Grice e Fioramonti: la ragione conversazionale e l’implicature
conversazionale economica – scuola di Roma – filosofia romana – filosofia lazia
--filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano. Filosofo lazio. Filosofo italiano. Roma,
Lazio, Italia. Grice: “Fioramonti, like Hart, and myself, has philosophised on
human right, legal right, moral right.” Frequenta
il liceo a Roma, situato nel quartiere di Tor Bella Monaca. Si laurea a Roma con
una tesi in Storia della economia filosofica, incentrata sul ruolo dei diritti
di proprietà ed individuali. Studia Politica comparata a Siena. Insegna a
Pretoria, ed è direttore del Centro per lo studio dell'innovazione Governance
(GovInn) dello stesso ateneo. È inoltre membro del Center for Social Investment
dell'Heidelberg, della Hertie School of Governance e dell'Università delle
Nazioni Unite. Si occupa di economia e integrazione economica europea. Per
il Financial Times, sostiene che il PIL è "non solo uno specchio distorto
in cui vedere le nostre economie sempre più complesse, ma anche un impedimento
a costruire società migliori". I suoi articoli sono inoltre apparsi
su The New York Times, The Guardian, Harvard Business Review, Die Presse, Das
Parlament, Der Freitag, Mail et Guardian, Foreign Policy e open democracy.net.
Ha una rubrica mensile nel Business Day. È stato co-direttore della rivista
scientifica The Journal of Common Market Studies. è inoltre coautore e
co-editore di diversi libri. Oltre ai best seller Gross Domestic Problem: “La politica
dietro il numero più potente del mondo e Il modo in cui i numeri governano il
mondo: l'uso e l'abuso delle statistiche nella politica globale, pubblica “Economia
del benessere: successo in un mondo senza crescita, Presi per il PIL. Tutta la
verità sul numero più potente del mondo e Il mondo dopo il PIL: economia,
politica e relazioni internazionali nell'era post-crescita. Ha avuto
un'esperienza come assistente parlamentare, collaborando a titolo gratuito con
Antonio Di Pietro (IdV) a sviluppare politiche per i giovani nelle
periferie. Viene resa nota la sua candidatura col Movimento 5 Stelle alle
imminenti elezioni politiche di marzo, risultando eletto alla Camera dei
deputati nel collegio uninominale di Roma-Torre Angela con il 36,65% dei
voti. è stato nominato sottosegretario presso il Ministero
dell’istruzione, dell'università e della ricerca nel Governo Conte I. Nominato Dino
Giarrusso suo segretario particolare, affidandogli l'incarico di coordinare la
comunicazione del suo ufficio e curare le relazioni istituzionali. L'onorevole
ha inoltre aggiunto di aver chiesto a Giarrusso di aiutarlo anche ad evadere le
segnalazioni inviate al Ministero sulle presunte irregolarità che si verificano
all'interno dei concorsi universitari. Il Consiglio dei ministri, su proposta
di Bussetti, lo ha nominato vice ministro all'istruzione, università e ricerca.
Proposto come ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca nel
Governo Conte II, viene nominato ufficialmente. All'inizio del suo mandato ha
istituito un comitato scientifico di consulenza, composto tra gli altri da Shiva.
Nel mese di ottobre intervenendo ai
microfoni della trasmissione radiofonica Un giorno da pecora ha affermato di
"credere in una scuola laica" e di essere favorevole alla rimozione
del crocifisso nelle scuole, per sostituirlo piuttosto con una mappa del mondo.
In seguito, e criticato dalla Conferenza Episcopale Italiana. Annuncia l'introduzione
in Italia, primo Paese al mondo, dello studio del cambiamento climatico e dello
sviluppo sostenibile come materia scolastica. Dichiara di essere pronto a
rassegnare le proprie dimissioni qualora nella Legge di bilancio non fossero stati trovati fondi per 3
miliardi di euro da destinare all'istruzione. Invia al Presidente del Consiglio
Conte una lettera in cui annuncia le proprie dimissioni e dichiara che, a
proprio avviso, sarebbe opportuno rivedere l'IVA al fine di incassare i fondi
che chiedeva per il proprio ministero. Comunica la propria uscita dal
Movimento 5 Stelle e la propria adesione al Gruppo Misto alla Camera. Annunciato
la fondazione del nuovo partito politico Eco. Eco rappresenta un'ipotesi,
un'idea guidata dalla volontà di costituire una entità in collaborazione tra
società civile e parlamentari, ma la cui concretizzazione in una nuova realtà
non è ancora certa. Entra a far parte di Green Italia, insieme
all'onorevole Muroni e Schlein,
vicepresidente dell'Emilia Romagna. Dopo che il quotidiano il Giornale ha
pubblicato alcune dichiarazioni fatte nel passato su Twitter da Fioramonti,
ritenute inappropriate per la carica da ministro, diversi partiti (tra cui
Lega, FI e FdI) chiedono le sue dimissioni dal dicastero, annunciando il
deposito in Parlamento di una mozione di sfiducia È stata effettivamente
depositata? Che ne è stato? Il ministro ha quindi dichiarato sui social che
tali opinioni erano state scritte di getto e si è quindi scusato. Nello
stesso periodo suscita polemica il fatto che, secondo quanto riportato dalle
chat di alcuni genitori, il ministro avrebbe scelto di iscrivere il figlio alla
scuola inglese e di non fargli fare l'esame di italiano. A seguito di tale
notizia, scrive un post sui social in cui si definisce turbato come padre e
cittadino ed annuncia di voler presentare un esposto al garante della
privacy. Altre opere: Diritti umani 50 anni dopo. Aracne); “Fuori.
Fermento,. Poteri emergenti nell'economia politica e internazionale. Il caso di
India, Brasile e Sudafrica. ETS,. Presi per il PIL. Tutta la verità sul numero
più potente del mondo. L’Asino d’oro edizioni,. Il mondo dopo il Pil. Economia
e politica nell'era della post-crescita. Edizioni Ambiente,. Un'economia per
stare bene. Dalla pandemia del Coronavirus alla salute delle persone e
dell'ambiente. Chiarelettere. Vincenzo Bisbiglia, chi è il candidato M5S: dalla
laurea in Filosofia alla critica al pil. Con tappa alla Rockefeller
foundationIl Fatto Quotidiano, in Il Fatto Quotidiano. F., su up. ac. Has GDP become
an impediment to a better society?, su Financial Times. 1World needs a new
Bretton Woods with Africa in the lead, su bdlive.co.za, Business Day. Eligendo: Camera [Scrutini] Collegio uninominale 05 ROMA
ZONA TORRE ANGELA (Italia) Camera dei Deputati Ministero dell'Interno, su
Eligendo. F.Q., Governo, nominati 45 tra viceministri e sottosegretari:
Castelli e Garavaglia al Mef. Crimi all'Editoria. Dentro anche SiriIl Fatto
Quotidiano, in Il Fatto Quotidiano, Università, dietrofront su Giarrusso. F.:
"è solo il mio segretario, non un controllore", in Repubblica, Governo:
Galli, Rixi e Fioramonti nominati viceministriTgcom24, in Tgcom 24, Crocifisso
a scuola, la Chiesa contro il ministro F. che vorrebbe toglierlo dalle classi,
su Repubblica, F.: da settembre il clima sarà materia di studio a scuola F.: 3 miliardi per l'istruzione o confermo le
mie dimissioni -, su Orizzonte Scuola, Il ministro dell’Istruzione F. ha dato
le dimissioni, Corriere della sera, F. lascia il gruppo M5S: «C'è diffuso
sentimento di delusione», Il Messaggero, 30 L’ex ministro Fioramonti: «Un altro
governo non è un tabù. Ora un’area civica progressista», su Il Manifesto. Bufera
su F. per alcuni tweet. Meloni chiede le dimissioni, per Lega e Pd deve
chiarire, su L'HuffPost, Bufera su F. per offese web, ministro si scusa Politica,
su Agenzia ANSA, Chi è Lorenzo Fioramonti, nuovo ministro del MIUR, su
theitaliantimes, Governo Conte II Ministri dell'istruzione, dell'università e
della ricerca della Repubblica Italiana. Treccani Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Openpolis, Associazione Openpolis. Radio
Radicale. PredecessoreMinistro
dell'istruzione, dell'università e della ricerca della Repubblica Italiana Successore
Ministero Istruzione. png Marco Bussett, Giuseppe Conte (ad interim) PredecessoreViceministro
dell'istruzione, dell'università e della ricerca della Repubblica Italiana Successore
Ministero Istruzione. Anna Ascani. Quarterly
gross domestic product Petty came up with a basic concept of GDP to attack
landlords against unfair taxation during warfare between the Dutch and the
English. Davenant developed the method further. The modern concept of GDP was
first developed by Kuznets for a 1934 US Congress report, where he warned
against its use as a measure of welfare (see below under limitations and
criticisms).[12] After the Bretton Woods conference in 1944, GDP became the main
tool for measuring a country's economy.[13] At that time gross national product
(GNP) was the preferred estimate, which differed from GDP in that it measured
production by a country's citizens at home and abroad rather than its 'resident
institutional units' (see OECD definition above). The switch from GNP to GDP in
the US was in 1991, trailing behind most other nations. The role that
measurements of GDP played in World War II was crucial to the subsequent
political acceptance of GDP values as indicators of national development and
progress. A crucial role was played here by the US Department of Commerce under
Milton Gilbert where ideas from Kuznets were embedded into institutions. Wikipedia Ricerca Economico (Aristotele) opera
attribuita ad Aristotele Lingua Segui Modifica Economico Οἰκονομικά Oikonomiká
Aristotelesarp.jpg Autore Pseudo-Aristotele 1ª ed. originaleGenere trattato
Sottogenere economia Lingua originalegreco antico L'Economico (in greco antico:
Οἰκονομικά, Oikonomiká; in latino: Oeconomica) è un'opera attribuita ad
Aristotele. La maggior parte degli studiosi moderni lo attribuisce a un allievo
di Aristotele o del suo successore Teofrasto. Struttura Modifica Il libro
I è suddiviso in sei capitoli che iniziano a definire l'economia. Esso,
quindi, è un'introduzione che mostra la formazione di base di un'economia,
ossia la famiglia. Il testo inizia affermando che l'economia e la politica
differiscono in due modi principali, ossia nei soggetti con cui trattano e nel
numero di governanti coinvolti. Come un proprietario di una casa, c'è solo una
sentenza in un'economia, mentre la politica coinvolge molti sovrani. I
praticanti di entrambe le scienze cercano di sfruttare al meglio ciò che hanno
per prosperare. Una famiglia è composta da un uomo e dalle sue proprietà
e l'agricoltura è la forma più naturale di buon uso per questa proprietà.
L'uomo dovrebbe quindi trovare una moglie, mentre i bambini dovrebbero venire
dopo, perché saranno in grado di prendersi cura della casa man mano che l'uomo
invecchia. Questi sono i capisaldi dell'argomento economico. Il secondo
libro si sviluppa con l'idea che ci sono quattro diversi tipi di economieː
l'economia reale, l'economia satrapica, l'economia politica e l'economia
personale. Chiunque intenda partecipare con successo e solidarietà a
un'economia deve conoscere ogni caratteristica della parte dell'economia in cui
è coinvolto. Tutte le economie hanno un principio in comuneː indipendentemente
da ciò che viene fatto, le spese non possono superare le entrate. Questa è una
questione importante, fondamentale per la nozione di "economia". Il
resto del secondo libro riguarda eventi storici che hanno creato importanti
modi in cui le economie hanno iniziato a funzionare in modo più efficiente e
danno le origini di alcuni termini ancora in uso all'epoca e l'argomento
principale è il flusso di denaro attraverso qualsiasi economia ed eventi
particolari. Il terzo libro è noto solo dalle versioni latine
dell'originale greco e tratta del rapporto tra marito e moglie. Il classicista
Rose, nella sua classica edizione dei frammenti aristotelici, ha ipotizzato che
questo libro non fosse altro che il Περὶ συμϐιώσεως ανδρὸς καὶ γυναικός e i
Νόμοι ανδρὸς καὶ γαμετῆς indicati nel catalogo di opere di Aristotele che
compaiono nella biografia attribuita a Esichio di Mileto, tradizionalmente
chiamata Vita Menagiana. Aristote, Économique. Testo greco a cura di B. A.
van Groningen e André Wartelle, traduzione e note di Wartelle, Paris, Les
Belles Lettres (edizione critica) Aristotele, Opere, vol. 8, Politica. Trattato
sull'Economia, Laurenti, Bari, Laterza. Aristotele Pseudo-Aristotele. Portale
Antica Grecia Portale Filosofia di Valepert Pseudo-Aristotele
autori sconosciuti di diverse opere antiche Parva naturalia Topici opera
di Aristotele L'espressione filosofia dell'economia può riferirsi alla
branca della filosofia che studia le questioni relative all'economia o, in
alternativa, il settore dell'economia che si occupa delle proprie fondamenta e
del proprio status di scienza umana.Hands, philosophy and economics, in The New
Palgrave Dictionary of Economics.Portale Filosofia: filosofia di Nima Tayebian Boulding economista,
pacifista e poeta inglese Bradley (filosofo). PARTITO NAZIONALE FASCISTA.
TESTI PER I CORSI Dl PREPARAZIONE POLÍTICA L’ECONOMIA FASCISTA.
LA LIBRERIA DELLO STATO.Política economica e monetaria. L’agricoltura italiana
e la política rurale dei Regime. Industria e artigianato. La
política dei lavori pubblici. CONCETTI FONDAMENTALI. Il profondo,
sostanziale contrasto che separa il FASCISMO dal liberalismo si riflette
in forma vigorosa e tipica nel campo economico. In economia
difatti lo Stato fascista si oppone nettamente alio Stato liberale,
perchè mentre questo non interviene nella vita economica e si limita
generalmente alia funzione di difesa e di istruzione (Stato carabiniere e
pedagogo), quello considera suo compito preciso il regolare e determinare
lo sviluppo materiale e spirituale delia collettività, negando che dal
libero e incomposto cozzo delle forze individuali possa prendere origine
la forma piú perfetta e piú alta di vita civile. Lo Stato fascista non
crede alie armonie economiche realiz- zantisi con il totale assenteismo
di uno Stato abúlico che si limita a prendere atto dei risultati
raggiunti dai singoli indi- vidui; lo Stato fascista è Stato etico
appunto perchè ha una sua consapevolezza e una sua volontà da realizzare.
È Stato che non si estrania dai problemi deH’economia, ma li studia, li
incita, li guida, li frena, perchè non concepisce il divorzio fra
politica ed economia ma considera che questa discenda da quella.
Gli economisti e i politici che affermarono in maniera recisa e
perentória che lo Stato è specialmente utile quando si astiene da
qualsiasi intervento nel campo economico, — e sono numerosissimi nel
secolo scorso — oggi vanno scomparendo. In tutti i paesi lo stato
giganteggia. Soltanto esso può risolvere le drammatiche contraddizioni
dei capitalismo; soltanto esso può awiare verso una soluzione quel
complesso di fenomeni materiali e spirituali che si chiamano crisi e che
possono essere superati e vinti entro lo Stato. Questo
particolarissimo stato d'animo di fronte al liberalismo disfatto fu definito
dal Duce con la seguente domanda: Che cosa direbbe dinanzi ai continui,
sollecitati, inevitabili interventi dello Stato nelle vicende economiche,
Bentham, secondo il quale l’industria avrebbe dovuto chiedere allo stato
soltanto di essere lasciata in pace, o Humboldt, secondo il quale lo stato
ocioso dove essere considerato il migliore? Ma se anche la seconda ondata
degli economisti liberali è meno estremista delia prima, perchè apriva
già la porta agli interventi dello Stato neireconomia, rimane pur sempre
un incolmabile abisso tra Stato liberale, anche, diremo cosí,
corretto, meno intransigente di quello concepito un tempo, e lo Stato
fascista. Bisogna ricordare che chi dice liberalismo dice pur sempre
indivíduo. CHI DICE FASCISMO DICE STATO. Con questo però LO STATO FASCISTA non
intende di solito ingerirsi direttamente nel fatto economico, ma
sopraintendervi, affinchè esso si svolga secondo gli interessi delia
collettività* È da questa concecione política dello Stato che deriva
la concezione economica delia corporacione. Lo Stato fascista che in
política non è reacionário ma rivolucionario, in quanto anticipa le solucioni
di problemi comuni a tutti i popoli, in economia dimostra in maniera
inequivocabile il suo carattere morale e storico perchè è proprio nella
disciplina dei fatti economici che si rivela la maturità di una
collettività organiccata e si dimostra la capacità creativa di una nuova
dottrina, che, come quella dei Fascismo, è pensiero ed azione. II duce
innanci a migliaia di gerarchi convenuti a Roma per la celebracione dei decennale
si domanda. Questa crisi che ci attenaglia da quattro anni è una crisi
dei sistema o nel sistema? All’inizio delia fase risolutiva delia politxca
corporativa del fascismo, il capo risponde a quella grave domanda con un
fondamentale discorso al consiglio nazionale delle corporazioni, nel quale
sono precisati i caratteri particolari dell’economia
corporativa. Egli in quella storica assemblea affermò in maniera
recisa che la crisi è penetrata cosi profondamente nel sistema da
diventare una crisi dei sistema . Non è piú un trauma, e una malattia
costituzionale, Egli disse. Se meditiamo intorno all’affermazione del capo
per com- prendere i motivi storici che 1'hanno determinata, riconosciamo
súbito che una profonda rivoluzione si è operata tanto nel sistema di
produzione quanto nelle organizzazioni politi- che che hanno retto sino a
pochi anni or sono i diversi paesi civili. Egli ha definito il
capitalismo e ne ha tracciato la storia che ha vissuto nel secolo scorso:
la nascita, il culmine, il declino. L’analisi che il duce ne fa in
quello storico discorso è cosi perfetta che se ne trascrivono qui di
seguito concetti e parole, sostanza e forma. Giunto alia sua piü
perfetta espressione — dice il duce — il capitalismo è un modo di
produzione di massa per un consumo di massa, finanziato in massa
attraverso l’emissione dei capitale anonimo nazionale e internazionale.
II capitalismo è quindi industriale e non ha avuto nel campo agricolo
manife- stazioni di grande portata. Nella storia dei capitalismo tre
periodi si distinguono: il periodo dell’ascesa; il periodo delia massima
potenza; il per iodo delia decadenza. II primo periodo coincide
con la introduzione dei telaio meccanico e con 1'apparire delia
locomotiva. Sorge la fabbrica. La fabbrica è la tipica manife- stazione
dei capitalismo industriale. È 1'epoca dei grandi margini e quindi la legge
delia libera concorrenza e la lotta di tutti ir contro tutti può
giuocare in pieno. È il período in cui un grande fervore di attività
pratica awince i popoli e in cui la scienza che aveva saputo carpire alia
natura i suoi gelosi segreti offre aU'uomo mezzi formidabili di conquista
e di dominio. In Inghilterra, in Francia, in America, si disfrenano
concorrenze acerbe e si tentano imprese ardite. In questi 40
anni vi sono dei caduti e dei morti, ma in questo periodo le crisi sono
crisi cicliche che si ripetono ad intervalli di tempo, non sono nè lunghe
nè universali. II capitalismo è nel periodo migliore delia sua vita.
Ha ancora tale vitalità e tale forza di recupero che può superare
brillantemente e rapidamente le awersità delia congiuntura
economica. L'attività imprenditrice trova facilmente le condizioni
favorevoli per il suo sviluppo, poichè grandi sono le possibilità dei
mercati di consumo mentre limitate sono ancora le capacità delia
produzione. È 1'epoca in cui l’urbanesimo si sviluppa e si inizia
1'esodo rurale. Le città che divengono centro delia produzione
capitalistica si accrescono vertiginosamente. In questo primo
periodo dei capitalismo — averte il duce — la selezione è veramente
operante. Ci sono anche delle guerre, ma sono guerre brevi che non
possono essere paragonate alia guerra mondiale. Esse eccitano anzi, in un
certo senso, 1’economia delia Nazione. In America comincia la
faticosa e dura conquista delle sterminate campagne dell'ovest, che ha
avuto i suoi rischi ed i suoi caduti come ogni grande conquista. Mentre
si vengono organizzando le formidabili aziende agricole degli Stati dei
sud, le città deli’Atlantico raggiungono un enorme sviluppo. II ricordato
periodo dei capitalismo che dura 40 anni e potrebbe essere compreso tra
1'apparire delia macchina a xa vapore e il taglio deiristmo di Suez, è
certamente tra i piü dinamici che la storia ricordi. Esso è
caratterizzato dall’assenza dello Stato nella vita economica. II duce dice
che durante questi XL anni lo Stato si limita ad osservare Esso è
assente, e i teorici dei liberalismo dicono: ((voi, stato, avete un solo
dovere, di far si che la vostra esistenza non sia nemmeno awertita nel settore
dell’economia Meglio governerete, quanto meno vi occuperete dei
problemi di ordine economico. II duce dimostrat che da certo momento si
awertono i primi sintomi delia stanchez^a e delia deviazione dei mondo
capitalistico. La fervida e sana lotta per la vita, la libera concorrenza, la
selezione dei piú forte, non si esplicano piü col primitivo vigore,
con quella energia e anche con queirentusiasmo che si è riscontrato
nel período precedente Lo documentano i numerosi cartelli, sindacati,
consorzh Si inizia Tèra dei trust. Si può dire che ormai non
ci sia settore delia vita economica dei paesi di Europa e di America dove
queste forze che carat- terizsano il capitalismo non si siano formate La
conseguenza di questo stato di cose, che gli economisti liberali,
ossequienti ai dogmi fondamentali dei classici, non awertirono, fu di una
importanza grandíssima: la fine delia libera concorrenza. Essa rimase una
parola morta. La capacità di assorbimento dei mercato non corre paralle-
lamente alia crescente capacità produttiva; il saggio desinte¬ resse e
dei profitto, cioè il rapporto tra il guadagno ricavato e la quantità di
capitale impiegato neirimpresa, si riduce fortemente. Essendosi ristretti i
margini, l’impresa capitalistica trova che anzichè lottare è piú
conveniente accordarsi, fon- dersi, dividersi i mercati ripartendo i
profitti. La stessa legge delia domanda e deirofferta sulla quale è stata
costruita la teoria economica dalla quale dipende il sistema scientifico
elaborato dai classici deireconomia, non può piü agire con libertà nella
nuova realtà economica che si è venuta formando* Attraverso i cartelli e
i trusts si può agire sulla domanda di merci e specialmente suirofferta
che di queste può essere fatta in un determinato mercato*
Questa economia capitalistica coalizzata, trustizzata, sempre meno
idônea a vivere di vita própria, cerca di agire sullo Stato onde ottenere
favori leciti o illeciti* Essa chiede anzitutto la protezione
doganale* II liberalismo viene colpito a morte, ma gli economisti
non se ne accorgono: continuano imperterriti la loro costruzione
astratta, avulsa dalla realtà economica, come se il mondo eco- nomico da
cui avevano pur tratto gli elementi delia loro costru¬ zione scientifica
non li riguardasse piü* La dottrina economica che aveva esaltata la
libertà in ogni forma di attività e l’assenteismo dello Stato, viene ad essere
colpita proprio da quelle forze che erano cresciute nel periodo dei
trionfo. Gli Stati Uniti d'America, fra i primi, elevarono delle barriere
doganali quasi insormontabili; essi si giustificarono con 1'affermazione che le
loro industrie sono giovani e hanno bisogno di protezione e di difesa per poter
crescere e prosperare. Come l’America, altri paesi hanno via via elevato
barriere sempre piü estese e piü alte: oggi la stessa Inghilterra, che
per tanto tempo aveva predicato e sostenuto il liberalismo economico,
perchè torna tanto utile alia sua organizzazione economica, e agl’interessi
dell’impero britannico, abbandona il liberalismo, rinnegando tutto ciò
che ormai sembra tradizionale nella sua vita política, economica, sociale,
rinnegando una dottrina scientifica della quale si è fatta banditrice e
tutrice. Ad Ottava è varata la costituzione di un'economia chiusa fra la madre patria
e i dominions. Il período che il duce define periodo statico finisce con la
guerra. Dopo la guerra, e in conseguenza delia guerra, l’impresa
capitalistica si inflaziona. Incomincia la decadenza. L’ordine di
grandezza dell’impresa — dice il duce — passa dal milione al miliardo. Le
cosidette costruzioni verticali, a vederle da lontano, danno l’idea dei
mostruoso e dei babelico. Le stesse dimensioni dell’impresa superano la
possibilità dell’uomo. Prima è lo spirito che domina la materia, ora è
la matéria che piega e soggioga lo spirito. Quello che è fisiologia
diventa patologia, tutto diventa abnorme. II capitalismo giunto al parossismo,
non sapendo piú come giustificare la sua esistenza e trovare i mezzi di
vita indispensabili all’azione, non volendo riconoscere la nuova realtà
delle cose, crea una utopia: l’utopia dei consumi illimitati. Il capo
ci dice che l’ideale dei supercapitalismo sarebbe la standardizzazione dei
genere umano dalla culla alia bara. Questa esigenza è la lógica conseguenza
delle cose, perchè soltanto con la standardizzazione dei gusti il
supercapitalismo pensa di poter fare i suoi piani. L f impresa
capitalistica cessa di essere un fatto meramente economico per divenire un
fatto sociale. È questo il momento preciso nel quale l’impresa
capitalistica, quando si trova in difficoltà, si getta nelle braccia
dello Stato. È questo il momento storico in cui nasce e si rende sempre
piú necessário l’intervento dello Stato. Lo Stato ha il dovere di intervenire
appunto perchè l’impresa capitalistica di cui si discorre non è soltanto un #
impresa economica: essa interessa direttamente la collettività. Lo
Stato ha il diritto di intervenire per evitare che le sane energie
delia Nazione si disperdano e che la sacra forza dei lavoro dei
popolo si prodighi in forme che possono essere nocive alia stessa
vita e potenza delia Nazione Ormai il maggior numero di imprese economiche si
vale degli aiuti dello Stato; coloro che ignoravano il suo
intervento lo cercano affannosamente. II duce dice che oggi siamo
al punto in cui se in tutte le Nazioni di Europa lo Stato si addormenta
per 24 ore, basterebbe tale parentesi per determinar e un
disastro. Questa è la crisi dei sistema capitalistico preso nel suo
significato universale. Quanto alla Nazione italiana, che fonda la própria
economia prevalentemente sull’agricoltura e sull’artigianato, sulla
piccola e media industria, la vicenda capitalistica non ha avuto
che aspetti e conseguenze limitatu II supercapitalismo
degenerato e pernicioso da noi non esiste e laddove esso è nato, già è
moribondo: esiste invece una numerosíssima schiera di piccoli e medi produttori
che vivono dei quotidiano lavoro, che ignorano le awenture dei
sedicenti industriali e dei pseudo banchieri; i quali, sorti in
numero impressionante durante e dopo la conflagra^ione europea,
avrebbero preteso di continuare a pescare nel torbido che essi avevano
provocato e che poi tendevano a mantenere. Questi awenturieri, che ebbero
assicurati dall’inflazione e dall’aumento dei pressi elevati profitti, non
furono, almeno nel nostro Paese, che una sparuta minoranza, la quale è
stata duramente punita dalle stesse vicende delFeconomia. L’Italia
non è una nazione capitalistica nel senso or ora ricordato. L’essenza dell’economia
italiana è precisamente definita dal duce nei termini seguent. L’ltalia
deve rimanere una Nazione ad economia mista, con una forte
agricoltura che è la base di tutto, una piccola o media industria sana,
una banca che non faceia delle speculasioni, un commercio che
adempia al suo insostituibile compito che è quello di portare rapidamente
e razionalmente le merci al consumatore. Esaminato lo svolgimento attraverso il
quale si è compiuto il ciclo di vita dei liberalismo economico e dei
supercapitalismo, sepolto ufficialmente con lo storico discorso dei Duce
per lo Stato corporativo; dimostrata fallace la credenza neiruniversalità
dei liberalismo a torto giudicato e ritenuto método storico ed
universale, è opportuno soffermarsi sulle profonde antitesi che differenziano FASCISMO
e socialismo. La dottrina fascista nega quel materialismo storico sul
quale si imperniano la concezione política e quella economica dei
socialismo. Secondo la dottrina marxiana le vicende delia società umana
si spiegano soltanto con la lotta d'interessi fra i diversi gruppi
sociali* Sono soltanto i fatti economici che hanno importan^a nella vita
delbuorno; soltanto essi sono capaci di promuovere nuove forme di vita
civile, di determinare aspetti e configurazioni diversi nella società* Nessun
peso hanno invece i motivi ideali, nessuna importanza la tradizione, il
culto delia Patria e degli Eroi, il desiderio di portare sempre piú in
alto i destini della nazione. In questo senso liberalismo e socialismo
tradiscono una comune origine dottrinale. Tanto che non è per mero
caso — come rileva il duce — che il tramonto delFuno coincida col
tramonto dell’altro. Non è certo il fascismo, che ha instaurato nella vita
política e sociale un senso virile delia realtà, che possa negare l’importanza
dell’economia, come fattore delia vita dei popoli* Ma il Fascismo crede
ancora e sempre nella santità e nelheroismo, cioè in atti nei quali
nessun motivo economico lontano o vicino agisce. La lotta degli interessi
è stata ed è un agente principale delle trasformazioni sociali, ma non
può essere concepita come movente esclusivo delbevoluzione delia società.
La fallacia dei materialismo storico e dei determinismo economico sta
appunto in questa concezione, per cui gli uomini non sarebbero che
comparse nella storia, incapaci di dirigerla o crearla, quasi fantocci in
balia dei flutti, mentre nel profondo si agitano e lavorano le vere forze
direttrici, che sarebbero le forze dell’economia. Accettare una simile
concezione delia vita significa annullare qualsiasi forza morale e
riconoscere 1'incapacità dell’uomo a creare la sua storia. II
socialismo che si basa sul materialismo storico e sul con- cetto delia
lotta di classe e che mira attraverso questa a creare forme di convivenza
sociale nelle quali siano alleviate le sofferenze degl’umili, dimostra una
singolare ingenuità dottrinale e una paurosa sterilità politica. Esso vuole
raggiungere un ideale, materialistico, massimo benessere per tutti i
componenti la collettività, credendo che in siffatta maniera si sarebbe
ottenuta la felicità. E la mèta era da conquistare attraverso la
socializzazione di tutti i mezzi di produzione, l'annullamento dei
diritto di proprietà, la spersonalizzazione di ogni attività economica,
il sacrifício delia iniziativa individuale, la negazione di una funzione
produttiva al capitale. II difficile compito delia produzione dei beni
eco- nomici sarebbe stato lasciato ad un mastodontico Stato
materialistico, le cui delicate funzioni sarebbero esercitate da un
esercito di burocrati. A questo stato socialista, accentratore e déspota,
padrone di ogni bene economico, si sarebbe dovuti giungere, secondo la
profezia di Marx profezia mancata — attraverso un processo di graduale e
continuo accentramento delia produzione industriale e dei capitale
in mano di pochi, a cui sarebbe stato assai facile il toglierlo per
trasferirlo in seno alio Stato e creare cosi, con 1’usurpazione, la nuova
realtà economica dei socialismo. Le previsioni di Marx non si sono
verificate: fra tutte la caduta dei saggio di interesse e dei
profitto, rappresenta il punto cruciale delia dottrina socialista II
saggio d'interesse, che costituisce la retribuzione che si deve al
capi- tale, cioè il prezzo che si paga per l’uso dei medesimo, è un
dato di fatto che non si può smentire; le recenti esperienze di economia
socialista dimostrano che laddove ufficialmente il saggio d'interesse si
nega, si uccide anzitutto ogni stimolo al risparmio e poi nella realtà
delia vita economica esso risorge per infinite vie diverse, e con estrema
frequenza assume la vecchia forma dell’usura II socialismo
come sistema economico e anche come sistema politico-sociale ha quindi
peccato di ingenuità per non dire di viltà: esso non ha saputo guardare
con occhio sereno e penetrante nella realtà dei fatti economici per distinguere
ciò che era contingente e relativo a determinate situazioni di tempo
e d'ambiente, da ciò che è eterno e connaturato con lo spirito deiruomo Al
contrario il fascismo, che ignora le snervanti logomachie e gl’oziosi e
raffinati ragionamenti intessuti su premesse metafisiche, e che invece
ama l’osservazione delia realtà per costruire su solide basi non solo la
dottrina ma le opere e gli istituti, ha da tempo affermata la sua fede
nella iniziativa privata, come fattore insopprimibile delia produzione
economica. Ma questa iniziativa privata non è libera di svolgersi nelle
maniere piú diverse per dominare il campo economico; si tratta di una
iniziativa privata la quale deve essere regolata, controllata,
disciplinata dallo Stato che la ospita e la difende, la tutela e l’incoraggia,
non perchè essa formi solo la fortuna personale di colui che la esercita,
ma in quanto lo scopo raggiunto coincida con le necessità e le finalità
dello Stato. La dottrina economica dei Fascismo riconosce inoltre una
funzione al capitale, il quale costituisce il frutto dei lavoro deiruomo,
risparmiato e impiegato nei nuovi processi produttivi. In tal modo essa esalta
la virtú dei risparmio, come mezzo per aumentare la potenza economica della
nazione e quindi per dare vigore e sostanza all’azione
política. Riconosce la fondamentale funzione delia proprietà
privata, la quale non è piú intesa nel senso liberale, di diritto di
godere e disporre delle cose nella maniera piú assoluta, ma e
intesa come dovere sociale. II suo esercizio e quindi limitato da
leggi le quali subordinano 1'interesse deli’indivíduo a quello
dello stato. In ogni caso però lo Stato fascista, pur giungendo
anche alia espropriazione, fa si che non si creino sperequa£ÍonÍ a
danno dí particolarí individui, poiche in esso IL SENSO ROMANO DEL DIRITTO E
DELL’EQUITÀ è sempre vigile e operante. Dovere sociale è anche l’esercizio dell’impresa,
cioè 1 esplicazione dell’iniziativa privata, II fascismo, pero, se pur
rifugge dal concetto esclusivo di impresa statale, proprio dei
socialismo, non ripudia, come fa il liberalismo, la possibilita, anzi
ammette la necessita, che certe imprese che eserciscono pubblici servizi
o che rivestono generalissimi interessi, sieno esercitate dallo stato,
Nel campo dei lavoro, poi, il fascismo è stato rivoluzionario in maniera
veramente superba, Esso, che ha sempre intesa la storia, cioè il passato,
come base dei presente dal quale si diparte l’avenire, non ha mai
sacrificato con leggetezzz e superficialità, per amore di novità, quello
che era il frutto delia tradizione e la conquista delle passate generazioni,
IL FASCISMO ha inserito sul tronco della storia italiana le sue audaci
innovazioni rivoluzionarie. Tra queste, principalissime quelle nel campo
dei lavoro. Durante tutto Í 1 secolo XIX la posizione dei lavoratore
rispetto all’impresa, è in condizioni di soggezione, II lavoratore è alla mercê
dell’imprenditore, il quale, avendo una netta superiorità economica, puo
imporre le condizioni e governare il cosidetto mercato dei lavoro. IL FASCISMO,
superando il concetto della lotta di classe, dimostrando fallaci le
dottrine che ad essa si ispirano, anche pone in evidenza che il connubio tra il
liberalismo e il socialismo, proprio dei periodo storico in cui vi è il
libero sindacato degl’operai che coca contro il libero sindacato dei
datori di lavoro, puo causare perdite gravissime pella nazione, la quale non
ottene da questa forma di libera concorrenza tra sindacati quel massimo di
utilità che le dottrine dei classici dell’economia pronosticavano.
INSERENDO IL SINDACATO NELLO STATO, non ha attuato una forma di
socialismo di stato, come è preconizzato dagli osservatori superficiali e
dai nemici irriducibili della nuova idea, ma realizza in maniera giuridica le
vere e giuste aspirazioni dei popolo senza sacrificare l’impresa, superando
la lotta di classe, sostituendo al diritto di sciopero e di serrata, il
dovere nazionale dei lavoratori e degl’imprenditori. Raggiunge un nuovo
sistema di equilibrio senza cadere in grossolane contraddizioni e senza
fare una dolorosa esperienza piena di inenarrabili sacrifici per le classi
operaie, quale fanno coloro che vuoleno applicati gli schemi
marxisti. II lavoro non è piú considerato una merce che si vende sul
mercato e il salario non è piú un prezzo che si forma nel contrasto fra merce
offerta e merce domandata. IL LAVORO È UN DIRITTO e non una concessione. II
duce, infatti, ci dice che in tutte le società nazionali c'è la miséria
inevitabile; però quella che deve angustiare il nostro spirito è la
miséria degli uomini sani e validi che cercano affannosamente e invano il
lavoro. Per questo il Fascismo considera il lavoro come un diritto. E il
Regime ha creato a questo scopo, come vedremo, Istituti nuovi, non per
dare forma ai suoi schemi dottrinali ma per dare risultati positivi,
concreti, tangibili alia sua azione: per far si che il diritto al lavoro
dei popolo italiano non rimanga una mera affermazione dogmatica, ma possa
estrinsecarsi nella nuova realtà economica dei nostro
Paese. política economica e monetaria. LA POLÍTICA DEL LAVORO ha le sue
tavole fondamentali nella Carta dei Lavoro. Questa costituisce una
dichiarasione política di basilare importanza; insorge contro la
concezione liberale che considera il lavoro come merce, e afferma che «il
lavoro sotto tutte le sue forme, organizzative ed esecutive,
intellettuali, tecniche, manuali, è un dovere sociale. Lo strumento
creato dal fascismo per regolare le condidoni di lavoro è il contratto
collettivo, nel quale trova la sua espressione concreta la solidarietà dei vari
fattori delia produ zione, mediante la conciliasáone degli opposti
interessi dei datori di lavoro e dei lavoratori e la loro subordinazione
agli interessi superiori delia produzione. La solidarietà fra tutti i
fattori delia produzione, e non soltanto tra imprenditori e lavoratori
delia stessa categoria, è proclamata nella dichiarasione 4 a, la quale
assegna al contratto collettivo di lavoro la delicata e difficile
funzione di concretarla La Carta dei Lavoro (dichiarazione 3 a ) afferma
che la organizzazione professionale e sindacale è unica. II solo sindacato
legalmente riconosciuto e sottoposto al controllo dello stato ha il
diritto di rappresentare legalmente tutta la categoria di datori di
lavoro e di lavoratori per cui è costituito, di tutelarne di fronte alio
Stato o alie altre associazioni professionali gl’interessi, di stipulare
contratti collettivi di lavoro obbligatori per tutti gli appartenenti
alia categoria, di imporre loro contributi ed esercitare rispetto ad essi
funsioni delegate d'interesse pubblico. II sindacato ha il compito di
tutelare gli interessi delle categorie, ma nello stesso tempo ha l’obbligo
di promuovere in tutti i modi l’aumento e il perfezionamento delia
produzione e la riduzione dei costi; esso deve anche adoperarsi per il
conseguimento dei íini morali dell’ordinamento corporativo. Nella Carta dei
Lavoro come si reagisce alia concesione dei lavoro come merce, si
introduce il concetto di salario giusto ed equo, che sarebbe il salario
corporativo, in quanto esso deve uniformarsi alie esigenze normali di
vita, alie possibilità delia produzione e al rendimento dei lavoro. Aggettivi
e condizioni, quelli e queste, che equivalgono ad eresie per gli
economisti classici, pei quali non esiste altra giustizia in economia se
non quella stabilita dal ptezzo di equilíbrio, determinato dail’incontro dell’offerta
e della domanda di lavoro. Poichè — essi hanno sentenziato — il fatto
economico è un fatto naturale, meccanico e perciò non può essere nè
giusto nè ingiusto, come una reazione chimica o la caduta di un grave. La
Carta dei Lavoro risolve felicemente il problema delia determinazione dei
salario giusto, cioè di un salario che garan- tisca al lavoratore un
minimo di tenore di vita sen2;a che esso incida sul giusto profitto
delhimprenditore. E siccome questa determinazione non è suscettibile di
una solucione di carat- tere generale, essa lascia un grado sufficiente
di elasticità, che permette al salario di essere il risultato di un
accordo contrat- tuale convenuto fra sindacati. Le ragioni economiche
sono perciò mirabilmente armoni^ate con quelle sociali e politiche;
il senso di alta umanità, cui si ispira il fondamentale documento politico in
matéria di lavoro, viene confermato nella dichiara^ione 18 a, la quale
assicura al lavoratore la continuità dei salario anche in seguito al
verificarsi di determinate evenien2;e Nell’impresa a lavoro
continuo, il trapasso dell’azienda non risolve il contratto di lavoro e
il personale ad essa addetto conserva i suoi diritti nei confronti dei
nuovo titolare. Egual- mente la malattia dei lavoratore, che non ecceda
una deter- minata durata, non risolve il contratto di lavoro. II
richiamo alie armi o il servizio delia M. V. S. N. non è causa di
licenciamento. Ispirata alia stessa preoccupazione di tutelare il
lavoratore è la dichiaracione 14 a, la quale stabilisce che la
retribucione deve essere corrisposta nella forma piú consentânea alie
esigence dei lavoratore e dell'impresa. Quando la retribucione sia
stabilita a cottimo, e la liquidazione di cottimo sia fatta a periodi superiori
alia quindicina, sono dovuti adeguati acconti quindicinali o settimanali.
II lavoro notturno, non compreso in regolari turni periodici, viene
retribuito con una percentuale in piü rispetto al lavoro diurno.
Ma la parte fondamentale relativa alia determinacione dei salario,
merita qualche consideracione. Ancitutto va osservato che le condicioni di
vita, a cui deve uniformarsi il salario, non sono qualche cosa di
astratto e di costante, ma, essendo in stretta relacione con le
condicioni dell’economia nacionale, subiscono continue variacioni
col progresso generale di questa. Per esse non bisogna intendere il
minimo necessário per la vita fisica dell'individuo, ma un livello
sufficiente a consentire 1'elevacione dei lavoratore. Questa concecione
morale delia vita persegue anche finalità di carattere economico. Le
cattive condizioni dei lavoratori non solo riducono la capacità di
consumo dei mercato interno, per il quale gran parte degli imprenditori
producono, ma ne menomano anche il rendimento, ostacolando il
progresso economico e civile. II secondo elemento che bisogna tener
presente nella deter- minacione dei salario è dato dalle possibilità
delia producione. Si è detto che la Carta dei Lavoro ha sempre presente il
raggiungimento di una finalità di carattere superiore e cioè quella di
aumentare la potenza política ed economica delia Nazione. Si comprende,
quindi, come sia stata sua preoccupazione costante quella di far si che
il salario venga stabilito in maniera tale da non causare 1'annullamento
dei giusto profitto che deve percepire 1'imprenditore, perchè in tal caso
si annullerebbe lo spirito d'intrapresa, lo stimolo al risparmio e quindi
si inaridi- rebbero le fonti delia ricchezza, che sono le fonti dei
lavoro. Tale disposizíone non deve essere perciò interpretata
soltanto come difesa delPimpresa, perchè con 1’aumento delia
potenza economica si creano nuove fonti di lavoro. È anche per
questo motivo che la carta dei lavoro affida la concreta determinazione
dei salario ai liberi accordi contrattuali; essa ha perfettamente inteso
che questa matéria deve essere disciplinata seguendo con grande
accortezza le contingenze economiche. Qualora non fosse consentita la
indispensabile elasticità, le ricordate disposizioni si risolverebbero in
un danno altrettanto grave per i lavoratori quanto per gli
imprenditori. I ricordati criteri non devono essere mai dimenticati
nè dalle associazioni sindacali nè dalla magistratura del lavoro. L’ultimo
elemento fissato dalla carta dei lavoro per procedere alia determinazione dei
salario è il rendimento dei lavoro. Con questa disposizione la carta del lavoro
ha voluto riconoscere in maniera esplicita che anche tra i lavoratori il
concetto di differenziamento, in relazione alie singole capacità,
deve essere tenuto presente onde evitare di agguagliare i singoli
ed eliminare le naturali diversità nelle attitudini e nella
capacità di lavoro. Ciò costituisce anche un vantaggio sociale che
non poteva essere trascurato dal fascismo il quale cerca sopratutto
di ottenere che i singoli elevino loro stessi servendo la causa dei paese. II
salario non deve quindi essere necessariamente eguale per tutti gli
operai, nè per tutti i generi di lavoro. Esso varia inoltre in relacione
al luogo e al tempo. II comune, piü generale e forse piü antico sistema di
retribuzione è quello dei salario a tempo, corrisposto in base al numero
di ore o di giorni di lavoro prestato: forma che prescinde dal rendimento
perchè fa astrazione dalla quantità di lavoro compiuto. Accanto a questo
vecchio sistema, che alio svantaggio di richiedere una assidua
sorveglianza unisce quello di mancare di sufficiente stimolo, si sono
venute affermando forme di retribuzione che vanno sotto il nome di
salario a incentivo. Questo va esente dai ricordati inconvenienti, ma
anzi stimola Tattività delboperaio e quindi la produttività dei lavoro. Questi
indiscutibili vantaggi possono però essere accompa- gnati da svantaggi
considerevoli, specie se considerati dal punto di vista nazionale E
consistono appunto nella qualità piú corrente o ordinaria delia
produzione e specialmente nel periodo di uno sforzo eccessivo dei
lavoratore che, se lunga- mente protratto, può essere nocivo per la
salute deiroperaio. I vantaggi che con questo sistema si conseguono sono
però tanto importanti da renderlo preferibile ogni qual volta sia
opportunamente regolato* Come fa la carta dei lavoro quando si preoccupa
delle conseguenze dei sistema a cottimo nei riguardi dei lavoratori meno
capaci, che non arrivano ad otte- nere un reddito corrispondente alia
paga base. Per la loro tutela la carta dei lavoro dichiara che quando il
lavoro sia retribuito a cottimo le tariffe di cottimo devono essere
deter- minate in modo che all’operaio laborioso, di normale
capacità produttiva, sia consentito di conseguire un guadagno
minimo oltre la paga base. Lo scopo dei legislatore fascista, regolando
questa matéria dei salario a cottimo nel modo indicato, è stato quello di
stimolare attraverso di esso, nel lavoratore, la convenienza ad
incrementare la produzione, legandolo alia rnedesima, assicurando altresi un
trattamento che non determini grandi disparità di retribuzione tra i
singoli lavoratori e nello stesso tempo non sia motivo di logorio fisico
dell’operaio. Obbligando il lavoratore a una fatica superiore alie sue
medie possibilità, si crea un sistema di lavoro privo dei requisiti
fondamentali dei lavoro fascista, che deve essere gioia creatrice e non
grigia fatica che stanca e non piace. Per questo il fascismo non è mai stato
molto entusiasta dei sistemi di paga che hanno avuto tanto furore e cosi
estesa applicazione nei Paesi dei supercapitalismo e specialmente negli
Stati Uniti d’America. I sistemi basati sulla cosidetta
organizzazione scientifica dei lavoro e che fanno capo al taylorismo,
spesso fiaccano la fibra dell’operaio costringendolo ad un lavoro
meccanico monotono e sempre eguale senza varietà e diversioni capaci di
sollevare lo spirito dei lavoratore. I vari sistemi — Rowan, Halsey e
Bedeaux — si ispirano tutti in sostanza al concetto di fissare la paga in
relazione al rendimento dei singolo e indipendentemente o quasi da certi
minimi, che diremmo di carattere umanitario. Lo Stato corporativo, pur
stimolando la nobile e generosa gara dei lavoratore non vuole che questo
si trasformi in una parte di macchina; questi razionalissimi sistemi,
frutto esclusivo delia ragione e dei calcolo, che fanno astrazione
da qualsiasi caratteristica individuale, trasformano invece il lavoratore
in una parte delia macchina di cui egli. diventa il servo. II
problema non va quindi impostato da un punto di vista meramente e
prettamente economico e materiale, ma va considerato anche da un punto di vista
etico, sociale e político, come lo ha considerato LO STATO CORPORATIVO che
non opera guardando solo il presente, ma con gli occhi e 1’anima
tesi sopratutto verso 1'awenire. La determinazione dei salario
rappresenta la parte piú importante e delicata dei contratti di lavoro e
va affrontata con animo mondo da qualsiasi preoccupazione partigiana
e demagógica; va affrontata, cioè, con spirito fascista, con
spirito che armonizza in una perfetta unità i due maggiori fattori
delia produzione: il lavoro e il capitale. L'idea centrale e
fondamentale che caratterizza nel terreno economico e sociale la
Rivoluzione delle Camicie Nere, è la Corporazione. IL CORPORATIVISMO È
ESPRESSIONE ESSENZIALE DEL FASCISMO. Che cosa siano le Corporazioni lo ha
definito il Duce nello storico discorso dei novembre XII, al Consiglio
Nazionale delle Corporazioni. Le corporazioni, secondo la
definizione datane dal duce, sono lo strumento che, sotto 1 'egida dello
Stato, attua la disciplina integrale, organica e unitaria delle forze
produttive, in vista dello sviluppo delia ricchezza, delia potenza
política e dei benessere dei popolo italiano». IL CORPORATIVISMO — ancora
afferma il duce — è l’economia disciplinata, e quindi anche controllata,
perchè non si può pensare ad una disciplina che non abbia un controllo:
il corporativismo supera il socialismo e supera il liberalismo, crea una
nuova sintesi. È cioè la sintesi dei contrastanti interessi di categoria e
di gruppo nel supremo interesse delia società nazionale. IL
CORPORATIVISMO implica quindi anzitutto una perfetta e completa
conoscenza dei vari settori deireconomia nazionale; delia loro portata
economica assoluta e relativa. Implica un indirizzo di política economica
conforme a certe finalità sociali che lo Stato ritiene piú vantaggiose
per la collettività nazionale. Diciamo portata assoluta e relativa
delle diverse attività economiche delia Nazione, perchè non tutte hanno
la stessa importanza per gli interessi che rappresentano o per i fini
che lo Stato fascista persegue. Non mancano, nel campo agricolo
come in quello industriale, modeste attività in confronto di larghi
generali interessi economici. II liberalismo può attendere dal cozzo la
soluzione che pel solo suo trionfo ritiene socialmente piú vantaggiosa;
il corporativismo no. Deve approfondire 1'importanza relativa di ogni branca
dell'attività economica e con una visione nazionale, organica quindi e
integrale, evítare che limitati interessi, anche se potenti, deprimano
interessi ben piú larghi anche se meno agguerriti o protetti.
Discende da ciò che lo Stato corporativo non può difendere
egualmente ogni settore economico, grande e piccolo. Vi sono settori,
attività, branche che ai fini nazionali vanno tutelati e difesi, in
confronto di altri che non meritano eguale tutela. Una política economica
corporativa non può non fare questa cernita di interessi in armonia ai
fini sociali che intende raggiungere. Questa è Tessenza
dell'economia corporativa. Vediamoun po'il suo sviluppo storico.
II Duce sin dall’anno I, parlando il 2 giugno ai lavoratori dei
Polesine, affermò il concetto fondamentale delia collabora- zione: « La
lotta di classe — Egli dice — può essere un episódio nella vita di un popolo;
non può essere sistema quotidiano, perchè significherebbe la distruzione delia
ricchezza e quindi la miséria universale». « Collaborazione,
fra chi lavora e chi dà lavoro, fra chi dà le braccia e chi dà il
cervello — tutti gli elementi delia produzione hanno le loro gerarchie
inevitabili e necessarie attraverso a questo prpgramma voi arriverete al
benessere, la Nazione arriva alla prosperità e alla grandeza. Al
Consiglio Nazionale dei sindacati fascisti, il duce rivolge all’assemblea
il seguente richiamo. La collaborazione di classe deve essere
praticata m due; 1 datori di lavoro non denono approfittare dello
stato attuale restaurato dal fascismo, che ha dato un senso di
disciplina alla nazione, per soddisfare i loro egoismi. Essi devono
considerare gl’operai come elementi essenziali delia produzione. Devono
fare il loro interesse in quanto coincida con quello della Nazione e non invece
il contrario. Solo in questo modo si puo avere una massa
realmente disciplinata, laboriosa, fiera di contribuire alie fortune
delia Patria, Nello stesso anno, mviando un messaggio al Congresso
delle Corporazioni Sindacali Fasciste, rileva che in molte zone la
mtelligente collaborazione di classe era stata realizzata e la pace era
mantenuta. Ciò dimostrava che quando le due parti sanno mettersi sul
concreto terreno delia produzione, la colla- bora2;ione di classe è
possibile. Il duce, pubblicando in Gerarchia un articolo su «FASCISMO E
SINDACALISMO» ricorda che il programma dei Partito afferma clie le
Corporazioni vanno promosse secondo due obiettivi rondamentali: e cioè
come espressione delia solidarietà nazionale e come mezzo di sviluppo delia
produzione. Le Corporazioni non debbono tendere ad annegare l'individuo
nella collettività, e a livellare arbitrariamente la capacità e le torze
dei singoli, ma debbono anzi valorizzarle e svilupparle. In questa
schematica dichiarazione vi sono i fondamenti delia nuova dottrina
corporativa. Il fascismo, conquistato il potere, si dedica con rara
energia a consolidare le istituzioni, a risolvere gli impellenti
problemi posti dalla vita economica dei Paese, senza però
dimenticàre lo sviluppo orgânico delia legislazione corporativa che
doveva portare alia legge fondamentale dei 5 febbraio 1934. Da un
punto di vista dottrinale, e se si vuole anche storico, lo sviluppo delia
Corporazione è contrassegnato da tre fasi o momenti di importanza
fondamentale: la legge sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi di
lavoro; la leggesul Consiglio Nazionale delle Corporazioni; la legge sulla
costituzione e sulle funzioni delle Corporazioni. II legislatore
fascista già nella legge forni i primi elementi giuridici dei nuovo
istituto delia Corporazione, e si può anzi affermare che tutte le
disposizioni di quel documento fossero ispirate a questo concetto
fondamentale. È 1’idea nuova che animava e giustificava Tordinamento
instaurato dalla legge. Secondo la legge ricordata, 1’Istituto delia
Corporazione aveva anzitutto lo scopo di attuare la completa
collaborazione tra le categorie, collegando le rappresentanze sindacali
dei lavoratori e dei datori di lavoro dei ramo di produzioni per
cui la corporazione è costituita; di rappresentare in maniera unitaria
gli interessi economici dei proprio settore produttivo di fronte alie
altre categorie. La delicatissima funzione dei collegamento è esercitata
dallo STATO. La legge prevede, accanto alia organizzazione sindacale
a carattere verticale, una organizzazione corporativa a carattere
orizzontale: la prima serviva per tutelare gli interessi dei singoli
elementi delia produzione, la seconda per la difesa degli interessi
comuni a ogni singolo ramo delia produzione. Già in questa legge agli
organi corporativi fu attribuita la facoltà di emanare norme generali
sulle condizioni di lavor o, di conciliare le controversie collettive tra
le associazioni colle- gate,di promuovere, incoraggiare e sussidiare
tutte le iniziative intese a coordinare e meglio organizzare la
produzione, di istituire uffici di collocamento, di regolare il tirocínio
e Í1 garzonato con norme obbligatorie. II secondo passo di
carattere fondamentale sulla via che doveva condurre alia Corporazione fu
fatto con la legge sul Consigho Nazionale délle Corporazioni, la
quale non solo forniva un nuovo strumento giuridico per disciplmare i rapporti
economici collettivi, ma attribuiva nuovi compiti e funzioni alie
associazioni sindacali. Queste estesero il loro campo di attività dalla
disciplina dei rapporti di lavoro, al regolamento collettivo dei rapporti
economici tra le diverse categorie delia produzione. Ma è con la
legge dei 5 febbraio 1934 che si dovevano realiz- sare in maniera
definitiva le Corporazioni. Il capo dice: il sindacalismo non può
essere fine a se stesso: o si esaurisce nel socialismo político, o nella CORPORAZIONE
FASCISTA. È solo nella corporazione che si realizza 1 idea economica nei
suoi diversi elementi: capitale, lavoro, técnica; è solo attraverso la
corporazione, cioe attraverso la collaborazione di tutte le forze convergenti
ad un solo fine, che la vitalità dei sindacalismo è assicurata. È solo, cioe,
con un aumento delia produzione e quindi delia ricchezza, che il
contratto collettivo può garantire condizioni sempre migliori alie categorie
lavorative. In altri termini, sindacalismo e corporazione sono indipendenti
e si condizionano a vicenda; senza sindacalismo non è pensabile la
corporazione; ma senza corporazione il sindacalismo stesso viene, dopo le
prime fasi, a esaurirsi in un’azione di dettaglio, estranea al processo
produttivo; spettatrice non attrice; statica e non dinamica. Parlando al
popolo di Bari il duce dice come 1'obiettivo dei Regime nel campo
economico è la realizzazione di una piú alta GIUSTIZIA SOCIALE per tutto
il popolo italiano. La quale cosa significa lavoro garantito, salario
equo, casa decorosa. Significa la possibilità di evolversi e di migliorarsi
incessantemente. Significa CHE (Grice, MEANS THAT) gli operai, i lavoratori
debbono entrare sempre piú intimamente a conoscere il processo
produttivo e a partecipare alia sua necessária disciplina. La
fusione di tutte le energie economiche e spirituali della Patria doveva
awenire in maniera definitiva con la promulgazione delia legge che crea
su di un piano orgânico le Corporazioni. Insediando i Consigli delle
Corporazioni, il Capo ne pone in rilievo il carattere rivoluzionano,
perchè il suo compito è quello di determinare negli istituti, nelle leggi
e nei costumi, le trasformazioni politiche e sociali che sono necessarie
alia vita di un popolo. In quell’occasione il Capo si
domandava: « occorre ripetere ancora una volta che le Corporazioni non
sono fine a se stesse ma strumenti di determinati scopi? Ormai questo è
un dato comune. Quali sono gli scopi? Airinterno una
organizzazione che raccorci con gradua- lità ed inflessibilità le
distanze tra le possibilità massime e quelle minime o nulle delia vita. È
ciò che io chiamo una piú alta giustizia sociale. In questo secolo non si
può ammettere la inevitabilità delia miséria materiale, si può accettare
sol- tanto la triste fatalità di quella fisiológica. Non può durare
l’assurdo delle carestie artificiosamente provocate. Esse denunciano la
clamorosa deficienza dei sistema. II secolo scorso proclamo l’uguaglian^a
dei cittadini davanti alia legge — ed è conquista di portata formidabile
— il secolo fascista mantiene, an2;i consolida, questo principio, ma ve
ne aggiunge un altro, non meno fondamentale: Teguaglianza degli uomini
dinan^i al lavoro, inteso come dovere e come diritto, come gioia
crea- trice che deve dilatare e nobilitare Tesisten^a, non
mortificaria o deprimerla. Di fronte alhesterno la corpora^ione ha
lo scopo di aumentare senza sosta la poten^a globale delia na^ione per i
fini delia sua espansione nel mondo »Col io novembre delbanno XII la
grande macchina creata dal genio dei Duce doveva mettersi in moto. II
Capo ammoniva che non bisogna attendersi immediati miracolL Anzi i
miracoli non bisogna attenderli affatto, perchè il miracolo non
appartiene all’economia. La legge attribuisce alie Corporadoni funzioni
normative in matéria economica. Inoltre esse sono chiamate a dar
pareri (compito consultivo) su tutte le questioni che interessano
il ramo di attività per cui sono costituite, tutte le volte sia
richie- sto da organi competenti, nonchè a esercitare la
concilia^ione delle controversie collettive di lavoro. L'attività
delle Corporazioni è incominciata neiranno XIII e molte di esse hanno già
lavorato con successo. Le ventidue corporazioni istituite dal Capo dei
Governo sono elencate qui di seguito e per ciascuna riportiamo la
composizione numérica delle categorie economiche. Si ricorda che
nelle Corporazioni vi è sempre rappresentato il Partito, il quale porta in seno
a questo nuovo organismo la continuità dello spirito rivolu^ionario e la
voce delia massa dei consumatori. PRIMO GRUPPO Dl
CORPORAZIONI (Istituite con decreto dei Capo dei
Governo) CORPORAZIONE DEI CEREALI i> Produzione dei cereali
7 datori di lavoro e 7 lavoratori Industria delia trebbiatura
Industria molitoria, risiera, dolciaria e delle paste Panificazione
Commercio dei cereali e degli altri prodotti sopra indica ti
Cooperative di consumo 1 rappresentante Tecnici agricoli Artigianato
CORPORAZIONE DELLA ORTO-FLORO-FRUTTICOLTURA Orto-floro-frutticoltura
6 datori di lavoro e 6 lavoratori Industria delle conserve
aümentari vegetali 2 2 Industria dei derivati agrumari e delle
essenze . Commercio dei prodotti orto-floro-frutticoli e loro derivati Tecnici
agricoli 1 rappresentante Chimici Cooperative di esportatori orto-floro-frutticoli
CORPORAZIONE VITIVINICOLA Viticoltura 6 datori di lavoro e 6
lavoratori Industrie enologiche (vini, aceto, liquori) Ogni
Corporazione ha tre rappresentanti dei Partito. Industrie delia birra ed
affrni 3 datori di lavoro e 3 lavoratori Produzione delPalcool di
seconda categoria Commercio dei prodotti sopra eiencati
Tecniciagricoli 1 rappresentante Chimici ....i» Cantine
sociali CORPORAZIONE OLEARIA Coltura dell’olivo e di altre piante
da olio 5 datori di lavoro e 5 lavoratori Industria delia
spremitura e delia rafíinazione delPolio di oliva Industria delia
spremitura e delia raffinasione delPolio di semi Industria delPolio al
solfuro Commercio dei prodotti oleari Tecnici agricoli 1 rappresentante Chimici
CORPORAZIONE DELLE BIETOLE E DELLO ZUCCHERO Bieticoltura 2
datori di lavoro e 2 lavoratori Industria dello zucchero Industria
delPalcool di prima categoria Commercio dei prodotti sopra indicati i » Tecnici agricoli 1
rappresentante Chimici CORPORAZIONE DELLA ZOOTECNIA E DELLA
PESCA Praticoltura e allevamento dei bestiame e delia selvaggina Industria
delia pesca marittima e di acque interne e delia lavorazione dei
pesce Industria dei latte per consumo diretto Industria dei derivati dei
latte Industria delle carni insaccate e delle conserve aümentari animali Commercio
dei bestiame Commercio dei latte e dei derivati Tecnici agricoli Mediei
veterinari Latterie sociali.Cooperative di pescatori 8 datori di lavoro e 8
lavoratori i rappresentante CORPORAZIONE DEL LEGNO Produzione
dei legno, industria fore- stale e prima lavorazione dei legno
Fabbricazione dei mobiíio e di oggetti vari di arredamento
domestico Produzione degli infissi e dei pavimenti Produzione dei sughero
Lavorazioni varie Commercio dei prodotti sopraelencati Tecnici agricoli e
forestali Artisti Artigianato 2 datori di lavoro agricolo e 2 lavoratori
agricoli 2 datori di lavoro industriale e 2 lavoratori
industriali 2 datori di lavoro e 2 lavoratori i
rappresentante CORPORAZIONE DEI PRODOTTI TESSILI Industria
dei cotone 3 datori di lavoro e 3 lavoratori Produzione delia lana
Industria delia lana Industria dei seme-bachi Gelsi-bachicoltura Industria
delia trattura e delia torci- tura delia seta 1 datore di lavoro e 1 lavoratore
Industria dei rayon Industria delia tessitura delia seta e dei
rayon Coltivazione dei lino e delia canapa Industria dei lino e delia canapa
Industria delia juta Industria delia tintoria e delia stampa
dei tessuti. Industrie tessili varie Commercio dei cotone, delia
lana, delia seta, dei rayon e degli altri prodotti tessili;
commercio al dettaglio dei prodotti stessi Tecnici agricoli 1
rappresentante Chimici Periti industriali Artisti Artigiani
Essiccatoi cooperativi SECONDO GRUPPO Dl CORPORAZIONI (Istituite con
Decreto dei Capo dei Governo CORPORAZIONE DELLA METALLURGIA E DELLA
MECCANICA Industria siderúrgica 3 datori di lavoro e 3
lavoratori Altre industrie metallurgiche Industria delia costruzione di
mezzi di trasporto (automobili, moto- cicli, aeroplani, materiale
ferro-tranviario, costruzioni navali) Industria delia costruzione delle
macchine ed apparecchi per la radio e per la generazione, trasformazione
e utilizzazione dell’energia elettrica Industria delia costruzione di macchine
ed apparecchi per uso industriale e agricolo Industria delle costruzioni e
lavorazioni metalliche, fonderie e impianti Industria delia
costruzione di strumenti ottici e di misura e delia meccanica di
precisione e di armi 2 2 Industria dei prodotti di gomma per
uso industriale Industria dei cavi e cordoni isolanti Oraíi e argentieri
Commercio dei prodotti sopra indicati Ingegneri 1
rappresentante Artigianato Consorzi agrari cooperativi CORPORAZIONE DELLA
CHIMICA Industrie degli acidi inorganici, degli alcali, dei cloro,
dei gas compressi e degli altri prodotti chimici inorganici 3
datori di lavoro e 3 lavoratori Industria dei prodotti chimici pell’agricoltura
Industria degli acidi organici e dei prodotti chimici organici Industria
degli esplosivi Industria dei fosforo e dei fiammiferi Industria dei
materiali plastici Industria dei coloranti sintetici e dei prodotti
sensibili per fotografie Industrie dei colori mineraH, delle vernici,
delle creme e dei lucidi per calzature e pellami Industria saponiera e dei
detersivi in genere, industria stearica e delia glicerina
Industria degli estratti concianti Industria conciaria Industria degli olii
essenziali e sintetici e delle profumerie Industria degl’olii minerali
Industria delia distillazione dei carbone e dei catrame; industria delle
emulsioni bituminose Industrie farmaceutiche Commercio dei prodotti delle
industrie sopra indicate Chimici i rappresentante Farmacisti Consorzi
agrari cooperativi CORPORAZIONE DELL'ABBIGLIAMENTO Industria dell’abbigliamento
(confezioni d’abiti, biancheria, ecc.)
