Grice e Giacchè: la
ragione conversazionale e l’implicataura conversazionale dell’altra visione
dell’altro – Barba, Bene, e Fellini antropologo – filosofia perugina – la scuola
di Perugia – filosofia umbra -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Perugia). Filosofo perugino. Filosofo umbro. Filosofo Italiano.
Perugia, Umbria. Grice: “I like Giacché; for one, he philosophises on theatre,
which any Sheldonian should appreciate!” Grice: “Giacché is what I would call a
philosophical anthropologist.” Grice:”Giacché has an ability with language:
“l’altre vision dell’altro,” for example – difficult to translate, but genial
nonetheless, or perhaps genial because uneasily translatable!” – “He has
philosophised on spectator and participant, which is conversational in tone –
there’s no monologue, but dialogue --.” “He has criticised authoritarian types
of performances like traditional teaching which he has compared to religion!” Insegna a Perugia. Si occupa di varie problematiche
socio-culturali quali condizione giovanile, devianza, comunicazione di massa,
solitudine abitativa, politica culturale. Saggi: Una nuova solitudine. Vivere
soli fra integrazione e liberazione, Roma); “Lo spettatore partecipante.
Contributi per un'antropologia del teatro, Guerini, Milano, Bene. Antropologia
di una macchina attoriale, Bompiani, L'altra visione dell'altro. Una equazione
fra antropologia e teatro, Ancora del Mediterraneo, Napoli, Ci fu una volta la
sinistra. Ovvero il silenzio dei post-comunisti, Asino, Roma. CURRICULUM
di Piergiorgio Giacchè (Perugia, 16.04.46), Professore a contratto (incarico
gratuito), docente di “Etnologia europea: patrimonio culturale immateriale”
presso la Scuola di Specializzazione in Beni demo-etno- antropologici,
Università di Perugia, Firenze, Siena e Torino (sede di Castiglione del Lago,
PG) - anni accademici TITOLI DI STUDIO E INCARICHI ACCADEMICI Laurea in lettere
(indirizzo moderno), con tesi in Etnologia conseguita nell’anno acc. 1969-70
presso l’Università degli studi di Perugia, con voti 110/110 e lode.
Abilitazione all’insegnamento delle materie letterarie nelle scuole medie
inferiori - titolo conseguito il 3.2.1973 con voti 100 su 100. Borsa di studio
quadriennale (dal 1.11.77 al 31.08.76) per “ricerche nel campo sociale”,
usufruita presso l’Istituto di Etnologia e Antropologia culturale
dell’Università di Perugia. Titolare di contratto quadriennale presso la
Facoltà di lettere e filosofia della stessa università. Addetto alle
esercitazioni presso la cattedra di Etnologia della stessa Facoltà, per gli
anni accademici Ricercatore confermato dal 1° settembre 1981 al 28 dicembre
2004, presso l’Istituto di Etnologia e Antropologia culturale dell’Università
di Perugia; in tale ruolo ha condotto seminari, cicli di lezione, moduli
didattici e progetti speciali (in prevalenza sui temi della devianza, della
condizione giovanile, della società dei consumi e dello spettacolo,
dell’antropologia e sociologia del teatro) fino all’anno acc. 1994-95, in cui è
divenuto affidatario di un Corso di Antropologia teatrale (unico corso attivato
in Italia), riconfermato per tutti i successivi anni accademici. E’ stato
altresì docente affidatario del corso di Antropologia culturale presso la
facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Perugia, nell’anno
accademico 1998-99. Professore associato presso il Dipartimento Uomo et Territorio
– Sezione antropologica ; docente di Fondamenti di Antropologia e di
Antropologia del teatro e dello spettacolo presso la Facoltà di Lettere e
Filosofia dell’Università degli studi di Perugia, Professore a contratto,
docente di Antropologia culturale presso la Facoltà di Scienze della Formazione
della L.U.M.S.A. di Roma – corso per Educatori professionali, sede di Gubbio –
anni accademici Professore invitato, nel
quadro del progetto “Socrates”, presso l’Université Libre de Bruxelles -
facoltà di Scienze Sociali e di Filosofia e lettere Visiting Professor presso
l’Università di Malta, Facoltà di Scienze della Formazione. Professore
invitato, nel quadro del progetto “Socrates”, presso l’Université Paris VIII –
Département d’Etudes théâtrales Professore invitato dall’Université Paris VIII
per un seminario da tenersi presso il laboratorio di Etnoscenologia della
Maison de l’Homme – Paris Nord Membro della Commissione per la Procedura di
valutazione comparativa per il reclutamento di un ricercatore presso la Facoltà
di Scienze della Formazione dell’Università di Cagliari, M05X – Discipline
demoetnoantropologiche. Docente del Dottorato Internazionale in Antropologia ed
Etnologia (A.E.D.E.) CONSULENZE, COLLABORAZIONI E ALTRI INCARICHI ISTITUZIONALI
Consulente socio-antropologico per alcuni programmi R.A.I. della Sede Regionale
dell’Umbria: “Decentramento e sviluppo urbanistico”; “Anticamera” (novembre
1980 - aprile 1981); “Aperitivo” (aprile-luglio 1982). Consulente antropologico
del Centro Regionale Umbro per le Ricerche Economiche e Sociali, nel 1978
(Ricerca sulla “popolazione reale”). Consulente del Comitato Regionale Umbro
Radiotelevisivo e curatore di numerose indagini sul sistema dell’emitttenza
locale e sull’ascolto radiotelevisivo. Consulente e collaboratore del Festival
Internazionale del Teatro in Piazza di Santarcangelo di Romagna . Consulente e
collaboratore del Teatro Studio 3 di Perugia, Consulente e collaboratore della
1^ Rassegna Internazionale del Teatro di Strada (Montecelio di Guidonia).
Consulente artistico e scientifico del festival di teatro, musica e cinema
“Segni Barocchi” di Foligno (edizioni). Consulente del Teatro San Geminiano di
Modena, poi centro teatrale “Dramma Teatri”. Consulente e assistente, in qualità di
antropologo del teatro della rappresentazione teatrale de “La escuela de la
escena y la escena de la escuela jesuita en el siglo XVII” a cura di Filippi,
nel quadro del congresso De los Colegios a las Universidades. Las ensenanzas jesuitas y sus
relatos cotidianos, organizzato da la Universidad Iberoamaricana de Ciudad de
Mexico (Città del Messico). Membro
del comitato scientifico dell’International School of Theatre Anthropology
diretta da Barba, con sede a Holstebro, Danimarca. Membro del gruppo di lavoro
internazionale di Sociologia del teatro, con sede presso l’Université Libre de
Bruxelles, Belgio (fino al suo scioglimento). Membro del gruppo di lavoro della
Maison de Sciences de l’Homme (E.H.E.S.S.) “Spectacle vivant et sciences
humaines” Membro del comitato scientifico della quinta sezione di ricerca
“Créations, Pratiques, Publics” della Maison de Sciences de l’Homme – Paris
Nord Membro del Laboratorio di Ricerca Interdisciplinare dell’Istituto di Psicosomatica
Psicoanalitica “Aberastury” di Perugia Membro del Comité de Rédaction de
“L’Ethnographie. Noveaux objets,
nouvelles méthodes. Revue de la Société d’Ethnographie de Paris” (dal 2002). Collaboratore della rivista “Lo straniero. Arte
Cultura Società” diretta da Goffredo Fofi (dalla sua fondazione); già redattore
della rivista “Linea d’ombra e co-direttore de “La terra vista dalla luna”
Collaboratore della rivista “Gli asini. Educazione e intervento sociale”,
diretta da Luigi Monti, dalla sua fondazione Membro del Comitato scientifico
della rivista trimestrale “Catarsi. Teatri della diversità”, dalla sua
fondazione – 1996. Membro del Comité scientifique de la revue trimestrelle
“Théâtre Public” Presidente della Fondazione “L’Immemoriale di Carmelo Bene Membro
della Commissione Consultiva per il Teatro – Ministero per i Beni e le Attività
Culturali (Membro della Commission di valutazione dei progetti di
cofinanziamento per lo spettacolo – Ministero per i Beni e le Attività
culturali. Consulente della Regione dell’Umbria – Assessorato alla Cultura, con
l’incarico di ricognizione ed esplorazione del settore teatro nel territorio
regionale Membro della Commissione Consultiva per il Teatro – Ministero per i
Beni e le Attività Culturali Membro del Comitato Scientifico della Fondazione
Centro Studi “Aldo Capitini” di Perugia (dal 2012). Membro del Comitato
scientifico PerugiAssisi, candidata a capitale europea per . CORSI E SEMINARI
DIDATTICI SPECIALI Partecipazione, in qualità di docente, ai seguenti corsi o
seminari: • Corso biennale per la formazione di tecnici della ricerca sulle
tradizioni popolari nella regione umbra (Perugia corso regionale di
preparazione e aggiornamento per operatori socio-sanitari impegnati
nell’attività di prevenzione, cura e riabilitazione degli stati di
tossicodipendenza (Bologna Corso regionale per operatori culturali nel settore
del cinema (Orvieto Corso di riqualificazione professionale per operatori
audiovisivi: il videotape (Foligno, febbraio-ottobre 1978). • Corso di
formazione professionale per i 28 diplomati di scuola media superiore
(schedatori) previsti dal progetto di “catalogo unico regionale dei beni
bibliografici” (Perugia Corso di formazione professionale per i diplomati di
scuola media superiore (ordinatori di biblioteca) previsti dal progetto
“sistemi bibliotecari comprensoriali” (Perugia Corso Animatori Q/1 - Seminario
sulle comunicazioni di massa (Spoleto Seminario residenziale “L’Atelier: centro
internazionale di ricerche artistiche” (Volterra Soglie: esperienze di confine
tra attore e spettatore”, seminario-laboratorio per studenti e insegnanti delle
scuole medie superiori (Perugia e Todi Corso di Formation Doctorale Esthetique,
Sciences et Technologies des arts della Université Paris VIII à Saint Denis
(lezioni Corso di Scenografia della Facoltà di Architettura e del Dipartimento
di Musica e Spettacolo dell’Università “La Sapienza” di Roma (lezione “Teatro,
gioco, narrazione”, progetto teatrale per insegnanti delle scuole materne
(Perugia e Città di Castello L’attore consapevole. Seminario teorico-pratico
sull’arte dell’attore” (Fara Sabina, Rieti La società italiana del dopoguerra”.
Seminario di aggiornamento per gli italianisti polacchi, organizzato
dall’Ambasciata d’Italia, dall’Università Jagellonica di Cracovia e
dall’Istituto Italiano di cultura di Cracovia (Cracovia Corso di aggiornamento
A/41 dell’I.R.R.S.A.E. dell’Umbria (Perugia, lezioni Seminario di Antropologia
del teatro per gli allievi della Scuola Civica d’Arte drammatica “Paolo Grassi”
(Milano, Corso Universitario Multidisciplinare di Educazione allo sviluppo, “La
cultura del confronto”, organizzato dall’Unicef di Roma (lezione Uomini e
teatro: culture del mondo a confronto”). • I Corso di aggiornamento sulla
didattica del teatro nella scuola - Seminario internazionale su Scuola e Teatro
(Marcellina, Roma Corso di aggiornamento per insegnanti delle scuole medie
superiori della regione Lazio (Roma Corso Universitario Multidisciplinare di
Educazione allo sviluppo, organizzato dall’Unicef di Bari (lezione Università
del Teatro Euroasiano, sessione dedicata alla “Storia sotterranea del teatro
contemporaneo. Solitudine, tecnica, drammaturgia e rivolta” (Scilla, Reggio
Calabria, Le età del teatro. Corso triennale di storia e cultura teatrale” - II
anno: Dalla Commedia dell’arte alla Riforma goldoniana - organizzato da Emilia
Romagna Teatro (Modena, Teatro Storchi, Corso Uni-Tea Figli della storia e
maestri del teatro” (Parma, Corso d’aggiornamento per docenti e dirigenti di
ogni ordine e grado, organizzato dal C.I.D.I. Versilia e dal Provveditorato
agli studi di Lucca e intitolato “Letteratura teatrale e scuola” (Forte dei
Marmi, Convegno-seminario “La musa fra i banchi di scuola. Esperienze e modelli
di relazione / incontro fra teatro e scuola” (Cervia Università del Teatro
Euroasiano, sessione dedicata alla formazione dell’attore e intitolata
“Apprendere ad apprendere” (Scilla, Reggio Calabria Corso Uni-Tea 1998, “Oplà
noi viviamo! Tecniche originarie e tecniche nuove nel teatro d’attore” -
seminario interno al Corso di Sociologia dell’Educazione dell’Università di
Parma (Parma Vedere Fare Pensare Teatro, per una formazione dell’educatore
teatrale”, organizzato dall’E.T.I., dal Teatro delle Briciole, dal G.S.A
Fontemaggiore, dal Teatro Kismet OperA e tenutosi in tre sessioni a Bari a
Isola Polvese - Perugia e a Parma Corso d’aggiornamento per insegnanti degli
Istituti medi e superiori Gli anni della contestazione” (Parma Sulla
verticalità del verso », seminario di e con Carmelo Bene, organizzato dall’Ente
Teatrale Italiano (Roma, Teatro Valle Criticando criticando. Laboratorio
d’analisi dello spettacolo”, organizzata in collaborazione con l’Associazione
Nazionale Critici di Teatro (sessione dedicata al Teatro Ragazzi – Bagnacavallo
sessione dedicata al Teatro di Ricerca - Reggio Emilia I mestieri e le lingue
del teatro”, Seminario di autoapprendimento per operatori dell’area penale
esterna, organizzato dal Teatro Kismet e dall’Università di Bari, con il
patrocinio del Ministero di Grazia e Giustizia (Bari Teatro e Carcere:
l’esperienza della Compagnia della Fortezza” - conversazione con P. Giacchè e
Armando Punzo, in collaborazione con l’E.T.I. (Volterra Ciclo di incontri
organizzati dall’Istituto Sardo per la Storia della Resistenza e dell’Autonomia
(ottobre-dicembre 1998) “Rivelazioni e promesse del ‘68”; relazione su “Il ‘68
e il teatro” (Cagliari La magia del leggere”, Corso di aggiornamento per
insegnanti e genitori della Scuola Elementare “Ciro Menotti”, Villanova di
Modena Corso di aggiornamento per insegnanti delle scuole elementari del
comprensorio Valle Umbria (Foligno Teatro e Carcere: l’esperienza della
Compagnia della Fortezza”, nel quadro di “Maggio cercando i teatri” organizzato
dall’E.T.I. (Roma, Teatro Valle Il verso dannunziano e il concerto d’autore”,
seminario con A. Asor Rosa, C. Bene, P. Giacchè (Roma, Teatro dell’Angelo Ciclo
di incontri “La parte dello spettatore” (relatore del 1° incontro – Faenza Corso
Uni Tea “Il teatro come disagio antropologico” (Parma Divenire teatro”,
incontri su Antonin Artaud organizzati dal Centro Teatro Universitario di
Ferrara. Relatore dell’incontro: “Artaud fatto Bene” (Ferrara Politica e
società”, ciclo di incontri di formazione politica (Roma, Relatore dell’incontro:
“Minoranze e movimenti nell’Italia del dopoguerra”, insieme a G. Fofi (Roma, Incontri
in scena. Per un’indagine sull’antropologia dell’infanzia” (Vicenza, Teatro
Astra, organizzati dalla compagnia “La Piccionaia – I Carrara” con la
collaborazione dell’Università di Cà Foscari di Venezia. Relatore dell’incontro:
“Antropologia dell’infanzia” “L’utopia del teatro vivente. Living Theatre”
(Siena nel quadro di incontri organizzati dall’Università degli studi di Siena
attorno ai “Cinque sensi del teatro. Cinque trasmissioni monografiche sulla
filosofia del teatro” (Rai-Pontedera Teatro). • “Strumenti innovativi per
favorire l’inclusione sociale”, lezione inaugurale (“Altro è narrare”) del
corso organizzato dal Centro Solidarietà di Modena (CEIS) e da Emilia Romagna
Teatro (Modena Giornate di studio per l’inaugurazione della sezione di ricerca
“Créations, Pratiques, Publics”, presso la Maison de Sciences de l’Homme –
Paris Nord (St. Denis Conferenza sul Living Theatre, nel quadro del seminario
“Maestri del ‘900. Gli uomini e le idee che hanno fatto la storia del teatro
contemporaneo” organizzato dal Teatro Nuovo “Giovanni da Udine” (Udine Conferenza
su Carmelo Bene o delle provocazioni del genio, nel quadro del seminario
“Maestri del ‘900. Gli uomini e le idee che hanno fatto la storia del teatro
contemporaneo” organizzato dal Teatro Nuovo “Giovanni da Udine” (Udine Le
risorse della diversità”, seminario organizzato da Proteo Fare Sapere e dal
Movimento Cooperazione Educativa (Firenze, Educandato SS. Annunziata Corso per
attrici “Il corpo del testo”, organizzato da Emilia Romagna Teatro Fondazione;
docente di Elementi di antropologia e cultura del teatro e spettacolo (30 ore
di Antropologia del Teatro Seminario sulle “Quattro lezioni sul teatro” di
Carmelo Bene, organizzato dalla Fondazione L’Immemoriale di Carmelo Bene” e
dall’Università di Lecce (Lecce Dimostrazione-conferenza “L’attore compositore:
Mejerchol’d e la biomeccanica teatrale”, organizzata dal Centro Internazionale
Studi Biomeccanica Teatrale (Perugia giornate di lavoro teatrale: incontri,
dimostrazioni di lavoro, spettacoli Pontedera, Teatro di via Manzoni), nel
quadro di “Generazioni Festival organizzazione e cura della Fondazione
Pontedera Teatro. • Seminario
dell’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales, “Carmelo Bene. Voir la voix, écouter le visible”, coordinato da B.
Filippi e G. Careri (Parigi, Institut National d’Histoire de l’Art comunicazione
Le Sud du Sud des Saints, Teatro in forma di libri”, incontri organizzati dal
Teatro Due Mondi – Casa del Teatro (Faenza Arte dello spettatore”.Corso di
formazione per insegnanti, organizzato dal Teatro Stabile d’Innovazione
Fontemaggiore (Perugia, Teatro Sant’Angelo, Seminario orientativo sul settore
spettacolo, organizzato dalla Fondazione Emilia- Romagna Teatro nel quadro
della Laurea specialistica “Progettazione e gestione di attività culturali”
della Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Modena (lezione Seminario
di studio nel quadro della Mostra “Carmelo Bene. La voce e il fenomeno. Suoni e
visioni dall’archivio”, organizzato dalla Fondazione L’Immemoriale e dal Comune
di Roma (Casa del Teatri-Villino Corsini comunicazione L’ultimo Bene. La
verticalità del verso, 7.5.05. • Incontro seminariale “Parole chiave per il
teatro” (Lecce organizzato dai Cantieri teatrali Koreja. • “Un’antropologia
della memoria” Conferenza dibattito sul libro di C. Severi Il percorso e la
voce (Perugia, Palazzo dei Priori, Corso “Salute mentale, Antropologia e
Teatro: confronto su un’esperienza di pratica laboratoriale” (Perugia, Parco di
S. Margherita, Padiglione Neri organizzato dal Centro di Formazione della ASL 2
di Perugia. • “Pasolini antropologo” (Gubbio, Biblioteca Comunale Sperelliana nel
quadro del ciclo di incontri “Pasolini e la nuova barbarie. Conversazioni su un
testimone del nostro tempo” organizzato dal Comune di Gubbio Atelier intensif
S.P.O.T. (Spectacle vivant, Opèra, Thèâtre)”, organizzato nel quadro del Master
Europeen conjoint en Etude du spectacle vivant, coordinato dall’Université
Libre de Bruxelles e organizzato dalla Universitad de La Coruña - Spagna
docente di un corso di Antropologia teatrale. 8 • “Teatro come impegno
civile”, seminario-incontro con Marco Paolini organizzato dai Cantieri Teatrali
Koreja (Lecce Laboratorio di ricerca
interdisciplinare – Quello che ci fa la vita che facciamo, nel quadro del “50°
Seminario di Louis Chiozza”, organizzato dall’Istituto di Psicosomatica
“Aberastury” e dalla Scuola di specializzazione in Psicoterapia psicoanalitica
di Perugia (Città di Castello, Palazzo Vitelli Quadri concettuali per l’analisi
del sistema cultura – Seminari di studio”, organizzati dalla Fondazione Mario
Del Monte di Modena comunicazione su L’antropologia e il “teatro” della cultura
(Modena, Teatro delle Passioni L’ultimo Bene”, conferenza-lezione nel quadro
delle attività didattiche speciali della Fondazione Accademia di Belle Arti di
Perugia (Perugia, 17 maggio 2007). • Seminario di studio “Economia della
cultura, sviluppo umano e politiche culturali”, a cura del CAPP (Centro di
Analisi delle Politiche Pubbliche), Modena; comunicazione su La domanda di
teatro. Una prospettiva antropologica (Modena, Facoltà di Economia, S.P.O.T. II
(Spectacle vivant, Opèra, Thèâtre) “Espectàculos y dialogo entre culturas: La
adaptacioòn y la escena”, organizzato nel quadro del Master Europeen conjoint
en Etude du spectacle vivant, coordinato dall’Université Libre de Bruxelles e
organizzato dalla Universitad de Sevilla; docente di un corso di 8 ore di
Antropologia del teatro e dello spettacolo. • Laboratorio Interculturale di
Pratiche Teatrali (III edizione in collaborazione con l’International School of
Theatre Anthropology, organizzata dal Teatro Potlach, Fara Sabina (Rieti), 13 –
26 ottobre 2008); comunicazione su L’antropologia dello spettatore Seminario –
Convegno “Omaggio a Carmelo Bene” (Centro Teatro Ateneo – Dipartimento Arti e
Scienze dello Spettacolo dell’Università “La Sapienza” di Roma, 12 – 14
novembre 2008); Prologo al seminario e comunicazione dal titolo A scuola da
Bene Il potere di tutti. Conversazione su Aldo Capitini” (Perugia, Sala
Miliocchi organizzata dall’Associazione “Vivi il borgo”, dalla Società Operaia
di Mutuo Soccorso e dalla Fonoteca Regionale “O. Trotta”. • Giornata di studi
“La religione dell’educazione. Don Milani e Aldo Capitini”, organizzata dalla
L.U.M.S.A. di Roma, Facoltà di Scienze della Formazione (Roma, Aula “Edda
Ducci”, Piazza delle Vaschette Seminario “Migrazioni. Prospettive etnografiche
sullo Stato italiano”, organizzato dal Dipartimento Uomo et Territorio –
sezione antropologica (Perugia, Facoltà di Lettere e Filosofia, Palazzo Manzoni
Voler Bene al cinema. Omaggio a Carmelo Bene” (Bellaria, Cinema Astra nel
quadro di “Bellaria Film Festival 2009. • Seminario interdisciplinare su:
“Grotowski e la ricerca invisibile” (Perugia, Istituto Aberastury, Bruciare la
casa“, incontro-colloquio con Eugenio Barba (Isola Polvese (PG) nel quadro di
“Terre di confine. Lo spazio del teatro”, progetto a cura di Linea Trasversale.
• Séminaire doctoral
collectif - Centre d'Etudes Féminines et d’Etudes de Genre/ CRESPPA-GTM : «
Théâtre du genre : production, performance, spectacle » (Parigi, CNRS, 4
dicembre – comunicazione su “Travestissement à théâtre: masculin, féminile ou
neutre? “). • Séminaire “SPACE-Supporting Performing Arts Circulation in Europe
“- Session Paris (ONDA, Paris Comunicazione “Europe Toolbox: quelle boîte pour
quels outils?” • “Cinema e teatro non si incontrano mai,
se non all’infinito” (Bergamo incontro seminariale nel quadro de “Il teatro
vivo. Introduzione al teatro contemporaneo: Corso di Alti Studi Teatrali
organizzato dal Teatro Tascabile di Bergamo. • “La Festa nelle culture dei
popoli: criteri di autenticità” (Gubbio nel quadro del ciclo di incontri “La
Festa nella Festa dei Ceri”, per la celebrazione dell’anniversario della morte
di S. Ubaldo. • Introduzione e partecipazione al XI Seminario Interdisciplinare
dell’Istituto Aberastury su “La vocazione minoritaria”, condotto da G. Fofi
(Perugia Incontro seminariale su “Lo spettatore partecipante” nel quadro del
progetto “Paesaggio con spettatore” a cura di R. Vannuccini e organizzato da
ArteStudio per il Festival dei Due Mondi – Spoleto (Spoleto, Palazzo Comunale
Coordinatore del Laboratorio di Ricerca Interdisciplinare dell’Istituto
Aberastury “Dialogo con Sctutatori d’anime di Carlo e Rita Brutti” (Assisi Incontro-conversazione
“Radicalism: Piergiorgio Giacchè speakes about Carmelo Bene with Dora Garcia”
(Venezia, Padiglione Spagnolo della Biennale Arte nel quadro della performance
THE INADEQUATE: ogni giorno un artista in scena (Padiglione spagnolo, 54th
International Art Exibition – Venice Biennale Relatore e conduttore del XIII
Seminario Interdisciplinare dell’Istituto Aberastury su “L’anima del mondo
viene prima del mondo dell’anima? (Perugia Dialogo teatrale – incontro tra un
antropologo e un avvocato su Teatro Trattamento Carcere, nel quadro di “Stanze
di teatro in carcere 2011. Rassegna intinerante di Teatro Carcere in Emilia
Romagna” (Modena, Teatro delle Passioni La congiura della creatività”,
seminario pubblico con P. Giacchè e R. Sacchettini, organizzato dal collettivo
Nevrosi (Agliana, PT, Teatro Il Moderno Incontro con Marc Augè in dialogo con
Piergiorgio Giacchè, organizzato dal Circolo dei lettori di Perugia (Perugia,
Sala dei Notari Incontro con Piergiorgio Giacchè e Giuseppe Di Leva (Piccolo
Teatro Grassi di via Rovello, Milano nel quadro di “Visioni di Bene. Voce,
teatro, cinema, televisione secondo Carmelo”, Milano Memorie del sottosuolo. Il
teatro raccontato da spettatori speciali: Piergiorgio Giacchè su Carmelo Bene”
(Giardino del MUSAS, Santarcangelo di Romagna nel quadro di Santarcangelo Festival Internazionale del Teatro in Piazza
Raduno degli artisti della scena: Punctum e tempo, dalla fotografia alla
scena”, incontro seminariale a cura di Claudio Morganti, organizzato dal Teatro
Metastasio Stabile della Toscana, nel quadro del festival “Contemporanea 12: le
arti della scena” (Prato, spazio Magnolfi Incontro-Lezione – TITOLO - per il
seminario residenziale Università Elementare de Gli asini nel quadro di
“Leggere la città: lo spazio pubblico” (Pistoia aprile 2014) • Seminario su “La
parabola dell’animazione teatrale” nel quadro della seconda edizione della
Summer School di Arti performative e Community care (Carpignano Salentino Incontro
con Piergiorgio Giacchè e Alessandro Leogrande condotto da Giovanna Casadio,
intitolato Vizi privati e pubbliche virtù, nel quadro della decima edizione del
“Festival Lector in fabula: Privato, Pubblico, Comune” Conversano, Conversano,
BA, Auditorium di San Giuseppe Conferenza Orizzonti e vertici del “viaggio del
teatro” nel quadro della XVII edizione de “IL TEATRO VIVO. Progetto di
promozione e diffusione del teatro contemporaneo”, organizzato dal Teatro
Tascabile di Bergamo (Bergamo Conferenza Dal Living Theatre all’Odin Teatret,
nel quadro di “Effetti collaterali. Ciclo di incontri per la formazione degli
operatori e del pubblico”, organizzato dal Teatro di Sacco di Perugia (Perugia,
Sala Cutu Incontro-Lezione “Essere giovani, essere attori” (Pistoia, Piccolo
Teatro Mauro Bolognini per il seminario residenziale Università Elementare de
Gli asini “La cultura di massa dall’emancipazione all’alienazione”, nel quadro
di “Leggere la città: lo spazio pubblico” (Pistoia Corso residenziale “Si deve,
si può. Ruolo delle minoranze etiche tra globale e locale” - primo modulo Dove
va il nondo? Analisi del presente: il globale e il locale (Lamezia Terme Progetto
Spring organizzato dalla Comunità Progetto Sud in collaborazione con le riviste
Gli asini e Lo straniero. Relazione: “La mutazione antropologica: dal locale al
globale e ritorno Corso di formazione per docenti presso l’Istituto
Omnicomprensivo “D. Alighieri” di Nocera Umbra (PG): intervento formativo di
due ore sul tema “Giovani Oggi Corso d formazione per docenti “Teatro come
cultura delle differenze”, organizzato dal 1° Circolo didattico di Marsciano
(PG) e dal Teatro Laboratorio Isola di Confine; conferenza “A scuola da
Pinocchio” (Marsciano, Sala E. De Filippo Curatore e ideatore dei seguenti
progetti o seminari speciali: • “La casa de l’Odin”, Ciclo di conferenze sulla
cultura teatrale e sull’antropologia del teatro (Valencia, Barcellona,
Castellon e Madrid, Apriamo un salotto: appuntamenti di restaurazione culturale”
- tre cicli di conferenze sulle attività e sulla politica culturale (Perugia Storia
et Geografia. Corso effimero di educazione permanente” - cinque incontri
dedicati a Gabon, Germania, Iran, Argentina e Umbria, per favorire
l’integrazione degli studenti stranieri (Perugia La parte dell’altro. Teatro ed
esperienze antropologiche” - ciclo di conferenze e seminario conclusivo con E.
Barba (Perugia Altro e Teatro” - ciclo di conferenze e relazioni di ricerca
sugli ambiti contigui al teatro (Perugia L’età dell’oro. Per un teatro giovane”
- incontri e discussioni fra giovani gruppi teatrali (Parma Il primo giorno.
Scuola di teatro a scuola” - convegno/laboratorio sul rapporto tra il teatro
nella didattica scolastica e la pedagogia del teatro (Parma Coordinatore del
seminario “L’infanzia ritrovata. Lo sguardo dell’artista nel presente che muta”
(Parma, all’interno del Corso Uni-Tea Coordinatore del seminario laboratorio
“Curare gli affetti. Il teatro come legame sociale. Un percorso tra luoghi e
non luoghi” (Parma all’interno del Corso Uni-Tea Curatore (assieme a G. Fofi)
del ciclo di incontri “L’arte contro lo stato. Lo stato delle arti”
(Santarcangelo di Romagna nel quadro del XXX Festival “Santarcangelo del
Teatri”. • Curatore (assieme a F.Orlandi) del Corso di aggiornamento per
insegnanti della Scuola Media Superiore “Oralità, Narrazione, Teatro: In
Principio era il verbo”, organizzato da Emilia Romagna Teatro – Fondazione
(Modena, Teatro delle Passioni Curatore (assieme a S. Cipiciani) di “Piccoli
maestri. Incontri video spettacoli con il Teatro delle Albe”. (Spello, Palazzo
Comunale e Teatro Subasio organizzato dal Teatro stabile di innovazione
“Fontemaggiore” di Perugia Coordinatore (assieme al prof. L. Mango) del
Laboratorio di osservazione dello spettacolo contemporaneo, nel quadro del
Festival Internazionale ESTERNI (Terni Curatore (assieme a S. Cipiciani) di
“Piccoli maestri. Incontro con Santagata o Morganti” (Terni, Officine Ex-Siri organizzato
dal Teatro stabile di innovazione “Fontemaggiore” di Perugia nel quadro del
festival Es-Terni Ideatore e curatore di “Bene Detto. Oratorio e Laboratorio
sull’arte di Carmelo Bene” (Oratorio: Mondaino (RN), Laboratorio: Mondaino (RN)
organizzato da L’arboreto. Teatro Dimora, con la collaborazione dell’Ass.
Liminalia di Perugia e di B. Filippi e S. Pasello. • “I tagli e le ferite. La
poetica della politica e viceversa”, Incontro con gli artisti italiani nel
quadro di “Vie. Scena contemporanea festival”, organizzato dall’E.R.T. (Modena,
Biblioteca Delfini Curatore e conduttore del meeting “Per Ora Labora” sulla
condizione lavorativa dell’attore teatrale, nel quadro del Cantiere delle Arti
(Modena, Biblioteca “Delfini” Ideatore e curatore di “InizioAzione.Vacanze
scolastiche per allievi attori delle scuole di teatro” (per una ricerca sulla
motivazione teatrale), nel quadro del Festival VIE dell’E.R.T. (Rubiera, Corte
Ospitale – Modena, Biblioteca “Delfini” Curatore e coordinatore dei sei
incontri del seminario-laboratorio “Il grande attore e il piccolo spettatore” a
cura del Teatro Stabile d’Innovazione Fontemaggiore di Perugia e del
Dipartimento Uomo e Territorio – sezione antropologica – dell’Università degli
studi di Perugia (Perugia, Teatro Brecht Curatore di “Autocritica”, quattro
incontri fra critici e attori per il Cantiere delle Arti, nel contesto di Vie Scena
Contemporanea Festival (Modena, Biblioteca “Delfini Curatore e coordinatore del
laboratorio per spettatori “Piccolo pubblico”, organizzato dal Teatro Stabile
d’Innovazione Fontemaggiore di Perugia nell’occasione delle repliche degli
spettacoli del Progetto Interregionale di promozione dello spettacolo dal vivo
“Teatri del presente” (Teatro Brecht di Perugia e Teatro Clitunno di Trevi,
Curatore e direttore scientifico de “Il Centro della Visione. Per un’accademia
dello spettatore”, progetto organizzato da Kilowat Festival a Sansepolcro (AR),
Ideatore e curatore del progetto “Verso Capitini, per un Colloquio corale”,
prodotto dal Teatro Stabile d’Innovazione “Fontemaggiore” di Perugia (da aprile
2014 ancora in corso: prima sessione presso il Teatro Drama di Modena sessione
presso il Teatro Brecht di Perugia Ideatore e curatore del convegno “Il teatro
della critica” (Pistoia organizzato dal Centro Culturale “Il Funaro” e
dall’Associazione Teatrale Pistoiese. CONVEGNI • Convegno su “L’Italia e
l’Umbria dal Fascismo alla Resistenza: problemi e contributi di ricerca”
(Perugia Convegno internazionale su “Droga. Dalle esperienze ad una proposta
concreta. Aspetti terapeutici, sociali e legislativi” (Firenze Incontro
seminariale “Musica, Possessione, Spettacolo” (Greve in Chianti, Firenze
Seconda sessione dell’I.S.T.A. - International School of Theatre Anthropology
(Volterra Convegno di studi su “Improvvisazione e spettacolo” (Firenze Convegno
di studi su “Vedere ed essere visti” (Volterra Convegno di studi su “Come si
potrebbe vivere. Corpo e linguaggio” (Vicenza Giornate della cultura e della
partecipazione (Barcellona, Convegno di studi su “Elogio dei fiori: tecniche
personali e creatività” (Volterra, Mostra-Convegno “Spoleto come titolo”
(Spoleto Simposio “Le maître du regard”, nel quadro della terza sessione
dell’I.S.T.A. (Paris, Malakoff Incontri di lavoro con Richard Schechner”
(Pontedera Convegno-seminario su “Cosa narrare e come narrare” (Bellaria-Igea
Marina Convegno Nazionale di Psichiatria “Crisi e costruzione delle conoscenze”
(Massa Convegno “Le forze in campo. Per una nuova cartografia del teatro”
(Modena, sessione dell’I.S.T.A. - “Il ruolo della donna nel teatro delle
diverse culture” (Hostelbro Convegno Nazionale di Antropologia delle società
complesse (Roma sessione dell’I.S.T.A. - “Tradizione dell’attore e identità
dello spettatore. Dialoghi teatrali” (Otranto Convegno su “Teatro e Emergenza.
Quattro incontri” (Bologna Natura e buongoverno del teatro. Convegno Nazionale
per il rinnovamento della scena italiana” (Milano Encuentro de Artes Escenicas
sobre perspectivas, necesidades, metodos, limitaciones y alternativas para la
investigacion y esperimentacion (Mexico D. F. Convegno su “La presenza
misconosciuta. Nuovi progetti di teatro” (Frascati Giornate di studio su
“Grotowski, la presenza assente” (Modena Congresso Mondiale di Sociologia del
Teatro (Bevagna Seminario Internazionale “A la recerca d’un espai teatral
contemporani” (Olot – Catalunya sessione dell’I.S.T.A. - “Università del teatro
euroasiano. Tecniche della rappresentazione e storiografia” (Bologna World
Congress of Sociology (Madrid, 9 - 13 luglio 1990). • Convegno di fondazione di
“Mantis. Centro per la ricerca sui linguaggi del comportamento funzionale”
(Palermo • Convegno su “Culture immigrate e teatro in Europa. Analisi dei
fenomeni interattivi fra culture immigrate e culture europee” (Bologna, 16
novembre 1991). • Seminario-convegno della Università del Teatro Euroasiano
(Padova Convegno internazionale su “Teatro Europeo: quali percorsi formativi”
(Torino Congresso Internacional de Sociologia do Teatro (Fondazione Gubelkian,
Lisbona Convegno su “La piazza nella storia. Eventi, liturgie,
rappresentazioni” (Università di Salerno-Fisciano, Seminario-convegno della
Università del Teatro Euroasiano - “Drammaturgie parallele” (Fara Sabina Giornate
di incontri e di studi “Per Carmelo Bene” (Perugia Congresso Nazionale
“L’antropologia e la società italiana” (RomaConvegno “L’identità collettiva e
la memoria storica: un confronto tra Italia e Polonia”, organizzato
dall’Ambasciata d’Italia e dall’Università di Varsavia (Varsavia Convegno di
studi su “L’altra via dell’intelligenza. Teatro e valore” (Terza Università di
Roma Convegno Europeo Teatro e Carcere - “Immaginazione contro emerginazione”
(Milano Convegno su “I sommersi e i salvati. Come, perché, dove e per chi fare
teatro?” (Terza Università di Roma Convegno internazionale per la fondazione
del Centre International d’Ethnoscènologie (Paris Convegno su “Pacifismo,
disobbedienza civile, obiezione di coscienza: il ruolo della Comunità di
Capodarco” (Lido di Fermo Congresso Europeo della Biennale Théâtre Jeunes
Publics - “Pourquoi aller au théâtre aujourd’hui?” (Lyon Convegno su “Teatro
antropologico e Antropologia teatrale” (Scilla Convegno su “Tradizione e
modernità al sud Convegno Internazionale su “Teatro e Scuola: Università ed
Educazione al Teatro” (Roma. • Convegno “Teatro e Scuola fra espressività e
percezione” (Modena). Congres International de Sociologie du Théâtre (Mons) Convegno
Nazionale su “Arte del narrare, arte del convivere. Incontro tra immigrati,
educatori e artisti narratori” (Palermo, Convegno di studio “Creativi si nasce?
Teatro e creatività nei possibili percorsi della riforma scolastica” (Palazzolo
sull’Oglio - BS). • Convegno su “Le letterature popolari. Prospettive di
ricerca e nuovi orizzonti teorico- metodologici” (Fisciano e Ravello -
Università di Salerno, Convegno su “Il gioco del teatro. L’animazione
trent’anni dopo” (Torino). • Convegno “Processo federalistico delle istituzioni
meridionali e mediterranee” (Messina). • Convegno-Seminario “Carmelo Bene e
Gabriele D’Annunzio. Sulla verticalità del verso” (Roma, Teatro Valle, Acting,
Life, and Style”, convegno per un progetto internazionale di ricerca
organizzato dall’Italienska Kulturinstitutet “C.M. Lerici” e dal
Teatervetenskapliga Institutionen della Universitet Stockholms (Stoccolma,Convegno
Europeo di Teatro e Carcere: “Verso il Duemila, il cammino di un’utopia
concreta” (Milano, tavola rotonda su “Il costringimento e il suo doppio”
(Convegno “Io sono la prima attrice. Crocevia di esperienze tra teatro e
handicap” (Milano). • Convegno “Un teatro per domani”, all’interno della X
edizione di Galassia Gutemberg Mostra mercato del libro e della multimedialità
(Napoli, Mostra d’Oltremare, Galleria Mediterranea). • Convegno di studio per
dirigenti e docenti della scuola “Il Corpo - la Macchina tra avventura,
traduzione, mistero” (Calcinate, Bergamo, Congresso “Le Corps du Théâtre. À
partir de la Méditerranée: organicité, contemporanéité, interculturalité” (Bologna
organizzato dalla Maison de Sciences de l’Homme, Ente Teatrale Italiano e
D.A.M.S. dell’Università di Bologna. Encontro Internacional de Novo Teatro para Crianças e
Adolescentes – “Percursos” (Lisboa – Portugal, Centro cultural de Bélem). • “Per un teatro popolare di ricerca”, convegno
organizzato da La Corte Ospitale (Rubiera, Convegno Internazionale di Studi “I
teatri delle diversità e l’integrazione” organizzato da Ass. Cult. Nuove
Catarsi (Cartoceto –Ps, Convegno Internazionale “Intrecci tra Educazione Arte
Natura nella prospettiva della conversione ecologica” (Amelia, organizzato
dalla Casa Laboratorio di Cenci. • Giornate di studio e di ricerca “I Sud e le
loro Arti” (Arnesano, organizzato dal Comune di Arnesano (Le) e dall’Università
di Lecce. • Convegno “Il cinema al limite, al limite il cinema” (Perugia, 9
novembre 2001), organizzato da Batik-Perugia Film Festival Ho sognato che
vivevo. Teatri della trasformazione e dell’esclusione. Esperienze di teatro con
protagonisti non comuni (pazienti psichiatrici, carcerati, portatori di
deficit, immigrati) a confronto con studiosi e amministratori”, (Arena del
Sole, Bologna) convegno organizzato dall’Azienda USL Bologna Nord e dalla
Regione Emilia-Romagna Convegno di Studi “Antropologia e poesia” (Fisciano-Ravello,
organizzato dall’Università degli studi di Salerno e dall’A.I.S.E.A.- Sezione
di Antropologia e letteratura. • Convegno “Per un nuovo Teatro in Italia e in
Europa” (Roma, Teatro Valle, organizzato dall’Ente Teatrale Italiano nel quadro
di “Cercando i teatri Convegno “Residui illimitati” (Bergamo, Chiesa di
S.Agostino, 21 giugno 2002), organizzato da Il Teatro Prova nel quadro del
festival “Non voglio perdere la meraviglia. Teatri e arti tra diversità e
alterità”. • Convegno Internazionale “Le arti del ‘900 e Carmelo Bene” (Torino,
Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, organizzato dalla Regione
Piemonte e dall’Organizzazione per la Ricerca in Scienze e Arti di Torino. • Convegno Internazionale
“Performing Through – Tradition as Research at the Workcenter of Jerzy
Grotowski and Thomas Richards” (Vienna, Theater des Augenblicks, Non solo per
piacere. Pratiche teatrali. Adolescenti.
Giustizia. Convegno nazionale sulle esperienze di teatro con minori in area
penale interna ed esterna (Bologna, Maison Française, organizzato dal Dipartimento
Musica e Spettacolo dell’università di Bologna, dalla Regione Emilia-Romagna e
dal Centro Giustizia Minorile per L’Emilia Romagna e Marche. • Colloque
International d’Ethnoscénologie (Parigi, Université Paris Convegno “L’Attore”,
organizzato da Primafila e InScena con il patrocinio delle Segreterie di stato
per il Turismo e gli Istituti Culturali – Repubblica di san Marino (Sala SUMS,
Giornate di lavoro e di studio nel quadro dell’Assemblea Generale di IRIS -
Associazione Sud Europea per la Creazione Contemporanea (Modena, Palazzo
Comunale). Controscuola. Riflessioni ed esperienze pedagogiche”, convegno
organizzato dalla rivista “Lo straniero” (Roma, Museo di Roma in Trastevere,
symposium on tracing roads across “Living Traces – Performing as a Shared
Reality” (in the occasion of the 20th Anniversary of the Workcenter of Jerzy
Grotowski and Thomas Richards), Teatro Manzoni, Pontedera – PI, Convegno
“Réécritures de Médée”, organizzato dal Centre de Recherche en Etudes Féminines
– Etudes de genre del’Université Paris 8 (Saint-Denis, Musée d’Art et
d’Histoire, Il disagio e chi se ne occupa. Crisi dei sistemi educativi e di
cura e prospettive dell’agire sociale”, convegno organizzato dalla rivista “Lo
straniero” (Roma, Sala Civita, Piazza Venezia, 1° Incontro su “Travestitismo e
identità di genere nelle scienze della recitazione” (Napoli, Galleria Toledo),
organizzato dal Dipartimento di Neuroscienze, Unità di Psicologia Cilinica e
Applicata e dalle Università degli Studi di Napoli Federico II, L’Orientale,
Suor Orsola Benicasa; comunicazione su Il teatro e l’alterità di genere. Il
caso o l’esempio di Carmelo Bene. Convegno Regionale A.I.Fi Umbria su “Le
alterazioni posturali: dalla conoscenza alla coscienza riabilitativa” (Trevi,
Hotel della Torre, organizzato con la collaborazione dell’Università di
Perugia; comunicazione su Postura e cultura. Il corpo della tradizione e il
corpo della rappresentazione. • Convegno “Venti anni di teatro della Compagnia
della Fortezza – Per un teatro stabile in carcere” (Volterra, Cortile
principale del carcere, coordinatore e relatore. • Convegno internazionale “Il
teatro che ho in testa. Per un festival di teatro da sogno” (Ulassai e Jerzu,
organizzato da Cada Die Teatro, nel quadro di “Ogliastra Teatro, festival dei tacchi
Convegno “La frontiera del teatro. Grotowski 30 anni dopo” (Milano, Teatro
dell’Arte, organizzato dal CRT Centro di Ricerca per il Teatro di Milano. •
Convegno “Teatro e Infanzia”, a cura di G. Fofi e M. Martinelli, organizzato
dal Teatro Stabile di Napoli e da Punta corsara (Scampia-Napoli, Teatro
Auditorium, Journée d’étude “Modes et formes d’émergence dans le théâtre”
(Liegi, Belgio, organizzato, nel quadro del progetto Prospero, dall’Université
de Liège e dal Théâtre de la Place. • “Ricordando Lévi-Strauss. Convegno di
studi” (Macerata, organizzato dal Centro Internazionale di Studi sul Mito e
dall’Università di Macerata. • Convegno seminariale “Chi è il prossimo?”,
organizzato dalla rivista “Lo straniero” nel quadro del 40° Festival
Internazionale del Teatro in Piazza (Santarcangelo di Romagna, Supercinema, Futuramente.
1° Convegno intorno alla Creatività per le future generazioni” (Pontedera,
Museo Piaggio, organizzato dall’ass. Libera Espressione e dal Comune di
Pontedera (PI). • Journée d’étude “Vous ne trouvez pas ça tragique? –
conversation publique sur l’art, l’esthétique et la politique” (Tolosa,
Francia, organizzata dal Théâtre Garonne, nel quadro di “In Extremis Una
giornata con il Living Theatre – conversazione pubblica (San Sisto – Perugia,
Teatro Bertolt Brecht, organizzata dall’UILT nel quadro della Giornata Mandiale
del Teatro. Convegno Internazionale “Civiltà, culture, educazione. Le sfide
della società tardo- moderna alla pedagogia” (Aula Magna della Lumsa, Roma,
organizzato dalla Facoltà di Scienze della Formazione della LUMSA di Roma. •
Convegno seminariale “Un’idea di rivoluzione”, organizzato dalla rivista “Lo
straniero” nel quadro del Festival Internazionale del Teatro in Piazza
(Santarcangelo di Romagna, Supercinema, “Il n’y a pas de révolution politique
possible, s’il n’y a pas d’une révolution poétique” – incontro internazionale e
tavola rotonda sul rapporto tra pratiche artistiche e mutazioni politiche nelle
aree interessate dalla “primavera araba” (Terni, Festival Internazionale della
Creazione Contemporanea, Caos Area Lab,). Journée d’études “Potlach notionnel
sur la performance. National potlach on performance”, organizzata
dall’E.H.E.S.S., dall’Université Paris Ouest-Nanterre, dal Centre Edgar Morin e
dal H.A.R. (Amphithéâtre François Furet, bld. Raspail, Paris Convegno della
Facultatea de Teatru si Televiziune – Universitatea Babes-Boyai di Cluj-Napoca
(Romania) “The Bad Spectator. Performing Arts between Construction and
Destruction / Le mauvais spectateur. Les arts du spectacle entre construction
et destruction”, organizzato dal gruppo di ricerca Istoria Teatrului,
Iconografie si Antropologie Teatrali a Cluj-Napoca Seminario “L’esperienza del
principio. Jerzy Grotowski, l’infanzia e la rinuncia all’assenza” (Cenci-Amelia,
nel quadro della manifestazione “Sorgenti e torrenti. Omaggio a Jerzy Grotowski
e al Teatro delle sorgenti” organizzata dal Laboratorio di Cenci Convegno “Le
théâtre et ses publics: la création partagée” - 2° Colloque International du
Projet Européen PROSPERO (Salle académique dell’Università di Liegi – Belgio),
organizzato dal Théâtre de la Place di Liegi e dell’Université de Liège. • “Confusion de genres. Journées
d’étude en l’honneur de Jean-Paul Manganaro”, organizzato dall’Université de
Lille 3, dall’Université Paris Ouest-Nanterre-La Defense e dall’Università
Italo Francese (Lille, 29 novembre – 1° dicembre; Paris, 12 dicembre 2012). •
Colloque International “D’après Carmelo Bene” (Parigi, Institut National
d’Histoire de l’Art - Conservatoire National Supérieur d’Art Dramatique -
Cinéma du Panthéon), organizzato da HAR, Université Paris Ouest-Nanterre, Labex
Arts-H2H, Université Paris 8 Vincennes-Saint Denis, CNSAD, Dipartimento Uomo e
Territorio dell’Università di Perugia (in partenariato con Union des Théâtres
de l’Europe e con Emilia Romagna Teatro Fondazione). • Incontro sul tema “Memoria e Identità” (Gubbio,
Biblioteca Sperelliana), organizzato dal Comune di Gubbio e dal Lyons Club
Gubbio Host. “Teatro e nuovo umanesimo”, convegno nel quadro della “Giornata
per Claudio Meldolesi” (Bologna, Laboratorio delle Arti), organizzata dal
Dipartimento delle Arti visive, performative, mediali dell’Università di
Bologna, con il patrocinio dell’Accademia dei Lincei.Convegno Nazionale di
Teatro educativo intitolato “Scrittura e riscrittura. Da testo alla messa in
scena – Esperienze a confronto” (Avigliano Umbro, TR, Colloque international
d’ethnoscénologie, organizzato da Maison des Cultures du monde, Université
Paris 8, Maison des Sciences de l’Homme Paris Nord) •Incontro sul tema “Ai
confini della democrazia” (Roma, La Pelanda) organizzato dalle Edizioni
dell’Asino nel quadro della rassegna Short Theatre n. 8 intitolato “Democrazia
della felicità” (Roma). • Convegno Seminario “Intellettuali e riviste tra
passato, presente e futuro” (Perugia, Sala della Partecipazione del Consiglio
regionale dell’Umbria). • Convegno sulla Rete Regionale dei Teatri (Modena,
Teatro delle Passioni), organizzato dalla Fondazione Mario del Monte e da
Emilia Romagna Teatro. Convegno “La possibilità del teatro. Un incontro di
riflessione e confronto”, organizzato dalla Fondazione Pontedera Teatro
(Pontedera, PI, Teatro Era). Convegno “Il teatro della critica” (Pistoia),
organizzato dal Centro Culturale “Il Funaro” e dall’Associazione Teatrale
Pistoiese. RICERCHE ricerche teoriche: Il contesto sociale della criminalità e
della devianza Le basi strutturali dei processi di criminalizzazione” La
solitudine abitativa come fenomeno emergente Riferimenti teorici ed esperienze
empiriche nella fondazione di una antropologia del teatro Cultura dell’attore
nelle tradizioni teatrali euroasiatiche
L’identità dello spettatore e i modelli di fruizione del teatro
Sociabilità, Relazionalità, Spettacolarità Tecniche del corpo e azioni
performative Studio per la realizzazione di uno spettacolo teatrale sul tema
del cooperativismo Elements anthropologiques dans le théâtre contemporain - nel
quadro della partecipazione al Groupe international de recherche
interdisciplinaire “Spectacle vivant et sciences de l’homme” - Maison de
l’Homme, Paris Il teatro e la scuola: le funzioni pedagogiche del teatro e i
corsi di formazione degli operatori teatrali e degli insegnanti - nel quadro
dell’attività dell’Uni-Tea, progetto coordinato dall’Ente Teatrale Italiano.
ricerche empiriche: • Gli atteggiamenti nei confronti della devianza criminale
e dell’istituzione carceraria (ricerca condotta nel quartiere di P.ta Eburnea
di Perugia Le opinioni e gli atteggiamenti degli studenti dell’Istituto Tecnico
per Geometri di Perugia nei confronti della scuola e della condizione umana Indagine
su tipologia e censimento degli organismi di democrazia di base (ricerca per il
Consiglio Regionale dell’Umbria, Ricerca sulla definizione e le caratteristiche
della popolazione “reale” (ricerca del C.R.U.R.E.S. Indagine sull’ascolto
radiotelevisivo in Umbria (ricerca del Comitato Regionale Umbro per il Servizio
Radiotelevisivo, Ricerca sul comportamento elettorale in Umbria attraverso
l’analisi dei risultati delle elezioni politiche ed europee Indagine sull’esercizio e il mercato
cinematografico in Umbria (ricerca dell’Associazione Umbra per il Decentramento
delle Attività Culturali, Inchiesta sul teatro dialettale in Umbria (ricerca
del Centro Documentazione Spettacolo, sAnalisi dei risultati delle elezioni
amministrative nel comune di Perugia
(ricerca del Comune di Perugia, Ricerca sulla memoria e sulla identità dello
spettatore (ricerca condotta in Salento per l’International School of Theatre
Anthropology). L’informazione televisiva
in Umbria: i notiziari regionali (ricerca del Comitato Regionale Umbro per il
Servizio Radiotelevisivo, Indagine sulle emittenti radiotelevisive operanti in
Umbria (ricerca del Comitato Regionale Umbro per il Servizio Radiotelevisivo,
Aspetti devozionali e spettacolari nelle feste religiose patronali In
compagnia: ricerca e analisi sulle opportunità di lavoro e di impiego nel
settore teatrale” (nel quadro dell’azione pilota “terzo settore e occupazione”
promossa dalla Commissione Europea D.G.V); ricerca coordinata da Emilia Romagna
Teatro con la collaborazione di “Amitié”, Taller de Investigaciòn de la Imagen
Teatrale di Madrid, Teatro delle Briciole, Teatro Festival, Thomas Consulting
Group Ricerca empirica sulla definizione e sulla’informazione e formazione
dello spettatore, all’interno del progetto “100 spettatori da adottare”
organizzato dalla Fondazione Pontedera Teatro e dall’ETI Ente Teatrale Italiano
Il nuovo attore nuovo” Osservatorio scientifico sulla pedagogia dell’attore di
innovazione, applicato al Progetto interregionale “Teatro – Percorsi di Alta
Formazione” organizzato dalla Fondazione Pontedera Teatro, dai Cantieri
Teatrali Koreja di Lecce e dal Nuovo Teatro Nuovo di Napoli, in convenzione con
le rispettive Regioni (gennaio – giugno 2008). • Analisi documentale del
“Cantiere delle Arti” – un cantiere transnazionale per la creazione di percorsi
integrati connessi alla realtà produttiva del settore spettacolo dal vivo –
costituito da Emilia Romagna Teatro Fondazione, dalla Regia Accademia
Filarmonica e Musica e Servizio Cooperativa Sociale Sull’opera e il pensiero
degli antropologi Giulio Angioni. Tra antropologia e letteratura (recensione),
“Lo straniero Arte Cultura Società”, Bourdieu: l’autoanalisi di un maestro, “Lo
straniero Arte Cultura Scienza Società, Postfazione alla parte quinta
“Dimensioni della festa” in: T. Seppilli, Scritti di antropologia culturale,
(M. Minelli – C. Papa, curatori), 2 voll., Olschki Ed., Firenze, La festa, la
protezione magica, il potere, Lo sguardo lontano di Lévi-Strauss, “Lo straniero
Arte Cultura Scienza Società, Lezione e monito dell’ultimo Baudrillard, “Lo
straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Sulla condizione e la subcultura
giovanile: Dopo Licola, (in coll. con G. Baronti), “Ombre Rosse, Il corpo e il
territorio, “Segno critico, Una nuova solitudine. Vivere soli tra liberazione e
integrazione, (in coll. con P. Bartoli e S. La Sorsa), Savelli ed., Roma,
Protagonismo, narcisismo e consumismo, “Ombre Rosse, Forza ragazzi, “Linea
d’ombra, Disagi giovanili, disagi senili, “Lo Straniero. Arte Cultura Società, Il
diavolo, sicuramente, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Lo studente
quotidiano, “Gli asini. Educazione e intervento sociale, La Giovane Italia,
“Gli asini. Educazione e intervento sociale, Un saggio Laffi sui giovani e i
vecchi, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Sulla devianza e la
criminalità: La ricerca dei ricercati. Sociologia dell’ordine pubblico, (in
coll. con G. Baronti), “Ombre Rosse, La organizzazione del consenso nel regime
fascista: la manipolazione ideologica della devianza criminale, (in coll. con
G. Baronti), “Studi e materiali di antropologia culturale”, Perugia, Sulla
cultura meridionale: Mezzogiorno è già passato, in: G. Fofi – A. Leogrande
(curatori), Nel sud, senza bussola. Venti voci per ritrovare l’orientamento,
L’ancora del mediterraneo, Napoli, Sulla cultura politica e la politica
culturale: Partiti e comportamento elettorale. Analisi dei risultati delle
elezioni del giugno 1789 in Umbria (in coll. con A. Sorbini), Com.Reg.Umbro
PSI, Perugia, Caro nome..., in: AA.VV., A proposito dei comunisti, Linea
d’ombra ed., Milano, La festa dell’albero. Come ri-nasce un partito, “Linea
d’ombra, Invenzione, diffusione e agonia dell’operatore culturale, “Linea
d’ombra, Ebrei e naziskin. I fatti e le notizie, in: A. Cavaglion (a cura di),
Gli aratori del vulcano. Razzismo e antisemitismo, Linea d’ombra ed., Milano,
Il punto e la linea. Maggioranze, minoranze e critica della politica, “Linea
d’ombra, La cultura del maggioritario, “La terra vista dalla luna. Rivista
dell’intervento sociale, Una merce come le altre? La fiera del libro a Torino,
“La terra vista dalla luna. Rivista dell’intervento sociale, Laici ed eretici,
“La terra vista dalla luna. Rivista dell’intervento sociale”, A Perugia c’è
cultura da vendere, “L’indice, Sull’industria della coscienza: una questione di
dettaglio, introduzione a: H.M. Enzensberger, Questioni di dettaglio. Poesia,
politica e industria della coscienza, trad. di G. Piana, ediz. e/o, Roma, La
parabola del buon rettore, “Lo Straniero. Arte Cultura Società, L’età dello
stagno, “Lo Straniero. Arte Cultura Società, Cosa ci tocca vedere, “Lo
Straniero. Arte Cultura Società, Il laico e il sacro, “Lo Straniero. Arte
Cultura Società, Qualcosa è accaduto, “Lo Straniero. Arte Cultura Società, Il
porto dell’università, fra la nebbia e il miraggio, “Lo Straniero. Arte Cultura
Società, Toni, Bepi e san Francesco (per tacere di sant’Agostino), “Lo
Straniero. Arte Cultura Società, La sera del dì di festa, “Lo straniero. Arte
Cultura Società, Questo Papa e quella guerra, “Lo Straniero. Arte Cultura
Società, La controriforma e il doposcuola, “Lo Straniero. Arte Cultura Società,
Grande Papa, tanta gente, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, La
questione comica, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Il silenzio dei
post-comunisti, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Il viaggio di
Francesco Piccolo nei divertimenti di massa (recensione), “Lo Straniero. Arte
Cultura Scienza Società, La mamma ha un cuore verde. Un racconto di Rosa
Matteucci (recensione),“Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, La montagna
elettorale, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Il male minore, in: M.
Bon Valsassina (curatore), In fondo al male. Contributi e Iconografie sul Male,
Futura ed., Perugia, Universitas docet, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza
Società”, Un pomeriggio tra le minoranze, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza
Società Silvio, Umberto e i giovani d’oggi, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza
Società, La parte dell’arte, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, G. –
V. Giacopini – E. Morreale – N. Lagioia, Necessità e servitù della critica.
Cosa cerca l’arte? A che serve la critica?, Edizioni dell’Asino, Roma,
Prefazione a: Carlo e Rita Brutti, Scrutatori d’anime. La psicoanalisi che
viene, Edizioni dell’Asino, Roma, Lo sciopero e la grève, ovvero dalla Francia
con stupore, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Il teatro del
prossimo, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Teatro e politica
all’italiana: l’Attore e l’Assessore, “Gli asini. Educazione e intervento
sociale”, Via col vento, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Specchiarsi
nelle vite degli altri. Un romanzo di Emmanuel Carrère, (recensione), “Lo
Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Il maggio è francese, “Lo Straniero.
Arte Cultura Scienza Società, Ci fu una volta la sinistra, ovvero il silenzio
dei post-comunisti, Edizioni dell’asino, Roma, La cultura e la politica, un
atto unico in due tempi, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Indovinala
Grillo!, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Fazio ovvero l’ultima
volta della tivvù, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, L’università
dei vavassini, “Gli asini. Rivista di educazione e intervento sociale” (numero
monografico su Valutazione e meritocrazia nella scuola e nella società Il niente che avanza, “Lo Straniero. Arte
Cultura Scienza Società, Renzi, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, I
volontari dell’ottimismo. Marino Sinibaldi riflette sulla cultura, “Lo
Straniero. Arte Cultura Scienza Società, Sul pensiero e l’azione di Aldo
Capitini Introduzione e cura del volume: A. Capitini, Opposizione e
liberazione. Scritti autobiografici, Linea d’ombra ed., Milano (riedizione con
il titolo Opposizione e liberazione. Una vita nella nonviolenza, L’Ancora del
Mediterraneo, Napoli). Al servizio (civile) della coscienza, “La terra vista
dalla luna. Rivista dell’intervento sociale, Capitini e l’obiezione di
coscienza, “La terra vista dalla luna. Rivista dell’intervento sociale”,
Introduzione e cura del volume: A. Capitini, Liberalsocialismo, ediz. e/o,
Roma, L’obiezione è coscienza. L’insegnamento di Aldo Capitini, “Lo Straniero.
Arte Cultura Società, Introduzione e cura del volume: La religione dell’educazione.
Scritti pedagogici di Aldo Capitini, Edizioni La Meridiana, Molfetta (Bari),
Capitini e i Perugini, “Studi Umbri”, n. 0, anno I, 2009, (www.studiumbri.it)
Cura –assieme a G. Fofi- del volume: A. Capitini, Agli amici. Lettere
1947-1968, Edizioni dell’Asino, Roma, L’importanza di chiamarsi prete, “Gli
asini. Educazione e intervento sociale, Sulla cultura teatrale e la società
dello spettacolo: Il teatro delle esperienze, (in coll. con S. De Matteis),
“Quaderni di Teatro, Diario scolastico del sussidiario teatrale, “Scenascuola”,
Un pugno di terra. Conversazione con Eugenio Barba, “Linea d’ombra, Living
memories. Ricordi del Living e memorie viventi, “Teatro Festival, Antropologia
culturale e cultura tetrale. Note per un aggiornamento dell’approccio socio-
antropologico al teatro, “Teatro e Storia, Una bùsqueda de “antropologia
teatral” sobre la identidad del espectator, “Repertorio. Revista de teatro, Memoire
sociologique. Extraits de carnets d’une recherche anthropologique sur
“L’identité du spectateur”, “Buffonneries”, Teatro necesario y teatro
suficiente, “Màscara. Cuadernos
Latinoamericanos de Reflexion sobre la Escenologia”, anno Come lavorare in
discesa. Ragionamenti e aggiornamenti sul teatro “minore”, “Linea d’ombra, Lo
spettatore partecipante. Contributi per una antropologia del teatro, Guerini e
ass., Milano, Uno spettacolo prigioniero e un teatro libero, in: M.T. Giannoni
(a cura di), La scena rinchiusa. Quattro anni di attività teatrale dentro il
Carcere di Volterra, Tracce ed., Piombino, Introduzione all’identità dello
spettatore. Una ricerca di antropologia del teatro, “R.I.S.T. Revue
Internationale de Sociologie du Théâtre, Teatro e antropologia. Note su una
“canoa di carta”, “Linea d’ombra, Una equazione fra antropologia e teatro,
“Teatro e Storia”, L’esplorazione antropologica e i “fines” del teatro,
“Etnoantropologia”, Argo ed. Lecce, Nostalgia del teatro e simulazione della
piazza, in: D. Scafoglio - M. Vitale (a cura di), La piazza nella storia:
eventi, liturgie, rappresentazioni, Ed. scientifiche italiane, Napoli,
Introduzione e cura, Per Bene (Atti del convegno, Perugia), Linea d’ombra ed.,
Milano, De l’anthropologie du théâtre à l’ethnoscènologie, “Internationale de
l’immaginaire, Ed. Maison de Cultures du monde, Paris, Il teatro “privato “del
pubblico. Cenni di storia e appunti sulla fenomenologia dello spettatore, in:
Le età del teatro. Corso triennale di storia e cultura teatrale, Ert (Emilia
Romagna Teatro) ed., Modena, Bene. Antropologia di una macchina attoriale,
Bompiani ed., Milano, Premio del Presidente del Premio “G. Pitrè – S. Salomone
Marino). De la consommation
du théâtre au théâtre dans la société de consommation, in: AA.VV., Pourquoi
aller au théâtre aujourd’hui? (Actes du quatrième colloque européen - Biennale
Théâtre Jeunes Publics, Lyon), Les Cahiers du soleil debout, Lyon, Giulio
Cesare”, teatro dei corpi, (recensione),“Lo straniero. Arte Cultura Società, Teatro antropologico: atto
secondo, “Catarsi. Teatri delle diversità, Pozzi – V. Minoia (a cura di), Di
alcuni teatri della diversità, ANC, Consumare teatro, “Teatro e Storia, Shakespeare
e Garibaldi, (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Società, Au théâtre
comme à la guerre!, in: Centre Dramatique Hainuyer - Centre de Sociologie du
Théâtre, La mediation théâtrale (Actes du 5è Congrès International de
Sociologie du théâtre organisé a Mons (Belgique)), Lansman,
Carnières-Morlanwelz (Belgique), Théâtre éducation”, Spettatori non si nasce,
in: Provincia di Modena - Emilia Romagna Teatro,Teatro e scuola fra espressività
e percezione. Atti del convegno (Modena), Centro Stampa Provincia di Modena, O
la guerra o il teatro. Sul film di Mario Martone, Lo Straniero. Arte Cultura
Società, Politica culturale e cultura teatrale, “Primafila. Mensile di teatro e
di spettacolo dal vivo”, Aux confins du théâtre. Sur la relation entre théâtre et
anthropologie, “Diogène, At the Margins of Theatre. On the Connection Between Theatre and Anthropology,
“Diogenes, Il Teatro come ‘attore’ del terzo sistema, in: “In Compagnia.
Materiali per la costruzione di un quadro di riferimento per lo sviluppo
dell’occupazione degli operatori artistici teatrali: il teatro quale strumento
di crescita sociale”, (relazione di ricerca), Emilia Romagna Teatro, Stampa
Tem, Modena, Dell’ascolto distratto e dell’attenta lettura. I versi di Campana
ripartoriti dalla voce di Carmelo Bene, (recensione), “L’indice”, Domande sul
presente di Manfredini, “La porta aperta”, Le bugie della scuola e quelle del
teatro, “Art’o”, Abbecedario della non-scuola del Teatro delle Albe, allegato a
“Lo straniero Arte Cultura Società, Il giullare fatto santo. Fo Dario fu
Francesco, “L’indice”, La settima volta di Riccardo terzo. Incontro con Claudio
Morganti (intervista), “La porta aperta”, Tragedie nella terra, verso il mare,
sotto il cielo. Incontro con Alfonso Santagata (intervista), in: S. Maggiorelli
(a cura di), Tragicamente. Il teatro di Alfonso Santagata, Titivillus ed.,
Corazzano (PI), Teatro a cielo aperto. Incontro con Alfonso Santagata in “La
porta aperta”, La fine dello spettatore, in: P. Giacchè (a cura di), Lo
spettatore e le visioni del teatro futuro, “Prove di Drammaturgia”, Entelechia
del Bene. Incontro con Carmelo Bene, “La porta aperta”, Il teatro fuori dai
teatri. Memorie di uno spettatore di provincia, in: F. Gentili (a cura di),
Teatri dell’Umbria. La storia, il gioco, la memoria, Octavo, Firenze, L’arte
dello spettatore, vedere i suoni e ascoltare le visioni, in: Città di Palermo –
Assessorato alle Politiche Educative, Arte del narrare, arte del convivere
(Atti del Convegno nazionale – Palermo Eliocopisteria “Milone”, Palermo, L’identità
dello spettatore. Un saggio di Antropologia Teatrale, “Etnostoria” L’art du
spectateur: voir les sons et écouter les visions, “Diogène”, The Art of
Spectator: Seeing Sounds and Haering Visions, “Diogenes”, Bene, attore della
cultura, “Lo Straniero Arte Cultura Società Lo spettatore del teatro e il
pubblico del rito, in: Cappelli, Lorenzoni (a cura di), La nave di Penelope.
Educazione, teatro, natura ed ecologia sociale. Testimonianze e proposte a
partire dai 20 anni di esperienze della Casa-Laboratorio di Cenci, Giunti ed.,
Firenze, Teatro prigioniero, in: M. Buscarino, Il teatro segreto, Leonardo
Arte, Milano, Il Sessantotto e il Teatro: un anno senza “stagione”, in: AA.VV.,
Rivelazioni e promesse del ’68, CUEC, Cagliari, Un anno senza “stagione”: il
’68 e il teatro, “Lo straniero Arte Cultura Società”, L’avventura finale di
Benigni (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Società Questa non è una
tragedia (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Società”, L’altra visione
dell’altro. Una equazione tra antropologia e teatro, L’Ancora del Mediterraneo,
Napoli, Perdere un amico, “Rivista di psicologia analitica”; Lo straniero. Arte
Cultura Scienza Società”, Perdere un amico. Ricordo di Bene) (ripubblicato in:
B. Massimilla (a cura di), La perdita. Lutti e trasformazioni, Vivarium ed..
Milano. Apparire alla Madonna, postfazione a: C. Bene, Sono apparso alla madonna.
Vie d’(h)eros(es). Autobiografia, Bompiani, Milano, L’identitè du spectateur.
Essai d’anthropologie théâtrale, “L’Ethnographie. Création, Pratiques, Publics Arrevuoto”:
il teatro in festa (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Società”, Un
Amleto di più (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Dar
corpo alla poesia: l’esempio e il metodo di Carmelo Bene, in: D. Scafoglio (a
cura di), La coscienza altra. Antropologia e poesia, Marlin ed., Cava de’
Tirreni (SA), Atti del Convegno di Studio “Antropologia e poesia”, organizzato
dall’Università di Salerno, Salerno-Ravello, Bene. Antropologia di una macchina
attoriale – nuova edizione aggiornata e ampliata, Bompiani ed., Milano,
Arrevuoto, n’ata vota (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza
Società”, Arrevuoto”: quando il teatro sospende la dittatura del mondo, in:
Teatro delle Albe, M. Martinelli – E. Montanari (curatori), Suburbia. Molti Ubu
in giro per il pianeta. Ubulibri, Milano, La verticalità e la sacralità
dell’atto, in: A. Attisani – M. Biagini (curatori), Opere e sentieri.
Testimonianze e riflessioni sull’arte come veicolo, Bulzoni ed., Roma, La
dernière Médée. Le mithe dans le
théâtre contemporain: un parcours à l’envers, Réécritures de Mèdée, (sous la
direction de N. Setti – Centre de Recherche en Etudes Féminines et Etudes de
genre, Université Paris 8), “Travaux et Documents”, Saldi di fine stagione, “Lo
Straniero. Arte Cultura Scienza SocietàTeatro: Romeo
all’Inferno, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Un soffio di teatro,
in AA.VV., In cammino con lo spettatore (Laggiù soffia – Era – In carne ed
ossa), (a cura di S. Geraci), La casa Usher, Firenze, De la consommation du
théâtre au théâtre dans la société de la consommation (nouvelle édition),
“Degrés. Revue de synthèse à
orientation sémiologique”,
L’effetLiving. Lavisiond’Artaudparles “Balinais” deNewYork,“Theatre/Public”
(L’avant- garde américaine et l’Europe / II. Impact), Le personnage public et
l’acteur privé (entretien avec Piergiorgio Giacchè pas Ciryl Béghin), “Théâtre
et Cinéma 2009. Marco Bellocchio, Carmelo Bene”, tome 20,
publié à l’occasion du 20e Festival à Bobigny, sous la direction de Dominique
Bax, Voler Bene al cinema, in “Bellaria 27” (catalogo di Bellaria Film
Festival, Lo straniero”, Fellini antropologo. Fra nostalgia e profezia, “Lo
Straniero. Arte Cultura Scienza SocietàLa nostalgia, merce per tutti, “Lo
Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, Bene Detto. Dispensa per Oratorio e
Laboratorio, (a cura di P. Giacchè, con interventi di C. Bene, B. Filippi, G.
