operaia di Mutuo Soccorso e dalla Fonoteca Regionale “O. Trotta”. • Giornata di studi “La religione dell’educazione. Don Milani e Aldo Capitini”, organizzata dalla L.U.M.S.A. di Roma, Facoltà di Scienze della Formazione (Roma, Aula “Edda Ducci”, Piazza delle Vaschette Seminario “Migrazioni. Prospettive etnografiche sullo Stato italiano”, organizzato dal Dipartimento Uomo et Territorio – sezione antropologica (Perugia, Facoltà di Lettere e Filosofia, Palazzo Manzoni Voler Bene al cinema. Omaggio a Carmelo Bene” (Bellaria, Cinema Astra nel quadro di “Bellaria Film Festival 2009. • Seminario interdisciplinare su: “Grotowski e la ricerca invisibile” (Perugia, Istituto Aberastury, Bruciare la casa“, incontro-colloquio con Eugenio Barba (Isola Polvese (PG) nel quadro di “Terre di confine. Lo spazio del teatro”, progetto a cura di Linea Trasversale. • Séminaire doctoral collectif - Centre d'Etudes Féminines et d’Etudes de Genre/ CRESPPA-GTM : « Théâtre du genre : production, performance, spectacle » (Parigi, CNRS, 4 dicembre – comunicazione su “Travestissement à théâtre: masculin, féminile ou neutre? “). • Séminaire “SPACE-Supporting Performing Arts Circulation in Europe “- Session Paris (ONDA, Paris Comunicazione “Europe Toolbox: quelle boîte pour quels outils?” • “Cinema e teatro non si incontrano mai, se non all’infinito” (Bergamo incontro seminariale nel quadro de “Il teatro vivo. Introduzione al teatro contemporaneo: Corso di Alti Studi Teatrali organizzato dal Teatro Tascabile di Bergamo. • “La Festa nelle culture dei popoli: criteri di autenticità” (Gubbio nel quadro del ciclo di incontri “La Festa nella Festa dei Ceri”, per la celebrazione dell’anniversario della morte di S. Ubaldo. • Introduzione e partecipazione al XI Seminario Interdisciplinare dell’Istituto Aberastury su “La vocazione minoritaria”, condotto da G. Fofi (Perugia Incontro seminariale su “Lo spettatore partecipante” nel quadro del progetto “Paesaggio con spettatore” a cura di R. Vannuccini e organizzato da ArteStudio per il Festival dei Due Mondi – Spoleto (Spoleto, Palazzo Comunale Coordinatore del Laboratorio di Ricerca Interdisciplinare dell’Istituto Aberastury “Dialogo con Sctutatori d’anime di Carlo e Rita Brutti” (Assisi Incontro-conversazione “Radicalism: Piergiorgio Giacchè speakes about Carmelo Bene with Dora Garcia” (Venezia, Padiglione Spagnolo della Biennale Arte nel quadro della performance THE INADEQUATE: ogni giorno un artista in scena (Padiglione spagnolo, 54th International Art Exibition – Venice Biennale Relatore e conduttore del XIII Seminario Interdisciplinare dell’Istituto Aberastury su “L’anima del mondo viene prima del mondo dell’anima? (Perugia Dialogo teatrale – incontro tra un antropologo e un avvocato su Teatro Trattamento Carcere, nel quadro di “Stanze di teatro in carcere 2011. Rassegna intinerante di Teatro Carcere in Emilia Romagna” (Modena, Teatro delle Passioni La congiura della creatività”, seminario pubblico con P. Giacchè e R. Sacchettini, organizzato dal collettivo Nevrosi (Agliana, PT, Teatro Il Moderno Incontro con Marc Augè in dialogo con Piergiorgio Giacchè, organizzato dal Circolo dei lettori di Perugia (Perugia, Sala dei Notari Incontro con Piergiorgio Giacchè e Giuseppe Di Leva (Piccolo Teatro Grassi di via Rovello, Milano nel quadro di “Visioni di Bene. Voce, teatro, cinema, televisione secondo Carmelo”, Milano Memorie del sottosuolo. Il teatro raccontato da spettatori speciali: Piergiorgio Giacchè su Carmelo Bene” (Giardino del MUSAS, Santarcangelo di Romagna nel quadro di Santarcangelo  Festival Internazionale del Teatro in Piazza Raduno degli artisti della scena: Punctum e tempo, dalla fotografia alla scena”, incontro seminariale a cura di Claudio Morganti, organizzato dal Teatro Metastasio Stabile della Toscana, nel quadro del festival “Contemporanea 12: le arti della scena” (Prato, spazio Magnolfi Incontro-Lezione – TITOLO - per il seminario residenziale Università Elementare de Gli asini nel quadro di “Leggere la città: lo spazio pubblico” (Pistoia aprile 2014) • Seminario su “La parabola dell’animazione teatrale” nel quadro della seconda edizione della Summer School di Arti performative e Community care (Carpignano Salentino Incontro con Piergiorgio Giacchè e Alessandro Leogrande condotto da Giovanna Casadio, intitolato Vizi privati e pubbliche virtù, nel quadro della decima edizione del “Festival Lector in fabula: Privato, Pubblico, Comune” Conversano, Conversano, BA, Auditorium di San Giuseppe Conferenza Orizzonti e vertici del “viaggio del teatro” nel quadro della XVII edizione de “IL TEATRO VIVO. Progetto di promozione e diffusione del teatro contemporaneo”, organizzato dal Teatro Tascabile di Bergamo (Bergamo Conferenza Dal Living Theatre all’Odin Teatret, nel quadro di “Effetti collaterali. Ciclo di incontri per la formazione degli operatori e del pubblico”, organizzato dal Teatro di Sacco di Perugia (Perugia, Sala Cutu Incontro-Lezione “Essere giovani, essere attori” (Pistoia, Piccolo Teatro Mauro Bolognini per il seminario residenziale Università Elementare de Gli asini “La cultura di massa dall’emancipazione all’alienazione”, nel quadro di “Leggere la città: lo spazio pubblico” (Pistoia Corso residenziale “Si deve, si può. Ruolo delle minoranze etiche tra globale e locale” - primo modulo Dove va il nondo? Analisi del presente: il globale e il locale (Lamezia Terme Progetto Spring organizzato dalla Comunità Progetto Sud in collaborazione con le riviste Gli asini e Lo straniero. Relazione: “La mutazione antropologica: dal locale al globale e ritorno Corso di formazione per docenti presso l’Istituto Omnicomprensivo “D. Alighieri” di Nocera Umbra (PG): intervento formativo di due ore sul tema “Giovani Oggi Corso d formazione per docenti “Teatro come cultura delle differenze”, organizzato dal 1° Circolo didattico di Marsciano (PG) e dal Teatro Laboratorio Isola di Confine; conferenza “A scuola da Pinocchio” (Marsciano, Sala E. De Filippo Curatore e ideatore dei seguenti progetti o seminari speciali: • “La casa de l’Odin”, Ciclo di conferenze sulla cultura teatrale e sull’antropologia del teatro (Valencia, Barcellona, Castellon e Madrid, Apriamo un salotto: appuntamenti di restaurazione culturale” - tre cicli di conferenze sulle attività e sulla politica culturale (Perugia Storia et Geografia. Corso effimero di educazione permanente” - cinque incontri dedicati a Gabon, Germania, Iran, Argentina e Umbria, per favorire l’integrazione degli studenti stranieri (Perugia La parte dell’altro. Teatro ed esperienze antropologiche” - ciclo di conferenze e seminario conclusivo con E. Barba (Perugia Altro e Teatro” - ciclo di conferenze e relazioni di ricerca sugli ambiti contigui al teatro (Perugia L’età dell’oro. Per un teatro giovane” - incontri e discussioni fra giovani gruppi teatrali (Parma Il primo giorno. Scuola di teatro a scuola” - convegno/laboratorio sul rapporto tra il teatro nella didattica scolastica e la pedagogia del teatro (Parma Coordinatore del seminario “L’infanzia ritrovata. Lo sguardo dell’artista nel presente che muta” (Parma, all’interno del Corso Uni-Tea Coordinatore del seminario laboratorio “Curare gli affetti. Il teatro come legame sociale. Un percorso tra luoghi e non luoghi” (Parma all’interno del Corso Uni-Tea Curatore (assieme a G. Fofi) del ciclo di incontri “L’arte contro lo stato. Lo stato delle arti” (Santarcangelo di Romagna nel quadro del XXX Festival “Santarcangelo del Teatri”. • Curatore (assieme a F.Orlandi) del Corso di aggiornamento per insegnanti della Scuola Media Superiore “Oralità, Narrazione, Teatro: In Principio era il verbo”, organizzato da Emilia Romagna Teatro – Fondazione (Modena, Teatro delle Passioni Curatore (assieme a S. Cipiciani) di “Piccoli maestri. Incontri video spettacoli con il Teatro delle Albe”. (Spello, Palazzo Comunale e Teatro Subasio organizzato dal Teatro stabile di innovazione “Fontemaggiore” di Perugia Coordinatore (assieme al prof. L. Mango) del Laboratorio di osservazione dello spettacolo contemporaneo, nel quadro del Festival Internazionale ESTERNI (Terni Curatore (assieme a S. Cipiciani) di “Piccoli maestri. Incontro con Santagata o Morganti” (Terni, Officine Ex-Siri organizzato dal Teatro stabile di innovazione “Fontemaggiore” di Perugia nel quadro del festival Es-Terni Ideatore e curatore di “Bene Detto. Oratorio e Laboratorio sull’arte di Carmelo Bene” (Oratorio: Mondaino (RN), Laboratorio: Mondaino (RN) organizzato da L’arboreto. Teatro Dimora, con la collaborazione dell’Ass. Liminalia di Perugia e di B. Filippi e S. Pasello. • “I tagli e le ferite. La poetica della politica e viceversa”, Incontro con gli artisti italiani nel quadro di “Vie. Scena contemporanea festival”, organizzato dall’E.R.T. (Modena, Biblioteca Delfini Curatore e conduttore del meeting “Per Ora Labora” sulla condizione lavorativa dell’attore teatrale, nel quadro del Cantiere delle Arti (Modena, Biblioteca “Delfini” Ideatore e curatore di “InizioAzione.Vacanze scolastiche per allievi attori delle scuole di teatro” (per una ricerca sulla motivazione teatrale), nel quadro del Festival VIE dell’E.R.T. (Rubiera, Corte Ospitale – Modena, Biblioteca “Delfini” Curatore e coordinatore dei sei incontri del seminario-laboratorio “Il grande attore e il piccolo spettatore” a cura del Teatro Stabile d’Innovazione Fontemaggiore di Perugia e del Dipartimento Uomo e Territorio – sezione antropologica – dell’Università degli studi di Perugia (Perugia, Teatro Brecht Curatore di “Autocritica”, quattro incontri fra critici e attori per il Cantiere delle Arti, nel contesto di Vie Scena Contemporanea Festival (Modena, Biblioteca “Delfini Curatore e coordinatore del laboratorio per spettatori “Piccolo pubblico”, organizzato dal Teatro Stabile d’Innovazione Fontemaggiore di Perugia nell’occasione delle repliche degli spettacoli del Progetto Interregionale di promozione dello spettacolo dal vivo “Teatri del presente” (Teatro Brecht di Perugia e Teatro Clitunno di Trevi, Curatore e direttore scientifico de “Il Centro della Visione. Per un’accademia dello spettatore”, progetto organizzato da Kilowat Festival a Sansepolcro (AR), Ideatore e curatore del progetto “Verso Capitini, per un Colloquio corale”, prodotto dal Teatro Stabile d’Innovazione “Fontemaggiore” di Perugia (da aprile 2014 ancora in corso: prima sessione presso il Teatro Drama di Modena sessione presso il Teatro Brecht di Perugia Ideatore e curatore del convegno “Il teatro della critica” (Pistoia organizzato dal Centro Culturale “Il Funaro” e dall’Associazione Teatrale Pistoiese. CONVEGNI • Convegno su “L’Italia e l’Umbria dal Fascismo alla Resistenza: problemi e contributi di ricerca” (Perugia Convegno internazionale su “Droga. Dalle esperienze ad una proposta concreta. Aspetti terapeutici, sociali e legislativi” (Firenze Incontro seminariale “Musica, Possessione, Spettacolo” (Greve in Chianti, Firenze Seconda sessione dell’I.S.T.A. - International School of Theatre Anthropology (Volterra Convegno di studi su “Improvvisazione e spettacolo” (Firenze Convegno di studi su “Vedere ed essere visti” (Volterra Convegno di studi su “Come si potrebbe vivere. Corpo e linguaggio” (Vicenza Giornate della cultura e della partecipazione (Barcellona, Convegno di studi su “Elogio dei fiori: tecniche personali e creatività” (Volterra, Mostra-Convegno “Spoleto come titolo” (Spoleto Simposio “Le maître du regard”, nel quadro della terza sessione dell’I.S.T.A. (Paris, Malakoff Incontri di lavoro con Richard Schechner” (Pontedera Convegno-seminario su “Cosa narrare e come narrare” (Bellaria-Igea Marina Convegno Nazionale di Psichiatria “Crisi e costruzione delle conoscenze” (Massa Convegno “Le forze in campo. Per una nuova cartografia del teatro” (Modena, sessione dell’I.S.T.A. - “Il ruolo della donna nel teatro delle diverse culture” (Hostelbro Convegno Nazionale di Antropologia delle società complesse (Roma sessione dell’I.S.T.A. - “Tradizione dell’attore e identità dello spettatore. Dialoghi teatrali” (Otranto Convegno su “Teatro e Emergenza. Quattro incontri” (Bologna Natura e buongoverno del teatro. Convegno Nazionale per il rinnovamento della scena italiana” (Milano Encuentro de Artes Escenicas sobre perspectivas, necesidades, metodos, limitaciones y alternativas para la investigacion y esperimentacion (Mexico D. F. Convegno su “La presenza misconosciuta. Nuovi progetti di teatro” (Frascati Giornate di studio su “Grotowski, la presenza assente” (Modena Congresso Mondiale di Sociologia del Teatro (Bevagna Seminario Internazionale “A la recerca d’un espai teatral contemporani” (Olot – Catalunya sessione dell’I.S.T.A. - “Università del teatro euroasiano. Tecniche della rappresentazione e storiografia” (Bologna World Congress of Sociology (Madrid, 9 - 13 luglio 1990). • Convegno di fondazione di “Mantis. Centro per la ricerca sui linguaggi del comportamento funzionale” (Palermo • Convegno su “Culture immigrate e teatro in Europa. Analisi dei fenomeni interattivi fra culture immigrate e culture europee” (Bologna, 16 novembre 1991). • Seminario-convegno della Università del Teatro Euroasiano (Padova Convegno internazionale su “Teatro Europeo: quali percorsi formativi” (Torino Congresso Internacional de Sociologia do Teatro (Fondazione Gubelkian, Lisbona Convegno su “La piazza nella storia. Eventi, liturgie, rappresentazioni” (Università di Salerno-Fisciano, Seminario-convegno della Università del Teatro Euroasiano - “Drammaturgie parallele” (Fara Sabina Giornate di incontri e di studi “Per Carmelo Bene” (Perugia Congresso Nazionale “L’antropologia e la società italiana” (RomaConvegno “L’identità collettiva e la memoria storica: un confronto tra Italia e Polonia”, organizzato dall’Ambasciata d’Italia e dall’Università di Varsavia (Varsavia Convegno di studi su “L’altra via dell’intelligenza. Teatro e valore” (Terza Università di Roma Convegno Europeo Teatro e Carcere - “Immaginazione contro emerginazione” (Milano Convegno su “I sommersi e i salvati. Come, perché, dove e per chi fare teatro?” (Terza Università di Roma Convegno internazionale per la fondazione del Centre International d’Ethnoscènologie (Paris Convegno su “Pacifismo, disobbedienza civile, obiezione di coscienza: il ruolo della Comunità di Capodarco” (Lido di Fermo Congresso Europeo della Biennale Théâtre Jeunes Publics - “Pourquoi aller au théâtre aujourd’hui?” (Lyon Convegno su “Teatro antropologico e Antropologia teatrale” (Scilla Convegno su “Tradizione e modernità al sud Convegno Internazionale su “Teatro e Scuola: Università ed Educazione al Teatro” (Roma. • Convegno “Teatro e Scuola fra espressività e percezione” (Modena). Congres International de Sociologie du Théâtre (Mons) Convegno Nazionale su “Arte del narrare, arte del convivere. Incontro tra immigrati, educatori e artisti narratori” (Palermo, Convegno di studio “Creativi si nasce? Teatro e creatività nei possibili percorsi della riforma scolastica” (Palazzolo sull’Oglio - BS). • Convegno su “Le letterature popolari. Prospettive di ricerca e nuovi orizzonti teorico- metodologici” (Fisciano e Ravello - Università di Salerno, Convegno su “Il gioco del teatro. L’animazione trent’anni dopo” (Torino). • Convegno “Processo federalistico delle istituzioni meridionali e mediterranee” (Messina). • Convegno-Seminario “Carmelo Bene e Gabriele D’Annunzio. Sulla verticalità del verso” (Roma, Teatro Valle, Acting, Life, and Style”, convegno per un progetto internazionale di ricerca organizzato dall’Italienska Kulturinstitutet “C.M. Lerici” e dal Teatervetenskapliga Institutionen della Universitet Stockholms (Stoccolma,Convegno Europeo di Teatro e Carcere: “Verso il Duemila, il cammino di un’utopia concreta” (Milano, tavola rotonda su “Il costringimento e il suo doppio” (Convegno “Io sono la prima attrice. Crocevia di esperienze tra teatro e handicap” (Milano). • Convegno “Un teatro per domani”, all’interno della X edizione di Galassia Gutemberg Mostra mercato del libro e della multimedialità (Napoli, Mostra d’Oltremare, Galleria Mediterranea). • Convegno di studio per dirigenti e docenti della scuola “Il Corpo - la Macchina tra avventura, traduzione, mistero” (Calcinate, Bergamo, Congresso “Le Corps du Théâtre. À partir de la Méditerranée: organicité, contemporanéité, interculturalité” (Bologna organizzato dalla Maison de Sciences de l’Homme, Ente Teatrale Italiano e D.A.M.S. dell’Università di Bologna. Encontro Internacional de Novo Teatro para Crianças e Adolescentes – “Percursos” (Lisboa – Portugal, Centro cultural de Bélem). • “Per un teatro popolare di ricerca”, convegno organizzato da La Corte Ospitale (Rubiera, Convegno Internazionale di Studi “I teatri delle diversità e l’integrazione” organizzato da Ass. Cult. Nuove Catarsi (Cartoceto –Ps, Convegno Internazionale “Intrecci tra Educazione Arte Natura nella prospettiva della conversione ecologica” (Amelia, organizzato dalla Casa Laboratorio di Cenci. • Giornate di studio e di ricerca “I Sud e le loro Arti” (Arnesano, organizzato dal Comune di Arnesano (Le) e dall’Università di Lecce. • Convegno “Il cinema al limite, al limite il cinema” (Perugia, 9 novembre 2001), organizzato da Batik-Perugia Film Festival Ho sognato che vivevo. Teatri della trasformazione e dell’esclusione. Esperienze di teatro con protagonisti non comuni (pazienti psichiatrici, carcerati, portatori di deficit, immigrati) a confronto con studiosi e amministratori”, (Arena del Sole, Bologna) convegno organizzato dall’Azienda USL Bologna Nord e dalla Regione Emilia-Romagna Convegno di Studi “Antropologia e poesia” (Fisciano-Ravello, organizzato dall’Università degli studi di Salerno e dall’A.I.S.E.A.- Sezione di Antropologia e letteratura. • Convegno “Per un nuovo Teatro in Italia e in Europa” (Roma, Teatro Valle, organizzato dall’Ente Teatrale Italiano nel quadro di “Cercando i teatri Convegno “Residui illimitati” (Bergamo, Chiesa di S.Agostino, 21 giugno 2002), organizzato da Il Teatro Prova nel quadro del festival “Non voglio perdere la meraviglia. Teatri e arti tra diversità e alterità”. • Convegno Internazionale “Le arti del ‘900 e Carmelo Bene” (Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, organizzato dalla Regione Piemonte e dall’Organizzazione per la Ricerca in Scienze e Arti di Torino. • Convegno Internazionale “Performing Through – Tradition as Research at the Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards” (Vienna, Theater des Augenblicks, Non solo per piacere. Pratiche teatrali. Adolescenti. Giustizia. Convegno nazionale sulle esperienze di teatro con minori in area penale interna ed esterna (Bologna, Maison Française, organizzato dal Dipartimento Musica e Spettacolo dell’università di Bologna, dalla Regione Emilia-Romagna e dal Centro Giustizia Minorile per L’Emilia Romagna e Marche. • Colloque International d’Ethnoscénologie (Parigi, Université Paris Convegno “L’Attore”, organizzato da Primafila e InScena con il patrocinio delle Segreterie di stato per il Turismo e gli Istituti Culturali – Repubblica di san Marino (Sala SUMS, Giornate di lavoro e di studio nel quadro dell’Assemblea Generale di IRIS - Associazione Sud Europea per la Creazione Contemporanea (Modena, Palazzo Comunale). Controscuola. Riflessioni ed esperienze pedagogiche”, convegno organizzato dalla rivista “Lo straniero” (Roma, Museo di Roma in Trastevere, symposium on tracing roads across “Living Traces – Performing as a Shared Reality” (in the occasion of the 20th Anniversary of the Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards), Teatro Manzoni, Pontedera – PI, Convegno “Réécritures de Médée”, organizzato dal Centre de Recherche en Etudes Féminines – Etudes de genre del’Université Paris 8 (Saint-Denis, Musée d’Art et d’Histoire, Il disagio e chi se ne occupa. Crisi dei sistemi educativi e di cura e prospettive dell’agire sociale”, convegno organizzato dalla rivista “Lo straniero” (Roma, Sala Civita, Piazza Venezia, 1° Incontro su “Travestitismo e identità di genere nelle scienze della recitazione” (Napoli, Galleria Toledo), organizzato dal Dipartimento di Neuroscienze, Unità di Psicologia Cilinica e Applicata e dalle Università degli Studi di Napoli Federico II, L’Orientale, Suor Orsola Benicasa; comunicazione su Il teatro e l’alterità di genere. Il caso o l’esempio di Carmelo Bene. Convegno Regionale A.I.Fi Umbria su “Le alterazioni posturali: dalla conoscenza alla coscienza riabilitativa” (Trevi, Hotel della Torre, organizzato con la collaborazione dell’Università di Perugia; comunicazione su Postura e cultura. Il corpo della tradizione e il corpo della rappresentazione. • Convegno “Venti anni di teatro della Compagnia della Fortezza – Per un teatro stabile in carcere” (Volterra, Cortile principale del carcere, coordinatore e relatore. • Convegno internazionale “Il teatro che ho in testa. Per un festival di teatro da sogno” (Ulassai e Jerzu, organizzato da Cada Die Teatro, nel quadro di “Ogliastra Teatro, festival dei tacchi Convegno “La frontiera del teatro. Grotowski 30 anni dopo” (Milano, Teatro dell’Arte, organizzato dal CRT Centro di Ricerca per il Teatro di Milano. • Convegno “Teatro e Infanzia”, a cura di G. Fofi e M. Martinelli, organizzato dal Teatro Stabile di Napoli e da Punta corsara (Scampia-Napoli, Teatro Auditorium, Journée d’étude “Modes et formes d’émergence dans le théâtre” (Liegi, Belgio, organizzato, nel quadro del progetto Prospero, dall’Université de Liège e dal Théâtre de la Place. • “Ricordando Lévi-Strauss. Convegno di studi” (Macerata, organizzato dal Centro Internazionale di Studi sul Mito e dall’Università di Macerata. • Convegno seminariale “Chi è il prossimo?”, organizzato dalla rivista “Lo straniero” nel quadro del 40° Festival Internazionale del Teatro in Piazza (Santarcangelo di Romagna, Supercinema, Futuramente. 1° Convegno intorno alla Creatività per le future generazioni” (Pontedera, Museo Piaggio, organizzato dall’ass. Libera Espressione e dal Comune di Pontedera (PI). • Journée d’étude “Vous ne trouvez pas ça tragique? – conversation publique sur l’art, l’esthétique et la politique” (Tolosa, Francia, organizzata dal Théâtre Garonne, nel quadro di “In Extremis Una giornata con il Living Theatre – conversazione pubblica (San Sisto – Perugia, Teatro Bertolt Brecht, organizzata dall’UILT nel quadro della Giornata Mandiale del Teatro. Convegno Internazionale “Civiltà, culture, educazione. Le sfide della società tardo- moderna alla pedagogia” (Aula Magna della Lumsa, Roma, organizzato dalla Facoltà di Scienze della Formazione della LUMSA di Roma. • Convegno seminariale “Un’idea di rivoluzione”, organizzato dalla rivista “Lo straniero” nel quadro del Festival Internazionale del Teatro in Piazza (Santarcangelo di Romagna, Supercinema, “Il n’y a pas de révolution politique possible, s’il n’y a pas d’une révolution poétique” – incontro internazionale e tavola rotonda sul rapporto tra pratiche artistiche e mutazioni politiche nelle aree interessate dalla “primavera araba” (Terni, Festival Internazionale della Creazione Contemporanea, Caos Area Lab,). Journée d’études “Potlach notionnel sur la performance. National potlach on performance”, organizzata dall’E.H.E.S.S., dall’Université Paris Ouest-Nanterre, dal Centre Edgar Morin e dal H.A.R. (Amphithéâtre François Furet, bld. Raspail, Paris Convegno della Facultatea de Teatru si Televiziune – Universitatea Babes-Boyai di Cluj-Napoca (Romania) “The Bad Spectator. Performing Arts between Construction and Destruction / Le mauvais spectateur. Les arts du spectacle entre construction et destruction”, organizzato dal gruppo di ricerca Istoria Teatrului, Iconografie si Antropologie Teatrali a Cluj-Napoca Seminario “L’esperienza del principio. Jerzy Grotowski, l’infanzia e la rinuncia all’assenza” (Cenci-Amelia, nel quadro della manifestazione “Sorgenti e torrenti. Omaggio a Jerzy Grotowski e al Teatro delle sorgenti” organizzata dal Laboratorio di Cenci Convegno “Le théâtre et ses publics: la création partagée” - 2° Colloque International du Projet Européen PROSPERO (Salle académique dell’Università di Liegi – Belgio), organizzato dal Théâtre de la Place di Liegi e dell’Université de Liège. • “Confusion de genres. Journées d’étude en l’honneur de Jean-Paul Manganaro”, organizzato dall’Université de Lille 3, dall’Université Paris Ouest-Nanterre-La Defense e dall’Università Italo Francese (Lille, 29 novembre – 1° dicembre; Paris, 12 dicembre 2012). • Colloque International “D’après Carmelo Bene” (Parigi, Institut National d’Histoire de l’Art - Conservatoire National Supérieur d’Art Dramatique - Cinéma du Panthéon), organizzato da HAR, Université Paris Ouest-Nanterre, Labex Arts-H2H, Université Paris 8 Vincennes-Saint Denis, CNSAD, Dipartimento Uomo e Territorio dell’Università di Perugia (in partenariato con Union des Théâtres de l’Europe e con Emilia Romagna Teatro Fondazione). • Incontro sul tema “Memoria e Identità” (Gubbio, Biblioteca Sperelliana), organizzato dal Comune di Gubbio e dal Lyons Club Gubbio Host. “Teatro e nuovo umanesimo”, convegno nel quadro della “Giornata per Claudio Meldolesi” (Bologna, Laboratorio delle Arti), organizzata dal Dipartimento delle Arti visive, performative, mediali dell’Università di Bologna, con il patrocinio dell’Accademia dei Lincei.Convegno Nazionale di Teatro educativo intitolato “Scrittura e riscrittura. Da testo alla messa in scena – Esperienze a confronto” (Avigliano Umbro, TR, Colloque international d’ethnoscénologie, organizzato da Maison des Cultures du monde, Université Paris 8, Maison des Sciences de l’Homme Paris Nord) •Incontro sul tema “Ai confini della democrazia” (Roma, La Pelanda) organizzato dalle Edizioni dell’Asino nel quadro della rassegna Short Theatre n. 8 intitolato “Democrazia della felicità” (Roma). • Convegno Seminario “Intellettuali e riviste tra passato, presente e futuro” (Perugia, Sala della Partecipazione del Consiglio regionale dell’Umbria). • Convegno sulla Rete Regionale dei Teatri (Modena, Teatro delle Passioni), organizzato dalla Fondazione Mario del Monte e da Emilia Romagna Teatro. Convegno “La possibilità del teatro. Un incontro di riflessione e confronto”, organizzato dalla Fondazione Pontedera Teatro (Pontedera, PI, Teatro Era). Convegno “Il teatro della critica” (Pistoia), organizzato dal Centro Culturale “Il Funaro” e dall’Associazione Teatrale Pistoiese. RICERCHE ricerche teoriche: Il contesto sociale della criminalità e della devianza Le basi strutturali dei processi di criminalizzazione” La solitudine abitativa come fenomeno emergente Riferimenti teorici ed esperienze empiriche nella fondazione di una antropologia del teatro Cultura dell’attore nelle tradizioni teatrali euroasiatiche  L’identità dello spettatore e i modelli di fruizione del teatro Sociabilità, Relazionalità, Spettacolarità Tecniche del corpo e azioni performative Studio per la realizzazione di uno spettacolo teatrale sul tema del cooperativismo Elements anthropologiques dans le théâtre contemporain - nel quadro della partecipazione al Groupe international de recherche interdisciplinaire “Spectacle vivant et sciences de l’homme” - Maison de l’Homme, Paris Il teatro e la scuola: le funzioni pedagogiche del teatro e i corsi di formazione degli operatori teatrali e degli insegnanti - nel quadro dell’attività dell’Uni-Tea, progetto coordinato dall’Ente Teatrale Italiano. ricerche empiriche: • Gli atteggiamenti nei confronti della devianza criminale e dell’istituzione carceraria (ricerca condotta nel quartiere di P.ta Eburnea di Perugia Le opinioni e gli atteggiamenti degli studenti dell’Istituto Tecnico per Geometri di Perugia nei confronti della scuola e della condizione umana Indagine su tipologia e censimento degli organismi di democrazia di base (ricerca per il Consiglio Regionale dell’Umbria, Ricerca sulla definizione e le caratteristiche della popolazione “reale” (ricerca del C.R.U.R.E.S. Indagine sull’ascolto radiotelevisivo in Umbria (ricerca del Comitato Regionale Umbro per il Servizio Radiotelevisivo, Ricerca sul comportamento elettorale in Umbria attraverso l’analisi dei risultati delle elezioni politiche ed europee  Indagine sull’esercizio e il mercato cinematografico in Umbria (ricerca dell’Associazione Umbra per il Decentramento delle Attività Culturali, Inchiesta sul teatro dialettale in Umbria (ricerca del Centro Documentazione Spettacolo, sAnalisi dei risultati delle elezioni amministrative  nel comune di Perugia (ricerca del Comune di Perugia, Ricerca sulla memoria e sulla identità dello spettatore (ricerca condotta in Salento per l’International School of Theatre Anthropology).  L’informazione televisiva in Umbria: i notiziari regionali (ricerca del Comitato Regionale Umbro per il Servizio Radiotelevisivo, Indagine sulle emittenti radiotelevisive operanti in Umbria (ricerca del Comitato Regionale Umbro per il Servizio Radiotelevisivo, Aspetti devozionali e spettacolari nelle feste religiose patronali In compagnia: ricerca e analisi sulle opportunità di lavoro e di impiego nel settore teatrale” (nel quadro dell’azione pilota “terzo settore e occupazione” promossa dalla Commissione Europea D.G.V); ricerca coordinata da Emilia Romagna Teatro con la collaborazione di “Amitié”, Taller de Investigaciòn de la Imagen Teatrale di Madrid, Teatro delle Briciole, Teatro Festival, Thomas Consulting Group Ricerca empirica sulla definizione e sulla’informazione e formazione dello spettatore, all’interno del progetto “100 spettatori da adottare” organizzato dalla Fondazione Pontedera Teatro e dall’ETI Ente Teatrale Italiano Il nuovo attore nuovo” Osservatorio scientifico sulla pedagogia dell’attore di innovazione, applicato al Progetto interregionale “Teatro – Percorsi di Alta Formazione” organizzato dalla Fondazione Pontedera Teatro, dai Cantieri Teatrali Koreja di Lecce e dal Nuovo Teatro Nuovo di Napoli, in convenzione con le rispettive Regioni (gennaio – giugno 2008). • Analisi documentale del “Cantiere delle Arti” – un cantiere transnazionale per la creazione di percorsi integrati connessi alla realtà produttiva del settore spettacolo dal vivo – costituito da Emilia Romagna Teatro Fondazione, dalla Regia Accademia Filarmonica e Musica e Servizio Cooperativa Sociale Sull’opera e il pensiero degli antropologi Giulio Angioni. Tra antropologia e letteratura (recensione), “Lo straniero Arte Cultura Società”, Bourdieu: l’autoanalisi di un maestro, “Lo straniero Arte Cultura Scienza Società, Postfazione alla parte quinta “Dimensioni della festa” in: T. Seppilli, Scritti di antropologia culturale, (M. Minelli – C. Papa, curatori), 2 voll., Olschki Ed., Firenze, La festa, la protezione magica, il potere, Lo sguardo lontano di Lévi-Strauss, “Lo straniero Arte Cultura Scienza Società, Lezione e monito dell’ultimo Baudrillard, “Lo straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Sulla condizione e la subcultura giovanile: Dopo Licola, (in coll. con G. Baronti), “Ombre Rosse, Il corpo e il territorio, “Segno critico, Una nuova solitudine. Vivere soli tra liberazione e integrazione, (in coll. con P. Bartoli e S. La Sorsa), Savelli ed., Roma, Protagonismo, narcisismo e consumismo, “Ombre Rosse, Forza ragazzi, “Linea d’ombra, Disagi giovanili, disagi senili, “Lo Straniero. Arte Cultura Società, Il diavolo, sicuramente, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Lo studente quotidiano, “Gli asini. Educazione e intervento sociale, La Giovane Italia, “Gli asini. Educazione e intervento sociale, Un saggio Laffi sui giovani e i vecchi, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Sulla devianza e la criminalità: La ricerca dei ricercati. Sociologia dell’ordine pubblico, (in coll. con G. Baronti), “Ombre Rosse, La organizzazione del consenso nel regime fascista: la manipolazione ideologica della devianza criminale, (in coll. con G. Baronti), “Studi e materiali di antropologia culturale”, Perugia, Sulla cultura meridionale: Mezzogiorno è già passato, in: G. Fofi – A. Leogrande (curatori), Nel sud, senza bussola. Venti voci per ritrovare l’orientamento, L’ancora del mediterraneo, Napoli, Sulla cultura politica e la politica culturale: Partiti e comportamento elettorale. Analisi dei risultati delle elezioni del giugno 1789 in Umbria (in coll. con A. Sorbini), Com.Reg.Umbro PSI, Perugia, Caro nome..., in: AA.VV., A proposito dei comunisti, Linea d’ombra ed., Milano, La festa dell’albero. Come ri-nasce un partito, “Linea d’ombra, Invenzione, diffusione e agonia dell’operatore culturale, “Linea d’ombra, Ebrei e naziskin. I fatti e le notizie, in: A. Cavaglion (a cura di), Gli aratori del vulcano. Razzismo e antisemitismo, Linea d’ombra ed., Milano, Il punto e la linea. Maggioranze, minoranze e critica della politica, “Linea d’ombra, La cultura del maggioritario, “La terra vista dalla luna. Rivista dell’intervento sociale, Una merce come le altre? La fiera del libro a Torino, “La terra vista dalla luna. Rivista dell’intervento sociale, Laici ed eretici, “La terra vista dalla luna. Rivista dell’intervento sociale”, A Perugia c’è cultura da vendere, “L’indice, Sull’industria della coscienza: una questione di dettaglio, introduzione a: H.M. Enzensberger, Questioni di dettaglio. Poesia, politica e industria della coscienza, trad. di G. Piana, ediz. e/o, Roma, La parabola del buon rettore, “Lo Straniero. Arte Cultura Società, L’età dello stagno, “Lo Straniero. Arte Cultura Società, Cosa ci tocca vedere, “Lo Straniero. Arte Cultura Società, Il laico e il sacro, “Lo Straniero. Arte Cultura Società, Qualcosa è accaduto, “Lo Straniero. Arte Cultura Società, Il porto dell’università, fra la nebbia e il miraggio, “Lo Straniero. Arte Cultura Società, Toni, Bepi e san Francesco (per tacere di sant’Agostino), “Lo Straniero. Arte Cultura Società, La sera del dì di festa, “Lo straniero. Arte Cultura Società, Questo Papa e quella guerra, “Lo Straniero. Arte Cultura Società, La controriforma e il doposcuola, “Lo Straniero. Arte Cultura Società, Grande Papa, tanta gente, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, La questione comica, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Il silenzio dei post-comunisti, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Il viaggio di Francesco Piccolo nei divertimenti di massa (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, La mamma ha un cuore verde. Un racconto di Rosa Matteucci (recensione),“Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, La montagna elettorale, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Il male minore, in: M. Bon Valsassina (curatore), In fondo al male. Contributi e Iconografie sul Male, Futura ed., Perugia, Universitas docet, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Un pomeriggio tra le minoranze, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società Silvio, Umberto e i giovani d’oggi, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, La parte dell’arte, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, G. – V. Giacopini – E. Morreale – N. Lagioia, Necessità e servitù della critica. Cosa cerca l’arte? A che serve la critica?, Edizioni dell’Asino, Roma, Prefazione a: Carlo e Rita Brutti, Scrutatori d’anime. La psicoanalisi che viene, Edizioni dell’Asino, Roma, Lo sciopero e la grève, ovvero dalla Francia con stupore, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Il teatro del prossimo, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Teatro e politica all’italiana: l’Attore e l’Assessore, “Gli asini. Educazione e intervento sociale”, Via col vento, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Specchiarsi nelle vite degli altri. Un romanzo di Emmanuel Carrère, (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Il maggio è francese, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Ci fu una volta la sinistra, ovvero il silenzio dei post-comunisti, Edizioni dell’asino, Roma, La cultura e la politica, un atto unico in due tempi, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Indovinala Grillo!, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Fazio ovvero l’ultima volta della tivvù, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, L’università dei vavassini, “Gli asini. Rivista di educazione e intervento sociale” (numero monografico su Valutazione e meritocrazia nella scuola e nella società  Il niente che avanza, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Renzi, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, I volontari dell’ottimismo. Marino Sinibaldi riflette sulla cultura, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Sul pensiero e l’azione di Aldo Capitini Introduzione e cura del volume: A. Capitini, Opposizione e liberazione. Scritti autobiografici, Linea d’ombra ed., Milano (riedizione con il titolo Opposizione e liberazione. Una vita nella nonviolenza, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli). Al servizio (civile) della coscienza, “La terra vista dalla luna. Rivista dell’intervento sociale, Capitini e l’obiezione di coscienza, “La terra vista dalla luna. Rivista dell’intervento sociale”, Introduzione e cura del volume: A. Capitini, Liberalsocialismo, ediz. e/o, Roma, L’obiezione è coscienza. L’insegnamento di Aldo Capitini, “Lo Straniero. Arte Cultura Società, Introduzione e cura del volume: La religione dell’educazione. Scritti pedagogici di Aldo Capitini, Edizioni La Meridiana, Molfetta (Bari), Capitini e i Perugini, “Studi Umbri”, n. 0, anno I, 2009, (www.studiumbri.it) Cura –assieme a G. Fofi- del volume: A. Capitini, Agli amici. Lettere 1947-1968, Edizioni dell’Asino, Roma, L’importanza di chiamarsi prete, “Gli asini. Educazione e intervento sociale, Sulla cultura teatrale e la società dello spettacolo: Il teatro delle esperienze, (in coll. con S. De Matteis), “Quaderni di Teatro, Diario scolastico del sussidiario teatrale, “Scenascuola”, Un pugno di terra. Conversazione con Eugenio Barba, “Linea d’ombra, Living memories. Ricordi del Living e memorie viventi, “Teatro Festival, Antropologia culturale e cultura tetrale. Note per un aggiornamento dell’approccio socio- antropologico al teatro, “Teatro e Storia, Una bùsqueda de “antropologia teatral” sobre la identidad del espectator, “Repertorio. Revista de teatro, Memoire sociologique. Extraits de carnets d’une recherche anthropologique sur “L’identité du spectateur”, “Buffonneries”, Teatro necesario y teatro suficiente, “Màscara. Cuadernos Latinoamericanos de Reflexion sobre la Escenologia”, anno Come lavorare in discesa. Ragionamenti e aggiornamenti sul teatro “minore”, “Linea d’ombra, Lo spettatore partecipante. Contributi per una antropologia del teatro, Guerini e ass., Milano, Uno spettacolo prigioniero e un teatro libero, in: M.T. Giannoni (a cura di), La scena rinchiusa. Quattro anni di attività teatrale dentro il Carcere di Volterra, Tracce ed., Piombino, Introduzione all’identità dello spettatore. Una ricerca di antropologia del teatro, “R.I.S.T. Revue Internationale de Sociologie du Théâtre, Teatro e antropologia. Note su una “canoa di carta”, “Linea d’ombra, Una equazione fra antropologia e teatro, “Teatro e Storia”, L’esplorazione antropologica e i “fines” del teatro, “Etnoantropologia”, Argo ed. Lecce, Nostalgia del teatro e simulazione della piazza, in: D. Scafoglio - M. Vitale (a cura di), La piazza nella storia: eventi, liturgie, rappresentazioni, Ed. scientifiche italiane, Napoli, Introduzione e cura, Per Bene (Atti del convegno, Perugia), Linea d’ombra ed., Milano, De l’anthropologie du théâtre à l’ethnoscènologie, “Internationale de l’immaginaire, Ed. Maison de Cultures du monde, Paris, Il teatro “privato “del pubblico. Cenni di storia e appunti sulla fenomenologia dello spettatore, in: Le età del teatro. Corso triennale di storia e cultura teatrale, Ert (Emilia Romagna Teatro) ed., Modena, Bene. Antropologia di una macchina attoriale, Bompiani ed., Milano, Premio del Presidente del Premio “G. Pitrè – S. Salomone Marino). De la consommation du théâtre au théâtre dans la société de consommation, in: AA.VV., Pourquoi aller au théâtre aujourd’hui? (Actes du quatrième colloque européen - Biennale Théâtre Jeunes Publics, Lyon), Les Cahiers du soleil debout, Lyon, Giulio Cesare”, teatro dei corpi, (recensione),“Lo straniero. Arte Cultura Società, Teatro antropologico: atto secondo, “Catarsi. Teatri delle diversità, Pozzi – V. Minoia (a cura di), Di alcuni teatri della diversità, ANC, Consumare teatro, “Teatro e Storia, Shakespeare e Garibaldi, (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Società, Au théâtre comme à la guerre!, in: Centre Dramatique Hainuyer - Centre de Sociologie du Théâtre, La mediation théâtrale (Actes du 5è Congrès International de Sociologie du théâtre organisé a Mons (Belgique)), Lansman, Carnières-Morlanwelz (Belgique), Théâtre éducation”, Spettatori non si nasce, in: Provincia di Modena - Emilia Romagna Teatro,Teatro e scuola fra espressività e percezione. Atti del convegno (Modena), Centro Stampa Provincia di Modena, O la guerra o il teatro. Sul film di Mario Martone, Lo Straniero. Arte Cultura Società, Politica culturale e cultura teatrale, “Primafila. Mensile di teatro e di spettacolo dal vivo”, Aux confins du théâtre. Sur la relation entre théâtre et anthropologie, “Diogène, At the Margins of Theatre. On the Connection Between Theatre and Anthropology, “Diogenes, Il Teatro come ‘attore’ del terzo sistema, in: “In Compagnia. Materiali per la costruzione di un quadro di riferimento per lo sviluppo dell’occupazione degli operatori artistici teatrali: il teatro quale strumento di crescita sociale”, (relazione di ricerca), Emilia Romagna Teatro, Stampa Tem, Modena, Dell’ascolto distratto e dell’attenta lettura. I versi di Campana ripartoriti dalla voce di Carmelo Bene, (recensione), “L’indice”, Domande sul presente di Manfredini, “La porta aperta”, Le bugie della scuola e quelle del teatro, “Art’o”, Abbecedario della non-scuola del Teatro delle Albe, allegato a “Lo straniero Arte Cultura Società, Il giullare fatto santo. Fo Dario fu Francesco, “L’indice”, La settima volta di Riccardo terzo. Incontro con Claudio Morganti (intervista), “La porta aperta”, Tragedie nella terra, verso il mare, sotto il cielo. Incontro con Alfonso Santagata (intervista), in: S. Maggiorelli (a cura di), Tragicamente. Il teatro di Alfonso Santagata, Titivillus ed., Corazzano (PI), Teatro a cielo aperto. Incontro con Alfonso Santagata in “La porta aperta”, La fine dello spettatore, in: P. Giacchè (a cura di), Lo spettatore e le visioni del teatro futuro, “Prove di Drammaturgia”, Entelechia del Bene. Incontro con Carmelo Bene, “La porta aperta”, Il teatro fuori dai teatri. Memorie di uno spettatore di provincia, in: F. Gentili (a cura di), Teatri dell’Umbria. La storia, il gioco, la memoria, Octavo, Firenze, L’arte dello spettatore, vedere i suoni e ascoltare le visioni, in: Città di Palermo – Assessorato alle Politiche Educative, Arte del narrare, arte del convivere (Atti del Convegno nazionale – Palermo Eliocopisteria “Milone”, Palermo, L’identità dello spettatore. Un saggio di Antropologia Teatrale, “Etnostoria” L’art du spectateur: voir les sons et écouter les visions, “Diogène”, The Art of Spectator: Seeing Sounds and Haering Visions, “Diogenes”, Bene, attore della cultura, “Lo Straniero Arte Cultura Società Lo spettatore del teatro e il pubblico del rito, in: Cappelli, Lorenzoni (a cura di), La nave di Penelope. Educazione, teatro, natura ed ecologia sociale. Testimonianze e proposte a partire dai 20 anni di esperienze della Casa-Laboratorio di Cenci, Giunti ed., Firenze, Teatro prigioniero, in: M. Buscarino, Il teatro segreto, Leonardo Arte, Milano, Il Sessantotto e il Teatro: un anno senza “stagione”, in: AA.VV., Rivelazioni e promesse del ’68, CUEC, Cagliari, Un anno senza “stagione”: il ’68 e il teatro, “Lo straniero Arte Cultura Società”, L’avventura finale di Benigni (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Società Questa non è una tragedia (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Società”, L’altra visione dell’altro. Una equazione tra antropologia e teatro, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli, Perdere un amico, “Rivista di psicologia analitica”; Lo straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Perdere un amico. Ricordo di Bene) (ripubblicato in: B. Massimilla (a cura di), La perdita. Lutti e trasformazioni, Vivarium ed.. Milano. Apparire alla Madonna, postfazione a: C. Bene, Sono apparso alla madonna. Vie d’(h)eros(es). Autobiografia, Bompiani, Milano, L’identitè du spectateur. Essai d’anthropologie théâtrale, “L’Ethnographie. Création, Pratiques, Publics Arrevuoto”: il teatro in festa (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Società”, Un Amleto di più (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Dar corpo alla poesia: l’esempio e il metodo di Carmelo Bene, in: D. Scafoglio (a cura di), La coscienza altra. Antropologia e poesia, Marlin ed., Cava de’ Tirreni (SA), Atti del Convegno di Studio “Antropologia e poesia”, organizzato dall’Università di Salerno, Salerno-Ravello, Bene. Antropologia di una macchina attoriale – nuova edizione aggiornata e ampliata, Bompiani ed., Milano, Arrevuoto, n’ata vota (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Arrevuoto”: quando il teatro sospende la dittatura del mondo, in: Teatro delle Albe, M. Martinelli – E. Montanari (curatori), Suburbia. Molti Ubu in giro per il pianeta. Ubulibri, Milano, La verticalità e la sacralità dell’atto, in: A. Attisani – M. Biagini (curatori), Opere e sentieri. Testimonianze e riflessioni sull’arte come veicolo, Bulzoni ed., Roma, La dernière Médée. Le mithe dans le théâtre contemporain: un parcours à l’envers, Réécritures de Mèdée, (sous la direction de N. Setti – Centre de Recherche en Etudes Féminines et Etudes de genre, Université Paris 8), “Travaux et Documents”, Saldi di fine stagione, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza SocietàTeatro: Romeo all’Inferno, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Un soffio di teatro, in AA.VV., In cammino con lo spettatore (Laggiù soffia – Era – In carne ed ossa), (a cura di S. Geraci), La casa Usher, Firenze, De la consommation du théâtre au théâtre dans la société de la consommation (nouvelle édition), “Degrés. Revue de synthèse à orientation sémiologique”,  L’effetLiving. Lavisiond’Artaudparles “Balinais” deNewYork,“Theatre/Public” (L’avant- garde américaine et l’Europe / II. Impact), Le personnage public et l’acteur privé (entretien avec Piergiorgio Giacchè pas Ciryl Béghin), “Théâtre et Cinéma 2009. Marco Bellocchio, Carmelo Bene”, tome 20, publié à l’occasion du 20e Festival à Bobigny, sous la direction de Dominique Bax, Voler Bene al cinema, in “Bellaria 27” (catalogo di Bellaria Film Festival, Lo straniero”, Fellini antropologo. Fra nostalgia e profezia, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza SocietàLa nostalgia, merce per tutti, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Bene Detto. Dispensa per Oratorio e Laboratorio, (a cura di P. Giacchè, con interventi di C. Bene, B. Filippi, G. Fofi, P. Giacchè, J.P. Manganaro, S. Pasello), L’arboreto – Teatro Dimora, Mondaino, Il corpo dimenticato: Carmelo Bene, in: U. Birmaumer-M. Hüttler- Palma, Corps du Théâtre – Il Corpo del Teatro, Hollitzer Wissenshaftsverlag/Verlag Lehner, Wien (Austria), Los verbos transitivos del teatro. Mirar teatro, in: C. Lisòn Tolosana (a cura di), Antropologìa: horizontes estéticos, Antrhropos Émergence et submersion en Italie: le système théâtral et son double, “UBU Scènes d’Europe- European stages” (numero: Emergence(s) dans le théâtre européen – in European Theatre), Uomini e dei in un film francese (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, L’antropologia del teatro e il teatro della cultura, in Borghi – A. Borsari – G. Leoni (curatori), Il campo della cultura a Modena. Storia, luoghi e sfera pubblica, Mimesis Edizioni, Milano- Udine, Homo Videns. Quella TV che si guarda da sola, “L’altrapagina”, Lo spettatore ospite, “Culture teatrali. Studi, interviste e scritture sullo spettacolo”, n.20, Annuario (Teatri di Voce, a cura di L. Amara e P. Di Matteo), La parabola dell’animazione teatrale, in: D. Pietrobono – R. Sacchettini (curatori), Il teatro salvato dai ragazzini. Esperienze di crescita attraverso l’arte, Edizioni dell’Asino, Roma, Non fare l’amore, in: T. Cots (a cura di), Loving effects, Quodlibet ed., Macerata, (trad.inglese). Buttare il bambino nell’acqua sporca, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno XV, Les Menoventi et le Perithéâtre, in: C. Hurault – G. Banu (curatori), Frontières liquides – territoires de l’art. Emergences de la scène européenne, Editions Alternatives théâtrales / Union des Théâtres de l’Europe (n. 9 hors série de la revue “Alternatives théâtrales”), Liquidité et/ou verticalité, in: C. Hurault – G. Banu (curatori), Frontières liquides – territoires de l’art. Emergences de la scène européenne, Editions Alternatives théâtrales / Union des Théâtres de l’Europe (n. 9 hors série de la revue “Alternatives théâtrales”), Le public est mort. Vive le Public! Sur la poétique et la politique du mauvais spectateur, in: S. e J. Pop-Curseu – Maniutiu – L. Pavel-Teutisan – D. Enyedi (curatori), Regards sur le mauvais spectateur – Looking at the Bad Spectator, Presa Universitara Clujeana, Cluj-Napoca, Romania, Barba e Carmelo Bene. Vite parallele e viaggi perpendicolari, “Teatro e Storia”, a. XXVI, vol. IV nuova serie, Bulzoni ed., (riedito in francese, traduzione di Cristina De Simone in: Les Voyages ou l’ailleurs du théâtre. Hommage à Georges Banu (Essais et témoignages réunis par Catherine Naugrette), Éditions Alternatives théâtrales – Sorbonne Nouvelle-Paris, Il pubblico troppo emancipato, “Quaderni del Teatro di Roma”, Espectador-Hòspede, “Revista Brasileira de Estudos da Presença”, Porto Alegre, seer. ufrgs.br/presenca. Le public est mort. Vive le Public!, “Alternatives théâtrales” (Le mauvais spectateur), Bruxelles, Le “Public” trop émancipé: vers une poétique pauvre de la politique théâtrale, in: Le théâtre et ses publics. La création partagée (Actes du 2° Colloque International du Projet Européen PROSPERO - Liège, Les Solitaires Intempestifs Editions, Besançon, Teatro e comunità, “Scena”, Sur Sieni, et surtout sur Virgilio. Trois exemples, in Sieni, Trois Agoras Marseille. Art du geste dans la Méditerranée, Maschietto editore, Firenze, Risposte o riposte. Cinque lettere aperte su CB, “Prove di drammaturgia. Rivista di inchieste teatrali”, Un Pinocchio letto per Bene, introduzione a: C. Bene, Pinocchio, Bompiani ed., Milano,Vers la verticalité du vers, Revue d’Histoire du Théâtre, (D’Après Carmelo Bene. Actualité), Il combattimento tra la teoria e la poesia (dedicato a Claudio Meldolesi), “Prove di drammaturgia. Rivista di inchieste teatrali”, Il teatro piccolo, povero, nuovo, in: “L’Italia e le sue regioni. L’età repubblicana, vol. IV Società (a cura di M. Salvati – Sciolla)”, Istituto dell’Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, Abramo Printing, Catanzaro, Carmelo selon Jean-Paul in: Croisement d’écritures France-Italie. Hommage à Jean-Paul (sous a direction de Camille Dumoulié, Anne Robin et Luca Salza), éd. Mimésis, Vêtements liturgiques et corps dévôts, in: Jean-Marie Pradier (sous la direction de), La croyance et le corps. Esthétiques, corporeité des croyances et identités (Actes du colloque d’ethnoscénologie, Paris), Presses Universitaires de Bordeaux. Piergiorgio Giacchè. Giacchè. Keywords: l’altra visione dell’altro, Clifton, religion and education, ego et tu. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giacchè: A Cliftonian implicature” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Giacomo: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale degl’icona -- sensibile, imagine, presentazione, rappresentazione, formante e formato, contentente e contenuto -- l’inspiegabile – filosofia italiana – la scuola d’Avola – filosofia siracusese -- filosofia siciliana – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Avola). Filosofo avolese. Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Avola, Siracusa, Sicilia. Studia estetica. Il rapporto tra estetica e figura, immagine, rappresentazione. Si laurea sotto Garroni. Insegna a Parma e Roma. Fonda la Società Italiana d'Estetica. Nell'affrontare il concetto di ‘immagine’ è necessario rifiutare sia l'interpretazione che vede una'immagine come lo specchio di una cosa (“Fido”-Fido). E necessario rifiutare anche quella interpretazione del concetto di ‘imagine’ che la considera esclusivamente come un segno significante di se stesso. Il concetto di ‘rap-presentazione’ implica qualcosa che si mostra e nel manifestarsi resta ‘altro' dalla ‘percivibilita’ della rappresentazione stessa. Così, nel ‘presentare’ se stessa, una immagine manifesta l'altro del perceptible, del rappresentabil. Quell'altro che si rivela nel perceptibile, nascondendosi a esso. Ed è proprio così che una immagine si fa un ‘icono’ di quello che e altro il perceptibile. Afferma la tendenziale perdita di ‘figurativita’ di una immagine e del continuare a sussistere dell'immagine stessa. Una immagine, infatti, è una segno e insieme una non-segno. E il paradosso di una “irrealta reale”. Si riferisce al tentativo di scindere la natura ancipite dell'immagine negli elementi che la compongono. Da una parte in un “readymade” (come l’urinale di Duchamp), nel quale la dimensione rap-presentativa si dissolve in una dimensione puramente PRE-sentativa, e dall'altra in una pura immagine soggetiva, dotata di un debole supporto materiale. Una immagine e una meta-immgine: l’immagine di una immagine (homuncular regressus ad infinitum of Griceian theories of representation, according to Cummings, but not Grice!). Di questo modo, una immagine non e neppure propriamente immagini quanto piuttosto una ‘simul-azioni’, simile allo imperceptibile, un “simul-acro”.  Non a caso una immagine, in quanto ri-produzione (doppia) ha uno scarso valore di immagine, giacché quello a cui tende è l’assumere dell’ ‘aspetto’ di una cosa.  L’immagine perde così quella connessione di ‘trasparenza’ o ‘opacità’ che caratterizza una immagine autentica. Di qui, appunto, la questione di realizzare una immagine vera e propria. Troviamo il superamento della dimensione epifanica che è propria dell'icona, dove appunto il perceptibile è il luogo di mani-festazione di la cosa impercetibile – l’Assoluto di Bradley. Emerge una concezione dell'immagine che, nella consapevolezza dell'impossibilità di ogni pretesa di esaurire ‘il reale’ e insieme di ‘manifestare’ l'Assoluto, può essere interrogata come testimonianza di quanto non si lascia ‘tradurre’ (translation) in immagine: testimoniare, infatti, è raccontare ciò che è impossibile raccontare del tutto. In questo modo, la testimonianza fa tutt'uno *non* con la memoria in quanto conformità con l'accaduto, ma con l’immemoriale -- qualcosa che non possiamo né ricordare né dimenticare, che non è dicibile né indicibile. Insomma, il testimone parla (spiega, dispiega) soltanto a partire da l’impossibilità concettuale di spiegare o dispiegare. Che l'immagine valga allora come testimonianza significa che il tentativo di dire l'indicibile (spiegare l’inspiegabile) è un compito infinito. La questione dell'immagine è una questione di fidanza, di etica. In una immagine, non essendoci alcuna compiutezza, non si dà alcuna redenzione né alcuna pacificazione nel confronto col reale. Analissare l’immagine come testimonianza equivale a vedere l’immagine come il luogo di una tensione sempre irrisolta tra memoria e oblio, e quindi come l'espressione del dover essere (il possibile) del senso in un orizzonte, come l’attuale. quale sempre di più sia il mondo che l'arte sembrano essere abbando il NON-senso.  Altre opera: “Dalla logica all'estetica” (Parma, Pratiche); Icona “L’immagine tra presentazione e rappresentazione” (Palermo, Centro studi di estetica); Estetica e letteratura. Il grande romanzo tra Ottocento e Novecento, Roma-Bari, Laterza. Introduzione a Paul Klee, Roma-Bari, Laterza, "Ripensare le immagini", Mimesis, Milano,  "Volti della memoria", Mimesis, Milano,  Narrazione e testimonianza. Quattro scrittori italiani del Novecento, Milano, Mimesis,  "Malevic. Pittura e filosofia dall'Astrattismo al Minimalismo", Carocci, Roma,  Fuori dagli schemi. Estetica e figura dal Novecento a oggi, Laterza, Roma-Bari,  "Arte e modernità. Una guida filosofica", Carocci, Roma,  "Una pittura filosofica: l'informale", Mimesis, Milano, Nietzsche. L'eterno ritorno", Alboversorio, Milano,  Media e divulgazione  Art and Perspicuous Perception in Wittgenstein’s Philosophical Reflection, L’immagine-tempo da Warburg a Benjamin e Adorno. Il saggio più importante per il rapporto tra estetica e letteratura è Estetica e letteratura. Il grande romanzo tra Ottocento e Novecento, Laterza, Cf. "Dalla logica all'estetica”, "Alle origini dell'opera d'arte contemporanea" “Astrazione e astrazioni”,  "La questione dell'aura tra Benjamin e Adorno", Rivista di Estetica, “Volti della memoria”. Professore ordinario di Estetica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza Università di Roma e professore a contratto di Estetica presso stessa la Facol- tà. Sempre presso la Facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza Università di Roma, è stato membro del Collegio dei Docenti del Dottorato di Ricerca in “Filosofia e Storia della filosofia” e Presidente del corso di laurea Magistrale in “Filosofia e Storia della filosofia”. È socio fondatore e membro del Consiglio di Garanzia della Società Italiana d’Estetica (SIE). È direttore della collana Figure dell’estetica presso l’editore Albover- sorio (Milano) e della collana Forme del possibile, presso l’editore Mimesis (Milano); fa parte del Comitato scientifico della rivista Paradigmi, della rivista Studi di estetica, della Rivista di estetica, della rivista Estetica. Studi e ricerche, della rivista Compren- dre. Revista catalana de filosofia, della rivista on line Memoria di Shakespeare. A Jour- nal of Shakespearean Studies e di Aesthetica Preprint, collana editoriale del Centro In- ternazionale Studi di Estetica. Fa parte inoltre del Comitato scientifico delle seguenti collane editoriali: Filosofie (Mimesis, Milano), Caffè dei filosofi (Mimesis, Milano), Eterotopie (Mimesis, Milano). È stato Coordinatore nazionale dell’Osservatorio di Storia dell’Arte della Società Ita- liana di Estetica e coordinatore, di numerose Ricerche di Ateneo dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza” relative a diverse tematiche filosofi- che, estetiche e artistiche. E’ stato inoltre responsabile di diversi progetti PRIN. Direttore del Museo Laboratorio di Arte Contem- poranea (MLAC) della Sapienza Università di Roma. Come Direttore del Museo Labo- ratorio di Arte Contemporanea della Sapienza Università di Roma, ha ideato e coordina- to, in collaborazione con la Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma e con il Teatro Argentina di Roma, numerose iniziative di carattere seminariale aventi per oggetto la filosofia, la letteratura, la musica, le arti figurative, il teatro. Collabora con il Teatro Eliseo all'interno del quale tiene una serie di conferenze e organizza seminari sul teatro, la musica, la letteratura e le arti visive. Collabora inoltre con la Fondazione Pri- moli di Roma e con il Museo Andersen (Polo Museale del Lazio). Tra le sue pubblicazioni: Dalla logica all’estetica. Un saggio intorno a Wittgenstein (Parma); Icona e arte astratta. La questione dell’immagine tra presentazione e rappresentazione (Palermo); Estetica e letteratura. Il grande romanzo tra Otto- cento e Novecento (Roma-Bari, 1999; trad. in lingua spagnola a cura di D. Malquori, Estética y literatura, Universidad de Valencia, Servicio de Publicaciones); Introduzione a Paul Klee (Roma-Bari); Alle origini dell’opera d’arte contemporanea (Roma-Bari); Beckett ultimo atto (Milano), Ripensare le immagini (Milano); Astrazione e astrazioni (Milano); L’oggetto nella pratica artistica, (Paradigmi), Il Museo oggi (Studi di Estetica), Aura (Rivista di Estetica), Malevič. Pittura e filosofia dall’Astrattismo al Minimalismo (Roma), Fuori dagli schemi. Estetica e arti figurative dal Novecento a oggi (Roma-Bari, 2015; trad. in lingua spagnola a cura di Juan Antonio Méndez, Al margen de los esquemas. Estética y artes figurativas desde principios del siglo XX a nuestros dìas, La balsa de la Medusa, Madrid), Filosofia e teatro (Paradigmi), Tra il sensibile e le arti. Trent’anni di estetica (Studi di Estetica), Tra arte e vita. Percorsi fra testi, immagini, suoni (Milano), Arte e modernità. Una guida filosofica (Roma), Una pittura filosofica. Tàpies e l'informale (Milano), Nietzsche e l’eterno ritorno (Milano). Partecipa a progetti di ricerca internazionali e a progetti di ricerca europei. Ha svolto attività didattica e di ricerca (tenendo conferenze, lezioni e seminari, partecipando a convegni di studio e svolgendo attività didattica anche in qualità di correlatore o tutor di tesi di laurea e di Dottorato) presso importanti istituzioni straniere sia accademi- che che extra-accademiche, in Spagna, Russia e Messico: Facultat de Filosofia, Universitat de Barcelona; Facultat de Pedagogia, Universitat de Barcelona; Facultat de Filosofia, Universitat “Ramon Llull”, Barcelona; Societat Catalana de Filosofia, Institut d’Estudis Catalans; Ateneu de Vic; Ateneu de Barcelona; Associació Filosòfica de les Illes Balears, Mallorca; Facultat de Filosofia i Lletres, Universitat de les Illes Balears, Mallorca; Facultat de Filosofia i Ciències de l’educació, Universitat de València; Facultad de Filosofía, Universidad Complutense de Madrid; Istituto di studi post-universitari “SS. Cirillo e Metodio”, Mosca; Russian Christian Academy for the Humanities, S. Pietroburgo; “Peter the Great” St. Petersburg Polytechnic University, S. Pietroburgo; Producciòn Artìstica Contemporànea Coloquio (PAC), Centro Cultural San Pablo, Ciudad de Oaxaca, Messico. Nietzsche e l’eterno ritorno, Commentario a F. Nietzsche, L’eterno ritorno, Al- boversorio, Milano, Arte e modernità. Una guida filosofica, Carocci, Roma, Una pittura filosofica. Antoni Tàpies e l'informale, Mimesis, Milano, Fuori dagli schemi. Estetica e arti figurative dal Novecento a oggi, Laterza, Roma-Bari, Méndez, Al margen de los esquemas. Estética y artes figurativas desde principios del siglo XX a nuestros dìas, La balsa de la Medusa, Madrid, Malevič. Pittura e filosofia dall’Astrattismo al Minimalismo, Carocci, Roma, Narrazione e testimonianza. Quattro scrittori italiani del Novecento, Mimesis, Milano, Introduzione a Paul Klee, Laterza, Roma-Bari, Estetica e letteratura. Il grande romanzo tra Ottocento e Novecento, Laterza, Roma-Bari (quinta ed.; trad. in lingua spagnola a cura di D. Mal- quori, Estética y literatura, Universidad de Va-lencia, Servicio de Publicaciones, Icona e arte astratta. La questione dell'immagine tra presentazione e rappresen- tazione, «Aesthetica Preprint», Palermo, Dalla logica all'estetica. Un saggio intorno a Wittgenstein, Pratiche, Parma, G., L. Talarico (a cura di), Letture shakespeariane. Otello e Re Lear, «Studi di Estetica, Marchetti (a cura di), Contemporaneo. Arti visive, musica, architettura, «Rivista di Estetica», G. (a cura di), Tra arte e vita. Percorsi fra testi, immagini, suoni, Mimesis, Milano, Giacomo, L. Talarico (a cura di), Filosofia e teatro. Amleto e Macbeth, «Paradigmi, Marchetti (a cura di), Tra il sensibile e le arti. Trent’anni di estetica, «Studi di Estetica, Marchetti (a cura di), Aura, «Rivista di Estetica. G., A. Valentini (a cura di), Il museo oggi, «Studi di Estetica», Volti della memoria, Mimesis, Milano, G. (a cura di), Astrazione e astrazioni. In occasione di una mostra di Gualtiero Savelli, Alboversorio, Milano, Marchetti, L'oggetto nella pratica artistica, «Pa- radigmi», Angeli, Milano, G. Ripensare le immagini, Mimesis, Milano, G. e Colombo, Beckett ultimo atto, Albo Versorio, Milano, G. Zambianchi (a cura di), Alle origini dell'opera d'arte con- temporanea, Laterza, Roma-Bari, Introduzione a D. Malquori, L’incomprensibile ambiguità dell’orizzonte. Un so- gno fatto a Ginostra, Mimesis, Milano, collana Narrativa Mele d’Oro, Il problema della forma nella Teoria estetica di Adorno, in M. Manicone (a cura di), Sostanza di cose sperate. Scritti in onore di Franco Purini, Iiriti Editore, Campo Calabro (RC) Re Lear. “Essere maturi” in un mondo abbandonato alla cecità e alla follia, in G. e Talarico, Letture shakespeariane. Otello e Re Lear”, Studi di Estetica», Otello: la tragedia della parola e il ruolo della narrazione, in G. e Talarico, Letture shakespeariane. Otello e Re Lear”, «Studi di Estetica», Dostoevsky, a writer and philosopher: “The Grand Inquisitor”, in “ACTA ERU- DITORUM”,  Publishing house of the Russian Christian Academy for the Humanities, Tradició i innovació en l’art, in “La Tradició”, Col-loquis de Vic, Societat Catalana de Filosofia, Institut d’Estudis Catalans, Understanding of the image in Plato, PLATO AND ANCIENT SCIENCE, Collection of materials of CONFERENCE THE UNIVERSE OF PLATONIC THOUGHT», RUSSIAN CHRISTIAN ACADEMY FOR HUMANITIES, Saint Petersburg, Appendice alla rivista di Fascia A (in Russia “VAK”) “Vestnik” della RUSSIAN CHRISTIAN ACADEMY FOR HUMANI- TIES. Redattori: Svetlov R. V., Robinson T. M. (Canada), Protopopova I. A., Mochalo- va I. N., Kurdybajlo D. S., Shmonin D. V., Alymova Form, appearance, testimony: reflections on Adorno’s Aesthetics, in Matteucci, Marino (a cura di), Theodor W. Adorno: Truth and Dialectical Experience / Verità ed esperienza dialettica, “Discipline filosofiche”, Quodlibet, Macerata, Tàpies e Bill Viola: un'arte che sopravvive alla mercificazione, in G., L. Marchetti, Contemporaneo. Arti visive, musica, architettura, “Rivista di Estetica, Composizione, costruzione, icona nella concezione artistica di Pavel Florenskij, in D. Guastini, A. Ardovino, I percorsi dell'immaginazione. Studi in onore di Pietro Montani, Pellegrini Editore, Cosenza, Prefazione a A. Lanzetta, Opaco mediterraneo. Modernità informale, Libria, Foggia, Reflexions filosòfiques sobre la festa. Entre temporalitat i eternitat, in “La festa”, Col-loquis de Vic, Societat Catalana de Filosofia, The Myth. Aesthetic surgery clearly demonstrates what Greek myth has already taught us: beauty stems from horror, in Gandola, P. Persichetti (a cura di), Art of Blade. A book about surgery and humanity, T.A.M. La guerra i l'art, in La guerra, Col-loquis de Vic, Societat Catalana de Filosofia, Arte e vita nella Recherche di Marcel Proust, in G., Tra arte e vita. Percorsi fra testi, immagini, suoni, Mimesis, Milano, Lettura dell’Amleto, in G. Di Giacomo, L. Talarico (a cura di), Filosofia e teatro. Amleto e Macbeth, «Paradigmi», Lettura del Macbeth, in G., L. Talarico (a cura di), Filosofia e teatro. Amleto e Macbeth, «Paradigmi», Arte, linguaggio e rappresentazione nella riflessione filosofica di Wittgenstein in Comprendre. Revista Catalana de Filosofia, Icona e immagine, in G. Bordi, J. Carlettini, M.L. Fobelli, M.R. Menna, P. Poglia- ni, L'officina dello sguardo. Scritti in onore di Maria Andaloro, Gangemi, Roma, El poder i les seves representacions, in L'estat, Colloquis de Vic., Dalla modernità alla contemporaneità: l’opera al di là dell’oggetto, in G., L. Marchetti (a cura di), Tra il sensibile e le arti. Trent’anni di estetica, Studi di Estetica Entre la paraula i el silenci: la filosofia com a recerca de la veritat, prefaci a Bosch-Veciana, "Imatge-Mirada-Paraula", Barcelona,Facultat de Filosofia, L’immagine artistica tra realtà e possibilità, tra “visibile” e “visivo”, in P. D’Angelo, E. Franzini, G. Lombardo, S. Tedesco, Costellazioni estetiche. Dalla storia alla neoestetica. Studi in onore di Luigi Russo, Guerini e Associati, Milano, La questione dell'aura tra Benjamin e Adorno, in «Rivista di Estetica»,  Pizzuto: tra letteratura e filosofia, in D. Perrone (a cura di), La vera novità ha nome Pizzuto, Bonanno, Catania, Bellezza e chirurgia estetica, in Studi di Estetica Il paradosso dell'apparenza nel teatro di Genet, in «Comprendre. Revista Catalana de Filosofia La qüestió de la imatge a partir del debat sobre la icona, in «Colloquis de Vic», Societat Catalana de Filosofia, Art and Perspicuous Vision in Wittgenstein's Philosophical Reflection, in “Aisthe-  sis. Pratiche, linguaggi e saperi dell’estetico”, fu press.net/ index. php/aisthesis/ article  L'opera di Kafka come narrazione infinita, inValentini, Il silenzio delle Sire- ne. Mito e letteratura in Kafka, Mimesis, Milano, Lo statuto paradossale del museo tra globalizzazione e apertura all'alterità, in «Studi di Estetica», Il Museo oggi, G. e Valentini, Memoria e testimonianza tra estetica ed etica, in Volti della memoria, a cura di G. Mimesis, Milano, La idea d'Europa entre la cosciència de l'ocàs i l'obertura a l'altre, in Europa, in J. Monserrat, I. Roviró, B. Torres, Societat Catalana de Filosofia, Barcelona, Atti del convegno, Colloquis de Vic, Arte e mondo. A proposito di alcune riflessioni di Huberman su Brecht, in Guastini, A. Campo, D. Cecchi Alla fine delle cose. Contributi a una storia critica delle immagini, La Casa Usher, Firenze, Intervista sulla bellezza, in Scuderi N. (a cura di), A me la mela. Dialoghi su bellezza, chirurgia plastica e medicina estetica, Franco Angeli, Milano, La produzione artistica contemporanea attraverso la riflessione di Benjamin e Adorno, in «Studi di Estetica», La relaciò entre imatge i temporalitat en la reflexiò de Warburg, Benjamin i Adorno, in I. Rovirò Alemany, Estètica catalana, estètica euro- pea. Estudis d’estètica: entre la tradiciò i l’actualitat, Barcelona, L’immagine-tempo da Warburg a Benjamin e Adorno, in “Aisthesis. Prati- che, linguaggi e saperi dell’estetico”, fu press.net index.php/aisthesis/ article/view Arte e realtà nella produzione artistica del Novecento, in G., L. Marchetti, L’oggetto nella pratica artistica, Paradigmi Angelini, Milano,Il percorso di Gualtiero Savelli: dall'astrattismo di Malevič e Mondrian all'astrazione geometrica, in G. Di Giacomo (a cura di), Astrazione e astra- zioni. In occasione di una mostra di Savelli, AlboVersorio, Milano, La bellezza. Promessa di Immortalità?, in “Medic. Metodologia Didattica e Innovazione Clinica”, Ripensare l'aura nella modernità, in L. Russo (a cura di), Dopo l'Estetica, «Aesthetica Preprint», Supplementa, Palermo, Il male oggi. Produzioni artistiche e riflessioni estetiche, in P. D'Oriano, D. Rocchi (a cura di), Il male e l'essere, Mimesis, Milano, Arte e moda nella riflessione estetica di Adorno, in P. Romani, Percorsi teo- retici. Scritti in onore e in memoria di P.M. Toesca, Diabasis, Reggio Emilia, Forma e riflessione nel romanzo moderno, Fusillo, Philosophie du roman, Revue Internationale de Philosophie, Meyer, Bruxelles, Il silenzio, il vuoto e la fine della rappresentazione, in G. e Colombo, Beckett ultimo atto, Albo Versorio, Milano, Immagine, icona, opera d'arte, in Desideri, G. Matteucci, J.M. Schaeffer (a cura di), Il fatto estetico. Tra emozione e cognizione, ETS, Pisa, La questione del rapporto arte-forma nella riflessione di Prinzhorn sulle "Produzioni plastiche" dei malati mentali, Prefazione a F. 