Grice e Guicciardini: la ragione della conversazione
e la ragion di stato – la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale dele cose dello stato – filosofia toscana – filosofia
fiorentina – la scuola di Firenze -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Guicciardini. Grice: “Guicciardini is what I
call an Italian classic; some like Machiavelli, as Austin used to say, “but
Guicciardini is MY Renaissance man!” – Grice: “There are various topics of
interest: the italian of Machiavelli and Guicciardini in the development of a
philosophical political lexicon; there’s the trope of the centaur –‘all’ombra
del centauro.’ – Pure political philosophy of the type enjoyed by members of
the Debating Union at Oxford!” Terzogenito dei Guicciardini, famiglia tra le più
fedeli al governo mediceo. Dopo una prima formazione umanistica in ambito
familiare dedicata alla lettura dei grandi storici dell'antichità (Senofonte, Tucidide,
Livio, Tacito), studia a Firenze seguendo le lezioni di Pepi. Soggiornò a
Ferrara per poi trasferirsi a Padova per seguire le lezioni di docenti di
maggior importanza. Rientrato a Firenze, esercita l'incarico di istituzioni di
diritto civile. Nominato capitane dello Spedale del Ceppo. Inizia la stesura
delle Storie fiorentine e dei Ricordi. Dieci anni prima si chiudono quelle
Cronache forlivesi di Leone Cobelli che espongono le premesse degli avvenimenti
riguardanti Caterina Sforza e Cesare Borgia di cui G. si occupa, nelle sue
Storie, per i notevoli riflessi che hanno sulla politica fiorentina. In
occasione della guerra contro Pisa, venne chiamato a pratica dalla signoria,
ottenendo l'avvocatura del capitolo di Santa Liberata. Questi progressi
portarono G. anche ad una rapida ascesa nella politica, ricevendo dalla
Repubblica Fiorentina l'incarico di ambasciatore presso Ferdinando il
Cattolico. Da questa sua esperienza nell'attività diplomatica nacque la
Relazione, e anche il "Discorso di Logrogno", un'opera di teoria
politica in cui G. sostiene una riforma in senso aristocratico della Repubblica
fiorentina. Fece parte degli Otto di Guardia e Balia ed entra a far parte
della signoria, divenendo, grazie ai suoi servigi resi ai Medici, avvocato
concistoriale e governatore di Modena, con la salita al soglio pontificio di
Giovanni de' Medici, col nome di Leone X. Il suo ruolo di primo piano nella
politica emiliano-romagnola si rinforza con la nomina a governatore di Reggio
Emilia e di Parma. Nominato commissario
generale dell'esercito pontificio, alleato di Carlo V contro i francesi,
matura quell'esperienza che sarebbe stata cruciale nella redazione dei suoi
Ricordi e della Storia d'Italia. Alla morte di Leone X, si trova a
contrastare l'assedio di Parma, argomento trattato nella Relazione della difesa
di Parma. Dopo l'assunzione al papato di Giulio de' Medici, col nome di
Clemente VII, venne inviato a governare la Romagna, una terra agitata dalle
lotte tra le famiglie più potenti. Diede ampio sfoggio delle sue notevoli
abilità diplomatiche. Per contrastare lo strapotere di Carlo V, propaganda
un'alleanza fra gli stati regionali allora presenti in Italia e la Francia, in
modo da salvaguardare in un certo qual modo l'indipendenza della penisola.
L'accordo fu sottoscritto a Cognac, ma si rivelò ben presto fallimentare; di
questo periodo è il Dialogo del reggimento di Firenze, in cui si ripropone il
modello della repubblica aristocratica. La Lega subì una cocente disfatta e
Roma fu messa al sacco dai Lanzichenecchi, mentre a Firenze veniva instaurata la
repubblica. Coinvolto in queste vicissitudini, e visto con diffidenza dai
repubblicani per i suoi trascorsi medicei, si ritira nella villa G. di
Finocchieto, nei pressi di Firenze. Qui compose due orazioni, l'Oratio
accusatoria e la defensoria, ed una Lettera Consolatoria, che segue il modello
dell'oratio ficta, nella quale espose le accuse imputabili alla sua condotta
con le adeguate confutazioni, e finse di ricevere consolazioni da un amico. Scrisse
le Considerazioni intorno ai "Discorsi" del Machiavelli "sopra
la prima deca di Livio", in cui accese una polemica nei confronti della
mentalità pessimistica dell'illustre concittadino. Completa anche la redazione
definitiva dei Ricordi. Lasce Firenze e ritorna a Roma, per rimettersi di
nuovo al servizio di Clemente VII, che gli offrì l'incarico di diplomatico a
Bologna. Dopo il rientro dei Medici a Firenze, fu accolto alla corte medicea
come consigliere del duca Alessandro e scrisse i Discorsi del modo di riformare
lo stato dopo la caduta della Repubblica e di assicurarlo al duca Alessandro. Non
fu tenuto tuttavia in altrettanta considerazione dal successore di Alessandro,
Cosimo I, che lo lascia in disparte. Si ritira nella sua villa Guicciardini di
Santa Margherita in Montici ad Arcetri. Rriordina i Ricordi politici e civili,
raccolse i suoi Discorsi politici e scrisse la “Storia d'Italia. Morì ad
Arcetri, quando da circa due anni si era ormai ritirato a vita privata. Guicciardini
è noto soprattutto per la Storia d'Italia, vasto e dettagliato affresco delle
vicende italiane tra l’anno della discesa in italia del Re francese Carlo VIII e
il anno della morte di Papa Clemente VII. -- è un monumento al ceto italiano e
più specificamente alla scuola fiorentina di filosofi di cui fecero parte anche
Machiavelli, Segni, Pitti, Nardi, Varchi, Vettori e Giannotti. L'opera
districa la rete attorcigliata della politica degli stati italiani del
Rinascimento con pazienza ed intuito. L'autore volutamente si pone come
spettatore imparziale, come critico freddo e curioso, raggiungendo risultati
eccellenti come analista e filosofo (anche se più debole è la comprensione
delle forze in gioco nel più vasto quadro europeo). G. è l'uomo dei
programmi che mutano "per la varietà delle circunstanze" per cui al
saggio è richiesta la discrezione (Ricordi), ovvero la capacità di percepire
"con buono e perspicace occhio" tutti gli elementi da cui si
determina la varietà delle circostanze. La realtà non è quindi costituita da
leggi universali immutabili come per Machiavelli. Altro concetto saliente del
pensiero guicciardiniano è il particulare (Ricordi) a cui si deve attenere il
saggio, cioè il proprio interesse inteso nel suo significato più nobile come
realizzazione piena della propria intelligenza e della propria capacità di
agire a favore di se stesso e dello stato. In altre parole, il particulare non
va inteso ego-isticamente, come un invito a prendere in considerazione
solamente l'interesse personale, ma come un invito a considerare
pragmaticamente quanto ognuno può effettivamente realizzare nella specifica
situazione in cui si trova (dottrina che collima con quello di Machiavelli).
In netta polemica, Pitti scrisse l'opuscolo Apologia dei Cappucci, a difesa della
fazione dei democratici. E considerato il progenitore della storiografia
moderna, per il suo pionieristico impiego di documenti ufficiali a fini di
verifica della sua Storia d'Italia. La reputazione di G. poggia sulla
Storia d'Italia e su alcuni estratti dai suoi aforismi. I suoi discendenti aprirono
gli archivi di famiglia e diedero incarico a Canestrini di pubblicare le sue
memorie. Furono pubblicati i suoi Carteggi, che contribuirono ad
un'accurata conoscenza della sua personalità. «L’angolo di prospettiva
dal quale si prese a considerare, nella prima metà del secolo XVII,
l’opera guicciardiniana, la posizione di questa nel giudizio dei lettori
secenteschi, sono bene indicati da uno spirito acuto dell’epoca, A. G. Brignole
Sale. “Quindi non per altro, a mio giudizio, porta pregio G. sopra il Giovio,
sol che questi, qual pittor gentile, de’ soggetti ch’egli ha per le mani
colorisce agli occhi altrui con vivacissimi ritratti, senza inviscerarsi, la
superficie, quegli per contrario, qual esperto notomista, trascurando anzi
dilacerando la vaghezza della pelle, vien con l’acutezza della sua sagacità
fino a mostrarci il cuore e il cervello de’ famosi personaggi ben penetrato.” All’affiatamento
con lo spirito dell’opera guicciardiniana si accompagnò, sul piano letterario,
una migliore intelligenza del suo stile, di cui si cominciò ad ammirare,
superando le pedanti riserve linguistiche, la scorrevolezza, l’intima misura e
precisione pur nel tono sostenuto. Tuttavia, proprio dal più accreditato
esponente letterario del tacitismo, Boccalini, fu formulato un giudizio tra i
meno benevoli alla Storia.» Il giudizio di Francesco De Sanctis
Copertina di un'antica edizione della Storia d'Italia Sanctis non ebbe simpatia
per G. ed infatti non nascose di apprezzare maggiormente Machiavelli. Nella sua
Storia della letteratura italiana il critico irpino mise in evidenza come G.
fosse, sì, in linea con le aspirazioni di Machiavelli, ma se il secondo agì in
linea con i suoi ideali, il primo invece "non metterebbe un dito a realizzarli".
De Sanctis affirma:“Il dio del G. è il suo particolare.” “Ed è un dio non meno
assorbente che il Dio degli ascetici, o lo stato del Machiavelli.” “Tutti gli
ideali scompaiono.” “Ogni vincolo religioso, morale, politico, che tiene
insieme un popolo, è spezzato.” “Non rimane sulla scena del mondo che l'INDIVIDUO.”
“Ciascuno per sé, verso e contro tutti.” “Questo non è più corruzione, contro
la quale si gridi: è saviezza, è dottrina predicata e inculcata, è l'arte della
vita”. E poco più in basso aggiunse. “Questa base intellettuale è quella
medesima del Machiavelli, l'esperienza e l'osservazione, il fatto e lo
«speculare» o l'osservare. Né altro è il sistema. G. nega tutto quello che il
Machiavelli nega, e in forma anche più recisa, e ammette quello che è più
logico e più conseguente. Poiché la base è il mondo com'è, crede un'illusione a
volerlo riformare, e volergli dare le gambe di cavallo, quando esso le ha di
asino, e lo piglia com'è e vi si acconcia, e ne fa la sua regola e il suo
istrumento". Nel Romanticismo, la mancanza di evidenti passioni per
l'oggetto dell'opera era infatti vista come un grave difetto, nei confronti sia
del lettore che dell'arte letteraria. A ciò si aggiunga che G. vale più come
analista e filosofo che come scrittore. Lo stile è infatti prolisso, preciso a
prezzo di circonlocuzioni e di perdita del senso generale della narrazione.
"Qualsiasi oggetto egli tocchi, giace già cadavere sul tavolo delle
autopsie". Altre opera: Scritti autobiografici e rari (Laterza), Storie
fiorentine; Discorso di Logrogno, Considerazioni sui Discorsi del Machiavelli, Ricordi
politici e civili Dialogo del Reggimento di Firenze, Storia d'Italia, Scritti sopra
la politica di Clemente VII dopo la battaglia di Pavia (Firenze, Olschki); Le
cose fiorentine, R. Ridolfi, Firenze, Olschki, Carteggi, presso Zanichelli, Bologna; presso Istituto per gli studi di politica, Firenze;
presso Istituto storico italiano, Roma; presso G. Ricci, Roma. "Donna di
grandissimo animo e molto virile", secondo G. (Storie fiorentine). N. Sapegno,
Compendio di storia della letteratura italiana, La Nuova Italia, Firenze, A. G.
BRIGNOLE-SALE, Tacito abburatato, Genova, «Or chi non vedescriveva il
Tassoniche questo è uno stil maestoso e nobile, quale appunto conviensi alla
grandezza delle cose proposte e alla prudenza politica dell’Istorico che le
tratta? e che non ostante i periodi sien tutti numerosi e sostenuti, per esser
ben collocate le parole fra loro, e però l’ordine, e ’l senso facile e piano in
maniera che ’l lettore non trova scabrosità né intoppi, come nello stil di Villani,
che va saltellando e intoppando a ogni passo etc. A. TASSONI, Pensieri diversi,
Venezia, Il legame del pensiero politico
tassoniano con quello di G. (incluso, a differenza del Machiavelli, tra gli
storici della «prima schiera» con Comines e Giovio, ossia considerato pari agli
antichi; v. Pensieri) e del Machiavelli è noto: i due fiorentini, come dice il
Fassò, furono «i due poli» a cui si volse la sua riflessione politica.
(Introduz. a TASSONI, Opere, Milano-Roma, T. BOCCALINI, Ragguagli di Parnaso e Pietra
del paragone politico, I, Bari, Binni, I
classici italiani nella storia della critica: Da Dante al Marino, Nuova Italia,
Testi Dialogo e discorsi del reggimento di Firenze” (Bari, Laterza); “Historia
di Italia, Pisa, Capurro; Historia di Italia. Libri (Venezia, Angelieri): Scritti
autobiografici e rari” (Bari, Laterza); “Scritti politici” (Bari, Laterza); “Storia
d'Italia” (Bari, Laterza); “Storie fiorentine” (Bari, Laterza); Studi R.
Ridolfi, 'Vita', Milano, Rusconi Treves, Il realismo politico, Firenze, R.
Ramat, “La tragedia d'Italia” Firenze, V. De Caprariis, G. Dalla politica alla
storia, Napoli, (ristampa Bologna, G. Sasso, Per G. Quattro studi, Roma, E.
Cutinelli-Rèndina, G., Roma, Famiglia G.. Treccani Enciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana,. Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Propositioni, overo Considerationi in
materia di cose di Stato, sotto titolo di Avvertimenti, Avvedimenti Civili, et Concetti
Politici di G., Lottini, Sansovini, Venezia, Presso Altobello Salicato, Opere illustrate
da Canestrini, Firenze, Barbera, Bianchi e Comp., (Bari, Gius. Laterza); biblioteca
italiana. Il principe, che colmezo del suo Ambasciatore vuole ingannar Paltro, deue
prima ingannar l'Ambasciatore, perche opera, en parla con maggior efficaccia, credendo
che cosi sia la mente del fuo Principei, lche non farebbese credesse essere simulatione,
eg il medesimo ricordousi ogn'uno, che permezo d'altrivuoleper Juaderea un'altro
il falso. DAL fareò non fare una cosa che paiaminima, depende ben spejlo momento
di cose importantissime, o però nelle cosepiccole deue fieffere auuertito, ceonsiderato.
FÁCIL cosa è guastarsi un bel'esere dificile al racquistarlo, però chi si truong
in buon grado deue fareogni sforzo di non lasciar selovscirdimano. E' Pazzia sdegnarsi
con quelle persone con le quali per la grandezza loro, tu non puoi sperare di poter
uendicarti, però se bena pare essere ingiuriato da questi, bisogna patire, e simulare
NELLE cose di guerra nasconoda un'hora à vn'altra infinite varietà, però non
fide uepigliare troppo animo dele nuoue prospere, nè uiltà delle auuerse, perche
speso nasce qualche mutatione, ma questo deue insegnare, che a chi se li presenta
l'occasione non la perda, perche dura poco. COME il fine de mercanti è il piu delle
volte il fallire; quello de nauiganti il fom mergere, cofi spesso di chi lungamente
gouerna il fine è capitar male QYESTI ricordi son REGOLE, che in qualche caso particolare
che ha diversa LE cose che sono uniuerfalmente
desiderate, rare uolte riescono, la ragione è cheli pochi sono quelli che communemente
danno il motto alle cose, e a li fini, di che sono contrarij al jaigli appetitidi
molti TVTTE le sicurtà che si possono hauere del'inimico son buone, di fede, di
amici, di promesse, ed'altre assicurationi, ma per la mala conditione degli huomini,
e variatione de tempi nissuna altraè migliore, et piu ferma, che accommodarsi in
modo, chel'inimico non habbia poteftà d'offenderti. Nessuna cosa deve desiderare
piu l'huomo in questo modo, nè attribuirlo piu a fua felicità, che uedere l'inimico
fuo prostrato in terrae ridotto a termini tali, che tu l ' habbia a discretione.
Ma quanto è felice a chi accade questo, tanto deve farsi glorioso conl'ofarla laudabilmente,
cioè esser clemente a perdonare, cofa propria degli animi generofi, et eccellenti:
ragione, ragione, hanna eccettione, ma quali fiano quei casi particolari,
si pofono male insegnare altrimenti, chceon la difcrettione. diuèdicarsi dite, non
lo faccia precipitosamente, anzi aspetti il tempo e l'occasione, la quale senza
dubbio liuerrà di forte, che senzas coprirsi maligno, o appasionato, potrà sodisfareal
fuo desiderio. Chi ha da gouernare Città, opopolieli vogliatenercoreti, Sappia che
ordina riamente basta punire i delinquenti aföldiquindici per lira, ma è necessario
punirli tutti, che in effetto si acustigato ogni delitto, ma si può ben far
qualche misericordia, eccetto delli casi atroci, che bisogna dar essempio. Il
ricordo di sopra, bisogna usarlo in modo chel'acquistarno medinoneser bene.
fattore, nonfaccia, chegl'huomini fugghino, et a questo si prouedefacilmente, con
beneficiar n feuor della REGOLA qualch’ono, perche naturalmente ha tanta si g
noria negl’huomini LA SPERANZA che piuti valerà presso agl’altri, et piu essempio
favno che tu haba bia beneficiato, che cento che non habbino datehauutor emuneratione.
S. Auuertimenti di ingengnate vi di non venire in mal concetto appresso di chi è
superiore nella patria vostra, ne uifidate del buon gouerno del uiuer nostro, che
sia tale, che non pensiate d'hauerglia capitar nelle mani; per che nascono infiniti,
e non pensati casi di hauer bisogno di lui, è conuerso il Superiore se ha voglia
di punire. Tutti gli huomini sono buoni, cioe doue non cauano piacere o utilità
del male, piace piu loro il ben che il male: ma sono varie le corruttele del
mondo e fragilità loro; et spesso perl'interesse proprio inclinano al male. Però
da faui Legislatorifie per fondamento delle Republiche trovato il premio e la pena,
non per violentare gli huomini, ma per che seguiti ng l’inclinatione naturale. Piu
tengono a memoria gl'huomini l'ingiuria, che i beneficij riceuuti, anzi quando pure
si ricordano dei benefici, lo fanno nell’imagine sua minore, che non furiputun
dosimeritar piu che non meritano. Il contrario si fa dell'ingiuria, che duolead
ogniuno E 'laudato appresso gl'antichi,& è verissimo prouerbio: Magistratus
virumostédit, perche con questo paragone non solo si conosce per il peso che siba,
sel'huomo è d'assai o da poco, ma per lapoteftà, e licenza si scuoprono le affettioni
dell'animo, cioè di che natural'huomo fia, perche quanto altrui è piu grande tanto
manco freno, e rispetto ha ala sciarsi guidare da quel chegl'è naturale. SE li Scrittori
fufero discreti, o gratisarebbe honesto, e debito, che li padroni li beneficiassero
quanto potesero, ma perche sono il piu delle volte d'altr anatura, e quando
fono pieni, o li lasciano, ò li straccano, però è piu vtile andare con loro con
la mano stretta, e trattenendoli con SPERANZA, darloro di effetti tanto che bastia
fare che non si di Sperino. piu, che ragione nol mente non doveria dolere, però
douegl'altri termini. forpara guardate uidi far quelli piaceri, che di necessità
fanno ad un altro dispiacere vguale, perche per la ragione detta di sopra, si perde
in grosso, piu chen on si guadagna., perche per esperienza si vede che gli huomini
non son grati, però nel fare i calcoli tuoi, òneldi segnar disponer degli huomini
fa maggior fondamento in chi ne consegue vtilità, che in chi s’ha da muouer folo
per rimunerarti, perche in effetto i beneficij si dimenticano. che procede da
bron’animo, fi vede, che pur tal volta è remunerato qualche beneficio, e anche spesso
di forte, che ne paga molti, et è credibile che aquella potestà ch'èso pragli buomini
piaccino l'ationinobili, e però non consenta che sia no senza frutto: Ingegnate
vid’hauere degli amici, perche son buoni in tempi, luo ghie casi, che voi non pensarete,
e questo ricordo ben che vulgato, non lo può considerare profondamente quanto vaglia,
achinon è accaduto in qualche fua importanza fen tirne l'esperienza: PIACE
vniuersalmente, chi è dinatara vera e liberă, et è cosa generosa, ma talvolta nuoce.
Ma dall'altro canto, la simulatione è vtile,ma'è odiata, G hadelbrut the è necessaria
per le male nature de glialtri, però non sò quale si debba eleggere, Credo però,
che si possa vsare l'onaordinariamente, senza abbandonarl'altra, cioè nel
corsotuo ordinario comume vjarla prima in modo, che acquisti no medi persona libera,
non dimeno in certi casi importanti potrai sare la simulatione, la quale à chi vi
ue così è tanto piu vtile, e si crede meglio quanto per bauernome del contrario,
tiè facilmente creduto E INCREDIBILE quanto giouia chi ha amministratione, che le
cose sue fieno segrete, perche non solo i disegni suo qiuando sifanno, possono eser
prenenuti, e interrotti, ma ancora l'ignorare i suoi pensieri, fa che gl'huomini
fanno sempre attoniti. Piu fondamento potete fare invnoc'habbia bisogno divoi, oc'habbia
in qua! Che caso l'interese commune che in vnoc'habbia riceuuto daboi beneficio.