Fofi, P. Giacchè, J.P. Manganaro, S. Pasello), L’arboreto – Teatro Dimora,
Mondaino, Il corpo dimenticato: Carmelo Bene, in: U. Birmaumer-M. Hüttler- Palma,
Corps du Théâtre – Il Corpo del Teatro, Hollitzer Wissenshaftsverlag/Verlag
Lehner, Wien (Austria), Los verbos transitivos del teatro. Mirar teatro, in: C.
Lisòn Tolosana (a cura di), Antropologìa: horizontes estéticos, Antrhropos
Émergence et submersion en Italie: le système théâtral et son double, “UBU
Scènes d’Europe- European stages” (numero: Emergence(s) dans le théâtre
européen – in European Theatre), Uomini e dei in un film francese (recensione),
“Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, L’antropologia del teatro e il
teatro della cultura, in Borghi – A. Borsari – G. Leoni (curatori), Il campo
della cultura a Modena. Storia, luoghi e sfera pubblica, Mimesis Edizioni,
Milano- Udine, Homo Videns. Quella TV che si guarda da sola, “L’altrapagina”,
Lo spettatore ospite, “Culture teatrali. Studi, interviste e scritture sullo
spettacolo”, n.20, Annuario (Teatri di Voce, a cura di L. Amara e P. Di
Matteo), La parabola dell’animazione teatrale, in: D. Pietrobono – R.
Sacchettini (curatori), Il teatro salvato dai ragazzini. Esperienze di crescita
attraverso l’arte, Edizioni dell’Asino, Roma, Non fare l’amore, in: T. Cots (a
cura di), Loving effects, Quodlibet ed., Macerata, (trad.inglese). Buttare il
bambino nell’acqua sporca, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno
XV, Les Menoventi et le Perithéâtre, in: C. Hurault – G. Banu (curatori),
Frontières liquides – territoires de l’art. Emergences de la scène
européenne, Editions Alternatives théâtrales / Union des Théâtres de l’Europe
(n. 9 hors série de la revue “Alternatives théâtrales”), Liquidité et/ou
verticalité, in: C. Hurault – G. Banu (curatori), Frontières liquides –
territoires de l’art. Emergences de la scène européenne, Editions Alternatives
théâtrales / Union des Théâtres de l’Europe (n. 9 hors série de la revue
“Alternatives théâtrales”), Le public est mort. Vive le Public! Sur la poétique
et la politique du mauvais spectateur, in: S. e J. Pop-Curseu – Maniutiu – L.
Pavel-Teutisan – D. Enyedi (curatori), Regards sur le mauvais spectateur –
Looking at the Bad Spectator, Presa Universitara Clujeana, Cluj-Napoca, Romania,
Barba e Carmelo Bene. Vite parallele e
viaggi perpendicolari, “Teatro e Storia”, a. XXVI, vol. IV nuova serie, Bulzoni
ed., (riedito in francese, traduzione di Cristina De Simone in: Les Voyages ou
l’ailleurs du théâtre. Hommage à Georges Banu (Essais et témoignages réunis par
Catherine Naugrette), Éditions Alternatives théâtrales – Sorbonne
Nouvelle-Paris, Il pubblico troppo emancipato, “Quaderni del Teatro di Roma”,
Espectador-Hòspede, “Revista Brasileira de Estudos da Presença”, Porto Alegre,
seer. ufrgs.br/presenca. Le public est mort. Vive le Public!, “Alternatives
théâtrales” (Le mauvais spectateur), Bruxelles, Le “Public” trop émancipé: vers
une poétique pauvre de la politique théâtrale, in: Le théâtre et ses publics.
La création partagée (Actes du 2° Colloque International du Projet Européen
PROSPERO - Liège, Les Solitaires Intempestifs Editions, Besançon, Teatro e
comunità, “Scena”, Sur Sieni, et surtout sur Virgilio. Trois exemples, in Sieni,
Trois Agoras Marseille. Art du geste dans la Méditerranée, Maschietto editore,
Firenze, Risposte o riposte. Cinque
lettere aperte su CB, “Prove di drammaturgia. Rivista di inchieste teatrali”,
Un Pinocchio letto per Bene, introduzione a: C. Bene, Pinocchio, Bompiani ed.,
Milano,Vers la verticalité du vers, Revue d’Histoire du Théâtre, (D’Après
Carmelo Bene. Actualité), Il combattimento tra la teoria e la poesia (dedicato
a Claudio Meldolesi), “Prove di drammaturgia. Rivista di inchieste teatrali”,
Il teatro piccolo, povero, nuovo, in: “L’Italia e le sue regioni. L’età
repubblicana, vol. IV Società (a cura di M. Salvati – Sciolla)”, Istituto
dell’Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, Abramo Printing,
Catanzaro, Carmelo selon Jean-Paul in: Croisement d’écritures France-Italie. Hommage à Jean-Paul (sous a
direction de Camille Dumoulié, Anne Robin et Luca Salza), éd. Mimésis,
Vêtements liturgiques et corps dévôts, in: Jean-Marie Pradier (sous la
direction de), La croyance et le corps. Esthétiques, corporeité des croyances
et identités (Actes du colloque d’ethnoscénologie, Paris), Presses
Universitaires de Bordeaux. Piergiorgio Giacchè. Giacchè. Keywords: l’altra
visione dell’altro, Clifton, religion and education, ego et tu. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giacchè: A Cliftonian
implicature” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Giacomo: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale degl’icona -- sensibile, imagine, presentazione,
rappresentazione, formante e formato, contentente e contenuto -- l’inspiegabile
– filosofia italiana – la scuola d’Avola – filosofia siracusese -- filosofia
siciliana – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Avola). Filosofo avolese. Filosofo siciliano. Filosofo
italiano. Avola, Siracusa, Sicilia. Studia estetica. Il rapporto tra estetica e
figura, immagine, rappresentazione. Si laurea sotto Garroni. Insegna a Parma e
Roma. Fonda la Società Italiana d'Estetica. Nell'affrontare il concetto di
‘immagine’ è necessario rifiutare sia l'interpretazione che vede una'immagine
come lo specchio di una cosa (“Fido”-Fido). E necessario rifiutare anche quella
interpretazione del concetto di ‘imagine’ che la considera esclusivamente come
un segno significante di se stesso. Il concetto di ‘rap-presentazione’ implica
qualcosa che si mostra e nel manifestarsi resta ‘altro' dalla ‘percivibilita’ della
rappresentazione stessa. Così, nel ‘presentare’ se stessa, una immagine
manifesta l'altro del perceptible, del rappresentabil. Quell'altro che si
rivela nel perceptibile, nascondendosi a esso. Ed è proprio così che una
immagine si fa un ‘icono’ di quello che e altro il perceptibile. Afferma la
tendenziale perdita di ‘figurativita’ di una immagine e del continuare a
sussistere dell'immagine stessa. Una immagine, infatti, è una segno e insieme
una non-segno. E il paradosso di una “irrealta reale”. Si riferisce al
tentativo di scindere la natura ancipite dell'immagine negli elementi che la
compongono. Da una parte in un “readymade” (come l’urinale di Duchamp), nel
quale la dimensione rap-presentativa si dissolve in una dimensione puramente
PRE-sentativa, e dall'altra in una pura immagine soggetiva, dotata di un debole
supporto materiale. Una immagine e una meta-immgine: l’immagine di una immagine
(homuncular regressus ad infinitum of Griceian theories of representation,
according to Cummings, but not Grice!). Di questo modo, una immagine non e
neppure propriamente immagini quanto piuttosto una ‘simul-azioni’, simile allo
imperceptibile, un “simul-acro”. Non a
caso una immagine, in quanto ri-produzione (doppia) ha uno scarso valore di
immagine, giacché quello a cui tende è l’assumere dell’ ‘aspetto’ di una cosa. L’immagine perde così quella connessione di ‘trasparenza’
o ‘opacità’ che caratterizza una immagine autentica. Di qui, appunto, la questione
di realizzare una immagine vera e propria. Troviamo il superamento della dimensione
epifanica che è propria dell'icona, dove appunto il perceptibile è il luogo di
mani-festazione di la cosa impercetibile – l’Assoluto di Bradley. Emerge una
concezione dell'immagine che, nella consapevolezza dell'impossibilità di ogni
pretesa di esaurire ‘il reale’ e insieme di ‘manifestare’ l'Assoluto, può
essere interrogata come testimonianza di quanto non si lascia ‘tradurre’
(translation) in immagine: testimoniare, infatti, è raccontare ciò che è
impossibile raccontare del tutto. In questo modo, la testimonianza fa tutt'uno *non*
con la memoria in quanto conformità con l'accaduto, ma con l’immemoriale -- qualcosa
che non possiamo né ricordare né dimenticare, che non è dicibile né indicibile.
Insomma, il testimone parla (spiega, dispiega) soltanto a partire da
l’impossibilità concettuale di spiegare o dispiegare. Che l'immagine valga
allora come testimonianza significa che il tentativo di dire l'indicibile (spiegare
l’inspiegabile) è un compito infinito. La questione dell'immagine è una
questione di fidanza, di etica. In una immagine, non essendoci alcuna
compiutezza, non si dà alcuna redenzione né alcuna pacificazione nel confronto
col reale. Analissare l’immagine come testimonianza equivale a vedere
l’immagine come il luogo di una tensione sempre irrisolta tra memoria e oblio, e
quindi come l'espressione del dover essere (il possibile) del senso in un
orizzonte, come l’attuale. quale sempre di più sia il mondo che l'arte sembrano
essere abbando il NON-senso. Altre opera: “Dalla logica all'estetica”
(Parma, Pratiche); Icona “L’immagine tra presentazione e rappresentazione” (Palermo,
Centro studi di estetica); Estetica e letteratura. Il grande romanzo tra
Ottocento e Novecento, Roma-Bari, Laterza. Introduzione a Paul Klee, Roma-Bari,
Laterza, "Ripensare le immagini", Mimesis, Milano, "Volti
della memoria", Mimesis, Milano, Narrazione e testimonianza. Quattro
scrittori italiani del Novecento, Milano, Mimesis, "Malevic. Pittura
e filosofia dall'Astrattismo al Minimalismo", Carocci, Roma, Fuori
dagli schemi. Estetica e figura dal Novecento a oggi, Laterza, Roma-Bari,
"Arte e modernità. Una guida filosofica", Carocci, Roma,
"Una pittura filosofica: l'informale", Mimesis, Milano, Nietzsche.
L'eterno ritorno", Alboversorio, Milano, Media e divulgazione Art and Perspicuous Perception in
Wittgenstein’s Philosophical Reflection, L’immagine-tempo da Warburg a Benjamin
e Adorno. Il saggio più importante per il rapporto tra estetica e letteratura è
Estetica e letteratura. Il grande romanzo tra Ottocento e Novecento, Laterza, Cf.
"Dalla logica all'estetica”, "Alle origini dell'opera d'arte
contemporanea" “Astrazione e astrazioni”, "La questione dell'aura tra Benjamin e
Adorno", Rivista di Estetica, “Volti della memoria”. Professore ordinario
di Estetica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza Università
di Roma e professore a contratto di Estetica presso stessa la Facol- tà. Sempre
presso la Facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza Università di Roma, è
stato membro del Collegio dei Docenti del Dottorato di Ricerca in “Filosofia e
Storia della filosofia” e Presidente del corso di laurea Magistrale in
“Filosofia e Storia della filosofia”. È socio fondatore e membro del Consiglio
di Garanzia della Società Italiana d’Estetica (SIE). È direttore della collana
Figure dell’estetica presso l’editore Albover- sorio (Milano) e della collana
Forme del possibile, presso l’editore Mimesis (Milano); fa parte del Comitato
scientifico della rivista Paradigmi, della rivista Studi di estetica, della
Rivista di estetica, della rivista Estetica. Studi e ricerche, della rivista
Compren- dre. Revista catalana de filosofia, della rivista on line Memoria di
Shakespeare. A Jour- nal of Shakespearean Studies e di Aesthetica Preprint,
collana editoriale del Centro In- ternazionale Studi di Estetica. Fa parte
inoltre del Comitato scientifico delle seguenti collane editoriali: Filosofie
(Mimesis, Milano), Caffè dei filosofi (Mimesis, Milano), Eterotopie (Mimesis,
Milano). È stato Coordinatore nazionale dell’Osservatorio di Storia dell’Arte
della Società Ita- liana di Estetica e coordinatore, di numerose Ricerche di
Ateneo dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza” relative a diverse
tematiche filosofi- che, estetiche e artistiche. E’ stato inoltre responsabile
di diversi progetti PRIN. Direttore del Museo Laboratorio di Arte Contem-
poranea (MLAC) della Sapienza Università di Roma. Come Direttore del Museo
Labo- ratorio di Arte Contemporanea della Sapienza Università di Roma, ha
ideato e coordina- to, in collaborazione con la Galleria Nazionale d'Arte
Moderna di Roma e con il Teatro Argentina di Roma, numerose iniziative di
carattere seminariale aventi per oggetto la filosofia, la letteratura, la
musica, le arti figurative, il teatro. Collabora con il Teatro Eliseo
all'interno del quale tiene una serie di conferenze e organizza seminari sul
teatro, la musica, la letteratura e le arti visive. Collabora inoltre con la
Fondazione Pri- moli di Roma e con il Museo Andersen (Polo Museale del Lazio).
Tra le sue pubblicazioni: Dalla logica all’estetica. Un saggio intorno a
Wittgenstein (Parma); Icona e arte astratta. La questione dell’immagine tra
presentazione e rappresentazione (Palermo); Estetica e letteratura. Il grande
romanzo tra Otto- cento e Novecento (Roma-Bari, 1999; trad. in lingua spagnola
a cura di D. Malquori, Estética y literatura, Universidad de Valencia, Servicio
de Publicaciones); Introduzione a Paul Klee (Roma-Bari); Alle origini
dell’opera d’arte contemporanea (Roma-Bari); Beckett ultimo atto (Milano),
Ripensare le immagini (Milano); Astrazione e astrazioni (Milano); L’oggetto
nella pratica artistica, (Paradigmi), Il Museo oggi (Studi di Estetica), Aura
(Rivista di Estetica), Malevič. Pittura e filosofia dall’Astrattismo al
Minimalismo (Roma), Fuori dagli schemi. Estetica e arti figurative dal
Novecento a oggi (Roma-Bari, 2015; trad. in lingua spagnola a cura di Juan
Antonio Méndez, Al margen de los esquemas. Estética y artes figurativas
desde principios del siglo XX a nuestros dìas, La balsa de la Medusa, Madrid),
Filosofia e teatro (Paradigmi), Tra il sensibile e le arti. Trent’anni di estetica (Studi di Estetica), Tra arte
e vita. Percorsi fra testi, immagini, suoni (Milano), Arte e modernità. Una
guida filosofica (Roma), Una pittura filosofica. Tàpies e l'informale (Milano),
Nietzsche e l’eterno ritorno (Milano). Partecipa a progetti di ricerca
internazionali e a progetti di ricerca europei. Ha svolto attività didattica e
di ricerca (tenendo conferenze, lezioni e seminari, partecipando a convegni di
studio e svolgendo attività didattica anche in qualità di correlatore o tutor
di tesi di laurea e di Dottorato) presso importanti istituzioni straniere sia
accademi- che che extra-accademiche, in Spagna, Russia e Messico: Facultat de
Filosofia, Universitat de Barcelona; Facultat de Pedagogia, Universitat de
Barcelona; Facultat de Filosofia, Universitat “Ramon Llull”, Barcelona;
Societat Catalana de Filosofia, Institut d’Estudis Catalans; Ateneu de Vic;
Ateneu de Barcelona; Associació Filosòfica de les Illes Balears, Mallorca;
Facultat de Filosofia i Lletres, Universitat de les Illes Balears, Mallorca;
Facultat de Filosofia i Ciències de l’educació, Universitat de València;
Facultad de Filosofía, Universidad Complutense de Madrid; Istituto di studi
post-universitari “SS. Cirillo e Metodio”, Mosca; Russian Christian Academy for
the Humanities, S. Pietroburgo; “Peter the Great” St. Petersburg Polytechnic
University, S. Pietroburgo; Producciòn Artìstica Contemporànea Coloquio (PAC),
Centro Cultural San Pablo, Ciudad de Oaxaca, Messico. Nietzsche e l’eterno
ritorno, Commentario a F. Nietzsche, L’eterno ritorno, Al- boversorio, Milano,
Arte e modernità. Una guida filosofica, Carocci, Roma, Una pittura filosofica.
Antoni Tàpies e l'informale, Mimesis, Milano, Fuori dagli schemi. Estetica e arti figurative dal
Novecento a oggi, Laterza, Roma-Bari, Méndez, Al margen de los esquemas.
Estética y artes figurativas desde principios del siglo XX a nuestros dìas, La
balsa de la Medusa, Madrid, Malevič. Pittura
e filosofia dall’Astrattismo al Minimalismo, Carocci, Roma, Narrazione e
testimonianza. Quattro scrittori italiani del Novecento, Mimesis, Milano,
Introduzione a Paul Klee, Laterza, Roma-Bari, Estetica e letteratura. Il grande
romanzo tra Ottocento e Novecento, Laterza, Roma-Bari (quinta ed.; trad. in
lingua spagnola a cura di D. Mal- quori, Estética y literatura, Universidad de
Va-lencia, Servicio de Publicaciones, Icona e arte astratta. La questione
dell'immagine tra presentazione e rappresen- tazione, «Aesthetica Preprint»,
Palermo, Dalla logica all'estetica. Un saggio intorno a Wittgenstein, Pratiche,
Parma, G., L. Talarico (a cura di), Letture shakespeariane. Otello e Re Lear,
«Studi di Estetica, Marchetti (a cura di), Contemporaneo. Arti visive, musica,
architettura, «Rivista di Estetica», G. (a cura di), Tra arte e vita. Percorsi
fra testi, immagini, suoni, Mimesis, Milano, Giacomo, L. Talarico (a cura di),
Filosofia e teatro. Amleto e Macbeth, «Paradigmi, Marchetti (a cura di), Tra il
sensibile e le arti. Trent’anni di estetica, «Studi di Estetica, Marchetti (a
cura di), Aura, «Rivista di Estetica. G., A. Valentini (a cura di), Il museo
oggi, «Studi di Estetica», Volti della memoria, Mimesis, Milano, G. (a cura
di), Astrazione e astrazioni. In occasione di una mostra di Gualtiero Savelli,
Alboversorio, Milano, Marchetti, L'oggetto nella pratica artistica, «Pa-
radigmi», Angeli, Milano, G. Ripensare le immagini, Mimesis, Milano, G. e Colombo,
Beckett ultimo atto, Albo Versorio, Milano, G. Zambianchi (a cura di), Alle
origini dell'opera d'arte con- temporanea, Laterza, Roma-Bari, Introduzione a
D. Malquori, L’incomprensibile ambiguità dell’orizzonte. Un so- gno fatto a
Ginostra, Mimesis, Milano, collana Narrativa Mele d’Oro, Il problema della
forma nella Teoria estetica di Adorno, in M. Manicone (a cura di), Sostanza di
cose sperate. Scritti in onore di Franco Purini, Iiriti Editore, Campo Calabro
(RC) Re Lear. “Essere maturi” in un mondo abbandonato alla cecità e alla
follia, in G. e Talarico, Letture shakespeariane. Otello e Re Lear”, Studi di
Estetica», Otello: la tragedia della parola e il ruolo della narrazione, in G.
e Talarico, Letture shakespeariane. Otello e Re Lear”, «Studi di Estetica», Dostoevsky, a
writer and philosopher: “The Grand Inquisitor”, in “ACTA ERU- DITORUM”, Publishing house of the Russian Christian
Academy for the Humanities, Tradició i innovació en l’art, in “La Tradició”,
Col-loquis de Vic, Societat Catalana de Filosofia, Institut d’Estudis Catalans,
Understanding of the image in Plato, PLATO AND ANCIENT SCIENCE, Collection of
materials of CONFERENCE THE UNIVERSE OF PLATONIC THOUGHT», RUSSIAN CHRISTIAN
ACADEMY FOR HUMANITIES, Saint Petersburg, Appendice alla rivista di Fascia A
(in Russia “VAK”) “Vestnik” della RUSSIAN CHRISTIAN ACADEMY FOR HUMANI- TIES. Redattori: Svetlov R. V., Robinson T. M. (Canada),
Protopopova I. A., Mochalo- va I. N., Kurdybajlo D. S., Shmonin D. V., Alymova
Form, appearance, testimony: reflections on Adorno’s Aesthetics, in Matteucci,
Marino (a cura di), Theodor W. Adorno: Truth and Dialectical Experience /
Verità ed esperienza dialettica, “Discipline filosofiche”, Quodlibet, Macerata,
Tàpies e Bill Viola: un'arte che sopravvive alla mercificazione, in G., L.
Marchetti, Contemporaneo. Arti visive, musica, architettura, “Rivista di
Estetica, Composizione, costruzione, icona nella concezione artistica di Pavel
Florenskij, in D. Guastini, A. Ardovino, I percorsi dell'immaginazione. Studi
in onore di Pietro Montani, Pellegrini Editore, Cosenza, Prefazione a A.
Lanzetta, Opaco mediterraneo. Modernità informale, Libria, Foggia, Reflexions
filosòfiques sobre la festa. Entre temporalitat i eternitat, in “La festa”,
Col-loquis de Vic, Societat Catalana de Filosofia, The Myth. Aesthetic surgery clearly
demonstrates what Greek myth has already taught us: beauty stems from horror,
in Gandola, P. Persichetti (a cura di), Art of Blade. A book about surgery and humanity, T.A.M. La guerra i
l'art, in La guerra, Col-loquis de Vic, Societat Catalana de Filosofia, Arte e
vita nella Recherche di Marcel Proust, in G., Tra arte e vita. Percorsi fra
testi, immagini, suoni, Mimesis, Milano, Lettura dell’Amleto, in G. Di Giacomo,
L. Talarico (a cura di), Filosofia e teatro. Amleto e Macbeth, «Paradigmi»,
Lettura del Macbeth, in G., L. Talarico (a cura di), Filosofia e teatro. Amleto
e Macbeth, «Paradigmi», Arte, linguaggio e rappresentazione nella riflessione
filosofica di Wittgenstein in Comprendre. Revista Catalana de Filosofia, Icona
e immagine, in G. Bordi, J. Carlettini, M.L. Fobelli, M.R. Menna, P. Poglia- ni,
L'officina dello sguardo. Scritti in onore di Maria Andaloro, Gangemi, Roma, El
poder i les seves representacions, in L'estat, Colloquis de Vic., Dalla
modernità alla contemporaneità: l’opera al di là dell’oggetto, in G., L.
Marchetti (a cura di), Tra il sensibile e le arti. Trent’anni di estetica,
Studi di Estetica Entre la paraula i el silenci: la filosofia com a recerca de
la veritat, prefaci a Bosch-Veciana, "Imatge-Mirada-Paraula",
Barcelona,Facultat de Filosofia, L’immagine artistica tra realtà e possibilità,
tra “visibile” e “visivo”, in P. D’Angelo, E. Franzini, G. Lombardo, S.
Tedesco, Costellazioni estetiche. Dalla storia alla neoestetica. Studi in onore
di Luigi Russo, Guerini e Associati, Milano, La questione dell'aura tra
Benjamin e Adorno, in «Rivista di Estetica»,
Pizzuto: tra letteratura e filosofia, in D. Perrone (a cura di), La vera
novità ha nome Pizzuto, Bonanno, Catania, Bellezza e chirurgia estetica, in
Studi di Estetica Il paradosso dell'apparenza nel teatro di Genet, in
«Comprendre. Revista Catalana de Filosofia La qüestió de la imatge a partir del
debat sobre la icona, in «Colloquis de Vic», Societat Catalana de Filosofia, Art
and Perspicuous Vision in Wittgenstein's Philosophical Reflection, in
“Aisthe- sis. Pratiche, linguaggi e saperi dell’estetico”, fu press.net/
index. php/aisthesis/ article
L'opera di Kafka come narrazione
infinita, inValentini, Il silenzio delle Sire- ne. Mito e letteratura in Kafka,
Mimesis, Milano, Lo statuto paradossale del museo tra globalizzazione e
apertura all'alterità, in «Studi di Estetica», Il Museo oggi, G. e Valentini,
Memoria e testimonianza tra estetica ed etica, in Volti della memoria, a cura
di G. Mimesis, Milano, La idea d'Europa entre la cosciència de l'ocàs i
l'obertura a l'altre, in Europa, in J. Monserrat, I. Roviró, B. Torres,
Societat Catalana de Filosofia, Barcelona, Atti del convegno, Colloquis de Vic,
Arte e mondo. A proposito di alcune riflessioni di Huberman su Brecht, in
Guastini, A. Campo, D. Cecchi Alla fine delle cose. Contributi a una storia
critica delle immagini, La Casa Usher, Firenze, Intervista sulla bellezza, in
Scuderi N. (a cura di), A me la mela. Dialoghi su bellezza, chirurgia plastica
e medicina estetica, Franco Angeli, Milano, La produzione artistica
contemporanea attraverso la riflessione di Benjamin e Adorno, in «Studi di
Estetica», La relaciò entre imatge i temporalitat en la reflexiò de Warburg,
Benjamin i Adorno, in I. Rovirò Alemany, Estètica catalana, estètica euro- pea.
Estudis d’estètica: entre la tradiciò i l’actualitat, Barcelona,
L’immagine-tempo da Warburg a Benjamin e Adorno, in “Aisthesis. Prati- che,
linguaggi e saperi dell’estetico”, fu press.net index.php/aisthesis/ article/view
Arte e realtà nella produzione artistica del Novecento, in G., L. Marchetti, L’oggetto
nella pratica artistica, Paradigmi Angelini, Milano,Il percorso di Gualtiero
Savelli: dall'astrattismo di Malevič e Mondrian all'astrazione geometrica, in
G. Di Giacomo (a cura di), Astrazione e astra- zioni. In occasione di una
mostra di Savelli, AlboVersorio, Milano, La bellezza. Promessa di Immortalità?,
in “Medic. Metodologia Didattica e Innovazione Clinica”, Ripensare l'aura nella
modernità, in L. Russo (a cura di), Dopo l'Estetica, «Aesthetica Preprint»,
Supplementa, Palermo, Il male oggi. Produzioni artistiche e riflessioni
estetiche, in P. D'Oriano, D. Rocchi (a cura di), Il male e l'essere, Mimesis,
Milano, Arte e moda nella riflessione estetica di Adorno, in P. Romani,
Percorsi teo- retici. Scritti in onore e in memoria di P.M. Toesca, Diabasis,
Reggio Emilia, Forma e riflessione nel romanzo moderno, Fusillo, Philosophie du
roman, Revue Internationale de Philosophie, Meyer, Bruxelles, Il silenzio, il
vuoto e la fine della rappresentazione, in G. e Colombo, Beckett ultimo atto,
Albo Versorio, Milano, Immagine, icona, opera d'arte, in Desideri, G.
Matteucci, J.M. Schaeffer (a cura di), Il fatto estetico. Tra emozione e
cognizione, ETS, Pisa, La questione del rapporto arte-forma nella riflessione
di Prinzhorn sulle "Produzioni plastiche" dei malati mentali,
Prefazione a F. Bassan, Al di là della psichiatria e dell'estetica. Studio su
Hans Prinzhorn, Lithos, Roma, La questione dell'immagine nella riflessione
estetica del Novecento, in G. Di Giacomo (a cura di), Ripensare le immagini,
Mimesis, Milano, Le Mal aujourd'hui. Productions artistiques et rèflexions
esthètiques, in «La règle du jeu», Adorno: arte ed estetica dopo Auschwitz, in
Failla, Dialettica negativa: categorie e contesti, Manifesto libri, Roma, C'è
ancora spazio per l'aura nella scultura contemporanea? A proposito di Mainolfi,
in Luca (a cura di), Intorno all'immagine, Mimesis, Milano, Postfazione, in G.
e Zambianchi Alle origini dell'opera d'arte contemporanea, Laterza, Roma-Bari,
Ferrari ed Garroni: un incontro, in Romano, M. Romanini, S. Tauriello (a cura
di), La metafora nella relazione analitica, Mi- mesis, Milano, Modernitat,
Societat Catalana de Filosofia, Barcellona, Modernità e arte, in J. Monserrat
Molas, I. Roviró Alemany (a cura di), La [Atti del convegno, Colloquis de Vic,
Dal cosmo al caos: la pittura di Paola Romano, in Paola Romano, Catalogo della
Mostra, Print Company, Roma, Ironia e romanzo, in P. F. Pieri (a cura di),
Perché si ride. Umorismo, comicità, ironia, Moretti et Vitali, Bergamo, La
connessione arte-moda nella riflessione estetica del Novecento, Almanacco
Odradek Arte, storia dell'arte e beni culturali, in Goldoni, M. Rispoli, R.
Troncon, Estetica e management nei beni e nelle produzioni culturali, Il
Brennero - Der Brenner, Bolzano - Trento - Vienna, Da Nietzsche a Benjamin:
riflessioni sulla metropoli e dialettica del risveglio, in Colombo, Fictions.
Studi sulla narratività, Il Tintoretto di Sartre, tra presentazione e
rappresentazione, in Farina, Bollettino Studi sartriani. Gruppo ricerca Sartre,
Toesca: il rovesciamento della prospettiva, ovvero il doppio sguardo, in
«Eupolis» Sul corpo. Riflessioni filosofiche e psicoanalitiche, Eupolis, Vedere
e vedere-come: le "Osservazioni sulla filosofia della psicologia" di
Ludwig Wittgenstein, in S. Borutti, L. Perissinotto, Il terreno del linguaggio.
Testimonianze e saggi sulla filosofia di Wittgenstein, Carocci, Roma, La poesia
dopo Auschwitz, Eupolis, Sul rapporto arte-vita a partire dalla Teoria estetica
di Adorno, in «Idee», Visione, forma e contenuto in Arnheim e Wittgenstein, in Pizzo
Russo (cur.), Arnheim. Arte e percezione visiva, Aesthetica Preprint»,
Supplementa, Palermo, Arte e rappresentazione nella "Teoria estetica"
di Adorno, Cultura tedesca, Le idee estetiche di Stendhal, in Colesanti,
Jacquelot, Norci Cagiano, A. M. Scaiola, Beyle "Romano, Edizioni di Storia
e Letteratura, Roma, Rappresentazione e memoria in Aby Warburg, in C. Cieri
Via, Montani, Lo sguardo di Giano. Aby Warburg fra tempo e memoria, Aragno,
Torino, Il problema della rappresentazione in Gombrich e Goodman, in «Studi di
estetica», Il tema della bellezza nel romanzo moderno, in F. Sisinni (a cura
di), Riflessioni sulla bellezza, De Luca, Roma, Le nozioni di famiglia, classe,
individuo nella riflessione estetica di Morpurgo-Tagliabue, in Russo, Morpurgo-Tagliabue
e l'estetica Aesthetica Preprint», Palermo, Sguardo, simbolo, mito. Viaggio in
un museo immaginario, in Baruchello, Cosa guardano le statue, Danilo Montinari
Editore, Ravenna, Comprensione e rappresentazione in Wittgenstein, in «Il cannocchiale»,
Sulla rappresentazione, in Cao, Catucci, Spazi e maschere dell'architettura e
della metropoli, Meltemi, Roma, Eros come narrazione nella Ricerca del tempo
perduto di Proust, Almanacchi nuovi, Il Secondo Concilio di Nicea e il problema
dell'immagine, in L. Russo (cur.), Nicea e la civiltà dell'immagine, Aesthetica
Preprint, Palermo, Genet e il paradosso dell'immagine, in Montani (cur.), Senso
e storia dell'estetica. Studi offerti a Emilio Garroni in occasione del suo
set- tantesimo compleanno, Pratiche, Parma, Etica ed estetica nella filosofia
del giovane Lukács, Introduzione a G. Lukács, Teoria del romanzo, Pratiche,
Parma, Realtà e Finzione in "Dissonanzen-Quartett" di Garroni, La
ragione possibile, Il comportamento cognitivo dell'uomo nell'epistemologia
evoluzionistica di Popper, in «Terzo Mondo», L'epistemologia di Mach fra
positivismo e costruttivismo, Lineamenti, Senso e significato nella filosofia
del linguaggio di Wittgenstein, in Gargani, Il Circolo di Vienna, Longo,
Ravenna, La nozione d’uso e la funzione della filosofia in Wittgenstein, in
Gargani, Wittgenstein e la cultura contemporanea, Longo, Ravenna, Implicazioni
e aspetti epistemologici della sociobiologia, in M. Ingrosso, S. Manghi, V.
Parisi (cur.), Sociologia possibile, Angeli, Milano, Natura e cultura: il
rapporto tra strutture genetiche e processi di apprendimento nel comportamento
animale e umano, in AA. VV. (a cura di), L'osservazione del comportamento
sociale, Regione Piemonte, Torino,PROGETTI DI RICERCA - Progetto PRIN Tema: La
forma dell’immagine Ente promotore: MIUR Progetto PRIN Responsabile Tema:
Estetica analitica ed estetica continentale: problemi, prospettive e tradizioni
a confronto Ente promotore: MIUR Progetto PRIN / Responsabile nazionale e
Coordinatore dell’unità locale Tema: Memoria e rappresentazione nella
riflessione filosofica e artistica Ente promotore: MIUR Coordinatore dei
Progetti di Ateneo: Progetto di Ateneo: Immagine e rappresentazione. Problemi
estetici, artistici e storici Ente promotore: Università di Roma "La
Sapienza Progetto di Ateneo: Significati e usi delle immagini nella cultura
dell'Otto- Novecento - Ente promotore: Università di Roma "La Sapienza Progetto
di Ateneo: Significati e usi delle immagini nella cultura dell'Otto- Novecento
- Ente promotore: Università di Roma "La Sapienza Progetto di Ateneo:
Significati e usi delle immagini nella cultura dell'Otto- Novecento - Ente
promotore: Università di Roma "La Sapienza Progetto di Ateneo: Memoria e
testimonianza nella riflessione filosofica e artisti- ca del Novecento - Ente
promotore: Roma Progetto di Ateneo: Memoria e testimonianza nella riflessione
filosofica, storica e artistica - Ente promotore: Università di Roma "La
Sapienza" Progetto di Ateneo: Rappresentazione, memoria e testimonianza
nella riflessione filosofica e artistica - Ente promotore: Roma Progetto di Ateneo: La questione arte-vita
nella società multiculturale. Identità, immagine e implicazioni etico-politiche
- Ente promotore: Università di Roma “La Sapienza; - Progetto di Ateneo: Il
tema dell'"Annunciazione" come chiave di lettura degli at- tuali
processi di globalizzazione Ente promotore: Roma Progetto di Ateneo: Memoria e
rappresentazione nella riflessione estetica e arti- stica Ente promotore: AST -
Università di Roma "La Sapienza" Progetto di Ateneo: Evento e
testimonianza nell'estetica del Novecento Ente promotore: AST - Università di
Roma "La Sapienza" Progetto di Ateneo: Il problema dell'aura
nell'arte contemporanea Ente promoto- re: AST - Università di Roma "La
Sapienza" Coordinatore dei Seminari dell’Osservatorio di Storia dell’Arte
della Società Italiana di Estetica, presso la Facoltà di Filosofia
dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza” - Seminario sul tema Estetica
e storia dell’arte: necessità di un dialogo; Seminario sul tema Fine (della
storia) dell'arte?; - Seminario sul tema Arte, Estetica, Visual
Studies;Seminario sul tema Oggetto artistico e oggetto comune; Seminario sul
tema Leggere l'opera d'arte; Seminario sul tema Ancora l’aura oggi? Seminario
sul tema Che cos’è il museo oggi? Cfr. inoltre: - Sito ufficiale: giuseppe di
giacomo. wikipedia. org/ wiki/
Giuseppe _Di_Giacomo; fr. wikipedia. org/ wiki/ Giuseppe_ Di_Giacomo wikipedia.
org/ wiki/ Giuseppe _Di_Giacomo //de.
wikipedia. org/ wiki/ Giuseppe _Di_ Giacomo //ca. wikipedia. org/ wiki/ Giuseppe _Di_ Giacomo
ROMANTIC PAINTERS and playwrights of the nineteenth century found rich material
in the lives of the old masters. Fueled by irresistible half-truths and rumors, they
created swashbuckling narratives about the personal intimacies and rivalries,
as well as the career failures and triumphs, of the Italian Renaissance
artists. At the Paris Salon of 1843, for instance, Léon Cogniet unveiled his
grand entry, a large canvas depicting Tintoretto painting a portrait of his
beloved daughter Marietta, who lies on her death bed. Three years later, the
painter and playwright Luigi Marta published a melodrama about an amorous
intrigue that supposedly led to the death of Marietta, who assisted her father
as an artist in his workshop. The six-episode play reads like a soap opera in
which the aristocratic Alfredo is pitted against Marietta’s true love, Valerio
Zuccato, a Venetian mosaicist (and thus, in Tintoretto’s world, a fellow
craftsman). The play circles around the inevitable showdown between the
arrogant count and the sincere artist, which precipitates Marietta’s death at
the hands of the entitled, privileged, and violent Alfredo. Parallel to
this love story, the reader is regaled with the homosocial rivalry between
Tintoretto and Titian, with Paolo Veronese appearing as an intercessor who
mediates a grandiloquent reconciliation scene in which all three masters unite
to defend the honor of the Venetian state. The narrative unfolds against
Tintoretto’s commission for the Last Judgment (1562–64) in Santa Maria
dell’Orto. Marta’s artist was thus, in no uncertain terms, a struggling genius
waiting for recognition from his fellow artists even at the height of his
success. Indeed, the episode concludes with Titian’s transformative
endorsement—Ora non siete più il povero Tintoretto, ma bensì il famoso Giacomo
Robusti (“now you are no longer the poor ‘son of a dyer,’ but the famous Jacopo
Robusti”).1 Loosely based on actual historical personages, the tale is
almost entirely fantasy. Such theatrical characterizations are nevertheless of
great importance, for they help give legends the veneer of history. Giorgio
Vasari’s sixteenth-century notices about Tintoretto, as well as, in the
seventeenth century, Carlo Ridolfi’s biography and Marco Boschini’s various
writings on the artist, were the primary sources for many of these tasty
morsels, and while scholars have tried to sift fiction from reality, some myths
are just too delectable to give up. We still hear repeated, for instance, the
unfounded story that the young Tintoretto was kicked out of Titian’s studio.
It’s not entirely impossible, but there isn’t a shred of solid evidence to
confirm the tale (any more than Ridolfi’s allegation that Tintoretto dressed
Marietta up as a boy so that father and daughter could wander the city streets
unimpeded by society’s strict gender expectations). The image of
Tintoretto-as-rebel would culminate in Jean-Paul Sartre’s essay “The Prisoner
of Venice”(1964), where the artist is reinvented as an existentialist hero, a
lone wolf fighting against the stultifying rules of the system: Fate has
decreed that Jacopo unwittingly expose an age which refuses to recognize
itself. Now we understand the meaning of his destiny and the secret of Venetian
malice. Tintoretto displeases everyone: patricians because he reveals to them
the puritanism and fanciful agitation of the bourgeoisie; artisans because he
destroys the corporate order and reveals, under their apparent professional
solidarity, the rumblings of hate and rivalry; patriots because the frenzied
state of painting and the absence of God discloses to them, under his brush, an
absurd and unpredictable world in which anything can occur, even the death of
Venice.2 At the other end of the spectrum, this leitmotif is perhaps best
played out for comic effect in Woody Allen’s Everyone Says I Love You, in which
a skirt-chaser (Allen) is overheard in the so-called Tintoretto Museum (really
the Scuola Grande di San Rocco) in Venice trying to impress a Tintoretto
enthusiast (Julia Roberts) by lauding the artist’s immense genius for painting
“outside the academic convention of sixteenth-century Venice.”
Sometimes myths are just too powerful, and the Tintoretto myth is an
extremely appealing one for modern tastes, especially in the celebratory year
marking the fifth centenary of the artist’s birth. Tintoretto’s anniversary has
been staged as a magnificent international banquet. The festivities began last
autumn in Venice with exhibitions at the Palazzo Ducale(“Tintoretto: Artist of
Renaissance Venice”) and the Gallerie dell’Accademia (“The Young Tintoretto”),
as well as an excellent little show at the Scuola Grande di San Marco (“Art,
Faith, and Medicine in Tintoretto’s Venice”). New York, in the fall, offered
“Drawing in Tintoretto’s Venice” at the Morgan Library et Museum and
“Celebrating Tintoretto: Portrait Paintings and Studio Drawings” at the
Metropolitan Museum of Art. The fete continues at the National Gallery of
Art in Washington, D.C., where slightly adapted versions of the Palazzo Ducale
and Morgan Library exhibitions go on view this month, fortified by a third
independent show called “Venetian Prints in the Time of Tintoretto.” This is a
once-in-a-lifetime opportunity for audiences in America to see some one hundred
and seventy artworks by Tintoretto and other Venetian Renaissance artists,
painstakingly gathered by art historians Echols and FIlchman (who organized the
show at the Palazzo Ducale),along with curators Marciari (of the Morgan) and
Bober (of the National Gallery). Fans of the artist and of painting in general
should take note. IT’S HARD NOT TO get swept up in all the unbridled
Tintoretto worship, but this celebration also provides us an opportunity to
revisit the man, the myth, the legacy, and above all, the work. To start with
the biographical elements: Tintoretto was hardly seen as a pitiful “poor dyer’s
son” in the eyes of his fellow Renaissance artists, nor as a maverick who
“displeases everyone.” When speaking about Titian vs. Tintoretto, one must take
into account a few historical particulars. For instance, the year after Titian
installed the magnificent Assumption of the Virgin in Santa Maria Gloriosa dei
Frari, Tintoretto’s only achievement was to be born. Two years before
Tintoretto’s first self-portrait (with which all Tintoretto exhibitions seem
compelled to begin), Titian was called to Rome by Pope Paul III; he was
practically a court painter to the Habsburgs, while Tintoretto was painting
acres of canvas to fill the walls at the Chiesa della Madonna dell’Orto, the
Scuola Grande di San Rocco, and the Scuola Grande di San Marco in Venice;
Titian died during the plague, and a conflagration devastated the Palazzo
Ducale, destroying many of his paintings there, some of which would be replaced
with works by Tintoretto and his assistants. While there was probably no love
between the two men of the kind that nineteenth-century dramatists might dream
up, their careers ran parallel to each other rather than in constant
antagonistic competition. Many romantic myths are dispelled in the
scholarship that went into the exhibitions and the catalogue essays, but the
melodrama of this rivalry still sneaks into sections such as “The Mantle of
Titian,” which, at the Palazzo Ducale, was called “Dopo Tiziano” thereby
underlining both chronological priority as well as influence. The paintings
Tintoretto did afterTitian’s death — large, powerful mythological pictures such
as the Forge of Vulcan and the Origin of the Milky Way — are spectacular, but
why filter these achievements once more through Titian? And why not have,
instead, a section labeled “Dopo Tintoretto,” which would include El Greco, the
Carracci, Caravaggio, and a host of other artists from the past five centuries who
found inspiration in his stark chiaroscuro, raking perspective, extreme foreshortening,
airborne saints, psychologically charged portraits, barefoot worshippers,
elaborate banquet scenes, wraithlike angels and spirits, and busted-out straw
chairs? The oft-repeated trope that Tintoretto was an outsider also
willfully overlooks his obvious status as a complete insider, born in Venice
and fully embedded in its institutions from birth. Titian and Veronese, in
contrast, were both provincials (practically foreigners by Renaissance
standards), who came from the hills and plains beyond the lagoon. While a
questionable seventeenth-century account suggested an aristocratic lineage for
the Robusti family, more recent studies have emphasized instead the artist’s
“working class” origins. The truth is somewhere in between. Stefania Mason’s essay
“Tintoretto the Venetian,” from the catalogue that accompanies “Tintoretto:
Artist of Renaissance Venice,” goes a long way to contextualize the precise
socioeconomic conditions of the son of a Renaissance dyer or—to be more
accurate—the son of a manager of a dye works married to a “well-born woman.”
The Robusti were not wealthy by any means, but they were comfortable enough to
give Tintoretto a basic education that enabled him later in life to befriend
the circle of writers and intellectuals known as the poligrafi, including the
notorious satirist Pietro Aretino (a friend of Titian and an early supporter of
Tintoretto). Like his father, Tintoretto married up. His father-in-law,
Episcopi, not only belonged to an influential family of Venetian cittadini, he
was also the guardian of the Scuola Grande di San Marco, where Tintoretto—two
years before his marriage—painted his finest early work, Miracle of the Slave.
The scene features St. Mark swooping in headfirst from the sky to protect a
slave from being martyred for his faith. Current viewers need not be
intimidated by the religious matter of the vast majority of Tintoretto’s
pictures—they are gripping visual tales of life and death. According to
seventeenth-century artist and critic Marco Boschini, one beholder of
Tintoretto’s St. Mark cycle reported: “The terror makes me faint, and the piety
liquefies my heart in such a manner that I lose heart and melt like wax and
feel completely mad!”3 As much “Game of Thrones” as Catholic doctrine in
pictures, these works were meant to move, delight, and instruct their audience.
Indeed, one cannot help but feel that if Tintoretto were alive today, he would
be an unapologetic fan of action films and special effects. Looking at Miracle,
with its explosive light and tense shadows, its superhuman heroes and racially
profiled villains, and its meticulous staging of powerful, muscular, controlled
bodies, one might think he invented the genre. No wonder Boschini described him
as a thunderbolt and the cannons of a ship. Unfortunately, Miracle of the
Slave has not been allowed to cross the Atlantic. Audiences in D.C. can,
however, marvel at the luminous Saint Augustine Healing the Lame and the always
pleasing Creation of the Animals, which Deleuze describes as an image of God as
a referee at the start of a handicapped race, in which the birds and the fish
leave first, while the dog, the rabbits, the cow, and the unicorn await their
turn. While Miracle has been in the possession of the Gallerie dell’Accademia
for many decades now, seeing it anew, rehung next to the diminutive bronze
relief of the same subject by the Florentine sculptor Jacopo Sansovino, was one
of the highlights of the “Young Tintoretto”exhibition. With the works placed
next to each other in a darkened room, the similarities and differences were
enlightening. Designed and executed between 1541 and 1546 for the north tribune
of the choir at the Basilica di San Marco, Sansovino’s glowing bronze panel
reduces the scene to a compact, tactile, monochromatic field of chiaroscuro
with a vibrant mass of bodies emerging from the picture plane in dynamic,
agitated poses. Tintoretto, just on the cusp of his thirtieth year when he
painted Miracle, clearly looked closely at the dramatic effects that could be
sculpted out of gesture, form, and composition alone. To this art he would add
the detail of expression, the intensity of extreme lighting, the terribilità
that often comes with scale, and the incomparable power of color. WHILE THE
TWENTY-FIRST CENTURY audiences might think it odd for an ambitious artist to
unveil a painting so closely modeled on a recent work by another artist, the
reuse of motifs was a common Italian Renaissance practice, as was made clear in
an insightful section of the Palazzo Ducale exhibition simply called “The
Recycler.” Tintoretto and his assistants, after all, produced more square
footage of painting than any other workshop in the Venetian Renaissance. In one
instance, the painter salvaged an old composition from his painting Mystic
Crucifixion by cutting, splitting, and reintegrating the canvas into a new
picture, The Nativity(ca. 1550s and 1570s); on another occasion, he copied,
pivoted, and re-costumed a previously used figure of St. Lawrence intended for
the Bonomi family altar in San Francesco della Vigna, transforming the martyr
into Helen of Troy. Such shortcuts were standard in most Renaissance workshops,
especially prolific ones that had to turn out hundreds of altarpieces,
portraits, mythological paintings, battle scenes, and other pictures. The
juxtaposition between the Florentine sculptor and the Venetian painter also
underlines Tintoretto’s connectedness with other artists. He painted
Sansovino’s portrait more than once, even signing one of the works as “Jacobus
Tintorettus eius amicissimus” (which, if you believe the inscription, means
they were Renaissance BFFs). Tintoretto is an artist’s artist. His profound
sense of community comes across in a rather touching contract found in the
Venetian archives and included in the small but brilliant “Art, Faith, and
Medicine in Tintoretto’s Venice” at the Scuola Grande di San Marco. In this
document, drafted and signed shortly after Christmas in 1585, the artist agrees
to provide works and forgo any payment on the condition that the confraternity
admit four people: his son Giovanni Battista Robusti; his son-in-law Marco
Augusta (the real-life husband of Marietta); the tailor Bartolomeo di Lorenzo;
and another man named Angelo Girardi. His dedication to his family, friends,
and students is also borne out in numerous workshop drawings, which are well
represented in D.C. Offering important opportunities for artistic
communion, drawing had its pragmatic as well as pleasurable purposes. In
several sketches made after a copy of the ancient bust known as the Grimani
Vitellius, we see multiple hands working seemingly side by side, line by line,
smudge by smudge, highlight by highlight, with the goal of mastering the
visible world around them. The willful way that these graphic studies
dematerialize carved stone and reincarnate the male portrait head into what
looks at first glance like the image of a flesh-and-blood subject is
remarkable. In this sequence, note especially the Morgan Library drawing
rendered by what the curator identifies as a “left-handed draftsman.” The work
seems almost too bold in its deliberate, sweeping gestures to be “workshop,”
but then Tintoretto was clearly a very good master with some very capable
assistants. In Tintoretto’s drawings and paintings, one often feels that
he is “sculpting” with chalk, charcoal, watercolor, oil, and pigment, ignoring
the flat surface of the paper or canvas. This comes across not only in the
speckled black-and-white patterns of his drawings from sculptures (which he
avidly collected) but in his life studies, too. His rendering of flesh
frequently seems to be rippling and quivering with animal energy, as if the
artist were trying to catch the living body in motion. His is possibly the most
atomistic rendering of the human form in the Renaissance. The frenetic, vibrating
lines in Seated Man with Raised Right Arm, for instance, exemplify this
stylistic peculiarity: the contours of the mythological body can never sit
still but seem to be in a constant state of flex and flux. Indeed, Tintoretto’s
figural drawings make Marcel Duchamp’s Nude Descending a Staircase and every
episode of “The Incredible Hulk” seem old hat when they appear centuries
later.) One of the art-historical myths destroyed—hopefully once
and for all—by the exhibitions in honor of Tintoretto is that Venetians did not
really draw. Some did more than others, and Tintoretto and his assistants
surely drew up a storm. On various sheets we find words such as fa (make), sì
(yes), fatto (made), no (no), and bono (good) scrawled across the surface;
sometimes figures are singled out by an asterisk. These marks were workshop
instructions on designs that had been cleared for production by the master.
Sheets such as Study of a Man Climbing into a Boat were frequently greased and
held up to the light so that forms could be retraced on the verso, offering
compositional options. Many have squaring grids drawn across them. In some
instances, this facilitated the transfer of the design onto a larger surface;
in other cases, it assisted in the correction of foreshortening and the
adjustment of figural proportions. Of the thirty-some drawings by
Tintoretto and his workshop on display at the National Gallery of Art, the
majority are on the blue paper favored by Venetian artists. The dark surface of
this carta azzurra provided an ideal ground upon which to map out gestural
movements, tonal subtleties, and, above all, the effects of light and shadow.
It might also be compared with the darkened grounds of many Tintoretto
paintings. The canvas support for The Origin of the Milky Way, for example, is
prepared with a brownish layer upon which the artist sketched out his
composition with white lead paint (rather than using black paint on a white
gessoed surface). Once a scene had been plotted out on the canvas, however,
Tintoretto was prone to further editing, altering, and redrawing of figures and
forms in a variety of white, black, and even red paint until the work was
completed. PAINTERS AND people interested in the way things are made will
find much to consider in these exhibitions. Tintoretto’s process is revealed in
medias res through the various X-rays that accompany the didactic material in
the galleries and comes across most clearly in the oil sketch Doge Alvise
Mocenigo Presented to the Redeemer, a work included in the 2016 exhibition
“Unfinished: Thoughts Left Visible” at the Met Breuer in New York). Looking at
the mannequinlike figures waiting to be dressed with flesh and clothes, one
comes to appreciate the procedural logic that binds these drawings and
paintings together, a topic expertly discussed in Krischel’s essay Tintoretto
at Work in the National Gallery of Art exhibition catalogue. The show reveals
Tintoretto’s exploratory procedure: visceral, intuitive, yet ultimately studied
and thought-through—but never entirely scripted. Tintoretto is all
gestalt. If the Marxist machismo of Sartre’s characterization of the artist as
a rebel “born among the underlings who endured the weight of a superimposed
hierarchy” is misplaced, one must admit that his phenomenological acumen regarding
the works is often startlingly spot on. Sartre writes with great perspicacity
about the narrow, vertical composition of Saint George and the Dragon:
Everything is simultaneous in his canvas, he contains everything within the
unity of a single instant. But to mask the over-harsh rift, he presents the
spectator with the spectre of a succession of events. Not only is the route
traced in advance, but each stage devalues the previous one and shows it up as
an inert memory of things past. The corpse’s immobility is memory: it is
prolonged and repeated from one moment to the next, identical and useless. The
time-trap works, we are caught: a false present welcomes us at every step and
unmasks its predecessor which returns, behind our backs, to its original status
of petrified memory.6 Time and space collapse in on the spectator’s
embodied experience, simulating the effects of a hallucinatory drug. And
indeed, as early as Boschini we find the revelatory quality of Tintoretto’s art
described in pharmacological terms. Of the whirlwind of paintings on the
ceilings and walls of the Scuola Grande di San Rocco, he effuses: “I feel as if
I am in a drugstore. Under my nose these odors have aromas that overwhelm my
heart. These fragrances remain in my mind, my mind feels so utterly purged that
my heart jumps for joy in my chest, and my soul feels totally jubilant.”7
One must be in the presence of the work in order to experience the
psychosomatic force of Tintoretto’s art. A black-and-white photograph of a room
filled with Tintoretto’s portraits can look like a field of dull heads, but in
person these works become alarmingly ghostly presences, with hands and faces
that seem capable of movement. The sketches that move from light fluffy strokes
to devastating valleys of black charcoal seemingly carved with a chisel, the
thick ridges of impasto that rise suddenly like waves from the surface of a
canvas, the glazes and scumble that modulate color and reflect light
differently depending on the angle of view, the enormity of compositions that
threaten to engulf the spectator’s body — these elements simply do not
translate in any form of mechanical or digital reproduction. This is true not
only for Tintoretto but for Venetian art in general, with its penchant for
chromatic and luminous variability and richness. In Drawing in Tintoretto’s
Venicethe difference between Veronese’s gorgeous drawings covered in elegant,
spindly figures created in a torrent of quick brown ink strokes and Bassano’s
schematic black chalk sketches marked by dusty smudges of red, white, green,
pink, and brown becomes immediately clear. Domenico Tintoretto, one of the
master’s sons, produced oil sketches of battle scenes that look comic in
reproduction, but when one stands before the flurry of red, white, and black
patches on dark brown paper, these detailed compositions dissolve unexpectedly
into near abstraction. Renaissance drawings are so fragile and sensitive
to light that they can be exhibited only rarely, and many Tintoretto
paintings are so large that they have remained in situ in Venice for most of
their existence. Thus the current triple exhibition is the first substantial
retrospective of the old master’s work in America. It is a fitting tribute on
the occasion of his five hundredth birthday — and a viewing experience not to
be missed. Endnotes 1. Luigi Marta, Il Tintoretto e
sua figlia: drama in sei quadri del pittore Marta, Milan, Borroni e Scotti. Sartre quoted in Laura
Lepschy, Tintoretto Observed: A Documentary Survey of Critical Reactions from
the 16th to the 20th Century, Ravenna, Longo. Boschini, La carta navegar pitoresco, edited by Anna
Pallucchini, Venice/Rome, Istituto per la collaborazione culturale, Deleuze,
Francis Bacon: The Logic of Sensation, trans. Daniel W. Smith, London, Continuum. Sartre quoted in
Lepschy, Boschini. Tintoretto was too good an artist for his time’s uses; he
still clamors for a proper role, seeking affirmation, four centuries later.
This thought came to me as whimsy, and stayed as conviction, at the Prado, in Madrid,
which has just opened the second-ever retrospective (the first was in Venice)
of Jacopo Comin, who was also known as Robusti, and called Tintoretto, or
“Little Dyer,” after his father’s profession. Tintoretto is the most mercurial
of the five undisputed immortals of Venetian painting—the others being Bellini,
Giorgione, Titian, and Veronese—and I was eager to see the Prado show, because
I have never managed to get a satisfying fix on him. How could someone so
great, able to summon the world with a brushstroke, be so inconsistent in
style, and, on occasion, so awful? Stupefyingly prolific, Tintoretto garnished
the walls, ceilings, altars, exteriors, and even the furniture of Venice,
performing commissions for free when that was what it took to edge out a rival.
(He was not popular with his fellow-artists.) He brought off one of the world’s
largest paintings— Paradise, in the Ducal Palace, which, at seventy-two feet
long and twenty-three feet high, is so vast as to be essentially unseeable—and
perhaps history’s most sustained demonstration of sheer painterly talent,
brimming the Scuola Grande di San Rocco, with pictures whose profusion and
intensity burn the most concerted effort of looking to ashes. But he and his
populous workshop also perpetrated some of the grimmest daubs—murky and
slack—that you ever rushed past with a shudder. I realised, too late, that my
puzzlement was a warning. Now I feel that I have acquired a brilliant,
neurotic, exhausting friend who enjoins me to undertake on his behalf campaigns
that he bungled when their conduct was up to him. Nothing inferior taxes
the eye at the Prado, which augments the cream of Tintorettos in European and
American collections with a few loans from Venice, where hundreds of his
paintings—including his greatest works, such as The Miracle of the Slave reside
immovably in churches, palaces, and galleries. The show more than overcomes
doubts about presuming to assess the artist outside his home town, which he is
known to have left just twice, briefly, in his life. The well-restored
canvases, shown in good light, sparkle and blaze. Some make plungingly deep
space with muscular figures of different sizes; your mind provides perspective
that the artist didn’t deign to chart. Others array action on intersecting diagonals,
along which someone is apt to be arriving from somewhere at terrific speed.
(There is an old line that Tintoretto invented the movies; his ways of
enkindling routine scenarios, with thrilling visual rhythms that seem to unfurl
in time, endorse it.) He drew with his brush, light over dark—so that shadings
came first, imparting a sumptuous density to forms that are hit with highlights
like spatters of sun. He is supposed to have said that his favorite colors were
black and white, but he could be every bit the startling and seductive Venetian
colorist when a commission required it. With abject competitive fury, he was
not above imitating the grand dragon of the Venice art world, Titian, and his
designated successor, Veronese. As a matter of fact, he almost never
takes the liberty of being himself unless someone builds up his confidence and
leaves him alone in an empty room,” Jean-Paul Sartre wrote in an essay, The
Venetian Pariah. For Sartre, Tintoretto is an avatar of existential anguish,
who was both behind his time—as the last native-born master on a scene ruled by
a cosmopolitan élite—and ahead of it, as the ideal artist for a rising
bourgeoisie that was too intimidated by the pomp of the ducal republic to
recognize itself in his demotic trashings of aristocratic decorum.
Intellectuals of the era, while in awe of Tintoretto’s gifts, scolded him for
being too fast, careless, and insolent; when Vasari credited him with “the most
extraordinary brain that the art of painting has ever produced,” it wasn’t
meant as unalloyed praise. (Vasari also called him the medium’s worst
madcap.) As a boy, Tintoretto is said to have entered Titian’s workshop
as an apprentice but was thrown out after a few days, having either frightened
the master with his aptitude or irked him with his personality; at any rate,
Titian’s attitude toward him was plated with permafrost. Little is known of
Tintoretto’s subsequent training. His earliest surviving work, from the early
fifteen-forties, is anti-Titianesque—radically sculptural and draftsmanly,
embracing Central Italian influences. Then something happened which the art
historian Nagel compares to the bluesman Robert Johnson’s “going down to the
crossroads and coming back with scary new powers. The Miracle of the Slave,”
made for the Scuola Grande di San Marco, electrified Venice. Its unprecedented
range of spatial, chromatic, and kinetic effect suggested a synthesis of the
disegno of Michelangelo and the coloring of Titian —a contemporaneous formula,
often cited, for ultimate greatness in painting. He was roundly hailed, though
Pietro Aretino, Titian’s literary ally, added a caveat about his lack of
“patience in the making.” Commissions came in bunches to the new hero, but
solid status skittered out of reach. He compensated by striving to engulf
the town. Meanwhile, Titian refused to slacken his grip on preëminence, let
alone die. When he finally expired, at the age of eighty-eight or so it brought
Tintoretto no peace. Though he was now, by general consent, Italy’s leading
painter, he responded with pictures as flailingly ambitious and various as
ever. Three from the late fifteen-seventies triumph in as many styles. In The
Rape of Helen, the hauntingly lovely captive languishes in the corner of a
churning land-sea battle scene, with scores of figures, ranging in size from
huge to tiny, which you can all but hear and smell. In TARQUINO (si veda) and
Lucretia, the naked, lividly fleshy protagonists struggle at the edge of a bed,
toppling a sculpture and breaking a necklace that rains pearls. The woman’s
right hand seems to extend from the canvas, as if to be grasped by a rescuing
viewer. (The Baroque, which took hold two decades later, with Caravaggio, can
seem an edited ratification of tendencies already developed by Tintoretto. The
Martyrdom of St. Lawrence is a sketchy and fierce nightmare of death by
roasting, with an anticipatory whiff of Goya. Tintoretto strongly influenced El
Greco, blazed trails for Rubens, and fascinated Velázquez, who acquired his
paintings for Philip IV. What is a Tintoretto? the art historian Echols
asks in the show’s catalogue. The answer might be almost anything touched with
genius and a strange, thorny, dashing humor. Tintoretto was reported to be a
witty man who never smiled. What is his Susannah and the Elders if not a grand
lark? A luxuriant, glowing nude sits outdoors, surrounded by a glittering
still-life of jewelry and implements of beauty, and is ogled by dirty old men
(one pokes his bald pate, at ground level, practically out of the canvas) from
behind a hedge that forms part of a corridor-like recession into the far
background. There are distant little ducks, and the rear end of a stag. But the
picture’s form is too disorienting to sustain any particular response,
including amusement. The backstage space outside the hedge ignores the unity of
the central perspective, bespeaking a world that rolls away in all directions,
indifferent to pocket realms of mythic anecdote. The effect is stirring and
confusing. Who is Tintoretto’s viewer? strikes me as the really compelling
question. No other great artist before modern times, in which shifting
contingency affects every enterprise, seems less certain of whom he is
addressing, and why. It might as well be you or me as some cinquecento ingrate,
and, if we happen to think of people we know who may be interested, the artist
encourages us to contact them without delay. La tesi di fondo di questo saggio è che l’orizzonte
problematico entro il quale si muove da sempre la pittura faccia tutt’uno con
le questioni dell’immagine e che la tradizione occidentale, soprattutto nella
riflessione sulla storia dell’arte, abbia incentrato la sua atten- zione sul
problema dell’immagine senza tenere conto in genere dei suoi aspetti iconici.
Già Tommaso d’Aquino aveva posto in questi termini tale problema: l’immagine
può essere considerata come og- getto particolare, o come immagine di un altro;
nel primo caso l’oggetto è la cosa stessa che al contempo ne rappresenta
un’altra, nel secondo l’aspetto dominante è ciò che l’immagine rappresenta.
Sembra dunque che rispetto a un’immagine l’attenzione si rivolga o all’immagine
in se stessa – all’immagine come fine – o a ciò che l’im- magine rappresenta –
all’immagine come mezzo 1. A diversi secoli di distanza un pensatore della
statura di Witt- genstein riproporrà con forza il problema dell’immagine che, a
par- tire da una prospettiva iniziale fortemente improntata a concezioni
logico-raffigurative, si andrà via via sempre più delineando all’inter- no
della sua riflessione come un problema di natura estetica. Così egli scrive
nelle Ricerche filosofiche. E chi dipinge non deve dipingere qualcosa – e chi
dipinge qualcosa non deve dipingere qualcosa di reale? Ebbene, qual è l’oggetto
del dipingere: l’immagine di un uomo (per esempio), o l’uomo che l’immagine
rappresenta? Tuttavia Wittgenstein porta il problema alle estreme conseguenze. Se
paragoniamo la proposizione con un’immagine, dobbiamo tener conto se la
paragoniamo con un ritratto, un’esposizione storica, o con un quadro di genere.
E tutti e due i paragoni hanno senso. Se guardo un quadro di genere, esso mi
dice qualcosa, anche se io non credo (mi figuro) neppure per un momento che gli
uomini che vedo rappresentati in esso esistano realmente, o che uomini in carne
e ossa si siano davvero trovati in questa situazione. Ma, e se chiedessi:
Allora, che cosa mi dice? La risposta di Wittgenstein suona. L’immagine mi dice
se stessa’ vorrei dire. Vale a dire, ciò che essa mi dice consiste nella sua
propria struttura, nelle sue forme e colori» 4. Ponendo la questione in tali
termini tuttavia Wittgenstein non intende affatto contrapporre un’immagine
intesa come ‘ritratto’, il cui scopo sarebbe quello di indirizzare l’attenzione
dell’osservatore esclu- sivamente su ciò che essa rappresenta, e un’immagine
intesa come ‘quadro di genere’, il cui fine sarebbe quello di presentare la
«sua propria struttura» e le sue forme e colori. Del resto, continua
Wittgenstein nello stesso paragrafo, Che significato avrebbe il dire: Il tema
musicale mi dice se stesso? Il fatto è che per Wittgenstein queste due modalità
dell’immagine: immagine intesa come mezzo e immagine intesa come fine, sono tra
loro connesse, tanto da formare un unico concetto di immagine. Che il problema
vada inteso e ap- profondito in questi termini, lo chiarisce lo stesso
Wittgenstein, af- frontando in alcuni paragrafi successivi la questione
relativa al comprendere una proposizione. Noi parliamo del comprendere una
proposizione, nel senso che essa può essere sostituita da un’altra che dice la
stessa cosa; ma anche nel senso che non può essere sostituita da nessun’altra.
(Non più di quanto un tema musicale possa venir sostituito da un altro. Nel
primo caso il pensiero della proposizione è qualcosa che è comune a differenti
proposizioni; nel secondo, qualcosa che soltanto queste parole, in queste
posizioni, possono esprimere (Comprendere una poesia). E subito dopo aggiunge. Dunque
qui comprendere ha due significati differenti? Preferisco dire che questi modi
d’uso di comprendere formano il suo significato, il mio concetto del
comprendere. Wittgenstein sottolinea in questo modo che i due tipi di
comprensione – quella che potremmo chiamare logica, nel senso che il pensiero
espresso dalla proposizione può essere riformulato in modi diversi, rimanendo
lo stesso, e quella che potremmo definire estetica, caratterizzata invece dal
fatto che il suo tema non può essere riformulato in altro modo, come
esemplifica il caso del tema musicale o della poesia – sono imprescindibilmente
connessi tra loro in un concetto unitario. È la stessa interconnessione che
Wittgenstein rileva in relazione all’immagine. Il fatto è che quel particolare
tipo di immagine che l’opera d’arte costituisce può rimandare all’altro da sé,
soltanto in quanto in primo luogo rimanda a se stessa, ‘dice se stessa’; può
essere rappresentazione dell’altro, solo in quanto è presentazione di se
stessa. Di conseguenza, ciò che nell’opera viene rappresentato riceve la sua
unicità, la sua specificità, è insomma proprio questo, grazie al fatto che l’immagine
lo rappresenta, lo dice, secondo le sue linee e colori. Così questo qualcosa d’unico
può e anzi deve essere visto come qualcosa che, seppure da sempre presen- te
sotto i nostri occhi, appare come se lo vedessimo per la prima vol- ta e,
proprio per questo, non può che procurarci stupore e meraviglia. Scrive a
questo proposito Wittgenstein: Non pensare che sia cosa ovvia il fatto che i
quadri e le narrazioni fantastiche ci procurano piacere, tengono occupata la
nostra mente; anzi, si tratta di un fatto fuori dell’ordinario. Non pensare che
sia cosa ovvia – questo vuol dire: Meravigliatene, come fai per le altre cose
che ti procurano turbamento. Già nel Tractatus Wittgenstein aveva affermato che
la tautologia segue da tutte le proposizioni: essa dice nulla, volendo con ciò
sot- tolineare il fatto che ogni proposizione dice, rappresenta qualcosa solo
in quanto in primo luogo è una tautologia, ossia ‘dice nulla’, e tale
tautologicità della proposizione è ciò che la proposizione mostra in ciò che
dice. Secondo Wittgenstein il carattere logico della proposizio- ne in quanto
immagine è dato dal suo essere ‘rappresentazione’ di qualcosa, ossia dal suo
rinviare a qualcosa d’altro da sé. In questo con- siste, sempre secondo
Wittgenstein, la fondamentalità della logica, giacché se segno e designato non
fossero identici rispetto al loro pie- no contenuto logico, allora vi dovrebbe
essere qualcosa d’ancora più fondamentale che la logica. E tuttavia
Wittgenstein si rende conto che nella proposizione qualcosa dev’essere identico
al suo significato, ma la proposizione non può essere identica al suo
significato, dunque in essa qualcosa dev’essere non identico al suo significato.
Questo qualcosa di ‘non-identico’, vale a dire di differente, tra la
proposizione, o l’immagine, e il qualcosa che viene rappresentato o detto, è
ciò che esse mostrano o presentano. Tale presentazione, nel suo costituire la
condizione interna al rappresentato, è anche ciò che dà a quest’ultimo il suo
carattere di unicità, ossia di individualità, che sfugge a ogni previsione
logica, vale a dire a ogni identificazione nel già-saputo; ciò che fa, in
definitiva, del rappresentato qualcosa di non-previsto e di non-saputo,
qualcosa che nell’opera d’arte trova il suo luogo esemplare. E, se la logica «è
prima del come, non del che cosa, allora «Il miracolo per l’arte è che il mondo
v’è, che v’è ciò che v’è. C’è dunque per Wittgenstein qualcosa di più
fondamentale della logica. La rappresentazione logica infatti implica qualcosa
che si mostra, che si manifesta e nel manifestarsi resta ‘altro’ dalla
visibilità della rappresentazione stessa. Così, nel presentare se stessa,
l’immagine manifesta l’altro del visibile, del rappresentabile: quell’altro che
si rivela nel visibile, nascondendosi a esso. Se questo è il tratto carat-
terizzante l’icona, allora possiamo affermare che le riflessioni di
Wittgenstein sull’immagine si riferiscono non all’immagine come copia della
realtà, bensì all’immagine intesa appunto come icona. Non a caso, se per
Wittgenstein il silenzio, sul cui tema si chiude il Tractatus, non può dirsi,
giacché esso mostra sé, è proprio l’icona che ha a che fare con
l’irrappresentabile, con ciò che resta sempre altro rispetto a ogni
determinazione logica e rappresentativa. Ciò che nell’opera d’arte si presenta
sfugge alla nostra conoscenza e alla rappresentazione. Non è stata l’arte
astratta a mettere per prima in opera la ‘presentabilità’ del pittorico di
contro alla sua rappresentabilità, dal momento che il rapporto tra
presentazione e rappresentazione appartiene all’essenza stessa dell’immagine. È
proprio della natura dell’immagine infatti il suo presentarsi sempre chiusa e
insieme aperta, opaca e insieme trasparente, vicina e insieme lontana:
nell’offrirsi all’occhio, essa cattura il nostro sguardo. È necessa- rio
tornare, al di qua del visibile rappresentato, alle condizioni stesse dello
sguardo, della presentazione. È questo il non-sapere che l’immagine manifesta,
e tuttavia tale non-sapere non è una condizione privativa, una mancanza, ma
piuttosto una condizione positiva, come positivo è il ‘Niente’ dei quadri
suprematisti di Malevicˇ. Si tratta dell’esigenza di qualcosa che costituisce
l’altro del visibile, il suo al-di-là e che non va pensato come l’Idea
platonica, dal momento che questo altro del visibile è nel visibile stesso.
Così l’iconoclastia del quadrato bianco di Malevicˇ annuncia non la fine
dell’arte, ma ciò che l’arte deve essere, per essere tale, arte appunto.
Nell’opera d’arte qualcosa è rappresentato e si offre alla vista, ma qualche altra
cosa nello stesso tempo ci guarda, ci ri-guarda. Ciò significa che la visione
si divide, si lacera, nel suo stesso interno, tra vedere e guardare, tra
rappresentazione e presentazione. Nella visibi- lità del quadro è in opera
qualcosa che non si lascia cogliere e che, come l’oblio, resta sempre altro
rispetto a ciò che possiamo ricorda- re. È come se l’immagine fosse nello
stesso tempo rappresentazione di ciò che ricordiamo e presentazione di ciò che
abbiamo dimentica- to; per questo nell’immagine la rappresentazione deve essere
pensata sempre con la sua opacità. In particolare nell’icona cogliamo l’assenza
di ogni immagine, in- tesa come rappresentazione logica: è questa l’
‘astrazione’ dell’icona, astrazione come sarà intesa, teorizzata e messa in opera
da tanta parte della pittura del Novecento. Quello che l’icona mostra non è
discorsivamente esprimibile e, se essa può far valere la propria impre-
scindibile implicazione di senso di contro alla critica iconoclastica, è perché
mostra l’inesprimibile in quanto inesprimibile. È proprio que- sta
paradossalità dell’icona a permettere di superare l’iconoclastia, per la quale
non può che porsi l’alternativa schiacciante tra un asso- luto realismo e un
assoluto silenzio. L’icona è la porta regale, come vuole Florenskij, attraverso
la quale si manifesta l’invisibile e si trasfigura il visibile: in essa non c’è
né imitazione, né rappresentazione, ma comunicazione tra questo e l’altro
mondo. Così nell’icona la dimensione epifanica finisce per coincidere con la sua
dimensione apo- fatica. Da questo punto di vista si può dire che i problemi
posti dal- l’icona siano gli stessi problemi che si ritroveranno nella
contemporanea problematica dell’astrazione. L’arte astratta fa appello
all’occhio spirituale, ossia allo sguardo, e ciò comporta il rifiuto della
tradizionale distinzione soggetto-oggetto, dal momento che l’oggetto è in tale
prospettiva un soggetto che ci cattura proprio mentre lo guardiamo. Già Kandinskij
con la nozio- ne di composizione intende superare sia gli stati d’animo del
soggetto che l’oggetto come fenomeno naturale, per dare luogo a una pittura
iuxta propria principia, nella quale lo stesso limite estremo, la tela bianca o
il silenzio, non significhi la morte dell’arte, ma la radicale presentazione di
quella possibilità dalla quale ogni arte pren- de le mosse: l’essenza o, per
dirla con Heidegger, l’origine dell’arte stessa. In Kandinskij l’astrattismo
non è vuoto decorativismo. Al con- trario, l’astrattezza del segno, la sua
non-rappresentatività, è la manifestazione della sua «risonanza interiore»,
ossia della sua spiritua- lità. La concezione dell’arte di Kandinskij è
intessuta della connes- sione di interiorità e astrazione, e una componente
essenziale di tale astrazione è il misticismo. Già la mistica tedesca medievale
afferma, con Meister Eckart, che, come Dio agisce al di là del mondo
dell’essere, così l’anima, che è in grado di rappresentarsi le cose che non
sono presenti, opera nel non-essere; un’analoga operazione compie il pittore
astratto, che nientifica il mondo naturale delle cose, dando vita a un mondo di
entità non-oggettive, inesistenti e tuttavia reali. Così nel principio di
Kandinskij della necessità interiore si riflette la natura mistica del
procedimento astratto di costruzione di un’opera che viene sottratta alla
dipendenza delle cose esistenti. Questo rimando a un agire interiore dà luogo a
un non-oggetto che, ana- logamente a quanto avviene nella mistica, mostra un
diverso modo d’essere delle cose rispetto a quello della loro forma reale.
