Powered By Blogger

Welcome to Villa Speranza.

Welcome to Villa Speranza.

Search This Blog

Translate

Monday, January 6, 2025

GRICE E CICERONE

  ;   ?   «   f    Jl     ;   Ìm    ù'Ujf, L   >L ?i   *5 DELIA RETORICA   LIBRI QUATTRO  DI   T. GIOII   AD ERENNIO   VOLGARIZZATI  da   6. FRANCESCO GALLONI       NAPOLI   TIPOGRAFIA ITALIANA   Liceo V. E. al Mere* (e Ilo   1 8G8    *i    Digitized by Google    v ’   ' » •     }     Digitized by Google     LA RETORICA    LIBRO PRIMO    I. Avvegnaché, impedito d agli affari domestici,  a fatica io possa dar tempo bastante allo stadio, o  questo medesimo tempo, che mi è concesso, più  volentieri io soglia nella filosofia impiegare, non-  dimeno la tua volontà, o Gaio Erennio, mi ha mos-  so a scrivere dell’ arte del dire, acciocché tu non  islimassi o non aver io per amor tuo voluto o sì  veramente avere la fatica fuggito. E tanto più stu-  diosamente quest’opera ho presa, in quanto che  sapeva che non senza un motivo volevi imparar la  Rettorica. Imperciocché non picciol frutto ha in sè  l’abbondanza del dire congiunta alla facilità del-  l’orazione, se governata venga da una diritta intel-  ligenza, e da una ragionevole moderazione di ani-  mo. Laonde io ho lasciate da parte quelle cose,  che per una specie di ostentazione gli scrittori Greci  nei loro libri raccolsero. Li quali per non parere  di saper poco andarono in cerca di cose al tutto    Digitized by Googte     4    LA RLTTORICA    (    estranee, a cagione che l’arte si giudicasse cosa  difficile ad apprendersi: ed io per lo contrario non  ho tolto che quelle, che mi parevano dirittamente  appartenere al suggello. Imperciocché io, non già  per la speranza del guadagno o da una vana am-  bizione stimolato, mi sono posto a scrivere, sicco-  me fanno molli , ma sì solamente per appagare ,  com’ io poteva, i tuoi dcsiderii. Ora, per non pro-  ceder tropp’ oltre con vane parole, comincerò a  trattar l’argomento, avvisandoli in prima che l’arte  senza l’assiduilà del dire non giova gran fatto; tal-  ché devi intendere che questa ragione del precetto  vuol essere acconciala nell’esercizio.   II. Il dovere dell’oratore si è di poter parlare  di quelle cose, che all’ uso civile sono regolate  dalle costumanze e dalle leggi, conciliandosi, per  quanto ei può, l’approvazione di chi lo ascolta.  Tre sono i generi delle cause, che l’ oratore deve  prendere: il dimostrativo, il deliberativo, il giudi-  ziale. 11 dimostrativo è quello, che si propone o  la lode o il biasimo di alcuna determinata perso-  na. Il deliberativo è quello che, proprio alla con-  sultazione, ha perfine o il persuadere o il dissua-  dere. Il giudiziale è quello che, proprio alla con-  troversia, comprende in sé accusa o dimandagione  con difesa. Dirò ora le condizioni, che aver deve  un oratore: poscia dimostrerò come debbono es-  sere trattali questi tre generi di cause. È neccssa-    Digitized by Google    rio adunque die un oratore abbia invenzione, di-  sposizione, elocuzione, memoria, e pronunciazio-  nc. L’invenzione è un pensamenlo di cose vere o  verisimili, che valgano a far degna di approvazio-  ne la causa. La disposizione è un ordine c una  distribuzione delle cose, la quale c’insegna dove  debbasi collocare ciascuna di esse cose. L’elocu-  zione è alle cose trovate un adattamento di parole  e sentenze idonee. La memoria è un fermo com-  prendimento dell’animo delle cose o delle parole,  c della disposizione loro. La pronunciazione è un  moderamento della voce del volto e del gesto con  • venustà. Tre cose ciconduconoall'acquisto di tutte  queste doli; l’arte, l’imitazione, el’esercizio. L’arte  è un insegnamento, che ci somministra una via de-  terminata c la maniera del dire. L’imitazione è quel-  la, per la quale noi siamo spinti con sollecita cura  a voler rassomigliare ad alcuno nel dire. L’eserci-  zio è un assiduo uso, ed una consuetudine del dire.   III. Poiché adunque abbiamo dimostralo quali  cause dee prendere l’oratore, e di quali doti essere  fornito, diremo ora come si possano queste pro-  prietà dell’oratore applicare alla composizione di  un discorso. L’invenzione compiesi tutta in sei  parti del discorso, cioè in esordio, narrazione, di-  visione, confermazione, confutazione c confusio-  ne. L’ esordio è principio di orazione, pel quale  l’animo dell’ uditore si dispone all’ attenzione. La     (i LA UETTOIUCA   narrazione è l’esposizione di cose avvenute, o che  si danno come avvenute. Ln divisione è quella, per  cui poniamo in chiaro ciò, che si ha per consen-  tito, o che si adduce in controversia; e per cui  esponiamo le cose di cui dobbiamo tratiare. La  confermazione è una esposizione dei nostri argo-  menti con affermazione. La confutazione è un sol-  vimenlo degli argomenti conlrarii. La conclusione  è un artificioso termine del discorso. Ora, poiché  ad una colle doti proprie dell’ oratore, siamo ^  nuli, onde la cosa fosse più facile a comprender-  si, a far parola delle parti del discorso, attribuen-  dole all’ invenzione, sarà conveniente di parlare -  innanzi dell’ esordio. Posta la causa, affinché l’e-  sordio sia più acconcio al soggetto, bisogna esa-  minare qual è il genere della causa. Quadro sono  i generi delle cause, l'onesto, il turpe, il dubbio,  e l’umile. La causa è detta del genere onesto,  quando noi difendiamo ciò, che sembra merite-  vole di essere difeso da tulli, od oppugnamo ciò,  che sembra meritevole di essere oppugnato da  tutti, come se parliamo in favore d’un uomo prode  o contro un parricida. Si chiama genere turpe,  quando si oppugna cosa onesta, o si difende quella,  che è disonesta. Dubbio genere è, quando la causa  è in parte onesta e in parte disonesta. Umil gene-  re è, quando si mette innanzi cosa comunemente  dispregiata.    Digitized by Google     I    LIBRO I. 7   IV. Stando le cose in questi termini, converrà  adattare la qualità degli esordii al genere della  causa. Due sorti di esordii vi sono: l’esordio di-  retto, che i Greci chiamano proemio, c l’ esordio  per insinuazione, detto da loro efodo. L’ esordio  diretto è quello, pel quale senza più ci possiamo  rendere 1* animo dell’ uditore disposto ad udirci.  Esso si tratta in guisa da far per l’appunto attenti,  docili, e benevoli gli uditori. Se noi avremo il ge-  nere della causa dubbio, cominceremo dal diman-  dare benevolenza, onde non ci riesca di danno quel-  la parte, ch’ei conterrà, di bruttezza. Se il genere  della causa sarà umile, ecciteremo l'attenzione. Ma  se il genere della causa sarà turpe, allora useremo  l’esordio per insiimazione (del quale parleremo più  sotto), a meuo che non ci fosse avvenuto di trovar  cosa, per la quale, accusando l’avversario, potes-  simo ottener benevolenza. Se poi il genere della  causa sarà onesto, noi potremo a nostra volontà  usare o non usare I’ esordio diretto. Se vorremo  usarlo, o ci bisognerà mostrare ciò, che fa onesta  la causa, od esporre brevemente il soggetto, che  prendiamo a trattare. Se non vorremo usarlo , ci  bisognerà incominciare citando una legge, un te-  sto, o qualche altra cosa, che sia di fermo appog-  gio alla nostra causa. E poiché noi vogliamo avere  l’uditore docile, benevolo, ed attento, farò aperto  in che modo si possa ciascuna di queste tre cose    Digitized by Google     8    LA IlETTORICA    ottenere. Noi potremo aver docili gli uditori, se  esporremo brevemente il punto principale della  causa, ed ecciteremo la loro attenzione; perocché  è docile colui, che è disposto ad ascoltare atten-  tamente. Li avremo attenti, se noi prometteremo  di aver a dire cose importanti, nuove, straordina-  rie, o cose, che riguardino lo stato, o coloro stes-  si, che ci ascoltano, o il culto degli Dei immortali;  e se pregheremo che ci ascoltino attentamente; e  se esporremo con ordine le cose, che noi prendia-  mo a trattare.   V. Benevoli ci possiamo rendere gli uditori per  quattro modi: parlando di noi medesimi, degli av-  versari^ degli uditori, e del soggetto stesso. Noi  riporteremo benevolenza parlando di noi medesi-  mi, se loderemo senz’arroganza l’uffìzio nostro, o  ricorderemo ciò, che facemmo a prò della repub-  blica, o dei parenti, o degli amici, o di quelli stes-  si, che ci ascoltano; purché tutte queste cose si  convengano al soggetto, di cui si tratta. E pari-  mente se andremo discorrendo le miserie nostre,  siccome povertà, carcerazione, avversità; c se pre-  gheremo che ci diano aiuto, e dimostreremo nello  stesso tempo che non abbiamo voluto collocare in  estranei la nostra speranza. Noi accatteremo bene-  volenza parlando degli avversari, se li addurremo  nell’odio, nell’invidia, nel dispregio. Li addurremo  nell’ odio, se manifesteremo di essi alcun fatto o    4   Digitizc )0     LIBRO I.    9   turpe o orgoglioso, o perfido o crudele, o arro-  gante, o malizioso, o iniquo. Li trarremo nell’ in-  vidia, se porremo innanzi la loro forza, la potenza,  la fazione, le ricchezze, l’ambizione, la nobiltà, le  clientele, l’ospilalilà, le amicizie, le parentele: o  dimoslremo ch’eglino più confidanoin queste cose  che nella verità. Li avvolgeremo nel dispregio, se  metteremo innanzi la loro inerzia, la dappocaggi-  ne, la pigrizia, la lussuria. Noi raccoglieremo be-  nevolenza parlando degli uditori, se recheremo in  mezzo i giudizi nei quali essi diedero prova di co-  raggio, di sapietqp, di clemenza, di magnanimità;  e se faremo aperto quale slima si abbia di essi, c  quale sia l’aspettazione del presente giudizio. Par-  lando poi del soggetto medesimo ci renderemo  benevolo l’uditore, se innalzeremo la nostra causa  lodandola, e deprimeremo quella degli avversari  dispregiandola. : ì-m   VI. Parleremo ora dell’esordio per insinuazione.  Tre sono le occasioni, in cui non possiamo usare  l’ esordio diretto, le quali sono diligentemente da  considerare; o quando abbiamo una causa disone-  sta, voglio dire, quando il soggetto medesimo ci  fa contrario l’ animo dell’ uditore; o quando 1' ani-  mo dell’ uditore pare essere stato persuaso da chi  innanzi parlò contra noi; o quando esso è già stan-  co delle parole di chi arringò prima. Se dunque  la causa è del genere turpe, potremo per insinua-     10    LA RETT0R1CA    zione cominciare con queste ragioni: essere d’uopo  riguardar la cosa, non la persona ; o la persona,  non la cosa; non approvare neppur noi quelle azio-  ni che gli avversari nostri affermano essere stale  fatte, e sì essere indegne e nefande. Appresso, al-  lorché avremo discorso a lungo della gravità del  fatto, proveremo che nulla di simigliando è stato da  noi commesso; o metteremo innauzi un giudizio  pronunziato da altri giudici intorno ad una causa  simile, o identica, o minore, o maggiore. Di poi a  poco a poco ci accosteremo al nostro soggetto, e  verremo a confrontamenlo. Ottenerli pure lo sco-  po, se dichiareremo di non voler dir nulla degli  avversari o di alcun fatto toro, e nondimeno co-  pertamente ne parleremo lasciando sfuggir parole.  Se 1’ uditore sarà stato persuaso, vale a dire se il  discorso degli avversari avrà indotta la convinzione  negli uditori ( il che non sarà diffìcile di conosce-  re, poiché ci sono noti i mezzi, con cui possiamo  indurre la convinzione ); se noi, dico, giudichere-  mo indotta la convinzione, ecco quali saranno le  diverse maniere ondeinsinuarci per entro alla cau-  sa: prometteremo in prima di parlare di ciò, che  l’avversario avrà messo innanzi come suo più fer-  mo sostegno; o cominceremo da uno de’suoi detti  e soprattutto da uno degli ultimi; o useremo la  forma del dubbio, mostrandoci incerti di ciò che  dobbiamo dire o confutare in prima con pieno no-    Digitized by Google     LI BUO I.    Il    stro stupore. Se poi sarà di già stancala F atten-  zione dell’ uditore, noi cominceremo da qualche  cosa, che muover possa il riso, come sarebbe o da  un apologo, o da una favola, o da un contraffaci-  mento, o da una storta interpretazione, o da una  inversion di parole, o da un equivoco, o da un in-  dovinello, o da uno scherzo, o da una giulleria, o  da una esagerazione, o da un acconciamento e mu-  tamento di lettere; e inoltre promovendo aspetta-  zione, recando una similitudine, una novità, un  fallo accaduto, un verso; o approfittandoci ad una  interpellazione, ad un sorriso di alcuno; o promet-  tendo di lasciar da parte molte cose, che avevamo  in animo di dire; e di non voler parlare in quella  forma, in cui sogliono gli altri, con esporre breve-  mente in questo caso e il metodo altrui e il nostro.   VII. Ecco il divario, che passa tra F esordio per  insinuazione e F esordio diretto: l’esordio diretto  deve esser tale, che subitamente, recali innanzi gli  argomenti già da noi detti, ci rendiamo F uditore  o benevolo, o attento, o docile: ma l’esordio per  insinuazione deve esser tale, che copertamente per  dissimulazione diveniamo al medesimo scopo di  ottenere l’esposto vantaggio nell’esercizio del di-  re. Ma questi tre vantaggi benché si debbano aver  di mira per tutto il corso dell’orazione, voglio dire  che gli uditori ci si mostrino continuamente atten-  ti, docili e benevoli; pure ciò debbesi soprattutto   6     12    LA RETTOniCA    cercar di conseguire a prò della causa per mezzo  appunto dell’ esordio: Ora mostrerò quali sono i  difetti, che dobbiamo schivare per non fare un  esordio vizioso. Nel cominciare il discorso convie-  ne aver cura che il dire sia piano, e le parole co-  munemente accettale nell' uso per non essere tac-  ciati di affettazione. È un esordio vizioso quello,  che può convenire a più cause; il quale esordio  chiamasi volgare. Parimente è vizioso quello, che  si adatta così alla causa dell’ avversario come alla  nostra; il quale chiamasi comune. È anco vizioso  quello, onde l’ avversario può far uso contro di  noi, indottavi una leggiera mutazione. Medesima-  mente è vizioso quello, che è composto di parole  troppo studiate, o è troppo lungo; e sì quello, che  non par nato naturalmente dal soggetto, di guisa  che si leghi senza stento alla narrazione ( il qual  chiamasi esordio staccato, e in cui si comprende  anche l’esordio traslato); e quello finalmente, che  non rende nè benevolo, nè docile, nè attento l’u-  ditore.   Vili. Ma dell’ esordio basti il fin qui detto: pas-  siamo ora alla narrazione. Di narrazioni ci ha tre  generi. Il primo è quando esponiamo un fatto, e ne  tiriamo ogni circostanza a nostro vantaggio per ot-  tenere vittoria; il qual genere appartiene appunto a  quelle cause, che si espongono ad essere giudica-  te. Il secondo genere di narrazione è quello, che al-    Digitized by Google     LIBRO I.    13    cuna volta interviene nel mezzo della causa per mo-  tivo di prova, o di accusa, o di transizione, o di ap-*  pareccliiamento, o di lode . Il terzo genere è quello,  che è bensì estraneo alla causa civile, ma nel quale  conviene nulladimeno esercitarsi per poter più ac-  conciamente trattar nelle cause quei due generi di  narrazione, che abbiamo detto di sopra. Di colesta  narrazione ci ha due specie, 1’ una che riguarda le .  cose, l’altra le persone. Quella specie, che riguar-  da le cose, ha tre parli, la favola, la storia, la sup-  posizione. La favola è quella, che contiene cose,  nè vere nè vcrisimili; come quelle, che si hanno  nelle tragedie. La storia è un fatto accaduto, ma  lontano dalla memoria del tempo nostro. La sup-  posizione è una cosa finta, ma che nondimeno potè  accadere, come i fatti supposti delle commedie.  Quel genere di narrazione, che riguarda le perso-  ne, deve contenere le grazie del dire, la diversità  dei caratteri, la gravità, la leggerezza, le speranze,  i timori, i sospetti, i desiderii, la dissimulazione,  la pietà, i variamenti delle cose, i mutamenti della  fortuna, gl’ inaspettati mali, losubite allegrezze, i  lieti fini. Ma l’esercizio è maestro a siffatto genere  di narrazione. Discorriamo ora solamente di quel  genere che è proprio di una causa vera.   IX. È necessario che la narrazione abbia tre qua-  lità, che sia breve, chiara, e verisimile: le quali  condizioni, poiché sappiamo essere indispensabili,     H h\ RETTORICA   vediamo come si possano conseguire. La narrazio-  * ne sarà breve, se cominceremo là donde è neces-  sario incominciare; e se non risaliremo alle prime  origini delle cose; e se narreremo sommariamente  e non partilamente; e se non discenderemo sino  alle ultime conseguenze, ma ci fermeremo là dove  basti ; e se non daremo luogo a digressioni; e se  . non devieremo dal soggetto, che avremo preso; e  se in guisa esporremo gii esili delle cose, che in-  dovinar si possa ciò che è stalo fallo innanzi, ben-  ché noi lo tacciamo; come se, per esempio, dirò:   « che io sono ritornalo dalla provincia », s’ inten-  derà ancora che io era andato nella provincia. E al  lutto sarà meglio tacere non solo ciò che è contra-  rio alla causa, ma anche ciò che non è ad essa nè  contrario nè favorevole. Ed è anco a guardare di  non ripetere due o tre volle la cosa medesima; e  di non ripigliare a capo di ogni frase ciò che è  stato dello in finediognuna, come in questo esem-  pio : « Simone arrivò la sera da Atene a Megara;  dappoi che fu arrivato a Megara, lese insidie alla  donzella; dappoi che le ebbe tese insidie, lefe’ vio-  lenza nel luogo stesso ». La narrazione sarà chia-  ra, se noi esporremo prima ciò che è stalo fatto  prima, e conserveremo l’ ordine delle cose e dei  tempi così come le cose saranno state fatte, o co-  me sarà verisimile che siano state falle. E qui sarà  da vedere che noi evitiamo la confusione, gli avvi-    Digitized by Google     LIBRO I.    15    luppamenli, le ambiguità, i vocaboli nuovi, le di-  gressioni estranee al soggetto; clic non risalghia-  mo troppo ai principii; che non discendiamo trop-  po alle ultime cose; che non ommelliamo nulla di  ciò che spetta al soggetto; e finalmente consegui-  remo la chiarezza, se osserveremo i precetti, che  pure riguardano la brevità; perciocché quanto più  la narrazione sarà breve, tanto più sarà chiara e  facile ad intendersi. La narrazione sarà verisimile,  se noi diremo conformamente al costume, all’opi-  nione, alla natura; se ben converranno gli spazii  de’ tempi, i caratteri delle persone, i motivi delle  deliberazioni, le opportunità de’ luoghi, affinchè  non ci si possa opporre o che il tempo non è stato  bastevole, o che non eravi alcun motivo, o che il  luogo non era conveniente, o che quelle cotali per-  sone non potevano essere o agenti o pazienti. Se  il fatto, che si narra, è vero, pur bisognerà, nar-  randolo, osservare tutte queste condizioni; per-  chè, se non si osservino, la verità può sovente non  essere creduta. Se poi il fatto è supposto, tanto più  bisognerà osservarle. Finalmente converrà usare  cautela nell’oppugnare quei falli, che sapremo es-  sere testificati o da uno scritto degno di fede, o  dall’autorità rispettabile di taluno. Quanto alle co-  se, die ho fin qui dette, credo di concordare con  tutti gli altri scrittori dell’arte; se non che ho detto  alcun che di nuovo intorno agli esordii per insi-     16    LA RETTORICA    nuazione, avendoli io solo, fra tanti altri, distinti  in tre classi, affinchè una via al tutto certa avessi-  mo, e una regola chiara in tal genere di esordii.   X. Ora, poiché mi rimane a parlare di quella  parte dell’ invenzione, in cui principalmente con-  siste P arte dell’ Oratore, farò che non paia aver io  nella trattazione di questa parte posto minor cura  di quello che P importanza del soggetto richiede,  quando avrò prima dello alcun che intorno alla di-  visione delie cause. La divisione delle cause è di-  stribuita in due parti. Terminata la narrazione, noi  dobbiamo primieramente mostrare in che conve-  niamo cogli avversari, e poscia, se sono a noi van-  taggiosi i punti, in cui conveniamo, passare a ciò  che è soggetto di controversia. Per esempio: «Che  da Oreste sia stala uccisa la madre, convengo cogli  avversarli; che egli abbia ciò fatto a drillo, o che  gli sia stato ciò lecito, ecco il punto che è soggetto  a controversia ». Ed egualmente nella risposta :  « Che Agamennone sia stalo ucciso da Clilenne-  stra, tutti Io affermano, ma benché ciò sia, pure  pretendono che io non doveva vendicare mio pa-  dre ». Fatta la divisione, noi dovremo ricorrere alla  distribuzione, la quale pure ha due parti, cioè l’e-  numerazione e la esposizione , L 1 enumerazione  consiste nel dire il numero delle cose, di cui pren-  diamo a parlare; e non bisogna che nel numero  abbia più di tre parli; perchè il dirne più o meno    Digitized by Google       ì    L1BH0 I. 17   è cosa pericolosa, e può mettere nell’uditore il so-  spetto di meditazione e di artifizio ; la qual cosa  toglie fede al discorso. L’esposizione poi consiste  nel mettere innanzi con brevità e senza ommissioni  le cose, delle quali togliamo di parlare.   XI. Passiamo ora alla confermazione, e alla con-  futazione. Tutta la speranza della vittoria, e tutto  l’affare della persuasione sta nella confermazione  e nella confutazione; imperciocché quando avremo  esposte le nostre prove, e distrutte quelle dell’av-  versario, noi avremo intieramente adempiuto al-  1’ uffizio dell’ Oratore. Noi potremo adunque trat-  tare egualmente queste due parti della conferma-  zione e della confutazione, se ci sarà aperto (ostato  della quistione. Quattro stati di quislione statuiro-  no gli altri retori; ma Ermete, mio maestro, non  ne ammise che tre, non già perchè volesse levar  via qualche cosa di ciò che quelli attribuirono alla  parte dell’ invenzione, ma per mostrare che essi  separarono in due ciò che era d’ uopo presentare  nella sua semplice ed indivisibile unità. Lo stato  della quistione è il primo conflitto del difensore  contro l’ imputazione dell’ accusatore. Tre sono  adunque, come ho detto, gii stati della quistione,  il congetturale, il legale, il giurisdiziale. Lo stato è  congetturale, quando vi è controversia di fatto, a  cagione di esempio: « Aiace, allorché conobbe ciò  che fatto avea durante il tempo del suo delirio, si    » \    jitized by Google    18    LA RETT0H1CA    trafisse con la spada in un bosco. Vi capita Ulisse:  vede 1’ ucciso; gii leva dal corpo il ferro insangui-  nato. Sopravviene Teucro; vedendo il fratello uc-  ciso, ed il nemico del fratello con la spada in ma-  no tinta di sangue, accusa Ulisse di assassinio ».  Qui, poiché si cerca la verità per congettura, vi  sarà controversia di fatto, e da ciò chiamasi con-  getturale lo stato della quistione.   XII. Si chiama stato di quistione legale, quando  sorge controversia intorno ad uno scritto. Siffatto  stalo ha sei parli, lettera e spirilo, leggi contrad-  dittorie, ambiguità, definizione, traslazioae, ana-  logia. Ci ha controversia intorno alla lettera e allo  spirito quando l’ intenzione di chi ha scritto sem-  bra discordare dallo scritto medesimo, per esem-  pio : « Suppongasi che vi sia una. legge , la quale  disponga che coloro, i quali per cagione di burra-  sca abbandonino la nave, debbano perdere la nave  ' e ogni cosa; e che, se la nave vada in salvo, tanto  essa quanto l’allre cose rimangano proprietà di chi  è restalo nella nave. Ora, spaventali tutti dalla  grandezza della burrasca abbandonarono la nave,  e cercarono salvamento sopra di un palischermo ,  eccetto un ammalalo, il quale per impotenza non  uscì di nave c non si mise in salvo. La nave per  caso e per fortuna si ridusse in porto sana e salva:  1’ ammalato si trova possessore di essa : 1’ antico  padrone della nave ne fa dimanda in giudizio co-     Digitized by Googte     LIBRO I.    19    me di cosa sua ». Queslo si è stato di quistion le-  gate riguardante la lettera e lo spirito del lesto.-—  La controversia ha origine da leggi contradditto-  rie, quando una legge ordina o permette una cosa,  e l’allra la proibisce, come : « Una legge proibi-  sce che un uomo condannato di concussione parli  davanti alPassemblea del popolo. Un’ altra legge  ordina che P augure proponga all’ assemblea del  popolo colui che domanda di essere surrogato nel  posto del collega defunto. Ora, un augure, che fu  condannato di concussione, propose il successore  del suo collega defunto. Si domanda che sia pu-  nito ». Questo è stato di quistion legale, che ha le  origini da due leggi contraddittorie. La controver-  sia nasce dall’ambiguità, quando una cosa scritta  in un senso ne presenta due, o più; per esempio:  « Un padre di famiglia, instituendo erede il pro-  prio figlio, legò pure in testamento a sua moglie  dei vasi d’argento in questi termini: « Tullio, mio  erede, darà a Terenzia, mia moglie, trenta libbre  di vasi d’argento, a scelta sua ». Morto il testa-  tore, la donna domanda i vasi preziosi , e ma-  gnificamente cesellali. Tullio dice di dovere a lei  dei vasi d’argento pel peso di trenta libbre, ma a  sua scelta ». Ecco uno stato di quistion legale, che  sorge dall’ambiguità delle parole. La quistionc di-  pende dalla definizione quando c'è discordanza in-  torno al nome, col quale si dee chiamare un’azio-    Digitized by Google     20    LA BETTORICA    ne : ecco un esempio: « Essendo Lucio Saturnino  per portar la legge frumentaria dei semiassi e dei  terzi di asse, Quinto Cepione, che era in allora  questore urbano, avvisi il Senato, che l’erario non  poteva sopportare una cotanta largizione. Il Senato  decretò che, se egli avesse recata quella legge al  popolo, sarebbe stato riguardato come autore di  un fatto contro alla Repubblica. Saturnino si provò  a recarla. I suoi colleghi fecero opposizione: egli  nondimeno fece portare innanzi la cassetta de’suf-  fragi. Cepione, vedendo che , a malgrado del de-  creto del Senato e della opposizione dei colleghi,  ei recava la legge in danno della cosa pubblica, si  fa violentemente strada con alcuni de’migliori cit-  tadini, rompe i ponti, rovescia le cassette, ed im-  pedisce che la legge passi. Cepione viene accusato  di. lesa maestà ». Lo stato della quislione è legale,  dipendente dalla definizione ; conciossiachè non  verrà bene determinalo che cosa sia lesa maestà,  se non sia ben definito il vocabolo stesso. La con-  troversia nasce da traslazione quando V accusalo  domanda, o che la causa sia trasferita ad altro tem-  po, o che sia cambialo l’ accusatore, o che sieno  cambiati i giudici. Di questa parte di costituzione  se ne servono i Greci nelle cause pubbliche, c noi  per lo più nelle cause private. In siffatta parte la  scienza del diritto civile ci sarà di gran giovamen-  to. Nondimeno anche nelle cause pubbliche noi    m        LIBHO I. 2d   qualclie volta ce ne serviamo, ed ecco in che mo-  do: « Se alcuno è accusalo di peculato, perchè è  voce che egli abbia portalo via da un luogo privato  dei vasi d' argento di pubblica spettanza, egli può  rispondere, dopo di aver defluito che cosa sia fur-  to, e che cosa sia peculato, clic, rispetto a lui,  bassi a giudicarlo di furto e non di peculato». Una  siffatta parte di costituzione legale è di rado invo-  cata dinanzi ai nostri tribunali, perchè se si tratta  di azion privala, il pretore giudica delle eccezioni,  e perde la causa colui che non si attiene alle for-  me prescritte; c se si tratta di causa pubblica, le  leggi provvedono che antecedentemente, se l’ac-  cusato ciò crede di suo vantaggio, sia dato giudi-  zio, se quell'acusalore abbia o no il diritto di ac-  cusare.   