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Parisi (cur.), Sociologia possibile, Angeli, Milano, Natura e cultura: il rapporto tra strutture genetiche e processi di apprendimento nel comportamento animale e umano, in AA. VV. (a cura di), L'osservazione del comportamento sociale, Regione Piemonte, Torino,PROGETTI DI RICERCA - Progetto PRIN Tema: La forma dell’immagine Ente promotore: MIUR Progetto PRIN Responsabile Tema: Estetica analitica ed estetica continentale: problemi, prospettive e tradizioni a confronto Ente promotore: MIUR Progetto PRIN / Responsabile nazionale e Coordinatore dell’unità locale Tema: Memoria e rappresentazione nella riflessione filosofica e artistica Ente promotore: MIUR Coordinatore dei Progetti di Ateneo: Progetto di Ateneo: Immagine e rappresentazione. Problemi estetici, artistici e storici Ente promotore: Università di Roma "La Sapienza Progetto di Ateneo: Significati e usi delle immagini nella cultura dell'Otto- Novecento - Ente promotore: Università di Roma "La Sapienza Progetto di Ateneo: Significati e usi delle immagini nella cultura dell'Otto- Novecento - Ente promotore: Università di Roma "La Sapienza Progetto di Ateneo: Significati e usi delle immagini nella cultura dell'Otto- Novecento - Ente promotore: Università di Roma "La Sapienza Progetto di Ateneo: Memoria e testimonianza nella riflessione filosofica e artisti- ca del Novecento - Ente promotore: Roma Progetto di Ateneo: Memoria e testimonianza nella riflessione filosofica, storica e artistica - Ente promotore: Università di Roma "La Sapienza" Progetto di Ateneo: Rappresentazione, memoria e testimonianza nella riflessione filosofica e artistica - Ente promotore: Roma  Progetto di Ateneo: La questione arte-vita nella società multiculturale. Identità, immagine e implicazioni etico-politiche - Ente promotore: Università di Roma “La Sapienza; - Progetto di Ateneo: Il tema dell'"Annunciazione" come chiave di lettura degli at- tuali processi di globalizzazione Ente promotore: Roma Progetto di Ateneo: Memoria e rappresentazione nella riflessione estetica e arti- stica Ente promotore: AST - Università di Roma "La Sapienza" Progetto di Ateneo: Evento e testimonianza nell'estetica del Novecento Ente promotore: AST - Università di Roma "La Sapienza" Progetto di Ateneo: Il problema dell'aura nell'arte contemporanea Ente promoto- re: AST - Università di Roma "La Sapienza" Coordinatore dei Seminari dell’Osservatorio di Storia dell’Arte della Società Italiana di Estetica, presso la Facoltà di Filosofia dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza” - Seminario sul tema Estetica e storia dell’arte: necessità di un dialogo; Seminario sul tema Fine (della storia) dell'arte?; - Seminario sul tema Arte, Estetica, Visual Studies;Seminario sul tema Oggetto artistico e oggetto comune; Seminario sul tema Leggere l'opera d'arte; Seminario sul tema Ancora l’aura oggi? Seminario sul tema Che cos’è il museo oggi? Cfr. inoltre: - Sito ufficiale: giuseppe di giacomo. wikipedia. org/ wiki/ Giuseppe _Di_Giacomo; fr. wikipedia. org/ wiki/ Giuseppe_ Di_Giacomo wikipedia. org/ wiki/ Giuseppe _Di_Giacomo //de. wikipedia. org/ wiki/ Giuseppe _Di_ Giacomo //ca. wikipedia. org/ wiki/ Giuseppe _Di_ Giacomo ROMANTIC PAINTERS and playwrights of the nineteenth century found rich material in the lives of the old masters. Fueled by irresistible half-truths and rumors, they created swashbuckling narratives about the personal intimacies and rivalries, as well as the career failures and triumphs, of the Italian Renaissance artists. At the Paris Salon of 1843, for instance, Léon Cogniet unveiled his grand entry, a large canvas depicting Tintoretto painting a portrait of his beloved daughter Marietta, who lies on her death bed. Three years later, the painter and playwright Luigi Marta published a melodrama about an amorous intrigue that supposedly led to the death of Marietta, who assisted her father as an artist in his workshop. The six-episode play reads like a soap opera in which the aristocratic Alfredo is pitted against Marietta’s true love, Valerio Zuccato, a Venetian mosaicist (and thus, in Tintoretto’s world, a fellow craftsman). The play circles around the inevitable showdown between the arrogant count and the sincere artist, which precipitates Marietta’s death at the hands of the entitled, privileged, and violent Alfredo.  Parallel to this love story, the reader is regaled with the homosocial rivalry between Tintoretto and Titian, with Paolo Veronese appearing as an intercessor who mediates a grandiloquent reconciliation scene in which all three masters unite to defend the honor of the Venetian state. The narrative unfolds against Tintoretto’s commission for the Last Judgment (1562–64) in Santa Maria dell’Orto. Marta’s artist was thus, in no uncertain terms, a struggling genius waiting for recognition from his fellow artists even at the height of his success. Indeed, the episode concludes with Titian’s transformative endorsement—Ora non siete più il povero Tintoretto, ma bensì il famoso Giacomo Robusti (“now you are no longer the poor ‘son of a dyer,’ but the famous Jacopo Robusti”).1  Loosely based on actual historical personages, the tale is almost entirely fantasy. Such theatrical characterizations are nevertheless of great importance, for they help give legends the veneer of history. Giorgio Vasari’s sixteenth-century notices about Tintoretto, as well as, in the seventeenth century, Carlo Ridolfi’s biography and Marco Boschini’s various writings on the artist, were the primary sources for many of these tasty morsels, and while scholars have tried to sift fiction from reality, some myths are just too delectable to give up. We still hear repeated, for instance, the unfounded story that the young Tintoretto was kicked out of Titian’s studio. It’s not entirely impossible, but there isn’t a shred of solid evidence to confirm the tale (any more than Ridolfi’s allegation that Tintoretto dressed Marietta up as a boy so that father and daughter could wander the city streets unimpeded by society’s strict gender expectations).   The image of Tintoretto-as-rebel would culminate in Jean-Paul Sartre’s essay “The Prisoner of Venice”(1964), where the artist is reinvented as an existentialist hero, a lone wolf fighting against the stultifying rules of the system:  Fate has decreed that Jacopo unwittingly expose an age which refuses to recognize itself. Now we understand the meaning of his destiny and the secret of Venetian malice. Tintoretto displeases everyone: patricians because he reveals to them the puritanism and fanciful agitation of the bourgeoisie; artisans because he destroys the corporate order and reveals, under their apparent professional solidarity, the rumblings of hate and rivalry; patriots because the frenzied state of painting and the absence of God discloses to them, under his brush, an absurd and unpredictable world in which anything can occur, even the death of Venice.2  At the other end of the spectrum, this leitmotif is perhaps best played out for comic effect in Woody Allen’s Everyone Says I Love You, in which a skirt-chaser (Allen) is overheard in the so-called Tintoretto Museum (really the Scuola Grande di San Rocco) in Venice trying to impress a Tintoretto enthusiast (Julia Roberts) by lauding the artist’s immense genius for painting “outside the academic convention of sixteenth-century Venice.”   Sometimes myths are just too powerful, and the Tintoretto myth is an extremely appealing one for modern tastes, especially in the celebratory year marking the fifth centenary of the artist’s birth. Tintoretto’s anniversary has been staged as a magnificent international banquet. The festivities began last autumn in Venice with exhibitions at the Palazzo Ducale(“Tintoretto: Artist of Renaissance Venice”) and the Gallerie dell’Accademia (“The Young Tintoretto”), as well as an excellent little show at the Scuola Grande di San Marco (“Art, Faith, and Medicine in Tintoretto’s Venice”). New York, in the fall, offered “Drawing in Tintoretto’s Venice” at the Morgan Library et Museum and “Celebrating Tintoretto: Portrait Paintings and Studio Drawings” at the Metropolitan Museum of Art.  The fete continues at the National Gallery of Art in Washington, D.C., where slightly adapted versions of the Palazzo Ducale and Morgan Library exhibitions go on view this month, fortified by a third independent show called “Venetian Prints in the Time of Tintoretto.” This is a once-in-a-lifetime opportunity for audiences in America to see some one hundred and seventy artworks by Tintoretto and other Venetian Renaissance artists, painstakingly gathered by art historians Echols and FIlchman (who organized the show at the Palazzo Ducale),along with curators Marciari (of the Morgan) and Bober (of the National Gallery). Fans of the artist and of painting in general should take note. IT’S HARD NOT TO get swept up in all the unbridled Tintoretto worship, but this celebration also provides us an opportunity to revisit the man, the myth, the legacy, and above all, the work. To start with the biographical elements: Tintoretto was hardly seen as a pitiful “poor dyer’s son” in the eyes of his fellow Renaissance artists, nor as a maverick who “displeases everyone.” When speaking about Titian vs. Tintoretto, one must take into account a few historical particulars. For instance, the year after Titian installed the magnificent Assumption of the Virgin in Santa Maria Gloriosa dei Frari, Tintoretto’s only achievement was to be born. Two years before Tintoretto’s first self-portrait (with which all Tintoretto exhibitions seem compelled to begin), Titian was called to Rome by Pope Paul III; he was practically a court painter to the Habsburgs, while Tintoretto was painting acres of canvas to fill the walls at the Chiesa della Madonna dell’Orto, the Scuola Grande di San Rocco, and the Scuola Grande di San Marco in Venice; Titian died during the plague, and a conflagration devastated the Palazzo Ducale, destroying many of his paintings there, some of which would be replaced with works by Tintoretto and his assistants. While there was probably no love between the two men of the kind that nineteenth-century dramatists might dream up, their careers ran parallel to each other rather than in constant antagonistic competition.   Many romantic myths are dispelled in the scholarship that went into the exhibitions and the catalogue essays, but the melodrama of this rivalry still sneaks into sections such as “The Mantle of Titian,” which, at the Palazzo Ducale, was called “Dopo Tiziano” thereby underlining both chronological priority as well as influence. The paintings Tintoretto did afterTitian’s death — large, powerful mythological pictures such as the Forge of Vulcan and the Origin of the Milky Way — are spectacular, but why filter these achievements once more through Titian? And why not have, instead, a section labeled “Dopo Tintoretto,” which would include El Greco, the Carracci, Caravaggio, and a host of other artists from the past five centuries who found inspiration in his stark chiaroscuro, raking perspective, extreme foreshortening, airborne saints, psychologically charged portraits, barefoot worshippers, elaborate banquet scenes, wraithlike angels and spirits, and busted-out straw chairs?  The oft-repeated trope that Tintoretto was an outsider also willfully overlooks his obvious status as a complete insider, born in Venice and fully embedded in its institutions from birth. Titian and Veronese, in contrast, were both provincials (practically foreigners by Renaissance standards), who came from the hills and plains beyond the lagoon. While a questionable seventeenth-century account suggested an aristocratic lineage for the Robusti family, more recent studies have emphasized instead the artist’s “working class” origins. The truth is somewhere in between. Stefania Mason’s essay “Tintoretto the Venetian,” from the catalogue that accompanies “Tintoretto: Artist of Renaissance Venice,” goes a long way to contextualize the precise socioeconomic conditions of the son of a Renaissance dyer or—to be more accurate—the son of a manager of a dye works married to a “well-born woman.” The Robusti were not wealthy by any means, but they were comfortable enough to give Tintoretto a basic education that enabled him later in life to befriend the circle of writers and intellectuals known as the poligrafi, including the notorious satirist Pietro Aretino (a friend of Titian and an early supporter of Tintoretto). Like his father, Tintoretto married up. His father-in-law, Episcopi, not only belonged to an influential family of Venetian cittadini, he was also the guardian of the Scuola Grande di San Marco, where Tintoretto—two years before his marriage—painted his finest early work, Miracle of the Slave. The scene features St. Mark swooping in headfirst from the sky to protect a slave from being martyred for his faith. Current viewers need not be intimidated by the religious matter of the vast majority of Tintoretto’s pictures—they are gripping visual tales of life and death. According to seventeenth-century artist and critic Marco Boschini, one beholder of Tintoretto’s St. Mark cycle reported: “The terror makes me faint, and the piety liquefies my heart in such a manner that I lose heart and melt like wax and feel completely mad!”3 As much “Game of Thrones” as Catholic doctrine in pictures, these works were meant to move, delight, and instruct their audience. Indeed, one cannot help but feel that if Tintoretto were alive today, he would be an unapologetic fan of action films and special effects. Looking at Miracle, with its explosive light and tense shadows, its superhuman heroes and racially profiled villains, and its meticulous staging of powerful, muscular, controlled bodies, one might think he invented the genre. No wonder Boschini described him as a thunderbolt and the cannons of a ship.  Unfortunately, Miracle of the Slave has not been allowed to cross the Atlantic. Audiences in D.C. can, however, marvel at the luminous Saint Augustine Healing the Lame and the always pleasing Creation of the Animals, which Deleuze describes as an image of God as a referee at the start of a handicapped race, in which the birds and the fish leave first, while the dog, the rabbits, the cow, and the unicorn await their turn. While Miracle has been in the possession of the Gallerie dell’Accademia for many decades now, seeing it anew, rehung next to the diminutive bronze relief of the same subject by the Florentine sculptor Jacopo Sansovino, was one of the highlights of the “Young Tintoretto”exhibition. With the works placed next to each other in a darkened room, the similarities and differences were enlightening. Designed and executed between 1541 and 1546 for the north tribune of the choir at the Basilica di San Marco, Sansovino’s glowing bronze panel reduces the scene to a compact, tactile, monochromatic field of chiaroscuro with a vibrant mass of bodies emerging from the picture plane in dynamic, agitated poses. Tintoretto, just on the cusp of his thirtieth year when he painted Miracle, clearly looked closely at the dramatic effects that could be sculpted out of gesture, form, and composition alone. To this art he would add the detail of expression, the intensity of extreme lighting, the terribilità that often comes with scale, and the incomparable power of color. WHILE THE TWENTY-FIRST CENTURY audiences might think it odd for an ambitious artist to unveil a painting so closely modeled on a recent work by another artist, the reuse of motifs was a common Italian Renaissance practice, as was made clear in an insightful section of the Palazzo Ducale exhibition simply called “The Recycler.” Tintoretto and his assistants, after all, produced more square footage of painting than any other workshop in the Venetian Renaissance. In one instance, the painter salvaged an old composition from his painting Mystic Crucifixion by cutting, splitting, and reintegrating the canvas into a new picture, The Nativity(ca. 1550s and 1570s); on another occasion, he copied, pivoted, and re-costumed a previously used figure of St. Lawrence intended for the Bonomi family altar in San Francesco della Vigna, transforming the martyr into Helen of Troy. Such shortcuts were standard in most Renaissance workshops, especially prolific ones that had to turn out hundreds of altarpieces, portraits, mythological paintings, battle scenes, and other pictures.  The juxtaposition between the Florentine sculptor and the Venetian painter also underlines Tintoretto’s connectedness with other artists. He painted Sansovino’s portrait more than once, even signing one of the works as “Jacobus Tintorettus eius amicissimus” (which, if you believe the inscription, means they were Renaissance BFFs). Tintoretto is an artist’s artist. His profound sense of community comes across in a rather touching contract found in the Venetian archives and included in the small but brilliant “Art, Faith, and Medicine in Tintoretto’s Venice” at the Scuola Grande di San Marco. In this document, drafted and signed shortly after Christmas in 1585, the artist agrees to provide works and forgo any payment on the condition that the confraternity admit four people: his son Giovanni Battista Robusti; his son-in-law Marco Augusta (the real-life husband of Marietta); the tailor Bartolomeo di Lorenzo; and another man named Angelo Girardi. His dedication to his family, friends, and students is also borne out in numerous workshop drawings, which are well represented in D.C.  Offering important opportunities for artistic communion, drawing had its pragmatic as well as pleasurable purposes. In several sketches made after a copy of the ancient bust known as the Grimani Vitellius, we see multiple hands working seemingly side by side, line by line, smudge by smudge, highlight by highlight, with the goal of mastering the visible world around them. The willful way that these graphic studies dematerialize carved stone and reincarnate the male portrait head into what looks at first glance like the image of a flesh-and-blood subject is remarkable. In this sequence, note especially the Morgan Library drawing rendered by what the curator identifies as a “left-handed draftsman.” The work seems almost too bold in its deliberate, sweeping gestures to be “workshop,” but then Tintoretto was clearly a very good master with some very capable assistants. In Tintoretto’s drawings and paintings, one often feels that he is “sculpting” with chalk, charcoal, watercolor, oil, and pigment, ignoring the flat surface of the paper or canvas. This comes across not only in the speckled black-and-white patterns of his drawings from sculptures (which he avidly collected) but in his life studies, too. His rendering of flesh frequently seems to be rippling and quivering with animal energy, as if the artist were trying to catch the living body in motion. His is possibly the most atomistic rendering of the human form in the Renaissance. The frenetic, vibrating lines in Seated Man with Raised Right Arm, for instance, exemplify this stylistic peculiarity: the contours of the mythological body can never sit still but seem to be in a constant state of flex and flux. Indeed, Tintoretto’s figural drawings make Marcel Duchamp’s Nude Descending a Staircase and every episode of “The Incredible Hulk” seem old hat when they appear centuries later.)   One of the art-historical myths destroyed—hopefully once and for all—by the exhibitions in honor of Tintoretto is that Venetians did not really draw. Some did more than others, and Tintoretto and his assistants surely drew up a storm. On various sheets we find words such as fa (make), sì (yes), fatto (made), no (no), and bono (good) scrawled across the surface; sometimes figures are singled out by an asterisk. These marks were workshop instructions on designs that had been cleared for production by the master. Sheets such as Study of a Man Climbing into a Boat were frequently greased and held up to the light so that forms could be retraced on the verso, offering compositional options. Many have squaring grids drawn across them. In some instances, this facilitated the transfer of the design onto a larger surface; in other cases, it assisted in the correction of foreshortening and the adjustment of figural proportions.   Of the thirty-some drawings by Tintoretto and his workshop on display at the National Gallery of Art, the majority are on the blue paper favored by Venetian artists. The dark surface of this carta azzurra provided an ideal ground upon which to map out gestural movements, tonal subtleties, and, above all, the effects of light and shadow. It might also be compared with the darkened grounds of many Tintoretto paintings. The canvas support for The Origin of the Milky Way, for example, is prepared with a brownish layer upon which the artist sketched out his composition with white lead paint (rather than using black paint on a white gessoed surface). Once a scene had been plotted out on the canvas, however, Tintoretto was prone to further editing, altering, and redrawing of figures and forms in a variety of white, black, and even red paint until the work was completed. PAINTERS AND people interested in the way things are made will find much to consider in these exhibitions. Tintoretto’s process is revealed in medias res through the various X-rays that accompany the didactic material in the galleries and comes across most clearly in the oil sketch Doge Alvise Mocenigo Presented to the Redeemer, a work included in the 2016 exhibition “Unfinished: Thoughts Left Visible” at the Met Breuer in New York). Looking at the mannequinlike figures waiting to be dressed with flesh and clothes, one comes to appreciate the procedural logic that binds these drawings and paintings together, a topic expertly discussed in Krischel’s essay Tintoretto at Work in the National Gallery of Art exhibition catalogue. The show reveals Tintoretto’s exploratory procedure: visceral, intuitive, yet ultimately studied and thought-through—but never entirely scripted. Tintoretto is all gestalt. If the Marxist machismo of Sartre’s characterization of the artist as a rebel “born among the underlings who endured the weight of a superimposed hierarchy” is misplaced, one must admit that his phenomenological acumen regarding the works is often startlingly spot on. Sartre writes with great perspicacity about the narrow, vertical composition of Saint George and the Dragon:  Everything is simultaneous in his canvas, he contains everything within the unity of a single instant. But to mask the over-harsh rift, he presents the spectator with the spectre of a succession of events. Not only is the route traced in advance, but each stage devalues the previous one and shows it up as an inert memory of things past. The corpse’s immobility is memory: it is prolonged and repeated from one moment to the next, identical and useless. The time-trap works, we are caught: a false present welcomes us at every step and unmasks its predecessor which returns, behind our backs, to its original status of petrified memory.6  Time and space collapse in on the spectator’s embodied experience, simulating the effects of a hallucinatory drug. And indeed, as early as Boschini we find the revelatory quality of Tintoretto’s art described in pharmacological terms. Of the whirlwind of paintings on the ceilings and walls of the Scuola Grande di San Rocco, he effuses: “I feel as if I am in a drugstore. Under my nose these odors have aromas that overwhelm my heart. These fragrances remain in my mind, my mind feels so utterly purged that my heart jumps for joy in my chest, and my soul feels totally jubilant.”7  One must be in the presence of the work in order to experience the psychosomatic force of Tintoretto’s art. A black-and-white photograph of a room filled with Tintoretto’s portraits can look like a field of dull heads, but in person these works become alarmingly ghostly presences, with hands and faces that seem capable of movement. The sketches that move from light fluffy strokes to devastating valleys of black charcoal seemingly carved with a chisel, the thick ridges of impasto that rise suddenly like waves from the surface of a canvas, the glazes and scumble that modulate color and reflect light differently depending on the angle of view, the enormity of compositions that threaten to engulf the spectator’s body — these elements simply do not translate in any form of mechanical or digital reproduction. This is true not only for Tintoretto but for Venetian art in general, with its penchant for chromatic and luminous variability and richness.  In Drawing in Tintoretto’s Venicethe difference between Veronese’s gorgeous drawings covered in elegant, spindly figures created in a torrent of quick brown ink strokes and Bassano’s schematic black chalk sketches marked by dusty smudges of red, white, green, pink, and brown becomes immediately clear. Domenico Tintoretto, one of the master’s sons, produced oil sketches of battle scenes that look comic in reproduction, but when one stands before the flurry of red, white, and black patches on dark brown paper, these detailed compositions dissolve unexpectedly into near abstraction.  Renaissance drawings are so fragile and sensitive to light that they can be exhibited only rarely, and many  Tintoretto paintings are so large that they have remained in situ in Venice for most of their existence. Thus the current triple exhibition is the first substantial retrospective of the old master’s work in America. It is a fitting tribute on the occasion of his five hundredth birthday — and a viewing experience not to be missed.  Endnotes 1. Luigi Marta, Il Tintoretto e sua figlia: drama in sei quadri del pittore Marta, Milan, Borroni e Scotti. Sartre quoted in Laura Lepschy, Tintoretto Observed: A Documentary Survey of Critical Reactions from the 16th to the 20th Century, Ravenna, Longo. Boschini, La carta navegar pitoresco, edited by Anna Pallucchini, Venice/Rome, Istituto per la collaborazione culturale, Deleuze, Francis Bacon: The Logic of Sensation, trans. Daniel W. Smith, London, Continuum. Sartre quoted in Lepschy, Boschini. Tintoretto was too good an artist for his time’s uses; he still clamors for a proper role, seeking affirmation, four centuries later. This thought came to me as whimsy, and stayed as conviction, at the Prado, in Madrid, which has just opened the second-ever retrospective (the first was in Venice) of Jacopo Comin, who was also known as Robusti, and called Tintoretto, or “Little Dyer,” after his father’s profession. Tintoretto is the most mercurial of the five undisputed immortals of Venetian painting—the others being Bellini, Giorgione, Titian, and Veronese—and I was eager to see the Prado show, because I have never managed to get a satisfying fix on him. How could someone so great, able to summon the world with a brushstroke, be so inconsistent in style, and, on occasion, so awful? Stupefyingly prolific, Tintoretto garnished the walls, ceilings, altars, exteriors, and even the furniture of Venice, performing commissions for free when that was what it took to edge out a rival. (He was not popular with his fellow-artists.) He brought off one of the world’s largest paintings— Paradise, in the Ducal Palace, which, at seventy-two feet long and twenty-three feet high, is so vast as to be essentially unseeable—and perhaps history’s most sustained demonstration of sheer painterly talent, brimming the Scuola Grande di San Rocco, with pictures whose profusion and intensity burn the most concerted effort of looking to ashes. But he and his populous workshop also perpetrated some of the grimmest daubs—murky and slack—that you ever rushed past with a shudder. I realised, too late, that my puzzlement was a warning. Now I feel that I have acquired a brilliant, neurotic, exhausting friend who enjoins me to undertake on his behalf campaigns that he bungled when their conduct was up to him.  Nothing inferior taxes the eye at the Prado, which augments the cream of Tintorettos in European and American collections with a few loans from Venice, where hundreds of his paintings—including his greatest works, such as The Miracle of the Slave reside immovably in churches, palaces, and galleries. The show more than overcomes doubts about presuming to assess the artist outside his home town, which he is known to have left just twice, briefly, in his life. The well-restored canvases, shown in good light, sparkle and blaze. Some make plungingly deep space with muscular figures of different sizes; your mind provides perspective that the artist didn’t deign to chart. Others array action on intersecting diagonals, along which someone is apt to be arriving from somewhere at terrific speed. (There is an old line that Tintoretto invented the movies; his ways of enkindling routine scenarios, with thrilling visual rhythms that seem to unfurl in time, endorse it.) He drew with his brush, light over dark—so that shadings came first, imparting a sumptuous density to forms that are hit with highlights like spatters of sun. He is supposed to have said that his favorite colors were black and white, but he could be every bit the startling and seductive Venetian colorist when a commission required it. With abject competitive fury, he was not above imitating the grand dragon of the Venice art world, Titian, and his designated successor, Veronese.  As a matter of fact, he almost never takes the liberty of being himself unless someone builds up his confidence and leaves him alone in an empty room,” Jean-Paul Sartre wrote in an essay, The Venetian Pariah. For Sartre, Tintoretto is an avatar of existential anguish, who was both behind his time—as the last native-born master on a scene ruled by a cosmopolitan élite—and ahead of it, as the ideal artist for a rising bourgeoisie that was too intimidated by the pomp of the ducal republic to recognize itself in his demotic trashings of aristocratic decorum. Intellectuals of the era, while in awe of Tintoretto’s gifts, scolded him for being too fast, careless, and insolent; when Vasari credited him with “the most extraordinary brain that the art of painting has ever produced,” it wasn’t meant as unalloyed praise. (Vasari also called him the medium’s worst madcap.)  As a boy, Tintoretto is said to have entered Titian’s workshop as an apprentice but was thrown out after a few days, having either frightened the master with his aptitude or irked him with his personality; at any rate, Titian’s attitude toward him was plated with permafrost. Little is known of Tintoretto’s subsequent training. His earliest surviving work, from the early fifteen-forties, is anti-Titianesque—radically sculptural and draftsmanly, embracing Central Italian influences. Then something happened which the art historian Nagel compares to the bluesman Robert Johnson’s “going down to the crossroads and coming back with scary new powers. The Miracle of the Slave,” made for the Scuola Grande di San Marco, electrified Venice. Its unprecedented range of spatial, chromatic, and kinetic effect suggested a synthesis of the disegno of Michelangelo and the coloring of Titian —a contemporaneous formula, often cited, for ultimate greatness in painting. He was roundly hailed, though Pietro Aretino, Titian’s literary ally, added a caveat about his lack of “patience in the making.” Commissions came in bunches to the new hero, but solid status skittered out of reach.  He compensated by striving to engulf the town. Meanwhile, Titian refused to slacken his grip on preëminence, let alone die. When he finally expired, at the age of eighty-eight or so it brought Tintoretto no peace. Though he was now, by general consent, Italy’s leading painter, he responded with pictures as flailingly ambitious and various as ever. Three from the late fifteen-seventies triumph in as many styles. In The Rape of Helen, the hauntingly lovely captive languishes in the corner of a churning land-sea battle scene, with scores of figures, ranging in size from huge to tiny, which you can all but hear and smell. In TARQUINO (si veda) and Lucretia, the naked, lividly fleshy protagonists struggle at the edge of a bed, toppling a sculpture and breaking a necklace that rains pearls. The woman’s right hand seems to extend from the canvas, as if to be grasped by a rescuing viewer. (The Baroque, which took hold two decades later, with Caravaggio, can seem an edited ratification of tendencies already developed by Tintoretto. The Martyrdom of St. Lawrence is a sketchy and fierce nightmare of death by roasting, with an anticipatory whiff of Goya. Tintoretto strongly influenced El Greco, blazed trails for Rubens, and fascinated Velázquez, who acquired his paintings for Philip IV.  What is a Tintoretto? the art historian Echols asks in the show’s catalogue. The answer might be almost anything touched with genius and a strange, thorny, dashing humor. Tintoretto was reported to be a witty man who never smiled. What is his Susannah and the Elders if not a grand lark? A luxuriant, glowing nude sits outdoors, surrounded by a glittering still-life of jewelry and implements of beauty, and is ogled by dirty old men (one pokes his bald pate, at ground level, practically out of the canvas) from behind a hedge that forms part of a corridor-like recession into the far background. There are distant little ducks, and the rear end of a stag. But the picture’s form is too disorienting to sustain any particular response, including amusement. The backstage space outside the hedge ignores the unity of the central perspective, bespeaking a world that rolls away in all directions, indifferent to pocket realms of mythic anecdote. The effect is stirring and confusing. Who is Tintoretto’s viewer? strikes me as the really compelling question. No other great artist before modern times, in which shifting contingency affects every enterprise, seems less certain of whom he is addressing, and why. It might as well be you or me as some cinquecento ingrate, and, if we happen to think of people we know who may be interested, the artist encourages us to contact them without delay. La tesi di fondo di questo saggio è che l’orizzonte problematico entro il quale si muove da sempre la pittura faccia tutt’uno con le questioni dell’immagine e che la tradizione occidentale, soprattutto nella riflessione sulla storia dell’arte, abbia incentrato la sua atten- zione sul problema dell’immagine senza tenere conto in genere dei suoi aspetti iconici. Già Tommaso d’Aquino aveva posto in questi termini tale problema: l’immagine può essere considerata come og- getto particolare, o come immagine di un altro; nel primo caso l’oggetto è la cosa stessa che al contempo ne rappresenta un’altra, nel secondo l’aspetto dominante è ciò che l’immagine rappresenta. Sembra dunque che rispetto a un’immagine l’attenzione si rivolga o all’immagine in se stessa – all’immagine come fine – o a ciò che l’im- magine rappresenta – all’immagine come mezzo 1. A diversi secoli di distanza un pensatore della statura di Witt- genstein riproporrà con forza il problema dell’immagine che, a par- tire da una prospettiva iniziale fortemente improntata a concezioni logico-raffigurative, si andrà via via sempre più delineando all’inter- no della sua riflessione come un problema di natura estetica. Così egli scrive nelle Ricerche filosofiche. E chi dipinge non deve dipingere qualcosa – e chi dipinge qualcosa non deve dipingere qualcosa di reale? Ebbene, qual è l’oggetto del dipingere: l’immagine di un uomo (per esempio), o l’uomo che l’immagine rappresenta? Tuttavia Wittgenstein porta il problema alle estreme conseguenze. Se paragoniamo la proposizione con un’immagine, dobbiamo tener conto se la paragoniamo con un ritratto, un’esposizione storica, o con un quadro di genere. E tutti e due i paragoni hanno senso. Se guardo un quadro di genere, esso mi dice qualcosa, anche se io non credo (mi figuro) neppure per un momento che gli uomini che vedo rappresentati in esso esistano realmente, o che uomini in carne e ossa si siano davvero trovati in questa situazione. Ma, e se chiedessi: Allora, che cosa mi dice? La risposta di Wittgenstein suona. L’immagine mi dice se stessa’ vorrei dire. Vale a dire, ciò che essa mi dice consiste nella sua propria struttura, nelle sue forme e colori» 4. Ponendo la questione in tali termini tuttavia Wittgenstein non intende affatto contrapporre un’immagine intesa come ‘ritratto’, il cui scopo sarebbe quello di indirizzare l’attenzione dell’osservatore esclu- sivamente su ciò che essa rappresenta, e un’immagine intesa come ‘quadro di genere’, il cui fine sarebbe quello di presentare la «sua propria struttura» e le sue forme e colori. Del resto, continua Wittgenstein nello stesso paragrafo, Che significato avrebbe il dire: Il tema musicale mi dice se stesso? Il fatto è che per Wittgenstein queste due modalità dell’immagine: immagine intesa come mezzo e immagine intesa come fine, sono tra loro connesse, tanto da formare un unico concetto di immagine. Che il problema vada inteso e ap- profondito in questi termini, lo chiarisce lo stesso Wittgenstein, af- frontando in alcuni paragrafi successivi la questione relativa al comprendere una proposizione. Noi parliamo del comprendere una proposizione, nel senso che essa può essere sostituita da un’altra che dice la stessa cosa; ma anche nel senso che non può essere sostituita da nessun’altra. (Non più di quanto un tema musicale possa venir sostituito da un altro. Nel primo caso il pensiero della proposizione è qualcosa che è comune a differenti proposizioni; nel secondo, qualcosa che soltanto queste parole, in queste posizioni, possono esprimere (Comprendere una poesia). E subito dopo aggiunge. Dunque qui comprendere ha due significati differenti? Preferisco dire che questi modi d’uso di comprendere formano il suo significato, il mio concetto del comprendere. Wittgenstein sottolinea in questo modo che i due tipi di comprensione – quella che potremmo chiamare logica, nel senso che il pensiero espresso dalla proposizione può essere riformulato in modi diversi, rimanendo lo stesso, e quella che potremmo definire estetica, caratterizzata invece dal fatto che il suo tema non può essere riformulato in altro modo, come esemplifica il caso del tema musicale o della poesia – sono imprescindibilmente connessi tra loro in un concetto unitario. È la stessa interconnessione che Wittgenstein rileva in relazione all’immagine. Il fatto è che quel particolare tipo di immagine che l’opera d’arte costituisce può rimandare all’altro da sé, soltanto in quanto in primo luogo rimanda a se stessa, ‘dice se stessa’; può essere rappresentazione dell’altro, solo in quanto è presentazione di se stessa. Di conseguenza, ciò che nell’opera viene rappresentato riceve la sua unicità, la sua specificità, è insomma proprio questo, grazie al fatto che l’immagine lo rappresenta, lo dice, secondo le sue linee e colori. Così questo qualcosa d’unico può e anzi deve essere visto come qualcosa che, seppure da sempre presen- te sotto i nostri occhi, appare come se lo vedessimo per la prima vol- ta e, proprio per questo, non può che procurarci stupore e meraviglia. Scrive a questo proposito Wittgenstein: Non pensare che sia cosa ovvia il fatto che i quadri e le narrazioni fantastiche ci procurano piacere, tengono occupata la nostra mente; anzi, si tratta di un fatto fuori dell’ordinario. Non pensare che sia cosa ovvia – questo vuol dire: Meravigliatene, come fai per le altre cose che ti procurano turbamento. Già nel Tractatus Wittgenstein aveva affermato che la tautologia segue da tutte le proposizioni: essa dice nulla, volendo con ciò sot- tolineare il fatto che ogni proposizione dice, rappresenta qualcosa solo in quanto in primo luogo è una tautologia, ossia ‘dice nulla’, e tale tautologicità della proposizione è ciò che la proposizione mostra in ciò che dice. Secondo Wittgenstein il carattere logico della proposizio- ne in quanto immagine è dato dal suo essere ‘rappresentazione’ di qualcosa, ossia dal suo rinviare a qualcosa d’altro da sé. In questo con- siste, sempre secondo Wittgenstein, la fondamentalità della logica, giacché se segno e designato non fossero identici rispetto al loro pie- no contenuto logico, allora vi dovrebbe essere qualcosa d’ancora più fondamentale che la logica. E tuttavia Wittgenstein si rende conto che nella proposizione qualcosa dev’essere identico al suo significato, ma la proposizione non può essere identica al suo significato, dunque in essa qualcosa dev’essere non identico al suo significato. Questo qualcosa di ‘non-identico’, vale a dire di differente, tra la proposizione, o l’immagine, e il qualcosa che viene rappresentato o detto, è ciò che esse mostrano o presentano. Tale presentazione, nel suo costituire la condizione interna al rappresentato, è anche ciò che dà a quest’ultimo il suo carattere di unicità, ossia di individualità, che sfugge a ogni previsione logica, vale a dire a ogni identificazione nel già-saputo; ciò che fa, in definitiva, del rappresentato qualcosa di non-previsto e di non-saputo, qualcosa che nell’opera d’arte trova il suo luogo esemplare. E, se la logica «è prima del come, non del che cosa, allora «Il miracolo per l’arte è che il mondo v’è, che v’è ciò che v’è. C’è dunque per Wittgenstein qualcosa di più fondamentale della logica. La rappresentazione logica infatti implica qualcosa che si mostra, che si manifesta e nel manifestarsi resta ‘altro’ dalla visibilità della rappresentazione stessa. Così, nel presentare se stessa, l’immagine manifesta l’altro del visibile, del rappresentabile: quell’altro che si rivela nel visibile, nascondendosi a esso. Se questo è il tratto carat- terizzante l’icona, allora possiamo affermare che le riflessioni di Wittgenstein sull’immagine si riferiscono non all’immagine come copia della realtà, bensì all’immagine intesa appunto come icona. Non a caso, se per Wittgenstein il silenzio, sul cui tema si chiude il Tractatus, non può dirsi, giacché esso mostra sé, è proprio l’icona che ha a che fare con l’irrappresentabile, con ciò che resta sempre altro rispetto a ogni determinazione logica e rappresentativa. Ciò che nell’opera d’arte si presenta sfugge alla nostra conoscenza e alla rappresentazione. Non è stata l’arte astratta a mettere per prima in opera la ‘presentabilità’ del pittorico di contro alla sua rappresentabilità, dal momento che il rapporto tra presentazione e rappresentazione appartiene all’essenza stessa dell’immagine. È proprio della natura dell’immagine infatti il suo presentarsi sempre chiusa e insieme aperta, opaca e insieme trasparente, vicina e insieme lontana: nell’offrirsi all’occhio, essa cattura il nostro sguardo. È necessa- rio tornare, al di qua del visibile rappresentato, alle condizioni stesse dello sguardo, della presentazione. È questo il non-sapere che l’immagine manifesta, e tuttavia tale non-sapere non è una condizione privativa, una mancanza, ma piuttosto una condizione positiva, come positivo è il ‘Niente’ dei quadri suprematisti di Malevicˇ. Si tratta dell’esigenza di qualcosa che costituisce l’altro del visibile, il suo al-di-là e che non va pensato come l’Idea platonica, dal momento che questo altro del visibile è nel visibile stesso. Così l’iconoclastia del quadrato bianco di Malevicˇ annuncia non la fine dell’arte, ma ciò che l’arte deve essere, per essere tale, arte appunto. Nell’opera d’arte qualcosa è rappresentato e si offre alla vista, ma qualche altra cosa nello stesso tempo ci guarda, ci ri-guarda. Ciò significa che la visione si divide, si lacera, nel suo stesso interno, tra vedere e guardare, tra rappresentazione e presentazione. Nella visibi- lità del quadro è in opera qualcosa che non si lascia cogliere e che, come l’oblio, resta sempre altro rispetto a ciò che possiamo ricorda- re. È come se l’immagine fosse nello stesso tempo rappresentazione di ciò che ricordiamo e presentazione di ciò che abbiamo dimentica- to; per questo nell’immagine la rappresentazione deve essere pensata sempre con la sua opacità. In particolare nell’icona cogliamo l’assenza di ogni immagine, in- tesa come rappresentazione logica: è questa l’ ‘astrazione’ dell’icona, astrazione come sarà intesa, teorizzata e messa in opera da tanta parte della pittura del Novecento. Quello che l’icona mostra non è discorsivamente esprimibile e, se essa può far valere la propria impre- scindibile implicazione di senso di contro alla critica iconoclastica, è perché mostra l’inesprimibile in quanto inesprimibile. È proprio que- sta paradossalità dell’icona a permettere di superare l’iconoclastia, per la quale non può che porsi l’alternativa schiacciante tra un asso- luto realismo e un assoluto silenzio. L’icona è la porta regale, come vuole Florenskij, attraverso la quale si manifesta l’invisibile e si trasfigura il visibile: in essa non c’è né imitazione, né rappresentazione, ma comunicazione tra questo e l’altro mondo. Così nell’icona la dimensione epifanica finisce per coincidere con la sua dimensione apo- fatica. Da questo punto di vista si può dire che i problemi posti dal- l’icona siano gli stessi problemi che si ritroveranno nella contemporanea problematica dell’astrazione. L’arte astratta fa appello all’occhio spirituale, ossia allo sguardo, e ciò comporta il rifiuto della tradizionale distinzione soggetto-oggetto, dal momento che l’oggetto è in tale prospettiva un soggetto che ci cattura proprio mentre lo guardiamo. Già Kandinskij con la nozio- ne di composizione intende superare sia gli stati d’animo del soggetto che l’oggetto come fenomeno naturale, per dare luogo a una pittura iuxta propria principia, nella quale lo stesso limite estremo, la tela bianca o il silenzio, non significhi la morte dell’arte, ma la radicale presentazione di quella possibilità dalla quale ogni arte pren- de le mosse: l’essenza o, per dirla con Heidegger, l’origine dell’arte stessa. In Kandinskij l’astrattismo non è vuoto decorativismo. Al con- trario, l’astrattezza del segno, la sua non-rappresentatività, è la manifestazione della sua «risonanza interiore», ossia della sua spiritua- lità. La concezione dell’arte di Kandinskij è intessuta della connes- sione di interiorità e astrazione, e una componente essenziale di tale astrazione è il misticismo. Già la mistica tedesca medievale afferma, con Meister Eckart, che, come Dio agisce al di là del mondo dell’essere, così l’anima, che è in grado di rappresentarsi le cose che non sono presenti, opera nel non-essere; un’analoga operazione compie il pittore astratto, che nientifica il mondo naturale delle cose, dando vita a un mondo di entità non-oggettive, inesistenti e tuttavia reali. Così nel principio di Kandinskij della necessità interiore si riflette la natura mistica del procedimento astratto di costruzione di un’opera che viene sottratta alla dipendenza delle cose esistenti. Questo rimando a un agire interiore dà luogo a un non-oggetto che, ana- logamente a quanto avviene nella mistica, mostra un diverso modo d’essere delle cose rispetto a quello della loro forma reale. L’emancipazione da qualsiasi dipendenza diretta dalla natura, della quale parla Kandinskij, è la riduzione delle cose naturali al non-essere. Di conseguenza, la necessità interiore di Kandinskij, che costituisce il tratto essenziale della sua pittura astratta, si pone come ‘altro’ rispetto al mondo delle cose, e quest’ultimo trova in essa la sua unità e il suo senso. Del resto per Kandinskij, come per Wittgenstein, il misticismo riguarda non come il mondo è, ma che esso è; esso consiste nel sentire il mondo quale tutto limitato. Ciò significa dunque che la totalità del visibile ha un limite: lo sguardo delle cose, ossia la loro spiritualità. Astrazione, d’altro canto, è proprio questo visibile limitato dal manifestarsi in esso di ciò che visibile non è: è sen- tire il non-visibile nel visibile, è cogliere la differenza nell’identità. Nell’astrattismo il segno mostra se stesso, nel senso che non rimanda all’altro fuori di sé, all’oggetto, ma all’altro che è nel segno senza essere tuttavia esso stesso segno. Così l’astrattismo rifiuta il significato del segno e nello stesso tempo ne esalta il senso, che si mostra nel segno ritraendosi da esso. Non c’è dunque alcun contenuto, alcun significato manifesto dell’immagine, ma questa è l’espressione di un contenuto interiore: è questo a rendere il segno ‘astratto’, proprio nel suo presentarsi come evento. In definitiva, se il cubismo ha in- franto la totalità, lasciando solo frammenti, la composizione di Kandinskij mira non a ricomporre tale totalità, bensì a presentare il senso, facendo risuonare il contenuto interiore del frammento stesso. Se lo spirituale nell’arte di Kandinskij, come il suo concetto di composizione, è interno al problema dell’icona, altrettanto lo è il mondo senza oggetto del suprematismo di Malevicˇ. L’opera suprematista infatti ha un’intenzione iconica: non esprime una perdita, ma una presenza, la presenza dell’altrimenti che essere. Di qui quella dimensione apofatica, propria dell’icona in genere e del suprematismo di Malevicˇ in particolare, che, in opposizione ai presupposti dell’iconoclastia – tesi a identificare la verità con la rappresentazione logico-discorsiva – mostra la verità che contiene in sé la propria negazione: la docta ignorantia è la testimonianza di tale inesprimibile coincidenza. Per questo nel colore suprematista, come nell’icona, non c’è alcuna ‘finzione. L’essere di Malevicˇ non è l’essere secondo la necessità, ovvero secondo il concetto, ma è l’essere come evento: è qualcosa che si la- scia riconoscere solo al momento del suo apparire e, in quanto evento, l’essere è l’altro, poiché non è soggetto ad alcuna identificazione: è l’essere così, che potrebbe anche non essere; in questo senso, affer- ma Malevicˇ, l’essere è il nulla, ovvero il che, lo spazio paradossale proprio dell’opera d’arte, del tutto indipendente dal pensiero logico. Questo che è negazione del significato, inteso come signi- ficato logico, è negazione della rappresentazione, come rappresenta- zione logica e nello stesso tempo è affermazione del senso, in quanto condizione dei significati possibili Il che non può essere riconosciuto in relazione ad altro, ma solo per se stesso, e tuttavia por- ta in sé l’alterità, la differenza. Nel non significare nulla al di là di se stesso, l’evento – il che – è assolutamente singolare: accade semplicemente, si dà, si mostra, non come un mero oggetto per un sog- getto. Esso è il manifestarsi di qualcosa che, presentando se stessa, presenta l’altro, vale a dire si presenta come l’altro dell’essere oggetto di rappresentazione possibile. Per raggiungere infatti questo essere, che è il nulla, Malevicˇ è uscito dal mondo degli oggetti e delle rap- presentazioni, aprendo uno spazio ‘assoluto’, in quanto spazio dell’altro. Così l’astrazione di Malevicˇ è il liberarsi dalla rappresentazio- ne per la presentazione: è questa l’autentica iconoclastia che rivela il profondo legame del suprematismo di Malevicˇ con l’icona. E, se nel suo mondo senza oggetto il segno non è rappresentazione di qualcosa, ma rivela l’altro, ovvero il nulla – in quanto nulla di rappresentabile e di dicibile – questo Nulla non è da intendersi come nichilismo: non indica il silenzio, la fine della pittura, ma esprime la consapevolezza che si deve continuare a dipingere perché il nulla si riveli. È questa la radicalità della pittura di Malevicˇ. A differenza di quella di Malevicˇ, l’opera di Mondrian presenta uno spazio la cui assolutezza assume un preciso significato: tutto ciò che è, è perché si dà solo spazialmente. Per questo in Mondrian il segno non nasconde e in esso non ha luogo alcun ritrarsi; al contrario, nel segno si mostra l’essenza, l’Idea, e non a caso egli definisce l’astrattismo come la sola arte concreta. In definitiva: nella pittura di Mondrian non si manifesta alcun altro, né alcun contenuto interiore; essa si risolve totalmente nella superficie del quadro, ossia in un piano assolutamente bidimensionale, nel quale non c’è alcuna finzione di profondità, ma ci sono soltanto linee in rapporto ortogonale che, tautologicamente, dicono se stesse. Così, se la composizione di Mondrian è volta a ricostituire la totalità, tale ricomposizione si dà proprio e solo all’interno della rappresentazione pittorica, rappresentazione assoluta, in quanto indipendente da qualsiasi riferimento ad altro da sé. L’arte di Klee, pur interrogandosi su problemi non del tutto dis- simili, muove in direzione opposta rispetto a quella di Mondrian. Se infatti quest’ultimo vuole abolire l’elemento soggettivo – definito tragico – in nome dell’oggettività, Klee invece indaga proprio la presenza del mondo nel soggetto. L’oggettività di Mondrian è il rifiuto del mondo, in quanto particolarità e contingenza; Klee, al con- trario, non cerca una realtà più vera di quella sensibile, non cerca cioè una realtà fissa e immutabile, retta da leggi eterne, fuori dalla storia. Ciò a cui tende l’opera di Klee è ‘frugare’ nel profondo, nel- la vita sotterranea, immergendosi nel divenire delle cose stesse, nella genesi dei mondi possibili. Il compito dell’artista è infatti, a suo giudizio, quello di ritornare sulla creazione, portando avanti e tentando le vie di realtà possibili. Klee, in definitiva, non vede nel mondo qualcosa di già-concluso, ma ne ripercorre la genesi, e tale genesi si riferisce al sorgere della realtà nella percezione e quindi al costituirsi dell’essere in significato. I presupposti di tutto ciò vanno rintracciati nel fatto che è pro- prio sul piano della percezione che il mondo non si configura come l’insieme delle cose già date, ma come un continuo generarsi. Così l’immagine di Klee richiama alla memoria possibilità diverse, somiglianze e dissomiglianze, e queste trovano la loro ragione sul piano dell’agire del pittore, che non prende le mosse da una logica pre- fissata, ma genera continuamente forme via via che procede, muoven- dosi appunto tra somiglianze e differenze. I processi di formazione di Klee sono questa sorta di somiglianze di famiglia – ancora una vol- ta nell’accezione wittgensteiniana  – e, in quanto tali, escludono la de- finitività di ogni forma. Non a caso nell’opera di Klee la genesi dei mondi possibili riguarda l’essenza stessa della pittura: si tratta di mo- strare l’apparire di qualcosa che nessuna logica ha pre-visto, qualcosa che viene all’esistenza, apportando un «aumento di essere» 19 rispetto a tutte quelle altre possibilità che comunque sono presenti nel qua- dro come possibilità simultanee. Klee ha disvelato così l’essenza dell’opera d’arte: quest’ultima non è la rappresentazione di un fatto del mondo, ma è un evento nel qua- le si manifesta la possibilità di molteplici determinazioni del mondo, senza che tale possibilità sia riconducibile ad alcun principio logico di identità e di non-contraddizione. A ben vedere dunque tale evento, che l’opera costituisce, altro non è che il darsi del contingente, del ciò che è così ma poteva essere diversamente, in quanto condizione della stessa necessità logica che regola ciò che nel mondo è già-dato; si tratta di quel che – che si dia questo mondo e non un altro – il quale, come afferma Wittgenstein, precede quella logica che presiede al come del mondo. Si tratta insomma di quel senso che è la condizione dei tanti significati possibili: l’opera è la presentazione del darsi di questo senso, e non la rappresentazione del suo configurarsi come significato dato, di un senso che si può dunque soltanto sentire, stando al suo interno e non contemplare dall’esterno. Per questo la pit- tura di Klee ha il suo luogo d’elezione nel cuore stesso della creazione, lì dove hanno origine tutte le cose. 1 Sul problema dell’immagine e del segno in genere nella riflessione filosofica medievale, si veda Maierù, Signum dans la culture médiévale, Miscellanea Mediaevalia, Veröf- fentlichungen des Thomas-instituts der Universität zu Koln, Walter de Gruyter, Berlin – New York, Signum negli scritti filosofici. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino (ed. or. Philosophische Untersuchungen, Blackwell, Oxford. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni, Einaudi, Torino (ed. or. Tractatus logico-philosophicus, London). Nel Tractatus infatti i due termini si equivalgono, dal momento che «La proposizione è un’immagine della realtà» Vedi su questo G., Dalla logica all’estetica. Un saggio intorno a Wittgenstein, Pratiche Editrice, Parma Wittgenstein, Tractatus..., cSi veda in proposito Garroni, Estetica. Uno sguardo-attraverso, Garzanti, Milano. L’espressione è usata nel senso del Wittgenstein delle Ricerche filosofiche, Gadamer, Verità e metodo, Bompiani, Milano (ed. or. Wahr- heit und Methode, Mohr, Siebeck, Tübingen. Giuseppe Di Giacomo. Giacomo. Keywords: l’inspiegabile, aura; ‘impiegatura como spiegatura dell’inspiegabile” sensibile, imagine, icona, segno segnante segnato presentazione rappresentazione contenente contenuto formante formato, Tintoretto, Sartre, Venezia. -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giacomo: impiegatura come spiegatura dell’inspiegabile” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Giametta: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- il volo d’Icaro e l’implicatura di Sanctis – filosofia napoletana – la scuola di Frattamaggiore -- scuola di Napoli – filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Frattamaggiore). Filosofo italiano. Frattamaggiore, Napoli, Campania. Grice: “Giammetta is a good’un, but you gotta be an Italian to appreciate him fully, or at least have gone to Clifton, as I did!” --  Grice: Giametta’s philosophy is full of Italianateness: ‘il volo d’Icaro,’ and then there’s his ‘Croceian heterodoxies,’ and most Italianate of all, the Dantean reference to Nisso, Chiron, and Folo in the “Inferno”! Sublime!” Cura Nietzsche a Firenze. Ha scritto saggi di critica "eterodossa" su Croce. Cura Cesare. È anche romanziere, estraneo a scuole o correnti, con storie dalla forte valenza filosofica e morale;  attitudine stilistica: la prosa di Giametta pare quella di un centauro: sorprendente incontro di letteratura e filosofia.  Nella "Trilogia dell'essenzialismo" (composta da “Il Bue squartato” --  L'oro prezioso dell'essere e Cortocircuiti), elabora un proprio sistema di filosofia erede del naturalismo rinascimentale. L’Essenzialismo è una nuova filosofia, fondata esclusivamente sulla natura, intesa nei suoi due aspetti, sia come “naturans” (cf. Grice, implicans, implicaturus)  sia come “naturata” (cf. Grice implicatum, implicatura, implicaturus, implicata). Grice: “The problem: ‘is ‘naturare’ a good verb?’ --. L’essenzialismo descrive la condizione umana come determinata dalla combinazione di due elementi eterogenei: dall’essenza di tutto ciò che esiste, che è divina, e dalle condizioni di esistenza, che sono spesso fin troppo diaboliche, a cui sono sottoposte tutte le creature. Il con-temperamento di questi due elementi (essenza ed esistenza), diverso in ogni individuo, spiega le ragioni per cui si afferma o si nega la vita, si è ottimisti o pessimisti...".  Alter opera: “Oltre il nichilismo” (Tempi moderni, Napoli); “Poeta e filosofo” (Garzanti, Milano); Palomar, Han, Candaule e altri. Scritti di critica letteraria, Palomar, Bari Nietzsche e i suoi interpreti. – cfr. ‘Grice interprete di se stesso” – “Erminio; o, della fede. Dialogo con Nietzsche di un suo interprete. Spirali, Milano); “Saggi nietzschiani” (La Città del Sole, Napoli); “Croce” (Bibliopolis, Napoli); “Il mondo” (Palomar, Bari); “Madonna con bambina e altri racconti morali, BUR, Milano); “Commento allo Zarathustra” Mondadori Bruno, Milano); “Filosofia come dinamita” BUR, Milano), “Croce, il pazzo” (La Città del Sole, Napoli); “Eterodossie crociane” (Bibliopolis, Napoli); “La caduta di Icaro” (Il Prato, Padova); Introduzione a Nietzsche. Opera per opera, BUR, Milano, Il bue squartato e altri macelli. La dolce filosofia, Mursia, Milano. L'oro dell'essere. Saggi filosofici, Mursia, Milano. Cortocircuito e implicatura -- Mursia, Milano. Adelphoe, Unicopli, Milano. Il dio lontano, Castelvecchi, Roma); “Tre centauri, Saletta dell'Uva, Napoli. Filosofi, Saletta dell'Uva, Napoli. Una vacanza attiva, Olio Officina, Milano. Grandi problemi risolti in piccoli spazi. Codicillo dell'essenzialismo; Bompiani, Milano. Colli, Montinari e Nietzsche, BookTime, Milano. Capricci napoletani. Pagine di diario (Marco Lanterna), Olio Officina, Milano; “Il colpo di timpano, Saletta dell'Uva, Napoli); “Dio impassibile” (Babbomorto, Imola. Contromano, BookTime, Milano. Il bue squartato e altri macelli, Mursia, Milano.  La passione della conoscenza. Pensa Multimedia, Lecce,. Marco Lanterna, Le grandi oscurità della filosofia risolte in lampeggianti parole. Lanterna, Contributo alla critica di Sossio (in Giametta, Capricci napoletani, OlioOfficina, Milano ). Nietzsche Schopenhauer Colli Mazzino Montinari.  SANCTIS nacque a Morra Irpina (oggi Morra De Sanctis, in prov. di Avellino), al centro di. una zona che fino a dieci anni prima era stata tutta feudale e di cui gli antichi feudatari ancora sfruttavano la scarsa ricchezza boschiva, mentre il potere era gestito direttamente dal clero e dai piccoli o medi proprietari terrieri, anch'essi strettamente legati alla Chiesa sul piano economico -, sociale e Politico. In questo ambiente D. trascorse solo i primi nove anni, ma esso costituì sempre per lui un punto di riferimento, perché sempre egli lo ebbe presente come "polo reale" e, insieme, come "polo negativo" della storia: la realtà da cui partire e rispetto alla quale operare per tutte le conquiste del progresso (morale, culturale, civile).  