Ho posto i ricordi di sopra, perche sappiate viuere, e riconosciate quelche le cose
possono, non accio che viritiriate dal beneficiare, perche oltreche è cosa generosa,
en PER Le cagioni di sopra, non laudo chi viue sempre con simulatione, et con arte,
mascufo benechi qualche voltal'vja. $1A
certo che se tu desideri, che non si sappia che hai fatto, ò tentato qualche cosa,
che è sempre a proposito il negarla. Perche ancora che il contrario sia quas iscoperto
et publico, tutta uia negandola efficacemente, sebene non lo persuadia chi hai ndi
tij, o crede il contrario, non dimeno per la negatione gagliardasegli mette il ceruello
à partito. A 3 e sospetti, e fofpetti, aoßeruare le sue attioni. Ed'ogni
fuominimo moto, si fannomille commente ti,& interpretationi, il che glidà gran
riputatione, però chi è in tal gradodo uerebbe auezzare i suoi ministri non solo
à tacere le cose che mai sifappino, ma ancor tutte quel le che non è ptilechesi
publichino. Ancora quelli che attribuendo tutto alla prudenza, o virtů, s'ingegnano
escludere la fortunna, o n possono negare, che non si agrandissi ma forte
nascere d quel tempo, o abbattersi a quelle occasioni, che sienoin prezzo quelle
parti,o pirtùinchę tu vali . NON voglio già ritirar quelli che infiammati dall'amore
delta Patriasi metto Ho a pericolo per rimetterla in libertà, e liberarla da
Tiranni; ma dico bene, che chi cerca mutatione distato per suo intereffe non è sauio,
perche è cofa pericolosa, eli vede cõeffettiche pochissimi trattati sono qui che
riescano, e poi quando bene è successo, fide e quasisempre che nella mutatione
tu no conseguisci di gran lunga quel che tu hai disegnato, et in oltre ti oblighià
vno perpetuo trauaglio, perche sempre tu hai da dubitare, non tornino quelli, che
tu hai fcacciatijeti vecidino. Chi pur puo leattendere'atratati,si ricordi, che
nefunacosa lirouinapiucheit desiderio di volerli condurre troppo fieuri, perchéchi
vuolfarperinter ponere manco tē po, implica piu huomini, e mescola piu cose, dalla
qual causa si scopronosempre fimili pratiche. Et anco è da credere che la
fortuna, sotto l'animo di chi son qoueste cose si j de gniconchi vuolliberarsi dalla
potestà fua et asicurarsi, però è piu sécuro volerli esem quire con qualche pericolo,
che controppasicurta. Non disegnates ù quello, che non hauete, nè spendete fuli
guadagni futuri; perche molte volte non fuccedono, eti troui inuiluppato, et si
vede il piu dele volte, che li mercanti groffifalliscono per quefto, quando per
SPERANZA d'vin maggior guadagno futuro, entrano suo cambi; la moltiplicatione de
quali è certa, et ha tempo determinato, ma li guadagni molte volte,o non nengono,
o fiallungano piu che ildia. Osserva I quando ere Ambasciatore in Ispagna appresso
il Re Ferdinan do d'Aragona Principefauio, et glorioso, che egli quando voleua fare
una guerra, impresa nuoua, ò altra cosa d'importanza, non prima lap ublicaua, e
poi la giustificaua, ma per il contrario vsaua arte che innāzi s'intendesse quellocʻbaueuain
animo, er fi diuulgana il Re douerebbe per letali cagionifar questo in modo, che
doppo publicandosi quelche già pareuagiufto ad ogni unoo necesario, è incredibile
con quanta lände erano riceuute le fue deliberationi. Rcon vi affaticatea quelle
mutationi che non parteris con oaltro, she mutarei viside gl’huomini: perche che
beneficio ti recafe quel medesimo male, o dispeto che ti faccia Pietro ti faccia
Giovanni? Jegne, Tegno, di modo, che quella impresa che tu haueni cominciata
come vtile, tiriescedania nofiffima SE hauete falit openfate la bene, e misurate
la bene, tananzi che entriate inprigio ne perche ancorach'il cafo fusse molto dificile
a scoprire, tamen è incredibile, a quante cose pensa il giudice diligente e desideroso
di trovare la verità,& ogni minimo spiras glio è bastante a far uenire
tutto a luce, o fa tiche. Ma quelchela fa forse desiderabile ancora all'anime purgate,
è l'appetito che s'had'essere fuperiore agl'altrihuomini, il che è certo. cafa bella
et beata, attesomaffia me ch’innessuna altra cosa ci pesamo assomigliare a Dio
denti subiti de repentini, cosa che agiudiciomio è rarissima pericoli,& mai
la medesima ragione fa, che quanto piul'huomo inuecchia, tanto pingli per fatica
il morire, e sempre piu conleattioni, e con li penfieri viue, comes ejapesenon ha
weremaia morire. SI CREDE, et anco spesso fe uede per esperienza che le ricchezz
emale acquistate, non passano la terza generatione. Sant'Agoftino dice, che Dio
permette, che chi l'haacquistate goda in rimuneratione di qualche bene, che ha fatto
in vita, ma poi non passano troppo innanzi, perche è giudicio di Dio ordinariamente,
che cosi nada di male larob amale acquistata. Iodiligiàadun Padre, che ameoccor
reua un'altra ragione, perche chi ha acquistata la roba, è communemente
allenato dapouero, l'amascsal'arte di conferuarla, ma i figliuoli che sono nati
et allcuatida ho desiderato come glialtri huomini l'honore et l'otile, et infinquiper
gram tia di Dio è fucceduto sopra il disegno, e nondimeno quando ho conseguito quelche
desiderauo, non uiho ritronato dentro alcuna di quelle cose che mi haueuo imaginato,
ragione, à chi ben la considerasse, che doueri abastare ad eftinguere affai la fete
degli huomini. La grandezza di ftato vniuersalmente è desiderata, per che tuto il
bene ch'èin Jei-apparisce difuori, il male stà dentro occulto, il quale chinedesse
non ebarebbe forse tant anoglia, perche è pienasenza dubbio di pericoli, di sospetto
di mille trauagli. Le cose non prenedute, nuocono senza comaratione pisa, che le
prouifte; però chiama moio animo grande e perito, quelo che regge, e non si sbigotisce
porili Non è dubbio, che quanto piu l'huomo
inuecchia, piu cresce l'auaritia. Si dice communemente esserne causà, perche l'animo
diminuisce, ragione, che amenon è capace, perche è bene ignorante quel uecchio,
che non conosce hauerne minor bisogno, quan ldpiu inuecchia, et inoltre ueggo, che
ne'uecchi s'augmenta per il cotrario la lusuri dico l'apetito e non la forza la
crudeltà, egl'altriuitij però credo, che la ragion ue-: safia, che quanto piu si
uiue, tanto piu l'huom os'habitua alle cose del mondo o per consequente piu l'amaricchi,
A 4 ricchi, non sanno che cosa sij l'acquistar roba, et non hauendo
arte, ò modo di conservarla facilmente la disipano. Non fi può biasimare l'apetito
di hauer figliuoli, perche è naturale: ma dico bene, che è fpecie di felicità non
hauorne, perche etiandio chi gli ha buoni, e saur,' perdita ditenpošle quali
cosesono tenute male neli nostri giudicij, che l’impossibile, chel'huomo se bene
è d'ottimo ingegno, e giudicion a turale posa aggiugnère s& bene intendere certi
particolari, però è necessaria le sperienza, la qual non altro gli insegna, e
questo ricordo lo intenderà meglio, chi ha maneggiato facende assai, perche con
le sperienza medesima ha imparato quantovan glia, e sia buona l'esperienza. Stretto
non toglie à nessuno, pinsono quelli che patiscono del le grauezze del prodigo,
che quelli che hanno beneficio della fica larghezza: La ragione dunque al mio giudicio
è, che neglihuomini puo piu la SPERANZA che il timore, et piu Sono quelli che ferono
coseguire qualche cosa dalui, che qui, che temono essere oppressi. Auuertimenti
di senza dubbi omolto piu dispiacere di loro, che cosolatione. L'esempio l'ho veduto
in mio Padre, che a suoi dì era essempio a Firenze di padre ben dotato di figliuoti,
però pensa secomestia, chi gli ha di mala forte. Piace senza dubbio piu vn Principe
c'habbia de lprodigo, chevnoo’habbia dello stretto, ő tamendo uer ebbe essere il
contrario perche il prodigo è neceßitato fa reestorsioni, Grapine, lo sha
messia sua volontà, et afuo beneplacito, perche la legge non gli ha voluto dar poteftà
di farne gratia, ma non potendo nei casi particolari, per la varietà delle circostanze
darne precisa determinarione,si rimette all'arbitrio del giudice,cioè alla sua conscienza,
che considerato il tutto, faccia quelche glipare piu giusto, et bonefo, et chi altija
menti l'intendesse, s'inganna, perche la forza della legge lo affolue di hauerne
a dar conto, perche non hauendo il caso determinato, si può sempre scusare, ma non
gli dàf a caltàdi far dono della roba d'altri. Si ved per esperienza, che i padroni
tengono poco conto de seruitori, e per ogn si ua commodità, et appetito gli mettono
da parte. Tolaudoque seruitori, che pigliando essempio da padroni, tengono più conto
dele interesi suoi, che di loro, il che però consiglio che si faccia, salvando sempre
l'honore e la fede. Erra chi crede che li casi, che la leggerí mette ad arbitrio
del giudice, fienorin. Non biasimo interamente la giustitia ciuile del Turco, che
è piu tosto precipitosa, che fommaria: perche chi giudica a occhi chi usi ragionevolmente,
spedisce la meta delle cause giustamente, e liberale parti daspese, et spesso farebbe
piu per chi ha ragione ha uere hauuto da prima la sentenza contra, che conseguirla
doppo tanto difpendio, do ti trauagli, senza che à per malignità, o per ignoranza
delli giudici;ó ancora per oflervanza delle leggi si fa del bianconero. L’in deui
offeruare questa opinione, etiamcon qualche tua incommodità, et in questo s'ingannano
spesso gli huomini, perche si muovondo a qualche poco di danno, che apparisce,
et non confiderano quanto siano grandi i beni, che non si veggono, perche i sudditi
non veggono, e non misurano appunto quelche tu puoi fare, anzi imaginando si molte
voltela potestà tua maggiore, che non è, credono a quelle cose che tu non li potresti
costringerė. Sono alcuni huomini saui a sperare quello che desiderano, altri che
ma i lo crea dono, in fin, che non neson obensicuri, et senza dubbio piuv tileè
sperare in simili casi poco, che molto, perche la SPERANZA ti fa mancare di diligenza,
e ti dà piu dispiacere, quando la cosa non succede. Quanto bendisse colui. Ducunt
volente sfatano lentestrahunt, se ne veg gono ogni dìtante esperienze, che a me
non pare, che mai cosa alcuna sia icelj imeglio. Saui, che si devgeodere il
beneficio del tempo. L’intendersi bene con li frateli, e con li parenti, fa infiniti
beni, che tu non conosci, perche non appariscono advi per vno, ma infinite cose
ti profitta, fatti hauere in rispetto, però altrimenti è impossibile che lungamente
sia tenuto buono. Chi non sicura d'essere
buono, ma desidera buona fama, bisogna che sia buono. Fuigid d'opinione dinonvedereetiam
col pensare assai, quelche non vedeuo presto: ma conl'esperienza ho conosciuto esere
falsissimo, però fáteuibefe di chi di ce altrimenti. Quanto piu si pensano le cose,
tanto meglio s'intendono, á si fanno: Quando ti verrà occasione di cosa che tu desideri
pigliala senza perdere tempo, perche le cose del mondo si variano tanto spello,
che non si può dire di hauer cofa alcuña, finche non si a in mano. Et quando ti
è proposta qualchecosa che ti dispiace, cerca il diferirla piu che tu puoi, perche
ogni borasi vede che il tempo porta accidenti, che ti cauano di queste difficoltà,
e così s’ha da intendere quel prouerbio, che dicono i ILTIRANNO faestrema diligenza
di scoprire l'anitzetio, ciodseti con tentidel tuostato, consider agliandamenti
Ünnodituoi, concetičare dritesdiertocat chi chi ha autorità, et signoria puo fpingersi,
et flenderla ancora sopra le forze sue. Se tu vuoi conoscere quali fieno i pensieri
de Tiranni, legi CORNELIO TACITO (si veda), quan do fa mentione degloltimi ragionamenti
c'hebbe OTTAVIANO con TIBERIO. Il medesimo CORNELIO TACITO achibenlo considera,
insegnaper eccellenza come s'ha da gouernarechi vine sotto a un tiranno. Thì
CONVERSA teco, e con ragionarte co di varie cofe, et ponerti domandarti
partiti, et parere, però se non vuoi che t'intenda, bisogna che ti guardi congrandissima
diligenza, da mezzi che egli vsa, non vsartermir: A chi ha conditione nella patria,
efiafotoon tiranno fanguinofo et beftia le, si posjondare poche REGOLE, chseieno
buone, eccettoiltorso l'esilio Ma quando il tiranno, o per prudenza, ò per necessità
del suo stato si gouerna con sospetto, on’huomo ben qualificato deue cercare di
essere tenuto da affai, e animoso, ma di natura quieto, nè cupido d'alteraresenon
è sforzato, perche in tal caso il Tiranno ti accarezza, e cerca dinondarti caufa
di farnouità, il che non fariaseti conoscesse in quieto, perche all’hora pensa in
ogni modo che tu non sia perftarefermo, onde è neceffitato pensare
sempreťoccasione di spegnesti. Secondo il termine di sopra,è meglio non esere de
li piu intimie confidenti del Tiranno, perche non solo ti accarezza, ma in molte
cose, famanco asicurtàte co, che conli suoi, cosìtugodilasua grandezza, et nella
rouina sua diuenti grande, ma di questo ricordo non se ne può valere chi non ha
conditione grande nella sua patria. E differenza dhauereli fudditi disperati, ad
hanerli malcontenti, perche quelinon pensa no mai ad altro, che a mutatione di
stato, e la cercano etiam con suo pericolo, questi sébenenon si contentano, e
desiderano cose nuouteamennoninui tanole occasioni, ma aspettano che da
seuenghino. Non posono gouernare i suditi bene senza le verità, perche la
malignità de gli buomini cerca cosim, asiuvolemescolar destrezza, et fardimostratione,
accioche glihuominicredano,chelacrudeltànon piace,ma che l'usiper necessità,
esalute publica. Si doverij atendere a li efeti non ale dimostrationi, esuperficie,
e non di manco dincredibile quanta gratia, cöfauoveticöcilino
appresoglihuominileca rezze, et lahumanità di parole. l ragione credo che sia,
perche ogni uno sistima, par meritare piu che non uale, e però sisdegna', quandonede,
chetunontieniquel contodilui, che gli pare che se gli conuenga. Avvertimenti di che babbino a dar sospetto,
guardandoco meparli, etiam conlintimi tuoi, e secoragionando, e rispondendo di forte,
chenonti poljacauare, i!che tiriuscirà, seti presupponi sempre que l'obbietto,
che egli quanto puoticirconuieneperscoprirti. E cosa honoreuoleà un'huomonon
prometterese non quello cheuuole offer nare,ma communemente
tuttiquelligachituneghi,á giustamente, restano malfo dif fatti, perche gli huomini
non Jilalano gouernare dalla ragione: Il contrario intra uiénea chi promette, perche
intra uengono molti casi, che fanno che non accade fare l'esperienza di quello,
chetuhaipromello, e cosihaiso disfatto conlamēteyetse pure s'hadauenire al'ato non
mancano Spedoscuse, emoltisonofigrofli, che si lasciano aggirare con parole,
nondimeno è fi brutto mancare alla parola sua, chequestopre pondera ogni
utilità ch esitragga dal contrario, e però l'huomo sideue ingegnaredi
trattenersi quanto puo con risposte
generali, e piene di buona SPERANZA, ma non difor techeti oblighino precisamente.
Perche è paz giafarsi nimico senza proposito, et ueloricordo, perche quafi ogni
unoerrainque fta leggerezza. Chi entrane' pericolisenza confiderarequel
chepossono, oimportino, si chiama bestiale, maanimosoè quello che conoscendo i pericoli
uientra francamente, operne cefftà, o per honoreuol cagione. ranno. mad ti i popoli,
Credono molti, che unfauio, perche uede tuti i pericoli, non possaessere animoso:
io sono di contraria opinione, che non possa essere savio chi non è animoso,
per che manca di giudicio, chi stima a d auuenire il pericolo, piuc he non si
deve, ma per auuentura questopaso, che è confuso, deue si considerare, che non tutti
i pericoli hanno effetto, perche alcuni neschi fal'humo cola diligenza, et industria,
et franchezza sua, altriil caso iftesoet mille accidenti che nascono portano uia,
però chi conoscos pericoli, no li deve mettere tutti ad entrata, e presupponere
che tutti succedano,m a discorrerecon prudenza quelche altruipuò sperare d'aiutarsi,
edoue il caso verisimilmente gli può farfauore, farsianimo, nè ritirarsi dall’impresedirili,
e honoreuoli per paura di tutti i pericoli che conosce esser nel caso. Erra
chidice che le lettere e gli studij guaftano il cervello degli huomini, perche
forseè veroachil' ha debole, ma doueleletteretrouanoil naturale buono, lo fanno
perfetto, perche il buon naturale congiunto coʻl buono accidentale fanno buonif
Jima compositione. Livi E sen a
comparatione piudetestabilein vn principe l'avaritia,cheinun priuato,
non solo perch ehauendopiú facultà da diftribuire, priua gli huomini tanto più:
maetiam perche quello che ha vn priuato è tutto fuo, et per uso fuo, e
nepuòsenze giufta querel ad'alcuno disponere, ma tutto quello che ha il principe,
gli èdatopervalós e beneficio d'altri, et per òritenendolo in fe, frauda gli huomini
di quel ch edeueloro. Guardate vI da tutto quello cheuipuonuoceree non giouare,
però in presenza d'altri, non ditemai senza necessità cose, che dispiaccino,
Non furonotrouatii Principipe rfarbeneficioaloro,perchenessunofefareb
bemessoinseruitù grauiffima, ma perinteresedepopoli, perchefuserobenegouernati,
peròcomeonPrincipehapiurispettoafe,cheaipopoli, nonèpiu Principe Dico che il
Principe che famercantia, questononsolofacosavergognosa, ma è Tiranno, facendo
quelloche è oficio de priuati, enonde Principi, et peccatanto verfa Auuertimenti di ipopoli, quanto peccherienoi
popoliversolui, volendointromettersiinquel che è oficio solo del Principe. Le cosedelmondo
sono varie, edipendonodatanticasi, e accidenti, che difficilmente si puo far giudicio
del futuro, et sivedeperesperienza, che quasi sempre le conietture de sanij
sono fallaci, però non laudo il consiglio di quelli che lasciano la commodità
d'onben presente, ben che minore, per paura d'on mal futuro, benche maggiore,
se non è molto propinquo, et moltocerto, peichenon succedendo poispessoquello
dichete meui, titrouipervna pauravanahauerlasciato quello chetipiaceua, et peròèfauio
quelprouerbio. Dicosanascecosa. Nelle cose dello stato ho veduto spessoerrarechi
fa giudicio, perche esamina quello che ragione uolmentedouerebbfear questoe quel
Principe, et no consideraquel loche farà,verbigratiail Re di Francia, perche deue
hauer piu rispeto, qualsialana tura& costumi don Francese, che àquello douerebbe
farciascun Principe, prudente, faggio, e giusto. Ho detto molte volte,
etlodicodinuouo, ch’oningegno capace, et chesappia farecapitaled el tempo, non ha
causa di lamentarsi, chelauitasiabreue, perche può attendereadinfinitecose, e
spendereytilmente il tempo, gli auanza tempo. Non èfaciletrouarequestiricordi, ma
è piu dificileesequirli, perche spesso l'huomoconosce, manonmetteinatto, però volendo
vsarlisforzate la natura,e fate niunbuonhabito, colmezodelquale, nonfolo farete
questi, ma ancoravi verrà fatto senza fatica, tutto quello che vi comanda la ragione.
sottol'Imperio, che Tiberio huomo tiranno, et superbo haueuaesofa
tantadappocagine. SE hauetemala satisfattione d'ono, ingegnateui quantopotete,chenonsen'accor
ga, perche subitofialienaràdavoi, et vengonomoltitempi, e occafioni chevipollo
noferuire, viseruirebbe, secol dimostrare d'haverlo in mal concetto,
nonvelbauesti giocato, e ioconmiavtili tàn 'ho fatto l'esperienza, che inqualchetempoho
hauuto mal animo versod'ono, che non accorgendosenem 'hapožinqualche occasionegiouato,
com'è statoamico. L'AM. Non simarauigliardd ell'animobasoeseruilede molti popoli
chi leggera in CORNELIO TACITO che li ROMANI solitià dominare il mondo et viuere
in tanta gloria, ferui uanosivilmente. Chi vuoletrauagliare, nonsilascicanaredi
possessionedellefacende, perchedal l'onanascel'altra, siperl'aditochedàlaprimacaufaalaseconda,comeperlariputa
tione che tiportailtrouartiin negotio, et peròsipuo. Ancoa questo adattare il prouerbio:
Di cosa nasce cosa. 1 1 e nefas, como ècausad'infinitimali. Però veggiamo cheli
Signori fimilichehannoquestoobiet to, nonhannofreno alcuna, o fannounpiano dellaroba,
et vita degli altri, purche, cosigli conforti il rispetto dela sua grandezza.
similimodi, ha piu lungo trattocheprimanons'haveb becreduto, come ancora intrauieneadvno
che muore d'etico o ditisico, chelasuavi tasempresipro lungaoltra l'opinione che
hanno hauutoimedici, colivnmercăteinan zichefalisca, peresere consumato dagli interesi
fireggepiutēpo, cbenöera creduto. M'e parfasempredificilea credere, che Dio babbiaa
per mettere, chelifigliuoli del Duca Lodovico, habbinoagoder quello stato,
quando ioconsidero, cheilpadresuo l'havfurpatofceleratamente, é
pervfurparloèstato causadellarouina, seruity d'ITALIA editantitraua gli seguiti
in tutta Christianità, a questichelibiasimama no sono pazzi, perche starebbefrescala
Città, cóloro, seiltiranno non hauesseattor noaltrichetristi. L'ambitione
dell'honore, e della gloria è laudabile, et vtilealmondo, perche da caujaa gl’huominidipēsareefarecosegenerose,&ecelse.
Nonècosi quella dela grandezza, perchechilapigliaperidolo, vuolhauerlaperfas,
L'imprese e cose, che hanno da accaderen on per impeto, ma perche prima si consumano,
vannoassai piu in lungo, chenonsicredeuadaprincipio, perchegli
huominisiostinanoapatire, apatiscono, lopportano molto piu, chenonsisarebbe
creduto. Perùveggiamo, ch'unaguerra ches'babbiaa finire per fame, per l'incomodità,
per mancamento didanari, et Favev1beffe di
questi che predicano lalibertà, non dicoditutiman’ec cettuo benpochi, perche ogni
unodiquestitali, chesperasjehauerepiubeneinvnosta tostreto, cheinun libero,
vicorrerebbeperleposte, perchequasituttipostponeran noilrispeto
del'intereseloro, esonpochifimi queli che conoscono quanto vagliala gloria et l'honore.
gottirti, e coltenere il capo franco non tilassar eleuare facilmente. Chi conversa
congrandinonfilafcileuara cavallo da carezzee dimostrationi fuperficiali,
conlequaliefe fanno communementebalzar gli huomini come vogliono, @affogarli nel
fauore. Et quantoquestoè piu dificile adifendersitanto piudeuesbir Non
potetehauermigliorparte, chetenereconto dell'honore, perche chi faque
ftonontemei pericoli, nefamaicosa che sia brutta, perotenetefermo questo capo,
ú faraquasiimpossibile, chetuttononvi succeda.bene, expertusloquor. Dico
cheunbuoncittadino, e amatoredella patria, nonfolodeuetrattenersi
coltirrannopersua sicurtà, perche è in pericolo quando è hauuto insospeto, ma anco
ta per beneficio de la patria, perche gouernandosi cosi, gli viene occasione con
consigli, e conopere di favorire molti buoni, e disfauorire molti mali Lav städod imezzo tu sempre rilieuietuincachisi uoglia.
La natura de popoli è come quella de privati, diuoleresempre augumentare del
gradoinchesitrouano, peròèprudenzanegareloroleprime cose, che domandono, per
che concedendo non lifermi, anzigliinuitiadomandar piu, et con maggior instanza,
che non faceuonoda principio, perche col.darlispessodaberesegli accresce
lasete. Osservate con diligenza le cose de tempi passati, perche fannolumealle
future, cumsitcheilmondofia sempred'unamedesimaforte, e che tutto quello che è,
sarà,èstatoinaltro tempo, perchele medesime coseritornano, mafotodiuerfinomiz e
colori, però ogni uno non le conosce, ma solo chi è sauio, e le considera diligentemente.
SE Oferuate bene, trouate che d'età in età si mutano non solamente i uocaboli, modideluejlire,
eticostumi, maancoraquelcheèpiui gusti el'inclinationi dell'arme, et questa diuersità
si vede etiam in un tempo medesimo dipaeseinpaese, douenonso lo è diuersità
delle inftrutioni, maancorade gusti decibiedegliappetitiuarij degli
huomini. Lamene pericolo dell auittoria,
ma Auuertimenti di i . Laudo chi nelle guerre d'altri staneutrale, chi è potentediforte,
hatalconsi d erationedistato, che non ha da temere il uincitore,
perchefuggeilpericolo, elaspesa, ela Stracchezza, di disordini d'altri possono pararti
qualche buona occasione: fuordi questi termini la neutralità è una pazzia, perch
eattacãdoticonuna delle parti corriso Senza dubbio hamigliortempoinquestomondo,piulungavita,
esipuochia mareinuncertomodo felice, chi èd'ingegno piubasso, che questi intellett
ieleuati, pero chel'ingegnonobile, seruepiutostoa trauaglio, et cruciato diehi l'ha,
nondimeno l’uno participapiu dell'animal brutto che d'huomo, l'altro trascende il
grado dell'huomo, s'accosta piu alle nature celesti. Inanzi a nelqualtempol'ambitione, &cecita
del Duca Ludouico aperse la uia alla rouina d'Italia, erano come
ogn'unosaimodidels la guerra molto diuersi da questiloppugnatione delle città, le
uccisioni, i conflit id'ale traforte, et quasisenzafanguein modo che chihaueuaunostato
difficilmente glipote wa effertolto, dipo ifiridusse, che chi era padrone della
campagna, haueua uinta la guerra, comein un momento, se erano due eserciti in campagna
siueniua in un trattoale la giornata, et era data la sentêza dela guerra, cosi uedemo
senza rompere lancia per dersi il Regno di Napoli, il Ducato di Milano, econla fortuna
d'unsologiocarsi tutto lostato de Venetiani. Hoggi il Signor Profpero primo ha
dimostrato diuerfo modo di guerra, che col mettersi nelle terre hafoggiogato l'impeto
di chi era padrone della camopagna, ma non riuscirebbe bene questo, a chi non
hauesse dispositione de popoli fauor e wole, cornehahauuto egli quella di
Milano contra Francesi. Le medesime impres eche fatte fuordi tempo, Sono štate dificiliseme,
ò impoffibile, 1 quando quando sono accompagnate
daltempoe dall'occasiones ono facilißime, però nonsiuuo letentarle attrimenti,
perche setuletenti fuor del tempo suo, non solononti fuccedono, ma porti pericolo,
checon l'hauerle tentate non leguasti per quel tempo, che facilmente farebbono riuscite,
però sono tenuti sauiji patienti. Non è gran cosa, ch'un gouernatore vsando spesoaffrezza,
ò efetidife uerità, si facciatemere, percheisudditi hanno facilmente paura di chi
li puo sforzare, erouinare, et viene facilmente all'esecutione, ma laudo io
quelli governatori, che con far poche affrezge, et esecutioni, fanno acquistarsi,
et conferuarno medi terribili. Ricordate vi di quello che altre volte ho detto
di questi ricordi scheno s'hanno ad osseruare sempre indistintamente, ma in qualche
caso particolare, che ara gionediuer fanonsono buoni, et quali sieno questi
casi, non sipuocomprendereconrego laalcuna, nesitroua libroche l'insegni, ma è necessario
che questolumetelodia prima la natura, et poil'esperienza cui diseon popolo,
diseveramente un pazzo, perche egli è un moftro pieno di tonfusione; ó
d'errore, perche le sue opinionisonotanto lontan de alla uerità, quanto secondo
Tolomeo, la Spagna dall'India. Come A mio giudicio innesjungrado, ò antoritàsiricercapiu
prudenza, et qualitàec cellente, cheinvn Capitano d'onoesercito, perche sono infinite
quelle cose, a cheproue deré, et comandare sinfiniti accidenti, etcasivarijsche
d'hora in hora se gli presentano, in modo che peramente bisogna che habbia piu occhi
d'Argo, e non soloper l'importanza sua, ma per la prudenza, che li bisognare putoinogni
altro peso niente. E differenzaa desereanimoso, et non fuggire ipericoliper rispeto
del'bonore, Psta noe l'altro conosce i pericoli, ma quello seconfidapoterfenedifendere,
efenonfusseque sta confidēza nõ gliaspetarebe, questo puoeferschetema piu del debito
znè sia faldo, perche non habbia paura, ma perche si risolueavolerpintosto ild ãnocbe
la uergogna. Ho osseruatowe' mieigouerni, che quando mièvenutain anzi vna
causa, cheho hauutoper qualche giusto rispetto desiderio d'accordarla, nonhoparlatod'accordo,
ma folmetterevariedilationi, et ftrachezzehofatto chelemedesime
partilhannoricer cato, cosiquello, che se nel principio io l'haueßi proposto, sariastatoributtato,
s'eridotto intermine, chequando è venuto il tempo suo, io ne sono stato pregato.