XIII. La controversia ha le origini dalla analo-  gia, quando si presenta in giudizio un fatto, in-  torno a cui v'ha alcuna legge propria, la quale  decida, ma che nondimeno può riferirsi a qualche  altra legge. Per esempio: Una legge dice: Se uno  è furioso, la persona e i beni di lui saranno nella  potestà de’ suoi agnati e gentili: » Un'altra legge  dice: « Colui, che sarà giudicalo di avere ucciso  il padre o la madre, sia ravvolto e legalo in un  sacco di cuoio, e gittalo in un fiume. » Ed un’al-  tra dice : Se un padre di famiglia ha per testa-  mento disposto de’suoi beni c de’suoi schiavi, sia    Digitized by Google    22    I.A RETTORICA    rispettata la sua volontà. » Ed un’altra dice final-  mente: » Se un padre di famiglia muore senza te-  stamento, i suoi schiavi ed i suoi beni siano degli  agnati e dei gentili. » Orbene: Malleolo fu giudi-  cato di avere ucciso la madre: appena condannato  gli fu ravvolto il capo in un cuoio di lupo, gli fu*  ron messi i ceppi ai piedi, e fu condotto nel car-  cere. I suoi difensori portano delle tavolette nella  prigione; ricevono da lui, in presenza di testimo-  nii, giusta la legge, il suo testamento, c poco dopo  è condotto al supplizio. Coloro, che per testamento  ne erano gli eredi, domandano l’eredità. Il fratello  minore di Malleolo, che nel fatto di esso era stalo  l’accusatore, dichiara che per la legge di agnazio-  ne quella eredità è a lui devoluta. Qui non può  essere prodotta alcuna legge speciale intorno a  questo caso, e ciò nonostante se ne producono  molte, dalle quali si trae per analogia, che Mal-  leolo abbia o non abbia potuto di diritto far testa-  mento. E. co qual è lo stato di quistion legale fon-  dalo sopra l’analogia.   XIV. Noi abbiamo dimostrato tutte le diverse  specie di quistion legale: ora parliamo della qui-  stione giurisdiziale. Ci è lo stato di quistion giu-  risdiziale quando si conviene del fatto, ma si do-  manda, se esso è o non è conforme al diritto. Di  tale stato di quistione ce n’ ha due specie: l’una  specie chiamasi assoluta, el’ altra assuntiva. Ella    LIBRO I.    23    è assoluta, quando noi sosteniamo che un’ azione  è rettamente fatta, senza clic ricorriamo a motivi  estrinseci; per esempio: « Un commediante rivolse  la parola in pieno teatro nominatamente al poeta  Accio: Accio lo accusa d’iugiuria: il commediante  non si fa altra difesa che questa: dice che è lecito  nominare colui, sotto il cui nome è data a rappre-  sentare in teatro una commedia. » La quistionc è  assunliva, quando, essendo per sè stessa debole  la difesa, si cerca di sostenerla con alcuna cosa  presa fuori dal soggetto. Le parli assunlive sono  quattro: La confessione, la discolpa, la recrimina-  zione, l'alternativa. La confessione sta, allorquan-  do l’accusato domanda che gli sia perdonato: essa  ha due parti: o la scusa, o la preghiera. La scusa  è, quando l’accusato dichiara di non aver com-  messo il delitto con animo deliberato. Danno scusa  la fortuna, l’ignoranza, la necessità. La fortuna,  « come Cepione avanti ai tribuni della plebe in-  torno alla perdila della sua armala. » I.’ ignoranza,  « come colui, che mise a morte quello schiavo,  che aveva ammazzalo il proprio padrone, al quale  egli era fratello, avanti che avesse aperte le tavole  del testamento in cui quello schiavo era dichiarato  libero. « La necessità, « come quel soldato, che  non tornò alle insegne il giorno prefisso, perchè  le acque gli avevano impedito il ritorno. « La pre-  ghiera è, quando l’accusato confessa di aver com-     24 J.A RETTORICA   \   messo il fallo, e di avere operalo deliberatamente,  e nulladimeno dimanda che gli si usi misericordia.  Questo mezzo in giudicio non si usa quasi mai, a  meno che non si parli in favore di un uomo cono-  sciuto per molle belle azioni. Se il caso è tale, noi   10 vestiremo della forma di uno de’luoghi comuni  proprii aH’amplificazione, dicendo, per esempio :  « Se un tale misfatto avesse pur egli commesso,  bisognerebbe nondimeno mandarlo perdonalo in  grazia delle sue belle azioni passate; ma egli non  implora alcun perdono. » Questo mezzo adunque  in giudicio non si usa; ma ben può usarsi dinanzi  al senato, o ad un Generale di armata, ed al suo  consiglio di guerra.   XV. La causa ha sostegno nella recriminazione,  allorquando noi non neghiamo di aver commesso   11 fallo, ma diciamo di esservi stali spinti dal fallo  altrui: « Come Oreste, il quale, per fare a sè dife-  sa, gilta la cagion del delitto sopra la propria ma-  dre. » La causa ha sostegno nella discolpa, allor-  quando noi cerchiamo di difenderci non in quanto  al fatto, ma in quanto alla colpabilità, ghiandola  o sopra di alcun’ altra persona, o sopra di alcuna  cosa. Ella giltasi sopra di alcun’ altra persona,  « come se è accusato uno, il quale confessi di ave-  re ucciso Publio Sulpicio, ma rechi a sua discol-  pa di avere ciò fatto per comandamento dei con-  soli, ed affermi che essi non solo glielo comanda-    Digitized by Google     LIBRO I. "55   rono, ma gli fecero ancora conoscere il perchè  egli poteva ciò fare. » Si gitta sopra una cosa,  « Come se alcuno sia impedito da una legge sta-  tuita dal popolo di far ciò che un testamento gli  ordina ». La causa ha sostegno nell’ alternativa,  quando noi diciamo che non si poteva a meno di  non fare o Luna cosa o T altra, o che fu miglior  partito far ciò che facemmo. Ecco un esempio di  questa specie: « Caio Popilio, essendo accerchiato  dai Galli, nè polendo in alcuna maniera scampare,  venne a parlamento coi capitani dei nemici e ot-  tenne di andarne libero colla sua armata a condi-  zione ch’ei lasciasse le sue bagaglie; stimò miglior  partito perdere le bagaglie, che Tarmata: salvò  Tarmata, lasciò le bagaglie: or viene accusato di  lesa maestà ».   XVI. Io credo di avere bastantemente dimostrato  quali sieno i diversi stali di quistione, e quali le  loro parti. Ora dimostrerò in qual maniera e con  qual ordine si dovranno da noi trattare, dopo che  avrò fatto ben conoscere quale convenga dirsi da  una parte e dalfallra il punto essenziale della cau-  sa, a cui debbesi riferire ogni ragionamento di tutto  il discorso. Trovato adunque lo stato della quistio-  ne, si deve tosto cercar la ragione: per ragione io  intendo ciò che costituisce la causa, e che com-  prende il punto fondamentale della difesa; c per  continuare a farmi meglio intendere, farò ciò'aper-     Digitized by Google     LA RETTORICA    10 con un esempio: « Oreste nel confessare che ha  uccisa la madre, se non desse una ragione del  fallo, toglierebbe via a sè ogni difesa: nc dà adun-  que una, la quale se data non fosse, non avrebbe  luogo pausa di sorte alcuna: Mia madre, dice egli,  ha ucciso mio padre: « Ecco che la ragione che  ne dà, è appunto quella, io lo ripeto, che contie-  ne il punto fondamentale della difesa, e-se vi man-  casse questa ragione, non vi rimarrebbe neppure   11 più piccolo dubbio che potesse venire ritardata  la condannagione. — Trovata la ragione, bisogne-  rà cercare la replica dell’avversario; vale a dire,  il punto principale dell’ accusa, ciò che recasi in  mezzo in opposizione di questa ragione della di-  fesa , di cui abbiamo detto. Ecco come questo  punto verrà determinalo: quando Oreste avrà detta  la sua ragione così: « Io ho ucciso a buon diritto  mia madre perchè ella ha ucciso mio padre »; l’ac-  cusatore replicherà in questo modo: « Ma ella non  doveva essere uccisa da le, nè sostenere una pena  senza essere stata prima condannata. «Dalla ra-  gione della difesa, e dalla replica dell’ accusa ne  sorge la quistione di giudizio, che noi chiamiamo  giudicazione, e i Greci xp/vójuevov. Questa verrà  costituita dal concorso della ragione della difesa,  e della replica dell'accusa in questo modo: « Poi-  ché Oreste dichiara di avere ucciso la madre per  vendicare il proprio padre, era egli giusto o no    Digitized by Google     LIBRO I.    27    che Clilenncslra venisse uccisa dal figliuolo senza  un giudizio ? » Ecco qual è il modo di trovare il  punto di giudicazione: trovato il punto di giudica-  zione, converrà che a quello sia riferita ogni ragio-  ne dell'inlero discorso.   XVII. Il metodo adunque da seguirsi per trova-  re in tutti gli stati di quislionc, c nelle diverse loro  parli, il punto di giudicazione sarà questo , fuor-  ché nello stalo di quistione congetturale. Imper-  ciocché in esso nè si domanda la ragione del fallo,  perchè il fatto è negalo, nè si cerca la replica dej-  l’avversario, perchè manca appunto la ragione.  Laonde in siffatto stato di quislionc il punto di  giudicazione viene determinato dalla imputazione  c dalla negazione, in questo modo: Imputazione:  « Tu hai ucciso Aiace. » Negazione: « Io non 1’ ho  ucciso. » Punto di giudicazione: « La ha egli uc-  ciso o no? » A questo punto si deve, come ho già  detto, riferire ogni ragione delle due aringhe. Se  vi saranno più stali di quistione, o più parli di qui-  stioni in una medesima causa, ci saranno anche  più punti di giudicazione, ma si troveranno tutti  nella maniera medesima. Io ho posto diligente  opera a parlare con brevità e chiarezza di quelle  cose che dovevano essere fin qui discorse. Ora,  poiché abbastanza è cresciuto di mole il volume,  è più conveniente esporre in un altro libro il se-  guito del nostro soggetto, onde non venga la men-   7     28    LA RETTORICA    te tua, per la moltitudine degl’insegn amenti, op-  pressa da soverchia fatica. E se quest’ opera sarà  compila più lardi di quello che tu desideri, ne do-  vrai dare la colpa si all’ampiezza delle materie, e  sì ancora alle occupazioni mie. Nulladimeno io  m’affretterò, e supplirò coll’induslria alla scarsità  del tempo, a One di soddisfare al tuo desiderio  donandoti quest’ opera in coglraccàmbio de’ tuoi  buoni uffizii verso di me, e come pegno della mia  affezione verso la tua persona.    Digitized by Google     LA. RETORICA    LIBRO SECONDO   !   I. Nel primo libro, o Erennio, io ho brevemente  esposto quali cause deve prender l’oratore, in quali  doveri dell’arte conviene ch’ei s’affatichi, e in qua-  le. maniera può facilissimamcnlc adempiere a sif-  fatti doveri. Ma perchè non era possibile il tratta-  re tulle Icquistioni ad un tempo, e bisognava pri-  ma dilucidare le più importanti, per farti poi più  facilmente intendere le altre, così io ho giudicato  conveniente di accostarmi di preferenza a quelle  ehe erano le più difficili. Ci ha tre generi di cau-  se, il dimostrativo, il deliberativo, e il giudiziale:  il giudiziale è il più difficile; tratterò dunque di  esso pel primo. Tanto ho pur fallo nel libro prece-  dente, toccando dei cinque doveri dell’oratore, dei  quali il principale e il più difficile è l’invenzione:  ■or id darò in questo secondo libro presso a poco  compimento a quanto concerne l’invenzione, non  «serbando che una piccola parte di essa pel ler-     30    LA RETTOniCA    zo.Io ho comincialo primieramente a parlare delle  sei parti proprie di un discorso: nel primo libro ho  detto dell’esordio, della narrazione e della divisio-  ne, nè più a lungo di quello che bisognava, nè  meno chiaramente che mi pareva essere da te de-  sideralo: di poi ho dovuto discorrere congiunta-  mente della confermazione c della confulazione;  per lo che ho fatto conoscere gli stati diversi di  quistione, c le parti loro: di che venivasi a mostra-  re nel tempo medesimo in qual modo, posta la  causa, sì può trovare lo stato della quistione, e le  parti sue: appresso ho insegnalo come bisognava  cercare il punto di giudicazione; trovato il quale',  come è da curare che ogni ragione dell’intero di-  scorso si riferisca a quello: per ultimo ho avvertilo  che vi sono più cause, alle quali possono adattarsi  più stati di quistione, o più parti di essa.   II. Rimane, penso io, a mostrare in qual manie-  ra accomodar si possano le cose dell’invenzione ir  ciascuno stalo di quistione, c a ciascuna parte di  essa; ,e parimente quali siano gli argomenti delti  dai Greci £jri%£ip^P-ara , cui bisogna usare, e quali  siano quelli, cui bisogna lasciar da parte; le quali  due cose riguardano appunto la confermazione c  la confutazione. Insegnerò per ultimo in qual ma-  niera dovrà farsi la conclusione oratoria, che è ap-  punto l’ultima delle sei parti di un discorso. Prima  di tutto adunque noi cercheremo come convenga    Digitized by Google     LIBRO II.    31    di trattare ciascuna causa. Cominciamo dal consi-  derare la causa congetturale, che è la prima e la  più diffeile. Nella causa congetturale la narrazio-  ne dell’accusatore deve contenere dei sospetti get-  tati c sparsi destramente qua c là in modo da far  pensare che niun alto, niun dello, niuna venuta,  ninna partenza, niun fallo insomma sia stato senza  un motivo. I.a narrazione del difensore deve pre-  scolare una esposizione semplice e chiara, accon-  cia a tor via ogni sospetto. Ciò che costituisce un  tale stato di quistioue, è distribuito in sei parti: in  probabilità, in confronto, in segno o indizio, in  argomento, in conseguenti, e in prova. Facciamo  aperto il valore di ciascuno di siffatti mezzi. La  probabilità è quella, per la quale si dimostra che  il delitto fu vantaggioso all’accusato, e ch’egli non  fu mai uomo aborrente di una tale turpitudine.  Nella probabilità si vogliono considerar due cose:  la cagion del delitto, e la condotta dell’ accusato.  La cagione, che può aver mosso al male, si è, o la  speranza dell’utile, o Levitazione del danno: come  allorché si cerca, se mediante il delitto ei pensò  di avere qualche vantaggio, per esempio onori,  ricchezze, potere, se volle soddisfare a qualche  sregolato amore o a qualche appetito di tale na-  tura. 0 veramente se ebbe in animo di evitar qual-  che danno, come inimicizie, infamia, dolore, sup-  plizio.    32    LA, RETTOIUCA    III. In quanto sia atla speranza dell’ utile, l’ac-  cusatore verrà dimostrando la cupidità dell’animo  del suo avversario, c in quanto sia all’evilazion del  danno ne andrà esagerando le paure. 11 difensore,,  al contrario negherà, se potrà, che vi fosse una  cagione, o procurerà di attenuarla; quindi conchiu-  derà che è ingiusto l’indur sospetto di malvagia  azione in tutti quelli, ai quali è derivato vantaggio  da alcuno lor fatto. Appresso si toglierà ad esami-  nare la condotta dell’ accusato dagli antecedenti.  Nel che l'accusatore andrà primieramente conside-  rando, se al suo avversario abbia già a rimprovc*  rare qualche cosa di somigliante; e ciò non trovan-  do di lui, cercherà se egli potè mai essere sospet-  tato di una simile azione; e si adoprerà in questo  di dimostrare che la condotta di lui ben concorda  con la cagione da esso accusatore assegnata al de-  litto, di cui si tratta, come: Se affermerà che la  cagione del delitto è stato il danaro, dimostrerà  che colui è sempre stalo un avaro; se l'onore, che  ei fu sempre ambizioso: così potrà congiungcrc il  vizio dell’ animo con la cagion del delitto. Se non  potrà trovare in lui un vizio dell’animo, che con-  cordi con la cagione, ne cercherà uno di natura  diversa. Se non Io potrà, per esempio, dimostrare  avaro, lo dimostri, se in qualche modo il può, cor-  rompitore e misleale: in fine per uno o più altri  vizii farà lordo l’ animo del suo accusato; c con-    Digitized by Googte     ... , . . . — « — , 3 ■ ■■   r ^ "   I _•   Libro u. 33   /   chiuderà, clic non dee far meraviglia, che quello  stesso uomo, che in addietro operò così male, ab-  bia ora commesso qucsl’altro misfatto. Se l’avver-  sario godrà nome puro ed intatto, dirà che biso-  gna tener conto dei fatti, non del nome; eh’ egli  per lo passato seppe occultare le sue turpitudini;  ma che ora esso accusatore farà aperto che colui  è reo di misfatto. Per quanto spetta al difensore,  egli in primo luogo verrà dimostrando, se potrà,  •che la vita dell’ incolpato è senza macchia; se ciò  non potrà, piglierà difesa dalla inconsideratezza,  dalla stoltezza, dalla giovinezza, dalla violenza,  dalla persuasione: con le quali scuse verrà ad al-  lontanare da lui il biasimo delle azioni anteriori  all'accusa, di cui presentemente si tratta. Ma se il  difensore si troverà forte imbarazzato dalle turpi-  tudini e dalla mala fama del suo accusato, prima ,  di tutto darà opera a provare che si sono sparse  delle calunnie sopra un innocente; e farà uso di  questo luogo comune, Che non bisogna credere  alle voci del volgo. Se nessuno di questi sussidii  potrà essere usato, egli s’appiglierà all’ estrema  difesa, che è quella di dire, che non è suo obbli-  go di ragionare intorno ai costumi di lui davanti  a eensori, ma sì di rispondere alle accuse degli av-  versari davanti a giudici.   IV. Il confronto è, quando l’accusatore dimostra  che l’azione, ond’ è incolpalo l’avversario, n-m è    - »    Digitized by Googte     34    LA RETTORtCA    siala vantaggiosa a nessun altro clic a quello; o  clic non la poteva altri eseguire che l’avversario;  o che il medesimo o non poteva compirla con al-  tri mezzi diversi, o almeno noi poteva tanto facil-  mente, o che, mosso dalla cupidigia, ha trascurati  altri mezzi più comodi. In questo caso il difenso-  re mostrerà che è d’ uopo che 1’ azione sia stata  vantaggiosa ad altre persone, o che altre persone  eziandio abbiano potuto fare ciò, di. cui è accusato  il suo cliente. Il segno è quello per coi si dimo-  stra che P accusalo andò in cerca della comodità  di fare l’azione. Esso comprende sei parti: Il luo-  go, il tempo, la durata, l’occasione, la speranza  della riuscita, la speranza di non essere scoperti.-  Rispetto al luogo, si cerca, se era frequentato o  deserto; se è sempre deserto, ovvero se fu sola-  mente quando si commise il fatto; se era sacro e  profano, pubblico o privato; quali luoghi vi sono  allenenti; se colui, che fu vittima, poteva essere  veduto o udito. A me non incrcscercbbe di descri-  ver qui quale di tulle queste cose potesse conve-  nire all’accusato, e quale all’accusatore, se cia-  scuno non potesse facilmente di per sè farne giu-  dizio, posta che fosse la causa; perciocché l’arte  deve sì insegnare i principii dell’invenzione; ma  in quanto al .resto è l’esercizio quello che celo fa  conseguire facilmente. Rispetto al tempo si cerca  così: -In quale stagione dell’ anno; in qual ora; se    Digitized by Google     LIBRO II.    35    di giorno o di notte; c in qual ora del giorno o  della notle dicesi avvenuto il falto,eperchè in quel  tal tempo. Rispetto alla durata essa si considera  così: Se fu abbastanza, perchè il fatto potesse com-  piersi, e se l’accusato potè esser certo che quella  quantità di tempo era per bastare a compirlo. Im-  perciocché poco monta che lo spazio del tempo  sia stato bastante .a compire il fatto, se non si è  potuto ciò sapere c calcolare innanzi. Rispetto al-  l’occasione si va cercando, se essa sia stata oppor-  tuna ad intraprendere il fatto, se ce ne sia stata  un’ altra migliore, che o siasi lasciata sfuggire, o  non siasi aspettata. Quanto alla speranza della riu-  scita si esaminerà essa in questo modo: Se i segni  or ora delti concordino insieme: se inoltre appa-  rirà per una parte esservi stalo forza, danaro, con-  siglio, conoscimento, precauzione; c per l’altra si  mostrerà esservi stato debolezza, povertà, scioc-  chezza, ignoranza, incuria: da ciò potrà sapersi se  l’accusato doveva aver fidanza o non averla. Quanto  alla speranza del non essere scoperti, sarà fatta più  o meno evidente secondo il numero de’ complici,  de’testimoni, du’cooperalori, o siano liberi o siano  schiavi, e dogli uni e degli altri insieme.   V. L' argomento è quello, per cui si mette in  chiaro il fatto con più certe prove, e con più fon-  dati sospetti. Esso si rapporta a tre tempi: All’an-  tecedente, al presente, al conseguente. Rispetto al     36    LA RETTORICA    tempo antecedente bisogna considerare dove l’ac-  cusato si trovò; dove e con chi fu veduto; se fece  qualche preparamento; se andò a trovare alcuno;  se disse qualche cosa; se ebbe con sè alcuno dei  complici o de’ cooperatori; se fu in qualche luogo  fuori della consuetudine sua, o in ora inopportu-  na. Rispetto al tempo presente si cerca, se sia stalo  coito flel fatto ; se si è udito qualche strepilo,  qualche grido, qualche romorc, o finalmente se si  è compreso alcun che per mezzo di qualche senso,  con la vista, con 1’ udito, col tatto, coll’ odorato*  col gusto: perciocché il testimonio d’ alcuno di  questi sensi può aggrandire il sospetto. Quanto al  tempo conseguente si riguarderà, se dopo il fatto  vie rimasta alcuna traccia, cheindichi esservi stato  delitto, e chi nc possa essere 1’ autore. Che vi sia  stato delitto si riconosce a questo modo: Se il cor-  po del morto è gonfio e livido, è segno che vi è  stato avvelenamento. Se ne scopre poi l’ autore a  questo modo: Se un pugnale, se una veste, se  qualche altro oggetto di questo genere sia stato  lascialo, o qualche vestigio si è rinvenuto; se vi  ebbe sangue nelle vesti dell’accusato; se fu preso  o veduto, dopo il fatto, nel luogo dove dicesi es-  sere quello accaduto. I conseguenti son quelli,  quando si cerca quali esser possono i segni, che  risultano, della colpabilità o della innocenza. L’ac-  cusatore dirà, se potrà, clic il reo, quando fu ar-    Digitized by Google     LIBRO lt.    37    reslato, arrossì, impallidì, vacillò, si contraddisse,  cadde ncirabballimenlo, feccdelle promesse; tutti  segni, che manifestano la coscicuza. Se l’accusato  non fece nulla di tutto ciò, l’accusatore dirà c!ie  colui calcolò prima così bene ciò che gli avrebbe  a tornar vantaggioso, che rispose con una sicurez-  za insuperabile; il clic è segno di audacia e non  d’innocenza. 11 difensore poi, se l’ accusalo lasciò  vedere dello sbigottimento, dirà che esso restò com-  mosso non per la coscienza d’un delitto, ma per  la grandezza del pericolo. Se non diè segni di sbi-  gottimento, dirà che, forte della sua innocenza,  non poteva restare commosso.   VI. La prova confermativa è quella, di cui fac-  ciamo uso all’ ultimo, quando il sospetto è bene  stabilito. Essa ha dei luoghi proprii e dei luoghi  comuni. I proprii sono quelli ohe non possono ser-  vire che all’ accusatore o al difensore. I comuni  sono quelli che in una causa convengono all’ ac-  cusalo, e in un’ altra all’ accusatore. Nella causa  congetturale il luogo proprio dell’ accusatore è,  quando dice che non bisogna aver compassione  dei malvagi, e quando esagera 1’ atrocità del de-  litto. Il luogo proprio del difensore è, quando ec-  cita la compassione e si lagna di calunnie nell’ac-  cusatore. I luoghi comuni, così dell’accusatore co-  me del difensore, sono il parlare in favore o con-  tro dei leslimonii, in favore o contro della tortura,    38    LA HETTOMCA    in favore o contro degli argomenti, in favore o con-  tro della voce pubblica. Noi diremo in favore dei  testimonii, se allegheremo la loro buona fama e  condotta di vita, non meno che la immutabilità  delle loro testimonianze. Contro dei testimonii di-  remo, se allegheremo la turpitudine della loro vi-  ta, la mutabilità delle loro testimonianze ; c se so-  sterremo o che non poteva farsi, o che non è stalo  fatto ciò clic essi affermano, o clic noi potevano  sapere, o clic nelle loro parole ed argomentazioni  havvi della parzialità: questo sarà appunto il modo  di biasimare o di approvare i testimonii.   VII. Noi parleremo in favore della tortura se di-  mostreremo che i nostri maggiori usarono aneli 'es-  si i tormenti c le durezze per iscoprire il vero, e  vollero che coll’ eccesso del dolore fossero gli uo-  mini forzati a dire ciò che sapevano. E l’argomen-  tazione nostra sarà più decisiva, se, ricorrendo alle  medesime prove, clic furono adoperate in tutta la  quistione congetturale, daremo alle confessioni  fatte per questo modo il carattere della vcrisimi-  glianza; il che pure converrà di fare anche rispetto  alle testimonianze. Ecco poi come parleremo con-  tro della tortura: Primieramente diremo che i no-  stri maggiori non ne vollero far uso che in alcuni  casi speciali, quando con questo mezzo si potesse  discoprire la verità ocombettcrc la falsità delle pa-  role, clic in una data quistione si proferissero, co-    Digitized by Google     LIBRO li.    39    ino sarebbe in questo caso: In qual luogo sia sta-  ta messa una lai cosa; ovvero se si Iraf lasse di qual-  che fallo consimile, che non potesse essere sco-  perto o riconosciute che con questo unico mez-  zo (1). In secondo luogo diremo che non bisogna  poi prestar fede al dolore, perchè 1’ uno può es-  sere più debole all' altro nel sopportarlo, o più  ingegnoso a trovar menzogne, perchè finalmente  può spesse Gate conoscere o sospicare ciò che il  giudice desidera udir da lui^ed egli ben sa che,  ove dica ciò* viene ad esser messo Gne al suo do-  lore. Quest’ argomentazione sarà ancora più vali-  da, se confuteremo le confessioni strappale per  mezzo della tortura con ragionamenti appoggiati  al probabile; c ciò bisognerà fqrc coi modi già in-  dicali per le cause congetturali. Se noi vorremo  dar forza agli argomenti, ai segni, c agli altri luo-  ghi, che accrescono la sospizionc, converrà che  parliamo in questa forma: Allorché un gran nu-  mero di argomeiUi c segni concorrano, i quali s’ac-  cordino fra loro, è d’ uopo che la cosa presa a di-  mostrare assuma il carattere non di sospetto, ma   (1) Il testo dice, et si quid esset, quod videri , aut  aliquo similisig no iiercipi possct-, ma ([ucsUìeLÌonc non  ha certamente un senso probabile. Le correzioni propo-  ste dai filologi sono molte c varie. Nella traduzione ho  procurato di dare un senso probabile. Il Trai.     40    LA RETTOIUCA    di certezza; e così è d’ uopo che più si creda al  segni e agli argomenti che aPtcslimonii; percioc-  ché i segni e gli argomenti sono i fedeli espositori  di ciò che veramente è accaduto, ed i testimonii  possono essere corrotti per danaro, per favore, per  timore, per avversione. Volendo noi parlare con-  tro agli argomenti, ai segni, c agli altri sospica-  mcnti, dimostreremo che non vi ha nulla, di cui  tion possiamo essere accusati in conseguenza di so-  spetti; in appresso attenueremo ciascun sospetto  in particolare, e daremo opera a mostrare che esso  può venire addossalo non tanto a noi, quanto a  qualunque altra persona; e che è cosa indegna  che una* congettura e un sospetto debba, senza  aiuto di* testimonii, riguardarsi come una prova  bastante.   Vili. Noi parleremo in favore della voce pubbli-  ca, se sosterremo che l’opinione non si forma pun-  to a caso senza verun fondamento; e se diremo  che non è occorsa cagione, per la quale taluno  avesse interesse a mentire c ad inventar favole; e  proveremo con ragioni che, quando pure fossero  per solito false tutte le altre voci, questa, di cui si  tratta, è però vera. Se vorremo parlare contro alla  voce pubblica, mostreremo primieramente che ce  ne ha di molte clic sono false, c citeremo esempi,  dei quali sia stala falsa la fama; e diremo che o  sono nostri nemici, o uomini di natura malevoli e    Digitized by Google     tMJUO li.    41    maldicenti (fucili che inventarono una siffatta fa-  vola, e addurremo qualche finto racconto contro  ai nostri avversarli, il qual diremo essere ripetuto  da tutti; onde anche allegheremo una voce vera di  cui essi abbiano ad arrossire, protestando però che  noi non prestiamo fede ad essa, perchè chiunque  può metter fuori alcuna brutta voce contro di chic-  chessia, e seminare qua e colà una calunnia. Ma  se la voce parrà esser mollo probabile, bisognerà  che noi per forza di argomenti togliamo via alla  fama tutta la credenza. Siccome la quislione con-  getturale è la più difleile a trattarsi, e spessissi-  mo si presenta nelle cause vere, così noi abbiamo  esaminate tutte le sue parti con tanto più di dili-  genza, affinchè arrestati non fossimo dal più pic-  colo vacillamento od intoppo, se a questa ragione  dell’insegnamento volessimo un giorno accoppiare  l'assiduità dell’ esercizio.   