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Wednesday, January 1, 2025

GRICE ITALO A-Z G GIA

 

Grice e Giannetti: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del corposcolarismo – filosofia carrarese – scuola d’Aulla – la scuola d’Albano di Magra -- filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Albiano di Magra). Filosofo carrarese. Filosofo toscana. Filosofo Italiano. Aulla, Massa-Carrara, Toscana. Grice: “I like Giannetti; for one, he is the only philosopher I know whose first name is ‘Pascasio.’ He taught at Pisa, but not in the tower – Oddly, while he is from Tuscany, there is a street (‘via’) in La Spezia named after him!” – Grice: “His logic was considered heretic, at least by the duke, who diligently expelled him from any obligation of teaching!” – Insegna a Pisa. Quando lascio la cattedra,  gli successe Grandi. Di formazione galileiana, fu un acceso nemico dei Gesuiti. Sollecitato da Grandi, che lo aveva anche introdotto a Newton, cura GALILEI (Firenze). Rimosso da Pisa da Cosimo III de' Medici, vi fece rientro alla morte di quest'ultimo.  N C. Preti, Dizionario Biografico degli Italiani, Memorie storiche d'illustri scrittori e di uomini insigni dell'antica e moderna Lunigiana, Dizionario Biografico degl’Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. G. Essendo G. tra'maestri più singolari di filosofia a Pisa, quanto onore a quello Studio recasse non si può dire. Costui ebbea quelle scienze pro clive natura, e tanta forza e vivacità d'ingegno che a sermonare e discorrere di materie filosofiche pare nato a posta. È e'di Albiano di Lunigiana, e divenne lettore in detta Università; e così bene in cattedra sue dottri ne tratto, che per lo più savio discepolo di Marchetti e Bellini, cattedranti nobilissimi, tutti lo conoscevano. Nulla ignoto eragli di quanto GALILEI e Gassendo aveansi ritrovato, e sostenitore acerrimo fu della filosofia corpusculare. Per ques stoguerra eterna pareva intimata avesse a tutti li Peripatetici e Scolastici ostinati; che ligii si di chiaravano agli antichi sistemi, quali adesso ricor dansi appenanelle scu ole de'monasteri. Per lo che G. è tenuto per uno de'più arditi e co raggiosi sostenitori degl’insegnamenti novelli e assai molesto riuscì a'superstiziosi filosofanti, ma in particolar modo ai Gesuiti i quali, potendo al loramoltissimopressoCosmo III de'Medici, fecero in grave sospetto cadere di errori di religione G. non solo, ma quasi tutta la Pisana Università. Per tale cagione, sendo state forti let tere scritte e minaccevoli ai professori con ordi nare, che non volevasi filosofia democratica, G., cui sapea benissimo delle persecuzioni altrui schermirsi e rintuzzare le dicerie degli imperiti con la dotta e mordace sua lingua, difese con trion fo la causa per iscrittura,nè mai digua proposta sentenza cesso. Finalmente costretto di mutar cattedra e di leggere medicina, non ostan te filosofava su i nuovi sistemi anche interpretan do gliaforismi d'Ippocrate e di Galeno,e men tre con eloquio squisito e con pompa di erudizio ne le materie mediche spiegavà, senza punto de nigrare alla gravità della scienza e del loco ; l' al trui cabale e leggerezze con vaghi scherzi e arguti motti derideva. Moltissimo ancora si adoperò in fisiciani sperimenti e nelle savie cure di Tilli per ogni maniera di lode famoso: nè mezzanamente sidistinse insieme con lo Zambescari di Pontremoli suo collega a sperienze fare nti lissime su le terme del territorio Pisano e Luriena se,che servirono ad ambeduni di grande merito. Intra le altre fece minute prove su l'acqua salsa di Monzone di Lunigiana, e trovolla più efficace di quella del Tettuccio di Valdi Nievole, e poteró  Viri Paschasii G. Albianeusis Philosoph. et Medicin, in Pisau. Acudem. Professoris logeniiacumine eloquen.et ingenua philosoph. libert. Quam difficillimis temporib, fere solus inter Acadlem. retinuit Concesserat Aun. S Thomas Perellius praecept. et Amico Vasoli Io non posso tacere di aver molte cose rica vato diquesto librodalle fạtiche e dagli scritti di questo Vasoli di Fivizzano, il quale sembra avesse in mente d'illustrare sua patria, e però non deggio scordarmi di retribuirlo di grata inemoria, tanto più che molto distinto riuscì nel la medicina e buon coltivatore della poesia. Que stouomoerudito, comeraccontaincertosuoEr bariolo Lunense m . s., avendo studiato prima a Bolognae poi a Pisa allascuola del celebre Malpighi, dove si dottorò verso la fine del  si estrarre il sale catartico a guisa di quel d' In ghilterra, se non venisse incautamente adulterata. Benespesso Pascasio dilettavasi d'investigare le azioni è i consigři degli uomini più che i segreti dellanatura,equasi Epicuro con aspreparoleab batteva i vizi ele inezie altrui. Mente profonda mostrò in tutto, ma poca industria: e vivendosi fino alla vecchiezza, dopo anni di lettura in quella università, muore in una villetta che avea a Capannoli su quel di Pisa, e sepolto nella chiesa diquella terra, fugliper Tommaso Pe relli suo scolare messo questo marmo sopra il se polcro, riferito ancora da inonsignor Fabroni in sua stor. dell'Univ. Pis., dove parla di G.: = Pijs Manibus et Memoriae aeternae Cum paucisaetatis suae comparandi Obiit Octuagenario major in proxima Villula In quam post impetratam a docendo vacationem G. Nasce, da Polidoro, ad Albiano Magra di Aulla in Lunigiana. Avviato agli studi filosofici, li coltivò, insieme con quelli medici, presso l'Università di Pisa, dove era ben viva la tradizione galileiana e, in fisica e in medicina, era ben rappresentata la corrente meccanico-corpuscolarista. Fu il gruppo di docenti formatisi alla scuola di G.A. Borelli a istradarlo verso questa tradizione concettuale; soprattutto Marchetti, Bellini e Zerilli lo introdussero allo studio delle opere, oltre che di Galilei, di Gassendi e del Borelli. Parallelamente, G. attinse da G. Del Papa gli stimoli di un diverso indirizzo, anch'esso presente nell'ateneo pisano, teso a far convivere, soprattutto in campo medico, il galileismo con esigenze di ordine pratico.  Laureatosi in filosofia (promotore e il Del Papa), G. ottenne nello stesso anno la lettura di logica e filosofia naturale. Il suo magistero, argutamente antiaristotelico e apertamente atomistico, dovette risultare piuttosto efficace. Quando si delineò una reazione generale della Chiesa contro quelle interpretazioni dello sperimentalismo considerate arbitrarie e potenzialmente eversive dell'ortodossia religiosa, a causa dei possibili esiti materialistico-libertini, il G. fu direttamente coinvolto. Insieme con altri sei lettori pisani, si vide intimare dall'auditore F.M. Sergrifi di non insegnare la filosofia atomistica. Per nulla intimidito, a detta di Fabroni, G. alimentò le polemiche che seguirono con un libello, oggi perduto, in difesa dei lettori ammoniti. Poca sorpresa dovette quindi destare tra i contemporanei il provvedimento, preso dal governo di Cosimo III, di trasferire G. alla lettura di medicina teorica, mitigato dal permesso di tenere lezioni domiciliari di filosofia.  Come lettore di questa disciplina medica, il G. mostrò di voler tenere aperti spiragli per un discorso "moderno". Lesse gli Aforismi d'Ippocrate, proclamandosi così seguace dell'indirizzo che privilegiava la pratica clinica sulle questioni di teoria medica, ma nel commentarli continuò a seguire i novatori.  In particolare, a quanto sembra, già in questa fase i motivi galileiano-gassendiani si erano venuti in lui incrociando con motivi della dottrina newtoniana. Da questa aveva recepito la tesi della struttura porosa della materia, che, attraverso l'ipotesi dei diversi ordini di combinazione dei corpuscoli, è assunta come matrice delle qualità macroscopiche dei corpi. È probabile che una delle fonti attraverso le quali il G. venne a conoscenza della teoria newtoniana sia stata il padre camaldolese G. Grandi, suo buon amico (Ortes ci riferisce che Grandi solea frequentemente conversare nella casa del G.), ma, a differenza di Grandi, il G. non dovette essere pienamente in grado di coglierne l'impalcatura matematica, tanto da ritenerla conciliabile con la distinzione gassendiana tra punto matematico e punto fisico. G., insieme con Bresciani, G. Averani e altri, fu coinvolto dal Grandi nella preparazione della seconda edizione delle Opere di Galilei (Firenze). Più tardi, alla metà degli anni Venti, il suo nome venne fatto in alternativa a quello del Grandi quale autore di un libretto pseudonimo (Q. Lucii Alphei Diacrisis in secundam editionem Philosophiæ novo-antiquæ r.p. Cevae cum notis Ianii Valerii Pansii, Augustoduni), che segnò una nuova occasione di scontro tra i novatori pisani e i gesuiti del collegio di Firenze.  Il libretto, nato come replica alla prefazione del gesuita M. Dalla Briga al poemetto Philosophia nova-antiqua (Florentiae), del confratello T. Ceva, fornisce una descrizione caricaturale delle forme di opposizione allo sperimentalismo che, a detta dell'autore, circolavano nel collegio fiorentino.  Non è chiaro se sia da collegarsi a questa polemica il basso profilo assunto dal G. nel quarto decennio del secolo. La relazione sullo stato dello Studio che G. Cerati presentò ai nuovi governanti, ci informa che "già da alcuni anni" G., pur retribuito, aveva interrotto le lezioni pubbliche e si limita a dare privatamente lezioni di filosofia. Cerati attribuiva ciò a non meglio precisate indisposizioni del corpo, ma l'Ortes attesta che G. godette per tutta la vita di ottima salute. Priva di riscontri è la notizia di una sua adesione alla loggia massonica fondata a Firenze, loggia che però sicuramente accolse un buon numero di suoi allievi.  G. muore a Capannoli, presso Pisa, Quelle che sembrano essere le sue uniche opere a noi giunte si trovano a Firenze, Bibl. Riccardiana, ms.  Tractatus phisici iuxta recentiorum opinionem conscripti a G.) e a Pisa, Bibl. universitaria, ms. (PHILOSOPHIÆ TRACTATVS). Per la collaborazione do G. all'edizione fiorentina delle Opere del Galilei vedi le lettere di Buonaventuri a Grandi, Pisa, Bibl. universitaria, Carteggio Grandi; sei lettere del G. a Grandi e alcune note di argomento fisico; Acta graduum Academiae Pisanae, Volpi, Pisa; Ortes, Vita di Grandi, Venezia G. Soria, Raccolta di opere inedite, Livorno, Fabroni, Historiae Academiae Pisanae, Pisis, Sbigoli, Crudeli e i primi framassoni in Firenze, Milano; Carranza, Cerati provveditore dell'Università di Pisa nelle riforme, Pisa, Storia dell'Università di Pisa, Pisa, Morelli, Per una storia di Bonducci, Roma, Livorno, Livorno. Pascasio Giannetti. Gianetti. Keywords: corpuscolarismo, implicature corpuscolare, Isaaco Newton, Galilei, Grandi, Giannetti -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giannetti: implicatura corpuscolare – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Giannetta -- search – another time?