Non, che chi tiene gli stati non sia necessitato, metterle mani nel sangue, ma di
cobene che non si de vefarsenzagran neceßità, et che ilpiy delle volte se ne perde,
piuchenonseneacquista, perchenon solo s'offende quellichesonotocchi, ma
ancorasa dispiace all'vniuerfale deglialtri, efebenetuleui quello inimico, o quello
ostacola, non pero se ne spegne il seme, cumsits che in luogo di quello sott'entrano
degli altri, et fpeffo intrauiene, come si dice dell'hidra; che per ognuno jnenafcesette.
Non possoio, ne sofarmibello, ne darmi riputatione diquelle cose, che inperin
tànonsono cosi, et tamenfariapiuvtile fare il contrario, perche è incredibile quanto
giouila riputatione, e opinioneche hanno gli huomini, che tu siagrande. Con questoru
mor esolo ti corrono dietro, senza che tun'habbiavenireacimento. che
ilpadrone,eproportionatamenteil superiore li sudditi, perche non si presenta ianzialuitali
quali si presentano agl'altri, anzi cercano coprirsialui, et parered'altra forte
che inveronon sono, e pericoli, qual forte habbia piu ad esiderare una città,
òdicadere nel gouernod'vno, òdimolti, odipochi. perch e d'hora in hora nascono
occasioni, che egli commette a chi vede, ò a chi gli è piu e propinquo, che
seti hauesse a cercare ò aspettarenonti si commetterebbe, e chi perde vn principio
benche piccolo, per despesso l'introduttione, e aditaarose grandi. Fawpus ēruitori
che fanno il medesimo versoi padroni, non facendo peracosa che sia contra l afede,
l'honore. Auvertimenti di Com Ecolui c'haagiutato, òeftata caufa, che unosalgainun
grado, louuolgouer nareinquelgrado, giàcominciaa cancellare il beneficio, che gliha
fato, volendo usarper se, quelche prima ha operato, che sia di quell'altro, eglihagiusta
causa di non comportarlo, ne pe rquesto merita eserechiamato ingrato. Ron
s'atribuisca a laudedifa, ò chi non fa quelle cose, lequalife potefse, ofa
cesje meriteriabiasimo. Dice il prouerbio Castigliano, il filsirompedallatopiudebole,
sempreche pensi venire in concorrenza è compa ratione di chi è piu potente o
rispettato, piu succumbe il piudebole, nonostante, che la ragione è l'honestà, ò
la gratitudine volesse il contrario, perche communemente; s'ha piu rispeto al'interese,
che al debito: Niuno conosce peggio liferuitorisuoi ve lo dico di nuouo, li padroni fanno poco conto
de seruitori, et per ogni interesse listrascinano senza rispeto, perosono. Tu
chéstai in cortë, et seguition grande, e desideriessereado per atodaluiinfa
cende, ingegnati di Starli tutta niadinanzia gl'occhi, pome Concordano tutiefere
megliore lo stato d'vno quando è buono, ibedi pochiedimolti,o buoni, e le ragioni
sono manifeste, cosi concludono, che quellod'ono piu facilmente di buono diuenta
cattiuo, chegl'altri, et quando è cattivo è peggiore di tutti, tanto piu quando
vaperfiu è ceffione, percherade volte ad un padre buono fa uio, succedeun figliuolo
simile. Pero vorrei che questi politici m'haueJero dichiarato, considerate tute
queste conditioni Chi si conosce hauere buonaforte, puotentarl'imprese con maggior
animo, ma è da auuertire che la forte non solo pko essere varia di tempo in
tempo, ma anco in un tempo medesimo puoelervaria nellecose, perche chiosseruauedr
à per esperienza, mol tiessere fortuna tiinunaspeciedicoje, et in un'altra essere
sfortunati, et io in mio parricolare ho hauutoin fino a questo dàtre di.in molte
cose bonißima forte, tamen non Pho simile nelle mercantie, one glihonori, cheiocerco
d'havere, perche noncercandolimicorrono naturalmente dietro,ma come cominciò a
cercarli, pare chesidiscostino. Le cose del mondo non stānoferme, anzi hanno sempre
progresso al camino, àche ragione uolmente per fua naturahannodaandare, e
finire, ma tardanospeso piache il credere nostro perche non le misuriamo secondo
la vita nostra, che è breue, e non secondo il tempo suo, cheèlungo, et però ipaffifuoifono
piu tardi, che non sonoino fri,& fitærdipersua natura, cheancorachefimoui non
onci accorgiamo spesode fuoi moti, e per questo sono fpefjofalsii giudicij, chenoi
facciamo, Ron sosesideuono chiamare: fortunatiquelli, a chi vnavoltasipresentavna
grande occasione, perchechino nè prudente, non lafa bene vsare, masenzadubbiofo
no fortuna tiffimi quelli, aqualivna medesima grande occasione sipresentadue uol
te, perche non è buomo cosi dappoco, che la seconda volta non la sappia vsare,
cosi in questocasosecondos' hadahauere tutta l'obligatione conla fortuna, done nel
primo ha luogo ancora la prudenza, che uiuonoinlibertà, ma queli, nei qualiera
meglio prouifto alla conferuatione delle leggi e della giuftitia.
fannoinuentione diquel löche s'aspeta, òsicrede, e piuorecchivi preftosefononuoue
strauaganti, o'inaspettate, perche mancooccorre agli buomini fare inuentioni, ò
persuadersi quello chenon è in alcuna consideratione, e di questo ho veduto io molte
uolte l'esperienza. Gruan forte è quelladegli astrologi, che ancora, che la loro
profeffione fiava Non ha maggiore inimico
l'huomo, che fe fteso, perche quasi tutii mali, pericoli, et trauagli superflui,
che ha non procedono da altro, che dalla sua troppa cupiditate. L’appetito della robanasceda animo balo, o malcomposto, fenonside.
fiderasseperaltro, che per poterlagodere, ma essendocorrottoilviuere delmondo, co
me èchidefidera riputatione, è neceßitato à desiderareroba, perche.coneffarilucono
Levirti,cfono inprezzo lequaliinunpouerosono pocoftimate, et mã coconosciute. La libertà delle republiche è ministra della giustitia,
perche non è fondataa dal trofine, se non per difensione, chel'onononsiao presso
dal'altro, però chi potesse efsore sicuro, che in uno stato d'unoòdipochis'ofjeruaje
la giustitia, non harebbetau fa di desiderare la libertà. Questa è la ragione, che
gli antichisauij, e FILOSOFI non laudornopiu degli altrique'gouerni Quando
lenuoue s'hanno d'Autore incerto, et fieno nuoue verisimili, d aspettate, io li
presto poca fede, perche gli huomini facilmente; nito, Auuertimenti di mità, ò perdiffettodell'arte,
ofuo,tamenpiufedeglidàvna verità, chepronostica no, checento falsità, é tamenne
gli huominiintrauiene il contrario, cheunabugia, chse a reprobata da vno, a, che s i s tàsospeso a crederli tutte
l'altre verità, et procede daldesiderio grande c'hanno gl ibuomini di sapere il
futuro, diche non hauendo altro modo dihauerecertezza; credonofacilmente, a chi
fa professione di saperlolor dire, comeall'infermoilmedico, che li promette la salute,
ò dalla uoluntàdiquelli, chedominano, perche non han uendesia cūbattere con ragioni
immutabili, ocon giudicijstabili, nasconoogni dimille cafi, che facilmente tisolleuanoda
chi puo pretendere di leuartidiposeso. scarso, perche nessuna cosaof fende più l'animo
d’un fuperiore che il parergliche non lisiahauuto quel rispet oeri uerenza, che
giudica conuenirseli. Ë ogni cosa per non trouarui done si perde, perche ancora,
chenonuisia colpa isoftra, ne hauete sõprecarico, nè si puo andareatuttele piazze
getbanchiagiu Stificarsi, come chi si troua doue fi vince, siporta sempre laudeetia
Jenza suo merito. fa nellecosepriuate, trouarsi in poffeffione antica, chele
ragioni non fi mutano, imodidegiuditye di consignareil suo fono ordinarü, et fer
mi, masenza cumparatione è molto maggiore vantaggio in quelle cose che dependono
dagli accidenti delli stati Fu crudele il decreto de Siracusani, dichefamentione
Liuio, che insino alle donne nate de tiranni fussero ammazate, ma non però al
tutto senza ragione, perche mă Catoiltiranno, quelli che uiueuano uolentieri sotto
di lui, sepotefjerone farebbono un'altrodicera, e non essendo cosi facile uoltare
la riputationea un'huomo nuouo,si ri tirano sottoogni reliquia, che refti di quello.
Però una città, che esca nuouamente dalla tirannide, non ha mai bensicura la libertà
Se non spegnetutta la razza, et pro genie de tiranni, dicoperò glimaschi, e non
le femine. Non è inpoteftà d'ogniuno eleggersiil grado, e le facende, chel'huomo
uno le, ma non bisogna spessofarquelle, che t'appresentalatuaforte, et che sonoconfor
mialostatoincheseinato, però tutta lalode consiste in farla sua bene, comeinuna
comedia, nonèmancolodato, chi ben rappresenta la perfona d'unferuo, chequelli, a
chi sono meffiindosso i panni del Re, od'altra persona degna, ogni unoinefeto nel
grado fuopufoarsi honore. E vantaggio come ognun Chi desidera eseramato da superiori,
bisogna mostrare d'hauere loro rispetto, e riuerenza,e con questo efer piutofto
abbondante, che Ogniuno in questo mondo fa deglierrori, daqualinascemaggioreomi
nordanno, secondo gli accidenti, et casicheseguitano, ma buona forte hanno quelli,
che s'abbattono adevrarein cofe di minore importanza, ò dalle quali nes eguitaman
codisordine. E 'gran felicità potere viuere in modo che non siriceua, nè f ifaccia
ingiuria ad altri, ma chi s'adduce in grado, che sia necessitato, o aggrauare, ò
apatire, deue per mio consiglio pigliare il tratto auantaggio, percheè cosi giusta
difesa, quella chesifa pernonesser offeso, comequella, chesifaquando l'offesati
è fatta, èneroche bisogna bendiftinguericasi, nè per superflupaauradarsi senza causa
adintendere d'eserene ceshtato a preuenire, nèpercupidità, nè per malignità,
doue in vero non hainèdeui hauere sospetto volere con allargare questo timore giustificare
la violenza, chetufai. Ne glihuominie lapatienza, el'impetosono
bastantiapartorirecosegranuis perche l'onoopera conl'urtare gli buomini,
esforzare le cose, l'altra con lostraccara li, evineerlicol tempo,
el'occasioni, però in quello chenuocel'ono, gioual'altro, Grå conuerfo, et chi potesse
congiugnerli, et vsareciascuno al tempo suo sarebbe diuino, ma perche questo è impoßibile,
credo che ožbus cõputatis, la patienza e moderationfi: landabile in un Principe
percõdurre maggior coseafine, chel'impeto e la pcipit. iticne. Nelle cose dellEconomica il uerbo principale è
risecaretute lespese superflue, ma quello in che mi pare, che consista l'industria,
è chi fa le medesime spese con piu vantaggio, e come si dice volgarmente, spendere
il foldo per quattro quattrini. Diceva
un padre, che piu bonoretifa un ducato in borsa, chediecichene baispesi,
parolemoltodanotare, non per diventar fordido, nè per mancare nelle cose
honoreuoli,e ragionevoli, maperchetifafrenoafuggirelecose superflue. la
malitia, o che nel maneggiare le cose s'accorgono di quello harebbono di bisogno,
si cerca fardireal iStruméti quello che l'huomo vorrebbe ch edicese, però quando
sono gli inftrumenti di cose vostre d'importanza, habbiate pervfariza faruelilenare
subito, et hauerliincasainforma autentica.
Rarissimi sonogliinstrumenti, chedaprincipiosifalsificano, madopo
fatisecondo che gli huomiui pensano. Se bengli huomini deliberano con buono
consiglio, gliefetisono peròlpelocat tiui, tanto sono incerte le cose future,
non dimenononsiuuole come bestiadarsiinpicito da alla fortuna, ma come huomoandarconta
ragione, et chièSauio, hadacontentar fi, diessersimoltoconconsiglio, ancor
chel'efeto sia stato cattiuo, che feconvá con figlio cattivo, hauessehauuto l'effetto
buono. Tenete amente, chechiguadagna, seben puo spendere qualche cosadi piu che
non guadagna, tame nè pazzia spendere largamente sul fondamento de guadagni,
seprimanonhai fato buono capitale, perche l'occasione del guadagnare non dura sempre,
et fe mentre essa dura non ti sei acconcio, passata che ella èytitroui pouero
come prima, ed i piu hai perduto il tempo, e l'honore, perche alla fine è tenuto
di poco ceruello, chi hahauuta l'occasione bella,& non l'ha saputa usare bene,
e questo ricordo tenetelo bene a mente, perche ho visto amjeidi infiniti errori.
E Cer B2 puo alcuna uolta mettendo insieme
la gratitudine che si sente datuttiefere notabile. Del fare un'opera buona, et laudabile
non si vede sempre il frutto, peròchi non sisatisfafolum del ben fare di
sesteso, lascidifarlo, non parendo gli trarneuti lità, maquesto è inganno degli
huomini non piccolo, perche il farelaudabilmente, se ben non ti portasje altro frutto
euidente, spargebuonome, et buona opinione dite, la qual in molti tempi et cafitire
cautilità incredibile. Progresso di tempo si poche cofe verificate, come s i
trova a capo dell'anno degli astrolpogei, rche le cose del mondo
sonotroppouarie. Nelle cose importantinonpuo fare buono giudicio, chi non fa bene
tuttii particolari, perche speso una circonftantias et minima, nariatutto il caso,
mauidice bene, che non hanotitiaad altro, chedigenerali, et questo medefimo giudica
peggio intesii particolari, perche chi non hailceruello molto perfetto e molto netto
dalle paf fioni, facilmente intendend o molti particolari si confondeeuaria. Se
d'unos'intendedlegge, che senza alcuno fuo commodo, è interefe, ampor. E' eerto,
chenonsitien conto deliseruitij fattial i popoli in uniuersale, comedi
quellichesifanno in particolare, perche toccando col commune, nessuno sitienseruito
inproprio, peròchi s'affaticcaperli popoli, et vniuersità, nosperiche s'affatichin
oper luiinunsuo pericolo, ò bisogno, ò che per memoria de beneficij, la fcino una
loro como modità, non dimeno non sprezzate tanto il fare seruitio a popoli che quando
ui si presenti l'occasione la perdiate, perche se ne uiene in buon nome, e buon
concetto, cheè fruttoasai dela fatica, senzapure, chein qualche casogioua quella
memoria, e rin mzoneachiè beneficiatosenonsi calda mente, comeli benefici propri,
al manco sarà parte di quanto si conuiene, et fonotanti questi achi tocca
questa lorleggieraimpres fione, che Chi
facesse fu un'accidente giudicareda un'buomo sauio gli effetti, che nasce
ranno, et scriuese il giudicio, trouerebbe tornando a uederlo in Spesso
s'inganna, chi sirifoluesui primiauuifi, cheuengono delle coseper ebeuengono
semprepiu caldi, et piu spaventosi, che non riefconopoi congli effettin però
chino nè neceffitato aspetti semprei secondi, ed imano in mano gli altri. Chi
ha la cura d'una terra, che babbiaa essere combattuta, ò assediata, deue fa repochiffimo
fondamento in tutti quei rimedij, che allunganogestimare assai ogni cosa che tolga
tempo, etiam piccolo aliiniinici, perche spessoundì piu, o un'borapor taqualche
accidente, chelalibera. Non combattere mai con la religione, neconle coseche pare
che dependono immediate da Dio, perche questo obietto ha troppa forza nelle
menti degli huomini. Il male E' buon mezo aguadagnarsi fauori il mostrarea
quelli, da chi tu duoi guadagnare il fauore di farli capis Quando si fa una
cosa, se si potesse sapere quel che farebbe seguito, senon sifufefatta, sòi fusse
fatto il cotrario, senza dubbio molte cose sono da gli huominilau dati,chenon
fariano, anzi meriter ebbono contraria sentenza: Accade: molte uolte in una deliberatione
cheha ragione da ogni banda, che ancora chel'huomo habbia diligentemente penfato,
ch e poiche ha fatto la deliberatione, gli parebauere letto la parte peggiore,
laragioneè, che poiche tu hai deliberato tisi rappresentano solamente alla fantasia
le ragioni, cheeranonell'opinione contra riale quali confiderate senz a il contrapeso
dell'altre ti paiono piu graui,e pire importanti Ir i male,cheilbene; fi deue chiamarbeftiae,
t non huomo, poichemanca dell'appetia naturale, no a fauorire quello, che per
altr o harebbono disfauorito NON credete
aquestiche predicano cheamano laquiete, etd'essere Stracchi dell'ambitione, et hauere
lasjatele. facende, perche quasi sempre hanno nel cuore il contrario,
esisonoridottia vita appartata, et quieta, òpersdegno, òpernecessità, ò per pazzia,
l'essempio seneuede tutto il dì, perchea questi tali subito ches'appres Senta
qualche spiraglio di grandezza, abbandon erannola tanta lodata quiete, et nifi
mettono con quel pericolo, che fa il fuoco, ad una cosa fecca. L’inclinationi,
e deliberationi de popoli sono tanto fallaci, et Menate piuspesso dal caso,
chedallaragione, che chi regola il traino deluiuer fuo, non in altro che infüi
la speranza d'hauere adesere grande colpo polozhapocogiuditios per che oppor si
è piutosto venturacbe fenno. autoridiquellacosa, nella qualen'haidibisogno,
perche la piupartede glihuomini, presida quella uanità, ò ambitione,
uisiaffettionanoinmo do, che dimèticatii rispetti contrari, ancora depiu
ragione uolie piuur genti comincia. Infinite sono le varietà delle nature, da
de pensieri deg’uomini, però non si puo imaginare cosa, nè sìstrauagante, nè si
contra ragione, che non sia secondo il cervello d'alcuno, per questo quando
sentirete dire, ch'altri habbia detto, ofattoco. Facche non ui parra
uerifimile, nè che possa cadere in concetto d'huomo, nonuënefat te leggiermente
beffe, perche quello che non quadraate, puo facilmente trouareachi piaccia,
òpaiaragionevole. Pare che i principi siene piu liberi,e piupadroni delle loro volontà,
che gl’altri uomi nózno nè uero ne principi che si governano prudentemente, perches
o non e cefsitati procedere con infinite considerationi, rispetti, in modoche molte
voltecat tiuanoi lor disegni, i loro appetiti, el'altre volontà loro, io che l'ho
osservato, n'ho pedutemolte esperienze, diriandare tutte le ragioni, che sono hinc,
e inde, perche queen sto concorso e contrarietà, che tiapprefentiinanzi, fa, che leragioni che si concede
ilano, non ti paiane piu di maggiorpesoso importanzadiquello, cheveramente quando
nelle consulsteono pareri contrarij, se alcuno esce fuora con qual. Che partito
di mezo, quasiche sempre è approuato, non perche i partiti di mezo, il piu delle
volte nonsier: o peggiori, ma perchei contradittori calano piu volentierid
quello, che all'openione contraria, e ancoglialtri, ò per non dispiacere, opernonef
jerecapaci, si gettano aquello che parloro, che habbia manco disputa. Possono
malegli huomini priuati, biafimareolo dare molto leationide principi, non solo per
non sapere le cose come stanno e per essergli interessi, e ilo to finiin cognitismi
ancora perche la differenza è dall'hauere avverzo il cervello advsode Principi,
ad hauerlo aurezzoadvsode privati, fa che ancor che lo stato, i fini delle cose,
e gli intereshfulero all'uno noticome al'altro, le considerationi
Auvertimentidi portanti, che non pareuanoin anzi, che tu deliberasi: Il rimedio
di liberarsi da questo molestia, è sforzarsi No huomo, chenonsia prudente, non si
puo reggere senza consiglio, nondime no egli
è molto pericoloso pigliar consiglio, perche chi dà consiglio, ha speso piu consideratione
all'interesse suo, che aquello che lo domanda, anzi propone ogni suopicciolo
rispetto, et fodisfattione all'interesse, benche grauissimo,a importantijimo diquela
l'altro, peròdico, cheintalgradobifogna, che s'abbatta conamici fedeli, altrimenti
porta pericolo di non far male apigliar consiglio, et male et peggiofa, ànolopigliare.
molte volte in terzo o quarto caso, che non fumai in consideratione, e che difficilmente
fisar ebbe imaginato, che potese essere molte utolte si trova ingannato. Non si
puo chiamare infelice vna città, che fiorita lungamente, uieneabal Sezza, perche
questo è il fine delle cose humane, në sipuoimputareinfelicitàlelle resoto postoa
quellalegge, che è commune atuti gl’altri, mainfelicesonoque i cittadini,a i quali
ha dato la forte nascere piu presto nella declinatione della sua patria, chenel
tempo della sua buona fortuna. fono. Però Si chi sul far giudicio del futuro vuol
pigliare qualchedeliberatione, comespesso
calcula, la tal cosa anderà, ònel tal modo, ò nel tale., e su questo discorso pigliail
suo partito, perche per la varietà delle cose, ed egli accidenti del mondo, viene il principe, che volessetorreil creditoagli Astrologi,
che stampano i giudicij vniuersalmente, non harebbe il piu facilmodo, che comandare,
che quando si stampa il giudicio loro, perl'anno futuro, fusseri stampato, e
appiccato conesso loro il giudicio dell'annopaljato, perche gl’uomini rileggendoin
quelloquantopoco fifienoa p posti del passato, farel bono sforzati non prestar fede
al futuro, et hauendosi dimenticato le bugie dell'annopaljato, la curiosità naturale,
che hanno gli huomini di sapere, quelche ha da essere, gliinclina facilmente a prestarli
fede. 1 però sono molto diverse, äsi discorrono le cose con diuerso occhio,
sigiudicano condiversogiudicio,& infine, l'uno le misura con diversa misura
dall'altro. fareogni opera possibile, fa checoluiilpiu delleuoltè cominci a acre
dere, che non lo voglia seruire; il contrario intrauienea chi fa larghezza disperan
2a, e di facilità, perche s'acquista piu
colui, ancorche l'efeto non riesca, cosi si Dede, che chi si governa con arte,
o perdir meglio con qualche avvertenza, è piu grato, et piu fa il fatto suo, nè
procede da altro, se non da essere la piu parte degli huomini ignoranti al mondo,
che s'ingannano facilmente in quello che desiderano onesto ma utilitario, ambizioso
e positivo, considerato il dramma della ruina italica, in mezzo al quale si
svolse l'agitata sua esi stenza, voi avrete nelle mani il segreto per giudicare
la sua energia morale anche nelle opere scritte, in cui manifesta l'anima
sua,che vibra d'ambizione, di collera, discoraggiamento, dibeffardo scetticismo
e anche di nobili entusiasmi. e Machiavelli posemano ai suoi Discorsi sulle
deche di LIVIO (si veda), elifinìmolto più tardi: liandò leggendo negl’orti oricellari,
circondato dai fiorentini,che pendeno ammirati dalle sue labbra. Egli dice, sin
dal principio, di essere stato spinto a svolgere sì alto argomento dal bisogno
di operare quelle cose che crede adatte a recare comune beneficio a ciascuno. E
se l'ingegno povero,la poca esperienza delle cose presenti, la debole notizia
delle antiche, faranno questo suo conato difettivo e di non molta utilità,
daranno almeno la via ad alcuno, il quale,con più virtù,discorso e giudizio, possa
a questa sua intenzione soddisfare. Più apertamente manifesta questo suo
desiderio, concludendo. Benchè questa impresa sia difficile, nondimeno aiutato
da coloro, che mi hanno ad entrare sotto questo peso confortato, credo portarlo
in modo che ad un altro resterà breve cammino a condurlo al luogo destinato. G.
ne accetta l'invito e scrive le sue osservazioni intorno ai discorsi di
MACHIAVELLI, fermandosi a con Machiavelli, nel proemio al primo libro dei
Discorsi. MACHIAVELLI tratta delle origini delle città e os serva che se
trovansi in luoghi sterili, i cittadini d i ventano energici ed operosi : ma se
si stabiliscono in luoghi fertili, cadono nell'ignavia,se non si cerca con le
leggi di correggere il male morale portato dalla fecondità della terra. Se non
che la sterilità dei luo ghi non offre facile via alle conquiste,e per questo I
ROMANI fondarono la loro città in luogo fertile e adatto a spianare ad essi la
via dell'imperio. Al ri manente rimediarono con leggi severissime, le quali
resero armigero il popolo. Su quest'ultima parte G., che assai ammira l'arte
militare dei ROMANI e non troppo il governo e la politica loro, osserva che
Roma e bensìposta in paese fertile, ma per non avere contado e essere cinta di
popoli potenti, e forzata allargarsi con la virtù delle armi e con la
concordia; e questo si discorre non in una città che voglia vivere alla filosofica,
ma in quelle che vo siderare i primi due libri e appena qualche capitolo
del terzo, perchè gli mancò iltempo a continuare il lavoro intrapreso.In esse
spicca la differenza di mente fra G. e Machiavelli: questi guarda le questioni
da sublime altezza e sotto un aspetto più generale, abbandonandosi alla sua
geniale idealità, nello studiare l'organizzazione dello stato. G. invece, ricco
di tanta esperienza,vero genio del senso pratico, non segue il suo amico nei voli
poetici, ma si ferma soltanto a rettificare quelle idee di Machiavelli a lui
sembrate erronee. In ciò mostra forza e sicurezza di indagine, conoscenza
profonda dei governi. Egli discute i mezzi di reggere le repubbliche e i
principati, ne studia l'indole per cercare il governo migliore. Parla dei modi
di comportarsi coi soggetti e di aumentare fuori l'imperio degli stati,di
condurre le guerre, dell'efficacia delle religioni sulla civiltà delle nazioni.
