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Saturday, January 4, 2025

GRICE E CONSOLI

 L'AUTORE DEL LIBRO    DE ONRAR BISI (ERMANOKYA       RICERCHE CRITICHE  DEL DOTTOR    SANTI CONSOLI    Libero docente di letteratura e lingua latina nella R. Università di Catania    DERE    ROMA.  Ermanno LoescHER & Co  (Bretsehneider e Regenberg)  Librai di S. M. la Regina d’Italia    1902    Proprietà letteraria dell’ autore.  (Catania, via Maddem, n. 160)    MII    Tipografia editrice BARBACALLO & SCUDERI, in Catania.    1006914  NOY £ 1906  Pad  «TI  AG    -YC16    A RoBERTO DI CARCACI    MIO ALUNNO NEGLI ANNI 1889 = 1894    AVVERTENZA    Nel presente libro si compendiano i risultamenti di  un lavoro paziente di ricerche, durato per più anni. Le  conclusioni, alle quali siamo pervenuti, sembreranno a  taluni molto ardite ; e, forse, non tutti coloro che de-  gneranno il libro di una lettura attenta, stimeranno che  si debbano fare a tali conclusioni « accoglienze oneste  e liete ». Ma chiunque esamini il nostro libro con a-  nimo alieno da preconcetti, non potrà, pur dissentendo  dalle conclusioni, disconoscere che le nostre indagini  critiche sono state sempre obiettive e senza il disegno  di far prevalere, ad ogni costo e in qualunque, modo,  una tesi prestabilita. Delle osservazioni che ci saranno  fatte, terremo il debito conto, ringraziando fin d’ ora  i lettori benevoli.   È opportuno, inoltre, avvertire che, quanto al testo  di Tacito, abbiamo seguito l’ ediz. curata dal Halm ; e  per la nat. Rist. di Plinio, l’ ediz. Jan-Mayhoff. Quanto  al testo della Germ., abbiamo preferito attenerci alla  recente ediz. di Ioannes Mueller (Wien u. Prag , F.  Tempsky ; Leipzig, G. Freytag: 1900, ed. II maior).   Citando di Tacito un intero capitolo o più parti d  uno stesso capitolo, si è omesso di indicare il num. del  rigo accanto al num. d’ ordine del capitolo. Degli au-  tori che sono citati nel corso del libro , abbiamo con-  servato i testi tali quali si presentano nelle edd. con-  sultate, senza variarne menomamente la grafia, ancorchè  questa apparisca, talvolta, inesatta.                      TTI DT NR gi TÀ  + + GND è + CHIND è + GHIND è + HD + è qu» 00:  LL tt rit ‘rl    eee e asi  _— > —_ «= ++ «mm è  Malatano li sen a cut NA limiter sociali leva st E rc       CAPITOLO PRIMO    Esame critico delle notizie concernenti il tempo  in cui fu scritta e pubblicata la Germania.    Dell’aureo libretto de origine et situ Germanorum 1,  che indicheremo, come altri han fatto prima, con l’ab-  breviatura Germ., non trovasi fatta menzione nell’ an-  tichità, sia perchè non se n’ebbe notizia dagli scrittori    1 Il tit. de origine et situ Germanorum è indicato per la pri-  ma volta dal Panormita, in una lettera dell’ aprile 1426 diretta  al Guarini di Verona (vedi cod. Marciano XIV 221 f 95; cod.  Classense 419, 8 f. 3: cit. dal SABBADINI, notizie storico-critiche  di alcuni codici latini, in Studi italiani di filol. class. VII pp.  122-125), ed è confermato dai codd. Vatic. 1862 e Vatic. 1518.  In una nota di Pier Candido Decembrio (cod. Ambros. R 88  sup. £. 112: vedi SABBADINI, il ms. hersfeldese delle opere mi-  nori di Tac., in Rio. di filol. e d' istruz. class. XXIX 262) leg-  gesi il tit. de orig. et situ Germaniae, ripetuto dal cod. Neapol.  Il cod. Leidens. dà: de origine situ moribus ac populis Ger-  manorum : cf. WoELFFLIN, sum Titel der Germania des Tac.,  in Rhein. Mus. N. F. XLVIII 2, 312.    CoNsoLI : L’ autore della Germania, 1    sad    le cui opere sono pervenute sino a noi; sia perchè, seb-  bene ne avessero avuto notizia, essi credettero di met-  tere il libretto in non cale; sia anche perchè quanto  potè essere scritto intorno allo stesso, non si conservò  intatto dall’ azione del tempo. Quale di queste tre ipo-  tesi risponda al vero o a questo più si avvicini, nello  stato presente delle nostre cognizioni sull’ antichità  classica, non può con certezza affermarsi. Nemmeno un  cenno sull’autore della Germ. è pervenuto sino a noi;  e tutto quello che ci è dato sapere in proposito si può  soltanto dedurre dal contenuto della Germ. stessa 1.  Nessun dubbio, però, si può avere sulla romanità del-  1’ autore, il quale, in tutto quanto scrive sui Germani,  mostra che ha costantemente l’attenzione volta alle con-  dizioni morali, politiche e militari di Roma, che talora  gli son causa di vive inquietudini. Ma degli scrittori  romani che trattarono delle relazioni, in pace e in guerra,  dei Romani coi Germani, dopo quello che ne aveva  scritto il ‘ summus auctorum diuus Iulius ?, ® ce ne sono  parecchi, nel primo secolo dell’ impero. * Tito Livio a-    4 Qualcuno, spingendo all’ estremo le conseguenze del silen-  zio degli antichi sul nome dell’a. della Germ., è giunto a ne-  gare l'autenticità del libro: vedi quel che scrive in proposito  A. GeFFRoy, Rome et les barbares, étude sur la Germanie de  Tacite, Paris 1874, pp. 55-56.   2? Germ. 28, ì.   3 Vedi W. ScHLEUSNER, quae ratio inter Taciti Germaniam  ac ceteros primi saeculi libros Latinos,in quibus Germani tan-  gantur, intercedere uideatur. Acc. loci quidam Amm. Marcel-  lini. 1886. A. LUECKENBACH, de Germaniae quae uocatur Taci-  teae fontibus. Marb. 1891. A. GUDEMAN, the sources of the Ger-  mania of Tacitus, in Transactions and proceedings of the  American philological association, 1909, vol. XXXI, pp. 93-111.    aa    veva già trattato dei Germani nel corso delle sue sto-  rie, scrivendo delle imprese di Giulio Cesare! e delle  spedizioni di Druso. ? Dello stesso argomento si era cer-  tamente dovuto intrattenere l’imperatore Ottaviano Au-  gusto, tanto nelle sue memorie, * quanto nell’elogio che  egli scrisse per il figliastro Druso 4; e, dopo Ottaviano,  anche Vipsanio Agrippa nella sua autobiografia *;  Giulio Marato, liberto e biografo di Augusto $; e forse  Cremuzio Cordo ne’ suoi libri de rebus Augusti ?: chè  notevoli furono, durante l’ impero augusteo, i conflitti  tra Romani e Germani. Di poi Velleio Patercolo, men-  zionata la disfatta di Varo, promise intrattenersi dei  Germani. * Non potevasi escludere un cenno della poli-    l Vedi il principio dell’epit. del 1. CIV : ‘ prima pars libri si-  tum Germaniae moresque continet ’.   ? Epitomae dei Il. CKXXVII, CXXXVIII, CXXXIX e CXL.   8 Sveron. Aug. 85; Claud. 1. Cf. G. BERNHARDY, Grundriss d.  r L.5 $ 46, p. 261. TEUFFEL-SCHWABE, G. d. r. L. 5 $ 220, 3, p. 468.   4 Vedi l’ epit. ll CXL di Livio. Sveron. Claud. 1. Cass. Dion.  r. Rom. LV 2, 2.   5 Intorno all'autobiografia di Agrippa vedi la menzione che ne  fa Serv. comm. in Verg. georg. II 162, p. 235, vol. 3°, fasc. 1°,  rec. Th.   6 SveToN. Aug. 79.   7 Vedi SEN. dial. VI 1, 3; 22,4; 26,1 e 5. Tac. ann. IV 34 e  35. Cass. Dion. r. Rom. LVII 24, 1-4. Sveron. Tib. 61; Calig.  16. Neli’ ed. Bonnell di QvinTIL. X 1,04, vol. 2°, p. 163 non si  fa menzione di Cremuzio Cordo; e dove alcuni pretendono leg-  gere ‘ nec immerito Cremutii libertas '’, lo Zumpt coi migliori  codd. legge: ‘nec immerito remitti ( cod. Bamb ‘ rem uti ’ )  lib., dix. uel noc. *   8 VeLL. PaTERC. A. R. II 119 ‘“ordinem atrocissimae calamita-  tis , qua nulla post Crassi in Parthis damnum in externis gen-  tibus grauior Romanis fuit, iustis uoluminibus ut alii, ita n 0 s  conabimur exponere: nune summa deflenda est’ (Halm).    — di    tica romana, quanto alle relazioni coi Germani, nelle  autobiografie degli imperatori Tiberio ! e Claudio * ; e  di proposito si dovette trattare delle lotte, sì varie e  persistenti , contro i Germani negli scritti di Cornelio  Lentulo Getulico, che fu a capo delle legioni della Ger-  mania superiore 3, e nei commentarii di Cn. Domizio  Corbulone , che fu anche’ a capo degli eserciti romani  in Germania e mosse guerra contro i ‘Chauci?. ' Nè  può presumersi che le importanti vicende delle armi  romane nella Germania siano state lasciate senza alcuna  menzione nelle Ristoriae di Cornelio Bocco, Servilio No-  niano, Cluvio Rufo *, Fabio Rustico e di altri istorio-  grafi, ai quali pare che si debbano riferire le afferma-  zioni generiche ‘ memorant , ‘ quidam opinantur ’, ‘ ad-  huc extare ’, che si notano nel cap. 3° della Germ.  Storicamente è accertato che trattarono dei Germani  e delle guerre germaniche Aufidio Basso e ©. Plinio  Secondo. Il lavoro di Aufidio Basso aveva per titolo  belli germanici libri", e probabilmente formava parte    1 Sveron. Tib. 61; Dom. 20.   2 Sen. lud. de m. Claud. 5, 4. PLIN. n. Ah. XII 17 (39), 78  Sveron. Claud. Al.   8 Cass. Dion. r. Rom. LIX 22, 5: cf. SveToNn. Galb. 6. Ma il  Jahn (Pers. p. CXLII) ammette che Lentulo Getulico non abbia  scritto propriamente una storia, sibbene un carme sulle spedi-  zioni contro i Germani ed i Britanni.   4 Tac. ann. XI 18 e 20.   5 Il GIORDANI, studi sopra Tac., crede che si accenni a Cluvio  Rufo nel celebre elogio di QvintIL. i. 0. X 1, 104 ‘superest ad-  hue et exornat aetatis nostrae gloriam uir saeculorum me-  moria dignus’, cet. Vedi opere di P.G., pubblic. da A. Gussalli,  vol. 12°, pag. 215; Milano, Sanvito, 1857,   6 QUvINTIL. i. 0. X ], 103.    Vea  d’un altro lavoro storico più ampio, scritto da lui  stesso !. Plinio Secondo narrò in libri trentuno @ fine  Aufidii Bassi la storia de’ suoi tempi, in continua-  zione di quella scritta da A. Basso ?, e perciò vi do-  vette includere la trattazione delle relazioni dell’ im-  pero coi Germani: dovette in particolar modo trat-  tare di tali relazioni nei due libri de vita Pomponii  Secundi, il quale fu legato in Germania sotto Claudio,  e, per la vittoria sui ‘Chatti’ devastatori; si ebbe lo  onore del trionfo. Plinio scrisse inoltre venti libri  bellorum Germaniàe! o Germanicorum bellorum î, nei  quali trattò (ripetiamo le parole del nipote di lui, Pli-  nio il giovane) ‘omnia quae cum Germanis gessi-  mus bella”.6 La storia pliniana delle guerre ger-  maniche si conservò in Germania sino al sec. XVII;  poi sparve e non se n° ebbe più notizia: ma non si è    perduta la speranza che il prezioso ms. si possa ritro-  vare, ?       1 TEUFFEL - ScHWABE, G. d. r. L.5 S 277, 2, p. 664. CL R.  NicoLa1, G. d. r. L. Magdeb. .1881, n. 107, p. 616,   ? PLIN.n. h,, praef. 20. PLIN. epist. III 5, 6: vedi anche V_ 8,5,   3 PLIN. epist. II 5, 3. Tac. ann. XII 27 e 28,   4 PLIN. epist. III 5,4.   5 Tac. ann. I 69,6. SyYMMACH. epist. IV 18 ad Protadium, p.  152: ‘ enitar, si fors uotum iuuet, etiam Plinii Secundi Germa-  nica bella conquirere”.   6 PLIN. epist. III 5, 4. La frase di Plinio il giovane è ripetu-  ta da Suetònio :' ‘bella’ omnia, quae unquam cum Ger-  manis gesta sunt, XX uoluminibus comprehendit’: v. C. Sve-  Ton. TRANO. deperditorum librorum reliquiae, ed. Roth, 1882,  P. 300. i   © H. F. Massmann; Germ. des C. Corn. Tac., Quedlinburg u.  Leipzig 1847, p. 179, noja 6, riferisce un passo dei monumenta    ME    Sicchè non sarebbe fuor di luogo il supporre che  quanto si contiene nel libretto de origine et situ Ger-  manorum avesse potuto, per intiero o in parte, in una  forma identica a quella con cui è pervenuto sino a noi  o alla stessa somigliante, costituire, come un’introdu-  zione geo-etnografica o in altro modo, parte integran-  te dei lavori storici sulla Germania di Aufidio Basso o  di Plinio Secondo; e particolarmente di quest’ ultimo  che, oltre al continuare l’opera di Basso, trattò più  ampiamente e, con migliore e più esatta conoscenza dei  fonti e dei fatti il tema delle guerre germaniche. Se  non che ad ammettere ciò pare che contrastino alcuni  luoghi notevoli del testo della Germ., poichè in essi,  secondo quel che comunemente affermasi, si menziona-  no fatti posteriori alla morte di Plinio Secondo (a. 79  d. Cr.). Infatti, nelle parole ‘ac rursus inde pulsi ( sc.  Germani) proximis temporibus triumphati magis quam  uicti sunt” (Germ. 37, 26) si vuol vedere un’allusione  al trionfo di Domiziano sui ‘Chatti?, a. 83 d. Cr.! Si  pretende riconoscere nelle parole del cap. 42, 9 della  Germ. ‘raro armis nostris, saepius pecunia iuuantur ’  (sc. Marcomani et Quadi), l’usanza invalsa sotto Domi-    Paderbornensia del FuEeRsTENBERG: ‘Plinii XX uwolumina de  bellis Germanis... quae Conr. Gesnerus Augustae Vindelicorum,  alii Tremoniae in Westphalia apud Casparum Swarzium pa-  tricium Tremoniensem exstitisse tradiderunt’. La nota del  Massmann è ripetuta dal Geffroy, op. cit., p. 85, n. 3.   1 Sveron. Dom. 6 ‘de Catthis Dacisque post uaria proelia  duplicem triumphum egit’. Cf. Dom. 13, in fine. Le monete in  cui si dà a Domiziano il tit. di ‘Germanicus’ sono del princi-  pio dell'a. 84. Vedi EcKkHEL VI 378; 397: e MommsEN-DE RuG-  GIERO, le prov. rom. da Ces. a Dioclez., Roma, 1887; cap. IV,  P. 139, e nota 1* nella stessa pag.    — 7  ziano di dar danaro ai capi dei barbari per tenerseli:  ubbidienti e dar loro i mezzi di accrescere il numero  dei partigiani dei Romani. ! Si scorge nel cap. 45 della  Germ. un accenno intorno alle notizie sulle. regioni  nordiche, pervenute a Roma dopo la spedizione di Giulio  Agricola ?. Osservasi inoltre che l’annessione dei campi  decumati, indicata nel cap. 29, 19 Germ. con le parole  ‘mox limite acto promotisque praesidiis sinus im-  perii et pars prouinciae habentur (sc. agri decumates)’,  si compì al tempo di Domiziano o di Traiano, 3 Si fa men-  zione nel cap. 33 Germ. dello sterminio dei ‘ Bructeri/,  che vuolsi avvenuto verso l’ a. 100 d. Cr. Infine si. ad-  duce come prova evidentissima che la Germ.. fu scritta  e pubblicata verso la fine del secolo I d. Cr., il com-  puto degli anni presentato nel cap. 37, 6 per, indicare  la durata della lotta coi Germani: ‘sescentesimum et  quadragesimum annum urbs nostra agebat, cum pri-  mum Cimbrorum audita sunt arma...... ex quo si ad  alterum imperatoris Traiani consulatum computemus,  ducenti ferme et decem anni colliguntur *.  Consideriamo l’ uno dopo l’altro i ll. citati..    I. — Germ. 37, 23 ‘ mox ingentes Gai Caesaris minae  in ludibrium uersae. inde otium, donec occasione dis-  cordiae nostrae et ciuilium armorum expugnatis legio-    1 Cass. Dion. r. Rom. LXVII 7, 3-4 (Xiphil.).   2 Tac. Agr. cc. 10, 12 e 33 in fine.   3 Così affermasi nei comm. alla Germ: di I. F. K. Dilthey  (Braunschweig 1823, p. 187 sg.), di Th, Kiessling (Lps. 1832,  p. 119 sg.). di U. Zernial (Berl. 1890, p. 60), di A. Pais (Torino  1890, p. 49), di G. Marina (Romania e Germania ovvero il  mondo germanico secondo le relazioni di Tac., Trieste 1892,  P. 97), etc.    RR era  num hibernis etiam Gallias adfectauere; ac rursus inde  pulsi proximis temporibus triumphati magis quam uicti  sunt’. Nella lotta, dunque, contro i Germani, il passo  cit. ci rappresenta successivamente i sgg. fatti : a) la  spedizione poco seria di Caligola; d) la sospensione di  qualsiasi spedizione militare sotto Claudio e Nerone;  c) l'insurrezione dei ‘ Bataui ” guidati da Giulio Civile,  la quale si estese anche alle Gallie ; d) un trionfo di  nessuna importanza, sui barbari. Tale trionfo non può  essere altro che soltanto quello di cui menò vanto Do-  miziano sui ‘ Chatti ’ ? A noi pare, invece, che l’ auto-  re abbia voluto riferirsi ai vantaggi, di poca efficacia  e poco duraturi, riportati dalle armi di Vespasiano sui  ‘‘Bataui’ e sugli alleati di questi. Se, in vero, l’autore  avesse voluto riferirsi al trionfo di Domiziano, non a-  vrebbe certamente tralasciato di menomarne, in un modo  qualsiasi, 1’ importanza, come appunto si legge nel de  uita et moribus Iulii Agricolae * e in altri scritti che  menzionano o fanno allusione alla vantata vittoria di  Domiziano. * Si aggiunga che l’ autore, avendo mal a-  nimo contro Domiziano ; se per Caligola disse poco  prima, notando il ridicolo delle imprese di lui contro       1 Tac. Agr. 39, 3 scrive di Domiziano: ‘inerat conscientia  derisui fuisse nuper falsum e Germania triumphum, emptis per  commercia, quorum habituset crines in captiuorum speciem  formarentur. ’   ? PLIN. pan. 16, 3 ‘accipiet ergo aliquando Capitolium non  mimicos currus nec falsae simulacra uictoriae, sed imperato-  rem ueram ac solidam gloriam reportantem ’ e. q. s. Cass. Dion.  r. Rom. LXVII 4, 1. Oros. hist. adu. pag. VII 10, 3 e 4. Loda,  invece, MARTIAL, ep.IX 6; e FRONTIN. sfrat. I 1, 8; 3, 10. II 3,  23; 11, 7. IV 3, 14 (ed. Gundermann) mostra di non dubitare  menomamente dell’ importanza della spedizione di Domiziano,    i. Gas    i Germani : ‘ ingenies Gai Caesaris minae in ludibrium  uersae ’, ! avrebbe scritto parole più gravi contro Do-  miziano , ove avesse voluto DIADIESI alla iattanza di  EI imperatore.   D’ altro canto, la frase ‘ proximis temporibus trium-  phati magis quam wicti sunt" non può riferirsi all’ o-  nore trionfale concesso, nell’a. 50 «dd. Cr., a Pomponio Se-  condo che aveva sottomesso i ‘ Chatti ’ e liberato, dopo  lunghi anni di cattività, alcuni dei soldati -di Varo,  caduti prigionieri nella battaglia di Teutoburg ?; poi-  chè l’ insurrezione dei ‘ Bataui ’, dilatata nelle Gallie,  alla quale si accenna con le parole ‘ expugnatis legio-  num hibernis etiam Gallias adfectauere ’, * è posteriore  di circa venti anni alla vittoria di Pomponio Secondo.   E però le parole citate del testo della Germ. ‘ pro-  ximis temporibus triumphati magis quam uicti sunt’,  non possono che riferirsi al tempo in cui Vespasiano  riusciva a sedare l’ insurrezione batavica; e, sebbene  intorno a ciò non sia dato d’ avere dirette notizie da  Tacito, perchè le historiae di lui restano interrotte nel  lib. V 26, appunto quando lo storico insigne si accingeva  a trattare della fine dell’insurrezione di Civile,e della vit-  toria riportata dalla politica di Vespasiano sulle sedi-  zioni germaniche, pure il trionfo di Vespasiano sui ‘ Ba-  taui? e i loro alleati germanici è indicato chiaramente  dalle parole ‘ uidimus sub diuo Vespasiano Velaedam  diu apud plerosque numinis loco habitam ? (Germ. 8, 8).    1 Lo stesso apprezzamento notasi in Tac. Agr. 13,11. rist. IV  15, 9. Cf. A. RIESE,der Feldzug des Caligula an der Rhein, in  Neue Heidelberger Jahrbicher, vol. VI, fasc. 2. i   2 Tac. ann. XII 28.   3 Vedi anche Tac. hist. IV 17 e V 26.    40 —   Veleda, vergine fatidica di nazione bructera, ebbe, co-  me è noto, una parte principalissima, insieme col suo  popolo e con altri popoli germanici, nel movimento in-  surrezionale sollevato da Civile. ! Essa fu, dunque, ve-  duta a Roma, non pregiata nè tenuta in onore da  Vespasiano, come fu poi onorata da Domiziano la ver-  gine Ganna, che a lei succedette nell’ arte del vatici-  nio ?, ma prigioniera *, probabilmente incatenata pres-  so al carro trionfale del vincitore. 4   Un’altra ragione c’induce ad ammettere che nel passo  considerato della Germ, si tratti del trionfo di Vespa-  siano, verso l’a. 70 d. Cr, e non di quello arrogatosi,  insieme col titolo di Germanico >, da Domiziano.   I popoli che presero parte all’ insurrezione di Civile  furono, anzi tutto , i ‘ Bataui”, ai quali si unirono i  ‘ Canninefates’, i ‘ Frisii”, i ‘ Bructeri”, i ‘ Tencteri”, etc.0  Essi prevalsero da prima, mentre Roma era dilaniata  dalle guerre civili tra i pretendenti all’ impero, tanto  che ‘expugnatis legionum. hibernis etiam Gallias adfec-  tauere ?. Perciò gl’insorti, di cui immediatamente dopo    1 Tac. hist. IV 61; 65. V 22; 24.   2 Cass. Dion. r. Rom. LXVII 5, 3 (Xiphil.).   3 STAT. silu. I 4, 89 sgg. ‘non uacat Arctoas acies, Rhenum-  que rebellem, | captiuaeque preces Veledae, et (quae  maxima nuper | gloria) depositam Dacis pereuntibus arcem |  pandere’. Vedi MommsEN-DE RucGIERO, op. cit., cap. IV, pp.  132 e 135.   4 U. Zernial, commentando la voce ‘ uidimus’ del |. c., p. 30,  dice esplicitamente: « Wir haben gesehen, n. zu Rom, auch  Tacitus selber, der sich des etwa im 15. Lebensjahre gesehenen  Triumphes ueber die Bataver sehr wohl erinnern konnte ».   5 Sveron. Dom. 13.   6 Tac. hist. IV 15; 16; 21.    Leida   sì dice ‘ rursus inde pulsi’ e. q. s., altri non sono che  gli stessi ‘ Bataui ed i loro alleati, che erano stati ca-  pitanati da Civile, e dei quali poi, stante il sopravvento  delle armi di Ceriale, menò trionfo Vespasiano, L° im-  peratore Domiziano , invece, si vantò del trionfo sui  ‘ Chatti’, non sui ‘ Bataui ’. È vero che, in origine , i  ‘ Batani” furono ‘ Chattorum quondam populus et se-  ditione domestica in eas sedes transgressus, in quibus  pars Romani imperii fierent’ ( Germ. 29, 3); ! ma, al  tempo dell’insurrezione di Civile, erano del tutto sepa-  rati dai ‘ Chatti” : e questi non si trovavano uniti coi  ‘Bataui’, già abbattuti da Vespasiano, quando Domiziano  fece irruzione, al dire di Suetonio, ‘ sponte in Catthos ” ?.   Non puossi, inoltre, non mettere in evidenza che, se  l’autore della Germ. avesse voluto riferire le sue con-  siderazioni d’ordine politico e militare a Domiziano, non  si sarebbe valuto di un’allusione generica, spiegabile  solo per chi scrive in tempi di oppressione e di tiran-  nide. Si conviene comunemente che la Germ, sia stata:  scritta e pubblicata verso il 98 d. Cr., allorchè ‘rara  temporum felicitate’, come scrisse Tacito stesso, ‘ ubi  sentire quae uelis et quae sentias dicere licet’ } 1° im-  peratore Nerva aveva riunito ‘res olim dissociabiles,  principatum ac libertatem’, e l’ imperatore Traiano  aveva accresciuto ‘ quotidie felicitatem temporum’;  sicchè ‘ nec spem modo ac uotum securitas publica, sed    1 Vedi inoltre Tac. hist. IV 12, 6 ‘ Bataui, donec trans Rhe-  num agebant, pars Chattorum, seditione domestica pulsî extrema  Gallicae orae uacua cultoribus..... occupauere ’,   2 Sveron. Dom. 6.   3 Tac. hist. 1 1, 19.    n ia   ipsius uoti fiduciam ac robur adsumpserit’!: e per  tanto, sein un lavoro che si suppone scritto prima della  Germ., cioè nel de vita et moribus Iulii Agricolae, lo  autore, non più preoccupato delle ‘conseguenze della  sua franchezza di linguaggio, chè i tempi di Domiziano  erano finiti per sempre, dichiara, con frase forse ec-  cessiva, falso il trionfo di questo imperatore sui (Ger-  mani *, qual motivo poteva avere l’autore della Germ.  per indicare la stessa cosa con una timida e lontana  allusione, mentre si godeva da tutti piena libertà ?   In generale, poi, è da avvertirsi -che la frase più  volte citata ‘triumphati magis quam uicti sunt ’, se in-  dubitabilmente è detta per i ‘ Bataui” ed i loro alleati,  nel pensiero dell’ autore si doveva eziandio estendere  dalla bravura dei ‘Bataui’ all’indomabile fierezza dei  Germani. Dello stesso modo Floro, riferendosi al breve  gaudio delle vittorie di Druso in Germania, ne conclu-  deva in generale : ‘ quippe Germani uicti magis quam |  domiti erant ’?.    II. — Quanto ai ‘ Marcomani’ ed ai ‘ Quadi’ si av-  verte, nel. cap. 42 della Germ., che avevano avuto pri-  ma i loro re della nobile stirpe di Maroboduo e di Tu-  dro, ma che poi avevano accolto re stranieri, il cui po-  tere fondavasi sull’autorità di Roma : questi re, si con-  clude nel cap. cit., ‘ raro armis nostris, saepius pecu-  nia iuuantur, nec minus ualent’. Chi siano stati i  ‘ reges externi’ imposti da Roma ai ‘ Marcomani ’ ed ai  ‘Quadi ’, non ci è dato saperlo, perchè i fonti fin qui noti    1 Tac. Agr. 3, 2-6; cf. 44, 15,  ? Tac. Agr. 39, 4: cf. la nota precedente.  3 FLOoR, epit. II 30 (IV 12, 30), pag. 101, ed. Halm,    i — 3—  non soccorrono per determinare ne’ suoi particolari il  pensiero enunciato dall’autore !; e di conseguenza non ci  è noto in che modo e in qual tempo gli imperatori ro-  mani li abbiano giovati con armi o con danaro. Ma è  inesatto affermare che l’usanza di dare ai principi dei  Germani armi o danaro, per acquistare dei partigiani  e sostenere l’autorità dell’ impero sopra i barbari, sia  cominciata sotto Domiziano *; poichè fin dal 47 d. Cr.  l’imperatore Claudio aveva mandato Italico, nipote  di Arminio, a regnare sui ‘ Cherusci”, ‘auctum pecunia,  additis stipatoribus’*; e al tempo dell’ insurrezione di  Civile, a. 70, si osservava: ‘Germanos.... non iuberi,  non regi, sed cuncta ex libidine agere; pecuniam-  que ac dona, quis solis corrumpantur (sc. Ger-  mani), maiora apud Romanos”.* Di modo che il passo  di Cassio Dione, nel quale si dà la notizia che Domi-  ziano mandò a Decebalo danari e operai abili nei di-    ! Per i tempi posteriori a quelli in cui fu scritta la Germ. si  noverano soltanto i re dei ‘Quadi’ Viduarius, a. 358 (Amm. Marc.  r. g. XVII 12, 21) e Gabirius, a. 873 (id. XXIX 6,5. XXX, 5,3);  edi principi dei ‘Quadi’ Araharius (id. XVII 12, 12-16), Vitro-  dorus e Agilimundus (id. XVII 12 21). A qualche commenta-  tore della Germ. (cf. i comm alla Germ. del Dilthey, p. 265;  del Kiessling, p. 151; del Pais, p: 64; etc.) è parso di scorgere  nella frase ‘iam et externos patiuntur' una probabile allusione  a Vamnio, di gente queda, imposto da Druso (a. 19) come re  ai ‘Suebi’ (Tac. ann. II 63. XII 29): e ciò può ben darsi, ma  l'accenno sarebbe sempre riferito ad un fatto anteriore al tempo  in cui imperò Domiziano.   2 V. i comm. alla Germ. del Dilthey, p. 265; del Kiessling,  p. 151 sg.; del Pais, p. 64; del Marina, p. 132.   3 Tac. ann. XI 16, 6.   4 Tac hist. IV 76, 9. Lo stesso concetto notasi in HERODIAN.  de Rom. imperatorum uita et rebus, VI 7.    FI Pn    versi mestieri sì in pace che in guerra, devesi co-  ordinare ermeneuticamente coi ll. citati sopra, e con-  cluderne che anche prima del 79 d. Cr. si era messa  in atto dagli imperatori romani la politica dei sus-  sidi di armi e danaro, verso i barbari.    III. — Nel cap. 45 della Germ. si leggono le sgg.  notizie: ‘ trans Sitonas aliud mare, pigrum ac prope  immotum, quo cingi cludique terrarum orbem hinc fi-  des, quod extremus cadentis iam solis fulgor in ortum  edurat, adeo clarus, ut sidera hebetet; sonum insuper  emergentis audiri formasque equorum et radios capitis  adspici persuasio adicit. illuc usque, si fama uera,tan-  tum natura’.* Vuolsi che tali notizie siano pervenute  dal libro de vita et moribus Iulii Agricolae, al cui  autore furono riferite da Agricola stesso, reduce dalle  guerre di Britannia, non prima dell’a. 85 d. Cr., cioè  sei anni circa dopo la morte di Plinio Secondo. Infatti,  quanto al ‘ mare pigrum ac prope immotum ’, leggesi  nell’ Agr. 10, 18: ‘sed mare pigrum et graue remi-  gantibus perhibent ne uentis quidem perinde attolli ?.  Che ivi fosse il limite del mondo ‘ cludique terrarum  orbem ’, riscontrasi in una frase del discorso di Agri-  cola ai soldati: ‘nec inglorium fuerit in ipso terra-  rum ac naturae fine cecidisse’ (Agr. 33, 26). E il fe-  nomeno che osservasi nelle regioni nordiche *, cioè :    1 Cass. Dion. r. Rom. LXVII 7, 3-4 (Xiphil.).   2 Secondo la recens. Halm e la recens. Io. Mueller.   3 Alcuni commentatori della Germ. (v.il comm. di U. Zernial,  p. 87; e l’op. cit. del Marina, p. 138 in fine e p.. 140 in princi-  pio, censurano l'autore di essa per aver confuso il nord della  Britannia con la Scandinavia; ma la censura non è giusta,    Masini    Ae  ‘ extremus cadentis iam solis fulgor in ortum edurat,  adeo clarus, ut sidera hebetet’, è accennato nel cap.  12, 9 dell'Agr.: ‘ nox clara et extrema Britanniae par-  te breuis, ut finem atque initium lucis exiguo discrimine  internoscas ?.   La rispondenza che abbiamo riportata intera tra le  notizie riferite nella Germ. e le notizie consimili che  presenta il libro de v. et m. I Agricolae, non porta  di conseguenza che l’autore dell’una abbia attinto alle  notizie esposte nell’altro libro, ma dà argomento ad  ammettere che tanto chi scrisse la Germ. quanto l’au-  tore dell’Agr. attinsero le loro notizie agli stessi fonti,  che per questo ultimo furono confermati dalla narra-  zione fatta da ‘Agricola, al ritorno dalla Britannia. E  di tali fonti comuni alcuni sono pervenuti sino a noi,  e rendono agevole il riconoscere che le notizie recate in  principio del cap. 45 della Germ. erano già acquisite  alla coltura generale, prima ancora della spedizione di  Agricola in Britannia.   Il celebre viaggiatore Pytheas (a. 330 circa a. Cr.)  indica il mare che nella Germ. è detto ‘pigrum ac  prope immotum ’, con la designazione ‘ pepegyia thà-  lassa ’.! Anch’egli dovette far menzione delle chiare  notti estive delle regioni settentrionali, poichè osservò  che nell’ estrema Thyle si alternavano nel corso del-  l’anno sei mesi senza notte e sei mesi senza giorno *.    perchè il fenomeno della breve durata e della chiarezza delle  notti estive osservasi ugualmente tanto nell’un paese quanto  nell’ altro. Cf. Ven. Bepa, hist gentis Anglorum I 1, col. 1jin  operum tomus tertius, Colon. Agrip. 1612.   1 STRAB, geogr. I 4, 2 (C. 63), ed. Meineke, v. 1°, p. 82.   ? Prin. n. A. II 75 (77), 187.    AE  Plinio, movendo dalla osservazione sulle chiare notti  estive in Britannia, cerca dare una spiegazione del fe-  nomeno notato da Pytheas : egli scrive ‘ aestate luci-  dae noctes haut dubitare permittunt, id quod cogit ratio  credi, solstiti diebus accedente sole propius uerticem  mundi angusto lucis ambitu subiecta terrae continuos  dies habere senis mensibus, noctesque e ‘diuerso ad  brumam r emoto ’.' A Plinio si deve anche la divulga-  zione della rotizia, che poi venne, probabilmente, con-  fermata dalla relazione orale o scritta di Agricola, sul  ‘mare pigrum ac p. i.’: egli lo dice ‘mare concre-  tum ?, ed avverte che da alcuni era chiamato ‘ Cro-  nium ’? e che, secondo Philemon, quella parte del  mare che precedeva il ‘ Cronium ’, sino al promontorio  ‘ Rusbeae ’,3 era detto dai Cimbri ‘Morimarusa ’, cioè  .