 

Grice e Giannone: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della terza Roma – e l’implicatura ligure – scuola d’Ischitella – filosofia foggese – filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Ischitella). Filosofo foggese. Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Grice: “Giannone is an interesting philosopher. He philosophised on the ‘citta terrena,’ which is a back-fromation from ‘celestial city,’ and by which he meant Rome! – Then he compared men – in their collectivity, to apes, even if ingenious ones!”  “Non solo i corpi, ma, quel che è più, anche le anime, i cuori e gli spiriti de' sudditi si sottoposero a' suoi piedi e strinse fra ceppi e catene.” Esponente di spicco dell'Illuinismo italiano, discendente da una famiglia di avvocati (anche se il padre era uno speziale), lasciò il paese natale per intraprendere gli studi a Napoli. Si laurea entrando ben presto in contatto con filosofi vicini a Vico. Fu praticante presso Argento, che disponeva di una vasta biblioteca, la frequentazione della quale fu essenziale per la sua formazione.  I suoi interessi non si limitarono soltanto al diritto ed alla filosofia, appassionandosi anche agli studi storici e dedicandosi alla stesura della sua opera storica più conosciuta Dell'istoria civile del regno di Napoli, che gli causò tuttavia numerosi problemi con la Chiesa per il suo contenuto.  Costretto a riparare a Vienna, ottenne protezione e sovvenzioni da Carlo VI, il che gli permise di proseguire indisturbato i suoi studi filosofici.  Il suo tentativo di rientrare in patria fu ostacolato dalla Chiesa, nonostante i buoni uffici dell'arcivescovo di Napoli recatosi a Vienna per convincerlo a tornare a Napoli. Fu costretto a trasferirsi a Venezia dove, apprezzatissimo dall'ambiente culturale della città, rifiutò sia la cattedra a Padova, sia un posto di consulente giuridico presso la Serenissima. Il governo della Repubblica lo espulse, dopo averlo sottoposto a stretti controlli spionistici, per questioni inerenti alle sue idee sul diritto marittimo e nonostante la sua autodifesa con il trattato Lettera intorno al dominio del Mare Adriatico.  Dopo aver vagato per l'Italia (Ferrara, Modena, Milano e Torino), giunse a Ginevra, dove compose un altro lavoro dal forte sapore anticlericale “Il Triregno: il regno terreno, il regno celeste, e il regno papale, che gli costò nuovamente la persecuzione delle alte sfere ecclesiastiche culminate con la sua cattura in un villaggio della Savoia, ove fu attirato con un tranello.  Rimasto nelle prigioni sabaude, fu costretto a firmare un atto di abiura che non gli valse tuttavia la libertà. Fu tenuto prigioniero nella fortezza di Ceva, dove scrisse alcuni dei suoi componimenti più famosi. Trasferito alla prigione del mastio della Cittadella di Torino. +“Dell'istoria civile del regno di Napoli” ebbe enorme fortuna mentre la Chiesa ne avversò le tesi ponendola all'Indice dei libri proibiti, comminando al filosofo una scomunica la quale obbligava Giannone a riparare all'estero. I temi trattati nell'Istoria, sviluppati su precisi riferimenti giuridici, forniscono una lucida descrizione dello stato di degrado civile del Regno di Napoli, attribuendone le cause all'influenza preponderante della Curia romana. Auspica in primis con quest'opera, «il rischiaramento delle nostre leggi patrie e dei nostri propri istituti e costumi».  Nel Triregno, opera aspramente avversata anch'essa dagli ambienti ecclesiastici, presenta la religione secondo un prospetto evolutivo: la Chiesa, col suo "regno papale", si contrappone al "regno terreno" degli Ebrei ma anche a quello "celeste" idealizzato dal Cristianesimo e il superamento del male, che lo Stato Pontificio così incarna, si realizzerà soltanto attraverso un cambiamento di rotta deciso, mediante ulteriore consapevolezza individuale raggiunta dall'uomo nel corso della sua vicenda Storica. Indi teorizza uno Stato laico capace di sottomettere l'istituzione papale, anche mediante un'espropriazione dei beni materiali del clero. La Chiesa porta avanti una forma di negazione di quella libertà individuale che deve essere posta come fondamento giuridico e sociale. Al filosofo sono intestati vari istituti scolastici, tra cui lo storico Liceo classico G. di Caserta, quello di Benevento, quello di Foggia, e quello di San Marco in Lamis.  Nella Storia della colonna infame, Manzoni dedica a G. ampio spazio elencandone i numerosissimi plagi e gli errori che anche Voltaire gli rimprove. Inizia paragonandolo a Muratori e indicandolo come filosofo più rinomato di lui, poi aggiunge un lungo ELENCO e raffronto delle opere plagiate e degli autori, tra cui Nani, Sarpi, Parrino, Bufferio, Costanzo e Summonte: e chissà quali altri furti non osservati di costui potrebbe scoprire chi ne fa ricerca". E conclude che se non si sa se fosse pigrizia o sterilità di mente, e certo raro il coraggio.  Altre saggi: Autobiografia: i suoi tempi, la sua prigionia, appendici, note e documenti inediti,  Pierantoni, Roma, Perino, I discorsi storici sopra gli Annali di LIVIO, Apologia dei teologi scolastici Istoria del pontificato di Gregorio Magno, “L'Ape ingegnosa” “Istoria civile del Regno di Napoli. Napoli, Gravier); G., Istoria civile del Regno di Napoli, Napoli, Gravier, G., Istoria civile del Regno di Napoli.Napoli, Gravier, G., Istoria civile del Regno di Napoli; Napoli, Gravier, G., Istoria civile del Regno di Napoli, Napoli, Gravier. G., Istoria civile del regno di Napoli, Capolago, Elvetica; Nicolini, La fortuna di G.: ricerche bibliografiche, Bari, Laterza, Marini, Il GIANNONISMO (Bari, Laterza). Vigezzi, G. riformatore e storico. Milano, Feltrinelli, Giannoniana: autografi, manoscritti e documenti della fortuna di G., Bertelli, Milano, Ricciardi,  Ricuperati, L'esperienza civile e religiosa di G.., Milano-Napoli, Ricciardi, Mannarino, Le mille favole degl’antichi. Cultura europea nella filosofia di G., Firenze, Le Lettere, Ricuperati, La città terrena di G.: un itinerario tra crisi della coscienza europea e illuminismo radicale, Firenze, Olschki, Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Vita scritta da lui medesimo, Feltrinelli, Biblioteca Italiana, filosofico.net/ giannone. htm.  De’ liguri duri e forti. Loro estensione in Italia; e come sopra tutti gl’altri popoli tenesseró esercitati I ROMANI nella disciplina militare, sicchè fossero gl’ultimi ad esser soggiogati. LIVIO in più occasioni, parlando de’ liguri, confessa che niuna provincia esercita cotanto I ROMANI nella virtù e disciplina militare, quanto LA LIGVRIA, poichè dura nelle armi, bellicosa amica di fatiche e di travagli, e di riposo impazienle, nelle sue guerre non tosto era da’ romani vinta che sorgeva più animosa e forte di prima. IS HOSTIS VELVT NATVS AD CONTINENDAM INTER MAGNORUM INTERVALLA BELLORVM ROMANIS MILIAREM DISCIPLINAM ERAT NEC ALIA PROVINCIA MILITEM MAGIS AD VIRTVTEM ACVEBAT. Non abitavano i liguri (eciòanche contribuiva alla loro bellicosa indole) in luoghi piani ed ameni e sotto temperato e molle clima, il quale avesse potuto rendere simili a sè gl’abitatori. Ma all'incontro occupando essi quella occidental parte d'Italia che ha per confine la Gallia Narbonense, vivendo in regioni montuose aspre ed inaccessibili, e per le angustie delle vie acconce a tendere aguali ed insidie; non temeno di numerosi eserciti nè d'istromenti bellici nè di macchine o d'altri apparati militari, difendendoli il suolo e l'arduità de'loro siti. E perciò essi militavo senza molto apparecchio mi cidiale. NIHIL, dice LIVIO, PRÆTER ARMA ET VIROS OMNEM SPEM IN ARMIS HABENTES ERAT. Gli antichi liguri erano divisi di qua e di là delle alpi e dell'appennini o in molti popoli o sieno comunità, non altrimenti di ciòche si è delto degl’antichi etruschi, ed occupavano vastissime regioni. Le alpi marittime e gran parte delle mediterranee erano da essi popolate. Di là delle alpi i più celebri sono i liguri SALII, i DECEALI e gl’OXIBI. Di qua sonoo i VEDIANZI, i VAGIENNI, gli STATIELLI, i MAGELLI, gl’EBVRIATI, i VELIATI, i TIGVLII, gl’INGAVNI, i SALASSI, i LIBICI, i LAVRINI ed altri. LIVIO, oltre questi popoli da Plinio rapportati fa menzione di altri liguri posti di qua dell'appennino chiamati APVANI, i quali VINCENO I ROMANI e debellarono un esercito consolare sotto Q. Marzio console, e nota che il luogo della sconfitta fino a’ suoi tempi chiamavasi perciò il campo Marziano. Fa memoria ancora di altri liguri di là dell'appennini ch'egli chiama liguri FRISINATI. Questi popoli hanno più città o VICHI, dove dimorano ciascuno nel proprio distretto. E  fra le città son da considerarsi alcune antiche ed illustri le quali, secondo la divisione dell'Italia fatta poi d’OTTAVIANO in XI regioni, forma parte della XI. Nella Liguria rivolta al mare inferiore di quà del FIUME VARO, CHE DIVIDE L’ITALIA DALLA GALLIA Narbonense, la prima città marittima che s'incontra e de’ liguri vedianzi chiamata Cimelion. Prossima a questa I MASSILIESI edificano NIZZA alle radici dell’alpi marittime, non lontana dalle foci del fiume Varo, che poi cresce dalle ruine di CIMELIO, città antichissima, la quale ha vescovi prima che da Costantino Magno e stata la religione cristiana fa ricevere nel l'impero. Rimangono ancora le vestigia de'suoi ruderi ed il nome di CIMELIO. L’'antica sua cattedra e unita a quella di NIZZA, la quale non si APPARTIENE già alla Gallia Narbonense, siccome alcuni credeltero, ma secondo PLINIO, Tolomeo ed altri geografi antichi, ALLA NOSTRA ITALIA, come quella che è costrutta di qua del fiume Varo. Antipoli fondata pure da'massiliesi si appartiene alla Gallia Narbonense, perchè eretta di là del fiume. Essa lungo tempo e sotto i massilies i loro fondatori, ed ora sotto i re di Francia è chiamata ANTIBO. Appresso NINZZA nel mar ligustico siegue MONACO GRIMALDI, detta dagl’antichi Porto di Ercole, indi AlbioInlemelio, Albingauno, Savona, Genua, Porto Delfino Tigulia, e più in dentro Segesta città de’ liguri tigulii. Chiude questo confine IL FIUME MACRA CHE DA QUESTA PARTE DIVIDE LA LIGVRIA DALL’ETRVRIA. Dall'altra parte mediterranea ove si erge l'appennino, ampio monte il quale con gioghi perpetui e continuali fino allo stretto siciliano divide l'Italia per mezzo, avevano i liguri di qua e di là d e l monte medesimo nobilissime città; especialmente da un lato del Po Libarna, Dertona, Iria, Barderate, Industria, Polentia, Potentia, Valentia,ed Augusta de’ liguri vagienni. Quest'ultima città posta alle radici delle Alpi Cozie, non molto lontana dal monte Vesulo d'onde il Po ha sua origine, e dappoi resa COLONIA DE’ ROMANI. NON CI RIMANE ORA DI ESSA ALCUN VESTIGIO, ma in sua vece surse al luogo stesso ne'secoli da noi men lontani la città di Saluzzo sede un tempo di principi e capo del famoso marchesato di Saluzzo, la quale in fine da Giulio Imeritò esser decorate della dignità episcopale. Ma sopra queste s'innalzarono nella Liguria tre città non meno antiche che illustri, Alba Pompeia, Asta, ed Aqui città de’ ligur istatielli. Alba posta nella Liguria montuosa presso l'Appennino [H. P. GRICE – SINGULARE, NON PLURALE] nella riva del fiume Tanaro fu dagl’antichi geografi chiamata Pompeia, e per distinguerla da Alba degl’Elvii posta nella Gallia Narbonense, e per aver quella G. POMPEO rifatta e la sciati ivi vestigi di sua memoria e beneficenza. Ha vescovi antichissimi, poichè rapportasi il primo tra questi essere stato nell'anno 350. Dionigi discepolo d’Eusebio, poi innalzato alla cattedra di Milano. E ne'secoli men remoti vi se dettero due uomini insigni che la illustrarono, uno per la prudenza civile, ed e  Lazarino Fieschi de’ Conti di LAVAGNA, al quale la regina di Napoli Giovanna contessa di Provenza commise il governo del Piemonte, da lui quindi amministrato con somma lode commendazione; l'altro per sapienza é somma dottrina ed erudizione, qual fu il famoso Girolamo Vida, quel chiarissimo poeta latino che ci lasciò l'incomparabile sua Criste idee di suoi dotti dialoghi De Republica. Acqui posta alla riva della Bormida in quella parte del Piemonte di là del Tanaro,la quale Monferrato oggi si ap pella, fa edificatada’liguri statielli popoli potentissimi dell’Asla posta nella Liguria mediterranea non lontana dal Tanaro furesa colonia de’ ROMANI, ed un tempo fu sede d’uno degli’antichi duchi longobardi. Ha anch'essa antichissimi vescovi, i quali quando l'imperio di Occidente passa a’ germani, furono dagl’imperatori molto favoriti ed a sommi onori innalzati; e non poco splendore reca a quella città aver seduto nella sua cattedra vescovi le il famoso Panigarola, chiaro al mondo eloquenza e per tanti monumenti che lascia di sua dottrina. > per lasua   montuosa Liguria. E detta Acqui dall’acque calde che qui vi scaturiscono assai salutifere, siccome oltre la testimonianza di PLINIO, l'istessa esperienza dimostra: e e chiamata Acqui de’ LIGVRI STATIELLI, per distinguerla dall’Acqui sestia de' Salii posta nella provincia Narbonense. E anche sede di uno de’ duchi longobardi. Ma la sua cattedra non è cotanto antica quanto le due precedenti come quella che prende sua origine da’ longobardi che sono i primi ad erigerla. I LIGVRI I si stendevano anche di là del Po, é molte città le quali secondo la divisione d'Italia fatta d’OTTAVIANO sono col locate nella XI regione alle radici dell’Alpi, anche da’ liguri traggon l'origine. Le prime che s'incontrano sono Vibiforo e Secusia, oggi detta Susa, le quali sono poi mutate in due colonie romane. Anche Torino PLINIO fa derivare dall'antica stirpe de’ LIGVRI -- ANTIQVA LGVRVM STIRPE, egli scrive e dice il vero, poichè coloro che la fan derivare da’ massiliesi, sica come Nicea ed Antipoli, vengono a togliere a questa città molto della sua antichità. Non è dubbio che I LIGVRI sieno