Ragiona sulla natura umana, dominata dai due istinti del bene e del male.
gliono governarsi secondo il comune uso
del mondo, come è necessario fare; altrimenti sarebbono,essendo deboli,
oppresse e conculcate da’ vicini. Moltissime sono le osservazioni di G. circa
le varie specie di governo, le guarentigie da prendersi per custodire la
libertà, le qualità e condizioni necessarie ad un regime per essere forte.”
Degne di studio sono pure quelle riguardanti il principato,ilgoverno popolare e
quello degli ottimati. Il frutto del governo regio, così G., è che molto meglio, con più ordine, con
più celerità, con più segreto, con più risoluzione si governano le cose
pubbliche quando dipendono dalla volontà di un solo, che quando sono
nell'arbitrio di più. Ma se il sovrano è cattivo, gl’effetti ne sono pessimi. E
però, secondo lui, è necessario farlo perpetuo, ma limitargli l'autorità, con
fare che da sè solo non possa disporre di alcuna cosa e solamente abbia libertà
d'azione in quelle che sono di minore importanza. Dichiara che nel governo degl’ottimati
è il bene, perchè essendo in più non possono cadere tanto facilmente nella ti
rannide, come avviene nel principato :essendo uomini qualificati governano con
più prudenza e intelletto del popolo.Il male è che favoriscono troppo le cose
proprie e opprimono il popolo: l’ambizione fa nascere in essi le sedizioni e
per via della tirannide si produce la ruina della città. Se poi, invece del
governo degli ottimati, per elezione o per qualità, che si potrebbe rendere
buono con acconci provvedimenti, si avesse quello degli ottimati per nascita o
per eredità,questo sarebbe il peggiore di tutti. « Nel governo di popolo è di
buono che mentre dura non vi è tirannide ; pos sono più le leggi che gli uomini
; e il fine di tutte le deliberazioni è badare al bene universale. Di male 1
FEgli, nei suoi giudizî così temperato, lascia ogni prudenza allorchè parla del
popolo che disprezza,m e n tre il segretario fiorentino lo esalta e
l'ama.Intorno alla ignoranza e malvagità,fondate in sulla invidia, opina che
senza comparazione il popolo sia più in grato; perchè, e per essere gli uomini
distratti in varie faccende, e per altre cagioni, manco intende, manco distingue
e manco conosce che non fa il prin cipe ; e quanto alla invidia,cade più
facilmente negli uomini popolari,a’quali ogni grandezza punto emi nente o di
nobiltà o di ricchezze o di virtù o di ri putazione è ordinariamente molesta ;
nè cosa alcuna dispiace loro che vedere altri cittadini che abbino più qualità
di loro e questi sempre desiderano abbas vi è che il popolo,per la
ignoranza sua,non è capace di deliberare le cose importanti. è instabile e desi
deroso sempre di cose nuove e però facile a essere -mosso e ingannato dagli
uomini ambiziosi e sediziosi ; batte volentieri i cittadini qualificati, che
gli neces sita a cercare novità e perturbazioni. G., inchinevole più al governo
di uno, quando sia temperato da savie leggi,anzichè al popolare, si di scosta in
ciò da Machiavelli,che nel popolo ripone grandi speranze : questo è uno dei
punti,in cui la dif ferenza deigiudizî si fa più spiccata fra di essi. Del
resto G. reputa ottima la forma del governo misto di
principe,popolo,ottimati,togliendo da ciascuna specie il buono e lasciando
indietro il cattivo, cercando di conciliare tutti gl'interessi; la qual forma
presenta delle somiglianze coi governi co stituzionali dei nostri tempi,ed è
quellalodatapure da Machiavelli. I due grandi statisti fiorentini discor rono
dei governi secondo le idee di Polibio, ma G., profondo conoscitore delle
condizioni dei suoi tempi,con acume più pratico parla dei varî re gimi e delle
passioni e appetiti che muovono iprin cipi, i nobili e il popolo ad
impadronirsi dello Stato. sare. Crede G. di non saper bene ciò che voglia dire la
questione presentata da Machiavelli, se si deve porre l a guardia della libertà nel popolo o ne'grandi. Se
intendesi discorrere di chi deve partecipare al governo, ciò spetta,nei governi
misti c o m e quello di Roma, tanto ai patrizî c o m e ai plebei, che salvarono
spesso la libertà della patria. Ma quando fosse necessario mettere in una città
o un governo meramente di nobili o un governo di plebe, è manco errore farlo di
nobili, perchè essendovi più prudenza ed avendo più qualità,sipotràpiùsperare
si mettino in qualche forma ragionevole, che in una plebe,la quale essendo
piena d'ignoranza,di confu sione e di molte male qualità, non si può sperare se
non che precipiti e commetta ogni colpa. Lo stesso disprezzo per il popolo lo
rivela nelle pagine, in cui d i mostra essere stati i Romani meno ingrati degl’ateniesi
verso iloro cittadini più illustri.Ciò accade per chè nella natura dei Romani
non è la leggerezza degl’ateniesi e anche per la diversità del governo. In
Atene poterono i cittadini con le arti popolari salire presto in potenza e
farsi grandi: ma i capi, in questo g o verno popolare, caddero più facilmente
in sospetto e con più leggerezza e meno considerazione furono oppressi. La
plebe romana trova il contrappeso della nobiltà, poichè nel Senato si
trattavano le cose più gravi. La qualità quindi del governo dei Romani,più
tempe rato e prudente, fu causa che icittadini ebbero meno degli Ateniesi
aperta la via alla tirannide e vi furon meno battuti. Ma quando G. vuol
dimostrare che la costanza e la prudenza sono qualità meno del popolo regolato
da leggi e più del principe e degli ottimati regolati dalle leggi,egli diviene
aspro e quasi violento contro il popolo. Perchè dove è minor
numero, èlavirtùpiùunita,epiùabileapro durre gli effetti suoi ; vi è più ordine
nelle cose, più pensiero edesame, ne'negozî più risoluzione; ma dove è
moltitudine,quivi è confusione; e in tanta dissonanza di cervelli, dove sono
varî giudizî,varî pensieri, varî fini, non può essere nè discorso ragionevole, nè
riso luzione fondata, nè azione ferma. Però non senza cagione è assomigliata la
moltitudine alle onde del mare, le qualis econdo i venti che tiranovannoora in
qua ora in là, senza alcuna regola, senza alcuna fermezza.' I principi e
con essi i più eminenti statisti della Rinascenza avevano la convinzione essere
le istitu zioni un trovato dell'ingegno,e da questo unicamente dipendere senza
badare alla responsabilità delle azioni, nè alla violenza che isovrani
avrebbero esercitata so pra i soggetti. Essi non sospettavano che il governo di
un popolo dovesse sgorgare direttamente dal suo spirito e trovare un sostegno
nelle tradizioni del paese. G. soltanto in parte era di ciò persuaso ;
vagheggiava un governo misto, ma inten deva accordare al popolo la minore
ingerenza possibile in esso:pure ilregime desiderato da Firenze,eche era stato
la gloria della repubblica, era il democra tico, malgrado gli errori in cui era
caduto.Tuttavia a lui, osservatore profondo, non sfugge mại la realtà delle
cose e dice che un popolo,uso a vivere sotto un principe, se diventa libero,con
difficoltà mantiene gli ordini liberi:ciò non accade invece ad un altro che sia
stato libero e per qualche accidente abbia perduto la libertà,perchè in questo
caso si possono ripigliare gli ordini liberi, vivendo con chi già li pos
sedette, ed essendo nei cuori la memoria dell'antica repubblica. Afferma anche
la difficoltà di educare un popolo alla libertà se mai non la conobbe :in tal
caso necessita fondare un governo temperato,opprimere i nemici, lasciando
sicuri quelli che vogliono vivere bene.E più avanti:un principe che ha inimico
il popolo,per la oppressione male esercitata, vi rime dierà levando via le
ingiurie e governando giusta mente,ma non vi rimedierà se si trova davanti un
popolo che vuole essere libero per aver mano al go verno,perchè in questo caso
sono vane le dolcezze.? A G., nel meditare sulle vicende storiche del passato,
appariva vana la speranza di ritrovare il buono assoluto nelle forme di
governo,perciò ne cer cava il buono relativo che potesse reggersi in mezzo al
trambusto degli avvenimenti tempestosi che scon volgevano l'Italia,invasa dagli
stranieri.La società trasformatasi manifestava nuove aspirazioni e nuovi
bisogni che occorreva seguire e accontentare : si d o vevano evitare i mezzi
estremi col cercare l'armonia dei varî interessi. Ma, ripetiamo, egli accordava
al popolo una piccola partecipazione al governo, mentre l'aveva avuta
grandissima, e quindi urtava contro le tradizionipatrie:scordava che la natura
delude con le sue leggi il nostro volere e si vendica di chi,col l'intenzione
di dominarla, non cerca innanzi tutto di assecondarla. Nella Considerazione G. mostra
la differenza fra l'indole sua e quella del Machiavelli, il quale assicurava
che in ROMA antica non si puo trovare mezzo più efficace per cementare la
libertà che ammazzare i figli di Bruto. G., rispondendogli, riconosce la
necessità di tuffare a suo tempo le mani nel sangue, tuttavia fa voti perchè «
non desideri la nuova libertà che vi siano figliuoli di Bruto,cioè chi macchini
contro allo Stato, per avere causa di acquistare riputazione e tenere con la
severità ;perchè se bene è necessario in simili casi mettere mano nel sangue,
sarebbe stato meglio non avere avuto necessità, e che BRUTO (si veda) non
avesse figliuoli, che averne per avergli ammazzare. Nell'agitare la quistione
sulla bontà dei governi, si discute, da G. e da Machiavelli,non solo intorno ai
mezzi di ringagliardire la repubblica,ma anche il principato . Se un principe,
secondo il G., si trova di fronte a un popolo che ami la li bertà,ilsolo
rimedio sarà quello o di farsi dei par
tigiani di qualità, che siano potenti a opprimere il popolo, ovvero, co l battere
e annichilire il popolo di sorte che non possa muoversi,introdurre nuovi abi
tatori e di qualità che non abbino a avere causa di desiderare la libertà? »
Così, senza parere, egli sembra accostarsi molto alle idee di Machiavelli, ma
tosto cerca di rendere meno cruda e assoluta la sentenza emessa. Però bisogna
che il principe abbia animo a usare questi estraordinarî, quando sia
necessario; e nondimeno sia sì prudente che non pretermetta q u a lunque
occasione se gli presenti di stabilire le cose sue con la umanità e co’benefizî,
non pigliando così per regola assoluta quello che dice lo scrittore, al quale
sempre piacquono sopra modo e rimedi estraor dinarî e violenti.?» Il
Machiavelli è d'opinione che a fondare una re pubblica bisogni essere solo e che
per questo fece bene Romolo ad ammazzare ilfratello.A luir isponde G. Non è
dubbio che uno solo può porre migliore ordine alle cose che non fanno molti, e
che uno in una città disordinata merita laude, se, non potendo riordinarla
altrimenti,lo fa con la vio lenza e con la fraude e modi estraordinarî. Ma è da
pregare Dio che le repubbliche non abbino necessità diesserer acconceper similevia,
perchè gl’animi degl’uomini sono fallaci e può uno sotto questo onesto
colore occupare la tirannide. Inoltre bi sogna prima bene leggere e considerare
la vita di ROMOLO, il quale sebbene mi ricordo si dubitò non fosse ammazzato
dal senato per arrogarsi troppa autorità. E mentre Machiavelli entusiasmato
parla della generosità d'animo del suo principe legislatore, che, compiuta
l'opera, senza lasciare lo stato ai figliuoli, lo affida alle cure vigili del
popolo, ecco G. interromperlo e osservare che questi pensieri che i tiranni
deponghino le tirannidi,e che i re ordinino bene i regni, privando la loro
posterità della successione,si dipingono più facilmente in su'li bri e nelle
immaginazioni degli uomini,che non se ne eseguiscono in fatto. Ammette, con
Machiavelli, la frode, la violenza, l'inganno,per cementare salda mente uno
Stato, ma vuole attenuare il fatto, e ne discorre con parole moderate e
suggerite dal buon senso. Così pure non condivide gli entusiasmi del
Machiavelli sull'uomo destinato a dare nuova vita a un popolo, sebbene egli
creda gli uomini meno cattivi di quelloche sono reputati dal segretario
fiorentino. Dimostra Machiavelli che si viene di bassa a gran fortuna, più con
fraude che con la forza ; ma G. Osserva. Se lo scrittore chiama fraude ogni
astuzia o dissimulazione che si usa anche senza dolo, può essere vera la
conclusione sua,che la forza sola,non dico mai,che è vocabolo troppo assoluto,
ma rarissime volte conduca gli uomini da bassa a grande fortuna.Ma se chiama
fraude quella che è proprio fraude, cioè il mancamento di fede, o altro
procedere doloso,credo si trovino molti che hanno senza fraude acquistato regni
e imperî grandissimi. Di questi fu Alessandro Magno, di questi Cesare, che di
cittadino privato con altre arti che di fraude si 1Presuppone Machiavelli che
tutti gli uomini sono cattivi ed essere necessario all'ordinatore di una re pubblica
infrenarli con le leggi,perchè non operano mai ilbene se non per
necessità.IlGuicciardini è con trario a questa sentenza eccessiva, e crede la
maggior parte degli uomini inchinevoli più al bene che al male : e se alcuno ha
altra inclinazione, è così diffe rente dagli altri e spoglio dell'istinto che
ci porge lanatura,da doversi più prestochiamaremostroche uomo.È adunque ogni uomo
inclinato al bene, ma, essendo la natura sua fragile, può essere deviata dal
retto cammino,dalla volontà,dall'ambizione e dal l'avarizia: leleggi si devono fare
in maniera da impe dirgli di fare il male di cui sente l'impulso, e nel tempo
stesso allettarlo al bene coi premî. Sostiene Machiavelli essere sempre la
frode un mezzo di in grandimento. G. talora la crede inutile e la vorrebbe lasciata
da parte,non in nome della morale, m a di un ben inteso interesse. Machiavelli
sostiene che nel mondo fu tanto di buono in un'età quanto in un'altra,benchè
varino i condusse a tanta grandezza,scoprendo sempre l'am bizione sua e
lo appetito di dominare Ma,quanto alla fraude, può essere disputabile se sia
sempre buono istrumento di pervenire alla grandezza ;perchè spesso coll'inganno
si fanno di molti belli tratti,spesso anche l'avere nome di fraudolento toglie
l'occasione di con seguire gl'intenti suoi. Tutti e due eran d'accordo che
l'inganno è necessario per riuscire ad un buon fine, però G. non accetta in
modo asso luto le massime del Machiavelli e dimostra la diffe renza della sua
indole, molto più pratica,se si para gona a quella di Machiavelli ; più
sistematica nel venire a considerare i casi in cui la frode conduce o non
conduce alla meta agognata. Considerazioni al proemio del lib . luoghi, la qual
cosa equivale a dire che sempre nella umana famiglia il bene e il male si
equilibrano. All’incontro G., con mirabile penetrazione, e v o cando dinanzi a
sè le età passate,risponde di no :e anche riconoscendo che l'antica non è
superiore ai tempi che la seguirono e che verranno,afferma che la somma del
bene e del male è differente nelle diverse età e ne porge gli esempî: Chi non
sa in quanta eccellenza fussino a tempo de' Greci e poi de’ ROMANI la pittura e
la scultura, e quanto di poi restassino oscure in tutto il mondo ; e come dopo
essere state sepolte per molti secoli siano da centocinquanta o dugento anni in
qua ritornate in luce ? Chi non sa quanto a'tempi antichi fiorì non solo
appresso a'Romani,ma in molte pro vincie la disciplina militare, della quale i
tempi n o stri e quelli de'nostri padri e avoli non hanno veduto in qualunque
parte del mondo se non piccoli e oscuri vestigî ? Il medesimo si può dire delle
lettere, della religione, che senza dubbio in alcune età sono state sepolte per
tutto, in altre sono state in molti luoghi eccellenti e in sommo prezzo. Ha
visto qualche età ilmondo pieno di guerre,un'altra ha sentito e go duto la pace
; dalle quali variazioni delle arti, della religione,dei movimeti delle cose
umane,non èm a raviglia siano anche variati i costumi degli uomini, i quali
spesso pigliano il moto suo dalla istituzione, dalle occasioni,dalla
necessità.?» Per G. è indispensabile ai popoli la reli gione, in ispecie quando
viene usata come elemento di forza nello stato, e ad esso sottomessa : tuttavia
non condivide col Machiavelli l'opinione che i romani doveno alla religione una
sì gran parte della loro potenza, e dimostra avere l’armi maggiormente
contribuito ai trionfi delle aquile latine sulla terra. Alla questione sulla
religione dei romani si collega Considerazioni al proemio. e e 2
particolare circa l'influenza del papato sui destini d'Italia, in cuii due
eminenti filosofi hanno punti di contatto e altri che li dividono. Afferma
Machiavelli avere la chiesa cattolica di Roma tenuta l'Italia divisa, ed essere
stata causa che non potesse venire sotto un capo e rimanesse sotto a più
principi e signori, dai quali le venne tanta disunione e debo lezza da cadere
preda dei barbari potenti e di chiun quel'assaltasse. G. risponde. Non si può
dire tanto male della corte romana, che non m e riti se ne dica più, perchè è
un'infamia, un esemplo di tutti i vituperî e obbrobrî del mondo. È con vinto
essere stata causa la grandezza della chiesa che l'Italia non è caduta in una
monarchia. Pure è dubbioso se il non essersi organata nella monarchia sia stata
felicità o infelicità di questa nostra terra, poichè la divisione sua in tanti
dominî, malgrado le sofferte calamità, produsse le sue glorie comunali.