La famiglia De Sanctis apparteneva a quel ceto di piccoli proprietari del Sud che produceva i preti, gli avvocati e i pochi medici. Avvocato era il padre di D., Alessandro, che però viveva del reddito della sua piccola proprietà, prima ampliata attraverso un "buon matrimonio" locale con Maria Agnese Manzi, poi progressivamente sempre più dissestata; preti i due zii Carlo e Giuseppe; medico lo zio Pietro (ed anche per costui la qualifica professionale servì soltanto a sostenere l'orgoglio del ceto dei "galantuomini"). Come molti esponenti del "galantomismo" meridionale, don Giuseppe e Pietro Sanctis avevano aderito alla carboneria (in funzione patriottica e antifeudale): dopo aver partecipato ai moti carbonari, vissero in esilio per dieci anni, serbando intatto lo spirito antiborbonico, ma non il patrimonio. L'altro prete, invece, don Carlo, fece fortuna in Napoli come titolare di una stimata "scuola di lettere" (un ginnasio privato).  D. è trasferito come ospite ed allievo presso lo zio Carlo.  Dai "ricordi" di D. (La vita) si può ricavare l'elenco delle discipline da lui studiate, con fortissimo impegno, per tutta la durata del corso quinquennale tenuto dallo zio ("Grammatica, Rettorica, Poetica, Storia, Cronologia, Mitologia, Antichità greche e romane" e inoltre "l'Aritmetica, la Storia Sacra, il Disegno"), nonché una serie di notazioni sul metodo d'insegnamento tutt'altro che critico e innovativo ("Un grande esercizio di mernoria era in quella scuola, dovendo ficcarsi in mente i versetti del Portoreale, la grammatica di Soave, le Storie di Goldsmith, la Gerusalemme del Tasso, le ariette del Metastasio; tutti i sabati si recitavano centinaia di versi latini a memoria").  Poiché i cinque anni di studi "letterari" avevano un completamento canonico in due anni di studi "filosofici" è iscritto alla scuola di Fazzini, matematico e fisico illustre, di dichiarate convinzioni sensistiche. Per due anni, perciò, egli visse immerso nello studio di Locke, Condillac, Tracy, Elvezio, Bonnet, Lamettrie", o del Genovesi, ma (e questo è un tratto molto importante, destinato a rimanere come atteggiamento mentale) nell'ottica "moderata" che era propria sia dell'ambiente familiare sia del maestro (Il professore diceva che il sensismo en una cosa buona sino a Condillac, ma non bisognava andare sino a Lamettrie e ad Elvezio Voltaire, Diderot, Rousseau mi parevano bestemmiatori, avevo quasi paura di leggerli"). Lo stesso amalgama di aperture progressiste e di scarsa chiarezza ideologica fu nell'esperienza successiva (quella degli studi giuridici), in un'altra scuola privata, dove (con l'abate Garzia) D. impara ad apprezzare soprattutto i codici napoleonici, aprendosi così alla dialettica giuridica liberale. Questi studi avrebbero dovuto rappresentare il punto d'arrivo di tutto il lavoro precedente (poiché, scartata una primitiva ipotesi di carriera ecclesiastica, si pensava di far di lui un avvocato), ma a determinare una diversa scelta di vita intervenne una grave malattia dello zio Carlo, in seguito alla quale il peso della scuola cadde sulle fragili spalle del D. diciottenne, ed egli divenne fonte di sostegno economico per la sua numerosa famiglia (dopo la morte della primogenita Genoviefa, restavano ben cinque tra fratelli e sorelle, che sempre in qualche modo gravarono su di lui, con molte preoccupazioni e ben poche gratificazioni affettive o sociali).  Un altro avvenimento, questo di qualche anno prima, aveva preparato in D. tale mutamento di interessi e di scelte: il suo ingresso nella "scuola di lingua italiana" del marchese Basilio Puoti: di un "maestro", cioè, che rappresentava in quel momento uno dei punti di riferimento più vivi della cultura napoletana e che presto prese a stimarlo, ad amarlo e a guidarlo. Ed è in ambito puotiano che nascono i primi scritti a stampa di D.: la sua volgarizzazione di un brano dell'Eudemia di Giano Nicio Eritreo (Discorso contro gl'ippocriti), apparsa sul Tesoretto, e la Dedicatoria (sua e del cugino Giovannino) al Puoti dell'edizione (da entrambi curata) del Volgarizzamento delle Vite de' santi Padri di D. Cavalca e del Prato spirituale di Feo Belcari.  Non è da qui però che si può ricavare l'immagine complessiva di ciò che egli era alla fine del suo corso ufficiale di studi e all'inizio del suo primo magistero.  Certo, la competenza grammaticale e testuale e la sensibilità alle cose della lingua (alla lingua come sistema formale in cui penetrare con il rigore dell'intelligenza, della scienza e del gusto) erano allora e restarono per sempre una componente molto importante del D. studioso e maestro (questo va ribadito, anche per opporsi a una troppo lunga sottovalutazione critica dell'eredità puristica attiva all'interno della metodologia critica desanctisiana); ma dalla sua precedente esperienza culturale egli aveva ricavato anche un complessivo eclettismo nozionistico e ideologico, un evidente taglio "settecentesco" nell'impostazione del sapere e in più una vastissima pratica di letture, che egli sottolinea con forza nella Vita e che si riverbera in tutta la sua opera. Ricostruendo dai suoi ricordi, risulta che D. Legge con profondo coinvolgimento (oltre a tanti latini, greci, filosofi, storici e giureconsulti) un'incredibile quantità di classici italiani maggiori e minori, dai trecentisti a Metastasio, e poi Parini, Alfieri, Verri, Monti, Foscolo, Manzoni, Berchet, Leopardi, e Fénelon e Voltaire, Young e Scott (ma la zona moderna ed europea andava rapidamente allargandosi: a poco più di venti anni, il suo patrimonio di lettura spaziava con sicurezza da Shakespeare a Richardson, da Milton e Klopstock a Chateaubriand, Lamartine e Hugo.  La professione dell'insegnamento diventò per D. definitiva (grazie all'intervento del marchese Puoti), più o meno contemporaneamente nel settore della scuola pubblica (prima alla scuola dei sottufficiali; poi, al Collegio militare della Nunziatella, prestigiosa accademia militare borbonica) e in quello privato (con la scuola di Vico Bisi, che Puoti apre per lui, affidandogli all'inizio i suoi allievi, poi di fatto - a grado a grado - la sua stessa funzione docente). A quest'ultima esperienza (di cui restano importanti documenti nei Quaderni discuola e una vasta rievocazione nella Giovinezza) si attribuisce, per tradizione ormai consolidata, la definizione di "prima scuola" del De Sanctis. Ma sarebbe forse più giusto comprendere nella definizione l'esperienza didattica complessiva del decennio 1838-48: il decennio che consacrò il successo indiscusso del D. maestro, il quale intanto (nelle diverse fasi della sua frenetica attività) metteva a punto il suo metodo e il suo atteggiamento critico, mentre andava costruendo intorno a sé rapporti affettivi e intellettuali che sarebbero rimasti centrali in tutta la sua vita, e mentre andava maturando fondamentali scelte ideologiche, filosofiche, politiche. I numerosi Quaderni di scuola, che documentano il primo insegnamento desanctisiano, furono in massima parte scritti dagli alunni sotto dettatura del maestro e finalizzati a raccogliere il "succo" dei diversi corsi di lezioni, rispetto ai quali si configuravano come veri e propri libri di testo costruiti in parallelo con l'esperienza scolastica. Si tratta, perciò, di una testimonianza ampia e diretta del suo progressivo evolversi (a stretto contatto con la cultura del proprio tempo) dal purismo e dall'illuminismo moderato fino all'hegelismo, attraverso l'eclettismo, il neocattolicesimo, la partecipazione alla temperie vichiana e a quella dello storicismo romantico. In vista della loro funzione manualistica, i quaderni sono divisi secondo le "materie d'insegnamento" della scuola (alcune presenti fin dall'inizio, altre introdotte successivamente, come lo stesso D. testimonia nella Vita). La grammatica è l'insegnamento originario della scuola, ma i quaderni "grammaticali" più importanti che ci restano appartengono agli ultimi anni e si configurano perciò come approdo della ricerca desanctisiana in materia (con l'acquisizione dello storicismo romantico, del giobertismo, di Hegel). I più antichi tra i quaderni in nostro possesso sono quelli di Lingua e stile, dove, dopo una serie di precetti di radice puristico-illuministica (con forte incidenza della grande Enciclopedia e in particolare d’Alembert), troviamo documentato il primo impatto con il pensiero romantico tedesco (in particolare con F. Schlegel) e tracciata la prima sintesi di storia della letteratura italiana ("Sviluppo della letteratura italiana"). Questa ha già alcune caratteristiche che resteranno immutate in D. maggiore (si muove in ambito postilluministico, con grande attenzione all'Europa e al presente letterario, ma presenta come modello privilegiato di scrittore "contemporaneo" il Manzoni, con un'accentuazione del punto di vista neocattolico, che andrà attenuandosi in seguito). Una lunga storia della poesia è nei quaderni dedicati alla Lirica, in cui l'approdo è rappresentato dal Leopardi; i quaderni sul Genere narrativo hanno le loro fonti in Villemain, Sismondi, Voltaire, F. e Schlegel. Un salto di qualità notevolissimo si avverte nei corsi d’Estetica e Estetica applicata, in cui l'esigenza di definire teoricamente i problemi dell'arte trova un sicuro sostegno nelle teorie estetiche di Gioberti, mentre Hegel fa la sua apparizione nel corso di Storia della critica, che introduce una più stimolante rivisitazione della lirica. Nei due anni successivi egli presenta ai suoi allievi l'Estetica di Hegel nella traduzione francese di Bénard. Alla luce dei nuovi principî affronta inoltre l'esame della Letteratura drammatica, soffermandosi a lungo sulle opere di Shakespeare. Dell'ultimo anno di scuola ci resta anche un quadernetto di Storia e filosofia della storia, che ha come punti di riferimento costanti Vico, Sismondi, Hegel e che aiuta a chiarire il senso dei "compendi" (autografi) della Storia d'Inghilterra di Hume e della Storia civile del Regno di Napoli di Giannone. Questo blocco di materiali storiografici conferma il livello criticamente e ideologicamente molto avanzato della ricerca desanctisiana alla fine della "prima scuola", attestando una visione laica della storia, un rigoroso rifiuto di ogni astrattismo e una forte rivendicazione della concretezza in ogni ambito d'analisi, nonché una chiara assunzione di metodo hegeliano in direzione progressista. Negli entourages di Puoti, della Nunziatella, della sua stessa scuola (e delle altre che fiorirono a Napoli, inaugurando il clima "filosofico" vichiano-hegeliano), D. aveva finito per trovarsi al centro dell'intellettualità progressista napoletana, non si sa fino a che punto compromettendosi con le frange estremistiche di essa. Fatto sta che molti giovani della sua scuola si schierarono a combattere sulle barricate (dove fu ucciso quello che era certamente il più colto e il più ideologizzato fra tutti: Vista) e che dopo quella data D. fu in qualche modo implicato in una setta segreta rivoluzionaria di ascendenza musoliniana, l'Unità italiana, e in un attentato per il quale, tra gli altri, furono condannati a morte L. Settembrini e C. Poerio ("Si facevano i più matti deliri: porre una mina sotto Palazzo Reale pareva un gioco ... Fu la prima volta e sola che fui in convegni segreti). Espulso, perciò, dalla Nunziatella e da "ogni altra scuola anche privata" (come recitano i rapporti della polizia borbonica, che cominciava ad interessarsi di lui), D. si rifugia in Calabria presso un noto e attivo "patriota", il barone Guzolini, in casa del quale è arrestato con l'accusa di essere uno dei principali agenti della setta diretta da Mazzini e da Ledru-Rollin. Trasferito a Napoli e rinchiuso in Castel dell'Ovo, subì due anni e mezzo di "carcere duro", e fu infine giudicato politicamente molto pericoloso ("attendibilissimo") e perciò bandito dal Regno e imbarcato per gli Stati Uniti. 1 suoi allievi-amici napoletani (in particolare Meis e Marvasi, a quel tempo già in esilio) lo aiutarono a sbarcare a Malta, per raggiungere il Piemonte, inserendosi nell'allora foltissima schiera degli illustri esuli politici ivi rifugiatisi (tra i meridionali, sono da ricordare: Spaventa, Bonghi, Mancini, Tommasi, Ayala, Nicotera, Cosenz).  Gli scritti del periodo calabrese e della prigionia rappresentano la punta massima della "spinta a sinistra" che segna il pensiero desanctisiano. In Calabria sono elaborati due saggi (Introduzione all'Epistolario di Leopardi e Sulle opere drammatiche di Schiller), in cui l'interpretazione dei testi esita in senso fortemente politico (sia Leopardi sia Schiller segnano la fine di un'epoca, quella dell'individualismo, dalla quale va nascendo un'epoca nuova - dell'Umanità - impegnata in senso sociale). In Calabria fu probabilmente impostato anche un dramma in prosa, il Torquato Tasso, terminato negli anni di prigionia (il modello più vicino è quello goethiano; il linguaggio è leopardiano; evidente è l'identificazione personale-politica dell'autore con l'intellettuale perseguitato. D. studia la lingua tedesca e se ne servì sia per tradurre il Manuale di una storia generale della poesia di K. Rosenkranz, sia per leggere in lingua originale la Logica di Hegel, che ridisegnò in una serie di Quadri sinottici (praticamente una sintesi completa dell'intera opera). Ma il testo più interessante elaborato in Castel dell'Ovo è certamente La prigione: un carme di 256 endecasillabi sciolti (l'unica prova poetica, se si esclude qualche poesia d'occasione), che rappresenta il punto massimo di "giacobinismo" realizzato da D., con il rifiuto e la denuncia di ogni metafisica (un'inversione fortissima rispetto al neocattolicesimo degli anni della prima scuola), e con una proposta politico-ideologica chiaramente ispirata all'interpretazione di sinistra della filosofia di Hegel. Fortissima è anche la svolta di atteggiamento nei confronti di Leopardi: all'immagine sentimentalistica e scettica divulgata nel clima del primo romanticismo napoletano si sostituisce un'immagine combattiva e materialistica del poeta di Recanati (che offre, del resto, il modello stilistico e strutturale all'intero carme. costruito come storia metaforica del pensiero umano, in rivolta per la libertà, contro la tirannia, l'oscurantismo, l'ingiustizia sociale).  A Torino D. rimase  in un vitale rapporto d'amicizia con Meis e Marvasi e con Spaventa, ma molto isolato rispetto al potere politico e culturale. Il suo unico lavoro fisso fu, allora, l'insegnamento dell'italiano nell'istituto femminile della signora Eliott (dove si verificò un episodio d'innamoramento - per la giovanissima Teresa De Amicis - che riempirà d'illusioni e di malinconie gli anni successivi); ma ebbe anche alunni privati dal nome prestigioso (come Virgina Basco - futura destinataria del Viaggio elettorale -, Ainardo di Cavour, Larissé). L'esperienza centrale del periodo torinese si realizzò, tuttavia, attraverso due corsi di "lezioni pubbliche" su Dante: conferenze organizzate dai suoi amici per soccorrerlo "nella dignitosa povertà dell'esilio" e che di fatto lo rivelarono alla cultura italiana.  Egli prese a collaborare alle appendici letterarie: sul Cimento di Torino pubblicò alcuni saggi fondamentali, vero e proprio punto d'arrivo della sua critica militante. E allo stesso anno risale anche il primo episodio di giornalismo politico della sua vita: la pubblicazione, sul Diritto di Torino, di una serie di interventi contro il "murattismo" (cioè contro l'ipotesi di una sostituzione "diplomatica" della dinastia borbonica di Napoli con la discendenza di Murat), che rappresenta la prima fase di avvicinamento di D. alla monarchia sabauda (questa viene proposta come unico possibile strumento di unificazione della nazione, in un'ottica di "patriottismo costituzionale" cui, in seguito, egli resterà sempre sostanzialmente fedele). Sempre per interessamento dei suoi compagni d'esilio, fu finalmente gratificato di un importante incarico professionale: l'insegnamento della letteratura italiana presso l'Istituto universitario politecnico federale di Zurigo. Gli anni di Zurigo sono anni di nostalgia e di isolamento (anni di réve, com'egli stesso diceva), ma produssero almeno due conseguenze molto importanti: l'elaborazione di lezioni che sarebbero rimaste come una pietra miliare della sua ricerca critica (soprattutto su Dante, Petrarca e la poesia cavalleresca) e il contatto con ambienti culturali e politici di vera e propria avanguardia in Europa (Wagner e Matilde Wesendonck, Moleschott, gli Herwegh, Burckhardt, Vischer, ecc.) che egli ebbe modo di conoscere e di valutare criticamente (per esempio, prendendo le distanze dall'irrazionalismo di Wagner e di Schopenhauer molto prima che le mode irrazionalistiche toccassero l'Italia, o cercando di capire i limiti concreti del ribellismo dei mazziniani quando Mazzini è ancora un mito in Italia.  Dei corsi danteschi di Torino non restano manoscritti, ma ciascuna lezione fu ricostruita su appunti di allievi (Marvasi, D'Ancona), in vista di una non mai realizzata pubblicazione in volume. Le conferenze torinesi (undici di argomento teorico, diciannove dedicate all'Inferno, cinque al Purgatorio) sviluppano presupposti romantico-hegeliani, con particolare riguardo ai problemi dell'unità e della forma del poema di Dante. Nell'esaltazione "passionale" dell'Inferno, emergono le grandi figure alla cui analisi è legata la fama popolare del D. dantista (Farinata, Francesca, Ugolino) e si afferma il taglio monografico che sarà proprio dei maggiori saggi desanctisiani. Semplificando la materia dei corsi, e prolungandola fino a percorrere tutta la Divina Commedia, D. insegna Dante a Zurigo (anche di queste lezioni ci resta la ricostruzione da appunti). Da tale lavoro deriva tutto ciò che egli pubblicò successivamente su Dante e sul suo tempo (ivi compresi i capitoli della Storia, che ne tesaurizzano le idee-forza), ma i risultati metodologici più avanzati da lui raggiunti negli anni d'esilio sono testimoniati dai contemporanei scritti giornalistici (che furono poi pubblicati tra i Saggi critici). Il Pier delle Vigne è addirittura una lezione torinese trascritta, per LaNazione di Firenze, da A. D'Ancona: la celebre lettura del canto esalta i grandi caratteri e le grandi passioni dei personaggi e ne analizza le sfumature, le situazioni, i contrasti; il saggio La Divina Commedia (versione di Lamennais) dichiara la fine dell'antico metodo retorico e il rifiuto del metodo "storico" di oscuola francese"; quello intitolato Carattere di Dante e sua utopia individua il centro della grandezza poetica di Dante nella sua "anima di fuoco" in cui "si riverbera l'esistenza in tutta la sua ampiezza". Il punto d'arrivo della ricerca zurighese (molto più problematica di quanto appare nelle lezioni) è suggerito nel saggio Dell'argomento della Divina Commedia, che afferma da una parte il rifiuto del sistema e dall'altra la validità degli strumenti d'analisi hegeliani, a stretto contatto col testo letterario (un approdo, in sostanza, per D. definitivo).  Negli scritti letterari d'argomento contemporaneo o d'occasione (destinati a giornali torinesi e anch'essi in massima parte raccolti poi nei Saggi), D. esplica, negli anni d'esilio, il suo impegno militante, ma sempre a stretto contatto con i problemi di metodo critico che sono al centro dell'insegnamento dantesco. Il più esplicitamente politico di questi saggi è L'ebreo di Verona, che consacra, a livello nazionale, la sua fama di polemista laico e liberale (l'autore del romanzo, il gesuita Bresciani, ignorando le conquiste del cattolicesimo manzoniano, ripropone la religione in funzione antiliberale e antiprogressista: il suo ruolo storico, dopo la sconfitta, è "aggiungere i suoi colpi codardi alle mannaie del carnefice. La militanza critica passa sempre attraverso una precisa idea (romantico-hegeliana o posthegeliana) della letteratura. In Satana e le Grazie essa è espressa con molta chiarezza: di fronte al poemetto di Prati la fantasia rimane inerte: il cuore riman freddo, perché "in questo lavoro non vi è creazione e quindi non vi è fantasia Prati ha una viva immaginazione, e per questa facoltà è forse il primo poeta di second'ordine che sia oggi in Italia"; del resto, i suoi testi poetici hanno tutti i limiti e i difetti della "declamazione rettorica". E questa non è un difetto esclusivo degli scrittori moderati: essa è condannabile anche quando sia posta al servizio delle più ardite analisi politiche, come nella Cenci di Guerrazzi, avvolta nel vecchio repertorio delle metafore e dei luoghi comuni. C'è un solo poeta italiano che abbia attinto i livelli della "grande poesia" nel mondo moderno, dice in un importantissimo saggio, e questo è Leopardi. Il saggio s'intitola Alla sua donna. Poesia di Leopardi ed è, probabilmente, lo scritto leopardiano più importante del D., che, con parametri schilleriani e byroniani, traccia qui una straordinaria immagine di poeta laico, interprete della civiltà contemporanea perché capace di farsi critico e filosofo e di far scintillare la poesia dalla "meditazione". Ma, a parte l'eccezione leopardiana, il clima del presente letterario fa temere un ritorno alla identificazione tra poesia e retorica (Sulla mitologia - Sermone di Monti. A questa pericolosa tendenza D. oppone la difesa d’Alfieri contro i critici francesi contemporanei (Veuillot e la Mirra, Janin, Janin e Alfieri, Vanin e la Mirra), ed evidentemente questa polemica ha un profondo retroterra politico: la rivalutazione della fase "eroica" del classicismo settecentesco, nella cultura "rivoluzionaria" dell'intera Europa. Perciò questa rivalutazione riguarda anche Foscolo (Giudizio del Gervinus sopra Alfieri e Foscolo e Storia di Gervinus, e la polemica colpisce anche un critico come A. de Lamartine ("Cours familier de littérature par Lamartine). Nello stesso ambito il modello di Hugo viene proposto come sostanzialmente positivo (Triboulet e "Le contemplazioni" di Hugo) ed è possibile perfino il recupero di un classico manierato come Racine, perché capace di creare dei grandi personaggi drammatici (La Fedra di Racine). In questo ambito, infine, si configura una delle prime, ma già precise professioni di realismo di D. critico (Saint-Marc Girardin).Il sentimento astratto non è poesia, non è cosa vivente ... La poesia dee riprodurre la realtà vivente. Il poeta dee rappresentarci un uomo vivo, perché questo, in quanto tale, è già un perfettissimo personaggio poetico.  La progressiva conquista di un punto di vista "realistico" con cui guardare al testo letterario è registrata dai ricchi appunti che ci restano (a cura di V. Imbriani) delle lezioni zurighesi sul Poema epico. Proprio in questa sede D. usa per la prima volta il termine "realismo" (ancora nuovo nella critica francese più avanzata da cui lo deriva), mentre ribadisce il rifiuto del "sistema" hegeliano come strumento di critica letteraria e conferma la validità degli strumenti d'approccio al testo ricavabili dall'estetica hegeliana. Il messaggio filosofico più complessivo, nell'ultima fase del suo esilio e del suo vitale contatto con le avanguardie europee, fu affidato da D. al dialogo Schopenhauer e Leopardi. Anche questo testo ha una struttura leopardiana (ispirata alla provocatoria ironia delle Operette morali), ma s'interessa a Leopardi solo nell'ultima parte, dedicando molto spazio all'illustrazione del pensiero di Schopenhauer, indicato come il liquidatore di un'epoca (quella dell'Ottantanove, del Trenta, del Quarantotto) che egli considera "un'illusione, o piuttosto ... una imbecillità generale". La filosofia di Schopenhauer è, perciò, "nemica della libertà, nemica dell'idee, nemica del progresso"; in politica, egli ripropone "lo Stato monarchico, la nobiltà, il clero, i privilegi", nega la libertà di stampa e odia Hegel come "corrompiteste" (la moda di Schopenhauer in Europa è, in sostanza, un grave sintomo di regresso storico: la sua tardiva riscoperta equivale a un'abiura di tutto il progressismo europeo. A prima vista, il rifiuto dell'ottimismo ideologico accosta Leopardi a Schopenhauer; ma, in realtà, c'è tra i due una vera e propria opposizione, e Leopardi è tanto interno alla fase eroica (progressista e rivoluzionaria) dell'umanità, quanto ad essa è estraneo e ostile Schopenhauer. La differenza non è solo nel materialismo di Leopardi (opposto allo spiritualismo di Schopenhauer) o nelle sue scelte di stile inamabile (mentre Schopenhauer si affida al fascino della retorica), ma anche e soprattutto nell'effetto di lettura che Leopardi produce come uomo e poeta veramente grande (egli non crede al progresso, e te lo fa desiderare non crede alla libertà, e te la fa amare, è scettico, e ti fa credente).  Dopo le speranze e le delusioni della seconda guerra d'indipendenza, sulla scia dell'impresa dei Mille, D. lascia improvvisamente Zurigo e il politecnico e ritornò a Napoli, dove svolse un ruolo, probabilmente importante, nella mediazione che portò il partito garibaldino (e lo stesso Garibaldi) ad accettare il plebiscito piemontese. Per nomina di Garibaldi, appunto in fase di preparazione del plebiscito annessionistico, è governatore della provincia di Avellino e si mostrò attivissimo organizzatore del consenso politico, della guardia nazionale locale, della lotta al banditismo (che è già esploso violento in Alta Irpinia, recuperando antiche radici sanfediste). Subito dopo, è direttore dell'Istruzione a Napoli e, in quindici giorni, tesaurizzando tutte le precedenti esperienze di riforme liberali degli studi, impostò una vera e propria rifondazione della scuola napoletana. All'università chiamò ad insegnare illustri rappresentanti della cultura liberale (da Spaventa a Ranieri, a Bonghi, a Imbriani, a Villari, a Mancini); in sostituzione del liceo gesuitico istituì un ginnasio-liceo statale; per la formazione dei maestri elementari (sua grande preoccupazione di progressista ottocentesco) deliberò l'istituzione di scuole "normali" in tutte le province della luogotenenza (non senza ragione, il 1860 resta per sempre nei suoi ricordi come il periodo eroico della sua vita).  Eletto deputato al primo Parlamento nazionale unitario, fu ministro della Istruzione pubblica con Cavour e con Ricasoli, continuando sulla linea già tracciata a Napoli, ma senza ripetere l'exploit, nell'ambito della troppo vasta e ibrida realtà nazionale (in pratica, rinunciando .all'ambizione di produrre una legge di riforma della scuola italiana, si limitò ad estendere con decreti all'Italia unita la legge Casati). Ciò che resta di più indicativo del primo periodo di attività come ministro è proprio la linea di tendenza teorizzata nel programma iniziale e vanificata dall'opposizione dei gruppi reazionari (Noi abbiamo decretato la libertà in carta. Sapete, o signori, quando questa libertà cesserà di essere una menzogna? Quando noi avremo effettivamente uomini liberi; quando della plebe avremo fatto un popolo libero. Provvedere all'istruzione popolare sarà la mia prima cura). In questo ambito si pone anche la battaglia per istituire una rete capillare di "scuole tecniche" e "istituti professionali", nonché l'impegno per la qualificazione degli studi scientifici (ma molto avversate furono anche in questo campo le più importanti scelte progressiste, come quella che portò il materialista e rivoluzionario Moleschott ad insegnare fisiologia nell'università di Torino). Dopo questo incarico ministeriale, pur sempre rieletto in Parlamento (con la sola parentesi di un anno), D. rimase estraneo e in forte opposizione rispetto ai nuovi gruppi di potere (le "consorterie", che vedeva via via riavvicinarsi ai "retrivi" e ai "codini"), su una linea mediana di progressismo monarchico e antirivoluzionario. Su questa linea si pose il giornale L'Italia (che egli diresse, in appoggio al gruppo emergente della Sinistra costituzionale, che nel 1865 ottenne proprio nel Sud il suo primo successo elettorale. L'appassionamento garibaldino ai tempi di Mentana, la firma del manifesto di opposizione crispina e un importante discorso di denuncia contro il riemergere del clericalismo (in campo ideologico, politico ed economico) segnarono i punti più alti della sua partecipazione politica. Sposa, a Napoli, Maria Testa dei baroni Arenaprimo, ma il matrimonio agiato, da cui non nacquero figli, non è sufficiente a sconfiggere la precarietà economica in cui tutta la sua vita si svolse, né fornì uno stabile nutrimento al suo complesso bisogno di réve e di comunicazione sentimentale. All'interno di una sempre meno inconfessata delusione politica e personale, egli tornò, quindi, agli studi che gradualmente ridivennero protagonisti della sua vita: pubblica in volume i Saggi critici (dove raccolse gli scritti giornalistici dell'esilio), il Saggio critico sul Petrarca, la Storia dellaletteratura italiana, i Nuovi saggi critici. Il Saggio critico sul Petrarca ripropone un corso di conferenze tenuto a Zurigo, con pochi mutamenti e con una "introduzione. Esso si articola in dodici capitoli (tre dedicati alla personalità del poeta e al suo mondo culturale; gli altri strutturati come lettura tematica e analisi del Canzoniere) ed è finalizzato a fornire un preciso punto di vista per l'interpretazione del testo petrarchesco, sulla base della teoria elaborata da D. a partire dalla "prima scuola" e consolidata appunto negli anni dell'esilio (tesaurizzazione dell'illuminismo, del romanticismo, dell'hegelismo; rifiuto del metodo sistematico e dei suoi esiti panlogistici; rivendicazione della poesia come forma uscita dal più profondo della vita reale e come sostanza vivente, secondo i grandi modelli di Omero, Dante, Ariosto, Shakespeare). In quest'ottica, Petrarca va riscoperto, pur con i limiti che la cultura romantica ne aveva segnalato, e va rivalutato per quel che lo separa dal petrarchismo (cioè dalla sua riduzione a modello rettorico e platonico). La poesia di Petrarca va, quindi, individuata in particolari "situazioni" liriche (soprattutto nella malinconia e nei momenti d’abbandono sentimentale), pur tra gli ostacoli frapposti dall'educazione "rettorica" e da una visione "spiritualistica" della vita. Particolare interesse è rivolto alla figura di Laura (cui sono intitolati quattro capitoli): Laura è "la creatura più reale ... che il Medioevo poteva produrre", e la sua "realtà", tutta interiorizzata nella poesia del Canzoniere, non si spegne, ma si ravviva dopo la morte del personaggio (proprio in questa "situazione" Petrarca tocca le sue rare punte di "poesia sublime").  La Storia della letteratura italiana nacque come testo scolastico ed è, infatti, una sintesi didattico-pedagogica di materiali in gran parte preelaborati secondo una precisa metodologia critica (quella appena illustrata a proposito del saggio petrarchesco) e utilizzati per un progetto complessivo di informazione-formazione (il progetto dell'educazione nazionale) nel quale convergono tutte le attese (ed anche i timori) di D. letterato e politico. Divisa in venti capitoli, la Storia disegna una linea di svolgimento della letteratura italiana secondo il principio direttivo (ufficialmente dichiarato da D. in uno dei suoi saggi) della "successiva riabilitazione della materia (d’un graduale avvicinarsi alla natura e al reale, in parallelo con i progressi della scienza, della cultura, del costume, della vita politica, della stessa morale). Ma la finea risulta tutt'altro che retta e univoca: sia perché l'ipotesi del graduale svolgimento della storia letteraria verso mete progressive è fortemente contraddetta dalle fasi di stasi, d'involuzione, di "ritorno"; sia perché continuamente emergono distanze o divaricazioni tra livello storico e livello letterario (e qui s'innesta la forte rivendicazione della forma come valore specifico del testo letterario); sia, infine, perché (in base alla predilezione per il metodo monografico e per l'analisi testuale) il racconto della Storia alterna lunghe soste con rapidissimi voli, grandi indugi analitici con improvvise e fortissime elisioni. La Storia procede, perciò, per grandi nodi tematici e testuali, muovendosi in un sistema "a spirale" di allusioni e richiami tra fenomeni, autori, epoche, con un disinibito oscillare del linguaggio dal familiare e dal basso all'oratorio e al patetico, non senza momenti di carattere mimetico a ciascun livello di scrittura (sono queste, del resto, le caratteristiche peculiari del suo composito stile). Seguendo il cammino della Storia a partire dai primi capitoli, troviamo anzitutto ISiciliani come scuola poetica feudale e cortigiana, legata alla potenza della corte sveva e destinata a spegnersi prima che "venisse a maturità", radicandosi nelle "classi inferiori". Proprio questo processo di radicamento si analizza nel ben più complesso capitolo intitolato I Toscani, ma centrato soprattutto sulla cultura bolognese (e sulla scienza che si sviluppò in senso antifeudale presso l'università di Bologna). Il punto d'arrivo di questa storia del mondo lirico medievale è ALIGHIERI. Il breve capitolo dedicato a La lirica d’ALIGHIERI la definisce come la voce dell'umanità a quel tempo: ALIGHIERI rappresenta (vichianamente) l'epoca della fantasia, ed è la prima fantasia del mondo moderno". Il discorso ritorna alle origini, per esaminare La Prosa e I Misteri e le Visioni, che esprimono l'idea religiosa penetrata ne' costumi e nelle istituzioni, ma che restano a livello di fase letteraria preparatoria dell'aureo Trecento. A questo secolo è dedicato un capitolo molto puotiano (attento ai Fioretti, a Cavalca e a Passavanti. ai testi di s. Caterina da Siena e alla "maravigliosa cronaca" di D. Compagni), che però anch'esso converge, romanticamente, verso la grande figura protagonistica di Dante. La trecentesca "commedia dell'anima" esprime, infatti, l'ordito culturale da cui nasce La Commedia, con la sua "base ascetica" e la sua radicata abitudine alla "allegoria". Ma tutto ciò rappresenta (secondo l'ottica tipica del D. dantista) la "falsa poetica" attraverso e nonostante la quale Dante crea un'opera somma di poesia (una vasta analisi del poema tende proprio a mostrare come, per virtù di passione e di poesia, esso possa esprimere, "ancora pregno di misteri, quel mondo che, sottoposto all'analisi, umanizzato e realizzato, si chiama oggi letteratura moderna"). Il capitolo defficato al Petrarca (Il Canzoniere) è breve, ma fondamentale: Petrarca non è solo un artista pieno di grazia e di "malinconia", ma è il rappresentante di una nuova generazione culturale che, dopo Dante, "volgeva le spalle al Medio Evo e si afferma popolo romano e latino. In questa scelta, secondo D., c'è una profonda ambivalenza (da una parte c'è il "rinnovamento" inteso come nascita della coscienza laica; dall'altra la letterarietà come "erudizione", imitazione, abito retorico), in cui si muoverà, per lunghi secoli, la storia della letteratura italiana. E in un'ottica così conflittuale il Decamerone appare come "l'apoteosi dell'ingegno e della dottrina" in dimensione laica, ma anche come espressione di un "niondo borghese" che, liberatosi dai vincoli dello spiritualismo, non riesce ad innalzarsi, al di là del comico, fino alle "alte regioni dello spirito". Il Cinquecento è il secolo che vede l'arte assoldata al mecenatismo, pur quando potrebbero porsi le condizioni storiche per un avvicinamento tra cultura e "popolo" (ad esempio, nella Firenze medicea) e pur quando sono già stati raggiunti grandi vertici di raffinatezza letteraria (ad es., nelle Stanze del Poliziano). Infine il Seicento, simboleggiato da Marino, produce in letteratura idilli ed elegie, voluttà e musica, mentre l'intellettuale italiano si fa "estraneo al movimento della cultura europea e a tutte le lotte del pensiero", stagnando "in un classicismo e in un cattolicesimo di seconda mano". Nell'arco, e sempre in chiave antifrastica, sono tanti gli episodi letterari che il D. analizza, e ad alcuni, comunemente ritenuti minori, dedica interi capitoli: a Sacchetti, a La Maccaronea, ad Aretino. L'opera d’Ariosto (L'Orlando furioso) è esaminata secondo i parametri zurighesi: inserita nella serialità storica, essa si propone come "sintesi dell'intero Rinascimento", mentre l'"ironia" e il "riso scettico" di Ariosto si manifestano espressione di un secolo adulto"(cioè divenuto capace di critica e ormai maturo per la libertà borghese, pur nell'accettazione di fatto della realtà cortigiana). Tasso, autore-simbolo dell'ambivalenza ideologica e sentimentale, offre l'occasione per un discorso altrettanto ambivalente sulla Contro-riforma e sul suo significato storico-culturale. Il poema del Tasso è lo specchio della "ipocrita" cultura controriformistica italiana e i suoi valori letterari vanno individuati in senso opposto rispetto a quello programmatico e ufficiale: non nella falsa" religiosità, ma nell'idillio, nell'elegia, nella voluttà (Tasso è, perciò, accostato al Petrarca, nella tradizione di storiografia politica risalente a Sismondi e Ginguené). Ma proprio al centro dell'arco storico c'è una punta alta, un grande ritratto in positivo: quello di Machiavelli, che riesce a costruire una valida ipotesi di rinnovamento, sia opponendo alla teocrazia l'autonomia e l'indipendenza dello stato (un presentimento dei nostri ordinamenti costituzionali"), sia rinnovando il "metodo" della conoscenza, col rifiuto della teologia e del principio d’autorità (per lui "la verità è la cosa effettuale, e perciò il modo di cercarla è l'esperienza accompagnata con l'osservazione, lo studio intelligente dei fatti"). Evidentemente, il ritratto di Machiavelli (liberato da tutte le riserve moralistiche precedentemente espresse su di lui) è un caso-limite d'interpretazione "tendenziosa" di un autore: se è scelto a simboleggiare la politica e la scienza moderna, è perché il D.-maestro che scrive la Storia (l'anno della presa di Roma, a cui esplicitamente egli fa riferimento) vuol proporre ai giovani un preciso progetto di produzione letteraria che leghi indissolubilmente letteratura, "scienza" e politica laica (e che indichi anche lo strumento di una lingua letteraria "precisa e concisa", antiretorica e antimusicale, che pure a Machiavelli viene attribuita con qualche forzatura). Nel nome di Machiavelli, dunque (anche se a distanza di 4 capitoli), si apre la parte moderna e propositiva della Storia, che consiste nei due ultimi lunghissimi capitoli, intitolati La nuova scienza e La nuova letteratura. Il rapporto tra essi è derivativo: la "nuova letteratura" non potrà nascere se non dalla scienza, che ha come obiettivo il progresso e il miglioramento dell'uomo, e che ha come principale strumento la libertà intellettuale e politica. Perciò, "i primi santi del mondo moderno" (i primi intellettuali capaci di "lottare, poetare, vivere, morire per la fede nel progresso) sono Bruno, Telesio, Campanella, Galilei; e poi Sarpi, Vico, Giannone; infine Beccaria e Filangieri, con alle spalle il pensiero laico europeo, da Bacone alla Rivoluzione francese. Come s'innesta in questo clima la nuova letteratura? Dopo l'affascinante ma superficiale opera di Metastasio, l'innesto si realizza con la scelta illuministica di utilizzare cose e non parole. Il primo autore vero della nuova letteratura è Goldoni (ma con dei limiti di superficialità). Il primo "uomo nuovo" è Parini, e poi vengono Alfieri e Foscolo (col Monti personaggio negativo), ma con dei limiti negli eccessi e nelle scelte di stile retorico. L'Ottocento (pur con la sua tensione d'impegno e di sperimentazione) non ha ancora offerto, in Italia, modelli attendibili per il cammino da percorrere. Il nostro futuro letterario è, perciò, incerto ma la direzione da seguire è chiara: "convertire il mondo moderno in mondo nostro, studiandolo, assimilandocelo e trasformandolo, esplorare il proprio petto secondo il motto testamentario di Leopardi, questa è la propedeutica alla letteratura nazionale moderna".  Nella seconda edizione dei Saggi critici e poi nei Nuovi saggi critici D. inserì alcuni saggi (in gran parte composti per la Nuova Antologia) che precedono o accompagnano la stesura della Storia e che nei confronti di essa risultano in diverso modo illuminanti. Il più antico è Una Storia della letteratura italiana di Cantù, che, recensendo l'opera appena pubblicata, la denuncia come fondata su pregiudizi e superficiale dottrina e su valori che nulla hanno a che fare col letterario (perciò l'inevitabile sottovalutazione di autori come Machiavelli, Ariosto, Leopardi, Alfieri, Giusti, Berchet, cui si contrapporrà, appunto, la Storia desanctisiana). Fondamentale, per chi indaghi sulla genesi della Storia, è il saggio Settembrini e i suoi critici, in cui D. condanna il grave limite del contenutismo radicale settembriniano, così come aveva condannato il contenutismo cattolico-moderato di Cantù, ed afferma che una vera storia della letteratura dovrebbe essere un lavoro interdisciplinare (con contributi di filosofia, critica, arte, storia, filologia") al quale la cultura italiana non è ancora attrezzata (risalendo queste considerazioni al periodo iniziale di stesura della Storia, esse dimostrano la problematicità di D. nei confronti della sua opera maggiore, e la profonda consapevolezza della "parzialità" di essa). Più collegati alla componente ideologica "positiva" della Storia risultano L'Armando di Prati e L'ultimo dei puristi. Nel primo si denuncia la fine dei "tempi sentimentali" e si afferma, per il presente, la necessità di un impegno tutto reale e concreto (il materialismo è uscito trionfante dal seno stesso del mondo hegeliano" e impone la "serietà della vita terrestre"); nel secondo, la stroncatura di un purista attardato (Ranalli) dà luogo a una attenta e intelligente rievocazione del Puoti e della sua scuola, che fu bandiera di libertà, scienza, progresso, emancipazione, ma che (a parte il valore sempre vivo del "metodo" puotiano) esaurì il suo ruolo storico alla vigilia della fase rivoluzionaria (al presente, ogni nostalgia puristica risulta storicamente e politicamente ingiustificata). Anche i grandi saggi danteschi (Francesca da Rimini, Il Farinata di Dante, L'Ugolino di Dante) nacquero in margine alla Storia, sia come ripresa del tema-Dante (e, in particolare, delle riflessioni zurighesi), sia come esempio di quel lavoro di monografia che D., all'epoca, considerava storicamente e scientificamente più valido delle "sintesi". I personaggi danteschi prediletti dalla cultura romantica ed hegeliana sono letti rispettivamente in chiave di amore e pietà femminile (Francesca), orgoglio politico (Farinata), complessità e profondità di sentimenti antinomici (Ugolino), nell'ambito di un'attenta, colta, sensibile lettura testuale (era in questo, appunto, che D. voleva proporsi come modello di critica attuale, paziente e costruttiva, ed è appunto questo l'aspetto dei Saggi che va ancor oggi rivendicato). Il saggio L'uomo del Guicciardini ripropone l'antitesi (presente anche nella Storia) fra Machiavelli, precursore del nazionalismo moderno, e Guicciardini, il cui particulare rifiuta ogni vincolo religioso, morale, politico (ma la vera funzione del saggio si esplicita nell'ultima frase, di amara denuncia della situazione politica presente: L'uomo del Guicciardini vivit, immo in Senatum venit, e lo incontri ad ogni passo. Venne affidata a D. la cattedra di letteratura comparata nell'università di Napoli, dove egli tenne quattro corsi (è questa l'esperienza nota come seconda scuola napoletana, che produce quattro gruppi di lezioni, rispettivamente su Manzoni, Scuola cattolico-liberale, Scuola democratica, Leopardi). Contemporaneamente pubblicò una seconda raccolta di saggi (Nuovi saggi critici, Napoli) e inaugurò quella serie di conferenze e articoli sugli orientamenti della letteratura contemporanea in chiave realistica che sarebbe continuata, per dieci anni, fino alla vigilia della morte. Realizza un nuovo momento d'impegno politico attivo, in occasione delle elezioni che prepararono l'avvento al potere della Sinistra costituzionale (in particolare, appoggia, con un'avventurosa campagna elettorale, la propria candidatura - difficile e piuttosto equivoca - nella provincia d'origine, e ne rivisse il ricordo in una serie di cronache giornalistiche pubblicate prima sulla Gazzetta di Torino e subito dopo in volume, col titolo Un viaggio elettorale. Data il terzo e ultimo episodio importante di giornalismo politico desanctisiano: ancora un impegno battagliero, ma interno alla Sinistra (contro la gestione trasformistica e antidemocratica del potere da parte di Depretis e Nicotera), condotto soprattutto sulle colonne del Diritto di Roma. Cairoli riaffida a D. il ministero della Pubblica Istruzione che egli tenne fino al 1880, riproponendo i problemi della scuola di tutti (la scuola per l'infanzia, la scuola primaria, la formazione dei maestri) e quelli dell'istruzione tecnica, in un'ipotesi di cultura "scientifica" da sostituire alla "cultura retorica"; ma ancora una volta fu sconfitto nei punti più qualificanti del suo programma (la traccia più concreta che ne rimase fu l'inserimento dell'educazione fisica tra le materie d'insegnamento: un omaggio alla rivalutazione positivistica dell'uomo fisico). Colpito da una grave malattia agli occhi, lasciò l'incarico ministeriale e dedicò i suoi ultimi anni di vita a un lavoro di riflessione autobiografica (le Memorie che andò dettando alla nipote Agnese) e critica (soprattutto ripresa e riorganizzazione della riflessione petrarchesca e leopardiana). Muore a Napoli, lasciando incompiuti i suoi ultimi lavori, cui, pur tra le sofferenze della malattia, si dedicò sino alla fine.  Come tutti i principali episodi dell'insegnamento desanctisiano, anche le lezioni della "seconda scuola napoletana" sono documentate da riassunti (redatti in genere da Torraca), rivisti e ufficialmente accettati dall'autore. Il corso è dedicato a Manzoni e rappresenta il punto d'arrivo di una riflessione iniziata all'epoca della "prima scuola", sviluppata a Zurigo e rimasta sempre centrale nella ricerca di D., pur senza trovare una sistemazione editoriale. In queste lezioni le posizioni ideologiche e gli strumenti di ricerca sono molto cambiati rispetto agli anni della "prima scuola", ma non cambia il giudizio di valore. La grandezza del Manzoni è identificata ora nella sua capacità di "calare l'ideale nel reale": da lui escono tre "grandi idee critiche che hanno importanza universale": la "misura dell'ideale", il "vero" positivo e storico, la "forma" diretta e "popolare". Manzoni rappresenta la massima realizzazione della letteratura "moderna" in Italia e le "scuole letterarie" non segnano alcun progresso né sul piano dell'arte né su quello dell'ideologia. Negli anni successivi. D. analizzò, appunto, lo svolgimento della letteratura in Italia a partire dal Manzoni, dividendola (secondo una traccia già seguita da Giudici, da Settembrini e da altri) nei due filoni cattolico e laico, definiti rispettivamente "scuola liberale" e scuola democratica. Alla Scuola liberale è dedicato l’anno di lezioni universitarie, con risultati di giudizio fortemente militanti: l'impegno dei cattolici per l'"educazione popolare" non offre risultati validi in arte e svolge un ruolo (più o meno esplicito) d'insegnamento reazionario (nuovi Arcadi sono Grossi, Carcano, Tommaseo, Cantú; Gioberti e Rosmini ripropongono una dimensione metafisica della storia e della politica; D'Azeglio resta attardato su una vecchia e superata immagine di letteratura retorica). Un interessante excursus riguarda, però, la letteratura meridionale dell'Ottocento: poeti poco noti (come Mauro, Padula, Parzanese, Sole) vengono esaminati con interesse e simpatia. Il corso è dedicato alla scuola democratica, e anche in quest'ambito il giudizio globale è negativo: Mazzini, Rossetti, Berchet, Niccolini non possono fornire il modello della "nuova letteratura". Si conferma così l'esito perplesso e sostanzialmente pessimistico che caratterizza le ultime pagine della Storia e l'affermazione del principio del realismo. I saggi più importanti elaborati da D. nell'ultimo decennio di vita riguardano, appunto, le tematiche del realismo (alcuni di essi furono raccolti nei Nuovi saggi critici). Dopo la prolusione universitaria La scienza e la vita, sono da ricordare: Ilprincipio del realismo, Studio sopra Emilio Zola, Zola e l'Assommoir, Il darwinismo nell'arte. L'assunto complessivo è che il "realismo" auspicato da D. non si può confondere né col materialismo, né col positivismo, né col naturalismo di Zola (il quale, però, è molto valido come scrittore: lo studio a lui dedicato è particolarmente vasto e attento). La letteratura del "reale" dev'essere (cfr. Manzoni) "l'ideale calato nel reale", e cioè una costruzione "eticac forza morale impegnata per rinnovare la società, contro l'individualismo, la reazione, l'autoritarismo sempre in agguato.  Nell'ultima fase della sua vita D. non si limitò a teorizzare l'importanza e la "modernità" del realismo in letteratura, né ad inserirsi con diversi strumenti critici all'interno del problema per farne emergere i pericoli (o quelli che a lui sembravano tali sul piano morale e politico), ma volle fornire delle prove concrete di narrativa realistica, utilizzando un registro di linguaggio "familiare", che già aveva usato nelle sue lettere alla moglie (con estrema semplificazione sintattica e con frequenti coloriture dialettali) e che, del resto, non era ignoto ai momenti più colloquiali della sua critica. L'operetta narrativa che elaborò in funzione di esempio e modello fu Un viaggio elettorale (1876): una serie di cronache del tragicomico attraversamento della provincia natia da lui compiuto a sostegno di una candidatura politica poco chiara e poco fortunata. Nella cronaca, il bozzettismo locale si alterna col patetico dei ricordi d'infanzia o delle esortazioni politiche; ma il senso del testo va ricercato più nella sua funzione che nei suoi esiti, né si può dimenticare che nella storia del realismo italiano esso si colloca quasi in contemporanea con Nedda, quattro anni prima di Giacinta, sei anni prima dei Malavoglia.  Alla vigilia della morte (sempre su materiali autobiografici e sempre in ambito di racconto dal vero in linguaggio familiare), il D. perseguì un progetto molto più ambizioso: la stesura di un'autobiografia, della quale, però, non riuscì a portare a termine che la prima parte (egli l'aveva intitolata Memorie; Villari ne pubblicò il frammento realizzato col titolo La giovinezza). Così come ci resta, il frammento narra l'esperienza di D. dalla nascita e consta di due nuclei narrativi essenziali. Il primo è legato ai personaggi bozzettistici della famiglia paesana e degli ambienti napoletani alti e bassi (preti, professori, avvocati, ragazze da marito, giovani avventurieri, vecchie serventi) e, al centro di essi, l'autore pone il personaggio "comico" di se stesso, pieno di tic, di timidezze, di chiusure, di sogni. Il secondo nucleo è legato, invece, alla formazione culturale e all'esperienza della prima scuola. Qui il tessuto è molto serio e impegnativo: D. (utilizzando ricordi, ma soprattutto vecchi "quaderni di scuola") vuole offrire un importante contributo alla critica di se stesso, mostrando come siano andate formandosi le linee di forza del suo metodo. In ciò la vita non è del tutto veritiera (molti sono gli imprestiti ideologici e teorici che D. fa al se stesso maestro di Vico Bisi), ma resta, comunque, il fascino di un clima in cui rivivono Puoti e Leopardi, la scoperta del romanticismo, di Vico e di Hegel, l'autoritarismo borbonico e le utopie libertarie del primo '800 napoletano.  Nell'ultimo anno d'insegnamento all'università di Napoli, argomento delle lezioni era stato Leopardi: dagli appunti delle lezioni D. ricavò, negli ultimi mesi di vita, uno Studio su Leopardi, che segue il poeta nelle diverse tappe della vita, dell'opera, del pensiero, secondo lo schema della biografia critica di taglio positivistico. La biografia rimane, però, incompiuta, chiudendosi al livello dei "nuovi idilli" (come D. definisce i grandi canti), e proprio in questo tentativo di riduzione di Leopardi alla misura dell'idillio lo Studio è stato foriero di gravi equivoci e fraintendimenti nella successiva critica leopardiana, mentre in D. si giustifica come tentativo di leggere Leopardi in quella stessa chiave di realismo che si era rivelata funzionale per il Manzoni e il suo romanzo. Celebri, proprio in quest'ambito, le riflessioni sulle figure femminili dell'"idillio" leopardiano ("Silvia non è questa o quella donna; è il primo apparire della giovinezza in un cuore femminile", ecc.); ma, a parte questo, lo Studio non aggiunge molto né alla conoscenza del Leopardi né alla critica di Sanctis. In sostanza, il meglio su Leopardi era stato detto nel saggio (ma non vanno dimenticate certe importanti considerazioni della "prima scuola", né il ruolo interessantissimo, problematico e antidogmatico, che Leopardi ha nelle ultime pagine della Storia). Altri saggi leopardiani appartengono alla fase e al clima di ricerca della Storia (La prima canzone di Leopardi; Le nuove canzoni; La Nerina). In quest'ultimo, ancora un esame (forse uno dei più importanti) della donna nella poesia leopardiana: "La vita è tutta e solo in terra... La morte è l'altro motivo tragico di questa concezione. Il motivo della Silvia è lo sparire. Il motivo della Nerina è il riapparire".  Lasciando da parte la fortuna del D.-maestro (un vero e proprio appassionamento suscitato nei giovani allievi di Napoli, Torino e Zurigo), per ricostruire la storia del dibattito su D. bisogna muovere da un dato obiettivo di iniziale sfortuna critica: lo scarto fra i tempi della genesi dei testi maggiori e quelli della loro pubblicazione. A causa di questo scarto, egli apparve subito come un idealista attardato (e perciò più meritevole di giudizi sommari che di attenzione testuale), nel clima di positivismo dominante in cui i suoi scritti si offrivano ad un'interpretazione globale (per es. F. D'Ovidio era convinto che D. ignorasse la pazienza della ricerca e dello studio, e Carducci gli attribuiva difetto di cognizione dei fatti e dei documenti"). A sintomatico che, in un dibattito così fortemente pregiudiziale, venisse del tutto ignorato non solo il tipo di formazione di D., ma anche l'ultimo decennio della sua produzione, con la dichiarata opzione "realistica" e con la forte propensione per lo scientismo. Ma proprio a causa della pregiudizialità del dibattito di fine secolo (rilevata, fin d'allora, da qualche attento osservatore straniero, come Gaspary), D. poté divenire, attraverso l'elaborazione crociana, lo strumento chiave per il rilancio di un metodo critico antipositivistico e per la progressiva riaffermazione culturale e ideologica dell'idealismo. A Croce spetta, certo, il merito di aver costretto la cultura italiana a riconoscere in D. un protagonista (la sua appassionata cura di editore e di studioso di D. durò per oltre mezzo secolo); ma, contemporaneamente, Croce prese a "rielaborare" il pensiero di D., fino a propome la riduzione a teoria del "puro" gusto estetico (Borgese, che presentò D. come punto di arrivo di "tutte le esperienze della critica romantica in Italia", fu, in realtà, uno dei primi e più autorevoli interpreti di questa tendenza riduttiva; scarsa fortuna ebbe, d'altra parte, una proposta di Gentile per un "ritorno al De Sanctis di SEGNO FASCISTA.  Proprio dall'interno della scuola crociana dai cosiddetti crociani di sinistra") è prospettata, tuttavia, l'esigenza di un dibattito diversamente impostato, volto al recupero della complessità della figura di D.: mentre Russo rivendicava "il significato pedagogico ed etico" dell'opera e la sua intelligenza dell'arte come notalità, Muscetta sottolineava l'importanza della sua poetica realistica, la sua "serietà" culturale, la sua visione della letteratura come vita morale. Importanti, in questa fase, furono anche gli studi di W. Binni sull'"amore del concreto" che nutrì tutta la ricerca desanetisiana e che problematizzò i suoi rapporti con l'hegelismo e di Getto sulla Storia, "in cui la letteratura era studiata nel suo autonomo valore e insieme nel suo necessario legame con tutta la vita e la cultura. Infine, presentando una importante antologia di scritti desanctisiani, Contini dichiara, a nome di un'intera generazione di studiosi, l'uscita dall'"equivoco formalistico" della riduzione crociana di D. e la necessità di tentare finalmente una comprensione filologica dei testi desanctisiani, con tutta la loro problematicità anche irrisolta. Ma lo spostamento ideologico dell'intero dibattito critico mosse dalla pubblicazione dei Quaderni di Gramsci (Letteratura e vita nazionale, Torino) e dalla sua celebre affermazione che il tipo di critica letteraria proprio della filosofia della prassi è offerto da Sanctis. Da qui appunto si partì per un'ampia verifica dell'"impegno" di D., del carattere militante della sua critica, dei "saldi convincimenti morali e politici" che, secondo Granisci, la sostanziavano: era una verifica, evidentemente, molto correlata al bisogno della cultura d'incidere sul presente storico, dopo e contro il "disimpegno" teorizzato, nel ventennio fascista, da crociani e non crociani. Questo momento di dibattito produsse, fra l'altro, le iniziative editoriali, cui si deve, oggi, la possibilità di leggere D. su testi di alto livello scientifico: le due collane avviate da Einaudi e Laterza (e dirette rispettivamente da Muscetta e L. Russo) per la pubblicazione delle "opere complete". E non a caso, negli stessi anni, apparivano fuori d'Italia (dove la letteratura desanctisiana è scarsissima) due importanti interventi critici: quello di R. Wellek (che nella sua grande Storia della critica moderna presenta D. come autore della "più bella storia che sia stata mai scritta di una letteratura") e quello di Antonetti (che ne pubblicò in Francia una documentata e intelligente biografia culturale). Né a caso sono condotte indagini nuove e approfondite sui legami tra D. e la cultura (Mirri, Landucci, Oldrini). In un clima culturale ancora una volta mutato, e ormai insofferente dell'insistenza sull'"impegno politico del letterato", si affermò l'esigenza di uscire dall'ottica di un D. modello per il presente, e di sottolineare (accanto ai "valori" ormai definitivamente affermati) la distanza storica e le diversità culturali che ci separano da lui. Tra gli interpreti di questa esigenza ricordiamo A. Asor Rosa e parecchi dei partecipanti al convegno napoletano su "De Sanctis e il realismo". Con maggiore cautela, le più recenti occasioni offerte dal centenario desanctisiano (F. D. nella storia della cultura, a cura di Muscetta, Bari e F. D.: un secolo dopo, a cura di A. Marinari) si sono mosse su una linea di attenzione ai testi, di chiarificazione e approfondimento della vasta ancora aperta e interessanteproblematica desanctisiana, di tricollocazione storico-culturale nel mutevole orizzonte di cultura europea in cui tutta la sua ricerca si mosse.  Il materiale manoscritto, ormai quasi tutto edito, si trova (tranne una parte di quello epistolare, sparso un po' in tutta Italia) a Napoli (Bibl. nazionale, bibl. di casa Croce e bibl. del dott. F. De Sanctis Jr.) e ad Avellino (Bibl. prov. S. e G. Capone). Restano inediti quasi solo i voll. dell'Epistolario.  Le raccolte degli scritti, dopo le incomplete ediz. Cortese e Barion (sono oggi quella laterziana (Bari, negli "Scrittori d'Italia", a cura di L. Russo, incompleta) e quella einaudiana (Torino, Opere di F. De Sanctis, a cura di C. Muscetta, priva soltanto degli ultimi due voll. dell'Epistolario). La raccolta laterziana comprende i seguenti voll.: La letteratura italiana, I (A. Manzoni, a cura di Blasucci); (La scuola liberale e la scuola democratica, cur. Catalano); (Leopardi, a cura di Binni); Storia della letteratura italiana, a cura di Croce; Memorie, lezioni e scritti giovanili, I, a cura di F. Brunetti; Saggio critico sul Petrarca, a cura di E. Bonora; Saggi critici, cur. Russo; La poesia cavalleresca, a cura di Petrini. La raccolta einaudiana, invece, comprende: Lagiovinezza (memorie postume seguite da testimonianze biografiche di amici e discepoli), cur. G. Savarese; Purismo illuminismo storicismo (scritti giovanili, frammenti di scuola e lezioni), cur. Marinari; La crisi del romanticismo (scritti del carcere e primi saggi critici), a cura di Nicastro e Lanza; Lezioni e saggi su Dante, a cura di S. Romagnoli, Saggio sul Petrarca, a cura di Sapegno e Gallo; Verso il realismo (prolusioni e lezioni zurighesi sulla poesia cavalleresca, frammenti di estetica, saggi di metodo critico), a cura di N. Borsellino; Storia della letteratura italiana, a cura di Sapegno e Gallo; La letteratura italiana, Manzoni (a cura di C. Muscetta e D. Puccini, La scuola cattolico-liberale e il romanticismo a Napoli (cur. Muscetta e G. Candeloro, Mazzini e la scuola democratica (a cura di Muscetta e Candeloro), Leopardi (cur. Muscetta e Perna); L'arte la scienza e la vita (nuovi saggi critici, conferenze e scritti vari), a cura di Lanza; Il Mezzogiorno e lo Stato unitario (scritti e discorsi politici a cura di F. Ferri,; I partiti e l'educazione della nuova Italia (scritti e discorsi), a cura di N. Cortese; Un viaggio elettorale(seguito da discorsi biografici, dal taccuino parlamentare e da scritti politici vari), a cura di Cortese; Epistolario (cur. Ferretti e M. Mazzocchi Alemanni); (a cura degli stessi, (a cura di Talamo, (a cura dello stesso, (a cura di Marinari, Paoloni e Talamo). Ottime antologie degli scritti del D. sono quelle curate da G. Contini (Torino) e da Sapegno e Gallo (Milano-Napoli). Per la bibl. delle opere e della critica, cfr. Croce, Gli scritti di F. D. e la loro varia fortuna, Bari (con integrazioni di C. Muscetta, in F. De Sanetis, Pagine sparse, Bari ed E. Pesce, Supplemento alla bibliografia desanctisiana Napoli. Sono da tener presenti inoltre le rassegne: M. Tondo, La lezione di D. Rassegna degli studi dell'ultimo venticinquennio, Bari; P. Tuscano, F. D. a cento anni dalla morte, in Cultura e scuola; Oldrini, La storiografia desanctisiana dell'ultimo decennio, nel miscellaneo F. D. Un secolo dopo, a cura di A. Marinari, Bari.  Per la biografia, vanno ricordati anzitutto i seguenti saggi d'insieme: Cione, F. D., Messina-Milano e Milano Montanari, F. D., Brescia; Antonetti, F. D. Son évolution intellectuelle, son esthétique et sa critique, Aix-en-Provence; E. Croce-A. Croce, D., Torino. Per gli anni della formazione, sono da tener presenti i seguenti scritti: Croce, Introd. a F. De Sanctis, Teoria e storia della letteratura, Bari; A. Marinari, Introd. a Purismo illuminismo storicismo cit., nonché Le correzioni del Puoti ai primi due discorsi di scuola del D., in Belfagor, Id., Alcuni problemi di cronologia desanctisiana, Firenze e Il giovane D. lettore di P. Giannone, in Letteratura e critica, Studi in onoredi Sapegno, II, Roma; Savarese, Primo tempo del D. e altri saggi, Bologna; Luciani, L'estetica applicata di F. D., Firenze Muscetta, D. e i generi letterari in F. D. nella storia della cultura, a cura di C. Muscetta, Bari. Per gli anni della prigionia e dell'esilio, sono indispensabili: E. Cione, F. D. dallaNunziatella a Castel dell'Ovo, Napoli; Croce, Il soggiorno in Calabria, l'arresto e la prigionia di F. D., Napoli ora in Aneddoti di varia letteratura, Bari); F. D. a Torino, a cura di C. Vernizzi, Torino; Guglielminetti-G. Zaccaria, F. D. e la cultura torinese e R. Martinoni, Gli anni zurighesi, entrambi in F. D. nella storia della cultura cit. (dello stesso Martinoni, cfr. anche La puzza della birra e del tabacco. Gli anni zurighesi di F. D., in L'Almanacco Bellinzona Besomi, D. "in partibus transalpinis", ma non "infidelium": letture zurighesi, in Per F. D., Bellinzona. Per gli anni sono da tener presenti i voll. dell'Epistolario con le rispettive introduzioni. Lo stesso vale per gli anni successivi. Per il soggiorno del D. a Firenze, cfr. G. Spadolini, D. e Firenze capitale, in F. D. Un secolodopo. Per il D. ministro, cfr.: G. Talamo, F. D. politico e altri saggi, Roma Soldani, Scuola e lavoro: D. e l'istruzione tecnico-professionale, inF. D. nella storia della cultura Ciampi, Il governo della scuola nello Stato postunitario, Milano ad Indicem; A. Santoni Rugiu, Aspetti dell'ideologia formativa di F. D., nonché S. Valitutti, Il pensiero e l'azione scolastica di D. ed Bottasso, D. ministro e la formazione delle prime tre biblioteche nazionali (tutti in F. D. - Un secolo dopo cit.). Per la morte e le onoranze funebri, cfr. In memoria di F. D., a cura di M. Mandalari, Napoli a cura della Comunità montana Alta Irpinia). Tra gli studi critici di carattere generale, cfr.: B. Croce, F. D., in Letteratura della nuova Italia, I, Bari (per gli altri scritti desanctisiani del Croce, cfr. G. Savarese, Croce e D., in Rassegna della letteratura italiana, Russo, F. D. e la cultura napoletana, Venezia(poi Firenze, ora Roma Muscetta, F. D., inLetteratura italiana. I minori, IV, Milano  e in Letteratura italiana. Storia e testi, VIII, 1, Bari, ibid 19854; Fubini, F. D. e la critica letteraria, in Romanticismo italiano, Bari Mirri, F. D. politico e storico della civiltà moderna, Messina-Firenze; Landucci, Cultura e ideologia di F. D., Milano (sul quale cfr. M. Mirri in Critica storica, e la risposta di S. Landucci, in Belfagor); A. Asor Rosa, L'idea e la cosa: D. e l'hegelismo, in Storia d'Italia (Einaudi), Torino e Il diagramma Sanctis e il nostro, in Letteratura italiana (Einaudi), Torino Utilissime sono anche tutte le introduzioni ai singoli volumi delle edizioni cinaudiana e laterziana. Sono da tenere inoltre in grande considerazione le osservazioni di I. Svevo (in Racconti. Saggi. Pagine sparse, Milano e Debenedetti (Commemorazione del D.),  (ora in Saggi critici, Milano), nonché quelle di Binni (L'amore del concreto e la "situazione" nella prima critica desanctisiana, ora in Critici e poeti dal Cinquecento al Novecento, Firenze), G. Contini (Introd. a Sanctis, Scelta di scritti critici, cit.); G. Getto (Storia delle storie letterarie, Milano ad Indicem), C. Dionisotti (Geografia e storia della letteratura italiana, Torino, ad Indicem) e Wellek (Storia della critica moderna, IV, Bologna. Molto ricche sono le miscellanee: F. D. e il realismo, con Introd. di G. Cuomo, Napoli 1978; F. D. nella storia della cultura, a cura di C. Muscetta, Bari; F. D. tra etica e cultura ("Riscontri"), a cura di Giordano, Avellino; D. - Un secolo dopo, a cura di A. Marinari, Bari; Per F. D., Bellinzona; F. D.: recenti ricerche, a cura dell'Ist. per gli studi filosofici, Napoli 1989.  