‘mortuum mare ?’.* Ma prima di Plinio si era già os-  servato da Seneca padre che ai confini del mondo era  l’oceano, e dopo questo il nulla”: concetto che trovasi  ripetuto in parte nella frase della Germ.:* illuc usque,  si fama uera, tantum natura ’; alla quale risponde la  frase dell’Agr.: ‘in ipso terrarum ac naturae fine ”.  Resta la difficoltà dell’inciso ‘si fama uera”’, in cui  parrebbe contenersi un accenno alle notizie sull’ alto    1 Prin. n. h. II 75 (77), 186. L’ osservazione è ripetuta in IV  16 (30), 104.   ? PLIn. n. A. IV 16 (30), 104: cf. XXXVII 2 (11), 35.   3 ‘ Vsque ad promunturium Rusbeas': così nei codd. Leidens.  (A), Riccard. (R), Paris. 6797 (d) e nelle edd. Detlefsen (Berol.  1866), L. Jan (Lips. 1870). ‘ Roudoas’ è dovuto a correzione di  seconda mano nel cod. Leidens. Lips. 7 (F). Solino (coll. r. m.  19, 2, rec. Mommsen) lo trascrive ‘ad promunturium Rubeas”’   4 PLIN. n. Ah. IV 13 (27), 95.   5 SEN. RHET. suas. I 1, p. 2, ed. Kiessling.    = If.  nord, conosciute meglio a Roma ovvero positivamente  confermate da Agricola dopo il suo ritorno dalla Bri-  tannia. Nei codd. leggesi veramente ‘et fama uera’,  che non pochi dei moderni edd. della Germ. hanno ri-  presentato. La sostituzione della cong. ‘si’ all’ ‘et’  è dovuta ad una congettura del Grozio ; cosicchè se,  per tale congettura, si può presumere che l’autore vo-  glia presentare un suo dubbio, che valga a mettersi in  contrasto con le voci ‘ persuasio ’ e ‘ fides ’, con le quali  si annunziano certi fenomeni naturali, quali il rumore del  sorgere del sole, le forme dei cavalli e dei raggi del ca-  po del sole stesso, e lo splendore dei raggi solari per-  sistente fin dopo il tramonto e tanto da oscurare le  stelle; ogni dubbio si elimina con la lezione ‘et fama  uera’, che dà per indubitato il limite del mondo in  quel ‘mare pigrum’, con cui si cinge e si chiude lo  orbe terrestre. Nè da tale conclusione è possibile al-  lontanarsi, ammettendo col Dòderlein lo spostamento  delle parole ‘et fama uera’ dopo ‘natura’, di modo  che l’ intera frase suoni: ‘illuc usque tantum natura,  et fama uera’. Il Ritter, invece di tentare di risolve-  re la questione, la tronca, chiudendo tra parentesi qua-  dre tutta la frase ‘illuc usque, et fama uera, tantum  natura ’.! A noi pare che si debba, anzi tutto, tener  presente l’ avvertenza del Massmann: “libri impressi  iungunt vera tantum natura’.* E, d’ altro canto, 0s-  servando che nel cod. Rom. della bibl. Angelica (Au-  gustinorum) Q 5,12 manca la voce ‘usque’ e stanno       1 P. Cornelii Taciti opera recensuit FRANCISCvs RITTER, Lps.  1864, p. 651.   ? MASSMANN, Op. cit., p. 129, nota 23  ConsoLi : ZL’ autore della Germania. :    cy LA  accanto ‘illuc ‘ut’, e osservando inoltre che la particella  ‘‘ut’ è data ‘anche, invece di ‘ et’, dal cod. Florent. della  Laur. 73,20 e dal Vatic. 655, se ne deduce evidentemente  che la frase della Germ. dovette sonare: ‘ illuc, ut fama,  uera tantum natura’. ! E con lo scrivere ciò l’ autore  non si propose affermare alcuna cosa sulla verità o me-  ‘‘no delle notizie attinte per fama intorno all’ argomento  studiato, ma soltanto mirò ad indicare con l’espressio-  ne ‘ut fama” un concetto di limitazione a quanto si  soleva affermare rispetto ai termini del mondo (‘na-  ‘tura ’ ); concetto consimile a quello significato prima,  in rapporto allo splendore ed alle parvenze del sole,  con le voci ‘fides? e ‘persuasio’.   Del resto, ove non si vogliano accettare le varianti  ‘ dei codd. sopra citati, si può sempre pervenire alla  medesima conclusione, conservando la lez. ‘illuc usque,  et fama, uera tantum natura’; che vale « la natura  vera, ossia il mondo reale, ? si estende fin là soltanto:  tale ne è anche la ‘fama ». Talchè l’inciso ‘et fama ’=  ‘et fama haec est’ vale a mostrare che era general-  ‘ mente noto che si estendevano sino a quel punto, non  oltre, i limiti della ‘natura reale.    IV. — Per garentire i confini dell’impero dalle in-  .cursioni dei barbari, si cominciò a costruire, anche dalla    1 Il Nipperdey, leggendo ‘usque et fama, ultra tant. nat. ’,  conviene, in parte, nello stesso concetto, togliere, cioè, a ‘ fa-  ‘ma’ l’epiteto ‘‘uera’.   2 ‘“Verus’ non indica soltanto la qualità di ciò che si fonda  sulla ‘verità, ma rappresenta anche la qualità di tutto ciò che  ha per base la realtà o, per ripetere le parole del-GEoRGES,  ausfihrl. Handiob, II 3093, « in der Wirklichkeit begrindet,  *wirklich »,       PERS (3 pe  parte del Reno, un ‘limes’ o via fortificata, per lo più  munita di argini (‘aggeres ’) e di stazioni di guardia  (‘praesidia’)', sotto l’impero di Tiberio ®: fu conti-  nuato e probabilmente portato a compimento sotto A-  driano (117-138). L’autore della Germ. dà per il pri-  mo, anzi il solo, la notizia che gli ‘agri decumates ’,  siti al sud-ovest della Germania, tra l’ alto Reno e le  sorgenti «lel Danubio, e sui quali il fisco riscoteva, for-  se, un diritto di decima dai possessori, ‘ vennero incor-  porati all’ impero; onde, per la difesa del territorio  annesso, il ‘limes’ insieme coi ‘ praesidia’ si portò  innanzì, oltre il Reno; e però i campi decumati ‘ sinus  imperii et pars prouinciae habentur ? (Germ. 29, 19).  Quande si fece tale spostamento ? Alcuni dei commen-    1 TH. MommsEn, der Begriff des Limes, in Westdeutsche Zeit-  schrift fiur Geschichte u. Kunst, a. XIII, fasc. 2°. Vedi inoltre  MommsEN-DE RucGiIERO, op. cit., cap. IV, p. 115, nota l.   2 Tac. ann. I 50, 3 ‘limitemque a Tiberio coeptum”’. II 7, 11  “et cuncta inter castellum Alisonem ac Rhenum nouis limiti-  bus aggeribusque permunita’ (a. 16 d. Cr.).   8 Cf. SPARTIAN. Hadr. 12, 6; in scriptt. hist. Aug. I p. 14, ed.  H. Peter. Nell'op. cit. MomMseNn-DE RuGGIERO, cap. IV, p. 142,  si fa menzione di nuove costruzioni aggiunte ai ‘ limites’ sot-  to i regni di Adriano, Antonino Pio e Marco Aurelio. Notasi  inoltre, in un discorso del console Velio (Vettio ?) Cornificio  Gordiano (a. 275), che alla morte di Aureliano i Germani rup-  pero il ‘ limes’ transrenano ed invasero alcune forti e ricche  città dell'impero: v. Vopisc. Tac. 3, 4, in scriptt. hist. Aug.  XXVII p. 187, ed. P.   4 GEFFROY, Op. cit., p. 318 sg. Ma il Mommsen giustamente  avverte che « nè è linguisticamente provato che ‘decumas’  possa significare obbligato alla decima, nè simili istituzioni son  note nell'impero ». Vedi MommsEN-DE RucGIERO, op. cit., cap.  IV, p. 141, nota 11,    ELI  tatori della Germ. si affrettano ad indicare il tempo  di Domiziano o, in generale, verso la fine del I sec.  ed il principio del II. ! Tale indicazione porterebbe di  conseguenza che l’autore della Germ. avesse atteso a  scrivere il suo lavoro sotto Domiziano o nei primi tem-  pi dell’ impero di Traiano, in ogni caso dopo l’a. 79.  Ciò pare a noi inesatto.   Infatti, Domiziano se, per ingannare l’ opinione pub-  blica, aveva celebrato pseudo-trionfi sui Germani, non  ignorava, d’altro canto, che per un mero caso (cioè, la  piena del Reno) aveva superato la sedizione di L. An-  tonio, preside della Germania superiore, ? e che ai con-  fini i suoi eserciti erano stati sopraffatti dai barbari; *  talchè, piuttosto che estendere i confini dell'impero di là  dal Reno, per annettere al suo dominio gli ‘ agri decu-  mates’, avrebbe stimato gran ventura conservare i confi-  ni di prima, senza spingere in avanti il ‘limes’ ed i  ‘ praesidia ’. È supponibile che si estendano i confini del  dominio, allorquando ci sia la possibilità che i nemici  vinti lascino agio di spostare le antiche linee di dife-  gno SM nuove opere militari a garentia  del territorio acquistatà sl ma quando i nemici sono  vincitori e minacciosi, com@nsi può mai deliberare e  attuare l'accrescimento del terytorio dello Stato ?   Non vi ha nemmeno notizia cha setto Traiano siano  stati inclusi dentro i confini dell'im € gli “agri decu-    1 Vedi i comm. del Dilthey, p. 188; dello ernia, p. 60; del  Pais, p. 49; del Marina, p. 97; etc. x   2 SvETON. Dom. 6   3 Oros. hist. adu. pag. VII 10, 3 e 4. Orosio &ità in proposito  la storia, che or più non abbiamo, scritta da Cornelio Tacito  sulle imprese di Domiziano. Cf. Tac. ann. XI 1 4          REI (RT  mates’. Se Tacito avesse scritto qualcosa in proposito,  narrando la storia degli imperi di Nerva e di Traiano,  come egli aveva promesso di fare, riserbando il lavoro  per gli anni senili,* certo gli storici posteriori che si  valsero delle storie tacitiane, lo avrebbero in un modo  qualsiasi ripetuto o, almeno, accennato. Si ha, invece,  un’affermazione in contrario nel seg. luogo di Orosio:  ‘mox Germaniam trans Rhenum in pristinum statum  reduxit’? Avendo, per tanto, Traiano restituito le cose  oltre il Reno allo stato pristino, l’illazione non è dub-  bia, che anche gli ‘ agri decumates’, siti di là dal Reno,  dovettero ridursi, in conseguenza dei prosperi eventi  delle armi imperiali, alla condizione anteriore, di es-  sere, cioè, ‘sinus imperii et pars prouinciae’. Perciò  non si può non inferirne che l’ annessione dei ‘ decu-  mates ’ all'impero dovette compiersi prima del regno di  Traiano, giacchè questi si restrinse a ridurre la ‘ Germa-  niam trans Rhenum in pristinum statum”. E poi, se è ve-  ro che Traiano, per un sentimento di vanità indegno di  un prode e glorioso imperatore, avesse fatto scolpire  il suo nome sui monumenti eretti per conservare la  memoria di imprese da altri anteriormente compite,  ‘non ut ueterum instaurator sed conditor’, tanto che  ne avesse avuto il nomignolo ‘ herba parietina ’,* cer-  to si dovrebbe restare perplessi, ove mai nei campi  decumati o altrove si trovasse qualche memoria lapidea  concernente l’annessione dei campi sopra menzionati,    1 Tac. hist. I 1, in fine.   ? Oros. hist. adu. pag. VII 12, 2.   3 Amm. Marc. r. g. XXVII 3, 7. Cf. ex Sexto Aur. Victore de  uita et moribus Rom. imperatorum epitome, Ven. 1586, f, 185,    SSR  sì dovrebbe; dicevamo, restar perplessi nell’ attribuire  a Traiano:ciò che prima di lui si era fatto.   Se, dunque, non si può non ammettere l’annessione  dei campi decumati all’ impero, anteriore ai regni di  Domiziano .e di Traiano, non è fuor di luogo il sup-  porre che l’ abbiano attuata i due primi imperatori Fla-  vi, e probabilmente (poichè è noto che sotto Tito l’im-  pero godè di una perfetta tranquillità.) il solo Vespa-  siano, il quale, come avverte Tacito in un luogo citato  da Orosio; riaperse le porte del tempio di Giano un  anno dopo: che egli stesso le aveva chiuse ?, avendo  portato a. compimento l’impresa contro i Giudei 8.    V. — Nel cap. 33 della Germ. narrasi che il terri-  torio, posseduto un tempo dai ‘Bructeri ’, era stato oc-  cupato dai. ‘ Chamaui’ e dagli ‘ Angriuarii’, posciachè  i ‘ Bructeri?” erano stati ‘ penitus excisi uicinarum con-  sensu nationum, seu superbiae odio seu praedae dul-  cedine seu fauore quodam erga nos deorum’; e si ag-       1 Oros. hist. adu. pag. VII 9, 13.   2 Oros. hist. adu. pag. VII 19, 4: ‘quas (se. Iani portas)  utrum post Vespasianum et Titum aliquis clauserit, neminem  scripsisse memini, cum tamen eas ab ipso Vespasiano post  annum apertas Cornelius Tacitus prodat’ (ed. Zangemeister).   3 Oros. hist. adu. pag. VII 3, 8; 9, 9. Il Mommsen ammette  che la fondazione della linea di confine, per la quale si com-  prese nell'impero la vallata del Neckar, sia stata opera dei Flavi;  ma la giunta dubitativa « principalmente forse di Domiziano »,  messa li soltanto perchè, non essendosi nominato nella Germ.  l'autore della linea di confine « è una prova che questi (l'au-  tore) dovè. essere Domiziano », ci pare così priva di fondamento  da non potersi accogliere come notizia conforme al vero. Vedi  MomwmsEN-DE RucciERO, op. cit., cap. IV, p. 142 e nota 2 in d.*  P. 142.    — 93   giunge che di essi ‘super sexaginta milia non armis:  telisque' Romanis, sed quod magnificentius est, oblec-  tationi oculisque ceciderunt’. Onde l’autore manda,  come dice il Vannucci *, un « fiero e spaventoso grido»  di gioia », esprimendo un « voto inumano »:: ‘ maneat,  quaeso, duretque gentibus, si non amor nostri,.at certe  odium sui, quando urgentibus imperii fatis nihil iam  praestare fortuna maius potest quam. hostium. discor=  diam’. L’esterminio dei ‘ Bructeri’ si compì appunto,  secondo l’ osservazione di qualche commentatore: della:  Germ., verso l’ a. 100.* In tal modo, annunciandosi!  nella Germ. fatti avvenuti verso il 100 d. Cr., il libro  non potè essere scritto prima dell’ a. 79. Risponde al  vero tale conclusione ?   Noi sappiamo che i ‘ Bructeri’, come in’ generale  tutte le altre genti di stirpe germanica, si mostraro-  no costantemente avversi ai Romani :? battuti prima  dalle armi romane, ‘ cooperarono alla. distruzione:delle  legioni di Varo;* molestarono, insieme: coi ‘Tuban-  tes’ e gli ‘ Vsipetes ’, la ritirata di Germanico che a-  veva tratto orrenda vendetta dei ‘Marsi’ (a. 14 d.    i C. Corn. Tacito, tutte le opere con note italiane compilate  da A. VANNUCCI, Prato 1848, vol. IV, p. 274, in nota.   2 Vedi i comm. del Kiessling, p. 127; del. Marina, p. 105; etc.   8 Narra Suetonio (Tib. 19) che un Bructero commise un: at-  tentato contro la vita di Tiberio: l'odio di nazione mutavasi in:  odio contro le persone.   4 VeLL. PaTERC. A. R. II 105, 1. Cf. l'epit. L CXXXVIII di. T.  Livio.   5 Vedi GEFFROY, Op. cit., p. 230. MommsEN-De RuGGIERO, Op. cit.,  cap. I, p. 44: cf. p. 52. Cf. anche A. Wixms, das Sehlachtfeld  im Teutoburger Walde, in Neue Jahrbùcher fùr Philologie u.  Paedag. CLIII p. I, fasc. 7; CLV p. I, fascec. 1, 26.3,    ei)    SR + gp  Cr.)!; ma furono, poco dopo (a. 15), sconfitti da L.  Stertinio, che tolse loro l’aquila della 19.* legione di-  strutta nella foresta di Teutoburg. ® E ancorchè, edotti  dalla sventura e atterriti dalle armi imperiali, aves-  sero opposto un rifiuto alle insistenti sollecitazioni de-  gli ‘ Ampsiuarii ’, che li incitavano a partecipare alla  guerra contro i Romani (a 58 d. Cr.) 3, pure non tra-  lasciarono di unirsi con Giulio Civile, che aveva su-  scitato le fiamme dell’ insurrezione nella Germania e  nella Gallia‘, e presero parte in diversi scontri contro  i Romani. La vergine Veleda, che nell’ insurrezione  di Civile seppe coi suoi vaticini accrescere l’ardore pa-  trio degli insorti, mediante il fanatismo POMEIONA, era  appunto di nazione bructera. ‘   L’insurrezione dei ‘ Bataui’ e degli altri popoli che  con loro si erano levati in armi contro Roma, a poro  a poco fu repressa, tra il 70 ed il 71 o 72 d. C. Nulla  sappiamo della fine di Civile : forse ottenne di vivere  in pace, sotto il dominio romano. Ma i compagni di  lui, Classico e Tutor duci dei ‘Treueri’, e i fratelli  Alpinio Montano e D. Alpinio personaggi autorevoli fra  gli stessi ‘Treueri’, forse si salvarono con la fuga,       i Tac. ann. I 51, 7.   2 Tac. ann. I 60, 10. Non sappiamo spiegarci perché nei loro  comm. alla Germ. lo Zernial (p. 65), il Marina (p. 104), etc. voglia-  no indicare l'aquila della 212 legione, e il Dilthey (p. 198) l'aquila  della 18°, quando le parole precise di Tac. sono: ‘interque  caedem et praedam repperit (sc. L. Stertinius) undeuicen-  simae. legionis aquilam cum Varo amissam'.   3 Tac. ann. XIII, 56.   4 Tac. hist. IV 21, 11.   5 Tac. hist. IV 77, 2. V 18, 4.   6 Tac. hist. IV 61 e 65.    —_ di  forse si uccisero ciascuno di propria mano '; Giulio Sa-  bino, capo dei ‘Lingones ?’, fu mandato al supplizio ; ?  e Veleda fu vista a Roma .dall’autore della Germ. *, e,  come sopra si è detto ', prigioniera.   Dopo il 71 o 72, i ‘ Bructeri’, vinti, dovettero sot-  tomettersi alle condizioni imposte dai Romani vittorio-  sì : non avevano più per ispiratrice e guida la fatidi-  ca Veleda ‘numinis loco habita’; e della loro pro-  strazione morale e civile, non ancora rimarginate le  ferite avute nell’ultima insurrezione batavica, non po-  tevano non profittare i popoli vicini, emuli per armi,  avidi di preda, bramosi di possedere le loro terre, e  forse anche rivali per comune parentela. Fecero, di-  fatti, lega a danno dei ‘Bructeri’, li assalirono, li so-  praffecero, perchè li trovarono più deboli o imprepa-  rati; e più di sessanta mila ne trucidarono. I ‘Cha-  maui’ e gli ‘ Angriuarii ’, che probabilmente si ebbero    1 Tacito fa menzione di Giulio Classico in Aist. II 14. IV 55;  57; 59; 70; 79. V 19 sgg.;—di Giulio Tutor in Aist. IV 55 ; 57;  59; 70; 72. V 19; 21;—dei fratelli Alpinii in hist. III 35. IV 31  e 32. V 19.   ? Cass. Dion. r. Rom. LXVI 16, 2 (Xiphil.).   3 Germ. 8,9.   4 Vedi la nota 3 a pag. 10.   5 Ammesso che, secondo Strabone (geogr. VII 1, 3 (C 291), p.  400 M.), vi fossero stati dei ‘ Bructeri minores”, e perciò la distin-  zione tra ‘B. maiores’ e ‘B. minores”, il Miillenhoff! conget=  tura che i ‘Bructeri maiores’ e i ‘ Chamaui' siano stati lo  stesso popolo. In tale ipotesi, i ‘ Bructeri' che si levarono in  armi con Civile contro Roma, sarebbero stati i ‘B. minores '.  Ammiano Marcellino (r. g. XVII 8, 5) narra che, molti anni  dopo, nel 358, i ‘Chamaui’ furono, alla loro volta, sterminati  dall'imperatore Giuliano,    — DE  la parte precipua in tale guerra di sterminio, vennero  ad occupare le terre dei vinti.! I ‘ Bructeri” superstiti  all’immane strage, costretti a mutar sedi, restarono  sempre un popolo per sè, senza confondersi con altre  genti, ma si piegarono a sommissione verso l’autorità  romana, tanto da sottomettersi, alcuni anni dopo, al  re imposto loro da Vestricio Spurinna, legato della  Germania inferiore .* Tale sommessione dovette avve-  nire verso l’a. 97, durante l’impero di Nerva'.3 Or, tra    1 Germ. 33, 2. Non risponde al vero l’asserzione di alcuni  commentatori (v. per es. i comm. Pais p. 53, Marina p. 104,  etc.) che l'autore della Germ. abbia esagerato nelle notizie  date sullo sterminio dei ‘Bructeri’, poichè egli non dice sol-  tanto ‘ Bructeris penitus excisis uicinarum consensu nationum ”,  ma premette ‘ pulsis Bructeris’: talchè il popolo dei ‘ Bructe-  ri’ non fu completamente annientato. Potrà, forse, dirsi esage-  rato il numero dei morti, ‘super sexaginta milia’; ma una  statistica ufficiale dei caduti in battaglia, massime trattandosi  di pugne tra popoli barbari, non era allora possibile.   2 PLIN. epist. Il 7, 2.   8 Così opina il Mommsen, nell' Index nominum cum rerum  enarratione pubblicato in fine degli scritti di Plinio il giovane,  recens. Keil, Lps. 1870, p. 429, 2* c. Arrogi la considerazione  che, ammesso l'ordine cronologico nella disposizione delle e-  pistole pliniane (cf Mommsen, aur Lebensgeschichte des jiingern  Plinius, in Hermes III (1869) pp. 31-53), tuttochè contraddetto da  Plinio stesso (episf. I 1, 1), le epistole del 2° lib., tra le quali  si annovera quella cit. concernente Spurinna, furono scritte  tra l'a. 97 e l'a. 100. Quando, però, il Mommsen afferma (ve-  di MommsEn - DE RucgiERO, op. cit., cap. IV, p. 135) : « questa  catastrofe (la sottomissione dei ‘ Bataui’ e degli altri popoli  insorti con Civile) e le ostilità coi vicini popoli fiaccarono la  loro potenza (cioè, la potenza dei ‘ Bructeri’); sotto Ne-  rone essi dovettero per forza accettare dai vicini stessi, ap-  poggiati indirettamente dal legato romano, un re che non vo:    SS, e   il 71 o 72, anno in cui i ‘ Bructeri” insieme coi ‘Ba-  taui’ soccombettero sotto le armi romane, ed il 97 pas-  sa circa un venticinquennio, nei primi anni del quale  si compì la strage e l’espulsione dei ‘ Bructeri ’, colpiti  dalla lega dei popoli vicini. Indichiamo i primi anni  del venticinquenuio, perchè appare più rispondente al  vero, in mancanza di qualsiasi documento in proposi-  to, che lo sterminio dei ‘Bructeri’ si fosse compito  appunto in un tempo più vicino al 71 o 72, quando  questi erano prostrati dalla vittoria romana sui ‘Ba-  taui’ edi loro alleati, anzichè più tardi, quando, rico-  stituitisi nelle nuove sedi, riannodarono relazioni di  dipendenza con Roma, e si assoggettarono al re impo-  sto dal legato romano. Non vi ha, del resto, alcun do-  cumento o alcuno accenno nelle storie antiche, che as-  segni l’a. 100 o altro anno anteriore o posteriore al-  l’anno 100, all’avvenimento della distruzione dei ‘Bruc-  teri’ ed all'immigrazione dei ‘ Chamaui ’ e degli ‘ An-  griuarii’ nel territorio bructero ‘iuxta Tencteros?.   Poche altre notizie restano intorno ai ‘Bructeri ?.  Dopo i guai gravissimi inflitti loro dai popoli vicini,  essi, come si è detto sopra, non si dispersero nè per-  dettero la loro nazionalità nè il nome nella storia.!  Nella prima metà del sec. IV sono menzionati in due  panegirici a Costantino ; ®? poi, nello stesso sec. IV e    levano »; egli, se non c'inganniamo, non ha tenuto presente  che la sommessione dei ‘Bructeri’ ad un re imposto dal le-  gato Vestricio Spurinna avvenne sotto Nerva, non sotto Nerone.   41 Vedi LEDEBUR, das Land und Volk der Bructerer, Berl.  1827.   2 Incerti pan. Constantino Aug. dictus, 12. NAZARI pan. Con-  stantino Aug. dictus, 18: in BAEHRENS, XI panegyrici Latini,  VII e X, pp. 169, 227.    cin B$   ‘nel V si trovano stretti in lega con quelli che erano  stati nel I sec. i loro feroci persecutori, i ‘Chamaui ’  e gli ‘ Angriuarii’, e inoltre coi ‘Chatti’, gli ‘Amp-  siuarii ’, i ‘ Sugambri ’, i ‘ Chasuarii ?!: formavano la  potente confederazione dei Franchi.® Anche il ven.  Beda fa menzione dei ‘Bructeri’, dicendoli ‘ Boruch-  tuarii ?.?    VI. — Il cap. 37 della Germ. presenta un importante  computo di anni. Se dall’anno 640 di R., in cui per la  prima volta si udì parlare delle invasioni cimbriche,  sì giunge al secondo consolato di Traiano, ‘ ducenti    1 Vedi Jos. WoRMSTALL, ueber die Chamaver, Brukterer und  Angrivarier, mit Rùcksicht auf den Ursprung der Franken  und Sachsen. Neue Studien 2: Germania des Tacitus, Gymn.-  Progr. Miinster, 1888. Il Millenho£, cit. da U. Zernial, p. 65, opi-  na che gli ‘Angriuarii’ (v. Tac. ann. II 8, 13; 19,7; 22, 6; 24, 15;  41,.8) e gli ‘ Ampsiuarii’ (v. Tac. ann. XHI 55, 1; 56, 4) for-  massero uno stesso popolo, poichè « Angrivarii ist der rein  geographische Name der Anwohner der Weser oberhalb der  Chauken oder spàteren Friesen, und Ampsivarii nur eine spe-  ziellere, wie es scheint, gleichfalls geographische Benennung  fiir eine Abteilung des Volkes ».   ? Il nome ‘Franci’, adoperato per significare in complesso  più popoli, appare per la prima volta in una frase del panegi-  rico d’ incerto autore a Costantino : ‘ terram Batauiam ..... a  diuersis Francorum gentibus occupatam’ (ed. cit. Baeh-  rens VII 5, p. 163). Ma nella Castori Romanorum cosmogra-  phi tabula quae dicitur Peutingeriana, segm. II, n. 2, in alto, si  legge ‘ Chamavi. qui et Pranci” (1. Franci: la lett. c è corrosa  nella parte superiore): v. Die Weltkarte des Castorius, genannt  die Peutingersche Tafel: einleitender Text von Konrad Miller;  Ravensburg, 1887.   3 Ven. BEDA, hist. gentis Anglorum V 10, col. 124, in operum  tom. tertius, ed. cit.    bh   ferme et decem anni colliguntur’. È noto che Traiano  fu la prima volta console nell’ a. 91; fu nominato ad  un secondo consolato per il 98, nel quale anno, per la  morte di Nerva, venne assunto all’ impero: perciò se  ne conclude che la Germ. fu scritta in un tempo non  anteriore al 98, se appunto di questo anno è fatta es-  pressa menzione nel testo del libro. E tale conclusione  si dovrebbe accettare, se non ostassero alcune conside-  razioni che non sono da omettersi.   L’autore comincia il cap. 37 col menzionare che i  Cimbri, un tempo sì potenti e di gran fama, si erano  ridotti ad una ‘ parua ciuitas ’. Il nome dei Cimbri ! gli  richiama alla mente le memorabili lotte che si erano  combattute dai Romani contro i popoli germanici, a  cominciar dal consolato di Cecilio Metello e Papirio  Carbone, a. 641/113. E di qui un breve ‘ excursus ’ sulle  vicende di tali lotte, che si ferma, come sopra abbiamo  dimostrato, al trionfo sui ‘ Bataui ’ e sugli altri popoli  insorti con essi, e che altri vorrebbe estendere sino al  trionfo di Domiziano sui ‘ Chatti’ nell’ a. 83. Nessuno    ? È notevole che nella Germ. non si fa alcun cenno dei Teu-  toni, che furono valorosi compagni dei Cimbri. Plinio tratta di  loro nella n. A. IV 14 (28), 99. XXXV 4 (8), 25. XXXVII 2 (11),  35. Tacito li menziona insieme coi Cimbri in hist. IV 73, 12: v.  anche VeLL. PATERC. A. R. II 8, 3; 12, 2 e 4. Pompon. MEL.  chor. III 3, 32; 6, 54. Amm. Marc. r. g. XVII 1, 14. XXXI 5, 12.  Oros. hist. adu. pag. V 16, 1. 9. 14. Ma forse l’autore della  Germ. si restrinse a menzionare i soli Cimbri, perché la guerra  contro i Cimbri ed i Teutoni si indicò pure con la sola espres-  sione ‘ bellum Cimbricum * (v. l’ epit. Ul. LXVII, LXVIII di T.  Livio; ma in Floro epit. I 38 [III 3] ‘ bellum Cimbricum , Teu-  tonicum ’); o forse anche- perché i Teutoni si reputavano un  popolo celtico : cf. APPIAN. IV 1, 2,       csf    accenno vi è intorno agli avvenimenti che si succe-  dettero sino all’ a. 98, che è il termine del computo  dei 210 anni, fatto, per incidente, poco prima. E ciò  diviene inspiegabile, se si considera che l’autore, avendo  fissato per termine del computo degli anni di lotta coi  Germani l’ a. 98, importante perchè appunto allora  Traiano succedette al padre adottivo Nerva, non poteva  passare sotto silenzio, tra le altre cose, il fatto che la  autorità delle armi romane era a quel tempo in sì alto  pregio da fare ottenere a Vestricio Spurinna, legato di  Nerva, una vittoria incruenta sui ‘ Bructeri, ferocissima  gens’ germanica, soltanto con la minaccia della guerra  e col terrore !. Nè poteva tenere in non cale i buoni  risultamenti dell’ abile direzione politica e militare di  Traiano che, per assodare il dominio romano sul ter-  ritorio dei ‘ Mattiaci ’ e per dar fine alle agitazioni delle  tribù germaniche della regione centrale del Reno, cau-  sate dall’ imprudente scorreria di Domiziano, stette an-  cora per qualche tempo al comando degli eserciti sul  Reno, prima di recarsi a Roma per assumervi il potere  supremo. Pare, inoltre, che dissoni dalle lodi concor-  demente date dai contemporanei ai due imperatori  Nerva e Traiano, e per il loro savio governo e per la  rinnovata autorità delle armi romane, il fatto che l’au-  tore della Germ., il quale doveva, giusta la premessa,  estendere le sue considerazioni ed il suo rapido ‘ ex-  cursus’ sino al secondo consolato di Traiano, si è fer-  mato, invece, alla desolante osservazione ‘ triumphati  magis quam uicti sunt’; egli avrebbe dovuto avere  sott'occhio gli avvenimenti che si compivano, sotto la    1 PLIN. epist. II 7, 2.    BRL) pesi    è stata nostra, e la Germania è vinta: ‘regno Arsacis  acrior est Germanorum libertas ’.   Oltre a ciò il tono retorico di tutta la frase fa dubita-  re di esservi stata un’ interpolazione. Precede e seguc  al periodo notato una considerazione storica che in nulla  è avvantaggiata dal periodo stesso, anzi resta da questo  interrotta per dar luogo all’ espressione enfatica ‘ tam  diu G. uincitur ’. Se si espungesse il periodo conside-  rato, il pensiero dell’autore si mostrerebbe in gradato  svolgimento, moverebbesi eguale a sè stesso e non in-  terrotto sino alla conclusione ultima che, per quel certo  pessimismo da cui è informata, nulla ha da fare con l’en-  fasi delle parole espunte. Nè vi è necessità di sostituire  alla particella ‘tam ’, che nella proposizione seg. ‘ me-  dio tam longi aeui spatio multa in uicem damna’  pare collocata in riscontro col ‘ tam’ della frase ‘ tam  diu G. uincitur ’, la voce ‘ tamen’ che è data dal cod.  Leid. (0) nella forma tam®! e, più chiaramente, nella  forma completa tamen dal cod. Neapol. (c) ; perocchè,  fatta 1’ espunzione, si regge sempre bene tutta la frase,  che in origine dovette, secondo ogni probabilità, così  esser letta : ‘ sescentesimum et quadragesimum annum  urbs nostra agebat, cum primum Cimbrorum audita  sunt arma, Caecilio Metello ac Papirio Carbone consu-  libus. medio tam longi aeui spatio multa in vicem dam-  na’ e. q. s.   A chi attribuirsi l’interpolazione, se interpolazione ci  fu? Può ben darsi che la si debba attribuire a qualche  antico grammatico , la cui glossa erudita sulla durata    1 Ma avverte il Massmann, op. cit., p. 110, nota 25, ‘ deleta ab-  breuiatura ‘,    RARE; A  delle guerre germaniche sia penetrata nel testo; può  darsi anche che sia una giunta correttiva fatta da chi  più tardi scrisse l’ apografo, sur un originale creduto  mendoso !. Ma a noi pare di scorgere, nel testo stesso  della frase che crediamo interpolata, l’ autore della  possibile interpolazione. A nessuno sfugge l’enfasi della  conclusione ‘ tam diu G. uincitur’; e la vittoria sulla  Germania è intimamente connessa col secondo termine  del computo fatto, cioè l’ ‘ alter imperatoris Traiani con-  sulatus ’: dunque lo scopo della frase altro non poteva  essere che quello di lodare l’imperatore Traiano, il cui  secondo consolato aveva il merito altissimo di aver  dato termine, secondo che credevasi verso la fine del  sec. I, alla lotta contro i Germani , durata per più di  due secoli. Chi tra gli scrittori romani vissuti in sul  declinare del sec. I e nel principio del II largì più en-  comi agli imperatori Nerva e Traiano fu Plinio il gio-  vane; tanto che uno dei moderni critici, che con am-  mirabile dottrina ha trattato della vita e dell’elocuzione  di lui, non ha esitato a scrivere: ‘nemo quidem pos-  sit negare, Plinium in Panegyrico modum in nuirtutibus  Traiani praedicandis transiisse (cf. pan. 30-82; 40; 57;  59-80), et tum in illa oratione tum in epistolis nonnullis  (cf. epist. ud. Tr. imp. 10 (5), 2 [a. 98]; 8 (24), 1 [a.  101]; 31 (40), 1) ex Bithynia ad Traianum missis sen-  tentias inesse plenas immodicae adulationis ac paene    1 È nota la dichiarazione che leggesi nel cod. Leid. Perizon.  