IX. Ora passiamo alle parti della quistion lega-  le. Quando insorga dubbio che vi sia discordanza  fra il lesto e l’intenzione di colui che ne fu l’ au-  tore, se noi difenderemo loscrillo, useremo dopo  la narrazione i luoghi seguenti: Primieramente fa-  remo 1’ elogio del suo autore: poi leggeremo ad  alta voce lo scritto: quindi domanderemo, se per  ventura gli avversari sappiano che sia mai stato  scritto in una legge o in un testamento o in una  stipulazione o in qualunque altra scrittura cosa al-     LA ItETTORICA    v 42   cuna che aver possa attinenza al soggetto in qui-  slione. In appresso, istituito il confronto di ciò clic  è scritto con ciò che gli avversarli interpretano  siccome vera intenzione, domanderemo a che do-  vrà il giudice appigliarsi; se a cièche è positiva-  mente scritto, o a ciò che è sottilmente immagina-  to: in seguilo biasimeremo e confuteremo il sen-  timento immaginato dagli avversarii ed attribuito  allo scritto. Di poi domanderemo, se l’autore aveva  intenzione di scrivere nel modo che s’interpreta,  qual cosa lo impedì di scrivere appunto così? Dopo  ciò noi faremo aperto qual sia il verosenso, e met-  teremo in luce la cagione, per cui lo scrittore sentì  appunto come scrisse, e proveremo che quello  scritto è chiaro, conciso, naturale, compiuto, de-  terminato. E qui noi produrremo esempi di giudi-  zìi pronunziati a favore dello scritto, avvegnaché  gti avversarii adducessero nell’ autore di quello e  sentimento e intenzione diversi. Finalmente mo-  streremo quanto sia pericoloso dipartirsi dallo scrit-  to. Havvi un luogo comune contro di colui, che,  pur confessando di avere operato contro a ciò che  è dalle leggi ordinato o scritto in un testamento,  cerca di difendere il fatto proprio.   X. A favore dell’ intenzione noi parleremo così:  Primamente loderemo l’aggiustatezza e la concisio-  ne dello scrittore, perchè scrisse nè più nè meno di  ciò che era necessario, e s’avvisò di non essere te-     Digitized by Google     LIBRO II.    43    mito a scrivere ciò clic, senza essere scritto, pote-  va venire inteso: secondariamente diremo esser  proprio soltanto dell’ uomo di mala fede lo appi-  gliarsi alla parola e alla lettera, e non tener conto  deirinlcnzione. In appresso diremo clic ciò che c  scritto, o non può essere eseguilo, o veramente,  se può essere eseguilo, esso è contro alla legge,  aU'uso, alla natura, all’equità, al buono; c niuno  dirà, che P autore non abbia voluto clic lutto sia  fallo secondo il giusto: ora ciò clic noi abbiamo  fatto, egli ò interamente conforme alla giustizia.  Aggiungeremo poi che l’opinione contraria o è as-  surda, o è insensata, o è ingiusta, o tale che non  può avere effetto, o che non è d’a.ocordo coi sen-  timenti clic precedono, e con quelli che vengon  dopo, o eh’ ò in opposizione col diritto comune, o  con le altre* leggi comuni, o coi giudicati. Dopo  ciò faremo enumerazione degli esempi di giudicati  in favore dell’ intenzione e contro lo scritto; e fi-  nalmente produrremo dei brevi estratti di leggi e  di stipulazioni, nelle quali possa essere compresa  dall’inlcllcllo c l’ intenzione e l’ esposizione degli  scrittori. Ilavvi poi un luogo comune contro di co-  lui che reciti uno scritto, e non interpreti l’inten-  zione di chi ha fatto. Allorché due leggi saranno  discordanti fra loro, bisognerà prima vedere, se  vi sia abrogazione o derogazione: appresso, sq  queste leggi dissentano cosi, che l’una comandi e     44    LA RETTOMCA    l’altra proibisca; o che l’uria obblighi e l’altra per-  metta. Imperciocché sarà debole la difesa di colui,,  che dirà, di non aver fatto ciò, a cui da una legge  è 'obbligato, cssendovcne un’altra che permette;  perchè ha più forza una legge che obblighi, che  una che permetta. Parimente è debole la difesa,  quando si mostra clic si è fatta quella cosa che  viene stabilita da quella legge alla quale è stala  fatta abrogazione o derogazione; e se non si è te-  nuto conto di ciò, che viene ordinato dalla legge  posteriore. Allorché si saranno bene considerate  queste cose, bisognerà subitamente addurre, leg-  gere, commendare la legge a noi favorevole. Ap-  presso dichiareremo il senso della legge contraria,  e quella trarremo al vantaggio della nostra causa.  All’ ultimo dalla quistione giurisdiziale assoluta  prenderemo la ragione del diritto, e cercheremo  quella parte del diritto che stia a favor nostro :  della qual parte parleremo più sotto.   XI. Se lo scritto è ambiguo, vale a dire che si  presti a due o più interpretazioni, noi lo tratteremo  aqueslomodo:Inprimo luogo cercheremo, se sia o  no ambiguo; poi mostreremo come avrebbe dovuto  essere esposto, se lo scrittore gli avesse voluto dare  quel senso, che gli avversari interpretano. In se-  guilo mostreremo che la nostra interpretazione  .non solo è da preferirsi, ma è anche onesta, giu-  sta, conforme alla legge, all’uso, alla natura, al    Digitized by Google     bene, all’ equità; clic quella degli avversarli è .il  contrario; die infine uno scritto allora non è am-  biguo, quando si capisce quale dei due significati  è il vero. Ci sono alcuni,! quali son di parere che,  a trattare siffatta causa, bisogna mollo conoscere  la scienza delle anfibologie, che i dialettici inse-  gnano; ma noi pensiamo cha essa non solo non è  di alcuno aiuto, ma che anzi è d’ impedimento;  perciocché costoro tengono dietro a tulle le amfi-  bologic, anco a quelle, clic, prese al contrario,  non presentano senso veruno. Laonde eglino altro  non sono che molesti inlcrrompitori dell’ altrui  parlare, e interpreti odiosi cd oscuri di uno scritto;  e, mentre parlar vogliamo con cautela ed esattezza,  riescon peggio che bimbi. Cosi mentre temono di  lasciarsi sfuggire una parola clic abbia più di un  senso, non osano neppurpronunziarcil loro nome.  Ma quando tu vorrai, io confuterò le loro puerili  opinioni coi più solidi argomenti. Intanto non è  stato inutile il dir qui per incidenza ciò che ho  detto, a fine di giltarcin discredito questa garrula  scuola di fanciulli.   XII.Quandouscrcmo la definizione, noi daremo  prima una breve definizione della parola : per  esempio: « È colpevole di lesa maestà chi fa vio-  lenza a quelle cose che costituiscono la grandezza  dello Stalo, quali sono appunto i suffragi del po-  polo, e le adunanze de’ magistrali. Or dunque tu,   0     LA 11ETT0R ICA    40 '   quando rovesciasli i ponli, li oppoiiesli ai suffragi  del popolo, e all’ adunanza de’ magistrali. » L’ac-  cusato per contrario risponderà: « E colpevole di  lesa maestà chi porla danno alla grandezza dello  Sialo. Io non le portai danno, anzi la difesi, per-  chè conservai P erario, mi opposi all’ avidità dei  tristi, non permisi che la maestà dello Stato pe-  risse tutta intiera. » Prima adunque si spiegherà  brevemente e acconciamente a vantaggio della  nostra causa il senso della parola: poi si combi-  nerà il fatto nostro con la definizione della parola;  quindi si confuterà la ragione della definizione  contraria, se sia o falsa, o inutile,, o sconcia, o in-  giusta; e gli argomenti a ciò li piglieremo dalle  parli del diritto che spelta alla quistionc giurisdi*  ziale assoluta, della quale oramai terremo' parola.  Per la traslazione poi si cerca primieramente, se  alcuno, a cui non appartenga, possa nel fatto pre-  sente avere azione, per dimandagione od istanza;  o se gli possa ciò spellare in altra maniera, in al-  tro tempo, in altro luogo; o se per altra legge, o  con altro giudice, o con altro accusatore. A tutte  le quali cose sarà fatta ragione secondo le leggi,  l’uso, l’equità, ed il bene: di clic tutto parleremo  nella quislione giurisdiziale assoluta. Nelle cause  fondate sopra l'analogia cercheremo prima, se in  cose maggiori, o minori, o simili, è stala fatta al-  cuna legge analoga, o data analoga decisione: poi    Digìtized by Google     LIBRO li.'    47    se la cosa addotta è simile o no alla cosa di cui si  traila; poi se è a disegno che nulla si è scritto in-  torno a quella cosa, perchè non vi si è voluto prov-  vedere, o perchè si è giudicalo che vi fosse bastan-  temente provveduto con altre leggi analoghe. Noi -  abbiamo a bastanza parlato delle parti della qui-  slione legale; ora rechiamoci alla quislione giuris-  diziale.   XIII. Noi faremo uso della quislione giurisdi-  ziale assoluta allorché, confessando di aver fatta  un’azione, sosterremo di averla fatta a diritto, sen- -  za aiutarci con veruna estrinseca difesa. In essa  conviene cercare, se si è operalo a buon diritto,  del qual diritto noi potremo discorrere, se cono-  sceremo le parli costitutive di esso. Le quali parti  sono sei: Natura, legge, uso, giudicalo, equità,  patto. Il diritto, che vicn dalla natura, è quello  che si osserva per cugion di cognazione o di pietà;  quel diritto, pel quale spettano doveri reciproci  così ai padri verso i figli, come ai figli verso i pa-  dri. Il diritto, che vien dalla legge, è quello che  è costituito dalla volontà del popolo; come è quello  che ci obbliga di presentarci in giudizio quando  vi siamo chiamati. Il diritto, che vien dall’ uso, è  quello, clic, in mancanza di legge, è osservato co-  munemente, come se fosse stabilito da una legge:  per esempio: « Se tu avrai fatto deposito del tuo  avere presso un banchiere, lo potrai giustamente      Digitized by Google     48    la RtmomcA    ridomandare anche dal socio di esso ». Iitliritlo,  che viene da un giudicalo, è quello intorno a cui  è stata pronunziata sentenza o interposto decreto.  Ma sovente i giudicati variano secondo il diverso  modo di pensare di un giudice, di un pretore, di  un console, di un tribuno della plebe; e ne avvie-  ne clic spesse fiale sopra la cosa medesima 1’ uno  decreta e giudica ad un modo, e l’ altro ad un al-  tro; come sarebbé a dire: « Marco Druso, pretore  urbano, profferì giudizio diesi potesse far lite per  cagion di mandato coll’ erede; Sesto Giulio prof-  ferì giudizio contrario. Parimente Caio Celio giu-  dice rimandò assoluto per accusa d'ingiurie quel-  1* attore, che aveva offeso il poeta Lucilio, nomi-  nandolo in iscena : Publio Muoio, al contrario,  condannò quell’altorc che aveva nominato in iscc-  na il poeta Lucio Azzio ». Poiché adunque due  cause simili possono essere stale giudicate diversa-  mente, bisognerà che noi, quando ciò sia accadu-  to, facciamo conoscere cosi i giudici come le oc-  casioni, non meno che il numero dei giudicati, che  furono in favore o in danno della cosa. Dall’equità  viene il diritto, quand’ esso sembra fondato sulla  verità c sull’ utile comune; come: « Chi ha più di  sessanl’ anni, ed è impedito da malattia, può farsi  rappresentare in giudizio per mezzo di procurato-  re ». Per forza di questo principio può costituirsi  anche un nuovo diritto secondo 1’ occasione c la     unno u.    49    dignità della persona. Dal patto viene il diritto,  quando due o più persone hanno fatto fra loro una  convenzione, un accordo. Ci son dei patti che vo-  glionsi osservare in forza di leggi, per esempio:  « Potrassi far causa nel luogo dove si è pattuito;  se non si è pattuito, dovrassi trattarla o nel comi-  zio, o nel fóro prima del mezzogiorno a. Simil-  mente vi sono de’ patti, che senza intervento di  leggi si osservano in forza di convenzione, i quali  si dicono esecutorii per diritto. Ecco adunque  quali sono le vie, per le quali conviene trovare il  torlo, o confermare il diritto; e ciò deve farsi nella  quislione giurisdiziale assoluta. ' . .   XIV. Nella quislione giurisdiziale assentiva, al-  lorché per l’ alternativa si domanderà quale delle  due cose sia stato meglio di fare, o quella, che  l’accusato confessa di aver fallo, o quella, che l’ac-  cusatore dice clic era d’uopo di farsi: si dovrà pri-  mieramente esaminare quale delle due sia stata  più vantaggiosa in confronto, vale a dire più bella,  più facile, più profittevole. Poi bisognerà doman-  dare, se spellava a lui il giudicare quale delle due  era più vantaggiosa, o se apparteneva ad altrui il  dettare le condizioni. In seguilo l’accusatore, gio-  vandosi delia quislione congetturale, interporrà il  sospetto, che l’ accusalo non abbia operato con  questa ragione di anliporre il meglio al peggio, ma  che abbia proceduto con mal dolo: ed anco do-    \    ©igitized by Googte     50    LA «ETTOHICA    manderà in fine, se si poteva evitare di venire in  quel tal luogo. II difensore, all’opposto, confuterà  F argomentazione congetturale con alcuna delle  cagioni probabili, di cui si è già parlato. L’accusa-  tore, dopo aver messi in campo i motivi detti di  sopra, userà un luogo comune contro all’ avversa-  rio, dicendo, che egli ha piuttosto preferito il no-  cevole al vantaggioso, allorquando non era più in  poter suo il dettare le condizioni. Il difensore poi,  contro di coloro, che giudicano onorevole F anti-  pode l’estrema rovina all’ utile, userà il luogo co-  mune per compianto; e nel medesimo tempo do-  manderà agli accusatori e ai giudici stessi, checosa  avrebbero fatto se stati fossero in quel posto; e  metterà loro sotto gli occhi il tempo, il luogo, la  cosa, e i motivi, che ebbe il suo cliente.   XV. La recriminazione si ha, allorquando l’ac-  cusato va pretestando cagione al fatto proprio il  fallo d’altrui. In tal caso l’accusatore cercherà pri-  mieramente, se a ragione si possa trasferire la reità  in altrui; secondariamente esaminerà, se il fallo,  che è imputalo ad altrui, è così grave come quello  che F accusalo confessa di aver commesso egli  medesimo: di poi, se era d’uopo commetter fallo,  perchè altri ne ha commesso uno innanzi; di poi,  se era d’uopo ctie di quel primo fallo fosse avanti  dato giudizio; di poi, conciossiachè niun giudizio  sia slato pronunzialo del delitto imputato ad altrui,    Digitized by Google     LIBRO II.    51    se l’accusalo abbia diritto di costituir cosi sè me-  desimo giudice di un’azione, che non è ancora  stata secondo le leggi giudicata. Qui cadrà in ac-  concio quel luogo comune, per cui l’ accusatore  farà rimprovero all’accusato, elfei mostri così es-  ser d’avviso, che s’abbia a preferire la violenza ai  giudizii, e domanderà pur anche, che cosa acca-  drebbe, se gli altri facessero altrettanto, cioè che  pigliassero supplizio di coloro che non sono per  anco condannati, adducendoper ragione, ch’egli-  no medesimi ne hanno prima dato l’esempio. Che  si direbbe, se l’accusatore egli stesso avesse voluto  fare altrettanto ? Il difensore, al contrario, porrà  nel mezzo 1’ enormità del fallo di colui sopra del  quale verrà trasferita la reità ; e porrà sotto agli  occhi il fatto, il luogo, il tempo per modo, che gli  udij^ri si persuadono, o clic non era possibile, o  che non era giovevole, che l’ affare venisse recalo  dinanzi ai tribunali.   XVI. La concessione è quella, per la quale noi  domandiamo che ci sia perdonato. Essa si divide  in due parti: in iscusa e in preghiera. La scusa è,  quando dichiariamo di avere operato senza pensa-  mento. Essa abbraccia tre parti: la necessità, la  fortuna, l’ ignoranza. Parleremo prima di queste  tre parti, c poi diremo della preghiera. Primiera-  mente si dovrà considerare dall’accusatore, se noi  fummo indotti a questa necessità per colpa nostra,     52    1\ RETTORICA    o se fu la neccssilà per sè stessa quella che ci in-  dusse alla colpa. In appresso si cercherà in qual  modo si poteva da noi evitare quella necessità od  attenuarla; e se colui, che si scusa con la necessi-  tà, ha tentalo tutto quanto era in poter suo di fare  o di immaginare per resistere ad essa; e se trarre  si possano dalla quistione congetturale dei sospet-  ti, che portino indizio essere stato fatto pensata-  mente ciò che dicesi accaduto per necessità; e fi-  nalmente, quando pure vi sia stata una qualche  necessità se convenga tenere questa necessità  come una scusa bastante. Se poi l’accusato dirà,  essersi da lui commesso il fallo per ignoranza,  „ l’accusatore cercherà primieramente, se quegli  poteva sapere o non sapere; di poi, se ha fatto  opera di sapere o no; c quindi, se ei non seppe  per puro caso, ovvero per sua colpa: imperciocdiè  chi si scusasse di essere stato privo di ragione o  per ubriachezza, o per trasporto di amore o di  collera, egli parrebbe che avesse perduta la cogni-  zione per un vizio dell’animo e non per ignoranza:  laonde non difenderebbe sè colla ignoranza, ma  si macchierebbe di una colpa. Dopo ciò per mezzo  della quistione congetturale cercherà, se realmen-  te sapeva o non sapeva; c considererà, se l’igno-  ranza esser debba difesa bastante, quando pur  consti che la. cosa sia stala fatta per ignoranza.  Quando se ne attribuisce la cagione alla fortuna,    Digitìzed by Google     LIBRO ir.    53    c clic il difensore dica, doversi per questo motivo  perdonare all’accusato, bisognerà che l’accusatore  metta in campo tulle quelle considerazioni mede-  sime, che abbiamo poste là, dove parlammo della  necessità. Imperciocché tutte queste tre specie di  scusa hanno allìuilà fra loro, sì chea tutte si pos-  sono accomodare le considerazioni medesime. In  siffatte cause tornano in acconcio i luoghi comuni,  rispetto all’ accusatore, contro a colui, che, pur  confessando di avere peccato, trattiene inutilmen-  te i giudici con parole, e, rispetto al difensore, di  implorare il perdono dall’umanilà e dalla compas-  sione, e di sostenere che, dovendosi io tutte cose  aver riguardo all’attenzione, non v’ha colpevolezza  in quelle azioni clic sono stale fatte senza un posi-  tivo consiglio. « \   XVII. Noi useremo la preghiera, se, confessan-  do il fallo, e lasciata da parie la scusa dell’ igno-  ranza, o della fortuna, o della necessità, doman-  deremo clic ci sia perdonalo. E qui il motivo del  perdono si trae dai luoghi seguenti: Se parranno  essere più, ovvero più grandi i meriti che i torli;  se alcuna virtù o nobiltà sarà in colui che suppli-  cherà; se alcuna speranza ci avrà che perdonando  al reo, abbia ciò ad essere di universale giovamen-  to; se si mostrerà che il supplicante medesimo fu  clemente e compassionevole quando aveva in sua  mono il pplerc; se il fallo, ch’ei commise, noi    Digitized by Googt     54    LA RETTORICA    commise per odio o crudellà, ma spinto da obbli-  ghi e da retta intenzione; se per una cagione si- ,  mile fu mai perdonato ad altro reo; se parrà non  dovere a noi derivar danno mandandolo perdona-  to; se per un tale perdono non ce ne verrà alcun  biasimo dai nostri concittadini, o da qualche altra  cittadinanza. Si passerà quindi ai luoghi comuni in-  torno airumanHà,allafortuna,allacompassione, al-  la mutazione delle cose. L’ avversario poi rivolgerà  tutti questi luoghi contro l’accusalo aggiungendovi  l’ amplificazione e l’ enumerazione di tutti i falli,  che gli vengono imputati. Questa maniera di trat-  tazione torno vana nelle cause pubbliche, siccome  ho già detto nel primo libro; ma potendo esser  giovevole davanti al senato, o ad un consiglio mi-  litare, ho creduto bene di non doverla tacere.  Quando noi vorremo rimuovere l’accusa per mezzo  della discolpa, getteremo la cagione del nostro  fallo o sopra di una cosa, o sopra di una persona.  Se si getterà la causa sopra di una persona, pri-  mieramente si cercherà, se colui sopra del quale  sia gettata la causa, potette tanto, quanto il reo  dimostrerà, e in qual maniera si poteva o con ono-  re o senza pericolo resistere ad esso : c quando  pure si animella quello che il reo dice, se nulla-  meno sia ragionevole di scusare il reo dell’ avere  operato per impulso altrui: e passando quindi alla  quistione congetturale si discuterà, so. fu operalo    Digitized by Google     LIBRO II.    55    con cognizione di causa o no. Se poi la cagione si  getterà sopra di una cosa, si terrà la stessa manie-  ra di ricerche, e vi si unirà tutto ciò che abbiamo  già detto intorno alla necessità.   XVIII. Poiché ci pare di avere bastantemente  dimostrato di quali argomenti è d’uopo far uso in  ciascuna delle quislioni del genere giudiziale, ora  verrò insegnando come abbellir si possano e per-  fettamente trattare questi argomenti medesimi.  Imperciocché egli non è mollo difficile trovare ciò  dhe serve di sostegno alla nostra causa, ma, tro-  vato che sia, si è difficilissimo pulirlo e convenien-  temente esporlo. E quest’ arte è appunto quella,  che fa che noi non ci fermiamo più a lungo di  quanto bisogna sopra le stesse cose, e non ritor-  niamo più e più volle al punto medesimo, e non  abbandoniamo il ragionamento incomincialo, enon  passiamo male a proposito ad un altro. Mercè  adunque quest’arte, e sarà facile a noi di trovare  nella memoria tutto quanto avremo detto in cia-  scun luogo, e potrà l’uditore comprendere e fer-  mar nella mente la distribuzione cosi di tutta la  causa come di ciascheduna prova. L’ argomenta-  zione adunque più compiuta e più perfetta si è  quella che comprende cinque parli: La proposi-  zione, la ragione, la confermazione della ragione,  rornamento, e la recapitolazione. La proposizione  è l’esposizione compendiosa di ciò che vogliamo     56    LA IlETTORICA    provare. La ragione è il principio , che dimostra  esser giuslo ciò, a cui miriamo , soggiungendolo  brevemente. La confermazion della ragione è quel-  la, che fortifica con molle prove ciò che la ragione  ha brevemente esposto. L’ornamento è quello, di  cui facciamo uso per abbellire ed arricchire la  causa, allorché le prove sono bene stabilite. La  ricapitolazione è quella che conchiude brevemen-  te, raccogliendo le diverse parti dell’ argomenta- .  zione.   XIX. Se vorremo adunque far uso di tutte que-  ste cinque parti, ecco come tratteremo l’argomen-  tazione : « Noi abbiamo a dimostrare che Ulisse  aveva un motivo di uccidcrcAiace; perciocché vo-  leva torre di vita un nemico acerrimo, dal quale  non a torlo temeva per sé sommo pericolo. Vede-  va che, vivente Aiace, egli non era sicuro della  persona; colla morte di lui sperava di procacciare  salvezza a sé : era suo costume, -in mancanza di  mezzi legittimi, di usar la frode per toglier via un  nemico; di clic è una prova convincente la non de-  gna morte di Palamede. Dunque e il timor di un  pericolo spingeva lui ad uccider quello, dal quale  temeva una punizione, c la consuetudine del de-  litto dilungava da esso ogni dubbio di metter mano  all’assassinio. Imperciocché in generale gli uomi-  ni, i quali non commettono mai senza un perchè  i falli più leggieri, sono da ultimo tirati a commet-      Digitized by     Lifino il.    57    tereiMclitli più grandi, allora che certi sono di  averne accogliere un vantaggio. Or bene: se molli  spinti furono al male dalla speranza del guadagno,  se una gran parte degli uomini gillossi nei delitti  per T ambizione del potere, se altri pagarono un  leggiero guadagno a prezzo della più gronde ini-  quità, chi si meraviglierà clic costui, tiranneggialo  dal più vivo timore, non siasi astenuto da un as-  sassinio ? Un eroe pien di coraggio e d’integrità,  che non perdonava ai nemici, oltraggiato, irritato,  non si potè partir vivo da un rivale pieno di paura  c di ribalderia, che sapeva di esser colpevole, in-  sidioso, nemico: a chi parrà strana cosa cotesta ?  Se noi vediamo le bestie feroci levarsi pronte ed  irose per nuocere ad altro animale bruto, non è  da giudicarsi impossibile cheanche l’animo feroce,  crudele, ed inumano di costui siasi avidamente  gittato a dar morte al suo nemico ; tanto più se  consideriamo, che nelle bestie non si scorge vcrun  motivo nè buono nè cattivo, c che in costui sap-  piamo essere sempre stali assaissimi e grandissimi  molivi. Se dunque io ho promesso di svelare la ca-  gione, dalla -quale indotto Ulisse commise l’assas-  sinio, c se ho dirtiostrato esserci intervenuta ragio-  ne potentissima d’ inimicizie e timor di pericolo,  non v’ha dubbio ch’ci non confessi che tale è stata  la cagione del suo delitto. L’ argomentazione più  perfetta è adunque quella che si compone di cin-     58    LA RETTOMCA    que parli ; ma non è sempre necessario di usare  quesla maniera di argomenlazione. Imperciocché  vuoisi, per esempio, lasciar da parie la recapitola-  zione, quando la cosa è così limitala che facilmen-  te si possa tenere a memoria; e vuoisi pur preter-  mettere l'ornamento, quando il soggetto poco si  presta di per sé stesso all’amplificazione e ador-  namento. Se 1’ argomentazione è breve, e nello  stesso tempo è modesto il soggetto e poco fecon-  do, bisogna allora astenersi daU'ornamento e dalla  recapitolazione. In ogni argomentazione, rispetto  all’uso delle due ultime parli, è da tener conto di  quello clic ora ho defto.L'argomcnlazioue più per-  fetta Iva dunque cinque parli; la più breve ne ha  tre, la mediocre, tolto via da essa o l’ornamento o  la rccapilolazione, ne ha quattro.   XX. Due generi di argomentazioni viziose ci  sono: 1’ uno, che appartenendo propriamente alla  x causa può essere confutato dall’avversario; l’altro,  che, essendo inconcludente, non ha bisogno di  venir confutato. Quali siano le argomentazioni che  convenga di confutare, e quali quelle che deb-  bansi deprezzare e passar sotto silenzio senza con-  futarle, tu non potrai chiaramente conoscere se  non li porgerò gli esempi. Questa cognizione delle  viziose argomentazioni li apporterà due vantaggi:  il primo, di farli evitare i difetti nel ragionamento,  il secoudo , d’ insegnarli a conoscer facilmente     quelli clic l’avversario non ha sapulo cvilare. Poi-  cliè adunque noi abbiamo mostralo che la perfetta  e compiuta argomentazione si compone di cinque  parti, consideriamomi ciascuna qualjsono i difetti  da evitarsi, acciocché e nei medesimi possiamo  guardarcene, e col metodo istesso attaccare le ar-  gomentazioni dogli avversarli in lutto le parli loro,  e farle da alcuna parte cadere. L’esposizione è vi-  ziosa, quando, prendendo per modello taluno, o  la maggior parte degli uomini, si appropria a lutti  ciò che non è conveniente necessariamente a tutti,  come se si dicesse così: « Tutti coloro clic sono  poveri, amano meglio di procacciarsi ricchezze con  le ribalderie, clic conservare la povertà seguendo  il dovere. » So uno esponesse così la sua argomen-  tazione senza curarsi di cercare qua! ne fosse la  ragione o la oonl'errpazion della ragione, noi po-  tremmo facilmente confutare la sua stessa esposi-  zione, mostrando che è falso ed ingiusto attribuire  a lutti i poveri ciò che può essere solo di qualche  povero malvagio. Parimenti è viziosa l’esposizio-  ne, quando si afferma che ciò che accade di rado,  non può punto accadere, come: « Niuno d’una sola  occhiata, e in passando, può esser preso d’amore:»  perciocché essendo pure accaduto che taluno fa  d’ un’ occhiala preso di amore, c quegli afferman-  do che ciò non è accaduto ad alcuno, poco importa     60    LA RETTORICA    che poi ciò accada di rado, quando si sa che qual-  che volta accade od è possibile che accada.   XXI. Similmente è viziosa l’esposizione, quando  noi mostriamo di avere enumerale tutte le circo-  stanze di un fatto, e ne ommeltiamo qualcheduna  essenziale, per esempio: « Poiché adunque è ma-  nifesto eh c stalo ucciso un uomo, è d’ uopoche  sia stato ucciso o da malandrini, o da nemici, o  da te, cui egli ha per testamento lasciato crede in  parte. Di malandrini in quel luogo non se pe sono  veduti mai, di nemici non ne aveva alcuno: non  resta altro, che, se non è stato ucciso nè da ma-  landrini, che in quel luogo non ne furono mai, nè  da nemici, cui egli non aveva, sia stalo ucciso da  le. » In siffatta esposizione noi faremo uso della  confutazione, mostrando che altre persone, oltre  a quelle che l’oratore ha nominate, hanno potuto  commettere l’omicidio: come se nel citato esem-  pio, allorché fu dello essere d’ uopo che sia stato  ucciso o da malandrini, o da nemici, o da noi, ri-  sponderemo che egli potè essere ucciso o dai pro-  prii schiavi, o dai nostri coeredi. Distrutto in que-  sto modo il sillogismo dell’ avversario, ci verrà  aperto un più vasto campo di difesa. Bisogna adun-  que nella esposizione evitare anche questo, di non  tralasciare alcuna parte essenziale, quando parer  possa essersi da noi raccolta Ogni cosa. Viziosa  parimente è quella esposizione che si compone di     Digitized by Google     unno ii.    Gl - .   una enumerazione falsa, come se, essendo più le  idee, che si presentano, ne sponiamo meno, come:  « Due sono le cose, o giudici, che spjngon tulli gli  uomini al male, la lussuria c l’ avarizia. Che? ag-  giungerà taluno; e l’ amore? e l’ambizione? e la  superbia? c la paura della morte? e la cupidigia  d’impero? tante altre passioni in fine? » L’enu-  merazione ancora è falsa, quando, non essendovi  campo che a poche idee, ne presentiamo molle,  come: « tre cose molestano gli uomini: il timore,,  il desiderio, e la tristezza. » bastava dire il timore  e il desiderio, perchè la tristezza va necessaria-  mente congiunta sì all’ una sì all’ altra delle due  cose suddette.   