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Thursday, January 2, 2025

GRICE ITALO A-Z F FIOR

 

Grice e Fioramonti: la ragione conversazionale e l’implicature conversazionale economica – scuola di Roma – filosofia romana – filosofia lazia --filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano. Filosofo lazio. Filosofo italiano. Roma, Lazio, Italia. Grice: “Fioramonti, like Hart, and myself, has philosophised on human right, legal right, moral right.” Frequenta il liceo a Roma, situato nel quartiere di Tor Bella Monaca. Si laurea a Roma con una tesi in Storia della economia filosofica, incentrata sul ruolo dei diritti di proprietà ed individuali. Studia Politica comparata a Siena.  Insegna a Pretoria, ed è direttore del Centro per lo studio dell'innovazione Governance (GovInn) dello stesso ateneo. È inoltre membro del Center for Social Investment dell'Heidelberg, della Hertie School of Governance e dell'Università delle Nazioni Unite. Si occupa di economia e integrazione economica europea. Per il Financial Times, sostiene che il PIL è "non solo uno specchio distorto in cui vedere le nostre economie sempre più complesse, ma anche un impedimento a costruire società migliori".  I suoi articoli sono inoltre apparsi su The New York Times, The Guardian, Harvard Business Review, Die Presse, Das Parlament, Der Freitag, Mail et Guardian, Foreign Policy e open democracy.net. Ha una rubrica mensile nel Business Day. È stato co-direttore della rivista scientifica The Journal of Common Market Studies. è inoltre coautore e co-editore di diversi libri. Oltre ai best seller Gross Domestic Problem: “La politica dietro il numero più potente del mondo e Il modo in cui i numeri governano il mondo: l'uso e l'abuso delle statistiche nella politica globale, pubblica “Economia del benessere: successo in un mondo senza crescita, Presi per il PIL. Tutta la verità sul numero più potente del mondo e Il mondo dopo il PIL: economia, politica e relazioni internazionali nell'era post-crescita.  Ha avuto un'esperienza come assistente parlamentare, collaborando a titolo gratuito con Antonio Di Pietro (IdV) a sviluppare politiche per i giovani nelle periferie.  Viene resa nota la sua candidatura col Movimento 5 Stelle alle imminenti elezioni politiche di marzo, risultando eletto alla Camera dei deputati nel collegio uninominale di Roma-Torre Angela con il 36,65% dei voti.  è stato nominato sottosegretario presso il Ministero dell’istruzione, dell'università e della ricerca nel Governo Conte I. Nominato Dino Giarrusso suo segretario particolare, affidandogli l'incarico di coordinare la comunicazione del suo ufficio e curare le relazioni istituzionali. L'onorevole ha inoltre aggiunto di aver chiesto a Giarrusso di aiutarlo anche ad evadere le segnalazioni inviate al Ministero sulle presunte irregolarità che si verificano all'interno dei concorsi universitari. Il Consiglio dei ministri, su proposta di Bussetti, lo ha nominato vice ministro all'istruzione, università e ricerca.  Proposto come ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca nel Governo Conte II, viene nominato ufficialmente. All'inizio del suo mandato ha istituito un comitato scientifico di consulenza, composto tra gli altri da Shiva.  Nel mese di ottobre  intervenendo ai microfoni della trasmissione radiofonica Un giorno da pecora ha affermato di "credere in una scuola laica" e di essere favorevole alla rimozione del crocifisso nelle scuole, per sostituirlo piuttosto con una mappa del mondo. In seguito, e criticato dalla Conferenza Episcopale Italiana. Annuncia l'introduzione in Italia, primo Paese al mondo, dello studio del cambiamento climatico e dello sviluppo sostenibile come materia scolastica.  Dichiara di essere pronto a rassegnare le proprie dimissioni qualora nella Legge di bilancio  non fossero stati trovati fondi per 3 miliardi di euro da destinare all'istruzione. Invia al Presidente del Consiglio Conte una lettera in cui annuncia le proprie dimissioni e dichiara che, a proprio avviso, sarebbe opportuno rivedere l'IVA al fine di incassare i fondi che chiedeva per il proprio ministero.  Comunica la propria uscita dal Movimento 5 Stelle e la propria adesione al Gruppo Misto alla Camera. Annunciato la fondazione del nuovo partito politico Eco. Eco rappresenta un'ipotesi, un'idea guidata dalla volontà di costituire una entità in collaborazione tra società civile e parlamentari, ma la cui concretizzazione in una nuova realtà non è ancora certa.  Entra a far parte di Green Italia, insieme all'onorevole Muroni e  Schlein, vicepresidente dell'Emilia Romagna.  Dopo che il quotidiano il Giornale ha pubblicato alcune dichiarazioni fatte nel passato su Twitter da Fioramonti, ritenute inappropriate per la carica da ministro, diversi partiti (tra cui Lega, FI e FdI) chiedono le sue dimissioni dal dicastero, annunciando il deposito in Parlamento di una mozione di sfiducia È stata effettivamente depositata? Che ne è stato? Il ministro ha quindi dichiarato sui social che tali opinioni erano state scritte di getto e si è quindi scusato.  Nello stesso periodo suscita polemica il fatto che, secondo quanto riportato dalle chat di alcuni genitori, il ministro avrebbe scelto di iscrivere il figlio alla scuola inglese e di non fargli fare l'esame di italiano. A seguito di tale notizia, scrive un post sui social in cui si definisce turbato come padre e cittadino ed annuncia di voler presentare un esposto al garante della privacy.  Altre opere: Diritti umani 50 anni dopo. Aracne); “Fuori. Fermento,. Poteri emergenti nell'economia politica e internazionale. Il caso di India, Brasile e Sudafrica. ETS,. Presi per il PIL. Tutta la verità sul numero più potente del mondo. L’Asino d’oro edizioni,. Il mondo dopo il Pil. Economia e politica nell'era della post-crescita. Edizioni Ambiente,. Un'economia per stare bene. Dalla pandemia del Coronavirus alla salute delle persone e dell'ambiente. Chiarelettere. Vincenzo Bisbiglia, chi è il candidato M5S: dalla laurea in Filosofia alla critica al pil. Con tappa alla Rockefeller foundationIl Fatto Quotidiano, in Il Fatto Quotidiano. F., su up. ac. Has GDP become an impediment to a better society?, su Financial Times. 1World needs a new Bretton Woods with Africa in the lead, su bdlive.co.za, Business Day. Eligendo: Camera [Scrutini] Collegio uninominale 05 ROMA ZONA TORRE ANGELA (Italia) Camera dei Deputati Ministero dell'Interno, su Eligendo. F.Q., Governo, nominati 45 tra viceministri e sottosegretari: Castelli e Garavaglia al Mef. Crimi all'Editoria. Dentro anche SiriIl Fatto Quotidiano, in Il Fatto Quotidiano, Università, dietrofront su Giarrusso. F.: "è solo il mio segretario, non un controllore", in Repubblica, Governo: Galli, Rixi e Fioramonti nominati viceministriTgcom24, in Tgcom 24, Crocifisso a scuola, la Chiesa contro il ministro F. che vorrebbe toglierlo dalle classi, su Repubblica, F.: da settembre il clima sarà materia di studio a scuola  F.: 3 miliardi per l'istruzione o confermo le mie dimissioni -, su Orizzonte Scuola, Il ministro dell’Istruzione F. ha dato le dimissioni, Corriere della sera, F. lascia il gruppo M5S: «C'è diffuso sentimento di delusione», Il Messaggero, 30 L’ex ministro Fioramonti: «Un altro governo non è un tabù. Ora un’area civica progressista», su Il Manifesto. Bufera su F. per alcuni tweet. Meloni chiede le dimissioni, per Lega e Pd deve chiarire, su L'HuffPost, Bufera su F. per offese web, ministro si scusa Politica, su Agenzia ANSA, Chi è Lorenzo Fioramonti, nuovo ministro del MIUR, su theitaliantimes, Governo Conte II Ministri dell'istruzione, dell'università e della ricerca della Repubblica Italiana. Treccani Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Openpolis, Associazione Openpolis.  Radio Radicale.  PredecessoreMinistro dell'istruzione, dell'università e della ricerca della Repubblica Italiana Successore Ministero Istruzione. png Marco Bussett, Giuseppe Conte (ad interim) PredecessoreViceministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca della Repubblica Italiana Successore Ministero Istruzione. Anna Ascani.  Quarterly gross domestic product Petty came up with a basic concept of GDP to attack landlords against unfair taxation during warfare between the Dutch and the English. Davenant developed the method further. The modern concept of GDP was first developed by Kuznets for a 1934 US Congress report, where he warned against its use as a measure of welfare (see below under limitations and criticisms).[12] After the Bretton Woods conference in 1944, GDP became the main tool for measuring a country's economy.[13] At that time gross national product (GNP) was the preferred estimate, which differed from GDP in that it measured production by a country's citizens at home and abroad rather than its 'resident institutional units' (see OECD definition above). The switch from GNP to GDP in the US was in 1991, trailing behind most other nations. The role that measurements of GDP played in World War II was crucial to the subsequent political acceptance of GDP values as indicators of national development and progress. A crucial role was played here by the US Department of Commerce under Milton Gilbert where ideas from Kuznets were embedded into institutions.  Wikipedia Ricerca Economico (Aristotele) opera attribuita ad Aristotele Lingua Segui Modifica Economico Οἰκονομικά Oikonomiká Aristotelesarp.jpg Autore Pseudo-Aristotele 1ª ed. originaleGenere trattato Sottogenere economia Lingua originalegreco antico L'Economico (in greco antico: Οἰκονομικά, Oikonomiká; in latino: Oeconomica) è un'opera attribuita ad Aristotele. La maggior parte degli studiosi moderni lo attribuisce a un allievo di Aristotele o del suo successore Teofrasto.  Struttura Modifica Il libro I è suddiviso in sei capitoli che iniziano a definire l'economia.   Esso, quindi, è un'introduzione che mostra la formazione di base di un'economia, ossia la famiglia. Il testo inizia affermando che l'economia e la politica differiscono in due modi principali, ossia nei soggetti con cui trattano e nel numero di governanti coinvolti. Come un proprietario di una casa, c'è solo una sentenza in un'economia, mentre la politica coinvolge molti sovrani. I praticanti di entrambe le scienze cercano di sfruttare al meglio ciò che hanno per prosperare.  Una famiglia è composta da un uomo e dalle sue proprietà e l'agricoltura è la forma più naturale di buon uso per questa proprietà. L'uomo dovrebbe quindi trovare una moglie, mentre i bambini dovrebbero venire dopo, perché saranno in grado di prendersi cura della casa man mano che l'uomo invecchia. Questi sono i capisaldi dell'argomento economico.  Il secondo libro si sviluppa con l'idea che ci sono quattro diversi tipi di economieː l'economia reale, l'economia satrapica, l'economia politica e l'economia personale. Chiunque intenda partecipare con successo e solidarietà a un'economia deve conoscere ogni caratteristica della parte dell'economia in cui è coinvolto. Tutte le economie hanno un principio in comuneː indipendentemente da ciò che viene fatto, le spese non possono superare le entrate. Questa è una questione importante, fondamentale per la nozione di "economia". Il resto del secondo libro riguarda eventi storici che hanno creato importanti modi in cui le economie hanno iniziato a funzionare in modo più efficiente e danno le origini di alcuni termini ancora in uso all'epoca e l'argomento principale è il flusso di denaro attraverso qualsiasi economia ed eventi particolari.  Il terzo libro è noto solo dalle versioni latine dell'originale greco e tratta del rapporto tra marito e moglie. Il classicista Rose, nella sua classica edizione dei frammenti aristotelici, ha ipotizzato che questo libro non fosse altro che il Περὶ συμϐιώσεως ανδρὸς καὶ γυναικός e i Νόμοι ανδρὸς καὶ γαμετῆς indicati nel catalogo di opere di Aristotele che compaiono nella biografia attribuita a Esichio di Mileto, tradizionalmente chiamata Vita Menagiana. Aristote, Économique. Testo greco a cura di B. A. van Groningen e André Wartelle, traduzione e note di Wartelle, Paris, Les Belles Lettres (edizione critica) Aristotele, Opere, vol. 8, Politica. Trattato sull'Economia, Laurenti, Bari, Laterza. Aristotele Pseudo-Aristotele. Portale Antica Grecia   Portale Filosofia di Valepert Pseudo-Aristotele autori sconosciuti di diverse opere antiche Parva naturalia Topici opera di Aristotele  L'espressione filosofia dell'economia può riferirsi alla branca della filosofia che studia le questioni relative all'economia o, in alternativa, il settore dell'economia che si occupa delle proprie fondamenta e del proprio status di scienza umana.Hands, philosophy and economics, in The New Palgrave Dictionary of Economics.Portale Filosofia: filosofia  di Nima Tayebian Boulding economista, pacifista e poeta inglese  Bradley (filosofo). PARTITO NAZIONALE FASCISTA. TESTI PER I CORSI Dl  PREPARAZIONE POLÍTICA L’ECONOMIA FASCISTA. LA LIBRERIA DELLO STATO.Política economica e monetaria. L’agricoltura italiana e la política   rurale dei Regime. Industria e artigianato. La política dei lavori pubblici. CONCETTI FONDAMENTALI. Il profondo, sostanziale contrasto che separa il FASCISMO  dal liberalismo si riflette in forma vigorosa e tipica nel  campo economico.   In economia difatti lo Stato fascista si oppone nettamente  alio Stato liberale, perchè mentre questo non interviene nella  vita economica e si limita generalmente alia funzione di difesa  e di istruzione (Stato carabiniere e pedagogo), quello  considera suo compito preciso il regolare e determinare lo  sviluppo materiale e spirituale delia collettività, negando che  dal libero e incomposto cozzo delle forze individuali possa  prendere origine la forma piú perfetta e piú alta di vita civile.  Lo Stato fascista non crede alie armonie economiche realiz-  zantisi con il totale assenteismo di uno Stato abúlico che si  limita a prendere atto dei risultati raggiunti dai singoli indi-  vidui; lo Stato fascista è Stato etico appunto perchè ha una sua  consapevolezza e una sua volontà da realizzare. È Stato che non  si estrania dai problemi deH’economia, ma li studia, li incita,  li guida, li frena, perchè non concepisce il divorzio fra politica  ed economia ma considera che questa discenda da quella.   Gli economisti e i politici che affermarono in maniera recisa  e perentória che lo Stato è specialmente utile quando si astiene  da qualsiasi intervento nel campo economico, — e sono  numerosissimi nel secolo scorso — oggi vanno scomparendo.  In tutti i paesi lo stato giganteggia. Soltanto esso può risolvere  le drammatiche contraddizioni dei capitalismo; soltanto esso  può awiare verso una soluzione quel complesso di fenomeni  materiali e spirituali che si chiamano crisi e che possono essere  superati e vinti entro lo Stato. Questo particolarissimo stato d'animo di fronte al liberalismo disfatto fu definito dal Duce con la seguente domanda: Che cosa direbbe dinanzi ai continui, sollecitati, inevitabili  interventi dello Stato nelle vicende economiche, Bentham, secondo il quale l’industria avrebbe dovuto chiedere  allo stato soltanto di essere lasciata in pace, o Humboldt, secondo il quale lo stato ocioso dove essere  considerato il migliore? Ma se anche la seconda ondata degli economisti liberali  è meno estremista delia prima, perchè apriva già la porta agli  interventi dello Stato neireconomia, rimane pur sempre un  incolmabile abisso tra Stato liberale, anche, diremo cosí,  corretto, meno intransigente di quello concepito un tempo,  e lo Stato fascista. Bisogna ricordare che chi dice liberalismo dice pur sempre  indivíduo. CHI DICE FASCISMO DICE STATO. Con questo però LO STATO FASCISTA non intende di solito  ingerirsi direttamente nel fatto economico, ma sopraintendervi,  affinchè esso si svolga secondo gli interessi delia collettività*  È da questa concecione política dello Stato che deriva la  concezione economica delia corporacione. Lo Stato fascista che in política non è reacionário ma rivolucionario, in quanto anticipa le solucioni di problemi comuni  a tutti i popoli, in economia dimostra in maniera inequivocabile il suo carattere morale e storico perchè è proprio nella  disciplina dei fatti economici che si rivela la maturità di una  collettività organiccata e si dimostra la capacità creativa di  una nuova dottrina, che, come quella dei Fascismo, è pensiero  ed azione. II duce innanci a migliaia di  gerarchi convenuti a Roma per la celebracione dei decennale  si domanda. Questa crisi che ci attenaglia da quattro anni  è una crisi dei sistema o nel sistema? All’inizio delia fase risolutiva delia politxca corporativa del fascismo, il capo risponde a quella grave domanda  con un fondamentale discorso al consiglio nazionale delle corporazioni, nel quale sono precisati i caratteri particolari  dell’economia corporativa. Egli in quella storica assemblea affermò in maniera recisa  che la crisi è penetrata cosi profondamente nel sistema da  diventare una crisi dei sistema . Non è piú un trauma, e una  malattia costituzionale, Egli disse. Se meditiamo intorno all’affermazione del capo per com-  prendere i motivi storici che 1'hanno determinata, riconosciamo  súbito che una profonda rivoluzione si è operata tanto nel  sistema di produzione quanto nelle organizzazioni politi-  che che hanno retto sino a pochi anni or sono i diversi  paesi civili. Egli ha definito il capitalismo e ne ha tracciato la storia che  ha vissuto nel secolo scorso: la nascita, il culmine, il declino.   L’analisi che il duce ne fa in quello storico discorso è cosi  perfetta che se ne trascrivono qui di seguito concetti e parole,  sostanza e forma.  Giunto alia sua piü perfetta espressione — dice il duce — il capitalismo è un modo di produzione di massa per un  consumo di massa, finanziato in massa attraverso l’emissione  dei capitale anonimo nazionale e internazionale. II capitalismo  è quindi industriale e non ha avuto nel campo agricolo manife-  stazioni di grande portata. Nella storia dei capitalismo tre periodi si distinguono: il  periodo dell’ascesa; il periodo delia massima potenza; il per iodo  delia decadenza. II primo periodo coincide  con la introduzione dei telaio meccanico e con 1'apparire delia  locomotiva. Sorge la fabbrica. La fabbrica è la tipica manife-  stazione dei capitalismo industriale. È 1'epoca dei grandi margini e quindi la legge delia libera concorrenza e la lotta di tutti ir contro tutti può giuocare in pieno. È il período in cui un grande  fervore di attività pratica awince i popoli e in cui la scienza  che aveva saputo carpire alia natura i suoi gelosi segreti offre  aU'uomo mezzi formidabili di conquista e di dominio. In  Inghilterra, in Francia, in America, si disfrenano concorrenze  acerbe e si tentano imprese ardite.   In questi 40 anni vi sono dei caduti e dei morti, ma in  questo periodo le crisi sono crisi cicliche che si ripetono ad  intervalli di tempo, non sono nè lunghe nè universali. II capitalismo è nel periodo migliore delia sua vita.   Ha ancora tale vitalità e tale forza di recupero che può  superare brillantemente e rapidamente le awersità delia congiuntura economica. L'attività imprenditrice trova facilmente le condizioni favorevoli per il suo sviluppo, poichè grandi sono le possibilità dei  mercati di consumo mentre limitate sono ancora le capacità  delia produzione. È 1'epoca in cui l’urbanesimo si sviluppa e si inizia 1'esodo  rurale. Le città che divengono centro delia produzione capitalistica si accrescono vertiginosamente.   In questo primo periodo dei capitalismo — averte il  duce — la selezione è veramente operante. Ci sono anche  delle guerre, ma sono guerre brevi che non possono essere  paragonate alia guerra mondiale. Esse eccitano anzi, in un certo  senso, 1’economia delia Nazione. In America comincia la faticosa e dura conquista delle  sterminate campagne dell'ovest, che ha avuto i suoi rischi ed i  suoi caduti come ogni grande conquista. Mentre si vengono  organizzando le formidabili aziende agricole degli Stati dei  sud, le città deli’Atlantico raggiungono un enorme sviluppo. II ricordato periodo dei capitalismo che dura 40 anni e  potrebbe essere compreso tra 1'apparire delia macchina a xa vapore e il taglio deiristmo di Suez, è certamente tra i piü  dinamici che la storia ricordi. Esso è caratterizzato dall’assenza  dello Stato nella vita economica. II duce dice che durante questi XL anni lo Stato si limita  ad osservare Esso è assente, e i teorici dei liberalismo dicono:  ((voi, stato, avete un solo dovere, di far si che la vostra esistenza non sia nemmeno awertita nel settore dell’economia  Meglio governerete, quanto meno vi occuperete dei problemi  di ordine economico. II duce dimostrat che da certo momento si awertono i primi sintomi delia  stanchez^a e delia deviazione dei mondo capitalistico. La fervida e sana lotta per la vita, la libera concorrenza, la selezione  dei piú forte, non si esplicano piü col primitivo vigore, con  quella energia e anche con queirentusiasmo che si è riscontrato  nel período precedente Lo documentano i numerosi cartelli, sindacati, consorzh  Si inizia Tèra dei trust.   Si può dire che ormai non ci sia settore delia vita economica  dei paesi di Europa e di America dove queste forze che carat-  terizsano il capitalismo non si siano formate La conseguenza di questo stato di cose, che gli economisti  liberali, ossequienti ai dogmi fondamentali dei classici, non  awertirono, fu di una importanza grandíssima: la fine delia  libera concorrenza. Essa rimase una parola morta. La capacità di assorbimento dei mercato non corre paralle-  lamente alia crescente capacità produttiva; il saggio desinte¬  resse e dei profitto, cioè il rapporto tra il guadagno ricavato e  la quantità di capitale impiegato neirimpresa, si riduce fortemente. Essendosi ristretti i margini, l’impresa capitalistica  trova che anzichè lottare è piú conveniente accordarsi, fon-  dersi, dividersi i mercati ripartendo i profitti. La stessa legge delia domanda e deirofferta sulla quale è  stata costruita la teoria economica dalla quale dipende il  sistema scientifico elaborato dai classici deireconomia, non può  piü agire con libertà nella nuova realtà economica che si è  venuta formando* Attraverso i cartelli e i trusts si può agire  sulla domanda di merci e specialmente suirofferta che di  queste può essere fatta in un determinato mercato*   Questa economia capitalistica coalizzata, trustizzata, sempre  meno idônea a vivere di vita própria, cerca di agire sullo Stato  onde ottenere favori leciti o illeciti* Essa chiede anzitutto la  protezione doganale*   II liberalismo viene colpito a morte, ma gli economisti non  se ne accorgono: continuano imperterriti la loro costruzione  astratta, avulsa dalla realtà economica, come se il mondo eco-  nomico da cui avevano pur tratto gli elementi delia loro costru¬  zione scientifica non li riguardasse piü* La dottrina economica  che aveva esaltata la libertà in ogni forma di attività e l’assenteismo dello Stato, viene ad essere colpita proprio da quelle  forze che erano cresciute nel periodo dei trionfo. Gli Stati Uniti d'America, fra i primi, elevarono delle barriere  doganali quasi insormontabili; essi si giustificarono con 1'affermazione che le loro industrie sono giovani e hanno bisogno di protezione e di difesa per poter crescere e prosperare. Come l’America, altri paesi hanno via via elevato barriere sempre piü estese  e piü alte: oggi la stessa Inghilterra, che per tanto tempo aveva  predicato e sostenuto il liberalismo economico, perchè torna  tanto utile alia sua organizzazione economica, e agl’interessi dell’impero britannico, abbandona il liberalismo, rinnegando  tutto ciò che ormai sembra tradizionale nella sua vita política, economica, sociale, rinnegando una dottrina scientifica della  quale si è fatta banditrice e tutrice. Ad Ottava è varata la costituzione di un'economia chiusa fra la madre patria e i dominions. Il período che il duce define periodo statico finisce con la guerra. Dopo la guerra, e in conseguenza delia guerra, l’impresa  capitalistica si inflaziona. Incomincia la decadenza. L’ordine  di grandezza dell’impresa — dice il duce — passa dal  milione al miliardo. Le cosidette costruzioni verticali, a vederle  da lontano, danno l’idea dei mostruoso e dei babelico. Le stesse  dimensioni dell’impresa superano la possibilità dell’uomo. Prima è lo spirito che domina la materia, ora è la  matéria che piega e soggioga lo spirito. Quello che è fisiologia diventa patologia, tutto diventa abnorme. II capitalismo giunto al parossismo, non sapendo piú come  giustificare la sua esistenza e trovare i mezzi di vita indispensabili all’azione, non volendo riconoscere la nuova realtà delle  cose, crea una utopia: l’utopia dei consumi illimitati. Il capo  ci dice che l’ideale dei supercapitalismo sarebbe la standardizzazione dei genere umano dalla culla alia bara. Questa esigenza è la lógica conseguenza delle cose, perchè soltanto con la standardizzazione dei gusti il supercapitalismo pensa  di poter fare i suoi piani. L f impresa capitalistica cessa di essere un fatto meramente economico per divenire un fatto sociale. È questo il momento preciso nel quale l’impresa capitalistica,  quando si trova in difficoltà, si getta nelle braccia dello Stato. È questo il momento storico in cui nasce e si rende sempre  piú necessário l’intervento dello Stato. Lo Stato ha il dovere di intervenire appunto perchè l’impresa capitalistica di cui si discorre non è soltanto un # impresa  economica: essa interessa direttamente la collettività. Lo Stato  ha il diritto di intervenire per evitare che le sane energie delia  Nazione si disperdano e che la sacra forza dei lavoro dei popolo  si prodighi in forme che possono essere nocive alia stessa  vita e potenza delia Nazione Ormai il maggior numero di imprese economiche si vale  degli aiuti dello Stato; coloro che ignoravano il suo intervento  lo cercano affannosamente. II duce dice che oggi siamo al  punto in cui se in tutte le Nazioni di Europa lo Stato si addormenta per 24 ore, basterebbe tale parentesi per determinar e  un disastro. Questa è la crisi dei sistema capitalistico preso nel suo  significato universale. Quanto alla Nazione italiana, che fonda la própria economia  prevalentemente sull’agricoltura e sull’artigianato, sulla piccola  e media industria, la vicenda capitalistica non ha avuto che  aspetti e conseguenze limitatu   II supercapitalismo degenerato e pernicioso da noi non esiste  e laddove esso è nato, già è moribondo: esiste invece una numerosíssima schiera di piccoli e medi produttori che vivono dei  quotidiano lavoro, che ignorano le awenture dei sedicenti  industriali e dei pseudo banchieri; i quali, sorti in numero  impressionante durante e dopo la conflagra^ione europea,  avrebbero preteso di continuare a pescare nel torbido che essi  avevano provocato e che poi tendevano a mantenere. Questi  awenturieri, che ebbero assicurati dall’inflazione e dall’aumento dei pressi elevati profitti, non furono, almeno nel nostro  Paese, che una sparuta minoranza, la quale è stata duramente  punita dalle stesse vicende delFeconomia. L’Italia non è una nazione capitalistica nel senso or ora  ricordato. L’essenza dell’economia italiana è precisamente definita dal duce nei termini seguent. L’ltalia deve rimanere  una Nazione ad economia mista, con una forte agricoltura che è la base di tutto, una piccola o media industria sana, una  banca che non faceia delle speculasioni, un commercio che  adempia al suo insostituibile compito che è quello di portare  rapidamente e razionalmente le merci al consumatore. Esaminato lo svolgimento attraverso il quale si è compiuto  il ciclo di vita dei liberalismo economico e dei supercapitalismo, sepolto ufficialmente con lo storico  discorso dei Duce per lo Stato corporativo; dimostrata fallace  la credenza neiruniversalità dei liberalismo a torto giudicato  e ritenuto método storico ed universale, è opportuno soffermarsi sulle profonde antitesi che differenziano FASCISMO e  socialismo. La dottrina fascista nega quel materialismo storico sul quale  si imperniano la concezione política e quella economica dei  socialismo. Secondo la dottrina marxiana le vicende delia società umana  si spiegano soltanto con la lotta d'interessi fra i diversi gruppi  sociali* Sono soltanto i fatti economici che hanno importan^a  nella vita delbuorno; soltanto essi sono capaci di promuovere  nuove forme di vita civile, di determinare aspetti e configurazioni diversi nella società* Nessun peso hanno invece i motivi  ideali, nessuna importanza la tradizione, il culto delia Patria  e degli Eroi, il desiderio di portare sempre piú in alto i destini  della nazione. In questo senso liberalismo e socialismo tradiscono una  comune origine dottrinale. Tanto che non è per mero caso  — come rileva il duce — che il tramonto delFuno  coincida col tramonto dell’altro. Non è certo il fascismo, che ha instaurato nella vita política  e sociale un senso virile delia realtà, che possa negare l’importanza dell’economia, come fattore delia vita dei popoli* Ma  il Fascismo crede ancora e sempre nella santità e nelheroismo,  cioè in atti nei quali nessun motivo economico lontano o vicino  agisce. La lotta degli interessi è stata ed è un agente principale delle  trasformazioni sociali, ma non può essere concepita come movente esclusivo delbevoluzione delia società. La fallacia dei  materialismo storico e dei determinismo economico sta appunto  in questa concezione, per cui gli uomini non sarebbero che comparse nella storia, incapaci di dirigerla o crearla, quasi fantocci in balia dei flutti, mentre nel profondo si agitano e lavorano  le vere forze direttrici, che sarebbero le forze dell’economia. Accettare una simile concezione delia vita significa annullare  qualsiasi forza morale e riconoscere 1'incapacità dell’uomo a  creare la sua storia. II socialismo che si basa sul materialismo storico e sul con-  cetto delia lotta di classe e che mira attraverso questa a creare  forme di convivenza sociale nelle quali siano alleviate le sofferenze degl’umili, dimostra una singolare ingenuità dottrinale e una paurosa sterilità politica. Esso vuole raggiungere un ideale, materialistico, massimo  benessere per tutti i componenti la collettività, credendo che  in siffatta maniera si sarebbe ottenuta la felicità. E la mèta  era da conquistare attraverso la socializzazione di tutti i mezzi  di produzione, l'annullamento dei diritto di proprietà, la  spersonalizzazione di ogni attività economica, il sacrifício delia  iniziativa individuale, la negazione di una funzione produttiva  al capitale. II difficile compito delia produzione dei beni eco-  nomici sarebbe stato lasciato ad un mastodontico Stato materialistico, le cui delicate funzioni sarebbero esercitate da un  esercito di burocrati. A questo stato socialista, accentratore e  déspota, padrone di ogni bene economico, si sarebbe dovuti  giungere, secondo la profezia di Marx profezia  mancata — attraverso un processo di graduale e continuo  accentramento delia produzione industriale e dei capitale in  mano di pochi, a cui sarebbe stato assai facile il toglierlo per  trasferirlo in seno alio Stato e creare cosi, con 1’usurpazione,  la nuova realtà economica dei socialismo. Le previsioni di Marx non si sono verificate:  fra tutte la caduta dei saggio di interesse e dei profitto,  rappresenta il punto cruciale delia dottrina socialista II saggio  d'interesse, che costituisce la retribuzione che si deve al capi-  tale, cioè il prezzo che si paga per l’uso dei medesimo, è un  dato di fatto che non si può smentire; le recenti esperienze  di economia socialista dimostrano che laddove ufficialmente il  saggio d'interesse si nega, si uccide anzitutto ogni stimolo  al risparmio e poi nella realtà delia vita economica esso risorge  per infinite vie diverse, e con estrema frequenza assume la  vecchia forma dell’usura   II socialismo come sistema economico e anche come sistema  politico-sociale ha quindi peccato di ingenuità per non dire  di viltà: esso non ha saputo guardare con occhio sereno e penetrante nella realtà dei fatti economici per distinguere ciò che  era contingente e relativo a determinate situazioni di tempo  e d'ambiente, da ciò che è eterno e connaturato con lo spirito  deiruomo Al contrario il fascismo, che ignora le snervanti logomachie  e gl’oziosi e raffinati ragionamenti intessuti su premesse  metafisiche, e che invece ama l’osservazione delia realtà per  costruire su solide basi non solo la dottrina ma le opere  e gli istituti, ha da tempo affermata la sua fede nella iniziativa privata, come fattore insopprimibile delia produzione  economica. Ma questa iniziativa privata non è libera di svolgersi nelle  maniere piú diverse per dominare il campo economico; si  tratta di una iniziativa privata la quale deve essere regolata,  controllata, disciplinata dallo Stato che la ospita e la difende,  la tutela e l’incoraggia, non perchè essa formi solo la fortuna  personale di colui che la esercita, ma in quanto lo scopo  raggiunto coincida con le necessità e le finalità dello Stato. La dottrina economica dei Fascismo riconosce inoltre una  funzione al capitale, il quale costituisce il frutto dei lavoro  deiruomo, risparmiato e impiegato nei nuovi processi produttivi. In tal modo essa esalta la virtú dei risparmio, come mezzo  per aumentare la potenza economica della nazione e quindi  per dare vigore e sostanza all’azione política. Riconosce la fondamentale funzione delia proprietà privata,  la quale non è piú intesa nel senso liberale, di diritto di godere  e disporre delle cose nella maniera piú assoluta, ma e intesa  come dovere sociale. II suo esercizio e quindi limitato da leggi  le quali subordinano 1'interesse deli’indivíduo a quello dello stato. In ogni caso però lo Stato fascista, pur giungendo anche  alia espropriazione, fa si che non si creino sperequa£ÍonÍ a  danno dí particolarí individui, poiche in esso IL SENSO ROMANO DEL DIRITTO E DELL’EQUITÀ è sempre vigile e operante. Dovere sociale è anche l’esercizio dell’impresa, cioè 1 esplicazione dell’iniziativa privata, II fascismo, pero, se pur rifugge  dal concetto esclusivo di impresa statale, proprio dei socialismo,  non ripudia, come fa il liberalismo, la possibilita, anzi ammette  la necessita, che certe imprese che eserciscono pubblici servizi o  che rivestono generalissimi interessi, sieno esercitate dallo stato,  Nel campo dei lavoro, poi, il fascismo è stato rivoluzionario  in maniera veramente superba, Esso, che ha sempre intesa  la storia, cioè il passato, come base dei presente dal quale si  diparte l’avenire, non ha mai sacrificato con leggetezzz e  superficialità, per amore di novità, quello che era il frutto delia  tradizione e la conquista delle passate generazioni, IL FASCISMO  ha inserito sul tronco della storia italiana le sue audaci innovazioni rivoluzionarie. Tra queste, principalissime quelle nel  campo dei lavoro. Durante tutto Í 1 secolo XIX la posizione dei lavoratore  rispetto all’impresa, è in condizioni di soggezione, II lavoratore è alla mercê dell’imprenditore, il quale, avendo una netta  superiorità economica, puo imporre le condizioni e governare il cosidetto mercato dei lavoro. IL FASCISMO, superando il concetto della lotta di classe,  dimostrando fallaci le dottrine che ad essa si ispirano, anche pone in evidenza che il connubio tra il liberalismo e il  socialismo, proprio dei periodo storico in cui vi è il libero  sindacato degl’operai che coca contro il libero sindacato dei datori di lavoro, puo causare perdite gravissime pella nazione, la quale non ottene da questa forma di libera concorrenza tra sindacati quel massimo di utilità che le dottrine  dei classici dell’economia pronosticavano. INSERENDO IL SINDACATO NELLO STATO, non ha attuato una forma  di socialismo di stato, come è preconizzato dagli osservatori  superficiali e dai nemici irriducibili della nuova idea, ma realizza in maniera giuridica le vere e giuste aspirazioni dei  popolo senza sacrificare l’impresa, superando la lotta di classe,  sostituendo al diritto di sciopero e di serrata, il dovere nazionale  dei lavoratori e degl’imprenditori. Raggiunge un nuovo sistema di equilibrio senza cadere  in grossolane contraddizioni e senza fare una dolorosa esperienza piena di inenarrabili sacrifici per le classi operaie,  quale fanno coloro che vuoleno applicati gli schemi  marxisti. II lavoro non è piú considerato una merce che si vende sul  mercato e il salario non è piú un prezzo che si forma nel contrasto fra merce offerta e merce domandata. IL LAVORO È UN DIRITTO e non una concessione. II duce, infatti, ci dice che in tutte le società nazionali  c'è la miséria inevitabile; però quella che deve angustiare il  nostro spirito è la miséria degli uomini sani e validi che cercano affannosamente e invano il lavoro. Per questo il Fascismo considera il lavoro come un diritto.  E il Regime ha creato a questo scopo, come vedremo, Istituti  nuovi, non per dare forma ai suoi schemi dottrinali ma per  dare risultati positivi, concreti, tangibili alia sua azione: per  far si che il diritto al lavoro dei popolo italiano non rimanga  una mera affermazione dogmatica, ma possa estrinsecarsi nella  nuova realtà economica dei nostro Paese. política economica e monetaria. LA POLÍTICA DEL LAVORO ha le sue tavole fondamentali nella  Carta dei Lavoro. Questa costituisce una dichiarasione política di basilare  importanza; insorge contro la concezione liberale che considera  il lavoro come merce, e afferma che «il lavoro sotto tutte le  sue forme, organizzative ed esecutive, intellettuali, tecniche,  manuali, è un dovere sociale. Lo strumento creato dal fascismo per regolare le condidoni  di lavoro è il contratto collettivo, nel quale trova la sua espressione concreta la solidarietà dei vari fattori delia produ zione,  mediante la conciliasáone degli opposti interessi dei datori  di lavoro e dei lavoratori e la loro subordinazione agli interessi  superiori delia produzione. La solidarietà fra tutti i fattori delia produzione, e non  soltanto tra imprenditori e lavoratori delia stessa categoria, è  proclamata nella dichiarasione 4 a, la quale assegna al contratto  collettivo di lavoro la delicata e difficile funzione di concretarla  La Carta dei Lavoro (dichiarazione 3 a ) afferma che la organizzazione professionale e sindacale è unica. II solo sindacato  legalmente riconosciuto e sottoposto al controllo dello stato  ha il diritto di rappresentare legalmente tutta la categoria di  datori di lavoro e di lavoratori per cui è costituito, di tutelarne  di fronte alio Stato o alie altre associazioni professionali gl’interessi, di stipulare contratti collettivi di lavoro obbligatori  per tutti gli appartenenti alia categoria, di imporre loro contributi ed esercitare rispetto ad essi funsioni delegate d'interesse  pubblico. II sindacato ha il compito di tutelare gli interessi delle  categorie, ma nello stesso tempo ha l’obbligo di promuovere in tutti i modi l’aumento e il perfezionamento delia produzione e la riduzione dei costi; esso deve anche adoperarsi per  il conseguimento dei íini morali dell’ordinamento corporativo. Nella Carta dei Lavoro come si reagisce alia concesione dei  lavoro come merce, si introduce il concetto di salario giusto ed  equo, che sarebbe il salario corporativo, in quanto esso deve  uniformarsi alie esigenze normali di vita, alie possibilità delia  produzione e al rendimento dei lavoro. Aggettivi e condizioni, quelli e queste, che equivalgono ad  eresie per gli economisti classici, pei quali non esiste altra  giustizia in economia se non quella stabilita dal ptezzo di equilíbrio, determinato dail’incontro dell’offerta e della domanda  di lavoro. Poichè — essi hanno sentenziato — il fatto economico è un fatto naturale, meccanico e perciò non può essere  nè giusto nè ingiusto, come una reazione chimica o la caduta  di un grave. La Carta dei Lavoro risolve felicemente il problema delia  determinazione dei salario giusto, cioè di un salario che garan-  tisca al lavoratore un minimo di tenore di vita sen2;a che esso  incida sul giusto profitto delhimprenditore. E siccome questa  determinazione non è suscettibile di una solucione di carat-  tere generale, essa lascia un grado sufficiente di elasticità, che  permette al salario di essere il risultato di un accordo contrat-  tuale convenuto fra sindacati. Le ragioni economiche sono  perciò mirabilmente armoni^ate con quelle sociali e politiche;  il senso di alta umanità, cui si ispira il fondamentale documento politico in matéria di lavoro, viene confermato nella  dichiara^ione 18 a, la quale assicura al lavoratore la continuità  dei salario anche in seguito al verificarsi di determinate  evenien2;e Nell’impresa a lavoro continuo, il trapasso dell’azienda  non risolve il contratto di lavoro e il personale ad essa addetto conserva i suoi diritti nei confronti dei nuovo titolare. Egual-  mente la malattia dei lavoratore, che non ecceda una deter-  minata durata, non risolve il contratto di lavoro. II richiamo  alie armi o il servizio delia M. V. S. N. non è causa di licenciamento. Ispirata alia stessa preoccupazione di tutelare il lavoratore è  la dichiaracione 14 a, la quale stabilisce che la retribucione deve  essere corrisposta nella forma piú consentânea alie esigence  dei lavoratore e dell'impresa. Quando la retribucione sia stabilita a cottimo, e la liquidazione di cottimo sia fatta a periodi superiori alia quindicina,  sono dovuti adeguati acconti quindicinali o settimanali. II lavoro notturno, non compreso in regolari turni periodici,  viene retribuito con una percentuale in piü rispetto al lavoro  diurno.   Ma la parte fondamentale relativa alia determinacione dei  salario, merita qualche consideracione. Ancitutto va osservato che le condicioni di vita, a cui deve  uniformarsi il salario, non sono qualche cosa di astratto e di  costante, ma, essendo in stretta relacione con le condicioni  dell’economia nacionale, subiscono continue variacioni col  progresso generale di questa. Per esse non bisogna intendere  il minimo necessário per la vita fisica dell'individuo, ma un  livello sufficiente a consentire 1'elevacione dei lavoratore. Questa concecione morale delia vita persegue anche finalità  di carattere economico. Le cattive condizioni dei lavoratori  non solo riducono la capacità di consumo dei mercato interno,  per il quale gran parte degli imprenditori producono, ma  ne menomano anche il rendimento, ostacolando il progresso  economico e civile. II secondo elemento che bisogna tener presente nella deter-  minacione dei salario è dato dalle possibilità delia producione. Si è detto che la Carta dei Lavoro ha sempre presente il raggiungimento di una finalità di carattere superiore e cioè quella  di aumentare la potenza política ed economica delia Nazione. Si comprende, quindi, come sia stata sua preoccupazione  costante quella di far si che il salario venga stabilito in maniera  tale da non causare 1'annullamento dei giusto profitto che deve  percepire 1'imprenditore, perchè in tal caso si annullerebbe lo  spirito d'intrapresa, lo stimolo al risparmio e quindi si inaridi-  rebbero le fonti delia ricchezza, che sono le fonti dei lavoro.  Tale disposizíone non deve essere perciò interpretata soltanto  come difesa delPimpresa, perchè con 1’aumento delia potenza  economica si creano nuove fonti di lavoro. È anche per questo motivo che la carta dei lavoro affida la  concreta determinazione dei salario ai liberi accordi contrattuali;  essa ha perfettamente inteso che questa matéria deve essere  disciplinata seguendo con grande accortezza le contingenze  economiche. Qualora non fosse consentita la indispensabile  elasticità, le ricordate disposizioni si risolverebbero in un danno  altrettanto grave per i lavoratori quanto per gli imprenditori.   I ricordati criteri non devono essere mai dimenticati nè dalle  associazioni sindacali nè dalla magistratura del lavoro. L’ultimo elemento fissato dalla carta dei lavoro per procedere alia determinazione dei salario è il rendimento dei lavoro. Con questa disposizione la carta del lavoro ha voluto riconoscere in maniera esplicita che anche tra i lavoratori il concetto  di differenziamento, in relazione alie singole capacità, deve  essere tenuto presente onde evitare di agguagliare i singoli ed  eliminare le naturali diversità nelle attitudini e nella capacità  di lavoro. Ciò costituisce anche un vantaggio sociale che non  poteva essere trascurato dal fascismo il quale cerca sopratutto  di ottenere che i singoli elevino loro stessi servendo la causa  dei paese. II salario non deve quindi essere necessariamente eguale per  tutti gli operai, nè per tutti i generi di lavoro. Esso varia inoltre  in relacione al luogo e al tempo. II comune, piü generale e forse piü antico sistema di retribuzione è quello dei salario a tempo, corrisposto in base al  numero di ore o di giorni di lavoro prestato: forma che prescinde dal rendimento perchè fa astrazione dalla quantità di  lavoro compiuto. Accanto a questo vecchio sistema, che alio  svantaggio di richiedere una assidua sorveglianza unisce quello  di mancare di sufficiente stimolo, si sono venute affermando  forme di retribuzione che vanno sotto il nome di salario a  incentivo. Questo va esente dai ricordati inconvenienti, ma anzi  stimola Tattività delboperaio e quindi la produttività dei lavoro. Questi indiscutibili vantaggi possono però essere accompa-  gnati da svantaggi considerevoli, specie se considerati dal  punto di vista nazionale E consistono appunto nella qualità  piú corrente o ordinaria delia produzione e specialmente nel  periodo di uno sforzo eccessivo dei lavoratore che, se lunga-  mente protratto, può essere nocivo per la salute deiroperaio. I vantaggi che con questo sistema si conseguono sono però  tanto importanti da renderlo preferibile ogni qual volta sia  opportunamente regolato* Come fa la carta dei lavoro quando  si preoccupa delle conseguenze dei sistema a cottimo nei  riguardi dei lavoratori meno capaci, che non arrivano ad otte-  nere un reddito corrispondente alia paga base. Per la loro  tutela la carta dei lavoro dichiara che quando il lavoro sia  retribuito a cottimo le tariffe di cottimo devono essere deter-  minate in modo che all’operaio laborioso, di normale capacità  produttiva, sia consentito di conseguire un guadagno minimo  oltre la paga base. Lo scopo dei legislatore fascista, regolando questa matéria  dei salario a cottimo nel modo indicato, è stato quello di stimolare attraverso di esso, nel lavoratore, la convenienza ad  incrementare la produzione, legandolo alia rnedesima, assicurando altresi un trattamento che non determini grandi  disparità di retribuzione tra i singoli lavoratori e nello stesso  tempo non sia motivo di logorio fisico dell’operaio. Obbligando il lavoratore a una fatica superiore alie sue medie  possibilità, si crea un sistema di lavoro privo dei requisiti fondamentali dei lavoro fascista, che deve essere gioia creatrice  e non grigia fatica che stanca e non piace. Per questo il fascismo non è mai stato molto entusiasta dei sistemi di paga  che hanno avuto tanto furore e cosi estesa applicazione nei  Paesi dei supercapitalismo e specialmente negli Stati Uniti  d’America. I sistemi basati sulla cosidetta organizzazione  scientifica dei lavoro e che fanno capo al taylorismo, spesso  fiaccano la fibra dell’operaio costringendolo ad un lavoro meccanico monotono e sempre eguale senza varietà e diversioni  capaci di sollevare lo spirito dei lavoratore. I vari sistemi — Rowan, Halsey e Bedeaux — si ispirano tutti in sostanza al concetto di fissare la paga in  relazione al rendimento dei singolo e indipendentemente o  quasi da certi minimi, che diremmo di carattere umanitario.  Lo Stato corporativo, pur stimolando la nobile e generosa  gara dei lavoratore non vuole che questo si trasformi in  una parte di macchina; questi razionalissimi sistemi, frutto esclusivo delia ragione e dei calcolo, che fanno astrazione  da qualsiasi caratteristica individuale, trasformano invece il  lavoratore in una parte delia macchina di cui egli. diventa  il servo. II problema non va quindi impostato da un punto di vista  meramente e prettamente economico e materiale, ma va considerato anche da un punto di vista etico, sociale e político,  come lo ha considerato LO STATO CORPORATIVO che non opera guardando solo il presente, ma con gli occhi e 1’anima tesi  sopratutto verso 1'awenire. La determinazione dei salario rappresenta la parte piú  importante e delicata dei contratti di lavoro e va affrontata  con animo mondo da qualsiasi preoccupazione partigiana e  demagógica; va affrontata, cioè, con spirito fascista, con spirito  che armonizza in una perfetta unità i due maggiori fattori delia  produzione: il lavoro e il capitale.  L'idea centrale e fondamentale che caratterizza nel terreno  economico e sociale la Rivoluzione delle Camicie Nere, è la  Corporazione. IL CORPORATIVISMO È ESPRESSIONE ESSENZIALE DEL FASCISMO. Che cosa siano le Corporazioni lo ha definito il Duce nello  storico discorso dei novembre XII, al Consiglio Nazionale  delle Corporazioni. Le corporazioni, secondo la definizione datane dal duce,  sono lo strumento che, sotto 1 'egida dello Stato, attua la  disciplina integrale, organica e unitaria delle forze produttive,  in vista dello sviluppo delia ricchezza, delia potenza política  e dei benessere dei popolo italiano». IL CORPORATIVISMO — ancora afferma il duce — è l’economia disciplinata, e  quindi anche controllata, perchè non si può pensare ad una  disciplina che non abbia un controllo: il corporativismo supera  il socialismo e supera il liberalismo, crea una nuova sintesi. È cioè la sintesi dei contrastanti interessi di categoria e di gruppo  nel supremo interesse delia società nazionale.  IL CORPORATIVISMO implica quindi anzitutto una perfetta e  completa conoscenza dei vari settori deireconomia nazionale;  delia loro portata economica assoluta e relativa. Implica un  indirizzo di política economica conforme a certe finalità sociali  che lo Stato ritiene piú vantaggiose per la collettività nazionale.   Diciamo portata assoluta e relativa delle diverse attività  economiche delia Nazione, perchè non tutte hanno la stessa  importanza per gli interessi che rappresentano o per i fini che  lo Stato fascista persegue. Non mancano, nel campo agricolo  come in quello industriale, modeste attività in confronto di  larghi generali interessi economici. II liberalismo può attendere dal cozzo la soluzione che pel solo suo trionfo ritiene  socialmente piú vantaggiosa; il corporativismo no. Deve approfondire 1'importanza relativa di ogni branca dell'attività  economica e con una visione nazionale, organica quindi e integrale, evítare che limitati interessi, anche se potenti, deprimano  interessi ben piú larghi anche se meno agguerriti o protetti.   Discende da ciò che lo Stato corporativo non può difendere  egualmente ogni settore economico, grande e piccolo. Vi sono  settori, attività, branche che ai fini nazionali vanno tutelati  e difesi, in confronto di altri che non meritano eguale tutela.  Una política economica corporativa non può non fare questa  cernita di interessi in armonia ai fini sociali che intende  raggiungere.   Questa è Tessenza dell'economia corporativa. Vediamoun po'il suo sviluppo storico.   II Duce sin dall’anno I, parlando il 2 giugno ai lavoratori  dei Polesine, affermò il concetto fondamentale delia collabora-  zione: « La lotta di classe — Egli dice — può essere un episódio nella vita di un popolo; non può essere sistema quotidiano, perchè significherebbe la distruzione delia ricchezza  e quindi la miséria universale».   « Collaborazione, fra chi lavora e chi dà lavoro, fra chi dà  le braccia e chi dà il cervello — tutti gli elementi delia produzione hanno le loro gerarchie inevitabili e necessarie attraverso a questo prpgramma voi arriverete al benessere, la  Nazione arriva alla prosperità e alla grandeza. Al Consiglio Nazionale dei sindacati fascisti, il duce rivolge all’assemblea il seguente  richiamo. La collaborazione di classe deve essere praticata  m due; 1 datori di lavoro non denono approfittare dello stato  attuale restaurato dal fascismo, che ha dato un senso di  disciplina alla nazione, per soddisfare i loro egoismi. Essi  devono considerare gl’operai come elementi essenziali delia  produzione. Devono fare il loro interesse in quanto coincida con quello della Nazione e non invece il contrario. Solo in questo modo si puo avere una massa realmente disciplinata, laboriosa, fiera di contribuire alie fortune delia Patria, Nello stesso anno, mviando un messaggio al Congresso delle  Corporazioni Sindacali Fasciste, rileva che in molte zone la  mtelligente collaborazione di classe era stata realizzata e la  pace era mantenuta. Ciò dimostrava che quando le due parti  sanno mettersi sul concreto terreno delia produzione, la colla-  bora2;ione di classe è possibile. Il duce, pubblicando in Gerarchia  un articolo su «FASCISMO E SINDACALISMO» ricorda che il programma dei Partito afferma  clie le Corporazioni vanno promosse secondo due obiettivi  rondamentali: e cioè come espressione delia solidarietà nazionale e come mezzo di sviluppo delia produzione. Le Corporazioni non debbono tendere ad annegare l'individuo nella collettività, e a livellare arbitrariamente la capacità e  le torze dei singoli, ma debbono anzi valorizzarle e svilupparle. In questa schematica dichiarazione vi sono i fondamenti  delia nuova dottrina corporativa. Il fascismo, conquistato il potere, si dedica con rara energia  a consolidare le istituzioni, a risolvere gli impellenti problemi  posti dalla vita economica dei Paese, senza però dimenticàre  lo sviluppo orgânico delia legislazione corporativa che doveva  portare alia legge fondamentale dei 5 febbraio 1934. Da un punto di vista dottrinale, e se si vuole anche storico,  lo sviluppo delia Corporazione è contrassegnato da tre fasi o  momenti di importanza fondamentale: la legge sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi di lavoro; la leggesul Consiglio Nazionale delle  Corporazioni; la legge sulla costituzione e sulle  funzioni delle Corporazioni. II legislatore fascista già nella legge forni i primi  elementi giuridici dei nuovo istituto delia Corporazione, e si  può anzi affermare che tutte le disposizioni di quel documento  fossero ispirate a questo concetto fondamentale. È 1’idea nuova che animava e giustificava Tordinamento  instaurato dalla legge. Secondo la legge ricordata, 1’Istituto delia Corporazione  aveva anzitutto lo scopo di attuare la completa collaborazione  tra le categorie, collegando le rappresentanze sindacali dei  lavoratori e dei datori di lavoro dei ramo di produzioni per  cui la corporazione è costituita; di rappresentare in maniera  unitaria gli interessi economici dei proprio settore produttivo  di fronte alie altre categorie. La delicatissima funzione dei collegamento è esercitata  dallo STATO. La legge prevede, accanto alia organizzazione  sindacale a carattere verticale, una organizzazione corporativa  a carattere orizzontale: la prima serviva per tutelare gli interessi  dei singoli elementi delia produzione, la seconda per la difesa  degli interessi comuni a ogni singolo ramo delia produzione. Già in questa legge agli organi corporativi fu attribuita la  facoltà di emanare norme generali sulle condizioni di lavor o,  di conciliare le controversie collettive tra le associazioni colle-  gate,di promuovere, incoraggiare e sussidiare tutte le iniziative intese a coordinare e meglio organizzare la produzione,  di istituire uffici di collocamento, di regolare il tirocínio e Í1  garzonato con norme obbligatorie.   II secondo passo di carattere fondamentale sulla via che  doveva condurre alia Corporazione fu fatto con la legge  sul Consigho Nazionale délle Corporazioni, la  quale non solo forniva un nuovo strumento giuridico per disciplmare i rapporti economici collettivi, ma attribuiva nuovi  compiti e funzioni alie associazioni sindacali. Queste estesero  il loro campo di attività dalla disciplina dei rapporti di lavoro,  al regolamento collettivo dei rapporti economici tra le diverse  categorie delia produzione. Ma è con la legge dei 5 febbraio 1934 che si dovevano realiz-  sare in maniera definitiva le Corporazioni. Il capo dice: il  sindacalismo non può essere fine a se stesso: o si esaurisce nel  socialismo político, o nella CORPORAZIONE FASCISTA. È solo nella  corporazione che si realizza 1 idea economica nei suoi diversi  elementi: capitale, lavoro, técnica; è solo attraverso la corporazione, cioe attraverso la collaborazione di tutte le forze convergenti ad un solo fine, che la vitalità dei sindacalismo è assicurata. È solo, cioe, con un aumento delia produzione e quindi  delia ricchezza, che il contratto collettivo può garantire condizioni sempre migliori alie categorie lavorative. In altri termini,  sindacalismo e corporazione sono indipendenti e si condizionano a vicenda; senza sindacalismo non è pensabile la corporazione; ma senza corporazione il sindacalismo stesso viene, dopo  le prime fasi, a esaurirsi in un’azione di dettaglio, estranea al processo produttivo; spettatrice non attrice; statica e non  dinamica. Parlando al popolo di Bari il duce dice come 1'obiettivo dei  Regime nel campo economico è la realizzazione di una piú  alta GIUSTIZIA SOCIALE per tutto il popolo italiano. La quale  cosa significa lavoro garantito, salario equo, casa decorosa. Significa la possibilità di evolversi e di migliorarsi incessantemente. Significa CHE (Grice, MEANS THAT) gli operai, i lavoratori debbono entrare  sempre piú intimamente a conoscere il processo produttivo  e a partecipare alia sua necessária disciplina. La fusione di tutte le energie economiche e spirituali  della Patria doveva awenire in maniera definitiva con la  promulgazione delia legge che crea su di  un piano orgânico le Corporazioni. Insediando i Consigli delle Corporazioni, il Capo ne pone  in rilievo il carattere rivoluzionano, perchè il suo compito  è quello di determinare negli istituti, nelle leggi e nei costumi,  le trasformazioni politiche e sociali che sono necessarie alia  vita di un popolo.   In quell’occasione il Capo si domandava: « occorre ripetere  ancora una volta che le Corporazioni non sono fine a se stesse  ma strumenti di determinati scopi? Ormai questo è un dato  comune. Quali sono gli scopi? Airinterno una organizzazione che raccorci con gradua-  lità ed inflessibilità le distanze tra le possibilità massime e  quelle minime o nulle delia vita. È ciò che io chiamo una piú  alta giustizia sociale. In questo secolo non si può ammettere  la inevitabilità delia miséria materiale, si può accettare sol-  tanto la triste fatalità di quella fisiológica. Non può durare  l’assurdo delle carestie artificiosamente provocate. Esse denunciano la clamorosa deficienza dei sistema. II secolo scorso  proclamo l’uguaglian^a dei cittadini davanti alia legge — ed è  conquista di portata formidabile — il secolo fascista mantiene,  an2;i consolida, questo principio, ma ve ne aggiunge un altro,  non meno fondamentale: Teguaglianza degli uomini dinan^i  al lavoro, inteso come dovere e come diritto, come gioia crea-  trice che deve dilatare e nobilitare Tesisten^a, non mortificaria  o deprimerla. Di fronte alhesterno la corpora^ione ha lo scopo di aumentare senza sosta la poten^a globale delia na^ione per i fini  delia sua espansione nel mondo »Col io novembre delbanno XII la grande macchina creata  dal genio dei Duce doveva mettersi in moto. II Capo ammoniva  che non bisogna attendersi immediati miracolL Anzi i miracoli  non bisogna attenderli affatto, perchè il miracolo non appartiene all’economia. La legge attribuisce alie Corporadoni funzioni normative  in matéria economica. Inoltre esse sono chiamate a dar pareri  (compito consultivo) su tutte le questioni che interessano il  ramo di attività per cui sono costituite, tutte le volte sia richie-  sto da organi competenti, nonchè a esercitare la concilia^ione  delle controversie collettive di lavoro. L'attività delle Corporazioni è incominciata neiranno XIII e molte di esse hanno già lavorato con successo. Le ventidue corporazioni istituite dal Capo dei Governo  sono elencate qui di seguito e per ciascuna riportiamo la composizione numérica delle categorie economiche.   Si ricorda che nelle Corporazioni vi è sempre rappresentato il Partito, il quale porta in seno a questo nuovo organismo  la continuità dello spirito rivolu^ionario e la voce delia massa  dei consumatori. PRIMO GRUPPO Dl CORPORAZIONI (Istituite con decreto dei Capo dei Governo) CORPORAZIONE DEI CEREALI i>   Produzione dei cereali 7 datori di lavoro e 7 lavoratori   Industria delia trebbiatura Industria molitoria, risiera, dolciaria  e delle paste Panificazione Commercio dei cereali e degli altri  prodotti sopra indica ti  Cooperative di consumo 1 rappresentante Tecnici agricoli Artigianato CORPORAZIONE  DELLA ORTO-FLORO-FRUTTICOLTURA   Orto-floro-frutticoltura 6 datori di lavoro e 6 lavoratori   Industria delle conserve aümentari  vegetali 2 2 Industria dei derivati agrumari e  delle essenze . Commercio dei prodotti orto-floro-frutticoli e loro derivati Tecnici agricoli 1 rappresentante   Chimici Cooperative di esportatori orto-floro-frutticoli CORPORAZIONE VITIVINICOLA   Viticoltura 6 datori di lavoro e 6 lavoratori   Industrie enologiche (vini, aceto,  liquori) Ogni Corporazione ha tre rappresentanti dei Partito. Industrie delia birra ed affrni 3 datori di lavoro e 3 lavoratori   Produzione delPalcool di seconda   categoria Commercio dei prodotti sopra eiencati Tecniciagricoli 1 rappresentante   Chimici ....i» Cantine sociali CORPORAZIONE OLEARIA   Coltura dell’olivo e di altre piante da  olio 5 datori di lavoro e 5 lavoratori   Industria delia spremitura e delia  rafíinazione delPolio di oliva Industria delia spremitura e delia  raffinasione delPolio di semi Industria delPolio al solfuro Commercio dei prodotti oleari Tecnici agricoli 1 rappresentante   Chimici CORPORAZIONE DELLE BIETOLE  E DELLO ZUCCHERO   Bieticoltura 2 datori di lavoro e 2 lavoratori   Industria dello zucchero Industria delPalcool di prima categoria Commercio dei prodotti sopra indicati  i »   Tecnici agricoli 1 rappresentante   Chimici CORPORAZIONE DELLA ZOOTECNIA  E DELLA PESCA Praticoltura e allevamento dei bestiame e delia selvaggina Industria delia pesca marittima e di  acque interne e delia lavorazione  dei pesce Industria dei latte per consumo  diretto Industria dei derivati dei latte Industria delle carni insaccate e delle  conserve aümentari animali Commercio dei bestiame Commercio dei latte e dei derivati Tecnici agricoli Mediei veterinari Latterie sociali.Cooperative di pescatori 8 datori di lavoro e 8 lavoratori  i rappresentante CORPORAZIONE DEL LEGNO Produzione dei legno, industria fore-  stale e prima lavorazione dei legno    Fabbricazione dei mobiíio e di oggetti  vari di arredamento domestico Produzione degli infissi e dei pavimenti Produzione dei sughero Lavorazioni varie Commercio dei prodotti sopraelencati Tecnici agricoli e forestali Artisti Artigianato 2 datori di lavoro agricolo e 2  lavoratori agricoli  2 datori di lavoro industriale e  2 lavoratori industriali   2 datori di lavoro e 2 lavoratori i rappresentante  CORPORAZIONE DEI PRODOTTI TESSILI    Industria dei cotone 3 datori di lavoro e 3 lavoratori   Produzione delia lana Industria delia lana Industria dei seme-bachi Gelsi-bachicoltura Industria delia trattura e delia torci-  tura delia seta  1 datore di lavoro e 1 lavoratore   Industria dei rayon Industria delia tessitura delia seta e  dei rayon Coltivazione dei lino e delia canapa Industria dei lino e delia canapa Industria delia juta  Industria delia tintoria e delia stampa   dei tessuti. Industrie tessili varie Commercio dei cotone, delia lana,  delia seta, dei rayon e degli altri  prodotti tessili; commercio al dettaglio dei prodotti stessi Tecnici agricoli 1 rappresentante   Chimici Periti industriali Artisti Artigiani  Essiccatoi cooperativi SECONDO GRUPPO Dl CORPORAZIONI (Istituite con Decreto dei Capo dei Governo CORPORAZIONE DELLA METALLURGIA  E DELLA MECCANICA   Industria siderúrgica 3 datori di lavoro e 3 lavoratori Altre industrie metallurgiche Industria delia costruzione di mezzi  di trasporto (automobili, moto-  cicli, aeroplani, materiale ferro-tranviario, costruzioni navali) Industria delia costruzione delle  macchine ed apparecchi per la  radio e per la generazione, trasformazione e utilizzazione dell’energia elettrica Industria delia costruzione di macchine ed apparecchi per uso industriale e agricolo Industria delle costruzioni e lavorazioni metalliche, fonderie e   impianti Industria delia costruzione di strumenti ottici e di misura e delia   meccanica di precisione e di armi 2 2  Industria dei prodotti di gomma per   uso industriale Industria dei cavi e cordoni isolanti Oraíi e argentieri Commercio dei prodotti sopra indicati Ingegneri 1 rappresentante Artigianato Consorzi agrari cooperativi CORPORAZIONE DELLA CHIMICA Industrie degli acidi inorganici,  degli alcali, dei cloro, dei gas  compressi e degli altri prodotti   chimici inorganici 3 datori di lavoro e 3 lavoratori   Industria dei prodotti chimici pell’agricoltura Industria degli acidi organici e dei  prodotti chimici organici Industria degli esplosivi  Industria dei fosforo e dei fiammiferi Industria dei materiali plastici Industria dei coloranti sintetici e dei  prodotti sensibili per fotografie Industrie dei colori mineraH, delle  vernici, delle creme e dei lucidi per calzature e pellami Industria saponiera e dei detersivi  in genere, industria stearica e delia   glicerina Industria degli estratti concianti Industria conciaria Industria degli olii essenziali e sintetici e delle profumerie Industria degl’olii minerali Industria delia distillazione dei carbone e dei catrame; industria delle   emulsioni bituminose Industrie farmaceutiche Commercio dei prodotti delle industrie sopra indicate Chimici i rappresentante  Farmacisti Consorzi agrari cooperativi CORPORAZIONE DELL'ABBIGLIAMENTO Industria dell’abbigliamento (confezioni d’abiti, biancheria, ecc.)  