della Germ., la quale è annoverata tra i ‘ libellos nuper adin-  uentos et in lucem relatos ab Enoc Asculano quamquam  satis mendosos”    ConsoLI: L’ autore della Germania. 3       IRE  seruilis erga Traianum et Neruam reuerentiae !. Plinio,  inoltre, diede in particolar modo evidenza al titolo di  Germanico attribuito a Traiano *; fece menzione delle  vittorie di lui nei paesi renani 3; e specialmente s’ in-  trattenne, con ampie lodi, del secondo consolato di Tra-  iano ‘. L’a. 98 è per più ragioni anno notevole per Plinio:  gli è conferita da Nerva e da Traiano l’importante ca-  rica di ‘ praefectus aerarii Saturni ’ 5; il suo amico e  protettore Traiano è assunto all’impero, ed egli si af-  fretta a scrivergli una breve epistola gratulatoria, espri-  mendo il voto: ‘ precor ergo ut tibi et per te generi  bumano prospera omnia, id est digna saeculo tuo, con-  tingant ’ $. Nell’a. 98, in fine, si reputarono dai Romani  come finite, per l’ opera prudente di Traiano, le lotte  bisecolari contro i Germani, con la sottomissione di  questi.   Non sarebbe perciò una congettura priva di fonda-  mento l’ammettere che Plinio il giovane, rendendosi in-  terprete de’ sentimenti suoi e de’ suoi contemporanei ,  sentimenti di soddisfazione e di gioia per i vantaggi  apportati dagli avvenimenti dell’ a. 98 all’ impero ro-  mano, avesse inserito in una parte dell’opera dello zio,    4 J. P. LAGERGREN, de vita et elocutione C. Plinii Caecilii Se-  cundi, Vpsaliae 1872, pp. 12-13; in Uysala universitets aars-  skrift, 1871, V.   ? PLIN. pan. 9, 2. 14, ).   3 PLIN. pan. 14, 1-5. 82, 4-5.   PLIN. pan. 56, 3-7.   Vedi Mommsen, sur Lebensgeschichte d. j. Plin. sopra cit.;   e l'art. dello StoBBE nel Philologus XXVII, p. 641: donde la   notizia riferita dal LAGERGREN, 0. c., p.4; e dal NicoLaI, G. d. r. L.,n.   115, p. 640. Cf. TEUFFEL-SCHWABE, G. d. r. L, © n. 340, 1, p.849; ete.  6 PLIN. epist. ad Tr. imp. 1, 2.    (SISI    ini BB  intitolata bellorum Germaniae uiginti ll. (la quale parte  sarebbe probabilmente quella stessa pervenuta a noi col  titolo de orig. et situ Germanorum) la frase sopra no-  tata del cap. 37, a fin di computare la durata delle  guerre germaniche sino all’a. 98, in cui, dopo sì lungo  tempo, la Germania era stata completamente vinta.   Nè certamente sarebbe stato intendimento di Plinio  violare con una postilla, che ora appare interpolazione,  il libro del dotto scrittore, il quale era a lui zio e padre  adottivo affettuoso, ma rendere il libro delle guerre  germaniche meglio rispondente ai tempi in cui comin-  ciò a farsene la pubblicazione , cioè verso la fine del  sec. I. Quante volte non occorre a noi, oggidi, nel pub-  blicare un libro di autore antico, di aggiungere delle  note nelle quali si accenni, per completare o chiarire  i concetti espressi nel testo, ad avvenimenti posteriori  alla vita dello scrittore ? Ma al tempo dei Romani non  avevasi il mezzo odierno di distinguere le postille e le  note dal testo; talchè sovente queste penetrarono nel  testo stesso , dal quale indistinte si riprodussero negli  apografi scritti in tempi seriori; e da ciò il lavoro, non  facile nè sempre sicuro ne’ suoi risultamenti, della cri-  tica moderna, di espungere dai testi classici tutto ciò  che si considera come interpolato.   Un altro argomento ci conferma nella nostra conget-  tura. Plinio il giovane nell’epistola a Bebio Macro, nella  quale espone in ordine cronologico i libri dello zio, nota  tra questi : ‘ bellorum Germaniae uiginti, quibus omnia  quae cum Germanis gessimus bella collegit ’. ! Eviden-  temente, poichè l’epistola fu scritta l’a. 101, come tutte    1 PLIN. epist. III 5, 4.    — 36 —    le altre contenute nel lib. 3°, con la frase ‘ omnia q.  c. G. gessimus bella’, si allude a tutte le guerre com-  battute contro i Germani sino a quel tempo in cui  credevasi comunemente che fossero finite per l’opera sa-  gace di Traiano, cioè sino all’a. 98; e nella voce ‘ ges-  simus ’ si travede il pensiero che la narrazione storica  di Plinio Secondo era stata prolungata dal nipote sino  a comprendere tutte le guerre germaniche ; chè, se si  fosse ristretta alle sole guerre combattute mentre era  ancora in vita Plinio Secondo, ed avesse conservato lo  scopo precipuo per cui era stata scritta, cioè salvare ‘ ab  iniuria obliuionis’ la memoria di Druso Nerone, sareb-  besi detto obiettivamente ‘ gesta sunt’: nella voce ‘ ges-  simus’ si scorge non difficilmente la persona di chi ha  scritto l’epistola a Bebio Macro. In tale argomento soc-  corre l’autorità di Suetonio, il quale, scrivendo di Plinio  Secondo : ‘ itaque bella omnia, quae unquam cum  Germanis gesta sunt, XX uwoluminibus compreben-  dit ’,' da un canto ripete l’espressione di Plinio il giovane  ‘omnia bella ?, e dall’ altro canto con 1° uso del verbo  ‘ gesta sunt” dà evidenza al tempo sino a cui erano state  narrate le guerre germaniche.   Si aggiunga un’altra considerazione. Plinio Secondo  nella pref. alla sua nat. Rist. serive : ‘ uos quidem omnes,  patrem te fratremque (sc. Vespasianum, Titum, Domi-  tianum), diximus opere iusto, temporum nostrorum  historiam orsi a fine Aufidi Bassi. ubi sit ea quaeres ?  iam pridem peracta sancitur, et alioquin statutum erat  heredi (cioè al figlio adottivo, Plinio il giovane) man-  dare, ne quid ambitioni dedisse uita iu-    1 V. pag. 5, nota é.    GI    dicaretur”’'. Era quindi proposito di lui, a fin di  evitare la facile accusa di avere alterato il vero per  mire ambiziose , affidare al figlio adottivo, che, gio-  vinetto, molto aveva appreso dalla molteplice e copiosa  dottrina del suo secondo padre, l’incarico di pubblicare,  dopo la sua morte, i lavori storici che gli affidava, e  forse anche di limare o farvi delle opportune giunte,  per rendere la pubblicazione meglio adatta ai tempi in  cui essa aveva luogo. Che vale, infatti, la frase ‘ per-  acta sancitur’ se non, come spiega Io. Harduinus, ‘ ac-  curatius elimatur, castigatur ° ?*? Non poteva forse il figlio  adottivo , valente letterato anch’ egli, prender parte a  tale ‘ limae labor ’, dopo la morte dell’ autore, avendo  l’obbligo di pubblicare i libri di lui? E, dal canto suo,  Plinio il giovane aveva, quanto alla storia, una certa  competenza, perchè aveva atteso agli studi storîci se-  condo l’ es. paterno, come egli stesso dichiarava : ‘ me  uero a«l hoc studium (sc. historiae) impellit domesticum  quoque exemplum 5.   Gli antichi non può dirsi che siano stati molto seru-  polosi nel metter mano sui lavori altrui, per emendarli,    1 PLIN. n. A. praef. 20. Ma il Detlefsen (ed. Berl. 1866) acco-  glie la lez. ‘ per acta sancitum et alioqui ’.   2 Vedi C. Plin. Sec. hist. nat. Ul XXX VII quos interpretatione  et notis illustrauit IoanNES HARDVINVS, Paris. 1741, t. I, p. 4,  not. 7. Ma nelle ‘ notae et emend. ad 1. I', n. VI, p. 7, spie-  gandosi il perchè sia stata preferita nel testo la jez. ‘ peracta  sarcitur’ invece di ‘ sancitur ’, si aggiunge: ‘ hoc est, reuocatur,  retractatur, accuratius elimatur, ad polituram sarcitur; uti de  araneae tela Plinius ipse loquitur’ (n. A. XI 24 (28), 84 ‘ ad  polituram sarciens ’.)   8 PLIN. epist. V 8, 1 e 4.    — 38 —   massime quando questi non erano stati ancora pnbbli-  cati. Che non si disse per le commedie di Terenzio, e-  mendate e forse preparate da Scipione l’Africano e da  C. Lelio ?! Anneo Cornuto lasciò forse intatte le satire  dell'amico e discepolo suo Persio Flacco ? ?. È superfluo  addurre altri esempi: ci basti rammentare che, se le  mani di L. Vario e di Plozio Tucca si astennero dal pro-  fanare il poema lasciato incompleto da Virgilio, ciò av-  venne per espresso ordine di Augusto, cui non era le-  cito disubbidire ?.    VII. — A niuno, poi, sfugge l’ osservazione che nella  Germ. non si fa cenno dei rapporti di tregua e di guerra  tra i Romani ed i Germani, dopo il regno di Vespa-  siano. Nulla si dice della venuta in Roma, verso l’ a.  85, di* Masyos, re dei ‘ Semnones ’, e di Ganna, vergine  fatidica, che succedette a Veleda: entrambi furono ac-  colti onorevolmente da Domiziano. Trascurasi di men-  zionare 1’ impresa di Domiziano contro i ‘ Chatti”; chè,  come si è dimostrato sopra, non può indursi un’ allu-  sione a tale impresa dalle ultime parole del cap. 37  ‘ proximis temporibus triumphati magis quam uicti sunt’.  Omettesi di far menzione della spedizione di Vestricio  Spurinna contro i ‘ Bructeri’, dopo la morte di Domi-    4 Vedi Cic. ad Att. VII 3, 10. QvinTIL. è. 0. X 1, 99; ed un  framm. del libro de poetis di Suetonio, ed. Roth 1882, p. 293, 5-6.   2 V. la vita A. Persii Flacci de commentario Probi Valeri  sublata: il Roth la omise nella sua ed. dei framm. di Suetonio.   8 SERV. comm. in Verg. Aen. I: ‘ Augustus uero, ne tantum  opus (sc. Aeneis) periret, Tuccam et Varium hac lege iussit  emendare, ut superflua demerent, nihil adderent tamen’: vol.  I, fasc. 1°, p. 2, ed, Th.    dia   ziano: ed altre omissioni potremmo aggiungere. Invece  tutto ad un tratto si passa dalle notizie sopra avveni-  menti occorsi durante il regno di Vespasiano al secondo  consolato di Traiano ; e sì importante lacuna dà .nuovo  argomento a sospettare interpolato il passo del cap. 37,  del quale si è sopra a lungo discusso.   Cosicchè, e per i molteplici argomenti che ci offre il  testo della Germ., convenientemente interpretato, e per  gli argomenti esterni sopra esposti, non puossi non ri-  conoscere che nella Germ. non sono menzionati avve-  nimenti posteriori all’a. 79 d. Cr.; e però sorge spon-  taneo il dubbio che non Tacito, istoriografo fiorito al-  quanti anni dopo, ' ma Plinio Secondo (se è da non te-  nersi conto di Aufidio Basso, scrittore anch’egli di guerre  germaniche) possa essere stato l’ autore della Germ. ;  o meglio, che questa in principio abbia formato parte,  come una digressione necessaria, dei venti libri bello-  rum Germaniae. Nè quarantasei capitoli (si direbbero  meglio paragrafi) di un’introduzione o di una digressio-  ne, quanti se ne contano appunto nella Germ., si pos-  sono ritenere troppi per un lavoro storico che ha il  ‘ suo svolgimento in venti libri; poichè è noto che la  digressione sull’Africa è di non breve estensione nel d.  Iug. di Sallustio; e similmente la digressione di Ta-  cito sulla Britannia, nel libro de vita ef moribus Iulii    1 Il libro de wita et moribus Iulit Agricolae, primo, in ordine  cronologico, dei lavori di Tacito, è dell'a. 98: diciamo primo,  perchè pare ormai dimostrato che il dial. de oratoribus non  sia lavoro di Tacito. Vedi L. VALMAGGI, nuovi appunti sulla  critica recentissima del dialogo degli oratori, in Rio. di filol,  e d'i. cl, a. XXX, fasc. 1°, p. 23.    PRE (pn  Agricolae, occupa non meno di sette capitoli; e l’altra  digressione di Tacito stesso sulla Giudea si svolge in  ben dodici capitoli sui ventisei cc. del lib. V delle Rist.,  il quale non ci è pervenuto completo.    diri    CAPITOLO SECONDO    La Germania nella tradizione degli scrittori sino  ai tempi del Rinascimento.    Costantemente si è indicato Tacito quale autore della  Germ., sin dal tempo in cui l’aureo libretto fu scoperto  e rimesso in onore insieme con tanti altri tesori let-  terari dell’ antichità. Su quale fondamento si poggia  tale indicazione ? L’ indagheremo nel presente capitolo.   I. — Tacito fu sempre considerato dagli scrittori  posteriori, sia dell’ età antica sia del medio evo ', co-  me ‘scriptor historiae Augustae ’ ?, o ‘ qui post Augu-  stum usque ad mortem Domitiani uitas Caesarum  tri-  ginta uoluminibus exarauit ’ 8, o semplicemente ‘ an-  nalium scriptor ’‘, o con altra indicazione analoga *;    1 Vedi EMMERICH CoRrNELIvs, quomodo Tacitus historiarum  scriptor in hominum memoria uersatus sit usque ad rena-  scentes literas saeculis XIV et XV; inaug. diss. Marpurgi Chatt.  1888. M. MANITIUS, Beitrtige sur Geschichte d. ròmischer Pro-  saiker in Mittelalter, II, in Philologus, N. F. I (1889), pp. 565-566.   2 Vopisc. Tac. 10,3; in scriptt. hist. Aug. XXVII p. 192, ed. P.   3 HreRoNYM. comm. in Zach. IIl 14, t. VI, coll. 913-914, ed.  Vallars., Veron. 1736.   4 IoRDAN. de or. act. Get. 2, 29, p. 3, ed. A. Holder. È però pro-  babile che Iordanis, citando con inesattezza ‘ Cornelius anna-  lium seriptor ’, mentre ripete le notizie contenute nel libro de  u. et m. Iul. Agric., cc. 10, 11, 12, riferisca osservazioni e notizie  non attinte direttamente ai libri di Tacito.   5 Omettiamo l’ epiteto ‘sane ille mendacium loquacissimus ’,  dato a Tacito da TERTVLL. apologet., cap. 16, pp. 47-48, Canta-  brigiae 1686: le necessità della lotta rendevano talvolta ingiu-  sti i primi apologisti del Cristianesimo.    ii dI  e in generale, anche quando non fu indicato, in forma  di epiteto aggiunto al nome proprio, il genere lette-  rario da Tacito coltivato, si citarono i luoghi degli  annali o delle istorie, talvolta nominandosi Tacito au-  tore, talvolta omettendosi il nome di lui.   Il nome dell’autore non sempre è indicato nello stesso  modo. Tertulliano ', Vopisco ?, San Girolamo *, Orosio 4,  Apollinare Sidonio *, etc. lo nominano ‘ Cornelius Taci-  tus ’. Lo stesso nome ‘ Cornelius Tacitus” osservasi in  uno scolio di Giovenale © e in un luogo degli annales  Fuldenses di Rudolf, monaco di Fulda, il quale si valse  della prima parte degli ann. di Tacito per la sua com-  pilazione storica che va dall’ 838 all’ 863 ?; si nota an-    1 TERTVLL. apologet. |. l1.: egli cita Tac Rist. V 3; 4; 9.   ? Vopisc. Auretian. 2, 1. Tae. 10,3; in seriptt. hist. Aug.  XXVI, XXVII, pp. 149,192, ed. P. Sul 1° luogo di Vopisco, che  nota di menzogna Livio, Sallustio, Tacito e Trogo Pompeo, il  Petrarca osserva: ‘notat ystoricos, immeriter puto, precipue  (sic) primos duos’. Vedi P. pe NoLHac, Petrarque et l’humani-  sme d'aprés un essai de restitution de sa bibliothèque, Paris  1892, p. 258.   3 HiERoNYm. l. l. sopra, in nota 3, pag. 4l.   4 Oros. hist. adu. pag. I 5,1 (cf. Tac. hist. V 7). VII 3,7 (cita  un luogo delle Aist. di Tac., forse del lib. VI o VII, non per-  venuto a noi). VII 10, 4 (cita un luogo di Tac., che si è per-  duto: cf. Tac. hist. III 46. Cass. Dion. r. Rom. LXVII 6, 1; 7,  2; etc.). VII 19, 4 (la notizia che dà nel ]. c. non è in quel che  ci resta dei libri di Tac.). VII 27, l (cf. Tac. Rist. V 3, sgg.).   5 APOLLIN. SIpon. carm. 23, 153 sg. ‘et qui pro ingenio fluente  nulli, | Corneli Tacite, es tacendus ori’: ed. Luetjohann, in  monum. Germ. hist., Berl. 1887, t. VIII, p. 253.   6 Schol. Iuuenal. V 14,101 ‘cuius (sc. Moysis) Cornelius etiam  Tacitus meminit’: cf. Tac. hist. V 3.   7 Ann. Fuld. a. 852 ‘super amnem quem Cornelius Tacitus,       49-=  che in un’ epistola di Pietro di Bluis! e (tralasciando  di menzionare Frekulf, monaco di Fulda e poi vescovo  di Lisieux, Giovanni di Salisbury, Vincenzo di Beauvais,  i quali, come ormai è accertato, conobbero Tacito solo  di nome ?) in un’ epistola e altri Il. degli scritti del  Boccaccio 3, nel comentum super Dantis Aldigherij co-    scriptor rerum a Romanis in ea gente gestarum, Visurgim,  moderni uero Wisaraha uocant’: in PERTZ, monum. Germ. hist.  vol. I, p. 368. Vedi per le citazioni tacitiane negli annali di  Fulda e nelle res gestae Saronicae di Widukind, monaco di  Corwey, la diss. cit. del Cornelius, p. 38.   4 PETRI BLESENSIS Bathoniensis in Anglia archidiaconi opera  omnia, Paris. 1667, epist. 101 ad R. archid. Nannet, p. 158, col.  2° ‘ profuit mihi frequenter inspicere...... Corn. Tacitum, Titum  Liuium' e. q. s. Ma A. HorTis, studj sulle opere latine del Boccac-  cio con particolare riguardo alla storia della erudizione nel m.  evo e alle letterature straniere, Trieste 1879, p. 425, dubita che  « Pietro di Blois conoscesse più in là del nome di Tac. ». Con-  sente in ciò F. RamorINO, Corn. Tac. nella st;ria della coltura,  2* ed., Milano 1898, p. 91, nota 38. Vedi la diss. c. del Corne-  lius, p. 41.   ? Vedi HoRTIS, op. cit., p. 425, nota 3, e le monografie, ivi  menzionate, di E. Grunauer sui fonti della storia di Frekulf,  dello Schaarschmidt su Giov. di Salisbury, dello Schlosser su  Vinc. Bellovacense. Il Petrarca non scrisse mai il nome di  Tac., che tuttavia egli non poteva ignorare, poichè l’amico suo  Guglielmo da Pastrengo ne aveva fatto cenno nel libro de orig.  rer., f. 18: v. P. pE NoLHAC, op. cit., chap. VI, p. 266.   3 Boccaccio, epist. ad Nic. de Montefalcone : ‘ quaternum quem  asportasti Corn.i Tac.i quaeso saltem mittas ': v. FR. CORAZZINI,  le lettere edite e inedite di messer G. B. trad. e comm. con  nuovi documenti, Firenze 1877. La lettera porta la data ‘ Nea-  poli XIII kal. februarii’, ed è del 1371: v. Gustav KoERTING,  G. d. Litterat. Italiens im Zeitalter der Renaissance ; II (Boc-  caccio *s Leben u. Werke), Leipz. 1880, cap. I, pag. 47. Il Boc-    i d4 —  moediam di Benvenuto de Rambaldis da Imola !, nel  liber Augustalis?, nello scritto de wiris claris di Do-  menico Bandini aretino ®, in una lettera del 1395 di  Coluccio Salutati , 4 etc. .5- Anche del solo nome ‘ Ta-    caccio ripete il nome Cornelio Tacito altre due volte nel cap.  IV, p. 201 e p. 253, del comento sopra la Commedia di D. A.  iv. opere di m. G. B. cittadino fiorentino, con le annotazioni  di A. M. Salvini, vol. V, Firenze 1724); ed una sola volta nel  libro gen. deorum, INI 23, f. 28, ed. Parigi 1517. I detti luoghi  del Bocce. si riferiscono ai luoghi di T'ac. ann. XV 57 e 60-65.  hist. Il 2-3.    1 Comentum Inferni, c. IV, t. I, p. 152 ‘sicut patet apud Cor-°    nelium Tacitum': ed. Jac. Phil. Lacaita, Florentiae 1887. Vedi  per la citaz. tacitiana concernente Cleopatra (c. VI) le consi-  derazioni del Ramorino, disc. c, p. 93, nota 43.   ? Liber Aug.c.5 ‘de... Messalina scribit Cornelius Tacitus ’;  in FREHER-STRUVE, rerum Germanicarum scriptores, t. II, p. 6.  Ha dato evidenza alla citaz. il MANITIUS, Beitrige zur G. d. r.  Pr. im Mittelalter sopra cit., p. 566.   3 Il Bandini scrive di Tacito: ‘ Cornelius Tacitus orator et  hystoricus eloquentissimus’. Vedi l’ epistolario di CoLuccio Sa-  LUTATI, edito da Fr. Novati, III p. 297, nota.   4 C. SALUTATI, epist. IX 9, vol. III, p. 76, ed. cit.   5 Ci fermiamo con le nostre citazioni alla fine del sec. XIV: non  è necessario perciò ripetere le citazioni tacitiane che si notano  negli scritti dei più autorevoli umanisti del sec. XV, quali Sicco  Polenton, Poggio Bracciolini, Francesco Barbaro, Giov. Tortelli,  Flavio Biondo, Lor. Valla, L. B. Alberti, card. Bessarione, etc.  Vedi VoIGT-VALBUSA, il risorg. dell'antichità elass., Firenze 1888,  v. I, pp. 250-257. R. SABBADINI, storia e critica di alcuni testi  latini, in Museo it. di ant. class. ( Comparetti ), Firenza 1890,  v. III, p. 339 sgg. In. notizie storico-critiche di alcuni codd.  latini, in Studi ital. di filol. class., Firenze 1899, v. VII, pp. 119-  132. In. Za scuola e gli studi di Guarino Guarini veronese,  Catania 1896, p. 101, e il doc. 16 a pp. 193-194.    — 45 —  citus’ si valsero Vopisco ! e Apollinare Sidonio ?: que-  st’ ultimo 1’ unì con ‘ Gaius ?.* Ma da altri si preferì  l’ uso del solo nome “ Cornelius ’ ‘ : talora vi si aggiun-  se ‘ Gaius ?. 5   Non pochi citarono dei luoghi tacitiani senza però no-  minare l’ autore; così troviamo ripetuti, e talvolta quasi  alla lettera, alcuni passi delle rist. e degli ann. di Ta-    1 Vopisc. Prob. 2, 7;in scriptt hist Aug. XXVIII p. 202, ed. P.  ‘non Sallustios, Liuios, Tacitos, Trogos atque omnes di-  sertissimos imitarer”’.   2 APOLLIN. Sipon. epist. IV 22, 2. carm. II 192: ed. Luetjohaan,  p. 73 e p. 178.   3 APOLLIN. Sipon. epist. IV 14, 1 ‘ Gaius Tacitus unus e maio-  ribus tuis’, p. 65; ma nel cod. Paris. 9551 (F.del Luetj.) c' è  ‘tacius corneli”. C£. col |. c. di Sidonio Tac. hist. V 26.   4 Oros. hist. adu. pag. I 10, 1 (cf. VII 34, 5); 10, 3 (cf. Tac.  hist. V 3); 10, 5. VII 9, 7 (cf. Tac. hist. V 13. SveToN. deperdi-  torum librorum reliquiae, ed. Roth, IX, p. 287). APOLLIN. SIpon.  epist. IV 22, 2, ed. cit., pp. 72-73. Sehol. Iuuenal. I 2,99 (ef. Tac.  hist. libb. 1, II). IORDAN., Op. c., 2, 29. Boccaccio, com. sopra la  Comm. di D. A. pp. 202, 254, vol. e ed. cit. L. BRUNI, laudatio  urbis Florentinae (cf. Tac. hist. I 1. KrrNER, laud, urb. FI. L. B.,  Livorno 1889, pp. 19, 30). Omettiamo di citare il chron. Cas. di  Petrus, che nel catal. dei libri della badia di Montecassino an-  novera ‘ historiam Cornelii cum Omero (sîc)', perchè, come  bene avverte A. Hortis, op. c., p. 425, n. 2, la riunione del no-  me Cornelio con quello di Omero farebbe pensare « piuttosto  allo Pseudo-Cornelio Nipote ... ben noto per le sue attinenze  con le istorie troiane di Ditti e Darete ».   5 APOLLIN. Sipon. epist. IV 22, 2 ‘ cum Gaius Cornelius Gaio  Secundo (se. C. Plin. Caecil. Sec.) paria suasisset’; ed. c., p.  72: cf. PLIN. epist. V 8,    TRE    BENE gene    cito, in Sulpicio Severo , ! Orosio, ? e nello scoli aste di  Giovenale. ® Vi ha una frase di Cassiodorio, che pare  desunta dalle storie di Tacito.‘ Anche il Boccaccio si  valse, come abbiamo veduto, di Tacito , © talvolta senza    1 SvLP. SEv. chronica quae uulgo inscribuntur hist. sacra (in  S. S. opera studio et lab. Hier. De Prato, t. II, Veron. 1754) II  28, p. ì59 (cf. Tac. ann. XV 37 in fine); II 29, pp. 160-161 (cf.  Tac. ann. XV 40 e 44 in fine). È probabile che quanto scrive  Sulp. Sev. ‘ de Hierosolymorum supremo die’ II 30, pp. 163-  166, sia stato preso da un luogo ora perduto del lib. V Aist. di  Tac.: v. la nota 6* a p. 164, col. 1°, ed. c. ; e inoltre BERNAYS,  de chronicis Sulpicii Seueri, p. 55 sgg. Per uno strano inverti-  mento dell’ ordine logico, P. Hochart nel suo libro de l’ authen-  ticité des ann. et des hist. de Tac., Paris 1890, pp. 200-201,  scambia l’effetto con la causa, e ammette che il presunto fal-  sificatore di Tac. abbia copiato da Sulpicio Severo quello che  in realtà costui copiò da Tac.   ? Oros. hist. adu. pag. VII 4, 11 (cf. Tac. ann. IV 62 e 63);  4, 17 (cf. Tac. ann. II 85 in fine).   3 Schol. Iuuenat. 1 5, 108 : cf. Tac. ann. XV 62.   4 Casson. war. XI 3i, p. 157, 2* col., in M. A. CassioporI 0-  pera omnia, ed. J. Garet.,, Ven. 1729, t.I: ‘more maiorum  scuto supposito "; cf. Tac. /A'st. IV 15, 10 ‘inpositusque scuto  more gentis ’.   5 Il Boccaccio ebbe conoscenza di Tac. ann. Il. XII-XVI e  hist. ]l. IIT-]II, perchè se ne avvalse, senza menzionare i fonti,  negli ultimi capitoli del libro de claris mulieribus, per narrare  la vita di Epicharis la cortigiana (c. 91: cf. Tac. ann. XV 51-  57), di Pompeia Paolina, moglie di Seneca (c. 92: cf. Tac. ann.  XV 60; 63; 64), di Poppea Sabina, amante e poi sposa di Ne-  rone (c. 93: ct Tac arn. XIII 45 e 46. XIV 60-63. XV 23. XVI  6), di Triaria, moglie di L. Vitelliv fratello dell’ imperatore (c.  94: cf. Tac. Aist. II 63. III 77); e aggiungiamo anchela vita di  Agrippina, madre di Nerone (c. 90: cf. Tac. ann. Il. XII-XIV),  sebbene le notizie possano essere state prese da SvETon. Claud.  26. 29. 39. 43. 44. Ner.6. 9. 28. 34. 35. Vedi ScHUECK, Boccaccio's    RESO ge  nominarlo. ?    II. — Quanto alla Germ. non vi è, sino al sec. IX,  scrittore alcuno che ne abbia fatto menzione.o ne ab-  bia tratto vantaggio, ripetendo o imitando qualche luo-  go di essa. Si è preteso scorgere un accenno alla Germ.  c. 45 ed al nome dell’ autore della stessa (Cornelio) in  un’ epistola di Cassiodorio *, con la quale il re Teodo-  rico ringrazia il popolo degli ‘ Haesti ? 3 per un dono  di ambra. Nell’ ep. di Cassiodorio si legge : ‘ succina  quae a uobis ... directa sunt, grato animo fuisse suscepta:  quae ad uos oceani unda descendens, hanc leuissimam  substantiam, sicut et uestrorum relatio continebat, ex-    lateinische Schriften, in Jahrbb. fiur Philol. u. Pidag. CX (1874),  p. 170 sgg. A. HoRTIS, op.c., pp. 425-426. G. KOERTING, Op. c.,  VII, p. 393. P_ pE NoLHAC, op. c., chap. VI, pp. 266-267: e Boc-  cace et Tacite, in Mélanges de l Ecole de Rome, t. XII, 1892.  RAMORINO, disc. c., p. 92, nota 4l.   1 Dal novero degli scrittori che nell'età di mezzo si valsero  di Tac., senza menzionarlo, dobbiamo escludere l’autore ignoto  della vita Heinrici IV, vissuto nel sec XII, non ostante che il  Cornelius vi trovi delle frasi, in cui sembrano riflettersi certe  espressioni che si notano negli ann. di Tac.: v. MANITIUS, Beitr.  cit. p. 566; RAMORINO, disc. c., p. 91, nota 40. E si deve altresi  escludere dal novero Guglielmo di Malmesbury che, in un luogo  dei gesta reg. Angl. c. 68, ed. Hardy, I 95, con la frase * incre-  dibile quantum breui adoleverit’ pare che abbia voluto ripro-  durre la frase tacitiana, Gist. II 73, 1 ‘ uix credibile memoratu  est quantum ... adoleuerit’; poichè la stessa frase leggesi in  SaLL. Cat. 6, 2 ‘incredibile memoratu est quam facile coalue-  rint'; e ciò avvertiva sin dal 17-III-1390 il GaABOTTO, in un art.  pubbl. nella Rio. di filol. e d’i. el. XIX (1891), pp. 397-308.   2 Cassion. uar. V 2, ed. c., t. I, p. 73.   3 ‘ Aestii ’, secondo il testo della Germ. 45, 8.    — 48 —    portat; sed unde ueniat, incognitum wos habere dixe-  runt, quam ante omnes homines patria uestra offerente  suscipitis. haec quodam Cornelio scribente  legitur in interioribus insulis oceani ex arboris succo  defluens, unde et succinum dicitur, paulatim solis ar-  dore coalescere. — cum in maris fuerat delapsa confi-  nio, aestu alternante purgata, uestris littoribus trada-  tur exposita.’ Or, il ‘ quidam Cornelius scribens’ non  è, come affermano alcuni ,' Corn. Tacito, autore delle  hist. e degli ann., ma ‘ Cornelius Bocchus ?. Il Peter  nota, infatti, il l. cit. di Cassiodorio tra i frammenti  delle storie di ‘ Cornelius Bocchus ’ ; * ed è noto che Pli-  nio Secondosegna questo scrittore il quarto tra gli au-  tori i cui scritti gli servirono di fonti per compilare  il libro XXXVII della sua naturalis historia :3 e ap-  punto nel libro XXXVII trattasi del sucino o ambra ,'    1 Vedi MASSsMAnN, op. c., pp. 158-159. TH Finck, Germ. her-  ausgegeben u. erlàutert, Gòttingen 1857, p. 14, nota 2. GEFFROY,  Op. c., p. 97. A: Pars, comm. cit, p. XIX. MARINA, Op. c., p. 4;  2. RAMORINO, disc. c., p. 31. etc.   ? Historic. Rom. fragmenta, ed. Peter, Lps. 1833, p. 298, n.° 8,*  Vedi Mommsen, introd. ai coll. r. m. di Solino, p. XVII.   3 PLIN. n. h. I ex auctoribus l. XXXVII. Si valse anche del-  le opere di Bocco per compilare i Il. XVI, XXXII e XXXIV;  ma in questi u'timi due si cita solo ‘ B»echus', senza il nome  * Cornelius.   4 PLIN. n. A. XXXVII 3 (11), 42 e 43. Le notizie sull'’ambra,  date da Bocco e raccolie da Plinio, furono poi ripetute da So-  LIN. coll. r. m. 20, 9 sgg. Vedi il comm. c. del DiLTHEY, pp. 290-  296; e WoLFGANG HELBIG, osseroazioni sopra il commercio  dell’ ambra, in Atti d. Accad. d. Lincei, 1877 : inoltre v. le pp.  184-189 della dissertazione di ETTORE PAIS, intorno alle più an-  tiche relazioni tra la Grecia e l'Italia, in Riv. di filol. e di.  cl. XX (1892).    Rea GEA   e vi si esprime lo stesso concetto annunciato da Cas-  siodorio, con parole quasi consimili. Nè vale il dire che  nelle voci ‘ legitur, insulis, ex arboris succo, solis ar-  dore’ del 1. ce. di Cassiodorio si ripetono le voci del  testo della Germ. c. 45 ‘legunt, legitur, sucum arbo-  rum, insulis, solis radiis’; poichè, oltre la ripetizione  del concetto, vi ha maggiore analogia di forme tra il  passo cit. di Cassiodorio ed il corrispondente luogo di  Plinio Secondo, nel quale luogo si ripresentano, come  sì è avvertito sopra, le notizie date da Cornelio Bocco. !  Nemmeno può ammettersi che Iordanis abbia avuto  notizia della Germ.?® sol perchè nel c. 2 del de or.  act. Get. sì trovano le due voci ‘inaccessam, ape-  ruit?, che si osservano usate anche nel c. 1° della  Germ., ma con tutt'altro intendimento e in due periodi  interamente separati e indipendenti l’ uno dall’ altro *.    1 Cassiod. ‘in interioribus insulis oceani’; cf. Plin. n. A.  XXXVII 3 (11), 42 ‘in insulis septentrionalis oceani’. Cassiod.  ‘ex arboris succo defluens’; cf. Plin. ibid. ‘ defluente medulla  pinei generis arboribus ’; e 43 ‘ arboris sucum esse’. Cassiod.  ‘unde etsuccinum dicitur ’; cf Plin.ibid. 43 ‘ ob id sucinum ap-  pellantes’ (e Solin. 20, 9 ‘sucum esse arboris de nominis ca-  pessas qualitate ’). Cassiod. ‘ aestu alternante purgata, littoribus  tradatur exposita ’; cf. Plin. ibid. 42 ‘ipse intumescens aestus  rapuit ex insulis, certe in litora expellitur”; XXXVII 2 (11), 35  ‘ esse concreti maris purgamentum ”.   