L’emancipazione da qualsiasi dipendenza diretta dalla natura, della quale parla
Kandinskij, è la riduzione delle cose naturali al non-essere. Di conseguenza,
la necessità interiore di Kandinskij, che costituisce il tratto essenziale
della sua pittura astratta, si pone come ‘altro’ rispetto al mondo delle cose,
e quest’ultimo trova in essa la sua unità e il suo senso. Del resto per
Kandinskij, come per Wittgenstein, il misticismo riguarda non come il mondo è,
ma che esso è; esso consiste nel sentire il mondo quale tutto limitato. Ciò
significa dunque che la totalità del visibile ha un limite: lo sguardo delle
cose, ossia la loro spiritualità. Astrazione, d’altro canto, è proprio questo
visibile limitato dal manifestarsi in esso di ciò che visibile non è: è sen-
tire il non-visibile nel visibile, è cogliere la differenza nell’identità.
Nell’astrattismo il segno mostra se stesso, nel senso che non rimanda all’altro
fuori di sé, all’oggetto, ma all’altro che è nel segno senza essere tuttavia
esso stesso segno. Così l’astrattismo rifiuta il significato del segno e nello
stesso tempo ne esalta il senso, che si mostra nel segno ritraendosi da esso.
Non c’è dunque alcun contenuto, alcun significato manifesto dell’immagine, ma
questa è l’espressione di un contenuto interiore: è questo a rendere il segno
‘astratto’, proprio nel suo presentarsi come evento. In definitiva, se il
cubismo ha in- franto la totalità, lasciando solo frammenti, la composizione di
Kandinskij mira non a ricomporre tale totalità, bensì a presentare il senso,
facendo risuonare il contenuto interiore del frammento stesso. Se lo spirituale
nell’arte di Kandinskij, come il suo concetto di composizione, è interno al
problema dell’icona, altrettanto lo è il mondo senza oggetto del suprematismo
di Malevicˇ. L’opera suprematista infatti ha un’intenzione iconica: non esprime
una perdita, ma una presenza, la presenza dell’altrimenti che essere. Di qui
quella dimensione apofatica, propria dell’icona in genere e del suprematismo di
Malevicˇ in particolare, che, in opposizione ai presupposti dell’iconoclastia –
tesi a identificare la verità con la rappresentazione logico-discorsiva –
mostra la verità che contiene in sé la propria negazione: la docta ignorantia è
la testimonianza di tale inesprimibile coincidenza. Per questo nel colore
suprematista, come nell’icona, non c’è alcuna ‘finzione. L’essere di Malevicˇ
non è l’essere secondo la necessità, ovvero secondo il concetto, ma è l’essere
come evento: è qualcosa che si la- scia riconoscere solo al momento del suo
apparire e, in quanto evento, l’essere è l’altro, poiché non è soggetto ad
alcuna identificazione: è l’essere così, che potrebbe anche non essere; in
questo senso, affer- ma Malevicˇ, l’essere è il nulla, ovvero il che, lo spazio
paradossale proprio dell’opera d’arte, del tutto indipendente dal pensiero
logico. Questo che è negazione del significato, inteso come signi- ficato
logico, è negazione della rappresentazione, come rappresenta- zione logica e
nello stesso tempo è affermazione del senso, in quanto condizione dei
significati possibili Il che non può essere riconosciuto in relazione ad altro,
ma solo per se stesso, e tuttavia por- ta in sé l’alterità, la differenza. Nel
non significare nulla al di là di se stesso, l’evento – il che – è assolutamente
singolare: accade semplicemente, si dà, si mostra, non come un mero oggetto per
un sog- getto. Esso è il manifestarsi di qualcosa che, presentando se stessa,
presenta l’altro, vale a dire si presenta come l’altro dell’essere oggetto di
rappresentazione possibile. Per raggiungere infatti questo essere, che è il nulla,
Malevicˇ è uscito dal mondo degli oggetti e delle rap- presentazioni, aprendo
uno spazio ‘assoluto’, in quanto spazio dell’altro. Così l’astrazione di
Malevicˇ è il liberarsi dalla rappresentazio- ne per la presentazione: è questa
l’autentica iconoclastia che rivela il profondo legame del suprematismo di
Malevicˇ con l’icona. E, se nel suo mondo senza oggetto il segno non è
rappresentazione di qualcosa, ma rivela l’altro, ovvero il nulla – in quanto nulla
di rappresentabile e di dicibile – questo Nulla non è da intendersi come
nichilismo: non indica il silenzio, la fine della pittura, ma esprime la
consapevolezza che si deve continuare a dipingere perché il nulla si riveli. È
questa la radicalità della pittura di Malevicˇ. A differenza di quella di
Malevicˇ, l’opera di Mondrian presenta uno spazio la cui assolutezza assume un
preciso significato: tutto ciò che è, è perché si dà solo spazialmente. Per
questo in Mondrian il segno non nasconde e in esso non ha luogo alcun ritrarsi;
al contrario, nel segno si mostra l’essenza, l’Idea, e non a caso egli
definisce l’astrattismo come la sola arte concreta. In definitiva: nella
pittura di Mondrian non si manifesta alcun altro, né alcun contenuto interiore;
essa si risolve totalmente nella superficie del quadro, ossia in un piano
assolutamente bidimensionale, nel quale non c’è alcuna finzione di profondità,
ma ci sono soltanto linee in rapporto ortogonale che, tautologicamente, dicono
se stesse. Così, se la composizione di Mondrian è volta a ricostituire la
totalità, tale ricomposizione si dà proprio e solo all’interno della
rappresentazione pittorica, rappresentazione assoluta, in quanto indipendente
da qualsiasi riferimento ad altro da sé. L’arte di Klee, pur interrogandosi su
problemi non del tutto dis- simili, muove in direzione opposta rispetto a
quella di Mondrian. Se infatti quest’ultimo vuole abolire l’elemento soggettivo
– definito tragico – in nome dell’oggettività, Klee invece indaga proprio la presenza
del mondo nel soggetto. L’oggettività di Mondrian è il rifiuto del mondo, in
quanto particolarità e contingenza; Klee, al con- trario, non cerca una realtà
più vera di quella sensibile, non cerca cioè una realtà fissa e immutabile,
retta da leggi eterne, fuori dalla storia. Ciò a cui tende l’opera di Klee è
‘frugare’ nel profondo, nel- la vita sotterranea, immergendosi nel divenire
delle cose stesse, nella genesi dei mondi possibili. Il compito dell’artista è
infatti, a suo giudizio, quello di ritornare sulla creazione, portando avanti e
tentando le vie di realtà possibili. Klee, in definitiva, non vede nel mondo
qualcosa di già-concluso, ma ne ripercorre la genesi, e tale genesi si
riferisce al sorgere della realtà nella percezione e quindi al costituirsi
dell’essere in significato. I presupposti di tutto ciò vanno rintracciati nel
fatto che è pro- prio sul piano della percezione che il mondo non si configura
come l’insieme delle cose già date, ma come un continuo generarsi. Così
l’immagine di Klee richiama alla memoria possibilità diverse, somiglianze e
dissomiglianze, e queste trovano la loro ragione sul piano dell’agire del
pittore, che non prende le mosse da una logica pre- fissata, ma genera
continuamente forme via via che procede, muoven- dosi appunto tra somiglianze e
differenze. I processi di formazione di Klee sono questa sorta di somiglianze
di famiglia – ancora una vol- ta nell’accezione wittgensteiniana – e, in quanto tali, escludono la de-
finitività di ogni forma. Non a caso nell’opera di Klee la genesi dei mondi
possibili riguarda l’essenza stessa della pittura: si tratta di mo- strare
l’apparire di qualcosa che nessuna logica ha pre-visto, qualcosa che viene
all’esistenza, apportando un «aumento di essere» 19 rispetto a tutte quelle altre
possibilità che comunque sono presenti nel qua- dro come possibilità
simultanee. Klee ha disvelato così l’essenza dell’opera d’arte: quest’ultima
non è la rappresentazione di un fatto del mondo, ma è un evento nel qua- le si
manifesta la possibilità di molteplici determinazioni del mondo, senza che tale
possibilità sia riconducibile ad alcun principio logico di identità e di
non-contraddizione. A ben vedere dunque tale evento, che l’opera costituisce,
altro non è che il darsi del contingente, del ciò che è così ma poteva essere
diversamente, in quanto condizione della stessa necessità logica che regola ciò
che nel mondo è già-dato; si tratta di quel che – che si dia questo mondo e non
un altro – il quale, come afferma Wittgenstein, precede quella logica che
presiede al come del mondo. Si tratta insomma di quel senso che è la condizione
dei tanti significati possibili: l’opera è la presentazione del darsi di questo
senso, e non la rappresentazione del suo configurarsi come significato dato, di
un senso che si può dunque soltanto sentire, stando al suo interno e non
contemplare dall’esterno. Per questo la pit- tura di Klee ha il suo luogo
d’elezione nel cuore stesso della creazione, lì dove hanno origine tutte le
cose. 1 Sul problema dell’immagine e del segno in genere nella riflessione
filosofica medievale, si veda Maierù, Signum dans la culture médiévale,
Miscellanea Mediaevalia, Veröf- fentlichungen des Thomas-instituts der
Universität zu Koln, Walter de Gruyter, Berlin – New York, Signum negli scritti
filosofici. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino (ed. or.
Philosophische Untersuchungen, Blackwell, Oxford. Wittgenstein, Tractatus
logico-philosophicus e Quaderni, Einaudi, Torino (ed. or. Tractatus
logico-philosophicus, London). Nel Tractatus infatti i due termini si
equivalgono, dal momento che «La proposizione è un’immagine della realtà» Vedi
su questo G., Dalla logica all’estetica. Un saggio intorno a Wittgenstein,
Pratiche Editrice, Parma Wittgenstein, Tractatus..., cSi veda in proposito
Garroni, Estetica. Uno sguardo-attraverso, Garzanti, Milano. L’espressione è
usata nel senso del Wittgenstein delle Ricerche filosofiche, Gadamer, Verità e
metodo, Bompiani, Milano (ed. or. Wahr- heit und Methode, Mohr, Siebeck, Tübingen. Giuseppe
Di Giacomo. Giacomo. Keywords: l’inspiegabile, aura;
‘impiegatura como spiegatura dell’inspiegabile” sensibile, imagine, icona,
segno segnante segnato presentazione rappresentazione contenente contenuto
formante formato, Tintoretto, Sartre, Venezia. -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice
e Giacomo: impiegatura come spiegatura dell’inspiegabile” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e Giametta:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- il volo d’Icaro e
l’implicatura di Sanctis – filosofia napoletana – la scuola di Frattamaggiore
-- scuola di Napoli – filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Frattamaggiore). Filosofo italiano.
Frattamaggiore, Napoli, Campania. Grice: “Giammetta is a good’un, but you gotta
be an Italian to appreciate him fully, or at least have gone to Clifton, as I
did!” -- Grice: Giametta’s philosophy is
full of Italianateness: ‘il volo d’Icaro,’ and then there’s his ‘Croceian
heterodoxies,’ and most Italianate of all, the Dantean reference to Nisso,
Chiron, and Folo in the “Inferno”! Sublime!”
Cura Nietzsche a Firenze. Ha scritto saggi di critica "eterodossa" su
Croce. Cura Cesare. È anche romanziere, estraneo a scuole o correnti, con
storie dalla forte valenza filosofica e morale; attitudine stilistica: la prosa di Giametta
pare quella di un centauro: sorprendente incontro di letteratura e filosofia. Nella "Trilogia dell'essenzialismo"
(composta da “Il Bue squartato” -- L'oro
prezioso dell'essere e Cortocircuiti), elabora un proprio sistema di filosofia erede
del naturalismo rinascimentale. L’Essenzialismo è una nuova filosofia, fondata
esclusivamente sulla natura, intesa nei suoi due aspetti, sia come “naturans”
(cf. Grice, implicans, implicaturus) sia
come “naturata” (cf. Grice implicatum, implicatura, implicaturus, implicata).
Grice: “The problem: ‘is ‘naturare’ a good verb?’ --. L’essenzialismo descrive
la condizione umana come determinata dalla combinazione di due elementi
eterogenei: dall’essenza di tutto ciò che esiste, che è divina, e dalle
condizioni di esistenza, che sono spesso fin troppo diaboliche, a cui sono
sottoposte tutte le creature. Il con-temperamento di questi due elementi
(essenza ed esistenza), diverso in ogni individuo, spiega le ragioni per cui si
afferma o si nega la vita, si è ottimisti o pessimisti...". Alter opera: “Oltre il nichilismo” (Tempi
moderni, Napoli); “Poeta e filosofo” (Garzanti, Milano); Palomar, Han, Candaule
e altri. Scritti di critica letteraria, Palomar, Bari Nietzsche e i suoi
interpreti. – cfr. ‘Grice interprete di se stesso” – “Erminio; o, della fede.
Dialogo con Nietzsche di un suo interprete. Spirali, Milano); “Saggi
nietzschiani” (La Città del Sole, Napoli); “Croce” (Bibliopolis, Napoli); “Il mondo”
(Palomar, Bari); “Madonna con bambina e altri racconti morali, BUR, Milano);
“Commento allo Zarathustra” Mondadori Bruno, Milano); “Filosofia come dinamita”
BUR, Milano), “Croce, il pazzo” (La Città del Sole, Napoli); “Eterodossie
crociane” (Bibliopolis, Napoli); “La caduta di Icaro” (Il Prato, Padova); Introduzione
a Nietzsche. Opera per opera, BUR, Milano, Il bue squartato e altri macelli. La
dolce filosofia, Mursia, Milano. L'oro dell'essere. Saggi filosofici, Mursia,
Milano. Cortocircuito e implicatura -- Mursia, Milano. Adelphoe, Unicopli,
Milano. Il dio lontano, Castelvecchi, Roma); “Tre centauri, Saletta dell'Uva,
Napoli. Filosofi, Saletta dell'Uva, Napoli. Una vacanza attiva, Olio Officina,
Milano. Grandi problemi risolti in piccoli spazi. Codicillo dell'essenzialismo;
Bompiani, Milano. Colli, Montinari e Nietzsche, BookTime, Milano. Capricci
napoletani. Pagine di diario (Marco Lanterna), Olio Officina, Milano; “Il colpo
di timpano, Saletta dell'Uva, Napoli); “Dio impassibile” (Babbomorto, Imola.
Contromano, BookTime, Milano. Il bue squartato e altri macelli, Mursia, Milano. La passione della conoscenza. Pensa
Multimedia, Lecce,. Marco Lanterna, Le grandi oscurità della filosofia risolte
in lampeggianti parole. Lanterna, Contributo alla critica di Sossio (in
Giametta, Capricci napoletani, OlioOfficina, Milano ). Nietzsche Schopenhauer
Colli Mazzino Montinari. SANCTIS nacque a Morra Irpina (oggi Morra De
Sanctis, in prov. di Avellino), al centro di. una zona che fino a dieci anni
prima era stata tutta feudale e di cui gli antichi feudatari ancora sfruttavano
la scarsa ricchezza boschiva, mentre il potere era gestito direttamente dal
clero e dai piccoli o medi proprietari terrieri, anch'essi strettamente legati
alla Chiesa sul piano economico -, sociale e Politico. In questo ambiente D.
trascorse solo i primi nove anni, ma esso costituì sempre per lui un punto di
riferimento, perché sempre egli lo ebbe presente come "polo reale" e,
insieme, come "polo negativo" della storia: la realtà da cui partire
e rispetto alla quale operare per tutte le conquiste del progresso (morale,
culturale, civile). La famiglia De Sanctis apparteneva a quel ceto di
piccoli proprietari del Sud che produceva i preti, gli avvocati e i pochi
medici. Avvocato era il padre di D., Alessandro, che però viveva del reddito
della sua piccola proprietà, prima ampliata attraverso un "buon
matrimonio" locale con Maria Agnese Manzi, poi progressivamente sempre più
dissestata; preti i due zii Carlo e Giuseppe; medico lo zio Pietro (ed anche
per costui la qualifica professionale servì soltanto a sostenere l'orgoglio del
ceto dei "galantuomini"). Come molti esponenti del "galantomismo"
meridionale, don Giuseppe e Pietro Sanctis avevano aderito alla carboneria (in
funzione patriottica e antifeudale): dopo aver partecipato ai moti carbonari,
vissero in esilio per dieci anni, serbando intatto lo spirito antiborbonico, ma
non il patrimonio. L'altro prete, invece, don Carlo, fece fortuna in Napoli
come titolare di una stimata "scuola di lettere" (un ginnasio
privato). D. è trasferito come ospite ed allievo presso lo zio
Carlo. Dai "ricordi" di D. (La vita) si può ricavare l'elenco
delle discipline da lui studiate, con fortissimo impegno, per tutta la durata
del corso quinquennale tenuto dallo zio ("Grammatica, Rettorica, Poetica,
Storia, Cronologia, Mitologia, Antichità greche e romane" e inoltre
"l'Aritmetica, la Storia Sacra, il Disegno"), nonché una serie di
notazioni sul metodo d'insegnamento tutt'altro che critico e innovativo
("Un grande esercizio di mernoria era in quella scuola, dovendo ficcarsi
in mente i versetti del Portoreale, la grammatica di Soave, le Storie di
Goldsmith, la Gerusalemme del Tasso, le ariette del Metastasio; tutti i sabati
si recitavano centinaia di versi latini a memoria"). Poiché i cinque
anni di studi "letterari" avevano un completamento canonico in due
anni di studi "filosofici" è iscritto alla scuola di Fazzini,
matematico e fisico illustre, di dichiarate convinzioni sensistiche. Per due
anni, perciò, egli visse immerso nello studio di Locke, Condillac, Tracy,
Elvezio, Bonnet, Lamettrie", o del Genovesi, ma (e questo è un tratto
molto importante, destinato a rimanere come atteggiamento mentale) nell'ottica
"moderata" che era propria sia dell'ambiente familiare sia del
maestro (Il professore diceva che il sensismo en una cosa buona sino a
Condillac, ma non bisognava andare sino a Lamettrie e ad Elvezio Voltaire,
Diderot, Rousseau mi parevano bestemmiatori, avevo quasi paura di
leggerli"). Lo stesso amalgama di aperture progressiste e di scarsa
chiarezza ideologica fu nell'esperienza successiva (quella degli studi
giuridici), in un'altra scuola privata, dove (con l'abate Garzia) D. impara ad
apprezzare soprattutto i codici napoleonici, aprendosi così alla dialettica
giuridica liberale. Questi studi avrebbero dovuto rappresentare il punto
d'arrivo di tutto il lavoro precedente (poiché, scartata una primitiva ipotesi
di carriera ecclesiastica, si pensava di far di lui un avvocato), ma a
determinare una diversa scelta di vita intervenne una grave malattia dello zio
Carlo, in seguito alla quale il peso della scuola cadde sulle fragili spalle
del D. diciottenne, ed egli divenne fonte di sostegno economico per la sua
numerosa famiglia (dopo la morte della primogenita Genoviefa, restavano ben
cinque tra fratelli e sorelle, che sempre in qualche modo gravarono su di lui,
con molte preoccupazioni e ben poche gratificazioni affettive o sociali).
Un altro avvenimento, questo di qualche anno prima, aveva preparato in D. tale
mutamento di interessi e di scelte: il suo ingresso nella "scuola di
lingua italiana" del marchese Basilio Puoti: di un "maestro",
cioè, che rappresentava in quel momento uno dei punti di riferimento più vivi
della cultura napoletana e che presto prese a stimarlo, ad amarlo e a guidarlo.
Ed è in ambito puotiano che nascono i primi scritti a stampa di D.: la sua
volgarizzazione di un brano dell'Eudemia di Giano Nicio Eritreo (Discorso
contro gl'ippocriti), apparsa sul Tesoretto, e la Dedicatoria (sua e del cugino
Giovannino) al Puoti dell'edizione (da entrambi curata) del Volgarizzamento
delle Vite de' santi Padri di D. Cavalca e del Prato spirituale di Feo
Belcari. Non è da qui però che si può ricavare l'immagine complessiva di
ciò che egli era alla fine del suo corso ufficiale di studi e all'inizio del
suo primo magistero. Certo, la competenza grammaticale e testuale e la
sensibilità alle cose della lingua (alla lingua come sistema formale in cui
penetrare con il rigore dell'intelligenza, della scienza e del gusto) erano
allora e restarono per sempre una componente molto importante del D. studioso e
maestro (questo va ribadito, anche per opporsi a una troppo lunga
sottovalutazione critica dell'eredità puristica attiva all'interno della
metodologia critica desanctisiana); ma dalla sua precedente esperienza
culturale egli aveva ricavato anche un complessivo eclettismo nozionistico e
ideologico, un evidente taglio "settecentesco" nell'impostazione del
sapere e in più una vastissima pratica di letture, che egli sottolinea con
forza nella Vita e che si riverbera in tutta la sua opera. Ricostruendo dai
suoi ricordi, risulta che D. Legge con profondo coinvolgimento (oltre a tanti
latini, greci, filosofi, storici e giureconsulti) un'incredibile quantità di
classici italiani maggiori e minori, dai trecentisti a Metastasio, e poi
Parini, Alfieri, Verri, Monti, Foscolo, Manzoni, Berchet, Leopardi, e Fénelon e
Voltaire, Young e Scott (ma la zona moderna ed europea andava rapidamente
allargandosi: a poco più di venti anni, il suo patrimonio di lettura spaziava
con sicurezza da Shakespeare a Richardson, da Milton e Klopstock a
Chateaubriand, Lamartine e Hugo. La professione dell'insegnamento diventò
per D. definitiva (grazie all'intervento del marchese Puoti), più o meno
contemporaneamente nel settore della scuola pubblica (prima alla scuola dei
sottufficiali; poi, al Collegio militare della Nunziatella, prestigiosa
accademia militare borbonica) e in quello privato (con la scuola di Vico Bisi,
che Puoti apre per lui, affidandogli all'inizio i suoi allievi, poi di fatto -
a grado a grado - la sua stessa funzione docente). A quest'ultima esperienza
(di cui restano importanti documenti nei Quaderni discuola e una vasta
rievocazione nella Giovinezza) si attribuisce, per tradizione ormai
consolidata, la definizione di "prima scuola" del De Sanctis. Ma
sarebbe forse più giusto comprendere nella definizione l'esperienza didattica
complessiva del decennio 1838-48: il decennio che consacrò il successo
indiscusso del D. maestro, il quale intanto (nelle diverse fasi della sua
frenetica attività) metteva a punto il suo metodo e il suo atteggiamento
critico, mentre andava costruendo intorno a sé rapporti affettivi e
intellettuali che sarebbero rimasti centrali in tutta la sua vita, e mentre
andava maturando fondamentali scelte ideologiche, filosofiche,
politiche. I numerosi Quaderni di scuola, che documentano il primo insegnamento
desanctisiano, furono in massima parte scritti dagli alunni sotto dettatura del
maestro e finalizzati a raccogliere il "succo" dei diversi corsi di
lezioni, rispetto ai quali si configuravano come veri e propri libri di testo
costruiti in parallelo con l'esperienza scolastica. Si tratta, perciò, di una
testimonianza ampia e diretta del suo progressivo evolversi (a stretto contatto
con la cultura del proprio tempo) dal purismo e dall'illuminismo moderato fino
all'hegelismo, attraverso l'eclettismo, il neocattolicesimo, la partecipazione
alla temperie vichiana e a quella dello storicismo romantico. In vista della
loro funzione manualistica, i quaderni sono divisi secondo le "materie
d'insegnamento" della scuola (alcune presenti fin dall'inizio, altre
introdotte successivamente, come lo stesso D. testimonia nella Vita). La
grammatica è l'insegnamento originario della scuola, ma i quaderni
"grammaticali" più importanti che ci restano appartengono agli ultimi
anni e si configurano perciò come approdo della ricerca desanctisiana in
materia (con l'acquisizione dello storicismo romantico, del giobertismo, di
Hegel). I più antichi tra i quaderni in nostro possesso sono quelli di Lingua e
stile, dove, dopo una serie di precetti di radice puristico-illuministica (con
forte incidenza della grande Enciclopedia e in particolare d’Alembert),
troviamo documentato il primo impatto con il pensiero romantico tedesco (in
particolare con F. Schlegel) e tracciata la prima sintesi di storia della
letteratura italiana ("Sviluppo della letteratura italiana"). Questa
ha già alcune caratteristiche che resteranno immutate in D. maggiore (si muove
in ambito postilluministico, con grande attenzione all'Europa e al presente
letterario, ma presenta come modello privilegiato di scrittore "contemporaneo"
il Manzoni, con un'accentuazione del punto di vista neocattolico, che andrà
attenuandosi in seguito). Una lunga storia della poesia è nei quaderni dedicati
alla Lirica, in cui l'approdo è rappresentato dal Leopardi; i quaderni sul
Genere narrativo hanno le loro fonti in Villemain, Sismondi, Voltaire, F. e Schlegel.
Un salto di qualità notevolissimo si avverte nei corsi d’Estetica e Estetica
applicata, in cui l'esigenza di definire teoricamente i problemi dell'arte
trova un sicuro sostegno nelle teorie estetiche di Gioberti, mentre Hegel fa la
sua apparizione nel corso di Storia della critica, che introduce una più stimolante
rivisitazione della lirica. Nei due anni successivi egli presenta ai suoi
allievi l'Estetica di Hegel nella traduzione francese di Bénard. Alla luce dei
nuovi principî affronta inoltre l'esame della Letteratura drammatica,
soffermandosi a lungo sulle opere di Shakespeare. Dell'ultimo anno di scuola ci
resta anche un quadernetto di Storia e filosofia della storia, che ha come
punti di riferimento costanti Vico, Sismondi, Hegel e che aiuta a chiarire il
senso dei "compendi" (autografi) della Storia d'Inghilterra di Hume e
della Storia civile del Regno di Napoli di Giannone. Questo blocco di materiali
storiografici conferma il livello criticamente e ideologicamente molto avanzato
della ricerca desanctisiana alla fine della "prima scuola",
attestando una visione laica della storia, un rigoroso rifiuto di ogni
astrattismo e una forte rivendicazione della concretezza in ogni ambito
d'analisi, nonché una chiara assunzione di metodo hegeliano in direzione
progressista. Negli entourages di Puoti, della Nunziatella, della sua stessa
scuola (e delle altre che fiorirono a Napoli, inaugurando il clima
"filosofico" vichiano-hegeliano), D. aveva finito per trovarsi al
centro dell'intellettualità progressista napoletana, non si sa fino a che punto
compromettendosi con le frange estremistiche di essa. Fatto sta che molti
giovani della sua scuola si schierarono a combattere sulle barricate (dove fu
ucciso quello che era certamente il più colto e il più ideologizzato fra tutti:
Vista) e che dopo quella data D. fu in qualche modo implicato in una setta
segreta rivoluzionaria di ascendenza musoliniana, l'Unità italiana, e in un
attentato per il quale, tra gli altri, furono condannati a morte L. Settembrini
e C. Poerio ("Si facevano i più matti deliri: porre una mina sotto Palazzo
Reale pareva un gioco ... Fu la prima volta e sola che fui in convegni
segreti). Espulso, perciò, dalla Nunziatella e da "ogni altra scuola anche
privata" (come recitano i rapporti della polizia borbonica, che cominciava
ad interessarsi di lui), D. si rifugia in Calabria presso un noto e attivo
"patriota", il barone Guzolini, in casa del quale è arrestato con
l'accusa di essere uno dei principali agenti della setta diretta da Mazzini e
da Ledru-Rollin. Trasferito a Napoli e rinchiuso in Castel dell'Ovo, subì due
anni e mezzo di "carcere duro", e fu infine giudicato politicamente
molto pericoloso ("attendibilissimo") e perciò bandito dal Regno e
imbarcato per gli Stati Uniti. 1 suoi allievi-amici napoletani (in particolare
Meis e Marvasi, a quel tempo già in esilio) lo aiutarono a sbarcare a Malta,
per raggiungere il Piemonte, inserendosi nell'allora foltissima schiera degli
illustri esuli politici ivi rifugiatisi (tra i meridionali, sono da ricordare:
Spaventa, Bonghi, Mancini, Tommasi, Ayala, Nicotera, Cosenz). Gli scritti
del periodo calabrese e della prigionia rappresentano la punta massima della
"spinta a sinistra" che segna il pensiero desanctisiano. In Calabria sono
elaborati due saggi (Introduzione all'Epistolario di Leopardi e Sulle opere
drammatiche di Schiller), in cui l'interpretazione dei testi esita in senso
fortemente politico (sia Leopardi sia Schiller segnano la fine di un'epoca,
quella dell'individualismo, dalla quale va nascendo un'epoca nuova -
dell'Umanità - impegnata in senso sociale). In Calabria fu probabilmente
impostato anche un dramma in prosa, il Torquato Tasso, terminato negli anni di
prigionia (il modello più vicino è quello goethiano; il linguaggio è
leopardiano; evidente è l'identificazione personale-politica dell'autore con
l'intellettuale perseguitato. D. studia la lingua tedesca e se ne servì sia per
tradurre il Manuale di una storia generale della poesia di K. Rosenkranz, sia
per leggere in lingua originale la Logica di Hegel, che ridisegnò in una serie
di Quadri sinottici (praticamente una sintesi completa dell'intera opera). Ma
il testo più interessante elaborato in Castel dell'Ovo è certamente La
prigione: un carme di 256 endecasillabi sciolti (l'unica prova poetica, se si
esclude qualche poesia d'occasione), che rappresenta il punto massimo di
"giacobinismo" realizzato da D., con il rifiuto e la denuncia di ogni
metafisica (un'inversione fortissima rispetto al neocattolicesimo degli anni
della prima scuola), e con una proposta politico-ideologica chiaramente
ispirata all'interpretazione di sinistra della filosofia di Hegel. Fortissima è
anche la svolta di atteggiamento nei confronti di Leopardi: all'immagine
sentimentalistica e scettica divulgata nel clima del primo romanticismo
napoletano si sostituisce un'immagine combattiva e materialistica del poeta di
Recanati (che offre, del resto, il modello stilistico e strutturale all'intero
carme. costruito come storia metaforica del pensiero umano, in rivolta per la
libertà, contro la tirannia, l'oscurantismo, l'ingiustizia sociale). A
Torino D. rimase in un vitale rapporto
d'amicizia con Meis e Marvasi e con Spaventa, ma molto isolato rispetto al
potere politico e culturale. Il suo unico lavoro fisso fu, allora,
l'insegnamento dell'italiano nell'istituto femminile della signora Eliott (dove
si verificò un episodio d'innamoramento - per la giovanissima Teresa De Amicis
- che riempirà d'illusioni e di malinconie gli anni successivi); ma ebbe anche
alunni privati dal nome prestigioso (come Virgina Basco - futura destinataria
del Viaggio elettorale -, Ainardo di Cavour, Larissé). L'esperienza centrale
del periodo torinese si realizzò, tuttavia, attraverso due corsi di
"lezioni pubbliche" su Dante: conferenze organizzate dai suoi amici
per soccorrerlo "nella dignitosa povertà dell'esilio" e che di fatto
lo rivelarono alla cultura italiana. Egli prese a collaborare alle
appendici letterarie: sul Cimento di Torino pubblicò alcuni saggi fondamentali,
vero e proprio punto d'arrivo della sua critica militante. E allo stesso anno
risale anche il primo episodio di giornalismo politico della sua vita: la
pubblicazione, sul Diritto di Torino, di una serie di interventi contro il
"murattismo" (cioè contro l'ipotesi di una sostituzione
"diplomatica" della dinastia borbonica di Napoli con la discendenza di
Murat), che rappresenta la prima fase di avvicinamento di D. alla monarchia
sabauda (questa viene proposta come unico possibile strumento di unificazione
della nazione, in un'ottica di "patriottismo costituzionale" cui, in
seguito, egli resterà sempre sostanzialmente fedele). Sempre per
interessamento dei suoi compagni d'esilio, fu finalmente gratificato di un
importante incarico professionale: l'insegnamento della letteratura italiana
presso l'Istituto universitario politecnico federale di Zurigo. Gli anni di
Zurigo sono anni di nostalgia e di isolamento (anni di réve, com'egli stesso
diceva), ma produssero almeno due conseguenze molto importanti: l'elaborazione
di lezioni che sarebbero rimaste come una pietra miliare della sua ricerca
critica (soprattutto su Dante, Petrarca e la poesia cavalleresca) e il contatto
con ambienti culturali e politici di vera e propria avanguardia in Europa
(Wagner e Matilde Wesendonck, Moleschott, gli Herwegh, Burckhardt, Vischer,
ecc.) che egli ebbe modo di conoscere e di valutare criticamente (per esempio,
prendendo le distanze dall'irrazionalismo di Wagner e di Schopenhauer molto
prima che le mode irrazionalistiche toccassero l'Italia, o cercando di capire i
limiti concreti del ribellismo dei mazziniani quando Mazzini è ancora un mito
in Italia. Dei corsi danteschi di Torino non restano manoscritti, ma
ciascuna lezione fu ricostruita su appunti di allievi (Marvasi, D'Ancona), in
vista di una non mai realizzata pubblicazione in volume. Le conferenze torinesi
(undici di argomento teorico, diciannove dedicate all'Inferno, cinque al
Purgatorio) sviluppano presupposti romantico-hegeliani, con particolare
riguardo ai problemi dell'unità e della forma del poema di Dante.
Nell'esaltazione "passionale" dell'Inferno, emergono le grandi figure
alla cui analisi è legata la fama popolare del D. dantista (Farinata,
Francesca, Ugolino) e si afferma il taglio monografico che sarà proprio dei
maggiori saggi desanctisiani. Semplificando la materia dei corsi, e
prolungandola fino a percorrere tutta la Divina Commedia, D. insegna Dante a
Zurigo (anche di queste lezioni ci resta la ricostruzione da appunti). Da tale
lavoro deriva tutto ciò che egli pubblicò successivamente su Dante e sul suo
tempo (ivi compresi i capitoli della Storia, che ne tesaurizzano le
idee-forza), ma i risultati metodologici più avanzati da lui raggiunti negli
anni d'esilio sono testimoniati dai contemporanei scritti giornalistici (che
furono poi pubblicati tra i Saggi critici). Il Pier delle Vigne è addirittura
una lezione torinese trascritta, per LaNazione di Firenze, da A. D'Ancona: la
celebre lettura del canto esalta i grandi caratteri e le grandi passioni dei
personaggi e ne analizza le sfumature, le situazioni, i contrasti; il saggio La
Divina Commedia (versione di Lamennais) dichiara la fine dell'antico metodo
retorico e il rifiuto del metodo "storico" di oscuola francese";
quello intitolato Carattere di Dante e sua utopia individua il centro della
grandezza poetica di Dante nella sua "anima di fuoco" in cui "si
riverbera l'esistenza in tutta la sua ampiezza". Il punto d'arrivo della
ricerca zurighese (molto più problematica di quanto appare nelle lezioni) è
suggerito nel saggio Dell'argomento della Divina Commedia, che afferma da una
parte il rifiuto del sistema e dall'altra la validità degli strumenti d'analisi
hegeliani, a stretto contatto col testo letterario (un approdo, in sostanza,
per D. definitivo). Negli scritti letterari d'argomento contemporaneo o
d'occasione (destinati a giornali torinesi e anch'essi in massima parte
raccolti poi nei Saggi), D. esplica, negli anni d'esilio, il suo impegno militante,
ma sempre a stretto contatto con i problemi di metodo critico che sono al
centro dell'insegnamento dantesco. Il più esplicitamente politico di questi
saggi è L'ebreo di Verona, che consacra, a livello nazionale, la sua fama di
polemista laico e liberale (l'autore del romanzo, il gesuita Bresciani,
ignorando le conquiste del cattolicesimo manzoniano, ripropone la religione in
funzione antiliberale e antiprogressista: il suo ruolo storico, dopo la
sconfitta, è "aggiungere i suoi colpi codardi alle mannaie del carnefice.
La militanza critica passa sempre attraverso una precisa idea
(romantico-hegeliana o posthegeliana) della letteratura. In Satana e le Grazie
essa è espressa con molta chiarezza: di fronte al poemetto di Prati la fantasia
rimane inerte: il cuore riman freddo, perché "in questo lavoro non vi è
creazione e quindi non vi è fantasia Prati ha una viva immaginazione, e per
questa facoltà è forse il primo poeta di second'ordine che sia oggi in
Italia"; del resto, i suoi testi poetici hanno tutti i limiti e i difetti
della "declamazione rettorica". E questa non è un difetto esclusivo
degli scrittori moderati: essa è condannabile anche quando sia posta al
servizio delle più ardite analisi politiche, come nella Cenci di Guerrazzi,
avvolta nel vecchio repertorio delle metafore e dei luoghi comuni. C'è un solo
poeta italiano che abbia attinto i livelli della "grande poesia" nel
mondo moderno, dice in un importantissimo saggio, e questo è Leopardi. Il
saggio s'intitola Alla sua donna. Poesia di Leopardi ed è, probabilmente, lo
scritto leopardiano più importante del D., che, con parametri schilleriani e
byroniani, traccia qui una straordinaria immagine di poeta laico, interprete
della civiltà contemporanea perché capace di farsi critico e filosofo e di far
scintillare la poesia dalla "meditazione". Ma, a parte l'eccezione
leopardiana, il clima del presente letterario fa temere un ritorno alla
identificazione tra poesia e retorica (Sulla mitologia - Sermone di Monti. A
questa pericolosa tendenza D. oppone la difesa d’Alfieri contro i critici
francesi contemporanei (Veuillot e la Mirra, Janin, Janin e Alfieri, Vanin e la
Mirra), ed evidentemente questa polemica ha un profondo retroterra politico: la
rivalutazione della fase "eroica" del classicismo settecentesco,
nella cultura "rivoluzionaria" dell'intera Europa. Perciò questa
rivalutazione riguarda anche Foscolo (Giudizio del Gervinus sopra Alfieri e
Foscolo e Storia di Gervinus, e la polemica colpisce anche un critico come A.
de Lamartine ("Cours familier de littérature par Lamartine). Nello stesso
ambito il modello di Hugo viene proposto come sostanzialmente positivo
(Triboulet e "Le contemplazioni" di Hugo) ed è possibile perfino il
recupero di un classico manierato come Racine, perché capace di creare dei
grandi personaggi drammatici (La Fedra di Racine). In questo ambito, infine, si
configura una delle prime, ma già precise professioni di realismo di D. critico
(Saint-Marc Girardin).Il sentimento astratto non è poesia, non è cosa vivente
... La poesia dee riprodurre la realtà vivente. Il poeta dee rappresentarci un
uomo vivo, perché questo, in quanto tale, è già un perfettissimo personaggio
poetico. La progressiva conquista di un punto di vista
"realistico" con cui guardare al testo letterario è registrata dai
ricchi appunti che ci restano (a cura di V. Imbriani) delle lezioni zurighesi
sul Poema epico. Proprio in questa sede D. usa per la prima volta il termine
"realismo" (ancora nuovo nella critica francese più avanzata da cui
lo deriva), mentre ribadisce il rifiuto del "sistema" hegeliano come
strumento di critica letteraria e conferma la validità degli strumenti
d'approccio al testo ricavabili dall'estetica hegeliana. Il messaggio
filosofico più complessivo, nell'ultima fase del suo esilio e del suo vitale
contatto con le avanguardie europee, fu affidato da D. al dialogo Schopenhauer
e Leopardi. Anche questo testo ha una struttura leopardiana (ispirata alla
provocatoria ironia delle Operette morali), ma s'interessa a Leopardi solo
nell'ultima parte, dedicando molto spazio all'illustrazione del pensiero di
Schopenhauer, indicato come il liquidatore di un'epoca (quella
dell'Ottantanove, del Trenta, del Quarantotto) che egli considera
"un'illusione, o piuttosto ... una imbecillità generale". La
filosofia di Schopenhauer è, perciò, "nemica della libertà, nemica
dell'idee, nemica del progresso"; in politica, egli ripropone "lo
Stato monarchico, la nobiltà, il clero, i privilegi", nega la libertà di
stampa e odia Hegel come "corrompiteste" (la moda di Schopenhauer in
Europa è, in sostanza, un grave sintomo di regresso storico: la sua tardiva
riscoperta equivale a un'abiura di tutto il progressismo europeo. A prima
vista, il rifiuto dell'ottimismo ideologico accosta Leopardi a Schopenhauer;
ma, in realtà, c'è tra i due una vera e propria opposizione, e Leopardi è tanto
interno alla fase eroica (progressista e rivoluzionaria) dell'umanità, quanto
ad essa è estraneo e ostile Schopenhauer. La differenza non è solo nel
materialismo di Leopardi (opposto allo spiritualismo di Schopenhauer) o nelle
sue scelte di stile inamabile (mentre Schopenhauer si affida al fascino della
retorica), ma anche e soprattutto nell'effetto di lettura che Leopardi produce
come uomo e poeta veramente grande (egli non crede al progresso, e te lo fa
desiderare non crede alla libertà, e te la fa amare, è scettico, e ti fa
credente). Dopo le speranze e le delusioni della seconda guerra
d'indipendenza, sulla scia dell'impresa dei Mille, D. lascia improvvisamente
Zurigo e il politecnico e ritornò a Napoli, dove svolse un ruolo, probabilmente
importante, nella mediazione che portò il partito garibaldino (e lo stesso
Garibaldi) ad accettare il plebiscito piemontese. Per nomina di Garibaldi,
appunto in fase di preparazione del plebiscito annessionistico, è governatore
della provincia di Avellino e si mostrò attivissimo organizzatore del consenso
politico, della guardia nazionale locale, della lotta al banditismo (che è già
esploso violento in Alta Irpinia, recuperando antiche radici sanfediste).
Subito dopo, è direttore dell'Istruzione a Napoli e, in quindici giorni,
tesaurizzando tutte le precedenti esperienze di riforme liberali degli studi,
impostò una vera e propria rifondazione della scuola napoletana. All'università
chiamò ad insegnare illustri rappresentanti della cultura liberale (da Spaventa
a Ranieri, a Bonghi, a Imbriani, a Villari, a Mancini); in sostituzione del
liceo gesuitico istituì un ginnasio-liceo statale; per la formazione dei
maestri elementari (sua grande preoccupazione di progressista ottocentesco)
deliberò l'istituzione di scuole "normali" in tutte le province della
luogotenenza (non senza ragione, il 1860 resta per sempre nei suoi ricordi come
il periodo eroico della sua vita). Eletto deputato al primo Parlamento
nazionale unitario, fu ministro della Istruzione pubblica con Cavour e con
Ricasoli, continuando sulla linea già tracciata a Napoli, ma senza ripetere
l'exploit, nell'ambito della troppo vasta e ibrida realtà nazionale (in
pratica, rinunciando .all'ambizione di produrre una legge di riforma della
scuola italiana, si limitò ad estendere con decreti all'Italia unita la legge
Casati). Ciò che resta di più indicativo del primo periodo di attività come
ministro è proprio la linea di tendenza teorizzata nel programma iniziale e
vanificata dall'opposizione dei gruppi reazionari (Noi abbiamo decretato la
libertà in carta. Sapete, o signori, quando questa libertà cesserà di essere
una menzogna? Quando noi avremo effettivamente uomini liberi; quando della
plebe avremo fatto un popolo libero. Provvedere all'istruzione popolare sarà la
mia prima cura). In questo ambito si pone anche la battaglia per istituire una
rete capillare di "scuole tecniche" e "istituti
professionali", nonché l'impegno per la qualificazione degli studi
scientifici (ma molto avversate furono anche in questo campo le più importanti
scelte progressiste, come quella che portò il materialista e rivoluzionario Moleschott
ad insegnare fisiologia nell'università di Torino). Dopo questo incarico
ministeriale, pur sempre rieletto in Parlamento (con la sola parentesi di un
anno), D. rimase estraneo e in forte opposizione rispetto ai nuovi gruppi di
potere (le "consorterie", che vedeva via via riavvicinarsi ai "retrivi"
e ai "codini"), su una linea mediana di progressismo monarchico e
antirivoluzionario. Su questa linea si pose il giornale L'Italia (che egli
diresse, in appoggio al gruppo emergente della Sinistra costituzionale, che nel
1865 ottenne proprio nel Sud il suo primo successo elettorale.
L'appassionamento garibaldino ai tempi di Mentana, la firma del manifesto di
opposizione crispina e un importante discorso di denuncia contro il riemergere
del clericalismo (in campo ideologico, politico ed economico) segnarono i punti
più alti della sua partecipazione politica. Sposa, a Napoli, Maria Testa
dei baroni Arenaprimo, ma il matrimonio agiato, da cui non nacquero figli, non è
sufficiente a sconfiggere la precarietà economica in cui tutta la sua vita si
svolse, né fornì uno stabile nutrimento al suo complesso bisogno di réve e di
comunicazione sentimentale. All'interno di una sempre meno inconfessata
delusione politica e personale, egli tornò, quindi, agli studi che gradualmente
ridivennero protagonisti della sua vita: pubblica in volume i Saggi critici
(dove raccolse gli scritti giornalistici dell'esilio), il Saggio critico sul
Petrarca, la Storia dellaletteratura italiana, i Nuovi saggi critici. Il
Saggio critico sul Petrarca ripropone un corso di conferenze tenuto a Zurigo,
con pochi mutamenti e con una "introduzione. Esso si articola in dodici
capitoli (tre dedicati alla personalità del poeta e al suo mondo culturale; gli
altri strutturati come lettura tematica e analisi del Canzoniere) ed è
finalizzato a fornire un preciso punto di vista per l'interpretazione del testo
petrarchesco, sulla base della teoria elaborata da D. a partire dalla
"prima scuola" e consolidata appunto negli anni dell'esilio
(tesaurizzazione dell'illuminismo, del romanticismo, dell'hegelismo; rifiuto
del metodo sistematico e dei suoi esiti panlogistici; rivendicazione della
poesia come forma uscita dal più profondo della vita reale e come sostanza
vivente, secondo i grandi modelli di Omero, Dante, Ariosto, Shakespeare). In
quest'ottica, Petrarca va riscoperto, pur con i limiti che la cultura romantica
ne aveva segnalato, e va rivalutato per quel che lo separa dal petrarchismo
(cioè dalla sua riduzione a modello rettorico e platonico). La poesia di
Petrarca va, quindi, individuata in particolari "situazioni" liriche
(soprattutto nella malinconia e nei momenti d’abbandono sentimentale), pur tra
gli ostacoli frapposti dall'educazione "rettorica" e da una visione
"spiritualistica" della vita. Particolare interesse è rivolto alla
figura di Laura (cui sono intitolati quattro capitoli): Laura è "la
creatura più reale ... che il Medioevo poteva produrre", e la sua
"realtà", tutta interiorizzata nella poesia del Canzoniere, non si
spegne, ma si ravviva dopo la morte del personaggio (proprio in questa
"situazione" Petrarca tocca le sue rare punte di "poesia
sublime"). La Storia della letteratura italiana nacque come testo
scolastico ed è, infatti, una sintesi didattico-pedagogica di materiali in gran
parte preelaborati secondo una precisa metodologia critica (quella appena
illustrata a proposito del saggio petrarchesco) e utilizzati per un progetto
complessivo di informazione-formazione (il progetto dell'educazione nazionale)
nel quale convergono tutte le attese (ed anche i timori) di D. letterato e
politico. Divisa in venti capitoli, la Storia disegna una linea di svolgimento
della letteratura italiana secondo il principio direttivo (ufficialmente
dichiarato da D. in uno dei suoi saggi) della "successiva riabilitazione
della materia (d’un graduale avvicinarsi alla natura e al reale, in parallelo
con i progressi della scienza, della cultura, del costume, della vita politica,
della stessa morale). Ma la finea risulta tutt'altro che retta e univoca: sia
perché l'ipotesi del graduale svolgimento della storia letteraria verso mete
progressive è fortemente contraddetta dalle fasi di stasi, d'involuzione, di
"ritorno"; sia perché continuamente emergono distanze o divaricazioni
tra livello storico e livello letterario (e qui s'innesta la forte
rivendicazione della forma come valore specifico del testo letterario); sia,
infine, perché (in base alla predilezione per il metodo monografico e per
l'analisi testuale) il racconto della Storia alterna lunghe soste con
rapidissimi voli, grandi indugi analitici con improvvise e fortissime elisioni.
La Storia procede, perciò, per grandi nodi tematici e testuali, muovendosi in
un sistema "a spirale" di allusioni e richiami tra fenomeni, autori,
epoche, con un disinibito oscillare del linguaggio dal familiare e dal basso
all'oratorio e al patetico, non senza momenti di carattere mimetico a ciascun
livello di scrittura (sono queste, del resto, le caratteristiche peculiari del
suo composito stile). Seguendo il cammino della Storia a partire dai primi
capitoli, troviamo anzitutto ISiciliani come scuola poetica feudale e
cortigiana, legata alla potenza della corte sveva e destinata a spegnersi prima
che "venisse a maturità", radicandosi nelle "classi
inferiori". Proprio questo processo di radicamento si analizza nel ben più
complesso capitolo intitolato I Toscani, ma centrato soprattutto sulla cultura
bolognese (e sulla scienza che si sviluppò in senso antifeudale presso
l'università di Bologna). Il punto d'arrivo di questa storia del mondo lirico
medievale è ALIGHIERI. Il breve capitolo dedicato a La lirica d’ALIGHIERI la
definisce come la voce dell'umanità a quel tempo: ALIGHIERI rappresenta
(vichianamente) l'epoca della fantasia, ed è la prima fantasia del mondo
moderno". Il discorso ritorna alle origini, per esaminare La Prosa e I
Misteri e le Visioni, che esprimono l'idea religiosa penetrata ne' costumi e
nelle istituzioni, ma che restano a livello di fase letteraria preparatoria
dell'aureo Trecento. A questo secolo è dedicato un capitolo molto puotiano
(attento ai Fioretti, a Cavalca e a Passavanti. ai testi di s. Caterina da
Siena e alla "maravigliosa cronaca" di D. Compagni), che però
anch'esso converge, romanticamente, verso la grande figura protagonistica di
Dante. La trecentesca "commedia dell'anima" esprime, infatti,
l'ordito culturale da cui nasce La Commedia, con la sua "base
ascetica" e la sua radicata abitudine alla "allegoria". Ma tutto
ciò rappresenta (secondo l'ottica tipica del D. dantista) la "falsa
poetica" attraverso e nonostante la quale Dante crea un'opera somma di
poesia (una vasta analisi del poema tende proprio a mostrare come, per virtù di
passione e di poesia, esso possa esprimere, "ancora pregno di misteri, quel
mondo che, sottoposto all'analisi, umanizzato e realizzato, si chiama oggi
letteratura moderna"). Il capitolo defficato al Petrarca (Il Canzoniere) è
breve, ma fondamentale: Petrarca non è solo un artista pieno di grazia e di
"malinconia", ma è il rappresentante di una nuova generazione
culturale che, dopo Dante, "volgeva le spalle al Medio Evo e si afferma
popolo romano e latino. In questa scelta, secondo D., c'è una profonda
ambivalenza (da una parte c'è il "rinnovamento" inteso come nascita
della coscienza laica; dall'altra la letterarietà come "erudizione",
imitazione, abito retorico), in cui si muoverà, per lunghi secoli, la storia
della letteratura italiana. E in un'ottica così conflittuale il Decamerone
appare come "l'apoteosi dell'ingegno e della dottrina" in dimensione
laica, ma anche come espressione di un "niondo borghese" che,
liberatosi dai vincoli dello spiritualismo, non riesce ad innalzarsi, al di là
del comico, fino alle "alte regioni dello spirito". Il Cinquecento è
il secolo che vede l'arte assoldata al mecenatismo, pur quando potrebbero porsi
le condizioni storiche per un avvicinamento tra cultura e "popolo"
(ad esempio, nella Firenze medicea) e pur quando sono già stati raggiunti
grandi vertici di raffinatezza letteraria (ad es., nelle Stanze del Poliziano).
Infine il Seicento, simboleggiato da Marino, produce in letteratura idilli ed
elegie, voluttà e musica, mentre l'intellettuale italiano si fa "estraneo
al movimento della cultura europea e a tutte le lotte del pensiero",
stagnando "in un classicismo e in un cattolicesimo di seconda mano".
Nell'arco, e sempre in chiave antifrastica, sono tanti gli episodi letterari
che il D. analizza, e ad alcuni, comunemente ritenuti minori, dedica interi
capitoli: a Sacchetti, a La Maccaronea, ad Aretino. L'opera d’Ariosto
(L'Orlando furioso) è esaminata secondo i parametri zurighesi: inserita nella
serialità storica, essa si propone come "sintesi dell'intero
Rinascimento", mentre l'"ironia" e il "riso scettico"
di Ariosto si manifestano espressione di un secolo adulto"(cioè divenuto
capace di critica e ormai maturo per la libertà borghese, pur nell'accettazione
di fatto della realtà cortigiana). Tasso, autore-simbolo dell'ambivalenza
ideologica e sentimentale, offre l'occasione per un discorso altrettanto
ambivalente sulla Contro-riforma e sul suo significato storico-culturale. Il
poema del Tasso è lo specchio della "ipocrita" cultura
controriformistica italiana e i suoi valori letterari vanno individuati in
senso opposto rispetto a quello programmatico e ufficiale: non nella
falsa" religiosità, ma nell'idillio, nell'elegia, nella voluttà (Tasso è,
perciò, accostato al Petrarca, nella tradizione di storiografia politica
risalente a Sismondi e Ginguené). Ma proprio al centro dell'arco storico c'è
una punta alta, un grande ritratto in positivo: quello di Machiavelli, che
riesce a costruire una valida ipotesi di rinnovamento, sia opponendo alla
teocrazia l'autonomia e l'indipendenza dello stato (un presentimento dei nostri
ordinamenti costituzionali"), sia rinnovando il "metodo" della
conoscenza, col rifiuto della teologia e del principio d’autorità (per lui
"la verità è la cosa effettuale, e perciò il modo di cercarla è
l'esperienza accompagnata con l'osservazione, lo studio intelligente dei
fatti"). Evidentemente, il ritratto di Machiavelli (liberato da tutte le
riserve moralistiche precedentemente espresse su di lui) è un caso-limite
d'interpretazione "tendenziosa" di un autore: se è scelto a
simboleggiare la politica e la scienza moderna, è perché il D.-maestro che
scrive la Storia (l'anno della presa di Roma, a cui esplicitamente egli fa
riferimento) vuol proporre ai giovani un preciso progetto di produzione
letteraria che leghi indissolubilmente letteratura, "scienza" e
politica laica (e che indichi anche lo strumento di una lingua letteraria
"precisa e concisa", antiretorica e antimusicale, che pure a
Machiavelli viene attribuita con qualche forzatura). Nel nome di Machiavelli,
dunque (anche se a distanza di 4 capitoli), si apre la parte moderna e
propositiva della Storia, che consiste nei due ultimi lunghissimi capitoli,
intitolati La nuova scienza e La nuova letteratura. Il rapporto tra essi è
derivativo: la "nuova letteratura" non potrà nascere se non dalla
scienza, che ha come obiettivo il progresso e il miglioramento dell'uomo, e che
ha come principale strumento la libertà intellettuale e politica. Perciò,
"i primi santi del mondo moderno" (i primi intellettuali capaci di
"lottare, poetare, vivere, morire per la fede nel progresso) sono Bruno,
Telesio, Campanella, Galilei; e poi Sarpi, Vico, Giannone; infine Beccaria e
Filangieri, con alle spalle il pensiero laico europeo, da Bacone alla
Rivoluzione francese. Come s'innesta in questo clima la nuova letteratura? Dopo
l'affascinante ma superficiale opera di Metastasio, l'innesto si realizza con
la scelta illuministica di utilizzare cose e non parole. Il primo autore vero
della nuova letteratura è Goldoni (ma con dei limiti di superficialità). Il
primo "uomo nuovo" è Parini, e poi vengono Alfieri e Foscolo (col
Monti personaggio negativo), ma con dei limiti negli eccessi e nelle scelte di
stile retorico. L'Ottocento (pur con la sua tensione d'impegno e di
sperimentazione) non ha ancora offerto, in Italia, modelli attendibili per il
cammino da percorrere. Il nostro futuro letterario è, perciò, incerto ma la
direzione da seguire è chiara: "convertire il mondo moderno in mondo
nostro, studiandolo, assimilandocelo e trasformandolo, esplorare il proprio
petto secondo il motto testamentario di Leopardi, questa è la propedeutica alla
letteratura nazionale moderna". Nella seconda edizione dei Saggi
critici e poi nei Nuovi saggi critici D. inserì alcuni saggi (in gran parte
composti per la Nuova Antologia) che precedono o accompagnano la stesura della
Storia e che nei confronti di essa risultano in diverso modo illuminanti. Il
più antico è Una Storia della letteratura italiana di Cantù, che, recensendo
l'opera appena pubblicata, la denuncia come fondata su pregiudizi e
superficiale dottrina e su valori che nulla hanno a che fare col letterario
(perciò l'inevitabile sottovalutazione di autori come Machiavelli, Ariosto,
Leopardi, Alfieri, Giusti, Berchet, cui si contrapporrà, appunto, la Storia
desanctisiana). Fondamentale, per chi indaghi sulla genesi della Storia, è il
saggio Settembrini e i suoi critici, in cui D. condanna il grave limite del
contenutismo radicale settembriniano, così come aveva condannato il
contenutismo cattolico-moderato di Cantù, ed afferma che una vera storia della
letteratura dovrebbe essere un lavoro interdisciplinare (con contributi di
filosofia, critica, arte, storia, filologia") al quale la cultura italiana
non è ancora attrezzata (risalendo queste considerazioni al periodo iniziale di
stesura della Storia, esse dimostrano la problematicità di D. nei confronti
della sua opera maggiore, e la profonda consapevolezza della
"parzialità" di essa). Più collegati alla componente ideologica
"positiva" della Storia risultano L'Armando di Prati e L'ultimo dei
puristi. Nel primo si denuncia la fine dei "tempi sentimentali" e si
afferma, per il presente, la necessità di un impegno tutto reale e concreto (il
materialismo è uscito trionfante dal seno stesso del mondo hegeliano" e
impone la "serietà della vita terrestre"); nel secondo, la
stroncatura di un purista attardato (Ranalli) dà luogo a una attenta e
intelligente rievocazione del Puoti e della sua scuola, che fu bandiera di
libertà, scienza, progresso, emancipazione, ma che (a parte il valore sempre
vivo del "metodo" puotiano) esaurì il suo ruolo storico alla vigilia
della fase rivoluzionaria (al presente, ogni nostalgia puristica risulta
storicamente e politicamente ingiustificata). Anche i grandi saggi danteschi
(Francesca da Rimini, Il Farinata di Dante, L'Ugolino di Dante) nacquero in
margine alla Storia, sia come ripresa del tema-Dante (e, in particolare, delle
riflessioni zurighesi), sia come esempio di quel lavoro di monografia che D.,
all'epoca, considerava storicamente e scientificamente più valido delle
"sintesi". I personaggi danteschi prediletti dalla cultura romantica
ed hegeliana sono letti rispettivamente in chiave di amore e pietà femminile
(Francesca), orgoglio politico (Farinata), complessità e profondità di
sentimenti antinomici (Ugolino), nell'ambito di un'attenta, colta, sensibile
lettura testuale (era in questo, appunto, che D. voleva proporsi come modello
di critica attuale, paziente e costruttiva, ed è appunto questo l'aspetto dei
Saggi che va ancor oggi rivendicato). Il saggio L'uomo del Guicciardini ripropone
l'antitesi (presente anche nella Storia) fra Machiavelli, precursore del
nazionalismo moderno, e Guicciardini, il cui particulare rifiuta ogni vincolo
religioso, morale, politico (ma la vera funzione del saggio si esplicita
nell'ultima frase, di amara denuncia della situazione politica presente: L'uomo
del Guicciardini vivit, immo in Senatum venit, e lo incontri ad ogni
passo. Venne affidata a D. la cattedra di letteratura comparata
nell'università di Napoli, dove egli tenne quattro corsi (è questa l'esperienza
nota come seconda scuola napoletana, che produce quattro gruppi di lezioni,
rispettivamente su Manzoni, Scuola cattolico-liberale, Scuola democratica,
Leopardi). Contemporaneamente pubblicò una seconda raccolta di saggi (Nuovi
saggi critici, Napoli) e inaugurò quella serie di conferenze e articoli sugli
orientamenti della letteratura contemporanea in chiave realistica che sarebbe
continuata, per dieci anni, fino alla vigilia della morte. Realizza un nuovo
momento d'impegno politico attivo, in occasione delle elezioni che prepararono
l'avvento al potere della Sinistra costituzionale (in particolare, appoggia,
con un'avventurosa campagna elettorale, la propria candidatura - difficile e
piuttosto equivoca - nella provincia d'origine, e ne rivisse il ricordo in una
serie di cronache giornalistiche pubblicate prima sulla Gazzetta di Torino e
subito dopo in volume, col titolo Un viaggio elettorale. Data il terzo e
ultimo episodio importante di giornalismo politico desanctisiano: ancora un
impegno battagliero, ma interno alla Sinistra (contro la gestione
trasformistica e antidemocratica del potere da parte di Depretis e Nicotera),
condotto soprattutto sulle colonne del Diritto di Roma. Cairoli riaffida a D.
il ministero della Pubblica Istruzione che egli tenne fino al 1880,
riproponendo i problemi della scuola di tutti (la scuola per l'infanzia, la
scuola primaria, la formazione dei maestri) e quelli dell'istruzione tecnica,
in un'ipotesi di cultura "scientifica" da sostituire alla
"cultura retorica"; ma ancora una volta fu sconfitto nei punti più
qualificanti del suo programma (la traccia più concreta che ne rimase fu
l'inserimento dell'educazione fisica tra le materie d'insegnamento: un omaggio
alla rivalutazione positivistica dell'uomo fisico). Colpito da una grave
malattia agli occhi, lasciò l'incarico ministeriale e dedicò i suoi ultimi anni
di vita a un lavoro di riflessione autobiografica (le Memorie che andò dettando
alla nipote Agnese) e critica (soprattutto ripresa e riorganizzazione della
riflessione petrarchesca e leopardiana). Muore a Napoli, lasciando incompiuti i
suoi ultimi lavori, cui, pur tra le sofferenze della malattia, si dedicò sino
alla fine. Come tutti i principali episodi dell'insegnamento
desanctisiano, anche le lezioni della "seconda scuola napoletana"
sono documentate da riassunti (redatti in genere da Torraca), rivisti e
ufficialmente accettati dall'autore. Il corso è dedicato a Manzoni e
rappresenta il punto d'arrivo di una riflessione iniziata all'epoca della
"prima scuola", sviluppata a Zurigo e rimasta sempre centrale nella
ricerca di D., pur senza trovare una sistemazione editoriale. In queste lezioni
le posizioni ideologiche e gli strumenti di ricerca sono molto cambiati
rispetto agli anni della "prima scuola", ma non cambia il giudizio di
valore. La grandezza del Manzoni è identificata ora nella sua capacità di
"calare l'ideale nel reale": da lui escono tre "grandi idee
critiche che hanno importanza universale": la "misura
dell'ideale", il "vero" positivo e storico, la "forma"
diretta e "popolare". Manzoni rappresenta la massima realizzazione
della letteratura "moderna" in Italia e le "scuole
letterarie" non segnano alcun progresso né sul piano dell'arte né su
quello dell'ideologia. Negli anni successivi. D. analizzò, appunto, lo
svolgimento della letteratura in Italia a partire dal Manzoni, dividendola
(secondo una traccia già seguita da Giudici, da Settembrini e da altri) nei due
filoni cattolico e laico, definiti rispettivamente "scuola liberale"
e scuola democratica. Alla Scuola liberale è dedicato l’anno di lezioni
universitarie, con risultati di giudizio fortemente militanti: l'impegno dei
cattolici per l'"educazione popolare" non offre risultati validi in
arte e svolge un ruolo (più o meno esplicito) d'insegnamento reazionario (nuovi
Arcadi sono Grossi, Carcano, Tommaseo, Cantú; Gioberti e Rosmini ripropongono
una dimensione metafisica della storia e della politica; D'Azeglio resta
attardato su una vecchia e superata immagine di letteratura retorica). Un
interessante excursus riguarda, però, la letteratura meridionale
dell'Ottocento: poeti poco noti (come Mauro, Padula, Parzanese, Sole) vengono
esaminati con interesse e simpatia. Il corso è dedicato alla scuola
democratica, e anche in quest'ambito il giudizio globale è negativo: Mazzini,
Rossetti, Berchet, Niccolini non possono fornire il modello della "nuova
letteratura". Si conferma così l'esito perplesso e sostanzialmente
pessimistico che caratterizza le ultime pagine della Storia e l'affermazione
del principio del realismo. I saggi più importanti elaborati da D. nell'ultimo
decennio di vita riguardano, appunto, le tematiche del realismo (alcuni di essi
furono raccolti nei Nuovi saggi critici). Dopo la prolusione universitaria La
scienza e la vita, sono da ricordare: Ilprincipio del realismo, Studio sopra
Emilio Zola, Zola e l'Assommoir, Il darwinismo nell'arte. L'assunto complessivo
è che il "realismo" auspicato da D. non si può confondere né col
materialismo, né col positivismo, né col naturalismo di Zola (il quale, però, è
molto valido come scrittore: lo studio a lui dedicato è particolarmente vasto e
attento). La letteratura del "reale" dev'essere (cfr. Manzoni)
"l'ideale calato nel reale", e cioè una costruzione "eticac
forza morale impegnata per rinnovare la società, contro l'individualismo, la
reazione, l'autoritarismo sempre in agguato. Nell'ultima fase della sua
vita D. non si limitò a teorizzare l'importanza e la "modernità" del
realismo in letteratura, né ad inserirsi con diversi strumenti critici
all'interno del problema per farne emergere i pericoli (o quelli che a lui
sembravano tali sul piano morale e politico), ma volle fornire delle prove
concrete di narrativa realistica, utilizzando un registro di linguaggio
"familiare", che già aveva usato nelle sue lettere alla moglie (con
estrema semplificazione sintattica e con frequenti coloriture dialettali) e
che, del resto, non era ignoto ai momenti più colloquiali della sua critica.
L'operetta narrativa che elaborò in funzione di esempio e modello fu Un viaggio
elettorale (1876): una serie di cronache del tragicomico attraversamento della
provincia natia da lui compiuto a sostegno di una candidatura politica poco
chiara e poco fortunata. Nella cronaca, il bozzettismo locale si alterna col
patetico dei ricordi d'infanzia o delle esortazioni politiche; ma il senso del
testo va ricercato più nella sua funzione che nei suoi esiti, né si può
dimenticare che nella storia del realismo italiano esso si colloca quasi in
contemporanea con Nedda, quattro anni prima di Giacinta, sei anni prima dei
Malavoglia. Alla vigilia della morte (sempre su materiali autobiografici
e sempre in ambito di racconto dal vero in linguaggio familiare), il D.
perseguì un progetto molto più ambizioso: la stesura di un'autobiografia, della
quale, però, non riuscì a portare a termine che la prima parte (egli l'aveva
intitolata Memorie; Villari ne pubblicò il frammento realizzato col titolo La
giovinezza). Così come ci resta, il frammento narra l'esperienza di D. dalla
nascita e consta di due nuclei narrativi essenziali. Il primo è legato ai
personaggi bozzettistici della famiglia paesana e degli ambienti napoletani
alti e bassi (preti, professori, avvocati, ragazze da marito, giovani
avventurieri, vecchie serventi) e, al centro di essi, l'autore pone il
personaggio "comico" di se stesso, pieno di tic, di timidezze, di
chiusure, di sogni. Il secondo nucleo è legato, invece, alla formazione
culturale e all'esperienza della prima scuola. Qui il tessuto è molto serio e
impegnativo: D. (utilizzando ricordi, ma soprattutto vecchi "quaderni di
scuola") vuole offrire un importante contributo alla critica di se stesso,
mostrando come siano andate formandosi le linee di forza del suo metodo. In ciò
la vita non è del tutto veritiera (molti sono gli imprestiti ideologici e
teorici che D. fa al se stesso maestro di Vico Bisi), ma resta, comunque, il
fascino di un clima in cui rivivono Puoti e Leopardi, la scoperta del
romanticismo, di Vico e di Hegel, l'autoritarismo borbonico e le utopie
libertarie del primo '800 napoletano. Nell'ultimo anno d'insegnamento
all'università di Napoli, argomento delle lezioni era stato Leopardi: dagli
appunti delle lezioni D. ricavò, negli ultimi mesi di vita, uno Studio su
Leopardi, che segue il poeta nelle diverse tappe della vita, dell'opera, del
pensiero, secondo lo schema della biografia critica di taglio positivistico. La
biografia rimane, però, incompiuta, chiudendosi al livello dei "nuovi
idilli" (come D. definisce i grandi canti), e proprio in questo tentativo
di riduzione di Leopardi alla misura dell'idillio lo Studio è stato foriero di
gravi equivoci e fraintendimenti nella successiva critica leopardiana, mentre in
D. si giustifica come tentativo di leggere Leopardi in quella stessa chiave di
realismo che si era rivelata funzionale per il Manzoni e il suo romanzo.
Celebri, proprio in quest'ambito, le riflessioni sulle figure femminili
dell'"idillio" leopardiano ("Silvia non è questa o quella donna;
è il primo apparire della giovinezza in un cuore femminile", ecc.); ma, a
parte questo, lo Studio non aggiunge molto né alla conoscenza del Leopardi né
alla critica di Sanctis. In sostanza, il meglio su Leopardi era stato detto nel
saggio (ma non vanno dimenticate certe importanti considerazioni della
"prima scuola", né il ruolo interessantissimo, problematico e
antidogmatico, che Leopardi ha nelle ultime pagine della Storia). Altri saggi
leopardiani appartengono alla fase e al clima di ricerca della Storia (La prima
canzone di Leopardi; Le nuove canzoni; La Nerina). In quest'ultimo, ancora un
esame (forse uno dei più importanti) della donna nella poesia leopardiana:
"La vita è tutta e solo in terra... La morte è l'altro motivo tragico di
questa concezione. Il motivo della Silvia è lo sparire. Il motivo della Nerina
è il riapparire". Lasciando da parte la fortuna del D.-maestro (un
vero e proprio appassionamento suscitato nei giovani allievi di Napoli, Torino
e Zurigo), per ricostruire la storia del dibattito su D. bisogna muovere da un
dato obiettivo di iniziale sfortuna critica: lo scarto fra i tempi della genesi
dei testi maggiori e quelli della loro pubblicazione. A causa di questo scarto,
egli apparve subito come un idealista attardato (e perciò più meritevole di
giudizi sommari che di attenzione testuale), nel clima di positivismo dominante
in cui i suoi scritti si offrivano ad un'interpretazione globale (per es. F.