Industria delia pellicceria Industria dei cappello Industria delle calzature e di altri  oggetti di pelle per uso personale Industria dei guanti Produzione di oggetti vari di gomma  per uso di abbigliamento Magliíici e calzifici Produzione di pizzi, ricami, nastri,  tessuti elastici e passamanerie Industria dei bottoni Produsioni varie per l’abbigliamento  Ombrellifici Commercio dei prodotti delle industrie sopra indicate Artigianato Artisti 3 datori di lavoro e 3 lavoratori   1rappresentante   i CORPORAZIONE DELLA CARTA E DELLA STAMPA Industria delia carta Cartotecnica Industrie poligrafiche ed affini Industrie editoriali. Industrie editoriali giornalistiche. Commercio dei prodotti delle indu¬  strie sopra elencate Artisti (autori e scrittori, musicisti,  belle arti, giornalisti) Artigianato 2 datori di lavoro e 2 lavoratori 1 di cui uno giornalista 4 rappresentanti   i CORPORAZIONE DELLE COSTRUZIONI EDILI    Industrie delle costruzioni (costruzioni edilizie e opere pubbliche) Industria dei laterizi Industria dei manufatti di cemento*  Industria dei cementi, delia calce e  dei gesso Industria dei materiali refrattari Commercio dei materiali da costru-  zione Proprietà edilizia Ingegneri Architetti Geometri Periti industriali edili Artigianato Cooperative edili 4 datori di lavoro   e 4   lavoratori 1 rappresentante CORPORAZIONE DELL'ACQUA, DEL GAS  E DELLA ELETTRICITÀ    Industria degli acquedotti 3 datori di lavoro, dei quali un   rappresentante delle aziende municipali e 3 lavoratori, dei quali  un rappresentante dei dipendenti  delle aziende municipalú   Industria dei gas 3 datori di lavoro, dei quali un   rappresentante delle aziende mu-  nicipali, e 3 lavoratori dei quali  un rappresentante dei dipendenti  delle aziende municipalú   Industrie elettriche.4 datori di lavoro, dei quali un rap¬   presentante delle aziende municipalizzate e 4 lavoratori dei quali  un rappresentante dei dipendenti  delle aziende municipalizzate»  Ingegneri 1 rappresentante   Consorzi e cooperative CORPORAZIONE DELLE INDUSTRIE ESTRATTIVE Industria dei mínerali metaílici. 2 datori di lavoro e 2 lavoratori   Industria dello zolfo e delle piriti Industria dei combustibili fossili Industria delle cave (marmo, granito,  pietre ed affini) Lavora^ione dei marmo e delia pietra Commercio dei prodotti delle indu¬  strie sopraelencate Ingegneri minerari 1 rappresentante Periti industriali minerari Artigianato CORPORAZIONE DEL VETRO E DELLA CERAMICA   Industrie delle ceramiche artistiche,  porcellane, terraglie forti, semi-   forti, e dolci, grès, abrasivi 4 datori di lavoro e 4 lavoratori   Industrie delle bottiglie Industria dei vetro bianco Industria delle lastre Industria degli specchi e cristalli  Industria dei vetro scientifico (com-  preso quello di ottica) Industria dei vetro artistico e conterie Industria delle lampade elettriche Commercio dei prodotti delle industrie elencate Artigianato 2 rappresentanti   Cooperative Artisti TERZO GRUPPO Dl CORPORAZIONI   (Istituite con Decreto dei Capo dei Governo CORPORAZIONE DELLE PROFESSIONI E DELLE ARTI Sezione dei Professionisti legali:   Awocati e Procuratori 3 rappresentanti (due per gli   awocati e uno per i procuratori)  Dottori in economia  1 rappresentante   Notai Patrocinatori legali Periti commerciali Ragionieri Sezione delle professioni sanitarie: Mediei 3 rappresentanti   Farmacisti Veterinari Xnfermiere diplomate  Levatrici  Sezione delle professioni tecniche:   Ingegneri 2 rappresentanti   Architetti Tecnici agricoli  3 (uno per i dottori in agraria e uno per i periti  agrari)   Geometri 1 rappresentante   Periti industriali Chimici Sezione delle arti:    Autori e scrittori  2 rappresentanti   Belle arti Architetti Giornalisti Musicisti..   Istituti privati di educazione e istruZione Insegnanti privati Attività industriali ed artigiane di  arte applicata Commercio delParte antica e moderna i rappresentante  i datore di lavoro e 1 lavoratore  delPindustria; 2 artigiani   i datore di lavoro e 1 lavoratore i8 CORPORAZIONE  DELLA PREVIDENZA E DEL CREDITO Sezione delle Banche:   Il Governatore delia Banca dTtalia*   Il Presidente delPAssociazione tra le Società Italiane per azioni. II Presidente dellTstituto di ricostruzione industriale. II Presidente dell’istituto mobiüare italiano Istituti di credito ordinário 2 rappresentanti   Banche di provincia  Istituti finanziari Banchieri privati Agenti di cambio Ditte commissionarie di borsa e   cambiavalute Dirigenti di aziende bancarie Dipendenti delle aziende bancarie Dipendenti da agenti di cambio Sezione degli Istituti di diritto pubblico: I membri di diritto delia Sezione delle Banche  Casse di Risparmio ordinarie» 4 rappresentanti   Istituti di credito di diritto pubblico  soggetti alia vigilanza dei Ministero  delle Finanze Istituti speciali di credito agrario i rappresentante   Monti di Pietà 2 rappresentanti dei quali uno   per i Monti di Pietà di I a cat ed  uno per quelli di 2 a cat*   Istituti di credito di diritto pubblico 3 rappresentanti  Banche popolari cooperative 1 rappresentante   Casse rurali 1 »   Dipendenti da Banche popolari e da   Casse rurali 2 rappresentanti   Sezione deile assicurazioni:   II Presidente deiristituto Nazionale delle Assicurazioni,   II Presidente dellTstituto Nazionale Fascista delle Assicurazioni contro  gli Infortuni*   II Presidente deiristituto Nazionale Fascista delia Previdenza Sociale,  Imprese private autorizzate all’esercizio delle assicurazioni 2 rappresentanti Dirigenti delle imprese di assicura- Dipendenti delle imprese di assicurazione Agenzie di assicurazione Dipendenti da agenzie di assicurazione Dipendenti da istituti di assicurazione di diritto pubblico Mutue di assicurazione CORPORAZIONE  DELLE COMUNICAZIONI INTERNE   Sezione delle ferrovie, delle tramvie e delia navigazione interna: Ferrovie e tramvie extra-urbane 3 datori di lavoro e 3 lavoratori   Tramvie urbane Funivie, funicolari, ascensori e íilovie Navigazione interna Sezione dei trasporti automobilistici;    Autoservizi di linea  2 datori di lavoro e 2   lavoratori   Servizi di noleggio .Servizio taxistico Servizio camionistico Sezione degli ausiliari dei traffico: Spedizionieri 2 datori di lavoro e 2   lavoratori   Attività portuali Trasporti ippici Attività complementari dei traffico  su rotaia e su strada Sezione delle comunicazioni telefoniche, radiotelefoniche e cablografiche: Comunicazioni telefoniche, radiotelavoratori tefoniche e cablografiche 2 datori di lavoro e CORPORAZIONE DEL MARE E DELL’ARIA   Marina da passeggeri 4 datori di lavoro e 4   lavoratori   Marina da carico Marina velica Trasporti aerei Cooperative i rappresentante    CORPORAZIONE DELLO SPETTACOLO   Imprese di gestione dei teatri e dei   cinematografi 2 datori di lavoro e 2 lavoratori   Teatri gestiti da enti pubblici, imprese liriche (artisti di canto, artisti  di prosa, concertisti, orchestrali,  registi e scenotecnici) e di operette,  enti di concerti, capocomici, radio-trasmissioni Industrie affini (scenografia, case di  costumi e di attr ezzi teatrali, edi-   zioni fotomeccaniche).i datore di lavoro e i lavoratore   Imprese di produzione cinemato¬  gráfica Case di noleggio, di films Imprese di spettacoli sportivi Editori 2 rappresentanti   Musicisti Autori dei teatro drammatico e dei  cinematógrafo 2 rappresentanti   II Presidente delia Società Italiana Autori ed Editori Il Presidente delPIstituto Nasionale L* U, C. E.   II Presidente delPO* N. D CORPORAZIONE   Alberghi e pensioni Uffici ed agensie di viaggi.   Esercizi pubblici in genere (ristoranti, caffè, bar) Attività artigiane connesse con 1 'ospitalità Stabilimenti idroclimatici e termali  Case private di cura Mediei DELL/OSPITAUTÀ  2 datori di lavoro e 2 lavoratori 1 rappresentante  II vigente ordinamento strutturale delle ORGANIZZAZIONI SINDACALI è il frutto di una graduale evoluzione. Recentemente è stato  rivedutoispirandosiacriteri dimaggiore semplicità. Anche le denominazioni sono State cambiate con una piü precisa indicaZione degli esercenti 1'attività che l’organizzazione rappresenta. La struttura organizzativa delle associazioni di vario grado si  presenta nel seguente modo:     Associazioni nazionali giuridicamente riconosciute  Confed. Federaz. Sindac. Totale Confederazione Fascista agricoltori  Confederazione Fascista industriali  Confederazione Fascista commer-  cianti Confederazione Fascista delle aziende  dei credito e deirassicurazione Confederazione Fascista dei lavoratori  deiragricoltura Confederazione Fascista dei lavoratori  dell’industria Confederazione Fascista dei lavoratori  del commercio Confederazione Fascista dei lavoratori  dei credito e deirassicurazione Confederazione Fascista deiprofessionisti  e artisti  política finanziaria e monetaria    l’Italia, uscita stremata da una guerra costosissima, entrò  in una grave crisi economica e sociale, che ne esauri ancor piü  le sue capacità economiche e quindi ridusse enormemente le  entrate di bilancio, mentre le spese subivano un continuo  aumento Ma in pochissimi anni il Governo fascista riedificava su  nuove salde basi la finança, eliminando ogni disavanzo. II piano delia restaurazione concepito e voluto fermamente  dal Duce si basa sopra queste colonne fondamentali che costituiscono il saldo edifício delia finanza fascista:   X o Pareggio dei bilancio;   2 o Risanamento delia circolazione monetaria;   3 o Regola^ione dei debiti di guerra;   4 o Sistema^ione dei debito interno; 5 o Sistemasione delFasienda ferroviária;   6 o Abolidone dei corso formoso e ritorno alhoro. L'esercizio finanziario ultimo dell’antico regime,  segnava un disavanso di circa 16 miliardi di lire; il successivo   10 riduceva a soli 3 miliardi e Feserci^io finansiario seguente, il primo interamente gestito dal Fascismo, vede  scendere il disavamjo a solo 418 milioni di lire* Praticamente  era il pareggio. Con l’anno finanziario 1924-25 comincia la magnifica  serie degli anni con bilanci attivi che termina soltanto nel  3:930-31 a causa delia contrazione delle entrate, dovuta alia  crisi e alia nuova situa^ione che si Veniva creando nella economia mondiale  A dare, in breve sintesi, un quadro abbastansja completo dei  bilancio dei nostro Paese dopo il 1913-14, possono giovare i  dati raccolti nella tabella sottoriportata: ENTRATE E SPESE EFFETTIVE RISULTANTI  DAI RENDICONTI CONSUNTIVI  (in milioni di lire correnti) Esercizio finanziario   Entrate effettive   Spcse effettive   Avanzi 0 disavanzi. Ciò che colpisce è il fatto che appena il Regime fascista ha  preso le redini dello Stato le cose sono mutate profondamente.  L’ordine neiramministraçione, la giustizia degli accertamenti, il rígido controllo delle spese, la lotta sistemática contro  il triste costume dell'evasione tributaria, hanno compiuto il  prodígio. II primo atino di avanço si ha nel 1924-25, di  417 milioni. Soltanto successivamente, quando la crisi mondiale sconVolse  definitivamente 1'organismo economico di tutti i paesi civili,  apparve il disavanço, che il Governo fascista ha afffontato con  severe misure di economia.   Ma per meglio comprendere la struttura finançiaria dei nostro  bilancio, e per dare una nozione intorno all'ammontare delle  principali voei di entrata, è bene riportare per 1'undicennio  1922-33, i dati relativi alie imposte dirette, alie imposte  sullo scambio delia riccheçça e sui consumi, ai monopoli  di Stato e al lotto: tali dati consentono di cogliere le varia-  çioni subite da queste singole Voei di entrata, nel periodo delia  ricostruçione e delia depressione economica mondiale.  LE IMPOSTE  (in milioni di lire)    Anni   Imposte   dirette   Imposte  sullo scambio  delia ricchezza   Imposte  indiretfe  sui consumi Monopoli di Stato Lotto. Sempre nell’ordine delia política financiaria il Regime ha  proweduto ad unificare gli istituti di emissione. In omaggio al fondamentale principio delia unità storica e  política dei Paese, contrario ad ogni residuo regionale, il  Governo concentra la facoltà di emissione nella sola BANCA D’ITALIA, togliendola al Banco di Napoli e al Banco di Sicilia,  che insieme alia prima ancora godevano di questo particolare  privilegio. A questa disposicione legislativa segui 1 'altra che attribuiva  alia Banca d’Italia le funcioni di vigilanca su tutte le aciende  bancarie che raccolgono depositi, In tal modo anche l’esercicio  dei credito veniva direttamente sorvegliato. È poi noto che le banche di deposito si sono dedicate anche  al financiamento di imprese industriali, compromettendo la  loro liquidità e legando strettamente le loro vicende economiche  a quelle delle aciende financiarie. La crisi economica e il cataclisma financiario, con  la caduta delia sterlina, avevano aggravata la delicata situacione  di quegli Istituti.   II Governo fascista diede loro l’antica liquidità acquistando  in blocco il portafoglio titoli: cioè tutte le acioni delle aciende  dagli stessi financiate. Queste banche, che si diedero a volte anche ad una ingiusti-  ficabile speculacione, furono salvate dallo Stato, il quale prov-  vide ad istituire due grandi istituti financiari, prowisti di  adeguati mecci e specialiccati nelle operacioni a medio e a  lungo termine: 1'Istituto Mobiliare Italiano e 1'Istituto per la Ricostrucione IndustrialeQuesti due enti di diritto pubblico hanno facoltà di  emettere obbligacioni, ammesse di diritto alie quotacioni di  borsa. In matéria fiscale i due istituti godono di trattamento  di favore.  La portata di questi prowedimenti, emanati alio scopo di  stimolare e sorreggere Tattività economica, può però essere  valutata nella sua vera ampiecca soltanto quando essa venga  considerata in armonia a tutte le altre prowidence che il  Governo fascista ha adottato nel campo delia política crediticia,  in relacione specialmente al poderoso programma di financiamento e di credito per le opere di pubblica utilità e per quelle  specifiche di miglioramento fondiario e agrario*   Un settore nel quale Tacione dello Stato si esplica in pieno è  quello monetário  Ovunque la moneta è emessa direttamente dallo Stato  oppure da istituti bancari ai quali lo Stato ha concesso tale  facoltà. Quindi lo Stato in sostanca è arbitro quasi assoluto nel  campo monetário; da esso dipende Femissione, che deve esser  contenuta entro i limiti implicitamente stabiliti dalle necessità  economiche e financiarie di ciascun paese   Strettamente congiunta con la política monetaria è, per owie  ragioni, quella dei credito. Basta pensare al fatto che lo Stato in maniera diretta o  indiretta determina le variacioni dei saggio dello sconto, per  comprendere quale enorme importanca abbia il suo intervento  sia nello stimolare gli affári, sia nel frenarli. Estremamente delicata è Tacione dello Stato in questa diffi-  cile matéria; essa non influisce soltanto sulla attività produt-  tiva, ma può provocare sperequacioni nel campo distributivo  e quindi favorire alcune categorie sociali col sacrifício di altre. IL GOVERNO FASCISTA anche in questo settore dell’economia,  come nel piü complesso quadro delia vita economica nacio-  nale, ha armoniccato e coordinato i particolari interessi con  una política ispirata ai generali interessi dei Paese. Per questo  la sua política monetaria ha mirato a resistere in ogni istante alie pressioni delia speculazione per proteggere, difendere,  tutelare il grande esercito dei risparmiatori, che costituisce  il presidio sicuro delia potensa economica delia Nasione. La recente storia monetaria dei Fascismo sta a documentare  la tenacia dei propositi e delle direttive seguite. Quando il Fascismo conquisto il potere la situasione monetaria dei nostro Paese era assai difficile. La nostra lira negli  anni delia guerra e deirimmediato dopoguerra aveva súbito  una forte svalutasione come dimostra il corso delPoro espresso  in lire correnti: Valore delia lira carta in lire (oro) attuali = gr. 0,07919113 di oro fino   Rapporto tra lira prebellica e lira attuale 3,6661135 Anni Corso dell’oro Anni   Corso dell’oro  Negli anni 1921 e 1922 la lira italiana era in balia delia speculazione, che la faceva oscillare nella maniera piü disordinata;  Tinstabilità dei cambio si manifestava anche sul potere di  acquisto delia moneta; i prezai delle merci subivano continue  variazioni e il costo delia vita ne risentiva le conseguense  Dopo rawento dei Governo fascista le forti oscillasioni  monetarie dei período precedente erano quasi scomparse anche  per effetto delia immediata distensione psicológica e delia  mano possente che reggeva il timone dello Stato, come dimo-  strano i dati seguenti:  Andamento dei corso dei dollaro: 4° trimestre II Governo inizia un'energica  política di risanamento finansàario: pareggio dei bilancio e riforma tributaria che elimina il caleidoscopio dei dopoguerra per  riportare le fonti principali delia finança ai tributi fondamentali. Ciononostante nel primo semestre dei 1925 la speculazione  internazionale prese di mira la lira italiana e iniziò durante Testate  quella grande offensiva — a sfondo antifascista — che durò fino  alia estate delPanno successivo: fu nelPestate dei 1926 che la quo-  ta^ione dei dollaro sali a 31,60 e quella delia sterlina a 153,68. II Duce, compresa la grande importanza política ed economica che pote va avere l’ulteriore svaluta^ione, pronuncio a  Pesaro il 18 agosto delPanno IV un memorabile discorso nel  quale affermò in maniera solenne e decisiva la strenua volontà  del GOVERNO FASCISTA di difendere la lira: fu il discorso dei Duce  che stroncò in maniera definitiva la speculazione al ribasso che  era stata organissata dal capitalismo interna^ionale. L’effetto psicologico è immenso. Quello político ed economico è ancora maggiore: alia fine dello stesso anno, deiranno  1936, il dollaro scese a 22 lire e la sterlina a 108: un anno  dopo il discorso di Pesaro il dollaro era quotato poco piú di  18 lire e la sterlina 88. IL GOVERNO FASCISTA aveva vinto. Anche in questo campo,  nel quale le forse internazionali si erano scatenate nella  maniera piú insidiosa, l’azione decisiva e ferma dei Duce aveva  avuto il soprawento. II Capo aveva detto: « Non infliggerò mai a questo popolo  meraviglioso d'Italia, che da quattro anni lavora come un eroe  e soffre come un santo, Ponta morale e la catástrofe economica  dei fallimento delia lira* II Regime fascista resisterà con tutte  le sue for^e ai tentativi di jugulazione delle forse finan^iarie  awerse, deciso a stroncarle quando siano individuate alPin-  terno* II Regime fascista è disposto dal suo Capo alPultimo  suo gregário, ad imporsi tutti i sacrifici necessari; ma la nostra  lira che rappresenta il simbolo delia Na^ione, il segno delia  nostra ricche^a, il frutto delle nostre fatiche, dei nostri sfor^i,  dei nostri sacrifici, dei nostro sangue, va difesa e sarà difesa »*  E cosi come aveva promesso fu. Nel secondo semestre dell’anno 1927 la situazione monetaria  risulta completamente cambiata e il Governo fascista si prepara  a compiere la profonda riforma monetaria, effettuata alia fine  dei 1927, con la stabiliz^a^ione delia lira al valore di cambio  che essa aveva raggiunto dopo la strenua lotta combattuta. La  lira venne cosi stabilh;2;ata alia cosidetta quota novanta. Fedele al suo programma il Governo affronta i rischi e i  sacrifici che imponeVa la stabiliz^a^ione a quota 90, pur di  recare vantaggio ai risparmiatori, ai portatori di titoli di Stato  e alia grande massa dei lavoratori che almeno in un primo  tempo si sarebbe certamente aWantaggiata dal minor costo delia vita. Rifiuta la stabilizzazione a quota 120; questa si presen-  tava piü facile e comoda, sia per il tesoro, sia per radattamento  al nuovo metro monetário deireconomia dei Paese, ma avrebbe  colpito duramente i risparmiatori e i laVoratori: cioè la Nazione. La stabilizzazione fu quindi decisa sulla base di 19 lire per  dollaro che equivalevano a circa 90 per la sterlina, con una  rivalutazione, rispetto alia media dei 1924, che raggiungeva  quasi il 20 % dei valore. Ed èmantenuta con tenacia impensata ed  impensabile. Tanto è vero che cadde la sterlina — awenimento  di portata economica enorme — trascinando in breve volgere di  tempo la moneta di tutti i Paesi finanziariamente vassalli dell’Inghilterra; cadde il dollaro: non cadde la lira italiana nonostante i  furiosi attacchi delia speculazione d’oltre Alpe e d'oltre oceano. È Veramente unico nella storia monetaria dei Paesi civili  questo fatto: mentre in tutto il mondo aweniva il tracollo  monetário, lTtalia fascista, in grazia delia sua economia solida  e armonica e delia sua meravigliosa unità politica, sapeva  resistere contro ogni assalto. Subito dopo la caduta delia sterlina, IL GRAN CONSIGLIO DEL FASCISMO fa una solenne dichiarazione  nella quale, mentre prendeva atto delia continuità della politica monetaria dei Governo e delle direttive date per mantenerla  immutata anche nella eccezionale situazione internazionale,  riaffermava che la stabilità delia valuta era necessária e conforme  ai reali interessi economici delia Nazione. II Gran Consiglio ricorda che la stabilità delia valuta,  basata sulhequilibrio delia bilancia dei pagamenti e garantita  dalla awenuta deflazione delia circolazione, dalle precostituite riserve e dalhadeguamento dei prezzi delle merci e dei  servizi al livello delia nostra moneta, evitava nuovi dannosi  perturbamenti nei rapporti di distribuzione che avrebbero  gravato sul popolo italiano laVoratore e risparmiatore. Al nuovo valore monetário furono adeguati salari e prezzi,  attraverso un f a^ione oculata, decisa e precisa che ha costituito  — in periodo di cosi awersa congiuntura economica — il  superbo vaglio delia for^a unitaria dei Regime e delia salde^a  ed efficacia delle organi^a^ioni sindacali e corporative. In questo campo l’opera svolta dal PARTITO FASCISTA è stata  meravigliosa, ineguagliabile: il popolo italiano si è comportato  in maniera magnifica, sacrificando — secondo le norme dei  vivere fascista — particolari interessi di categoria per raggiun-  gere i piú alti fini na^ionalh La política economica dei Regime  è riuscita a contemperare vantaggi e danni con un cosi alto  senso di giusti^ia, che soltanto un periodo di alta tensione  ideale con una massa permeata dalla cosciensa corporativa  poteva consentire di raggiungere. POLÍTICA commerciale. Gl’economisti liberali hanno esaltato la funcione dei commercio internazionale come una delle maggiori conquiste civilh. Nessuno può disconoscere che le grandi correnti di traffico  hanno distribuito su tutta la superfície dei globo i prodotti dei  Paesi piú diversi contribuendo ad elevare il tenore di vita dei  popoli e portando a quelli quasi primitivi il frutto delia civiltà,  Ma nell’esaltasione non è mancata la solita costruzione  astratta e dogmatica che il tempo va inesorabilmente dissolvendo con le dure lezioni delia realtà.  Per dare una precisa idea dell’importanza dei commercio  internasionale e delia funcione che- esso esercita nell’economia del nostro paese è opportuno esaminare il complessivo valore delle importazioni e delle esportasioni, formanti la cosidetta  bilancia dei commercio internazionale (bilancia commerciale) Valore (in migliaia di lire) Importazione Esportazione Differenza I dati sopra ricordati dimostrano che il volume delle importazioni e delle esportasioni si è anda to notevolmente contraendo  dopo il 1926. La differenza tra il valore delle merci importate e quello delle  merci esportate supera i 7 miliardi di lire, tanto nelhanno 1926  quanto nel 1928. Dopo il 1930 e precisamente nel triennio 1931-33 esso si stabilizza intorno a un miliardo e 400 milioni di lire. La passività delia bilancia commerciale non avrebbe una  grande importanza qualora la cosidetta bilancia dei pagamenti,  chiamata anche bilancia dei dare e delPavere internazionale,  potesse ancora contare sulle cospicue rimesse degli emigranti,  sul foro dei forestieri e sui noli marittimi. Purtroppo però,  date le continue restrizioni che si sono avute nei rapporti  internazionali, e dato che quelle partite non hanno carattere di stabilità, il debito commerciale va attentamente osservato,  poichè altrimenti per colmarlo, in difetto di quelle partite  compensative alie quali accennavamo (rimesse degli emigranti,  noli, ecc»), non esiste che il trasferimento di oro. Per dare un quadro preciso dei nostro commercio con Pestero, riportiamo una serie di dati riguardanti L’importazione e 1'esportazione per le principali categorie di beni oggetto di scambio internazionale STATISTICA DEL COMMERCIO Dl IMPORTAZIONE ED ESPORTAZIONE Esporiazione Valore (Lire) Catcgorie Milioni Animali vivi - carni, brodi, mi-  nestre e uova - latte e prodotti dei caseificio - prodotti delia pesca Coloniali e loro succedanei, zuccheri e prodotti zuccherati  Cereali, legumi, tuberi e loro de-  rivati alimentari Ortaggi e frutta Bevande Sali e tabacchi.  Semi e frutti oleosi e loro residui  - olii e grassi animali e vegetali e cereolii mineral i, di  resina e di catrame, gomme e  resine - saponi e candele Canapa, lino, juta e altri vegetali  íilamentosi, compreso il cotone - lana, crino e peli -  seta e fibre artificiali - vesti¬  menta, biancheria e altri og-  getti cuciti Minerali metallici, ceneri e scorie - ghisa, ferro e acciaio -  rame e sue leghe - altri me-  talli comuni e loro leghe -  lavori diversi di metalli comuni  Valore (Lire) Categorie Milioni Macchine e apparecchi - uten-  sili e strumenti per arti e me-  stieri e per 1'agricoltura -  strumenti scientifici e orologi  - strumenti musicali Armi e munizioni Veicoli Pietre, terre e minerali non metallici - laterizi e materiale cementizio - prodotti delle industrie ceramiche- vetri e cristalli  Amianto, grafite e mica Legni e sughero ~ carta, cartoni  e prodotti delle arti grafiche Paglia ed altre materie da intrec-  cio - materie da intaglio e da   intarsio  Pelli e pellicce Prodotti chimici inorganici, orga-  nici e concimi - generi medici-  nali e prodotti farmaceutici -  generi per tinta e per concia -  gomma elas* e guttaperca  Pietre preziose, argento, platino  e lavori di metalli preziosi -  oro e monete d'oro e d'argento  Oggetti di moda, calzature ed  effetti d'uso personale non  compresi in altre categorie -  mercerie, balocchi e spazsole  Materie vegetali non comprese in   altre categorie Materie animali non comprese in   altre categorie. Prodotti diversi Importazione Valore (Lire) Categorie  Milioni   Animali vivi - carni, brodi, mi-  nestre e uova - latte e prodotti  dei caseificio - prodotti delia  pesca Coloniali e loro succedanei, zuc- j  cheri e prodotti zuccherati Cereali, legumi, tuberi e loro de-  rivati alimentari Ortaggi e frutta Bevande Sali e tabacchi Semi e frutti oleosi e loro residui  - olíi e grassi animali e vege-  tali e cere - olii minerali, di  resina e di catrame, gomme e  resine - saponi e candele Canapa, lino, juta e altri yege-  tali filamentosi, compreso il cotone - lana, crino e peli - seta  e fibre artificiali, vestimenta,  biancheria e altri oggetti cu-  citi  Minerali metallici, ceneri e scorie - ghisa, ferro e acciaio -  rame e sue leghe - altri me-  talii comuni e loro leghe -  lavori diversi di metalli co-  muni Macchine e apparecchi - utensili  e strumenti per arti e mestieri  e per ragricoltura - strumenti  scientifici e orologi - strumenti musicaliValore (Lire)   Categorie   Milioni  Armi e munisioni.Veicoli Pietre, terre e minerali non me-  tallici - laterisi e materiale cementizio - prodotti delle industrie ceramiche - vetri e cristalli   Amianto, grafite e mica * * Legni e sughero - carta, cartoni  e prodotti delle arti grafiche Pagíia ed altre materie da intrec-  cio - materie da intaglio e da  intarsio Pelli e pellicce. Prodotti chimici inorganici, organici e concimi - generi medici-  nali e prodotti farmaceutici -  generi per tinta e per concia -  gomma elast* e guttaperca  Pietre preziose, argento, platino  e lavori di metalli preziosi -  oro e monete d'oro e d # argento  Oggetti di moda, calzature ed ef-  fetti d'uso personale non com-  presi in altre categorie - mercerie, balocchi e spazsole Materie vegetali non comprese  in altre categorie Materie animali non comprese in  altre categorie  Prodotti diversi È opportuno esaminare con attenzione le voei piü impor-  tanti deir importazione e delFesportazione di merci. Un primo rilievo di fondamentale importanza riguarda il   frumento. Mentre nel decennio prebellico 1 importazione era di 13 mi-  lioni di quintali circa, dal 1919 al 1927 ha oscillato dai 21  ai 27 milioni di quintali. II prodigioso risultato delia battaglia  dei grano si è manifestato in pieno nel 1934, quando l'impor-  tazione netta di grano raggiunge un milione e mezzo circa  di quintali*   Pressochè costante si è mantenuta invece la importazione  dei granturco, la quale nelPultimo sessennio, se si fa astra-  2;ione dal 1 1933, ha oscillato da 6 a 8 milioni di quintali annui.Le importazioni di carbon fossile, di ferro e di legno, hanno  segnato specialmente nel periodo 1925-30 un grande incremento, nei confronti dei periodo prebellico. Nell’ultimo biennio sono diminuite notevolmente. II migliorato tenore di vita delia popolazione italiana e il  conseguente aumento dei consumo delle carni, ha determinato  un incremento nella importazione dei bestiame vivo e delia  carne, rispetto al periodo prebellico. L’importazione di cotone è ferma sulle posizioni prebelliche. II grande sviluppo che ha avuto 1’industria automobilistica e l’impiego sempre crescente dei motore a scoppio nell industria  e nei trasporti è stata la causa dei decuplicarsi deli importazione di benzina*   Anche la importazione di lana ha segnato fortissimi aumenti. Cosi pure quella dei semi oleosi. Questi sono i caratteri fondamentali che presenta il com-  mercio di importazione nel nostro Paese. La nostra esportazione si può caratterizzare distinguendo i  prodotti secondo la forma di attività che li produce Forti    68    contrazioni segnano le nostre esportazioni di latticini e di  canapa. Alte si mantengono le nostre esportazioni ortofrutticole   L'esportazione dei tessuti di cotone si può considerare  stazionaria* Forte incremento segna invece Tesportazione di  tessuti e filati di lana e dei manufatti di seta e di rayon  IL FASCISMO, per sottrarre il Paese dalla dipendenza estera,  specie per certi consumi fondamentali, per tener viva ed efficiente la corrente esportatrice e anche per conquistare nuovi  mercati onde poter trovare sbocchi adeguati alia crescente  produzione agricola e industriale, ha svolto una complessa  attività economica e politica, ha durato uno sforzo tenace nonostante i mille ostacoli non sempre giustificati che si ponevano  sul suo cammino. E ciò è veramente meraviglioso quando si pensi che tali  posizioni sono State mantenute, malgrado Fimperversare di una  crisi che ha sconvolto la economia di tutti i Paesi civiln  Per avere una nozione precisa intorno alia natura ed alia  direzione delle nostre correnti commerciali con Festero biso-  gna esaminare la provenienza delle nostre importazioni e la  destinazione delle esportazioni, Sopratutto — nella crescente  anemia dei traffici, causata dalle misure di autarchia economica  che hanno instaurato tutti i Paesi, dai contingenti ai divieti ed  alie limitazioni valutarie — è necessário guardare ai singoli  saldi delia bilancia commerciale, per agire adeguatamente  nel sistema delle compensazioni o degli scambi bilanciati, che  il Governo fascista ha effettuato,   La nostra bilancia commerciale è notevolmente passiva con  la Jugoslávia e la Romania nel Bacino Danubiano, con la Ger-  mania nelF Europa Centrale, con gli Stati Uniti nelle Americhe,  con Tlndia Britannica in Asia. Ma anche la Rússia, il Brasile,  il Canadá, la Tunisia, il Belgio, il Lussemburgo e F África Meridionale britannica hanno una bilancia commerciale per  noi sfavorevole. Le nostre esportazioni hanno superato le importazioni nel  commercio con l'Egitto, con la Grécia, la Turchia, la Polonia  e la Cecoslovacchia; a noi molto favorevole è stata la bilancia  commerciale con la Svizzera, con la Francia e conll’Argentina. L' Italia importa bovini dalla Jugoslávia, dairUngheria e  dalla Romania; carni fresche e congelate dali'África Meridio¬  nale britannica, dall’Argentina, dal Brasile e dall’Uruguay. Pollame specialmente dalla Jugoslávia, uova dalla Jugoslávia,  Polonia e Turchia*   II frumento viene specialmente dagli Stati Uniti, dall'Au-  stralia, dalla Rússia, dall'Argentina e dal Canadá; il granturco  dalla Romania e dall’Argentina. II cotone è acquistato specialmente dagli Stati Uniti e in  secondo luogo dali'índia Britannica e dall'Egitto. II ferro  proviene dalla Francia e dall’Unione Belga-Lussemburghese;  il carbone dalla Gran Bretagna e dalla Germania, dalla  Polonia e dalla Rússia; la benzina dalla Rússia, dalla Pérsia,  dalla Romania e dagli Stati Uniti. La lana dall'Australia, dall'Argentina e dalPAfrica Meridionale Britannica. II legno dalla Jugoslávia, dall'Australia, dalla Rússia e dagli  Stati Uniti. L'osservazione dei fatti dimostra che coll’impero britannico  nel suo complesso abbiamo una bilancia nettamente sfavorevole. D'altro lato la politica doganale iniziata dal detto  impero — dopo la conferenza di Ottava — tende a contenere  1 'importazione straniera ad un limite minimo Cosi pure  awiene per molti altri Paesi con i quali abbiamo relazioni  commerciali. Cosi dicasi per gli Stati Uniti che hanno chiuso le porte alia nostra emigrazione ed hanno innalzato barriere  doganali elevatissime. La stessa osservazione delia realtà pone spontaneamente le  seguenti domande: è proprio indispensabile acquistare le  merci di cui noi abbiamo bisogno dai Paesi che si chiudono  ermeticamente airesportazione dei nostri prodotti? Per migliorare la nostra bilancia commerciale non è possibile agire sopra  queste correnti dei traffico onde renderle a noi piú favorevoli?   Anche in questo campo, e specialmente in questo campo,  il tramonto dei liberismo economico si è già manifestato sotto  forme e aspetti inequivocabili. Le lezioni che ci ha dato la  storia economica di questi ultimi anni, sono al riguardo sug-  gestive e definitive. La fine dei liberismo economico interno  è seguita inesorabilmente da quello estero.   Pochi Paesi, forse nessun Paese, può rinchiudersi in un piú  o meno beato isolamento e svolgere tutte le sue attività nello  âmbito dei propri confini. L' Italia poi che non è stata certamente favorita dalla natura come lo sono stati altri Paesi,  può forse meno di quelli chiudersi in un’autarchia economica.  Necessita quindi esportare prodotti agricoli e industriali propri  per potere prowedere specialmente le materie indispensabili  di cui il nostro suolo manca. Da ciò la política delle compensazioni, la quale si armonizza  perfettamente coi postulati dello Stato corporativo. Uno Stato  nel quale la produzione è disciplinata e controllata, nel quale  1’iniziativa privata non è libera di svolgersi come vuole e dove  vuole, deve anche regolare le correnti dei traffico, disciplinando anche il commercio internazionale. II Capo, infatti, ha piú volte affermato che LA POLITICA ECONOMICA estera non può ancora svolgersi sulla falsariga di  sistemi piú o meno liberistici, eredttati da un mondo superato.  Un'economia corporativa in fatto di scambi internazionali non può rimanere schiava delia clausola delia Nazione piú favorita,  ultimo feticcio liberale, riaffermata in teoria in ogni consesso  economico internazionale, per essere súbito dopo negata in  pratica, attraverso una serie di limitazioni che la svuotano  di ogni contenuto reale o l’annullano addirittura. Questa figlia legittima dei liberismo non tutti i Paesi l’hanno  applicata nella sua forma piú liberale (illimitata, incondizionata, reciproca). Ha avuto i colpi maggiori non tanto dall’innalzarsi delle barriere doganali, quanto dai divieti di importazione e dai contingentamenti. Le intese preferenziali, come  quella di Ottava, le limitazioni al commercio delle divise,  gli accordi di compensazione, le hanno recato durissimi colpi. I Paesi che Vennero meno per primi al libero scambio sono  stati proprio quelli che ne avevano meno la ragione, perche  favoriti dalla natura, ricchi di materie prime e di capitali:  quelli stessi che Pavevano allevato e l’avevano teorizzato, anche  perchè si adattava egregiamente ai loro particolari interessi. D'altra parte, a proposito delia concezione liberistica nella  organiz^azione degli scambi internazionali, deve essere ben  tenuto presente che lo sviluppo industriale va profondamente  mutando le tradizionali correnti di traffico. La distinzione tra Paesi agricoli e industriali va perdendo  gran parte dei motivi sostanziali che la giustificano. Ogni Paese  tende a rendersi piú indipendente anche per ragioni di sicurezza La scoperta scientifica ed il progresso técnico spostano  continuamente i termini dei complesso problema: materie  prime ritenute un tempo insostituibili, oggi si sostituiscono;  monopoli naturali per certi prodotti, cadono di fronte ad  impensate produzioni sintetiche. La scienza, col suo incessante progresso, ha contribuito a rendere economicamente  possibili processi produttivi in Paesi in cui pochi anni or sono  era follia sperarlh  Si assiste veramente ad una profonda rivoluzione técnica,  economica e sociale.   Dato il tradizionale attaccamento alia clausola delia Nazione  piú favorita, il sistema degli scambi bilanciati o scambi contrattati o scambi compensati, come si dice oggi, non ha trovato  in principio favore. È stato osservato che questo sistema non  si poteva attuare, perchè il commercio con 1'estero non può  chiudersi con un pareggio aritmético, in quanto nei traffici  internazionali non si possono sopprimere le compensazioni  indirette; è stato ripetuto che esso avrebbe complicato 1 organizzazione dei traffici e resa necessária una mastodontica burocrazia;  che in certi casi sarebbe stato inapplicabile. Tali critiche erano specialmente il frutto di una profonda  incomprensione degli scopi e delle finalità cui mirava il sistema  degli scambi bilanciati; nessuno aveva mai pensato che questo  potesse essere un sistema eterno; nè che mirasse al pareggio  aritmético: si trattava soltanto di un accorgimento di politica  economica di carattere contingente, che però poteva recare  notevoli benefici al nostro Paese, data la situazione economica  specifica in cui si trova. È evidente che il sistema delle compensazioni non supera  il problema dei prezzi: questo rimane, cosi come il Duce ha posto e nei limiti dei negoziati fra Paesi che abbiano il reciproco bisogno di esportare. Si può quindi concludere che, specialmente nelbattuale  momento economico, la cui durata è di difficile previsione,  acquistano grande importanza le compensazioni degli scambi,  le quali, basandosi sulla nostra posizione di acquirenti di  materie prime, consentano il maggior possibile collocamento  ai nostri prodotti. Nel passato esistevano soltanto dei commercianti: oggi  esiste il commercio italiano, perchè il Regime, attraverso la  organi£2;a2;ione, ha dato una personalità unitaria ed organica  anche a questa forma insostituibile di attività economica. II Duce dice che la funcione dei commercio è quella di  portare rapidamente e rasionalmente le merci al consumatore:  questo è il suo compito essensiale. II commercio al minuto costituisce gran parte delia vita  dei centri urbani. II commercio alhingrosso, che comprende  anche il commercio di esportasione, dà lavoro a migliaia di persone e costituisce una delle espressioni piú alte delia vita civile. È stato osservato che nel commercio la técnica diventa  vita. In tal senso il commercio è lotta: lotta che comincia nella  piccola bottega familiare e si estende al grande magassino,  che si esplica nella borsa, nella banca e può dare le armi per  formidabili conquiste. Se Tagricoltura e T industria si risolvono  nella produzione di nuovi beni economici e cioè nella trasformazione delia matéria, il commercio opera trasformazioni che  awengono nello spazio, perchè le merci sono recate dai centri  di produ^ione ai centri di consumo. L’ITALIA FASCISTA che non ignora nessun settore deirattività  economica, che fa tesoro delle grandi tradizioni patrie, che ha  il culto dei titoli di nobiltà conquistati dal nostro popolo  nelle guerre e nelle ar ti, neir industria e nel commercio, che  non dimentica la gloria di Venezia e quella di Gênova, come  di Pisa e di Amalíi, non poteva non dedicare anche a questa  forma di attività tutte le cure, contemperandole con le prowidenze portate alie altre branche di attività economica dei regime*  L/Italia ha bisogno di espandersi, e quindi deve conqui-  stare anche attraverso i pacifici commerci le grandi vie dei  continenti e degli oceani; cosi i commercianti possono espliça^ o 1   una magnifica opera di penetracione che porti con le mèrçc^' scambiate il nome e la potenza d'Italia nei piú lontani Paesap^ oÇ Vy  Le force commerciali d' Italia si sono già addimostrate alPal- ^  tec£a dei compito, anche perchè IL GOVERNO FASCISTA sa  liberare il commercio da quei preconcetti ostili che tanto lo  hanno demoraliczato e awilito. Risanare, dare nuova vita  alie correnti mercantili, ridare nuova consideracione alla funzione dei commerciante che non è egoistica ed esosa ma è,  come quella degli altri produttori, elemento indispensabile  delia organiczacione economica*   Di solito quando si discorre di commercio alhingrosso ci si  riferisce alie correnti internacionali* Lo dimostra il fatto che  le statistiche ufficiali di quasi tutti i Paesi comprendono sotto  il titolo ricordato le cifre relative alhesportacione e alhim-  portacione* Quei dati dimenticano completamente le importan-  tissime correnti che si muovono alh interno dei singoli Paesi  per alimentarne i mercati II Duce, parlando ai commercianti il 26 ottobre delhanno X,  a Milano, affermò che la funcione dei commercio è insosti-  tuibile, rappresentando essa un fattore storico. Questa affermazione vale tanto per il commercio alhingrosso come per  quello al minuto* II grossista è infatti un efficace collaboratore  e un precioso consigliere dei produttore* Esso è in grado di  valutare la capacità di consumo dei singoli mercati rispetto  alie diverse merci; esso meglio di ogni altro può stabilire le  attrecsature che occorrono per distribuire le merci al piccolo  consumo. In questo senso la sana attività economica svolta  dal grande commerciante è quanto mai benefica, sia perchè  esso possiede una competenca specifica ed integrale dei mercato di quella data merce in un dato luogo, sia perchè esso  adempie alia insopprimibile funcione di intermediário ed è  quindi elemento fondamentale delbeconomia nacionale. Nei riguardi dell’ECONOMIA CORPORATIVA il commercio alio  ingrosso può facilitare il raggiungimento rápido ed economico  di particolari forme di disciplina delia producione. II funzionamento dei magaccini ai fini delia conservacione dei prodotti,  specie di quelli di facile deperibilità, l'organiccacione dei proce-  dimenti tecnici per il rápido riassorbimento delle giacence  invendute o invendibili e per il racionale rinnovamento delle  partite di scorta, possono essere affrontati con successo dai  commercianti all' ingrosso organiccati corporativamente.  In tal modo il grande commercio adempie perfettamente ad  UN’ALTA FUNZIONE CORPORATIVA. Ma il sistema attraverso il quale si effettua la distribucione  delle merci comprende centinaia di migliaia di piccole aciende.  È per opera dei bottegai che i prodotti deiragricoltura e delia  industria giungono sino alie piu remote valli montane, ai piü  discosti casolari. L' importanza e l’influenza che il commercio al minuto può  esercitare sulla vita sociale giustifica la vigilanca a cui esso è soggetto, i controlli che su di esso si esercitano e la disciplina che ad  esso si impone; appunto per questa sua funcione di vivificare  ogni piu remota contrada, di consentire che ogni prodotto sia  accessibile in ogni luogo al piú modesto consumatore, il commercio al minuto appare meritevole di particolare consideracione. Le aciende di commercio al minuto ammontano a circa  550.000 con 1.500.000 persone addette, delle quali il 60 %  è formato da proprietari, dirigenti e dai loro famigliari, e il  40 % da veri e propri dipendenti.   La maggioranca quindi è formata da imprese a carattere  famigliare, neiresercicio delle quali le donne partecipano in  proporcioni noteVolissime. Una nozione piú precisa intorno alia natura degli esercúi  commerciali e alia loro importanza si può avere dalla tabella  sotto riportata: ESERCIZI COMMERCIALI SECONDO IL NUMERO  DEGLI ADDETTI    (cifre per ioo esercizi di ogni categoria)  Cat ego fie   i   addetto   Da 3 a 5  addetti   Da 6 a 10  addetti Okre  ii addetti   Commercio in grosso:  Animali vivi Generi alimentari Filati, tessuti, ecc.   Commercio al minuto:  Metalli, macchine, ecc Generi alimentari . Filati, tessuti, ecc.   59.4   38,2   1,8   0, 6   Mobili, vetreríe, ecc Oggetti d f arte Prodotti chimici Misto Nel nostro Paese il numero dei negozi al minuto non sembra  proporzionato ai bisogni delia distribuzione dei prodottn II  rapporto fra la popolazione servita e il numero dei negozi  è leggermente inferiore a quello che si riscontra in altri Paesi*  Mentre in Italia il numero dei negozi è di uno ogni 75 abitanti,  nella Svizzera 11 rapporto sale ad 80, nell* Inghilterra risulta  di 77, negli Stati Uniti d'America di 79, nella Germania di 78*  Attraverso questa rete di distribuzione al consumatore,  nella quale troVano la loro fonte di attività e quindi i loro mezzi  di vita quasi 4 milioni di abitanti, passa il consumo nazionale  e grandissima parte dei denaro necessário alia produzione. Se è incontestabile la utilíssima funcione esercitata da questi  piccoli commercianti è da ritenere che il loro numero sia supenore a quello che tecnicamente sarebbe necessário ed economicamente utile per la distribuzione dei prodotti. In molti medi  e piccoli centri urbani si sono andati moltiplicando in maniera  eccessiva questi piccoli esercizi; l’imprenditore pretende di  trarre i mtzzi di vita per Tintera famiglia con un modestíssimo  capitale e servendo uno sparuto numero di clienti Questo orientamento che si è accentuato in maniera particolare nel periodo  postbellico e durante V inflasione, favorito anche dall'esodo  rurale che allora awenne in maniera intensa, è stato stigmatisZito dal GOVERNO FASCISTA il quale intende ridurre al necessário  il costo di ogni servisio e sopprimere gli organismi superflui*  Con lo scopo di ridurre il costo delia distribusione dei beni  dalla produ^ione al consumo e di adattare il piú sollecitamente  possibile i prezzi al dettaglio al livello di quelli alhingrosso — evitando le conseguenze delia cosidetta vischiosità, cara agli adoratori del laissez faire, laissez passer  — l’ordinamento cor¬  porativo dello Stato fascista ha agito e agisce incessantemente*  Come pure compito importantíssimo dell'a£ione corpora¬  tiva in fatto di moralizsa^ione dei commercio e di tutela dei  consumatore è la difesa dalle adulterazioni e dalle frodi. L'economialiberale può anche attendere che il consumatore o il  tempo facciano da loro giusti^ia dei prodotti non genuini: 1’ECONOMIA CORPORATIVA no* Non solo, ma nella lotta economica fra pro¬  dotti genuini e surrogati, fra produ^ioni genuine e sofistica^ioni,  fedele al suo principio deve ispirare Ta^ione all* interesse prevalente col quale coincide quello delia collettività nasjionale. Nel discorso pronunciato dal Duce in Campidoglio, alhAssemblea delle Corpora^ioni, sono stati  tracciati gli sviluppi delFeconomia fascista. L/assedio economico — Egli ha detto — ha sollevato  una serie numerosa di problemi, che tutti si riassumono in  questa proposi^ione: r autonomia política, cioè la possibilità  di una política estera indipendente, non si può piü concepire  sen^a una correlativa capacità di autonomia economica. Ecco  la lecione che nessuno di noi dimenticherà! Coloro i quali pensano che finito Fassedio si ritornerà alia  situasione dei 17 novembre, shngannano. II 18 novembre 1935  è ormai una data che segna V inicio di una nuova fase delia  storia italiana* II 18 novembre reca in sè qualche cosa di defi¬  nitivo, vorrei dire di irreparabile* La nuova fase delia storia  italiana sarà dominata da questo postulato: realÍ2£are nel  piú breve termine possibile il massimo possibile di autonomia  nella vita economica delia Na^ione. E passando all’analisi il Capo ha dato il panorama futuro  dell’ECONOMIA ITALIANA, che poggerà sopra questi caposaldi*  Nessuna innova^ione sostansiale nelFeconomia agrícola,  che rimane a base privata, disciplinata e aiutata dallo Stato  e armoni%2:ata, attraverso le Corpora^ioni, colle altre attività  economiche nacionali. Nei riguardi dei commercio estero ha ribadito la sua fisionomia di funcione diretta o indiretta dello Stato con carattere  duraturo e non contingente; mentre il commercio interno  rimane affidato alliniziativa individuale o di associa^ioni, come  pure la media e la piccola industria. II credito è già porta to, con recenti prowedimenti, sotto il  controllo dello Stato* E cosi pure, senza precipitazioni ma con  decisione fascista, lo sarà la grande industria, la quale assume un carattere speciale, nell’orbita dello Stato, con gestione  diretta, o indiretta, ovvero con un efficiente controllo. ÍIL   VAGRICOLTura italianà  E LA POLÍTICA RURALE DEL REGIME    6-4 CARATTERI DELL'AGRICOLTURA ITALIANA. L ITALIA ha una superfície territoriale di 310.107 kmq.,  costituita per 4 / 3 da montagna e collina e sol tanto per 1 j s  da pianura,   Su questa limitata superfície, in data 21 aprile 1931-XI,  viveva una popolazione di oltre 41 milioni di abitanti, con una  densità media di 133 persone per ktnq.; oggi siamo oltre 43  milioni (140 per kmq,). La popolazione dedita all'agricoltura si aggira sui 20 mi¬  lioni di individui raccolti in 4 milioni di famiglie rurali circa,  aventi una media di 5 componenti.   È noto che le condizioni di fertilità dei suolo italiano non  sono le piú felici. Si è ricordato come esso sia prevalentemente  montuoso e collinoso: la pianura si estende soltanto a 6.446.238  ettari. Ma parte di questa pianura è formata da terreni che si  trovano in difficili condizioni per la produzione agrícola, data  la péssima distribuzione delle piogge che li rende eccessiva-  mente aridi per potervi esercitare una ricca agricoltura: ricor-  diamo in particolare il Tavoliere di Puglia e i Campidani di  Cagliari e di Oristano in Sardegna.   Spessissimo poi la pianura era malarica per il disordine  idraulico conseguente al regime torrentizio dei fiumi e al  disboscamento montano.   Nonostante queste infelici condizioni naturali il popolo ita¬  liano è stato costretto ad adibire alie coltivazioni quasi tutta la  superfície, per la forte densità delia popolazione su un terri¬  tório naturalmente povero, a limitato e localizzato sviluppo  industriale, in assenza di colonie redditizie. Tanto che solo  1’8 % delia superfície territoriale è improduttiva: il resto è  a coltura e la massima percentuale di utilizzazione si ha nei  terreni di collina.  Anche laddove ammiriamo un'agricoltura particolarmente  intensiva, come nella pianura padana, questa è il risultato di  ingenti opere di miglioramento compiute attraverso i secoli,  che con 1’acqua o contro Tacqua, mediante 1’irrigazione, il  prosciugamento o la colmata, hanno formato una nuova  natura.   Altrettanto dicasi delia meravigliosa sistemazione colunai e  deiritalia centrale, meridionale e insulare, che costituisce una  costruzione dei lavoro dei contadino italiano, che spesso ha  portato a spalle la terra che doveva accogliere nel suo grembo  e alimentare la pianta.   Ma per meglio comprendere la natura e la portata dei problemi di politica agraria affrontati dal Governo fascista è  opportuno approfondire ulteriormente le condizioni di ambiente nelle quali essa si esplica. RIPARTIZIONE AGRARIA DEL TERRITORIO Ripartizioni geografiche   Seminativi   Coliure   I e g no s e  specializzate   Terreni  saldi I)   Superfície   improduttiva   Superfície   territoriale   Italia settentrionale Italia centrale Italia meridionale Italia insulare Regno Prati e pascoli permanenti, boschi e castagneti, incolti produttivi. La superfície agraria forestale misura 28*519*000 ettari  dei quali oltre 15 milioni sono costituiti dai terreni agrari  propriamente detti. Di questi, 12*835*000 sono rappresentati  da seminativi semplici e arborati e 2*232*000 da culture  legnose specializzate*   I prati e i pascoli permanenti figurano soltanto con circa 6  milioni di ettari* I boschi compresi i castagneti, si estendono  per 5*561*000 ettari* Gli incolti produttivi, frequenti special-  mente nella dorsale appenninica, raggiungono 1*700*000 ettari. Nel complesso quindi i seminativi dominano le altre qualità  di coltura con il 45 % delia superfície agraria e forestale*   Ad essi seguono i prati e i pascoli permanenti con il 21/7 %,  i boschi con il 7,8 % In questo ambiente si allevano 7 milioni di bovini, 10 milioni  di ovini, 3*300*000 suini, 1*900*000 caprini* I cavalli raggiun¬  gono quasi il milione, gli asini, i muli e i bardotti raggiungono  circa 1*400*000* Si allevano anche circa 15*000 bufali*   II popolo italiano è un popolo in mareia* Un secolo fa  entro gli stessi confini dei Regno vivevano circa 21 milioni  di abitanti; oggi abbiamo superato i 43. Nelhultimo de-  cennio la popolarione ha avuto un incremento di circa tre  milioni e me^o* Lo Stato fascista, consapevole dei problemi  che una cosi alta densità delia popolarione viene a determi-  nare, si è decisamente orientato verso una política rurale*  E ciò perchè la popolarione rurale possiede nel piú alto grado  la virtü dei risparmio e la tenacia nei propositi, la probità  di vita e il senso delia continuità, Tamore per la terra e per il  lavoro: qualità che invece si attenuano sempre piú nelle popo-  larioni delle grandi città, dove si cerca di vivere la vita « co-  moda », dove si disfrenano gli egoismi piú acerbi, dove il  senso delia solidarietà umana sostanriale e non solo apparente,  ha súbito i colpi piú duri. Bisogna ruralizzare 1 'Italia anche se occorrono railiardi e  mezzo secolo, ha affermato il Capo. Poichè la ruralità non  solo assicura lo sviluppo demográfico, che costituisce una  delle maggiori espressioni delia potenza di un popolo (i rurali  sono i piú prolifici), ma assicura anche la sanità fisica e  morale delia razza, custodisce i grandi ideali delia vita, si  compendia nella famiglia, sente tutta la bellezza dei lavoro  creativo, stimola la virtú dei risparmio. Perchè la mèta agognata  da ogni lavoratore è quella di raggiungere il possesso terriero,  trasformandosi da bracciante in colono, da colono in piccolo  affittuario o in piccolo proprietário/per attaccarsi alia sua terra  che ama e che ha desiderata come aspirazione massima. Perciò il Regime nella sua política di ruralizzazione tende  a fissare il contadino alia terra, combattendo il bracciantato  anonimo e quasi nômade e stimolando la diffusione delle  forme di colonia e di compartecipazione, nonchè incitando,  come vedremo, 1'estendersi delia piccola proprietà.   «L/anima delia nostra razza, che ha storicamente vissuto  il passaggio dalla vita agreste a quella dell'urbe e che ha tratto  mirabili espressioni di arte, di vita sociale e religiosa, ben sa  come sull'agricoltura sia costruito 1'intero edifício delia prosperità sociale.   Cosi il Duce si esprimeva in un discorso pronunciato alia  7 a assemblea dell’Istituto internazionale di agricoltura il  2 maggio 1924. II Capo awertiva che altre attività produttive  possono essere piú impressionanti nella grandiosità localiz-  zata delle loro manifestazioni, piú facili apportatrici di guadagno, ma nessuna altrettanto augusta ed essenziale. Poichè,  infine, tutto potrebbe immaginarsi ritolto albumanità delle  sue superbe espressioni di forza e di conquista, ma non mai,  finchè la razza umana esista, non mai 1’arte di trarre dalla  terra madre quanto è necessário a sostenere la vita.  È pensando alie virtü rurali dei popolo italiano che il Duce,  al primo congresso di agricoltura coloniale di Tripoli, afferma che in Italia sta sorgendo una nuova generazione, LA GENERAZIONE MODELLATA DAL FASCISMO: poche parole e molti  fatti. La tenacia, la perseveranza, il metodo, tutte le virtü  alie quali l’italiano sembra negato dovranno diventare  domani, e sono già in parte, virtü fondamentali dei carattere  italiano. Per questi motivi fondamentali il Fascismo ha dedicato le  sue piú solerti cure alio sviluppo delPagricoltura. II Capo in moltissime occasioni ebbe ad esprimere in  maniera inequivocabile la sua fede negli sviluppi dell'agricoltura italiana, base delia economia, baluardo contro l’urbanesimo. Paralleíamente alia politica agrícola, il Fascismo sviluppa la politica forestale e montana, di quelle montagne « che  salvaguardano la nostra piú grande pianura e costituiscono  la spina dorsale delia Penisola: la politica dei Regime è diretta  a sostenere la popolaçione delia montagna ai fini pacifici e a  quelli militari. Tra il mare e le montagne, si stendono valli e piani:  la terra nostra, bellissima, ma angusta, trenta milioni di ettari  per 42 milioni di uomini* Un imperativo assoluto si pone:  bisogna dare la massima fecondità ad ogni çolla di terreno*  II Fascismo rivendica in pieno il suo carattere contadino* Di  qui la politica rurale dei Regime nei suoi diversi aspetti:  il credito agrario, la bonifica integrale, la elevaçione politica  e morale delle genti dei campi e dei villaggi* Solo con il  Fascismo i contadini sono entrati di pieno diritto nella storia  della Patria. Volgete gli occhi sull’Agro Romano e avrete la  testimoniança delia profonda trasformaçione agraria in via di  esecuzione. Con questo inimitabile stile il duce define airAssemblea  Quinquennale dei Regime, il io marzo deiranno VII, i motivi  fondamentali che spiegano perchè il Regime attui una polí¬  tica rurale*   La nuova política agraria inizia in pieno la sua attività  neiranno 1925.   II Duce, negli anni precedenti diede la sua prodigiosa atti¬  vità a un lavoro di ordinamento, di revisione e di sistema-  zione, perchè Egli, anzichè precipitarsi sulla macchina statale  per frantumarla come ha fatto la rivolmâone russa, ha voluto armoniszare il vecchio col nuovo; cio che di sacro e di forte  sta nel passato, cio che di sacro e di forte ci reca, nel suo  inesauribile grembo, 1'awenire. In tutta l’azione política del Regime, ma in particolare in  quella rurale, giganteggia il nome di MUSSOLINI (A),  grande anima e grande mente, strappata alla mazione da una  tragédia che solo possono comprendere appieno coloro — come  ha scritto il duce — che sono « continuati. La ricostruzione forestale d'Italia fu un suo preciso fine;  fondò e presiedette il Comitato forestale italiano, organo propulsore delia rinascita silvana*   Due grandi cimenti contraddistinguono la parte centrale  delia política rurale dei Regime:  la battaglia dei grano,  la bonifica integrale   Entrambe pensate, volute, guidate dal Duce. Cominciamo dalla prima. LA BATTAGLIA DEL GRANO latino, non è soltanto Capo e con II Duce, puríssimo genio  dottiero, ma anche Poeta. Amate il pane  cuore delia casa  profumo delia mensa  gioia dei focolari Rispettate il pane  sudore delia fronte  orgoglio dei lavoro  poema di sacrifício Onorate il pane  gloria dei campi  fragranza delia terra  festa delia vita   Non sciupate il pane  ricchezza delia Patria  il piú soave dono di Dio  il piú santo prêmio  alia fatica umana. Rileggendo queste parole di saggez^a e di amore, nelle quali  si trasfonde con un religioso senso delia vita il rispetto per le  cose eterne donateci da Dio, non si può non provare una  profonda commozione,  Esse esprimono l’anima con la quale è dichiarata la battaglia dei grano; non si tratta di raggiungere finalità soltanto  economiche, ma di appagare un bisogno pátrio che supera  il fatto economico per divenire integrale fatto político,  II Capo a Palato Chigi, il 4 luglio delPanno III, inse-  diando il Comitato permanente dei grano, affermava che  Pannuncio delia battaglia dei grano aveva avuto una ripercus-  sione profonda in tutto il Paese, Segno certo che rispondeva  ad una necessità universalmente sentita, Egli ricordava le  conseguenze finanziarie dello scarso raccolto dell’anno 1924,  le quali ammonivano severamente a fare tutto il possibile  per conquistare Pindipendenza per il fondamentale alimento  dei popolo italiano. II Capo stesso fissava le direttive delfasione:   I o non è strettamente necessário aumentare la superfície coltivata a grano in Italia. Non bisogna togliere il terreno  alie altre colture che possono essere piú redditizie e che comunque sono necessarie al complesso deireconomia nazionale. È da evitare quindi ogni aumento delia superfície coltivata a  grano. A parere unanime la cifra di ettari raggiunta con le  semine dei 1924 può bastare;   2 o è necessário invece aumentare il rendimento annuo  di grano per ettaro. L/aumento medio anche modesto dà  risultati globali notevolissimi   Posti questi capisaldi, il Comitato permanente doveva  affrontare:  il problema selettivo dei semi;   il problema dei concimi e in genere dei perfezionamenti  tecnici;  il problema dei prezai. Per reali2£are tutte le possibilita di miglioramento delle  nostre colture granarie bisognava arrivare alie grandi masse  rurali, veramente silen^iose e operanti, al grosso cioè delfeser-  cito disseminato nelle campagne italiane. II popolo italiano è perfettamente convinto delia santità di questa battaglia e delia possibilità di vincerla; Egli  sentiva che si lottava per la vera libertà cioè per la liberazione delia Nazione dalla maggiore servitü economica  straniera. Ventisei giorni dopo il duce parlando ai capi delle organiç2;a2;ioni agricole, pronuncia parole fatidiche che oggi  sono scolpite nel cuore di ogni agricoltore d'Italia. Battaglia  dei grano significa liberare il popolo italiano dalla schiavitü  dei pane straniero. La battaglia delia palude significa liberare la salute di milioni d’taliani dalle insidie letali delia malaria e delia miséria. II Governo fascista ha ridato al  popolo italiano le essenziali libertà che erano compromesse  o perdute: quella di lavorare, quella di possedere, quella di  circolare, quella di onorare pubblicamente Dio, quella di  esaltare la vittoria e i sacrifici che ha imposto, quella di aver  la coscien^a di se stessi e dei proprio destino, quella di sentirsi  un popolo forte non già un semplice satellite delia cupidigia  e delia demagogia altrui. Voi, agricoltori d'Italia, che sapete per la dura espe-  riensa dei vostro lavoro come le leggí delbuniverso siano  inflessibili, voi siete i piú indicati ad intendere questo mio  discorso. Recate a tutti i piú lontani casolari, a tutti i vostri camerati  disseminati per i campi delia nostra terra adorabile, il mio  saluto e dite loro che, se la mia tenace volontà sarà sorretta  dalla loro collaborazione, Tagricoltura italiana verrà incontro  ad un'epoca di grande splendore.  