popoli d'Italia tanto antichi, che di essi non si sa l'origine, onde si credono INDIGENI del paese, nè mischiati con altre forestiere nazioni, non altrimenti che TACITO crede de’ germani. All'incontro de’ massiliesi si sa l'origine ed il tempo nel quale profughi dalla Focide navigando nel mare inferiore e cercando nuove sedi, si fermarorro ne'lidi della Gallia Narbonense innanzi detta Bracata. Ciò avvenne, secondo la te stimonianza di Livio, mentre in Roma regna TARQUINIO PRISCO,quando la prima volta i galli passarono le Alpi, i quali dopo aver soccorso i massiliesi contro i salii che impedivano loro lo sbarco, se ne calaron pe' monti Taurini dall’Alpi Giulie nell'Insubria, discacciandone gl’etruschi. LIVIO stesso rifere che a'medesimi tempi i salluvii, avendo passate l’Alpi, si posarono intorno al fiume Ticino vicino a’ liguri levi, antica gente ed indigena di que'luoghi. Salluvii, e' dice, qui, PRÆTER ANTQIVAM GENTEM LEVOS LIGVRES INCOLENTES CITRA TICINVM AMNEM EXPVLERE. Se dunque i liguri, chiamati da Livio gente antica, quando i massiliesi poser piede nella Gallia Narbonense tenevano questi luoghi. Più antica e l'origine di Torino derivandola da’ liguriche da’ massiliesi, i quali siccome molti e molti anni dappoi che sono stabiliti in Massiglia fondarono Antipoli e NiZZA, molto maggior tempo appresso avrebber dovuto fondare Torino più lungi che quelle. Si aggiunge che quando Annibale cala per l’Alpi in Italia, secondo rapporta LIVIO, Torino e già metropoli degl’antichi popoli Taurini, i quali reggendosi per se stessi hanno allora mossa guerra agl’insubri, e ricusarono l'amicizia di Annibale contrastandogli coraggiosamente il passo, che egli sforza a gran fatica. Inoltre LIVIO stesso rende testimonianza che la prima volta in cui i romani ? mosser guerra a’ liguri e per occasione che questi depredano i campi di NIZZA e di Antipoli, città de'massiliesi soci de’ romani,e non già i campi di Torino, la qual città perciò non e de’ massiliesi, ma abitata da’ liguri taurini. Sono questi popoli chiamati Tauriniche dieder nome alla città, siccome i monti a piè de'quali essa è posta sono anche detti Taurini, a cagione che dagl’antichi i gioghi de monti erano chiamati Tauri per la figura che sogliono avere simili a'dorsi o alle schiene di tori, ond'è che quel celebre monte che divide la Siria dal rimanente dell'Asia fu chiamato Tauro sic come alcuni altri popoli presso Plinio ed altri antichi geografi son chiamati anch'essi Taurini specialmente nella Scizia, per chè abitano presso i monti anticamente appellati Tauri. Ri dotti poi questi popoli liguri sotto la soggezione de’ romani, OTTAVIO ingrandi la città, che perciò venne poi detta AVGVSTA TAVRINORVM, non altrimenti che Lutetia Parisiorum da’ parisii popoli della Gallia Lugdunense che l'abitano. Hanno i liguri salassi anche in questa XI regione un'altra città, chiamata da Strabone, Plinio, Tolomeo ed Antonino Augusta Prætoria -- ora detta AOSTA -- per distinguerla dall'altra Augusla de’ liguri vagienni già menzionata. E posta frà le due facce dell’Alpi Graie e Pennine. Sono le prime dette da' greci Graie per lo passaggio di Ercole – NISI DE HERCVLE FABVLIS CREDERE LIBET, come saviamente dice Plinio --, e le seconde, siccome volgarmente si crede, dal passaggio di Annibale co’ suoi  cartaginesi sono chiamate “PŒNINE”, secondo avvisa anche Plinio, benchè Livio ne dubiti. Checchè sia diciò, è da osservarsi che da questa Augusta Prætoria, essendo per la sua situazione la prima città d'Italia, gl’antichi geometri prendevan la misura della lunghezza di questo nostro paese, tirando una linea per Capua fino a Reggio, ultima città sullo stretto siciliano. E dessa ancora città famosa ed illustre a’ tempi de’ re longobardi, quando questi tennero il regno d'Italia. Ad Eporedia, città posta nella stessa regione all'imbocco della Valle Augustana e dalle radici dell’Alpi, oggi dell’Ivrea, Plinio da, se non così antica origine, nulla dimeno una assai più illustre, scrivendo che e da’ Romani fondata per impulso degli dei, secondo che da'libri sibillini era stato lor mostrato. OPPIDVM EPOREDIAM, e dice, SYBILLINIS LIBRIS A POPVLO ROMANO CONDI IVSSVM. E antica colonia romana, e perciò cotanto memorata da CICERONE, STRABONE, TACITO, e d’altri romani scrittori. Vercelli anche secondo PLINIO dee riconoscere la sua origine da’ liguri sallii poichè egli scrive: VERCELLE LIBICORVM EX SALIIS ORTÆ. E se dobbiamo prestar fede al vecchio CATONE, Novara anche da’ liguri ha origine, quantunque in ciò PLINIO discordi, facendola derivare da’ vocontii popoli della Gallia Narbonense. Questa era l'antica LIGVRIA che occupa tutta quella gran parte d'Italia occidentale, la quale poscia dal tempo che cangia e muta i nomi,i linguaggi, i costumi, i confini e tutto, sorti altre divisioni e nuovi domini. Furon poi queste regioni chiamate Langa, Monferrato, l'Astegiana, Piemonte superiore, Marchesato di Saluzzo, Piemonte inferiore ovvero tratto Torinese, Canavese,Valle Augustana,Vercellese e Biellese. MOLTI TRAVAGLI I ROMANI SOPPORTARONO PER SOTTOPORRE TANTI POPOLI LIGVRI, poichè questi duri nelle armi e difesi da'luoghi inaccessibili si mantenner liberi, nè prima degl’ultimi tempi della romana repubblica sono ad essa sottomessi. I romani cominciarono a sperimentarli nell’armi dopo che si sono già resi formidabili in Italiae daltrove, dopo che ebber vinto Pirro re di Epiro e lui costretto a ritirarsi nel suo regno, e dopo che nella guerra punica il console C. Lutazio diede [Plin., Hist. nat.] a’ cartaginesi quella terribile rotta nelle isole agale, per la quale costoro furono forzati a chieder pace a’ romani. Allora, finita questa guerra, i vincitori cominciarono a muovere le armi contro i liguri. LIVIO, nella seconda sua deca, seguendo il suo costume, ne avrebbe certamente fatto conoscere le minute circostanze, ma questa deca interamente ci manca. L. Floro nell’Epitome ne rammenta il principio dicendo, ADVERSVS LIGVRES TVNC PRIMVM EXERCITVS PROMOTVS EST. Ma d’altri scrittori romani e da ciò che LIVIO stesso scrive nella III e IV deca, lequali per buona sorte ci rimangono, è facile il conoscere che fin qui i romani non profittarono niente sopra i liguri, poichè è anche fuor di dubbio che nel principio della guerra punica quando Annibale passa le Alpi, i liguri gli prestano aiuto contro i romani; e LIVIO nel primo libro della III deca parra, che col loro favore prese Annibale per insidie due questori romani con II tribuni de'soldati e V figliuoli de'sanniti dell'ordine equestre. Nè dopo scacciato Annibale d'Italia si perderono di animo, sicchè non tenessero continuamente esercitati i romani nell’armi. Ambi duei consoli C. Flaminio contro i liguri frisinati ed apuani -- i quali scorre fino ne’ campi Pisani e Bolognesi --, e M. Emilio contro gl’altri liguri di qua dell'Appennino, sono destinati con II eserciti consolari a soggiogarli: e sebbene ciò avessero i consoli menato ad esecuzione, non mancaron quelli di risorger poi più animosi e forti che prima, sicchè e d'uopo nel seguente anno a'successori consoli Q. Marzio e Postumio, dopo che questi sispacciarono dalle inquisizioni de’ baccanali, riprender la guerra, la quale a Q. Marzio riusci pur troppo infelice, poichè colto il suo esercito da’ liguri apuani fra luoghi strelti e dificili, e dissipato in guisa che, siccome scrive LIVIO, QVATVOR MILLIA MILITVM AMISSA ET LEGIONIS SECVNDÆ SIGNATRIA UNDECIM VEXILLA SOCIORVM AC LATINI NOMINIS IN POTESTATEM HOSTIVM VENERVNT ET ARMA MVLTA QVÆ QVIA IMPEDIMENTO FVGIENTIBVS PER SILVESTRES SEMITAS ERANT PASSIM IACTABANTVR PRIVS SEQVENDI LIGVRES FINEM QVAM FVGÆ ROMANI FECERUNT. Marzio fuggi dunque col residuo  del suo esercito: NON TAMEN, soggiunge LIVIO, OBLITERARE FAMAM REI MALE GESTE POTVIT NAM SALTVS VNDE EVM LIGVRES FUGAVERANT. MARTIVS EST APPELATVS. Nè minori sono gli sforzi ne’ seguenti anni de’ consoli successori, SEMPRONIO Sempronio che pugna contro i liguri apuani ed AP. CLAUDIO contro i liguri ingauni. In breve, dice Livio, e già ridotto in costume non decretarsi a’ consoli altra provincia se non quella de’ liguri onde erano quelli spesso intenti a formare nuove legioni per poter abbattere sì valorosi inimici; la qual cosa non ha effetto se non sotto L. Emilio Paolo il quale, essendogli stata prorogata la consolare potestà, con potente esercito spedito contro i liguri ingauni ottenne su questi piena vittoria, siccome più tardi M. Bebio l'ottenne su’liguri apuani. E finalmente soltanto verso la fine del secolo, insieme con gl'istri, co’ galli cisalpini e con le genti alpine, sono i liguri sottomessi a’ romani. De’ liguri in fatti primieramente trionfo C. CLAUDIO console, e ne’ posteriori anni sono quelli poscia del tutto debellati. Di questa costanza e dabito de’ liguri alle fatiche della milizia ed a soffrire patimenti e disagi, ben si accorse Annibale, il quale passate l’Alpi, nelle sue prime pugne contro i romani, più che in altro popolo e più che ne’ cartaginesi stessi, pose ogni fiducia ne’ liguri de’ quali si vale. E quando profugo da Cartagine ricovrossi sotto Antioco re della Siria, il quale allora ha guerra co’ romani, il più sano consiglio che a quel principe pole dare, siccome Livio scrive e che dove attaccare in due parti i romani dividendo in due classi la numerosa sua armata, ed una, della quale e stato Antioco stesso il comandante e l'ammiraglio, diriger nella Grecia per discacciarne i romani, l'altra, dellả quale egli stesso Annibale e stato il capitano supremo, dopo avere stretta lega co’ cartaginesi, con LE NAVI DI QUESTI INVIARE NEL MAR LIGVSTICO; poichè pensa che sbarcata la sua gente nella Liguria, egli fidando mollo nel coraggio e valore de’ liguri OSTINATI DIFENSORI DELLA LORO LIBERTA CONTRO I ROMANI, bene avrebbe  potuto unendo l’armi liguri alle sue portar nuova formidabil guerra in Italia e porre nuovo assedio fino alle mura di Roma istessa; ma quello stolto e vano re non appigliandosi a QUESTO SANO CONSIGLIO e volendo piuttosto seguire le adulazioni de’ suoi propri capitani, die’ cagione alle tante sue perdite e sconfitte ed alla sua totale rovina. Ma riguardandosi a’ secoli più a noi vicini, non dovrà tacersi un pregio che rese la ligure provincia assai più gloriosa di quante mai possano vantarsi di essere state avventurose madri d’eroi e di semi-dei. Si celebrano cotanto presso i greci e le nazioni tutte del mondo Alcide, Bacco ed Ulisse per le lunghe loro peregrinazioni, per aver debellato i mostri, verte ignote terre e scorsi incogniti mari. Ma Ercole stesso chi fu colui che rese i segni di Ercole favola vile a'naviganti industri? Chi fu colui che rese navigabili quelli che prima erano inaccessibili ed ignoti mari, e fece palesi ai noi regni non meno sconosciuti che vasti ? Chi fu colui che spiegando le fortunate sue antenne ad un nuovo polo, oscurò la fama di Alcide e di Bacco, se non il ligure COLOMBO? Quanto ben gli si adattano, e con quanta maggiore proprietà e ragione con vengono à lui quelle lodi che Lucrezio da al suo Epicuro, e che dal nostro incomparabile TORQUATO assai più acconcia mente furono attribuite al coraggio ed alla grandezza d'animo del COLOMBO, quando di lui canto. Un uom della Liguria avrà ardimento All'incognito corso esporsi in PRIMA: Nè il minaccevol fremito del vento, Nè l'inospitomar, nè il dubbio clima, Nè s'altro di periglio o di spavento Più grave e formidabile or si STIMA, Faran che il generoso entro a'divieti D'Abila angusti l'alta mente accheti [Ger.] – Nasce a Ischitella (Foggia), piccolo centro del Gargano, da Scipione, speziale. Dopo aver compiuto i studi sotto la guida dell'arciprete del paese, Serra, legge filosofia. E inizialmente destinato allo stato ecclesiastico, ma la famiglia muta parere e G. si trasfere a Napoli, dove, grazie all'aiuto del pro-zio, legge diritto presso il procuratore Comparelli. Divenne allievo d’Aulisio, sotto la cui guida studia diritto civile; legge storia nella Biblioteca Brancacciana e in quella di Seripando. Negli stessi anni Angelis lo introduce alla filosofia di Gassendi e ai classici latini e italiani.  Laureatosi a Napoli, G. inizia a frequentare, anche se marginalmente, l'Accademia di MEDINACŒLI, in cui conosce alcune delle maggiori figure della cultura napoletana, fra cui Capasso, Porzio, Caloprese (si veda) e Cirillo sotto il cui influsso abbandona la filosofia gassendiana per abbracciare quella di Cartesio. G. inizia l'attività d'avvocato, conducendo il suo apprendistato presso Musto, ma, INSODDISFATTO della sistemazione, si trasfere, su consiglio di Spinelli, che già lo presentato all'Aulisio, presso Argento. Per la formazione culturale del G. l'incontro con Argento si rivela fondamentale, poiché a casa di questo, inizia a riunirsi l'Accademia de' SAGGI, che, proseguendo l'esperienza della MEDINACŒLI riune un gruppo di filosofi destinati a divenire il nerbo del governo napoletano durante il vice-regno austriaco. E in quell'Accademia che matura il progetto d'una nuova storia del Regno, cui il G. da il suo contributo iniziando a lavorare all'Istoria civile del Regno di Napoli.  