Osservazione profonda e vera, poichè se l'Italia fosse caduta sotto il dominio
di uno solo, le varie regioni, in cui si divise, non produceno l'energia in
dividuale dei comuni, che crea tanti tesori in molte parti dello scibile e
della attività umana, nei commerci e nelle industrie, preparando gli splendori
della Rinascenza, che sono fiaccola alla civiltà del mondo. G. rimane ad
osservare la realtà delle cose che aveva d'attorno e non voleva seguire
Machiavelli, che lancia il suo guardo di aquila oltre i confini d'Italia, a
osservare il formarsi delle nazioni unitarie, giovani e forti, aventi un vivo
sentimento patrio. Secondo il segretario fiorentino, l'Italia, divisa e debole,
non puo difendersi dalle loro cupidigie d'ingrandimento, e già cade sotto i loro
colpi brutali, mentre nei secoli passati, senza la piaga del papato, essa pure puo
divenire di mano in mano una nazione unita e forte sotto i suoi legislatori, ed
ora non si sarebbe trovata immersa in tante infelicità. Nella quistione
sulla lotta fra la plebe e la nobiltà, che agita ROMA e Firenze, non vanno
d'accordo. Machiavelli osserva che le divisioni di Firenze sono esiziali alla
città, perchè la vittoria del popolo porto la rovina dei grandi: quelle di Roma
inveceriescirono di grandezza allo stato, perchè il popolo, rimasto a
combattere sulla via della legalità, si accontenta di rivendicare i suoi giusti
diritti; e, conseguitili, divise coll’aristocrazia il governo. A queste giuste
e originali osservazioni risponde G., e combatte la maniera assoluta con cui
sono dette. Se da principio o non è stata questa distinzione tra patrizî e
plebei, o se al manco si è data la metà degl’onori alla plebe come si fa poi,
non nasceno quelle divisioni, le quali non possono essere laudabili, nè si può
negare non fossero dannose, sebbene in qualche altra repubblica manco virtuosa
avrebbero fatto più nocumento. Laudare le disunioni è come laudare in uno
infermo la infermità, per la bontà del rimedio che gl’è stato applicato. E
ponendo mente all'ambizione di uomini cospicui, che approfittarono delle lotte
fra popolo e nobiltà per impadronirsi del governo, G. dice come APPIO CLAUDIO
(vedasi) e rovesciato dal potere non per essersi unito ai grandi a combattere
il popolo, mentre doveva fare altrimenti, ma perchè tenta di rovesciare la
repubblica, la quale e allora governata da ottime leggi, piena di santissimi
costumi e ardentissima nel desiderio della libertà. MANLIO CAPITOLINO, sebbene
procedesse contro il senato con arte meramente popolare, pure fu oppresso dal
popolo medesimo, appena capì che cercava di spegnere la libertà. SILLA occupa
la tirannide a Roma elastabili con l'aiuto della nobiltà; il duca d’Atene si
fece tiranno a Firenze col favore dei grandi, che non seppe mantenersi fedeli
per la sua imprudenza e leggerezza. GIULIO CESARE si fa signore di Roma col
favore della plebe.Così nell'una parte e nell'al tra si trovano molti esempi e
ciascuna parte ha le sue buone ragioni. I partiti non si possono pigliare con
una regola generale, ma la conclusione s'ha a cavare dagli umori della città,
dall'essere delle cose che varia secondo le condizioni dei tempi e altre oc
correnze che girano. Secondo G. chi ha seco la nobiltà ha un fondamento più
gagliardo di riuscita : chi ha il popolo dalla sua parte ha più seguaci, ma la
potenza sua è meno sicura, per il mutarsi degli umori della moltitudine. Il
principio annunziato dal Machiavelli che sono lodevoli i fondatori di una
repubblica o di un regno quanto vituperevoli quelli di una tirannide, è dal G, trovato
giusto. Però,egli dice con rettitu dine,non bisogna confondere gli esempî, perchè
qual che volta può darsi che le forme della libertà sieno così disordinate e le
città ripiene tanto di discordie civili,da condurre qualche cittadino,non
potendo sal varsi altrimenti,a cercare la tirannide o ad aderire a chi la
cerca. Mentre è detestabile in GIULIO CESARE, pieno dialtavirtù,ma oppresso dall'ambizione
del dominare : accade pure al governo della plebe di diventare tirannico e
allora,dai perseguitati,si desidera la m u tazione dello Stato. G., quando
siferma a meditare sulla storia di Roma antica, vi guarda dentro con l'occhio
del politico,non con quello dello storico.Non si cura di ricercare se i re sono
esistiti veramente ovvero se simboleggiano le varie età che si succedettero
presso la gente romana così famosa : questi dubbî,già balenati alla mente degli
umanisti delsecoloXV, non la tocca nonemmeno. Egliguarda soltanto ai caratteri
della politica romana, e, contro il parere del Machiavelli, afferma che,
eccettuata disciplina militare, Roma ebbe un governo in molte
partidifettoso, come,peresempio,lafacoltà accor data ad un uomo di fermare le
azionipubbliche e le deliberazioni della città,come feceroiconsoli, anche
togliendo ilfreno deltribuno.In potestà dei consoli fu il diritto di privare
dell'autorità senatoria uomini onorandi come MAMERCO EMILIO. Egli è pure del parere
del Machiavelli che la prolungazione degl'imperî fu occasione grande a chi
volle occupare la repub blica, perchè era istrumento a farsi amici i soldati
eseguitocoire. Ma il fondamento dei malifula corruzione della città, la quale, datasi
all'avarizia,alle delizie, era in modo degenerata dagli antichi costumi che ne
nacquero le divisioni sanguinose della città, dalle quali sempre ne'popoli si
viene alle tirannidi. Però quando Roma non fu corrotta,la prolungazione
degl'imperî e la continuazione del consolato, che nei tempi difficili usò molte
volte, furono cosa utile e santa. Conchiude che se non fussino state le pro
lungazioni,non sarebbe mancato nè a Cesare nè agli altri che occuparono la
repubblica, nè pensiero ne facoltà di travagliarla per altra via, essendo la
città corrotta? Non ostante la loro somiglianza,idue grandi po litici
fiorentini avevano tendenze intellettuali diffe renti, e spesso si trovavano in
disaccordo.Nelle m a s sime che risguardano laguerra, Machiavelli sostiene che
si deve fare col ferro e non coll'oro: ibuoni sol dati soltanto sono il nervo
della guerra e non l'oro: occorrono certo I danari,ma in secondo luogo,essendo
impossibile che abbino a mancare ai buoni soldati. Guicciardini, che si attiene
alla vita reale, in cui nonc'erano armi proprie,se si eccettua il tentativo
fatto in Firenze sotto il gonfaloniere SODERINI, per impulso generoso di
Machiavelli; CONSIDERAZIONI INTORNO AI DISCORSI DEL MACHIAVELLI. G., ilquale
era stato governatore di pro vincie, commissario generale negli eserciti e cono
sceva la venalità dei capitani e delle milizie, che per il danaro calpestavano
la fede giurata e rinne gavano sin anche la patria,non poteva essere dello
stesso avviso,sapendo per esperienza che occorreva danaro per avere illustri
capitani, milizie e buone fortezze. Del resto, se egli sostiene che il danaro è
il nervo della guerra, non intende che i danari soli bastino a fare la guerra,
nè siano più necessarî dei soldati, perchè sarebbe stata opinione falsa e ridi
cola. All'incontro intese « che chi faceva la guerra, aveva bisogno grandissimo
di danari e che senza quelli era impossibile a sostenerla, perchè non solo
sononecessarîperpagareisoldati,ma per provve
derelearmi,levettovaglie,lespie,lemunizioni e tanti istrumenti che si adoperano
nella guerra ;iquali ne ricercano tanto profluvio,che a chi non l'ha pro vato è
impossibile a immaginarlo. E sebbene qualche volta un esercito scarso a danari
con la virtù sua e col favore delle vittorie li provvede, nondimeno ai tempi
nostri massime sono esempli rarissimi :e in ogni caso e in ogni tempo non corronoidanari
dietro agli eserciti, se non da poi che hanno vinto.'» A questo disaccordo si
aggiunse l'altro intorno alle fortezze e alle armi da fuoco,che Machiavelli,
per stare troppo attaccato all'esempio dei Romani, non tiene in nessun
conto,dicendo le fortezze più dan nose che utili. G. lo riprende con ragione e
dice. Non si deve lodare tanto l'antichità che l'uomo biasimi tutti gli ordini moderni
che non erano in uso appresso a’ Romani, perchè la esperienza ha scoperte molte
cose che non furon considerate dagli antichi, e, per essereinoltrei fondamenti
diversi,con vengono o sono necessarie a una delle cose che non convenivano,o
non erano necessarie all'altre.Però se i Romani nelle città suddite non usarono
edificare fortezze, non è per questo che erri chi oggidi ve le edifica : perchè
accadono molti casi,per i quali è molto utile avere fortezze. E quella ragione
che si adduce nel Discorso, che le fortezze danno animo a'principi a essere
insolenti e fare mali portamenti, è molto fri vola,perchè se s’avesse a
considerare questo,avrebbe un principe a stare senza guardia, senza esercito,
senza armi. Dipoi le cose che in sè sono utili,non si debbon fuggire, sebbene
la sicurtà che tu trai da loro tipossa dare animo a essere cattivo:verbigra
zia,sideve biasimarelamedicina, perchè gliuomini, sotto fidanza di quella, si
posson guardare manco da 'disordini e dalle cagioni che fanno infermare? Certo
si deve deplorare che queste fortezze G. l’estimasse utili soltanto ai principi
per guar darsi dai popoli,desiderosi di cose nuove,e tenerli obbedienti col
terrore. Però, come è maraviglioso questo duello tra due ingegni grandissimi
che s'incontrano sul campo del l'antica sapienza governativa:sono due
gigantiuguali di forze, muniti delle stesse armi,che si contendono una gloriosa
vittoria nel più difficile conflitto. G., come uomo di stato, supera d'assai
Machiavelli, e bastano a dimostrarlole osservazioni che di mano in mano
contrappone ai discorsi del celebre segretario sulla prima deca di LIVIO
(vedasi), nelle quali, colla fredda acutezza della sua mente calma, colpisce
sempre il lato debole dell'avversario e ne distrugge, colla sua logica
implacabile, i ragionamenti poetici ed entusiastici, mettendone a nudo ora la
fallacia, ora la indeterminata incertezza. Nella storia dei filosofi italiani
non si trova una figura che puo reggergli a paro. È da lamentare che il tempo
sia mancato a G. per continuare il suo esame intorno ai discorsi del
Machiavelli sulla prima deca di LIVIO (vedasi), perchè ci avrebbe rivelato
maggior mente la potenza della vigorosa argomentazione del suo genio pratico di
fronte a quello idealista del se gretario fiorentino. Francesco Guicciardini. Guicciardini.
Keywords: implicatura, il concetto di stato. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Guicciardini: l’implicatura particolarizzata” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Guzzi: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale della lingua inaudita -- la lingua inaudibile, la lingua audita
– filosofia lazia – scuola di Roma -- filosofia italiana – Luigi Speranza -- (Roma). Filosofo italiano. Roma, Lazio. Grice: “My favourite
is his dictionary of the unheard tongue – with a foreword like sounds like
Blair on newspeak!” - Filosofo. Studia
al Liceo classico statale Giulio Cesare. Direttore dei seminari del Centro
studi Eugenio Montale. La poetica di G., fin dall'inizio, si è concepita come
un'esperienza spirituale, una ricerca di stati più dilatati della coscienza,
sulla scia della linea che da Hölderlin, e attraverso Rimbaud, arriva fino al
nostro migliore ermetismo. La ricerca teoretica di G, ha affrontato, in
particolare nel saggio filosofico La svolta, significativamente sottotitolato
"La fine della storia e la via del ritorno", il tema del cambiamento
epocale che a suo avviso l'uomo è chiamato a conoscere e riconoscere, dentro e
fuori di sé. Opere: Raccolte di poesia Anima in vetrina, Il Giorno, Scheiwiller, Teatro Cattolico,
Jaca, Figure dell'ira e dell'indulgenza, Jaca, Preparativi alla vita terrena, Passigli, Nella
mia storia Dio, Passigli, Parole per nascere,Paoline, Saggi di filosofia e di religione La Svolta,
Jaca, Rivolgimenti, Marietti, L'Uomo Nascente, Red, Passaggi di millennio,
Paoline, L'Ordine del Giorno, Paoline, Cristo e la nuova era, Paoline, La
profezia dei poeti, Moretti e Vitali, Darsi pace, Paoline, La nuova umanità,
Paoline, Per donarsi, Paoline, Yoga e preghiera cristiana, Paoline, Dalla fine
all'inizio, Paoline, Dodici parole per
ricominciare, Ancora Il cuore a nudo,
Paoline, Buone Notizie, Ed. Messaggero Imparare ad amare, Paoline L'Insurrezione dell'umanità nascente,
Edizioni Paoline, Fede e Rivoluzione,
Paoline Il profilo dell'Uomo di Dio,
Paoline Alla ricerca del continente
della gioia, Paoline “Dizionario della
lingua inaudita” Lingua e Rivoluzione, Paoline. Grice: “Guzzi plays with ‘lingua inaudita’ – literally
‘unheard of’ – but ultra-literally turns his dictionary into a magical
oxymoron! Marco Guzzi. Guzzi. Keywords: lingua
inaudita, lingua audita, lingua e rivoluzione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Guzzi” --- The Swimming-Pool Library.
Grice e Guzzo: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale -- pagine di filosofi – filosofia campanese – filosofia
napoletana – la scuola di Napoli -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli).
Filosofo napoletano. Filosofo italiano. Napoli, Campania. Grice: “I admire
Guzzo; he founded ‘Filosofia,’ a philosophy magazine and led a school at
Torino, but he selected ‘pagine di filosofi per i giovani italiani.’ He wrote interesting essays
on “Gli hegeliani d’Italia” and Croce versus Gentile – a very systematic
philosopher. The logo of his revista shows Oedipus and thes sphynx – that says
it all!” Si laurea a Napoli, dove fu allievo di Maturi.
Insegna a Torino e Pisa. Fonda "Erma”. Esponente dell'idealismo, si
avvicinò all'attualismo di Gentile. È considerato quindi uno dei più grandi
esponenti dello spiritualismo. Saggi: “Spinoza”; “Kant”; “Verità e realtà”; “Apologia
dell'idealismo”; “Idealisti ed empiristi”; “Aquino”, “Bruno”; “Storia della
filosofia”, “L'uomo” (Brescia, Morcelliana); “L'io e la ragione”; “Moralità”;
“Scienza”; “Arte”; “Religione; “Filosofia” – P. Quarta, “Guzzo e la sua scuola,
Urbino, Argalìa; Dizionario Biografico degli Italiani, Treccani.L’ISAGOGE DI
PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO TORINO L’ERMA, ESTRATTO dagl’Annali
dell’ Istituto Superiore di Magistero del Piemonte. TORINO -
L’Isagoge di Porfirio e i Commenti di Boezio. Il Commento di
Porfirio alle Categorie di Aristotele. Questioni su le Categorie. L’Isagoge. Il
prologo. Il primo commento di Boezio al prologo dell’Isagoge. Il secondo
commento di Boezio. Le cinque voci. Il genere. La specie. La differenza.
La qualità. L’accidente. Quel che hanno di comune le cinque voci. Comparazione
del genere con le alti e quattro voci. Comparazione della differenza con
le altre quattro voci. Comparazione della specie con le altre quattro
voci. Comparazione della proprietà con le altre quattro voci. Comparazione
dell’accidente con le altre quattro voci. Il primo commento di Boezio alla
dottrina delle cinque voci. Il dialogo premesso al primo commento di
Boezio. Divisione della filosofia. Il secondo commento di
Boezio. Conclusione. Queste esposizioni di antichi testi molto famosi ma
poco letti costituirono l’argomento del corso di Pedagogia da me professato
nell’Istituto Superiore di Magistero del Piemonte, Volevo dare una
conoscenza possibilmente precisa di quel che e l’istruzione e la cultura
nell’alto medioevo ed esposi i testi che in quei secoli sono più meditati
lumeggiando, di scorcio, anche lo sfondo d’idee su cui sorse più tardi,
sui primi periodi dell’Isagoge, la disputa degli universali. Porfirio, che è
autore della celebre Isagoge, o Introduzione alle X Categorie di Aristotele, è
anche autore di un meno noto commentario alle medesime categorie. Sarà
utile studiare almeno la prima parte, cioè la parte introduttiva di
tale commentario. Forse si troverà in essa la spiegazione del punto di
vista dal quale si pone Porfirio nell’Isagoge. Questo commentario ci è
pervenuto mancante dell’ultima parte - quella riguardante le ultime
quattro categorie e i post-predicamenti - e assai scorretto e guasto
anche nella parte precedente. Lo si trova in un codice modenese miniato,
in un codice della Marciana, in uno dell’Escuriale, in uno parigino, in
uno della Laurenziana. E' però dimostrato che di tutti questi codici il
primo, da cui tutti gli altri dipendono direttamente, è quello
modenese. Di sul codice parigino il commento e stampato a Parigi apud
Bogardum. Su questa edizione, che è l’edizione principe, del commentario,
e condotta la versione latina di Feliciano, stampata in Venezia apud Scotum.
L’ edizione critica si deve alle
cure ogica che, ad esporli, si può tutt’al più riescire chiari. Ma
avviciuarli alla comune cultura può forse essere utile. Anche questo
corso, che e rimasto inedito, va messo tra i lavori da me preparati per
l’Istituto Superiore di Magistero del Piemonte. Mi sia permesso enumerarli:
Apologia dell’idealismo (Discorso inaugurale), Torino, Paravia;
Introduzione e Commento al i^edone di Platone, Commento alla Repubblica
di Platone, Agostino: dai Contra Academicos al De Vera Religione^Firenze,
Vallecchi; Agostino, Il maestro^ Traduzione, Intro- duzione, Commento e
Appendici, Firenze, Vallecchi; Tommaso d’Aquino, Il maestro, Traduzione,
Introduzione e Commento, Firenze, Vallecchi; Giudizio e azione, Venezia,
«La Nuova Italia»; Agostino e il sistema della grazia, Torino, «L’Erma»;
Il concetto di individuazione e il problema morale (Discorso inaugurale),
Torino, L’Erma; La Summa contra Gentiles, Torino, « L’Erma », 1931 ; I
Dialoghi del Bruno, Torino, « L’Erma] di Busse, nell’edizione dei commenti ad
Aristotele, promossa dall’Accademia Prussiana: Porphyrii Isagoge et
in Aristotelis Categorias commentarium edidit Busse. — Berolini, Typis et
impensis Reimer). Il commento procede per yììx di domanda e risposta. E’,
in londo, un dialogo, ma in cui le persone degli interlocutori non
hanno alcun rilievo ; la domanda parte da uno che non sa e chiede
spiegazioni. La risposta enuncia, evidentemente, la soluzione che
Porfirio crede si possa e si debba dare alle varie questioni. Le quali
se, da un certo momento in poi, riguardano il più giusto significato da
attribuire alla lettera del testo del LIZIO, prima vertono su problemi che
investono rimpianto stesso del piccolo saggio del LIZIO. Prima questione.
“Categoria” in greco vuol dire accusa, denunzia, fatta all’AGORA, o
assamblea. Come mai Aristotele chiama categorie l' I essenza, la II quantità,
la III qualità, ecc.? La risposa è che il filosofo, costretto talvolta a coniar
parole nuove, tal’altra a dare un significato nuovo a parole consuete,
adopra la parola “categoria” per indicare le espressioni enunciative delle cose
(tàc twv Xé^soov twv a'ijjxavttxwv y.arà twv TUpaYixatcov xat-
YjYopta? TrpoosìTcsv). Sicché, ogni semplice espressione
enunciativa, quando sia pronunciata e detta della cosa enunciata, si
dice categoria. Per esempio: se la cosa che vien mostrata è questa
pietra che tocchiamo e che vediamo, quando di essa diciamo: «questa è
pietra», l'espressione «pietra» è il categorèma, giacché indica la cosa e
vien detta di essa. Seconda questione. — Il LIZIO chiama il suo
scritto Categorie o, come altri, Le X Categorie? Porfirio risponde
respingendo tanto questo titolo dello scritto quanto gli altri. Prima
della Topica, dei generi dell'essere, dei X GENERI generi. Non Prima della
Topica perché in tal caso sarebbe stato più esatto dire Prima degl’Analitici,
anzi prima dell’interpretazione, chè il saggio delle Categorie è il più
elementare e introduttivo a tutte le parti della filosofìa, E piuttosto
sarebbe Prima della parte fisica della filosofia. Anziché Prima della Topica:
chè è opera della natura l’ I essenza, il quale e simili. Nè il saggio potrebbe
in nessun caso intitolarsi “Dei generi dell’essere” o “dei X generi,” perchè
gl’esseri e i loro generi e le specie e le differenze sono cose e non
voci. Invece, Aristotele, enumerando le X categorie, l’ I essenza, il II quale,
il III quanto e le rimanenti, dice che ciascuna delle dette si dice per
sé stessa, non per attribuzione, mentre l’attribuzione, o affermazione,
avviene mediante connessione di esse tra loro. Or se è la connessione delle
categorie quella che dà luogo all’asserzione, e se l’asserzione consiste in voce
indicativa e discorso dimostrativo (èv oyjaavrix-^ xai àTio^avTixij)), il
saggio aristotelico non può riguardare i generi dell’essere, nè in
generale le cose. Chè non la connessione delle cose costituisce l’asserzione,
bensì la connessione della voce significativa che indica la cosa. E
Aristotele stesso dice che ciascuna delle categorie dette senza alcuna
connessione significa o l’essenza o il quanto, con quel che segue. Ora,
se Aristotele parla di cose, non direbbe “”significa” l’essenza, chè la
cosa NON SIGNIFICA, bensì E SIGNIFICATA. Ciò che SIGNIFICA è la voce, la
parola: di voci, di parole dunque, tratta Aristotele nelle
Categorie. Perchè, poi, debba essere questo il titolo dello scritto, e
chiaro - dice Porfirio - quando si sia dimostrato il contenuto proprio
del saggio. Quale è dunque il contenuto proprio delle
Categorie? Porfirio risponde rifacendosi di lontano. L’uomo - egli
scrive - giunto a indicare e significare le cose circostanti, pervenne a
nominarle con la voce e a indicare con questo mezzo ciascuna di esse. Il
primo uso che egli fa delle parole e rivolto a mostrare ciascuna cosa per
mezzo di voci e di parole; col quale riferimento delle voci alle cose
questo chiama “sedile”, quello “uomo”, quell’altro “cane” e quell’altro “sole”.
E ancora questo colore chiama “bianco”, quello “nero”; e questo chiamò
numero, quello grandezza ; questo “due cubiti”, quello “tre cubiti”; e
cosi per ciascuna cosa stabili parole e nomi significativi di esse e indicativi
mediante determinati suoni della voce. Stabilite dunque per le cose, come
contrassegno, talune parole, l’uomo, passando ad una seconda impresa e
riflettendo sulle parole stabilite, quelle che si uniscono agl’articoli
chiamò nomi, e quelle come io
passeggio, tu passeggi chiamò verbi. Di modo che, se nella prima
imposizione di nomi questo chiamò oro e quello sole, nella seconda la
voce oro chiamò nome e la
voce passeggio verbo. Ora il
contenuto delle Categorìe del LIZIO è precisamente il primo stabilimento
delle parole, quello che mostra le cose: giacché studia le voci
significative semplici, in quanto significative delle cose, distinguendole non
l’una dall’altra individualmente, chè, di numero, le voci sono infinite come le
cose che significano, ma distinguendole secondo il genere a cui
appartengono. Ora l’infinità degl’enti e delle parole che li significano
si lasciano ridurre a X generi: giacché X sono le differenze di genere degl’enti,
e X anche le voci che le indicano. Ma questo fatto che le voci, simili a
messaggere, prendano le differenze dalle cose che annunziano, non toglie
che la ricerca principale sia, nelle Categorie intorno alle voci
significative, e non intorno alle differenze di genere degli enti. X
sono i generi delle parole in quanto significative di cose: ché
significano o l’essere (la I sostanza), ó la II quantità, la III qualità,
la IV relazione, ecc. (i IX ACCIDENTI della SOSTANZA). Due, invece, sono
le parole che significano il tipo a cui appartengono; giacché tutte le
voci sono di due tipi: o nomi o verbi. Alla quale seconda ricerca -
grammaticale, non logica, diremmo noi appartiene anche distinguere la
espressione propria dalla metaforica e dagli altri tropi. Presentata
cosi la ricerca delle Categorie come una ricerca nè metafìsica, nè
grammaticale, nè retorica. Non metafìsica perchè secondo Porfirio, è
incidentale il riferimento ai generi dell’essere, essendo l’attenzione
rivolta ai generi delle parole significative, in quanto appunto
significano questo o quello. Non grammaticale, perchè nelle « Categorie »
non si distinguono tra loro le varie parti del discorso, che è
distinzione tardiva rispetto a quella che distingue le voci secondo ciò
che significano, non secondo che siano proprie, metaforiche, ecc.
Porfirio osserva che, contro la sua interpretazione che intende la
ricerca delle Categorie come una ricerca, noi diremmo, di filosofia
del linguaggio, e gl’antichi dicevano di logica, comunemente
identificando col pensiero la sua significazione verbale, si schieravano
tanto quelli che ritenevano oggetto principale delle Categorie la ricerca
metafisica intorno ai generi dell’essere, quanto quelli che. credendo
oggetto delle Categorie la ricerca retorica delle espressioni proprie e
delle figurate, ritenevano la distinzione aristotelica delle Categorie o
insufficiente o incomprensiva o, al contrario, sovrabbondante. Fra questi
ultimi, per esempio, i seguaci di ATENODORO e di CORNUTO, studiando le
espressioni proprie ed improprie, e volendo sapere a quali categorie
esse appartenessero, non trovando nel saggio aristotelico risposta
a tale domanda, ritennero manchevole e difettosa l’enumerazione
aristotelica, come non comprensiva di tutte le voci significative.