E cosi, infatti, è stato. La battaglia dei grano è stata Tindice piú eloquente delbin-  dirÍ2;2;o delia politica agraria dei Regime. Con la battaglia dei grano si è voluto poten^iare tutta 1 'agri-  coltura italiana, sospingerla a reali^are il massimo delia produ-  zione ottenibile in tutti i settori* Sia nel campo viticolo come  in quello ortofrutticolo, nelbolivicoltura come nel campo delle  colture industriali, sono State prese una serie di prowidenze  intese ad ottenere il miglioramento delle coltivazioni ed il  collocamento dei prodotti. Attraverso l’opera vigile e continua delblstituto Nazionale  per l’Esportazione nuovi sbocchi sono stati aperti al commercio  estero delia frutta, degli agrumi, degli ortaggi; sono stati  attentamente studiati i centri esteri di consumo; è stato disciplinato Tafflusso dei prodotti ortofrutticoli; sono State imposte agli esportatori norme rigide per garantire la qualità dei pro-  dotti venduti. Nè Topera di difesa deiragricoltura poteva estraniarsi dalla  tutela dei rurale di fronte airinsidia delia speculazione. Uorgãnizzazione degli ammassi granari, intesi a sottrarre  Tagricoltore alia vendita formata dei frumento nel periodo  dei raccolto, ha disciplinato il mercato, costituito una riserva,  evitato che ai contadini, come frutto deíla loro fatica, fosse  riservato il piú basso prezzo raggiunto súbito dopo la trebbiatura. II favore sempre crescente che tale istitusione ha incon-  trato presso gli agricoltori sta a dimostrare la sua efficacia  e la radicata fiducia che essi hanno in questa come in tutte le  altre prowidensje dei Regime.   Se nel vasto quadro delia politica economica fascista la  battaglia dei grano costituisce un episodio, esso è però tal¬  mente grandioso e suggestivo, acquista tanta importanza spiri-  tuale ed economica, da prestarsi magnificamente per dare  unhdea dei clima nel quale il popolo italiano ha lavorato in  questi ultimi anni. Nel quadriennio 1931-1924, prima cioè che il duce chiama gli agricoltori a raccolta per ini^iare la battaglia, la  produzione granaria oscillava intorno ai 50 milioni di quintali  con un rendimento per ettaro di qL 10,9, cioè poco superiore  alia media di qh 10,5 segnata nel quinquennio prebellico  1909-13.   II raccolto na^ionale era assolutamente inadeguato al consumo. Questo era fortemente aumentato per la migliorata  alimentasàone dei popolo italiano, il quale aveva sostituito  il frumento al granturco, alie castagne ed agli altri alimenti  che, specie nelle zone di montagna, erano usati largamente.  Si doveva quindi ricorrere in misura crescente ai grani stranieri: Timportazione media che nel decennio 1905-1914 era di 13 milioni, era salita alia cifra di 26 milioni di quintali nel  quadriennio 1921-1924. Considerazioni meramente economiche si univano a quelle  di carattere spirituale. E i risultati non si fecero attendere*   Mentre la media produzione dei quadriennio bellico fu di  qL 9,99 per ettaro, eguale a quella dei quadriennio prebellico,  la media produ^ione dei primo quinquennio delia battaglia  dei grano fu di qL 12,5 cioè di 2 quintali superiore a quella  bellica e di 2,5 superiore a quella dei primo quadriennio  postbellico*   Sono oltre 10 inilioni di quintali di aumento assicurati alia  produ^ione frumentaria nasionale, pur con anni, come il  1927 e il 1930, le cui condizioni climatiche furono assai  sfavorevolL   La media produzione dei secondo quinquennio delia bat¬  taglia fu di qL 14,65 per ettàro. II progresso si è verificato in ogni parte dei Paese: nelLItalia  settentrionale come in quella meridionale e insulare; nelle  zone di collina come in quelle di pianura. Se dalle cifre medie passiamo a considerare le punte piú  elevate, colpiscono le produ^ioni altissime che si sono rag-  giunte, non in ristrette particelle di pochi metri quadrati,  ma su ettari di terreno in pieno campo; produzioni che una  volta sembrava follia sperare, e che sono State ottenute per  virtú di una técnica moderna che solo la battaglia dei grano  poteva stimolare*   Le punte di qL 40 che un tempo sembravano insupera-  bili sono salite a qL 74 nel 1932, a 82 per ettaro nel 1933*  I metodi tecnici di coltivazione si diffondono: la schiera dei  concorrenti alia vittoria dei grano è passata da poche centi-  naia a migliaia. Le produ^ioni medie hanno segnato un continuo aumento  come dimostrano i dati seguenti in quintali per ettaro di super¬  fície coltivata a grano: Anno   Quintali   Anno   Quintali  Le medie di ql* 15,3 nel 1932, di ql* 16,0 nel 1933 e di 15,3  nel 1935, sono di un'eloquen£a suggestiva*   Si hanno fondatissimi motivi per ritenere che Tattuale  media nazionale di 14-15 quintali per ettaro possa essere supe-  rata nel prossimo awenire, anche se i capricci dei clima  potranno provocare qualche regresso occasionale*   Oggi Tltalia è in grado di poter produrre tutto il pane che  occorre per i suoi figli: nel 1933 il raccolto è stato di 8r milioni  di quintali, nel 1934, annata particolarmente awersa per fat-  tori climatici eccedonali, la produzione è riuscita a mante-  nersi al livello di 63 milioni di quintali con una media di 12,8  ad ettaro II raccolto dei 1935, di 77 milioni di quintali,  dimostra che la produ^ione si è ormai stabili^ata intorno a  cifre le quali possono oscillare solo nel campo di varia^ione  segnato dalle influente insopprimibili delle vicende stágionalú  r Ann o   Produzione totale  in milíoni di quintali  La battaglia dei grano, prima che un insieme di prowedimenti economici e tecnici per Tincremento delia produzione  granaria, è stata un grido di fede e un segno di volontà*  Quando il Duce con il suo intuito infallibile, la proclamò,  compi anche in questa contingenza un grande atto rivoluzio-  nario, técnico ed economico   Técnico, perchè reagi contro un # opinione diffusissima, che  cioè lTtalia non avrebbe mai potuto produrre tutto il grano  occorrente alia sua popolazione* Economico, perchè reagi  contro la passiva rassegnazione di una nostra immodificabile  insufficienza granaria e distrusse quel mito liberista per cui  si riteneva preferibile che lTtalia tendesse alia produzione di  frutta ed ortaggi da scambiare col frumento, anzichè si perde dietro allTllusione deli'indipendenza granaria. 11 successo si deve anzitutto a quella grande forza che si  chiama volontà umana, che ha armato la técnica e che il Duce  ha trasfuso nello spirito di tutti gli italiani e nelFazione alacre  dei popolo rurale. LA BONIFICA INTEGRALE. II Capo, il 28 ottobre delhanno VI, inviando un messaggio  alie Camicie Nere di tutta Italia, ricordava: «in quest'ora di  esultanza e di propositi, tre fondamentali avvemmenti: la  riforma monetaria, la legge sul Gran Consiglio, la bonifica  integrale. Sono tre date fondamentali nella storia dei Regime  che rendono particolarmente significativo 1 ’anno VI.  La riforma monetaria ha coronato la strenua difesa delia  lira, la quale presidiata dalForo non teme manovre o sorprese. La legge dei Gran Consiglio stabilisce la stabilità e la durata  dello Stato fascista. La bonifica integrale darà terra e pane   ai milioni di italiani che verranno. II Capo ha voluto che Tagricoltura andasse al primo piano  deireconomia italiana perchè i popoli che abbandonano a  terra sono condannati alia decadenza; ed è mutile, Egli ammoniva, quando la terra è stata abbandonata, dire che bisogna  ritornarvi. La terra è una madre che respinge inesorabilmente  i figli che 1'hanno abbandonata. Bonifica integrale significa graduale trasformazione de a  terra a forme di vita agricola piü intense e civili; significa  processo di adattamento delia terra, che si attua attraverso  1'immobilizzazione di grandi capitali e con 1'esecuzione 1  grandi lavori. In un primo tempo per bonifica si intese semplicemente  il prosciugamento di paludi, per difendere le popolaziom  dalla malaria. L’esiguità dei risultati ottenuti con la semphce  eliminazione delle acque sovrabbondanti, non seguita od mtegrata dalla trasformazione delhordinamento delia produzione  agricola, convinse gli organi responsabih circa l’insufficienza  delia sola sistemazione idraulica delle terre. S impose qum 11’integrazione delle opere idrauliche con altre opere volte a dotare di viabilità, di fabbricati e di piantagioni legnose, le  Zone redente, affinchè la popola^ione che ivi già risiedeva o  che vi sarebbe immigrata potesse trovare adeguate condi^ioni  di vita. Tale indirh&o fu anche dovuto al fatto che Tespe-  rien^a insegnava come la malaria fosse non soltanto dovuta  alia palude ma anche alia mancan^a di coltiva^ione. È  messa cosi in chiara eviden^a l’importanza enorme che ha  la intensificadone delle colture, per higiene dei territori  prosciugati. Troppo spesso prima dei Fascismo era accaduto che le  costose opere di prosciugamento e di canalÍ££a2;ione compiute  dallo Stato non fossero seguite dal necessário completamento  e dalla valori^^a^ione delle terre da parte dei privati* L/iniCativa di questi rimaneva torpida e si estraniava quasi da  quella statale mancando il necessário collegamento; il quale,  se deve essere provocato da una saggia legislasione, deve  essere pure frutto di una cosciente volontà capace di imporre,  occorrendo, la trasformasione agraria. Questa conce2;ione però non potè affermarsi in maniera  decisa e sicura se non dopo Favvento dei Fascismo che pose  il problema delia bonifica integrale tra quelli fondamentali  dello Stato, riconoscendone l’importanza política e sociale. II continuo incremento delia popola^ione che impone il  piü alto grado di intensità produttiva e le differenze di densità  demográfica che si notano fra regione e regione, richiede-  vano una política rurale che potenziasse la produzione ed  attenuasse i piu stridenti squilibri demografici. II concetto di bonifica integrale non si esaurisce quindi in  un solo fatto técnico ed economico, ma ha anche un valore  demográfico altissimo; la bonifica va congiunta con una política mirante a portare la vita nella terra redenta e a radicarvi  huomo rendendolo partecipe alia produsione. Solo cosí si compie una grande rivoluzione terriera e si  attua una grande conquista sociale. II Fascismo quindi non considera la bonifica una semplice  opera di prosciugamento di terre palustri, o anche un’opera  atta a trasformare terre mal coltivate o incolte, ma considera la bonifica una iniziativa assai piú complessa e lungi-  mirante, intesa a creare nuove fonti di lavoro e di ricchezza,  nuovi aggregati civili, a restituire alia vita rurale il suo fascino  e la sua sanità, a porre un argine al dilegante urbanesimo. Nel quadro delia bonifica integrale rientra, perciò, il problema importantíssimo delia casa rurale, che il Duce per primo  ha visto e súbito impostato. II Capo in occasione delia premiazione dei concorso nazio-  nale dei grano, il 14 ottobre dell’anno VI, affermava che la  bonifica integrale dei território nazionale è un'iniziativa il  cui compimento basterà da solo a rendere gloriosa, nei secoli,  la Rivoluzione delle Camicie Nere.   Questa iniziativa è 1’indice di un orientamento dei Regime  fascista che il Duce ha espresso in questa forma: il tempo  delia política prevalentemente urbana è passato: ora è il tempo  di dedicare i miliardi alie campagne, se si vogliono evitare  quei fenomeni di crisi economica e di decadenza demográfica  che già angosciano paurosamente altri popoli.   Per raggiungere queste finalità il Governo fascista ha prov-  veduto a riordinare, perfezionare, completare, la legislazione  sulla bonifica.   Sono stati distinti i terreni compresi nei comprensori di  bonifica propriamente detti, nei quali bisogna procedere ad  una radicale trasformazione delbordinamento delia produzione agraria, dai terreni che richiedono soltanto migliora-  menti fondiari, onde perfezionare 1 'attuale ordinamento. Mentre  per l’esecuzione dei miglioramenti fondiari da compiersi sui terreni che non sono compresi nei comprensori di bonifica, lo  Stato concede contributi per stimolare 1 'iniziativa; nei comprensori di bonifica lo Stato esercita pienamente la sua attività  pubblica. È esso che fissa i caratteri fondamentali dei nuovo ordinamento produttivo da instaurare nei terreni bonificati: è esso che  sostiene interamente o in gran parte la spesa per Tesecuzione  di quelle opere di carattere pubblico, che sono indispensabili  per creare le condizioni ambientali adatte ad accogliere le  nuove forme di agricoltura che si vogliono introdurre.   In questi terreni di bonifica i proprietari sono tenuti, per  espressa norma di legge, ad eseguire tutte quelle opere di  carattere privato atte a far si che la bonifica compiuta si  svolga nel senso che lo Stato ha stabilito. I privati possono  giovarsi dell’aiuto finanziario statale, sia richiedendo contributi per 1'esecuzione delle opere o concorsi governativi per  il pagamento degli interessi sui mutui contratti per compierle. La legge fondamentale delia bonifica è LA LEGGE MUSSOLINI. L'applicazione di essa ha esteso i territori di  bonifica ad oltre 4 milioni di ettari, cosi distribuiti per  compartimento: SUPERFÍCIE DEI COMPRENSORI DI BONIFICA Piemonte Lazio Liguria Abruszo e Molise   Lombardia  Campania  Tre Venezie Puglia Emilia Lucania Toscana Calabria Marche Sicilia Umbria Sardegna Regno ha. 4.736.983 Anche V irrigazione è entrata nel domínio delia bonifica. Essa costituisce un formidabile tntzzo per aumentare la capa-  cità produttiva dei terreni che, specie nel nostro Paese, soffrono  per Peccessiva siccità. Le piü grandi reali^azioni dei Regime nel campo delia  bonifica sono segnate dalla redensione delPAgro Pontino* Dove  una volta regnava lo spettro delia perniciosa oggi sorridono  al sole laziale tre gemme: Littoria, Sabaudia e Pontinia. Altre seguiranno ad attestare la mareia trionfale delPEra  fascista in cui «si rinnovano gli Istituti, si redime la terra,  si fondano le città. A fianco delle prowiden^e per la battaglia dei grano e per  la bonifica integrale, numerosissime sono le altre prese per  tutte le svariate branche agricole in tredici anni di Regime. Particolari provvedimenti negli anni di awersa congiun-  tura e per stimolare Popera miglioratrice, furono presi in  matéria di credito agrario e per sowensioni agli agricoltori  dissestati* INDUSTRIA E ARTIGIANATO. L'INDUSTRIA. L’TALIA è stata un paese quasi esclusivamente rurale. Anche nella Valle Padana, nella prima metà dei secolo scorso, le industrie raramente presero largo sviluppo e mai riuscirono  a superare per importanza l’agricoltura che assunse invece,  specie nella zona irrigua, un carattere spiccatamente industriale. Soltanto alia fine dei secolo scorso, specie nell’Alta Lombardia, le industrie acquistarono notevole importanza; tale  sviluppo si intensifico nel primo decennio di questo secolo. L’industria tessile si affermò per prima battendo progressivamente Tartigianato e i numerosi telai domestici. Tra il  1880 e il 1890, sorsero i primi grandi stabilimenti di filatura;  quindi le prime installazioni di alti forni a cok e di forni Martin  per V industria siderúrgica, cui seguirono le industrie meccaniche. Nell’ultimo decennio dei secolo scorso si svilupparono anche  numerose medie industrie che costituiscono la parte piú solida  delia industria italiana: fabbriche di vetri, di ceramiche, con-  cerie, fabbriche per la carta e per produzioni alimentari*  Nello stesso tempo hanno vita le prime industrie delia gomma,  si diffondono nuove fabbriche per la tessitura dei lino, delia  seta e delia canapa. All’alba dei secolo XX comincia lo sviluppo delh industria  idroelettrica, che doveva raggiungere un alto grado di potenza  nel periodo fascista, e cominciano ad affermarsi cospicue  industrie chimiche. II decennio che precede la conflagrazione  europea vede sorgere i primi grandi zuccherifici e vede molti-  plicarsi le fabbriche di cemento per adeguarsi al crescente  bisogno delhedilizia. Nello stesso periodo la industria che si  era localiz^ata nelle provinde settentrionali, comincia ad  estendersi anche nelh Italia centrale e meridionale* Nel trentennio anteriore alia guerra, perciò, l’Italia SI TRASFORMA DA PAESE QUASI ESCLUSIVAMENTE AGRICOLO in paese nel  quale, pur restando l’agricoltura la base economica, esiste già  un complesso di attività industriali che soddisfano in gran parte  ai bisogni interni e si accingono alhesportazione. Durante il periodo bellico Tattività industriale si è molti-  plicata, per sostenere lo sforzo immane a cui era soggetto il  Paese; però Y industria crebbe in maniera disordinata, accen-  tuando i vizi di disarmonia che già esistevano.  L' immediato dopoguerra che va dal 1919 al 1922, caratterizzato da un periodo di crescente disintegradone delia com-  pagine economica dei Paese, non poteva certamente migliorare  la situazione. Anche P industria italiana — come ogni altra attività  — ha largamente beneficiato dei nuovo clima político, nonchè  dei nuovi ordinamenti creati dal FASCISMO In questa nuova  atmosfera psicológica, política ed economica, Tindustria italiana  si lanciò con fede ed audacia verso nuove conquiste. L’autorità dello Stato non solo da le garantie indispensabili,  ma prowedeva a creare quel complesso di condi^ioni favorevoli  per la ripresa economica, che da tempo mancavano e che sono  necessarie per aiutare, coordinare e completare Fattività privata*  Neir industria, importan^a capitale ha avuto il nuovo ordine  sindacale corporativo, con la creazione di organi adatti a risol-  Vere in sede di collabora^ione i contrasti inevitabili tra capi¬  tale e lavoro*   Numerosi sono i prowedimenti presi dal Governo fascista  per difendere ed aiutare lo sviluppo industriale   I prowedimenti investono tanti settori delPattività industriale italiana. Citiamo ad esempio le prowiden^e per Y industria ^olfifera  duramente colpita dalla concorrenza americana; quelle per l’industria marmifera, che ha pure larghi riflessi sociali. Con particolare riguardo airagricoltura e alie necessità belliche, di speciali prowidenze hanno goduto le industrie dei  prodotti atotati, fondate sulle superbe inventioni dei nostri  tecnici, che hanno consentito di produrre in Paese, utilizzando Patoto dell’aria, i nitrati necessari airagricoltura e alie  industrie di guerra, liberandoci dalla servitü straniera. IP industria delia seta naturale un giorno fiorentissima,  nonostante la crescente concorrenza delia fibra artificiale, è  stata ripetutamente sorretta, direttamente e indirettamente  attraverso i premi alia bachicoltura. Di speciali previdente del GOVERNO FASCISTA ha anche goduto  la giovane industria cinematográfica. II tracollo dei prezei che continuo con un crescendo pauroso  e che mise moltissime industrie in condizioni di estrema diffi-  coltà, consigliò il Governo ad applicare una disciplina siste¬  mática nella produzione, capace di ridurre la disordinata concorrenza che recava anche pregiudizio al complesso delia  economia nazionale* Con disposizioni legislative dei dicembre  1931 il Ministro delle Corporazioni è autorizcato a costituire  consorzi obbligatori fra gli esercenti V industria siderúrgica*  Successivamente con legge dei giugno 1932, furono stabilite  le norme generali per la costituzione ed il funcionamento dei  consorzi tra esercenti uno stesso ramo di attività, e con la legge  dei gennaio 1933 si diede al Governo il potere eccezionale di  sottoporre ad autoriz^azione i nuovi impianti industriali e gli  ampliamenti di impianti preesistenti*   In tal modo la nuova realtà corporativa cominciava ad  esplicare in pieno la sua delicata funcione anche nel campo  deir industria* Cosicchè non soltanto fu evitato il pericolo di  lasciare costituire nelP interno dei Paese formidabili monopoli  di carattere supercapitalistico, ma venne indiriz^ata la produ-  tione industriale verso queirarmonica costituzione a carattere nazicnale che sollanto lo Stato può veramente effettuare. II  concetto privato di azierda industriale, viene permeato da un  concetto nuovo, il corporativo, nel quale Pelemento pubblidsta,  se non acquista prevalenza assoluta, costituisce certamente la  finalità.   Larga applicazione ha avuto la ancidetta legge dei 1933:  il Ministero delle Corporacioni esamina periodicamente le  domande presentate e prowede o meno alia loro approvazione  compiendo un lavoro salutare per l’equilibrio delP industria  nadonale.   Nel campo delia navigadone Topera dei Governo, in armonia  alio spirito legislativo or ora ricordato, è stata intesa a promuo-  vere e ad agevolare concentracioni e fusioni, evitando cosi  l’aggravarsi di alcune situadoni di disagio che si erano venute  determinando con la crisi dei noli.   Le società Citra e Florio sono State fuse nella Tirrenia;  La S* Marco, P Anônima Industrie Marittime, la Puglia, la  Costiera, la Zaratina e Nautica, si sono fuse nell’Adriatica. Questa, con il suo blocco di 48.000 tonnellate, esercita il  traffico nelhAdriatico e nelPEgeo, mentre la Tirrenia, con le  sue 128.000 tonnellate, effettua i suoi servici nel Tirreno e  per le Colonie.   La Marittima e la Sitmar si sono fuse nel Lloyd Triestino  costituendo un blocco di 210.000 tonnellate destinato ai servici  dei Mediterrâneo Orientale, dei Mar Nero, delP índia e dello  Estremo Oriente.   II Lloyd Sabaudo e la Navigadone Generale Italiana si sono  fuse nelPItalia, che è la piú potente adenda marittima italiana,  formata da un blocco di 360.000 tonnellate adibita ai servici  delle Americhe, delP África e delPAustralia. Già discorrendo delia politica financiaria avemmo occasione  di ricordare l’stituto per la Ricostruzione Industriale  creato dal Governo fascista, dopo avere  dato vita all’istituto Mobiliare Italiano. Entrambi questi Istituti hanno avuto una influenza  notevolissima suir industria italiana»   L* I* M* I* ha lo scopo di accordare prestiti ad imprese private italiane e di assumere eventualmente partecipazioni azio-  nali* Gli impegni non possono in ogni caso estendersi ad un  período superiore ai 10 anni*   L* L R* L comprende una sezione che si occupa delle sov-  venzioni e dei crediti alP industria, e una seconda che ha il  compito di liquidare alcune imprese in passato gestite dalPIsti-  tuto di liquidazione. Il governo fascista con la sua política industriale ha dato  ancora una volta la dimostrazione dei suo equilíbrio, delia sua  saggezza e di una grande tempestività ed energia» Esso non  solo non è caduto nel consueto errore di paralizzare Tinizia-  tiva privata, ma ne ha potenziato invece e favorito lo sviluppo  in armonia con quella disciplina e con quello spirito di mutua  comprensione e di collaborazione che sanciscono i basilari  principii delia carta del lavoro. Una visione sintética e nello stesso tempo precisa delia  struttura industriale di cui è dotato il nostro Paese si può  avere dal censimento industriale e commerciale compiuto il  15 ottobre 1927. Da esso appare chiaramente che in Italia predominano le  piccole aziende con un modesto numero di addetti; su 732*109  aziende ben 692*313 hanno meno di n addetti* In queste  piccole aziende trovano occupazione 1*510*304 persone, cioè  piü di un terzo di tutti gli addetti alie industrie censite, che  ammontano a 4*005*790* L/esame analítico fatto in base alie  classi di industrie, dimostra che il numero maggiore di addetti è impiegato nelle industrie tessili le quali, nel nostro Paese,  si sono sviluppate in maniera imponente e sono raggruppate  in un numero relativamente piccolo di stabilimenti. In ordine d' importansa, secondo il numero delle persone  impiegate, segue l’industria dei trasporti e delle comunica-  sioni, cui attendono poco piü di mezzo milione di persone.   Le industrie meccaniche e quelle dei vestiário raggruppano  un numero di addetti pressochè uguale: rispettivamente 478.896  e 491.793. Esse differiscono per il numero degli esercizi che  risulta di 80.705 per le industrie meccaniche e di 108.470 per  quelle dei vestiário. Le industrie alimentari ed affini assorbono il lavoro di circa  340,000 addetti; un numero di poco minore ne occupa Tindu-  stria delle costru^ioni; 286.115 persone, distribuite in 103.015  adende, si dedicano alh industria dei legno. È opportuno rilevare che le a^iende con un numero di addetti  superiore al migliaio sono frequenti specialmente nel gruppo  delle industrie tessili e meccaniche, seguono quelle  siderurgiche e metallurgiche e, infine, quelle dei trasporti  e delle comunica^ioni, In complesso   Sino a   10 addetti Esercizi   Addetti   Esercizi   Addetti.  Industrie connesse coll’agricoltura Pesca   Miniere e cave Industria dei legno ed affinL   Industrie alimentari ed afíini   Industria delle pelli, cuoi,  ecc. .Industria delia carta Industrie polígrafiche Industrie siderurgiche e metallurgiche   Industrie meccaniche Lavorazione dei minerali,  esclusi i metalli Industria delle costrusioni.   Industrie tessili Industria dei vestiário, ecc Servizi igienici, sanitari,ecc Industrie chimiche Distribusione di forza mo-  trice, luce, ecc Trasporti e comunicazioni Combinadoni di industrie  di diverse classi Totale  L'industria mineraria, esplicantesi specialmente nel settore  dei ferro, dei piombo e dello zinco, delia pirite e dei combusti-  bili fossili, ha segnato un forte incremento nel periodo che  corre dal 1925 airinisio delia crisi economica mondiale  Mentre nel 1921 e anche nel biennio 1923-24 la produ-  sione di minerali di ferro oscillò intorno a 300*000 tonnellate,  negli anni seguenti ebbe forti incrementi tanto che nel 1930  supero nettamente le 700*000* Anche i minerali di piombo  e zinco, che nel 1922 erano prodotti in una quantità di poco  superiore a 120*000 tonnellate, nel sessennio 1925-30 raggiunsero una produzione media di oltre 250.000 I combustibili  fossili, nel rigoglioso periodo dell’ECONOMIA FASCISTA, superano la produzione di un milione di tonnellate e nel 1929  raggiunsero la cospicua cifra di 1*400*000*   La produzione di piriti di ferro, che nel periodo pre-bellico  raggiunse faticosamente le 300*000 tonnellate annue, nel  sessennio 1925-30 raggiunse una produzione media di oltre  600*000 e nel 1930 supero le 700*000   I prodotti delhindustria metallurgica hanno segnato graduali  aumenti nel periodo fascista.   I dati sottoriportati, riferentisi alia ghisa di alto forno, al  ferro e alhacciaio, lo dimostrano chiaramente; Anni   Ghisa cTalto forno   Ferro e acciaio 1   Anni   Ghisa d'a!to forno Ferro e acciaio    in migliaia di tonnellate   jn migliaia di tonnellate    489 1721 È rilevante il fatto che nel biennio 1938-29 si sia superata  la produzione di oltre due milioni di tonnellate di ferro e di  acciaio e che la ghisa d'alto forno neiranno 1929 abbia raggiunto  la produzione di 670*000 tonnellate*   La produzione di piombo è salita, da circa 12*000 tonnellate  prodotte nel 1921, a una produzione media di 20*000 e nel 1932  ha raggiunto la cospicua cifra di 31*470 tonnellate. Anche la  produzione di mercúrio, che nel 1921 superava appena le 1000  tonnellate, nel triennio 1927-29 è quasi raddoppiata*   Forte incremento ha pure avuto la produzione di zolfo  grezzo, la quale mentre nel triennio precedente Tawento dei  Fascismo si era mantenuta assai inferiore alie 300*000 tonnel¬  late, nel triennio 1931-33, nonostante le difficoltà create dalla  crisi, supero la media produzione di 350*000 tonnellate, come  dimostrano i dati seguenti:  Anni   Z 0 1 f 0 in migliaia di tonnellate   Speciale importanza hanno i prodotti chimici, i quali,  specie nel campo dei concimi, hanno ricevuto, per Timpulso  dato dal Fascismo airagricoltura, un insperato incremento. Tra questi va ricordato il perfosfato che, mentre nel período  prebellico era prodotto in una misura poco superiore alie  900*000 tonnellate, nel 1925 ha superato il milione e mezzo,  di tonnellate. Importantissima è stata pure la produzione di concimi azotati, segnatamente delia calciocianamide e dei nitrato  di soda, ottenuti con processo sintético valendosi delbazoto del1'aria. In virtú di ciò 1 'agricoltura italiana si può dire oggi completamente emancipata dalhimportazione straniera di azotati.   La produzione di solfato di rame ha pure segnato un note-  vole aumento. Nel triennio 1926-28 essa ha superato sensibilmente le 100.000 tonnellate, mentre nel periodo prebellico  raggiunse faticosamente le 50.000. II Governo fascista non mancò di stimolare e aiutare 1 ’attività di quelle industrie che potevano dare matéria prima per  attivare il commercio di esportazione. A tale scopo, come già  abbiamo ricordato, esso aiutò in varie maniere 1’industria  serica, la quale riusci a raggiungere e a superare, durante i  primi otto anni dei Governo fascista, la produzione media di  oltre 5000 tonnellate di seta greggia. Mentre nel biennio 1921-1922 essa risultò di sole 3700, nell’anno 1924 e nel 1928 la  seta greggia venne prodotta nella misura di quasi 5600, cifra  appena raggiunta nel 1909 e superata nel 1906-1907, quando  1’industria delia seta attingeva i vertici dei suo splendore.   In molti altri campi 1 'attività industriale italiana si è espli-  cata con raro vigore; cosi è avvenuto nel campo elettrico e dei  gas; ma essa ha raggiunto speciale importanza specialmente  nel campo dello zucchero e anche nella produzione delhalcool. Anni   Zucchero J   Álcool   in migliaia di quintali  2 milioni di quintali di zucchero prodotti nel 1921 sono  stati superati negli anni seguenti; la produzione di questa importantíssima derrata ha segnato, attraverso inevitabili  oscillazioni, una netta tendenza all’aumento. La produzione dei gas-luce è andata crescendo con ritmo  costante: dai 291 milioni di metri cubi prodotti nel 1922 si  sono quasi toccati i 2000 milioni nel 1932. Particolare attenzione merita 1'impulso dato dal GOVERNO FASCISTA alla produzione dell’energia elettrica, di cui già si  tenne discorso. Perfezionando ed ampliando i vecchi impianti,  costruendone di nuovi e creando bacini artificiali di grande  capacità, il consumo è passato da meno di 5.000 milioni di  kwh. dei 1922, a 8.450 milioni di kwh. nel 1932 e a circa  10 miliardi di kilowatt-ora nel 1933. Ovunque si cerca di sostituire il carbone di importazione con energia elettrica prodotta  in Paese: un esempio luminoso è offerto dal GOVERNO FASCISTA con Tintensa elettrificazione delle ferrovie.   Fra le industrie tessili ha specialmente importanza quella dei  rayon, che si è sviluppata in modo veramente rigoglioso  specialmente negli anni delhera fascista, come attestano i  dati che seguono:  Anni   Rayon   in milioni di kg.  I cantieri navali hanno pure svolto un’ attività che è caratterizzata da un continuo aumento sino al 1926, anno in  cui sono State varate navi per 250.000 tonnellate di stazza  lorda. In seguito, a motivo delia crisi, si è avuta nella  produzione navale una sensibile riduzione che va anche vista  come effetto delia forte contrazione dei commercio interna-  zionale.   Nonostante gli awenimenti di carattere eccezionale ai  quali abbiamo assistito in questi ultimi anni e che hanno  sconvolta 1’economia dei mondo, 1' industria italiana non  soltanto ha resistito validamente sulle posizioni conquistate,  ma è riuscita, specie in alcuni settori, a conseguire notevoli  progressi.   L'indice delia produzione industriale italiana, posto uguale  a xoo 1’anno 1922, preso come anno di base, in tutti gli anni  successivi non ha mai segnato le depressioni registrate per altri  Paesi, bensi un incremento sensibilíssimo anche negli anni di  crisi. INDICI DELLA PRODUZIONE INDUSTRIALE. L'ARTIGIANATO L/incateante fenomeno deirurbanesimo e la decrescente  natalità si sono manifestati in maniera piü acuta laddove piú  intensa è Torgani^azione di tipo industriale, cioè laddove le  donne sono impiegate nelle fabbriche e nelle manifatture,  dove il mondo capitalistico domina con le sue tragiche contrad-  di^ioni, che soltanto la conce^ione fascista ha saputo affron-  tare con un piano concreto ed umano. L’artigianato, invece, ha un carattere squisitamente rurale. L/elogio deiritalia agrícola è implicitamente Telogio delle  folie artigiane. Per tutto ciò il Fascismo, se riconosce nelhaítività industriale  un mezzo formidabile di conquista e di poten^a, se riconosce  nella fabbrica e nelPofficina unhndispensabile elemento di vita  per una nazione civile, spiritualmente esalta la funcione del-  Tartigianato, il quale ha risolto, nello stretto âmbito delia  sua bottega, i conflitti dei capitalismo* L’artigiano, come il  piccolo proprietário coltivatore diretto, lavora con gioia;  il suo lavoro non è mosso soltanto da egoistiche esigenze economiche, ma anche dal desiderio di compiere un'opera delia  quale nel suo intimo sente tutta la bellezsa* Come il piccolo  proprietário agogna al possesso terriero e una volta raggiuntolo  cerca ognora di consolidarlo, prodigandosi in opere di miglioramento, investendo nella terra tutti i suoi risparmi, cosi l’artigiano, dopo che si è proweduto dei mezzi indispensabili  per il suo lavoro, impiega tutte le for ze produttive delia sua  famiglia per potenziare sempre piú la sua piccola asienda e  faria assurgere magari a piccola industria. II carattere particolare delPartigianato, che si ripercuote  nelle caratteristiche psicologiche di coloro che lo esercitano,  ha fatto si che esso fosse guardato dal FASCISMO con particolare simpatia e comprensione. II nostro paese poi, che vanta gloriose  tradizioni nel campo dell'artigianato e possiede un núcleo  formidabile di piccole e medie botteghe artigiane, sente in  maniera particolare Íl bisogno di poteriare e sviluppare  questa forma di attività economica, solidíssima fonte di sta-  bilità sociale. Per queste ragioni il problema artigiano non è e non puo  essere un problema esclusivamente economico. Gli obbiettivi dei Regime in matéria di política artigiana  sono volti a migliorare tecnicamente e artisticamente i prodotti  di questa benemerita categoria, per poter superare la concorrera straniera e conquistare i mercati. Dal punto di vista economico il Governo fascista, attraverso  le cooperative di mestiere e bancarie, ha anticipato denaro e  assistito nei piü diversi modi questi piccoli imprenditori Ha  cercato inoltre di applicare una rigorosa selecione dei prodotti,  indíviduando i centri di produzione caratteristici, coltivando  attraverso le mostre la conoscera di queste attività e il tradizionale buon gusto dei nostro popolo, per stimolare i singoli e  compiere una efficace opera di selesione. Le categorie professionali rappresentate dalla Federazione  fascista autonoma degl’artigiani d’Italia, la quale sí e prodigata  per valorirare sempre piü questa folia di piccoli produttori  sapienti e tenaci, sono numerosissime   L'arte dei legno comprende sensa limitazione di numero  intagliatori, laccatori, scultori in legno, lucidatori, doratori e  stipettai. Qualora le imprese non impieghino piü di cinque  dipendenti anche gli ebanisti e corniciai, mobilieri e tornitori  sono raccolti nella Federazione artigiana, la quale comprende  anche carpentieri e falegnami, imballatori e sediai, quando essi  siano impiegati in attività che non occupano piü di tre dipendenti. La ricordata Federasione rappresenta anche i fornitori di  oggetti d'arte, i battiferro, i ramai e calderai, gli sbalzatori di  metalli, gl’arrotini e i modellatorh. Le attività artigiane, varie e multiformi, diverse per le materie  lavorate e per i prodotti ottenuti, dominano completamente  l’arte dei tessuto e dei ricamo, l’arte delTorafo, dell’argentiere  e dell’orologiaio* Speciale importanza hanno anche nel campo  delia ceramica artistica, la quale ha raggiunto, specialmente  in alcune zo ne dei nostro Paese, un incontestabile splendore  e vanta antichissime tradizionh. Ricordiamo le industrie cera-  miche umbre, faentine e quelle pesaresi, per citare soltanto le  principaln   L'arte dei cuoio e delia cak^tura raccoglie un grande numero  di doratori e di sellai, di pirografi e bulinatori, di sbalzatori e  stampatori, calzolai ed astucciai, che nel complesso raggiungono  un numero considerevole di addetti, i quali portano il tributo  precioso di un lavoro paciente alia produzione nazionale  Anche i valigiai e i cinghiai, guantai e pellettieri, pur trovando  di solito il loro impiego in aziende cospicue, vengono però ad  accrescere il numero di questa benemerita categoria di modesti  e solidi produttori   L'arte delia tessitura e dei ricamo, alia quale si dedicano con  grande perimia le mogli e le figlie dei nostri salariati, sia nel  campo dei merletto e delia trina, sia in quello delia filatura  e tessitura a mano di stoffe e tappeti, raggiunge mTimportanza che, specialmente in alcuni centri dell’Italia settentrionale  e delle isole, non può essere trascurata. Tra gli artigiani vanno contati anche gli acquafortisti,  xilografi e xenografi, nonchè i litografi e i rilegatori di librh  Nei modesti centri il carattere artigiano si può riscontrare  anche nelle piccole tipografie come nei fabbricanti di timbri  in legno e metallo e di oggetti e modelli di carta e cartone. Affine a questa attività è quella delia fotografia che nel grandíssimo numero dei casi e per la quasi totalità delia produzione  è in mano di valenti artigiani. La lavorazione dei marmo e delia pietra è specialmente opera  di artigiani. Mosaicisti, alabastrai e sbozzatori di pietre, luci-  datori di marmi e sagomatori, costituiscono un gruppo notevole  di lavoratori che, insieme agli addetti all’arte dei restauro,  formano un gruppo importante delia Federazione artigiana. A questa categoria appartengono anche i parrucchieri, gli  addetti all’arte deil’arredamento e dei giardino, quelli impiegati  nelFarte dei giocattolo e delia pirotécnica, i vulcanizzatori e  gli ombrellai.   Particolare posizione acquista poi quel gruppo di artigiani  che si dedicano alie attività miste proprie delia vita rurale,  i quali, diffusinei piú remoti angoli delle nostre campagne,  portano con la loro genialità di costruttori e con la loro pazienza  di fini esperti riparatori, un contributo che non può essere trascurato, Ricordiamo tra questi i falegnami, gli ebanisti, i mec-  canici, i fabbri, ecc. Ma sarebbe troppo lungo dare una com¬  pleta nozione delle svariate funzioni esercitate dagli artigiani,  i quali costituiscono una massa imponente, che fornisce un  lavoro sapiente e prezioso ed esercita una funzione insostitui-  bile nella nostra economia.  LA POLÍTICA dei lavori pubblici GENERALITÀ A FIANÇO dei poderoso programma di bonifica sta un piü  esteso programma di lavori pubblici, inteso a dar lavoro al-  Tesuberante mano d'opera e creare un complesso di opere civili,  di cui ritalia meridionale e insulare specialmente difettavano. Con questo intendimento furono creati i Proweditorati  alie opere per il Mezsogiorno e le Isole e TA^ienda Autonoma  Statale delia Strada. L'opera svolta dal GOVERNO FASCISTA in questi ultimi dodici  anni è stata veramente imponente. Nel primo decennio fascista le amministrazioni sopra ricordate hanno presi impegni di spesa per circa 37 miliardi di lire, dei quali ben 17  miliardi e mezzo sono stati effettivamente pagati. II programma di lavori pubblici compiuti ha già avuto, e  avrà ancor piü neirawenire, una notevolissima influen^a sul  benessere dei Paese; non solo ha intensificato gli scambi, ha  favorito i traffici e ha arrecato immensi vantaggi airagricol-  tura e albindustria, ma ha anche elevato il tenore di vita e ha  contribuito a stabilissare le correnti migratorie.   Si tratta di un'enorme quantità di capitale investito nel suolo  pátrio, di immense quantità di lavoro, che an^ichè andare  disperse sono State utilmente impiegate in opere di alto Valore  civile ed economico. Per questo la política dei lavori pubblici  è stata anche un mtzzo efficacissimo per arginare e combat-  tere la dilagante disoccupasione. Nei lavori compiuti dagli  ufiici tecnici dipendenti dal Ministero dei Lavori Pubblici,  dalPAzienda Autonoma Statale delia Strada e dal Sottosegre-  tariato per la Bonifica, neiranno 1926 si sono impiegati 21,8  milioni di giornate-operaio, 26,7 milioni nel 1927, 27,3 milioni  nel 1928 L'anno 1929 porta un sensibile aumento di lavori e di  giornate operaie impiegate, le quali toccano i 33,5 milioni: queste raggiungono 41 milioni nel 1930, 39,3 milioni nel 1931,  per superare i 42 milioni. Queste cifre però non danno una completa idea delia massa  di lavoro posto in atto dal Governo fascista, perchè se nei  cantieri delle imprese appaltatrici di pubbliche costrutioni  si ebbe un formidabile aumento nel numero delle maestrante  impiegate, un incremento sensibile si ebbe altresinelle cave, nelle  officine, nelle fornaci, nelle fabbriche che forniscono alie prime  materiale da costrutione e mezzi d'opera* Anche nelle imprese  di trasporti Tindice di attività segnò un fortíssimo aumento. Da un punto di vista político va poi posto in particolare  rilievo lo sforto compiuto dal Regime per dotare le città e le  campagne dei Meridionale e delle Isole di tutti quei serviti  pubblici di cui mancavano e che, consentendo forme di vita  migliore, sono di stimolo per l’elevazione morale e materiale  delle popolazioni. La messa in valore di estesi territori agricoli dei Mettogiorno,  cioè di un território con particolarissime caratteristiche demografiche, richiese la regolatione delle correnti dei lavoratori  onde incitare, aiutare, assistere quel proletariato agricolo che  desiderava radicarsi alia terra e formare colonie stabili. Per questo il Duce creò presso il Ministero dei  Lavori Pubblici il comitato permanente per le migrationi  interne, che poi volle alia sua diretta dipendenta presso la  Presidenta dei Consiglio  LA VIABILITÀ ORDINARIA. Con legge è stata affidata alFAtienda Autônoma Statale delia Strada la rete delle strade di grande comuni-  catione, chiamata anche rete delle strade statali. II duce ha voluto creare un organo autonomo, agile, preparato a compiere rimmensa mole di lavoro che era richiesta  per una adeguata sistemazione dei nostro patrimônio stradale. Egli, che ha sempre avuto un concetto romano delia strada,  ha dedicato ad essa le piú sollecite cure e ha fornito capitali  ingenti per il duraturo assetto ed il miglioramento delia rete  stradale. Le 136 arterie che formano la rete, il cui sviluppo comples-  sivo è di 20.622 chilometri, nelhestate dei 1928 si trovavano  in condizioni non certo felici: soltanto 463 chilometri di strada  erano pavimentati in maniera tale da non richiedere alcun  ulteriore lavoro per la loro sistemazione* Rimaneva cioè la  quasi totalità da rivedere e da sistemare. Alia fine di ottobre delhanno X erano stati sistemati 8562  chilometri, dei quali 7910 con trattamenti superficiali e 652  con pavimentazioni permanenti e semi permanenti. Erano  inoltre in corso altre pavimentazioni su oltre 1000 chilometri. II resto delia rete è stato però oggetto di opere straordinarie  e di manutenzioni talmente accurate che attualmente tutte le  strade si trovano in ottime condizioni. IL GOVERNO FASCISTA nel campo delia viabilità ordinaria non  si è limitato a mantenere o pavimentare le strade esistenti*  Intensa è stata pure Tattività svolta per completare la rete di  grande comunicazione e per arricchire quella delle strade pro-  vinciali e specialmente delle strade comunali, che, in alcuni  compartimenti dei nostro Paese, era inadeguata ai bisogni dei  traffico e specialmente ai crescenti bisogni dell’agricoltura*  Particolare menzione va fatta delle autostrade, di cui nel  decennio che va dal 1922 al 1932 furono costruite 436 chilometri, segnando in questo modernissimo campo delle comunicazioni un primato, che ancor oggi ci è invidiato dai maggiori  Stati d'Europa. La rete delle strade di grande comunicazione è stata aumen-  tata di ben 525 chilometri di nuova costruzione: ricordiamo  il completamento delia grande artéria litoranea tirrenica;  la costruzione dei tronchi delia litoranea ionica situati nelle  provinde di Taranto e Matera; il completamento delia litoranea adriatica con i tre tronchi situati tra S. Salvo in província  di Chieti e Serracapriola in província di Foggia; i nuovi tronchi  costruiti nelle provincie di Salerno, Potenza e Cosenza, per  tacere di altri importanti tronchi costruiti specialmente nel  Meridionale. Se le nuove strade statali si sono rivelate di notevole portata,  di grandíssima utilità si sono dimostrate le strade costruite  dalle Provincie e specialmente quelle volute dai Comuni. Bisogna ricordare che nel decennio fascista sono stati  costruiti 1143 chilometri di strade provinciali e 3844 chilometri di strade comunali. Nelle Calabrie, nella Lucania, negli  Abruzzi e in Sicilia, si è dato grande impulso alia viabilità  rurale e a quella che ha servito ad allacciare i comuni isolati  alia strade di grande comunicazione. Anche neiristria sono State compiute opere cospicue:  circa 20 milioni sono stati dedicati alie costruzioni stradali. Non va poi dimenticata la costruzione di strade turistiche  che servono anche per la comunicazione fra importanti compartimenti (citiamo ad esempio la Gardesana occidentale e orientale)  e quella di importantissime autostrade quali la Roma-Ostia,  la Napoli-Pompei, la Firenze-Viareggio, la Padova-Venezia  e quelle irradiantesi da Milano per Torino, i laghi e Brescia.   Non si può terminare questa breve e incompleta rassegna  delle opere stradali compiute dal Fascismo, senza ricordare  il ponte che congiunge Venezia con la terraferma, largo 20  metri, lungo 4 chilometri, costruito in meno di due anni con  la spesa di 80 milioni. LE FERROVIE    La rete ferroviária ereditata dai passati regimi, se per molti aspetti  si presentava in felici condizioni, richiedeva però una opera attiva  di integrazione e di completamento onde rendere ancor piú effi-  cace il servizio che essa poteva prestare aireconomia dei Paese*  Negli ultimi 12 anni la rete ferroviária italiana è stata miglio-  rata e potenziata: rettiíiche e raddoppi di binário; ricambi e rinforzi di armamento; ampliamento e ricostruzione delle stazioni,  dei magazzini e dei servizi; rinnovamento dei materiale rotabile. L'esercizio delle ferrovie è stato poi riordinato in maniera rapida  ed energica; è stato ristabilito un alto senso di disciplina nel perso-  nale ferroviário, dei quale ne è stato aumentato anche il rendimento. Particolare importanza ha assunto poi la elettrificazione,  estesa ad importantissimi tronchi ferroviari e che si estenderá  ulteriormente per liberare sempre piú la Nazione dal grave  onere delia importazione dei carbon fossile. Nel campo delle nuove costruzioni ferroviarie bisogna  ricordare la direttissima Roma-Napoli, a doppio binário,  che ha rawicinato notevolmente questa città alia capitale;  la Cuneo-Ventimiglia, la Sacile-Pinzano, e specialmente la  direttissima Bologna-Firenze, a doppio binário, con una galle-  ria scavata, per oltre 18 chilometri, nelle infide argille appenni-  niche, superando difficoltà tecniche giudicate insormontabili  e nella cui costruzione perdettero la vita decine d’operai. Nel complesso sono State aperte airesercizio nuove linee ferro¬  viarie dello Stato e deirindustriaprivata per circa 3000 chilometri. Si può affermare che con Topera di completamento dei tronchi compiuta dal Regime, e con la elettrificazione delle principali linee — di cui recentissima è la Bologna-Roma-Napoli — la rete ferroviária di cui oggi dispone Tltalia è perfettamente  adeguata ai bisogni delia sua economia. LE OPERE MARITTIME. II mare era negletto. II Regime vi ha risospinto gli italiani. La marina mercantile decadeva: il Regime 1 -ha risollevata. Durante questi anni sono scesi nel mare colossi potenti.  I porti si erano impoveriti: il Regime li ha attre^ati e vi ha  creato le zone franche. II lavoro vi era discontinuo per via  degli scioperi: oggi la disciplina delle maestran^e è perfeita.  Al mare, fonte di salute e di vita, il Regime manda ogni anno  centinaia di migliaia di figli dei popolo. La passione degli  Italiani per il mare rifiorisce. Vi riconosce un elemento delia  potenza nazionale.  Cosi il Duce parlava alhassemblea quinquennale dei  Regime. Le opere compiute documentano con quale tenacia il  Governo abbia realiz^ato le basi per un’intensa politica marinara. Le condizioni degli scali marittimi italiani sono  insufficienti. Il Regime ha voluto prowedere rapidamente  ad ampliare e sistemare quelli piü importanti, onde favorire  e richiamare il traffico internasionale, sen^a altresi trascurare  i porti minori. Sono stati costruiti XXVIII chilometri  di opere di difesa, ripartite in 82 porti; la superfície dei bacini  è stata aumentata di 680 ettari. La calate si sono accresciute  di 36 chilometri e la superfície dei terrapieni di 295 ettari. Dalle corrosioni dei mare sono stati difesi circa 17 chilometri di coste. II Consorcio per il porto di Gênova ha completato il bacino  Vittorio Emanuele III, ha ultimato il i° lotto dei bacino Mus-  solini, ha costruito un nuovo bacino di carenaggio largo m. 32,  lungo m. 260.  II porto di Napoli è stato arricchito di un nuovo bacino;  mentre è stato sistemato il porto vecchio A Livorno è stato  costruito un nuovo porto interno; a Cagliari un mo lo lungo  m* 1655; a Catania le nuove opere eseguite hanno aumentate  le calate di m* 550; a Bari, in seguito alia importan^a che hanno  assunto i traffici con TOriente europeo, fu proweduto ad un  grandíssimo lavoro di ampliamento. Grandiosi lavori sono stati  dedicati al porto di Marghera e alio scalo delia stazione marit-  tima di Venezia Sono State rinnovate molte opere d'arte nel  porto di Trieste   II lavoro compiuto è immenso Oggi il nostro Paese gode di  scali marittimi perfettamente adeguati alie necessità dei traffici  ed è anche pronto ad accogliere ogni futuro incremento nel  commercio interna^ionale. LE ACQUE PUBBLICHE   La regolari^a^ione dei corsi d’acqua è Topera pubblica per  eccellensa che, in Italia, acquista unhmportan^a di primissimo  ordine, data la sua particolare configurasione oro-idrografica*  Durante il decennio, per i lavori di sistema^ione delia Valle  dei Po sono stati impiegati oltre 400 milioni di lire, che hanno  permesso di migliorare notevolmente la difesa idraulica di  i milione e 250 mila ettari di uno dei territori piú densamente  popolati e ricchi dei nostro Paese II Magistrato alie acque di Venezia si è pure prodigato in un  complesso di attività tra le quali prendono particolare evidem;a  i lavori di sistemazione dei bacino delbAdige*   Negli altri bacini dei Regno sono stati costruiti circa 4000  chilometri di argini completati da 775 chilometri di pennelli  e difese frontali. Nel settore delia navigazione interna, per quanto il nostro  Paese non presenti condizioni favorevoli per la costituzione  di una vera e própria rete di vie navigabili, il Governo ha voluto  rendere piú efficace quella esistente nella valle padana e nei  grandi laghi. La via d'acqua Milano-Venezia, le ferraresi,  la litoranea veneta sono State oggetto d’importanti lavori.  Anche il canale da Pisa a Livomo e il tronco inferiore dei  Tevere sono stati notevolmente migliorati.   Nel campo delia utilizzazione delle acque pubbliche, il governo ha promosso energicamente la costruzione di grandi  bacini idroelettrici, da servire eventualmente anche all' irrigazione. In tal modo 1 'Italia ha cercato di rimediare alia  naturale povertà di carbon fossile, sovvenendo ai bisogni dei  trasporti e delle industrie.   Nel primo decennio fascista la potenza degli impianti idroelettrici è stata portata da 1,5 milioni di kw. ad oltre 4 milioni; la  produzione di energia è salita da 4 a 10 miliardi di kw-ora.   L'Italia settentrionale concorre alia produzione idroelettrica  con oltre 3 milioni di kw. di potenza installata negli impianti;  esigua è la produzione dell’Italia centrale e  Meridionale; quasi trascurabile quella delle  isole.   L'ultimo decennio ha visto moltiplicarsi nel nostro sistema  alpino e appenninico i serbatoi idraulici che oggi raggiungono  il numero di 168, con una capacità di invaso complessiva di  quasi 1300 milioni di metri cubi.   Alcuni di questi servono anche per 1 'irrigazione.   Tra il centinaio di serbatoi costruiti durante gli ultimi dodici  anmi ricordiamo quello deljMoncenisio, dei Lago di Avio-  grande (Varese), di Ceresole Reale (Aosta), di Montesluga  (Sondrio), di Suviano (Bologna), di Trepido (Cosenza), di  Santa Chiara d'Ula (Cagliari), dell’Alto Belice (Palermo). ACQUEDOTTI  Da XV  secoli Ravenna attende l’acqua Si sono  ricordati in questi giorni i nomi venerati, ma lontani, degli  imperatori romanL Passavano i secoli, si susseguivano le gene-  razioni, cambiavano i governi, le signorie, le dominazioni,  la realtà era sempre lontana dal sogno Solo il FASCISMO puo  fare questo, poichè il FASCISMO è, sopratutto al presente, il  verbo volere  Cosi il duce si pronuncia inaugurando l’acquedotto di Ravenna, consacrato alla memoria  dei caduti, Anche in questo campo di civiltà, di difesa della razza e del  popolo, di assistensa agl’umili, il Regime si è prodigato,  aiutando gl’enti locali con mutui di favore e concorrendo  all’esecuzione delle opere stesse con contributi diretti. Oltre all’acquedotto di Ravenna, or ora ricordato, van menzionati: il grande acquedotto dei Monferrato che dà acqua  a 81 comuni; l’acquedotto Schievenin che serve XX comuni  dell’alto agro trevigiano; l’acquedotto Istriano che approvigiona tutta la província; l’acquedotto Franciosetti per la città  di Torino; quello per la Vai d'Orcia e la Vai di Chiana, di cui  beneficiano 11 comuni; quello di Grosseto; gl’acquedotti  della Lucania, ecc. Sviluppo notevolissimo ha avuto 1'acquedotto pugliese II FASCISMO afffonta decisamente il proseguimento di quel  colossale acquedotto con la costruzione dei grande sifone leccese, delle diramazioni dei foggiano e di altri 1000 chilometri  di condotte esterne e interne agli abitati: è cosi fornita l’acqua ad una popolazione complessiva di circa un milione  di abitanti. La metà delia spesa totale sostenuta dallo STATO ITALIANO per  compiere questa opera, che documenta il grado di civiltà di  un popolo, è stata erogata dal GOVERNO FASCISTA. Al complesso di opere ricordate, miranti a dare acqua pura  alie popolazioni delle città italiane e dei comuni rurali, va  aggiunta anche la costruzione di numerose fognature in oltre  300 centri urbani del paese La breve rassegna che abbiamo fatto sarebbe assai incompleta se non venissero ricordate altre numerose opere civili ed  igieniche compiute dal regime: ospedali, tubercolosari, cimiteri,  lavatoi, costruiti a centinaia, specialmente nell Italia Meri-  dionale e nelle Isole, dove maggiormente difettavano La  Sardegna, che è stata particolarmente trascurata dai governi  precedenti, è stata oggetto di un f intensa attività in questo  campo di opere che riguardano il soddisfacimento dei bisogni  fondamentali delia vita U EDILIZIA   IL GOVERNO FASCISTA, accanto alie nuove opere pubbliche  miranti a dare nuovo impulso alia vita economica del paese, ha promosso una serie di opere per risanare, ampliare, abbellire,  le grandi città seguendo i dettami delia moderna urbanistica  In moltissime città italiane sono stati sVentrati vecchi quartieri, creati nuovi rioni, migliorato il rifornimento idrico e lo  smaltimento dei rifiuti I macelli sono stati moderni^ti, centinaia di mercati pubblici sono stati rinnovati o costruiti di  nuovo I servizi di illuminazione sono stati migliorati. Lo sviluppo dei servizio telefônico costituisce un'altra fondamentale  conquista Parchi e giardini, viali alberati e ville, sono stati  aperti al popolo che lavora Anche in questo campo per motivi di giustizia distributiva L'Italia meridionale ha avuto le maggiori providenze. Ma è stato specialmente nella capitale che la sistemazione  urbanística ha assunto uno sviluppo dawero imponente. La  costruzione delle vie deli' Impero e dei Trionfi, la sistemazione  delle adiacenze dei Campidoglio e dei Fori Imperiali, ed il compimento delle numerose opere per dare nuovo assetto  alia viabilità cittadina e per fornire al popolo stadi e giardini,  sono opere veramente degne delia Roma Imperiale.   A queste Va aggiunta la costruzione dei nuovi palazzi dei  MINISTERO DEI LAVORI PUBBLICI, della giustizia, dell’educazione nazionale, della marina e delle corporazioni, delia città universitária e di numerosi altri edifici pubblici necessari per la vita delia capitale, centro propulsore di tutte le attività delia Nazione. Anche nelle varie provincie 1'edilizia dello Stato ha singolare sviluppo. Ricordiamo i 69 nuovi edifici costruiti per  i corpi armati delia Polizia e delia R. Guardia di Finanza, i  24 nuovi palazzi delle Poste e Telegrafi, i 15 edifici carcerari,  i7 grandiosi gruppi di costruzioni universitarie e altri ancora. Nel complesso si tratta di costruzioni per un volume di oltre 7 milioni di mc. Un particolare posto spetta alia edilizia scolastica. Il nostro paese aveva un numero di scuole insufficiente. Inoltre parte di queste si trovavano in condizioni statiche e di manutenzione dei tutto inadeguate alle esigenze piú elementari delia popolazione scolastica. È quindi naturale che il Re gime, che ha sempre avuto a cuore 1’avenire delia razza  e la preparazione spirituale e fisica degl’italiani, abbia cercato con tutti i mezzi a sua disposizione di dare il piú grande  impulso a questo genere di edilizia. Il ministero dei lavori pubblici, la cui competenza oggi  si estende a tutti gl’edifici scolastici d’Italia, ha costruito oltre  ii*ooo aule* I Comuni si sono pure prodigati in questa opera  che soddisfa ad uno dei primordiali bisogni delia vita civile, sistemando vecchi edifici e prowedendo al risanamento ed  alia ricostruzione di quelli che sono igienicamente inabitabiln   L’Italia Meridionale anche in questo campo ha goduto di  particolari benefici.   Nel settore delle case popolari il Regime ha stanziato 100 milioni a favore di quei comuni e di quegli istituti autonomi  che prendono Tiniziativa per la loro costruzione. II Regime ha  pure proweduto a creare l’lstituto Nazionale per le case degli  Impiegati dello Stato, a emanare particolari  providenze per la costruzione di alloggi da destinare ai muti-  lati e agli invalidi di guerra* Col concorso finanziario dello  Stato sono stati edificati, a cura dei comuni, di istituti speciali  e di cooperative, oltre seimila edifici con cinquantamila appar-  tamenti, dei quali 28*000 di tipo economico e 22*000 di tipo  popolare. II governo dando grande impulso alie nuove costruzioni  non ha dimenticato la ricostruzione dei paesi devastati dalla  guerra e dai terremoti Oggi si può dire che ogni traccia delle devastazioni compiute  durante la conflagrazione europea sia scomparsa. Il regime ha  assolto in tal modo il debito di riconoscenza e di affetto contratto  verso quei compartimenti che furono teatro dei tremendo conflitto,  al quale segui la vittoria che il Fascismo solo ha saputo valorizzare La Calabria e la Sicilia, che purtroppo sono annoverate fra  i paesi piú colpiti dal terremoto, si sono giovate in modo par-  ticolare delle sollecite cure dei governo, il quale autorizzò la  spesa di oltre 500 milioni per la costruzione di case di abita-  zione nei paesi distrutti dal terremoto Nella sola città di Messina vennero edificati circa 1000 alloggi di tipo popola-  rissimo e numerose case economiche popolari con circa 4600   appartamenti Nella città di Reggio Calabria circa iooo alloggi;  nella província oltre 5000*   Gradatamente sorsero interi rioni di nuove case economiche  e popolari: furono preparati rationali piani regolatori; si edifi-  carono chiese, si initiò Fedilitia pubblica. Dopo il trionfale viaggio che il capo del governo compi in Sicilia, l’opera di ricostrutione e notevolmente intensificata. Oggi Messina e Reggio si possono considerare tra le piü moderne città dei nostro paese. Anche i territori delia Marsica, che si distendono nei dintorni d’Avettano, colpiti duramente dal terremoto, sono oggetto di sforzi tecnici e finantiari cospicui da parte del governo fascista. Infatti quando il fascismo raggiunse il potere, la situatione della Marsica era quanto mai desolante. Oggi Avetzano è completamente ricostruita e i centri colpiti hanno ormai rimarginate  le loro dolorose ferrite. La fermetta dei governo fascista e la rationalità dei suoi  sistemi di ricostruzione dei paesi terremotati si dimostra in  occasione dei disastro dei Vulture ed anche in quello delle  Marche. Nelle tristi contingente che colpirono queste belle provincie d'Italia, il governo forni un’assistenza pronta, adeguata, ispirata ad alto senso di umanità. Esso, però, antichè cedere agl’invocationi chiedenti il rapido apprestamento di baracche, che avrebbe portato a ripetere gl’errori tecnici e finanziari in cui si cadde in tempi passati, provide con rara  energia a dirigere l’opera di assistenza ai disastrati, mentre  squadre di operai cominciavano ad innaltare le case in muratura per i sentatetto, Anche in questo settore delia vita nazionale l’opera dei Regime  è stata intensissima e tra le piu proficue. Il duce ha dato anche  a questo aspetto della vita italiana un nuovo volto alla patria. Keywords: l’economia di Aristotele, economia fascista, Sciacca, Evola, diritto economico, stato fascista, economia fascista, corporativismo, ugo spirito.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Fioramonti: l’implicatura” – The Swimming-Pool Library. Lorenzo Fioramonte. Fioramonte.