Grazie alla sua attività di avvocato, G. si garantì un agiato tenore di vita. Fase decisiva per la sua carriera forense e quando divenne avvocato dei cittadini di San Pietro in Lama in una causa intentata contro il vescovo di Lecce Pignatelli intorno alla questione delle decime. In risposta a due allegazioni di Nicola D'Afflitto, avvocato del vescovo, G. pubblica la scrittura Per li possessori degli oliveti nel feudo di San Pietro in Lama contro monsignor vescovo di Lecce barone di quel feudo intorno all'esazione delle decime dell'olive, cui seguì, l'anno successivo, il Ristretto delle ragioni de' possessori degli oliveti. Tali testi, per la marcata e aperta adesione alle più avanzate tematiche giurisdizionaliste e per gli ampi riferimenti che G. fa alla storia del Regno, provocano una forte e vivace discussione. Molto scalpore suscita la causa in difesa del nipote dell'Aulisio,  Ferrara, arrestato due anni prima con L’ACCUSA D’AVERE AVVELENATO LO ZIO. Vinta la causa, come compenso G. ottenne dal suo assistito i manoscritti dell'Aulisio, di alcuni dei quali avrebbe poi curato l'edizione. A Napoli G. pubblica intanto, sotto lo pseudonimo anagrammatico di Giano Perontino, la Lettera sad un suo amico che lo richiede onde avvenisse che nelle due cime del VESUVIO in quella che butta fiamme ed è più bassa la neve lungamente si conservi e nell'altra ch'è alquanto più alta e intera non duri che pochi giorni. La lettera e frutto degli interessi che G. coltiva sin dal suo arrivo a Napoli (riscontrabili in tutte le opere sino a quelle del carcere) e dai quali, come avrebbe affermato nell'autobiografia, s'era dovuto allontanare perché assorbito dagli studi giuridici e storici.  Infatti G., pur impiegando gran parte del suo tempo nell'attività forense, lavora alacremente all'Istoria civile. E proprio per potervi attendere con più tranquillità che compra una villa presso Posillipo, detta Due Porte perché si riteneva e appartenuta ai fratelli Battista e Niccolò Della Porta. Nei anni successivi la stesura dell'Istoria lo assorbe sempre di più, tanto che i suoi continui ritiri a Dueporte gli valsero l'ironico soprannome di solitario Piero. L’Istoria civile e ormai pressoché completata. G. fa allora trasferire la tipografia di Nicolò Naso nella villa che il suo amico Vitagliano ha a Posillipo, vicino a Dueporte, e comincia la stampa. Poiché, nonostante l'istruzione ricevuta, e più avvezzo al linguaggio giuridico e al dialetto napoletano che non all'italiano letterario, G. chiede allora a Mela di rileggere l'opera, volgendola, ove necessario, in buon italiano. L'Istoria civile del Regno di Napoli vede finalmente la luce, in un'edizione di 1100 esemplari (1000 in carta ordinaria e 100 in carta reale).  Scritta con lo scopo principale di difendere i diritti e le prerogative dello Stato CONTRO LA CURIA romana, l'Istoria civile non intende tanto apportare nuovi contributi documentari alla storia del Regno, quanto offrirne una nuova interpretazione, esaminandone l'evoluzione dalla DISGREGAZIONE  dell'Impero romano sino al Vice-regno austriaco. G. non raccolge (se non per i primi libri) la documentazione direttamente dalle fonti, ma organizza quella reperibile in altri saggi, in particolare nell'Istoria del Regno di Napoli di Costanzo (L'Aquila, Cacchi), nell'Historia della città e Regno di Napoli di Summonte (Napoli), nella Historia della Repubblica veneta di Nani (Venezia) e nel Teatro eroico e politico de' governi de' viceré del Regno di Napoli di Parrino (Napoli). Il procedimento gli causa, in seguito, l'accusa di plagio da parte di Manzoni nel capitolo della Storia della colonna infame, e poi da tutta la storiografia neo-guelfa, rappresentata, tra gl’altri, da Bonacci e Caristia. Il giudizio non coglie l'importanza dell'Istoria civile, che non sta nella ricostruzione erudita degl’eventi del Regno, ma nell'affermazione del principio dell'autonomia dello Stato. In effetti, se dagli storici napoletani G. traeva le notizie necessarie, i modelli storiografici sono però altri, italiani ed europei. Fra i primi Guicciardini, Sarpi e, soprattutto, Machiavelli delle Istorie fiorentine. Come MACHIAVELLI attribuie alla Chiesa la responsabilità di avere impedito ai Longobardi la realizzazione in Italia di un forte regno nazionale, così G. accusa Roma di avere troncato lo sviluppo dello Stato napoletano, distruggendo l'esperienza normanno-sveva con la chiamata di Carlo d'Angiò. L'avversione nei confronti degl’Angioini è uno dei temi ricorrenti dell'Istoria civile. Alla dinastia francese G. imputa di avere diminuito il potere regio, accresciuto quello baronale, ma soprattutto di aver riconosciuto giuridicamente il Regno come FEUDO della Chiesa. A causa di tale acquiescenza verso il Papato, IL MERIDIONE consuma il proprio distacco dal resto d'Italia, dove invece le dinastie regnanti contrastano apertamente le pretese di Roma. Fra i modelli che ispirano G. sono Thou e Grozio, da cui G. riprende la rivalutazione dei barbari, e in particolare dei Longobardi, visti come signori nazionali, nemici di Roma e di Bisanzio. Tanto G. e avverso agl’Angioini quanto mostra simpatia per gl’Aragonesi, i quali, pur fra incertezze e contraddizioni, tentano di restituire al regno l'autonomia dell'epoca normanno-sveva. Con il dominio spagnolo si conclude tale tentativo e per questo G. e fortemente critico verso Madrid, sottolineandone la politica di sfruttamento nei confronti del regno. L'Istoria civile si conclude con le pagine dedicate al dominio austriaco, nel quale il ceto civile ripone le proprie speranze.  L'Istoria e dunque un'opera collettiva, non perché scritta a più mani - come malignamente sostenevano i nemici di G. -, ma in quanto "opera che raccoglieva e organizza le esigenze del ceto civile (Ricuperati). Con l'Istoria civile G. si e proposto di analizzare le ragioni del potere della Chiesa nell'Italia meridionale e in vista di ciò dedica ampio spazio all'epoca longobarda -- l'unica per cui G. ricorre direttamente alle fonti. Per dimostrare soprusi e sopraffazioni della chiesa sul regno, G. ricostrue l'evoluzione politica del Papato, respingendone implicitamente l'origine divina. Questo atteggiamento verso la religione, interpretata in chiave esclusivamente politica, rende l'Istoriaun'opera del tutto nuova nel panorama storiografico europeo ma motiva anche l'ostilità di Roma verso G..  Il consiglio municipale di Napoli – gl’Eletti -- concede a G. una regalia di 195 ducati e lo nomina avvocato generale della città. Mentre copie dell'Istoria sono inviate a Vienna, a Napoli divampano le polemiche. Le autorità ecclesiastiche protestarono perché il saggio non ha ottenuto la licenza del tribunale vescovile -- G., in effetti, non l'aveva chiesta, ritenendola superflua poiché ritenne che il saggio non tratta argomenti di giurisdizione ecclesiastica -- e alcuni religiosi iniziarono a tenere prediche contro G.. In seguito a ciò, il potere civile muta atteggiamento. l vice-ré austriaco, Althann, che aveva concesso a G. la licenza necessaria per la pubblicazione dell'opera, in una riunione del Consiglio del Collaterale, biasima apertamente gl’Eletti, i quali, peraltro, congelano i provvedimenti a favore di G., nominando una commissione per valutare il saggio. Nello stesso tempo, il Collaterale ordina la sospensione delle prediche contro G. e la vendita dell'Istoria.  La situazione volge al peggio al momento del rito di s. Gennaro: poiché il sangue tarda a sciogliersi, il clero napoletano comincia a sostenere che il santo e adirato con i napoletani per la pubblicazione dell'Istoria civile. Contro G. si diffuse allora in tutta la città poesie e libelli -- diversi dei quali sono oggi conservati in un codice della Biblioteca di Napoli --, mentre la curia arcivescovile si preparava a scomunicare l'opera. Ormai era a rischio la stessa vita di G., il quale, spinto anche dagl’amici, decide di recarsi a Vienna per chiedere la protezione dell'imperatore Carlo VI. Dopo alcune esitazioni, G. lascia Napoli per quella che sperava una breve assenza e che, invece, sarebbe stata UNA PARTENZA SENZA RITORNO.  Raggiunta in incognito Manfredonia, da lì si trasferì a Barletta, riparando per alcuni giorni in una villa del fratello di Fraggianni. Nel frattempo a Napoli, il sangue di s. Gennaro si scioglie. Trovata una nave su cui imbarcarsi, e a Trieste, a Lubiana e giunge a Vienna.  In questa città G. presnde subito contatto con alcuni esponenti della numerosa comunità italiana, fra cui Riccardi, Forlosia e il bibliotecario di corte Garelli, che porta una copia dell'Istoria all'imperatore Carlo VI. Nel frattempo, venuto a conoscenza della scomunica lanciatagli dalla curia arcivescovile di Napoli e della messa all'Indice dell'Istoria civile, G. ricominciò a scrivere. Dapprima ritorna sul trattato “Del concubinato de’ Romani” ritenuto nell'Impero -- dopo la sopposta conversione alla fede di Cristo -- già iniziato a Napoli. Poi scrive due nuovi saggi: De' rimedi contro le proposizioni de' libri che si decretano in Roma e della potestà de' principi in non farle valere ne' loro Stati e De' rimedi contro le scommuniche invalide e delle potestà de' principi intorno a' modi di farle cassare ed abolire -- che confluì nell'Apologia dell'Istoria civile. La posizione di G. sembra migliorare. In seguito alle pressioni viennesi, la scomunica e revocata e G. ottenne udienza da Carlo VI, che l'anno seguente gli concesse una pensione annuale sopra i diritti della Secreteria di Sicilia. Egli non riuscì, però, a ottenere un incarico ufficiale che, come aveva sperato, gli permettesse di tornare a Napoli in una posizione sicura. Decide quindi di fermarsi a Vienna e si stabilì in palazzo Linzwal. Nel frattempo, in Italia appareno diverse confutazioni dell'Istoria civile. E pubblicata a Roma l'Apologia di quanto l'arcivescovo di Sorrento ha praticato cogli economi de' beni ecclesiastici della sua diocesi dell'arcivescovo Filippo Anastasio. In risposta Vitagliano pubblica a Napoli una Difesa della real giurisdizione intorno a' regi diritti su la chiesa collegiata appellata di S. Maria della Cattolica della città di REGGIO, in cui, pur volendo difendere G., finiva invece con il criticarlo. G. e allora costretto a reagire con un proprio testo, diffuso a Napoli in forma manoscritta. Appareno a Roma le Riflessioni morali e teologiche sopra l'Istoria civile del Regno di Napoli di Sanfelice. Rispetto all'opera d’Anastasio si tratta di un lavoro ben più articolato e problematico, tanto che G. in un primo tempo decide di non replicare. Ma durante la villeggiatura a Perchtoldsdorf, nei dintorni di Vienna, scrive la Professione di fede. L'opera conosce una vasta fortuna, testimoniata da un'imponente circolazione manoscritta, e segna la definitiva rottura con la Chiesa cattolica. Un'altra Risposta di G. fa seguito alla pubblicazione delle Annotazioni critiche sopra l’Istoria civile di Napoli (Napoli) di Paoli, scritte con l'aiuto d’Egizio, esponente della parte più moderata del giurisdizionalismo napoletano, non disposta a seguire la lezione di G.  Fallite le speranze di ottenere un incarico a Vienna, G. riprende l'attività forense. Oltre a diverse allegazioni per clienti viennesi e napoletani, scrive il Ragionamento a Pilati in cui difende i diritti di quest'ultimo alla nomina, poi non avvenuta, a vescovo di Trento dopo la morte di Gentilotti e il saggio De' veri e legittimi titoli delle reali preminenze che i re di Sicilia esercitano nel tribunale detto della Monarchia, sulla complessa questione del Tribunale della Monarchia di Sicilia. Risalgono dopo due saggi: la Breve relazione de’ Consigli e dicasteri della città di Vienna, commissionatagli dal reggente Castelli, e le Ragioni per le quali si dimostra che l'arcivescovado beneventano e sottoposto al regio exequatur, come tutti gl’altri arcivescovadi del Regno, saggio scritto su incarico della Città di Napoli.  Nel frattempo, continua la fortuna europea di G. e dell'Istoria. G. comincia a corrispondere regolarmente con Liebe e i Mencke, iniziando la collaborazione agli Acta eruditorum Lipsensium. Scrive la Dissertazione intorno il vero senso della iscrizione "Perdam Babillonis nomen" posta in una moneta di Lodovico XII re di Francia, da alcuni creduta coniata in Napoli, che, tradotta in latino, usce in un'edizione degl’ “Historiarum sui temporis” di Thou. G. e ormai un filosofo inserito nel contesto d’Europa per la sua conoscenza, in quel periodo delle opere che meglio rappresentavano quella filosofia. In tal senso, un ruolo fondamentale ha la frequentazione con il principe Eugenio di SAVOIA, nella cui ricchissima biblioteca G. aveva legge i più importanti saggi della filosofia libertina e radicale europea. Da queste sue fertili frequentazioni nei primi anni dell'esilio viennese deriva il progetto dello suo saggio, il Triregno, iniziata durante una villeggiatura a Medeling, e le cui prime due parti erano quasi terminate due anni più tardi. Il Tri-regno si articola in tre parti. Nella prima, “IL REGNO TERRENO,” G. studia la religione e sottolinea come in essa NON si conosce un al di là, in quanto al popolo si promette esclusivamente il dominio sugli altri popoli senza alcun riferimento a mondi ultra-terreni. Quello che Dio promete all'uomo – o GIOVE a ENEA -- e, dunque, esclusivamente un regno terreno: ROMA! Nel successivo Regno celeste l'attenzione di G. si sposta al cristianesimo delle origini – e l’idea della potesta temporale – e del Cesare -- studiando i testi neo-testamentari, mette in evidenza come e il cristianesimo – ‘dei galilei,’ come G. chiama in parodia di Giuliano -- a introdurre l'idea di un mondo ultra-terreno cui i fedeli sono destinati dopo essere stati giudicati sulla base delle loro azioni mondane. Il Regno papale, l'ultima parte – “infamous part” – H. P. Grice --, riprende il discorso iniziato nell'Istoria civile sulle origini del potere del Papato. Dopo i primi secoli vissuti in conformità con l'insegnamento evangelico, il PONTEFICE, approfittando della decadenza del POTERE TEMPORALE IMPERIALE dopo Costantino, costitueno il loro Regno sul principio della superiorità rispetto allo stato mondano, temporale.  