Per i rapporti fra il D. e la cultura napoletana dell'800, cfr. gli scritti di G. Oldrini (in particolare, La cultura filosofica napoletana dell'800, Bari e gli interventi apparsi nelle varie miscellanee già citate). Per quelli con l'hegelismo, oltre allo scritto già cit. del Binni, cfr.: N. Giordano Orsini, D., Hegel e la situazione poetica, in Civiltà moderna, Rossi, Sviluppi dello hegelismo in Italia (F. D., S. Tommasi, A. Labriola), Torino; Il primo hegelismo italiano, a cura di Oldrini, Firenze; M. T. Lanza, D. e Hegel, in F. D. nella storia della cultura, Landucci, cit.  Tra i tanti altri saggi, cfr. pure: M. Aurigemma, Lingua e stile nella critica di F. D., Ravenna Battaglia, Parva desanctisiana, Bologna Moretti, La lingua di F. D., Firenze Prete, Il realismo di D., Bologna Malcangi, F. D. deputato di Trani, con Introd. di A. Lapenna e A. Marinari, Bari 1972; A. Marinari, Il "viaggio elettorale" di F. D. Il dossier Capozzi e altri inediti, Firenze Ghilardi, Il superamento del kantismo e l'esperienza politica di F. D., Napoli Guglielmi, Da D. a Gramsci: il linguaggio della critica, Bologna Celli Bellucci-N. Longo, F. D. e G. Leopardi tra coinvolgimento e ideologia, Roma; M. Dell'Aquila, Giannone, D., Scotellaro. Ideologia e passione in tre scrittori del Sud, Napoli 1981; G. Nencioni, F.D. e la questione della lingua, Napoli.  Per i rapporti con le altre letterature europee: per la Francia cfr. F. Neri, Il D. e la critica francese (ora in Saggi, Milano); P. Antonetti, F. D. et la culturefrançaise, Firenze-Parigi Piscopo, D. e la culturafrancese, in F. D. - Un secolo dopo cit.; per la Germania, cfr.: G. Bach, La cultura tedesca in F. D., in Studi e ricordi desanctisiani, Avellino 1935; F. Matarrese, Goethe e D., Bari Westhoff, Schiller e D., Roma Mazzocchi Alemanni, La "fortuna" di D. in Germania, in F. D. nella storia della cultura; per il mondo angloamericano, cfr.: A. Lombardo, Shakespeare e la letteratura inglese, in F. D. - Un secolo dopo cit., Della Terza, D. e la cultura anglosassone, in F. D. nella storia della cultura cit., e D. negli Stati Uniti d'America, in F. D. - Un secolo dopo.  Per la fortuna critica dell'opera del D., cfr. Biscardi, F. D., Palermo Romagnoli, F. D., in Iclassici italiani nella storia della critica, a cura di W. Binni, II, Firenze; Castro, F. D. nella critica italiana del secondo dopoguerra, in Problemi, Longo, Il "ritorno" di D. Storia, ideologia, mistificazione, Roma Cfr. pure, al riguardo, le rassegne di G. Oldrini, M. Tondo e P. Tuscano citate a proposito degli scritti bibliografici. Sossio Giametta. Giametta. Keywords: il volo d’Icaro, l’implicatura di Croce – eterodossie crociane – Cosi parlo Zoroaster; cosi implico!”—cortocircuito e implicature, la pazzia di Croce, il pazzo di Croce – la caduta di Icaro? No, il vuolo di Icaro! – Colli e Montanari! --   Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giametta: cortocircuito ed implicatura” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Giandomenico: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- l’apertura semantica e l’implicatura di Galilei – la scuola di Carunchio -- filosofia chietese – filosofia abruzzese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Carunchio). Filosofo. Carunchio, Chieti, Abruzzo. Grice: “I like Giandomenico; he makes excellent commentary on Bernard’s controversial, deterministic idea of life – from amoeba to man, in Russell’s words --.” Grice: “Surely this has connections with my method in philosophical psychology, from the banal to the bizarre, which actually starts with philosophical BIO-logy!” Grice: “Giandomenico shows that while Bernard never thought he had to provide a ‘conceptual analysis’ of ‘vivente,’ he does propose this or that criterio: for one he tries to prove that self-nourishment cannot be the criterion – but I’m not sure what the positive he poes, if any!” Si laurea con Corsano all’istituto di filosofia di Bari.Insegna a Brindis, Lecce, Foggia, e Bari. Studia l'insegnamento di Filosofia  nei Licei. Studia filosofia della comunicazione. Fonda il Laboratorio di Epistemologia Informatica e il Centro per la Metodologia della Sperimentazione. Studia pragmatica computazionale e Informatica umanistica. Membro della Società Filosofica Italiana. Si occupato della storia della fisiologia, la storia sdell’informatica, l’informatica pragmatica, teoria della comunicazione, teoria dell’implicatura conversazionale, e teoria del segno. Pubblicato uno studio su Tommasi, che aderì alla sperimentazione. Ha trattato il contributo scientifico di Pende.  Analizza i fondamenti dell'informatica nei suoi rapporti con le teorie filosofiche, mettendo in evidenza le strutture epistemiche reciprocamente significative. “Filosofia ed informatica”, Inoltre, ha sperimentato applicazioni delle tecnologie informatiche nella ricerca umanistica.  Le ricerche condotte nell'ambito dell'informatica linguistica si sono proposte l'analisi linguistico-computazionale. L'obiettivo è stato quello di andare al di là del livello “lessicografico” – il filosofese – o terminologia filosofica, como ‘implicatura’ -- e di implementare una rete sintattica automatica con l'ausilio di software dedicati.  Il primo progetto ha riguardato l'analisi della conversazione nel “Dialogo sopra i due massimi sistemi” di GALILEI. Usando un software, creato dal Laboratorio di Epistemologia Informatica di Bari, ricava un “vocabolario” (filosofese, terminologia filosofica, vocabolario filosofico) galileiano, procedere ad una prima valutazione dello stile ed avviare l'analisi “semantica” di un “concetto” utilizzato da Galileo. Ha raccolto, infine, questi spunti in una riflessione sui linguaggi dell'artificiale, intersecati con quelli della vita, sulle nuove tecnologie della comunicazione e sull'etica.  Altre opera: “Tommasi, filosofo, Bari, Adriatica; “Filosofia e sperimento” Bari, Adriatica; “Scienza, filosofia, letteratura, Verona, Bertani; “ Introduzione a Charcot, Fasano, Schena); “Epistemologia informatica, Bologna, Transeuropa); “ Filosofia e informatica. Bari: Laterza); “L'uomo e la macchina trent'anni dopo: Filosofia e informatica, Società Filosofica Italiana, Bari, Laterza); “Dall'offerta formativa alla creazione di un nuovo lavoro: la laurea umanistica” in Convegno per il corso "Informatica umanistica” BARI: G. Laterza); “Laboratori di psicologia tra passato e futuro, Lecce, Pensa Multimedia); “La prosa di Galileo: la lingua la retorica la storia, Lecce, Argo); “La filosofia come strumento di dialogo tra le culture, Bari, Mario Adda Editore); La Società Filosofica Italiana, Roma, Armando. Triggiani, Cultura, un fronte unico. Università e Comune per una rete dei contenitori, in Gazzetta del Mezzogiorno, A.L., Dopo la laurea faccio il master in orecchiette, in Specchio. Supplemento di La Stampa, F. Di Trocchio, Dall'archivio al futuro, in L'Espresso,de Ceglia, l. Dibattista, Semi di storia della scienza.  Milano, Angeli.  L’esperire immediato e l’esperienza mediata Affronteremo in questa lezione il difficile rapporto che s’instaura tra il mondo-della-vita e quello della scienza, tra esperienza diretta ed immediata ed organizzazione razionale. Husserl ritiene che le scienze moderne (matematiche e naturali) hanno bisogno di un nuovo fondamento, diverso e ben più solido di quello che vien loro solitamente attribuito dalla comunità degli scienziati, dei logici e dei metodologi. Per trovare questo nuovo fondamento, egli si rivolge direttamente al mondo-della -vita, cioè al mondo dell’esperienza concreta, nel quale le intuizioni si presentano al loro stato originario, non ancora elaborate in concetti: in una parola, si rivolge al mondo del precategoriale. A questo proposito egli mette in guardia gli scienziati, i quali ritengono di considerare la natura come è realmente e non si accorgono dell’astrazione attraverso la quale essa è diventata per loro un tema scientifico, non si accorgono cioè che le cose cui fanno riferimento - perfino quando parlano di oggetti empirici, di risultati dell’osservazione e della sperimentazione - sono in realtà il frutto di un precedente, assai complesso e artificioso, lavoro categoriale. Possiamo ricordare, a questo proposito, le procedure operative che oggi (in maniera più evidente di quanto si poteva percepire ai tempi di Husserl) le scienze sperimentali adottano. Ecco un esempio. Vedere, nella scienza del nostro tempo, vuol dire, quasi esclusivamente, interpretare segni generati da strumenti: tra la vista di un astronomo del nostro tempo che fa uso del telescopio spaziale Kepler e una di quelle lontane galassie che appassionano gli astrofisici ed accendono la fantasia di tutti gli esseri umani sono interposti oltre una dozzina di complicati apparati mediatori del tipo: un satellite, un sistema di specchi, una lente telescopica, un sistema fotografico, un apparecchio a scansione che digitalizza le immagini, vari computer che governano riprese fotografiche e processi di scansione e memorizzazione delle immagini digitalizzate, un apparecchio che trasmette a terra queste immagini in forma di impulsi radio, un apparecchio a terra che ritrasforma gli impulsi radio in linguaggio per un computer, il software che ricostruisce l’immagine e le conferisce i necessari colori, il video, una stampante a colori e così via. Questo esempio evidenzia che la scienza ha due attività fondamentali: la teoria e gli esperimenti. Le teorie cercano di immaginare come il mondo è; gli esperimenti servono a controllare la validità delle teorie e la tecnologia che ne consegue cambia il mondo. L’intero iter della ricerca scientifica si può sintetizzare con una affermazione netta: rappresentiamo e interveniamo. Rappresentiamo al fine di intervenire e interveniamo alla luce delle rappresentazioni. Dall’epoca della rivoluzione scientifica ha preso vita una sorta di “artefatto collettivo” che dà campo libero a tre fondamentali interessi umani: la speculazione, il calcolo, l’esperimento. La collaborazione fra ciascuno di questi tre ambiti porta a ciascuno di essi un arricchimento che sarebbe altrimenti impossibile. Per questo, come aveva insegnato già il filosofo inglese Francesco Bacone (ritenuto con Galilei il padre della scienza moderna), la scienza non è osservazione della natura allo stato grezzo. I sensi dell’uomo vanno ampliati mediante strumenti. I raggi dell’ottica di Newton, così come le particelle della fisica contemporanea, non sono dati in natura, sono i dati di una natura sollecitata da strumenti. Di fronte alla natura - come aveva affermato con una delle sue barocche metafore il Lord Cancelliere inglese - dobbiamo imparare a “torcere la coda al leone”. Da questo punto di vista la storia degli strumenti non è esterna alla scienza, ma ne è parte costitutiva e integrante. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore. La rivincita della conoscenza comune In altre parole: la definizione operativa accolta usualmente dagli scienziati tende sì a ricondurre i concetti ad un contenuto empirico, ma questo contenuto in realtà è quello filtrato da teorie e strumenti, come dall’esempio che abbiamo sopra riportato.La tesi di Husserl è, invece, che il fondamento di tutte le scienze - anche di quelle cosiddette empiriche - possa venire fornito soltanto dal «fiume eracliteo» delle intuizioni che precedono qualsiasi tipo di concettualizzazione e che ci coinvolgono nell’immediatezza della vita, personale e professionale, vissuta, la quale presuppone “il mondo circostante quotidiano della vita, in cui tutti noi, e anch’io in quanto filosofo, esistiamo coscienzialmente: non meno le scienze, in quanto fatti culturali inclusi in questo mondo, e gli scienziati e le loro teorie. Nei termini del mondo-della-vita: noi siamo oggetti tra gli oggetti; siamo qui o là, nella certezza diretta dell’esperienza, prima di qualsiasi constatazione scientifica, fisiologica, psicologica, sociologica, ecc. D’altra parte siamo soggetti per questo mondo, soggetti egologici che lo esperiscono, che lo considerano, che lo valutano, che vi si riferiscono attraverso un’attività conforme a scopi, soggetti per i quali il mondo circostante ha il senso d'essere che gli è stato attribuito dalle nostre esperienze, dai nostri pensieri, dalle nostre valutazioni, ecc., e nei modi di validità (della certezza, della possibilità, eventualmente dell’apparenza, ecc.) che noi realizziamo attualmente, in quanto soggetti di validità o che già possediamo da prima e che portiamo in noi in quanto abitualmente acquisiti, in quanto validità di questo o di quel contenuto che possono essere attualizzate a piacimento. Naturalmente tutto ciò soggiace a una molteplice evoluzione, mentre ”il” mondo continua a essere un mondo unitario, e si corregge soltanto nella sua struttura di contenuto. Ora, se consideriamo noi stessi in quanto scienziati, nella funzione di scienziati in cui ora di fatto ci troviamo, al nostro particolare modo d’essere, di essere scienziati, corrisponde il nostro fungere attuale nel modo del pensiero scientifico, del nostro porre problemi e del nostro ricavare soluzioni teoretiche in relazione alla natura e al mondo dello spirito; ciò a cui ci riferiamo non è dapprima altro che uno degli aspetti del mondo-della-vita già precedentemente sperimentato o, comunque, già presente alla coscienza e già valido scientificamente o pre-scientificamente. Fungono con noi gli altri scienziati, che vivono con noi in una comunità teoretica, che attingono o già possiedono le stesse verità, oppure che, grazie all’accomunamento di questi atti, stanno con noi nell’unità di operazioni critiche e nel proposito di un accordo critico. D’altra parte noi possiamo essere per gli altri, e gli altri per noi, meri oggetti; invece che nella comunità dell’unità di un interesse teoretico attuale, possiamo conoscerci reciprocamente attraverso l’osservazione; possiamo conoscere gli atti del pensiero, gli atti dell’esperienza e, eventualmente, altri atti, come fatti obiettivi, ma “senza interesse”, senza partecipazione, senza un’adesione o un rifiuto critico” (Husserl, La crisi delle scienze europee). Ogni pensiero scientifico e qualsiasi problematica filosofica, secondo Husserl, implicano sempre certe ovvietà, per esempio la certezza che il mondo esiste, che è già sempre preliminarmente, e che qualsiasi rettifica di un’opinione di qualsiasi tipo, presuppone sempre il mondo in quanto orizzonte di ciò che senza dubbio è e vale. Anche la scienza oggettiva pone i suoi problemi sul terreno di questo mondo, il quale, però, è sempre già da prima, che è già a partire dalla vita prescientifica. Essa, come qualsiasi prassi, presuppone il suo essere; ma, insieme, si pone come fine la trasformazione del sapere prescientifico (che è imperfetto sia nella sua portata che nella sua consistenza), in un sapere compiuto, conformemente all’idea della correlazione tra mondo, che in sé è ben determinato, e verità scientifiche che lo spiegano, presentandosi come delle verità in sé. In altri termini, il suo compito è quello di attuare questa esplicazione attraverso un processo sistematico, attraverso gradi di compiutezza, utilizzando un metodo che permetta un costante progresso. In realtà Husserl tende a realizzare una descrizione dello strato precategoriale (o antepredicativo) posto a fondamento dell’edificio logico-categoriale. Questo strato può presentarsi sia come un piano autonomo d’esperienza che ignora la destinazione predicativa, sia come un’anteriorità funzionale, cioè come un precategoriale non autonomo in quanto indirizzato verso il piano predicativo (o categoriale). In questo secondo caso, il predicativo assume il valore di interpretazione ed esposizione linguistica dell’antepredicativo cioè dell’originario d’esperienza. Il criterio che egli assume, peraltro, richiede che ogni fondazione e chiarificazione conoscitiva acquisisca, dal punto di vista fenomenologico, la forma del rinvio all’intuizione fondante. In tal modo il rapporto tra sensibilità ed intelletto (è evidente qui il richiamo critico alle due “fonti della conoscenza”, di kantiana memoria) si traduce nel rapporto tra sensibile e “categoriale”: il non-categoriale, il precategoriale è collocato nella sfera del sensibile con tutta la sua valenza fondativa per gli atti logici superiori. La rivincita della conoscenza comune Agrimensura empirica e geometria scientifica Tra le pagine più note, nelle quali Husserl analizza il rapporto fondativo del precategoriale incarnato nel mondo-della-vita ed il categoriale consacrato nei paradigmi scientifici, quelle dedicate alla genesi della geomertia e della geometrizzazione della natura sono particolarmente idonee per le tematiche che stiamo analizzando. Husserl precisa subito che la sua indagine genealogica non mira ad una ricostruzione “storiograficamente corretta” delle origini della geometria (emblematicamente assurta a simbolo della scienza “esatta”, ma non rigorosa) bensì vuole rintracciare il senso profondo, originario della sua collocazione categoriale. Il problema dell'origine della geometria (e sotto il titolo di geometria raccogliamo qui, a fine di concisione, tutte quelle discipline che si occupano delle forme esistenti matematicamente nella spazio-temporalità) non è qui un problema storico-filologico; non si tratta quindi di reperire i primi geometri che·abbiano formulato proposizioni, dimostrazioni, teorie geometriche, né quelle determinate proposizioni che essi possono aver scoperto, ecc. Il nostro interesse mira invece a risalire al senso più originario in cui la geometria si è costituita, in cui si è sviluppata attraverso millenni, in cui è ancora viva per noi e in cui continua a evolvere; noi indaghiamo cioè il senso in cui si è presentata per la prima volta nella storia - il senso in cui dev’essersi presentata, anche se nulla sappiamo, né cerchiamo di sapere, sui suoi creatori. Partendo da ciò che sappiamo della nostra geometria, oppure dalle sue forme più antiche tramandateci (per es. dalla geometria euclidea), cerchiamo di risalire agli inizi originari e ormai sommersi della geometria, a quegli inizi “originariamente fondanti” così come devono necessariamente essersi prodotti. Questo tentativo di risalire al senso originario si mantiene necessariamente nell’ambito delle generalità, ma, come La rivincita della conoscenza comune risulterà tra breve, si tratta di generalità ricchissime, la cui esplicitazione offre la possibilità di attingere problemi particolari e constatazioni evidenti che a loro volta si configurano come problemi. La geometria, per così dire, compiuta, a cui occorre rifarsi per risalire al suo senso, è una tradizione. La nostra esistenza umana si muove nell’ambito di un numero enorme di tradizioni. Tutto il mondo culturale, in tutte le sue forme, è per noi in base alla tradizione. Perciò le forme culturali non sono soltanto divenute causalmente: noi sappiamo anche che la tradizione è appunto una tradizione che si è costituita nel nostro spazio umano e in base all’attività umana, sappiamo che è spiritualmente divenuta - anche se in generale noi non sappiamo nulla della sua precisa provenienza e della spiritualità che l’ha di fatto determinata. E tuttavia, anche questo non-sapere include sempre, per essenza e implicitamente, un sapere che può essere esplicitato, un sapere di un’evidenza incontestabile. (Husserl). Questo sapere, continua Husserl, affonda le radici, nell’esempio specifico che egli illustra, nell’impiego empirico dei concetti geometrici. A questo livello possiamo certo accontentarci di determinazioni piuttosto vaghe, di una vaga tipicità; e dunque di confronti sommari, a occhio e croce. Ci possiamo contentare, ma beninteso secondo i casi. Vi sono situazioni in cui non ci contentiamo affatto. Se, ad esempio, dobbiamo vendere il nostro campicello o scambiare il nostro con quello di un altro, presumibilmente non saremo affatto soddisfatti da determinazioni tra il più e il meno. Cercheremo di escogitare metodi più precisi di confronto, dunque metodi di misurazione. Si vede subito allora in che senso la pratica della misurazione abbia a che fare con la geometria, e in particolare con la sua origine. Pur essendo motivati da interessi pratici, cominciamo tuttavia ora a porci problemi teorici, continua Husserl, sia pure in una forma relativamente disorganica. Per escogitare metodi di misurazione abbiamo bisogno di operare una certa classificazione delle forme, scoprire certe relazioni tra esse o inventare dei ben determinati congegni per stabilire tra esse una relazione. In tutto ciò sono implicite numerose riflessioni teoriche che preparano la riflessione propriamente geometrica. Lo stesso problema di una classificazione tenderà, ad esempio, ad un certo ordinamento che prefigura la distinzione tra forme elementari e forme derivate e che non solo richiede un preciso intervento teorico, ma configura altrsì un possibile campo di indagine con fini propriamente ed esclusivamente conoscitivi. Questa origine della problematica geometrica non ha evidentemente un carattere “storiografico” nel senso consueto del termine. In altri termini, non ci sono documenti che mostrino che le cose siano andate proprio così, e questo è un altro elemento di notevole interesse che emerge dalle riflessioni di Husserl e che riguarda il concetto della storicità. È innegabile infatti che siamo comunque di fronte ad una descrizione storica, ma essa è condotta sul filo di una logica interna ai concetti, non è un racconto più o meno leggendario. E persino l’origine della riflessione geometrica dall’agrimensura ha forse queste caratteristiche di una connessione genetica non storiograficamente documentata in senso stretto, ma che rientra tuttavia, in un certo senso, nel pensiero di una storia della geometria alle sue origini. Scrive Husserl: La metodica geometrica della determinazione operativa di alcune e poi di tutte le forme ideali a partire da forme fondamentali, in quanto mezzi elementari di determinazione, rimanda alla metodica esercitata già nel mondo circostante pre-scentifico-intuitivo, dapprima in modo rudimentale poi secondo regole d’arte, alla metodica della misurazione e in generale della determinazione misurativa. Le sue finalità hanno un’origine, che è rivelatrice, nella forma essenziale di questo mondo-della-vita. Le sue forme sensibilmente esperibili e sensibilmente- intuitivamente pensabili in esso e tutti i tipi pensabili, a qualsiasi grado di generalità, si connettono continuamente le une con gli altri. In questa continuità essi riempiono la spazio- temporalità (sensibilmente intuitiva) che è la loro forma (Form). Ogni forma che rientra in questa aperta infinità, anche quando è data come un fatto nella realtà, è priva di “obiettività”, perciò non è determinabile intersoggettivamente da chiunque - per es. da un altro che non la veda di fatto -, né comunicabile nella sua determinatezza. Evidentemente a costui serve la misurazione. La misurazione è qualcosa di molto differenziato, il misurare vero e proprio non è che il suo momento conclusivo: da un lato si tratta di produrre concetti adatti per le forme corporee dei fiumi, dei monti, degli edifici, ecc. che di regola devono rinunciare a concetti e a nomi rigorosamente determinanti; innanzitutto per le loro “forme” (nell’ambito della somiglianza visiva), e poi per le loro grandezze e per i loro rapporti di grandezza e; ancora, per l’ubicazione, mediante la determinazione delle distanze e degli angoli che vengono riportati a luoghi e a direzioni presupposti noti e immobili. La misurazione scopre praticamente la possibilità di scegliere come misura certe forme fondamentali empiriche, che sono concretamente definite su corpi che di fatto sono generalmente disponibili ed empirico-rigidi, e, mediante i rapporti che esistono (e che devono essere scoperti) tra queste misure e le altre forme corporee, cerca di determinare intersoggettivamente e in modo praticamente univoco queste forme - dapprima in sfere ridotte (ad es. nell’ agrimensura) poi per nuove sfere di forme. Si capisce così come, in seguito all’esigenza, ormai desta, di una conoscenza filosofica, di una conoscenza che determinasse il vero essere, l’essere obiettivo del mondo, la misurazione empirica e la sua funzione empiricamente- praticamente obiettivante, attraverso la trasformazione dell’interesse pratico in un interesse puramente teoretico, potesse venir idealizzata e trapassare così in un pensiero puramente geometrico. La misurazione prepara così la geometria universale e il suo mondo di pure forme- limite. (Husserl). Naturalmente la fenomenologia rappresenta in certo senso la guida di questo pensiero. Benché l’istante della transizione non possa essere documentato, è tuttavia chiaro che molte conoscenze geometriche siano state anticipate e presupposte nella tecnica degli agrimensori. Anzi in generale i problemi che sorgono nell’ambito della soluzione di difficoltà pratiche stimolano la ricerca sul piano teoretico–conoscitivo: la prassi tecnica genera motivi di riflessione teorica. E inversamente la riflessione teorica diventa un mezzo della tecnica; una volta che una scienza come la geometria si è costituita, quando cioè esiste un lavoro scientifico diretto in modo autonomo ad un universo di oggetti concettualmente definito, questo lavoro si ripercuote a sua volta sul terreno dei problemi tecnici suggerendo nuove idee e nuovi progetti. Logica trascendentale e mondo-della-vita Questa interconnessione tra precategoriale e categoriale non riguarda soltanto le scienze naturali e sociali, ma investono ovviamente anche le scienze formali e, tra queste, la logica, verso la quale Husserl, fin dall’inizio della sua attività filosofica, ha sempre mostrato particolare interesse. Dalle Ricerche logiche a Logica formale e trascendentale a Esperienza e giudizio, egli traccia la via di una genealogia della logica, in polemica con il logicismo e lo psicologismo, Nello sviluppo del suo pensiero si impone a Husserl anche l’esigenza di chiarire che genere di rapporto sussiste tra la logica antepredicativa e la logica predicativa. La percezione sensibile, per quanto consista nel tendere da parte dell’io verso l’oggetto intenzionato, è sempre una conoscenza instabile, insicura, che non consente mai di possedere l’oggetto conosciuto in maniera definitiva. Questo è possibile soltanto mediante una conoscenza predicativa, cioè attraverso la logica, la quale ha la capacità di fissare l’oggetto e di conservarlo anche quando non è presente nella percezione. La conoscenza antepredicativa e quella predicativa, perciò, si differenziano nettamente e ciascuna si caratterizza per una propria specificità. Se però si analizza la genesi della logica, ci si rende conto che bisogna rifarsi alla percezione sensibile per spiegare la logica predicativa. Questo significa che la conoscenza predicativa, di cui appunto la logica è l’espressione più compiuta, riposa fenomenologicamente, cioè dal punto di vista della sua fondazione, sulla conoscenza antepredicativa, cioè si esplicita in logica trascendentale. Scrive Husserl: Chiarito il contrasto tra scienza obiettiva e mondo-della- vita, occorre tuttavia localizzare la loro essenziale connessione: la teoria obiettiva nel suo senso logico (in termini universali, la scienza come totalità delle teorie predicative, dei sistemi logici in quanto sistemi di proposizioni in sé, di verità in sé e, in questo senso, di enunciati logicamente connessi) è radicata e fondata nel mondo-della-vita, nelle sue evidenze originarie. Proprio per questo la scienza obiettiva ha una costante relazione di senso col mondo in cui sempre viviamo, e in cui, quindi, viviamo anche nella nostra qualità di scienziati accomunati a tutti gli altri scienziati - si tratta cioè di una relazione col comune mondo-della-vita. Ma così la scienza obiettiva è un’operazione di persone pre-scientifiche, di persone singole e di persone accomunate nell’attività scientifica, di persone quindi che appartengono al mondo-della-vita. Le loro teorie, le formazioni logiche, non sono naturalmente cose del mondo-della-vita nel senso in cui lo sono i sassi, le cose, gli alberi. Sono totalità logiche e parti logiche costituite da elementi logici ultimi. Per parlare con Bolzano: sono rappresentazioni in sé, proposizioni in sé, conclusioni e dimostrazioni in sé, unità ideali di significato, la cui idealità logica è determinata dal loro telos “verità in sé”. Ma anche questa idealità, come qualsiasi altra, non muta nulla al fatto che sono formazioni umane connesse per essenza alle attualità e alle potenzialità umane, e che quindi rientrano nella concreta unità del mondo-della-vita, la cui concrezione dunque ha una portata maggiore di quella delle cose. Ciò vale, correlativamente, anche per le attività scientifiche, sperimentali, per le attività che in base all’esperienza plasmano le formazioni logiche, in cui esse compaiono in forma originaria e in modi originari di evoluzione, nei singoli scienziati e nella comunità degli scienziati: quale originarietà delle proposizioni, delle dimostrazioni, ecc. che sono state elaborate in comune (Husserl). Come potete notare, si tratta di un’ampia riflessione sul come le strutture logiche siano o meno adeguate alla dimensione della realtà oggettiva. In questo senso la logica trascendentale si presenta come logica dei fondamenti, ed è in seno ad essa che si costituisce la logica come scienza formale. La logica formale tradizionale, invece, ha ignorato la propria genesi, presupponendo come ovvia la validità delle proprie leggi. Al contrario, un giudizio logico deve essere valutato come un atto soggettivo di conoscenza che si impadronisce del suo contenuto. Per questo motivo le leggi logiche formali, che siano normative del giudizio, ma che non tengono conto del fatto che sono normative anche del suo contenuto, fanno sorgere interrogativi sulla validità dei loro giudizi sul mondo naturale e sulla verità ed evidenza dei loro contenuti. Seguendo questo punto di vista, Husserl sviluppa pienamente il tema della logica trascendentale in rapporto alle categorie di verità e di significato. Conseguentemente, la logica si configura qui come teoria delle teorie: essa non è solo un discorso logico sulla logica, condotto con i mezzi della logica, ma un metadiscorso sulla logica, che tuttavia non si presenta né come una sovrastruttura né come una forma speculativa. E’, a tutti gli effetti, una regressione, un ritorno ai fondamenti che l’hanno costituita nelle sue operazioni originarie, anche storiche, nonché nelle sue operazioni attuali. Le ricerche fenomenologiche, ribadisce Husserl, risultano necessarie alla logica pura, trascendentale. Ne rappresentano la sua fondazione intuitiva e precategoriale: in quanto la logica è da ricercare nelle operazioni costitutive, diventa logica filosofica, filosofia prima, teoria della teoria. Ma, badate bene, ciò non è in contraddizione con la fondazione precategoriale: è solo l’altra faccia della questione, poiché la fondazione deve sempre essere ristabilita nella presenza e nelle modalità temporali e quindi genetiche e storiche. Le scienze, invece, che non prendono in considerazione ciò che costituisce il loro fondamento trascendentale, cioè le condizioni per cui si danno, si risolvono in pure tecniche di manipolazione di simboli linguistici. Mauro Di Giandomenico. Giandomenico. Keywords: l’apertura semantica, “How Pirots Karulise Elatically” – pirots karulise elatically – pirots karulise – ‘implicazione’ – aperture semantica, Galileo, la retorica di Galilei, Galilei, lo stile di Galilei, Vinci, I corpi, la filosofia positivistica italiana  -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giandomenico: l’implicatura conversazionale: ‘Pirots karulise elatically; therefore, pirots karulise!” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Giani: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- implicatura mistica – l’implicatura di Catone – la scuola di Muggia -- filosofia muggiana – filosofia triestina – filosofia friulese – filosofia veneta. filosofia italiana – Luigi Speranza (Muggia). Filosofo muggiano. Filosofo trestino . Filosofo italiano. Muggia, Trieste, Friuli-Venezia Giulia. Grice: “It’s hard for me to judge Giani’s philosophy because I fought against the Italians during the so-called ‘second world war,’ so-called!” Grice: “But I would be willing to expand: if Giani developed what he aptly called a ‘mystique’ – so did we at Oxford – Churchill surely held his ‘mystique.’ Of course the Italian, being more scholastic, had to call it ‘scuola di mistica,’ – and the idea was that of an all-male chivalry order – aptly set at Milan!” Fonda la corrente filosofica nota come "Mistica". Partì come volontario di guerra e morì sul fronte. Frequentato il Liceo ginnasio di Trieste. Si trasfere a Milano, dove si iscrive a Milano e quindi ai Gruppi Universitari, laureandosi. Anticipa l'imminente apertura della scuola sul foglio dei Gruppi Universitari, "Libro e moschetto" della scuola di mistica. Ne divenne direttore, carica che lasciò alla fine dell'anno seguente dopo aver scritto il suo ampio discorso da tenersi a Roma in occasione dellaI iunione della Società Italiana per il Progresso delle Scienze che coincide anche con il decennale della Marcia su Roma in cui enuncia i principi della nuova scuola.  Su impulso di G. si comincia inoltre a pubblicare i Quaderni della scuola di mistica. Poche settimane dopo la riunionesi dimise da direttore con una lettera inviata a MUSSOLINI, per contrasti interni con il segretario politico dei Gruppi Universitari. Imputa le dimissioni al mancato trasferimento della scuola nella vecchia sede de Il Popolo d'Italia chiamato anche "Il covo" La richiesta di entrare in possesso de "Il covo" punta ad ottenere il possesso di uno degl’ambienti più importanti dell'immaginario fascista. Continua quindi a collaborare con diversi quotidiani come "Il Popolo d'Italia" e "Gerarchia". "Lineamenti sull'ordinamento sociale dello stato" gli fa ottenere la libera docenza e e quindi la cattedra a Pavia ma parte volontario per la guerra arruolandosi col grado di capomanipolo della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale nel Battaglione"Vercelli".  Rientrato in Italia, riassunse la guida della scuola, qui in occasione della chiusura dell'anno scolastico nell'aula della casa del Fascio di Milano. Rientrato in Italia riassunse la carica di direttore della "Scuola di Mistica" lanciando due importanti iniziative, rilancia la pubblicazione della serie di "Quaderni" che affrontavano differenti problematiche e sempre per sua iniziativa fu creata nell'ambito della scuola la rivista mensile, Dottrina che divenne l'organo ufficiale della Scuola, in cui pubblica  il "Decalogo dell'italiano nuovo”. Si dedica inoltre al giornalismo diventando direttore a Varese di "Cronaca prealpina" e collaborando a diverse testate, tra cui Tempo (Direttore: Acito). Dalle pagine di "Cronaca prealpina" prese parte alla campagna fondata sui propri convincimenti del ‘spirito’ contrapposto al "biologico"  La Cronaca prealpina dopo la nomina di G. a direttore arriva a quadruplicare la tiratura.   L'incontro a Roma con Mussolini in cui si decise la cessione del covo ai "mistici" della Scuola. Su impulso di G., con una cerimonia presieduta di Starace, la sede ufficiale della scuola di mistica si sposta nel medesimo edificio che ospitò ai suoi primordi il giornale Il Popolo d'Italia, chiamato il covo. Il covo negli anni e stato trasformato in una galleria. La palazzina e proclamata monumento nazionale con tanto di guardia d'onore  svolta da squadristi e combattenti. Per esplicita decisione di Mussolini, e ufficialmente consegnata ai mistici della scuola. L'evento e vissuto come una autentica consacrazione dei insegnanti riuniti intorno a G.. In realtà la consegna e già stata disposta come risulta da un foglio d'ordini del PNF e in quell'occasione il consiglio direttivo e ricevuto a Roma da MUSSOLINI. Mussolini li aveva spronati continuare nella loro attività.  A Milano, in occasione del decennale dalla fondazione della scuola, organizza il convegno di mistica che nelle sue intenzioni dove essere il primo della serie. Obiettivo che sfuma a causa dell'entrata in guerra. L'incontro vide oltre 500 partecipanti ed ha l'adesione della maggior parte dei filosofi dell'epoca. Come gran parte dei mistici, partecipa nuovamente come volontario alla seconda guerra mondiale, conflitto nel quale vede il presagio di una rivoluzione in vista di una nuova era.  Inquadrato nel  reggimento alpini prende parte alla battaglia delle Alpi Occidentali contro la Francia venendo decorato con la medaglia d’argento al valor militare.Terminata la campagna di Francia in seguito all'armistizio torna alla vita civile ma incominciata nel frattempo la guerra in nord Africa richiese più volte di partire volontario senza ottenere soddisfazione. Alla fine ottenne di partire  come corrispondente di guerra de Il Popolo d'Italia, della Cronaca prealpina e de L'Illustrazione Italiana presso i reparti della regia aeronautica. Per quest'ultima realizza anche diversi servizi fotografici. All'attività di giornalista affiance anche quella di militare prendendo parte ad alcune azioni e ottenendo una medaglia di bronzo al valor militare. E richiamato in Italia dove riassunge la guida de "La cronaca prealpina".Nuovamente incorporato nel reggimento alpini riparte infine come volontario per la campagna di Grecia, dove cadde sul fronte greco-albanese nella battaglia per la conquista della Punta Nord del Mali Scindeli. Si offre volontario per una pericolosa missione che prevede la conquista di una munita postazione greca. L'attacco ebbe inizialmente successo con la conquista della posizione ma riorganizzatisi i greci condussero un contrattacco. Nello scontro cadde. Il periodico L'Illustrazione Italiana scrive, senza riportare dove o come avrebbe potuto registrare tali parole, che l'ufficiale greco che lo aveva colpito a morte avrebbe raccontato che nello scontro G. gli si era parato davanti "come un dio o un demone".  Il corpo di G. anda disperso e gl’altri assaltatori che  prendono parte all'attacco dovettero ritirarsi rapidamente incalzati dai soldati greci. E pochi giorni dopo incaricato delle ricerche Carati che e anche vice-direttore della scuola di mistica. Le ricerche a causa della perdurante situazione di guerra sono nulle, e riuscì solo ad individuare il luogo in cui e caduto.  In quell'occasione, richiesta un'udienza al duce, chiede che puo partire per l'Albania il cognato Guido G. e il fratello Sampietro. Questi ultimi rinvennero la salma sepolta in maniera anonima in territorio greco. Di qui la salma e translata nel piccolo cimitero militare di Klisura.  MUSSOLINI e preso come principale punto di riferimento dalla scuola di mistica. Elabora un discorso programmatico in cui enuncia i principi fondanti della Scuola e della Mistica fascista. Compito nostro deve essere soltanto quello di coordinare, interpretare ed elaborare il pensiero del Duce. Ecco perché è sorta una Scuola di mistica ed ecco il suo compito: elaborare e precisare i nuovi valori  che sono nell'opera del Duce.  (G. in La marcia sul mondo). Inizialmente i principi esposti da G. fanno parte di un discorso più ampio da tenersi a Roma in occasione di una riunione della Società Italiana per il Progresso delle Scienze. L'ampio discorsoe poi pubblicato nella serie dei "Quaderni" voluti da G. con il titolo "La marcia sul mondo della civiltà". Si impone un ritorno alle origini, ovvero al movimentismo rivoluzionario, riallacciandosi idealmente all'esperienza delle prime squadre d'azione e degli arditi della Grande Guerra quindi, secondo Veneziani "una più radicale rivoluzione coniugata al recupero di una più integralistica tradizione. Ma più che legati agli enunciati politici del manifesto di sansepolcro i mistici di quella esperienza esaltavano soprattutto la lotta contro la borghesia affaristica del primo dopoguerra. La mistica si considera rappresentante proprio di questo mondo ispirato dall'amore di patria e posta a guardia della rivoluzione permanente e in contrasto con gli opportunisti e i trasformisti. Individuava nell'epoca contemporanea *quattro* principali mistiche, destinate ad apportare in un primo tempo dei benefici ma poi a fallire: liberale, democratica, socialista e comunista. Liberalismo, democrazia, socialismo e comunismo sono le quattro mistiche dominanti nella societa. Il bilanciolo abbiamo già visto è per tutte negativo. Il liberalismo porta all'anarchia. La democrazia porta all'instabilità politica e sociale. Il socialism porta alla otta civile. Il comunismo porta alla vita primitiva. Queste quattro mistiche sono pertanto anti-storiche. A fronte di esse l'unica mistica in grado di superare tali crisi era quella come sviluppato nel capitolo intitolato "La marcia ideale" la cui conoscenza e diffusione presso le masse era compito della élite. Medaglia d'argento al valor militarenastrino per uniforme ordinariaMedaglia d'argento al valor militare «Volontario nella guerra d'Africa ove prese parte volontario a diverse pattuglie esploratori, chiese ed ottenne di essere anche in quest guerra assegnato ad un reparto combattente. Destinato all'11º alpini volontario a due azioni del battaglione Bolzano chiese di partecipare alla ardita discesa di due compagnie del battaglione Trento effettuata in una valle occupata dal nemico e avanzò con la prima pattuglia sotto intenso bombardamento, sprezzante del grave pericolo di sorprese e di accerchiamento nemico, esempio trascinante a ufficiali e soldati, e prova di dedizione alla patria, di alta fede e di valore. Medaglia di bronzo al valor militarenastrino per uniforme ordinariaMedaglia di bronzo al valor militare «Corrispondente di guerra presso una squadra aerea disimpegnava il suo particolare e delicato servizio con alto senso di responsabilità. Spesso presente sugli aeroporti più avanzati e maggiormente battuti dall'offesa nemica allo scopo di rendersi conto di ogni particolare, partecipava volontariamente a difficili e rischiose missioni di guerra, dando sicura prova anche nelle più critiche circostanze di sereno sprezzo del pericolo e completa dedizione al dovere.» Medaglia d'oro al valor militarenastrino per uniforme ordinaria medaglia d'oro al valor militare. Volontariamente, come aveva fatto altre volte, assumeva il comando di una forte pattuglia ardita, alla quale era stato affidato il compimento di una rischiosa impresa. Affrontato da forze superiori, con grande ardimento le assaltava a bombe a mano, facendo prigioniero un ufficiale. Accerchiato, disponeva con calma e superba decisione gli uomini alla resistenza. Rimasto privo di munizioni, si lanciava alla testa dei pochi superstiti, alla baionetta, per svincolarsi. Mentre in piedi lanciava l'ultima bomba a mano ed incitava gli arditi col suo eroico esempio, al grido di: «Avanti Bolzano! Viva l'Italia», veniva mortalmente ferito. Magnifico esempio di dedizione al dovere, di altissimo valore e di amor di Patria. Punta NordMali Scindeli (Fronte greco) Saggi: “La via della gloria, anni 20 La marcia sul mondo della Civiltà Fascista, Lineamenti su l'ordinamento sociale dello Stato, Giuffré ed. La mistica come dottrina. Perché siamo, A. Nicola. Perché siamo mistici. Mistica della rivoluzione. Antologia di scritti, Il Cinabro,  Longo, “I vincitori della guerra perduta” (sezione su  G.), Settimo sigillo, Roma.Carini, G. e la scuola di mistica fascista,  Mursia, Antonellis, Come doveva essere il perfetto, su storia illustrate, Antonellis, Come dove essere il perfetto, su storia illustrate, Carini nella prefazione su  G., La marcia sul mondo, Novantico, Pinerolo, Carini,  G. e la scuola di mistica, Mursia,Carini, G. e la scuola di mistica, Mursia, Carini, G. e la scuola di mistica fascista, Mursia, Carini nella prefazione su G., La marcia sul mondo, Novantico, Pinerolo, Grandi, Gli eroi, G. e la Scuola di mistica, Cfr. a tale proposito le ricerche di Laforgia, una cui sommaria sintesi è nel sito varesenews Archiviato. Carini nella prefazione su G., La marcia sul mondo, Novantico, Pinerolo, Il saggio, edito da Dottrina Fascista, riporta in forma integra la conferenza inaugurale tenuta da G. per l'inaugurazione del corso per maestri della scuola di mistica. Cfr. a tale proposito le ricerche di Laforgia in Grandi, Gl’eroi di Mussolini, BUR, Milano, Antonellis, Come doveva essere il perfetto, su storia illustrate, Veneziani, La rivoluzione conservatrice in Italia, Sugarco, Varese, Longo, Gl’eroi della guerra perduta, Settimo sigillo, Roma,  L'Illustrazione italiana, Grandi, Gli eroi di Mussolini. G. e la Scuola di mistica fascista, Grandi, Gl’eroi di Mussolini. G. e la Scuola di mistica fascista, G., La marcia sul mondo, Novantico, Pinerolo, Carini nella prefazione su G., La marcia sul mondo, Novantico, Pinerolo, Marcello Veneziani, La rivoluzione conservatrice in Italia, Sugarco, Varese, G., La marcia sul mondo, Novantico, Pinerolo, Carini nella prefazione su G., La marcia sul mondo, Novantico, Pinerolo, Carini nella prefazione su G., La marcia sul mondo, Novantico, Pinerolo, Carini, G. e la Scuola di mistica, prefazione di Veneziani, Mursia, Milano, Grandi, Gli eroi di Mussolini. G. e la Scuola di mistica, BUR Biblioteca Rizzoli, Raido Speciale Scuola di Mistica, Raido, Roma, Arnaldo M., Coscienza e dovere. G. MISTICA DELLA RIVOLUZIONE FASCISTA Antologia di scritti.  In breve: Siamo mistici perchè siamo degli arrabbiati, cioè dei faziosi, se così si può dire, del Fascismo, uomini partigiani per eccellenza e quindi anche assurdi Del resto nell’impossibile e nell’assurdo non credono gli spiriti mediocri. Ma quando c’è la fede e la volontà, niente è assurdo». (Niccolò Giani) Un’antologia che raccoglie i più significati testi di G., tra i massimi esponenti della corrente più radicale, oltranzista e universale del Fascismo, la Scuola di Mistica Fascista. Questa antologia rappresenta la prima raccolta organica dei più significativi scritti di G.  È, a nostro giudizio, il modo migliore per illustrare senza filtri la sua persona, la sua filosofia, e la sua azione. È un omaggio doveroso al testimone di quello che e il Fascismo universale e intransigente che mai scese a compromessi con la vita comoda, al rinnovatore spirituale e politico di una intera generazione. Esempio di eroismo che, al di là della contingenza storica, seppe essere coerente con i propri principî vivendo l’ideale sino all’estremo sacrificio; quasi innalzando il Fascismo ad una categoria universale dell’essere, come fonte inesauribile di spiritualità cui innestarsi per fare la rivoluzione dell’uomo e del mondo. G., nato a Muggia, cadde sul fronte greco nello slancio del combattimento, trasfigurato ormai nell’eroismo muto. Dimostra con la vita affermata oltre la morte, l’armonia tra pensiero e fede, la continuità tra filosofia ed azione, e della autentica rivoluzione rimane il puro rappresentante del nuovo italiano: per questo il suo esempio e il seme fecondo dell’aspro cammino di domani. Seppe con l’azione indicare la strada, con l’intransigenza insegnare l’esempio. I tesserati sono i suoi avversari. Contro di essi combatté, contro cioè i falsi, i presuntuosi, gli esibizionisti, i retorici, gli arrivisti; contro coloro, insomma, che considerarono la rivoluzione come atto di ordinaria amministrazione, sfruttabile per fini personali. Il Cinabro Ufficio stampa Rimbotti: Mistica Fascista. L’ordine della Milizia sacra; Rossi: La Mistica Fascista dell’Uomo Nuovo. Tra milizia politica e meta-politica la scuola rivoluzionaria del Fascismo; Mezzasoma: G., discepolo di Arnaldo. Decalogo dell’Uomo Nuovo La marcia ideale sul mondo della Civiltà fascista Generazioni di Mussolini sul piano dell’Impero Civiltà fascista civiltà dello spirito Aver Coraggio A difesa dell’Europa Fuori La mistica come dottrina del fascismo Le due Europe Mistica del fascismo, Corporativismo e Autarchia Il Centro di preparazione politica per i giovani. Fucina di Campioni della Rivoluzione Valore primordiale del covo I soliti imbecilli L’equivoco Perché siamo dei mistici Il volto della guerra Testamento spirituale al figlio G.: Presente!Mistica Della Rivoluzione Fascista E questo diritto alla prima linea, ad essere i disperati del Fascismo, è l’unica pretesa che, oggi, domani, sempre, i mistici del Fascismo accamperanno di fronte alla Rivoluzione, come, con vena veramente squadrista, ha detto PALLOTTA (si veda) nella sua relazione che ha avuto lo spirito e la mordenza del «menefreghismo» più autenticamente fascista. Prima linea, sul fronte esterno ed interno, contro il nemico di fuori e di dentro. Contro gli attentatori della nostra integrità territoriale, ma anche, e con uguale decisione e durezza, contro gli attentatori della nostra integrità spirituale (G.)  Le conseguenze derivate dalla fine del primo conflitto mondiale e l’immediatarossi 5 crisi strutturale delle istituzioni e dei valori che investì, con una forza che non aveva avuto precedenti nella storia, le società europee, vennero allora giudicate come l’annuncio di un radicale mutamento di tutte le forme della vita politica e civile fino ad allora conosciute e complessivamente accettate. Una deflagrazione interna dei costumi, di certezze consolidate e di mentalità che modificò in maniera irreversibile l’immaginario collettivo di popoli e nazioni. Niente sarebbe più stato come prima. Uno Spirito nuovo si affacciava con ruvida decisione e realismo eroico reclamando il proprio posto nella Storia. L’alba delle grandi rivoluzioni si affacciava sul continente europeo e i popoli si sarebbero messi in marcia affascinati da nuove e esaltanti Weltanschauung.  Per Bruck, uno dei primi e tra i più significativi esponenti della Rivoluzione Conservatrice tedesca, si tratta di una presa di posizione a carattere diffuso più che evidente. Assistiamo all’evento per cui tutto quel che non è liberale si unisce contro quel che è liberale. Noi viviamo i tempi di questa agitazione mondiale, che si produce per una estrema consequenzialità, e che si esplica in una rivoluzione radicale che prospetta la perdita da parte del nemico della sua posizione di potere: tale nuova situazione mondiale esordisce con un allontanamento dall’Illuminismo.”  Il periodo che immediatamente fece seguito al termine di un conflitto di così immensa portata, venne visto dai più attenti e acuti osservatori incredibilmente saturo di una genuina e stupefacente valenza rivoluzionaria e innovatrice, ciò significò l’inizio di una nuova stagione di entusiastiche mobilitazioni che avrebbero alla fine tonificato la fibra morale e politica del continente fino ad allora logorata ed estenuata da sovrastrutture ipocrite e corrose nel loro intimo che erano riuscite, attraverso innumerevoli sotterfugi, a sopravvivere a se stesse, sempre più annichilite da un pervasivo decadentismo culturale e morale e dal predominio di una mentalità borghese e oligarchica connotata dalle sue più perniciose vedute utilitaristiche e mercantilistiche.  Le conseguenze della fine della grande guerra significarono soprattutto una presa di coscienza collettiva e un’accelerazione formidabile dei fenomeni sociali, accompagnate entrambe da una esigenza totalmente nuova di considerare l’esistenza e i rapporti umani, esigenza che venne principalmente percepita prima dai combattenti e poi dai reduci come il frutto maturo della traumatica e allo stesso tempo travolgente esperienza della guerra di trincea, insomma un insieme di condizioni imprescindibili che prepararono il terreno e l’atmosfera per l’avvento delle ondate rivoluzionarie nazionalpopolari che misero in crisi valori e regole consolidate da tempo, assestando colpi mortali alle strutture politiche, sociali e culturali delle società borghesi liberal-democratiche.  Dalle forme statiche si passava alle forme dinamiche, nel senso jungeriano del termine.  Il Fascismo è la matrice principale che inaugurò la feconda ed entusiasmante stagione delle insurrezioni nazional-rivoluzionarie e il primo laboratorio culturale delle ancor più affascinanti sintesi nazionali e sociali.  Furono infatti i reduci del fronte, gli ex-combattenti che avevano creduto fino in fondo ad una particolare visione eroica della vita propria di una ideologia della guerra sviluppatasi nell’interiorizzazione del sacrificio bellico e del sangue versato – subendo poi la frustrazione di una vittoria conseguita sul campo di battaglia a duro prezzo che videro mutilata negli accordi di pace internazionali – a rappresentare la spina dorsale di una innovativa e volontaristica visione politica che pretendeva di coniugare un nazionalismo intransigente e guerriero partorito nelle trincee con le più avanzate e spregiudicate chiavi di lettura sociali.  La grande guerra di popolo aveva travasato nei combattenti il senso della tensione nazionale e sociale verso scopi e missioni comuni, una nuova coscienza collettiva che sarebbe stata cementata da un formidabile sentimento di fraterno e virile cameratismo, il culto della differenza e del radicamento nella specificità etnica della Stirpe italica. Gli squadristi fascisti non fecero altro che travasare tutti questi motivi nelle battaglie di piazza.  Sorti dalla guerra di popolo, divennero avanguardia di popolo. E il 28 Ottobre 1922 sarà il coronamento dei loro sacrifici, la loro apoteosi.  D’altronde era stato lo stesso Mussolini a dire che l’esperienza della guerra avrebbe generato le migliori condizioni per la rivoluzione sociale e politica. Anzi, ne sarebbe stata la prefazione. Era il novembre 1916 e Mussolini combatteva sul fronte del Carso, nei ranghi del 11° Reggimento Bersaglieri: “Noi vinceremo la guerra: ma poi dovremo vincere la pace. Sarà duro; ma ci arriveremo. La società italiana deve assolutamente mutare. Sugl’italiani bisogna contare. Questa guerra che noi combattiamo e che con tragica definizione viene detta di logoramento, porterà alla ribalta delle lotte civili una generazione che riuscirà a fare quello che la nostra non è riuscita a fare: il riscatto sociale e politico del mondo del lavoro, al di sopra e al di fuori dei dottrinarismi che oggi lo incatenano. A ciò non saremmo mai arrivati se non avessimo voluto la guerra, rovesciato i vecchi feticci sostituendo alle vuote ideologie i fatti e le loro naturali conseguenze. Questo non sarà solo di noi, ma anche di altri popoli.”  Una lucida e profetica anticipazione di quanto sarebbe poi accaduto in tutta l’Europa. Tutto questo si pose, in maniera del tutto naturale, in totale opposizione al principio democratico in politica e a quello liberale nel campo economico, all’insegna di una rivoluzionaria concezione elitaria, fortemente gerarchica e anti-egualitaria che reclamava la valorizzazione delle minoranze attivistiche e carismatiche con la conseguente affermazione del principio guida del Capo, con il mito dello Stato totalitario come asse formante e legittimante della Comunità nazionale e non ultimo la funzione pedagogica del Partito unico, soprattutto mediante una costante mobilitazione politica delle masse, una sacralizzazione della politica attraverso il ricorso a liturgie collettive, miti e simbologie, e una crescente militarizzazione della vita sociale e civile, l’intervento statale attraverso gli istituti del Corporativismo per una razionale direzione disciplinata dell’economia che ponesse termine all’epoca del predominio delle oligarchie mercantilistiche e parassitarie e riportasse la vita economica al servizio dell’interesse collettivo subordinandola alle necessità politiche nazionali. Infine, l’affermazione sovrana di una particolare e severa tipologia umana di nuova impronta che avrebbe rappresentato lo spirito del nuovo tempo: l’Uomo Nuovo, l’Uomo integrale come manifestazione vivente di una Tradizione atemporale che ebbe la volontà e la capacità di tradursi in Rivoluzione. Proprio nel senso di quell’interpretazione che G. sa dare, facendosi portavoce di quegli ambienti del Fascismo intransigente e rivoluzionario che vollero interpretare al meglio gli insegnamenti mussoliniani: “Il Fascismo è un richiamo violento alla Tradizione, non un ritorno o una ripetizione. Per noi fascisti la Tradizione come lo dice il significato etimologico del termine e come Evola ha documentato, è e non può essere che dinamica. Altrimenti si parlerebbe di conservatorismo o di reazione. Invece, la Tradizione è continua coniugazione, attraverso il presente, del passato e dell’avvenire; è processo inesausto di superamento, è una fiaccola accesa con la quale ogni popolo illumina la propria strada e corre nel tempo verso l’avvenire. Ecco perché, oggi, Rivoluzione e Tradizione non si escludono, ma anzi si identificano e questo spiega il culto che noi abbiamo pel passato e dice ai soliti uomini dai paraocchi che l’italiano non può che essere fascista. Questa nuova visione della politica rappresentata dal Fascismo rappresentò inequivocabilmente la radicale negazione dei principi emersi dalla rivoluzione francese, una evidente antitesi storica e culturale di quanto fu incarnato dall’illuminismo, che costituì l’essenza di tutte le manifestazioni materialistiche ed economicistiche della decadenza moderna: da quelle individualistiche, liberali e democratiche a quelle cosmopolite, genericamente progressiste e marxiste.  Il Fascismo, anche nella sua più vasta comprensione europea, intese proporre in maniera concreta ed efficace un discorso radicalmente alternativo alla politica borghese e alla società borghese richiamandosi al concetto di avanguardia delle idee, un’avanguardia rivoluzionaria che fosse in grado, senza contraddizioni, di saldare assieme passato e presente vincendo così la sfida della modernità, sostituendo il vigore giovanile della passione idealistica e volontaristica alla decadente dissolutezza del conservatorismo borghese e il cameratismo militante radicato nella coscienza popolare alla società atomizzata e polverizzata delle democrazie liberali.  Un discorso ambizioso per un’avanguardia che ambiva ad essere al contempo simbolo della genuinità politica e della resurrezione spirituale, una speranza che venne riposta nel mito capacitante dell’Uomo Nuovo creatore di nuovi valori, l’esemplare di una specifica specie umana lanciata alla conquista del futuro senza per questo dover recidere le radici culturali e spirituali che lo mantenevano legato alla propria dimensione storica, etnica e popolare; nei confronti della quale si espresse il Duce parlando all’Assemblea delle Corporazioni: “L’uomo economico non esiste, esiste l’uomo integrale che è politico, che è economico, che è religioso, che è santo, che è guerriero. Quindi questa figura particolare dell’Uomo Nuovo, capace di raccogliere in sé tutte le sue forze creative, che la cultura rivoluzionaria del Fascismo propone e che non mancava costantemente di ricollegare alla stagione dello squadrismo, così intrisa di eroicità e di sacrificio, riconduceva alla stessa definizione dell’Uomo integrale di mussoliniana memoria, ovvero un uomo che non esistesse unicamente perché cartesianamente pensante, ma perché arricchito di tutte quelle virtù “romanamente” intese, eroiche, civiche e politiche, sia nella ragione come nei sentimenti.  Spesso e volentieri nell’immaginario intellettuale il discorso sull’Uomo Nuovo si andava a concretizzare poi nell’ideale della gioventù, una gioventù non solamente intesa in senso spirituale ma anche come dato anagrafico, poiché il concetto di gioventù rimandava all’ansia del cambiamento e all’impeto rivoluzionario, racchiudendo in se stessa gli ideali della forza e della bellezza, di una esuberante virilità aggressiva, l’anelito vitale di un futuro tutto da conquistare, proprio l’opposto di quanto ancora proponevano i rappresentanti delle democrazie borghesi con tutte le loro desuete convenzioni e i loro logori formalismi, con tutta la loro boriosa rispettabilità e lasciva ipocrisia. Il Fascismo fu quindi profondamente giovane e irruento, meravigliosamente violento e lo fu sia spiritualmente che anagraficamente.  Il comune denominatore della più intransigente e autentica cultura fascista, quella derivata appunto dalla passionale ed eroica stagione dello squadrismo, si trovava nell’aspirazione alla realizzazione di un originale disegno politico ed esistenziale da esplicarsi mediante cambiamenti radicali frutto di una ferma volontà rivoluzionaria che armonizzava i riferimenti alla rivolta romantica dell’interventismo e alla mistica eroica evocata dalla guerra di trincea con i nuovi miti palingenetici di trasformazione della società e dello Stato. Questa cultura dell’azione che si nutriva dello spirito barricadiero di rivolta contro l’ordinamento borghese in nome di un rivoluzionario e fascista Ordine Nuovo era la caratteristica di quell’ambiente fascista che si riconosceva, anche per esperienza diretta, nel mito capacitante delle aristocrazie del combattentismo – quella trincerocrazia più volte evocata da Mussolini – e nella scuola di vita e di coraggio rappresentata dalla militanza squadristica che venne vissuta, letta ed interpretata non solamente come una reazione organizzata e armata volta all’annientamento dei focolai dell’insurrezionalismo marxista, ma soprattutto come militanza rivoluzionaria e idealistica volta alla rigenerazione della Nazione e alla creazione di uno Stato nuovo. Una specifica rilettura che si svolgeva anche in aperta polemica con coloro che ritenevano che la nascita del governo presieduto da Mussolini, all’indomani della marcia su Roma, rappresentasse la fase risolutiva del Fascismo. In questo modo, il Fascismo, doveva e poteva assumere una superiore valenza metafisica affermando il suo essere come un completamento naturale e organico della storia della Nazione italiana, andando ben oltre la semplice insorgenza anti-sovversiva e anti-modernista – non a caso lo stesso G. volle mettere l’accento sul fatto che la Rivoluzione Fascista infatti non è stata reazione come qualcuno ha creduto in origine e come tuttora si crede da molti all’estero; è stata invece l’ostetrica della nuova storia. E sorta una nuova civiltà capace di risolvere tutti i problemi della società contemporanea. Per costoro, che in fondo rappresentavano la vasta base della militanza fascista e anche quella intellettualmente più viva, l’agire politico del Fascismo non doveva assolutamente compromettersi con i residui della vecchia classe dirigente, che in virtù del processo di normalizzazione e di pacificazione avviato dal Duce si adoperavano nell’inserimento all’interno dei gangli del regime, doveva invece mantenere e tonificare una assoluta intransigenza dottrinaria senza incorrere in alcun cedimento politico e morale, perché se il Fascismo era una rivoluzione, doveva necessariamente procedere nei suoi obiettivi con mentalità e metodi rivoluzionari, come perentoriamente affermò un autorevole esponente dell’epopea squadristica della statura di FARINACCI (si veda). Bisogna insomma che la bestia proteiforme del vecchio conservatorismo sornione sia liquidata bruscamente; che le vecchie clientele d’interessi e d’ambizioni fiorite ai margini della vita politica italiana siano messe in mora, vigilate, controllate, sopra tutto tenute lontane, bisogna che sia impedito a chiunque di rifarsi, attraverso il fascismo, una qualsivoglia verginità e continuare, sotto mentite spoglie, le abitudini peccaminose del passato. La vittoria deve essere integrale. Tra gli oppositori più accaniti della deriva moderata si evidenziarono gli ideatori della Scuola di Mistica Fascista, costituitasi a Milano, tutti provenienti da quella generazione dei GUF che era cresciuta respirando l’atmosfera del Fascismo, maturando così una profonda convinzione nei miti fondatori del regime e una fedeltà assoluta nella persona del Duce.  Al loro fianco si schierarono altre personalità di spicco del Fascismo rivoluzionario: RICCI (si veda) con il suo universalismo fascista, PAVOLINI (si veda) e l’esaltazione della primavera squadristica, ROSSONI (si veda) con tutte le aspettative del sindacalismo rivoluzionario.  La Scuola di Mistica Fascista verrà intitolata a Mussolini, il figlio prematuramente scomparso di Mussolini. G., PALLOTTA (si veda), MEZZASOMA (si veda) e molti altri entusiasti, avvalendosi della guida orientatrice di Arnaldo Mussolini, seppero rappresentare, attraverso l’opera che fu sviluppata dalla Scuola, una autentica e intransigente avanguardia intellettuale e morale posta a difesa dei valori espressi dalla Rivoluzione Fascista, che sempre più doveva farsi rivoluzione culturale e antropologica per meglio adempiere alla consegna rivoluzionaria che il Duce del Fascismo aveva dato alle nuove generazioni. È G. a spiegare gli scopi dell’istituzione: “Poiché una mistica è un postulato di tanti credo, e un valore assoluto non lo si può derivare che da una fonte indiscutibile, questa fonte non può essere che il Duce. Ecco perché la fonte deve essere quella, esclusivamente quella. Compito nostro deve essere soltanto quello di coordinare, interpretare ed elaborare il pensiero del Duce. Ecco perché è sorta una Scuola di Mistica fascista ed ecco il suo compito: elaborare e precisare i nuovi valori del Fascismo che sono nell’opera del Duce. Quindi una rivoluzione culturale, del carattere e dello Spirito che, attraverso interessanti rievocazioni del mito della romanità e della sacralità della Stirpe – rappresentazioni metastoriche e metafisiche della migliore tradizione aryo-romana – sarebbe approdata ad una coesione organica della Stirpe italica costituitasi in Comunità nazionale e avrebbe dato all’Italia fascista il diritto-dovere di adempiere ad una missione universale facendo del Fascismo il crocevia della storia europea del ventesimo secolo e il riformatore dei tratti essenziali della Civiltà contemporanea in ogni suo aspetto, la ripresa e il rinnovamento dell’Europa all’indomani del fallimento della democrazia liberale e delle utopiche promesse marxiste. Aprire la strada al secolo fascista. Certamente nella visione della Mistica fascista elaborata dalla Scuola vi era la ferma consapevolezza che il Fascismo fosse una autentica rivoluzione totale della società italiana: spirituale ed etica, sociale e politica, ma al contempo anche una ripresa di tutte le tradizioni essenziali, però la memoria storica proposta non si sarebbe dovuta risolvere in un ripiegamento nel passato, l’immagine del passato non finì mai per schiacciare la dimensione del presente e tanto meno si configurò come un richiamo intensamente nostalgico, bensì le potenzialità ideologizzanti della rimemorazione storica vennero fatte espandere fino a provocare una vera e propria occupazione del cosiddetto campo dei ricordi – una lotta spirituale e rivoluzionaria per il dominio del ricordo e della memoria che conduce ad una riscrittura della cronologia nazionale che rispecchiasse le concezioni del pensiero irrazionalista, anti-intellettualista e pragmatista dei decenni trascorsi, un pensiero profondamente permeato di sfumature di matrice nietzschiana e soreliana.  