2 Che Iordanis abbia avuto notizia della Germ. l' ammette il  Massmann, op. c., p. 157.   3 IorpAN. de or. act. Get. 2, 5 p. 3, H. ‘quam diu siquidem  armis inaccessa m (sc. Britanniam) Romanis Iulius Cae-  sar proeliis, ad gloriam tantum quaesitis, aperuit’. Si con-  fronti con Germ. 1, 3 ‘cetera Oceanus ambit...... nuper co-    CONSOLI : L’ autore della Germania. 4    i — 50 —  E non solamente nella Germ. occorre il v. ‘ aperire ’ nel  significato di « far conoscere, dar notizia », e perciò  « rendere accessibile », perocchè con lo stesso signifi-  cato appare in Livio !, Mela ?, Tacito 3, etc. Similmente  non è attendibile il confronto del c. 3 del lib. di Ior-  danis col c. 40 della Germ., ‘nei quali cc. sono comuni  le parole ‘est in Oceani insula’, non ordinate però in  modo identico in entrambi. Poi è da notarsi che  Iordanis cita, come fonte della sua designazione geo-  grafica, il secondo libro dell’opera di Tolomeo; nè, d’al-  tro canto, è noto quale sia precisamente 1’ isola indi-  cata nella Germ., nella quale era il luogo sacre alla  dea ‘ Nerthus” o ‘Terra mater ’ £.   Neppure il luogo del ven. Beda, che noi, trattando dei  ‘ Bructeri ’, abbiamo riferito sopra (p. 28, nota 3), dà la  certezza che questo scrittore, vissuto dal 674 al 735, ab-       gnitis quibusdam gentibus ac regibus, quos bellum aperuit.  Rhenus, Raeticarum Alpium inaccesso ac praecipiti  uertice ortus’ e. q. s. i   1 Liv. X 24, 5. XXXVI 17, 14. XLII 52, 14.   2 Pompon. Met. chor. III 6, 49.   8 Tac. Agr. 22, 1. hist. IV 64, 19. ann. II 70, 10. Vedi inoltre  Lvcan. de b. c. IV 352. Var. FLAC. Arg. I 169.   4 ]l confronto è sostenuto anche dal Massmann, l. c.   5 IORDAN. 3, 4 p. 4, H. “est in Oceani arctoi salo posita in-  sula magna, nomine Scandza ”. Germ. 40, 8 ‘ est in insula O-  ceani castum nemus ”.   6 Si discute ancora se sia Riigen, Fehmarn, Helgoland, Laa-  land, Bornholni, Seeland, la Scandinavia stessa , che gli anti-  chi consideravano come isola. Il MicHELSEN, vorchristliche  Kultusstatten (citato da U. Zernial, comm. p. 78, da A. Pais,  comm. p. 61, e da G. Marina, op. c., p. 127) indica come più  probabile Alsen.« mit dem heiligen Walde Hellewith und dem  heiligen See Hellesò ».       pe    =.  bia avuto notizia diretta della Germ. Si asserisce, è vero,  che i nomi di popoli ‘ Fresones, Rugini, Boruchtuarii,  Anglii’ egli non poteva ad altro fonte attingerli che  alla Germ., perchè appunto nei cc. 34, 44 (43), 33, 40  della Germ. si tratta di essi !, Ma ciò è inesatto, per-  chè troviamo fatta menzione dei ‘ Frisii ’, che il Beda  chiama ‘ Fresones *, in Plinio Secondo, Cassio Dione, nel  panegyr. Constantio Caesari, oltrechè in Tacito. * Dei  ‘ Rugii ’, detti dal Beda ‘ Rugini ?, si fa menzione nel-  l’appendice excerpta Valesiana alle storie di Ammiano  Marcellino ; inoltre in Iordanis, Procopio, Paolo diaco-  no. ? Quanto ai ‘ Bructeri ’, che con lieve mutazione .il  Beda chiama ‘ Boruchtuarii ’, è opportuno aggiungere  che di loro si fa cenno non solamente da Velleio Pa-  tercolo, Plinio il giovane, Nazario e dall’autore del pa-  negirico a Costantino Augusto, dei quali sopra si è te-  nuto discorso, ma anche da Strabone, Claudiano, Gre-  gorio di Tours, etc. * Degli ‘Anglii’, che nel sec. V  passarono nella Britannia, leggesi un cenno in Tolo-  meo 5; e lo stesso Beda spiega l’ etimologia del loro    1 Vedi MassMann, op. c., p. 159.   2 Pcin. n. A. IV 15 (29), 101: qualcuno legge anche la voce  ‘ Frisii’ premessa a ‘gens tum fida’ in XXV 3 (6), 21. Cass.  Dion. r. Rom. LIV 32. Incerti pan. Const. Caes. 9; in BAEHRENS,  XII pan. Lat., V, p. 138. Tac. Agr. 28, 14. hist. IV 15, 12; 18,  26; 56, 15; 79,8. ann. I 60, 6.IV 72, 1; 74, 1. XI 19,3. XIII 54, 2.   3 Excerpta Vales. 10, 48 p. 292, 2° vol., ed. Gardthausen. Ior-  DAN. de or. act. Get. 54,7 p. 64, H. PrRocoP. de db. Goth. II 14.  PavL. pIac. de gest. Langobard. I 19, in rer. Ital. scriptt. del  MURATORI, t. I, -pp. 415-416. Cf PTOLEM. geogr. II 11.   4 STRAB. geogr. VII 1, 3-4 (C. 290-292), pp. 398-401, ed. M.  CLAVDIAN. de IV cons. Hon. 451. GRrEGOR. TvRENS. II 9.   5 ProLem. geoyr. II 11. Un antico trad, di Tolomeo li disse    vi BO  nome: ‘porro de Anglis, hoc est de illa patria quae  Angulus (per altri, Anglia) dicitur.’ ! L'angolo sarebbe  il territorio che si estende da Flensburg sino all’ Eider,  a sud-ovest dello Schleswig. *    III. — Le prime e sicure tracce della Germ. appari-  scono nel sec. IX, in un libro intitolato franslatio S.  Alexandri?, che fu cominciato da Rudolf, monaco del  monastero di Fulda, nell’a. 863, e, per la morte di co-  stui avvenuta nell’ 865, continuato e portato a fine da  un altro monaco dello stesso monastero, Meginhard.  Rudolf, trattando, nelle prime pagine del suo lavoro,  dei costumi dei Sassoni, riproduce alla lettera diversi  luoghi dei cc. 4, 9, 10, 11 della Germ., rendendone al-  cune espressioni più adatte al gusto letterario de’ suoi  tempi; ma non nomina mai l’autore del libro. Valga-  no i sgg. confronti, nei quali sono trascritte in corsivo    ‘ Sueui Angili, qui magis orientales sunt quam Longobardi '; Col.  Agrip. 1584, p. 27, col. 1°.   1 Ven. BEDA, hist. gent. Angl. I 15, col. 11, t. III, ed. c.   2 Si noti eziandio che il ven. Beda dovette attingere le noti-  zie sui ‘Saxones’, dei quali fa cenno nel l. c., non soltanto  alla geogr. di Tolomeo, ma anche ad altri fonti, p. es. AMM.  Marc. r. g. XXVI 4,5. XXVII 8, 5. XXVIII 2, 12; 5, 1e4.  XXX 7, 8. PacaT. DREPAN. pan. Theodos. Aug. 5; in BAEH-  RENS, X// pan. Lat. XII, p. 275. Oros. hist. adu. pag. VII 25, 3;  32, 10. IORDAN. de or. act. Get. 36, p. 43, ed. H.   3 Pubbl. nei monum. Germ. historica, t. II, p. 675 sgg., ed.  Pertz.   4 Il RITTER, Op. c., praef. p. XVI, n., dimostra evidente l’erro-  re in cui incorsero il Massmano, op. c., p. 224 sgg. e il Haupt  (comm. Germ.) di attribuire a Meginhard quella parte della  transl. S. Alex, che era stata scritta da Rudolf,    le parole e parti di parole della Germ. identicamente  ripetute nella dransl. S. Alexandri:    Rudolf: ‘nec facile ullis aliarum gentium... conubiis  infecti, propriam et sinceram et tantum sui similem gentem  facere conati sunt. unde habitus quoque... corporum...in tan-  to hominum numero, idem pene omnibus’: cf. Germ. 4,    Rudolf: ‘marime Mercurium venerabantur, cui certis  diebus humanis quoque hostiis litare consueuerant. Deos suos  neque templis includere neque ullae humani oris speciei adsi-  milare ex magnitudine... caelestium arbitrati sunt: lucos ae  nemora consecrantes deorumque nominibus appellantes secre-  tum illud sola reuerentia contemplabantur’: cf. Germ. 9.    Rudolf: ‘auspicia et sortes quam maxime obseruabani :  sortium consuetudo simplex erat. uirgam frugiferae arbori de-  cisam in surculos amputabant eosque notis quibusdam discre-  tos super candidam uestem temere ac fortuito spargebant. mox,  sî publica consultatio fuit, sacerdos populi, sì priuata, ipse pa-  ter familias precatus deos coelumque suspiciens ter singulos tu-  lit, sublatosque secundum inpressam ante notam interpretatus  est. sî prohibuerunt, nulla de eadem re ipsa die consultatio :  si permissum est, euentuum adhue fides exigebatur. auium uo-  ces uolatusque interrogare proprium gentis illius erat; equo-  rum quoque praesagia ac monitus experiri, hinnitusque ac fre-  mitus obseruare; nec ulli auspicio maior fides, non solum a-  pud plebem, sed etiam apud proceres habebatur. erat el alia  obseruatio auspiciorum, qua grauium bellorum euentus explo-  rare solebant: eius quippe gentis, cum qua bellandum fuit, cap-  tiuum quoquo modo interceptum cum electo popularium suo-  rum, patriis quemque armis, committere et uictoriam huius  uel illius pro iudicio habere ’: cf. Germ. 10.    Rudolf: ‘quomodo autem certis diebus, cum aut inchoa-  tur luna aut impletur, agendis rebus auspicatissimum initium  crediderint...... praetereo ’: cf. Germ. 1l.    Si osservano anche tracce della Germ.in più luoghi  di Adamo di Brema, scrittore del sec. XI: in essi si       PES gra   fa menzione della ‘Sueonia” e dei ‘ Sueones ’;! ed è  noto che in nessuno scritto, greco o latino, lasciatoci  dall’antichità classica, e anteriore alla Germ. (c. 44),  si fa parola dei ‘ Suiones ’, abitatori della penisola  scandinava o della parte orientale di essa. ? Iordanis  menziona la ‘ gens Suethans” e i ‘ Suethidi, cogniti in  hac gente reliquis corpore eminentiores 7.3 Ma Adamo  di Brema dovette ricavare dalla trans. S. Alex., non  dalla Germ. direttamente, quelle poche frasi del suo  lib. V, le quali sono consimili ad alcune frasi che si  leggono nei ce. 4, 9, 10, 11 della Germ. Lo stesso può  dirsi del chronicon Vraugiense del sec. XII, per quelle  espressioni che paiono imitate dalla Germ. e, invece,  furono desunte dalla stessa Zransl. S. Alex. 4   Il Cornelius, nel suo pregevole studio sulle vicende  delle opere tacitiane nel medio evo, ha creduto affer-  mare che in un luogo della vita Mathildis di Donizone  (nel qual luogo si nota la facilità biasimevole, con cui  i Germani ingaggiavano delle risse cruente, massi-  me se eccitati da troppe bevande spiritose) si ripete  l’ osservazione del c. 22 della Germ.: ‘crebrae, ut in-  ter uinolentos, rixae raro conuiciis, saepius caede et  uulneribus transiguntur ’. Ma il confronto appare inve-  risimile, perchè Donizone, piuttosto che riferirsi ad una  cattiva usanza osservata dall’ autore della Germ., in-    1 Descriptio insularum Aquilonis 21 (c. 230), in Micene, Patro-  log. curs., t. CXLVI, col. 637; 27 (c. 235), col. 644; 26 (c. 234),  col. 642.   ? R. KEySER, Norges historie, Kristiania 1865, vol. I, p. 34 sg.   3 IORDAN. de or. act. Get. 3, 40; 3, 55, p.5 H.   4 V. il confronto dimostrativo fatto dal Massmann, op. c., An-  hang, pp. 220-234.       — 55  tende dar notizia della facilità con cui a’ suoi tempi  si veniva a risse sanguinose per causa dell’ubbriachez-  za. * Del resto, trattasi di un’ usanza, che osserviamo  tutto dì nelle classi sociali che più difettano di coltura  e si abbandonano al vizio dell’ ubbriachezza : molto più    doveva ciò avvenire tra genti barbare, e nei tempi de-  scritti da Donizone. *    Dalle osservazioni premesse ci è dato concludere che,  sino all’età del Rinascimento, sparutissime sono le tracce  della Germ. nella tradizione degli scrittori: non mai  Tacito venne indicato quale autore della Germ.    1 MANITIUS, Beitrige c., p. 566. RAMORINO, disc. c, pp. 91-92,  nota 40.   ? Tacito avvertiva: ‘nec facilem inter temulehtos consen-  sum’ (Aist. I 26, 6) — ‘ uinolentiam ac libidines, grata barba-  ris’ (ann. XI 16, 12).       — 56 —    CAPITOLO TERZO  La Germania nella tradizione manoscritta.    I. — Il primo degli umanisti, che abbia fatto men-  zione della scoperta di un libro intitolato de origine  et situ Germanorum, fu Antonio Beccadelli, detto il  Panormita, il quale, in una lettera diretta al Guarini  veronese, scriveva: ‘ compertus est Cor. Tacitus de ori-  gine et situ Germanorum. Item eiusdem liber de uita  lulii Agricolae isque incipit: clarorum wirorum facta  ceteraue. Quinetiam Sex. Iulii Frontonis liber de aquae-  ductibus qui in urbem Romam inducuntur; et est litteris  aureis transcriptus. Item eiusdem Frontonis liber alter,  qui in hunc modum iniciatur : cum omnis res ab im-  peratore delegata mentionem exrigat et cetera. Et in-  uentus est quidam dialogus de oratore et est, ut con-  iectamus, Cor. Taciti, atque is ita incipit: saepe ex  me requirunt et cetera. Inter quos et liber Suetonii  Tranquilli repertus de grammaticis et rbetoribus : huic  initium est: grammatica Romae. Hi et innumerabiles  alii qui in manibus uersantur, et praeterea alii fortas-  se qui in usu non sunt, uno in loco simul sunt; ii uero  omnes, qui ob hominum ignauiam in desuetudinem ab-  ierant ibique sunt, cuidam mihi coniunctissimo ii di-  mittentur propediem , ab illo autem ad me proxime  et de repente; tu secundo proximus eris, qui renatos  sane illustrissimos habiturus sis ’.! Alla lettera si as-  segna la data dell’ aprile 1426. Con la stessa lettera si  può ben mettere in confronto una epistola scritta dal    1 Studi ital. di filol. class. VII, p. 125.    E   Poggio al Niccoli, in data del 3 novembre dell’anno pre-  cedente. ! Il Poggio gli annunziava : ‘ quidam monachus  amicus meus ex quodam monasterio Germaniae, qui 0-  lim a nobis recessit, ad me misit litteras, quas nudius  quartus accepi; per quas scribit se reperisse aliqua uo-  lumina de nostris, quae permutare uellet cum Nowuella  Ioannis Andreae, uel tum Speculo, tum Additionibus,  et nomina librorum mittit interclusa .......... Inter ea uo-  lumina est Iulius Frontinus et aliqua opera Corn. Tac.  nobis ignota. Videbis inuentarium, et quaeres illa uo-  lumina legalia, si reperiri poterunt commodo’ pretio.  Libri ponentur in Nurimberga, quo et deferri debent  Speculum et Additiones, et exinde magna est facultas  libros aduehendi. Vt uidebis per inuentarium, haec est  particula quaedam, nam multi alii restant ; scribit enim  in hunce modum: « sicuti mihi supplicastis de notando  poetas, ut ex his eligeretis qui uobis placerent, inueni  multos e quibus collegi aliquos, quos in cedula hac in-  clusa reperietis » ”.......   La lettera del Panormita e quella del Poggio con-  vergono nella notizia della stessa scoperta, che il pri-  mo accenna con particolari minuti, mentre il secondo,  tranne per le determinazioni concernenti Frontino e Ta-  cito, si rimette all’ inventario; e convergono anche nella  notizia, che nel luogo della scoperta degli autori men-  tovati abbondavano libri antichi, parte già in uso e parte  ancora ignoti. ® La notizia al Poggio provenne dal mo-    1 La data del 1425 è segnata nell’ ed. Tonelli dell’ epistol. del  Poggio, Firenze 1832.   ? Panorm.: “hi et innumerabiles alii quiin manibus uersan-  tur, et praeterea alii fortasse qui in usu non sunt, uno in loco  simul sunt’. Pogg. :‘ haec est particula quaedam, nam multi       — 58 —    haco che, appresso, è detto ‘ Hersfeldensis ° !; ma donde  provenne la notizia al Panormita? quale inventario o no-  ta di libri gli fudato di osservare, per indicare poi con  tanta precisione il principio dell’ Agr., dei libri di Fron-  tino, del dialogo de oratoribus e del libro di Suetonio  de gramm. et rhetoribus? Egli fa cenno di un suo  ‘ coniunctissimus ’, al quale sarebbero stati mandati i  libri ‘ propediem ’, e da questo a lui ‘proxime et de  repente ’. Perciò o il monaco hersfeldese, oltre all’ave-  re iniziato delle trattative col Poggio, trattò anche dello  scambio dei codd. del suo monastero coi libri che desi-  derava, con qualche umanista amico del Panormita; ov-  vero il Panormita attinse la notizia, che egli comunica  al Guarini, direttamente dal Poggio, tanto più che al-  lora egli era in sì buoni rapporti di amicizia col Poggio  da mandargli, per mezzo del suo discepolo ed amico  Giovanni Lamola, l’Ermafrodito, e ricevere da lui del-  le magnifiche lodi ® insieme con l’ avvertimento (non  bene accolto) di scegliere argomenti più serii per i suoi  carmi.    alii restant ’; cf. epist. 1. lib. III, del 14 settembre 1426 :‘ quin  etiam dedi operam, ut habeam inuentarium cuiusdam uetustis-  simi monasterii in Germania, ubi est ingens librorum copia’.  Queste affermazioni dovettero provenire dalla frase ‘inueni  multos’ e. q. s., che si legge in quella parte della lettera del  monaco hersfeldese, che è ripetuta dal Poggio.   1 Poem epist. III 12 T. ‘ monachum illum ,Hersfeldensem ’.   2 Poggi epist. ll 40 T.: ‘ laudo igitur doctrinam tuam, iucun-  ditatem carminis, iocos et sales; tibique gratias ago pro por-  tiuncula mea, qui Latinas Musas, quae iamdiu nimium dor-  mierunt, a somno excitas.’ L’ epistola presenta la data 3 apri-  le 1426, perciò è contemporanea, o forse di pochi giorni ante-  riore, a quella scritta dal Panormita al Guarini,    — 59 —   Così non si può discompagnare la scoperta della  Germ., indicata dal Panormita, dalle pratiche iniziate  dal Poggio col monaco hersfeldese per aversi, insieme  con altri codd., ‘ uolumen illud Corn. Taciti et aliorum,  quibus caremus ’.! Son note, dall’ epistolario del Pog-  gio, le vicende di tali pratiche; ® ma si ignora quali  possano essere stati i risultamenti finali di esse. Si sa  tuttavia con quale pertinacia insistessero i cercatori di  opere classiche nell’ età del Rinascimento, e in ispecial  modo il Poggio e il Niccoli; talchè non è improbabile  che alla fine il monaco hersfeldese, dopo il vivo rim-  provero che gli inflisse il Poggio e la minaccia di non  ottenere nulla, venuto meno il favore del Poggio me-  desimo, quanto alla lite che a nome del suo monastero  da più anni sosteneva dinanzi alla Curia, 3 si fosse in-  dotto a portargli il cod. promesso. * Nè fa meraviglia  che il Poggio, avuto il cod., ne abbia conservato asso-  luto silenzio nell’ interesse suo, sia a vantaggio dei    4 Poca epist. III 12 T. Il Voret (trad. VALBUSA, II 4, vol. I,  P. 254) vorrebbe farla risalire alla scoperta fatta, nel 1422 in  Germania, da Bartolomeo Capra, arcivescovo di Milano; e del  parere del Voigt è il SABBADINI (v. Studi ital. di filolog. class.  VII, p. 128 sg.). Ma danno motivo a dubitare di ciò) le osserva-  zioni fatte dal Poggio, in riguardo a tale scoperta, nella lettera  al Niccoli, del 10 giugno 1422 (epist. I 21).   ? Pocair epist. III 12; 13; 14; 19; 29.   3 Pogcir epist. III 29 T. (26 febbr. 1429): ‘ monachus Hersfel-  densis uenit absque libro; multumque est a me increpatus ob  eam causam: asseuerauit se cito rediturum, nam litigat no-  mine monasterii, et portaturum librum. Rogauit me multa: di-  xi me nil facturum, risi librum haberemus; ideo spero ot il-  lum nos habituros, quia eget fauore nostro”.   4 VOIGT-VALBUSA, op. c., II 4, vol. I, pp. 255-256.    REN no  suoi negozi librari, sia a causa delle vie tortuose e non  sempre legittime allora seguite per venire in possesso  di codd. preziosi. Egli stesso dichiara al Niccoli, in oc-  casione che questi gli aveva prestato l’ esemplare allo-  ra noto di Tacito (oggi cod. Medic. II): ‘ Cornelium Ta-  citum, cum uenerit, obseruabo penes me occulte. Scie  enim ommem illam cantilenam, et unde exierit, et per  quem, et quis eum sibi uindicet, sed nil dubites, non  exibit a me ne uerbo quidem.’ ! Nè osta il giudizio es-  presso dal Poggio, nella lettera del 17 maggio 1427,  sull’ inventario portato dal monaco di Hersfeld,® cioè  che questo inventario era ‘ plenum uerbis, re uacuum ’,  e che nella parte del medesimo inventario, mandata al  Niccoli, concernente Tacito ed altri scrittori, vi fossero  ‘ res quaedam paruulae, non satis magno... aestimandae ’ ;  onde egli era caduto ‘ ex maxima spe, quam concepe-  rat ex uerbis suis.’ Perciocchè, se in realtà fosse stato  di sì poca importanza e di sì minimo pregio il cod.  promesso, per qual motivo avrebbe il Poggio tanto in-  sistito per averne il possesso, come egli attesta nelle  due lettere che scrisse poi al Niccoli, l’ una del 31  maggio 1427 e l’altra del 26 febbraio 1429? ® Anzi,  nella prima delle due lettere citate, dichiara espressa-    mente di aver meglio che per altri. codd. provveduto ‘    al modo di aversi il ‘ uolumen ’ di Cornelio Tacito, ‘ quo  maxime indigemus, id quidem imprimis est, quod uolo:    1 Poee epist. III 14 T. (27 settem. 1427). In conferma del si-  lenzio che tenevasi sui risultamenti delle investigazioni e delle  pratiche iniziate con mercatanti di codd. e con monasteri, v. l’e-  pist. II 1.   2 Poca epist. III 12 T.   8 Pogeli epist. III 13; 29, in fine, T.       POR; E  quin mandaui isti monacho, ut uel ipse secum defer-  ret, nam credit se rediturum brevi, uel per alium mo-  nachum curaret deferendum : alios (sc. libros) iussi por-  tari Nurimbergam, hunc uero Romam proficisci recta  uia, et ita se facturum recepit ’.   Il Poggio aveva osservato, nell’ inventario presen-  tatogli dal monaco hersfeldese, dei libri classici che  erano ormai acquisiti alla repubblica letteraria ; e ne  traeva argomento per mostrare l’ ignoranza del frate  che, credendo nuovo per tutti quello che esso frate non  sapeva, aveva infarcito l’ inventario di libri già noti,  ‘qui sunt iidem (soggiunge il Poggio al Niccoli ') de  quibus alias cognouisti’. Probabilmente il Poggio dovette  vedere anche indicato nell’inventario del monaco hersfel-  dese quel tanto che già conoscevasi delle Rist. e degli ann.  di Tacito, e che egli stesso aveva avuto occasione di  leggere nell’esemplare, scritto ‘ litteris antiquis ’, che si  apparteneva a Coluccio Salutati o ad altri, e poi si  ebbe 1’ agio di osservare in un altro esemplare ( oggi  cod. Medic. II ) , scritto ‘ litteris Longobardis ’, presta-  togli dal Niccoli ? ed a questo restituito per mezzo di  Bartolomeo de’ Bardi. * Perciò egli nutrì la speranza di  venire presto in possesso anche di qualcuno dei primi  libri degli annali, che forse nell’inventario erano adom-  brati con qualche indicazione diversa da quella data  comunemente per il codice già noto; ovvero nella pre-  sunzione che il frate, ignorante di studi umanistici, non  avesse saputo determinare con chiarezza il cod.posseduto,    1 Poco epist. III 12 T. (17 maggio 1427).   ? Pogau epist. III 15 T. (21 ottobre 1427).   3 V. il poscritto della lettera del Poggio al Niccoli, in data  del 5 giugno 1428 (III 17 T.)    I    e da ciòla possibilità che questo cod. per avventura con-  tenesse altre parti non note dell’opera tacitiana; ovvero  per qualsivoglia altra ragione che a noi non è dato inve-  stigare. In tal modo può avere una spiegazione plausibile  l’insistenza del Poggio nel pretendere dal frate la con-  segna del ‘ uolumen Taciti ’, non ostante che prima, dato  uno sguardo superficiale all’ inventario , fosse rimasto  disingannato di quanto aveva sperato, e perciò avesse sì  poco pregiato i libri indicati e avesse notato di trat-  tarsi di ‘ res quaedam paruulae , non satis magno ae-  stimandae’; chè, ‘si quid egregium fuisset ’, serive e-  gli al Niccoli, ‘ aut dignum Minerua nostra, non solum  scripsissem, sed ipse aduolassem, ut significarem ’.! Ed  a rinnovellare le speranze venute meno nell’animo del  Poggio avrà certamente contribuito il discorso fattogli  da Niccolò da Treviri, uomo dotto ‘ et, ut uwidetur, mi-  nime uerbosus aut fallax ’, intorno ad un libro di Pli-  nio sulle guerre germaniche. * In questo libro pliniano  il Poggio dovette subodorare i primi libri degli anna-  les, perchè, come bene avverte il Voigt, questi « non  portavano più verun nome d’ autore »;? e però, men-  tre da un canto iniziava, sebbene con una certa dub-  biezza, delle pratiche col Trevirese per aversi il cod.    1 Poggi epist. III 12 T.   2 Poca epist. III 12 T. (17 maggio 1427): ‘ de historia Plinii  cum multa interrogarem Nicolaum hune Treuerensem, addidit  ad ea quae mihi d.xerat, se habere uolumen historiarum Plinii  satis magnum; tunc cum dicerem, uideretne esse /istoria na-  turalis, respondit se hunc quoque librum uidisse legisseque, sed  non esse illum, de quo loqueretur; in hoc enim bella Germa-  nica contineri '.   3 VoIGT-VALBUSA, Op. c., II 4, vol, I, p. 252.    rm BI   pliniano, ! dall’altro canto, per meglio riuscire nel suo  intento, onorifico e al tempo stesso lucroso, è possibile  che abbia sollecitato anche il monaco hersfeldese per  lo stesso cod. pliniano, in cui, come si è detto, credeva  di potere rinvenire i libri perduti degli ann.; ma di que-  sta seconda pratica nulla scriveva in particolare al  Niccoli, a cui soltanto prometteva, protestando la sua  sincerità , di dire a suo tempo quanto potesse inte-  ressarlo ?.    Le pratiche col Trevirese nel primo periodo non do-  vettero approdare a nulla, poichè costui, trattato ma-  lamente dalla Curia, se ne era allontanato sì malcon-  tento da non volerne sentire più di libri o di altro; 3  onde il Poggio si propose di mandare qualcuno in  Germania, che curasse di portargli i libri desiderati, 4    1 PocaIr epist. III 12 T.‘adhuc neque despero, neque confido  uerbis suis (sc. Nicolai Treuerensis) — litterae sunt a quodam  socio suo, cui librorum mittendorum curam delegauit, se mi-  sisse libros Francofordiam, ut exinde Venetias deferrentur ’.  Notisi quanto mistero in quei negoziati, forse per non susci-  tare i sospetti degli amministratori dei monasteri, dai quali  venivano esportati, probabilmente per vie illecite, quei codd.  preziosi. Era forse ad Augsburg o a Dortmund il luogo in cui  conservavasi il cod, pliniano dei bella Germaniae (cf. MaAss-  MANN, Op. c., p. 179), ovvero nella stessa Frankfurt a/M? Hers-  feld non è molto distante da questa città.   2 Pogcit epist. III 12 T. ‘ hie monachus eget pecunia: ingres-  sus sum sermonem subueniendi sibi, dummodo ...... et nonnulla  alia opera quae, quamuis ea. habeamus, tamen non sunt ne-  gligenda, dentur mihi pro his pecuniis — haec tracto; nescio  quid concludam: omnia tamen a me scies postea.   3 PogaIr epist. III 13 T. (31 maggio 1427): cf. epist. III 14 (27  settembre 1427).   4 Pool epist. III 13 T. ‘ ego solus uolui aliquem mittere in    ns BA: n  Ma dopo non guari Niccolò da Treviri riapparve nel mo-  vimento del commercio librario :! nessun vantaggio  ebbe a ricavare il Poggio dal ritorno del Trevirese, in  quanto al codice pliniano delle guerre germaniche e,  fors° anche, in quanto ai libri di Tacito non ancora  noti? Certo non viè documento, apparso fin oggi, che  ci dia in proposito notizie precise. Ma il Voigt bene  avverte non essere probabile che il Poggio ed il Niccoli  vi avessero rinunziato, e « quel silenzio non sì spieghe-  rebbe meno, se il codice fosse venuto in Italia per vie  segrete ». ?   Intorno ai risultamenti definitivi delle pratiche a lun-  go continuate tra il Poggio e il monaco hersfeldese,  non è improbabile la congettura del Voigt, che e per  le vive insistenze del Poggio stesso e per l’ efficacia  indubitata del danaro mediceo, alla fine il codice (* uo-  lumen illud Corn. Taciti et aliorum, quibus caremus’ )  sia stato portato a Roma o a Firenze; « diversamente,  soggiunge il Voigt, quegli amici umanisti non si sa-  rebbero dati più pace. Ma le vie difficili e tortuose,  con cui si giunse ad averlo, spiegano abbastanza, per-  chè il libro sia stato tenuto nascosto per una intera  generazione, dissimulandone il possesso, come quello  delle due parti degli annali ».* Or, si conserva un cod.  su cui si modellò la ‘ ed. princ. ’? stampata a Venezia,  probabilmente da Vindelin da Spira, verso il 1469 o il    Germaniam, qui curaret libros huc afferri: sed nolunt qui nolle  possunt, et deberent uelle”.   1 PoccI epist. III 29 (26 febbraio di e IV 4 T. (27 dicem-  bre 1428).   2 VoIGT-VALBUSA, Op. c., Il 4, vol. I, p. 252.   3 VoIGT-VALBUSA, Op. c., II 4, vol. I, p. 256.    i È  1470: esso contiene gli. ultimi libri degli ann. uniti,  mediante numerazione successiva, coi libri che restano  delle Rist. ?, poi la Germ. e il dial. ; è il cod. Vindobo-  nensis del sec. XV, di scrittura bella ma non accurata,  che a Mattia Corvino, re di Ungheria, provenne, senza  dubbio, da Firenze.? Il cod. Vindobon. porta la data del  1466, perciò è posteriore alla morte del Poggio‘: non  putrebbe, per tanto, essere stato una copia, fatta con poca  diligenza da qualcuno degli scribi del Poggio, sul cod.  primitivo o sur un apografo, venuto a Roma o a Firenze,  di provenienza hersfeldese? « Non è punto provato,  avverte il Ramorino, che tutti i Taciti diffusisi nel 400  provenissero dal secondo Mediceo ».° Sicchè, se la no-  stra congettura, avvalorata dalle ricerche precedenti e  non contrastata da alcun documento, è attendibile, non  è forse da ammettersi che il frate hersfeldese, ottempe-  rando alle pressanti richieste del Poggio, abbia aggiunto,       1 Seguo l'opinione del Massmann, op. c., p. 23, accolta dg  Carlo Castellani, il quale, in una nota segnata sulla copertina  dell'esemplare che conservasi nella bibl. V. E. di Roma, attri-  buisce la ‘ princeps’ a Vindelin da Spira. Vedi’ introd. all’ ed.  delle opp. di Tac. fatta dal Jacob, 1885, vol. I, p. XXXV..   ? Ma delle hist. mancano gli ultimi tre capp. del lib. V, cioè  24, 25, 26 e circa metà del c. 23: si giunge sino alle parole  ‘nauium magnitudine potiorem * (V 23), come nel cod. Vatic. 1863.   3 Il Massmann, il Michaelis ed altri edd. di Tac. fanno men-  zione del cod. Vindobon.: di proposito ne tratta il HimER, in  Zeitschrift fur die bsterr. Gymn. 1878, p. 801.   4 Il Poggio mori il 30-X del 1459: v. i fonti di questa data  nell’ opusc. di G. A. CESAREO, un bibliofilo del quattrocento, p. 5,  2.à eol., nota 2 (estratto dalla riv. Natura ed arte, a. I, 1891-92).   5 RAMORINO, disc. c., p. 96, nota 49.   CONSOLI: L’ autore della Germania. 5    ASTRA    ca Bi   probabilmente in copia, al ‘ uolumen Corn. Taciti * una  parte, l’introduzione forse, insomma quel che aveva po-  tuto avere, del cod. pliniano delle guerre germaniche, nel  quale il Poggio si aspettava di rintracciare i primi libri  degli ann. tacitiani? Ne sarebbe così derivata, o per  preconcetto del Poggio o per interessata annuenza del  frate tedesco o di altri (non escluso Niccolò da Treviri)  alle esigenti aspettative del Poggio, la intitolazione a  Tacito di una parte dei Germanica bella di Plinio Se-  condo.   