Invece, secondo Porfirio, rettamente intesero lo scritto d’Aristotele POETO nel
suo commento alle Categorie, e più brevemente ERMINIO. Il quale dice che la ricerca non verte nè su
quelli che in natura sono i primi e generalissimi generi nè studia quali
siano le prime ed elementari differenze delle parole, come se la
trattazione riguardasse le parti del discorso; ma piuttosto verte sulla
specie di parole che risulti appropriata a ciascun genere di enti: onde e
necessario toccare in qualche modo dei generi, a cui le parole si
riferiscono -- chè non si intende la significazione propria di ciascun
genere se qualcosa intorno ad esso non s’anticipa. Poiché X sono i generi,
X sono le categorie. E si potrebbe magari anche intitolare lo scritto
aristotelico Dei X generi se con ciò si significasse solo un riferimento
ai X generi, giacché non di essi si occupa principalmente il saggio. Perchè
il libro verte su le Categorie e
s’inizia con una trattazione su gl’omonimi e i sinonimi? Perchè
queste sono distinzioni delle quali Aristotele deve fare uso in tutto
l’Organo: perciò le premette ad ogni altra
considerazione. Tralasciamo, ora, il seguito del commento Porfiriano;
ma ci gioverà aver visto come Porfirio intende quelle Categorie
alle quali s’assunse lo storico compito di introdurre . La celebre Isagoge
di Porfirio tratta del genere, della differenza (che, entro ciascun
genere, distingue l’una dall’altra le specie), della specie, della
proprietà (che caratterizza ciascun genere e ciascuna specie) e dell’accidente,
che, senza essere intrinsecamente
proprio d’una sostanza, le si attaglia in talune
circostanze. La trattazione del genere è, però, preceduta da una
famosa introduzione, nella quale Porfirio si rivolge a CRISAORIO, patrizio
romano suo discepolo, dicendo. oiché, o Crisaorio, è necessario anche per la
dottrina aristotelica delle Categorie, sapere che sia genere e che
differenza, e che sia specie e che proprietà e che accidente; siccome e per
assegnar le definizioni e in generale per quel che riguarda la divisione
e la- dimostrazione è utile l’indagine di tali cose: io, facendo per te
una compendiosa trattazione, tento brevemente, come a mo’di introduzione,
di spiegare il pensiero degli antichi, astenendomi dalle ricerche,
più € profonde e investigando, invece, opportunamente le più
semplici. Le ricerche più profonde, da cui Porfirio professa di
astenersi, riguardano la realtà dei generi e delle specie, in una
parola degli universali. Difatti Porfirio continua. Ora, riguardo ai
generi e alle specie, se esistano o invece c stiano solo nel pensiero e,
dato che esistano, se siano corpi o incorporei, e se separati o esistenti
nei sensibili e non fuori di essi, io evito di dire, profondissima
essendo questa questione e richiedendo essa altra maggiore ricerca. Onde
Porfirio conclude dicendo che si limiterà a cercare d’esporre a CRISAORIO
ciò che gli’antichi meditarono intorno a questi argomenti, e tra essi
specialmente il LIZIO. Porfirio, dunque, tratta dei generi e delle specie
senza determinare se siano idee, cioè enti metafisici, o
semplici concetti, esistenti solo nella mente che li pensa. Ma, per
conto suo, per quale di queste dottrine propende? Grià si è visto
che egli considera generi, specie e differenze cose, non voci e che, in
generale, ritiene che le distinzioni logiche trovino la loro ragion
d’esseie in altrettante distinzioni metafisiche di cui si fanno
espressione. Per Porfirio dunque, generi e specie riguardano l’essere, e
se egli prelude alla logica aristotelica trattando d’essi, in fondo egli
ridà alla logica d’Aristotele il fondamento della dialettica platonica,
tutta diretta a distinguere generi e specie e valida, nella filosofia di
Platone, tanto oggettivamente, come metafisica, quanto
soggettivamente, come logica. Questo punto di vista realistico da
cui è scritta l’intera Isagoge
non sfugge, nonostante tutto, al commentatore BOEZIO, il quale
torna sulla importante questione cosi nel primo come nel secondo dei suoi
commenti all’Isagoge. È noto che i due commenti son diversi tra loro in
quanto il primo si dirige ai principianti e quindi evita le
discussioni troppo complicate e sottili, il secondo, invece, vuol indurre
i discepoli già provetti a una ginnastica mentale adatta alle
loro forze e alla loro preparazione. Non è meraviglia, quindi, che
la questione degli universali, giacché ormai di essa si tratta, e impostata
diversamente nei due commenti, sebbene la trattazione giunga a risultati
assai affini. Il primo commento di BOEZIO giunge a interpretare il
prologo dell’isagoge solo al decimo capitolo, e mostra chiaro lo sforzo
di ricorrere alle argomentazioni e dimostrazioni più semplici, affinchè i
principianti possano intenderle ed afferrarle. In verità Porfirio pone e
rinvia tre questioni: se generi e specie esìstano davvero o stiano
solo neirintelletto e nella mente; se siano corporei o
incorporei; se siano separati o uniti con i sensibili. Rispetto alla
prima questione, se generi e specie esistano davvero, o stiano solo
nell’intelletto e nella mente, BOEZIO sembra interpretarla in un modo che
forse non coincide interamente con ciò che intende Porfirio. Questi intende
domandarsi: generi e specie sono idee platoniche, cioè enti, o invece
concetti aristotelici, cioè universali puramente mentali nati nel
pensiero e dal pensiero? Se sono idee platoniche, si intende che sono,
non solo incorporee, ma separate. Se invece sono concetti aristotelici,
essi corrispondono, nella mente, a forme che nella realtà vivono
intrinsecate nelle cose sensibili. La questione, dunque, è: gli
universali vanno concepiti platonicamente, ante rem, o aristotelicamente, post
rem, giacché in re essi esistono, ma intimi alle stesse cose
particolari? Se questo è ciò che intende domandarsi Porfirio, si
capisce come egli preferisca rimandare questa controversia prò ACCADEMIA o
prò LIZIO a un momento in cui il suo discepolo CRISAORIO sia già innanzi negli
studi filosofici. Ma BOEZIO intende la questione in maniera assai diversa. Egli
non intende i generi e le specie se non come universali mentali post rem,
come concetti aristotelici. La conoscenza si inizia con la sensazione: per
sensuum qualitatem res sensibus subiectas (animus) intellegit. Dalla sensazione
lo spirito parte per concepire le specie ed i generi: et ex bis -- le
cose sensibili -- quadam speculatione concepta, viam sibi ad incorporalia
intellegenda praemunit. Così, quando vede i singoli individui umani, sa
d’aver visto uomini, sa che sono uomini quelli che ha visti. Di qui lo
spirito sale a discernere la stessa specie uomo, incorporea perchè non
si concepisce che con la mente e l’intelligenza. Ma, come movendo
dalla sensazione lo spirito giunge a comprendere le cose incorporee, così,
movendo dalle stesse sensazioni, lo spirito arriva a immaginarsi, per
esempio, un centauro, la cui fallace immagine si compone di elementi della
forma umana ed elementi della forma equina. Or si domanda: generi e
specie sono concepiti con verità, sicché comprendiamo la specie uomo
giustamente ricavandola dai singoli uomini corporei, o invece sono
immaginati con finzione mentale pari a quella di cui parla ORAZIO
nell’Arte Poetica, quando dice: fiumano capiti cervicem pictor equinam iungere
si velit? Come si vede, BOEZIO non crede che la domanda di Porfirio
sia rivolta a sapere se gl’universali siano reali o puramente mentali, ma
se siano concetti veri o pure finzioni dell’immaginazione. Il che significa
porsi già su terreno prettamente aristotelico, giacché tutto si riduce a
domandare se gl’universali post rem siano rettamente pensati o fallacemente
immaginati, o, con altre espressioni, se siano concetti o puri sogni e
chimere. La risposta che BOEZIO dà a questa domanda è, se non erriamo,
singolarmente infelice. Per lui non è dubbio che i generi e le specie
sono veramente. Difatti, come tutte le cose che veramente sono senza
queste cinque: non possono essere, così non si può dubitare che anche
queste cinque son concepite con verità -- vere intellectas. Che è una strana maniera di presupporre
gl’universali reali nelle cose sensibili, quando proprio la domanda è se
gli universali siano reali o fallaci. Per BOEZIO, genere, specie, differenza,
proprietà, ed accidente, queste cinque distinzioni nelle cose sono
conglutinatae et quodam- modo coniunctae atque compactae. Difatti, perchè
Aristotele parla delle prime X espressioni (sermonibus) significanti i
generi delle cose, o perchè raccoglierebbe le loro differenze e proprietà e toccherebbe
degl’accidenti, se non li avesse visti nelle cose intrinsecati e in
qualche modo riuniti -- in rebus intima et quodammodo adunata ? In base a
questa argomentazione BOEZIO conclude che se è cosi, non c’è
dubbio che siano veramente e sian tenute (le cinque distinzioni) con
giusta riflessione -- certa animi consideratione. Ma si vede chiarissimo che BOEZIO
dà per certa e dimostrata la concezione aristotelica degl’universali come
forme immanenti nelle cose particolari, onde conclude che lo
spirito, pensandoli, è nel vero e non nell’errore delle pure
finzioni immaginarie. Ma se la questione erper Porfirio se gli universali
fossero reali o puramente mentali, e per BOEZIO se fossero concetti veri o mere
finzioni immaginarie, nè la questione porfiriana, nè quella boeziana
possono essere risolte con l’appellarsi alla concezione aristotelica di
universali reali nei particolari, e quindi veri, post rem, nello spirito umano.
Questo è un affermare il temperato realismo aristotelico, non un risolvere
la questione con un procedimento dimostrativo. BOEZIO presuppone dimostrato l’aristotelismo
per decidere in senso aristotelico e su l’autorità del LIZIO la questione
da lui posta. Senonchè BOEZIO trova un’altra conferma realistica-
della sua opinione nell’assenso, per quanto tacito, dello stesso
Porfirio. Giacché, egli dice, Porfirio, come se già fosse risaputa e provata la
realtà degl;universali, domanda se siano corporei o incorporei. La quale
domanda sarebbe troppo frivola e assurda se non si fosse prima assodata,
per gl’universali, quella realtà che ora si domanda se sia corporea o
incorporea. Ma anche qui forse BOEZIO, neirinterpretare Porfirio, va
lontano da quello che egli intende dire. Porfirio domanda: — generi
e specie sono reali o puramente mentali? Se reali, nel senso
platonico, sono enti incorporei; se meramente mentali, non si può ad essi
attribuire altra realtà che nei corpi stessi. Vale a dire, se reali, nel
senso platonico, sono separati: se meramente men- tali, non possono
concepirsi che immanenti nei corpi, congiunti con essi e da essi
inseparabili, tranne che per astrazione nel pensiero umano.
Se questa che qui proponiamo fosse una interpretazione plausibile
del celebre prologo porfiriano, le domande ivi contenute in realtà non
sarebbero tre, ma una sola: gli universali sono reali, o mentali? vale a
dire, sono incorporei, o esistono nei corpi? cioè, sono separati, o
intrinsecati nei corpi e da essi inseparabili? Ma BOEZIO le intende
come tre domande, ciascuna delle quali presupponga già risolta in un
determinalo senso le precedenti. Difatti, egli dice: solo se alla prima
domanda se gli universali siano reali
si risponde affermativamente, si può poi domandare se esistano
come corpi o come incorporei ; e parimenti, solo se a questa domanda si
risponda affermando Tincorporeità degli universali, si può domandare se,
essendo incorporei, esistano separati dai corpi o siano da essi
inseparabili. Rispetto alla seconda questione se gli universali
siano corpi o incorporei BOEZIO tratta separatamente il genere
dalla specie. Quanto al genere egli dice, quia incorporeorum
prima natura est, può una cosa incorporea essere madre di una
corporea, ma non viceversa, giacché, la sostanza essendo il genere, e
corporale e incorporale le specie, il genere non può essere corporale,
chè, se fosse tale, la specie incorporea non potrebbe subordinarglisi.
Dal che discende che il genere non deve essere nè corporeo nè incorporeo,
si da poter avere per specie così il corporeo come Tincorporeo. E
qui Boezio solleva una questione di grandissima importanza. Se il genere
non può avere nessuna delle determinazioni che costituiscono le proprietà
delle specie e le loro reciproche differenze, donde nascono nelle specie
queste differenze che nel genere, da cui pure le specie derivano, non ci
sono? Non si può pensare che il genere animale possegga tanto la
proprietà della ragionevolezza quanto quella della irragionevolezza: chè
posse- dere in sè due contrari sarebbe impossibile. Bisogna dunque
che, per poter dare luogo cosi alBuna come alEaltra delle due
specie, il genere non abbia nè Buna nè Taltra delle due differenze
specifiche: non sia nè Tuna nè l’altra specie, pur contenendole entrambe
« vi sua et potestate. Ed anche questa è, come si deve, una soluzione
prettamente aristotelica della questione: il genere è «in potenza» le
sue specie, senza essere « in atto » nessuna di esse. Ma non è qui
il caso di saggiare la consistenza o la inconsistenza di un simile
tentativo di spiegazione che, non riuscendo a dar ragione del nascere
delle differenze, le presuppone già esistenti, e tuttavia non ancora
reali, giacché sono potenziali, virtuali. Si è visto dunque che per Boezio
il genere non è nè corporeo, nè incorporeo : il che significa, su questo
punto, non rispondere alla domanda di Porfirio, ma sottrarsi ad essa. E
la ragione di tutto ciò è chiara. Porfirio è tutt’ altro che convinto che
gli universali siano puri concetti: ecco perchè egli tende ad affermarli
reali e incorporei. Ma per Boezio gli universali sono semplici concetti:
e però, per quanto sia anch’egli convinto con Platone ed anche con
Aristotele, che Tincorporeo è, per natura, prima del corporeo, pure è
costretto, dalla sua concezione mera- mente logica e non metafisica degli
universali come concetti e non come idee, a pensare il genere come privo
delle determinazioni che saranno proprie delle specie: a costo di non
sapere più d donde derivino alle specie queste differenze, che sono
estrai alla sola fonte delle specie che è il genere. Ma BOEZIO
si illude che ammettere la potenziale presei delle differenze specifiche
nel genere sciolga la difficoltà: (inoltra nella considerazione meramente
logica del genere co semplice concetto, adatto esclusivamente alle
classificazi scolastiche dei concetti secondo la loro estensione, mentre,
] Platone, il genere era pregnanza di realtà o idea. Quanto alle
specie BOEZIO ne ammette di corporee e di ine poree: specie corporea l’uomo;
incorporea: il divino. Parimenti le differenze: quadrupede è differenza
cor rea ; ragionevole differenza incorporea. Cosi anche le
proprietà: corporee di cose corporee; ine poree di cose
incorporee. E lo stesso è degli accidenti: accidente incorporeo è nello
s ritolascienza: accidente corporeo èsul capo la capigliatura cres
Insomma per BOEZIO, solo il genere è neutro, nè corpor nè
incorporeo: ma le specie, le differenze, le proprietà e accidenti sono
corporei se appartengono ai corpi, incorporei appartengono allo
spirito. Senonchè, in questa teoria, lo stesso BOEZIO, che non
potuto riconoscere incorporeo il genere per la sua conside zione
meramente logica di esso, ammettendo corporee le spe( le differenze, le
proprietà e gl’accidenti delle cose corpor rinunzia a considerare specie,
differenze ecc. come distinzi meramente logiche, e non solo le pensa
metafisicamente intr secate nelle cose singole, ma fatte una cosa sola
con esse, da ricevere la loro stessa natura. Torna, bensì, a una
considerazione meramente logica de distinzioni porfiriane, stabilendo,
dopo la prima, ora espos una seconda teoria, che peraltro egli presenta
come una teo altrui. Secondo questa teoria il genere va considerato coi
genere, come pura determinazione logica o concetto. E se sostanza è
genere, non dev’essere considerata come una sostanza, ma come un genere,
cioè come qualcosa che ha delle specie sotto di sè. Cosi pure la specie.
Corporeo e incorporeo saranno specie della sostanza. Ma essi vanno
considerati come pure specie, cioè come concetti che stanno sotto un
genere. Parimenti le differenze: bipede e quadrupede sono differenze in
quanto l’uno contrapposto all’altro: vanno, dunque, considerati non come
un bipede e un quadrupede, ma come pure differenze logiche. Similmente le
proprietà non vanno considerate nel loro contenuto, ma come pure
caratteristiche logiche della specie. Così intesi, generi, specie,
differenze e proprietà, come pure distinzioni logiche, non possono
essere, secondo la teoria che Boezio espone senza aderii-vi, se non
incorporei. Mentre gli accidenti avrebbero la natura delle cose a cui
accadono: sareb- bero quindi corporei o incorporei a seconda delle
sostanze. Sia qui notato subito che questa affermazione metafìsica
della incorporeità di quattro fra le cinque distinzioni porfiriane
proprio perchè distinzioni meramente logiche, è una affermazione cosi male
impostata da non poter resistere alla più semplice critica. Come semplici
distinzioni logiche esse non hanno nessuna natura: il loro contenuto ha
una determinata natura, non esse: nella specie uomo, l’uomo è corporeo e
ragionevole, ma € la specie nè
corporea nè ragionevole. Affermare quindi la incorporeità della specie
come distinzione logica, come concetto, è impossibile; per dirla incorporea
bisogna considerarla come idea, come ente metafìsico, non come
determinazione logica. Ma dirla incorporea perchè logica è un abuso
inammissibile di pensiero, e, in ogni caso, attesta quel continuo oscillar
e tra logica e metafìsica che è cosi caratteristico nella tradizione
LIZIA. Pensati gli universali come concetti, essi non sarebbero più
suscettibili di nessuna considerazione metafìsica: invece continuano a essere
dichiarati, metafìsicamente, incorporei, primi per natura, ecc., mentre,
come puri concetti, essi non sono che vuoti termini
classifìcatorii. Ma Boezio continua a esporre la teoria della
incorporeità delle distinzioni logiche, dicendo che coloro i quali
sostengono tale teoria s’appoggiano all’autorità di Porfirio stesso, il
quale, come se fosse già dimostrata la incorporeità dei generi,
delle differenze, ecc., domanda se siano separati o uniti alle cose
sensibili: chè, se fossero corporei, sarebbe assurdo domandare se siano
disgiunti dalle cose sensibili o congiunti. BOEZIO, invece, dà tutt’altra
interpretazione a questa domanda porfiriana, in quanto la intende come se
suonasse: gli universali sono sempre separabili dai particolari
sensibili, o a volte inseparabili?, e però non gli sembra che la domanda
porfiriana presupponga, come se già fosse risaputa e dimostrata,
l’incorporeità di tutte le specie, differenze, proprietà, ecc. in quanto
pure determinazioni logiche. Egli passa perciò a interpretare direttamente
la terza domanda, lasciando da parte la teoria della incorporeità
dei concetti, ed ha l’aria di averla riferita a puro titolo di
informazione, ma ritenendola infondata e insostenibile. Per lui, dunque,
le specie sono talune corporee, talune incorporee. Si domanda se siano
sempre congiunte alle cose particolari, o possano a volte
disgiungersene. BOEZIO, per chiarire la domanda porfiriana, distingue
tre specie di cose incorporee: Cose incorporee affatto insuscettive
di corpo, come lo spirito e Dio; Cose incorporee inconcepibili senza
i corpi, come lo spazio vuoto che è immediatamente oltre i termini di
una figura geometrica ; Cose incorporee che sono corpi e possono
essere senza corpo, come l’anima. Si domanda se generi, specie,
differenze, ecc. siano di quegli incorporei sempre separati da corpo, o
di quegli altri che mai non possono separarsene, o infine di quelli che a
volte si uniscono, a volte si separano. La risposta di BOEZIO è che
possono congiungersi e possono separarsi: che nelle cose corpoi'ee son
congiunti a corpo, nelle incorporee disgiunti da corpo. Ma non
bisogna credere che tutte le specie, le differenze, le proprietà, ecc.
siano congiungibili o disgiungibili dai corpi; al contrario quelle delle
cose corporee sono inseparabili da tali cose corporee, come lo spazio è
inseparabile dai corpi che limita; e quelle delle cose incorporee, come
le proprietà dello spirito non si trovano che nello spirito, che è
perfettamente separato dal corpo. BOEZIO ribadisce la sua concezione: ci
sono due ordini di realtà: corporee ed incorporee; le incorporee
sono per natura e dignità anteriori alle corporee, e andrebbero
considerate come loro fonte: senonchè Boezio concepisce le corporee e le
incorporee come tra loro coordinate, e le subordina entrambe ad un genere
nè corporeo nè incorporeo, che avrà magari in sè la potenza delle une e
delle altre, ma che intanto, così astratto e sopraordinato ad esse, è il
vertice di una classificazione logica da scuola, non la genesi del
reale. Nel secondo commento di BOEZIO le domande di Porfirio sono
presentate ed interpretate come nel primo: ma ne è diversa la
trattazione. Le questioni et perutiles et secretæ, et temptatæ
quidem a doctis viris nec a pluribus dissolutæ, non trattate ancora
da Porfirio per non ingenerare oscurità nel lettore impreparato, ma
tuttavia accennate affinchè il lettore, una volta rafforzato dal sapere,
sappia che domandare, sono da BOEZIO formulate così: Lo spirito o,
con l’intelletto, concepisce, afferra quello che realmente esiste in
natura e, con la ragione, lo copia in sé stesso; oppure, con vuota
immaginazione, dipinge a sé medesimo ciò che non esiste. Si domanda dunque come
sia Pintendimento che noi abbiamo del genere^ della specie, ecc.: se
intendiamo generi e specie come cose esistenti delle quali prendiamo vera
comprensione, o se invece noi stessi ci inganniamo immaginandoci con vano
pensiero cose che non sono. Che se si ammette che dei generi, delle
specie, ecc. abbiamo un vero concetto, rimane da determinare se siano
corporei o incorporei: giacché tutto ciò che esiste deve essere corporeo
o incorporeo, e non si intenderà bene cosa siano i generi e le specie
finché non si sappia se porli tra le cose corporee o le
incorporee. Che, se si ammette che generi, specie, ecc. siano
incorporei, rimane ancora da stabilire se, pur essendo incorporei,
esistano nei corpi, o se invece sembrino essere sussistenze indipendenti
anche senza corpi. Giacché ci cono due specie di cose incorporee (qui BOEZIO
sopprime la terza specie da lui distinta nel primo commento: quella delle
cose incorporee che a volte si uniscono ai corpi, a volte se ne separano,
e la fonde senz’altro con la prima specie): ci son cose incorporee
che possono esistere senza corpo e, separate dai corpi, perdurano
nella loro incorporeità, come Dio, la mente, Tanima ; altre cose
incorporee, invece, non possono esistere senza i corpi, come la linea, la
superficie, il numero e le varie qualità, che noi diciamo incorporee
perchè non si estendono nelle tre dimensioni, ma che esistono nei corpi
siffattamente da non poterne essere strappate o separate, o da svanire se
separate dai corpi. Come si vede, le questioni sono impostate come nel
primo commento. Ma qui BOEZIO si propone di trattarle
altrimenti: primum quidem panca sub quaestionis ambiguitate
proponam, post vero eundem dubitationis nodum absolvere atque
explicare temptabo. nsomma, prima egli moverà un attacco, che vorrebbe
essere a fondo, contro ogni concezione dell’ACCADEMIA o del LIZIO degl’universali,
sia come reali, sia come concetti: poi giustificherà la concezione aristotelica
tentando di dimostrare che son veri, nel pensiero, gli universali, pur non
essendo reali, in natura, se non nei particolari. BOEZIO scrive: i
generi e le specie o sono e sussistono, o si formano con l’intelletto ed
esistono solo nel pensiero, ma non possono essere generi e
specie. Anzitutto, generi e specie possono essere considerati
reali? Una cosa che nello stesso tempo sia comune a più altre, non
può essere una: specialmente se sia tutta in molte contempora- neamente.