D'Ovidio era convinto che D. ignorasse la pazienza della ricerca e dello
studio, e Carducci gli attribuiva difetto di cognizione dei fatti e dei
documenti"). A sintomatico che, in un dibattito così fortemente
pregiudiziale, venisse del tutto ignorato non solo il tipo di formazione di D.,
ma anche l'ultimo decennio della sua produzione, con la dichiarata opzione
"realistica" e con la forte propensione per lo scientismo. Ma proprio
a causa della pregiudizialità del dibattito di fine secolo (rilevata, fin
d'allora, da qualche attento osservatore straniero, come Gaspary), D. poté
divenire, attraverso l'elaborazione crociana, lo strumento chiave per il
rilancio di un metodo critico antipositivistico e per la progressiva
riaffermazione culturale e ideologica dell'idealismo. A Croce spetta, certo, il
merito di aver costretto la cultura italiana a riconoscere in D. un
protagonista (la sua appassionata cura di editore e di studioso di D. durò per
oltre mezzo secolo); ma, contemporaneamente, Croce prese a
"rielaborare" il pensiero di D., fino a propome la riduzione a teoria
del "puro" gusto estetico (Borgese, che presentò D. come punto di
arrivo di "tutte le esperienze della critica romantica in Italia",
fu, in realtà, uno dei primi e più autorevoli interpreti di questa tendenza
riduttiva; scarsa fortuna ebbe, d'altra parte, una proposta di Gentile per un
"ritorno al De Sanctis di SEGNO FASCISTA. Proprio dall'interno della
scuola crociana dai cosiddetti crociani di sinistra") è prospettata,
tuttavia, l'esigenza di un dibattito diversamente impostato, volto al recupero
della complessità della figura di D.: mentre Russo rivendicava "il
significato pedagogico ed etico" dell'opera e la sua intelligenza
dell'arte come notalità, Muscetta sottolineava l'importanza della sua poetica
realistica, la sua "serietà" culturale, la sua visione della
letteratura come vita morale. Importanti, in questa fase, furono anche gli
studi di W. Binni sull'"amore del concreto" che nutrì tutta la ricerca
desanetisiana e che problematizzò i suoi rapporti con l'hegelismo e di Getto
sulla Storia, "in cui la letteratura era studiata nel suo autonomo valore
e insieme nel suo necessario legame con tutta la vita e la cultura. Infine,
presentando una importante antologia di scritti desanctisiani, Contini dichiara,
a nome di un'intera generazione di studiosi, l'uscita dall'"equivoco
formalistico" della riduzione crociana di D. e la necessità di tentare
finalmente una comprensione filologica dei testi desanctisiani, con tutta la
loro problematicità anche irrisolta. Ma lo spostamento ideologico
dell'intero dibattito critico mosse dalla pubblicazione dei Quaderni di Gramsci
(Letteratura e vita nazionale, Torino) e dalla sua celebre affermazione che il
tipo di critica letteraria proprio della filosofia della prassi è offerto da Sanctis.
Da qui appunto si partì per un'ampia verifica dell'"impegno" di D.,
del carattere militante della sua critica, dei "saldi convincimenti morali
e politici" che, secondo Granisci, la sostanziavano: era una verifica,
evidentemente, molto correlata al bisogno della cultura d'incidere sul presente
storico, dopo e contro il "disimpegno" teorizzato, nel ventennio
fascista, da crociani e non crociani. Questo momento di dibattito produsse, fra
l'altro, le iniziative editoriali, cui si deve, oggi, la possibilità di leggere
D. su testi di alto livello scientifico: le due collane avviate da Einaudi e
Laterza (e dirette rispettivamente da Muscetta e L. Russo) per la pubblicazione
delle "opere complete". E non a caso, negli stessi anni, apparivano
fuori d'Italia (dove la letteratura desanctisiana è scarsissima) due importanti
interventi critici: quello di R. Wellek (che nella sua grande Storia della
critica moderna presenta D. come autore della "più bella storia che sia
stata mai scritta di una letteratura") e quello di Antonetti (che ne
pubblicò in Francia una documentata e intelligente biografia culturale). Né a
caso sono condotte indagini nuove e approfondite sui legami tra D. e la cultura
(Mirri, Landucci, Oldrini). In un clima culturale ancora una volta mutato,
e ormai insofferente dell'insistenza sull'"impegno politico del
letterato", si affermò l'esigenza di uscire dall'ottica di un D. modello
per il presente, e di sottolineare (accanto ai "valori" ormai
definitivamente affermati) la distanza storica e le diversità culturali che ci
separano da lui. Tra gli interpreti di questa esigenza ricordiamo A. Asor Rosa
e parecchi dei partecipanti al convegno napoletano su "De Sanctis e il
realismo". Con maggiore cautela, le più recenti occasioni offerte dal
centenario desanctisiano (F. D. nella storia della cultura, a cura di Muscetta,
Bari e F. D.: un secolo dopo, a cura di A. Marinari) si sono mosse su una linea
di attenzione ai testi, di chiarificazione e approfondimento della vasta ancora
aperta e interessanteproblematica desanctisiana, di tricollocazione storico-culturale
nel mutevole orizzonte di cultura europea in cui tutta la sua ricerca si
mosse. Il materiale manoscritto, ormai quasi tutto edito, si trova
(tranne una parte di quello epistolare, sparso un po' in tutta Italia) a Napoli
(Bibl. nazionale, bibl. di casa Croce e bibl. del dott. F. De Sanctis Jr.) e ad
Avellino (Bibl. prov. S. e G. Capone). Restano inediti quasi solo i voll.
dell'Epistolario. Le raccolte degli scritti, dopo le incomplete ediz.
Cortese e Barion (sono oggi quella laterziana (Bari, negli "Scrittori
d'Italia", a cura di L. Russo, incompleta) e quella einaudiana (Torino,
Opere di F. De Sanctis, a cura di C. Muscetta, priva soltanto degli ultimi due
voll. dell'Epistolario). La raccolta laterziana comprende i seguenti voll.: La
letteratura italiana, I (A. Manzoni, a cura di Blasucci); (La scuola liberale e
la scuola democratica, cur. Catalano); (Leopardi, a cura di Binni); Storia
della letteratura italiana, a cura di Croce; Memorie, lezioni e scritti
giovanili, I, a cura di F. Brunetti; Saggio critico sul Petrarca, a cura di E.
Bonora; Saggi critici, cur. Russo; La poesia cavalleresca, a cura di Petrini.
La raccolta einaudiana, invece, comprende: Lagiovinezza (memorie postume
seguite da testimonianze biografiche di amici e discepoli), cur. G. Savarese;
Purismo illuminismo storicismo (scritti giovanili, frammenti di scuola e
lezioni), cur. Marinari; La crisi del romanticismo (scritti del carcere e primi
saggi critici), a cura di Nicastro e Lanza; Lezioni e saggi su Dante, a cura di
S. Romagnoli, Saggio sul Petrarca, a cura di Sapegno e Gallo; Verso il realismo
(prolusioni e lezioni zurighesi sulla poesia cavalleresca, frammenti di estetica,
saggi di metodo critico), a cura di N. Borsellino; Storia della letteratura
italiana, a cura di Sapegno e Gallo; La letteratura italiana, Manzoni (a cura
di C. Muscetta e D. Puccini, La scuola cattolico-liberale e il romanticismo a
Napoli (cur. Muscetta e G. Candeloro, Mazzini e la scuola democratica (a cura
di Muscetta e Candeloro), Leopardi (cur. Muscetta e Perna); L'arte la scienza e
la vita (nuovi saggi critici, conferenze e scritti vari), a cura di Lanza; Il
Mezzogiorno e lo Stato unitario (scritti e discorsi politici a cura di F.
Ferri,; I partiti e l'educazione della nuova Italia (scritti e discorsi), a
cura di N. Cortese; Un viaggio elettorale(seguito da discorsi biografici, dal
taccuino parlamentare e da scritti politici vari), a cura di Cortese;
Epistolario (cur. Ferretti e M. Mazzocchi Alemanni); (a cura degli stessi, (a
cura di Talamo, (a cura dello stesso, (a cura di Marinari, Paoloni e Talamo).
Ottime antologie degli scritti del D. sono quelle curate da G. Contini (Torino)
e da Sapegno e Gallo (Milano-Napoli). Per la bibl. delle opere e della
critica, cfr. Croce, Gli scritti di F. D. e la loro varia fortuna, Bari (con
integrazioni di C. Muscetta, in F. De Sanetis, Pagine sparse, Bari ed E. Pesce,
Supplemento alla bibliografia desanctisiana Napoli. Sono da tener presenti
inoltre le rassegne: M. Tondo, La lezione di D. Rassegna degli studi
dell'ultimo venticinquennio, Bari; P. Tuscano, F. D. a cento anni dalla morte,
in Cultura e scuola; Oldrini, La storiografia desanctisiana dell'ultimo
decennio, nel miscellaneo F. D. Un secolo dopo, a cura di A. Marinari,
Bari. Per la biografia, vanno ricordati anzitutto i seguenti saggi
d'insieme: Cione, F. D., Messina-Milano e Milano Montanari, F. D., Brescia;
Antonetti, F. D. Son évolution intellectuelle, son esthétique et sa critique,
Aix-en-Provence; E. Croce-A. Croce, D., Torino. Per gli anni della formazione,
sono da tener presenti i seguenti scritti: Croce, Introd. a F. De Sanctis,
Teoria e storia della letteratura, Bari; A. Marinari, Introd. a Purismo
illuminismo storicismo cit., nonché Le correzioni del Puoti ai primi due
discorsi di scuola del D., in Belfagor, Id., Alcuni problemi di cronologia
desanctisiana, Firenze e Il giovane D. lettore di P. Giannone, in Letteratura e
critica, Studi in onoredi Sapegno, II, Roma; Savarese, Primo tempo del D. e
altri saggi, Bologna; Luciani, L'estetica applicata di F. D., Firenze Muscetta,
D. e i generi letterari in F. D. nella storia della cultura, a cura di C.
Muscetta, Bari. Per gli anni della prigionia e dell'esilio, sono
indispensabili: E. Cione, F. D. dallaNunziatella a Castel dell'Ovo, Napoli;
Croce, Il soggiorno in Calabria, l'arresto e la prigionia di F. D., Napoli ora
in Aneddoti di varia letteratura, Bari); F. D. a Torino, a cura di C. Vernizzi,
Torino; Guglielminetti-G. Zaccaria, F. D. e la cultura torinese e R. Martinoni,
Gli anni zurighesi, entrambi in F. D. nella storia della cultura cit. (dello
stesso Martinoni, cfr. anche La puzza della birra e del tabacco. Gli anni
zurighesi di F. D., in L'Almanacco Bellinzona Besomi, D. "in partibus
transalpinis", ma non "infidelium": letture zurighesi, in Per F.
D., Bellinzona. Per gli anni sono da tener presenti i voll. dell'Epistolario
con le rispettive introduzioni. Lo stesso vale per gli anni successivi. Per il
soggiorno del D. a Firenze, cfr. G. Spadolini, D. e Firenze capitale, in F. D.
Un secolodopo. Per il D. ministro, cfr.: G. Talamo, F. D. politico e altri
saggi, Roma Soldani, Scuola e lavoro: D. e l'istruzione tecnico-professionale,
inF. D. nella storia della cultura Ciampi, Il governo della scuola nello Stato
postunitario, Milano ad Indicem; A. Santoni Rugiu, Aspetti dell'ideologia
formativa di F. D., nonché S. Valitutti, Il pensiero e l'azione scolastica di
D. ed Bottasso, D. ministro e la formazione delle prime tre biblioteche
nazionali (tutti in F. D. - Un secolo dopo cit.). Per la morte e le onoranze
funebri, cfr. In memoria di F. D., a cura di M. Mandalari, Napoli a cura della
Comunità montana Alta Irpinia). Tra gli studi critici di carattere
generale, cfr.: B. Croce, F. D., in Letteratura della nuova Italia, I, Bari
(per gli altri scritti desanctisiani del Croce, cfr. G. Savarese, Croce e D.,
in Rassegna della letteratura italiana, Russo, F. D. e la cultura napoletana,
Venezia(poi Firenze, ora Roma Muscetta, F. D., inLetteratura italiana. I
minori, IV, Milano e in Letteratura
italiana. Storia e testi, VIII, 1, Bari, ibid 19854; Fubini, F. D. e la critica
letteraria, in Romanticismo italiano, Bari Mirri, F. D. politico e storico
della civiltà moderna, Messina-Firenze; Landucci, Cultura e ideologia di F. D.,
Milano (sul quale cfr. M. Mirri in Critica storica, e la risposta di S.
Landucci, in Belfagor); A. Asor Rosa, L'idea e la cosa: D. e l'hegelismo, in
Storia d'Italia (Einaudi), Torino e Il diagramma Sanctis e il nostro, in
Letteratura italiana (Einaudi), Torino Utilissime sono anche tutte le
introduzioni ai singoli volumi delle edizioni cinaudiana e laterziana. Sono da
tenere inoltre in grande considerazione le osservazioni di I. Svevo (in
Racconti. Saggi. Pagine sparse, Milano e Debenedetti (Commemorazione del
D.), (ora in Saggi critici, Milano),
nonché quelle di Binni (L'amore del concreto e la "situazione" nella
prima critica desanctisiana, ora in Critici e poeti dal Cinquecento al
Novecento, Firenze), G. Contini (Introd. a Sanctis, Scelta di scritti critici,
cit.); G. Getto (Storia delle storie letterarie, Milano ad Indicem), C.
Dionisotti (Geografia e storia della letteratura italiana, Torino, ad Indicem)
e Wellek (Storia della critica moderna, IV, Bologna. Molto ricche sono le
miscellanee: F. D. e il realismo, con Introd. di G. Cuomo, Napoli 1978; F. D.
nella storia della cultura, a cura di C. Muscetta, Bari; F. D. tra etica e
cultura ("Riscontri"), a cura di Giordano, Avellino; D. - Un secolo
dopo, a cura di A. Marinari, Bari; Per F. D., Bellinzona; F. D.: recenti
ricerche, a cura dell'Ist. per gli studi filosofici, Napoli 1989. Per i
rapporti fra il D. e la cultura napoletana dell'800, cfr. gli scritti di G.
Oldrini (in particolare, La cultura filosofica napoletana dell'800, Bari e gli
interventi apparsi nelle varie miscellanee già citate). Per quelli con
l'hegelismo, oltre allo scritto già cit. del Binni, cfr.: N. Giordano Orsini,
D., Hegel e la situazione poetica, in Civiltà moderna, Rossi, Sviluppi dello
hegelismo in Italia (F. D., S. Tommasi, A. Labriola), Torino; Il primo
hegelismo italiano, a cura di Oldrini, Firenze; M. T. Lanza, D. e Hegel, in F.
D. nella storia della cultura, Landucci, cit. Tra i tanti altri saggi,
cfr. pure: M. Aurigemma, Lingua e stile nella critica di F. D., Ravenna
Battaglia, Parva desanctisiana, Bologna Moretti, La lingua di F. D., Firenze
Prete, Il realismo di D., Bologna Malcangi, F. D. deputato di Trani, con
Introd. di A. Lapenna e A. Marinari, Bari 1972; A. Marinari, Il "viaggio
elettorale" di F. D. Il dossier Capozzi e altri inediti, Firenze Ghilardi,
Il superamento del kantismo e l'esperienza politica di F. D., Napoli Guglielmi,
Da D. a Gramsci: il linguaggio della critica, Bologna Celli Bellucci-N. Longo,
F. D. e G. Leopardi tra coinvolgimento e ideologia, Roma; M. Dell'Aquila,
Giannone, D., Scotellaro. Ideologia e passione in tre scrittori del Sud, Napoli
1981; G. Nencioni, F.D. e la questione della lingua, Napoli. Per i
rapporti con le altre letterature europee: per la Francia cfr. F. Neri, Il D. e
la critica francese (ora in Saggi, Milano); P. Antonetti, F. D. et la
culturefrançaise, Firenze-Parigi Piscopo, D. e la culturafrancese, in F. D. -
Un secolo dopo cit.; per la Germania, cfr.: G. Bach, La cultura tedesca in F.
D., in Studi e ricordi desanctisiani, Avellino 1935; F. Matarrese, Goethe e D.,
Bari Westhoff, Schiller e D., Roma Mazzocchi Alemanni, La "fortuna"
di D. in Germania, in F. D. nella storia della cultura; per il mondo
angloamericano, cfr.: A. Lombardo, Shakespeare e la letteratura inglese, in F.
D. - Un secolo dopo cit., Della Terza, D. e la cultura anglosassone, in F. D.
nella storia della cultura cit., e D. negli Stati Uniti d'America, in F. D. -
Un secolo dopo. Per la fortuna critica dell'opera del D., cfr. Biscardi,
F. D., Palermo Romagnoli, F. D., in Iclassici italiani nella storia della
critica, a cura di W. Binni, II, Firenze; Castro, F. D. nella critica italiana
del secondo dopoguerra, in Problemi, Longo, Il "ritorno" di D.
Storia, ideologia, mistificazione, Roma Cfr. pure, al riguardo, le rassegne di
G. Oldrini, M. Tondo e P. Tuscano citate a proposito degli scritti bibliografici.
Sossio Giametta. Giametta. Keywords: il volo d’Icaro, l’implicatura di Croce –
eterodossie crociane – Cosi parlo Zoroaster; cosi implico!”—cortocircuito e
implicature, la pazzia di Croce, il pazzo di Croce – la caduta di Icaro? No, il
vuolo di Icaro! – Colli e Montanari! -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giametta:
cortocircuito ed implicatura” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Giandomenico: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale -- l’apertura semantica e l’implicatura di Galilei – la scuola
di Carunchio -- filosofia chietese – filosofia abruzzese -- filosofia italiana
– Luigi Speranza (Carunchio). Filosofo. Carunchio, Chieti,
Abruzzo. Grice: “I like Giandomenico; he makes excellent commentary on
Bernard’s controversial, deterministic idea of life – from amoeba to man, in
Russell’s words --.” Grice: “Surely this has connections with my method in
philosophical psychology, from the banal to the bizarre, which actually starts
with philosophical BIO-logy!” Grice: “Giandomenico shows that while Bernard
never thought he had to provide a ‘conceptual analysis’ of ‘vivente,’ he does
propose this or that criterio: for one he tries to prove that self-nourishment
cannot be the criterion – but I’m not sure what the positive he poes, if any!” Si laurea con Corsano all’istituto di filosofia di Bari.Insegna
a Brindis, Lecce, Foggia, e Bari. Studia l'insegnamento di Filosofia nei Licei. Studia filosofia della
comunicazione. Fonda il Laboratorio di Epistemologia Informatica e il Centro per
la Metodologia della Sperimentazione. Studia pragmatica computazionale e
Informatica umanistica. Membro della Società Filosofica Italiana. Si occupato della
storia della fisiologia, la storia sdell’informatica, l’informatica pragmatica,
teoria della comunicazione, teoria dell’implicatura conversazionale, e teoria
del segno. Pubblicato uno studio su Tommasi, che aderì alla sperimentazione. Ha
trattato il contributo scientifico di Pende. Analizza i fondamenti
dell'informatica nei suoi rapporti con le teorie filosofiche, mettendo in
evidenza le strutture epistemiche reciprocamente significative. “Filosofia ed
informatica”, Inoltre, ha sperimentato applicazioni delle tecnologie informatiche
nella ricerca umanistica. Le ricerche condotte nell'ambito
dell'informatica linguistica si sono proposte l'analisi
linguistico-computazionale. L'obiettivo è stato quello di andare al di là del
livello “lessicografico” – il filosofese – o terminologia filosofica, como
‘implicatura’ -- e di implementare una rete sintattica automatica con l'ausilio
di software dedicati. Il primo progetto ha riguardato l'analisi della
conversazione nel “Dialogo sopra i due massimi sistemi” di GALILEI. Usando un
software, creato dal Laboratorio di Epistemologia Informatica di Bari, ricava
un “vocabolario” (filosofese, terminologia filosofica, vocabolario filosofico)
galileiano, procedere ad una prima valutazione dello stile ed avviare l'analisi
“semantica” di un “concetto” utilizzato da Galileo. Ha raccolto, infine, questi
spunti in una riflessione sui linguaggi dell'artificiale, intersecati con
quelli della vita, sulle nuove tecnologie della comunicazione e sull'etica.
Altre opera: “Tommasi, filosofo, Bari, Adriatica; “Filosofia e sperimento”
Bari, Adriatica; “Scienza, filosofia, letteratura, Verona, Bertani; “
Introduzione a Charcot, Fasano, Schena); “Epistemologia informatica, Bologna,
Transeuropa); “ Filosofia e informatica. Bari: Laterza); “L'uomo e la macchina
trent'anni dopo: Filosofia e informatica, Società Filosofica Italiana, Bari,
Laterza); “Dall'offerta formativa alla creazione di un nuovo lavoro: la laurea
umanistica” in Convegno per il corso "Informatica umanistica” BARI: G.
Laterza); “Laboratori di psicologia tra passato e futuro, Lecce, Pensa
Multimedia); “La prosa di Galileo: la lingua la retorica la storia, Lecce, Argo);
“La filosofia come strumento di dialogo tra le culture, Bari, Mario Adda Editore);
La Società Filosofica Italiana, Roma, Armando. Triggiani, Cultura, un fronte
unico. Università e Comune per una rete dei contenitori, in Gazzetta del
Mezzogiorno, A.L., Dopo la laurea faccio il master in orecchiette, in Specchio.
Supplemento di La Stampa, F. Di Trocchio, Dall'archivio al futuro, in
L'Espresso,de Ceglia, l. Dibattista, Semi di storia della scienza. Milano, Angeli. L’esperire immediato e
l’esperienza mediata Affronteremo in questa lezione il difficile rapporto che
s’instaura tra il mondo-della-vita e quello della scienza, tra esperienza
diretta ed immediata ed organizzazione razionale. Husserl ritiene che le
scienze moderne (matematiche e naturali) hanno bisogno di un nuovo fondamento,
diverso e ben più solido di quello che vien loro solitamente attribuito dalla
comunità degli scienziati, dei logici e dei metodologi. Per trovare questo
nuovo fondamento, egli si rivolge direttamente al mondo-della -vita, cioè al
mondo dell’esperienza concreta, nel quale le intuizioni si presentano al loro
stato originario, non ancora elaborate in concetti: in una parola, si rivolge
al mondo del precategoriale. A questo proposito egli mette in guardia gli
scienziati, i quali ritengono di considerare la natura come è realmente e non
si accorgono dell’astrazione attraverso la quale essa è diventata per loro un
tema scientifico, non si accorgono cioè che le cose cui fanno riferimento -
perfino quando parlano di oggetti empirici, di risultati dell’osservazione e
della sperimentazione - sono in realtà il frutto di un precedente, assai
complesso e artificioso, lavoro categoriale. Possiamo ricordare, a questo
proposito, le procedure operative che oggi (in maniera più evidente di quanto
si poteva percepire ai tempi di Husserl) le scienze sperimentali adottano. Ecco
un esempio. Vedere, nella scienza del nostro tempo, vuol dire, quasi
esclusivamente, interpretare segni generati da strumenti: tra la vista di un
astronomo del nostro tempo che fa uso del telescopio spaziale Kepler e una di
quelle lontane galassie che appassionano gli astrofisici ed accendono la
fantasia di tutti gli esseri umani sono interposti oltre una dozzina di
complicati apparati mediatori del tipo: un satellite, un sistema di specchi,
una lente telescopica, un sistema fotografico, un apparecchio a scansione che
digitalizza le immagini, vari computer che governano riprese fotografiche e
processi di scansione e memorizzazione delle immagini digitalizzate, un
apparecchio che trasmette a terra queste immagini in forma di impulsi radio, un
apparecchio a terra che ritrasforma gli impulsi radio in linguaggio per un computer,
il software che ricostruisce l’immagine e le conferisce i necessari colori, il
video, una stampante a colori e così via. Questo esempio evidenzia che la
scienza ha due attività fondamentali: la teoria e gli esperimenti. Le teorie
cercano di immaginare come il mondo è; gli esperimenti servono a controllare la
validità delle teorie e la tecnologia che ne consegue cambia il mondo. L’intero
iter della ricerca scientifica si può sintetizzare con una affermazione netta:
rappresentiamo e interveniamo. Rappresentiamo al fine di intervenire e
interveniamo alla luce delle rappresentazioni. Dall’epoca della rivoluzione
scientifica ha preso vita una sorta di “artefatto collettivo” che dà campo
libero a tre fondamentali interessi umani: la speculazione, il calcolo, l’esperimento.
La collaborazione fra ciascuno di questi tre ambiti porta a ciascuno di essi un
arricchimento che sarebbe altrimenti impossibile. Per questo, come aveva
insegnato già il filosofo inglese Francesco Bacone (ritenuto con Galilei il
padre della scienza moderna), la scienza non è osservazione della natura allo
stato grezzo. I sensi dell’uomo vanno ampliati mediante strumenti. I raggi
dell’ottica di Newton, così come le particelle della fisica contemporanea, non
sono dati in natura, sono i dati di una natura sollecitata da strumenti. Di
fronte alla natura - come aveva affermato con una delle sue barocche metafore
il Lord Cancelliere inglese - dobbiamo imparare a “torcere la coda al leone”.
Da questo punto di vista la storia degli strumenti non è esterna alla scienza,
ma ne è parte costitutiva e integrante. Attenzione! Questo materiale didattico
è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti
della legge sul diritto d’autore. La rivincita della conoscenza comune In altre
parole: la definizione operativa accolta usualmente dagli scienziati tende sì a
ricondurre i concetti ad un contenuto empirico, ma questo contenuto in realtà è
quello filtrato da teorie e strumenti, come dall’esempio che abbiamo sopra
riportato.La tesi di Husserl è, invece, che il fondamento di tutte le scienze -
anche di quelle cosiddette empiriche - possa venire fornito soltanto dal «fiume
eracliteo» delle intuizioni che precedono qualsiasi tipo di concettualizzazione
e che ci coinvolgono nell’immediatezza della vita, personale e professionale,
vissuta, la quale presuppone “il mondo circostante quotidiano della vita, in
cui tutti noi, e anch’io in quanto filosofo, esistiamo coscienzialmente: non
meno le scienze, in quanto fatti culturali inclusi in questo mondo, e gli
scienziati e le loro teorie. Nei termini del mondo-della-vita: noi siamo
oggetti tra gli oggetti; siamo qui o là, nella certezza diretta
dell’esperienza, prima di qualsiasi constatazione scientifica, fisiologica,
psicologica, sociologica, ecc. D’altra parte siamo soggetti per questo mondo,
soggetti egologici che lo esperiscono, che lo considerano, che lo valutano, che
vi si riferiscono attraverso un’attività conforme a scopi, soggetti per i quali
il mondo circostante ha il senso d'essere che gli è stato attribuito dalle
nostre esperienze, dai nostri pensieri, dalle nostre valutazioni, ecc., e nei
modi di validità (della certezza, della possibilità, eventualmente dell’apparenza,
ecc.) che noi realizziamo attualmente, in quanto soggetti di validità o che già
possediamo da prima e che portiamo in noi in quanto abitualmente acquisiti, in
quanto validità di questo o di quel contenuto che possono essere attualizzate a
piacimento. Naturalmente tutto ciò soggiace a una molteplice evoluzione, mentre
”il” mondo continua a essere un mondo unitario, e si corregge soltanto nella
sua struttura di contenuto. Ora, se consideriamo noi stessi in quanto
scienziati, nella funzione di scienziati in cui ora di fatto ci troviamo, al
nostro particolare modo d’essere, di essere scienziati, corrisponde il nostro
fungere attuale nel modo del pensiero scientifico, del nostro porre problemi e
del nostro ricavare soluzioni teoretiche in relazione alla natura e al mondo
dello spirito; ciò a cui ci riferiamo non è dapprima altro che uno degli
aspetti del mondo-della-vita già precedentemente sperimentato o, comunque, già
presente alla coscienza e già valido scientificamente o pre-scientificamente. Fungono
con noi gli altri scienziati, che vivono con noi in una comunità teoretica, che
attingono o già possiedono le stesse verità, oppure che, grazie
all’accomunamento di questi atti, stanno con noi nell’unità di operazioni
critiche e nel proposito di un accordo critico. D’altra parte noi possiamo
essere per gli altri, e gli altri per noi, meri oggetti; invece che nella
comunità dell’unità di un interesse teoretico attuale, possiamo conoscerci
reciprocamente attraverso l’osservazione; possiamo conoscere gli atti del
pensiero, gli atti dell’esperienza e, eventualmente, altri atti, come fatti
obiettivi, ma “senza interesse”, senza partecipazione, senza un’adesione o un
rifiuto critico” (Husserl, La crisi delle scienze europee). Ogni pensiero
scientifico e qualsiasi problematica filosofica, secondo Husserl, implicano
sempre certe ovvietà, per esempio la certezza che il mondo esiste, che è già
sempre preliminarmente, e che qualsiasi rettifica di un’opinione di qualsiasi
tipo, presuppone sempre il mondo in quanto orizzonte di ciò che senza dubbio è
e vale. Anche la scienza oggettiva pone i suoi problemi sul terreno di questo
mondo, il quale, però, è sempre già da prima, che è già a partire dalla vita
prescientifica. Essa, come qualsiasi prassi, presuppone il suo essere; ma,
insieme, si pone come fine la trasformazione del sapere prescientifico (che è
imperfetto sia nella sua portata che nella sua consistenza), in un sapere
compiuto, conformemente all’idea della correlazione tra mondo, che in sé è ben
determinato, e verità scientifiche che lo spiegano, presentandosi come delle
verità in sé. In altri termini, il suo compito è quello di attuare questa
esplicazione attraverso un processo sistematico, attraverso gradi di
compiutezza, utilizzando un metodo che permetta un costante progresso. In
realtà Husserl tende a realizzare una descrizione dello strato precategoriale
(o antepredicativo) posto a fondamento dell’edificio logico-categoriale. Questo
strato può presentarsi sia come un piano autonomo d’esperienza che ignora la
destinazione predicativa, sia come un’anteriorità funzionale, cioè come un
precategoriale non autonomo in quanto indirizzato verso il piano predicativo (o
categoriale). In questo secondo caso, il predicativo assume il valore di
interpretazione ed esposizione linguistica dell’antepredicativo cioè
dell’originario d’esperienza. Il criterio che egli assume, peraltro, richiede
che ogni fondazione e chiarificazione conoscitiva acquisisca, dal punto di
vista fenomenologico, la forma del rinvio all’intuizione fondante. In tal modo
il rapporto tra sensibilità ed intelletto (è evidente qui il richiamo critico
alle due “fonti della conoscenza”, di kantiana memoria) si traduce nel rapporto
tra sensibile e “categoriale”: il non-categoriale, il precategoriale è collocato
nella sfera del sensibile con tutta la sua valenza fondativa per gli atti
logici superiori. La rivincita della conoscenza comune Agrimensura
empirica e geometria scientifica Tra le pagine più note, nelle quali Husserl
analizza il rapporto fondativo del precategoriale incarnato nel
mondo-della-vita ed il categoriale consacrato nei paradigmi scientifici, quelle
dedicate alla genesi della geomertia e della geometrizzazione della natura sono
particolarmente idonee per le tematiche che stiamo analizzando. Husserl precisa
subito che la sua indagine genealogica non mira ad una ricostruzione
“storiograficamente corretta” delle origini della geometria (emblematicamente
assurta a simbolo della scienza “esatta”, ma non rigorosa) bensì vuole
rintracciare il senso profondo, originario della sua collocazione categoriale.
Il problema dell'origine della geometria (e sotto il titolo di geometria
raccogliamo qui, a fine di concisione, tutte quelle discipline che si occupano
delle forme esistenti matematicamente nella spazio-temporalità) non è qui un
problema storico-filologico; non si tratta quindi di reperire i primi geometri
che·abbiano formulato proposizioni, dimostrazioni, teorie geometriche, né
quelle determinate proposizioni che essi possono aver scoperto, ecc. Il nostro
interesse mira invece a risalire al senso più originario in cui la geometria si
è costituita, in cui si è sviluppata attraverso millenni, in cui è ancora viva
per noi e in cui continua a evolvere; noi indaghiamo cioè il senso in cui si è
presentata per la prima volta nella storia - il senso in cui dev’essersi
presentata, anche se nulla sappiamo, né cerchiamo di sapere, sui suoi creatori.
Partendo da ciò che sappiamo della nostra geometria, oppure dalle sue forme più
antiche tramandateci (per es. dalla geometria euclidea), cerchiamo di risalire
agli inizi originari e ormai sommersi della geometria, a quegli inizi
“originariamente fondanti” così come devono necessariamente essersi prodotti.
Questo tentativo di risalire al senso originario si mantiene necessariamente
nell’ambito delle generalità, ma, come La rivincita della conoscenza comune
risulterà tra breve, si tratta di generalità ricchissime, la cui esplicitazione
offre la possibilità di attingere problemi particolari e constatazioni evidenti
che a loro volta si configurano come problemi. La geometria, per così dire,
compiuta, a cui occorre rifarsi per risalire al suo senso, è una tradizione. La
nostra esistenza umana si muove nell’ambito di un numero enorme di tradizioni.
Tutto il mondo culturale, in tutte le sue forme, è per noi in base alla
tradizione. Perciò le forme culturali non sono soltanto divenute causalmente:
noi sappiamo anche che la tradizione è appunto una tradizione che si è
costituita nel nostro spazio umano e in base all’attività umana, sappiamo che è
spiritualmente divenuta - anche se in generale noi non sappiamo nulla della sua
precisa provenienza e della spiritualità che l’ha di fatto determinata. E
tuttavia, anche questo non-sapere include sempre, per essenza e implicitamente,
un sapere che può essere esplicitato, un sapere di un’evidenza incontestabile.
(Husserl). Questo sapere, continua Husserl, affonda le radici, nell’esempio
specifico che egli illustra, nell’impiego empirico dei concetti geometrici. A
questo livello possiamo certo accontentarci di determinazioni piuttosto vaghe,
di una vaga tipicità; e dunque di confronti sommari, a occhio e croce. Ci
possiamo contentare, ma beninteso secondo i casi. Vi sono situazioni in cui non
ci contentiamo affatto. Se, ad esempio, dobbiamo vendere il nostro campicello o
scambiare il nostro con quello di un altro, presumibilmente non saremo affatto
soddisfatti da determinazioni tra il più e il meno. Cercheremo di escogitare
metodi più precisi di confronto, dunque metodi di misurazione. Si vede subito
allora in che senso la pratica della misurazione abbia a che fare con la
geometria, e in particolare con la sua origine. Pur essendo motivati da
interessi pratici, cominciamo tuttavia ora a porci problemi teorici, continua
Husserl, sia pure in una forma relativamente disorganica. Per escogitare metodi
di misurazione abbiamo bisogno di operare una certa classificazione delle
forme, scoprire certe relazioni tra esse o inventare dei ben determinati
congegni per stabilire tra esse una relazione. In tutto ciò sono implicite
numerose riflessioni teoriche che preparano la riflessione propriamente
geometrica. Lo stesso problema di una classificazione tenderà, ad esempio, ad
un certo ordinamento che prefigura la distinzione tra forme elementari e forme
derivate e che non solo richiede un preciso intervento teorico, ma configura
altrsì un possibile campo di indagine con fini propriamente ed esclusivamente
conoscitivi. Questa origine della problematica geometrica non ha evidentemente
un carattere “storiografico” nel senso consueto del termine. In altri termini,
non ci sono documenti che mostrino che le cose siano andate proprio così, e
questo è un altro elemento di notevole interesse che emerge dalle riflessioni
di Husserl e che riguarda il concetto della storicità. È innegabile infatti che
siamo comunque di fronte ad una descrizione storica, ma essa è condotta sul
filo di una logica interna ai concetti, non è un racconto più o meno
leggendario. E persino l’origine della riflessione geometrica dall’agrimensura
ha forse queste caratteristiche di una connessione genetica non
storiograficamente documentata in senso stretto, ma che rientra tuttavia, in un
certo senso, nel pensiero di una storia della geometria alle sue origini.
Scrive Husserl: La metodica geometrica della determinazione operativa di alcune
e poi di tutte le forme ideali a partire da forme fondamentali, in quanto mezzi
elementari di determinazione, rimanda alla metodica esercitata già nel mondo
circostante pre-scentifico-intuitivo, dapprima in modo rudimentale poi secondo
regole d’arte, alla metodica della misurazione e in generale della
determinazione misurativa. Le sue finalità hanno un’origine, che è rivelatrice,
nella forma essenziale di questo mondo-della-vita. Le sue forme sensibilmente
esperibili e sensibilmente- intuitivamente pensabili in esso e tutti i tipi
pensabili, a qualsiasi grado di generalità, si connettono continuamente le une
con gli altri. In questa continuità essi riempiono la spazio- temporalità
(sensibilmente intuitiva) che è la loro forma (Form). Ogni forma che rientra in
questa aperta infinità, anche quando è data come un fatto nella realtà, è priva
di “obiettività”, perciò non è determinabile intersoggettivamente da chiunque -
per es. da un altro che non la veda di fatto -, né comunicabile nella sua
determinatezza. Evidentemente a costui serve la misurazione. La misurazione è
qualcosa di molto differenziato, il misurare vero e proprio non è che il suo
momento conclusivo: da un lato si tratta di produrre concetti adatti per le
forme corporee dei fiumi, dei monti, degli edifici, ecc. che di regola devono
rinunciare a concetti e a nomi rigorosamente determinanti; innanzitutto per le
loro “forme” (nell’ambito della somiglianza visiva), e poi per le loro
grandezze e per i loro rapporti di grandezza e; ancora, per l’ubicazione,
mediante la determinazione delle distanze e degli angoli che vengono riportati
a luoghi e a direzioni presupposti noti e immobili. La misurazione scopre
praticamente la possibilità di scegliere come misura certe forme fondamentali
empiriche, che sono concretamente definite su corpi che di fatto sono
generalmente disponibili ed empirico-rigidi, e, mediante i rapporti che
esistono (e che devono essere scoperti) tra queste misure e le altre forme
corporee, cerca di determinare intersoggettivamente e in modo praticamente
univoco queste forme - dapprima in sfere ridotte (ad es. nell’ agrimensura) poi
per nuove sfere di forme. Si capisce così come, in seguito all’esigenza, ormai
desta, di una conoscenza filosofica, di una conoscenza che determinasse il vero
essere, l’essere obiettivo del mondo, la misurazione empirica e la sua funzione
empiricamente- praticamente obiettivante, attraverso la trasformazione
dell’interesse pratico in un interesse puramente teoretico, potesse venir
idealizzata e trapassare così in un pensiero puramente geometrico. La
misurazione prepara così la geometria universale e il suo mondo di pure forme-
limite. (Husserl). Naturalmente la fenomenologia rappresenta in certo senso la
guida di questo pensiero. Benché l’istante della transizione non possa essere
documentato, è tuttavia chiaro che molte conoscenze geometriche siano state
anticipate e presupposte nella tecnica degli agrimensori. Anzi in generale i
problemi che sorgono nell’ambito della soluzione di difficoltà pratiche
stimolano la ricerca sul piano teoretico–conoscitivo: la prassi tecnica genera
motivi di riflessione teorica. E inversamente la riflessione teorica diventa un
mezzo della tecnica; una volta che una scienza come la geometria si è costituita,
quando cioè esiste un lavoro scientifico diretto in modo autonomo ad un
universo di oggetti concettualmente definito, questo lavoro si ripercuote a sua
volta sul terreno dei problemi tecnici suggerendo nuove idee e nuovi
progetti. Logica trascendentale e mondo-della-vita Questa interconnessione
tra precategoriale e categoriale non riguarda soltanto le scienze naturali e
sociali, ma investono ovviamente anche le scienze formali e, tra queste, la
logica, verso la quale Husserl, fin dall’inizio della sua attività filosofica,
ha sempre mostrato particolare interesse. Dalle Ricerche logiche a Logica
formale e trascendentale a Esperienza e giudizio, egli traccia la via di una
genealogia della logica, in polemica con il logicismo e lo psicologismo, Nello
sviluppo del suo pensiero si impone a Husserl anche l’esigenza di chiarire che
genere di rapporto sussiste tra la logica antepredicativa e la logica
predicativa. La percezione sensibile, per quanto consista nel tendere da parte
dell’io verso l’oggetto intenzionato, è sempre una conoscenza instabile,
insicura, che non consente mai di possedere l’oggetto conosciuto in maniera
definitiva. Questo è possibile soltanto mediante una conoscenza predicativa,
cioè attraverso la logica, la quale ha la capacità di fissare l’oggetto e di
conservarlo anche quando non è presente nella percezione. La conoscenza
antepredicativa e quella predicativa, perciò, si differenziano nettamente e
ciascuna si caratterizza per una propria specificità. Se però si analizza la
genesi della logica, ci si rende conto che bisogna rifarsi alla percezione
sensibile per spiegare la logica predicativa. Questo significa che la
conoscenza predicativa, di cui appunto la logica è l’espressione più compiuta,
riposa fenomenologicamente, cioè dal punto di vista della sua fondazione, sulla
conoscenza antepredicativa, cioè si esplicita in logica trascendentale. Scrive
Husserl: Chiarito il contrasto tra scienza obiettiva e mondo-della- vita,
occorre tuttavia localizzare la loro essenziale connessione: la teoria obiettiva
nel suo senso logico (in termini universali, la scienza come totalità delle
teorie predicative, dei sistemi logici in quanto sistemi di proposizioni in sé,
di verità in sé e, in questo senso, di enunciati logicamente connessi) è
radicata e fondata nel mondo-della-vita, nelle sue evidenze originarie. Proprio
per questo la scienza obiettiva ha una costante relazione di senso col mondo in
cui sempre viviamo, e in cui, quindi, viviamo anche nella nostra qualità di
scienziati accomunati a tutti gli altri scienziati - si tratta cioè di una
relazione col comune mondo-della-vita. Ma così la scienza obiettiva è
un’operazione di persone pre-scientifiche, di persone singole e di persone
accomunate nell’attività scientifica, di persone quindi che appartengono al
mondo-della-vita. Le loro teorie, le formazioni logiche, non sono naturalmente
cose del mondo-della-vita nel senso in cui lo sono i sassi, le cose, gli
alberi. Sono totalità logiche e parti logiche costituite da elementi logici
ultimi. Per parlare con Bolzano: sono rappresentazioni in sé, proposizioni in
sé, conclusioni e dimostrazioni in sé, unità ideali di significato, la cui
idealità logica è determinata dal loro telos “verità in sé”. Ma anche questa
idealità, come qualsiasi altra, non muta nulla al fatto che sono formazioni
umane connesse per essenza alle attualità e alle potenzialità umane, e che
quindi rientrano nella concreta unità del mondo-della-vita, la cui concrezione
dunque ha una portata maggiore di quella delle cose. Ciò vale, correlativamente,
anche per le attività scientifiche, sperimentali, per le attività che in base
all’esperienza plasmano le formazioni logiche, in cui esse compaiono in forma
originaria e in modi originari di evoluzione, nei singoli scienziati e nella
comunità degli scienziati: quale originarietà delle proposizioni, delle
dimostrazioni, ecc. che sono state elaborate in comune (Husserl). Come potete
notare, si tratta di un’ampia riflessione sul come le strutture logiche siano o
meno adeguate alla dimensione della realtà oggettiva. In questo senso la logica
trascendentale si presenta come logica dei fondamenti, ed è in seno ad essa che
si costituisce la logica come scienza formale. La logica formale tradizionale,
invece, ha ignorato la propria genesi, presupponendo come ovvia la validità
delle proprie leggi. Al contrario, un giudizio logico deve essere valutato come
un atto soggettivo di conoscenza che si impadronisce del suo contenuto. Per
questo motivo le leggi logiche formali, che siano normative del giudizio, ma
che non tengono conto del fatto che sono normative anche del suo contenuto,
fanno sorgere interrogativi sulla validità dei loro giudizi sul mondo naturale
e sulla verità ed evidenza dei loro contenuti. Seguendo questo punto di vista,
Husserl sviluppa pienamente il tema della logica trascendentale in rapporto
alle categorie di verità e di significato. Conseguentemente, la logica si
configura qui come teoria delle teorie: essa non è solo un discorso logico
sulla logica, condotto con i mezzi della logica, ma un metadiscorso sulla
logica, che tuttavia non si presenta né come una sovrastruttura né come una
forma speculativa. E’, a tutti gli effetti, una regressione, un ritorno ai
fondamenti che l’hanno costituita nelle sue operazioni originarie, anche
storiche, nonché nelle sue operazioni attuali. Le ricerche fenomenologiche,
ribadisce Husserl, risultano necessarie alla logica pura, trascendentale. Ne
rappresentano la sua fondazione intuitiva e precategoriale: in quanto la logica
è da ricercare nelle operazioni costitutive, diventa logica filosofica,
filosofia prima, teoria della teoria. Ma, badate bene, ciò non è in
contraddizione con la fondazione precategoriale: è solo l’altra faccia della
questione, poiché la fondazione deve sempre essere ristabilita nella presenza e
nelle modalità temporali e quindi genetiche e storiche. Le scienze, invece, che
non prendono in considerazione ciò che costituisce il loro fondamento
trascendentale, cioè le condizioni per cui si danno, si risolvono in pure
tecniche di manipolazione di simboli linguistici. Mauro Di Giandomenico. Giandomenico.
Keywords: l’apertura semantica, “How Pirots Karulise Elatically” – pirots
karulise elatically – pirots karulise – ‘implicazione’ – aperture semantica,
Galileo, la retorica di Galilei, Galilei, lo stile di Galilei, Vinci, I corpi,
la filosofia positivistica italiana -- Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Giandomenico: l’implicatura conversazionale: ‘Pirots
karulise elatically; therefore, pirots karulise!” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Giani: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale -- implicatura mistica – l’implicatura di Catone – la scuola di
Muggia -- filosofia muggiana – filosofia triestina – filosofia friulese –
filosofia veneta. filosofia italiana – Luigi Speranza (Muggia). Filosofo muggiano. Filosofo trestino . Filosofo
italiano. Muggia, Trieste, Friuli-Venezia Giulia. Grice: “It’s hard for me to
judge Giani’s philosophy because I fought against the Italians during the
so-called ‘second world war,’ so-called!” Grice: “But I would be willing to
expand: if Giani developed what he aptly called a ‘mystique’ – so did we at
Oxford – Churchill surely held his ‘mystique.’ Of course the Italian, being
more scholastic, had to call it ‘scuola di mistica,’ – and the idea was that of
an all-male chivalry order – aptly set at Milan!” Fonda la corrente filosofica nota come "Mistica".
Partì come volontario di guerra e morì sul fronte. Frequentato il Liceo
ginnasio di Trieste. Si trasfere a Milano, dove si iscrive a Milano e quindi ai
Gruppi Universitari, laureandosi. Anticipa l'imminente apertura della scuola
sul foglio dei Gruppi Universitari, "Libro e moschetto" della scuola
di mistica. Ne divenne direttore, carica che lasciò alla fine dell'anno
seguente dopo aver scritto il suo ampio discorso da tenersi a Roma in occasione
dellaI iunione della Società Italiana per il Progresso delle Scienze che
coincide anche con il decennale della Marcia su Roma in cui enuncia i principi
della nuova scuola. Su impulso di G. si comincia inoltre a pubblicare i
Quaderni della scuola di mistica. Poche settimane dopo la riunionesi
dimise da direttore con una lettera inviata a MUSSOLINI, per contrasti interni
con il segretario politico dei Gruppi Universitari. Imputa le dimissioni al
mancato trasferimento della scuola nella vecchia sede de Il Popolo d'Italia
chiamato anche "Il covo" La richiesta di entrare in possesso de
"Il covo" punta ad ottenere il possesso di uno degl’ambienti più
importanti dell'immaginario fascista. Continua quindi a collaborare con diversi
quotidiani come "Il Popolo d'Italia" e "Gerarchia". "Lineamenti
sull'ordinamento sociale dello stato" gli fa ottenere la libera docenza e e
quindi la cattedra a Pavia ma parte volontario per la guerra arruolandosi col
grado di capomanipolo della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale nel Battaglione"Vercelli".
Rientrato in Italia, riassunse la guida della scuola, qui in occasione della
chiusura dell'anno scolastico nell'aula della casa del Fascio di Milano.
Rientrato in Italia riassunse la carica di direttore della "Scuola di
Mistica" lanciando due importanti iniziative, rilancia la pubblicazione
della serie di "Quaderni" che affrontavano differenti problematiche e
sempre per sua iniziativa fu creata nell'ambito della scuola la rivista
mensile, Dottrina che divenne l'organo ufficiale della Scuola, in cui pubblica il "Decalogo dell'italiano nuovo”. Si
dedica inoltre al giornalismo diventando direttore a Varese di "Cronaca
prealpina" e collaborando a diverse testate, tra cui Tempo (Direttore:
Acito). Dalle pagine di "Cronaca prealpina" prese parte alla campagna
fondata sui propri convincimenti del ‘spirito’ contrapposto al
"biologico" La Cronaca
prealpina dopo la nomina di G. a direttore arriva a quadruplicare la tiratura.
L'incontro a Roma con Mussolini in cui si decise la cessione del covo ai
"mistici" della Scuola. Su impulso di G., con una cerimonia
presieduta di Starace, la sede ufficiale della scuola di mistica si sposta nel
medesimo edificio che ospitò ai suoi primordi il giornale Il Popolo d'Italia,
chiamato il covo. Il covo negli anni e stato trasformato in una galleria. La
palazzina e proclamata monumento nazionale con tanto di guardia d'onore svolta da squadristi e combattenti. Per
esplicita decisione di Mussolini, e ufficialmente consegnata ai mistici della
scuola. L'evento e vissuto come una autentica consacrazione dei insegnanti
riuniti intorno a G.. In realtà la consegna e già stata disposta come risulta
da un foglio d'ordini del PNF e in quell'occasione il consiglio direttivo e ricevuto
a Roma da MUSSOLINI. Mussolini li aveva spronati continuare nella loro
attività. A Milano, in occasione del decennale dalla fondazione della
scuola, organizza il convegno di mistica che nelle sue intenzioni dove essere
il primo della serie. Obiettivo che sfuma a causa dell'entrata in guerra.
L'incontro vide oltre 500 partecipanti ed ha l'adesione della maggior parte dei
filosofi dell'epoca. Come gran parte dei mistici, partecipa nuovamente come
volontario alla seconda guerra mondiale, conflitto nel quale vede il presagio
di una rivoluzione in vista di una nuova era. Inquadrato nel reggimento alpini prende parte alla battaglia
delle Alpi Occidentali contro la Francia venendo decorato con la medaglia
d’argento al valor militare.Terminata la campagna di Francia in seguito
all'armistizio torna alla vita civile ma incominciata nel frattempo la guerra
in nord Africa richiese più volte di partire volontario senza ottenere
soddisfazione. Alla fine ottenne di partire
come corrispondente di guerra de Il Popolo d'Italia, della Cronaca
prealpina e de L'Illustrazione Italiana presso i reparti della regia
aeronautica. Per quest'ultima realizza anche diversi servizi fotografici. All'attività
di giornalista affiance anche quella di militare prendendo parte ad alcune
azioni e ottenendo una medaglia di bronzo al valor militare. E richiamato in
Italia dove riassunge la guida de "La cronaca prealpina".Nuovamente incorporato
nel reggimento alpini riparte infine come volontario per la campagna di Grecia,
dove cadde sul fronte greco-albanese nella battaglia per la conquista della
Punta Nord del Mali Scindeli. Si offre volontario per una pericolosa missione
che prevede la conquista di una munita postazione greca. L'attacco ebbe
inizialmente successo con la conquista della posizione ma riorganizzatisi i
greci condussero un contrattacco. Nello scontro cadde. Il periodico
L'Illustrazione Italiana scrive, senza riportare dove o come avrebbe potuto
registrare tali parole, che l'ufficiale greco che lo aveva colpito a morte
avrebbe raccontato che nello scontro G. gli si era parato davanti "come un
dio o un demone". Il corpo di G. anda disperso e gl’altri
assaltatori che prendono parte
all'attacco dovettero ritirarsi rapidamente incalzati dai soldati greci. E
pochi giorni dopo incaricato delle ricerche Carati che e anche vice-direttore
della scuola di mistica. Le ricerche a causa della perdurante situazione di
guerra sono nulle, e riuscì solo ad individuare il luogo in cui e caduto.
In quell'occasione, richiesta un'udienza al duce, chiede che puo partire per
l'Albania il cognato Guido G. e il fratello Sampietro. Questi ultimi rinvennero
la salma sepolta in maniera anonima in territorio greco. Di qui la salma e
translata nel piccolo cimitero militare di Klisura. MUSSOLINI e preso
come principale punto di riferimento dalla scuola di mistica. Elabora un discorso
programmatico in cui enuncia i principi fondanti della Scuola e della Mistica
fascista. Compito nostro deve essere soltanto quello di coordinare,
interpretare ed elaborare il pensiero del Duce. Ecco perché è sorta una Scuola
di mistica ed ecco il suo compito: elaborare e precisare i nuovi valori che sono nell'opera del Duce. (G. in La marcia sul mondo). Inizialmente i
principi esposti da G. fanno parte di un discorso più ampio da tenersi a Roma
in occasione di una riunione della Società Italiana per il Progresso delle
Scienze. L'ampio discorsoe poi pubblicato nella serie dei "Quaderni"
voluti da G. con il titolo "La marcia sul mondo della civiltà". Si
impone un ritorno alle origini, ovvero al movimentismo rivoluzionario, riallacciandosi
idealmente all'esperienza delle prime squadre d'azione e degli arditi della
Grande Guerra quindi, secondo Veneziani "una più radicale rivoluzione
coniugata al recupero di una più integralistica tradizione. Ma più che legati
agli enunciati politici del manifesto di sansepolcro i mistici di quella
esperienza esaltavano soprattutto la lotta contro la borghesia affaristica del
primo dopoguerra. La mistica si considera rappresentante proprio di questo
mondo ispirato dall'amore di patria e posta a guardia della rivoluzione
permanente e in contrasto con gli opportunisti e i trasformisti. Individuava
nell'epoca contemporanea *quattro* principali mistiche, destinate ad apportare
in un primo tempo dei benefici ma poi a fallire: liberale, democratica,
socialista e comunista. Liberalismo, democrazia, socialismo e comunismo
sono le quattro mistiche dominanti nella societa. Il bilanciolo abbiamo già
visto è per tutte negativo. Il liberalismo porta all'anarchia. La democrazia porta
all'instabilità politica e sociale. Il socialism porta alla otta civile. Il
comunismo porta alla vita primitiva. Queste quattro mistiche sono pertanto anti-storiche.
A fronte di esse l'unica mistica in grado di superare tali crisi era quella come
sviluppato nel capitolo intitolato "La marcia ideale" la cui
conoscenza e diffusione presso le masse era compito della élite. Medaglia
d'argento al valor militarenastrino per uniforme ordinariaMedaglia d'argento al
valor militare «Volontario nella guerra d'Africa ove prese parte volontario a
diverse pattuglie esploratori, chiese ed ottenne di essere anche in quest
guerra assegnato ad un reparto combattente. Destinato all'11º alpini volontario
a due azioni del battaglione Bolzano chiese di partecipare alla ardita discesa
di due compagnie del battaglione Trento effettuata in una valle occupata dal
nemico e avanzò con la prima pattuglia sotto intenso bombardamento, sprezzante
del grave pericolo di sorprese e di accerchiamento nemico, esempio trascinante
a ufficiali e soldati, e prova di dedizione alla patria, di alta fede e di
valore. Medaglia di bronzo al valor militarenastrino per uniforme ordinariaMedaglia
di bronzo al valor militare «Corrispondente di guerra presso una squadra aerea
disimpegnava il suo particolare e delicato servizio con alto senso di
responsabilità. Spesso presente sugli aeroporti più avanzati e maggiormente
battuti dall'offesa nemica allo scopo di rendersi conto di ogni particolare,
partecipava volontariamente a difficili e rischiose missioni di guerra, dando
sicura prova anche nelle più critiche circostanze di sereno sprezzo del
pericolo e completa dedizione al dovere.» Medaglia d'oro al valor militarenastrino
per uniforme ordinaria medaglia d'oro al valor militare. Volontariamente, come
aveva fatto altre volte, assumeva il comando di una forte pattuglia ardita,
alla quale era stato affidato il compimento di una rischiosa impresa.
Affrontato da forze superiori, con grande ardimento le assaltava a bombe a
mano, facendo prigioniero un ufficiale. Accerchiato, disponeva con calma e
superba decisione gli uomini alla resistenza. Rimasto privo di munizioni, si
lanciava alla testa dei pochi superstiti, alla baionetta, per svincolarsi.
Mentre in piedi lanciava l'ultima bomba a mano ed incitava gli arditi col suo
eroico esempio, al grido di: «Avanti Bolzano! Viva l'Italia», veniva
mortalmente ferito. Magnifico esempio di dedizione al dovere, di altissimo
valore e di amor di Patria. Punta NordMali Scindeli (Fronte greco) Saggi: “La
via della gloria, anni 20 La marcia sul mondo della Civiltà Fascista, Lineamenti
su l'ordinamento sociale dello Stato, Giuffré ed. La mistica come dottrina. Perché
siamo, A. Nicola. Perché siamo mistici. Mistica della rivoluzione. Antologia di
scritti, Il Cinabro, Longo, “I vincitori
della guerra perduta” (sezione su G.),
Settimo sigillo, Roma.Carini, G. e la scuola di mistica fascista, Mursia, Antonellis, Come doveva essere il
perfetto, su storia illustrate, Antonellis, Come dove essere il perfetto, su
storia illustrate, Carini nella prefazione su G., La marcia sul mondo, Novantico, Pinerolo, Carini,
G. e la scuola di mistica, Mursia,Carini,
G. e la scuola di mistica, Mursia, Carini, G. e la scuola di mistica fascista,
Mursia, Carini nella prefazione su G., La marcia sul mondo, Novantico, Pinerolo,
Grandi, Gli eroi, G. e la Scuola di mistica, Cfr. a tale proposito le ricerche
di Laforgia, una cui sommaria sintesi è nel sito varesenews Archiviato. Carini
nella prefazione su G., La marcia sul mondo, Novantico, Pinerolo, Il saggio,
edito da Dottrina Fascista, riporta in forma integra la conferenza inaugurale
tenuta da G. per l'inaugurazione del corso per maestri della scuola di mistica.
Cfr. a tale proposito le ricerche di Laforgia in Grandi, Gl’eroi di Mussolini,
BUR, Milano, Antonellis, Come doveva essere il perfetto, su storia illustrate, Veneziani,
La rivoluzione conservatrice in Italia, Sugarco, Varese, Longo, Gl’eroi della
guerra perduta, Settimo sigillo, Roma,
L'Illustrazione italiana, Grandi, Gli eroi di Mussolini. G. e la Scuola
di mistica fascista, Grandi, Gl’eroi di Mussolini. G. e la Scuola di mistica
fascista, G., La marcia sul mondo, Novantico, Pinerolo, Carini nella prefazione
su G., La marcia sul mondo, Novantico, Pinerolo, Marcello Veneziani, La
rivoluzione conservatrice in Italia, Sugarco, Varese, G., La marcia sul mondo,
Novantico, Pinerolo, Carini nella prefazione su G., La marcia sul mondo, Novantico,
Pinerolo, Carini nella prefazione su G., La marcia sul mondo, Novantico,
Pinerolo, Carini, G. e la Scuola di mistica, prefazione di Veneziani, Mursia,
Milano, Grandi, Gli eroi di Mussolini. G. e la Scuola di mistica, BUR
Biblioteca Rizzoli, Raido Speciale Scuola di Mistica, Raido, Roma, Arnaldo M.,
Coscienza e dovere. G. MISTICA DELLA RIVOLUZIONE FASCISTA Antologia di scritti. In breve: Siamo mistici perchè siamo degli
arrabbiati, cioè dei faziosi, se così si può dire, del Fascismo, uomini
partigiani per eccellenza e quindi anche assurdi Del resto nell’impossibile e
nell’assurdo non credono gli spiriti mediocri. Ma quando c’è la fede e la
volontà, niente è assurdo». (Niccolò Giani) Un’antologia che raccoglie i più
significati testi di G., tra i massimi esponenti della corrente più radicale,
oltranzista e universale del Fascismo, la Scuola di Mistica
Fascista. Questa antologia rappresenta la prima raccolta organica dei più
significativi scritti di G. È, a nostro
giudizio, il modo migliore per illustrare senza filtri la sua persona, la sua
filosofia, e la sua azione. È un omaggio doveroso al testimone di quello che e
il Fascismo universale e intransigente che mai scese a compromessi con la vita
comoda, al rinnovatore spirituale e politico di una intera generazione. Esempio
di eroismo che, al di là della contingenza storica, seppe essere coerente con i
propri principî vivendo l’ideale sino all’estremo sacrificio; quasi innalzando
il Fascismo ad una categoria universale dell’essere, come fonte inesauribile di
spiritualità cui innestarsi per fare la rivoluzione dell’uomo e del mondo. G.,
nato a Muggia, cadde sul fronte greco nello slancio del combattimento,
trasfigurato ormai nell’eroismo muto. Dimostra con la vita affermata oltre la
morte, l’armonia tra pensiero e fede, la continuità tra filosofia ed azione, e
della autentica rivoluzione rimane il puro rappresentante del nuovo italiano:
per questo il suo esempio e il seme fecondo dell’aspro cammino di domani. Seppe
con l’azione indicare la strada, con l’intransigenza insegnare l’esempio. I
tesserati sono i suoi avversari. Contro di essi combatté, contro cioè i falsi,
i presuntuosi, gli esibizionisti, i retorici, gli arrivisti; contro coloro,
insomma, che considerarono la rivoluzione come atto di ordinaria
amministrazione, sfruttabile per fini personali. Il Cinabro Ufficio stampa
Rimbotti: Mistica Fascista. L’ordine della Milizia sacra; Rossi: La Mistica
Fascista dell’Uomo Nuovo. Tra milizia politica e meta-politica la scuola
rivoluzionaria del Fascismo; Mezzasoma: G., discepolo di Arnaldo. Decalogo
dell’Uomo Nuovo La marcia ideale sul mondo della Civiltà fascista Generazioni
di Mussolini sul piano dell’Impero Civiltà fascista civiltà dello spirito Aver
Coraggio A difesa dell’Europa Fuori La mistica come dottrina del fascismo Le
due Europe Mistica del fascismo, Corporativismo e Autarchia Il Centro di
preparazione politica per i giovani. Fucina di Campioni della Rivoluzione
Valore primordiale del covo I soliti imbecilli L’equivoco Perché siamo dei
mistici Il volto della guerra Testamento spirituale al figlio G.:
Presente!Mistica Della Rivoluzione Fascista E questo diritto alla prima linea,
ad essere i disperati del Fascismo, è l’unica pretesa che, oggi, domani,
sempre, i mistici del Fascismo accamperanno di fronte alla Rivoluzione, come,
con vena veramente squadrista, ha detto PALLOTTA (si veda) nella sua relazione
che ha avuto lo spirito e la mordenza del «menefreghismo» più autenticamente
fascista. Prima linea, sul fronte esterno ed interno, contro il nemico di fuori
e di dentro. Contro gli attentatori della nostra integrità territoriale, ma
anche, e con uguale decisione e durezza, contro gli attentatori della nostra
integrità spirituale (G.) Le conseguenze derivate dalla fine del primo
conflitto mondiale e l’immediatarossi 5 crisi strutturale delle istituzioni e
dei valori che investì, con una forza che non aveva avuto precedenti nella
storia, le società europee, vennero allora giudicate come l’annuncio di un
radicale mutamento di tutte le forme della vita politica e civile fino ad
allora conosciute e complessivamente accettate. Una deflagrazione interna dei
costumi, di certezze consolidate e di mentalità che modificò in maniera
irreversibile l’immaginario collettivo di popoli e nazioni. Niente sarebbe
più stato come prima. Uno Spirito nuovo si affacciava con ruvida decisione e
realismo eroico reclamando il proprio posto nella Storia. L’alba delle grandi
rivoluzioni si affacciava sul continente europeo e i popoli si sarebbero messi
in marcia affascinati da nuove e esaltanti Weltanschauung. Per Bruck, uno
dei primi e tra i più significativi esponenti della Rivoluzione Conservatrice
tedesca, si tratta di una presa di posizione a carattere diffuso più che
evidente. Assistiamo all’evento per cui tutto quel che non è liberale si unisce
contro quel che è liberale. Noi viviamo i tempi di questa agitazione mondiale,
che si produce per una estrema consequenzialità, e che si esplica in una
rivoluzione radicale che prospetta la perdita da parte del nemico della sua
posizione di potere: tale nuova situazione mondiale esordisce con un
allontanamento dall’Illuminismo.” Il periodo che immediatamente fece
seguito al termine di un conflitto di così immensa portata, venne visto dai più
attenti e acuti osservatori incredibilmente saturo di una genuina e
stupefacente valenza rivoluzionaria e innovatrice, ciò significò l’inizio di
una nuova stagione di entusiastiche mobilitazioni che avrebbero alla fine
tonificato la fibra morale e politica del continente fino ad allora logorata ed
estenuata da sovrastrutture ipocrite e corrose nel loro intimo che erano
riuscite, attraverso innumerevoli sotterfugi, a sopravvivere a se stesse,
sempre più annichilite da un pervasivo decadentismo culturale e morale e dal
predominio di una mentalità borghese e oligarchica connotata dalle sue più
perniciose vedute utilitaristiche e mercantilistiche. Le conseguenze
della fine della grande guerra significarono soprattutto una presa di coscienza
collettiva e un’accelerazione formidabile dei fenomeni sociali, accompagnate
entrambe da una esigenza totalmente nuova di considerare l’esistenza e i
rapporti umani, esigenza che venne principalmente percepita prima dai
combattenti e poi dai reduci come il frutto maturo della traumatica e allo
stesso tempo travolgente esperienza della guerra di trincea, insomma un insieme
di condizioni imprescindibili che prepararono il terreno e l’atmosfera per l’avvento
delle ondate rivoluzionarie nazionalpopolari che misero in crisi valori e
regole consolidate da tempo, assestando colpi mortali alle strutture politiche,
sociali e culturali delle società borghesi liberal-democratiche. Dalle
forme statiche si passava alle forme dinamiche, nel senso jungeriano del
termine. Il Fascismo è la matrice principale che inaugurò la feconda ed
entusiasmante stagione delle insurrezioni nazional-rivoluzionarie e il primo
laboratorio culturale delle ancor più affascinanti sintesi nazionali e
sociali. Furono infatti i reduci del fronte, gli ex-combattenti che
avevano creduto fino in fondo ad una particolare visione eroica della vita
propria di una ideologia della guerra sviluppatasi nell’interiorizzazione del
sacrificio bellico e del sangue versato – subendo poi la frustrazione di una
vittoria conseguita sul campo di battaglia a duro prezzo che videro mutilata
negli accordi di pace internazionali – a rappresentare la spina dorsale di una
innovativa e volontaristica visione politica che pretendeva di coniugare un
nazionalismo intransigente e guerriero partorito nelle trincee con le più
avanzate e spregiudicate chiavi di lettura sociali. La grande guerra di
popolo aveva travasato nei combattenti il senso della tensione nazionale e
sociale verso scopi e missioni comuni, una nuova coscienza collettiva che
sarebbe stata cementata da un formidabile sentimento di fraterno e virile
cameratismo, il culto della differenza e del radicamento nella specificità
etnica della Stirpe italica. Gli squadristi fascisti non fecero altro che
travasare tutti questi motivi nelle battaglie di piazza. Sorti dalla
guerra di popolo, divennero avanguardia di popolo. E il 28 Ottobre 1922 sarà il
coronamento dei loro sacrifici, la loro apoteosi. D’altronde era stato lo
stesso Mussolini a dire che l’esperienza della guerra avrebbe generato le
migliori condizioni per la rivoluzione sociale e politica. Anzi, ne sarebbe
stata la prefazione. Era il novembre 1916 e Mussolini combatteva sul fronte del
Carso, nei ranghi del 11° Reggimento Bersaglieri: “Noi vinceremo la guerra: ma
poi dovremo vincere la pace. Sarà duro; ma ci arriveremo. La società italiana
deve assolutamente mutare. Sugl’italiani bisogna contare. Questa guerra che noi
combattiamo e che con tragica definizione viene detta di logoramento, porterà
alla ribalta delle lotte civili una generazione che riuscirà a fare quello che
la nostra non è riuscita a fare: il riscatto sociale e politico del mondo del
lavoro, al di sopra e al di fuori dei dottrinarismi che oggi lo incatenano. A
ciò non saremmo mai arrivati se non avessimo voluto la guerra, rovesciato i
vecchi feticci sostituendo alle vuote ideologie i fatti e le loro naturali
conseguenze. Questo non sarà solo di noi, ma anche di altri popoli.” Una
lucida e profetica anticipazione di quanto sarebbe poi accaduto in tutta l’Europa. Tutto
questo si pose, in maniera del tutto naturale, in totale opposizione al
principio democratico in politica e a quello liberale nel campo economico,
all’insegna di una rivoluzionaria concezione elitaria, fortemente gerarchica e
anti-egualitaria che reclamava la valorizzazione delle minoranze attivistiche e
carismatiche con la conseguente affermazione del principio guida del Capo, con
il mito dello Stato totalitario come asse formante e legittimante della
Comunità nazionale e non ultimo la funzione pedagogica del Partito unico,
soprattutto mediante una costante mobilitazione politica delle masse, una
sacralizzazione della politica attraverso il ricorso a liturgie collettive,
miti e simbologie, e una crescente militarizzazione della vita sociale e civile,
l’intervento statale attraverso gli istituti del Corporativismo per una
razionale direzione disciplinata dell’economia che ponesse termine all’epoca
del predominio delle oligarchie mercantilistiche e parassitarie e riportasse la
vita economica al servizio dell’interesse collettivo subordinandola alle
necessità politiche nazionali. Infine, l’affermazione sovrana di una
particolare e severa tipologia umana di nuova impronta che avrebbe
rappresentato lo spirito del nuovo tempo: l’Uomo Nuovo, l’Uomo integrale come
manifestazione vivente di una Tradizione atemporale che ebbe la volontà e la
capacità di tradursi in Rivoluzione. Proprio nel senso di
quell’interpretazione che G. sa dare, facendosi portavoce di quegli ambienti
del Fascismo intransigente e rivoluzionario che vollero interpretare al meglio
gli insegnamenti mussoliniani: “Il Fascismo è un richiamo violento alla
Tradizione, non un ritorno o una ripetizione. Per noi fascisti la Tradizione
come lo dice il significato etimologico del termine e come Evola ha
documentato, è e non può essere che dinamica. Altrimenti si parlerebbe di
conservatorismo o di reazione. Invece, la Tradizione è continua coniugazione,
attraverso il presente, del passato e dell’avvenire; è processo inesausto di
superamento, è una fiaccola accesa con la quale ogni popolo illumina la propria
strada e corre nel tempo verso l’avvenire. Ecco perché, oggi, Rivoluzione e
Tradizione non si escludono, ma anzi si identificano e questo spiega il culto
che noi abbiamo pel passato e dice ai soliti uomini dai paraocchi che
l’italiano non può che essere fascista. Questa nuova visione della politica
rappresentata dal Fascismo rappresentò inequivocabilmente la radicale negazione
dei principi emersi dalla rivoluzione francese, una evidente antitesi storica e
culturale di quanto fu incarnato dall’illuminismo, che costituì l’essenza di
tutte le manifestazioni materialistiche ed economicistiche della decadenza
moderna: da quelle individualistiche, liberali e democratiche a quelle
cosmopolite, genericamente progressiste e marxiste. Il Fascismo, anche
nella sua più vasta comprensione europea, intese proporre in maniera concreta
ed efficace un discorso radicalmente alternativo alla politica borghese e alla
società borghese richiamandosi al concetto di avanguardia delle idee,
un’avanguardia rivoluzionaria che fosse in grado, senza contraddizioni, di
saldare assieme passato e presente vincendo così la sfida della modernità,
sostituendo il vigore giovanile della passione idealistica e volontaristica
alla decadente dissolutezza del conservatorismo borghese e il cameratismo
militante radicato nella coscienza popolare alla società atomizzata e
polverizzata delle democrazie liberali. Un discorso ambizioso per
un’avanguardia che ambiva ad essere al contempo simbolo della genuinità
politica e della resurrezione spirituale, una speranza che venne riposta nel
mito capacitante dell’Uomo Nuovo creatore di nuovi valori, l’esemplare di una
specifica specie umana lanciata alla conquista del futuro senza per questo
dover recidere le radici culturali e spirituali che lo mantenevano legato alla
propria dimensione storica, etnica e popolare; nei confronti della quale si
espresse il Duce parlando all’Assemblea delle Corporazioni: “L’uomo economico
non esiste, esiste l’uomo integrale che è politico, che è economico, che è
religioso, che è santo, che è guerriero. Quindi questa figura particolare
dell’Uomo Nuovo, capace di raccogliere in sé tutte le sue forze creative, che
la cultura rivoluzionaria del Fascismo propone e che non mancava costantemente
di ricollegare alla stagione dello squadrismo, così intrisa di eroicità e di
sacrificio, riconduceva alla stessa definizione dell’Uomo integrale di
mussoliniana memoria, ovvero un uomo che non esistesse unicamente perché
cartesianamente pensante, ma perché arricchito di tutte quelle virtù
“romanamente” intese, eroiche, civiche e politiche, sia nella ragione come nei
sentimenti. Spesso e volentieri nell’immaginario intellettuale il
discorso sull’Uomo Nuovo si andava a concretizzare poi nell’ideale della
gioventù, una gioventù non solamente intesa in senso spirituale ma anche come
dato anagrafico, poiché il concetto di gioventù rimandava all’ansia del
cambiamento e all’impeto rivoluzionario, racchiudendo in se stessa gli ideali
della forza e della bellezza, di una esuberante virilità aggressiva, l’anelito
vitale di un futuro tutto da conquistare, proprio l’opposto di quanto ancora
proponevano i rappresentanti delle democrazie borghesi con tutte le loro
desuete convenzioni e i loro logori formalismi, con tutta la loro boriosa
rispettabilità e lasciva ipocrisia. Il Fascismo fu quindi profondamente
giovane e irruento, meravigliosamente violento e lo fu sia spiritualmente che
anagraficamente. Il comune denominatore della più intransigente e
autentica cultura fascista, quella derivata appunto dalla passionale ed eroica
stagione dello squadrismo, si trovava nell’aspirazione alla realizzazione di un
originale disegno politico ed esistenziale da esplicarsi mediante cambiamenti
radicali frutto di una ferma volontà rivoluzionaria che armonizzava i
riferimenti alla rivolta romantica dell’interventismo e alla mistica eroica
evocata dalla guerra di trincea con i nuovi miti palingenetici di
trasformazione della società e dello Stato. Questa cultura dell’azione che si
nutriva dello spirito barricadiero di rivolta contro l’ordinamento borghese in
nome di un rivoluzionario e fascista Ordine Nuovo era la caratteristica di
quell’ambiente fascista che si riconosceva, anche per esperienza diretta, nel
mito capacitante delle aristocrazie del combattentismo – quella trincerocrazia
più volte evocata da Mussolini – e nella scuola di vita e di coraggio
rappresentata dalla militanza squadristica che venne vissuta, letta ed
interpretata non solamente come una reazione organizzata e armata volta
all’annientamento dei focolai dell’insurrezionalismo marxista, ma soprattutto
come militanza rivoluzionaria e idealistica volta alla rigenerazione della
Nazione e alla creazione di uno Stato nuovo. Una specifica rilettura che si
svolgeva anche in aperta polemica con coloro che ritenevano che la nascita del
governo presieduto da Mussolini, all’indomani della marcia su Roma,
rappresentasse la fase risolutiva del Fascismo. In questo modo, il
Fascismo, doveva e poteva assumere una superiore valenza metafisica affermando
il suo essere come un completamento naturale e organico della storia della
Nazione italiana, andando ben oltre la semplice insorgenza anti-sovversiva e
anti-modernista – non a caso lo stesso G. volle mettere l’accento sul fatto che
la Rivoluzione Fascista infatti non è stata reazione come qualcuno ha creduto
in origine e come tuttora si crede da molti all’estero; è stata invece
l’ostetrica della nuova storia. E sorta una nuova civiltà capace di risolvere
tutti i problemi della società contemporanea. Per costoro, che in fondo
rappresentavano la vasta base della militanza fascista e anche quella
intellettualmente più viva, l’agire politico del Fascismo non doveva
assolutamente compromettersi con i residui della vecchia classe dirigente, che
in virtù del processo di normalizzazione e di pacificazione avviato dal Duce si
adoperavano nell’inserimento all’interno dei gangli del regime, doveva invece
mantenere e tonificare una assoluta intransigenza dottrinaria senza incorrere
in alcun cedimento politico e morale, perché se il Fascismo era una
rivoluzione, doveva necessariamente procedere nei suoi obiettivi con mentalità
e metodi rivoluzionari, come perentoriamente affermò un autorevole esponente
dell’epopea squadristica della statura di FARINACCI (si veda). Bisogna insomma
che la bestia proteiforme del vecchio conservatorismo sornione sia liquidata
bruscamente; che le vecchie clientele d’interessi e d’ambizioni fiorite ai
margini della vita politica italiana siano messe in mora, vigilate, controllate,
sopra tutto tenute lontane, bisogna che sia impedito a chiunque di rifarsi,
attraverso il fascismo, una qualsivoglia verginità e continuare, sotto mentite
spoglie, le abitudini peccaminose del passato. La vittoria deve essere
integrale. Tra gli oppositori più accaniti della deriva moderata si
evidenziarono gli ideatori della Scuola di Mistica Fascista, costituitasi a
Milano, tutti provenienti da quella generazione dei GUF che era cresciuta
respirando l’atmosfera del Fascismo, maturando così una profonda convinzione
nei miti fondatori del regime e una fedeltà assoluta nella persona del
Duce. Al loro fianco si schierarono altre personalità di spicco del
Fascismo rivoluzionario: RICCI (si veda) con il suo universalismo fascista, PAVOLINI
(si veda) e l’esaltazione della primavera squadristica, ROSSONI (si veda) con
tutte le aspettative del sindacalismo rivoluzionario. La Scuola di
Mistica Fascista verrà intitolata a Mussolini, il figlio prematuramente
scomparso di Mussolini. G., PALLOTTA (si veda), MEZZASOMA (si veda) e
molti altri entusiasti, avvalendosi della guida orientatrice di Arnaldo
Mussolini, seppero rappresentare, attraverso l’opera che fu sviluppata dalla
Scuola, una autentica e intransigente avanguardia intellettuale e morale posta
a difesa dei valori espressi dalla Rivoluzione Fascista, che sempre più doveva
farsi rivoluzione culturale e antropologica per meglio adempiere alla consegna
rivoluzionaria che il Duce del Fascismo aveva dato alle nuove
generazioni. È G. a spiegare gli scopi dell’istituzione: “Poiché una
mistica è un postulato di tanti credo, e un valore assoluto non lo si può
derivare che da una fonte indiscutibile, questa fonte non può essere che il
Duce. Ecco perché la fonte deve essere quella, esclusivamente quella. Compito
nostro deve essere soltanto quello di coordinare, interpretare ed elaborare il
pensiero del Duce. Ecco perché è sorta una Scuola di Mistica fascista ed ecco
il suo compito: elaborare e precisare i nuovi valori del Fascismo che sono
nell’opera del Duce. Quindi una rivoluzione culturale, del carattere e dello
Spirito che, attraverso interessanti rievocazioni del mito della romanità e
della sacralità della Stirpe – rappresentazioni metastoriche e metafisiche
della migliore tradizione aryo-romana – sarebbe approdata ad una coesione
organica della Stirpe italica costituitasi in Comunità nazionale e avrebbe dato
all’Italia fascista il diritto-dovere di adempiere ad una missione universale
facendo del Fascismo il crocevia della storia europea del ventesimo secolo e il
riformatore dei tratti essenziali della Civiltà contemporanea in ogni suo
aspetto, la ripresa e il rinnovamento dell’Europa all’indomani del fallimento
della democrazia liberale e delle utopiche promesse marxiste. Aprire la strada
al secolo fascista. Certamente nella visione della Mistica fascista
elaborata dalla Scuola vi era la ferma consapevolezza che il Fascismo fosse una
autentica rivoluzione totale della società italiana: spirituale ed etica,
sociale e politica, ma al contempo anche una ripresa di tutte le tradizioni
essenziali, però la memoria storica proposta non si sarebbe dovuta risolvere in
un ripiegamento nel passato, l’immagine del passato non finì mai per
schiacciare la dimensione del presente e tanto meno si configurò come un
richiamo intensamente nostalgico, bensì le potenzialità ideologizzanti della
rimemorazione storica vennero fatte espandere fino a provocare una vera e
propria occupazione del cosiddetto campo dei ricordi – una lotta spirituale e
rivoluzionaria per il dominio del ricordo e della memoria che conduce ad una
riscrittura della cronologia nazionale che rispecchiasse le concezioni del
pensiero irrazionalista, anti-intellettualista e pragmatista dei decenni
trascorsi, un pensiero profondamente permeato di sfumature di matrice nietzschiana
e soreliana. Anche i richiami alla Mistica insita nel Fascismo erano
animati dallo spirito di rivolta, contro le mentalità borghesi ancora
sussistenti, delle nuove generazioni cresciute ed allevate nelle organizzazioni
totalitarie giovanili e universitarie, una rivolta che si manifesta con i forti
caratteri di un idealismo morale ed etico qualitativamente aristocratico
esprimente l’esaltazione di una giovinezza istintiva, disinteressata e piena di
spirito vitale, aggressiva, pura e decisa a dare battaglia a qualsiasi forma di
conservatorismo e di borghese buon senso pur di affermare il carattere
intransigente e le finalità rivoluzionarie sociali e spirituali del
Fascismo. Non vi era nessun punto di convergenza con eventuali nostalgie
reazionarie, mentre invece era presente una totale e coerente aderenza alle
istanze di trasformazione rivoluzionaria che il Fascismo esigeva e che ancor di
più il Duce imponeva. Per questi giovani attivisti non vi era altra
strada per uscire definitivamente dalla crisi della modernità, esplosa alla
fine del primo conflitto mondiale, che con un mutamento radicale del popolo
italiano e una tale mutazione antropologica poteva provenire solamente da una
fede ben salda che aveva iniziato a germinare in un primo tempo con l’esperienza
della guerra nel mito della Nazione in armi, della guerra di popolo,
proseguendo poi con l’esaltante epopea della lotta squadristica, per approdare
infine nella costruzione dello Stato fascista di popolo, corporativo e
totalitario, il compimento finale del rinnovamento sociale e spirituale della
Stirpe e della grandezza politica della nazione. Nel corso degli anni che
trascorsero fino all’entrata in guerra dell’Italia la scuola di mistica fascista
assolse in maniera esemplare ai compiti che si era prefissata, ovvero
l’ambizione di voler rappresentare l’infrangibile scudo morale, etico e
dottrinario contro il quale si sarebbero dovute infrangere le velleità dei
nemici del duce e del fascismo, soprattutto i nemici interni, i più pericolosi,
quelli che si annidavano tra le pieghe del regime per minarlo alla
base. Affinché lo scudo della rivoluzione fosse solido i mistici della scuola,
i soldati politici dell’Idea, vollero essere loro stessi esempio di virtù
civiche, morali e politiche, di fedeltà indiscussa nei confronti della guida
della rivoluzione, il duce, spesso descritto come il genio della stirpe, l’Eroe
che con la sua instancabile opera dava quotidianamente prova di rappresentare
pienamente la coscienza e la voce dell’anima del popolo, soprattutto di un
popolo a cui il Fascismo aveva restituito la dignità politica e sociale e
un’unità spirituale che attingeva dalla viva coscienza di appartenere
integralmente all’organismo della nazione. Da questa chiave di lettura
emergeva, quindi, una superiore comunione mistica che legava il Duce al suo
popolo, cementata dalla comune fede fascista, una fede intensa che a sua volta
veniva elevata al rango di una sorta di religione mistico-popolare sacralizzata
dal sangue offerto in sacrificio dai martiri dello squadrismo sull’altare della
rivoluzione, una rivoluzione continua che, come affermava un giovane esponente
della Scuola, procedeva impetuosamente la sua marcia: Gl’italiani della mistica
si sono irradiati tra le file delle generazioni vecchie e nuove e hanno dato il
goccio d’acqua, il pezzo di pane del conforto, hanno sorretto i deboli, hanno
convinto i pusillanimi. La Rivoluzione ha attraversato le ubertose valli della
sua fase politica, ora sale. Guai a chi volesse tentare di derogare alle
direttive di marcia per evitare le asprezze della salita e impedire che dalla
politicità si torni alla rivoluzione piena e travolgente delle ore di audacia e
di lotta. Per queste nobili motivazioni gli esponenti della Mistica fascista
chiesero e ottennero che la scuola divenisse la custode del famoso covo
milanese di via Paolo da Cannobio, il sacrario della rivoluzione delle camicie
nere, appunto il covo del fascio primogenito dove la fede fascista aveva mosso
i primi passi e dove il Duce chiama all’adunata.rossi Un luogo simbolico
carico di suggestivi richiami emozionali, ben presente nell’immaginario
collettivo della militanza squadristica, che avrebbe dovuto essere la fonte di
irradiamento della Mistica fascista verso tutta la Nazione. Il cosiddetto
covo del fascio primogenito rivestì sempre per i mistici fascisti un ruolo
centrale nel loro immaginario dottrinario, rappresentava la fonte mitica della
fede mussoliniana, il principio fondante del Fascismo, era come trascendere il
tempo profano per riapprodare al tempo mitico della purezza dell’idea, un
riaccostamento di ordine metafisico a cui si poteva accedere soltanto
attraverso i miti e i simboli, e la mistica fascista era satura di richiami, di
miti e di simboli: “Qui è tutta l’attualità e la contemporaneità del covo.