Industria delia pellicceria Industria dei cappello Industria delle
calzature e di altri oggetti di pelle per uso personale Industria dei
guanti Produzione di oggetti vari di gomma per uso di abbigliamento
Magliíici e calzifici Produzione di pizzi, ricami, nastri, tessuti
elastici e passamanerie Industria dei bottoni Produsioni varie per l’abbigliamento
Ombrellifici Commercio dei prodotti delle industrie sopra indicate Artigianato
Artisti 3 datori di lavoro e 3 lavoratori 1rappresentante
i CORPORAZIONE DELLA CARTA E DELLA STAMPA Industria delia carta Cartotecnica
Industrie poligrafiche ed affini Industrie editoriali. Industrie editoriali
giornalistiche. Commercio dei prodotti delle indu¬ strie sopra
elencate Artisti (autori e scrittori, musicisti, belle arti, giornalisti)
Artigianato 2 datori di lavoro e 2 lavoratori 1 di cui uno
giornalista 4 rappresentanti i CORPORAZIONE DELLE COSTRUZIONI
EDILI Industrie delle costruzioni (costruzioni edilizie e opere pubbliche)
Industria dei laterizi Industria dei manufatti di cemento* Industria dei
cementi, delia calce e dei gesso Industria dei materiali refrattari
Commercio dei materiali da costru- zione Proprietà edilizia Ingegneri
Architetti Geometri Periti industriali edili Artigianato Cooperative edili 4 datori
di lavoro e 4 lavoratori 1 rappresentante CORPORAZIONE
DELL'ACQUA, DEL GAS E DELLA ELETTRICITÀ Industria degli
acquedotti 3 datori di lavoro, dei quali un rappresentante delle
aziende municipali e 3 lavoratori, dei quali un rappresentante dei
dipendenti delle aziende municipalú Industria dei gas 3
datori di lavoro, dei quali un rappresentante delle aziende
mu- nicipali, e 3 lavoratori dei quali un rappresentante dei
dipendenti delle aziende municipalú Industrie elettriche.4
datori di lavoro, dei quali un rap¬ presentante delle aziende
municipalizzate e 4 lavoratori dei quali un rappresentante dei dipendenti
delle aziende municipalizzate» Ingegneri 1 rappresentante
Consorzi e cooperative CORPORAZIONE DELLE INDUSTRIE
ESTRATTIVE Industria dei mínerali metaílici. 2 datori di lavoro e 2
lavoratori Industria dello zolfo e delle piriti Industria dei
combustibili fossili Industria delle cave (marmo, granito, pietre ed
affini) Lavora^ione dei marmo e delia pietra Commercio dei prodotti delle
indu¬ strie sopraelencate Ingegneri minerari 1 rappresentante Periti
industriali minerari Artigianato CORPORAZIONE DEL VETRO E DELLA CERAMICA
Industrie delle ceramiche artistiche, porcellane, terraglie forti,
semi- forti, e dolci, grès, abrasivi 4 datori di lavoro e 4
lavoratori Industrie delle bottiglie Industria dei vetro bianco
Industria delle lastre Industria degli specchi e cristalli Industria dei
vetro scientifico (com- preso quello di ottica) Industria dei vetro
artistico e conterie Industria delle lampade elettriche Commercio dei prodotti
delle industrie elencate Artigianato 2 rappresentanti Cooperative
Artisti TERZO GRUPPO Dl CORPORAZIONI (Istituite con Decreto dei
Capo dei Governo CORPORAZIONE DELLE PROFESSIONI E DELLE ARTI Sezione
dei Professionisti legali: Awocati e Procuratori 3 rappresentanti
(due per gli awocati e uno per i procuratori) Dottori in
economia 1 rappresentante
Notai Patrocinatori legali Periti commerciali Ragionieri Sezione delle
professioni sanitarie: Mediei 3 rappresentanti Farmacisti
Veterinari Xnfermiere diplomate Levatrici Sezione delle professioni
tecniche: Ingegneri 2 rappresentanti Architetti Tecnici
agricoli 3 (uno per i dottori in agraria
e uno per i periti agrari) Geometri 1 rappresentante
Periti industriali Chimici Sezione delle arti: Autori e
scrittori 2 rappresentanti
Belle arti Architetti Giornalisti Musicisti.. Istituti
privati di educazione e istruZione Insegnanti privati Attività industriali ed
artigiane di arte applicata Commercio delParte antica e moderna i
rappresentante i datore di lavoro e 1 lavoratore delPindustria; 2
artigiani i datore di lavoro e 1 lavoratore i8
CORPORAZIONE DELLA PREVIDENZA E DEL CREDITO Sezione delle
Banche: Il Governatore delia Banca dTtalia* Il Presidente
delPAssociazione tra le Società Italiane per azioni. II Presidente dellTstituto
di ricostruzione industriale. II Presidente dell’istituto mobiüare italiano Istituti
di credito ordinário 2 rappresentanti Banche di provincia
Istituti finanziari Banchieri privati Agenti di cambio Ditte
commissionarie di borsa e cambiavalute Dirigenti di aziende
bancarie Dipendenti delle aziende bancarie Dipendenti da agenti di cambio
Sezione degli Istituti di diritto pubblico: I membri di diritto delia
Sezione delle Banche Casse di Risparmio ordinarie» 4 rappresentanti
Istituti di credito di diritto pubblico soggetti alia vigilanza dei
Ministero delle Finanze Istituti speciali di credito agrario i
rappresentante Monti di Pietà 2 rappresentanti dei quali uno
per i Monti di Pietà di I a cat ed uno per quelli di 2 a cat*
Istituti di credito di diritto pubblico 3 rappresentanti Banche popolari
cooperative 1 rappresentante Casse rurali 1 »
Dipendenti da Banche popolari e da Casse rurali 2
rappresentanti Sezione deile assicurazioni: II
Presidente deiristituto Nazionale delle Assicurazioni, II
Presidente dellTstituto Nazionale Fascista delle Assicurazioni contro gli
Infortuni* II Presidente deiristituto Nazionale Fascista delia
Previdenza Sociale, Imprese private autorizzate all’esercizio delle
assicurazioni 2 rappresentanti Dirigenti delle imprese di
assicura- Dipendenti delle imprese di assicurazione Agenzie di
assicurazione Dipendenti da agenzie di assicurazione Dipendenti da istituti di
assicurazione di diritto pubblico Mutue di assicurazione CORPORAZIONE
DELLE COMUNICAZIONI INTERNE Sezione delle ferrovie, delle tramvie e
delia navigazione interna: Ferrovie e tramvie extra-urbane 3 datori di
lavoro e 3 lavoratori Tramvie urbane Funivie, funicolari, ascensori
e íilovie Navigazione interna Sezione dei trasporti automobilistici;
Autoservizi di linea 2 datori di lavoro e 2
lavoratori Servizi di noleggio .Servizio taxistico Servizio
camionistico Sezione degli ausiliari dei traffico: Spedizionieri 2 datori
di lavoro e 2 lavoratori Attività portuali Trasporti
ippici Attività complementari dei traffico su rotaia e su strada Sezione
delle comunicazioni telefoniche, radiotelefoniche e cablografiche: Comunicazioni
telefoniche, radiotelavoratori tefoniche e cablografiche 2 datori di
lavoro e CORPORAZIONE DEL MARE E DELL’ARIA Marina da passeggeri 4
datori di lavoro e 4 lavoratori Marina da carico Marina
velica Trasporti aerei Cooperative i rappresentante
CORPORAZIONE DELLO SPETTACOLO Imprese di gestione dei teatri e
dei cinematografi 2 datori di lavoro e 2 lavoratori
Teatri gestiti da enti pubblici, imprese liriche (artisti di canto,
artisti di prosa, concertisti, orchestrali, registi e scenotecnici)
e di operette, enti di concerti, capocomici, radio-trasmissioni Industrie
affini (scenografia, case di costumi e di attr ezzi teatrali, edi-
zioni fotomeccaniche).i datore di lavoro e i lavoratore
Imprese di produzione cinemato¬ gráfica Case di noleggio, di films
Imprese di spettacoli sportivi Editori 2 rappresentanti Musicisti
Autori dei teatro drammatico e dei cinematógrafo 2 rappresentanti
II Presidente delia Società Italiana Autori ed Editori Il Presidente
delPIstituto Nasionale L* U, C. E. II Presidente delPO* N. D CORPORAZIONE
Alberghi e pensioni Uffici ed agensie di viaggi. Esercizi
pubblici in genere (ristoranti, caffè, bar) Attività artigiane connesse con 1
'ospitalità Stabilimenti idroclimatici e termali Case private di cura
Mediei DELL/OSPITAUTÀ 2 datori di lavoro e 2 lavoratori 1 rappresentante
II vigente ordinamento strutturale delle ORGANIZZAZIONI SINDACALI è il frutto
di una graduale evoluzione. Recentemente è stato rivedutoispirandosiacriteri
dimaggiore semplicità. Anche le denominazioni sono State cambiate con una piü
precisa indicaZione degli esercenti 1'attività che l’organizzazione
rappresenta. La struttura organizzativa delle associazioni di vario grado
si presenta nel seguente modo: Associazioni
nazionali giuridicamente riconosciute
Confed. Federaz. Sindac. Totale Confederazione Fascista
agricoltori Confederazione Fascista industriali Confederazione
Fascista commer- cianti Confederazione Fascista delle aziende dei
credito e deirassicurazione Confederazione Fascista dei lavoratori
deiragricoltura Confederazione Fascista dei lavoratori dell’industria
Confederazione Fascista dei lavoratori del commercio Confederazione Fascista
dei lavoratori dei credito e deirassicurazione Confederazione Fascista
deiprofessionisti e artisti
política finanziaria e monetaria l’Italia, uscita stremata
da una guerra costosissima, entrò in una grave crisi economica e sociale,
che ne esauri ancor piü le sue capacità economiche e quindi ridusse
enormemente le entrate di bilancio, mentre le spese subivano un
continuo aumento Ma in pochissimi anni il Governo fascista riedificava
su nuove salde basi la finança, eliminando ogni disavanzo. II piano delia
restaurazione concepito e voluto fermamente dal Duce si basa sopra queste
colonne fondamentali che costituiscono il saldo edifício delia finanza
fascista: X o Pareggio dei bilancio; 2 o Risanamento
delia circolazione monetaria; 3 o Regola^ione dei debiti di
guerra; 4 o Sistema^ione dei debito interno; 5 o Sistemasione
delFasienda ferroviária; 6 o Abolidone dei corso formoso e ritorno
alhoro. L'esercizio finanziario ultimo dell’antico regime, segnava un
disavanso di circa 16 miliardi di lire; il successivo 10 riduceva a
soli 3 miliardi e Feserci^io finansiario seguente, il primo interamente
gestito dal Fascismo, vede scendere il disavamjo a solo 418 milioni di
lire* Praticamente era il pareggio. Con l’anno finanziario 1924-25
comincia la magnifica serie degli anni con bilanci attivi che termina
soltanto nel 3:930-31 a causa delia contrazione delle entrate, dovuta
alia crisi e alia nuova situa^ione che si Veniva creando nella economia
mondiale A dare, in breve sintesi, un quadro abbastansja completo
dei bilancio dei nostro Paese dopo il 1913-14, possono giovare i
dati raccolti nella tabella sottoriportata: ENTRATE E SPESE EFFETTIVE
RISULTANTI DAI RENDICONTI CONSUNTIVI (in milioni di lire
correnti) Esercizio finanziario Entrate effettive
Spcse effettive Avanzi 0 disavanzi. Ciò che colpisce è il
fatto che appena il Regime fascista ha preso le redini dello Stato le
cose sono mutate profondamente. L’ordine neiramministraçione, la
giustizia degli accertamenti, il rígido controllo delle spese, la lotta
sistemática contro il triste costume dell'evasione tributaria, hanno
compiuto il prodígio. II primo atino di avanço si ha nel 1924-25, di
417 milioni. Soltanto successivamente, quando la crisi mondiale
sconVolse definitivamente 1'organismo economico di tutti i paesi
civili, apparve il disavanço, che il Governo fascista ha afffontato
con severe misure di economia. Ma per meglio comprendere la
struttura finançiaria dei nostro bilancio, e per dare una nozione intorno
all'ammontare delle principali voei di entrata, è bene riportare per
1'undicennio 1922-33, i dati relativi alie imposte dirette, alie
imposte sullo scambio delia riccheçça e sui consumi, ai monopoli di
Stato e al lotto: tali dati consentono di cogliere le varia- çioni subite
da queste singole Voei di entrata, nel periodo delia ricostruçione e
delia depressione economica mondiale. LE IMPOSTE (in milioni di
lire) Anni Imposte dirette
Imposte sullo scambio delia ricchezza
Imposte indiretfe sui
consumi Monopoli di Stato Lotto. Sempre nell’ordine delia
política financiaria il Regime ha proweduto ad unificare gli istituti di
emissione. In omaggio al fondamentale principio delia unità storica
e política dei Paese, contrario ad ogni residuo regionale, il
Governo concentra la facoltà di emissione nella sola BANCA D’ITALIA,
togliendola al Banco di Napoli e al Banco di Sicilia, che insieme alia
prima ancora godevano di questo particolare privilegio. A questa
disposicione legislativa segui 1 'altra che attribuiva alia Banca
d’Italia le funcioni di vigilanca su tutte le aciende bancarie che
raccolgono depositi, In tal modo anche l’esercicio dei credito veniva
direttamente sorvegliato. È poi noto che le banche di deposito si sono
dedicate anche al financiamento di imprese industriali, compromettendo
la loro liquidità e legando strettamente le loro vicende economiche
a quelle delle aciende financiarie. La crisi economica e il cataclisma
financiario, con la caduta delia sterlina, avevano aggravata la delicata
situacione di quegli Istituti. II Governo fascista diede loro
l’antica liquidità acquistando in blocco il portafoglio titoli: cioè
tutte le acioni delle aciende dagli stessi financiate. Queste
banche, che si diedero a volte anche ad una ingiusti- ficabile speculacione,
furono salvate dallo Stato, il quale prov- vide ad istituire due grandi
istituti financiari, prowisti di adeguati mecci e specialiccati nelle
operacioni a medio e a lungo termine: 1'Istituto Mobiliare Italiano e
1'Istituto per la Ricostrucione IndustrialeQuesti due enti di diritto pubblico
hanno facoltà di emettere obbligacioni, ammesse di diritto alie
quotacioni di borsa. In matéria fiscale i due istituti godono di
trattamento di favore. La portata di questi prowedimenti, emanati
alio scopo di stimolare e sorreggere Tattività economica, può però
essere valutata nella sua vera ampiecca soltanto quando essa venga
considerata in armonia a tutte le altre prowidence che il Governo
fascista ha adottato nel campo delia política crediticia, in relacione
specialmente al poderoso programma di financiamento e di credito per le opere
di pubblica utilità e per quelle specifiche di miglioramento fondiario e
agrario* Un settore nel quale Tacione dello Stato si esplica in
pieno è quello monetário Ovunque la moneta è emessa direttamente
dallo Stato oppure da istituti bancari ai quali lo Stato ha concesso
tale facoltà. Quindi lo Stato in sostanca è arbitro quasi assoluto
nel campo monetário; da esso dipende Femissione, che deve esser
contenuta entro i limiti implicitamente stabiliti dalle necessità
economiche e financiarie di ciascun paese Strettamente congiunta
con la política monetaria è, per owie ragioni, quella dei credito. Basta
pensare al fatto che lo Stato in maniera diretta o indiretta determina le
variacioni dei saggio dello sconto, per comprendere quale enorme
importanca abbia il suo intervento sia nello stimolare gli affári, sia
nel frenarli. Estremamente delicata è Tacione dello Stato in questa
diffi- cile matéria; essa non influisce soltanto sulla attività
produt- tiva, ma può provocare sperequacioni nel campo distributivo
e quindi favorire alcune categorie sociali col sacrifício di altre. IL GOVERNO
FASCISTA anche in questo settore dell’economia, come nel piü complesso
quadro delia vita economica nacio- nale, ha armoniccato e coordinato i
particolari interessi con una política ispirata ai generali interessi dei
Paese. Per questo la sua política monetaria ha mirato a resistere in ogni
istante alie pressioni delia speculazione per proteggere, difendere,
tutelare il grande esercito dei risparmiatori, che costituisce il
presidio sicuro delia potensa economica delia Nasione. La recente storia
monetaria dei Fascismo sta a documentare la tenacia dei propositi e delle
direttive seguite. Quando il Fascismo conquisto il potere la situasione
monetaria dei nostro Paese era assai difficile. La nostra lira negli anni
delia guerra e deirimmediato dopoguerra aveva súbito una forte
svalutasione come dimostra il corso delPoro espresso in lire
correnti: Valore delia lira carta in lire (oro) attuali = gr. 0,07919113
di oro fino Rapporto tra lira prebellica e lira attuale 3,6661135 Anni Corso
dell’oro Anni Corso dell’oro Negli anni 1921 e 1922 la
lira italiana era in balia delia speculazione, che la faceva oscillare nella
maniera piü disordinata; Tinstabilità dei cambio si manifestava anche sul
potere di acquisto delia moneta; i prezai delle merci subivano
continue variazioni e il costo delia vita ne risentiva le conseguense Dopo
rawento dei Governo fascista le forti oscillasioni monetarie dei período
precedente erano quasi scomparse anche per effetto delia immediata
distensione psicológica e delia mano possente che reggeva il timone dello
Stato, come dimo- strano i dati seguenti: Andamento dei corso dei
dollaro: 4° trimestre II Governo inizia un'energica política di
risanamento finansàario: pareggio dei bilancio e riforma tributaria che elimina
il caleidoscopio dei dopoguerra per riportare le fonti principali delia
finança ai tributi fondamentali. Ciononostante nel primo semestre dei 1925 la
speculazione internazionale prese di mira la lira italiana e iniziò
durante Testate quella grande offensiva — a sfondo antifascista — che
durò fino alia estate delPanno successivo: fu nelPestate dei 1926 che la
quo- ta^ione dei dollaro sali a 31,60 e quella delia sterlina a
153,68. II Duce, compresa la grande importanza política ed economica che
pote va avere l’ulteriore svaluta^ione, pronuncio a Pesaro il 18 agosto
delPanno IV un memorabile discorso nel quale affermò in maniera solenne e
decisiva la strenua volontà del GOVERNO FASCISTA di difendere la lira: fu
il discorso dei Duce che stroncò in maniera definitiva la speculazione al
ribasso che era stata organissata dal capitalismo interna^ionale. L’effetto
psicologico è immenso. Quello político ed economico è ancora maggiore: alia
fine dello stesso anno, deiranno 1936, il dollaro scese a 22 lire e la
sterlina a 108: un anno dopo il discorso di Pesaro il dollaro era quotato
poco piú di 18 lire e la sterlina 88. IL GOVERNO FASCISTA aveva vinto. Anche
in questo campo, nel quale le forse internazionali si erano scatenate
nella maniera piú insidiosa, l’azione decisiva e ferma dei Duce
aveva avuto il soprawento. II Capo aveva detto: « Non infliggerò mai a
questo popolo meraviglioso d'Italia, che da quattro anni lavora come un
eroe e soffre come un santo, Ponta morale e la catástrofe economica
dei fallimento delia lira* II Regime fascista resisterà con tutte le sue
for^e ai tentativi di jugulazione delle forse finan^iarie awerse, deciso
a stroncarle quando siano individuate alPin- terno* II Regime fascista è
disposto dal suo Capo alPultimo suo gregário, ad imporsi tutti i
sacrifici necessari; ma la nostra lira che rappresenta il simbolo delia
Na^ione, il segno delia nostra ricche^a, il frutto delle nostre fatiche,
dei nostri sfor^i, dei nostri sacrifici, dei nostro sangue, va difesa e
sarà difesa »* E cosi come aveva promesso fu. Nel secondo semestre dell’anno
1927 la situazione monetaria risulta completamente cambiata e il Governo
fascista si prepara a compiere la profonda riforma monetaria, effettuata
alia fine dei 1927, con la stabiliz^a^ione delia lira al valore di
cambio che essa aveva raggiunto dopo la strenua lotta combattuta. La
lira venne cosi stabilh;2;ata alia cosidetta quota novanta. Fedele al suo
programma il Governo affronta i rischi e i sacrifici che imponeVa la
stabiliz^a^ione a quota 90, pur di recare vantaggio ai risparmiatori, ai
portatori di titoli di Stato e alia grande massa dei lavoratori che
almeno in un primo tempo si sarebbe certamente aWantaggiata dal minor
costo delia vita. Rifiuta la stabilizzazione a quota 120; questa si
presen- tava piü facile e comoda, sia per il tesoro, sia per
radattamento al nuovo metro monetário deireconomia dei Paese, ma
avrebbe colpito duramente i risparmiatori e i laVoratori: cioè la Nazione. La
stabilizzazione fu quindi decisa sulla base di 19 lire per dollaro che
equivalevano a circa 90 per la sterlina, con una rivalutazione, rispetto
alia media dei 1924, che raggiungeva quasi il 20 % dei valore. Ed èmantenuta
con tenacia impensata ed impensabile. Tanto è vero che cadde la sterlina
— awenimento di portata economica enorme — trascinando in breve volgere
di tempo la moneta di tutti i Paesi finanziariamente vassalli dell’Inghilterra;
cadde il dollaro: non cadde la lira italiana nonostante i furiosi
attacchi delia speculazione d’oltre Alpe e d'oltre oceano. È Veramente
unico nella storia monetaria dei Paesi civili questo fatto: mentre in
tutto il mondo aweniva il tracollo monetário, lTtalia fascista, in grazia
delia sua economia solida e armonica e delia sua meravigliosa unità
politica, sapeva resistere contro ogni assalto. Subito dopo la
caduta delia sterlina, IL GRAN CONSIGLIO DEL FASCISMO fa una solenne
dichiarazione nella quale, mentre prendeva atto delia continuità della
politica monetaria dei Governo e delle direttive date per mantenerla
immutata anche nella eccezionale situazione internazionale, riaffermava
che la stabilità delia valuta era necessária e conforme ai reali
interessi economici delia Nazione. II Gran Consiglio ricorda che la
stabilità delia valuta, basata sulhequilibrio delia bilancia dei
pagamenti e garantita dalla awenuta deflazione delia circolazione, dalle
precostituite riserve e dalhadeguamento dei prezzi delle merci e dei
servizi al livello delia nostra moneta, evitava nuovi dannosi
perturbamenti nei rapporti di distribuzione che avrebbero gravato sul
popolo italiano laVoratore e risparmiatore. Al nuovo valore monetário
furono adeguati salari e prezzi, attraverso un f a^ione oculata, decisa e
precisa che ha costituito — in periodo di cosi awersa congiuntura
economica — il superbo vaglio delia for^a unitaria dei Regime e delia
salde^a ed efficacia delle organi^a^ioni sindacali e corporative. In
questo campo l’opera svolta dal PARTITO FASCISTA è stata meravigliosa,
ineguagliabile: il popolo italiano si è comportato in maniera magnifica,
sacrificando — secondo le norme dei vivere fascista — particolari
interessi di categoria per raggiun- gere i piú alti fini na^ionalh La
política economica dei Regime è riuscita a contemperare vantaggi e danni
con un cosi alto senso di giusti^ia, che soltanto un periodo di alta
tensione ideale con una massa permeata dalla cosciensa corporativa
poteva consentire di raggiungere. POLÍTICA commerciale. Gl’economisti liberali
hanno esaltato la funcione dei commercio internazionale come una delle maggiori
conquiste civilh. Nessuno può disconoscere che le grandi correnti di
traffico hanno distribuito su tutta la superfície dei globo i prodotti
dei Paesi piú diversi contribuendo ad elevare il tenore di vita dei
popoli e portando a quelli quasi primitivi il frutto delia civiltà, Ma
nell’esaltasione non è mancata la solita costruzione astratta e dogmatica
che il tempo va inesorabilmente dissolvendo con le dure lezioni delia
realtà. Per dare una precisa idea dell’importanza dei commercio
internasionale e delia funcione che- esso esercita nell’economia del
nostro paese è opportuno esaminare il complessivo valore delle importazioni
e delle esportasioni, formanti la cosidetta bilancia dei commercio
internazionale (bilancia commerciale) Valore (in migliaia di
lire) Importazione Esportazione Differenza I dati sopra
ricordati dimostrano che il volume delle importazioni e delle esportasioni si è
anda to notevolmente contraendo dopo il 1926. La differenza tra il valore
delle merci importate e quello delle merci esportate supera i 7 miliardi
di lire, tanto nelhanno 1926 quanto nel 1928. Dopo il 1930 e precisamente
nel triennio 1931-33 esso si stabilizza intorno a un miliardo e 400 milioni di
lire. La passività delia bilancia commerciale non avrebbe una grande
importanza qualora la cosidetta bilancia dei pagamenti, chiamata anche
bilancia dei dare e delPavere internazionale, potesse ancora contare
sulle cospicue rimesse degli emigranti, sul foro dei forestieri e sui
noli marittimi. Purtroppo però, date le continue restrizioni che si sono
avute nei rapporti internazionali, e dato che quelle partite non hanno
carattere di stabilità, il debito commerciale va attentamente
osservato, poichè altrimenti per colmarlo, in difetto di quelle
partite compensative alie quali accennavamo (rimesse degli
emigranti, noli, ecc»), non esiste che il trasferimento di oro. Per dare
un quadro preciso dei nostro commercio con Pestero, riportiamo una serie
di dati riguardanti L’importazione e 1'esportazione per le principali categorie
di beni oggetto di scambio internazionale STATISTICA DEL COMMERCIO Dl
IMPORTAZIONE ED ESPORTAZIONE Esporiazione Valore (Lire) Catcgorie Milioni Animali
vivi - carni, brodi, mi- nestre e uova - latte e prodotti dei caseificio
- prodotti delia pesca Coloniali e loro succedanei, zuccheri e prodotti
zuccherati Cereali, legumi, tuberi e
loro de- rivati alimentari Ortaggi e frutta Bevande Sali e
tabacchi. Semi e frutti oleosi e loro residui - olii e grassi
animali e vegetali e cereolii mineral i, di resina e di catrame, gomme e
resine - saponi e candele Canapa, lino, juta e altri vegetali
íilamentosi, compreso il cotone - lana, crino e peli - seta e fibre
artificiali - vesti¬ menta, biancheria e altri og- getti
cuciti Minerali metallici, ceneri e scorie - ghisa, ferro e acciaio
- rame e sue leghe - altri me- talli comuni e loro leghe -
lavori diversi di metalli comuni Valore
(Lire) Categorie Milioni Macchine e apparecchi - uten-
sili e strumenti per arti e me- stieri e per 1'agricoltura -
strumenti scientifici e orologi - strumenti musicali Armi e munizioni
Veicoli Pietre, terre e minerali non metallici - laterizi e materiale
cementizio - prodotti delle industrie ceramiche- vetri e cristalli
Amianto, grafite e mica Legni e sughero ~ carta, cartoni e prodotti delle
arti grafiche Paglia ed altre materie da intrec- cio - materie da
intaglio e da intarsio Pelli e pellicce Prodotti chimici
inorganici, orga- nici e concimi - generi medici- nali e prodotti
farmaceutici - generi per tinta e per concia - gomma elas* e guttaperca
Pietre preziose, argento, platino e lavori di metalli preziosi -
oro e monete d'oro e d'argento Oggetti di moda, calzature ed
effetti d'uso personale non compresi in altre categorie - mercerie,
balocchi e spazsole Materie vegetali non comprese in altre
categorie Materie animali non comprese in altre
categorie. Prodotti diversi Importazione Valore
(Lire) Categorie Milioni Animali vivi - carni, brodi,
mi- nestre e uova - latte e prodotti dei caseificio - prodotti
delia pesca Coloniali e loro succedanei, zuc- j cheri e prodotti
zuccherati Cereali, legumi, tuberi e loro de- rivati alimentari Ortaggi e
frutta Bevande Sali e tabacchi Semi e frutti oleosi e loro residui - olíi
e grassi animali e vege- tali e cere - olii minerali, di resina e
di catrame, gomme e resine - saponi e candele Canapa, lino, juta e altri
yege- tali filamentosi, compreso il cotone - lana, crino e peli -
seta e fibre artificiali, vestimenta, biancheria e altri oggetti
cu- citi Minerali metallici, ceneri
e scorie - ghisa, ferro e acciaio - rame e sue leghe - altri me-
talii comuni e loro leghe - lavori diversi di metalli co- muni
Macchine e apparecchi - utensili e strumenti per arti e mestieri e
per ragricoltura - strumenti scientifici e orologi - strumenti
musicaliValore (Lire) Categorie Milioni Armi e
munisioni.Veicoli Pietre, terre e minerali non me- tallici - laterisi e
materiale cementizio - prodotti delle industrie ceramiche - vetri e
cristalli Amianto, grafite e mica * * Legni e sughero - carta,
cartoni e prodotti delle arti grafiche Pagíia ed altre materie da
intrec- cio - materie da intaglio e da intarsio Pelli e pellicce. Prodotti
chimici inorganici, organici e concimi - generi medici- nali e prodotti
farmaceutici - generi per tinta e per concia - gomma elast* e
guttaperca Pietre preziose, argento, platino e lavori di metalli
preziosi - oro e monete d'oro e d # argento Oggetti di moda,
calzature ed ef- fetti d'uso personale non com- presi in altre
categorie - mercerie, balocchi e spazsole Materie vegetali non comprese
in altre categorie Materie animali non comprese in altre categorie
Prodotti diversi È opportuno esaminare con attenzione le voei piü
impor- tanti deir importazione e delFesportazione di merci. Un primo
rilievo di fondamentale importanza riguarda il frumento. Mentre nel
decennio prebellico 1 importazione era di 13 mi- lioni di quintali circa,
dal 1919 al 1927 ha oscillato dai 21 ai 27 milioni di quintali. II
prodigioso risultato delia battaglia dei grano si è manifestato in pieno
nel 1934, quando l'impor- tazione netta di grano raggiunge un milione e
mezzo circa di quintali* Pressochè costante si è mantenuta
invece la importazione dei granturco, la quale nelPultimo sessennio, se
si fa astra- 2;ione dal 1 1933, ha oscillato da 6 a 8 milioni di quintali
annui.Le importazioni di carbon fossile, di ferro e di legno, hanno
segnato specialmente nel periodo 1925-30 un grande incremento, nei confronti
dei periodo prebellico. Nell’ultimo biennio sono diminuite notevolmente. II
migliorato tenore di vita delia popolazione italiana e il conseguente
aumento dei consumo delle carni, ha determinato un incremento nella
importazione dei bestiame vivo e delia carne, rispetto al periodo
prebellico. L’importazione di cotone è ferma sulle posizioni prebelliche. II
grande sviluppo che ha avuto 1’industria automobilistica e l’impiego
sempre crescente dei motore a scoppio nell industria e nei trasporti è
stata la causa dei decuplicarsi deli importazione di benzina* Anche
la importazione di lana ha segnato fortissimi aumenti. Cosi pure quella dei
semi oleosi. Questi sono i caratteri fondamentali che presenta il com-
mercio di importazione nel nostro Paese. La nostra esportazione si può
caratterizzare distinguendo i prodotti secondo la forma di attività che
li produce Forti 68 contrazioni segnano le nostre
esportazioni di latticini e di canapa. Alte si mantengono le nostre
esportazioni ortofrutticole L'esportazione dei tessuti di cotone si
può considerare stazionaria* Forte incremento segna invece Tesportazione
di tessuti e filati di lana e dei manufatti di seta e di rayon IL
FASCISMO, per sottrarre il Paese dalla dipendenza estera, specie per
certi consumi fondamentali, per tener viva ed efficiente la corrente
esportatrice e anche per conquistare nuovi mercati onde poter trovare
sbocchi adeguati alia crescente produzione agricola e industriale, ha
svolto una complessa attività economica e politica, ha durato uno sforzo
tenace nonostante i mille ostacoli non sempre giustificati che si
ponevano sul suo cammino. E ciò è veramente meraviglioso quando si pensi
che tali posizioni sono State mantenute, malgrado Fimperversare di
una crisi che ha sconvolto la economia di tutti i Paesi civiln Per
avere una nozione precisa intorno alia natura ed alia direzione delle
nostre correnti commerciali con Festero biso- gna esaminare la
provenienza delle nostre importazioni e la destinazione delle
esportazioni, Sopratutto — nella crescente anemia dei traffici, causata
dalle misure di autarchia economica che hanno instaurato tutti i Paesi,
dai contingenti ai divieti ed alie limitazioni valutarie — è necessário
guardare ai singoli saldi delia bilancia commerciale, per agire
adeguatamente nel sistema delle compensazioni o degli scambi bilanciati,
che il Governo fascista ha effettuato, La nostra bilancia
commerciale è notevolmente passiva con la Jugoslávia e la Romania nel
Bacino Danubiano, con la Ger- mania nelF Europa Centrale, con gli Stati
Uniti nelle Americhe, con Tlndia Britannica in Asia. Ma anche la Rússia,
il Brasile, il Canadá, la Tunisia, il Belgio, il Lussemburgo e F
África Meridionale britannica hanno una bilancia commerciale per noi
sfavorevole. Le nostre esportazioni hanno superato le importazioni nel
commercio con l'Egitto, con la Grécia, la Turchia, la Polonia e la
Cecoslovacchia; a noi molto favorevole è stata la bilancia commerciale
con la Svizzera, con la Francia e conll’Argentina. L' Italia importa bovini
dalla Jugoslávia, dairUngheria e dalla Romania; carni fresche e congelate
dali'África Meridio¬ nale britannica, dall’Argentina, dal Brasile e dall’Uruguay.
Pollame specialmente dalla Jugoslávia, uova dalla Jugoslávia, Polonia e
Turchia* II frumento viene specialmente dagli Stati Uniti,
dall'Au- stralia, dalla Rússia, dall'Argentina e dal Canadá; il
granturco dalla Romania e dall’Argentina. II cotone è acquistato
specialmente dagli Stati Uniti e in secondo luogo dali'índia Britannica e
dall'Egitto. II ferro proviene dalla Francia e dall’Unione
Belga-Lussemburghese; il carbone dalla Gran Bretagna e dalla Germania,
dalla Polonia e dalla Rússia; la benzina dalla Rússia, dalla
Pérsia, dalla Romania e dagli Stati Uniti. La lana dall'Australia,
dall'Argentina e dalPAfrica Meridionale Britannica. II legno dalla
Jugoslávia, dall'Australia, dalla Rússia e dagli Stati Uniti. L'osservazione
dei fatti dimostra che coll’impero britannico nel suo complesso abbiamo
una bilancia nettamente sfavorevole. D'altro lato la politica doganale iniziata
dal detto impero — dopo la conferenza di Ottava — tende a contenere
1 'importazione straniera ad un limite minimo Cosi pure awiene per molti
altri Paesi con i quali abbiamo relazioni commerciali. Cosi dicasi per
gli Stati Uniti che hanno chiuso le porte alia nostra emigrazione ed hanno
innalzato barriere doganali elevatissime. La stessa osservazione
delia realtà pone spontaneamente le seguenti domande: è proprio
indispensabile acquistare le merci di cui noi abbiamo bisogno dai Paesi
che si chiudono ermeticamente airesportazione dei nostri prodotti? Per
migliorare la nostra bilancia commerciale non è possibile agire sopra
queste correnti dei traffico onde renderle a noi piú favorevoli?
Anche in questo campo, e specialmente in questo campo, il tramonto
dei liberismo economico si è già manifestato sotto forme e aspetti
inequivocabili. Le lezioni che ci ha dato la storia economica di questi
ultimi anni, sono al riguardo sug- gestive e definitive. La fine dei
liberismo economico interno è seguita inesorabilmente da quello
estero. Pochi Paesi, forse nessun Paese, può rinchiudersi in un
piú o meno beato isolamento e svolgere tutte le sue attività nello
âmbito dei propri confini. L' Italia poi che non è stata certamente favorita
dalla natura come lo sono stati altri Paesi, può forse meno di quelli
chiudersi in un’autarchia economica. Necessita quindi esportare prodotti
agricoli e industriali propri per potere prowedere specialmente le
materie indispensabili di cui il nostro suolo manca. Da ciò la
política delle compensazioni, la quale si armonizza perfettamente coi
postulati dello Stato corporativo. Uno Stato nel quale la produzione è
disciplinata e controllata, nel quale 1’iniziativa privata non è libera
di svolgersi come vuole e dove vuole, deve anche regolare le correnti dei
traffico, disciplinando anche il commercio internazionale. II Capo,
infatti, ha piú volte affermato che LA POLITICA ECONOMICA estera non può ancora
svolgersi sulla falsariga di sistemi piú o meno liberistici, eredttati da
un mondo superato. Un'economia corporativa in fatto di scambi
internazionali non può rimanere schiava delia clausola delia Nazione piú
favorita, ultimo feticcio liberale, riaffermata in teoria in ogni
consesso economico internazionale, per essere súbito dopo negata in
pratica, attraverso una serie di limitazioni che la svuotano di ogni
contenuto reale o l’annullano addirittura. Questa figlia legittima dei
liberismo non tutti i Paesi l’hanno applicata nella sua forma piú
liberale (illimitata, incondizionata, reciproca). Ha avuto i colpi maggiori non
tanto dall’innalzarsi delle barriere doganali, quanto dai divieti di
importazione e dai contingentamenti. Le intese preferenziali, come quella
di Ottava, le limitazioni al commercio delle divise, gli accordi di
compensazione, le hanno recato durissimi colpi. I Paesi che Vennero meno per
primi al libero scambio sono stati proprio quelli che ne avevano meno la
ragione, perche favoriti dalla natura, ricchi di materie prime e di
capitali: quelli stessi che Pavevano allevato e l’avevano teorizzato,
anche perchè si adattava egregiamente ai loro particolari interessi. D'altra
parte, a proposito delia concezione liberistica nella organiz^azione
degli scambi internazionali, deve essere ben tenuto presente che lo
sviluppo industriale va profondamente mutando le tradizionali correnti di
traffico. La distinzione tra Paesi agricoli e industriali va perdendo
gran parte dei motivi sostanziali che la giustificano. Ogni Paese tende a
rendersi piú indipendente anche per ragioni di sicurezza La scoperta
scientifica ed il progresso técnico spostano continuamente i termini dei
complesso problema: materie prime ritenute un tempo insostituibili, oggi
si sostituiscono; monopoli naturali per certi prodotti, cadono di fronte
ad impensate produzioni sintetiche. La scienza, col suo incessante
progresso, ha contribuito a rendere economicamente possibili processi
produttivi in Paesi in cui pochi anni or sono era follia sperarlh
Si assiste veramente ad una profonda rivoluzione técnica, economica e
sociale. Dato il tradizionale attaccamento alia clausola delia
Nazione piú favorita, il sistema degli scambi bilanciati o scambi
contrattati o scambi compensati, come si dice oggi, non ha trovato in
principio favore. È stato osservato che questo sistema non si poteva
attuare, perchè il commercio con 1'estero non può chiudersi con un
pareggio aritmético, in quanto nei traffici internazionali non si possono
sopprimere le compensazioni indirette; è stato ripetuto che esso avrebbe
complicato 1 organizzazione dei traffici e resa necessária una mastodontica
burocrazia; che in certi casi sarebbe stato inapplicabile. Tali
critiche erano specialmente il frutto di una profonda incomprensione
degli scopi e delle finalità cui mirava il sistema degli scambi
bilanciati; nessuno aveva mai pensato che questo potesse essere un
sistema eterno; nè che mirasse al pareggio aritmético: si trattava
soltanto di un accorgimento di politica economica di carattere
contingente, che però poteva recare notevoli benefici al nostro Paese,
data la situazione economica specifica in cui si trova. È evidente
che il sistema delle compensazioni non supera il problema dei prezzi:
questo rimane, cosi come il Duce ha posto e nei limiti dei negoziati fra
Paesi che abbiano il reciproco bisogno di esportare. Si può quindi
concludere che, specialmente nelbattuale momento economico, la cui durata
è di difficile previsione, acquistano grande importanza le compensazioni
degli scambi, le quali, basandosi sulla nostra posizione di acquirenti
di materie prime, consentano il maggior possibile collocamento ai
nostri prodotti. Nel passato esistevano soltanto dei commercianti:
oggi esiste il commercio italiano, perchè il Regime, attraverso la
organi£2;a2;ione, ha dato una personalità unitaria ed organica anche a
questa forma insostituibile di attività economica. II Duce dice che la funcione
dei commercio è quella di portare rapidamente e rasionalmente le merci al
consumatore: questo è il suo compito essensiale. II commercio al minuto
costituisce gran parte delia vita dei centri urbani. II commercio
alhingrosso, che comprende anche il commercio di esportasione, dà lavoro
a migliaia di persone e costituisce una delle espressioni piú alte delia vita
civile. È stato osservato che nel commercio la técnica diventa vita. In
tal senso il commercio è lotta: lotta che comincia nella piccola bottega
familiare e si estende al grande magassino, che si esplica nella borsa,
nella banca e può dare le armi per formidabili conquiste. Se Tagricoltura
e T industria si risolvono nella produzione di nuovi beni economici e
cioè nella trasformazione delia matéria, il commercio opera trasformazioni
che awengono nello spazio, perchè le merci sono recate dai centri
di produ^ione ai centri di consumo. L’ITALIA FASCISTA che non ignora nessun
settore deirattività economica, che fa tesoro delle grandi tradizioni
patrie, che ha il culto dei titoli di nobiltà conquistati dal nostro
popolo nelle guerre e nelle ar ti, neir industria e nel commercio, che
non dimentica la gloria di Venezia e quella di Gênova, come di Pisa e di
Amalíi, non poteva non dedicare anche a questa forma di attività tutte le
cure, contemperandole con le prowidenze portate alie altre branche di attività
economica dei regime* L/Italia ha bisogno di espandersi, e quindi deve
conqui- stare anche attraverso i pacifici commerci le grandi vie
dei continenti e degli oceani; cosi i commercianti possono espliça^
o 1 una magnifica opera di penetracione che porti con le mèrçc^'
scambiate il nome e la potenza d'Italia nei piú lontani Paesap^ oÇ Vy Le
force commerciali d' Italia si sono già addimostrate alPal- ^ tec£a dei
compito, anche perchè IL GOVERNO FASCISTA sa liberare il commercio da
quei preconcetti ostili che tanto lo hanno demoraliczato e awilito. Risanare,
dare nuova vita alie correnti mercantili, ridare nuova consideracione alla
funzione dei commerciante che non è egoistica ed esosa ma è, come quella
degli altri produttori, elemento indispensabile delia organiczacione
economica* Di solito quando si discorre di commercio alhingrosso ci
si riferisce alie correnti internacionali* Lo dimostra il fatto che
le statistiche ufficiali di quasi tutti i Paesi comprendono sotto il
titolo ricordato le cifre relative alhesportacione e alhim- portacione*
Quei dati dimenticano completamente le importan- tissime correnti che si
muovono alh interno dei singoli Paesi per alimentarne i mercati II Duce,
parlando ai commercianti il 26 ottobre delhanno X, a Milano, affermò che
la funcione dei commercio è insosti- tuibile, rappresentando essa un
fattore storico. Questa affermazione vale tanto per il commercio alhingrosso
come per quello al minuto* II grossista è infatti un efficace
collaboratore e un precioso consigliere dei produttore* Esso è in grado
di valutare la capacità di consumo dei singoli mercati rispetto
alie diverse merci; esso meglio di ogni altro può stabilire le
attrecsature che occorrono per distribuire le merci al piccolo consumo. In
questo senso la sana attività economica svolta dal grande commerciante è
quanto mai benefica, sia perchè esso possiede una competenca specifica ed
integrale dei mercato di quella data merce in un dato luogo, sia perchè
esso adempie alia insopprimibile funcione di intermediário ed
è quindi elemento fondamentale delbeconomia nacionale. Nei riguardi dell’ECONOMIA
CORPORATIVA il commercio alio ingrosso può facilitare il raggiungimento
rápido ed economico di particolari forme di disciplina delia producione.
II funzionamento dei magaccini ai fini delia conservacione dei prodotti,
specie di quelli di facile deperibilità, l'organiccacione dei proce-
dimenti tecnici per il rápido riassorbimento delle giacence invendute o
invendibili e per il racionale rinnovamento delle partite di scorta,
possono essere affrontati con successo dai commercianti all' ingrosso
organiccati corporativamente. In tal modo il grande commercio adempie
perfettamente ad UN’ALTA FUNZIONE CORPORATIVA. Ma il sistema attraverso
il quale si effettua la distribucione delle merci comprende centinaia di
migliaia di piccole aciende. È per opera dei bottegai che i prodotti
deiragricoltura e delia industria giungono sino alie piu remote valli
montane, ai piü discosti casolari. L' importanza e l’influenza che
il commercio al minuto può esercitare sulla vita sociale giustifica la
vigilanca a cui esso è soggetto, i controlli che su di esso si esercitano e la
disciplina che ad esso si impone; appunto per questa sua funcione di
vivificare ogni piu remota contrada, di consentire che ogni prodotto
sia accessibile in ogni luogo al piú modesto consumatore, il commercio al
minuto appare meritevole di particolare consideracione. Le aciende di
commercio al minuto ammontano a circa 550.000 con 1.500.000 persone
addette, delle quali il 60 % è formato da proprietari, dirigenti e dai
loro famigliari, e il 40 % da veri e propri dipendenti. La
maggioranca quindi è formata da imprese a carattere famigliare,
neiresercicio delle quali le donne partecipano in proporcioni
noteVolissime. Una nozione piú precisa intorno alia natura degli
esercúi commerciali e alia loro importanza si può avere dalla
tabella sotto riportata: ESERCIZI COMMERCIALI SECONDO IL
NUMERO DEGLI ADDETTI (cifre per ioo esercizi di ogni
categoria) Cat ego fie i addetto Da 3
a 5 addetti Da 6 a 10 addetti Okre ii
addetti Commercio in grosso: Animali vivi Generi alimentari
Filati, tessuti, ecc. Commercio al minuto: Metalli, macchine,
ecc Generi alimentari . Filati, tessuti, ecc. 59.4
38,2 1,8 0, 6 Mobili, vetreríe, ecc Oggetti
d f arte Prodotti chimici Misto Nel nostro Paese il numero dei negozi al minuto
non sembra proporzionato ai bisogni delia distribuzione dei prodottn
II rapporto fra la popolazione servita e il numero dei negozi è
leggermente inferiore a quello che si riscontra in altri Paesi* Mentre in
Italia il numero dei negozi è di uno ogni 75 abitanti, nella Svizzera 11
rapporto sale ad 80, nell* Inghilterra risulta di 77, negli Stati Uniti
d'America di 79, nella Germania di 78* Attraverso questa rete di
distribuzione al consumatore, nella quale troVano la loro fonte di
attività e quindi i loro mezzi di vita quasi 4 milioni di abitanti, passa
il consumo nazionale e grandissima parte dei denaro necessário alia
produzione. Se è incontestabile la utilíssima funcione esercitata da
questi piccoli commercianti è da ritenere che il loro numero sia supenore
a quello che tecnicamente sarebbe necessário ed economicamente utile per la
distribuzione dei prodotti. In molti medi e piccoli centri urbani si sono
andati moltiplicando in maniera eccessiva questi piccoli esercizi; l’imprenditore
pretende di trarre i mtzzi di vita per Tintera famiglia con un
modestíssimo capitale e servendo uno sparuto numero di clienti Questo
orientamento che si è accentuato in maniera particolare nel periodo
postbellico e durante V inflasione, favorito anche dall'esodo rurale che
allora awenne in maniera intensa, è stato stigmatisZito dal GOVERNO FASCISTA il
quale intende ridurre al necessário il costo di ogni servisio e
sopprimere gli organismi superflui* Con lo scopo di ridurre il costo
delia distribusione dei beni dalla produ^ione al consumo e di adattare il
piú sollecitamente possibile i prezzi al dettaglio al livello di quelli
alhingrosso — evitando le conseguenze delia cosidetta vischiosità, cara agli
adoratori del laissez faire, laissez passer
— l’ordinamento cor¬ porativo dello Stato fascista ha agito e
agisce incessantemente* Come pure compito importantíssimo dell'a£ione
corpora¬ tiva in fatto di moralizsa^ione dei commercio e di tutela
dei consumatore è la difesa dalle adulterazioni e dalle frodi. L'economialiberale
può anche attendere che il consumatore o il tempo facciano da loro
giusti^ia dei prodotti non genuini: 1’ECONOMIA CORPORATIVA no* Non solo, ma
nella lotta economica fra pro¬ dotti genuini e surrogati, fra produ^ioni
genuine e sofistica^ioni, fedele al suo principio deve ispirare Ta^ione
all* interesse prevalente col quale coincide quello delia collettività
nasjionale. Nel discorso pronunciato dal Duce in Campidoglio, alhAssemblea
delle Corpora^ioni, sono stati tracciati gli sviluppi delFeconomia
fascista. L/assedio economico — Egli ha detto — ha sollevato una serie
numerosa di problemi, che tutti si riassumono in questa proposi^ione: r
autonomia política, cioè la possibilità di una política estera
indipendente, non si può piü concepire sen^a una correlativa capacità di
autonomia economica. Ecco la lecione che nessuno di noi
dimenticherà! Coloro i quali pensano che finito Fassedio si ritornerà
alia situasione dei 17 novembre, shngannano. II 18 novembre 1935 è
ormai una data che segna V inicio di una nuova fase delia storia
italiana* II 18 novembre reca in sè qualche cosa di defi¬ nitivo, vorrei
dire di irreparabile* La nuova fase delia storia italiana sarà dominata
da questo postulato: realÍ2£are nel piú breve termine possibile il
massimo possibile di autonomia nella vita economica delia Na^ione. E
passando all’analisi il Capo ha dato il panorama futuro dell’ECONOMIA
ITALIANA, che poggerà sopra questi caposaldi* Nessuna innova^ione
sostansiale nelFeconomia agrícola, che rimane a base privata,
disciplinata e aiutata dallo Stato e armoni%2:ata, attraverso le
Corpora^ioni, colle altre attività economiche nacionali. Nei riguardi dei
commercio estero ha ribadito la sua fisionomia di funcione diretta o indiretta
dello Stato con carattere duraturo e non contingente; mentre il commercio
interno rimane affidato alliniziativa individuale o di associa^ioni,
come pure la media e la piccola industria. II credito è già porta to, con
recenti prowedimenti, sotto il controllo dello Stato* E cosi pure, senza
precipitazioni ma con decisione fascista, lo sarà la grande industria, la
quale assume un carattere speciale, nell’orbita dello Stato, con gestione
diretta, o indiretta, ovvero con un efficiente controllo. ÍIL
VAGRICOLTura italianà E LA POLÍTICA RURALE DEL REGIME
6-4 CARATTERI DELL'AGRICOLTURA ITALIANA. L ITALIA ha una superfície
territoriale di 310.107 kmq., costituita per 4 / 3 da montagna e collina
e sol tanto per 1 j s da pianura, Su questa limitata
superfície, in data 21 aprile 1931-XI, viveva una popolazione di oltre 41
milioni di abitanti, con una densità media di 133 persone per ktnq.; oggi
siamo oltre 43 milioni (140 per kmq,). La popolazione dedita
all'agricoltura si aggira sui 20 mi¬ lioni di individui raccolti in 4
milioni di famiglie rurali circa, aventi una media di 5 componenti.
È noto che le condizioni di fertilità dei suolo italiano non sono
le piú felici. Si è ricordato come esso sia prevalentemente montuoso e
collinoso: la pianura si estende soltanto a 6.446.238 ettari. Ma parte di
questa pianura è formata da terreni che si trovano in difficili
condizioni per la produzione agrícola, data la péssima distribuzione
delle piogge che li rende eccessiva- mente aridi per potervi esercitare
una ricca agricoltura: ricor- diamo in particolare il Tavoliere di Puglia
e i Campidani di Cagliari e di Oristano in Sardegna.
Spessissimo poi la pianura era malarica per il disordine idraulico
conseguente al regime torrentizio dei fiumi e al disboscamento
montano. Nonostante queste infelici condizioni naturali il popolo
ita¬ liano è stato costretto ad adibire alie coltivazioni quasi tutta
la superfície, per la forte densità delia popolazione su un terri¬
tório naturalmente povero, a limitato e localizzato sviluppo industriale,
in assenza di colonie redditizie. Tanto che solo 1’8 % delia superfície
territoriale è improduttiva: il resto è a coltura e la massima
percentuale di utilizzazione si ha nei terreni di collina. Anche
laddove ammiriamo un'agricoltura particolarmente intensiva, come nella
pianura padana, questa è il risultato di ingenti opere di miglioramento
compiute attraverso i secoli, che con 1’acqua o contro Tacqua, mediante
1’irrigazione, il prosciugamento o la colmata, hanno formato una
nuova natura. Altrettanto dicasi delia meravigliosa
sistemazione colunai e deiritalia centrale, meridionale e insulare, che
costituisce una costruzione dei lavoro dei contadino italiano, che spesso
ha portato a spalle la terra che doveva accogliere nel suo grembo e
alimentare la pianta. Ma per meglio comprendere la natura e la
portata dei problemi di politica agraria affrontati dal Governo fascista
è opportuno approfondire ulteriormente le condizioni di ambiente nelle
quali essa si esplica. RIPARTIZIONE AGRARIA DEL TERRITORIO Ripartizioni
geografiche Seminativi Coliure I e g no s
e specializzate Terreni saldi I)
Superfície improduttiva Superfície
territoriale Italia settentrionale Italia centrale
Italia meridionale Italia insulare Regno Prati e pascoli permanenti, boschi e
castagneti, incolti produttivi. La superfície agraria forestale misura
28*519*000 ettari dei quali oltre 15 milioni sono costituiti dai terreni
agrari propriamente detti. Di questi, 12*835*000 sono rappresentati
da seminativi semplici e arborati e 2*232*000 da culture legnose
specializzate* I prati e i pascoli permanenti figurano soltanto con
circa 6 milioni di ettari* I boschi compresi i castagneti, si
estendono per 5*561*000 ettari* Gli incolti produttivi, frequenti
special- mente nella dorsale appenninica, raggiungono 1*700*000 ettari. Nel
complesso quindi i seminativi dominano le altre qualità di coltura con il
45 % delia superfície agraria e forestale* Ad essi seguono i prati
e i pascoli permanenti con il 21/7 %, i boschi con il 7,8 % In questo
ambiente si allevano 7 milioni di bovini, 10 milioni di ovini, 3*300*000
suini, 1*900*000 caprini* I cavalli raggiun¬ gono quasi il milione, gli
asini, i muli e i bardotti raggiungono circa 1*400*000* Si allevano anche
circa 15*000 bufali* II popolo italiano è un popolo in mareia* Un
secolo fa entro gli stessi confini dei Regno vivevano circa 21
milioni di abitanti; oggi abbiamo superato i 43. Nelhultimo de-
cennio la popolarione ha avuto un incremento di circa tre milioni e me^o*
Lo Stato fascista, consapevole dei problemi che una cosi alta densità
delia popolarione viene a determi- nare, si è decisamente orientato verso
una política rurale* E ciò perchè la popolarione rurale possiede nel piú
alto grado la virtü dei risparmio e la tenacia nei propositi, la
probità di vita e il senso delia continuità, Tamore per la terra e per
il lavoro: qualità che invece si attenuano sempre piú nelle popo-
larioni delle grandi città, dove si cerca di vivere la vita « co- moda »,
dove si disfrenano gli egoismi piú acerbi, dove il senso delia
solidarietà umana sostanriale e non solo apparente, ha súbito i colpi piú
duri. Bisogna ruralizzare 1 'Italia anche se occorrono railiardi e mezzo
secolo, ha affermato il Capo. Poichè la ruralità non solo assicura lo
sviluppo demográfico, che costituisce una delle maggiori espressioni
delia potenza di un popolo (i rurali sono i piú prolifici), ma assicura
anche la sanità fisica e morale delia razza, custodisce i grandi ideali
delia vita, si compendia nella famiglia, sente tutta la bellezza dei
lavoro creativo, stimola la virtú dei risparmio. Perchè la mèta
agognata da ogni lavoratore è quella di raggiungere il possesso
terriero, trasformandosi da bracciante in colono, da colono in
piccolo affittuario o in piccolo proprietário/per attaccarsi alia sua
terra che ama e che ha desiderata come aspirazione massima. Perciò
il Regime nella sua política di ruralizzazione tende a fissare il
contadino alia terra, combattendo il bracciantato anonimo e quasi nômade
e stimolando la diffusione delle forme di colonia e di compartecipazione,
nonchè incitando, come vedremo, 1'estendersi delia piccola
proprietà. «L/anima delia nostra razza, che ha storicamente
vissuto il passaggio dalla vita agreste a quella dell'urbe e che ha
tratto mirabili espressioni di arte, di vita sociale e religiosa, ben
sa come sull'agricoltura sia costruito 1'intero edifício delia prosperità
sociale. Cosi il Duce si esprimeva in un discorso pronunciato
alia 7 a assemblea dell’Istituto internazionale di agricoltura il 2
maggio 1924. II Capo awertiva che altre attività produttive possono
essere piú impressionanti nella grandiosità localiz- zata delle loro
manifestazioni, piú facili apportatrici di guadagno, ma nessuna altrettanto
augusta ed essenziale. Poichè, infine, tutto potrebbe immaginarsi ritolto
albumanità delle sue superbe espressioni di forza e di conquista, ma non
mai, finchè la razza umana esista, non mai 1’arte di trarre dalla
terra madre quanto è necessário a sostenere la vita. È pensando alie
virtü rurali dei popolo italiano che il Duce, al primo congresso di
agricoltura coloniale di Tripoli, afferma che in Italia sta sorgendo una nuova
generazione, LA GENERAZIONE MODELLATA DAL FASCISMO: poche parole e molti
fatti. La tenacia, la perseveranza, il metodo, tutte le virtü alie quali l’italiano
sembra negato dovranno diventare domani, e sono già in parte, virtü
fondamentali dei carattere italiano. Per questi motivi fondamentali il
Fascismo ha dedicato le sue piú solerti cure alio sviluppo
delPagricoltura. II Capo in moltissime occasioni ebbe ad esprimere
in maniera inequivocabile la sua fede negli sviluppi dell'agricoltura
italiana, base delia economia, baluardo contro l’urbanesimo. Paralleíamente
alia politica agrícola, il Fascismo sviluppa la politica forestale e montana,
di quelle montagne « che salvaguardano la nostra piú grande pianura e
costituiscono la spina dorsale delia Penisola: la politica dei Regime è
diretta a sostenere la popolaçione delia montagna ai fini pacifici e
a quelli militari. Tra il mare e le montagne, si stendono valli e
piani: la terra nostra, bellissima, ma angusta, trenta milioni di
ettari per 42 milioni di uomini* Un imperativo assoluto si pone:
bisogna dare la massima fecondità ad ogni çolla di terreno* II Fascismo
rivendica in pieno il suo carattere contadino* Di qui la politica rurale
dei Regime nei suoi diversi aspetti: il credito agrario, la bonifica
integrale, la elevaçione politica e morale delle genti dei campi e dei
villaggi* Solo con il Fascismo i contadini sono entrati di pieno diritto
nella storia della Patria. Volgete gli occhi sull’Agro Romano e avrete
la testimoniança delia profonda trasformaçione agraria in via di
esecuzione. Con questo inimitabile stile il duce define airAssemblea
Quinquennale dei Regime, il io marzo deiranno VII, i motivi fondamentali
che spiegano perchè il Regime attui una polí¬ tica rurale* La
nuova política agraria inizia in pieno la sua attività neiranno 1925.