Ora il genere dovrebbe essere uno in tutte le sue specie: e non nel senso
che ogni singola specie prenda per sè una parte del genere, ma nel senso
che ogni singola specie ha in sè tutto il genere. Or questo genere che è
tutto in ciascuna delle sue specie contemporaneamente, come può essere
uno? giacché, se è tutto in più specie, in sè non può essere uno di
numero. E se non può essere uno, non è nulla assolutamente, perchè tutto
ciò che è, è perchè è uno. E lo stesso va detto della specie. Che se si
dice che la specie o il genere esiste, ma molteplice di numero, non uno,
non sarà il genere ultimo, bensì avrà sopra di sè un altro genere, che
includa quella moltepli- cità nella propria unità. E,
daccapo, se questo nuovo genere sarà a sua volta molteplice, non uno, rinvierà
ancor esso a un altro genere: e cosi di seguito, airinfinito, senza che
sia dato trovare un genere che sia uno di numero pur essendo comune a
tutte le sue specie. Che se si dice che il genere è uno di numero, non
potrà essere comune a molti. Giacché una cosa può essere comune a
molte, ma solo in uno di questi tre casi: che ciascuna sua parte si
applichi ad un particolare diverso: sicché il genere non stia tutto in
ciascuna specie, ma in ogni specie una sola parte del genere; che
più persone abbiano in comune l’uso di alcunché, ma l’usino, beninteso,
ciascuna in tempi diversi. Esempio : più persone hanno un solo
servo o un solo cavallo: si capisce che non possono servirsene tutte con
temporaneamente, ma l’una prima, Taltra dopo); che qualcosa sia
comune a molte persone, ma senza costituire la loro essenza. Esempio : il
teatro è luogo comune a tutti gli spettatori ; ed anche lo spettacolo è
uno e comune ad essi tutti). Ma il genere non è comune alle
specie in nessuna delle tre forme ora dette: giacché deve essere tutto in
ciascuna specie, deve essere contemporaneamente in tutte le specie, e
deve costi- tuire Tessenza delle specie a cui è comune. Ora, se il
genere non è nè uno (giacché è comune), nè molteplice (giacché, se fosse tale,
richiederebbe un genere ulteriore), il genere non è per nulla. E lo
stesso va detto delle specie, delle diiferenze, delle proprietà e degli
accidenti. Se genere, specie, ecc. non sono, resta che siano còlti
solo con rintelligenza. Ma di nuovo, ogni concetto si torma da una
realtà o conformemente al suo vero essere o difformemente da esso. Se
conformemente, genere, specie, ecc. esistono non solo nel pensiero, ma
anche nella realtà, e risorge la domanda come possano essere uni e
molteplici ad un tempo, con la conclusione di pocanzi, che cioè, genere,
specie, ecc. non sono. Se difformemente, non possono essere che vani e falsi
dei concetti difformi dalla realtà nel suo vero essere. Conclusione:
se genere, specie, ecc. nè sono, nè, quando son pensati, sono pensati con
verità, non rimane più alcun dubbio che si debba abbandonare ogni
discussione circa le cinque distinzioni porfìriane, non vertendo esse nè su
qualcosa di reale nè su qualcosa di cui sia possibile farsi un vero
concetto. A questa obiezione che mirerebbe, come si vede, a scalzare
tutta intera la dottrina porfiriana delle cinque primissime distinzioni
logiche, BOEZIO risponde, appellandosi all’autoritàdi Alessandro di Afrodisia,
di cui accetta e riproduce Targo - montare. Non è vero, scrive BOEZIO,
che sia falso e vano ogni concetto che si scosti dall’essere reale delle
cose. Se la mente mette insieme elementi di cose disparate fino a
formarsi una immagine non rispondente a realtà, certamente erra e si
inganna, come quando si immagina i centauri, componendone mentalmente la
figura con elementi del corpo umano e dell’equino. Ma quando la mente
procede non per composizione, ma per divisione ed astrazione, il concetto
non corrisponde a nulla di obbiettivo, e tuttavia non è
falso. Esempio: la linea non è concepibile che in un corpo: staccata
da qualsiasi corpo, la linea non è nulla; e difatti chi potè mai cogliere
con un qualsiasi senso una linea separata da ogni corpo? Ma ciò non
esclude che possa separarla lo spirito e pensarla per sè sola, fuori di
qualsiasi corpo. Onde risulta, nel pensiero, incorporea e separata quella
linea che nella realtà è inseparabilmente unita al corpo e confusa con
esso. Ora, i generi, le specie, ecc. sono proprio cosi fatti:
esistono nei corpi singoli, ma possono essere separati dai corpi,
come puri universali. E come nessuno può dir falso il concetto
della linea perchè si pensa separata da ogni corpo mentre essa
fuori dei corpi non sussiste, cosi non si deve ritenere falso il concetto
di genere, specie, ecc. perchè si isolano come puri universali
mentre essi non esistono che nei particolari. Gtli è che è
prerogativa dell’ntelletto cogliere la somiglianza dei vari particolari
sensibili, fissarla per sè sola e farne una specie; e poi ancora,
cogliere la somiglianza delle varie specie, fissarla e farne un
genere. Sicché la specie è un concetto ricavato dalla somiglianza
d’essenza di individui diversi numericamente l’uno dall’altio: e il
genere è un concetto ricavato dalla somiglianza delle specie. Ma questa
somiglianza, quando è nelle cose singole, è sensibile; quando nelle universali,
è intelligibile. O, che è lo stesso, sentita, è nelle cose singole;
pensata, è universale. Sicché generi. specie, ecc. esistono nei
sensibili, son còlti e pensati fuori dei corpi; universali quando son
pensati, singolari quando son sentiti nei corpi in cui hanno
esistenza. Rimane cosi risolta Tintera questione: giacché generi e
specie esistono in un modo - nei particolari - e son pensati in un altro
- fuori dei particolari - come se esistessero per sé stessi e non
avessero nei particolari l’esser loro. Ma questa soluzione è aristotelica,
e Boezio Tavverte esplicitamente: giacché per il LIZIO generi e specie son
pensati incorporei ed universali, mentre esistono nei particolari
sensibili. Platone invece - BOEZIO ama rammentarlo - ritiene che generi e
specie non solo siano pensati come universali, ma anche siano tali ed
esistano separati dai corpi. E BOEZIO dichiara espressamente d^aver
presentato la soluzione aristotelica della questione non perché egli la
approvi di più, ma perché un lavoro, come il suo commento, destinato a
servir di introduzione alle Categorie del LIZIO, ha il dovere di
adottare, in questa questione, preliminare importantissimo, il punto
di vista aristotelico. Dopo il prologo del quale si é ampiamente
discorso, l’Isagoge - alla quale ci
conviene ormai ritornare - può intendersi divisa in due parti: la prima
studia separatamente il genere, la specie, la differenza, la proprietà e
Taccidente; la seconda paragona prima il genere alla differenza, alla
specie, alla proprietà e all’accidente; poi la differenza alla specie,
alla proprietà e all’accidente; infine tra loro la proprietà e l’accidente. Cominciamo
ora lo studio delle cinque distinzioni logiche prese separatamente ad una
ad una. Porfirio osserva che la parola “genere” si usa con
significati diversi. Primo significato é quello per il quale genere (o
piuttosto gente) vuol dire stirpe. Esempi: Oreste è delle gente di
Tantalo, cioè discende da Tantalo; Pindaro è della gente tebana, cioè è
tebano di nascita. Nel primo caso è indicato il progenitore, nel
secondo la patria. In entrambi il termine da cui la stirpe, o gente,
o genere proviene. Secondo significato è quello per il quale il
genere (o gente, vuol dire quella collettività che è stretta da
un’origine comune Esempio: Gl’Eraclidi costituiscono una gente (o
genere) perchè discendono tutti da un comune capostipite: Eracle. Terzo
significato è quello per il quale si dice genere quello a cui si
subordinano le specie, la cui moltitudine esso contiene sotto di sè.
Questo terzo significato, che è quello che la parola genere ha per i
filosofi, è probabilmente imitato dai primi due in quanto, in logica si
chiama genere quello che in altri casi si dice piuttosto stirpe, cioè l’origine
da cui le specie derivano, da essa prendendo il nome e con tal nome
distinguendosi da tutte la altre specie che rientrano sotto altri
generi. In questo terzo significato genere è quel che si predica di
più cose, differenti tra loro per la specie, e indica cosa esse sono. La
quale definizione ha bisogno di essere chiarita punto per punto. Quel che
si predica di più cose. Difatti, un predicato (“shaggy”) o si riferiscono
ad una cosa singola o a più cose. Ad una cosa sola si rifere l’individuo,
come quando si dice: questi è Socrate, questi e Fido -- e anche a una
cosa sola si riferiscono: questi e questo. Invece a più cose si
riferiscono i generi, le specie, le differenze e le proprietà e quegli
accidenti che risultano comuni, non propri di una cosa sola. Esempio
di genere: animale. Esempio di specie : uomo. Esempio di differenza (che
contraddistingue l’uomo dagli altri animali): ragionevole. Esempio di proprietà dell’uomo:
la capacità di ridere. Esempi di accidenti dell’uomo: bianco, nero, muoversi. Ora il
genere differisce dall’individuo perchè si predica di più cose, non di
una. Ma la definizione precisa è: Genere è ciò che si predica di
più cose differenti tra loro per la specie», in quanto anche la specie si
predica di più cose, ma di cose differenti tra loro per numero, non per
specie. Esempio: La specie uomo si predica di Socrate e di Platone o
CATONE e CICERONE, che differiscono numericamente in quanto Socrate e
Platone sono due individui diversi, mentre il genere animale si predica dell’uomo,
del bue, del cavallo, differenti tra loro non solo numericamente, ma per
specie. Inoltre: genere è ciò che si predica di più cose differenti
tra loro per la specie, e indica cosa esse sono. Giacché anche le
differenze si predicano di cose differenti tra loro per la specie, ma
indicano qitali esse sono, non cosa sono. Esempio: se ci domandano che
cosa è Puorao, rispondiamo indicando il genere a cui appartiene, e diciamo:
Puoino è animale; ma se ci domandano le qualità dell’uomo, rispondiamo
indicando i suoi caratteri differenziali, la ragionevolezza e la
mortalità. Com’è chiaro, il genere differisce dalla proprietà,
perchè questa si predica d’una sola specie e degli individui di
essa, mentre il genere si predica di più specie. E differisce dagli
accidenti comuni perchè, sebbene questi si predichino di più cose
differenti tra loro per specie, ne indicano la qualità, non l’essenza -- come,
ad esempio, il color nero. Ricapitolando: il predicarsi di più cose divide
il genere dagli individui; il predicarsi di più cose differenti di
specie lo separa dalle specie e dalle proprietà; Pindicare la
quiddità o essenza lo divide dalle differenze e dagli accidenti
comuni che indicano la qualità. E questa trattazione del genere non
contiene nulla nè di superfluo, nè di manchevole. Anche specie ha più
significati. Significa forma e significa, in logica, ciò che rientra in un
genere (uomo è specie compresa nel genere animale; bianco è specie
del genere colore; triangolo è specie del genere figura).
Beninteso, come il genere è genere solo rispetto alle sue specie, cosi le
specie sono specie solo rispetto al loro genere. Genere e specie cioè
sono concetti correlativi. Cosi la specie vien definita: ciò che è posto sotto
il genere, e di cui il genere si predica per indicarne l'essenza o
quiddità. Ma questa definizione conviene solo alle specie specialissime che
sono sempre specie e non mai generi, mentre le precedenti definizioni
convengono anche alle specie che non sono specialissime. Sono generi
generalissimi quelli al di sopra dei quali non esiste altro genere, come
ad esempio I sostanza. Sono specie specialissime quelle al di sotto delle
quali non esistono altre specie, come, ad esempio, uomo, che ha sotto di
sè immediatamente i vari individui umani. Tra i generi generalissimi e le
specie specialissime intercorrono generi subalterni, come ad esempio sostanza
animata, sostanza animata sensibile, sostanza sensibile ragionevole. Ciascuno
di questi concetti, intermedi tra sostanza e uomo, è specie rispetto al
concetto più ampio nel quale rientra, è genere rispetto al concetto più
ristretto che in esso rientra. Ad esempio: «sostanza animata» è specie
rispetto a sostanza, è genere rispetto a sostanza animata sensibile. Ai
due estremi della scala c'è la « sostanza», genere generalissimo che non
è mai specie, e l’uomo, specie specialissima che non è mai genere, mentre
in mezzo i generi subalterni sono a volte generi, a volte
specie. Ora, mentre le genealogie famigliari, risalendo di proge-
nitore in progenitore, raggiungono il comune capostipite di tuttele
famiglie, Giove, non è dato rinvenire un genere generalissimo unico, a
cui tutti i generi subalterni si lascino ridurre. Al contrario, secondo
Aristotele sono X i generi generalissimi, assolutamente primi e irriducibili:
uno è la sostanza e nove gli acci- denti (qualità, quantità, luogo,
tempo, ecc.). Nè è valida obiezione che se questi X PREDICAMENTI sono, essi
sembrano ridursi ad un genere generalissimo unico, Ve^%ere\ chè,
dice Porfirio, l’esenza si predica in senso assai diverso della
sostanza e dei vari accidenti, sicché l’unificazione delle X categorie
neir^ss^r^ è soltanto nominale, non reale, variando il significato essere
dall’uno all’altro predicamento. Ora, se i generi generalissimi sono X, i
generi subalterni sono di numero assai grande, ma tuttavia finito :
infiniti, invece, sono gli individui che vengono dopo le specie
specialissime, e di essi non si dà scienza. L’ACCADEMIA insegna a
dividere, mediante le differenze specifiche, ciascun genere in due, e poi
ancora in due fino a raggiungere le specie specialissime, che si
dirompono negli individui. Chi discende dai generi generalissimi alle
specie specialissime divide, cioè moltiplica l’unità. Chi, al contrario
sale dalle specie specialissime ai generi generalissimi, raccoglie la
moltitudine in unità. Giacché ciò che è singolare divide, ciò che è
comune aduna. Adunque, il genere si divide in più specie e si predica
di esse. Giacché i concetti più estesi si predicano dei meno estesi
(il genere si predica delle specie), i concetti equipollenti si predicano l’uno
dell’altro e l’altro dell’uno (la proprietà di nitrire si predica del
cavallo nella proposizione: Il cavallo è l’animale che nitrisce, e il cavallo
si predica del nitrire nella reciproca: L’animale che nitrisce è il
cavallo), ma non mai i concetti meno estesi si predicano dei più estesi
(la proposizione: l’uomo è un animale » non può convertirsi nella reciproca:
l’animale è uomo. Così i generi generalissimi si predicano di tutti i generi
subalterni o specie, delle specie specialissime e degli individui ad esse
sottoposti; i generi subalterni si predicano di tutte le specie ad essi
inferiori, delle specie specialissime e degli individui ; le specie
specialissime si pre- dicano degli individui, e gli individui d’un solo
particolare. Gli individui sono parti della specie, che rispetto ad essi
è totalità, mentre rispetto al genere è parte. Si parla di differenza nel
significato comune della parola, in senso proprio, e in senso
rigoroso. Nel significato comune differenza esprime la diversità
d’una cosa da un’altra o da sè stessa. Socrate differisce da Platone e
differisce da sè stesso bambino. In senso proprio, una cosa si dice
differire da un’altra quando ne differisce per un accidente inseparabile.
Accidente inseparabile è, per esempio, avere il naso curvo, essere
ciechi, avere una cicatrice causata da una ferita. In senso rigoroso
una cosa si dice differire da un’altra quando se ne distingue per
differenza di specie. Ad esempio, un uomo differisce da un cavallo perchè
appartengono a specie diverse, l’uno essendo ragionevole, l’altro
no. In generale dunque, ogni differenza altera ciò a cui si innesta: ma le
differenze comuni e proprie si limitano a renderlo alterato, le rigorose
lo rendono addirittura altro. E queste differenze rigorose che rendono altro
ciò a cui si applicano, si dicono differenze specifiche, le altre si
dicono semplicemente differenze. Queste non producono che un’alterazione o
un mutamento di stato, per esempio, il muoversi rispetto al giacere,
quelle, invece, dal genere fanno le specie, le quali si definiscono
appunto col genere e le differenze. Altra classificazione delle differenze
è la seguente: differenze separabili come il muoversi e lo star fermi, l’essere
sani o malati, e differenze inseparabili^ come l’avere un naso
aquilino o camuso e l’essere ragionevoli o irragionevoli. Le
differenze separabili si dividono ancora in differenze per se e
differenze per accidens. Differenza per se è, nell’uomo, la
ragionevolezza, la mortalità, la capacità di apprendere. Differenza per
accidens è l’avere il naso aquilino o camuso. Le differenze per se entrano
nel concetto della cosa e la rendono altra (la mortalità entra nel
concetto di uomo e lo differenzia dall’altro essere animato sensibile e
ragionevole, ma immortale che è Dio); invece, le differenze accidens,
anche se insensibili, non entrano nel concetto della cosa e non la
ren- dono altra, ma solo alterata (il naso camuso non entra nel
concetto di uomo, e altera un individuo, ma non lo rende altro dai
rimanenti uomini. Parimenti le differenze per se non ammettono aumenti o
diminuzioni (tutti gli individui umani sono uomini egualmente, invece, le
differenze per accidens ammettono aumento o diminuzione (si ha la pelle più o meno
bianca, il naso più o meno curvo, ecc.. Fra le differenze
inseparabili per se talune servono a dividere i generi in specie, tali altre,
invece, a specificare i generi già divisi. Differenze inseparabili per se
sono animato e inanimato, sensibile
e insensibile, ragionevole
e irragionevole, mortale e immortale. Di queste differenze, animato
e sensibile sono differenze costitutive della sostanza animale; mortale e
ragionevole sono, invece, divisive
della sostanza animale in quanto per esse si giunge dal concetto del
genere « animale al concetto della
specie uomo. Senonchè quelle differenze che son divisive pei generi, sono
costitutive per le specie: difatti, nelPesempio ora addotto, le
differenze ragionevole e mortale, introducendo una divisione nel genere
animale, costituiscono proprio cosi la specie uomo. Divisive e costitutive
poi sono tutte le differenze specifiche, utilissime per le divisioni dei generi
e le definizioni delle specie, mentre a ciò non giovano nè le differenze
inseparabili per accidens, nè, molto meno, le separa- bili (sarebbe
ridicolo dividere gli uomini secondo che abbiano il naso aquilino o
camuso, differenze inseparabili per accidens, o, peggio ancora, secondo che
stiano in piedi o a sedere). La differenza viene anche determinata come
quella che la specie ha in più del genere. L’uomo, ad esempio, ha in
più delhanimale Tessere ragionevole e mortale, qualità che il concetto di
animale non include. (Or si domanda: se il genere non ha in sè le
differenze che caratterizzano le varie specie, queste donde le traggono?
Giacché le specie non derivano che dai generi, e questi non posseggono le
differenze, nè pos- sono possederle, chè, se le possedessero, potrebbero
riunire in sè differenze opposte tra loro, come sono quelle che
contraddistinguono runa dalbaltra le varie specie. La soluzione di questa
difficoltà è che non è necessario ammettere nè che le differenze
specifiche nascano dal nulla, nè che il genere aduni in sè differenze contraddittorie,
perchè il genere ha in potenza le differenze che da esso nascono, senza
averle in atto. Altra definizione della differenza è: ciò che si predica
di più cose differenti tra loro per specie, per indicarne la qualità.
Infatti, se uno ci domanda: « che cosa è l’uomo?, noi rispondiamo
indicando il genere a cui la specie umana appartiene, e diciamo: l’uomo è un
animale ; ma se uno ci domanda la qualità delbuomo, rispondiamo indicando
i suoi caratteri differenziali, e diciamo: L’uomo è ragionevole e
mortale. Porfirio paragona così il genere alla materia e la
differenza alla forma, e dice che come la figura rende statua il
bronzo, cosi la differenza rende specie il genere. Altra
determinazione della differenza è: ciò che è atto a dividere le cose che
sono sotto il medesimo genere. Difatti, ragionevole e irragionevole sono
differenze atte a dividere l’uomo dal cavallo, entrambi compresi nel
genere animale. Altra definizione: differenza è quella per la quale
differiscono fra loro le varie cose, giacché per il genere non
differiscono. Per esempio: siamo animali mortali noi e gli irragionevoli:
la differenza ragionevoli vale a separarci da essi. E ancora: siamo
ragionevoli noi e gli Dei: la differenza
mortali ci separa da essi. Definizione più profonda è la
seguente: Differenza non è una qualsiasi di quelle determinazioni che
valgono a dividere le cose che sono sotto il medesimo genere ; ma quella
determinazione che riguarda l’essere ed è parte dell’essere d’una cosa. Per
esempio: poter navigare, è particolarità esclusivamente umana, e tuttavia
non è differenza che costituisca la sostanza dell’uomo. Differenze
specifiche sono quelle che fanno altra la specie e sono accolte nel
concetto di essa indicandone la qualità. Ci sono quattro sorte di
qualità: Proprietà che convengono ad una sola specie, sebbene non
intera, come per l’uomo essere medico o geometra. Solo gli uomini sono
medici e geometri; ma non tutti gli uomini sono tali. Proprietà che
convengono a tutta una specie, sebbene non solo ad essa, come per Tuomo
essere bipede (sono bipedi anche gli uccelli). Proprietà che
convengono ad una sola specie in tutta la sua estensione, ma solo in un
determinato tempo, come per Puomo imbiancare nella sua vecchiezza.
Proprietà che convengono ad una sola specie in tutta la sua estensione e
sempre, come per Tuomo poter ridere. (Non importa che non rida sempre:
importa che abbia natura di poter ridere. Sono queste ultime le vere
proprietà giacché possono con- vertirsi con ciò di cui sono proprietà.
Chi è cavallo, può nitrire; chi può nitrire è cavallo. Accidente è
quello che può essere presente o assente senza che il soggetto si
corrompa. Ci sono intanto accidenti separabili e accidenti inseparabili.
Separabile è dormire; inseparabile il color nero. E tuttavia, per quanto
inseparabile, rimane accidente perchè, sebbene corvi e etiopi sono neri,
si può sempre pensare un corvo e un etiope bianchi (albini). L'accidente
è definito anche ciò che può contingentemente esserci e non esserci;
oppure ciò che senza essere nè genere nè specie nè differenza nè
proprietà, tuttavia sussiste in un oggetto. Determinate ormai tutte
e cinque le distinzioni logiche, bisogna paragonarle tra loro per vedere
cosa hanno di comune e cosa hanno di diverso. Di comune hanno il
potersi predicare di più cose ; ma il genere si predica delle specie e
degli individui (animale si predica dei cavalli e dei buoi, e di questo
cavallo e di questo bue); la differenza similmente delle specie e degli
individui (irragionevole si predica dei cavalli e dei buoi, e di
questo cavallo e di questo bue); la specie degli individui che sono
sotto di essa (uomini si predica solo degli individui umani); la
proprietà tanto della specie di cui è propria, quanto degli individui di tale
specie (poter ridere si predica tanto deiruomo quanto dei singoli
uomini); l’accidente cosi della specie come degli individui (nero si
predica cosi della specie dei corvi come dei corvi particolari, ed è
accidente inseparabile; muoversi si predica dell’uomo e del cavallo, ed è
accidente separabile), ma anzitutto si predica degl’individui, e in
secondo luogo delle specie che contengono gli individui. Ma conviene
ora paragonare a due a due le cinque distinzioni logiche. Comparazione del
genere con le altre quattro voci. Genere e differenza Cosa hanno di
comune: Il genere e la differenza entrambi contengono specie.
Bensì la differenza non contiene tante specie quante ne contiene il
genere. Esempio: la differenza «ragionevole» contiene due specie:
uomo e il divino; mentre il genere animale contiene e le due anzidetto e
tutte le altre specie animali. Quel che si predica del genere come genere,
si predica anche delle specie comprese in tale genere: e quel che
si predica della differenza come differenza, si predica anche delle
specie comprese in tale differenza. Esempi: del genere animale si predica l’esser
sostanza e l’essere animato: che si predicano anche delle specie del
genere animale e perfino degli individui di tali specie. Della differenza
ragionevole si predica l’esser provvisto
di ragione: che si predica anche delle specie comprese sotto tal
differenza, uomo e il divino, e degli individui di tali specie, i singoli
uomini e gli dei. Tolto il genere o la differenza, son tolte
contempo- raneamente le specie che sono sotto di essi.