Nella composizione del Tri-regno concorrevano diverse tradizioni: la fondamentale esperienza del libertinismo erudito, con cui G. eentrato in contatto negli anni della sua prima formazione napoletana, per influenza d’Aulisio, dal quale G. comprende l'importanza della storia ebraica e la poca rilevanza alla mente romana! Molti temi delle Scuole sacre - l'opera d’Aulisio uscita postuma pochi mesi dopo l'Istoria civile - ricomparivano, infatti, nel Triregno, filtrati dalle conoscenze acquisite a Vienna: la storiografia protestante (i. e. non cattolica, non romana) tedesca (particolarmente evidente nel Regno celeste, dove forte è l'influenza delle Origines, sive Antiquitates ecclesiasticae diBingham e delle Observationes sacrae di Deyling) e, soprattutto, il deismo europeo post-spinoziano. In questo senso importante e stato il rapporto con gli saggi di Toland (in particolare le Lettere a Serena, Origines Iudaicae e Nazarenus), dai quali G. trasse la tesi secondo cui gl’ebrei credeno nella MORTALITA dell'anima e non hanno alcuna idea di un mondo ultraterreno, e con la storiografia che con questi si e misurata criticamente (come le Vindiciae antiquae Christianorum disciplinae di Mosheim).  Il Tri-regno non e, peraltro, del tutto slegato dall'Istoria civile. La matrice giurisdizionalista e evidente soprattutto nel Regno papale, dove G. riprende il problema delle origini del potere ecclesiastico, affrontandolo, però, con gli strumenti della storiografia protestante. Non più "istoria civile" del Regno di Napoli, ma di tutta la civilizazione d’Occidente, fondata da Roma a tradita dai papi. Di qui la persecuzione che la Curia romana muove contro di lui, riuscendo, infine, non solo a FARLO ARRESTARE, ma a entrare anche in possesso dell'autografo del Tri-regno.  Si impede così la pubblicazione del saggio. Ma non ne e, tuttavia, impedita completamente la diffusione, che avvenne grazie a un apografo (probabilmente uscito dagli archivi romani in cui l'originale e custodito). Diversi codici del Triregno circolano in Europa, e sembra addirittura imminente una sua pubblicazione ad Amsterdam.  La conquista del Regno di Napoli a opera di Carlo di Borbone determina la dispersione della comunità napoletana di Vienna. Ritenendo, con ragione, che e in pericolo la sua pensione, basata su rendite siciliane, anche G. decide, allora, di partire. Lascia Vienna e giunse a Venezia. Dove essere solo un punto di passaggio sulla via per Napoli, ma le autorità borboniche gli rifiutano il passaporto, temendo che un suo ritorno avrebbe compromesso le trattative per il riconoscimento papale del nuovo sovrano. L'ambiente culturale veneziano si rivela, comunque, ricco di stimoli per G., che stringe amicizia con Pisani, con il principe Trivulzio, con Conti, con Terzi e con il libraio Pitteri. Con quest'ultimo, in particolare, si accorda per una nuova edizione dell'Istoria civile, per la quale appronta quell'Apologia dell'Istoria civile cui lavora da tempo e in cui confluirono i tre trattati composti a Vienna. In realtà, anche a Venezia G. non manca certo di nemici. Poco dopo il suo arrivo, Pasqualigo gli offre cattedra a Padova, ma la Curia romana e riuscita a fare sospendere l'offerta. Nello stesso tempo, il nunzio a Venezia,  Oddi, fa pressioni sul governo della Serenissima perché G. e cacciato e consegnato alle autorità pontificie. Per screditare G. venne diffusa la voce che egli avesse criticato la Repubblica veneziana in alcune pagine dell'Istoria civile, obbligandolo così a difendersi. La risposta a tale accusa confluì anch'essa nell'Apologiadell'Istoria civile. G. si stabile nell'abitazione di Pisani. Riprende, allora, la stesura del Triregno, discutendone con i suoi amici veneziani. E nella villa di Pisani a Rovere di Crè, presso Rovigo, che G. scrive la Prefazione al Triregno. Anche questa volta, tuttavia, la tranquillità doverivelarsi effimera.  Dopo oltre un anno di complesse manovre sotterranee, il nunzio ottenne il risultato sperato. Una fatidica notte, poco dopo aver lasciato, insieme con Conti, la casa di Terzi, G. e catturato d’agenti del S. Uffizio, caricato a forza su un'imbarcazione e abbandonato nel Ferrarese, in territorio pontificio. Riusce quindi fortunosamente a raggiungere Modena e vi resta nascosto per circa un mese, sotto il falso nome di Antonio Rinaldi, protetto, fra gli altri, anche da L.A. Muratori. Inizia, allora, la stesura del Ragguaglio dell'improvviso e violento ratto praticato in Venezia ad istigazione de' gesuiti e della corte di Roma. Si reca a Milano, allora occupata dalle truppe sabaude, dove spera nell'aiuto della famiglia del principe Trivulzio. E ricevuto dal marchese Olivazzi, gran cancelliere, il quale gli consiglia di scrivere al marchese d'Ormea, ministro di Carlo Emanuele III di SAVOIA, per offrirsi come storico di corte. Quel che Olivazzi non poteva sapere e che l'Ormea s'era già accordato con Albani, offrendogli l'arresto di G. come contro-partita per la concessione di un concordato favorevole allo STATO SABAUDO al fine di chiudere lo scontro - aperto un ventennio prima da Vittorio Amedeo II - fra Torino e Roma. Da Torino parte quindi l'ORDINE D’ARRESTO di G., che però nel frattempo lasciato Milano per la capitale sabauda. Non considerando più gli Stati italiani un rifugio sicuro dopo l'esperienza veneziana, G. aveva decide di andare a Ginevra, dove e in contatto con l'editore Bousquet, che  annunciato la sua intenzione di pubblicare l'Istoria civile. Mentre da l'ordine di arrestarlo a Milano, Ormea non puo immaginare che G. e proprio a Torino, dove si ferma. Giunge a Ginevra dove, pur rifiutando di convertirsi al calvinismo, stringe amicizia con Turretini e Vernet. A causa delle sue precarie condizioni economiche, decide di pubblicare la traduzione francese dell'Istoria civile, per la quale s'era accordato già da tempo con Bousquet. Questi, però, aveva sciolto proprio allora la sua società con lo stampatore Pellissari, e si e trasferito in Olanda. E solo grazie all'aiuto di Vernet che G. puo trovare un nuovo finanziatore nel libraio Barillot, ma, quando tutto e pronto per l’edizione dell'Istoria, G. e attirato fraudolentemente in territorio sabaudo e arrestato.  Ormea da disposizioni per l'arresto al governatore della Savoia, conte Giuseppe Piccon della Perosa. La trama del rapimento è stata raccontata da G. stesso, nella sua autobiografia, in pagine esemplari per chiarezza e drammaticità. A Ginevra egli prende alloggio presso il sarto Chénevé, da tempo amico di un doganiere sabaudo, tale Gastaldi, il cui fratello era aiutante di campo del conte Piccon. Dapprima Gastaldi si guadagna la simpatia dal figlio di G., invitandolo spesso a Vésenaz -- il piccolo centro savoiardo di fronte a Ginevra, dov'era la dogana -- insieme con Chénevé. In questo modo egli venne a conoscenza dei movimenti di G. a Ginevra, informandone Piccon. Dopo aver rifiutato gl’inviti di Gastaldi per tutto l'inverno, G. accetta di assistere alla messa della domenica delle Palme nella chiesa di Vésenaz. Si trasfere  a casa di Gastaldi. Questi, presi con sé alcuni soldati, irruppe di notte nella stanza di G. e arrestò lui e il figlio. Il giorno dopo, Gastaldi si mise in marcia verso Chambéry. G. racconta la gioia del doganiere il quale, tenendo in mano un suo ritratto (probabilmente una copia dell'incisione fatta a Vienna da  Sedelmayer) andava di paese in paese urlando di aver catturato "un grand'uomo".  Giunto a Chambéry Gastaldi consegna i prigionieri al conte Piccon, il quale ne dispose il trasferimento nella fortezza di Miolans, tradizionalmente deputata ad accogliere i prigionieri di Stato -- quarant'anni dopo vi sarebbe stato rinchiuso anche il marchese de Sade. Ricevuta notizia dell'arresto, Ormea ne informa Albani, al quale riferì anche l'intenzione di Carlo Emanuele III di non inviare G. a Roma, ma di impegnarsi a tenerlo in carcere perpetuamente. Per quanto la corte di Roma prefere giudicare direttamente G., Clemente XII ringrazia il sovrano sabaudo per l'arresto del sedizioso. Ormea e Albani si accordano, intanto, perché G. e processato dal S. Uffizio piemontese e costretto ad abiurare.  Durante la sua prigionia a Miolans G. scrive la “Vita e Morte di G. scritta da lui medesimo” e inizia, aiutato dal figlio, una prima versione dei “Discorsi sopra gl’Annali di Livio,” che intende offrire a Carlo Emanuele III per l'educazione del principe di Piemonte, il futuro Vittorio Amedeo III. Nello stesso periodo Ormea riusce, grazie al conte Piccon e ad altri agenti sabaudi, a entrare in possesso dei manoscritti delle opere di G. -- compreso quello del Triregno -- che, dopo esser stati esaminati da Palazzi, abate di Selve, bibliotecario e storico di corte, sono inviati a Roma. G., separato dal figlio, e trasferito a Torino nelle carceri di Porta Po, prima, e nella cittadella, poi. Qui fu affidato alla cura spirituale di Prever. Presta formale abiura dei suoi errori di fronte al vicario inquisitoriale, Alfieri di Magliano.  Il testo dell'abiura non e quello che la Curia romana si attende, tanto che - contrariamente alla prima intenzione - si decide di non renderlo pubblico. A convincere G. ad abiurare e stata la speranza di poter tornare presto in libertà. Ma e trasferito al forte di Ceva, dove rimane. Le istruzioni impartite al conte Magistris, governatore del forte, sono per la migliore sistemazione possibile nel castello. G. e rinchiuso nella prigione detta "la speranza": due stanze e un anticamera interamente rivestite in legno e chiuse da una porta di pietra. Gli era permessa qualche ora d'aria al giorno, purché non parlasse con nessuno, tranne il governatore e il confessore del forte, e puo leggere e scrivere, purché le sue opere non uscissero da Ceva se non per Torino. Nel tempo di prigionia cebana G. termina i Discorsi sopra gli Annali di LIVIO (si veda) e scrive altre tre saggi: l'Apologia de' teologi scolastici, l'Istoria del pontificato di GREGORIO (si veda), e L'ape ingegnosa. In esse riaffiorano molti temi del Triregno, soprattutto nell'Apologia de' teologi scolastici - dove L’AUTORITA DEI PADRI della Chiesa e sottoposta a UNA VERA DEMOLIZIONE -- e nell'Istoria del pontificato di GREGORIO (si veda). Quest'ultima, inizialmente concepita come conclusione dell'Apologia, e una vera e propria prosecuzione del Triregno, nel cui Regno papale una vasta parte dove essere dedicata a tale PONTEFICE. Temi tipici degl’autori libertini, in particolare di Toland, grazie a un sapiente uso della Naturalis historia di Plinio il Vecchio, tornano anche nelle pagine dell'Ape ingegnosa, vasto e complesso zibaldone, come recita il titolo, di varie osservazioni sopra le opere di natura e dell'arte, denso di spunti autobiografici.  Nonostante la prigionia, la fortuna europea di G. continua. Ad Amsterdam sono aparsi i suoi libri sulla "politia ecclesiastica" (Anecdotes ecclésiastiques contenant la police et la discipline de l'Église chrétienne depuis son établissement jusqu'au XIe siècle), e l'intera Istoria civile, curata da Bochat e Bentivoglio, pubblicata a Ginevra -- ma con la falsa indicazione d’Aja. Mentre a Torino la diffusione delle opere giannoniane preoccupava le autorità ecclesiastiche, a Ceva  G. entra in contatto con esponenti della nobiltà locale, che lo incaricarono della stesura di alcune allegazioni forensi. A causa dell'avanzata delle truppe franco-spagnole, allora impegnate contro il Piemonte nella Guerra di successione austriaca, G. e trasferito a Torino. In un primo tempo le condizioni della prigionia nella cittadella si rivelarono assai più dure: il governatore Cortanze non ha, come invece il De Magistris, ordini particolari per il prigioniero, il cui trattamento non e inizialmente dissimile a quello riservato ai molti prigionieri che affluivano nella capitale da tutto il Piemonte. La situazione e aggravata dalla morte d’Ormea, tanto che G. invia al sovrano un lungo e disperato memoriale sul proprio stato e sulle angherie cui lo sottopone il maggiore della cittadella, Caramelli. Da allora le condizioni della sua detenzione migliorano sensibilmente. Il suo ritorno a Torino non e passato inosservato; in pochi mesi G. entrò in relazione con personaggi della corte e della cultura, come i bibliotecari dell'Università Ricolvi e Rivautella, e, soprattutto, Villettes, il quale gli fa avere diversi libri della propria biblioteca, grazie ai quali, oltre a quelli avuti dalla Biblioteca reale tramite Cortanze, G. puo aggiungere nuovi capitoli all'Apologia de' teologi scolastici e iniziare una nuova versione dei Discorsi. L’interesse destato da G. suscita la reazione delle autorità ecclesiastiche. Il nunzio a Torino, Merlini, protesa  presso il sovrano, il quale gli assicurò che le condizioni del prigioniero sono divenute più severe.   