Se, dunque, si ammette che fonte del cod. Vindobon.  sia stato il cod. o l’apografo venuto dalla Germania per  i lunghi e pertinaci maneggi del Poggio, e tenuto per  qualche tempo accuratamente nascosto in Firenze, si  spiega agevolmente il perchè fossero noti in Italia la  Germ. e il dial. prima ancora che si avesse notizia dei  codd. portati, sul declinare del 1455, da Enoch d’Ascoli.!    1 Nella bibl. di Cesena si conserva un ms. della Germ., che,  secondo il cat. del Muccioli, appartiene forse al sec. XIV. Tale  indicazione apparve inesatta al LEHNERDT (Enoche v. Ascoli  und die Germania des T.s, in Hermes, vol. XXXIII, fasc. 3°,  p. 504), perchè nel ms. è disegnato lo scudo e il nome di Ma-  lat[esta] N[ouellus], vicario apostolico di Cesena e fondatore di  quella bibl., morto nel 1465. Veramente la data del sec. XIV è  da reputarsi molto anteriore alla vera: ma non poteva il ms.  essere stato copiato sur un cod. o un apografo anteriore al-  la divulgazione dei libri portati da Enoch in Italia? non era  forse Malat. Novello in vita ed in grande autorità prima del  1455? Un altro ms, della Germ., più corretto del precedente,  è incluso nel cod. segnato D IV 112, che si conserva nella bibl.  Gambalunga di Rimini; porta la data del 1426, secondo il cat.  del prof. Attilio Tambellini (v. G. MAZZATINTI, inventari dei mss.  delle biblioteche d' Italia, Forlì 1892, vol. IL, p. 165, n.° 23), la    — 607 —    II. — Per altra via, qualche tempo dopo, gli umani-  sti del ‘400 ebbero di nuovo notizia della Germ. : se  ne ascrive il merito ad Enoch di Ascoli. ! Era questi  un mediocre erudito, ? che aveva passato alcuni anni  in Firenze, prima quale maestro dei figli di Cosimo  de’ Medici, e poi con l’ ufficio di ripetitore nella  fa-  miglia de’ Bardi; indi insegnò belle lettere in Ascoli  e in Perugia. Sia per rapporti personali che egli ave-  va col papa, sia per autorevoli lettere commendatizie  concesse da Cosimo de’ Medici, a cui era stato prima  raccomandato dal dotto Ambrogio Traversari, generale  dell’ ordine dei Camaldolesi$ fu prescelto da Niccolò V  per fare delle ricerche di codd., specialmente delle de-  che perdute di T. Livio, nelle biblioteche delle chiese    quale data il LEHNERDT (I. c., p. 505) e R. RETZENSTEIN (zur Texrt-  geschichte der Germania, in Philologus vol. LVII (n. s. XI),  fasc. 2°, p. 367 sg.) ritardano giustamente sino al 1476; tanto  più che chi scrisse l’apografo, certo Rainerius Maschius da  Rimini, dichiara di averlo scritto allorchè ‘ dicebatur oratores  imperatoris et regis Gallorum et aliorum ultramontanorum ue-  nire ad oranlum Sixtum IIII pontificem'; perciò dopo il 1471,  anno in cui fu assunto alla tiara Sisto IV della Rovere.   4 Per i funti delle notizie intorno ad Enoch d'Ascoli, v. ALFRE-  Do REUMONT, aneddoti storico-letterari, in Archivio storico ita-  liano, serie III, t. XX (1874), pp. 188-189. VOIGT-VALBUSA, OP. C.,  vol. II, pp. 192-194.   2 Si deve riconoscere un encomiv esagerato in quel che scrisse  di lui Gius. LENTO, clarorum Asculanorum praeclara facinora,  Romae 1622, p 37: ‘ Enochus, sapienti et altiore mente prae-  ditus, omnem mouere lapidem, donec res (cioè, la scoperta di  codd. antichi) prospere scilicet cesserit. quam ob rem non so-  lum nutantes litteras Latinas confirmauit, uerum Graecam fa-  cundiam tuendo melius propagauit latius.'   3 A. TRAVERSARII epist., p. 335, ed. Mehus.    — 6R—  e dei chiostri dell’ Europa settentrionale. Enoch partì  per il suo viaggio di esplorazioni letterarie nella pri-  mavera del 1451 : visitò l’ isola di Seeland, e di là scris-  se una comunicazione a Leon Battista Alberti.! Poi non  diede più notizie di sè,” salvo quelle accennate dal Pog-  gio in una lettera, con la frase sarcastica: ‘ Enoch E-  sculanus, qui adeo diligens fuit, ut nihil iam biennio  inuenerit dignum etiam indocti hominis lectione ’.8 Pro-  babilmente, se si accoglie la testimonianza del Filelfo,*  Enoch penetrò nella penisola scandinava. Non si ha  alcuna notizia intorno alla via del ritorno: è possibile  che abbia percorso, per fare ritorno in patria, la Ger-  mania e vi abbia fatto delle indagini per iscoprire dei  codici. Si conserva ancora nell'archivio di Kònigsberg  il breve, con cui Niccolò V raccomandava al gran mae-  stro dell’ Ordine teutonico, Ludwig von Erlichshausen,  il ‘ dilectum filium Enoch Esculanum......... qui diuersa  loca et monasteria inquirat, si quis ex ipsis deperditis  apud uos libris reperiretur ’.5 Ma non è provato da alcun       1 GrroL. MANCINI, vila di L. B. Alberti, Firenze i882, p. 328 sg.   2 Onde il Poggio ironicamente scriveva: ‘ ille enim Enoch a-  deo solers et diligens fuit, ut ne uerbum quidem ad me adhuc  scripserit’; epist. X 17 T. (22 gennaio 1452 [1453]).   3 Poca epist. IX 12: la lettera non porta data; è probabile  che sia stata scritta nel 1453.   4 Nella lettera del Filelfo a Callisto III, del 19 febbr. 1456,  (epist. Ven. 1502) si legge: ‘is enim Enochus in Daciam (/. Da-  niam) usque profectus est, et, ut referunt aliqui, in Candauiam  (. Scandinauiam) usque, quae quam longissime ultra reliquas  omnes insulas, de quibus exstet memoria apud priscos rerum  scriptores, posita est in mari oceano e regione Germaniae ad  septentrionem ’.   5 VOIGT-VALBUSA, Op. c., V ©, vol, II, p. 193,       lm    documento, che Enoch sia stato in Hersfeld ed abbia fatto  delle ricerche in qualche monastero di quella città. E,  del resto, a qual fine visitare i monasteri di Hersfeld, per  i quali egli avrebbe « senza dubbio ricevuto istruzioni  esatte da Poggio »,' se il monaco tedesco, con cui ebbe  a trattare il Poggio per il‘ uolumen illud Corn. Taciti  et aliorum ’, era, è vero, « nativo di Hersfeld », ma  « stava nel convento di Niirnberg, e andava e tor-  nava spesso da Roma per interessi del monastero »,°  cioè del monastero norimberghese ? In ogni caso, non  sarebbe una congettura priva di fondamento, che Enoch,  nel suo viaggio di ritorno, avesse visitato qualcuno  dei monasteri di Nirnberg, secondo le possibili istru-  zioni dategli dal Poggio.   Enoch ritornò a Roma sul declinare del 1455, 5 por-  tando seco alcuni codici ; ma non vi trovò liete acco-  glienze, come egli sperava, perchè Niccolò V, suo pro-  tettore, era morto, e il nuovo papa Callisto III non  mostravasi benevolo verso gli umanisti e le loro ricerche  letterarie. Aggiungasi che gli eruditi, tanto a Roma  quanto a Firenze, non mostravano benevolenza per lo  Ascolano, poichè questi si era deciso a non concedere  copia alcuna de’ suoi codd., prima che fosse stato. de-  gnamente rimunerato delle sue fatiche. Scriveva, infatti,    1 Studi ital. di filol. class. vol. VII, p. 130.   ? Studi ital. di filol. class. vol. VII, p. 128.   8 « Forse nel novembre », aggiunse VITTORIO Rossi nella no-  ta: l'indole e gli studi di Giovanni di Cosimo de’ Medici, no-  tizie e documenti; pubblicata nei Rendiconti della R. Accad.  dei Lincei, classe di scienze morali, storiche e filologiche : es=  tratto dal vol. II, fasc. 19, Roma 1893. A p. 34 sg., n. 4, lo di-  mostra ampiamente,    A] Je    Carlo de’ Medici, protonotario apostolico , al fratello  Giovanni: « sì che vedete se volete gettare via tanti  danari per cose, che la lingua latina può molto bene  fare senza esse, che a dirvi l’oppenione di molti dotti  uomini, che gli anno visti, da questi quattro infuori che  sono segnati con questo segno x, tutto il resto non vale  una frulla ».'! Ciò non ostante Carlo de’ Medici mandò  al fratello, insieme con la lettera cit., l’inventario dei  codd. portati da Enocb. Su questo inventario si deter-.  minò meglio l’opinione punto benevola che i dotti fio-  rentini si erano formata per lo scopritore : di essa si  rese interprete Vespasiano da Bisticci che, per ispiegare  quel che tenevasi cattivo risultamento del viaggio fatto  da Enoch per investigazioni letterarie , scriveva nella  sua biografia del « maraviglioso grammatico » : « istimo  che procedesse per non avere universale notizia di tutti  gli scrittori, e quegli che erano e quegli che non si tro-  vavano ». # Or, come mai si può conciliare tanta non-  curanza , non diciamo dispregio , per i codd. scoperti  dall’ Ascolano, se tra questi era compreso quel codice  hersfeldese, o meglio norimberghese, per il cui possesso  si era sì lungo tempo e con tanta persistenza affati-  cato il Poggio, d’ accordo col Niccoli ? Non è lecito  forse da questa contraddizione argomentare che il cod.,  che si vuol dire hersfeldese, fosse probabilmente venuto  prima in possesso del Poggio? 3 Sarebbesi questi mo-    1 GAxE, carteggio I, p. 163 sg. Vitt. Rossi, opusc. c., II, p. 27.  La lettera del Medici porta la data del 13 marzo 1456, st. com.;  1455, st. fior.   ? VESPASIANO, vile d'uomini illustri del sec. XV, ed. Bartoli,  p. 511.   8 Volet-VALBUSA, Op. c., V 5, vol, II, p. 194, nota 2: suppone    si  strato così indifferente per le scoperte di Enoch, e avrebbe  con la sua indifferenza provocato quel giudizio sì freddo  e altezzoso della scuola umanistica fiorentina, sulla quale’  valeva molto la sua grande autorità, se non avesse  posseduto prima del ritorno di Enoch, avendolo in un  modo qualsiasi ottenuto, un esemplare del cod. che per  lunghi anni aveva così vivamente ambito ?    III. — Enoch, disingannato per la fredda accoglienza  avuta e dai dotti umanisti e dai principi mecenati , si  ritirò ad Ascoli, dove poco dopo mori. Quand’ egli si  ricoverò nella sua città nativa, dovette portare seco i  codici che, per la forte remunerazione che si aspettava  di duecento o trecento fiorini, non aveva potuto trovare  occasione di cedere ad alcuno; e che egli avesse. con  sè i detti codici prima di morire, c’ induce ad ammet-  terlo una lettera del protonotario apostolico Carlo de’  Medici, del 10 dicembre 1457, nella quale questi serive  al fratello Giovanni che, avuta notizia della morte di  Enoch , sì era affrettato a scrivere a Stefano de’ Nar-  dini, da Forlì, allora « governatore di tutta la Marca »,  per pregarlo di mandargli, se non gli originali, almeno  le copie dei codici dell’ Ascolano. !   Non si ha alcuna notizia certa intorno alle persone  che vennero in possesso dei codici portati da Enoch.  Quando questi giunse a Roma, dopo la sua lunga pere-  grinazione per i paesi nordici, dovette certamente, oltre  al presentare degli elenchi dei libri scoperti, permettere  anche di osservare i libri stessi; ma non permise a nes-    che nell’ elenco di Enoch non fossero stati inclusi gli scritti di  Tacito e di Suetonio.  1 Vitt. Rossi, opusc. c., VIII, p. 30.    naz  suno di trarne copia, prima che gli si fosse data una de-  gna remunerazione per la scoperta fatta.! Perciò, finchè  egli fu in vita, i codici che aveva scoperti rimasero in suo  potere. Aveva tentato, è vero, confortato forse dalle e-  sortazioni dell’ Aurispa *, di offrirli a re Alfonso; ma  il risultamento delle nuove pratiche non dovette essere  conforme ai desideri di Enoch. Non è però improbabile  che, dopo la morte di Enoch, i codici di lui siano pas-  sati, mediante gli abili maneggi di Carlo de’ Medici e  la cooperazione di Stefano de’ Nardini, nella biblioteca  di Giovanni di Cosimo de’ Medici , e perciò a servizio  degli umanisti fiorentini. Un’ allusione a ciò pare di    1 Carlo de’ Medici scriveva al fratello Giovanni, in data del  13 marzo 1456 (1455, st. fior.): « Lui (Enoch) per insino a qui  non ha voluto farne copia a persona, imperò dice non vuole  avere durate fatiche per altri, e non delibera darne copia al-  cuna, se prima da qualche grande maestro non è remunerato  degnamente, ed ha oppenione d’averne almanco 200 o 300 fio-  rini ». GAYE, Op. c., I, p. 163. Vitt. Rossi, opuse. c., p. 27. —  Sino al dicembre 1457, quando già era ‘avvenuta la morte di  Enoch, nè Carlo de’ Medici né il card. di Siena avevano po-  tuto avere gli originali o le copie dei libri nuovi lasciati dal-  1 Ascolano : v. lett. VIII del 10 dicembre 1457, in Virt. Rossi,  opusc. c., pp. 30-31.   2 V. la lettera dell’Aurispa al Panormita, del 28 agosto 1455,  in SABBADINI, biogr. documentata di Giovanni Aurispa, Noto  1890, p. 128; e v. la chiusa di un’altra lettera dello stesso Au-  rispa al Panormita, del 13 dicembre 1455, pubblicata nel cit.  libro del Sabbadini, p. 133. Ma la data della prima lettera de-  ve essere portata un po’ più tardi, probabilmente al 1457, come  han dimostrato con validi argomenti il CESAREO, opuse. c., I,  p. 4, col. 12, e il Rossi, opusc. c., pp. 34-35, nota 4.    A RES  scorgere in una lettera scritta da Carlo de’ Medici, il  13 gennaio 1458. !   In qual modo pervenne ad averne notizia, e come si  ebbe l’agio di farne l’apografo Gioviano Pontano, il  quale viveva lontano dai circoli letterari di Roma e  di Firenze? Nessun documento ci aiuta, per ora, a de-  terminare una risposta precisa e certa al quesito pro-  posto; e nulla c’ è da spigolare nè da congetturare  dalle due note attribuite al Pontano, che si leggono  nel cod. Leidens. Perizon. Ma è possibile che nuove ri-  cerche sulle vicende di alcuni codici di fonte (come  credesi) pontaniana , i quali si conservano nella bi-  blioteca di Minchen, p. es. il cod. degli Argon. di  Val. Flacco , ? e il cod. che contiene il libro An-  dreae Floci Florentini de Romanorum magistrati-  bus ac sacerdotiis;* e nuove indagini negli archivi di  Firenze e di Napoli chiariscano le relazioni che ebbe  il Pontano con gli umanisti fiorentini, dai quali pro-  babilmente si ebbe facoltà di prender copia dei codici  d’ Enoch, che egli trovava ‘ mendosos et imperfectos.’  Ma le congetture concernenti le relazioni del Pontano  con la scuola umanistica fiorentina non tolgono la pos-    4 Nella cit. lettera del Medici (v. Rossi, opusc. c., IX, p. 31)  si legge: « Per una vostra sono avisato come aveste la lettera  mi scrisse m. Stephano de Nardinis supra quelli libri di Enoc;  non ho poi altro, ma non dubitate che per essere il pri-  mo che gl’abbia,non v’àanno acostare uno de-  naro di più ». Il Rossi tuttavia resta in dubbio « se quei  maneggi sortissero l’effetto desiderato » (pag. 39).   2 Nel cod. Lat. 802 (cod. Victorin. 123) leggesi appunto l' an-  notazione ‘emit Florentiae Iouianus ’.   3 Nel cod. Lat. 822 (cod. Victorin. 162) c'è la nota ‘ est Io-  uiani Pontani. Florentiae, MCCCCLXV III ',       i    sibilità, che egli sia venuto a conoscenza dei codici e-  nochiani, per acquisto che abbia fatto degli stessi la  corte di Napoli; sebbene, in tal caso, non ci sarebbe  stato altro scopo per trarne copia, che quello di cor-  reggerne le mende numerose. Ma nessun documento nè  indizio ci aiuta per affermare o congetturare ciò.   Fatto certo è che il così detto cod. hersfeldese, quale  fu portato da Enoch a Roma, non si conservò in nes-  suna biblioteca: era scritto su pagine divise in colon-  ne, e per la Germ. presentava (se quanto afferma il De-  cembrio, è da riferirsi al cod. anzidetto !) la particola-  rità dell'uso della v. ‘inscientia ? nel cap. 16, 6, invece  di ‘inscitia’; mentre, come è noto, nel sec. XV era  invalsa generalmente l’ usanza di scrivere le pagine  dei libri per intero, senza dividerle in colonne; e in>  oltre, in nessun cod. della Germ., finora conservato,  osservasi la v. ‘ inscientia ’ nel 1. c. ?    IV. — Quanto all’ elenco dei libri portati iu Italia da  Enoch d’ Ascoli, non abbiamo testimonianze del tutto  concordi nè complete. Bartolomeo Platina ne nota due:  il de re coquinaria di Celio Apicio e il comm. ad Ora-  zio di Porfirione.* Degli stessi due libri fa menzione  Vespasiano da Bisticci. 4    1 Vedi SABBADINI, il ms. hersfeldese etc., in Rio. di filol. e d’i.  cl., a. XXIX (1901), p. 262.   ? Soltanto il cod. della bibl. Angelica (‘ Augustinorum’ ) Q 5,  12 del 1466, e il cod. Kappianus (K del Massmann) presentano  “iusticia’ invece di ‘ inscitia ”.   3 PLATYNAE de uitis max. pont. hist. periocunda, Venet. (Ph.  Pincio Mantuano) 1511, fol. 150,   4 VESPASIANO, l. c.    Par | pes   Il Panormita apprese da Teodoro Gaza che tra le  scoperte enochiane erano Apicio e un Caesaris iter;! e  l’Aurispa, in una lettera del 13 dicembre 1455, diretta al  Panormita, enumera: a) l’Apicio, cui chiama ‘ pauperem  coquinarium ’, inferiore nell’arte culinaria alla sua cuo-  ca; b) il Caesaris iter, che ‘ prosa oratione est, non  uersu’; c) il commento di Porfirione, che a lui sem-  bra ‘ magis aestimandus quam quicquam aliud ab ipso  allatum ?.* Il ‘ quicquam aliud ’ della frase dell’Aurispa  può tanto riferirsi ai due libri menzionati prima, Api-  cio e il Caesaris iter, quanto alle altre novità librarie  recate da Enoch, le quali l’Aurispa non credeva degne  di essere rammentate; chè non può supporsi che egli  le ignorasse, se scriveva al Panormita: ‘eum qui co-  dices hos inuenit et Romam perduxit ad uos mittam  cum omnibus musis suis”.   Carlo de’ Medici chiedeva a Stefano de’ Nardini che  dei codici nuovi lasciati da Enoch, morto ad Ascoli,  gli mandasse: « Appicius de re quoquinaria, Porfirione  sopra Oratio, Suetonio de uiris illustribus, Itinerarium  Augusti ».* Dovevano essere gli stessi quattro libri  che avea contrassegnati nella lettera del 13 marzo 1456  a Giovanni de’ Medici; poichè il resto dei libri portati  dall’Ascolano non valeva, secondo lui, « una frulla » ‘.    1 Nella lettera del Panormita all'Aurispa (v. SABBADINI, dbiogr.  doc. di G. Aurispa, p. 133, n. 1) si legge: ‘ fac tecum deferas A-  picium coquinarium et Caesaris « iter », nuperrime, ut refert  Theodorus tuus nunciam meus, inuentos Romamque perductos ’.   2 La lettera dell'Aurispa è cit. a p. 72, nota 2.*   8 Di questo incarico dato al Nardini egli scrive al fratello Gio-  vanni, nella lett. del 10 dicembre 1457: v. VITT. Rossi, opusc. c.,  VIII, pp. 30-31.   4 Vitt, Rossi, opusc, cit., II, p. 27.    TR (; pere   Talchè ai tre libri che già conosciamo per le testimo-  nianze sopra indicate, bisogna aggiungere, secondo quel  che scriveva Carlo de’ Medici, il libro di Suetonio de  uiris illustribus (non de grammaticis et rhetoribus).  Oltre questi quattro libri, null’ altro sappiamo degli al-  tri libri portati da Enoch.' Nè a riempiere la lacuna può  valere la testimonianza, testè data alla luce, di P. C.  Decembrio; poichè questi non dice, nè lascia in alcun  modo intendere, che i quattro libri segnati nella nota  (Germ., Agr., dial. de oratoribus e Suetonio) si deb-  bano comprendere tra le recenti scoperte di Enoch. L’a.  1455 a cui, nella nota del Decembrio, si accompagnano  le parole ‘ Cornelii taciti liber reperitur Rome uisus ”,  vale a indicare in qual tempo l’autore dello zibaldone  ebbe notizia o vide i libri che nota nell’ elenco, non  la data della scoperta di Enoch; chè, se intendimento  di lui fosse stato accennare in un modo qualsiasi tale  data, avrebbe certamente aggiunto qualche parolaana-  loga a quelle che si osservano nella nota del cod. Leid.  Perizon. ‘ nuper adinuentos et in lucem relatos ab E-  noc Asculano ?. :   Nulla, per tanto, osta ad ammettere che il Decembrio  abbia potuto attingere le notizie che trascrive nel suo  zibaldone a tutt’ altra fonte, che non a quella dei co-    1 Appare inesatta l’asserzione, che nella lista di Carlo de'  Medici sia notata la sola opera di Suetonio « certamente per-  chè essa nel cod. occupava il primo posto » (v. Studi ital. di  filol. class. vol. VII, p. 130, nota 4); perocchè , argomentando  da una nota di Pier Candido Decembrio (Riv. di filol. e d'’ i.  cl., a. XXIX (1901), fasc. 2°, p. 268) l’opera di Suetonio occu-  pava, invece, nel cod. l'ultimo posto.       — 77 —    dici portati da Enoch! : probabilmente le avrà attinto al  codice del monaco hersfeldese, in quanto che verso la  metà del sec. XV questo cod. doveva essere già per-  venuto tra le mani del Poggio. Il Decembrio, come è  noto, sin dal 1450 era al servizio della Curia romana.  Se, al contrario, si volesse ammettere che il Decembrio  fosse stato uno dei primi, anzi risolutamente il primo ?,  a vedere il così detto cod. hersfeldese delle opere mi-  nori di Tacito, portato in Italia da Enoch, si andrebbe  incontro ad un’affermazione indubitata di Carlo de’ Me-  dici, il quale scriveva al fratello: « a dirvi l’oppenione  di molti dotti uomini, che gli Anno visti (cioè, i libri  portati dall’Ascolano), da questi quattro infuori che so-  no segnati...., tutto il resto non vale una frulla » :3 e  i quattro libri, l'abbiamo osservato sopra, erano Apicio,  Porfirione, Suetonio e l’Itinerarium. Sarebbe stato mai  possibile che i quattro libri segnati nella nota del  Decembrio fossero stati giudicati per « una frulla » da  quei dotti uomini, che costituivano, diremo così, il fiore  della scuola umanistica romana nel sec. XV ?   È da notarsi, inoltre, che il libro di Suetonio, accen-  nato da P. C. Decembrio, ha per titolo de grammati-    4 Si noti la differenza tra il tit. della Germ. segnato dal De-  cembrio (de origine et situ Germaniae) e quello scritto nel cod.  Leid. Perizon. (de origine situ moribus ac populis Germano-  rum), attribuito al Pontano. Se il Decembrio e lo scrittore del  cod. cit. avessero attinto la denominazione della Germ. alla stes-  sa fonte, non avrebbero certamente mostrato alcuna discre-  panza quanto al tit. del libro.   ? Così opina il Sabbadini : v. Rio. di filol. e d’i. cl., a. XXIX  (1901), p. 263.   3 Lett, cit. del 13-III 1456: v, Vitt. RossI, opusc, c., II, P. 27.    nun E   cis et rhetoribus, il quale non corrisponde al tit. de  viris illustribus, che si legge nella lettera di Carlo de’  Medici. Egli è vero che il secondo tit. include in sè l’altro,  come il genere contiene la specie; ma un titolo pre-  ciso, tutto proprio, doveva averselo il libro di Suetonio,  portato dall’Ascolano. Nel cod. Leid. Perizon. è scritto:  ‘ Caii Suetonii Tranquilli de wiris illustribus liber in-  cipit. » de grammaticis ’; e in fine la nota: ‘ amplius  repertum non est adhuc. desunt rhetores XI”. Certo,  l’ indicazione del Decembrio risponde meglio al conte-  nuto di quanto rimane del libro di Suetonio ; mentre  l’ indicazione di Carlo de’ Medici si riferisce alle notizie  che si avevano intorno ad un libro di Suetonio de wi-  ris illustribus, del quale si era giovato S. Girolamo  per scrivere le vite degli uomini illustri, dall'età degli  apostoli sino a” suoi tempi.' E non pare perciò impro-  babile la congettura, che Enoch, per indicare nell’ in-  ventario il libro di Suetonio, avesse usato il titolo  de uiris illustribus, a fin di attirar meglio sui suoi co-  dici 1’ attenzione dei dot ti; stante che allera era divul-  gata la leggenda, che Sicco Polenton (de’ Ricci), dopo  essersi servito dell’ opera di Suetonio, per compilare il  suo libro de scriptoribus linguae Latinae, 1’ avesse di-  strutto col proposito di togliere qualsiasi prova a chi si  fosse avvisato di accusarlo di plagio.? In appoggio di tale  congettura, vale molto la nota, attribuita al Pontano,  che leggesi nel cod. Leid. Perizon: in essa, oltre l’ in-  vettiva contro Sicco Polenton per la pretesa distruzio-    i HieroNnyM. epist. XLVII ad Desiderium, t. I, col. 209, Veron.  1734; prol. ad Dextrum praet. praef. in libr. de uiris illustri-  bus, t. II (1735), col. 807.   ? Vitm. Rossi, opusc. c., p. 37 sg.    — 79 —    ne di quella parte del libro di Suetonio, ‘ quae est de  oratoribus ac poetis’, si trae occasione di lamentare  che Bartolomeo Fazio non avesse potuto, per l’ imma-  tura morte (novembre 1457),' leggere lo scritto di Sue-  tonio, mentre componeva il libro de uiris illustribus  temporis sui. Di modo che, con l’ intitolare de wiris  illustribus il libro di Suetonio, si volle indicare il con-  tenuto del libro molto maggiore del vero, non tanto,  forse, per trarre in inganno chi si fosse deciso a compra-  re il codice, quanto per avvicinare la scoperta di Enoch  al libro compilato dal Polenton ed alle vite degli uomini  illustri del Fazio.   Non si può disconoscere che, se Enoch aveSse portato  seco degli scritti di Tacito, così pregiati dai dotti uma-  nisti del sec. XV, non avrebbe di certo tralasciato di  dar loro evidenza, compilando 1’ elenco dei libri sco-  perti durante il suo viaggio nell’Europa settentrionale.  Nè è ammissibile che alla diligenza d’ un cercatore  di codici, scelto appunto per tali indagini da un pon-  tefice di mente superiore e d’ illuminata liberalità, qua-  le fu Niccolò V, fosse sfuggito il nome di Tacito, ove  questo nome si fosse trovato scritto sul frontespizio di  qualcuno dei codici o dei libri contenuti in uno stesso  codice; nè l’intendimento di trarre vantaggio dal met-  tere in prima linea il nome di Suetonio poteva essere  d’ ostacolo , che si scrivesse il nome di Tacito accanto  o anche dopo quello di Suetonio, se in realtà il nome  di Tacito si trovava in fronte a qualcuno dei libri  portati da Enoch in Italia. L’ importanza di Tacito nei    1 ZENO, diss. Voss., Ven. 1752, p. 70 sg.       — 80 —    giudizi degli umanisti del sec. XV non era inferiore a  quella attribuita a Suetonio. !   Molto meno attendibile ci sembra l’ avvertenza, che  fu omessa la menzione del nome di Tacito nella lettera  del Medici, 10 dicembre 1457, perchè questi vide solo  al principio del codice il libro di Suetonio. ®? Appare,  infatti, da un’ altra lettera di Carlo de’ Medici, con la  data « Roma, 13 marzo » (1456 st. com., 1455 st. fior.),3  che egli ebbe sott’ occhio l’ inventario compilato da E-  noch, non il codice, sul quale inventario contrassegnò  quattro libri, i migliori secondo « l’oppenione di molti  dotti uomini, che gli Anno visti ». E di più nella cit.  lettera del*°10-XII 1457 non si fa elenco di codici, ma  solamente di libri, e tra questi il de wiris illustribus  di Suetonio occupa il terzo posto. Or, se Carlo de’ Me-  dici vide 1’ inventario presentato da Enoch e non i co-  dici, molto meno probabile appare la congettura, che  egli abbia veduto « una semplice copia, affine al cod.  Vaticano 4498, che reca tutte quattro le opere in que-       1 Arrogi una considerazione: come si potrebbe conciliare la  niuna menzione della Germ. nell'inventario delle scoperte del-  l’Ascolano, col fatto che per avidità di guadagno i cercatori e  mercatanti di codici dicevano talvolta cose non vere o esage-  ravano:quel che realmente si era scoperto? Valga d' es. il ca-  so di Niccolò da Treviri: questi nell'inventario dei libri nuovi  mandato al Poggio scrisse di avere presso di sè un ‘ uolumen in  quo sunt XX comoediae Plauti' (v. Poca epist. III 29 T.); e  poi, invece, ne portò sedici (v. PocaIt epist. IV 4 T.).   ? Cosi appunto si legge in Studi ital. di filol. class. vol, VII,  p. 130, nota 4; e Rio. di filol. e d'i. cl. a. XXIX (1901), fasc. 2,  p. 264. E dello stesso avviso è anche il LEHNERDT, in Hermes,  vol. XXXIII (1898), p. 501.   3 GAYE, Op. c., I, p. 163 sg. Vitt. Rossi, opuse. c., II, p. 27.    ASI RS    st’ ordine» Suetonio de grammaticis, Tacito Agricola,  dialogus, Germania ».! Aggiungasi che nella nota dello  zibaldone del Decembrio il libro di Suetonio occupa  l’ultimo posto, e la Germ. ha il primo parsa: anterio-  re, perciò, all’Agr. e al dialogus.*   Altre considerazioni c’ inducono ad ammettere come  probabile che, tra i libri portati da Enoch in Italia,  quelli attribuiti a Tacito mancassero dell’ indicazione  del nome dell’ autore. Dalla lettera del Panormita al    1 Rio. di filol. e d’i. el. 1. c. Ma in realtà il cod. Vatic. 4498  contiene Suetonius de grammaticis et rhetoribus nel terzo po-  sto: lo precedono Frontinus de aquaeduct. e Rufus de pro-  uinciis.   2 Perciò appare, ora, infondato, alla luce dei documenti testé  scoperti, il ragionamento del LEHNERDT |. c., p. 501: « dass in  Carlos Briefe nur Suetonius, nicht aber die beiden Taci-  teischen Schriften genannt werden, findet leicht eine Erklàrung.  Wir erfuhren schon aus einem frilheren Briefe, dass Enoche  mit seinen Schàtzen sehr zuritckhaltend war; so lag auch  den beiden Medici nicht der Codex selbst, sundern nur das In-  ventar Enoches vor, in dem, wie so hàufig, nur das erste  Werk der Sammelbandschrift aufgefihrt war ».  La spiegazione, invece, sarebbe tutta al contrario, perchè, se-  condo la nota dello zibaldone di Pier Candido Decembrio, la  Germ. è il primo senitto del cod.; l’ultimo è il de gramm. et  rhetoribus di Suetonio. y   3 Vitt. Rossi nell'opusc. c., p. 38, nota 1, scrive: « se poi E-  noch non trascrisse il cod. da lui scoperto, ma portò questo   stesso in Italia, può ben darsi gli sia sfuggito il nome di Ta-  cito, che, come nel cod. Perizoniano, dovea leggersi in fronte  al secondo opuscolo contenutovi, alla Germania, e non al pri-  mo, il dialogo de oratoribus ». Ma il MASsMann, op. c., p. 7,  descrivendo îl cod. Leid. Perizon. XVIII C 21, osserva che il  1° opusc. porta nel fol. I il soprascritto di colore rosso ‘ CoR-  CONSOLI n L’ autore detta Germania, 6    cn a    Guarini veronese, citata in principio del presente ca-  pitolo, apprendiamo che solo per congettura erasi at-  tribuito a Tacito il dialogus. Nè alla notizia precisa  data dal Panormita contrasta la nota del Decembrio,  per la quale si vuole riconoscere per vero « indi -  scutibilmente che il dialogo portava il nome di  Tacito »;! perocchè l’ affermazione del Decembrio de-  vesi riferire allo stato del codice o di un apografo del  codice, ventinove anni dopo che ne avea dato l’ annun-  zio il Panormita. Dopo tanti anni era possibile che il  Decembrio avesse veduto e descritto qualche esemplare,  proveniente forse dal cod. annunziato dal frate hers-  feldese, nel quale esemplare la congettura del Panor-  mita fosse stata accolta come notizia indubitata, e si  fosse ascritta a Tacito la paternità del dial.   