 

Grice e Fiore: la ragione conversazionale e  l’implicatura conversazionale musicale – scuola di Celico – filosofia celicese – filosofia cosentina – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Celico). Filosofo celicese. Filosofo cosentino. Filosofo calabrese. Filosofo italiano. Celico, Cosenza, Calabria. Grice: “If you are thinking that Fiore is the source for the Cistercians, you are wrong – actually Fiore WAS a Cisctercian until he wasn’t one! Pretty much like St. John’s!” -- da Floris, Italian philosopher, the founder the order of Ciscercian order of San Giovanni in Fiore (vide, Grice, “St. John’s and the Cistercians”). He devoted the rest of his life to meditation and the recording of his prophetic visions. In his major works Liber concordiae Novi ac Veteri Testamenti,: Expositio in Apocalypsim and Psalterium decem chordarum. Da Floris  illustrates the deep meaning of history as he perceived it in his visions. History develops in coexisting patterns of twos and threes. The two testaments represent history as divided in two phases ending in the First and Second Advent, respectively. History progresses also through stages corresponding to the Holy Trinity. The age of the Father is that of the law; the age of the Son is that of grace, ending approximately in 1260; the age of the Spirit will produce a spiritualized church. Some monastic orders like the Franciscans and Dominicans saw themselves as already belonging to this final era of spirituality and interpreted Joachim’s prophecies as suggesting the overthrow of the contemporary ecclesiastical institutions. Some of his views were condemned by the Lateran Council. F.«… E lucemi dallato, il calavrese abate F. di spirito profetico dotato»  (ALIGHIERI (si veda), Paradiso. Filosofo. Morte Pietrafitta, Beatificazione Nuncupato Santuario principale Abbazia Florense Manuale F. è stato un abate, teologo e filosofo italiano. È venerato come beato da parte dei florensi e dei gesuiti bollandisti, anche se non c'è mai stata una beatificazione ufficiale da parte della Chiesa cattolica. Le condizioni economiche della famiglia di F. erano agiate; il padre Mauro, infatti, è tabulario o notaio. In passato si è ritenuto che la famiglia avesse origini ebraiche, forse per spiegare l'atteggiamento benevolo di F. nei confronti dell'Ebraismo. La sua casa natale viene collocata storicamente dove sorge attualmente la chiesa dell'Assunta, edificata sicuramente sul perimetro della casa natale dell'abate F.. Riceve le prime nozioni di educazione scolastica a Cosenza. Ben presto è mandato a lavorare presso l'ufficio del Giustiziere della Calabria. A causa di contrasti insorti sul posto di lavoro, anda a lavorare presso i Tribunali di Cosenza. In seguito il padre riusce a fargli ottenere un posto presso la corte normanna a Palermo, dove lavora prima a diretto contatto con il capo della zecca, poi con i notai Santoro e Pellegrino e infine presso il Cancelliere di Palermo, arcivescovo Perche. Entrato in disaccordo anche coll’arcivescovo, si allontana definitivamente dalla corte reale di Palermo per compiere un viaggio in Terrasanta.  Gl’inizi Forse nel corso di questo viaggio matura un profondo distacco dal mondo materiale per dedicarsi allo studio delle Sacre Scritture. Al ritorno in patria F. si ritira dapprima in una grotta nei pressi di un monastero posto sulle falde del monte Etna, poi tornò con un suo compagno a Guarassano, nei pressi di Cosenza. Qui è riconosciuto e costretto ad incontrare il padre, che lo ha dato per disperso. Al padre confessa di aver smesso di lavorare per il re normanno per servire il Re dei Re -- cioè il Signore Dio nostro. Vive presso l'abbazia di Santa Maria della Sambucina, da cui si allontana per andare a predicare dall'altra parte della valle, vivendo nei pressi del guado Gaudianelli del torrente Surdo, vicino a Rende.  Poiché al tempo la predicazione di un laico non è ben accetta, F. compe un viaggio fino a Catanzaro, dove il vescovo locale lo ordina sacerdote. Durante il tragitto da Rende a Catanzaro si ferma nel monastero di Santa Maria di Corazzo, dove incontra il monaco Greco che lo pose davanti alla parabola dei talenti, rimproverandolo di non mettere a frutto le sue doti. Torna a predicare nuovamente a Rende, con l'abito di sacerdote. Poco tempo dopo vestì l'abito monastico, entrando nel monastero di Santa Maria di Corazzo. Questa abbazia benedettina, guidata dal beato Colombano, aspirava a seguire la regola cistercense.  Secondo le fonti più accreditate, Bonasso venne eletto abate di Santa Maria di Corazzo, ma rinuncia, scappando dapprima nel monastero della Sambucina, poi nel monastero del legno della croce di Acri. F. non ambiva a diventare abate, ma a studiare le Sacre Scritture. Gli uomini più potenti di quel tempo, riunitisi con lui a Sambucina, lo convinsero ad accettare la carica di abate di quel monastero, all'epoca poverissimo. A Corazzo l'abate F. comincia a scrivere la prima delle sue opere, La “Genealogia”, impiegando come suoi scribi frate Giovanni e frate Nicola. In qualità di abate compe un viaggio all'abbazia di Casamari. Durante questo periodo incontra il papa Lucio III, che gli concesse la licentia scribendi. Con l'aiuto degli scribi Giovanni, Nicola e Luca, inizia già a Casamari la stesura delle sue opere principali: la “Concordia tra il vecchio e il nuovo testamento” e l' “Esposizione dell'Apocalisse”. In quello stesso periodo F. interpreta innanzi al papa una profezia ignota, trovata tra le carte del defunto cardinale Angers. Da qui scature l'incoraggiamento del pontefice Lucio III a scrivere le sue opere.  Si reca a Verona, dove incontra il papa Urbano III. Al ritorno si ritira a Pietralata, una località sconosciuta, abbandonando definitivamente la guida dell'abbazia di Corazzo. I suoi monaci non tolleravano il suo girovagare e lo stare sempre distante dall'abbazia e pertanto fanno una petizione per risolvere la questione presso la curia. A seguito di ciò, ottenne l'affiliazione dell'abbazia di Corazzo all'abbazia di Fossanova e il papa Clemente III lo prosciolse dai doveri abbaziali, autorizzandolo a continuare a scrivere.  Pietralata e protomonastero di Fiore Vetere Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Abbazia Florense. A Pietralata, presumibilmente una contrada nei pressi di Marzi-Rogliano, da lui ribattezzata Petra Olei, cominciarono a pervenire molti seguaci. Il primo è Raniero da Ponza, che in seguito è legato apostolico in Francia e Spagna sotto papa Innocenzo III. Pietralata divenne presto un luogo incapace di ospitare la moltitudine di gente che accorre a sentire F. Pertanto F. sale in Sila alla ricerca di un territorio che si puo abitare. Dopo varie perlustrazioni, si ferma nel luogo oggi denominato Jure Vetere Sottano, nel comune di San Giovanni in Fiore. A sei mesi di distanza dalla perlustrazione, abbandona Pietralata e si trasferì con i suoi discepoli in Sila sul luogo prescelto. Pietralata è un luogo avvolto nel mistero e ancora oggi non identificato con sufficienti certezze.  Dopo VI mesi dal trasferimento, il re Guglielmo il Buono muore e gli subentra sul trono normanno Tancredi, già conte di Lecce. Sono proprio i funzionari di Tancredi a contestare a F. l'insediamento in Sila, per cui l'abate dove recarsi a Palermo per discutere con il re. Dopo un complesso confronto tra i due, durante il quale Tancredi propose a F. di trasferirsi presso l'abbazia della Matina allora in stato di grave declino (proposta rifiutata in maniera decisa da F.), gli è concesso di restare in Sila, nel luogo prescelto, facendogli dono di un vasto tenimento posto nelle adiacenze, aggiungendo CCC pecore e XXX some di grano per il sostentamento della comunità religiosa. Da qui in avanti comincia a costruire il protomonastero di Fiore Vetere. Dopo la morte di Tancredi, subentra nel regno Enrico VI, figlio di Federico Barbarossa, il quale concede a F. un vasto tenimento in Sila e privilegi sovrani su tutta la Calabria.  La Congregazione florense Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Ordine florense e Florensi. In questo periodo, dopo il diploma concesso da Enrico VI, F. fonda i monasteri di Bonoligno e Tassitano e acquisce altri monasteri già italo-greci. Forte del patrimonio terriero ed ecclesiale acquisito, F. si reca a Roma ricevendo da papa Celestino III l'approvazione della congregazione florense e dei suoi istituti.  I florensi continuarono a colonizzare il territorio assegnato e, affinché Fiore venisse articolato secondo lo schema della Tav. XII, misero a coltura i territori di Bonolegno e di Faradomus, facendosi aiutare molto probabilmente da gruppi di laici che condividevano il progetto del novus ordo. Pertanto, con le acque del fiume Garga, attraverso il canale cosiddetto badiale, fecondarono dapprima Bonolegno e poi Faradomus. Da qui insorsero delle liti con i monaci greci del monastero dei tre fanciulli, ubicato in prossimità di Caccuri, che contestarono ai florensi l'occupazione di territori che secondo loro detenevano da tempi immemorabili. I poveri florensi furono bastonati, malmenati e gli edifici in costruzione distrutti. Tuttavia l'azione di costruzione dell'insediamento non si ferma, fintanto che l'abate rimane in vita.  F. muore presso Canale di Pietrafitta e fu seppellito nel monastero florense di San Martino di Canale. Il suoi resti sono traslati nell'abbazia di San Giovanni in Fiore quando la grande chiesa era ancora in costruzione. L'abate Matteo Vitari, successore di Gioacchino, continua l'opera ampliando le fondazioni florensi; nel periodo del suo abbaziato, l'ordine florense vantava oltre cento filiazioni, tra abbazie, monasteri e chiese, ognuna dotata di ampi tenimenti-tenute e possedimenti vari, sparsi in Calabria, Puglia, Campania, Lazio, Toscana e rendite che provenivano anche dalle lontane terre di Inghilterra, Galles e Irlanda.  I grandi benefattori dell'abate Gioacchino e dell'Ordine florense La Congregazione florense prima e l'Ordine florense poi ebbero molti benefattori; fra i tanti vale la pena ricordare:  Signore di Oliveti: diede a F. la possibilità di vivere nel ritiro di Pietralata. Tancredi il Normanno: concesse a Gioacchino il Locum Floris, il Tenimentum Silae, 300 pecore e 112,5 quintali di grano annui. Enrico VI di Svevia: concesse a Gioacchino il Tenimentum Floris e tanti privilegi imperiali. Gilberto, vescovo di Cerenzia: concesse il tenimento Montemarco con la relativa abbazia e filiazioni dipendenti. Celestino III: riconobbe la Congregazione florense e i suoi istituti religiosi. Costanza d'Altavilla: ratificò a Gioacchino tutti i beni posseduti dal Monasterio Sancti Johanni de Flore. Umfredo Colino e Simone de Mamistra, Giustiziere Regio della Calabria: concessero a Gioacchino la tenuta di Caput Album (capo Arvo). Ugolino, cardinale prete di S. Lorenzo in Lucina, Legato Apostolico in Sicilia: concesse a Gioacchino la tenuta Albetum in Caput Gratium (Albeto di Capo Crati). Federico II di Svevia: concesse a Gioacchino le tenute Caput Album e Caput Gratis. Andrea, arcivescovo di Cosenza: concesse a Gioacchino la chiesa di San Martino di Jove in Canale (Pietrafitta). Stefano, vescovo di Tropea, Gattegrima e Simone de Mamistra (Giustiziere Regio della Calabria), signori di Fiumefreddo: concessero a Giacchino la chiesa di Santa Domenica, con tutte le sue dipendenze, compreso i tenimenti Flumen Frigidum e Barbaro. Culto  Gioacchino da Fiore con l'aureola, affresco, cattedrale di Santa Severina I seguaci di F., subito dopo la sua morte, raccolsero la biografia, le opere e le testimonianze dei miracoli ottenuti per sua intercessione per proporne la canonizzazione. Questo primo tentativo probabilmente abortì a seguito delle disposizioni del Concilio Lateranense IV, che dichiara eretiche alcune frasi contro Pietro Lombardo contenute in un libello accreditato ingiustamente a F.. Tuttavia la seconda Costituzione Conciliare sull'errore dell'abate Gioacchino dichiarò anche: "Con ciò, però, non vogliamo gettare un'ombra sul monastero di Fiore, in cui lo stesso Gioacchino è stato maestro, poiché ivi l'insegnamento è regolare e la disciplina salutare. Tanto più che lo stesso Gioacchino ci ha inviato tutti i suoi scritti perché fossero approvati o corretti secondo il giudizio della Sede apostolica. Ciò egli fece con una lettera, da lui dettata e sottoscritta di proprio pugno, nella quale egli confessa senza tentennamenti di tenere quella fede che ritiene la chiesa di Roma, madre e maestra, per volontà di Dio, di tutti i fedeli" (Cost. 2).  ALIGHIERI, nella Divina Commedia, inserisce F. nel paradiso, tra la schiera dei beati sapienti, corrispondenti agli odierni dottori della Chiesa, accanto a FIDANZA (si veda), Mauro e AQUINO (si veda). Da ciò si desume il chiaro giudizio di Dante, emesso 110 anni circa dopo la morte dell'abate calabrese.  Un secondo tentativo d'avvio della canonizzazione fu compiuto dall'abate Pietro del monastero florense, che si recò ad Avignone per portare al Sommo Pontefice tutta la documentazione relativa alle grazie e ai miracoli ottenuti tramite l'abate F., sia durante la sua vita sia dopo la sua morte.  È risaputo che i cistercensi venerarono come beato l'abate F., elaborandone perfino l'antifona per il 29 maggio. Si ritiene che ciò sia avvenuto quando i florensi furono fatti confluire nella Congregazione cistercense calabro lucana. I gesuiti bollandisti nel loro calendario liturgico e nel loro messale avevano incluso l'abate Gioacchino come beato, fissando per lui nell'anno due festività celebrative. Il vescovo di Cosenza, Gennaro Sanfelice, denunciò all'Inquisizione i monaci cistercensi di San Giovanni in Fiore poiché tenevano continuamente accesa una lampada sull'altare vicino al sepolcro dell'abate F.. Tale denuncia causò una serie di problemi relativi al culto e alle reliquie.  All'approssimarsi dell'VIII centenario della morte dell'abate Gioacchino, il 25 giugno 2001 l'Arcidiocesi di Cosenza-Bisignano iniziò nuovamente l'iter per la canonizzazione. Ad oggi risulta conclusa la fase diocesana. Postulatore della Causa è stato nominato Gabrieli.  Opere: Dialogi de prescientia Dei F., esortato da papa Lucio III, mise per iscritto la sua originale interpretazione delle Sacre Scritture. Le sue opere principali sono:  Concordia Novi ac Veteris Testamenti Expositio in Apocalypsim Psalterium decem chordarum A queste vanno aggiunte:  Adversus Iudaeos- edizione Adversus Iudeos, Fonti per la storia d'Italia 95, Roma, Istituto storico italiano per il Medio Evo Roma, Apocalypsis Nova De Articulis Fidei - edizione De articulis fidei, Fonti per la storia d'Italia 78, Roma, Tipografia del Senato. De prophetia ignota De Septem Sigillis Dialogi de Praescientia Dei et de praedestinatione electorum - edizione Dialogi de prescientia Dei et predestinatione electorum, Fonti per la storia dell'Italia medievale. Antiquitates, Roma, Istituto storico italiano per il Medio Evo Roma, Enchiridion super Apocalypsim Epistulae Inteligentia super calathis ad abbatem Gaufridum Testamentum Universis Christi fidelibus Exhortatorium Iudeorum Genealogia Liber Figurarum (scoperto da Leone Tondelli) Poemata duo (Visio admirandae historiae, Hymnus de patria coelesti) Prefatio in Apocalypsim Professio fidei Quaestio de Maria Magdalena Sermones Soliloquium Tractatus super quattuor Evangelia - edizione Tractatus super quatuor evangelia, Fonti per la storia d'Italia, Torino, Bottega d'Erasmo. Tractatus in expositionem et regulae beati Benedicti Ultimis Tribulationibus Sono inoltre conosciuti:  Testi apocrifi: Liber contra Lombardum Super Hieremiam Praemissiones e Super Esaiam De oneribus prophetarum Expositio super Sibillas e Merlino Vaticinia de Summis Pontificibus (di dubbia provenienza) Altri manoscritti vari, chiamati Opuscoli. Le intuizioni di Gioacchino da Fiore Secondo Gian Luca Potestà nella sua recensione a Refrigerio dei Santi, Gioacchino da Fiore, "segna comunque una svolta nella coscienza escatologica medievale, in quanto è il primo a rompere il "tabù agostiniano" riguardo ad Apocalisse 20 e ad avanzare, in modo cauto ma netto l'idea che la ligatio Sathane per annos mille vada riferita al tempo imminente di pace terrena, situato fra la prossima venuta dell'Anticristo e le persecuzioni finali di Gog e Magog." Sulla stessa linea si pone Robert E. Lerner che evidenza come il teorema di Sant'Agostino, della suddivisione della storia in tre periodi: Ante legem, sub lege, sub gratia, viene rivisto da Gioacchino che introduce nel dramma il quarto atto: Itaque tempus ante legem, secundum sub lege, tertium sub evangelio, quartum sub spiritali intellectu", dimostrando così la sua straordinaria originalità interpretativa delle Sacre Scritture.  Gioacchino da Fiore tra le tante ebbe tre interessanti e originali intuizioni.  Ha cercato e provato che esistono diverse forme di concordia tra l'Antico e il Nuovo Testamento, il primo indissolubilmente legato al periodo del Padre, il secondo indissolubilmente legato al periodo del Figlio. Da questo concetto, noto come modello "binario della teologia della storia", data la piena proporzionalità da lui riscontrata, intuisce la possibilità di "proiettare con fiducia il corso della storia cristiana oltre l'età apostolica sino al presente, e da qui verso il futuro." (Lerner) Sulla base di questo sistema di concordanza tra i due Testamenti, attraverso lo studio accurato delle Scritture, ritiene di poter scrutare nel futuro, assicurando che i due Testamenti assicuravano le medesime certezze. Dopo di che passa ad interpretare l'Apocalisse, l'ultimo libro del Nuovo Testamento, e anche qui ritrova a suo modo di dire la continuità dell'intera storia della chiesa, passata, presente e futura. Gioacchino ha sempre sostenuto a chiare lettere di essere un interprete ispirato della Scrittura, piuttosto che un profeta, egli, infatti, rifuggì dal rappresentare il tempo finale con parole diverse da quelle direttamente tratte dalla Scrittura. Da questo concetto binario, F. elabora un "modello ternario", connesso strettamente alla santissima Trinità, dimostrandolo con alcuni concetti fondamentali attraverso l'analisi teologico-iconografica delle lettere "ALFA" e "OMEGA". Dallo sviluppo di queste due concezioni basilari F. approdò allo sviluppo dei concetti riferiti alle "tre Età della Storia terrena", sostenendo che se c'era stato il tempo in cui ha operato prevalentemente il Padre e il tempo in cui ha operato prevalentemente il Figlio, allora doveva esserci anche un tempo in cui opererà prevalentemente lo Spirito Santo, che procede da Padre e dal Figlio. La scansione del tempo che l'abate di Fiore elabora si basa sulle tre epoche fondamentali: Età del Padre: corrispondente alle narrazioni dell'Antico Testamento, estesa nel tempo che va da Adamo ad Ozia, re di Giuda; Età del Figlio: rappresentata dal Vangelo e compresa dall'avvento di Gesù; Età dello Spirito Santo: estesa nel tempo che va dal 1260 fino alla fine del "millennio sabbatico", ovvero quel periodo in cui l'umanità attraverso una vita vissuta in un clima di purezza e libertà avrebbe goduto di una maggiore grazia. In questa età, una nuova Chiesa tutta spirituale, tollerante, libera, ecumenica, prende il posto della vecchia Chiesa dogmatica, gerarchica, troppo materiale. L'età dello Spirito ricomprende le età precedenti in un regno dove i conflitti sono pacificati, le guerre eliminate e l'uomo rigenerato dallo svelamento dei misteri e s-secondo alcune interpretazioni- il ricongiungimento di cristiani ed ebrei, fino ad ora divisi dalla parziale illuminazione di Antico e Nuovo Testamento.  Con tale teorema F. estende il tempo della storia, proponendo la dilazione del tempo della salvezza. F. elabora pertanto, prima il modello dell'albero dei due avventi, poi i tre alberi, quello sviluppato nell'età del Padre, quello sviluppato nell'età del Figlio e quello che si svilupperà nell'età dello Spirito Santo. F. crede di vivere nella fase finale di una sesta età, cui ne seguirà una settima e ultima, tutta intrastorica, fatta dell'incremento dei doni dello Spirito fino al compimento del sabato eterno, stagione della pienezza della grazia donata. Nell'età dello Spirito l'etica non ha più il carattere punitivo e rigido dell'età del Padre: il disvelamento è una progressiva apertura verso un Dio benevolente, essenzialmente Amore, in cui si muove da una Padre dell'Antico Testamento, che è giudice/Dio guerriero/padrone dell'uomo e della natura severo-vendicativo e misterioso/trascendente, al Figlio che dona la vita per la salvezza dell'uomo mostrandosi come Amore e Verità, allo Spirito che completa questa dimensione rivelata.  L'inesorabilità della storia, secondo Gioacchino, è data da un ossessionante computo delle generazioni, che a volte valgono un'estensione di tempo a volte no. Con questo meccanismo complesso elabora una sorta di "linea del tempo", che va dalla "Genesi" al "Giudizio Universale". I due capi segnano i confini estremi della storia della salvezza che si sviluppa all'interno di questa linea del tempo. Gioacchino si chiede quanto è lunga questa linea del tempo e a quale punto di questa linea egli si trova, quindi da qui sviluppa una serie di calcoli e combinazioni teologiche del tutto originali. Lerner sostiene che "Nella sua visione, ciò poteva essere conseguito soltanto con lo studio il più approfondito della Scrittura ed egli si sentiva fiducioso che, mediante nuove strategie di lettura, sarebbe stato in grado di portare alla luce messaggi predittivi della Scrittura, che sino ad allora erano rimasti segreti." Tutta la sua attività ha finito per qualificarlo come un ambizioso pensatore cristiano, ricercatore irrefrenabile di parallelismi, allusioni e predizioni. Il filosofo Giraldi sottolinea invece l'aspetto in cui F. parla di età dello spirito riferendosi esplicitamente ad un ordo spiritualis monachorum, una sorta di chiesa privilegiata di monaci - spiriti superiori - in seno alla Chiesa di Cristo, e quindi non una chiesa alternativa.  Nel suo Monasterium delinea una struttura sociale, ovviamente a carattere teologico, ma dove gli umani trovano la loro collocazione non in base al potere o al denaro o alla discendenza, ma in base alle loro tendenze, al loro carattere e al loro stato (persone contemplative, persone attive, persone dedite alla famiglia, anziani e deboli di salute, studiosi etc) e sotto la pacifica guida di un abate. Il Monasterium ipotizza una riforma radicale e una ristrutturazione che mette in crisi l'organizzazione della chiesa che condanna pubblicamente le sue idee e le sue opere nel concilio Lateranense: per l'affermazione di un disvelamento progressivo di Dio in tre epoche che mette in crisi l'idea dell'Unità delle Tre Persone divine, per la teoria di fondo secondo cui la verità non si esaurisce col cristianesimo, ma occorre un altro evento che ripari la storia, permettendo agli uomini di godere di un'età di perfezione.  Monasterium All'interno dei suoi ossessionanti calcoli cronosofici e millenaristi F. elabora anche uno schema di vita religiosa per il tempo futuro, quello dello Spirito, riassunto nella tavola del Liber Figurarum. Esso descrive una congregazione religiosa, raggruppata in un insediamento denominato Monasterium, formata da persone con diversa spiritualità, raggruppate sapientemente in sette oratori[1]:  Oratorio della Santa Madre di Dio e della Santa Gerusalemme: in tale oratorio si trova l'abate Oratorio di San Giovanni Evangelista: dedicato alla vita contemplativa Oratorio di San Pietro: dedicato agli anziani o ai deboli di salute, lavori manuali leggeri Oratorio di San Paolo: dedicato allo studio Oratorio di San Stefano: dedicato a chi ha inclinazione per la vita attiva Oratorio di San Giovanni Battista: per sacerdoti e clerici Oratorio del santo patriarca Abramo: per laici coniugati e le loro famiglie Al Monasterium potevano quindi partecipare laici coniugati e non, clero secolare e conventuale, monaci spirituali. Tutti vivono sotto la guida di un unico abate che presiede l'istituto religioso, disponendo e regolando, per i gruppi e per ognuno, una sorta di scala d'accesso al Paradiso, da conquistare vivendo nella comunità. L'insediamento religioso è strutturato a modello di nuova Gerusalemme terrena con schema somigliante alla Gerusalemme dei cieli. Il Monasterium gioachimita delinea diversi aspetti comportamentali e sociali che rispettati saranno utili a varcare la porta d'accesso alla vita eterna. Il passaggio da un oratorio ad un altro si conquista glorificando il Padre eterno, ognuno per le proprie possibilità e a seconda del grado spirituale concesso ad ogni singolo individuo da Dio. Il progresso spirituale non è precluso a nessuno, per cui tutti possono aspirare ad accedere al Paradiso.  Il modello proposto dal Monasterium rappresentò una rivoluzione per due aspetti:  esso affranca ampi strati della società sia dalla feudalità ecclesiastica sia da quella "baronale"; esso coinvolgeva tutti i modelli religiosi integrando nel Monasterium perfino i laici, che al tempo erano ai margini della vita religiosa e della società civile. Questo modello monastico fu quindi osteggiato anche all'interno della chiesa del XIII secolo.  Diffusione del pensiero gioachimita Concilio Lateranense e prime reazioni La complessa e innovativa teologia della storia generò tensioni, specialmente nella scuola teologica di Parigi, storicamente a lui avversa. Il Concilio Lateranense IV dichiara ERETICHE alcune frasi contro Lombardo di un'opera sulla Trinità falsamente attribuita a F. Da questo equivoco se ne generarono altri, fintantoché lo stesso Papa Innocenzo III con bolla informa il vescovo di Lucca di non infamare l'abate F., giacché l'Abate è considerato dalla Curia Romana un vero Cattolico (eum virum catholicum reputamus). Con parole dello stesso tenore si espresse Papa Onorio III con la Bolla con cui dà mandato all'arcivescovo di Cosenza (Luca Campano) di difendere i Monaci Florensi dalle false accuse rivolte al loro fondatore.  Neo Gioachimiti e il Gioachimismo Lo stesso argomento in dettaglio: Gioachimismo. Nei secoli, il pensiero di F. è stato studiato, divulgato e diffuso. Si possono distinguere due gruppi di studiosi:  i gioachiniani e gioachimiti, che hanno rispettato fedelmente le opere originarie; gli pseudo gioachimiti o gioachimisti, che hanno recepito solo in parte le tesi proposte, spesso aggiungendo teoremi teologici estranei al pensiero originario. Tra i più grandi sostenitori dell'abate calabrese furono certamente i monaci florensi che ne seguirono la dottrina e l'esempio, ma egli suscitò interesse anche presso alcuni monaci cistercensi tra i quali:  Luca Campano: il primo dei seguaci eloquenti, egli fu scriba dell'abate nell'abbazia di Casamari, poi abate della Sambucina e infine Arcivescovo di Cosenza; a lui si ascrive una “vita” di Gioacchino Raniero Da Ponza: monaco vissuto a stretto contatto con F., come “socio”, a Pietralata e a Fiore; egli fu poi nominato da Papa Innocenzo III legato Apostolico in Francia meridionale e Spagna e in quelle terre diffuse la teologia di F., spargendo in quelle terre diversi semi che germineranno nel corso del secolo XIII. l'abate Matteo da Fiore de la Tuscia, che fu il suo primo successore e guidò la Congregazione Florense, finché non fu eletto arcivescovo di Cerenzia. Egli ebbe il merito di far copiare, ricopiare, ovvero duplicare tante volte tutte le opere di Gioacchino per diffonderle nei principali centri religiosi della penisola italiana e in tutta Europa. Se le opere di F. sono giunte fino ai nostri giorni gran merito va all'abate Matteo da Fiore e agli scriba e amanuensi florensi che si adoperarono in questo immane lavoro di copiatura e duplicazione. La teologia di F. grazie a questi tre uomini si diffuse rapidamente, specialmente presso i Francescani spirituali francesi e italiani in vario modo. Tra questi:  Il provenzale Ugo de Digne, Giovanni da Parma, discepolo di Ugo e Gerardo di Borgo San Donnino, discepolo a sua volta di Giovanni da Parma, che si fece promotore del concetto relativo al Vangelo Eterno; scomunicato per eresia, fu condannato al carcere a vita Tra gli altri, si avvicinarono al pensiero di Gioacchino:  Salimbene de Adam da Parma, l'inglese Ruggero Bacone, la suora dell'ordine delle Umiliate Guglielma la Boema, la consorella Maifreda da Pirovano e il teologo laico di questo gruppo milanese Saramita, il francescano francese Pietro di Giovanni Olivi, che influenza Giovanni di Rupescissa e Giovanni di Bassigny. il provenzale Raymond Geoffroi, Ministro generale francescano. Ubertino da Casale, immortalato nelle pagine di Dante, era insieme a Pietro di Giovanni Olivi in Santa Croce a Firenze, il pesarese Clareno, riconosciuto fondatore dei Fraticelli della vita povera, e i seguaci di quest'ultimo, amico di Ubertino da casale. Michele da Cesena e Jacopone da Todi, l'eclettico spagnolo Arnaldo de Villanova, Francesco d'Appignano (Francesco della Marchia), Guglielmo di Ockham, Giovanni di Janduno, Marsilio da Padova, Bernard Délicieux, Gentile da Foligno, priore generale degli agostiniani. Berti da Calci. Papa Celestino V, Cola di Rienzo, il sassone Federico di Brunswick, lo spagnolo Francesc Eiximenis, Nicola di Buldesdorf, SAVONAROLA (si veda). Certo quest'elenco è solo una piccola parte di un numero molto più folto di uomini colti che sono stati influenzati dalla sua teologia.  Nonostante molti francescani spirituali abbiano subito condanne e reclusioni come filo gioachimiti o ritenuti tali, l'influenza di Gioacchino nell'ordine dei fraticelli d'Assisi rimase viva, sia nella prima fase sia nei periodi successivi. La prova più eclatante è la presenza di Gioacchino nell'arte medievale:  Nell'apparato scultoreo e figurativo del Duomo di Assisi, Nella Divina Commedia Gioacchino e le sue idee vengono citate direttamente o indirettamente diverse volte Paradiso, la struttura urbanistica che i francescani dettero alle prime fondazioni americane, quali Puebla de Los Angeles, Veracruz, Los Angeles, ecc. la struttura compositiva elaborata da Michelangelo Buonarroti nella Cappella Sistina, secondo lo studio di Pfeiffer S.J. Anche nella Chiesa cattolica contemporanea, specialmente dopo il Concilio Vaticano II, diversi osservatori individuano il fiorire della ecclesia spiritualis di concezione gioachimita. Secondo l'analisi accurata di Henri-Marie de Lubac, teologo gesuita e poi cardinale, fra questi protagonisti della storia recente influenzati dal gioachimismo abbiamo: papa Giovanni XXIII con la sua invocazione a <<una nuova Pentecoste», contrapponendo lo «spirito» del Concilio alla sua «lettera» e nuova Chiesa «spirituale» al posto di quella vecchia «carnale»; la <<Chiesa dei poveri>> del cardinale Giacomo Lercaro e del suo teologo Dossetti, la corrente intellettuale dominante nel cattolicesimo italiano della seconda metà del secolo XX; Silone su papa Celestino V, «figlio degli Abruzzi e di un cattolicesimo popolare impregnato di gioachimismo»; la "teologia della speranza" del gesuita Michel de Certeau e del protestante Jürgen Moltmann, ispirate dalle concezioni escatologiche di Bloch. Obama fa di F. un punto di riferimento. Nella stesura della sua tesi di laurea, lo cita a più riprese durante la sua campagna elettorale per le presidenziali, che definisce come "maestro della civilta' contemporanea" e "ispiratore di un mondo più giusto", usato non come citazione generica ma con specifico riferimento al moto "change we can", per indicare la necessità di un cambiamento radicale della storia, citando il portabandiera di una società più giusta, e pensando all'apertura di un'epoca straordinaria, in cui lo spirito riusce a cambiare il cuore degli uomini. Centro Studi F. Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Centro Internazionale di Studi Gioachimiti. Il Centro Internazionale Studi Gioachimiti cura l'edizione critica delle opere scritte da F., conservate in diversi codici manoscritti sparsi in diversi luoghi del mondo. Esso opera attraverso un Comitato Scientifico Internazionale e un Comitato Editoriale Internazionale e promuove ogni cinque anni un Congresso Internazionale di Studi a tema, relativo a F. e al F. Gioachimismo. A cadenza annuale stampa la rivista Florensia che contiene studi connessi a Gioacchino e al Gioachimismo.  Causa di Beatificazione e celebrazioni dell'VIII centenario della morte. L’arcivescovo di Cosenza-Bisignano Giuseppe Agostino ha riaperto il processo di canonizzazione. Nello stesso anno il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha istituito il Comitato per le celebrazioni dell'VIII centenario della morte dell'Abate F. per promuovere la conoscenza di F. e del suo pensiero. Il programma fu redatto da Cosimo Damiano Fonseca, Professore di Storia Medioevale all'Università degli Studi di Bari, Accademico dei Lincei e direttore del Comitato scientifico del Centro Studi F. Il comitato che ha agito, ha promosso tre congressi:  il primo itinerante da Roma a San Giovanni in Fiore, passando per Casamari, Fossanova, Anagni, Cosenza, Luzzi e Pietrafitta, il secondo a Bari, il terzo a Palermo. Il Comitato per le Celebrazioni ha anche promosso l'edizione della raccolta dei Codici Gioachimiti F., l'Atlante delle Fondazioni Florensi, un libro sulle vicende dell'Ordine Florense, un altro relativo ai Vaticini, conservati presso la biblioteca del duomo di Monreale. F. e il Carattere Meridiano del Movimento Francescano in Calabria Editor il testo Luca Parisoli  Valente "Chiese conventi confraternite e congreghe di Celico e Minnito" Frama Sud ^ Pasquale Lopetrone, La Domus che dicitur mater omnia, soveria Mannelli, Rubbettino. Il tempo dell'apocalisse, Lopetrone, San Martino di Giove a Canale di Pietrafitta-restauri, San Giovanni in Fiore, Pubblisfera, Gioacchino da Fiore - Manuale di storia della filosofia medievale ^ S. Magister, Riletture. Su F. non tramonta mai il sole, chiesa.espressonline.it, Filmato audio Giraldi, Giraldi: dialogo con De Lubac su Gioacchino Da Fiore, su YouTube, H. De Lubac, Posterità spirituale di Gioacchino da Fiore, II. Da Saint-Simon ai nostri giorni", Jaca Book, Milano, L'eretico obamita-Il profeta democratico si ispira a F,, mistico medioevale Con la sua idea (fraintesa) del paradiso in terra aveva irretito la modernità, su il Foglio, di Mattia Ferraresi USA: DON BAGET BOZZO, INTERESSANTE CHE OBAMA CITI F.-una finezza culturale che vorrei capire meglio, di don Gianni Baget Bozzo, a Adnkronos, Roma. Bibliografia: Gioacchino da Fiore, Sull'Apocalisse, (a cura di Andrea Tagliapietra), Feltrinelli, Milano, F., Introduzione all'Apocalisse, (prefazione di Kurt-Victor Selge, traduzione di Gian Luca Potestà), Viella, Roma, 1996. F., Commento ad una profezia ignota, (a cura di Matthias Kaup, traduzione di Gian Luca Potestà), Viella, Roma. F., Trattato sui quattro vangeli, (a cur. Potestà, traduzione di Letizia Pellegrini), Viella, Roma, 1999. F., Dialoghi sulla prescienza divina e predestinazione degli eletti, (a cura di Gian Luca Potestà), Viella, Roma. F., Il Salterio a dieci corde, (a cura di Troncarelli), Viella, Roma, F., Sermoni, (a cura di Valeria de Fraja), Viella, Roma. F., I sette sigilli/De septem sigillis, (a cura di J.E. Wannenmacher, traduzione di Alfredo Gatto), con un saggio di Tagliapietra, Mimesis, Milano, Studi Antonio Maria Adorisio, La “leggenda” del santo di Fiore / Beati F. abbatis miracula, Vechiarelli, Manziana, Buonaiuti, Gioacchino da Fiore: i tempi, la vita, il messaggio, Collezione meridionale, Roma, Carmelo Ciccia, ALIGHIERI (si veda) e F., in “La sonda”, Roma; poi incluso nel libro dello stesso autore Impressioni e commenti, Virgilio, Milano, Carmelo Ciccia, Dante e F., con postfazione di Ronconi, Pellegrini, Cosenza. Carmelo Ciccia, La santità di F. (Par. XII), in Allegorie e simboli nel Purgatorio e altri studi su Dante, Pellegrini, Cosenza, Carmelo Ciccia, Saggi su Dante e altri scrittori: F...., Pellegrini, Cosenza, Luigi Costanzo, Il profeta calabrese, Direzione della Nuova Antologia, Roma, Crocco, F. e il gioachimismo, Liguori, Napoli, Francesco D'Elia, Gioacchino da Fiore un maestro della civiltà europea- antologia dei testi gioachimiti tradotti e commentati-, Rubbettino, Soveria Mannelli, Valeria de Fraja (a cura di), Atlante delle fondazioni Florensi, vol. II, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, Valeria de Fraja, Oltre Cîteaux. F. e l'ordine florense, Viella, Pietro De Leo, F.: aspetti inediti della vita e delle opere, Rubbettino, Soveria Mannelli, Henri de Lubac, La posterità spirituale di F., Jaca Book, Milano, Foberti, F., Sansoni, Firenze Gabrieli, Una Fiamma che brilla ancora, La Fama sanctitatis dell'Abate Gioacchino, Comet Editor Press, Cosenza, Grundmann, Studien uber Joachim von Floris, Leipzig-Berlin, Herbert Grundmann, Gioacchino da Fiore. Vita e opere, a cura di G. L. Potestà, traduzione di S. Sorrentino, Viella, Pasquale Lopetrone, Monastero di San Giovanni in Fiore-Repertorio del cartulario, S. Giovanni in Fiore, Edizioni Pubblisfera, 1999. 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Cronaca dell’attività ricognitiva in «Florensia», Bollettino del Centro Internazionale Studi Gioachimiti, Pasquale Lopetrone, Il proto monastero florense di Fiore, origine, fondazione, vita, distruzione, ritrovamento, in «Abate Gioacchino» Organo trimestrale per la causa di canonizzazione del Servo di Dio Gioacchino da Fiore, Tipografia grafica cosentina, Cosenza, Pasquale Lopetrone, La «Domus que dicitur mater omnium» - Genesi architettonica del proto Tempio del Monasterium florense, in (a cura di) C. D. Fonseca, D. Rubis, F. Sogliano, Jure Vetere. Ricerche archeologiche nella prima fondazione monastica di Gioacchino da Fiore, Rubettino, Soveria Mannelli, Pasquale Lopetrone (a cura di), Atlante delle fondazioni Florensi, vol. I, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, P. Lopetrone, L’architettura florense delle origini, in AA. VV., F., Librare, S. Giov. in F. Pasquale Lopetrone, La chiesa dell’archicenobio florense di San Giovanni in Fiore- Cronologia, in «Abate Gioacchino» Organo trimestrale per la causa di canonizzazione del Servo di Dio F., Tipografia grafica cosentina, Cosenza, Pasquale Lopetrone, Il modello della Chiesa Florense sangiovannese, in (a cura di) C. D. Fonseca, I Luoghi di Gioacchino da Fiore- Atti del primo Convegno internazionale di studio- Casamari, Fossanova, Carlopoli-Corazzo, Luzzi-Sambucina, Celico, Pietrafitta- Canale, San Giovanni in Fiore, Cosenza, Viella, Roma, Pasquale Lopetrone, Il Cristo fotoforo florense Pubblisfera, F., Pasquale Lopetrone L'effigie dell'abate Gioacchino da Fiore, in VIVARIUM - Rivista di Scienze Teologiche, Pubblisfera, San Giovanni in Fiore (Cs) Pasquale Lopetrone, San Martino di Giove a Canale di Pietrafitta-restauri, Pubblisfera, San Giovanni in Fiore (CS) Pasquale Lopetrone, Le prime fondazioni florensi in D. Dattilo (a cura di), Agger bruttius. Civiltà dell’interno, Ferrari editore, Rossano,  Stella Marega, Un simbolo nella storia. Il contributo alla riscoperta di F. in Sacrum Imperium, in Heliopolis. Culture, civiltà, politica, Marega, F., in Heliopolis. Culture, civiltà, politica, H. W. Pfeiffer, La Sistina Svelata, Libreria Editrice Vaticana, Roma, Piccoli, «L'Abbazia di Corazzo e Gioacchino da Fiore», Calabria Edizioni, Lamezia Terme, Piromalli, Gioacchino da Fiore e Dante, Rubbettino, Soveria Mannelli, Gian Luca Potestà, Il Tempo dell'apocalisse - Vita di Gioacchino da Fiore, Laterza, Bari, Prisco, Nuove scoperte sulle figure, sulle parole e sulle pietre di Gioacchino da Fiore, Pubblisfera Prosperi, Gioacchino da Fiore e le sculture del Duomo di Assisi, Dimensione Grafica Editrice, Marjorie Reeves e Warwick Gould, Gioacchino da Fiore e il mito dell'evangelo eterno nella cultura europea, Viella, Riedl (ed.), A Companion to Joachim of Fiore, Leiden, Brill, Francesco Russo, Bibliografia gioachimita, L. S. Olschki, Firenze, Staglianò, L'abate calabrese: fede cattolica nella Trinità e pensiero teologico della storia in F.; presentazione di Gianfranco Ravasi, postfazione di Piero Coda, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano, Andrea Tagliapietra, Gioacchino da Fiore e la filosofia, il Prato, Saonara, Leone Tondelli, Il libro delle figure dell'abate F. in collaborazione con Marjorie E. Reeves e Beatrice Hirsch-Reich), S.E.I., Torino. Troncarelli, Il ricordo del futuro-Gioacchino da Fiore e il gioachimismo attraverso la storia, Adda Editore, Ordine Florense Abbazia Florense Ernesto Buonaiuti Herbert Grundmann Leone Tondelli Antonio Piromalli Gioachimismo Giovanni apostolo ed evangelista Riforma spirituale medioevale. Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata F., in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. F. Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, F., su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata Raniero Orioli, Gioacchino da Fiore, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Gioacchino da Fiore, su ALCUIN, Università di Ratisbona. Opere di F. / F. (altra versione), su open MLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di F., su Open Library, Internet Archive. Bibliografia su F., su Les Archives de littérature du Moyen Âge. F. Catholic Encyclopedia, Appleton, F. Santi, beati e testimoni, santiebeati.it.Centro Studi F., su centrostudi F. .it. Lettera dal Vaticano Neo-F., su stereo-denken.de. F. e i “duo viri”. Una profezia per immagini, su esplorazioni cosentine  I TEMPI   Il mezzogiorno d'Italia Le condizioni politiche . Normanni . Bizantini. " Musulmani. Svevi ;. “I Pontefici. Le condizioni religiose Tradizioni bizantine. MonachiSmo benedettino . Riforma cisterciense. Gli Ebrei in Calabria. H 4   PLA VITA   La leggenda e la storia. Le fonti canoniche. Luca. Giacomo Greco. La   leggenda ufficiale. Accenni autobiografici. La vocazione monastica. Il monachiSmo del tempo. La conversione profetica. I cronisti britannici. Le opere. Da Casamari a F. IL MESSAGGIO   La profezia gioachimita. Metodo.La conoscenza biblica. L’interpretatazione allegorica. Concordie e analogie.  L’escatologia di F. gioachimita e la teologia economica. La Trinità nella storia. Il passato, il presente,   l’avvenire. L’avvento del terzo stato. La Chiesa carnale, la società spirituale. La scomparsa della Chiesa visibile. La suprema manife¬  stazione dello Spirito. Chiesa di oggi e Chiesa di,  »domani.  IPOTESI «GIOACHIMITE» SUGLI AFFRESCHI DI GIOTTO  NELLA BASILICA DI S. CHIARA IN NAPOLI Archivio Storico per le Province Napoletane, SOCIETÀ NAPOLETANA DI STORIA PATRIA  NAPOLI IPOTESI GIOACHIMITE SUGL’AFFRESCHI DI GIOTTO NELLA BASILICA DI S. CHIARA IN NAPOLI Mais si l'on voit partout des métaphores  que deviendront les faits?   Gustave Flaubert, Bouvard et Pécuchet  Una delle più suggestive ipotesi in ordine alle motivazioni  della costruzione della grandiosa chiesa esterna del monastero di  S. Chiara a Napoli ed al possibile modello della pianta è stata  avanzata, nel 1995, da Caroline Bruzelius Secondo questa tesi  Sancia d'Aragona Maiorca, moglie di re Roberto d'Angiò, avrebbe  fondato la basilica ed il convento doppio di S. Chiara per ospitarvi  i «Francescani spirituali», vale a dire i frati appartenenti ad una  frangia rigorista e pauperista dell'Ordine minoritico, avversata dal  Papato e dalla dirigenza dell'Ordine stesso. I Francescani spirituali  si richiamavano, in particolare, anche alle idee del mistico calabrese F., per sostenere la necessità  di una radicale riforma della Chiesa La basilica di Santa Chiara,  dunque, sarebbe stata «consacrata» intenzionalmente all'ideale  della povertà apostolica 3, così che le idee degli Spirituali avrebbero  costituito, in sostanza, l'unica giustificazione del progetto e la sola Bruzelius, Queen Sancia ofMallorca and the convent church ofS.ta Chiara  in Naples, in «Memoirs of the American Academy in Rome», 40, 1995, pp. 82ss.;  E ad., Le pietre di Napoli. L'architettura religiosa nell'Italia angioina, 1266-1343,  Roma, Viella, 2005, pp. 150-175, edizione integrata rispetto alla precedente inglese  dal titolo The stones of Naples, Church Building in Angevin Italy, London, Yale, ove le ipotesi avanzate nel 1995 vengono riprese, ribadite ed articolatamente argomentate. Si denominavano «spirituali» appunto perché viri spirituales, e cioè eletti  destinati a vivere il terzo stato della storia, quello dello Spirito, così come teorizzato  da F.. Bruzelius, Le pietre, eh.GAGLIONE   chiave di lettura dell'edificio. Esisterebbe, in particolare, un preciso rapporto tra la semplicissima pianta rettangolare della basilica  napoletana ed una delle figurae del Liber figurarum, una raccolta di  schemi miniati utilizzati sia per l'esplicazione delle teorie storico-  teologiche di Gioacchino che per l'esercizio di pratiche contemplative e mistiche. La pianta rettangolare della chiesa napoletana  costituirebbe così, secondo tale tesi, una vera e propria citazione  della figura XVIII del codice del Seminario urbano di Reggio Emi-  lia del Liber 4 . L'area presbiteriale della basilica con il coro dei frati  sarebbe stata, anzitutto, ricalcata sullo spazio simbolico corrispon-  dente nella figura al Tertius status, quello dello Spirito Santo, nel-  l'ambito della settima ed ultima Età della storia del mondo. In  questa stessa Età si sarebbe giunti a quella rigenerazione della  Chiesa 5 che era tanto attesa e propagandata dai Francescani spirituali. L'oratorio delle Clarisse, invece, avrebbe occupato lo spazio  riservato, sempre nel diagramma gioachimita, Poetava aetas, quel-  la ormai metastorica iniziata con la Resurrezione dei morti e carat-  terizzata dalla rivelazione della Gerusalemme celeste e dalla finale  visione della Pace. Tale tesi, pur avendo conseguito un ampio consenso 6, ha susci-  tato altresì rilievi e critiche soprattutto con riguardo agli effettivi  contenuti del filospiritualismo dei due sovrani ed alla verosimi-  glianza storica della pretesa celebrazione monumentale, nella basi- Cfr. L. Tondelli, M. Reeves, B. Hirsch-Reich, Il Libro delle Figure del-  l'abate Gioachino da Fiore, Torino, SEI, 1953, voi. II, tav. XVIIIa.  Bruzelius, Le pietre, Cfr. infatti M. Righetti Tosti Croce, Architettura tra Roma, Napoli e  Avignone nel Trecento, in Roma, Napoli, Avignone. Arte di Curia, Arte di Corte, a cur. Tornei, Torino, SEAT; Musto,  Franciscan Joachimism, at the court of Naples: a new appraisal, in «Archi-  vimi Franciscanum Historicum»; Freigang, Kathedralen  ah Mendikantenkirchen. Zur politischen Ikonographie der Sakralarchitektur unter Karl  L, Karl IL und Robert dem Weisen, in Medien der Macht: Kunst zur Zeit der Anjous in  Italien, Berlin, Reimer, 2001, pp. 51-52; V.M. Mattano, La Basilica angioina di S.  Chiara a Napoli. Apocalittica ed escatologia, Napoli, La Città del Sole; C.  Bozzoni, Recensione a C. Bruzelius, Le pietre di Napoli..., in «Palladio». Analogamente a quanto si sarebbe verificato per S. Chiara a  Napoli, la simbologia gioachimita della Figura delle Età del mondo avrebbe anche  ispirato, direttamente o indirettamente, le piante di alcune chiese francescane della  Calabria a partire da S. Francesco a Gerace, e cfr. M. Albano, L'Abbazia florense di  S. Maria di Fontelaureato a Fiumefreddo Bruzio, in «Arte Medievale»; Spanò, Insediamenti Francescani nella Calabria angioina. Il paradigma Gerace,  Soveria Mannelli, Città Calabria edizioni, 2006, pp. 80ss. IPOTESI «GIOACHIMITE» SUGLI AFFRESCHI DI GIOTTO lica napoletana, della teoria della storia elaborata da F. e  sostenuta dagli Spirituali 7 .   Comunque, altre conferme della tesi della derivazione gioachi-  mita della pianta della chiesa francescana sono state individuate, più  di recente, nell'ambito di una importante e preziosa monografia  dedicata all' attività di Giotto a Napoli 8 . Nel saggio appena menzio-  nato, seguendo la lettura proposta dalla Bruzelius, si sostiene che,  conformemente allo schema della Figura XVIII del Liber, che viene  definita «tavola di concordanza (Concordia) fra i secoli e i tempi,  con i tre stati e le otto età» 9, Giotto e la sua bottega, riferendosi al  Nuovo Testamento, abbiano dipinto alcuni episodi della Vita di  Cristo nelle cappelle della navata sinistra della basilica. In quelle  poste nella navata destra, invece, il Maestro avrebbe realizzato  scene dell'Antico Testamento, ed, in particolare, Storie di Adamo,  Noè, Abramo e Davide e, forse, anche della Creazione, di Giuseppe,  di Mosè, di Sansone e di Salomone. Nelle cappelle di entrambe le  navate queste scene sarebbero state articolate in quattro o, addirit-  tura, in sei riquadri per ciascuna cappella 10 .   E evidente che l'interpretazione della Figura del Liber nei ter-  mini appena esposti viene ad essere principalmente addotta quale  conferma «esterna» della notizia, riferita da Vasari, secondo  la quale Giotto, appena giunto a Napoli da Firenze «dipinse in  alcune capelle del detto monasterio di S. Chiara molte Storie del-  l'Antico Testamento e Nuovo» 11 . Questa stessa notizia è stata in- Per tali critiche si rinvia a M. Gaglione, Qualche ipotesi e molti dubbi su due  fondazioni angioine a Napoli: S. Chiara e S. Croce di Palazzo, in «Campania sacra»; Id., Allusioni gioachimite nella basilica angioina di Santa Chiara a  Napoli?, in «Studi storici; Id., La basilica ed il monastero  doppio di S. Chiara a Napoli in studi recenti, in «Archivio per la Storia delle Donne»,  4, 2007, pp. 127-198.   8 P. Leone de Castris, Giotto a Napoli, Napoli, Electa, 2006, pp. 125ss., il  quale riprende anche osservazioni di Mattano, La Basilica angioina di S. Chiara a  Napoli, cit., pp. 49ss.; pp. 83ss.; pp. HOss.   9 Leone de Castris, Giotto a Napoli, cit., p. 116, fig. 64. Castris, Giotto a Napoli, L'Edizione Giuntina delle Vite (1568) precisa: «Dopo, essendo Giotto  ritornato in Firenze, Ruberto re di Napoli scrisse a Carlo duca di Calavria suo  primogenito, il quale se trovava in Firenze, che per ogni modo gli mandasse Giotto  a Napoli, perciò che, avendo finito di fabricare S. Chiara, monasterio di donne e  chiesa reale, voleva che da lui fusse di nobile pittura adornata. Giotto adunque,  sentendosi da un re tanto lodato e famoso chiamar e, andò più che volentieri a  servirlo, e giunto dipinse in alcune capelle del detto monasterio molte storie del  Vecchio Testamento e Nuovo. E le storie de l'Apocalisse ch'e' fece in una di dette GAGLIONE vece oggetto di ampio dibattito, non essendo mancato infatti chi,  sulla base di varie considerazioni, ha circoscritto l'intervento di  Giotto piuttosto al solo coro delle Clarisse, escludendo che il Maestro abbia potuto operare anche nelle cappelle della chiesa esterna di  S. Chiara 12 . Infine, sempre nell'ambito della citata monografia, si è  sostenuto che la derivazione della pianta della basilica dalla menzio-  nata Figura risulterebbe più che probabile, poiché lo stesso Liber  Figurarum sarebbe stato ben conosciuto alla corte angioina. Infatti,  alcuni testimoni dell'opera e, in particolare, i manoscritti Vaticano  Latino 3822 e 4860, risulterebbero di fattura meridionale proprio  come il codice di Oxford, forse miniato nello scriptorìum di S. Giovanni in Fiore. In particolare, le miniature del ms. Vat. Lat. 4860  rinvierebbero «alla speciosa cultura umbro-cavalliniana maturata a  Napoli» da Lello da Orvieto, Cristoforo Orimina e dall'anonimo Maestro delle Tempere Francescane. Ad  ogni modo, Sancia e Roberto avrebbero potuto conoscere l'opera an-  che in Provenza e nella Francia meridionale, ove si trovarono in di- capelle furono, per quanto si dice, invenzione di Dante, come per avventura furono  anco quelle tanto lodate d'Ascesi delle quali si è di sopra abastanza favellato; e se  ben Dante in questo tempo era morto, potevano averne avuto, come spesso avviene  fra gl'amici, ragionamento». L'Edizione Torrentiniana (1550) invece: «Fu chiamato  a Napoli dal re Ruberto, il quale gli fece fare in Santa Chiara, chiesa reale edificata  da lui, alcune cappelle nelle quali molte storie del Vecchio e Nuovo Testamento si  veggono, dove ancora in una cappella sono molte storie dell'Apocalisse, ordinategli,  per quanto si dice, da Dante, fuoruscito allora di Firenze e condotto in Napoli  anch'egli per le parti», e cfr. l'edizione digitale sinottica curata del Centro di Ricerche  Informatiche per i Beni Culturali della Scuola Normale Superiore di Pisa, biblio . cribecu . sns . it/vas ari/consult azione/V as ari/indice. Cfr. Aceto, Pittori e documenti della Napoli angioina: aggiunte ed espun-  zioni, in «Prospettiva». Per l'esame e la discussione delle diverse  posizioni: Leone de Castris, Giotto a Napoli, che, riguardo agli altri  dipinti realizzati da Giotto a S. Chiara, ritiene che nell'area presbiteriale della chiesa,  alle spalle dell'altare maggiore e del coro dei frati ed in corrispondenza della Croce  della Deposizione affrescata dall'altra parte del muro nel coro delle Clarisse, dovesse  invece essere l'Apocalisse ricordata dallo stesso Vasari. Questo grande affresco era  stato probabilmente eseguito nei due riquadri posti ai lati della quadrifora centrale che  si apre nella parete divisoria tra la chiesa esterna e l'oratorio delle monache. Proprio  sulla stessa parete divisoria, dal lato dell'oratorio, era affrescato appunto il" Compianto  sul Cristo morto e le altre storie cristologiche, tra le quali, verosimilmente, una  Resurrezione ed un Cristo giudice. Infine, tornando alla chiesa esterna, anche il para-  petto delle tribune era affrescato ma con figure di Angeli e di Profeti, mentre le pareti  superiori, probabilmente, non erano dipinte Leone de Castris, Giotto a Napoli, cit., p. 146, figg. 115-116.verse occasioni ed ove, appunto, i diagrammi gioachimiti erano certa-  mente diffusi. E fin qui l'importante contributo sulla presenza e sull'attività  di Giotto a Napoli.   Partendo dall' asserita fattura meridionale dei citati codici Va-  ticani Latini, fattura che costituirebbe un indizio della possibile  circolazione degli stessi a Napoli e presso la corte angioina, occorre  rilevare che l'origine e la datazione di questi manoscritti è partico-  larmente controversa. Mentre il ms. Vat. Lat. 4860 è stato variamente datato tra il secolo XIII e la prima metà del secolo XIV, e lo  si è altresì ritenuto «codice di ambiente benedettino-olivetano pa-  dovano» opera di un miniatore bolognese, il ms. Vat. Lat. 3822 è  stato invece datato piuttosto concordemente alla fine del secolo  XIII, mentre ne è dibattuta l'area di produzione: Parigi o l'area  francese^ l'area genericamente italiana, o più specificamente sici-  liana 14 . E necessario ricordare poi che il ms. Vat. Lat. 4860 non  contiene la Figura delle «Sette età», dalla quale si pretende sia stata  ricavata la pianta di S. Chiara e sia derivato il soggetto degli affre-  schi che sarebbero stati eseguiti da Giotto nella chiesa esterna 15. La  stessa Figura manca poi anche nel ms. Vat. Lat. 3822 16 . La suppo- Quanto al ms. Vat. Lat. 4860, contenente estratti da opere diverse di  Gioacchino, la datazione al secolo XIII è stata sostenuta da Bignami Odier, Hirsch  Reich, Reeves e Daniel, che lo assegnano ad un estensore francescano. La datazione  alla prima metà del secolo XIV, invece, è stata sostenuta da Kaup, Troncarelli e De  Fraja. In particolare, Wessley e Troncarelli parlano di «codice di ambiente bene-  dettino-olivetano padovano» opera di un miniatore bolognese. Quanto all'origine  del ms. Vat. Lat. 3822, contenente anch'esso opere varie di Gioacchino, Troncarelli  propende per Parigi o per l'area francese, mentre Bignami Odier, Hirsch Reich e  Reeves propendono genericamente per l'area italiana, infine, all'area siciliana pensa  Patschovsky, e cfr. M. Rainini, Disegni dei tempi. Il «Liber Figurarum» e la teologia  figurativa di Gioacchino da Fiore, Roma, Viella, Questo codice, infatti, ai ff. 198r-204v, comprende un abbozzo del dia-  gramma delle Rotae di Ez. 1, e dei diagrammi degli alberi delle generazioni discen-  denti, del drago apocalittico, del misterium ecclesiae, dei tre cerchi trinitari, della  dispositio novi ordinis, degli alberi-scala rappresentativi dei tre status e, di nuovo, dei  cerchi trinitari, ed è accompagnato da cinque fogli vuoti che avrebbero potuto  accogliere almeno altre dieci tavole di diagrammi, circostanza questa che conferma  che l'opera non era stata portata a termine, e rende improbabile l'eventuale suppo-  sizione di un testo incompleto perché privato, nel corso del tempo, di alcune delle  tavole originarie, e cfr. Rainini, Disegni dei tempi, II codice, infatti, ai ff . 2v-3r, 4v-5r, 7r-8r, reca i diagrammi delle genera-  zioni ascendenti, del draco magnus et rufus, del tetragrammaton e diverse versioni dei  tre cerchi, e cfr. Rainini, Disegni dei tempi, cit., pp. 272-273. sizione dell'esecuzione delle miniature in ambiente meridionale non  può inoltre implicare necessariamente anche una diffusione del Li-  ber alla corte angioina. Quanto infine alla possibile conoscenza del-  l'opera da parte dei sovrani nel periodo in cui si trovarono in Fran-  cia, si tratta di una mera ipotesi, non suffragata, allo stato, da alcun  indizio o prova.   C'è in realtà da chiedersi se effettivamente la più volte citata  Figura XVIII del codice Reggiano del Liber abbia i contenuti «con-  cordistici» che vi sono stati da ultimo individuati.   Occorre anzitutto premettere che per «concordia», nell'ambito  delle opere e delle teorie di Gioacchino, deve intendersi «la corri-  spondenza simmetrica tra gli avvenimenti narrati nell'Antico Testa-  mento per il popolo di Israele e quelli raccontati e prefigurati nel  Nuovo Testamento... per il nuovo Israele della Chiesa.   