XXII. Ancora è viziosa quella esposizione che è  pigliala troppo da lontano, per esempio: « Madre  di tulli i mali è la stoltezza la quale più d’ogni al-  tra cosa genera gl’insaziabili dcsidcrii; gl'insazia-  bili desiderii non hanno nè fine nè misura; questi  generano l’ avarizia ; e l’avarizia spinge 1’ uomo a  qualunque misfatto. Spinti dunque dall’ avarizia i  nostri avversarti, sì commisero un tale delitto. >;  Qui bastava esporre quest'ullima idea soltanto per  non imitare Ennio e gli altri poeti, ai quali è per-  messo di parlare in questa maniera:   « Oh avessero gli Dii voluto che nella selva Pc-  lia, dalle scuri taglialo, non fosse mai caduto a  , terra il pino, e che con esso non si fosse mai tolto     02    LA P.ETTOniCA    di fabbricar la nave, clic or porla il nome di Argo;  dalla quale trasportati gli eletti guerrieri Argivi  n' andarono a conquistare il dorato vello di un  montone in Colchidc per Io perfido comandamento  del re Pelias ! Imperciocché giammai non avrebbe  la casa sua lasciala l’ errante mia padrona Medea,  piena d’affanni il cuore, ferita di uncrudcleamorc.»   Qui sarebbe bastatoli diro, (se il poeta si fesse  dato pensiero solo di-ciò clic era bastante):   « Oh avessero gli Dii voluto che giammai non  avesse la casa sua lasciata I’ errante mia padrona  Medea, ferita d’ amore ! »   Bisogna adunque ben guardarsineUo esposizio-  ni di questo genere di risalire a cose così lontane;  perciocché non v’ ha bisogno che io mi perda qui  a biasimarne a parte a parte i difetti, come di tan-  te altre, quando è chiaro che sono viziosissime di  per sé.   XXIII. È poi viziosa quella ragione, clic non è  adattata alla esposizione, sia per la propria debo-  lezza, sia per la sua falsità. Pecca di debolezza  quella ragione, la quale non mostra che la cosa è  necessariamente tale quale è stata esposta, come  in questo luogo di Plauto:   « Castigare un amico, clic per colpa il merita,  è ingrato uffizio; m:r talora utile e profittevole. »  ' Questa è l’ esposizione : vediamo qual ragione  ne è addotta :    Digitized by Googte     uuiu> ii.    G3    « Imperciocché oggi castigherò il mio amico  per una colpa, per lo quale ei merita di essere ca-  stigato. »   Egli dimostra qual sia 1’ utile da ciò che farà,  non da ciò che conviene di fare. È ragione falsa  quella, che consta di una ragione non vera, come  in questo esempio: « L’ amore non è da fuggirsi,  perchè ei genera amicizia verissima. )) 0 come in  quesl’allro: « E da fuggirsi la filosofia, perchè ella  è madre della indolenza c della pigrizia. » Se que-  ste ragioni non fossero false, noi dovremmo pure  ammetter per vere le esposizioni che le precedo-  no. Ancora è debole quella ragione che non arreca  una cagione necessaria della esposizione, come in  questo luogo di Pacuvio:   « Alcuni filosofi dicono clic la fortuna è stolta,  cieca, e insensata ; e vanno predicando che ella  volubile si lien diritta sopra un globo di pietra, e  clic cade da quella parte verso cui la sorte spinge  il globo. I.a dicono eieea, perchè non vede il luogo  dov’ella deve fissarsi; stolta, perchè è crudele, in-  certa, instabile; insensata, perchè non sa distin-  guere nè chi merita nè chi demerita- Altri filosofi  poi vi sono, i quali negano esserci per cag.ion di  fortuna veruna miseria, ma tutte cose reggersi dal  caso; opinione, dicono essi, più verisimile, la quale  in fatto è tuttodì dall’ esperienza dimostrala ; ed  Oreste ne è un esempio, il quale prima fu re, e     ili    LA HETTOHICA    divenne poi mendico; il che gli accadde per cagio-  ne del suo naufragio: dunque la colpa non fu del-  la fortuna, j)   Qui Pacuvió usa una ragione debole, quando  afferma, che più veramente lutto si fa per caso c  non per fortuna; perciocché tanto nell’uno quan-  to nell’ altro sistèma dei filosofi pur potè farsi  che queirOrcstc, che era stato re, divenisse men-  dico.   XXIV. È debole eziandio quella ragione, che  non ha che l’ apparenza della ragione, ma altro  non dice che ciò che è stalo dello nella esposizio-  ne, come: « Un gran male è l’avarizia per gli uo-  mini, perchè gli uomini per lo smodato desiderio  delle ricchezze vengono da molte e grandi inco-  modità travagliali. » Qui, se ben si consideri, vicn  data per ragione, cambiale le parole, la cosa sles-  sa, che fu detta nella esposizione. Ancora è debole  quella ragione, la quale soggiunge alla esposizio-  ne una cagione meno idonea di quello che la cosa  richiede, per esempio: « Utile è la sapienza, per-  chè quelli che sono sapienti, hanno consuetudine  di seguire la pietà. » Ovvero: « È utile aver dei  veri amici, perchè allora avrai con chi scherzare. »  Se noi adduciamo siffatte ragioni, l’esposizione  non vieti confermala con una prova universale, as-  soluta, ma minima affatto. Ancora è debole quella  ragione, la quale si possa appropriare anche ad    Digitized by Google     UB!\0 II.    65    un’altra esposizione, come fa Pacuvio,chc arreca  la medesima ragione per provare tanto clic la for-  tuna è cicca, quanto eh’ ella è insensata. Nella  confermazione della ragione vi sono molli difetti  ^a evitarsi nel nostro ragionamento, e molli altri  da notarsi in quello degli avversari!; c tanto più  attentamente vogliono essere considerati in quan-  to clic un’accurata confermazione della ragione  consolida mollo gagliardamente tutta intera Ja no-  stra argomentazione. Appunto per ciò gli oratori  diligenti nella eonfcrmazion della ragione fanno  uso della doppia conclusione, vale a dire del dilem-  ma, a questo modo:   « 0 padre, voi mi colpite di una crudele ingiu-  stizia. Imperciocché, se tenevate Crcsfonlc per un  malvagio, perchè me Io concedevate a marito ? E  se è un uomo onesto, perchè, a malgrado mio e  suo, mi costringete a lasciarlo ? »   Simili conclusioni, ovvero dilemmi, o si rivolge-  ranno in contrario, osi confuteranno in una delle  due parti. Si rivolgeranno in contrario così:   « Io non commetto, o figlia, contro di le veru-  na ingiustizia. Se egli è onesl’ uomc, rimarrà tuo  marito; ma se è malvagio, io por mezzo del divor-  zio ti torrò a gravi mali. »   Si confuteranno in una delle due parti, se delle  due proporzioni del dilemma si dissolverà ol’ una  o l’ altra, come:     GG LA HETTORICA   « Se stimavate Crcsfontc un malvagio, perchè  concedermegli in isposa ? — Lo credetti un onesto  uomo; m’ingannai; lo conobbi dappoi, c l’ odio  adesso. «   XXV. La confutazione adunque di un tale di-  lemma si fa in due maniere: la prima maniera, mo-  strata di sopra, è più ingegnosa; quest’altra è più  facile a trovarsi. Similmente è viziosa la conl'er-  mazion della ragione, quando malamente usiamo  come segno certo di una data cosa un tal segno,  che può significarne più d’ una , per esempio :  a Poiché colui è pallido, fa d’ uopo clic sia stato  ammalalo. » Ovvero, « Fa d’uopo che colei abbia  partorito, poiché tiene sulle braccia un bambino.»  Colesti segni non presentano di per sé stessi una  certezza, se non vi •concorrano altri segni analo-  ghi: che se vi concorrano, allora potremo più fa-  cilmente avere la convinzione. È parimenti giudi-  calo diretto il dire contra 1’ avversario cosa , che.  può convenire o contra un altro, o conira quel me-  desimo clic parla, per esempio :   « Miseri son quelli, che tolgono moglie; — ma  tu la togliesti due volle. »   E ancora difetto usare una difesa, che sia comu-  ne; per esempio: * Colui peccò per iracondia , o  per inesperienza, o per amore. » Se cosiffatte scu-  se si dovessero tenere per bpone, allora n’andreb-  bono impuniti i più grandi delitti. Egli è parimente    Digitized by Google    un altro difetto il dare per cerio ciò che non è  generalmente ricevuto per tale, perchè è cosa pur  sempre soggetta a controversia , per esempio :  « Olà, non sai tu che gli Dei, i quali hanno il po-  tere di muovere le còlesti cose e le terrestri, fanno  tra loro pace, e manlengonsi in concordia? »  CosVEnnio introduce Cresfontc, che porge que-  sf esempio in favore del suo diritto, quasiché aves-  se già dimostrato con ragioni abbastanza certe che  la cosa è così. È parimente difettoso ciò che sem-  bra dirsi oramai troppo lardi , c ad affare finito,  come: « Se io avessi ciò preveduto, o Quiriti, non  avrei permesso che la cosa venisse ad un tal pun-  to; io avrei fatto così e colà; ma in quel momento  questo espediente non mi venne al pensiero. » E  ancora riguardalo come difetto il cercar di coprire  con una qualche ombra di difesa un’ azione, che  fu manifestamente colpevole, per esempio :   « Io sì ti lasciai, quando lutti venivano a te, si-  gnore di un fiorentissimo regno; ma ora essendo  tu da tutti abbandonato, io sola con grandissimo  mio. pericolo mi accingo a riporti sul tuo trono, a  ' XXVI. Medesimamente è riguardato siccome  difetto che si dica una cosa in modo che possa es-  ser presa in un senso diverso da quello clic si è  voluto significare. Di tal falla sarebbe questa sen-  tenza, che fosse pronunziala da alcuno potente e  fazioso in pubblica adunanza : « E meglio avere     LA RETTO RICA    B8   un re che cattive leggi. » Imperciocché sebbene  questa cosa possa essere della senza un fine mali-  zioso, persola cagione dicrescerforza airargomen-  to, pure, poi’ la potenza di colui che parla, non è  detta senza un odioso sospetto. È pur male l’usare  definizioni false o volgari. False sono queste, come  se alcuno dica: « Non sono ingiurie se non quelle  che risultano da percosse o da oltraggi. » Volgari  definizioni son quelle, che possono senza più tra-  sferirsi ad altra cosa; come se alcuno dica : « Il  delatore è, per descriverlo in breve, un uomo de-  gno di forca; perciocché è un cittadino perverso e  pestilenziale. » Qui usasi una definizione, che non  si addice meno al delatore che al ladro, al sicario,  al traditore. Similmente è difetto pigliar come  prova ciò che è posto in djsquisizione; come se al-  cuno accusi altrui di furto, c dica: « Questo colale  • è un uomo cattivo, avaro, fraudolento , e di ciò  è una prova il furto di cui viene accusalo. » È an-  cora difetto risolvere la cosa in deputazione con  altra egualmente in deputazione, per esempio:  « Non conviene, o Censori, che leniate costui per  isousato da ciò che dice, clic egli non ha potuto  presentarsi a voi, come si era obbligato con giu-  ramento; perchè, se non avesse potuto ritornare  all’esercito, farebbe egli una scusa eguale al tri-  buno militare? » Questo argoménto è vizioso per  ciò clic viene recata innanzi per esempio non una    cosa già spedita e giudicata, ma una cosa ancora  indecisa e posta egualmente in controversia. Altro  difetto si è, quando non si rischiara abbastanza la  cosa che forma il punto essenziale della contro-  versia, e la si lascia da parte, come se fosse di già  consentita; per esempio: « L’oracolo, se pur lo in-  tendete, parla chiaro ; egli comanda, che, se vo-  gliamo impadronirci di Troia, si diano queste armi  a tale guerriero qual si fu colui che le portò: que-  sto guerriero ecco son io: è giusto che io possegga  le armi fraterne, e che vengano aggiudicate a me,  o come a congiunto di Achille, o come all’ emulo  del suo valore. »   Un altro difetto si è quello di non essere nel  proprio parlare d’accordo con sè medesimo, e di  contraddire a ciò che prima si èdetto, per esempio:   « Io non posso, meco medesimo pensando, spie-  gare perchè io accusi costui; imperciocché se egli  ha verecondia, perchè mai accuso io un uomo che  è onesto? Se poi ha un animo, che non sente ve-  recondia, perchè mai accuso io un uomo che fa  poco conto di quello che dico ? »   XXVII. In verità egli dà assai buone ragioni per  non accusare quell’uomo. E perchè dunque sog-  giunge :   « Ora io sì li farò smascheralo rimontando al  principio ? »   È similmente da biasimare ogni discorso che     70    LA HETTOIUCA    urli la volontà dei giudici o degli uditori, elio fe-  risca le parti ch’ei seguitano o le persone che da  loro sono amate, o che , per qualche altro modo  consimile, offenda le opinioni loro. Ancora è vizio  non sostenere nella confermazione le cose che  nella esposizione si è promesso di sostenere. An-  cora è da guardarsi dal parlare di una cosa, allor-  ché se ne ha un’altra in controversia, e per evitar  questo difetto vuoisi por mente o di non aggiun-  ger nulla al soggetto, o di nulla levargli, o di non  far cambiar natura alla causa trasformandola in  un’altra, come appresso Pacuvio fanno appunto  Zelo ed Anfione; i quali, dopo di avere introdotta  questione intorno alla musica, d’ altro poi non ra-  gionano che della natura della sapienza, c dell’uti-  lità della virtù. Vuoisi ancora osservare che, se  l’accusa rechi una cosa, la difesa non ne confuti  un’altra, come fanno sovente molti avvocati imba-  razzati da una causa difficile; come: « Se taluno,  venendo accusato di avere per broglio cercala una  carica, risponda clic sovente in campo ha ricevuto  ricompense da’ suoi capi. » Se noi nel discorso  degli avversar» porremo una grande attenzione a  ciò, sovente li coglieremo in difetto, e per siffatto  modo cogliendoli mostreremo, che essi nulla dir  possono intorno a quel soggetto. È parimente vizio  dir male di un’ arte , o di una scienza, o di uno  sludio qualsiasi a cagione de’ vizii di coloro clic     Digitized by Google     unno ii.    71    quel colnlc studio professano: come quelli clic  biasimano la Rcttorioa a cagione della vituperevole  condotta di qualche oratore. Similmente è errore  il pensare che, poiché si è dimostrato essere stalo  commesso il delitto,, sia pur anche dimostralo chi  ne è stato T autore, come: « Egli è manifesto che  il cadavere era sfiguralo, gonfio, livido: dunque  quel tale fu tolto di vita con veleno. » Conciossia^  che se ad imitazione di molli si ponga ogni cura  a provare che quel tale Tu avvelenato, si verrà a  cadere in un difetto non picciolo; perchè non si  cerca già, se vi è stalo delitto, ma bensì da chi  è stalo commesso.   XXVIII. È pur da riguardare comevizio, quando  si paragonano due cose, lo esaltarne una, e non  dir parola dell’altra, ovvero parlarne con alquanto  di negligenza; come, qualora faccndosrquislione,  se sia meglio clic al popolo si dia grano o no, tu  ponga cura ad enumerare quali siano i vantaggi  dell’ uno di questi avvisi, c trapassi come di niun  valore quali esser possano i disavvantaggi dell’av-  viso opposto, ovvero nc dica solamente i più pic-  coli. Altro vizio si è ancora, quando si paragonano  due cose, pensare che sia necessario di biasimar-  ne una, perchè lodasi l’altra, come sarebbe: Se  facciasi quislionc a quale dei due popoli debbasi  concedere onor maggiore, se agli Albani o ai Ve-  stini, per cagione di servigi prestati alla Rcpub-    Digitized by Google     /    72 LA RETTOniCA   blica Romana ; c colui, che parla in favore degli  uni, dica offesa contro agli altri; perchè none ne-  cessario che, se In dai la preferenza agli uni, dica  poi male degli altri. Imperciocché tu ben potrai,  dopo di avere assai lodali gli uni, impartir qualche  lode anche agli altri, per non dar a credere che tu  abbi alquanto appassionatamente combattuto con-  tro alla verità. Altro vizio pure si è quello di levar  controversia intorno al nome e vocabolo di quella  cosa, di cui può esser giudice supremo l’uso:  come fece Sulpizio, il quale dopo essersi oppo-  sto al richiamo degli esuli, ai quali non era stalo  concesso di difendere la propria causa, più tardi,  mutalo avviso, nel mentre clic proponeva la legge  medesima da lui prima combattuta, sosteneva che  quella era una legge diversa per un semplice cam-  biamento di nomi: perciocché egli diceva di richia-  mare non, già degli esuli, ma dei cittadini cacciali  per violenza; quasi che fossesi indotta controversia  con qual nome dovessero quelli venir chiamali dal  popolo Romano, o come se non tulli coloro, ai  quali era stala interdetta l’acqua e il fuoco, si do-  vessero chiamar esuli. Nondimeno noi possiamo  perdonargli, s’ ei lo feGC con un perchè: quanto  a noi riconosciamo essere vizio muovere contro-  versia per un semplice cambiamento di nomi.   XXIX. Poiché l’ornamento consta di similitudi-  ni, di esempi, di amplificazioni, di giudicali, e    Digitized by Googte     MODO HI.    73    cT allri luoghi oralorii, alti a sviluppare cd arric-  chire rargomenlazione, esamineremo quali esser  possano i vizii nell’ uso di questi mezzi. È viziosa  quella similitudine, la quale in qualche parte è  disacconcia, e non presenta eguali rapporti fra i  termini della comparazione, o nuoce all’ oratore  che l’usa. È viziosa 1’ esempio, se può essere tac-  ciato di falsità, o è indegno di venire imitato, o è  al di sopra o al disotto del soggetto. Ci ha vizio,  se si adduca un giudicato, che riguardi una qui-  stionc diversa, o tal cosa, sopra cui non v’ha alcu-  na contestazione; oppure, se è ingiusto, o tale,  che gli avversar» possano addurne a loro favore o  più altri analoghi, o più idonei. Medesimamente  è difetto, allorché l’accusato confessa il fallo, l’ar-  gomentare sopra quello, e dimostrare che ha avuto  luogo, bastando in tal caso solamente amplificar-  lo. Similmente è difetto amplificare ciò che prima  ha bisoguo di essere dimostrato, come: « Se alcu-  no accusi un tale di avere ucciso un uomo, e,  avanti di avere bastantemente provata 1’ accusa,  amplifichi il delitto, e dica, che niente v’ha di più  indegno che di uccidere un uomo : » chè non si  domanda già, se l’ azione sia o no indegna, ma se  veramente sia stata commessa.   Le recapilolazione è viziosa, quando primiera-  mente non ripete ogni cosa nell’ ordine col quale  fu detta innanzi; quando non riepiloga con bre-     l.A UETT01UCA    71 ,   vita; quando nella sua enumerazione non presenta  un insieme ben determinato c chiaro, che faccia  ricordare qual fu Mila prova la proposizione o  esposizione, c in appresso la ragione; e finalmente  la confermazione della ragione; in somma, qual  si fu P argomentazione tutta intera.   XXX. Le conclusioni , le quali vengon chia-  mate dai Greci epiloghi , hanno tre parli, com-  ponendosi esse della enumerazione, dell’amplifi-  cazione, e della commiserazione (1). L' enumera-  zione è quella, per cui noi raccogliamo e ripetia-  mo in pochi detti quelle cose, di cui abbiamo par- ' -  lato, non per riprodurre interamente, ma per ri-  chiamare a memoria il discorso, ripigliando per  ordine tutto ciò che sarà stalo, dello, di maniera  che si risveglino nella mente dell’ uditore le idee  eh’ egli avrà potuto ritenere. Bisogna altresì nella  enumerazione por mente a non rimontare sino al-  l’esordio od anche solamente alla narrazione, per-  chè il discorso si parrebbe lavorato e preparato  con isludio speciale per fare o prova d' arte, o  spaccio d’ ingegno, o ostentazione di memoria.   Per la qual cosa converrà cominciare P enumera-  zione dalla divisione, c quindi esporre per ordine   (1) Seguo il parere di Scliutz, clic giudica intruse le  parole. In qualuor locis uli possumus, etc., c non le  ammetto nella mia traduzione.    Digitized by Googte     LIBRO II.    75    brevemente le cose che saranno state nella con-  fermazione e nella confutazione trattate. L’aropli-  lìcazione è quella, che ha per obbielto di eccitare  gli uditori per mezzo de’luoghi comuni. Dieci pre-  cetti facilissimi insegnano i luoghi comuni proprii  ad amplificare l’accusa. Il primo luogo si traedal-  1’ autorità , allorché noi rivochiamo alla mente  quanto la cosa, onde trattasi', sia stala a cuore agli  Dei immortali, ai nostri maggiori, ai re, alle città,  alle nazioui, agli uomini più sapienti, al senato; e  soprattutto in qual maniera speciale abbiano le  leggi pronunziato intorno a siffatte cose. Il secon-  do luogo è, quando noi esaminiamo a chi sono  falle le azioni, onde noi accusiamo taluno ; se al-  l’universale degli uomini, il clic è il più grave de-  litto; se a superiori (alla qual classe appartengo-  no coloro, che noi abbiamo compresi nel luogo  comune dell’ autorità) ; se ad eguali, vale a dire  ad uomini collocali nella stessa condizione di ani- ,  mo, di corpo, e di fortune; se ad inferiori, vale a  dire ad uomini, che rimangono da noi trapassati  in tutte coleste cose- Il terzo luogo consiste nel  domandare che cosa ne interverrebbe , se a cia-  scheduno si concedesse il simigliarne, cioè di fare  quello che ha fatto l’ avversario ; e nel mostrare  quanti danni e mali seguir possano dal lasciare  impunito quel tale delitto. Il quarto luogo consi-  ste nel mostrare che, ove si mandi perdonato il   to    Digitized by Google     76    LA HETTORICA    reo, molli altri, che ancora sono ritenuti dal ti-  more di un giudizio, diverranno più pronti al mi-  sfare. Il quinto luogo è , quando mostriamo che,  se una volta solo sia dato diverso giudizio, non vi  sarà più nulla che possa rimediare al male, o cor-  reggere F errore dei giudici; nel qual luogo non  sarà disutile paragonare quel misfatto con altri,  per mostrare che alcuni possono venire o dal tem-  po tolti, o dalla prudenza corretti; ma che cotesto  da niuna cosa umana può venire o tolto o corretto.  Il sesto luogo è, quando proviamo che fu opralo  pensatamente, e diciamo che un atto volontario  non ammette veruna scusa, e che F imprudenza  sola può domandar grazia. Il settimo luogo è ,  quando mostriamo che F azione è abbominevolc,  crudele, nefando, tirannica: del qual genere sono  gli oltraggi fatti ad una donna, o quelli che cagio-  nano le guerre, e fanno versare il sangue in batta-  glia. L’ottavo luogo è, quando mostriamo che il  delitto non è comunale, ma singolare, sozzo, infa-  me , senza esempio , affinchè venga punito più  prontamente e con maggiore severità. 11 nono luo-  go componesi della comparazione del delitti, quan-  do si sostiene, per esempio, che è un delitto più  grande recar violenza ad una donna libera , che  spogliare un tempio ; perchè a questa cosa può  spingere il bisogno, a quella soltanto intemperante  burbanza.il decimo.luogo è quello, pel quale lutto    Digitized by Google     LIBRO ir    77    ciò che si è operato nel mandare a fine il fatto, e  tutto ciò che suol esserne conseguenza, noi espo-  niamo con tratti così vivi, così accusanti, così di-  stinti, che si creda di vedere oprarsi e compiersi  il fatto stesso con tutte le sue ordinarie conse-  guenze.   XXXI. Per giungere allo scopo di muovere la  compassione. nell’ animo dell’uditore noi dipinge-  remo le diverse mutazioni della fortuna ; noi pa-  ragoneremo la nostra passata prosperità colla pre-  sente nostra disgrazia; noi enumereremo e porre-  mo sotto agli occhi le tristi conseguenze, che de-  riverebbero per noi dalla perdila della nostra cau-  sa; noi supplicheremo i nostri giudici, e racco-  mandandoci alla loro pietà ci commetteremo inte-  ramente nel loro arbitrio; noi descriveremo i mali,  che per la calamità nostra cadrebbero sopra i no-  stri parenti, sopra i nostri figli, sopra i nostri ami-  ci, dichiarando nel medesimo tempo che è il loro  abbandono e la loro miseria quella clic più ci cuo-  ce, e non già i nostri proprii mali ; noi ricordere-  mo la clemenza, l’ umanità, la compassione , clic  abbiamo sempre usata verso gli altri ; noi dimo-  streremo che siamo stati mai sempre o per lungo  tempo nelle avversità; noi lamenteremo il nostro  destino, la nostra sorte; noi finalmente promette-  remo che in avvenire il nostro animo sarà forte e  paziente degli avversi casi. Trattando la commise-     78    LA RETTOniCA    razione converrà clic noi siamo brevi ; perocché  niente v’ ha clic più presto si secchi quanto una  lagrima. In questo secondo libro noi abbiam trat-  tate le quislioni presso a poco più oscure deU’arte  oratoria: laonde noi faremo qui fine a questo li-  bro. Kel terzo esamineremo gli altri precetti tanto  quanto ci parrà conveniente. Se tu studierai que-  sto trattato con tanta accuratezza con quanta io  ho procurato di comporlo, sì io raccoglierò nella  tua istruzione il frutto della mia fatica, c sì tu stes-  so approverai nel medesimo tempo la mia diligen-  za e andrai lieto del tuo progresso: le regole del-  l’arte adorneranno il tuo sapere, ed io avrò mag-  gior premura di dar compimento a ciò che resta.  Son certo clic, in quanto a* le, accadrà ciò che di-  co, perchè so quanto vali: noi intanto passiamo  ad esaminare gli altri precetti per far paghi i tuoi  giusti desi lerii, la qual cosa è per me la più cara  diluite. •• :      %    - •'> 'OMfVVWkVWVWVWWwvv       Digitized by Google     LA RETTORICA    L I B R 0 TERZO    I. Come ad ogni causa del genere giudiziale  convenisse di applicare i precetti dell’invenzione,  abbastanza distesamente, io credo, fu dimostrato  nei libri precedenti. In questo terzo libro ora ab-  biamo riserbata la trattazione delle regole dell’in-  venzione spettanti alle cause del genere delibera-  tivo q dimostrativo per farti quanto più presto co-  noscere tutta intera la teorica, che concerne l’ in-  venzione. Restano ancora quattro parti della Rct-  torica: tre verranno spiegate in questo libro, cioè  la Disposizione, la Pronunciazionc, e la Memoria:  di quanto poi riguarda l’Elocuzione, poiché essa  richiede una più ampia trattazione, abbiamo pre-  scelto di parlarne in un quarto libro, il quale fi-  nito ben presto, siccome spero, noi ti manderemo,  affinchè veruna parte non ti manchi deH’arlc ora-  toria. Infraliamo tu potrai ben apprendere queste  prime parli e con noi, se li aggrada, e tal fiata     80    LA RETTORICA    senza di noi, leggendole, acciocché nulla t’ impe-  disca di potere avanzarli al pari di noi in quest'arte  del dire. Ora prestami tutta la tua attenzione: noi  continueremo a camminare verso la prefissa mela.   II. Nelle deliberazioni o si cerca quale di due  partiti è il migliore, o qual è in generale il partito  che si deve prendere. Quale di due parlili è il mi-  gliore, per esempio: «Se abbiasi a distrugger Car-  tagine, o lasciarla sussistere ». Qual è in generale  il partilo che si deve prendere, per esempio: « Co-  me se Annibale, richiamalo dall’ Italia a Cartagi-  ne, consulti se debba rimanere in Italia, o tornare  a casa, o andare in Egitto per impadronirsi di Ales-  sandria». Alcune volte la deliberazione cade sulla  natura stessa della quislione: «Come se il Senato  esamini, se debba o no riscattar dal nemico i pri-  gionieri ». Altre volte la deliberazione viene in-  dotta da qualche cagione esterna: « Come se il  Senato nell’occasione della guerra Punica delibe-  ri, se dispensi con Scipione, acciocché ei possa  essere nominato consolo prima che abbia l’età vo-  luta dalla legge ». Altre volle la deliberazione e  riguarda la natura stessa della quislione, e di più  viene indotta da qualche esterna cagione: «Come  se il Senato deliberi, nella guerra Italica, se debba  dare o no il diritto di cittadinanza agli alleati ». Io  quelle cause, in cui la deliberazione riguarderà lo  natura stessa della quislione, il discorso si aggi-     r?      LIBRO 111. ' 81   \   rerà sempre intorno al soggetto. In quelle cause  poi, in cui la deliberazione verrà indotta da ester-  na cagione, dovrassi questa stessa cagione o in-  nalzare o deprimere. Ogni discorso di colui, che  in una deliberazione dà il suo parere, conviene  che si proponga per fine 1’ utile, di modo che do-  vrà ogni mezzo oratorio tendere a questo fine. In  una discussione politica l’ utile ha due parli, la  sicurezza e l’onestà. La sicurezza consiste nell’evi-  tare con qualsivoglia mezzo un pericolo presente  o futuro. Essa si appoggia o sopra la forza o so-  pra l’ inganno; e noi potremo usare o separata-  mente ciascuno di questi mezzi, o lutti e due in-  sieme. La forza si spiega per gli eserciti, per le  flotte, per le armi, per le macchine di guerra, per  le leve degli uomini, e per le altre cose di questo  genere. L’inganno si compie per danaro, per pro-  messe, per dissimulazione, per celerità, per mcn-  limenlo, c per altri spedienti, di cui parlerò a tem-  po più opportuno, se mai applicherò l’ animo a  scrivere sopra l’ arte militare, o sopra 1’ ammini-  strazione della cosa pubblica (1). L’onestà si com-  pone del bene e del lodevole. Il bene è ciò che  risulta dalla virtù e dal dovere. Il bene comprende   (\) Questo è un altro luogo, che induce a credere che  Cantore della Rettorica sia proprio Cicerone. Egli fa  menzione di due opere, le quali si sa essere state più  tardi da lui composte.      