In realtà G. continua a scrivere e a ricevere libri da Villettes e da Roero di Cortanze. Il desiderio di G., formulato in una lettera ad Ormea che sulla sua tomba e posta un'iscrizione da lui appositamente composta non e esaudito. Il suo corpo e sepolto nella fossa comune dei prigionieri della chiesa di S. Barbara, all'interno della cittadella. La chiesa e distrutta. Altri saggi: “Saggi” a cura di Bertelli e Ricuperati, Milano, con bibliografia, in cui sono comprese la Vita scritta da se medesimo, pagine scelte dell'Istoria civile, del Triregno, del Ragguaglio del ratto, delle altre opere del carcere e alcune lettere; Istoria civile, a cura di Marongiu, Milano; Triregno, a cura di Parente, Bari; Dopo la "Giannoniana": problemi di edizione, nuovi reperimenti di fonti e l'introduzione perduta del Triregno, cur. Ricuperati, in L'Europa fra Illuminismo e Restaurazione. Studi in onore di Diaz, a cura di Alatri, Roma; un manoscritto del Ragguaglio del ratto è stato pubblicato in Un testo inedito di G., cur. Denis, Archivio storico italiano, Delle altre opere del carcere l'unica sinora pubblicata in edizione critica è L'ape ingegnosa, overo Raccolta di varie osservazioni sopra le opere di natura e dell'arte, a cura di Merlotti, Roma, con bibliografia. Per le lettere. G., Epistolario, a cura di Minervino, Fasano; Lettere autografe, cur. di Minervino  (in entrambi i casi l'edizione non è del tutto affidabile, cfr. la rec. di Rienzo, in Bollettino storico-bibliogr. subalpino, Arch. di Stato di Torino, Biblioteca antica, Manoscritti di G., inventario a cura di Ricuperati, Le carte torinesi di G., in Memorie dell'Acc. delle scienze di Torino, classe di scienze morali, storiche e filologiche. Il fondo è stato arricchito da documenti autografi del G., in gran parte relativi ai periodi austriaco e veneziano. Nicolini, Gli scritti e la fortuna di G.. Ricerche bibliografiche, Bari; Marini, G. e il giannonismo, Bari; Vigezzi, G. riformatore e storico, Milano; Bertelli, Giannoniana. Autografi, manoscritti e documenti della fortuna di G., Napoli; Ricuperati, L'esperienza civile e religiosa di G., Milano;  G. e il suo tempo, a cura di Ajello, Napoli; Merlotti, Risorgimento ghibellino: Ferrari lettore di G., in Annali della Fondazione Einaudi; Negli archivi del Re. La lettura negata delle opere di G. nel Piemonte sabaudo, Riv. stor. Italiana; Ricuperati, G.: an itinerary in European free-thinking, in Transactions of The Congress on the ENLIGHTENMENT, Oxford; Trevor-Roper, G. and Great Britain, in The Historical Journal, A. Hook, La "Storia civile del Regno di Napoli" di G., il giacobitismo e l'Illuminismo scozzese, in Ricerche storiche, Mannarino, Le mille favole degli antichi. Ebraismo e cultura europea nel pensiero religioso di G., Firenz. Grice: “One good thing about the Roman Church (you know, there’s a Jewish Church, too) is Giannone – he was rendered an ‘impious’ by the Church and imprisoned to death. This allowed him to philosophise on the Liguri – and he did!” Pietro Giannone. Giannone. Keywords: la terza Roma, autobiografia, ego-grafia – Vico, Giannone, Genovesi – Liguria – commento su Livio – regno terreno, regno celeste, regno papale --. Storia di roma antica -- giannonismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giannone” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Giavelli: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- semantica del segnare -- segnante e segnato – filosofia fortinese – la scuola di Torino – filosofia piemontese -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (S. Giorgio di Canavese). Filosofo torinese. Filosofo piemontese. Filosofo italiano. Grice: “I love Javelli – he is, like me, an Aristotelian; being a northern Italian, he is a Thomstic Aristotelian, which I’m not sure I am!” Grice: “One good thing about Javelli is that he commented on MOST works by Aristotle!” -- Essential Italian philosopher. Studia a Bologna. Fu esegeta. Argomenta contro Lutero. Opera omnia” (Lione, Giunta). Partecipa al dibattito sul Tractatus de immortalitate animae di Pomponazzi, di cui scrisse, su richiesta di Pomponazzi stesso una confutazione. Partecipa al dibattito sul divorzio di Enrico VIII, esponendosi a favore della scelta del sovrano. M. Tavuzzi, in "Angelicum", DBI.Casale Monferrato.  Crisostomo Javelli was born in 1470 c., presumably in Piedmont, joins the Dominicans. On G. see GILSON, Autour de Pomponazzi: problématique de l'immortalité de l'âme en Italie, Archives d'histoire doctrinale et littéraire du Moyen Age; TAVUZZI, G. OP A Biobibliographical Essay:  Biography, Angelicum, G. A Biobibliographical Essay: Bibliography », Angelicum. G. is the author of a Compendium Logicæ. The structure of G.’s work mirrors Ockham's Summa logicae in many respects, but also NICOLETTI (si veda)’s Logica Parva (unlike NICOLETTI (si veda), however, G. does not deal with obligations and insolubles.  The Compendium deals with the following topics:  Introductory remarks, which include a short history of logic;  terms (this part corresponds to the doctrine dealt with by Aristotle in De  Interpretatione);  propositions; the five praedicabilia (this section corresponds to Porphyry's Isagoge);  the antepraedicamenta, the doctrine of the categories (praedicamenta), and the postpraedicamenta (this treatise, as is clear, corresponds to Aristotle's Categories);  syllogism;  supposition theory;  ampliatio and appellatio, i.e. changes in the supposition of a term and changes  in the tenses of verbs; theory of consequentiae;  de probatione terminorum (this treatise deals with the ways in which it is possible to show the truth, or the probability of a proposition);  demonstrative syllogism (this part aims at expounding what Aristotle says in  his Posterior Analytics). The treatise is published in in Venice. The Compendium is rather successful, and goes through many editions. G. has many teaching positions within the dominican order and, most probably, he writes his Compendium logicæ for didactic purposes. The tendency to systematize the new logic of the late medieval authors and to present it as consistent with Aristotle's logic is even more evident than in SAVONAROLA (si veda)’s Compendium. G. is also influenced by the humanists, inasmuch as his treatises draw attention to the linguistic, and historical context in which ancient logic arose. If VALLA (si veda) criticizes NICOLETTI (si veda) for the latter's unfamiliarity with the Greek language, G.  dwells on the etymology of many key terms of logic, and shows a certain familiarity with both Greek and Latin. In his historical section,  G. maintains that Socrates and Plato are not strong in answering and solving  because they did not have logic, even though they were strong in asking questions or in raising doubts » (licet potentes essent ad interrogandum sive dubitandum, non tamen ad respondendum et solvendum propter logice carentiam). Logic is founded on its proper grounds by Aristotle, for whom  Javelli has words of deep admiration:  Hence, the Author of nature gave us Aristotle, who first discovered true logic with his almost divine mind and organized and brought it to completion in all its parts, so that we could discover the true rule of knowing that guides the human mind in arts and sciences."  TAVUZZI, G. OP Logicæ Compendium LIZIO, ordinatum per G. Canapicium ordinis praedicatorum, ex officina Ioannis Blaui de Colonia, Olvssipponae henceforth, G. Compendium logicæ G. Compendium logicæ Ut igitur vera sciendi regula directiva humani intellectus in artibus et scientiis inveniretur, datus est nobis ab authore naturae Aristoteles, qui suo pene divino ingenio primus logicam veram invenit, et secundum omnes partes ordinavit ac perfecit. These words implicitly show the ideological background of the Compendium logicae, that is designed to expound Peripatetic logic. Javelli was aware that many topics of his treatise had not been discussed by LIZIO, but he nevertheless thinks that these doctrines are at least Aristotelian in spirit. When G. introduces the theory of suppositio, in the seventh treatise of his textbook, he states that doctrines like the suppositio  are consistent with Aristotelian philosophy, even though Aristotle did not propose them, and this will be clear to you once you progress in logic, philosophy of nature and in metaphysics under the guidance of the LIZIO. G.’s attitude in finding an agreement between the doctrines of Aristotle (and of Aquinas) and those of later thinkers has been already underlined by Tavuzzi, and may be said to be a trademark of his Compendium. After his sketchy history of logic, G. defines logic as a rational science® and states that its generic subject is mental being. The subject of logic, as a distinct discipline, is the  " ens rationis ratiocinativum, quod est idem quod  argumentatio.This remark echoes BARBÒ (si veda)’s claim that the object of logic is the ens rationis, but G. seems to harmonize the AQUINO (si veda)’s solution with the position of Albert the Great, because the ens rationis is qualified as ratiocinativum and this is said to be identical to argumentatio. According to BARBÒ (si veda), Albert the Great taught that the object of logic is 'arguments. BARBÒ notices the similarity with what he took to be Aquinas's position, but stressed nevertheless the difference between the two medieval Dominicans. G. implicitly unifies their positions.  According to G., logic is a science and not empirical knowledge, because it has proper subject and proper principles: the presence of these two elements is enough to hold that it falls under the rational sciences, and is divided into sub-disciplines according to the scheme that Aquinas introduces in the Proemium to his -- etsi non habeantur ab Aristotele, tamen doctrinae peripateticae consonant, ut tibi constabit postquam in Aristotelis disciplina tam in logicalibus quam in physicis atque metaphysicis eruditus fueris » (my translation). Cf. TAVUZZI, Herveus Natalis and the Philosophical Logic of AQUINO (si veda) in the Renaissance, Doctor Communis, G. Compendium logicae -- llogica est scientia rationalis discretiva veri a falso ». Javelli adds that logica est ars artium et scientia scientiarum, qua aperta omnes aperiuntur, et qua clausa omnes alie clauduntur; this statement echoes Peter of Spain's claim that dialectica est ars artium, scientia scientiarum, ad omnium methodorum principia viam habens (Petri Hispani Summulae Logicales cum Versorii Parisiensis clarissima expositione, apud Sansovinum, Venezia -- subiectum in illa universalissime sumptum est ens rationis, id est ens fabricatum ab intellectu et non habet esse extra intellectum -- commentary on the Posterior Analytics.8 In his treatise on terms, G. stresses that terms signify ad placitum, and that verbs are always tensed. G. has something interesting to say about propositions. According to him, a proposition  1s omething s (oratto verum vel falsum signtcans Indicando s) the Clause  'indicando' is meant to exclude prayers, utterances of wish, etc. from the set of propositions. G. adds that only present tensed propositions are propositions in the fullest sense, because past-tensed and future-tensed utterances do not signify anything that is the case or that is not the case, and thus cannot be true or false:  The phrases (orationes) in the past and future indicative tenses do not signify primarily and per se 'true' and 'false', unless they are transformed into a phrase in the indicative present tense.'  This is not sufficient evidence to suggest that G.'s understanding of propositions is analogous to SAVONAROLA (si veda)’s and, regrettably, G. does not add many details to his definition. In the same third treatise, G. deals with modal propositions as well, and in this case the didactic aim of his exposition could not be more evident. He deliberately avoids all technicalities and limits himself to stating some basic principles of modal logic: modal propositions are defined as categorical propositions to which a modal operator has been attached as a prefix.  There are four modal operators for G.: necessary, contingent, possible, and impossible." G. maintains that also 'true' and 'false' are modes, and by doing so he refers to a traditional doctrine, which has been endorsed also by Aquinas in his De propositionibus modalibus. G. adds that also 'per se' and 'per accidens' are modes, and they correspond to 'necessary' and 'contingent' respectively:  Nam licet prima [i.e. 'per se'] aequipolleat modali de necesse, et secunda [i.e. 'per accidens'] modali de contingenti, tamen ‹non> sunt formaliter modales."2  Ibid., fol. 12r-13r. Cf. ARISTOTELES. De Interpretatione. This claim, although consistent with Aristotle's littera (cf. De Interpretatione), is at odds with Savonarola's exposition. This suggests that 'Thomist logic' was not a monolith and there were several debated issues. G. Compendium logicæ Orationes etiam modi indicativi temporis praeteriti et futuri non significant primo et per se verum et falsum, nisi reducantur ad unam temporis praesentis indicativi. I suggest to add a 'non' to the sentence to make it intelligible. This observation seems to suggest that modal syllogistic is grounded on Aristotle's theory of predication. G., however, does not expand this interesting intuition. Furthermore, even though he is aware of the distinction de sensu composito/de sensu diviso, he does not consider the problems that such a distinction may create within modal syllogistic.' His exposition of modal logic is intentionally simplified for didactic reasons; after having expanded modal conversions, Javelli adds: that would be enough for now, lest you get confused, young man (hæc pro nunc sufficiant ne tu iuvenis confundaris. The tendency to simplify the core notions of medieval logic brings sometimes  G. to modify significantly these doctrines, as is the case in his supposition theory. Medieval authors did not understand the theory of suppositio as a mere theory of reference, but as a theory of meaning, namely as a theory for interpreting sentences. G., on the contrary, seems to consistently maintain that the supposition theory is what we would nowadays call a theory of reference."  