La Figura in esame del Liber Figurarum reca, al centro, il già  citato diagramma rettangolare e, ai margini, un testo fittamente  manoscritto. Tale testo, la cui traduzione può leggersi  in appendice a questa nota, è tratto dal libro V della Concordia Novi  ac Veteris Testamenti, opera di F. tradita dal codice Urbinate Latino 8 della Biblioteca Apostolica Vaticana. Più  precisamente è riportato il passo posto tra la I e la II distinctio,  destinato ad essere illustrato da una Figura esplicativa che manca  nel manoscritto Urbinate Latino, e che viene in genere identificata  proprio nella citata tavola XVIII del Liber Figurarum.   Orbene, il libro V della Concordia, dal quale è desunto il com- Rainini, Disegni dei tempi. La più nota definizione gioachimita  della concordia è la seguente. Concordiam proprie dicimus similitudinem eque  proportionis novi ac ueteris testamenti, eque dico quo ad numerum non quo ad  dignitatem; cum uidelicet persona et persona, ordo et ordo, bellum et bellum ex  parilitate quidam mutuis se uultibus intuentur», e, cioè, «chiamiamo propriamente  «concordia» la somiglianza di equa proporzione di Nuovo e Antico Testamento, e  dico equa per quanto riguarda il numero, non per quanto riguardo la dignità: come  se per una certa parità fossero rivolti l'uno di fronte all'altro persona e persona,  ordine e ordine, guerra e guerra», e cfr. ancora Id., ivi, p. 20, p. 33, nota.   18 Tondelli, Reeves, Hirsch-Reich, Il Libro delle Figure, tav. XVIILz, tratta dal codice del Liber conservato presso il Seminario  Vescovile di Reggio Emilia, ms. RI = El. Il codice della Concordia precisa:  «in hac figura declaratur magnum mysterium pertinens quam nimis ad catholicam  fidem, e, precedentemente, «secundum quod ostenditur in presenti figura...».  Quale tavola XVIII£ Tondelli, Reeves ed Hirsch-Reich, pubblicano una variante  semplificata, forse «non finita», della stessa Figura, tratta dal codice del CORPUS CHRISTI (H. P. GRICE) Oxford (ms. 255 A), al f. 5r. Nello stesso codice tuttavia, al f.  8v, il diagramma ricompare in forma omogenea a quella della tavola XVIIIa del Fig. 1 - La figura XVIII del Liber figurarum (da Tondelli, Reeves, Hirsch-Reich).   mento marginale alla nostra Figura, tratta delle storie principali  dell'Antico Testamento. Per esse viene proposta una interpreta-  zione fondata sull'esegesi spirituale, la quale, secondo F.,  avrebbe consentito anche di preconizzare gli avvenimenti storici  futuri. In altre parole, il libro V «è un lungo commentario sui libri  storici del Vecchio Testamento» 19, ed «il suo contenuto è conside-  revolmente diverso» 20 da quello degli altri Libri della Concordia.  Infatti, è piuttosto nei precedenti libri, dal I al IV, che F.  procede effettivamente ad esaminare o a rinvenire i punti di «con-  cordanza» tra le vicende ed i personaggi narrati nell'Antico e nel  Nuovo Testamento. Nell'ambito del Liber Figurarum, nello stesso  codice di Reggio Emilia, poi, le figure concordatarie sono altresì  contenute piuttosto nelle tavole IX e X, e, soprattutto, nelle tavole  III e IV, da esaminare sinotticamente, ed appunto denominate Con-  cordia Veteris Testamenti et Novi. In particolare, in queste due  ultime tavole è tracciato un dettagliato raffronto tra i personaggi e  gli episodi dei due Testamenti, ad esempio tra Adamo ed Azarias,  Abramo e Zaccaria, Isacco o Elia e Giovanni Battista, Giacobbe e  Cristo e cosi via. Proprio per quanto appena rilevato la Figura XVIII  è stata quindi designata come tavola delle «Età del mondo» 22, delle  «Sette età del mondo» ovvero delle «Sette età» 24 .  codice di Reggio Emilia, e cfr. Rainini, Il «Liber Figurarum» nel manoscritto Oxford,  Corpus Christi College, ms. 255 A (=0), in Id., Disegni dei tempi, cit.   19 A. Tagliapietra, Opere principali, in G. da Fiore, Sull'Apocalisse, Milano, Feltrinelli, Daniel, Abbott Joachim of Flore, Liber de Concordia Noui ac  Veteris Testamenti, Philadelphia, The American Philosophical Society, il quale, appunto, osserva: «not only is Book Five longer than the first four  Books together, but its content is considerably different from theirs». Le peculiarità  del libro V rispetto ai precedenti sono precisate dallo stesso Gioacchino: «etenim in  hiis quatuor libris parum agitur secundum spiritum, magis secundum litteram, hoc est  secundum concordiam littere et littere, scilicet duorum testamentorum...oportet nos  in hoc quinto libro de quibusdam gestis sollempnibus que occurrerint spiritualiter  agere ut ex multis testimoniis ostendamus laboriosos rerum fines et post magnos  agones et certamina pacem uictoribus impartiri» (ConcordiaTagliapietra, Opere principali Tondelli, Reeves, Hirsch-Reich, Il Libro delle Figure, A. Crocco, Liber Figurarum, Ms. Reggiano (RI), tav. XVIII (Biblioteca del  Seminario di Reggio Emilia). Le sette età del mondo, in L'Età dello Spirito e la fine  dei tempi in Gioacchino da Fiore e nel Gioachimismo medievale, Atti del II congresso  internazionale di studi gioachimiti, S. Giovanni in Fiore, Centro Internazionale di  Studi F., Rainini, Il «Liber Figurarum», cit., loc. ult. cit. La tavola XVIII del Liber ha infatti, principalmente, lo scopo  di illustrare la teoria escatologica della storia elaborata da Gioac-  chino ed incentrata sul susseguirsi di secula, tempora ed etates in  una prospettiva strettamente trinitaria, che conferisce unitarietà  alla storia stessa. Rifacendosi dunque innegabilmente alla divisione settenaria delle età della storia già teorizzata d’Agostino, F. colloca in modo originale la settima età, quella  cioè del raggiungimento della pax vera, della perfecta iustitia e della  plenìtudo veritatis et libertatis, entro il corso storico, aggiungendo  poi una Octava aetas quale «stadio finale ed eterno della storia  umana». Perciò la figura XVIII del Liber è suddivisa in un fregio  inferiore, rappresentante i sette secula dell'Età del Padre, in un  fregio superiore, che illustra i sette tempora dell'Età del Figlio, e  infine in una parte centrale raffigurante le sette Età del mondo, la  settima delle quali, corrispondente al momento storico in cui vive F. {tempus praesens), sarebbe sfociata nel Tertius sta-  tus dello Spirito Santo, cui, in conclusione, avrebbe fatto seguito,  appunto, Y Octava aetas 26.  Ma passiamo a leggere le brevi iscrizioni che illustrano il dia-  gramma rettangolare centrale della Figura XVIII, riprodotta nella  figura 1 posta a corredo di questa stessa nota. Occorre precisare che  il diagramma deve essere esaminato trasversalmente, nel senso del  lato maggiore del rettangolo, da sinistra a destra e dal basso all'alto,  mentre il testo tratto dalla Concordia e trascritto ai margini risulta  vergato in senso perpendicolare al diagramma stesso. Partendo dunque dal basso, rileviamo nell'ordine, nel fregio  inferiore {secula): primum seculum, Adam genera tiones X, secundum seculum, Noe generationes X, tertium seculum, Abraam generationes  X, quartum seculum, Booz generationes X, quintum seculum, Joiada generationes X, sextum seculum, ]eremia generationes X,  septimum seculum, Zacharia sacerdos, sabbatum, adventus Spiriti Sane ti, septima etas; initiatio primi stati, primum status, secundum status, tertium  status; Tondelli, Reeves, Hirsch-Reich, Il Libro delle Figure, Cfr. Crocco, Liber Figurarum, Ms. Reggiano (RI) GAGLIONE nel fregio centrale (etates): Adam, Noe, Abraam, Davit, transmigratio Babilonie, lohannes  Baptista, presens tempus;   b) all'interno della tromba: clarificatio Filii, clarificatio Spiriti  Sancii;  e) Etas prima, etas secunda, etas tercia, etas quarta, etas quinta,  etas sexta, etas septima;   nel fregio superiore (tempora):  initium Romanorum, Hysaia propheta; initiatio secundi stati, primum tempus, Ozias generationes X,  secundum tempus, Zorobabel, tertium tempus, Christus genera-  tiones X, quartum tempus, generationes X, quintum tempus,  generationes X, sextum tempus, generationes X, septimum tempus; all'estremità destra del diagramma, dopo la linea divisoria:  etas octava, resurrectio mortuorum. Come può agevolmente notarsi, nessuna delle iscrizioni menziona specificamente l'Antico o il Nuovo Testamento; inoltre, per la  maggior parte, i personaggi citati, e cioè Adamo, Noè, Abramo,  Booz, Ioiadà, Geremia, Davide, Ozias, Zorobabele ed Isaia, rien-  trano nell'Antico Testamento e risultano variamente collocati lungo  tutto il diagramma, sia in basso che al centro, oltre che in alto. Solo  Zaccaria, Giovanni Battista e Cristo rientrano nel Nuovo Testa-  mento. Tuttavia, mentre Cristo è indicato nel fregio superiore della  Figura, che, sovrapponendo la stessa alla pianta di S. Chiara, corrisponderebbe alla navata sinistra della basilica guardando l'altare  maggiore, Zaccaria, il sacerdote padre del Battista, è segnato nel  fregio inferiore, dal lato cioè della navata destra della chiesa. Giovanni Battista, infine, è indicato nel fregio centrale, nei pressi della  tuba, della tromba apocalittica. Quindi, le iscrizioni appena riportate, così come il testo marginale della Concordia, non consentono di  affermare che la Figura XVIII abbia prevalentemente contenuti  concordistici, ovvero che la stessa traduca graficamente concordanze  tra personaggi dei due Testamenti, che risultano infatti variamente  posizionati a destra, a sinistra ed al centro del diagramma. Non vi è,  dunque, alcun elemento che possa indurre a sostenere, almeno lette-  ralmente, né la concentrazione dei personaggi del Nuovo Testamento  nel fregio superiore, né quella dei personaggi dell'Antico nel fregio  inferiore, così da poter «giustificare» la collocazione dei cicli pittorici giotteschi corrispondenti, rispettivamente, nella navata sinistra  e nella navata destra della basilica di S. Chiara.   Potrebbe tuttavia sostenersi che la Figura gioachimita abbia  semplicemente costituito una fonte di ispirazione per la scelta del  soggetto dei cicli pittorici da eseguire sulle pareti delle cappelle,  oltre che per l'adozione della pianta dell'edificio, sicché non ci si  dovrebbe aspettare una corrispondenza letterale tra la tavola XVIII  del Liber e l'edificio concretamente realizzato. In altri termini, la  Figura stessa non avrebbe costituito né un programma decorativo,  né un progetto edilizio . Ma a ben vedere, proprio la mancanza di  una tale effettiva corrispondenza, congiuntamente ai seri dubbi  avanzati in ordine alla sua fondatezza storica 28, rende ancor più  fragile l'ipotesi della «matrice gioachimita» della chiesa di S. Chiara  a Napoli. Un collegamento tanto evanescente con la Figura non  consente infatti di dimostrare in maniera convincente che la pianta  ad aula rettangolare della chiesa napoletana, invece di derivare dalle  analoghe, diffusissime piante delle chiese degli Ordini mendicanti,  discenda proprio dal diagramma gioachimita. Risulta inoltre eviden-  temente impossibile dimostrare che i cicli pittorici dell'Antico e del  Nuovo Testamento, realizzati, secondo il referto vasariano, nella  stessa chiesa esterna, invece di derivare dai numerosi cicli tipologici inaugurati dagli affreschi dell'antica basilica di S. Pietro in  Vaticano, discendano piuttosto dalle speculazioni concordistiche  gioachimite. Occorre invece chiedersi se, pur abbandonando la discutibile  ipotesi della valenza della Figura XVIII quale modello o fonte di  ispirazione, sia eventualmente sostenibile, in altro modo, una «giu-  stificazione» gioachimita della scelta del programma decorativo di S.  Chiara, incentrato, come si è detto, sulle Storie dell'Antico e del Leone de Castris, ad esempio, osserva che Mattano, nel suo saggio La  Basilica angioina di S. Chiara a Napoli, cit., sovrappone la Figura XVIII del Liber  alla pianta della chiesa «al contrario» rispetto a quanto ipotizzato dalla Bruzelius,  sicché Vociava etas non viene più a corrispondere al coro delle Clarisse, bensì all'area  del sagrato e del vestibolo della chiesa esterna. Questa lettura è stata respinta dallo  stesso Leone de Castris, perché presuppone non «una ispirazione» ma «una volontà  di corrispondenza piena fra la pianta ed il diagramma» derivante da un improprio  «uso del diagramma come «progetto»». In altre parole, almeno per il programma  architettonico, la Figura gioachimita avrebbe costituito piuttosto una fonte di ispi-  razione che un modello seguito letteralmente dai costruttori, e cfr. Leone de Castris, Giotto a Napoli, nota Cfr. i saggi indicati alla precedente nota Nuovo Testamento. Non di rado, infatti, opere di scultura, di pit-  tura e di architettura sono state interpretate proprio facendo riferi-  mento ad una possibile matrice gioachimita. Ad esempio, il mosaico dell' 'Arbor vitae nell'abside della basilica  di S. Clemente a Roma avrebbe in qualche modo anticipato visivamente l'esegesi gioachimita dell'Apocalisse di San Giovanni e della  Concordia 2, mentre un prezioso codice miniato da una bottega avi-  gnonese agli inizi del secolo XIV avrebbe risentito dell'escatologismo e del «concordismo» gioachimita. Influenze delle opere di F. sono state rinvenute altresì nella pianta e nella struttura  della stessa abbazia madre dell'Ordine florense a F. 31, nelle sculture della facciata del Duomo di S. Rufino 32 ad  Assisi e negli affreschi della basilica di S. Francesco 33 nella stessa  città. Questa tesi viene avanzata, per la verità, in maniera piuttosto vaga da E.R.  Daniel, Joachim of Fiore: Pattems of History in the Apocalypse, in The Apocalypse in  the Middle Ages,  cur. Emmerson e McGinn, London, Cornell; per una lettura teologica ortodossa dei mosaici in  questione cfr. invece Barclay Lloyd, A new look at the mosaics of San Clemente,  in Omnia disce: Medieval studies in memory of Boy le, O.P., a cura di AJ.  Duggan, J. Greatrex, B. Bolton, Ashgate, Aldershot. D'altra parte  gli stessi mosaici vengono correntemente datati intorno a quando F. non era ancora nato o era giovanissimo. Si tratta del codice 55. K. 2 (Rossi) dell'Accademia Nazionale dei Lincei e  Corsiniana di Roma, e cfr. Frugoni, Manzari, Immagini di San Francesco in  uno Speculum humanae salvationis del Trecento, Padova, Editrici Francescane,  Cfr. Cadei, La chiesa figura del mondo, in Storia e Messaggio in Gioac-  chino da Fiore, Atti dell Congresso internazionale di studi F., S. Giovanni in Fiore, Centro Internazionale di Studi F., secondo il quale, l'assetto della chiesa abbaziale di S. Giovanni presenta  peculiarità che consentono di parlare di una tipologia gioachimita per Yicnografia  architettonica. Questi suoi connotati specifici, secondo Cadei, sono derivati dalle  tavole XII, XIII e XV del Liher figurarum. Lo stesso Autore non manca poi di  ricordare, a questo proposito, le divergenti opinioni di Leone Tondelli, secondo il  quale la Figura XII ha piuttosto carattere idealistico ed utopico, non risultando che  in nessuno dei monasteri florensi si sia cercato di realizzare tale modello, e di Edith  Pasztor che, invece, vede nel diagramma la pianta concretissima delle strutture  «urbanistiche» del monastero, e cfr. anche V. De Fraja, Oltre Cìteaux. F. e l'Ordine florense, Roma, Viella, Prosperi, Gioacchino da Fiore e le sculture del Duomo di Assisi, Spello,  Dimensione Grafica, soprattutto sulla base delle tavole delle Praemissiones di  F., tradite dal codice 15 del monastero benedettino di S. Pietro a Perugia. Prosperi, Gioacchino da Fiore e Frate Elia. Dalle sculture simboliche del  ad Con particolare riguardo proprio alla basilica di S. Francesco si  è affermato che il programma iconografico prescelto per la deco-  razione pittorica della chiesa inferiore così come di quella superiore,  nel 1253, avrebbe dovuto, nelle intenzioni dei committenti, illu-  strare l'inserimento dell'Ordine francescano nella storia del mondo  e della salvezza, storia articolata nelle tre grandi fasi della legge,  della grazia e dello spirito teorizzate da F. e  riprese dai Francescani spirituali. Questi ultimi, infatti, identifica-  rono nel proprio il nuovo Ordine monastico preannunciato da  F., individuando in San Francesco Valter Christus, il nuovo  messia, e, nel papa nemico, l'Anticristo. La ricostruzione concordi-  stica della storia operata da Gioacchino da Fiore venne così comple-  tata dai teologi Francescani spirituali in modo tale che «le corrispon-  denze tipologiche in ambito francescano vennero ampliate e intese  non in due ma in tre ricorsi successivi; il Nuovo Testamento è  adempimento della promessa dell'Antico, ma è, a sua volta, pro-  messa che si adempie sulla terra e nella storia, con l'avvento di  Francesco. Tuttavia, la condanna delYlntroductorius ad  Evangelium Aeternum di Gerardo da Borgo San Donnino, opera che  rappresentava la più compiuta espressione delle teorie dei Francescani spirituali, comportò l'interruzione dell'esecuzione del pro-gramma iconografico assisiate. Tracce significative di questo originario apparato decorativo  sono state ad ogni modo rinvenute nelle vetrate a contenuto tipologico 36 delle tre bifore del coro della basilica superiore, realizzate Duomo di Assisi ai primi dipinti della Basilica di San Francesco, Spello, Dimensione  Grafica, Da A. Cadei, Assisi, S. Francesco: l'architettura e la prima fase della decorazione, in Roma. Atti della IV settimana di studi di storia dell'arte medievale  dell'Università di Roma «La Sapienza», a cura di A. M. Romanini, Roma, L'Erma di  Bretschneider, Cadei, Assisi, S. Francesco, è, in particolare, il Maestro di S.  Francesco, negli affreschi della navata della chiesa inferiore, a seguire il parallelismo  tra le Storie della passione di Cristo (Cristo depone gli abiti ai piedi della croce, Cristo  dall'alto della croce affida Maria a Giovanni, Discesa dalla croce, Deposizione, Com-  pianto, Apparizione di Cristo in Emmaus) e le Storie di San Francesco {Francesco  rinuncia ai beni paterni, Innocenzo III sogna Francesco sorreggente la Chiesa di Roma,  Predica alle creature, Francesco riceve le stimmate da un serafino, Morte di San Francesco  e scoperta delle stimmate sul suo corpo). Ad esempio, nella finestra I, designata anche come finestra VII, sono raf-  figurati episodi veterotestamentari quali prefigurazioni dei corrispondenti episodi  della Vita pubblica di Gesù, con i seguenti parallelismi: Davide viene a conoscenza  della morte di Saul, La disputa con i dottori nel Tempio; Giacobbe attraversa il Gior-  entro il 1250 ad opera di maestri tedeschi. L'iconografia delle stesse,  basata sulle corrispondenze tipologiche, avrebbe un sèguito in due  lancette del finestrone del transetto destro che completano il ciclo  dell'abside con le apparizioni post mortem di Cristo e gli antitipi 01  veterotestamentari delle apparizioni angeliche. Il complesso delle  vetrate del coro e del transetto verrebbe in tal modo a costituire  una serie tipologica triangolare, nella quale le Storie della vita di  Cristo farebbero da perno tra gli antitipi veterotestamentari e le  Storie della Genesi, da un lato, le Storie di San Francesco e di San-  t'Antonio^ dall'altro. Anche gli affreschi del transetto destro della  chiesa sarebbero contrassegnati da una impronta gioachimita. Tra  questi, la triade delle teofanie consistenti nella Maiestas, nelY Ascen- dano, Il battesimo di Gesù; Mosè e il Padre Etemo, La Trasfigurazione; La purificazione  del tempio, La cacciata dei mercanti dal tempio; L'ingresso di un re, L'ingresso di Gesù in  Gerusalemme; Abramo lava i piedi degli angeli, La lavanda dei piedi agli Apostoli; Il  banchetto del re Assuero, L'ultima Cena; Elia in preghiera sul monte Oreb, L'Orazione  nell'orto di Getsemani; Joab bacia Amasa, Il bacio di Giuda e la cattura di Cristo. L'interpretazione tipologica comporta l'uso di tipi o modelli che presentano  un'impronta in negativo o antitipo costituita da un'idea, una persona, o un avveni-  mento nell'Antico Testamento che prefigura un'idea, una persona, o un avveni-  mento nel Nuovo Testamento. Un esempio autorevole d'interpretazione tipologica  è offerto dallo stesso Vangelo (Matteo 12, 40): «Come infatti Giona rimase tre  giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell'uomo resterà tre giorni e  tre notti nel cuore della terra», ove, l'episodio veterotestamentario (antitipo) di  Giona e della balena prefigura la morte e la resurrezione di Cristo. Sull'interpreta-  zione figurale o tipologica della Sacra Scrittura, cfr. H. Rondet, Thèmes bibliques,  éxégèse augustinienne, in Augustinus magister. Congrès intemational augustinien, Paris,  21-24 septembre 1954, Paris, Etudes Augustiniennes; M.  Simonetti, Lettura e/o allegoria. Un contributo alla storia dell'esegesi patristica, Roma,  Institutum Patristicum Augustinianum, 1985; H. De Lubac, Esegesi medievale. I  quattro sensi della Scrittura, Milano, Jaca; La terminologia esegetica nell'antichità. Atti del primo seminario di antichità cristiane, Bari, 25  ottobre 1984, Bari, EdiPuglia, 1987, nonché, più in generale, E. Auerbach, Figura,  in Id., Studi su Dante, a cura di D. Della Terza, Milano, Feltrinelli; Dael, Tipologia, estratto dal corso di Storia dell'Arte medioevale tenuto  presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma, unigre.it/ rhetorica%20 biblica/studenti/TBC005/ TIPOLOGIA_-  van%20 Dael.doc; Kessler, Storie  sacre e spazi consacrati: la pittura narrativa nelle chiese medievali tra TV e XII secolo, in  L'arte medievale nel contesto: funzioni, iconografia, tecniche, Milano, Jaca, Cadei, Assisi, S. Francesco, secondo il quale i medaglioni  di San Francesco e di Sant'Antonio attualmente posti nel quadrilobo nella finestra  VII della basilica superiore ai lati del Cristo in gloria, proverrebbero dalle lancette  della quadrifora III posta nel transetto settentrionale della basilica superiore. sione e nella Trasfigurazione, poste nelle lunette di volta e nel tratto  superiore della vetrata centrale, rimanderebbe alla Dispositio novi  ordinis pertinens ad tercium statum ad instar superne Jerusalem ed alla  Rota in medio rotae, contenute nelle Figurae XII e XV del Liber  Figurarum. I sostenitori di questa tesi ammettono peraltro che tali  sottili richiami e reconditi significati ben difficilmente avrebbero  potuto esser colti dal comune visitatore, e che i principali fruitori  sarebbero stati piuttosto i soli Francescani spirituali.   Secondo questa opinione, in conclusione, la sintesi ed il com-  pletamento della teoria gioachimita della storia, operata dai France-  scani spirituali con l'individuazione nell'Ordine minoritico del novus ordo monastico destinato alla guida della società, avrebbe avuto,  quale esito iconografico, proprio l'affiancamento degli episodi della  vita di San Francesco alle tradizionali serie tipologiche vetero e  neotestamentarie in una prospettiva «rivoluzionaria».   Tuttavia, accanto a queste serie tipologiche che sarebbero state  ispirate dalle teorie gioachimite e spirituali, nella stessa basilica  superiore assisiate furono eseguite altre e ben più note scene vetero 40  e neotestamentarie, poste ancora una volta in collegamento con  ventotto episodi della Vita di San Francesco 42, benché in una pro- [Cadei, Assisi, S. Francesco, ricorda infatti che, secondo lo  Schòne, si sarebbe trattato di un ciclo iconografico riservato ai soli Francescani  spirituali e che perciò era limitato al loro coro non accessibile al pubblico, circo-  stanza questa che ne favorì anche la successiva conservazione nonostante il muta-  mento del programma decorativo.  II ciclo dell'Antico Testamento, realizzato sulla parete nord, si compone di  sedici episodi e comincia con le Storie della Creazione nel registro superiore: Crea-  zione del mondo, Creazione di Adamo, Creazione di Eva, Peccato originale, La cacciata  dal Paradiso terrestre, Il lavoro dei progenitori, Il sacrificio di Caino ed Abele, Caino  uccide Abele proseguendo, nel registro inferiore, con episodi della vita dei quattro  patriarchi biblici Noè, Abramo, Giacobbe e Giuseppe: La costruzione dell'arca,  L'ingresso di Noè e degli animali nell'arca, Il sacrificio di Isacco, La visita degli angeli  ad Abramo, Isacco benedice Giacobbe, Esaù davanti ad Isacco, Giuseppe calato nel  pozzo dai fratelli, Giuseppe si fa riconoscere dai fratelli in Egitto. II ciclo del Nuovo Testamento, collocato sulla parete sud, si compone di  sedici episodi e comincia con le Storie dell'infanzia di Cristo nel registro superiore:  Annunciazione, Visitazione, Natività, Adorazione dei Magi, Presentazione di Gesù al  tempio, Fuga in Egitto, Disputa nel tempio, Battesimo di Gesù. Nel registro inferiore,  invece, sono collocati gli episodi della Vita pubblica e della Passione di Cristo: Le  nozze di Cana, La resurrezione di Lazzaro, La cattura di Cristo nell'orto, Cristo davanti a  Pilato, La salita al Calvario, La Crocifissione, Il Compianto sul Cristo morto, Le pie  donne al sepolcro. A partire dalla parete destra dal lato dell'altare: San Francesco riceve l'omag-  gio dell'uomo semplice, Il Santo dona Usuo mantello al povero, Sogno del palazzo colmo  spettiva più moderata, ispirata questa volta alla Vita ufficiale del  Santo, la Legenda maior redatta da San Bonaventura. Proprio Bo-  naventura ed, in seguito, il probabile committente degli affreschi, il  cardinale francescano Matteo d'Acquasparta, si erano infatti oppo-  sti agli Spirituali rigoristi ed alla teoria da loro sostenuta secondo la  quale con l'avvento dell'Età dello Spirito si sarebbe pervenuti ad  uno scardinamento dell'ordine costituito già sulla terra e nella sto-  ria. L'Autore della Legenda, invece, ribaltò proprio la prospettiva di  un radicale mutamento «nella storia», sostenendo che i tempi nuovi  si sarebbero dispiegati su di un piano esclusivamente ultraterreno,  privo quindi di pericolose ricadute politiche. Ritornando dunque agli affreschi dell'Antico e del Nuovo Testamento che Giotto avrebbe eseguiti nella chiesa esterna di S.  Chiara, non risultano notizie, di fonte letteraria o documentaria,  dell'esistenza anche di un ciclo della Vita di San Francesco che  avrebbe potuto far pensare ad una consapevole imitazione del mo-  dello assisiate nella versione spirituale o piuttosto in quella bona-  venturiana. D'altra parte, al tempo della esecuzione degli affreschi  nella grande chiesa napoletana erano trascorsi decenni dai movimen-  tati inizi della decorazione della basilica di Assisi, vero e proprio  palinsesto iconografico della storia dell'Ordine. Inoltre, il contrasto  tra il papato e la dirigenza dello stesso Ordine minoritico, da un  lato, ed i dissidenti Spirituali dall'altro era giunto ormai, con papa di armi, Cristo appare al Santo in S. Damiano, Rinunzia alle vesti, Sogno di Innocenzo  III, Innocenzo III approva la Regola, Il Santo sul carro di fuoco, Frate Leone vede il  trono celeste destinato a San Francesco, Cacciata dei demoni da Arezzo, La prova del  fuoco, L'estasi di San Francesco, Il presepe di Greccio, Miracolo della fonte, Predica agli  uccelli, Morte del signore di Celano, La predica davanti ad Onorio III, San Francesco  appare ai frati riuniti in capitolo ad Arles, Stimmate, Morte e funerali, San Francesco  appare al vescovo di Assisi e a frate Agostino, Il patrizio Girolamo si accerta delle  stimmate, Le Clarisse di S. Damiano piangono il Santo, Canonizzazione, San Francesco  appare a Gregorio IX, Guarigione del gentiluomo di llerda, Resurrezione della gentil-  donna, Liberazione di Pietro d'Alife. Le posizioni di San Bonaventura vennero riprese dal cardinale Matteo  d'Acquasparta in tre suoi sermoni. Il cardinale, generale dell'Ordine dal 1287 al  1289, fu probabilmente l'ideatore del programma iconografico della navata della  basilica superiore e contrastò decisamente gli Spirituali guidati da Ubertino da  Casale. I tìtuli illustranti gli episodi della Leggenda francescana sono tratti dalla  Legenda maior, e cfr. E. Lunghi, San Francesco ad Assisi, Firenze, Passigli. Per l'ispirazione alla Legenda major, cfr. G. Ruf, Francesco e Bonaventura.  Un'interpretazione storico-salvifica degli affreschi della navata nella chiesa superiore di  San Francesco in Assisi alla luce della teologia di San Bonaventura, Assisi, Casa Francescana, e Cadei, Assisi, S. Francesco. Giovanni XXII, ad una persecuzione sistematica dei secondi, e,  come si è visto, al prevalere di posizioni moderate, circostanza que-  sta che sembra deporre contro la possibilità di citazioni iconografi-  che eccessivamente «eversive». Infine, l'assoluta impossibilità di ricostruire i contenuti ed i  soggetti delle scene vetero e neotestamentarie eventualmente realiz-  zate nella chiesa esterna di S. Chiara a Napoli non consente neppure  di accertare una eventuale, effettiva influenza sulle stesse di quella  più precisa ed articolata corrispondenza tra fatti, persone, figure e  adempimenti dei due Testamenti, che, secondo alcuni, sarebbe co-  munque derivata proprio dalla diffusione delle teorie di Gioacchino  tradotte poi in immagini La spiegazione della scelta delle scene dell'Antico e del Nuovo  Testamento per la decorazione di S. Chiara, a questo punto, può  essere piuttosto individuata proprio nella volontà di seguire il tradizionale filone tipologico, significativamente rinvenibile nello  stesso repertorio di Giotto. Il modello più prestigioso di tale filone era costituito dalla serie  degli affreschi dell'antica basilica di S. Pietro in Vaticano. Le pareti Nell'antico refettorio dei Frati minori, oggi chiesa esterna del monastero  delle Clarisse, è posto l'affresco della Mensa del Signore, attribuito al Maestro di  Giovanni Barrile, la cui particolare iconografia sarebbe servita a celebrare i valori della povertà  e dell'umiltà, testimoniando così il particolare favore dei sovrani angioini per questi  ideali strenuamente propugnati dai Francescani spirituali, favore «ufficializzato» dal  contorno araldico dell'affresco, e cfr. F. Bologna, I pittori alla corte angioina di  Napoli, Roma, U. Bozzi; Leone de Castris, Giotto  a Napoli. Una lettura più articolata è stata  recentemente suggerita da C. Frugoni, Una solitudine abitata. Chiara d'Assisi,  Roma-Bari, Editori Laterza: nel nostro affresco, Cristo è posto  su di una montagna circondato dagli apostoli. In basso, San Pietro distribuisce il  pane alla folla in ascolto attingendo a cesti stracolmi. In primo piano sono inginoc-  chiati San Francesco, con la bisaccia della questua, e Santa Chiara, in orazione. Il  dettaglio della montagna rimanda al Vangelo di Giovanni (6, 3-15), ove al miracolo  della moltiplicazione segue il discorso del Cristo che si presenta alla folla come «il  vero pane sceso dal cielo». V Agnus Dei, ripetuto quattro volte alle estremità, co-  stituisce un ulteriore richiamo all'eucaristia. Sembrerebbe in tal modo prevalere  proprio il riferimento eucaristico ricorrente, peraltro, nella dedicazione ufficiale  della chiesa esterna all'Ostia santa, sicché, i frati riuniti nel refettorio per il frugale  pranzo garantito dalla carità di Dio, nel consumare il cibo del corpo, non avrebbero  dimenticato la necessità di nutrirsi di quello dell'anima, ben più prezioso del pane.  Gli eventuali, ma labili, accenni spirituali erano, in tal caso, riservati ai soli frati  essendo il refettorio inaccessibile, di regola, ai laici.   45 Cadei, Assisi, S. Francesco. della navata centrale erano infatti decorate con Storte dell'Antico e  del Nuovo Testamento, eseguite durante il pontificato di papa Leone  I, distrutte nel corso dei lavori di costruzione del nuovo S. Pietro, ma fortunatamente descritte da Grimaldi e documentate dagli acquerelli di Domenico Tasselli da  Lugo. Le scene dell'Antico Testamento, tratte soprattutto dalla Genesi e dall'Esodo, erano dipinte sulla parete destra, mentre sulla  parete sinistra si svolgeva un ciclo illustrante la Vita e la Passione  di Cristo. Questi affreschi costituirono: «il prototipo fondamentale  per le successive decorazioni con scene vetero e neotestamentarie  che da Roma si diffusero in tutta Italia e in gran parte d'Europa... la  prima e più completa esposizione per immagini dei principali episodi  biblici ed evangelici a livello di pittura monumentale. Un folto  gruppo di affreschi tipologici derivò direttamente da quelli di S.  Pietro, come nel caso delle decorazioni musive dell'atrio della basi-  lica abbaziale cassinense volute da Desiderio, dalle quali derivarono  ulteriormente le storie testamentarie di S. Angelo in Formis, nonché  degli affreschi di S. Pietro a Ferentillo, di S. Maria Immacolata di  Ceri, di S. Giovanni a Porta Latina, di S. Maria in Monte Domi-  nico a Marcellina, di S. Nicola a Castro dei Volsci, della cappella di  S. Tommaso nel duomo di Anagni, dell'Annunziata a Cori, ed anche [Cfr. A. Tomei, La basilica dalla tarda antichità al secolo XV, in La basilica di  San Pietro a Roma, a cura di C. Pietrangelo Firenze, Cantini, nonché H.  Kessler, «Caput et speculum omnium ecclesiarum»: old St. Peter s and church deco-  ration in medieval Latium, in Italian church decoration of the Middle Ages and early  Renaissance: functions, forms and regional traditions, a cura di W. Tronzo, Bologna,  Nuova Alfa. II ciclo pittorico veterotestamentario comprende diciotto scene, mentre  quello neotestamentario ne comprende ventinove conteggiando separatamente V Ul-  tima cena e la Lavanda dei piedi, e fu realizzato da tre o quattro pittori. Nulla ha dunque a che vedere con questi affreschi la presenza  nella chiesa di quindici fratres paupertatis attestata dal Catalogo delle chiese di Roma  (Biblioteca Nazionale di Torino, Cod.), e da alcune  lettere di Angelo Clareno del 1313, e cfr. Angelo Clareno, Opera, I, Epistole, a  cura di L. von Auw, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo. Più in generale, sostengono un collegamento tra gli  Spirituali napoletani e quelli romani, ed anzi una vera e propria influenza del  filospiritualismo di Sancia sulla politica di Cola di Rienzo: A. Collins, Greater  than Emperor. Cola di Rienzo and the world of Fourteenth Century  Rome, Ann Arbor, The University of Michigan Press.; Musto, Apocalypse in Rome. Cola di Rienzo and thepolitics ofthe new age, Berkeley,  Los Angeles, New York, The University of California] dei restauri cavalliniani degli affreschi di S. Paolo 48 e del ciclo di  Vescovio. Gli stessi affreschi vetero e neotestamentari della basilica  superiore di Assisi derivano dalle serie tipologiche di S. Pietro. Si  tratta certamente di cicli piuttosto complessi: così a S. Pietro gli  episodi veterotestamentari erano quarantasei, a S. Paolo trentotto, a  Ceri venticinque, e ad Assisi sedici 49 . Questo modello iconografico  fu ripreso ben presto in tutta Europa, come conferma anche una  notizia offertaci da Beda il Venerabile relativamente  all'importazione da Roma all'abbazia di S. Pietro a Wearmouth di  tavole dipinte di contenuto tipologico. Dal dodicesimo secolo in  poi i cicli tipologici risultano sempre più elaborati, come dimostra la  pala d'altare di Klosterneuburg, costituita da placche di bronzo  smaltato champlevè, completata da Nicola de Verdun  Su questo ciclo cfr. S. Romano, II cantiere di San Paolo fuori le mura: il  contatto con i prototipi, in Medioevo: i modelli. Atti del convegno internazionale di studi  Parma cur. Quintavalle, Parma-Milano,  Università di Parma-Mondadori Electa, Cfr. Romano, La morte di Francesco: fonti francescane e storia dell'Ordine  nella basilica di S. Francesco d'Assisi, in «Zeitschrift fur Kunstgeschichte», ed E ad., La basilica di San Francesco ad Assisi. Pittori, botteghe, strategie  narrative, Roma, Viella, Constituto ilio abbate Benedictus monasterio beati Petri apostoli, consti-  tuto et Ceolfrido monasterio beati Pauli, non multo post temporis spatio quinta vice  de Brittannia Romam adcurrens, innumeris sicut semper aecclesiasticorum donis  commodorum locupletatus rediit; magna quidem copia voluminum sacrorum; sed  non minori, sicut et prius, sanctarum imaginum munere ditatus. Nam et tunc do-  minicae historiae picturas quibus totam beatae Dei genetricis, quam in monasterio  maiore fecerat, aecclesiam in gyro coronaret, adtulit; imagines quoque ad ornandum  monasterium aecclesiamque beati Pauli apostoli de concordia Veteris et Novi Te-  stamenti summa ratione conpositas exibuit; verbi gratia, Isaac Ugna, quibus inmo-  laretur portantem, et Dominum crucem in qua pateretur aeque portantem, proxima  super invicem regione, pictura coniunxit. Item serpenti in heremo a Moyse exaitato,  filium hominis in cruce exaltatum conparavit» e cfr. Beda, Vita quinque sanctorum  abbatum, IBiblioteca Augustana (Bibliotbeca latina,  Latinitas medievalis) a cur Harsch (Fachhochschule Augsburg) basata su Venerabilis Baedae Opera Historica, ed. Plummer, Oxonii, E typographeo  Clarendoniano, fh-augsburg.de/~ Harsch/ Chronologia/ Lspost08/ Bede/bed quin.html. In alto nella pala sono poste diverse scene veterotestamentarie accadute  prima della legge {ante legem), al centro sono le corrispondenti scene neotestamen-  tarie (sub gratia), ed in basso le corrispondenti scene veterotestamentarie sotto la  legge (sub lege). Ad esempio: le scene del Passaggio del Mar Rosso, del Battesimo di  Cristo e del «mare di bronzo» del tempio vanno considerate in corrispondenza; così  pure l'episodio di Giuseppe che viene messo nella cisterna, la deposizione di Cristo  nel sepolcro e Giona nel ventre del pesce, e così via, cfr. H. Buschhausen, The Vennero redatti, inoltre, veri e proprio manuali proprio allo  scopo di indicare al pittore o allo scultore i collegamenti tipologici  tra gli episodi testamentari. Tra questi si ricorda il Victor in Car-  mine 52, opera di un anonimo monaco cistercense inglese del XII  secolo, il quale, pur essendo contrario alla decorazione figurata delle  chiese, riteneva tuttavia ammissibili almeno le rappresentazioni tipologiche poiché potevano fungere da efficaci libri laicorum. Ma,  certamente, la fonte primaria fu costituita dalla Glossa ordinaria di  Walafrido Strabone completata da Niccolò di Lira,  vera e propria sintesi dell'esegesi tipologica dei Padri della chiesa. Orbene, proprio i temi tipologici rientravano certamente anche  nel repertorio di Giotto. Oltre alla discussa partecipazione del Mae-  stro all'esecuzione di alcuni episodi dell'Antico e del Nuovo Testa-  mento nella basilica di S. Francesco ad Assisi, sappiamo, soprat-  tutto dalle Vite del Vasari, che Giotto eseguì Storie dei due Testa-  menti nella basilica di S. Pietro a Roma, nella cappella palatina del  Castelnuovo 56 a Napoli, e storie del solo Nuovo Testamento nella  SS. Annunziata a Gaeta. D'altro canto, la biografia dello stesso  Klosterneuburg Aitar of Nicholas of Verdun: Art, Theology and Politics, in «Journal of  the Warburg and Courtauld Institutes», Victor in Carmine. Ein Handbuch der Typologie Nach  der Handschrift des Corpus Christi College, Cambridge, a cur. Wirth, Berlin, Mann, Male, Le origini del gotico. L'iconografia medioevale e le sue fonti, Mi-  lano, Jaca, Bellosi, Giotto e la Basilica Superiore di Assisi, in Giotto. Bilancio critico  di sessantanni di studi e ricerche, Firenze, Giunti; Zanardi,  Giotto e Cavallini. La questione di Assisi e il cantiere medievale della pittura a  fresco, Milano, Skira; T. De Wisselow, The date of the St. Francis cycle in the  upper Church of S. Francesco at Assisi: the evidence of copies and considerations of  method, in The art of the Franciscan Order in Italy, a cura Cook, Leiden-  Boston, Brill.  Scrive infatti Vasari: «il papa avendo vedute queste opere e piacendogli la  maniera di Giotto infinitamente, ordinò che facesse intorno intorno a San Pietro  Istorie del Testamento Vecchio e Nuovo: onde cominciando fece Giotto a fresco  l'Angelo di sette braccia che è sopra l'organo; e molte altre pitture, delle quali parte  sono state da altri restaurate a dì nostri e parte nel rifondare le mura nuove, o state  disfatte», e cfr. anche A. Tomei, Giotto a Roma intorno al primo Giubileo, in La  storia dei Giubilei, a cur. Fossi, Roma, BNL, Questi affreschi furono ed andarono  purtroppo distrutti durante il regno di Ferrante d'Aragona, e cfr. Leone  de Castris, Giotto a Napoli, cit., pp. 168ss.   57 Scrive Vasari: «partito Giotto da Napoli per andare a Roma, si fermò a  Gaeta, dove gli fu forza, nella Nunziata, far di pittura alcune storie del Testamento Giotto lascia davvero poco spazio ai sospetti di spiritualismo I  suoi committenti e protettori erano strettamente legati alla corte  pontificia, come quel fra Mincio da Morrovalle, ministro  generale dell'Ordine minoritico, che lo chiamò ad Assisi o il cardinale Jacopo Stefaneschi. Il Maestro, che aveva organizzato in ma-  niera imprenditoriale la propria bottega, non disdegnava inoltre di  prestare danaro e di acquistare terreni per investimento, ben lon-  tano da scrupoli pauperistici 59 . A Giotto, anzi, viene tradizionalmente attribuita la canzone Molti son que che lodan povertade, che  contiene una vera e propria invettiva contro la povertà, ritenuta  istigatrice di delinquenza, causa di sovversione sociale e di ipo-  crisia 60 .   Ritornando a S. Chiara, in realtà, i frammenti di affresco a  contenuto narrativo più sicuramente riconducibili a Giotto ed alla  sua bottega sono quelli conservati nel coro o oratorio interno delle  monache. Sulla parete che divide appunto l'oratorio dalla chiesa  esterna può osservarsi ciò che resta di un Compianto sul Cristo depo-  sto, che lascia ipotizzare, pur in mancanza di più precise evidenze,  che l'intera parete fosse affrescata con scene della Vita di Cristo,  forse principalmente episodi della Passione, secondo quanto realiz-  zato nei cori di altri monasteri delle Clarisse. In particolare, nel coro  di S. Pietro in Vineis ad Anagni 61, qualche tempo dopo la canonizza- Nuovo, oggi guaste dal tempo, ma non però in modo che non vi si veggia benissimo il  ritratto d'esso Giotto appresso a un Crucifisso grande molto bello», per la citazione  cfr. la precedente nota 11. Lo ammette lo stesso Leone de Castris, Giotto a Napoli.  Cfr. F. Antal, La pittura fiorentina e Usuo ambiente sociale nel Trecento e nel  primo Quattrocento, Torino, Einaudi. Giotto affittava telai ai tessitori  meno abbienti realizzando profitti del 120%. Alcuni documenti attestano il suo  ruolo di garante di prestiti e, nel 1314, risulta assistito da ben sei avvocati in atti  contro debitori morosi o insolventi.   60 Tra l'altro il componimento precisa: «Di quella povertà ch'è contro a voglia/  Non è da dubitar ch'è tutta ria,/ Che di peccar è via, / Facendo ispesso a giudici far  fallo;/ E d'onor donne e damigelle spoglia;/ E fa far furto, forza e villania; /E ispesso  usar bugia/ E ciascun priva di onorato istallo». La canzone fu estratta dal codice 47  pluteo 90 laurenziano, ragguagliata sul codice riccardiano e pubblicata da F.  Trucchi, Poesie italiane inedite di dugento autori: dall'origine della lingua infino al  secolo decimosettimo, Prato, Ranieri Guasti. Cfr. M. Rak, Vedere, ricordare, raccontare. Immagine e racconto in un appa-  rato pittorico dottrinale di una comunità femminile pauperista nel tardo medioevo, in II  collegio Principe di Piemonte e la chiesa di S. Pietro in vineis in Anagni, a cura di M.  Rak, Roma, INPDAP, nonché S. Romano, Gli affreschi di San  Pietro in vineis, ibidem, pp. 105ss. e C. Jaggi, Frauenklóster im Spàtmittelalter. Die      zione di Chiara avvenuta nella cattedrale di quella città, ove fu  conservata la relativa bolla pontificia, e,  comunque, entro il 1263, vennero appunto dipinte le Storie della  Passione di Cristo. Questo notevole ciclo si articola negli episodi  dell'Ingresso in Gerusalemme, Ultima cena e lavanda dei piedi, Cattura  e flagellazione di Cristo, Deposizione e discesa al limbo, Noli me tangere  e missione degli Apostoli, Giudizio universale, che dovevano servire  anzitutto come «strumento di memoria» nei momenti più solenni  della liturgia. All'atto della recita sottovoce {in secreto) della preghiera eucaristica {canon missae) nel corso della messa, quelle stesse  scene consentivano alle Clarisse di ripercorrere, anche visivamente,  la storia della redenzione fino alla morte ed alla resurrezione del  Salvatore. Le sofferenze di Cristo, rappresentate in maniera reali-  stica e cruenta, offrivano dunque alle Clarisse occasioni di medita-  zione e di riflessione. Gli episodi della vita del Salvatore, inoltre,  erano costantemente richiamati negli scritti dedicati alle Vite di San  Francesco e di Santa Chiara, e per quest'ultima, già nella Leggenda  redatta da Tommaso da Celano. Perciò, gli affreschi  cristologici venivano a costituire, in definitiva, un grandioso prome-  moria non solo della vita del Salvatore, ma appunto anche delle «vite  parallele» di Chiara e di Francesco, ricostruibili per analogia dalle  osservatrici, e ricordate alle monache anche attraverso le letture  edificanti, i racconti orali e, soprattutto, la predicazione, non occor-  rendo necessariamente la realizzazione di cicli tipologici «completi»  che comprendessero cioè anche le Storie dei due Santi francescani Kirchen der Klarissen una Dominikannerinnen, Monaco,  Michael Imhof, II ciclo della Passione nel coro delle monache di S. Pietro in vineis prosegue,  in realtà, con l'episodio della stimmatizzazione di San Francesco, che riporta visi-  vamente al parallelismo con Cristo. Vi sono rappresentati inginocchiati anche una  badessa attorniata da monache ed un frate accompagnato da frati, in veste di  donatori oranti. Lo stesso ciclo si conclude con un riquadro nel quale sono dipinti  i Santi Aurelia, Scolastica e Benedetto e donatori. Nel coro delle monache della  basilica di S. Chiara ad Assisi, corrispondente all'attuale cappella di San Giorgio vennero eseguite, invece, oltre che le Storie della Passione di Cristo,  pur nell'ordine anomalo, da sinistra, di Resurrezione, Deposizione dalla croce, e  Deposizione nel sepolcro, anche quelle àzW Incarnazione con l’Annunciazione, la Natività, e l'Adorazione dei Magi, e cfr. C. Jaggi, Frauenklòster im Spàtmittelalter. A Napoli dev'essere infine ricordato il notevole ed articolato ciclo della  Passione affrescato, sulle pareti del coro delle Clarisse  della chiesa di S. Maria Donnaregina vecchia, ispirato alla Legenda Aurea di Jacopo  da Varagine ed alle Meditationes Vitae Còristi dello pseudo-Bonaventura ed articolato  in diciassette scene. In particolare, in tre registri di cinque scene ciascuno, più due: Come si è cercato di dimostrare, il riferimento alla esaminata  Figura gioachimita quale modello o fonte di ispirazione per la scelta  dei temi iconografici dei cicli pittorici realizzati nella basilica di S.  Chiara risulta, a ben considerare, davvero piuttosto improbabile.   Non molti anni or sono Richard Krautheimer, nei Poscritti ad  un suo aureo saggio di introduzione alla iconografia architettonica,  Ultima cena; Comunione degli Apostoli) Cristo lava i piedi a San Pietro; Orazione di Cristo nell'orto; Cattura di Cristo con l'episodio del San Pietro che taglia  l'orecchio a Malco; Cristo al cospetto dei sommi sacerdoti Anna e Cai/a, negazione di  Pietro, derisione di Cristo che viene privato dei vestiti per la prima volta, flagellazione di  Cristo; Cristo portato davanti a Pilato per il primo giudizio e poi davanti ad Erode; Secondo giudizio di Cristo davanti a Pilato e nuova flagellazione; Cristo privato delle  vesti e sua ascesa al Calvario, nuova spoliazione di Cristo ed innalzamento sulla croce;   Crocifissione; Deposizione dalla croce, lamentazione sul corpo e sepoltura di  Cristo; Discesa al Limbo e resurrezione di Cristo; Le Marie al sepolcro, «Noli me  tangere», apparizioni di Cristo alla Vergine ed a Giuseppe d'Arimatea; Apparizioni  di Cristo alle due Marie di ritorno dal sepolcro, a Giacobbe figlio di Alfeo ed a San  Pietro; 1Cristo appare quattro volte agli Apostoli sul monte Tabor, poi sul monte degli  Olivi, cena ad Emmaus con l'episodio dell'Incredulità di San Tommaso; Ascensione;  Pentecoste. Tali scene avevano lo scopo di suscitare la compassione delle mona-  che per le ultime vicende di Cristo, illustrando loro l'esempio delle Vergine Maria,  non mancando, poi, di suggerire paralleli con la Vita di San Francesco, e di offrire,  soprattutto nelle rappresentazioni dell'Ultima Cena, della Comunione degli Apostoli e  della Cena di Emmaus, l'occasione di una contemplazione eucaristica che era loro  preclusa dal vivo, durante l'elevazione dell'ostia nel corso della messa, e cfr., in  proposito, A.S. Hoch, The «Passion» cycle: images to contemplate and imitate amid  Clarissan «clausura», in: The church of Santa Maria Donna Regina: art, iconography and  patronage in fourteenth-century Naples, a cura di Janis Elliott, Aldershot, Ashgate. Per la traduzione italiana del saggio dal titolo originario Introduction to an  «Iconography of Medieval Architecture», comparso sul «Journal of Warburg and Cour-  tauld Institutes», si veda R. Krautheimer, Introduzione a un'i-  conografia dell'architettura sacra medievale, in Id., Architettura sacra paleocri-  stiana e medievale, Torino, Bollati Boringhieri, in particolare alle  pp. 144ss., comprendente i Poscritti. In questo saggio  Krautheimer propone le sue osservazioni sulla «copia parziale» architettonica che  caratterizza l'imitazione, durante il Medioevo, dei più prestigiosi edifici sacri non in  termini di copia puntuale e corrispondente («copia totale»), ma di copia rielaborata,  e cfr. al riguardo anche G. Bandmann, Early medieval architecture as bearer of mea-  ning, con introduzione di K. Wallis, e postille di H. J. Boker, New York, Columbia, traduzione inglese del saggio originale in tedesco Mittelal-  terliche Architektur als Bedeutungstràger, Berlin e W. Schenkluhn, Iconografia e  iconologia dell'architettura medievale, in L'arte medievale nel contesto:  funzioni, iconografia, tecniche, Milano, Jaca. Per alcuni  rilievi critici sulla tesi della «copia parziale», cfr., comunque, B. Brenk, Originalità e  innovazione nell'arte medievale, in Arti e storia nel Medioevo, a cura Castelnuovo  e Sergi, Torino, Einaudi.  GAGLIONE   rilevava come spesso l'interpretazione simbolica delle piante degli  edifici medievali fosse avvenuta post factum, e cioè dopo l'effettiva  adozione delle forme decisa per altre motivazioni. Molto frequente-  mente, cioè, si è attribuito al committente ed all'architetto ciò che  nell'edificio aveva voluto vedere a posteriori il teologo medievale, o,  altrettanto spesso, solo l'interprete moderno. Gli importanti studi  iconologici di Aby Warburg e, in seguito, di Erwin Panofsky e di  Fritz Saxl hanno contribuito involontariamente anche a scoper-  chiare «una specie di vaso di Pandora» dal quale sono poi fuoriuscite  interpretazioni simboliche a tutti i costi, «per amore o per forza».  Invece, l'indagine sui significati dell'opera architettonica ed, in ge-  nere, dell'opera d'arte dovrebbe essere svolta in modo che quanto «è  possibile» diventi «probabile», perché «la relazione ipotizzata abbia  un carattere di causalità ben definito, rilevabile da numerosi e dif-  ferenti indizi» 64 .   Sembra invece che proprio la mancanza di questi «numerosi e  differenti indizi» non consenta di sostenere né l'ispirazione gioachi-  mita degli affreschi, né la pretesa matrice francescano-spirituale  della pianta della basilica di S. Chiara a Napoli. Gaglione, Krautheimer, Introduzione, cit., p. 146. Traduzione del testo posto ai margini della Figura XVIII del Liber  figurarum, tratto dalla Concordia Novi ac Veteris Testamenti dall'edizione a  cura di Tondelli, Reeves, Hirsch-Reich, Il Libro delle Figure \ cit., voi. II,  tav. XVIIIa. Come illustrato in questa Figura, da Adamo fino a Giovanni Battista sono  trascorsi sei tempi ormai conclusi, durante i quali il Signore ha compiute le sue  opere sotto la legge ed i profeti, e nel settimo tempo si è riposato dalle opere del  primo stato, infatti la legge ed i profeti sono perdurati fino a Giovanni Battista.  Per tali motivi occorre attenersi a ciò che affermano i Santi Dottori, in ordine al  fatto che le due età, e cioè la sesta e la settima, trascorrono insieme, sia perché,  compiuti i sei tempi, le anime dei giusti riposano in Cielo, sia perché al popolo  di Dio è stato concesso un tempo sabbatico durante il quale potesse riposare  dalla servitù della legge, una volta acquistata la libertà dello Spirito Santo,  poiché dov'è lo Spirito del Signore lì è la libertà.   Questa definizione delle sei età riguarda propriamente la persona del  Padre poiché, evidentemente, il Padre, per mostrarsi signore effettivo di tutta  la terra, ha preteso dai suoi sudditi l'assoluta obbedienza dei sei tempi. Com-  piutisi questi tempi, in seguito, nel settimo tempo, il Padre mostra, a coloro che  gli hanno obbedito, l'affetto dell'amore e la libertà della grazia nello Spirito  Santo, perché lo stesso Spirito è amore, e dove c'è l'amore c'è la libertà. Proprio  per questo, infatti, l'Apostolo dice: «dove è lo Spirito del Signore lì è la libertà». In conformità a tale generale definizione, riguardo alle sei età del mondo  occorre seguire quello che affermano i Santi Dottori, e cioè che nel sesto giorno  feriale è rappresentata la sesta età del mondo, nel sabato è significata la settima  età, e nella domenica l'ottava età, e poiché il sesto giorno è destinato alla fatica,  il settimo è riservato al riposo. Quel sabato sarà dunque colmo della gioia e della  letizia di tutti gli eletti, e ciò sia perché l'esercito dei santi martiri e degli altri  giusti sarà riunito in Cielo e regnerà con Cristo, sia perché al popolo di Dio  verrà concessa quella tregua sabbatica perché possa riposarsi dalla fatica della  sofferenza che ha sopportato nel corso dei sei tempi già quasi compiuti, e perchè  obbedisca al Signore nella libertà dello Spirito, poiché dov'è lo Spirito del  Signore lì è la libertà.   Questa definizione delle sei età viene comunemente riferita al Padre ed al  Figlio, poiché Padre e Figlio sono un unico Dio. Infatti, così come ciascuno dei  due singolarmente considerato è vero Dio, altresì considerati insieme essi non  sono due dei ma un unico Dio, ed avviene che alcune opere siano maggiormente  somiglianti al Padre ed altre al Figlio, così che essendo appunto uniti assieme si  manifestano in una forma unica anche se vengono chiamati distintamente con i  loro nomi. Diversa è la persona del Padre come diversa è la persona del Figlio,  tuttavia i due insieme considerati non sono due dei ma un unico Dio. E poiché  l'unico e lo stesso Spirito Santo procede non da uno solo dei due ma da en-  trambi, è chiaro che lo stesso Spirito sia in comunione con il Padre ed il Figlio  dai quali, appunto, procede all'infinito.   Questa definizione dei sei tempi o età concerne più propriamente la persona del Figlio, il quale Figlio, certamente, per dimostrarsi maestro univer-  sale ha preteso un'assoluta osservanza della disciplina nel corso delle sei età.  Compiuti questi tempi, a coloro che operano con pazienza, Egli mostra nel suo  Spirito abbondanza d'amore e piena libertà di grazia, poiché il timore non è  compatibile con la carità, e perché la perfetta carità allontana il timore. In  questa Figura viene quindi esposto un grande mistero riguardante particolar-  mente la fede cattolica. Tutte le cose che Dio ha fatto le ha fatte nella sapienza.  La vera sapienza consiste nel conoscere e nel comprendere il Creatore, ed, in  particolare, attraverso le cose che sono state rese visibili, nel comprendere i sui  aspetti invisibili e nel contemplare Colui che ci ha creati. Dice infatti il Signore  nel Vangelo: «il Padre mio opera nello stesso modo nel quale opero anch'io».  Perciò è come se dicesse: mio Padre ha operato così che attraverso le opere  compiute a sua immagine nel primo stato del tempo, potesse dimostrare di  essere vero Signore e vero Dio, ed anche io opero cose simili in questo secondo  stato, così che né il Padre potrebbe agire senza di me, né io stesso potrei  operare senza il Padre, e ciò per dimostrare di essere identico a mio Padre,  poiché egli è Dio così come sono io stesso Dio, ed Egli stesso è onnipotente così  come io sono onnipotente. E, dunque, le opere del primo stato attengono  specificamente alla persona del Padre, mentre le opere del secondo stato riguar-  dano la persona del Figlio, e, d'altra parte, ad entrambi possono essere riferite  le opere di ciascuno dei due. Il Padre ed il Figlio sono infatti due persone.  Ciascuno di loro è Dio ed al contempo entrambi sono un unico Dio. E così  anche lo Spirito Santo viene detto Spirito del Padre perché procede dal Padre  ed in conformità a lui. Infatti non siete voi a parlare ma è lo Spirito del Padre  vostro che parla in voi. Viene anche definito Spirito del Figlio perché procede  dal Figlio conformemente a lui, secondo quanto si afferma: «Dio ha immesso  nei nostri cuori lo Spirito del Figlio che dice: Abba, Padre!». Ed altrettanto  l'Apostolo dice dello Spirito Santo: «dove è lo Spirito del Signore Ti è la libertà».  