Anche i richiami alla Mistica insita nel Fascismo erano animati dallo spirito di rivolta, contro le mentalità borghesi ancora sussistenti, delle nuove generazioni cresciute ed allevate nelle organizzazioni totalitarie giovanili e universitarie, una rivolta che si manifesta con i forti caratteri di un idealismo morale ed etico qualitativamente aristocratico esprimente l’esaltazione di una giovinezza istintiva, disinteressata e piena di spirito vitale, aggressiva, pura e decisa a dare battaglia a qualsiasi forma di conservatorismo e di borghese buon senso pur di affermare il carattere intransigente e le finalità rivoluzionarie sociali e spirituali del Fascismo. Non vi era nessun punto di convergenza con eventuali nostalgie reazionarie, mentre invece era presente una totale e coerente aderenza alle istanze di trasformazione rivoluzionaria che il Fascismo esigeva e che ancor di più il Duce imponeva.  Per questi giovani attivisti non vi era altra strada per uscire definitivamente dalla crisi della modernità, esplosa alla fine del primo conflitto mondiale, che con un mutamento radicale del popolo italiano e una tale mutazione antropologica poteva provenire solamente da una fede ben salda che aveva iniziato a germinare in un primo tempo con l’esperienza della guerra nel mito della Nazione in armi, della guerra di popolo, proseguendo poi con l’esaltante epopea della lotta squadristica, per approdare infine nella costruzione dello Stato fascista di popolo, corporativo e totalitario, il compimento finale del rinnovamento sociale e spirituale della Stirpe e della grandezza politica della nazione. Nel corso degli anni che trascorsero fino all’entrata in guerra dell’Italia la scuola di mistica fascista assolse in maniera esemplare ai compiti che si era prefissata, ovvero l’ambizione di voler rappresentare l’infrangibile scudo morale, etico e dottrinario contro il quale si sarebbero dovute infrangere le velleità dei nemici del duce e del fascismo, soprattutto i nemici interni, i più pericolosi, quelli che si annidavano tra le pieghe del regime per minarlo alla base. Affinché lo scudo della rivoluzione fosse solido i mistici della scuola, i soldati politici dell’Idea, vollero essere loro stessi esempio di virtù civiche, morali e politiche, di fedeltà indiscussa nei confronti della guida della rivoluzione, il duce, spesso descritto come il genio della stirpe, l’Eroe che con la sua instancabile opera dava quotidianamente prova di rappresentare pienamente la coscienza e la voce dell’anima del popolo, soprattutto di un popolo a cui il Fascismo aveva restituito la dignità politica e sociale e un’unità spirituale che attingeva dalla viva coscienza di appartenere integralmente all’organismo della nazione. Da questa chiave di lettura emergeva, quindi, una superiore comunione mistica che legava il Duce al suo popolo, cementata dalla comune fede fascista, una fede intensa che a sua volta veniva elevata al rango di una sorta di religione mistico-popolare sacralizzata dal sangue offerto in sacrificio dai martiri dello squadrismo sull’altare della rivoluzione, una rivoluzione continua che, come affermava un giovane esponente della Scuola, procedeva impetuosamente la sua marcia: Gl’italiani della mistica si sono irradiati tra le file delle generazioni vecchie e nuove e hanno dato il goccio d’acqua, il pezzo di pane del conforto, hanno sorretto i deboli, hanno convinto i pusillanimi. La Rivoluzione ha attraversato le ubertose valli della sua fase politica, ora sale. Guai a chi volesse tentare di derogare alle direttive di marcia per evitare le asprezze della salita e impedire che dalla politicità si torni alla rivoluzione piena e travolgente delle ore di audacia e di lotta. Per queste nobili motivazioni gli esponenti della Mistica fascista chiesero e ottennero che la scuola divenisse la custode del famoso covo milanese di via Paolo da Cannobio, il sacrario della rivoluzione delle camicie nere, appunto il covo del fascio primogenito dove la fede fascista aveva mosso i primi passi e dove il Duce chiama all’adunata.rossi  Un luogo simbolico carico di suggestivi richiami emozionali, ben presente nell’immaginario collettivo della militanza squadristica, che avrebbe dovuto essere la fonte di irradiamento della Mistica fascista verso tutta la Nazione.  Il cosiddetto covo del fascio primogenito rivestì sempre per i mistici fascisti un ruolo centrale nel loro immaginario dottrinario, rappresentava la fonte mitica della fede mussoliniana, il principio fondante del Fascismo, era come trascendere il tempo profano per riapprodare al tempo mitico della purezza dell’idea, un riaccostamento di ordine metafisico a cui si poteva accedere soltanto attraverso i miti e i simboli, e la mistica fascista era satura di richiami, di miti e di simboli: “Qui è tutta l’attualità e la contemporaneità del covo. Attualità e contemporaneità che non dovranno mai tramontare. Non solo per noi, infatti, ma per i nostri figli e per i figli dei nostri figli il covo deve e dovrà essere l’Arca dei valori della Rivoluzione, la bussola cui guardare nei momenti di indecisione, la guida cui ispirarsi, la stella polare che il navigante dello Spirito deve vedere sempre alta e lucente davanti a se. E ad esso oggi, domani, sempre gli italiani dovranno salire in pellegrinaggio, per meditare, per ispirarsi. Ad esso le generazioni si accosteranno sempre con stupore religioso per imparare che nulla allo Spirito è impossibile.  Il Fascismo, come spesso ripeteva il Duce, era una fede coltivata nella lotta che aveva avuto i suoi caduti, i suoi martiri che immortalatisi vestendo la gloriosa camicia nera la avevano rafforzata e sacralizzata. Se ogni secolo ha una sua dottrina, da mille indizi appare che quella del secolo attuale è il fascismo. Che sia una dottrina di vita, lo mostra il fatto che ha suscitato una fede: che la fede abbia conquistato le anime, lo dimostra il fatto che il Fascismo ha avuto i suoi caduti e i suoi martiri. Il Fascismo ha oramai nel mondo l’universalità di tutte le dottrine che, realizzandosi, rappresentano un momento nella storia dello spirito umano.  Adesso, questa fede, attraverso i mistici fascisti della Scuola aveva trovato i suoi intransigenti custodi e i suoi più appassionati apostoli.  Anche loro si stano preparando al combattimento – nella sua duplice veste fisica e spirituale – aspirando di potere affrontare degnamente il supremo sacrificio per il fascismo e onorare così la loro scelta di vita versando il proprio sangue per la causa rivoluzionaria. Morire all’ombra dei gagliardetti neri: Mistica dell’azione. Mistica del realismo eroico. Mistica della fede. Fedeltà che era più forte del fuoco, come narravano antiche saghe.  Che l’intensa e interessante attività svolta dalla Scuola nell’approfondimento e nell’arricchimento della Dottrina fascista fosse il risultato di un grande impegno contrassegnato da un’altrettanto grande serietà venne comprovato dai numerosi riconoscimenti che ricevette, non ultimo l’apprezzamento e la manifesta simpatia avuta da parte di Julius Evola, ma il riconoscimento più importante, i mistici, lo ricevettero dal Duce che li encomiò pubblicamente, incontrando i quadri della Scuola a Palazzo Venezia, incitandoli a proseguire nel cammino intrapreso quali custodi della purezza dell’Idea e del mito rivoluzionario: Io vi ho seguito in tutti questi anni da vicino e con vivissima simpatia perché considero la mistica in primo piano. Ogni rivoluzione ha infatti tre momenti: si comincia con la mistica, si continua con la politica, si finisce nell’amministrazione. Quando una rivoluzione diventa amministrazione si può dire che è terminata, liquidata. Potrei dimostrarvi che tutte le rivoluzioni sono passate attraverso questo ciclo: noi che conosciamo la storia dobbiamo impedire che la politica scivoli nell’amministrazione. Alle origini di ogni rivoluzione c’è la mistica: se la politica è il contingente, la mistica è l’immanente, essa rappresenta i valori eterni, essenziali, primordiali. Voi dovete lavorare per l’avvenire. Per far questo occorre la fede. È facile ad un certo momento deviare nella politica: voi dovete essere al di fuori e al di sopra delle necessità della politica. Di queste cose ho parlato in modo molto sommario; ma tutte erano presenti in voi. Avete tempo di riflettere.”  Il secondo conflitto mondiale era però già iniziato e l’Italia sarebbe entrata in guerra l’anno successivo.  I mistici fascisti volendo essere, fino alle estreme conseguenze, la prima linea del Fascismo accolsero con felicità ed entusiasmo la notizia, chiedendo ufficialmente che gli venisse concesso l’Onore dell’arruolamento volontario “nei più rischiosi reparti di terra, di mare o di cielo”. Subito, ben 169 quadri dirigenti della Scuola partiranno per il fronte, convinti che il processo rivoluzionario fascista avrebbe avuto una formidabile accelerazione proprio per effetto della guerra. Molti altri mistici seguiranno a ruota l’esempio dei loro capi.  La loro esemplare condotta evidenzierà una magnifica esplicazione degli insegnamenti della Tradizione: se hai di fronte due strade, scegli sempre la più difficile. Poiché c’è sempre una strada per chi vuole percorrerla.  Sia G., sia un’altra figura di eccezionale valore come Ricci, testimonieranno la loro intransigente coerenza esistenziale e politica con la scelta del combattimento. Il primo volontario sul fronte greco-albanese dove troverà eroicamente la morte, il secondo, sempre volontario, sul fronte africano dove coronerà la propria esistenza di credente nella fede fascista incontrando, altrettanto eroicamente, la morte a Bir Gandula sul Gebel cirenaico. Nell’arco di un solo mese il Fascismo perse due tra i suoi migliori campioni.  Le vicende belliche decimarono di fatto il gruppo dirigente della Scuola che sarà costretta a cessare le sue attività. I pochi sopravvissuti di quell’esperienza raccolsero di nuovo la chiamata del Duce aderendo alla Repubblica Sociale Italiana, tra questi Fernando Mezzasoma che era stato il vicepresidente della Scuola e che ricoprì il dicastero della propaganda nella RSI, trasportando con il proprio esempio le intime motivazioni della Mistica fascista nell’esperienza repubblicana: “È questa nostra intransigenza nei confronti della Dottrina che abbiamo sposato, delle battaglie che combattemmo, delle realizzazioni che abbiamo attuate, che, se ci consente di accettare la collaborazione di qualsiasi Italiano in buona fede e di buona volontà che voglia aiutare la titanica fatica del Duce, ci obbliga tuttavia a respingere sdegnosamente qualunque patteggiamento con coloro che agiscono al servizio del nemico, uccidendo a tradimento i nostri migliori compagni di marcia e di battaglia, con coloro che nell’Italia invasa perseguitano i fascisti che a migliaia risorgono e insorgono per rendere dura la vita agli invasori e aprire la strada al nostro ritorno. Questa deve essere oggi la nostra missione di fascisti. Questo è il comandamento di G.. Questo è il suo insegnamento. Nel suo nome, e nel nome degli altri caduti, i superstiti della Scuola di Mistica fascista chiamano a raccolta l’autentici italiani. Anche lui muore poi assassinato dai partigiani. Andarono tutti volontariamente incontro alla morte per onorare un patto di fedeltà e di fede che li lega al Duce e al Fascismo, così facendo coronarono una vita degna e ben vissuta, il loro abbraccio mistico con il Fascismo si consuma eroicamente in combattimento e di fronte ai plotoni di esecuzione. Se ancora oggi, dopo i tanti decenni trascorsi, la loro memoria, la memoria delle tante battaglie ideali e materiali affrontate, viene nonostante tutto ancora sentita come viva, se il ricordo di questi uomini caduti con onore non in nome di una passione generica, ma per il Fascismo, per il compimento di una Rivoluzione che è rimasta scolpita nella Storia, torna ancora ad emergere non deve assolutamente avvenire perché i vivi di oggi debbano morire nel loro cuore, struggendosi nella nostalgia del ricordo, ma deve invece impetuosamente emergere affinché i morti di ieri possano tornare a vivere tra di noi. Quella marcia, iniziata il 28 Ottobre 1922, non è ancora terminata. Non ci consta che esistessero specifiche istituzioni pubbliclie, ma in proposito possiamo ricordare numerosi provvedimenti e diverse associazioni private. Fra quelli, le leggi agrarie, le disposizioni a favore dei debitori, le distri­ buzioni semigratuite o gratuite dì grano, fatte dagli edili; i congiari imperiali (che erano copiose elargizioni di farina, olio e carne disposte dagli imperatori). Provvidenze che mi­ ravano tutte a combattere, direttamente e indirettamente, le cause dell’indigenza o almeno a paralizzarne gli effetti, ben­ ché nella loro essenza e origine avessero carattere politico, cioè fossero prese sopratutto per cattivarsi il favore e la simpatia della plebe o evitare tumulti e sommosse. Fra le associazioni, sopratutto bisogna ricordare quelle costituite a scopo mutualistico ; e tale è il carattere dei collegia funeraticia, dei collegia termiorum, delle casse di soccorso isti­tuite da GIULIO (si veda) Cesare fra i suoi legionari. Anche nel campo dell’istruzione si devono ricordare istituti privati i quali istruivano la classe dirigente romana. E’ invece nelle opere pubbliche ohe specialmente i romani ai distinsero legando ai posteri terme e acquedotti, palestre e strade, circhi e palazzi olle ancora oggi, in parte, almeno, durano e sono efficienti. L’ORDINAMENTO SOCIALE DELLO STATO SECONDO LA CONCEZIONE FASCISTA. LA TEORICA FASCISTA SULLA NATURA E SULLE FUNZIONI DELLO STATO. LA FUNZIONE SOCIALE DELLO  STATO.  PRECEDENTI STORICI DELLA FUNZIONE SOCIALE  DELLO STATO NELLA POLITICA E NELLA LEGISLAZIONE SOCIALE. In Roma sino all’editto di Costantino. Durante il medioevo.Dopo la riforma protestante. Ordinamento sociale dello Stato fascista. In Italia. L’evoluzione e la trasformazione della legislazione sociale. La legislazione sulla beneficenza e sulla assistenza pubblica e privata. La legislazione sulla mutualità e sulla previdenza. La legislazione del lavoro. La legislazione sull’istruzione pubblica. La legislazione sull’igiene e sulla sanità pubblica. La legislazione sui servizi e sulle opere pubbliche. GLI ELEMENTI DELL’ORDINAMENTO SOCIALE DELLO STATO FASCISTA. I soggetti. Gli obiettivi . Gli obiettivi relativi ai cittadini in genere. Gli obiettivi inerenti alle condizioni generali di vita. Gli obiettivi inerenti in particolare alla fase di formazione e di preparazione del cittadino, a quella di  produttività e a quella di riposo. Gli obiettivi relativi ai cittadini benemeriti. Gli obiettivi relativi ai cittadini non risanabili e non   rieducabili. Gli strumenti . Il criterio, profondamente corporativo, adottato dal legislatore fascista per la scelta degli strumenti attuanti la  politica sociale. La famiglia. L’associazione professionale. Le istituzioni promananti, singolarmente o pariteticamente, dalle associazioni professionali. Gli enti locali. Le opere nazionali parastatali. I limiti. LE ISTITUZIONI DEL NUOVO ORDINAMENTO SOCIALE DELLO STATO FASCISTA. Di alcune considerazioni preliminari. LE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLE CONDIZIONI GENERALI DI VITA DEL CITTADINO. La- legislazione inerente alla sicurezza, all’igiene e   alla sanità pubblica . Per garantire la sicurezza. Per assicurare l’igiene e la sanità. La legislazione inerente alla previdenza . Per incrementare il risparmio. Per potenziare la mutualità. Per favorire la cooperazione. Per diffondere le assicurazioni Ubere. La legislazione inerente alla assistenza di soccorso. Per l soccorsi in natura e in contanti. Per i soccorsi medico-sanitario-ospitalieri. La legislazione inerente alla propaganda, all'integrazione culturale e al perfezionamento scientìfico . Per favorire il perfezionamento scientifico. Per la propaganda e l’integrazione culturale. La legislazione inerente all’integrazione della formazione e dell’educazione fisica e sportiva. La legislazione inerente alla costituzione e all’incremento del nucleo familiare . Per favorire la costituzione della famiglia. Per facilitare l’esistenza e lo sviluppo delia famiglia . La legislazione inerente a particolari servizi pubblici.Per garantire il soddisfacimento di bisogni primari. Per assicurare i rapporti e i contatti economico-sociali. Per valorizzare il patrimonio nazionale. Ordinamento sociale dello Stato fascista. La legislazione inerente al controlla, <UVadeguamento e al collegamento ielle istituzioni dell’ordinamento  sociale e alla selezione dei suoi soggetti. Per assicurare il controllo e l’adeguamento delle istituzioni sociali. Per ottenere il collegamento nell'ambito dell’ordinamento sociale. Per assicurare la formazione della classe dirigente mediante la selezione totalitaria del cittadini. IL PARTITO NAZIONALE FASCISTA E LE ORGANIZZAZIONI DIPENDENTI. Origine, natura e funzione sociale del P. N. F .  I Fasci di Combattimento. I compiti. I soggetti. L’ordinamento. L’Associazione nazionale famiglie Caduti fascisti e Mutilati e Invalidi per la Causa Nazionale. I compiti. I soggetti. L’ordinamento. L’Unione nazionale ufficiali in congedo d’Italia I compiti  I soggetti . L’ordinamento. L’Unione nazionale fascista del senato. I compiti. I soggetti. L’ordinamento. Gruppi Universitari Fascisti. I compiti. I soggetti.  L’ordinamento. I Fasci di Combattimento. I compiti. I soggetti. L’ordinamento. I compiti. I soggetti.  L’ordinamento. L’Opera Nazionale Dopolavoro.  I compiti. I soggetti.  L’ordmamento. Le Associazioni fasciste. I compiti  I soggetti  L’ordinamento.  Il Comitato intersindacale .  I compiti. I soggetti. L'ordinamento. Gl’Uffici di Collocamento. I compiti. I soggetti. L’ordinamento. L'Ente Opere Assistenziali. I compiti. I soggetti. L’ordinamento.  L'Opera Universitaria. I compiti.   I soggetti. L’ordinamento. Il Comitato olimpionico nazionale italiano. I compiti.  I soggetti.   L’ordinamento. Di alcune considerazioni sul P. N. E. La legislazione richiamata. DI ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLE CONDIZIONI GENERALI  DI VITA DEL CITTADINO. Ordinamento sodale dello Stato fascista. LE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLA FORMAZIONE FISICO-MILITARE E ALLA PREPARAZIONE  PROFESSONALE NAZIONALE DEL CITTADINO. La legislazione inerente al nucleo familiare per la formazione fisico-militare del cittadino. Per sopperire alla insufficienza relativa dei mezzi economici della famìglia e sostituirla nella vacanza di alcune  sue funzioni. Per integrare l’inadeguatezza assoluta di alcuni mezzi  della famiglia.  L’OPERA NAZIONALE PER LA PROTEZIONE DELL’INFANZIA. L’origine, la natura e la funzione sociale deU’.O.N.M.I. I compiti. Per l’integrazione e il coordinamento dell’azione svolta   da altri enti o istituti o da privati. Per la vigilanza e il controllo delle singole istituzioni   di assistenza. Per la propaganda e la vigilanza suU’applieazione  delle leggi e dei regolamenti riguardanti l'assistenza  materna e infantile.  I soggetti. L’ordinamento . Dì alcune considerazioni suli’O. N. M. 1 La legislazione richiamata. La legislazione inerente all’istruzione e alla formazione professionale del cittadino. Per garantire l’istruzione professionale del cittadino sino al 14° anno di età. Per favorire e incrementare l’istruzione professionale La legislazione inerente all’educazione e alla formazione fisica, premilitare, morale e nazionale del cittadino.  L’OPERA NAZIONALE BALILLA PER L’ASSISTENZA E  L’EDUCAZIONE FISICA E MORALE DEGL’ITALIANI. L’origine, la natura e la funzione somale dell’O.N.B. I compiti . I soggetti. L’ordinamento. Di alcune considerazioni sull’O.N.B. La legislazione richiamata. DI ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLA FORMAZIONE FISICO-MILITARE E ALLA PREPARAZIONE PROFESSIONALE NAZIONALE DEL CITTADINO. LE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLA FASE DI   PRODUTTIVITÀ’ DEL CITTADINO. La legislazione inerente all’azione sociale attuata   dalle associazioni professionali . Per garantire l’azione sociale da attuarsi direttamente   dai sindacati. Per assicurare l’azione sociale da attuarsi dai sindacati   a mezzo di speciali istituzioni.  IL PATRONATO NAZIONALE PER L’ASSISTENZA SOCIALE. L'origine, la natura e la funzione sociale del P.N.A.S. I compiti . I soggetti. L’ordinamento. Di alcune considerazioni sul P.N.A.S. La legislazione richiamata. La legislazione inerente all’azione sociale attuata dalle corporazioni. Per garantire il produttore obiettivamente e subiettivamente di fronte alle condizioni del lavoro. Per tutelare i reciproci rapporti fra i produttori nella loro dualità di datori di lavoro e di prestatori d’opera . Per favorire ii perfezionamento e l'elevazione professionale del produttore. Ordinamento sociale dello Stato fascista. La legislazione inerente alla conservazione dello spirito nazionale e della preparazione fisico-militare del  produttore.  DI ALCUNE CONSIDERAZIONI SULL’ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLA FASE DI PRODUTTIVITÀ DEL CITTADINO. LE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE AL PERIODO DI  RIPOSO-VECCHIAIA DEL CITTADINO. La legislazione inerente all’obbligo delle garanzie previdenziali per la fase di riposo-vecchiaia. La legislazione inerente a speciali interventi statuali a favore del vecchio bisognoso. DI ALCUNE CONSIDERAZIONI SULL’ISTITUZIONI 'SOCIALI RELATIVE AL PERIODO DI RIPOSO-VECCHIAIA DEL CITTADINO. LE ISTITUZIONI RELATIVE AI CITTADINI CHE HANNO BENEMERITATO DALLO STATO. La legislazione inerente alle benemerenze collettive. La legislazione inerente alle benemerenze individuali. DI ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE AI CITTADINI BENEMERITI. LE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE AI CITTADINI  MINORATI NON RISANABILI E NON RIEDUCABILI. La legislazione inerente ai minorati assolutamente   non produttori. La legislazione inerente ni minorati relativamente non produttori. DI ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE ISTITUZIONI RELATIVE AI CITTADINI MINORATI NON RISANABILI E NON INEDUCABILI.LA POSIZIONE E I RAPPORTI DI RELAZIONE DEL  CITTADINO NEL NUOVO ORDINAMENTO SOCIALE. Di alcune considerazioni preliminari. LA POLITICA SOCIALE PER IL CITTADINO DALLA NASCITA ALLA MAGGIORE ETÀ. L’anione previdenziale e assistenziale dello Stato sino al quinto anno. Per la costituzione della famiglia.Per la esistenza e l’incremento della famiglia. Per li cittadino neonato. Per Viilegittimo e l’esposto. Per l’orfano. Per iì cittadino infante. Di alcune considerazioni sull’azione previdenziale e assistenziale dello Stato sino al quinto anno. L’azione previdenziale e assistenziale dello stato dal sesto al quattordicesimo anno. Per la formazione e lo sviluppo fisico, militare, morale e nazionale. Per la formazione intellettuale e professionale. Di alcune considerazioni sull’azione previdenziale e assistenziale dello Stato dal sesto al quattordicesimo anno. L’azione previdenziale e assistenziale dello stato dal quindicesimo al ventunesimo anno. Ordinamento sociale dello stato fascista. Per il cittadino che studia. Per il cittadino che lavora. Di alcune considerazioni sull’azione previdenziale e assistenziale dello Stato dal quindicesimo al ventunesimo anno. DA POLITICA SOCIALE PER IL CITTADINO PRODUTTORE. L’anione previdenziale e assistenziale dello Stato per   il cittadino ohe è produttore. L’azione previdenziale e assistenziale dello Stato   per la famiglia e i suoi membri .  LA POLITICA SOCIALE PER IL CITTADINO A RIPOSO . LA POLITICA SOCIALE PER IL CITTADINO BENEMERITO. LA POLITICA SOCIALE PER IL CITTADINO MINORATO NON RISANABILE E NON RIEDUCABILE. LA POLITICA SOCIALE DELLO STATO FASCISTA. DELL’AZIONE SVOLTA DIRETTAMENTE DALLO STATO ATTRAVERSO AI SUOI ORGANI. Per la riorganizzazione, il potenziamento e l’estensione della rete consolare . DELL’AZIONE SVOLTA MEDIANTE LA STIPULAZIONE  DI CONVENZIONI BILATERALI E PLURILATERALI E MEDIANTE L'OPERA DELL’O.I.L. Le convenzioni bilaterali e plurilaterali ..Le convenzioni intemazionali, le raccomandazioni e   le risoluzioni dell'O.I.L . La legislazione richiamata.  Appartene alla categoria dei mistici per i quali è bello vivere se la vita è nobilmente spesa ma è più bello morire se la vita è donata all'Idea. Arnaldo Mussolini fu il suo Maestro: da Arnaldo im­ parò che prima di agire e costruire è necessario ele­ varsi, purificare il proprio spirito, temprare il proprio carattere; allora soltanto si potrà essere certi che l'azione sarà feconda e l'edificio sicuro. Da Arnaldo imparò che per conoscere, giudicare e guidare gli al­ tri è prima indispensabile conoscere bene se stessi, punire inesorabilmente i propri difetti, affinare inces­ santemente le proprie virtù: allora soltanto si potrà aspirare all'onore del comando. Da Arnaldo impara che solo il sacrificio può suscitare le opere grandi e buone e distruggere le cose piccole e vili. Ciò che non costa non vale; ciò che non procura fatica e sof­ ferenza non dura; quanto è al di fuori di noi non conta; gli onori, le cariche, le ricchezze sono effimere e ca­ duche cose. Quello che importa è quanto è dentro di noi, perchè è nostro e nessuno potrà mai portarcelo via, neanche a strapparci la carne viva di dosso. Es­ sere se stessi in ogni momento, rimanere se stessi sempre: ecco la più grande conquista degli uomini. Uomo di fede Un uomo di fede fu G.. E la sua fede era di quelle che non vacillano mai, di quelle che restano intatte nella buona e nella cattiva sorte e che traggono anzi dalle difficoltà e dalle sfortune un più profondo contenuto e sempre nuovi motivi. La sua fede era di quelle alte cui fonti cristalline attingono le intelligenze chiare e gli animi trasparenti degli uomini puri i quali sanno che se si vuole raggiungere l'ultima cima, mol­ te vette bisogna scalare e talvolta anche scendere da alcune per risalire su aifre vette più alte ancora. In 8 i   G. la fede nasceva da un inesausto tormento spi­ rituale, da un'ansia incontenibile di elevazione e di conquista per divenire, come dice il poeta, «cara gioia sopra ia quale ogni virtù sì fonda. Egli credeva in Dio, nel Dio di noi Italiani fascisti e cattoiici a cui dobbiamo non soltanto il dono misterioso della vita ma anche il privilegio di averci chiamati a continuare la missione di civiltà e di giustizia che la gente nostra svolge nel mondo da più di due millenni. Egli credeva nella dottrina politica enunciata da Mussolini, scaturita dall'azione, alimentata dalla fede, consacrata dal sa­ crificio e nella sua possibilità di instaurare un nuovo sistema di vita, di educare gli uomini a una visione vasta ed umana delle cose, di creare un nuovo tipo di civiltà italiana, ed europea. Crede in Mussolini perchè lo considera l'uomo della provvidenza, l'e­ sponente di una razza eletta, il fondatore di una ci­ viltà universale, il protagonista e l'artefice di una nuòva storia, il condottiero di giovani generazioni, il DUCE, a cui non occorre chiedere prima di iniziare la marcia dove ci porta e quando si arriverà perchè dal giorno in cui un destino fortunato (o pose alla testa —9 ‘1   del suo popolo, la meta era già nei suoi occhi e la vittoria nel suo pugno. Crede negl’italiani nati e cresciuti col sorgere del Fascismo, educati alla severa scuola del Partito e li voleva rivoluzionari nello spirito e nel sangue, gene­ rosi ed audaci, pronti alla lotta e alla rinunzia. Sogna­ va una classe dirigente che sapesse dimostrare con l'esempio, nelle opere e nel sacrificio, di essere de­ gna del nostro grande popolo e del nostro grande Capo; una classe dirigente fatta di uomini integrali, forti della loro indipendenza morale — la sola ric­ chezza umana che non abbia un valore misurabile in denaro — e dotati di tutte le virtù spirituali, intellet­ tuali e fisiche che sono indispensabili per poter eser­ citare con dignità e con efficacia la missione dei co­ mando. Concepiva la famiglia nel senso più tradizio­ nalmente nostro; amava cioè la sana numerosa fami­ glia italiana, ricca di onestà e prodiga di figli, sboc­ ciata dall'amore tra l'uomo che vive lavorando o com­ battendo-per la Patria e la donna che nel piccolo gran­ de regno della casa vive nella serena ed operosa attesa del ritorno di lui; e se l'uomo non tornerà la donna lo piangerà senza lacrime perchè egli sopravvi­ va nella fierezza dei figli, I quali continueranno, nella luce del suo esempio, l'opera sua. Crede nella Patria come ne « la più pura, la più grande, la più umana delle realtà », amava la Patria più della propria anima. Tutto per la Patria: fu la sua consegna. Niente per lui valeva qualche cosa se non serviva alla Patria. Perchè la Patria è tutto e tutti; sè e gli altri; le generazioni che furono, che sono e saran­ no; la storia di ieri, di oggi e di domani. La Patria è la sintesi di tutte le più nobili aspirazioni. Essa è fatta di uomini da rendere sempre più degni e di territori da fare sempre più vasti. Per essa si lavora, si soffre, si spera; per essa si combatte, si vince o si muore. Giornalista della Rivoluzione e Maestro dei giovani Niccolò Giani fu un giornalista della Rivoluzione. Egli intendeva il giornalismo come una scuola di vita, come uno strumento di educazione e di formazione. Dalle agili colonne del suo giornale, la Cronaca Prealpina, e da quelle della sua rivista DOTTRINA FASCISTA si battè accanitamente per la creazione di un giornalismo rivoluzionario, dinamico, coraggioso, un giornalismo che fosse in grado di svolgere una fun­ zione costruttiva di divulgazione, di propulsione e di controllo, un giornalismo che fosse degno di essere considerato un'arma affilata della Rivoluzione. Ma soprattutto maestro dei giovani egli fu. All'Inse­gnamento si consacra con il religioso fervore con il quale sole dedicarsi a tutte le attività rivolte agl’italiani. All'ateneo di Pavia, al centro di prepara­zione politica, alla scuola di MISTICA FASCISTA egli porta il contributo della sua beila cultura fatta di conoscen­za e di azione, illuminata dalla fede, riscaldata dal sentimento, Alla Scuola di Mistica da la parte mi­gliore di se stesso. Tutto quello che di buono e di meritevole è stato fatto dalla scuola — ha detto Mussolini, nostro Presidente — proviene unicamente da lui. Bisogna ricordarlo sempre e presentarlo co­me un mirabile esempio agl’italiani che in lui potranno vedere l'espressione più sublime di obbedienza ai comandamenti del Duce. È il migliore tra noi: il più limpido, ii più generoso, ii più puro. Delia nostra mistica fede è l'aifiere più ardilo e i'apostolo più acceso. Egli voieva che dalia nostra Scuoia uscissero ì missionari, i portatori del no­ stro credo politico ed è egli stesso il più tenace e il più convinto assertore dei principi che sono a fonda­mento della nostra dottrina. La scuola sorge con lui per la volontà di un manipoio di credenti che egli chiama i disperati del FASCISMO, così come gli squadristi un tempo amano chiamarsi FASCISTI arrabbiati. All'inizio la scuola è un'attività de! Guf milanese. Divenne quindi un'attività di tutti i gruppi fascisti uni­versitari. Oggi si è imposta al rispetto e ail'attenzione di tutti i fascisti. La sua opera è rivolta agl’italiani, ma la sua azione è seguita ed amata anche dai camerati della vecchia guardia che vedono con in­tima gioia esaltate e rinnovate ogni giorno, dagl’al­lievi della scuola, le due più preziose virtù dello squa­ drismo: la fedeltà e la intransigenza. I camerati della vecchia guardia milanese sanno che il, nome di Niccolò Giani è legato alla riapertura del Covo di Via Paolo da Cannobio, prima sede del « Popolo d'Italia », prima trincea del Fascismo, che il Duce ha voluto affidare in gelosa custodia ai giovani della Scuola di Mistica perchè le giovani generazioni, accostandosi alle sorgenti genuine delia nostra Ri­ voluzione, cogliessero, dall'umile grandezza delle ori­ gini, la poesia e il fermento delia vigilia. G. è soprattutto un fedele ed un in­ transigente. Taluni potrebbero chiamarlo un fanatico, ma solo I fanatici sanno dare movimento col sangue «alla ruota sonante della storia». Il suo spirito si ribellava a qualunque forma di com­ promesso; sul terreno della fede non ammetteva pat­ teggiamenti; il bello, il buono, il vero sono da un lato della barricata; dall'altra parte c'è il brutto, il male, la meschinità. Mi piace di ricordarlo ai Convegno di Mistica: eravamo alla vigilia delia nostra guer­ ra di liberazione e c'era in tutti noi una febbrile im­ pazienza di decisione. Il tema del Convegno era bru­ ciante: «Perchè siamo dei mistici?». I problemi dell'inteiligenza e deila cultura furono esaminati al lume della fede; i poveri dì fede furono sbaragliati e G. dichiarò guerra a viso aperto a tutti gli spiriti troppo raziocinanti, agli innamorati della ricerca fredda e del ragionamento calcolatore. La dottrina che conquista è quella che sorge dalla fede e non quella che discende dalla indagine arida ed oziosa; la cultura che costruisce è quella che pene­ tra e trasforma e non quella che resta gelida ed inerte. li Convegno si svolse in un'atmosfera di fuoco e la risposta al tema che fu oggetto dei nostri appassionati dibattiti fu data dallo stesso G.: Fascismo uguale a spirito, uguale a mistica, uguale a combattimento, uguale a vittoria. Perchè credere non si può se non si è mistici, combattere non si può se non si crede, e vincere non si può se non si combatte. Fu in quel Convegno, ò giovani camerati della Scuola di Mistica, che i giovani della generazione del Litto­rio affermarono solennemente il loro diritto al combat­ timento, Soldato dì Mussolini G. è tra i primi a partire. C'èin lui la preoccupazione morbosa di stabilire coi fatti una coe­ renza perfetta tra il pensiero e l'azione. Aveva già partecipalo come volontario alla guerra per la con­ quista dell'Impero, aveva chiesto ripetutamente di partire per la Spagna e non gli era stato concesso; finalmente sopraggiungeva la nuova prova lungamente attesa. Chi lo vide tenente degli alpini al fronte occidentale lo ricorda come un esempio di disciplina e di ardi­ mento. Ma la parentesi fu troppo breve: tornò insod­ disfatto, Andò in Africa settentrionale come corrispon­ dente di guerra del popolo d'Italia. Ma quando sa che il suo reggimento è già sul fronte greco chiede di raggiungerlo. Non puo vivere lontano dai suoi alpini, gli sembra un tradimento. Parte per non tornare. Tre volte si offre per azioni rischiose, tre volte è appagato, la terza volta è l'ultima. I suoi uomini lo adorano. Con lui sarebbero andati dovunque: potenza insuperabile dell'esempio! Anda con un manipolo d’alpini a raggiungere una vetta lontana per compiere una ricognizione sulle po­sizioni del nemico. Assolge il suo compito felicemente e rapidamente, ma prosegue oltre. Il suo programma è un altro. Incontra poco prima, lungo il cammino, un camerata di Milano e gli affida l'incarico di salutare per lui tutti gli amici di mistica e di comunicare loro che egli è partito per un'impresa della quale si sarebbe dovuto parlare. Mantenne la promessa. Alla testa dei suoi alpini raggiunge un'altra vetta, sulla quale alta sfolgora la luce della gloria, e a bombe a mano assalì un presidio greco. Circon­dato, lotta eroicamente, fino a quando una pallottola gli recise la gola, gli spezza la vita, soffoca il suo canto.. Così cadde G. Egli è morto come è vissuto, non per sè ma per gl’altri. È triste non potergli più vivere accanto, non poter più rinfrescare il nostro spirito alia polla purissima della sua fede. Ma egli chiuse la sua vita terrena in modo degno di luì, Arnaldo gli insegna che il segreto della vita è tutto qui; saper vivere, saper morire, nel modo più degno. G. vuole insegnare agl’italiani come deve vìvere e come sa morire un italiano di Mussolini. La nostra scuola, o camerati di mistica, non lo onora col pianto che egli non approva. Il nostro ciglio è asciutto anche se il cuore in questo momento acce­ lera il ritmo dei suoi palpiti. Ma noi sentiamo che non un vuoto egli ha lasciato nelle nostre file, li suo spirito inquieto è con noi, dinanzi a noi, oggi come non mai, ad additarci la strada che conduce alla vittoria, ad ammonirci che il suo tormento deve essere anche il nostro tormento, la sua ansia anche la nostra ansia, il suo amore anche il nostro amore, oggi, domani, sempre. E noi sentiamo che Arnaldo, il suo ed il nostro mae­stro, lo ha accolto nell'altra esistenza, accanto al suo figlio prediletto e agli altri martiri delia nostra scuola, come il migliore dei suoi discepoli. Il mito di Roma contro Si guardi Ro- il mito di Jehova in ma repubblicana. Catone, Cicerone, Quale è il suo Tacito, Giovenale ideale? Ce lo di- e negli Imperatori ce Marco Porcio Cato rie CATONE nel suo De Agri cultura laddove scrive che i romani quando lodavano un uomo dabbene, lo chiamavano buon agricoltore, buon colono. E con ciò si ritene di dare la maggiore lode a colui che così veniva chiamato. E ciò per­ chè dalla classe degli agricoltori nascono gli uo­mini più forti e i soldati più valorosi e coloro che si dedicano a tale occupazione non concepi­scono cattivi propositi. Queste parole, questo saggio romano le scrive­ esattamen­te, nello stesso periodo in cui Roma combatte l’ultima e definitiva partita con la semita Carta­gine. Ma, a questo proposito, ci si è mai chiesto perchè poi Cartagine è delendam, perchè Ro­ma s’è fissata ili questo mito della distruzione totale della città di Annibaie? La risposta è una sola. La lotta tra le due rivali infatti non è solo politica ed economica. È ben di più. È lotta di civiltà, di sistema di vita. Roma rurale, Ro­ma gerarchica, Roma guerriera ed eroica com­batte anche la Cartagine dei mercanti e della demagogia. Ecco perchè non è strano, ma, anzi, logico, necessario addirittura, che l’uomo che in senato termina i suoi discorsi col noto ceterum censeo Carthaginem delendam esse è lo stesso che nel suo De Agri cultura pone l’ideale ro­mano nella gente nata dai campi, cresciuta in mezzo alle bellezze e alle forze della terra, tem­prata nelle lotte aperte e solari della natura. Più di un secolo dopo, un altro grande roma­no, che gli ebrei aveva conosciuto perchè uno di 16   essi, Apollonio Molone, come ci dice il giudeo Lazare, aveva avuto per maestro: CICERONE, tuo­ nerà anche lui contro la loro mentalità. Il tenere testa alla turba giudaica che spesso schiamazza nelle riunioni popolari e farlo nel­ l’interesse della Repubblica è prova di saldi prin­cipi, dice infatti CICERONE rivolto a LELIO nella sua orazio­ne Pro Fiacco. E nel suo De Officiis si legge questo aneddoto che dice anche ai sordi in quale dispregio avessero i romani i traf­ficanti di denaro. Ecco infatti come Cicerone rac­conta che Catone risponde a chi lo interroga­ va sul miglior modo di amministrare i propri beni. Bene pascere. E in quale altro modo? è richiesto a Catone. Salis bene pascere, è la risposta. E poi? Arare, egli dice ancora. £ che ne pensi del prestare ad usura?cioè del prestare denaro a interesse. Risponde Catone. E tu che ne pensi dell’uccidere un uomo? Come, quindi, i romani, con mentalità siffat­ta, avrebbero potuto, non dico apprezzare, ma solo riconoscere la mentalità ebraica? E se è vero che con l’Ambasciata di Giuda Maccabeo si iniziano i primi rapporti di­plomatici tra Roma e Gerusalemme, se è vero che seguono altre ambasciate, se è vero che GIULIO (si veda) Cesare e OTTAVIANO (si veda) li tolle­rano, è altrettanto vero che gl’ebrei anziché essere grati e devoti allo stato romano ricambiario con disordini e con tradimenti la generosità dei Cesari, al punto che Claudio, da un decreto di tolleranza passa alla loro espulsione e ciò per­ chè, come testimoniano numerosi scrittori lati­ni — da Persio a Ovidio, da Svetonio a Plinio, da Tacito a Giovenale — gli Ebrei conside­ rano come profano tutto ciò che da noi è consi­ derato sacro (cfr. Tacito, Hist.); per­ chè essi hanno un culto particolare, leggi par­ ticolari, disprezzano le leggi romane (cfr. Gio­venale, Im. Lat.). Colle generazioni questo contrasto di civiltà e questa antitesi di istituzioni si acuiscono. È così che si arriva alla spedizione di Tito: all’assedio e alla distruzione di Gerusalemme. E in tal mo­ do, due secoli dopo Cartagine, anche sull’or­ goglioso regno di Giudea passa l’aratro romano e viene cosparso il sale. Così quei giudei che pretendevano di essere il popolo eletto e che per invidia di capi e per in­ comprensione ingenerosa di popolo avevano tra­ dito e condannato nostro Signore Gesù Cristo; quegli eredi del Profeta che smentirono la profe­ zia compiuta, furono dispersi per il mondo. La profezia del Golgota ebbe in tal modo realizza­ zione per mano di Tito, di quel Tito, il cui arco, forse per imperscrutabile volontà di quel Dio che egli inconsciamente servì, s’aderge ancora intatto contro il cielo eterno di Roma, quasi a testimonia­ re e ammonire le genti e il mondo intero della giustizia e della verità che promanano dai sette colli sacrati all’Impero del Littorio e alla Chiesa di Cristo. Niccolò Giani. Giani. Keywords: implicature mistica, mistico, il mistico – la mistica del liberalismo – la mistica del comunismo – la mistica della democrazia – la mistica del socialismo – filosofia politica – dottrina liberale – dottrina comunista – dottrina democratica – dottrina socialista --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giani” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Giani: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della radice italica del melodramma – filosofia torinese – la scuola di Torino – filosofia piemontese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo torinese. Filosofo piemontese. Filosofo italiano. Torino, Piemonte. Grice: “I love Giani; for one, he was less fanatic than Nietzsche, even if it is Nietzsche’s fanaticism that attracts Strawson! For one Giani is more careful: if ‘music’ comes from the muses, which are Apollonian, why has Nietzsche to emphasise in a piece of bad rhetoric, that tragedy has its birth in the ‘spirit’ of “music” – surely Nietzsche means ‘Dionysian,’ but there’s no ‘music’ in Dionysus, only noise! Trust an Italian to correct Nietzsche on that point!” --   Appartene ad una famiglia dell'alta borghesia torinese con spiccate inclinazioni per la musica e per l'arte: lo zio  Giuseppe (Cerano d'Intelvi) e pittore piuttosto noto, docente all'Accademia Albertina, così come il figlio di lui Giovanni (Torino). Si dedica al violino e condusse contemporaneamente gli studi  fino alla laurea. Si interessa inoltre al fermento filosofico di fine Ottocento, a Spencer, ma soprattutto Nietzsche: di Così parla Zarathustra eavrebbe in seguito dato una traduzione, a partire dalla seconda edizione italiana (Torino, Bocca). Si appassiona, inoltre, al teatro musicale di Wagner, così come altri intellettuali torinesi, e lo difende. Risale la fondazione, per opera sua e dell'amico editore Bocca, della Rivista musicale italiana, in cui inizialmente hanno parte preponderante gli scritti di G., soprattutto recensioni sul teatro musicale contemporaneo e note sui testi poetici da musicare, anche se va probabilmente ascritto a Giani anche l'editoriale programmatico del primo numero, all'interno di una rivista che si propone di ospitare scritti musicologici ispirati al metodo positivistico diffuso tra i due secoli, pur restando aperta all'apporto di altre correnti filosofiche quali quelle dell'idealismo. In “Per l'arte aristocratica”, dimostra le doti di polemista che lo avrebbero accompagnato per tutta la vita: in esso si confuta un giudizio di Torchi e si afferma che la cosiddetta "arte per l'arte" non solo non è immorale, ma è anzi la naturale evoluzione e conclusione dello sviluppo storico di questa manifestazione dello spirito umano. Dedica un saggio al “Nerone” di Boito, che egli da allora considera incondizionatamente un maestro: al tempo Boito aveva reso pubblico il solo testo del Nerone, che venne accolto molto vivacemente e con alterna fortuna dall'ambiente letterario italiano. La posizione intorno al Nerone è singolare e indicativa di quali fossero i requisiti che la cerchia di G. e Bocca ricercava nell'opera musicale. Questa tragedia farebbe parte del novero delle tragedie vere, quelle in cui ritmo, suono della parola, gesto, musica concorrono alla creazione di un che di superiore. Tuttavia, quando la musica del Nerone fu resa nota postuma, dichiara una certa delusione. Uomo dalla cultura enciclopedica, versato con competenza anche negli studi di letteratura, G. cura L'estetica di Leopardi. Vede in Leopardi il luogo in cui le immagini della sua poesia si comporrebbero in un universo etico ed estetico coerente. All'interno della storia della critica leopardiana, pare avvicinabile ora alla posizione di Croce, di distinzione tra il momento della poesia e il momento della riflessione, ora a quelle positivistiche. Singolarmente,parla di musica e dell'analogia tra il ruolo del coro greco e il ruolo del coro nelle Operette morali solo nella conclusione, benché in termini acuti. Avrebbe contribuito ad un ulteriore campo degli studi letterari, quello della musica nel mondo antico. Apparve “Gli spiriti della musica nella tragedia” -- Fin dal saggio, si richiama alla nota opera di Nietzsche, “La nascita della tragedia dallo spirito della musica”. G. non condivide l'opinione di Nietzsche secondo cui il razionalismo del teatro di Euripide avrebbe spento la portata dionisiaca della tragedia. La tragedia di Euripide permane ad un livello musicale altissimo. Per affermare questo ricostruisce il ruolo della musica nei testi tragici sulla base delle fonti antiche, dedicandosi alle singole parti e forme musicali dei drammi, sempre attento a sottolineare la valenza estetica complessiva della tragedia o melodramma, ma nel contempo senza trascurare le posizioni metodologiche della scuola filologica. Fino ad allora non aveva stretto profondi legami con i musicisti coevi (eccettuato Boito), si avvicina sempre più alle compositori. Saluta con favore Bastianelli e Pizzetti, approvandone principalmente le posizioni estetiche e la ricerca di una certa spiritualità nella music, tipica dei due esponenti del circolo fiorentino della Voce, ma prese le distanze ben presto dalle loro prove compositive, in particolare dai drammi musicali di Pizzetti, che non parvero a opere d'arte totalmente compiute.  Un legame creativo e biografico molto più stretto strinse con Ghedini, anche per via delle comuni frequentazioni torinesi: per Ghedini, che sta ancora cercando una personale posizione estetica e anda raggiungendo progressivamente le conquiste di stile e di linguaggio che lo avrebbero reso famoso, Giani valse come una sorta di pigmalione, suggerendo testi da musicare per le liriche e esaminando con occhio critico le composizioni di Ghedini.  G. stesso è librettista. Ridusse L'Intrusa di Maeterlinck, musicata da Ghedini ma mai rappresentata, e scrive Esther per Pannain. Divenne molto noto in tutta Italia per i suoi saggi di radicale confutazione di Croce. Non è particolarmente ostile all'idealismo di Croce, anzi considera la teoria dell'arte come intuizione una delle chiavi per la valutazione della creatività anche musicale e teatrale. Tuttavia, a mano a mano che l'estetica di Croce viene sistematizzata dal suo stesso autore, ma soprattutto da alcuni suoi pedestri seguaci mal tollerati dal nostro, attacca tale concezione con il bellicoso pseudonimo di Luigi Pagano in La fionda di Davide, criticando che in essa non vi fosse posto per il lato tecnico e materiale della creazione e che addirittura la stessa musica non fosse stata debitamente considerata da Croce al medesimo livello delle altre arti che diedero lustro al passato italiano. Il posto di G. nella storia della musicografia è tutto particolare. Pestalozza vi ha addirittura visto un predecessore della “fenomenologia musicale.”In realtà, ad un attento esame quantitativo dei suoi scritti, pare essersi dedicato assai poco a questa o quella musica in particolare, mentre il suo contributo fu assolutamente preponderante nei temi di estetica musicale.Fu una voce originale, fuori dal coro, che inizialmente difese il dramma di Wagner, quindi auspice fermamente all'interno dei testi musicati dai compositori qualità come la purezza e la letterarietà, infine spronò, pur da lontano, i compositori ad una libertà adogmatica e ad una ricerca continua di stile e di linguaggio, rendendoli attenti alla peculiarità della musica, che doveva essere cosa che egli ripete spessissimo nei suoi scrittila figuratrice dell'invisibile, cioè l'elemento che dà corpo alle sensazioni, alle suggestioni, alle fantasie suscitate dai testi musicati e non immediatamente in essi esplicate. Una posizione la sua che può essere paragonata a quella del "critico-artista" teorizzata da Wilde, che G. ben conosce: un "critico-artista" nel senso di ri-creatore dei percorsi attraverso cui la composizione è venuta alla luce, e ignoti al compositore stesso, ma nei quali quest'ultimo riesce a identificarsi una volta che il critico li rivela a lui e al mondo. Dispose per testamento che i suoi libri venissero donati "ad una biblioteca di piccola Città preferibilmente Pinerolo" e proprio presso la Biblioteca Civica "Camillo Alliaudi" di Pinerolo ora si trovano, presso il Fondo che prese il suo nome.  Altre saggi: “Per l'arte aristocratica (in proposito di uno studio di Luigi Torchi), in “Rivista Musicale Italiana”, -- aristocrazia, democrazia, crazia – kratos – il concetto di potere --  Il “Nerone” di Arrigo Boito, in “Rivista Musicale Italiana”, L'estetica di Leopardi, Torino, Bocca, con lo pseudonimo di Anticlo:  Gli spiriti della musica nella tragedia greca, in “Rivista Musicale Italiana”, Milano, Bottega di Poesia, L'amore nel Canzoniere di Francesco Petrarca, Torino, Bocca, con lo pseudonimo di Luigi Pagano:  La fionda di Davide. Saggi critici (Boito, Pizzetti, Croce), Torino, Bocca. Dizionario Biografico degli Italiani Cesare Botto Micca, in morte di Romualdo Giani, in “Rivista Musicale Italiana”, Annibale Pastore, In memoria,, in “Rivista Musicale Italiana”, Massimiliano Vajro, “Rivista Musicale Italiana”, Luigi Pestalozza, Introduzione a «La Rassegna Musicale». Antologia, Luigi Pestalozza, Milano, Feltrinelli, Guido M. Gatti, Torino musicale del passato, in «Nuova Rivista Musicale Italiana». Guglielmo Berutto, Il Piemonte e la musica, Torino, in proprio, ad vocem. Baldi, “Fotografare l'anima” -- Romualdo Giani e Giorgio Federico Ghedini, in “Bollettino della Società Storica Pinerolese”, Cavallo,La vita, il fondo musicale, le collaborazioni musicologiche e gli interessi letterari, Pinerolo, Società Storica Pinerolese,. Con contributi di Casagrande, Baldi,  Betta, Cavallo, Balbo, Fenoglio.  GIANI, Romualdo. Nasce a Torino da Francesco e da Clementina Guidoni, originari della Valle d'Intelvi.  Laureatosi in giurisprudenza non ancora ventenne, esercita l'avvocatura patrocinando esclusivamente cause civili nel settore commerciale. Allo stesso tempo si occupò con continuità di arte e letteratura. Creativo e versatile, ebbe profonde conoscenze della storia e della tecnica delle diverse arti, ampliate dai numerosi viaggi effettuati nelle principali città d'arte europee. È tra i fondatori, con l'amico editore Bocca, della Rivista musicale italiana, alla quale collaborò ininterrottamente per trentasette anni, spesso valendosi di pseudonimi.  Esordì sul primo numero della rivista con la critica "I Medici". Parole e musica di Leoncavallo. Il dramma (Riv. mus. italiana); sullo stesso numero diede il via alla rubrica Note sulla poesia per musica(ibid.), ove poneva in luce difetti e pregi dei testi inviati da autori sconosciuti per dimostrare che la poesia del melodramma era forma d'arte.  In Per l'arte aristocratica, sostenne una vivace polemica con Torchi sull'autonomia dell'arte, alla quale parteciparono Pilo, Garoglio, Foulliée e altri; G. volle dimostrare che la formula "l'arte per l'arte" o "l'arte aristocratica" non era cosa assurda e immorale, come sostenuto dal Torchi, ma l'ultimo effetto di un'evoluzione. Pubblica il saggio critico Il "Nerone"di Boito (Torino; cfr. Riv. mus. ital.), che gli procurò l'amicizia dell'autore, il quale gli inviò numerose lettere in cui si dichiarava suo grande ammiratore. Nel volume L'estetica nei Pensieri di Leopardi (Torino; cfr. Riv. musicale italiana) G. oltre a ricostruire il pensiero estetico del poeta di Recanati, ne esaminò anche le teorie sull'arte musicale.  Per la Biblioteca di scienze moderne del Bocca, è stato pubblicato Così parlò Zaratustra di Nietzsche, tradotto da Weisel; G., ritenendo la traduzione non fedele all'originale, ne appronta una nuova versione d'accordo con Weisel, pubblicata, sempre dal Bocca. Con lo pseudonimo di Anticlo, da alle stampe lo studio Gli spiriti della musica nella tragedia greca (Milano; Riv. musicale italiana). Durante il primo conflitto mondiale usce L'amore nel Canzoniere di Petrarca (Torino; in appendice Nota sul suono e sul ritmo), considerata dalla critica, forse, la sua opera più riuscita.  G. inoltre traduce per diletto dal latino, soprattutto TIBULLO (si veda) ed ORAZIO (si veda), e dal francese; come poeta pubblicò nel 1920 soltanto due libretti d'opera: Esther (Riv. musicale italiana), tragedia lirica in tre atti ispirata dal testo biblico, mai musicata, sebbene offerta dal G. a Pizzetti, e L'Intrusa, un atto per musica, tratto dal dramma in prosa di Maeterlinck, musicato dapprima da Ghedini (non rappresentato), e poi da G. Pannain, che la rappresenta a Genova.  La pubblicazione dell'articolo Il Vangelo e il Breviario,celebrazione dell'estetica crociana (Riv. musicale italiana), apparso sotto lo pseudonimo di Luigi Pagano, rappresentò un attacco all'estetica crociana che diede origine a una polemica col Croce stesso. G., con logica inflessibile, dimostrò infondati alcuni concetti del filosofo, come l'eccessivo idealismo che considerava la musica estranea ai fenomeni fisici che la originano e alla tecnica, espressi in Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale (1902) e nel Breviario di estetica, opere che G. ironicamente chiama Vangelo e Breviario. Con Socrate e la pulce (ibid.) rispondeva allo scritto La musica e l'estetica dell'idealismo, in cui Pannain assume la difesa delle tesi crociane. Questi saggi, compreso quello del Pannain, furono raccolti in seguito nel volume La fionda di Davide (Torino 1928) insieme con uno studio sul Boito, e la critica a Debora e Jaele di Pizzetti, giudicata un'opera mancata. Contemporaneamente G. pubblica il Sillabario di estetica (Riv. musicale italiana), e a conclusione della polemica aggiungeva una Nota crociana, nel capitolo terzo de La fionda di Davide, in cui evidenziava ancora altre contraddizioni nella teoria di Croce. La polemica si riaprì  con lo scritto La favola dell'aridità con il quale G. insorgeva, in difesa del Seicento musicale italiano, contro un'affermazione del Croce che definiva "età di aridità creativa" il secolo; la rettifica crociana Obiettanti e seccatori non soddisfece G., che replica con Il parto settimello.  G. scrive inoltre numerose recensioni e articoli sulla Rivista musicale italiana e sulla Rassegna musicale, a cui collabora, spesso sotto gli altri pseudonimi di H. Giraud e A. Cannella. G. muore a Torino. Oltre agli saggi citati si ricordano: Savitri"Idillio drammatico indiano in tre atti di L.A. Villanis. Musica di N. Canti. La poesia, in Rivista musicale italiana; Note marginali agl’Intermezzi critici di Pizzetti; Note Leopardiane, in Campo Torino; Estetica nuova; Per una biografia di Berlioz; Melodramma e dramma musicale, Adler, G., Gli spiriti della musica nella tragedia greca, Riv. mus. ital., Ronga, In morte di G., ibid., Botto Micca, G. (Lo scrittore e il critico), in Il pensiero di Bergamo, Pastore, In memoria di G., Riv. musicale italiana, Vajro, G., Angelis, Diz. dei musicisti, Roma; Diz. encicl. univ. della musica e dei musicisti, Le biografie. Romualdo Giani. Giani. Keywords: implicatura.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giani” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Giannantoni: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della dialettica – filosofia perugiana – la scuola di Perugia – filosofia umbra -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Perugia). Filosofo perugiano. Filosofo umbro. Filosofo italiano. Perugia, Umbria. Grice: “I love Giannantoni; for one, he believes, with me, that there is Athenian dialectic, Roman dialectic, Florentine dialectic and Oxonian dialectic; like me, he has explored mostly ‘Athenian dialectic,’ and he has noted that its birth (‘nascita’) is in the ‘dialogo socratico,’ so it should surprise nobody that I have based my philosophy on the facts of conversation!” Si laurea a Roma sotto Calogero. In “Il dialogo di Socrate e la dialettica di Platone” attribuisce a Socrate una concezione molto laica della del divino e della religione (Religiosità, che Socrate, il quale era certamente una personalità religiosa, intendeva in modo del tutto diverso da come comunemente era sentita a quell'epoca»). La sua dottrina storico-filosofica si fonda sul principio che ogni seria riflessione filosofica si debba basare su un'accurata e rigorosa ricerca filologica delle fonti.Questo spiega l'enorme dispiego di tempo dedicato all'elaborare la sua opera monumentale, Reliche di Socrate” (Socratis et Socraticorum reliquiæ). G. ha sempre seguito il criterio di Croce e Gramsci, secondo cui l'esposizione di un filosofo debba avvenire tramite l'esame storico cronologico (unita longitudinale) delle sue opere, allo scopo di prendere consapevolezza dell'evoluzione della dottrina e di separare da questa ogni sovrapposizione interpretativa personale non adeguatamente basata sulle fonti.  Convinto dell'onestà intellettuale come valore fondamentale cui deve rifarsi ogni interprete della storia della filosofia, capace perciò di rinunciare di fronte alla ricostruzione filologica dei testi anche alle proprie più profonde convinzioni personali. Traccia un profilo ideale dello storico autentico della filosofia, che ha il dovere di farsi filologo rigoroso per avvicinarsi il più possibile al mondo del filosofo da lui studiato», ben sapendo che ciò non basta ancora se non è accompagnato da una sensibilità filosofica e da una consapevolezza teoretica e storica insieme. Di qui conclude il fascino di una ricerca che, rendendoci consapevoli di una grande quantità di problemi altrimenti inavvertiti, termina in un autentico arricchimento spirituale. Il suo insegnamento è stato caratterizzato dalla volontà di essere semplice e chiaro nell'espressione del pensiero considerando questo un dovere morale dell'intellettuale nei confronti degli altri studiosi. Anche allo scopo di realizzare una scrittura filosofica quanto più scientificamente precisa, ha compiuto studi approfonditi sulla logica di Aristotele e sulla storia della semantica filosofica (teoria del segno). Nella sua vita e nella dottrina si è sempre impegnato nel mettere in pratica l'insegnamento socratico, così come fece il suo maestro Calogero: insegnando la conversazione basatio sulla regola d’oro: il rispetto verso il co-conversazionalista. Cura I Presocratici di Diels e Kranz. Altre saggi: La metafisica dei lizii (Roma, Rai); “Che cosa ha veramente detto Socrate” (Roma, Ubaldini); Cirenaici (Firenze: Sansoni); “Filosofia romana” (Napoli: Bibliopolis); “Filosofia italica in eta antica” (Milano: Vallardi); Le filosofie e le scienze contemporanee, Torino: Loescher, I fondamenti della logica de’ lizii” (Firenze: La nuova Italia); Le forme classiche Torino: Loescher, Volpe Roma: Riuniti, Socrate. Tutte le testimonianze: Da Aristotfane e Senofonte ai Padri cristiani; Bari: Laterza, Aristotele. Opere; introduzione e indice dei nomi, Roma; Bari: Laterza, Epicuro. Opere, frammenti, testimonianze sulla sua vita; Bignone; Bari: Laterza, I presocratici: testimonianze e frammenti Bari: Laterza, Profilo di storia della filosofia, Torino: Loescher. La razionalitàmTorino: Loescher, Socratis et Socraticorum Reliquiæ. Collegit, disposuit, apparatibus notisque instruxit G.,  Bibliopolis. Anthropine Sophia. Studi di filologia e storiografia filosofica in memoria di Gabriele Giannantoni; Introduzione di Adorno: per G.: un dialogo, Bibliopolis (collana Elenchos). Deputati della legislatura.  Op.cit. Centrone, ed. Bibliopolis, Enciclopedia Treccani, Centrone, Bibliopolis, Edizioni di filosofia, ILIESI CNR  La traduzione dei Presocratici da parte di G. è stata criticata da Reale nell'introduzione alla sua nuova traduzione dei Presocratici, critiche riportate in due articoli-intervista comparsi sul Corriere della Sera nei quali  G., di formazione gramsciana veniva accusato come curatore della "vecchia" edizione laterziana di avervi perpetrato «una certa manomissione del sapere filosofico», in ossequio all'ideologia e all’egemonia culturale marxista. Interpretazioni del pensiero di Socrate#Socrate: l'interpretazione di G. Calogero La teoria sul pensiero greco arcaico.  Per chi abbia svolto la propria attività di ricerca o abbia compiuto la propria formazione scientifica nell’ambito della storiografia filosofica, il nome di G. (Perugia – Roma) è legato anche al Centro di Studio del Pensiero Antico, dal Consiglio Nazionale delle Ricerche Roma,1 su richiesta, appunto, di G.– in sostituzione del precedente Centro di Studio per la Storia della Storiografia Filosofica –, il Centro di Studio del Pensiero Antico si inserì nel panorama nazionale e internazionale della ricerca storica come una realtà innovativa e contribuì allo sviluppo di una disciplina, la storia della filosofia antica, appartenente al duplice contesto della storiografia filosofica e delle scienze dell’antichità. Il Centro fu attivo in modo autonomo fino al 2001, quando, a seguito di una riforma che ridisegnò la rete scientifica del Consiglio Nazionale delle Ricerche, esso fu accorpato con il Centro di Studio per il Lessico Intellettuale Europeo per dar vita all’ Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee, sotto la direzione di Gregory. L’attività del Centro di Studio del Pensiero Antico fu inevitabilmente legata al percorso intellettuale e di ricerca del suo fondatore, benché in modo non esclusivo. In questo breve profilo si cercherà di rievocare, in primo luogo, i motivi culturali che furono alla base della costituzione di questa realtà, nonché alcuni modelli scientifici di riferimento che ne hanno determinato in certa misura la configurazione e l’attività; in secondo luogo, i contributi originali che il Centro è stato in grado di fornire all’area disciplinare di propria competenza, in termini di pubblicazioni, progetti e formazione, sotto la guida di Giannantoni e di coloro che ne coadiuvarono la direzione. 