According to him,  the supposition is said to be the positing of a term instead of another, i.e. instead of one of its meanings. In this sense, we say that in this utterance 'God is good', the   It is perhaps worth mentioning that such an interpretation has gained an increasing consensus among contemporary scholars: cf. Thom, The Logic of Essentialism: An Interpretation of Aristotle's Modal Syllogistic, Kluwer, Dordrecht The New Synthese Historical Library: Texts and Studies in the History of Philosophy); MALINK, Aristotle's Modal Syllogistic, Harvard, Cambridge, MA The laws of conversions for necessity propositions are valid de sensu composito; mixed necessity syllogisms (like Barbara LXL) are valid only if the modal operator is read de sensu diviso. This seems to suggest that Aristotle's modal logic is inconsistent. G., however, seems not to be aware of this philosophical problem. His exposition of the distinction between de sensu composito and de sensu diviso is as follows: « in modali de sensu composito modus aut praeponitur aut postponitur toti dicto [...], in modali autem de sensu diviso modus nec praeponitur nec postponitur dicto, sed  95  mediat inter partes dicti. G. Compendium logicæ G. Compendium logicæ According to NOVAES, suppositio provides mechanic rules, by means of which we can list all possible interpretations of an ambiguous sentence. The theory of the suppositio may also serve the purpose of finding the references of the elements of a sentence in certain context; writing about Ockham, Novaes observes that supposition theory is better seen as a theory of propositional meaning in the sense that one of its main purposes is to provide an analytical procedure for determining what can be asserted by means of a given proposition - a procedure including, but by no means limited to, the determination of the entities that the proposition may be about, i.e., its possible supposita, as it would be the case if it were a theory of reference (An Intensional Interpretation of Ockham's Theory of Supposition, Journal of the History of Philosophy, Geach presented supposition theory as a theory of reference in his classical monograph  Reference and Generality. An Examination of Some Medieval and Modern Theories, Cornell, Ithaca, NY Contemporary Philosophy] term 'God' stands for its meaning, so that the sense is: what is signified by 'God' is good.'8  Javelli relies on the definitions of suppositio provided by Peter of Spain and by MANTOVA (si veda), but in his view the supposition theory is a theory of reference:  A substantive term in or outside a proposition, taken in itself, has a meaning, but it has a reference (non supponit) only in a proposition. To make this clear, note that 'to signify' precedes to have a reference For to signify is to introduce a term or a sound to represent a given something. As a consequence, it is up to the first authors who give names to things to make it possible to signify. To have a reference is to take an already given meaningful term so that it can refer to any of its meanings or references in a proposition. 10°  According to Javelli, 'supponit' may be translated with 'refers to a suppositum. G. is faced with two alternative interpretations of the suppositio. But surprisingly, he endorses the one that is more at odds with his understanding of suppositio as a theory of reference. G.  writes that Thomists are debating among them as to whether a term can suppose (supponere) only in a proposition or also in itself. G. maintains that a term supponit only in a proposition - a conclusion that is certainly more consistent with an understanding of supposition theory as a theory of meaning, 'G. points out that this debate originated from the interpretation of AQUINO (si veda), Summa Theologiæ. G. summarises AQUINO (si veda)’s position as it follows. In his answer to the third never refers to a person, unless the word is determined by its corresponding predicate, such as in 'God  TAVELLUS. Compendium logicæ, dicitur suppositio positio termini pro alio, id est, pro aliquo SVO SIGNIFICATO.In quo sensu dicimus quod in hac oratione Deus est bonus, ly Deus ponitur PRO SUO SIGNFIICATO, ut sit sensus, id quod significatur per 'Deus' est bonum -- terminus substantivus in propositione et extra propositionem per se sumptus SIGNIFICAT, sed non supponit nisi in propositione. Pro cuius notitia adverte quod SIGNIFICARE precedit supponere. Nam SIGNIFICARE est imponere terminum sive vocem ad aliquid certi REPRESENTANDVM. Unde facere significare spectat ad primos authores qui rebus nomina imponunt. Supponere autem est accipere terminum iam impositum ad significandum ut stet in propositione pro aliquo suo significato vel supposito generates, God is Father, God is Son. Hence  means (significet) a substance with a quality, a name properly means (significat) a quality, i.e. the form on the basis of which the name is attributed;  however refers to (supponit) a substance, i.e. to the thing to which such name is attributed. This leads Capreolus to maintain that this  is false: God does not generate God (ista est falsa Deus non generat Deum). 104  If we were to follow G.’s view, it is possible, I think, to maintain that a proposition like Deus non generat Deum may also be TRUE, inasmuch as the term Deus in this context may be taken to refer not to a person. Consequently, it would be true to say that god, qua trinity, does not generate god, qua trinity. This example shows that G. has original ideas, even though he never wants to explicitly detach himself to the core tenets of that Thomistic school to which he belonged. -- in responsione ad tertium dicit quod homo per se supponit pro persona, Deus autem per se supponit pro natura. Plostquam beatus AQUINO (si veda) dixerat quod Deus supponit per se pro natura, statim declarans huiusmodi suppositionem format hanc suppositionem, ut cum dicitur Deus creat. Numquam autem supponit pro persona, nisi determinetur per predicatum relativum, ut Deus generat, Deus est pater, Deus est filius, ergo Deus non ex se, sed respectu talis praedicati supponit pro persona Capreoli Tholosani OP Thomistarum Principis Defensiones Theologiae Divi AQUINO (si veda), ed. CESLAS PABAN, THOMAS PÈGUES, Cattier, Touronibus -- nomen, licet significet substantiam cum qualitate, proprie tamen significat qualitatem, hoc est formam a qua nomen imponitur; supponit vero pro substantia, hoc est pro re cui imponitur tale nomen According to the Catholic dogma, it is God the Father who generates God the Son. In other words, if we assume that the term Deus supponit pro persona independently (and, hence, in every context), it follows that a proposition like God does not generate God should be FALSE. The sections on syllogistic are the less original parts of G.’s treatise. Geli — Rossi modum definiendi, dividendo et demonstrandi, Tu tamen adverce licet fiteadem realiter, ratione tamen distingui turinquantu docens, et inquantu utens. Namin quantu docens consideratur in e, in quantu utens relpicit alias scientia. Logica docens sufficienter  diuiditur  in tres partes. Prima est in qua tradatur de terminis  in complexis, et hoc ditiiditur in duas. In prima consideratur de terminis secundo intentionis, et iste  est liber  praedicabilium. In secunda consideratur de terminis primx intentionis, et iste est liber praedicamentorum, et post  praedicamentorum. Secunda est in  qua tradatur de terminis  complexis, id est  de oratione et propositione et hic est  liber “Peri Hermenias”. III est in qua tradatur de argumentatione et hoc dividitur in quatuor. In  prima agitur de argumentatione syllogistica absoluta et simplici, idesi noh applicata alicui  materiae  et hic est  liber  pnorunviln secunda  agitur  de  syllogismo demonstratiuo, et hic est liber posteriorum. In tertia agitur de syllogifmo topico, id est probabili,  flthic  eft liber topicorum. In quarta agitur de syllogismo fallaci, quem dicimus sophisticum, co  q* per ipsum solum  gc iteratur deceptio, et hic est liber elenchorum. Hoc est summa librorum,  quos tradidit nobis LIZIO inventor logicæ. Reliquos autem minores tradarus quos appellamus parva logicalia, non habemus formaliter ab LIZIO. Sed posteriores traxerunt virtualiter ex praedictis libris LIZIO, ita  us  tradare  de  gtib9oronis, deinde  de oratide  et cmltiatione, sicut etiam tradat grammaticus modo grammatico et socundo loco tradabimus de syllogismo formali et tertio loco de  prædicabilibus, et quarto loco de praedicamentis. Nam abfqj notitia propositionis et syllogismi, n “Quida homo non currit.” Praepositiones (“to”) aurem determinant nomen ad constructionem  pro cerro  casu,  puta  ablativo  ucl  accusative. Adverbia  determinant  verbum  f>ro  determinato Io  co, ut adverbia  localia, vel pro determinaro tempore,  ut  adverbia temporis, vel  pro  determinato  modo  quantitatis ucl qualitatis tut adverbia quantitatis et qualitatis. Coniunctiones (‘and,’ ‘or’) autem  determinant  terminos et orationes, secundum,  modum copularivum (‘and’), vel disjuinctivum  (‘or’) vel  illatiuum.  exeplum  primi,  “et”, arcp  exemplum secundi,  “vel,”  “aut”, exemplu  tertii, “ergo,” igitur, iracp.  Inter syncategorematicos  terminos non comprehenduntur intejectiones (“ouch!”) : quoniam  ut  docuimus signficant  NATURALITER, nec pronomina primitiva, quoniam sumuntur loco proprii nominis et certam significant personam. De derivativis autem videtur quod sic,  quem sunt  ut  determinationes  nominum  substantivum - ut  “meus liber”, “tuus pater”, “nostra patria,” etc. Similirer  participium  ji5 eft terminus syncategorematicus, compleditur  enim  nomen substantiuum et verbum -- ut “legens”  loquiTUni» ‘homo qui  legit’ loquitur. Ex his omnibus sequitur, quod cum sine odo  partes orationis, tantum  nomen  et verbum sumendo cum nomine pronomen  primitivum, et cum verbo  participium, sunt  termini  categorematici,  alix  autem partes sine termini syncaregorematici apud logicum, et caulam huius dicemus postquod definierimus nomen et uerbum. Terminorum categorematicorum quidam eft  primat intentionis, quidam secundae. Prima intentio apud veros peripateticos (LIZIO) est primus conceptus fundatus immediate in re, quod est ens reale, ut  primo  apprathenditur  prxhenditur  ab  intellectu, -- ut  ‘animal  rationale’ est  prima  intentio quam format intellectus, et immediate fundatur, iit natura  hominis. Secunda  aurem intentio est secundus conccprus formamus ab intellectu, fundatus in re non immedia ce sed mediante primo conceptu, ut esse praedicabile  de pluribus differentibus numero in quid, est secundus conceptus quem format inrellectus de homine. Nam  postquam  appraehendit cp  ‘homo’ est “animal rationale”, advertit ut est ‘animal rationale’, convenit omni contento sub homine, et sic est praedicabilis  de quolibet suo individuo  in quid, et tunc  format secundum conceptum, dicens quod natura hominis  e eo  quod est ‘animal  rationale’ est prædicabilis de pluribus differentibus numero in quid et quod dico de homine incellige de qualibet natura specifica contenta sub animali. Terminus igitur primis intentionis est terminus significans  primum conceptum, fundatum  immediate  in  essentia  rei -- ut  “homo”, “capra”, “leo”. Terminus autem secunda intentionis  est  terminus significans secundu conceptum  fundatu  in  natura  rei  median  re pmo conceptu -- ut  “genus”,  “species”, “differentia”, “singular”, etc; Et ne confundatur intellectus novitii hic sisto. In tradaru  aute de universalibus sive praedicabilibus diffusius et altius de terminis pmx, et feciidx INTENTIONIS loquemur. Et aduerte quod  divisio termini in terminos  pmz  impositionis, et  secundo  positionis  apud  nos, qui sequimur  VIAM REALIUM non  differt  a praecedenti. Nam  “homo” in  mente vel anima excogitatus, et voce  probatus, et in scripto  politus,  significat (>mum conceptum ideo est terminus pmz  intentionis in mente vel anima, in voce, in scripto. Et  iste terminus species ex cogitatus in mente vel anima et in voce et in  scripto et secundæ  intentionis, quia significat secundum  conceptum  modo  quo diximus. Non ergo est necesse ultra divisionem faftam inter terminos f>mx, 8( secundae  intentionis, assignare eam quæ dicitur pmz, et secundx imtentionis ut penitus distinctam aprxcedenti, qux fuit inter m x, et secundx  intentionis. Hoc enim continetur  in illa. Terminorum quidam cfimunis, quidam  singularis. Cdmunis  est  q de pluribus  pradicatur -- ut  “homo”, “animal”, “lapis”, et apud  grammaticum  dicitur  nomen  appellativum, quem pluribus  convenit. Terminus singularis  est  qui  de  uno  solo prædicatur -- ut  piato, et fortes, et apud  grammaticum dicitur nomen proprium (“Fido”), qmuui  foli  conuenk,  et ad  «erte alternas, ut  qndiuiditeorpus  p alata  et inaiatu, et aiatu per fenfitiuu  St  no  (cnfitiuu, fecundo  gnis  in  spes  spalissimas, uc  qii  dividitur color per albedinem et nigrcdinem. Et hac divisionem cognosces in trac. de praedicabilibus. Diuivio totius in gtes  fkqncp  modis, pmo qntotu dividif in ptes fubicdiuas individuales, ut qn dividit ho  in forte Pia Ioanne. Pecru, etc. Scdo qn totu dividitur in partes eflcntia lcs, uc ens naturale compositu dividif in materia et forma, sicut  dividit  homo in  animam et corpus, III qn dividitur totu co tinuuin partes suas intcgralcs, ut  domus  in  fundametum, tc»  dii, et  pariete, et corpus animalis in partes, qufe sunt membra sua, ex qbus  integrat  corpus, IV qn dividitur totu dito tinuu in partes fiias, inter quas  et fi  no fit  continuitas est rame  ordo  et proportio. Hoc rao dividif  EXERCITVS in  mtlitcs, cqtcs  peditcs, 8(c. quinto qn diuidif totu poretialc fiue poteftariufi  in partes  fuas  poreftatiuas  qn  diuiditur  anima  per  potentias  suas  et virtutes  suas, ut tibi manifeftabitur  i libro  de anima,  et ifra  manifestabimus tibi in libro  de syllogismo Topico Divisio  uo cis  in sua significata sit  tribus modis  primo vocis univoce in significata univoce, ut  qn dividif ho in fortem et platone  etc, secundo vocis aequivoce  in  significata  aequi-vocata, -ut  qn  diuiditur “cancer” in  ftclla  fiue signum cæleste, et aquaticum  aial, et  morbum, III vocis  analogicæ  in significata  analogata, ut  qti  diuiditur “sanu”, iu  alal  (anu, urina  lana, medicinam sanam, cibum sanum, aercm sanum, excretum sanum, et cetera Et  hanc divisione cognofccs in trac. de pntis.; Divisio secudu  accidens sic tribus modis, primo subiecti  