La servitù riguarda i sei giorni ed i sei giorni significano i sei tempi, la libertà  invece concerne il settimo giorno ovvero il settimo tempo. E proprio per questo  il settimo giorno ed il settimo tempo sono denominati sabato e riposo. Bisogna  considerare attentamente che dopo i sei tempi tribolati del primo stato è stata  concessa libertà e riposo nello Spirito Santo, e considerare altresì fino a che  punto il popolo dei fedeli abbia sopportato la servitù ed il giogo della legge per  servire il suo Signore nella libertà dello Spirito, poiché, come dice l'Apostolo:  «non avete ricevuto lo Spirito della servitù ancora una volta nel timore, ma  avete ricevuto lo Spirito dell'adozione filiale» per il quale possiamo dire: «Abba,  Padre!». Perciò, poiché lo Spirito Santo procede dal Padre ed a questi spetta il  sabato e la libertà, era necessario in conformità a ciò, che la settima età iniziasse  dal momento in cui Cristo è venuto nel mondo, perché questa età è stata  concessa come il sabato per il popolo di Dio. E per tale ragione è stato inviato  nello stesso tempo lo Spirito Santo, perché iniziasse quella età. Allo stesso  modo, dopo i sei tempi faticosi di questo secondo stato che, in conformità a  tale spiegazione, è iniziato con Ozia, ovvero con Mosè, verrà conferita al  popolo Cristiano la libertà, non vi è dubbio, nello Spirito Santo, affinché si  vedano svelate le cose che fino ad ora risultano ancora oscuramente percepibili  solo come di riflesso. E così noi stessi procederemo di glorificazione in glorifi-  cazione, e dallo Spirito del Signore verrà concessa la pace, nonché il sollievo wmasSÈ dalla croce perché si possa trovare nel Signore riposo dalle tribolazioni. Ciò  accadrà dopo i sei faticosi tempi del secondo stato che abbiamo detto essere  pertinenti piuttosto al Figlio, perché lo Spirito Santo dimostri di procedere dal  Figlio di Dio. Esso stesso lo definirò Spirito che procede dal Padre, perchè solo  uno e sempre lo stesso Spirito procede da entrambi. Per questa ragione la  glorificazione della settima età è stata rimandata fino a questi tempi, poiché i  tempi travagliati hanno impedito il riposo del sabato che è stato concesso solo in  parte e non integralmente, fino a che si compiano i tempi del secondo stato che  sono destinati alla fatica dei cristiani. È dunque per quanto annunziato dal  Padre e dal Figlio che crediamo che ognuno di loro sia vero Dio, e, cioè, che  il Padre non sia generato da alcuno come Dio ed altresì che il Figlio derivi come  Dio da Dio. Poiché, in realtà, il Padre ed il Figlio, dai quali procede lo Spirito  Santo, non sono simultaneamente due dei ma un Dio solo, secondo quanto  afferma il Figlio nel Vangelo dicendo: «Quando verrà lo Spirito Santo che io  invierò a voi dal Padre», occorrerà che si concludano in altro modo le sette età,  in maniera che vengano conteggiate fino a Cristo cinque età, ed, inoltre, la sesta  fino alla definitiva incarcerazione di Satana, ed, ancora, la settima fino alla  resurrezione dei morti.   IL SALTERIO A X CORDE   UN'IMMAGINE MUSICALE NELLA RIFLESSIONE  TEOLOGICA MEDIEVALE  Questa ricerca si colloca all'interno del seminario tenutosi  a Pavia nel secondo semestre "Teologia e  altri saperi nel Medioevo" e vuole essere un contributo alia  comprensione del difficile rapporto tra teologia e musica in quest 1 epoca.  In particolare verra presa in esame la figura del salterio a dieci corde  come esempio di un punto di contatto tra le discipline. Quello die  tradizionalmente e considerato lo strumento biblico per eccellenza,  viene infatti "preso a prestito" da alcuni ambiti della riflessione  teologica medievale, che attraverso una interpretazione simbolica e  allegorica ne arricchisce l'originaria disposizione. Dopo una  introduzione relativa alia storia dello strumento in epoca biblica e  medievale si considereranno nello specifico il Discorso n. 9 di Agostino, in  cui l'autore recupera l'immagme in un contesto prevalentemente  teologico-morale, e si proporra quindi una disamina del Primo libro  del Salterio a dieci corde di F., per mettere in luce la  valenza mistico-escatologica che qui viene attribuita alio strumento. Il  filo conduttore della ricerca consiste dunque nel rintracciare,  nell'ambito di una riflessione che nasce e si sviluppa aH'interno di un  contesto dichiaratamente teologico, ma che trae motivi e sostegno  argomentativo dal riferimento all'immagine di uno strumento musicale,  delle possibili influenze, o in qualche modo degli spostamenti di  traiettoria, dovuti all'interazione tra le due discipline. Una breve storia del salterio a dieci corde.   L'interesse particolare per il salterio a dieci corde ha origine nel  testo biblico. Il Libro dei Salmi indica questo strumento come il piu  adatto per accompagnare il canto dei versi, e sembra essere attribuita  alio stesso Davide una certa abilita nella pratica di tale arte. Se i risultati  della moderna esegesi sembrano concordare nell'attribuire alia figura  di Davide un ruolo fondamentale nel processo di rinnovamento e di  consolidamento di una pratica musicale aH'interno della comunita  ebraica 1, risulta ben piu problematica la collocazione definitiva dello  strumento in questione. La piu recente traduzione del Testo Sacro, in  diversi punti, preferisce rendere attraverso la locuzione piuttosto  generica di "strumento a corda" dei termini di poco chiara  comprensione musicologica. Il libro della Genesi, particolarmente ricco di riferimenti a pratiche  e strumenti musicali, identifica nel kinnor lo strumento nel quale Davide  eccelle. Dalla narrazione si evincono delle caratteristiche che  potrebbero awicinare come tipologia di strumento il kinnor e la lira  greca chiamata kithara 2 . D'altro canto, pero, la pratica musicale di tale  strumento prevede l'utilizzo di un plettro per pizzicare le corde, il che  sembra essere in contrasto con la traduzione proposta nella versione  dei Settanta: il termine psalterion rimanda infatti etimologicamente al  verbo psallein, che significa letteralmente "pizzicare con le dita.  Nel periodo dei Re la scena musicale di Israele muta radicalmente:  proprio sotto l'impulso di Davide e di Salomone si sviluppa  un'organizzazione e un'istituzionalizzazione delle pratiche musicali  all'interno della comunita. Nasce la figura del musicista di professione,  comincia a distinguersi in modo netto la musica di corte dalla musica  del Tempio, si costituisce una vera e propria accademia come luogo  dell'educazione musicale, e vengono inseriti, accanto a quelli  tradizionalmente usati, nuovi strumenti musicali. Alcuni di questi,  come per esempio il nevel, possono fornire delle utili indicazioni a  proposito del nostro strumento. Il nevel e certamente uno strumento a  corda: nella versione dei Settanta il termine e reso attraverso l'utilizzo  di tre parole distinte, una delle quali e proprio psalterion. La     Una tale interpretazione prende le mosse direttamente dal testo biblico, che in piu  punti sembra concordare nell'attribuire a Davide il ruolo di "poeta" e di "musico":  cfr. 1 Sam 16, 16; 18, 10; 2 Sam 1, Per l'argomento del presente capitolo si fara riferimento al testo di C. Sachs, Storia  degli strumenti musicali, Papini, Mondadori, Milano] trasposizione latina di questo termine tende a far prevalere psalterium in  tutti e tre i casi, tanto che nell'intera Vulgata questo termine occorre  diciassette volte. La traduzione puo far pensare ad uno strumento  simile all'arpa: lo stesso Gerolamo ci informa del fatto che «psalterium  lignum illud concavum unde sonus redditur superius habet. Sembra  quindi possibile associare la struttura del nevel a quella dell'arpa  verticale angolare, diffusa sia nell'area greca che in quella fenicia. La  questione e pero ulteriormente complicata da un altro termine che nel  libro dei Salmi compare frequentemente associato a nevel, ed e legato  strettamente alia problematica del salterio a dieci corde: il termine asor.  Questa parola letteralmente significa "dieci". L'esegesi ha piuttosto  uniformemente interpretato tale accostamento come il riferimento ad  uno strumento musicale con dieci corde. Piu recenti studi musicologici  hanno invece mostrato che il termine potrebbe essere piu  correttamente inteso non come attributo riferito a nevel, ma come  sostantivo. Come tale rimanderebbe quindi ad uno strumento  autonomo, a riguardo del quale e difficile formulare ipotesi. Potrebbe  essere infatti proprio questo lo strumento a dieci corde da cui ha preso  spunto la traduzione greca, come del resto non sembra possibile  escludere la possibility che il salterio a dieci corde sia stata una  "invenzione" dei traduttori greci e latini che non trova una  corrispondenza immediata nelle pratiche musicali ebraiche.   La problematica relativa alia classificazione degli strumenti a corda  in epoca medievale e ancora oggi piuttosto incerta. Sicuramente e  attestabile una ampia diffusione di arpe e cetre, che differivano pero  tra loro anche notevolmente per quanto riguarda la forma, le  dimensioni, il numero delle corde e le accordature. Il salterio e senza  dubbio riconducibile alia famiglia delle cetre, e in particolare ad uno  strumento a corde pizzicate provenienti dall'area meridionale del  Vicino Oriente, il qanum. Tale strumento si distingue dal santir, che  costituisce un'altra tipologia di cetra proveniente dall'area asiatica, la  cui pratica musicale prevedeva la percussione delle corde attraverso  l'utilizzo di bastoncini. Sembra interessante sottolineare che la prima  rappresentazione grafica medievale di uno strumento simile al salterio  risale ad un rilievo del 1184 che si trova a Santiago de Compostela, e che [Dalla lettera di Gerolamo a Dardano. La citazione si trova in C. Sachs, Storia  degli strumenti musicali. Per una disamina della questione in epoca medievale, oltre al gia citato testo di  Sachs, si veda: Giulio Cattin, La monodia nel medioevo, EDT Edizioni, Torino, 1979; e  Alberto Gallo, La polifonia nel medioevo, EDT, Torino. in generale tali rappresentazioni sono piuttosto rare prima del '300.   Da queste considerazioni si puo dunque concludere che all'epoca in  cui maturano le riflessioni di Agostino e di Gioacchino da Fiore esisteva  uno strumento chiamato salterio. D'altro canto la sua diffusione  comincia ad avere una certa ampiezza solo in una fase piuttosto tarda  del medioevo. Bisogna infine tenere presente sullo sfondo il difficile  rapporto in epoca medievale tra musica liturgica e pratiche strumentali,  che rimane un tenia di ampio dibattito per la storiografia moderna. Questo sembra awalorare l'ipotesi secondo cui la ripresa deH'immagine  dello strumento trae origine da un contesto esegetico-teologico molto  prima che dall'osservazione di una pratica musicale vera e propria. Il Discorso n.9 di Agostino "Sul salterio a died corde".   Il Discorso di Agostino "Sul salterio a dieci corde" rappresenta un  punto essenziale per la comprensione e la formazione dell'immagine  "teologica" dello strumento in questione. Le attuali conoscenze  del corpus agostiniano non permettono di individuare con certezza ne la  data ne il luogo in cui tale discorso fu tenuto. Il recupero deirimmagine  del salterio si inquadra in questo caso all'interno di un contesto  propriamente teologico-morale: l'obiettivo e quello di delineare un  percorso di crescita morale per il credente basato sull'osservanza dei  dieci comandamenti. L'argomentazione trova quindi la sua forza nel  parallelismo che si instaura tra i dieci precetti divini e le dieci corde del  salterio.   Il punto di partenza consiste nell'indicare la necessita di trovare un  accordo con «l'avversario», che viene identificato con la parola di Dio,  dal momento che «comanda cose contrarie a quelle che fai tu» 5 . In un  certo senso, quindi, l'avversario sarebbe meglio identificabile con la  nostra disposizione interiore, che ci allontana da un comportamento  moralmente corretto in senso cristiano. Seguire le disposizioni interiori  risulta infatti molto pericoloso nell'ottica agostiniana, in quanto da un  lato si e spinti ad assecondarle poiche procurano un piacere immediato,  dall'altro proprio tale piacere e ricondotto alia sfera del sensibile e  rappresenta quindi una minaccia per la vita ultraterrena. Allora     Agostino, Tractatus de decern chordis; tr. it. P. Bellini, F. Cruciani, V. Tarulli, Trattato  sul salterio a dieci corde; in Agostino, Discorsi; sul vecchio testamento, Citta Nuova,  Roma. perche dovremmo camminare allietati da inutili canti che non ci  porteranno alcun vantaggio, dolci nel presente, amari in futuro? L'emergere di questo tenia del canto ci permette di riferire lo stesso  schema sopra rilevato alia musica. Sembra delinearsi infatti una  concezione ambivalente di tale disciplina: da un lato, nel suo corretto  uso, rappresenta uno strumento di grande forza ed espressivita  interiore, che puo permettere all'uomo di innalzarsi verso la sfera  divina. Dall'altro, se considerata nella sua dimensione sensibile, puo  essere la fonte di un «appagamento dell'orecchio» che rappresenta un  motivo di corruzione. Va notato che una tale impostazione e  riscontrabile in numerosi passi di Agostino, in primis nel De musica, ed e  un'eredita che l'ipponense riceve da una lunga tradizione filosofica  riconducibile come minimo a Platone 7 . La problematica ha avuto una  grande fortuna nella discussione della prima patristica 8 in relazione alle  modalita della pratica religiosa, e rimane uno sfondo obbligato per la  comprensione della musica cristiana in tutto il Medioevo 9 .   Su questo sfondo Agostino introduce il tema piu propriamente  morale, recuperando la figura del salterio:   «ecco, porto il salterio, ha dieci corde [...]. Perche e aspro il suono del  salterio di Dio? Cantiamo tutti con il salterio a dieci corde. Vi cantero  quello che dovrete fare. Il decalogo della legge infatti ha dieci  comandamenti». 10   L'asprezza attribuita al suono dello strumento non e evidentemente da  ricondurre ad un ambito musicale, quanto da intendere in senso  figurato come metafora della difficolta del cammino da compiere per  ottenere la benevolenza divina. La giustificazione del recupero  deirimmagine dello strumento e indicata nel legame ideale che si  instaura tra i dieci comandamenti e le dieci corde. In relazione a questo  tema e da rilevare come Agostino, riprendendo una esegesi molto  diffusa, distingua i primi tre comandamenti, e quindi le prime tre Si veda il VII libro delle Leggi, e il III libro della Repubblica, per esempio.   8 Un'analisi piu puntuale di tale discussione, interpretata in relazione alia  concezione agostiniana, si trova in: P. Sequeri, Musica e mistica, Libreria Editrice  Vaticana, Citta del Vaticano, 2005, cap. 2, pp. 45-106.   9 Si veda in particolare l'ampia discussione sul rapporto tra musica cantata e musica  strumentale, e il problema della musica vulgaris in relazione alia musica liturgica.  Una disamina di tali questioni si trova nei testi gia citati di Giulio Cattin e Alberto  Gallo.   10 Agostino, Sul salterio a dieci corde., corde, che rimandano ai doveri verso Dio, dai successivi sette, che  danno disposizioni relative al comportamento verso i propri simili.  Sebbene l'intento primario del discorso non sia un intento musicale, la  metafora istituita tra il percorso cristiano e la figura del salterio e  portata fino in fondo: dal corretto utilizzo dello strumento, che  corrisponde al rispetto disciplinato dei comandamenti, emerge il  «canto nuovo», che si contrappone al vecchio proprio come l'uomo  nuovo, che nasce a seguito della venuta di Cristo, si contrappone  all'uomo dell'Antico Testamento. Il canto d'amore che nasce con Cristo  prende il posto del timore, che lega l'osservanza della legge alia paura  della punizione divina. E 1 questo il nocciolo argomentativo del discorso,  e il tema viene ribadito in piu punti. Al capitolo 8 Agostino afferma:   «Cambiate il comportamento. Prima amavate il mondo, ora amate  Dio.  Se lo fate con amore, cantate il canto nuovo. Se lo fate con  timore, ma lo fate, portate si il salterio, ma ancora non cantate» n .   Nel capitolo 13, che rappresenta il culmine del discorso,  l'argomentazione viene ribadita attraverso l'utilizzo di una metafora  che le conferisce una grande forza persuasiva. L'osservanza dei  comandamenti deve implicare contemporaneamente un atto di  ringraziamento a Dio per la grazia concessa, e un atto di repulsione e di  lotta interiore contro la passione sensibile. Il credente, quindi, deve  comportarsi da un lato come il suonatore di cetra che innalza le sue lodi  a Dio, dall'altro come il gladiatore che uccide senza compassione le  belve nell'arena. Il passo merita di essere citato testualmente:   «Negli spettacoli dell'anfiteatro il gladiatore e diverso da chi suona  la cetra. Nello spettacolo di Dio unica e la persona. Tocca le dieci  corde e ucciderai le dieci belve: fai insieme tutte e due le cose. Tocchi  la prima corda, con la quale si comanda di adorare un solo Dio, cade  la bestia della superstizione. Tocchi la seconda corda con la quale  non pronunci erroneamente il nome del Signore tuo Dio, cade la  bestia dell'errore delle nefande eresie che hanno creduto falsamente.  Tocchi la terza corda, per cui qualunque cosa fai la fai per nella  speranza del riposo futuro, viene uccisa la bestia, piu crudele delle  altre, dell'attaccamento a questo mondo. Lo stesso discorso vale per i successivi sette comandamenti, che  enunciano i nostri doveri verso gli uomini, fino a che     11 M, p. 165.   12 Ivi, p. 173. «cadute tutte le bestie ti trovi sicuro e innocente nell'amore di Dio e  in mezzo alia societa umana. Quante bestie uccidi toccando le dieci  corde! Molti capi infatti si nascondono sotto questi vizi capitali.  Nelle singole corde non uccidi singole bestie, ma greggi di bestie.  Facendo in questo modo canterai il canto nuovo con amore, non con  timore. Il «canto nuovo», dunque, si puo innalzare attraverso l'osservanza  dei comandamenti divini. Si istituisce cosi una contrapposizione tra  l'uomo vecchio dell'Antico Testamento che basa sul timore l'osservanza  della Legge divina, e l'uomo nuovo che nasce con la rivelazione di  Cristo che basa sull'amore verso Dio e verso il prossimo la propria  condotta. In questa contrapposizione e centrale l'elemento del canto: il  canto esteriore, che si fonda sull'appagamento sensibile, rappresenta la  pratica musicale dell'uomo vecchio, mentre il canto interiore, che  innalza il nostro animo a Dio, e proprio dell'uomo nuovo. E' quindi  significativo come, attraverso il ricorso alia musica, Agostino voglia  argomentare la pericolosita delle passioni terrene. Nella sua intrinseca  ambivalenza e nella sua sfuggente duplicita, proprio la musica diventa  il modello della fragilita e della corruttibilita dell'uomo: anche un  elemento apparentemente cosi puro e spirituale puo trasformarsi in  una causa di corruzione per colui che non si comporta in conformita  alia parola di Dio. L'ammonimento, che trova il suo motivo e il suo  compimento all'interno di un contesto teologico-morale, risulta  certamente arricchito e reso persuasivo attraverso il ricorso a questa  metafora musicale.   Negli ultimi capitoli del discorso Agostino, seguendo uno schema  piuttosto consolidato, traduce l'argomentazione fino a questo punto  esposta in un lessico neotestamentario: il decalogo di Mose puo essere  sintetizzato nelle formule evangeliche «ama il prossimo tuo come te  stesso» 14 e «non fare agli altri cio che non vuoi sia fatto a te» 15 .  Conseguentemente, l'immagine del canto interiore ed esteriore viene  riformulata attraverso l'espressione «siate cristiani, perche e troppo  poco chiamarsi cristiani». 16   E' importante notare come le riflessioni qui proposte siano presenti,  seppur in maniera meno sistematica, nei commenti di Agostino ai  Salmi: nel commento al Salmo 32 compare il paragone tra i dieci     13 Ivi, p. 175.   14 Mt 19, 19; Mc 12, 31; Lc 10, 27.   15 Mt 7, 12; Lc 6, 31.   16 Agostino, Sul salterio a dieci corde. comandamenti e le dieci corde del salterio, nel commento al Salmo 143  il tema centrale del canto nuovo che nasce attraverso la carita 17 . Questo  particolare e di una certa rilevanza per la nostra ricerca, dal momento  che permette di dare per scontata la conoscenza delle posizioni  agostiniane da parte di Gioacchino da Fiore. E 1 del tutto implausibile  infatti pensare che l'abate cistercense non conoscesse il testo  delle Enarrationes, mentre non sarebbe altrettanto da dare per scontata  la conoscenza del Discorso fin qui considerato. Senza voler in questa  sede risolvere un problema che meriterebbe una piu approfondita  indagine storiografica, si vuole rilevare che la ripresa delle posizioni  agostiniane da parte di F., in questo contesto argomentativo,  si riferisce sicuramente ai passi citati dell 1 Esposizione sui Salmi, mentre  sembra trascurare alcuni elementi che pur assumono una importanza  non secondaria nel Discorso.     4. Il "Salterio a dieci corde" di F.: il  contesto storico e il Prologo   Lo Psalterium decern chordarum rappresenta il principale contributo  di F. sul tema della trinita, ed e dunque da inquadrare  aH'interno di uno dei dibattiti piu accesi della discussione teologica del  XII secolo. In seguito al confronto, di vastissima risonanza, che vide  contrapposte le figure di Abelardo e di Bernardo di Clairvaux, la disputa  fu ravvivata dalla pubblicazione delle Sententiae di Pietro Lombardo, tra  gli anni 1155-1157. Le tesi contenute in quest'opera suscitarono aspre  [Si veda anche il commento al Salmo 91 dove compare il tema sintetizzabile nella  massima «siate cristiani, non ditevi cristiani». Un altro tema particolarmente  ricorrente nelle Enarrationes consiste nella differenza tra la cetra e il salterio.  Nell'interpretazione agostiniana infatti in relazione alia differente disposizione  della cassa di risonanza i due strumenti rappresentano lo spirito (il salterio, che ha  la cassa disposta verso l'alto) e la carne (la cetra, la cui cassa e invece orientata  verso il basso). Il tema compare in diversi passi: si veda 70 d 2, 11; 80, 5; 97, 5; 150,  6-7. Particolarmente interessante e la formulazione nel commento al Salmo:  «c'e una differenza tra la cetra e il salterio. Gli esperti dicono che il salterio ha  nella parte superiore quel legno concavo su cui sono tese le corde e fa da cassa di  risonanza, mentre la cetra lo ha nella parte inferiore». Il riconoscimento di un  particolare cosi macroscopico non sembra certo necessitare il riferimento a giudizi  "esperti". Si potrebbe pensare, addirittura, che Agostino non avesse mai visto  personalmente gli strumenti in questione. critiche da parte di diversi opposition 18, tra i quali proprio F.. Quest'ultimo, infatti, prende una posizione decisa contro gli  argomenti sostenuti dall'allievo di Abelardo, fino al punto di vedere  condannata la sua stessa opera nel IV Concilio Lateranense. Il  nocciolo della disputa e la distinzione tra sostanza e persone divine, che  risulta comunemente accettata nelle principali scuole teologiche del XII  secolo. F. arriva a sostenere la «follia» di una tale impostazione,  teorizzando, al contrario, la perfetta compenetrazione e corrispondenza  tra la sostanza e le persone della trinita. Nella sua ottica, l'unita  inscindibile che caratterizza la trinita non puo prevedere distinzioni di  alcuna sorta: e piuttosto il carattere relazionale che permette di  garantire la fusione perfetta tra le tre persone, e alio stesso tempo il  loro riconoscimento singolare, come dimostra chiaramente la figura del  salterio. Distinguendo la sostanza dalle persone della trinita, invece,  Lombardo «e come se mettesse tre dieci al posto delle tre persone, e un  quarto dieci al posto della sostanza, come se Dio non fosse trinita, ma  una quaternita» 19 . La figura argomentativa che viene posta al centro  della critica e quella tradizionale dei tre rami provenienti dalla stessa  radice: la sostanza, secondo questa metafora, sarebbe distinguibile dalle  tre persone divine, proprio come i rami lo sono dalla radice, dalla quale  pure tutti sono generati. Per F., al contrario, l'immagine a cui  si dovrebbe fare ricorso e quella dell'acqua, che come linfa vitale scorre  aH'interno dei rami stessi. Da questi passi si puo dunque intuire come  l'obiettivo polemico principale sia proprio l'autore delle Sententiae,  anche se e da rilevare che il suo nome non viene mai citato  esplicitamente. I nomi che ricorrono in piu punti, invece, sono quelli  degli eretici Sabellio e Ario, le cui eresie consistono nel ridurre, il  primo, la trinita ad una sola persona 20, mentre il secondo nel separare  in modo inconciliabile le tre persone, che vengono distinte per grado  dimensionale: «come se al Padre offrisse dieci, al Figlio cinque, alio [Si ricorda ad esempio Gerhoh di Reichersberg, le cui posizioni ebbero grande  influenza sul Papa Alessandro III, e Giovanni di Cornwall. Per un'analisi piu  puntuale del dibattito si veda G. L. Potesta, J/ tempo dell'Apocalisse. Vita di F., Laterza, Roma Bari. G., ll salterio a dieci corde, tr. it. di F. Troncarelli, K. V. Selge, Viella,  Roma. Sabellio teorizza infatti la rigorosa unita e indivisibility di Dio, formato da una sola  persona, l'ipostasi, e tre nomi, che descrivono le diverse forme o attributi propri  della sua manifestazione. Il figlio e lo Spirito Santo sono quindi soltanto "modi"  dell'apparire del Padre scelti in base al proprio volere. Spirito Santo un numero piu piccolo». 21   La stesura dell'opera si colloca all'interno di una vicenda biografica  particolare, di cui e lo stesso F. ad informarci. Il Prologo  dell'opera, infatti, consiste in un ripensamento a posteriori sulla genesi  di questo «opuscolo dedicato alio Spirito Santo», che rappresenta la  terza delle sue opere principali 23 . Il tenia principale su cui si insiste in  queste pagine e la spontaneita e l'immediatezza che hanno  caratterizzato l'elaborazione e la stesura di tale opera. Gli anni in cui  questo awiene sono quelli del soggiorno presso l'abazia di Casamari:  anni di grande entusiasmo intellettuale, in cui F., «lontano  dagli affari del mondo, o quasi», arriva a sentirsi addirittura «un  abitante della citta superiore, celeste di Dio» 24 . Si tratta degli anni tra il  1182 e il 1185, in cui gli sforzi intellettuali dell'abate sono rivolti  alia Concordia Novi ac Veteris Testament^ che sara portata a termine solo  qualche tempo piu tardi. E 1 proprio durante la stesura di quest'opera,  infatti, che l'animo di Gioacchino viene scosso da una inaspettata  «esitazione nella fede della trinita» 25, che impone una riflessione su  questo difficile argomento. Il lavoro sulla Concordia viene quindi  interrotto, nell'interesse di una problematica costitutiva ed  imprescindibile per qualsiasi riflessione teologica. La stessa  immediatezza che caratterizza il sorgere del problema si ritrova nel  percorso che porta alia scoperta di una soluzione:   «pregai [lo Spirito Santo] che si degnasse di mostrarmi il sacro  mistero della Trinita. E dicendo questo incominciai a cantare i salmi.  [...] Ed ecco subito mi si presento all'animo l'immagine del salterio. F., II salterio a dieci corde. La tesi fondamentale di Ario  consiste nella negazione della consustanzialita tra il Padre e il Figlio, a partire  dall'idea che l'unita di Dio e incompatibile con la pluralita delle persone divine. Il  Figlio, quindi, non ha la stessa natura del Padre, ma e la sua prima creatura, con la  conseguenza che l'incarnazione e la resurrezione di Cristo non possono essere  considerati eventi divini. il dibattito sull'arianesimo infiammo la disputa teologica  del IV secolo, e si concluse con la condanna delle tesi di Ario durante il Concilio di  Nicea. F., Il salterio a died corde, cit., p. 4.   23 Le altre due opere che costituiscono il corpus principale gioachimita sono  la Concordia Novi ac Veteris Testamenti e I'Expositio in Apocalypsim. Va qui notato che  l'indicazione del "Salterio a dieci corde" come "terza" opera e sostenuta  conformemente alle istruzioni date dallo stesso F.. Tale affermazione non  e riconducibile a ragioni cronologiche, quanto probabilmente ad un ripensamento  tematico sui propri scritti da parte dell'autore. F., Il salterio a dieci corde. 10 a dieci corde e racchiuso nella sua forma stessa in modo chiaro e  comprensibile il mistero della trinita» 26 .   Una vera e propria illuminazione, che scaturisce dalla grazia divina: un  percorso che sembra orientarsi ben piu sul versante mistico che su  quelle- speculativo-razionale. In questo contesto il tenia del canto  riveste un ruolo essenziale, come chiave di accesso ad un'intima  comunicazione con la parola di Dio. Il concetto viene ribadito in un  altro passo del Prologo:   «quando, con fervore di novizio cominciai ad amare il canto dei  salmi a causa di Dio, molti aspetti della scrittura divina che prima  leggendo non avevo potuto investigare, cominciarono a dischiudersi  a me che cantavo i salmi in silenzio. Il carattere mistico del canto, che puo innalzare lo spirito verso  quei misteri che risultano oscuri alia lettura razionale, emerge in  queste righe con estrema efficacia. Alio stesso tempo, pero, non si puo  trascurare l'elemento del canto silenzioso, che sembra rimandare  invece all'altro versante della concezione platonico-agostiniana: la  valenza corruttrice dell'elemento sensibile. Un canto che viene quindi  ricercato in un grado tale di purezza da poter arrivare addirittura ad  annullare se stesso. L'indicazione di F., in questo punto, non  sembra volersi spingere fino a questa paradossale conclusione, che pur  e stata teorizzata da diversi autori in epoca medievale. Il recupero  dell'elemento musicale, come si vedra, procede piuttosto in conformita  all'impianto complessivo dell'opera, finalizzato ad «esaltare le  potenzialita figurali e le implicazioni visive della Sacra pagina. L'idea e  di attingere a un repertorio di enti visibili per accedere ah"invisibile. Si potrebbe dire che l'elemento figurato incarna ed esplica, in un  certo senso, il contenuto di verita degli argomenti teorici qui proposti.  Se da un lato questa incarnazione segna anche il punto di partenza per  un percorso spirituale che, pur procedendo al di fuori del confine della  razionalita logica, puo innalzare alle sfere del divino, dall'altro lato la  coerenza argomentativa non puo essere garantita se non all'interno del  riferimento ad un elemento materiale, esperibile, concretamente  attingibile. Il canto silenzioso non sembra quindi poter arrivare ad  eliminare la musicalita del canto sensibile, quanto piuttosto si  caratterizza come la prova tangibile di un dissidio non ancora risolto, Potesta, II tempo dell'Apocalisse, di un'ambivalenza strutturale nell'interpretazione della musica, che  dovra passare anche il confine del XII secolo prima di trovare una  soluzione.  La struttura dell'opera permette una divisione interna in due parti:  la prima comprendente il libro primo, la seconda il libro secondo e  terzo. Tale distinzione interessa sia il contenuto semantico, sia il  periodo di stesura: e lo stesso F. ad informarci del fatto che il  secondo e il terzo libro «non li scrissi ne in quel luogo ne in quell'epoca,  ma dopo circa due anni». E 1 un'informazione non sorprendente alia  luce del contenuto, che sembra separato da una linea ben definita. La  differenza consiste nel fatto che, mentre nella prima parte il "salterio"  rappresenta lo strumento musicale fin qui considerato, e la sua ripresa  e relativa alia disputa sulla trinita, lo stesso termine viene usato nella  seconda parte per indicare il libro biblico dei Salmi, a partire dal quale  viene costruita una prospettiva escatologica ed esegetica che si basa sul  numero 150, che corrisponde appunto al totale dei Salmi. Se la prima  parte si contraddistingue, come visto, per il carattere di immediatezza e  spontaneita della riflessione, la seconda appare, invece, certamente piu  pensata, piu costruita, in riferimento ad un ingente e puntuale recupero  del testo sacro. Caratteristiche che la avvicinano certamente piu alia  produzione escatologica di Gioacchino, che non al resto dell'opera. Si  potrebbe pensare, come afferma Potesta, che il materiale che forma  questi libri sia il risultato di una serie di appunti raccolti in circa un  decennio di riflessioni sulla Concordia e sull'Expositio, e che trova una  sistemazione definitiva piuttosto tarda. In ogni caso e evidente che e la  prima parte dell'opera ad interessare piu direttamente il tema della  nostra ricerca. Sara questa, dunque, l'oggetto del prossimo paragrafo.  Il "Salterio a dieci corde" di F.: il  Libro Primo   Il Primo libro del Salterio a dieci corde parte dall'immagine dello  strumento musicale per indagare la «ricchezza dei misteri» in essa  contenuti. Misteri che derivano dall'origine divina, per cui «niente puo  esservi di sterile o vano» 30 . Il riferimento e, ovviamente, in primo luogo  al testo biblico, e in particolare alia figura di Davide, autore dei Salmi, F., Il salterio a dieci corde.di cui vengono citati alcuni passi che rimandano all'utilizzo del salterio  nelle pratiche liturgiche ebraiche 31 . La struttura del libro risulta divisa  in sette capitoli, o "distinzioni", in cui progressivamente vengono  introdotti nuovi elementi per una comprensione che passa dal piano  della semplice descrizione alio svelamento della prospettiva  escatologica contenuta nella forma dello strumento.   La prima distinzione introduce la figura del salterio, che viene  descritto come uno strumento «bello di forma, aggraziato per il suono,  soave per la modulazione» 32 . Le caratteristiche che compaiono in questo  passo sono notevolmente diverse da quelle che si sono viste prevalere  nella descrizione agostiniana, in cui «aspro e il suono dello strumento  di Dio» 33 . Il riferimento e il confronto con gli elementi contenuti  nelle Enarrationes appare del resto evidente fin dalle prime righe del  capitolo: F. riprende, seppur in maniera estremamente  sintetica, la distinzione tra il salterio e la cetra nella loro differente  funzione spirituale, il paragone tra le dieci corde e i dieci  comandamenti, la differenza tra le prime tre corde e le successive  sette. E in seguito compare il tema dell 1 «uomo nuovo che e stato creato  a immagine di Dio» 34, che nasce dal "canto nuovo" del salterio. Se e  facile dunque riconoscere sullo sfondo la presenza e la conoscenza delle  tesi agostiniane, risulta altrettanto semplice vedere come F.  proceda, ben presto, verso l'elaborazione di un percorso autonomo, che  per alcune implicazioni e addirittura contrastante con le posizioni  dell'ipponense. Sal. 80, 3: "Intonate il cantico e suonate il timpano, il giocondo salterio e la cetra";  Sal. 150, 3: "Lodatelo col suono della tromba, lodatelo col salterio e la cetra".   32 F., II salterio a dieci corde, Agostino, Sul salterio a dieci corde, cit., p. 159.   34 Ef. 4, 24.   35 La problematica relativa al complesso rapporto tra Agostino e F. esula  dagli obiettivi di questa ricerca. Si vuole d'altra parte richiamare, almeno in  termini generali, lo sfondo entro il quale collocare la discussione. Potesta indica  proprio nel «confronto a distanza con l'inquietante ombra di Agostino un motivo  per capire il laborioso ed esitante procedere della ricerca teologica di F.  (Potesta, Il tempo dell'Apocalisse, cit., p. 8). Il termine centrale del dibattito  consiste nel divieto espresso da Agostino di interpretare l'Apocalisse in chiave  millenaristica. Questo rappresenta un grande scoglio per lo sviluppo complessivo  della ricerca dell'abate calabrese, interessato, in primo luogo, proprio ad  un'interpretazione della storia a partire dall'analisi del testo dell'Apocalisse. In  particolare, la chiave di volta del pensiero gioachimita si basa sull'interpretazione  dei versetti del capitolo 20 come preannuncio di un'epoca terrena di cui e  imminente l'instaurazione. Su questo sfondo diversi sono gli elementi di  incompatibilita tra i due pensatori, che riguardano del resto le opere in cui la [Il punto di partenza di questo percorso consiste nell 1 inter pretare  in primo luogo il salterio secondo la sua forma esterna, senza fare  riferimento alia natura delle corde, che invece rappresenta il principale  motivo di interesse della ripresa agostiniana. La forma triangolare  rimanda alia perfezione e alia natura inscindibile dell'unita trinitaria:  ad ogni vertice puo infatti essere associato il nome di una delle tre  persone, come si puo vedere dalla figura 1 riportata in Appendice. Si  puo quindi immediatamente notare come ogni persona sia  costitutivamente messa in relazione alle altre: proprio come il vertice  non puo essere individuato se non come punto di incontro delle rette  che provengono dagli altri due. L'intero spazio delimitato dalla figura si  caratterizza quindi come uno spazio indissolubilmente unitario, in cui  ogni elemento non puo che definirsi nel rapporto con il tutto, ma alio  stesso tempo e individuabile in uno dei tre vertici. In questo complicato  rapporto e l'elemento relazionale a fondare le possibility di  comprensione da parte della mente umana: ogni persona non e  pensabile se non come relazione che si instaura con le altre due.   «ll concetto di trinita si riferisce, dunque, alia categoria di relazione  a qualcosa; e ugualmente quello di unita: la trinita a evitare il  singolare della parola di persona; l'unita a evitare la divisione nel  concetto di sostanza». 36   Sullo sfondo del riferimento polemico alle tesi di Lombardo,  risulta evidente come sia dunque la categoria di relazione ad indirizzare  e guidare la mente neiravvicinamento ad un mistero che per sua  essenza rimane inarrivabile per le nostre facolta razionali. Di fronte a  questa presa di coscienza non e piu concesso cercare di spingersi oltre,  quanto piuttosto e da accettare la massima di Bernardo secondo cui  «voler investigare cio e orgoglio, crederlo e pieta». Non resta dunque  che un atto di fede di fronte ad un tale mistero, che per sua natura  rimane «ineffabile». L'ineffabilita di tale mistero sembra riaprire nella prospettiva escatologica emerge in modo prevalente, come nel caso dell' Expositio.  L'interesse per l'Agostino musicus e quindi del tutto marginale, nel complesso del  pensiero di F., e viene qui richiamato solo per favorire la comprensione  della particolarita dell'approccio gioachimita nei confronti dello strumento del  salterio. Un tale confronto, del resto, potrebbe fornire qualche interessante  indicazione per una comprensione piu generale del problema. F., II salterio a died corde. L'utilizzo di questo termine per descrivere Palterita del mistero trinitario  rispetto alia nostra comprensione razionale avvicina curiosamente la riflessione di  F. ad un'area di indagine che ha avuto grande fortuna nell'eta moderna, riflessione uno spazio per l'elemento propriamente musicale: tra le arti  e tradizionalmente la musica, infatti, proprio a causa della sua non  corrispondenza con un corpo sensibile, della sua costitutiva  impalpability, ad avere il carattere piu sfuggente, apparentemente  altro. Ineffabile, appunto. Di fronte al fallimento delle nostre facolta  razionali, che devono dichiarare la resa, resta quindi all'uomo ancora  una possibility per mantenere aperto uno spiraglio, un punto di  contatto con il mistero divino: l'elemento musicale, attraverso cui  esprimere la propria invocazione di lode a Dio. Il salterio, in queste  pagine, cessa di essere interpretato esclusivamente come una forma  geometrica per cominciare ad essere considerato secondo la sua  disposizione originaria di strumento musicale. Ai vertici si puo quindi  collocare il termine "Santo", che ripetuto tre volte rappresenta la  perfezione del canto di lode, mentre nel foro della cassa di risonanza si  puo inscrivere il nome del "Signore Dio degli eserciti", simbolo  dell'onnipotenza divina. E proprio questo foro da un lato rappresenta  l'elemento da cui scaturisce la vibrazione sensibile che rende udibile il  canto, dall' altro il fine stesso verso cui tale canto e rivolto. L'ultimo passo compiuto da F. in questa prima distinzione  consiste nel mettere in relazione proprio questi due elementi  geometrici che contraddistinguono la forma del salterio: il triangolo e il  cerchio. Questa caratteristica permette di rimarcare la sfuggente  natura del mistero trinitario: nei vertici del triangolo sono infatti  distinguibili le persone divine, e d' altro canto il cerchio simboleggia la  loro intima connessione che forma un'unita inscindibile. La metafora  puo essere estesa al fatto che proprio in questa unita, cioe nell'elemento  circolare che rappresenta la cassa armonica da cui fuoriesce il suono, lo  strumento compie la sua funzione. La correttezza dell'argomentazione  e ulteriormente giustificata attraverso il riferimento al versetto di  Apocalisse 1, 8: "lo sono l'alfa e l'omega". L'essere atemporale di Dio, il  suo essere al principio come nella fine, e espresso in questo passo  biblico proprio in relazione alia prima e all'ultima lettera dell'alfabeto  greco, le cui raffigurazioni grafiche consistono in un triangolo e in un  cerchio. Il riferimento al passo biblico conclude gli sforzi di F. in questa prima distinzione: la perfezione del salterio, attraverso cui si  incarna in una forma compiuta il mistero trinitario, eleva ad una proprio nell'ambito della riflessione filosofico-musicale: si veda Jankelevitch, La musica e Vineffabile. Sebbene non si possa attribuire  a F., evidentemente, alcuna intenzionalita nell'utilizzo di questo termine,  il confronto tra le prospettive potrebbe portare ad interessanti conclusioni.  prospettiva che permette di abbracciare la perfezione dell'immagine di  Dio nella pienezza dei tempi. Di fronte a questo la ragione e costretta a  fermarsi, e proprio in quel punto deve cominciare il canto. Nella seconda distinzione F. insiste sull'elemento  relazionale come chiave interpretativa e risolutiva del mistero della  trinita. Ricorrendo ancora una volta aH'immagine del salterio, la  prospettiva e delineata attraverso l'osservazione per cui i tre vertici  non possono essere considerati elementi autonomi, ma relazionali,  prodotti dall'unione di due rette secanti. Rette che rappresentano  proprio l'unione di ogni vertice con gli altri due, in modo che nessun  punto potrebbe esistere se non in riferimento agli altri. Lo spazio che  pertiene ad ogni persona, non e pero da intendersi come il singolo  punto isolato, ma come l'angolo avente il suo vertice in quel punto, che  come tale e rappresentato dall'area che sta in mezzo ai lati dell'angolo  stesso. Si puo notare, quindi, che lo spazio di ogni persona coincide con  l'intera area del triangolo. Anzi, ogni area si costituisce in quanto tale,  cioe come porzione delimitata di spazio, proprio attraverso la relazione  con le altre due, che le impediscono di estendersi all'mfinito. La terza distinzione contiene una discussione prettamente teologica  sugli attributi delle tre persone divine, e riguarda in modo meno diretto  il tema della nostra ricerca. Si vuole solo osservare come anche questa  prospettiva permetta a F. di insistere sul concetto di relazione  come elemento centrale per una corretta interpretazione del problema:  la potenza, la sapienza e la carita, caratteristiche che vengono  tradizionalmente attribuite al Padre, al Figlio e alio Spirito Santo, non  sono da concepire come elementi distinti e separabili tra loro, dal  momento che «tutta la trinita e perfetta potenza, tutta la trinita e  perfetta sapienza, tutta la trinita e perfetto amore. Conseguentemente «non sono maggiori o hanno di piu le tre persone,  di quello che ha ciascuna, e non ha meno una, di quello che hanno le tre     insieme. Nella quarta distinzione si introduce un nuovo elemento  nell'interpretazione del salterio, che consiste nell'osservare che il  vertice superiore non e rappresentato attraverso un singolo punto, ma  da un segmento. Questo esprime la priorita del Padre da cui viene  generato il Figlio e successivamente lo Spirito Santo, che procede da  entrambi. L'argomentazione assume in queste pagine dei tratti piuttosto  originali, strutturandosi sulla base di un parallelismo ricercato tra F., II salterio a died corde. l'argomento teologico e la nostra modalita di scrittura. Il procedere  della scrittura cristiana da sinistra verso destra starebbe infatti a  conferma del fatto che la creazione ha inizio col Padre, che genera in  primo luogo il Figlio (lato e vertice sinistro), la cui unione produce lo  Spirito Santo (inteso come vertice destro). Al contrario, stando alle  Scritture, in epoca ebraica Cristo e stato concepito attraverso il corpo di  Maria «per opera dello Spirito Santo» Questo fatto e testimoniato dal  procedere della scrittura ebraica da destra verso sinistra. F.,  del resto, si rende conto che gli elementi introdotti in queste pagine  potrebbero indurre a pensare a una differenza di grado tra le persone  divine, il che sarebbe assolutamente errato. E 1 necessario, quindi,  spingere la lettura interpretativa ancora piu in la, osservando che il  segmento superiore e tale dal momento che in origine non e soltanto il  Padre, ma l'intera trinita, poiche «presso Dio non c'e mutamento, ne  l'ombra della vicissitudine. La forma trapezoidale del salterio indica  quindi che, fin dal principio, erano presenti le tre figure della trinita: e  questo l'argomento della quinta distinzione.   Il confronto tra la particolare considerazione del salterio che viene  fatta nella quarta e nella sesta distinzione, permette di mettere in luce  ancora una volta la peculiarity della riflessione di F. che,  basandosi sul recupero di un'immagine "musicale", oscilla tra le due  sponde della rigida argomentazione teologica e dell'emozione mistica  rappresentata dal canto. Il termine "Onnipotente" che compare nel  vertice del Padre viene qui sostituito da "chiediamo": il salterio torna a  essere uno strumento musicale attraverso cui innalzare la nostra  invocazione al divino. Ancora una volta, di fronte all'incertezza della  ragione, che si trova a dover contemplare l'incommensurabile  perfezione dell'eterna esistenza di Dio, sopravvive l'elemento musicale,  inteso da un lato come strumento di comprensione mistica del mistero  divino, dall'altro come ringraziamento per la grazia concessa. Su questo  sfondo F. riprende il filo della riflessione teorica:  l'affermazione dell'eterna esistenza della trinita lascia aperto il  problema relativo al suo manifestarsi all'interno del tempo umano:  perche il divino, essendo trino fin dal principio, non si e da subito rivelato  all'uomo nella sua essenza piu autentica?   La domanda introduce all'interno di una prospettiva escatologica,  che F. argomenta attraverso una riflessione sul percorso di  maturazione dell'uomo. Dio ha dovuto in un certo senso aspettare che     41 Mt 1,18; Lc 1,26-38; Gv 1,6.   42 Gcl,17. 17 l'uomo fosse in grado di comprendere la sua rivelazione: per questo a  quel «popolo ancora rozzo» 43 che fu quelle- dell'Antico Testamento si  mostro solo come Padre, perche la sua natura trina sarebbe stata  fraintesa in senso politeista. In seguito solo a qualche spirito  particolarmente elevato, come quello dei profeti, e stato dato di  comprendere il mistero, come dimostra Isaia che in piu punti si rivolge  "apertamente" al Figlio: «Signore, chi crede al nostro udito, e il braccio  di Dio a chi e stato rivelato? E salira come un virgulto davanti a lui e  come una radice dalla terra assetata» 44 . Solo con l'avanzare della  maturazione dell'uomo, cioe con il popolo cristiano, «piu vecchio  nell'eta» 45, Dio si e potuto mostrare nella sua reale essenza. A questo  schema apparentemente binario, che si struttura in riferimento alia  contrapposizione Antico-Nuovo Testamento, F. fa seguire  un'interpretazione ternaria del tempo della storia dell'uomo, che viene  suddiviso in riferimento alle figure della trinita. L'argomento viene meglio sviluppato nel libro secondo, in cui  all'epoca del timore e a quella dell'amore, che tradizionalmente  corrispondono al tempo della Legge e quello inaugurato con la venuta  di Cristo, F. fa seguire una terza epoca, che sta per cominciare,  sotto il segno dello Spirito Santo. Proprio questa epoca rappresenta il  culmine del disegno divino: come la prima fu quella del Padre, e la  seconda non solo del Figlio, ma del Padre e del Figlio insieme, cosi la  terza sara l'epoca della trinita nella sua unita perfetta, in cui saranno  presenti nello stesso tempo il Padre, il Figlio e lo Spirito. Di fronte  aH'imminenza di questo tempo, che rappresenta il trionfo dei giusti,  l'intento e quello di ammonire «coloro che abitano in mezzo a Babilonia,  a fuggire da essa» 47 . Il richiamo al secondo libro permette di notare   F., II salterio a died corde.   44 Is 53,1.  F., Il salterio a died corde. La compresenza di questi due modelli escatologici nel pensiero gioachimita e stato  fin da subito una questione centrale tra gli studiosi. Attorno a questo nodo si e  infatti orientato il dibattito ecclesiastico sulla duplice reputazione dell'abate, che  da un lato poteva essere letto come ortodosso (in relazione al modello binario),  dall'altro eterodosso (ponendo l'accento su quello ternario). La storiografia  successiva ha a lungo sottovalutato il problema. Alcuni studiosi hanno provato ad  interpretare il modello binario in relazione alia prospettiva storica e quello  ternario a quella mistica. Si noti che la questione costituisce un altro elemento di  forte distanza tra il pensiero di F. e quello di Agostino. Per una piu curata  riflessione sul tema si veda ancora: G. L. Potesta, Il tempo dell'Apocalisse, cit.   47 F., Il salterio a died corde, cit., p. 172. La citazione rimanda al  versetto di Ap. 18, 4.18 come anche in questo contesto il limite della comprensione razionale,  che si deve arrestare di fronte alia grandezza del disegno divino,  rappresenta l'inizio di un nuovo percorso dove assolutamente centrale  e l'elemento musicale: «a noi ormai deve bastare di avere in questo  modo e fin qui contato le corde. [...] E 1 il tempo di dover cantare e  salmodiare»Tornando alia sesta distinzione, F. procede facendo  corrispondere alia tripartizione della storia tre tipologie di figure  umane, distinte tra loro in riferimento alia propria mansione principale.  Al livello piu basso si collocano i laici, di cui e proprio il lavoro manuale,  poi i chierici, che hanno come compito lo studio e l'insegnamento, e  infine i monaci che si caratterizzano per il canto di lode e la salmodia.  E 1 da notare come il percorso che si delinea attraverso queste tre figure  non rappresenta solo il riconoscimento di una differenziazione sociale  tra gli uomini, ma e anche l'indicazione per una crescita individuale  che innalza l'animo verso Dio. Questi tre stadi sono resi da F. attraverso una similitudine: «nello stato di timore baciamo i piedi, in  quello di apprendimento baciamo le mani, nella salmodia baciamo la  bocca». E dunque «e buono l'inizio nel bacio dei piedi, meglio la  perseveranza nel bacio della mano, l'ottimo e il compimento nel bacio  della sua bocca». L'elemento della bocca viene in questo contesto  recuperato, sulla scia di un'esegesi molto diffusa, per intendere il  mezzo attraverso cui si dispiega nel mondo la creazione e prende forma  il Verbo. Questo rimando ideale al bacio della bocca sembra quindi  voler ribadire come sia proprio l'elemento sonoro a mettere in  comunicazione l'uomo e Dio: da un lato come canto della salmodia,  mansione propria dell'uomo spiritualmente piu elevato, dall'altro come  espressione della potenza creatrice di Dio.   Solo nella settima distinzione F. prende in considerazione  direttamente il tema delle dieci corde dello strumento. Anche in questo F., II salterio a dieci corde. Si vuole osservare che la  lettura qui proposta, che insiste sull'elemento musicale, permette di attribuire al  terzo libro una valenza forse maggiore rispetto a quella che sembra generalmente  assumere. Se l'elemento musicale della salmodia, che contraddistingue la terza epoca, e l'elemento che permette di oltrepassare le facolta della ragione, dal  momento che l'avvento della pienezza divina sembra escludere la possibility di  una comprensione razionale, le pagine finali, dal momento che istruiscono sulle  modalita del canto, possono essere interpretate non solo come un «semplicissimo  libro che si limita a fornire indicazioni per la recita dei salmi, ma come un ammonimento di F. sul modo di  comportarsi per tutti coloro che vivranno il tempo dello Spirito. F., II salterio a dieci corde. caso possiamo distinguere un impiego musicale dell'immagine da uno  piu propriamente teologico. Il primo approccio si basa  sull'interpretazione delle corde come elemento produttore di suono. Da qui si osserva che le corde sono fissate indissolubilmente, alle loro  estremita, ai lati che simboleggiano il Figlio e lo Spirito, mentre la loro  vibrazione si propaga verso il vertice del Padre. Questo a intendere che  il nostro canto deve essere innalzato verso quest’ultimo a partire dal  messaggio della rivelazione contenuto nel Vangelo. D'altra parte, il  suono e reso udibile e prende corpo attraverso la cassa armonica  rappresentata dal cerchio, a sottolineare ancora una volta  1' indissolubility dell’essere trinitario. L'interpretazione piu  propriamente teologica delle corde e da collocare nel contesto  escatologico in cui si chiudeva la sesta distinzione. Il loro numero e la  loro disposizione rappresentano i gradi e la gerarchia degli eletti nella  citta divina, cosi che piu il grado si awicina a Dio, piu la corda e breve,  dal momento che sono meno coloro che riescono ad arrivarci. Alio  stesso modo ogni grado risuona secondo una propria nota, in modo che  «la diversita degli onori adorna meravigliosamente quella santa e  celeste patria, e la moderazione della diversita attraverso l'unita non  lascia nascere il livore. Forse in questa richiamo del suono acuto delle  corde piu vicine a Dio come espressione della difficolta insita nel  percorso per arrivarci si puo vedere un ultimo elemento di ripresa delle  argomentazioni agostiniane, che sembra del resto utile soltanto a  rimarcare la differenza tra le due impostazioni. Piu rilevante sembra  invece considerare come ultimo spunto di questo primo libro il tema  dell'armonia musicale che fornendo delle regole per il bel canto  awicina il nostro animo alia sfera divina. Dio fece questo perche le  corde, tra loro distinte, con i diversi suoni che producono, allietino con  la soavita della loro melodia quella santa citta di Dio, nella quale tutti,  gioiosi, hanno la loro dimora. Per tracciare un bilancio della ricerca condotta, bisogna affermare,  in primo luogo, che non emerge dai testi considerati una tesi "forte"  che possa sintetizzare una presa di posizione chiara. Certamente, nel     complesso, le indicazioni piu interessanti emergono dal testo di  F., in cui si nota che una lettura dell'opera orientata in senso  un po 1 piu musicale, potrebbe rappresentare una prospettiva  attraverso cui reinterpretare alcuni passi e metterne in luce alcune  sfumature. La ricerca, in definitiva, si pone quindi come un primo passo  che schiude degli orizzonti per una ricerca che potrebbe essere ampliata  in molte direzioni. Sullo sfondo, in primo luogo, e da rilevare che  l'analisi dei testi considerati si inserisce nella complessa problematica  del rapporto tra Gioacchino e Agostino, che deve trovare nell'ambito teologico e filosofico, ben prima che in quello musicale, i propri motivi  argomentativi. In quest'ottica, il confronto tra le due prospettive  musicali legate aH'immagine del salterio, proprio perche maturato  inevitabilmente sullo sfondo di un riferimento teologico e morale,  permette di mettere in evidenza qualche elemento utile per una  riflessione piu generale. Certamente la considerazione sarebbe da  allargare ad una analisi piu generale della problematica musicale nel  pensiero dei due autori, in particolare, almeno, al De Musica di Agostino. Infine, le indicazioni che qui abbiamo presentato per via teorica  potrebbero trovare sostegno da una ricerca piu dettagliata delle  pratiche musicali diffuse in ambito monastico nel XII secolo.   Si spera, in ogni caso, che la presente ricerca possa aver fornito  qualche elemento per la comprensione di uno strumento estremamente  affascinante e ricco di mistero, come il salterio a dieci corde. Tavola Illustrativa Prima distinzione: %. i n s .2  Seconda distinzione. Quarta distinzione: attraverso Gesu Cristo nell'unita dello Spirito Sesta distinzione:  attraverso Gesu-Cristo nell'unita dello Spirito.AGOSTINO, Tractatus de X chordis. Bellini, Cruciani, Tarulli, Trattato sul salterio a X corde; in Agostino, Discorsi sul   vecchio testamento, Citta Nuova, Roma].  AGOSTINO, Enarrationes in Psalmos, [tr. it. di T. Mariucci, V. Tarulli,   Esposizione sui salmi; in Agostino, Opera Omnia, voll. 25, 26, 27, Citta   Nuova, Roma 1979].  CATTIN, G., La monodia nel medioevo, EDT Edizioni, Torino. GALLO, A., La polifonia nel medioevo, EDT Edizioni, Torino. F., Psalterium dececm chordarum [tr. it. di F.   Troncarelli, K. V. Selge, II salterio a died corde, Viella, Roma].  POTESTA, G. L., Il tempo dell'Apocalisse. Vita di F., Laterza,   Roma Bari. SACHS, C, The history of musical instruments, Norton, Papini, Storia degli strumenti musicali, Mondadori, Milano. SEQUERI, P., Musica e mistica, Libreria Editrice Vaticana, Vaticano. Keywords: implicatura, Fusaro, implicatura musicale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Fiore: implicature” – The Swimming-Pool Library. Gioacchino da Fiore. Fiore.

 

Grice e Fiormonte: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale --filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Domenico – filosofo.