1 Decreto del Presidente del CNR. n. 6303, ratificato successivamente da una convenzione tra il CNR e “La Sapienza”, stipulata e confermata dal Presidente del CNR. Per il testo della convenzione si veda “Elenchos”, Sull’iter di riforma che portò alla nascita dell’Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee e per i riferimenti normativi, si veda Liburdi Istituito presso la Facoltà di Filosofia dell’Università “La Sapienza” di  MOTIVI CULTURALI E MODELLI ISPIRATORI Come accennato, l’attività scientifica del Centro di Studio del Pensiero Antico fu comprensibilmente orientata da precise scelte critiche e metodologiche di colui che ne aveva voluto l’istituzione. Per dare ordine a questo sintetico profilo, credo sia opportuno riassumere i motivi che ispirarono la promozione di un organo di ricerca mirato agli studi storici sul pensiero antico, in tre principali indirizzi: in primo luogo, la possibilità di considerare la storia della filosofia antica come una disciplina dotata di un proprio specifico (e in certa misura autonomo) profilo quanto a materia di indagine, arco storico e metodologia; in secondo luogo, la nascita, o rinascita, dell’interesse verso scuole filosofiche dell’antichità greca e romana tradizionalmente classificate come minori, in particolare, le cosiddette scuole socratiche e le scuole ellenistiche, che dalle socratiche discendono direttamente sotto l’aspetto storico e dottrinale; infine, la rivisitazione del patrimonio dossografico – cioè del complesso della tradizione indiretta che ha conservato, per estratti, parafrasi o compendi, il pensiero di quei filosofi antichi di cui non è giunto a noi né il corpus né una singola opera completa –. Quest’ultimo indirizzo si inseriva in una tendenza di studi continentale che fece della dossografia antica una vera e propria categoria storiografica con risultati particolarmente innovativi. L’interesse portato alla dossografia, oltre a sostenere gli studi nell’ambito delle filosofie di derivazione socratica e quelle ellenistiche (delle quali, per l’appunto, non si è conservato alcun testo d’autore), apriva un percorso di studi a cui G. è particolarmente legato e che lo vide impegnato sia come direttore del Centro che individualmente, e cioè la riconsiderazione di tutta la dossografia relativa alla filosofia presocratica. Una rapida messa a fuoco di questi tre indirizzi permetterà di chiarire quali interessi scientifici di G. abbiano maggiormente pesato sulle strategie generali e sulle iniziative specifiche del Centro, nonché sulla formazione professionale che esso ha reso possibile. Quanto al primo indirizzo, la questione del profilo specifico della storia della filosofia antica presuppose, da parte di G., una approfondita analisi della visione storica che la cultura filosofica italiana era venuta maturando intorno alla filosofia antica. In questa analisi, i cui esiti si leggono, non a caso, nell’articolo di apertura della rivista Elenchos intitolato La storiografia idealistica e gli studi sul pensiero antico (“Elenchos”), svolge un ruolo chiave la rappresentazione che del pensiero antico seppe dare l’idealismo italiano, specie con Croce, e la sua valutazione critica. L’idealismo italiano si era infatti distinto per due caratteri, l’uno teorico, l’altro metodologico, che apparentemente non favorirono lo sviluppo di una moderna storiografia del pensiero antico. Per un verso, tanto Croce che Gentile vedevano nella filosofia antica (cioè greca) i limiti di un pensiero oggettivo, astratto e naturalistico, che mai sarebbe arrivato a concepire la positività dell’idea di infinito, né quella della soggettività. I punti più alti raggiunti dalla filosofia teoretica greca, Socrate, Platone, Aristotele, coincidevano rispettivamente con la delineazione del concetto, o universale astratto, con la sua separazione dalla realtà sensibile (la teoria delle idee trascendenti e la scienza come dialettica delle sole idee) e con una logica puramente strumentale (la sillogistica), alla quale sarebbe mancata la teorizzazione del giudizio individuale, o giudizio storico, nonché la capacità di superare l’astrattezza e attingere l’atto stesso del pensiero.4 Nella filosofia pratica parimenti i Greci antichi, pur non mancando di intuizioni profonde, non avrebbero superato il precettismo e l’empirismo, e la loro etica ingenua non sarebbe mai giunta a distinguere etica ed economica, morale e diritto, come categorie dello spirito. G., n. 13, rimanda a Croce, di cui diamo qui i riferimenti da Croce. Ciò G. ricavava, pur senza riferimenti testuali precisi, sia dagli excursus storici che possiamo leggere in Gentile e in Gentile, sia da Gentile. G., rimanda a Croce; si veda Croce e a Croce, si veda Croce ILIESI digitale Temi e strumenti copertina di “Elenchos. Per l’altro verso, però, l’idealismo formulò una critica, entro certi limiti giusta e salutare, alla filologia classica – cioè alla filologia classica moderna sviluppata in Germania, distintasi, tra le altre cose, per una predilezione della cultura greca rispetto alla latina –, colpevole sostanzialmente di non essere una disciplina veramente storica. La filologia classica, malgrado i grandi risultati raggiunti nella costituzione dei testi della letteratura antica, nella revisione della tradizione bizantina e nelle nuove acquisizioni, si affermò come una procedura tecnica complessa e molto raffinata ma priva della visione della storicità del documento, del suo autore, dell’ambiente della sua composizione, nonché del suo testimone. La questione, che emerse inizialmente nel campo delle edizioni letterarie,6 non è meno complessa per quelle filosofiche: i testi della filosofia antica richiedono anche una comprensione dei contenuti teorici e pretendono di essere inquadrati in sistemi di pensiero il cui senso trascende il ripristino del testo, o quanto meno se ne distingue in data misura. Questo fu il nodo che si dovette sciogliere perché si potesse cominciare a delineare una storia della filosofia antica che includesse tanto la capacità di fornire edizioni affidabili sotto il profilo testuale, quanto quella di storicizzare i documenti, cioè di comprenderne i contenuti alla luce di coordinate culturali congrue con le epoche di appartenenza. La storiografia idealistica è dunque imputata da G. di evidenti limiti interpretativi della filosofia antica, come fu ben presto mostrato, ad esempio, dalle due celebri monografie di Mondolfo sull’infinito nella filosofia antica e sul soggetto umano nell’antichità,7 che smentivano l’idea di un connaturato e irreparabile oggettivismo della filosofia antica. Tuttavia l’idealismo ha fornito un’importante lezione e soprattutto ha indicato con chiarezza un ostacolo da superare: 6 In particolare, la critica crociana a cui Giannantoni fa riferimento  prese le mosse da edizioni di testi poetici e si volse contro la “mera filologia” e la Kulturgeschichte che, nella pretesa di restituire il senso del testo letterario, non apportavano comprensione né storica né concettuale. Cfr. ad esempio la recensione alla monografia di Romagnoli su Aristofane e che si può leggere in Croce. Dice G. al riguardo: il problema del rapporto tra filologia e poesia, tra filologia e storiografia, tra filologia e filosofia sta al centro dell’elaborazione dell’idealismo italiano”. G. probabilmente pensava anche alle considerazioni gentiliane intorno al filologismo che affligge la storia e ostacola la costituzione di una storia della filosofia, in Gentile Mondolfo. Tracciando nel primo dei due volumi in onore di Croce per il suo compleanno, quello che è tuttora l’unico panorama complessivo degli studi di filosofia antica nel cinquantennio, Guido Calogero non ritenne di dover prendere in considerazione né Croce stesso né Gentile (e neppure Ruggiero) quali interpreti del pensiero antico; né altri ne hanno trattato in modo approfondito (mentre studi importanti esistono sulle loro interpretazioni di altri periodi della storia del pensiero) la ragione è da ricercare in una persistente separazione, non solo concettuale, ma anche di organizzazione degli studi, che lo stesso idealismo ha contribuito non poco a consolidare, tra considerazione filosofica, ricostruzione storica e indagine filologica. Gli studi di filosofia antica hanno infatti sofferto in modo particolare di una vera e propria scissione tra quelli che erano considerati i compiti esclusivi del filologo e quelle che erano considerate le competenze dello storico e del filosofo: con la conseguenza che questi studi sono potuti apparire troppo filologici ad alcuni e ad altri, all’opposto, troppo filosofici per entrare di pieno diritto nell’ambito di ciò che si era soliti chiamare la scienza dell’antichità. Quando G. scrive queste parole, era persuaso che la scissione non fosse superata e fosse causa, oltre che di una durevole influenza idealistica, anche di un pregiudizio nei rispetti della filologia, malgrado i grandi progressi e le messe a punto di tanta prestigiosa filologia classica italiana.9 Stante, quindi, una situazione di progresso “zoppicante”, per così dire, degli studi storiografici italiani sulla filosofia antica, G. nutrì l’aspirazione di delimitare un preciso terreno metodologico cogliendo la preziosa occasione che il Consiglio Nazionale delle Ricerche gli offriva. Il secondo indirizzo è quello che, almeno a prima vista, rivela maggiormente la stretta relazione tra il percorso scientifico individuale di G. e lo spettro di interessi messi in campo da quanti hanno operato nel o col Centro, a cominciare dai suoi allievi. Tanto più che l’attenzione rivolta non solo a Socrate ma alle tradizioni socratiche ed ellenistiche non è del tutto indipendente dalla questione dell’impatto dell’idealismo italiano sulla fortuna della storiografia filosofica dell’antichità. Il giudizio crociano sui limiti delle filosofie di Socrate, Platone e Aristotele, ad esempio, diventa un vero e proprio deprezzamento delle tradizioni minori. Ed è appena necessario [G.  Il riferimento a Calogero è da intendersi a Calogero. Si veda al riguardo il chiarimento di G. relativo all’opera di Pasquali, che pervenne ad un’unità di filologia e storia come unità di metodo, non di contenuti, e che si caratterizzò tramite uno storicismo della filologia classica, profondamente diverso dallo storicismo idealistico: questo, inteso come riconoscimento nella storia e nella cultura di figure e “categorie” del pensiero e dello spirito, quello, inteso come intima connessione tra le rigorose tecniche filologiche e la conoscenza storica (Cfr. Croce: “... col considerare principalmente il contrasto delle passioni verso la volontà razionale sorsero le scuole opposte dei cinici e cirenaici, ricordare che la figura di Socrate, a cui deve farsi risalire il terreno di ricerca costituito dalle scuole socratiche e buona parte di quello attinente alle tradizioni ellenistiche, fu al centro di importanti riflessioni teoretiche e storiografiche di Calogero,11 che di G. fu il maestro. Abbiamo poi vari segni di un’interazione di tendenze di studio comuni a più scuole anche fuori dell’Italia. L’interesse per le tradizioni dette “minori”, tali cioè in quanto paragonate alle filosofie di Platone e Aristotele e, in più, conservate solo tramite tradizione indiretta, si manifesta con studi sui Sofisti, su alcuni discepoli di Socrate, in particolare Antistene di Atene e Aristippo di Cirene, sulla tradizione scettica.Proprio ad Aristippo di Cirene e alla sua scuola Giannantoni dedica la sua prima importante opera scientifica (G.). In essa si profilano le problematiche, filologiche e storiografiche prima ancora che concettuali, relative alla intricata questione della eredità socratica: l’edizione critica di un corpus proveniente da molti e diversi testimoni; la possibilità di dirimere le fonti storicamente attendibili dalla ritrattistica aneddotica; la contestualizzazione del filosofo all’interno di un milieu composito in cui si intrecciano le influenze della Sofistica e della retorica classica e il magistero socratico. stoici ed epicurei e altrettali; ma le dottrine di tutte coteste scuole, se serbano qualche valore empirico come precetti di vita più o meno convenienti a individui, classi e tempi determinati, non ne presentano alcuno o scarsissimo, esaminate in quanto concetti filosofici; e cinici e cirenaici, stoici ed epicurei, piuttosto che filosofi sembrano monaci, seguaci di questa o quella regola”. Sulle “scuole socratiche minori” cfr. anche il giudizio, meno sommario, di Gentile. Com’è molto noto, Socrate occupò un ruolo centrale nella personale riflessione teorica diCalogero, che elaborò la sua “filosofia del dialogo” esattamente sul modello del Socrate dei dialoghi platonici, nel quale il filosofo italiano vide la prima formulazione di un’istanza intellettuale e morale – il dialogo, appunto, contrapposto al “logo” conclusivo e assertivo – destinata a far giustizia della pretesa di fondare l’etica sulla epistemologia e sulla metafisica, e che sarebbe stata anche alla base della moderna concezione dello stato liberale e di diritto. Ma Socrate fu anche al centro di importanti lavori storiografici di Calogero, alcuni dei quali aprirono la strada alla ricerca della posterità del magistero socratico nel pensiero tardo-ellenistico e cristiano. Una visuale critica diversa da quella di G., ma in linea con la percezione del ruolo capitale svolto da Socrate nella storia del pensiero antico. Mi limito su tutto ciò a rimandare a G. e a Brancacci. Per limitarsi alle opere principali: Untersteiner, con moltissime riedizioni; Pra; Humbert; Mannebach; Caizzi; Patzer. Questi elementi appaiono, nella storiografia e nella filologia europea, sempre più determinanti per la comprensione delle dottrine di personalità come Aristippo, Antistene di Atene, Euclide di Megara, Eschine di Sfetto. In più, il superamento della Quellenforschung tradizionale e l’approfondimento dei contenuti filosofici aprirono nuove possibilità di delineare il percorso che dalle scuole socratiche della seconda metà del IV secolo a.C. porta alle principali tendenze ellenistiche, il Giardino, il Portico, il Lizio post- aristotelico, la scepsi pirroniana ed accademica. A questo complesso terreno di ricerca è dedicata una iniziativa che precede l’istituzione del Centro di Studio del Pensiero Antico benché sempre sostenuta dal Consiglio Nazionale delle Ricerche: il convegno “Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica”, organizzato dal Centro di Studio per la Storia della Storiografia (la cui direzione era stata affidata allo stesso G.), e i cui atti furono pubblicati nel 1977 dalla casa editrice il Mulino di Bologna. Le relazioni presentate al Convegno del 1976, mirate ad una ricognizione dello stato documentario delle filosofie riconducibili a Socrate o ad uno dei suoi discepoli, e dei rapporti concettuali tra queste tradizioni e le filosofie ellenistiche e di età imperiale,13 furono aperte dalla comunicazione dello stesso Giannantoni sul tema Per un’edizione delle fonti relative alle scuole socratiche minori, nella quale lo studioso esponeva i risultati di un già lungo percorso di ricerca, ma ancora lontano, nel 1976, dalla sua conclusione. In questa relazione vengono messe a fuoco le 13 Cambiano 1977; Celluprica; Sillitti; Caizzi; Ioppolo; Brancacci; Donini; Parente; Repici ILIESI digitale Temi e strumenti 11 copertina di G. Giannantoni, I Cirenaici. Raccolta delle fonti antiche, traduzione e studio introduttivo, Firenze, Francesca Alesse G.  e il Centro di Studio del Pensiero Antico peculiarità e la notevole problematicità, soprattutto sotto il profilo filologico, di una edizione di testi filosofici e di molti autori. Emerge da questo breve testo non solo uno stato dell’arte ma un criterio programmatico che non considera sufficienti, benché certamente necessarie, le sole competenze della filologia classica, ma pretende una sensibilità storica e una capacità di comprensione teorica che gli sforzi della Altertumswissenschaft tradizionale non avevano sempre garantito. L’edizione di testi filosofici di trasmissione indiretta non può limitarsi alla costituzione del testo e alla redazione di apparati critici da cui si desuma il meticoloso lavoro di collazione dell’editore, ma deve tener conto dei contesti storici e problematici nei quali sono vissuti tanto il filosofo quanto il suo testimone. Inoltre, un’edizione che sia, in più, una silloge di testi relativi a (e non provenienti da) molti filosofi, comporta di andare oltre la natura estrinsecadella singola testimonianza (epoca e ambiente del testimone, distanza cronologica dall’autore, genere letterario della fonte, parametri stilistici, etc.) e di individuare alcune strutture di pensiero che, in un lasso di tempo abbastanza lungo, si facciano riconoscere per caratteri salienti e durevoli e, al contempo, riflettano le condizioni storiche che ne determinano la specificità (secondo i dettami dello storicismo), diventando pagine e capitoli di una lunghissima storia culturale; si configurino, cioè, come tradizioni: Il fatto è che a proposito di una raccolta di testi che riguardano uno o più filosofi, emerge molto più nettamente che in altri casi l’impossibilità di considerare la testimonianza antica come un dato puramente oggettivo, e quindi la necessità di storicizzarla fino in fondo: in realtà essa deve essere considerata come un capitolo di una vera e propria storia della cultura durata all’incirca un millennio, e perciò da ricondurre di volta in volta al suo tempo e alle tendenze storicamente determinate che la produssero: parleremmo di un Diogene irreale e mai esistito se pensassimo di poter adoperare come ingredienti mescolabili a piacere Epitteto e Dione Crisostomo, Luciano e Giuliano l’Apostata, un padre della chiesa e le epistole apocrife che vanno sotto il nome del cinico.15 Il terzo indirizzo, relativo alla dossografia, è quello che presenta, almeno in apparenza, un maggiore tecnicismo, perché volto alle problematiche ecdotiche ed interpretative attinenti allo studio di [Sulla cosiddetta filologia esterna, sul ruolo da essa svolto nelle edizioni filosofiche e sui suoi limiti, si veda G., a proposito dell’opera di Vitelli, la cui importanza per la storia della filosofia antica è legata specialmente alle edizioni critiche dei commenti aristotelici di Filopono. G.  dottrine riportate da testimoni spesso assai lontani, per cronologia ed orientamento intellettuale, dagli autori di cui si vuole conoscere il pensiero. D’altra parte, la dossografia si è rivelata un capitolo importantissimo di quella millenaria storia culturale che costituisce il terreno di indagine della storia della filosofia antica. Non si potrebbe ancora oggi redigere una storia della storiografia filosofica dell’antichità senza iniziare non solo dalle grandi raccolte di testi e frammenti allestite dalla filologia ottocentesca e comparse nei primi anni del XX secolo (le raccolte di Usener,16 Diels,17 Arnim,18 per citare degli esempi), ma anche dalla prima grande opera di analisi e comparazione dei testimoni, i Doxographi Graeci di Hermann Diels; come è altrettanto vero che non si può oggi fare a meno dei più recenti e sistematici contributi all’analisi della dossografia filosofica, cioè gli Aëtiana di Mansfeld e Runia. I più importanti progetti editoriali varati negli ultimi decenni, inoltre, si sono strettamente legati alla problematica della DOSSOGRAFIA e all’analisi dei testimoni, a lato di quelle condotte sui filosofi romani e sulle tradizioni dottrinali. Allo studio di filosofi di grande notorietà e impatto della tradizione culturale antica, ai quali si deve gran parte della conoscenza dei filosofi precedenti -- come CICERONE e Plutarco -- si è venuta affiancando una sempre maggiore familiarità con testimoni meno noti ma che hanno rivelato un’importanza fondamentale, come Filodemo, Diogene Laerzio, Sesto Empirico, Galeno, Stobeo. L’indirizzo dossografico e quindi un segno della tempestività e della sensibilità di G. nei rispetti di un terreno di ricerca che si venne imponendo e che di fatto contribuì alla dimensione dello stesso Centro, la cui attività progettuale e congressuale e in buona misura dedicata alla dossografia di epoca tardo ellenistica ed IMPERIALE. Si può far rientrare in questo ultimo indirizzo anche una linea di attività di studi la cui ragione storiografica e oggetto di un vivacissimo [Usener 1887. 17 Diels 1903. 18 Arnim 1903. 19 Diels 1879. 20 Mansfeld-Runia 1997; Mansfeld-Runia 2009; Mansfeld-Runia 2010. È appena necessario ricordare che le parole stesse “doxographus”, “doxographia”, sono coniate da Diels. Sulla dossografia e sul suo sviluppo come categoria filologico-storiografica, cfr. Mansfeld, rist. in Mansfeld-Runia, Mansfeld, rist. in Mansfeld-Runia – cf. GRICE, “LIFE AND OPINIONS” – “Vita e opinioni” – Speranza, “OXONIAN DOXOGRAPHY: H. P. GRICE” -- dibattito e che è nota come la questione delle dottrine non scritte di Platone. Sorta nell’accademia tedesca, in particolare a Tübingen, da un’ipotesi schleiermacheriana, la questione degl’ “agrapha dogmata” consiste, molto in breve, nella convinzione che Platone teorizza una dottrina dei principi (Uno e Molteplice), della quale non resta traccia nei suoi scritti – perché oggetto di pura trasmissione orale all’interno dell’Accademia antica – ma solo sparsi indizi in pagine aristoteliche. Alla nascita, per così dire, del Centro, G. invita Gaiser, ordinario di filologia  a Tübingen e uno dei maggiori sostenitori di questa ipotesi, a tenere una lezione presso la Sapienza sul tema La teoria dei principi in Platone, il cui testo venne pubblicato nel primo numero della rivista Elenchos. Tuttavia, il punto che merita attenzione in questa sede è che la questione delle dottrine non scritte di Platone e, oltre che un tema rilevante per se stesso, anche un pretesto per riconsiderare Aristotele come testimone egli stesso del passato filosofico, più precisamente per le cosiddette filosofie italiche pre-socratiche. Com’è noto, Aristotele può essere considerato se non il primo testimone in assoluto delle precedenti tradizioni della filosofia, certamente il primo testimone che ne offre una informazione organizzata secondo criteri espositivi dettati dalle proprie esigenze filosofiche e che hanno inevitabilmente condizionato la visione storiografica. Per quanto apparisse improprio, naturalmente, definire Aristotele un “dossografo”, il ri-esame della sua testimonianza della filosofia italicca precedente, anch’essa una tradizione indiretta, appare a G. una linea d’azione congrua con quelle relative alle scuole socratiche e le filosofie ellenistiche, ancorché meno visibile tra i risultati delle ricerche del Centro. A conclusione di questo primo paragrafo, ricordiamo che l’istituzione del Centro di Studio della Filosofia Antica non e del tutto priva di modelli in Italia e fuori e che con alcuni di essi si instaurò una costante collaborazione. L’esempio più immediato, sia sotto il profilo tematico e scientifico, che sotto quello del funzionamento istituzionale, e il – Robin, una unità di ricerca del  Gaiser ILIESI digitale Temi e strumenti  Centre de Recherches sur la Philosophie Antique, Centre de la Recherche  Scientifique, ma operante all’interno e sotto l’egida    Francesca Alesse G.  e il Centro di Studio del Pensiero Antico  della Sorbonne (perciò definito anche Unité Mixte de  Recherche), in modo non troppo dissimile dai Centri di Studio  del CNR istituiti in regime di convenzione con i vari atenei italiani. La  collaborazione con questo Centro si focalizza sulle tematiche  socratiche e da  luogo al ripetuto scambio di filosofi tra le due sedi nell’ambito del programma di ricerca “Socrate e la storia della filosofia antica: rottura o continuità?”; i contributi  pubblicati sotto il titolo di Lezioni socratiche, a cura di furono   G. e Narcy, per Bibliopolis di  Napoli. Un’altra importante istituzione scientifica a cui G.  guarda con particolare attenzione e con cui intrecciò stretti rapporti  scientifici nonché di cordiale amicizia è stata senz’altro il CENTRO PER LO STUDIO DEI PAPIRI ERCOLANESI, fondato da, Gigante. I motivi di tale  collaborazione sono dettati ovviamente dall’interesse intrinseco per  la grande opera editoriale a cui il Centro fondato da Gigante e  votato. La pubblicazione delle edizioni critiche dei papiri reperiti  nel sito ercolanese offre alla comunità filosofica un patrimonio  inestimabile per la conoscenza dell’ORTO, della tradizione  socratica, del PORTICO. Ma sono anche ragioni metodologiche a  sancire un sodalizio importante, che si concretizza in varie iniziative e  pubblicazioni cui parteciparono entrambi i Centri: i testi ercolanesi,  com’è molto noto, costituiscono un materiale che permette di  arricchire enormemente la conoscenza di molte importanti tradizioni  filosofiche, a condizione di possedere un complesso di  conoscenze e tecniche interpretative che difficilmente possono  trovarsi nella medesima personalità e che però vanno applicate  contestualmente. In altre parole, l’esperienza collaborativa tra questi  due Centri, forti, l’uno, di una formazione propriamente filosofica, l’altro, di alte competenze filologiche, contribuì in modo  significativo a costituire quella storiografia della filosofia antica che  aveva, almeno per la cultura accademica italiana faticato ad assumere uno statuto proprio. Quanto detto nel precedente paragrafo trova un riflesso, diretto o indiretto, nelle attività di ricerca del Centro, nonché nelle sue pubblicazioni. L’interesse per il consolidamento della storia della filosofia antica come disciplina autonoma, dotata cioè di un suo impianto metodologico, oltre che di un preciso confine cronologico, viene perseguito tramite l’attività progettuale, congressuale e editoriale, di cui si dà qui una descrizione sintetica. Vale però la pena di ricordare, prima di tutto, una iniziativa promossa da G. dopo l’istituzione del Centro, in conformità di un indirizzo dell’organo direttivo di Elenchos, e dedicata alla problematica storiografica: Nelle riunioni del Comitato direttivo della rivista Elenchos è emersa più volte l’opportunità di aprire una discussione sul metodo o, meglio, sui metodi della storiografia filosofica relativa alla filosofia antica. Si pensa perciò di cominciare con una tavola rotonda, chiamando a parteciparvi esponenti di orientamenti diversi e significativi, ai quali è stato chiesto di intervenire liberamente su tre questioni principali -- se ha senso parlare ancora di una storia della filosofia (e quindi anche di una storia della filosofia antica) come disciplina a se stante e in sé autonoma; quali innovazioni si possono riconoscere all’ampliarsi e al differenziarsi delle impostazioni teoriche che sono sottese ai vari approcci metodici alla storia della filosofia antica; quale è il contributo che viene, una volta tramontato il vecchio mito classicistico, dall’applicazione di categorie elaborate dalle scienze umane. Alla tavola rotonda parteciparono Berti, Vegetti, Viano, e lo stesso G., ciascuno portando un contributo molto peculiare e strettamente conforme al proprio orientamento intellettuale. L’intervento di G. rispecchia le riflessioni condotte qualche anno prima e pubblicate nel già citato articolo di apertura della Rivista (La storiografica idealistica), di cui ripropone le premesse problematiche e a cui aggiunge precise prese di posizioni sulla specificità della storia della filosofia antica e sul modo di salvaguardarla senza perdere di vista il fatto che lo scopo principale (scil. dello storico della filosofia antica) resta la comprensione dei testi che ci trasmettono la filosofia antica, ritengo necessario rivendicare l’imprescindibilità di una rigorosa e metodica impostazione filologica, anche se tale impostazione non può non venire assumendo sempre più, essa stessa, una fisionomia storica: quella della storia degli studi ciò dovrebbe indurre a uscire da un tradizionale isolamento e a promuovere una organizzazione del lavoro diversa e meno diffidente verso i sussidi che la tecnologia moderna può offrire. In ogni caso, la storia degli studi è ormai elemento costitutivo di ogni indagine che voglia avere un minimo di serietà, non solo per le conoscenze che ha acquisito ma anche per le divergenze che ha proposto. L’alternativa a questa impostazione è o l’arbitrio nella scelta dei riferimenti o l’illusione di un ritorno alla lettura diretta dei testi. In queste parole possiamo rintracciare ad un tempo la finalità della costituzione del Centro e la visione di G. del modo di operare storiografico: più che il cenno alle nuove tecnologie e più che l’esortazione ad abbandonare l’isolamento, sicuramente importanti l’uno e l’altra, conta sottolineare, a mio parere, il richiamo alla storia degli studi come parte integrante della storia della filosofia, in particolare della filosofia antica, affidata in larghissima misura alla tradizione indiretta. La serietà, cioè la plausibilità dei risultati della ricerca storico-filosofica sono messi a rischio dall’illusione di poter leggere (e capire) le parole del filosofo, specie se antico, senza gli strumenti della conoscenza filologica, linguistica e culturale nel senso più lato, conoscenza cui si perviene ricostruendo, ove sia possibile, anche una storia intelligente delle letture altrui. Uscire dall’isolamento è, allora, non solo la cooperazione tra colleghi ad un progetto scientifico unitario, ma anche la conoscenza e la valutazione delle migliori offerte interpretative che di un testo e del suo contesto siano state date entro un certo arco di tempo. Sia nelle azioni istituzionali, che investirono e coinvolsero il complesso delle risorse del Centro, incluse le relazioni stabilite con il mondo universitario, sia nelle attività di ricerca individuali, un ruolo primario fu senz’altro svolto dalle tradizioni ellenistiche e dall’analisi della letteratura dossografica. Il Centro organizza un convegno sulla SCESSI, (Quintiliano, SCEPTICI --) e coopera strettamente con Pavia e in particolare con Vegetti e collaboratori, sostenendo l’organizzazione di due importanti convegni: “La filosofia ellenistica” (Pavia) e Ancora alla filosofia ellenistica è dedicata l’importante pubblicazione dei Proceedings del quarto simposio internazionale sulla filosofia ellenistica, che vide tra i suoi partecipanti esperti di caratura internazionale, alcuni di stretta collaborazione con il Centro stesso. copertina del volume di La scessi antica, Atti del convegno, a cura di G., Napoli. Le opere psicologiche di Galeno” (Pavia)  ILIESI digitale Temi e strumenti  G. G.-Vegetti Manuli-Vegetti. Barnes-Mignucci Carattere sistematico ebbe anche la linea d’azione dedicata allo studio della dossografia. Il Centro organizza il congresso sull’opera del biografo di ETA IMPERIALE Laerzio (Laerzio storico della filosofia antica”, Napoli-Amalfi, e il congresso sull’opera del filosofo scettico di ETA IMPERIALE  Sesto Empirico (“Sesto Empirico e la filosofia antica”, Sestri Levante. Si delinea in entrambi gl’eventi un’unica prospettiva, grazie alla quale l’oggetto dell’indagine storiografica è, per così dire, duplice e contestuale: l’autore, cioè il filosofo la cui FILOSOFIA è oggetto di trasmissione da parte di un testimone, e il testimone stesso, la sua epoca, il suo orientamento, nonché la struttura formale della sua testimonianza, struttura che rivela assai spesso una tesaurizzazione delle informazioni attraverso i differenti metodi per la loro esposizione. Così, mentre l’opera di Diogene Laerzio, che già da lungo tempo attira l’attenzione della filologia, conserva una concezione ampia del genere biografico, restituendo non solo informazioni biografiche e dottrinali dei singoli filosofi nonché cataloghi d’autore, ma anche specifici schemi espositivi presi a prestito dalla letteratura storica (il più caratteristico è senz’altro quello delle “successioni”), l’opera di Sesto Empirico mostra le conseguenze sul piano storiografico di un modello propriamente concettuale, la diaphonia. Un altro forte sodalizio, quello con il Centro Internazionale per lo Studio dei Papiri Ercolanesi di  Gigante, permise di allestire negli anni subito successivi un grande congresso  sul tema “L’orto romano” (Napoli-Anacapri,  ILIESI digitale Temi e strumenti 19   Figura copertina di Laerzio storico del pensiero antico, Atti del congresso, “Elenchos”, Atti pubblicati in “Elenchos”. 29 Atti pubblicati nel volume 13 dell’annata 1992 della rivista “Elenchos), un evento di ampio spettro tematico e cronologico all’interno del quale poterono cimentarsi papirologi e papirologi ercolanesi, filologi classici, paleografi ed epigrafisti, storici, e ovviamente storici della filosofia romana. Proprio di questo incontro e il suo carattere transdisciplinare e, per quel che attiene alle attività in corso presso il Centro, la messa alla prova di molte ipotesi di lavoro anche individuali sulla relazione tra L’ORTO e le rilevanti tradizioni (le scuole socratiche, il PORTICO, la SCESSI dell’ACCADEMIA e pirroniana) che impegnano sia G. in prima persona che il suo gruppo di lavoro operante presso la Sapienza e il Centro. Tra gli impegni di G. in qualità di direttore del Centro ci e l’organizzazione di due altri convegni: “ “Empedocle di GIRGENTI e la cultura della Sicilia antica. Illustrazione di un frammento inedito della sua opera”, Agrigento.  Il primo raccolse un gruppo consistente di esperti della filosofia romana ed e un raro esperimento di indagine lessicale da parte del Centro, volto a delineare l’area semantica – “linguistic botanising” -- dell’affezione (emozione, sentimento, malattia) nelle diverse manifestazioni della filosofia romana. Il secondo convegno e un altro esempio del modo in cui G. intende inserire la vita del Centro all’interno di una rete di relazioni istituzionali, oltre che accademiche, perché il convegno, motivato dalla 30 G.-Gigante Atti Elenchos”. Atti “Elenchos”. Figura 5: copertina del primo volume di Epicureismo greco e romano, Atti del congresso, cur. G. e Gigante, Napoli, Il concetto di  pathos nella cultura antica” (Taormina coperta del Papiro di Strasburgo contenente una porzione del poema empedocleo, e organizzato in collaborazione con la sovrintendenza dei beni archeologici di Agrigento. Esso inoltre dove essere una prima tappa di un più ampio progetto dedicato alle tradizioni culturali e filosofiche della Sicilia e della Magna Grecia. Sarebbe un errore pensare che le strategie e i progetti del Centro avessero come unici interlocutori le istituzioni accademiche italiane. Certamente, uno degli obiettivi di G. e quello di costituire un piccolo ma vivace e solido bacino collettore degli interessi intorno alla filosofia romana, e tali interessi sono, di fatto, collocati nelle Università e organizzati secondo i modi della didattica e della formazione universitarie. Ma il Centro partecipa anche alla realizzazione di una delle maggiori iniziative che il Consiglio delle Ricerche abbia dedicato al settore delle scienze umane, e cioè il progetto “Il Sistema Mediterraneo. Radici Storiche e Culturali e Specificità Nazionali”. Questo grande progetto  e articolato in cinque linee di indagine, la  prima delle quali dedicata al mondo romano. E in questo contesto che G., oltre a scrivere il  saggio La tradizione filosofica in Magna Grecia e Sicilia,  apparso nel volume che raccoglieva i risultati delle attività  promosse dal progetto, contenne l’idea di una linea di attività, cui si è  fatto cenno, dedicata alle tradizioni filosofiche della Magna Grecia [never “MAKRA ELLENA, but megale hellas – H. P. GRICE] e  della Sicilia, linea che avrebbe dovuto raccogliere e mettere a frutto le  metodologie sperimentate nella più generale attività del Centro Il Progetto Strategico, svoltosi e coordinato da Antonello Folco Biagini fu varato nel 1994 dal Biagini ILIESI digitale Temi e strumenti 21  Comitato Nazionale di Consulenza del CNR per  la filosofia, allo scopo di convogliare tutte le competenze rappresentate ed espresse dalla rete scientifica costituita dai Centri di Studio e dagli Istituti afferenti al Comitato stesso, in una grande area di interesse, appunto il “Mediterraneo”. Al fondo della decisione del Comitato e la convinzione che il Mediterraneo costituisse non un’entità identitaria ma un complesso sistema di realtà molteplici, tradizionalmente oggetto di indagine da parte di settori disciplinari indipendenti. Si tratta perciò di conferire unità strategica e di metodo ad una  naturale e fisiologica molteplicità di fenomeni culturali.  Origine e incontri di culture nell’antichità”.   Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico  (studio della dossografia e delle tradizioni indirette). Rivisse in questo  progetto l’antico interesse di G. per la  trasmissione delle cosiddette tradizioni pre-socratiche, molte delle  quali per l’appunto fiorite nelle aree magnogreche (VELIA, CROTONE, GIRGENTI, LEONZIO), e per il ruolo svolto in  tale trasmissione da Platone (si veda CUOCO) e Aristotele. A questo più antico arco  cronologico, si sarebbe poi unito il costante interesse per L’ORTO, nella forma storica dell’ORTO CAMPANO.  Vale la pena ricordare, infine, l’attività formativa che il Centro  riuscì a svolgere, facilitata, come è facile comprendere, dalla  posizione accademica di G.. Il Centro di Studio della filosofia antica  si formò infatti raccogliendo i suoi allievi, che si unirono ai  ricercatori già in forza presso il precedente Centro di Studio per la Storia della Storiografia Filosofica. L’attività progettuale, inoltre, non si limita alla sola attività di pianificazione scientifica e ancor meno alla sola organizzazione dei convegni, ma prevede lavori continuativi di studio collettivo e di confronto sulle tematiche di principale interesse e di rilevanza strategica.  I maggiori convegni venneno quindi preceduti  da seminari propedeutici sulle dossografie antiche, sull’opera di  Diogene Laerzio e su quella di Sesto Empirico, e su quest’ultimo  autore, anzi, si svolge un seminario aperto anche ai dottorandi di  ricerca della Sapienza. Nell’ambito del progetto “Mediterraneo” e quindi della linea di ricerca sul Mediterraneo antico,  il Centro ottenne dal Comitato di Consulenza per la Filosofia borse di studio. Un discorso a parte merita l’attività editoriale a cui il Centro riuscì a  dar vita. Due furono le iniziative editoriali, strettamente coerenti con  l’idea programmatica che ispirò la costituzione del Centro: la serie  “Elenchos. Collana di testi e studi sulla filosofia antica, ed Elenchos. Rivista di studi sulla filosofia antica. La scelta del  medesimo nome per le due iniziative si spiega facilmente in  riferimento all’orientamento intellettuale ed al bagaglio culturale dello  stesso G., che riteneva la discussione, il confronto  -- elenchos, appunto -- in primo luogo, uno dei lasciti più significativi  della cultura filosofica antica, quello che maggiormente ha contribuito  alla formazione della coscienza moderna. Ma in secondo luogo, e  secondo un’angolatura più tecnica, G. vedeva nell’”elenchus”, inteso come analisi critica, il metodo per eccellenza dello  studio del testo filosofico antico e della dottrina in esso contenuta,  come mostrano i primi autori di una nascente “storia della  filosofia” ancora in forma di dossografia, Platone e soprattutto, com’è  assai noto, Aristotele. In omaggio dunque, all’ideale “dia-logico” (DIA-GOGE – H. P. GRICE) trasmesso dal magistero di Calogero, l’ELENCO e, nei limiti  del possibile, il contrassegno delle ricerche realizzate o promosse dal  Centro e divenne il nome delle due pubblicazioni, entrambe affidate  alla casa editrice napoletana Bibliopolis, Edizioni di Filosofia, di Franco.  La collana e destinata in larga misura, benché non  esclusivamente, a premiare le ricerche individuali, le quali dovevano  concretarsi in studi monografici, edizioni di testi e strumenti per la  ricerca. Non deve stupire che in questa sede ci si limiti a mettere in  primo piano l’opera Socratis et Socraticorum Reliquiae, collegit,  disposuit apparatibus notisque instruxit G. Frutto di una ricerca individuale, preparato da  molte precedenti pubblicazioni, questa edizione delle testimonianze  relative a Socrate e alle scuole socratiche, corredata dell’APPARATO CRITICO e note di commento (e SENZA traduzione), rappresenta la più importante  espressione degli interessi tematici e dei principi metodologici che  caratterizzarono il Centro. Basterebbe infatti considerare i volumi  usciti nella medesima collana “Elenchos” votati alle tradizioni  socratiche, alle scuole ellenistiche, alla dossografia e alle edizioni di  testi e frammenti di FILOSOFI ITALIANI ancora  poco studiati, per apprezzare   l’impatto delle ricerche di G. su tutto il gruppo di ulteriori interessi e accolse studi accademica.   ricerca del Centro. Naturalmente  la collana non e preclusa ad   critici su tematiche di grande  rilevanza nell’ambito del platonismo  e dell’aristotelismo e delle filosofie  della tarda antichità, promuovendo  in tal modo uno scambio costante  con la più ampia comunità   Quanto alla rivista, è forse  opportuno rimandare direttamente  alla Presentazione che G.  Figura 6: copertina del primo volume di G. G., Socratis et Socraticorum Reliquiae, Napoli] antepose al primo fascicolo. Essa fa  molto ben intendere tanto la  relazione essenziale tra il programma del Centro e il periodico  che di quel programma doveva essere lo strumento di diffusione; quanto  l’apertura al dibattito che la rivista (e quindi il centro stesso) si  prefigge; quanto, infine, la tempestività di un’operazione culturale che  il Consiglio Nazionale delle Ricerche ha la sagacia di sostenere: ELENCO intende dare attuazione ad uno dei punti programmatici contenuti nella convenzione stipulata tra il Consiglio Nazionale delle Ricerche e Roma, e che sta alla base del Centro di Studio della Filosofia antica. Essa non è, tuttavia, in senso stretto espressione soltanto di questo Centro: al contrario, chi ha la responsabilità di dirigerla intende farne uno strumento di studio e di ricerca aperto alle collaborazioni più ampie, un punto di incontro e di confronto e un’occasione a disposizione di studiosi. Questa rivista è l’unica dedicata interamente alla filosofia romana che si pubblichi in Italia e perciò essa non può non proporsi anche un compito di promozione di questi  [ I titoli della collana ELENCO, corredati da schede riassuntive, sono consultabili all’Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle idee. Mi limito a citare il grande progetto di traduzione e commento della Repubblica di Platone, promosso e diretto da Vegetti. Vegetti  Questa situazione è rimasta invariata, e cioè fino alla comparsa della rivista “ANTIQVORVM PHILOSOPHIA”, edita da Serra, Pisa, e diretta da Cambiano. studi ... Ma essa si propone anche uno scopo più ambizioso; se è vero, come è vero,  che la storia della FILOSOFIA ROMANA è un campo in cui debbono potersi incontrare gli apporti e le problematiche della storiografia filosofica e del metodo filologico. Se è vero, come è vero, che tanto la storiografia filosofica quanto il metodo filologico attraversano una fase di ri-pensamento critico molto profondo dei propri presupposti e delle proprie certezze, allora ad una rivista come questa spetta, in primo luogo, il compito di proporsi come sede di verifica di discipline diverse e di modi diversi di affrontare lo studio della filosofia romana e di aprire le sue pagine ... anche a contributi che per la conoscenza della FILOSOFIA ROMANA possono venirci da storici dell’antichità, filologi classici, studiosi delle lingue e delle letterature classiche, archeologi, papirologi ... Per questi motivi di fondo – oltre e più che per la sua origine istituzionale – questa rivista si caratterizza per l’unità del campo di ricerca, non per l’unità dell’orientamento interpretative. In accordo con gli obiettivi enunciati nella Presentazione della rivista ELENCO e nel protocollo che lo istituiva, il Centro di Studio del Pensiero Antico si dota di un consiglio scientifico che affianca G. nella direzione del Centro e delle pubblicazioni che esso produsse, il quale contò tra i propri membri eminenti storici della filosofia, quali Adorno, Berti, Reale, Viano, Ioppolo, Brancacci e Celluprica, nonché eminenti filologi classici e storici della filosofia quali Gigante e Rossi. Il Centro poté disporre di sufficienti risorse e di una struttura organizzativa 40 che gli Elenchos. Fecero parte del Centro in qualità di ricercatori inquadrati nei ruoli del Consiglio Nazionale delle Ricerche: Faes (direttrice del Centro), Caporali, Garroni, Celluprica (direttrice del Centro per un biennio  e poi responsabile della linea relativa al pensiero antico nell’ILIESI, Ferraria, Brancacci (Roma Tor Vergata), Centrone (Pisa), Alesse, Dalfino, Simeoni, Chiaradonna (poi docente presso l’Università degli Studi di Roma Tre). Collaborarono in modo istituzionale e continuativo con il Centro Ioppolo (Roma), Repici (Torino); Santese (Roma); Sillitti (Roma); Baffioni (Università degli Studi di Napoli l’Orientale); Spinelli (Roma) ed Aronadio (Roma Tor Vergata). Molti sono stati i allievi che, nel corso della loro formazione post lauream sono venuti in contatto con G. e con il Centro, lavorando fattivamente alla redazione di ELENCO o adoperandosi in attività editoriali e scientifiche in senso proprio. Tra questi mi è gradito ricordare Piccione (Torino), Alessandrelli (ILIESI-CNR), Quarantotto (Sapienza Università di Roma), Fronterotta (Roma), ILIESI digitale Temi e strumenti] consentirono di diventare un organismo collettore di attività di ricerca nel campo dell’edizione critica e dell’interpretazione dei testi della filosofia antica. Chi scrive non crede che l’esperienza acquisita nel Centro sia andata perduta né dimenticata. Quando nacque l’Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee, al suo interno fu garantita la prosecuzione e l’autonomia delle indagini relative alla storia della filosofia antica, per esplicito volere di Gregory che del nuovo Istituto fu il primo direttore. Queste indagini confluirono in una linea progettuale denominata prima “Storia del pensiero filosofico- scientifico e della terminologia della cultura mediterranea greco-latina, ebraica e araba” e successivamente Il pensiero filosofico nel mondo  antico: testi e studi. L’impegno principale della linea fu  rappresentato da una serie di progetti che in parte proseguivano le  tematiche di studio e le strategie cooperative del Centro di Studio del  Pensiero Antico, e in parte introducevano nuove tipologie di analisi,  connesse alle tecnologie digitali. La continuità culturale fu inoltre  garantita dal mantenimento delle due pubblicazioni, la collana  Elenchos e la rivista Elenchos. Da questa permanenza delle  ricerche sul pensiero antico nella nuova realtà istituzionale si deve  ricavare non solo e non tanto l’attualità di una disciplina (che si è  comunque stabilizzata nel mondo accademico con la benefica  diffusione di cattedre e centri di insegnamento, in Italia e fuori),  quanto piuttosto l’attualità di un metodo di lavoro. Questo metodo di  lavoro, che potrebbe descriversi, un po’ aulicamente, come un nuovo  diatribein socratico, cioè come la capacità di discutere in modo  competente con i “morti” prima che con i vivi, rispecchia abbastanza  bene la disposizione intellettuale e comportamentale di G.i, uomo tanto pacato nelle discussioni con i contemporanei,  quanto fermo nelle sue strategie di ricerca sul mondo antico.] Gioè, Nucci, Santoro,  Gambetti e Cunsolo (a quest’ultima si deve l’allestimento della bibliografia ragionata digitale Le tradizioni filosofiche e culturali greche della Magna Grecia e della Sicilia antica, ora in fase di aggiornamento ad opera di Gambetti). 41 A questa linea, diretta da Celluprica, fanno riferimento i ricercatori già operanti nel Centro, a cui si aggiunge Chiodi, specialista in storia delle religioni del mondo antico e del Vicino Oriente. Arnim, Stoicorum Veterum Fragmenta, Lipsiae, Teubner. Barnes, MIGNUCCI (a cura di), Matter and Metaphysics. 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Ma, per  quanto sia stato scritto attorno ad essa e per quanto no sia stata ago-  volata la compronsione por merito di Seliloiormacher e dei suoi successori, non si può dire clic si sia linoni riusciti a trovare una spiegazione soddisfacente di questo fenomeno, che fu una dèlio cause dèlia  tragica fine del grande pensatore. Le fonti, alle quali dobbiamo attingere nella nostra ricerca, sono,  come si sa', gli scritti di Platone o di Senofonte. Ma.qui ci troviamo  subito di fronte ad una questione molto discussa c cioè; quale dei due  autori sia rispetto alla dottrina socratica il più attendibile. Poiché i  rapporti di Platono o di Senofonte si contraddicono riguardo allo manifestazioni del Satpdviov di Socrato in un modo assai pronunciato, è  chiaro che dalla decisione alla quale arriviamo rispetto a questo divario,  deliba infine dipendere la soluzione del problema. 1 > m,to che nel diciottesimo secolo si fece strada il parere del leib-  niziuno Brucfecr, secondo il quale gli scritti di Senofonte sarebbero  per lo studio del socratismo i più veritieri, parere che ha avuto fino  ad oggi i suoi fautori. Di quest’opinione è in linea generalo anche  Hegel (IJ. 1|S. principio del secolo passato però, Schleiermacher ed  altri insistettero che por la valutazione della dottrina socratica do  vesso tenersi maggior conto delle opere di Platone. Di fronte a queste  due correnti lo Zollerai sogni un indirizzo, elio possiamo chiamare  intermediario. Senza entraro in particolari, si può dire che, sebbene  gli atti attorno a questo divario non siano ancora chiusi, diventa sempre più salda la convinzione, che senza uno studio profondo di Platone  una comprensione del socratismo non è possibile. Ma con ciò il nostro quesito non è ancora risolto.   Secondo Platone il Sxigóvwv agisce in modo esclusivamente inibitorio,  esso non è mai incitativo. Secondo Senofonte, però, funziona nei due  modi. Si è, è vero, creduto che la contraddizione tra lo due versioni  fosse soltanto apparente, perchè, se il «aigóviov non inibiva Socrate  nel 6uo fare, ciò equivaleva, si è detto, ad un'atrcrmaziono nel senso Hegel, Vorl. ti. d. Gesch. d. l'Ii tfp s. Il Schleiermacher, Abkdl. kad. su Berlin, Zm.i.ER, Die Philosophie hen li, 1, t* '.al.,  (4) Cfr. Zuocantb, Socrate, pòrte prima,di un ordine positivo. In verità, però, mi sembra, che la diversità  venga con una talo interpretazione soltanto celata, ma non eliminata,  perchè in realtà le differenze tra i rapporti doi due autori sono dovute a processi psichici in sè diversi. Corto, se qualcuno mi dice, ad  es. : non andare via ! quosto equivale praticamente al comando positivo:  rosta ! Ma con ciò la cosa non è fluita. So io non distolgo qualcheduno,  che devo guidaro, da una azione, che egli è in procinto di compiere,  do, è vero, con ciò il mio consentimento al suo proposito, ma la sua  azione scaturì da motivi sorti nella sua coscienza e prosegue secondo  leggi psichiche. E so, in un altro caso, lo freno con un semplice: no!  senza però dargli altri ordini positivi, io non permetto che egli eseguisca quello che stava per fare, ma con ciò non gli indico ancora  quanto devo in sua vece intraprendere. Il suo agiro dipende di nuovo  unicamente da lui o si sviluppa ancora da motivi che sorgono in lui  stesso. Ma so gli dico: fa cosi ! allora lo sottopongo in senso positivo  ad una volontà non sua o lo faccio compiere un’azione, i cui motivi  sorsero nella mia coscienza e non nella sua. Egli diventa lo strumento  del volere di un’altra persona, e, se consideriamo il fatto dal lato etico,  la responsabilità per lo conseguenze di una tale azione cado in questo  caso interamente su di rao o per nulla su di lui. Non occorrono altri  esempi: in fondo la diversità doi due rapporti si riduco presso a poco  al caso citato. Secondo Senofonte, Socrate riceve anche ordini positivi  dalla divinità, egli compie quindi azioni, che non furono da lui deciso, secondo Platone mai. Ogni sua azione procedo, secondo Platone, in seguito a motivi, che appartengono alla sua propria coscienza, ed è sempre la sua volontà che lo fa agiro anche dopo che egli ha abbandonato,  per l'intorvonto del Baijióvwv, una decisione presa. Como si vede, la differenza non si lascia eliminare. Per quanto si  corchi di celarla, essa riappare sempre. Mi sembra quindi più savio  di riconoscerla. Ma ciò facondo ammettiamo anche che una dello due  versioni non può essere esatta e cho si deve decidere, quale delle due  si abbia da riconoscere come vera. Delle opero cho portano il nome di Senofonte, l’Apologia viene oggi  quasi da tutti riconosciuta apocrifa. Per ciò non ne teniamo conto. Degli altri suoi scritti sono per noi importanti i Memorabili ed il Convito. Faccio qui osservare che, dopo un esame della rispettiva letteratura o specialmente in base agli studi di Schonkl, sono arrivato alla conclusione cho per il nostro problema soltanto i passi Meni. o Conv. sono con tutta sicurezza  da considerarsi come autentici. Per talo ragione lasciamo da parte in  questa breve nota i passi: Mem. Dalle opero cho vanno sotto il nome di Platone e che trattano del  Saipóviov escludiamo il Teagete, perchè oggi generalmente ritenuto apo¬ [lli Schenkl, Xenophont. Studien. Sitzungsber. d. K. Akad. d. Wiss . i  zu Wien] orilo. L’autenticità dell'A Icibinde 1 è fortemente messa in dubbio, lo  accettiamo con riserva. Non posso decidermi di respingere 1 Fall frane,  malgrado lo obiezioni di Ueborwog. Dogli altri scritti platonici limino  per noi valore VApologià, YEutidemo, il Tediato, il Fedro e la Repubblica. Senza entrare rpii noi particolari della questiono, (pialo sia I ordino  cronologico delle opere di Platone, dobbiamo intenderci sull'epoca in  cui fu scritta Y Apologia, perchè questo lavoro ci dà la più esatta in-  i rmazione intorno al Saipiviov di Socrate. La maggior parto dogli stu-  .dcigi  c ciò è per noi importante  fa salirò l’origine di quest opcra ad un’epoca non molto distante dalla condanna o dalla morte del  illusolo, l’orsino autori elio sono del parere clic Platone 1 abbia scritta  a Megara, ammettono con ciò (dio questo importante documento appartiene al suo primo periodo di attivila, scientifica. Allo stesso risultato giunse Lutoslawski per mezzo del suo metodo stilometrico. Quantunque si debba riconoscere l’unilateralità di questo metodo e per quanto sarebbe arrischiato di fondarci unicamente su di esso, ci costringono nondimeno ragioni psicologiche di non negargli ogni valore. Alla questione esposta si connetto quost’altra, cioè, so nell’Apologià  .di Platone si tratti di una fedele riproduzione di quanto Socrate realmente disse davanti al tribunale di Atene, o se si tratti soltanto di  una riproduzione piu o meno fedele del contenuto dei suoi discorsi.  La prima opinione è quella di Schleiermacher, della seconda è  Stcinhart (3), elio vede nell’Apologià un'opera d'arte, in cui lo spirito socratico o quello di Platone si trovano armonicamente fusi insieme.  Ambedue le opinioni hanno avuto i loro fautori. Considerazioni psicologiche mi hanno condotto nelle duo questioni accennato a con' inzioni  che risultano da quanto seguo. Come si vuol spiegare l'influenza che quest'opera ha sempre esercitata sui più grandi spiriti della razza umana, o come si potrebbo  comprendere la elevazione morale clic ognuno devo provare in sè,  quando vi si abbandona senza pregiudizio, so non si ammette che essa  suscita nel lettore la convinzione di sentire la parola viva di Socrate  stesso? Quale valore potrebbo avere questo scritto, se si volesse considerarlo unicamente come una creazione d'arto, come una descrizione  dell’ideale platonico? In questo caso dovremmo bensì inchinarci davanti all’autore quale artista, ma in fondo avremmo cosi un Socrate  come Platono avrebbo desiderato che egli fosso, ma non come real¬  mente era. Non stava in Socrato piuttosto la verità incorporata davanti ad Atene decadente, davanti alla stessa Atene che egli aveva  conosciuta nello splendore del periodo di Pericle? Non era quest uomo  un idealo morale di una tale grandezza elio ogni tentativo di idealizzarlo maggiormente doveva necessariamente rimpicciolì rio ?   P. Ueberweg, Unters. fi. d. Echtheit u. Zeitfolge piatoli. Schriflen, F. Schle i rum ache R, Plalons Werke, I H. MQli.er e K. Stf.inhart, Plalons sàmmtl. Werke,  Per quali ragioni poi l 'Apologia non fu scritta in forma di dialogo?  Nessuna introduzione, nessuna descrizione dello scenario, nessun nesso  tra i singoli discorsi, nessun accenno a circostanze secondarie interrompono l'azione in questo meraviglioso documento. Non dovremo convenire che soltanto forti motivi psicologici indussero l’autore ad esporre  cosi lo sviluppo del processo? Non si dimentichi neppure quanto diversamente Socrate parla della morte ne\\'Apologia e nel Fedone, la  qual opera, senza alcun dubbio, fu scritta molto più tardi. Nell’yfpo/ofna  è in verità Socrate stesso che parla, mentre nel Fedone è Platone che  motto, entro la cornice della realtà storica, la propria convinzione in  bocca al suo amato maestro. Vi sono poi altri fatti psicologici da rilevare. Ricordiamo che Platone  ascoltava un maestro, che aveva seguito con tutto l'ardore del suo en¬  tusiasmo giovanile per lunghi anni, e dal quale emanava un lascino  che faceva dimenticare a lui come ad altri giovani greci la figura di  Sileno clic nascondeva il vero essere del grande innovatore. Ricordiamo  clic Platone era penetrato nello spirito della dottrina socratica come  nessun altro e clic egli solo è stato capace di salvarla interamente  per la filosofia occidentale. Gli orano quindi lamiliari tutti i particolari esteriori che sono caratteristici por ogni personalità umana o senza  i quali non possiamo neppure rappresentarcela. Conosceva esattamente  il timbro e la cadenza della sua voce, il suo vocabolario, il suo periodare, i suoi movimenti mimici e pantomimici, in breve tutti i numerosi  fattori clic, secondo la leggo della fusione psichica, cooperano a lar  sorgere in noi l’immagine di una persona a noi nota c che, tutti quanti,  esercitano la loro influenza dormito la riproduzione di un suo discorso.   È inoltro cosa saputa che ogni riproduzione di un discorso riesce  tanto più fedele, quanto piu l'attenzione rimaneva tosa, quanto mag¬  giore era l’interesse che l'oratore suscitava in chi l'ascoltava. Si può  immaginano un’attènzione piu concentrata elio nel caso presente?   Figuriamoci lo stato d’animo del giovano Platone, che pende dalle  labbra del suo maestro e che appercepisce attivamente ogni parola  da lui pronunciata; ridestiamo nella nostra immaginazione l’uragano  di emozioni che lo travolge, le fluttuazioni della sua anima tra la speranza ed il timore, tra l'ammirazione della grandezza sovrumana  che si palesa e lo schianto per la certezza della perdita irrimediabile,  e si dovrà convenire elio l’organismo umano forse non sopporterebbe  tali stati d’animo una seconda volta. Sappiamo che emozioni come  queste non passano facilmente, ma (die tornano sempre in nuovo ondato. Sappiamo inoltro che nessun moto d'animo rimane senza espres¬  sione o elio lo singolo persone a questo riguardo si comportano diver¬  samente. Anche l’anima dell’artista lui le sue reazioni ed ogni artista  le ha a seconda dell’arto, alla quale dedicò la sua vita. Ora, anche Platone era artista o come tale non potevano rimaner mute lesile emo¬  zioni. Ma egli era anello scienziato, uno scolaro, anzi Io scolaro per  eccellenza, ili quoH'uomo che durante una lunga vita non aveva ccrrato altro ohe la verità. Oli era impossibile di rinchiudere in se ciò  clic aveva vissuto quel giorno. Cosi, appena può, prende lo stile por  dare uno slogo all'emozione olia lo soffoca. li se il suo stato non diede  luogo a fenomeni precisamente nllucinnttfri, nondimeno tutto ciò che  aveva visto e sentito, torna a vivere in lui, conio per il poeta vivono  ed agiscalo lo persone croato dalla sua fantasia. Cosi, io penso, nacque VApologia platonica. Essa non è un rapporto  stonogralico, perché è certo olle anche questa riproduzione doveva su¬  bire quei cambiamenti che, secondo i risultati della trattazione sperimentale. hanno luogo in tutti i processi riproduttivi. Perciò non ogni  parola ebbe il suo posto originario, un pensiero avrà avuto un'espres¬  sione un po' più breve, un altro una l'orma un po' più lunga, eco., ma  quanto al resto il documento è. come per il contenuto, cosi puro pol¬  la forma tanto fedele, quanto, data la mente Idi un Platone, era umanamente possibile. Con ciò ho esposto II mio punto di vista rispetto  allo due questioni sovracconnatc. No risulta che dobbiamo fondarci nella  nostra ricerca4U/-quanto viene riferito in quest'opera intorno al &tipóviov di Socrate. Aggiungo die gli accenni contenuti negli altri scritti  di Platone non contraddicono in alcun modo i dati precisi dell’Apologià.   Per quanto concerno lo opero di Senofonte che ci interessano, bisogna ricordare che esse furono scritte parecchi anni dopo la morte di Socrate, o die in esse i.on veniamo mai informati intorno al fenomeno da Socrate stesso. Desideroso di dimostrare l'innocenza del grande  filosofo, come puro la ingiustizia dell’accusa c della condanna, Senofouto  metto, convinto, beninteso, di scrivere la verità, il Saipòvcov di Socrate  in relazione colla fedo popolare nello divinazioni. Ciò non può sorprendere, quando si pensa all'abuso che il popolo di qucH'epoea, già invaso  dallo scetticismo, fece dei divinatori, c quando si tiene presente elio  Souofontc non ora filosofo, ma uomo politico. Per questa ragione non  dove recar meraviglia, se Senofonte non aveva compreso ciò che era  nuovo ed essenziale nella concezione socratica del fenomeno. In Meni. è detto clic il divino (vi Saipòviov) dava segni a  Socrate ed in I, 4 viono aggiunto elio egli comunicava tali messaggi  a quelli clic lo ci re urlavano o elio aveva loro predetto ciò che dovevano faro e ciò elio non dovevano l'aro, come puro elio quelli elio seguivano questi consigli ne ebbero vantaggi, mentre gli altri elio non  li seguivano, dovevano poi pentirsene.   Meni. contiene il noto colloquio con Aristodemo. Socrate  domanda ad Aristodemo, clic cosa gli dei dovessero l'aro per convincerlo elio si curavano anche di lui. A ciò Aristodemo, alludendo al  S-x.aó e.'j'i. risponde, un po' ironicamente, che dovevano mandargli dei  consiglieri per fargli sapere quello elio doveva faro e non fare, corno  Socrate pretendeva che fosse il caso spo. In Cono. Socrate non aveva affatto parlato del suo Sxtgtìvwv o  non no parla neppure in seguito. Antistuno, però, gli fa il rimprovero,  come se egli se no servisse per trarsi d'impiccio.  È evidente che, se non avessimo lo rispettivo, opere platoniche, il  ixigiviov di Socrate sarebbe rimasto per sompro un fenomeno inesplicabile. D'altra parte però le comunicazioni di Senofonte sono di grande  valore, in (pianto che fanno vedere il modo in cui in Atene si giudi¬  cava questo fonomono, ivi assai conosciuto. Dall' Apologia ili Piatone apprendiamo che Socrate disse nel suo primo  discorso (Apoi.), che egli non si era occupato di altari politici,  perchè succedeva qualche cosa di divino o di demonico (Dstov r. -/.od  Sxqidvtov) in lui, che dai tompi della sua fanciullezza (è-/. r.x'.Sif) vi era  stata in lui una corta voce (qxov^ vi?) la quale, ogni volta che gli sopravveniva, l’aveva trattenuto da qualche cosa, ma che non l’aveva  mai spinto a qualsiasi azione. Nel discorso Socrate spiega, come la solita divinazione (r, siioSHtà poi prmxi)) l’avesse nel passato  sovento fermato, trattandosi anche di coso molto piccole (jiàvu érti opi-  xpotg), ma che il segno di Dio (vi r.ù 9-soO a^pstov) non gli era soprav¬  venuto durante tutto il giorno c neppure durante tutto il suo parlare,  mentre durante altri discorsi l'aveva spesso frenato. Dice ancoraché  la morte non poteva essere un male per lui, perché nel caso contrario  il solito segno (vò e!i»9-ò; a^pAv/J l'avrebbe cortamente trattenuto nel  parlare. Alla fine di questo discoi-so ripeto che il morire doveva  ora essere per lui la miglior cosa, perché altrimenti il segno (vo oij-  pstov) l'avrebbe avvertito. Gli altri scritti di, Platone, dei quali dobbiamo tener conto, non possono naturalmente iù avere il valore storico, elio abbiamo attribuito  all’Apologià, ma siccome i rispettivi passi, corno fu già detto, non sono  menomamente in contraddizione con quolli dell'Apologia, essi hanno  certamente un fondamento storico. In ogni modo illustrano, come Platone vuole che il Sxwdvwv di Socrate venga inteso. Nell'Atò/drtde I l’autore si servo del fenomeno per iniziare  il dialogo. Socrate dice ad Alcibiade di non meravigliarsi, se da tanti  anni non gli avesse più parlato, perchè un ostacolo di natura non  umana, ma demonica (oùx ivD-piójiswv, àX/.i vi Sxipdviov ivawttopx) gliene  aveva impedito. ììo\ l’Eutifrone questo domanda a Socrate, su che cosa Meleto  abbisi l'ondato la sua accusa. Socrate dico che Meleto gli rimprovera  di introdurre nuovi dei c di non credere negli antichi. E Eutifrono  gli risponde di aver capito ora, che è perchè Socrate parla sempre  del suo Sxtpóviov.   Noi Teetelo Socrate parla della sua maieutica e dico che  molti discepoli l'avevano abbandonato, perchè, non comprendendo la  sua arto, lo tenevano in poco conto. Egli aggiunge che, se tali giovinetti tornavano da lui, il ìoupóviov (ti yiyvò|ìevóv poi Sxqwviov) gli impede di accoglierne alcuni, mentre ad altri non era contrario e che  questi facevano di nuovo progressi.   Nell 'Entidemo, un dialogo, in cui Platone fa vedere tutto  il vuoto ed il poricolo dell'arte solistica, Critono prega Socrate di parlargli di duo solisti. Socrato consento o dico clic il giorno innanzi  ora stato seduto noi liceo od in procinto di andarsene, quando gli ora  sopravvenuto il solito sogno demonico (tò siwà-ò: ay iuCcv tò ìaqiòvt'vv}.  Poreiù ora rimasto seduto o tosto quei duo, cioè Kutidemo e Dionisodoro orano entrati. Noi Fedro Platone ha già oltrepassato di molto il socialismo  puro e semplice, come risulta dalla spiegazione elio dà dell’anima o  dello ideo. Dopo una meravigliosa descrizione del paesaggio vediamo  corno Socrato o Fodro si coricano sulla sponda dell’Ilisso nell'omhra  di un albero. Socrato ticno il discorso sul bel ragazzo che aveva avuto  molti amanti. Fedro vorrebbe clic continuasse su questo tema, ma So¬  crate gli risponde che, in procinto di attravorsare il fiume, gli era sopravvenuto il solito segno demonico (tò ìxqiòvtòv t= usci tò siiottòs aijgEìovl,  gli era parso di sentire una corta voce (za{ tivx cpiovijv iìi-a aòTò!M=v  àzoùoai), elio lo impediva di andare via prima di essersi purificato da  un peccato commesso contro la divinità. Dice ancora che egli deve essere  veramente un divinatore, ma soltanto per ciò elio riguarda lui stesso,  e continuando rileva dm la sua divinazione rassomiglia all'arte di  quelli che leggono c scrivono male, perché anche questi possono servirsene soltanto per i propri bisogni. Con ciò egli passa man mano  agli splendidi discorsi elio tutti conoscono. Platone si serve in quest'opera con arte line del ìaqiòviov in modo similo a quello in cui so n'è  servito ncll’AHbiado e neU’Eutidcmo. Egli introduce il fenomeno per  rendere possibili i discorsi che seguono. Nella Repubblica – cf. Grice -- Socrate dice elio IL SEGNO DEMONICO (tò  ìaqiòviov ovjiietovJ non era stato concesso a nessuno prima di lui o quasi  a nessuno.   So analizziamo più da vicino il problema, vediamo che esso racchiudo in sé tre problemi clic dobbiamo risolvere l’uno dopo l'altro.  