Quanto all’ Agr. manca qualsiasi testimonianza, che  il libretto formasse parte del cod. portato da Enoch.  Il Decembrio lo nota soltanto nell’ elenco, senza indi-  care espressamente che l’Agr. era incluso nello stesso  cod., insieme con la Germ., il dial. e il Suetonio, e ne  teneva il secondo posto. Nè havvi alcun codice, in cui si  presentino riunite insieme le tre così dette opere minori  di Tacito e il de gramm. et rhetoribus di Suetonio, nel-  l’ordine stesso della descrizione che ne fece il Decembrio.   Alla mancanza di testimonio per l’Agr. non può sup-  plire, come pare a noi, il cod. Vatic. 4498; * perchè, co-    NELII TACITI DIALO-/gus de oratoribus incipit’: e la stessa os-  servazione ci è stata confermata, in una cortese lettera del 4-X  1901, dal prefetto della biblioteca universitaria di Leida sig. S. G.  de Vries, alla cui gentilezza ci siamo rivolti per avere delle  notiziecerte sull'argomento.   1 Rio. di filol. e d’ i. cl., 1. c., p. 264.   ? V. gli Studi ital. di filol. class. vol. VII, p. 130: si ammette       — 88 —-    me sopra si è in parte avvertito, ! in questo cod. non  si contengono raccolte le sole quattro opere che si di-  cono costituire il cod. hersfeldese, portato da Enoch in  Italia, e nemmeno nell’ ordine indicato dal Decembrio  (G. A. d. S.), ma vi si contengono anche: 1° Fronti-  nus de aquaeduct.; 2° Rufus de prouinctis ;.... 4° [ Pseu-  do-] Plinius de viris illustribus ;..... 8° M. Iunii Nypsi  de mensuris ; 9° incerti de ponderibus ; 10° Senecae  apokolokyntosîs ; 11° Censorinus de die natali. Di que=  sti scritti alcuni, come p. es. il de aquaeduct. di Fron-  tino,? erano già noti prima che il cod. dell’ Ascolano  fosse stato portato in Italia.    V.— Resta la testimonianza che dicesi del Pontano,  scritta sul cod. Leid. Perizon., la quale avrebbe un no-  tevole valore, se prima si chiarissero, mediante la sco-  perta di nuovi documenti, le difficoltà presentate dal  Voigt * e accolte dal Teuffel,' ma da altri respinte. *  Egli è vero che Vittorio Rossi è pervenuto a dimo-  strare, con documenti che si conservano nell’ archivio  fiorentino (Med. avanti il Princip.), essere conforme  al vero l’attestazione pontaniana: ‘qui (sc. Bartholo-  maeus Facius) ne hos Suetonii illustres uiros uidere pos-    appunto che al difetto di testimonianza per l' Agricola debba  supplire il cod. Vatic. 4498,   1 V. p. 81, nota 1l?.   ? Poe epist. III 37. IV2e4T,   3 VoIGT-VALBUSA, Op. c., II 4, vol. I, p. 255 sg., nota 3.   4 TEUFFEL-SCHWABE, G. d. r. L. 5, $ 334, 4, p. 835.   5 Vedi WuENSCH, de Tac. Germaniae codicibus Germanicis,  Marburg 1893; e 4ur Texigeschichte der Germ., in Hermes  vol. XXXII (1897), fasc, 1°, p. 57.    dn   set, mors immatura effecit. Paulo enim post eius mor-  tem in lucem redierunt.’ Infatti, il Fazio morì nel 1457;  e dalla lettera di Carlo de’ Medici, 13 genn. 1458, ri-  sulta che sino a quella data non si era potuta ottenere  copia dei libri portati da Enoch. Rimangono però senza  soddisfacente risposta altre obiezioni mosse dal Voigt.  Resta sempre nell’ attestazione attribuita al Pontano  una certa vacuità o mancanza d’ interesse, quanto alle  notizie che vi si annunziano. Egli si duole che il Fazio  sia stato sorpreso da morte immatura, sicchè non si  sia trovato presente quando veniva alla luce l’opuscolo  di Suetonio de wviris illustribus : la ragione di tale do-  glianza è evidentemente quella accennata sopra, che il  Fazio se ne sarebbe potuto servire nel comporre il suo  libro de viris illustribus temporis sui. Ma il Fazio in  una lettera al card. Enea Silvio Piccolomini, scritta nei  primi mesi del 1457,! gli dà la notizia: ‘ librum quem    1 La lettera, scritta da Napoli e senza data, fu pubblicata nella  raccolta assai confusa delle epistole di Enea Silvio Piccolomi-  ni, contenuta in opera quae exrtant omnia di lui, Basil. 1571,  p. 778, n. 233. Nella lett. si fa menzione, fra le altre cose, di  alcune lettere di congratulazione, scritte precedentemente dallo  stesso Fazio, per la promozione del Piccolomini al cardinalato ;  e vi si fa cenno anche del terremoto di Napoli. Or, secondo il bre-  ve di Callisto III (‘ dat. Romae apud S. Petrum anno MCCCCLVI  XV Kal. Ianuarii, pontificatus nostri anno II ’), riferito testual-  mente da Oporico RAYNALDO, in ann. ecel. el. D. Mansi, Lucae  1753, t. X, p. 99, la promozione del Piccolomini al cardinalato  ebbe luogo il 18 dicem. 1456, Il terremoto che rovinò Napoli ed  altre città del Regno avvenne « la domenica mattina a di 5 di  dicembre (1456), a ore dieci e mezza », e si ripeté nei giorni se-  guenti (v. cron. di Bologna, in MURATORI, rer. It. scriptt. t. XVIII,  cc. 722, 723; giornali napolitani dal 1266 al 1478, ibid. t. XXI,  c. 1132: l’INFESSURA, nel diurio della città di Roma, ibid, t. III,    SE  de uiris illustribus scripsi, Regi dedicaui ac tradidi*;  ed aggiunge: ‘ in quo opere, ut aliquando uidebis, si  non quantum uirtutum tuarum magnitudo postularet,  at quantum ingenii mei paruitas potuit, quantumcum-  que res ipsa passa est, tibi a me tributum cognosces.’  Cosicchè, se verso la fine del 1456 il Fazio portò a  compimento e pubblicò il suo libro sulla vita degli uo-  mini illustri, e ne fece un presente ad Alfonso d’ Ara-  gona, re di Napoli, è evidente che a nulla gli sarebbe  giovata, ancorchè egli fosse vissuto sino al principio  del 1458, la divulgazione del libro suetoniano, avve-  nuta in quel tempo.   Nella stessa annotazione del cod. Leid. Perizon. si  accoglie con leggerezza, come notizia indubitata, il sup-  posto plagio di Sicco Polenton e la distruzione di quella  parte del libro di Suetonio, che trattava de oratoribus  ac poetis. !   Resta un’ altra difficoltà. Secondo l’ annotazione del  cod. Leid. Perizon., il libro de grammaticis et rheto-  ribus di Suetonio si divulgò poco dopo la morte del  Fazio, anzi, per i dati contenuti nella lettera di Carlo  de’ Medici, non prima del gennaio 1458. Un certo tem-    p. II, c. 1137, menziona il terremoto del 24 dicembre 1456). La  lettera del Fazio è, per conseguenza, posteriore al dicembre  1456. Nella raccolta cit., p. 784, n. 251, è compresa una lett. del  card, Piccolomini di risposta a quella del Fazio, con la data  ‘ex urbe Roma die XXV Martii 1457,’ Si può, dunque, affer-  mare che la lettera del Fazio dovette essere scritta tra la fine  del dicem. 1456 e la metà del marzo 1457.   1 RIiTscHL, Parerga zu Plautus und Terena, Leipz. 1845, I p.  632. RoTH, C. Sueton. Tranq. quae supersunt omnia, Lps. 1882 ;  praef., p. LI sg.    ana    po era, senza dubbio , necessario perchè i libri o le  copie di essi, che Stefano de’ Nardini avea promesso ,  giungessero a Carlo de’ Medici, e da questo si mandas-  sero al fratello Giovanni, in Firenze, il quale doveva es-  sere il primo ad averli. ' Perciò la divulgazione dei libri  portati da Enoch non poteva aver luogo prima che alcuni  mesi fossero scorsi dopo il gennaio 1458. Intanto Enea  Silvio Piccolomini è il primo a far menzione, sebbene in  un modo poco esatto, del contenuto della Germ. nella  grande epistola di risposta a Martino Meyer, cancel-  liere dell’ arcivescovo di Magonza ?. Il Meyer, con  lettera in data del 31 agosto 1457, * si era congratulato  col Piccolomini della promozione al cardinalato e nello  stesso tempo , colta la propizia occasione, avevagli  descritto le tristi condizioni fatte dalla Curia romana  alla Germania, e l’aveva avvertito che ‘ nunc uero, quasi  ex somno excitati, optimates nostri quibus remediis huic  calamitati obuiam pergant cogitare coeperunt iugumque  prorsus excutere et se in pristinam uindicare liberta-  tem decreuerunt ’: sono i preludi della riforma religiosa.  Il card. Piccolomini, che aveva già scritto su tale ar-    1 Le precise parole scritte da Carlo de' Medici nella lett. cit. del  13 genn. 1458 (F IX, doc. 576) sono queste : « non dubitate che  per essere il primo che gl'’abbia (i libri di Enoch),  non v'énno a costare uno denaro di più ».   ? L’epistola del card. Piccolomini è pubblicata col titolo de  ritu, situ, moribus et conditione Germaniae descriptio, in opera  quae extant omnia, ed. cit., pp. 1034-1086.   8 L' epistola del Meyer è pubblicata a p. 1035 delle opere di  E. S. Piccolomini, ed. c.; ma, per evidente menda di stampa,  porta la data erronea: ‘ex Hasthaffenburga pridie Calend,  Septembris MCCCCVII ”, invece del MCCCCLVII,    RT    gomento al Meyer la lettera del dì 8 agosto 1457, !  tornò a scrivergli in proposito, per confutare le affer-  mazioni di lui, altre tre lettere * ; e di ciò non contento,  per dare, probabilmente, una maggiore pubblicità alle  ragioni addutte in confutazione delle osservazioni del  Meyer, si accinse a scrivergli una lunga epistola, che  prima mandò, per averne l’ autorevole parere, ad An-  tonio card, di S. Crisogono, con lettera in data del 1°  febbraio 1458. 3 Al Piccolomini premeva di ribattere le  accuse che provenivano dalla Germania, per prepararsi  i voti favorevoli nel prossimo conclave, che, difatti, lo  elevò, dopo la morte di Callisto III, all’ onore della  tiara; ed era importante per lui che tutti sapessero quel  che egli ne pensasse intorno alle agitazioni tedesche  contro la Curia di Roma. E però, per confutare gli ar-  © gomenti addotti dal Meyer (cui avverte ‘ nec dubitamus  te perditum iri, nisi e schola erroris et officina ueneni  retrahas pedem), arreca, tra le molte ragioni, i bene-  fici fatti dalla Chiesa di Roma alla Germania, e fa un  confronto tra i costumi degli antichi Germani , quali  furono descritti da Cesare e Strabone, e la civiltà te-  desca de’ suoi tempi; indi soggiugne (p. 1051): ‘ is igi-    1 Epist. n°. 369, pp. 836-839, op. c.   ? Una delle tre lettere, che è segnata nella raccolta cit. col  n° 338, p. 822, porta la data ‘Romae XII Calend. Octobris a.  MCCCCLVII ’. Un' altra, di n° 345, p. 827, ha la data ‘ex urbe,  die uigesima Octobris’, senza indicazione dell’anno, che deve  essere lo stesso 1457. La rimanente, segnata col n° 288, p. 801,  non porta data, ma dal posto che occupa tra una epist. del-  l'11-IX 1457, e una del 3-X dello stesso anno, è probabile che  sia stata scritta nella seconda metà del settembre 1457.   3 La lett. al card. di S. Crisogono è pubblicata a p. 1034, e  precede immediatamente quella diretta al Meyer.    =,   tur fuit Germanorum status Strabonis tempore, quem  usque ad Tiberium Caesarem uixisse constat. his fero-  ciora de Germanis scribit Cornelius Tacitus, quem in  Adriani tempore incurrisse perhibent. parum quidem  ea tempestate a feritate brutorum maiorum tuorum uita  distabat. erant enim plerumque pastores, syluarum in-  colae ac nemorum......... nec munitae his urbes erant,  neque oppida muro cincta, non arces altis innixae mon-  tibus, non templa sectis structa lapidibus uisebantur.  aberant hortorum ac uillarum delitiae, nulla uiridaria,  “nulla tempe, nulla uineta colebantur: praebebant largos  flumina potus; lacus et stagna inseruiebant lauacris et,  si quas natura calentes produxerat, aquae. parum apud  eos argentum, rarius aurum, margaritarum incognitus  usus. nulla gemmarum pompa, nulla ex ostro uel se-  rico uestimenta. nondum metallorum inuestigatae mi-  nerae; nondum. miseros in uiscera terrae mortales -tru-  serat auri sitis: laudanda haec et nostris anteferenda  moribus. at in hoc uiuendi ritu nulla fuit literarum  cognitio, nulla legum disciplina, nulla bonarum artium  studia. ipsa quoque religio barbara, inepta et, ut pro-  priis utamur uocabulis , ferina ac brutalis. talis tua  Germania fuit usque ad Adrianum Caesarem, quamuis  iam ceterae orbis prouinciae excultae artibus ac mo-  ‘ribus essent ’.   Dovette, dunque, il Piccolomini aver notizia, sebbene  alquanto imperfetta , della Germ. anteriormente al 1°  febbraio 1458, che è la data segnata nella missiva al  card. di S. Crisogono. E, se consideriamo attentamente  il contenuto della lettera del Piccolomini al Meyer, in  data 8 agosto 1457, appare non dubbio che egli ebbe  notizia della Germ. prima di questa ultima data; poi-       ica   chè nella lettera si contengono , riassunte senza indi-  cazione di autori, osservazioni consimili a quelle che  sui costumi dei Germani antichi sono ampiamente svol-  te nella grande epistola sopra cit. Leggesi, infatti, nella  lettera: dell’ 8 agosto 1457 : ‘ namque si legamus uetu-  sta tempora, inueniemus Germanos olim ritu uixisse  barbaro, uestibus usos laceris; uenationi tantum et agro-  rum culturae dedisse operam, feroces quidem homines  et belli appetentes , sed argenti prorsus inopes, quibus  quippe nec uini usus erat. ipsaque Germania intra mare  et Danubium rursusque intra Rhenum et Albim conti-  nebatur; nunc uero quantum transgressa sit suos li-  mites, non ignoramus ?. e. q. s.! Perciò il Piccolomini  dovette conoscere il contenuto della Germ. prima del-  1’ 8 agosto 1457, cioè circa sei mesi prima del tem-  po in cui, secondo la lettera di Carlo de’ Medici , del  13 gennaio 1458, si erano cominciati a divulgare i libri  portati da Enoch; e, per tanto, appare non vera l’ an-  notazione del cod. Leid. Perizon., d’essere, cioè, la Germ.  e gli altri opuscoli ‘ nuper adinuentos et in lucem re-  .latos ab Enoc Asculano ’, giacchè del contenuto della  Germ. sì era avuta notizia prima che i libri portati  da Enoch, in originale o in copia, fossero stati acqui-  stati da Giovanni di Cosimo de’ Medici o da altri, e pri-  ma che se ne fosse cominciata la divulgazione.   Ma per quale via sia pervenuto il Piccolomini ad a-  vere in sue mani la Germ. non ci è dato, secondo i  documenti del tempo scoperti sino ad oggi, determi-  narlo con certezza. Non è improbabile che il Piccolo-  mini sia stato aiutato in tali indagini dal Poggio ? e   1 Epist. n.° 369, p. 838, ed cit.   2 Nella lettera del 4 gennaio 1457 il Poggio, congratula ndosi    — 90 —  dal Panormita,! coi quali egli aveva relazioni di buona  amicizia: ed è noto quanto ebbe a stentare il primo, nei  lunghi e tediosi maneggi, per aversi il ms. del frate  hersfeldese ; del secondo si sa che sin dal 1426 aveva  dato notizie della Germ. nella lettera, citata sopra, al  Guarini veronese.   Il Lehnerdt però, per la soluzione del quesito, muove  da una notizia che si legge nella lettera del 10 dicem-  bre 1457 di Carlo de’ Medici al fratello Giovanni: « heri  mandò per me il cardinale di Siena e domandomi se  Enoch avesse lasanti (1. lasciati) libri alcuni nel banco  nostro; dissigli che no. Lui mi domandava che via lui  potessi tenere ad avere certi libri che lui aveva: io fe”    col Piccolomini, per la promozione di lui al cardinalato, gli scri-  veva: ‘accedit ad consolationem meam et summam iocundi-  tatem quod uir eloquentissimus (cioè il Piccolomini) optimis-  que artibus eruditus, fructum eloquentiae et doctrinae sit, quod  perraro accidit, consecutus: in quo gloriari quodam modo mihi  merito uideor posse nostri quondam ordinis uirum, hoc est e-  loquentiae studiis et dicendi exercitio praestantem, eo in statu  esse collocatum, ut suae doctrinae aemulos extollere et eis  praesidio atque ornamento esse possit'. Ed in un'altra lettera  del 3 novembre (manca l'indicazione dell’anno, ma è, senza  dubbio, del 1457) lo stesso Poggio profferiva i suoi servigi al  card. Piccolomini, scrivendogli: ‘me penitus tuum esse ubique  satisfaciendi cupidum, si qua in re mea tibi cura, studio, opere,  diligentia opus esset.’ Le due lettere del Poggio sono comprese  nell’ epistolario del Piccolomini, segnate l’una col n. 216, p. 771,  l’altra col n. 295, p. 806: tra le due lettere è compresa la re-  sponsiva di ringraziamento del Piccolomini al Poggio, n. 293,  p. 805.   1 Vedi la lettera del Piccolomini, allora ‘ episcopus Senensis ',  ad Antonio Panormita, n. 407, p. 951 sg.; e la menzione del  Panormita nell'epist. al Fazio, notata al n. 251, p. 784.    PEN co (ROSS   al giuoco del baloco. Di poi ho sentito che lui ha scrit-  to ad Ascoli a certi sua amici; e pertanto vorria che  voi medesimo scrivessi a m. Stefano che in singulari  vostro servizio lui mi fessi avere o i libri di che io gli  ò scritto overo la copia ».! Il Lehnerdt ne argomenta  che il Piccolomini (denn niemand anders ist der be-  triebsame Cardinal von Siena) dovette attingere le no-  tizie sulla Germania, annunziate nella lettera, a Martino  Meyer, al ms. enochiano, di cui venne in possesso pri-  ma del Medici. ? Ma alla congettura del Lehnerdt si  oppone il testo di un’altra lettera di Carlo de’ Medici,  in data del 13 gennaio 1458, che sopra abbiamo rife-  rito. Stefano de’ Nardini, sollecitato, oltre che da Carlo,  anche da Giovanni de’ Medici, rispose dando promessa  certa, che questi avrebbe avuto i libri di Enoch o le  copie; e dovette aggiungere che lo stesso Giovanni de’  Medici li avrebbe avuti per il primo, poichè il fratello  Carlo nella lettera su cennata soggiugne le sgg. paro-  le, più volte da noi citate: « non ho poi altro, ma non  dubitate che per essere il primo che gl’ab-  bia non vanno a costare uno denaro di più. » 8 Or,  se Giovanni de’ Medici doveva essere il primo ad  aver i libri di Enoch, giusta l’ affermazione «di Carlo  confortata dalla lettera di Stefano de’ Nardini, non è  possibile che prima di lui il card. Piccolomini ne fosse  venuto in possesso.   E naturale poi che un certo tempo dovette trascorrere  tra la lettera del 13 gennaio 1458 e la trasmissione  dei libri di Enoch o di copie dei medesimi, che Gio-       1 Vitt. Rossi, opusc. c., VIII, p. 31.  2 LEHNERDT, l. c., pp. 502, 504.  3 VITT. Rossi, opusc. c., IX, p. 31.    vanni de’ Medici desiderava avere: così si giunge al-  la fine di gennaio od al principio di febbraio. Il Pic-  colomini, che non risulta essere stato il primo ad a-  verli e leggerli, poteva averne avuto notizia, stante la  difficoltà delle comunicazioni in quei tempi, verso la  ‘metà o la fine di febbraio: dunque non era possibile  che egli ne avesse avuto conoscenza prima «li scrivere  la lunga lettera al Meyer; la quale lettera fu, senza dub-  bio, preparata e scritta nel gennaio 1458, poichè in data  del 1° febbraio fu spedita per esame al card. di S. Crisogo-  no. ! L’improbabilità che il Piccolomini avesse tratto van-  taggio dai libri enochiani si rende ancor più evidente, se  si bada alla conclusione cui siamo pervenuti poco prima,  cioè, che per altra via il Piccolomini dovette aver noti-  zia del contenuto della Germ., prima dell’8 agosto 1457.    VI. — Anche nella supposizione che la Germ. si fosse  trovata unita coi libri portati da Enoch, essa non dove-  va presentare, come sopra sì è avvertito, il nome dell’au-  tore, poichè non se ne fa cenno nell’inventario dei li-  bri di recente scoperti. Il nome dell’autore dovette es-  sere aggiunto dopo, quando si cominciò la divulgazione  del libro, e si riconobbe che era identico a quello già    1 Nella lett. del Piccolomini al card. di S. Crisogono, p. 1034  ed. c., si legge: ‘ epistolam scribere institui et liber exiuit; quid  dixi liber? libri exiuere. — mittimus igitur ad tuum examen,  ut uideas corrigasque, uel, si melius putes, igne consumas. tu  solus es, cuius existimationem audiendam arbitror. — ad te  ergo ueluti ad fontem doctrinae uenio et ad ipsum iubar  scientiarum, si condendum aut comburendum opus iudicaueris,  obediam imperio tuo. si duxeris edendum, exibit liber intrepi-  dus et nullius calumnias uerebitur, quando abs te probatus  fuerit, quem omnes probant.' e. q. s.    Pei 7, ME    indicato dal Panormita nella lettera dell’ aprile 1426,  diretta al Guarini. E per tal modo la Germ. fu anno-  tata, ventinove anni dopo (1455), col nome di Tacito  nello zibaldone di Pier Candido Decembrio. Cosicchè  l’ indicazione di Tacito come autore della Germ. si ri-  connette, anche per il libro portato da Enoch, allo stes-  so fonte che abbiamo considerato sopra, trattando del  codice del frate hersfeldese: la conclusione ne sarebbe la  stessa. Per tale conclusione troverebbesi forse modo  di coordinare l’ attestazione notata nel cod. Leid. Pe-  rizon. con le ricerche fatte anteriormente dal Poggio, e  col fatto che il contenuto della Germ. era noto prima  che si fossero divulgati in Italia i libri portati da E-  noch; in quanto che il Pontano, che è detto autore del-  l’ attestazione, non deve aver letto il nome di Tacito  in fronte alla Germ. che egli trascrisse, correggendone  le mende, ma ve l’appose per le notizie avutene a  Roma e a Firenze in quei circoli letterari, ai quali il  libro era prima noto.   Il vedersi, dunque, attribuita a Tacito la paternità  della Germ. nei codici del sec. XV, che soli ci riman-  gono dell’ aureo libretto , resta sempre dovuto, come  pare a noi, ad un presupposto del Poggio ed all’ an-  nuenza non disinteressata del frate hersfeldese; se non  sì vuole direttamente ammettere che tale attribuzione  sì fondi sulla fede d’ un amanuense del sec. XV, fede,  come bene avverte il Valmaggi in proposito del dia-  logo de oratoribus, che si ha da reputare dubbia « per  lo meno, sino a tanto che altri documenti e prove sie-  no contro di lei ».!    1 L. VaLMaG6I, dial. degli oratori, Torino 1890; introduz., pa-  gina XXXIX.    Di    CAPITOLO QUARTO    La Germania comparata con la naturalis historia  di Plinio. *    Uno studio che avesse 1’ obietto di comparare la  Germ. con gli scritti di Plinio Secondo, riuscirebbe cer-  tamente non poco utile a dare evidenza e conferma ai  risultamenti delle indagini fatte nei precedenti capitoli.  Ma un tale studio sarebbe, di necessità, incompleto,  perchè gli scritti di Plinio, i quali si avvicinano, per  analogia di argomento, alla Germ., cioè i venti libri  Germanicorum bellorum, la vita di Pomponio Secondo  e i libri di storia a fine Aufidii Bassi, non sono per-  venuti sino a noi. Solo si può istituire il confronto tra  la' Germ. e la nat. hist., determinando anzi tutto quali  notizie, quali considerazioni, insomma quali concetti  presentino in entrambe le opere considerate il carat-  tere di comune origine; sì che se ne possa indurre che  tanto l’una quanto l’altra debbano essere state manife-  stazioni, sebbene per obietti diversi, dei pensieri di una  stessa mente.   Seguiremo nelle nostre indagini l’ordine dei libri  della nat. hist.    * Restringiamo il confronto soltanto ai concetti o pensieri a-  naloghi espressi nei due libri. Quanto al confronto lessicale,  sintattico e stilistico tra la Germ. e la n. A. di Plinio, abbiamo  prepa:ato un libro, che sarà pubblicato immediatamente dopo  il presente lavoro, di cui può considerarsi opportuno comple-  mento. Valga la stessa avvertenza per il capitolo sg., in cui la  Germ. sarà comparata con gli scritti genuini di Tacito,          = DE    I.— a) Una spedizione navale, capitanata da Druso,  si mosse nel 742/12 dalle foci del Reno verso le re-  gioni orientali, per fare delle scoperte ed estendere il  dominio romano. Un’altra spedizione fu tentata ven-  totto anni dopo, nel 16 d. Cr., dal prode Germanico.  Alla prima impresa si allude nella . A. II 67 (67), 167  ‘ septentrionalis uero oceanus maiore ex parte nauiga-  tus est auspiciis diui Augusti Germaniam classe circum-  uecta ad Cimbrorum promunturium 7. Ad entrambe le  imprese si riferisce la notizia, di cui nella Germ. 34, 6  ‘ipsum quin etiam Oceanum illa temptauimus ”.!   b) Non è da omettersi che della strage di Crasso,  menzionata nella Germ. 37, 15, si fa cenno nella n. A.  II 56 (57), 147; e la notizia. si ripete in vari modi in  V 24 (21), 86. VI 16 (18), 47: cf. XV 19 (21), 83.   c) Nemmeno si deve tralasciare l’ osservazione, che il  cenno sulla guerra cimbrica, fatto nella Germ. 37, 7,  notasi anche nella n. A, II 57 (58), 148. *    II. — Nel lib. II della n. A. si osservano tre Il. di  confronto.   a) Dei ‘ Boi ’ Plinio dà notizia, indicando i luoghi, in  Italia, in cui le loro centododici tribù furono distrutte,    1 Della prima spedizione si fece, più tardi, menzione da Sve-  Ton. Claud. 1; e da Cass. Dion. r. Rom. LIV 32,2. La seconda  spedizione del 16 d. Cr. è lodata in versi da ALBINOv. PED. (v.  PLM. ed. Baehrens, vol. VI, pp. 351-352: cf. SEN. suas. I 15, p. 10,  ed. Kiessling); la narra Tac. ann. II 8; 23; 24.   ? La notizia è poi, in diverse occasioni, ripetuta nella n. A.  VII 22 (22), 86. VIII 40 (61), 143. XVI 32 (57), 132. XVII 1 (1),  2. XXII 6 (6), 11. XXVI 4 (9), 19, XXXIII 11 (53), 150. XXXVI  1 (1), 2; 25 (61), 185.    ci GG i   (n. h. Ill 15 (20), 116), e denotando, quali conseguenze  delle loro scorrerie: in Italia, la fondazione di ‘ Laus  Pompeia’ (III 17 (21), 124) e la distruzione di ‘ Mel-  pum ? (III 17 (21), 125); indica anche i luoghi da loro  abitati in Gallia (IV 18 (32), 107). Nella Germ. (28, 7.  42, 3) si denotano i luoghi occupati e poi abbandonati  dai ‘ Boi” o ‘ Boii”, in Germania.   b) Quanto agli ‘ Arauisci ’, che avevano le loro sedi  nella Pannonia, sulla riva destra del Danubio, tra la  Drava e la Sava, trovasi menzione nella Germ. 28, 10  e nella n. A. III 25 (28), 148: li nominò anche Tolo-  meo, indicando le loro sedi più a settentrione di quelle  degli Scotdisci.* Vi è però una differenza nella grafia,  chè nella n. A. è scritto ‘ Erauisci’, e nella Germ.  ‘ Arauisci ’. Ma del nome usato da Tolomeo la lettera  iniziale è A. Una simile differenza notasi nel nome  ‘ Bastarnae ’, usato nella Germ. 46, 4, e ‘ Basternae ”,  adoperato nella n. A. IV 14 (28), 100. ?    1 ProLEM. geogr. ll 16, 3.   ? Ma si deve avvertire che la grafia ‘ Basternae' non è co-  stante nella n. 4., come asserisce il GEORGES, ausfithrl. Handwb.  I, c. 743; poichè in IV 12 (25),81 mutasi in ‘ Basternaei” e poi  in VII 26 (27), 98 diviene all’abl. ‘ Bastrenis’, che nel cod.  Riccard. (R. del Mayhoff) è ‘ bastenis ’, e nel cod. Leid. (F. del  Mayh.) ‘ bostrenis’, Né i codd. della Germ. consentono tutti col  Leid. Perizon. nel presentare nel |. c. ‘ Bastarnas ’: il cod. Va-  tic. VRB. 655 presenta ‘basternes ’, e con strana metatesi il  Vindobon. ‘ bastranas’. Nemmeno la grafia accolta dal Leid.  Perizon. può mettersi in relazione con quella che osservasi in  Tac. ann. ll 65, 14, perché in questo la forma ‘ Bastarnas® è  dovuta ad una congettura di Beato Renano: nel cod. è ‘ baster-  nas’. Cf. cod. inscr. Lat. Il 2, p. 862. Ma in Strabone sempre  ‘ Bastàrnai *: Il 1, 41 (93); 5, 12 (118); 5,30 (128). VII 1, 1  (289) ; 2, 4 (294); 3, 2 (296); 3, 15 e 17 (305, 306).    Ri odi  c) Soltanto nella Germ. 29, 17 (v. sopra, pp. 19-22)    sì nominano i‘ decumates agri’. La n. A. II 4 (5), 32  fa solamente menzione di una ‘ decumanorum colonia ”.    III. — Il lib. IV della n. /. offre un buon numero  di confronti con la Germ.   a) All’ indicazione generica della Germ. 44, 20 ‘ Su-  ionibus Sitonum gentes continuantur ’,! risponde  quella più particolareggiata della 7. %. IV 11 (18), 41  ‘ circa Ponti litora Moriseni Sitonique Orphei  uatis genitores optinent ’. Resta però la differenza del-  l’ordine flessivo tra ‘Sitones” e ‘ Sitoni ?.   b) I gioghi dell’Abnoba, nella Selva nera, sono indi-  cati, tanto nella n. %. IV 12 (24), 79 quanto nella Germ.  1, 9, come punto d’ origine del Danubio; anzi la retta  grafia ‘ Abnoba ’, indicata dai codici della n. A. e quale  venne accolta da Tolomeo,® fu di guida a Beato Renano  per determinare, nel testo della Germ. 1. c., la forma  esatta ‘ Abnobae ’ tra le varianti ‘ Arnobae ’ (cod. Va-  tic. 1862 e cod. Neapol.), ‘ Arbonae ’ (cod. Leid. e cod. Va-  tic. 1518), ‘ Arnibae ’ (cod. Arundel.). Due iscrizioni sco-  perte nello Schwarzwald hanno confermato la forma  ‘ Abnoba. ?.   c) È data dalla n. R. IV 12 (24), 79 la notizia, che       1 Omettiamo di citare per i ‘ Sitones ’ il 1. della Germ. 45, 1,  perché nei codd. si Iegge ‘trans Suionas”’ (nel Leid. ‘Suiones’).  Il MEISER ha sostituito ‘Sitonas ’; e la congettura di lui è sta-  ta accolta da U. Zernial, Io. Miiller, etc. Hanno conservato la  lezione dei codd. il Dilthey, il Kiessling, il Finek, il Kritz, il  Halm, il Ramorino, etc.   ? ProLEM. yeogr. Il 11.    ConsoLI: L’ autore della Germania. 7    osi OB ci  il Danubio ‘ in Pontum uastis sex fluminibus euolui-  tur ’; ma'non è del tutto esatta, nè conforme al cen-  no che prima ne avevano fatto Ovidio, Strabone e Me-  la,! e dopo ripeterono Solino, Ammiano Marcellino, Isi-  doro. ? Nella Germ. si conferma la notizia data dalla  n. h., salvochè, come spiegazione dell’esclusione di una  settima foce del gran fiume, si soggiugne immediata-  mente ‘ septimum os paludibus hauritur?. Se nessun  rapporto ci fosse stato nella composizione e nell’ inten-  dimento della n. A. e della Germ., in questa sarebbesi  detto esplicitamente in modo consimile a quanto scris-  se Ammiano Marcellino, l. c.: ‘ amnis Danuuius — s e p -  tem ostiis.... erumpit in mare — septimum se-  gnius et palustri specie nigrum ?.   