 

Grice e Fiorentino: la ragione conversazionale e la lingua dei romani – scuola di Sambiase – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Sambiase). Filosofo italiano. Sambiase, Lamerzia Terme, Catanzaro, Calabria. Grice: “I like Fiorentino; for one, he influenced Gentile – Fiorentino managed to write two important tracts: a systematic ‘manuale’, of ‘elementi di filosofia’ with a section on semantics, communication, and language – his view of the latitudinal history of philosophy – and a ‘storia della filosofia,’ again seen as a manual, literally handbook! Both very clear and to the right audience!” Figlio di Gennaro, chimico e farmacista, e da Saveria Sinopoli. Fu educato da Giorgio e Bruno Sinopoli, rispettivamente zio e fratello di sua madre, entrambi sacerdoti, e venne influenzato dal pensiero e dagli scritti di Capocasale e Galluppi. Studia filosofia a Nicastro, sotto Marco e Crecca, insigni filosofi e latinisti. Trascorre il suo tempo libero nel caffè letterario "Cherry Plum", luogo d'élite che attira gli filosofi. Iniziò a farsi conoscere tra i coetanei di Sambiase, costruendosi una discreta reputazione. Si trasferì a Catanzaro dove intraprese gli studi di giurisprudenza. Sarebbe probabilmente divenuto un avvocato se la filosofia non fosse stata la sua innata passione. All'indomani dell'ignominosa resa del generale Ghio e dei suoi dodicimila soldati borbonici a Soveria Mannelli, nell'incontrare Garibaldi a Maida, Fiorentino gli si avvicinò per congratularsi del successo ottenuto gridando: «Viva l'annessione, vogliamo l'annessione!»  Dopo l'Unità d'Italia, venne nominato, con decreto regio, professore di filosofia a Spoleto. La sua fama di intellettuale e filosofo aveva varcato i confini della sua natia regione.  Si iniziato in Massoneria, nella Loggia Felsinea di Bologna.  Da Spoleto presto passa a Maddaloni, dove approfondì sempre più i suoi studi. Pubblica Il “panteismo” di Bruno.  Rivedeva molto di sé nel carattere e nel martirio di Bruno. La stessa affinità che, sia pure in chiave politica, ritrova Gioberti, grande statista. Il saggio su Bruno gli valse la cattedra a Bologna che era stata di Spaventa. Si occupa della storia della filosofia romana, contemporaneamente si interessò dell'epoca risorgimentale mettendo in risalto filosofi pocco conosciuti, quale A B C D ed E. Scrosse “La filosofia romana”; Pomponazzi; e “Scritti varii”. Seguì l'opera su Telesio data alle stampe in Firenze. Si trasferì a Napoli e Pisa. A Pisa pubblica “Elementi di filosofia” e il Manuale di Storia della Filosofia. Di lui risaltava lo stile incisivo e spigliato. Fonda il Giornale Napoletano. con le sue prefazione e note, pubblicò "Poesie Liriche edite ed inedite di Tansillo" (Domenico Morano, Napoli). Altre opere: “Volgarizzazione dell'Itinerario della mente a Dio di S. Bonaventura, dei Libri del Maestro, Dell'immortalità dell'anima e Del libero arbitrio di Aurelio Agostino, del Proslogio di Anselmo d’Aosta, Messina, Sul panteismo di Giordano Bruno” (Napoli); Saggio storico sulla filosofia greca” (Firenze); “Pomponazzi, studi storici sulla scuola bolognese e padovana del secolo XVI” (Firenze); “Telesio, ossia studi storici sull'Idea della Natura nel Risorgimento [Rinascimento] italiano” (Firenze); “La filosofia contemporanea in Italia, Napoli, Scritti vari di letteratura, poesia e critica, Napoli); “Elementi di filosofia, Napoli); “Della vita e opere di Grazia, Napoli); “Manuale di storia della filosofia, Napoli); “Il Risorgimento filosofico nel Quattrocento, Napoli, L. Lo Bianco, Vittorio Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori, Erasmo ed., Roma, Galati, Interpretazione dell'opera, in «Archivio storico della filosofia italiana», Oldrini, “La cultura filosofica napoletana dell'Ottocento” (Bari); Di Giovanni, A cento anni dalla nascita dell'idealismo italiano, in «Bollettino della Società Filosofica Italiana», Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. openMLOL, Horizons Unlimited srl. Il contributo italiano alla Filosofia. Istituto dell'Enciclopedia. Formazione del linguaggio. Il linguaggio e la prerogativa umana. Tra tutti gli animali l’uomo solo parla. E poiché l’uomo solo è forsia (li'u^wujqko aito (Vi ntoli ia'ciiz a, è naturale che tra cotesti due fatti |uU£li^tJtp si) cercato di trovare un nesso necessario. Ammessa questa mutua connessione, la domanda che naturalmente ne deriva, è questa. L’uomo parla perchè ragiona? O, al rovescio, ragiona perchè parla? Teoria K tradizionalistica sull’origine del linguaggio e sua critica. Le due opposte sentenze hanno trovato sostenitori. Una scuola detta de’ tradizionalisti non solo ha ammesso la necessità della parola per pensare, ma, com’è inevitabile, riconosce necessaria la rivelazione divina per la origine del linguaggio umano. Il corollario è perfettamente logico. Se l’uomo non può inventar nulla senza pensare, e se, per pensare, c’è (i) [Principale rappresentante moderno del tradizionalismo è il francese visconte Bonald). Jrr*“ ilwlWuii) 6 JL^XÒru] di mestieri la parola, il linguaggio non poteva più derivare dall’uomo. E quindi a lui dove essere stato rivelato dal divino. Una difficoltà molto ovvia non è stata però tenuta in conto. Come si fa a capire il linguaggio, se non è opera nostra, e se al suono esteriore non risponde nell’animo nostro il pensiero associatovi? Perchè il cavallo, il cane, benché odano il suono delle parole, non ne comprendono il significato! GIOBERTI, che rinfresca il tradizionalismo, cerca di evitare questo scoglio, distinguendo il pensiero primitivo, intuitivo, che precede il linguaggio, dal pensiero riflesso, che gli tien dietro e lo presuppone. Il linguaggio, per GIOBERTI, non è il fattore delle idee, ma l’istrumento indispensabile, perchè esse siano ripensate. Poiché però le idee nell’intuito mancano di distinzione, anche lui dovette sostenere la rivelazione per l’origine del linguaggio umano. Senza entrare in risposte astruse, noi opponiamo a questa dottrina un fatto molto comune. Poiché l’intuito delle idee è sempre presente, e poiché il suono del linguaggio colpisce il bambino fin dal suo primo nascere, perchè questi noi comprende subito, nò subito parla? Dati i due co-efficienti, l’intuito dell’idea e il suono esterno della parola, l’intelligenza dove immantinenti balzar fuora. Ed intanto non è così, e ci vuole un lavoro lento ed assiduo, prima d’ intendere il valore del linguaggio. A (oM^Y^O l*< Tt.cC)) Teoria razionale. Lasciando dunque la mistica spiegazione di una rivelazione dal divino, la quale s’impiglierebbe in altre difficoltà, a spiegare, p. es., come il divino, puro spirito, puo sensibilmente parlare, veniamo alla spiegazione umana. Linguaggio e universali. L’uomo parla soltanto quando è capace di idee generali. Perciò noi abbiamo a<mr>v fatto seguire alla formazione di queste la formazione del linguaggio, che è la conseguenza. Come l’individuo è chiuso in sè ed irrelativo, così JL^ la sensazione, che vi corrisponde, è muta. Il linguaggio è comuni chevolezza tra spirito e spirito, e ciò che v’ha T di comune tra loro è, e non può essere altro, che l’universale. 1***^*» (s) I nomi. L’universale ha però diversi gradi, e sul primo formarsi non esprime altro che limi rappresentazione comune a più individui percepiti. In questo si fonda l’imposizione dei nomi che si desume sempre da quella proprietà che più ha colpito l’immaginazione di un [mainili <U*^fvTcj.] popolo come il romano. Così, p. es., guardando il mare, imo può rimanere più scosso dalla sua mobilità, un altro dalla nr sua ampiezza, un altro dal suo colore. E da ciascuna di queste proprietà può imporgli un nome diverso. Le altre note rimangono in seconda linea. Fermarsi sopra di una nota, a preferenza di un’altra, dipende poi dal diverso genio del popolo – come il romano -- che si crea il linguaggio. Perciò, non senza ragione la filologia, s’ingegna d’indovinare le concezioni nascenti devòlversi popoli dalle radici delle parole primitive. Il con questo metodo, riscontrando talune dai romani, che si trovano le stesse, appresso tre rami di una sola razza, dimostra a che grado di civiltà essi sono pervenuti prima di sparpagliarsi per varie ragioni. Comune, p. es., è la parola che significa il umo. Dunque, prima di dividersi, questi popoli – il popolo romano dal popolo umbro ed usco -- hanno appreso ad estrarre il succo dalle uve. (A^tVvJ — Vc^fi IktcrrtsblC? <&Jt*/fl'n'tT tZjÉXjjrtmu Z Ain. f"r2rH^-££ RaA^ L ^ia^AA*-**** t^x<^ 7 r •<!T- J e /e altre parti del discorso. L’imposizione de’ nomi costituisce però la materia greggia di una lingua. E corrisponde appunto alla virtù rappresentativa dello spirito romano. L’attività dello spirito stesso è *signi-ficata* dal verbo, che è perciò l’elemento organico, e dalla cui più perfetta determinazione dipende la perfezione maggiore di una lingua. Le altre particelle, — preposizioni, congiunzioni, avverbi, — esprimono l’elemento formale e categorico del pensiero. Esprimono astrattamente le relazioni di cui sono capaci tanto gl’oggetti quanto l’attività medesima del nostro pensiero. [ >*<0 non x 3) Radici e flessioni. Nel nome e nel verbo si distingue la rappresentazione originaria da quelle determinazioni che dip oi, nel processo del linguaggio, le si sogliono aggiungere. C’è quindi in entrambi la radice e la flessione. Quando la lingua dei romani è sul nascere, il nome ed il verbo sono espressi da un mono-sillabo – e. g. ‘fa’ --, che rinchiude, come in un germe, la rappresentazione primitiva di una cosa o di un’azione. Quando poi si comincia a distinguere meglio le determinazioni che scampagnano o la cosa o l’azione, allora le varie modificazioni della radice primitiva esprimono i numeri, i generi, i casi, le persone, il tempo. E tali flessioni si dicono declinazioni o coniugazioni, secondo che modificano il nome o il verbo. Di questi due elementi fondamentali del linguaggio dei romani, il verbo va congiunto con la categoria di tempo, il nome no. La ragione di tal divario è questa, che il verbo esprime l’azione, la quale senza il tempo non si puo classificare con precisione; laddove il porne, esprimendo il soggetto o l’oggetto de l’azione, stessa, *signi-fica* qualcosa di iienjnuignte, e si circoscrive piuttosto con le relazioni spaziali. Nella ricca lingua dei romani, difatti, tra i casi, che esprimono le diverse modificazioni de’nomi, si trova quello che VARRONE chiama il caso locativo – che indica il luogo dove la cosa si trova. Quanto più numerose e sottili sono le flessioni che fissano le varie sfumature dell’azione tanto più ricca e più precisa è una lingua – a nulla piu ricca che la degi romani. Quanto più fine sono le gradazioni dell’azione che lo spirito romano può cogliere, e rivelare nel linguaggio dei romani, tanto è maggiore l’attitudine civile -- artistica e scientifica. Dove, invece, si arriva appena a significare 1’azione in una forma rozza, e quasi direi all’ingrosso, quivi manca il genio civile -- artistico e la speculazione, come nella lingua dei etruschi (‘toschi’). La perfezione dell’organismo sintattico rivela la potenza creatrice ed inventiva del popolo romano. La lingua romana mostra l’eccellenza di questa coltissima nazione. E criterio di quella eccellenza è la compiuta forma del verbo, che nella lingua romana basta ad esprimere ogni più delicata e fuggevol forma del pensiero. Le particelle. Condizione primissima del filosofare è una lingua la quale jgossa astrarre, e fissare le relazioni in sfe, ed indipendentemente dai proprii termini. Quindi le particelle -- che diciamo preposizioni, congiunzioni ed avverbii -- e che sono come le giunture del linguaggio, diventano un aiuto potentissimo, anzi un istrumento indispensabile della speculazione filosofica romana. Per esse, noi pensiamo le relazioni di tempo e di spazio, di causa e di effetto, di mezzo e di fine, e simili, non solo in quanto si trovano, dirò così, incorporate coi termini fra cui tramezzano, ma le pensiamo sciolte da ogni rappresentazione e come concetti puri – come categorie. Il I “dove”, il II “quando”, il III “di” – del genitivo soggetivo e del genitivo oggetivo --; il IV “da”, il V “per”, esprimono il I luogo, il II tempo, la III proprietà, la IV provenienza, il V mezzo, come *categorie* a se, che noi applichiamo ai nomi ed ai verbi, producendo così l’organismo del *periodo*. L’abbondanza di tali particelle è parimenti indizio della perfezione della lingua dei romani. [pajth'cfiiU'- i)] C’è dunque nella lingua dei romani tre gradi. C’è la rappresentazione della cosa o dell’azione, espressa dalla nuda radice. C’è la rappresentazione determinata per mezzo de’ concetti puri, espressa dalla flessione; e ci sono infine i concetti puri, in s&J astratti da ogni rappresentazione, e sono le particelle invariabili.  Sviluppo delle lingue. I linguaggi barbari e rozzi – come il toscano – “tosco”, dagl’antichi etruschi -- (si arrestano alle prime, alle radici mono-sillabiche, alle semplici rappresentazioni; o, tutto al più, riescono a con-glutinarle insieme. Una lingua sviluppata come la romana ha flessioni. Ha cioè nomi e verbi perfettamente determinati; e Analmente ha un ricco corredo di particelle signiflcabrici delle relazioni universali. Delle particelle, di cui parliamo, la lingua romana ha maggior copia. Onde Xmo viene la loro maggiore attitudine a *sig-nificare* i concetti speculativi. Gli elementi delle lingue secondo Miiller. In conformità alle osservazioni da noi riferite finora, giova allegare l’autorità di Muller ]\IiUl er J ), il quale, dopo sottili indagini, conclude, che la lingua romana, passata pel crogiuolo della grammatical comparata, è risultata composte di due elementi (Miiller, Letture sulla scienza del linguaggio, e Nuove letture, trad. in ital. da Nerucci] costitutivi; di una radice *attributiva* e di una radice dimostrativa. Una radice attributiva serrve a *sig-nificare* una meidesima qualità primitiva, che si attribuisce ad un qualche essere. Una radice dimostrativa, invece, serve ad esprimere una determinazione meramente formale. Lq j flessioni, consistenti nelle declinazioni de’ nomi, e nelle coniugazioni de’ verbi, nascono dalla unione organica delle due differenti specie di radici in una sola espressione. Di modo che, anche filologicamente, apparirebbe manifesta la distinzione originaria di un *elemento attributivo* e di un *elemento dimostrativo* nella lingua dei romani – Catone: HOMO FABER – questo homo faber -- ; che corrispondeno al contenuto (o materia) il primo, ed alla *forma* del pensiero il secondo. La compenetrazione di questi due elementi primitivi non è uguale in tutte le famiglie delle lingue che si parlano. È perfetta, e perciò a mala pena discernibile, nella lingua romana. È imperfetta, e, perciò più facilmente riconoscibile, nell’etrusco. Apprendimento delle lingue. Altra è la funzione, che si richiede a formare la lingua; altra è quella dello impararla, formata che sia; benché le due funzioni abbiano, e debbano avere, alcunché di comune. Prevale rimmaginazione produttiva nella formazione primitiva del linguaggio romano. Prevale la ri-produttiva nella loro apprensione. Il bambino che nasce in una società progredita non deve far altro che assimilarsi il linguaggio materno così coin 7 è stato tramandato. Egli impiega in questo lavoro assimilativo i primi V anni della sua fanciullezza, durante il qual tempo impara più, come diceva Gian Paolo, che non in altrettanti anni eli accademia. La sua mente vergine e robusta si arricchisce ben presto di quel tesoro tradizionale, eh’ ei si appropria e fa suo, riponendolo nella fresca e tenace memoria. L’apprendimento delle lingue, già si facile in questa prima età, si va poi di mano in mano rendendo malagevole, perchè la memoria con gl’anni si affievolisce e diviene men facile a ricevere, e men fedele nel ritenere. E il caso di Catone, che, sappendo che il suo grecco non e eccelente, richiede d’un interprete – e anche quando visita Firenze! [Riehter, grande scrittore umorista, tedesco].  Wikipedia Ricerca Marco Porcio Catone politico, generale e scrittore romano Lingua Segui Modifica Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando altri personaggi con lo stesso nome, vedi Marco Porcio Catone (disambigua). Marco Porcio Catone Project Rome logo Clear.png Censore della Repubblica romana Marco Porcio Caton Major.jpg Particolare del Patrizio Torlonia, busto identificato con Catone il Censore Nome originaleMarcus Porcius Cato Nascita Tusculum Morte Roma Coniuge Licinia Salonia FigliMarco Porcio Catone Liciniano Marco Porcio Catone Saloniano Gens Porcia Padre Marco Porcio Questura Edilità Pretura Consolato Censura Ceterum censeo Carthaginem esse delendam. Per il resto ritengo che Cartagine debba essere distrutta. (Porcio Catone) Marco Porcio Catone (in latino: Marcus Porcius Cato; nelle epigrafi M·PORCIVS·M·F·CATO; Tusculum – Roma) è stato un politico, generale e scrittore romano, chiamato anche Catone il Censore (Cato Censor), Catone il Sapiente (Cato Sapiens), Catone l'Antico (Cato Priscus), Catone il Vecchio per aver superato di molto l'età media massima di vita allora a Roma o Catone il Maggiore (Cato Maior) per distinguerlo dal pronipote Catone l'Uticense.  BiografiaModifica Ritratto Modifica Plutarco, autore delle Vite parallele, dà questo ritratto di Catone: Quanto al suo aspetto, aveva capelli rossastri e occhi azzurri, come ci rivela l'autore di questo poco benevolo epigramma: “Rosso, mordace, occhiazzurro, Persefone neanche morto accoglie Porcio in Ade. Fisicamente era ben piantato; il suo corpo s'adattava a qualunque uso, era tanto robusto quanto sano, poiché fin da giovane si applicò al lavoro manuale - saggio metodo di vita - e partecipò a campagne militari. Origini familiari De re rustica, Nacque  a Tusculum, da un'antica famiglia plebea che si era fatta notare per qualche servizio militare, ma non nobilitata dal fatto di aver rifiutato le più importanti cariche civili. Fu allevato, secondo la tradizione dei suoi antenati latini, perché divenisse agricoltore, attività alla quale egli si dedicò costantemente quando non fu impegnato nel servizio militare. Ma, avendo attirato l'attenzione di Lucio Valerio Flacco, fu condotto a Roma, e divenne successivamente questore, edile, pretore e console percorrendo tutte le tappe del cursus honorum assieme al suo vecchio protettore; divenne infine censore.  Marco Porcio Catone è considerato il fondatore della Gens Porcia. Ebbe due mogli: la prima fu Licinia, una aristocratica della Gens Licinia, da cui ebbe come figlio Marco Porcio Catone Liciniano; la seconda, è Salonia, figlia di un suo liberto, sposata in tarda età dopo la morte di Licinia, da cui ebbe Marco Porcio Catone Saloniano, nato quando il Censore aveva 80 anni. «I ladri di beni privati passano la vita in carcere e in catene, quelli di beni pubblici nelle ricchezze e negli onori»  (Marco Porcio Catone, citato in Aulo Gellio, Notti attiche) Durante i suoi primi anni di carriera si oppose all'abrogazione della lex Oppia, emanata durante la seconda guerra punica per contenere il lusso e le spese esagerate da parte delle donne. Prestò servizio in Africa, come questore con Scipione l'Africano ma lo abbandonò dopo un litigio a causa di presunti sperperi. Egli comandò invece in Sardegna, dove per la prima volta mostrò la sua rigidissima moralità pubblica, e in Spagna, che egli assoggettò spietatamente, guadagnando di conseguenza la fama di trionfatore. Ricopre il ruolo di tribuno militare nell'esercito di Manio Acilio Glabrione nella guerra contro Antioco III il Grande di Siria, giocò un ruolo importante nella battaglia delle Termopili e attaccando alle spalle Antioco permise la vittoria dei romani, che segnò la fine dell'invasione seleucide della Grecia. Nel 189 a.C. condusse un processo sia contro Scipione l'Africano sia contro il fratello Scipione l'Asiatico, accusandoli di aver concesso dei favori personali al re di Siria Antioco III e di aver dissipato il tesoro dello Stato. Il caso degli Scipioni consiste in uno dei più grandi scandali della Repubblica Romana, considerando che, soprattutto Scipione L'Africano, era considerato l'eroe della Seconda Guerra Punica.  Opera pubblicaModifica La sua reputazione di soldato era quindi consolidata; da quel momento in poi egli preferì servire lo stato a casa, esaminando la condotta morale dei candidati alle cariche pubbliche e dei generali sul campo. Pur non essendo egli personalmente coinvolto nel processo per corruzione contro gli Scipioni (l'Africano e l'Asiatico), fu tuttavia lo spirito che animò l'attacco contro di loro. Persino Scipione l'Africano, che si rifiutò di rispondere all'accusa, affermando solo: "Romani, questo è il giorno in cui io sconfissi Annibale", venendo assolto per acclamazione, trovò necessario ritirarsi, auto-esiliandosi, nella sua villa a Liternum. L'ostilità di Porcio Catone risaliva alla campagna d'Africa quando discusse con Scipione per l'eccessiva distribuzione del bottino tra le truppe, e la vita sfarzosa e stravagante che quest'ultimo conduceva.  Censore Al secondo tentativo, egli fu eletto censore ed esercitò questa carica per quattro anni così bene che gli venne assegnato il soprannome di Censore (anche per il suo carattere severo, per il suo austero moralismo e per l'asprezza delle critiche rivolte da lui contro ogni indizio di corruzione delle antiche virtù romane).  Contro l'ellenismoModifica Catone si oppose inoltre all'ellenizzazione, ossia il diffondersi della cultura ellenistica, che egli riteneva minacciasse di distruggere la sobrietà dei costumi del vero romano, sostituendo l'idea di collettività con l'esaltazione del singolo individuo. Fu nell'esercizio della carica di censore che questa sua determinazione fu più duramente esibita e ovviamente il motivo dal quale gli derivò il suo celebre soprannome. Revisionò con inflessibile severità la lista dei senatori e degli equites, cacciando da ogni ordine coloro che riteneva indegni, sia per quanto riguarda la moralità, che per la mancanza dei requisiti economici previsti. L'espulsione di Lucio Quinzio Flaminino per ingiustificata crudeltà, fu un esempio della sua rigida giustizia.  Contro il lusso La sua lotta contro il lusso fu assai serrata. Impose una pesante tassa sugli abiti e gli ornamenti personali, specialmente delle donne, e sui giovani schiavi comprati come concubini o favoriti domestici (leggi sumptuariae). Nel 181 a.C. appoggiò la lex Orchia(secondo altri egli prima si oppose alla sua introduzione, e successivamente alla sua abrogazione), la quale prescriveva un limite al numero di ospiti in un ricevimento, e la lex Voconia, uno dei provvedimenti che miravano a impedire l'accumulo di un'eccessiva ricchezza nelle mani delle donne. Con le donne di casa, mogli, figlie o schiave, fu assai severo, fino a sfiorare talvolta la tirannia; una delle cause di dissenso con gli Scipioni, era proprio la libertà e il lusso che questi concedevano alle loro donne.  Nei confronti delle donne in realtà Catone appare quasi un nemico, penalizzandole in ogni modo: ne limitò il lusso degli abiti e dei gioielli, si oppose al possesso da parte della donna di denaro e ricchezza, sempre in difesa dei valori morali della Repubblica.  Contro i BaccanaliFu assai disgustato, assieme a molti altri dei romani più conservatori, dalla diffusione dei riti misterici dei Baccanali, che egli attribuì all'influenza negativa dei costumi greci; perciò sollecitò con veemenza l'espulsione dei filosofi greci (Carneade, Diogene lo Stoico e Critolao), che erano giunti come ambasciatori da Atene, sulla base della pericolosa influenza delle idee diffuse da costoro.  Contro i medici Catone provava ripugnanza per i medici, che erano principalmente greci. Ottenne il rilascio di Polibio, lo storico, e dei suoi compagni prigionieri, chiedendo sprezzante se il Senato non avesse niente di più importante da discutere del fatto che qualche greco dovesse morire a Roma o nella sua terra. Era quasi ottantenne quando, secondo quanto dicono le fonti biografiche, ebbe il suo primo contatto con la letteratura greca; anche se, dopo aver esaminato i suoi scritti, è verosimile ritenere che possa aver avuto un contatto con le opere greche per gran parte della sua vita.  Contro CartagineModifica Il suo ultimo impegno pubblico fu di spronare i suoi compatrioti verso la terza guerra punica e la distruzione di Cartagine. Fu uno dei delegati mandati a Cartagine per arbitrare tra i cartaginesi e Massinissa, re di Numidia. La missione fu fallimentare e i commissari ritornarono a casa. Ma Porcio Catone fu colpito dalle prove della prosperità dei cartaginesi a tal punto da convincerlo che la sicurezza di Roma dipendesse dalla distruzione totale di Cartagine. Da quel momento egli continuò a ripetere in Senato: «Ceterum censeo Carthaginem delendam esse.» ("Per il resto ritengo che Cartagine debba essere distrutta."). È noto che egli ripeteva ciò alla conclusione di ogni suo discorso.  Altre attivita Riguardo alle altre questioni egli fece riparare gli acquedotti di Roma, pulire le fognature, impedì a soggetti privati di deviare le acque pubbliche per il loro uso personale, ordinò la demolizione di edifici che ostruivano le vie pubbliche, e costruì la prima basilica nel Foro vicino alla Curia (Livio, "Historiae", 39.44; Plutarco, "Marcus Cato"). Aumentò inoltre la somma dovuta allo stato dai pubblicani per il diritto di riscuotere le tasse e allo stesso tempo diminuì il prezzo contrattuale per la realizzazione di lavori pubblici.  MorteModifica Dalla data della sua carica di censore alla sua morte, avvenuta nel 149 a.C. sotto il consolato di Manio Manilio Nepote e Lucio Marcio Censorino, Porcio Catone non occupò nessun'altra carica pubblica, ma continuò a distinguersi in Senato come tenace oppositore ad ogni nuova influenza.  Solo dopo la sua morte si iniziò la spedizione contro Cartagine, che lui aveva voluto.  La visione della società Per Porcio Catone la vita individuale era un continuo auto-disciplinarsi, e la vita pubblica era la disciplina dei molti. Egli riteneva il singolo pater come il principio della famiglia, e la famiglia come il principio dello stato. Attraverso una rigida organizzazione del suo tempo egli realizzò un'enorme quantità di lavoro; pretese inoltre la medesima applicazione dai suoi dipendenti, e si dimostrò un marito e un padre severo, un inflessibile e crudele padrone. Ci fu apparentemente poca differenza, nel modo in cui trattava sua moglie e i suoi schiavi; il suo orgoglio soltanto lo indusse a prestare una più calorosa attenzione verso i figli.  Riconoscimenti Per i romani stessi ci fu poco nella sua condotta che sembrasse necessario censurare; fu sempre rispettato e considerato come un esempio tradizionale degli antichi e più genuini costumi romani. Nel notevole passo in cui Livio descrive il carattere di Porcio Catone, non c'è alcuna parola di biasimo per la rigida disciplina della sua condotta domestica.  Opera letterariaModifica Porcio Catone è tra le principali personalità della letteratura latina arcaica: egli fu oratore, storiografo e trattatista. Fu autore di una vasta raccolta di manuali tecnico-pratici, con i quali intendeva difendere i valori tradizionali del mos maiorum contro le tendenze ellenizzanti dell'aristocrazia legata al circolo degli Scipioni, indirizzata al figlio Marco, i Libri ad Marcum filium o Praecepta ad Marcum filium, di cui si conserva per intero soltanto il Liber de agri cultura, in cui esamina, soprattutto, l'azienda schiavile che tanto spazio si conquisterà poi in età imperiale. Affrontò inoltre la tematica dei valori tradizionali romani anche in un Carmen de moribus di cui sono ad oggi pervenuti pochissimi frammenti.  Fin dalla giovinezza si dedicò all'attività oratoria: pronunciò in tutta la sua vita oltre centocinquanta orazioni,[4] ma sono attualmente conservati frammenti di varia estensione riconducibili a circa ottanta orazioni diverse. Si distinguono tra esse orationes deliberativae, ovvero discorsi pronunciati in senato a favore o contro una proposta di legge, e orationes iudiciales, discorsi giudiziari di accusa o difesa.  Fu inoltre autore nella vecchiaia della prima opera storiografica in lingua latina, le Origines, il cui argomento era la storia romana dalla leggendaria fondazione fino al II secolo a.C. Dell'opera, pur significativa dal punto di vista ideologico, si conservano scarsi frammenti. Catone individua nel culmine del percorso educativo la formazione di un vir bonus, dicendi peritus (uomo di valore, esperto nel dire), espressione che sarà il cardine del successivo modello educativo romano. L'opera letteraria di Porcio Catone, in particolare quella storica e oratoria, fu elogiata da Cicerone, che definì il censore primo grande oratore romano, e il più degno d'essere letto. Nella prima età imperiale, nonostante l'ideologia di Porcio Catone coincidesse in buona parte con la politica restauratrice del mos maiorum promossa da Augusto, l'opera di Porcio Catone fu oggetto di sempre minore interesse. Con l'affermarsi delle tendenze arcaizzanti nel II secolo d.C., invece, essa fu oggetto di grandi attenzioni, seppure a carattere esclusivamente linguistico ed erudito: Gellio e Cornelio Frontone ne tramandarono molti frammenti, e l'imperatore Adriano dichiarò di preferire Porcio Catone anche allo stesso Cicerone. A partire dal IV secolo d.C. l'opera di Porcio Catone iniziò a disperdersi, e se ne perse la conoscenza diretta. Grande diffusione ebbero, invece, le raccolte di proverbi in esametri erroneamente attribuite a Porcio Catone e denominate Disticha Catonis e Monosticha Catonis. Plutarco, Vita di Marco Catone, Velleio Patercolo, Historiæ Romanæ ad M. Vinicium libri duo, Saltini, Storia delle scienze agrarie, Dalle civiltà mediterranee al Rinascimento europeo, 3ª ediz., Firenze, Nuova Terra Antica, Cicerone, Brutus, Pontiggia - M.C. Grandi, Letteratura latina. Storia e testi, Milano, Principato, Pontiggia - Grandi, p. 164. ^ U. Avalle - M. Maranzana, Pedagogia, vol. I, Dall'età antica al Medioevo, Torino, Paravia, Brutus, Pontiggia – Grandi Edizioni Scriptores rei rusticae, Venetiis, apud Nicolaum Ienson [Contiene i De re rustica di Catone, Varrone, Columella e Rutilio Tauro Palladio] (editio princeps). De agri cultura liber, Recognovit Henricus Keil, Lipsiae, in aedibus B.G. Teubneri, De agri cultura, ad fidem Florentini codicis deperditi edidit Antonius Mazzarino, Lipsiae, in aedibus B.G. Teubneri, Marci Porci Catonis Oratio pro Rhodiensibus. Catone, l'Oriente Greco e gli Imprenditori Romani. Introduzione, Edizione Critica dei Frammenti, Traduzione Ital. e Commento, a cura di Gualtiero Calboli, Bologna Traduzioni italiane Catone, De re rustica, con note, [Traduzione di Giuseppe Compagnoni], Venezia, nella stamperia Palese («Rustici latini volgarizzati»). Catone, Dell'agricoltura, Versione di Alessandro Donati, Milano, Notari, 1929. Liber de agricoltura, Roma, Ramo editoriale degli agricoltori, L'agricoltura, a cura di Luca Canali e Emanuele Lelli, Milano, A. Mondadori, Opere, a cura di Paolo Cugusi e Maria Teresa Sblendorio Cugusi, Torino, UTET, Per la bibliografia specifica sul De agri cultura e sulle Origines si rimanda alle rispettive voci)  L. Alfonsi, Catone il censore e l'umanesimo romano, Napoli, Macchiaroli, Astin, Cato the Censor, Oxford, Clarendon, Burckhardt, Cato der Censor, Basel, Reinhardt, Cordioli, Marco Porcio Catone il censore e il suo tempo, Bergamo, Sestante, Corte, Catone Censore. La vita e la fortuna, Torino, Rosemberg e Sellier (rist. Firenze, La Nuova Italia). P. Fraccaro, Sulla biografia di Catone maggiore sino al consolato e le sue fonti, Mantova, G. Mondovì, (estr.). F. D. Gerlach, Marcus Porcius Cato der Censor, Basel, C. Schultze, Marcucci, Studio critico sulle opere di Catone il maggiore, vol. I [unico pubblicato], Analisi delle fonti, questioni varie, Orazioni del periodo consolare e degli anni posteriori fino alla censura, Orazioni del periodo censorio, Pisa, succ. fratelli Nistri, Marmorale, Cato maior, Catania, G. Crisafulli (II ed. Bari, Laterza). C. Ricci, Catone nell'opposizione alla cultura greca e ai grecheggianti. Nota, Palermo, D. Lao e S. De Luca, Sciarrino, Cato the Censor and the beginnings of Latin prose. From poetic translation to elite transcription, Columbus, Ohio State University Press, Fonti antiche Cicerone, Cato maior de senectute Cornelio Nepote, Vita M. Porcii Catonis Tito Livio, Ab Urbe condita, Plutarco, Vita Catonis maioris Marco Porcio Catone Uticense, bisnipote A a Marco Porcio Catone Catóne, Marco Porcio, detto il Censore, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Plinio Fraccaro, CATONE, Marco Porcio, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Catone, Marco Porcio detto il Censore, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Catóne, Marco Pòrcio, detto il Censóre, su sapere.it, De Agostini. Marco Porcio Catone, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Marco Porcio Catone, in Diccionario biográfico español, Real Academia de la Historia. Opere di Marco Porcio Catone, su PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. Opere di Marco Porcio Catone / Marco Porcio Catone (altra versione), su open MLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Marco Porcio Catone, su Open Library, Internet Archive. Opere di Marco Porcio Catone, su Progetto Gutenberg. Audiolibri di Marco Porcio Catone, su LibriVox. Marco Porcio Catone, su Goodreads. Marco Porcio Catone, su Discografia nazionale della canzone italiana, Istituto centrale per i beni sonori ed audiovisivi. Biblioteca degli scrittori latini con traduzione e note: M. Porcii Catonis quae supersunt opera, Venetiis excudit Joseph Antonelli. Les agronomes latins, Caton, Varron, Columelle, Palladius, avec la traduction en français, M. Nisard (a cura di), Paris, Firmin Didot Fréres; Historicorum Romanorum Reliquiae, Hermannus Peter (a cura di), vol. 1, in aedibus B. G. Teubneri, Lipsiae. M. Catonis praeter librum de re rustica quae extant, Henri Jordan (a cura di), Lipsiae, in aedibus B. G. Teubneri. Portale Antica Roma Portale Biografie Portale Letteratura. Carthago delenda est Locuzione latina di Catone il Censore  De agri cultura opera di Catone  Origines opera di Marco Porcio CATONE. ETICA  Sentimento e appetito Principio dello spirito pratico.L’azione riflessa. L’appetito. La sensazione e il sentimento. La duplicità della tendenza appetitiva. Divario tra azione riflessa ed appetito. L’appetito fondamentale. Piacere e dolore. Causa del piacere e del dolore. Il sentimento principio d’azione. Tanto il piacere quanto il dolore  sono stati positivi. La condizione del piacere. Funzione biologica del sentimento. Differenza tra  sensazione e sentimento. Intensità o tono del piacere o del dolore. Aristotele sulla  natura del piacere.  Desiderio e istinto. Il desiderio. L’istinto. Origine dell’istinto:  dottrina dello Spencer e sua critica. Carattere dell’operare istintivo. Affetti e passioni. L’affetto. La passione. Differenze tra l’affetto e la passione. Le passioni in rapporto alla  vita movale. Classificazione delle sensazioni. Temperamento e carattere. Teoria antica dei temperamenti. Classificazione dei  temperamenti fatta dal Kant. Altra classificazione  dei temperamenti. Uguaglianza originaria o differenza irriducibile delle nature individuali. Temperamento  e carattere. Carattere morale e virtù. Carattere. Carattere morale. Giudizio valu-  tativo o pratico. Motivi naturali e motivi etici. La scienza e la virtù. Concetto della virtù.  Il fine dell’uomo. Il fine della vita umana secondo Aristotele. La  eudemonia aristotelica. Il fine della vita secondo  Kant. Il sentimento morale. Concetto del senso morale. Origine del senso morale.  La volontà. Distinzione della volontà dalle attività pratiche inferiori.  Definizione della volontà. Ragion pratica, fini,  mezzi. Rapporto della volontà con l’appetito. La spontaneità dello spirito nella volontà e la psico-  logia empirica inglese. Motivi e libero arbitrio, La quistione della libertà del volere.Critica del  concetto del libero arbitrio. La necessità del fine.  Causalità etica, educabilità e responsabilità. Critica del determinismo meccanico di Herbert. Fatalismo e determinismo, Concetto del fato.concetto della Provvidenza e  il domma della grazia.  Critica del fatalismo. Il determinismo. Motivi generali o determinismo sociale. I motivi generali. La statistica. Statistica e  libertà. Drobiscli. Legge morale. Origine della legge morale.Dottrina teologica e  sua critica. La dottrina kantiana. Dottrina  aristotelica. Edonismo e utilitarismo, Classificazione dei sistemi morali. Cenno storico  dell’edonismo e dell’utilitarismo. L’utilitarismo secondo Mill. Critica della morale del Mill. Critica dell’edonismo ; Smitli e Schopenhauer. L'amore. Imperativo categorico e idee modello. Teoria kantiana dell’imperativo categorico. Teoria  herbartiana delle idee modello. Critica del forma-  lismo kantiano ed herbartiano.  Le virtù singole. Classificazione aristotelica delle virtù.  La liberalità  e la magnanimità. La giustizia. La giustizia nell’etica aristotelica. Giustizia commutativa e giustizia distributiva. Capitolo Organismi etici. Origine della   famiglia. Primo nucleo sociale: la famiglia. Carattere etico  della famiglia umana. L’amore. La generazione e  il valore etico della prole. Il sentimento e il dovere. Gli elementi della famiglia e la definizione del matrimonio. Organismo etico della famiglia . La famiglia come organismo etico. La relazione  tra i coniugi. Dottrina kantiana del matrimonio.  Dottrina di Platone e di Aristotele. Coiteli ia-  sione circa la relazione coniugale. Relazione tra  genitori e figli. La proprietà e l’eredità. Dissoluzione della famiglia e divorzio. Processo storico della famiglia. Età barbarica. La famiglia antica. La schiavitù e la clientela. Stabilità della famiglia ed ele-  mento religioso delle istituzioni domestiche. Indipendenza del valore etico della famiglia dalla religione. Gli elementi etici della famiglia romana: la patria potestà; l’eredità; l’adozione; le  clientele.  La società civile, Prima limitazione etica del diritto di proprietà. Origine della società civile. Concetto della società civile. Contratto. Valore etico del contratto.La giustizia nella società civile.La libertà civile. La città. Passaggio dalla famiglia alla società  civile. Idealità della società civile. Genesi dello Stato. Gradi della coscienza civile descritti da CICERONE. La patria e la città.La nazione e lo Stato. Paragone tra famiglia, società civile e Stato. Sostanzialità dello Stato.  Diverse opinioni su l’origine dello  Stato. Idea greca dello Stato. Dottrina dell’origine divina dello Stato. Dottrine della origine umana dello Stato: Lo Stato derivato dalla forza; lo Stato derivato dall’istinto; lo Stato derivato dal contratto  sociale; lo Stato derivato da un’imperativo; lo Stato  derivato da un' idea modello. Organismo dello Stato, Rapporto fra lo Stato e i cittadini. La statolatria  antica. L'individualismo moderno. Stato politico e stato giuridico. La legge. Il governo. La magistratura. Il fine dello Stato. Il  diritto punitivo. Le relazioni esterne dello Stato,  e la guerra. La virtù politica. Organismo  dei poteri dello Stato. Lo Stato in quanto contiene altri  organismi. Relazione tra lo Stato e la famiglia. Stato e Comune. Stato e associazioni private. Stato e  Chiesa. Relazioni tra Stato e Stato. Lo Stato e la coscienza comune del genere umano. Il commercio. Ravvicinamento progressivo tra i  vari popoli. I rapporti internazionali e la paco perpetua. arbitrato internazionale. La diplomazia. La stampa, il fine dell’Unianitù e Ih storia.  Invitato a curare una nuova edizione degli “Elementi di Filosofia” accettai  volentieri l’ onorevole invito per due ragioni : una,  che può parere tutta personale : che cioè questo libro m’ è caro, perchè è il primo libro di filosofia  che io ho letto; e i dubbii, suscitati in me da a  lettura di esso, segnano nella mia vita il primo svealiarmi consapevole alla ricerca filosofica. a -,  ohe cosi mi si prestava recessione di soddisfare im  antico desiderio mio e di molti colleglli valorosi, di  rimettere in luce la prima edizione di questi Elementi, divenuta assai rara e quasi introvabile, giudicata da noi di gran, lunga superiore alla seconda; „  a quella cioè che è divulgata e ormai quasi sola  nota, per le tante ristampe stereotipe fattene da Morano, fino alla 23. a edizione (ossia alla 21 a ristampa  della seconda edizione. Ho detto che la prima ragione può parere meramente personale. Ma tale, in fondo, non è . gia. cc  la mia esperienza m’è stata sempre indizio evidente d' un pregio intrinseco e sostanziale del saggio, pur  nella 2a edizione: un prègio che agli occhi miei ha  reso sempre preferibile questo di F., con  [Napoli, Domenico Morano ; di pp- Ut).  I i suoi difetti, a tutti gli altri saggi di  filosofia, che, prima o dopo di esso, sono stati pubblicati in Italia, pur pregevoli quale per uno e quale  per un altro rispetto. Questo m’è sembrato che fosse atto, a differenza degli altri, se studiato come va  un saggio di filosofia, a muovere l’intelligenza e a far sentire il bisogno di una elaborazione di concetti ulteriore, di una più salda logica, di una più chiara  e più alta coscienza; che è poi il fine a cui può e  deve mirare quella prima istituzione filosofica che  viene impartita ne’licei. Ci sono testi più ordinati,  più lindi, più semplici, più facili, più ricchi, e  magari più moderni . Ma alla prova, prova fatta, pur  troppo da molti insegnanti subita da migliaia e  migliaia di giovani, — questi testi riescono o dannosi,  o, per lo meno, inutili. Parte, infatti, per la ricchezza  del contenuto -- povera ricchezza! -- in cui hanno voluto  condensare, e quasi comprimere, a forza di oscuri  riassunti, quelle che sono giudicate le principali  dottrine intorno a ciascuna materia, parendo ai compilatori che sarebbe l acuna deplorevole nella cultura  liceale la mancanza di cotali notizie, sono riusciti  zibaldoni indigesti e indigeribili, che nello spirito) dei giovani non hanno prodotto se non quello chel potevano produrre; nausea e disgusto, non soltanto  verso quei libri e quegli autori, ma verso la stessa filosofia, di cui non si dava loro a conoscere altri più degni rappresentanti. Parte, compilati con la  preoccupazione dell’ordine, della chiarezza, della  semplicità, con la falsa convinzione che quello si  ami a imparare, che non costi nessuna fatica; tralasciando ogni discussione, evitando ogni concetto  unjpo’ alto, che sia, o paia, in contrasto col senso    comune; togliendo, insomma, alla filosofia niente meno che la sua propria natura hanno ammannite quello ohe potevano ammannire: una non-filosofia; dando cosi a studiare quello che non avrebbe  fatto certo nè bene nè male; ma che perciò, forse,  era inutile studiare. Altro che soave licor negli orli  del vaso, nè anche goccia di succhi amari! L’esperimento d’un libro di questo genere ce l’ho  apch’io sulla coscienza; e ne fo questa pubblica confessione nella speranza di sgravarmene in qualche  modo. Anch’io commisi un anno, un anno solo, l’errore di adottare un testo di psicologia facile facile, appunto perchè facile facile, chè non aveva  altro pregio. E il risultato che ne ebbi fu questo :  che gli alunni capirono sempre bene, senza mia fatica. e conferirono sempre meglio, senza loro fatica;  ma, infine, con mia vergogna non piccola, mi accorsi  che’ sapevano tutto, e pur non sapevano niente.   Il saggio filosofico non  è detto che debba essere facile, nè moderno, nè  completo. La facilito, certo, è gran bella dote di  un libro ; ma quando questo libro - si vuol leggere  in viaggio, per scacciar la noia, o a letto, per pigliar sonno. La modernità, è un altro pregio tutt’altro che trascurabile; ma quando non ci stia a scapito della verità e dell’efficacia. La completezza, che è ciò che più si desidera da taluni insegnanti  nel saggio di F., una preoccupazione  senza fondamento : sia'perchè non ci può essere mai  se non una completezza relativa; e al saggio di F., così com’è disegnato, non manca nulla per  potersi dire completo ; sia perchè, nel nostro caso,  li libro è d estinato a una propedeu tica, filosofica, e dev’essere strumento di cultura, pungolo dell'ina  telligenza, e quasi direi, pietra di paragone della  riflessione speculativa. E in ciò la quantità delle cognizioni da comunicare non ci ha proprio nulla I  da vedere. Giacché, se si vuole che l’insegnamene  filosofico nei licei produca buoni frutti, bisogna che  noi insegnanti ce lo chiaviamo bene nel sommo della  testa : non importa niente che gli alunni abbiano questa o quella cognizione, e sia modernissima quanto si voglia; sì importa, che imparino a pensare;  ma a pensare per davvero, riflettendo sul pensiero,  e sforzandosi di farne un sistema logicamente coerente. E questo è l’effetto che li ottiene dal. libro del  F.; del quale non sfuggono neppure a me  i punti non ben saldi, che non son pochi, nelle  dottrine : ma che è il solo libro scolastico nostro,  scritto con un unico spirit o, co n uno sforzo costante j-)  di organizzare la Serie delle dottrine, quali che  siano; discutendo sempre, e lasciando intravvedere    cosi una luce lontana, maggiore di quella che vi  splende per entro ; il solo libro 1, per continuare a  parlare con tutta franchezza, che qbitu i a. pensai /(  Meglio però vi abitua nella prima edizione,' da  me ora riprodotta; segnatamente nella parte che,  ìiguaida la psicologia. Non è questo il luogo da indagare i motivi che induceno F. a rimutare nella seconda edizione,  quasi tutti i primi undici capitoli del libro : nè di  indicare a uno a uno i mutamenti dottrinali che y’in-  trodusse. Certo è che per tali modificazioni il saggio venne profondamente trasformato: l’idealista cedette  all empirismo che saliva in auge. Il kantiano stima che la psicologia genetica, come allora la chiamano in Germania, potesse p dovesse rendere ragione dell’a priori ; che Darwin potesse compiere e correggere Kant. L’a-priori kantiano, giunse a  scrivere, è una semplice fermata, che si traduce in queste parole. In noi c'è un’ attività già preformata a compiere certe funzioni, senza di cui la sperienza non si farebbe. La filosofìa accetta la tesi kantiana, e domanda: come si è preformata ? E cerca  di trovare la risposta in due fattori: rassp cjazjpne e la; la prima che accumula, la seconda che trasmette. Per loro mezzo, l’a priori dell’individuo e ciò eh’ è a posteriori per la specie. Proprio quello che si dimostra assurdo nel c&p. Ili della l. a edizione (IV della presente)!  Il libro, insomma, è, diciamolo pure, guastato dall’autore stesso. E non soltanto dal lato della dottrina. Perchè, tormentato in questi primi capitoli fondamentali, e qua e là, in tutti i punti più importanti,  nello sforzo di rammodernarsi e transigere, quasi,  con le più recenti dottrine, esso perdette lajr eschezza del primo getto, la stringatezza e solidità della  primitiva costruzione, raniijaa, onde era stata originariamente concepito. Rabberciato alla meglio, si  arruffò, e divenne aspro e difficile, di quella difficoltà che non è allettativa dell’ingegno, ma durezza invincibile e disperante. Perchè ciò che è logicamente ragionato, sebbene astruso, attrae e ferma lo spirito, e lo costringe a pensare per assaporare il gusto forte che dà la vittoria sulle difficoltà; ma ciò, che non fu organicamente pensato, stanca ed opprime, ed allontana da sè. Pure il manuale del F., cosi guastato, sè  continuato a ristampare ogni anno, e a studiare nei licei del Mezzogiórno, pel buono che sempre contene, per la serietà onde appariva scritto. Oggi che torna nelle sembianze primitive dovrebbe incontrare miglior fortuna. La psicologia, com’è in questa rinnovata edizione, è un' esposizione veramente lucida, benché elementare, dei gradi principali dell’attività costruttiva dello spirito teoretico;  e, quando non avesse altro merito, questo solo dovrebbe bastare a farlo sostituire a quei compendia di psicologia empirica e descrittiva, che ora corrono per le nostre scuole. Giacché, come vedranno da sé i signori colleghi,  la psicologia di F. è ijutt’altra cosa da, queir empirica descrizione e classificazione dei fatti di coscienza, che tiene ordinariamente il campo dell’insegnamento liceale. Quella descrizione e classificazione c'è pure. Ma in piccola proporzione e in seconda linea, laddove la trattazione mira alla comprensione filosofica dell'attività dello spirito nella  sua progressiva produzione del mondo teoretico, del mondo della scienza. Ora, che giovi più richiamare l’attenzione dei giovani su quest'attività, anzi che sulla minuta e grossolanamente sistematica conoscenza dei fenomeni psichici, non credo che alcuno, a ben rifletterci, vorrà mettere in dubbio. Siffatta conoscenza gioverà sempre ben poco, se pur mai gioverà: e la sua utilità non potrà essere altra dall’utilità  propria di ogni speciale contenuto mentale. Invece è risaputo e convenuto, é già s’è detto, che fine, della cultura del liceo non è di riempire, ma di formare il cervello. Come essenzialmente formativa ed in sommo grado educatrice è appunto la coscienza, la quale può aversi a principio, e quale con l’aiuto di  questo libro può ottenersi, della posizione dello spirito umano nel mondo, dove non è spettatore, ma  attore e creatore, almeno del suo mondo. Questa coscienza è elemento necessario della cultura vera; ed è gran ventura per la scuola media italiana possedere questo libro atto a promuoverla. Ma F. non accenna questo. Ma F. non parla di, quest’altro, che pur si richiede dagl’alunni della classe liceale. Non si richiede, veramente, nè questo, nè quest’altro. I programmi liceali, gli ultimi che si siano  prescritti dal ministero, non parlano se non di elementi  di psicologia, lasciando alla coscienza scientifica degl’insegnanti d’intendere la psicologia secondo i proprii convincimenti e di darli quindi il contenuto corrispettivo. D’altra parte è proprio possibile, dato l’orario presente dell’insegnamento filosofico, fare studiare come si conviene, in un solo anno, a giovinetti appena giunti dal ginnasio, una trattazione di psicologia più estesa di questa del F. (che, si badi, sorpassa nella presente edizione di 40 pagine quella dell’edizione precedente)? Che, se dall’annunziata riforma della scuola media il nostro insegnamento, com’è giustamente nei voti di parecchi insegnanti, verrà concentrato, con orario maggiore, negli ultimi due anni del liceo (cani’era, quando questo libro e scritto), allora l’estensione delle due parti principali, in cui il libro è diviso, risponde puntualmente al programma dei due anni. Coteste due parti, per comodo delle scuole in cui se ne volesse adottare una sola, s’è pensato di pubblicarle questa volta in due volumetti separati. Nel primo dei quali per motivi didattici ho creduto opportuno dividere la psicologia dalla logica. Vero è che anche nella parte n si torna poi a trattare di psicologia. Ma è questione di parole, ove s'intenda con F. per psicologia quella parte della filosofia dello spirito che studia le forme fenomenologiche del sapere. Per gli stessi motivi didattici ho spezzato nella stampa il, discorso tutto seguito dall’autore, che, scrivendo, non prendeva mai flato. E si vanta di  non esser uso a scrivere con le seste e rileggere  quello che avesse una volta scritto. E ho diviso ogni capitolo in tanti paragrafi con speciali titoli, quanti sono i singoli argomenti speciali che vi sono toccati. Come, sempre per gli stessi motivi, ho messo  in corsivo termini tecnici, definizioni ed esempii. Altre modificazioni non ho introdotte, salvo lievi mutatnenti nei titoli dei capitoli, dove, non mi sembravano esattamente corrispondenti al contenuto di questi; e qua e là ho corretto alcuni pochi errori  di fatto, incorsi nel libro per disavvertenza, e che l’autore, avvertito, avrebbe corretti da sè. Della  forma non mi son permesso mutar altro che, in rarissimi casi, alcuna espressione non abbastanza chiara; come ho tolto via, poiché si tratta di libro scolastico, qualche arcaismo, che potesse parere affettato, e certe ripetizioni fastidiose di parole, a cui l'autore, quasi per vezzo, non badava. Note non ho voluto apporne se non di rado, e sempre tra parentesi quadre, a chiarimento di espressioni oscure. Ma ne ho voluto mettere sempre, brevissime, ai nomi dei filosofi citati dal F., per indicarne la patria, l’epoca e le opere più celebri o più notevoli. Potrà forse parere che ciò sia troppo  poco per alcuni, e troppo, e superfluo per altri. Ma la pratica della scuola e degl’esami mi ha indotto a fare come ho fatto. Note lunghe non sarebbero  state lette, o avrebbero distratto; oltre che sarebbero entrate in particolari storici fuor di luogo. Questi brevissimi cenni potranno bastare a non far parere un Carneade ogni filosofo che l’autore ricorda, e a rendere forse impossibili casi simili a quello che m'accadde nell’esame di un candidato esterno di licenza liceale, che mi da Kant per contemporaneo di ARISTOTELE. E siamo giusti. Vedendo sempre appaiati ARISTOTELE E KANT – KANTOTELE --, come fare a sospettare che l'uno era morto da venti secoli quando nacque l’altro? Avverto infine che, riproducendo l’edizione, credo tuttavia di riferire dalla edizione posteriore il capitolo sulle sensazioni in particolare, che nella prima mancava; perchè contiene notizie elementari, che è bene non sieno ignorate. E avvertirò pure che, eccetto differenze di poco conto, notate ai loroluoghi, nella logica e nell’etica, le due edizioni coincidono. Solo futolto nella  seconda un capitolo sul piacere e il dolore, che da me, s’intende, è riprodotto. Il periodo filosofico che ho in animo di traiteggiaro si travaglia pressoché tulio intorno alla ricerca dell’anima. Muovendo dai principi aristotelici, e contenendosi il più delle volte nel modesto ufficio del commentare. Il perchè, volendo io risalire all’origini di quella controversia, ho divisato farmi dalla dottrina aristotelica, e dopo averla guardata in sè, considerarla negli sviluppamene che partorirono i due com, greco ed arabo. In ARISTOTELE medesimo quella dottrina non si può diligentemente esaminare, se non riferendola alle altre rimanenti, onde si compone il sistema tuttoquanto. Ci e se in cotesti riferimenti la scienza sempre si amplia esi allarga, nel caso nostro il farlo è una necessità derivata dall’indole medesima della speculazione aristotelica, la quale ci  si  palesa consentanea con se stessa fin nelle ultime conseguenze di un primo sbaglio. Nelle menti volgari si un errore esi una verità possono essere inseriti, comeuna specie di episodio, nella struttura del sistema. Magl’ingegni veramente speculativi si guardano di cascare in questo fallo, tanto almeno,  quanto aloro basta  la  vista di guardarsene. La dottrina dell’anima, e più particolarmente poi quella dell’anima intellettiva, presso Aristotile, implica quelle medesime difficoltà che s’incontrano sin dai primi passi del sistema. Nel Saggio storico su la filosofia greca io toccai di queste  difficoltà,  emi studiai di  chiarirne  al  possibile  il  vero  nodo  elavera sorgente. Zeller non ha  guari  nella  sua  Filosofìa  dei  Greci  ne  faceva  una  distesa  rassegna,  e di nodo in nodo  mostrava  come  tutte  si  aggruppassero  nella  posizione  di  Aristotile  verso  Platone. Qui non  mi  è consentito  altro che  sfiorare  tutte  quelle  difficoltà,  e mostrare  come  riappaiano  nella  dot-  trina, della  quale  ora  discorriamo.  Si  vedranno  nella  psicologia  come  nella  metafisica  gli  stessi problemi, e  poi  le  stesse  soluzioni, o meglio  il  difetto  di  una  vera  soluzione. Platone  aveva  detto:  l’universale,  o l’idea,  è quanto  v’ha  di  vero  e di  sostanziale  nelle  cose; la  materia,  per  i contrario, è una mera  negazione,  un  non-ente.  L'idea  rimane  sopra  la  moltitudine  e la  varietà  dei  fenomeni,  una, identica, permanente.  Le  cose  mutano, ella  no;  le  cose  muoiono,  ella  dura  eterna. Tra  le  idee  ed  i sensibili corre dunque  un  dissidio  infinito,  a colmare  il  quale  Platone  non  sa  trovare efficace rimedio; onde il sistema  platonico  rimane  con  una  scissura  profonda  ed  irreparabile.  Aristotile  venuto  dopo, e fermo di  porvi  riparo,  delle  affermazioni  del  suo  maestro  parte  ritenne,  parte  rifiutò.  Parve  anche  a lui  che  l’idea  sola  fosse  la  verità  delle  cose;  ma  perciò  medesimo, a suo avviso,  ella non può stare nè sopra nè fuori di esse, ed anzi implicata in una materia di cui ella è la forma. All’idea sopra  le cose di Platone, Aristotile  sostituì l’idea  nelle  cose, o la  forma. Il  partito, a cui si  appigliò  lo  Stagirita  pare  a prima giunta il solo spediente  acconcio  a ricongiungere quei  due  mondi  che  Platone aveva  lasciato  staccati non solo, ma  opposti. La  materia e la forma, collegate insieme nell’unità  dell’individuo,  rappresentano  l'armonia di quei due conlrarii che Platone non aveva saputo riunire. Ed intanto in Aristotile quel  congiungimento  noi| è tanto saldo,  che  quei  due  contrarii  mal  collegati  non  si  rivoltino  soventi  l’un  contro  l’altro,  e non  si  mettano  in  aperta  rottura.  Ognuno  di  essi  si  tiene  in  grado  di  primeggiare su  l’altro, e fonda le  sue  pretese  sopra  esplicite  dichiarazioni  di  Aristotile  a suo  favore;  le  quali,  bilanciandosi in  modo  che  nessuno di  loro  penda,  tengono  l’animo  sospeso  ed  irresoluto.  Da  una  parte T universale non  può  stare  più  da  sè,  e cotesta  indipendenza  è accordata  soltanto  all’individuo,  dove  pare  che  consista  la vera  sostanza; dall’altra  l’universale  solo  è conoscibile,  esso  solo  è la verità.  Cosi  la  realtà e Fa’^erTIir  si  trovano  spartite quando  non  dovrebbero  essere.  La  realtà  si  l  appartiene  all’individuo; la  verità  all’universale.  Platone era stato conseguente  nel  riporre  nell’idea  e la sostanza e la  verità  delle  cose;  Aristotile,  invece,  ondeggia, e quasi  vorrebbe  gratificarsi  l’uno  e l’altro, accordando  all’  individuo  la  realtà  ed  all’  universale  la verità, con  un sistema  di  compensi  che  qui  non  approdano. Questa  contraddizione  è notata  molto  profondamente da Zeller, che la  sostiene  contro  le  osservazioni  del  Biese,  ed  è manifesta a chiunque  sappia  di  Aristotile la  dottrina  della  cognizione, e quella  delle  categorie. Questa  prima  contraddizione  ne  partorisce  parecchie altre. E primieramente,  se  la  scienza  non  è atta  a [Er  sagt  oline jene Bescbrinkung: dati  Wissen  geli  e nur  taf ’a Allgemeine, und ebeaso unbedingt: nur  das  Eiozelwesen  tei  eia  Sabstantielles. Die  Philoi. der  Griechen, vou  Zeller,  Zweite  Tbeil,  Zweìte  Auflage. cogliere  se  noe  la  forma  delle  cose, e questa  oon  ne  costituisce  l’intera  sostanza, ne conseguita  eh*  eHa  sarà imperfetta  e che non  corrisponde  alla realtà  delle  cose  conosciute,  le  quali si  trovano specchiate in  lei  soltanto  a metà. Che se  la  materia è un  elemento  indispensabile a fornire la  sussistenza dell’individuo, non  può  venire  esclusa  dalla  cognizione,  come  se  fosse  un  accidente,  o anzi un ostacolo. Ciò  era  ben  detto  secondo  i principii  platonici, ma  non  secondo  quelli  di  Aristotile. Intanto la materia è dichiarala inconoscibile, essendo priva di ogni determinatezza. Inoltre 1’inconoscibilità  della  materia  nuoce  alla  conoscibilità  delie  forme,  perchè  queste,  salvo  la  prima  e purissima  forma, sono tutte  implicate  nella  materia  non  solo,  ma s’ingradano in modo,  che la  inferiore  sìa  deve  considerare  come  potenza, e perciò  come  materia, per rispetto  all'altra  che le sta sopra. Aristotile difatti ha posto tal relazione tra la materia e la forma, qual’è quella che corre tra la potenza e l’atto; onde la materia per lui è la  potenza  della  forma, come la forma è l’atto della materia. Ora secondo questa  determinazione tutte le forme,  tranne una sola, la massima,  possono dirsi materia, e cosi l’inconoscibilità  della materia si  riverserà  eziandio  sopra le forme.  La  massima forma poi, il divino, in mentre che dovrebbe essere la più pura, e perciò la più lontana dalla  individualità,  è ella stessa un individuo. Ora  l’individualità divina contraddice  con  la  teorica  fondamentale, secondo cui ogni  individuo  dev’essere il sinolo di una materia e di una forma,  non potendosi 1 à «?’  «Xtj  «yva>»To;  xa8’  ocutijv.  Metapk.. 1 « Ein and  dasselbe  Diog  kana  tich  desihalb  io  dar  einen  Beziehong It  Stoff,  io  der  Andern  ala  Form,  in  jener  ala  Mogli  chea,  in  diesar  ala  Wirkliches  verhalteo. Zeller. - etere un individuo dove non abbia luogo punto di materia. In fine non si può scorgere dove propriamente Aristotile ponga il sostrato della individualità : non nella  forma  che,  stando  alla  teorica  della  cognizione, dovrebbe  essere  l’universale;  non  nella  materia,  la  quale  è indeterminatissima, e che tanto  acquista  di determinatezza, quanto la forma  ve  ne  impronta. Tale  per  sommi  capi  è il  capitale difetto del Lizio. Difetto  che  dalla  relazione  mal  definita  d’universale  e di  individuale, di materia  e di forma, si diffonde in tutte le altre teoriche, e le guasta in simil guisa, producendo un'incertezza ed un viluppo irresolubile. Non è dunque da maravigliare se quel sistema diede occasione a tante controversie  di  interpreti,  perchè  esso  si  acconciava  ai  più  opposti  avviamenti. Tutta  la  filosofia  nel  medio evo e nella rinascenza si  diede a risolvere quei problemi in opposte sentenze, credendo sempre di ormare i passi  di Aristotile. Nè, per vero dire,  mancavano fondamenti a questo conflitto di opinioni. Se non che ogni diversa età ha mutalo  aspetto  alla  ricerca,  pur  conservandone  integro  il  fondo.  Così la scolastica considera la relazione tra universale ed individuo come la più rilevantr. Di poi, tra  Aquinisti e Scotteti, prevalse la questione dell’individualità, e chi la ripose nella  materia, chi  nella  forma.  Da  ultimo  nella  rinascenza  si  cercò  nell’  anima e nelle sue facoltà quella partizione e quella incertezza, e si  domandò  quale  fosse il legame che stringe l’intelletto con le rimanenti  facoltà.   Le tre questioni degl’universali, della individualità e dell’ intelletto o ragione sono diversi aspetti di una stessa ricerca; e tult'e tre  mettono capo in Aristotile, e si connettono  insieme,  e si spiegano 1'una con l'altra nel loro storico sviluppamento, secondochò  parmi di vedere, e secondochè m’ingegnerò di provare. Lasciando stare per ora le teorici che sono aliene dal tema dell’anima, e restringendomi a quella  che  più  da  presso  vi  si  riferisce, Aristotile risguarda il  corpo e l’anima dell’uomo sotto l’annodamento medesimo di materia e di forma. Basta leggere il suo saggio dell’anima per chiarirsene pienamente. Il corpo fa le veci di materia o di soggetto. L’anima, per contrario, non può essere sostanza se non come forma di un corpo naturale che vita. E per corpo  animato -- che ha vita, Aristotile intende quello che  si  dice  organici. Quindi proviene la sua definizione di “anima”, ripetuta  in tutto il medio evo, ed in tutto il periodo del rinascimento, nè ancora se n’ è potuto escogitare una migliore. Anima,  Aristotile dice, è l’entelechia prima di un corpo naturale animato, che ha  vita. Bisogna intendere per tale definizione un corpo organico. Ora, benché l’entelechia avesse, nel linguaggio del Lizio, una determinatezza maggiore della forma, nondimeno “anima” è pur sempre la  forma del corpo organico, e ad esso annodata con legami non disleghevoli. Perciò ad Aristotile pare oziosa la ricerca se un corpo animato vivo e organico e “anima”  siano una sola e medesima cosa, nel modo stesso che riesce vano il voler sapere la differenza che passa tra il suggello e la cera su cui s’impronta. Imperocché se l’entelechia si dice propriamente in quanto  (“Sto boxili è®Tiv évreXt^sia nrzpàrn ata/xtctoj fvotxoZ dwà/zsi  txoxro; .róiaÙTO Si, axv ri òpyavixóv. ’ ori /ztv  oo!  oix  giTiv  |vx»ì  xwptsrÀ  toG  sw/xares.  è forza  motrice  e tinaie, essa è però, come  osserva Zeller,  sempre tutt’uno con la forma. La definizione  che  ha  dunque  Aristotile  dell’anima,  è quello di forma – animata --,o di entelechia inseparabile dal corpo organico animato con vita. Esi  badi,  che  Aristotile non vuol restringere in'nessun modo questa sua definizione – graduale, come la di ‘numero’, in una serie -- fondamentale, la quale è comune a le parti dell’anima – o le tre anime – come, dice Aristotile, la definizione di “figura”in geometria è applicabile a tutte le figure, o il concetto di numero al 1, al 2, al 3, e successivo. Ben si distinguono parecchie specie di anime, i cui “gradi” Aristotile determina cosi. Nutrizione, sensibilità, locomozione, intelligenza o ragione -- ordinate in modo che il grado superiore presuppone l’inferiore e non puo stare senza di esso. Però tutte coleste specie dell’ “anima” debbono convenire nella definizione comune. Barili, de Saint’Hilaire, riconosce questa necessità. Stando aq ueste deduzioni, la dottrina d’Aristotile procede fin qui sicura e senza esitazioni. Dove ci è moto prodotto per intrinseca energia, ci è “vita.” Dove  ci  è  vita,  ci è corpo ed anima,  cosa mossa e causa motrice.  