II Duce, negli anni precedenti diede la sua prodigiosa atti¬ vità a
un lavoro di ordinamento, di revisione e di sistema- zione, perchè Egli,
anzichè precipitarsi sulla macchina statale per frantumarla come ha fatto
la rivolmâone russa, ha voluto armoniszare il vecchio col nuovo; cio che
di sacro e di forte sta nel passato, cio che di sacro e di forte ci reca,
nel suo inesauribile grembo, 1'awenire. In tutta l’azione política del
Regime, ma in particolare in quella rurale, giganteggia il nome di MUSSOLINI
(A), grande anima e grande mente, strappata alla mazione da una
tragédia che solo possono comprendere appieno coloro — come ha scritto il
duce — che sono « continuati. La ricostruzione forestale d'Italia fu un suo
preciso fine; fondò e presiedette il Comitato forestale italiano, organo
propulsore delia rinascita silvana* Due grandi cimenti
contraddistinguono la parte centrale delia política rurale dei Regime:
la battaglia dei grano, la bonifica integrale Entrambe
pensate, volute, guidate dal Duce. Cominciamo dalla prima. LA BATTAGLIA DEL
GRANO latino, non è soltanto Capo e con II Duce, puríssimo
genio dottiero, ma anche Poeta. Amate il pane cuore delia
casa profumo delia mensa gioia dei focolari Rispettate il
pane sudore delia fronte orgoglio dei lavoro poema di
sacrifício Onorate il pane gloria dei campi fragranza delia
terra festa delia vita Non sciupate il pane ricchezza
delia Patria il piú soave dono di Dio il piú santo prêmio
alia fatica umana. Rileggendo queste parole di saggez^a e di amore, nelle
quali si trasfonde con un religioso senso delia vita il rispetto per
le cose eterne donateci da Dio, non si può non provare una profonda
commozione, Esse esprimono l’anima con la quale è dichiarata la battaglia
dei grano; non si tratta di raggiungere finalità soltanto economiche, ma
di appagare un bisogno pátrio che supera il fatto economico per divenire
integrale fatto político, II Capo a Palato Chigi, il 4 luglio delPanno
III, inse- diando il Comitato permanente dei grano, affermava che
Pannuncio delia battaglia dei grano aveva avuto una ripercus- sione
profonda in tutto il Paese, Segno certo che rispondeva ad una necessità
universalmente sentita, Egli ricordava le conseguenze finanziarie dello
scarso raccolto dell’anno 1924, le quali ammonivano severamente a fare
tutto il possibile per conquistare Pindipendenza per il fondamentale
alimento dei popolo italiano. II Capo stesso fissava le direttive
delfasione: I o non è strettamente necessário aumentare la
superfície coltivata a grano in Italia. Non bisogna togliere il terreno
alie altre colture che possono essere piú redditizie e che comunque sono
necessarie al complesso deireconomia nazionale. È da evitare quindi ogni
aumento delia superfície coltivata a grano. A parere unanime la cifra di
ettari raggiunta con le semine dei 1924 può bastare; 2 o è
necessário invece aumentare il rendimento annuo di grano per ettaro.
L/aumento medio anche modesto dà risultati globali notevolissimi
Posti questi capisaldi, il Comitato permanente doveva
affrontare: il problema selettivo dei semi; il problema dei
concimi e in genere dei perfezionamenti tecnici; il problema dei
prezai. Per reali2£are tutte le possibilita di miglioramento delle nostre
colture granarie bisognava arrivare alie grandi masse rurali, veramente
silen^iose e operanti, al grosso cioè delfeser- cito disseminato nelle
campagne italiane. II popolo italiano è perfettamente convinto delia santità di
questa battaglia e delia possibilità di vincerla; Egli sentiva che si
lottava per la vera libertà cioè per la liberazione delia Nazione dalla
maggiore servitü economica straniera. Ventisei giorni dopo il duce
parlando ai capi delle organiç2;a2;ioni agricole, pronuncia parole fatidiche
che oggi sono scolpite nel cuore di ogni agricoltore d'Italia. Battaglia
dei grano significa liberare il popolo italiano dalla schiavitü dei pane
straniero. La battaglia delia palude significa liberare la salute di milioni d’taliani
dalle insidie letali delia malaria e delia miséria. II Governo fascista ha
ridato al popolo italiano le essenziali libertà che erano
compromesse o perdute: quella di lavorare, quella di possedere, quella
di circolare, quella di onorare pubblicamente Dio, quella di
esaltare la vittoria e i sacrifici che ha imposto, quella di aver la
coscien^a di se stessi e dei proprio destino, quella di sentirsi un
popolo forte non già un semplice satellite delia cupidigia e delia
demagogia altrui. Voi, agricoltori d'Italia, che sapete per la dura espe-
riensa dei vostro lavoro come le leggí delbuniverso siano inflessibili,
voi siete i piú indicati ad intendere questo mio discorso. Recate a tutti
i piú lontani casolari, a tutti i vostri camerati disseminati per i campi
delia nostra terra adorabile, il mio saluto e dite loro che, se la mia
tenace volontà sarà sorretta dalla loro collaborazione, Tagricoltura
italiana verrà incontro ad un'epoca di grande splendore. E cosi,
infatti, è stato. La battaglia dei grano è stata Tindice piú eloquente
delbin- dirÍ2;2;o delia politica agraria dei Regime. Con la battaglia dei
grano si è voluto poten^iare tutta 1 'agri- coltura italiana, sospingerla
a reali^are il massimo delia produ- zione ottenibile in tutti i settori*
Sia nel campo viticolo come in quello ortofrutticolo, nelbolivicoltura
come nel campo delle colture industriali, sono State prese una serie di
prowidenze intese ad ottenere il miglioramento delle coltivazioni ed
il collocamento dei prodotti. Attraverso l’opera vigile e continua
delblstituto Nazionale per l’Esportazione nuovi sbocchi sono stati aperti
al commercio estero delia frutta, degli agrumi, degli ortaggi; sono
stati attentamente studiati i centri esteri di consumo; è stato
disciplinato Tafflusso dei prodotti ortofrutticoli; sono State imposte agli
esportatori norme rigide per garantire la qualità dei pro- dotti
venduti. Nè Topera di difesa deiragricoltura poteva estraniarsi
dalla tutela dei rurale di fronte airinsidia delia
speculazione. Uorgãnizzazione degli ammassi granari, intesi a
sottrarre Tagricoltore alia vendita formata dei frumento nel
periodo dei raccolto, ha disciplinato il mercato, costituito una
riserva, evitato che ai contadini, come frutto deíla loro fatica,
fosse riservato il piú basso prezzo raggiunto súbito dopo la trebbiatura.
II favore sempre crescente che tale istitusione ha incon- trato presso
gli agricoltori sta a dimostrare la sua efficacia e la radicata fiducia
che essi hanno in questa come in tutte le altre prowidensje dei
Regime. Se nel vasto quadro delia politica economica fascista
la battaglia dei grano costituisce un episodio, esso è però tal¬
mente grandioso e suggestivo, acquista tanta importanza spiri- tuale ed
economica, da prestarsi magnificamente per dare unhdea dei clima nel
quale il popolo italiano ha lavorato in questi ultimi anni. Nel
quadriennio 1931-1924, prima cioè che il duce chiama gli agricoltori a raccolta
per ini^iare la battaglia, la produzione granaria oscillava intorno ai 50
milioni di quintali con un rendimento per ettaro di qL 10,9, cioè poco
superiore alia media di qh 10,5 segnata nel quinquennio prebellico
1909-13. II raccolto na^ionale era assolutamente inadeguato al
consumo. Questo era fortemente aumentato per la migliorata alimentasàone
dei popolo italiano, il quale aveva sostituito il frumento al granturco,
alie castagne ed agli altri alimenti che, specie nelle zone di montagna,
erano usati largamente. Si doveva quindi ricorrere in misura crescente ai
grani stranieri: Timportazione media che nel decennio 1905-1914 era di 13
milioni, era salita alia cifra di 26 milioni di quintali nel quadriennio
1921-1924. Considerazioni meramente economiche si univano a quelle di
carattere spirituale. E i risultati non si fecero attendere* Mentre
la media produzione dei quadriennio bellico fu di qL 9,99 per ettaro,
eguale a quella dei quadriennio prebellico, la media produ^ione dei primo
quinquennio delia battaglia dei grano fu di qL 12,5 cioè di 2 quintali
superiore a quella bellica e di 2,5 superiore a quella dei primo
quadriennio postbellico* Sono oltre 10 inilioni di quintali
di aumento assicurati alia produ^ione frumentaria nasionale, pur con
anni, come il 1927 e il 1930, le cui condizioni climatiche furono
assai sfavorevolL La media produzione dei secondo quinquennio
delia bat¬ taglia fu di qL 14,65 per ettàro. II progresso si è verificato
in ogni parte dei Paese: nelLItalia settentrionale come in quella
meridionale e insulare; nelle zone di collina come in quelle di pianura. Se
dalle cifre medie passiamo a considerare le punte piú elevate, colpiscono
le produ^ioni altissime che si sono rag- giunte, non in ristrette
particelle di pochi metri quadrati, ma su ettari di terreno in pieno
campo; produzioni che una volta sembrava follia sperare, e che sono State
ottenute per virtú di una técnica moderna che solo la battaglia dei
grano poteva stimolare* Le punte di qL 40 che un tempo
sembravano insupera- bili sono salite a qL 74 nel 1932, a 82 per ettaro
nel 1933* I metodi tecnici di coltivazione si diffondono: la schiera
dei concorrenti alia vittoria dei grano è passata da poche centi-
naia a migliaia. Le produ^ioni medie hanno segnato un continuo aumento
come dimostrano i dati seguenti in quintali per ettaro di super¬ fície
coltivata a grano: Anno Quintali Anno
Quintali Le medie di ql* 15,3 nel 1932, di ql* 16,0 nel 1933 e di
15,3 nel 1935, sono di un'eloquen£a suggestiva* Si hanno
fondatissimi motivi per ritenere che Tattuale media nazionale di 14-15
quintali per ettaro possa essere supe- rata nel prossimo awenire, anche
se i capricci dei clima potranno provocare qualche regresso
occasionale* Oggi Tltalia è in grado di poter produrre tutto il
pane che occorre per i suoi figli: nel 1933 il raccolto è stato di 8r
milioni di quintali, nel 1934, annata particolarmente awersa per
fat- tori climatici eccedonali, la produzione è riuscita a mante-
nersi al livello di 63 milioni di quintali con una media di 12,8 ad
ettaro II raccolto dei 1935, di 77 milioni di quintali, dimostra che la
produ^ione si è ormai stabili^ata intorno a cifre le quali possono
oscillare solo nel campo di varia^ione segnato dalle influente
insopprimibili delle vicende stágionalú r Ann o
Produzione totale in milíoni di quintali La battaglia dei
grano, prima che un insieme di prowedimenti economici e tecnici per Tincremento
delia produzione granaria, è stata un grido di fede e un segno di
volontà* Quando il Duce con il suo intuito infallibile, la
proclamò, compi anche in questa contingenza un grande atto
rivoluzio- nario, técnico ed economico Técnico, perchè reagi
contro un # opinione diffusissima, che cioè lTtalia non avrebbe mai
potuto produrre tutto il grano occorrente alia sua popolazione*
Economico, perchè reagi contro la passiva rassegnazione di una nostra
immodificabile insufficienza granaria e distrusse quel mito liberista per
cui si riteneva preferibile che lTtalia tendesse alia produzione di
frutta ed ortaggi da scambiare col frumento, anzichè si perde dietro
allTllusione deli'indipendenza granaria. 11 successo si deve anzitutto a quella
grande forza che si chiama volontà umana, che ha armato la técnica e che
il Duce ha trasfuso nello spirito di tutti gli italiani e nelFazione
alacre dei popolo rurale. LA BONIFICA INTEGRALE. II Capo, il 28 ottobre
delhanno VI, inviando un messaggio alie Camicie Nere di tutta Italia,
ricordava: «in quest'ora di esultanza e di propositi, tre fondamentali
avvemmenti: la riforma monetaria, la legge sul Gran Consiglio, la
bonifica integrale. Sono tre date fondamentali nella storia dei
Regime che rendono particolarmente significativo 1 ’anno VI. La
riforma monetaria ha coronato la strenua difesa delia lira, la quale
presidiata dalForo non teme manovre o sorprese. La legge dei Gran
Consiglio stabilisce la stabilità e la durata dello Stato fascista. La
bonifica integrale darà terra e pane ai milioni di italiani che
verranno. II Capo ha voluto che Tagricoltura andasse al primo piano
deireconomia italiana perchè i popoli che abbandonano a terra sono
condannati alia decadenza; ed è mutile, Egli ammoniva, quando la terra è stata
abbandonata, dire che bisogna ritornarvi. La terra è una madre che
respinge inesorabilmente i figli che 1'hanno abbandonata. Bonifica
integrale significa graduale trasformazione de a terra a forme di vita
agricola piü intense e civili; significa processo di adattamento delia
terra, che si attua attraverso 1'immobilizzazione di grandi capitali e
con 1'esecuzione 1 grandi lavori. In un primo tempo per bonifica si
intese semplicemente il prosciugamento di paludi, per difendere le
popolaziom dalla malaria. L’esiguità dei risultati ottenuti con la
semphce eliminazione delle acque sovrabbondanti, non seguita od mtegrata
dalla trasformazione delhordinamento delia produzione agricola, convinse
gli organi responsabih circa l’insufficienza delia sola sistemazione
idraulica delle terre. S impose qum 11’integrazione delle opere idrauliche con
altre opere volte a dotare di viabilità, di fabbricati e di piantagioni
legnose, le Zone redente, affinchè la popola^ione che ivi già risiedeva
o che vi sarebbe immigrata potesse trovare adeguate condi^ioni di
vita. Tale indirh&o fu anche dovuto al fatto che Tespe- rien^a
insegnava come la malaria fosse non soltanto dovuta alia palude ma anche
alia mancan^a di coltiva^ione. È messa cosi in chiara eviden^a l’importanza
enorme che ha la intensificadone delle colture, per higiene dei
territori prosciugati. Troppo spesso prima dei Fascismo era accaduto che
le costose opere di prosciugamento e di canal꣣a2;ione compiute
dallo Stato non fossero seguite dal necessário completamento e dalla
valori^^a^ione delle terre da parte dei privati* L/iniCativa di questi rimaneva
torpida e si estraniava quasi da quella statale mancando il necessário
collegamento; il quale, se deve essere provocato da una saggia
legislasione, deve essere pure frutto di una cosciente volontà capace di
imporre, occorrendo, la trasformasione agraria. Questa conce2;ione però
non potè affermarsi in maniera decisa e sicura se non dopo Favvento dei
Fascismo che pose il problema delia bonifica integrale tra quelli
fondamentali dello Stato, riconoscendone l’importanza política e sociale.
II continuo incremento delia popola^ione che impone il piü alto grado di
intensità produttiva e le differenze di densità demográfica che si notano
fra regione e regione, richiede- vano una política rurale che potenziasse
la produzione ed attenuasse i piu stridenti squilibri demografici. II
concetto di bonifica integrale non si esaurisce quindi in un solo fatto
técnico ed economico, ma ha anche un valore demográfico altissimo; la
bonifica va congiunta con una política mirante a portare la vita nella terra
redenta e a radicarvi huomo rendendolo partecipe alia produsione. Solo
cosí si compie una grande rivoluzione terriera e si attua una grande
conquista sociale. II Fascismo quindi non considera la bonifica una
semplice opera di prosciugamento di terre palustri, o anche
un’opera atta a trasformare terre mal coltivate o incolte, ma considera
la bonifica una iniziativa assai piú complessa e lungi- mirante, intesa a
creare nuove fonti di lavoro e di ricchezza, nuovi aggregati civili, a
restituire alia vita rurale il suo fascino e la sua sanità, a porre un
argine al dilegante urbanesimo. Nel quadro delia bonifica integrale
rientra, perciò, il problema importantíssimo delia casa rurale, che il Duce per
primo ha visto e súbito impostato. II Capo in occasione delia
premiazione dei concorso nazio- nale dei grano, il 14 ottobre dell’anno
VI, affermava che la bonifica integrale dei território nazionale è
un'iniziativa il cui compimento basterà da solo a rendere gloriosa, nei
secoli, la Rivoluzione delle Camicie Nere. Questa iniziativa
è 1’indice di un orientamento dei Regime fascista che il Duce ha espresso
in questa forma: il tempo delia política prevalentemente urbana è
passato: ora è il tempo di dedicare i miliardi alie campagne, se si
vogliono evitare quei fenomeni di crisi economica e di decadenza
demográfica che già angosciano paurosamente altri popoli. Per
raggiungere queste finalità il Governo fascista ha prov- veduto a
riordinare, perfezionare, completare, la legislazione sulla
bonifica. Sono stati distinti i terreni compresi nei comprensori
di bonifica propriamente detti, nei quali bisogna procedere ad una
radicale trasformazione delbordinamento delia produzione agraria, dai terreni
che richiedono soltanto migliora- menti fondiari, onde perfezionare 1
'attuale ordinamento. Mentre per l’esecuzione dei miglioramenti fondiari
da compiersi sui terreni che non sono compresi nei comprensori di
bonifica, lo Stato concede contributi per stimolare 1 'iniziativa; nei
comprensori di bonifica lo Stato esercita pienamente la sua attività
pubblica. È esso che fissa i caratteri fondamentali dei nuovo ordinamento
produttivo da instaurare nei terreni bonificati: è esso che sostiene
interamente o in gran parte la spesa per Tesecuzione di quelle opere di
carattere pubblico, che sono indispensabili per creare le condizioni
ambientali adatte ad accogliere le nuove forme di agricoltura che si
vogliono introdurre. In questi terreni di bonifica i proprietari
sono tenuti, per espressa norma di legge, ad eseguire tutte quelle opere
di carattere privato atte a far si che la bonifica compiuta si
svolga nel senso che lo Stato ha stabilito. I privati possono giovarsi
dell’aiuto finanziario statale, sia richiedendo contributi per 1'esecuzione
delle opere o concorsi governativi per il pagamento degli interessi sui
mutui contratti per compierle. La legge fondamentale delia bonifica è LA
LEGGE MUSSOLINI. L'applicazione di essa ha esteso i territori di bonifica
ad oltre 4 milioni di ettari, cosi distribuiti per
compartimento: SUPERFÍCIE DEI COMPRENSORI DI BONIFICA Piemonte Lazio Liguria
Abruszo e Molise Lombardia Campania Tre
Venezie Puglia Emilia Lucania Toscana Calabria Marche Sicilia Umbria
Sardegna Regno ha. 4.736.983 Anche V irrigazione è entrata nel domínio
delia bonifica. Essa costituisce un formidabile tntzzo per aumentare la
capa- cità produttiva dei terreni che, specie nel nostro Paese,
soffrono per Peccessiva siccità. Le piü grandi reali^azioni dei Regime
nel campo delia bonifica sono segnate dalla redensione delPAgro Pontino*
Dove una volta regnava lo spettro delia perniciosa oggi sorridono
al sole laziale tre gemme: Littoria, Sabaudia e Pontinia. Altre seguiranno ad
attestare la mareia trionfale delPEra fascista in cui «si rinnovano gli
Istituti, si redime la terra, si fondano le città. A fianco delle
prowiden^e per la battaglia dei grano e per la bonifica integrale,
numerosissime sono le altre prese per tutte le svariate branche agricole
in tredici anni di Regime. Particolari provvedimenti negli anni di awersa
congiun- tura e per stimolare Popera miglioratrice, furono presi in
matéria di credito agrario e per sowensioni agli agricoltori
dissestati* INDUSTRIA E ARTIGIANATO. L'INDUSTRIA. L’TALIA è stata un paese
quasi esclusivamente rurale. Anche nella Valle Padana, nella prima metà
dei secolo scorso, le industrie raramente presero largo sviluppo e mai
riuscirono a superare per importanza l’agricoltura che assunse
invece, specie nella zona irrigua, un carattere spiccatamente industriale.
Soltanto alia fine dei secolo scorso, specie nell’Alta Lombardia, le industrie
acquistarono notevole importanza; tale sviluppo si intensifico nel primo
decennio di questo secolo. L’industria tessile si affermò per prima battendo
progressivamente Tartigianato e i numerosi telai domestici. Tra il 1880 e
il 1890, sorsero i primi grandi stabilimenti di filatura; quindi le prime
installazioni di alti forni a cok e di forni Martin per V industria
siderúrgica, cui seguirono le industrie meccaniche. Nell’ultimo decennio dei
secolo scorso si svilupparono anche numerose medie industrie che
costituiscono la parte piú solida delia industria italiana: fabbriche di
vetri, di ceramiche, con- cerie, fabbriche per la carta e per produzioni
alimentari* Nello stesso tempo hanno vita le prime industrie delia
gomma, si diffondono nuove fabbriche per la tessitura dei lino, delia
seta e delia canapa. All’alba dei secolo XX comincia lo sviluppo delh
industria idroelettrica, che doveva raggiungere un alto grado di
potenza nel periodo fascista, e cominciano ad affermarsi cospicue
industrie chimiche. II decennio che precede la conflagrazione europea
vede sorgere i primi grandi zuccherifici e vede molti- plicarsi le
fabbriche di cemento per adeguarsi al crescente bisogno delhedilizia. Nello
stesso periodo la industria che si era localiz^ata nelle provinde
settentrionali, comincia ad estendersi anche nelh Italia centrale e
meridionale* Nel trentennio anteriore alia guerra, perciò, l’Italia SI
TRASFORMA DA PAESE QUASI ESCLUSIVAMENTE AGRICOLO in paese nel quale, pur
restando l’agricoltura la base economica, esiste già un complesso di
attività industriali che soddisfano in gran parte ai bisogni interni e si
accingono alhesportazione. Durante il periodo bellico Tattività industriale si
è molti- plicata, per sostenere lo sforzo immane a cui era soggetto
il Paese; però Y industria crebbe in maniera disordinata, accen-
tuando i vizi di disarmonia che già esistevano. L' immediato dopoguerra
che va dal 1919 al 1922, caratterizzato da un periodo di crescente
disintegradone delia com- pagine economica dei Paese, non poteva
certamente migliorare la situazione. Anche P industria italiana — come
ogni altra attività — ha largamente beneficiato dei nuovo clima político,
nonchè dei nuovi ordinamenti creati dal FASCISMO In questa nuova
atmosfera psicológica, política ed economica, Tindustria italiana si
lanciò con fede ed audacia verso nuove conquiste. L’autorità dello Stato non
solo da le garantie indispensabili, ma prowedeva a creare quel complesso
di condi^ioni favorevoli per la ripresa economica, che da tempo mancavano
e che sono necessarie per aiutare, coordinare e completare Fattività
privata* Neir industria, importan^a capitale ha avuto il nuovo
ordine sindacale corporativo, con la creazione di organi adatti a
risol- Vere in sede di collabora^ione i contrasti inevitabili tra capi¬
tale e lavoro* Numerosi sono i prowedimenti presi dal Governo
fascista per difendere ed aiutare lo sviluppo industriale I
prowedimenti investono tanti settori delPattività industriale italiana. Citiamo
ad esempio le prowiden^e per Y industria ^olfifera duramente colpita
dalla concorrenza americana; quelle per l’industria marmifera, che ha pure
larghi riflessi sociali. Con particolare riguardo airagricoltura e alie
necessità belliche, di speciali prowidenze hanno goduto le industrie dei
prodotti atotati, fondate sulle superbe inventioni dei nostri tecnici,
che hanno consentito di produrre in Paese, utilizzando Patoto dell’aria, i
nitrati necessari airagricoltura e alie industrie di guerra, liberandoci
dalla servitü straniera. IP industria delia seta naturale un giorno
fiorentissima, nonostante la crescente concorrenza delia fibra
artificiale, è stata ripetutamente sorretta, direttamente e
indirettamente attraverso i premi alia bachicoltura. Di speciali
previdente del GOVERNO FASCISTA ha anche goduto la giovane industria
cinematográfica. II tracollo dei prezei che continuo con un crescendo
pauroso e che mise moltissime industrie in condizioni di estrema
diffi- coltà, consigliò il Governo ad applicare una disciplina
siste¬ mática nella produzione, capace di ridurre la disordinata
concorrenza che recava anche pregiudizio al complesso delia economia
nazionale* Con disposizioni legislative dei dicembre 1931 il Ministro
delle Corporazioni è autorizcato a costituire consorzi obbligatori fra
gli esercenti V industria siderúrgica* Successivamente con legge dei
giugno 1932, furono stabilite le norme generali per la costituzione ed il
funcionamento dei consorzi tra esercenti uno stesso ramo di attività, e
con la legge dei gennaio 1933 si diede al Governo il potere eccezionale
di sottoporre ad autoriz^azione i nuovi impianti industriali e gli
ampliamenti di impianti preesistenti* In tal modo la nuova realtà
corporativa cominciava ad esplicare in pieno la sua delicata funcione
anche nel campo deir industria* Cosicchè non soltanto fu evitato il
pericolo di lasciare costituire nelP interno dei Paese formidabili
monopoli di carattere supercapitalistico, ma venne indiriz^ata la
produ- tione industriale verso queirarmonica costituzione a carattere nazicnale
che sollanto lo Stato può veramente effettuare. II concetto privato di
azierda industriale, viene permeato da un concetto nuovo, il corporativo,
nel quale Pelemento pubblidsta, se non acquista prevalenza assoluta, costituisce
certamente la finalità. Larga applicazione ha avuto la
ancidetta legge dei 1933: il Ministero delle Corporacioni esamina
periodicamente le domande presentate e prowede o meno alia loro
approvazione compiendo un lavoro salutare per l’equilibrio delP
industria nadonale. Nel campo delia navigadone Topera dei
Governo, in armonia alio spirito legislativo or ora ricordato, è stata
intesa a promuo- vere e ad agevolare concentracioni e fusioni, evitando
cosi l’aggravarsi di alcune situadoni di disagio che si erano
venute determinando con la crisi dei noli. Le società Citra e
Florio sono State fuse nella Tirrenia; La S* Marco, P Anônima Industrie
Marittime, la Puglia, la Costiera, la Zaratina e Nautica, si sono fuse
nell’Adriatica. Questa, con il suo blocco di 48.000 tonnellate, esercita
il traffico nelhAdriatico e nelPEgeo, mentre la Tirrenia, con le
sue 128.000 tonnellate, effettua i suoi servici nel Tirreno e per le
Colonie. La Marittima e la Sitmar si sono fuse nel Lloyd Triestino
costituendo un blocco di 210.000 tonnellate destinato ai servici dei
Mediterrâneo Orientale, dei Mar Nero, delP índia e dello Estremo
Oriente. II Lloyd Sabaudo e la Navigadone Generale Italiana si
sono fuse nelPItalia, che è la piú potente adenda marittima
italiana, formata da un blocco di 360.000 tonnellate adibita ai
servici delle Americhe, delP África e delPAustralia. Già discorrendo
delia politica financiaria avemmo occasione di ricordare l’stituto per la
Ricostruzione Industriale creato dal
Governo fascista, dopo avere dato vita all’istituto Mobiliare Italiano. Entrambi
questi Istituti hanno avuto una influenza notevolissima suir industria
italiana» L* I* M* I* ha lo scopo di accordare prestiti ad imprese
private italiane e di assumere eventualmente partecipazioni azio- nali*
Gli impegni non possono in ogni caso estendersi ad un período superiore
ai 10 anni* L* L R* L comprende una sezione che si occupa delle
sov- venzioni e dei crediti alP industria, e una seconda che ha il compito
di liquidare alcune imprese in passato gestite dalPIsti- tuto di
liquidazione. Il governo fascista con la sua política industriale ha
dato ancora una volta la dimostrazione dei suo equilíbrio, delia
sua saggezza e di una grande tempestività ed energia» Esso non solo
non è caduto nel consueto errore di paralizzare Tinizia- tiva privata, ma
ne ha potenziato invece e favorito lo sviluppo in armonia con quella
disciplina e con quello spirito di mutua comprensione e di collaborazione
che sanciscono i basilari principii delia carta del lavoro. Una visione
sintética e nello stesso tempo precisa delia struttura industriale di cui
è dotato il nostro Paese si può avere dal censimento industriale e
commerciale compiuto il 15 ottobre 1927. Da esso appare chiaramente che
in Italia predominano le piccole aziende con un modesto numero di
addetti; su 732*109 aziende ben 692*313 hanno meno di n addetti* In
queste piccole aziende trovano occupazione 1*510*304 persone, cioè
piü di un terzo di tutti gli addetti alie industrie censite, che
ammontano a 4*005*790* L/esame analítico fatto in base alie classi di
industrie, dimostra che il numero maggiore di addetti è impiegato nelle
industrie tessili le quali, nel nostro Paese, si sono sviluppate in
maniera imponente e sono raggruppate in un numero relativamente piccolo
di stabilimenti. In ordine d' importansa, secondo il numero delle persone
impiegate, segue l’industria dei trasporti e delle comunica- sioni, cui
attendono poco piü di mezzo milione di persone. Le industrie
meccaniche e quelle dei vestiário raggruppano un numero di addetti
pressochè uguale: rispettivamente 478.896 e 491.793. Esse differiscono
per il numero degli esercizi che risulta di 80.705 per le industrie
meccaniche e di 108.470 per quelle dei vestiário. Le industrie
alimentari ed affini assorbono il lavoro di circa 340,000 addetti; un
numero di poco minore ne occupa Tindu- stria delle costru^ioni; 286.115
persone, distribuite in 103.015 adende, si dedicano alh industria dei
legno. È opportuno rilevare che le a^iende con un numero di addetti
superiore al migliaio sono frequenti specialmente nel gruppo delle
industrie tessili e meccaniche, seguono quelle siderurgiche e
metallurgiche e, infine, quelle dei trasporti e delle comunica^ioni, In
complesso Sino a 10 addetti Esercizi
Addetti Esercizi Addetti. Industrie
connesse coll’agricoltura Pesca Miniere e cave Industria dei legno
ed affinL Industrie alimentari ed afíini Industria
delle pelli, cuoi, ecc. .Industria delia carta Industrie polígrafiche Industrie
siderurgiche e metallurgiche Industrie meccaniche Lavorazione dei
minerali, esclusi i metalli Industria delle costrusioni.
Industrie tessili Industria dei vestiário, ecc Servizi igienici,
sanitari,ecc Industrie chimiche Distribusione di forza mo- trice, luce,
ecc Trasporti e comunicazioni Combinadoni di industrie di diverse classi
Totale L'industria mineraria, esplicantesi specialmente nel settore
dei ferro, dei piombo e dello zinco, delia pirite e dei combusti- bili
fossili, ha segnato un forte incremento nel periodo che corre dal 1925
airinisio delia crisi economica mondiale Mentre nel 1921 e anche nel
biennio 1923-24 la produ- sione di minerali di ferro oscillò intorno a
300*000 tonnellate, negli anni seguenti ebbe forti incrementi tanto che
nel 1930 supero nettamente le 700*000* Anche i minerali di piombo e
zinco, che nel 1922 erano prodotti in una quantità di poco superiore a
120*000 tonnellate, nel sessennio 1925-30 raggiunsero una produzione media di
oltre 250.000 I combustibili fossili, nel rigoglioso periodo dell’ECONOMIA
FASCISTA, superano la produzione di un milione di tonnellate e nel 1929
raggiunsero la cospicua cifra di 1*400*000* La produzione di piriti
di ferro, che nel periodo pre-bellico raggiunse faticosamente le 300*000
tonnellate annue, nel sessennio 1925-30 raggiunse una produzione media di
oltre 600*000 e nel 1930 supero le 700*000 I prodotti
delhindustria metallurgica hanno segnato graduali aumenti nel periodo
fascista. I dati sottoriportati, riferentisi alia ghisa di alto
forno, al ferro e alhacciaio, lo dimostrano chiaramente; Anni
Ghisa cTalto forno Ferro e acciaio 1 Anni
Ghisa d'a!to forno Ferro e acciaio in migliaia di
tonnellate jn migliaia di tonnellate 489 1721 È
rilevante il fatto che nel biennio 1938-29 si sia superata la produzione
di oltre due milioni di tonnellate di ferro e di acciaio e che la ghisa
d'alto forno neiranno 1929 abbia raggiunto la produzione di 670*000
tonnellate* La produzione di piombo è salita, da circa 12*000
tonnellate prodotte nel 1921, a una produzione media di 20*000 e nel
1932 ha raggiunto la cospicua cifra di 31*470 tonnellate. Anche la
produzione di mercúrio, che nel 1921 superava appena le 1000 tonnellate,
nel triennio 1927-29 è quasi raddoppiata* Forte incremento ha pure
avuto la produzione di zolfo grezzo, la quale mentre nel triennio
precedente Tawento dei Fascismo si era mantenuta assai inferiore alie
300*000 tonnel¬ late, nel triennio 1931-33, nonostante le difficoltà create
dalla crisi, supero la media produzione di 350*000 tonnellate, come
dimostrano i dati seguenti: Anni Z 0 1 f 0 in migliaia
di tonnellate Speciale importanza
hanno i prodotti chimici, i quali, specie nel campo dei concimi, hanno
ricevuto, per Timpulso dato dal Fascismo airagricoltura, un insperato
incremento. Tra questi va ricordato il perfosfato che, mentre nel período
prebellico era prodotto in una misura poco superiore alie 900*000
tonnellate, nel 1925 ha superato il milione e mezzo, di tonnellate.
Importantissima è stata pure la produzione di concimi azotati, segnatamente
delia calciocianamide e dei nitrato di soda, ottenuti con processo
sintético valendosi delbazoto del1'aria. In virtú di ciò 1 'agricoltura
italiana si può dire oggi completamente emancipata dalhimportazione straniera
di azotati. La produzione di solfato di rame ha pure segnato un
note- vole aumento. Nel triennio 1926-28 essa ha superato sensibilmente
le 100.000 tonnellate, mentre nel periodo prebellico raggiunse faticosamente
le 50.000. II Governo fascista non mancò di stimolare e aiutare 1
’attività di quelle industrie che potevano dare matéria prima per
attivare il commercio di esportazione. A tale scopo, come già abbiamo
ricordato, esso aiutò in varie maniere 1’industria serica, la quale
riusci a raggiungere e a superare, durante i primi otto anni dei Governo
fascista, la produzione media di oltre 5000 tonnellate di seta greggia.
Mentre nel biennio 1921-1922 essa risultò di sole 3700, nell’anno 1924 e nel
1928 la seta greggia venne prodotta nella misura di quasi 5600,
cifra appena raggiunta nel 1909 e superata nel 1906-1907, quando
1’industria delia seta attingeva i vertici dei suo splendore. In
molti altri campi 1 'attività industriale italiana si è espli- cata con
raro vigore; cosi è avvenuto nel campo elettrico e dei gas; ma essa ha
raggiunto speciale importanza specialmente nel campo dello zucchero e
anche nella produzione delhalcool. Anni Zucchero J
Álcool in migliaia di quintali 2 milioni di quintali di
zucchero prodotti nel 1921 sono stati superati negli anni seguenti; la
produzione di questa importantíssima derrata ha segnato, attraverso
inevitabili oscillazioni, una netta tendenza all’aumento. La
produzione dei gas-luce è andata crescendo con ritmo costante: dai 291
milioni di metri cubi prodotti nel 1922 si sono quasi toccati i 2000
milioni nel 1932. Particolare attenzione merita 1'impulso dato dal GOVERNO
FASCISTA alla produzione dell’energia elettrica, di cui già si tenne
discorso. Perfezionando ed ampliando i vecchi impianti, costruendone di
nuovi e creando bacini artificiali di grande capacità, il consumo è
passato da meno di 5.000 milioni di kwh. dei 1922, a 8.450 milioni di
kwh. nel 1932 e a circa 10 miliardi di kilowatt-ora nel 1933. Ovunque si
cerca di sostituire il carbone di importazione con energia elettrica
prodotta in Paese: un esempio luminoso è offerto dal GOVERNO FASCISTA con
Tintensa elettrificazione delle ferrovie. Fra le industrie tessili
ha specialmente importanza quella dei rayon, che si è sviluppata in modo
veramente rigoglioso specialmente negli anni delhera fascista, come
attestano i dati che seguono: Anni Rayon in
milioni di kg. I cantieri navali hanno pure svolto un’ attività che è
caratterizzata da un continuo aumento sino al 1926, anno in cui sono
State varate navi per 250.000 tonnellate di stazza lorda. In seguito, a
motivo delia crisi, si è avuta nella produzione navale una sensibile
riduzione che va anche vista come effetto delia forte contrazione dei
commercio interna- zionale. Nonostante gli awenimenti di
carattere eccezionale ai quali abbiamo assistito in questi ultimi anni e
che hanno sconvolta 1’economia dei mondo, 1' industria italiana non
soltanto ha resistito validamente sulle posizioni conquistate, ma è
riuscita, specie in alcuni settori, a conseguire notevoli
progressi. L'indice delia produzione industriale italiana, posto
uguale a xoo 1’anno 1922, preso come anno di base, in tutti gli
anni successivi non ha mai segnato le depressioni registrate per
altri Paesi, bensi un incremento sensibilíssimo anche negli anni di
crisi. INDICI DELLA PRODUZIONE INDUSTRIALE. L'ARTIGIANATO L/incateante
fenomeno deirurbanesimo e la decrescente natalità si sono manifestati in
maniera piü acuta laddove piú intensa è Torgani^azione di tipo
industriale, cioè laddove le donne sono impiegate nelle fabbriche e nelle
manifatture, dove il mondo capitalistico domina con le sue tragiche
contrad- di^ioni, che soltanto la conce^ione fascista ha saputo
affron- tare con un piano concreto ed umano. L’artigianato, invece, ha un
carattere squisitamente rurale. L/elogio deiritalia agrícola è implicitamente
Telogio delle folie artigiane. Per tutto ciò il Fascismo, se riconosce
nelhaítività industriale un mezzo formidabile di conquista e di poten^a,
se riconosce nella fabbrica e nelPofficina unhndispensabile elemento di
vita per una nazione civile, spiritualmente esalta la funcione del-
Tartigianato, il quale ha risolto, nello stretto âmbito delia sua
bottega, i conflitti dei capitalismo* L’artigiano, come il piccolo
proprietário coltivatore diretto, lavora con gioia; il suo lavoro non è
mosso soltanto da egoistiche esigenze economiche, ma anche dal desiderio di
compiere un'opera delia quale nel suo intimo sente tutta la bellezsa*
Come il piccolo proprietário agogna al possesso terriero e una volta
raggiuntolo cerca ognora di consolidarlo, prodigandosi in opere di
miglioramento, investendo nella terra tutti i suoi risparmi, cosi l’artigiano,
dopo che si è proweduto dei mezzi indispensabili per il suo lavoro,
impiega tutte le for ze produttive delia sua famiglia per potenziare
sempre piú la sua piccola asienda e faria assurgere magari a piccola
industria. II carattere particolare delPartigianato, che si ripercuote
nelle caratteristiche psicologiche di coloro che lo esercitano, ha fatto
si che esso fosse guardato dal FASCISMO con particolare simpatia e comprensione.
II nostro paese poi, che vanta gloriose tradizioni nel campo
dell'artigianato e possiede un núcleo formidabile di piccole e medie
botteghe artigiane, sente in maniera particolare Íl bisogno di poteriare
e sviluppare questa forma di attività economica, solidíssima fonte di
sta- bilità sociale. Per queste ragioni il problema artigiano non è e non
puo essere un problema esclusivamente economico. Gli obbiettivi dei
Regime in matéria di política artigiana sono volti a migliorare
tecnicamente e artisticamente i prodotti di questa benemerita categoria,
per poter superare la concorrera straniera e conquistare i mercati. Dal punto
di vista economico il Governo fascista, attraverso le cooperative di
mestiere e bancarie, ha anticipato denaro e assistito nei piü diversi
modi questi piccoli imprenditori Ha cercato inoltre di applicare una
rigorosa selecione dei prodotti, indíviduando i centri di produzione
caratteristici, coltivando attraverso le mostre la conoscera di queste
attività e il tradizionale buon gusto dei nostro popolo, per stimolare i
singoli e compiere una efficace opera di selesione. Le categorie
professionali rappresentate dalla Federazione fascista autonoma degl’artigiani
d’Italia, la quale sí e prodigata per valorirare sempre piü questa folia
di piccoli produttori sapienti e tenaci, sono numerosissime
L'arte dei legno comprende sensa limitazione di numero
intagliatori, laccatori, scultori in legno, lucidatori, doratori e
stipettai. Qualora le imprese non impieghino piü di cinque dipendenti
anche gli ebanisti e corniciai, mobilieri e tornitori sono raccolti nella
Federazione artigiana, la quale comprende anche carpentieri e falegnami,
imballatori e sediai, quando essi siano impiegati in attività che non
occupano piü di tre dipendenti. La ricordata Federasione rappresenta anche i
fornitori di oggetti d'arte, i battiferro, i ramai e calderai, gli
sbalzatori di metalli, gl’arrotini e i modellatorh. Le attività
artigiane, varie e multiformi, diverse per le materie lavorate e per i
prodotti ottenuti, dominano completamente l’arte dei tessuto e dei
ricamo, l’arte delTorafo, dell’argentiere e dell’orologiaio* Speciale
importanza hanno anche nel campo delia ceramica artistica, la quale ha
raggiunto, specialmente in alcune zo ne dei nostro Paese, un
incontestabile splendore e vanta antichissime tradizionh. Ricordiamo le
industrie cera- miche umbre, faentine e quelle pesaresi, per citare
soltanto le principaln L'arte dei cuoio e delia cak^tura
raccoglie un grande numero di doratori e di sellai, di pirografi e
bulinatori, di sbalzatori e stampatori, calzolai ed astucciai, che nel
complesso raggiungono un numero considerevole di addetti, i quali portano
il tributo precioso di un lavoro paciente alia produzione nazionale
Anche i valigiai e i cinghiai, guantai e pellettieri, pur trovando di
solito il loro impiego in aziende cospicue, vengono però ad accrescere il
numero di questa benemerita categoria di modesti e solidi
produttori L'arte delia tessitura e dei ricamo, alia quale si
dedicano con grande perimia le mogli e le figlie dei nostri salariati,
sia nel campo dei merletto e delia trina, sia in quello delia
filatura e tessitura a mano di stoffe e tappeti, raggiunge
mTimportanza che, specialmente in alcuni centri dell’Italia
settentrionale e delle isole, non può essere trascurata. Tra gli
artigiani vanno contati anche gli acquafortisti, xilografi e xenografi,
nonchè i litografi e i rilegatori di librh Nei modesti centri il
carattere artigiano si può riscontrare anche nelle piccole tipografie
come nei fabbricanti di timbri in legno e metallo e di oggetti e modelli
di carta e cartone. Affine a questa attività è quella delia fotografia che nel
grandíssimo numero dei casi e per la quasi totalità delia produzione è in
mano di valenti artigiani. La lavorazione dei marmo e delia pietra è
specialmente opera di artigiani. Mosaicisti, alabastrai e sbozzatori di
pietre, luci- datori di marmi e sagomatori, costituiscono un gruppo
notevole di lavoratori che, insieme agli addetti all’arte dei
restauro, formano un gruppo importante delia Federazione
artigiana. A questa categoria appartengono anche i parrucchieri, gli
addetti all’arte deil’arredamento e dei giardino, quelli impiegati
nelFarte dei giocattolo e delia pirotécnica, i vulcanizzatori e gli
ombrellai. Particolare posizione acquista poi quel gruppo di
artigiani che si dedicano alie attività miste proprie delia vita
rurale, i quali, diffusinei piú remoti angoli delle nostre
campagne, portano con la loro genialità di costruttori e con la loro
pazienza di fini esperti riparatori, un contributo che non può essere
trascurato, Ricordiamo tra questi i falegnami, gli ebanisti, i mec-
canici, i fabbri, ecc. Ma sarebbe troppo lungo dare una com¬ pleta
nozione delle svariate funzioni esercitate dagli artigiani, i quali
costituiscono una massa imponente, che fornisce un lavoro sapiente e
prezioso ed esercita una funzione insostitui- bile nella nostra
economia. LA POLÍTICA dei lavori pubblici GENERALITÀ A FIANÇO dei
poderoso programma di bonifica sta un piü esteso programma di lavori
pubblici, inteso a dar lavoro al- Tesuberante mano d'opera e creare un
complesso di opere civili, di cui ritalia meridionale e insulare
specialmente difettavano. Con questo intendimento furono creati i
Proweditorati alie opere per il Mezsogiorno e le Isole e TA^ienda
Autonoma Statale delia Strada. L'opera svolta dal GOVERNO FASCISTA in
questi ultimi dodici anni è stata veramente imponente. Nel primo decennio
fascista le amministrazioni sopra ricordate hanno presi impegni di spesa
per circa 37 miliardi di lire, dei quali ben 17 miliardi e mezzo sono
stati effettivamente pagati. II programma di lavori pubblici compiuti ha
già avuto, e avrà ancor piü neirawenire, una notevolissima influen^a
sul benessere dei Paese; non solo ha intensificato gli scambi, ha
favorito i traffici e ha arrecato immensi vantaggi airagricol- tura e
albindustria, ma ha anche elevato il tenore di vita e ha contribuito a
stabilissare le correnti migratorie. Si tratta di un'enorme
quantità di capitale investito nel suolo pátrio, di immense quantità di
lavoro, che an^ichè andare disperse sono State utilmente impiegate in
opere di alto Valore civile ed economico. Per questo la política dei
lavori pubblici è stata anche un mtzzo efficacissimo per arginare e
combat- tere la dilagante disoccupasione. Nei lavori compiuti dagli
ufiici tecnici dipendenti dal Ministero dei Lavori Pubblici, dalPAzienda
Autonoma Statale delia Strada e dal Sottosegre- tariato per la Bonifica,
neiranno 1926 si sono impiegati 21,8 milioni di giornate-operaio, 26,7
milioni nel 1927, 27,3 milioni nel 1928 L'anno 1929 porta un sensibile
aumento di lavori e di giornate operaie impiegate, le quali toccano i
33,5 milioni: queste raggiungono 41 milioni nel 1930, 39,3 milioni nel
1931, per superare i 42 milioni. Queste cifre però non danno una
completa idea delia massa di lavoro posto in atto dal Governo fascista,
perchè se nei cantieri delle imprese appaltatrici di pubbliche
costrutioni si ebbe un formidabile aumento nel numero delle maestrante
impiegate, un incremento sensibile si ebbe altresinelle cave, nelle
officine, nelle fornaci, nelle fabbriche che forniscono alie prime
materiale da costrutione e mezzi d'opera* Anche nelle imprese di
trasporti Tindice di attività segnò un fortíssimo aumento. Da un punto di vista
político va poi posto in particolare rilievo lo sforto compiuto dal
Regime per dotare le città e le campagne dei Meridionale e delle Isole di
tutti quei serviti pubblici di cui mancavano e che, consentendo forme di vita
migliore, sono di stimolo per l’elevazione morale e materiale delle
popolazioni. La messa in valore di estesi territori agricoli dei
Mettogiorno, cioè di un território con particolarissime caratteristiche
demografiche, richiese la regolatione delle correnti dei lavoratori onde
incitare, aiutare, assistere quel proletariato agricolo che desiderava
radicarsi alia terra e formare colonie stabili. Per questo il Duce creò presso
il Ministero dei Lavori Pubblici il comitato permanente per le
migrationi interne, che poi volle alia sua diretta dipendenta presso
la Presidenta dei Consiglio LA VIABILITÀ ORDINARIA. Con legge è
stata affidata alFAtienda Autônoma Statale delia Strada la rete delle strade di
grande comuni- catione, chiamata anche rete delle strade statali. II duce
ha voluto creare un organo autonomo, agile, preparato a compiere rimmensa mole
di lavoro che era richiesta per una adeguata sistemazione dei nostro
patrimônio stradale. Egli, che ha sempre avuto un concetto romano delia
strada, ha dedicato ad essa le piú sollecite cure e ha fornito
capitali ingenti per il duraturo assetto ed il miglioramento delia
rete stradale. Le 136 arterie che formano la rete, il cui sviluppo
comples- sivo è di 20.622 chilometri, nelhestate dei 1928 si
trovavano in condizioni non certo felici: soltanto 463 chilometri di
strada erano pavimentati in maniera tale da non richiedere alcun
ulteriore lavoro per la loro sistemazione* Rimaneva cioè la quasi
totalità da rivedere e da sistemare. Alia fine di ottobre delhanno X erano
stati sistemati 8562 chilometri, dei quali 7910 con trattamenti
superficiali e 652 con pavimentazioni permanenti e semi permanenti. Erano
inoltre in corso altre pavimentazioni su oltre 1000 chilometri. II resto delia
rete è stato però oggetto di opere straordinarie e di manutenzioni
talmente accurate che attualmente tutte le strade si trovano in ottime
condizioni. IL GOVERNO FASCISTA nel campo delia viabilità ordinaria non
si è limitato a mantenere o pavimentare le strade esistenti* Intensa è
stata pure Tattività svolta per completare la rete di grande
comunicazione e per arricchire quella delle strade pro- vinciali e
specialmente delle strade comunali, che, in alcuni compartimenti dei
nostro Paese, era inadeguata ai bisogni dei traffico e specialmente ai
crescenti bisogni dell’agricoltura* Particolare menzione va fatta delle
autostrade, di cui nel decennio che va dal 1922 al 1932 furono costruite
436 chilometri, segnando in questo modernissimo campo delle comunicazioni un
primato, che ancor oggi ci è invidiato dai maggiori Stati d'Europa. La
rete delle strade di grande comunicazione è stata aumen- tata di ben 525
chilometri di nuova costruzione: ricordiamo il completamento delia grande
artéria litoranea tirrenica; la costruzione dei tronchi delia litoranea
ionica situati nelle provinde di Taranto e Matera; il completamento delia
litoranea adriatica con i tre tronchi situati tra S. Salvo in província
di Chieti e Serracapriola in província di Foggia; i nuovi tronchi costruiti
nelle provincie di Salerno, Potenza e Cosenza, per tacere di altri
importanti tronchi costruiti specialmente nel Meridionale. Se le
nuove strade statali si sono rivelate di notevole portata, di grandíssima
utilità si sono dimostrate le strade costruite dalle Provincie e
specialmente quelle volute dai Comuni. Bisogna ricordare che nel decennio
fascista sono stati costruiti 1143 chilometri di strade provinciali e
3844 chilometri di strade comunali. Nelle Calabrie, nella Lucania, negli
Abruzzi e in Sicilia, si è dato grande impulso alia viabilità rurale e a
quella che ha servito ad allacciare i comuni isolati alia strade di
grande comunicazione. Anche neiristria sono State compiute opere
cospicue: circa 20 milioni sono stati dedicati alie costruzioni stradali.
Non va poi dimenticata la costruzione di strade turistiche che servono
anche per la comunicazione fra importanti compartimenti (citiamo ad esempio la
Gardesana occidentale e orientale) e quella di importantissime autostrade
quali la Roma-Ostia, la Napoli-Pompei, la Firenze-Viareggio, la
Padova-Venezia e quelle irradiantesi da Milano per Torino, i laghi e
Brescia. Non si può terminare questa breve e incompleta
rassegna delle opere stradali compiute dal Fascismo, senza
ricordare il ponte che congiunge Venezia con la terraferma, largo
20 metri, lungo 4 chilometri, costruito in meno di due anni con la
spesa di 80 milioni. LE FERROVIE La rete ferroviária
ereditata dai passati regimi, se per molti aspetti si presentava in
felici condizioni, richiedeva però una opera attiva di integrazione e di
completamento onde rendere ancor piú effi- cace il servizio che essa
poteva prestare aireconomia dei Paese* Negli ultimi 12 anni la rete
ferroviária italiana è stata miglio- rata e potenziata: rettiíiche e raddoppi
di binário; ricambi e rinforzi di armamento; ampliamento e ricostruzione delle
stazioni, dei magazzini e dei servizi; rinnovamento dei materiale
rotabile. L'esercizio delle ferrovie è stato poi riordinato in maniera
rapida ed energica; è stato ristabilito un alto senso di disciplina nel
perso- nale ferroviário, dei quale ne è stato aumentato anche il
rendimento. Particolare importanza ha assunto poi la elettrificazione,
estesa ad importantissimi tronchi ferroviari e che si estenderá
ulteriormente per liberare sempre piú la Nazione dal grave onere delia
importazione dei carbon fossile. Nel campo delle nuove costruzioni ferroviarie
bisogna ricordare la direttissima Roma-Napoli, a doppio binário,
che ha rawicinato notevolmente questa città alia capitale; la
Cuneo-Ventimiglia, la Sacile-Pinzano, e specialmente la direttissima
Bologna-Firenze, a doppio binário, con una galle- ria scavata, per oltre
18 chilometri, nelle infide argille appenni- niche, superando difficoltà
tecniche giudicate insormontabili e nella cui costruzione perdettero la
vita decine d’operai. Nel complesso sono State aperte airesercizio nuove linee
ferro¬ viarie dello Stato e deirindustriaprivata per circa 3000
chilometri. Si può affermare che con Topera di completamento dei tronchi
compiuta dal Regime, e con la elettrificazione delle principali linee — di cui
recentissima è la Bologna-Roma-Napoli — la rete ferroviária di cui oggi
dispone Tltalia è perfettamente adeguata ai bisogni delia sua economia. LE
OPERE MARITTIME. II mare era negletto. II Regime vi ha risospinto gli italiani.
La marina mercantile decadeva: il Regime 1 -ha risollevata. Durante questi anni
sono scesi nel mare colossi potenti. I porti si erano impoveriti: il
Regime li ha attre^ati e vi ha creato le zone franche. II lavoro vi era
discontinuo per via degli scioperi: oggi la disciplina delle maestran^e è
perfeita. Al mare, fonte di salute e di vita, il Regime manda ogni
anno centinaia di migliaia di figli dei popolo. La passione degli
Italiani per il mare rifiorisce. Vi riconosce un elemento delia potenza
nazionale. Cosi il Duce parlava alhassemblea quinquennale dei
Regime. Le opere compiute documentano con quale tenacia il Governo
abbia realiz^ato le basi per un’intensa politica marinara. Le condizioni
degli scali marittimi italiani sono insufficienti. Il Regime ha voluto
prowedere rapidamente ad ampliare e sistemare quelli piü importanti, onde
favorire e richiamare il traffico internasionale, sen^a altresi
trascurare i porti minori. Sono stati costruiti XXVIII
chilometri di opere di difesa, ripartite in 82 porti; la superfície dei
bacini è stata aumentata di 680 ettari. La calate si sono
accresciute di 36 chilometri e la superfície dei terrapieni di 295
ettari. Dalle corrosioni dei mare sono stati difesi circa 17 chilometri di
coste. II Consorcio per il porto di Gênova ha completato il bacino
Vittorio Emanuele III, ha ultimato il i° lotto dei bacino Mus- solini, ha
costruito un nuovo bacino di carenaggio largo m. 32, lungo m. 260.
II porto di Napoli è stato arricchito di un nuovo bacino; mentre è stato
sistemato il porto vecchio A Livorno è stato costruito un nuovo porto
interno; a Cagliari un mo lo lungo m* 1655; a Catania le nuove opere
eseguite hanno aumentate le calate di m* 550; a Bari, in seguito alia
importan^a che hanno assunto i traffici con TOriente europeo, fu
proweduto ad un grandíssimo lavoro di ampliamento. Grandiosi lavori sono
stati dedicati al porto di Marghera e alio scalo delia stazione
marit- tima di Venezia Sono State rinnovate molte opere d'arte nel
porto di Trieste II lavoro compiuto è immenso Oggi il nostro Paese
gode di scali marittimi perfettamente adeguati alie necessità dei
traffici ed è anche pronto ad accogliere ogni futuro incremento nel
commercio interna^ionale. LE ACQUE PUBBLICHE La regolari^a^ione dei
corsi d’acqua è Topera pubblica per eccellensa che, in Italia, acquista
unhmportan^a di primissimo ordine, data la sua particolare configurasione
oro-idrografica* Durante il decennio, per i lavori di sistema^ione delia
Valle dei Po sono stati impiegati oltre 400 milioni di lire, che
hanno permesso di migliorare notevolmente la difesa idraulica di i
milione e 250 mila ettari di uno dei territori piú densamente popolati e
ricchi dei nostro Paese II Magistrato alie acque di Venezia si è pure prodigato
in un complesso di attività tra le quali prendono particolare
evidem;a i lavori di sistemazione dei bacino delbAdige* Negli
altri bacini dei Regno sono stati costruiti circa 4000 chilometri di
argini completati da 775 chilometri di pennelli e difese frontali. Nel
settore delia navigazione interna, per quanto il nostro Paese non
presenti condizioni favorevoli per la costituzione di una vera e própria
rete di vie navigabili, il Governo ha voluto rendere piú efficace quella
esistente nella valle padana e nei grandi laghi. La via d'acqua
Milano-Venezia, le ferraresi, la litoranea veneta sono State oggetto
d’importanti lavori. Anche il canale da Pisa a Livomo e il tronco
inferiore dei Tevere sono stati notevolmente migliorati. Nel
campo delia utilizzazione delle acque pubbliche, il governo ha promosso
energicamente la costruzione di grandi bacini idroelettrici, da servire
eventualmente anche all' irrigazione. In tal modo 1 'Italia ha cercato di
rimediare alia naturale povertà di carbon fossile, sovvenendo ai bisogni
dei trasporti e delle industrie. Nel primo decennio fascista
la potenza degli impianti idroelettrici è stata portata da 1,5 milioni di kw.
ad oltre 4 milioni; la produzione di energia è salita da 4 a 10 miliardi
di kw-ora. L'Italia settentrionale concorre alia produzione
idroelettrica con oltre 3 milioni di kw. di potenza installata negli
impianti; esigua è la produzione dell’Italia centrale e
Meridionale; quasi trascurabile quella delle isole. L'ultimo
decennio ha visto moltiplicarsi nel nostro sistema alpino e appenninico i
serbatoi idraulici che oggi raggiungono il numero di 168, con una
capacità di invaso complessiva di quasi 1300 milioni di metri cubi.
Alcuni di questi servono anche per 1 'irrigazione. Tra il
centinaio di serbatoi costruiti durante gli ultimi dodici anmi ricordiamo
quello deljMoncenisio, dei Lago di Avio- grande (Varese), di Ceresole
Reale (Aosta), di Montesluga (Sondrio), di Suviano (Bologna), di Trepido
(Cosenza), di Santa Chiara d'Ula (Cagliari), dell’Alto Belice
(Palermo). ACQUEDOTTI Da XV secoli Ravenna attende l’acqua Si sono
ricordati in questi giorni i nomi venerati, ma lontani, degli imperatori
romanL Passavano i secoli, si susseguivano le gene- razioni, cambiavano i
governi, le signorie, le dominazioni, la realtà era sempre lontana dal
sogno Solo il FASCISMO puo fare questo, poichè il FASCISMO è, sopratutto
al presente, il verbo volere Cosi il duce si pronuncia inaugurando l’acquedotto
di Ravenna, consacrato alla memoria dei caduti, Anche in questo campo di
civiltà, di difesa della razza e del popolo, di assistensa agl’umili, il
Regime si è prodigato, aiutando gl’enti locali con mutui di favore e concorrendo
all’esecuzione delle opere stesse con contributi diretti. Oltre all’acquedotto
di Ravenna, or ora ricordato, van menzionati: il grande acquedotto dei
Monferrato che dà acqua a 81 comuni; l’acquedotto Schievenin che serve XX
comuni dell’alto agro trevigiano; l’acquedotto Istriano che approvigiona
tutta la província; l’acquedotto Franciosetti per la città di Torino;
quello per la Vai d'Orcia e la Vai di Chiana, di cui beneficiano 11
comuni; quello di Grosseto; gl’acquedotti della Lucania, ecc. Sviluppo
notevolissimo ha avuto 1'acquedotto pugliese II FASCISMO afffonta
decisamente il proseguimento di quel colossale acquedotto con la
costruzione dei grande sifone leccese, delle diramazioni dei foggiano e di
altri 1000 chilometri di condotte esterne e interne agli abitati: è cosi
fornita l’acqua ad una popolazione complessiva di circa un milione
di abitanti. La metà delia spesa totale sostenuta dallo STATO ITALIANO per
compiere questa opera, che documenta il grado di civiltà di un popolo, è
stata erogata dal GOVERNO FASCISTA. Al complesso di opere ricordate, miranti a
dare acqua pura alie popolazioni delle città italiane e dei comuni
rurali, va aggiunta anche la costruzione di numerose fognature in
oltre 300 centri urbani del paese La breve rassegna che abbiamo fatto
sarebbe assai incompleta se non venissero ricordate altre numerose opere civili
ed igieniche compiute dal regime: ospedali, tubercolosari,
cimiteri, lavatoi, costruiti a centinaia, specialmente nell Italia Meri-
dionale e nelle Isole, dove maggiormente difettavano La Sardegna, che è
stata particolarmente trascurata dai governi precedenti, è stata oggetto
di un f intensa attività in questo campo di opere che riguardano il
soddisfacimento dei bisogni fondamentali delia vita U EDILIZIA
IL GOVERNO FASCISTA, accanto alie nuove opere pubbliche miranti a
dare nuovo impulso alia vita economica del paese, ha promosso una serie di
opere per risanare, ampliare, abbellire, le grandi città seguendo i
dettami delia moderna urbanistica In
moltissime città italiane sono stati sVentrati vecchi quartieri, creati nuovi
rioni, migliorato il rifornimento idrico e lo smaltimento dei rifiuti I
macelli sono stati moderni^ti, centinaia di mercati pubblici sono stati
rinnovati o costruiti di nuovo I servizi di illuminazione sono stati
migliorati. Lo sviluppo dei servizio telefônico costituisce un'altra
fondamentale conquista Parchi e giardini, viali alberati e ville, sono
stati aperti al popolo che lavora Anche in questo campo per motivi di
giustizia distributiva L'Italia meridionale ha avuto le maggiori providenze. Ma
è stato specialmente nella capitale che la sistemazione urbanística ha
assunto uno sviluppo dawero imponente. La costruzione delle vie deli'
Impero e dei Trionfi, la sistemazione delle adiacenze dei Campidoglio e
dei Fori Imperiali, ed il compimento delle numerose opere per dare nuovo
assetto alia viabilità cittadina e per fornire al popolo stadi e
giardini, sono opere veramente degne delia Roma Imperiale. A
queste Va aggiunta la costruzione dei nuovi palazzi dei MINISTERO DEI
LAVORI PUBBLICI, della giustizia, dell’educazione nazionale, della marina
e delle corporazioni, delia città universitária e di numerosi altri edifici
pubblici necessari per la vita delia capitale, centro propulsore di tutte
le attività delia Nazione. Anche nelle varie provincie 1'edilizia dello
Stato ha singolare sviluppo. Ricordiamo i 69 nuovi edifici costruiti per
i corpi armati delia Polizia e delia R. Guardia di Finanza, i 24 nuovi
palazzi delle Poste e Telegrafi, i 15 edifici carcerari, i7 grandiosi
gruppi di costruzioni universitarie e altri ancora. Nel complesso si
tratta di costruzioni per un volume di oltre 7 milioni di mc. Un
particolare posto spetta alia edilizia scolastica. Il nostro paese aveva
un numero di scuole insufficiente. Inoltre parte di queste si trovavano in
condizioni statiche e di manutenzione dei tutto inadeguate alle esigenze
piú elementari delia popolazione scolastica. È quindi naturale che il
Re gime, che ha sempre avuto a cuore 1’avenire delia razza e la
preparazione spirituale e fisica degl’italiani, abbia cercato con tutti i mezzi
a sua disposizione di dare il piú grande impulso a questo genere di
edilizia. Il ministero dei lavori pubblici, la cui competenza oggi
si estende a tutti gl’edifici scolastici d’Italia, ha costruito oltre
ii*ooo aule* I Comuni si sono pure prodigati in questa opera che soddisfa
ad uno dei primordiali bisogni delia vita civile, sistemando vecchi
edifici e prowedendo al risanamento ed alia ricostruzione di quelli che sono
igienicamente inabitabiln L’Italia Meridionale anche in questo
campo ha goduto di particolari benefici. Nel settore delle
case popolari il Regime ha stanziato 100 milioni a favore di quei comuni e di
quegli istituti autonomi che prendono Tiniziativa per la loro costruzione.