S’impone prima di tutto il quesito, corno mai Socrate abbia potuto chiamare il fenomeno in questione tò ìaqiòviov. A questo si connette  l’altro, cioè di sapere che cosa Socrate stesso abbia realmente inteso per  questo termine. In terzo luogo dobbiamo corcare, come la psicologia  empirica moderna possa spiogare questo fatto. II primo quesito e, fino  ad un certo punto, anemie il secondo fanno parte della psicologia dei  popoli, mentre il terzo appartiene esclusivamente alla psicologia individuale. Il significato del ìaqiòviov di Socrate dal punto di vista della psicologia dei popoli. Il concetto del demone è sorto da primitive vedute attorno all’anima. Esso ha avuto poi un lungo sviluppo, duranto  il quale, sotto l’influenza di rappresentazioni magiche, subisce molte  trasformazioni e acquista varie forme. All’epoca in cui appare l’eroe,  questi 'lue concetti si fondano man mano in una rappresentazione to-  talo, nella quale il concetto del demone perde il suo carattere impersonale, mentre l’eroe acquista dolio qualità sovrumane. Cosi nasce il  panteismo. Importante è però in tutto questo sviluppo, che la rappresontazione ilei demono non si perdo dopo la formazione degli dei pagani o elio corto qualità ili questi ultimi vengono attribuite anche ai  demoni. Per ciò accado olio lu coscienza popolare non distinguo sempre  nettamente tra dei e demoni. Nella Grecia il concetto del demone – cf. Grice e Ackrill --, sotto  l'influenza della poesia e della filosofia, subisce poi un’altra modificazione, in quanto i demoni vengono considerati come esseri elio stanno  tra gli dei o gli uomini. Si confronti a questo proposito la descrizione  deH'origino dell'Eros nel Convito di Platone (come pure il primo  discorso di Socrate nell’Apologià platonica. Dal punto di vista della psicologia dei popoli si può diro elio col  «aipóviov di Socrate il concetto del demono torni nell'anima umana,  nella quale, per motivi psicologici e per processi di oggettivazione, è  nato, vi ritorna filosoficamente trasformato ed eticamente purificato. E caratteristico per tutto questo sviluppo elio Socrate nel Convito di  Senofonte chiama l'anima umana un santuario dell’Eros. Come intende Soci'de il suo 8*i|lòviov ? Prendo le mosse da un  punto ilei primo discorso AoW Apologia di Platone e precisamente dal  punto, ove Socrate invita Meleto a spiegare esattamente, se egli nella  sua accusa intenda di diro clic Socrate non creda negli dei dello stato, o so egli voglia addirittura accusarlo di ateismo. Quando Meleto annuisco a quest’ultima interpretazione, l’accusato corea di far vedere  l'assurdità dell'assorziono, dimostrando dapprima che, chi crede in qualche cosa di demonico, devo necessariamente riconoscere l'esistenza ili demoni. E quando Meleto devo nuovamente ammettere che i demoni  sono figli di doi, la partila è ila Scorato quasi vinta. Comesi può eredorè all’esistenza di tigli dogli dei, egli conclude, senza credere con ciò  anche a quella degli dei stessi ? Difatti, i giudici elio lo ritenevano  colpevole, erano in piccola maggioranza. Se prendiamo questo passo insieme con quanto Socrate dice ancora  ilei suo 2xi|ióvtov o del suo concetto della divinità, abbiamo in mano la  chiave per la sua concezione del fenomeno. Faccio qui ancora notare  che intendo il termini vó ìzciivtov nelle opere di Platone, secondo l'osservaziono di Schlcierinacher, nel senso di un aggettivo. Dico  questo per respingere l'opinione che Sperate abbia creduto in uno speciale spirito custode. Socrate scoglio il termine iò Saupòviov in conformità alla fedo popolare. Come i demoni, secondo questa, stanno tra dei o uomini e vengono detti persino ilei, perchè da dei generati, cosi anche il demonico  in lui è generato dal divino. Per questo lo chiama anche tó 3-iCov, il divino. Il nesso psicologico mi sembra qui evidente. Abbiamo qualcosa di s'inilo nella designazione del suo metodo, il quale egli crede  puro impostogli dalla divinità (Teeteto). Come a baso di tutte  Clr. W. Wu.ndt, m/terpsi/eholOjfie li,  ni; Clemente der  VSt/cerpsi/chol.,(21 Op. cd. Cfr. puro B. E. Uaonaiihtks, The Ctnssical Retitelo] lo azioni di Socrate sta il bisogno etico della cortezza(1), cosi egli è  assolutamente certo che in casi, in cui la propria ragione lo lascia in  asso, una volontà divina lo trattiene in ogni circostanza, piccola o  grande, dolla vita, quando è in pericolo di non agire giustamente, cioè  di non compiere la sua missione. In questa cortezza, che forma una  parte della sua fedo religiosa, sta la giustificazione otica dolla ironia,  colla quale egli lancia l'accusa indietro sull’avversario. Ma oltre ad  essere qualche cosa di divino, il demonico in Socrate è poi anche qualche  cosa di umano, perché si produce nell’anima umana o diventa sua proprietà, cioè un oracolo interiore. Per ciò il demonico stava veramente,  come il demone della mitologia, in mezzo tra il divino e l'umano. Si  aggiunga elio Socrate ora in fondo persuaso che prima di lui questo  dono non era stato posseduto da nessun altro mortale. Ecco ciò che  vi ha di nuovo nella concezione socratica della divinazione, di fronte  a quella della fede popolare. Como dalla Repubblica di Piatone, questo  fatto risulta anche dalle superbe parole, colle quali Socrate si esprime  sul suo valore davanti ai suoi giudici (Apoi.). Tali parole  può pronunciare un ammalato di mente, che si deve compatire, ma  quando escono dalla bocca di un Socrate, sono l'espressione di una profonda convinzione religiosa, che deve scuotere chiunque miri a tini  etici. Importante è per la fede di Socrate che egli non cerca di scolparsi in quanto al non credere negli dei dello Stato, ma solo in quanto  al sospetto di avere delle convinzioni ateistiche (Apoi.). Por quanto concorno la teologia socratica, elio al pari della sua  etica doveva rimanere ili carattere pratico, anziché sistematico,  è importante ricordare che Socrate trovò nella sua naz.iono il politeismo ellenico, corno Cristo trovò nella sua il monoteismo giudaico.  Socrate era, come ogni essere umauo, un tiglio del suo tempo. Educato  in (inolia religione ogli si riteneva, come Cristo, esteriormente legato  allo prescrizioni religioso in vigore. Come prendeva sul serio la massima di Delfo: conosci le stesso, cosi rispettava l'altra di ubbidire alle  leggi. L’ultima parola del filosofo morente era la raccomandazione di  non dimenticare il sacrificio dovuto ad Esculapio (Fedone), e poco  prima aveva domandata all'uomo, elio gli portava il calice fatale, se  ora permesso di farne una libazione. In questo modo Socrate non raggiunse l'altezza dolla dottrina del Nazareno, ma si avvicina ad essa,  perchè sulla*larga base della religione popolare si eleva, quale sintesi  della sua conoscenza, la fedo in un Dio unico, al quale si deve ubbidire più che non agli uomini (Apoi.) c di cui egli si credeva un  apostolo (Apoi.). Socrate è tolcrautc verso la fede della moltitudine, ma il suo Dio è l’intelletto che governa l’universo e per il quale  non trova neppure un nome, un divino onnisciente ed onnipresente, che  [LABRIOLA (si veda) Socrate, cur. CROCE (si veda)] si cura ilei Leno di tutti gli nomini (Sonof., Meni.). Tutte le sue  pratiche religioso sono in fondo rivolto n quest'unico Dio senza nomo,  clic si rivela agli uomini in molti modi. Con una espressione di ledo  in questo Dio onnisciente, si chiudo ì'Apntoi/ia platonica(l). Tenendosi  presente questo concetto della divinità, si comprendo la sua incrollabile fede nel S»tpóvtov come in una rivelazione della medesima. Il l'atto che il plurale oi '.Hol si trova in Platono come in Senofonte  accanto al sì neolaro 6 tei? potrebbe destare il sospotto elio Sorrato  accanto all'intelletto universale abbia ammesso ancora dolio altro forme  divino. Ma ciò è escluso. Egli sceglie il plurale in modo simile come,  per es., nella Genesi il plurale Eloliim sta por il singolare del divino. Non è qui il luogo ili entrare in altri particolari. Ricordo soltanto elio troviamo precedenti in Senofane e che audio Anassagora  aveva già riconosciuto un unico principio immateriale che tutto ordina secondo lini. Che Socrate conoscr l'opera di Anassagora, apprendiamo direttamente da Platone (Fedone). Non ho bisogno di rilevare che, con quanto fu esposto, sono senz’altro respinte le opinioni di Lèi ut o di altri, cho considerano Socrate  come un ammalato di mente, come pure il parere di Dii l’rel, che  mette il Sxqidvtov di Socrate in relazione collo proprio teorie mistiche. // 8r.pó/tov di Sacrale dal punto di vista detta psicologia empirica  moderna. So teniamo conto di tutti i fatti che Platone ci presenta,  è evidente che nel «atpivtov di Socrate si tratti ili un processo che appartiene al campo delle inibizioni psichiche. Naturalmente non può  trattarsi qui di una inibizione nel senso della dottrina intcllcttuulitstica di Horbart. Ciò che nel nostro caso è inibitorio, non appartiene  all'atto al contenuto oggettivabile della coscienza umana, ma si trova  piuttosto dalla parte puramente soggettiva di essa, cioè da quella dei  sentimenti. Da questo punto di vista dobbiamo cercare di risolvere il  problema. L’inibizione procede da un sentimento totale, che si forma  in base ad un numero più o meno grande di intensivi sentimenti parziali, legati ad clementi rappresentativi che rimangono al limito della  coscienza e che non giungono all’appercezione. Con questo è inteso,  che non può trattarsi nel caso di Socrate, come è stalo ripetutamento  affermato, di processi allucinatoci. Nel fatto che l’inibizione parte  da un sentimento, al quale non corrisponde un contenuto oggettivo,  sta la ragione, perchè Socrato non può fare alcuna indicazione precisa [Cfr. pure (I. /Cuccanti) F. I.ÉIX'T, L)it itóiiion de Si,croie ni. 1 C. Du Prel, Ine Mastiti d. alt. (ìrieclien. E caratteristico che Du Prel l'accia uso  ilei Teapele, benché riconosca che questo non sia un'opera di Platone. Cile Platone colla frase nel Fedro “ xxt -iva ipiovijv £So;a xùxcàsv ày.ofkJx: „  non vuol alludere ad una allucinazione, dimostra con molta chiarezza anche lo  Cuccante. Si aggiunga che. se il Szqicvtcv di Socrate avesse  tale origine, questo si rileverebbe in tutti i rispettivi racconti platonici, ciò che  non è assolutamente il caso. ] intorno al fenomeno, ma (leve in casi, in cui non lo chiama semplice¬  mente il demonico o il divino, contentarsi di termini metaforici. Parla,  ad es., di una voce, come oggi si usa il termine voce della coscienza. Questo sentimento, sorto dapprima per via associativa, viene poi attivamente appercopito e, riferito alla divinità, acquista il carattere di  un motivo imperativo che, coll'intensità di una forza morale, lo costringe ad abbandonare un'intenzione presa. Dal fatto cho l’inibizione  viene da Socrate creduta un segno divino, si comprendo elio in lui  non possono mai nascere dei dubbi, come accadrebbe con altro persone.  Non vi è mai in un tal caso una lotta tra motivi in lui, mai alcun  conflitto tra doveri. Appena egli s'accorge dell’inibizione, è assolutamente sicuro di aver avuto trasmesso un divino No,.. Cosi la riflessione o la fedo nel suo Sztjióv»/diventano i principi fondamentali, che  lo guidano nella sua intera attività filosòfica ed etica. In ultima analisi si tratta qui di un fatto psichico clic si verifica in  ogni coscienza normale più o meno frequentemente, benché molte persone non lo osservino o non si lascino da esso frenare. Di Mill ci viene riferito elio egli osservò il fenomeno in se stesso molto  intensamente. A me molte persone hanno dotto di aver notato in  sè tali inibizioni sentimentali. Siccome Socrate ci informa che egli  aveva osservato il fenomeno spesso in sè dai tempi della sua fanciullezza, non è escluso che vi sia stata in lui por lo sviluppo di esso una  certa disposizione. Ma d'altra parto si devo ricordare (dio egli per tempo  si abituò a fare molto sul serio l'esame di se stesso o cho il fenomeno  era una parte integrale della sua fede religiosa. Dal momento cho egli  era corto cho il sentimento inibitorio era una rivelazione divina, questa  convinzione doveva dominare tutta l’anima sua. Dato questo continuo  autoesame in connessione collo sviluppo (lolla sua convinzione teologica, si comprendo, come dovesse entrare in giuoco un principio che  governa ogni vita psichica, cioè quello dell’esercizio. L’ininterrotto  esercizio doveva renderlo capaco di riconoscere l'inibizione di ogni  grado appena sorta e di afferrarla coll'attenzione. Si aggiunga (die la  coscienziosità colla quale cercò continuamente di compiere la sua missione, e colla quale mirava sempre ai medesimi lini, doveva renderlo  straordinariamente sensibile o facilitare la formazione di tali sentimenti. Cosi si spiega il frequente ripetersi del fenomeno in tutto lo  sue azioni. Io credo clic, con quanto fu esposto, siano trovati i punti  principali «he debbono guidarci nella spiegazione psicologica del Sacgóviov  di Socrate. Tornerò sull’argomento in un lavoro più esteso, ed in questo  sarà tenuto conto delle opinioni di altri autori più di quanto mi è  stato possibile di fare in questa breve comunicazione. Zuccante,  Kiesow. SOCRATE   ET  l’Amour Grec. SOCRATE ET  l’amour grec (Socrates sanctus nai Sepaatrjs) D1SSERTATlON. GESNER. BONNEAU, PARIS, LISEUX, Rue Bonaparte, jegg^arean Gesner, 1’auteurde  JgE cette curieuse dissertation, est  I S&fe l un erudit Allemand du xvm e sie-  cle, dont les travaux ne sont pas tres-  connus en France. On lui doit d’excel-  lentes etudes sur les Scriptores rei rusticce, une Chrestomathie de CICERONE,  une Chrestomathie Grecque, des Lexiques, une traduction Latine des ceuvres de Lucien, des editions de PLINIO (si veda), de Claudien, de Quintilien,  de Rutilius Lupus et autres anciens a rheteurs, toutcs enrichies de notes savantes et de longs prolegomenes; plus,  un nombre formidable de dissertations sur toutes sortes de sujets, Opuscula diversi argumenti (Breslau), parmi lesquelles son Socrates  sanctus pce der asta tire forcement l’oeil  par la bizarrerie de son titre. Cette bizarrerie a valu au livre sa notoriete, et en meme temps lui a fait grand  tort. Beaucoup de gens, entre autres  Voltaire, malheureusement pour 1’erudit  Tudesque, n’ont pas ete au dela, et iis  ont construit sur cette minee donnee un  ouvrage tout entier de leur fantaisie, a  1’extreme desavantage du pauvre Gesner.  D’autres ont cru Voltaire sur parole et  sont arrives au meme resultat.  C’est Larcher, THelleniste, qui le pre-  mier chez nous mit en lumiere cet opus-  cule, dans son Supplemenl et THistoire  universelle de labbe Bapn,  en le citant parmi les ouvragcs a consulter sur le proces de Socrate ; il se  contenta d’en faire mention, sans meme  traduire ni expliquer le titre, ne s’imaginant pas qu’on put s’y meprendre, et  qu’un homme tel que Gesner fut suppose capable d’une indecente apologie. Voltaire, dont le vif et alerte esprit se plaisait a effleurer les surfaces, sans presque  jamais approfondir, ne connaissait sans  doute pas Gesner et certainement n’avait  pas lu son Socrates. Le Supplement a l’Histoire universelle n’etait d 7 ailleurs  qu une refutation tres-savante, quoique  un peu lourde, de son Introduction a  1'Essai sur les maeurs, publiee d^abord a  part et sous le pseudonyme de 1’abbe  Bazin; quelques critiques justes qu’on y  rencontre le mirent de mauvaise humeur,  et, battu sur divers points d’erudition, il  chercha une occasion de dauber Larcher,  a cote du sujet, selon son habitude. Il  crut la trouver dans le livre etrange qu’il  supposa, d’aprcs le titre cite qu’il interpretait mal, s’indigna de ce qu’on osait  donner comme faisant autorite de si mons-trueuses elucubrations (le monstrueux  n’etait que dans ce qu’il imaginait), et  tantot sous le pseudonyme d’Orbilius,  tantot sous celui de M Ilc Bazin ( Defense  de mon oncle, un de ses pamphlets), il ne  cessa de poursuivre la-dessus de ses bro-  cards son inoflensif adversaire. Tres- content d’avoir leve ce lievre, il a meme  reproduit son assertion plus que hasardee  dans le plus populaire de ses ouvrages;  on la trouve en note de 1’article Amour  socratique, du Dictionnaire philosophique. Un ecrivain moderne, nomme  Larcher, repetiteur de college, dans un  libelle rempli d’erreurs en tout genre et  de la critique la plus grossiere, ose citer  je ne sais quel bouquin dans lequel on  appelle Socrate Sanctus pcderastes ; So-  crate saint b ! Il n’a pas ete suivi dans ces horrcurs par 1’abbe Foucher. Larcher avait trop beau jeu pour ne pas repliquer. II le fit dans sa Reponse .  la Defense de mon oncle,  opuscule rare, reimprime a la suite du  Supplement a 1’Histoire universelle. Vous m’attribuez, dit-il a Voltaire,  votre infame et infidele traduction du  titre d’une dissertation de feu M. Gesnera  Je n’ai point traduit le titre de cette dissertation; il ne pouvait se prendre que  dans un sens tres-honnete, mais il etait  reserve a M lle Bazin et a Orbilius de lui  en donner un infame. Cela ne vous suffisait-il pas? Fallait-il encore me 1’imputer? Pour qui avait suivi toutes les phases  de la discussion, Larcher et Gesner etaient  innocentes; Voltaire restait convaincu  d’avoir note dfinfamie un livre sans le  connaitre. Mais ces temps sont loin; personne aujourd’hui ne lit Larcher pour  son plaisir, et le Dictionnaire philoso-  phique est dans toutes les mains. Voila  pourquoi on croit generalement que Gesner a developpe le plus scabreux des paradoxes et fait une apologie en regie d’un  vice honteux. Nous pourrions citer au  moins un de ceux qui, se fiant a Voltaire,  ont propage 1’erreur mise par lui en circulation, et affirme que cette dissertation  n’est qu’un tissu d’invectives ; mais nous  ne voulons faire de la peine a personne. Gesner, ecrivain des plus doctes et plus  estime encore pour son caractere que  pour son savoir, professeur de Belles-Lettres a Goettingue, puis  bibliothecaire, ne pouvait ecrire qu’une defense de Socrate,  une refutation des calomnies dont on a  obscurci sa memoire, et que la langue a  attachees a son nora d’une maniere en  quelque sorte indelebile par les mots de  socratisme et d 'amour socratique. Inquiet  et tourmente, comme il 1’assure, de voir  peser sur IL PADRE DELLA FILOSOFIA de si  indignes soup9ons, il a voulu remonter  aux sources, compulser tout le dossier  et reviser le proces sur les pieces memes.  II l'a fait d’une facon non moins inge-  nieuse que savante dans cette dissertation lue a 1’Academie de Goettingue, recueillie dans les Memoires  de cette academie, dans les  Opuscula diversi argumenti de 1’auteur  et tiree a part  (Utrecht).  C’est cette derniere edition que nous  avons suivie pour la reimprimer et la traduire, ce qui n’avait jamais ete fait en  Francais, ni probablement dans aucune  autre langue. Gesner a-t-il reussi a disculper entierement Socrate? Nous l’esperons; mais nous etions de son avis  avant d 7 avoir lu son livre, et, ccmme per-  sonne ne 1’ignore, c’est surtout chez ceux  qui pensent comme lui qu’un auteur, si  bon dialecticien qu’il soit, porte la conviction. Les esprits mal faits qui incli-  nent a 1’opinion contraire, et ceux-la  seront toujours difficiles a persuader,  persisteront peut-etre a trouver singulier que Platon, interprete de Socrate, ait si  souvent parle de 1’amour; qu’il ait consacre trois de ses plus beaux dialogues,  le Lysis, le Phedre et le Banquet, a cette  brulante passion; qu’il l’ait tant de fois  soumise aux analyses les plus delicates,  expliquee par les conceptions les plus  sublimes, les mythes les plus poetiques, et que jamais, sauf un moment, dans  l’admirable episode de Diotime du Banquet, il ne soit question de la femme. Alcide Bonneau. UTRECHT es hommes illustres, ceux qui sont  regardes comme tels non-seulement  par la posterite, mais par leurs  contemporains, ceux surtout dont le  plus grand eclat consiste precisement dans  leur vertu, sont souvent accuses, sur les plus  legers indices, de quelques travers, sinon  de defauts plus graves; et c’est la un travers iros illustres, et non a posteris solis sed  coaevis tales habitos, eos maxime quorum  praecipua laus virtutis est, vitii alicujus  nedum criminis gravioris suspicari levibus argumentis, vitium id quidem non leve : reos agere  et condemnare crimen et piaculum; in Christiano homine, in homine, in barbaro. Quanta istorum ignominia, tanta est gloria  piorum virornm qui versantur in probrosis his  l’editeur   qui Iui-meme ne manque pas de gravite. Se  faire a la fois 1’accusateur et le juge, c’est  une chose criminelle, un sacrilege, qu’il  s’agisse d’un Chretien, ou seulement d’un  homme, meme d’un paien. L’ignominie de ceux-la rehausse d’autant  la gloire des hommes pieux qui s’appli-  quent a repousser ces odieuses attaques.  On peut le dire de Gesner, ce savant illustre, du petit nombre de ceux qui depas-  sant par la science tous leurs contemporains, font encore plus estimer en eux les  qualites du coeur que celles de 1’esprit;  c’est un honneur pour lui d’avoir pris en  main la cause de Socrate, et un plus grand  peut-etre pour Socrate d’avoir dte le Client  de Gesner. II nous a paru bon de recueillir dans  une edition nouvelle cet ouvrage de faible conatibus coercendis. Gesnero, illustri nomini, e  numero paucorum illorum qui cum eruditione  coaevos possint excellere, animi dotibus quam  ingenii celebrari malunt, incertum an honori sit  caussam Socratis egisse, magis quam Socrati  Gesnerum habuisse patronum. Visum fuit, memoriam brevis operae sed auro  contra noti carae nova editione colere. Docuit  vir præclarus, scripto quidem, quam inani co-  natu virtus summi hominis sollicitata fuerit ab obscuris obtrectatoribus, qui non solent deesse  virtuti. Docuit autem exemplo, pertinere ad dimension, mais qui ne serait pas trop  cher paye au poids de For. Son excellent  auteur nous y montre, la plume a la main, 1’inanite des efforts diriges contre un sage  par ces obscurs detracteurs qui ne man-  quent jamais a lavertu; il nous fait voir  aussi, par son exemple, qu’il appartient a  tout honnete homme de defendre la cause  des gens de bien. II nous enseigne surtout  avec quel soin et avec quelle erudition il  est besoin d’ecrire dans de telles matieres,  ou l’on ne doit rien avancer qu’apres un  examen scrupuleux. Profite donc, lecteur, de ce travail, plus  utile qu’il ne le semblerait au premier  abord; et si, par ignorance ou par trop  forte credulite, tu as rejetd loin de toi les  ecrits Socratiques, reprends-les maintenant  et garde-les avec amour. Il nous sera per-bonos omnes bonorum virorum caussam: tum et  illud, in primis, ubi ejus modi res agitur, accu-  rate et docte scribendum esse, nec arripi quid piam absque subtili examine, et benevolo illo,  debere.  Fruere, Lector, labore utiliori quam decet: et  si imprudentius forte abjeceris Socraticas chartas nimium credulus, abi continuo et in sinu  eas reconde. Integrum erit culpare qui Socratem  citant, tibi convenisset laudari Davidem et Salomonem: sed patiamur, bonum et pauperem  Socratem, placide subridentem, sereno vultu,  xvi l’editeur au lecteur   mis a notre tour de mettre en accusation  ceux qui font un crime a Socrate de ce  qu'ils trouveraient admirable s’il s’agissait  de David et de Salomon; mais laissons le  bon et pauvre Philosophe s’interposer doucement avec son placide sourire, son tranquille visage, et s’ecrier: Moi aussi, Vertu,  je t’ai honoree, Deesse!  Quant a ceux qui blameront cette apologie, non comme excessive, grands dieux,  car que pourrait-on dire de trop sur Socrate? mais comme inconvenante et deplacee, qirils prennent garde de tomber dans  Todieux de cette populace Portugaise tou-  jours prete, sinon a lapider ou a bruler,  du moins a exorciser a force de signes de  croix traces d’un doigt tremblant, le teme-  raire qui oserait croire que la Bienheu-  reuse Vierge Marie etait une Juive. leniter interponere, Et ego te, Virtus! colui  Deam,   Quibus fastidium movent elogia, justa Di boni!  quid enim de Socrate dici nimium potest? sed  quce magis opportune forsatn collocari potuis-  sent, videant ne in odium id evadat, quale est  plebis Lusitanae, si non rogum parantis aut la-  pides, saltim tremente digito averruncas cruces  describentis, si quis auserit credere, B. Virginem  Judaeam fuisse. SOCRATE ET L’Amour Grec  MATTHI. GESNERI V. C.  Socrates   SANCTUS T/E D E T{A STA  t nihil tam alte vel natura, vel  virtus, vel fortuna constituit, in  quo non vel deprehendatur aliquid labis et vitii, vel vires suas experiatur maledica invidia, cujus vocibus boni  etiam viri abripi se ad suspicandum certe  non nunquam patiuntur: ita mirum non  est, neque excelsam Socratis gloriam 1 n’est rien de place si haut par la nature, la vertu ou la fortune, qui n’ait ses taches ou ses inv perfections, ou que 1’envie ne s’efforce  d’atteindre, cette medisante envie dont  les clameurs poussent 1’homme de bien  lui-meme a soupconner le mal: c’est  pourquoi nous nc devons point nous obtrectatoribus suis carnis se. Ac de  Anyti Melitique criminibus, quibus oppressus est vir innocens, et, si forte vani-  tatis aut nugarum et cavillationum postulatus, et Scurrae nomine traductus est,  in prcesenti non erimus soliciti. Unum  crimen est, quod, varie jactatum, et plus  semel non sine specie in scenam reductum scepe me solicitum habuit, Fuerit ne  impuro ac detestabili puerorum amori  deditus? Hoc enim si verum sit, actum  est profecto de virtute viri, indignus est  cujus cum honore nomen usurpetur. Postulatum esse hujus turpitudinis,  negari non potest. Mittimus, quæ de  adolescentia viri ad libidinem proclivi Factum id esse a Zenone Epicureo, prodidit  CICERONE de Nat. Deor., ubi vid. Davis.   etonner que lagloire si haute de Socrate  ait eu, elle aussi, ses detracteurs. Tou-  tefois nous ne voulons ni parier ici des  accusations d’Anytus et de Melitus sous  lesquelles succomba son innocence, ni  nous inquieter de savoir si ce grand  homine a ete incrimine de vanite, de  mensonge et de sophisme, affuble du surnom de Bouffon[i). Une seule accusation m’a souvent tourmente; c’est  celle qui, sans cesse discutee, a toujours  ete remise en avant, non sans apparence  de justesse: Socrate etait-il adonne d  l’impur et detestable amour des jeanes  gargons? Si cela est vrai, c’en est fait desormais de la vertu de cet homme ; c’est  un indigne, lui dont on ne prononce le  nom qu’avec respect. Qu’il ait ete accuse de cette turpitude, le fait est certain. Negligeons ce  que Porphyre, d’apres Theodoret [De la Comme le fait PEpicurien Zenon, au dire de CICERONE {De Natura Deorum; consuit, la-dessus Davies. Porphyrius apud Theodoretum [Græcar, affect. cur. ser. 4 pr.) memorat: nam  ibidem additur, illum c-ojo^ xat oioayrj  xouxou? a^aviaat xou; xurcous, impressas veluti notas libidinum studio ac doctrina  abolevisse. Neque valde huc faciunt,  quce ex eodem Porphyrio, qui Aristoxeno auctore usus sit, idem Theodoretus (Serm.) memorat, par-  tim quod ad adolescendam primam viri,  de qua nobis sermo non est, pertinent,  partim quod Archelaus Anaxagorae discipulus, honestus amator (spaax 7 ]$) ipsius  fuit. Ejusdem generis est, quod Cyrillus  (contra Julia.) ex eodem  Porphyrio (in Historia Philosopha, libro  olim deperdito) refert, Socratem -po; xr ( v  twv aopootatwv yp7jatv acpo Spdxspov p.sv sivac,  aoizov os p.rj -poasTvat. t\ yap xaT;Ya[j.sxaT;, vj xat?  •/.oivat; y prjaQat fj-ovat?. Fuisse ad res venereas  aliquantum vehementem, sed injuriam  abfuisse, qui vel uxoribus solis, vel    (1) Conf. quae in fra de mali equi Socratici notis  dicentur. § 18.    et l’amour grec 7   cure des prejuges des Grecs, Disc. iv),  raconte de sa jeunesse, laquelle aurait  ete encline au libertinage ; 1’auteur  ajoute, en effet, au meme endroit qu’il  parvint a effacer en lui, par Venergie de  sa volonte \ jusqu’aux traces meme des  passions (i). Ne nous occupons pas non  plus de ce que le meme Theodoret  (Discours xn) emprunte encore a Por-  phyre, qui lui-meme suivait Aristoxene,  c’est-a-dire de ce qui se rapporte a la  premiere jeunesse de Socrate (elle n’est  pas en cause), et a ce disciple d’Anaxa-  goras, Archelaus, qui aurait ete, en tout  bien tout honneur, un ami fervent  (!pa<j-r]s) du philosophe. A la meme cate-  gorie appartient ce que S. Cyrille (Contre Jidien) a extrait de YHistoire  philosophi que de Porphyre, livre aujour-  d’hui perdu : a savoir que Socrate et ait  violemment pousse aux choscs de iamour, mais qiiil s’abstint de faire tort a Voyez ce que l’on dit plus bas des marques  du mauvais cheval Socratique. quam diu caelebs esset communibus  uteretur. Nondum quidquam ex Porphyrio vel Aristoxeno, quem ille auctorem sequitur, allatum est de horribili  scelere, Pcederastia : quod praetermissu-  rus non erat, qui satis hic in Philosophice  parentem iniquus est, Cyrillus. Decla-  mat igitur praeter rem Socrates alter  (Hist. Eccles.), cum ita de  Porphyrio narrat, IIopcpupio; xou xopu^aio-  xaxoa xoiv <piXoao<ptov, Scoxpaxous, xov [3''ov oietu-  psv £v ifi YsypaixpiEvr] auxai <piA oaoow toxopta, xai  xoiauxa Tuept auxou ypa^a;xaxdXi7TEv, oia av p.7]xs  MeTaxo;, p.r[x£ v Avuxo; oi jpa^aixsvoi Swxpaxrjv  ItTictv e-zyjiprjGxv, ita traductum, ait, a  Porphyrio Socratem, talia de viro scripta,  quae neque accusatores ipsius Anytus et  Melitus dicere in ipsum ausi sint. Accipimus, quod negat objectam in judicio  turpitudinem talem Socrati, quo nempe  argumento constet, famam viri hac tum  macula caruisse. Sed nec a Porphyrio  plura aut turpiora his memorata, quae  jam vidimus, satis illud argumento est,  quod iniqui Socratis glorice homines, personne, en riusant jamais que de ses  propres femmes ou, durant son celibat,  des femmes qui apparticnnent a tout le  monde. Nulle part, soit chez Porphyre,  soit chez Aristoxene que Porphyre co-piait, il n'est rien allegue de cet horrible  crime : Pederastie ! II ne Paurait point  passe sous silence, ce Cyrille si injuste  envers lepore de la Philosophie. IPautre  Socrate ( Histoire ecclesiastique, m, avance donc une insigne faussete lors-qu’il dit : « Porphyre a compose la vie  de Socrate, le coryphee des philosophes, d’apres les histoires ecrites sur lui; et il  nous a transmis, d Vaide de ces documents, des choses si monstrueuses que les  accusateurs de Socrate, Anytus et Melitus, n’ont pas meme ose' les lui reprocher. Retenons seulement de ceci Taveu qu’on  n’en fit pas un grief a Socrate, lors du  jugement public, ce qui ressort de la  phrase elle-meme, et que cette tache fut  alors epargneeT a sa renommee. Mais  Porphyre n’a pas rapporte autre chose  ou des choses plus monstrueuses que ce Cyrillus ac Theodoretus, non plura protulere, quibus fuerant haud dubie causam suam, si res facultatem dedisset, ornaturi. Nempe nec Aristophanes, qui corruptce ad impietatem et calumniandi artem juventutis accusat in Nubibus Socratem. hujus criminis ullam mentionem  facit, non omissurus profecto, si illud  adhaerescere posse putasset. Nec forte  quisquam est ex omni antiquitate remotiore illa, et temporibus Philosophi propinqua, serius et severus accusator hujus  criminis. Lusit inter posteriores, pro  petulanti illo ingenio suo, Lucianus (de  CEco, ita enim potius dicendus erat ille  libellus quam de Domo) cum accusat Socratem, qui non erubuerit advocare Musas, virgines,  cuvsaojjiva; ia -aiBepaama, ut audirent  illos de puerorum amore sermones. Atqui illi sermones, uti mox videbimus.   que nous venons de dire ; nous en trou-  vons la preuve en ce que S. Cyrille et  Theodoret, deux detracteurs de Socrate,  n’en ont souffle mot, et qu’ils n’auraient  pas manque d’en orner leurs diatribes si  la chose eut ete possible. En second lieu, Aristophane qui, dans  ses Nuees, represente Socrate comme  un corrupteur de la jeunesse, comme  faisant de 1’imposture un enseignement,  n’a pas davantage mentionne cette accusation; l’aurait-il omise, si elle eut pu  s’appliquer a Thomme qu’il bafouait? II  n’y a enfin personne, si l’on prend des  temoins dans cette antiquite reculee ou  dans les temps voisins du Philosophe,  qui se presente comme un accusateur  serieux et digne de foi. Plus tard seulement Lucien, entraine par sa verve  moqueuse (dans 1’opuscule que l’on traduit ordinairement De Domo et qu’il  vaudrait mieux traduire De CEco.), reprocha a Socrate de n’avoir  pas rougi d ; invoquer les Muses, des reprehendant vehementer amorem: respicit enim ad Phædrum Platonis de quo dedita opera dicendum erit.  Qua ? in Amoribus in Socraticum amorem Platonicum-  que vel a Luciano, vel quicunque auctor  est, jocose et per calumniam dicuntur,  ea ad ipsum illum locum diluisse me  arbitror.  Sed veterum criminationes Maximus Tyrius (Dissertat.) refutavit, ut non videatur  opus esse aliquid addi : cum praesertim  tanto magis et agnoscant innocentiam  Socratis, et illud crimen ab illo depel-  lant ut hujus, ita paullo superioris aitatis  homines, quo magis virum ex aequalium  ac paullo juniorum de illo scriptis ut  cognoscere possent, cuique contigit. Quin  ne consultum quidem judicarem veterem  litem resuscitare, nisi viderem, nuper vierges, pour leur faire dcouter ces fa-  mcnx discours sur Vamour des jeunes  gargons. Mais ces discours, comme nous  allons le voir, blament fortement cette  sorte d’amour; Lucien fait, en effet,  allusion au Phedre de Platon dont nous  aurons a nous occuper. Ce que Fon dit  debamourSocratiqueet Platonique dans  les Amonrs, que ces dialogues soient de  Lucien ou de tout autre, n’est qu’une  plaisanterie ou une mechancete, comme  je\ l’ai demontre en temps et lieu. Maxime de Tyr ( Dissertations) a d’ailleurs refute toutes les ac-  cusations portees a ce sujet par les an-  ciens, etilserait inutile d’y rien ajouter.  Le meilleur argument, c’est que ceux qui  ont le mieux reconnu Tinnocence de  Socrate et repousse loin de lui avec le  plus de force 1’accusation infame, sont  les hommes de la generation qui a imme- [Dans ses notes sur Lucien, dont il a fait une  edition et une traduction Latine tres-estimees.  fuisse, et esse hodie homines eruditos, et  bonos viros, qui pravam de patre illo  Philosophia? opinionem conceperint, quorum non pono nomina, quia mihi non  cum ullo homine certamen esse volo,  sed cum opinione ea, quam praeterquam  quod falsam puto, etiam virtuti noxiam,  præter consilium quidem bonorum virorum, humanitati certe adversam esse,  arbitror. Qui autem fieri potuit, ut homines  neque indocti neque maligni in sinistram  falsamque de Socrate opinionem inciderint? ut apologia vir sanctus opus habeat?  Praeter naturalem illam -/.axor{0£tav nos-  tram, quae imis velut medullis fixa, et  superbiæ illius nostrae nixa radicibus.  diatement suivi la sienne. Or, ce sont  les contemporains et leurs successeurs  immediats qui peuvent le mieux juger un  homme, en pleine connaissance de tout  ce qu’on aecrit sur lui. Je n’aurais donc  pas songe a ressusciter cette vieille querelle si je n’avais vu naguere, et tout  recemment encore, des hommes instruits,  vertueux, concevoir la plus mauvaise  opinion de ce pere de la Philosophie; je  ne dirai pas leurs noms, ne voulant me  prendre corps a corps avec personne,  mais seulement avec une opinion que  je considere comme sans fondement,  nuisible a la vertu, et, contrairemcnt a  1’avis de ces gens de bien, defavorable a  1’humanite tout entiere. Comment donc a-t-il pu se faire  que des personnages qui ne p£chent ni  par ignorance ni par mechancete, aient  concu de Socrate une opinion si facheuse  et si fausse? Pourquoi cet homme veritablement saint a-t-il besoin d’etre defendu? En dehors de cette maligni te inter ultima vitia eradicatur, ceterasque  ex genere morum rationes, conveniunt  hic alia qucedam, quce facilem errandi  occasionem praebent. Magna pars doctorum etiam hominum legendi laborem  fugit, legendi uno tenore, continuata  attentione, totos veterum scriptorum  libros; sed satis habet decerpere qucedam, in quce primum incurrere oculi, aut, quod deterius frequentius que idem,  repetere ab aliis excerpta, et e media  nonnunquam sermonum velut compage  evulsa, de quorum sic sententia non facile  sit judicare. Platonis libri, unde pleraque  Socratica peti hodie necesse est, multos  arcent ob Atticum illud sermonis genus,  breve et acutum, floridum praeterea, ac semipoeticum, ipsamque disserendi ratio-  nem subtiliorem scepe, quam ut mediocri  attentione, non acutissimi homines illam  statim adsequantur. Nec licet, ut adhuc  res est, ad interpretes confugere ; qui  quoties vel nihil dicant, vel alia omnia  dicant, vix sine invidia licet commemo-  rare. Et tamen nisi attente legas, et to- naturelle qui reste fixee jusqu’au fond de  nos moelles, qui se fortifie de notre orgueil et qui ne s’arrache qidavec les derniers defauts, outre encore diverses raisons tirees de nos mceurs, il a fallu pour  cela un concours de circonstances propres a faciliter 1’erreur. La plupart des  gens instruits eux-memes evitent la fa-  tigue de lire dans leur entier, avec une  attention soutenue, tous les livres ecrits  par les Anciens ; on a plus tot fait de  choisir quelques passages, les premiers  qui tombent sous les yeux, ou, ce qui est  bien pire, de s'en tenir aux passages  choisis par d’autres, a des fragments detaches de 1’ensemble et dont il est par  consequent difficile d’apprecier le sens  veritable. C’est ce qui arrive des livres  de Platon, d’ou il nous faut aujourd’hui  tirer toutc la doctrine Socratique; iis embarrassent bon nornbre de lecteurs  par leur style trop Attique, raffine et  aiguise, fleuri pourtant et semi-poetique,  par ces controverses si subtiles souvent  que, si 1’attention se relache, 1’esprit le tos legas dialogos, et qua scripti sunt  lingua legas, non est ut de sententia  illorum, h. e. quam tribuat Plato sen-  tentiam Socrati, recte judices. Quare  mirum non est, si multi refugiant lectionem ita laboriosam; et illis veluti spinis  a familiari tractatione eorum librorum  deterreantur. Denique si quid etiam tribuatur a  Platone Socrati, tamen, si illud Xenophontis narrationi repugnet, non dubitaverim equidem, fidem potius adhibere  Grylli filio, memor illius, quod narrat  Laertius, Socratem, cum Lysin  Platonis legisset, dixisse, to; tzoXKx uoj plus eclaire n’cn suit pas aisemcnt le fil.  Et il serait inutile, dans le cas present,  de recourir aux annotateurs ; ou iis  ne disent rien, ou iis disent tout  autre chose que ce qu’il faudrait ; on ne  peut s’empecher de leur en faire un re-  proche. Cependant, amoins de lire avec  un soin scrupuleux tous les dialogues de  Platon et de les iire dans la langue meme  ou iis ont ete ecrits, il n’est pas possible  de juger saineinent de leur doctrine,  c’est-a-dire de la doctrine que Platon  attribue a Socrate. Il n’est donc pas sur-  prenant que nombre de gens reculent  devant une si laborieuse lecture et  soient rebutes, comme par des epines,  du commerce familier de ces livres. Enfin il faut dire que si Platon at-  tribue a Socrate une maniere de voir  contredite par la narration de Xenophon,  il n’y a pas a hesiter: c’est a Xenophon  qu’il faut se fier, si l’on se souvient du  mot rapporte par Diogene de Laerte. Socrate, apres avoir lu le Lysis xaxe^uBeO’ 6 veavfoxo; Quam multa de me  mentitur adolescens! Tanto magis hoc  memorabile est, quod ille Dialogus ita  scriptus est, ut non modo tanquam persona colloquens inducatur Socrates, sed  tanquam, qui ipsum illum dialogum  scripserit. Ceterum quia hic sumus, hoc  breviter indicamus, amatorium quidem  esse hunc libellum, sed nihil habere pudendum ne Platoni quidem. Argumen-  tum hoc est : Queritur Lysidis amator  Hippothales, ab illo se non amari ; Socrates ostendit, si velit amari, non adu-  landum esse puero, sic enim futurum  superbiorem; sed illi potius ostendendum, quibus rebus indigeat, et quam  parum in ipso sit boni. Deinde dela-  bitur in disputationem, Quis proprie  amicus sit vocandus? et, In quo insit  natura amicitia’ ? plenam illam quidem  cavillationum, sed praeclararum etiam  de amicitia sententiarum. Ceterum tri- Sic nempe ipse solebat Socrates in potestatem  quasi suam redigere adolescentulos, de quo que-  rentem audiemus Alcibiadem. de Platon, se serait ecrie: Comme ce  jenne homme invente souvent ce qu’il me  fait dire! » Le mot est d’autant plus  remarquable que, dans ce dialogue, So-  crate estpresente non comme un simple  interlocuteur, mais comme s’il avait  ecrit lui-meme tout le morceau. Pendant quenous y sommes, disons brievement que cetouvrage roule sur 1’amour,  mais qu’il n’y a rien dont put rougir  Platon lui-meme. Voici le sujet: Hip-  pothales, qui aime Lysis, se plaint de ne  pas en etre aime; Socrate lui demontre  que s’il veut 1’etre, il ne faut pas qu’il  fiatte ce jeune homme, ce qui le rendrait  plus orgueilleux encore; il vaut mieux  qu’il lui represente tout ce qui lui manque et le peu de bonnes qualites quhl  possede. On discute ensuite ces questions: Qui est digne d’etre appele un veritable ami? et, Quelle est la nature de Tamitie? Controverse pleine, il est vrai, C’est ainsi que Socrate avait en effet coutumc  d’assujettir les jeunes gens et son autorite, et nous  voyons Alcibiade s’en plaindre.  bui a Platone colloquentibus, de quibus  ipsi non cogitarint, vetus observatio est,  de qua vid. Athenaeus Deipnos.. Qiio dialogorum more se  excusat, etiam VARRONE in ACCADEMI dedicatione Tullius CICERONE. Neque ausim  Platonis ipsius, junioris praesertim, patrocinium suscipere de mollioribus versiculis, quos Apulejus servavit (Apol.) et Laertius Diogenes:  de quibus modo in neutram partem disputo, causamque Platonis a Socratis  causa hac in re sejungo. Quæcunque vero cum aliqua specie  testimonia Platonis contra Socratem proferuntur, ea cum ex Phædro, nescio  quam bona semper fide, corrupte quidem  et perverse non nunquam, depromi videam, propter ea pretium opera putavi,  de futilites, mais aussi de remarquables  definitions dekamitie. C ; est uneobservation qui a ete faite depuis longtemps,  que Platon attribue a ses interlocuteurs  des idees qu’ils n’ont jamais eues: on  peut consulter la-dessus Athenee (Deipnosophistes). CICERONE, qui avait le  meme defaut, s’en excuse sur le genre  meme du dialogue, dans son envoi des  ACCADEMIA a VARRONE. Je n’ose pas non  plus defendre Platon du reproche d’avoir  commis, surtout dans sa jeunesse, des  vers badins tels que ceux que nous ont  conserves Apulee (dans son Apologie) et  Diogene de Laerte; vieux ou  jeune, jen’ai pas affaire a lui et je separe  completement sa cause de celle de Socrate. Entre les divers temoignages fournis  par lui, ceux que Ton peut alleguer contre Socrate avec quelque apparence de  justesse sont tires du Phedre; pas toujours bien scrupuleusement et quelque-fois a 1’aide d’alterations ou de contre-] non semel totum illum dialogum attento  animo perlegere, et uno quidem tenore,  et lingua sua, ne quid eorum me falleret,  qua saepe fraudi esse viris doctis, modo  dicebam. Ac spero non ingratum fore  aliis, quorum rationes non ferunt tam  longam solicitamque operam, si hic possint brevi studio cognoscere velut œconomiam illius libri et argumentum, inde-  que de toto consilio vel Platonis vel  Socratis arbitrari. Concedamus enim, ne  abuti videamur illa, quam modo propo-  suimus observatione, Socratis hic veram  sententiam bona fide a Platone proponi.  Ac primo illud meminerimus, Socratem hic introduci senem,  tantum non decrepitum, quem facile juvenis Phædrus viribus superet. Jam  fingitur Phædrus audisse Lysiam disputantem, magis obsequendum gratifican-  dumque esse non amanti, quam amanti:  camque orationem Socrati prcelegere sens. Cest ce qui m’a engage a lire  attentivement ce dialogue, et plutot deux  fois qu’une, dans son entier, et dans le  Grec, afin d’echapper a ces chances d’erreur dont j’ai parle plus haut et qui font  trebucher les plus doctes. II sera peut-etre  interessant, je 1’espere, pour ceux dont  1’esprit repugnerai-t a une besogne si  longue et si difficile, de connaitre sans  grande etude le sujet et pour ainsi dire  1’economie de ce livre, et de pouvoir  apprecier toute la theorie de Platon ou  de Socrate. Nous admettrons, pour ne  pas abuser de la reserve faite par nous  plus haut, que la doctrine de Socrate a  ete ici exposee de bonne foi par Platon. Rappelons d’abord que Socrate y  est presente comme un vieillard, non  pas tout a fait tombe en decrepitude,  mais qu’un jeune homme, comme Phe-  dre, peut maitriser aisement. Phedre raconte qu’il a entendu Lysias discourir  sur cette question : Un jeune homme  doit-il avoir plus de facilite et de com-[Reprehendit  hanc Lysiae orationem, cante quidem et  multa cum ironia Socrates, et meliora se  audisse ait, quae dicere illum amabilis-  sime cogit Phcedrus. Incipit hic a Musa-  rum invocatione quam calumniatur, ut modo dicebamus, Lucianus : cum sit nihil in ea oratione non  virginum auribus dignissimum. Orditur  a definitione Amoris quem  vocat cupiditatem, quae incitate feratur  ad voluptatem  pulchritudinis, et inde,  quam mala res, quam noxia sit, ostendit et claudit hexametro:   A'j-/.ol aova oi^ouV, ojq ~aToa epAouVjtv  1 r’ 1 !   |Sf/aTra’.  Ut cordi agna lupo est, puerum sic ardet amator. Bene ista, et Musis faventibus. Sed  subito, At Amor tamen Deus est, inquit,  et palinodiam parat, quae incipit (p. 3 43 .   plaisance pour celui qui ne 1’aime pasque  pour celui qui Faime ardemment ? II lit  ensuite ce discours a Socrate. Celui-ci,  avec beaucoup de finesse et ddronie,  trouve a blamer dans la composition  oratoire de Lysias et pretend qu'il a entendu dire la-dessus autrefois de bien  plus belles choses; Phedre le conjure de  les lui rapporter. Socrate debute alors  par cette invocation aux Muses que Lucien a calomniee, comme nous le disions  plus haut, car il n’y a rien dans tout le  discours qui ne soit parfaitement digne  des oreilles chastes. II commence par la  definition de 1’amour, qu’il appelle un  desir violemment entraine vers le plaisir  que promet la beaute; il enumere en-  suite les ecarts auxquels il peut pousser  et conclut parcet hexametre: Comme le loup aivic Vagneau, ainsi Vamoureux   [cherit le jeune garcon. Voila qui est bien, grace aux Muses. Mais aussitot : L’ Amonr est cependant  un Dieu, s’ecrie-t-il ; et il entrcprend une ab eo, uti dicat, non ideo amorem  damnandum fuisse, quod sit furor ; esse  enim furorem etiam bonum aliquem:  ipsam [jLavTixrjv 5. divinatoriam facultatem  esse a verbo [i-aiveaOai dictam, velut quan-  dam [j.avi/7]v s. furiosam. Talis furoris plura genera enarrat, in his etiam ponit  amorem, cumque magnæ felicitatis causa tum amantis cum amati datum his esse divinitus, conatur ostendere. Ad eam demonstrationem sumit  primo hanc propositionem. Omnem animam esse immortalem, quam inde probat (quam bene vel male, nunc non dis-  putamus) quod principium motus sui in  se habeat. Deinde similem ait animam nostram, etiam antequam ea in corpus ve-  niat, bigae alatae cum suo auriga. Alterum hujus biga 3 equum bonum ponit et  tractabilem, malum alterum ac  refractarium. Sic coelestia spatia ingrediuntur ista cum suo auriga bigce, et palinodic en declarant tout d’abord que  1’amour n'est pas condamnable en soi,  qu’il estun delire, et que dans tout delire  il y a quelque chose de bon; que fxavnxr],  la divination, derive du mot (jiodveaGai,  comme qui dirait [xavtxr), c’est-a-dire  folle. II compte diverses especes de  delires parmi lesquelles il place 1’amour,  et il s’efforce de montrer que c’est un  present divin fait a bhomme pour le plus  grand bonheur de celu*i qui aime et de  celui qui est aime. Sa demonstration  s’appuie sur cette proposition premiere:  Tonte dme est immortelle, dont il tire la  preuve (bien ou mal, ce n’est pas notre  affaire) de ce qu’elle a en soi le principe  de son mouvement. Il compare ensuite notre ame,  avant qu’elle ne vienne habiter un corps,  a un attelage aile, compose de deux  chevaux et d’un cocher. L’un des  chevaux est excellent et docile ; 1’autre,  d’un mauvais naturel et retif. L’attelage  parcourt ainsi les espaces celestes, avec Deorum aliquem secutce (Socratis anima  Jovem) ea spatia permeant. In hoc volatu et illa equorum dissimilium  dissensione, alia; quidem anima; retinent  alas, et ad sublimia feruntur, contemplantur que ea etiam, qua; extra supremum coeli orbem sunt. Alia;,  qua; partim in altum elata; viderunt plura, partim ab equo illo refractario impe-  dita; ac retractae, pauciora; ruptisque  per illam equorum in diversa tendentium  luctam pennis atque amissis, cadunt, et  in corpora humana veniunt. Harum, pro gradu cognitionis  illius et inspectionis rerum coelestium  diverso, novem classes constituit. Qua plurimum veritatis et rerum cœlestium vidit anima, ea inseritur semini, e  quo nascatur aliquis sapientias, pulchri,  doctrinas, et amoris studiosus, st? yovfjV] son cochcr, et s’elance a la suite de l’un  des douze dieux (1 ’ame de Socrate suivait Jupiter). Dans cette course a travers  les espaces et malgre la lutte des deux  chevaux, si dissemblables, quelques ames  parviennent a garder leurs ailes, voya-  gent dans les regions etherees et contemplent meme ce qui est au dela de la  voute du ciel. Les autres, parfois emportees jusqu'aux plus hautes regions,  parfois retenues et embarrassees par le  cheval retif, n’arrivent qu’a connaitre  une partie des mysteres ; dans cette lutte  des chevaux qui tirent en sens inverse,  elles brisent et perdent leurs ailes; ces  ames tombent alors sur terre et sont  emprisonneesdans les corps des hommes. Suivant le degre de connaissance  qu'elles ont atteint dans la contempla-  tion des essences, Socrate divise en neuf  classes ces ames dechues. Celle qui a  per9u le plus de verite et de choses  sublimes, vient animer le germe d’ou  naitra un homme tont entier consacre au avopo? ycV7]ao[j.c'vO’j ? oiXoao^ou, 7) <pt\oxaXou, tj  fi.ouaixou Ttvos, x at spamxoy. Secundi fastigii anima animabit regem, legibus, bello,  imperio, potentem : tertiae classis anima  civitatis familiaeque regendae et rei fa-  ciendae peritum : quartae, laboris amantem eundemque in exercendis sanan-  disve versantem corporibus : quinti  ordinis animae vitam habebunt in vaticinando, aut in castimoniis initiisque  mysteriorum occupatam : sexti, poetas :  septimi, geometras aut fabros: octavi  sophistas aut cum factione populares:  noni denique animabunt tyrannidis cu-  pidos. Multa hic nec injucunda de hoc  ordine, de his vitee generibus, disputandi  occasio: sed maneamus in argumento  nostro. Ha’ omnes anima?, cum morte discesserunt a corporibus, in locum vel pce- [culte de la sagesse, de la beaute, de la  Science et de Vamour ; Vdme du second  degre vivra dans le corps d’un roi juste,  belliqueux et capable de commandere  celle du troisieme fonnera un homme  habile a administrer sa famille, sa cite  ou la chose publique; celle du quatrieme  un athldte laborieux ou un medecin, tous  deux occupes soit d exercer le corps  humain, soit d le guerir; les ames de la  cinquibme classe passeront leur vie, soit  d predire 1’avenir, soit d initier aux  abstinences et aux mysteres ; celles de la  sixieme former ont des poetes ; celles de  la septieme, des laboureurs ou des ouvriers,- celles de la huitieme, des sophistes  ou des chefs de factions populaires ;  celles de la neuvidme, enfin, des tyrans.  Ce serait peut-etre 1 ’occasion de dispu-  ter, et non sans agrement, des rangs  assignes a ces ames et de leur genre de  vie: mais restons dans notre sujet. Toutes ces ames,quandle trepas les a  separees du corps, parviennent au sejour narum vel pr cerni orum perveniunt, et  mille exactis annis, accipiunt potestatem eligendi sibi nova corpora, vitas  novas, sive hominum sive bestiarum.  Quce anima ter sibi, exactis millenis illis  annis, primam istam sedulo philosophantis, sive pueros cum philosophia  amantis, vitam delegerit tou  <ptXocrocprjaavto; aooXc. 05, r] "atospaaxrJcjavTO;  [j.£xa <ptXoao<p''a;, ea, absoluta ista ter mille  annorum periodo, pennas denuo accipit,  quibus ut ante tolli, deum aliquem sequi,  contemplari cœlestia, queat: cum reliquarum octo classium animae, non nisi  decies mille annorum periodo absoluta, in primam illam conditionem restituantur. Hoc ipsum quod primam et felicissimam classem Pæderastarum philosophantium constituit, quod tantum prae-  mium illis, compendium septies mille  annorum, tribuit Mythi hujus s. Allegoria ? auctor, sive Socrates fuit, sive Plato ; hoc ipsum igitur jam satis monere  nos poterat, non posse hic sermonem esse  de re ita turpi, quam fuisse illud, cujus des peines et des recompenses, et au bout  de mille annees, recoivent la permission  de choisir de nouveaux corps, soitd’hom-  mes soit de betes, et de vivre de nou-  velles vies. L’ame qui, durant trois revo-  lutions de mille annees, trois fois de  suite a choisi Texistence d’un homme  quicultive sincerement la philosophie, ou  qui aime les jeunes gens d'un amour  philosophique, a 1’expiration de cette  triple periode, recouvre les ailes qidelle  possedait autrefois et peut, comme au-paravant, suivre l’un des dieux et contempler les essences celestes. Les huit  autres classes ne retournent a cette condition premiere qu’apres une revolution  de dix mille annees. Ainsi la premiere  classe et la plus heureuse est celle des  philosophes amis des jeunes gens, et l’inventeur de ce mythe ou allegorie, que  ce soit Socrate ou Platon, la favorise  d’une exemption de sept mille annees:  cela seul nous avertit assez qu’il ne peut  etre question ici de ce vice infame dont  on accuse Socrate et que d’ailleurs les 3postulatur Socrates, ipsis etiam legibus Atticis, paullo post ostendemus: sed magis hoc apparebit, si quis ea, qu ce sequuntur, apud Platonem paullo attentius  considerare mecum voluerit. Intelligentia hominum, ex pluribus  rebus sensu perceptis collecta, nihil est  aliud, quam recordatio illorum, quae  anima in illo volatu suo coelesti viderat,  quae sola verum illud ens sunt (t 6 ov-co;  ov, p. 346, A). Haec intelligentia maxima  est in illa prima philo sophantium pæderastarum classe : haec ipsa est, ob quam  alas soli recipiunt, quibus volatum illum  coelestem, deorumque comitatum tentant:  præ qua terrena hæc, et sensus externos  ferientia, ita negligunt, ut male sani  aliis et furiosi videantur, icocpa -/.ivouvts?,  quos commotos s. commotce mentis  vocat ORAZIO (si veda) (Serm.),  cum re vera divino quodam spiritu agitentur, svOouaux^oviss, qui illos semper ad  coelestem illam pulchritudinem revocet,  quam in priore volatu viderant. lois Athenicnnes reprimaient, comme je  le demontrerai tout a 1’heure; cela deviendra plus evident encore pour qui  voudra bien examiner attentivement  avec moi ce qui suit dans Platon.   i3. L’intelligence humaine est formce  de la reunion des idees percues a l’aide  des sensations, et les idees ne sont rien  autre chose que les reminiscences de  ce que 1’ame a vu anterieurement dans  son vol celeste, c’est-a-dire des essences  veritables. Or 1’intelligence la plus complete appartient a la premiere classe, a  celle des philosophes amis zeles des  jeunes gens, et c’est pourquoi seuls iis  recouvrent les ailes a 1’aide desquelles  iis pourront essayer de nouveau de par-courir le ciel et suivre le cortege des  dieux. Detaches des soins terrestres et  de tout ce qui frappe les organes, iis pas-  sent pour des insenses et des hommes en  delire, -apa/ivoSvis?, de ceux que ORAZIO (si veda)  appelle des fren^tiqucs, des esprits troubles, tandis que vraiment ce sont des en- [Hæc pulchritudo, qucc inest in  sensu, <ppov 7 ]<m, in mentis  qua vult et intelligit prostantia, si ita in  oculos, ut alia quce videri his possunt,  incideret, ad mirabiles sui amores exci-  tatura esset. Jam pulchritudo sola corporum, hanc (Aotpav habet, hoc velut fatum,  et conditionem, uti subeat oculos, ut amo-  rem moveat. Hinc ponamus ipsa verba,  ut existimare melius ac certius de tota  re possint etiam, quibus ad manus non est  Plato ipse, vel magnum volumen de pluteo  promere non lubet. c O piv oOv pu] vsoxeXt];, Jj otscpQappivos, oux otjiiog evOevOs Exstas ©s'psxat  7ip6; auxo xo xaXXo;, Ostopisvo; a3xou xrjv xrjoE  smavupiiav. waxs ou as'6sxat 7rpoaopojv, aXX’  7]3ov^ 7:apaoou;, zBzpdtTzodog vo ptco (Batvstv S7Ct-  y stpsT xat 7iat8oa7EOpstv. xal u6pst x:poao|j.tXaiv,  ou os'ootxsv ou 8’ ata/uvsxai IIAPA ‘I^TXIIN. Notabile est, Platoni etiam de Ijcgib. r.  thousiastes, agites comme d’un transport  divin, qui les attire sans cesse vers cette  beaute celeste precedemment entrevue  par eux dans leur vol. [Cette beaute, dont Pessence reside  dans un sens particulier, la sagesse,  source de la volonte et de 1’intelligence,  s’il etait donne a l’oeil de 1’apercevoir,  comme toutes les autres choses visi - bles, elle nous exciterait a d’admirables  amours. Mais c’est seulement la beaute  corporelle, telle est sa necessite fatale et sa  nature, qui frappe les yeux et nous porte  a 1’amour. Ici nous placerons le texte  meme afin que ceux qui n’ont point Platon sous la main ou qui ne se soucient  pas de tirer du rayon un gros volume,  puissent se faire une opinion en toute  E. hanc turpitudinem appsvwv np 6?  appevag, Ij OrjXsTwv xpog OrjXsix;, to ITAPA  •bTSIN To'X[j.7)p.a appellari. Non igitur Plato-  nem, vel Socratem adeo, feriunt divina illa fulmina Pauli Rom. /, 26 . sq., ut neque ea, qua ? in  idolatriam vibrantur. f,5ov7]v 0 -W.ojv. '0 8e apttteXrj?, 6 twv xdxe  TroXuGcapojv, oxav OsoEtSsg r.poaioTzov' t07), -/.aX-  Xo; eu [j.E[j.vr ( [x£vov rj uva ac;o$fj.axo ios'av  oj? Geov a£'6sxai. Hcec ita verto, Hic ergo,  qui non est nuper illis mysteriis coeles-  tibus in illo volatu animarum initiatus,  aut, initiatus cum esset, corruptus est,  non celeriter, ut oportebat, hinc, ab hac  corporea, non vera, pulchritudine, illuc  fertur ad ipsam veram, coelestem pulchritudinem, cujus hic videt nomen,  umbram, similitudinem : itaque neque  inter adspiciendum eam, divinum quiddam colit: sed libidini se tradens, quadrupedis ritu inscendere formosum conatur, et genitale semen profundere, et  cum contumelia congressus formoso corpori, non veretur, nec  erubescit PRXETER NATURAM libidinem persequi. At ille nuper initiatus, qui multa eorum quae tum videbat, contemplatus est, ubi vultum divino similem conspexit, qui pulchritudinem illam veram bene imitetur, aut incorpoream quandam illius speciem, verbo, certitudc. L’homme qui n’a pas un  « souvenir recent de son initiation aux mysteres, ou qui, recemment initie, s’est laisse depraver, ne s’eleve pas facilement, comme il faudrait, de cette beaute corporelle, qui n’est pas la vraie, a cette beaute celeste, absolue,  « dont il ne rencontre ici-bas que le nom, 1’ombre, la ressemblance; en 1’apercevant il n’y respecte rien de divin. Entraine par la volupte, il se precipite, comme une brute, sur 1’objet de ses desirs, ne cherche qu’a genitale semen profundere et, outrageant ce beau corps qu ? il etreint, il n’a pas honte, il ne rougit pas de poursuivre un plaisir contre nature. Au contraire, l’homme, encore plein des saints mysteres qu’il a longtemps contemples autrefois, 11 est remarquable que Platon, meme dans ses  Lois, appelle crime contre nature le commerce honteux marium cum maribus, et feminarum cum feminis. Les foudres de Saint Paul (Ep . aux Rom.) n’atteignent donc ni Platon ni Socrate, pas plus  que celles qu’il lance contre 1’idolatrie. virtutem speciosam:  Dei instar  colit. Deinde enarrat pheenomena quædam hujus sancti et philosophici amoris,  similia, ex parte Venerei, et quomodo  illa alce, quas amiserat anima, hinc de  novo crescant, sub Allegoria perpetua  describit, qua nihil aliud tandem indicat,  quam enthusiasmum quendam, et injectam divinitus philosopho cupiditatem  versandi cum pulchris, h. e. ingenio vel  forma potentibus, adolescentulis: quos  nempe captabat Socrates, qui sciret, cum  facilius sit formare ad sapientiam et  virtutem hanc aetatem, tum hos esse, a  quibus futura civitatis fortuna pendeat.  Hinc est quod se venari pulchros non dis-  simulabat (vid. Protagora > principium,  frustra reprehensum Cyrillo contra  Julia), quod Xenophontem baculo etiam transverso objecto  et l’amour grec q'3 en presence d’un visage presque divin ou d’un corps dont les formes lui rapit pellent 1’essence de la beaute, c’est-a-dire 1’essence de la vertu, adore comme  « en presence de la divinite. Platon retrace ensuite quelques-uns des phenornenes de ce saint et phi-  losophique amour, parfois peu different  de l’autre; il montre aussi comment re-  poussent les ailes autrefois perdues par  rame. C’est une allegorie perpetuelle  dont la conclusion est que le philosophe  con^oit, par une sorte de grace divine,  le plus fervent desir de vivre au milicu  des beaux adolescents distingues par la  perfection de leurs formes ou par leurs  dispositions naturelles. C’est ceux-la, en  effet, que Socrate ambitionnait de gagner,  sachant qu’il est facile, a cet age, de les  tourner au bien et a la vertu, et que  c’est d’eux que dependent les futurs destins de la Republique. II appelait cela  prendre les beaux garcons dans ses filets  (voyez la-dcssus le commencement du. velut exceptum, sibi adjunxit (Diog.  Laert.). Ipsum illud hinc est, quod GINNASIA, conviviaque et deambulationes, quoscunque denique juvenum coetus,  sequebatur, quod ludos et jocos non refugiebat, quod se plane communem illis  faciebat, nec irrideri aut peti maledictis refugiens. Ipsa illa ironia perpetua,  quod doceri se velle simularet, certe discendi causa disputare, ut accessum ad  Sophistas illi dabat, ita adolescentulo-  rum super bulæ de se opinioni et præcipitantiæ blandiri videbatur. Sed pergamus Platonis Mython enarrare. FILOSOFI illi amatores pulchrorum non indiscretim omnes amant, sed  (p. Sdy, C) quem quisque in illo coelesti  volatu Deum secutus est, ejus Dei si-  milem sibi quaerit amasium; qui Jovem,  ut Socrates, Jovialem (Auvov x wa), Martia-  lem vero qui Martem, et sic Junonios.  ET Protagoras, blame a tort par Saint Cyrille), et il se fit de la sorte un disciple  de Xenophon qu’il arreta en lui barrant  le passage avec son baton. Voila pour-  quoi aussi il frequentait les gymnases,  les banquets, les promenades, tous les  lieux de reunion des jeunes gens, ne  fuyait ni les jeux ni les badinages, s’entretenait avec tous et s’inquietait peu de  preter a rire aux medisants. Cette ironie  perpetuelle grace a laquelle il feignait  toujours de vouloir apprendre, pour  mieux enseigner, lui donnait acces au-pres des Sophistes et flattait aussi la suffisance et la presomption de la jeunesse.  Mais achevons d’exposer le Mythe de  Platon. Ces FILOSOFI amoureux des  beaux garcons ne s’attachent pas indistinctement a tous; selon le dieu quhls  accompagnaient dans les espaces etheres, chacun d’eux choisit parmi les anciens  suivants du meme dieu celui qu’il doit  aimcr. L’ame qui etait, comme celle de Bacchicos, Apollineos : et talem ubi inventum amare coeperint, faciunt omnia,  uti Deo illi, quem ipsi secuti sunt, et cu-  jus jam similitudinem quandam in ipso  deprehenderunt, sibique adeo, reddant  quam similimum. Ita Socrates, Jovis in  illo volatu satelles, quaerit Joviales, amatores natura sapientiae, et natos ad imperandum. Hactenus ergo bene res habet, sancti tales Paederaslce, J elices qui  sic amantur. Sed nec dissimulanda sunt quae  sequuntur apud Platonem. Redit Socrates ad superiorem illum de Anima Mythum, quam triplicis naturæ ponit scilicet. Sunt vellit equi duo,  est auriga. Equorum alter bonus, sanus,  verecundus, gloria amator, qui sine plagis, sola ratione auriga regitur : pravus  alter, qui multum ac temere una aufera- [Socrate, dans le cortegc de Jupiter, recherche un suivant de Jupiter, et ainsi  des autres qui avaient choisi Mars, ou  Junon, ou Bacchus ou Apollon. Des  qu’ils Pont trouve, iis s’efforcent de  rendre celui qu’ils aiment semblable a ce  dieu dont iis retrouvent en eux-memes  le caractere. Ainsi Socrate, satellite de  Jupiter, recherchait pour les cherir ceux  qui avaient aussi suivi ce dieu, c’est-a-  dire ceux qui, par nature, etaient portes  a la sagesse et a la domination. Jusqu’ici  tout va bien ; de tels Pederastes sont de  vrais saints, et bien heureux ceux qui  sont aimes de la sorte!  Mais il ne faut pas dissimuler ce  qui vient apres dans Platon. Socrate re-  tourne au precedent Mythe de hame  qu’il a coniparee aux triples forces reu-  nies de deux chevaux et d’un cocher.  L’un des chevaux est bon, sam, plein de  retenue et d’emulation; le cocher le dirige, sans avoir besoin du fouet et par  la seule persuasion: 1’autre est mechant] tur, (impetu alieno potius feratur,  smo judicio) dura ac brevi cervice, simus,  nigri coloris, glaucis oculis, suffusus sanguine, petulantia contumeliaque gau-  dens, hirsutus circa aures, surdus, flagello ac stimulis vix tandem concedens.  Operet ? pretium videtur mali equi notas  etiam Gra } ce ponere : cxoXt 65, ~oXu; eixrj  a'j[j. 7 :scpopr]|j.^vo?, xpaTEpauyrjv, ( 3 payuipayrjXo?,  aipLOTCpoacoro;, [xsXayypa);, yAauxop.p.a“0?, oepat-  [xo;, u6p ew; xal aXa^oveiac staTpo?, zept coxa  Xaaco;, xwipog, gaartyt p.S7a xdvxpwv [xdy.;   UTEclXOJV.   r<S\ Apposui Graeca, ut facilius judi-  cari possit, probabilisne sit conjectura, in  quam incidi, dum in hac equi mali de-  scriptione versor. Nempe, aut vehementer fallor, aut memorat hic Socrates non  tam equi mali proprie dicti signa, quam  sui corporis formam, quatenus vitiosum  inde ingenium colligebat physiognomon  ille Zopyrus. Hic enim, ut est apud CICERONE (DE FATO), Stupidum esse  Socratem dixit et bardum, addidit    et s’emporte facilement, sans raison aucune (c 7 est-a-dire qu’il semble dirige plutot par une force exterieure que par son  propre jugement); il a 1’encolure courte  et dure, les naseaux apiatis a la maniere  du singe, le poil noir, les yeux glauques  le sang le tourmente et il est toujours en  rut et en querelles ; il a, de plus, les  oreilles velues, il est insensible a tout et  n 7 obeit qu’a peine au fouet et a 1’aiguil-  lon. Il est necessaire de transcrire, dans  le texte Grec, ces marques particulieres  du mauvais cheval. J’ai cite le texte afin qu’on puisse  decider si la conjecture que me suggere  cette description du cheval retif a quel-  que vraisemblance. Ou je me trompe  fort, ou Socrate ici retrace moins les ca-  racteres d 7 un cheval defectueux que son  propre portrait, dans lequel le physionomiste Zopyre trouvait les indices d’un  naturel vicieux. Zopyre, au dire de  CICERONE (Du Destin) pretendait  en effet que Socrate etait lourd et stuetiam mulierosum. Illud de stupore con-  venire cum Homzne xpaTepau/7)v et (3payuxpa-  mox declarabitur: quod muliero-  sum dicebat, illud cum G6psa Ixatpop con-  gruit : novimus enim quos uSp-.sxa; tum  dixerit Græcia. Porro illud aipio-pd-  aw-ov plane pertinet ad notationem Socra-  tis, in quo cum deridetur a Critobulo,  tum ipse suaviter sibi illudit, et in eo  patulisque non modo deorsum sed in hori-  qontem naribus, non minus quam in ocu-  lis ultra frontem eminentibus, et labio-  [Unum ponamus exemplum e libello, quipree  manu est, Aristotelis Physignom. c. ult. p. / 18 1,  E. 01 (Jisya cpcnvotjvxs; papuxovov, OSpiaxa^. Ava-  tpspexat £~1 xoj; ovoj;. Physiognomones e similitudine vocis asinina: argumentum ducunt ad libi-  dinem asininam. Conf. § 14, it. 32 .   (2) Xenoph. Sympos. c. 4, § /p, Socrates ad  Critobulum, formee sua: jactatorem, x; xoDxo ; w?  yap /a! Ip.o 0 ' zaXXtcjjv wv xauxa v.oxt.xCv.c,, Quid  istuc? quasi me quoque pulchrior esses, ita gloriaris.  Ad qua: Critobulus, Nrj Ata, rj Ttavxcov SsiX7jvwv  xmv sv aaxupixoh; alaytaxo; av eVtjv . Nisi te formosior essem, ait, essem Sileuorum, qui in Satyri-  cis fabulis in scenam veniunt, turpissimus. pide; il aurait ajoute : adonrtd anx plai-  sirs veneriens. Pource qui est dela lour-  deur, cela concorde avec 1’encolure  courte et dure ; adonne anx plaisirs ve-  neriens, repond a &'6peto; ItaTpo;. Nous  savons, en effet, quels etaient ceux que  les Grecs appelaient uSpiatat'. Quant a  la face simiesque, cette designation s’ap-  plique parfaitement au portrait de So-  crate ; il y a fait lui-meme agreablement  allusion en repondant aux moqueries de  Critobule. Il avoue que toute sa  beaute consiste en un nez epate et me-  nafant le ciel, en des yeux saillants et [Contentons-nous d’un seul exemple tird du livre  que nous avons sous la main, le De Physiognomia,  d’Aristote : Ceux qui ont la voix forte et grave  sont &6picrcai, par similitude avec Vane. De ce que  la voix £tait bruyante comme celle de l’ane, les phy-  sionomistes conci uaient qu’on devait avoir le temperament lascif de cet animal. Xenophon (Banquet). Socrate dit il  Critobule, qui vante sa propre beautd: Quoi donc?  