Il corpo è la potenza e la materia. L’anima è l’entelechia e la forma. E come nella metafisica l’individuo (to tide) risulta da una materia e da una forma, cosi nel caso speciale degl’esseri e individui “animati” – o gl’animali --  il  loro compiuto concetto consta di un corpo organico (il corpo di Sileno di Socrate) e di anima. Ma tutta questa armonia viene rotta da una dubitazioneche Aristotile propone senza risolvere. Das gleiche Wesen wird aber auch eia Eodzweck sein, wie  ja Qberbaapt die Form voo der bewegenden und der Endursacbe nicht verscbieden ist. Solerti non die Form ala bewrgende Kraft wirkt, nennt aie Aristote- le Entelechie, ami somit definit i er die Seele ala die Entelechie uod naber ala die erste Entelechie cines nalQrlichen Kòrpers, welcher die Fahigkeit bat,  za leben. Zeller,  Zw.  Tbeil. La definition qu’il a donoée lui-méme au cb.  l«r  de ce livre doit donc ponvoir s’appliquer spécialement à chaque espìce d’ime qu’il a distiagatte. Ptychologit  d’Ariilole,  Paria. Arrivato all’intelligenza, Aristotile tentenna, e si perita di applicare a lei le determinazioni precedenti dell’anima, benché avesse prima detto che quella COMMUNE DEFINIZIONE – ‘graduale’ -- [di ‘anima’] fosse applicabile a tutti I gradi  -- come nel caso dei numeri -- differenti  di vita (bios, zoon). L’intelligenza (zoon logikon) pare ad Aristotele un  altro  genere  di  anima (psyche) e vita,  e perciò separabile nello stesso modo che l’eterno si separa dal perituro. Questa scappata (aporia)  d'Aristotile può riuscire inaspettata a quelli soltanto I quali non hanno seguito la filosofia del liceo lizio in tutto il suo svolgimento. Chi però ha posto mente alla irresolutezza  d’Aristotile nell’accordo proposto tra l’universale e l’individuo, ed ha visto continuare questa perplessità nella concezione della materia e della forma, nel legame tra il divino ed il mondo, e nella teorica della cognizione,  si accorge anzi che Aristotile non puo fare altrimenti. Nell’anima istessa ci è qualche cosa che tiene più della materia, e qualcosallro che fa le veci di  forma. Il senso e le facoltà inferiori di vita che sembrano un patire, e l’intelletto – o  la ragione --- che sembra attivo verso di loro. Anzi nell’intelletto (come parte terza dell’anima) medesimo, Aristotile discopre questa duplicità, la quale come e rimasa irreconciliata e contrastante nelle prime categorie dell’essere, così rimane qui negli ultimi  svi-  -- I appara enti dello spirito. Ciò che v’ha di peculiare nell’anima dell’uomo e la sua vita (Anthropos zoon logikon) è l’intelletto. Perciò noi ci fermeremo un poco più nel mostrare in che modo Aristotile ne avesse esposto la  natura. L’ intelletto – o la ragione, la terza parte dell’anima nella vita dell’uomo -- primieramente apparisce legato con le l altre facoltà – anima I e anima II -- non solo per la intuizione generale del sistema aristotelico, che fa ricomprendere ogni forma inferiore o sub-razionale -- nella superiore, ma per l’esercizio medesimo della sua attività, che non potrebbe recarsi in atto senza il sussidio delle due parti precedenti. Le cose estese sono ricevute nell’anima mediante le sensazioni,  le  quali sono perciò forme delle cose sensibili. Dopo questa maniera di forma, che richiede la presenza della materia, ve n’ha un’altra la quale si assomiglia alla sensazione, se non che non ha bisogno della materia presente. Da ultimo, la ragione, l’intelletto, eh’è forma delle forme, esercita verso le sensazioni ed i fantasmi la medesima azione che i fantasmi hanno esercitato su le sensazioni,  e le sensazioni su le cose sensibili. Cotalchè  come  la  sensazione non può aversi senza la materia, nè la immagine fantastica – e. g. centauro --  senza la  sensazione – di uomo e cavallo --, così  l’atto della intelligenza o ragione non è possibile senza il fantasma. L’intelletto o ragione in questa prima posizione apparisce dunque legato indissolubilmente con  tutto il sistema tripartito  delle facoltà dell’anima nella vita dell’uomo. Nè  per la sola operazione la ragopme p intelligenza apparisce legata con l’organismo corporeo, ma per la sua intrinseca natura. Difatti  ella,  come  intelligenza, non è altro che ciò per cui l’anima ragiona, e non è nessuna cosa in atto prima di  pensare: ella è soltanto in  potenza. Che se riannodiamo questa teorica dell’  intelletto o ragione con  l’ altra  dell’ anima, si  scorgerà, che  come l’anima  e  legata  col corpo organico vivo organico animato,  così  l’ intelletto  è legato  con  l’anima; perciò qui Aristotile  la  chiama intelligenza  dell’anima: r»ì;  voC«). Ed  in  ultimo  risultamento avremo  il  corpo organico come subbietto o materia  dell’anima,  e questa come subbietto dell’intelligenza o ragione.  1x ed  Sii  roóro  omtc jit)  Atrèavépigva; puj&év    oùdé  ?uvior  ór*»  rs  Se capri,  oèvexyxvj  »(»*  yxVTaspta  ri  àsoipstv.  * ùsre fj-nS’  aùroù  stvat  pùnv  /sride/tta»  àXX’  n t*vt»ì»,  ori  ^u»aró»  ò «pa  xaXaóptsvoi  rn (»®ó; (Xsyoi Si voó» wdtetvostroci  xeni oivei r, 'l'UX’t) où&t* èsTiv svspyda tmv ovroiv tepìv vosi». Altre  asserzioni  dello  stesso  Aristotile  accennano però  alla  sentenza  opposta.  Già  abbiamo  visto  come  per  lui  l’intelligenza o ragione sia un altro “genere” di “anima”, e separabile, in mentre che le due anime dei  due gradi inferiori sono legate con gli organi. A questa testimonianza,  che sta *contro* alle cose precedenti, se ne  aggiunge  un’altra  ugualmente  esplicita,  dove  si  sostiene  che  il  “noo” – o spirito -- venga dal di fuori,  e che  solo sia “divino”. Si possono distruggere la riflessione, l’amore, l’odio,  il ricordarsi, perchè siffatte  modificazioni  appartengono  al  soggetto in cui alberga l’ intelligenza  e che  la  possiede. Ma  l’intelligenza o ragione o anima razionale medesima  è qualcosa  di  più  divino, è qualcosa d’impassibile.  Che se dopo tutte queste dichiarazioni,  che  riguar-dano il principio intellettivo nell’uomo, ricorriamo col pensiero all’intelligenza o ragione suprema, come vien descritta nella metafisica, esegnatamente nel  libro  dodicesimo,  la  difficoltà  da  noi  proposta  e  più  evidente.  Prima  si  dimostra  come  non  ci  siano  altre  sostanze che  quelle che  risultano  da  una  materia e da una  forma. Poi di forma in forma si arriva ad una suprema,  la quale non è punto  implicata  nella  materia, e che  perciò  si  svelle  dal  sistema  mondano,  e non  vi rimane  legata  se  non  per  un  filo  debolissimo, com’ è la  relazione  di  mosso e  di  movente.  Quella forma  suprema,  che  doveva  accogliere in  sè tutte le forme  inferiori,  non  è potente  nemmanco  di  pensarle.  L’intelligenza  divina  rimane  staccata  dal mondo, se  non  fosse per il bisogno di ricorrere  ad  un  motore  ultimo -- ed  immobile.  Tale  rimane  nel  sistema delle  facoltà  umane l’ intelligenza -- è lo  stesso  difetto che si  riproduce  in  ciascuna  parte. 1 AeiTtirai  «?* róv  voi!»  /ióvov  OùpaOev  eiwisuvai  xai  0eTov  ecvat  uo'vov.  De  gener.  anim.,  ctVedi  De  Anima. Rénan  si  è accorto  della  discrepanza  della  dottrina  su l’intelletto nel congegno del  sistema del lizio, e  la  dichiara un frammento di scuole più antiche,  d’Anassagora specialmente,  che viene citato  dallo  stesso  Aristotile. Ma colesta  spiegazione,  oltre  all’essere poco  degna  d’Aristotile, il  quale non  ne  avrebbe  saputo  misurare  tutta  l’importanza,  contrasta  col disegno  generale  del  sistema.  Saldata che  avrete  questa  screpolatur,  come  farete poi  per  tante  altre  che  rimarranno  scommesse  ed  irremediabili?  Poniamo  ancora  che  il legame  tra il divino  ed  il  mondo  si  rimeni  a questa  medesima  dottrina, e che tutta la Metafisica del lizio sia  un  episodio,  benché  un  po’  troppo  lunghetto. Si  risalderà  meglio la  rottura  tra  la  materia  e la  forma? Si spiegherà  meglio la  teorica  della cognizione,  sviluppata  negl’analitici? E se cotesta magagna s’insinua  in  tutte  le  particolari  trattazioni – “De Interpretatione” – la parola e segno d’una affezione dell’animo --, come  si  fa  a dichiararla  un  frammento  slegato, ed a cacciarla via  dal  sistema? Altro,  a parer  nostro,  è  il dire che  il più  spedilo  e più logico avviamento  d’Aristotile sarebbe stato di continuare nella risoluta opposizione verso il  suo tutore all’Accademia,  ed  altro  il  negare  eh’  egli  in  questa  polemica  non  sia  proceduto  incerto,  parte  rifiutando e parte  ritenendo. Incauto  cercatore,  anche  lui,  di  conciliazioni  impossibili.  Della  prima e più spiccata contraddizione nel costruire l’individuo di materia e di forma  ho discorso di  sopra. Toccherò  ora  della  dottrina  della  cognizione. La  scienza  secondo  il  processo  del lizio  piglia  le  mosse  dalla  sensazione,  e procede,  sempre  più  sviluppandosi, per  molti gradi,  i quali sono  variamente  descritti, ma che si  possono  però  ridurre,  conforme  al1 (“Il  est  évident que  toute  cette  théorie  da  voù(  est  eropruntée  4  Anaxagore. — Averrhoès,  etc.,  psp.  l’esposizione  del  Barili,  de  Sant’Hilaire,  ai  seguenti. Sensazione cioè,  pensiero  nella  forma  volgare, ed  in  quanto  sottoslà  alle  impressioni  sensibili. Scienza  (ìttLotìiw), é intelletto  (noo),  il quale è in relazione  cop  gl’inteUigibili. Riguardo alla sensazione non s’incontra difficoltà. La sensazione è la forma delle cose sensibili, che viene accolta da un’anima sensitiva. Nel sollevarsi poi dalla sensazione alla  scienza, Aristotile  ammette  moltè  sfumature,  die  talvolta  si  confondono,  ma  che  giova descrivere,  per far  vedere quanto sottile  osservatore  egli  fosse,  e come  per lui tutto il processo del pensiero non fosse altro che un continuo disvilupparsi dalle forme più materiali per rivestirne altre più generali epiù pure. Il grado immediato alla sensazione è per lui la Séga che lo stesso Saint-Hilaire traduce per “percezione”, e potrebbe pure dirsi opinione. Sopra cotesla percezione, o  opinione che  dir si voglia, pone  la fantasia  (pxvmaia.), la quale può dirsi un grado di sviluppamene maggiore, staccandosi  già  dall’oggetto sentito, più che  non  facessero i due  gradi precedenti,  i quali ne richiedevano  sempre l’immediata  presenza. La fantasia medesima si riferisce al fantasma (pàv touhx) ed all’inamagine (Uwv) ; imperocché essendo  la  fantasia  una  specie di  tramezzo  fra  la  sensazione  e la  scienza,  col  fantasma  si  accosta  più  all’intelletto, con  l’immagine  invece  si  accosta  più  all’obbielto. La scienza  e l’opinione possono accoppiarsi in certo qual modo, ed  il  loro  miscuglio    la  riflessione  ( <j>pó-  vjiJts). La  scienza,  1’opinione  e la riflessione  Sega, ppóvmatj), sono d’Aristotile comprese sotto un termine comune uttò^cs,  il quale è deputato  a significare l’attività  spontanea dell’anima,  doyecchè  la Stóvota discorre  da un oggetto in un altro. 1 1 Per la  determinazione  di  tatti  cotesti  gradi  del  pensiero,  vedi  Barth.  de Tali  sono  i primi  sviluppameli  della  scienza;  ma  ipoichè  ella  consiste  nel  dimostrare, e nel  far  vedere  le  cose nelle loro cagioni,  perciò  è necessario che  si  fermi  in  principi  assoluti  ed  indimostrabili.  Il  voOs  è l’intelletto  di  questi  primi  principi,  i quali  sono  i termini  della  dimostrazione. Se la sensazione  (afoots) dunque è il primo inizio della  scienza, l’intelletto (vo0«) n’è l’ultimorisultato.Chi ha tenuto d’occhio tutto il processo della cognizione, com’è descritto da Aristotile,  si  sarà  accorto  che conforme  a questa dottrina il vovg non può fermarsi se non nei principi più remoli  dalla  materia, e più  universali.  Essendo  l’apice  di  ogni  astrazione, esso  dev’essere  al  polo  opposto  della  sensazione,  che  si  trova  congiunta  con  la  materia  immediatamente.  Ed  intanto  il  punto  di  fermata  sono  i termini,  ossia  è la sostanza.  Ora  la sostanza, nonché sia l’universalissimo  essere,  è invece individuale; dunque il processo della  scienza, dopo  aver  percorso  tutte  le  forme  di  separazione  dalla  materia,  ricasca nella sostanza,  la  quale  è dalla materia  inseparabile. L’essere  e la  sostanza  sono  spesso  confusi  da  Ari-  stotile, eh’è quanto dire  la  più  astratta  delle  forme,  l’essere,  vi  si  scambia  con  la forma attuosa legata con  la  materia. La  sostanza  è per  lui  una  volta  il  neccssa- [Saint-Hilaire, Logique d'Arùtote,  Deuxìème  l’artie,  section  XI®,  -di.  9®. Ecco  come  il  Trendcleraburg  prova  questo  ufficio  proprio  del  veù;  aristotelico. « Noè;  in primis  et  ultimis  scienti»  priucipiis  rersatur.  Ita  Analyt.,  post.  I,  27,  Xiyu  yàp  *sùv  ù.pyn'1  éKcuni/in»-  Elh.  Nicom.  VI,  6.  7st  fTSToct  voùv  siva*  TÙv  xpyrZv.  Quteuaui  sit  xp%rj  (neque  euim  omnis ed  noJv  rediòit)  accuratius  defiuitur  Elh.  JVtc.,  Vi,  9,  ò pit  -/«.p  voós  ri»  opwv  u'J  oóx  sor*  /óyo;.  i.  e.  quorum  sulla  est  demoustratio  conclusione  «ffecta.  « Àristot., De  Aniti.  Commentario. 1 «L’idée de l’étre et l’idée de substance se coufoudent souvent aiosi pour Aristote.» Bar  ih.  Saiot-Iliiaire,  ioc.  cit., cb.  40.  rio  e 1’universale, un’altra volta il puro accidente ; un»  volta  forma,  un’  altra  volta  sinolo  di materia e di forma. Il  noo  aristotelico  adunque  una volta  si  ferma  ai  principi  (àp^wv),  un’altra volta ai termini  (ópwv),  i quali non sono altro che la sostanza.    in quest’ una soltanto  si  restringono  le  incertezze  di  quella  dottrina.  Il noo  allora veramente si conchiude e si  assolve,  quando si posa in se stesso. L’andare  di  pensiero in  pensiero implica un processo all’infinito, dal quale  Aristolile  si  mostra  sempre  alieno.  Sforzato  adunque  dalla  stessa  dialettica  egli  immedesima in questo atto supremo l’ intelletto el’ intelligibile, ed in cotesta medesimezza dell’intelletto con se stesso è riposta la sua vera assolutezza. Se ci fosse qualcosa di esterno, alla quale lo spirito dovesse stare sospeso, egli sarebbe da meno di lei. E fin qui tutto si accorda a maraviglia  con  la  natura  dello  spirito,  che  non  può  prendere  in  prestito  d’ altronde la  sua  compiutezza,    posare  altrove  che  in  se  stesso  ; ma in  che  modo  si  potrà  conciliare  cotesta  af-  fermazione con l’ altra che fa travagliare il noo intorno ai primi principi? Ed ecco una nuova irresolutezza, una nuova contraddizione. Lo spirito che una volta si  (Ecco come il medesimo Sant-Hilaire riassumo da parecchi luoghi della Metafilica la teorica di Aristotile, dove la sostanza apparisco una volta necessaria, un’ altra volta come reale, cioè come individuale. Non trattando qui di proposito questa teorica mi astengo dal citaro io stesso i luoghi del testo. La Science, douée de ces deux caractéres, du général et du nécessaire, «'applique donc surtout è ce qui est en soi, è lasubstance,  bien  plutùt  qu’anx  autres  catégorie»,  qui  ne  sont  que^d’accident.  La  substance,  l’étre  éel  (oùsia)  est  su  faste  de  la  Science:  et  c’esl  elle  spécialement  qne  le  philousophe  doit  étudier.  De  plus,  c’est  à une  seule  et  ménte  Science  de  recher-  « ber  et  les  principe  généraux  de l’étre, de  la  substance, et  Ics  principe  généraux  de  la  démonstration,  et  du  syllogisme  qui  la  coostitne.   eh.  »e.  “Si absolutum id est, quod ad nihil nisi ad seipsum rifertur, acquitur sane mentem, siquidem  absoluta est,  seipsam  cogitare. -- ferma  nei  principi  universali  e nella  sostanza; un’altra volta  che  si  conchiude  in  se  medesimo. Certamente  quest’ultima  conclusione è più  accettevole, e più  consentanea alla nozione  deirintellelto  espressa  precedentemente; ma ciò  non  toglie  il  fare  incerto  ed  anche  contraddittorio del  sistema. Se l’intelletto  non  è,  se  non  quando  pensa  in  atto; esso  non  può  compirsi,  se  non  nell’atto  suo  proprio.  Se  gl’intelligibili  non  si  differenziano  dall’atto  medesimo  che  li  pensa,  come  si  può  dire,  che l’ intelletto si  fermi  nei  primi  principi,  i quali in  tal  modo  dovrebbero  avere  un’ esistenza  indipendente?   Forse  ad  ovviare  a questi  ed a tutti  gli altri  inconvenienti  finóra  discorsi,  Aristotile  ricorse  allo  spariijmento  del noo in  due,  per  potere  più  facilmente  altrij  buirgli  le  più  conlradittorie  determinazioni. Il  quinto  capitolo  del  terzo dei libri  su  l’anima  ospone  la  partizione  dell’intelletto  in  attivo  e passivo. Come  nella  natura  ci  è la  materia,  eh’ è lutto  in  potenza, e poi  la  causa  che  la  rechi  in  atto; così bisogna  che  coteste  differenze  si  trovino  pure  nell’anima.  In  lei  adunque vi  è un  intelletto,  che  può  tutto  divenire,  ed  mi  altro  che  può  tutto  fare. E come  l’agente  prevale  sul  paziente,  cosi l’ intelletto, che  tutto  fa,  è fornito  delle  migliori  prerogative;  è separato,  eh’  è quanto  dire  non  dipendente  da  nessun  organo,  è impassibile,  e non  ha  mistura  di  sorta;  perciò  è immortale  ed  eterno. Per  contrario l’ intelletto, che  tutto  diviene,  è capace di  patire,  e perciò  è perituro,  e senza  l’aiuto dell’intelletto attivo  non  può  nulla  pensare.  Il noo  attivo così  descritto  apparisce  essere  quanto  nell’  uomo  v’ha  di  divino ; anzi, come  osserva Zeller,  esso  non  si  differenzia  punto  dallo  stesso  Dio.  E di  ciò   1 /.ai  !<mv  S pìv  Totovro  vsus  tw  Tra/Ta  ycvss&at, S Sì' r»  irà/Toc  iisiitv.  De Anim.) potrà capacitarsi chiunque si  faccia a riscontrare  la  dottrina  del  Noo  attivo  con  l’altr  del  Dio  aristotelico,,  come  si  trova  nel  dodicesimo  libro  della  Metafisica.  Se  non  chè  il noo  attivo,  da  alcuni  tolto  per  lo  stesso  Dio,,  non  si  può  considerare se  non  come  qualcosa  dell’anima.  Aristotile  medesimo,  se  da  una  parte  lo  chiama  il  divine  nell’  uomo  ; 1 dall’  altra  ci  ricorda  eh’  esso  ò un  altro  genere di  anima. 1 Intanto  è impossibile  concepire  due  essenze divine,  una  nell’anima  umana,  l’altra  separata;  e questa  contraddizione,  prodotta  dalla  solita  dubbietà.  D’Aristotile,  rimane  anch’  essa  irresolubile. 3  Gl’interpreti  d’Aristotile, e non  gliene  mancarono neppure  quando  fioriva  ancora  la  greca  filosofia,  cominciarono percip  a dissentire  sul  Noo  attivo,  secondochè  ci  attesta  Temistio.  Chi  voleva  farne  la  facoltà  che  coglie i supremi  principi  con  una  semplice  comprensione,  e senza bisogno  di  discorrere,  come  pare  avesse  intesa  Temistio  medesimo  (nè  era  certamente  senza  fondamento cotesta interpretazione):  chi  per  contrario  dal  dover  essere  sempre  in  atto  argomentò  che  non  potesse essere  altri,  salvochè  Dio;  ed  anche a cotesto  commento  dava  nerbo  la  descrizione  sovresposta  di  Aristotile.  Se  non  che,  obbiettava  lo  stesso  Temistio,  Aristotile  parla  dell’  intelletto  attivo  e del  passivo  come  di  diffe-  renze (rà;  Scxp cpas)  dell’anima  ; ed  il  porlo  in  Dio  ri-   1 el  Oeiov  è vaù?  ir  pòi  t ài  av9/Jwirov.  Et.  ffie., t»o;  irti 59v.  Jìe  An im.,  lib.  Il,  cgp.   3 Die  ihatige  Vernunft  ist  mit  Eincm  Wort  nicht  atlein  dea  Guttliche  im  Menschen,  sondern  aie  ist  der  Sacbe  noch  von  dei»  gottlirhen  Geiste  selbat  nicht  veracliieden.  Andererseits  liess  sich  aber  freilich der ansserweltliche gòttliebe Geist nicht  wohl  ala  die  den  Kinzclncn  in"  oli  ricado  nnd  mittelst  der  Zengnnge  in  aie  iibcrgehcndo  Vernunft, ale ein  Theil  der  menschlichen  Sede  bezeichnen.  Aber  eine  Liisung  dieaea  Widersprucbs  so-  ebeà  wir  bei  Aristatclca  vergeblieh.  Zeller,  Phil  der  Grieche n.  pugnerebbe a questo esplicito  testo.  Il  Trendelerobnrg  nota  tutte  le  precedenti  dubbietà,    sa  risolversi  egli  medesimo  a miglior  partito,  che  a questo,  di  confes-  sare cioè  una  certa  cognazione  tra  il  Noo  attivo  e Dio, senza  però  spiegare  come  avvenga  nella  nostra  mente  questa  partecipazione  del  divino.Ben  si  accorge  che  Aristotile  nella  teorica  del  Noo  attivo  rompe  la  preclara  serie  delle  umane  facoltà, e del loro  progressivo  svi-'  luppo,  introducendovi  qualcosa  di  nuovo  e di  estrinseco, ma non  riporta  questa  rottura  ad  una  più  estesa,  che  noi  vedemmo  fin  da  principio  avvenuta  dentro'  la  costituzione  originaria dell’individuo. Al  dotto  critico  di  Berlino  non  Sfuggirono  però  i testi  ripugnanti, e la  ragionevolezza  delle  interpretazioni  contraddittorie,  benché egli  non  si  fosse  sforzato, come  di  poi  ha  fatto  Zeller,  di  risalire  alla  prima  scaturigine  di  quelle  con-  traddizioni divenute  necessarie. Chi disse: I’ intelletto  attivo  è il divino,  e Chi  lo  negò,  non  ebbe  certo  difetto  di  testi  per  convalidare  la  sua  chiosa. Brentano  non  ha  guari  pubblicava  un  libro  per  provare  che  il noo  è una facoltà  dell'  anima,  ma  senza  far  caso  delle  espressioni  che  si  possono  trarre  iti  opposto  senso.  Così,  a mò  d'esempio,  nel  libro  della  generazione  degli  animali  ò  detto che  l’ intelletto venga da  fuori, ed  egli interpreta doversi intenderà non del solo intelletto, ma ditutta l’anima  intellettiva. Che non abbia veduto  manifesta  1 Dopo riferite le parole d’Aristotile,  che  queste  differenze  di  attivo  o di  passivo  si  trovino  pare  nell’anima,  soggiunge.  « Qua)  serba  aperte  de  humano  agere  mimo. D’altra parte. Divina  mena  nibil  esse  potest, nisi   agens  intcllectus, a qno  veritas  rerum  manat Sed  quomodo   liut,  ut  Immani  mens  divine  particeps  sit,  dietimi  est  nusquam.  s Com-  meni.  Ariti,  de  Anima. [Vor  der  Hmd  sei  nnr  bemnrkt,  dass  nnter  dem  vou;  der  Svpy.Sev  in  den  Fòla eingeht, nidi t, wie  Manche  meinen, der  voù;  7ro‘V)Tt/o;  atleta, sonderò  die  ganze  ibujnj  vortrtxv  zn  versteben  ist.»  Die  Ptychologie l’oscillazione  d’Aristotile  dopo  le  profonde  osservazioni  di  Zeller,  che  pure  ha  letto,  a me  sembra  cosa  stranissima ; ma  ognuno, a vedere, si  vale  degl’occhi  suoi  e non  degli  altrui. Eppure  a lui è saltato negli  occhi  il  doppio  valore  del noo  aristotelico;  se  non  che,  invece  di  spiegare  la  causa  di  questa  duplicità,  ei  riconosce  una  sola  significazione  come  propria  della,  dottrina  ari-  stotelica,  l’altra come una  certa  metafora,  di  cui  Aristotile si  fosse  valso; lui  che  dalle  metafore  era  alienis-  simo. Come,  dice Brentano,  noi  diciamo  sano  tanto  chi  ha  la  sanità, quanto  le  cose  che  conferiscono  a procurarla, cosi Aristotile  ha  potuto  chiamare noo  tanto  il  subbielto,  che  ha  in    il  pensiero,  come  il  desiderio  spirituale,  che  n’è un  corollario,  e il divino  che n’è il  principio creatore.1 Cosi nella  lingua  tedesca,  ei  soggiunge,  Geruch  vuol  dire  ugualmente  ed  il  senso  che  coglie  gli  odori,  e l’odore  come  qualità  dei  corpi.  E lutto  questo  va  bene; ma  Aristotile  piglia  il noo  tutte e due le  volte  in  significato  proprio  e serio;  tanto  nel  terzo  libro  dell’Anima,  dove  ne  parla  come  di  differenza dell’anima umana,  come  nella Metafisica,  dove  lo  descrive  come  primo  motore  immobile  nella  relazione  che  ha  con  lutto  l’universo.  E le  descrizioni  rinvergano  cosi  bene, che paia  sempre  lo  stesso  Noo  che  si  descrive : tanto  il  primo  motore  della  metafisica  rassomiglia  al noo  attivo  dei  libri  dell’anima! Da  qui  l’oscillazione  del sistema  aristotelico,  che  nessuna  interpretazione,  o distinzione al  mondo  varrà  a far  cessare. des  Ariliotele,  intbetondere  teine  Lehre  vom  vojj  noi  n ti  xeg  vou  D*  Brentano,  Maini. 1a So knnnte  aucb  Aristoteles  nicht  bloss  das,  was  die  Gedanksn  io  sich  bat,  sonderà  aucb  das,  was  Folgc  dea  Deokes  iat,  wie  dea  geistige  Begebren, aber  auch  das, was  ala  Princip  die  Gedanken  bervorbringt, ala  #>9Ù;  bczeichoen.  Brentano. Una  nuova  difficoltà  ci  si  affaccia  nel  conciliare  le  due  differenze  che  Aristotile  introduce  nel  Noo,  perchè  il  passivo  è detto  corruttibile, e legato con  la  memoria,  col  desiderio,  con  tutte  le  altre facoltà  inferiori  ; e l’attivo, per  contrario,  immisto,  separabile,  e perciò  immortale: ed intanto  il  primo  ed  il  secondo  appartengono  del  pari  all’intelligenza,  che  n’  è il  genere  comune.  Aristotile nel  distinguere  il  Noo  in  passivo  ed  in  attivo  ha  voluto  occorrere a due condizioni,  imposte  entrambe  dal  suo  sistema.  Prima  ha  voluto  legare,  il  meglio  che  si  poteva,  l’ intelletto  con  le  facoltà  rimanenti; perciò  ha  dovuto  introdurre  in  esso  i fantasmi  per  intendere, i desideri per  volere;  e gli  uni  e gli  altri  si  fondano  su  la  sensibilità, e perciò su  la  materia,  su  la  possibilità  del  corpo. Dipoi  ha  voluto  far  dell’intelletto  la  facollà  che  pone  la  scienza,  che  coglie  l’universale  puro,  sceverato da  ogni  qualsiasi  possibilità, e che perciò  non  avesse  nessuna  mistura  di  potenza,  o di  materia,  e fosse  puro  atto.  Da  qui  la  distinzione  di  due  intelletti; uno che  attinge  ancora  alle  sorgenti  della  materia,  l’altro  che  non  vi  comunica  punto.  Perciò  vedemmo  che  l’intelletto puro  non  può  patire,  e consiste  tutto nell’ atto; mentre  chel’  intelletto  passivo  patisce,  ed  in  certo  senso  si  dee  dire  che  abbia  della  materia,  perchè  ogni  potenza  è materia,  considerata  per  rispetto all’ atto. Hegel  ha  cercato  di  conciliare  questa  contraddizione,  che  si  possa  cioè  dare  un  intelletto  che  partecipi  alla  materia,  dicendo che la  possibilità  nell’  intelletto  non  abbia  nessuna  materia,  perchè,  nel  pensare,  la  possibilità  è ella  mede-  sima un  essere  per  sè. 1 Però  conciliazione  siffatta  tien   [Die Moj>lichkeit  eelbst  ist  abcr  liier  nicht  Materie;  dar  Versta  mi  hat  nOinlicti  keine  Mitene,  scinderti  die  Moglickeit  geliort  zu  seiner  Substanz  eelbst.  Denn  das  Denken  ist  vielmrhr  dieses, nicbt an  sicli  za  sein  ; and.  v egeti  seiner  Reiobeit  ist  seme Wirklickeit  nielli  das  Fùrcinandersein, scine    più  del  sistema  proprio  dell’ Hegel,  che  di  quello  di  Aristotile. Quindi  proviene  ancora l’ incertezza di  determinare  in  che  consista  veramente  l’intelletto  passivo. Trendelemburg opina eh’esso  sia  costituito  da  tutte  le  facoltà  raccolte  quasi  in  un  nodo, e considerate come  condizioni  del  pensare.  Il  quale  può  aver  pigliato  il  nome  di  passivo  sia  perchè  vien  recato  a perfezione  dall’  intelletto  attivo,  sia  perchè  viene  occupato  dalle  cose esterne. 1  Tale  interpretazione  però  va  incontro  a questo  inconveniente,  di  rendere  inutile  la  distinzione  che  Aristotile aveva  fatto  tra  sentire;  immaginare  e pensare.  Se  il  pensare  non  è altro  che  il  sentire e l’ immaginare  annodati  insieme,  perchè  distinguerli  da  quello?  Non  bisogna  dimenticare  mai  che  dell’intelletto  in  generale  Aristotile  fece  un  altro  genere  di  anima. Pare  adunque  che  nello  sviluppo  della  intelligenza, medesima bisogna trovare quei gradi che appartengono al noo passivo, e gli altri che sono propri del  Noo attivo. Già di questo ultimo noi vedemmo che Aristotile avesse posto la funzione peculiare talvolta nei primi  principi, tal’altra nel ripiegarsi sopra di sè.  I gradi  precedenti  della  scienza,  che  del  resto  appartengono  certo  alla  intelligenza,  bisogna che si  attribuiscano  all’intelletto  passivo. Tale  è la  necessaria conclusione  a cui  si  perviene  a guardare  nel  lutt’  assieme  la  dottrina  aristotelica,  e cosi  vedo  che  ha  interpretato  pure Zeller,  che  nelle cose d’Aristotile Mogliclikeit  «ber  selbst  cin  Fursichsein.  Hegel, GeschicMe  der  Philoi. 1 a Qua?  a sensu inde ad imagiuationem mentera anteccssorunt, ad  rea  parcipiendas menti necessaria, sed  ad  intelligendas non suflìciunt. Orno es  iilas, qua?  p r eccedimi, facultates in  nnum  quasi  nodum  colleetas,  □natenus  ad  rea  cogitaodas  postula  nlur,  vouv  TtuSriTixo  v dietas  esse  innicamus. Trendclembnrg,  De  Anima, Comment. vede  molto  addentro,  ed  ha  grande  autorità. L’intelletto passivo  per  lui  consiste  in  quei  gradi  intermedi  che  stanno  tra  il  sollevarsi  delle  forze  rappresentative  ed  il  pensiero  compiuto  che  quieta  in sè stesso; in quel  processo riflessivo e discorsivo che Aristotile stesso  contrassegna con  la  parola  ScuvousOca. 1 Guardando ora tutta  insieme  la  dottrina  del noo  aristotelico, essa  ci  presenta  questa  contraddizione, di essere cioè  considerato  come  l’ultimo sviluppo  dell'  attività pensante  nell’uomo,  e di  essere  presupposto  fuori  dell’uomo,  perfetto,  compiuto  in  sè,  separato. È per questa  ragione  che  il noo  passivo  ci  vien  mostrato  come  processo,  come  discorso,  ed  il noo  attivo  come  intuizione; e che  il  primo  è tenuto in  minor conto del  secondo. Affinchè la  posizione  aristotelica  fosse  riuscita  precisa  e diritta, ei si  sarebbe dovuto disfare di  quell’universale separato,  ed  ambiguo,  e tener  fermo  nel  riguardare lo spirito  come  processo  rigoroso ed  ordinato.  Ma  per  fare  ciò,  non  bisognava  modificare  soltanto  la  dottrina  dell’  intelletto, sì  veramente  mutare  1’andadamento  generale  del sistema; cosa che  forse  non  era  da  pretendere  in quei tempi. Il concetto dello spirito come  sviluppo è risultato della  filosofia  moderna. Un  valoroso  storiografo  tedesco,  Prantl,  non  ha  dubitato  di  presentarci  come  genuino  sistema  di  Aristotile  quello  che  per  noi è piuttosto un  desiderio.    al  dotto  critico  manca  ingegno  o copia  di testi; ma  il suo  fare sa  troppo  di  moderno,  e perciò  di-  viene subito  sospetto. L’intelletto,  il noo  aristotelico,  è per  lui  una  immediata unità nella  duplicità  della  Giostra  essenza,  e da  un  lato  coglie  l’uno  trascendente,  il  divino,  dall’altro i  Zellcr.  molli,  l’individuo; o in  altri  termini  è l’unità  originaria  del  senso e della ragione, il  principio  e la  fine,  l’alfa  e  l’omega.1  In  un  luogo  dei  morali  nicomachei  si  dice  che  il  senso  è noo; e su tal  dichiarazione  il critico tedesco rifà da  capo  tutta  la  teorica  di  Aristotile.  Dove  gli  altri  avevan  visto un altro genere d’anima,  egli  scorge  un’originaria  medesimezza;  dove  gli  altri  avevan  trovato incertezze, egli  sicuramente  afferma  che  il noo aristotelico è sviluppo,  che  muovendo  dalle  impressioni  sensibili  arriva  sino  all’universale. L’intelletto,  dice Franti, secondo  il  modo  di  vedere aristotelico, non  è una  passiva  intuizione,  ma  un’attività  che  nel  progresso  del  suo  sviluppo  va  dalla  potenza  all’atto.  È un accrescimento  dentro    stesso,  Zuwachs  in  sich  selb&lhinein,  come  dice  il  critico  tedesco traducendo l’ iniSoais  ì<?>’  tàuro d’Aristotile.  Che  se  l’intelletto  si  dice  potenza, esso  è una potenza  tale  che  si  distingue  da  tutte  le  altre  non  solo  perchè  comprende gli  opposti,  ma  ancora  perchè  si  fonda  sopra  un  precedente  attuale.   La  continuità  dello  spirito  in  questo  processo  si  pare  a ciò, che  i primi  pensieri  si  distinguono  appena  dalle  sensibili  impressioni; talché  il  sapere  non è qualcosa  apparecchiato  d’avanzo,  ma  nasce  la  prima  volta  come  [Der  voi;  ist  fur  dia  Stale, vvas dea  Ange  fur  den  Korper i«t, rr  ist  die  anraittelbare  Einheit  in  der  Duplicil&t  nnseres  VVescn, deno  er  < rfasst  einerseits  das  trascendente  Eioe, Gòttlicbe, and  andrerseits  ist  er  cs  atich, welcher das  Einzelne, Viete ergreift, ja  es  wird  io  diesem  Sion, d.  li.  von  einem  wabrhaften  Antropologismns  aus, selbst  die  Sinneswabrnehraung  aiisdriiklicli  voi;  gena noi; und,indem  so  der  voi;  der  geistige  Sion  fQr  dia  beiderseitigen  Crtheile  ist, sowohl  fOr  jene, welche  ein  Ewìges  und  Crsprùnfjliebes  aussprerben,  als  aocb  ffir  jene, welche anf  das  Gcbiet  des  Vergliiglicheo  sich  beziehen, a»  kann  er  mit  Rccbt  der  Anfaog  und  das  Eode, das  vahre  A und  Q,  des  Apndeiktischeo  genannt  wcrdon. Getchichle  der  Logik. ], tale. 1 Quando il noo si  solleva, sopra  tutte  le  opposizioni, al  supremo  Uno,  ivi  pensa    stesso,  ed  il  pensiero ed  il  pensato  s’identificano: in tale  attività  egli  mostra  la  sua  eternità. Tal’è per  sommi  capi  la  teorica  del noo  aristotelico secondo Prantl: prima,  attività  originaria, unità  del  senso  e della  ragione; poi sviluppo  sino  al  pensare,  sviluppo tale  che  tra  l’impressioni sensibili ed i primi gradi del  pensiero v’è appena  differenza; infine processa intimo, ed  indipendente  dalla  materia,  fino  ad  attingere  il  pensiero  di    stesso,  e con  questo  l'eternità. Questa  esposizione toglie  ogni  dubbietà  ed  irresolutezza dal  sistema  aristotelico, e lo fa  rigorosamente  logico,  però,  a quel  che  mi  pare,  a scapito  della genuinità. Quella unità originaria sa troppo di moderno, e quella eternità conseguita dal nostro spirito nel  colmo del suo sviluppo è un’intuizione  moderna del  pari.  Ciò  che  mi  sembra  schiettamente  aristotelico  è il  concetta  dello  sviluppo  applicato  all’  attività  dello  spirilo; ma  il  pensare  puro  rimane  pur  sempre  staccato  dalla  serie  preclara  come  diceva  il  Trendelemburg.  Ammettendo  difatti  la  spiegazione  di Prantl,  il  Dio  aristotelico  sparisce, perchè  il  Noo  è perfetto e compiuto nello  spirito umano;  ed  il divino  d’Aristotile,  se  bisogna  a qualcosa,  è  per  cotesta  ultima  finalità. Prantl  tocca  dell’  intelletto  per  arrivare  al  cominciamento  della  Logica.  Per  lui l’ intelletto si  compie  nel  concetto,  cioè  nel  cogliere  l’universale,  il  quale  non  è    1Prantl, Und  indetti  dar  voù;  in  dem  Denkcn  dieses  bòchsten  Einen  aicb  se'btt  deukt, erreicbt er  das  Ziel  and  das  Zweck  seiner  Actnaliiat  : er  denkt  das  Angich  and  deukt  kiebei  steli  selbst  in  einer  Tbeilnabme  an  dem  Gedachten,  ao  dass  Denken  und  Gedacbtes  ideatiseli  siod ; in  solcber  TbStigkeit  erweister  arine  Ewigkeit.)  l’ atto  medesimo  dell’intendere  ; talmente  che  la  logica  s’ inizia    dove  la  psicologia  finisce.  L’ unilà  immediata  del  Noo è il principio della  psicologia;  l'unità  immediata  del  concetto  è il  cominciamento  della  logica. Prantl  fa  una  dotta  e profonda  investigazione  delie  categorie aristoteliche,  delle  quali  mi  rincresce  non  poter  qui  discorrere,  tanto  più  che  nel  Saggio  sulla  filosofia  greca  io  mi  trovai,  inconsapevolmente,  d’accordo  col  professore  tedesco  nei  risultati  di  quella  ricerca. Qui però non  voglio  omettere  di  dire  come  Prantl  si  accorge  che  lo  sviluppo  dello  spirito  si  riannoda  colla  dottrina  delle  categorie,  dove,  oltre  alle  determinazioni  estrinseche della  sostanza,  bisogna  ammettere un  processo  genetico ed  intimo.1  Ma  cotesto  processo  per  il  quale  la  sostanza  si  genera,  rimane  nel  sistema  aristotelico  ciò  che  direbbesi  una  semplice  esigenza.  Perchè  la  sostanza  diventi questa o quest’ altra essenza,  non  apparisce; e cosi  non  apparisce  neppure  nello  sviluppo  dello  spirito  la  necessità  del  passaggio  da  una  forma  all’altra ; perciò neppure la  necessità del noo,  che,  per  tal  causa,  può  dirsi  nell’  insieme  del  sistema  introdotto  da  fuora.  Prantl ha un bel chiamare il noo unità  immediata,  Ansich ; tutte coteste vedute  sono  più  profonde  come  scienza  che  vere  come  storia.  L’intelletto  separato,  il  motore  immobile  della  me- [Dass aber Aristotele eine  Selbstentwicklung  der  Denktliàtigkeit  voo  ciucili  erstcr  Stadium  aa  bis  tu  einem  letztea  wesentlicli  erreicbbsreu  Zieie  «nerkennt,  sahea  wir  gleicbfalls  scbon  obeu.... ; und so ist  ihiu  aucb  die  tìrsprùogliche Conception  der  Begriffe  aio  erstcs  Lumittelbares.  Voglio riferire questa  osservazione  del  Praotl  eoo  le  parole  eoa  cui  I’ha  compendiata  un  mio  giovane  amico  in  una  bella  tesi  di  laurea:  a Cosi  intorno  all’individuo  si  raggnippano  amendue  i processi, nel processo gene  4ico,  o nel ytvsoàai  vltOÒiì  l’individualità,  la  sostanza  funziona  da  predi,  ceto,  ed  il  suo  soggetto  è la  materia  indeterminata;  uel  processo  categorica  funziona  da  soggetto,  e regge e sostiene tutte le  determinazioni  categoriche. Delle  varie  interpretazioni  dell'idea  platonica  e della  categoria  aristotelica, Tesi per  laurea  di  TOCCO (si veda). C -«V- tafisica,  resiste  ad  ogni  più  benevola  interpretazione. Certo  se Aristotile  avesse  volato e potuto essere  conseguente,  avrebbe pensato come lo fa pensare Prantl. Passando ora  dall’intelletto  alla  libertà  noi  troviamo  nella  dottrina  aristotelica  le  tracce  della  prima  indeterminatezza. Brandis ha  detto  che  la  libertà  secondo  Ari-  stotile consiste  nella  facoltà  che ha lo spirito di svilupparsi  da  sè e mediante se stesso  secondo  la  misura  della  sua  originaria  disposizione.  Ma,  domanda  con  molla  ragionevolezza il  Zeller,  a qual  parte  dell’anima  debbe  appartenere questo  sviluppo? Alla ragione  no, perchè  immobile ed inalterabile; all’anima sensitiva  ed  appetitiva  nemmanco,  perchè  non  sono  capaci di  svilupparsi  con  libertà,  non  potendo  trovarsi  libertà  se  non  dov’è  la  ragione.  Rimarrebbe  l’intelletto  passivo,  al  quale, sia detto una  volta  per  sempre,  si  ricorre  d’ordinario  quando  si  scorge  l’impossibilità  di  dare  uno  scioglimento  risoluto; ma  esso  stesso  oscillando  tra  la  ragione e la sensibilità, avrebbe  bisogno,  al  pari  della  volontà,  di  uno  schiarimento  per  vedere  in  che  modo  si  possa  dare una  facoltà  che  partecipi  di  due  altre  cosi  opposte,  come  sono  il  senso e la ragione. Aristotile  stesso  accortosi  della  specie  di  altalena  che  fanno  la  ragione  pratica  ed  il  desiderio, li  rassomiglia  a due  palle  che  si  rimandano  da  uno all’ altro. Un  filosofo  francese,  Waddington,  taglia come  Alessandro  il  nodo,  invece  di  scioglierlo,  dicendo il principio, la  causa  dell’atto  volitivo  esser  l’io;  degli  altri atti essere soltanto partecipe, ma qui il caso  esser  diverso,  e sentirsi  assoluto e sovrano padrone. Ma  appunto  di  questo  Io  noi  cerchiamo  invano  in  Ari- [Zeller. Aristotile, De  anim.,  La Piicologia d’Ariiloliie,  esposta  da  Waddiogton  e Toltala in italiano  dalla marchesa Marianna Floreozi Waddington] stotile,  e vogliamo  scoprire dove  si  annida,  se  nella  ragione, o nella sensibilità, perchè  la  volontà  non  è facoltà  originaria,  come  non  è l’intelletto  passivo,    l’intelletto  pratico. La vera personalità  dello  spirito  è da  cercare  dunque  o nella  sensibilità, o nella ragione, almeno  secondo i dati  della  psicologia  aristotelica. La  scuola  ecclettica  di  Francia  ha ripetuto sempre che la volontà è l’Io, essendoché la ragione è impersonale ed i fatti sensibili traggono  origine  dal mondo esteriore. Con questa intuizione peculiare del loro sistema, ei si fanno ad interpretare Aristotile. Se non che la volontà per il filosofo greco non è una  facoltà originaria, quanto meno  perciò  può  essere  la  intera  personalità  dello  spirito! La  volontà è una specie di  risultante  prodotta  dal connubio della ragione col  desiderio. Le quali due facoltà essendo si opposte, rimane assai difficile il definire in quale di esse stia lalibera determinazione di se stessa.Quando Aristotile appaia la ragionespeculativa con le facoltà  rappresentative,  e ne  fa l’intelletto passivo; ovvero quando accoppia  la  ragione  pratica  col  desiderio, e ne fa la libera volontà,  rimane  sempre incerto  quale  dei  due  elementi  debba  prevalere: se la parte  sensitiva  ed  appetitiva  debba  trarre  dalla sua  la  ragione,  ed  introdurre in lei la  mutabilità  ed  il  patire;  ovvero se la ragione,  signoreggiando il senso e l’appetito, debba far questi  partecipi della propria  impassibilità  ed  eternità. Nella vera conciliazione  di  cotesti due opposti termini sarebbe stala riposta la persona  umana, se in Aristotilo  il loro accoppiamento non fosserimasto un accostamento esterno, e,  come  dicono  i tedeschi,  un  Zusmrmensetzung~  [Der Wille musa  demnach cioè ans Vernnnft  and  Bugiarde  snsam-  mengetetzte  Thatigheil saio. Aber  auf  welcber  Scita io dieser Verbiudong da&  eigentliche Wesen dea  Willens,  die  Krafta der  freieu  Selbslbestimmung liegt,  ist  sclmer za  sagea. Zeller. Esclusa  la  volontà,  dove  si  deve  dire  che  alberghi  la  persona  umana?  Talvolta  pare che Aristotile la faccia  consistere  nella  propria  ragione  di  ciascuno;  ma  la  ragione è un puro universale,  incapace di  mutazioni  e di patimenti, eterna ed impassibile. Ed invece la persona è il  subbietto  proprio, e la  causa intrinseca dei  suoi  mutamenti. Tal’ altra volta pare  che  Aristotile  attribuisca  la personalità all’anima,  in quanto  senziente  ed  appetitiva; ma, oltre che questa, come osserva Zelter, è incapace di produrre movimenti da sè, secondochè  sostiene Io stesso Aristotile,  viene  esplicitamente  esclusa,  dicendo  che  non  nell’anima,  ma nell’uomo in quanto consta di corpo e di anima, dee  riporsi il  subietto  dei  movimenti  sensibili. Il  corpo  intanto non è cagione del moto, perchè esso verso l’anima  è come la potenza verso l’atto.  Ecco  in  quali  difficoltà  ci  siamo imbattuti nel cercare dove consista la personalità  umana  secondo i principi d’Aristotele. Le quali difficoltà, a parer mio, procedono dal non aver Aristotile fatto  vedere  per  qual  modo  1’universale  si  determini,  per  intrinseca energia e per dialettica  necessità,  nel  particolare, e diventi individuo; e per  qual  modo poi l’individuo, rifacendo nel processo conoscitivo il cammino inverso del processo  genetico,  si  sollevi  dalle  determinazioni  particolari  ed  accidentali  all’universale  ed  all’  assoluto.  Non è già che siffatto  processo  non  sia stato  intraveduto  dall’acume di Aristotele, ma non è stato spiegato con sufficiente  chiarezza, perchè  le sue dottrine s’informassero tutte secondo quel  processo. Prantl accennando al processo genetico,  come  intimo,  e diverso  dal processo  categorico, e trovandone le tracce nella metafisica d’Aristotele, ed in altre  sue  opere,  ha  mostrato come la  determinazione dell’universale  nel  particolare,  il  concretarsi  della  forma  in  una  materia sia il primo postulato  di Aristotile. E spiegando dipoi come il noo, per assurgere alla  condizione  assoluta  di  pensiero,  ha  dovuto  essere  fin  da  principio  unità  originaria, individuo  ed  z universale,  senso e ragione, affinchè fosse possibile tutto lo sviluppo intrinseco dello  spirito, ha  posto  in  evidenza  il  secondo  postulato,  non  meno  del  primo  indispensabile.I due postulati che la critica di PRANTL richiede nel sistema aristotelico, nella metafisica il  primo,  nella  psicologia il  secondo,  sono  però, lo  ripetiamo, appena  intraveduti  da  Aristotile,  e non pienamente dedotti. Forse il concetto di sviluppo nello spirito è molto più evidente che non il processo genetico nella  sostanza; ma ciò non  toglie  tutte  le  irresolutezze,  ed  anche  le  contraddizioni,  che  noi  abbiamo  fatto notare,  giovandoci degli  studi  di  Zeller,  il  quale  ha  collocato  il  sistema di Aristotele nella sua vera luce, tanto per rispetto a Platone, come nel suo intrinseco organamento. Dalle cose premesse apparisce  chiaramente  quel  che  debba  dirsi  della  immortalità  dell'anima  secondo  Aristotile. Per  lui  tutto  ciò  che  si  altera è soggetto alla morte. Onde le facoltà sensitive,  le  appetitive,  le  rappresentative, e perfino l’intelletto  passivo  finiscono con  l’organismo corporeo,  da  cui  dipendono, e con cui sono  indissolubilmente  legati. Solo  superstite  è per  Aristotile  l’intelletto attivo, il quale, se fosse provato che e da  solo la persona  umana,  basterebbe  ad  assicurare  l'immortalità. Ma  l'intelletto attivo è il solo  elemento  universale,  una  specie  della  ragione  impersonale  della  scuola  eccletlica, e perciò la sua durata non ha nulla che fare con la durata dell’individuo e della persona. Questo  intelletto  attivo  superstite,  slegato  che  sarà  dal  corpo, non  avrà    sensazioni,    fantasmi,    memoria, nè  desideri; e perciò neppure volontà, nè intelletto passivo; talché non potrà avere più  coscienza,    personalità  che  sodo  inseparabili  da  tutte  quelle  determinazioni. Che se si pon mente, come il noo attivo per pensare ha bisogno del passivo, noi potremo dire, che Aristotele non puo,  secondo  i suoiprincipii,  far  sopravvivere  l’intelletto  attivo  alla  morte dell’ intelletto passivo, e se,  non  ostante  la  forza  della  logica,  lo  ha  fatto,  ciò  ne    nuova  riprova, che per lui non e ben fermo il vero concetto del noo, e che una volta lo  poneva come termine supremo dello sviluppo psichico, un’altra volta ne lo stralciava, attribuendogli una esistenza separata, impassibile ed immortale. Aristotile non è pervenuto sino all’autogenesi dello spirito, perchè non si può creare quel  che  si  suppone  esterno  non  solo,  ma  sproporzionalo  alle  facoltà  umane. L’ infinito  per  lui  ora  consisteva  nel  concetto  dello  spirito, ed ora in qualche cosa di esterno. Tolta l’ipostasi dell’universale che aveva ammesso Platone  per  ciascuna!  cosa,  ei  la  ritenne  per  rispetto a Dio, perciò il processo dello sviluppamento rimase dimezzato,  imbottendosi  in  un  termine  esteriore  che  gliene  impediva  il  proseguimento. Non  ci  è un’idea  preformata  della  natura, perciò la  natura può  svilupparsi  per  virtù  intrinseca; ma ;  ci  è l’ idea del divino sussistente d’avanzo, perciò lo spirito non  può  farsi:  egli  già  è fatto,  e non  gli  rimane  se  non  d’ insinuarsi  nel  mondo e di svegliarvi il  penisiero.  Questa  mi  pare  la  posizione  dell’aristotelismo. Aristotile  rimase  platonico  per metà. Conti  è ricorso a cause esteriori ed accidentali per trovare una spiegazione  del  sistema  aristotelico, e perchè è il  primo ai nostri tempi che siasi dato a scrivere una storia della filosofìa in Italia, mette il conto di dare un saggio del suo modo di criticare I sistemi. Aristotile è passato dall’idealismo platonico alla scienza delle cose  reali e Perchè? Ecco la risposta del Conti, dacché la civiltà greca, uscendo da’propri confini, si distendeva nell’Asia con l’armi, era naturale che alle idealità interiori, tutte di raccoglimento, succedesse la scienza delle cose reali. Ma tutto colesto non ci ha nulla che fare. Prima di ogni cosa non è certo che Aristotile abbia pensato il suo sistema proprio al tempo che I Greci passarono in Asia. Ma, poniamo che sì, qual relazione ci è fra una spedizionea mano armata con una polemica su le idee? CONTI discorre dei vizi, pei quali i Greci vennero specialmente in mala voce, ed eccoti scoverta la causa, perchè la loro filosofia “non giunse mai al puro concetto di creazione, pernio della scienza. Anche qui la causa mi pare troppo lontana dall’effetto, e non  veggo  in  che  modo  la corruzione dei costumi greci potesse appannare il loro intelletto. Forse non concepirono tante cose vere e belle con tutte  quelle  passioni? Forse, ai tempi in cui fioriva l’accademia  platonica,  a  Firenze  non  dominavano  vizi  somiglianti?  Dai filosofi di  quel secolo parmi scorgere che quelle brutture fossero molto in voga,  e intanto giunsero al puro concetto della creazione non solo, ma concepirono perfettamente tutti i dommi  cattolici, e li disposarono alla filosofia. CONTI (si veda) inclina troppo a far la critica filosoficacon la nascita el’ educazione cristiana, con le rette inclinazioni del cuore, con il candore dei costumi; ma tutto ciò se prova afavore  del  suo  animo  bennato,  non    pari  fondamento  ad  apprezzarne  l’acume  critico [La  scienza  non  si giudica con la fede di buona condotta del curato. Ma lasciando queste osservazioni generali, che appartengono al suo criterio storico, voglio notare che nella teorica dell’intelletto d’Aristotile, egli ha frantesi lIÀ In la mente dello stagirita. Di lui, difatti, dice CONTI che distinse l’intelletto agente che fa intelligibili le cosdal possibile che le concepisce. Aristotile invece chiama intelletto possibile quello che tutto diventa, agente quello die tutto fa, come si può vedere nel testo medesimo dei libri dell’Anima che ho di sopra allegato. L’atto con cui l’intelletto concepisce gl’intelligibili, egli intelligibili medesimi sono tutt’uno. Non ci sono già le cose intelligibili distinte dal concetto; onde se Aristotile avesse posto veramente questa differenza tra i due intelletti, si sarebbe contraddetto. Eche CONTI travisa la dottrina aristotelica, si pare da ciò, che l’intelletto possibile per Aristotile precede l’agente, come la potenza precede l’alto; mentre per CONTI avviene il contrario, forse perchè non ha attinto questa distinzione dalla sorgente aristotelica, ma da qualche espositore che1’avea compreso male. Il peggio poi si è che CONTI ha l’aria di non sospettare eppure l’importanza di questo problema, non meno che di parecchi altri rilevantissimi, contento a sfiorarli leggermente, quando non li trasanda del tutto. Keywords: idealismo, l’idea di natura in Talesio, panteismo di Bruno, filosofo maiore, filosofo minore, Aosta, Agostino, filosofia roma antica, Catone. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Fiorentino” – The Swimming-Pool Library. Francesco Fiorentino. Fiorentino.

 

Grice e Fioretti: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dei pro-ginnasti – filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Mercatale). Filosofo toscano.  Filosofo italiano. Mercatale, Cortona, Arezzo, Toscana – Grice:: “I like Fioretti; thought-provoking; he says Plato should never have chosen ‘dialogue’ as a philosophical genre, and he is right; in my long tutorial life at Oxford I NEVER asked a tutee to write a dialogue for me! If Plato were the standard, that’s what we’d do!” Autore di “Pro-Ginnasmo” (pro-ginnasio, ginnasio – cf. Deutsche progrymnasium), un'ampia raccolta di note critiche su autori di varie epoche, dai greci e latini agli scrittori italiani del XVI secolo, da cui emergono la straordinaria versatilità e ricchezza interessi dell'autore. Come moralista, scrisse “Osservazioni di creanze e Esercizi morali. Critico acerrimo di Aristotele ed Ariosto, ed altri autori classici. È stato anche co-fondatore degl’Apatisti. Ha una vita indisciplinata. Il conte Giovanni Bardi, il feudatario di Vernio, lo ammonì ad una vita più contenuta. Ma ha risposto alle minacce con una satira che raggiunse le mani del conte, che immediatamente ordinò l'arresto di Fioretti. Ma Fioretti accorto fuggì, e i partigiani del conte trovarono solo un'iscrizione nella casa del prete che recita: Resurrexit, non est hic.  Infatti, si era rifugiato a Firenze, dove, nel tempo, cambiò completamente stile di vita. Si dedicò alla filosofia. Rimase nel Palazzo di Oriuolo e cambia anche il nome diventando Udeno Nisieli, che significa "di nessuno, ad eccezione di Dio".  Pubblica numerosi saggi. Si dimostra diligente filologo e critico critico. Il suo capolavoro è la raccolta di poesie “Proginnasmi” (cf. ginnasio, pro-ginnasio, Deutsche pro-gymnasium), contenente critiche ai poeti romani. E stato dimenticato dalla letteratura nel tempo, forse perché era eccessivamente franco.  Al suo pseudonimo era solito aggiungere la qualifica di "accademico apatita", come ad indicare la mancanza di passione nelle sue considerazioni poetiche. La totale imparzialità dei suoi giudizi era una condizione essenziale per sentirsi membro di questa accademia immaginaria, che più tardi, con la generosità di Coltellini, si concretizzò con l'obiettivo di riunire filosofi con abitudini salutari e politici impegnati.  Lasciò come ela sua biblioteca e i suoi scritti alla Chiesa di San Basilio. Altre opere: “Polifemo Briaco” Proginnasmi poetici” (Firenze, appresso Zanobi Pignoni, Firenze, nella Stamperia di Zanobi Pignoni), definita come "un'opera di grande erudizione, che pesa i meriti dei grandi scrittori dell'universo, e rivela i più singolari artifici della Poetica". Esercizi morali, Rimario e Sillabario, Firenze, per Zanobi Pignoni. Raffaello Ramat, La critica ariostesca, Firenze, e anche in Walter Binni, Storia della critica ariostesca, Lucca, Tiraboschi.  Luca, Scheda Biografica su Centro Ricerche Pratesi, Carmine Jannaco e Martino Capucci, Storia letteraria d'Italia: Il Seicento.  Gian Vittorio Rossi, Pinacotheca, Colonia, Giulio Negri, Istoria degli scrittori fiorentini” (Ferrara, per Bernardino Pomatelli); Giovanni Mario Crescimbeni, Comentarij..., Venezia Giovanni Mario Crescimbeni, L'Istoria della volgar poesia, Venezia; Giovanni Cinelli Calvoli, Biblioteca volante, II, Venezia, Giusto Fontanini, “Della eloquenza italiana” (Roma Domenico Moreni,  storico-ragionata della Toscana..., I, Firenze Giovan Battista Corniani, I secoli della Letteratura italiana dopo il suo Risorgimento Commentario di G. B. Corniani, S. Ticozzi, II, Milano, Francesco Inghirami, Storia della Toscana, Biografia, Fiesole, Ciro Trabalza, La critica letteraria, Milano, Umberto Cosmo, Le polemiche letterarie, la Crusca e Dante, in Con Dante attraverso il Seicento, Bari, Benedetto Croce, Storia dell'età barocca, Bari, Walter Binni, Storia della critica ariostesca, Lucca Raffaello Ramat, La critica ariostesca, Firenze, Franco Croce, La discussione sull'Adone, in La Rassegna della letteratura italiana, Letteratura italiana (Marzorati), I minori, Milano Carmine Jannaco, Martino Capucci, Il Seicento, MilanoPio Rajna, Le fonti dell'Orlando furioso, Firenze, Gianfranco Formichetti, Dizionario biografico degli italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Anton Angelo de Cavanis e Marcantonio de Cavanis, “Il giovane istruito nella cognizione dei libri” Venezia, per Giuseppe Picotti, Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana,  8, Roma, per Luigi Perego Salvioni Stampator Vaticano,  Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Antonio Belloni, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Benedetto Fioretti, noto anche come Udeno Nisiely e Fracastoro.  Mascolinità assieme di qualità, caratteristiche o ruoli associati a ragazzi o uomini Lingua Segui Modifica La mascolinità (o il genere maschile) è un insieme di attributi, comportamenti e ruoli generalmente associati agli uomini. La mascolinità è costruita socialmente e culturalmente, anche se alcuni comportamenti considerati maschili, come indica la ricerca, sono biologicamente influenzati. Fino a che punto la mascolinità sia influenzata biologicamente o socialmente è oggetto di dibattito. Il genere maschile è distinto dalla definizione del sesso biologico maschile, poiché sia i maschi che le femmine possono esibire caratteristiche maschili. Nella mitologia greca Eracle è uno dei massimi simboli di mascolinità. Gli standard di mascolinità variano a seconda delle diverse culture e periodi storici. Le caratteristiche tradizionalmente, culturalmente e socialmente considerate maschili nella società occidentaleincludono virilità, forza, coraggio, indipendenza, leadership e assertività. Il machismo è una forma di mascolinità che enfatizza il potere ed è spesso associata a un disprezzo per le conseguenze e la responsabilità. Il suo opposto può esser espresso dal termine effeminatezza.Uno dei sinonimi maggiormente usati per indicare la mascolinità è virilità, dal latino virche significa uomo.  Contesti storici e culturaliModifica L'interpretazione ed il riconoscimento della mascolinità variano all'interno dei diversi contesti storici e culturali. Nell'antichità era prevalente prendere a modello l'uomo d'arme; la figura del dandy, tanto per fare solo un esempio, è stato considerato un ideale di mascolinità nel XIX secolo, mentre è considerato al limite dell'effeminato per gli standard moderni.  Le norme tradizionali maschili, così come vengono descritte nel saggio di Levant intitolato "Mascolinità ricostruita" sono: evitare ogni accenno di femminilità, non mostrare le proprie emozioni, tenere ben separato il sesso dall'amore, perseguire il successo e raggiungere uno status sociale più elevato, l'autonomia (il non aver mai bisogno dell'aiuto di nessuno), la forza fisica e l'aggressività, infine l'omofobia (disprezzo per il frocio, il finto maschio). Queste norme servono a riprodurre simbolicamente il ruolo di genere associando gli attributi e le caratteristiche specifiche creduti appartenere di diritto al genere maschile.  Lo studio accademico della mascolinità ha subito una massiccia espansione d'interesse tra la fine degli anni '80 e i primi anni '90, con corsi universitari che si occupano della mascolinità passati da poco più di 30 ad oltre 300 negli Stati Uniti. Questo ha portato anche a ricerche riguardanti la correlazione tra concetto di mascolinità e le varie forme possibili di discriminazione sociale, ma anche per l'uso che del concetto se ne fa in altri campi, come nel modello femminista di costruzione sociale del genere.  Natura ed educazione Competizione sportiva, scontro fisico e militarismo sono caratteristiche della mascolinità che appaiono in forme analoghe in quasi tutte le culture del mondo. La misura in cui l'espressione della propria mascolinità possa esser un fatto di natura o il risultato di un'educazione (e quindi appartenente all'ampio spettro del condizionamento sociale) è stato oggetto di molte discussioni.  La ricerca sul genoma umano ha dato importanti informazioni circa lo sviluppo delle caratteristiche maschili ed il processo di differenziazione sessuale specifico per il sistema riproduttivo degli esseri umani: il TDF sul cromosoma Y, che è fondamentale per lo sviluppo sessuale maschile, attiva la proteina chiamata "Fattore di trascrizione SOX9" la quale aumenta l'ormone antimulleriano che reprime lo sviluppo femminile nell'embrione.  Vi è ampio dibattito poi su come i bambini sviluppino a partire dalla realtà corporea una propria identità di genere; chi la considera un fatto di natura sostiene che la mascolinità è inestricabilmente collegata al corpo umano maschile, ed in tale visione diventa qualcosa che è legato al sesso maschile biologico, cioè all'apparato genitale maschile il quale diviene così l'aspetto fondamentale della mascolinità.  Altri invece suggeriscono che, mentre la mascolinità può essere influenzata da fattori biologici, è anche però ampiamente costruita culturalmente; la mascolinità non avrebbe quindi una sola fonte d'origine o creazione, ma sarebbe anche associata a certi condizionamenti sociali. Un esempio di mascolinità socializzata è quella rappresentata dallo spuntare della barba, cioè dall'avere peli sul viso: l'adolescente che viene considerato e trattato da uomo a partire dal momento in cui comincia a radersi.  Mascolinità egemonica Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Maschilismo.  Esempio di maschio poco più che adolescente con corpo muscoloso. Nelle culture tradizionali la maniera principale per gli uomini di acquistare onore e rispetto era quello di arrivare a mantenere economicamente la propria famiglia assumendone al contempo anche il comando e la leadership. Connell ha etichettato i tradizionali ruoli e privilegi maschili col termine di mascolinità egemonica, cioè la norma maschile, qualcosa a cui tutti gli uomini dovrebbero aspirare e che le donne invece sono scoraggiate dall'adottare: "Configurazione del genere come prassi che incarna la risposta accettata al problema della legittimità patriarcale... che garantisce la posizione dominante degli uomini e la subordinazione delle donne".Pleck sostiene che una gerarchia di mascolinità tra gli uomini esiste in gran parte nella dicotomia riferita all'orientamento sessuale tra maschio eterosessuale e non-maschio omosessuale e spiega che "la nostra società utilizza la dicotomia etero-omo come simbolo centrale per tutte le sue classifiche di mascolinità, distinguendo i veri uomini dotati di virilità da quelli che invece lo sono solo per finta". Kimmel promuove questo concetto, aggiungendo però anche che il tropo "sei gay" indica che uno è innanzitutto privo di mascolinità, prima ancora d'indicare un maschio attratto da persone del proprio stesso sesso. Pleck conclude sostenendo che per evitare la continuazione dell'oppressione maschile sopra le donne, sopra gli altri uomini, ma anche sopra se stessi, debbono essere eliminate una volta per tutte le strutture ed istituzioni patriarcali dall'auto-consapevolezza maschile.  Critiche. Si tratta di un argomento dibattuto la questione se i concetti di mascolinità seguiti storicamente debbano ancora continuare ad essere applicati. I ricercatori hanno rilevato un corrente di critica alla mascolinità, dovuta al rimodellamento dei valori contemporanei, ai gruppi femministi più attivi che hanno assunto per sé certi ruoli tradizionali appartenenti alla mascolinità, all'ostilità culturale che la società d'oggi ha in certi casi posto sui cosiddetti valori maschili, ed infine anche alla promozione della mascolinità nella donna abbinata ad un pressione rivolta agli uomini per femminilizzarsi. Le immagini di ragazzi e giovani uomini presentati nei mass media possono portare alla persistenza di concetti nocivi alla mascolinità; gli attivisti per i diritti degli uomini sostengono che i media non prestano una seria attenzione alle questioni relative ai diritti maschili e che gli uomini vengono spesso dipinti in una luce negativa, soprattutto nella pubblicità. Jackson scrive che le forme dominanti di mascolinità possono essere di sfruttamento economico e di oppressione sociale. Egli afferma che "la forma di oppressione varia dai controlli patriarcali sui corpi delle donne e dei diritti riproduttivi, attraverso le ideologie di domesticità, femminilità ed eterosessualità obbligatoria, alle definizioni sociali del valore del lavoro, le presunte maggiori abilità naturali del maschio e la remunerazione differenziale del lavoro produttivo e riproduttivo ".   Il lavoro meccanico in fabbrica è associato con la mascolinità tradizionale. Nozione di mascolinità in crisiModifica Un discorso sulla crisi della mascolinità è emerso negli ultimi decenni, sostenendo l'ipotesi che il concetto di mascolinità si trovi oggi nella civiltà occidentale in uno stato di più o meno profonda crisi.  La crisi è anche stata spesso attribuita alle politiche conseguenti al femminismo in risposta sia al presunto dominio degli uomini sulle donne, sia ai diritti attribuiti socialmente sulla base del proprio sesso d'appartenenza.  Altri vedono il mercato del lavoro in costante evoluzione come fonte della crisi della mascolinità, la deindustrializzazione e la sostituzione delle vecchie fabbriche con nuove tecnologie ha permesso ad un numero sempre maggiore di donne di entrare in questo mercato competendo alla pari con gli uomini, riducendo al contempo la necessità e domanda di forza fisica.  Tendenze contemporaneeModifica  L'operaio edile, esempio moderno di mascolinità. Anche se gli stereotipi effettivi siano rimasti relativamente costanti, il valore collegato alla concetto di mascolinità maschile è in parte cambiato nel corso degli ultimi decenni, ed è stato sostenuto che la mascolinità è pertanto un fenomeno instabile e mai raggiunto in modo definitivo.  Secondo un documento presentato all'American Psychological Association: "Invece di vedere una diminuzione dell'oggettivazione delle donne nella società, si è recentemente verificato un aumento nell'oggettivazione di entrambi i sessi... Uomini e donne possono limitare la loro assunzione di cibo nello sforzo di ottenere quello che considerano un corpo attraente sottile, in casi estremi portando anche a gravi disturbi alimentari.  Sia gli uomini che le donne più giovani che leggono riviste di fitness e di moda potrebbero essere psicologicamente danneggiati dalle immagini perfette di fisico femminile e maschile che vedono: alcune giovani donne e uomini si esercitano eccessivamente nel tentativo di raggiungere ciò che essi considerano una forma corporea più attraente, che in casi estremi può portare a disordine dismorfico del corpo (dismorfofobia) o dismorfismo muscolare (anoressia riversa).  Terminologia I concetti di mascolinità sono variati a seconda del tempo e del luogo e sono soggetti a costanti cambiamenti, quindi è più appropriato parlare di mascolinità al plurale che di una singola tipologia di mascolinità. 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