II Regime ha pure proweduto a creare l’lstituto Nazionale per le case
degli Impiegati dello Stato, a emanare particolari providenze per
la costruzione di alloggi da destinare ai muti- lati e agli invalidi di
guerra* Col concorso finanziario dello Stato sono stati edificati, a cura
dei comuni, di istituti speciali e di cooperative, oltre seimila edifici
con cinquantamila appar- tamenti, dei quali 28*000 di tipo economico e
22*000 di tipo popolare. II governo dando grande impulso alie nuove
costruzioni non ha dimenticato la ricostruzione dei paesi devastati
dalla guerra e dai terremoti Oggi si può dire che ogni traccia delle
devastazioni compiute durante la conflagrazione europea sia scomparsa. Il
regime ha assolto in tal modo il debito di riconoscenza e di affetto
contratto verso quei compartimenti che furono teatro dei tremendo
conflitto, al quale segui la vittoria che il Fascismo solo ha saputo
valorizzare La Calabria e la Sicilia, che purtroppo sono annoverate fra i
paesi piú colpiti dal terremoto, si sono giovate in modo par- ticolare
delle sollecite cure dei governo, il quale autorizzò la spesa di oltre
500 milioni per la costruzione di case di abita- zione nei paesi
distrutti dal terremoto Nella sola città di Messina vennero edificati
circa 1000 alloggi di tipo popola- rissimo e numerose case economiche
popolari con circa 4600
appartamenti Nella città di Reggio Calabria circa iooo alloggi;
nella província oltre 5000* Gradatamente sorsero interi rioni di
nuove case economiche e popolari: furono preparati rationali piani
regolatori; si edifi- carono chiese, si initiò Fedilitia pubblica. Dopo
il trionfale viaggio che il capo del governo compi in Sicilia, l’opera di
ricostrutione e notevolmente intensificata. Oggi Messina e Reggio si possono
considerare tra le piü moderne città dei nostro paese. Anche i territori delia
Marsica, che si distendono nei dintorni d’Avettano, colpiti duramente dal
terremoto, sono oggetto di sforzi tecnici e finantiari cospicui da
parte del governo fascista. Infatti quando il fascismo raggiunse il
potere, la situatione della Marsica era quanto mai desolante. Oggi
Avetzano è completamente ricostruita e i centri colpiti hanno ormai
rimarginate le loro dolorose ferrite. La fermetta dei governo fascista e
la rationalità dei suoi sistemi di ricostruzione dei paesi terremotati si
dimostra in occasione dei disastro dei Vulture ed anche in quello
delle Marche. Nelle tristi contingente che colpirono queste
belle provincie d'Italia, il governo forni un’assistenza pronta, adeguata,
ispirata ad alto senso di umanità. Esso, però, antichè cedere agl’invocationi
chiedenti il rapido apprestamento di baracche, che avrebbe portato a ripetere
gl’errori tecnici e finanziari in cui si cadde in tempi passati, provide
con rara energia a dirigere l’opera di assistenza ai disastrati,
mentre squadre di operai cominciavano ad innaltare le case in muratura
per i sentatetto, Anche in questo settore delia vita nazionale l’opera dei
Regime è stata intensissima e tra le piu proficue. Il duce ha dato
anche a questo aspetto della vita italiana un nuovo volto alla patria. Keywords:
l’economia di Aristotele, economia fascista, Sciacca, Evola, diritto economico,
stato fascista, economia fascista, corporativismo, ugo spirito. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Fioramonti:
l’implicatura” – The Swimming-Pool Library. Lorenzo Fioramonte. Fioramonte.
Grice e Fiore: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale musicale – scuola
di Celico – filosofia celicese – filosofia cosentina – filosofia calabrese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza
(Celico). Filosofo
celicese. Filosofo cosentino. Filosofo calabrese. Filosofo italiano. Celico,
Cosenza, Calabria. Grice: “If you are thinking that Fiore is the source for the
Cistercians, you are wrong – actually Fiore WAS a Cisctercian until he wasn’t
one! Pretty much like St. John’s!” -- da Floris, Italian philosopher, the
founder the order of Ciscercian order of San Giovanni in Fiore (vide, Grice,
“St. John’s and the Cistercians”). He devoted the rest of his life to
meditation and the recording of his prophetic visions. In his major works Liber
concordiae Novi ac Veteri Testamenti,: Expositio in Apocalypsim and Psalterium
decem chordarum. Da Floris illustrates
the deep meaning of history as he perceived it in his visions. History develops
in coexisting patterns of twos and threes. The two testaments represent history
as divided in two phases ending in the First and Second Advent, respectively.
History progresses also through stages corresponding to the Holy Trinity. The
age of the Father is that of the law; the age of the Son is that of grace,
ending approximately in 1260; the age of the Spirit will produce a
spiritualized church. Some monastic orders like the Franciscans and Dominicans
saw themselves as already belonging to this final era of spirituality and interpreted
Joachim’s prophecies as suggesting the overthrow of the contemporary
ecclesiastical institutions. Some of his views were condemned by the Lateran
Council. F.«… E lucemi dallato, il calavrese abate
F. di spirito profetico dotato» (ALIGHIERI (si veda), Paradiso. Filosofo.
Morte Pietrafitta, Beatificazione Nuncupato Santuario principale Abbazia
Florense Manuale F. è stato un abate, teologo e filosofo italiano. È venerato
come beato da parte dei florensi e dei gesuiti bollandisti, anche se non c'è mai
stata una beatificazione ufficiale da parte della Chiesa cattolica. Le
condizioni economiche della famiglia di F. erano agiate; il padre Mauro,
infatti, è tabulario o notaio. In passato si è ritenuto che la famiglia avesse
origini ebraiche, forse per spiegare l'atteggiamento benevolo di F. nei
confronti dell'Ebraismo. La sua casa natale viene collocata storicamente
dove sorge attualmente la chiesa dell'Assunta, edificata sicuramente sul
perimetro della casa natale dell'abate F.. Riceve le prime nozioni di
educazione scolastica a Cosenza. Ben presto è mandato a lavorare presso
l'ufficio del Giustiziere della Calabria. A causa di contrasti insorti sul
posto di lavoro, anda a lavorare presso i Tribunali di Cosenza. In seguito il
padre riusce a fargli ottenere un posto presso la corte normanna a Palermo,
dove lavora prima a diretto contatto con il capo della zecca, poi con i notai
Santoro e Pellegrino e infine presso il Cancelliere di Palermo, arcivescovo
Perche. Entrato in disaccordo anche coll’arcivescovo, si allontana
definitivamente dalla corte reale di Palermo per compiere un viaggio in
Terrasanta. Gl’inizi Forse nel corso di questo viaggio matura un profondo
distacco dal mondo materiale per dedicarsi allo studio delle Sacre Scritture.
Al ritorno in patria F. si ritira dapprima in una grotta nei pressi di un
monastero posto sulle falde del monte Etna, poi tornò con un suo compagno a
Guarassano, nei pressi di Cosenza. Qui è riconosciuto e costretto ad incontrare
il padre, che lo ha dato per disperso. Al padre confessa di aver smesso di
lavorare per il re normanno per servire il Re dei Re -- cioè il Signore Dio
nostro. Vive presso l'abbazia di Santa Maria della Sambucina, da cui si
allontana per andare a predicare dall'altra parte della valle, vivendo nei
pressi del guado Gaudianelli del torrente Surdo, vicino a Rende. Poiché
al tempo la predicazione di un laico non è ben accetta, F. compe un viaggio
fino a Catanzaro, dove il vescovo locale lo ordina sacerdote. Durante il
tragitto da Rende a Catanzaro si ferma nel monastero di Santa Maria di Corazzo,
dove incontra il monaco Greco che lo pose davanti alla parabola dei talenti,
rimproverandolo di non mettere a frutto le sue doti. Torna a predicare
nuovamente a Rende, con l'abito di sacerdote. Poco tempo dopo vestì l'abito
monastico, entrando nel monastero di Santa Maria di Corazzo. Questa abbazia
benedettina, guidata dal beato Colombano, aspirava a seguire la regola
cistercense. Secondo le fonti più accreditate, Bonasso venne eletto abate
di Santa Maria di Corazzo, ma rinuncia, scappando dapprima nel monastero della Sambucina,
poi nel monastero del legno della croce di Acri. F. non ambiva a diventare
abate, ma a studiare le Sacre Scritture. Gli uomini più potenti di quel tempo,
riunitisi con lui a Sambucina, lo convinsero ad accettare la carica di abate di
quel monastero, all'epoca poverissimo. A Corazzo l'abate F. comincia a scrivere
la prima delle sue opere, La “Genealogia”, impiegando come suoi scribi frate
Giovanni e frate Nicola. In qualità di abate compe un viaggio all'abbazia di Casamari.
Durante questo periodo incontra il papa Lucio III, che gli concesse la licentia
scribendi. Con l'aiuto degli scribi Giovanni, Nicola e Luca, inizia già a
Casamari la stesura delle sue opere principali: la “Concordia tra il vecchio e
il nuovo testamento” e l' “Esposizione dell'Apocalisse”. In quello stesso
periodo F. interpreta innanzi al papa una profezia ignota, trovata tra le carte
del defunto cardinale Angers. Da qui scature l'incoraggiamento del pontefice
Lucio III a scrivere le sue opere. Si reca a Verona, dove incontra il papa
Urbano III. Al ritorno si ritira a Pietralata, una località sconosciuta,
abbandonando definitivamente la guida dell'abbazia di Corazzo. I suoi monaci
non tolleravano il suo girovagare e lo stare sempre distante dall'abbazia e
pertanto fanno una petizione per risolvere la questione presso la curia. A
seguito di ciò, ottenne l'affiliazione dell'abbazia di Corazzo all'abbazia di
Fossanova e il papa Clemente III lo prosciolse dai doveri abbaziali,
autorizzandolo a continuare a scrivere. Pietralata e protomonastero di
Fiore Vetere Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio:
Abbazia Florense. A Pietralata, presumibilmente una contrada nei pressi di
Marzi-Rogliano, da lui ribattezzata Petra Olei, cominciarono a pervenire molti
seguaci. Il primo è Raniero da Ponza, che in seguito è legato apostolico in
Francia e Spagna sotto papa Innocenzo III. Pietralata divenne presto un luogo
incapace di ospitare la moltitudine di gente che accorre a sentire F. Pertanto F.
sale in Sila alla ricerca di un territorio che si puo abitare. Dopo varie
perlustrazioni, si ferma nel luogo oggi denominato Jure Vetere Sottano, nel comune
di San Giovanni in Fiore. A sei mesi di distanza dalla perlustrazione, abbandona
Pietralata e si trasferì con i suoi discepoli in Sila sul luogo prescelto.
Pietralata è un luogo avvolto nel mistero e ancora oggi non identificato con
sufficienti certezze. Dopo VI mesi dal trasferimento, il re Guglielmo il
Buono muore e gli subentra sul trono normanno Tancredi, già conte di Lecce. Sono
proprio i funzionari di Tancredi a contestare a F. l'insediamento in Sila, per
cui l'abate dove recarsi a Palermo per discutere con il re. Dopo un complesso
confronto tra i due, durante il quale Tancredi propose a F. di trasferirsi
presso l'abbazia della Matina allora in stato di grave declino (proposta
rifiutata in maniera decisa da F.), gli è concesso di restare in Sila, nel
luogo prescelto, facendogli dono di un vasto tenimento posto nelle adiacenze,
aggiungendo CCC pecore e XXX some di grano per il sostentamento della comunità
religiosa. Da qui in avanti comincia a costruire il protomonastero di Fiore
Vetere. Dopo la morte di Tancredi, subentra nel regno Enrico VI, figlio di
Federico Barbarossa, il quale concede a F. un vasto tenimento in Sila e
privilegi sovrani su tutta la Calabria. La Congregazione florense
Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Ordine florense
e Florensi. In questo periodo, dopo il diploma concesso da Enrico VI, F. fonda
i monasteri di Bonoligno e Tassitano e acquisce altri monasteri già
italo-greci. Forte del patrimonio terriero ed ecclesiale acquisito, F. si reca
a Roma ricevendo da papa Celestino III l'approvazione della congregazione
florense e dei suoi istituti. I florensi continuarono a colonizzare il
territorio assegnato e, affinché Fiore venisse articolato secondo lo schema
della Tav. XII, misero a coltura i territori di Bonolegno e di Faradomus,
facendosi aiutare molto probabilmente da gruppi di laici che condividevano il
progetto del novus ordo. Pertanto, con le acque del fiume Garga, attraverso il
canale cosiddetto badiale, fecondarono dapprima Bonolegno e poi Faradomus. Da
qui insorsero delle liti con i monaci greci del monastero dei tre fanciulli,
ubicato in prossimità di Caccuri, che contestarono ai florensi l'occupazione di
territori che secondo loro detenevano da tempi immemorabili. I poveri florensi
furono bastonati, malmenati e gli edifici in costruzione distrutti. Tuttavia
l'azione di costruzione dell'insediamento non si ferma, fintanto che l'abate
rimane in vita. F. muore presso Canale di Pietrafitta e fu seppellito nel
monastero florense di San Martino di Canale. Il suoi resti sono traslati
nell'abbazia di San Giovanni in Fiore quando la grande chiesa era ancora in
costruzione. L'abate Matteo Vitari, successore di Gioacchino, continua l'opera
ampliando le fondazioni florensi; nel periodo del suo abbaziato, l'ordine
florense vantava oltre cento filiazioni, tra abbazie, monasteri e chiese, ognuna
dotata di ampi tenimenti-tenute e possedimenti vari, sparsi in Calabria,
Puglia, Campania, Lazio, Toscana e rendite che provenivano anche dalle lontane
terre di Inghilterra, Galles e Irlanda. I grandi benefattori dell'abate
Gioacchino e dell'Ordine florense La Congregazione florense prima e l'Ordine
florense poi ebbero molti benefattori; fra i tanti vale la pena
ricordare: Signore di Oliveti: diede a F. la possibilità di vivere nel
ritiro di Pietralata. Tancredi il Normanno: concesse a Gioacchino il Locum
Floris, il Tenimentum Silae, 300 pecore e 112,5 quintali di grano annui. Enrico
VI di Svevia: concesse a Gioacchino il Tenimentum Floris e tanti privilegi
imperiali. Gilberto, vescovo di Cerenzia: concesse il tenimento Montemarco con
la relativa abbazia e filiazioni dipendenti. Celestino III: riconobbe la
Congregazione florense e i suoi istituti religiosi. Costanza d'Altavilla:
ratificò a Gioacchino tutti i beni posseduti dal Monasterio Sancti Johanni de
Flore. Umfredo Colino e Simone de Mamistra, Giustiziere Regio della Calabria:
concessero a Gioacchino la tenuta di Caput Album (capo Arvo). Ugolino,
cardinale prete di S. Lorenzo in Lucina, Legato Apostolico in Sicilia: concesse
a Gioacchino la tenuta Albetum in Caput Gratium (Albeto di Capo Crati).
Federico II di Svevia: concesse a Gioacchino le tenute Caput Album e Caput
Gratis. Andrea, arcivescovo di Cosenza: concesse a Gioacchino la chiesa di San
Martino di Jove in Canale (Pietrafitta). Stefano, vescovo di Tropea, Gattegrima
e Simone de Mamistra (Giustiziere Regio della Calabria), signori di Fiumefreddo:
concessero a Giacchino la chiesa di Santa Domenica, con tutte le sue
dipendenze, compreso i tenimenti Flumen Frigidum e Barbaro. Culto
Gioacchino da Fiore con l'aureola, affresco, cattedrale di Santa Severina I
seguaci di F., subito dopo la sua morte, raccolsero la biografia, le opere e le
testimonianze dei miracoli ottenuti per sua intercessione per proporne la
canonizzazione. Questo primo tentativo probabilmente abortì a seguito delle disposizioni
del Concilio Lateranense IV, che dichiara eretiche alcune frasi contro Pietro
Lombardo contenute in un libello accreditato ingiustamente a F.. Tuttavia la
seconda Costituzione Conciliare sull'errore dell'abate Gioacchino dichiarò
anche: "Con ciò, però, non vogliamo gettare un'ombra sul monastero di
Fiore, in cui lo stesso Gioacchino è stato maestro, poiché ivi l'insegnamento è
regolare e la disciplina salutare. Tanto più che lo stesso Gioacchino ci ha
inviato tutti i suoi scritti perché fossero approvati o corretti secondo il
giudizio della Sede apostolica. Ciò egli fece con una lettera, da lui dettata e
sottoscritta di proprio pugno, nella quale egli confessa senza tentennamenti di
tenere quella fede che ritiene la chiesa di Roma, madre e maestra, per volontà
di Dio, di tutti i fedeli" (Cost. 2). ALIGHIERI, nella Divina
Commedia, inserisce F. nel paradiso, tra la schiera dei beati sapienti,
corrispondenti agli odierni dottori della Chiesa, accanto a FIDANZA (si veda), Mauro
e AQUINO (si veda). Da ciò si desume il chiaro giudizio di Dante, emesso 110
anni circa dopo la morte dell'abate calabrese. Un secondo tentativo
d'avvio della canonizzazione fu compiuto dall'abate Pietro del monastero
florense, che si recò ad Avignone per portare al Sommo Pontefice tutta la
documentazione relativa alle grazie e ai miracoli ottenuti tramite l'abate F.,
sia durante la sua vita sia dopo la sua morte. È risaputo che i
cistercensi venerarono come beato l'abate F., elaborandone perfino l'antifona
per il 29 maggio. Si ritiene che ciò sia avvenuto quando i florensi furono
fatti confluire nella Congregazione cistercense calabro lucana. I gesuiti
bollandisti nel loro calendario liturgico e nel loro messale avevano incluso
l'abate Gioacchino come beato, fissando per lui nell'anno due festività celebrative. Il
vescovo di Cosenza, Gennaro Sanfelice, denunciò all'Inquisizione i monaci
cistercensi di San Giovanni in Fiore poiché tenevano continuamente accesa una
lampada sull'altare vicino al sepolcro dell'abate F.. Tale denuncia causò una
serie di problemi relativi al culto e alle reliquie. All'approssimarsi
dell'VIII centenario della morte dell'abate Gioacchino, il 25 giugno 2001
l'Arcidiocesi di Cosenza-Bisignano iniziò nuovamente l'iter per la
canonizzazione. Ad oggi risulta conclusa la fase diocesana. Postulatore della
Causa è stato nominato Gabrieli. Opere: Dialogi de prescientia Dei F.,
esortato da papa Lucio III, mise per iscritto la sua originale interpretazione
delle Sacre Scritture. Le sue opere principali sono: Concordia Novi ac
Veteris Testamenti Expositio in Apocalypsim Psalterium decem chordarum A queste
vanno aggiunte: Adversus Iudaeos- edizione Adversus Iudeos, Fonti per la
storia d'Italia 95, Roma, Istituto storico italiano per il Medio Evo Roma, Apocalypsis
Nova De Articulis Fidei - edizione De articulis fidei, Fonti per la storia
d'Italia 78, Roma, Tipografia del Senato. De prophetia ignota De Septem
Sigillis Dialogi de Praescientia Dei et de praedestinatione electorum -
edizione Dialogi de prescientia Dei et predestinatione electorum, Fonti per la
storia dell'Italia medievale. Antiquitates, Roma, Istituto storico italiano per
il Medio Evo Roma, Enchiridion super Apocalypsim Epistulae Inteligentia super
calathis ad abbatem Gaufridum Testamentum Universis Christi fidelibus
Exhortatorium Iudeorum Genealogia Liber Figurarum (scoperto da Leone Tondelli)
Poemata duo (Visio admirandae historiae, Hymnus de patria coelesti) Prefatio in
Apocalypsim Professio fidei Quaestio de Maria Magdalena Sermones Soliloquium
Tractatus super quattuor Evangelia - edizione Tractatus super quatuor
evangelia, Fonti per la storia d'Italia, Torino, Bottega d'Erasmo. Tractatus in
expositionem et regulae beati Benedicti Ultimis Tribulationibus Sono inoltre
conosciuti: Testi apocrifi: Liber contra Lombardum Super Hieremiam
Praemissiones e Super Esaiam De oneribus prophetarum Expositio super Sibillas e
Merlino Vaticinia de Summis Pontificibus (di dubbia provenienza) Altri
manoscritti vari, chiamati Opuscoli. Le intuizioni di Gioacchino da Fiore
Secondo Gian Luca Potestà nella sua recensione a Refrigerio dei Santi,
Gioacchino da Fiore, "segna comunque una svolta nella coscienza
escatologica medievale, in quanto è il primo a rompere il "tabù
agostiniano" riguardo ad Apocalisse 20 e ad avanzare, in modo cauto ma
netto l'idea che la ligatio Sathane per annos mille vada riferita al tempo
imminente di pace terrena, situato fra la prossima venuta dell'Anticristo e le
persecuzioni finali di Gog e Magog." Sulla stessa linea si pone Robert E.
Lerner che evidenza come il teorema di Sant'Agostino, della suddivisione della
storia in tre periodi: Ante legem, sub lege, sub gratia, viene rivisto da
Gioacchino che introduce nel dramma il quarto atto: Itaque tempus ante legem,
secundum sub lege, tertium sub evangelio, quartum sub spiritali
intellectu", dimostrando così la sua straordinaria originalità
interpretativa delle Sacre Scritture. Gioacchino da Fiore tra le tante
ebbe tre interessanti e originali intuizioni. Ha cercato e provato che esistono
diverse forme di concordia tra l'Antico e il Nuovo Testamento, il primo
indissolubilmente legato al periodo del Padre, il secondo indissolubilmente
legato al periodo del Figlio. Da questo concetto, noto come modello
"binario della teologia della storia", data la piena proporzionalità
da lui riscontrata, intuisce la possibilità di "proiettare con fiducia il
corso della storia cristiana oltre l'età apostolica sino al presente, e da qui
verso il futuro." (Lerner) Sulla base di questo sistema di concordanza tra
i due Testamenti, attraverso lo studio accurato delle Scritture, ritiene di
poter scrutare nel futuro, assicurando che i due Testamenti assicuravano le
medesime certezze. Dopo di che passa ad interpretare l'Apocalisse, l'ultimo
libro del Nuovo Testamento, e anche qui ritrova a suo modo di dire la
continuità dell'intera storia della chiesa, passata, presente e futura.
Gioacchino ha sempre sostenuto a chiare lettere di essere un interprete
ispirato della Scrittura, piuttosto che un profeta, egli, infatti, rifuggì dal
rappresentare il tempo finale con parole diverse da quelle direttamente tratte
dalla Scrittura. Da questo concetto binario, F. elabora un "modello
ternario", connesso strettamente alla santissima Trinità, dimostrandolo
con alcuni concetti fondamentali attraverso l'analisi teologico-iconografica
delle lettere "ALFA" e "OMEGA". Dallo sviluppo di queste
due concezioni basilari F. approdò allo sviluppo dei concetti riferiti alle
"tre Età della Storia terrena", sostenendo che se c'era stato il
tempo in cui ha operato prevalentemente il Padre e il tempo in cui ha operato
prevalentemente il Figlio, allora doveva esserci anche un tempo in cui opererà
prevalentemente lo Spirito Santo, che procede da Padre e dal Figlio. La
scansione del tempo che l'abate di Fiore elabora si basa sulle tre epoche
fondamentali: Età del Padre: corrispondente alle narrazioni dell'Antico
Testamento, estesa nel tempo che va da Adamo ad Ozia, re di Giuda; Età del
Figlio: rappresentata dal Vangelo e compresa dall'avvento di Gesù; Età dello Spirito
Santo: estesa nel tempo che va dal 1260 fino alla fine del "millennio
sabbatico", ovvero quel periodo in cui l'umanità attraverso una vita
vissuta in un clima di purezza e libertà avrebbe goduto di una maggiore grazia.
In questa età, una nuova Chiesa tutta spirituale, tollerante, libera,
ecumenica, prende il posto della vecchia Chiesa dogmatica, gerarchica, troppo
materiale. L'età dello Spirito ricomprende le età precedenti in un regno dove i
conflitti sono pacificati, le guerre eliminate e l'uomo rigenerato dallo
svelamento dei misteri e s-secondo alcune interpretazioni- il ricongiungimento
di cristiani ed ebrei, fino ad ora divisi dalla parziale illuminazione di
Antico e Nuovo Testamento. Con tale teorema F. estende il tempo della
storia, proponendo la dilazione del tempo della salvezza. F. elabora pertanto,
prima il modello dell'albero dei due avventi, poi i tre alberi, quello
sviluppato nell'età del Padre, quello sviluppato nell'età del Figlio e quello
che si svilupperà nell'età dello Spirito Santo. F. crede di vivere nella fase
finale di una sesta età, cui ne seguirà una settima e ultima, tutta
intrastorica, fatta dell'incremento dei doni dello Spirito fino al compimento
del sabato eterno, stagione della pienezza della grazia donata. Nell'età dello
Spirito l'etica non ha più il carattere punitivo e rigido dell'età del Padre:
il disvelamento è una progressiva apertura verso un Dio benevolente,
essenzialmente Amore, in cui si muove da una Padre dell'Antico Testamento, che
è giudice/Dio guerriero/padrone dell'uomo e della natura severo-vendicativo e
misterioso/trascendente, al Figlio che dona la vita per la salvezza dell'uomo
mostrandosi come Amore e Verità, allo Spirito che completa questa dimensione
rivelata. L'inesorabilità della storia, secondo Gioacchino, è data da un
ossessionante computo delle generazioni, che a volte valgono un'estensione di
tempo a volte no. Con questo meccanismo complesso elabora una sorta di
"linea del tempo", che va dalla "Genesi" al "Giudizio
Universale". I due capi segnano i confini estremi della storia della
salvezza che si sviluppa all'interno di questa linea del tempo. Gioacchino si
chiede quanto è lunga questa linea del tempo e a quale punto di questa linea
egli si trova, quindi da qui sviluppa una serie di calcoli e combinazioni
teologiche del tutto originali. Lerner sostiene che "Nella sua visione,
ciò poteva essere conseguito soltanto con lo studio il più approfondito della
Scrittura ed egli si sentiva fiducioso che, mediante nuove strategie di
lettura, sarebbe stato in grado di portare alla luce messaggi predittivi della
Scrittura, che sino ad allora erano rimasti segreti." Tutta la sua
attività ha finito per qualificarlo come un ambizioso pensatore cristiano,
ricercatore irrefrenabile di parallelismi, allusioni e predizioni. Il filosofo Giraldi
sottolinea invece l'aspetto in cui F. parla di età dello spirito riferendosi
esplicitamente ad un ordo spiritualis monachorum, una sorta di chiesa
privilegiata di monaci - spiriti superiori - in seno alla Chiesa di Cristo, e
quindi non una chiesa alternativa. Nel suo Monasterium delinea una
struttura sociale, ovviamente a carattere teologico, ma dove gli umani trovano
la loro collocazione non in base al potere o al denaro o alla discendenza, ma
in base alle loro tendenze, al loro carattere e al loro stato (persone
contemplative, persone attive, persone dedite alla famiglia, anziani e deboli
di salute, studiosi etc) e sotto la pacifica guida di un abate. Il Monasterium
ipotizza una riforma radicale e una ristrutturazione che mette in crisi
l'organizzazione della chiesa che condanna pubblicamente le sue idee e le sue
opere nel concilio Lateranense: per l'affermazione di un disvelamento
progressivo di Dio in tre epoche che mette in crisi l'idea dell'Unità delle Tre
Persone divine, per la teoria di fondo secondo cui la verità non si esaurisce
col cristianesimo, ma occorre un altro evento che ripari la storia, permettendo
agli uomini di godere di un'età di perfezione. Monasterium All'interno
dei suoi ossessionanti calcoli cronosofici e millenaristi F. elabora anche uno
schema di vita religiosa per il tempo futuro, quello dello Spirito, riassunto
nella tavola del Liber Figurarum. Esso descrive una congregazione religiosa,
raggruppata in un insediamento denominato Monasterium, formata da persone con
diversa spiritualità, raggruppate sapientemente in sette oratori[1]:
Oratorio della Santa Madre di Dio e della Santa Gerusalemme: in tale oratorio
si trova l'abate Oratorio di San Giovanni Evangelista: dedicato alla vita
contemplativa Oratorio di San Pietro: dedicato agli anziani o ai deboli di
salute, lavori manuali leggeri Oratorio di San Paolo: dedicato allo studio
Oratorio di San Stefano: dedicato a chi ha inclinazione per la vita attiva
Oratorio di San Giovanni Battista: per sacerdoti e clerici Oratorio del santo
patriarca Abramo: per laici coniugati e le loro famiglie Al Monasterium
potevano quindi partecipare laici coniugati e non, clero secolare e
conventuale, monaci spirituali. Tutti vivono sotto la guida di un unico abate
che presiede l'istituto religioso, disponendo e regolando, per i gruppi e per
ognuno, una sorta di scala d'accesso al Paradiso, da conquistare vivendo nella
comunità. L'insediamento religioso è strutturato a modello di nuova Gerusalemme
terrena con schema somigliante alla Gerusalemme dei cieli. Il Monasterium
gioachimita delinea diversi aspetti comportamentali e sociali che rispettati
saranno utili a varcare la porta d'accesso alla vita eterna. Il passaggio da un
oratorio ad un altro si conquista glorificando il Padre eterno, ognuno per le
proprie possibilità e a seconda del grado spirituale concesso ad ogni singolo
individuo da Dio. Il progresso spirituale non è precluso a nessuno, per cui
tutti possono aspirare ad accedere al Paradiso. Il modello proposto dal
Monasterium rappresentò una rivoluzione per due aspetti: esso affranca
ampi strati della società sia dalla feudalità ecclesiastica sia da quella
"baronale"; esso coinvolgeva tutti i modelli religiosi integrando nel
Monasterium perfino i laici, che al tempo erano ai margini della vita religiosa
e della società civile. Questo modello monastico fu quindi osteggiato anche
all'interno della chiesa del XIII secolo. Diffusione del pensiero
gioachimita Concilio Lateranense e prime reazioni La complessa e innovativa teologia
della storia generò tensioni, specialmente nella scuola teologica di Parigi,
storicamente a lui avversa. Il Concilio Lateranense IV dichiara ERETICHE alcune
frasi contro Lombardo di un'opera sulla Trinità falsamente attribuita a F. Da
questo equivoco se ne generarono altri, fintantoché lo stesso Papa Innocenzo
III con bolla informa il vescovo di Lucca di non infamare l'abate F., giacché
l'Abate è considerato dalla Curia Romana un vero Cattolico (eum virum
catholicum reputamus). Con parole dello stesso tenore si espresse Papa Onorio
III con la Bolla con cui dà mandato all'arcivescovo di Cosenza (Luca Campano)
di difendere i Monaci Florensi dalle false accuse rivolte al loro
fondatore. Neo Gioachimiti e il Gioachimismo Lo stesso argomento in
dettaglio: Gioachimismo. Nei secoli, il pensiero di F. è stato studiato,
divulgato e diffuso. Si possono distinguere due gruppi di studiosi: i
gioachiniani e gioachimiti, che hanno rispettato fedelmente le opere
originarie; gli pseudo gioachimiti o gioachimisti, che hanno recepito solo in
parte le tesi proposte, spesso aggiungendo teoremi teologici estranei al
pensiero originario. Tra i più grandi sostenitori dell'abate calabrese furono
certamente i monaci florensi che ne seguirono la dottrina e l'esempio, ma egli
suscitò interesse anche presso alcuni monaci cistercensi tra i quali:
Luca Campano: il primo dei seguaci eloquenti, egli fu scriba dell'abate
nell'abbazia di Casamari, poi abate della Sambucina e infine Arcivescovo di
Cosenza; a lui si ascrive una “vita” di Gioacchino Raniero Da Ponza: monaco
vissuto a stretto contatto con F., come “socio”, a Pietralata e a Fiore; egli
fu poi nominato da Papa Innocenzo III legato Apostolico in Francia meridionale
e Spagna e in quelle terre diffuse la teologia di F., spargendo in quelle terre
diversi semi che germineranno nel corso del secolo XIII. l'abate Matteo da
Fiore de la Tuscia, che fu il suo primo successore e guidò la Congregazione
Florense, finché non fu eletto arcivescovo di Cerenzia. Egli ebbe il merito di
far copiare, ricopiare, ovvero duplicare tante volte tutte le opere di
Gioacchino per diffonderle nei principali centri religiosi della penisola
italiana e in tutta Europa. Se le opere di F. sono giunte fino ai nostri giorni
gran merito va all'abate Matteo da Fiore e agli scriba e amanuensi florensi che
si adoperarono in questo immane lavoro di copiatura e duplicazione. La teologia
di F. grazie a questi tre uomini si diffuse rapidamente, specialmente presso i
Francescani spirituali francesi e italiani in vario modo. Tra questi: Il
provenzale Ugo de Digne, Giovanni da Parma, discepolo di Ugo e Gerardo di Borgo
San Donnino, discepolo a sua volta di Giovanni da Parma, che si fece promotore
del concetto relativo al Vangelo Eterno; scomunicato per eresia, fu condannato
al carcere a vita Tra gli altri, si avvicinarono al pensiero di
Gioacchino: Salimbene de Adam da Parma, l'inglese Ruggero Bacone, la
suora dell'ordine delle Umiliate Guglielma la Boema, la consorella Maifreda da
Pirovano e il teologo laico di questo gruppo milanese Saramita, il francescano
francese Pietro di Giovanni Olivi, che influenza Giovanni di Rupescissa e
Giovanni di Bassigny. il provenzale Raymond Geoffroi, Ministro generale
francescano. Ubertino da Casale, immortalato nelle pagine di Dante, era insieme
a Pietro di Giovanni Olivi in Santa Croce a Firenze, il pesarese Clareno, riconosciuto
fondatore dei Fraticelli della vita povera, e i seguaci di quest'ultimo, amico
di Ubertino da casale. Michele da Cesena e Jacopone da Todi, l'eclettico
spagnolo Arnaldo de Villanova, Francesco d'Appignano (Francesco della Marchia),
Guglielmo di Ockham, Giovanni di Janduno, Marsilio da Padova, Bernard
Délicieux, Gentile da Foligno, priore generale degli agostiniani. Berti da
Calci. Papa Celestino V, Cola di Rienzo, il sassone Federico di Brunswick, lo
spagnolo Francesc Eiximenis, Nicola di Buldesdorf, SAVONAROLA (si veda). Certo
quest'elenco è solo una piccola parte di un numero molto più folto di uomini
colti che sono stati influenzati dalla sua teologia. Nonostante molti
francescani spirituali abbiano subito condanne e reclusioni come filo
gioachimiti o ritenuti tali, l'influenza di Gioacchino nell'ordine dei
fraticelli d'Assisi rimase viva, sia nella prima fase sia nei periodi successivi.
La prova più eclatante è la presenza di Gioacchino nell'arte medievale:
Nell'apparato scultoreo e figurativo del Duomo di Assisi, Nella Divina Commedia
Gioacchino e le sue idee vengono citate direttamente o indirettamente diverse
volte Paradiso, la struttura urbanistica che i francescani dettero alle prime
fondazioni americane, quali Puebla de Los Angeles, Veracruz, Los Angeles, ecc.
la struttura compositiva elaborata da Michelangelo Buonarroti nella Cappella
Sistina, secondo lo studio di Pfeiffer S.J. Anche nella Chiesa cattolica
contemporanea, specialmente dopo il Concilio Vaticano II, diversi osservatori
individuano il fiorire della ecclesia spiritualis di concezione gioachimita.
Secondo l'analisi accurata di Henri-Marie de Lubac, teologo gesuita e poi cardinale,
fra questi protagonisti della storia recente influenzati dal gioachimismo
abbiamo: papa Giovanni XXIII con la sua invocazione a <<una nuova
Pentecoste», contrapponendo lo «spirito» del Concilio alla sua «lettera» e
nuova Chiesa «spirituale» al posto di quella vecchia «carnale»; la
<<Chiesa dei poveri>> del cardinale Giacomo Lercaro e del suo
teologo Dossetti, la corrente intellettuale dominante nel cattolicesimo
italiano della seconda metà del secolo XX; Silone su papa Celestino V, «figlio
degli Abruzzi e di un cattolicesimo popolare impregnato di gioachimismo»; la
"teologia della speranza" del gesuita Michel de Certeau e del
protestante Jürgen Moltmann, ispirate dalle concezioni escatologiche di Bloch.
Obama fa di F. un punto di riferimento. Nella stesura della sua tesi di laurea,
lo cita a più riprese durante la sua campagna elettorale per le presidenziali,
che definisce come "maestro della civilta' contemporanea" e
"ispiratore di un mondo più giusto", usato non come citazione
generica ma con specifico riferimento al moto "change we can", per
indicare la necessità di un cambiamento radicale della storia, citando il
portabandiera di una società più giusta, e pensando all'apertura di un'epoca
straordinaria, in cui lo spirito riusce a cambiare il cuore degli uomini. Centro
Studi F. Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Centro
Internazionale di Studi Gioachimiti. Il Centro Internazionale Studi Gioachimiti
cura l'edizione critica delle opere scritte da F., conservate in diversi codici
manoscritti sparsi in diversi luoghi del mondo. Esso opera attraverso un
Comitato Scientifico Internazionale e un Comitato Editoriale Internazionale e
promuove ogni cinque anni un Congresso Internazionale di Studi a tema, relativo
a F. e al F. Gioachimismo. A cadenza annuale stampa la rivista Florensia che
contiene studi connessi a Gioacchino e al Gioachimismo. Causa di
Beatificazione e celebrazioni dell'VIII centenario della morte. L’arcivescovo
di Cosenza-Bisignano Giuseppe Agostino ha riaperto il processo di
canonizzazione. Nello stesso anno il Ministero per i Beni e le Attività
Culturali ha istituito il Comitato per le celebrazioni dell'VIII centenario
della morte dell'Abate F. per promuovere la conoscenza di F. e del suo
pensiero. Il programma fu redatto da Cosimo Damiano Fonseca, Professore di
Storia Medioevale all'Università degli Studi di Bari, Accademico dei Lincei e
direttore del Comitato scientifico del Centro Studi F. Il comitato che ha agito,
ha promosso tre congressi: il primo itinerante da Roma a San Giovanni in
Fiore, passando per Casamari, Fossanova, Anagni, Cosenza, Luzzi e Pietrafitta,
il secondo a Bari, il terzo a Palermo. Il Comitato per le Celebrazioni ha anche
promosso l'edizione della raccolta dei Codici Gioachimiti F., l'Atlante delle
Fondazioni Florensi, un libro sulle vicende dell'Ordine Florense, un altro
relativo ai Vaticini, conservati presso la biblioteca del duomo di
Monreale. F. e il Carattere Meridiano del Movimento Francescano in
Calabria Editor il testo Luca Parisoli Valente "Chiese conventi
confraternite e congreghe di Celico e Minnito" Frama Sud ^ Pasquale
Lopetrone, La Domus che dicitur mater omnia, soveria Mannelli, Rubbettino. Il
tempo dell'apocalisse, Lopetrone, San Martino di Giove a Canale di Pietrafitta-restauri,
San Giovanni in Fiore, Pubblisfera, Gioacchino da Fiore - Manuale di storia
della filosofia medievale ^ S. Magister, Riletture. Su F. non tramonta mai il
sole, chiesa.espressonline.it, Filmato audio Giraldi, Giraldi: dialogo con De
Lubac su Gioacchino Da Fiore, su YouTube, H. De Lubac, Posterità spirituale di
Gioacchino da Fiore, II. Da Saint-Simon ai nostri giorni", Jaca Book,
Milano, L'eretico obamita-Il profeta democratico si ispira a F,, mistico
medioevale Con la sua idea (fraintesa) del paradiso in terra aveva irretito la
modernità, su il Foglio, di Mattia Ferraresi USA: DON BAGET BOZZO, INTERESSANTE
CHE OBAMA CITI F.-una finezza culturale che vorrei capire meglio, di don Gianni
Baget Bozzo, a Adnkronos, Roma. Bibliografia: Gioacchino da Fiore,
Sull'Apocalisse, (a cura di Andrea Tagliapietra), Feltrinelli, Milano, F.,
Introduzione all'Apocalisse, (prefazione di Kurt-Victor Selge, traduzione di
Gian Luca Potestà), Viella, Roma, 1996. F., Commento ad una profezia ignota, (a
cura di Matthias Kaup, traduzione di Gian Luca Potestà), Viella, Roma. F.,
Trattato sui quattro vangeli, (a cur. Potestà, traduzione di Letizia
Pellegrini), Viella, Roma, 1999. F., Dialoghi sulla prescienza divina e
predestinazione degli eletti, (a cura di Gian Luca Potestà), Viella, Roma. F.,
Il Salterio a dieci corde, (a cura di Troncarelli), Viella, Roma, F., Sermoni,
(a cura di Valeria de Fraja), Viella, Roma. F., I sette sigilli/De septem
sigillis, (a cura di J.E. Wannenmacher, traduzione di Alfredo Gatto), con un
saggio di Tagliapietra, Mimesis, Milano, Studi Antonio Maria Adorisio, La
“leggenda” del santo di Fiore / Beati F. abbatis miracula, Vechiarelli,
Manziana, Buonaiuti, Gioacchino da Fiore: i tempi, la vita, il messaggio, Collezione
meridionale, Roma, Carmelo Ciccia, ALIGHIERI (si veda) e F., in “La sonda”,
Roma; poi incluso nel libro dello stesso autore Impressioni e commenti,
Virgilio, Milano, Carmelo Ciccia, Dante e F., con postfazione di Ronconi,
Pellegrini, Cosenza. Carmelo Ciccia, La santità di F. (Par. XII), in Allegorie
e simboli nel Purgatorio e altri studi su Dante, Pellegrini, Cosenza, Carmelo
Ciccia, Saggi su Dante e altri scrittori: F...., Pellegrini, Cosenza, Luigi
Costanzo, Il profeta calabrese, Direzione della Nuova Antologia, Roma, Crocco, F.
e il gioachimismo, Liguori, Napoli, Francesco D'Elia, Gioacchino da Fiore un
maestro della civiltà europea- antologia dei testi gioachimiti tradotti e
commentati-, Rubbettino, Soveria Mannelli, Valeria de Fraja (a cura di),
Atlante delle fondazioni Florensi, vol. II, Rubbettino Editore, Soveria
Mannelli, Valeria de Fraja, Oltre Cîteaux. F. e l'ordine florense, Viella, Pietro
De Leo, F.: aspetti inediti della vita e delle opere, Rubbettino, Soveria Mannelli,
Henri de Lubac, La posterità spirituale di F., Jaca Book, Milano, Foberti, F.,
Sansoni, Firenze Gabrieli, Una Fiamma che brilla ancora, La Fama sanctitatis
dell'Abate Gioacchino, Comet Editor Press, Cosenza, Grundmann, Studien uber
Joachim von Floris, Leipzig-Berlin, Herbert Grundmann, Gioacchino da Fiore.
Vita e opere, a cura di G. L. Potestà, traduzione di S. Sorrentino, Viella,
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Lopetrone, Il proto monastero florense di Fiore, origine, fondazione, vita,
distruzione, ritrovamento, in «Abate Gioacchino» Organo trimestrale per la
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omnium» - Genesi architettonica del proto Tempio del Monasterium florense, in
(a cura di) C. D. Fonseca, D. Rubis, F. Sogliano, Jure Vetere. Ricerche
archeologiche nella prima fondazione monastica di Gioacchino da Fiore, Rubettino,
Soveria Mannelli, Pasquale Lopetrone (a cura di), Atlante delle fondazioni
Florensi, vol. I, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, P. Lopetrone,
L’architettura florense delle origini, in AA. VV., F., Librare, S. Giov. in F. Pasquale
Lopetrone, La chiesa dell’archicenobio florense di San Giovanni in Fiore-
Cronologia, in «Abate Gioacchino» Organo trimestrale per la causa di
canonizzazione del Servo di Dio F., Tipografia grafica cosentina, Cosenza, Pasquale
Lopetrone, Il modello della Chiesa Florense sangiovannese, in (a cura di) C. D.
Fonseca, I Luoghi di Gioacchino da Fiore- Atti del primo Convegno internazionale
di studio- Casamari, Fossanova, Carlopoli-Corazzo, Luzzi-Sambucina, Celico,
Pietrafitta- Canale, San Giovanni in Fiore, Cosenza, Viella, Roma, Pasquale
Lopetrone, Il Cristo fotoforo florense Pubblisfera, F., Pasquale Lopetrone
L'effigie dell'abate Gioacchino da Fiore, in VIVARIUM - Rivista di Scienze
Teologiche, Pubblisfera, San Giovanni in Fiore (Cs) Pasquale Lopetrone, San
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editrice vaticana, Città del Vaticano, Andrea Tagliapietra, Gioacchino da Fiore
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dell'abate F. in collaborazione con Marjorie E. Reeves e Beatrice
Hirsch-Reich), S.E.I., Torino. Troncarelli, Il ricordo del futuro-Gioacchino da
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Abbazia Florense Ernesto Buonaiuti Herbert Grundmann Leone Tondelli Antonio
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Studi F., su centrostudi F. .it. Lettera dal Vaticano Neo-F., su
stereo-denken.de. F. e i “duo viri”. Una profezia per immagini, su esplorazioni
cosentine I TEMPI Il mezzogiorno d'Italia Le condizioni
politiche . Normanni . Bizantini. " Musulmani. Svevi ;. “I Pontefici. Le condizioni
religiose Tradizioni bizantine. MonachiSmo benedettino . Riforma cisterciense.
Gli Ebrei in Calabria. H 4 PLA VITA La leggenda e la
storia. Le fonti canoniche. Luca. Giacomo Greco. La leggenda
ufficiale. Accenni autobiografici. La vocazione monastica. Il monachiSmo del
tempo. La conversione profetica. I cronisti britannici. Le opere. Da
Casamari a F. IL MESSAGGIO La profezia gioachimita. Metodo.La
conoscenza biblica. L’interpretatazione allegorica. Concordie e analogie.
L’escatologia di F. gioachimita e la teologia economica. La Trinità nella
storia. Il passato, il presente, l’avvenire. L’avvento del terzo
stato. La Chiesa carnale, la società spirituale. La scomparsa della Chiesa
visibile. La suprema manife¬ stazione dello Spirito. Chiesa di oggi e
Chiesa di, »domani. IPOTESI
«GIOACHIMITE» SUGLI AFFRESCHI DI GIOTTO NELLA BASILICA DI S. CHIARA IN
NAPOLI Archivio Storico per le Province Napoletane, SOCIETÀ NAPOLETANA DI
STORIA PATRIA NAPOLI IPOTESI GIOACHIMITE SUGL’AFFRESCHI DI GIOTTO NELLA
BASILICA DI S. CHIARA IN NAPOLI Mais si l'on voit partout des
métaphores que deviendront les faits? Gustave Flaubert,
Bouvard et Pécuchet Una delle più suggestive ipotesi in ordine alle
motivazioni della costruzione della grandiosa chiesa esterna del
monastero di S. Chiara a Napoli ed al possibile modello della pianta è
stata avanzata, nel 1995, da Caroline Bruzelius Secondo questa tesi
Sancia d'Aragona Maiorca, moglie di re Roberto d'Angiò, avrebbe fondato
la basilica ed il convento doppio di S. Chiara per ospitarvi i
«Francescani spirituali», vale a dire i frati appartenenti ad una frangia
rigorista e pauperista dell'Ordine minoritico, avversata dal Papato e
dalla dirigenza dell'Ordine stesso. I Francescani spirituali si
richiamavano, in particolare, anche alle idee del mistico calabrese F., per
sostenere la necessità di una radicale riforma della Chiesa La basilica
di Santa Chiara, dunque, sarebbe stata «consacrata» intenzionalmente
all'ideale della povertà apostolica 3, così che le idee degli Spirituali
avrebbero costituito, in sostanza, l'unica giustificazione del progetto e
la sola Bruzelius, Queen Sancia ofMallorca and the convent church ofS.ta
Chiara in Naples, in «Memoirs of the American Academy in Rome», 40, 1995,
pp. 82ss.; E ad., Le pietre di Napoli. L'architettura religiosa
nell'Italia angioina, 1266-1343, Roma, Viella, 2005, pp. 150-175,
edizione integrata rispetto alla precedente inglese dal titolo The stones
of Naples, Church Building in Angevin Italy, London, Yale, ove le ipotesi
avanzate nel 1995 vengono riprese, ribadite ed articolatamente
argomentate. Si denominavano «spirituali» appunto perché viri spirituales,
e cioè eletti destinati a vivere il terzo stato della storia, quello
dello Spirito, così come teorizzato da F.. Bruzelius, Le pietre,
eh.GAGLIONE chiave di lettura dell'edificio. Esisterebbe, in
particolare, un preciso rapporto tra la semplicissima pianta rettangolare della
basilica napoletana ed una delle figurae del Liber figurarum, una raccolta
di schemi miniati utilizzati sia per l'esplicazione delle teorie
storico- teologiche di Gioacchino che per l'esercizio di pratiche
contemplative e mistiche. La pianta rettangolare della chiesa napoletana
costituirebbe così, secondo tale tesi, una vera e propria citazione della
figura XVIII del codice del Seminario urbano di Reggio Emi- lia del Liber
4 . L'area presbiteriale della basilica con il coro dei frati sarebbe
stata, anzitutto, ricalcata sullo spazio simbolico corrispon- dente nella
figura al Tertius status, quello dello Spirito Santo, nel- l'ambito della
settima ed ultima Età della storia del mondo. In questa stessa Età si
sarebbe giunti a quella rigenerazione della Chiesa 5 che era tanto attesa
e propagandata dai Francescani spirituali. L'oratorio delle Clarisse, invece,
avrebbe occupato lo spazio riservato, sempre nel diagramma gioachimita,
Poetava aetas, quel- la ormai metastorica iniziata con la Resurrezione
dei morti e carat- terizzata dalla rivelazione della Gerusalemme celeste
e dalla finale visione della Pace. Tale tesi, pur avendo conseguito
un ampio consenso 6, ha susci- tato altresì rilievi e critiche
soprattutto con riguardo agli effettivi contenuti del filospiritualismo
dei due sovrani ed alla verosimi- glianza storica della pretesa
celebrazione monumentale, nella basi- Cfr. L. Tondelli, M. Reeves, B.
Hirsch-Reich, Il Libro delle Figure del- l'abate Gioachino da Fiore,
Torino, SEI, 1953, voi. II, tav. XVIIIa. Bruzelius, Le pietre, Cfr.
infatti M. Righetti Tosti Croce, Architettura tra Roma, Napoli e Avignone
nel Trecento, in Roma, Napoli, Avignone. Arte di Curia, Arte di Corte, a cur. Tornei,
Torino, SEAT; Musto, Franciscan Joachimism, at the court of Naples: a new
appraisal, in «Archi- vimi Franciscanum Historicum»; Freigang,
Kathedralen ah Mendikantenkirchen. Zur politischen Ikonographie der
Sakralarchitektur unter Karl L, Karl IL und Robert dem Weisen, in Medien
der Macht: Kunst zur Zeit der Anjous in Italien, Berlin, Reimer, 2001,
pp. 51-52; V.M. Mattano, La Basilica angioina di S. Chiara a Napoli.
Apocalittica ed escatologia, Napoli, La Città del Sole; C. Bozzoni,
Recensione a C. Bruzelius, Le pietre di Napoli..., in «Palladio». Analogamente
a quanto si sarebbe verificato per S. Chiara a Napoli, la simbologia
gioachimita della Figura delle Età del mondo avrebbe anche ispirato,
direttamente o indirettamente, le piante di alcune chiese francescane
della Calabria a partire da S. Francesco a Gerace, e cfr. M. Albano,
L'Abbazia florense di S. Maria di Fontelaureato a Fiumefreddo Bruzio, in
«Arte Medievale»; Spanò, Insediamenti Francescani nella Calabria angioina. Il
paradigma Gerace, Soveria Mannelli, Città Calabria edizioni, 2006, pp.
80ss. IPOTESI «GIOACHIMITE» SUGLI AFFRESCHI DI GIOTTO lica napoletana,
della teoria della storia elaborata da F. e sostenuta dagli Spirituali 7
. Comunque, altre conferme della tesi della derivazione
gioachi- mita della pianta della chiesa francescana sono state
individuate, più di recente, nell'ambito di una importante e preziosa monografia
dedicata all' attività di Giotto a Napoli 8 . Nel saggio appena menzio-
nato, seguendo la lettura proposta dalla Bruzelius, si sostiene che,
conformemente allo schema della Figura XVIII del Liber, che viene
definita «tavola di concordanza (Concordia) fra i secoli e i tempi, con i
tre stati e le otto età» 9, Giotto e la sua bottega, riferendosi al Nuovo
Testamento, abbiano dipinto alcuni episodi della Vita di Cristo nelle
cappelle della navata sinistra della basilica. In quelle poste nella navata
destra, invece, il Maestro avrebbe realizzato scene dell'Antico
Testamento, ed, in particolare, Storie di Adamo, Noè, Abramo e Davide e,
forse, anche della Creazione, di Giuseppe, di Mosè, di Sansone e di
Salomone. Nelle cappelle di entrambe le navate queste scene sarebbero
state articolate in quattro o, addirit- tura, in sei riquadri per
ciascuna cappella 10 . E evidente che l'interpretazione della
Figura del Liber nei ter- mini appena esposti viene ad essere
principalmente addotta quale conferma «esterna» della notizia, riferita
da Vasari, secondo la quale Giotto, appena giunto a Napoli da Firenze
«dipinse in alcune capelle del detto monasterio di S. Chiara molte Storie
del- l'Antico Testamento e Nuovo» 11 . Questa stessa notizia è stata
in- Per tali critiche si rinvia a M. Gaglione, Qualche ipotesi e molti
dubbi su due fondazioni angioine a Napoli: S. Chiara e S. Croce di
Palazzo, in «Campania sacra»; Id., Allusioni gioachimite nella basilica
angioina di Santa Chiara a Napoli?, in «Studi storici; Id., La basilica
ed il monastero doppio di S. Chiara a Napoli in studi recenti, in
«Archivio per la Storia delle Donne», 4, 2007, pp. 127-198. 8
P. Leone de Castris, Giotto a Napoli, Napoli, Electa, 2006, pp. 125ss., il
quale riprende anche osservazioni di Mattano, La Basilica angioina di S. Chiara
a Napoli, cit., pp. 49ss.; pp. 83ss.; pp. HOss. 9 Leone de
Castris, Giotto a Napoli, cit., p. 116, fig. 64. Castris, Giotto a Napoli,
L'Edizione Giuntina delle Vite (1568) precisa: «Dopo, essendo Giotto
ritornato in Firenze, Ruberto re di Napoli scrisse a Carlo duca di Calavria
suo primogenito, il quale se trovava in Firenze, che per ogni modo gli
mandasse Giotto a Napoli, perciò che, avendo finito di fabricare S.
Chiara, monasterio di donne e chiesa reale, voleva che da lui fusse di
nobile pittura adornata. Giotto adunque, sentendosi da un re tanto lodato
e famoso chiamar e, andò più che volentieri a servirlo, e giunto dipinse
in alcune capelle del detto monasterio molte storie del Vecchio
Testamento e Nuovo. E le storie de l'Apocalisse ch'e' fece in una di
dette GAGLIONE vece oggetto di ampio dibattito, non essendo mancato
infatti chi, sulla base di varie considerazioni, ha circoscritto
l'intervento di Giotto piuttosto al solo coro delle Clarisse, escludendo
che il Maestro abbia potuto operare anche nelle cappelle della chiesa esterna
di S. Chiara 12 . Infine, sempre nell'ambito della citata monografia, si
è sostenuto che la derivazione della pianta della basilica dalla
menzio- nata Figura risulterebbe più che probabile, poiché lo stesso
Liber Figurarum sarebbe stato ben conosciuto alla corte angioina.
Infatti, alcuni testimoni dell'opera e, in particolare, i manoscritti
Vaticano Latino 3822 e 4860, risulterebbero di fattura meridionale
proprio come il codice di Oxford, forse miniato nello scriptorìum di S.
Giovanni in Fiore. In particolare, le miniature del ms. Vat. Lat. 4860
rinvierebbero «alla speciosa cultura umbro-cavalliniana maturata a Napoli»
da Lello da Orvieto, Cristoforo Orimina e dall'anonimo Maestro delle Tempere
Francescane. Ad ogni modo, Sancia e Roberto avrebbero potuto conoscere
l'opera an- che in Provenza e nella Francia meridionale, ove si trovarono
in di- capelle furono, per quanto si dice, invenzione di Dante, come per
avventura furono anco quelle tanto lodate d'Ascesi delle quali si è di
sopra abastanza favellato; e se ben Dante in questo tempo era morto,
potevano averne avuto, come spesso avviene fra gl'amici, ragionamento».
L'Edizione Torrentiniana (1550) invece: «Fu chiamato a Napoli dal re
Ruberto, il quale gli fece fare in Santa Chiara, chiesa reale edificata
da lui, alcune cappelle nelle quali molte storie del Vecchio e Nuovo Testamento
si veggono, dove ancora in una cappella sono molte storie
dell'Apocalisse, ordinategli, per quanto si dice, da Dante, fuoruscito
allora di Firenze e condotto in Napoli anch'egli per le parti», e cfr.
l'edizione digitale sinottica curata del Centro di Ricerche Informatiche
per i Beni Culturali della Scuola Normale Superiore di Pisa, biblio . cribecu .
sns . it/vas ari/consult azione/V as ari/indice. Cfr. Aceto, Pittori e
documenti della Napoli angioina: aggiunte ed espun- zioni, in
«Prospettiva». Per l'esame e la discussione delle diverse posizioni:
Leone de Castris, Giotto a Napoli, che, riguardo agli altri dipinti
realizzati da Giotto a S. Chiara, ritiene che nell'area presbiteriale della
chiesa, alle spalle dell'altare maggiore e del coro dei frati ed in
corrispondenza della Croce della Deposizione affrescata dall'altra parte
del muro nel coro delle Clarisse, dovesse invece essere l'Apocalisse
ricordata dallo stesso Vasari. Questo grande affresco era stato
probabilmente eseguito nei due riquadri posti ai lati della quadrifora centrale
che si apre nella parete divisoria tra la chiesa esterna e l'oratorio
delle monache. Proprio sulla stessa parete divisoria, dal lato
dell'oratorio, era affrescato appunto il" Compianto sul Cristo morto
e le altre storie cristologiche, tra le quali, verosimilmente, una Resurrezione
ed un Cristo giudice. Infine, tornando alla chiesa esterna, anche il
para- petto delle tribune era affrescato ma con figure di Angeli e di
Profeti, mentre le pareti superiori, probabilmente, non erano dipinte Leone
de Castris, Giotto a Napoli, cit., p. 146, figg. 115-116.verse occasioni ed
ove, appunto, i diagrammi gioachimiti erano certa- mente diffusi. E
fin qui l'importante contributo sulla presenza e sull'attività di Giotto
a Napoli. Partendo dall' asserita fattura meridionale dei citati codici
Va- ticani Latini, fattura che costituirebbe un indizio della
possibile circolazione degli stessi a Napoli e presso la corte angioina,
occorre rilevare che l'origine e la datazione di questi manoscritti è
partico- larmente controversa. Mentre il ms. Vat. Lat. 4860 è stato
variamente datato tra il secolo XIII e la prima metà del secolo XIV, e lo
si è altresì ritenuto «codice di ambiente benedettino-olivetano pa-
dovano» opera di un miniatore bolognese, il ms. Vat. Lat. 3822 è stato
invece datato piuttosto concordemente alla fine del secolo XIII, mentre
ne è dibattuta l'area di produzione: Parigi o l'area francese^ l'area
genericamente italiana, o più specificamente sici- liana 14 . E
necessario ricordare poi che il ms. Vat. Lat. 4860 non contiene la Figura
delle «Sette età», dalla quale si pretende sia stata ricavata la pianta
di S. Chiara e sia derivato il soggetto degli affre- schi che sarebbero
stati eseguiti da Giotto nella chiesa esterna 15. La stessa Figura manca
poi anche nel ms. Vat. Lat. 3822 16 . La suppo- Quanto al ms. Vat. Lat.
4860, contenente estratti da opere diverse di Gioacchino, la datazione al
secolo XIII è stata sostenuta da Bignami Odier, Hirsch Reich, Reeves e
Daniel, che lo assegnano ad un estensore francescano. La datazione alla
prima metà del secolo XIV, invece, è stata sostenuta da Kaup, Troncarelli e
De Fraja. In particolare, Wessley e Troncarelli parlano di «codice di
ambiente bene- dettino-olivetano padovano» opera di un miniatore
bolognese. Quanto all'origine del ms. Vat. Lat. 3822, contenente
anch'esso opere varie di Gioacchino, Troncarelli propende per Parigi o
per l'area francese, mentre Bignami Odier, Hirsch Reich e Reeves
propendono genericamente per l'area italiana, infine, all'area siciliana
pensa Patschovsky, e cfr. M. Rainini, Disegni dei tempi. Il «Liber
Figurarum» e la teologia figurativa di Gioacchino da Fiore, Roma, Viella,
Questo codice, infatti, ai ff. 198r-204v, comprende un abbozzo del dia-
gramma delle Rotae di Ez. 1, e dei diagrammi degli alberi delle generazioni
discen- denti, del drago apocalittico, del misterium ecclesiae, dei tre
cerchi trinitari, della dispositio novi ordinis, degli alberi-scala
rappresentativi dei tre status e, di nuovo, dei cerchi trinitari, ed è
accompagnato da cinque fogli vuoti che avrebbero potuto accogliere almeno
altre dieci tavole di diagrammi, circostanza questa che conferma che
l'opera non era stata portata a termine, e rende improbabile l'eventuale
suppo- sizione di un testo incompleto perché privato, nel corso del
tempo, di alcune delle tavole originarie, e cfr. Rainini, Disegni dei
tempi, II codice, infatti, ai ff . 2v-3r, 4v-5r, 7r-8r, reca i diagrammi delle
genera- zioni ascendenti, del draco magnus et rufus, del tetragrammaton e
diverse versioni dei tre cerchi, e cfr. Rainini, Disegni dei tempi, cit.,
pp. 272-273. sizione dell'esecuzione delle miniature in ambiente
meridionale non può inoltre implicare necessariamente anche una
diffusione del Li- ber alla corte angioina. Quanto infine alla possibile
conoscenza del- l'opera da parte dei sovrani nel periodo in cui si
trovarono in Fran- cia, si tratta di una mera ipotesi, non suffragata,
allo stato, da alcun indizio o prova. C'è in realtà da
chiedersi se effettivamente la più volte citata Figura XVIII del codice
Reggiano del Liber abbia i contenuti «con- cordistici» che vi sono stati
da ultimo individuati. Occorre anzitutto premettere che per
«concordia», nell'ambito delle opere e delle teorie di Gioacchino, deve
intendersi «la corri- spondenza simmetrica tra gli avvenimenti narrati
nell'Antico Testa- mento per il popolo di Israele e quelli raccontati e
prefigurati nel Nuovo Testamento... per il nuovo Israele della
Chiesa. La Figura in esame del Liber Figurarum reca, al centro, il
già citato diagramma rettangolare e, ai margini, un testo
fittamente manoscritto. Tale testo, la cui traduzione può leggersi
in appendice a questa nota, è tratto dal libro V della Concordia Novi ac
Veteris Testamenti, opera di F. tradita dal codice Urbinate Latino 8 della
Biblioteca Apostolica Vaticana. Più precisamente è riportato il passo
posto tra la I e la II distinctio, destinato ad essere illustrato da una
Figura esplicativa che manca nel manoscritto Urbinate Latino, e che viene
in genere identificata proprio nella citata tavola XVIII del Liber
Figurarum. Orbene, il libro V della Concordia, dal quale è desunto
il com- Rainini, Disegni dei tempi. La più nota definizione
gioachimita della concordia è la seguente. Concordiam proprie dicimus similitudinem
eque proportionis novi ac ueteris testamenti, eque dico quo ad numerum
non quo ad dignitatem; cum uidelicet persona et persona, ordo et ordo,
bellum et bellum ex parilitate quidam mutuis se uultibus intuentur», e,
cioè, «chiamiamo propriamente «concordia» la somiglianza di equa
proporzione di Nuovo e Antico Testamento, e dico equa per quanto riguarda
il numero, non per quanto riguardo la dignità: come se per una certa
parità fossero rivolti l'uno di fronte all'altro persona e persona, ordine
e ordine, guerra e guerra», e cfr. ancora Id., ivi, p. 20, p. 33, nota.