Attualità e contemporaneità che non dovranno mai tramontare. Non solo per noi,
infatti, ma per i nostri figli e per i figli dei nostri figli il covo deve e
dovrà essere l’Arca dei valori della Rivoluzione, la bussola cui guardare nei
momenti di indecisione, la guida cui ispirarsi, la stella polare che il
navigante dello Spirito deve vedere sempre alta e lucente davanti a se. E ad
esso oggi, domani, sempre gli italiani dovranno salire in pellegrinaggio, per
meditare, per ispirarsi. Ad esso le generazioni si accosteranno sempre con
stupore religioso per imparare che nulla allo Spirito è impossibile. Il
Fascismo, come spesso ripeteva il Duce, era una fede coltivata nella lotta che
aveva avuto i suoi caduti, i suoi martiri che immortalatisi vestendo la
gloriosa camicia nera la avevano rafforzata e sacralizzata. Se ogni secolo ha
una sua dottrina, da mille indizi appare che quella del secolo attuale è il fascismo.
Che sia una dottrina di vita, lo mostra il fatto che ha suscitato una fede: che
la fede abbia conquistato le anime, lo dimostra il fatto che il Fascismo ha
avuto i suoi caduti e i suoi martiri. Il Fascismo ha oramai nel mondo l’universalità
di tutte le dottrine che, realizzandosi, rappresentano un momento nella storia
dello spirito umano. Adesso, questa fede, attraverso i mistici fascisti
della Scuola aveva trovato i suoi intransigenti custodi e i suoi più
appassionati apostoli. Anche loro si stano preparando al combattimento –
nella sua duplice veste fisica e spirituale – aspirando di potere affrontare
degnamente il supremo sacrificio per il fascismo e onorare così la loro scelta
di vita versando il proprio sangue per la causa rivoluzionaria. Morire
all’ombra dei gagliardetti neri: Mistica dell’azione. Mistica del realismo
eroico. Mistica della fede. Fedeltà che era più forte del fuoco, come narravano
antiche saghe. Che l’intensa e interessante attività svolta dalla Scuola
nell’approfondimento e nell’arricchimento della Dottrina fascista fosse il
risultato di un grande impegno contrassegnato da un’altrettanto grande serietà
venne comprovato dai numerosi riconoscimenti che ricevette, non ultimo
l’apprezzamento e la manifesta simpatia avuta da parte di Julius Evola, ma il
riconoscimento più importante, i mistici, lo ricevettero dal Duce che li
encomiò pubblicamente, incontrando i quadri della Scuola a Palazzo Venezia,
incitandoli a proseguire nel cammino intrapreso quali custodi della purezza
dell’Idea e del mito rivoluzionario: Io vi ho seguito in tutti questi anni da
vicino e con vivissima simpatia perché considero la mistica in primo piano.
Ogni rivoluzione ha infatti tre momenti: si comincia con la mistica, si
continua con la politica, si finisce nell’amministrazione. Quando una
rivoluzione diventa amministrazione si può dire che è terminata, liquidata.
Potrei dimostrarvi che tutte le rivoluzioni sono passate attraverso questo
ciclo: noi che conosciamo la storia dobbiamo impedire che la politica scivoli
nell’amministrazione. Alle origini di ogni rivoluzione c’è la mistica: se la
politica è il contingente, la mistica è l’immanente, essa rappresenta i valori
eterni, essenziali, primordiali. Voi dovete lavorare per l’avvenire. Per far questo
occorre la fede. È facile ad un certo momento deviare nella politica: voi
dovete essere al di fuori e al di sopra delle necessità della politica. Di
queste cose ho parlato in modo molto sommario; ma tutte erano presenti in voi.
Avete tempo di riflettere.” Il secondo conflitto mondiale era però già
iniziato e l’Italia sarebbe entrata in guerra l’anno successivo. I
mistici fascisti volendo essere, fino alle estreme conseguenze, la prima linea
del Fascismo accolsero con felicità ed entusiasmo la notizia, chiedendo
ufficialmente che gli venisse concesso l’Onore dell’arruolamento volontario
“nei più rischiosi reparti di terra, di mare o di cielo”. Subito, ben 169
quadri dirigenti della Scuola partiranno per il fronte, convinti che il
processo rivoluzionario fascista avrebbe avuto una formidabile accelerazione
proprio per effetto della guerra. Molti altri mistici seguiranno a ruota
l’esempio dei loro capi. La loro esemplare condotta evidenzierà una
magnifica esplicazione degli insegnamenti della Tradizione: se hai di fronte
due strade, scegli sempre la più difficile. Poiché c’è sempre una strada per
chi vuole percorrerla. Sia G., sia un’altra figura di eccezionale valore
come Ricci, testimonieranno la loro intransigente coerenza esistenziale e
politica con la scelta del combattimento. Il primo volontario sul fronte
greco-albanese dove troverà eroicamente la morte, il secondo, sempre
volontario, sul fronte africano dove coronerà la propria esistenza di credente
nella fede fascista incontrando, altrettanto eroicamente, la morte a Bir
Gandula sul Gebel cirenaico. Nell’arco di un solo mese il Fascismo perse due
tra i suoi migliori campioni. Le vicende belliche decimarono di fatto il
gruppo dirigente della Scuola che sarà costretta a cessare le sue attività. I
pochi sopravvissuti di quell’esperienza raccolsero di nuovo la chiamata del
Duce aderendo alla Repubblica Sociale Italiana, tra questi Fernando Mezzasoma
che era stato il vicepresidente della Scuola e che ricoprì il dicastero della
propaganda nella RSI, trasportando con il proprio esempio le intime motivazioni
della Mistica fascista nell’esperienza repubblicana: “È questa nostra
intransigenza nei confronti della Dottrina che abbiamo sposato, delle battaglie
che combattemmo, delle realizzazioni che abbiamo attuate, che, se ci consente
di accettare la collaborazione di qualsiasi Italiano in buona fede e di buona
volontà che voglia aiutare la titanica fatica del Duce, ci obbliga tuttavia a
respingere sdegnosamente qualunque patteggiamento con coloro che agiscono al
servizio del nemico, uccidendo a tradimento i nostri migliori compagni di
marcia e di battaglia, con coloro che nell’Italia invasa perseguitano i
fascisti che a migliaia risorgono e insorgono per rendere dura la vita agli
invasori e aprire la strada al nostro ritorno. Questa deve essere oggi la
nostra missione di fascisti. Questo è il comandamento di G.. Questo è il suo
insegnamento. Nel suo nome, e nel nome degli altri caduti, i superstiti della
Scuola di Mistica fascista chiamano a raccolta l’autentici italiani. Anche lui
muore poi assassinato dai partigiani. Andarono tutti volontariamente
incontro alla morte per onorare un patto di fedeltà e di fede che li lega al
Duce e al Fascismo, così facendo coronarono una vita degna e ben vissuta, il
loro abbraccio mistico con il Fascismo si consuma eroicamente in combattimento
e di fronte ai plotoni di esecuzione. Se ancora oggi, dopo i tanti decenni
trascorsi, la loro memoria, la memoria delle tante battaglie ideali e materiali
affrontate, viene nonostante tutto ancora sentita come viva, se il ricordo di
questi uomini caduti con onore non in nome di una passione generica, ma per il
Fascismo, per il compimento di una Rivoluzione che è rimasta scolpita nella
Storia, torna ancora ad emergere non deve assolutamente avvenire perché i vivi
di oggi debbano morire nel loro cuore, struggendosi nella nostalgia del
ricordo, ma deve invece impetuosamente emergere affinché i morti di ieri
possano tornare a vivere tra di noi. Quella marcia, iniziata il 28 Ottobre
1922, non è ancora terminata. Non ci consta che esistessero specifiche
istituzioni pubbliclie, ma in proposito possiamo ricordare numerosi
provvedimenti e diverse associazioni private. Fra quelli, le leggi agrarie, le
disposizioni a favore dei debitori, le distri buzioni semigratuite o gratuite
dì grano, fatte dagli edili; i congiari imperiali (che erano copiose
elargizioni di farina, olio e carne disposte dagli imperatori). Provvidenze che
mi ravano tutte a combattere, direttamente e indirettamente, le cause dell’indigenza
o almeno a paralizzarne gli effetti, ben ché nella loro essenza e origine
avessero carattere politico, cioè fossero prese sopratutto per cattivarsi il
favore e la simpatia della plebe o evitare tumulti e sommosse. Fra le
associazioni, sopratutto bisogna ricordare quelle costituite a scopo mutualistico
; e tale è il carattere dei collegia funeraticia, dei collegia termiorum, delle
casse di soccorso istituite da GIULIO (si veda) Cesare fra i suoi legionari.
Anche nel campo dell’istruzione si devono ricordare istituti privati i quali
istruivano la classe dirigente romana. E’ invece nelle opere pubbliche ohe
specialmente i romani ai distinsero legando ai posteri terme e acquedotti,
palestre e strade, circhi e palazzi olle ancora oggi, in parte, almeno, durano
e sono efficienti. L’ORDINAMENTO SOCIALE DELLO STATO SECONDO LA CONCEZIONE
FASCISTA. LA TEORICA FASCISTA SULLA NATURA E SULLE FUNZIONI DELLO STATO. LA
FUNZIONE SOCIALE DELLO STATO. PRECEDENTI STORICI DELLA FUNZIONE
SOCIALE DELLO STATO NELLA POLITICA E
NELLA LEGISLAZIONE SOCIALE. In Roma sino all’editto di Costantino. Durante il
medioevo.Dopo la riforma protestante. Ordinamento sociale dello Stato fascista.
In Italia. L’evoluzione e la trasformazione della legislazione sociale. La
legislazione sulla beneficenza e sulla assistenza pubblica e privata. La
legislazione sulla mutualità e sulla previdenza. La legislazione del lavoro. La
legislazione sull’istruzione pubblica. La legislazione sull’igiene e sulla
sanità pubblica. La legislazione sui servizi e sulle opere pubbliche. GLI
ELEMENTI DELL’ORDINAMENTO SOCIALE DELLO STATO FASCISTA. I soggetti. Gli
obiettivi . Gli obiettivi relativi ai cittadini in genere. Gli obiettivi
inerenti alle condizioni generali di vita. Gli obiettivi inerenti in
particolare alla fase di formazione e di preparazione del cittadino, a quella
di produttività e a quella di riposo.
Gli obiettivi relativi ai cittadini benemeriti. Gli obiettivi relativi ai
cittadini non risanabili e non
rieducabili. Gli strumenti . Il criterio, profondamente corporativo,
adottato dal legislatore fascista per la scelta degli strumenti attuanti
la politica sociale. La famiglia.
L’associazione professionale. Le istituzioni promananti, singolarmente o
pariteticamente, dalle associazioni professionali. Gli enti locali. Le opere
nazionali parastatali. I limiti. LE ISTITUZIONI DEL NUOVO ORDINAMENTO SOCIALE
DELLO STATO FASCISTA. Di alcune considerazioni preliminari. LE ISTITUZIONI
SOCIALI RELATIVE ALLE CONDIZIONI GENERALI DI VITA DEL CITTADINO. La- legislazione
inerente alla sicurezza, all’igiene e
alla sanità pubblica . Per garantire la sicurezza. Per assicurare
l’igiene e la sanità. La legislazione inerente alla previdenza . Per
incrementare il risparmio. Per potenziare la mutualità. Per favorire la
cooperazione. Per diffondere le assicurazioni Ubere. La legislazione inerente
alla assistenza di soccorso. Per l soccorsi in natura e in contanti. Per i
soccorsi medico-sanitario-ospitalieri. La legislazione inerente alla
propaganda, all'integrazione culturale e al perfezionamento scientìfico . Per
favorire il perfezionamento scientifico. Per la propaganda e l’integrazione
culturale. La legislazione inerente all’integrazione della formazione e
dell’educazione fisica e sportiva. La legislazione inerente alla costituzione e
all’incremento del nucleo familiare . Per favorire la costituzione della
famiglia. Per facilitare l’esistenza e lo sviluppo delia famiglia . La
legislazione inerente a particolari servizi pubblici.Per garantire il
soddisfacimento di bisogni primari. Per assicurare i rapporti e i contatti
economico-sociali. Per valorizzare il patrimonio nazionale. Ordinamento sociale
dello Stato fascista. La legislazione inerente al controlla, <UVadeguamento
e al collegamento ielle istituzioni dell’ordinamento sociale e alla selezione dei suoi soggetti.
Per assicurare il controllo e l’adeguamento delle istituzioni sociali. Per
ottenere il collegamento nell'ambito dell’ordinamento sociale. Per assicurare
la formazione della classe dirigente mediante la selezione totalitaria del
cittadini. IL PARTITO NAZIONALE FASCISTA E LE ORGANIZZAZIONI DIPENDENTI.
Origine, natura e funzione sociale del P. N. F . I Fasci di Combattimento. I compiti. I
soggetti. L’ordinamento. L’Associazione nazionale famiglie Caduti fascisti e
Mutilati e Invalidi per la Causa Nazionale. I compiti. I soggetti.
L’ordinamento. L’Unione nazionale ufficiali in congedo d’Italia I compiti I soggetti . L’ordinamento. L’Unione
nazionale fascista del senato. I compiti. I soggetti. L’ordinamento. Gruppi Universitari
Fascisti. I compiti. I soggetti.
L’ordinamento. I Fasci di Combattimento. I compiti. I soggetti.
L’ordinamento. I compiti. I soggetti.
L’ordinamento. L’Opera Nazionale Dopolavoro. I compiti. I soggetti. L’ordmamento. Le Associazioni fasciste. I
compiti I soggetti L’ordinamento. Il Comitato intersindacale . I compiti. I soggetti. L'ordinamento.
Gl’Uffici di Collocamento. I compiti. I soggetti. L’ordinamento. L'Ente Opere
Assistenziali. I compiti. I soggetti. L’ordinamento. L'Opera Universitaria. I compiti. I soggetti. L’ordinamento. Il Comitato
olimpionico nazionale italiano. I compiti.
I soggetti. L’ordinamento. Di
alcune considerazioni sul P. N. E. La legislazione richiamata. DI ALCUNE
CONSIDERAZIONI SULLE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLE CONDIZIONI GENERALI DI VITA DEL CITTADINO. Ordinamento sodale
dello Stato fascista. LE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLA FORMAZIONE
FISICO-MILITARE E ALLA PREPARAZIONE
PROFESSONALE NAZIONALE DEL CITTADINO. La legislazione inerente al nucleo
familiare per la formazione fisico-militare del cittadino. Per sopperire alla
insufficienza relativa dei mezzi economici della famìglia e sostituirla nella
vacanza di alcune sue funzioni. Per
integrare l’inadeguatezza assoluta di alcuni mezzi della famiglia. L’OPERA NAZIONALE PER LA PROTEZIONE
DELL’INFANZIA. L’origine, la natura e la funzione sociale deU’.O.N.M.I. I
compiti. Per l’integrazione e il coordinamento dell’azione svolta da altri enti o istituti o da privati. Per
la vigilanza e il controllo delle singole istituzioni di assistenza. Per la propaganda e la
vigilanza suU’applieazione delle leggi e
dei regolamenti riguardanti l'assistenza
materna e infantile. I soggetti.
L’ordinamento . Dì alcune considerazioni suli’O. N. M. 1 La legislazione
richiamata. La legislazione inerente all’istruzione e alla formazione
professionale del cittadino. Per garantire l’istruzione professionale del
cittadino sino al 14° anno di età. Per favorire e incrementare l’istruzione
professionale La legislazione inerente all’educazione e alla formazione fisica,
premilitare, morale e nazionale del cittadino.
L’OPERA NAZIONALE BALILLA PER L’ASSISTENZA E L’EDUCAZIONE FISICA E MORALE DEGL’ITALIANI.
L’origine, la natura e la funzione somale dell’O.N.B. I compiti . I soggetti.
L’ordinamento. Di alcune considerazioni sull’O.N.B. La legislazione richiamata.
DI ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLA FORMAZIONE
FISICO-MILITARE E ALLA PREPARAZIONE PROFESSIONALE NAZIONALE DEL CITTADINO. LE
ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLA FASE DI
PRODUTTIVITÀ’ DEL CITTADINO. La legislazione inerente all’azione sociale
attuata dalle associazioni
professionali . Per garantire l’azione sociale da attuarsi direttamente dai sindacati. Per assicurare l’azione
sociale da attuarsi dai sindacati a
mezzo di speciali istituzioni. IL
PATRONATO NAZIONALE PER L’ASSISTENZA SOCIALE. L'origine, la natura e la
funzione sociale del P.N.A.S. I compiti . I soggetti. L’ordinamento. Di alcune
considerazioni sul P.N.A.S. La legislazione richiamata. La legislazione
inerente all’azione sociale attuata dalle corporazioni. Per garantire il
produttore obiettivamente e subiettivamente di fronte alle condizioni del
lavoro. Per tutelare i reciproci rapporti fra i produttori nella loro dualità
di datori di lavoro e di prestatori d’opera . Per favorire ii perfezionamento e
l'elevazione professionale del produttore. Ordinamento sociale dello Stato
fascista. La legislazione inerente alla conservazione dello spirito nazionale e
della preparazione fisico-militare del
produttore. DI ALCUNE
CONSIDERAZIONI SULL’ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLA FASE DI PRODUTTIVITÀ DEL
CITTADINO. LE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE AL PERIODO DI RIPOSO-VECCHIAIA DEL CITTADINO. La
legislazione inerente all’obbligo delle garanzie previdenziali per la fase di
riposo-vecchiaia. La legislazione inerente a speciali interventi statuali a
favore del vecchio bisognoso. DI ALCUNE CONSIDERAZIONI SULL’ISTITUZIONI
'SOCIALI RELATIVE AL PERIODO DI RIPOSO-VECCHIAIA DEL CITTADINO. LE ISTITUZIONI
RELATIVE AI CITTADINI CHE HANNO BENEMERITATO DALLO STATO. La legislazione
inerente alle benemerenze collettive. La legislazione inerente alle benemerenze
individuali. DI ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE AI
CITTADINI BENEMERITI. LE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE AI CITTADINI MINORATI NON RISANABILI E NON RIEDUCABILI. La
legislazione inerente ai minorati assolutamente non produttori. La legislazione inerente ni
minorati relativamente non produttori. DI ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE ISTITUZIONI
RELATIVE AI CITTADINI MINORATI NON RISANABILI E NON INEDUCABILI.LA POSIZIONE E
I RAPPORTI DI RELAZIONE DEL CITTADINO
NEL NUOVO ORDINAMENTO SOCIALE. Di alcune considerazioni preliminari. LA
POLITICA SOCIALE PER IL CITTADINO DALLA NASCITA ALLA MAGGIORE ETÀ. L’anione
previdenziale e assistenziale dello Stato sino al quinto anno. Per la
costituzione della famiglia.Per la esistenza e l’incremento della famiglia. Per
li cittadino neonato. Per Viilegittimo e l’esposto. Per l’orfano. Per iì
cittadino infante. Di alcune considerazioni sull’azione previdenziale e
assistenziale dello Stato sino al quinto anno. L’azione previdenziale e
assistenziale dello stato dal sesto al quattordicesimo anno. Per la formazione
e lo sviluppo fisico, militare, morale e nazionale. Per la formazione
intellettuale e professionale. Di alcune considerazioni sull’azione
previdenziale e assistenziale dello Stato dal sesto al quattordicesimo anno.
L’azione previdenziale e assistenziale dello stato dal quindicesimo al
ventunesimo anno. Ordinamento sociale dello stato fascista. Per il cittadino
che studia. Per il cittadino che lavora. Di alcune considerazioni sull’azione
previdenziale e assistenziale dello Stato dal quindicesimo al ventunesimo anno.
DA POLITICA SOCIALE PER IL CITTADINO PRODUTTORE. L’anione previdenziale e
assistenziale dello Stato per il
cittadino ohe è produttore. L’azione previdenziale e assistenziale dello
Stato per la famiglia e i suoi membri
. LA POLITICA SOCIALE PER IL CITTADINO A
RIPOSO . LA POLITICA SOCIALE PER IL CITTADINO BENEMERITO. LA POLITICA SOCIALE
PER IL CITTADINO MINORATO NON RISANABILE E NON RIEDUCABILE. LA POLITICA SOCIALE
DELLO STATO FASCISTA. DELL’AZIONE SVOLTA DIRETTAMENTE DALLO STATO ATTRAVERSO AI
SUOI ORGANI. Per la riorganizzazione, il potenziamento e l’estensione della
rete consolare . DELL’AZIONE SVOLTA MEDIANTE LA STIPULAZIONE DI CONVENZIONI BILATERALI E PLURILATERALI E
MEDIANTE L'OPERA DELL’O.I.L. Le convenzioni bilaterali e plurilaterali ..Le
convenzioni intemazionali, le raccomandazioni e le risoluzioni dell'O.I.L . La legislazione
richiamata. Appartene alla categoria dei
mistici per i quali è bello vivere se la vita è nobilmente spesa ma è più bello
morire se la vita è donata all'Idea. Arnaldo Mussolini fu il suo Maestro: da
Arnaldo im parò che prima di agire e costruire è necessario ele varsi,
purificare il proprio spirito, temprare il proprio carattere; allora soltanto
si potrà essere certi che l'azione sarà feconda e l'edificio sicuro. Da Arnaldo
imparò che per conoscere, giudicare e guidare gli al tri è prima
indispensabile conoscere bene se stessi, punire inesorabilmente i propri
difetti, affinare inces santemente le proprie virtù: allora soltanto si potrà
aspirare all'onore del comando. Da Arnaldo impara che solo il sacrificio può
suscitare le opere grandi e buone e distruggere le cose piccole e vili. Ciò
che non costa non vale; ciò che non procura fatica e sof ferenza non
dura; quanto è al di fuori di noi non conta; gli onori, le cariche, le
ricchezze sono effimere e ca duche cose. Quello che importa è quanto è dentro
di noi, perchè è nostro e nessuno potrà mai portarcelo via, neanche a
strapparci la carne viva di dosso. Es sere se stessi in ogni momento, rimanere
se stessi sempre: ecco la più grande conquista degli uomini. Uomo di fede Un
uomo di fede fu G.. E la sua fede era di quelle che non vacillano mai, di
quelle che restano intatte nella buona e nella cattiva sorte e che traggono
anzi dalle difficoltà e dalle sfortune un più profondo contenuto e sempre nuovi
motivi. La sua fede era di quelle alte cui fonti cristalline attingono le
intelligenze chiare e gli animi trasparenti degli uomini puri i quali sanno che
se si vuole raggiungere l'ultima cima, mol te vette bisogna scalare e talvolta
anche scendere da alcune per risalire su aifre vette più alte ancora. In 8
i G. la fede nasceva da un inesausto tormento spi rituale, da
un'ansia incontenibile di elevazione e di conquista per divenire, come dice il poeta,
«cara gioia sopra ia quale ogni virtù sì fonda. Egli credeva in Dio, nel Dio di
noi Italiani fascisti e cattoiici a cui dobbiamo non soltanto il dono
misterioso della vita ma anche il privilegio di averci chiamati a continuare la
missione di civiltà e di giustizia che la gente nostra svolge nel mondo da più
di due millenni. Egli credeva nella dottrina politica enunciata da Mussolini,
scaturita dall'azione, alimentata dalla fede, consacrata dal sa crificio e
nella sua possibilità di instaurare un nuovo sistema di vita, di educare gli
uomini a una visione vasta ed umana delle cose, di creare un nuovo tipo di
civiltà italiana, ed europea. Crede in Mussolini perchè lo considera l'uomo
della provvidenza, l'e sponente di una razza eletta, il fondatore di una ci
viltà universale, il protagonista e l'artefice di una nuòva storia, il
condottiero di giovani generazioni, il DUCE, a cui non occorre chiedere prima
di iniziare la marcia dove ci porta e quando si arriverà perchè dal giorno in
cui un destino fortunato (o pose alla testa —9 ‘1 del suo popolo,
la meta era già nei suoi occhi e la vittoria nel suo pugno. Crede negl’italiani
nati e cresciuti col sorgere del Fascismo, educati alla severa scuola del
Partito e li voleva rivoluzionari nello spirito e nel sangue, gene rosi ed
audaci, pronti alla lotta e alla rinunzia. Sogna va una classe dirigente che
sapesse dimostrare con l'esempio, nelle opere e nel sacrificio, di essere de
gna del nostro grande popolo e del nostro grande Capo; una classe dirigente
fatta di uomini integrali, forti della loro indipendenza morale — la sola ric
chezza umana che non abbia un valore misurabile in denaro — e dotati di tutte
le virtù spirituali, intellet tuali e fisiche che sono indispensabili per
poter eser citare con dignità e con efficacia la missione dei co mando.
Concepiva la famiglia nel senso più tradizio nalmente nostro; amava cioè la
sana numerosa fami glia italiana, ricca di onestà e prodiga di figli, sboc
ciata dall'amore tra l'uomo che vive lavorando o com battendo-per la Patria e
la donna che nel piccolo gran de regno della casa vive nella serena ed operosa
attesa del ritorno di lui; e se l'uomo non tornerà la donna lo piangerà senza
lacrime perchè egli sopravvi va nella fierezza dei figli, I quali
continueranno, nella luce del suo esempio, l'opera sua. Crede nella Patria come
ne « la più pura, la più grande, la più umana delle realtà », amava la Patria
più della propria anima. Tutto per la Patria: fu la sua consegna. Niente per
lui valeva qualche cosa se non serviva alla Patria. Perchè la Patria è tutto e
tutti; sè e gli altri; le generazioni che furono, che sono e saran no; la
storia di ieri, di oggi e di domani. La Patria è la sintesi di tutte le più
nobili aspirazioni. Essa è fatta di uomini da rendere sempre più degni e di
territori da fare sempre più vasti. Per essa si lavora, si soffre, si spera;
per essa si combatte, si vince o si muore. Giornalista della Rivoluzione e
Maestro dei giovani Niccolò Giani fu un giornalista della Rivoluzione. Egli
intendeva il giornalismo come una scuola di vita, come uno strumento di educazione
e di formazione. Dalle agili colonne del suo giornale, la Cronaca Prealpina, e
da quelle della sua rivista DOTTRINA FASCISTA si battè accanitamente per la
creazione di un giornalismo rivoluzionario, dinamico, coraggioso, un
giornalismo che fosse in grado di svolgere una fun zione costruttiva di
divulgazione, di propulsione e di controllo, un giornalismo che fosse degno di
essere considerato un'arma affilata della Rivoluzione. Ma soprattutto maestro
dei giovani egli fu. All'Insegnamento si consacra con il religioso fervore con
il quale sole dedicarsi a tutte le attività rivolte agl’italiani. All'ateneo di
Pavia, al centro di preparazione politica, alla scuola di MISTICA FASCISTA egli
porta il contributo della sua beila cultura fatta di conoscenza e di azione,
illuminata dalla fede, riscaldata dal sentimento, Alla Scuola di Mistica da la
parte migliore di se stesso. Tutto quello che di buono e di meritevole è stato
fatto dalla scuola — ha detto Mussolini, nostro Presidente — proviene
unicamente da lui. Bisogna ricordarlo sempre e presentarlo come un mirabile
esempio agl’italiani che in lui potranno vedere l'espressione più sublime di
obbedienza ai comandamenti del Duce. È il migliore tra noi: il più
limpido, ii più generoso, ii più puro. Delia nostra mistica fede è l'aifiere
più ardilo e i'apostolo più acceso. Egli voieva che dalia nostra Scuoia
uscissero ì missionari, i portatori del no stro credo politico ed è egli
stesso il più tenace e il più convinto assertore dei principi che sono a fondamento
della nostra dottrina. La scuola sorge con lui per la volontà di un manipoio di
credenti che egli chiama i disperati del FASCISMO, così come gli squadristi un
tempo amano chiamarsi FASCISTI arrabbiati. All'inizio la scuola è un'attività
de! Guf milanese. Divenne quindi un'attività di tutti i gruppi fascisti universitari.
Oggi si è imposta al rispetto e ail'attenzione di tutti i fascisti. La sua
opera è rivolta agl’italiani, ma la sua azione è seguita ed amata anche dai
camerati della vecchia guardia che vedono con intima gioia esaltate e
rinnovate ogni giorno, dagl’allievi della scuola, le due più preziose virtù
dello squa drismo: la fedeltà e la intransigenza. I camerati della vecchia
guardia milanese sanno che il, nome di Niccolò Giani è legato alla riapertura del
Covo di Via Paolo da Cannobio, prima sede del « Popolo d'Italia », prima
trincea del Fascismo, che il Duce ha voluto affidare in gelosa custodia ai
giovani della Scuola di Mistica perchè le giovani generazioni, accostandosi
alle sorgenti genuine delia nostra Ri voluzione, cogliessero, dall'umile
grandezza delle ori gini, la poesia e il fermento delia vigilia. G. è
soprattutto un fedele ed un in transigente. Taluni potrebbero chiamarlo un
fanatico, ma solo I fanatici sanno dare movimento col sangue «alla ruota
sonante della storia». Il suo spirito si ribellava a qualunque forma di com
promesso; sul terreno della fede non ammetteva pat teggiamenti; il bello, il
buono, il vero sono da un lato della barricata; dall'altra parte c'è il brutto,
il male, la meschinità. Mi piace di ricordarlo ai Convegno di Mistica: eravamo
alla vigilia delia nostra guer ra di liberazione e c'era in tutti noi una
febbrile im pazienza di decisione. Il tema del Convegno era bru ciante:
«Perchè siamo dei mistici?». I problemi dell'inteiligenza e deila cultura
furono esaminati al lume della fede; i poveri dì fede furono sbaragliati e G.
dichiarò guerra a viso aperto a tutti gli spiriti troppo raziocinanti, agli
innamorati della ricerca fredda e del ragionamento calcolatore. La dottrina che
conquista è quella che sorge dalla fede e non quella che discende dalla
indagine arida ed oziosa; la cultura che costruisce è quella che pene tra e
trasforma e non quella che resta gelida ed inerte. li Convegno si svolse in
un'atmosfera di fuoco e la risposta al tema che fu oggetto dei nostri
appassionati dibattiti fu data dallo stesso G.: Fascismo uguale a spirito,
uguale a mistica, uguale a combattimento, uguale a vittoria. Perchè credere non
si può se non si è mistici, combattere non si può se non si crede, e vincere
non si può se non si combatte. Fu in quel Convegno, ò giovani camerati della
Scuola di Mistica, che i giovani della generazione del Littorio affermarono
solennemente il loro diritto al combat timento, Soldato dì Mussolini G. è
tra i primi a partire. C'èin lui la preoccupazione morbosa di stabilire coi
fatti una coe renza perfetta tra il pensiero e l'azione. Aveva già partecipalo
come volontario alla guerra per la con quista dell'Impero, aveva chiesto ripetutamente
di partire per la Spagna e non gli era stato concesso; finalmente
sopraggiungeva la nuova prova lungamente attesa. Chi lo vide tenente degli
alpini al fronte occidentale lo ricorda come un esempio di disciplina e di ardi
mento. Ma la parentesi fu troppo breve: tornò insod disfatto, Andò in Africa
settentrionale come corrispon dente di guerra del popolo d'Italia. Ma quando sa
che il suo reggimento è già sul fronte greco chiede di raggiungerlo. Non puo
vivere lontano dai suoi alpini, gli sembra un tradimento. Parte per non
tornare. Tre volte si offre per azioni rischiose, tre volte è appagato, la
terza volta è l'ultima. I suoi uomini lo adorano. Con lui sarebbero andati
dovunque: potenza insuperabile dell'esempio! Anda con un manipolo d’alpini a
raggiungere una vetta lontana per compiere una ricognizione sulle posizioni
del nemico. Assolge il suo compito felicemente e rapidamente, ma prosegue oltre.
Il suo programma è un altro. Incontra poco prima, lungo il cammino, un camerata
di Milano e gli affida l'incarico di salutare per lui tutti gli amici di mistica
e di comunicare loro che egli è partito per un'impresa della quale si sarebbe
dovuto parlare. Mantenne la promessa. Alla testa dei suoi alpini raggiunge
un'altra vetta, sulla quale alta sfolgora la luce della gloria, e a bombe a
mano assalì un presidio greco. Circondato, lotta eroicamente, fino a quando
una pallottola gli recise la gola, gli spezza la vita, soffoca il suo canto..
Così cadde G. Egli è morto come è vissuto, non per sè ma per gl’altri. È triste
non potergli più vivere accanto, non poter più rinfrescare il nostro spirito
alia polla purissima della sua fede. Ma egli chiuse la sua vita terrena in modo
degno di luì, Arnaldo gli insegna che il segreto della vita è tutto qui; saper
vivere, saper morire, nel modo più degno. G. vuole insegnare agl’italiani come
deve vìvere e come sa morire un italiano di Mussolini. La nostra scuola, o
camerati di mistica, non lo onora col pianto che egli non approva. Il nostro
ciglio è asciutto anche se il cuore in questo momento acce lera il ritmo dei
suoi palpiti. Ma noi sentiamo che non un vuoto egli ha lasciato nelle nostre
file, li suo spirito inquieto è con noi, dinanzi a noi, oggi come non mai, ad
additarci la strada che conduce alla vittoria, ad ammonirci che il suo tormento
deve essere anche il nostro tormento, la sua ansia anche la nostra ansia, il
suo amore anche il nostro amore, oggi, domani, sempre. E noi sentiamo che
Arnaldo, il suo ed il nostro maestro, lo ha accolto nell'altra esistenza,
accanto al suo figlio prediletto e agli altri martiri delia nostra scuola, come
il migliore dei suoi discepoli. Il mito di Roma contro Si guardi Ro- il mito di
Jehova in ma repubblicana. Catone, Cicerone, Quale è il suo Tacito, Giovenale
ideale? Ce lo di- e negli Imperatori ce Marco Porcio Cato rie CATONE nel suo De
Agri cultura laddove scrive che i romani quando lodavano un uomo dabbene, lo
chiamavano buon agricoltore, buon colono. E con ciò si ritene di dare la
maggiore lode a colui che così veniva chiamato. E ciò per chè dalla classe
degli agricoltori nascono gli uomini più forti e i soldati più valorosi e
coloro che si dedicano a tale occupazione non concepiscono cattivi propositi.
Queste parole, questo saggio romano le scrive esattamente, nello stesso
periodo in cui Roma combatte l’ultima e definitiva partita con la semita Cartagine.
Ma, a questo proposito, ci si è mai chiesto perchè poi Cartagine è delendam,
perchè Roma s’è fissata ili questo mito della distruzione totale della città
di Annibaie? La risposta è una sola. La lotta tra le due rivali infatti non è
solo politica ed economica. È ben di più. È lotta di civiltà, di sistema di
vita. Roma rurale, Roma gerarchica, Roma guerriera ed eroica combatte anche
la Cartagine dei mercanti e della demagogia. Ecco perchè non è strano, ma,
anzi, logico, necessario addirittura, che l’uomo che in senato termina i suoi
discorsi col noto ceterum censeo Carthaginem delendam esse è lo stesso che nel
suo De Agri cultura pone l’ideale romano nella gente nata dai campi, cresciuta
in mezzo alle bellezze e alle forze della terra, temprata nelle lotte aperte e
solari della natura. Più di un secolo dopo, un altro grande romano, che gli
ebrei aveva conosciuto perchè uno di 16 essi, Apollonio Molone,
come ci dice il giudeo Lazare, aveva avuto per maestro: CICERONE, tuo nerà
anche lui contro la loro mentalità. Il tenere testa alla turba giudaica che
spesso schiamazza nelle riunioni popolari e farlo nel l’interesse della
Repubblica è prova di saldi principi, dice infatti CICERONE rivolto a LELIO nella
sua orazione Pro Fiacco. E nel suo De Officiis si legge questo aneddoto che
dice anche ai sordi in quale dispregio avessero i romani i trafficanti di
denaro. Ecco infatti come Cicerone racconta che Catone risponde a chi lo
interroga va sul miglior modo di amministrare i propri beni. Bene pascere. E
in quale altro modo? è richiesto a Catone. Salis bene pascere, è la risposta. E
poi? Arare, egli dice ancora. £ che ne pensi del prestare ad usura?cioè del
prestare denaro a interesse. Risponde Catone. E tu che ne pensi dell’uccidere
un uomo? Come, quindi, i romani, con mentalità siffatta, avrebbero potuto, non
dico apprezzare, ma solo riconoscere la mentalità ebraica? E se è vero che con
l’Ambasciata di Giuda Maccabeo si iniziano i primi rapporti diplomatici tra
Roma e Gerusalemme, se è vero che seguono altre ambasciate, se è vero che GIULIO
(si veda) Cesare e OTTAVIANO (si veda) li tollerano, è altrettanto vero che gl’ebrei
anziché essere grati e devoti allo stato romano ricambiario con disordini e con
tradimenti la generosità dei Cesari, al punto che Claudio, da un decreto di
tolleranza passa alla loro espulsione e ciò per chè, come testimoniano
numerosi scrittori latini — da Persio a Ovidio, da Svetonio a Plinio, da
Tacito a Giovenale — gli Ebrei conside rano come profano tutto ciò che da noi
è consi derato sacro (cfr. Tacito, Hist.); per chè essi hanno un culto
particolare, leggi par ticolari, disprezzano le leggi romane (cfr. Giovenale,
Im. Lat.). Colle generazioni questo contrasto di civiltà e questa antitesi di
istituzioni si acuiscono. È così che si arriva alla spedizione di Tito:
all’assedio e alla distruzione di Gerusalemme. E in tal mo do, due secoli dopo
Cartagine, anche sull’or goglioso regno di Giudea passa l’aratro romano e
viene cosparso il sale. Così quei giudei che pretendevano di essere il popolo
eletto e che per invidia di capi e per in comprensione ingenerosa di popolo
avevano tra dito e condannato nostro Signore Gesù Cristo; quegli eredi del
Profeta che smentirono la profe zia compiuta, furono dispersi per il mondo. La
profezia del Golgota ebbe in tal modo realizza zione per mano di Tito, di quel
Tito, il cui arco, forse per imperscrutabile volontà di quel Dio che egli
inconsciamente servì, s’aderge ancora intatto contro il cielo eterno di Roma,
quasi a testimonia re e ammonire le genti e il mondo intero della giustizia e
della verità che promanano dai sette colli sacrati all’Impero del Littorio e
alla Chiesa di Cristo. Niccolò Giani. Giani. Keywords: implicature mistica, mistico,
il mistico – la mistica del liberalismo – la mistica del comunismo – la mistica
della democrazia – la mistica del socialismo – filosofia politica – dottrina
liberale – dottrina comunista – dottrina democratica – dottrina socialista --.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giani” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Giani: la ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale della radice italica del melodramma – filosofia
torinese – la scuola di Torino – filosofia piemontese -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Torino). Filosofo torinese. Filosofo
piemontese. Filosofo italiano. Torino, Piemonte. Grice: “I love Giani; for one,
he was less fanatic than Nietzsche, even if it is Nietzsche’s fanaticism that
attracts Strawson! For one Giani is more careful: if ‘music’ comes from the
muses, which are Apollonian, why has Nietzsche to emphasise in a piece of bad
rhetoric, that tragedy has its birth in the ‘spirit’ of “music” – surely
Nietzsche means ‘Dionysian,’ but there’s no ‘music’ in Dionysus, only noise! Trust an Italian to correct Nietzsche on that point!”
-- Appartene ad una famiglia dell'alta
borghesia torinese con spiccate inclinazioni per la musica e per l'arte: lo
zio Giuseppe (Cerano d'Intelvi) e pittore piuttosto noto, docente
all'Accademia Albertina, così come il figlio di lui Giovanni (Torino). Si
dedica al violino e condusse contemporaneamente gli studi fino alla laurea. Si interessa inoltre al
fermento filosofico di fine Ottocento, a Spencer, ma soprattutto Nietzsche: di
Così parla Zarathustra eavrebbe in seguito dato una traduzione, a partire dalla
seconda edizione italiana (Torino, Bocca). Si appassiona, inoltre, al teatro
musicale di Wagner, così come altri intellettuali torinesi, e lo
difende. Risale la fondazione, per opera sua e dell'amico editore Bocca,
della Rivista musicale italiana, in cui inizialmente hanno parte preponderante
gli scritti di G., soprattutto recensioni sul teatro musicale contemporaneo e
note sui testi poetici da musicare, anche se va probabilmente ascritto a Giani
anche l'editoriale programmatico del primo numero, all'interno di una rivista
che si propone di ospitare scritti musicologici ispirati al metodo
positivistico diffuso tra i due secoli, pur restando aperta all'apporto di
altre correnti filosofiche quali quelle dell'idealismo. In “Per l'arte
aristocratica”, dimostra le doti di polemista che lo avrebbero accompagnato per
tutta la vita: in esso si confuta un giudizio di Torchi e si afferma che la
cosiddetta "arte per l'arte" non solo non è immorale, ma è anzi la
naturale evoluzione e conclusione dello sviluppo storico di questa
manifestazione dello spirito umano. Dedica un saggio al “Nerone” di Boito,
che egli da allora considera incondizionatamente un maestro: al tempo Boito
aveva reso pubblico il solo testo del Nerone, che venne accolto molto
vivacemente e con alterna fortuna dall'ambiente letterario italiano. La
posizione intorno al Nerone è singolare e indicativa di quali fossero i
requisiti che la cerchia di G. e Bocca ricercava nell'opera musicale. Questa
tragedia farebbe parte del novero delle tragedie vere, quelle in cui ritmo,
suono della parola, gesto, musica concorrono alla creazione di un che di
superiore. Tuttavia, quando la musica del Nerone fu resa nota postuma, dichiara
una certa delusione. Uomo dalla cultura enciclopedica, versato con competenza
anche negli studi di letteratura, G. cura L'estetica di Leopardi. Vede in Leopardi
il luogo in cui le immagini della sua poesia si comporrebbero in un universo
etico ed estetico coerente. All'interno della storia della critica leopardiana,
pare avvicinabile ora alla posizione di Croce, di distinzione tra il momento
della poesia e il momento della riflessione, ora a quelle positivistiche.
Singolarmente,parla di musica e dell'analogia tra il ruolo del coro greco e il
ruolo del coro nelle Operette morali solo nella conclusione, benché in termini
acuti. Avrebbe contribuito ad un ulteriore campo degli studi letterari,
quello della musica nel mondo antico. Apparve “Gli spiriti della musica nella
tragedia” -- Fin dal saggio, si richiama alla nota opera di Nietzsche, “La
nascita della tragedia dallo spirito della musica”. G. non condivide l'opinione
di Nietzsche secondo cui il razionalismo del teatro di Euripide avrebbe spento
la portata dionisiaca della tragedia. La tragedia di Euripide permane ad un
livello musicale altissimo. Per affermare questo ricostruisce il ruolo della
musica nei testi tragici sulla base delle fonti antiche, dedicandosi alle
singole parti e forme musicali dei drammi, sempre attento a sottolineare la
valenza estetica complessiva della tragedia o melodramma, ma nel contempo senza
trascurare le posizioni metodologiche della scuola filologica. Fino ad
allora non aveva stretto profondi legami con i musicisti coevi (eccettuato Boito),
si avvicina sempre più alle compositori. Saluta con favore Bastianelli e Pizzetti,
approvandone principalmente le posizioni estetiche e la ricerca di una certa
spiritualità nella music, tipica dei due esponenti del circolo fiorentino della
Voce, ma prese le distanze ben presto dalle loro prove compositive, in
particolare dai drammi musicali di Pizzetti, che non parvero a opere d'arte
totalmente compiute. Un legame creativo e biografico molto più stretto
strinse con Ghedini, anche per via delle comuni frequentazioni torinesi: per
Ghedini, che sta ancora cercando una personale posizione estetica e anda
raggiungendo progressivamente le conquiste di stile e di linguaggio che lo
avrebbero reso famoso, Giani valse come una sorta di pigmalione, suggerendo
testi da musicare per le liriche e esaminando con occhio critico le
composizioni di Ghedini. G. stesso è librettista. Ridusse L'Intrusa di Maeterlinck,
musicata da Ghedini ma mai rappresentata, e scrive Esther per Pannain. Divenne
molto noto in tutta Italia per i suoi saggi di radicale confutazione di Croce.
Non è particolarmente ostile all'idealismo di Croce, anzi considera la teoria
dell'arte come intuizione una delle chiavi per la valutazione della creatività
anche musicale e teatrale. Tuttavia, a mano a mano che l'estetica di Croce viene
sistematizzata dal suo stesso autore, ma soprattutto da alcuni suoi pedestri
seguaci mal tollerati dal nostro, attacca tale concezione con il bellicoso
pseudonimo di Luigi Pagano in La fionda di Davide, criticando che in essa non
vi fosse posto per il lato tecnico e materiale della creazione e che
addirittura la stessa musica non fosse stata debitamente considerata da Croce
al medesimo livello delle altre arti che diedero lustro al passato
italiano. Il posto di G. nella storia della musicografia è tutto
particolare. Pestalozza vi ha addirittura visto un predecessore della
“fenomenologia musicale.”In realtà, ad un attento esame quantitativo dei suoi
scritti, pare essersi dedicato assai poco a questa o quella musica in
particolare, mentre il suo contributo fu assolutamente preponderante nei temi
di estetica musicale.Fu una voce originale, fuori dal coro, che inizialmente
difese il dramma di Wagner, quindi auspice fermamente all'interno dei testi
musicati dai compositori qualità come la purezza e la letterarietà, infine spronò,
pur da lontano, i compositori ad una libertà adogmatica e ad una ricerca
continua di stile e di linguaggio, rendendoli attenti alla peculiarità della
musica, che doveva essere cosa che egli ripete spessissimo nei suoi scrittila
figuratrice dell'invisibile, cioè l'elemento che dà corpo alle sensazioni, alle
suggestioni, alle fantasie suscitate dai testi musicati e non immediatamente in
essi esplicate. Una posizione la sua che può essere paragonata a quella del
"critico-artista" teorizzata da Wilde, che G. ben conosce: un
"critico-artista" nel senso di ri-creatore dei percorsi attraverso
cui la composizione è venuta alla luce, e ignoti al compositore stesso, ma nei
quali quest'ultimo riesce a identificarsi una volta che il critico li rivela a
lui e al mondo. Dispose per testamento che i suoi libri venissero donati
"ad una biblioteca di piccola Città preferibilmente Pinerolo" e
proprio presso la Biblioteca Civica "Camillo Alliaudi" di Pinerolo
ora si trovano, presso il Fondo che prese il suo nome. Altre saggi: “Per
l'arte aristocratica (in proposito di uno studio di Luigi Torchi), in “Rivista
Musicale Italiana”, -- aristocrazia, democrazia, crazia – kratos – il concetto
di potere -- Il “Nerone” di Arrigo
Boito, in “Rivista Musicale Italiana”, L'estetica di Leopardi, Torino, Bocca, con
lo pseudonimo di Anticlo: Gli spiriti della musica nella tragedia greca,
in “Rivista Musicale Italiana”, Milano, Bottega di Poesia, L'amore nel
Canzoniere di Francesco Petrarca, Torino, Bocca, con lo pseudonimo di Luigi
Pagano: La fionda di Davide. Saggi critici (Boito, Pizzetti, Croce),
Torino, Bocca. Dizionario Biografico degli Italiani Cesare Botto Micca, in
morte di Romualdo Giani, in “Rivista Musicale Italiana”, Annibale Pastore, In
memoria,, in “Rivista Musicale Italiana”, Massimiliano Vajro, “Rivista Musicale
Italiana”, Luigi Pestalozza, Introduzione a «La Rassegna Musicale». Antologia,
Luigi Pestalozza, Milano, Feltrinelli, Guido M. Gatti, Torino musicale del
passato, in «Nuova Rivista Musicale Italiana». Guglielmo Berutto, Il Piemonte e
la musica, Torino, in proprio, ad vocem. Baldi, “Fotografare l'anima” -- Romualdo
Giani e Giorgio Federico Ghedini, in “Bollettino della Società Storica Pinerolese”,
Cavallo,La vita, il fondo musicale, le collaborazioni musicologiche e gli
interessi letterari, Pinerolo, Società Storica Pinerolese,. Con contributi di
Casagrande, Baldi, Betta, Cavallo,
Balbo, Fenoglio. GIANI, Romualdo. Nasce a Torino da Francesco e da
Clementina Guidoni, originari della Valle d'Intelvi. Laureatosi in
giurisprudenza non ancora ventenne, esercita l'avvocatura patrocinando
esclusivamente cause civili nel settore commerciale. Allo stesso tempo si
occupò con continuità di arte e letteratura. Creativo e versatile, ebbe
profonde conoscenze della storia e della tecnica delle diverse arti, ampliate
dai numerosi viaggi effettuati nelle principali città d'arte europee. È
tra i fondatori, con l'amico editore Bocca, della Rivista musicale italiana,
alla quale collaborò ininterrottamente per trentasette anni, spesso valendosi
di pseudonimi. Esordì sul primo numero della rivista con la critica
"I Medici". Parole e musica di Leoncavallo. Il dramma (Riv. mus.
italiana); sullo stesso numero diede il via alla rubrica Note sulla poesia per
musica(ibid.), ove poneva in luce difetti e pregi dei testi inviati da autori
sconosciuti per dimostrare che la poesia del melodramma era forma d'arte.
In Per l'arte aristocratica, sostenne una vivace polemica con Torchi
sull'autonomia dell'arte, alla quale parteciparono Pilo, Garoglio, Foulliée e
altri; G. volle dimostrare che la formula "l'arte per l'arte" o
"l'arte aristocratica" non era cosa assurda e immorale, come sostenuto
dal Torchi, ma l'ultimo effetto di un'evoluzione. Pubblica il saggio
critico Il "Nerone"di Boito (Torino; cfr. Riv. mus. ital.), che gli
procurò l'amicizia dell'autore, il quale gli inviò numerose lettere in cui si
dichiarava suo grande ammiratore. Nel volume L'estetica nei Pensieri di
Leopardi (Torino; cfr. Riv. musicale italiana) G. oltre a ricostruire il
pensiero estetico del poeta di Recanati, ne esaminò anche le teorie sull'arte
musicale. Per la Biblioteca di scienze moderne del Bocca, è stato
pubblicato Così parlò Zaratustra di Nietzsche, tradotto da Weisel; G.,
ritenendo la traduzione non fedele all'originale, ne appronta una nuova
versione d'accordo con Weisel, pubblicata, sempre dal Bocca. Con lo pseudonimo
di Anticlo, da alle stampe lo studio Gli spiriti della musica nella tragedia
greca (Milano; Riv. musicale italiana). Durante il primo conflitto mondiale usce
L'amore nel Canzoniere di Petrarca (Torino; in appendice Nota sul suono e sul
ritmo), considerata dalla critica, forse, la sua opera più riuscita. G.
inoltre traduce per diletto dal latino, soprattutto TIBULLO (si veda) ed ORAZIO
(si veda), e dal francese; come poeta pubblicò nel 1920 soltanto due libretti
d'opera: Esther (Riv. musicale italiana), tragedia lirica in tre atti ispirata
dal testo biblico, mai musicata, sebbene offerta dal G. a Pizzetti, e
L'Intrusa, un atto per musica, tratto dal dramma in prosa di Maeterlinck,
musicato dapprima da Ghedini (non rappresentato), e poi da G. Pannain, che la
rappresenta a Genova. La pubblicazione dell'articolo Il Vangelo e il
Breviario,celebrazione dell'estetica crociana (Riv. musicale italiana), apparso
sotto lo pseudonimo di Luigi Pagano, rappresentò un attacco all'estetica
crociana che diede origine a una polemica col Croce stesso. G., con logica
inflessibile, dimostrò infondati alcuni concetti del filosofo, come l'eccessivo
idealismo che considerava la musica estranea ai fenomeni fisici che la
originano e alla tecnica, espressi in Estetica come scienza dell'espressione e
linguistica generale (1902) e nel Breviario di estetica, opere che G.
ironicamente chiama Vangelo e Breviario. Con Socrate e la pulce (ibid.)
rispondeva allo scritto La musica e l'estetica dell'idealismo, in cui Pannain
assume la difesa delle tesi crociane. Questi saggi, compreso quello del Pannain,
furono raccolti in seguito nel volume La fionda di Davide (Torino 1928) insieme
con uno studio sul Boito, e la critica a Debora e Jaele di Pizzetti, giudicata
un'opera mancata. Contemporaneamente G. pubblica il Sillabario di estetica
(Riv. musicale italiana), e a conclusione della polemica aggiungeva una Nota
crociana, nel capitolo terzo de La fionda di Davide, in cui evidenziava ancora
altre contraddizioni nella teoria di Croce. La polemica si riaprì con lo scritto La favola dell'aridità con il
quale G. insorgeva, in difesa del Seicento musicale italiano, contro
un'affermazione del Croce che definiva "età di aridità creativa" il
secolo; la rettifica crociana Obiettanti e seccatori non soddisfece G., che
replica con Il parto settimello. G. scrive inoltre numerose recensioni e
articoli sulla Rivista musicale italiana e sulla Rassegna musicale, a cui
collabora, spesso sotto gli altri pseudonimi di H. Giraud e A.
Cannella. G. muore a Torino. Oltre agli saggi citati si ricordano:
Savitri"Idillio drammatico indiano in tre atti di L.A. Villanis. Musica di
N. Canti. La poesia, in Rivista musicale italiana; Note marginali agl’Intermezzi
critici di Pizzetti; Note Leopardiane, in Campo Torino; Estetica nuova; Per una
biografia di Berlioz; Melodramma e dramma musicale, Adler, G., Gli spiriti
della musica nella tragedia greca, Riv. mus. ital., Ronga, In morte di G.,
ibid., Botto Micca, G. (Lo scrittore e il critico), in Il pensiero di Bergamo,
Pastore, In memoria di G., Riv. musicale italiana, Vajro, G., Angelis, Diz. dei
musicisti, Roma; Diz. encicl. univ. della musica e dei musicisti, Le biografie.
Romualdo Giani. Giani. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giani” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Giannantoni: la ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale della dialettica – filosofia perugiana – la scuola
di Perugia – filosofia umbra -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Perugia). Filosofo perugiano. Filosofo umbro. Filosofo italiano.
Perugia, Umbria. Grice: “I love Giannantoni; for one, he believes, with me,
that there is Athenian dialectic, Roman dialectic, Florentine dialectic and
Oxonian dialectic; like me, he has explored mostly ‘Athenian dialectic,’ and he
has noted that its birth (‘nascita’) is in the ‘dialogo socratico,’ so it
should surprise nobody that I have based my philosophy on the facts of
conversation!” Si laurea a Roma sotto Calogero. In “Il
dialogo di Socrate e la dialettica di Platone” attribuisce a Socrate una
concezione molto laica della del divino e della religione (Religiosità, che
Socrate, il quale era certamente una personalità religiosa, intendeva in modo
del tutto diverso da come comunemente era sentita a quell'epoca»). La sua
dottrina storico-filosofica si fonda sul principio che ogni seria riflessione
filosofica si debba basare su un'accurata e rigorosa ricerca filologica delle
fonti.Questo spiega l'enorme dispiego di tempo dedicato all'elaborare la sua
opera monumentale, Reliche di Socrate” (Socratis et Socraticorum reliquiæ). G.
ha sempre seguito il criterio di Croce e Gramsci, secondo cui l'esposizione di
un filosofo debba avvenire tramite l'esame storico cronologico (unita
longitudinale) delle sue opere, allo scopo di prendere consapevolezza
dell'evoluzione della dottrina e di separare da questa ogni sovrapposizione
interpretativa personale non adeguatamente basata sulle fonti. Convinto dell'onestà intellettuale come
valore fondamentale cui deve rifarsi ogni interprete della storia della
filosofia, capace perciò di rinunciare di fronte alla ricostruzione filologica
dei testi anche alle proprie più profonde convinzioni personali. Traccia un
profilo ideale dello storico autentico della filosofia, che ha il dovere di
farsi filologo rigoroso per avvicinarsi il più possibile al mondo del filosofo
da lui studiato», ben sapendo che ciò non basta ancora se non è accompagnato da
una sensibilità filosofica e da una consapevolezza teoretica e storica insieme.
Di qui conclude il fascino di una ricerca che, rendendoci consapevoli di una
grande quantità di problemi altrimenti inavvertiti, termina in un autentico
arricchimento spirituale. Il suo insegnamento è stato caratterizzato dalla
volontà di essere semplice e chiaro nell'espressione del pensiero considerando
questo un dovere morale dell'intellettuale nei confronti degli altri studiosi.
Anche allo scopo di realizzare una scrittura filosofica quanto più
scientificamente precisa, ha compiuto studi approfonditi sulla logica di
Aristotele e sulla storia della semantica filosofica (teoria del segno). Nella
sua vita e nella dottrina si è sempre impegnato nel mettere in pratica
l'insegnamento socratico, così come fece il suo maestro Calogero: insegnando la
conversazione basatio sulla regola d’oro: il rispetto verso il
co-conversazionalista. Cura I Presocratici di Diels e Kranz. Altre saggi: La metafisica
dei lizii (Roma, Rai); “Che cosa ha veramente detto Socrate” (Roma, Ubaldini); Cirenaici
(Firenze: Sansoni); “Filosofia romana” (Napoli: Bibliopolis); “Filosofia
italica in eta antica” (Milano: Vallardi); Le filosofie e le scienze contemporanee,
Torino: Loescher, I fondamenti della logica de’ lizii” (Firenze: La nuova
Italia); Le forme classiche Torino: Loescher, Volpe Roma: Riuniti, Socrate.
Tutte le testimonianze: Da Aristotfane e Senofonte ai Padri cristiani; Bari:
Laterza, Aristotele. Opere; introduzione e indice dei nomi, Roma; Bari:
Laterza, Epicuro. Opere, frammenti, testimonianze sulla sua vita; Bignone; Bari:
Laterza, I presocratici: testimonianze e frammenti Bari: Laterza, Profilo di
storia della filosofia, Torino: Loescher. La razionalitàmTorino: Loescher, Socratis
et Socraticorum Reliquiæ. Collegit, disposuit, apparatibus notisque instruxit G., Bibliopolis. Anthropine Sophia. Studi di
filologia e storiografia filosofica in memoria di Gabriele Giannantoni;
Introduzione di Adorno: per G.: un dialogo, Bibliopolis (collana Elenchos). Deputati
della legislatura. Op.cit. Centrone, ed.