in  accidentia, ut  holum alius  parvus, alitis  magnus 1  alius  albus, alius  niger,  alius  medio  colore coloratus, (c3o  accidentis!in  subiecta, ut  accidentifi, quæ sunt  m hoie, aliud  in  aia, ut  seia, aliud  in  corpore,  ut  agilitas  etc. tertio accidentis  in  accidentia, ut accidcntiu, quarda  dura, quaedam  liquida, qnada  lucida, quaedam  tenebrosa, et hxc divisio  manifestabit tibi in philosophia naturali et præcipue in libro de generatione. Ifti  igitur sunt  iqodi  univerfales  famofiores  apud  Aristotelem, quibus  fieri  confutuit  divisio. Quantum  ad  pmam  divifionem, quac  est  per affirmatiua et negatiuam aduerre, quod  affirmatiua  dupfr  definitur, pmo  fic, categorica affirmatiua  est. ppofirio in qua praedicatum affirmatur de subiefto: -- ut: Homo est albus. Sed  adverte cj» tuc  praedicatu  affirmatur  de subiectc  quando negatio  no  p  cedit  copula, q?  fi  praecedit negatio, negatur pdicatum de subiecto, et efficitur  negariva – ut hic  “Socrates non  est  albus.” Si  au tem  fiib fequitur  no  efficitur  negatiua, sed permanet affirmativa,-- ut: Homo est no albus. Ire adverte  «p  alio  modo  affirma! pdicatum  de  fubiecto  in  affirmatiua  uera  et in  falsa,  na  in  vera  affirmatur  re  et voce  quia sic est in  re, sicut  dr, ut homo re et uoce est risibilis. In falsa atite affirmatur voce  tm  et non  re. Nam licet dicam q» Homo est asinus tarhe non sic est in re, secundo definitur sic. Affirmatiua est in qua verbum principale affirmatur de subiecto, ut Homo est animal. Dr in qua nerbum principale affirmatur ad differentiam verbi secundarii qtiod si negattir vel affirmatur, propter ipsum non sit  propositio  affirmativa  nec  negativa. Vnde ista non est negativa. SOCRATE CICERONE CATONE qui  non  currit, mouetur, nec  ista  eft  affirmatiua, Socrates, qui  currit, non  movetur. Nam  In  prima  licet  uerbum secundarium, quod est, currit, negetur, tamen principale quod est movetur, affirmatur, ideo  permanet  affirmatiua. In IccQda  autem  fit  oppofito  modo,  ideo  permanet  negatiava. Et ratio huius est, quia ticrbii secundarium fe tenet  a parte subiecti, q3 paret  refoluedo  in  fuu  participiu  fiuc aftiuum siue pasfiuu, ut  hic. SOCRATE CICERONE CATONE qui non currit, ideft. Socrates a9 non carrcns mouccur, SOCRATE CICERONE CATONE qui currit, id est Socrates curreni  non mouerur: Subiectum autem coniunctum participio affirmatiuo negatiuo no  facit propositionem dic affirmatius  ucl  ncgariuam, tcd  negatio cadens fuper uerbum principale fiue immediate, ut quando lubfequitur  fubiedum, ut  “homo  non  est  afinus”, sive  mediate, ut Non  homo est  animal, dum  modo  fumatur  negatio  negans, et no  infinitam  terminum,  cui opponitur, nam si  infinitarer, non  faceret  negativam. Vnde lixc  non  clt  negative. “Non homo currit”, qm ly non homo clt nomen infinitum, etc. Vnde non homo curru,  xquippollet  ifti, afinus qui ft no homo currit. Coftat aut hanc elfe affirmatiua Patet igitur quid fit categorica aftirmatiua. Categorica negatiua dupliciter definitur. Primo sic, categorica negativa est propositio in qua prædicatum negatur de suo subiecto, auc homo non est lapis. Secundo sic, est propoaitio in qua verbum principale negatur . Dicitur verbum principale ad differentiam verbi secundarii, quod ut docuimus sive affirmetur sive negetur, non facit propositionem  affir. aut  nega. Et aduertc, quod  propofitio  poreft  fieri  afflr.  vel  nega. dupliciter scilicet explicite et IMPLICITE. Si  explicite, sit  per  nomen et verbum indicativi  modi, ut homo est risibilis. SIIMPLICITE potest fieri per unicum terminu, ut quando dicimus, homo est risibilis, et e converso, ly  e converso  aequippollet  uni  propositioni, qux  elf  hxc, et  risibile  est  homo. Item aduerte quod divisio per afflrmativam et negativam non foium convenit categoricæ sed etiam hyporheticæ et moduli, quomodo autem fiat hypothetica affirmativa et ne gar. similirer  modal s, dicemus agentes de eis. Nunc autem fuftine, ne confundaris ut nouus AVDITOR (Grice, RECIPIENT). Hxc de prima divisione di&afint Quantum ad secundam divisionem categorica:  fciliccc per veram et falsam, aduerte quod cartgorica vera, tam affirmatiua quam negatiua dupliciter definitur. Primo sic, vera est, qua: significat  verum  id est significar rem sicut  est,  si est affirmatiua, vel significat rem sicut non est, si est negatiua. Sed de hac latis  diximus  in  ca. præcedenti  in  dedaranlo  definitionem  propositionis secundo autem  fir defiintur. Vera est illa, cuius SIGNIFICATVM PRIMARIVM EST VERVM. SIGNIFICATVM autem PRIMARIVM est illud quod exprimitur p oro nem infinitiuam. Verbi gratia hxc eft ucra Deus eft bonus qm deum clfc bonum, est verum. Sic.n. eft in re. Dico cuius primarium significatum est uerum ad differentiam secunda  rii. secundarium autem eft quod continetur in primario 8c fcquitur ad illud. Verbi gracia primarium huius, homo est rationalis, eft eftc rationalem ad hoc autem fcquitur  cfte  ani  mal, esse  animatum, ede  corpus  efie  subie&am.  luxta  igitur SIGNIFICATVM PRIMARIVM et fccundarium  indicanda  eft  propofirio  uera, qm cft ucra primo et per fe ex eo, ex fccundario autem est tantum confequenrcr. Nam bene sequitur qcf “Si fortes est homo, fortes est animal.” sed  non  ceonuerfb, ut  declarabimus in  trac. dc  confequentiis. Similiter falsa dupliciter definitur. Primo sic, falfi est qux  aliter significat quam fit in  re, ut  hxc  cft  falsa, Homo est  ansinus, quia SIGNIFICAT hominem esse asinum, et tamen aliter est  rn  re, quia  in  re  no  est  asinus, sed homo sive  rationalis, et de  hac  definitione  iam  diximus  in  cap. præcedentiin  definitione propositionis. Sccundo sic, falsa  est illa cuius primarum significatum est falsum. Verbi  gratia  hæc  est  falsa  “Homo  est  asinus”, quia  holem esse asinum  est falsum, cu sic ronalis, et  asinus  irratroalis. Quod si fiereciudicium secundu SECVNDARIVM SIGNIFICATVM (IMPLICATVRA), quod est dfe animal, effet  vera. Nam  hxc  est, vera homo est animal  v non  tamen  sequitur, ergo est afinns, ut  declarabitur tibi  in  trac. De consequentiis Hxc de fecunda diuifioncdiftafint, Quantum ad tertiam divisionem scilicet quod aliqua est  alicuius qiiamicari$, aIiquanulliu$. Alicuius quantitatis eft illa, cuius subiectum ftat pro aliquo ucl pro aliquibus vel pro omnibus vel pro nullo, ut declarabitur in diuifione sequenti. Nullius quantitatis eft illa cuius subiectum suspenditur a propria denoiationc, ronc, pbationis termini prxcedetis ipIum quails est exclusiva exceciua reduplicativa, de quaif, p- Satiqne aprietates: ut est RISIBILITAS in homine, PAR et impar in NUMERO, curvum et RECTVM in linea, sumum calorem in igne lite nancg faciunt propositionem in materia naturali. Quid ne. ro sit fluere apneipiis specjci declarabitur tibi in trac. de prædicabilibus in cap. de proprio et accidente. Illæ vero fiunt in materia remota, in quibus prædicatum non potest verificari de subiecto, Imo  id  inuicero repugnant. Istæ autem sunt in quibus subiectum et prædicatum sunt opposita contraria vel contradidoria vel  privative ucl relative  opposita. Exempla: Album  est nigrum. Homo est non homo.  Caecus est videns. Pater  est  filius. Et  aducrte, q?  dicuntur  fieri  i|i  materia  remota,  scilicet  repugnanti, qm natur subiedi&i prædicatiin oibus p didis repugnant adinuioem, nec se compatiuntur. Inde est q1 omnis affirmatiua in materia remota ferng et de neccsfiUtate est falsa, negatiua autem femg  et immutabiliter ucra. In materia vero naturali est opposito modo. Nam affirmariva femg  est  vera, negatiua fepig falfcM  Jn nuter cotingeti? 4 est medio m6, qm  tam affirma,  q nega,  aliqn e vera aliqn falsa, nam qn prædicatum inest liibiedio, affirmatiua est vera, negativa falsa, qn prædicatum  removetur, affirmativa est falsa, negariva est vera. Hoc de VII diuifione difta fint. Quantum ad oAauam  divisionem, quae fuit haec, Propositionum categoricarum participatium utroqj termino eodem ordine triplici materia.Cnaturali contingenti et remota adverte, quod inter eas sit quatruplexoppositio: contraria sub-contraria, CONTRADICTORIA, ubalterna. Oppositio contraria sit inter eas quarum una est universalis affirmatiua et altera universalis negatiua, de eifdcm subietlis et prædicatis univoce et æque ample et aeque strictca cceptis. Primo df quarum una est universalis et cetera. Nam ut distinguantur a contradictoriis, debent esse eiufdem quantitatis et diverfae qualitatis. Si eiufdem quatitatis, ergo utraqj est universalis vel particularis, non secundum quia non essent contrariae sed subcontrariae. Ut dicetur infra ergo primum. Si, DIVERSÆ QVALITATIS, ergo i&fca est affirmativa et altera negativa. Secundo dr de ei (dem subiectis et prædicatis: uc ois homol albus, nullus homo est albus, et dcfeftu huius iftaeduae non funt contrariae ois homo est albus, nullum rifibilc est albus. Tu tn  aduerte  quod subiectum et prædicatum  pnt  esse  idem  tripliciter, pmo  fm vocem  tm  et non  fm  SIGNATVM, secundo  t m. SIGNATVM tm et non  fm vocem, tertio fm vocem et SECVNDVM SIGNIFICATVM. Exempla: Omnis canis  latrat: nullus canis latrat. Omnis homo currit, nullum  ronale  currit. Omnis  homo est alal  nullus homo est  alaU Prima identitas non sufficit  ad contrarietatem,  ideo  dicitur  in  definitione, acceptis UNIVOCE, constat aut quod canis est TERMINVS ÆQUIVOCVS; aut sufficit ad contrarietatem virtuale seu  ÆQVIVALENTE sed  no  ad  formalem; vero sufficit ad contratietate  proprie dicta et formale [CF. H. P. GRICE, DICTIVE MEANING AND FORMAILITY – as candidates for EXPLICITVM – why not both, as in J.?], unde licet iftx duæ, “Omnis homo currit, nullu rationale currit, sint  cotrariæ virtualiter eo q SECVNDVM SIGNIFICATVM homo et rationale fune idem non tamen forma\itct, qm formaliter non participat E ii utroqj termino secundum vocem et SECVNDVM SIGNIFICATM. III  dicitur aeque ample &aeque ftrufie acceptis. Dcfe du huius apud multos istae dux non sunt contrarie. Omnis homo est animal, nullus homo est animal, quoniam in prima potest teneri tam pro masculis quam pro femminis; in secunda SOLVM PRO MASCVLIS. Tu tn adverte,  quod secundum usum i utracp accipi confucuit pro MASCVLIS  ideo  acceptantur: ut ue rz contrariZj Item defedu huius istæ dux non sunt contrariæ. Omnis homo EST albus, Nullus homo FVIT albus, quia in prima reftringitur  ad præsentes, in secunda autem ampliatur ad przfentcs vel  præreritos. Sed pronunc fuftinc, donec pertrademus de AMPLIAZIONI et APPELLAZIONI. Tu tn adverte, quod prxdldx non sunt contrariæ non solum ronc di da, sed quia copula non tenetur eodem modo in prima set secunda. Nam in prima est ly est, in  secunda  est  ly FVIT. Unde in  definitione  intelligendum est q' contrarix  debent  c(Te  de  ctfdem subicdis  et prædicatis  et copulis. Hoc  de  contrariis  dida  fint. Oppositio contradictoria est inter eas, quarum  una cft  viis affirmatiua, altera  particularis negativa, ut  Omnis homo est animal, Quidam homo non est  animal, uei altera est vfis negatiua, et altera particularis affirmatiua, ut Nullus homo currit, Quidam homo currit, dccifdcm subicdis  et pdicatis et copulis, uniuocc  et zque  ample, et xque  ftride acceptis. Omnia debent intclligi sicut expofitum  est  de  contrariis. Ut  autem  habeas  maiorem  noticiamdc contradidione  adverte  ex  doctrina LIZIO, quatuor condidioncs requirit, et defedu cuiullibct carum enitatur contradictoria oppositio. Prima est quod sit affirmatio eiufdem de eodem et negatio, dummodo sumatur idem secundum rem et vocem, ut “Socrates currit”, “Socrates non currit”. Defedu cuius ista apud logicu non sunt contradictoria formaliter sed virtualiter sive equipollenter tantum ex parte rei. “CICERONE currit”, “MARCO non currit”, posito enim quod sint sinonima ex parte significati quia ide homo didus est MARCO et CICERONE, tame distinguuntur voce icas isb ffffi futc: ctu  OOP   uiJ'   ipl   lo  Taa   jnci  u$  yra (Tei. t& il* ra^ jsi» iC30  is. io»  srt-   t& itio, Sa ? t V V^lArii*  Jj; ii .I' d appdlationibus J IX de consequentiis. X de probationibus terminorum. Vndeamus de syllogismo demonstrativo, in quo quo continetur LIZIO docrina in lib. poster. Qjia E Gmma recenti hac nostra editione uiligentissime, exposita fiint, atque elaborate, Grice: “For all their subtleties I lizii, or peripatetic logicians never cared about formulation. Consider G.: the dog barks, anger is represented, ‘canis latrat raepresentatur ira, gemitus infirums raepresentatur dolor. No care is taken to represent the proper signification. It is still the ‘anima’ if the vegetative one, it is still the dog’s spirit. If the dog barks, he means that he is angry. If the infirm moans he means he is in pain, and so on.” Grice: “Javelli is one of the most careful Italian philosophers. He had a fascination for two little tracts by Aristotle towards which I also felt an attraction: De Interpretatione and Categories. His comments on De Interpretatione are brilliant in that he reduces all to ‘re-presentare’. The infirmus who groans or moans represents ‘dolor’. The dog that barks represents ‘anger’. These are ‘signs’ of the natural kind – and rather than dark clouds meaning rain he is into ‘phone’ – vox – here it is vox signifying that p or q naturaliter. (my example of groaning of pain). From there he jumps to the institutional meaning, ad placitum, ex decreto et authoritate – e consuetudine, -- a system which superseds the previous one. Giovanni Crisostomo Javelli. Iavelli. Giavelli. Javelli. Keywords: implicatura, grammatica razionale, psicologia razionale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giavelli” – The Swimming-Pool Library. Giavelli.

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