Tu crois etre plus beau que moi? Critobule lui  repond: Si je n’etais plus beau que toi,je serais  le plus affreux de ces Silenes que Von voit paraitre  dans les drames salyriques.] rum tumore molli, pulchritudinem suam  prcedicat (Xenoph. Sympos? c. sicut  in Platonis Convivio Sileni  s. Satyri formam Alcibiades illi tribuit :  et in Tlieceteti Platonici principio Theodorus negat pulchrum esse Thecetetum,  cum sit Socrati similis, tQ te cijxo-rjta xat  to s£w twv o[j.[j.aTtov, naso simo et eminen-  tibus oculis, licet minus quam Socrates  utraque re sit notabilis. Nempe hcec si-  gna cum haberentur, et naturales quae-  dam notce, hominis libidinosi, iracundi  et stupidi, non negabat illud Socrates,  verum eo majoris faciendam esse FILOSOFIA ostendebat, quee tantum contra  vitiosam naturam valeret. Quoniam hic sumus, non injucun-  dum forte fuerit lectoribus nostris in  rem quasi preesentem ire, et ex artis,  qualis tum erat, praeceptis, Zopyri judicium defendere. Vix autem opus est  admoneri lectores, non hoc agi, Num  veri aliquid sit in ea arte? Num ipso   des levres gonflees comme un abces ; de  meme dans le Banquet de Platon, Alci-  biade compare son masque a celui de  Silene ou d’un satyre, et au commencement du Theatdte, l’un des interlocuteurs, Theodore, refuse toute grace a  Theatete en disant qu’il ressemble a Socrate, qu’il est camard et que les yeux  lui sortent de la tete; que pour etre chez  lui moins apparents que chez le maitre,  ces defauts n’ensontpas moins sensibles.  Socrate ne niait pas d’ailleurs que ces  particularites physiques n’indiquassent  un homme lascif, violent et d’un esprit  paresseux ; il en concluait seulement en  faveur de la Philosophie qui parvient a  dompter un si vicieux naturel. Pendant que nous y sommes, il ne  deplaira peut-etre pas au lecteur d’aller  plus au fond sur ce chapitre et de defendre les idees de Zopyre, idees basees  sur des regles alors acceptees. Il nes’agit  pas de savoir si cette Science est sure;  est-ce que 1 ’excmplc meme de Socrate   etiam Socratis exemplo ea refellatur, et  vanitatis convincatur? sed hoc modo,  quod dixi, Utrum Zopyrus ex arte, et  ut oportebat, judicium de illo tulerit? Exstat in operibus Aristotelis libellus, <J>uaioyvoj[juxa inscriptus, quo superiorum  hujus artis consultorum collegisse prae-  cepta videtur . Hinc ea, quee ad formam  Socratis, qua ? ad equi hujus mythici naturam pertinent, huc transferamus. Igitur inter ’Avai-  c07j- ou hoc est stupidi, et sensu communi  pene carentis signa sunt ~'x nepl tov auysv a  aap'/.oj07) 7.ocl G'j[j.7ZB7zXsj[isva x a\ auvo£ 0 £|j.£va,  Ea quas adjacent collo carnosa, complexa et colligata, itemque cervix crassa,  XGxytjkoq -ayjj;. Et Oi?  Ta "£p\ ta; xXeTBoc; aug~£pi~£cppaY(x£va £<ruv,  avodaQiyroL. Nonne totidem fere verbis CICERONEZopyrus? Stupidum esse  Socratem, et bardum quod jugula con-  cava non haberet, obstructas eas partes  et obturatas. Alia adhuc mala signifeat  ista conformatio. Olc xpd.yrj.oc r.ayyc xai ne temoigne pas du contraire ? Mais  Zopyre en a-t-il tire, en ce qui concerne  notre Philosophe, un pronostic judi-  cieux ? II y a dans les oeuvres d’Aristote  un opuscule intitule Physionomiques ou  ce philosophe parait avoir recueilli les  regles admises avant lui par les habiles.  Nous transcrirons celles qui se rapportent au portrait de Socrate et au caractere de son cheval mythique.  D ? apres Aristote (chap. m), les in-  dices d’un esprit lourd et presque prive  du sens commun sont le gonflement des  chairs qui avoisinent le cou, leur engor-  gement et leur replelion- ce qu’il con-  firme en disant au chapitre vi : « C’cst  un signe de betise que d’ avoir 1’cncolure  epaisse. Zopyre, dans CICERONE, n’ex-  prime-t-il pas la meme idee? Socrate,  dit-il, etait lourd et stupide, parce quii  navait pas le cou bien degage, que ces  parties etaient cheq lui comme engorgees  et obstruees. Cette conformation indi-  que cncore bien d’autrcs dcfauts : la  TzlioK, 0 o 1 uo£i 8 e!'s, Crassa et plena cervix iracundos signat, exemplo taurorum: Ol?  8s [Bpayjj; ayav, irdfi ouXoi, Brevis nimium quibus est, ii sunt homines insidiosi, lu-  porum instar. Talem modo vidimus  illum malum equum, xpaxepauyeva et [Bpa-  yuxpayjiXov. Talem nisi fallor se indicat  Socrates, aut potius talem significat  Plato Socratem, a natura fuisse.  Videamus reliqua. Equus malus  Socratis est  sp\ xa wxa ).asto;, hirsutus  circa aures. Libidinosi, Xayvou, apud  Aristotelem o t  xpdxoupot oaa$T?, densa pilis i. e. hirsuta  tempora. Deinde oi  xa yecXrj “aysa eyovxe; puopoi avacpdpexai  £7ii xou; ovou;. Physiognomones crassa labia  stultitiae characterem faciunt, ob simili-  tudinem asinorum. Quid de se Socrates  (Xenoph.) in ludicra cum pulchro  Critobulo contentione? Ata 76 r.ayla. syeiv  xa ylCkt], oux otst xa\ [xaXaxaSxspdv oou 'iyv.v xo  csfX7]p.a; Propter labia crassa suum putat  osculum mollius. Et, v Eotxa syw xaxa xov nuque epaisse et charnue denote un  homme violent, par similitudo avec le  taure au ; ceux qui l’ont trop courte sont  ruses, par similitude avec le loup. Or,  cette indication, 1’encolure epaisse et  courte, figure parmi les marques du  mauvais cheval. Si je ne me trompe  Socrate avoue qu’il etait bati de la sorte,  ou plutot c’est ainsi que le depeint Platon. Voyons le reste. Le mauvais cheval Socratique a les oreilles velues: Aristote designe comme libertins ceux qui  ont du poil jusques sur les tempes. De  plus, les physionomistes notent les  grosses levres comme un indice de betise,  par similitude avec 1’ane. Or que lisonsnons dans la plaisante discussion (Xenophon) de Socrate avec Critobule? A cause de ses l&vres charnues il pense  que son baiser est plus sensuel, et plus  loin: Je te par ais avoir, 6 Critobule,  une bouche plus difforme que celle de  Vane, avec ces bourrelets qui me tienncnt  lieu de levres.  aov Xoyov x at Ttov Ovojv aiayiov to GTOu.a lysiv,  turpius os quam habent asini illum  mollem labiorum tumorem habere tibi,  o Critobule, videor. Simus fuit, ut vidimus, Socrates :  at|jio-po'ato7:o; est malus equus. Quid Phy-  siognomones, atque adeo Zopyrus ? Si  fides Aristoteli (c. 6. p. iiyg, B.) 01  G'|j.7jV Eyovts; piva, Xayvor avacpspezai i~\ tou;  iXa^ou;, Simi sunt libidinosi, exemplo  cervorum. Patulas quoque versus nares  suas, qu£e possint odores undecunque  oblatos excipere, laudat sipojv Socrates  Xenophonteus, pra ? Critobuli naribus  humo obversis. Ot ;xev yao ao\ (xuxT7jpE; ei;  yrjv opcSat, ol 8’ eijloi ava“£"tavTat, wgte tx;  T:av~o0£v oGua; izpoa ov/yOou. At Physiognomones (I . C.), 0:; o! p.uxT7jp£$ ava"E^"a-  pL^vot, OupiojoEi;, Iracundi sunt, quorum  patula? nares, quod in ira diffundi so-  lent. Iracundum valde a natura fuisse  Socratem, non soli credamus Cy r rillo,  quamvis Porphyrium auctorem laudat,  qui ab Aristoxeno se illud dicat acce -  [Socrate, nous le savons, etait camard; son mauvais cheval a les naseaux  ecrases du singe. Quel indice en tirent  les physionomistes et Zopyre ? Aristote  dit. Les camards sont lascifs, par similitude avec le cerf. Socrate declare  quii a les narines lar gement ouvertes,  comme pour subodorer de toutes parts  les parfums. Jaime mieux cela, dit-il,  que d’avoir, comme Critobule, un ne^  penche vers le sol. Mais d’apres les phy-  sionomistes, c’est 1’indice d’un tempera-  ment porte a la colere. Que Socrate ait  etedun naturel violent, nous ne nous en  rapporterons pas la-dessus seulement a  Saint Cyrille, quoique son temoignage  soit corrobore de ceux de Porphyre etd’Aristoxene et qu’il dise en propres termes: Socrate etait devenu si irritable qu’il  ne pouvait moderer ni ses paroles ni ses   pisse, ’'Ote <pXe-/0e't7] utzo zou TrdOou; toutou [de  ira sermo est) ostvrjv etvat xr ( v aayr][jLO(Hjvr)v ouoevo; yap ouxe ovopiato; azoa^saOat oSxe  -payjj.ato;, Eo importunitatis progressum,  ut nullo neque verbo neque opere abstineret : sed ipsi de se credamus Socrati,  qui tam gravi ac molesto sibi, quam fuit  Xanthippe, patientia ? et mansuetudinis  gymnasio opus fuisse, fassus sit apud  Xenophontem [Sympos.) BouXo'|ievo;,  dv0pco7tot; y prjoOat jcat opuXe Tv, Tauxrjv x&ttj-  ptat, sii eloco;, oxt, et lauxrjv 'j"Otaco, PAAIQS  TOIS TE AAAOIS 'AIIASIN, avOptfaoic  auveaouat, Quam ferre si posset, facilis  esset cum aliis omnibus conversatio. Unum superest : e^^OaXpto; erat  Socrates. Itaque ita jocabundus disputat  cum pulchro Critobulo, ut cum primo  convenisset, Pulchras esse res, quatenus  respondeant consilio, propter quod ha-  bentur; roget eum, Cujus rei gratia ha-  beamus oculos? eoque, ut necesse erat,  respondente, Ad videndum, inferat,  Suos ergo pulchriores esse, qui Sta zo   actions ». Croyons-en Socrate lui-meme;  dans le Banquet de Xenophon, il avoue  que le caractere acariatre de Xanthippe  fut pour lui la meilleure ecole de pa-  tience et de douceur; que par la suite il  lui fut plus facile de supporter la contradici ion.  Il ne reste plus qu’une chose : So-  crate avait les yeux saillants. Il dispute  la-dessus agreablement avee le beau Cri-  tobule, et le fait convenir d’abord que  toute chose est belle pourvu qu’elle re-  ponde au but en vue duquel elle existe.  Il lui demande alors : Pourquoi faire  avons-nous des yeux ? Pour voir, repond naturellement Critobule. E/i bien  alors, dit Socrate, mes yeux sont les plus  beaux de tous, car iis me sortent de la  £7it-oXatot sivat, quod emineant, non ea  modo, quas exadversum sint videant, sed  etiam quae a latere. Et cum diceretur,  secundum hmc pulcherrime oculatum  (euo^OaXjj-GTa-ov) animal esse cancrum,  id ipsum affirmat. Jam Physiognomon  Aristoteles"Oaoi i£6z>-  OaXjjiot, inquit, aS&vepoi, Fatui sunt, quibus  oculi eminent : rationem petit ab judicio  quodam decoris et convenientia naturali,  et ab similitudine asinorum. Male de  horum gente meritus est Stagirita :  quce videtur ex hoc prcesertim libello  contraxisse infamiam illam, qua ab eo  inde tempore, et Platonis quibusdam  dictis, onerata est : honestum superiori  cetate animal, cujus majestatem, ut Var-  roniano verbo utamur, (de R. R.) adhuc agnoscebat Homerus. De hac  re adjicietur potius huic disputationi  quoddam corollarium, quam ut longius  digrediamur a Socrate.   tete, si bien que je puis voir non-seulement devant moi, mais et droite et d  gaiiche. Son interlocuteur lui repond  qu’a ce compte les crabes ont de tres-beaux yeux, et Socrate affirme que c’est  parfaitement vrai. Or, d’apres Aristote,  les yeux saillants sont 1’indice de la sot-  tise; il tire ce pronostic de certains rap-  ports naturels de convenance, de syme-  trie, et de la ressemblance que ces yeux  offrent avec ceux des anes. Le philosophe  de Stagyre a par la bien mal merite de  cette race inoffensive, et ce doit etre a  partir de ce petit traite qu’il acquit le  mauvais renoni confirme depuis par  Platon lui-meme. L’ane, cet honnete  animal, etait mieux apprecie des genera-  tions precedentes, et Homere se plaisait,  suivant le mot de Varron, a lui reconnaitre de la majeste. Nous ferons de cela  un corollaire a cette dissertation pour ne  pas trop nous eloigner presentement de  Socrate. Gesner a «Jcrit un appendice intitulc De antiqua  Nempe tempus est, ut videamus,  quorsum evadat ille de bono et malo equo Myihus. Ad conspectum pulchri bonus ille quidem aurigee  obsequitur, contineri se patitur, malo  alteri, quantum potest reluctatur. Simile  certamen est in pulchro, qui amatur:  repugnat malo isti equo bonus illius  jugalis, hic enim est 6 [xo'£u£,  et ipse auriga adeo repugnat [aet’ dtSous  xat Xdyou, cum pudore et recta ratione. Si  ergo ita vincant meliora, et ad vitam  ordinatam, quae eadem FILOSOFIA est,  ducant illum currum, beatam et concor-  dem hic vitam agunt continentes se, et  decus suum tuentes, syxpatcTs auroiv xat  xdajjuot ovtss, in servitutem redacto illo  equo, cui vitiositas animae inerat; in libertatem asserto eo, cui virtus. Tandem  vero alati ac leves denuo facti, sic de tribus illis certaminibus asinorum honestate, imprime i la suite du Socrates  sanctus pcederasta ; il ne nous a pas sembl£ otfrir  assez d’interet pour Ctre traduit. II est temps de voir ou il veut en  venir avec son Mythe du bon et du mauvais cheval. A Taspect de la beaute, ie  coursier docile obeit au cocher et se laisse  contenir; il resiste de toutes ses forces a  son mauvais compagnon. L/objet aime est lui-meme en proie aunesemblablelutte;  son bon cheval se defend contre les tentatives de son mauvais compagnon d’attelage, que de plus le cocher s’efforce de  contenir par la pudeur et la raison. Si les  meilleurs instincts remportent la victoire  et conduisent le char dans les chemins de  la vie rangee, cest-d-dire de la FILOSOFIA, les deux amant s vivent dans le bon-  heur et bunion, maitres d’ eux-memes  et regles dans leurs mceurs : iis ont  dompte le mauvais cheval, qui repre-  sente le vice, et affranchi 1’autre qui represente la vertu. Recouvrant enfin leurs  t ailes et leur legbrete primitives, iis sor-  tent vainqueurs de ces trois luttes vraiment Olympiques dont nous avons parle  plus haut. Socrate peut donc dire*sans  hesitation que ccux qui se prescrvcnt.  vere Olympicis, unum vicerunt. Absque  hcesitatione igitur beatissimos esse dicit,  qui se puros et castos ab amore Venereo  servaverint. At nunc sequitur apud Platonem,  in quo defendere illum, Platonem, in-  quam, nam Socratis causam hic segre-  gandum putamus (vid. 6) paullo diffi-  cilius est; tacuisset enim forte sapientius :  sed non iniquum (i) excusare. Nempe  his, quee modo prolata sunt, subjungit,  quee non scripta equidem malim : sed  pono, ne quid dissimulasse videar, ne  parum bona fide egisse. Quam vero caute,  quam suspensa velut manu illud ulcus  tractet, videre opera? pretium est. Eav’  os 8tatT7) <popzi7Ui)~ipx ~z xat A<I>IAO—  cptXoTtjxu) 8s yprfacjvzx'., -i/' av ~oj ev uiOat;  sitivi a)xA7) dasXsta Tci> axoXaTCto ajTOtv Gno-  JXiytco XaSovTE, xa\ tjrjya; xopojpo-j; aovaya-  yovTE et; toeutov, tf ( v u ~6 :wv -oXX oiv [xaxaot-    fi) Multum certe facilior causa Platonis, quam  alicujus Beneventani Episcopi: aut aliorum, quos  vrxterco sciens. purs et chastes, de 1’amour Venerien,  jouissent de la plus grande beatitude. Ce qui suit, chez Platon, est un  peu plus difficile a expliquer; chez Platon, disons-nous, car ici nous croyons  devoir separer sa cause de celle de Socrate; evidemment il aurait mieux fait  de se taire, mais il n’cst pas impossible  de l’excuser. A ces choses sublimes  que nous venons de transcrire, il en  ajoute d’autres que j’aimerais mieux lui  voir passer sous silence; je les exposerai  cependant, de peur de paraitre rien dissi-  muler et manquer un peu de bonne foi.  Il faut ici donner le texte pour qu’on [Son cas est en effet moins grave que celui de  certain eveque de Bdnevent et de quelques autres que  je ne veux pas nommer. L’auteur fait ici allusion  a 1’archeveque Giovanni .delia Casa et a son fameux  Capitolo dei forno ; mais il ne 1’avait probablement  pas lu, et il se meprend, comme bien d’autres, surle  sens de ce celebre petit poeme. cTr;v atpeotv £tXcTr ( v ~t /ai Ste^pa^avxo x x X.  Si vero vitam vivant LICENTIOREM  et A PHILOSOPHIA ALIENAM, ean-  demque ambitiosam, forte aliqua in  ebrietate aut qua alia negligentia depre-  hensas INCAUTAS animas equi illi  uiriusque amatoris indomiti, eodem con-  ducant, et sic illam quce beata vulgo videtur electionem faciant, et (turpe illud  facimts) peragant : eoque peracto per re-  liquum tempus utantur quidem (illa  voluptate ) sed raro, quippe qui non  omnino deliberata mente (sed deprehensi  velut incauti ) hoc agant etiam hi  præmium non parvum amatorii illius  furoris (non Venerei, de quo modo dic-  tum, sed philosophi) auferunt : in tenebras enim illas et illud sub  terram iter non veniunt, etc.  voie avec quelle prudence et sans ap-  puyer la main, il decouvre cet ulcere de  la civilisation Grecque. S’ils embr assent, dit-il, nn genre de vie moins austdre,  etrangbre a la Philosophie et livree aux  passions desordonnees, il arrivera quau  milieu de Vivresse ou de quelque autre  etourderie les coursiers indomptes sur-  prendront leurs ames et les meneront l’un  et l’ autre au meme but,' iis prendront alors  le parti de faire ce en quoi, selon le vul-  gaire, consiste le supreme bonheur et  (c’est la le crime infame) satisferont leurs  desirs. Dans la suite, iis renouvelleront  leurs jouissances, mais rarement, parce  qxCelles ne sont pas approuvdes de l’dme  entiSre et qu’ils agissent comme par surprise et sans defense. C’est pourquoi ce  qu’il y a encore d’excellent dans leur  amour (le pur amour pliilosophique et  non le desir Venerien) recevra plus tard  sa recompcnse ; iis niront pas, aprds leur  mort, dans ces tenebres et par ces routcs  souterraines, etc.   yo   Apertum est his, qui et sermonem  Platonis intelligunt, et non ultro qucerunt  crimina, non illum prcemium constituere  pceder astice turpi, non Philosophice genus  facere flagitiosum puerorum amorem :  sed summam c.ulpce esse hanc, quod dicat, si qui coelestis illius pulchritudinis,  quam in volatu illo suo viderint, desiderio icti, etiam pulchros amant, et dum  arctius eos complectantur, liberius cum  iis versentur, etiam ad turpe facinus ab  ebrietate, certe ex improviso, incauti,  proster deliberatam voluntatem, abri-  piantur, id quod ipsis contingat ob genus  vivendi licentius atque a Philosophia alienum, iis tamen prodesse primum illud7'iobiliusque philosophandi propositum, ut  non cum reliquis ad inferos mittantur,  et ad poenarum locum non  cogantur post ternas millenorum anno-  rum periodos, septem alias subire ete  sed facilius alas ut recipiant, quibus evo-  lare ad coelestia, deum aliquem sequi du-  cem possint. Hactenus reprehendat Pla-  tonem, si quis volet, non ut laudatorem. II est bien clair, pour qui veut  comprendre Platon et ne cherche pas de  griefs de son plein gre, qu J il n’assigne  pas cette recompense aux fauteurs du  vice honteux, qu’il ne fait pas de 1’ignominieux amour masculin un attribut  special des Philosophes. On voit, au con-  traire, combicn il blame ceux qui, les  yeux encore eblouis de cette beaute ce-  leste entrevue par eux dans leur vol anterieur, con^oivent des desirs pour la  beaute terrestre, recherchent les jeunes  garcons, et a force de les embrasser etroi-  tement, devivre familierement avec eux,  se trouvent entraines a 1 ’improviste, au  milieu de livresse, par surprise et sans  que leur volonte y ait part, a conimettre  l’acte immonde; cela leur arrive, parce  qu’ils ont adopte un genre de vie trop  libre et qu’ils negligent la Philosophie.  Iis tirent cependant ce profit, de s’etre  d’abord propose pour but cette noble  Science, qu’ils ne sont pas relegues aux  enfers avec tous les autres hommes ; apres  une revolution de trois mille annees, iis  Pcederastice, sed ut clementem nimis,  lentumque adeo castigatorem : qui præsertim in aliis peccatis severum satis ac  durum se praebuerit. Sed, si cequi esse volumus, si de  nostris religionum doctoribus ecquos ex-  periri judices, videamus etiam, quid dici  pro ratione illa Platonis possit, quid pro  Socrate, quatenus et ipse non horribili  flagello sectari vitia id genus solebat.  Distinguamus legislatoris personam et  Philosophi. Legibus Atheniensium primo  antiquissimis illis a Cecrope, sanctitas Bona pars libri De re publica decimi in eo  consumitur, ut a"apat~r]Tou?, a^apa[xu0rjTOU?,  implacabiles sacrificiis Deos, ostendant. Vid. pras.  extr. et conf. qua: collegit Davis. ad Gic.  de Legib. j  n’ont pas a en su.bir sept mille autres;  iis recouvrent plus vite leurs ailes et peu-  vent s’elancer vers les spheres celestes, a  la suite d’un des douze dieux. Que l’on  reproche donc a Platon, si l’on veut, non  pas de s’etre fait 1’apologiste de la Pede-  rastie, mais d’avoir ete trop clement,  de ne pas chatier assez ferme, lui surtout  qui pour de moindres fautes se montre si  dur et si severe. Mais soyons equitables; prenons  d’honnetes gens pour juges de nos Phi-  losophes, voyons ce que l’on peut dire  en faveur de Platon ou de Socrate, et  jusqu’a quel point ce dernier a vraiment  neglige de flageller le vice en question. II faut distinguer le legislateur du Phi-  losophe. Les plus anciennes lois Athe-  niennes, celles de Cecrops, proclamaient  la saintete du mariage. La loi de Dracon [II emploie la majeure partie du X® livre de sa  Republique a montrer que les dieux sont insatiables  de sacrifices. Comparez avec ce qu’a <5crit Davies  sur le Tr ciite des lois, de Cicerrr.i.   matrimoniorum constituta : Draconis  lex capite plectebat adulteros : Solon li-  beram faciebat marito potestatem sta-  tuendi in adulterum in facto deprehen-  sum, quidquid liberet. Itaque mirum  fuerit si masculam libidinem non punis-  sent. Sed bene habet : supersunt monu-  menta Solonis hac etiam de re legum, diligenter collecta a Sam. Petito (de Legibus Att. et in Commentario) prcesertim ex vEschinis in  Timarchum (edit. Aurei. Allobr.) et Demosthenis contra  Androtionem orationibus :  unde hoc constat, qui vi vel persuasione  ingenuum corrupisset, produxissetve, gravissima poena (quce ad ultimum supplicium corruptoris et productoris, in-  terdum etiam corrupti, poterat progredi) affectum esse. Qui illam patiendi pro  mercede turpitudinem admisisset, si  effugisset poenam aliam, illi neque lice-  bat inter novem Archontas esse, neque punissait de mort les adulteres; Solon  laissait la faculte au mari, dans le cas de  flagrant delit, de se faire justice comme  il 1’entendrait. II serait bien surprenant  que ces deux legislateurs fussent muets  a l’egard de Tamour masculin. Mais nous avons mieux ; il reste  des lois portees par Solon sur la matiere  divers fragments precieusement recueillis  par Samuel Petit (voy. ses Lois attiques  et le Commentaire dont il a accompagne  cet ouvrage); ii les a surtout tires du  Discours contre Timarque, d’Eschine, et  du Discours contre Androtion, de Demos-  thene. Il y est dit : Quiconque, memesans  violence, aura debauche ou prostitue un  homme de condition libre sera passible  de la peine la plus rigoureuse. Le chatiment pouvait etre la mort, dans l’un  comme dans Tautre cas, et pour le liber-  tin, comme pour savictime. C elui qui  se sera prostitue pour de l’argent, s’il  echappe a toute autre peine, ne pourra ni fungi sacerdotio, neque syndicum creari,  neque ullum magistratum vel intra vel  extra urbem, neque sortito neque suf-  fragiis, capere, neque pro Praecone s.  oratore mitti usquam, neque sententiam  dicere unquam, neque in templa publica  intrare, neque in pompa coronata et ipsum coronari, neque intra sacros fori  cancellos (evto; twv t rj; ayopa? TteptppavTT]-  P’'wv) ingredi. Si quis vero damnatus im-  pudicitiae quidquam horum fecisset, capital erat. 0avato> r7)[j.'oua0w sunt verba  legis ab As schine recitata. Plura huc  transferri opus non est, cum rarum esse  Petiti opus desierit. Summa capita habet  etiam in Themide Attica Meursius. Utrum seynpcr valuerint istce leges? annon eas perruperit interdum au etre l’un des neu f archontes, ni remplir  aucune fonction sacerdotale, ni etre nomme  delegue d’une ville; il lui est interdii  d’exercer aucune magistrature, soit en  dedans, soit en dehors de la cite, quii  ait et e designe par le sort ou par les  suffrages de ses concitoyens ; d’etre en-  voyd nulle part comme Herault, ou comme  orateur; de prononcer aucune sentence ;  de penetrer dans les temples publics; de  faire partie des processions et d’y porter  une couronne sur la tetc; de franchir  ienceinte sacree de l’Agora. Qiiiconque,  deja condamne pour fait de prostitutiori,  fera ou acceptera de faire une de ces  choses sera puni de mort. Puni de mort,  tel est le texte meme de la loi lue par  Eschine. II est inutile d’en transcrire ici  davantage, car Touvrage de Samuel Petit  est loin d’etre rare ; Meursius en a meme  donne, dans sa Themis Attique, les cha-  pitres importants. Ces prescriptions eurent-elles tou-  jours force de loi? Ne purent-elles etre dacia, astus subterfugerit, eluserint  rhetores? annon ipsa poenarum gravitas  impunitati occasionem non nunquam de-  derit? an non professce impudicitiae ho-  minis utriusque sexus, libidinum publica-  rum victimce, toleratce sint? An denique  poetce non multa saepe impudenter scrip-  serint, fecerint? jam non quceritur. Uti-  nam non avxtxatrjyopia quadam repellere  possent veteres Attici cujuscunque vel sec-  tae vel cetatis homines, si qui acerbius ex-  probrare iis velint, quce de Comicorum pe-  tulantia sublegerunt illi apud Athenaeum  (i3, 8 p. 601) Deipnosophistce, et quae  colligere ex illa parentum cura apud  Platonem (Conviv. p. 3ig, E), Pceda-  gogos constituentium suis filiis, qui ne  quidem colloqui suis cum amatoribus  (turpibus nimirum et flagitiosis) eos patiantur : e. i. g. a. Ceterum severitate legum eo ma-  gis opus erat, quod obtentum fiagitiis enfreintes par les audacicux, adroitemcnt  tournees par les gens ruses, eludees par  les avocats? La rigueur du chatiment ne  favorisa-t-elle pas elle-meme Timpunite? Est-ce qu’on ne tolera pas des prostitues  de profession, victimes de 1’incontinence  publique et remplissant le role de l’un et  1’autre sexe ? Les poetes n’ont-ils pas ef-  frontement deerit ces turpitudes, ne les  ont-ils pas mises en action sur la scene?  Cela ne fait aucun doute. Plut au ciel  que les Atheniens de nfimporte quelle  secte et de quelle epoque ne pussent re-  tourner Taccusation a ceux qui leur re-  procheraient trop vertement ces horreurs  etalees par les poetes comiques et recueil-  lies par les Deipnosophistes d’Athenee, ou  ce qu’on peut induire de 1’inquietude des  peres de famille confiant leurs fils, d’apres  Platon, a des precepteurs severes, pour  les empecher de s’entretenir avec leurs  amis, des amis infames et detestables.   3o. Les lois devaient etre d’autant plus  severes, que les coutumes de la Grece] non nunquam praeberet (ut nempe res  sancta? prope omnes, ut ipsce populorum  sceculorumque pene omnium religiones,  atque ceremonice) ille puerorum amor,  castus, legitimus, sanctus, quo tanquam  potentissimo virtutis cum bellicce tum  civilis incitamento utebantur qucedam  Grcecorum respublicce : quarum legisla-  tores, cum viderent, ignava fere esse  virtutis prcecepta, firmis licet nixa demonstrationibus, nisi ea affectu quodam  et tanquam spiritu animentur, nisi ev0ou-  aiaajxou quoddam genus accedat, quo acti  homines et commoda sua, et jacturas, et  salutem, et pericula et tormenta contem-  nerent. Hinc excogitata et in usum  civitatis recepta sunt splendida ista et  efficacissima remedia, Religio, Pudor,  Amor patrice, Gloria, res quondam po-  tentissimce, quod ex illarum effectibus  judicare pronum est: nunc prceclara quo-  rundam, qui sibi Philosophi videntur,  opera fere ad inanium vocabulorum strepitus relata, et, dum relata sunt, etiam  redacta. comme toutes les choses saintes, comme  les cultes et les ceremonies religieuses de  presque tous les peuples et de tous les  temps) donnaient plus de facilite a la  depravation. La fervente amitie entre  jeunes gens, Tamitie chaste, legitime, sacree, etait favorisee, dans les republiques  de la Grece, comme le plus energique  stimulant du courage militaire et des vertus civiles. Leurs legislateurs savaient  bien que ni la vertu ni le courage ne s'inculquent a 1’aide de demonstrations, si  bonnes qu’elles soient; que 1’homme est  naturellement faible a moins qu’il ne soit  pousse par la passion et par 1’orgueil ou  entraine par cette espece d’enthousiasme  qui lui fait mepriser les aises de la vie, la  fortune, la vie elle-meme, et affronter les  perils et les supplices. C’est pourquoi l’on  mettait en jeu, dans Torganisme de la cite,  ces heroiques et sublimes mobiles, la Religion, 1’Honneur, 1’Amour de la patrie,  la Gloire, mobiles autrefois bien puis-  sants, comme nous pouvonsen juger par  ce qu’ils firent accomplir; aujourd’hui,In illis igitur rei publicce bene gerenda? incitamentis, an instrumentis?  erat Amor ille adolescentulorum tum in-  ter se, tum inter ipsos et natu majores:  inde illa sacra Amantium cohors The-  bis, et Cretensium. Quanta illius vis  esset, et quam metuendus esset miles  amator, svOouatwv, et ab Amore simul  atque a Marte bacchans, occurenti in  prcelio hosti, ita enarrat 2E liantis (H.  V. ) ut IvOo-jatav et furere ipse prope  videatur. Idem Laconica  qucedam circa eam disciplina? publica?  partem instituta commemorat: V. G.  ab illis multatum esse virum alioquin  bonum, ea de causa, quod nullum habere juniorem, quem amando sui similem, et per hunc forte etiam alios,  redderet: itemque peccantis adolescentuli virum amatorem punitum, cui grace a de certains Philosophes, ou soi-disant tels, ces grandes choses ne sont plus  que de vains mots, creux et vides, dont le  sens s’affaiblit a mesure qu’on en abuse. Ainsi, 1’Amour des jeunes gens, soit  entre eux-raemes, soit entre eux et leurs  ames, etait favorise partout en Grece,  pour le bien de la chose publique; voila  ce qui donna naissance a la cohorte sacree des Amants, chez les Thebains et  chez les Cretois. Quel etait le courage de  ces sortes de soldats, quelle etait la ter-  reur qu’ils inspiraient, lorsqu’ils rencontraient Tennemi, ivres a la fois d’amour  et de sang: c’est ce que Elien nous a fait  connaitre, en partageant, pour nous les  mieux depeindre, leur impetuosite et  leur fureur. II nous indique aussi qu’il  y avait quelque chose de semblable dans  les institutions de Sparte; un Lacedemonien fut mis a 1’amende, quoique  excellent citoyen, pour avoir neglige d’aimer quelque compagnon plus jeune que  lui, a qui il aurait inculque ses vertus et nempe illius imputari vitia posse cen  serent. Etiam illud Laconicum narrat, so-  litos ibi adolescentulos petere ab ama-  toribus, viris nempe bonis ac fortibus,  stareveTv auTot ?, ut se adflarent. Interpreta-  tur illud verbum, Laconibus proprium,  sElianus per epav, amare : idem factum  ab Hesychio V. sp.-v£ Tjj-ou, et epa, eia7cver. Multa similia ad utrumque Hesychii  locum viri docti, post Meursium (Mis-  cell. Lac.) sed nihil, unde ratio ap-  pellationis queat intelligi. Nec satisfacit,  quod refert, non probat Eustathius (ad  Odyss.) EtarevElxai yap tpaat, t 7j? pLOp^?  ti /at x i); wpa;, inspirari aliquid fornice et  pulchritudinis. Hcec enim Laconicce se-  veritati parum conveniunt, si fides anti-  quis, ipsique adeo JEliano in ipso illo,  de quo agimus, loco. Srap-ctaTT)? epio; ataqui eut ete capable, a son tour, de les  transmettre a d’autres. Lorsqu’un jeune  homme commettait une faute, les Spar-  tiates punissaientson intime ami, comme responsable des vices qu’il lui tolerait. Elien rapporte encore cette autre  coutume de Sparte, que les jeunes gens  exigeaient de ceux dont iis etaient aimes,  toujours choisis parmi les meilleurs et les  plus braves, ut se adflarent. II explique  le verbe ekjttvs Tv (adflare), propre aux Laconiens, par cet autre : spav (aimer), et Hesychius de meme aux mots EpjcvEtgou, ipS  et eiu7iveT. Divers savants ont accueilli cette  interpretation, a 1’exemple de Meursius;  mais je n’ai rien compris aux raisons  qu’ils en donnent. Je ne suis pas davan-  tage satisfait de Tassertion emise, sans  preuve, par Eustathe, dans son commen-  taire des chants IV e et V e de YOdyssee :  a Les inspires (i) sont guides dans leur [On appelait indifTeremment ItaKVETxat, ii a-  7UvrjXa' (inspires) ou spacjiat (amants) ces couples ypov oux otosv x. t. X. Spartanus amor  turpe nihil quidquam novit. Sive enim  ausus fuerit adolescentulus pati turpia  (upo-v uzoaeivat) sive amator facere (£»|Bp6  oat) neutri quidem Spartee manere pro-  fuerit : aut enim patria privarentur, aut  vita ipsa. Quare illud ela-vetv s. s[j.7ivsTv,  illos £ta7iVTjXa;, quos eosdem aixa? vocat  Eustathius (Hesych. afcav, s-aTpov) ab in-  spirando s. adspirando divino quodam  spiritu, dictos arbitror, unde afflati, ut  7rveuu.atocpo'poi quidam et svOouaiwvTsc, divi-  no quodam furore perciti, ruerent. Hic  est ille furor, quem supra) tetigi-  mus, et de quo plura sunt in Platonis  Phædro.  Nempe spiritum 7iveSp.a quum dicebant antiqui, non rem illi tantum cogitantem indicabant, sed rem subtilem, magna ean-  dem movendi et agendi vi praeditam, etc. de friires d’armes, si terribles dans les batailles.  'Etcnvelv (ad/lare) peut se traduire positivement  par meter les souffles ou metaphoriquement par  avoir des aspirations communes.] choix par la beaute et 1’elegance corporelle. Cela me parait peu convenir a  cette severite Laconienne dont temoignent tous les anciens et Elien lui-meme, a Tendroit en question. On ignorait a  Sparte ce que detait que les impures  amours. Si quelque jeune homme eut ose  se prostituer, ou prendre 1’autre role, il  lui eut mal reussi de rester d Sparte; il  y allait pour lui de Vexilou de la mort. C’est ce qui me fait croire que ces inspires,  designes aussi sous les noms de compagnons, freres d’armes, par Eustathe et  par Hesychius, etaient ainsi appeles du  souffle ou de Tesprit en quelque sorte  divin qui les animait, lorsqu’ilsse ruaient  sur l’ennemi comme transportes d’une  fureur plus qu’humaine. Nous avons deja  parle de cette espece de delire, dont il est  si souvent question dans le Phedre de  Platon. Il convient en effet de remarquer  que les anciens n’entendaient pas comme nous par esprit une faculte intellectuelle,  mais une essence subtile, douee d’une  grande forcc de mouvement et d’action. Non vagatur hcec extra oleas ora-  tio. Cum enim fuerit, quod, adhuc probatum est, in Græcia r.aiozptxizv.a. quaedam  honestissima, et sancta adeo, qua ad virtutem, bellicam praesertim, et quidquid pul-  chrum est, incitari homines crederentur,  cum nomina spojvuo?, Ipaaxou, raioapaaxou,  itemque spwuivoy, -atot/.wv, et similia tur-  pitudinem nondum haberent : cum illud  raiSspaaxsTv res esset adeo honesta, ut quem  ad modum capital Romae erat servo, si  militarat, ita Solonis lege multaretur  quinquaginta plagis publice, qui servus  eXsuOspou 7ra'oo; spav, amare liberum puerum, auderet : haec ita se cum haberent  omnia, nemo jam debet mirari, adolescentulorum esse amorem professum Socratem, fecisse illum, quae ante dicta sunt, eaque scripsisse tanquam So-  cratis dicta Platonem, quae ex Phaedro  commemoravimus . Quod mitior est vel  Plato, vel ipse adeo Socrates, (si quis ei  tribuat, non satis ille quidem aequa ratione, quidquid apud Platonem ex ipsius  persona dictum ponitur) in hos etiam quos  Cette digression ne nous a pas  eloigne de notre sujet. Puisqu’il existait  en Grece, comme nous venons de le  prouver, une jcatBspao-rfta tres-honnete,  sainte, on peut dire, et reputee propre a  pousser les hommes au bien et a la vertu,  surtout a la vertu guerriere; puisque les  mots d’amants, d’amis, de 7tad>epa<jTcu et  de 7:aioi7.wv n’avaient rien de honteux;  puisqu’il etait meme si honorable de se  livrer a cette zcaSspaardtix, que la loi de  Solon punissait de cinquante coups de  fouet, subis en pleine place publique,  tout esclave qui aurait ose aimer un jeune  homme de condition libre; puisque tout  cela est irrefutable, personne ne doit s’etonner que Socrate ait professe 1’amour  des j eunes gens, qu’il ait lui-meme eprouve  cet amour et agi en consequence; que  Platon nous ait transmis, comme l’ex-  pression des doctrines de Socrate, ce que  nous avons cite du Phedre. Sans doute  Platon ou, si l’on veut, Socrate, quoiqu’il  ne soit pas equitable de lui attribuer tout  ce que son disciple lui fait dire, se montre  mala libido ad turpitudinem transversos  abripuit) illud primo hanc  rationem, ut innuimus, habuit, quod nec  legislatorem hic, neque publicum accusa-  torem ageret ; sed Philosophum, sed  amatorem, amicum certe quidem, qui  non metu pcence deterrere a turpitudine  homines, sed virtutis amore revocare a  peccato vellet. Deinde erant forte, quibus  parcendum erat, juvenes a vitiis ejusmodi non plane puri, Alcibiades, Critias,  alii, 9[Xox''[j.o) illi quidem sed eadem «popti-  /Mxipcc et dcfikoaofM otattr) yprjaajxsvoi quos abscisse nimis ab omni fructu  Philosophice, ab omni ad virtutem reditu  excludere velle, et sic plane a se et a  virtute segregare, non erat consilii. Non  instituam hic comparationes, quce invi-  diam habere possunt : sed illud addam  unum, si forte aliquid veri sit ineo, quod  de liberiori Socratis adolescentia dictum  est /'§.  : si non mendax historia, e qua  refert Origenes contra Celsum, qui superiorem vitee conditionem primis Christi discipulis objecerat [beaucoup trop clement envers ceux qu’un  infame desir pousse a Tacte honteux. Son  excuse, nous Tavons deja dit, c’est que ce  n’est pas ici un accusateur public ou un  legislateur qui parle, c’est un Philosophe,  un ami, un amant, et il essaye non de  detourner les hommes du vice en les ef-  frayant par la menaee des chatiments,  rnais de les dissuader d’une faute en leur  inculquant Tamour de la vertu. II y avait  d’ailleurs peut-etre autour de lui des  jeunes gens qui n’etaient pas irreprochables et envers lesquels il ne fallait pas se  montrertrop dur, un Alcibiade, un Critias, d’autres encore, pleins de fougue,  adonnes a une vielicencieuse et etrangere  a la sagesse; les priver de quelques-uns  des benefices de la philosophie, c’eut ete  leur fermer toute voie de retour au bien,  les eloigner de la personne du maitre et  par consequent de la vertu. Je ne cherche  pas a faire des comparaisons qui pourraient sembler malseantes; je veux ce-  pendant rapporter un fait, vrai ou faux,  qui a traita la jeunesse un tant soit peu  Phcedonem e lupanari traductum ad  Philosophiam a Socrate : quid facere  illum oportebat in hac disputatione? Nihil igitur est in Phædro, quod  urgeat Socratem : si quid incautius dic-  tum sit, illa Platonis culpa fuerit: quamquam si universam circumstantiam, ut  a nobis ostensa est, quis consideret, etiam  hunc accusare, vel non excusare, iniquum videtur. De Convivio Platonis jam  non opus est multis disputare. Distin-  guat mihi aliquis personas loquentes: ad  universam libelli descriptionem, quam  vocamus Œconomian, ad Allegorian  denique ab amore Venereo ductam, ac  translatam ad animos, quorum lenonem  se et obstetricem ferebat Socrates: ad  hcec, inquam, mihi attendat aliquis, et    et l’amour grec q3   dereglee de Socrate. C'est Origene qui le  raconte dans son traite contre Celse.  Celse reprochait aux premiers disciples  du Christ d’avoir ete tires de conditions  abjectes; Origene repondit que Socrate  avait bien tire Phedon d’un mauvais lieu  pour le convertir a la Philosophie. Je vous  demande un peu ce que ce Phedon venait  faire dans la discussion.  On ne rencontre donc rien dans le  Phedre qui puisse incriminer Socrate; s’il  y a ca et la quelques paroles imprudentes,  c’est la faute de Platon. Encore, si l’on  examine bien toutes les circonstances,  comme nous 1’avons fait, il serait injuste,  tout en blamant Platon, de ne pas lui  trouver d’excuse. Nous ne nous etendrons  pas longuernent sur son Banquet. Que  l’on distingue bien les uns des autres les  interlocuteurs, que Fon fasse attention  a 1’ensemble du dialogue, a ce que nous  appelons 1’economie de 1’ouvrage, que  Fon analyse enfin cette allegorie tirce  de 1’amour physique, puis appliquee aux  mirabor, si quid ibi sit, unde Jiagitio  ipsi praesidium, vel crimini in Socratem  jactato firmamentum peti possit. Sed est  in illo libro, quod maxime ad defenden-  dum a Socrate fagitium pertinet, quod  ut magis pateat, tota ultimee partis, et  velut actus postremi fabulae illius convivalis, CEconomia proponenda est, e qua  ipsa appareat, velle pro veris haberi Platonem, qua ’ in Alcibiadis personam conjecta de Socrate dicuntur. Ebrius nempe Alcibiades ad eum  finem, ut neque pedes officium faciant,  comissator supervenit potantibus apud  Agathonem Socrati ceterisque. Hic, ex  lege compotationis, dextrum sibi accum-  bentem Socratem laudare jussus, obse-  quitur cum professione ebrietatis, ut  tamen vera se dicturum confirmet et redargui petat, si quid mentiatur. Ac primo sub imagine quadam lau [idees, dont Socrate se donnait comme  l’entremetteur et Taccoucheur, et je serai  bien surpris si 1’on y decouvre quoi que  ce soit en faveur du vice infame ou a 1’appui de 1’accusation portee contre Socrate. On pourra y puiser, au contraire,  les meilleurs arguments pour l’en defendre; mais il est necessaire d’exposer ici  toute 1’ordonnance de la derniere partie,  ou plutot du dernier acte de ce dialogue,  ou il est clair que Platon veut nous faire  tenir comme vrai ce qu’il a place, touchant Socrate, dans la bouche d’Alcibiade. Alcibiade arrive a la fin du festin  dans un tel etat d’ivresse que ses pieds  refusent de le porter; il veut prendre sa  part de plaisir avec Socrate et les autres,  en train de boire chez Agathon. La, par  suite d’une convention adoptee entre les  convives, il est force de faire 1’eloge de  Socrate, assis a sa droite, et demande  de 1’indulgence, en se fondant sur ce  qu’il est ivre ; il affirme pourtant qu’il ne daturus Socratem, cum Sileno aliquo  (Conf. J nominatim cum Satyro  Marsya, tibicine, illum comparat, cujus  figura, ex ligno, edolata ruditer atque  deformi, utebantur artifices pro theca,  quce intus haberet pulcherrimum aliquem  Mercuriolum: scilicet in  corpore deformi habitare animam pulcherrimam demonstrat: et esse tibicini  Marsyce similem Socratem, ob illam  vim demulcendi animos, cui resisti non posset. Deinde narrat, cum eundem pulchrorum sectatorem quendam ct capta-  torem videret, se, qui fiduciam fornice  haberet, sperasse, si pellicere virum ad  amorem sui (venereum nempe) posset,  eique se prceberet obsequiosum, impetra-  turum se ab illo admirabilem illam artem, et ablaturum, quce Socrates sciret,  omnia. Hinc narrat verbis quidem honestis modestisque, et tamen venia ante dira que la verite et exige, s’il se trompe,  qu’on lui donne un dementi. II com-  mence, pour louer Socrate, par le com-  parer a ces grossieres figures de bois  representant Silene ou le satyre Marsyas, le joueur de flute, sculptees sans  travail et sans art, dont les statuaires se  servaient comme de gaines, et qui recelaient a 1’interieur quelque joli petit Mercure; ainsi, dit-il, dans un corps difforme  peut habiter une belle ame; de plus, Socrate ressemble au joueur de flute Mar-  syas en ce qu’il a, pour charmer, une force  a laquelle nui n’est en etat de resister. II raconte ensuite que le voyant  s’attacher a la poursuite des beaux adolescents et s’efforcer de les prendre dans  ses filets, plein de confiance en sa beaute  parfaite, il avait essaye de lui inspirer de 1’amour, comptant bien qu’avec un peu de complaisance pour ses desirs il obtiendrait de lui qu’il lui communiquat son  admirable science, et qu'il gagnerait a  cela tous les talents de Socrate. Alcibiade exorata ebrietati, et pro? Fatus uti servi aliique profani aures obturent (zuXa<; 7: avo [xEyaXai xot; walv £7ri0E<?0s)  quam varie, et quibus veluti gradibus, frustra continentiam Socratis, temperan-  tiamquefrecte fortitudinis hic nomen adjicit) tentarit. Summam facit hanc, ut Deos Deasque testes faciat,  se cum totam noctem sub eadem veste  cum Socrate jacuisset, non aliter ab  illo, quam ut filium a patre, aut a fratre  majori frater deberet, surrexisse. Itaque  se frustratum spei esse in homine, quem  hac sola forte parte capi posse putasset.  Enumeratis deinde aliis Socratis  virtutibus, bellica prcesertim, qua sibi  etiam vitam servarit, addit, non se tan-  tum contumelia tali ab eo affectum, sed  Charmiden etiam, Euthydemum et gg   place ici, mais en termes honnetes et  mesures, quoiqu’il se soit excuse sur son  ivresse et qu'il ait recommande aux esclaves et aux profanes de se boucher les  oreilles, le recit des gradations savantes  et de tous les stratagemes vainement mis  en oeuvre par lui pour induire en tenta-  tion la continence, la temperance ou plutot, comme il le dit fort justement, l’heroique fermete de Socrate. II conclut en  disant: Je prends les dieux et les deesses  d temoin quapres avoir repose toute une  nuit d cote de Socrate, et sous le meme  m ante au, je me levai d'aupres de lui tel  que je serais sorti du lit de mon pere ou  de mon frere aine. Ainsi, le seul point  par lequel il croyait que cet homme fut  accessible avait tout a fait trompe ses  esperances. Apres avoir ensuite enumere les  autres vertus de Socrate et appuye sur sa  valeur guerriere, a laquelle il etait lui-meme redevable de la vie, il ajoute qu’il  n’est pas le seul, du reste, a qui Socrate alios multos, quos ille amoris simulatione  deceptos in potestatem suam redegerit,  ou? oiito; s^aTCatojv w; IpaartT)?, Tuatoty.a piaXXov  autos -/.aOiaTa-ai avi’ epaotou. Nempe adulabantur vulgo amatores, certe qui turpe  quid spectarent, pueris aetatula sua et  illa ipsa adulatione superbientibus. Alia  ratio Socratica, quae etiam supra in Lysidis argumento declarata est. Suavissima sunt reliqua in Symposio Platonis: eo autem referuntur omnia, ut intelligamus Socratis hanc fuisse consuetudinem, pulchrorum amorem uti prae se  ferret, cum illis suaviter et amice ut  versaretur, ut virtutis illos amore impleret, reliqua omnia non tanti esse ostenderet, in quibus valde sibi elaborandum vir sapiens existimaret. Sanctus ergo Paederasta Socrates,  et foedissimi, si quod usquam est, crimiait fait un tel affront; que pareille chose  est arrivee a Charmis, a Euthydeme et a  bien d’autres qu’il avait feint d’aimer  tendrement, pour mieux les asservir et  les diriger. Les amis vulgaires, ceux surtout qui esperaient de honteuses complaisances, se faisaient les flatteurs des jeunes garcons, et ceux-ci n’en etaient que plus fiers de leur beaute. Autre etait  la methode Socratique, comme nous l’avons montre plus haut en exposant le  sujet du Lysis. Ce qui suit, dans le Banquet de Platon, est charmant; tout aboutit  a nous montrer que telle etait la coutume  de Socrate de rechercher les bonnes graces des jeunes gens que distinguait un  exteneur gracieux, et de vivre avec eux dans une douce et agreable intimite, afin  de leur faire aimer la vertu; ce point  obtenu, il jugeait facile de leur donner  les autres qualites qu’un sage doit s'appliquer a acquerir. Ainsi, Socrate n’avait pour la jeunesse qu’un amour chaste; il etait pur du  nis expers: a quo etiam alios avocare  studuit, quod Critice exemplo docet  Xenophon, ejus, qui post in triginta  tyrannis fuit, quem Euthydemi pudori  insidiari cum sentiret, utxov ti Tiaay eiv  dixit, suillo more prurire, eaque re inimicitias hominis factiosi et potentis sibi  contraxit; quibus carere poterat, nisi  potius fuisset officium. Sed admonet me Xenophon de  crimine alterius illo quidem generis, et  multo, ut in malis, tolerabiliore : quod  tamen ipsum etiam in illo adhaerescere,  quantum in me est, non patiar. Accusatur, ut naturalis quidem, sed malce tamen libidinis suasor et leno quidam,  propter ea quce referuntur in Xenophontis Convivio. Sed nec ibi quidquam est, cujus bonum Socratem, aut  illius amicos pudere debeat. Spectacula exhibentur convivis mirabilia, partim vice infame entre tous. Bien mieux, il  s’efiforcad’en detourner lesautres, comme  Xenophon nous 1’apprend par 1’exemple  de Critias. Ce disciple de Socrate, devenu  par la suite l'un des Trente tyrans, avait  voulu attenter a la pudeur d’Euthydeme;  lorsque son ancien maitre Bapprit: II a  le prurit du porc{ i), s’ecria-t-il ; paroles  qui lui attir£rent 1’animosite d’un homme  puissant et redoutable, ce qu’il lui eut  ete facile d’eviter, s’il n’avait mieux aime  faire son devoir.  3g. Mais Xenophon me fait songer a  une autre accusation qui a ete egalement  portee contre Socrate; quoique moins  grave, elle n’en est pas moins facheuse,  et je l’en disculperai de toutes mes forces. On lui reproche, a 1’occasion d’un incident rapporte par Xenophon, dans son  Banquet, d’avoir excite ses disciples a la  debauche, ce qui serait pernicieux encore, [Concupiscit ad Euthydemum se affricare  quemadmodum porcelli solent ad saxa (Xenophon, Memorabilia). etiam periculosa, et horrorem quendam  spectantibus moventia, inter districtos gladios corpora saltu jactantium, aut in  figuli rota circumacta scribentium le- gentiumque. Non placent ea Socrati, qui  aptius convivio spectaculum putat ipyjln- Gat r.poc, tov auXov T/rJijiaTa, Iv oi; Xapixe; ts  •/.a't Qpat, xa\ Niifxcpat ypstaovtai, ad tibiam  edi motus et saltationes, eo habitu, quo  Gratiae, Horae, Nymphae a pictoribus  exhibentur. Forte suspectum alicui fuit hoc quod  Gratice nuda; pingi solent. Sed huic sus-  picioni repugnat, quod dicitur Ariadne  illa saltatrix w; vop-sr, xcy.ocju.rjU.svr,, sponsce  autem profecto apud Grcecos nudce esse bien qu’i.1 s’agisse ici de plaisirs conformes au vceu de la nature, et de s’etre fait,  en quelque sorte, entremetteur. II n’y a  rien, dans ce passage, dont doivent rougir 1’honnete Socrate et ses amis. Des mimes viennent d’executer devant les convives  toutes sortes d’exercices extraordinaires,  quelques-uns tres-dangereux et propres  a donner le frisson aux spectateurs; on  a vu les uns presenter leurs poitrines, en  sautant, a des pointes d’epees rangees en file; d’autres lire ou ecrire enfermes dans une roue de potier mise en mouvement.  Ces exercices deplaisent a Socrate ; il  pense qu’il serait plus convenable, au  milieu d’un festin, de voir des danseuses  executer des poses, au son de la Jlute,  sous le costume que les pcintres pretent  d’ ordinaire aux Graces, aux Heures et  aux Nymphes. Cela a pu paraitre suspect parce qu’on  a coutume de representer les Graces  toutes nues. Mais ce soupcon ne repose  sur rien, car la danseuse qui parut  alors, habillee en nymphe, representait I Ob  non solebant : nymphae in insectis ab  eo ipso dicta?, quod involuta? sunt. Gratias decenter vestitas contemplari licet  in Grcecis monimentis apud Montfauc. Ant. Expl. To. i Tab. iog ad p. ij6.  Movit forte eum, qui primus crimen hinc excerpsit Socrati, a/r^a-coiv appel-  latio, qua? inter alia ad turpes figuras refertur, quales olim Philcenidis et Elephantidis commendatas libellis fuisse  constat, ut hic ejusmodi impudens  spectaculum suspicaretur . Sed tum interjecta de amore disputatio tum  ipsa perfectio exsecutioque consilii (c.  g) suspicionem illam eximunt. Aguntur  Ariadnes et Bacchi nuptice,sed illa ut in  scenam nihil veniat, pra?ter oscula et [De quibus Spanhem. de usu et Praest.  numism. Diss. Hic ay 7 jfi a est  omnis gestus saltantium blandus, minax, derisor. Vid. Lucia. de Saltat. extr.  Apertior, simpliciorque, et incautior adeo  Xenophontis de his rebus oratio, quam Platonica : sed cujus summa eodem pertineat, uti ab  impura libidine ad sanctam animorum conjunc-  tionem homines revocentur. Ariadne, et les Grecs ne permettaient  pas le nu dans les roles de femmes  mariees. D’ailleurs, certains insectes  imparfaits sont appeles nymphes precisement parce qu’ils sont enveloppes. On peut voir aussi, dans YAntiquite' ex-  pliquee de Montfaucon, que les Grecs,  meme sur leurs monuments, figuraient  les Graces decemment vetues. Celui qui le premier a lance contre Socrate cette  accusation s’est peut-etre effarouche du  mot pose, qui, entre autres, est applique a des images obscenes, du genre de celles  qu’on rencontrait dans les livres de Philænis et d’Elephantis; il a soupfonne  Socrate d’avoir reclame un spectacle lubrique. Or, ladiscussion surTarnour qui  intervient alors, 1’execution et l’ache- [Spanheim (De prostantia et usu numismatum antiquorum) parle de tout cela. On appelait  poses toute esp6ce de geste lascif, provocant ou  railleur, des mimes. Comparez Lucien, De la Danse Le dialogue de Xenophon est bien plus franc,  bien plus simple et bien moins circonspCct que celui  de Platon ; tous les deux d’ail!eurs vont au meme amplexus, cetera reservantur postsceniis. but, qui est de detourner les hommes des plaisirs les  plus impurs et de les rapprocher dans une sainte  communion des ames. Tales saltationes s. repraesentationes etiam  pars sacrorum erant. Apud Lucia. in Pseudom.  xsXsx7]'v xtva cuvtaxaxat  Alexander, xai SaStyta?, xat tepocpavxta; In his mysteriis et sacris etiam est KoptoviSo?  yapto; cum Apolline item riooaXstpiOU xai  pLTjTpo; AXs^avSpou yauo; denique SsXrJvr^  xai AXs^avBpou spto? Alexander ut Endymion  alter xaOsuSwv exsixo sv xw piato  cptXrjtxaxa  xs eytyvovxo xat ~£pt~Xoxa\, st 8s ar t r. oXXat  iqaav at 8a8ss, xay’ av xt xat xwv utco xoXtcou  sjxpaxxsxo. Apposui locum, quia hic etiam  7t$pt7tXoxa'i, et tamen nihil obscenum.  vernent immediat du divertissement qu’il  avait demande, enlevent toute force a cette conjecture. Les mimes representent  les noces d’Ariadne et de Bacchus: mais  on ne voit rien de plus sur la scene que  des baisers et des etreintes amoureuses; le reste se passe derriere le rideau. Ces sortes de danses et de reprdsentations  faisaient partie des Myst6res. Dans lM lexander seu  Pseudomantis, de Lucien, on voit Alexandre, introduit comme nouvel initii, passer par les 6preuves  du dadouque et de l’hi<5rophante. Parmi les scenes  religieuses auxquelles cette initiation donne lieu  figurent : les noces d’Apollon et de Coronis, celles  de Podalirius et de la mere dAlexandre, enfin les  amours d’Alexandre et de la Lune. « Alexandre,  comme un autre Endymion, etait couchd au milieu  du theatre; on dchangeait des caresses et des baisers. S’il n’y avait pas eu D des torches en quantite, peut-etre bien qu’il se fut laiss6 entrainer a  faire qucedam earum quce sub veste Jieri solent. Cest un peu ldger; cependant il n’y a rien la de bien  obscene. Gesner aurait du citer Lucien plus completement; ce passage du Pseudomantis offre un tableau  de genre exquis: Alexandre, comme un autre  Endymion, etait couche au milieu du thdatre, faisant  semblant de dormir. II tombait de la voute, comme du  ciel, une certaine Rutilia, tr£s-jolie, qui jouait le  role de la Lune et qui dtait la femme d’un intendant  de 1'einpereur. Elie aimait vraiment Alexandre et Finem et effectum negotii ita indi-  cat Xenophon : teXo; 0 i ol <jup.7ioToci’.oovte;  T:ept6e6Xr]xdT:a; ts aXXrjXou c xai oj; et; euvrjv    aTr-.ovTa:, 01 (j.r,v ayauoi yaixetv £zw[xvuaav, 01  oe ysyap-rixoTec, ava 6 xvc£; Ijci xou; ? 3 C 7 COUS, a-rj-  Xauvov Tipo; xa; lauxujv yuvaTxa;, otim; xojxojv  xuy otsv. Tandem post blanditias quasdam,  verecundas, maritales, complexi se invicem sponsus et sponsa, i. e. manibus  implexis, vel brachiis mutuo cervici im-  positis, vel tergo circumjectis, velut  cubitum discedunt: ab hoc spectaculo  incalescentes, et ut paullo ante dicebat,  av£7iTEpo)|jiivoi convivae cælibes dejerant, se ducturos esse uxores ; mariti autem equis conscensis domos  festinant, ut simili voluptate et ipsi  fruantur. Utinam vero e spectaculis et  theatris hodie ita discederetur! utinam  Socratis hac parte disciplinam sequeren-  tur publicarum Voluptatum Tribuni. Talia spectacula edere debebant Romani eu 6tait aimee. Sous les yeux de son propre mari,   iis echangeaient des caresses et des baisers. Xenophon indique de la maniere  suivante la fin et les resultats de l’histoire. Apres toutes sortes de caresses  honnetes et maritales, les deux epoux se  tenant embrasses, c’est-a-dire, je pense,  les mains entrelacees ou les bras passes mutuellement soit autour du cou,  soit autour de la taille, s’eloignerent  comme pour aller se coucher. Echauffes  par ce spectacle et se sentant de furieuses demangeaisons, comme s’il leur poussait des ailes, les convives encore celiba-  taires /irent le serment de ne pas tarder  a prendre femme ; les maris monthrent a  cheval et se haterent de regagner le logis, pour gouter d leur tour de semblables voluptes. Plut au ciel qu’aujour-d’hui on quittat les spectacles et les  theatres dans de si bonnes intentions!  plut au ciel que cette partie de la discipline Socratique fut pratiquee par les  ediles preposes aux plaisirs publics! Ce  sont de tels divertissements qu’auraient  du decreter les empereurs Romains, soucieux d’exciter toutes les classes au ma principes, cum de maritandis ordinibus,  et sobole Romana augenda soliciti erant:  talia conveniebant nuper Lutetia? et Gallice adeo universae, quum Ducis Burgtindice natalem nuptiis mille puellarum  celebrarent: talia magnam Britanniam,  si quid veri habent quorundam qucerelce,  Swiftiance praesertim, quas eo loco protulit, ubi de abrogando clero disputat: aut  eorum, qui hodie peregrinos invitandos,  supplendi populi causa. et civitate donandos, censent. Nempe incidit aetas Socratis in ea  tempora, ubi civium paucitate laborabat  exhausta bellis Persicis et Peloponnesiacis Attica, cui etiam lege matrimoniali  obviam ire, et afferre remedium, conati  esse dicuntur. Debemus notitiam hujus  legis ipsi Socrati, quatenus nulla forte  illius mentio extaret hodie, nisi de duabus Philosophi uxoribus jam olim disputatum esset. Res cum queestioni. de qua riage ct d’accroitre la posterite de Remus: iis auraient convenu naguere a  la ville de Paris et a la France entiere  lorsqu’on feta la naissance du duc de  Bourgogne en mariant un millier de  jeunes falles; iis auraient bien fait Faffaire de la Grande-Bretagne, s'il y a  quelque chose de vrai dans ces plaintes  dont Swift surtout s’est fait l’e'cho et qui reclamaient 1’abolition du celibat despretres; iis conviendraient encore a ces  pays ou l’on attire les etrangers en leur  conferant les droits civiques pour suppleer au petit nombre d'habitants. Socrate vivait a une epoque ou 1’Attique, epuisee par les guerres des  Perses et du Peloponese, souffrait de ne  plus avoir qu'une population clair-se-mee; on dit menae que les Atheniens s’efforcerent de remedier a cet etat de choses  par une nouvelle loi touchant lesmariages. Nousdevons l’unique renseignement  que l’on ait sur cette loi a Socrate, car  il n’en subsisterait aujourd’hui aucune agimus conjuncta sit, illam, quam breviter jieri potest, expediemus. Duas So-  crati uxores vulgo tribui videmus, Xanthippen e qua Lamproclem susceperit, et  Myrto, Sophronisci atque Menexeni  matrem. In hoc conveniunt Cyrillus  (contra Julia) et Theodoretus (Grcecar. Affect. curat) ac Diogenes Laertius.  Porro de Xanthippe Cyrillus ex Por-  phyrio, 7tspi7tXa-/.asav XaQstv, clanculum in  ipsius amplexus venisse ; quod plane  repugnat Platoni et Xenophonti, qui  nullius conjugis prceter Xanthippen, justam uxorem, mentionem faciunt : tum  Theodoreto, qui tamen ipse quoque sua debere ait Porphyrio, sed non tantum  pro TCspiTt^axetaav XaOsTv habet 7:po<j-XaxeTcjav  Xa6sTv, induxisse priori uxori, ut pereat  illa secreti, et furti amatorii notio : sed  etiam addit, solitas esse eas mulieres inter se depugnare, deinde pace facta conjunctim impetum facere in Socratem  ideo, quod is bella illarum non dirimeret: hunc vero utrumque genus pugna:   mention sans la controverse autrefois  agitee au sujet de ses deux femmes. Comme cette question tient a notre sujet, nous la discuterons bridvement. On  donne communcment a Socrate deux  femmes : Xantippe, dont il eut un de ses  fils, Lamprocles, et Myrto, la mere de  Sophronisque et de Menexene. S. Cyrille, Theodoret et Diogene de Laerte  sont tous les trois d’accord la-dessus.  Mais S. Cyrille, empruntant ce detail a  Porphyre, dit de Xantippe que son mariage avec Socrate fut clandestin, qu’elle  se cachait pour 1’embrasser, ce qui contredit absolument Xenophon et Platon,  puisqu’ils ne parient d’aucune autre  femme que de Xantippe, epouse legitime  de Socrate. Theodoret, qui lui aussi dit  tenir de Porphyre ses renseignements,  change 7iepi7tXoaEiaav XaOsTv en npovnXxxsT-  aav XafleTv et declare ainsi que Socrate  introduisit Xantippe chez sa premi^re  femme, ce qui ruine toute cette histoire  de mariage secret, et de furtifs baisers;  bien mieux, il ajoutc que ces deux mecum risu speci are consuevisse. Utri fi  dem habebimus? Sed nondum est finis discordiarum. Theodoretum si audimus, induxit  Xanthippen suce jam Myrto Socrates: sed Laertius negat convenire inter auctores, utram prius duxerit. Idem ait,  simul ambas habuisse Socratem, a quibusdam esse traditum. In hac sententia  etiam fuit auctor Dialogi Halcyon, qui  inter primos Lucianeos editur, in cujus  fine Socrates dicat, se Halcyonis amorem in maritum suis conjugibus Xanthippee et Myrto prcedicaturum esse.  Antiqua porro esse illa relatio memoratur Callisthenis, Demetri Phalerei, Satyri Peripatetici, Aristoxeni Musici, geres se battaient continuellement, puis la paix faite, tombaient a poings fermes  sur le pauvre Philosophe, en lui reprochant de ne les avoir pas separees: pour  lui, il restait simple spectateur du combat et voyait donner ou recevait lui-  meme les coups en souriant. A qui faut-il s’en rapporter, de S. Cyrille ou de  Theodoret? Et nous ne sommes pas au bout  de la querelle. Dapres Theodoret, So-  crate epousa Xantippe, dtant deja marie  a Myrto; mais Diogene de Laerte af-  firme que les auteurs ne sont pas d’accord et qu’on ne sait qui des deux il  epousa la premiere. Il dit aussi qu’il les  eut toutes les deux ensemble, et sur  quelles autorites repose cette assertion.  Elie a ete accueillie par 1’auteur du dialogue intitule Alcyon, imprime en tete  de ceux de Lucien; on y voit Socrate  proposer en exemple a ses deux femmes,  Xantippe et Myrto, 1’amour d’Alcyon  pour son mari. Plutarque (Vie d’Aris-  i Hieronymi Rhodii, apud Plutarchum  (vita Aristid. extr.) qui ceteris narrandi  auctorem fuisse ait Aristotelem in libro  de nobilitate, (rapi s-jyevsia;) qui tamen  liber an sit Aristotelis, Plutarchus dubitat : narrant autem ita, Aristidis neptim  Myrto, vidua cum esset et paupercula,  domum ductam a Socrate, eique cohabi-  tasse, licet aliam uxorem habenti. At non licebat a Cecrope inde  Athenis plure s una habere uxores. Qui  sit igitur, ut neque Comici exprobrarint, neque Accusatores objecerint digamian  Socrati? Hic nobis narrant Athenaeus et  Laertius legem, latam supplenda 1 multitudinis civium causa. Exstabat Athenceo  prodente ipsum decretum a Rhodio Hie-  ronymo conservatum, wax' si-eivat xai ouo ET L’AMOUR GREC I i q tide) rapporte que cettc opinion etait  ancienne, et qu ; elle fut partagee par  Callisthene, Demetrius de Phalere, Sa-  tyrus le peripateticien, Aristoxene le  musicien et Hieronyme de Rhodes;  Athenee dit de son cote qu’ils Tavaient  tous puisee dans le Traite de la No-  blesse d Aristote, livre dont cependant  Plutarque doute qu’Aristote soit l’auteur. Tous racontent que Myrto, pe-  tite-fille d Aristide, etant veuve et se  trouvant dans une extreme pauvrete, fut  recueillie par Socrate dans sa maison et  qu’il cohabita avec elle, quoiquhl fut deja marie.  J Les vieilles lois de Cecrops inter-disaient cependant a Athenes les doubles  unions. Pourquoi donc ni les poetes co-  miques, ni les accusateurs de Socrate ne  lui ont-ils reproche ou oppose ce cas de  bigamie ? Cest a ce propos qu’A.thenee et  Diogene de Laerte nous parient de cette  loi nouvelle, edictee, disent-ils, dans le  but d’accroitre le nombre des citoyens. SOCRATE 'systv yuvatxa; tov [3o'jaojj.£vov. Secundum haec  male accusaretur Socrates, qui et legi  paruerit de augenda sobole Attica, et  Aristidis progeniem viduitate et pauper-  tate extrema liberaverit. Verum enim vero totum hoc de duabus Socratis uxoribus, quin de lege  maritali etiam falsum esse, prcesertim  ex dissensu commemorato, itemque ex  Platonis et Xenophontis silentio arguit  Bentleius. Et habet, quantum est de  monogamia Socratis, magnum auctorem Pancetium, quem laudat Plutarchus, qui  cum retulisset eam quce modo proposita  est de Myrto narrationem, satis illam  refutatam ait a Panaetio: cujus si opus  hodie extaret, facilior forte hodie esset  causa Socratis, quem tamen a turpi pue- [In Dissertat, de Phalaridis et exteror. Epistolis, ET l’aMOUR GREC Athenee s’avance jusqida dire qu’il y  avait un decret, conserve par Hieronyme  de Rhodes, et ainsi concu: « 11 est permis d’avoir jusqua deux femmes. Si  cela est vrai, on accuserait mal a propos  Socrate, qui n’aurait fait qu’obeir a la  loi portee en vue de repeupler 1’Attique,  et qui de plus aurait sauve du veuvage  et de la mis&re la petite-fille d’Aristide. Mais vraiment Phistoire des deux  femmes, tout aussi bien que celle  de la loi matrimoniale, paraissent en-tachees de faussete a Bentley; il se  fonde surtout sur le desaccord que nous  avons signale et tire une grande preuve  du silence de Platon et de Xenophon.  Nous avons, pour ce qui est de la monogamie de Socrate, une excellente autorite, Pantetius, dont Plutarque fait le  plus bel eloge; apres avoir rapporte ce  que nous avons dit de Myrto, il ajoute  que cettefable a ete suffisamment refutee Dissertation sur les Epitres de Phalaris, Themistocle, Sacrale et Euripide (iu-8"). SOCRATE  rorum amore, et a lenocinio turpi, et a  libidinosa digamia, vel sic satis liberatum esse confido.  ET L AMOUR GREC par Panaetius. Si nous possedions son  livre, la cause de Socrate serait aujourd’hui plus facile a defendre; je pense  cependant avoir prouve qu’il ne fut ni  un corrupteur de la jeunesse, ni un  provocateur a la debauche, ni un bigame libertin. Alcibiade; ses avances  repouss^es par Socrate.  Ame, comparde par Platon a un attelage ai!6  classification des ames  suivant le degrd de  connaissances acquises  avant la vie, p. Amour philosophique,  raisons  qui dirigent les choix  dans cette sorte d’amour les  impuretes ou il peut  s’egarer Analyse du Lysis, dialogue de Platon du Phedre du Banquet Beaute morale et Beaute  physique -- Bigamie; Socrate eut-il  deux femmes? la bigamie  etait-elle autorisde en  Grece ? Cohorte sacree des  amants, a Thebes et  en Crete -- Inspires; couples d’amis Minies; leurs exercices et  poses plastiques -- riaiospaatsta, le mot  et la chose pouvaient  etre pris en bonne part, chez les Grecs Peines portees par les  Grecs contre les infames Pronostics tirds par les  physionomistes de la  voix forte et grave de lencolure  courte des  oreilles velues -des grosses levres -- du nez camard des  yeux saillants, Representations mythologiques et divertissements dans les festius dans les  mysteres effets singuliers produits parfois sur les  convives par ces representations, p. m. Socrate; motifs ordinaires des accusations  portees contre lui pourquoi il  recherchait les beaux  garcons son  portrait physique Socrate l’ Ecclesiastique; comment il a accuse, sans preuves, Socrate le Philosophe Sparte ; coutume rappor-  t6e par Elien -- les amours impures y  etaient ignorees Paris. Imp. Motteroz, 3 i, rue du Dragon. Gabriele Giannantoni. Giannantoni. Keywords: la dialettica, dialettica, Epicuro a Roma, Calogero, il principio dialogo, Lucrezio, Cicerone. -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giannantoni” – The Swimming-Pool Library.

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