Bibliopolis, Enciclopedia Treccani, Centrone, Bibliopolis, Edizioni di
filosofia, ILIESI CNR La traduzione dei
Presocratici da parte di G. è stata criticata da Reale nell'introduzione alla
sua nuova traduzione dei Presocratici, critiche riportate in due
articoli-intervista comparsi sul Corriere della Sera nei quali G., di formazione gramsciana veniva accusato
come curatore della "vecchia" edizione laterziana di avervi
perpetrato «una certa manomissione del sapere filosofico», in ossequio
all'ideologia e all’egemonia culturale marxista. Interpretazioni del pensiero
di Socrate#Socrate: l'interpretazione di G. Calogero La teoria sul pensiero
greco arcaico. Per chi abbia svolto la propria attività di ricerca o
abbia compiuto la propria formazione scientifica nell’ambito della storiografia
filosofica, il nome di G. (Perugia – Roma) è legato anche al Centro di Studio
del Pensiero Antico, dal Consiglio Nazionale delle Ricerche Roma,1 su
richiesta, appunto, di G.– in sostituzione del precedente Centro di Studio per
la Storia della Storiografia Filosofica –, il Centro di Studio del Pensiero
Antico si inserì nel panorama nazionale e internazionale della ricerca storica
come una realtà innovativa e contribuì allo sviluppo di una disciplina, la
storia della filosofia antica, appartenente al duplice contesto della
storiografia filosofica e delle scienze dell’antichità. Il Centro fu attivo in
modo autonomo fino al 2001, quando, a seguito di una riforma che ridisegnò la
rete scientifica del Consiglio Nazionale delle Ricerche, esso fu accorpato con
il Centro di Studio per il Lessico Intellettuale Europeo per dar vita all’
Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee, sotto la
direzione di Gregory. L’attività del Centro di Studio del Pensiero Antico fu
inevitabilmente legata al percorso intellettuale e di ricerca del suo
fondatore, benché in modo non esclusivo. In questo breve profilo si cercherà di
rievocare, in primo luogo, i motivi culturali che furono alla base della
costituzione di questa realtà, nonché alcuni modelli scientifici di riferimento
che ne hanno determinato in certa misura la configurazione e l’attività; in
secondo luogo, i contributi originali che il Centro è stato in grado di fornire
all’area disciplinare di propria competenza, in termini di pubblicazioni,
progetti e formazione, sotto la guida di Giannantoni e di coloro che ne
coadiuvarono la direzione. 1 Decreto del Presidente del CNR. n. 6303,
ratificato successivamente da una convenzione tra il CNR e “La Sapienza”,
stipulata e confermata dal Presidente del CNR. Per il testo della convenzione
si veda “Elenchos”, Sull’iter di riforma che portò alla nascita dell’Istituto
per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee e per i riferimenti
normativi, si veda Liburdi Istituito presso la Facoltà di Filosofia
dell’Università “La Sapienza” di MOTIVI CULTURALI E MODELLI ISPIRATORI
Come accennato, l’attività scientifica del Centro di Studio del Pensiero Antico
fu comprensibilmente orientata da precise scelte critiche e metodologiche di
colui che ne aveva voluto l’istituzione. Per dare ordine a questo sintetico
profilo, credo sia opportuno riassumere i motivi che ispirarono la promozione
di un organo di ricerca mirato agli studi storici sul pensiero antico, in tre
principali indirizzi: in primo luogo, la possibilità di considerare la storia
della filosofia antica come una disciplina dotata di un proprio specifico (e in
certa misura autonomo) profilo quanto a materia di indagine, arco storico e metodologia;
in secondo luogo, la nascita, o rinascita, dell’interesse verso scuole
filosofiche dell’antichità greca e romana tradizionalmente classificate come
minori, in particolare, le cosiddette scuole socratiche e le scuole
ellenistiche, che dalle socratiche discendono direttamente sotto l’aspetto
storico e dottrinale; infine, la rivisitazione del patrimonio dossografico –
cioè del complesso della tradizione indiretta che ha conservato, per estratti,
parafrasi o compendi, il pensiero di quei filosofi antichi di cui non è giunto
a noi né il corpus né una singola opera completa –. Quest’ultimo indirizzo si
inseriva in una tendenza di studi continentale che fece della dossografia
antica una vera e propria categoria storiografica con risultati particolarmente
innovativi. L’interesse portato alla dossografia, oltre a sostenere gli studi
nell’ambito delle filosofie di derivazione socratica e quelle ellenistiche
(delle quali, per l’appunto, non si è conservato alcun testo d’autore), apriva
un percorso di studi a cui G. è particolarmente legato e che lo vide impegnato
sia come direttore del Centro che individualmente, e cioè la riconsiderazione
di tutta la dossografia relativa alla filosofia presocratica. Una rapida messa
a fuoco di questi tre indirizzi permetterà di chiarire quali interessi
scientifici di G. abbiano maggiormente pesato sulle strategie generali e sulle
iniziative specifiche del Centro, nonché sulla formazione professionale che
esso ha reso possibile. Quanto al primo indirizzo, la questione del profilo specifico
della storia della filosofia antica presuppose, da parte di G., una
approfondita analisi della visione storica che la cultura filosofica italiana
era venuta maturando intorno alla filosofia antica. In questa analisi, i cui
esiti si leggono, non a caso, nell’articolo di apertura della rivista Elenchos
intitolato La storiografia idealistica e gli studi sul pensiero antico
(“Elenchos”), svolge un ruolo chiave la rappresentazione che del pensiero
antico seppe dare l’idealismo italiano, specie con Croce, e la sua valutazione
critica. L’idealismo italiano si era infatti distinto per due caratteri, l’uno
teorico, l’altro metodologico, che apparentemente non favorirono lo sviluppo di
una moderna storiografia del pensiero antico. Per un verso, tanto Croce che
Gentile vedevano nella filosofia antica (cioè greca) i limiti di un pensiero
oggettivo, astratto e naturalistico, che mai sarebbe arrivato a concepire la
positività dell’idea di infinito, né quella della soggettività. I punti più
alti raggiunti dalla filosofia teoretica greca, Socrate, Platone, Aristotele,
coincidevano rispettivamente con la delineazione del concetto, o universale
astratto, con la sua separazione dalla realtà sensibile (la teoria delle idee
trascendenti e la scienza come dialettica delle sole idee) e con una logica
puramente strumentale (la sillogistica), alla quale sarebbe mancata la
teorizzazione del giudizio individuale, o giudizio storico, nonché la capacità
di superare l’astrattezza e attingere l’atto stesso del pensiero.4 Nella filosofia
pratica parimenti i Greci antichi, pur non mancando di intuizioni profonde, non
avrebbero superato il precettismo e l’empirismo, e la loro etica ingenua non
sarebbe mai giunta a distinguere etica ed economica, morale e diritto, come
categorie dello spirito. G., n. 13, rimanda a Croce, di cui diamo qui i
riferimenti da Croce. Ciò G. ricavava, pur senza riferimenti testuali precisi,
sia dagli excursus storici che possiamo leggere in Gentile e in Gentile, sia da
Gentile. G., rimanda a Croce; si veda Croce e a Croce, si veda Croce ILIESI
digitale Temi e strumenti copertina di “Elenchos. Per l’altro verso, però,
l’idealismo formulò una critica, entro certi limiti giusta e salutare, alla
filologia classica – cioè alla filologia classica moderna sviluppata in
Germania, distintasi, tra le altre cose, per una predilezione della cultura
greca rispetto alla latina –, colpevole sostanzialmente di non essere una
disciplina veramente storica. La filologia classica, malgrado i grandi
risultati raggiunti nella costituzione dei testi della letteratura antica,
nella revisione della tradizione bizantina e nelle nuove acquisizioni, si
affermò come una procedura tecnica complessa e molto raffinata ma priva della
visione della storicità del documento, del suo autore, dell’ambiente della sua
composizione, nonché del suo testimone. La questione, che emerse inizialmente
nel campo delle edizioni letterarie,6 non è meno complessa per quelle
filosofiche: i testi della filosofia antica richiedono anche una comprensione
dei contenuti teorici e pretendono di essere inquadrati in sistemi di pensiero
il cui senso trascende il ripristino del testo, o quanto meno se ne distingue
in data misura. Questo fu il nodo che si dovette sciogliere perché si potesse
cominciare a delineare una storia della filosofia antica che includesse tanto
la capacità di fornire edizioni affidabili sotto il profilo testuale, quanto
quella di storicizzare i documenti, cioè di comprenderne i contenuti alla luce
di coordinate culturali congrue con le epoche di appartenenza. La storiografia
idealistica è dunque imputata da G. di evidenti limiti interpretativi della
filosofia antica, come fu ben presto mostrato, ad esempio, dalle due celebri
monografie di Mondolfo sull’infinito nella filosofia antica e sul soggetto
umano nell’antichità,7 che smentivano l’idea di un connaturato e irreparabile
oggettivismo della filosofia antica. Tuttavia l’idealismo ha fornito
un’importante lezione e soprattutto ha indicato con chiarezza un ostacolo da
superare: 6 In particolare, la critica crociana a cui Giannantoni fa
riferimento prese le mosse da edizioni
di testi poetici e si volse contro la “mera filologia” e la Kulturgeschichte
che, nella pretesa di restituire il senso del testo letterario, non apportavano
comprensione né storica né concettuale. Cfr. ad esempio la recensione alla
monografia di Romagnoli su Aristofane e che si può leggere in Croce. Dice G. al
riguardo: il problema del rapporto tra filologia e poesia, tra filologia e
storiografia, tra filologia e filosofia sta al centro dell’elaborazione
dell’idealismo italiano”. G. probabilmente pensava anche alle considerazioni
gentiliane intorno al filologismo che affligge la storia e ostacola la
costituzione di una storia della filosofia, in Gentile Mondolfo. Tracciando nel
primo dei due volumi in onore di Croce per il suo compleanno, quello che è
tuttora l’unico panorama complessivo degli studi di filosofia antica nel
cinquantennio, Guido Calogero non ritenne di dover prendere in considerazione
né Croce stesso né Gentile (e neppure Ruggiero) quali interpreti del pensiero
antico; né altri ne hanno trattato in modo approfondito (mentre studi
importanti esistono sulle loro interpretazioni di altri periodi della storia
del pensiero) la ragione è da ricercare in una persistente separazione, non
solo concettuale, ma anche di organizzazione degli studi, che lo stesso
idealismo ha contribuito non poco a consolidare, tra considerazione filosofica,
ricostruzione storica e indagine filologica. Gli studi di filosofia antica hanno
infatti sofferto in modo particolare di una vera e propria scissione tra quelli
che erano considerati i compiti esclusivi del filologo e quelle che erano
considerate le competenze dello storico e del filosofo: con la conseguenza che
questi studi sono potuti apparire troppo filologici ad alcuni e ad altri,
all’opposto, troppo filosofici per entrare di pieno diritto nell’ambito di ciò
che si era soliti chiamare la scienza dell’antichità. Quando G. scrive queste
parole, era persuaso che la scissione non fosse superata e fosse causa, oltre
che di una durevole influenza idealistica, anche di un pregiudizio nei rispetti
della filologia, malgrado i grandi progressi e le messe a punto di tanta
prestigiosa filologia classica italiana.9 Stante, quindi, una situazione di
progresso “zoppicante”, per così dire, degli studi storiografici italiani sulla
filosofia antica, G. nutrì l’aspirazione di delimitare un preciso terreno
metodologico cogliendo la preziosa occasione che il Consiglio Nazionale delle
Ricerche gli offriva. Il secondo indirizzo è quello che, almeno a prima vista,
rivela maggiormente la stretta relazione tra il percorso scientifico
individuale di G. e lo spettro di interessi messi in campo da quanti hanno
operato nel o col Centro, a cominciare dai suoi allievi. Tanto più che
l’attenzione rivolta non solo a Socrate ma alle tradizioni socratiche ed
ellenistiche non è del tutto indipendente dalla questione dell’impatto
dell’idealismo italiano sulla fortuna della storiografia filosofica
dell’antichità. Il giudizio crociano sui limiti delle filosofie di Socrate,
Platone e Aristotele, ad esempio, diventa un vero e proprio deprezzamento delle
tradizioni minori. Ed è appena necessario [G. Il riferimento a Calogero è da intendersi a
Calogero. Si veda al riguardo il chiarimento di G. relativo all’opera di
Pasquali, che pervenne ad un’unità di filologia e storia come unità di metodo,
non di contenuti, e che si caratterizzò tramite uno storicismo della filologia
classica, profondamente diverso dallo storicismo idealistico: questo, inteso
come riconoscimento nella storia e nella cultura di figure e “categorie” del
pensiero e dello spirito, quello, inteso come intima connessione tra le
rigorose tecniche filologiche e la conoscenza storica (Cfr. Croce: “... col
considerare principalmente il contrasto delle passioni verso la volontà
razionale sorsero le scuole opposte dei cinici e cirenaici, ricordare che la
figura di Socrate, a cui deve farsi risalire il terreno di ricerca costituito
dalle scuole socratiche e buona parte di quello attinente alle tradizioni
ellenistiche, fu al centro di importanti riflessioni teoretiche e
storiografiche di Calogero,11 che di G. fu il maestro. Abbiamo poi vari segni
di un’interazione di tendenze di studio comuni a più scuole anche fuori dell’Italia.
L’interesse per le tradizioni dette “minori”, tali cioè in quanto paragonate
alle filosofie di Platone e Aristotele e, in più, conservate solo tramite
tradizione indiretta, si manifesta con studi sui Sofisti, su alcuni discepoli
di Socrate, in particolare Antistene di Atene e Aristippo di Cirene, sulla
tradizione scettica.Proprio ad Aristippo di Cirene e alla sua scuola
Giannantoni dedica la sua prima importante opera scientifica (G.). In essa si
profilano le problematiche, filologiche e storiografiche prima ancora che
concettuali, relative alla intricata questione della eredità socratica:
l’edizione critica di un corpus proveniente da molti e diversi testimoni; la
possibilità di dirimere le fonti storicamente attendibili dalla ritrattistica
aneddotica; la contestualizzazione del filosofo all’interno di un milieu
composito in cui si intrecciano le influenze della Sofistica e della retorica
classica e il magistero socratico. stoici ed epicurei e altrettali; ma le
dottrine di tutte coteste scuole, se serbano qualche valore empirico come
precetti di vita più o meno convenienti a individui, classi e tempi
determinati, non ne presentano alcuno o scarsissimo, esaminate in quanto
concetti filosofici; e cinici e cirenaici, stoici ed epicurei, piuttosto che filosofi
sembrano monaci, seguaci di questa o quella regola”. Sulle “scuole socratiche
minori” cfr. anche il giudizio, meno sommario, di Gentile. Com’è molto noto,
Socrate occupò un ruolo centrale nella personale riflessione teorica
diCalogero, che elaborò la sua “filosofia del dialogo” esattamente sul modello
del Socrate dei dialoghi platonici, nel quale il filosofo italiano vide la
prima formulazione di un’istanza intellettuale e morale – il dialogo, appunto,
contrapposto al “logo” conclusivo e assertivo – destinata a far giustizia della
pretesa di fondare l’etica sulla epistemologia e sulla metafisica, e che
sarebbe stata anche alla base della moderna concezione dello stato liberale e
di diritto. Ma Socrate fu anche al centro di importanti lavori storiografici di
Calogero, alcuni dei quali aprirono la strada alla ricerca della posterità del
magistero socratico nel pensiero tardo-ellenistico e cristiano. Una visuale
critica diversa da quella di G., ma in linea con la percezione del ruolo
capitale svolto da Socrate nella storia del pensiero antico. Mi limito su tutto
ciò a rimandare a G. e a Brancacci. Per limitarsi alle opere principali:
Untersteiner, con moltissime riedizioni; Pra; Humbert; Mannebach; Caizzi;
Patzer. Questi elementi appaiono, nella storiografia e nella filologia europea,
sempre più determinanti per la comprensione delle dottrine di personalità come
Aristippo, Antistene di Atene, Euclide di Megara, Eschine di Sfetto. In più, il
superamento della Quellenforschung tradizionale e l’approfondimento dei
contenuti filosofici aprirono nuove possibilità di delineare il percorso che
dalle scuole socratiche della seconda metà del IV secolo a.C. porta alle
principali tendenze ellenistiche, il Giardino, il Portico, il Lizio post-
aristotelico, la scepsi pirroniana ed accademica. A questo complesso terreno di
ricerca è dedicata una iniziativa che precede l’istituzione del Centro di
Studio del Pensiero Antico benché sempre sostenuta dal Consiglio Nazionale
delle Ricerche: il convegno “Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica”,
organizzato dal Centro di Studio per la Storia della Storiografia (la cui
direzione era stata affidata allo stesso G.), e i cui atti furono pubblicati
nel 1977 dalla casa editrice il Mulino di Bologna. Le relazioni presentate al
Convegno del 1976, mirate ad una ricognizione dello stato documentario delle
filosofie riconducibili a Socrate o ad uno dei suoi discepoli, e dei rapporti
concettuali tra queste tradizioni e le filosofie ellenistiche e di età
imperiale,13 furono aperte dalla comunicazione dello stesso Giannantoni sul
tema Per un’edizione delle fonti relative alle scuole socratiche minori, nella
quale lo studioso esponeva i risultati di un già lungo percorso di ricerca, ma
ancora lontano, nel 1976, dalla sua conclusione. In questa relazione vengono
messe a fuoco le 13 Cambiano 1977; Celluprica; Sillitti; Caizzi; Ioppolo;
Brancacci; Donini; Parente; Repici ILIESI digitale Temi e strumenti
11 copertina di G. Giannantoni, I Cirenaici. Raccolta delle fonti antiche,
traduzione e studio introduttivo, Firenze, Francesca Alesse G. e il Centro di Studio del Pensiero Antico
peculiarità e la notevole problematicità, soprattutto sotto il profilo
filologico, di una edizione di testi filosofici e di molti autori. Emerge da
questo breve testo non solo uno stato dell’arte ma un criterio programmatico
che non considera sufficienti, benché certamente necessarie, le sole competenze
della filologia classica, ma pretende una sensibilità storica e una capacità di
comprensione teorica che gli sforzi della Altertumswissenschaft tradizionale
non avevano sempre garantito. L’edizione di testi filosofici di trasmissione
indiretta non può limitarsi alla costituzione del testo e alla redazione di
apparati critici da cui si desuma il meticoloso lavoro di collazione
dell’editore, ma deve tener conto dei contesti storici e problematici nei quali
sono vissuti tanto il filosofo quanto il suo testimone. Inoltre, un’edizione
che sia, in più, una silloge di testi relativi a (e non provenienti da) molti
filosofi, comporta di andare oltre la natura estrinsecadella singola
testimonianza (epoca e ambiente del testimone, distanza cronologica
dall’autore, genere letterario della fonte, parametri stilistici, etc.) e di
individuare alcune strutture di pensiero che, in un lasso di tempo abbastanza
lungo, si facciano riconoscere per caratteri salienti e durevoli e, al
contempo, riflettano le condizioni storiche che ne determinano la specificità
(secondo i dettami dello storicismo), diventando pagine e capitoli di una
lunghissima storia culturale; si configurino, cioè, come tradizioni: Il fatto è
che a proposito di una raccolta di testi che riguardano uno o più filosofi,
emerge molto più nettamente che in altri casi l’impossibilità di considerare la
testimonianza antica come un dato puramente oggettivo, e quindi la necessità di
storicizzarla fino in fondo: in realtà essa deve essere considerata come un
capitolo di una vera e propria storia della cultura durata all’incirca un
millennio, e perciò da ricondurre di volta in volta al suo tempo e alle
tendenze storicamente determinate che la produssero: parleremmo di un Diogene
irreale e mai esistito se pensassimo di poter adoperare come ingredienti
mescolabili a piacere Epitteto e Dione Crisostomo, Luciano e Giuliano
l’Apostata, un padre della chiesa e le epistole apocrife che vanno sotto il
nome del cinico.15 Il terzo indirizzo, relativo alla dossografia, è quello che
presenta, almeno in apparenza, un maggiore tecnicismo, perché volto alle
problematiche ecdotiche ed interpretative attinenti allo studio di [Sulla
cosiddetta filologia esterna, sul ruolo da essa svolto nelle edizioni
filosofiche e sui suoi limiti, si veda G., a proposito dell’opera di Vitelli,
la cui importanza per la storia della filosofia antica è legata specialmente
alle edizioni critiche dei commenti aristotelici di Filopono. G. dottrine riportate da testimoni spesso assai
lontani, per cronologia ed orientamento intellettuale, dagli autori di cui si
vuole conoscere il pensiero. D’altra parte, la dossografia si è rivelata un
capitolo importantissimo di quella millenaria storia culturale che costituisce
il terreno di indagine della storia della filosofia antica. Non si potrebbe
ancora oggi redigere una storia della storiografia filosofica dell’antichità
senza iniziare non solo dalle grandi raccolte di testi e frammenti allestite dalla
filologia ottocentesca e comparse nei primi anni del XX secolo (le raccolte di
Usener,16 Diels,17 Arnim,18 per citare degli esempi), ma anche dalla prima
grande opera di analisi e comparazione dei testimoni, i Doxographi Graeci di
Hermann Diels; come è altrettanto vero che non si può oggi fare a meno dei più
recenti e sistematici contributi all’analisi della dossografia filosofica, cioè
gli Aëtiana di Mansfeld e Runia. I più importanti progetti editoriali varati
negli ultimi decenni, inoltre, si sono strettamente legati alla problematica
della DOSSOGRAFIA e all’analisi dei testimoni, a lato di quelle condotte sui
filosofi romani e sulle tradizioni dottrinali. Allo studio di filosofi di
grande notorietà e impatto della tradizione culturale antica, ai quali si deve
gran parte della conoscenza dei filosofi precedenti -- come CICERONE e Plutarco
-- si è venuta affiancando una sempre maggiore familiarità con testimoni meno
noti ma che hanno rivelato un’importanza fondamentale, come Filodemo, Diogene
Laerzio, Sesto Empirico, Galeno, Stobeo. L’indirizzo dossografico e quindi un
segno della tempestività e della sensibilità di G. nei rispetti di un terreno
di ricerca che si venne imponendo e che di fatto contribuì alla dimensione
dello stesso Centro, la cui attività progettuale e congressuale e in buona
misura dedicata alla dossografia di epoca tardo ellenistica ed IMPERIALE. Si
può far rientrare in questo ultimo indirizzo anche una linea di attività di
studi la cui ragione storiografica e oggetto di un vivacissimo [Usener 1887. 17
Diels 1903. 18 Arnim 1903. 19 Diels 1879. 20 Mansfeld-Runia 1997;
Mansfeld-Runia 2009; Mansfeld-Runia 2010. È appena necessario ricordare che le
parole stesse “doxographus”, “doxographia”, sono coniate da Diels. Sulla
dossografia e sul suo sviluppo come categoria filologico-storiografica, cfr.
Mansfeld, rist. in Mansfeld-Runia, Mansfeld, rist. in Mansfeld-Runia – cf.
GRICE, “LIFE AND OPINIONS” – “Vita e opinioni” – Speranza, “OXONIAN DOXOGRAPHY:
H. P. GRICE” -- dibattito e che è nota come la questione delle dottrine non
scritte di Platone. Sorta nell’accademia tedesca, in particolare a Tübingen, da
un’ipotesi schleiermacheriana, la questione degl’ “agrapha dogmata” consiste,
molto in breve, nella convinzione che Platone teorizza una dottrina dei
principi (Uno e Molteplice), della quale non resta traccia nei suoi scritti –
perché oggetto di pura trasmissione orale all’interno dell’Accademia antica –
ma solo sparsi indizi in pagine aristoteliche. Alla nascita, per così dire, del
Centro, G. invita Gaiser, ordinario di filologia a Tübingen e uno dei maggiori sostenitori di
questa ipotesi, a tenere una lezione presso la Sapienza sul tema La teoria dei
principi in Platone, il cui testo venne pubblicato nel primo numero della
rivista Elenchos. Tuttavia, il punto che merita attenzione in questa sede è che
la questione delle dottrine non scritte di Platone e, oltre che un tema
rilevante per se stesso, anche un pretesto per riconsiderare Aristotele come
testimone egli stesso del passato filosofico, più precisamente per le
cosiddette filosofie italiche pre-socratiche. Com’è noto, Aristotele può essere
considerato se non il primo testimone in assoluto delle precedenti tradizioni della
filosofia, certamente il primo testimone che ne offre una informazione
organizzata secondo criteri espositivi dettati dalle proprie esigenze
filosofiche e che hanno inevitabilmente condizionato la visione storiografica.
Per quanto apparisse improprio, naturalmente, definire Aristotele un “dossografo”,
il ri-esame della sua testimonianza della filosofia italicca precedente,
anch’essa una tradizione indiretta, appare a G. una linea d’azione congrua con
quelle relative alle scuole socratiche e le filosofie ellenistiche, ancorché
meno visibile tra i risultati delle ricerche del Centro. A conclusione di
questo primo paragrafo, ricordiamo che l’istituzione del Centro di Studio della
Filosofia Antica non e del tutto priva di modelli in Italia e fuori e che con
alcuni di essi si instaurò una costante collaborazione. L’esempio più
immediato, sia sotto il profilo tematico e scientifico, che sotto quello del
funzionamento istituzionale, e il – Robin, una unità di ricerca del Gaiser ILIESI digitale Temi e strumenti
Centre de Recherches sur la Philosophie Antique, Centre de la Recherche
Scientifique, ma operante all’interno e sotto l’egida Francesca
Alesse G. e il Centro di Studio del
Pensiero Antico della Sorbonne (perciò definito anche Unité Mixte
de Recherche), in modo non troppo dissimile dai Centri di Studio
del CNR istituiti in regime di convenzione con i vari atenei italiani. La
collaborazione con questo Centro si focalizza sulle tematiche socratiche
e da luogo al ripetuto scambio di filosofi
tra le due sedi nell’ambito del programma di ricerca “Socrate e la storia della
filosofia antica: rottura o continuità?”; i contributi pubblicati sotto
il titolo di Lezioni socratiche, a cura di furono G. e Narcy, per
Bibliopolis di Napoli. Un’altra importante istituzione scientifica a cui
G. guarda con particolare attenzione e con cui intrecciò stretti
rapporti scientifici nonché di cordiale amicizia è stata senz’altro il CENTRO
PER LO STUDIO DEI PAPIRI ERCOLANESI, fondato da, Gigante. I motivi di
tale collaborazione sono dettati ovviamente dall’interesse intrinseco
per la grande opera editoriale a cui il Centro fondato da Gigante e
votato. La pubblicazione delle edizioni critiche dei papiri reperiti nel
sito ercolanese offre alla comunità filosofica un patrimonio inestimabile
per la conoscenza dell’ORTO, della tradizione socratica, del PORTICO. Ma sono
anche ragioni metodologiche a sancire un sodalizio importante, che si
concretizza in varie iniziative e pubblicazioni cui parteciparono
entrambi i Centri: i testi ercolanesi, com’è molto noto, costituiscono un
materiale che permette di arricchire enormemente la conoscenza di molte
importanti tradizioni filosofiche, a condizione di possedere un complesso
di conoscenze e tecniche interpretative che difficilmente possono
trovarsi nella medesima personalità e che però vanno applicate
contestualmente. In altre parole, l’esperienza collaborativa tra questi
due Centri, forti, l’uno, di una formazione propriamente filosofica, l’altro,
di alte competenze filologiche, contribuì in modo significativo a
costituire quella storiografia della filosofia antica che aveva, almeno
per la cultura accademica italiana faticato ad assumere uno statuto
proprio. Quanto detto nel precedente paragrafo trova un riflesso, diretto
o indiretto, nelle attività di ricerca del Centro, nonché nelle sue
pubblicazioni. L’interesse per il consolidamento della storia della filosofia
antica come disciplina autonoma, dotata cioè di un suo impianto metodologico,
oltre che di un preciso confine cronologico, viene perseguito tramite
l’attività progettuale, congressuale e editoriale, di cui si dà qui una
descrizione sintetica. Vale però la pena di ricordare, prima di tutto, una
iniziativa promossa da G. dopo l’istituzione del Centro, in conformità di un
indirizzo dell’organo direttivo di Elenchos, e dedicata alla problematica
storiografica: Nelle riunioni del Comitato direttivo della rivista Elenchos è
emersa più volte l’opportunità di aprire una discussione sul metodo o, meglio,
sui metodi della storiografia filosofica relativa alla filosofia antica. Si
pensa perciò di cominciare con una tavola rotonda, chiamando a parteciparvi
esponenti di orientamenti diversi e significativi, ai quali è stato chiesto di
intervenire liberamente su tre questioni principali -- se ha senso parlare
ancora di una storia della filosofia (e quindi anche di una storia della
filosofia antica) come disciplina a se stante e in sé autonoma; quali
innovazioni si possono riconoscere all’ampliarsi e al differenziarsi delle
impostazioni teoriche che sono sottese ai vari approcci metodici alla storia
della filosofia antica; quale è il contributo che viene, una volta tramontato
il vecchio mito classicistico, dall’applicazione di categorie elaborate dalle
scienze umane. Alla tavola rotonda parteciparono Berti, Vegetti, Viano, e lo
stesso G., ciascuno portando un contributo molto peculiare e strettamente
conforme al proprio orientamento intellettuale. L’intervento di G. rispecchia
le riflessioni condotte qualche anno prima e pubblicate nel già citato articolo
di apertura della Rivista (La storiografica idealistica), di cui ripropone le
premesse problematiche e a cui aggiunge precise prese di posizioni sulla
specificità della storia della filosofia antica e sul modo di salvaguardarla senza
perdere di vista il fatto che lo scopo principale (scil. dello storico della
filosofia antica) resta la comprensione dei testi che ci trasmettono la
filosofia antica, ritengo necessario rivendicare l’imprescindibilità di una
rigorosa e metodica impostazione filologica, anche se tale impostazione non può
non venire assumendo sempre più, essa stessa, una fisionomia storica: quella
della storia degli studi ciò dovrebbe indurre a uscire da un tradizionale
isolamento e a promuovere una organizzazione del lavoro diversa e meno
diffidente verso i sussidi che la tecnologia moderna può offrire. In ogni caso,
la storia degli studi è ormai elemento costitutivo di ogni indagine che voglia
avere un minimo di serietà, non solo per le conoscenze che ha acquisito ma
anche per le divergenze che ha proposto. L’alternativa a questa impostazione è
o l’arbitrio nella scelta dei riferimenti o l’illusione di un ritorno alla
lettura diretta dei testi. In queste parole possiamo rintracciare ad un tempo
la finalità della costituzione del Centro e la visione di G. del modo di
operare storiografico: più che il cenno alle nuove tecnologie e più che
l’esortazione ad abbandonare l’isolamento, sicuramente importanti l’uno e
l’altra, conta sottolineare, a mio parere, il richiamo alla storia degli studi
come parte integrante della storia della filosofia, in particolare della
filosofia antica, affidata in larghissima misura alla tradizione indiretta. La
serietà, cioè la plausibilità dei risultati della ricerca storico-filosofica
sono messi a rischio dall’illusione di poter leggere (e capire) le parole del
filosofo, specie se antico, senza gli strumenti della conoscenza filologica,
linguistica e culturale nel senso più lato, conoscenza cui si perviene
ricostruendo, ove sia possibile, anche una storia intelligente delle letture
altrui. Uscire dall’isolamento è, allora, non solo la cooperazione tra colleghi
ad un progetto scientifico unitario, ma anche la conoscenza e la valutazione
delle migliori offerte interpretative che di un testo e del suo contesto siano
state date entro un certo arco di tempo. Sia nelle azioni istituzionali, che
investirono e coinvolsero il complesso delle risorse del Centro, incluse le
relazioni stabilite con il mondo universitario, sia nelle attività di ricerca
individuali, un ruolo primario fu senz’altro svolto dalle tradizioni
ellenistiche e dall’analisi della letteratura dossografica. Il Centro organizza
un convegno sulla SCESSI, (Quintiliano, SCEPTICI --) e coopera strettamente con
Pavia e in particolare con Vegetti e collaboratori, sostenendo l’organizzazione
di due importanti convegni: “La filosofia ellenistica” (Pavia) e Ancora alla
filosofia ellenistica è dedicata l’importante pubblicazione dei Proceedings del
quarto simposio internazionale sulla filosofia ellenistica, che vide tra i suoi
partecipanti esperti di caratura internazionale, alcuni di stretta
collaborazione con il Centro stesso. copertina del volume di La scessi antica,
Atti del convegno, a cura di G., Napoli. Le opere psicologiche di Galeno”
(Pavia) ILIESI digitale Temi e strumenti G. G.-Vegetti
Manuli-Vegetti. Barnes-Mignucci Carattere sistematico ebbe anche la linea
d’azione dedicata allo studio della dossografia. Il Centro organizza il
congresso sull’opera del biografo di ETA IMPERIALE Laerzio (Laerzio storico della
filosofia antica”, Napoli-Amalfi, e il congresso sull’opera del filosofo scettico
di ETA IMPERIALE Sesto Empirico (“Sesto
Empirico e la filosofia antica”, Sestri Levante. Si delinea in entrambi gl’eventi
un’unica prospettiva, grazie alla quale l’oggetto dell’indagine storiografica
è, per così dire, duplice e contestuale: l’autore, cioè il filosofo la cui FILOSOFIA
è oggetto di trasmissione da parte di un testimone, e il testimone stesso, la
sua epoca, il suo orientamento, nonché la struttura formale della sua
testimonianza, struttura che rivela assai spesso una tesaurizzazione delle
informazioni attraverso i differenti metodi per la loro esposizione. Così,
mentre l’opera di Diogene Laerzio, che già da lungo tempo attira l’attenzione
della filologia, conserva una concezione ampia del genere biografico,
restituendo non solo informazioni biografiche e dottrinali dei singoli filosofi
nonché cataloghi d’autore, ma anche specifici schemi espositivi presi a
prestito dalla letteratura storica (il più caratteristico è senz’altro quello
delle “successioni”), l’opera di Sesto Empirico mostra le conseguenze sul piano
storiografico di un modello propriamente concettuale, la diaphonia. Un altro
forte sodalizio, quello con il Centro Internazionale per lo Studio dei Papiri
Ercolanesi di Gigante, permise di
allestire negli anni subito successivi un grande congresso sul tema “L’orto romano”
(Napoli-Anacapri, ILIESI digitale Temi e
strumenti 19 Figura copertina di Laerzio storico del pensiero
antico, Atti del congresso, “Elenchos”, Atti pubblicati in “Elenchos”. 29 Atti
pubblicati nel volume 13 dell’annata 1992 della rivista “Elenchos), un evento
di ampio spettro tematico e cronologico all’interno del quale poterono
cimentarsi papirologi e papirologi ercolanesi, filologi classici, paleografi ed
epigrafisti, storici, e ovviamente storici della filosofia romana. Proprio di
questo incontro e il suo carattere transdisciplinare e, per quel che attiene
alle attività in corso presso il Centro, la messa alla prova di molte ipotesi
di lavoro anche individuali sulla relazione tra L’ORTO e le rilevanti
tradizioni (le scuole socratiche, il PORTICO, la SCESSI dell’ACCADEMIA e
pirroniana) che impegnano sia G. in prima persona che il suo gruppo di lavoro
operante presso la Sapienza e il Centro. Tra gli impegni di G. in qualità di
direttore del Centro ci e l’organizzazione di due altri convegni: “ “Empedocle
di GIRGENTI e la cultura della Sicilia antica. Illustrazione di un frammento
inedito della sua opera”, Agrigento. Il
primo raccolse un gruppo consistente di esperti della filosofia romana ed e un
raro esperimento di indagine lessicale da parte del Centro, volto a delineare
l’area semantica – “linguistic botanising” -- dell’affezione (emozione,
sentimento, malattia) nelle diverse manifestazioni della filosofia romana. Il
secondo convegno e un altro esempio del modo in cui G. intende inserire la vita
del Centro all’interno di una rete di relazioni istituzionali, oltre che
accademiche, perché il convegno, motivato dalla 30 G.-Gigante Atti Elenchos”.
Atti “Elenchos”. Figura 5: copertina del primo volume di Epicureismo greco e
romano, Atti del congresso, cur. G. e Gigante, Napoli, Il concetto di
pathos nella cultura antica” (Taormina coperta del Papiro di Strasburgo
contenente una porzione del poema empedocleo, e organizzato in collaborazione
con la sovrintendenza dei beni archeologici di Agrigento. Esso inoltre dove
essere una prima tappa di un più ampio progetto dedicato alle tradizioni
culturali e filosofiche della Sicilia e della Magna Grecia. Sarebbe un errore
pensare che le strategie e i progetti del Centro avessero come unici
interlocutori le istituzioni accademiche italiane. Certamente, uno degli
obiettivi di G. e quello di costituire un piccolo ma vivace e solido bacino
collettore degli interessi intorno alla filosofia romana, e tali interessi sono,
di fatto, collocati nelle Università e organizzati secondo i modi della
didattica e della formazione universitarie. Ma il Centro partecipa anche alla
realizzazione di una delle maggiori iniziative che il Consiglio delle Ricerche
abbia dedicato al settore delle scienze umane, e cioè il progetto “Il Sistema
Mediterraneo. Radici Storiche e Culturali e Specificità Nazionali”. Questo
grande progetto e articolato in cinque linee di indagine, la prima
delle quali dedicata al mondo romano. E in questo contesto che G., oltre a
scrivere il saggio La tradizione filosofica in Magna Grecia e
Sicilia, apparso nel volume che raccoglieva i risultati delle
attività promosse dal progetto, contenne l’idea di una linea di attività,
cui si è fatto cenno, dedicata alle tradizioni filosofiche della Magna
Grecia [never “MAKRA ELLENA, but megale hellas – H. P. GRICE] e della
Sicilia, linea che avrebbe dovuto raccogliere e mettere a frutto le
metodologie sperimentate nella più generale attività del Centro Il
Progetto Strategico, svoltosi e coordinato da Antonello Folco Biagini fu varato
nel 1994 dal Biagini ILIESI digitale Temi e strumenti 21 Comitato
Nazionale di Consulenza del CNR per la filosofia, allo scopo di
convogliare tutte le competenze rappresentate ed espresse dalla rete
scientifica costituita dai Centri di Studio e dagli Istituti afferenti al
Comitato stesso, in una grande area di interesse, appunto il “Mediterraneo”. Al
fondo della decisione del Comitato e la convinzione che il Mediterraneo
costituisse non un’entità identitaria ma un complesso sistema di realtà
molteplici, tradizionalmente oggetto di indagine da parte di settori
disciplinari indipendenti. Si tratta perciò di conferire unità strategica e di
metodo ad una naturale e fisiologica molteplicità di fenomeni
culturali. Origine e incontri di culture nell’antichità”.
Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero
Antico (studio della dossografia e delle tradizioni indirette). Rivisse in
questo progetto l’antico interesse di G. per la trasmissione delle
cosiddette tradizioni pre-socratiche, molte delle quali per l’appunto
fiorite nelle aree magnogreche (VELIA, CROTONE, GIRGENTI, LEONZIO), e per il
ruolo svolto in tale trasmissione da Platone (si veda CUOCO) e
Aristotele. A questo più antico arco cronologico, si sarebbe poi unito il
costante interesse per L’ORTO, nella forma storica dell’ORTO CAMPANO.
Vale la pena ricordare, infine, l’attività formativa che il Centro riuscì
a svolgere, facilitata, come è facile comprendere, dalla posizione
accademica di G.. Il Centro di Studio della filosofia antica si formò infatti raccogliendo i suoi allievi,
che si unirono ai ricercatori già in forza presso il precedente Centro di
Studio per la Storia della Storiografia Filosofica. L’attività progettuale,
inoltre, non si limita alla sola attività di pianificazione scientifica e ancor
meno alla sola organizzazione dei convegni, ma prevede lavori continuativi di
studio collettivo e di confronto sulle tematiche di principale interesse e di
rilevanza strategica. I maggiori convegni venneno quindi preceduti
da seminari propedeutici sulle dossografie antiche, sull’opera di Diogene
Laerzio e su quella di Sesto Empirico, e su quest’ultimo autore, anzi, si
svolge un seminario aperto anche ai dottorandi di ricerca della Sapienza.
Nell’ambito del progetto “Mediterraneo” e quindi della linea di ricerca sul
Mediterraneo antico, il Centro ottenne dal Comitato di Consulenza per la Filosofia
borse di studio. Un discorso a parte merita l’attività editoriale a cui il
Centro riuscì a dar vita. Due furono le iniziative editoriali,
strettamente coerenti con l’idea programmatica che ispirò la costituzione
del Centro: la serie “Elenchos. Collana di testi e studi sulla filosofia
antica, ed Elenchos. Rivista di studi sulla filosofia antica. La scelta
del medesimo nome per le due iniziative si spiega facilmente in
riferimento all’orientamento intellettuale ed al bagaglio culturale dello
stesso G., che riteneva la discussione, il confronto -- elenchos, appunto
-- in primo luogo, uno dei lasciti più significativi della cultura
filosofica antica, quello che maggiormente ha contribuito alla formazione
della coscienza moderna. Ma in secondo luogo, e secondo un’angolatura più
tecnica, G. vedeva nell’”elenchus”, inteso come analisi critica, il metodo per
eccellenza dello studio del testo filosofico antico e della dottrina in
esso contenuta, come mostrano i primi autori di una nascente “storia
della filosofia” ancora in forma di dossografia, Platone e soprattutto,
com’è assai noto, Aristotele. In omaggio dunque, all’ideale “dia-logico” (DIA-GOGE
– H. P. GRICE) trasmesso dal magistero di Calogero, l’ELENCO e, nei
limiti del possibile, il contrassegno delle ricerche realizzate o promosse
dal Centro e divenne il nome delle due pubblicazioni, entrambe
affidate alla casa editrice napoletana Bibliopolis, Edizioni di
Filosofia, di Franco. La collana e destinata in larga misura, benché
non esclusivamente, a premiare le ricerche individuali, le quali
dovevano concretarsi in studi monografici, edizioni di testi e strumenti
per la ricerca. Non deve stupire che in questa sede ci si limiti a
mettere in primo piano l’opera Socratis et Socraticorum Reliquiae,
collegit, disposuit apparatibus notisque instruxit G. Frutto di una
ricerca individuale, preparato da molte precedenti pubblicazioni, questa
edizione delle testimonianze relative a Socrate e alle scuole socratiche,
corredata dell’APPARATO CRITICO e note di commento (e SENZA traduzione),
rappresenta la più importante espressione degli interessi tematici e dei
principi metodologici che caratterizzarono il Centro. Basterebbe infatti
considerare i volumi usciti nella medesima collana “Elenchos” votati alle
tradizioni socratiche, alle scuole ellenistiche, alla dossografia e alle
edizioni di testi e frammenti di FILOSOFI ITALIANI ancora poco
studiati, per apprezzare l’impatto delle ricerche di G. su tutto il
gruppo di ulteriori interessi e accolse studi accademica. ricerca
del Centro. Naturalmente la collana non e preclusa ad critici
su tematiche di grande rilevanza nell’ambito del platonismo e
dell’aristotelismo e delle filosofie della tarda antichità, promuovendo
in tal modo uno scambio costante con la più ampia comunità
Quanto alla rivista, è forse opportuno rimandare direttamente
alla Presentazione che G. Figura 6: copertina del primo volume di G. G.,
Socratis et Socraticorum Reliquiae, Napoli] antepose al primo fascicolo. Essa
fa molto ben intendere tanto la relazione essenziale tra il
programma del Centro e il periodico che di quel programma doveva essere
lo strumento di diffusione; quanto l’apertura al dibattito che la rivista
(e quindi il centro stesso) si prefigge; quanto, infine, la tempestività
di un’operazione culturale che il Consiglio Nazionale delle Ricerche ha
la sagacia di sostenere: ELENCO intende dare attuazione ad uno dei punti
programmatici contenuti nella convenzione stipulata tra il Consiglio Nazionale
delle Ricerche e Roma, e che sta alla base del Centro di Studio della Filosofia
antica. Essa non è, tuttavia, in senso stretto espressione soltanto di questo
Centro: al contrario, chi ha la responsabilità di dirigerla intende farne uno
strumento di studio e di ricerca aperto alle collaborazioni più ampie, un punto
di incontro e di confronto e un’occasione a disposizione di studiosi. Questa
rivista è l’unica dedicata interamente alla filosofia romana che si pubblichi
in Italia e perciò essa non può non proporsi anche un compito di promozione di
questi [ I titoli della collana ELENCO, corredati da schede riassuntive,
sono consultabili all’Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia
delle idee. Mi limito a citare il grande progetto di traduzione e commento
della Repubblica di Platone, promosso e diretto da Vegetti. Vegetti Questa situazione è rimasta invariata, e cioè
fino alla comparsa della rivista “ANTIQVORVM PHILOSOPHIA”, edita da Serra, Pisa,
e diretta da Cambiano. studi ... Ma essa si propone anche uno scopo più
ambizioso; se è vero, come è vero, che la storia della FILOSOFIA ROMANA è
un campo in cui debbono potersi incontrare gli apporti e le problematiche della
storiografia filosofica e del metodo filologico. Se è vero, come è vero, che
tanto la storiografia filosofica quanto il metodo filologico attraversano una
fase di ri-pensamento critico molto profondo dei propri presupposti e delle
proprie certezze, allora ad una rivista come questa spetta, in primo luogo, il
compito di proporsi come sede di verifica di discipline diverse e di modi
diversi di affrontare lo studio della filosofia romana e di aprire le sue
pagine ... anche a contributi che per la conoscenza della FILOSOFIA ROMANA possono
venirci da storici dell’antichità, filologi classici, studiosi delle lingue e
delle letterature classiche, archeologi, papirologi ... Per questi motivi
di fondo – oltre e più che per la sua origine istituzionale – questa rivista si
caratterizza per l’unità del campo di ricerca, non per l’unità
dell’orientamento interpretative. In accordo con gli obiettivi enunciati nella
Presentazione della rivista ELENCO e nel protocollo che lo istituiva, il Centro
di Studio del Pensiero Antico si dota di un consiglio scientifico che affianca G.
nella direzione del Centro e delle pubblicazioni che esso produsse, il quale
contò tra i propri membri eminenti storici della filosofia, quali Adorno,
Berti, Reale, Viano, Ioppolo, Brancacci e Celluprica, nonché eminenti filologi
classici e storici della filosofia quali Gigante e Rossi. Il Centro poté
disporre di sufficienti risorse e di una struttura organizzativa 40 che gli Elenchos.
Fecero parte del Centro in qualità di ricercatori inquadrati nei ruoli del
Consiglio Nazionale delle Ricerche: Faes (direttrice del Centro), Caporali,
Garroni, Celluprica (direttrice del Centro per un biennio e poi responsabile della linea relativa al
pensiero antico nell’ILIESI, Ferraria, Brancacci (Roma Tor Vergata), Centrone
(Pisa), Alesse, Dalfino, Simeoni, Chiaradonna (poi docente presso l’Università
degli Studi di Roma Tre). Collaborarono in modo istituzionale e continuativo
con il Centro Ioppolo (Roma), Repici (Torino); Santese (Roma); Sillitti (Roma);
Baffioni (Università degli Studi di Napoli l’Orientale); Spinelli (Roma) ed Aronadio
(Roma Tor Vergata). Molti sono stati i allievi che, nel corso della loro
formazione post lauream sono venuti in contatto con G. e con il Centro,
lavorando fattivamente alla redazione di ELENCO o adoperandosi in attività
editoriali e scientifiche in senso proprio. Tra questi mi è gradito ricordare
Piccione (Torino), Alessandrelli (ILIESI-CNR), Quarantotto (Sapienza Università
di Roma), Fronterotta (Roma), ILIESI digitale Temi e strumenti] consentirono di
diventare un organismo collettore di attività di ricerca nel campo
dell’edizione critica e dell’interpretazione dei testi della filosofia antica. Chi
scrive non crede che l’esperienza acquisita nel Centro sia andata perduta né
dimenticata. Quando nacque l’Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e
Storia delle Idee, al suo interno fu garantita la prosecuzione e l’autonomia
delle indagini relative alla storia della filosofia antica, per esplicito
volere di Gregory che del nuovo Istituto fu il primo direttore. Queste indagini
confluirono in una linea progettuale denominata prima “Storia del pensiero
filosofico- scientifico e della terminologia della cultura mediterranea
greco-latina, ebraica e araba” e successivamente Il pensiero filosofico nel
mondo antico: testi e studi. L’impegno principale della linea fu
rappresentato da una serie di progetti che in parte proseguivano le
tematiche di studio e le strategie cooperative del Centro di Studio del
Pensiero Antico, e in parte introducevano nuove tipologie di analisi,
connesse alle tecnologie digitali. La continuità culturale fu inoltre
garantita dal mantenimento delle due pubblicazioni, la collana Elenchos e
la rivista Elenchos. Da questa permanenza delle ricerche sul pensiero
antico nella nuova realtà istituzionale si deve ricavare non solo e non
tanto l’attualità di una disciplina (che si è comunque stabilizzata nel
mondo accademico con la benefica diffusione di cattedre e centri di
insegnamento, in Italia e fuori), quanto piuttosto l’attualità di un
metodo di lavoro. Questo metodo di lavoro, che potrebbe descriversi, un
po’ aulicamente, come un nuovo diatribein socratico, cioè come la
capacità di discutere in modo competente con i “morti” prima che con i
vivi, rispecchia abbastanza bene la disposizione intellettuale e
comportamentale di G.i, uomo tanto pacato nelle discussioni con i
contemporanei, quanto fermo nelle sue strategie di ricerca sul mondo
antico.] Gioè, Nucci, Santoro, Gambetti
e Cunsolo (a quest’ultima si deve l’allestimento della bibliografia ragionata
digitale Le tradizioni filosofiche e culturali greche della Magna Grecia e
della Sicilia antica, ora in fase di aggiornamento ad opera di Gambetti). 41 A
questa linea, diretta da Celluprica, fanno riferimento i ricercatori già
operanti nel Centro, a cui si aggiunge Chiodi, specialista in storia delle
religioni del mondo antico e del Vicino Oriente. Arnim, Stoicorum Veterum
Fragmenta, Lipsiae, Teubner. Barnes, MIGNUCCI (a cura di), Matter and
Metaphysics. Fourth Symposium Hellenisticum, Napoli, Bibliopolis. Biagini (cur.),
Il Sistema Mediterraneo. Radici Storiche e Culturali e Specificità Nazionali,
Roma, CNR Edizioni. Brancacci, Le orazioni diogeniane di Dione Crisostomo, in G.
(cur.), Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino,
Brancacci, Il Socrate di Guido Calogero, “Giornale Critico della Filosofia
Italiana”, Calogero, Gli studi italiani sulla filosofia antica, in Antoni,
Mattioli (cur.), Vita intellettuale italiana. Scritti in onore di Croce per il
suo ottantesimo anniversario, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, Cambiano,
Il problema dell'esistenza di una scuola Megarica, in G. (cur.), Scuole
socratiche minori e filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino Celluprica,
L'argomento dominatore di Diodoro Crono e il concetto di possibile di Crisippo,
in G. (cur.), Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica, Bologna, il
Mulino Croce, Logica come scienza del concetto puro, Bari, Laterza. Croce,
Teoria e storia della storiografia, Bari, Laterza. Croce, Filosofia della
pratica: economica ed etica, Bari, Laterza. Croce, Filosofia della pratica:
economica ed etica, a cura di M. Tarantino. Edizione Nazionale delle Opere di
Benedetto Croce, Napoli, Bibliopolis. Croce, Logica come scienza del concetto
puro, a cura di C. Farnetti. Edizione Nazionale delle Opere di Benedetto Croce,
Napoli, Bibliopolis. Croce, Problemi di estetica e contributi alla storia
dell’estetica italiana, a cura di M. Mancini. Edizione Nazionale delle Opere di
Benedetto Croce, Napoli, Bibliopolis. Croce, Teoria e storia della
storiografia, a cura di E. Massimilla, Tagliaferri. Edizione Nazionale delle
Opere di Croce, Napoli, Bibliopolis. Pra, Lo Scetticismo greco, Milano, F.lli
Bocca, rist. Laterza Caizzi, Antisthenis Fragmenta, Milano, Cisalpina. Caizzi,
La tradizione antistenico-cinica in Epitteto, in G. (cur.), Scuole socratiche
minori e filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino, Diels, Doxographi Graeci,
Berlin, Reimer. Diels, Die Fragmente der Vorsokratiker, Berlin, Weidmann.
Donini, Stoici e Megarici nel De fato di Alessandro di Afrodisia, in G. (cur.),
Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino, Gaiser,
La teoria dei principi in Platone, “Elenchos”. Gentile, Sistema di logica come
teoria del conoscere, Pisa, Spoerri. Gentile, La riforma della dialettica
hegeliana, Firenze, Sansoni. ILIESI digitale Temi e strumenti Alesse G. G. e il
Centro di Studio del Pensiero Antico Gentile, Storia della Filosofia (dalle
origini a Platone), in Bellezza (cur.), Gentile. Opere complete, a cura della
Fondazione Gentile per gli studi filosofici, Firenze, Sansoni. G., I CIRENAICI.
Raccolta delle fonti antiche. Traduzione e studio introduttivo, Firenze,
Sansoni. Scuole socratiche MINORI e filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino. La
storiografia idealistica, ELENCO. Lo scetticismo antico, Atti del convegno
organizzato dal Centro di Studio del Pensiero Antico del CNR Elenchos Napoli,
Bibliopolis. Tavola rotonda. La storiografia filosofica sul pensiero antico,
“Elenchos”. In ricordo di Calogero, Elenchos. G. e Gigante, L’ORTO romano, Atti
del Congresso Internazionale tenutosi a Napoli, Elenchos, Napoli, Bibliopolis.
G. e Narcy (cur.), Lezioni socratiche Elenchos Napoli, Bibliopolis. G. e Vegetti,
La scienza ellenistica. Atti del Convegno di studio tenuto a Pavia Elenchos Napoli,
Bibliopolis. Humbert, Socrate et les petits Socratiques, Paris, PUF. Ioppolo,
Aristone di Chio, in G. (cur.), Scuole socratiche minori e filosofia
ellenistica, Bologna, il Mulino, Parente, La valutazione dell’epistemologia dei
peripatetici, e in particolare di Statone di Lampsaco, nell’ambito della
valutazione della filosofia ellenistica, in G. (cur.), Scuole socratiche minori
e filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino, Liburdi, Materiali per una storia
dell’ILIESI, ILIESI. Relazioni Tecniche, ILIESI-CNR. Mannebach, Aristippi et
Cyrenaicorum Fragmenta, Leiden- Köln, Brill. Mansfeld, Doxographical Studies.
Quellenforschung, Tabular Presentation and Other Varieties of Comparativism, in
Burkert, Gemelli Marciano, E. Matelli, Orelli, Fragmentsammlungen
philosophischer Texte der Antike – Le raccolte dei frammenti di filosofi
antichi, Göttingen, Vandenhoeck et Ruprecht, rist. in Mansfeld-Runia,
Mansfeld Mansfeld, Deconstructing
Doxography, Philologus, rist. in Mansfeld-Runia Mansfeld, Runia, Aëtiana. The Method and Intellectual
Context of a Doxographer, Leiden, Brill, The Sources. Mansfeld, Runia, Aëtiana.
The Method and Intellectual Context of a Doxographer, Leiden, Brill, The
Compendium. Mansfeld, Runia, Aëtiana. The Method and Intellectual Context of a
Doxographer, Leiden, Brill: Studies in the Doxographical Traditions of Ancient
Philosophy. Manuli, Vegetti (cur.), Le opere psicologiche Socratis et
Socraticorum Reliquiae, collegit, disposuit apparatibus notisque
instruxit G., Elenchos Napoli, Bibliopolis. di Galeno. Colloquio galenico Pavia, Napoli, Bibliopolis. ILIESI
dTemi e strumenti Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero
Antico Mondolfo, L’infinito nel pensiero dei Greci, Firenze, Le Monnier.
Mondolfo, La comprensione del soggetto umano nell’antichità classica, Firenze,
La Nuova Italia. Patzer,
Antisthenes der Sokratiker. Das literarische Werk und die Philosophie,
dargestellt am Katalogen der Schriften, PhD dissertation, Heidelberg
University. Repici, Lo sviluppo delle dottrine etiche
nel Peripato, in G. (cur.) Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica,
Bologna, il Mulino. Sillitti, Alcune considerazioni sull’aporia del sorite, in
G. (cur.) Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino.
Untersteiner, I Sofisti, Torino, Einaudi. Usener, Epicurea, Lipsiae, Teubner.
Platone. La Repubblica, traduzione Vegetti, Napoli, Bibliopolis. Platone. La
Repubblica, traduzione Vegetti, Napoli, Bibliopolis, Vegetti Platone. La
Repubblica, traduzione Vegetti, Napoli, Bibliopolis Vegetti = Platone. La Repubblica,
traduzione Vegetti, Napoli, Bibliopolis. Platone. La Repubblica, traduzione
Vegetti, Napoli, Bibliopolis, e commento
a cura di Mario e commento a cura di Mario e commento a cura di Mario e
commento a cura di Mario e commento cur. Vegetti, Napoli, Bibliopolis. a BS’l
RATTO <Ia 1 Bollettino (ti Filologia Classica II 6xi|iòvtov di Soorate.
Como già nei tempi antichi, cosi anello più tardi il 3 r.|iàviov di
Socrate lui sempre suscitato il più vivo interesso ed è rimasto lino ai giorni
nostri oggetto di studio. Ma, per quanto sia stato scritto attorno ad
essa e per quanto no sia stata ago- volata la compronsione por merito di
Seliloiormacher e dei suoi successori, non si può dire clic si sia linoni
riusciti a trovare una spiegazione soddisfacente di questo fenomeno, che fu una
dèlio cause dèlia tragica fine del grande pensatore. Le fonti, alle
quali dobbiamo attingere nella nostra ricerca, sono, come si sa', gli
scritti di Platone o di Senofonte. Ma.qui ci troviamo subito di fronte ad
una questione molto discussa c cioè; quale dei due autori sia rispetto
alla dottrina socratica il più attendibile. Poiché i rapporti di Platono
o di Senofonte si contraddicono riguardo allo manifestazioni del Satpdviov di
Socrato in un modo assai pronunciato, è chiaro che dalla decisione alla
quale arriviamo rispetto a questo divario, deliba infine dipendere la
soluzione del problema. 1 > m,to che nel diciottesimo secolo si fece
strada il parere del leib- niziuno Brucfecr, secondo il quale gli scritti
di Senofonte sarebbero per lo studio del socratismo i più veritieri,
parere che ha avuto fino ad oggi i suoi fautori. Di quest’opinione è in
linea generalo anche Hegel (IJ. 1|S. principio del secolo passato però,
Schleiermacher ed altri insistettero che por la valutazione della
dottrina socratica do vesso tenersi maggior conto delle opere di Platone.
Di fronte a queste due correnti lo Zollerai sogni un indirizzo, elio
possiamo chiamare intermediario. Senza entraro in particolari, si può
dire che, sebbene gli atti attorno a questo divario non siano ancora
chiusi, diventa sempre più salda la convinzione, che senza uno studio profondo
di Platone una comprensione del socratismo non è possibile. Ma con ciò il
nostro quesito non è ancora risolto. Secondo Platone il Sxigóvwv
agisce in modo esclusivamente inibitorio, esso non è mai incitativo.
Secondo Senofonte, però, funziona nei due modi. Si è, è vero, creduto che
la contraddizione tra lo due versioni fosse soltanto apparente, perchè,
se il «aigóviov non inibiva Socrate nel 6uo fare, ciò equivaleva, si è
detto, ad un'atrcrmaziono nel senso Hegel, Vorl. ti. d. Gesch. d. l'Ii tfp
s. Il Schleiermacher, Abkdl. kad. su Berlin, Zm.i.ER, Die Philosophie hen li,
1, t* '.al., (4) Cfr. Zuocantb, Socrate, pòrte prima,di un ordine
positivo. In verità, però, mi sembra, che la diversità venga con una talo
interpretazione soltanto celata, ma non eliminata, perchè in realtà le
differenze tra i rapporti doi due autori sono dovute a processi psichici in sè
diversi. Corto, se qualcuno mi dice, ad es. : non andare via ! quosto
equivale praticamente al comando positivo: rosta ! Ma con ciò la cosa non
è fluita. So io non distolgo qualcheduno, che devo guidaro, da una
azione, che egli è in procinto di compiere, do, è vero, con ciò il mio
consentimento al suo proposito, ma la sua azione scaturì da motivi sorti
nella sua coscienza e prosegue secondo leggi psichiche. E so, in un altro
caso, lo freno con un semplice: no! senza però dargli altri ordini
positivi, io non permetto che egli eseguisca quello che stava per fare, ma con
ciò non gli indico ancora quanto devo in sua vece intraprendere. Il suo
agiro dipende di nuovo unicamente da lui o si sviluppa ancora da motivi
che sorgono in lui stesso. Ma so gli dico: fa cosi ! allora lo sottopongo
in senso positivo ad una volontà non sua o lo faccio compiere un’azione,
i cui motivi sorsero nella mia coscienza e non nella sua. Egli diventa lo
strumento del volere di un’altra persona, e, se consideriamo il fatto dal
lato etico, la responsabilità per lo conseguenze di una tale azione cado
in questo caso interamente su di rao o per nulla su di lui. Non occorrono
altri esempi: in fondo la diversità doi due rapporti si riduco presso a
poco al caso citato. Secondo Senofonte, Socrate riceve anche ordini
positivi dalla divinità, egli compie quindi azioni, che non furono da lui
deciso, secondo Platone mai. Ogni sua azione procedo, secondo Platone, in
seguito a motivi, che appartengono alla sua propria coscienza, ed è sempre la
sua volontà che lo fa agiro anche dopo che egli ha abbandonato, per
l'intorvonto del Baijióvwv, una decisione presa. Como si vede, la
differenza non si lascia eliminare. Per quanto si corchi di celarla, essa
riappare sempre. Mi sembra quindi più savio di riconoscerla. Ma ciò
facondo ammettiamo anche che una dello due versioni non può essere esatta
e cho si deve decidere, quale delle due si abbia da riconoscere come
vera. Delle opero cho portano il nome di Senofonte, l’Apologia viene
oggi quasi da tutti riconosciuta apocrifa. Per ciò non ne teniamo
conto. Degli altri suoi scritti sono per noi importanti i Memorabili ed il
Convito. Faccio qui osservare che, dopo un esame della rispettiva letteratura o
specialmente in base agli studi di Schonkl, sono arrivato alla conclusione cho
per il nostro problema soltanto i passi Meni. o Conv. sono con tutta
sicurezza da considerarsi come autentici. Per talo ragione lasciamo da
parte in questa breve nota i passi: Mem. Dalle opero cho vanno sotto
il nome di Platone e che trattano del Saipóviov escludiamo il Teagete,
perchè oggi generalmente ritenuto apo¬ [lli Schenkl, Xenophont. Studien. Sitzungsber. d. K.
Akad. d. Wiss . i zu Wien] orilo. L’autenticità
dell'A Icibinde 1 è fortemente messa in dubbio, lo accettiamo con
riserva. Non posso decidermi di respingere 1 Fall frane, malgrado lo
obiezioni di Ueborwog. Dogli altri scritti platonici limino per noi
valore VApologià, YEutidemo, il Tediato, il Fedro e la Repubblica. Senza
entrare rpii noi particolari della questiono, (pialo sia I ordino
cronologico delle opere di Platone, dobbiamo intenderci sull'epoca in cui
fu scritta Y Apologia, perchè questo lavoro ci dà la più esatta in- i
rmazione intorno al Saipiviov di Socrate. La maggior parto dogli stu-
.dcigi c ciò è per noi importante fa salirò l’origine di quest opcra ad
un’epoca non molto distante dalla condanna o dalla morte del illusolo,
l’orsino autori elio sono del parere clic Platone 1 abbia scritta a
Megara, ammettono con ciò (dio questo importante documento appartiene al suo
primo periodo di attivila, scientifica. Allo stesso risultato giunse
Lutoslawski per mezzo del suo metodo stilometrico. Quantunque si debba
riconoscere l’unilateralità di questo metodo e per quanto sarebbe
arrischiato di fondarci unicamente su di esso, ci costringono nondimeno ragioni
psicologiche di non negargli ogni valore. Alla questione esposta si
connetto quost’altra, cioè, so nell’Apologià .di Platone si tratti di una
fedele riproduzione di quanto Socrate realmente disse davanti al tribunale di
Atene, o se si tratti soltanto di una riproduzione piu o meno fedele del
contenuto dei suoi discorsi. La prima opinione è quella di
Schleiermacher, della seconda è Stcinhart (3), elio vede nell’Apologià
un'opera d'arte, in cui lo spirito socratico o quello di Platone si
trovano armonicamente fusi insieme. Ambedue le opinioni hanno avuto i
loro fautori. Considerazioni psicologiche mi hanno condotto nelle duo questioni
accennato a con' inzioni che risultano da quanto seguo. Come si vuol
spiegare l'influenza che quest'opera ha sempre esercitata sui più grandi
spiriti della razza umana, o come si potrebbo comprendere la elevazione
morale clic ognuno devo provare in sè, quando vi si abbandona senza
pregiudizio, so non si ammette che essa suscita nel lettore la
convinzione di sentire la parola viva di Socrate stesso? Quale valore
potrebbo avere questo scritto, se si volesse considerarlo unicamente come una
creazione d'arto, come una descrizione dell’ideale platonico? In questo
caso dovremmo bensì inchinarci davanti all’autore quale artista, ma in fondo
avremmo cosi un Socrate come Platono avrebbo desiderato che egli fosso,
ma non come real¬ mente era. Non stava in Socrato piuttosto la verità
incorporata davanti ad Atene decadente, davanti alla stessa Atene che egli
aveva conosciuta nello splendore del periodo di Pericle? Non era quest
uomo un idealo morale di una tale grandezza elio ogni tentativo di
idealizzarlo maggiormente doveva necessariamente rimpicciolì rio ?
P. Ueberweg, Unters. fi. d. Echtheit u. Zeitfolge piatoli. Schriflen, F.
Schle i rum ache R, Plalons Werke, I H. MQli.er e K. Stf.inhart, Plalons
sàmmtl. Werke, Per quali ragioni poi l
'Apologia non fu scritta in forma di dialogo? Nessuna introduzione,
nessuna descrizione dello scenario, nessun nesso tra i singoli discorsi,
nessun accenno a circostanze secondarie interrompono l'azione in questo
meraviglioso documento. Non dovremo convenire che soltanto forti motivi
psicologici indussero l’autore ad esporre cosi lo sviluppo del processo?
Non si dimentichi neppure quanto diversamente Socrate parla della morte
ne\\'Apologia e nel Fedone, la qual opera, senza alcun dubbio, fu scritta
molto più tardi. Nell’yfpo/ofna è in verità Socrate stesso che parla,
mentre nel Fedone è Platone che motto, entro la cornice della realtà
storica, la propria convinzione in bocca al suo amato maestro. Vi
sono poi altri fatti psicologici da rilevare. Ricordiamo che Platone
ascoltava un maestro, che aveva seguito con tutto l'ardore del suo en¬
tusiasmo giovanile per lunghi anni, e dal quale emanava un lascino che
faceva dimenticare a lui come ad altri giovani greci la figura di Sileno
clic nascondeva il vero essere del grande innovatore. Ricordiamo clic
Platone era penetrato nello spirito della dottrina socratica come nessun
altro e clic egli solo è stato capace di salvarla interamente per la
filosofia occidentale. Gli orano quindi lamiliari tutti i particolari esteriori
che sono caratteristici por ogni personalità umana o senza i quali non
possiamo neppure rappresentarcela. Conosceva esattamente il timbro e la
cadenza della sua voce, il suo vocabolario, il suo periodare, i suoi movimenti
mimici e pantomimici, in breve tutti i numerosi fattori clic, secondo la
leggo della fusione psichica, cooperano a lar sorgere in noi l’immagine
di una persona a noi nota c che, tutti quanti, esercitano la loro
influenza dormito la riproduzione di un suo discorso. È inoltro
cosa saputa che ogni riproduzione di un discorso riesce tanto più fedele,
quanto piu l'attenzione rimaneva tosa, quanto mag¬ giore era l’interesse
che l'oratore suscitava in chi l'ascoltava. Si può immaginano
un’attènzione piu concentrata elio nel caso presente? Figuriamoci
lo stato d’animo del giovano Platone, che pende dalle labbra del suo
maestro e che appercepisce attivamente ogni parola da lui pronunciata;
ridestiamo nella nostra immaginazione l’uragano di emozioni che lo
travolge, le fluttuazioni della sua anima tra la speranza ed il timore, tra
l'ammirazione della grandezza sovrumana che si palesa e lo schianto per
la certezza della perdita irrimediabile, e si dovrà convenire elio
l’organismo umano forse non sopporterebbe tali stati d’animo una seconda
volta. Sappiamo che emozioni come queste non passano facilmente, ma (die
tornano sempre in nuovo ondato. Sappiamo inoltro che nessun moto d'animo rimane
senza espres¬ sione o elio lo singolo persone a questo riguardo si
comportano diver¬ samente. Anche l’anima dell’artista lui le sue reazioni
ed ogni artista le ha a seconda dell’arto, alla quale dedicò la sua vita.
Ora, anche Platone era artista o come tale non potevano rimaner mute lesile
emo¬ zioni. Ma egli era anello scienziato, uno scolaro, anzi Io scolaro
per eccellenza, ili quoH'uomo che durante una lunga vita non aveva
ccrrato altro ohe la verità. Oli era impossibile di rinchiudere in se ciò
clic aveva vissuto quel giorno. Cosi, appena può, prende lo stile por
dare uno slogo all'emozione olia lo soffoca. li se il suo stato non diede
luogo a fenomeni precisamente nllucinnttfri, nondimeno tutto ciò che
aveva visto e sentito, torna a vivere in lui, conio per il poeta vivono
ed agiscalo lo persone croato dalla sua fantasia. Cosi, io penso, nacque
VApologia platonica. Essa non è un rapporto stonogralico, perché è certo
olle anche questa riproduzione doveva su¬ bire quei cambiamenti che,
secondo i risultati della trattazione sperimentale. hanno luogo in tutti i
processi riproduttivi. Perciò non ogni parola ebbe il suo posto originario,
un pensiero avrà avuto un'espres¬ sione un po' più breve, un altro una
l'orma un po' più lunga, eco., ma quanto al resto il documento è. come
per il contenuto, cosi puro pol¬ la forma tanto fedele, quanto, data la
mente Idi un Platone, era umanamente possibile. Con ciò ho esposto II mio punto
di vista rispetto allo due questioni sovracconnatc. No risulta che
dobbiamo fondarci nella nostra ricerca4U/-quanto viene riferito in
quest'opera intorno al &tipóviov di Socrate. Aggiungo die gli accenni contenuti
negli altri scritti di Platone non contraddicono in alcun modo i dati
precisi dell’Apologià. Per quanto concerno lo opero di Senofonte
che ci interessano, bisogna ricordare che esse furono scritte parecchi anni
dopo la morte di Socrate, o die in esse i.on veniamo mai informati intorno
al fenomeno da Socrate stesso. Desideroso di dimostrare l'innocenza del
grande filosofo, come puro la ingiustizia dell’accusa c della condanna,
Senofouto metto, convinto, beninteso, di scrivere la verità, il Saipòvcov
di Socrate in relazione colla fedo popolare nello divinazioni. Ciò non
può sorprendere, quando si pensa all'abuso che il popolo di qucH'epoea, già
invaso dallo scetticismo, fece dei divinatori, c quando si tiene presente
elio Souofontc non ora filosofo, ma uomo politico. Per questa ragione
non dove recar meraviglia, se Senofonte non aveva compreso ciò che
era nuovo ed essenziale nella concezione socratica del fenomeno. In
Meni. è detto clic il divino (vi Saipòviov) dava segni a Socrate ed in I,
4 viono aggiunto elio egli comunicava tali messaggi a quelli clic lo ci
re urlavano o elio aveva loro predetto ciò che dovevano faro e ciò elio non
dovevano l'aro, come puro elio quelli elio seguivano questi consigli ne ebbero
vantaggi, mentre gli altri elio non li seguivano, dovevano poi
pentirsene. Meni. contiene il noto colloquio con Aristodemo.
Socrate domanda ad Aristodemo, clic cosa gli dei dovessero l'aro per
convincerlo elio si curavano anche di lui. A ciò Aristodemo, alludendo al
S-x.aó e.'j'i. risponde, un po' ironicamente, che dovevano mandargli dei
consiglieri per fargli sapere quello elio doveva faro e non fare, corno
Socrate pretendeva che fosse il caso spo. In Cono. Socrate non aveva
affatto parlato del suo Sxtgtìvwv o non no parla neppure in seguito.
Antistuno, però, gli fa il rimprovero, come se egli se no servisse per
trarsi d'impiccio. È evidente che, se non avessimo lo rispettivo, opere
platoniche, il ixigiviov di Socrate sarebbe rimasto per sompro un
fenomeno inesplicabile. D'altra parte però le comunicazioni di Senofonte sono
di grande valore, in (pianto che fanno vedere il modo in cui in Atene si
giudi¬ cava questo fonomono, ivi assai conosciuto. Dall' Apologia
ili Piatone apprendiamo che Socrate disse nel suo primo discorso (Apoi.),
che egli non si era occupato di altari politici, perchè succedeva qualche
cosa di divino o di demonico (Dstov r. -/.od Sxqidvtov) in lui, che dai
tompi della sua fanciullezza (è-/. r.x'.Sif) vi era stata in lui una
corta voce (qxov^ vi?) la quale, ogni volta che gli sopravveniva, l’aveva
trattenuto da qualche cosa, ma che non l’aveva mai spinto a qualsiasi
azione. Nel discorso Socrate spiega, come la solita divinazione (r,
siioSHtà poi prmxi)) l’avesse nel passato sovento fermato, trattandosi
anche di coso molto piccole (jiàvu érti opi- xpotg), ma che il segno di
Dio (vi r.ù 9-soO a^pstov) non gli era soprav¬ venuto durante tutto il
giorno c neppure durante tutto il suo parlare, mentre durante altri
discorsi l'aveva spesso frenato. Dice ancoraché la morte non poteva
essere un male per lui, perché nel caso contrario il solito segno (vò
e!i»9-ò; a^pAv/J l'avrebbe cortamente trattenuto nel parlare. Alla fine
di questo discoi-so ripeto che il morire doveva ora essere per lui la
miglior cosa, perché altrimenti il segno (vo oij- pstov) l'avrebbe
avvertito. Gli altri scritti di, Platone, dei quali dobbiamo tener conto,
non possono naturalmente iù avere il valore storico, elio abbiamo
attribuito all’Apologià, ma siccome i rispettivi passi, corno fu già
detto, non sono menomamente in contraddizione con quolli dell'Apologia,
essi hanno certamente un fondamento storico. In ogni modo illustrano,
come Platone vuole che il Sxwdvwv di Socrate venga inteso. Nell'Atò/drtde
I l’autore si servo del fenomeno per iniziare il dialogo. Socrate dice ad
Alcibiade di non meravigliarsi, se da tanti anni non gli avesse più
parlato, perchè un ostacolo di natura non umana, ma demonica (oùx
ivD-piójiswv, àX/.i vi Sxipdviov ivawttopx) gliene aveva
impedito. ììo\ l’Eutifrone questo domanda a Socrate, su che cosa
Meleto abbisi l'ondato la sua accusa. Socrate dico che Meleto gli
rimprovera di introdurre nuovi dei c di non credere negli antichi. E
Eutifrono gli risponde di aver capito ora, che è perchè Socrate parla
sempre del suo Sxtpóviov. Noi Teetelo Socrate parla della sua
maieutica e dico che molti discepoli l'avevano abbandonato, perchè, non
comprendendo la sua arto, lo tenevano in poco conto. Egli aggiunge che,
se tali giovinetti tornavano da lui, il ìoupóviov (ti yiyvò|ìevóv poi Sxqwviov)
gli impede di accoglierne alcuni, mentre ad altri non era contrario e che
questi facevano di nuovo progressi. Nell 'Entidemo, un dialogo, in
cui Platone fa vedere tutto il vuoto ed il poricolo dell'arte solistica,
Critono prega Socrate di parlargli di duo solisti. Socrato consento o dico
clic il giorno innanzi ora stato seduto noi liceo od in procinto di
andarsene, quando gli ora sopravvenuto il solito sogno demonico (tò
siwà-ò: ay iuCcv tò ìaqiòvt'vv}. Poreiù ora rimasto seduto o tosto quei
duo, cioè Kutidemo e Dionisodoro orano entrati. Noi Fedro Platone ha già
oltrepassato di molto il socialismo puro e semplice, come risulta dalla
spiegazione elio dà dell’anima o dello ideo. Dopo una meravigliosa
descrizione del paesaggio vediamo corno Socrato o Fodro si coricano sulla
sponda dell’Ilisso nell'omhra di un albero. Socrato ticno il discorso sul
bel ragazzo che aveva avuto molti amanti. Fedro vorrebbe clic continuasse
su questo tema, ma So¬ crate gli risponde che, in procinto di
attravorsare il fiume, gli era sopravvenuto il solito segno demonico (tò
ìxqiòvtòv t= usci tò siiottòs aijgEìovl, gli era parso di sentire una
corta voce (za{ tivx cpiovijv iìi-a aòTò!M=v àzoùoai), elio lo impediva
di andare via prima di essersi purificato da un peccato commesso contro
la divinità. Dice ancora che egli deve essere veramente un divinatore, ma
soltanto per ciò elio riguarda lui stesso, e continuando rileva dm la sua
divinazione rassomiglia all'arte di quelli che leggono c scrivono male,
perché anche questi possono servirsene soltanto per i propri bisogni. Con ciò
egli passa man mano agli splendidi discorsi elio tutti conoscono. Platone
si serve in quest'opera con arte line del ìaqiòviov in modo similo a quello in
cui so n'è servito ncll’AHbiado e neU’Eutidcmo. Egli introduce il
fenomeno per rendere possibili i discorsi che seguono. Nella
Repubblica – cf. Grice -- Socrate dice elio IL SEGNO DEMONICO (tò
ìaqiòviov ovjiietovJ non era stato concesso a nessuno prima di lui o
quasi a nessuno. So analizziamo più da vicino il problema,
vediamo che esso racchiudo in sé tre problemi clic dobbiamo risolvere l’uno
dopo l'altro. S’impone prima di tutto il quesito, corno mai Socrate abbia
potuto chiamare il fenomeno in questione tò ìaqiòviov. A questo si connette
l’altro, cioè di sapere che cosa Socrate stesso abbia realmente inteso
per questo termine. In terzo luogo dobbiamo corcare, come la
psicologia empirica moderna possa spiogare questo fatto. II primo quesito
e, fino ad un certo punto, anemie il secondo fanno parte della psicologia
dei popoli, mentre il terzo appartiene esclusivamente alla psicologia
individuale. Il significato del ìaqiòviov di Socrate dal punto di vista
della psicologia dei popoli. Il concetto del demone è sorto da primitive vedute
attorno all’anima. Esso ha avuto poi un lungo sviluppo, duranto il quale,
sotto l’influenza di rappresentazioni magiche, subisce molte
trasformazioni e acquista varie forme. All’epoca in cui appare l’eroe,
questi 'lue concetti si fondano man mano in una rappresentazione to-
talo, nella quale il concetto del demone perde il suo carattere impersonale,
mentre l’eroe acquista dolio qualità sovrumane. Cosi nasce il panteismo.