Digifced by Google    Si    LA RKTTORICA    la prudenza, la giustizia, la fortezza, la temperan-  za. La prudenza è una certa finezza d’ ingegno,  che, dietro un certo calcolo,, può scegliere tra i  beni ed i mali: chiamasi ancora prudenza la co-  gnizione di un’ arte: parimente appellasi prudenza  una memoria ricca di molte cose congiunta ad una  esperienza grande negli affari. La giustizia è l’ e-  quilà, che dà a ciascuno ciò che gli è dovuto se-  condo il suo merito. La fortezza è la bramosia delle  grandi cose, il disprezzo delle volgari, e la tolle-  ranza della fatica in ragione della loro utilità. La  temperanza è nell’ animo una facoltà moderatrice,  che contiene le passioni.   III. Il nostro parlare appoggerassi alla pruden-  za, se, paragonando i vantaggi coi danni, consi-  glieremo a cercare gli uni e ad evitare gli altri: o  se consiglieremo in alcuno frangente qualche mi-  sura da noi sperimentata o conosciuta, c mostre-  remo in che modo e con quali mezzi noi possiamo  conseguire lo intento; o se persuaderemo un par-  tito, del quale o abbiamo noi stessi veduto i van- '  taggi, o abbiamo udito a raccontarli: nel qual caso  ci sarà ognora facile di tirare altrui nella persua-  sione di ciò che vorremo, recando l’ esempio. Noi  faremo buon uso delle parti della giustizia, se im-  ploreremo la pietà in favore o degli innocenti v  dei supplicanti; se mostreremo essere conveniente  di rendere il guiderdone ai benemeriti; se prove-    Digitized by Google     unito in.    83    remo essere d’uopo vendicarsi delle offese; se  giudicheremo doversi ad ogni costo serbar la fede;  se diremo doversi scrupolosamente rispettar le leg-  gi e le costumanze sociali; se diremo doversi con  amore coltivare le alleanze e le amicizie ; se di-  mostreremo doversi religiosamente osservare i do-  veri, che la natura c’ impose verso i parenti, gli  Dei, la patria ; se diremo doversi inviolabilmente  guardare le ospitalità, le clientele, le consangui-  neità, i parentadi; se mostreremo non doverci noi,  nè per guadagno, nè per favore, nè per pericolo,  nè per invidia, allontanare dal diritto cammino; se  diremo dover noi in ogni nostra azione aver di  mira l’equità, la giustizia. Con simili ed altri mez-  zi, che la giustizia ci offre, se nell’ assemblea po-  polare, o nel consiglio avviseremo esser da fare  alcuna cosa, proveremo che è giusta; e coi mezzi  conlrarii, che è ingiusta. Così i luoghi medesimi  ci gioveranno tanto al persuadere quanto al dis-  suadere. Se diremo che vuoisi far cosa per fortez-  za d’animo, proveremo che non solo bisogna cer-  care e volere le cose grandi ed eccelse, ma ancora  che gli animi forti debbono disprezzare le cose  umili e basse, e riguardarle siccome inferiori alla  propria loro dignità. Parimente diremo che non  bisogna mai lasciarsi allontanare da veruna cosa  onesta per grandezza di pericolo o di fatica; che  bisogna preferire la morte all’ infamia ; che niun     84    LA RETT0R1CA    dolore ci dee costringere ad abbandonar la virtù;  che non dobbiamo temer le inimicizie d’ alcuno  per cagion del vero; che per la patria, pei paren-  ti, per gli ospiti, per gli amici, per tutto ciò insom-  ma, che la giustizia vuole da noi, bisogna affron-  tare qualunque pericolo, e sottostare a qualunque  disagio. Noi ricorreremo alle parti della tempe-  ranza, se biasimeremo la smodata avidità degli  onori, dell’oro, e d'altre cose siffatte; se racchiu-  deremo tulli i nostri desiderii nel giusto limite  delia natura ; se mostreremo a ciascuno quanto  può bastargli, dissuadendolo dal passar quel pun-  to, e statuendo la sua misura ad ogni cosa. Di tal  fatta sono le parti proprie della virtù, le quali sono  da amplificare, se vuoisi persuadere, e sono da at-  tenuare, se trattasi di dissuadere; e così saran pu-  re attenuali quei mezzi che ho indicati di sopra.  Conciossiachè nessuno vi sarà, il quale stimi di  dover lasciar da parte la virtù; ma ò noi presen-  teremo le parti, che confuteremo, siccome non of-  ferenti alla virtù i mezzi di prodursi, o mostreremo  che la virtù troverà meglio il suo posto nelle parti  contrarie. E così mostreremo, se ci sarà possibile, -  che quella cosa, che all’ avversario nostro è pia-  ciuto di chiamare giustizia, altro non è Che dap-  pocaggine, e infingardia e viziosa licenza ; che  quella, ch’ei chiamò prudenza, altro non è che  una scienza inetta, garrula c noiosa; che quella,     LIBHO Il(.    85    eh’ egli appellò temperanza, altro non è che mera  pigrizia e scioperata negligenza; che quella final-  mente, eh* ei disse fortezza, altro non è che gla-  ' dialoria e spensierata avventatezza.   IV. Il lodevole è ciò che ci procura, e pel pre-  sente e per l’ avvenire, un’ onorevole riputazione.  Noi lo distinguiamo dal bene, non perchè queste  quattro parti, che comprendiamo sotto alla parola  bene, non ci procurino per solito questa onorevole  riputazione ; ma perchè quanlunque il lodevole  nasca dal bene, pure è necessario che nel discor-  so l’uno e l’altro siano separatamente trattati. In-  fatti egli non si dee cercare il bene per amore  della sola lode, ma se la lode ne deve poi esser la  mercede, la volontà del ben fare raddoppierà di  forza. Così, dopo di aver dimostralo die 1’ azione  è buona, noi proveremo o eh’ ella otterrà le lodi  di giudici competenti ( comò se, biasimala da per-  sone di basso ordine, debba venire approvata da  persone di più elevalo ordine ); o eh’ ella sarà lo-  data da alcuno de’noslri compagni, o da tutti i cit-  tadini, dalle estere nazioni, e dalla posterità tutta.  — Essendosi di già veduto come si dividano i luo-  ghi concernenti le cause del genere deliberativo,  ora esporremo con tutta brevità come debba essere  distribuito l’intero discorso. Si potrà adunque in-  cominciareo dall’esordio diretto, o dall’esordio per  insinuazione, facendo uso degli stessi mezzi che.     86    LA KETTOniCA    abbiamo irrdicati per le cause del genere giudizia-  le. Se intervenga un Fatto da raccontare, si segui-  ranno le stesse regole già date per la narrazione.  Poiché in questa sorte di cause il fine è 1’ utile,  e quest’utile abbraccia la sicurezza e l’onestà; se  potremo servirci d’entrambe le cose, imprendere-  mo nel nostro discorso a dimostrare che noi ab-  biamo per fine e l’una e l’altra; c se saremo obbli-  gali di ristringerci ad una sola, annunzieremo qual  è quella che vorremo far valere. Se diremo di aver  per iscopo la sicurezza, la nostra divisione riguar-  derà la forza ed il consiglio; perocché ciò che. nel  precetto, per esser più chiaro, io chiamai inganno,  nel nostro discorso sarà più onesto chiamar consi-  glio. Se diremo di aver per fine l’onestà o sia il  bene, e tutte le parti del bene converranno al sog-  getto, allora lo divideremo in quattro parti;se tutte  non potranno convenire, esporremo nel discorso  sol quelle che ad esso soggetto converranno. Nella  confermazione e nella confutazione ci serviremo  dei luoghi, che abbiamo già indicali, per ben con-  validile i nostri mezzi, ed abbattere quelli degli  avversari!. Per la maniera poi di trattare 1’ ar-  gomentazione artificiosa si consulterà il secondo  libro.   V. Ma se accada, che nella consultazione il pa-  rere dell’uno si appoggi sopra ragione di sicurez-  za, e il parere dell’ altro sopra ragione di onestà.    Digiliztid by (S    ogle     LI BIIO III.    87    come nel caso di coloro, che, assediali dai Carta-  ginesi, deliberano intorno al partilo da prèndersi;  colui, che consiglierà doversi preferire la sicurez-  za, farà uso de’luoghi seguenti: Che nessuna cosa  è più utile della propria conservazione; che si ren-  de impossibile l’uso della virtù a colui che non ha  provveduto innanzi alla propria sicurezza;chc nep-  pure gli Dei vengono in soccorso di coloro che si  gettano sconsigliatamente nel pericolo; che non  s'ha da stimar cosa onorevole quella che mette a  repentaglio la nostra salute. Colui, al contrario,  che consiglierà di preferire l’onore alla sicurezza,  farà uso de’luoghi seguenti: Che in nessun tempo  si deve rinunziare alla virtù; che il dolore (se è ciò  che si teme), che la morte (se è questa che si pa-  venta), sono ben piccola cosa a petto al disonore  e all'infamia; che s ha da considerare quale igno-  minia ne -verrebbe altramente; c che nondimeno  noi non ne conseguiremmo nè vita immortale, nè  perpetua felicità; che niente ci assicurerebbe che,  sfuggito quel pericolo, noi non cadessimo in alcun  atiro; che per la virtù è bello andare anche volon-  tariamente a morte; che al coraggio è solita venir  pure in aiuto la fortuna; che vive sicuro chi vive  con onore, non chi sol guarda alla sicurezza pre-  sente; e che chi vive nell’ignominia goder non può  di una perpetua felicità. Le conclusioni nel gene-  re deliberalivosono d’ordinario le medesime come     s    88 LA RETTORICA   nel genere giudiziale, se non che in questagenere  torna utilissimo recare il più gran numero possi-  x bile di esempi di falli anteriori.   VI. Passiamo ora al genere dimostrativo. Poiché  questo genere ha per iscopo la lode od il biasimo,  noi con certi mezzi costituiremo la lode, e coi  mezzi contrarii trovar potremo il biasimo. La lode  adunque può riguardare o le qualità esteriori, o  l'animo, oil corpo. Le qualità esteriori sono quelle  che ci possono venire o dal caso, o dalla fortuna,  sì buona, si cattiva; come la nascita, l'educazione,  le ricchezze, il potere, gli onori, la patria, le ami-  cizie, e tutti i vantaggi finalmente di questa spe-  cie; e per l'opposto le cose tutte che a queste sono  contrarie. 1 vantaggi o disavvantaggi del corpo son  quelli che la natura attribuì al corpo stesso, co-  me l’agilità, il vigore, la dignità, la sanità, e le  cose a queste contrarie. 1 vantaggi o i disavvan-  taggi dell’animo sono quelli che dipendono dal-  la nostra volontà e dal nostro intendimento, co-  me la prudenza, la giustizia, la fortezza, eia tem-  peranza, e quelle cose che sono contrarie a que-  ste (l).In una orazione di questo genere si piglierà   (t) Nel testo trovansi qui le seguenti parolè : Erit  igitur haec confirmatioet confutatio nobis; ma paren-  domi con lo Scliulz che siano affatto fuor di luogo, io  le ricuso come inlegitlime, e non le traduco.    Digitized by Google     l’esordio odalla nostra propria persona, odalla per-  sona di colui, del quale parliamo, ovvero da quella  degli uditori, o dal soggello slesso. Dalla nostra per*  sona: Se loderemo alcuno, diremoche noi facciamo  ciò o per dovere, perchè fra quello e noi passa un  vincolo di amicizia ; o per propensione, perchè  esso è dotato di tanta virtù, che tutti deggiono vo-  lerlo celebrare; o infine perchè è diritta cosa mo-  strare, lodando altrui, qual sia T animo nostro, o  sia il nostro carattere. Se biasimeremo, noi diremo  che facciano questo o a buon diritto, perchè anche  noi fummo così trattati; o per amor del bene, per-  chè noi riguardiamo come utile che da tutti sia  conosciuta una malizia e scelleratezza unica; o fi-  nalmente perchè biasimando altrui amiamo di far  conoscere ciò che a noi non piace. Dalla persona,  di cui noi parliamo: Se loderemo alcuno, noi di-  remo che abbiam timore di non potere colle parole  raggiungere l’altezza delle sue azioni; che è d'uo-  po che tulle le lingue imprendano a celebrare le  sue virtù ; che gli stessi suoi fatti passano l’ elo-  quenza di tulli i panegiristi. Se biasimeremo, po-  tremo due quelle cosè che ci parranno contrarie  a queste, cambiando poche parole, come con l’e-  sempio fu poco innanzi dimostrato. Dalla persona  degli uditori : Se loderemo alcuno, diremo che ,  parlando noi davanti a persone che bene lo cono-  scono, spendiamo poche parole per sola cagione     90    LA RETTOIUCA    di avvertire; o se non fosse a loro conosciuto, do-  manderemo che vogliano ben conoscere un tal  uomo, perchè trovandosi nello stesso amore della  virtù coloro stessi dinanzi ai quali lodiamo, nel  quale amore è pure stata od è la persona, clic da  noi si loda, speriamo che saranno più facilmente  per approvarci suoi fatti giusta il desiderio nostro.  Il biasimo starà nei mezzi contrari: poiché, se è co-  nosciuta la persona, affermeremo che noi siamo per  dire poche cose della scelleratezza sua; e se non  sarà conosciuta, domanderemo che vogliamo ben  conoscerla, affinchè possano schivare la sua per-  versità; perchè essendo coloro, clic odono, dissi-  mili al tulio da colui che si biasima, noi speriamo  che saranno per disapprovare altamente lasua con-  dotta. Dal soggetto stesso : diremo che siamo in-  certi qual cosa dobbiamo principalmente lodare ;  che abbiamo timore che, anche dicendo molle cose  in favore del nostro soggetto, noi ne ommetliamo  ben molle di più; c continueremo con sentenze di  questa forma ; alle quali sentenze sostituiremo le  contrarie, ove si tratti di biasimare.   VII. Trattato l’esordio conformemente ad alcuna  di quelle fonti, di cui abbiamo parlato, non sarà  necessario elicne segua alcuna narrazione; ma se  mai ne intervenga una, c che siamo obbligati di,  raccontare con lode a con biasimo qualche azione  della persoua di cui togliamo a parlare, cercherò-    LIBRO III.    9i    mo le regole della narrazione nel primo libro. La  divisione verrà fatta così: Primieramente esporre-  mo le cose, che vorremo lodare o biasimare; poi  diremo con ordine, come cd in qual tempo ciascu-  na nazione ha avuto luogo, affinchè si sappia ciò  che è stato fatto, e con quale sicurezza e precau-  zione. Ma converrà render conto delle virtù o dei  vizi dell’animo, e mostrar poscia come l’animo ab-  bia tratto partito dai vantaggi o disavvantaggi del  corpo o delle qualità esteriori. Per descrivere la vi-  ta terremo quest’ordine:Cominciando dalle qualità  esteriori, parleremo della slirpe;a lode della perso-  na, diremo di quali maggiori sia nata; è di nobile  stirpe, diremo ch’è stala pari o al disopra della sua  stirpe; se è di bassa origine, diremo che essa ha  trovato suo presidio non nelle virtù degli avi, ma  . nelle sue. A biasimo; se sarà di nobile schiatta, di-  remo che è stala di disonore agli antenati; se sarà  di bassa estrazione, che nondimeno ha pur loro re-  cato scapito.Parlando poi dell’educazione, se si trat-  ti di lode, diremo che la persona, di cui si parla, è  stata per tutta la puerizia bene ed onestamente edu-  cata nelle v buone discipline; se si tratti di biasimo,  diremo il contrario. Dopo ciò passeremo ai vantaggi  del corpo. Cominciando dalla natura, se si tratti di  lode, diremo che, se quest’uomo ha in sè congiun-  ta dignità e bellezza, ciò gli ha giovato ad onore,  non a danno e a vergogna, come a tanti altri ; se     t.v RETTORICA    U2   ha forza ed agilità singolare, diremo che ciò è stato  l’ctTeUo di onorevoli esercizii e industrie; se gode  di una costante sanità, che ciò è il fruito delle sue  cure, e della sua temperanza nelle passioni. Se si  tratti di biasimo, se egli possegga questi vantaggi  corporali, diremo che ha fatto mal uso di questi  doni, ch’ei deve, come qualsivoglia gladiatore, al  caso e alla natura ; se non ne possegga alcuno ,  tranne la bellezza, diremo che ne è stalo privato  per sua colpa ed intemperanza. Appresso noi ri-  torneremo alle cose esteriori , e considereremo  quanto abbiano potuto sopra di esse le virtù o i .  vizii dell’animo: se egli sia ricco o povero; quali  sono le sue cariche, le sue glorie, le sue amicizie,  le sue inimicizie; nel sostenere le inimicizie, che  ha mai opralo di forte; per qual cagione s’ è egli  procaccialo inimicizie ; con qual fede, con quale .  amore, con quale ossequio ha coltivate le amicizie:  qual si fu nelle ricchezze ; o nella povertà come  si è egli condotto ; qual animo ha egli mostrato  nell’esercizio del potere ; se egli non è più, qual  » è stata la sua morte; quali conseguenze ha la sua  morte prodotte ?   Vili. Tutti poi gli atti, pei quali si manifesta l’at-  tività dello spirito umano, vogliono essere rappor-  tati alle quattro virtù dette più sopra; di maniera  che, se lodiamo, noi diremo che si oprò con giu-  stizia, con fortezza, con temperanza, con pruden-    Di§nfe«rby-(     1.1 DUO III.    93    za ; c se biasimiamo, noi diremo che si oprò con  ingiustizia, con codardia, con intemperanza, con  istoltezza. Per questa disposizione si vede ormai  chiaro come si devono trattare le tre parli della  lode e del biasimo ; solo avvertiremo clic non è  necessario che noi nella lode e nel biasimo faccia-  mo entrare tulle queste tre parti, perchè sovente  non vi tornano neppur tulle in acconcio, c sovente  vi hanno così poca importanza, che è inutile di  parlarne: laonde farà d’ uopo sceglier di queste  tre parti quelle che parranno offerire più solido  argomento. Le conclusioni dovranno esser brevi ;  e si faranno entrare nel corso stesso della causa  frequenti e brevi amplificazioni tolte a’ luoghi co-  muni. Nè, perchè questo genere di causa si pre-  senti di rado nella vita, si dee perciò meno dili-  gentementcconsiderarc; conciossinchè bisogna pur  volere poter fare acconciamente ciò che può acca-  dere di dover fare alcuna volta. E ancorché meno  spesso si tratti separatamente questo genere dimo-  strativo, pure accade di sovente che nelle cause  giudiziali e deliberative intervengano molte parli  di lode o di biasimo. Per la qual cosa noi giudi-  chiamo' doversi collocare qualche poco di studio  anche in questo genere di causa. Ora, poiché ab-  biamo terminata la parte più difficile della Retto-  rica, vale a dire, poiché abbiamo illustrata l’ in-  venzione, e adattata questa ad ogni genere di cau-    Digitized bT'Google     94    LA RETTOIUCA    sa, è lempoche ci accostiamo alle altre parli. Pren-  deremo dunque a parlare della disposizione.   IX. Poiché la disposizione è quella che c’ inse-  gna a meltere in ordine le cose somministrateci  dairiuvcnzionc, sì che ciascuna abbia il suo posto  determinato che le conviene ; facciamoci a mo-  strare qual modo debba tenersi in tale operazione.  Due sorte di disposizione ci ha: P una, che dipen-  de dalle regole dell’ arte, e 1’ altra, che si confor-  ma alle occasioni. Noi disporremo secondo le re-  gole dell’ arte quando seguiremo i precetti che  nel primo libro abbiamo dati; i quali sono di usare  l’ esordio, la narrazione, la divisione, la conferma-  zione, la confutazione, la conclusione; e di osser-  vare nel discorso 1’ ordine di queste parli in quel  modo che abbiamo innanzi prescritto. Parimente  sarà secondo le regole dell’ arte, quando noi di-  stribuiremo non solo l’ insieme del discorso, ma  aneora le diverse parti dell’ argomentazione, spie-  gate net secondo libro, cioè l’ esposizione, la ra-  gione, la confcrmazion della ragione, gli ornamen-  ti, e la recapilolazione. Due disposizioni adunque  ci ha : 1’ una di tutto il discorso, e 1’ altra dell’ ar-  gomentazione, così l’una comel’altra fondale sulle  regole dell’ arte. Ma vi è un’ altra disposizione, la  quale, lasciata al giudizio dell’ oratore, allora che  bisogna allontanarsi dall’ ordine fìssalo dall’ arte,  si conforma all’ occasione ; come se s’ incominci    r A   Digitizedby v^oogie     LIBRO III.    95    dalla narrazione, o da qualche argomento dei più  solidi, o dalla lcllura di qualche testo ; o se dopo  1' esordio si passi alla confermazione, c poscia alla  - narrazione; o se invcrtasi nel modo stesso l’ordine  regolare ; il che non bisogna mai fare, se non  quando la causa ciò richieda assolutamente. Se,  per esempio, ci parranno assordale le orecchie de-  gli uditori, e stracchi gli animi loro dai. nostri av-  versarti per l’abbondanza delle parole, sarà bene  lasciar 1’ esordio, e incominciare la causa o dalla  narrazione o da qualche robusto argomento. Po-  scia, se sarà vantaggioso, perchè non è sempre  necessario, ci sarà lecito di ritornare alle idee pro-  prie dell’ esordio.   X. Se la nostra causa parrà circondata da molta  difficoltà, sì che nessuno abbia I’ animo disposto  ad udire favorevolmente l’ esordio, noi, dopo aver  dato cominciamenlo dalla narrazione, potremo tor-  nare indietro, esponendo le idee che sarebbero  convenute all’esordio. Se la narrazione essa stessa  parrà poco probabile, daremo cominciamenlo da  qualche argomentazione solida. È sovente neces-  sario ricorrere a questi cambiamenti e a queste  trasposizioni di parli quando lo stesso soggetto ci  obbliga a cambiare ad arte la disposizione pre-  scritta dall’ arie. Nella confermazione e nella con-  futazione conviene altresì di seguire disposizioni  simili delle argomentazioni ; collocare nel princi-     96    t LA RETTOniCA   pio e alla fine le argomenlazioni più valide; c le  mediocri, c quelle clic non sono nè inutili alla  causa, nè necessarie a convincere, che, separata-  mente presenlalc, e ad una, ad una, sarebbero de-  boli, ma clic riunite alle altre divengono forti e de-  cisive, dovranno essere collocale e disposte nel  mezzo. Imperciocché, fatta la narrazione, l’animo  dell’uditore aspetta subitamente gli argomenti che  possono confermare la causa. Bisogna adunque re-  care nel mezzo qualche solida prova. E fioichèle  cose dette in fine sono quelle che più facilmente  s’ imprimono nella memoria, è utile, alla fine del  discorso, lasciare nell’animo degli uditori la fresca  impressione di un molto solido ragionamento (1).  Questa disposizione di mezzi, simile a buona' ordi-  nanza di soldati, può facilissimamenleneldire, sic-  come quella nel combattere, procacciar la vittoria.   XI. Molli Retori riguardarono la pronunciazionc  siccome ciò clic v’ ha di più utile all’ oratore, e di  più acconcio a generare la persuasione. Quanto a  me, non dirò tanto facilmente eh’ ella sia la più  importante delle cinque parli della Rettorica, ma  sì non temerò di affermare che nella pronuncia-  li) Chi legge il libro II. De Oratore, capo 77,  Si chiama articolo, o in-  ciso la distinzione, che si fa di ciascuna parola per  pause, tenendo sospesa la frase sino all’ ultimo :  per esempio: « Coll’impeto, colla voce, coll’ aspet-  to hai sbigottiti gli avversar». » E parimente: « Tu  coll’ invidia, coll’ ingiustizia, coll’ autorità, colla  perfìdia hai tolto via i nemici. » Tra la veemenza  di questa figura, e quella della precedente ci ha  questo divario, che quella fa passi più tarpi e più  radi, e questa s’ avanza più rapida e più pronta. In  quella mi pare di veder portare la spada al petto  dell’ avversario da braccio allungato c pugno slret-     LIBRO IV.    151    lo, e in questa venirneferilo il petto da colpi spessi  e rapidi . La continuazione o il periodo è una  stretta e non interrotta concatenazione di parole in  sino a senso compiuto. Noi trarremo grandissimo  vantaggio da questa figòra , se l’ useremo in tre  parti : nella sentenza, nel contrario, nella conclu-  sione. Nella sentenza, per esempio : « Non può la  fortuna fare gran danno a colui che pose suo pre-  sidio più fermamente nella virtù, che nel caso . »  Nel contrario; per esempio : « Se alcuno non locò  molla speranza nel caso, qual danno sì grande far  gli potrà il caso? » Nella conclusione; per esempio:  « Se la fortuna può moltissimo su di quelli , che  tutti i fatti loro lasciano in cura del caso, non bi*  sogna adunque tulle cose commettere alla fortuna,  onde ella non piglia su di noi troppo grande domi-  nio. In queste tre ligure la concatenazione delle  parole è così necessaria alla forza del discorso,  che poco valente sarebbe tenuto un oratore, se  non sapesse la sentenza, il -contrario e la conclu-  sione con ben congiunte locuzioni esporre. Ci sono  ancora altri casi, in cui la continuazione può usarsi  con vantaggio, benché non sia proprio necessario  1’ usarla.   XX. Si chiama Compar quella figura, che ha in  sè i membri, che già dicemmo, della frase formali  quasi del medesimo numero di sillabe. Ciò non ot-  teremo già col coniare le sillabe ( il che sarebbe    152 LA UETT0R1CA   una puerililà ), ma bensì l’ uso c l’esercizio ci met-  teranno in grado per un certo naturai senso di con-  formare ciaschedun membro a quello che avrem  posto di sopra; per esempio: « In battaglia il padre  succumbeva.a casa il figlio s’ammogliava, ciò lutto  un fatai caso governava. » E parimente : « Alla  fortuna dee l’uno la felicità, all’ industria deo l’al-  tro la virtù. » Sovente però può intervenire in que-  sta figura, che il numero delle sillabe non sia af-  fatto eguale, e nondimeno paia esserlo, se anche  l’uno o l’ altro membro è più corto di una o di due  sillabe; ma neH’uno essendo più le sillabe, nel-  l’altro la sillaba o le sillabe siano più lunghe e più  piene; talché la lunghezza o la pienezza di queste  sillabe compensi e pareggi il maggior numerò  delle sillabe dell’altro membro. Si chiama SimiU-  ter cadens una figura , quando nella medesima  struttura delle parole se ne hanno due o più, le  quali per egual modo nei medesimi casi si pro-  nunziino, per esempio: « Hominem laudas egen-  tem virtutis, abundaniem fclicitutis (1). E pari-  mente :’ « Cuius omnis in pecunia spes est, eius  a sapienlia est animus remotus. Diligenlia com-  parai divitias, negligentia corrumpit animum ;   (1) « Tu lodi un uomo povero di virtù, ricco di fe-  licità » .    unno ìv. -153 '   et tamen quurr* ita vivit, neminem prue se dadi  hominem (1) ».   La figura Similiter desinens si haquandoleparo-  le presentano una stessa desinenza, senza die i casi  siano gli stessi; per esempio: « Ttirpiier audes fa-  cere, nequiter sludes dicere. Vivis invidiose, de-  linquis studiose, loqueris odiose (2) ». E parimen-  te: « Audaeter lerritas , humiliter placas (3) ».  Queste due figure, V una delle quali consiste nella  simiglianza delle desinenze, e l’ altra nella simi-  glianza dei casi, mollo bene si accordano fra loro;  anzi i buoni scrittori per lo più le collocano insie-  me nelle stesse parli del discorso. Ciò si farà nella  seguente maniera: Perditissima ratio est amorem  petere, pudorem fugere, diligere fonnam, negli-  gere famam (4) ». Qui le parole, ebe hanno casi,    (1) Colui, che ita messo tutta la sua speranza nel-  l’oro, Ita l’animo ben lontano dalla saviezza. Acquista  le ricchezze colla operosità, e corrompe il proprio ani-  mo colla inlìngardaggiue; e nondimeno, vivendo in tal  guisa, nessuno reputa uomo a confronto di sè ».   (2) « Osi oprare disonestamente, e ti studii a parlare  scelleratamente. Odiosa è la tua condotta, ami il defit-  to, ed offensivo è il tuo parlare ».   (3) « Audace sci nel minacciare, umile nel suppli-  care ».   (4) « Niente di più vergognoso può farsi quanto di     LA flETTORICA    154   finiscono con casi simili, e quelle che non ne han-  no, finiscono con la stessa desinenza.   XXI. L’ annominazionè o paranomasia si ha ,  quando si ripete la stessa parola, o lo stesso nome  cambiandovi una o due lettere, una o due sillabe;  o quando si applica la medesima parola a due  cose fra loro differenti. Ella si forma per molle e  varie maniere. Colla diminuzione o contrazione  della stessa lettera, per esempio : « Hic qui se  magni fiee iactat , atque ostentai , veniit a te ante,  quam Romam venit (1) ». 0, facendo il contrario,  per esempio: « Hicquos homines alea vincil, eos  ferro statini vincit (2) ». Coll’ allungamento della  medesima lettera, per esempio: Hunc avium dul-  cedo ducil ad avium (3) ». Coll’ abbreviazione  della medesima lettera, per esempio : « Hic to-  rneisi videtur esse honoris cupidus , tamen non  tantum curiam diligit, quanlum Curiam (4) ».   abbandonarsi all’ amore, e di rinunziare al pudore; di  esser avidi della bellezza e non curanti della fama ».   (1) « Costui, che spiega tanta giattanzac ostentazio-  ne, fu da te venduto avanti che fosse a Roma venuto »,   (2) « Quelli, che costui in giuoco vince, tosto di ca-  tene avvince ».   (3) « Il canto degli uccelli trae costui fuor di via ».   (4) « Benché costui paia ambizioso degli onori pur  non ama tanto la curia quanto Curia. »   * Curia fu una cortigiana famosa.    Digitized by Google     LIBRO IV.    155    Aggiungendo delle lettere, per esempio « Hic sibi  posset temperare , nisi amori piatici ottempera-  re (4) ». Levando delle lettere, per esempio: « Si  lenones vilasset tanquam leones , vilae se tradi-  disset (2) ». Trasponendo delle lettere, per esem-  pio: « Videte , iudices, utrum Uomini navo, au  vano credere malilis (3) ». E parimente: « Nolo  esse laudator, ne videar adulator (4) ». 0 mutan-  do una lettera : per esempio : « Deligere oportet ,  quem velis diligere (o) ». Di tal fatta sono le an-  nominazioni o paronomasie, che fanno sostenere  alle lettere un leggiero cambiamento, sia allun-  gandole, sia trasponendole, sia assettandole in altra  maniera non molto diversa.   XXII. Yi ha altre paronomasie, in cui le parole  non hanno una cosi stretta rassomiglianza, ma con-  servano però una certa analogia fra loro. Eccone  una dì questo genere: « Quid veniam, qui siiUj  quare veniam, quem insimulem , cut prosim,   (t) « Egli poiria temperar se stesso, se non amasse  meglio ottemperare alTamorc ».   (2) «Se fuggiti avesse i lenoni come i leoni, avrebbe  conservata la vita ».   (3) « Vedete, o giudici, se amate piuttosto di prestar  fede a un uomo coraggioso o ad un uomo vano ».   (4) « Non voglio essere lodatore per non parere  -adulatore ».   (5) «Egli conviene scegliere colui che tu vuoi amare».    156    LA RETTORICA    quem postulerà, brevi cognoscetis (1) « Qui si  trova in alcune parole una certa analogia, che fa  d’ uopo ricercar meno che quelle degli esempi  precedenti, ma che pur vuol essere qualche volta  usata. Ecco un’altra forma della medesima figura:,   « Demus operaia , Quirites * ne omnino Paint  Conscripli circumscripti pulentur (2) ». Questa  paranomasia si accosta alla rassomiglianza perfetta  un poco più che la precedente, ma meno che  quelle riferite innanzi, perchè ad esse non sola-  mente sono state aggiunte delle lettere, ma ne  sono state altresì levate delle altre. Una terza for-  ma di questa figura si è di presentare diversi casi  di uno o più nomi. Di un sol nome; per esempio:   « Alexander Macedo summo labore anirnum ad  virtulem a pueritiu confirmavit. Alexandri virtù-  tes per orberà terme eum laude et gloria sunt  vervulgatae. Alexandro si vita longior data es-  set , Oceanun manus M acedo num tran svola sset.  Alexandrum omnes, ut maxime meluerunt, ilem  plurimum dilexerunt (3) «. Qui un solo nome si è   (1) « Voi conoscerete ben tosto la cagione, che qui  mi guida, chi io sia, che cosa io mi proponga, chi io  accusi, chi io difenda, chi io citi in giudizio ».   (2) Facciamo in modo, o Quiriti, che i padri co-  scritti non vengano stimati affatto circoscritti.   (3) « Alessandro Macedone dallasua infanzia esercitò  con grandissima costanza l’animo suo' alla virtù. Le *    Digitized by Google     LIBRO IW    157    fallo successivamente passare in differenti casi.  Ora vediamo una paronomasia, in cui più nomi  saranno usali in differenti casi alla loro volta:  Tiberiam Gracchum, rempublicam administran-  lem, indigna prohilmit ìipx diutius in ea commo-  rari. Caio Graccho simdiler , occisio oblata est ,  quae vi rum reipublicae amanlissimum subilo de  sinu eivilutis eripuil. Saturninum, fide caplum  malorum, perfidine scelus vitae pricavit. Tuus, o  Druse, sanguis domeslicos parietes, et vultam  parenlis adspersit. Sulpicium, cui paullo aule  omnia concedebant, eum brevi spatio non modo  vivere, sed eliam sepeliri prohibuevunl(l) ». Quc-   virtù di Alessandro si conservano con lode e gloria  nella ricordanza del mondo intiero. Se ad Alessandro  fosse stala consentita dagli Dei una più lunga vita, un  pugno di Macedoni saria volato al di là dell’ Oceano.  Se tutti temettero grandissimamente Alessandro, lo  amarono pur anco di moltissimo amore ».   (1) « Una morte indegna tolse Tiberio Gracco alla  onorato incarico d’amministrar la Repubblica, al quale  era tutto intento. Similmente a Caio Gracco fu tolta  la vita da nemica mano, che alla città improvvisamente  rapi un uomo caldissimo d'amore per la Repubblica.  Saturnino, che posto avea sua fede ne’ malvagi, spen-  sero i perfidi amici medesimi. Il tuo sangue, o Druso,  bagnò le domestiche pareli, e il volto della madre.  Sulpicio, al quale poco prima tutto concedevano, pri-  varon ben tosto non solo della vita, ma anche dello  onor del sepolcro ».     158    LA RETTORICA    ste tre ultime figure Similiter cadens, Similiter  desinens , e Annominazione o Paronomasia, allor-  ché avremo alle mani una causa vera, non le do-  vremo usare che mollo di rado; perciocché non si  possono trovare senza sforzo e perdita di tempo.   XXIII. Siffatti giuochi dell’inlellelto sembrano  avere per iscopo piuttosto il diletto che la verità.  Laonde l’uso frequente di queste figure toglie al-  l’eloquenza la sua autorità, la sua nobiltà, la sua  severità. E non solo toglie alla parola tutta la sua  virtù, ma l’uditore rimane disgustato da una tale  maniera di dire, perchè trova in queste figure fi'  nezza e giocondità, non mai bellezza e dignità. Il  bello ed il grandioso possono piacere a lungo, ma  il giocondo c l’aggraziato generano ben tosto sa-  zietà allo sdegnante orecchio. Facendo noi dun-  que abuso di queste figure mostreremo di com-  piacerci di una puerile elocuzione; ma se le fram-  metteremo nel discorso con parsimonia, o ve le  spanderemo variamento qua e là, esse gioveranno  a render più brillante il discorso stesso, come se  fossero altrettanti punti luminosi. La soggiunzionc  è quando noi domandiamo- ai nostri avversari!, o  in generale agli uditori, che cosa può dirsi a favor  di quelli, o contro di noi; c poscia soggiungiamo ciò  che bisogna veramente dire o non dire, o ciò che  può essere favorevole olla nostra causa, o nocevolc  a quella degli avversari, per esempio: « Io doman-    Digitized by Google     LIBI10 IV.    159    (io adunque come questo uomo è divenuto sì ricco.  Gli e forse sialo lascialo un ampio patrimonio? Ma  i beni tulli di suo padre furono venduti. Gli è for-  se toccala qualche eredità? No certamente; anzi  tulli i suoi parenti lo hanno diseredato. Ha egli  avulo guadagno da lite o da giudizio? Non solo  non ha oltenuto nulla di ciò, ma anzi di più è stalo  condannato a pagare una grossa ammenda. Dun-  que se non deve la sua ricchezza a veruna di que-  ste cagioni, siccome voi tutti vedete, o bisogna  dire che a costui nasce l’ oro in casa, o che egli  ha acquistato ricchezze con mezzi illeciti ».   XXIV. Eccone un altro esempio: « Io ho spesse  volle osservato, o giudici, che molti accusali pos-  sono trovar favore in qualche onorevole circostan-  za, la quale neppur dagli accusatori può essere  impugnata; ma il nostro avversario nulla può fare  di simigliarne. Imperciocché, invocherà egli la virtù  di suo padre? ma voi questo padre nella coscienza  vostra condannaste alla pena di morte. Passerà  egli in rassegna il tempo della sua vita antece-  dente onestamente speso in alcun luogo? ma voi  tutti senza più sapete com'egli ha vissuto sotto i  vostri occhi medesimi. Enumererà forse de’ paren-  ti, al cui nome voi abbiale a rimanere commossi?  ma egli non ha parenti. Menerà forse innanzi degli  amici? ma niuno è, che non riguardi siccome uno  scorno l’essere chiamalo amico di costui ». E si-     160 -LA RETTORICA   milmente: « Il nemico, cui tii riputavi colpevole,  adducesti forse in giudizio? no; perciocché tu Tue*  chiesti senza che fosse condannato. Avesti tu fi-  more delle leggi, che proibiscono di ciò fare? ma  tu neppure pensasti che ei fossero leggi. Quando  egli ti faceva presente l’antica reciproca amicizia,  ti sentisti commosso? niente del tinto; anzi tu lo  uccidesti con più rabbia. E che? allorquando i suoi  figliuoletti ti si gittarono ai piedi, fosti tocco da  compassione? anzi con sommissima crudeltà vole-  sti che rimanesse insepolto il padre loro ». ilavvi  in questa figura mollo di veemenza e di gravità,  perciocché dopo che si è domandalo che cosa bi-  sognava fare, si soggiunge tosto che quella cosa  non si è punto fatta. Di che nasce mollo facilmente  che s’ingrandisca l’indegnità della cosa. Noi pos-  siamo altresì riferire la soggiunzione alla nostra  propria persona, per esempio: « Che doveva io  fare, allorché mi vidi soprappreso da una sì gran-  de moltitudine di .Galli? Forse combattere? ma, ol-  trecchè saremmo usciti a battaglia con pochegenti-  avevamo pur anche una posizione mollo sfavore-  vole. Star dentro agli alloggiamenti? ma noi non  avevamo nè soccorsi da attendere, nè vettovaglie  per potere a lungo campare la vita. Abbandonare  gli alloggiamenti? ma eravamo accerchiali. Contar  per nulla la vita de’soldati? ma mi pareva pure di  averli ricevuti con questa condizione di conscr-    LIBRO IV.    161    varli incolumi, per quanto potessi, alla patria c ai  parenti. Ricusare le condizioni del nemico? ma la  salvezza de' soldati deve andare innanzi a quella  delle bagaglic ». Siffatte soggiunzioni si pongono  sovente l'una dopo l’altra, acciocché da tutte ap-  paia venir dimostrato che non v’ era niun miglior  partito a prendere che quello, che appunto fu  preso.   XXV. La gradazione è una figura per la quale  non si discende alla parola seguente prima che  siasi risaliti alPanteceddiite, per esempio: « Qual  altra speranza di libertà ci rimane, se ciò cli'ei  vogliono, possono, e ciò che possono, osano, e ciò  che osano, fanno, e ciò che fanno, a voi non è gra-  ve? >) E ancora: t lo ciò noli pensai senza che il  consigliassi: nè il consigliai, senza che intrapren-  dessi tosto a farlo io stesso; oè intrapresi a farlo  senza che lo recassi a compimento; nè lo recai a  compimento senza che lo approvassi. » E ancora:  « AH’Affricano la industria procacciò virtù, la vir-  tù gloria, la gloria rivali. » E ancora: « Lo imperio  della Grecia si fu appo gli Ateniesi: degli Ateniesi  si fecero signori gli Spartani; gli Spartani furono  superati dai Tcbani; i Tebani vinti dai Macedoni;  i quali Macedoni in breve spazio di tempo allo im-  perio della Grecia aggiunsero l'Asia soggiogata in  guerra, » La successiva ripetizione di ciascuna pa-  rola antecedente ha in sè una certa tal grazia; la     162    LA RETTORICA    quale ripetizione costituisce appunto questa figura  della gradazione. La definizione è quella figura,  che in poche parole e senza nulla tralasciare ab-  braccia gli attributi proprii di una cosa, per esem-  pio: « La Maestà della Repubblica si è quella, in  cui si contiene la dignità e la grandezza della cit-  tà. » E ancora: « Le ingiurie sono quelle, che vio-  lano o con percosse il corpo, o con villaniegli orec-  chi, o con altra turpitudine la vita di qualsivoglia  uomo. » E parimente: « Questa non è economia,  ma avarizia; perciocché l’dconomia si è un’ accu-  rata conservazione delle cose proprie; c l’avarizia  si è un’ingiuriosa appetizione delle cose altrui. »  E ancora: « Non è coraggio questo, ma temerità;  perciocché il coraggio è il disprezzo della fatica e  del pericolo con ragione di utilità e compensazione  di comodi; e la temerità è un gladiatorio intrapren-  dimento di pericoli con inconsiderala sofferenza  di fatica. « Questa figura è tenuta vantaggiosa per  ciò appunto che fa conoscere ed intendere la forza  ed il valere di qualsivoglia cosa sì chiaramente e  sì brevemente che paia non aver avuto bisogno di  esser detta con più parole, nè si pensi essersi po-  tuta dire con brevità maggiore.   XXVI. Transazione chiamasi quella, la quale e  con brevità pone sott’occhio ciò che è stato detto,  ed anco dichiara in poche parole ciò che deve se-  guitare; per esempio: « Voi avete veduto come co-     LIBRO IV.    163    stui si è contenuto verso la patria; considerate ora  quale si è mostrato verso i parenti. » E parimente:   « Voi conoscete i benefizii, ebe io ho fatti a co-  stui; ora udite in qual modo ei rn’hn ricompensa-  to. » Questa figura è di qualche utilità per due ra-  gioni; prima perchè ci fa ricordare di ciò che è  stalo dello, e prepara l’ uditore a ciò che rimane  da dire. La correzione è quella, che toglie ciò che  è stato detto, e ripone in sua vece ciò che pare più  conveniente, per esempio: « Se costui avesse pre-  galo i suoi ospiti, anzi avesse loro solamente fatto  un segno, avrebbe potuto facilmente ottenere lo  scopo. « E parimente » : Dopo che costoro rima-*  sero vincitori, o piuttosto vinti; perciocché come  chiamerò io vittoria quella che è stata più funesta,  che vantaggiosa ai vincitori? ... — « 0 invidia,  compagna della virtù, che per lo più vai dietro ai  buoni, o per meglio dire li perseguiti! — » Per  questa figura t'animo dell’uditore rimane colpito,  perchè una cosa messa innanzi con comunale par-  lare sembra solamente detta ; ma la stessa cosa  profferita con correzione oratoria diventa assai più  notabile all’ uditore- Ma non è meglio, dirà talu- ,  no, specialmente allorché scrivi, impiegare fino da  principio il vocabolo migliore c più scelto? — Può  essere che no, se il cambiamento del vocabolo fac-  cia conoscere che la cosa è tale, che, ove tu avessi  usato il vocabolo comunale, parrebbe essersi da -     LA RETTORICA    164   te espressa troppo fiaccamente, e invece la rendi  più degna di osservazione col venire poscia al vo ;  caboto -più scelto. Al quale se venuto fossi a bella  prima, non si sarebbe allora avvertilo nè il merito  della cosa, nè quello della parola.   XXVII. La preterizione è quella con la quale af-  fermiamo, o che noi tacciamo, o che non sappia-  mo, o che non vogliamo dire ciò che nel medesimo  tempo specialmente diciamo, per esempio: « Io  per certo parlerei della tua giovinezza, la quale tu  dedicasti ad ogni maniera d’intemperanza, se sti-  massi essere questo il tempo opportuno; ma ciò  tralascio avvisatamente. Ed anco non voglio dire  che i tribuni ti castigarono siccome infrangilore  della militar disciplina: c reputo estraneo al sog-  getto l'aver tu dovuto dar soddisfazione delle tue  ingiurie a Lucio Labeone. Di questi falli non dico  nulla, e ritorno a ciò che forma il soggetto del pre-  sente giudizio ». E parimente: « Io non dico che  tu ricevesti danaro dagli alleati; non mi fermo a  provare che espilasti le città, i regni, le case di  lutti; passo sotto silenzio i furti, e tutte le rapine  tue ». Questa figura è utile, se è nostro interesse  di lasciar intendere una cosa, o che non è espe-  diente di mostrare per minuto, o che è lunga a di-  re, o che è ignobile, o che non si può provare, o  che è facile a confutare; di maniera che sia me-  glio per noi l’aver fallo nascere copertamente un    LIBRO IV.    . 165    sospetto, che l'aver preso a sviluppar cose che ve-  nir ci possano confutate. La disgiunzione ha luo-  go, allorquando o l’una o l’altra delle proposizio-  ni, che si espongono, od anche ciascuna di esse  si conchiude con un verbo speciale, per esempio:  « Il popolo Romano distrusse Numanzia, abbattè  Cartagine , disfece Corinto , rovesciò Fregelle.  Niente ai Numantini giovarono le forze del corpo;  niente ai Cartaginesi fu di profitto la scienza mili-  tare; niente ai Corinzi fu di presidio la scaltrita  politica; niente ai Fregellani recò vantaggio la co-  munanza con essonoi de’ costumi e del linguag-  gio ». E similmente: « Bellezza di corpo o per ma-  lattia perde suo fiore, o per vecchiezza dileguasi;»  In quest’ ultimo esempio e nell’altro antecedente  vediamo che ogni proposizione si conchiude con  un verbo speciale. La congiunzione si ha, quando  per rinterposizione di un verbo si legano insieme  si le parti antecedenti di una frase c si le consc-  guenti, per esempio; « Bellezza dì corpo o per  malattia perde suo fiore, o per vecchiezza » L’ag-  giunzione si ha, quando il verbo, ondelegansi tra  loro le parti, non è già posto tiel mezzo, ma è col-  localo o nel principio o nel fine. Nel principio, per  esempio: « Perde suo flore bellezza di corpo o per  malattia o per vecchiezza. « Nel fine, per esem-  pio »: 0 per malattia o per vecchiezza bellezza di  corpo perde suo fiore. La disgiunzionc sente al-     166    LA flETTORICA    quanlo della piacevolezza; eperciò conviene usarla  di rado, onde non generi sazietà. La congiunzione  amando la brevità si può usare più spesso. Que-  ste tre figure procedono da un solo e medesimo  genere.   XXVIII. La conduplicazione è la ripetizione  della stessa parola o di più parole allo scopo di  amplificare o di commovere, per esempio: « Tu-  multi eccita C. Gracco, tumulti nelle famiglie,  tumulti nello Stato»: E parimente: « Non fosti  tu commosso , allorquando tua madre ti ab-  bracciava le ginocchia, di’, non fosti tu commos-  so »? E' ancora: « Osi tu oggi ancora presentarti  al cospetto di questa adunanza, o Iraditor della  patria, si, ripeto, o tradilor della patria, osi tu oggi  ancora presentarti al cospetto di questa adunan-  za »? La ripetizione della medesima parola scuote  altamente l’uditore, e fa alla causa contraria una  più ampia ferita, come spada, che a più riprese  ferisca sempre .nella medesima parte del corpo.  V interpretazione è quella che non ripete già la  parola stessa, ma ne sostituisce un’altra in suo luo-  go, avente il valore medesimo, per esempio: «Tu  la Repubblica hai dalle radici rovesciata, tu la città  hai sino dai fondamenti abbattuta ». E per egual  modo: « Tu empiamente hai battuto il padre, tu  scelleratamente hai portato la mano contro l’autor  de’luoi giorni ». Egli è ben necessario che l’ani-    Digitized by Google     LIBRO IV.    167    mo dell’uditore rimanga scosso, quando colla in-  terpretazion de’vocaboli si viene a dare nuova for-  za al detto anteriore. Si ha la commutazione quan-  do due pensieri fra loro diversi si producono, per  ragion di trasposizione, in maniera che il secondo  avente senso contrario al primo, proceda appunto  dal primo, per esempio: « Bisogna mangiare per  vivere, non vivere per mangiare ». E parimente:  « Per questa cagione io non fo poemi, perchè,  come vorrei farli, non posso, e come posso farli,  non voglio ». E ancora: « le cose, che di questo  uomo si dicono, dir non si possono, e quelle, che  dir si possono, non si dicono. » E ancora: Se un  poema è un quadro parlante, sì un quadro deve  essere un parlante poema. » E finalmente: • Per-  chè sei un ignorante, per ciò appunto tu taci; c tut-  tavia, perchè tu taci, non sei per ciò un ignoran-  te. » Non si può dire abbastanza quanto sia con-  veniente questa trasposizione di due sensi contra-  rii, in cui anche le parole si trovano trasmutale.  Noi ne abbiamo qui posti più esempi, appunto per  chè, essendo diffìcile a trovarsi questo genere, se  ne avesse una chiara idea, acciocché venendo esso  ben inteso, fosse più facile ad esser trovato all’oc-  casione in un discorso.   XXIX. La permissione si fa , allorquando nel  dire noi dichiariamo di dare e abbandonare ap-  piedo alcun che all’arbitrio di alcuno, per csem-     i 68    LA RETTORICA    pio: a Poiché tulio mi è stalo tolto, e solo mi re-  sta l’anima e il corpo, io a voi e al poter vostro  dono ciò che sol mi rimane di tanti beni. Voi fate  di me quell’ uso, o buono o cattivo, che meglio vi  piace, giacché tutto vi è permesso: contro di me  stabilite qual cosa voi volete: parlate, ed io ubbi-  dirò. » Questa figura è sommamente alta a muo-  vere la compassione,' quantunque si possa alcuna  volta eziandio in altri casi usare. La dubitazione  siha, allorquando l’Oratore dà vista di cercare  quale piuttosto di due o più cose ei debba dire a  preferenza: per esempio: « Nocque in quel tem-  po assaissimo alla Repubblica non so se dir biso-  gni o l’ignoranza o la perversità de’ Consoli, o en-  trambe queste cose insieme. » E parimente: « Tu   hai osato dir ciò? o uomo fra tutti i mortali »   in verità che io non so con qual nome degno del  tuo carattere io li debba chiamare. « L’cspedizio-  ne si ha, allorquando, dopo avere enumerate più  ragioni dimostranti come una cosa abbia potuto o  non potuto addivenire, tutte si rigettano ad ecce-  zione di una sola, la quale appunto affermiamo:»  per esempio: «Poiché consta che questo fondo era  mio, è necessario che tu provi o che ne sei venuto  in possesso per essere stato un fondo abbandonato,  o che è divenuto tua proprietà per diritto di pre-  scrizione, o che l’hai comperato a danari, o che  ti è pervenuto in eredità. Tu non hai potuto fartene    Digitized by Google    LIBRO IV.    169    possessore per essere stato abbandonato, giacché  io presentavami siccome padrone; tu non puoi pur  allegare in tuo favore la prescrizione: tu non puoi  presentare verun titolo di compera: tu non pote-  vi, me vivo, avere i miei beni in eredità. Rimane  adunque che tu per violenza sii divenuto padrone  del mio fondo. » Questa Ggura è di grandissimo  giovamento alle argomentazioni congetturali; ma  non possiamo usarla a nostro piacimento, come  usiamo la più parte delle altre, non polendo noi  ciò fare, se non quando la natura stessa del sog-  getto ce ne dà facoltà.   XXX. La dissoluzione è urta figura, che, soppri-  mendo le congiunzioni, presenta i membri della  frase separati: per esempio: « Segui il voler del  padre, ubbidisci alla famiglia, cedi agli amici, ti  sottometti alle leggi. » E parimente: « Discendi ad  una completa giustificazione; non li voler sottrarre  a nulla; consegna i tuoi schiavi alla tortura; fa  tulli gli sforzi perchè sia scoverlò il voro. » Questa  figura è piena di vivacità e di forza, e si presta al  parlare conciso. La reticenza si ha, allorquando,  dopo a*er detto alcune parole, si lascia il rima-  nente dell’incominciato.discorso al giudizio dell'ti-  dilore: per esempio: « .Io non voglio incominciare  a disputar lèco, perchè il popolo Romano mi ha....  noi voglio dire per non parer troppo vano: in  quanto a te io so che egli ti ha spesse fiale giudi-     170    LA RETTORICA    calo degno di disprezzo. » E parimente: « Osi tu,  in questo tempo tenere siffatto linguaggio? luche  ultimamente nell’altrui casa. . . non voglio pro-  seguire per tema che, raccontando io cose degne  di te, non si creda che io tenga propositi indegni  della mia pesona. » Qui è più funesto all’avver-  sario il sospetto generalo dalla reticenza; che una  eloquente spiegazione. La.conelusionc è quella fi-  gura, che per una breve argomentazione deduce  da ciò, che prima è stalo detto o fatto, ciò che deve  necessariamente seguire: per esempio: « Che se  ai Greci aveva detto l’oracolo che non si poteva  premier Troia senza le frecce di Filottete, e que-  ste altro non fecero che colpir Paride, ne segue  che toglier di vita costui si fu come prender Troia. »  XXXI. Rimangono anegra dieci figure diparole,  dette propriamente tropi, che noi non abbiamo vo-  luto variamente disseminare qua e colà; ma che  abbiamo in vece separate da quelle che son poste  di sopra, per ciò appunto che appartengono tutte  al medesimo genere, avendo esse la proprietà di  allontanar le parole dalia loro ordinaria significa-  zione e farne loro assumere un’altra, dando al di-  scorso una certa quale adornatezza. Di queste fi-  gure la prima è l’onomatopea, la quale, sé una  cosa sia senza nome, o non ne abbia uno abba-  stanza idoneo, c'insegna a chiamarla noi stessi con  vocabolo conveniente o per ragion d’imitazione o    /    Digitized by Googte    LIBRO IV.    171    per ragion di significazione. Per imitazione, i no-  stri antichi coniarono questi verbi ragghiare, va-  gire, mugghiare, mormorare, sibilare. Per signi-  ficare la cosa abbiamo quest’ esejnpio: « Appena  che costui fé’ impelo sopra Roma, immantinente  udissi lo scoppiettio della città. » Bisogna di rado  osare l’onomatopea, acciocché la frequenza di  nuove parole non generi disgusto: ma se si usi a  proposito e con parsimonia, non solo non dispia-  ' cerà per la novità, ma aggiungerà eziandio bellez-  za al discorso. L’antonomasia è quella figura, ehe  pef una specie di soprannome tolto ad imprestilo  dà a conoscere ciò che non può essere chiamalo  col proprio suo nome: per esempio volendo parlar  de’Gracchisi potrebbe dire: « Tali non si mostraro-  no i nipoti dell’ Affricano. » E parimente, parlando  di un avversario, dir si potrebbe: « Vedete ora, o  giudici, come mi La trattato cotesto Plagiosippo?»  Per questa figura noi possiamo elegantemente, tan-  to nel lodare quanto nel biasimare, prendere o dal  corpo o dall'animo o da altre cose esteriori una  qualche maniera di soprannome da collocare in  cambio del nome noto.   XXXII. La metonimia è quélla, perla quale noi,  volendo significare una cosa, non la chiamiamo  col suo proprio vocabolo, 'ma la facciamo intendere  col cercare un nome da altre cose che abbiano af-  finità o correlazione con quella. Ciò si fa o ponen-  te     172    LA RETTORICA    do l’inventore per la eosa trovata, come se volendo  alcuno significare il Campidoglio il dicaTarpeo(t);  o ponendo la cosa trovata invece del suo inventore,  come se volendo alcuno significare Bacco nomini  il vino, e invece di Cerere dica le biade: o ponen-  do l’arma invece della persona di cui è propria,  come se volendo alcuno significare i Macedoni,  dica: « Non cosi prestamente le sarisse s’impadro-  nirono della Grecia: * o, volendo quel tale signifi-.  care i Galli, dica: « Non tanto facilmente fu dal-  l’Italia scacciata la matera oltramontana: » o po-  nendo la causa per 1’ effetto, come se volendo «1-  cuno dar a conoscere che altri abbia fatta un’azio-  ne in guerra, dica: « Marte ti spinse per necessità  a ciò fare: » o l’effetto per la causa, come quando  si dice oziosa un’arte, perchè concede ozio a chi  l’esercita, e pigro il freddo, perchè rende pigri gli  uomini; o il contenente pel contenuto, come: «Non  si può l’Italia superare nelle armi, nè la Grecia  nelle discipline. » Qui invece de’ Greci e degli Ita-  liani si son posti i paesi che li contengono: o il  contenuto pel contenente, come se, volendo alcu-  no nominar le ricchezze, dica l’oro o l’ argento o  (1) Leggo con un antico manoscritto, citato nell' edi-  zione Panckoucke: ttf si quis Tarpeium, loquens de  Capitolio, nominet; la qual lezione è la più probabile  di quante ne sono recate dagli eruditi editori antichi  e moderni sino al Panckoucke.    Digitized by CjOOgle     LIBRO IV.    173    l’avorio. Di tulle queste differenti specie di meto-  nimie 6 più diffìcile lo esporre le tante regole, che  trovare gli esempi; perciocché non solamente i  poeti e gli oratori son per solito pieni di siffatte  metonimie, mas’ incontrano eziandionaturalmente  nel nostro quotidiano favellare. La Perifrasi è  quella, che per esprimere una cosa semplice va  cercando una circonlocuzione: per esempio: « La  accortezza di Scipione abbattè la potenza di Carta-  gine. » Qui, se non si fosse avuto in mira di ab-  bellire il discorso, si sarebbe potuto dir semplice-  mente Scipione e Cartagine. L’iperbato è quello,  che cambia l’ordine delle parole rovesciandole o  trasponendole. Rovesciandole, per esempio: « Hoc  vobis Deos immortales arbilror dedisse pittale  prò veslra( 1). » Trasponendole, per esempio: «In-  stabilis in istum plurimum fortuna valuit (2) ».  E parimente: * Omnes invidiose eripuil libi bene  rivendi casus facultaies (3). » Siffatte trasposizio-  ni, se non rendono oscuro il senso, giovano mol-  tissimo alla continuazione, di cui abbiamo parlato  più sopra; nella qual figura bisogna che le parole   (1) Io mi penso che gl’immortali Dei vi abbian conce-  duto questo favore in ricompensa della vostra pietà.   (2) L’ incostante fortuna ha esercitato sopra costui  tutto il suo potere.   (3) Il caso iniquamente ti tolse tutti i mezzi di ben  vivere.     Mi LA RETTORICA   siano collocate con poetica armonia, affinché ella  riesca in sommo grado abbellita c perfetta.   