18 Tondelli, Reeves, Hirsch-Reich, Il Libro delle Figure, tav. XVIILz,
tratta dal codice del Liber conservato presso il Seminario Vescovile di
Reggio Emilia, ms. RI = El. Il codice della Concordia precisa: «in hac
figura declaratur magnum mysterium pertinens quam nimis ad catholicam
fidem, e, precedentemente, «secundum quod ostenditur in presenti
figura...». Quale tavola XVIII£ Tondelli, Reeves ed Hirsch-Reich,
pubblicano una variante semplificata, forse «non finita», della stessa
Figura, tratta dal codice del CORPUS CHRISTI (H. P. GRICE) Oxford (ms. 255 A), al
f. 5r. Nello stesso codice tuttavia, al f. 8v, il diagramma ricompare in
forma omogenea a quella della tavola XVIIIa del Fig. 1 - La figura XVIII
del Liber figurarum (da Tondelli, Reeves, Hirsch-Reich). mento
marginale alla nostra Figura, tratta delle storie principali dell'Antico
Testamento. Per esse viene proposta una interpreta- zione fondata
sull'esegesi spirituale, la quale, secondo F., avrebbe consentito anche
di preconizzare gli avvenimenti storici futuri. In altre parole, il libro
V «è un lungo commentario sui libri storici del Vecchio Testamento» 19,
ed «il suo contenuto è conside- revolmente diverso» 20 da quello degli
altri Libri della Concordia. Infatti, è piuttosto nei precedenti libri,
dal I al IV, che F. procede effettivamente ad esaminare o a rinvenire i
punti di «con- cordanza» tra le vicende ed i personaggi narrati
nell'Antico e nel Nuovo Testamento. Nell'ambito del Liber Figurarum,
nello stesso codice di Reggio Emilia, poi, le figure concordatarie sono
altresì contenute piuttosto nelle tavole IX e X, e, soprattutto, nelle
tavole III e IV, da esaminare sinotticamente, ed appunto denominate
Con- cordia Veteris Testamenti et Novi. In particolare, in queste
due ultime tavole è tracciato un dettagliato raffronto tra i personaggi
e gli episodi dei due Testamenti, ad esempio tra Adamo ed Azarias,
Abramo e Zaccaria, Isacco o Elia e Giovanni Battista, Giacobbe e Cristo e
cosi via. Proprio per quanto appena rilevato la Figura XVIII è stata
quindi designata come tavola delle «Età del mondo» 22, delle «Sette età
del mondo» ovvero delle «Sette età» 24 . codice di Reggio Emilia, e cfr.
Rainini, Il «Liber Figurarum» nel manoscritto Oxford, Corpus Christi
College, ms. 255 A (=0), in Id., Disegni dei tempi, cit. 19 A. Tagliapietra, Opere
principali, in G. da Fiore, Sull'Apocalisse, Milano, Feltrinelli, Daniel,
Abbott Joachim of Flore, Liber de Concordia Noui ac Veteris Testamenti,
Philadelphia, The American Philosophical Society, il quale, appunto, osserva:
«not only is Book Five longer than the first four Books together, but its
content is considerably different from theirs». Le peculiarità del libro
V rispetto ai precedenti sono precisate dallo stesso Gioacchino: «etenim
in hiis quatuor libris parum agitur secundum spiritum, magis secundum
litteram, hoc est secundum concordiam littere et littere, scilicet duorum
testamentorum...oportet nos in hoc quinto libro de quibusdam gestis
sollempnibus que occurrerint spiritualiter agere ut ex multis testimoniis
ostendamus laboriosos rerum fines et post magnos agones et certamina
pacem uictoribus impartiri» (ConcordiaTagliapietra, Opere principali Tondelli,
Reeves, Hirsch-Reich, Il Libro delle Figure, A. Crocco, Liber Figurarum, Ms.
Reggiano (RI), tav. XVIII (Biblioteca
del Seminario di Reggio Emilia). Le sette età del mondo, in L'Età dello
Spirito e la fine dei tempi in Gioacchino da Fiore e nel Gioachimismo
medievale, Atti del II congresso internazionale di studi gioachimiti, S.
Giovanni in Fiore, Centro Internazionale di Studi F., Rainini, Il «Liber
Figurarum», cit., loc. ult. cit. La tavola XVIII del Liber ha infatti,
principalmente, lo scopo di illustrare la teoria escatologica della
storia elaborata da Gioac- chino ed incentrata sul susseguirsi di secula,
tempora ed etates in una prospettiva strettamente trinitaria, che
conferisce unitarietà alla storia stessa. Rifacendosi dunque
innegabilmente alla divisione settenaria delle età della storia già teorizzata
d’Agostino, F. colloca in modo originale la settima età, quella cioè del
raggiungimento della pax vera, della perfecta iustitia e della plenìtudo
veritatis et libertatis, entro il corso storico, aggiungendo poi una
Octava aetas quale «stadio finale ed eterno della storia umana». Perciò
la figura XVIII del Liber è suddivisa in un fregio inferiore,
rappresentante i sette secula dell'Età del Padre, in un fregio superiore,
che illustra i sette tempora dell'Età del Figlio, e infine in una parte
centrale raffigurante le sette Età del mondo, la settima delle quali,
corrispondente al momento storico in cui vive F. {tempus praesens), sarebbe
sfociata nel Tertius sta- tus dello Spirito Santo, cui, in conclusione,
avrebbe fatto seguito, appunto, Y Octava aetas 26. Ma passiamo a
leggere le brevi iscrizioni che illustrano il dia- gramma rettangolare
centrale della Figura XVIII, riprodotta nella figura 1 posta a corredo di
questa stessa nota. Occorre precisare che il diagramma deve essere
esaminato trasversalmente, nel senso del lato maggiore del rettangolo, da
sinistra a destra e dal basso all'alto, mentre il testo tratto dalla
Concordia e trascritto ai margini risulta vergato in senso perpendicolare
al diagramma stesso. Partendo dunque dal basso, rileviamo nell'ordine, nel
fregio inferiore {secula): primum seculum, Adam genera tiones X,
secundum seculum, Noe generationes X, tertium seculum, Abraam
generationes X, quartum seculum, Booz generationes X, quintum
seculum, Joiada generationes X, sextum seculum, ]eremia generationes X,
septimum seculum, Zacharia sacerdos, sabbatum, adventus Spiriti Sane ti,
septima etas; initiatio primi stati, primum status, secundum status,
tertium status; Tondelli, Reeves, Hirsch-Reich, Il Libro delle
Figure, Cfr. Crocco, Liber Figurarum, Ms. Reggiano (RI) GAGLIONE nel
fregio centrale (etates): Adam, Noe, Abraam, Davit, transmigratio
Babilonie, lohannes Baptista, presens tempus; b) all'interno
della tromba: clarificatio Filii, clarificatio Spiriti
Sancii; e) Etas prima, etas secunda, etas tercia, etas quarta, etas
quinta, etas sexta, etas septima; nel fregio superiore
(tempora): initium Romanorum, Hysaia propheta; initiatio secundi
stati, primum tempus, Ozias generationes X, secundum tempus, Zorobabel,
tertium tempus, Christus genera- tiones X, quartum tempus, generationes
X, quintum tempus, generationes X, sextum tempus, generationes X,
septimum tempus; all'estremità destra del diagramma, dopo la linea
divisoria: etas octava, resurrectio mortuorum. Come può agevolmente
notarsi, nessuna delle iscrizioni menziona specificamente l'Antico o il Nuovo
Testamento; inoltre, per la maggior parte, i personaggi citati, e cioè
Adamo, Noè, Abramo, Booz, Ioiadà, Geremia, Davide, Ozias, Zorobabele ed
Isaia, rien- trano nell'Antico Testamento e risultano variamente
collocati lungo tutto il diagramma, sia in basso che al centro, oltre che
in alto. Solo Zaccaria, Giovanni Battista e Cristo rientrano nel Nuovo
Testa- mento. Tuttavia, mentre Cristo è indicato nel fregio superiore
della Figura, che, sovrapponendo la stessa alla pianta di S. Chiara,
corrisponderebbe alla navata sinistra della basilica guardando l'altare
maggiore, Zaccaria, il sacerdote padre del Battista, è segnato nel fregio
inferiore, dal lato cioè della navata destra della chiesa. Giovanni Battista,
infine, è indicato nel fregio centrale, nei pressi della tuba, della
tromba apocalittica. Quindi, le iscrizioni appena riportate, così come il testo
marginale della Concordia, non consentono di affermare che la Figura
XVIII abbia prevalentemente contenuti concordistici, ovvero che la stessa
traduca graficamente concordanze tra personaggi dei due Testamenti, che
risultano infatti variamente posizionati a destra, a sinistra ed al
centro del diagramma. Non vi è, dunque, alcun elemento che possa indurre
a sostenere, almeno lette- ralmente, né la concentrazione dei personaggi
del Nuovo Testamento nel fregio superiore, né quella dei personaggi
dell'Antico nel fregio inferiore, così da poter «giustificare» la
collocazione dei cicli pittorici giotteschi corrispondenti, rispettivamente,
nella navata sinistra e nella navata destra della basilica di S.
Chiara. Potrebbe tuttavia sostenersi che la Figura gioachimita
abbia semplicemente costituito una fonte di ispirazione per la scelta
del soggetto dei cicli pittorici da eseguire sulle pareti delle
cappelle, oltre che per l'adozione della pianta dell'edificio, sicché non
ci si dovrebbe aspettare una corrispondenza letterale tra la tavola
XVIII del Liber e l'edificio concretamente realizzato. In altri termini, la
Figura stessa non avrebbe costituito né un programma decorativo, né un
progetto edilizio . Ma a ben vedere, proprio la mancanza di una tale
effettiva corrispondenza, congiuntamente ai seri dubbi avanzati in ordine
alla sua fondatezza storica 28, rende ancor più fragile l'ipotesi della
«matrice gioachimita» della chiesa di S. Chiara a Napoli. Un collegamento
tanto evanescente con la Figura non consente infatti di dimostrare in
maniera convincente che la pianta ad aula rettangolare della chiesa
napoletana, invece di derivare dalle analoghe, diffusissime piante delle
chiese degli Ordini mendicanti, discenda proprio dal diagramma
gioachimita. Risulta inoltre eviden- temente impossibile dimostrare che i
cicli pittorici dell'Antico e del Nuovo Testamento, realizzati, secondo
il referto vasariano, nella stessa chiesa esterna, invece di derivare dai
numerosi cicli tipologici inaugurati dagli affreschi dell'antica basilica di S.
Pietro in Vaticano, discendano piuttosto dalle speculazioni concordistiche
gioachimite. Occorre invece chiedersi se, pur abbandonando la
discutibile ipotesi della valenza della Figura XVIII quale modello o
fonte di ispirazione, sia eventualmente sostenibile, in altro modo, una
«giu- stificazione» gioachimita della scelta del programma decorativo di
S. Chiara, incentrato, come si è detto, sulle Storie dell'Antico e
del Leone de Castris, ad esempio, osserva che Mattano, nel suo saggio
La Basilica angioina di S. Chiara a Napoli, cit., sovrappone la Figura
XVIII del Liber alla pianta della chiesa «al contrario» rispetto a quanto
ipotizzato dalla Bruzelius, sicché Vociava etas non viene più a
corrispondere al coro delle Clarisse, bensì all'area del sagrato e del
vestibolo della chiesa esterna. Questa lettura è stata respinta dallo stesso
Leone de Castris, perché presuppone non «una ispirazione» ma «una volontà
di corrispondenza piena fra la pianta ed il diagramma» derivante da un
improprio «uso del diagramma come «progetto»». In altre parole, almeno
per il programma architettonico, la Figura gioachimita avrebbe costituito
piuttosto una fonte di ispi- razione che un modello seguito letteralmente
dai costruttori, e cfr. Leone de Castris, Giotto a Napoli, nota Cfr. i saggi
indicati alla precedente nota Nuovo Testamento. Non di rado, infatti, opere di
scultura, di pit- tura e di architettura sono state interpretate proprio
facendo riferi- mento ad una possibile matrice gioachimita. Ad
esempio, il mosaico dell' 'Arbor vitae nell'abside della basilica di S.
Clemente a Roma avrebbe in qualche modo anticipato visivamente l'esegesi
gioachimita dell'Apocalisse di San Giovanni e della Concordia 2, mentre
un prezioso codice miniato da una bottega avi- gnonese agli inizi del
secolo XIV avrebbe risentito dell'escatologismo e del «concordismo» gioachimita.
Influenze delle opere di F. sono state rinvenute altresì nella pianta e
nella struttura della stessa abbazia madre dell'Ordine florense a F. 31,
nelle sculture della facciata del Duomo di S. Rufino 32 ad Assisi e negli
affreschi della basilica di S. Francesco 33 nella stessa
città. Questa tesi viene avanzata, per la verità, in maniera piuttosto
vaga da E.R. Daniel, Joachim
of Fiore: Pattems of History in the Apocalypse, in The Apocalypse in the
Middle Ages, cur. Emmerson e McGinn, London, Cornell; per una lettura
teologica ortodossa dei mosaici in questione cfr. invece Barclay Lloyd, A
new look at the mosaics of San Clemente, in Omnia disce: Medieval studies
in memory of Boy le, O.P., a cura di AJ. Duggan, J. Greatrex, B. Bolton,
Ashgate, Aldershot. D'altra parte gli stessi mosaici vengono
correntemente datati intorno a quando F. non era ancora nato o era
giovanissimo. Si tratta del codice 55. K. 2 (Rossi) dell'Accademia
Nazionale dei Lincei e Corsiniana di Roma, e cfr. Frugoni, Manzari,
Immagini di San Francesco in uno Speculum humanae salvationis del
Trecento, Padova, Editrici Francescane, Cfr. Cadei, La chiesa figura del
mondo, in Storia e Messaggio in Gioac- chino da Fiore, Atti dell
Congresso internazionale di studi F., S. Giovanni in Fiore, Centro
Internazionale di Studi F., secondo il quale, l'assetto della chiesa abbaziale
di S. Giovanni presenta peculiarità che consentono di parlare di una
tipologia gioachimita per Yicnografia architettonica. Questi suoi
connotati specifici, secondo Cadei, sono derivati dalle tavole XII, XIII
e XV del Liher figurarum. Lo stesso Autore non manca poi di ricordare, a
questo proposito, le divergenti opinioni di Leone Tondelli, secondo il
quale la Figura XII ha piuttosto carattere idealistico ed utopico, non
risultando che in nessuno dei monasteri florensi si sia cercato di
realizzare tale modello, e di Edith Pasztor che, invece, vede nel
diagramma la pianta concretissima delle strutture «urbanistiche» del
monastero, e cfr. anche V. De Fraja, Oltre Cìteaux. F. e l'Ordine florense,
Roma, Viella, Prosperi, Gioacchino da Fiore e le sculture del Duomo di Assisi,
Spello, Dimensione Grafica, soprattutto sulla base delle tavole delle
Praemissiones di F., tradite dal codice 15 del monastero benedettino di
S. Pietro a Perugia. Prosperi, Gioacchino da Fiore e Frate Elia. Dalle sculture
simboliche del ad Con particolare riguardo proprio alla basilica di
S. Francesco si è affermato che il programma iconografico prescelto per
la deco- razione pittorica della chiesa inferiore così come di quella
superiore, nel 1253, avrebbe dovuto, nelle intenzioni dei committenti,
illu- strare l'inserimento dell'Ordine francescano nella storia del
mondo e della salvezza, storia articolata nelle tre grandi fasi della
legge, della grazia e dello spirito teorizzate da F. e riprese dai
Francescani spirituali. Questi ultimi, infatti, identifica- rono nel
proprio il nuovo Ordine monastico preannunciato da F., individuando in
San Francesco Valter Christus, il nuovo messia, e, nel papa nemico,
l'Anticristo. La ricostruzione concordi- stica della storia operata da
Gioacchino da Fiore venne così comple- tata dai teologi Francescani
spirituali in modo tale che «le corrispon- denze tipologiche in ambito
francescano vennero ampliate e intese non in due ma in tre ricorsi
successivi; il Nuovo Testamento è adempimento della promessa dell'Antico,
ma è, a sua volta, pro- messa che si adempie sulla terra e nella storia,
con l'avvento di Francesco. Tuttavia, la condanna delYlntroductorius
ad Evangelium Aeternum di Gerardo da Borgo San Donnino, opera che
rappresentava la più compiuta espressione delle teorie dei Francescani
spirituali, comportò l'interruzione dell'esecuzione del pro-gramma iconografico
assisiate. Tracce significative di questo originario apparato
decorativo sono state ad ogni modo rinvenute nelle vetrate a contenuto
tipologico 36 delle tre bifore del coro della basilica superiore,
realizzate Duomo di Assisi ai primi dipinti della Basilica di San
Francesco, Spello, Dimensione Grafica, Da A. Cadei, Assisi, S. Francesco:
l'architettura e la prima fase della decorazione, in Roma. Atti della IV
settimana di studi di storia dell'arte medievale dell'Università di Roma
«La Sapienza», a cura di A. M. Romanini, Roma, L'Erma di Bretschneider,
Cadei, Assisi, S. Francesco, è, in particolare, il Maestro di S.
Francesco, negli affreschi della navata della chiesa inferiore, a seguire il
parallelismo tra le Storie della passione di Cristo (Cristo depone gli
abiti ai piedi della croce, Cristo dall'alto della croce affida Maria a
Giovanni, Discesa dalla croce, Deposizione, Com- pianto, Apparizione di
Cristo in Emmaus) e le Storie di San Francesco {Francesco rinuncia ai
beni paterni, Innocenzo III sogna Francesco sorreggente la Chiesa di
Roma, Predica alle creature, Francesco riceve le stimmate da un serafino,
Morte di San Francesco e scoperta delle stimmate sul suo corpo). Ad
esempio, nella finestra I, designata anche come finestra VII, sono raf-
figurati episodi veterotestamentari quali prefigurazioni dei corrispondenti
episodi della Vita pubblica di Gesù, con i seguenti parallelismi: Davide
viene a conoscenza della morte di Saul, La disputa con i dottori nel
Tempio; Giacobbe attraversa il Gior- entro il 1250 ad opera di maestri
tedeschi. L'iconografia delle stesse, basata sulle corrispondenze
tipologiche, avrebbe un sèguito in due lancette del finestrone del
transetto destro che completano il ciclo dell'abside con le apparizioni
post mortem di Cristo e gli antitipi 01 veterotestamentari delle
apparizioni angeliche. Il complesso delle vetrate del coro e del
transetto verrebbe in tal modo a costituire una serie tipologica
triangolare, nella quale le Storie della vita di Cristo farebbero da
perno tra gli antitipi veterotestamentari e le Storie della Genesi, da un
lato, le Storie di San Francesco e di San- t'Antonio^ dall'altro. Anche
gli affreschi del transetto destro della chiesa sarebbero contrassegnati
da una impronta gioachimita. Tra questi, la triade delle teofanie
consistenti nella Maiestas, nelY Ascen- dano, Il battesimo di Gesù; Mosè e
il Padre Etemo, La Trasfigurazione; La purificazione del tempio, La
cacciata dei mercanti dal tempio; L'ingresso di un re, L'ingresso di Gesù
in Gerusalemme; Abramo lava i piedi degli angeli, La lavanda dei piedi
agli Apostoli; Il banchetto del re Assuero, L'ultima Cena; Elia in
preghiera sul monte Oreb, L'Orazione nell'orto di Getsemani; Joab bacia
Amasa, Il bacio di Giuda e la cattura di Cristo. L'interpretazione
tipologica comporta l'uso di tipi o modelli che presentano un'impronta in
negativo o antitipo costituita da un'idea, una persona, o un avveni-
mento nell'Antico Testamento che prefigura un'idea, una persona, o un avveni-
mento nel Nuovo Testamento. Un esempio autorevole d'interpretazione
tipologica è offerto dallo stesso Vangelo (Matteo 12, 40): «Come infatti
Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio
dell'uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra», ove,
l'episodio veterotestamentario (antitipo) di Giona e della balena
prefigura la morte e la resurrezione di Cristo. Sull'interpreta- zione
figurale o tipologica della Sacra Scrittura, cfr. H. Rondet, Thèmes
bibliques, éxégèse augustinienne, in Augustinus magister. Congrès
intemational augustinien, Paris, 21-24 septembre 1954, Paris, Etudes
Augustiniennes; M. Simonetti, Lettura e/o allegoria. Un contributo alla
storia dell'esegesi patristica, Roma, Institutum Patristicum
Augustinianum, 1985; H. De Lubac, Esegesi medievale. I quattro sensi
della Scrittura, Milano, Jaca; La terminologia esegetica nell'antichità. Atti
del primo seminario di antichità cristiane, Bari, 25 ottobre 1984, Bari,
EdiPuglia, 1987, nonché, più in generale, E. Auerbach, Figura, in Id.,
Studi su Dante, a cura di D. Della Terza, Milano, Feltrinelli; Dael, Tipologia,
estratto dal corso di Storia dell'Arte medioevale tenuto presso la
Pontificia Università Gregoriana di Roma, unigre.it/ rhetorica%20 biblica/studenti/TBC005/
TIPOLOGIA_- van%20 Dael.doc; Kessler, Storie sacre e spazi
consacrati: la pittura narrativa nelle chiese medievali tra TV e XII secolo,
in L'arte medievale nel contesto: funzioni, iconografia, tecniche,
Milano, Jaca, Cadei, Assisi, S. Francesco, secondo il quale i medaglioni
di San Francesco e di Sant'Antonio attualmente posti nel quadrilobo nella
finestra VII della basilica superiore ai lati del Cristo in gloria,
proverrebbero dalle lancette della quadrifora III posta nel transetto
settentrionale della basilica superiore. sione e nella Trasfigurazione,
poste nelle lunette di volta e nel tratto superiore della vetrata
centrale, rimanderebbe alla Dispositio novi ordinis pertinens ad tercium
statum ad instar superne Jerusalem ed alla Rota in medio rotae, contenute
nelle Figurae XII e XV del Liber Figurarum. I sostenitori di questa tesi
ammettono peraltro che tali sottili richiami e reconditi significati ben
difficilmente avrebbero potuto esser colti dal comune visitatore, e che i
principali fruitori sarebbero stati piuttosto i soli Francescani
spirituali. Secondo questa opinione, in conclusione, la sintesi ed
il com- pletamento della teoria gioachimita della storia, operata dai
France- scani spirituali con l'individuazione nell'Ordine minoritico del
novus ordo monastico destinato alla guida della società, avrebbe avuto,
quale esito iconografico, proprio l'affiancamento degli episodi della
vita di San Francesco alle tradizionali serie tipologiche vetero e
neotestamentarie in una prospettiva «rivoluzionaria». Tuttavia,
accanto a queste serie tipologiche che sarebbero state ispirate dalle
teorie gioachimite e spirituali, nella stessa basilica superiore
assisiate furono eseguite altre e ben più note scene vetero 40 e
neotestamentarie, poste ancora una volta in collegamento con ventotto
episodi della Vita di San Francesco 42, benché in una pro- [Cadei, Assisi,
S. Francesco, ricorda infatti che, secondo lo Schòne, si sarebbe trattato
di un ciclo iconografico riservato ai soli Francescani spirituali e che
perciò era limitato al loro coro non accessibile al pubblico, circo-
stanza questa che ne favorì anche la successiva conservazione nonostante il
muta- mento del programma decorativo. II ciclo dell'Antico
Testamento, realizzato sulla parete nord, si compone di sedici episodi e
comincia con le Storie della Creazione nel registro superiore: Crea-
zione del mondo, Creazione di Adamo, Creazione di Eva, Peccato originale, La
cacciata dal Paradiso terrestre, Il lavoro dei progenitori, Il sacrificio
di Caino ed Abele, Caino uccide Abele proseguendo, nel registro
inferiore, con episodi della vita dei quattro patriarchi biblici Noè,
Abramo, Giacobbe e Giuseppe: La costruzione dell'arca, L'ingresso di Noè
e degli animali nell'arca, Il sacrificio di Isacco, La visita degli
angeli ad Abramo, Isacco benedice Giacobbe, Esaù davanti ad Isacco,
Giuseppe calato nel pozzo dai fratelli, Giuseppe si fa riconoscere dai
fratelli in Egitto. II ciclo del Nuovo Testamento, collocato sulla parete
sud, si compone di sedici episodi e comincia con le Storie dell'infanzia
di Cristo nel registro superiore: Annunciazione, Visitazione, Natività,
Adorazione dei Magi, Presentazione di Gesù al tempio, Fuga in Egitto,
Disputa nel tempio, Battesimo di Gesù. Nel registro inferiore, invece,
sono collocati gli episodi della Vita pubblica e della Passione di Cristo:
Le nozze di Cana, La resurrezione di Lazzaro, La cattura di Cristo
nell'orto, Cristo davanti a Pilato, La salita al Calvario, La
Crocifissione, Il Compianto sul Cristo morto, Le pie donne al sepolcro. A
partire dalla parete destra dal lato dell'altare: San Francesco riceve
l'omag- gio dell'uomo semplice, Il Santo dona Usuo mantello al povero,
Sogno del palazzo colmo spettiva più moderata, ispirata questa volta alla
Vita ufficiale del Santo, la Legenda maior redatta da San Bonaventura.
Proprio Bo- naventura ed, in seguito, il probabile committente degli
affreschi, il cardinale francescano Matteo d'Acquasparta, si erano
infatti oppo- sti agli Spirituali rigoristi ed alla teoria da loro
sostenuta secondo la quale con l'avvento dell'Età dello Spirito si
sarebbe pervenuti ad uno scardinamento dell'ordine costituito già sulla
terra e nella sto- ria. L'Autore della Legenda, invece, ribaltò proprio
la prospettiva di un radicale mutamento «nella storia», sostenendo che i
tempi nuovi si sarebbero dispiegati su di un piano esclusivamente
ultraterreno, privo quindi di pericolose ricadute
politiche. Ritornando dunque agli affreschi dell'Antico e del Nuovo Testamento
che Giotto avrebbe eseguiti nella chiesa esterna di S. Chiara, non
risultano notizie, di fonte letteraria o documentaria, dell'esistenza
anche di un ciclo della Vita di San Francesco che avrebbe potuto far
pensare ad una consapevole imitazione del mo- dello assisiate nella
versione spirituale o piuttosto in quella bona- venturiana. D'altra
parte, al tempo della esecuzione degli affreschi nella grande chiesa
napoletana erano trascorsi decenni dai movimen- tati inizi della
decorazione della basilica di Assisi, vero e proprio palinsesto
iconografico della storia dell'Ordine. Inoltre, il contrasto tra il
papato e la dirigenza dello stesso Ordine minoritico, da un lato, ed i
dissidenti Spirituali dall'altro era giunto ormai, con papa di armi,
Cristo appare al Santo in S. Damiano, Rinunzia alle vesti, Sogno di
Innocenzo III, Innocenzo III approva la Regola, Il Santo sul carro di
fuoco, Frate Leone vede il trono celeste destinato a San Francesco,
Cacciata dei demoni da Arezzo, La prova del fuoco, L'estasi di San
Francesco, Il presepe di Greccio, Miracolo della fonte, Predica agli
uccelli, Morte del signore di Celano, La predica davanti ad Onorio III, San
Francesco appare ai frati riuniti in capitolo ad Arles, Stimmate, Morte e
funerali, San Francesco appare al vescovo di Assisi e a frate Agostino,
Il patrizio Girolamo si accerta delle stimmate, Le Clarisse di S. Damiano
piangono il Santo, Canonizzazione, San Francesco appare a Gregorio IX,
Guarigione del gentiluomo di llerda, Resurrezione della gentil- donna,
Liberazione di Pietro d'Alife. Le posizioni di San Bonaventura vennero
riprese dal cardinale Matteo d'Acquasparta in tre suoi sermoni. Il
cardinale, generale dell'Ordine dal 1287 al 1289, fu probabilmente
l'ideatore del programma iconografico della navata della basilica
superiore e contrastò decisamente gli Spirituali guidati da Ubertino da
Casale. I tìtuli illustranti gli episodi della Leggenda francescana sono tratti
dalla Legenda maior, e cfr. E. Lunghi, San Francesco ad Assisi, Firenze,
Passigli. Per l'ispirazione alla Legenda major, cfr. G. Ruf, Francesco e
Bonaventura. Un'interpretazione storico-salvifica degli affreschi della
navata nella chiesa superiore di San Francesco in Assisi alla luce della
teologia di San Bonaventura, Assisi, Casa Francescana, e Cadei, Assisi, S.
Francesco. Giovanni XXII, ad una persecuzione sistematica dei secondi,
e, come si è visto, al prevalere di posizioni moderate, circostanza
que- sta che sembra deporre contro la possibilità di citazioni iconografi-
che eccessivamente «eversive». Infine, l'assoluta impossibilità di ricostruire
i contenuti ed i soggetti delle scene vetero e neotestamentarie
eventualmente realiz- zate nella chiesa esterna di S. Chiara a Napoli non
consente neppure di accertare una eventuale, effettiva influenza sulle
stesse di quella più precisa ed articolata corrispondenza tra fatti,
persone, figure e adempimenti dei due Testamenti, che, secondo alcuni,
sarebbe co- munque derivata proprio dalla diffusione delle teorie di Gioacchino
tradotte poi in immagini La spiegazione della scelta delle scene dell'Antico e
del Nuovo Testamento per la decorazione di S. Chiara, a questo punto,
può essere piuttosto individuata proprio nella volontà di seguire il
tradizionale filone tipologico, significativamente rinvenibile nello
stesso repertorio di Giotto. Il modello più prestigioso di tale filone era
costituito dalla serie degli affreschi dell'antica basilica di S. Pietro
in Vaticano. Le pareti Nell'antico refettorio dei Frati minori, oggi
chiesa esterna del monastero delle Clarisse, è posto l'affresco della
Mensa del Signore, attribuito al Maestro di Giovanni Barrile, la cui
particolare iconografia sarebbe servita a celebrare i valori della
povertà e dell'umiltà, testimoniando così il particolare favore dei
sovrani angioini per questi ideali strenuamente propugnati dai
Francescani spirituali, favore «ufficializzato» dal contorno araldico
dell'affresco, e cfr. F. Bologna, I pittori alla corte angioina di
Napoli, Roma, U. Bozzi; Leone de Castris, Giotto a Napoli. Una lettura
più articolata è stata recentemente suggerita da C. Frugoni, Una
solitudine abitata. Chiara d'Assisi, Roma-Bari, Editori Laterza: nel
nostro affresco, Cristo è posto su di una montagna circondato dagli
apostoli. In basso, San Pietro distribuisce il pane alla folla in ascolto
attingendo a cesti stracolmi. In primo piano sono inginoc- chiati San
Francesco, con la bisaccia della questua, e Santa Chiara, in orazione. Il
dettaglio della montagna rimanda al Vangelo di Giovanni (6, 3-15), ove al
miracolo della moltiplicazione segue il discorso del Cristo che si
presenta alla folla come «il vero pane sceso dal cielo». V Agnus Dei,
ripetuto quattro volte alle estremità, co- stituisce un ulteriore richiamo
all'eucaristia. Sembrerebbe in tal modo prevalere proprio il riferimento
eucaristico ricorrente, peraltro, nella dedicazione ufficiale della
chiesa esterna all'Ostia santa, sicché, i frati riuniti nel refettorio per il
frugale pranzo garantito dalla carità di Dio, nel consumare il cibo del
corpo, non avrebbero dimenticato la necessità di nutrirsi di quello
dell'anima, ben più prezioso del pane. Gli eventuali, ma labili, accenni
spirituali erano, in tal caso, riservati ai soli frati essendo il refettorio
inaccessibile, di regola, ai laici. 45 Cadei, Assisi, S. Francesco.
della navata centrale erano infatti decorate con Storte dell'Antico e del
Nuovo Testamento, eseguite durante il pontificato di papa Leone I,
distrutte nel corso dei lavori di costruzione del nuovo S. Pietro, ma
fortunatamente descritte da Grimaldi e documentate dagli acquerelli di Domenico
Tasselli da Lugo. Le scene dell'Antico Testamento, tratte soprattutto
dalla Genesi e dall'Esodo, erano dipinte sulla parete destra, mentre
sulla parete sinistra si svolgeva un ciclo illustrante la Vita e la
Passione di Cristo. Questi affreschi costituirono: «il prototipo
fondamentale per le successive decorazioni con scene vetero e
neotestamentarie che da Roma si diffusero in tutta Italia e in gran parte
d'Europa... la prima e più completa esposizione per immagini dei
principali episodi biblici ed evangelici a livello di pittura
monumentale. Un folto gruppo di affreschi tipologici derivò direttamente
da quelli di S. Pietro, come nel caso delle decorazioni musive dell'atrio
della basi- lica abbaziale cassinense volute da Desiderio, dalle quali
derivarono ulteriormente le storie testamentarie di S. Angelo in Formis,
nonché degli affreschi di S. Pietro a Ferentillo, di S. Maria Immacolata
di Ceri, di S. Giovanni a Porta Latina, di S. Maria in Monte Domi-
nico a Marcellina, di S. Nicola a Castro dei Volsci, della cappella di S.
Tommaso nel duomo di Anagni, dell'Annunziata a Cori, ed anche [Cfr. A.
Tomei, La basilica dalla tarda antichità al secolo XV, in La basilica di
San Pietro a Roma, a cura di C. Pietrangelo Firenze, Cantini, nonché H. Kessler, «Caput et speculum
omnium ecclesiarum»: old St. Peter s and church deco- ration in medieval
Latium, in Italian church decoration of the Middle Ages and early
Renaissance: functions, forms and regional traditions, a cura di W. Tronzo,
Bologna, Nuova Alfa. II
ciclo pittorico veterotestamentario comprende diciotto scene, mentre
quello neotestamentario ne comprende ventinove conteggiando separatamente V
Ul- tima cena e la Lavanda dei piedi, e fu realizzato da tre o quattro
pittori. Nulla ha dunque a che vedere con questi affreschi la presenza
nella chiesa di quindici fratres paupertatis attestata dal Catalogo delle
chiese di Roma (Biblioteca Nazionale di Torino, Cod.), e da alcune
lettere di Angelo Clareno del 1313, e cfr. Angelo Clareno, Opera, I, Epistole,
a cura di L. von Auw, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo.
Più in generale, sostengono un collegamento tra gli Spirituali napoletani
e quelli romani, ed anzi una vera e propria influenza del
filospiritualismo di Sancia sulla politica di Cola di Rienzo: A. Collins,
Greater than Emperor. Cola di Rienzo and the world of Fourteenth Century Rome, Ann
Arbor, The University of Michigan Press.; Musto, Apocalypse in Rome. Cola di Rienzo and thepolitics ofthe new age,
Berkeley, Los Angeles, New York, The University of California] dei
restauri cavalliniani degli affreschi di S. Paolo 48 e del ciclo di
Vescovio. Gli stessi affreschi vetero e neotestamentari della basilica
superiore di Assisi derivano dalle serie tipologiche di S. Pietro. Si
tratta certamente di cicli piuttosto complessi: così a S. Pietro gli
episodi veterotestamentari erano quarantasei, a S. Paolo trentotto, a
Ceri venticinque, e ad Assisi sedici 49 . Questo modello iconografico fu
ripreso ben presto in tutta Europa, come conferma anche una notizia
offertaci da Beda il Venerabile relativamente all'importazione da Roma
all'abbazia di S. Pietro a Wearmouth di tavole dipinte di contenuto tipologico.
Dal dodicesimo secolo in poi i cicli tipologici risultano sempre più
elaborati, come dimostra la pala d'altare di Klosterneuburg, costituita
da placche di bronzo smaltato champlevè, completata da Nicola de Verdun Su questo ciclo cfr. S. Romano, II cantiere
di San Paolo fuori le mura: il contatto con i prototipi, in Medioevo: i
modelli. Atti del convegno internazionale di studi Parma cur. Quintavalle,
Parma-Milano, Università di Parma-Mondadori Electa, Cfr. Romano, La morte
di Francesco: fonti francescane e storia dell'Ordine nella basilica di S.
Francesco d'Assisi, in «Zeitschrift fur Kunstgeschichte», ed E ad., La basilica
di San Francesco ad Assisi. Pittori, botteghe, strategie narrative, Roma,
Viella, Constituto ilio abbate Benedictus monasterio beati Petri apostoli,
consti- tuto et Ceolfrido monasterio beati Pauli, non multo post temporis
spatio quinta vice de Brittannia Romam adcurrens, innumeris sicut semper
aecclesiasticorum donis commodorum locupletatus rediit; magna quidem
copia voluminum sacrorum; sed non minori, sicut et prius, sanctarum
imaginum munere ditatus. Nam et tunc do- minicae historiae picturas
quibus totam beatae Dei genetricis, quam in monasterio maiore fecerat,
aecclesiam in gyro coronaret, adtulit; imagines quoque ad ornandum
monasterium aecclesiamque beati Pauli apostoli de concordia Veteris et Novi
Te- stamenti summa ratione conpositas exibuit; verbi gratia, Isaac Ugna,
quibus inmo- laretur portantem, et Dominum crucem in qua pateretur aeque
portantem, proxima super invicem regione, pictura coniunxit. Item
serpenti in heremo a Moyse exaitato, filium hominis in cruce exaltatum
conparavit» e cfr. Beda, Vita quinque sanctorum abbatum, IBiblioteca
Augustana (Bibliotbeca latina, Latinitas medievalis) a cur Harsch
(Fachhochschule Augsburg) basata su Venerabilis Baedae Opera Historica, ed. Plummer,
Oxonii, E typographeo Clarendoniano, fh-augsburg.de/~ Harsch/ Chronologia/
Lspost08/ Bede/bed quin.html. In alto nella pala sono poste diverse scene veterotestamentarie
accadute prima della legge {ante legem), al centro sono le corrispondenti
scene neotestamen- tarie (sub gratia), ed in basso le corrispondenti
scene veterotestamentarie sotto la legge (sub lege). Ad esempio: le scene
del Passaggio del Mar Rosso, del Battesimo di Cristo e del «mare di
bronzo» del tempio vanno considerate in corrispondenza; così pure
l'episodio di Giuseppe che viene messo nella cisterna, la deposizione di
Cristo nel sepolcro e Giona nel ventre del pesce, e così via, cfr. H.
Buschhausen, The Vennero redatti, inoltre, veri e proprio manuali proprio
allo scopo di indicare al pittore o allo scultore i collegamenti
tipologici tra gli episodi testamentari. Tra questi si ricorda il Victor
in Car- mine 52, opera di un anonimo monaco cistercense inglese del
XII secolo, il quale, pur essendo contrario alla decorazione figurata
delle chiese, riteneva tuttavia ammissibili almeno le rappresentazioni
tipologiche poiché potevano fungere da efficaci libri laicorum. Ma,
certamente, la fonte primaria fu costituita dalla Glossa ordinaria di
Walafrido Strabone completata da Niccolò di Lira, vera e propria sintesi
dell'esegesi tipologica dei Padri della chiesa. Orbene, proprio i temi
tipologici rientravano certamente anche nel repertorio di Giotto. Oltre
alla discussa partecipazione del Mae- stro all'esecuzione di alcuni
episodi dell'Antico e del Nuovo Testa- mento nella basilica di S. Francesco
ad Assisi, sappiamo, soprat- tutto dalle Vite del Vasari, che Giotto
eseguì Storie dei due Testa- menti nella basilica di S. Pietro a Roma,
nella cappella palatina del Castelnuovo 56 a Napoli, e storie del solo
Nuovo Testamento nella SS. Annunziata a Gaeta. D'altro canto, la biografia dello
stesso Klosterneuburg Aitar of Nicholas of Verdun: Art, Theology and
Politics, in «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», Victor in
Carmine. Ein Handbuch der Typologie Nach der Handschrift des Corpus
Christi College, Cambridge, a cur. Wirth,
Berlin, Mann, Male, Le origini del gotico. L'iconografia medioevale e le sue
fonti, Mi- lano, Jaca, Bellosi, Giotto e la Basilica Superiore di Assisi,
in Giotto. Bilancio critico di sessantanni di studi e ricerche, Firenze,
Giunti; Zanardi, Giotto e Cavallini. La questione di Assisi e il cantiere medievale della
pittura a fresco, Milano, Skira; T. De Wisselow, The date of the St.
Francis cycle in the upper Church of S. Francesco at Assisi: the evidence
of copies and considerations of method, in The art of the Franciscan
Order in Italy, a cura Cook, Leiden- Boston, Brill. Scrive
infatti Vasari: «il papa avendo vedute queste opere e piacendogli la
maniera di Giotto infinitamente, ordinò che facesse intorno intorno a San
Pietro Istorie del Testamento Vecchio e Nuovo: onde cominciando fece
Giotto a fresco l'Angelo di sette braccia che è sopra l'organo; e molte
altre pitture, delle quali parte sono state da altri restaurate a dì
nostri e parte nel rifondare le mura nuove, o state disfatte», e cfr.
anche A. Tomei, Giotto a Roma intorno al primo Giubileo, in La storia dei
Giubilei, a cur. Fossi, Roma, BNL, Questi affreschi furono ed andarono
purtroppo distrutti durante il regno di Ferrante d'Aragona, e cfr. Leone
de Castris, Giotto a Napoli, cit., pp. 168ss. 57 Scrive Vasari:
«partito Giotto da Napoli per andare a Roma, si fermò a Gaeta, dove gli
fu forza, nella Nunziata, far di pittura alcune storie del
Testamento Giotto lascia davvero poco spazio ai sospetti di spiritualismo
I suoi committenti e protettori erano strettamente legati alla corte
pontificia, come quel fra Mincio da Morrovalle, ministro generale
dell'Ordine minoritico, che lo chiamò ad Assisi o il cardinale Jacopo
Stefaneschi. Il Maestro, che aveva organizzato in ma- niera
imprenditoriale la propria bottega, non disdegnava inoltre di prestare
danaro e di acquistare terreni per investimento, ben lon- tano da
scrupoli pauperistici 59 . A Giotto, anzi, viene tradizionalmente attribuita la
canzone Molti son que che lodan povertade, che contiene una vera e
propria invettiva contro la povertà, ritenuta istigatrice di delinquenza,
causa di sovversione sociale e di ipo- crisia 60 . Ritornando
a S. Chiara, in realtà, i frammenti di affresco a contenuto narrativo più
sicuramente riconducibili a Giotto ed alla sua bottega sono quelli
conservati nel coro o oratorio interno delle monache. Sulla parete che
divide appunto l'oratorio dalla chiesa esterna può osservarsi ciò che
resta di un Compianto sul Cristo depo- sto, che lascia ipotizzare, pur in
mancanza di più precise evidenze, che l'intera parete fosse affrescata
con scene della Vita di Cristo, forse principalmente episodi della
Passione, secondo quanto realiz- zato nei cori di altri monasteri delle
Clarisse. In particolare, nel coro di S. Pietro in Vineis ad Anagni 61,
qualche tempo dopo la canonizza- Nuovo, oggi guaste dal tempo, ma non però
in modo che non vi si veggia benissimo il ritratto d'esso Giotto appresso
a un Crucifisso grande molto bello», per la citazione cfr. la precedente
nota 11. Lo ammette lo stesso Leone de Castris, Giotto a Napoli. Cfr. F. Antal, La pittura fiorentina e Usuo
ambiente sociale nel Trecento e nel primo Quattrocento, Torino, Einaudi.
Giotto affittava telai ai tessitori meno abbienti realizzando profitti
del 120%. Alcuni documenti attestano il suo ruolo di garante di prestiti
e, nel 1314, risulta assistito da ben sei avvocati in atti contro
debitori morosi o insolventi. 60 Tra l'altro il componimento
precisa: «Di quella povertà ch'è contro a voglia/ Non è da dubitar ch'è
tutta ria,/ Che di peccar è via, / Facendo ispesso a giudici far fallo;/
E d'onor donne e damigelle spoglia;/ E fa far furto, forza e villania; /E
ispesso usar bugia/ E ciascun priva di onorato istallo». La canzone fu
estratta dal codice 47 pluteo 90 laurenziano, ragguagliata sul codice
riccardiano e pubblicata da F. Trucchi, Poesie italiane inedite di
dugento autori: dall'origine della lingua infino al secolo decimosettimo,
Prato, Ranieri Guasti. Cfr. M. Rak, Vedere, ricordare, raccontare. Immagine e
racconto in un appa- rato pittorico dottrinale di una comunità femminile
pauperista nel tardo medioevo, in II collegio Principe di Piemonte e la
chiesa di S. Pietro in vineis in Anagni, a cura di M. Rak, Roma, INPDAP,
nonché S. Romano, Gli affreschi di San Pietro in vineis, ibidem, pp.
105ss. e C. Jaggi, Frauenklóster im Spàtmittelalter. Die zione
di Chiara avvenuta nella cattedrale di quella città, ove fu conservata la
relativa bolla pontificia, e, comunque, entro il 1263, vennero appunto
dipinte le Storie della Passione di Cristo. Questo notevole ciclo si
articola negli episodi dell'Ingresso in Gerusalemme, Ultima cena e
lavanda dei piedi, Cattura e flagellazione di Cristo, Deposizione e
discesa al limbo, Noli me tangere e missione degli Apostoli, Giudizio
universale, che dovevano servire anzitutto come «strumento di memoria»
nei momenti più solenni della liturgia. All'atto della recita sottovoce
{in secreto) della preghiera eucaristica {canon missae) nel corso della messa,
quelle stesse scene consentivano alle Clarisse di ripercorrere, anche
visivamente, la storia della redenzione fino alla morte ed alla
resurrezione del Salvatore. Le sofferenze di Cristo, rappresentate in
maniera reali- stica e cruenta, offrivano dunque alle Clarisse occasioni
di medita- zione e di riflessione. Gli episodi della vita del Salvatore,
inoltre, erano costantemente richiamati negli scritti dedicati alle Vite
di San Francesco e di Santa Chiara, e per quest'ultima, già nella
Leggenda redatta da Tommaso da Celano. Perciò, gli affreschi
cristologici venivano a costituire, in definitiva, un grandioso prome-
moria non solo della vita del Salvatore, ma appunto anche delle «vite
parallele» di Chiara e di Francesco, ricostruibili per analogia dalle
osservatrici, e ricordate alle monache anche attraverso le letture
edificanti, i racconti orali e, soprattutto, la predicazione, non occor-
rendo necessariamente la realizzazione di cicli tipologici «completi» che
comprendessero cioè anche le Storie dei due Santi francescani Kirchen der
Klarissen una Dominikannerinnen, Monaco, Michael Imhof, II ciclo della
Passione nel coro delle monache di S. Pietro in vineis prosegue, in
realtà, con l'episodio della stimmatizzazione di San Francesco, che riporta
visi- vamente al parallelismo con Cristo. Vi sono rappresentati
inginocchiati anche una badessa attorniata da monache ed un frate
accompagnato da frati, in veste di donatori oranti. Lo stesso ciclo si
conclude con un riquadro nel quale sono dipinti i Santi Aurelia,
Scolastica e Benedetto e donatori. Nel coro delle monache della basilica
di S. Chiara ad Assisi, corrispondente all'attuale cappella di San Giorgio vennero
eseguite, invece, oltre che le Storie della Passione di Cristo, pur
nell'ordine anomalo, da sinistra, di Resurrezione, Deposizione dalla croce,
e Deposizione nel sepolcro, anche quelle àzW Incarnazione con l’Annunciazione,
la Natività, e l'Adorazione dei Magi, e cfr. C. Jaggi, Frauenklòster im
Spàtmittelalter. A Napoli dev'essere infine ricordato il notevole ed articolato
ciclo della Passione affrescato, sulle pareti del coro delle
Clarisse della chiesa di S. Maria Donnaregina vecchia, ispirato alla
Legenda Aurea di Jacopo da Varagine ed alle Meditationes Vitae Còristi
dello pseudo-Bonaventura ed articolato in diciassette scene. In
particolare, in tre registri di cinque scene ciascuno, più due: Come si è
cercato di dimostrare, il riferimento alla esaminata Figura gioachimita
quale modello o fonte di ispirazione per la scelta dei temi iconografici
dei cicli pittorici realizzati nella basilica di S. Chiara risulta, a ben
considerare, davvero piuttosto improbabile. Non molti anni or sono
Richard Krautheimer, nei Poscritti ad un suo aureo saggio di introduzione
alla iconografia architettonica, Ultima cena; Comunione degli Apostoli)
Cristo lava i piedi a San Pietro; Orazione di Cristo nell'orto; Cattura di
Cristo con l'episodio del San Pietro che taglia l'orecchio a Malco;
Cristo al cospetto dei sommi sacerdoti Anna e Cai/a, negazione di Pietro,
derisione di Cristo che viene privato dei vestiti per la prima volta,
flagellazione di Cristo; Cristo portato davanti a Pilato per il primo
giudizio e poi davanti ad Erode; Secondo giudizio di Cristo davanti a Pilato e
nuova flagellazione; Cristo privato delle vesti e sua ascesa al Calvario,
nuova spoliazione di Cristo ed innalzamento sulla croce; Crocifissione; Deposizione dalla croce,
lamentazione sul corpo e sepoltura di Cristo; Discesa al Limbo e resurrezione
di Cristo; Le Marie al sepolcro, «Noli me tangere», apparizioni di Cristo
alla Vergine ed a Giuseppe d'Arimatea; Apparizioni di Cristo alle due
Marie di ritorno dal sepolcro, a Giacobbe figlio di Alfeo ed a San
Pietro; 1Cristo appare quattro volte agli Apostoli sul monte Tabor, poi sul
monte degli Olivi, cena ad Emmaus con l'episodio dell'Incredulità di San
Tommaso; Ascensione; Pentecoste. Tali scene avevano lo scopo di suscitare
la compassione delle mona- che per le ultime vicende di Cristo,
illustrando loro l'esempio delle Vergine Maria, non mancando, poi, di
suggerire paralleli con la Vita di San Francesco, e di offrire,
soprattutto nelle rappresentazioni dell'Ultima Cena, della Comunione degli
Apostoli e della Cena di Emmaus, l'occasione di una contemplazione
eucaristica che era loro preclusa dal vivo, durante l'elevazione
dell'ostia nel corso della messa, e cfr., in proposito, A.S. Hoch, The
«Passion» cycle: images to contemplate and imitate amid Clarissan
«clausura», in: The church of Santa Maria Donna Regina: art, iconography
and patronage in fourteenth-century Naples, a cura di Janis Elliott,
Aldershot, Ashgate. Per la traduzione italiana del saggio dal titolo originario
Introduction to an «Iconography of Medieval Architecture», comparso sul
«Journal of Warburg and Cour- tauld Institutes», si veda R. Krautheimer,
Introduzione a un'i- conografia dell'architettura sacra medievale, in
Id., Architettura sacra paleocri- stiana e medievale, Torino, Bollati
Boringhieri, in particolare alle pp. 144ss., comprendente i Poscritti. In
questo saggio Krautheimer propone le sue osservazioni sulla «copia
parziale» architettonica che caratterizza l'imitazione, durante il
Medioevo, dei più prestigiosi edifici sacri non in termini di copia
puntuale e corrispondente («copia totale»), ma di copia rielaborata, e
cfr. al riguardo anche G. Bandmann, Early medieval architecture as bearer of
mea- ning, con introduzione di K. Wallis, e postille di H. J. Boker, New
York, Columbia, traduzione inglese del saggio originale in tedesco Mittelal-
terliche Architektur als Bedeutungstràger, Berlin e W. Schenkluhn, Iconografia
e iconologia dell'architettura medievale, in L'arte medievale nel
contesto: funzioni, iconografia, tecniche, Milano, Jaca. Per alcuni
rilievi critici sulla tesi della «copia parziale», cfr., comunque, B. Brenk,
Originalità e innovazione nell'arte medievale, in Arti e storia nel
Medioevo, a cura Castelnuovo e Sergi, Torino, Einaudi. GAGLIONE rilevava come spesso
l'interpretazione simbolica delle piante degli edifici medievali fosse
avvenuta post factum, e cioè dopo l'effettiva adozione delle forme decisa
per altre motivazioni. Molto frequente- mente, cioè, si è attribuito al
committente ed all'architetto ciò che nell'edificio aveva voluto vedere a
posteriori il teologo medievale, o, altrettanto spesso, solo l'interprete
moderno. Gli importanti studi iconologici di Aby Warburg e, in seguito,
di Erwin Panofsky e di Fritz Saxl hanno contribuito involontariamente
anche a scoper- chiare «una specie di vaso di Pandora» dal quale sono poi
fuoriuscite interpretazioni simboliche a tutti i costi, «per amore o per
forza». Invece, l'indagine sui significati dell'opera architettonica ed,
in ge- nere, dell'opera d'arte dovrebbe essere svolta in modo che quanto
«è possibile» diventi «probabile», perché «la relazione ipotizzata
abbia un carattere di causalità ben definito, rilevabile da numerosi e
dif- ferenti indizi» 64 . Sembra invece che proprio la
mancanza di questi «numerosi e differenti indizi» non consenta di
sostenere né l'ispirazione gioachi- mita degli affreschi, né la pretesa
matrice francescano-spirituale della pianta della basilica di S. Chiara a
Napoli. Gaglione, Krautheimer, Introduzione, cit., p. 146. Traduzione del testo
posto ai margini della Figura XVIII del Liber figurarum, tratto dalla
Concordia Novi ac Veteris Testamenti dall'edizione a cura di Tondelli,
Reeves, Hirsch-Reich, Il Libro delle Figure \ cit., voi. II, tav.
XVIIIa. Come illustrato in questa Figura, da Adamo fino a Giovanni
Battista sono trascorsi sei tempi ormai conclusi, durante i quali il
Signore ha compiute le sue opere sotto la legge ed i profeti, e nel
settimo tempo si è riposato dalle opere del primo stato, infatti la legge
ed i profeti sono perdurati fino a Giovanni Battista. Per tali motivi
occorre attenersi a ciò che affermano i Santi Dottori, in ordine al fatto
che le due età, e cioè la sesta e la settima, trascorrono insieme, sia
perché, compiuti i sei tempi, le anime dei giusti riposano in Cielo, sia
perché al popolo di Dio è stato concesso un tempo sabbatico durante il
quale potesse riposare dalla servitù della legge, una volta acquistata la
libertà dello Spirito Santo, poiché dov'è lo Spirito del Signore lì è la
libertà. Questa definizione delle sei età riguarda propriamente la
persona del Padre poiché, evidentemente, il Padre, per mostrarsi signore
effettivo di tutta la terra, ha preteso dai suoi sudditi l'assoluta
obbedienza dei sei tempi. Com- piutisi questi tempi, in seguito, nel
settimo tempo, il Padre mostra, a coloro che gli hanno obbedito,
l'affetto dell'amore e la libertà della grazia nello Spirito Santo,
perché lo stesso Spirito è amore, e dove c'è l'amore c'è la libertà.
Proprio per questo, infatti, l'Apostolo dice: «dove è lo Spirito del
Signore lì è la libertà». In conformità a tale generale definizione, riguardo
alle sei età del mondo occorre seguire quello che affermano i Santi
Dottori, e cioè che nel sesto giorno feriale è rappresentata la sesta età
del mondo, nel sabato è significata la settima età, e nella domenica
l'ottava età, e poiché il sesto giorno è destinato alla fatica, il
settimo è riservato al riposo. Quel sabato sarà dunque colmo della gioia e
della letizia di tutti gli eletti, e ciò sia perché l'esercito dei santi
martiri e degli altri giusti sarà riunito in Cielo e regnerà con Cristo,
sia perché al popolo di Dio verrà concessa quella tregua sabbatica perché
possa riposarsi dalla fatica della sofferenza che ha sopportato nel corso
dei sei tempi già quasi compiuti, e perchè obbedisca al Signore nella
libertà dello Spirito, poiché dov'è lo Spirito del Signore lì è la
libertà. Questa definizione delle sei età viene comunemente
riferita al Padre ed al Figlio, poiché Padre e Figlio sono un unico Dio.
Infatti, così come ciascuno dei due singolarmente considerato è vero Dio,
altresì considerati insieme essi non sono due dei ma un unico Dio, ed
avviene che alcune opere siano maggiormente somiglianti al Padre ed altre
al Figlio, così che essendo appunto uniti assieme si manifestano in una
forma unica anche se vengono chiamati distintamente con i loro nomi.
Diversa è la persona del Padre come diversa è la persona del Figlio,
tuttavia i due insieme considerati non sono due dei ma un unico Dio. E
poiché l'unico e lo stesso Spirito Santo procede non da uno solo dei due
ma da en- trambi, è chiaro che lo stesso Spirito sia in comunione con il
Padre ed il Figlio dai quali, appunto, procede all'infinito.
Questa definizione dei sei tempi o età concerne più propriamente la persona
del Figlio, il quale Figlio, certamente, per dimostrarsi maestro univer-
sale ha preteso un'assoluta osservanza della disciplina nel corso delle sei
età. Compiuti questi tempi, a coloro che operano con pazienza, Egli
mostra nel suo Spirito abbondanza d'amore e piena libertà di grazia,
poiché il timore non è compatibile con la carità, e perché la perfetta
carità allontana il timore. In questa Figura viene quindi esposto un
grande mistero riguardante particolar- mente la fede cattolica. Tutte le
cose che Dio ha fatto le ha fatte nella sapienza. La vera sapienza
consiste nel conoscere e nel comprendere il Creatore, ed, in particolare,
attraverso le cose che sono state rese visibili, nel comprendere i sui aspetti
invisibili e nel contemplare Colui che ci ha creati. Dice infatti il
Signore nel Vangelo: «il Padre mio opera nello stesso modo nel quale
opero anch'io». Perciò è come se dicesse: mio Padre ha operato così che
attraverso le opere compiute a sua immagine nel primo stato del tempo,
potesse dimostrare di essere vero Signore e vero Dio, ed anche io opero
cose simili in questo secondo stato, così che né il Padre potrebbe agire
senza di me, né io stesso potrei operare senza il Padre, e ciò per dimostrare
di essere identico a mio Padre, poiché egli è Dio così come sono io
stesso Dio, ed Egli stesso è onnipotente così come io sono onnipotente.
E, dunque, le opere del primo stato attengono specificamente alla persona
del Padre, mentre le opere del secondo stato riguar- dano la persona del
Figlio, e, d'altra parte, ad entrambi possono essere riferite le opere di
ciascuno dei due. Il Padre ed il Figlio sono infatti due persone.
Ciascuno di loro è Dio ed al contempo entrambi sono un unico Dio. E così
anche lo Spirito Santo viene detto Spirito del Padre perché procede dal
Padre ed in conformità a lui. Infatti non siete voi a parlare ma è lo
Spirito del Padre vostro che parla in voi. Viene anche definito Spirito
del Figlio perché procede dal Figlio conformemente a lui, secondo quanto
si afferma: «Dio ha immesso nei nostri cuori lo Spirito del Figlio che
dice: Abba, Padre!». Ed altrettanto l'Apostolo dice dello Spirito Santo:
«dove è lo Spirito del Signore Ti è la libertà». La servitù riguarda i
sei giorni ed i sei giorni significano i sei tempi, la libertà invece
concerne il settimo giorno ovvero il settimo tempo. E proprio per questo
il settimo giorno ed il settimo tempo sono denominati sabato e riposo.
Bisogna considerare attentamente che dopo i sei tempi tribolati del primo
stato è stata concessa libertà e riposo nello Spirito Santo, e
considerare altresì fino a che punto il popolo dei fedeli abbia
sopportato la servitù ed il giogo della legge per servire il suo Signore
nella libertà dello Spirito, poiché, come dice l'Apostolo: «non avete
ricevuto lo Spirito della servitù ancora una volta nel timore, ma avete
ricevuto lo Spirito dell'adozione filiale» per il quale possiamo dire:
«Abba, Padre!». Perciò, poiché lo Spirito Santo procede dal Padre ed a
questi spetta il sabato e la libertà, era necessario in conformità a ciò,
che la settima età iniziasse dal momento in cui Cristo è venuto nel
mondo, perché questa età è stata concessa come il sabato per il popolo di
Dio. E per tale ragione è stato inviato nello stesso tempo lo Spirito
Santo, perché iniziasse quella età. Allo stesso modo, dopo i sei tempi
faticosi di questo secondo stato che, in conformità a tale spiegazione, è
iniziato con Ozia, ovvero con Mosè, verrà conferita al popolo Cristiano
la libertà, non vi è dubbio, nello Spirito Santo, affinché si vedano
svelate le cose che fino ad ora risultano ancora oscuramente percepibili
solo come di riflesso. E così noi stessi procederemo di glorificazione in
glorifi- cazione, e dallo Spirito del Signore verrà concessa la pace,
nonché il sollievo wmasSÈ dalla croce perché si possa trovare nel
Signore riposo dalle tribolazioni. Ciò accadrà dopo i sei faticosi tempi
del secondo stato che abbiamo detto essere pertinenti piuttosto al
Figlio, perché lo Spirito Santo dimostri di procedere dal Figlio di Dio.