Importante è però in tutto questo sviluppo, che la rappresontazione ilei demono
non si perdo dopo la formazione degli dei pagani o elio corto qualità ili
questi ultimi vengono attribuite anche ai demoni. Per ciò accado olio lu
coscienza popolare non distinguo sempre nettamente tra dei e demoni.
Nella Grecia il concetto del demone – cf. Grice e Ackrill --, sotto
l'influenza della poesia e della filosofia, subisce poi un’altra modificazione,
in quanto i demoni vengono considerati come esseri elio stanno tra gli
dei o gli uomini. Si confronti a questo proposito la descrizione
deH'origino dell'Eros nel Convito di Platone (come pure il primo discorso
di Socrate nell’Apologià platonica. Dal punto di vista della psicologia
dei popoli si può diro elio col «aipóviov di Socrate il concetto del
demono torni nell'anima umana, nella quale, per motivi psicologici e per
processi di oggettivazione, è nato, vi ritorna filosoficamente
trasformato ed eticamente purificato. E caratteristico per tutto questo
sviluppo elio Socrate nel Convito di Senofonte chiama l'anima umana un
santuario dell’Eros. Come intende Soci'de il suo 8*i|lòviov ? Prendo le mosse
da un punto ilei primo discorso AoW Apologia di Platone e precisamente
dal punto, ove Socrate invita Meleto a spiegare esattamente, se egli
nella sua accusa intenda di diro clic Socrate non creda negli dei dello stato, o
so egli voglia addirittura accusarlo di ateismo. Quando Meleto annuisco a quest’ultima
interpretazione, l’accusato corea di far vedere l'assurdità
dell'assorziono, dimostrando dapprima che, chi crede in qualche cosa di
demonico, devo necessariamente riconoscere l'esistenza ili demoni. E
quando Meleto devo nuovamente ammettere che i demoni sono figli di doi,
la partila è ila Scorato quasi vinta. Comesi può eredorè all’esistenza di tigli
dogli dei, egli conclude, senza credere con ciò anche a quella degli dei
stessi ? Difatti, i giudici elio lo ritenevano colpevole, erano in
piccola maggioranza. Se prendiamo questo passo insieme con quanto Socrate
dice ancora ilei suo 2xi|ióvtov o del suo concetto della divinità,
abbiamo in mano la chiave per la sua concezione del fenomeno. Faccio qui
ancora notare che intendo il termini vó ìzciivtov nelle opere di Platone,
secondo l'osservaziono di Schlcierinacher, nel senso di un aggettivo.
Dico questo per respingere l'opinione che Sperate abbia creduto in uno
speciale spirito custode. Socrate scoglio il termine iò Saupòviov in
conformità alla fedo popolare. Come i demoni, secondo questa, stanno tra dei o
uomini e vengono detti persino ilei, perchè da dei generati, cosi anche il
demonico in lui è generato dal divino. Per questo lo chiama anche tó
3-iCov, il divino. Il nesso psicologico mi sembra qui evidente. Abbiamo
qualcosa di s'inilo nella designazione del suo metodo, il quale egli
crede puro impostogli dalla divinità (Teeteto). Come a baso di tutte
Clr. W. Wu.ndt, m/terpsi/eholOjfie li,
ni; Clemente der VSt/cerpsi/chol.,(21 Op. cd. Cfr. puro B. E.
Uaonaiihtks, The Ctnssical Retitelo] lo azioni di Socrate sta il bisogno etico
della cortezza(1), cosi egli è assolutamente certo che in casi, in cui la
propria ragione lo lascia in asso, una volontà divina lo trattiene in
ogni circostanza, piccola o grande, dolla vita, quando è in pericolo di
non agire giustamente, cioè di non compiere la sua missione. In questa
cortezza, che forma una parte della sua fedo religiosa, sta la
giustificazione otica dolla ironia, colla quale egli lancia l'accusa
indietro sull’avversario. Ma oltre ad essere qualche cosa di divino, il
demonico in Socrate è poi anche qualche cosa di umano, perché si produce
nell’anima umana o diventa sua proprietà, cioè un oracolo interiore. Per ciò il
demonico stava veramente, come il demone della mitologia, in mezzo tra il
divino e l'umano. Si aggiunga elio Socrate ora in fondo persuaso che
prima di lui questo dono non era stato posseduto da nessun altro mortale.
Ecco ciò che vi ha di nuovo nella concezione socratica della divinazione,
di fronte a quella della fede popolare. Como dalla Repubblica di Piatone,
questo fatto risulta anche dalle superbe parole, colle quali Socrate si
esprime sul suo valore davanti ai suoi giudici (Apoi.). Tali parole
può pronunciare un ammalato di mente, che si deve compatire, ma quando
escono dalla bocca di un Socrate, sono l'espressione di una profonda
convinzione religiosa, che deve scuotere chiunque miri a tini etici.
Importante è per la fede di Socrate che egli non cerca di scolparsi in quanto
al non credere negli dei dello Stato, ma solo in quanto al sospetto di
avere delle convinzioni ateistiche (Apoi.). Por quanto concorno la teologia
socratica, elio al pari della sua etica doveva rimanere ili carattere
pratico, anziché sistematico, è importante ricordare che Socrate trovò
nella sua naz.iono il politeismo ellenico, corno Cristo trovò nella sua il
monoteismo giudaico. Socrate era, come ogni essere umauo, un tiglio del
suo tempo. Educato in (inolia religione ogli si riteneva, come Cristo,
esteriormente legato allo prescrizioni religioso in vigore. Come prendeva
sul serio la massima di Delfo: conosci le stesso, cosi rispettava l'altra di
ubbidire alle leggi. L’ultima parola del filosofo morente era la
raccomandazione di non dimenticare il sacrificio dovuto ad Esculapio
(Fedone), e poco prima aveva domandata all'uomo, elio gli portava il
calice fatale, se ora permesso di farne una libazione. In questo modo
Socrate non raggiunse l'altezza dolla dottrina del Nazareno, ma si avvicina ad
essa, perchè sulla*larga base della religione popolare si eleva, quale
sintesi della sua conoscenza, la fedo in un Dio unico, al quale si deve
ubbidire più che non agli uomini (Apoi.) c di cui egli si credeva un
apostolo (Apoi.). Socrate è tolcrautc verso la fede della moltitudine, ma il
suo Dio è l’intelletto che governa l’universo e per il quale non trova
neppure un nome, un divino onnisciente ed onnipresente, che [LABRIOLA (si
veda) Socrate, cur. CROCE (si veda)] si cura ilei Leno di tutti gli nomini
(Sonof., Meni.). Tutte le sue pratiche religioso sono in fondo rivolto n
quest'unico Dio senza nomo, clic si rivela agli uomini in molti modi. Con
una espressione di ledo in questo Dio onnisciente, si chiudo ì'Apntoi/ia
platonica(l). Tenendosi presente questo concetto della divinità, si
comprendo la sua incrollabile fede nel S»tpóvtov come in una rivelazione della
medesima. Il l'atto che il plurale oi '.Hol si trova in Platono come in
Senofonte accanto al sì neolaro 6 tei? potrebbe destare il sospotto elio
Sorrato accanto all'intelletto universale abbia ammesso ancora dolio
altro forme divino. Ma ciò è escluso. Egli sceglie il plurale in modo simile
come, per es., nella Genesi il plurale Eloliim sta por il singolare del
divino. Non è qui il luogo ili entrare in altri particolari. Ricordo soltanto
elio troviamo precedenti in Senofane e che audio Anassagora aveva già
riconosciuto un unico principio immateriale che tutto ordina secondo lini. Che
Socrate conoscr l'opera di Anassagora, apprendiamo direttamente da Platone
(Fedone). Non ho bisogno di rilevare che, con quanto fu esposto, sono
senz’altro respinte le opinioni di Lèi ut o di altri, cho considerano
Socrate come un ammalato di mente, come pure il parere di Dii l’rel,
che mette il Sxqidvtov di Socrate in relazione collo proprio teorie
mistiche. // 8r.pó/tov di Sacrale dal punto di vista detta psicologia
empirica moderna. So teniamo conto di tutti i fatti che Platone ci
presenta, è evidente che nel «atpivtov di Socrate si tratti ili un
processo che appartiene al campo delle inibizioni psichiche. Naturalmente non
può trattarsi qui di una inibizione nel senso della dottrina
intcllcttuulitstica di Horbart. Ciò che nel nostro caso è inibitorio, non
appartiene all'atto al contenuto oggettivabile della coscienza umana, ma
si trova piuttosto dalla parte puramente soggettiva di essa, cioè da
quella dei sentimenti. Da questo punto di vista dobbiamo cercare di risolvere
il problema. L’inibizione procede da un sentimento totale, che si
forma in base ad un numero più o meno grande di intensivi sentimenti
parziali, legati ad clementi rappresentativi che rimangono al limito
della coscienza e che non giungono all’appercezione. Con questo è
inteso, che non può trattarsi nel caso di Socrate, come è stalo
ripetutamento affermato, di processi allucinatoci. Nel fatto che
l’inibizione parte da un sentimento, al quale non corrisponde un contenuto
oggettivo, sta la ragione, perchè Socrato non può fare alcuna indicazione
precisa [Cfr. pure (I. /Cuccanti) F. I.ÉIX'T, L)it itóiiion de Si,croie
ni. 1 C. Du Prel, Ine Mastiti d. alt. (ìrieclien. E caratteristico che Du Prel
l'accia uso ilei Teapele, benché riconosca che questo non sia un'opera di
Platone. Cile Platone colla frase nel Fedro “ xxt -iva ipiovijv £So;a
xùxcàsv ày.ofkJx: „ non vuol alludere ad una allucinazione, dimostra con
molta chiarezza anche lo Cuccante. Si aggiunga che. se il Szqicvtcv di
Socrate avesse tale origine, questo si rileverebbe in tutti i rispettivi
racconti platonici, ciò che non è assolutamente il caso. ] intorno
al fenomeno, ma (leve in casi, in cui non lo chiama semplice¬ mente il
demonico o il divino, contentarsi di termini metaforici. Parla, ad es.,
di una voce, come oggi si usa il termine voce della coscienza. Questo
sentimento, sorto dapprima per via associativa, viene poi attivamente
appercopito e, riferito alla divinità, acquista il carattere di un motivo
imperativo che, coll'intensità di una forza morale, lo costringe ad abbandonare
un'intenzione presa. Dal fatto cho l’inibizione viene da Socrate creduta
un segno divino, si comprendo elio in lui non possono mai nascere dei
dubbi, come accadrebbe con altro persone. Non vi è mai in un tal caso una
lotta tra motivi in lui, mai alcun conflitto tra doveri. Appena egli
s'accorge dell’inibizione, è assolutamente sicuro di aver avuto trasmesso un
divino No,.. Cosi la riflessione o la fedo nel suo Sztjióv»/diventano i
principi fondamentali, che lo guidano nella sua intera attività
filosòfica ed etica. In ultima analisi si tratta qui di un fatto psichico
clic si verifica in ogni coscienza normale più o meno frequentemente,
benché molte persone non lo osservino o non si lascino da esso frenare. Di Mill
ci viene riferito elio egli osservò il fenomeno in se stesso molto
intensamente. A me molte persone hanno dotto di aver notato in sè tali
inibizioni sentimentali. Siccome Socrate ci informa che egli aveva osservato
il fenomeno spesso in sè dai tempi della sua fanciullezza, non è escluso che vi
sia stata in lui por lo sviluppo di esso una certa disposizione. Ma
d'altra parto si devo ricordare (dio egli per tempo si abituò a fare
molto sul serio l'esame di se stesso o cho il fenomeno era una parte
integrale della sua fede religiosa. Dal momento cho egli era corto cho il
sentimento inibitorio era una rivelazione divina, questa convinzione
doveva dominare tutta l’anima sua. Dato questo continuo autoesame in connessione
collo sviluppo (lolla sua convinzione teologica, si comprendo, come dovesse
entrare in giuoco un principio che governa ogni vita psichica, cioè
quello dell’esercizio. L’ininterrotto esercizio doveva renderlo capaco di
riconoscere l'inibizione di ogni grado appena sorta e di afferrarla
coll'attenzione. Si aggiunga (die la coscienziosità colla quale cercò
continuamente di compiere la sua missione, e colla quale mirava sempre ai
medesimi lini, doveva renderlo straordinariamente sensibile o facilitare
la formazione di tali sentimenti. Cosi si spiega il frequente ripetersi del
fenomeno in tutto lo sue azioni. Io credo clic, con quanto fu esposto,
siano trovati i punti principali «he debbono guidarci nella spiegazione
psicologica del Sacgóviov di Socrate. Tornerò sull’argomento in un lavoro
più esteso, ed in questo sarà tenuto conto delle opinioni di altri autori
più di quanto mi è stato possibile di fare in questa breve
comunicazione. Zuccante, Kiesow. SOCRATE
ET l’Amour Grec. SOCRATE ET l’amour grec (Socrates
sanctus nai Sepaatrjs) D1SSERTATlON. GESNER. BONNEAU, PARIS, LISEUX, Rue
Bonaparte, jegg^arean Gesner, 1’auteurde JgE cette curieuse dissertation,
est I S&fe l un erudit Allemand du xvm e sie- cle, dont les
travaux ne sont pas tres- connus en France. On lui doit d’excel-
lentes etudes sur les Scriptores rei rusticce, une Chrestomathie de CICERONE,
une Chrestomathie Grecque, des Lexiques, une traduction Latine des ceuvres de
Lucien, des editions de PLINIO (si veda), de Claudien, de Quintilien,
de Rutilius Lupus et autres anciens a rheteurs, toutcs enrichies de
notes savantes et de longs prolegomenes; plus, un nombre formidable de
dissertations sur toutes sortes de sujets, Opuscula diversi argumenti
(Breslau), parmi lesquelles son Socrates sanctus pce der asta tire
forcement l’oeil par la bizarrerie de son titre. Cette bizarrerie a
valu au livre sa notoriete, et en meme temps lui a fait grand tort.
Beaucoup de gens, entre autres Voltaire, malheureusement pour
1’erudit Tudesque, n’ont pas ete au dela, et iis ont construit sur
cette minee donnee un ouvrage tout entier de leur fantaisie, a
1’extreme desavantage du pauvre Gesner. D’autres ont cru Voltaire sur
parole et sont arrives au meme resultat. C’est Larcher,
THelleniste, qui le pre- mier chez nous mit en lumiere cet opus-
cule, dans son Supplemenl et THistoire universelle de labbe Bapn,
en le citant parmi les ouvragcs a consulter sur le proces de Socrate ; il
se contenta d’en faire mention, sans meme traduire ni expliquer le
titre, ne s’imaginant pas qu’on put s’y meprendre, et qu’un homme tel que
Gesner fut suppose capable d’une indecente apologie. Voltaire, dont le vif
et alerte esprit se plaisait a effleurer les surfaces, sans presque
jamais approfondir, ne connaissait sans doute pas Gesner et certainement
n’avait pas lu son Socrates. Le Supplement a l’Histoire universelle
n’etait d 7 ailleurs qu une refutation tres-savante, quoique un peu
lourde, de son Introduction a 1'Essai sur les maeurs, publiee d^abord
a part et sous le pseudonyme de 1’abbe Bazin; quelques critiques
justes qu’on y rencontre le mirent de mauvaise humeur, et, battu
sur divers points d’erudition, il chercha une occasion de dauber
Larcher, a cote du sujet, selon son habitude. Il crut la trouver
dans le livre etrange qu’il supposa, d’aprcs le titre cite qu’il
interpretait mal, s’indigna de ce qu’on osait donner comme faisant autorite
de si mons-trueuses elucubrations (le monstrueux n’etait que dans ce
qu’il imaginait), et tantot sous le pseudonyme d’Orbilius, tantot
sous celui de M Ilc Bazin ( Defense de mon oncle, un de ses pamphlets),
il ne cessa de poursuivre la-dessus de ses bro- cards son
inoflensif adversaire. Tres- content d’avoir leve ce lievre, il a meme
reproduit son assertion plus que hasardee dans le plus populaire de ses
ouvrages; on la trouve en note de 1’article Amour socratique, du
Dictionnaire philosophique. Un ecrivain moderne, nomme Larcher,
repetiteur de college, dans un libelle rempli d’erreurs en tout genre et
de la critique la plus grossiere, ose citer je ne sais quel bouquin dans
lequel on appelle Socrate Sanctus pcderastes ; So- crate saint b !
Il n’a pas ete suivi dans ces horrcurs par 1’abbe Foucher. Larcher avait
trop beau jeu pour ne pas repliquer. II le fit dans sa Reponse . la
Defense de mon oncle, opuscule rare, reimprime a la suite du
Supplement a 1’Histoire universelle. Vous m’attribuez, dit-il a Voltaire,
votre infame et infidele traduction du titre d’une dissertation de feu M.
Gesnera Je n’ai point traduit le titre de cette dissertation; il ne
pouvait se prendre que dans un sens tres-honnete, mais il etait
reserve a M lle Bazin et a Orbilius de lui en donner un infame. Cela ne
vous suffisait-il pas? Fallait-il encore me 1’imputer? Pour qui avait suivi
toutes les phases de la discussion, Larcher et Gesner etaient
innocentes; Voltaire restait convaincu d’avoir note dfinfamie un livre
sans le connaitre. Mais ces temps sont loin; personne aujourd’hui ne lit
Larcher pour son plaisir, et le Dictionnaire philoso- phique est
dans toutes les mains. Voila pourquoi on croit generalement que Gesner a
developpe le plus scabreux des paradoxes et fait une apologie en regie
d’un vice honteux. Nous pourrions citer au moins un de ceux qui, se
fiant a Voltaire, ont propage 1’erreur mise par lui en circulation, et
affirme que cette dissertation n’est qu’un tissu d’invectives ; mais
nous ne voulons faire de la peine a personne. Gesner, ecrivain des
plus doctes et plus estime encore pour son caractere que pour son
savoir, professeur de Belles-Lettres a Goettingue, puis bibliothecaire,
ne pouvait ecrire qu’une defense de Socrate, une refutation des calomnies
dont on a obscurci sa memoire, et que la langue a attachees a son
nora d’une maniere en quelque sorte indelebile par les mots de
socratisme et d 'amour socratique. Inquiet et tourmente, comme il
1’assure, de voir peser sur IL PADRE DELLA FILOSOFIA de si indignes
soup9ons, il a voulu remonter aux sources, compulser tout le
dossier et reviser le proces sur les pieces memes. II l'a fait
d’une facon non moins inge- nieuse que savante dans cette dissertation
lue a 1’Academie de Goettingue, recueillie dans les Memoires de cette
academie, dans les Opuscula diversi argumenti de 1’auteur et tiree
a part (Utrecht). C’est cette
derniere edition que nous avons suivie pour la reimprimer et la traduire,
ce qui n’avait jamais ete fait en Francais, ni probablement dans
aucune autre langue. Gesner a-t-il reussi a disculper entierement
Socrate? Nous l’esperons; mais nous etions de son avis avant d 7 avoir lu
son livre, et, ccmme per- sonne ne 1’ignore, c’est surtout chez
ceux qui pensent comme lui qu’un auteur, si bon dialecticien qu’il
soit, porte la conviction. Les esprits mal faits qui incli- nent a
1’opinion contraire, et ceux-la seront toujours difficiles a
persuader, persisteront peut-etre a trouver singulier que Platon,
interprete de Socrate, ait si souvent parle de 1’amour; qu’il ait
consacre trois de ses plus beaux dialogues, le Lysis, le Phedre et le
Banquet, a cette brulante passion; qu’il l’ait tant de fois soumise
aux analyses les plus delicates, expliquee par les conceptions les
plus sublimes, les mythes les plus poetiques, et que jamais, sauf un
moment, dans l’admirable episode de Diotime du Banquet, il ne soit
question de la femme. Alcide Bonneau. UTRECHT es hommes illustres,
ceux qui sont regardes comme tels non-seulement par la posterite,
mais par leurs contemporains, ceux surtout dont le plus grand eclat
consiste precisement dans leur vertu, sont souvent accuses, sur les
plus legers indices, de quelques travers, sinon de defauts plus
graves; et c’est la un travers iros illustres, et non a posteris solis
sed coaevis tales habitos, eos maxime quorum praecipua laus
virtutis est, vitii alicujus nedum criminis gravioris suspicari levibus
argumentis, vitium id quidem non leve : reos agere et condemnare crimen
et piaculum; in Christiano homine, in homine, in barbaro. Quanta
istorum ignominia, tanta est gloria piorum virornm qui versantur in
probrosis his l’editeur qui Iui-meme ne manque pas de
gravite. Se faire a la fois 1’accusateur et le juge, c’est une
chose criminelle, un sacrilege, qu’il s’agisse d’un Chretien, ou
seulement d’un homme, meme d’un paien. L’ignominie de ceux-la
rehausse d’autant la gloire des hommes pieux qui s’appli- quent a
repousser ces odieuses attaques. On peut le dire de Gesner, ce savant
illustre, du petit nombre de ceux qui depas- sant par la science tous
leurs contemporains, font encore plus estimer en eux les qualites du
coeur que celles de 1’esprit; c’est un honneur pour lui d’avoir pris
en main la cause de Socrate, et un plus grand peut-etre pour
Socrate d’avoir dte le Client de Gesner. II nous a paru bon de
recueillir dans une edition nouvelle cet ouvrage de faible conatibus
coercendis. Gesnero, illustri nomini, e numero paucorum illorum qui cum
eruditione coaevos possint excellere, animi dotibus quam ingenii
celebrari malunt, incertum an honori sit caussam Socratis egisse, magis
quam Socrati Gesnerum habuisse patronum. Visum fuit, memoriam brevis operae sed auro
contra noti carae nova editione colere. Docuit vir præclarus, scripto quidem, quam inani
co- natu virtus summi hominis sollicitata fuerit ab obscuris
obtrectatoribus, qui non solent deesse virtuti. Docuit autem exemplo,
pertinere ad dimension, mais qui ne serait pas trop cher paye au
poids de For. Son excellent auteur nous y montre, la plume a la
main, 1’inanite des efforts diriges contre un sage par ces obscurs
detracteurs qui ne man- quent jamais a lavertu; il nous fait voir
aussi, par son exemple, qu’il appartient a tout honnete homme de defendre
la cause des gens de bien. II nous enseigne surtout avec quel soin
et avec quelle erudition il est besoin d’ecrire dans de telles
matieres, ou l’on ne doit rien avancer qu’apres un examen
scrupuleux. Profite donc, lecteur, de ce travail, plus utile qu’il
ne le semblerait au premier abord; et si, par ignorance ou par trop
forte credulite, tu as rejetd loin de toi les ecrits Socratiques,
reprends-les maintenant et garde-les avec amour. Il nous sera per-bonos
omnes bonorum virorum caussam: tum et illud, in primis, ubi ejus modi res
agitur, accu- rate et docte scribendum esse, nec arripi quid piam absque
subtili examine, et benevolo illo, debere. Fruere, Lector, labore
utiliori quam decet: et si imprudentius forte abjeceris Socraticas
chartas nimium credulus, abi continuo et in sinu eas reconde. Integrum
erit culpare qui Socratem citant, tibi convenisset laudari Davidem et
Salomonem: sed patiamur, bonum et pauperem Socratem, placide subridentem,
sereno vultu, xvi l’editeur au lecteur mis a notre tour de
mettre en accusation ceux qui font un crime a Socrate de ce qu'ils
trouveraient admirable s’il s’agissait de David et de Salomon; mais
laissons le bon et pauvre Philosophe s’interposer doucement avec son
placide sourire, son tranquille visage, et s’ecrier: Moi aussi, Vertu, je
t’ai honoree, Deesse! Quant a ceux qui blameront cette apologie, non
comme excessive, grands dieux, car que pourrait-on dire de trop sur
Socrate? mais comme inconvenante et deplacee, qirils prennent garde de tomber
dans Todieux de cette populace Portugaise tou- jours prete, sinon a
lapider ou a bruler, du moins a exorciser a force de signes de
croix traces d’un doigt tremblant, le teme- raire qui oserait croire que
la Bienheu- reuse Vierge Marie etait une Juive. leniter interponere,
Et ego te, Virtus! colui Deam, Quibus fastidium movent
elogia, justa Di boni! quid enim de Socrate dici nimium potest? sed
quce magis opportune forsatn collocari potuis- sent, videant ne in odium
id evadat, quale est plebis Lusitanae, si non rogum parantis aut
la- pides, saltim tremente digito averruncas cruces describentis,
si quis auserit credere, B. Virginem Judaeam fuisse. SOCRATE ET L’Amour
Grec MATTHI. GESNERI V. C. Socrates SANCTUS T/E D
E T{A STA t nihil tam alte vel natura, vel virtus, vel fortuna
constituit, in quo non vel deprehendatur aliquid labis et vitii, vel
vires suas experiatur maledica invidia, cujus vocibus boni etiam viri
abripi se ad suspicandum certe non nunquam patiuntur: ita mirum non
est, neque excelsam Socratis gloriam 1 n’est rien de place si haut par
la nature, la vertu ou la fortune, qui n’ait ses taches ou ses
inv perfections, ou que 1’envie ne s’efforce d’atteindre, cette
medisante envie dont les clameurs poussent 1’homme de bien lui-meme
a soupconner le mal: c’est pourquoi nous nc devons point
nous obtrectatoribus suis carnis se. Ac de Anyti Melitique
criminibus, quibus oppressus est vir innocens, et, si forte vani- tatis
aut nugarum et cavillationum postulatus, et Scurrae nomine traductus est,
in prcesenti non erimus soliciti. Unum crimen est, quod, varie jactatum,
et plus semel non sine specie in scenam reductum scepe me solicitum
habuit, Fuerit ne impuro ac detestabili puerorum amori deditus? Hoc
enim si verum sit, actum est profecto de virtute viri, indignus est
cujus cum honore nomen usurpetur. Postulatum
esse hujus turpitudinis, negari non potest. Mittimus, quæ de
adolescentia viri ad libidinem proclivi Factum id esse a Zenone Epicureo,
prodidit CICERONE de Nat. Deor., ubi vid. Davis. etonner que lagloire
si haute de Socrate ait eu, elle aussi, ses detracteurs. Tou-
tefois nous ne voulons ni parier ici des accusations d’Anytus et de
Melitus sous lesquelles succomba son innocence, ni nous inquieter
de savoir si ce grand homine a ete incrimine de vanite, de mensonge
et de sophisme, affuble du surnom de Bouffon[i). Une seule accusation m’a
souvent tourmente; c’est celle qui, sans cesse discutee, a toujours
ete remise en avant, non sans apparence de justesse: Socrate etait-il
adonne d l’impur et detestable amour des jeanes gargons? Si cela
est vrai, c’en est fait desormais de la vertu de cet homme ; c’est un
indigne, lui dont on ne prononce le nom qu’avec respect. Qu’il ait
ete accuse de cette turpitude, le fait est certain. Negligeons ce que
Porphyre, d’apres Theodoret [De la Comme le fait PEpicurien Zenon, au dire
de CICERONE {De Natura Deorum; consuit, la-dessus Davies. Porphyrius
apud Theodoretum [Græcar, affect. cur. ser. 4 pr.) memorat: nam
ibidem additur, illum c-ojo^ xat oioayrj xouxou? a^aviaat xou; xurcous,
impressas veluti notas libidinum studio ac doctrina abolevisse. Neque
valde huc faciunt, quce ex eodem Porphyrio, qui Aristoxeno auctore usus
sit, idem Theodoretus (Serm.) memorat, par- tim quod ad adolescendam
primam viri, de qua nobis sermo non est, pertinent, partim quod Archelaus
Anaxagorae discipulus, honestus amator (spaax 7 ]$) ipsius fuit. Ejusdem
generis est, quod Cyrillus (contra Julia.) ex eodem Porphyrio (in
Historia Philosopha, libro olim deperdito) refert, Socratem -po; xr (
v twv aopootatwv yp7jatv acpo Spdxspov p.sv sivac, aoizov os p.rj
-poasTvat. t\ yap xaT;Ya[j.sxaT;, vj xat? •/.oivat; y prjaQat fj-ovat?.
Fuisse ad res venereas aliquantum vehementem, sed injuriam abfuisse,
qui vel uxoribus solis, vel (1) Conf. quae in fra de mali equi
Socratici notis dicentur. § 18. et l’amour grec 7
cure des prejuges des Grecs, Disc. iv), raconte de sa jeunesse,
laquelle aurait ete encline au libertinage ; 1’auteur ajoute, en
effet, au meme endroit qu’il parvint a effacer en lui, par Venergie
de sa volonte \ jusqu’aux traces meme des passions (i). Ne nous
occupons pas non plus de ce que le meme Theodoret (Discours xn)
emprunte encore a Por- phyre, qui lui-meme suivait Aristoxene,
c’est-a-dire de ce qui se rapporte a la premiere jeunesse de Socrate
(elle n’est pas en cause), et a ce disciple d’Anaxa- goras,
Archelaus, qui aurait ete, en tout bien tout honneur, un ami
fervent (!pa<j-r]s) du philosophe. A la meme cate- gorie
appartient ce que S. Cyrille (Contre Jidien) a extrait de YHistoire
philosophi que de Porphyre, livre aujour- d’hui perdu : a savoir que
Socrate et ait violemment pousse aux choscs de iamour, mais qiiil
s’abstint de faire tort a Voyez ce que l’on dit plus bas des marques
du mauvais cheval Socratique. quam diu caelebs esset communibus uteretur.
Nondum quidquam ex Porphyrio vel Aristoxeno, quem ille auctorem sequitur,
allatum est de horribili scelere, Pcederastia : quod praetermissu-
rus non erat, qui satis hic in Philosophice parentem iniquus est, Cyrillus.
Decla- mat igitur praeter rem Socrates alter (Hist. Eccles.), cum
ita de Porphyrio narrat, IIopcpupio; xou xopu^aio- xaxoa xoiv
<piXoao<ptov, Scoxpaxous, xov [3''ov oietu- psv £v ifi
YsypaixpiEvr] auxai <piA oaoow toxopta, xai xoiauxa Tuept auxou
ypa^a;xaxdXi7TEv, oia av p.7]xs MeTaxo;, p.r[x£ v Avuxo; oi jpa^aixsvoi
Swxpaxrjv ItTictv e-zyjiprjGxv, ita traductum, ait, a Porphyrio
Socratem, talia de viro scripta, quae neque accusatores ipsius Anytus
et Melitus dicere in ipsum ausi sint. Accipimus, quod negat objectam in
judicio turpitudinem talem Socrati, quo nempe argumento constet,
famam viri hac tum macula caruisse. Sed nec a Porphyrio plura aut
turpiora his memorata, quae jam vidimus, satis illud argumento est,
quod iniqui Socratis glorice homines, personne, en riusant jamais que de
ses propres femmes ou, durant son celibat, des femmes qui
apparticnnent a tout le monde. Nulle part, soit chez Porphyre, soit
chez Aristoxene que Porphyre co-piait, il n'est rien allegue de cet
horrible crime : Pederastie ! II ne Paurait point passe sous
silence, ce Cyrille si injuste envers lepore de la Philosophie.
IPautre Socrate ( Histoire ecclesiastique, m, avance donc une insigne
faussete lors-qu’il dit : « Porphyre a compose la vie de Socrate, le
coryphee des philosophes, d’apres les histoires ecrites sur lui; et
il nous a transmis, d Vaide de ces documents, des choses si monstrueuses
que les accusateurs de Socrate, Anytus et Melitus, n’ont pas meme ose'
les lui reprocher. Retenons seulement de ceci Taveu qu’on n’en fit pas un
grief a Socrate, lors du jugement public, ce qui ressort de la
phrase elle-meme, et que cette tache fut alors epargneeT a sa renommee.
Mais Porphyre n’a pas rapporte autre chose ou des choses plus
monstrueuses que ce Cyrillus ac Theodoretus, non plura protulere, quibus
fuerant haud dubie causam suam, si res facultatem
dedisset, ornaturi. Nempe nec Aristophanes, qui corruptce ad
impietatem et calumniandi artem juventutis accusat in Nubibus Socratem. hujus
criminis ullam mentionem facit, non omissurus profecto, si illud
adhaerescere posse putasset. Nec forte quisquam est ex omni antiquitate
remotiore illa, et temporibus Philosophi propinqua, serius et severus accusator
hujus criminis. Lusit inter posteriores, pro petulanti illo ingenio
suo, Lucianus (de CEco, ita enim potius dicendus erat ille libellus
quam de Domo) cum accusat Socratem, qui non erubuerit advocare Musas,
virgines, cuvsaojjiva; ia -aiBepaama, ut audirent illos de puerorum
amore sermones. Atqui illi sermones, uti mox videbimus. que nous
venons de dire ; nous en trou- vons la preuve en ce que S. Cyrille
et Theodoret, deux detracteurs de Socrate, n’en ont souffle mot, et
qu’ils n’auraient pas manque d’en orner leurs diatribes si la chose
eut ete possible. En second lieu, Aristophane qui, dans ses Nuees,
represente Socrate comme un corrupteur de la jeunesse, comme
faisant de 1’imposture un enseignement, n’a pas davantage mentionne cette
accusation; l’aurait-il omise, si elle eut pu s’appliquer a Thomme qu’il
bafouait? II n’y a enfin personne, si l’on prend des temoins dans
cette antiquite reculee ou dans les temps voisins du Philosophe,
qui se presente comme un accusateur serieux et digne de foi. Plus tard
seulement Lucien, entraine par sa verve moqueuse (dans 1’opuscule que
l’on traduit ordinairement De Domo et qu’il vaudrait mieux traduire De
CEco.), reprocha a Socrate de n’avoir pas rougi d ; invoquer les Muses,
des reprehendant vehementer amorem: respicit enim ad Phædrum Platonis de
quo dedita opera dicendum erit. Qua ? in Amoribus in Socraticum amorem
Platonicum- que vel a Luciano, vel quicunque auctor est, jocose et
per calumniam dicuntur, ea ad ipsum illum locum diluisse me
arbitror. Sed veterum criminationes Maximus Tyrius (Dissertat.) refutavit,
ut non videatur opus esse aliquid addi : cum praesertim tanto magis
et agnoscant innocentiam Socratis, et illud crimen ab illo depel-
lant ut hujus, ita paullo superioris aitatis homines, quo magis virum ex
aequalium ac paullo juniorum de illo scriptis ut cognoscere
possent, cuique contigit. Quin ne consultum quidem judicarem
veterem litem resuscitare, nisi viderem, nuper vierges, pour leur
faire dcouter ces fa- mcnx discours sur Vamour des jeunes gargons.
Mais ces discours, comme nous allons le voir, blament fortement
cette sorte d’amour; Lucien fait, en effet, allusion au Phedre de
Platon dont nous aurons a nous occuper. Ce que Fon dit
debamourSocratiqueet Platonique dans les Amonrs, que ces dialogues soient
de Lucien ou de tout autre, n’est qu’une plaisanterie ou une
mechancete, comme je\ l’ai demontre en temps et lieu. Maxime de Tyr (
Dissertations) a d’ailleurs refute toutes les ac- cusations portees a ce
sujet par les an- ciens, etilserait inutile d’y rien ajouter. Le meilleur
argument, c’est que ceux qui ont le mieux reconnu Tinnocence de
Socrate et repousse loin de lui avec le plus de force 1’accusation
infame, sont les hommes de la generation qui a imme- [Dans ses notes
sur Lucien, dont il a fait une edition et une traduction Latine
tres-estimees. fuisse, et esse hodie
homines eruditos, et bonos viros, qui pravam de patre illo
Philosophia? opinionem conceperint, quorum non pono nomina, quia mihi non
cum ullo homine certamen esse volo, sed cum opinione ea, quam
praeterquam quod falsam puto, etiam virtuti noxiam, præter
consilium quidem bonorum virorum, humanitati certe adversam esse,
arbitror. Qui autem fieri potuit, ut homines neque indocti neque
maligni in sinistram falsamque de Socrate opinionem inciderint? ut
apologia vir sanctus opus habeat? Praeter naturalem illam -/.axor{0£tav
nos- tram, quae imis velut medullis fixa, et superbiæ illius
nostrae nixa radicibus. diatement suivi la sienne. Or, ce sont les
contemporains et leurs successeurs immediats qui peuvent le mieux juger
un homme, en pleine connaissance de tout ce qu’on aecrit sur lui.
Je n’aurais donc pas songe a ressusciter cette vieille querelle si je
n’avais vu naguere, et tout recemment encore, des hommes instruits,
vertueux, concevoir la plus mauvaise opinion de ce pere de la
Philosophie; je ne dirai pas leurs noms, ne voulant me prendre
corps a corps avec personne, mais seulement avec une opinion que je
considere comme sans fondement, nuisible a la vertu, et, contrairemcnt
a 1’avis de ces gens de bien, defavorable a 1’humanite tout
entiere. Comment donc a-t-il pu se faire que des personnages qui ne
p£chent ni par ignorance ni par mechancete, aient concu de Socrate
une opinion si facheuse et si fausse? Pourquoi cet homme veritablement
saint a-t-il besoin d’etre defendu? En dehors de cette maligni te inter
ultima vitia eradicatur, ceterasque ex genere morum rationes,
conveniunt hic alia qucedam, quce facilem errandi occasionem
praebent. Magna pars doctorum etiam hominum legendi laborem fugit,
legendi uno tenore, continuata attentione, totos veterum scriptorum
libros; sed satis habet decerpere qucedam, in quce primum incurrere
oculi, aut, quod deterius frequentius que idem, repetere ab aliis
excerpta, et e media nonnunquam sermonum velut compage evulsa, de
quorum sic sententia non facile sit judicare. Platonis libri, unde
pleraque Socratica peti hodie necesse est, multos arcent ob Atticum
illud sermonis genus, breve et acutum, floridum praeterea,
ac semipoeticum, ipsamque disserendi ratio- nem subtiliorem scepe,
quam ut mediocri attentione, non acutissimi homines illam statim
adsequantur. Nec licet, ut adhuc res est, ad interpretes confugere ;
qui quoties vel nihil dicant, vel alia omnia dicant, vix sine
invidia licet commemo- rare. Et tamen nisi attente legas, et
to- naturelle qui reste fixee jusqu’au fond de nos moelles, qui se
fortifie de notre orgueil et qui ne s’arrache qidavec les derniers defauts,
outre encore diverses raisons tirees de nos mceurs, il a fallu pour cela
un concours de circonstances propres a faciliter 1’erreur. La plupart des
gens instruits eux-memes evitent la fa- tigue de lire dans leur entier,
avec une attention soutenue, tous les livres ecrits par les Anciens
; on a plus tot fait de choisir quelques passages, les premiers qui
tombent sous les yeux, ou, ce qui est bien pire, de s'en tenir aux
passages choisis par d’autres, a des fragments detaches de 1’ensemble et
dont il est par consequent difficile d’apprecier le sens veritable.
C’est ce qui arrive des livres de Platon, d’ou il nous faut
aujourd’hui tirer toutc la doctrine Socratique; iis embarrassent bon
nornbre de lecteurs par leur style trop Attique, raffine et
aiguise, fleuri pourtant et semi-poetique, par ces controverses si
subtiles souvent que, si 1’attention se relache, 1’esprit le tos
legas dialogos, et qua scripti sunt lingua legas, non est ut de
sententia illorum, h. e. quam tribuat Plato sen- tentiam Socrati,
recte judices. Quare mirum non est, si multi refugiant lectionem ita
laboriosam; et illis veluti spinis a familiari tractatione eorum
librorum deterreantur. Denique si quid etiam tribuatur a
Platone Socrati, tamen, si illud Xenophontis narrationi repugnet, non
dubitaverim equidem, fidem potius adhibere Grylli filio, memor illius,
quod narrat Laertius, Socratem, cum Lysin Platonis legisset,
dixisse, to; tzoXKx uoj plus eclaire n’cn suit pas aisemcnt le fil.
Et il serait inutile, dans le cas present, de recourir aux annotateurs ;
ou iis ne disent rien, ou iis disent tout autre chose que ce qu’il
faudrait ; on ne peut s’empecher de leur en faire un re- proche.
Cependant, amoins de lire avec un soin scrupuleux tous les dialogues
de Platon et de les iire dans la langue meme ou iis ont ete ecrits,
il n’est pas possible de juger saineinent de leur doctrine,
c’est-a-dire de la doctrine que Platon attribue a Socrate. Il n’est donc
pas sur- prenant que nombre de gens reculent devant une si
laborieuse lecture et soient rebutes, comme par des epines, du
commerce familier de ces livres. Enfin il faut dire que si Platon
at- tribue a Socrate une maniere de voir contredite par la
narration de Xenophon, il n’y a pas a hesiter: c’est a Xenophon
qu’il faut se fier, si l’on se souvient du mot rapporte par Diogene de
Laerte. Socrate, apres avoir lu le Lysis xaxe^uBeO’ 6 veavfoxo; Quam multa
de me mentitur adolescens! Tanto magis hoc memorabile est, quod
ille Dialogus ita scriptus est, ut non modo tanquam persona colloquens
inducatur Socrates, sed tanquam, qui ipsum illum dialogum
scripserit. Ceterum quia hic sumus, hoc breviter indicamus, amatorium
quidem esse hunc libellum, sed nihil habere pudendum ne Platoni quidem.
Argumen- tum hoc est : Queritur Lysidis amator Hippothales, ab illo
se non amari ; Socrates ostendit, si velit amari, non adu- landum esse
puero, sic enim futurum superbiorem; sed illi potius ostendendum, quibus
rebus indigeat, et quam parum in ipso sit boni. Deinde dela- bitur
in disputationem, Quis proprie amicus sit vocandus? et, In quo
insit natura amicitia’ ? plenam illam quidem cavillationum, sed
praeclararum etiam de amicitia sententiarum. Ceterum tri- Sic nempe
ipse solebat Socrates in potestatem quasi suam redigere adolescentulos,
de quo que- rentem audiemus Alcibiadem. de Platon, se serait ecrie: Comme
ce jenne homme invente souvent ce qu’il me fait dire! » Le mot est
d’autant plus remarquable que, dans ce dialogue, So- crate
estpresente non comme un simple interlocuteur, mais comme s’il
avait ecrit lui-meme tout le morceau. Pendant quenous y sommes, disons
brievement que cetouvrage roule sur 1’amour, mais qu’il n’y a rien dont
put rougir Platon lui-meme. Voici le sujet: Hip- pothales, qui aime
Lysis, se plaint de ne pas en etre aime; Socrate lui demontre que
s’il veut 1’etre, il ne faut pas qu’il fiatte ce jeune homme, ce qui le
rendrait plus orgueilleux encore; il vaut mieux qu’il lui
represente tout ce qui lui manque et le peu de bonnes qualites quhl
possede. On discute ensuite ces questions: Qui est digne d’etre appele un
veritable ami? et, Quelle est la nature de Tamitie? Controverse pleine, il
est vrai, C’est ainsi que Socrate avait en effet coutumc
d’assujettir les jeunes gens et son autorite, et nous voyons Alcibiade
s’en plaindre. bui a Platone
colloquentibus, de quibus ipsi non cogitarint, vetus observatio
est, de qua vid. Athenaeus
Deipnos.. Qiio dialogorum more se excusat, etiam VARRONE in ACCADEMI
dedicatione Tullius CICERONE. Neque ausim Platonis ipsius, junioris
praesertim, patrocinium suscipere de mollioribus versiculis, quos Apulejus
servavit (Apol.) et Laertius Diogenes: de quibus modo in neutram partem
disputo, causamque Platonis a Socratis causa hac in re sejungo. Quæcunque
vero cum aliqua specie testimonia Platonis contra Socratem proferuntur,
ea cum ex Phædro, nescio quam bona semper fide, corrupte quidem et
perverse non nunquam, depromi videam, propter ea pretium opera putavi, de
futilites, mais aussi de remarquables definitions dekamitie. C ; est uneobservation qui a ete
faite depuis longtemps, que Platon attribue a ses interlocuteurs
des idees qu’ils n’ont jamais eues: on peut consulter la-dessus Athenee
(Deipnosophistes). CICERONE, qui avait le meme defaut, s’en excuse sur le
genre meme du dialogue, dans son envoi des ACCADEMIA a VARRONE. Je
n’ose pas non plus defendre Platon du reproche d’avoir commis,
surtout dans sa jeunesse, des vers badins tels que ceux que nous
ont conserves Apulee (dans son Apologie) et Diogene de Laerte;
vieux ou jeune, jen’ai pas affaire a lui et je separe completement
sa cause de celle de Socrate. Entre les divers temoignages fournis
par lui, ceux que Ton peut alleguer contre Socrate avec quelque apparence
de justesse sont tires du Phedre; pas toujours bien scrupuleusement et
quelque-fois a 1’aide d’alterations ou de contre-] non semel totum illum
dialogum attento animo perlegere, et uno quidem tenore, et lingua
sua, ne quid eorum me falleret, qua saepe fraudi esse viris doctis,
modo dicebam. Ac spero non ingratum fore aliis, quorum rationes non
ferunt tam longam solicitamque operam, si hic possint brevi studio
cognoscere velut œconomiam illius libri et argumentum, inde- que de toto
consilio vel Platonis vel Socratis arbitrari. Concedamus enim, ne abuti videamur illa, quam
modo propo- suimus observatione, Socratis hic veram sententiam bona
fide a Platone proponi. Ac primo illud meminerimus, Socratem hic
introduci senem, tantum non decrepitum, quem facile juvenis Phædrus
viribus superet. Jam fingitur Phædrus audisse Lysiam disputantem, magis
obsequendum gratifican- dumque esse non amanti, quam amanti: camque
orationem Socrati prcelegere sens. Cest ce qui m’a engage a lire attentivement ce
dialogue, et plutot deux fois qu’une, dans son entier, et dans le
Grec, afin d’echapper a ces chances d’erreur dont j’ai parle plus haut et qui
font trebucher les plus doctes. II sera peut-etre interessant, je
1’espere, pour ceux dont 1’esprit repugnerai-t a une besogne si
longue et si difficile, de connaitre sans grande etude le sujet et pour
ainsi dire 1’economie de ce livre, et de pouvoir apprecier toute la
theorie de Platon ou de Socrate. Nous admettrons, pour ne pas
abuser de la reserve faite par nous plus haut, que la doctrine de Socrate
a ete ici exposee de bonne foi par Platon. Rappelons d’abord que
Socrate y est presente comme un vieillard, non pas tout a fait
tombe en decrepitude, mais qu’un jeune homme, comme Phe- dre, peut
maitriser aisement. Phedre raconte qu’il a entendu Lysias discourir sur
cette question : Un jeune homme doit-il avoir plus de facilite et de com-[Reprehendit
hanc Lysiae orationem, cante quidem et multa cum ironia Socrates, et
meliora se audisse ait, quae dicere illum amabilis- sime cogit
Phcedrus. Incipit hic a Musa- rum invocatione quam calumniatur, ut modo
dicebamus, Lucianus : cum sit nihil in ea oratione non virginum auribus
dignissimum. Orditur a definitione Amoris quem vocat cupiditatem,
quae incitate feratur ad voluptatem
pulchritudinis, et inde, quam mala res, quam noxia sit, ostendit et
claudit hexametro: A'j-/.ol aova oi^ouV, ojq ~aToa epAouVjtv
1 r’ 1 ! |Sf/aTra’.
Ut cordi agna lupo est, puerum sic ardet amator. Bene ista, et Musis faventibus.
Sed subito, At Amor tamen Deus est, inquit, et palinodiam parat,
quae incipit (p. 3 43 . plaisance pour celui qui ne 1’aime
pasque pour celui qui Faime ardemment ? II lit ensuite ce discours
a Socrate. Celui-ci, avec beaucoup de finesse et ddronie,
trouve a blamer dans la composition oratoire de Lysias et pretend qu'il a
entendu dire la-dessus autrefois de bien plus belles choses; Phedre le
conjure de les lui rapporter. Socrate debute alors par cette
invocation aux Muses que Lucien a calomniee, comme nous le disions plus
haut, car il n’y a rien dans tout le discours qui ne soit parfaitement
digne des oreilles chastes. II commence par la definition de
1’amour, qu’il appelle un desir violemment entraine vers le plaisir
que promet la beaute; il enumere en- suite les ecarts auxquels il peut
pousser et conclut parcet hexametre: Comme le loup aivic Vagneau,
ainsi Vamoureux [cherit le jeune garcon. Voila qui est bien,
grace aux Muses. Mais aussitot : L’ Amonr est cependant un Dieu,
s’ecrie-t-il ; et il entrcprend une ab eo, uti dicat, non ideo
amorem damnandum fuisse, quod sit furor ; esse enim furorem etiam
bonum aliquem: ipsam [jLavTixrjv 5. divinatoriam facultatem esse a
verbo [i-aiveaOai dictam, velut quan- dam [j.avi/7]v s. furiosam. Talis
furoris plura genera enarrat, in his etiam ponit amorem, cumque magnæ felicitatis
causa tum amantis cum amati datum his esse divinitus, conatur ostendere. Ad
eam demonstrationem sumit primo hanc propositionem. Omnem animam esse
immortalem, quam inde probat (quam bene vel male, nunc non dis- putamus)
quod principium motus sui in se habeat. Deinde similem ait animam
nostram, etiam antequam ea in corpus ve- niat, bigae alatae cum suo
auriga. Alterum hujus
biga 3 equum bonum ponit et tractabilem, malum alterum ac
refractarium. Sic coelestia spatia
ingrediuntur ista cum suo auriga bigce, et palinodic en declarant tout
d’abord que 1’amour n'est pas condamnable en soi, qu’il estun
delire, et que dans tout delire il y a quelque chose de bon; que
fxavnxr], la divination, derive du mot (jiodveaGai, comme qui
dirait [xavtxr), c’est-a-dire folle. II compte diverses especes de
delires parmi lesquelles il place 1’amour, et il s’efforce de montrer que
c’est un present divin fait a bhomme pour le plus grand bonheur de
celu*i qui aime et de celui qui est aime. Sa demonstration s’appuie
sur cette proposition premiere: Tonte dme est immortelle, dont il tire
la preuve (bien ou mal, ce n’est pas notre affaire) de ce qu’elle a
en soi le principe de son mouvement. Il compare ensuite notre
ame, avant qu’elle ne vienne habiter un corps, a un attelage aile,
compose de deux chevaux et d’un cocher. L’un des chevaux est
excellent et docile ; 1’autre, d’un mauvais naturel et retif.
L’attelage parcourt ainsi les espaces celestes, avec Deorum aliquem
secutce (Socratis anima Jovem) ea spatia permeant. In hoc volatu et
illa equorum dissimilium dissensione, alia; quidem anima; retinent
alas, et ad sublimia feruntur, contemplantur que ea etiam, qua; extra supremum
coeli orbem sunt. Alia;, qua; partim in altum elata; viderunt plura,
partim ab equo illo refractario impe- dita; ac retractae, pauciora;
ruptisque per illam equorum in diversa tendentium luctam pennis
atque amissis, cadunt, et in corpora humana veniunt. Harum, pro
gradu cognitionis illius et inspectionis rerum coelestium diverso,
novem classes constituit. Qua plurimum veritatis et rerum cœlestium vidit
anima, ea inseritur semini, e quo nascatur aliquis sapientias,
pulchri, doctrinas, et amoris studiosus, st? yovfjV] son cochcr, et
s’elance a la suite de l’un des douze dieux (1 ’ame de Socrate suivait
Jupiter). Dans cette course a travers les espaces et malgre la lutte des
deux chevaux, si dissemblables, quelques ames parviennent a garder
leurs ailes, voya- gent dans les regions etherees et contemplent meme ce
qui est au dela de la voute du ciel. Les autres, parfois emportees
jusqu'aux plus hautes regions, parfois retenues et embarrassees par
le cheval retif, n’arrivent qu’a connaitre une partie des mysteres
; dans cette lutte des chevaux qui tirent en sens inverse, elles
brisent et perdent leurs ailes; ces ames tombent alors sur terre et
sont emprisonneesdans les corps des hommes. Suivant le degre de
connaissance qu'elles ont atteint dans la contempla- tion des essences,
Socrate divise en neuf classes ces ames dechues. Celle qui a per9u
le plus de verite et de choses sublimes, vient animer le germe d’ou
naitra un homme tont entier consacre au avopo? ycV7]ao[j.c'vO’j ?
oiXoao^ou, 7) <pt\oxaXou, tj fi.ouaixou Ttvos, x at spamxoy. Secundi
fastigii anima animabit regem, legibus, bello, imperio, potentem :
tertiae classis anima civitatis familiaeque regendae et rei fa-
ciendae peritum : quartae, laboris amantem eundemque in exercendis sanan-
disve versantem corporibus : quinti ordinis animae vitam habebunt in
vaticinando, aut in castimoniis initiisque mysteriorum occupatam : sexti,
poetas : septimi, geometras aut fabros: octavi sophistas aut cum
factione populares: noni denique animabunt tyrannidis cu- pidos.
Multa hic nec injucunda de hoc ordine, de his vitee generibus,
disputandi occasio: sed maneamus in argumento nostro. Ha’
omnes anima?, cum morte discesserunt a corporibus, in locum vel pce- [culte
de la sagesse, de la beaute, de la Science et de Vamour ; Vdme du
second degre vivra dans le corps d’un roi juste, belliqueux et
capable de commandere celle du troisieme fonnera un homme habile a
administrer sa famille, sa cite ou la chose publique; celle du
quatrieme un athldte laborieux ou un medecin, tous deux occupes
soit d exercer le corps humain, soit d le guerir; les ames de la
cinquibme classe passeront leur vie, soit d predire 1’avenir, soit d
initier aux abstinences et aux mysteres ; celles de la sixieme
former ont des poetes ; celles de la septieme, des laboureurs ou des
ouvriers,- celles de la huitieme, des sophistes ou des chefs de factions
populaires ; celles de la neuvidme, enfin, des tyrans. Ce serait
peut-etre 1 ’occasion de dispu- ter, et non sans agrement, des rangs
assignes a ces ames et de leur genre de vie: mais restons dans notre
sujet. Toutes ces ames,quandle trepas les a separees du corps,
parviennent au sejour narum vel pr cerni orum perveniunt, et mille
exactis annis, accipiunt potestatem eligendi sibi nova corpora, vitas
novas, sive hominum sive bestiarum. Quce anima ter sibi, exactis millenis
illis annis, primam istam sedulo philosophantis, sive pueros cum
philosophia amantis, vitam delegerit tou <ptXocrocprjaavto;
aooXc. 05, r] "atospaaxrJcjavTO; [j.£xa <ptXoao<p''a;, ea,
absoluta ista ter mille annorum periodo, pennas denuo accipit,
quibus ut ante tolli, deum aliquem sequi, contemplari cœlestia, queat:
cum reliquarum octo classium animae, non nisi decies mille annorum
periodo absoluta, in primam illam conditionem restituantur. Hoc ipsum quod
primam et felicissimam classem Pæderastarum philosophantium constituit, quod
tantum prae- mium illis, compendium septies mille annorum, tribuit
Mythi hujus s. Allegoria ? auctor, sive Socrates fuit, sive Plato ; hoc ipsum
igitur jam satis monere nos poterat, non posse hic sermonem esse de
re ita turpi, quam fuisse illud, cujus des peines et des recompenses, et
au bout de mille annees, recoivent la permission de choisir de
nouveaux corps, soitd’hom- mes soit de betes, et de vivre de nou-
velles vies. L’ame qui, durant trois revo- lutions de mille annees, trois
fois de suite a choisi Texistence d’un homme quicultive sincerement
la philosophie, ou qui aime les jeunes gens d'un amour
philosophique, a 1’expiration de cette triple periode, recouvre les ailes
qidelle possedait autrefois et peut, comme au-paravant, suivre l’un des
dieux et contempler les essences celestes. Les huit autres classes ne
retournent a cette condition premiere qu’apres une revolution de dix
mille annees. Ainsi la premiere classe et la plus heureuse est celle
des philosophes amis des jeunes gens, et l’inventeur de ce mythe ou
allegorie, que ce soit Socrate ou Platon, la favorise d’une
exemption de sept mille annees: cela seul nous avertit assez qu’il ne
peut etre question ici de ce vice infame dont on accuse Socrate et
que d’ailleurs les 3postulatur Socrates, ipsis etiam legibus Atticis,
paullo post ostendemus: sed magis hoc apparebit, si quis ea, qu ce sequuntur,
apud Platonem paullo attentius considerare mecum
voluerit. Intelligentia hominum, ex pluribus rebus sensu perceptis
collecta, nihil est aliud, quam recordatio illorum, quae anima in
illo volatu suo coelesti viderat, quae sola verum illud ens sunt (t 6
ov-co; ov, p. 346, A). Haec intelligentia maxima est in illa prima
philo sophantium pæderastarum classe : haec ipsa est, ob quam alas soli
recipiunt, quibus volatum illum coelestem, deorumque comitatum
tentant: præ qua terrena hæc, et sensus externos ferientia, ita
negligunt, ut male sani aliis et furiosi videantur, icocpa
-/.ivouvts?, quos commotos s. commotce mentis vocat ORAZIO (si
veda) (Serm.), cum re vera divino quodam spiritu agitentur,
svOouaux^oviss, qui illos semper ad coelestem illam pulchritudinem
revocet, quam in priore volatu viderant. lois Athenicnnes
reprimaient, comme je le demontrerai tout a 1’heure; cela deviendra plus
evident encore pour qui voudra bien examiner attentivement avec moi
ce qui suit dans Platon. i3. L’intelligence humaine est
formce de la reunion des idees percues a l’aide des sensations, et
les idees ne sont rien autre chose que les reminiscences de ce que
1’ame a vu anterieurement dans son vol celeste, c’est-a-dire des
essences veritables. Or 1’intelligence la plus complete appartient a la
premiere classe, a celle des philosophes amis zeles des jeunes
gens, et c’est pourquoi seuls iis recouvrent les ailes a 1’aide
desquelles iis pourront essayer de nouveau de par-courir le ciel et
suivre le cortege des dieux. Detaches des soins terrestres et de
tout ce qui frappe les organes, iis pas- sent pour des insenses et des
hommes en delire, -apa/ivoSvis?, de ceux que ORAZIO (si veda)
appelle des fren^tiqucs, des esprits troubles, tandis que vraiment ce sont des
en- [Hæc pulchritudo, qucc inest in sensu, <ppov 7 ]<m, in
mentis qua vult et intelligit prostantia, si ita in oculos, ut alia
quce videri his possunt, incideret, ad mirabiles sui amores exci-
tatura esset. Jam pulchritudo sola corporum, hanc (Aotpav habet, hoc velut
fatum, et conditionem, uti subeat oculos, ut amo- rem moveat. Hinc
ponamus ipsa verba, ut existimare melius ac certius de tota re
possint etiam, quibus ad manus non est Plato ipse, vel magnum volumen de
pluteo promere non lubet. c O piv oOv pu] vsoxeXt];, Jj
otscpQappivos, oux otjiiog evOevOs Exstas ©s'psxat 7ip6; auxo xo xaXXo;,
Ostopisvo; a3xou xrjv xrjoE smavupiiav. waxs ou as'6sxat 7rpoaopojv,
aXX’ 7]3ov^ 7:apaoou;, zBzpdtTzodog vo ptco (Batvstv S7Ct- y stpsT
xat 7iat8oa7EOpstv. xal u6pst x:poao|j.tXaiv, ou os'ootxsv ou 8’
ata/uvsxai IIAPA ‘I^TXIIN. Notabile est, Platoni etiam de Ijcgib.
r. thousiastes, agites comme d’un transport divin, qui les
attire sans cesse vers cette beaute celeste precedemment entrevue
par eux dans leur vol. [Cette beaute, dont Pessence reside dans un
sens particulier, la sagesse, source de la volonte et de
1’intelligence, s’il etait donne a l’oeil de 1’apercevoir, comme
toutes les autres choses visi - bles, elle nous exciterait a
d’admirables amours. Mais c’est seulement la beaute corporelle,
telle est sa necessite fatale et sa nature, qui frappe les yeux et nous
porte a 1’amour. Ici nous placerons le texte meme afin que ceux qui
n’ont point Platon sous la main ou qui ne se soucient pas de tirer du
rayon un gros volume, puissent se faire une opinion en toute E.
hanc turpitudinem appsvwv np 6? appevag, Ij OrjXsTwv xpog OrjXsix;, to
ITAPA •bTSIN To'X[j.7)p.a appellari. Non igitur Plato- nem, vel
Socratem adeo, feriunt divina illa fulmina Pauli Rom. /, 26 . sq., ut neque ea,
qua ? in idolatriam vibrantur. f,5ov7]v 0 -W.ojv. '0 8e apttteXrj?, 6 twv
xdxe TroXuGcapojv, oxav OsoEtSsg r.poaioTzov' t07), -/.aX- Xo; eu
[j.E[j.vr ( [x£vov rj uva ac;o$fj.axo ios'av oj? Geov a£'6sxai. Hcec ita
verto, Hic ergo, qui non est nuper illis mysteriis coeles- tibus in
illo volatu animarum initiatus, aut, initiatus cum esset, corruptus
est, non celeriter, ut oportebat, hinc, ab hac corporea, non vera,
pulchritudine, illuc fertur ad ipsam veram, coelestem pulchritudinem,
cujus hic videt nomen, umbram, similitudinem : itaque neque inter
adspiciendum eam, divinum quiddam colit: sed libidini se tradens, quadrupedis
ritu inscendere formosum conatur, et genitale semen profundere, et cum
contumelia congressus formoso corpori, non veretur, nec erubescit PRXETER
NATURAM libidinem persequi. At ille nuper initiatus, qui multa eorum quae
tum videbat, contemplatus est, ubi vultum divino similem conspexit, qui
pulchritudinem illam veram bene imitetur, aut incorpoream quandam illius
speciem, verbo, certitudc. L’homme qui n’a pas un « souvenir recent
de son initiation aux mysteres, ou qui, recemment initie, s’est
laisse depraver, ne s’eleve pas facilement, comme il faudrait, de
cette beaute corporelle, qui n’est pas la vraie, a cette beaute
celeste, absolue, « dont il ne rencontre ici-bas que le
nom, 1’ombre, la ressemblance; en 1’apercevant il n’y respecte rien de
divin. Entraine par la volupte, il se precipite, comme une brute, sur
1’objet de ses desirs, ne cherche qu’a genitale semen profundere et,
outrageant ce beau corps qu ? il etreint, il n’a pas honte, il ne
rougit pas de poursuivre un plaisir contre nature. Au contraire, l’homme,
encore plein des saints mysteres qu’il a longtemps contemples
autrefois, 11 est remarquable que Platon, meme dans ses Lois,
appelle crime contre nature le commerce honteux marium cum maribus, et
feminarum cum feminis. Les foudres de Saint Paul (Ep . aux Rom.) n’atteignent
donc ni Platon ni Socrate, pas plus que celles qu’il lance contre
1’idolatrie. virtutem speciosam:
Dei instar colit. Deinde enarrat pheenomena quædam hujus
sancti et philosophici amoris, similia, ex parte Venerei, et
quomodo illa alce, quas amiserat anima, hinc de novo crescant, sub
Allegoria perpetua describit, qua nihil aliud tandem indicat, quam
enthusiasmum quendam, et injectam divinitus philosopho cupiditatem
versandi cum pulchris, h. e. ingenio vel forma potentibus,
adolescentulis: quos nempe captabat Socrates, qui sciret, cum
facilius sit formare ad sapientiam et virtutem hanc aetatem, tum hos
esse, a quibus futura civitatis fortuna pendeat. Hinc est quod se
venari pulchros non dis- simulabat (vid. Protagora > principium,
frustra reprehensum Cyrillo contra Julia), quod Xenophontem baculo etiam
transverso objecto et l’amour grec q'3 en presence d’un visage
presque divin ou d’un corps dont les formes lui rapit pellent 1’essence de
la beaute, c’est-a-dire 1’essence de la vertu, adore comme « en presence
de la divinite. Platon retrace ensuite quelques-uns des phenornenes de ce saint
et phi- losophique amour, parfois peu different de l’autre; il
montre aussi comment re- poussent les ailes autrefois perdues par
rame. C’est une allegorie perpetuelle dont la conclusion est que le
philosophe con^oit, par une sorte de grace divine, le plus fervent
desir de vivre au milicu des beaux adolescents distingues par la
perfection de leurs formes ou par leurs dispositions naturelles. C’est
ceux-la, en effet, que Socrate ambitionnait de gagner, sachant
qu’il est facile, a cet age, de les tourner au bien et a la vertu, et
que c’est d’eux que dependent les futurs destins de la Republique. II
appelait cela prendre les beaux garcons dans ses filets (voyez
la-dcssus le commencement du. velut exceptum, sibi adjunxit (Diog.
Laert.). Ipsum illud hinc est, quod GINNASIA, conviviaque et
deambulationes, quoscunque denique juvenum coetus, sequebatur, quod ludos
et jocos non refugiebat, quod se plane communem illis faciebat, nec
irrideri aut peti maledictis refugiens. Ipsa
illa ironia perpetua, quod doceri se velle simularet, certe discendi
causa disputare, ut accessum ad Sophistas illi dabat, ita
adolescentulo- rum super bulæ de se opinioni et præcipitantiæ blandiri
videbatur. Sed pergamus Platonis Mython enarrare. FILOSOFI illi amatores
pulchrorum non indiscretim omnes amant, sed (p. Sdy, C) quem quisque in
illo coelesti volatu Deum secutus est, ejus Dei si- milem sibi
quaerit amasium; qui Jovem, ut Socrates, Jovialem (Auvov x wa),
Martia- lem vero qui Martem, et sic Junonios. ET Protagoras, blame a tort par
Saint Cyrille), et il se fit de la sorte un disciple de Xenophon qu’il
arreta en lui barrant le passage avec son baton. Voila pour- quoi
aussi il frequentait les gymnases, les banquets, les promenades, tous
les lieux de reunion des jeunes gens, ne fuyait ni les jeux ni les
badinages, s’entretenait avec tous et s’inquietait peu de preter a rire
aux medisants. Cette ironie perpetuelle grace a laquelle il
feignait toujours de vouloir apprendre, pour mieux enseigner, lui
donnait acces au-pres des Sophistes et flattait aussi la suffisance et la
presomption de la jeunesse. Mais achevons d’exposer le Mythe de
Platon. Ces FILOSOFI amoureux des beaux garcons ne s’attachent pas
indistinctement a tous; selon le dieu quhls accompagnaient dans les
espaces etheres, chacun d’eux choisit parmi les anciens suivants du
meme dieu celui qu’il doit aimcr. L’ame qui etait, comme celle
de Bacchicos, Apollineos : et talem ubi inventum amare coeperint, faciunt
omnia, uti Deo illi, quem ipsi secuti sunt, et cu- jus jam
similitudinem quandam in ipso deprehenderunt, sibique adeo, reddant
quam similimum. Ita Socrates, Jovis in illo volatu satelles, quaerit Joviales,
amatores natura sapientiae, et natos ad imperandum. Hactenus ergo bene res
habet, sancti tales Paederaslce, J elices qui sic amantur. Sed nec
dissimulanda sunt quae sequuntur apud Platonem. Redit Socrates ad
superiorem illum de Anima Mythum, quam triplicis naturæ ponit scilicet. Sunt
vellit equi duo, est auriga. Equorum alter bonus, sanus,
verecundus, gloria amator, qui sine plagis, sola ratione auriga regitur :
pravus alter, qui multum ac temere una aufera- [Socrate, dans le
cortegc de Jupiter, recherche un suivant de Jupiter, et ainsi des autres
qui avaient choisi Mars, ou Junon, ou Bacchus ou Apollon. Des
qu’ils Pont trouve, iis s’efforcent de rendre celui qu’ils aiment
semblable a ce dieu dont iis retrouvent en eux-memes le caractere.
Ainsi Socrate, satellite de Jupiter, recherchait pour les cherir
ceux qui avaient aussi suivi ce dieu, c’est-a- dire ceux qui, par
nature, etaient portes a la sagesse et a la domination. Jusqu’ici
tout va bien ; de tels Pederastes sont de vrais saints, et bien heureux
ceux qui sont aimes de la sorte! Mais il ne faut pas dissimuler
ce qui vient apres dans Platon. Socrate re- tourne au precedent
Mythe de hame qu’il a coniparee aux triples forces reu- nies de
deux chevaux et d’un cocher. L’un des chevaux est bon, sam, plein
de retenue et d’emulation; le cocher le dirige, sans avoir besoin du
fouet et par la seule persuasion: 1’autre est mechant] tur, (impetu
alieno potius feratur, smo judicio) dura ac brevi cervice, simus,
nigri coloris, glaucis oculis, suffusus sanguine, petulantia contumeliaque gau-
dens, hirsutus circa aures, surdus, flagello ac stimulis vix tandem
concedens. Operet ? pretium videtur mali equi notas etiam Gra } ce
ponere : cxoXt 65, ~oXu; eixrj a'j[j. 7 :scpopr]|j.^vo?, xpaTEpauyrjv, (
3 payuipayrjXo?, aipLOTCpoacoro;, [xsXayypa);, yAauxop.p.a“0?,
oepat- [xo;, u6p ew; xal aXa^oveiac staTpo?, zept coxa Xaaco;,
xwipog, gaartyt p.S7a xdvxpwv [xdy.; UTEclXOJV. r<S\ Apposui Graeca, ut facilius judi- cari
possit, probabilisne sit conjectura, in quam incidi, dum in hac equi mali
de- scriptione versor. Nempe, aut vehementer fallor, aut memorat hic
Socrates non tam equi mali proprie dicti signa, quam sui corporis
formam, quatenus vitiosum inde ingenium colligebat physiognomon
ille Zopyrus. Hic enim, ut est
apud CICERONE (DE FATO), Stupidum esse Socratem dixit et bardum,
addidit et s’emporte facilement, sans raison aucune (c 7
est-a-dire qu’il semble dirige plutot par une force exterieure que par
son propre jugement); il a 1’encolure courte et dure, les naseaux
apiatis a la maniere du singe, le poil noir, les yeux glauques le
sang le tourmente et il est toujours en rut et en querelles ; il a, de
plus, les oreilles velues, il est insensible a tout et n 7 obeit
qu’a peine au fouet et a 1’aiguil- lon. Il est necessaire de transcrire,
dans le texte Grec, ces marques particulieres du mauvais
cheval. J’ai cite le texte afin qu’on puisse decider si la
conjecture que me suggere cette description du cheval retif a quel-
que vraisemblance. Ou je me trompe fort, ou Socrate ici retrace moins les
ca- racteres d 7 un cheval defectueux que son propre portrait, dans
lequel le physionomiste Zopyre trouvait les indices d’un naturel vicieux.
Zopyre, au dire de CICERONE (Du Destin) pretendait en effet que
Socrate etait lourd et stuetiam mulierosum. Illud de stupore con- venire
cum Homzne xpaTepau/7)v et (3payuxpa- mox declarabitur: quod
muliero- sum dicebat, illud cum G6psa Ixatpop con- gruit : novimus
enim quos uSp-.sxa; tum dixerit Græcia. Porro illud aipio-pd- aw-ov
plane pertinet ad notationem Socra- tis, in quo cum deridetur a
Critobulo, tum ipse suaviter sibi illudit, et in eo patulisque non
modo deorsum sed in hori- qontem naribus, non minus quam in ocu-
lis ultra frontem eminentibus, et labio- [Unum ponamus exemplum e
libello, quipree manu est, Aristotelis Physignom. c. ult. p. / 18
1, E. 01 (Jisya cpcnvotjvxs; papuxovov, OSpiaxa^. Ava- tpspexat £~1
xoj; ovoj;. Physiognomones e similitudine vocis asinina: argumentum ducunt ad
libi- dinem asininam. Conf. § 14, it. 32 . (2) Xenoph. Sympos. c. 4, § /p,
Socrates ad Critobulum, formee sua: jactatorem, x; xoDxo ; w? yap
/a! Ip.o 0 ' zaXXtcjjv wv xauxa v.oxt.xCv.c,, Quid istuc? quasi me quoque
pulchrior esses, ita gloriaris. Ad qua: Critobulus, Nrj Ata, rj Ttavxcov
SsiX7jvwv xmv sv aaxupixoh; alaytaxo; av eVtjv . Nisi te formosior essem, ait,
essem Sileuorum, qui in Satyri- cis fabulis in scenam veniunt,
turpissimus. pide; il aurait ajoute : adonrtd anx plai- sirs veneriens.
Pource qui est dela lour- deur, cela concorde avec 1’encolure
courte et dure ; adonne anx plaisirs ve- neriens, repond a &'6peto;
ItaTpo;. Nous savons, en effet, quels etaient ceux que les Grecs
appelaient uSpiatat'. Quant a la face simiesque, cette designation
s’ap- plique parfaitement au portrait de So- crate ; il y a fait
lui-meme agreablement allusion en repondant aux moqueries de
Critobule. Il avoue que toute sa beaute consiste en un nez epate et
me- nafant le ciel, en des yeux saillants et [Contentons-nous d’un
seul exemple tird du livre que nous avons sous la main, le De
Physiognomia, d’Aristote : Ceux qui ont la voix forte et grave sont
&6picrcai, par similitude avec Vane. De ce que la voix £tait bruyante
comme celle de l’ane, les phy- sionomistes conci uaient qu’on devait
avoir le temperament lascif de cet animal. Xenophon (Banquet). Socrate dit
il Critobule, qui vante sa propre beautd: Quoi donc? Tu crois etre
plus beau que moi? Critobule lui repond: Si je n’etais plus beau que
toi,je serais le plus affreux de ces Silenes que Von voit paraitre
dans les drames salyriques.] rum tumore molli, pulchritudinem suam
prcedicat (Xenoph. Sympos? c. sicut in Platonis Convivio Sileni s.