XXXlll. L’iperbole è un parlare, clic trascende  il vero, sia per aggrandire, sia per impicciolire  alcuna cosa. Essa si piglia o separatamente o con  comparazione. Separatamente, come in questa fra-  se: « Se noi rimarremo concordi, misureremo la  grandezza del nostro imperio dal punto dove leva  il sole a quello dov’egli tramonta. » L’iperbole  con comparazione poi si prende o da assimiglianza  oda preminenza. Da assimiglianza, a questo modo:   « Il corpo suo era bianco come la neve, c gli oc- *  chi brillavano come il fuoco. » Da preminenza, a  questo modo: « Dalla sua bocca scorrevano le  partile dolci più del mele. » Del medesimo genere  è quest’altra iperbole: « Sì grande era lo splendor  delle sue armi che superavano in fulgidezza il so-  le. « La sineddoche è quella figura che fa com-  prendere il tutto da una parte, o una parte daltutto  o dal singolare il plurale, o dal plurale il singo-  lare. Il tutto da una parte, così: t Quelle nuzia-  li tibie non ti facevano accorto di questi sponsa-  li? » Qui tutta la solennità delle nozze vien fatta  intendere sotto l’ unico simbolo delle tibie. Una par-  te dal tutto, dicendo, per esempio, ad un uomo  vestilo con lusso c magnificamente ornato: « Tu  dispieghi a me dinanzi tutte le tue ricchezze, e  spandi tutti i tuoi tesori. » Il plurale dal singola-    Digitized by Google     UlllUJ IV.    175    re per esempio: « Il Cartaginese ebbe ad aiuto l’I-  spano, ebbe il feroce Transalpino, c per sino  l’Italo togato in parte parteggiò per lui.» Dal plu-  rale il singolare , come : « Un’ atroce calamità  empieva di dolore il suo cuore (perfora) : perciò  dall’imo petto (ex imis pulmonibus ) levavasi per  lo travaglio affannoso il respiro.» Nel primo esem-  pio hanno ad intendersi più Ispani, più Galli, più  Italiani ; c nel secondo, un solo cuore ed un sol  petto per quei due nomi latini posti al plurale :  nel primo luogo il singolare vi sparge una certa  grazia, e nel secondo il plurale vi aggiunge gravi-  tà. La catacresi è quella figura, che, per una spe-  cie di abuso, in vece della parola giusta c propria,  si serve di una parola analoga ed alfine; per esem-  pio: « Brevi sono le forze dell’ uomo, o ne è piccola  ld statura, o esteso in lui l’intelletto, o grande il di-  scorso, o scarse le parole.» Qui è agevole a capire  che per una specie di abuso si sono ravvicinate fra  loro di senso parole appartenenti a cose dissimili.   XXXIV. La metafora è, quando si trasporta il  vocabolo proprio di una cosa ad un’altra, il qual  vocabolo sembri poterle convenire per una qualche  simiglianza. Noi ci serviamo di essa per più moti-  vi, ed ecco per quali: Per mettere la cosa dinanzi  agli occhi; a questo modo: « Cotesla sollevazione  svegliò Italia con improvviso spavento. » Per ca-  gione di concisione; a questo modo: cc II novello     1 70    LA RETTORICA    arrivo di quelle truppe estinse in un subito la civile  libertà. » Per evitare una parola oscena; a questo  modo: « La madre sua dilettasi di quotidiane noz-  ze » Per amplificare; a questo modo: « Non ci  furon dolori e calamità d’uomo, che potessero ap-  partare gli sdegni di un mostro tale, e saziarne la  iniqua crudeltà. » Per attenuare, a questo modo:  « Egli si millanta che ci è stato di un grande aiuto,  perchè in occorrenze difficilissime ci ha sovvenuti  di un leggiero soffio. » Per ornare lo stile, a que-  sto modo: « I traffichi dello Stato, che per la ma-  lignità dei ribaldi inaridirono, un di per la virtù  degli ottimati riverdeggeranno. » È prescritto che  la metafora sia modesta, sì che passi con riguardo  ad una cosa consimile, onde non paia che alla cie-  ca e avidamente ella sia trascorsa in una cosa al  tutto dissimile senza distinzione veruna. L’ allego-  ria è un discorso, che altra cosa significa nelle pa-  role ed altra nel concetto. Essa trattasi per tre ma-  niere: Per simiglianza, per allusione, per anlifrasi.  Trattasi per simiglianza, quando si fanno seguitare  più metafore tolte ad una stessa idea; peresempio:  « Se i cani fanno V uffizio dei lupi, a quali guar-  diani confideremo noi il bestiame? » Per allusione,  quando da una persona o da un luogo o da qual-  che altra cosa si trae la simiglianza, sia per aggran-  dire, sia per diminuire l’idea; come, se alcuno,  parlando di Druso, lo chiami « un vieto Numitore.     LIBRO IV.    177    Per antifrasi: a questo modo; come se alcuno,  volendo motteggiare sopra di uno prodigo o sre-  golato, lo chiami « tegnente ed economo. In que-  st’ ultima specie di allegoria, che trattasi per anti-  frasi, ed anco nella prima, che trattasi per simi-  glianza potremo usare l’allusione metaforica. Ec-  cone un esempio per simiglianza: « Che cosa dice  questo re ed Agamennone nostro? » o meglio « per-  chè crudele egli è, colesto Atreo? » Eccone un al-  tro per antifrasi: « Se un empio, che battuto abbia  il padre, lo diciamo un Enea; uno intemperante e  adultero diciamolo pure un Ippolito. » Ecco pres-  so a poco ciò che pensavamo dover dire intorno  alle figure di parole. Ora l’ordine stesso delle co-  se vuole che passiamo a dire delle figure di pen-  sieri.   XXXV. Si ha la figura di distribuzione, quando  si partiscono certi attributi fra più obbietti o più  persone: per esempio: « Quello di voi, o giudici,  che caro ha il nome del senato, non può non de-  testar costui; perciocché egli con insolenza estre-  ma ha sempre fatto guerra al senato. Quegli, il  jquale brama che nella Repubblica si mantenga  splendidissimo l’ordine equestre, dee pur volere  che costui dato venga all’estremo supplizio, ac-  ciocché egli colle turpitudini sue nort arrechi mac-  chia e disonore ad un ordine onorevolissimo. Voi,  che avete un padre, mostrate col castigo di costui     178    LA RETTORICA    che vi sono in.abbominio gli uomini snaturati. Voi,  che avete de’ figliuoli, date a vedere con un esem-  pio quanto terribili pene son riserbate in questa  città agli uomini di questa fatta. » E similmente:  « Egli è dovere del senato sovvenir di consigli la  Repubblica; egli è dovere de’ magistrati eseguire  i voleri del senato con zelo e fedeltà: egli è do-  vere del popolo scegliere ed approvare co ! propri  suffragi gli uomini più abili, e le migliori delibe-  razioni. * E ancora: « Il dovere dell’accusatore  si è quello di dinunziare i delitti; quello del di-  fensore di purgarli e confutarli; quello del testi-  monio è di dir ciò che sa od ha udito; quello del  giudice è di contener ciascun d’essi nel proprio  dovere. Laonde, o Lucio Crasso, se comporterai  che un testimonio, oltre a ciò che sa o udito ha,  rechi in mezzo argomentazioni e congetture, con-  fonderai il diritto di accusatore con quello di testi-  monio, darai favore alla cupidigia del tristo testi-  monio, e costringerai l’accusato a una doppia di-  fesa. » Questa figura è ampia: essa comprende  molte cose in poche parole, e forma tra più ob-  bietti delle divisioni assai distinte, assegnando a  ciascuno le sue attribuzioni.   XXXVI. Si ha la figura di licenza, allorché par-  lando a persone, che noi dobbiamo rispettare o te-  mere, le rimproveriamo con ragione di alcun fallo  in cui siano cadute, senza però offender quelle o    Digitized by Google     gli amici di quelle. Eccone un esempio: « Voi vi  maravigliale, o Quiriti, clic le parli vostre sienoab-  bandonate da tutti? Che nessuno abbracci la vo-  stra causa? Che nessuno si dichiari vostro difen-  sore? Attribuite ciò a colpa vostra, e cessate una  volta di rimanere stupidi. Imperciocché come mai  non dovranno tutti fuggire ed evitare di darvi aiu-  to? Ricordatevi un poco di quelli, che aveste per  difensori; ponetevi dinanzi agli occhi le sollecitu-  dini loro per voi; e considerate quale compenso  indi n’ebbero tutti. Allora si # verrà in mente, se  ciò confessar vogliate, che voi per negligenza o  piuttosto per villàJi lasciaste trucidare sotto gli oc-  chi vostri, e che co’ vostri suffragi inalzaste ai più  distinti onori i nemici loro. » E parimente: « Che  cosa mai fu, o giudici, che dubitar vi fece di pro-  nunciar sentenza? o che cosa mai v’indusse ad in-  dugiar la condanna a questo ribaldo? Non era stata  forse l’accusa appoggiala alle prove più manifeste?  E (poesie prove non erano, forse state tutte confer-  mate per leslimonii? E le confutazioni degli avver-  sarli non furono tulle puerilità e baie? Forse voi  temeste che, condannandolo tosto alla prima adu-  nanza, poteste essere tacciati di crudeltà? Ma voi  nel voler evitare una simile taccia, la quale certo  era lungi da voi, andaste incontro all’altra di es-  sere giudicali timidi e dappoco. Voi intanto avete  lasciato luogo a privale e pubbliche calamità senza     180    LA RETTORICA    fine; e allorché v’ è apparenza che altre maggiori  venganvi sul capo, voi ve ne state tranquilli e colle  mani a cintola. Nel giorno voi aspettate la notte, e  nella notte il giorno. Ad ogni momento voi ricevete  qualche infausta e dolorosa nuova, e voi conser-  vale più a lungo in vita colui, che è l’autore di  tutti i mali; e, fino a tanto che potete, ritenete  nella Repubblica il flagello della patria. »  XXXVII. Se una tale maniera di licenza parrà  aver troppo di veemenza, son molti correttivi per  addolcirla. Imperciopchè vi si potranno inconta-  nente introdurre siffatti modi: « Indarno io cerco  qui la vostra virtù; io sto nel desiderio della vo-  stra conosciuta sapienza; io non trovo più l’antica  vostra maniera di operare, ccc. ; » affinchè quel  movimento di sdegno, che là licenza avrebbe po-  tuto eccitare, rimanga per la lode compresso; di  maniera che l’una cosa dilunghi dalla collera e  dal disgusto, e l’altra distorni dall’errore. Siffatta  cautela usata a tempoj come nell’amicizia così  nelle pubbliche aringhe, ha questo vantaggio, che  rattiene dal fallo coloro che ci odono, e dà a co-  noscere che noi, i quali palliamo, amiamo non me-  no essi che il vero. Havvi poi un’altra specie di  licenza oratoria, la quale consta di una maniera  più fina; ed è allorquando o noi riprendiamo i no-  stri uditori in quel modo, in cui vogliono pur es-  sere ripresi, o, sapendo noi che eglino ascolteranno     LIBIMI IV.    181    volentieri i nostri rimproveri, protestiamo di teme-  re non forse li ricevano con mal cuore, ma che tut-  tavia la verilà ci spinge sì che non vogliamo pur  pure tacere. Sottoporremo qui esempi di queste  due sorte di licenza. Eccone uno della prima sor-  ta: « Troppo, o Quiriti, avete gli animi semplici e  •buoni; troppo prestale fede a chicchessia. Voi pen-  sate che ognuno si sforzi di fare ciò che vi ha pro-  messo. V’ingannate a partito, e già da lungo tem-  po rimanete vittime di questa falsa speranza. Stolli  voi, che amaste meglio cercare agli altri ciò che  era in poter vostro, che pigliarlo voi stessi di mano  propria ». Della seconda maniera di licenza ecco  qual sarà F esempio: ((Furono, o giudici, fra me  e quest’ uomo vincoli di amicizia, ma questa ami-  cizia, sebbene io tema che ciò udiate mal volen-  tieri, il voglio pur dire con franchezza, foste voi  che me la toglieste. E in qual modo? Perchè per  conservare il favor vostro, io ho amato meglio aver  per nemico che per amico colui, che a yoì dava  travaglio». Dunque questa figura, chiamata licen-  za jjsi può, come abbiamo mostralo, trattare in due  modi: con veemenza, la quale fia mitigala da lo-  de, se parrà aspra troppo; o con finzione, come  dicemmoln ultimo luogo, la quale non ha bisogno  di correttivo, perchè, sebbene abbia colore di li-  cenza, essa nondimeno per propria natura s’insi-  nua nell’animo dell’uditore.     182 LA RKTTOHICA   XXXVIII. La diminuzione si usa, allorquando  ci bisogna lodare in noi stessi o nei nostri clienti  il carattere, la bellezza, l’ingegno; ed allora, per  non parere arroganti troppo, scemiamo e impiccio-  liamo con parole siffatti pregi: per esempio: « Io  dico, o giudici, giacché dir lo posso, che ho pro-  curato con tutta fatica ed industria di non essere^  degli ultimi nella scienza militare. » Qui, se chi  parla avesse detto: « ho procuralo di esser dei pri-  mi, » avrebbe avuto aria di arrogante, benché ciò  fosse universalmente riconosciuto per vero: così  egli ha dello quanto era a bastanza e per far ta-  cere l’invidia, e per far conoscere il merito pro-  prio. E ancora: « È egli forse l’avarizia o il biso-  gno che spinse questo uomo al delitto? L’avari-  zia? Ma egli fu prodigo inverso gli amici; il che  è segno di liberalità, cosa contraria all’ avarizia.  Il bisogno? Ma senza dubbio il padre suo gli lasciò  (non voglio esagerare) un non piccolo patrimo-  nio. » Qui pure l’oratore ha evitato di dire un pa-  trimonio grande o grandissimo. Nel parlare adun-  que de’ pregi nostri o di quelli de’ nostri clienti  noi osserveremo una siffatta riservatezza; percioc-  ché pigliando a lodar noi stessi inconsideratamen-  te, nella civile società suscitiamo l’invidia, e in  un pubblico ragionamento l’avversione. Laonde  in quella guisa che il buon contegno nella società     Digitizi&'by Go*le      LIBRO IV.    183    ci sottrae all'Invidia, così la riservatezza in un pub-  blico discorso cijsalva dall'odio.   XXXIX. Chiamasi descrizione quella, che per  mezzo di parole chiare e manifeste e nobili insie-  me, dipinge tutti i conseguenti di un fatto, che sia  avvenuto o che possa avvenire: per esempio: *Se  i vostri voti, o giudici, restituiranno alla libertà co-  stui, voi lo vedrete subito a guisa di leone, a cui  fu aperto suo carcere, o a guisa d’altra feroce be-  stia, da catene sciolta, giltarsi nel foro, e correre  qua e là aguzzando i denti contro alle sostanze al-  trui, avventandosi contra tutti, amici o nemici, co-  nosciuti e sconosciuti, togliendo l’onore agli uni,  minacciando la vita agli altri, usando violenze alle  abitazioni, alle famiglie d’ognuno, abbattendo in-  somma dai fondamenti lo Stato. Per la qual cosa,  o giudici, discacciate costui dalla patria, liberate  dal terrore i cittadini , provvedete in fine alla vo-  stra medesima salvezza ; perchè se lo rimandate  impunito, contro a voi stessi, crediatelmi pure,  voi avrete scatenata una feroce e sanguinaria be-  stia. » Eccone un altro esempio: « Se voi, ò giu-  dici, pronunziale contro a quest'uomo una funesta  sentenza, con un giudizio solo vi fate net tempd  medesimo à cogliere di molte vite. Un padre carico  d’anni, che fondava tutte le speranze della vec-  chiezza sua nella gioventù di questo sventurato,  più nulla avrà, ond’abbia ad aver cara lavila; te-    Digitized by Googte     LA RETTORICA    184   neri figliuoletti, privati del sostegno paterno, sa-  ranno esposti alle beffe e agli scherni de’ nemici  del lora padre; tutta una famiglia in fine sarà ina-  bissata in una indegna calamità: e frattanto i per-  secutori, portando una palma sanguinosa in mano,  padroni di una crudele vittoria , insulteranno alla  miseria di costoro, e superbi inveiranno contrassi  con fatti e con parole. » E parimente: « Niuno di  voi ignora, o Quiriti, quali siano i mali orribili,  che piombar sogliano sopra una citlà presa d’as-  salto. Chiunque ha portalo le armi ad offesa, è in-  contanente senza pietà trucidato: gli altri, che per  l’età e per le forze tollerar possono la fatica, tratti  sono in servitù : flue’, che non possono, son pri-  vati di vita : e per ultimo in un solo e medesimo  tempo l'abitazion loro è messa in fiamme da ne-  mico incendio; e coloro, cui la natura o la volontà  per parentadi o per amore congiunse insieme, sono  violentemente separati; i figliuoli parte strappali  dalle braccia de’ genitori, parte scannali in seno  ad essi, e parte contaminati dinanzi ai loro occhi.  Nessuno vi è, o giudici, che possa con parole de-  gnamente mostrar la cosa, e col discorso dipingere  i’enormezza di una siffatta calamità. » Con questa  figura si può muovere o lo sdegno o la compas-  sione, quando tutte le conseguenze di un fatto  unite insieme vengono con evidenti parole conci-  samente esposte.    ’Digitized by Goògle     LIBRO IV.    185    XL. La divisione è una figura, la quale sepa-  rando due proposizioni le sviluppa entrambe con  soggiungere a ciascuna la sua ragione: per esem-  pio: « E pcrchè^dovrò io farti de’ rimproveri? Se  sci un uomo onesto, non li bai meritati; sesci un  tristo, non li sentirai punto. » E similmente: « Che  bisogno ho io di parlarvi de’ miei servigi? Se voi  ne conservale memoria, io non farei che stancarvi  gli orecchi; c se ve ne siete dimenticati, quando  coi fatti io non abbia acquistato il favor vostro, co-  me potrò ora acquistarlo con le mie parole? » E  ancora: « Vi son due cose, che trascinar possono  gli uomini a un sozzo guadagno, la miseria e l’ava-  rizia. Nella divisione fraterna noi ti conoscemmo  per avaro: or li vediamo povero e bisognoso. Co-  me proverai che non avevi motivo di commettere  una mala azione? » Fra questa divisione e quella,  che è la terza delle parli oratorie, di cui parlam-  mo nel primo libro dopo la narrazione, ci ha que-  sto divario: quella divide per enumerazione o per  esposizione le cose, di cui si dee tener deputa-  zione in tutto il discorso ; e questa disbrigasi su-  bitamente, e, soggiungendo in poche parole a cia-  scuna delle due o più parli le singole ragioni, reca  ornamento al discorso.   XLI. L’accumulazione è quella, che riunisce  in un sol cumulo certe cose sparse in tutta la  causa , affinchè il discorso riesca più grave, più    Digitized by Google     186    LA ItETTORICA    veemente, più nocevòle alP accusato: per esem-  pio: « Da qual vizio mai è libero costui ? E per  qual motivo, o giudici, volete voi assolverlo?  Egli è largitore della pudicizia sua e insidiatore  dell’altrui; cupido, intemperante, sfacciato, su-  perbo, empio verso i genitori, ingrato, verso gli  amici, ostile verso i congiunti, disubbidiente verso  i superiori, adiroso cogli eguali c coi simili, cru-  dele verso gl'inferiori, finalmente insopportabile a  tutti. Appartiene allo stesso genere quell’accumu-  lazione, che è di un grande aiuto nelle cause con-  getturali, quando de’sospetti, che, separatamente  presi, erano deboli e leggieri, riuniti in uno con-  ducono, nonché alla probabilità, alla certezza: per  esempio: « Non vogliate adunque, non vogliate, o  giudici, considerare separatamente le cose, che io  ho dette; ma raccoglietele tutte, c assembratele  in uno. Se veniva comodo a costui dalla morte di  quell’ uomo, e vituperosissima è la sua vita, ava-  rissimo l’animo, affondatissima la fortuna dome-  stica, c un tale misfatto a niuno era vantaggioso  che a lui; e niun altro poteva sì facilmente ese-  guirlo, ed egli non poteva scegliere mezzi miglio-  ri; e inoltre non ha costui nulla ommesso di ciò  che poteva assicurarne il successo, e nulla ha fat-  to, che non bisognava fare; e poiché il luogo era  il più proprio ad un’aggressione, e l’occasion fa-  vorevole, e opportunissimo il momento dello in-    Digitized by Google    LIBRO IV.    187    traprendere; ed egli calcolato aveva tutto il tempo  necessario del venirne a fine, e contar poteva sulle  tenebre e sull’ evento del misfatto; e inoltre, poi-  ché innanzi che l’ uomo fosse ucciso, costui è stato  veduto tutto solo nel luogo dove l’assassinio è av-  venuto; e poco appresso, nel momento, in cui  succedeva il misfatto, è stala udita la voce di co-  lui che veniva ucciso; e quindi dopo l’omicidio è  provato che egli non è tornato a casa che a notte  molto avanzata; e all’indomani, interrogato della  morte di quest’uomo, ha balbettato, s’è contrad-  detto; e tulli questi fatti sono in parte per testi-  monii, in parte per esaminazioni ed indizii dimo-  strati, ed anco per la voce pubblica, la quale ap-  poggiata a questi indizii, deve necessariamente es-  ser conforme al vero; spelta a voi dunque, o giu-  dici, di trarre, da tutte queste prove unite insie-  me, non che la probabilità, la certezza della col-  pa. Imperciocché può ben essere che per caso si  levino contro di costui una o due di siffatte pre-  sunzioni, ma esser non può che tutte dalla prima  all’ ultima s’accordino insieme per un semplice ef-  fetto del caso. » Questa figura è veemente, e nelle  cause congetturali quasi sempre necessaria, ma  puossi eziandio qualche volta adoperare negli altri  generi di cause, e 'finalmente in ogni maniera di  orazione.   XLII. I/espolizionc è, allorquando noi ci fcr-   17    «.    Digitized by Google     188    LA RETTOIUCA    miamo in un medesimo pensiero, o sia ci arrestia-  mo ad una proposizione unica, e tuttavia sembria-  mo aggiungervi sempre alcuna cosa. Essa è di due  maniere: o noi ripetiamo appieno la cosa mede-  sima, ovvero discorriamo sopra la cosa medesima.  Noi ripeteremo la cosa medesima non nella stessa  maniera di prima, perchè ciò sarebbe un annoiar  P uditore, non un abbellire la cosa, ma bensì con  dei cambiamenti. Questi cambiamenti si fanno in  tre modi, o rispetto alle parole, o rispetto alla  pronunciazione, o rispetto alla forma. Si farà cam-  biamento rispetto alle parole, quando, esposta una  volta la proposizione, la torneremo a dir di nuovo  o più volte con altre parole significanti lo stesso:  per esempio: « Non vi ha pericolo sì grande, che  il savio, ove si tratti della salute della patria, pensi  di dover fuggire. Allorché ne deve andar di mezzo  il durevole ben essere dello Stato, un buon citta-  dino esporrà certo la sua vita a lutti i pericoli per  la difesa della pubblica fortuna, e sarà fermo in  questo sentimento, che per la patria ei debba git-  larsi coraggiosamente in qualsivoglia pericolo, per  quanto grande ei sia. » Si farà cambiamento ri-  spetto alla pronunciazione, se, passando dal tuono  semplice al veemente c a tutte le altre modifica-  zioni della voce e del gesto, nell’ allo stesso che  noi diversificheremo per mezzo delle parole il me-  desimo unico pensieroso accompagneremo ezian-     LIBRO IV.    1K9    dio con una varia ed. energica azione. Per mezzo  di precetto non è molto facile spiegare la cosa, ma  colla pratica è facile ad apprenderla, talché non  v’ò bisogno di dare esempi in iscritto.   XLIII. Il terzo genere di cambiamento sta nella  forma, che si fa prendere al pensiero; sccondochè  o vogliamo trattarlo per dialogismo o per emo-  zione. Il dialogismo (del quale parleremo a suo  luogo più largamente tra non molto, toccandone  ora quel tanto che basta all’uopo) è una figura,  che pone nella bocca di alcuna persona un discorso  conveniente alla dignità sua; e acciocché meglio  s’intenda la cosa, noi non ci dipartiremo dal nostro  primo esempio, trattandolo per dialogismo: « Il  savio, che giudicherà di dover affrontare tutti i  pericoli per difesa della patria, dirà sovente a sé  stesso: Io non sono nato solamente per me, ma  eziandio e mollo più per la patria: questa vi-  ta, ch’io non potrei ricusare al destino, sia so-  prattutto spesa a salvezza della patria. Essa fu  quella che mi nudrì, che mi assicurò infino a  questo dì un’esistenza tranquilla ed onorata, che  protesse la mia vita con buone leggi, con ot-  time costumanze, con una liberale educazione.  Per quali servigi potrò io pagare i benefizii ch’ella  mi ha fatti? Per questo linguaggio, che il savio  tiene a sé stesso, io appunto nei rischi della repub-  blica non ho mai esitato di affrontare qualunque     190    LA RETTOIUCA    pericolo. » Similmente si fa cambiamento della  cosa rispetto alla forma, se essa cosa si tratti per  emozione, allorché, vivamente commossi noi stes-  si, cerchiano pur di commovcre gli animi di coloro  che ci ascoltano: per esempio: a Chi è mai qui di  sì piccola mente dotato, il cui cuore avvolto sia  nelle miserie dell’invidia, il quale abborrisca di  lodare altamente c di giudicare come il più savio  degli uomini colui, che per la salute della patria,  pel ben essere dello Stato, per la conservazione  della pubblica fortuna affronti ogni più grande,  ogni più atroce pericolo, c vi si getti dentro con  lutto l’ardore? Per verità, che, in quanto a me, io  sento nel mio cuore piuttosto il desiderio che il  potere di lodar degnamente un tal uomo, e sono  certo che anche voi tutti provate in voi il senti-  mento medesimo. » Una medesima cosa adunque  si può nel discorso variare in tre maniere, cioè ri-  spetto alle parole, rispetto alla pronunciazione, ri-  spetto alla forma; c iu quanto a quest’ullima ma-  niera si sceglierà o la forma del dialogismo o quella  dell’emozione.   XLIV. Ma se si tratti non già di ripetere la cosa   medesima, ma di discorrere sopra la medesima  cosa, noi avremo dei mezzi più numerosi di varia-  re il discorso. Imperciocché- dopo che noi avremo  semplicemente enunciata la cosa, vi polrem tosto  aggiungere una prova, poi profferire in due ma-    LIBRO IV.    191    nicre una sentenza, la quale potrà essere o senza  prove, o con prove: in appresso potremo far uso  del contrario, delle quali cose tutte noi abbiamo  parlato nelle figure di parole; poi passeremo alla  similitudine c all’ esempio, di cui parleremo am-  piamente a suo luogo; all’ ultimo termineremo colla  conclusione, della quale noi dicemmo quanto era  necessario nel secondo libro, allorché esponemmo .  la maniera di eonchiuderc l’ argomentazione. In  questo stesso libro noi facemmo pur conoscere  qual sia la figura di parole, che porta il nome di  conclusione. Una espolizione adunque di questo  genere potrà piacere mollissimo, quando si com-  ponga di un gran numero di figure di parole e di  pensieri. Affinchè sia tale deve avere sette parti.   Noi non ci allontaneremo dall’esempio già dato per  mostrarli con quale facilità, mercè le regole del-  l’arte, un’unica proposizione trattar si possa in di-  verse maniere: « Il savio per difesa della patria  non fuggirà verun pericolo, perchè sovente accade  che colui, il qual non vuole per la patria morire,  necessariamente perisca insieme con la patria. E  poiché dalla patria noi abbiamo ricevuto lutti i co-  modi clic godiamo, così non dobbiamo per la pa-  tria riputar grave veruno incomodo. Coloro adun-  que che fuggono quel pericolo, che per la patria  abbiamo obbligo d’incontrare, opcrauo da stolli;  perocché nò sottrarre si possono ai mali pubblici,     1U2    LA RETT0R1CA    ed anco n’hanno voce d’ ingrati verso la patria. Ma  quelli, che con loro incomodo pigliano sopra di sè  i pericoli della patria, sono da aversi in conto di  savii, perchè e mostrano di rendere alla patria  quell’onore che le è dovuto, ed aman meglio pe-  rire pei molli che coi molli. Infatti sarebbe ingiu-  stissima cosa restituire alla natura, quand’clla il  vuole, quella vita che noi ricevemmo da lei, ma  che pur ci fu conservata con grandi benefizii dalla  patria, e non darla alla patria, quand’ella ce la  domanda; e, potendo noi con grande virtù e gloria  morir per la patria, preferir di vivere nell’infamia  e nella viltà; ed essendo noi pronti ad affrontar  pericoli per gli amici, pei parenti, e per tutti gli  altri congiunti, non voler mettere la nostra vita a  vantaggio della repubblica, la quale, non che tutte  queste cose, il santissimo nome di patria in sè rac-  chiude. Pertanto come è da biasimare colui, che  , in una burrasca cerchi di salvar sè unicamente  piuttosto che tutta la nave, così è da condannare  colui, che nel pericolo delia repubblica antepone  la salute sua alla salute comune. Imperciocché,  rotta per ventura la nave, molti pure scampar pos-  sono sani e salvi, ma nel naufragio della patria non  ci ha veruno, che possa scamparne. Il che mi pare  aver Decio assai bene inteso, il quale, dicono, vo-  tò sè medesimo, c per salvar le legioni si precipitò  in mezzo a’nemici; nel qual fatto ben lasciò la vita,    DigitizecfBy Gbogle    unno iv.    193    ma non giltolla indarno; perchè con una cosa la-  bilissima ne riscattò una durevole, e dandone una  di poco prezzo n’ebbe una assai preziosa. Donò la  vita, e ne ricevette la patria, lasciò lo spirito, ed  acquistò la gloria; la quale perpetuandosi nell’ am-  mirazione dei secoli , coll’ invecchiare diviene  ognora più splendida. Che se colla ragione è di-  mostralo, e confermato coll’esempio, che affrontar  si debbono i pericoli per amor della cosa pubblica,  egli è adunque d’uopo avere in conto di savii co-  loro che per salute della patria non si sottraggono  a pericolo alcuno. » Tali sono le diverse maniere  di espolizione; intorno alla quale figura noi ci sia-  mo trattenuti a lungo, non solamente perchè dà  forza ed ornamento al discorso, quando noi trat-  tiamo una causa, ma soprattutto perchè essa pre-  senta il miglior mezzo di esercizio nella facoltà del  ben dire. Bisogna adunque che nella trattazione  di una causa non vera noi ci esercitiamo nelle di-  verse maniere della espolizione, e che ce ne ser-  viamo pure nei pubblici ragionamenti, quando ab-  bellir vorremo l’argomentazione, di cui parlammo  nel secondo libro.   