Esso stesso lo definirò Spirito che procede dal Padre, perchè solo uno e
sempre lo stesso Spirito procede da entrambi. Per questa ragione la
glorificazione della settima età è stata rimandata fino a questi tempi, poiché
i tempi travagliati hanno impedito il riposo del sabato che è stato
concesso solo in parte e non integralmente, fino a che si compiano i
tempi del secondo stato che sono destinati alla fatica dei cristiani. È
dunque per quanto annunziato dal Padre e dal Figlio che crediamo che
ognuno di loro sia vero Dio, e, cioè, che il Padre non sia generato da
alcuno come Dio ed altresì che il Figlio derivi come Dio da Dio. Poiché,
in realtà, il Padre ed il Figlio, dai quali procede lo Spirito Santo, non
sono simultaneamente due dei ma un Dio solo, secondo quanto afferma il
Figlio nel Vangelo dicendo: «Quando verrà lo Spirito Santo che io invierò
a voi dal Padre», occorrerà che si concludano in altro modo le sette età,
in maniera che vengano conteggiate fino a Cristo cinque età, ed, inoltre, la
sesta fino alla definitiva incarcerazione di Satana, ed, ancora, la
settima fino alla resurrezione dei morti. IL SALTERIO A X
CORDE UN'IMMAGINE MUSICALE NELLA RIFLESSIONE TEOLOGICA MEDIEVALE
Questa ricerca si colloca all'interno del seminario tenutosi a Pavia nel
secondo semestre "Teologia e altri saperi nel Medioevo" e vuole
essere un contributo alia comprensione del difficile rapporto tra
teologia e musica in quest 1 epoca. In particolare verra presa in esame
la figura del salterio a dieci corde come esempio di un punto di contatto
tra le discipline. Quello die tradizionalmente e considerato lo strumento
biblico per eccellenza, viene infatti "preso a prestito" da
alcuni ambiti della riflessione teologica medievale, che attraverso una
interpretazione simbolica e allegorica ne arricchisce l'originaria
disposizione. Dopo una introduzione relativa alia storia dello strumento
in epoca biblica e medievale si considereranno nello specifico il
Discorso n. 9 di Agostino, in cui l'autore recupera l'immagme in un
contesto prevalentemente teologico-morale, e si proporra quindi una
disamina del Primo libro del Salterio a dieci corde di F., per mettere in
luce la valenza mistico-escatologica che qui viene attribuita alio
strumento. Il filo conduttore della ricerca consiste dunque nel
rintracciare, nell'ambito di una riflessione che nasce e si sviluppa
aH'interno di un contesto dichiaratamente teologico, ma che trae motivi e
sostegno argomentativo dal riferimento all'immagine di uno strumento
musicale, delle possibili influenze, o in qualche modo degli spostamenti
di traiettoria, dovuti all'interazione tra le due discipline. Una
breve storia del salterio a dieci corde. L'interesse particolare
per il salterio a dieci corde ha origine nel testo biblico. Il Libro dei
Salmi indica questo strumento come il piu adatto per accompagnare il
canto dei versi, e sembra essere attribuita alio stesso Davide una certa
abilita nella pratica di tale arte. Se i risultati della moderna esegesi
sembrano concordare nell'attribuire alia figura di Davide un ruolo
fondamentale nel processo di rinnovamento e di consolidamento di una
pratica musicale aH'interno della comunita ebraica 1, risulta ben piu
problematica la collocazione definitiva dello strumento in questione. La
piu recente traduzione del Testo Sacro, in diversi punti, preferisce
rendere attraverso la locuzione piuttosto generica di "strumento a
corda" dei termini di poco chiara comprensione musicologica. Il
libro della Genesi, particolarmente ricco di riferimenti a pratiche e
strumenti musicali, identifica nel kinnor lo strumento nel quale Davide
eccelle. Dalla narrazione si evincono delle caratteristiche che
potrebbero awicinare come tipologia di strumento il kinnor e la lira
greca chiamata kithara 2 . D'altro canto, pero, la pratica musicale di
tale strumento prevede l'utilizzo di un plettro per pizzicare le corde,
il che sembra essere in contrasto con la traduzione proposta nella
versione dei Settanta: il termine psalterion rimanda infatti
etimologicamente al verbo psallein, che significa letteralmente
"pizzicare con le dita. Nel periodo dei Re la scena musicale di
Israele muta radicalmente: proprio sotto l'impulso di Davide e di
Salomone si sviluppa un'organizzazione e un'istituzionalizzazione delle
pratiche musicali all'interno della comunita. Nasce la figura del
musicista di professione, comincia a distinguersi in modo netto la musica
di corte dalla musica del Tempio, si costituisce una vera e propria
accademia come luogo dell'educazione musicale, e vengono inseriti,
accanto a quelli tradizionalmente usati, nuovi strumenti musicali. Alcuni
di questi, come per esempio il nevel, possono fornire delle utili
indicazioni a proposito del nostro strumento. Il nevel e certamente uno
strumento a corda: nella versione dei Settanta il termine e reso
attraverso l'utilizzo di tre parole distinte, una delle quali e proprio
psalterion. La Una tale interpretazione prende le mosse
direttamente dal testo biblico, che in piu punti sembra concordare
nell'attribuire a Davide il ruolo di "poeta" e di
"musico": cfr. 1 Sam 16, 16; 18, 10; 2 Sam 1, Per l'argomento
del presente capitolo si fara riferimento al testo di C. Sachs, Storia
degli strumenti musicali, Papini, Mondadori, Milano] trasposizione latina di
questo termine tende a far prevalere psalterium in tutti e tre i casi,
tanto che nell'intera Vulgata questo termine occorre diciassette volte.
La traduzione puo far pensare ad uno strumento simile all'arpa: lo stesso
Gerolamo ci informa del fatto che «psalterium lignum illud concavum unde
sonus redditur superius habet. Sembra quindi possibile associare la
struttura del nevel a quella dell'arpa verticale angolare, diffusa sia
nell'area greca che in quella fenicia. La questione e pero ulteriormente
complicata da un altro termine che nel libro dei Salmi compare
frequentemente associato a nevel, ed e legato strettamente alia
problematica del salterio a dieci corde: il termine asor. Questa parola
letteralmente significa "dieci". L'esegesi ha piuttosto
uniformemente interpretato tale accostamento come il riferimento ad uno
strumento musicale con dieci corde. Piu recenti studi musicologici hanno
invece mostrato che il termine potrebbe essere piu correttamente inteso
non come attributo riferito a nevel, ma come sostantivo. Come tale
rimanderebbe quindi ad uno strumento autonomo, a riguardo del quale e
difficile formulare ipotesi. Potrebbe essere infatti proprio questo lo
strumento a dieci corde da cui ha preso spunto la traduzione greca, come
del resto non sembra possibile escludere la possibility che il salterio a
dieci corde sia stata una "invenzione" dei traduttori greci e
latini che non trova una corrispondenza immediata nelle pratiche musicali
ebraiche. La problematica relativa alia classificazione degli
strumenti a corda in epoca medievale e ancora oggi piuttosto incerta.
Sicuramente e attestabile una ampia diffusione di arpe e cetre, che differivano
pero tra loro anche notevolmente per quanto riguarda la forma, le
dimensioni, il numero delle corde e le accordature. Il salterio e senza
dubbio riconducibile alia famiglia delle cetre, e in particolare ad uno
strumento a corde pizzicate provenienti dall'area meridionale del Vicino
Oriente, il qanum. Tale strumento si distingue dal santir, che
costituisce un'altra tipologia di cetra proveniente dall'area asiatica,
la cui pratica musicale prevedeva la percussione delle corde
attraverso l'utilizzo di bastoncini. Sembra interessante sottolineare che
la prima rappresentazione grafica medievale di uno strumento simile al
salterio risale ad un rilievo del 1184 che si trova a Santiago de
Compostela, e che [Dalla lettera di Gerolamo a Dardano. La citazione si
trova in C. Sachs, Storia degli strumenti musicali. Per una disamina
della questione in epoca medievale, oltre al gia citato testo di Sachs,
si veda: Giulio Cattin, La monodia nel medioevo, EDT Edizioni, Torino, 1979;
e Alberto Gallo, La polifonia nel medioevo, EDT, Torino. in generale
tali rappresentazioni sono piuttosto rare prima del '300. Da queste
considerazioni si puo dunque concludere che all'epoca in cui maturano le
riflessioni di Agostino e di Gioacchino da Fiore esisteva uno strumento
chiamato salterio. D'altro canto la sua diffusione comincia ad avere una
certa ampiezza solo in una fase piuttosto tarda del medioevo. Bisogna
infine tenere presente sullo sfondo il difficile rapporto in epoca
medievale tra musica liturgica e pratiche strumentali, che rimane un
tenia di ampio dibattito per la storiografia moderna. Questo sembra
awalorare l'ipotesi secondo cui la ripresa deH'immagine dello strumento
trae origine da un contesto esegetico-teologico molto prima che
dall'osservazione di una pratica musicale vera e propria. Il Discorso n.9
di Agostino "Sul salterio a died corde". Il Discorso di
Agostino "Sul salterio a dieci corde" rappresenta un punto
essenziale per la comprensione e la formazione dell'immagine
"teologica" dello strumento in questione. Le attuali conoscenze
del corpus agostiniano non permettono di individuare con certezza ne la
data ne il luogo in cui tale discorso fu tenuto. Il recupero deirimmagine
del salterio si inquadra in questo caso all'interno di un contesto
propriamente teologico-morale: l'obiettivo e quello di delineare un
percorso di crescita morale per il credente basato sull'osservanza dei
dieci comandamenti. L'argomentazione trova quindi la sua forza nel
parallelismo che si instaura tra i dieci precetti divini e le dieci corde
del salterio. Il punto di partenza consiste nell'indicare la
necessita di trovare un accordo con «l'avversario», che viene
identificato con la parola di Dio, dal momento che «comanda cose contrarie
a quelle che fai tu» 5 . In un certo senso, quindi, l'avversario sarebbe
meglio identificabile con la nostra disposizione interiore, che ci
allontana da un comportamento moralmente corretto in senso cristiano.
Seguire le disposizioni interiori risulta infatti molto pericoloso
nell'ottica agostiniana, in quanto da un lato si e spinti ad assecondarle
poiche procurano un piacere immediato, dall'altro proprio tale piacere e
ricondotto alia sfera del sensibile e rappresenta quindi una minaccia per
la vita ultraterrena. Allora Agostino, Tractatus de decern
chordis; tr. it. P. Bellini, F. Cruciani, V. Tarulli, Trattato sul
salterio a dieci corde; in Agostino, Discorsi; sul vecchio testamento, Citta
Nuova, Roma. perche dovremmo camminare allietati da inutili canti che non
ci porteranno alcun vantaggio, dolci nel presente, amari in futuro? L'emergere
di questo tenia del canto ci permette di riferire lo stesso schema sopra
rilevato alia musica. Sembra delinearsi infatti una concezione
ambivalente di tale disciplina: da un lato, nel suo corretto uso,
rappresenta uno strumento di grande forza ed espressivita interiore, che
puo permettere all'uomo di innalzarsi verso la sfera divina. Dall'altro,
se considerata nella sua dimensione sensibile, puo essere la fonte di un
«appagamento dell'orecchio» che rappresenta un motivo di corruzione. Va
notato che una tale impostazione e riscontrabile in numerosi passi di
Agostino, in primis nel De musica, ed e un'eredita che l'ipponense riceve
da una lunga tradizione filosofica riconducibile come minimo a Platone 7
. La problematica ha avuto una grande fortuna nella discussione della
prima patristica 8 in relazione alle modalita della pratica religiosa, e
rimane uno sfondo obbligato per la comprensione della musica cristiana in
tutto il Medioevo 9 . Su questo sfondo Agostino introduce il tema
piu propriamente morale, recuperando la figura del salterio:
«ecco, porto il salterio, ha dieci corde [...]. Perche e aspro il suono
del salterio di Dio? Cantiamo tutti con il salterio a dieci corde. Vi cantero
quello che dovrete fare. Il decalogo della legge infatti ha dieci
comandamenti». 10 L'asprezza attribuita al suono dello strumento
non e evidentemente da ricondurre ad un ambito musicale, quanto da
intendere in senso figurato come metafora della difficolta del cammino da
compiere per ottenere la benevolenza divina. La giustificazione del
recupero deirimmagine dello strumento e indicata nel legame ideale che
si instaura tra i dieci comandamenti e le dieci corde. In relazione a
questo tema e da rilevare come Agostino, riprendendo una esegesi
molto diffusa, distingua i primi tre comandamenti, e quindi le prime
tre Si veda il VII libro delle Leggi, e il III libro della Repubblica, per
esempio. 8 Un'analisi piu puntuale di tale discussione,
interpretata in relazione alia concezione agostiniana, si trova in: P.
Sequeri, Musica e mistica, Libreria Editrice Vaticana, Citta del
Vaticano, 2005, cap. 2, pp. 45-106. 9 Si veda in particolare
l'ampia discussione sul rapporto tra musica cantata e musica strumentale,
e il problema della musica vulgaris in relazione alia musica liturgica.
Una disamina di tali questioni si trova nei testi gia citati di Giulio Cattin e
Alberto Gallo. 10 Agostino, Sul salterio a dieci corde., corde,
che rimandano ai doveri verso Dio, dai successivi sette, che danno
disposizioni relative al comportamento verso i propri simili. Sebbene
l'intento primario del discorso non sia un intento musicale, la metafora
istituita tra il percorso cristiano e la figura del salterio e portata
fino in fondo: dal corretto utilizzo dello strumento, che corrisponde al
rispetto disciplinato dei comandamenti, emerge il «canto nuovo», che si
contrappone al vecchio proprio come l'uomo nuovo, che nasce a seguito
della venuta di Cristo, si contrappone all'uomo dell'Antico Testamento.
Il canto d'amore che nasce con Cristo prende il posto del timore, che
lega l'osservanza della legge alia paura della punizione divina. E 1
questo il nocciolo argomentativo del discorso, e il tema viene ribadito
in piu punti. Al capitolo 8 Agostino afferma: «Cambiate il
comportamento. Prima amavate il mondo, ora amate Dio. Se lo fate con amore, cantate il canto nuovo.
Se lo fate con timore, ma lo fate, portate si il salterio, ma ancora non
cantate» n . Nel capitolo 13, che rappresenta il culmine del
discorso, l'argomentazione viene ribadita attraverso l'utilizzo di una
metafora che le conferisce una grande forza persuasiva. L'osservanza
dei comandamenti deve implicare contemporaneamente un atto di
ringraziamento a Dio per la grazia concessa, e un atto di repulsione e di
lotta interiore contro la passione sensibile. Il credente, quindi, deve
comportarsi da un lato come il suonatore di cetra che innalza le sue lodi
a Dio, dall'altro come il gladiatore che uccide senza compassione le
belve nell'arena. Il passo merita di essere citato testualmente:
«Negli spettacoli dell'anfiteatro il gladiatore e diverso da chi
suona la cetra. Nello spettacolo di Dio unica e la persona. Tocca le
dieci corde e ucciderai le dieci belve: fai insieme tutte e due le cose.
Tocchi la prima corda, con la quale si comanda di adorare un solo Dio,
cade la bestia della superstizione. Tocchi la seconda corda con la quale
non pronunci erroneamente il nome del Signore tuo Dio, cade la bestia
dell'errore delle nefande eresie che hanno creduto falsamente. Tocchi la
terza corda, per cui qualunque cosa fai la fai per nella speranza del
riposo futuro, viene uccisa la bestia, piu crudele delle altre,
dell'attaccamento a questo mondo. Lo stesso discorso vale per i successivi
sette comandamenti, che enunciano i nostri doveri verso gli uomini, fino
a che 11 M, p. 165. 12 Ivi, p. 173. «cadute
tutte le bestie ti trovi sicuro e innocente nell'amore di Dio e in mezzo
alia societa umana. Quante bestie uccidi toccando le dieci corde! Molti
capi infatti si nascondono sotto questi vizi capitali. Nelle singole
corde non uccidi singole bestie, ma greggi di bestie. Facendo in questo
modo canterai il canto nuovo con amore, non con timore. Il «canto
nuovo», dunque, si puo innalzare attraverso l'osservanza dei comandamenti
divini. Si istituisce cosi una contrapposizione tra l'uomo vecchio
dell'Antico Testamento che basa sul timore l'osservanza della Legge
divina, e l'uomo nuovo che nasce con la rivelazione di Cristo che basa
sull'amore verso Dio e verso il prossimo la propria condotta. In questa
contrapposizione e centrale l'elemento del canto: il canto esteriore, che
si fonda sull'appagamento sensibile, rappresenta la pratica musicale
dell'uomo vecchio, mentre il canto interiore, che innalza il nostro animo
a Dio, e proprio dell'uomo nuovo. E' quindi significativo come,
attraverso il ricorso alia musica, Agostino voglia argomentare la
pericolosita delle passioni terrene. Nella sua intrinseca ambivalenza e
nella sua sfuggente duplicita, proprio la musica diventa il modello della
fragilita e della corruttibilita dell'uomo: anche un elemento
apparentemente cosi puro e spirituale puo trasformarsi in una causa di
corruzione per colui che non si comporta in conformita alia parola di
Dio. L'ammonimento, che trova il suo motivo e il suo compimento
all'interno di un contesto teologico-morale, risulta certamente
arricchito e reso persuasivo attraverso il ricorso a questa metafora
musicale. Negli ultimi capitoli del discorso Agostino, seguendo uno
schema piuttosto consolidato, traduce l'argomentazione fino a questo
punto esposta in un lessico neotestamentario: il decalogo di Mose puo
essere sintetizzato nelle formule evangeliche «ama il prossimo tuo come
te stesso» 14 e «non fare agli altri cio che non vuoi sia fatto a te» 15
. Conseguentemente, l'immagine del canto interiore ed esteriore
viene riformulata attraverso l'espressione «siate cristiani, perche e
troppo poco chiamarsi cristiani». 16 E' importante notare
come le riflessioni qui proposte siano presenti, seppur in maniera meno
sistematica, nei commenti di Agostino ai Salmi: nel commento al Salmo 32
compare il paragone tra i dieci 13 Ivi, p. 175.
14 Mt 19, 19; Mc 12, 31; Lc 10, 27. 15 Mt 7, 12; Lc 6,
31. 16 Agostino, Sul salterio a dieci corde. comandamenti e le
dieci corde del salterio, nel commento al Salmo 143 il tema centrale del
canto nuovo che nasce attraverso la carita 17 . Questo particolare e di
una certa rilevanza per la nostra ricerca, dal momento che permette di
dare per scontata la conoscenza delle posizioni agostiniane da parte di
Gioacchino da Fiore. E 1 del tutto implausibile infatti pensare che
l'abate cistercense non conoscesse il testo delle Enarrationes, mentre
non sarebbe altrettanto da dare per scontata la conoscenza del Discorso
fin qui considerato. Senza voler in questa sede risolvere un problema che
meriterebbe una piu approfondita indagine storiografica, si vuole
rilevare che la ripresa delle posizioni agostiniane da parte di F., in
questo contesto argomentativo, si riferisce sicuramente ai passi citati
dell 1 Esposizione sui Salmi, mentre sembra trascurare alcuni elementi
che pur assumono una importanza non secondaria nel Discorso.
4. Il "Salterio a dieci corde" di F.: il contesto storico
e il Prologo Lo Psalterium decern chordarum rappresenta il
principale contributo di F. sul tema della trinita, ed e dunque da
inquadrare aH'interno di uno dei dibattiti piu accesi della discussione
teologica del XII secolo. In seguito al confronto, di vastissima
risonanza, che vide contrapposte le figure di Abelardo e di Bernardo di
Clairvaux, la disputa fu ravvivata dalla pubblicazione delle Sententiae
di Pietro Lombardo, tra gli anni 1155-1157. Le tesi contenute in
quest'opera suscitarono aspre [Si veda anche il commento al Salmo 91 dove
compare il tema sintetizzabile nella massima «siate cristiani, non ditevi
cristiani». Un altro tema particolarmente ricorrente nelle Enarrationes
consiste nella differenza tra la cetra e il salterio.
Nell'interpretazione agostiniana infatti in relazione alia differente
disposizione della cassa di risonanza i due strumenti rappresentano lo
spirito (il salterio, che ha la cassa disposta verso l'alto) e la carne
(la cetra, la cui cassa e invece orientata verso il basso). Il tema
compare in diversi passi: si veda 70 d 2, 11; 80, 5; 97, 5; 150, 6-7.
Particolarmente interessante e la formulazione nel commento al Salmo:
«c'e una differenza tra la cetra e il salterio. Gli esperti dicono che il
salterio ha nella parte superiore quel legno concavo su cui sono tese le
corde e fa da cassa di risonanza, mentre la cetra lo ha nella parte
inferiore». Il riconoscimento di un particolare cosi macroscopico non
sembra certo necessitare il riferimento a giudizi "esperti". Si
potrebbe pensare, addirittura, che Agostino non avesse mai visto
personalmente gli strumenti in questione. critiche da parte di diversi
opposition 18, tra i quali proprio F.. Quest'ultimo, infatti, prende una
posizione decisa contro gli argomenti sostenuti dall'allievo di Abelardo,
fino al punto di vedere condannata la sua stessa opera nel IV Concilio
Lateranense. Il nocciolo della disputa e la distinzione tra sostanza e
persone divine, che risulta comunemente accettata nelle principali scuole
teologiche del XII secolo. F. arriva a sostenere la «follia» di una
tale impostazione, teorizzando, al contrario, la perfetta compenetrazione
e corrispondenza tra la sostanza e le persone della trinita. Nella sua
ottica, l'unita inscindibile che caratterizza la trinita non puo
prevedere distinzioni di alcuna sorta: e piuttosto il carattere
relazionale che permette di garantire la fusione perfetta tra le tre
persone, e alio stesso tempo il loro riconoscimento singolare, come
dimostra chiaramente la figura del salterio. Distinguendo la sostanza
dalle persone della trinita, invece, Lombardo «e come se mettesse tre
dieci al posto delle tre persone, e un quarto dieci al posto della
sostanza, come se Dio non fosse trinita, ma una quaternita» 19 . La
figura argomentativa che viene posta al centro della critica e quella
tradizionale dei tre rami provenienti dalla stessa radice: la sostanza,
secondo questa metafora, sarebbe distinguibile dalle tre persone divine,
proprio come i rami lo sono dalla radice, dalla quale pure tutti sono
generati. Per F., al contrario, l'immagine a cui si dovrebbe fare ricorso
e quella dell'acqua, che come linfa vitale scorre aH'interno dei rami
stessi. Da questi passi si puo dunque intuire come l'obiettivo polemico
principale sia proprio l'autore delle Sententiae, anche se e da rilevare
che il suo nome non viene mai citato esplicitamente. I nomi che ricorrono
in piu punti, invece, sono quelli degli eretici Sabellio e Ario, le cui
eresie consistono nel ridurre, il primo, la trinita ad una sola persona
20, mentre il secondo nel separare in modo inconciliabile le tre persone,
che vengono distinte per grado dimensionale: «come se al Padre offrisse
dieci, al Figlio cinque, alio [Si ricorda ad esempio Gerhoh di
Reichersberg, le cui posizioni ebbero grande influenza sul Papa
Alessandro III, e Giovanni di Cornwall. Per un'analisi piu puntuale del
dibattito si veda G. L. Potesta, J/ tempo dell'Apocalisse. Vita di F., Laterza,
Roma Bari. G., ll salterio a dieci corde, tr. it. di F. Troncarelli, K. V.
Selge, Viella, Roma. Sabellio teorizza infatti la rigorosa unita e
indivisibility di Dio, formato da una sola persona, l'ipostasi, e tre
nomi, che descrivono le diverse forme o attributi propri della sua
manifestazione. Il figlio e lo Spirito Santo sono quindi soltanto
"modi" dell'apparire del Padre scelti in base al proprio
volere. Spirito Santo un numero piu piccolo». 21 La stesura
dell'opera si colloca all'interno di una vicenda biografica particolare,
di cui e lo stesso F. ad informarci. Il Prologo dell'opera, infatti,
consiste in un ripensamento a posteriori sulla genesi di questo «opuscolo
dedicato alio Spirito Santo», che rappresenta la terza delle sue opere
principali 23 . Il tenia principale su cui si insiste in queste pagine e
la spontaneita e l'immediatezza che hanno caratterizzato l'elaborazione e
la stesura di tale opera. Gli anni in cui questo awiene sono quelli del
soggiorno presso l'abazia di Casamari: anni di grande entusiasmo
intellettuale, in cui F., «lontano dagli affari del mondo, o quasi»,
arriva a sentirsi addirittura «un abitante della citta superiore, celeste
di Dio» 24 . Si tratta degli anni tra il 1182 e il 1185, in cui gli
sforzi intellettuali dell'abate sono rivolti alia Concordia Novi ac
Veteris Testament^ che sara portata a termine solo qualche tempo piu
tardi. E 1 proprio durante la stesura di quest'opera, infatti, che
l'animo di Gioacchino viene scosso da una inaspettata «esitazione nella
fede della trinita» 25, che impone una riflessione su questo difficile
argomento. Il lavoro sulla Concordia viene quindi interrotto,
nell'interesse di una problematica costitutiva ed imprescindibile per
qualsiasi riflessione teologica. La stessa immediatezza che caratterizza
il sorgere del problema si ritrova nel percorso che porta alia scoperta
di una soluzione: «pregai [lo Spirito Santo] che si degnasse di
mostrarmi il sacro mistero della Trinita. E dicendo questo incominciai a
cantare i salmi. [...] Ed ecco subito mi si presento all'animo l'immagine
del salterio. F., II salterio a dieci corde. La tesi fondamentale di Ario
consiste nella negazione della consustanzialita tra il Padre e il Figlio, a
partire dall'idea che l'unita di Dio e incompatibile con la pluralita
delle persone divine. Il Figlio, quindi, non ha la stessa natura del
Padre, ma e la sua prima creatura, con la conseguenza che l'incarnazione
e la resurrezione di Cristo non possono essere considerati eventi divini.
il dibattito sull'arianesimo infiammo la disputa teologica del IV secolo,
e si concluse con la condanna delle tesi di Ario durante il Concilio di
Nicea. F., Il salterio a died corde, cit., p. 4. 23 Le altre
due opere che costituiscono il corpus principale gioachimita sono la
Concordia Novi ac Veteris Testamenti e I'Expositio in Apocalypsim. Va qui
notato che l'indicazione del "Salterio a dieci corde" come
"terza" opera e sostenuta conformemente alle istruzioni date
dallo stesso F.. Tale affermazione non e riconducibile a ragioni
cronologiche, quanto probabilmente ad un ripensamento tematico sui propri
scritti da parte dell'autore. F., Il salterio a dieci corde. 10 a
dieci corde e racchiuso nella sua forma stessa in modo chiaro e
comprensibile il mistero della trinita» 26 . Una vera e propria
illuminazione, che scaturisce dalla grazia divina: un percorso che sembra
orientarsi ben piu sul versante mistico che su quelle-
speculativo-razionale. In questo contesto il tenia del canto riveste un
ruolo essenziale, come chiave di accesso ad un'intima comunicazione con
la parola di Dio. Il concetto viene ribadito in un altro passo del
Prologo: «quando, con fervore di novizio cominciai ad amare il
canto dei salmi a causa di Dio, molti aspetti della scrittura divina che
prima leggendo non avevo potuto investigare, cominciarono a
dischiudersi a me che cantavo i salmi in silenzio. Il carattere mistico
del canto, che puo innalzare lo spirito verso quei misteri che risultano
oscuri alia lettura razionale, emerge in queste righe con estrema
efficacia. Alio stesso tempo, pero, non si puo trascurare l'elemento del canto
silenzioso, che sembra rimandare invece all'altro versante della
concezione platonico-agostiniana: la valenza corruttrice dell'elemento
sensibile. Un canto che viene quindi ricercato in un grado tale di
purezza da poter arrivare addirittura ad annullare se stesso.
L'indicazione di F., in questo punto, non sembra volersi spingere fino a
questa paradossale conclusione, che pur e stata teorizzata da diversi
autori in epoca medievale. Il recupero dell'elemento musicale, come si
vedra, procede piuttosto in conformita all'impianto complessivo
dell'opera, finalizzato ad «esaltare le potenzialita figurali e le
implicazioni visive della Sacra pagina. L'idea e di attingere a un
repertorio di enti visibili per accedere ah"invisibile. Si potrebbe
dire che l'elemento figurato incarna ed esplica, in un certo senso, il
contenuto di verita degli argomenti teorici qui proposti. Se da un lato
questa incarnazione segna anche il punto di partenza per un percorso
spirituale che, pur procedendo al di fuori del confine della razionalita
logica, puo innalzare alle sfere del divino, dall'altro lato la coerenza
argomentativa non puo essere garantita se non all'interno del riferimento
ad un elemento materiale, esperibile, concretamente attingibile. Il canto
silenzioso non sembra quindi poter arrivare ad eliminare la musicalita
del canto sensibile, quanto piuttosto si caratterizza come la prova
tangibile di un dissidio non ancora risolto, Potesta, II tempo
dell'Apocalisse, di un'ambivalenza strutturale nell'interpretazione della
musica, che dovra passare anche il confine del XII secolo prima di
trovare una soluzione. La struttura dell'opera permette una
divisione interna in due parti: la prima comprendente il libro primo, la
seconda il libro secondo e terzo. Tale distinzione interessa sia il
contenuto semantico, sia il periodo di stesura: e lo stesso F. ad
informarci del fatto che il secondo e il terzo libro «non li scrissi ne
in quel luogo ne in quell'epoca, ma dopo circa due anni». E 1
un'informazione non sorprendente alia luce del contenuto, che sembra
separato da una linea ben definita. La differenza consiste nel fatto che,
mentre nella prima parte il "salterio" rappresenta lo strumento
musicale fin qui considerato, e la sua ripresa e relativa alia disputa
sulla trinita, lo stesso termine viene usato nella seconda parte per
indicare il libro biblico dei Salmi, a partire dal quale viene costruita
una prospettiva escatologica ed esegetica che si basa sul numero 150, che
corrisponde appunto al totale dei Salmi. Se la prima parte si
contraddistingue, come visto, per il carattere di immediatezza e
spontaneita della riflessione, la seconda appare, invece, certamente piu
pensata, piu costruita, in riferimento ad un ingente e puntuale recupero
del testo sacro. Caratteristiche che la avvicinano certamente piu alia
produzione escatologica di Gioacchino, che non al resto dell'opera. Si
potrebbe pensare, come afferma Potesta, che il materiale che forma questi
libri sia il risultato di una serie di appunti raccolti in circa un
decennio di riflessioni sulla Concordia e sull'Expositio, e che trova una
sistemazione definitiva piuttosto tarda. In ogni caso e evidente che e la
prima parte dell'opera ad interessare piu direttamente il tema della
nostra ricerca. Sara questa, dunque, l'oggetto del prossimo paragrafo. Il
"Salterio a dieci corde" di F.: il Libro Primo Il
Primo libro del Salterio a dieci corde parte dall'immagine dello
strumento musicale per indagare la «ricchezza dei misteri» in essa
contenuti. Misteri che derivano dall'origine divina, per cui «niente puo
esservi di sterile o vano» 30 . Il riferimento e, ovviamente, in primo
luogo al testo biblico, e in particolare alia figura di Davide, autore
dei Salmi, F., Il salterio a dieci corde.di cui vengono citati alcuni
passi che rimandano all'utilizzo del salterio nelle pratiche liturgiche
ebraiche 31 . La struttura del libro risulta divisa in sette capitoli, o
"distinzioni", in cui progressivamente vengono introdotti nuovi
elementi per una comprensione che passa dal piano della semplice
descrizione alio svelamento della prospettiva escatologica contenuta
nella forma dello strumento. La prima distinzione introduce la
figura del salterio, che viene descritto come uno strumento «bello di
forma, aggraziato per il suono, soave per la modulazione» 32 . Le
caratteristiche che compaiono in questo passo sono notevolmente diverse
da quelle che si sono viste prevalere nella descrizione agostiniana, in
cui «aspro e il suono dello strumento di Dio» 33 . Il riferimento e il
confronto con gli elementi contenuti nelle Enarrationes appare del resto
evidente fin dalle prime righe del capitolo: F. riprende, seppur in
maniera estremamente sintetica, la distinzione tra il salterio e la cetra
nella loro differente funzione spirituale, il paragone tra le dieci corde
e i dieci comandamenti, la differenza tra le prime tre corde e le
successive sette. E in seguito compare il tema dell 1 «uomo nuovo che e
stato creato a immagine di Dio» 34, che nasce dal "canto nuovo"
del salterio. Se e facile dunque riconoscere sullo sfondo la presenza e
la conoscenza delle tesi agostiniane, risulta altrettanto semplice vedere
come F. proceda, ben presto, verso l'elaborazione di un percorso
autonomo, che per alcune implicazioni e addirittura contrastante con le
posizioni dell'ipponense. Sal. 80, 3: "Intonate il cantico e suonate
il timpano, il giocondo salterio e la cetra"; Sal. 150, 3:
"Lodatelo col suono della tromba, lodatelo col salterio e la
cetra". 32 F., II salterio a dieci corde, Agostino, Sul
salterio a dieci corde, cit., p. 159. 34 Ef. 4, 24. 35
La problematica relativa al complesso rapporto tra Agostino e F. esula
dagli obiettivi di questa ricerca. Si vuole d'altra parte richiamare, almeno
in termini generali, lo sfondo entro il quale collocare la discussione.
Potesta indica proprio nel «confronto a distanza con l'inquietante ombra
di Agostino un motivo per capire il laborioso ed esitante procedere della
ricerca teologica di F. (Potesta, Il tempo dell'Apocalisse, cit., p. 8).
Il termine centrale del dibattito consiste nel divieto espresso da
Agostino di interpretare l'Apocalisse in chiave millenaristica. Questo
rappresenta un grande scoglio per lo sviluppo complessivo della ricerca
dell'abate calabrese, interessato, in primo luogo, proprio ad
un'interpretazione della storia a partire dall'analisi del testo dell'Apocalisse.
In particolare, la chiave di volta del pensiero gioachimita si basa
sull'interpretazione dei versetti del capitolo 20 come preannuncio di
un'epoca terrena di cui e imminente l'instaurazione. Su questo sfondo
diversi sono gli elementi di incompatibilita tra i due pensatori, che
riguardano del resto le opere in cui la [Il punto di partenza di questo
percorso consiste nell 1 inter pretare in primo luogo il salterio secondo
la sua forma esterna, senza fare riferimento alia natura delle corde, che
invece rappresenta il principale motivo di interesse della ripresa
agostiniana. La forma triangolare rimanda alia perfezione e alia natura
inscindibile dell'unita trinitaria: ad ogni vertice puo infatti essere
associato il nome di una delle tre persone, come si puo vedere dalla
figura 1 riportata in Appendice. Si puo quindi immediatamente notare come
ogni persona sia costitutivamente messa in relazione alle altre: proprio
come il vertice non puo essere individuato se non come punto di incontro
delle rette che provengono dagli altri due. L'intero spazio delimitato
dalla figura si caratterizza quindi come uno spazio indissolubilmente
unitario, in cui ogni elemento non puo che definirsi nel rapporto con il
tutto, ma alio stesso tempo e individuabile in uno dei tre vertici. In
questo complicato rapporto e l'elemento relazionale a fondare le
possibility di comprensione da parte della mente umana: ogni persona non
e pensabile se non come relazione che si instaura con le altre due.
«ll concetto di trinita si riferisce, dunque, alia categoria di
relazione a qualcosa; e ugualmente quello di unita: la trinita a evitare
il singolare della parola di persona; l'unita a evitare la divisione
nel concetto di sostanza». 36 Sullo sfondo del riferimento
polemico alle tesi di Lombardo, risulta evidente come sia dunque la
categoria di relazione ad indirizzare e guidare la mente
neiravvicinamento ad un mistero che per sua essenza rimane inarrivabile
per le nostre facolta razionali. Di fronte a questa presa di coscienza
non e piu concesso cercare di spingersi oltre, quanto piuttosto e da
accettare la massima di Bernardo secondo cui «voler investigare cio e
orgoglio, crederlo e pieta». Non resta dunque che un atto di fede di
fronte ad un tale mistero, che per sua natura rimane «ineffabile».
L'ineffabilita di tale mistero sembra riaprire nella prospettiva
escatologica emerge in modo prevalente, come nel caso dell' Expositio.
L'interesse per l'Agostino musicus e quindi del tutto marginale, nel complesso
del pensiero di F., e viene qui richiamato solo per favorire la
comprensione della particolarita dell'approccio gioachimita nei confronti
dello strumento del salterio. Un tale confronto, del resto, potrebbe
fornire qualche interessante indicazione per una comprensione piu
generale del problema. F., II salterio a died corde. L'utilizzo di questo
termine per descrivere Palterita del mistero trinitario rispetto alia
nostra comprensione razionale avvicina curiosamente la riflessione di F.
ad un'area di indagine che ha avuto grande fortuna nell'eta
moderna, riflessione uno spazio per l'elemento propriamente musicale: tra
le arti e tradizionalmente la musica, infatti, proprio a causa della sua
non corrispondenza con un corpo sensibile, della sua costitutiva
impalpability, ad avere il carattere piu sfuggente, apparentemente altro.
Ineffabile, appunto. Di fronte al fallimento delle nostre facolta
razionali, che devono dichiarare la resa, resta quindi all'uomo ancora
una possibility per mantenere aperto uno spiraglio, un punto di contatto
con il mistero divino: l'elemento musicale, attraverso cui esprimere la
propria invocazione di lode a Dio. Il salterio, in queste pagine, cessa
di essere interpretato esclusivamente come una forma geometrica per
cominciare ad essere considerato secondo la sua disposizione originaria
di strumento musicale. Ai vertici si puo quindi collocare il termine
"Santo", che ripetuto tre volte rappresenta la perfezione del canto
di lode, mentre nel foro della cassa di risonanza si puo inscrivere il
nome del "Signore Dio degli eserciti", simbolo dell'onnipotenza
divina. E proprio questo foro da un lato rappresenta l'elemento da cui
scaturisce la vibrazione sensibile che rende udibile il canto, dall'
altro il fine stesso verso cui tale canto e rivolto. L'ultimo passo
compiuto da F. in questa prima distinzione consiste nel mettere in
relazione proprio questi due elementi geometrici che contraddistinguono
la forma del salterio: il triangolo e il cerchio. Questa caratteristica
permette di rimarcare la sfuggente natura del mistero trinitario: nei
vertici del triangolo sono infatti distinguibili le persone divine, e d'
altro canto il cerchio simboleggia la loro intima connessione che forma
un'unita inscindibile. La metafora puo essere estesa al fatto che proprio
in questa unita, cioe nell'elemento circolare che rappresenta la cassa
armonica da cui fuoriesce il suono, lo strumento compie la sua funzione.
La correttezza dell'argomentazione e ulteriormente giustificata attraverso
il riferimento al versetto di Apocalisse 1, 8: "lo sono l'alfa e
l'omega". L'essere atemporale di Dio, il suo essere al principio
come nella fine, e espresso in questo passo biblico proprio in relazione
alia prima e all'ultima lettera dell'alfabeto greco, le cui
raffigurazioni grafiche consistono in un triangolo e in un cerchio. Il
riferimento al passo biblico conclude gli sforzi di F. in questa prima
distinzione: la perfezione del salterio, attraverso cui si incarna in una
forma compiuta il mistero trinitario, eleva ad una proprio nell'ambito
della riflessione filosofico-musicale: si veda Jankelevitch, La musica e
Vineffabile. Sebbene non si possa attribuire a F., evidentemente, alcuna
intenzionalita nell'utilizzo di questo termine, il confronto tra le
prospettive potrebbe portare ad interessanti conclusioni. prospettiva che
permette di abbracciare la perfezione dell'immagine di Dio nella pienezza
dei tempi. Di fronte a questo la ragione e costretta a fermarsi, e
proprio in quel punto deve cominciare il canto. Nella seconda distinzione F.
insiste sull'elemento relazionale come chiave interpretativa e risolutiva
del mistero della trinita. Ricorrendo ancora una volta aH'immagine del
salterio, la prospettiva e delineata attraverso l'osservazione per cui i
tre vertici non possono essere considerati elementi autonomi, ma
relazionali, prodotti dall'unione di due rette secanti. Rette che
rappresentano proprio l'unione di ogni vertice con gli altri due, in modo
che nessun punto potrebbe esistere se non in riferimento agli altri. Lo
spazio che pertiene ad ogni persona, non e pero da intendersi come il
singolo punto isolato, ma come l'angolo avente il suo vertice in quel
punto, che come tale e rappresentato dall'area che sta in mezzo ai lati
dell'angolo stesso. Si puo notare, quindi, che lo spazio di ogni persona
coincide con l'intera area del triangolo. Anzi, ogni area si costituisce
in quanto tale, cioe come porzione delimitata di spazio, proprio
attraverso la relazione con le altre due, che le impediscono di
estendersi all'mfinito. La terza distinzione contiene una discussione
prettamente teologica sugli attributi delle tre persone divine, e
riguarda in modo meno diretto il tema della nostra ricerca. Si vuole solo
osservare come anche questa prospettiva permetta a F. di insistere sul
concetto di relazione come elemento centrale per una corretta
interpretazione del problema: la potenza, la sapienza e la carita,
caratteristiche che vengono tradizionalmente attribuite al Padre, al
Figlio e alio Spirito Santo, non sono da concepire come elementi distinti
e separabili tra loro, dal momento che «tutta la trinita e perfetta
potenza, tutta la trinita e perfetta sapienza, tutta la trinita e
perfetto amore. Conseguentemente «non sono maggiori o hanno di piu le tre
persone, di quello che ha ciascuna, e non ha meno una, di quello che
hanno le tre insieme. Nella quarta distinzione si introduce
un nuovo elemento nell'interpretazione del salterio, che consiste
nell'osservare che il vertice superiore non e rappresentato attraverso un
singolo punto, ma da un segmento. Questo esprime la priorita del Padre da
cui viene generato il Figlio e successivamente lo Spirito Santo, che
procede da entrambi. L'argomentazione assume in queste pagine dei tratti
piuttosto originali, strutturandosi sulla base di un parallelismo
ricercato tra F., II salterio a died corde. l'argomento teologico e
la nostra modalita di scrittura. Il procedere della scrittura cristiana
da sinistra verso destra starebbe infatti a conferma del fatto che la
creazione ha inizio col Padre, che genera in primo luogo il Figlio (lato
e vertice sinistro), la cui unione produce lo Spirito Santo (inteso come
vertice destro). Al contrario, stando alle Scritture, in epoca ebraica
Cristo e stato concepito attraverso il corpo di Maria «per opera dello
Spirito Santo» Questo fatto e testimoniato dal procedere della scrittura
ebraica da destra verso sinistra. F., del resto, si rende conto che gli
elementi introdotti in queste pagine potrebbero indurre a pensare a una
differenza di grado tra le persone divine, il che sarebbe assolutamente
errato. E 1 necessario, quindi, spingere la lettura interpretativa ancora
piu in la, osservando che il segmento superiore e tale dal momento che in
origine non e soltanto il Padre, ma l'intera trinita, poiche «presso Dio
non c'e mutamento, ne l'ombra della vicissitudine. La forma trapezoidale
del salterio indica quindi che, fin dal principio, erano presenti le tre
figure della trinita: e questo l'argomento della quinta
distinzione. Il confronto tra la particolare considerazione del
salterio che viene fatta nella quarta e nella sesta distinzione, permette
di mettere in luce ancora una volta la peculiarity della riflessione di F.
che, basandosi sul recupero di un'immagine "musicale", oscilla
tra le due sponde della rigida argomentazione teologica e dell'emozione
mistica rappresentata dal canto. Il termine "Onnipotente" che
compare nel vertice del Padre viene qui sostituito da
"chiediamo": il salterio torna a essere uno strumento musicale
attraverso cui innalzare la nostra invocazione al divino. Ancora una
volta, di fronte all'incertezza della ragione, che si trova a dover
contemplare l'incommensurabile perfezione dell'eterna esistenza di Dio,
sopravvive l'elemento musicale, inteso da un lato come strumento di
comprensione mistica del mistero divino, dall'altro come ringraziamento
per la grazia concessa. Su questo sfondo F. riprende il filo della
riflessione teorica: l'affermazione dell'eterna esistenza della trinita
lascia aperto il problema relativo al suo manifestarsi all'interno del
tempo umano: perche il divino, essendo trino fin dal principio, non si e
da subito rivelato all'uomo nella sua essenza piu autentica?
La domanda introduce all'interno di una prospettiva escatologica,
che F. argomenta attraverso una riflessione sul percorso di maturazione
dell'uomo. Dio ha dovuto in un certo senso aspettare che 41
Mt 1,18; Lc 1,26-38; Gv 1,6. 42 Gcl,17. 17 l'uomo fosse
in grado di comprendere la sua rivelazione: per questo a quel «popolo
ancora rozzo» 43 che fu quelle- dell'Antico Testamento si mostro solo come
Padre, perche la sua natura trina sarebbe stata fraintesa in senso
politeista. In seguito solo a qualche spirito particolarmente elevato,
come quello dei profeti, e stato dato di comprendere il mistero, come
dimostra Isaia che in piu punti si rivolge "apertamente" al
Figlio: «Signore, chi crede al nostro udito, e il braccio di Dio a chi e
stato rivelato? E salira come un virgulto davanti a lui e come una radice
dalla terra assetata» 44 . Solo con l'avanzare della maturazione
dell'uomo, cioe con il popolo cristiano, «piu vecchio nell'eta» 45, Dio
si e potuto mostrare nella sua reale essenza. A questo schema
apparentemente binario, che si struttura in riferimento alia
contrapposizione Antico-Nuovo Testamento, F. fa seguire
un'interpretazione ternaria del tempo della storia dell'uomo, che viene
suddiviso in riferimento alle figure della trinita. L'argomento viene meglio
sviluppato nel libro secondo, in cui all'epoca del timore e a quella
dell'amore, che tradizionalmente corrispondono al tempo della Legge e
quello inaugurato con la venuta di Cristo, F. fa seguire una terza epoca,
che sta per cominciare, sotto il segno dello Spirito Santo. Proprio
questa epoca rappresenta il culmine del disegno divino: come la prima fu
quella del Padre, e la seconda non solo del Figlio, ma del Padre e del
Figlio insieme, cosi la terza sara l'epoca della trinita nella sua unita
perfetta, in cui saranno presenti nello stesso tempo il Padre, il Figlio
e lo Spirito. Di fronte aH'imminenza di questo tempo, che rappresenta il
trionfo dei giusti, l'intento e quello di ammonire «coloro che abitano in
mezzo a Babilonia, a fuggire da essa» 47 . Il richiamo al secondo libro
permette di notare F., II salterio a died corde. 44 Is
53,1. F., Il salterio a died corde. La compresenza di questi due modelli
escatologici nel pensiero gioachimita e stato fin da subito una questione
centrale tra gli studiosi. Attorno a questo nodo si e infatti orientato
il dibattito ecclesiastico sulla duplice reputazione dell'abate, che da
un lato poteva essere letto come ortodosso (in relazione al modello
binario), dall'altro eterodosso (ponendo l'accento su quello ternario).
La storiografia successiva ha a lungo sottovalutato il problema. Alcuni
studiosi hanno provato ad interpretare il modello binario in relazione
alia prospettiva storica e quello ternario a quella mistica. Si noti che
la questione costituisce un altro elemento di forte distanza tra il
pensiero di F. e quello di Agostino. Per una piu curata riflessione sul
tema si veda ancora: G. L. Potesta, Il tempo dell'Apocalisse, cit.
47 F., Il salterio a died corde, cit., p. 172. La citazione rimanda
al versetto di Ap. 18, 4.18 come anche in questo contesto il limite
della comprensione razionale, che si deve arrestare di fronte alia
grandezza del disegno divino, rappresenta l'inizio di un nuovo percorso
dove assolutamente centrale e l'elemento musicale: «a noi ormai deve
bastare di avere in questo modo e fin qui contato le corde. [...] E 1 il
tempo di dover cantare e salmodiare»Tornando alia sesta distinzione, F.
procede facendo corrispondere alia tripartizione della storia tre
tipologie di figure umane, distinte tra loro in riferimento alia propria
mansione principale. Al livello piu basso si collocano i laici, di cui e
proprio il lavoro manuale, poi i chierici, che hanno come compito lo
studio e l'insegnamento, e infine i monaci che si caratterizzano per il
canto di lode e la salmodia. E 1 da notare come il percorso che si
delinea attraverso queste tre figure non rappresenta solo il
riconoscimento di una differenziazione sociale tra gli uomini, ma e anche
l'indicazione per una crescita individuale che innalza l'animo verso Dio.
Questi tre stadi sono resi da F. attraverso una similitudine: «nello stato di
timore baciamo i piedi, in quello di apprendimento baciamo le mani, nella
salmodia baciamo la bocca». E dunque «e buono l'inizio nel bacio dei
piedi, meglio la perseveranza nel bacio della mano, l'ottimo e il
compimento nel bacio della sua bocca». L'elemento della bocca viene in
questo contesto recuperato, sulla scia di un'esegesi molto diffusa, per
intendere il mezzo attraverso cui si dispiega nel mondo la creazione e
prende forma il Verbo. Questo rimando ideale al bacio della bocca sembra
quindi voler ribadire come sia proprio l'elemento sonoro a mettere
in comunicazione l'uomo e Dio: da un lato come canto della
salmodia, mansione propria dell'uomo spiritualmente piu elevato,
dall'altro come espressione della potenza creatrice di Dio.
Solo nella settima distinzione F. prende in considerazione
direttamente il tema delle dieci corde dello strumento. Anche in questo F.,
II salterio a dieci corde. Si vuole osservare che la lettura qui
proposta, che insiste sull'elemento musicale, permette di attribuire al
terzo libro una valenza forse maggiore rispetto a quella che sembra
generalmente assumere. Se l'elemento musicale della salmodia, che
contraddistingue la terza epoca, e l'elemento che permette di oltrepassare
le facolta della ragione, dal momento che l'avvento della pienezza divina
sembra escludere la possibility di una comprensione razionale, le pagine
finali, dal momento che istruiscono sulle modalita del canto, possono
essere interpretate non solo come un «semplicissimo libro che si limita a
fornire indicazioni per la recita dei salmi, ma come un ammonimento di F. sul
modo di comportarsi per tutti coloro che vivranno il tempo dello Spirito.
F., II salterio a dieci corde. caso possiamo distinguere un impiego musicale
dell'immagine da uno piu propriamente teologico. Il primo approccio si
basa sull'interpretazione delle corde come elemento produttore di suono.
Da qui si osserva che le corde sono fissate indissolubilmente, alle
loro estremita, ai lati che simboleggiano il Figlio e lo Spirito, mentre
la loro vibrazione si propaga verso il vertice del Padre. Questo a
intendere che il nostro canto deve essere innalzato verso quest’ultimo a
partire dal messaggio della rivelazione contenuto nel Vangelo. D'altra
parte, il suono e reso udibile e prende corpo attraverso la cassa
armonica rappresentata dal cerchio, a sottolineare ancora una volta
1' indissolubility dell’essere trinitario. L'interpretazione piu
propriamente teologica delle corde e da collocare nel contesto
escatologico in cui si chiudeva la sesta distinzione. Il loro numero e la
loro disposizione rappresentano i gradi e la gerarchia degli eletti nella
citta divina, cosi che piu il grado si awicina a Dio, piu la corda e
breve, dal momento che sono meno coloro che riescono ad arrivarci.
Alio stesso modo ogni grado risuona secondo una propria nota, in modo
che «la diversita degli onori adorna meravigliosamente quella santa
e celeste patria, e la moderazione della diversita attraverso l'unita
non lascia nascere il livore. Forse in questa richiamo del suono acuto
delle corde piu vicine a Dio come espressione della difficolta insita
nel percorso per arrivarci si puo vedere un ultimo elemento di ripresa
delle argomentazioni agostiniane, che sembra del resto utile soltanto
a rimarcare la differenza tra le due impostazioni. Piu rilevante
sembra invece considerare come ultimo spunto di questo primo libro il
tema dell'armonia musicale che fornendo delle regole per il bel
canto awicina il nostro animo alia sfera divina. Dio fece questo perche
le corde, tra loro distinte, con i diversi suoni che producono, allietino
con la soavita della loro melodia quella santa citta di Dio, nella quale
tutti, gioiosi, hanno la loro dimora. Per tracciare un bilancio della
ricerca condotta, bisogna affermare, in primo luogo, che non emerge dai
testi considerati una tesi "forte" che possa sintetizzare una
presa di posizione chiara. Certamente, nel complesso, le
indicazioni piu interessanti emergono dal testo di F., in cui si nota che
una lettura dell'opera orientata in senso un po 1 piu musicale, potrebbe
rappresentare una prospettiva attraverso cui reinterpretare alcuni passi
e metterne in luce alcune sfumature. La ricerca, in definitiva, si pone
quindi come un primo passo che schiude degli orizzonti per una ricerca
che potrebbe essere ampliata in molte direzioni. Sullo sfondo, in primo
luogo, e da rilevare che l'analisi dei testi considerati si inserisce
nella complessa problematica del rapporto tra Gioacchino e Agostino, che
deve trovare nell'ambito teologico e filosofico, ben prima che in quello
musicale, i propri motivi argomentativi. In quest'ottica, il confronto
tra le due prospettive musicali legate aH'immagine del salterio, proprio
perche maturato inevitabilmente sullo sfondo di un riferimento teologico
e morale, permette di mettere in evidenza qualche elemento utile per
una riflessione piu generale. Certamente la considerazione sarebbe
da allargare ad una analisi piu generale della problematica musicale
nel pensiero dei due autori, in particolare, almeno, al De Musica di
Agostino. Infine, le indicazioni che qui abbiamo presentato per via
teorica potrebbero trovare sostegno da una ricerca piu dettagliata
delle pratiche musicali diffuse in ambito monastico nel XII secolo.
Si spera, in ogni caso, che la presente ricerca possa aver fornito
qualche elemento per la comprensione di uno strumento estremamente
affascinante e ricco di mistero, come il salterio a dieci corde. Tavola
Illustrativa Prima distinzione: %. i n s .2 Seconda distinzione.
Quarta distinzione: attraverso Gesu Cristo nell'unita dello Spirito Sesta
distinzione: attraverso Gesu-Cristo nell'unita dello Spirito.AGOSTINO,
Tractatus de X chordis. Bellini, Cruciani, Tarulli, Trattato sul salterio a X corde;
in Agostino, Discorsi sul vecchio testamento, Citta Nuova,
Roma]. AGOSTINO, Enarrationes in Psalmos, [tr. it. di T. Mariucci, V.
Tarulli, Esposizione sui salmi; in Agostino, Opera Omnia, voll. 25,
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medioevo, EDT Edizioni, Torino. GALLO, A., La polifonia nel medioevo, EDT
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Swimming-Pool Library. Gioacchino da Fiore. Fiore.
Grice e Fiormonte:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale --filosofia italiana
– Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Domenico – filosofo.
Grice e Fiorentino: la ragione conversazionale e la
lingua dei romani – scuola di Sambiase – filosofia calabrese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Sambiase).
Filosofo italiano.
Sambiase, Lamerzia Terme, Catanzaro, Calabria. Grice: “I like Fiorentino; for
one, he influenced Gentile – Fiorentino managed to write two important tracts:
a systematic ‘manuale’, of ‘elementi di filosofia’ with a section on semantics,
communication, and language – his view of the latitudinal history of philosophy
– and a ‘storia della filosofia,’ again seen as a manual, literally handbook! Both very clear and to the right audience!” Figlio di
Gennaro, chimico e farmacista, e da Saveria Sinopoli. Fu educato da Giorgio e
Bruno Sinopoli, rispettivamente zio e fratello di sua madre, entrambi
sacerdoti, e venne influenzato dal pensiero e dagli scritti di Capocasale e
Galluppi. Studia filosofia a Nicastro, sotto Marco e Crecca, insigni filosofi e
latinisti. Trascorre il suo tempo libero nel caffè letterario "Cherry Plum",
luogo d'élite che attira gli filosofi. Iniziò a farsi conoscere tra i coetanei
di Sambiase, costruendosi una discreta reputazione. Si trasferì a
Catanzaro dove intraprese gli studi di giurisprudenza. Sarebbe probabilmente
divenuto un avvocato se la filosofia non fosse stata la sua innata passione.
All'indomani dell'ignominosa resa del generale Ghio e dei suoi dodicimila
soldati borbonici a Soveria Mannelli, nell'incontrare Garibaldi a Maida,
Fiorentino gli si avvicinò per congratularsi del successo ottenuto gridando:
«Viva l'annessione, vogliamo l'annessione!» Dopo l'Unità d'Italia, venne
nominato, con decreto regio, professore di filosofia a Spoleto. La sua fama di
intellettuale e filosofo aveva varcato i confini della sua natia regione.
Si iniziato in Massoneria, nella Loggia Felsinea di Bologna. Da Spoleto
presto passa a Maddaloni, dove approfondì sempre più i suoi studi. Pubblica Il
“panteismo” di Bruno. Rivedeva molto di sé nel carattere e nel martirio
di Bruno. La stessa affinità che, sia pure in chiave politica, ritrova Gioberti,
grande statista. Il saggio su Bruno gli valse la cattedra a Bologna che era
stata di Spaventa. Si occupa della storia della filosofia romana,
contemporaneamente si interessò dell'epoca risorgimentale mettendo in risalto
filosofi pocco conosciuti, quale A B C D ed E. Scrosse “La filosofia romana”; Pomponazzi;
e “Scritti varii”. Seguì l'opera su Telesio data alle stampe in Firenze. Si
trasferì a Napoli e Pisa. A Pisa pubblica “Elementi di filosofia” e il Manuale
di Storia della Filosofia. Di lui risaltava lo stile incisivo e spigliato.
Fonda il Giornale Napoletano. con le sue prefazione e note, pubblicò
"Poesie Liriche edite ed inedite di Tansillo" (Domenico Morano,
Napoli). Altre opere: “Volgarizzazione dell'Itinerario della mente a Dio di S.
Bonaventura, dei Libri del Maestro, Dell'immortalità dell'anima e Del libero
arbitrio di Aurelio Agostino, del Proslogio di Anselmo d’Aosta, Messina, Sul
panteismo di Giordano Bruno” (Napoli); Saggio storico sulla filosofia greca”
(Firenze); “Pomponazzi, studi storici sulla scuola bolognese e padovana del
secolo XVI” (Firenze); “Telesio, ossia studi storici sull'Idea della Natura nel
Risorgimento [Rinascimento] italiano” (Firenze); “La filosofia contemporanea in
Italia, Napoli, Scritti vari di letteratura, poesia e critica, Napoli); “Elementi
di filosofia, Napoli); “Della vita e opere di Grazia, Napoli); “Manuale di
storia della filosofia, Napoli); “Il Risorgimento filosofico nel Quattrocento,
Napoli, L. Lo Bianco, Vittorio Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori, Erasmo
ed., Roma, Galati, Interpretazione dell'opera, in «Archivio storico della
filosofia italiana», Oldrini, “La cultura filosofica napoletana dell'Ottocento”
(Bari); Di Giovanni, A cento anni dalla nascita dell'idealismo italiano, in
«Bollettino della Società Filosofica Italiana», Treccani Enciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. openMLOL, Horizons Unlimited
srl. Il contributo italiano alla Filosofia. Istituto dell'Enciclopedia. Formazione
del linguaggio. Il linguaggio e la prerogativa umana. Tra tutti gli animali
l’uomo solo parla. E poiché l’uomo solo è forsia (li'u^wujqko aito (Vi ntoli
ia'ciiz a, è naturale che tra cotesti due fatti |uU£li^tJtp si) cercato di
trovare un nesso necessario. Ammessa questa mutua connessione, la domanda che
naturalmente ne deriva, è questa. L’uomo parla perchè ragiona? O, al rovescio,
ragiona perchè parla? Teoria K tradizionalistica sull’origine del linguaggio e
sua critica. Le due opposte sentenze hanno trovato sostenitori. Una scuola
detta de’ tradizionalisti non solo ha ammesso la necessità della parola per
pensare, ma, com’è inevitabile, riconosce necessaria la rivelazione divina per
la origine del linguaggio umano. Il corollario è perfettamente logico. Se
l’uomo non può inventar nulla senza pensare, e se, per pensare, c’è (i)
[Principale rappresentante moderno del tradizionalismo è il francese visconte
Bonald). Jrr*“ ilwlWuii) 6 JL^XÒru] di mestieri la parola, il linguaggio non
poteva più derivare dall’uomo. E quindi a lui dove essere stato rivelato dal
divino. Una difficoltà molto ovvia non è stata però tenuta in conto. Come si fa
a capire il linguaggio, se non è opera nostra, e se al suono esteriore non
risponde nell’animo nostro il pensiero associatovi? Perchè il cavallo, il cane,
benché odano il suono delle parole, non ne comprendono il significato! GIOBERTI,
che rinfresca il tradizionalismo, cerca di evitare questo scoglio, distinguendo
il pensiero primitivo, intuitivo, che precede il linguaggio, dal pensiero
riflesso, che gli tien dietro e lo presuppone. Il linguaggio, per GIOBERTI, non
è il fattore delle idee, ma l’istrumento indispensabile, perchè esse siano ripensate.
Poiché però le idee nell’intuito mancano di distinzione, anche lui dovette
sostenere la rivelazione per l’origine del linguaggio umano. Senza entrare in
risposte astruse, noi opponiamo a questa dottrina un fatto molto comune. Poiché
l’intuito delle idee è sempre presente, e poiché il suono del linguaggio
colpisce il bambino fin dal suo primo nascere, perchè questi noi comprende
subito, nò subito parla? Dati i due co-efficienti, l’intuito dell’idea e il
suono esterno della parola, l’intelligenza dove immantinenti balzar fuora. Ed
intanto non è così, e ci vuole un lavoro lento ed assiduo, prima d’ intendere
il valore del linguaggio. A (oM^Y^O l*< Tt.cC)) Teoria razionale. Lasciando
dunque la mistica spiegazione di una rivelazione dal divino, la quale
s’impiglierebbe in altre difficoltà, a spiegare, p. es., come il divino, puro
spirito, puo sensibilmente parlare, veniamo alla spiegazione umana. Linguaggio
e universali. L’uomo parla soltanto quando è capace di idee generali. Perciò
noi abbiamo a<mr>v fatto seguire alla formazione di queste la formazione
del linguaggio, che è la conseguenza. Come l’individuo è chiuso in sè ed
irrelativo, così JL^ la sensazione, che vi corrisponde, è muta. Il linguaggio è
comuni chevolezza tra spirito e spirito, e ciò che v’ha T di comune tra loro è,
e non può essere altro, che l’universale. 1***^*» (s) I nomi. L’universale ha
però diversi gradi, e sul primo formarsi non esprime altro che limi
rappresentazione comune a più individui percepiti. In questo si fonda l’imposizione
dei nomi che si desume sempre da quella proprietà che più ha colpito
l’immaginazione di un [mainili <U*^fvTcj.] popolo come il romano. Così, p.
es., guardando il mare, imo può rimanere più scosso dalla sua mobilità, un
altro dalla nr sua ampiezza, un altro dal suo colore. E da ciascuna di queste
proprietà può imporgli un nome diverso. Le altre note rimangono in seconda
linea. Fermarsi sopra di una nota, a preferenza di un’altra, dipende poi dal
diverso genio del popolo – come il romano -- che si crea il linguaggio. Perciò,
non senza ragione la filologia, s’ingegna d’indovinare le concezioni nascenti
devòlversi popoli dalle radici delle parole primitive. Il con questo metodo,
riscontrando talune dai romani, che si trovano le stesse, appresso tre rami di
una sola razza, dimostra a che grado di civiltà essi sono pervenuti prima di
sparpagliarsi per varie ragioni. Comune, p. es., è la parola che significa il
umo. Dunque, prima di dividersi, questi popoli – il popolo romano dal popolo
umbro ed usco -- hanno appreso ad estrarre il succo dalle uve. (A^tVvJ — Vc^fi
IktcrrtsblC? <&Jt*/fl'n'tT tZjÉXjjrtmu Z Ain. f"r2rH^-££ RaA^ L
^ia^AA*-**** t^x<^ 7 r •<!T- J e /e altre parti del discorso.