Satyri formam Alcibiades illi tribuit : et in Tlieceteti Platonici
principio Theodorus negat pulchrum esse Thecetetum, cum sit Socrati similis,
tQ te cijxo-rjta xat to s£w twv o[j.[j.aTtov, naso simo et eminen-
tibus oculis, licet minus quam Socrates utraque re sit notabilis. Nempe
hcec si- gna cum haberentur, et naturales quae- dam notce, hominis
libidinosi, iracundi et stupidi, non negabat illud Socrates, verum
eo majoris faciendam esse FILOSOFIA ostendebat, quee tantum contra
vitiosam naturam valeret. Quoniam hic sumus, non injucun- dum forte
fuerit lectoribus nostris in rem quasi preesentem ire, et ex artis,
qualis tum erat, praeceptis, Zopyri judicium defendere. Vix autem opus
est admoneri lectores, non hoc agi, Num veri aliquid sit in ea
arte? Num ipso des levres gonflees comme un abces ; de meme
dans le Banquet de Platon, Alci- biade compare son masque a celui
de Silene ou d’un satyre, et au commencement du Theatdte, l’un des
interlocuteurs, Theodore, refuse toute grace a Theatete en disant qu’il
ressemble a Socrate, qu’il est camard et que les yeux lui sortent de la
tete; que pour etre chez lui moins apparents que chez le maitre,
ces defauts n’ensontpas moins sensibles. Socrate ne niait pas d’ailleurs
que ces particularites physiques n’indiquassent un homme lascif,
violent et d’un esprit paresseux ; il en concluait seulement en
faveur de la Philosophie qui parvient a dompter un si vicieux
naturel. Pendant que nous y sommes, il ne deplaira peut-etre pas au
lecteur d’aller plus au fond sur ce chapitre et de defendre les idees de
Zopyre, idees basees sur des regles alors acceptees. Il nes’agit
pas de savoir si cette Science est sure; est-ce que 1 ’excmplc meme de
Socrate etiam Socratis exemplo ea refellatur, et vanitatis
convincatur? sed hoc modo, quod dixi, Utrum Zopyrus ex arte, et ut
oportebat, judicium de illo tulerit? Exstat in operibus Aristotelis
libellus, <J>uaioyvoj[juxa inscriptus, quo superiorum hujus
artis consultorum collegisse prae- cepta videtur . Hinc ea, quee ad formam
Socratis, qua ? ad equi hujus mythici naturam pertinent, huc
transferamus. Igitur inter ’Avai- c07j- ou hoc est stupidi, et sensu
communi pene carentis signa sunt ~'x nepl tov auysv a aap'/.oj07)
7.ocl G'j[j.7ZB7zXsj[isva x a\ auvo£ 0 £|j.£va, Ea quas adjacent collo
carnosa, complexa et colligata, itemque cervix crassa, XGxytjkoq -ayjj;.
Et Oi? Ta "£p\ ta; xXeTBoc; aug~£pi~£cppaY(x£va £<ruv,
avodaQiyroL. Nonne totidem fere verbis CICERONEZopyrus? Stupidum
esse Socratem, et bardum quod jugula con- cava non haberet,
obstructas eas partes et obturatas. Alia adhuc mala signifeat ista
conformatio. Olc xpd.yrj.oc r.ayyc xai ne temoigne pas du contraire ?
Mais Zopyre en a-t-il tire, en ce qui concerne notre Philosophe, un
pronostic judi- cieux ? II y a dans les oeuvres d’Aristote un
opuscule intitule Physionomiques ou ce philosophe parait avoir recueilli
les regles admises avant lui par les habiles. Nous transcrirons
celles qui se rapportent au portrait de Socrate et au caractere de son cheval
mythique. D ? apres Aristote (chap. m), les in- dices d’un esprit
lourd et presque prive du sens commun sont le gonflement des chairs
qui avoisinent le cou, leur engor- gement et leur replelion- ce qu’il
con- firme en disant au chapitre vi : « C’cst un signe de betise
que d’ avoir 1’cncolure epaisse. Zopyre, dans CICERONE, n’ex-
prime-t-il pas la meme idee? Socrate, dit-il, etait lourd et stupide,
parce quii navait pas le cou bien degage, que ces parties etaient
cheq lui comme engorgees et obstruees. Cette conformation indi- que
cncore bien d’autrcs dcfauts : la TzlioK, 0 o 1 uo£i 8 e!'s, Crassa et
plena cervix iracundos signat, exemplo taurorum: Ol? 8s [Bpayjj;
ayav, irdfi ouXoi, Brevis nimium quibus est, ii sunt homines insidiosi,
lu- porum instar. Talem modo vidimus illum malum equum,
xpaxepauyeva et [Bpa- yuxpayjiXov. Talem nisi fallor se indicat
Socrates, aut potius talem significat Plato Socratem, a natura
fuisse. Videamus reliqua. Equus malus Socratis est sp\ xa wxa ).asto;, hirsutus circa
aures. Libidinosi, Xayvou, apud Aristotelem o t xpdxoupot oaa$T?,
densa pilis i. e. hirsuta tempora. Deinde oi xa yecXrj “aysa
eyovxe; puopoi avacpdpexai £7ii xou; ovou;. Physiognomones crassa
labia stultitiae characterem faciunt, ob simili- tudinem asinorum.
Quid de se Socrates (Xenoph.) in ludicra cum pulchro Critobulo
contentione? Ata 76 r.ayla. syeiv xa ylCkt], oux otst xa\ [xaXaxaSxspdv
oou 'iyv.v xo csfX7]p.a; Propter labia crassa suum putat osculum
mollius. Et, v Eotxa syw xaxa xov nuque epaisse et charnue denote un
homme violent, par similitudo avec le taure au ; ceux qui l’ont trop
courte sont ruses, par similitude avec le loup. Or, cette
indication, 1’encolure epaisse et courte, figure parmi les marques
du mauvais cheval. Si je ne me trompe Socrate avoue qu’il etait
bati de la sorte, ou plutot c’est ainsi que le depeint
Platon. Voyons le reste. Le mauvais cheval Socratique a les oreilles
velues: Aristote designe comme libertins ceux qui ont du poil jusques sur
les tempes. De plus, les physionomistes notent les grosses levres
comme un indice de betise, par similitude avec 1’ane. Or que lisonsnons
dans la plaisante discussion (Xenophon) de Socrate avec Critobule? A cause de
ses l&vres charnues il pense que son baiser est plus sensuel, et
plus loin: Je te par ais avoir, 6 Critobule, une bouche plus
difforme que celle de Vane, avec ces bourrelets qui me tienncnt
lieu de levres. aov Xoyov x at Ttov Ovojv aiayiov to GTOu.a lysiv,
turpius os quam habent asini illum mollem labiorum tumorem habere
tibi, o Critobule, videor. Simus fuit, ut vidimus, Socrates :
at|jio-po'ato7:o; est malus equus. Quid Phy- siognomones, atque adeo
Zopyrus ? Si fides Aristoteli (c. 6. p. iiyg, B.) 01 G'|j.7jV
Eyovts; piva, Xayvor avacpspezai i~\ tou; iXa^ou;, Simi sunt libidinosi,
exemplo cervorum. Patulas quoque versus nares suas, qu£e possint
odores undecunque oblatos excipere, laudat sipojv Socrates
Xenophonteus, pra ? Critobuli naribus humo obversis. Ot ;xev yao ao\
(xuxT7jpE; ei; yrjv opcSat, ol 8’ eijloi ava“£"tavTat, wgte
tx; T:av~o0£v oGua; izpoa ov/yOou. At Physiognomones (I . C.), 0:; o!
p.uxT7jp£$ ava"E^"a- pL^vot, OupiojoEi;, Iracundi sunt,
quorum patula? nares, quod in ira diffundi so- lent. Iracundum
valde a natura fuisse Socratem, non soli credamus Cy r rillo,
quamvis Porphyrium auctorem laudat, qui ab Aristoxeno se illud dicat acce
- [Socrate, nous le savons, etait camard; son mauvais cheval a les
naseaux ecrases du singe. Quel indice en tirent les physionomistes
et Zopyre ? Aristote dit. Les camards sont lascifs, par similitude avec
le cerf. Socrate declare quii a les narines lar gement ouvertes,
comme pour subodorer de toutes parts les parfums. Jaime mieux cela,
dit-il, que d’avoir, comme Critobule, un ne^ penche vers le sol. Mais
d’apres les phy- sionomistes, c’est 1’indice d’un tempera- ment
porte a la colere. Que Socrate ait etedun naturel violent, nous ne nous
en rapporterons pas la-dessus seulement a Saint Cyrille, quoique
son temoignage soit corrobore de ceux de Porphyre etd’Aristoxene et qu’il
dise en propres termes: Socrate etait devenu si irritable qu’il ne
pouvait moderer ni ses paroles ni ses pisse, ’'Ote <pXe-/0e't7]
utzo zou TrdOou; toutou [de ira sermo est) ostvrjv etvat xr ( v
aayr][jLO(Hjvr)v ouoevo; yap ouxe ovopiato; azoa^saOat oSxe -payjj.ato;,
Eo importunitatis progressum, ut nullo neque verbo neque opere abstineret
: sed ipsi de se credamus Socrati, qui tam gravi ac molesto sibi, quam
fuit Xanthippe, patientia ? et mansuetudinis gymnasio opus fuisse,
fassus sit apud Xenophontem [Sympos.) BouXo'|ievo;, dv0pco7tot; y
prjoOat jcat opuXe Tv, Tauxrjv x&ttj- ptat, sii eloco;, oxt, et
lauxrjv 'j"Otaco, PAAIQS TOIS TE AAAOIS 'AIIASIN, avOptfaoic
auveaouat, Quam ferre si posset, facilis esset cum aliis omnibus
conversatio. Unum superest : e^^OaXpto; erat Socrates. Itaque ita
jocabundus disputat cum pulchro Critobulo, ut cum primo
convenisset, Pulchras esse res, quatenus respondeant consilio, propter
quod ha- bentur; roget eum, Cujus rei gratia ha- beamus oculos?
eoque, ut necesse erat, respondente, Ad videndum, inferat, Suos
ergo pulchriores esse, qui Sta zo actions ». Croyons-en Socrate
lui-meme; dans le Banquet de Xenophon, il avoue que le caractere
acariatre de Xanthippe fut pour lui la meilleure ecole de pa-
tience et de douceur; que par la suite il lui fut plus facile de
supporter la contradici ion. Il ne reste plus qu’une chose : So-
crate avait les yeux saillants. Il dispute la-dessus agreablement avee le
beau Cri- tobule, et le fait convenir d’abord que toute chose est
belle pourvu qu’elle re- ponde au but en vue duquel elle existe. Il
lui demande alors : Pourquoi faire avons-nous des yeux ? Pour voir,
repond naturellement Critobule. E/i bien alors, dit Socrate, mes yeux
sont les plus beaux de tous, car iis me sortent de la £7it-oXatot
sivat, quod emineant, non ea modo, quas exadversum sint videant,
sed etiam quae a latere. Et cum diceretur, secundum hmc pulcherrime
oculatum (euo^OaXjj-GTa-ov) animal esse cancrum, id ipsum affirmat.
Jam Physiognomon Aristoteles"Oaoi i£6z>- OaXjjiot, inquit,
aS&vepoi, Fatui sunt, quibus oculi eminent : rationem petit ab
judicio quodam decoris et convenientia naturali, et ab similitudine
asinorum. Male de horum gente meritus est Stagirita : quce videtur
ex hoc prcesertim libello contraxisse infamiam illam, qua ab eo
inde tempore, et Platonis quibusdam dictis, onerata est : honestum
superiori cetate animal, cujus majestatem, ut Var- roniano verbo
utamur, (de R. R.) adhuc agnoscebat Homerus. De hac re adjicietur potius
huic disputationi quoddam corollarium, quam ut longius digrediamur
a Socrate. tete, si bien que je puis voir non-seulement devant moi,
mais et droite et d gaiiche. Son interlocuteur lui repond qu’a ce compte
les crabes ont de tres-beaux yeux, et Socrate affirme que c’est
parfaitement vrai. Or, d’apres Aristote, les yeux saillants sont 1’indice
de la sot- tise; il tire ce pronostic de certains rap- ports
naturels de convenance, de syme- trie, et de la ressemblance que ces
yeux offrent avec ceux des anes. Le philosophe de Stagyre a par la
bien mal merite de cette race inoffensive, et ce doit etre a partir
de ce petit traite qu’il acquit le mauvais renoni confirme depuis
par Platon lui-meme. L’ane, cet honnete animal, etait mieux
apprecie des genera- tions precedentes, et Homere se plaisait,
suivant le mot de Varron, a lui reconnaitre de la majeste. Nous ferons de
cela un corollaire a cette dissertation pour ne pas trop nous
eloigner presentement de Socrate. Gesner a «Jcrit un appendice intitulc
De antiqua Nempe tempus est, ut videamus, quorsum evadat ille de
bono et malo equo Myihus. Ad conspectum pulchri bonus ille quidem
aurigee obsequitur, contineri se patitur, malo alteri, quantum potest
reluctatur. Simile certamen est in pulchro, qui amatur: repugnat
malo isti equo bonus illius jugalis, hic enim est 6 [xo'£u£, et
ipse auriga adeo repugnat [aet’ dtSous xat Xdyou, cum pudore et recta
ratione. Si ergo ita vincant meliora, et ad vitam ordinatam, quae
eadem FILOSOFIA est, ducant illum currum, beatam et concor- dem hic
vitam agunt continentes se, et decus suum tuentes, syxpatcTs auroiv
xat xdajjuot ovtss, in servitutem redacto illo equo, cui vitiositas
animae inerat; in libertatem asserto eo, cui virtus. Tandem vero alati ac
leves denuo facti, sic de tribus illis certaminibus asinorum honestate,
imprime i la suite du Socrates sanctus pcederasta ; il ne nous a pas
sembl£ otfrir assez d’interet pour Ctre traduit. II est temps de voir ou
il veut en venir avec son Mythe du bon et du mauvais cheval. A Taspect de
la beaute, ie coursier docile obeit au cocher et se laisse
contenir; il resiste de toutes ses forces a son mauvais compagnon. L/objet
aime est lui-meme en proie aunesemblablelutte; son bon cheval se
defend contre les tentatives de son mauvais compagnon d’attelage, que de plus
le cocher s’efforce de contenir par la pudeur et la raison. Si les
meilleurs instincts remportent la victoire et conduisent le char dans les
chemins de la vie rangee, cest-d-dire de la FILOSOFIA, les deux amant s
vivent dans le bon- heur et bunion, maitres d’ eux-memes et regles
dans leurs mceurs : iis ont dompte le mauvais cheval, qui repre-
sente le vice, et affranchi 1’autre qui represente la vertu. Recouvrant enfin
leurs t ailes et leur legbrete primitives, iis sor- tent vainqueurs
de ces trois luttes vraiment Olympiques dont nous avons parle plus haut.
Socrate peut donc dire*sans hesitation que ccux qui se prescrvcnt.
vere Olympicis, unum vicerunt. Absque hcesitatione igitur beatissimos
esse dicit, qui se puros et castos ab amore Venereo
servaverint. At nunc sequitur apud Platonem, in quo defendere illum,
Platonem, in- quam, nam Socratis causam hic segre- gandum putamus
(vid. 6) paullo diffi- cilius est; tacuisset enim forte sapientius
: sed non iniquum (i) excusare. Nempe his, quee modo prolata sunt,
subjungit, quee non scripta equidem malim : sed pono, ne quid
dissimulasse videar, ne parum bona fide egisse. Quam vero caute,
quam suspensa velut manu illud ulcus tractet, videre opera? pretium est.
Eav’ os 8tatT7) <popzi7Ui)~ipx ~z xat A<I>IAO— cptXoTtjxu)
8s yprfacjvzx'., -i/' av ~oj ev uiOat; sitivi a)xA7) dasXsta Tci>
axoXaTCto ajTOtv Gno- JXiytco XaSovTE, xa\ tjrjya; xopojpo-j;
aovaya- yovTE et; toeutov, tf ( v u ~6 :wv -oXX oiv [xaxaot-
fi) Multum certe facilior causa Platonis, quam alicujus Beneventani
Episcopi: aut aliorum, quos vrxterco sciens. purs et chastes, de
1’amour Venerien, jouissent de la plus grande beatitude. Ce qui
suit, chez Platon, est un peu plus difficile a expliquer; chez Platon,
disons-nous, car ici nous croyons devoir separer sa cause de celle de
Socrate; evidemment il aurait mieux fait de se taire, mais il n’cst pas
impossible de l’excuser. A ces choses sublimes que nous venons de
transcrire, il en ajoute d’autres que j’aimerais mieux lui voir
passer sous silence; je les exposerai cependant, de peur de paraitre rien
dissi- muler et manquer un peu de bonne foi. Il faut ici donner le
texte pour qu’on [Son cas est en effet moins grave que celui de
certain eveque de Bdnevent et de quelques autres que je ne veux pas
nommer. L’auteur fait ici allusion a 1’archeveque Giovanni .delia Casa et
a son fameux Capitolo dei forno ; mais il ne 1’avait probablement
pas lu, et il se meprend, comme bien d’autres, surle sens de ce celebre
petit poeme. cTr;v atpeotv £tXcTr ( v ~t /ai Ste^pa^avxo x x X. Si vero
vitam vivant LICENTIOREM et A PHILOSOPHIA ALIENAM, ean- demque
ambitiosam, forte aliqua in ebrietate aut qua alia negligentia
depre- hensas INCAUTAS animas equi illi uiriusque amatoris
indomiti, eodem con- ducant, et sic illam quce beata vulgo videtur
electionem faciant, et (turpe illud facimts) peragant : eoque peracto per
re- liquum tempus utantur quidem (illa voluptate ) sed raro, quippe
qui non omnino deliberata mente (sed deprehensi velut incauti ) hoc
agant etiam hi præmium non parvum amatorii illius furoris (non
Venerei, de quo modo dic- tum, sed philosophi) auferunt : in tenebras
enim illas et illud sub terram iter non veniunt, etc. voie avec
quelle prudence et sans ap- puyer la main, il decouvre cet ulcere
de la civilisation Grecque. S’ils embr assent, dit-il, nn genre de vie
moins austdre, etrangbre a la Philosophie et livree aux passions
desordonnees, il arrivera quau milieu de Vivresse ou de quelque
autre etourderie les coursiers indomptes sur- prendront leurs ames
et les meneront l’un et l’ autre au meme but,' iis prendront alors
le parti de faire ce en quoi, selon le vul- gaire, consiste le supreme
bonheur et (c’est la le crime infame) satisferont leurs desirs.
Dans la suite, iis renouvelleront leurs jouissances, mais rarement,
parce qxCelles ne sont pas approuvdes de l’dme entiSre et qu’ils
agissent comme par surprise et sans defense. C’est pourquoi ce qu’il y a
encore d’excellent dans leur amour (le pur amour pliilosophique et
non le desir Venerien) recevra plus tard sa recompcnse ; iis niront pas,
aprds leur mort, dans ces tenebres et par ces routcs souterraines, etc.
yo Apertum est his, qui et sermonem Platonis
intelligunt, et non ultro qucerunt crimina, non illum prcemium
constituere pceder astice turpi, non Philosophice genus facere
flagitiosum puerorum amorem : sed summam c.ulpce esse hanc, quod dicat,
si qui coelestis illius pulchritudinis, quam in volatu illo suo viderint,
desiderio icti, etiam pulchros amant, et dum arctius eos complectantur,
liberius cum iis versentur, etiam ad turpe facinus ab ebrietate,
certe ex improviso, incauti, proster deliberatam voluntatem, abri-
piantur, id quod ipsis contingat ob genus vivendi licentius atque a
Philosophia alienum, iis tamen prodesse primum illud7'iobiliusque philosophandi
propositum, ut non cum reliquis ad inferos mittantur, et ad
poenarum locum non cogantur post ternas millenorum anno- rum
periodos, septem alias subire ete sed facilius alas ut recipiant, quibus
evo- lare ad coelestia, deum aliquem sequi du- cem possint.
Hactenus reprehendat Pla- tonem, si quis volet, non ut laudatorem. II est
bien clair, pour qui veut comprendre Platon et ne cherche pas de
griefs de son plein gre, qu J il n’assigne pas cette recompense aux
fauteurs du vice honteux, qu’il ne fait pas de 1’ignominieux amour
masculin un attribut special des Philosophes. On voit, au con-
traire, combicn il blame ceux qui, les yeux encore eblouis de cette
beaute ce- leste entrevue par eux dans leur vol anterieur, con^oivent des
desirs pour la beaute terrestre, recherchent les jeunes garcons, et
a force de les embrasser etroi- tement, devivre familierement avec
eux, se trouvent entraines a 1 ’improviste, au milieu de livresse,
par surprise et sans que leur volonte y ait part, a conimettre l’acte
immonde; cela leur arrive, parce qu’ils ont adopte un genre de vie
trop libre et qu’ils negligent la Philosophie. Iis tirent cependant
ce profit, de s’etre d’abord propose pour but cette noble Science,
qu’ils ne sont pas relegues aux enfers avec tous les autres hommes ; apres
une revolution de trois mille annees, iis Pcederastice, sed ut clementem
nimis, lentumque adeo castigatorem : qui præsertim in aliis peccatis
severum satis ac durum se praebuerit. Sed, si cequi esse volumus, si
de nostris religionum doctoribus ecquos ex- periri judices, videamus
etiam, quid dici pro ratione illa Platonis possit, quid pro
Socrate, quatenus et ipse non horribili flagello sectari vitia id genus
solebat. Distinguamus legislatoris personam et Philosophi. Legibus
Atheniensium primo antiquissimis illis a Cecrope, sanctitas Bona
pars libri De re publica decimi in eo consumitur, ut a"apat~r]Tou?,
a^apa[xu0rjTOU?, implacabiles sacrificiis Deos, ostendant. Vid.
pras. extr. et conf. qua: collegit Davis. ad Gic. de Legib.
j n’ont pas a en su.bir sept mille autres; iis recouvrent plus
vite leurs ailes et peu- vent s’elancer vers les spheres celestes,
a la suite d’un des douze dieux. Que l’on reproche donc a Platon,
si l’on veut, non pas de s’etre fait 1’apologiste de la Pede-
rastie, mais d’avoir ete trop clement, de ne pas chatier assez ferme, lui
surtout qui pour de moindres fautes se montre si dur et si severe. Mais
soyons equitables; prenons d’honnetes gens pour juges de nos Phi-
losophes, voyons ce que l’on peut dire en faveur de Platon ou de Socrate,
et jusqu’a quel point ce dernier a vraiment neglige de flageller le
vice en question. II faut distinguer le legislateur du Phi- losophe.
Les plus anciennes lois Athe- niennes, celles de Cecrops,
proclamaient la saintete du mariage. La loi de Dracon [II emploie la
majeure partie du X® livre de sa Republique a montrer que les dieux sont
insatiables de sacrifices. Comparez avec ce qu’a <5crit Davies
sur le Tr ciite des lois, de Cicerrr.i. matrimoniorum constituta :
Draconis lex capite plectebat adulteros : Solon li- beram faciebat
marito potestatem sta- tuendi in adulterum in facto deprehen- sum,
quidquid liberet. Itaque mirum fuerit si masculam libidinem non
punis- sent. Sed bene habet : supersunt monu- menta Solonis
hac etiam de re legum, diligenter collecta a Sam. Petito (de Legibus Att. et in Commentario) prcesertim
ex vEschinis in Timarchum (edit. Aurei. Allobr.) et Demosthenis
contra Androtionem orationibus : unde hoc constat, qui vi vel
persuasione ingenuum corrupisset, produxissetve, gravissima poena
(quce ad ultimum supplicium corruptoris et productoris, in- terdum etiam
corrupti, poterat progredi) affectum esse. Qui illam patiendi pro
mercede turpitudinem admisisset, si effugisset poenam aliam, illi neque
lice- bat inter novem Archontas esse, neque punissait de mort les
adulteres; Solon laissait la faculte au mari, dans le cas de
flagrant delit, de se faire justice comme il 1’entendrait. II serait bien
surprenant que ces deux legislateurs fussent muets a l’egard de
Tamour masculin. Mais nous avons mieux ; il reste des lois portees
par Solon sur la matiere divers fragments precieusement recueillis
par Samuel Petit (voy. ses Lois attiques et le Commentaire dont il a
accompagne cet ouvrage); ii les a surtout tires du Discours contre
Timarque, d’Eschine, et du Discours contre Androtion, de Demos-
thene. Il y est dit : Quiconque, memesans violence, aura debauche ou
prostitue un homme de condition libre sera passible de la peine la
plus rigoureuse. Le chatiment pouvait etre la mort, dans l’un comme dans
Tautre cas, et pour le liber- tin, comme pour savictime. C elui qui
se sera prostitue pour de l’argent, s’il echappe a toute autre peine, ne
pourra ni fungi sacerdotio, neque syndicum creari, neque ullum
magistratum vel intra vel extra urbem, neque sortito neque suf-
fragiis, capere, neque pro Praecone s. oratore mitti usquam, neque sententiam dicere
unquam, neque in templa publica intrare, neque in pompa coronata et ipsum
coronari, neque intra sacros fori cancellos (evto; twv t rj; ayopa?
TteptppavTT]- P’'wv) ingredi. Si quis vero damnatus im- pudicitiae
quidquam horum fecisset, capital erat. 0avato> r7)[j.'oua0w sunt verba
legis ab As schine recitata. Plura huc transferri opus non est, cum rarum
esse Petiti opus desierit. Summa capita habet etiam in Themide Attica
Meursius. Utrum seynpcr valuerint istce leges? annon eas perruperit interdum au
etre l’un des neu f archontes, ni remplir aucune fonction sacerdotale, ni
etre nomme delegue d’une ville; il lui est interdii d’exercer
aucune magistrature, soit en dedans, soit en dehors de la cite,
quii ait et e designe par le sort ou par les suffrages de ses
concitoyens ; d’etre en- voyd nulle part comme Herault, ou comme
orateur; de prononcer aucune sentence ; de penetrer dans les temples publics;
de faire partie des processions et d’y porter une couronne sur la
tetc; de franchir ienceinte sacree de l’Agora. Qiiiconque, deja
condamne pour fait de prostitutiori, fera ou acceptera de faire une de
ces choses sera puni de mort. Puni de mort, tel est le texte meme
de la loi lue par Eschine. II est inutile d’en transcrire ici
davantage, car Touvrage de Samuel Petit est loin d’etre rare ; Meursius
en a meme donne, dans sa Themis Attique, les cha- pitres
importants. Ces prescriptions eurent-elles tou- jours force de loi?
Ne purent-elles etre dacia, astus subterfugerit, eluserint rhetores?
annon ipsa poenarum gravitas impunitati occasionem non nunquam de-
derit? an non professce impudicitiae ho- minis utriusque sexus, libidinum
publica- rum victimce, toleratce sint? An denique poetce non multa
saepe impudenter scrip- serint, fecerint? jam non quceritur. Uti-
nam non avxtxatrjyopia quadam repellere possent veteres Attici
cujuscunque vel sec- tae vel cetatis homines, si qui acerbius ex-
probrare iis velint, quce de Comicorum pe- tulantia sublegerunt illi apud
Athenaeum (i3, 8 p. 601) Deipnosophistce, et quae colligere ex illa
parentum cura apud Platonem (Conviv. p. 3ig, E), Pceda- gogos
constituentium suis filiis, qui ne quidem colloqui suis cum
amatoribus (turpibus nimirum et flagitiosis) eos patiantur : e. i. g.
a. Ceterum severitate legum eo ma- gis opus erat, quod obtentum
fiagitiis enfreintes par les audacicux, adroitemcnt tournees par les
gens ruses, eludees par les avocats? La rigueur du chatiment ne
favorisa-t-elle pas elle-meme Timpunite? Est-ce qu’on ne tolera pas des
prostitues de profession, victimes de 1’incontinence publique et
remplissant le role de l’un et 1’autre sexe ? Les poetes n’ont-ils pas
ef- frontement deerit ces turpitudes, ne les ont-ils pas mises en
action sur la scene? Cela ne fait aucun doute. Plut au ciel que les
Atheniens de nfimporte quelle secte et de quelle epoque ne pussent
re- tourner Taccusation a ceux qui leur re- procheraient trop
vertement ces horreurs etalees par les poetes comiques et recueil-
lies par les Deipnosophistes d’Athenee, ou ce qu’on peut induire de
1’inquietude des peres de famille confiant leurs fils, d’apres
Platon, a des precepteurs severes, pour les empecher de s’entretenir avec
leurs amis, des amis infames et detestables. 3o. Les lois
devaient etre d’autant plus severes, que les coutumes de la Grece] non
nunquam praeberet (ut nempe res sancta? prope omnes, ut ipsce
populorum sceculorumque pene omnium religiones, atque ceremonice)
ille puerorum amor, castus, legitimus, sanctus, quo tanquam
potentissimo virtutis cum bellicce tum civilis incitamento utebantur
qucedam Grcecorum respublicce : quarum legisla- tores, cum
viderent, ignava fere esse virtutis prcecepta, firmis licet nixa
demonstrationibus, nisi ea affectu quodam et tanquam spiritu animentur,
nisi ev0ou- aiaajxou quoddam genus accedat, quo acti homines et
commoda sua, et jacturas, et salutem, et pericula et tormenta
contem- nerent. Hinc excogitata et in usum civitatis recepta sunt
splendida ista et efficacissima remedia, Religio, Pudor, Amor
patrice, Gloria, res quondam po- tentissimce, quod ex illarum
effectibus judicare pronum est: nunc prceclara quo- rundam, qui
sibi Philosophi videntur, opera fere ad inanium vocabulorum strepitus
relata, et, dum relata sunt, etiam redacta. comme toutes les choses
saintes, comme les cultes et les ceremonies religieuses de presque
tous les peuples et de tous les temps) donnaient plus de facilite a
la depravation. La fervente amitie entre jeunes gens, Tamitie
chaste, legitime, sacree, etait favorisee, dans les republiques de la
Grece, comme le plus energique stimulant du courage militaire et des
vertus civiles. Leurs legislateurs savaient bien que ni la vertu ni le
courage ne s'inculquent a 1’aide de demonstrations, si bonnes qu’elles
soient; que 1’homme est naturellement faible a moins qu’il ne soit
pousse par la passion et par 1’orgueil ou entraine par cette espece
d’enthousiasme qui lui fait mepriser les aises de la vie, la
fortune, la vie elle-meme, et affronter les perils et les supplices.
C’est pourquoi l’on mettait en jeu, dans Torganisme de la cite, ces
heroiques et sublimes mobiles, la Religion, 1’Honneur, 1’Amour de la
patrie, la Gloire, mobiles autrefois bien puis- sants, comme nous
pouvonsen juger par ce qu’ils firent accomplir; aujourd’hui,In illis
igitur rei publicce bene gerenda? incitamentis, an instrumentis? erat
Amor ille adolescentulorum tum in- ter se, tum inter ipsos et natu
majores: inde illa sacra Amantium cohors The- bis, et Cretensium.
Quanta illius vis esset, et quam metuendus esset miles amator,
svOouatwv, et ab Amore simul atque a Marte bacchans, occurenti in
prcelio hosti, ita enarrat 2E liantis (H. V. ) ut IvOo-jatav et furere
ipse prope videatur. Idem Laconica qucedam circa eam disciplina?
publica? partem instituta commemorat: V. G. ab illis multatum esse
virum alioquin bonum, ea de causa, quod nullum habere juniorem, quem
amando sui similem, et per hunc forte etiam alios, redderet: itemque
peccantis adolescentuli virum amatorem punitum, cui grace a de certains
Philosophes, ou soi-disant tels, ces grandes choses ne sont plus que de
vains mots, creux et vides, dont le sens s’affaiblit a mesure qu’on en
abuse. Ainsi, 1’Amour des jeunes gens, soit entre eux-raemes, soit
entre eux et leurs ames, etait favorise partout en Grece, pour le
bien de la chose publique; voila ce qui donna naissance a la cohorte
sacree des Amants, chez les Thebains et chez les Cretois. Quel etait le
courage de ces sortes de soldats, quelle etait la ter- reur qu’ils
inspiraient, lorsqu’ils rencontraient Tennemi, ivres a la fois d’amour et
de sang: c’est ce que Elien nous a fait connaitre, en partageant, pour
nous les mieux depeindre, leur impetuosite et leur fureur. II nous
indique aussi qu’il y avait quelque chose de semblable dans les
institutions de Sparte; un Lacedemonien fut mis a 1’amende, quoique
excellent citoyen, pour avoir neglige d’aimer quelque compagnon plus jeune
que lui, a qui il aurait inculque ses vertus et nempe illius
imputari vitia posse cen serent. Etiam illud Laconicum narrat,
so- litos ibi adolescentulos petere ab ama- toribus, viris nempe
bonis ac fortibus, stareveTv auTot ?, ut se adflarent. Interpreta-
tur illud verbum, Laconibus proprium, sElianus per epav, amare : idem
factum ab Hesychio V. sp.-v£ Tjj-ou, et epa, eia7cver. Multa similia
ad utrumque Hesychii locum viri docti, post Meursium (Mis- cell.
Lac.) sed nihil, unde ratio ap- pellationis queat intelligi. Nec
satisfacit, quod refert, non probat Eustathius (ad Odyss.)
EtarevElxai yap tpaat, t 7j? pLOp^? ti /at x i); wpa;, inspirari aliquid fornice et
pulchritudinis. Hcec enim Laconicce se- veritati parum conveniunt, si
fides anti- quis, ipsique adeo JEliano in ipso illo, de quo agimus,
loco. Srap-ctaTT)? epio;
ataqui eut ete capable, a son tour, de les transmettre a d’autres.
Lorsqu’un jeune homme commettait une faute, les Spar- tiates
punissaientson intime ami, comme responsable des vices qu’il lui
tolerait. Elien rapporte encore cette autre coutume de Sparte, que
les jeunes gens exigeaient de ceux dont iis etaient aimes, toujours
choisis parmi les meilleurs et les plus braves, ut se adflarent. II
explique le verbe ekjttvs Tv (adflare), propre aux Laconiens, par cet
autre : spav (aimer), et Hesychius de meme aux mots EpjcvEtgou, ipS et
eiu7iveT. Divers savants ont accueilli cette interpretation, a 1’exemple
de Meursius; mais je n’ai rien compris aux raisons qu’ils en
donnent. Je ne suis pas davan- tage satisfait de Tassertion emise, sans
preuve, par Eustathe, dans son commen- taire des chants IV e et V e de
YOdyssee : a Les inspires (i) sont guides dans leur [On appelait
indifTeremment ItaKVETxat, ii a- 7UvrjXa' (inspires) ou spacjiat (amants)
ces couples ypov oux otosv x. t. X. Spartanus amor turpe nihil
quidquam novit. Sive enim ausus fuerit adolescentulus pati turpia
(upo-v uzoaeivat) sive amator facere (£»|Bp6 oat) neutri quidem Spartee
manere pro- fuerit : aut enim patria privarentur, aut vita ipsa.
Quare illud ela-vetv s. s[j.7ivsTv, illos £ta7iVTjXa;, quos eosdem aixa?
vocat Eustathius (Hesych. afcav, s-aTpov) ab in- spirando s.
adspirando divino quodam spiritu, dictos arbitror, unde afflati, ut
7rveuu.atocpo'poi quidam et svOouaiwvTsc, divi- no quodam furore perciti,
ruerent. Hic est ille furor, quem supra) tetigi- mus, et de quo
plura sunt in Platonis Phædro. Nempe spiritum 7iveSp.a quum
dicebant antiqui, non rem illi tantum cogitantem indicabant, sed rem subtilem,
magna ean- dem movendi et agendi vi praeditam, etc. de friires
d’armes, si terribles dans les batailles. 'Etcnvelv (ad/lare) peut se
traduire positivement par meter les souffles ou metaphoriquement
par avoir des aspirations communes.] choix par la beaute et 1’elegance
corporelle. Cela me parait peu convenir a cette severite Laconienne dont
temoignent tous les anciens et Elien lui-meme, a Tendroit en question. On
ignorait a Sparte ce que detait que les impures amours. Si quelque
jeune homme eut ose se prostituer, ou prendre 1’autre role, il lui
eut mal reussi de rester d Sparte; il y allait pour lui de Vexilou de la
mort. C’est ce qui me fait croire que ces inspires, designes aussi sous
les noms de compagnons, freres d’armes, par Eustathe et par Hesychius,
etaient ainsi appeles du souffle ou de Tesprit en quelque sorte
divin qui les animait, lorsqu’ilsse ruaient sur l’ennemi comme
transportes d’une fureur plus qu’humaine. Nous avons deja parle de
cette espece de delire, dont il est si souvent question dans le Phedre
de Platon. Il convient en effet de remarquer que les anciens n’entendaient
pas comme nous par esprit une faculte intellectuelle, mais une
essence subtile, douee d’une grande forcc de mouvement et
d’action. Non vagatur hcec extra oleas ora- tio. Cum enim fuerit,
quod, adhuc probatum est, in Græcia r.aiozptxizv.a. quaedam honestissima,
et sancta adeo, qua ad virtutem, bellicam praesertim, et quidquid pul-
chrum est, incitari homines crederentur, cum nomina spojvuo?, Ipaaxou,
raioapaaxou, itemque spwuivoy, -atot/.wv, et similia tur- pitudinem
nondum haberent : cum illud raiSspaaxsTv res esset adeo honesta, ut
quem ad modum capital Romae erat servo, si militarat, ita Solonis
lege multaretur quinquaginta plagis publice, qui servus eXsuOspou
7ra'oo; spav, amare liberum puerum, auderet : haec ita se cum haberent
omnia, nemo jam debet mirari, adolescentulorum esse amorem professum Socratem,
fecisse illum, quae ante dicta sunt, eaque scripsisse tanquam So- cratis
dicta Platonem, quae ex Phaedro commemoravimus . Quod mitior est
vel Plato, vel ipse adeo Socrates, (si quis ei tribuat, non satis
ille quidem aequa ratione, quidquid apud Platonem ex ipsius persona
dictum ponitur) in hos etiam quos Cette digression ne nous a pas
eloigne de notre sujet. Puisqu’il existait en Grece, comme nous venons de
le prouver, une jcatBspao-rfta tres-honnete, sainte, on peut dire,
et reputee propre a pousser les hommes au bien et a la vertu,
surtout a la vertu guerriere; puisque les mots d’amants, d’amis, de 7tad>epa<jTcu
et de 7:aioi7.wv n’avaient rien de honteux; puisqu’il etait meme si
honorable de se livrer a cette zcaSspaardtix, que la loi de Solon
punissait de cinquante coups de fouet, subis en pleine place
publique, tout esclave qui aurait ose aimer un jeune homme de
condition libre; puisque tout cela est irrefutable, personne ne doit
s’etonner que Socrate ait professe 1’amour des j eunes gens, qu’il ait
lui-meme eprouve cet amour et agi en consequence; que Platon nous
ait transmis, comme l’ex- pression des doctrines de Socrate, ce que
nous avons cite du Phedre. Sans doute Platon ou, si l’on veut, Socrate,
quoiqu’il ne soit pas equitable de lui attribuer tout ce que son
disciple lui fait dire, se montre mala libido ad turpitudinem
transversos abripuit) illud primo hanc rationem, ut innuimus,
habuit, quod nec legislatorem hic, neque publicum accusa- torem
ageret ; sed Philosophum, sed amatorem, amicum certe quidem, qui
non metu pcence deterrere a turpitudine homines, sed virtutis amore
revocare a peccato vellet. Deinde erant forte, quibus parcendum
erat, juvenes a vitiis ejusmodi non plane puri, Alcibiades, Critias,
alii, 9[Xox''[j.o) illi quidem sed eadem «popti- /Mxipcc et dcfikoaofM
otattr) yprjaajxsvoi quos abscisse nimis ab omni fructu Philosophice, ab
omni ad virtutem reditu excludere velle, et sic plane a se et a
virtute segregare, non erat consilii. Non instituam hic comparationes,
quce invi- diam habere possunt : sed illud addam unum, si forte
aliquid veri sit ineo, quod de liberiori Socratis adolescentia
dictum est /'§. : si non mendax
historia, e qua refert Origenes contra Celsum, qui superiorem vitee
conditionem primis Christi discipulis objecerat [beaucoup trop clement envers
ceux qu’un infame desir pousse a Tacte honteux. Son excuse, nous
Tavons deja dit, c’est que ce n’est pas ici un accusateur public ou
un legislateur qui parle, c’est un Philosophe, un ami, un amant, et
il essaye non de detourner les hommes du vice en les ef- frayant
par la menaee des chatiments, rnais de les dissuader d’une faute en
leur inculquant Tamour de la vertu. II y avait d’ailleurs peut-etre
autour de lui des jeunes gens qui n’etaient pas irreprochables et envers
lesquels il ne fallait pas se montrertrop dur, un Alcibiade, un Critias,
d’autres encore, pleins de fougue, adonnes a une vielicencieuse et
etrangere a la sagesse; les priver de quelques-uns des benefices de
la philosophie, c’eut ete leur fermer toute voie de retour au bien,
les eloigner de la personne du maitre et par consequent de la vertu. Je
ne cherche pas a faire des comparaisons qui pourraient sembler
malseantes; je veux ce- pendant rapporter un fait, vrai ou faux,
qui a traita la jeunesse un tant soit peu Phcedonem e lupanari traductum
ad Philosophiam a Socrate : quid facere illum oportebat in hac
disputatione? Nihil igitur est in Phædro, quod urgeat Socratem : si
quid incautius dic- tum sit, illa Platonis culpa fuerit: quamquam si
universam circumstantiam, ut a nobis ostensa est, quis consideret,
etiam hunc accusare, vel non excusare, iniquum videtur. De Convivio
Platonis jam non opus est multis disputare. Distin- guat mihi
aliquis personas loquentes: ad universam libelli descriptionem,
quam vocamus Œconomian, ad Allegorian denique ab amore Venereo
ductam, ac translatam ad animos, quorum lenonem se et obstetricem
ferebat Socrates: ad hcec, inquam, mihi attendat aliquis, et
et l’amour grec q3 dereglee de Socrate. C'est Origene qui le
raconte dans son traite contre Celse. Celse reprochait aux premiers
disciples du Christ d’avoir ete tires de conditions abjectes;
Origene repondit que Socrate avait bien tire Phedon d’un mauvais
lieu pour le convertir a la Philosophie. Je vous demande un peu ce
que ce Phedon venait faire dans la discussion. On ne rencontre donc
rien dans le Phedre qui puisse incriminer Socrate; s’il y a ca et
la quelques paroles imprudentes, c’est la faute de Platon. Encore, si
l’on examine bien toutes les circonstances, comme nous 1’avons
fait, il serait injuste, tout en blamant Platon, de ne pas lui
trouver d’excuse. Nous ne nous etendrons pas longuernent sur son Banquet.
Que l’on distingue bien les uns des autres les interlocuteurs, que
Fon fasse attention a 1’ensemble du dialogue, a ce que nous
appelons 1’economie de 1’ouvrage, que Fon analyse enfin cette allegorie
tirce de 1’amour physique, puis appliquee aux mirabor, si quid ibi
sit, unde Jiagitio ipsi praesidium, vel crimini in Socratem jactato
firmamentum peti possit. Sed est in illo libro, quod maxime ad
defenden- dum a Socrate fagitium pertinet, quod ut magis pateat,
tota ultimee partis, et velut actus postremi fabulae illius convivalis,
CEconomia proponenda est, e qua ipsa appareat, velle pro veris haberi
Platonem, qua ’ in Alcibiadis personam conjecta de Socrate
dicuntur. Ebrius nempe Alcibiades ad eum finem, ut neque pedes
officium faciant, comissator supervenit potantibus apud Agathonem
Socrati ceterisque. Hic, ex lege compotationis, dextrum sibi accum-
bentem Socratem laudare jussus, obse- quitur cum professione ebrietatis,
ut tamen vera se dicturum confirmet et redargui petat, si quid mentiatur.
Ac primo sub imagine quadam lau [idees, dont Socrate se donnait comme
l’entremetteur et Taccoucheur, et je serai bien surpris si 1’on y
decouvre quoi que ce soit en faveur du vice infame ou a 1’appui de
1’accusation portee contre Socrate. On pourra y puiser, au contraire, les
meilleurs arguments pour l’en defendre; mais il est necessaire d’exposer
ici toute 1’ordonnance de la derniere partie, ou plutot du dernier
acte de ce dialogue, ou il est clair que Platon veut nous faire
tenir comme vrai ce qu’il a place, touchant Socrate, dans la bouche
d’Alcibiade. Alcibiade arrive a la fin du festin dans un tel etat
d’ivresse que ses pieds refusent de le porter; il veut prendre sa
part de plaisir avec Socrate et les autres, en train de boire chez
Agathon. La, par suite d’une convention adoptee entre les convives,
il est force de faire 1’eloge de Socrate, assis a sa droite, et
demande de 1’indulgence, en se fondant sur ce qu’il est ivre ; il
affirme pourtant qu’il ne daturus Socratem, cum Sileno aliquo (Conf.
J nominatim cum Satyro Marsya, tibicine, illum comparat, cujus
figura, ex ligno, edolata ruditer atque deformi, utebantur artifices pro
theca, quce intus haberet pulcherrimum aliquem Mercuriolum:
scilicet in corpore deformi habitare animam pulcherrimam demonstrat: et
esse tibicini Marsyce similem Socratem, ob illam vim demulcendi
animos, cui resisti non posset. Deinde narrat, cum eundem pulchrorum sectatorem
quendam ct capta- torem videret, se, qui fiduciam fornice haberet,
sperasse, si pellicere virum ad amorem sui (venereum nempe) posset,
eique se prceberet obsequiosum, impetra- turum se ab illo admirabilem
illam artem, et ablaturum, quce Socrates sciret, omnia. Hinc narrat
verbis quidem honestis modestisque, et tamen venia ante dira que la verite
et exige, s’il se trompe, qu’on lui donne un dementi. II com-
mence, pour louer Socrate, par le com- parer a ces grossieres figures de
bois representant Silene ou le satyre Marsyas, le joueur de flute,
sculptees sans travail et sans art, dont les statuaires se
servaient comme de gaines, et qui recelaient a 1’interieur quelque joli petit
Mercure; ainsi, dit-il, dans un corps difforme peut habiter une belle
ame; de plus, Socrate ressemble au joueur de flute Mar- syas en ce qu’il
a, pour charmer, une force a laquelle nui n’est en etat de
resister. II raconte ensuite que le voyant s’attacher a la poursuite
des beaux adolescents et s’efforcer de les prendre dans ses filets, plein
de confiance en sa beaute parfaite, il avait essaye de lui inspirer
de 1’amour, comptant bien qu’avec un peu de complaisance pour ses
desirs il obtiendrait de lui qu’il lui communiquat son admirable science,
et qu'il gagnerait a cela tous les talents de Socrate.
Alcibiade exorata ebrietati, et pro? Fatus uti servi aliique profani aures
obturent (zuXa<; 7: avo [xEyaXai xot; walv £7ri0E<?0s) quam varie,
et quibus veluti gradibus, frustra continentiam Socratis, temperan-
tiamquefrecte fortitudinis hic nomen adjicit) tentarit. Summam facit hanc, ut
Deos Deasque testes faciat, se cum totam noctem sub eadem veste cum
Socrate jacuisset, non aliter ab illo, quam ut filium a patre, aut a
fratre majori frater deberet, surrexisse. Itaque se frustratum spei esse in homine,
quem hac sola forte parte capi posse putasset. Enumeratis deinde aliis
Socratis virtutibus, bellica prcesertim, qua sibi etiam vitam
servarit, addit, non se tan- tum contumelia tali ab eo affectum,
sed Charmiden etiam, Euthydemum et gg place ici, mais en
termes honnetes et mesures, quoiqu’il se soit excuse sur son
ivresse et qu'il ait recommande aux esclaves et aux profanes de se boucher
les oreilles, le recit des gradations savantes et de tous les
stratagemes vainement mis en oeuvre par lui pour induire en tenta-
tion la continence, la temperance ou plutot, comme il le dit fort justement,
l’heroique fermete de Socrate. II conclut en disant: Je prends les dieux
et les deesses d temoin quapres avoir repose toute une nuit d cote
de Socrate, et sous le meme m ante au, je me levai d'aupres de lui
tel que je serais sorti du lit de mon pere ou de mon frere aine. Ainsi,
le seul point par lequel il croyait que cet homme fut accessible
avait tout a fait trompe ses esperances. Apres avoir ensuite enumere
les autres vertus de Socrate et appuye sur sa valeur guerriere, a
laquelle il etait lui-meme redevable de la vie, il ajoute qu’il n’est pas
le seul, du reste, a qui Socrate alios multos, quos ille amoris simulatione
deceptos in potestatem suam redegerit, ou? oiito; s^aTCatojv w;
IpaartT)?, Tuatoty.a piaXXov autos -/.aOiaTa-ai avi’ epaotou. Nempe
adulabantur vulgo amatores, certe qui turpe quid spectarent, pueris
aetatula sua et illa ipsa adulatione superbientibus. Alia ratio
Socratica, quae etiam supra in Lysidis argumento declarata est. Suavissima sunt
reliqua in Symposio Platonis: eo autem referuntur omnia, ut intelligamus
Socratis hanc fuisse consuetudinem, pulchrorum amorem uti prae se ferret,
cum illis suaviter et amice ut versaretur, ut virtutis illos amore
impleret, reliqua omnia non tanti esse ostenderet, in quibus valde sibi
elaborandum vir sapiens existimaret. Sanctus ergo Paederasta
Socrates, et foedissimi, si quod usquam est, crimiait fait un tel
affront; que pareille chose est arrivee a Charmis, a Euthydeme et a
bien d’autres qu’il avait feint d’aimer tendrement, pour mieux les
asservir et les diriger. Les amis vulgaires, ceux surtout qui esperaient
de honteuses complaisances, se faisaient les flatteurs des jeunes garcons,
et ceux-ci n’en etaient que plus fiers de leur beaute. Autre etait
la methode Socratique, comme nous l’avons montre plus haut en exposant le
sujet du Lysis. Ce qui suit, dans le Banquet de Platon, est charmant; tout
aboutit a nous montrer que telle etait la coutume de Socrate de
rechercher les bonnes graces des jeunes gens que distinguait un exteneur
gracieux, et de vivre avec eux dans une douce et agreable intimite,
afin de leur faire aimer la vertu; ce point obtenu, il jugeait
facile de leur donner les autres qualites qu’un sage doit s'appliquer a
acquerir. Ainsi, Socrate n’avait pour la jeunesse qu’un amour chaste; il
etait pur du nis expers: a quo etiam alios avocare studuit, quod
Critice exemplo docet Xenophon, ejus, qui post in triginta tyrannis
fuit, quem Euthydemi pudori insidiari cum sentiret, utxov ti Tiaay
eiv dixit, suillo more prurire, eaque re inimicitias hominis factiosi et
potentis sibi contraxit; quibus carere poterat, nisi potius fuisset
officium. Sed admonet me Xenophon de crimine
alterius illo quidem generis, et multo, ut in malis, tolerabiliore :
quod tamen ipsum etiam in illo adhaerescere, quantum in me est, non
patiar. Accusatur, ut naturalis quidem, sed malce tamen libidinis suasor et
leno quidam, propter ea quce referuntur in Xenophontis Convivio. Sed nec
ibi quidquam est, cujus bonum Socratem, aut illius amicos pudere debeat. Spectacula exhibentur
convivis mirabilia, partim vice infame entre tous. Bien mieux, il
s’efiforcad’en detourner lesautres, comme Xenophon nous 1’apprend par
1’exemple de Critias. Ce disciple de Socrate, devenu par la suite
l'un des Trente tyrans, avait voulu attenter a la pudeur
d’Euthydeme; lorsque son ancien maitre Bapprit: II a le prurit du
porc{ i), s’ecria-t-il ; paroles qui lui attir£rent 1’animosite d’un
homme puissant et redoutable, ce qu’il lui eut ete facile d’eviter,
s’il n’avait mieux aime faire son devoir. 3g. Mais Xenophon me fait
songer a une autre accusation qui a ete egalement portee contre
Socrate; quoique moins grave, elle n’en est pas moins facheuse, et
je l’en disculperai de toutes mes forces. On lui reproche, a 1’occasion
d’un incident rapporte par Xenophon, dans son Banquet, d’avoir excite ses
disciples a la debauche, ce qui serait pernicieux encore, [Concupiscit
ad Euthydemum se affricare quemadmodum porcelli solent ad saxa (Xenophon,
Memorabilia). etiam periculosa, et horrorem quendam spectantibus
moventia, inter districtos gladios corpora saltu jactantium, aut in
figuli rota circumacta scribentium le- gentiumque. Non placent ea Socrati,
qui aptius convivio spectaculum putat ipyjln- Gat r.poc, tov auXov
T/rJijiaTa, Iv oi; Xapixe; ts •/.a't Qpat, xa\ Niifxcpat ypstaovtai, ad
tibiam edi motus et saltationes, eo habitu, quo Gratiae, Horae,
Nymphae a pictoribus exhibentur. Forte suspectum alicui fuit hoc
quod Gratice nuda; pingi solent. Sed huic sus- picioni repugnat,
quod dicitur Ariadne illa saltatrix w; vop-sr, xcy.ocju.rjU.svr,,
sponsce autem profecto apud Grcecos nudce esse bien qu’i.1 s’agisse ici
de plaisirs conformes au vceu de la nature, et de s’etre fait, en quelque
sorte, entremetteur. II n’y a rien, dans ce passage, dont doivent
rougir 1’honnete Socrate et ses amis. Des mimes viennent d’executer
devant les convives toutes sortes d’exercices extraordinaires,
quelques-uns tres-dangereux et propres a donner le frisson aux
spectateurs; on a vu les uns presenter leurs poitrines, en sautant,
a des pointes d’epees rangees en file; d’autres lire ou ecrire enfermes
dans une roue de potier mise en mouvement. Ces exercices deplaisent
a Socrate ; il pense qu’il serait plus convenable, au milieu d’un
festin, de voir des danseuses executer des poses, au son de la
Jlute, sous le costume que les pcintres pretent d’ ordinaire aux
Graces, aux Heures et aux Nymphes. Cela a pu paraitre suspect parce
qu’on a coutume de representer les Graces toutes nues. Mais ce
soupcon ne repose sur rien, car la danseuse qui parut alors,
habillee en nymphe, representait I Ob non solebant : nymphae in
insectis ab eo ipso dicta?, quod involuta? sunt. Gratias decenter
vestitas contemplari licet in Grcecis monimentis apud Montfauc. Ant.
Expl. To. i Tab. iog ad p. ij6. Movit forte eum, qui primus crimen hinc
excerpsit Socrati, a/r^a-coiv appel- latio, qua? inter alia ad turpes
figuras refertur, quales olim Philcenidis et Elephantidis commendatas
libellis fuisse constat, ut hic ejusmodi impudens spectaculum
suspicaretur . Sed tum interjecta
de amore disputatio tum ipsa perfectio exsecutioque consilii (c. g)
suspicionem illam eximunt. Aguntur Ariadnes et Bacchi nuptice,sed illa ut
in scenam nihil veniat, pra?ter oscula et [De quibus Spanhem. de usu
et Praest. numism. Diss. Hic ay 7 jfi a est omnis gestus saltantium
blandus, minax, derisor. Vid. Lucia. de Saltat. extr. Apertior,
simpliciorque, et incautior adeo Xenophontis de his rebus oratio, quam
Platonica : sed cujus summa eodem pertineat, uti ab impura libidine ad
sanctam animorum conjunc- tionem homines revocentur. Ariadne, et les Grecs ne
permettaient pas le nu dans les roles de femmes mariees.
D’ailleurs, certains insectes imparfaits sont appeles nymphes precisement
parce qu’ils sont enveloppes. On peut voir aussi, dans YAntiquite' ex-
pliquee de Montfaucon, que les Grecs, meme sur leurs monuments,
figuraient les Graces decemment vetues. Celui qui le premier a lance
contre Socrate cette accusation s’est peut-etre effarouche du mot
pose, qui, entre autres, est applique a des images obscenes, du genre de
celles qu’on rencontrait dans les livres de Philænis et d’Elephantis; il
a soupfonne Socrate d’avoir reclame un spectacle lubrique. Or,
ladiscussion surTarnour qui intervient alors, 1’execution et
l’ache- [Spanheim (De prostantia et usu numismatum antiquorum) parle de
tout cela. On appelait poses toute esp6ce de geste lascif, provocant
ou railleur, des mimes. Comparez Lucien, De la Danse Le dialogue de
Xenophon est bien plus franc, bien plus simple et bien moins circonspCct
que celui de Platon ; tous les deux d’ail!eurs vont au
meme amplexus, cetera reservantur postsceniis. but, qui est de
detourner les hommes des plaisirs les plus impurs et de les rapprocher
dans une sainte communion des ames. Tales saltationes s.
repraesentationes etiam pars sacrorum erant. Apud Lucia. in
Pseudom. xsXsx7]'v xtva cuvtaxaxat Alexander, xai SaStyta?, xat
tepocpavxta; In his mysteriis et sacris etiam est KoptoviSo? yapto; cum
Apolline item riooaXstpiOU xai pLTjTpo; AXs^avSpou yauo; denique
SsXrJvr^ xai AXs^avBpou spto? Alexander ut Endymion alter xaOsuSwv
exsixo sv xw piato cptXrjtxaxa xs
eytyvovxo xat ~£pt~Xoxa\, st 8s ar t r. oXXat iqaav at 8a8ss, xay’ av xt
xat xwv utco xoXtcou sjxpaxxsxo. Apposui locum, quia hic etiam
7t$pt7tXoxa'i, et tamen nihil obscenum. vernent immediat du
divertissement qu’il avait demande, enlevent toute force a cette
conjecture. Les mimes representent les noces d’Ariadne et de Bacchus:
mais on ne voit rien de plus sur la scene que des baisers et des
etreintes amoureuses; le reste se passe derriere le rideau. Ces sortes de
danses et de reprdsentations faisaient partie des Myst6res. Dans lM
lexander seu Pseudomantis, de Lucien, on voit Alexandre, introduit comme
nouvel initii, passer par les 6preuves du dadouque et de
l’hi<5rophante. Parmi les scenes religieuses auxquelles cette
initiation donne lieu figurent : les noces d’Apollon et de Coronis,
celles de Podalirius et de la mere dAlexandre, enfin les amours
d’Alexandre et de la Lune. « Alexandre, comme un autre Endymion, etait
couchd au milieu du theatre; on dchangeait des caresses et des baisers.
S’il n’y avait pas eu D des torches en quantite, peut-etre bien qu’il se fut
laiss6 entrainer a faire qucedam earum quce sub veste Jieri solent. Cest
un peu ldger; cependant il n’y a rien la de bien obscene. Gesner
aurait du citer Lucien plus completement; ce passage du Pseudomantis offre un
tableau de genre exquis: Alexandre, comme un autre Endymion, etait
couche au milieu du thdatre, faisant semblant de dormir. II tombait de la
voute, comme du ciel, une certaine Rutilia, tr£s-jolie, qui jouait
le role de la Lune et qui dtait la femme d’un intendant de
1'einpereur. Elie aimait vraiment Alexandre et Finem et effectum negotii
ita indi- cat Xenophon : teXo; 0 i ol <jup.7ioToci’.oovte;
T:ept6e6Xr]xdT:a; ts aXXrjXou c xai oj; et; euvrjv aTr-.ovTa:, 01
(j.r,v ayauoi yaixetv £zw[xvuaav, 01 oe ysyap-rixoTec, ava 6 xvc£; Ijci
xou; ? 3 C 7 COUS, a-rj- Xauvov Tipo; xa; lauxujv yuvaTxa;, otim;
xojxojv xuy otsv. Tandem post blanditias quasdam, verecundas,
maritales, complexi se invicem sponsus et sponsa, i. e. manibus implexis,
vel brachiis mutuo cervici im- positis, vel tergo circumjectis,
velut cubitum discedunt: ab hoc spectaculo incalescentes, et ut
paullo ante dicebat, av£7iTEpo)|jiivoi convivae cælibes dejerant, se
ducturos esse uxores ; mariti autem equis conscensis domos festinant, ut
simili voluptate et ipsi fruantur. Utinam vero e spectaculis et
theatris hodie ita discederetur! utinam Socratis hac parte disciplinam
sequeren- tur publicarum Voluptatum Tribuni. Talia spectacula edere
debebant Romani eu 6tait aimee. Sous les yeux de son propre mari,
iis echangeaient des caresses et des baisers. Xenophon indique de la
maniere suivante la fin et les resultats de l’histoire. Apres toutes
sortes de caresses honnetes et maritales, les deux epoux se tenant
embrasses, c’est-a-dire, je pense, les mains entrelacees ou les bras passes
mutuellement soit autour du cou, soit autour de la taille, s’eloignerent
comme pour aller se coucher. Echauffes par ce spectacle et se sentant de
furieuses demangeaisons, comme s’il leur poussait des ailes, les convives
encore celiba- taires /irent le serment de ne pas tarder a prendre
femme ; les maris monthrent a cheval et se haterent de regagner le logis,
pour gouter d leur tour de semblables voluptes. Plut au ciel qu’aujour-d’hui on
quittat les spectacles et les theatres dans de si bonnes
intentions! plut au ciel que cette partie de la discipline Socratique fut
pratiquee par les ediles preposes aux plaisirs publics! Ce sont de
tels divertissements qu’auraient du decreter les empereurs Romains,
soucieux d’exciter toutes les classes au ma principes, cum de maritandis
ordinibus, et sobole Romana augenda soliciti erant: talia
conveniebant nuper Lutetia? et Gallice adeo universae, quum Ducis Burgtindice
natalem nuptiis mille puellarum celebrarent: talia magnam Britanniam,
si quid veri habent quorundam qucerelce, Swiftiance praesertim, quas eo
loco protulit, ubi de abrogando clero disputat: aut eorum, qui hodie
peregrinos invitandos, supplendi populi causa. et civitate donandos,
censent. Nempe incidit aetas Socratis in ea tempora, ubi civium
paucitate laborabat exhausta bellis Persicis et Peloponnesiacis Attica,
cui etiam lege matrimoniali obviam ire, et afferre remedium, conati
esse dicuntur. Debemus notitiam hujus legis ipsi Socrati, quatenus nulla
forte illius mentio extaret hodie, nisi de duabus Philosophi uxoribus jam
olim disputatum esset. Res cum queestioni. de qua riage ct d’accroitre la
posterite de Remus: iis auraient convenu naguere a la ville de Paris et a
la France entiere lorsqu’on feta la naissance du duc de Bourgogne
en mariant un millier de jeunes falles; iis auraient bien fait Faffaire
de la Grande-Bretagne, s'il y a quelque chose de vrai dans ces
plaintes dont Swift surtout s’est fait l’e'cho et qui reclamaient
1’abolition du celibat despretres; iis conviendraient encore a ces pays ou
l’on attire les etrangers en leur conferant les droits civiques pour
suppleer au petit nombre d'habitants. Socrate vivait a une epoque
ou 1’Attique, epuisee par les guerres des Perses et du Peloponese,
souffrait de ne plus avoir qu'une population clair-se-mee; on dit menae
que les Atheniens s’efforcerent de remedier a cet etat de choses par une
nouvelle loi touchant lesmariages. Nousdevons l’unique renseignement que
l’on ait sur cette loi a Socrate, car il n’en subsisterait aujourd’hui
aucune agimus conjuncta sit, illam, quam breviter jieri potest,
expediemus. Duas So- crati uxores vulgo tribui videmus, Xanthippen e qua
Lamproclem susceperit, et Myrto, Sophronisci atque Menexeni matrem.
In hoc conveniunt Cyrillus (contra Julia) et Theodoretus (Grcecar.
Affect. curat) ac Diogenes Laertius. Porro de Xanthippe Cyrillus ex
Por- phyrio, 7tspi7tXa-/.asav XaQstv, clanculum in ipsius amplexus
venisse ; quod plane repugnat Platoni et Xenophonti, qui nullius
conjugis prceter Xanthippen, justam uxorem, mentionem faciunt : tum
Theodoreto, qui tamen ipse quoque sua debere ait Porphyrio, sed non
tantum pro TCspiTt^axetaav XaOsTv habet 7:po<j-XaxeTcjav Xa6sTv,
induxisse priori uxori, ut pereat illa secreti, et furti amatorii notio :
sed etiam addit, solitas esse eas mulieres inter se depugnare, deinde
pace facta conjunctim impetum facere in Socratem ideo, quod is bella
illarum non dirimeret: hunc vero utrumque genus pugna: mention sans la controverse
autrefois agitee au sujet de ses deux femmes. Comme cette question
tient a notre sujet, nous la discuterons bridvement. On donne communcment
a Socrate deux femmes : Xantippe, dont il eut un de ses fils,
Lamprocles, et Myrto, la mere de Sophronisque et de Menexene. S. Cyrille,
Theodoret et Diogene de Laerte sont tous les trois d’accord
la-dessus. Mais S. Cyrille, empruntant ce detail a Porphyre, dit de
Xantippe que son mariage avec Socrate fut clandestin, qu’elle se cachait
pour 1’embrasser, ce qui contredit absolument Xenophon et Platon,
puisqu’ils ne parient d’aucune autre femme que de Xantippe, epouse
legitime de Socrate. Theodoret, qui lui aussi dit tenir de Porphyre
ses renseignements, change 7iepi7tXoaEiaav XaOsTv en npovnXxxsT-
aav XafleTv et declare ainsi que Socrate introduisit Xantippe chez sa
premi^re femme, ce qui ruine toute cette histoire de mariage
secret, et de furtifs baisers; bien mieux, il ajoutc que ces deux mecum
risu speci are consuevisse. Utri fi dem habebimus? Sed nondum est
finis discordiarum. Theodoretum si audimus, induxit Xanthippen suce jam
Myrto Socrates: sed Laertius negat convenire inter auctores, utram prius
duxerit. Idem ait, simul ambas habuisse Socratem, a quibusdam esse
traditum. In hac sententia etiam fuit auctor Dialogi Halcyon, qui
inter primos Lucianeos editur, in cujus fine Socrates dicat, se Halcyonis
amorem in maritum suis conjugibus Xanthippee et Myrto prcedicaturum esse.
Antiqua porro esse illa relatio memoratur Callisthenis, Demetri Phalerei,
Satyri Peripatetici, Aristoxeni Musici, geres se battaient
continuellement, puis la paix faite, tombaient a poings fermes sur
le pauvre Philosophe, en lui reprochant de ne les avoir pas separees:
pour lui, il restait simple spectateur du combat et voyait donner ou
recevait lui- meme les coups en souriant. A qui faut-il s’en rapporter,
de S. Cyrille ou de Theodoret? Et nous ne sommes pas au bout
de la querelle. Dapres Theodoret, So- crate epousa Xantippe, dtant deja
marie a Myrto; mais Diogene de Laerte af- firme que les auteurs ne
sont pas d’accord et qu’on ne sait qui des deux il epousa la premiere. Il
dit aussi qu’il les eut toutes les deux ensemble, et sur quelles
autorites repose cette assertion. Elie a ete accueillie par 1’auteur du
dialogue intitule Alcyon, imprime en tete de ceux de Lucien; on y voit
Socrate proposer en exemple a ses deux femmes, Xantippe et Myrto,
1’amour d’Alcyon pour son mari. Plutarque (Vie d’Aris- i Hieronymi
Rhodii, apud Plutarchum (vita Aristid. extr.) qui ceteris narrandi
auctorem fuisse ait Aristotelem in libro de nobilitate, (rapi s-jyevsia;)
qui tamen liber an sit Aristotelis, Plutarchus dubitat : narrant autem
ita, Aristidis neptim Myrto, vidua cum esset et paupercula, domum
ductam a Socrate, eique cohabi- tasse, licet aliam uxorem
habenti. At non licebat a Cecrope inde Athenis plure s una habere
uxores. Qui sit igitur, ut neque Comici exprobrarint, neque Accusatores
objecerint digamian Socrati? Hic nobis narrant Athenaeus et Laertius
legem, latam supplenda 1 multitudinis civium causa. Exstabat Athenceo
prodente ipsum decretum a Rhodio Hie- ronymo conservatum, wax' si-eivat
xai ouo ET L’AMOUR GREC I i q tide) rapporte que cettc opinion
etait ancienne, et qu ; elle fut partagee par Callisthene,
Demetrius de Phalere, Sa- tyrus le peripateticien, Aristoxene le
musicien et Hieronyme de Rhodes; Athenee dit de son cote qu’ils
Tavaient tous puisee dans le Traite de la No- blesse d Aristote,
livre dont cependant Plutarque doute qu’Aristote soit l’auteur. Tous
racontent que Myrto, pe- tite-fille d Aristide, etant veuve et se
trouvant dans une extreme pauvrete, fut recueillie par Socrate dans sa
maison et qu’il cohabita avec elle, quoiquhl fut deja marie. J
Les vieilles lois de Cecrops inter-disaient cependant a Athenes les
doubles unions. Pourquoi donc ni les poetes co- miques, ni les
accusateurs de Socrate ne lui ont-ils reproche ou oppose ce cas de
bigamie ? Cest a ce propos qu’A.thenee et Diogene de Laerte nous parient
de cette loi nouvelle, edictee, disent-ils, dans le but d’accroitre
le nombre des citoyens. SOCRATE 'systv yuvatxa; tov [3o'jaojj.£vov. Secundum
haec male accusaretur Socrates, qui et legi paruerit de augenda
sobole Attica, et Aristidis progeniem viduitate et pauper- tate
extrema liberaverit. Verum enim vero totum hoc de duabus Socratis
uxoribus, quin de lege maritali etiam falsum esse, prcesertim ex
dissensu commemorato, itemque ex Platonis et Xenophontis silentio
arguit Bentleius. Et habet, quantum est de monogamia Socratis,
magnum auctorem Pancetium, quem laudat Plutarchus, qui cum
retulisset eam quce modo proposita est de Myrto narrationem, satis
illam refutatam ait a Panaetio: cujus si opus hodie extaret,
facilior forte hodie esset causa Socratis, quem tamen a turpi pue- [In
Dissertat, de Phalaridis et exteror. Epistolis, ET l’aMOUR GREC Athenee
s’avance jusqida dire qu’il y avait un decret, conserve par
Hieronyme de Rhodes, et ainsi concu: « 11 est permis d’avoir jusqua deux
femmes. Si cela est vrai, on accuserait mal a propos Socrate, qui
n’aurait fait qu’obeir a la loi portee en vue de repeupler
1’Attique, et qui de plus aurait sauve du veuvage et de la
mis&re la petite-fille d’Aristide. Mais vraiment Phistoire des
deux femmes, tout aussi bien que celle de la loi matrimoniale,
paraissent en-tachees de faussete a Bentley; il se fonde surtout sur le
desaccord que nous avons signale et tire une grande preuve du silence
de Platon et de Xenophon. Nous avons, pour ce qui est de la monogamie de
Socrate, une excellente autorite, Pantetius, dont Plutarque fait le plus
bel eloge; apres avoir rapporte ce que nous avons dit de Myrto, il
ajoute que cettefable a ete suffisamment refutee Dissertation sur
les Epitres de Phalaris, Themistocle, Sacrale et Euripide (iu-8"). SOCRATE rorum amore, et a lenocinio turpi, et
a libidinosa digamia, vel sic satis liberatum esse confido. ET L AMOUR GREC par
Panaetius. Si nous possedions son livre, la cause de Socrate serait
aujourd’hui plus facile a defendre; je pense cependant avoir prouve qu’il
ne fut ni un corrupteur de la jeunesse, ni un provocateur a la
debauche, ni un bigame libertin. Alcibiade; ses avances repouss^es
par Socrate. Ame, comparde par Platon a un attelage ai!6 classification des ames suivant le degrd
de connaissances acquises avant la vie, p. Amour
philosophique, raisons qui dirigent les choix dans cette
sorte d’amour les impuretes ou il peut s’egarer Analyse du Lysis,
dialogue de Platon du Phedre du Banquet Beaute morale et Beaute physique
-- Bigamie; Socrate eut-il deux femmes? la bigamie etait-elle
autorisde en Grece ? Cohorte sacree des amants, a Thebes et
en Crete -- Inspires; couples d’amis Minies; leurs exercices et poses
plastiques -- riaiospaatsta, le mot et la chose pouvaient etre pris
en bonne part, chez les Grecs Peines portees par les Grecs contre
les infames Pronostics tirds par les physionomistes de la voix
forte et grave de lencolure courte des oreilles velues -des grosses
levres -- du nez camard des yeux saillants, Representations mythologiques
et divertissements dans les festius dans les mysteres effets singuliers
produits parfois sur les convives par ces representations, p.
m. Socrate; motifs ordinaires des accusations portees contre lui pourquoi
il recherchait les beaux garcons son portrait physique Socrate
l’ Ecclesiastique; comment il a accuse, sans preuves, Socrate le Philosophe Sparte
; coutume rappor- t6e par Elien -- les amours impures y etaient
ignorees Paris. Imp. Motteroz, 3 i, rue du Dragon. Gabriele
Giannantoni. Giannantoni. Keywords: la dialettica, dialettica, Epicuro a Roma,
Calogero, il principio dialogo, Lucrezio, Cicerone. -- Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Giannantoni” – The Swimming-Pool Library.
No comments:
Post a Comment