XLV. La commorazione è quella, per la quale  noi ci fermiamo a lungo e ritorniamo sovente so-  pra il punto più solido della causa, quello al quale  tutta intera la causa si riferisce. È vantaggiosissi-  mo il far uso di questa figura, c ai buoni oratori è     Digitized by Google     191    l.A KETTORICA    molto famigliare; perciocché per essa non si per-  meile all’ uditore di allontanarl’ attenzione dal pun-  to più importante. Non mi è possibile il dar qui un  esempio abbastanza idoneo, perchè questo punto  non è mai separato da tutta la causa intera, come  membro distinto dagli altri, ma egli è come san-  gue che circola in tutto il corpo del discorso. L’an-  titesi è quella figura, per cui oppongonsi contrarii  a contrarii. Essa è nel numero delle figure di pa-  role, come vedemmo più sopra conquell’ esempio.  « Ai nemici placabile, agli amici implacabile ti mo-  stri; » ma appartiene altresì alle figure di pensieri,  come si vede in questo esempio: « Voi piangete le  disgrazie di costui, c costui gioisce dei mali della  repubblica. Voi vi diffidale delia fortuna vostra, co-  stui solo si gonfia tanto maggiormente della sua. »  Fra queste due sorte d’antitesi ci ha questo diva-  rio, che la prima consta di due parole immediata-  mente opposte, e qui bisogna ciré si presentino  due pensieri contrarii messi a confronto. La simi-  litudine è una figura, che applica ad una cosa al-  cun che di somigliante tolto da una cosa diversa.  Si fa uso di essa o per abbellire, o per provare, o  per dilucidare una cosa, o per metterla dinanzi  agli occhi; e siccome se ne fa uso per quattro mo-  tivi, così essa si tratta per quattro maniere: per  contrario, per negazione, per laconismo, per con-  fronto. Noi verremo mostrando come a ciascuna     li uno iv.    195    di queste quattro maniere corrisponda uno dei  quattro motivi, che usar ci fanno la similitudine.   XLVI. Quando la similitudine ha per fine rab-  bellire, si prende per contrario così: «Egli non si  deve giù pensare che, come 1’ atleta, che riceve  l’ardente fiaccola, meglio sostiene nella palestra  la celerità del suo corso, che rallcla,il quale gliela  trasmette, così abbia ad esser migliore un nuovo  generale, che viene a prendere il comando dell’e-  sercilo, di quello al quale succede; perciocché là  è un cursore affaticato, che ad un cursore fresco  di forze consegna la fiaccola, equi è un generale  sperimentato, che consegna l’esercito a un gene-  rale ancora inesperto ». Anche senza una tale si-  militudine potevasi dire con bastante chiarezza,  evidenza e verità in questo modo: « Che i meno  abili generali succeder sogliono nel comando delle  armate ai generali più esperti »: ma la similitudi-  ne fu presa per abbellire, onde il discorso risplen-  desse di una certa quale dignità. Essa fu poi trat-  tata per contrario; c prendesi appunto per con-  trario, quando noi neghiamo che una cosa sia si-  mile a quella che noi rechiamo nel mezzo , in  quella maniera che qui abbiam veduto in parlando  degli atleti che corrono. Quando la similitudine ha  per fine il provare, si fa per negazione a questo  modo: « Nè un cavallo indomito, quantunque sia  ben conformalo dalla natura, esser può idoneo a     LA RE fTORICA    196   que’ servigi che da un cavallo si vogliono, nè un  uomo indòtto , benché abbia naturale ingegno ,  può pervenire alla virtù». Ciò che prova questa  sentenza, si è, che diviene più vcrisimilc che sen-  za dottrina non si può giungere alla virtù, quando  siasi riconosciuto che un cavallo indomito non po-  trebbe esser alto al bisogno. Dunque la similitudi-  ne è stata presa a fine di provare, e si è trattata  per negazione; il che chiaramente si manifesta sin  dalla prima parola della similitudine.   XLVII. Quando la similitudine avrà per fine di  render più chiara la cosa, si prenderà per laconi-  smo, come: « Nei doveri dell’amicizia non bisogna,  come nelle corse del circo, limitare i proprii sforzi  al punto di toccare la mela, ma sì usare tanto di  zelo c di forze da oltrepassarla agevolmente ». Il  fine di questa similitudine è quello di far conosce-  re più' chiaramente che sarebbe cosa indegna rim-  proverar coloro, che, per modo d’esempio, dopo  la morte di un amico, pigliassero cura de’suoi fi-  gliuoli, perciocché un atleta, che corra, basta che  abbia tanto di velocità da toccar primo la meta, ma  un amico deve aver tanto di benevolenza da per-  venire, nella devozion dell’ amicizia, più in là di  quello, che sentir possa l’amico. Questa similitu-  dine è esposta per laconismo: imperciocché i due  termini di attinenza non si presentano già separa-  ti, come negli altri esempi, ma bensì congiunti ed    LIBRO IV.    197    incarnati l’uno nell’altro. Quando la similitudine  avrà per fine di metter la cosa sotto agli occhi, si  farà per confronto: per esempio: « Come un cita-  redo, il quale ne venga innanzi magnificamente  vestito, coperto di un mantello dorato, trascinante  una clamide di porpora di varii colori tessuta, or-  nalo il capo di una corona d’oro di grosse scintil-  lanti gemme tempestata, avente tra le mani una  elegantissima celerà fregiala d’oro e d’avorio; e  sia inoltre egli stesso ammirabile per fattezze, bel-  tà, e statura conveniente alla dignità; se dopo avere  per tutte coleste cose mossa nel popolo una gran-  de aspettazione, fattosi di repente silenzio, mandi  fuori una voce spiacevolissima, accompagnata da  sgarbati movimenti di persona, quanto più avrà  sfoggiato di ornamenti, ed eccitala l’aspettazione,  tanto più fra derisioni e fischi sarà via cacciato;  non altrimenti un uomo, il quale, collocato in alto  grado di nobiltà c pieno d’agi e ricchezze, abbondi  di tutti i favori della fortuna, c di tutti i vantaggi  della natura, se manchi di virtù, c di scienza, la  quale di virtù è artefice, quanto più sarà di tulle  le altre cose ricco*, c per quelle chiaro-ed invidia-  to, tanto maggiormente fra derisione e disprezzo  sarà cacciato da ogni usanza de’buoni ». Questa  similitudine, dipingendo con vivi colori le due  parli della comparazione, c facendo eguale con-  fronto dell’ imperizia d’arte dell’uno e dell’igno-     198    LA UETTORICA    ranza dell’auro, molle la cosa dinanzi agli ocelli.  Essa fu qui trattala per confronto, perchè, stabilita  l’attinenza di similitudine, tutte le parti corrispon-  dono fra loro.   XLVlfl.Nellesimililuilini converrà diligentemen-  te osservare di sceglier parole acconce a significar  con giusto rapporto le idee clic voglionsi esprime-  re nei due termini della comparazione. Se noi, per  esempio, avremo detto: «Come le rondinelle se  ne abitano jn mezzo a noi nel tempo estivo, e da  noi si partono cacciate dal freddo »; converrà che  noi dalla stessa similitudine prendiamo parole tra-  slate, dicendo: « Così i falsi amici restano con noi  nel tempo sereno di nostra vita, ma appena ‘veg-  gono spuntare il verno della fortuna, se ne volano  via tutti ». Egli ci sarà facile trovare rapporti sif-  fatti, se polrcm porci dinanzi agli occhi tutti gli es-  seri animati o inanimati, parlanti o muti, feroci o  mansueti, terrestri o celesti o marittimi, o dall’arte  creali o dal caso o dalla natura, ordinarli o straor-  dinarii, c scoprire in essi similitudini che contri-  buir possano o ad abbellire o a rischiarare la cosa,  o a porla dinanzi agli occhi. Non è però necessario  che le.due cose fra loro paragonate siano intera-  mente simili: basta che abbiano in parte fra loro  una tal quale analogia.   XLIX. L’esempio è allegazion di un fatto o di un  detto con nominazione del suo autor.e. Questa fi-     Digitized by Google    LIBRO IV.    1 9'J    gara si usa per gli stessi molivi della similitudine.  Essa rende più abbellita la cosa, quando noi non  1* usiamo die per cagione di abbellimento; la ren-  de più chiara, se non ha altro scopo che quello di  rischiarare ciò che è oscuro; la rende più probabi-  le, quando presenta la verisimiglianza; la pone di-  nanzi agli occhi, quando esprime tutto con tale  evidenza clic si possa, direi quasi, toccarconmano  la cosa. Io avrei qui aggiunti gli esempi di ciascu-  na specie, se non avessi già fallo conoscere nella  espolizionc il carattere di questa figura, e non aves-  si nella similitudine falli aperti i motivi di doverla  usare. Ecco il perchè io nè ho qui voluto limitarmi  a dir poche parole, onde non mi avvenisse di non  essere inteso, nò dirne di troppe nel mentre che  la cosa era già bastantemente intesa. L’immagine  è paragone di forma con forma, fra cui sia una  certa simiglianza. Essa si usa o per motivo di lode,  o di biasimo. Per motivo di lode si dirà, per esem-  pio: « Egli andava a battaglia simile per membra  al più vigoroso toro, per impelo al più terribile  leone. « Per motivo di biasimo l’immagine deve  addurre o nell’odio, o nell’invidia, oneldisprczzo.  Nell’odio, così: « Questo mostro striscia tutto il dì  in mezzo al foro come un crestuto drago con adun-  chi denti, con infocato sguardo, con mortifero ali-  to, girando qua c là gli occhi per iscoprirc una  vittima da avvelenar col respiro, da lacerar coi     200    LA RETTORICA    denli, da coprir coll’ immonda sua bava. » Per ad-  durre nell’ invidia, così: « Costui che vanta le sue  ricchezze, curvalo ed oppresso dal peso del suo  oro, grida e giura, siccome un sacerdote di Cibe-  le, od alcun altro indovino. » Per addurre in di-  sprezzo, così: « Costui è simile a lumaca, che na-  scondendosi e rannicchiandosi in se stessa silen-  ziosa,^ tutta quanta portata via con la propria casa  per venire mangiata».   L. Il ritratto, o la prosopografia, è quella fi-  gura, che per mezzo di parole esprime e rap-  presenta Testerno di una persona tanto fedelmen-  te che basti a farla riconoscere: per esempio,  così: « Io parlo, o giudici, di quest’uomo rosso in  viso, piccolo, storto, a capelli bianchi e alquanto  ricciuti, con gli occhi azzurri, che ha una grande  cicatrice sul mento, se pure in qualche modo ei  può larvisi presente alla memoria. » Questa Ggura  torna utile, quando si vuol far riconoscere alcuno;  ed è pure graziosa, quando sia fatta conbrevilà e  chiarezza. L’etopea è quella, che descrive il carat-  tere di alcuno, presentando certi tratti, che ne  mostrino esso carattere. Se tu vuoi, per esempio,  descrivere non già un uomo ricco, ma chi si vuol  dar l’aria d’ esser ricco, dirai così: « Osservate, o  giudici, quest’uomo, che trova sì bello di passar  per ricco; osservate in prima con qual occhio ci  guardi. Non sembra egli dirvi: Io vi farei un pre-    LIBRO IV.    201    sente, se ve ne credessi degni? E allorché con la  mano sinistra egli sollevasi il mento, crede di ab-  bagliare la vista di tutti con lo splendor de’ dia-  manti e il luccicore degli anelli che porla nelle di-  la. E allorché si volge indietro a chiamare il suo  unico servo, che io ben conosco, c che non è, cre-  do, da voi conosciuto, ei lo chiama ora con un no-  me, ora con un altro, e poi con un altro ancora.  Olà, grida egli, vieni qui tu, o Saninone, chè io  non vorrei che colesti zoticoni facessero le cose a  rovescio: di maniera che coloro, che odono grida-  re e altro non sanno, si pensano eh’ egli ne preferii  sca uno tra i molti suoi schiavi. E che cosa dice a  Sannione di fare? Gli dice piano all’orecchio o di  mettere in assetto i lctticciuoli per la mensa, o di  andar a prendere da suo zio uno schiavo Etiope,  che lo conduca ai bagni, o di approntar dinanzi  alla sua*porla un cavallo delle Asturie, o di appa-  recchiare qualche altro fragileornamcrvtodellasua  falsa gloria. Di poi grida sì che lutti l’odano: Bada  che la somma sia per intero pagala, se è possibile,  avanti notte. Il servo che già da tempo conosce il  debole del suo padrone, risponde: Bisogna che voi  mandiate più d’un servo, se volete che la somma  sia per intero contala c portata a casa. Ebbene, di-  ce l’uomo, conduci con le Libano c Sosia. Padron  sì, risponde l’altro. In appresso vengono a trovare  per caso il nostro vanitosa alcuni ospiti, i quali     202    LA RETTORICA    nell’occasione di un viaggio, ch’egli fece, lo ave-  vano accollo in loro casa e trattato splendidamente.  Senza dubbio a tal vista ei rimane turbato, ma pure  non gli dà l’animo di tradire il proprio carattere;  e, Ben faceste, dice, di venirmi a trovar qui ; ma  avreste fatto meglio, se foste andati dirittamente a  casa mia. L’avremmo fatto, rispondono essi, sea-  vessimo saputa la vostra abitazione. — Ma era pur  facile di saperla, domandandone a chiunque; tut-  tavia venite con me. Quelli lo seguono: Intanto,  strada facendo, ogni discorso va a terminare in  ostentazioni. Domanda qua e colà come si presen-  tino le messi nei campi: dice che non può recarsi  a visitar le sue terre perchè le sue case di campa-  gna gli sono stale incendiate, e che non s’attenta  ancora di riedificarle; però, aggiunge egli, ho co-  minciato ne’ miei fondi del Toscolo a spendere e  spandere, e a costruire sui medesimi fondamenti.   LI. Infraliamo ch’egli parla così, giunge ad una  casa, dove il giorno stesso doveva aver luogo un  banchetto di amici, e dove, conoscendone egli il  padrone, entra insieme cogli ospiti. Ecco, dice,  dove abito. Va osservando minutamente le argen-  terie disposte sulla tavola, e i Ire letti preparati:  approva ogni cosa. Gli si avvicina un piccolo schia-  vo, che gli dice piano all’orecchio che il suo pa-  drone sta per venire, e ch’egli s’accontenti di u-  scire. Oh! è ben vera la nuova, esclama egli? An-    ' DigitizoTb     V.'    LICHO IV.    203    diamo, o miei ospiti; il frale! mio arrivada Salerno:   10 voglio andargli incontro: voi ritornate costà alle  dieci ore. Gli ospiti partono: costui di soppiatto  cacciasi dentro alla sua casa. Alle dieci ore, sc-  condocliè egli aveva fissato, tornano gli ospiti: do-  mandano di lui: allora vengono a conoscere chi sia   11 padrone della casa, e pieni di vergogna si ritira-  no ad un albergo. All’indomani trovano l’uomo,  narrano l’avvenuto, si querelano, glidiconolemale  parole. La rassomiglianza de’luoghi, risponde egli,  vi ha ingannati: voi avete preso abbaglio di tutto  un viottolo; io vi ho aspettati ad ora assai larda, il  che è contrario alla mia salute. Egli aveva già in-  nanzi dato incumbenza a Saninone di andar a cer-  cero in prestito vasellami,. arazzi, servidori. Il pic-  colo schiavo, destro non poco, adempie con bra-  vura e prontezza al comando: costui introduce m  sua casa gli ospiti. Afferma di aver prestato i suoi  grandi appartamenti ad un amico per celebrarvi le  nozze- Tutto ad un tratto il scrvidorctto gli viene  a dire, che si ridomandano le argenterie (peroc-   _chè chi le aveva prestate non istava scnzasospelli).  Levali via di qua, grida il padrone; io ho prestato  i miei appartamenti, ho dati i miei schiavi, e si vo-  gliono anco le argenterie? Ma benché io abbia   degli ospiti, alla buon’ora, se ne giovino pure; noi  ci contenteremo dei vaselli di Sarao. — Dirò io  tutti i fatti di costui? Tale è il carattere di questo   18    Digitized by Googte     204    LA RETTOIUCA    uomo, che tulli i tratti di vanità e di ostentazione,  clic ogni di gli sfuggono, non potrebbero essere  da mq raccontali in un anno intero. » Siffatte elo-  pee, clic dipingono al naturale il carattere di un  uomo, porgono un grandissimo diletto. Concios-  siacliè esse pongono dinanzi agli occhi l’animo e i  costumi di chiunquc,o di un vanitoso, come nel pre-  cedente esempio, o di un invidioso, o di un pusil-  lanime, o di un avaro, o di un innamoralo, o di un  dissoluto, o di un truffatore, o di uno spione; in-  somma non v’ha tendenza dell'animo che per mez-  zo di questa figura non possa venire al vivo dipinta.   LIl. Il dialogismo è, quando si attribuisce un  discorso a qualche persona esponendolo nella ma-  niera che conviene alla dignità sua, per esempio:  * Allorché la città era inondata da soldati, c gli  abitanti, tutti presi da spavento, si stavano chiusi  nelle loro case, si presentò costui vestito alla mili-  tare, con la spada al fianco, e un giavellotto In ma-  no. Cinque giovani armali come lui lo seguivano.  Tutto ad un tratto si precipita nella casa, c grida ad  atta voce: Dov’ è il fortunato padrone di questa  abitazione? perchè non viene innanzi? ond’è que-  sto silenzio? Immobili per lo spavento, gli altri  tulli non osano aprir bocca. Sola la moglie di que-  sto infelicissimo sciogliendosi in lagrime giltasi ai  piedi di costui, e. Grazia, dice ella, grazia; in no-  me di ciò, che liai di più caro al mondo, abbi pietà    LIBRO IV.    205    di noi; non- voler uccidere chi non ha più vita: sii  temperante nella fortuna; anche noi fummo felici;  pensa che sei uomo. — Ma egli continua a gridare:  diesiate aspettando per darlo nelle mie mani?  Cessate di assordarmi coi vostri lamenti. Egli non  isfuggirà. Frattanto si annunzia al misero che il  suo nemico è in casa, e che con g'rande schiamaz-  zo minaccia morte. A questa nuova esclama: Old  mio Gorgia, oh! fedel custode de’ miei figliuoli,  nascondili a questo barbaro, difendili, fa di poter-  meli condurre sani e salvi alla adolescenza. Appe-  na ha egli profferite siffatte parole, che in un mo-  mento si avanza questo assassino, e grida: Tu dun-  que stai nascosto, o temerario? La mia voce non fi  ha già levata la vita? Appaga l'inimicizia mia, c nel  tuo sangue s’acquieti la mia collera. Allora corag-  gioso il cittadino rispondevo pensava di non esser  vinto appieno; ma ben veggo che sì: tu non vuoi  terminar meco la contesa dinanzi ai tribunali, dove  la disfatta è vergognosa e la vittoria onorevole; tu  vuoi uccidermi. Ebbene, io perirò assassinalo, ma  non vinto. — Costui allora: Come! anche nell’ora  estrema del tuo vivere vuoi dir sentenze, e abborri  di supplicare chi ti tiene in suo potere? — Allora  la donna: Anzi ei prega, ei supplica. Ma deh! tu  non essere inesorabile; e tu, mio caro marito, in  nome degli Dei, stringi supplicante le sue ginoc-  chia. Egli è padrone di te; egli li ha vinto; sappi     206    LA RETTOIUCA    or tu vincere te stesso. — Perchè non cossi, o don-  na, dice il marito, di parlarmi cose affatto indegne  di me? Taci, e pensa solo ai tuoi doveri. E tu, a che  tardi di togliermi la vita, e di levare a te medesimo  colla mia morte ogni speranza di onorato vivere?  L’assassino respinge da sè la donna piangente, e-  al misero, che apriva bocca per profferire non so  quali parole degne del suo coraggio, pianla d’un  colpo la spada nel fianco. » Io credo di avere in  questo esempio dato a ciascuno il linguaggio che  conveniva alla sua dignità, il che è la cosa più im-  porlanlQ.in questa figura. Vi sono, ancora dei dia-  logismi, che si porgono come conseguenze: per c-  sempio: « Che si dirà mai se voi darete una tale  sentenza? Non parleranno forse tutti gli uomini in  questa maniera? » E qui si soggiungeranno le pa-  role acconce al dialogismo.   LUI. La prosopopea è uua figura, per la quale-  una persona assente è presentala come se fosse  dinanzi a noi; una figura, che attribuisce ad un  essere muto o immateriale un linguaggio, e una  forma, e lo fa operare c parlare secondo la propria  natura: per esempio: « Se ora questa nostra in-  vittissima città avesse lingua per parlare, non vi  farebbe ella questi rimproveri? Io, la quale adorna  sono dei più belli trofei, e ricca dei più gloriosi  trionfi, e accresciuta delle più luminose vittorie,  sarò ora, o cittadini, dalle sedizioni vostre lacera-    "Digitizeò-toy    unno iv.    $07    tu? Quella Roma, cui nè le astuzie della perfida  Cartagine, nè le forze della formidabile Nnmanzia,  nè i trovati della dotta Corinto fiatino potuto rove-  sciare, soffrirete voi che or venga dai più tristi o-  micialloli disfatta e conculcata? » E parimente:  « Se ora vivo tornasse quel Lucio Bruto, e qui di-  nanzi al cospetto vostro venisse, non vi parlerebbe  egli in questa guisa? lo ho i re discacciali;' voi i  tiranni introducete: io la libertà, la quale non era,  ho recata; voi, che quella avete, non la volete ser-  bare: io con pericolo della vita ho la patria libera-  to; voi, polendo esser liberi senza pericolo, ciò  non curate? Questa figura pedo più personifican-  do le cose mule e inanimale», è di una utilità gran-  dissima nelle parli diverse dell’ amplificazione, e  nell’ eccitare la commiserazione. La significazione,   , della anche enfasi, è quella figura, che lascia più  a immaginare di quello che non esprimano le pa-  role. Essa si tratta per esagerazione, per ambigui-  tà, per conseguenza, per reticenza, per similitu-  dine. Per esagerazione, allorché si dice più di  quello che la verità non permette, allo scopo di  aumentare la sospizionc: per esempio: « Costui  di tanto patrimonio in sì corto spazio di tempo non  ha salvato pur un coccio-con cui recarsi a limo-  sinare un po’ di fuoco. » Si tratta per ambiguità,  quando una parola può riceversi in due o~più si-  gnificati, ma si riceve in quello che vuol dargli l’o-     208    LA RETTORICA    latore; come se volendo tu parlare di un uomo,  che è ilo buscacciando di molle eredità, dices-  si: « Osserva bene tu, che hai cosi buona vista. »  I.IV. Quanto però sono da evitarsi le ambigui-  tà, che fanno oscuro il discorso, altrettanto so-  no da cercare quelle che generano significa-  zioni di questa guisa. Noi le troveremo facil-  mente, se conosceremo e ben considereremo i  dubbiosi o molteplici significali delle parole. La  significazione si fa per conseguenza, allorché non  si nomina che ciò che può essere conseguente  di una cosa a fine di far nascere l’idea della co-  sa stessa, come se tu dica al figlio di un piz-  zicagnolo: « Statti cheto, o tu, il cui padre so-  lca forbirsi il naso col gomito. » Si tratta per reti-  cenza, allorché, dopo avere incominciato un di-  scorso, lo tronchiamo, c da ciò che abbiamo det-  to, lasciamo bastantemente conghietturare ciò che  manca: per esempio: « Questi, il quale si bello,  si giovane poco fa in estranea casa . . . . io non  vo’dire di più. » Si tratta per similitudine, allor-  ché, raccontalo un fallo analogo, non aggiungia-  mo altra osservazione, ma da quello lasciamo in-  tendere ciò che pensiamo: per esempio: « Non  voler troppo fidarli, o Saturnino, di questa molti-  tudine di popolo. I Gracchi sono caduti, c la loro  morte è invendicata. » Questa figura unisce qual-  che volta molta piacevolezza a molta dignità; pe-     UDRÒ IV.    209    rocchè lascia indovinare all’ uditore ciò che l’ ora-  tore punto non dice. 11 laconismo è quello che  non usa che le parole necessarie ad esprimere la  cosa: per esempio: « Prese Lenno in passando;  quindi lasciò un presidio a Taso; poi atterrò una  città in Bitinia; di là cacciatosi nell’ Ellesponto,  subitamente s’impadronì di Abido. » E similmen-  te: « Testò consolo, prima tribuno, divenne poi  capo della repubblica. » E ancora: Parte per l’A-  sia, si dichiara esule e nemico, appresso si fa co-  mandante, c finalmente consolo. » Il laconismo  racchiude in poche parole assai cose; e fa d’uopo  usarlo di sovente, quando o le cose non hanno bi-  sogno di un lungo discorso, o il tempo non per-  mette d’interienervisi attorno.   LY. L’ipotiposi è quella figura che presenta un  fatto con tanta verità che si crede di averlo sotto  gli occhi. Si ottiene questo effetto, se si riunisca  in un sol quadro ciò che ha preceduto, seguito, e  accompagnalo l’azione; o, in altri termini, se non  si trascurino nè le circostanze, nè le conseguenze;  per esempio: « Appena Gracco vide che il popolo  fluttuava c dava segno di temere non forse egli  medesimo spinto fosse dall’ autori là del senato a  rinunciare al suo progetto, fece tosto bandire il  parlamento. In questo mezzo costui, non agitando  in sua mente che delitto e mali pensieri, corre giù  a volo dal tempio di Giove, e grondante di sudo-     210    LA RETTOIWCA    re, con gli occhi ardenti, coi capelli rabbuffati,  con la toga raccolta, seguito da molti altri con-  giurali precipito il suo corso. In questo momento  il banditore domandava silenzio per Gracco: ar-  riva costui, e premendo col calcagno uno de’ sedi-  li, ne rompe colla destra mano un piede, ed or-  dina agli altri di imitarlo. Nel mentre che Gracco  comincia a dire la solila preghiera agli Dei, que-  sti congiurati correndo si slanciano sopra di lui;  da ogni parte concorrono altri volando: allora uno  del popolo grida: Fuggi, o Tiberio, fuggi: non  vedi tu? risguarda, dico. Ben tosto la incostante  moltitudine presaga subitaneo spavento dassi alla  fuga. Costui, spumante la bocca di scellerata rab-  bia, e respirante crudeltà dall’ imo petto distende  il braccio, e a Gracco, che ancor dubita di ciò che  è, e pur non abbandona il preso posto, pianta il  pugnale in una tempia. Egli non Smentendo punto  neppure con una parola la solita sua costanza cade  in silenzio. Costui coperto del sangue, da deplo-  rarsi pur sempre, di quest’uom generoso, volgen-  do intorno gli occhi, come se compito avesse la  più gloriosa aziono, e allegro porgendo la sacrile-  ga mano ai gratulanti, se ne ritorna al tempio di  Giove. » Questa figura in siffatti racconti è di un  gran vantaggio, sia per amplificare, sia per ecci-  tare la compassione: essa mette l’azione in isce-  na, e la pone, per così dire, sotto ai nostri occhi.    LIBRO IV.    21!    LVI. Abbiamo con molta cura raccolti tutti gl’in-  segnamenti atti a render adorna l’elocuzione. Se  tu, o Erennio, vi aggiungerai un assiduo esercizio,  potrai nel dire aver gravità, dignità e soavità, per  parlare da vero oratore qnon presentare un’inven-  zione nuda c disadorna in linguggio triviale. Ora  noi, per un comune scopo, metteremo in comune  i nostri sforzi; cercheremo cioè di raggiungere con  lo studio e l'esercizio continuo tutta la perfezione  dell’arte; il che agli altri non è agevole fare, per  tre ragioni principalmente: o perchè non hanno  con chi possano di buon grado esèrcilarsi, o per-  chè di sè stessi diffidano, o perchè ignorano il me-  todo da tenersi. Queste difficoltà sono tutte da noi  lungi, chè e volentieri ci esercitiamo insieme per  l’amicizia nostra, cui il parentado originò e l'uni-  formità degli studi filosofici rese più salda; e non  disperiamo di noi poiché qualche progresso facem-  mo e ad un più nobile scopo accesamente anelia-  mo; talché se non perverremo nell’oratorio aringo  dove è pur nostro intento, poco ci mancherà per  conseguire nella vita sociale un grado onorevolis-  simo; e sì conosciamo la via da battere, perchè in  questi libri niun precetto rcttorico abbiamo intra-  lascialo. Infatti si è mostrato come trovar si possa-  no le cose proprie a ciascun genere di causa; si è  detto in q ual modo abbiansi a disporre; con quali re-  gole si debbano pronunziare; con quai mezzi ce ne     212    LA RETTORICA    possiamo ricordare; si è finalmente spiegalo come  acquistarsi possa una perfetta elocuzione.I quali in-  segnamenti tutti se porremo in uso, la nostra inven-  zione sarà ingegnosa e pronta, la nostra disposizione  distinta e chiara, la nostra pronunciazionc nobile c  non priva di venustà, la nostra memoria fedele e te-  nace, la nostra elocuzione adorna e piacevole.Ecco  quanto nell’arte rettorica si comprende. Tutte que-  ste condizioni conseguiremo, se agli insegnamen-  ti deli’ arte aggiungeremo un diligente esercizio.    UN E DELLA RETTORICA AD ERENNIO.     340,387 

No comments:

Post a Comment