d) Nella Germ. 1, 2 i ‘Sarmatae ’ e i ‘ Daci ’*sono  indicati come confinanti coi Germani. La n. A., oltre  all’indicare il secondo nome dato dai Romani ai ‘ Daci *.  (‘ Getae ’), e dai Greci ai ‘Sarmatae’ (‘Sauromatae ’),  determina i luoghi da loro occupati (IV 12 (25), 80:  cf. VI 34 (39), 219), e mostra che presso di loro era in  uso il fafuaggio (XXII 1 (2), 2): aggiunge che la Ger-  mania è confinante (‘contermina ’) con la Scizia (VIII  15 (15), 38).   e) Uno dei confini dei luoghi abitati dai ‘Chatti’ e    1 OvI. trist. II 189. STRAB. geogr. VII 3, 15 (C. 305), vol. II,  p. 419 ed. M. Pompon. Met. chor. II 1, 8. Confrontando il Da-  nubio al Nilo, Mela dice che quello sbocca nel mare pontico  ‘ totidem quot ille (sc. Nilus) ostiis’; e il Nilo, secondo afferma  lo stesso Mela, chor. I 9, 51, ‘ septem in ora se scindens  singulis tamen grandis euoluitur ’.   ? SoLin. coll. r. m. 13, 1} p. 90, 12 ed. M. Amm, Marc. r. g.  XXII 8, 44 e 45. Is. orig. XII 21, p. 1158.       3 DO  dagli ‘Heluetii” è, secondo la Germ. 30, 5. 28, 6, il  ‘ sallus Hercynius” o ‘ Hercynia silua’: la stessa selva  è segnata nella n. %. IV 12 (25), 80 come confine della  gente pannonica dei “Carnunti’. Plinio denota anche  l’importanza della selva (IV 14 (28), 100), e avverte  che in essa sono ‘ inuisitata genera-alitum’ (X 47 (67),  132) e una ‘roborum uastitas intacta aeuis et conge-  nita mundo ’ (XVI 2 (2), 6).   f) Nella Germ. 46, 4 si considera la voce ‘ Bastarnae ’  come un’altra denominazione del popolo dei ‘ Peucini ”.  La n. h. determina prima i luoghi occupati dai ‘ Ba-  sternaei’! (IV 12 (25), 81); poi annovera i ‘Baster-  nae’ accanto ai ‘Peucini’ (IV 14 (28), 100). *   9g) Dei mari nordici, coi quali confina a settentrione  la terra dei Germani, è data nella Germ. 1,3 una no-  tizia indeterminata: ‘cetera Oceanus ambit, latos si-  nus et insularum immensa spatia complectens’. Nella  n. h. la stessa notizia è presentata con maggiore deter-  minazione: IV 13 (27), 96 ‘ mons Seuo ibi inmensus nec  Ripaeis iugis minor inmanem ad Cimbrorum usque  promunturium efficit sinum, qui Codanus uocatur re-    1 Per la differenza grafica del nome del popolo considerato,  v. sopra, p. 96, nota 2°.   2 Nel |. c. della n. A. si legge: ‘quinta pars Peucini, Baster-  nae supra dictis contermini Dacis’. Potrebbesi, tralasciato il  segna d’interpunzione messovi dall’edit. Jan, considerare ‘ Ba-  sternae’ come apposizione di ‘Peucini’: così ne sarebbe con-  fermata l'osservazione della Germ., che fa tutto un popolo dei  ‘Bastarnae’ e dei ‘Peucini’. Del resto, in nessun altro l. della  n. h. si tratta dei ‘Peucini’, come di un popolo a sè, diffe-  rente dai ‘ Basternae”. Cf. StRAB. geogr. VII 3, 15 (C 305); 3,  17 (C 306), p. 419 sg., ed. M.    ni 100  fertus insulis quarum clarissima est Scatinauia incon-  pertae magnitudinis ’.   h) All’ osservazione che leggesi nella n. A. IV 14  (28), 98 ‘Germania .... nec tota percognita est’, ri-  spondono le considerazioni con cui l’autore della Germ.  dà termine al suo lavoro, tralasciando ‘ cetera iam fa-  bulosa” e quel che egli trova ‘ut incompertum ?.   i) Intorno alle schiatte germaniche degli ‘ Ingaeuo-  nes’ (Germ.) o ‘ Ingyaeones ” (n. h.), degli ‘ Hermino-  nes?’ (Germ.) o ‘ Hermiones” (n. Ah.) e degli ‘ Istacuo-  nes’ (Germ.) o ‘Istyaeones ’ (n. 4.) non è fatta men-  zione alcuna in iscritti anteriori o posteriori alla Germ.  e alla n. X.! Sembra però che nella Germ. 2, 15 sg.  la distinzione delle tre schiatte sopra mentovate sia  stata fatta in dipendenza dai progenitori mitologici,  figli di Manno. Segue, infatti, nello stesso cap. della  Germ., una distinzione di popoli germanici fatta con  criterio alieno dalla leggenda (‘eaque uera et antiqua  nomina’), ma, come pare, per esemplificazione, cioè :  ‘ Marsi °, Gambriuii, Suebi, Vandilii ”.   La distinzione appare più precisa e completa nella  n. h. IV 14 (28), 99 e 100: I ‘ Vandili” 3, II ‘Ingyae-    A Il Georges, ausfithri. Handwb. II, c. 216, registra Ingae-  vones, secondo la grafia accolta nel testo della Germ. (ma  ‘Ingaenones’ nei codd. Vatic. VRB. 655, Laurent. LXXIII 20,  Stotgard. IV 152, Venet. misc. XIV 1); registra Hermiones (I,  c. 2813), secondo la grafia della n. A.; ma nonsi cura di no-  tare gli ‘Istaeuones'.   2 Nella Germ. nulla si dice dei ‘Marsi’ oltre del cenno del  c. 2, 17. Tacito ne fa menzione negli ann. I 50, 13; 56, 20. II  25, 4.   3 ‘Vandali’, nel cod, Paris. 6797.       — ol —  ones’, III ‘Istyaeones °°, IV ‘ Peucini °.8 Tra i ‘ Van-  dili” si comprendono : a) i ‘ Burgodiones” ‘4; b) i ‘ Va-  rinnae’ 5; c) i ‘Charini’; d) i ‘Gutones’: dei quali  popoli due soltanto, cioè i ‘ Varinnae ’ e i ‘Gutones”,  sono annoverati nella Germ. 40, 4. 44, l, forse con  inesattezza, tra i ‘Suebi’; i due rimanenti, ‘Burgo-  diones’ e “‘Charini’, sono taciuti. Gli ‘Ingyaeones’  comprendono: a) i ‘ Cimbri’ ‘; b) i ‘Teutoni’% c)i  ‘ Chauci’:3 la Germ. tace dei ‘ Teutoni ’. Sotto il no-  me degli ‘Istyaeones ’ sono notati i ‘Sicambri’ (‘ Su-  gambri’, per Strabone), dei quali non si fa alcuna  menzione nella Germ. Si ascrivono agli ‘ Hermiones”:  a) i ‘Suebi’; * 6) gli ‘ Hermunduri ’ !; c) i ‘Chatti ’ !!;  d) i ‘ Cherusci ”. !2 I ‘ Peucini” (Basternae) sono espli-       1 ‘Inguaeones’, ed. Detlef.; ‘Ingaeuones’, secondo la ‘1.  uulg.’ e nell’ed. Sillig.   ? ‘Istiaeones’, ed. Detlef, ; ‘Istaeuones’, secondo la ‘1. uulg.’  e nell’ed. Sillig.   3 Quanto ai ‘ Peucini’ cf. Germ. 46.   4 ‘Burgundiones’ nel cod. Paris. 6797 e nell'ed. Sillig.   5 ‘ Varine’ nel cod. Riccard.; ‘ Varini” secondo la ‘1. uulg.'  e nell’ed. Sillig. : ‘ Varini’ anche nella Germ. 40, 4.   6 I ‘Cimbri’ non si devono confondere coi ‘Gambriuii’. Stra-  bone, infatti, pone in elenco separatamente i ‘Gambriuii’ e i  ‘Cimbri’: geogr. VII 1, 3 (C 291), p. 399, ed. M.   7 Cf. n. h. XXXV 4 (8), 25. XXXVII 2 (11), 35.   8 Intorno ai ‘ Chauci’ v. Germ. 35, 2. 36, 1. Cf. n. A. XVI 1  (1), 2; 1 (2), 5.   9 V. Germ. cc. 33-43; e inoltre 9, 4. Cf. n. h. IL 67 (67), 170.  IV 12 (25), 81; 14 (28), 100.   10 V. Germ. Al, 4. 42, 1.   ll Dei ‘Chatti’ si ha notizia in più Il. della Germ.: 29, 3. 30,  1, 4, 15. 31, 2 e I1. 32, l e 4, 35, 5. 36, 10 7. 38, 2.   12 V. Germ. 36, 1, 6, 8.       — 102 —    citamente annoverati tra le nazioni germaniche, elimi-  nandosi così il dubbio annunziato uella Germ. 46, 2:  ‘Germanis an Sarmatis adscribam dubito’. Or,. se i  ‘Marsi’ edi ‘Gambriuii’, dei quali è fatta menzione nel-  la Germ., sono da considerarsi in dipendenza dagli  ‘Ingaeuones’!; e se tra gli ‘ Herminones” son da com-  prendersi .i ‘Suebi’ e, in subordinazione a questi, i  ‘Vandilii?,*? (poichè i.’ Varini” ed i ‘ Gotones’, che  nella n. A. si annoverano tra i ‘ Vandilii”, sono com-  presi dall’autore della Germ. tra i ‘Suebi ’), restano  a rappresentare gli ‘Istaeuones’ le due nazioni dei  ‘Sugambri’’ e dei ‘ Peucini’: il che, considerati prin-  cipalmente i luoghi occupati da loro, non pare possibi-  le. Vi sono, dunque, delle incertezze e delle notizie in-  complete nella Germ., che la n. &. ha interamente  chiarito o completato ; talchè, se si ammette che au-  tore della Germ. sia quello stesso che scrisse la n. A.,  è evidente che questo lavoro dovette essere scritto do-  po la Germ.: e in ciò sì avrebbe una indiretta con-  ferma della notizia data da Plinio il giovane, che la  opera bella Germaniae (della quale la Germ. potreb-  besi, secondo quanto si è osservato sopra, considerare  come la parte introduttiva) fu scritta prima della x. ’.   j) Il fiume ‘ Albis’ è solamente indicato nella n. /.    1 Vedi Marina, op. c., p. 33.   ? Vedi Dilthey, op. c., p. 249: « es wird dadurch sehr wahr-  scheinlich, dass die Vandalen selbst nur Ostliche Sueven waren ».   8 Plinio il giovane, presentando nell’epist. quinta del lib. III,  $ 2, l'elenco dei libri scritti dallo zio, avverte : ‘ fungar indicis  partibus atque etiam quo sint ordine scripti notum  tibi faciam’. L' opera della Ge rmaniae è indicata nell’ elenco  prima della n. },    — 103 —  IV 14 (28), 100 come uno degli ‘ amnes clari’ che ‘in  oceanum defluunt’. La Germ. 41, 9 presenta l’indica-  zione dell’ ‘ Albis’ con una certa enfasi : ‘ flumen in-  clutum et notum olim; nunc tantum auditur ’; ne de-  nota prima l’ origine nel paese degli ‘ Hermunduri ’.   k) La menzione dei ‘Frisii’ fatta, prima d’,\ogni al-  tro scrittore, da Plinio nella n. A. IV 15 (29), 101,  si osserva nella Germ. 34, 3. 35, 3, aggiunta la di-  stinzione dei ‘Frisii’ in ‘maiores’ e ‘minores’; e  all’espressione ‘ gens tum fida’, di cui si fa cenno nel-  la n. h. XXV 3 (6), 21, alludendosi ai ‘Frisii’?, ri-  sponde l’osservazione di Tacito: ‘ natio Frisiorum .in-  fensa aut male fida”. *   l) Le notizie intorno ai popoli della prov. Belgica,  ‘Neruii’, ‘Tungri ’, ‘ Treueri ’, ‘ Heluetii”, sono comuni  alla n. h. ed alla Germ.; ma il semplice cenno fatto  dalla prima‘, è più particolareggiato nella seconda, per  i ‘Neruii’ e i “Treueri’ (28, 15), per i ‘Tungri’ (2,  20) e per gli ‘Heluetii” (28, 6).    1 Sarà certamente una menda di stampa il $ 110, invece del  101, segnato nella p. 119,.n. 1, delle prov. rom. del :MommsEn,  trad. De RuagieRo, Roma 1887.   ? Vedi Lup. JAN, scripturae discrepantia nel vol. IV dell’ ed.  della n. h., p. XVII.   3 Tac. ann. XI 19,3. De’ ‘Frisii’ tratta anche Tacito in Agr.  28, 14. hist. IV 15, 12; 18, 26; 56, 15; 79, 8. ann. I 60, 6. IV 72,  le; 73, 4; 74, 1. XI 19,3. XIII 54, 2, 9, 23. Per altre notizie  sui ‘ Frisii” v. Cass. Dion. r. Rom. LIV 32, 2-3; PTOLEM. geogr.  II 11; e il pan. d’incerto autore a Costanzo,.$ 9; in BAEHRENS,  ZII pan. Lat., V, p. 138.   4 V. n. h. IV 17 (31), 106: cf. inoltre XII 1 ;(2), :5 per gli  ‘ Heluetii’ ; e XXXI 2 (8), 12 per. la fonte di acqua ferrugino-  sa presso i ‘ Tungri”,    — 104 —    Similmente le brevi notizie che dà la n. A. IV: 17  (31), 106, concernenti i ‘ Nemetes”, i ‘ Triboci ?, i ‘ Van-  giones’, gli “ Vbii” (‘ colonia Agrippinensis ’), i Bata-  ui’, (con qualche particolare, per i ‘ Bataui?, in IV 15  (29), 101; e per gli ‘ Vbii”, in XVII 8 (4), 47), sì osser-  vano nella Germ. 28, 19 sgg. e 29, 1 sgg.    IV. — Il ‘ Pontus Euxinus” è indicato nella Germ. 1,  10 con l’espressione ‘ Ponticum mare ’. Dello stesso mo-  ‘ do è indicato nella n. R. V 27 (27), 97 ‘ hine Ponti -  cum, illinc Caspium et Hyrcanium ?. Osservasi prima  la stessa espressione in Livio e Mela !.    V. — Nella descrizione generale dei popoli germa-  nici, la Germ. 4,6 dà evidenza ai sgg. caratteri: ‘ tru-  ces et caerulei oculi , rutilae comae, magna corpora ’  e. q. s. Nella n. A. VI 22 (24), 88 si annunziano quasi  con le stesse parole i caratteri di alcuni popoli dell’A-  sia: ‘ipsos uero excedere hominum magnitudinem, ru-  | tilis comis, caeruleis oculis , oris sono truci ’. Trovasi,  inoltre, nella n. A. XXVIII 12 (51), 191 l’avvertenza, in  proposito delle ‘ rutilae comae ’,sche ad arte si otteneva  o si rendeva, se naturale, più evidente tale colore «lei  capelli mediante l’ uso d’ un certo sapone gallico, ado-  perato in Germania più dagli uomini che dalle donne.    VI. — a) Cesare scriveva che la maggior parte de-  gli antichi Germani si nutrivano di latte, cacio e car-  ne. ? Nella Germ. 23, 3 si dà una notizia analoga a quella    1 Liv. XL 21, 2. Pompon. Met, chor. II 1, 5. Cf. Tac. ann. XIII  39, 2; e, per analogia, ‘os Ponticum”’ (ann. II 54, 4).  2 Cars. d. G. VI 22, 1: cf IV 1,8.       — 105 —   data da Cesare quanto alla carne (‘recens fera ’), ma  si restringe la notizia concernente i latticini, poichè si  esclude il cacio dall’ ordinario vitto dei Germani, e si  indica il solo ‘lac concretum ?, cioè latte rappreso o  cagliato. La restrizione che notasi nella Germ. appare  confermata e più chiaramente indicata nella n. R. XI  41 (96), 259: ‘ mirum barbaras gentes quae lacte uiuant  ignorare aut spernere tot saeculis casei dotem, densantes  id alioqui in acorem iucundum et pingue butyrum.  spuma id est lacte concretior lentiorque quam quod  serum uocatur’: cf. XXVIII 9 (35), 133.   b) Il pensiero laudativo per i Germani, indicato dalla  frase della Germ. 23, 3 ‘ cibi simplices, agrestia poma,  recens fera aut lac concretum: sine apparatu, sine blan-  dimentis expellunt famem”’ ha complemento nell'osser-  vazione igienica notata, in generale, da Plinio: ‘ homi-  ni cibus utilissimus simplex, aceruatio saporum pesti-  fera et condimento perniciosior’ (n. A. XI 53 (117),  282).    VII. — a) Quando si legge nella Germ. 9, 9 la par-  te notevole che avevano per il culto delle genti primi-  tive le selve sacre: ‘lucos ac nemora consecrant deo-  rumque nominibus appellant secretum illud, quod sola  rewerentia uident’;! ricorre alla mente quel che os-  serva Plinio nella n. A. XII 1 (2), 3 ‘ haec fuere nu-  minum templa, priscoque ritu simplicia rura etiam nunc  deo praecellentem arborem dicant’. E un concetto si-  mile aveva prima espresso Seneca *.    1 Cf. GERM, cc. 39, 40, 43.  ? SEN. epist. IV 12 (41), 3.    — 106 —   :b) Ad indicare le regioni del sud soggette a Roma, tanto  nella Germ. quanto nella n. A. è adoperata l’espressione  ‘orbis noster’: Germ. 2,6 ‘ Oceanus rarisab orbe no-  stro nauibus aditur?. n. A. XII 12 (26), 45 ‘in no-  stro .orbe proxime laudatur Syriacum (sc. nardum),  mox Gallicum ’, e. q. s. * Inoltre, l’accenno sul balsamo  nella Germ. 45, 25 ‘ Orientis secretis, ubi tura bal-  samaque sudantur ’, risponde alle notizie che, tra  i primi, ne diede Plinio in diversi luoghi della n. %. ?    VIII.— Che l’espressione ‘ frugiferarum arborum impa-  tiens ’, usata nella Germ. 5, 4, non debbasi intendere  senza restrizione, non solo ci avvertono l’indicazione della  maniera con cui si facevano certi sortilegi ( v. Germ.  10, 2 ‘ uirgam frugiferae arbori decisam in surculos  “amputant ’) e l'avvertenza intorno ai mezzi di nutrizione  degli antichi Germani (v. Germ. 23,3 ‘cibi simplices,  agrestia poma ’), ma anche una notizia che osservasi  nella n. &. XV 25 (30), 103, sulla presenza del ciliegio  sulle rive del Reno, in tempi remoti.    IX. — a) La particolarità geografica della terra ger-  manica, che è, in generale, ‘aut siluis horrida aut pa-  ludibus foeda ’ (Germ. 5, 2), ha una conferma, in par-    1 Osservasi prima in VeLL. PATERC. h. R.I 2,3. Cf. Tac,  Agr. 12, 9.   2 V. n. h. XII 25 (54), 111 sgg. XVI 32 (59), 135: cf. XIII 1  (2), 11. 13. 15. Vedi anche il nostro libro sui neologismi botanici  nei carmi bucolici e georgici di Virgilio, Palermo 1901; LV,  Pp. 103 sg.    RES, () pg  ticolare, nella descrizione che presenta Plinio (7. h. XVI  2 (2), 6) della selva ‘ Hercynia ?. !   b) Nella Germ. 17, 7 si osserva che i Germani ‘ de-  tracta uelamina (sc. ferarum) spargunt maculis pelli-  busque beluarum, quasi exterior Oceanus atque ignotum  mare gignit’; ma non è detto in che modo facessero  i Germani per impadronirsi di tali belve marine. Pos-  siamo argomentarlo da quel che si dice nella n. %.  XVI 40 (76, 2), 203, in proposito dei predoni di mare:  ‘singulis arboribus cauatis nauigant, quarum quae-  dam et XXX homines ferunt ’.   c) L’uso druidico delle adunanze ‘ sexta luna, quae  principia mensum annorumque his facit et saeculi post  tricesimum annum” (n. A. XVI 44 (95), 250), osservasi  esteso ad una consuetudine germanica, quella, cioè, di  farsi le riunioni popolari ‘ cum aut inchoatur luna aut  impletur ? (Germ. 11, 5).    X. — A integrare l’ osservazione che la terra ger-  manica è ‘pecorum fecunda”’ (Germ. 5, 5), vale quello  che nota Plinio sugli ottimi pascoli della Germania:  ‘ nam quid laudatius Germaniae pabulis?’ (n. A. XVII  4 (3), 26).    XI. — a) Non appare una consuetudine particolare  dei popoli germanici, che ‘ leuioribus delictis pro modo  poena: equorum pecorumque numero conuicti multan-  tur ? (Germ. 12, 7). La stessa consuetudine vigeva an-  che, secondo attesta Plinio, presso gli antichi Romani;    1 Cf. Pompon. Met. chor. III 3, 29 ‘ magna ex parte:siluis ac  paludibus inuia ”.    — 108 —  perciocchè ‘ multatio quoque non nisi ouium boumque  inpendio dicebatur’, e ‘cautum est, ne bouem prius  quam ouem nominaret, qui indiceret multam’ (n. &.  XVII 3 (3), 11).   b) Quantunque l’ avena si fosse potuta usare per la  preparazione della birra, non è da dirsi incompleta la  notizia, che presso i Germani era in uso ‘ potui umor  ex hordeo aut frumento, in quandam similitudinem  uini corruptus’ (Germ. 23, 1); poichè, secondo la men-  zione che se ne legge nella n. 4., se ne avvalsero al-  lora più per cibo che per la fermentazione della be-  vanda gradita: ‘ quippe cum Germaniae populi serant  eam (sc. auenam) neque alia pulte uivant’ (n. %. XVIII  17 (44, 1), 149).!    XII. — a) Il vestiario delle donne germaniche non  si distingueva da quello degli uomini, se non che le  donne ‘ saepius lineis amictibus uelantur’ (Germ. 17,  10). La stessa notizia appare nella n. A. XIX 1 (2, 1),  8 ‘ uela texunt (sc. e lino) iam quidem et transrhena-  ni hostes, nec pulchriorem aliam uestem eorum femi-  nae nouere ’.   b) La notizia data dalla n. A. XIX 1 (2, 1), 9, che  in Germania facevasi il lavoro di tessitura in sotter-  ranei : ‘in Germania autem defossae atque sub terra  id opus (sc. lina texendi) agunt’, completa l’ indica-  zione dell’uso di quelle abitazioni sotterranee, che nella  Germ. 16, 12 si dicono fatte per ‘suffuginm hiemi et  receptaculum frugibus ?.*       1 Vedi, quanto ai diversi nomi con cui s' indicava la birra,  n. h. XXII 25 (82), 164.  2 Pompon, MEL, chor. II 1, 10 dice lo stesso dei ‘Satarchae ’,       — 109 —    XII. — In ciò che nella Germ. 46, 14 dicesi intor-  no al modo di vivere dei ‘Fenni’, ai quali era ‘ uic-  tui herba, uestitui pelles, cubile humus”, pare di scor-  gere un caso particolare di quanto si considera, in ge-  nerale, nella n. %. XXI 15 (50), 86, che vi sono delle  ‘ herbae sponte nascentes, quibus pleraeque gentium  utuntur in cibis”, ’    XIV. — Dei ‘ Mattiaci’ la Germ. 29, 9 considera il  popolo, sottomesso all'impero romano; la n. &. XXXI 2  (17), 20 ne menziona le fonti termali (oggi Wiesbaden).    XV. — La notizia data dalla Germ. 5, 18 sulla mo-  neta antica (‘ serratos bigatosque ’), che era preferita  dai Germani vicini alle province romane del Reno e del  Danubio, negli scambi commerciali, è confermata, per  quanto concerne i ‘ denarii bigati’, dalla n. %. XXXII  3 (13), 46: ‘ notae argenti fuere bigae atque quadrigae,  inde bigati quadrigatique dicti °.    XVI. — L’ambra fu in origine un succo di vegetali:  nella Germ. 45,22 se ne adduce la sg. ragione: ‘ quia  terrena quaedam atque etiam uolucria animalia ple-  rumque interlucent , quae implicata umore mox dure-  scente materia cluduntur ’. Alla stessa conclusione si    popolo del Chersoneso Taurico: ‘ob saeua hiemis admodum  adsiduae, demersis in humum sedibus, specus aut suffossa ha-  bitant’ (Frick).   1 Sact. /ug. 18, 1 aveva prima avvertito che per i Getuli e i  Libii ‘ cibus erat caro ferina atque humi pabulum uti pecoribus”,    — 110 —    perviene, per altra via, nella ». %., in cui sono addutte  per prove l’opinione degli antichi e l’etimologia della  parola ‘ sucinum ’ : XXXVII 3 (11), 43 ‘ arboris sucum  esse etiam prisci nostri credidere, ob id sucinum ap-  pellantes ?. Nè vi è contraddizione se nella Germ. 45,  15 si afferma che gli ‘ Aestii ’, sulla spiaggia orientale  del mare suebico, ‘ soli omnium sucinum.... inter uada  atque in ipso litore legunt’, e che essi ‘ pretium (sc.  sucini) mirantes accipiunt ’; mentre nella n. %. XXXVII  2 (11), 35 si ripete la notizia annunziata da Pytheas :  ‘ Gutonibus Germaniae gente adcoli aestuarium Meto-  nomon nomine......, ab hoc diei nauigatione abesse in-  sulam Abalum , illo per uer fluctibus aduehi et esse    concreti maris purgamentum, incolas pro ligno ad ignem    uti eo (sc. sucino) proxumisque Teutonis uendere ?’. Gli  ‘ Aestii’ avevano le loro sedi accanto a quelle dei ‘ Gu-  tones ° o ‘ Gotones ’, sulle spiagge orientali del mare    suebico (Baltico); era naturale, per ciò, che l’industria |    dell’ambra , così bene avviata presso gli ‘ Aestii ’, si  fosse estesa, come tra popoli vicini, e forse in dipen-  denza l’uno dall’altro, anche presso i ‘ Gotones ’; e da  ciò la notizia registrata nella n. /%., la quale toglie  quella rigidezza di apprezzamento , che traspare dalla  frase ‘ soli omnium ’ della Germ., riferita agli‘ Aestii ?.   È, inoltre, da considerare che, se i ‘ Gutones ” face-  vano il commercio dell’ ambra coi vicini ‘Teutoni ”,  lo vendevano a loro ‘ pro ligno ad ignem ’’; e perciò nes-  suna contraddizione si può notare con quanto è detto  nella n. 4., se gli ‘ Aestii” facevano delle meraviglie  nel vedersi pagare un prezzo per il sucino, di cui si  erano cominciate a fare delle ricerche presso di loro ,       — 11  da che il lusso romano aveva dato a tale merce un va-  lore notevole !.    1 Un’altra relazione tra la Germ. ei lavori di Plinio avver-  te U. Zernial, nel suo comm. alla Germ. 3, 15 pp. 22-23, cioè,  che la frase ‘adhuc extare’, usata in proposito dei monu-  menti e tumoli con iscrizioni greche, che allora restavano nel  confine della Germania e della Rezia, si deve riferire a notizie  date da Plinio nei venti libri ‘ bellorum Germaniae ’.    — i    CAPITOLO QUINTO  La Germania comparata con le opere di Tacito.*    A rendere completo il nostro studio sulla Germ., ci  pare opportuno mettere anche in confronto il conte-  nuto di essa con le opere genuine di Tacito. Il  con-  fronto sarà ordinato come nel cap. precedente, restrin-  gendo il nostro esame ai soli concetti che presentino  un qualche indizio di dipendenza o di corrispondenza  tra loro.   Ci atterremo, quanto alla disposizione della materia,  all’ ordine delle opere di Tacito.    I. — a) Che le chiome bionde o rossicce e la cor-  poratura grande formassero uno dei caratteri fisici  della nazionalità germanica è fatto cenno nell’Agr. 11,  3 ‘ rutilae Caledoniam habitantium comae, magni artus  Germanicam originem adseuerant ’: risponde alla de-  scrizione che ne presenta la Germ. 4, 6 ‘rutilae co-  mae, magna corpora et tantum ad impetum ualida ”.  Seneca aveva anteriormente fatto menzione del ‘ rufus  crinis et coactus in nodum apud, Germanos”.! Quanto  alla frase dell’Agr.1. c.* magni artus Germanicam ori-  ginem adseuerant ’, alla quale si riattacca l’osservazione  intorno ai ‘ Bataui * (‘et forma conspicui , et est ple-  risque procera pueritia’ Mist. IV 14, 6: cf. V 18, 2)  ed ai ‘ Cherusci ’ (‘ procera membra” ann. I 64, 7),  risponde la considerazione generale intorno ai Germa-    * Per i limiti del confronto, vedi l’ avvertenza * a pag. 94.  1 Sen. dial. V 26, 3.       — 113 —    ni, che si legge nella Gem. 20, 1 ‘in hos artus, in  hacc corpora, quae miramur, excrescunt ?. Cesare aveva  prima avvertito che il suo esercito era stato invaso  dal timore al sentire dai Galli e dai mercatanti la no-  tizia ‘ ingenti magnitudine corporum Germanos, incre-  dibili uirtute atque exercitatione in armis esse’ !; e Mela  aveva anche osservato che i Germani erano ‘ immanes  animis atque corporibus ?, perchè attendevano agli eser-  cizi guerreschi ed erano afforzati dalla ‘adsuetudine  laborum maxime frigoris ”. *   b) Istituendo un confronto tra la fioridezza dei Galli  nei tempi anteriori e la decadenza che essi mostrarono  dopo, Tacito nell’ Agr. 11, 15 avverte: ‘ Gallos quoque  in bellis floruisse accepimus; mox segnitia cum otio  intrauit, amissa uirtute pariter ac libertate ’. Lo stesso  concetto appare nella Germ. 28, 15, allorchè, per dare  evidenza al carattere nazionale dei ‘ Treueri’ e dei  ‘ Neruii ’, si dice che essi ‘ circa adfectationem Germa-  nicae originis ultro ambitiosi sunt, tamquam per hanc  gloriam sanguinis a similitudine et inertia Gal-  lorum separentur ’. La superiorità dei Galli di un  tempo è attestata nello stesso 1. della Germ. 28, 1 sul-  l’autorità di Giulio Cesare, che aveva ciò indicato nel  b. G. VI 24, 1.   c) La discordia tra i nemici di Roma cooperò sempre  a costituire la superiorità dei Romani ; onde la consi-  derazione che leggesi nell’ Agr. 12, 4 ‘ nec aliud aduersus  ualidissimas gentis pro nobis utilius quam quod in com-    1 Cars. db. G. I 39, 1.  ? Pompon. Met. chor. III 3, 26.    CONSOLI : L’ autore della Germania. 8    — lla —    mune non consulunt ’. Un pensiero analogosi manifesta  nell’ augurio che 1° autore della Germ. fa a’ suoi con-  cittadini, ‘quando urgentibus imperii  fatis nihil iam  praestare fortuna maius potest quam hostium discor-  diam’ (Germ. 33, 9). Da ciò la politica, sì lodata, di  Druso nelle relazioni coi Germani: egli ‘ haud lene de-  cus quaesiuit inliciens Germanos ad discordias’ (ann.  Il 62, 2).!   d) Un apprezzamento punto benevolo per la spedizione  di Caligola contro i Germani si legge tanto nell’ Agr.  13, 9 ‘ agitasse Gaium Caesarem de intranda Britannia  satis constat, ni uelox ingenio mobili paenitentiae, et  ingentes aduersus Germaniam conatus frustra fuissent ’;  quanto nelle Rist. IV 15, 8, in cui si narra di un Canni-  nefate, che ‘ multa hostilia ausus Gaianarum expeditio-  num ludibrium inpune spreuerat ’. Lo stesso apprezza-  mento era stato manifestato prima nella Germ. 37, 23   ‘*ingentes Gai Caesaris minae iu ludibrium uersae ?.   e) La politica dei Romani solevasi avvalere di un  mezzo più efficace delle armi, per vincere e tenere as-  soggettati i barbari, l’allettamento dei vizi. Nell’ Agr.  21, 10 sgg. sì deridono gli ignoranti che fanno consi-  stere la civiltà nei ‘delenimenta uitiorum’, che sono    1 Claudio Mamertino ripeté lo stesso concetto, che le discor-  die intestine dei barbari erano la fortuna dell'impero: ‘ tantam  esse imperii uestri felicitatem ut undique se barbarae nationes  uicissim lacerent et excidant, alternis dimicationibus et insidiis  clades suas duplicent et instaurent’ (Pan. genethl. Maxzimiano  Aug. d., 16; in BAFHRENS, AZ/ pan. Lat. III, p. 113 sg.).   2 Severe sono anche le parole con cui Suetonio giudica l’im-  presa di Caligola contro i Germani (Calig. 43 e 45-47). Persio  la deride (sat. 6, 43 sgg.). CÉ. Cass. Dion. r. Rom. LIX 25.       — 115 —   invece strumenti di schiavitù. Similmente uno dei le-  gati dei ‘Tencteri’ presso il ‘concilium Agrippinen-  sium’ raccomandava, secondo racconta Tacito nelle hist.  IV 64, 19: ‘instituta cultumque patrium resumite, ab-  ruptis uoluptatibus, quibus Romani plus aduersus sub-  iectos quam armis ualent’. Lo stesso concetto è de-  notato nella Germ. 23, 6 ‘si indulseris ebrietati sug-  gerendo quantum concupiscunt, hawd minus facile uitiis  quam armis uincentur ”.   f) L'esperienza della vita dimostra vera la sentenza  che Tacito fa dire a Calgaco nell’ Agr. 30, 5: ‘ proe-  lium atque arma, quae fortibus honesta, eadem etiam  ignauis tutissima sunt’. Nella Germ. 36, 2 la si vede  applicata per ispiegare la decadenza dei ‘ Cherusci ’, i  quali ‘ mimiam ac marcentem diu pacem inlacessiti nu-  trierunt”; e l’autore, considerando che ‘id iucundius  quam tutius fuit”, assurge ad un avvertimento d’ordine  generale, che in nessun tempo è da trascurarsi dagli  uomini di Stato: ‘inter inpotentes et ualidos falso  quiescas ?.   g) Nell’apostrofe di Tacito al suocero estinto, si leg-  ge: ‘ nosque domum tuam ab infirmo desiderio et mu-  liebribus lamentis ad contemplationem uirtutum tua-  rum uoces, quas neque lugeri neque plangi fas est ’  (Agr. 46,3). La frase ‘ muliebribus lamentis’ richiama  alla mente la sentenza della Germ. 27, 7 ‘ feminis lu-  gere honestum est, uiris meminisse’. E probabilmente  tutte e due le espressioni risalgono all’ ammonimento  di Seneca: ‘ obliuisci quidem suorum ac memoriam  cum corporibus efferre et effusissime flere, meminisse  parcissime, inhumani animi est.— hoc prudentem uirum       — 116 —    non decet: meminisse perseueret, lugere desinat’.! Se-  neca, presso a morire, ripetè in parte lo stesso concetto,  per confortare la consorte. *    II. — a) La nazionalità degli ‘ Heluetii” era, secon-  do Cesare, gallica, poichè egli scrive di loro : ‘ Heluetii  quogue reliquos Gallos uirtute praecedunt, quod.  fere cotidianis Droga cum: Germanis contendunt’. 3  Dello stesso parere è Tacito che, considerando gli ‘ Hel-  uetii’ quali erano divenuti a’ suoi tempi, avverte : ‘ Hel-  uetii, Gallica gens olim armis uirisque, mox memoria  nominis clara’ (Rist. I 67, 2). La medesima osserva-  zione è confermata nella Germ. 28, 8, che considera  tanto gli ‘ Falaotit ? quanto i ‘ Boii” come ‘ Gallica u-  traque gens ’   b) Era a nazionale dei Germani andare ala  pugna coi corpi nudi a diciamo « ignudi »): lo in-  dica Tacito nelle isf. II 22, 6 ‘cohortes Germanorum,  cantu truci et more patrio nudis corporibus super umeros  scuta quatientium ’. Prima di lui, ne aveva dato noti-  zia Cesare, sebbene la sua osservazione non si restrin-  gesse ai soli usi guerreschi : ‘pellibus aut paruis re-  nonum tegimentis utuntur, magna. corporis parte nuda ?.!  E l’osservaziore di Cesare fu ripetuta nella Germ. ri-  spetto ai combattimenti (‘ pedites et missilia spargunt....  