L’imposizione de’ nomi costituisce però la materia greggia di una lingua. E
corrisponde appunto alla virtù rappresentativa dello spirito romano. L’attività
dello spirito stesso è *signi-ficata* dal verbo, che è perciò l’elemento
organico, e dalla cui più perfetta determinazione dipende la perfezione
maggiore di una lingua. Le altre particelle, — preposizioni, congiunzioni,
avverbi, — esprimono l’elemento formale e categorico del pensiero. Esprimono
astrattamente le relazioni di cui sono capaci tanto gl’oggetti quanto l’attività
medesima del nostro pensiero. [ >*<0 non x 3) Radici e flessioni. Nel
nome e nel verbo si distingue la rappresentazione originaria da quelle
determinazioni che dip oi, nel processo del linguaggio, le si sogliono
aggiungere. C’è quindi in entrambi la radice e la flessione. Quando la lingua dei
romani è sul nascere, il nome ed il verbo sono espressi da un mono-sillabo – e.
g. ‘fa’ --, che rinchiude, come in un germe, la rappresentazione primitiva di
una cosa o di un’azione. Quando poi si comincia a distinguere meglio le
determinazioni che scampagnano o la cosa o l’azione, allora le varie
modificazioni della radice primitiva esprimono i numeri, i generi, i casi, le
persone, il tempo. E tali flessioni si dicono declinazioni o coniugazioni,
secondo che modificano il nome o il verbo. Di questi due elementi fondamentali
del linguaggio dei romani, il verbo va congiunto con la categoria di tempo, il
nome no. La ragione di tal divario è questa, che il verbo esprime l’azione, la
quale senza il tempo non si puo classificare con precisione; laddove il porne,
esprimendo il soggetto o l’oggetto de l’azione, stessa, *signi-fica* qualcosa
di iienjnuignte, e si circoscrive piuttosto con le relazioni spaziali. Nella ricca
lingua dei romani, difatti, tra i casi, che esprimono le diverse modificazioni
de’nomi, si trova quello che VARRONE chiama il caso locativo – che indica il
luogo dove la cosa si trova. Quanto più numerose e sottili sono le flessioni
che fissano le varie sfumature dell’azione tanto più ricca e più precisa è una
lingua – a nulla piu ricca che la degi romani. Quanto più fine sono le gradazioni
dell’azione che lo spirito romano può cogliere, e rivelare nel linguaggio dei
romani, tanto è maggiore l’attitudine civile -- artistica e scientifica. Dove,
invece, si arriva appena a significare 1’azione in una forma rozza, e quasi
direi all’ingrosso, quivi manca il genio civile -- artistico e la speculazione,
come nella lingua dei etruschi (‘toschi’). La perfezione dell’organismo
sintattico rivela la potenza creatrice ed inventiva del popolo romano. La
lingua romana mostra l’eccellenza di questa coltissima nazione. E criterio di
quella eccellenza è la compiuta forma del verbo, che nella lingua romana basta
ad esprimere ogni più delicata e fuggevol forma del pensiero. Le particelle. Condizione
primissima del filosofare è una lingua la quale jgossa astrarre, e fissare le
relazioni in sfe, ed indipendentemente dai proprii termini. Quindi le
particelle -- che diciamo preposizioni, congiunzioni ed avverbii -- e che sono
come le giunture del linguaggio, diventano un aiuto potentissimo, anzi un
istrumento indispensabile della speculazione filosofica romana. Per esse, noi
pensiamo le relazioni di tempo e di spazio, di causa e di effetto, di mezzo e
di fine, e simili, non solo in quanto si trovano, dirò così, incorporate coi
termini fra cui tramezzano, ma le pensiamo sciolte da ogni rappresentazione e
come concetti puri – come categorie. Il I “dove”, il II “quando”, il III “di” –
del genitivo soggetivo e del genitivo oggetivo --; il IV “da”, il V “per”,
esprimono il I luogo, il II tempo, la III proprietà, la IV provenienza, il V mezzo,
come *categorie* a se, che noi applichiamo ai nomi ed ai verbi, producendo così
l’organismo del *periodo*. L’abbondanza di tali particelle è parimenti indizio
della perfezione della lingua dei romani. [pajth'cfiiU'- i)] C’è dunque nella
lingua dei romani tre gradi. C’è la rappresentazione della cosa o dell’azione, espressa
dalla nuda radice. C’è la rappresentazione determinata per mezzo de’ concetti
puri, espressa dalla flessione; e ci sono infine i concetti puri, in s&J
astratti da ogni rappresentazione, e sono le particelle invariabili. Sviluppo delle lingue. I linguaggi barbari e
rozzi – come il toscano – “tosco”, dagl’antichi etruschi -- (si arrestano alle
prime, alle radici mono-sillabiche, alle semplici rappresentazioni; o, tutto al
più, riescono a con-glutinarle insieme. Una lingua sviluppata come la romana ha
flessioni. Ha cioè nomi e verbi perfettamente determinati; e Analmente ha un
ricco corredo di particelle signiflcabrici delle relazioni universali. Delle
particelle, di cui parliamo, la lingua romana ha maggior copia. Onde Xmo viene
la loro maggiore attitudine a *sig-nificare* i concetti speculativi. Gli
elementi delle lingue secondo Miiller. In conformità alle osservazioni da noi
riferite finora, giova allegare l’autorità di Muller ]\IiUl er J ), il quale,
dopo sottili indagini, conclude, che la lingua romana, passata pel crogiuolo
della grammatical comparata, è risultata composte di due elementi (Miiller,
Letture sulla scienza del linguaggio, e Nuove letture, trad. in ital. da
Nerucci] costitutivi; di una radice *attributiva* e di una radice dimostrativa.
Una radice attributiva serrve a *sig-nificare* una meidesima qualità primitiva,
che si attribuisce ad un qualche essere. Una radice dimostrativa, invece, serve
ad esprimere una determinazione meramente formale. Lq j flessioni, consistenti
nelle declinazioni de’ nomi, e nelle coniugazioni de’ verbi, nascono dalla
unione organica delle due differenti specie di radici in una sola espressione.
Di modo che, anche filologicamente, apparirebbe manifesta la distinzione
originaria di un *elemento attributivo* e di un *elemento dimostrativo* nella
lingua dei romani – Catone: HOMO FABER – questo homo faber -- ; che corrispondeno
al contenuto (o materia) il primo, ed alla *forma* del pensiero il secondo. La
compenetrazione di questi due elementi primitivi non è uguale in tutte le
famiglie delle lingue che si parlano. È perfetta, e perciò a mala pena discernibile,
nella lingua romana. È imperfetta, e, perciò più facilmente riconoscibile, nell’etrusco.
Apprendimento delle lingue. Altra è la funzione, che si richiede a formare la
lingua; altra è quella dello impararla, formata che sia; benché le due funzioni
abbiano, e debbano avere, alcunché di comune. Prevale rimmaginazione produttiva
nella formazione primitiva del linguaggio romano. Prevale la ri-produttiva
nella loro apprensione. Il bambino che nasce in una società progredita non deve
far altro che assimilarsi il linguaggio materno così coin 7 è stato tramandato.
Egli impiega in questo lavoro assimilativo i primi V anni della sua
fanciullezza, durante il qual tempo impara più, come diceva Gian Paolo, che non
in altrettanti anni eli accademia. La sua mente vergine e robusta si arricchisce
ben presto di quel tesoro tradizionale, eh’ ei si appropria e fa suo,
riponendolo nella fresca e tenace memoria. L’apprendimento delle lingue, già si
facile in questa prima età, si va poi di mano in mano rendendo malagevole,
perchè la memoria con gl’anni si affievolisce e diviene men facile a ricevere,
e men fedele nel ritenere. E il caso di Catone, che, sappendo che il suo grecco
non e eccelente, richiede d’un interprete – e anche quando visita Firenze! [Riehter,
grande scrittore umorista, tedesco]. Wikipedia Ricerca Marco Porcio
Catone politico, generale e scrittore romano Lingua Segui Modifica Nota
disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando altri personaggi con lo
stesso nome, vedi Marco Porcio Catone (disambigua). Marco Porcio Catone Project
Rome logo Clear.png Censore della Repubblica romana Marco Porcio Caton
Major.jpg Particolare del Patrizio Torlonia, busto identificato con Catone il
Censore Nome originaleMarcus Porcius Cato Nascita Tusculum Morte Roma Coniuge Licinia
Salonia FigliMarco Porcio Catone Liciniano Marco Porcio Catone Saloniano Gens Porcia
Padre Marco Porcio Questura Edilità Pretura Consolato Censura Ceterum censeo
Carthaginem esse delendam. Per il resto ritengo che Cartagine debba essere
distrutta. (Porcio Catone) Marco Porcio Catone (in latino: Marcus Porcius Cato;
nelle epigrafi M·PORCIVS·M·F·CATO; Tusculum – Roma) è stato un politico,
generale e scrittore romano, chiamato anche Catone il Censore (Cato Censor),
Catone il Sapiente (Cato Sapiens), Catone l'Antico (Cato Priscus), Catone il
Vecchio per aver superato di molto l'età media massima di vita allora a Roma o
Catone il Maggiore (Cato Maior) per distinguerlo dal pronipote Catone
l'Uticense. BiografiaModifica Ritratto Modifica Plutarco, autore delle
Vite parallele, dà questo ritratto di Catone: Quanto al suo aspetto, aveva
capelli rossastri e occhi azzurri, come ci rivela l'autore di questo poco
benevolo epigramma: “Rosso, mordace, occhiazzurro, Persefone neanche morto
accoglie Porcio in Ade. Fisicamente era ben piantato; il suo corpo s'adattava a
qualunque uso, era tanto robusto quanto sano, poiché fin da giovane si applicò
al lavoro manuale - saggio metodo di vita - e partecipò a campagne militari. Origini
familiari De re rustica, Nacque a
Tusculum, da un'antica famiglia plebea che si era fatta notare per qualche
servizio militare, ma non nobilitata dal fatto di aver rifiutato le più
importanti cariche civili. Fu allevato, secondo la tradizione dei suoi antenati
latini, perché divenisse agricoltore, attività alla quale egli si dedicò
costantemente quando non fu impegnato nel servizio militare. Ma, avendo
attirato l'attenzione di Lucio Valerio Flacco, fu condotto a Roma, e divenne
successivamente questore, edile, pretore e console percorrendo tutte le tappe
del cursus honorum assieme al suo vecchio protettore; divenne infine
censore. Marco Porcio Catone è considerato il fondatore della Gens
Porcia. Ebbe due mogli: la prima fu Licinia, una aristocratica della Gens Licinia,
da cui ebbe come figlio Marco Porcio Catone Liciniano; la seconda, è Salonia,
figlia di un suo liberto, sposata in tarda età dopo la morte di Licinia, da cui
ebbe Marco Porcio Catone Saloniano, nato quando il Censore aveva 80
anni. «I ladri di beni privati passano la vita in carcere e in catene,
quelli di beni pubblici nelle ricchezze e negli onori» (Marco Porcio
Catone, citato in Aulo Gellio, Notti attiche) Durante i suoi primi anni di
carriera si oppose all'abrogazione della lex Oppia, emanata durante la seconda
guerra punica per contenere il lusso e le spese esagerate da parte delle donne.
Prestò servizio in Africa, come questore con Scipione l'Africano ma lo
abbandonò dopo un litigio a causa di presunti sperperi. Egli comandò invece in
Sardegna, dove per la prima volta mostrò la sua rigidissima moralità pubblica,
e in Spagna, che egli assoggettò spietatamente, guadagnando di conseguenza la
fama di trionfatore. Ricopre il ruolo di tribuno militare nell'esercito di
Manio Acilio Glabrione nella guerra contro Antioco III il Grande di Siria,
giocò un ruolo importante nella battaglia delle Termopili e attaccando alle
spalle Antioco permise la vittoria dei romani, che segnò la fine dell'invasione
seleucide della Grecia. Nel 189 a.C. condusse un processo sia contro Scipione
l'Africano sia contro il fratello Scipione l'Asiatico, accusandoli di aver
concesso dei favori personali al re di Siria Antioco III e di aver dissipato il
tesoro dello Stato. Il caso degli Scipioni consiste in uno dei più grandi
scandali della Repubblica Romana, considerando che, soprattutto Scipione
L'Africano, era considerato l'eroe della Seconda Guerra Punica. Opera
pubblicaModifica La sua reputazione di soldato era quindi consolidata; da quel
momento in poi egli preferì servire lo stato a casa, esaminando la condotta
morale dei candidati alle cariche pubbliche e dei generali sul campo. Pur non
essendo egli personalmente coinvolto nel processo per corruzione contro gli
Scipioni (l'Africano e l'Asiatico), fu tuttavia lo spirito che animò l'attacco
contro di loro. Persino Scipione l'Africano, che si rifiutò di rispondere
all'accusa, affermando solo: "Romani, questo è il giorno in cui io
sconfissi Annibale", venendo assolto per acclamazione, trovò necessario
ritirarsi, auto-esiliandosi, nella sua villa a Liternum. L'ostilità di Porcio Catone
risaliva alla campagna d'Africa quando discusse con Scipione per l'eccessiva
distribuzione del bottino tra le truppe, e la vita sfarzosa e stravagante che
quest'ultimo conduceva. Censore Al secondo tentativo, egli fu eletto
censore ed esercitò questa carica per quattro anni così bene che gli venne
assegnato il soprannome di Censore (anche per il suo carattere severo, per il
suo austero moralismo e per l'asprezza delle critiche rivolte da lui contro
ogni indizio di corruzione delle antiche virtù romane). Contro
l'ellenismoModifica Catone si oppose inoltre all'ellenizzazione, ossia il
diffondersi della cultura ellenistica, che egli riteneva minacciasse di
distruggere la sobrietà dei costumi del vero romano, sostituendo l'idea di
collettività con l'esaltazione del singolo individuo. Fu nell'esercizio della
carica di censore che questa sua determinazione fu più duramente esibita e
ovviamente il motivo dal quale gli derivò il suo celebre soprannome. Revisionò
con inflessibile severità la lista dei senatori e degli equites, cacciando da
ogni ordine coloro che riteneva indegni, sia per quanto riguarda la moralità,
che per la mancanza dei requisiti economici previsti. L'espulsione di Lucio
Quinzio Flaminino per ingiustificata crudeltà, fu un esempio della sua rigida giustizia.
Contro il lusso La sua lotta contro il lusso fu assai serrata. Impose una
pesante tassa sugli abiti e gli ornamenti personali, specialmente delle donne,
e sui giovani schiavi comprati come concubini o favoriti domestici (leggi
sumptuariae). Nel 181 a.C. appoggiò la lex Orchia(secondo altri egli prima si
oppose alla sua introduzione, e successivamente alla sua abrogazione), la quale
prescriveva un limite al numero di ospiti in un ricevimento, e la lex Voconia,
uno dei provvedimenti che miravano a impedire l'accumulo di un'eccessiva
ricchezza nelle mani delle donne. Con le donne di casa, mogli, figlie o
schiave, fu assai severo, fino a sfiorare talvolta la tirannia; una delle cause
di dissenso con gli Scipioni, era proprio la libertà e il lusso che questi
concedevano alle loro donne. Nei confronti delle donne in realtà Catone
appare quasi un nemico, penalizzandole in ogni modo: ne limitò il lusso degli
abiti e dei gioielli, si oppose al possesso da parte della donna di denaro e
ricchezza, sempre in difesa dei valori morali della Repubblica. Contro i
BaccanaliFu assai disgustato, assieme a molti altri dei romani più
conservatori, dalla diffusione dei riti misterici dei Baccanali, che egli
attribuì all'influenza negativa dei costumi greci; perciò sollecitò con
veemenza l'espulsione dei filosofi greci (Carneade, Diogene lo Stoico e
Critolao), che erano giunti come ambasciatori da Atene, sulla base della
pericolosa influenza delle idee diffuse da costoro. Contro i medici Catone
provava ripugnanza per i medici, che erano principalmente greci. Ottenne il
rilascio di Polibio, lo storico, e dei suoi compagni prigionieri, chiedendo
sprezzante se il Senato non avesse niente di più importante da discutere del
fatto che qualche greco dovesse morire a Roma o nella sua terra. Era quasi
ottantenne quando, secondo quanto dicono le fonti biografiche, ebbe il suo
primo contatto con la letteratura greca; anche se, dopo aver esaminato i suoi
scritti, è verosimile ritenere che possa aver avuto un contatto con le opere greche
per gran parte della sua vita. Contro CartagineModifica Il suo ultimo
impegno pubblico fu di spronare i suoi compatrioti verso la terza guerra punica
e la distruzione di Cartagine. Fu uno dei delegati mandati a Cartagine per
arbitrare tra i cartaginesi e Massinissa, re di Numidia. La missione fu
fallimentare e i commissari ritornarono a casa. Ma Porcio Catone fu colpito
dalle prove della prosperità dei cartaginesi a tal punto da convincerlo che la
sicurezza di Roma dipendesse dalla distruzione totale di Cartagine. Da quel
momento egli continuò a ripetere in Senato: «Ceterum censeo Carthaginem
delendam esse.» ("Per il resto ritengo che Cartagine debba essere
distrutta."). È noto che egli ripeteva ciò alla conclusione di ogni suo
discorso. Altre attivita Riguardo alle altre questioni egli fece riparare
gli acquedotti di Roma, pulire le fognature, impedì a soggetti privati di
deviare le acque pubbliche per il loro uso personale, ordinò la demolizione di
edifici che ostruivano le vie pubbliche, e costruì la prima basilica nel Foro
vicino alla Curia (Livio, "Historiae", 39.44; Plutarco, "Marcus
Cato"). Aumentò inoltre la somma dovuta allo stato dai pubblicani per il
diritto di riscuotere le tasse e allo stesso tempo diminuì il prezzo contrattuale
per la realizzazione di lavori pubblici. MorteModifica Dalla data della
sua carica di censore alla sua morte, avvenuta nel 149 a.C. sotto il consolato
di Manio Manilio Nepote e Lucio Marcio Censorino, Porcio Catone non occupò
nessun'altra carica pubblica, ma continuò a distinguersi in Senato come tenace
oppositore ad ogni nuova influenza. Solo dopo la sua morte si iniziò la
spedizione contro Cartagine, che lui aveva voluto. La visione della
società Per Porcio Catone la vita individuale era un continuo auto-disciplinarsi,
e la vita pubblica era la disciplina dei molti. Egli riteneva il singolo pater
come il principio della famiglia, e la famiglia come il principio dello stato.
Attraverso una rigida organizzazione del suo tempo egli realizzò un'enorme quantità
di lavoro; pretese inoltre la medesima applicazione dai suoi dipendenti, e si
dimostrò un marito e un padre severo, un inflessibile e crudele padrone. Ci fu
apparentemente poca differenza, nel modo in cui trattava sua moglie e i suoi
schiavi; il suo orgoglio soltanto lo indusse a prestare una più calorosa
attenzione verso i figli. Riconoscimenti Per i romani stessi ci fu poco
nella sua condotta che sembrasse necessario censurare; fu sempre rispettato e
considerato come un esempio tradizionale degli antichi e più genuini costumi
romani. Nel notevole passo in cui Livio descrive il carattere di Porcio Catone,
non c'è alcuna parola di biasimo per la rigida disciplina della sua condotta
domestica. Opera letterariaModifica Porcio Catone è tra le principali
personalità della letteratura latina arcaica: egli fu oratore, storiografo e
trattatista. Fu autore di una vasta raccolta di manuali tecnico-pratici, con i
quali intendeva difendere i valori tradizionali del mos maiorum contro le
tendenze ellenizzanti dell'aristocrazia legata al circolo degli Scipioni,
indirizzata al figlio Marco, i Libri ad Marcum filium o Praecepta ad Marcum
filium, di cui si conserva per intero soltanto il Liber de agri cultura, in cui
esamina, soprattutto, l'azienda schiavile che tanto spazio si conquisterà poi
in età imperiale. Affrontò inoltre la tematica dei valori tradizionali romani
anche in un Carmen de moribus di cui sono ad oggi pervenuti pochissimi
frammenti. Fin dalla giovinezza si dedicò all'attività oratoria:
pronunciò in tutta la sua vita oltre centocinquanta orazioni,[4] ma sono
attualmente conservati frammenti di varia estensione riconducibili a circa
ottanta orazioni diverse. Si distinguono tra esse orationes deliberativae,
ovvero discorsi pronunciati in senato a favore o contro una proposta di legge,
e orationes iudiciales, discorsi giudiziari di accusa o difesa. Fu
inoltre autore nella vecchiaia della prima opera storiografica in lingua
latina, le Origines, il cui argomento era la storia romana dalla leggendaria
fondazione fino al II secolo a.C. Dell'opera, pur significativa dal punto di
vista ideologico, si conservano scarsi frammenti. Catone individua nel culmine
del percorso educativo la formazione di un vir bonus, dicendi peritus (uomo di
valore, esperto nel dire), espressione che sarà il cardine del successivo
modello educativo romano. L'opera letteraria di Porcio Catone, in particolare
quella storica e oratoria, fu elogiata da Cicerone, che definì il censore primo
grande oratore romano, e il più degno d'essere letto. Nella prima età
imperiale, nonostante l'ideologia di Porcio Catone coincidesse in buona parte
con la politica restauratrice del mos maiorum promossa da Augusto, l'opera di Porcio
Catone fu oggetto di sempre minore interesse. Con l'affermarsi delle tendenze
arcaizzanti nel II secolo d.C., invece, essa fu oggetto di grandi attenzioni,
seppure a carattere esclusivamente linguistico ed erudito: Gellio e Cornelio
Frontone ne tramandarono molti frammenti, e l'imperatore Adriano dichiarò di
preferire Porcio Catone anche allo stesso Cicerone. A partire dal IV secolo
d.C. l'opera di Porcio Catone iniziò a disperdersi, e se ne perse la conoscenza
diretta. Grande diffusione ebbero, invece, le raccolte di proverbi in esametri
erroneamente attribuite a Porcio Catone e denominate Disticha Catonis e
Monosticha Catonis. Plutarco, Vita di Marco Catone, Velleio Patercolo, Historiæ
Romanæ ad M. Vinicium libri duo, Saltini, Storia delle scienze agrarie, Dalle
civiltà mediterranee al Rinascimento europeo, 3ª ediz., Firenze, Nuova Terra
Antica, Cicerone, Brutus, Pontiggia - M.C. Grandi, Letteratura latina. Storia e
testi, Milano, Principato, Pontiggia - Grandi, p. 164. ^ U. Avalle - M.
Maranzana, Pedagogia, vol. I, Dall'età antica al Medioevo, Torino, Paravia, Brutus,
Pontiggia – Grandi Edizioni Scriptores rei rusticae, Venetiis, apud Nicolaum
Ienson [Contiene i De re rustica di Catone, Varrone, Columella e Rutilio Tauro
Palladio] (editio princeps). De agri cultura liber, Recognovit Henricus Keil,
Lipsiae, in aedibus B.G. Teubneri, De agri cultura, ad fidem Florentini codicis
deperditi edidit Antonius Mazzarino, Lipsiae, in aedibus B.G. Teubneri, Marci
Porci Catonis Oratio pro Rhodiensibus. Catone, l'Oriente Greco e gli
Imprenditori Romani. Introduzione, Edizione Critica dei Frammenti, Traduzione
Ital. e Commento, a cura di Gualtiero Calboli, Bologna Traduzioni italiane
Catone, De re rustica, con note, [Traduzione di Giuseppe Compagnoni], Venezia,
nella stamperia Palese («Rustici latini volgarizzati»). Catone,
Dell'agricoltura, Versione di Alessandro Donati, Milano, Notari, 1929. Liber de
agricoltura, Roma, Ramo editoriale degli agricoltori, L'agricoltura, a cura di
Luca Canali e Emanuele Lelli, Milano, A. Mondadori, Opere, a cura di Paolo
Cugusi e Maria Teresa Sblendorio Cugusi, Torino, UTET, Per la bibliografia
specifica sul De agri cultura e sulle Origines si rimanda alle rispettive
voci) L. Alfonsi, Catone il censore e l'umanesimo romano, Napoli,
Macchiaroli, Astin, Cato the Censor, Oxford, Clarendon, Burckhardt, Cato der
Censor, Basel, Reinhardt, Cordioli, Marco Porcio Catone il censore e il suo
tempo, Bergamo, Sestante, Corte, Catone Censore. La vita e la fortuna, Torino,
Rosemberg e Sellier (rist. Firenze, La Nuova Italia). P. Fraccaro, Sulla
biografia di Catone maggiore sino al consolato e le sue fonti, Mantova, G.
Mondovì, (estr.). F. D. Gerlach, Marcus Porcius Cato der Censor, Basel, C.
Schultze, Marcucci, Studio critico sulle opere di Catone il maggiore, vol. I
[unico pubblicato], Analisi delle fonti, questioni varie, Orazioni del periodo
consolare e degli anni posteriori fino alla censura, Orazioni del periodo
censorio, Pisa, succ. fratelli Nistri, Marmorale, Cato maior, Catania, G.
Crisafulli (II ed. Bari, Laterza). C. Ricci, Catone nell'opposizione alla
cultura greca e ai grecheggianti. Nota, Palermo, D. Lao e S. De Luca, Sciarrino, Cato
the Censor and the beginnings of Latin prose. From poetic translation to elite transcription,
Columbus, Ohio State University Press, Fonti antiche Cicerone, Cato maior de
senectute Cornelio Nepote, Vita M. Porcii Catonis Tito Livio, Ab Urbe condita,
Plutarco, Vita Catonis maioris Marco Porcio Catone Uticense, bisnipote A a
Marco Porcio Catone Catóne, Marco Porcio, detto il Censore, su Treccani.it –
Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Plinio Fraccaro,
CATONE, Marco Porcio, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Catone, Marco Porcio detto il Censore, in Dizionario di storia,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Catóne, Marco Pòrcio, detto il Censóre, su
sapere.it, De Agostini. Marco Porcio Catone, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica,
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la Historia. Opere di Marco Porcio Catone, su PHI Latin Texts, Packard
Humanities Institute. Opere di Marco Porcio Catone / Marco Porcio Catone (altra
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Goodreads. Marco Porcio Catone, su Discografia nazionale della canzone
italiana, Istituto centrale per i beni sonori ed audiovisivi. Biblioteca degli
scrittori latini con traduzione e note: M. Porcii Catonis quae supersunt opera,
Venetiis excudit Joseph Antonelli. Les agronomes latins, Caton, Varron, Columelle, Palladius,
avec la traduction en français, M. Nisard (a cura di), Paris, Firmin Didot
Fréres; Historicorum Romanorum Reliquiae, Hermannus Peter (a cura di), vol. 1,
in aedibus B. G. Teubneri, Lipsiae. M. Catonis praeter librum de re rustica
quae extant, Henri Jordan (a cura di), Lipsiae, in aedibus B. G. Teubneri. Portale Antica Roma Portale
Biografie Portale Letteratura. Carthago delenda est Locuzione latina di
Catone il Censore De agri cultura opera di Catone Origines opera di
Marco Porcio CATONE. ETICA Sentimento e appetito Principio dello spirito
pratico.L’azione riflessa. L’appetito. La sensazione e il sentimento. La
duplicità della tendenza appetitiva. Divario tra azione riflessa ed
appetito. L’appetito fondamentale. Piacere e dolore. Causa del piacere e
del dolore. Il sentimento principio d’azione. Tanto il piacere quanto il
dolore sono stati positivi. La condizione del piacere. Funzione biologica
del sentimento. Differenza tra sensazione e sentimento. Intensità o tono
del piacere o del dolore. Aristotele sulla natura del piacere.
Desiderio e istinto. Il desiderio. L’istinto. Origine dell’istinto:
dottrina dello Spencer e sua critica. Carattere dell’operare
istintivo. Affetti e passioni. L’affetto. La passione. Differenze tra
l’affetto e la passione. Le passioni in rapporto alla vita movale. Classificazione
delle sensazioni. Temperamento e carattere. Teoria antica dei
temperamenti. Classificazione dei temperamenti fatta dal Kant. Altra
classificazione dei temperamenti. Uguaglianza originaria o differenza
irriducibile delle nature individuali. Temperamento e
carattere. Carattere morale e virtù. Carattere. Carattere morale. Giudizio
valu- tativo o pratico. Motivi naturali e motivi etici. La scienza e la
virtù. Concetto della virtù. Il fine dell’uomo. Il fine della vita umana
secondo Aristotele. La eudemonia aristotelica. Il fine della vita
secondo Kant. Il sentimento morale. Concetto del senso morale. Origine
del senso morale. La volontà. Distinzione della volontà dalle attività
pratiche inferiori. Definizione della volontà. Ragion pratica,
fini, mezzi. Rapporto della volontà con l’appetito. La spontaneità dello
spirito nella volontà e la psico- logia empirica inglese. Motivi e
libero arbitrio, La quistione della libertà del volere.Critica del
concetto del libero arbitrio. La necessità del fine. Causalità etica,
educabilità e responsabilità. Critica del determinismo meccanico di
Herbert. Fatalismo e determinismo, Concetto del fato.concetto della
Provvidenza e il domma della grazia.
Critica del fatalismo. Il determinismo. Motivi generali o
determinismo sociale. I motivi generali. La statistica. Statistica e
libertà. Drobiscli. Legge morale. Origine della legge morale.Dottrina
teologica e sua critica. La dottrina kantiana. Dottrina
aristotelica. Edonismo e utilitarismo, Classificazione dei sistemi morali.
Cenno storico dell’edonismo e dell’utilitarismo. L’utilitarismo secondo
Mill. Critica della morale del Mill. Critica dell’edonismo ; Smitli e
Schopenhauer. L'amore. Imperativo categorico e idee modello. Teoria
kantiana dell’imperativo categorico. Teoria herbartiana delle idee
modello. Critica del forma- lismo kantiano ed herbartiano. Le virtù
singole. Classificazione aristotelica delle virtù. La liberalità e la magnanimità. La
giustizia. La giustizia nell’etica aristotelica. Giustizia commutativa e
giustizia distributiva. Capitolo Organismi etici. Origine della
famiglia. Primo nucleo sociale: la famiglia. Carattere etico della
famiglia umana. L’amore. La generazione e il valore etico della prole. Il
sentimento e il dovere. Gli elementi della famiglia e la definizione del
matrimonio. Organismo etico della famiglia . La famiglia come organismo
etico. La relazione tra i coniugi. Dottrina kantiana del
matrimonio. Dottrina di Platone e di Aristotele. Coiteli ia- sione
circa la relazione coniugale. Relazione tra genitori e figli. La
proprietà e l’eredità. Dissoluzione della famiglia e divorzio. Processo
storico della famiglia. Età barbarica. La famiglia antica. La schiavitù e la
clientela. Stabilità della famiglia ed ele- mento religioso delle istituzioni
domestiche. Indipendenza del valore etico della famiglia dalla
religione. Gli elementi etici della famiglia romana: la patria
potestà; l’eredità; l’adozione; le clientele. La società civile, Prima
limitazione etica del diritto di proprietà. Origine della società civile. Concetto
della società civile. Contratto. Valore etico del contratto.La giustizia nella
società civile.La libertà civile. La città. Passaggio dalla famiglia alla
società civile. Idealità della società civile. Genesi dello Stato. Gradi
della coscienza civile descritti da CICERONE. La patria e la città.La nazione e
lo Stato. Paragone tra famiglia, società civile e Stato. Sostanzialità dello
Stato. Diverse opinioni su l’origine dello Stato. Idea greca dello
Stato. Dottrina dell’origine divina dello Stato. Dottrine della origine
umana dello Stato: Lo Stato derivato dalla forza; lo Stato derivato
dall’istinto; lo Stato derivato dal contratto sociale; lo Stato derivato
da un’imperativo; lo Stato derivato da un' idea modello. Organismo
dello Stato, Rapporto fra lo Stato e i cittadini. La statolatria antica. L'individualismo
moderno. Stato politico e stato giuridico. La legge. Il governo. La
magistratura. Il fine dello Stato. Il diritto punitivo. Le relazioni
esterne dello Stato, e la guerra. La virtù politica. Organismo dei
poteri dello Stato. Lo Stato in quanto contiene altri organismi. Relazione
tra lo Stato e la famiglia. Stato e Comune. Stato e associazioni private. Stato
e Chiesa. Relazioni tra Stato e Stato. Lo Stato e la coscienza comune del
genere umano. Il commercio. Ravvicinamento progressivo tra i vari popoli.
I rapporti internazionali e la paco perpetua. arbitrato internazionale. La
diplomazia. La stampa, il fine dell’Unianitù e Ih storia. Invitato a
curare una nuova edizione degli “Elementi di Filosofia” accettai
volentieri l’ onorevole invito per due ragioni : una, che può parere
tutta personale : che cioè questo libro m’ è caro, perchè è il primo libro di
filosofia che io ho letto; e i dubbii, suscitati in me da a lettura
di esso, segnano nella mia vita il primo svealiarmi consapevole alla ricerca
filosofica. a -, ohe cosi mi si prestava recessione di soddisfare
im antico desiderio mio e di molti colleglli valorosi, di rimettere
in luce la prima edizione di questi Elementi, divenuta assai rara e quasi
introvabile, giudicata da noi di gran, lunga superiore alla seconda; „ a
quella cioè che è divulgata e ormai quasi sola nota, per le tante
ristampe stereotipe fattene da Morano, fino alla 23. a edizione (ossia alla 21
a ristampa della seconda edizione. Ho detto che la prima ragione può
parere meramente personale. Ma tale, in fondo, non è . gia. cc la mia
esperienza m’è stata sempre indizio evidente d' un pregio intrinseco e
sostanziale del saggio, pur nella 2a edizione: un prègio che agli occhi
miei ha reso sempre preferibile questo di F., con [Napoli, Domenico
Morano ; di pp- Ut). I i suoi difetti, a tutti gli altri saggi di
filosofia, che, prima o dopo di esso, sono stati pubblicati in Italia, pur
pregevoli quale per uno e quale per un altro rispetto. Questo m’è
sembrato che fosse atto, a differenza degli altri, se studiato come
va un saggio di filosofia, a muovere l’intelligenza e a far sentire
il bisogno di una elaborazione di concetti ulteriore, di una più salda
logica, di una più chiara e più alta coscienza; che è poi il fine a cui
può e deve mirare quella prima istituzione filosofica che viene
impartita ne’licei. Ci sono testi più ordinati, più lindi, più semplici,
più facili, più ricchi, e magari più moderni . Ma alla prova, prova
fatta, pur troppo da molti insegnanti subita da migliaia e migliaia
di giovani, — questi testi riescono o dannosi, o, per lo meno, inutili.
Parte, infatti, per la ricchezza del contenuto -- povera ricchezza! -- in
cui hanno voluto condensare, e quasi comprimere, a forza di oscuri
riassunti, quelle che sono giudicate le principali dottrine intorno a
ciascuna materia, parendo ai compilatori che sarebbe l acuna deplorevole nella
cultura liceale la mancanza di cotali notizie, sono riusciti
zibaldoni indigesti e indigeribili, che nello spirito) dei giovani non
hanno prodotto se non quello chel potevano produrre; nausea e disgusto,
non soltanto verso quei libri e quegli autori, ma verso la
stessa filosofia, di cui non si dava loro a conoscere altri più degni
rappresentanti. Parte, compilati con la preoccupazione dell’ordine, della
chiarezza, della semplicità, con la falsa convinzione che quello si
ami a imparare, che non costi nessuna fatica; tralasciando ogni discussione,
evitando ogni concetto unjpo’ alto, che sia, o paia, in contrasto col
senso comune; togliendo, insomma, alla filosofia niente meno che
la sua propria natura hanno ammannite quello ohe potevano ammannire: una non-filosofia;
dando cosi a studiare quello che non avrebbe fatto certo nè bene nè male;
ma che perciò, forse, era inutile studiare. Altro che soave licor negli
orli del vaso, nè anche goccia di succhi amari! L’esperimento d’un libro
di questo genere ce l’ho apch’io sulla coscienza; e ne fo questa pubblica
confessione nella speranza di sgravarmene in qualche modo. Anch’io
commisi un anno, un anno solo, l’errore di adottare un testo di psicologia
facile facile, appunto perchè facile facile, chè non aveva altro pregio.
E il risultato che ne ebbi fu questo : che gli alunni capirono sempre
bene, senza mia fatica. e conferirono sempre meglio, senza loro fatica;
ma, infine, con mia vergogna non piccola, mi accorsi che’ sapevano tutto,
e pur non sapevano niente. Il saggio filosofico non è detto
che debba essere facile, nè moderno, nè completo. La facilito, certo, è
gran bella dote di un libro ; ma quando questo libro - si vuol
leggere in viaggio, per scacciar la noia, o a letto, per pigliar sonno.
La modernità, è un altro pregio tutt’altro che trascurabile; ma quando non ci
stia a scapito della verità e dell’efficacia. La completezza, che è ciò che più
si desidera da taluni insegnanti nel saggio di F., una
preoccupazione senza fondamento : sia'perchè non ci può essere mai
se non una completezza relativa; e al saggio di F., così com’è disegnato, non
manca nulla per potersi dire completo ; sia perchè, nel nostro
caso, li libro è d estinato a una propedeu tica, filosofica, e
dev’essere strumento di cultura, pungolo dell'ina telligenza, e quasi
direi, pietra di paragone della riflessione speculativa. E in ciò la
quantità delle cognizioni da comunicare non ci ha proprio nulla I da
vedere. Giacché, se si vuole che l’insegnamene filosofico nei licei
produca buoni frutti, bisogna che noi insegnanti ce lo chiaviamo bene nel
sommo della testa : non importa niente che gli alunni abbiano questa
o quella cognizione, e sia modernissima quanto si voglia; sì importa, che
imparino a pensare; ma a pensare per davvero, riflettendo sul
pensiero, e sforzandosi di farne un sistema logicamente coerente. E
questo è l’effetto che li ottiene dal. libro del F.; del quale non
sfuggono neppure a me i punti non ben saldi, che non son pochi,
nelle dottrine : ma che è il solo libro scolastico nostro, scritto
con un unico spirit o, co n uno sforzo costante j-) di organizzare la
Serie delle dottrine, quali che siano; discutendo sempre, e lasciando
intravvedere cosi una luce lontana, maggiore di quella che vi
splende per entro ; il solo libro 1, per continuare a parlare con tutta
franchezza, che qbitu i a. pensai /( Meglio però vi abitua nella prima
edizione,' da me ora riprodotta; segnatamente nella parte che,
ìiguaida la psicologia. Non è questo il luogo da indagare i motivi che induceno
F. a rimutare nella seconda edizione, quasi tutti i primi undici capitoli
del libro : nè di indicare a uno a uno i mutamenti dottrinali che
y’in- trodusse. Certo è che per tali modificazioni il saggio venne
profondamente trasformato: l’idealista cedette all empirismo che saliva
in auge. Il kantiano stima che la psicologia genetica, come allora la chiamano
in Germania, potesse p dovesse rendere ragione dell’a priori ; che Darwin
potesse compiere e correggere Kant. L’a-priori kantiano, giunse a
scrivere, è una semplice fermata, che si traduce in queste parole. In noi
c'è un’ attività già preformata a compiere certe funzioni, senza di cui la
sperienza non si farebbe. La filosofìa accetta la tesi kantiana, e
domanda: come si è preformata ? E cerca di trovare la risposta in due
fattori: rassp cjazjpne e la; la prima che accumula, la seconda che
trasmette. Per loro mezzo, l’a priori dell’individuo e ciò eh’ è a posteriori
per la specie. Proprio quello che si dimostra assurdo nel c&p. Ili della l.
a edizione (IV della presente)! Il libro, insomma, è, diciamolo pure,
guastato dall’autore stesso. E non soltanto dal lato della
dottrina. Perchè, tormentato in questi primi capitoli fondamentali, e qua
e là, in tutti i punti più importanti, nello sforzo di rammodernarsi e
transigere, quasi, con le più recenti dottrine, esso perdette lajr
eschezza del primo getto, la stringatezza e solidità della primitiva
costruzione, raniijaa, onde era stata originariamente concepito. Rabberciato
alla meglio, si arruffò, e divenne aspro e difficile, di quella
difficoltà che non è allettativa dell’ingegno, ma durezza invincibile e
disperante. Perchè ciò che è logicamente ragionato, sebbene astruso, attrae e
ferma lo spirito, e lo costringe a pensare per assaporare il gusto
forte che dà la vittoria sulle difficoltà; ma ciò, che non fu
organicamente pensato, stanca ed opprime, ed allontana da sè. Pure il
manuale del F., cosi guastato, sè continuato a ristampare ogni anno, e a
studiare nei licei del Mezzogiórno, pel buono che sempre contene, per la
serietà onde appariva scritto. Oggi che torna nelle sembianze primitive
dovrebbe incontrare miglior fortuna. La psicologia, com’è in questa
rinnovata edizione, è un' esposizione veramente lucida, benché elementare, dei
gradi principali dell’attività costruttiva dello spirito teoretico; e,
quando non avesse altro merito, questo solo dovrebbe bastare a farlo sostituire
a quei compendia di psicologia empirica e descrittiva, che ora corrono per le
nostre scuole. Giacché, come vedranno da sé i signori colleghi, la psicologia
di F. è ijutt’altra cosa da, queir empirica descrizione e classificazione
dei fatti di coscienza, che tiene ordinariamente il
campo dell’insegnamento liceale. Quella descrizione e classificazione c'è
pure. Ma in piccola proporzione e in seconda linea, laddove la trattazione
mira alla comprensione filosofica dell'attività dello spirito nella sua
progressiva produzione del mondo teoretico, del mondo della scienza. Ora,
che giovi più richiamare l’attenzione dei giovani su quest'attività, anzi
che sulla minuta e grossolanamente sistematica conoscenza dei fenomeni
psichici, non credo che alcuno, a ben rifletterci, vorrà mettere in
dubbio. Siffatta conoscenza gioverà sempre ben poco, se pur mai gioverà: e
la sua utilità non potrà essere altra dall’utilità propria di ogni
speciale contenuto mentale. Invece è risaputo e convenuto, é già s’è
detto, che fine, della cultura del liceo non è di riempire, ma di formare il cervello.
Come essenzialmente formativa ed in sommo grado educatrice è appunto la
coscienza, la quale può aversi a principio, e quale con l’aiuto di questo
libro può ottenersi, della posizione dello spirito umano nel mondo, dove non è
spettatore, ma attore e creatore, almeno del suo mondo. Questa coscienza
è elemento necessario della cultura vera; ed è gran ventura per la scuola
media italiana possedere questo libro atto a promuoverla. Ma F. non
accenna questo. Ma F. non parla di, quest’altro, che pur si richiede dagl’alunni
della classe liceale. Non si richiede, veramente, nè questo, nè
quest’altro. I programmi liceali, gli ultimi che si siano prescritti dal ministero,
non parlano se non di elementi di psicologia, lasciando alla coscienza
scientifica degl’insegnanti d’intendere la psicologia secondo i proprii
convincimenti e di darli quindi il contenuto corrispettivo. D’altra parte è
proprio possibile, dato l’orario presente dell’insegnamento filosofico,
fare studiare come si conviene, in un solo anno, a giovinetti appena
giunti dal ginnasio, una trattazione di psicologia più estesa di questa
del F. (che, si badi, sorpassa nella presente edizione di 40 pagine quella
dell’edizione precedente)? Che, se dall’annunziata riforma della scuola
media il nostro insegnamento, com’è giustamente nei voti di parecchi
insegnanti, verrà concentrato, con orario maggiore, negli ultimi due anni
del liceo (cani’era, quando questo libro e scritto), allora l’estensione delle
due parti principali, in cui il libro è diviso, risponde puntualmente al
programma dei due anni. Coteste due parti, per comodo delle scuole in
cui se ne volesse adottare una sola, s’è pensato di pubblicarle questa
volta in due volumetti separati. Nel primo dei quali per motivi didattici
ho creduto opportuno dividere la psicologia dalla logica. Vero è che anche
nella parte n si torna poi a trattare di psicologia. Ma è questione di
parole, ove s'intenda con F. per psicologia quella parte della filosofia
dello spirito che studia le forme fenomenologiche del sapere. Per gli
stessi motivi didattici ho spezzato nella stampa il, discorso tutto
seguito dall’autore, che, scrivendo, non prendeva mai flato. E si vanta
di non esser uso a scrivere con le seste e rileggere quello che
avesse una volta scritto. E ho diviso ogni capitolo in tanti paragrafi con
speciali titoli, quanti sono i singoli argomenti speciali che vi
sono toccati. Come, sempre per gli stessi motivi, ho messo in
corsivo termini tecnici, definizioni ed esempii. Altre modificazioni non
ho introdotte, salvo lievi mutatnenti nei titoli dei capitoli, dove, non
mi sembravano esattamente corrispondenti al contenuto di questi; e qua e
là ho corretto alcuni pochi errori di fatto, incorsi nel libro per
disavvertenza, e che l’autore, avvertito, avrebbe corretti da sè.
Della forma non mi son permesso mutar altro che, in rarissimi casi,
alcuna espressione non abbastanza chiara; come ho tolto via, poiché si tratta
di libro scolastico, qualche arcaismo, che potesse parere affettato, e certe
ripetizioni fastidiose di parole, a cui l'autore, quasi per vezzo, non
badava. Note non ho voluto apporne se non di rado, e sempre tra parentesi
quadre, a chiarimento di espressioni oscure. Ma ne ho voluto mettere sempre,
brevissime, ai nomi dei filosofi citati dal F., per indicarne la patria,
l’epoca e le opere più celebri o più notevoli. Potrà forse parere che ciò
sia troppo poco per alcuni, e troppo, e superfluo per altri. Ma la
pratica della scuola e degl’esami mi ha indotto a fare come ho fatto. Note
lunghe non sarebbero state lette, o avrebbero distratto; oltre che
sarebbero entrate in particolari storici fuor di luogo. Questi brevissimi
cenni potranno bastare a non far parere un Carneade ogni filosofo che l’autore
ricorda, e a rendere forse impossibili casi simili a quello che m'accadde
nell’esame di un candidato esterno di licenza liceale, che mi da Kant per
contemporaneo di ARISTOTELE. E siamo giusti. Vedendo sempre appaiati ARISTOTELE
E KANT – KANTOTELE --, come fare a sospettare che l'uno era morto da venti
secoli quando nacque l’altro? Avverto infine che, riproducendo
l’edizione, credo tuttavia di riferire dalla edizione posteriore il capitolo
sulle sensazioni in particolare, che nella prima mancava; perchè contiene
notizie elementari, che è bene non sieno ignorate. E avvertirò pure che,
eccetto differenze di poco conto, notate ai loroluoghi, nella logica e
nell’etica, le due edizioni coincidono. Solo futolto nella seconda un capitolo sul piacere e il dolore,
che da me, s’intende, è riprodotto. Il periodo filosofico che ho in animo di
traiteggiaro si travaglia pressoché tulio intorno alla ricerca dell’anima.
Muovendo dai principi aristotelici, e contenendosi il più delle volte nel
modesto ufficio del commentare. Il perchè, volendo io risalire all’origini di
quella controversia, ho divisato farmi dalla dottrina aristotelica, e dopo
averla guardata in sè, considerarla negli sviluppamene che partorirono i due
com, greco ed arabo. In ARISTOTELE medesimo quella dottrina non si può
diligentemente esaminare, se non riferendola alle altre rimanenti, onde si
compone il sistema tuttoquanto. Ci e se in cotesti riferimenti la scienza
sempre si amplia esi allarga, nel caso nostro il farlo è una necessità derivata
dall’indole medesima della speculazione aristotelica, la quale ci si
palesa consentanea con se stessa fin nelle ultime conseguenze di un
primo sbaglio. Nelle menti volgari si un errore esi una verità possono essere
inseriti, comeuna specie di episodio, nella struttura del sistema. Magl’ingegni
veramente speculativi si guardano di cascare in questo fallo, tanto
almeno, quanto aloro basta la
vista di guardarsene. La dottrina dell’anima, e più particolarmente poi
quella dell’anima intellettiva, presso Aristotile, implica quelle medesime
difficoltà che s’incontrano sin dai primi passi del sistema. Nel Saggio storico
su la filosofia greca io toccai di queste
difficoltà, emi studiai di chiarirne
al possibile il
vero nodo elavera sorgente. Zeller non ha guari
nella sua Filosofìa
dei Greci ne
faceva una distesa
rassegna, e di nodo in nodo mostrava
come tutte si
aggruppassero nella posizione
di Aristotile verso
Platone. Qui non mi è consentito
altro che sfiorare tutte
quelle difficoltà, e mostrare
come riappaiano nella
dot- trina, della quale
ora discorriamo. Si
vedranno nella psicologia
come nella metafisica
gli stessi problemi, e poi le stesse
soluzioni, o meglio il difetto
di una vera
soluzione. Platone aveva detto:
l’universale, o l’idea, è quanto
v’ha di vero e
di sostanziale nelle
cose; la materia, per i
contrario, è una mera negazione, un
non-ente. L'idea rimane
sopra la moltitudine
e la varietà dei
fenomeni, una, identica,
permanente. Le cose
mutano, ella no; le
cose muoiono, ella
dura eterna. Tra le
idee ed i sensibili corre dunque un
dissidio infinito, a colmare
il quale Platone
non sa trovare efficace rimedio; onde il
sistema platonico rimane
con una scissura
profonda ed irreparabile.
Aristotile venuto dopo, e fermo di porvi
riparo, delle affermazioni
del suo maestro
parte ritenne, parte
rifiutò. Parve anche
a lui che l’idea
sola fosse la
verità delle cose;
ma perciò medesimo, a suo avviso, ella non può stare nè sopra nè fuori di esse,
ed anzi implicata in una materia di cui ella è la forma. All’idea sopra le cose di Platone, Aristotile sostituì l’idea nelle
cose, o la forma. Il partito, a cui si appigliò
lo Stagirita pare a
prima giunta il solo spediente
acconcio a ricongiungere
quei due
mondi che Platone aveva
lasciato staccati non solo,
ma opposti. La materia e la forma, collegate insieme
nell’unità dell’individuo, rappresentano
l'armonia di quei due conlrarii che Platone non aveva saputo riunire. Ed
intanto in Aristotile quel
congiungimento noi| è tanto
saldo, che quei
due contrarii mal
collegati non si
rivoltino soventi l’un
contro l’altro, e non
si mettano in
aperta rottura. Ognuno
di essi si
tiene in grado
di primeggiare su l’altro, e fonda le sue
pretese sopra esplicite
dichiarazioni di Aristotile
a suo favore; le
quali, bilanciandosi in modo
che nessuno di loro
penda, tengono l’animo
sospeso ed irresoluto.
Da una parte T universale non può
stare più da
sè, e cotesta indipendenza
è accordata soltanto all’individuo, dove
pare che consista
la vera sostanza; dall’altra l’universale
solo è conoscibile, esso
solo è la verità. Cosi
la realtà e Fa’^erTIir si
trovano spartite quando non
dovrebbero essere. La
realtà si l
appartiene all’individuo; la verità
all’universale. Platone era stato
conseguente nel riporre
nell’idea e la sostanza e la verità
delle cose; Aristotile,
invece, ondeggia, e quasi vorrebbe
gratificarsi l’uno e l’altro, accordando all’
individuo la realtà
ed all’ universale
la verità, con un sistema di
compensi che qui
non approdano. Questa contraddizione è notata
molto profondamente da Zeller,
che la sostiene contro
le osservazioni del
Biese, ed è manifesta a chiunque sappia
di Aristotile la dottrina
della cognizione, e quella delle
categorie. Questa prima contraddizione ne
partorisce parecchie altre. E
primieramente, se la
scienza non è atta
a [Er sagt oline jene Bescbrinkung: dati Wissen
geli e nur taf ’a Allgemeine, und ebeaso unbedingt:
nur das
Eiozelwesen tei eia
Sabstantielles. Die Philoi.
der Griechen, vou Zeller,
Zweite Tbeil, Zweìte
Auflage. cogliere se noe
la forma delle
cose, e questa oon ne
costituisce l’intera sostanza, ne conseguita eh*
eHa sarà imperfetta e che non
corrisponde alla realtà delle
cose conosciute, le
quali si trovano specchiate
in lei
soltanto a metà. Che se la
materia è un elemento indispensabile a fornire la sussistenza dell’individuo, non può
venire esclusa dalla
cognizione, come se
fosse un accidente,
o anzi un ostacolo. Ciò era ben
detto secondo i principii
platonici, ma non secondo
quelli di Aristotile. Intanto la materia è dichiarala
inconoscibile, essendo priva di ogni determinatezza. Inoltre
1’inconoscibilità della materia
nuoce alla conoscibilità
delie forme, perchè
queste, salvo la
prima e purissima forma, sono tutte implicate
nella materia non
solo, ma s’ingradano in modo, che la
inferiore sìa deve
considerare come potenza, e perciò come
materia, per rispetto all'altra che le sta sopra. Aristotile difatti ha posto
tal relazione tra la materia e la forma, qual’è quella che corre tra la potenza
e l’atto; onde la materia per lui è la
potenza della forma, come la forma è l’atto della materia.
Ora secondo questa determinazione tutte
le forme, tranne una sola, la massima, possono dirsi materia, e cosi
l’inconoscibilità della materia si riverserà
eziandio sopra le forme. La
massima forma poi, il divino, in mentre che dovrebbe essere la più pura,
e perciò la più lontana dalla individualità, è ella stessa un individuo. Ora l’individualità divina contraddice con la teorica
fondamentale, secondo cui ogni
individuo dev’essere il sinolo di
una materia e di una forma, non
potendosi 1 à «?’ «Xtj «yva>»To;
xa8’ ocutijv. Metapk.. 1 « Ein and dasselbe
Diog kana tich
desihalb io dar
einen Beziehong It Stoff,
io der Andern
ala Form, in
jener ala Mogli
chea, in diesar
ala Wirkliches verhalteo. Zeller. - etere un individuo dove
non abbia luogo punto di materia. In fine non si può scorgere dove propriamente
Aristotile ponga il sostrato della individualità : non nella forma
che, stando alla
teorica della cognizione, dovrebbe essere
l’universale; non nella
materia, la quale
è indeterminatissima, e che tanto
acquista di determinatezza,
quanto la forma ve ne
impronta. Tale per sommi
capi è il capitale difetto del Lizio. Difetto che
dalla relazione mal
definita d’universale e di
individuale, di materia e di
forma, si diffonde in tutte le altre teoriche, e le guasta in simil guisa,
producendo un'incertezza ed un viluppo irresolubile. Non è dunque da
maravigliare se quel sistema diede occasione a tante controversie di
interpreti, perchè esso
si acconciava ai
più opposti avviamenti. Tutta la
filosofia nel medio evo e nella rinascenza si diede a risolvere quei problemi in opposte
sentenze, credendo sempre di ormare i passi
di Aristotile. Nè, per vero dire,
mancavano fondamenti a questo conflitto di opinioni. Se non che ogni
diversa età ha mutalo aspetto alla
ricerca, pur conservandone
integro il fondo.
Così la scolastica considera la relazione tra universale ed individuo
come la più rilevantr. Di poi, tra
Aquinisti e Scotteti, prevalse la questione dell’individualità, e chi la
ripose nella materia, chi nella
forma. Da ultimo
nella rinascenza si
cercò nell’ anima e nelle sue facoltà quella partizione e
quella incertezza, e si domandò quale
fosse il legame che stringe l’intelletto con le rimanenti facoltà.
Le tre questioni degl’universali, della individualità e dell’ intelletto
o ragione sono diversi aspetti di una stessa ricerca; e tult'e tre mettono capo in Aristotile, e si
connettono insieme, e si spiegano 1'una con l'altra nel loro
storico sviluppamento, secondochò parmi
di vedere, e secondochè m’ingegnerò di provare. Lasciando stare per ora le
teorici che sono aliene dal tema dell’anima, e restringendomi a quella che
più da presso
vi si riferisce, Aristotile risguarda il corpo e l’anima dell’uomo sotto l’annodamento
medesimo di materia e di forma. Basta leggere il suo saggio dell’anima per
chiarirsene pienamente. Il corpo fa le veci di materia o di soggetto. L’anima,
per contrario, non può essere sostanza se non come forma di un corpo naturale
che vita. E per corpo animato -- che ha
vita, Aristotile intende quello che
si dice organici. Quindi proviene la sua definizione
di “anima”, ripetuta in tutto il medio
evo, ed in tutto il periodo del rinascimento, nè ancora se n’ è potuto escogitare
una migliore. Anima, Aristotile dice, è
l’entelechia prima di un corpo naturale animato, che ha vita. Bisogna intendere per tale definizione
un corpo organico. Ora, benché l’entelechia avesse, nel linguaggio del Lizio,
una determinatezza maggiore della forma, nondimeno “anima” è pur sempre la forma del corpo organico, e ad esso annodata
con legami non disleghevoli. Perciò ad Aristotile pare oziosa la ricerca se un
corpo animato vivo e organico e “anima”
siano una sola e medesima cosa, nel modo stesso che riesce vano il voler
sapere la differenza che passa tra il suggello e la cera su cui s’impronta.
Imperocché se l’entelechia si dice propriamente in quanto (“Sto boxili è®Tiv évreXt^sia nrzpàrn
ata/xtctoj fvotxoZ dwà/zsi txoxro;
.róiaÙTO Si, axv ri òpyavixóv. ’ ori /ztv
oo! oix giTiv
|vx»ì xwptsrÀ toG
sw/xares. è forza motrice
e tinaie, essa è però, come
osserva Zeller, sempre tutt’uno
con la forma. La definizione che ha
dunque Aristotile dell’anima,
è quello di forma – animata --,o di entelechia inseparabile dal corpo
organico animato con vita. Esi
badi, che Aristotile non vuol restringere in'nessun
modo questa sua definizione – graduale, come la di ‘numero’, in una serie --
fondamentale, la quale è comune a le parti dell’anima – o le tre anime – come,
dice Aristotile, la definizione di “figura”in geometria è applicabile a tutte
le figure, o il concetto di numero al 1, al 2, al 3, e successivo. Ben si
distinguono parecchie specie di anime, i cui “gradi” Aristotile determina cosi.
Nutrizione, sensibilità, locomozione, intelligenza o ragione -- ordinate in
modo che il grado superiore presuppone l’inferiore e non puo stare senza di
esso. Però tutte coleste specie dell’ “anima” debbono convenire nella
definizione comune. Barili, de Saint’Hilaire, riconosce questa necessità.
Stando aq ueste deduzioni, la dottrina d’Aristotile procede fin qui sicura e
senza esitazioni. Dove ci è moto prodotto per intrinseca energia, ci è “vita.”
Dove ci
è vita, ci è corpo ed anima, cosa mossa e causa motrice. Il corpo è la potenza e la materia. L’anima è
l’entelechia e la forma. E come nella metafisica l’individuo (to tide) risulta
da una materia e da una forma, cosi nel caso speciale degl’esseri e individui
“animati” – o gl’animali -- il loro compiuto concetto consta di un corpo
organico (il corpo di Sileno di Socrate) e di anima. Ma tutta questa armonia
viene rotta da una dubitazioneche Aristotile propone senza risolvere. Das
gleiche Wesen wird aber auch eia Eodzweck sein, wie ja Qberbaapt die Form voo der bewegenden und
der Endursacbe nicht verscbieden ist. Solerti non die Form ala bewrgende Kraft
wirkt, nennt aie Aristote- le Entelechie, ami somit definit i er die Seele ala
die Entelechie uod naber ala die erste Entelechie cines nalQrlichen Kòrpers,
welcher die Fahigkeit bat, za leben. Zeller, Zw.
Tbeil. La definition qu’il a donoée lui-méme au cb. l«r de
ce livre doit donc ponvoir s’appliquer spécialement à chaque espìce d’ime qu’il
a distiagatte. Ptychologit d’Ariilole,
Paria. Arrivato all’intelligenza, Aristotile tentenna, e si perita di
applicare a lei le determinazioni precedenti dell’anima, benché avesse prima
detto che quella COMMUNE DEFINIZIONE – ‘graduale’ -- [di ‘anima’] fosse
applicabile a tutti I gradi -- come nel
caso dei numeri -- differenti di vita
(bios, zoon). L’intelligenza (zoon logikon) pare ad Aristotele un altro
genere di anima (psyche) e vita, e perciò separabile nello stesso modo che
l’eterno si separa dal perituro. Questa scappata (aporia) d'Aristotile può riuscire inaspettata a
quelli soltanto I quali non hanno seguito la filosofia del liceo lizio in tutto
il suo svolgimento. Chi però ha posto mente alla irresolutezza d’Aristotile nell’accordo proposto tra
l’universale e l’individuo, ed ha visto continuare questa perplessità nella
concezione della materia e della forma, nel legame tra il divino ed il mondo, e
nella teorica della cognizione, si
accorge anzi che Aristotile non puo fare altrimenti. Nell’anima istessa ci è
qualche cosa che tiene più della materia, e qualcosallro che fa le veci di forma. Il senso e le facoltà inferiori di
vita che sembrano un patire, e l’intelletto – o
la ragione --- che sembra attivo verso di loro. Anzi nell’intelletto
(come parte terza dell’anima) medesimo, Aristotile discopre questa duplicità,
la quale come e rimasa irreconciliata e contrastante nelle prime categorie
dell’essere, così rimane qui negli ultimi
svi- -- I appara enti dello
spirito. Ciò che v’ha di peculiare nell’anima dell’uomo e la sua vita
(Anthropos zoon logikon) è l’intelletto. Perciò noi ci fermeremo un poco più
nel mostrare in che modo Aristotile ne avesse esposto la natura. L’ intelletto – o la ragione, la
terza parte dell’anima nella vita dell’uomo -- primieramente apparisce legato
con le l altre facoltà – anima I e anima II -- non solo per la intuizione
generale del sistema aristotelico, che fa ricomprendere ogni forma inferiore o
sub-razionale -- nella superiore, ma per l’esercizio medesimo della sua attività,
che non potrebbe recarsi in atto senza il sussidio delle due parti precedenti.