atque in immensum uibrant, nudi aut sagulo leues  Germ. 6,7), agli esercizi militari dei giovani (‘ nudi    1 SEN. epist. XVI 4 (99), 24.   2 Tac. ann. XV 63.   3 Cars. db. G. 1 1, 4.   4 CAESs. db. G. VI 21,5. Dice lo stesso dei ‘Suebi’ nel IV 1,10.    — li7 —  iunenes .... inter gladios se atque infestas frameas saltu  iaciunt” Germ. 24, 2), e alla vita domestica (‘in omni  domo nudi ac sordidi’ e. q. s. Germ. 20, 1: cf. 17, 2).   c) Intorno alla provenienza dei ‘Bataui’ ed ai luo-  ghi da loro occupati, ci informa Tacito nelle Rist. IV  12, 6 ‘Bataui, donec trans Rhenum agebant, pars  Chattorum, :seditione domestica pulsi extrema Gallicae  orae uacua cultoribus simulque insulam iuxta' sitam  occupauere, quam mare Oceanus a fronte, Rhenus am-  nis tergum ac latera circumluit’. Della ‘insula Bata-  uorum’ avevano già fatto menzione Cesare e Plinio  Secondo. * Nella Germ. 29, 1 si legge: ‘ omnium harum  gentium uirtute praecipui Bataui non multum ex ripa,  sed insulam Rheni amnis colunt ’; e, quanto alla loro  origine, immediatamente dopo si soggiugne : ‘ Chatto-  rum quondam populus et seditione domestica in eas  sedes transgressus, in quibus pars Romani imperii fie-  rent ’.   d) Narra Tacito (Rist. IV 14, 10) che Civile, in oc-  casione di un banchetto tenuto in un bosco sacro, espose  ai convitati la necessità d’insorgere in difesa dei loro  diritti conculcati, contro il dominio romano. L’ usanza  germanica di trattare affari, sì privati che pubblici ,  durante i conviti è menzionata, in generale, nella Germ.  22, 9 ‘ de reconciliandis inuicem inimicis et iungendis  adfinitatibus et adsciscendis principibus, de pace de-  nique ac bello plerumque in conuiuiis consultant : e la  ragione ne è spiegata ‘tamquam nullo magis tempore    1 Secondo la congettura del Walch: nel cod. si legge ‘ iuua-  ta sit an”.  ? Cars. db. G. IV 10, 1. Prin. n. A. IV 15 (29), J01.       — ll8 |—    aut ad simplices cogitationes pateat animus aut ad  magnas incalescat ”.   e) La disposizione dei Germani per cunei, nelle bat-  taglie, è menzionata nella Germ. 6, 20 ‘acies per cu-  neos componitur ?’. La conferma appare dal modo secondo  cui furono disposti i ‘ Canninefates’,i ‘ Frisii”, i ‘ Ba-  taui ’, etc. nei combattimenti, durante l’insurrezione di  Civile (rist. IV 16. V 16), e dall’ordine del ‘ Bructero-  rum cuneus ” (Rist. V 18, 5).! Ma l’ ordinamento dei  combattenti per cunei era stato prima accennato da  Cesare *. Tacito ne fa pure menzione, descrivendo la  battaglia di Bedriaco 3.   f) Nello stesso lib. IV delle hisé. di Tacito, si nota  che i ‘ Bataui ’ furono esenti dall'obbligo di pagare ai  Romani i tributi: ‘ Batauos tributorum expertes (list.  IV 17, 11); ed è confermato in un altro luogo : * sibi  (sc. Batauis) non tributa sed uirtutem et uiros indici ’  (hist. V 25, 9: cf. IV 12, 10). Tale esenzione è notata  anche nella Germ. 29, 6 ‘ (Bataui) nec tributis contem-  nuntur nec publicanus atterit ’, per la ragione che essi  ‘ tantum in usum proeliorum sepositi, uelut tela atque  arma, bellis reseruantur ?.   g) Civile, nel determinare l’ ordine della battaglia,  ‘matrem suam sororesque, simul omnium coniuges par-    1 Cf. Tac. hist. IV 20, 11. La disposizione dei combattenti per  cunei si continuò anche dopo presso i barbari: v. Amm. Marc.  r. g. XXVII 2, 4.   2 Cars. d. G. VI 40, 2: altrove lo indicò con la voce ‘pha-  lanx *; db. G. I 52, 4.   3 Tac. hist. II 42, ]1 ‘comminus eminus, cateruis et cuneis  concurrebant': v. la nota al l. c. nel comm, del VALMAGGI, p.  78, Torino 1897.    — 119 —    uosque liberos consistere a tergo iubet, hortamenta  uictoriae uel pulsis pudorem ” (Rist. IV 18, 14): si sog-  giugne poco dopo ‘ uirorum cantu, feminarum ululatu  sonuit acies’. Consimile ordine nei combattimenti a cui  preparavansi i Germani, è indicato nella Germ. 7, 11  ‘in proximo pignora, unde feminarum ululatus audiri,  unde uagitus infantium ’. Ma in tutti e due i Il. citati  la notizia pare che sia provenuta da quanto avevano  scritto prima Cesare sulle donne dei Germani nelle pu-  gne combattute da Ariovisto !, e Strabone intorno alle  donne dei Cimbri. °   h) L’ usanza dei Germani di portare nei combatti-  menti effigie di animali o altri simboli rappresentanti  le loro divinità protettrici o qualche attributo delle  stesse, è indicata da Tacito, Rist. IV 22, 12: ‘ depromptae  siluis lucisque ferarum imagines, ut cuique genti inire  proelium mos est ’. Nella Ger. 7, 8 si osserva la stessa  consuetudine: ‘ effigiesque et signa quaedam detracta  lucis in proelium ferunt ’*. Così, ad es., gli ‘ Aestii ’ por-  tavano per simboli divini immagini di cinghiali (‘ in-  signe superstitionis formas aprorum gestant’ Germ.    1 Cars. db. G. I 51, 3.   ? STRAB. geogr. VII 2, 3 (C 294), p. 404, ed. M. Vedi anche  PLvT. C. Mar. 19, 8, p. 497, ed. Th, Doehner. FLor. epit. I 38,  16-17 (III 3), ed. Halm.   3 Tra le‘ effigies” erano notevoli il lupo e il serpente (Wadan),  l’orso e il capro (Thunar), etc. ; tra i simboli o ‘ signa ’, la lan-  cia (Wodan), il martello (Thunar), la spada (Tiu), etc. : v. F.  G. BERGMANN, poémes islandais tirés de l' Edda de Scemund,  Paris 1838, pp. 1-185, 243-259, 303-319; e le « notes explica-  tives » pp. 221 - 239, 292 — 300, 358 - 368; v. anche dello stesso  Bergmann la fascination de Gulfi (Gylfa ginning), traité de  mythologie scandinave, Strasbourg & Paris 1871,    — 120 —    45, 10); i Cimbri preferivano il toro di bronzo !. I  Germani non rappresentavano in forma umana le loro  divinità: ‘nec cohibere parietibus deos neque in ullam  humani oris speciem adsimulare ex magnitudine cae-  lestium arbitrantur? (Germ. 9, 7).   i) Scoppiata l’ insurrezione di Civile, il danno mag-  giore fu recato dalle ostilità degli insorti contro gli  ‘ Vbii’, ‘quod gens Germanicae originis eiurata patria  Romanorum nomine ? Agrippinenses uocarentur (Rist.  IV 28, 6). Dalla Germ. 28, 19 si apprende che ‘ ne Vbii  quidem, quamquam Romana colonia esse meruerint ac  libentius Agrippinenses conditoris sui nomine uocentur,  origine erubescunt’; e da un luogo degli ann.'XII 27,  1-4 si ha la notizia più precisa, che ad istanza di A-  grippina, moglie dell’imp. Claudio e madre di Nerone,  si condusse una colonia romana nell’ ‘ oppidum Vbio-  rum’, onde il nome di ‘ Colonia Agrippina’ o sola-  mente ‘ Agrippina’, ovvero ‘ Colonia’ che si ebbe dopo.*   j) Quel che dice Tacito, isf. IV 61, 1, intorno allo  adempimento di un voto di Civile, il quale ‘ post coepta  aduersus Romanos arma propexum rutilatumque crinem    1 PLvr. C. Mar. 23, 6, p. 499, ed. c.   ? ‘ Romanorum nomine’ è dovuto a congettura del Weissen-  born. Nel cod. è ‘nom’. La lez. ‘ Romanorum nomen’, che il  Gruter notò, è chiusa dal Halm, dal Ritter, dal Ramorino, etc.  tra parentesi quadre. Altri preferiscono ‘ Romano nomine’, se-  condo la congettura del Lipsius.   3 Amm. Marc. r. g. XV 8, 19; 11, 7. XVI 3, 1. Ma Io, Har-  duinus, nel comm. alla n. A. di Plinio, vol. I, p. 225, nota 2?,  crede che sia Agrippina la moglie di Germanico, perchè, come  egli dice, ‘ ueluti mater castrorum procurabat ex eo tractu an-  nonam militibus, qui merebant in exercitu mariti sui : quamob-  rem et laureato capite pingitur in achate Tiberiano ’,    è — 121 —   patrata demum caede legionum deposuit’, appare nella  Germ. 31, 3, riferito in ispecial modo ai ‘Chatti’: ‘ ut  primum adoleuerint, crinem barbamque submittere, nec  nisi hoste caeso exuere uotiuum obligatumque uirtuti  oris habitum”.' Anche a Roma non fu, come pare,  sconosciuta tale usanza, poichè Cesare, per dimostrare  il suo affetto ai soldati, ‘ audita clade Tituriana barbam  capillumque summiserit nec ante dempserit quam uin-  dicasset ’. ?   kh) Da uno dei legati dei ‘ Tencteri ’ si diceva: ‘quod  contumeliosius est uiris ad arma natis, inermes ac  prope nudi sub custode et pretio coiremus’ (Qist. IV  64, 8). Il portare le armi, e in qualunque occasione,  stimavasi dai Germani un segno di valentia e di li-  bertà. Ciò confermasi nella Germ. 13, 1 ‘ nihil autem  neque publicae neque priuatae rei nisi armati agunt’;  e si indica il modo con cui facevasi la dichiarazione  d’idoneità a portare le armi. L’ osservazione si ripete  nella Germ. 22, 5 ‘ad negotia nec minus saepe ad con-  uiuia procedunt armati’. Anche morto, il Germano  aveva seco le sue armi (Germ. 27, 4). Tale usanza, del  resto, non restringevasi ai soli Germani; Cesare la  indica prevalente presso i Galli. 5    1 La stessa usanza presso i Sassoni, in tempi posteriori, è  riferita da PAvL. pIAC. de gest. Langobard. III 7, p. 438, c. 2?.  E nella storia di Norvegia è narrato il giuramento del re Ha-  rald Haarfager, di non tagliarsi i capelli nè di pettinarli prima  d'avere spenti tutti i piccoli sovrani che tenevano divisa la  patria sua: e dopo lotte accanite che durarono più di dieci  anni, adempi quanto aveva giurato: v. R. KeysER, Norges hi-  storie, ed. c., vol. I, pp. 204-209.   2 SveTton. diu. Iul. 67.   3 Cas, d, G. V 56, 2: cf. VII 21, 1.    — 122 —   1) Un altro segno della piena libertà di cui godeva-  no i Germani, e che, come del resto è nell’ordine na-  turale delle cose, trascendeva talora in dannosi ecces-  si, era quel che nota Tacito nelle Rist. IV 76,9: ‘ Ger-  manos.... non iuberi, non regi, sed cuncta ex libidine  agere’. E da ciò quella lentezza nelle deliberazioni  delle assemblee, che era veramente un ‘ex libertate ui-  tium’; poichè i Germani ‘ non simul nec ut iussi con-  ueniunt, sed et alter et tertius dies cunctatione coè-  untium absumitur’ (Germ. 11, 9). Presso i Galli, nota  Cesare, l’abuso era punito; e al principio della guerra,  quando tutti i giovani armati dovevano adunarsi in  un dato luogo, chi di loro ‘nouissimus conuenit, in  conspectu multitudinis omnibus cruciatibus affectus ne-  catur ?.!   m) Nel luogo testè cit. delle Rist. IV 76, 10 si sog-  giugne: ‘pecuniamque ac dona, quis solis corrumpantur  (sc. Germani), maiora apud Romanos. Negli ann. XI   ‘ 16, 7 è detto che l’imp. Claudio si avvaleva del dana-  ro per tenere sotto la sua dipendenza il re dei ‘Che-  rusci’, Italico. Or, tanto nel primo quanto nel secon-  do dei ll. cc., scorgesi l'applicazione del mezzo che non  di rado usavano i Romani, per meglio asservire il po-  polo germanico: onde la considerazione che leggesi  nella Germ. 15, 12 ‘iam et pecuniam -accipere docui-  mus’ ;? e, in particolar modo, intorno ai re dei ‘ Mar-  comani’ e dei ‘Quadi’ si dice: raro armis nostris,    1 CaEs. db. G. V 56, 2.   2 È noto che, per danaro, la milizie germaniche marciarono  contro gli stessi Germani: v. CAPITOLIN. M. Ant. philos. 21,7;  in scriptt. hist. Aug., IV p. 66, ed. P.,    Mi |    A    ‘    — 123 —  saepius pecunia iuuantur, nec minus ualent’ (Germ.  42, 9). !   n) I Germani ammettevano che le donne di condi-  zione elevata fossero le più sicure garentie e i miglio-  ri ostaggi, per ottenere l’ adempimento dei patti con-  venuti tra popolo e popolo o tra i partiti di una stessa  gente. Un caso è rammentato da Tacito, Rist. IV 79,  1:‘orabant auxilium Agrippinenses offerebantque u-  xorem ac sororem Ciuilis et filiam Classici, relicta sibi  pignora societatis’; la quale ‘ societas’ sappiamo che  era stata già ‘ nobilissimis obsidum firmata’ (Rist. 1V  28, 2). La consuetudine era stata prima indicata nella  Germ. 8, 5: ‘ efficacius obligentur animi ciuitatum, qui-  bus inter obsides puellae quoque nobiles imperantur ”.  Augusto aveva tentato di trarne vantaggio, chiedendo  ad alcuni capi.di nazioni vinte, per tenerli in fede e  soggezione, delle donne per ostaggio. *   o) Per significare 1° approvazione delle proposte dis-  cusse nelle assemblee, i Galli solevano battere le ar-  mi: ‘conclamat omnis multitudo et suo more armis  concrepat, quod facere in eo consuerunt, cuius ora-  tionem approbant ?. La stessa usanza notavasi presso  i Germani : ‘ sin placuit, frameas concutiunt : honora-  tissimum adsensus genus est armis laudare’ (Germ.  11, 17). Tacito l’accenna nelle Rist. V_ 17, 13 ‘ sono ar-  morum tripudiisque, ita illis (sc. Germanis) mos, ad-  probata sunt dicta ’.    III. — a) La considerazione sulla maniera di com-  1 V. pag. 12 sg.    2 SvETON. Aug. 21.  3 Cars, db. G. VII 21, 1, Cf. Liv. XXI 28, 1,    — 124 —   battere dei ‘Chatti’, che osserviamo negli ann. I 56,  16 ‘non auso hoste terga abeuntium lacessere, quod  illi moris, quotiens astu magis quam per formidinem  cessit ’, — appare come un’applicazione al caso parti-  colare dell’ osservazione fatta, in generale, sul carat-  tere, dei Germani: ‘ cedere loco, dummodo rursus instes,  consilii quam formidinis arbitrantur’ Germ. 6, 20. Si-  mile usanza presso i‘ Cherusci’ è notata negli ann. II  TIA   b) Tacito narra che, dopo la disfatta di Varo, i Ger-  mani sacrificarono presso le are i vinti ‘tribunos ac  primorum ordinum centuriones’ (ann. I 61, 13); e la  stessa notizia sui sacrifici umani egli ripete, in propo-  sito della vittoria degli ‘ Hermunduri”’ sui ‘Chatti”:  ‘ uictores diuersam aciem Marti ac Mercurio sacrauere,  quo uoto equi uiri, cuncta uiua occidioni dantur’ (ann.  XIII 57, 10). Analoga osservazione era stata fatta nel-  la Germ. 9, 1 ‘deorum maxime Mercurium colunt, cui  certis diebus humanis quoque hostiis litare fas habent ’;  ma placavano Marte ‘concessis animalibus’. I‘ Sem-  nones’ anch’essi ‘ caeso publice homine celebrant bar-  bari ritus horrenda primordia’ (Germ. 39, 5); e con  vittime umane si celebrava il culto della dea ‘Nerthus”  o ‘Terra mater’ (Germ. 40, 19). Strabone aveva pri-  ma fatto menzione dell’orrendo rito dei sacrifici uma-  ni presso i Cimbri '; istituto religioso, del resto, co-  mune a tanti altri popoli primitivi. Iordanis afferma  che anche i Goti offrivano a Marte vittime umane; e    1 StRAB. geogr. VII 2, 3 (C 294), p, 404, ed. M.   2 IoRDAN. de or. act. Get. 5, p. 9, 23, ed. Holder: ‘ opinantes (se.  Gothi) bellorum praesulem apte humani sanguinis effusione  placandum '.    — 125 —    Procopio dice che l’orrendo rito si era continuato, per  le divinazioni, presso i Franchi già convertiti al Cri-  stianesimo. *   c) All’ indicazione : ‘ certum iam alueo Rhenum ...  Vsipi ac Tencteri accolunt’ (Germ. 32, 1), risponde la  frase che si nota negli ann. II 6, 13 ‘ Rhenus uno alueo  continuus’. Mela dà più chiara spiegazione, ed usa  qualche parola che poi ripetè, sull'argomento stesso, lo  autore della Germ.: ‘(Rbenus) mox diu solidus et -  certo alueo lapsus haud procul a mari huc et illuc  dispergitur ?. ?   d) Negli ann. II 12, 3 si fa menzione di una selva  consacrata ad Ercole, luogo di convegno dei Germani.  Anche di Ercole e dei canti guerreschi, con cui si ce-  lebrava quel ‘primus omnium uwirorum fortium’, si  trova menzione nella Germ. 3, 1 sg.: cf. 9, 2. Evi-  dentemente si allude al culto di Thor (Donar) che, per  interpretazione romana, si era rassomigliato ad Ercole.  Quanto, poi, all’espressione ‘siluam Herculi sacram?”,  che si legge nel 1. c. degli ann., e al ‘ sacrum nemus ”,  dove Civile riuniva i suoi (/Rist. IV 14, 10), si possono  considerare come esempi della consuetudine indicata,  in generale, nella Germ. 9, 9: ‘lucos ac nemora con-  secrant’. Dello stesso modo son da considerarsi come  casi particolari della consuetudine, di cui è discorso  nel presente paragrafo, la ‘silua auguriis patrum et  prisca formidine sacra’, dove, nel tempo stabilito, si  adunavano i ‘Semnones’ (Germ. 39, 3); il ‘castum  nemus’ consacrato, in un’isola dell’ oceano, alla dea   \    1 ProcoP. de b. Goth. II 25.  ? Pompon. Met. chor. Ill 2, 24.    — 126 —  ‘ Nertbus’ (Germ. 40, 9); e quello ‘antiquae religionis  lucus ’, presso i ‘ Nahanaruali” (Germ. 43, 14). !   e) Nel discorso pronunziato da Germanico ai suoi  soldati si afferma: ‘non loricam Germano, non galeam,  ne scuta quidem ferro neruoue firmata’ (ann. II 14,  10) : perciò scarsezza, se non totale mancanza, del fer-  ro presso i Germani. Il medesimo concetto è annun-  ziato nella Germ. 6, 1 ‘ne ferrum quidem superest,  sicut ex genere telorum colligitur’; ma l’asserzione di  Germanico, il quale nella foga oratoria negava a tutti i  Germani la lorica e l’elmo, appare mitigata dall’ os-  servazione che si legge nella Germ. 6, 10 ‘paucis lo-  ricae, uix uni alteriue cassis aut galea’. Egli è vero  che i ‘ Cotini” conoscevano la metallurgia del ferro  (Germ. 43, 6), ma i ‘Cotini’” non erano stimati Ger-  mani: ‘Cotinos Gallica ... lingua coarguit non esse  Germanos, et quod tributa patiuntur’ (Germ. 43, 3).  Presso gli ‘ Aestii” era ‘rarus ferri, frequens fustium  usus’ (Germ. 45, 12).   Nella stessa orazione di Germanico si nota che i  Germani usavano per scudi ‘uiminum textus uel te-  nuis et fucatas colore tabulas’ (ann. II 14, 12): lo  stesso avvertesi in generale, intorno agli scudi dipinti,  nella Germ. 6, 9 ‘scuta tantum lectissimis coloribus  distinguunt ’. Soltanto gli ‘ Harii” avevano il costume  di portare gli scudi tinti in nero, per atterrire i ne-  mici durante i combattimenti notturni, presentando un  certo ‘nouum ac uelut infernum adspectum’ (Germ.  43, 24), ?   ì V. rag 105, per la rispondenza con la n. A. di Plinio.    2 Sull'uso degli scudi dipinti v. EvrIr. Phoen. 142, vol. II, p.  402, ed. Nauck. Cic. de or. II 66, 266.       — 127 —    f) Del clima della Germania si dice negli ann. II  24, 1 ‘truculeutia caeli praestat Germania’. E l’autore  della Germ. si domanda: ‘(quis) Germaniam peteret,  informem terris, asperam caelo, tristem cultu aspec-  tuque, nisi si patria sit ?° (Germ. 2, 8). Seneca fa una  osservazione consimile: ‘ perpetua illos (sc. Germanos)  hiems, triste caelum premit, maligne solum sterile su-  stentat” e. q. s.!   g) I soldati di Germanico, che sopraffatti dalla tem-  pesta, sì erano dispersi, tornati poi nei quartieri, dopo  lunga peregrinazione, narravano cose meravigliose,  ‘uim turbinum et inauditas uolucres, monstra maris,  ambiguas hominum et beluarum formas, uisa siue ex  metu credita’ (ann. II 24, 18). Simili notizie favolose  sono riferite nella Germ. 46, 25 intorno agli ‘ Hellusii ’  ed agli ‘“Etiones’: “ora hominum uultusque, corpora  atque artus ferarum gerere’. Ma, mentre un che di  ironico traspare dalla frase ‘siue ex metu credita’,  nella Ger. si. osserva che tali racconti si tralasciano,  perchè sfuggono ad un esame giudizioso : ‘ quod ego ut  incompertum in medio relinquam’ (Germ. 46, 26). Ad  una conclusione non dissimile era venuto prima Pom-  ponio Mela, trattando degli ‘Oeonae’, degli ‘Hippo-  podes’ e dei ‘ Panuatii ”. *   h) Alludendo ad un’età aurea degli ordinamenti so-  ciali, in tempi antichissimi, Tacito osserva : ‘ uetustis-  simi mortalium, nulla adhuc mala libidine, sine probro,  scelere eoque sine poena aut coercitionibus agebant’    1 Sen. dial. | 4, 14.   ? Pomp. Met. chor. Ill 6, 56. Cf. Plin. n. h. IT 108 (112), 246.  IV 13 (27), 95 Sotin. coll. r. m. 19, 6-8, p. 105, ed. Mominsen.  Avevstin. de civ. Dei XVI 8, vol. II, p. 135 sg., ed, Dombart.    — 128 —  (ann. III 26, 1). Simile concetto, ma col proposito di  dare evidenza, mediante l’antitesi, alla decadenza mo-  rale dei Romani nell’età imperiale, è annunziato nella  Germ. 19, 17 ‘plusque ibi boni mores uwalent quam  alibi bonae leges ’. Al medesimo concetto avevano al-  luso Sallustio! e Orazio. *   î) La pretensione vessatrice di Olennio, che impo-  neva ai ‘ Frisii’ di soddisfare il tributo di pelli di buoi  con pelli di uri, offre a Tacito l’ occasione di osserva-  re che ‘id aliis quoque nationibus arduum apud Ger-  manos difficilius tolerabatur, quis ingentium beluarum  feraces saltus, modica domi armenta sunt’ (ann. IV  72, 7). Analoga osservazione sui buoi della Germania,  che erano più piccoli e meno belli de’ buoi degli altri  paesi, si nota nella Germ. 5, 5 ‘ pecorum fecunda, sed  plerumque improcera. ne armentis quidem suus honor  aut gloria frontis’. Cesare l’ aveva anche osservato:  ‘ sed, quae (sc. iumenta) sunt apud eos nata, parua at-  que deformia”.?   j) Tacito narra che Nerone mandò in Britannia uno  de’ suoi liberti, di nome ‘ Polyclitus ?, con l’incarico di  rimettere la concordia tra il legato e il procuratore,  e di rappacificare i barbari ribelli; ma il liberto ‘ ho-  stibus inrisui fuit, apud quos flagrante etiam tum li-  bertate nondum cognita libertinorum potentia erat;  mirabanturque quod dux et exercitus tanti belli con-  fector seruitiis oboedirent’ (ann. XIV 39, 7). La  storia ci rammenta altri liberti potentissimi presso    1 SALL. Cat. 9, 1 “ius bonumque apud eos non legibus magis  quam natura ualebat’.   ? Hor. carm. III 24, 35 sg.   8 CAES. db. G. IV 2, 2.    — 129 —   alcuni imperatori romani. E però, in antitesi a quella  superiorità che si riconosceva, dai Germani non sotto-  posti a monarchi, ai soli uomini liberi, 1’ autore della  Germ. osserva: ‘ liberti non multum supra seruos sunt,  raro aliquod momentum in domo, numquam in ciuitate,  exceptis dumtaxat iis gentibus, quae regnantur ? (Germ.  25, 8: cf. 44, in principio).   k) Argomento trito era quello dei vantaggi di cui  godeva l’ ‘ orbitas ’ di vecchi ricchi. ‘ Hereditatis spes ’,  scriveva Cicerone, ‘ quid iniquitatis in seruiendo non  suscipit? quem nutum locupletis orbi senis non obser-  uat ?’!. Orazio ne fa il tema della sat. quinta del lib.  II (cf. anche episf. I 1, 79); e Seneca avverte: ‘in ci-  uitate nostra plus gratiae orbitas confert quam eripit ?. ?  Allo stesso argomento si riferisce Tacito , scrivendo:  ‘ satis pretii esse orbis quod multa securitate, nullis 0-  neribus gratiam honores cuneta prompta et obuia ha-  berent ? (ann. XV 19, 7); e in altri luoghi adduce per  esempi Calvia Crispinilla, ‘ magistra libidinum Nero-  nis?, la quale fu ‘ potens pecunia et orbitate, quae bo-  nis malisque temporibus iuxta ualent” (Risé. I 73, 8); e  un tale Pompeo Silvano, che ‘ ualuit pecuniosa orbitate  et senecta ’ (ann. XIII 52, 7). * L’antitesi sì osserva nel-    1 Cic. parad. V 2, 39.   2 Sen. dial. VI 19, 2; e degli scrittori che, dopo Plinio Se-  condo, s'intrattennero di tale argomento, v. PLIN. epist. IV 15,  3. IvvenaL. sat. IV 12,99 sgg. PETRON. sat. 1)6, p. 539. MAR-  TIAL. epigr. IV 56, 1-6. Amm. Marc. r. g. XIV 6, 22.   3 Ma Domizio Balbo era stato ‘simul longa senecta, simul  orbitate et pecunia insidiis obnoxius’ (ann. XIV 40, 3).    CONSOLI : L’ autore della Germania. 9    — 130 —    le istituzioni tradizionali dei Germani, presso i quali  ‘nec ulla orbitatis pretia’ (Germ. 20, 18).    IV. — In tutti i luoghi che nel presente capitolo ab-  biamo comparativamente esaminati, è agevole osservare  che la somiglianza o identità di concetto proviene per  lo più dai fonti comuni, donde i pensieri sono stati  dedotti ; e, ove tali fonti comuni manchino ovvero non  si riesca a determinarli, nulla vieta di ammettere che,  essendo il tempo della composizione della Gem. ante-  riore a quello in cui furono scritte le opere di Tacito,  questi, trattando ne’ suoi lavori storici di argomenti  analoghi ad alcuni già svolti o menzionati nella Germ.,  si sia avvalso di considerazioni , uotizie, insomma di  pensieri che erano stati espressi in questo ultimo libro.  Nondimeno Tacito non si attenne sempre a tali concetti,  chè talvolta di proposito se ne allontanò , o li modi-  ficò, o chiaramente li contraddisse. Valgano di confer-  ma i sgg. esempi.   a) Della notizia, data da Cesare, ! sull’ antica poten-  za dei Galli fa menzione la Germ. 28, 1, indicandone  con lode somma il fonte: ‘ualidiores olim Gallorum  res fuisse summus auctoram diuus Iulius tradit’. La  medesima notizia appare nell’ Agr. 11, 15, ma senza  indicazione del fonte autorevole: ‘Gallos quoque in  bellis floruisse accepimus’. Anche in un altro luogo    dell’ Agr., c. 10, si ripete, senza che se ne indichi il    fonte, una notizia data da Cesare.* Soltanto, quando si  riferiscono le imprese militari contro la Britannia, si fa    1 Cars, db. G. VI 24, 1.  ? Cars. b. G. V 13, 1 sgg.    Mo]    — 1Bl    cenno di Cesare: ‘primus omnium Romanorum diuus  Iulius cum exercitu Britanniam ingressus ’ (Agr. 13, 3).   b) La lingua dei Britanni non era molto differente  da quella gallica, perchè entrambe derivavano dallo  stesso ceppo celtico: e su ciò è chiara l’ affermazione  dell’ Agr. 11, 12. Ma con tale affermazione non si  può conciliare quanto è detto nella Germ. 45, 9, cioè  che gli ‘Aestii’, i quali abitavano sulle spiagge ad  oriente del mare suebico, ed avevano costumanze e  riti simili a quelli dei Suebi, adoperassero una ‘lin-  gua Britannicae propior ”.   c) La voce ‘Germania’ usata al plur. notasi nello  Agr. 15, 13. 28, 1: cf. ann. I 46, 9; è evitata nella  Germ., sebbene in questa si presenti non rara l’ oc-  casione della sineddoche mediante l’uso del plur. invece  del sing.   ‘d) Del Norico, che è più volte nominato negli scritti  di Tacito (ist. I 11, 9; 70, 16. ann. II 63, 3), non si  fa menzione nel c. 1° della Germ., nel quale si descri-  vono i confini della Germania: appena, per incidenza,  sì nota in un altro ]. che la terra germanica è ‘ uentosior  qua Noricum ac Pannoniam aspicit’ (Germ. 5, 3); il  che rende più evidente l’omissione fatta nel c. 1°.   e) Col solo nome ‘Caesar’, Tacito indicò il dittatore  Giulio Cesare (Rist. III 66, 16): più volte premise o  aggiunse il titolo ‘ dictator” (/ist. III 68, 5. ann. I 8,  27. II 41, 3. IV 34,21. VI 16, 2. XI 25,9. XIII 3, 11.  XIV 9, 6); una sola volta lo fece precedere dal pre-  nome C. (ann. IV 43, 5). Nella frase della Germ. 37,  20 ‘ Varum trisque cum eo legiones etiam Caesari  abstulerunt’, si indica col solo nome ‘Caesar’ l’impe-    — 132 —  ratore Augusto. !   f) Facendo menzione della vergine fatidica Veleda,  la cui autorità era divenuta grande dopochè ella aveva  predetto la vittoria dei Germani e la distruzione delle  legioni romane, Tacito accenna ad un antico costume  presso i Germani, ‘quo plerasque feminarum fatidicas  et augescente superstitione arbitrantur deas’ (list. IV  61, 10). Nella Germ. si spiega il fondamento di tale cre-  denza: ‘inesse quin etiam sanctum aliquid et proui-  dum putant, nec aut consilia earum aspernantur aut  responsa neglegunt’ (Germ. 8, 6); ma si avverte che  le donne fatidiche erano tenute ‘numinis loco’ e ve-  nerate ‘non adulatione nec tamquam facerent deas’.   9g) Per il ritorno degli ‘ Agrippinenses ’ in seno alla  grande famiglia germanica, si rendono grazie ‘ commu-  nibus deis et praecipuo deorum Marti’ (Qisf. IV 64, 4).  Nella Germ. 9, 1 si assevera, invece, che per i Ger-  mani il precipuo degli dei era Mercurio : ‘ deorum ma-  xime Mercurium colunt ’.   h) Nelle Rist. IV 73, 12 si fa menzione dei Teutoni  accanto ai Cimbri; nella Germ. 37, benchè vi si tratti  delle guerre cimbriche, si omette qualsiasi cenno in-  torno ai Teutoni. *   i) Per l’autore degli ann. sono ‘clientes’ i compa-    1 Negli ann. Augusto é detto una volta ‘Caesar Octauianus  (XII 6, 14) ed un’altra ‘Caesar’ (I 2, 3), riferendosi però a  tempi anteriori a quello in cui egli prese il nome di Augusto  (a. 727 /27: cf. WEISSENBORN, de Titi Liuii uita et scriptis, p.  XII). La disfatta di Quintilio Varo avvenne nel settembre del-  l'a. 9 d. Cr., cioè 36 anni dopo che Ottaviano era stato insi-  gnito col titolo di Augusto,   ? Vedi pag. 29, nota 1°.       — 133 —   gni dei capi barbari, p. es. i ‘clientes’ di Segeste (amm.  I 57, 13), di Inguiomero (ann. II 45, 4), di Vannio  (ann. XII 30, 7); e che significhi ‘ clientela’ per Tacito si  deduce dal l. degli ann. II 55,8. Nella Germ., invece,  i compagni dei capi son detti, con voce più nobile e  decorosa, ‘comites’ (Germ. 13,10, 12, 14, 14,7); ela  loro riunione ‘ comitatus” (Ger. 13, 11. 14, 2 e 11),  non ‘ clientela”.   j) Secondo la Germ. 4, 6, i Germani hanno ‘magna  corpora et tantum ad impetum ualida’. Negli ann. II  14, 14 si restringe l’obietto di tale considerazione, poi-  chè si nota che il corpo dei Germani è ‘uisu toruum  et ad breuem impetum ualidum ’. i   k) L’ autore della Germ. non saprebbe affermare  ‘nullam Germaniae uenam argentum aurumue gignere:  quis enim scrutatus est ?” (Germ. 5, 9). E nondimeno  negli ann. XI 20, 11 è detto espressamente che nell’a.  47 d. Cr. Curzio Rufo ‘in agro Mattiaco recluserat spe-  cus quaerendis uenis argenti ’, tuttochè con poco pro-  fitto e per breve tempo.   1) Se è assodato, da quanto narra Tacito negli ann.  XIII 57, 2 sgg., che i Germani facevano uso del sale,  non può evitarsi il contrasto con l’osservazione che leg-  gesi nella Germ. 23, 4, cioè che i Germani si prepara-  vano i cibi ‘ sine apparatu, sine blandimentis ?.   Ed altri esempi omettiamo, per amore di brevità.    FINE    INDICE    Avvertenza.    Capitolo I—Esame critico delle notizie con-  cernenti il tempo, in cui fu scritta e pub-  blicata la Germ.   Capitolo II—La Germ. nella tradizione agli  scrittori, sino ai tempi del Rinascimento   Capitolo III.—La Germ. nella tradizione ma-  noscritta .   Capitolo IV. — La dala imparata con le  nat. hist. di Plinio.   Capitolo V.— La Germ. BRA con 6  opere di Tacito    . pag.    VII    41    56    94    p. Al  » 58  » 65    » 75    Mende tipografiche    . 28 mendacium  13 comunica  18 Seguo  ll alle    leggi mendaciorum    »    »    comunicava  Seguiamo  alle 




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