Le cose estese sono ricevute nell’anima mediante le sensazioni, le
quali sono perciò forme delle cose sensibili. Dopo questa maniera di forma,
che richiede la presenza della materia, ve n’ha un’altra la quale si assomiglia
alla sensazione, se non che non ha bisogno della materia presente. Da ultimo,
la ragione, l’intelletto, eh’è forma delle forme, esercita verso le sensazioni
ed i fantasmi la medesima azione che i fantasmi hanno esercitato su le
sensazioni, e le sensazioni su le cose
sensibili. Cotalchè come la
sensazione non può aversi senza la materia, nè la immagine fantastica –
e. g. centauro -- senza la sensazione – di uomo e cavallo --, così l’atto della intelligenza o ragione non è
possibile senza il fantasma. L’intelletto o ragione in questa prima posizione
apparisce dunque legato indissolubilmente con
tutto il sistema tripartito delle
facoltà dell’anima nella vita dell’uomo. Nè
per la sola operazione la ragopme p intelligenza apparisce legata con l’organismo
corporeo, ma per la sua intrinseca natura. Difatti ella,
come intelligenza, non è altro
che ciò per cui l’anima ragiona, e non è nessuna cosa in atto prima di pensare: ella è soltanto in potenza. Che se riannodiamo questa teorica
dell’ intelletto o ragione con l’ altra
dell’ anima, si scorgerà,
che come l’anima e
legata col corpo organico vivo
organico animato, così l’ intelletto
è legato con l’anima; perciò qui Aristotile la
chiama intelligenza dell’anima:
r»ì; voC«). Ed in
ultimo risultamento avremo il
corpo organico come subbietto o materia
dell’anima, e questa come
subbietto dell’intelligenza o ragione.
1x ed Sii roóro
omtc jit) Atrèavépigva;
puj&év *» oùdé
?uvior ór*» rs Se capri, oèvexyxvj
»(»* yxVTaspta ri
àsoipstv. * ùsre fj-nS’ aùroù
stvat pùnv /sride/tta»
àXX’ n t*vt»ì», ori
^u»aró» ò «pa xaXaóptsvoi
rn (»®ó; (Xsyoi Si voó» wdtetvostroci
xeni oivei r, 'l'UX’t) où&t* èsTiv svspyda tmv ovroiv tepìv vosi».
Altre asserzioni dello
stesso Aristotile accennano però alla
sentenza opposta. Già
abbiamo visto come
per lui l’intelligenza o ragione sia un altro “genere”
di “anima”, e separabile, in mentre che le due anime dei due gradi inferiori sono legate con gli
organi. A questa testimonianza, che sta
*contro* alle cose precedenti, se ne
aggiunge un’altra ugualmente
esplicita, dove si
sostiene che il
“noo” – o spirito -- venga dal di fuori,
e che solo sia “divino”. Si
possono distruggere la riflessione, l’amore, l’odio, il ricordarsi, perchè siffatte modificazioni
appartengono al soggetto in cui alberga l’ intelligenza e che
la possiede. Ma l’intelligenza o ragione o anima razionale
medesima è qualcosa di
più divino, è qualcosa
d’impassibile. Che se dopo tutte queste
dichiarazioni, che riguar-dano il principio intellettivo
nell’uomo, ricorriamo col pensiero all’intelligenza o ragione suprema, come
vien descritta nella metafisica, esegnatamente nel libro
dodicesimo, la difficoltà
da noi proposta
e più evidente.
Prima si dimostra
come non ci
siano altre sostanze che
quelle che risultano da
una materia e da una forma. Poi di forma in forma si arriva ad una
suprema, la quale non è punto implicata
nella materia, e che perciò
si svelle dal
sistema mondano, e non
vi rimane legata se
non per un
filo debolissimo, com’ è la relazione
di mosso e di
movente. Quella forma suprema,
che doveva accogliere in
sè tutte le forme inferiori, non è
potente nemmanco di
pensarle. L’intelligenza divina
rimane staccata dal mondo, se
non fosse per il bisogno di
ricorrere ad un
motore ultimo -- ed immobile.
Tale rimane nel
sistema delle facoltà umane l’ intelligenza -- è lo stesso
difetto che si riproduce in
ciascuna parte. 1 AeiTtirai «?* róv
voi!» /ióvov OùpaOev
eiwisuvai xai 0eTov
ecvat uo'vov. De
gener. anim., ctVedi
De Anima. Rénan si è
accorto della discrepanza
della dottrina su l’intelletto nel congegno del sistema del lizio, e la
dichiara un frammento di scuole più antiche, d’Anassagora specialmente, che viene citato dallo
stesso Aristotile. Ma
colesta spiegazione, oltre
all’essere poco degna d’Aristotile, il quale non
ne avrebbe saputo
misurare tutta l’importanza,
contrasta col disegno generale
del sistema. Saldata che
avrete questa screpolatur,
come farete poi per
tante altre che
rimarranno scommesse ed
irremediabili? Poniamo ancora
che il legame tra il divino
ed il mondo
si rimeni a questa
medesima dottrina, e che tutta la
Metafisica del lizio sia un episodio,
benché un po’
troppo lunghetto. Si risalderà
meglio la rottura tra
la materia e la
forma? Si spiegherà meglio la teorica
della cognizione, sviluppata negl’analitici? E se cotesta magagna
s’insinua in tutte
le particolari trattazioni – “De Interpretatione” – la
parola e segno d’una affezione dell’animo --, come si
fa a dichiararla un
frammento slegato, ed a cacciarla
via dal
sistema? Altro, a parer nostro,
è il dire che il più
spedilo e più logico avviamento d’Aristotile sarebbe stato di continuare
nella risoluta opposizione verso il suo
tutore all’Accademia, ed altro
il negare eh’
egli in questa
polemica non sia
proceduto incerto, parte
rifiutando e parte ritenendo.
Incauto cercatore, anche
lui, di conciliazioni
impossibili. Della prima e più spiccata contraddizione nel
costruire l’individuo di materia e di forma
ho discorso di sopra.
Toccherò ora della
dottrina della cognizione. La scienza
secondo il processo
del lizio piglia le
mosse dalla sensazione,
e procede, sempre più
sviluppandosi, per molti
gradi, i quali sono variamente
descritti, ma che si possono però
ridurre, conforme al1 (“Il
est évident que toute
cette théorie da
voù( est eropruntée
4 Anaxagore. — Averrhoès, etc.,
psp. l’esposizione del
Barili, de Sant’Hilaire,
ai seguenti. Sensazione
cioè, pensiero nella
forma volgare, ed in
quanto sottoslà alle
impressioni sensibili.
Scienza (ìttLotìiw), é intelletto (noo),
il quale è in relazione cop gl’inteUigibili. Riguardo alla sensazione non
s’incontra difficoltà. La sensazione è la forma delle cose sensibili, che viene
accolta da un’anima sensitiva. Nel sollevarsi poi dalla sensazione alla scienza, Aristotile ammette
moltè sfumature, die
talvolta si confondono,
ma che giova descrivere, per far
vedere quanto sottile
osservatore egli fosse,
e come per lui tutto il processo
del pensiero non fosse altro che un continuo disvilupparsi dalle forme più
materiali per rivestirne altre più generali epiù pure. Il grado immediato alla
sensazione è per lui la Séga che lo stesso Saint-Hilaire traduce per
“percezione”, e potrebbe pure dirsi opinione. Sopra cotesla percezione, o opinione che
dir si voglia, pone la
fantasia (pxvmaia.), la quale può dirsi
un grado di sviluppamene maggiore, staccandosi
già dall’oggetto sentito, più
che non
facessero i due gradi
precedenti, i quali ne richiedevano sempre l’immediata presenza. La fantasia medesima si riferisce
al fantasma (pàv touhx) ed all’inamagine (Uwv) ; imperocché essendo la
fantasia una specie di
tramezzo fra la
sensazione e la scienza,
col fantasma si
accosta più all’intelletto, con l’immagine
invece si accosta
più all’obbielto. La scienza e l’opinione possono accoppiarsi in certo
qual modo, ed il loro
miscuglio dà la
riflessione ( <j>pó- vjiJts). La
scienza, 1’opinione e la riflessione Sega, ppóvmatj), sono d’Aristotile comprese
sotto un termine comune uttò^cs, il
quale è deputato a significare
l’attività spontanea dell’anima, doyecchè
la Stóvota discorre da un oggetto
in un altro. 1 1 Per la
determinazione di tatti
cotesti gradi del
pensiero, vedi Barth.
de Tali sono i primi
sviluppameli della scienza;
ma ipoichè ella
consiste nel dimostrare, e nel far
vedere le cose nelle loro cagioni, perciò
è necessario che si fermi
in principi assoluti
ed indimostrabili. Il
voOs è l’intelletto di
questi primi principi,
i quali sono i termini
della dimostrazione. Se la
sensazione (afoots) dunque è il primo
inizio della scienza, l’intelletto
(vo0«) n’è l’ultimorisultato.Chi ha tenuto d’occhio tutto il processo della
cognizione, com’è descritto da Aristotile,
si sarà accorto
che conforme a questa dottrina il
vovg non può fermarsi se non nei principi più remoli dalla
materia, e più universali. Essendo
l’apice di ogni
astrazione, esso dev’essere al
polo opposto della
sensazione, che si
trova congiunta con
la materia immediatamente. Ed
intanto il punto
di fermata sono i
termini, ossia è la sostanza. Ora la
sostanza, nonché sia l’universalissimo
essere, è invece individuale;
dunque il processo della scienza,
dopo aver percorso
tutte le forme
di separazione dalla
materia, ricasca nella
sostanza, la quale
è dalla materia inseparabile.
L’essere e la sostanza
sono spesso confusi
da Ari- stotile, eh’è quanto dire la più astratta
delle forme, l’essere,
vi si scambia
con la forma attuosa legata
con la
materia. La sostanza è per
lui una volta
il neccssa- [Saint-Hilaire,
Logique d'Arùtote, Deuxìème l’artie,
section XI®, -di.
9®. Ecco come il
Trendcleraburg prova questo
ufficio proprio del
veù; aristotelico. « Noè; in primis
et ultimis scienti»
priucipiis rersatur. Ita
Analyt., post. I,
27, Xiyu yàp
*sùv ù.pyn'1 éKcuni/in»-
Elh. Nicom. VI,
6. 7st fTSToct
voùv siva* TÙv
xpyrZv. Quteuaui sit
xp%rj (neque euim
omnis ed noJv rediòit)
accuratius defiuitur Elh.
JVtc., Vi, 9, ò
pit -/«.p voós
ri» opwv u'J
oóx sor* /óyo;.
i. e. quorum
sulla est demoustratio
conclusione «ffecta. « Àristot., De Aniti.
Commentario. 1 «L’idée de l’étre et l’idée de substance se coufoudent
souvent aiosi pour Aristote.» Bar ih.
Saiot-Iliiaire, ioc. cit., cb.
40. rio e 1’universale, un’altra volta il puro
accidente ; un» volta forma,
un’ altra volta
sinolo di materia e di forma. Il noo
aristotelico adunque una volta
si ferma ai
principi (àp^wv), un’altra volta ai termini (ópwv),
i quali non sono altro che la sostanza.
Nè in quest’ una soltanto si
restringono le incertezze
di quella dottrina.
Il noo allora veramente si
conchiude e si assolve, quando si posa in se stesso. L’andare di
pensiero in pensiero implica un
processo all’infinito, dal quale
Aristolile si mostra
sempre alieno. Sforzato
adunque dalla stessa
dialettica egli immedesima in questo atto supremo l’
intelletto el’ intelligibile, ed in cotesta medesimezza dell’intelletto con se
stesso è riposta la sua vera assolutezza. Se ci fosse qualcosa di esterno, alla
quale lo spirito dovesse stare sospeso, egli sarebbe da meno di lei. E fin qui
tutto si accorda a maraviglia con la
natura dello spirito,
che non può
prendere in prestito
d’ altronde la sua compiutezza,
nè posare altrove
che in se
stesso ; ma in che
modo si potrà
conciliare cotesta af-
fermazione con l’ altra che fa travagliare il noo intorno ai primi
principi? Ed ecco una nuova irresolutezza, una nuova contraddizione. Lo spirito
che una volta si (Ecco come il medesimo
Sant-Hilaire riassumo da parecchi luoghi della Metafilica la teorica di
Aristotile, dove la sostanza apparisco una volta necessaria, un’ altra volta
come reale, cioè come individuale. Non trattando qui di proposito questa
teorica mi astengo dal citaro io stesso i luoghi del testo. La Science, douée de ces deux
caractéres, du général et du nécessaire, «'applique donc surtout è ce qui est
en soi, è lasubstance, bien plutùt
qu’anx autres catégorie»,
qui ne sont
que^d’accident. La substance,
l’étre éel (oùsia)
est su faste
de la Science:
et c’esl elle
spécialement qne le philousophe doit
étudier. De plus,
c’est à une seule
et ménte Science
de recher- « ber
et les principe
généraux de l’étre, de la
substance, et Ics principe
généraux de la
démonstration, et du
syllogisme qui la
coostitne. eh. »e. “Si absolutum id est, quod ad nihil nisi ad
seipsum rifertur, acquitur sane mentem, siquidem absoluta est,
seipsam cogitare. -- ferma nei
principi universali e nella
sostanza; un’altra volta che si
conchiude in se
medesimo. Certamente
quest’ultima conclusione è
più accettevole, e più consentanea alla nozione deirintellelto espressa
precedentemente; ma ciò non toglie
il fare incerto
ed anche contraddittorio del sistema. Se l’intelletto non
è, se non
quando pensa in
atto; esso non può
compirsi, se non
nell’atto suo proprio.
Se gl’intelligibili non
si differenziano dall’atto
medesimo che li
pensa, come si
può dire, che l’ intelletto si fermi
nei primi principi,
i quali in tal modo
dovrebbero avere un’ esistenza
indipendente? Forse ad
ovviare a questi ed a tutti
gli altri inconvenienti finóra
discorsi, Aristotile ricorse
allo spariijmento del noo in
due, per potere
più facilmente altrij
buirgli le più
conlradittorie determinazioni.
Il quinto capitolo
del terzo dei libri su l’anima ospone
la partizione dell’intelletto in
attivo e passivo. Come nella
natura ci è la
materia, eh’ è lutto in
potenza, e poi la causa
che la rechi
in atto; così bisogna che
coteste differenze si
trovino pure nell’anima.
In lei adunque vi
è un intelletto, che
può tutto divenire,
ed mi altro
che può tutto
fare. E come l’agente prevale
sul paziente, cosi l’ intelletto, che tutto
fa, è fornito delle
migliori prerogative; è separato,
eh’ è quanto dire
non dipendente da
nessun organo, è impassibile, e non
ha mistura di
sorta; perciò è immortale
ed eterno. Per contrario l’ intelletto, che tutto
diviene, è capace di patire,
e perciò è perituro, e senza
l’aiuto dell’intelletto attivo
non può nulla
pensare. Il noo attivo così
descritto apparisce essere
quanto nell’ uomo
v’ha di divino ; anzi, come osserva Zeller, esso
non si differenzia
punto dallo stesso
Dio. E di ciò 1
/.ai !<mv S pìv
Totovro vsus tw
Tra/Ta ycvss&at, S Sì'
r» irà/Toc iisiitv.
De Anim.) potrà capacitarsi chiunque si
faccia a riscontrare la dottrina
del Noo attivo
con l’altr del
Dio aristotelico,, come
si trova nel
dodicesimo libro della
Metafisica. Se non
chè il noo attivo,
da alcuni tolto
per lo stesso
Dio,, non si
può considerare se non
come qualcosa dell’anima.
Aristotile medesimo, se
da una parte
lo chiama il
divine nell’ uomo ;
1 dall’ altra ci
ricorda eh’ esso ò
un altro
genere di anima. 1 Intanto è impossibile
concepire due essenze divine, una
nell’anima umana, l’altra
separata; e questa contraddizione, prodotta
dalla solita dubbietà.
D’Aristotile, rimane anch’
essa irresolubile. 3 Gl’interpreti
d’Aristotile, e non gliene mancarono neppure quando
fioriva ancora la
greca filosofia, cominciarono percip a dissentire
sul Noo attivo,
secondochè ci attesta
Temistio. Chi voleva
farne la facoltà
che coglie i supremi principi
con una semplice
comprensione, e senza
bisogno di discorrere,
come pare avesse
intesa Temistio medesimo
(nè era certamente
senza fondamento cotesta
interpretazione): chi per
contrario dal dover
essere sempre in
atto argomentò che
non potesse essere altri,
salvochè Dio; ed
anche a cotesto commento dava
nerbo la descrizione
sovresposta di Aristotile.
Se non che,
obbiettava lo stesso
Temistio, Aristotile parla
dell’ intelletto attivo
e del passivo come
di diffe- renze (rà;
Scxp cpas) dell’anima ; ed
il porlo in
Dio ri- 1 el
Oeiov è vaù? ir pòi t ài
av9/Jwirov. Et. ffie., t»o;
irti 59v. Jìe An im.,
lib. Il, cgp.
3 Die ihatige Vernunft
ist mit Eincm
Wort nicht atlein
dea Guttliche im
Menschen, sondern aie
ist der Sacbe
noch von dei»
gottlirhen Geiste selbat
nicht veracliieden. Andererseits
liess sich aber
freilich der ansserweltliche gòttliebe Geist nicht wohl
ala die den
Kinzclncn in" oli
ricado nnd mittelst
der Zengnnge in
aie iibcrgehcndo Vernunft, ale ein Theil
der menschlichen Sede
bezeichnen. Aber eine
Liisung dieaea Widersprucbs
so- ebeà wir
bei Aristatclca vergeblieh.
Zeller,
Phil der Grieche n.
pugnerebbe a questo esplicito testo. Il
Trendelerobnrg nota tutte
le precedenti dubbietà,
nè sa risolversi
egli medesimo a miglior
partito, che a questo,
di confes- sare cioè
una certa cognazione
tra il Noo
attivo e Dio, senza però
spiegare come avvenga
nella nostra mente
questa partecipazione del
divino.Ben si accorge
che Aristotile nella
teorica del Noo
attivo rompe la
preclara serie delle
umane facoltà, e del loro progressivo
svi-' luppo, introducendovi qualcosa
di nuovo e di
estrinseco, ma non riporta questa
rottura ad una
più estesa, che
noi vedemmo fin
da principio avvenuta
dentro' la costituzione
originaria dell’individuo. Al
dotto critico di
Berlino non Sfuggirono
però i testi ripugnanti, e la ragionevolezza delle
interpretazioni
contraddittorie, benché egli non
si fosse sforzato, come di
poi ha fatto
Zeller, di risalire
alla prima scaturigine
di quelle con-
traddizioni divenute necessarie.
Chi disse: I’ intelletto attivo è il divino,
e Chi lo negò,
non ebbe certo
difetto di testi
per convalidare la
sua chiosa. Brentano non
ha guari pubblicava
un libro per
provare che il noo
è una facoltà dell' anima,
ma senza far
caso delle espressioni
che si possono
trarre iti opposto
senso. Così, a mò
d'esempio, nel libro
della generazione degli
animali ò detto che
l’ intelletto venga da fuori,
ed egli interpreta doversi intenderà non
del solo intelletto, ma ditutta l’anima
intellettiva. Che non abbia veduto
manifesta 1 Dopo riferite le
parole d’Aristotile, che queste
differenze di attivo
o di passivo si
trovino pare nell’anima,
soggiunge. « Qua) serba
aperte de humano
agere mimo. D’altra parte.
Divina mena nibil
esse potest, nisi agens
intcllectus, a qno veritas rerum
manat Sed quomodo liut,
ut Immani mens
divine particeps sit,
dietimi est nusquam. s Com-
meni. Ariti, de
Anima. [Vor der Hmd
sei nnr bemnrkt,
dass nnter dem
vou; der Svpy.Sev
in den Fòla eingeht, nidi t, wie Manche
meinen, der voù; 7ro‘V)Tt/o;
atleta, sonderò die ganze
ibujnj vortrtxv zn
versteben ist.» Die
Ptychologie l’oscillazione d’Aristotile dopo
le profonde osservazioni
di Zeller, che
pure ha letto,
a me sembra cosa
stranissima ; ma ognuno, a
vedere, si vale degl’occhi
suoi e non degli
altrui. Eppure a lui è saltato
negli occhi il
doppio valore del noo
aristotelico; se non
che, invece di
spiegare la causa
di questa duplicità,
ei riconosce una
sola significazione come
propria della, dottrina
ari- stotelica, l’altra come una certa
metafora, di cui
Aristotile si fosse valso; lui
che dalle metafore
era alienis- simo. Come,
dice Brentano, noi diciamo
sano tanto chi
ha la sanità, quanto le
cose che conferiscono
a procurarla, cosi Aristotile
ha potuto chiamare noo
tanto il subbielto,
che ha in
sè il pensiero,
come il desiderio
spirituale, che n’è un
corollario, e il divino che n’è il
principio creatore.1 Cosi nella
lingua tedesca, ei
soggiunge, Geruch vuol
dire ugualmente ed
il senso che
coglie gli odori,
e l’odore come qualità
dei corpi. E lutto
questo va bene; ma
Aristotile piglia il noo
tutte e due le volte in
significato proprio e serio;
tanto nel terzo
libro dell’Anima, dove
ne parla come
di differenza dell’anima
umana, come nella Metafisica, dove
lo descrive come
primo motore immobile
nella relazione che
ha con lutto
l’universo. E le descrizioni
rinvergano cosi bene, che paia sempre
lo stesso Noo
che si descrive : tanto il
primo motore della
metafisica rassomiglia al noo
attivo dei libri
dell’anima! Da qui l’oscillazione del sistema
aristotelico, che nessuna
interpretazione, o distinzione
al mondo
varrà a far cessare. des
Ariliotele, intbetondere teine
Lehre vom vojj
noi n ti xeg
vou D* Brentano,
Maini. 1a So knnnte aucb Aristoteles
nicht bloss das,
was die Gedanksn
io sich bat,
sonderà aucb das,
was Folgc dea
Deokes iat, wie
dea geistige Begebren, aber auch
das, was ala Princip
die Gedanken bervorbringt, ala #>9Ù;
bczeichoen. Brentano. Una nuova
difficoltà ci si
affaccia nel conciliare
le due differenze
che Aristotile introduce
nel Noo, perchè
il passivo è detto
corruttibile, e legato con
la memoria, col
desiderio, con tutte
le altre facoltà inferiori
; e l’attivo, per contrario, immisto,
separabile, e perciò immortale: ed intanto il
primo ed il
secondo appartengono del
pari all’intelligenza, che n’ è il
genere comune. Aristotile nel distinguere
il Noo in
passivo ed in
attivo ha voluto
occorrere a due condizioni, imposte entrambe
dal suo sistema.
Prima ha voluto
legare, il meglio
che si poteva,
l’ intelletto con le
facoltà rimanenti; perciò ha
dovuto introdurre in
esso i fantasmi per
intendere, i desideri per
volere; e gli uni e
gli altri si
fondano su la
sensibilità, e perciò su la materia,
su la possibilità
del corpo. Dipoi ha
voluto far dell’intelletto la
facollà che pone
la scienza, che
coglie l’universale puro,
sceverato da ogni qualsiasi
possibilità, e che perciò
non avesse nessuna
mistura di potenza,
o di materia, e fosse
puro atto. Da
qui la distinzione
di due intelletti; uno che attinge
ancora alle sorgenti
della materia, l’altro
che non vi
comunica punto. Perciò
vedemmo che l’intelletto puro non
può patire, e consiste
tutto nell’ atto; mentre
chel’ intelletto passivo
patisce, ed in
certo senso si
dee dire che
abbia della materia,
perchè ogni potenza
è materia, considerata per
rispetto all’ atto. Hegel ha cercato
di conciliare questa
contraddizione, che si
possa cioè dare
un intelletto che
partecipi alla materia,
dicendo che la possibilità nell’
intelletto non abbia
nessuna materia, perchè,
nel pensare, la
possibilità è ella mede-
sima un essere per
sè. 1 Però conciliazione siffatta
tien [Die Moj>lichkeit eelbst
ist abcr liier
nicht Materie; dar
Versta mi hat
nOinlicti keine Mitene,
scinderti die Moglickeit
geliort zu seiner
Substanz eelbst. Denn das Denken
ist vielmrhr dieses, nicbt an sicli
za sein ; and.
v egeti
seiner Reiobeit ist
seme Wirklickeit nielli das
Fùrcinandersein, scine più del
sistema proprio dell’ Hegel,
che di quello
di Aristotile. Quindi proviene
ancora l’ incertezza di
determinare in che
consista veramente l’intelletto
passivo. Trendelemburg opina eh’esso
sia costituito da
tutte le facoltà
raccolte quasi in un nodo, e considerate come condizioni
del pensare. Il
quale può aver
pigliato il nome
di passivo sia
perchè vien recato
a perfezione dall’ intelletto
attivo, sia perchè
viene occupato dalle
cose esterne. 1 Tale interpretazione però
va incontro a questo
inconveniente, di rendere
inutile la distinzione
che Aristotile aveva fatto
tra sentire; immaginare
e pensare. Se il
pensare non è altro
che il sentire e l’ immaginare annodati
insieme, perchè distinguerli
da quello? Non
bisogna dimenticare mai
che dell’intelletto in
generale Aristotile fece
un altro genere
di anima. Pare adunque
che nello sviluppo
della intelligenza, medesima
bisogna trovare quei gradi che appartengono al noo passivo, e gli altri che
sono propri del Noo attivo. Già di
questo ultimo noi vedemmo che Aristotile avesse posto la funzione peculiare
talvolta nei primi principi, tal’altra
nel ripiegarsi sopra di sè. I gradi precedenti
della scienza, che
del resto appartengono
certo alla intelligenza,
bisogna che si attribuiscano all’intelletto passivo. Tale
è la necessaria conclusione a cui
si perviene a guardare
nel lutt’ assieme
la dottrina aristotelica,
e cosi vedo che
ha interpretato pure Zeller,
che nelle cose d’Aristotile
Mogliclikeit «ber selbst
cin Fursichsein. Hegel, GeschicMe der
Philoi. 1 a Qua? a sensu inde ad
imagiuationem mentera anteccssorunt, ad
rea parcipiendas menti
necessaria, sed ad intelligendas non suflìciunt. Orno es iilas, qua?
p r eccedimi, facultates in
nnum quasi nodum
colleetas, □natenus ad
rea cogitaodas postula
nlur, vouv TtuSriTixo
v dietas esse innicamus. Trendclembnrg, De
Anima, Comment. vede molto addentro,
ed ha grande
autorità. L’intelletto passivo
per lui consiste
in quei gradi
intermedi che stanno
tra il sollevarsi
delle forze rappresentative ed il pensiero
compiuto che quieta
in sè stesso; in quel processo riflessivo
e discorsivo che Aristotile stesso
contrassegna con la parola
ScuvousOca. 1 Guardando ora tutta
insieme la dottrina
del noo aristotelico, essa ci
presenta questa contraddizione, di essere cioè considerato
come l’ultimo sviluppo dell'
attività pensante nell’uomo, e di
essere presupposto fuori
dell’uomo, perfetto, compiuto
in sè, separato. È per questa ragione
che il noo passivo
ci vien mostrato
come processo, come
discorso, ed il noo
attivo come intuizione; e che il
primo è tenuto in minor conto del secondo. Affinchè la posizione
aristotelica fosse riuscita
precisa e diritta, ei si sarebbe dovuto disfare di quell’universale separato, ed
ambiguo, e tener fermo
nel riguardare lo spirito come
processo rigoroso ed ordinato.
Ma per fare
ciò, non bisognava
modificare soltanto la
dottrina dell’ intelletto, sì veramente
mutare 1’andadamento generale
del sistema; cosa che forse non
era da pretendere
in quei tempi. Il concetto dello spirito come sviluppo è risultato della filosofia
moderna. Un valoroso storiografo
tedesco, Prantl, non
ha dubitato di
presentarci come genuino
sistema di Aristotile
quello che per
noi è piuttosto un desiderio. Nò
al dotto critico
manca ingegno o copia
di testi; ma il suo fare sa
troppo di moderno,
e perciò di- viene subito
sospetto. L’intelletto, il noo aristotelico,
è per lui una
immediata unità nella duplicità della
Giostra essenza, e da
un lato coglie
l’uno trascendente, il
divino, dall’altro i Zellcr.
molli, l’individuo; o in altri
termini è l’unità originaria
del senso e della ragione,
il principio e la
fine, l’alfa e
l’omega.1 In un
luogo dei morali
nicomachei si dice
che il senso
è noo; e su tal
dichiarazione il critico tedesco
rifà da capo tutta
la teorica di
Aristotile. Dove gli
altri avevan visto un altro genere d’anima, egli
scorge un’originaria medesimezza;
dove gli altri
avevan trovato incertezze, egli sicuramente
afferma che il noo aristotelico è sviluppo, che
muovendo dalle impressioni
sensibili arriva sino
all’universale. L’intelletto,
dice Franti, secondo il modo
di vedere aristotelico, non è una
passiva intuizione, ma un’attività che
nel progresso del
suo sviluppo va
dalla potenza all’atto.
È un accrescimento dentro sè
stesso, Zuwachs in
sich selb&lhinein, come
dice il critico
tedesco traducendo l’ iniSoais
ì<?>’ tàuro d’Aristotile. Che
se l’intelletto si
dice potenza, esso è una potenza
tale che si
distingue da tutte
le altre non
solo perchè comprende gli
opposti, ma ancora
perchè si fonda
sopra un precedente
attuale. La continuità
dello spirito in
questo processo si
pare a ciò, che i primi
pensieri si distinguono
appena dalle sensibili impressioni; talché il
sapere non è qualcosa apparecchiato
d’avanzo, ma nasce
la prima volta
come [Der voi;
ist fur dia
Stale, vvas dea Ange fur
den Korper i«t, rr ist
die anraittelbare Einheit
in der Duplicil&t nnseres
VVescn, deno er < rfasst
einerseits das trascendente
Eioe, Gòttlicbe, and
andrerseits ist er
cs atich, welcher das Einzelne, Viete ergreift, ja es
wird io diesem
Sion, d. li. von
einem wabrhaften Antropologismns aus, selbst
die Sinneswabrnehraung aiisdriiklicli voi;
gena noi; und,indem so der
voi; der geistige
Sion fQr dia
beiderseitigen Crtheile ist, sowohl
fOr jene, welche ein
Ewìges und Crsprùnfjliebes aussprerben,
als aocb ffir
jene, welche anf das Gcbiet
des Vergliiglicheo sich
beziehen, a» kann er
mit Rccbt der
Anfaog und das
Eode, das vahre A und
Q, des Apndeiktischeo genannt
wcrdon. Getchichle der Logik. ], tale. 1 Quando il noo si solleva, sopra tutte
le opposizioni, al supremo
Uno, ivi pensa
sè stesso, ed
il pensiero ed il
pensato s’identificano: in tale attività
egli mostra la sua eternità. Tal’è per sommi
capi la teorica
del noo aristotelico secondo
Prantl: prima, attività originaria, unità del
senso e della ragione; poi sviluppo sino
al pensare, sviluppo tale
che tra l’impressioni sensibili ed i primi gradi del pensiero v’è appena differenza; infine processa intimo, ed indipendente
dalla materia, fino
ad attingere il
pensiero di sè
stesso, e con questo
l'eternità. Questa esposizione
toglie ogni dubbietà
ed irresolutezza dal sistema
aristotelico, e lo fa
rigorosamente logico, però,
a quel che mi
pare, a scapito della genuinità. Quella unità originaria sa
troppo di moderno, e quella eternità conseguita dal nostro spirito nel colmo del suo sviluppo è un’intuizione moderna del
pari. Ciò che
mi sembra schiettamente
aristotelico è il concetta
dello sviluppo applicato
all’ attività dello
spirilo; ma il pensare
puro rimane pur
sempre staccato dalla
serie preclara come
diceva il Trendelemburg. Ammettendo
difatti la spiegazione
di Prantl, il Dio
aristotelico sparisce,
perchè il Noo è
perfetto e compiuto nello spirito
umano; ed il divino
d’Aristotile, se bisogna
a qualcosa, è per
cotesta ultima finalità. Prantl tocca
dell’ intelletto per
arrivare al cominciamento
della Logica. Per
lui l’ intelletto si compie nel
concetto, cioè nel
cogliere l’universale, il
quale non è
1Prantl, Und indetti dar
voù; in dem
Denkcn dieses bòchsten
Einen aicb se'btt
deukt, erreicbt er das Ziel
and das Zweck
seiner Actnaliiat : er
denkt das Angich
and deukt kiebei
steli selbst in
einer Tbeilnabme an dem Gedachten,
ao dass Denken
und Gedacbtes ideatiseli
siod ; in solcber TbStigkeit
erweister arine Ewigkeit.)
l’ atto medesimo dell’intendere ; talmente
che la logica
s’ inizia là dove
la psicologia finisce.
L’ unilà immediata del
Noo è il principio della
psicologia; l'unità immediata
del concetto è il
cominciamento della logica. Prantl fa
una dotta e profonda
investigazione delie categorie aristoteliche, delle
quali mi rincresce
non poter qui
discorrere, tanto più
che nel Saggio
sulla filosofia greca
io mi trovai,
inconsapevolmente, d’accordo col
professore tedesco nei
risultati di quella
ricerca. Qui però non voglio omettere
di dire come
Prantl si accorge
che lo sviluppo
dello spirito si
riannoda colla dottrina
delle categorie, dove,
oltre alle determinazioni estrinseche della sostanza,
bisogna ammettere un processo
genetico ed intimo.1 Ma
cotesto processo per
il quale la
sostanza si genera,
rimane nel sistema
aristotelico ciò che
direbbesi una semplice
esigenza. Perchè la
sostanza diventi questa o quest’
altra essenza, non apparisce; e cosi non
apparisce neppure nello
sviluppo dello spirito
la necessità del
passaggio da una
forma all’altra ; perciò neppure
la necessità del noo, che,
per tal causa,
può dirsi nell’
insieme del sistema
introdotto da fuora.
Prantl ha un bel chiamare il noo unità
immediata, Ansich ; tutte coteste
vedute sono più
profonde come scienza
che vere come
storia. L’intelletto separato,
il motore immobile
della me- [Dass aber Aristotele
eine Selbstentwicklung der
Denktliàtigkeit voo ciucili
erstcr Stadium aa
bis tu einem
letztea wesentlicli erreicbbsreu
Zieie «nerkennt, sahea
wir gleicbfalls scbon
obeu.... ; und so ist ihiu aucb
die tìrsprùogliche Conception der
Begriffe aio erstcs
Lumittelbares. Voglio riferire
questa osservazione del
Praotl eoo le
parole eoa cui
I’ha compendiata un
mio giovane amico
in una bella
tesi di laurea:
a Cosi intorno all’individuo
si raggnippano amendue
i processi, nel processo gene
4ico, o nel ytvsoàai vltOÒiì
l’individualità, la sostanza
funziona da predi,
ceto, ed il
suo soggetto è la
materia indeterminata; uel
processo categorica funziona
da soggetto, e regge e sostiene tutte le determinazioni categoriche. Delle varie
interpretazioni dell'idea platonica
e della categoria aristotelica, Tesi per laurea
di TOCCO (si veda). C -«V-
tafisica, resiste ad
ogni più benevola
interpretazione. Certo se
Aristotile avesse volato e potuto essere conseguente,
avrebbe pensato come lo fa pensare Prantl. Passando ora dall’intelletto alla
libertà noi troviamo
nella dottrina aristotelica
le tracce della
prima indeterminatezza. Brandis
ha detto
che la libertà
secondo Ari- stotile consiste nella
facoltà che ha lo spirito di
svilupparsi da sè e mediante se stesso secondo
la misura della
sua originaria disposizione.
Ma, domanda con
molla ragionevolezza il Zeller,
a qual parte dell’anima
debbe appartenere questo sviluppo? Alla ragione no, perchè
immobile ed inalterabile; all’anima sensitiva ed
appetitiva nemmanco, perchè
non sono capaci di
svilupparsi con libertà,
non potendo trovarsi
libertà se non
dov’è la ragione.
Rimarrebbe l’intelletto passivo,
al quale, sia detto una volta
per sempre, si
ricorre d’ordinario quando
si scorge l’impossibilità di
dare uno scioglimento
risoluto; ma esso stesso
oscillando tra la
ragione e la sensibilità, avrebbe
bisogno, al pari
della volontà, di
uno schiarimento per
vedere in che
modo si possa
dare una facoltà che
partecipi di due
altre cosi opposte,
come sono il
senso e la ragione. Aristotile
stesso accortosi della
specie di altalena
che fanno la
ragione pratica ed
il desiderio, li rassomiglia
a due palle che
si rimandano da uno
all’ altro. Un filosofo francese,
Waddington, taglia come Alessandro
il nodo, invece
di scioglierlo, dicendo il principio, la causa
dell’atto volitivo esser
l’io; degli altri atti essere soltanto partecipe, ma qui
il caso esser diverso,
e sentirsi assoluto e sovrano padrone.
Ma appunto di
questo Io noi
cerchiamo invano in
Ari- [Zeller. Aristotile, De
anim., La Piicologia d’Ariiloliie, esposta
da Waddiogton e Toltala in italiano dalla marchesa Marianna Floreozi Waddington]
stotile, e vogliamo scoprire dove
si annida, se
nella ragione, o nella
sensibilità, perchè la volontà
non è facoltà originaria,
come non è l’intelletto passivo,
nè l’intelletto pratico. La vera personalità dello
spirito è da cercare
dunque o nella sensibilità, o nella ragione, almeno secondo i dati della
psicologia aristotelica. La scuola
ecclettica di Francia
ha ripetuto sempre che la volontà è l’Io, essendoché la ragione è
impersonale ed i fatti sensibili traggono
origine dal mondo esteriore. Con
questa intuizione peculiare del loro sistema, ei si fanno ad interpretare
Aristotile. Se non che la volontà per il filosofo greco non è una facoltà originaria, quanto meno perciò
può essere la
intera personalità dello
spirito! La volontà è una specie
di risultante prodotta
dal connubio della ragione col
desiderio. Le quali due facoltà essendo si opposte, rimane assai
difficile il definire in quale di esse stia lalibera determinazione di se
stessa.Quando Aristotile appaia la ragionespeculativa con le facoltà rappresentative, e ne
fa l’intelletto passivo; ovvero quando accoppia la
ragione pratica col
desiderio, e ne fa la libera volontà,
rimane sempre incerto quale
dei due elementi
debba prevalere: se la parte sensitiva
ed appetitiva debba
trarre dalla sua la
ragione, ed introdurre in lei la mutabilità
ed il patire;
ovvero se la ragione,
signoreggiando il senso e l’appetito, debba far questi partecipi della propria impassibilità
ed eternità. Nella vera
conciliazione di cotesti due opposti termini sarebbe stala
riposta la persona umana, se in
Aristotilo il loro accoppiamento non
fosserimasto un accostamento esterno, e,
come dicono i tedeschi,
un Zusmrmensetzung~ [Der Wille musa demnach cioè ans Vernnnft and
Bugiarde snsam- mengetetzte
Thatigheil saio. Aber auf welcber
Scita io dieser Verbiudong da&
eigentliche Wesen dea
Willens, die Krafta der
freieu Selbslbestimmung
liegt, ist sclmer za
sagea. Zeller. Esclusa la volontà,
dove si deve
dire che alberghi
la persona umana?
Talvolta pare che Aristotile la
faccia consistere nella
propria ragione di
ciascuno; ma la
ragione è un puro universale,
incapace di mutazioni e di patimenti, eterna ed impassibile. Ed
invece la persona è il subbietto proprio, e la
causa intrinseca dei suoi mutamenti. Tal’ altra volta pare che
Aristotile attribuisca la personalità all’anima, in quanto
senziente ed appetitiva; ma, oltre che questa, come
osserva Zelter, è incapace di produrre movimenti da sè, secondochè sostiene Io stesso Aristotile, viene
esplicitamente esclusa, dicendo
che non nell’anima,
ma nell’uomo in quanto consta di corpo e di anima, dee riporsi il
subietto dei movimenti
sensibili. Il corpo intanto non è cagione del moto, perchè esso
verso l’anima è come la potenza verso
l’atto. Ecco in
quali difficoltà ci
siamo imbattuti nel cercare dove consista la personalità umana secondo
i principi d’Aristotele. Le quali difficoltà, a parer mio, procedono dal non
aver Aristotile fatto vedere per
qual modo 1’universale
si determini, per
intrinseca energia e per dialettica
necessità, nel particolare, e diventi individuo; e per qual
modo poi l’individuo, rifacendo nel processo conoscitivo il cammino
inverso del processo genetico, si
sollevi dalle determinazioni particolari
ed accidentali all’universale ed
all’ assoluto. Non è già che siffatto processo
non sia stato intraveduto
dall’acume di Aristotele, ma non è stato spiegato con sufficiente chiarezza, perchè le sue dottrine s’informassero tutte secondo
quel processo. Prantl accennando al
processo genetico, come intimo,
e diverso dal processo categorico, e trovandone le tracce nella
metafisica d’Aristotele, ed in altre
sue opere, ha
mostrato come la determinazione
dell’universale nel particolare,
il concretarsi della
forma in una
materia sia il primo postulato di
Aristotile. E spiegando dipoi come il noo, per assurgere alla condizione
assoluta di pensiero,
ha dovuto essere
fin da principio
unità originaria, individuo ed z
universale, senso e ragione, affinchè
fosse possibile tutto lo sviluppo intrinseco dello spirito, ha
posto in evidenza
il secondo postulato,
non meno del
primo indispensabile.I due
postulati che la critica di PRANTL richiede nel sistema aristotelico, nella
metafisica il primo, nella
psicologia il secondo, sono
però, lo ripetiamo, appena intraveduti
da Aristotile, e non pienamente dedotti. Forse il concetto
di sviluppo nello spirito è molto più evidente che non il processo genetico
nella sostanza; ma ciò non toglie
tutte le irresolutezze, ed
anche le contraddizioni, che
noi abbiamo fatto notare,
giovandoci degli studi di
Zeller, il quale
ha collocato il
sistema di Aristotele nella sua vera luce, tanto per rispetto a Platone,
come nel suo intrinseco organamento. Dalle cose premesse apparisce chiaramente
quel che debba
dirsi della immortalità
dell'anima secondo Aristotile. Per lui
tutto ciò che
si altera è soggetto alla morte.
Onde le facoltà sensitive, le appetitive,
le rappresentative, e perfino
l’intelletto passivo finiscono con
l’organismo corporeo, da cui
dipendono, e con cui sono
indissolubilmente legati.
Solo superstite è per
Aristotile l’intelletto attivo,
il quale, se fosse provato che e da solo
la persona umana, basterebbe
ad assicurare l'immortalità. Ma l'intelletto attivo è il solo elemento
universale, una specie
della ragione impersonale
della scuola eccletlica, e perciò la sua durata non ha
nulla che fare con la durata dell’individuo e della persona. Questo intelletto
attivo superstite, slegato
che sarà dal
corpo, non avrà nè
sensazioni, nè fantasmi,
nè memoria, nè desideri; e perciò neppure volontà, nè
intelletto passivo; talché non potrà avere più
coscienza, nè personalità
che sodo inseparabili
da tutte quelle
determinazioni. Che se si pon mente, come il noo attivo per pensare ha
bisogno del passivo, noi potremo dire, che Aristotele non puo, secondo
i suoiprincipii, far sopravvivere
l’intelletto attivo alla
morte dell’ intelletto passivo, e se,
non ostante la
forza della logica,
lo ha fatto,
ciò ne dà
nuova riprova, che per lui non e
ben fermo il vero concetto del noo, e che una volta lo poneva come termine supremo dello sviluppo
psichico, un’altra volta ne lo stralciava, attribuendogli una esistenza
separata, impassibile ed immortale. Aristotile non è pervenuto sino
all’autogenesi dello spirito, perchè non si può creare quel che
si suppone esterno
non solo, ma
sproporzionalo alle facoltà
umane. L’ infinito per lui
ora consisteva nel
concetto dello spirito, ed ora in qualche cosa di esterno.
Tolta l’ipostasi dell’universale che aveva ammesso Platone per
ciascuna! cosa, ei
la ritenne per
rispetto a Dio, perciò il processo dello sviluppamento rimase
dimezzato, imbottendosi in
un termine esteriore
che gliene impediva
il proseguimento. Non ci è
un’idea preformata della
natura, perciò la natura può svilupparsi
per virtù intrinseca; ma ; ci è
l’ idea del divino sussistente d’avanzo, perciò lo spirito non può
farsi: egli già è
fatto, e non gli
rimane se non d’
insinuarsi nel mondo e di svegliarvi il penisiero.
Questa mi pare
la posizione dell’aristotelismo. Aristotile rimase
platonico per metà. Conti è ricorso a cause esteriori ed accidentali
per trovare una spiegazione del sistema
aristotelico, e perchè è il primo
ai nostri tempi che siasi dato a scrivere una storia della filosofìa in Italia,
mette il conto di dare un saggio del suo modo di criticare I sistemi.
Aristotile è passato dall’idealismo platonico alla scienza delle cose reali e Perchè? Ecco la risposta del Conti,
dacché la civiltà greca, uscendo da’propri confini, si distendeva nell’Asia con
l’armi, era naturale che alle idealità interiori, tutte di raccoglimento,
succedesse la scienza delle cose reali. Ma tutto colesto non ci ha nulla che
fare. Prima di ogni cosa non è certo che Aristotile abbia pensato il suo
sistema proprio al tempo che I Greci passarono in Asia. Ma, poniamo che sì,
qual relazione ci è fra una spedizionea mano armata con una polemica su le
idee? CONTI discorre dei vizi, pei quali i Greci vennero specialmente in mala
voce, ed eccoti scoverta la causa, perchè la loro filosofia “non giunse mai al
puro concetto di creazione, pernio della scienza. Anche qui la causa mi pare
troppo lontana dall’effetto, e non
veggo in che
modo la corruzione dei costumi
greci potesse appannare il loro intelletto. Forse non concepirono tante cose
vere e belle con tutte quelle passioni? Forse, ai tempi in cui fioriva
l’accademia platonica, a
Firenze non dominavano
vizi somiglianti? Dai filosofi di quel secolo parmi scorgere che quelle
brutture fossero molto in voga, e
intanto giunsero al puro concetto della creazione non solo, ma concepirono
perfettamente tutti i dommi cattolici, e
li disposarono alla filosofia. CONTI (si veda) inclina troppo a far la critica
filosoficacon la nascita el’ educazione cristiana, con le rette inclinazioni
del cuore, con il candore dei costumi; ma tutto ciò se prova afavore del
suo animo bennato,
non dà pari
fondamento ad apprezzarne
l’acume critico [La scienza
non si giudica con la fede di
buona condotta del curato. Ma lasciando queste osservazioni generali, che
appartengono al suo criterio storico, voglio notare che nella teorica
dell’intelletto d’Aristotile, egli ha frantesi lIÀ In la mente dello stagirita.
Di lui, difatti, dice CONTI che distinse l’intelletto agente che fa
intelligibili le cosdal possibile che le concepisce. Aristotile invece chiama
intelletto possibile quello che tutto diventa, agente quello die tutto fa, come
si può vedere nel testo medesimo dei libri dell’Anima che ho di sopra allegato.
L’atto con cui l’intelletto concepisce gl’intelligibili, egli intelligibili
medesimi sono tutt’uno. Non ci sono già le cose intelligibili distinte dal
concetto; onde se Aristotile avesse posto veramente questa differenza tra i due
intelletti, si sarebbe contraddetto. Eche CONTI travisa la dottrina
aristotelica, si pare da ciò, che l’intelletto possibile per Aristotile precede
l’agente, come la potenza precede l’alto; mentre per CONTI avviene il
contrario, forse perchè non ha attinto questa distinzione dalla sorgente
aristotelica, ma da qualche espositore che1’avea compreso male. Il peggio poi
si è che CONTI ha l’aria di non sospettare eppure l’importanza di questo
problema, non meno che di parecchi altri rilevantissimi, contento a sfiorarli
leggermente, quando non li trasanda del tutto. Keywords: idealismo, l’idea di
natura in Talesio, panteismo di Bruno, filosofo maiore, filosofo minore, Aosta,
Agostino, filosofia roma antica, Catone. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Fiorentino” – The Swimming-Pool Library. Francesco Fiorentino. Fiorentino.
Grice e Fioretti: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale dei pro-ginnasti – filosofia toscana -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Mercatale). Filosofo toscano. Filosofo italiano. Mercatale, Cortona, Arezzo,
Toscana – Grice:: “I like Fioretti; thought-provoking; he says Plato should
never have chosen ‘dialogue’ as a philosophical genre, and he is right; in my
long tutorial life at Oxford I NEVER asked a tutee to write a dialogue for me! If Plato were the standard, that’s what we’d do!” Autore
di “Pro-Ginnasmo” (pro-ginnasio, ginnasio – cf. Deutsche progrymnasium), un'ampia
raccolta di note critiche su autori di varie epoche, dai greci e latini agli
scrittori italiani del XVI secolo, da cui emergono la straordinaria versatilità
e ricchezza interessi dell'autore. Come moralista, scrisse “Osservazioni di creanze
e Esercizi morali. Critico acerrimo di Aristotele ed Ariosto, ed altri autori
classici. È stato anche co-fondatore degl’Apatisti. Ha una vita indisciplinata.
Il conte Giovanni Bardi, il feudatario di Vernio, lo ammonì ad una vita più
contenuta. Ma ha risposto alle minacce con una satira che raggiunse le mani del
conte, che immediatamente ordinò l'arresto di Fioretti. Ma Fioretti accorto
fuggì, e i partigiani del conte trovarono solo un'iscrizione nella casa del
prete che recita: Resurrexit, non est hic.
Infatti, si era rifugiato a Firenze, dove, nel tempo, cambiò
completamente stile di vita. Si dedicò alla filosofia. Rimase nel Palazzo di
Oriuolo e cambia anche il nome diventando Udeno Nisieli, che significa "di
nessuno, ad eccezione di Dio".
Pubblica numerosi saggi. Si dimostra diligente filologo e critico
critico. Il suo capolavoro è la raccolta di poesie “Proginnasmi” (cf. ginnasio,
pro-ginnasio, Deutsche pro-gymnasium), contenente critiche ai poeti romani. E
stato dimenticato dalla letteratura nel tempo, forse perché era eccessivamente
franco. Al suo pseudonimo era solito
aggiungere la qualifica di "accademico apatita", come ad indicare la
mancanza di passione nelle sue considerazioni poetiche. La totale imparzialità
dei suoi giudizi era una condizione essenziale per sentirsi membro di questa
accademia immaginaria, che più tardi, con la generosità di Coltellini, si
concretizzò con l'obiettivo di riunire filosofi con abitudini salutari e
politici impegnati. Lasciò come ela sua
biblioteca e i suoi scritti alla Chiesa di San Basilio. Altre opere: “Polifemo
Briaco” Proginnasmi poetici” (Firenze, appresso Zanobi Pignoni, Firenze, nella
Stamperia di Zanobi Pignoni), definita come "un'opera di grande
erudizione, che pesa i meriti dei grandi scrittori dell'universo, e rivela i
più singolari artifici della Poetica". Esercizi morali, Rimario e
Sillabario, Firenze, per Zanobi Pignoni. Raffaello Ramat, La critica ariostesca,
Firenze, e anche in Walter Binni, Storia della critica ariostesca, Lucca,
Tiraboschi. Luca, Scheda Biografica su
Centro Ricerche Pratesi, Carmine Jannaco e Martino Capucci, Storia letteraria
d'Italia: Il Seicento. Gian Vittorio
Rossi, Pinacotheca, Colonia, Giulio Negri, Istoria degli scrittori fiorentini”
(Ferrara, per Bernardino Pomatelli); Giovanni Mario Crescimbeni, Comentarij...,
Venezia Giovanni Mario Crescimbeni, L'Istoria della volgar poesia, Venezia;
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storico-ragionata della Toscana..., I, Firenze Giovan Battista Corniani,
I secoli della Letteratura italiana dopo il suo Risorgimento Commentario di G. B.
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dell'Enciclopedia Italiana. Antonio Belloni, in Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Benedetto
Fioretti, noto anche come Udeno Nisiely e Fracastoro. Mascolinità assieme
di qualità, caratteristiche o ruoli associati a ragazzi o uomini Lingua Segui
Modifica La mascolinità (o il genere maschile) è un insieme di attributi,
comportamenti e ruoli generalmente associati agli uomini. La mascolinità è
costruita socialmente e culturalmente, anche se alcuni comportamenti
considerati maschili, come indica la ricerca, sono biologicamente influenzati. Fino
a che punto la mascolinità sia influenzata biologicamente o socialmente è
oggetto di dibattito. Il genere maschile è distinto dalla definizione del sesso
biologico maschile, poiché sia i maschi che le femmine possono esibire
caratteristiche maschili. Nella mitologia greca Eracle è uno dei massimi
simboli di mascolinità. Gli standard di mascolinità variano a seconda delle
diverse culture e periodi storici. Le caratteristiche tradizionalmente,
culturalmente e socialmente considerate maschili nella società
occidentaleincludono virilità, forza, coraggio, indipendenza, leadership e
assertività. Il machismo è una forma di mascolinità che enfatizza il potere ed è
spesso associata a un disprezzo per le conseguenze e la responsabilità. Il suo
opposto può esser espresso dal termine effeminatezza.Uno dei sinonimi
maggiormente usati per indicare la mascolinità è virilità, dal latino virche
significa uomo. Contesti storici e culturaliModifica L'interpretazione ed
il riconoscimento della mascolinità variano all'interno dei diversi contesti
storici e culturali. Nell'antichità era prevalente prendere a modello l'uomo
d'arme; la figura del dandy, tanto per fare solo un esempio, è stato considerato
un ideale di mascolinità nel XIX secolo, mentre è considerato al limite
dell'effeminato per gli standard moderni. Le norme tradizionali maschili,
così come vengono descritte nel saggio di Levant intitolato "Mascolinità
ricostruita" sono: evitare ogni accenno di femminilità, non mostrare le
proprie emozioni, tenere ben separato il sesso dall'amore, perseguire il
successo e raggiungere uno status sociale più elevato, l'autonomia (il non aver
mai bisogno dell'aiuto di nessuno), la forza fisica e l'aggressività, infine
l'omofobia (disprezzo per il frocio, il finto maschio). Queste norme servono a
riprodurre simbolicamente il ruolo di genere associando gli attributi e le
caratteristiche specifiche creduti appartenere di diritto al genere maschile.
Lo studio accademico della mascolinità ha subito una massiccia espansione
d'interesse tra la fine degli anni '80 e i primi anni '90, con corsi
universitari che si occupano della mascolinità passati da poco più di 30 ad
oltre 300 negli Stati Uniti. Questo ha portato anche a ricerche riguardanti la
correlazione tra concetto di mascolinità e le varie forme possibili di
discriminazione sociale, ma anche per l'uso che del concetto se ne fa in altri
campi, come nel modello femminista di costruzione sociale del genere.
Natura ed educazione Competizione sportiva, scontro fisico e militarismo sono
caratteristiche della mascolinità che appaiono in forme analoghe in quasi tutte
le culture del mondo. La misura in cui l'espressione della propria mascolinità
possa esser un fatto di natura o il risultato di un'educazione (e quindi
appartenente all'ampio spettro del condizionamento sociale) è stato oggetto di
molte discussioni. La ricerca sul genoma umano ha dato importanti
informazioni circa lo sviluppo delle caratteristiche maschili ed il processo di
differenziazione sessuale specifico per il sistema riproduttivo degli esseri
umani: il TDF sul cromosoma Y, che è fondamentale per lo sviluppo sessuale
maschile, attiva la proteina chiamata "Fattore di trascrizione SOX9"
la quale aumenta l'ormone antimulleriano che reprime lo sviluppo femminile
nell'embrione. Vi è ampio dibattito poi su come i bambini sviluppino a
partire dalla realtà corporea una propria identità di genere; chi la considera
un fatto di natura sostiene che la mascolinità è inestricabilmente collegata al
corpo umano maschile, ed in tale visione diventa qualcosa che è legato al sesso
maschile biologico, cioè all'apparato genitale maschile il quale diviene così
l'aspetto fondamentale della mascolinità. Altri invece suggeriscono che,
mentre la mascolinità può essere influenzata da fattori biologici, è anche però
ampiamente costruita culturalmente; la mascolinità non avrebbe quindi una sola
fonte d'origine o creazione, ma sarebbe anche associata a certi condizionamenti
sociali. Un esempio di mascolinità socializzata è quella rappresentata dallo
spuntare della barba, cioè dall'avere peli sul viso: l'adolescente che viene
considerato e trattato da uomo a partire dal momento in cui comincia a
radersi. Mascolinità egemonica Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso
argomento in dettaglio: Maschilismo. Esempio di maschio poco più che
adolescente con corpo muscoloso. Nelle culture tradizionali la maniera
principale per gli uomini di acquistare onore e rispetto era quello di arrivare
a mantenere economicamente la propria famiglia assumendone al contempo anche il
comando e la leadership. Connell ha etichettato i tradizionali ruoli e
privilegi maschili col termine di mascolinità egemonica, cioè la norma
maschile, qualcosa a cui tutti gli uomini dovrebbero aspirare e che le donne
invece sono scoraggiate dall'adottare: "Configurazione del genere come
prassi che incarna la risposta accettata al problema della legittimità
patriarcale... che garantisce la posizione dominante degli uomini e la
subordinazione delle donne".Pleck sostiene che una gerarchia di
mascolinità tra gli uomini esiste in gran parte nella dicotomia riferita
all'orientamento sessuale tra maschio eterosessuale e non-maschio omosessuale e
spiega che "la nostra società utilizza la dicotomia etero-omo come simbolo
centrale per tutte le sue classifiche di mascolinità, distinguendo i veri
uomini dotati di virilità da quelli che invece lo sono solo per finta".
Kimmel promuove questo concetto, aggiungendo però anche che il tropo "sei
gay" indica che uno è innanzitutto privo di mascolinità, prima ancora
d'indicare un maschio attratto da persone del proprio stesso sesso. Pleck
conclude sostenendo che per evitare la continuazione dell'oppressione maschile
sopra le donne, sopra gli altri uomini, ma anche sopra se stessi, debbono
essere eliminate una volta per tutte le strutture ed istituzioni patriarcali
dall'auto-consapevolezza maschile. Critiche. Si tratta di un argomento
dibattuto la questione se i concetti di mascolinità seguiti storicamente
debbano ancora continuare ad essere applicati. I ricercatori hanno rilevato un
corrente di critica alla mascolinità, dovuta al rimodellamento dei valori contemporanei,
ai gruppi femministi più attivi che hanno assunto per sé certi ruoli tradizionali
appartenenti alla mascolinità, all'ostilità culturale che la società d'oggi ha
in certi casi posto sui cosiddetti valori maschili, ed infine anche alla
promozione della mascolinità nella donna abbinata ad un pressione rivolta agli
uomini per femminilizzarsi. Le immagini di ragazzi e giovani uomini
presentati nei mass media possono portare alla persistenza di concetti nocivi
alla mascolinità; gli attivisti per i diritti degli uomini sostengono che i
media non prestano una seria attenzione alle questioni relative ai diritti
maschili e che gli uomini vengono spesso dipinti in una luce negativa,
soprattutto nella pubblicità. Jackson scrive che le forme dominanti di
mascolinità possono essere di sfruttamento economico e di oppressione sociale.
Egli afferma che "la forma di oppressione varia dai controlli patriarcali
sui corpi delle donne e dei diritti riproduttivi, attraverso le ideologie di
domesticità, femminilità ed eterosessualità obbligatoria, alle definizioni
sociali del valore del lavoro, le presunte maggiori abilità naturali del
maschio e la remunerazione differenziale del lavoro produttivo e riproduttivo
". Il lavoro meccanico in fabbrica è associato con la
mascolinità tradizionale. Nozione di mascolinità in crisiModifica Un discorso
sulla crisi della mascolinità è emerso negli ultimi decenni, sostenendo
l'ipotesi che il concetto di mascolinità si trovi oggi nella civiltà
occidentale in uno stato di più o meno profonda crisi. La crisi è anche
stata spesso attribuita alle politiche conseguenti al femminismo in risposta
sia al presunto dominio degli uomini sulle donne, sia ai diritti attribuiti
socialmente sulla base del proprio sesso d'appartenenza. Altri vedono il
mercato del lavoro in costante evoluzione come fonte della crisi della
mascolinità, la deindustrializzazione e la sostituzione delle vecchie fabbriche
con nuove tecnologie ha permesso ad un numero sempre maggiore di donne di
entrare in questo mercato competendo alla pari con gli uomini, riducendo al
contempo la necessità e domanda di forza fisica. Tendenze
contemporaneeModifica L'operaio edile, esempio moderno di mascolinità.
Anche se gli stereotipi effettivi siano rimasti relativamente costanti, il
valore collegato alla concetto di mascolinità maschile è in parte cambiato nel
corso degli ultimi decenni, ed è stato sostenuto che la mascolinità è pertanto
un fenomeno instabile e mai raggiunto in modo definitivo. Secondo un
documento presentato all'American Psychological Association: "Invece di
vedere una diminuzione dell'oggettivazione delle donne nella società, si è
recentemente verificato un aumento nell'oggettivazione di entrambi i sessi...
Uomini e donne possono limitare la loro assunzione di cibo nello sforzo di
ottenere quello che considerano un corpo attraente sottile, in casi estremi
portando anche a gravi disturbi alimentari. Sia gli uomini che le donne
più giovani che leggono riviste di fitness e di moda potrebbero essere
psicologicamente danneggiati dalle immagini perfette di fisico femminile e
maschile che vedono: alcune giovani donne e uomini si esercitano eccessivamente
nel tentativo di raggiungere ciò che essi considerano una forma corporea più
attraente, che in casi estremi può portare a disordine dismorfico del corpo
(dismorfofobia) o dismorfismo muscolare (anoressia riversa). Terminologia
I concetti di mascolinità sono variati a seconda del tempo e del luogo e sono
soggetti a costanti cambiamenti, quindi è più appropriato parlare di
mascolinità al plurale che di una singola tipologia di mascolinità. Shehan, Gale Researcher Guide
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Androgino Bromance Bushidō Castro clone Comunità ursina Femminilità Indice di
mascolinità Leather Patriarcato (antropologia) Sessismo Twink (linguaggio gay)
Collegamenti esterniModifica The Men's Bibliography, bibliografia completa
sulla mascolinità. Boyhood Studies, bibliografia sulla mascolinità giovanile.
Practical Manliness, sugli ideali storici della mascolinità applicati agli
uomini moderni. The ManKind
Project of Chicago, supporting men in leading meaningful lives of integrity,
accountability, responsibility, and emotional intelligence NIMH web pages on
men and depression, sulla depressione maschile. Article entitled "Wounded Masculinity: Parsifal
and The Fisher King Wound" Il simbolismo storico che si riferisce alla
mascolinità, di Richard Sanderson M.Ed., B.A. BULL, sulla narrativa maschile.
Art of Manliness, sull'arte mascolina. The Masculinity Conspiracy, critica
mascolina online. Future Masculinity, corso di critica sulla mascolinità.
Portale Antropologia: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di
antropologia Effeminatezza termine Michael Messner (sociologo) sociologo
statunitense Privilegio maschile privilegio sociale degli individui maschi
derivante solamente dal loro sesso. Fioretti. Keywords. Refs.: tipi di ginnasio: pais
ragazzo (12-17 adolescens), 18-20 efebo; +20 neos. Oriuolo, progrinnasio,
ginnasio, tre tipi di ginnasio: paides, 12-14, nuoi, o neoi, 15-18, 18+ efebi
--. Terme – ginnasio e terme – giocchi nudi – nudita atletica – nudita eroica.
Keywords: pro-ginnasmi. Luigi Speranza, “Grice e Fioretti” – The Swimming-Pool
Library. Fioretti.
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