Esempio: tolto il genere animale, è tolta anche la specie uomo;
tolta la differenza « ragionevole », non ci sarà più nessun animale
provvisto di ragione. Cosa hanno di diverso: È proprio del genere
predicarsi di più cose che non la differenza, la specie, la proprietà e
l’accidente. Esempio: il genere animale si predica egualmente
dell’uomo, del cavallo, dell’uccello e del serpente, mentre la differenza
quadrupede si predica solo degli animali di quattro piedi, la specie uomo
solo degli individui umani, mentre la proprietà del nitrire solo della specie
cavallo e dei cavalli particolari, e l’accidente star in piedi ancora di
più poche cose. Il genere contiene la differenza in potenza. Esempio:
il genere animale si divide in specie animali ragionevoli e specie irragionevoli, ragionevole e irragionevole
essendo le differenze che dividono il genere animale in specie diverse. I
generi sono anteriori alle differenze poste sotto di essi: tolti i
generi, son tolte contemporaneamente anche le diffe- renze, ma non
viceversa. Esempio: tolto il genere animale, son tolte tutte le differenze
(ragionevole e irragionevole; mentre, tolte tutte le differenze, si può
ancora pensare la sostnza animata sensibile, cioè l’animale. Il
genere riguarda l’essenza o quiddità d’una cosa: la differenza la sua
qualità. Esempio: Cos’è l’uomo? Un animale. Com’è l’uomo? Ragionevole. Ogni
specie ha un sol genere, ma moltissime differenze. Esempio: il genere
dell’uomo è animale; le differenze sono: ragionevole, mortale, suscettibile
di intendere e d’imparare. Il genere è come la materia, la differenza è
come la forma. Giacché è la differenza che determina il genere, come
la forma determina la materia. Genere e specie Cosa hanno di
comune: Tanto il genere quanto la specie si predicano di
più cose. Entrambi sono anteriori a quelle cose delle quali
si predicano. Cosi il genere come la specie costituiscono ciascuno
un tutto. Cosa hanno di diverso: Il genere contiene la specie sotto
di sè, le specie sono contenute, non contengono i generi. Giacché
sono i generi che, determinati da differenze specifiche, producono le specie:
onde sono naturalmente ad esse anteriori, e, tolti, tolgono anche le
specie, ma non viceversa, chè, posta la specie, è posto anche il genere,
ma posto il genere, non è posta con ciò stesso la specie. I generi si
predicano univocamente delle specie: non cosi le specie dei
generi. I generi sono superiori per le specie che comprendono sotto
di sè, le specie per le differenze che le determinano. I generi possono
anche essere contemporaneamente specie, ma non specie specialissime; e le
specie possono essere contemporaneamente generi, ma non generi
generalissimi. Genere e proprietà Cosa hanno di comune: Tanto il
genere quanto le proprietà seguono le specie. Esempio: Se uno è uomo
quanto alla sua specie, è animale quanto al genere; e se di specie è uomo, ha
la proprietà di poter ridere. Egualmente si predicano il genere della
specie e la proprietà di quelli che ne partecipano. L’uomo e il bue
sono animali allo stesso titolo; e cosi CATONE e CICERONE hanno
egualmente la proprietà di poter ridere. Si predicano univocamente
il genere delle sue specie e la proprietà di quelle cose di cui è
propria. Cosa hanno di diverso: Il genere è anteriore; la proprietà
posteriore. Esempio: Bisogna che ci sia il genere ahimale, poi sia
diviso dalle differenze e dalle proprietà. Il genere si predica di più
specie, la proprietà di una sola specie, di cui è propria. La
proprietà si predica di ciò di cui è propria, cosi come ciò di cui è
propria si predica di essa: mentre il genere non si converte con nessun
suo predicato. Esempio: La proposizione che l’uomo è l’animale che
ride si converte che es animale che ride
è l’uomo. Ma la proposizione che l’uomo è animale non si potrà mai convertire: c l’animale è
l’uomo. La proprietà è in tutta la specie di cui è propria, in essa sola,
e sempre: mentre il genere è in tutta la specie di cui è genere, e
sempre, ma non in essa sola. Esempio: la proprietà di ridere è di tutti
gli uomini, solo degli uomini, e sempre rimane in essi : il genere
animale è in tutta la specie umana, è costante in essa, ma si trova
anche in molte altre specie oltreché neirumana. Poiché la proprietà
e ciò di cui é proprietà si convertono, tolta la proprietà é tolto ciò di cui é
proprietà, tolto ciò di cui é proprietà é tolta la
proprietà. Esempio: tolta la proprietà del ridere é tolto l’uomo:
tolto l’uomo é tolta la proprietà del ridere. Al contrario, tolte le
specie non sono tolti i generi. Esempio : tolta la specie umana non é
tolto il genere animale. Genere e accidente Cosa hanno di
comune: Si é già detto che ci sono accidenti separabili come il muoversi,
e accidenti inseparabili come, ad esempio, il color nero: ora, cosi gli
accidenti separabili come gli inseparabili hanno di comune col genere il
potersi predicare di più cose. Neri sono i corvi, ma anche gl’etiopi e
talune cose inanimate. Cosa hanno di diverso: Il genere é avanti le
specie, mentre gli accidenti sono posteriori ad esse, anche se si tratti
di accidenti inseparabili, giacché prima è ciò a cui accade, poi é
Taccidente. Del genere tutte le specie che partecipano, partecipano
egualmente; mentre degli accidenti si partecipa più o meno. Dii
accidenti sussistono principalmente negli individui, mentre generi e
specie sono, di natura, anteriori alle sostanze individuali. Il
genere dice quel che è una cosa. L’accidente quale è e come
è. Esempio: Come è l’etiope? Nero. Comparazione della differenza con
le altre quattro voci. Differenza e genere sono già comparati
quando si esaminano insieme genere e differenza. Differenza e
specie Cosa hanno di comune: Della differenza e della specie si
partecipa egualmente. Esempio: Gl’uomini singoli partecipano egualmente
della specie uomo e della differenza ragionevole. La differenza e la
specie sono sempre presenti in ciò che di esse partecipa. Esempio:
Socrate è sempre ragionevole e sempre uomo. Cosa hanno di diverso: La
differenza dice sempre la qualità delle cose, la specie la loro essenza o
quiddità. Esempio: Uomo non è qualità, se non per le differenze che,
determinando il genere animale, costituiscono la specie uomo. La
differenza è in più specie. Esempio: la differenza quadrupede è in vari
animali di specie differente. La specie è solo negli individui che
sono sotto di essa. La differenza è altra cosa dalla specie a cui dà
luogo. Difatti, se si toglie la differenza ragionevole, si toglie la
specie uomo. Ma se si toglie la specie uomo, non si toglie la differenza
ragionevole, perchè vi è il divino. Una differenza si combina con
un’altra: ragionevole e mortale
compongono la sostanza dell’uomo; mentre una specie non si combina con
un’altra per produrne una terza. Un cavallo e un’asina generano un mulo. Ma
non la specie cavallo con la
specie asino generano la specie mulo. Differenza e proprietà. Cosa hanno
di comune. Della differenza e della proprietà le cose partecipano
egualmente. Esempio: gl’esseri ragionevoli partecipano della differenza
ragionevolezza, quanto gl’esseri che possono ridere partecipano della
proprietà di poter ridere. Differenze e proprietà sono sempre presenti
nelle cose che le hanno. Si potrebbe obiettare. Se un bipede perde
una gamba, non ha più la sua differenza di essere bipede. Ma l’obiezione
non é giusta. L’amputazione non toglie la natura di bipede al manco. Del
resto, anche la proprietà di poter ridere riguarda la natura umana, senza che
gl’uomini ridano sempre. Cosa hanno di diverso. La differenza si predica
di più specie: ragionevole si dice dell’uomo e del divino. La proprietà
si predica di quella sola specie di cui è propria. La proprietà e
ciò di cui è proprietà si convertono. La proposizione che l’uomo è
l’animale che ride ammette la reciproca, che l’animale che ride è
l’uomo. Mentre la differenza segue quella cosa di cui è differenza,
e non si converte con essa. Posto l’uomo, è posta la ragionevolezza; ma,
posta la ragionevolezza, non è posto l'uomo, perchè ragionevole è anche il
divino. Differenza e accidente Cosa hanno di comune:
Differenza ed accidente entrambi si predicano di più cose. Esempio:
Tanto la differenza della ragionevolezza quanto l’accidente del muoversi
si applicano a molte cose diverse. Tanto la differenza quanto gli
accidenti inseparabili sono presenti sempre e in tutte le cose di cui si
predicano. Esempio: Tanto la differenza bipede quanto l’accidente
inseparabile nero riguardano tutti i corvi e li riguardano
sempre. Cosa hanno di diverso: la differenza contiene, non è
contenuta. La ragionevolezza contiene l’uomo perchè non è solo di
lui. Gl’accidenti, invece, per un verso, contengono perchè sono in
più cose) il muoversi è più esteso dell’uomo; per un altro sono
contenuti, perchè il soggetto aduna in sè parecchi accidenti. L’uomo, oltre al
muoversi, è anche bianco, alto, ecc. La differenza non ha aumento e
diminuzione, gl’accidenti sì. O si è ragionevoli, o no. Ma si è più o meno
alti. Le differenze contrarie non possono mescolarsi, bensì si
mescolano gli accidenti contrari. Bipede
e quadrupede si escludono. Ma bianco e nero si mescolano a produrre il
grigio nella zebra. Comparazione della specie con le altre quattro
voci. Specie e genere sono già comparati quando si esaminano insieme
Genere e specie. Specie e differenza sono già comparati quando si
esaminano insieme Differenza e specie. Specie e proprietà Cosa hanno
di comune: Specie e proprietà si predicano l’una dell’altra: se è
uomo, ha la proprietà di ridere; se ha la proprietà di ridere, è
uomo; giacché le cose partecipano egualmente delle specie a cui
appartengono e delle proprietà che le caratterizzano. Cosa hanno di
diverso: La specie può essere genere ad altre specie; la proprietà
non può essere di altre specie oltre quella di cui è propria. La
specie sussiste prima della proprietà, poi la proprietà ha luogo nella
specie. Esempio: bisogna essere uomo per avere la proprietà di
ridere. La specie è sempre presente in atto, nel soggetto; la
proprietà, a volte, vi è presente solo in potenza. Esempio: Socrate è
sempre uomo in atto, ma non sempre ride sebbene abbia natura di poter
ridere. La specie sempre è sotto il genere e si predica di più cose,
differenti tra loro numericamente, indicandone l’essenza o quiddità; mentre la
proprietà è solo in ciò di cui è propria, e in esso è sempre, e inerisce
a tutta la sua estensione. Esempio: la proprietà del ridere è di tutti gl’uomini,
solo negl’uomini e sempre negl’uomini. Specie e accidente Cosa
hanno di comune: Si predicano di più cose. Cosa hanno di
diverso: La specie dice il che di una cosa, l’accidente il quale e il
come. Ogni sostanza può partecipare di una sola specie, ma di più
accidenti separabili ed inseparabili. La specie si concepisce prima degli
accidenti, anche se inseparabili, chè bisogna ci sia il soggetto, perchè
qualcosa gli accada. Gl’accidenti invece sono posteriori e
avventizi. Della specie si partecipa sempre in egual misura, ma dell’accidente,
anche inseparabile, in misure diverse. Esempio: un etiope è più nero di un
altro. Comparazione della proprietà con le altre
quattro voci. Proprietà e genere sono già comparate quando si
esaminano insieme Genere e proprietà. Proprietà e differenza sono
già comparate quando si esaminarono insieme Differenza e
proprietà. Proprietà e specie sono già comparate quando si
esaminarono insieme Specie e proprietà. Proprietà e
accidente Cosa hanno di comune. Tanto la proprietà quanto l’accidente
inseparabile sono indispensabili a ciò in cui si osservano. Esempio:
Come senza la proprietà del ridere non esiste uomo, cosi senza color nero
non esiste etiope. Tanto la proprietà quanto l’accidente
inseparabile sono sempre presenti a ciò che li possiede, e in tutta la
loro estensione. Esempio: Tutti gl’etiopi sono neri, e
sempre. Cosa hanno di diverso. La proprietà è presente in una sola specie.
L’accidente inseparabile in molte. Esempio: La proprietà del ridere è solo
dell’uomo. L’accidente inseparabile del color nero è dell’etiope, ma anche
del corvo, del carbone, dell’ebano, ecc. Sicché la proprietà si
converte con ciò di cui è proprietà, non cosi l’accidente con ciò di cui
è accidente. Esempio: Che l'uomo ha la proprietà di ridere si
converte in che chi ride è l'uomo. Ma che l'etiope è nero non si
converte in che chi è nero è l'etiope, perchè anche il corvo, il
carbone, ecc. sono neri. Della proprietà si partecipa sempre
egualmente, degl’accidenti in diversa misura. Si è più o meno neri.
Comparazione dell’accidente con le altre quattro voci. Accidente e
genere sono già comparati quando si esaminano insieme Genere e
accidente. Accidente e differenza sono già comparati quando si
esaminano Differenza e accidente. Accidente e specie sono già comparati
quando si esaminano insieme Specie e accidente. Accidente e
proprietà Or ora esaminati come Proprietà ed accidente. L'Isagoge si
chiude con l’osservazione che altri elementi comuni o diversi tra le
cinque voci oltre i già notati ci sono, ma quelli notati bastano a
distinguerli e ad intendere quel che hanno di comune. Nei due commenti
boeziani s’espone ciò che riguarda il celebre prologo sulla realtà o meno
degl’universali. Ci tocca ora dire qualche cosa sul complesso dei due
commenti, che tanta autorità ha in tutto il Medio Evo, e tanto
contribuirono a dare alla mentalità delle nazioni di cultura latina quella
struttura rigorosamente logica che è rimasta loro caratteristica. Lo
scopo da BOEZIO assegnato ad un commento è assai semplice, giacché non va
oltre la illustrazione del testo. BOEZIO evita di accendere questioni,
anche se il testo vi si presti. Solo quando l;obiezioni vengono cosi spontanee
che non risolverle vorrebbe dire non comprendere quel che dice Porfirio,
solo allora Boezio interviene per chiarire il pensiero dell’autore,
giustificare le sue espressioni, e quindi, sgombrate le difficoltà,
tornare alla illustrazione del testo. Dove Porfirio propone più
classificazioni, BOEZIO cerca di connetterle tra loro, in maniera da
renderle più facilmente assimilabili al lettore. E dove Porfirio accenna appena
a teorie assai note fra gli studiosi, ma forse poco possedute dai
principianti, BOEZIO interviene a rammentare tali teorie, e a trattarle,
sebbene compendiosamente, in modo da fornire al lettore princicipiante, al
quale il primo commento è diretto, le nozioni necessarie per intendere il testo
di Porfirio. Così BOEZIO torna due volte sulla teoria della definizione,
la quale, facendosi per genus et differentia nij è possibile solo
per gl’individui definiti entro la loro specie, per le specie definite
entro il loro genere, e per i generi subalterni definiti entro il genere
immediatamente superiore, fino ai generi generalissimi, ma non per i generi
generalissimi, i quali, non avendo nessun concetto più elevato sopra di
sé, non possono essere definiti, cioè determinati entro l’ambito di un
concetto più vasto. Onde, non potendosi definire, possono solo
descriversi, con l’indicarne le proprietà. Un accenno, abbastanza ampio, è
fatto da Boezio, come già da Porfirio, alla teoria dell’ACCADEMIA della
divisione, che da ciascun genere generalissimo, mediante dicotomia, cioè
divisione in due, giunge fino alle specie specialissime. BOEZIO
cerca di rendere più evidente il nesso che stringe talune classificazioni
che Porfirio presenta l’una dopo l’altra, senza unificarle in un solo
quadro comprensivo. Questo avviene specialmente per le classificazioni che
riguardano le differenze. Si rammenterà che Porfirio anzitutto classifica
le differenze in differenze comuni, proprie e più proprie o rigorose;
comuni, tutte le differenze per le quali siamo diversi da altri o da
noi stessi (tu cammini, io seggo, oppure: ora io seggo, dopo cammino. Proprie
le differenze individuali: capelli crespi, occhio cieco, ecc. Rigorose le
differenze che riguardano tutta la specie: ragionevole, irragionevole, ecc.. Le
quali ultime differenze sono le differenze specifiche, con le quali si
procede a dividere i generi in specie. Ma questa prima classificazione
può semplificarsi quando si avverta che tanto le differenze comuni
quanto le proprie si limitano a rendere alterato il soggetto,
mentre solo le differenze specifiche lo rendono altro. Si può dire
dunque che le differenze si dividono in differenze che rendono alterato il
soggetto e differenze che lo rendono altro. A questa prima classificazione
Porfirio fa seguire la seconda. Le differenze sono o separabili o inseparabili.
Questa seconda classificazione si può collegare con la prima osservando
che solo le differenze comuni sono separabili: il sedere, il
correre, ecc. Sono diff'erenze che non persistono, e sono quindi
separabili dal loro soggetto, mentre le differenze proprie e più
proprie, cioè quelle che riguardano l’individuo persistendo in lui e
quelle che riguardano l’intera specie, sono inseparabili: tanto un
occhio cieco quanto la ragionevolezza sono caratteri differenziali
permanenti, e quindi inseparabili dal soggetto che li possiede. Senonchè, di
queste differenze inseparabili, le individuali o proprie alterano il soggetto,
ma non lo rendono altro -- la cecità altera un uomo, ma lo lascia uomo --,
mentre le specifiche o più proprie rendono altro il soggetto (la
ragionevolezza rende l’uomo altro dai bruti). E inoltre, delle
differenze inseparabili, le individuali sono partecipate in misura
diseguale, le specifiche sempre egualmente. Ad esempio, i capelli biondi
son carattere differenziale di individui che sono l’uno più biondo, l’altro
meno biondo; mentre la ragionevolezza è carattere differenziale della
intera specie umana, i cui individui, in quanto sono uomini, sono tutti
egualmente partecipi della ragione. Terza classificazione è quella per la
quale le differenze si dividono in differenze divisive del genere e
differenze costitutive delle specie. Son le medesime differenze che,
prese in modo diverso, risultano una volta divisive del genere, un'altra
costitutive delle specie. Se prendiamo le differenze contrarie ragionevole e
irragionevole, esse dividono il genere animale; e se, dopo, prendiamo le
differenze contrarie mortale e immortale, esse dividono l'inferiore genere
animale ragionevole. Ma se prendiamo le differenze subalterne ragionevole,
concetto più ampio, e mortale, concetto restrittivo, queste differenze
subalterne costituiscono la specie dell'animale ragionevole mortale, cioè
dell'uomo. Cosi la teoria delle differenze si avvia nel primo
commento boeziano a quella matura unità che raggiungerà pienamente
nel secondo commento. Ma forse più di queste particolari delucidazioni,
che tuttavia contribuiscono alla elaborazione della salda logica
medievale, riesce interessante il breve schizzo che del sapere del tempo
BOEZIO premette al suo commento. Nel dialogo filosofico che egli immagina
si fa chiedere da Fabio una illustrazione e prima una introduzione all'Isagoge
di Porfirio. L'introduzione indicherà del’Isagoge VintentOy Vutiliià\ se ci sia
altro libro ad essa germano; la ragione del titolo, ed a qual parte della
filosofia si riconduca. Sei punti, dunque, tratta BOEZIO, sulle orme di
quel che già aveva fatto Ammonio nel suo commento all’lsagoge. \Jintenio
è trattare del genere, della specie, delle differenze, delle proprietà e
degli accidenti. futilità deirisagoge è anzitutto quella d’introdurre
alle Categorie del LIZIO, ma è anche più vasta. Occorre, però, per
intenderla, avere un chiaro concetto di che sia la filosofia. Essa è amor
di sapienza, che, non bisognosa di nulla, vivax mens et sola rerum
primaeva ratio est. E questo amore di sapienza è illuminazione dello
spirito che conosce da parte di quella pura Sapienza, e in qualche modo è
un richiamo che questa fa dell’animo umano perchè torni ad essa, di
maniera che il desiderio di sapienza è desiderio e amore della
divinità e amore della pura mente divina. È questa sapienza che
riconduce alla forza e purezza naturale le anime umane. Da essa nasce la verità
delle speculazioni e dei pensieri e la santa e pura castità delle azioni.
Il che mena direttamente alla divisione della filosofia, che è il genere,
in teoretica o speculativa, e pratica o attiva. (0 e II sono le due
lettere che spiccano su la veste della Filosofia nel De Consolatione Philosophiae).
La teoretica, poi, ha tante parti quanti sono gli oggetti che considera:
si divide quindi in: Teologia o dottrina di ciò che è sempre uno e
medesimo, fermo sempre nella sua divinità, non accessibile ai sensi, ma
solo alla mente ed all’intelletto: la quale speculazione studia Dio e la
incorporeità dello spirito; Dottrina che si occupa di tutte le opere
celesti del supremo divino, di ciò che nel mondo sublunare ha animo più
beato e sostanza più pura, ed infine delle anime umane: tutte cose che,
fatte di sostanza intelligibile, al contatto dei corpi, da intelligibili
divennero soltanto intelligenti, in maniera che possono ora divenire più
beate per purezza ed intelligenza quando si volgano ed applichino alle
cose intelligibili; Dottrina dei corpi, o Fisica, che illustra la
natura e le passioni dei corpi. Di queste tre parti della filosofia
teoretica la seconda è meri- tamente collocata nel mezzo perchè ha da una
parte l’animazione e vivificazione dei corpi, dalFaltra la considerazione
e conoscenza delle cose intelligibili. Anche la filosofia pratica si
divide in tre parti: L’Etica che s’orna ed accresce di virtù, nulla
ammettendo nella vita di cui non possa essere soddisfatta, e niente
facendo di cui debba pentirsi; la Politica, che assumendosi la cura dello
Stato provvede alla salvezza di tutti con la saldezza della sua 'preveggenza e prudenza,
con l’equilibrio della giustizia, con la sal- dezza della fortezza e la
pazienza della temperanza; L’economia, che si occupa del buon
andamento della vita famigliare. Alle quali parti già descritte
della filosofia si aggiunge da vicino queirarte che i greci chiamano
Logica: parte della filosofia 0 suo strumento? BOEZIO rimette la
trattazione di questa questione ad una altra opera, che è poi il secondo
commento. Intanto osserva che questa disputa sul genere, la specie, la
differenza, la proprietà e l’accidente prepara la via a tutto lo studio della
filo- sofia. Col dire cosa sia genere e cosa sia specie ci fa
inten- dere che la filosofia è genere, e teoretica e pratica sono
specie. Col dire cosa sia differenza, ci rende possibile di intendere
se la logica sia una specie della filosofia, differente, quindi,
dalle altre specie. Col dire cosa sia proprietà, ci spiega la natura propria di
ciascuna differenza della filosofia. Col dire cosa sia accidente ci
guarda dal mettere tra le cose principali ciò che è secondario. Cosi la
conoscenza di queste cinque voci spande i suoi rami in tutte le parti
della filosofia. Utile alla grammatica a cui insegna che il discorso è il
genere e otto sono le sue parti o specie. Utile alla retorica, a cui
permette di distinguere tre generi di causa, ciascuno diviso in specie a
seconda dei soggetti. Utilissima alla logica, che nulla puo definire, per
genere e differenza, se non sapesse cos'è genere, cos’è specie, cos’è
differenza, ecc.; nulla puo dividere se non e guidata dalla conoscenza
delle cose che divide: i generi e le specie. E nulla puo dimostrare
giacché la verità delle dimostrazioni sta nei provare ciò che si
divide o qualcos’altro mediante le cose che si son divise. E
l’Isagoge di Porfirio precede tutta la logica del LIZIO, perchè senza di
essa non si intenderebbero la sostanza e i nove accidenti di cui è parola
nelle Categorie. Le quali voci significative sono quelle di cui si compongono
le proposizioni, di cui si tratta nel De interpretatione. Le quali
proposizioni sono quelle di cui si compone il sillogismo, il cui ordine,
la cui struttura e le cui figure sono studiati negl’Analitici primi,
perchè sia poi possibile studiare il sillogismo dialettico nella Topica e il
sillogismo dimostrativo negl’Analitici secondi. Cosi l’Isagoge di Porfirio è la
base prima di tutta la logica del LIZIO. Come nel corso del primo
commento non sono rare le occasioni in cui BOEZIO è costretto a notare le
imperfezioni e le oscurità della versione VITTORINO (si veda), cosi nel
secondo commento Boezio presenta una traduzione propria, che indubbiamente
è assai più scorrevole e chiara dell’altra. La versione è intercalata
nella esposizione, che procede meno pedestre che nel primo commento, e
che, specialmente nei primi fra i cinque libri, mostra un vigoroso
proposito di rendere più robusta, più rigorosa ed organica la trattazione
porfiriana. Il secondo commento si inizia con alcuni paragrafi
dedicati alla filosofia in generale, alle sue parti, alle sue utilità,
ecc. Se la filosofia - dice Boezio - è il più alto bene degli
animi, convene precisamente muovere dalle facoltà dell’anima. Una forza
dell’anima è quella vegetativa, comune anche alle piante, che non hanno
sensi. Un’altra è la sensitiva, che dove sorge assume la prima come sua
parte. Una terza è la intellettiva, che non si limita a sentire e a
rammentare, ma anche esplica e conferma, con pieno atto di intelligenza,
quel che l’immaginazione sopperisce. La qual potenza della ragione si
esercita a indagare, anzitutto, se una cosa sia, poi che sia, poi quale
sia, infine perchè sia. Ma, perchè il pensiero sia preservato dal
pericolo di cadere nel falso, occorre anzitutto una disciplina che,
studiando le maniere di disputare e gli stessi ragionamenti, possa
additare qual ragionamento risulti ora falso, ora vero, quale sempre
falso quale non mai falso. Della quale scienza - la logica - è
duplice l’uso nell’inventare e nel giudicare: topica e dialettica,
trattate entrambe dal LIZIO, ma la prima trascurata dal PORTICO. Ora,
questa logica è una parte della filosofia o è solo il suo strumento?
Quelli che la considerano parte della filosofia ragionano così. Delle
proposizioni, dei sillogismi, ecc. solo la filosofia si occupa. Dunqne
sono oggetto di filosofia. Ma, delle due grandi parti della filosofia, la
speculativa che si occupa delle cose naturali, e l’attiva che si occupa
della morale, nessuna tratta del discorso, dei giudizi, dei ragionamenti.
Dunque, quella disciplina filosofica che d’essi si occupa non può non
essere considerata una nuova parte della filosofia; donde la
tripartizione di questa in: logica, fisica, etica. Coloro i quali invece
sostengono che la logica sia strumento della filosofia, non sua
parte, osservano che questa scienza della ragione è diretta o a
conoscere le cose (fisica) o a trovare quei principi di morale che
producono la beatitudine. Dunque, essi, dicono la logica serve sempre
o alla fisica o all’etica. Boezio è del parere che le due teorie
non si escludano a vicenda. Niente vieta che la logica sia ad un
tempo parte e strumento della filosofia; parte in quanto ha
innegabilmente un fine proprio, distinto dalla fisica e dall’etica;
strumento in quanto, altrettanto innegabilmente, essa serve così all’una
come all’altra. Del resto, nel nostro corpo, ciascun organo è al tempo
stesso parte e strumento: la mano rispetto all’organismo intero è
strumento; per sè, intanto, è parte. Ma veniamo allo scopo di questa
introduzione porfiriana alle Categorie del LIZIO. Queste sono i X generi
di predicamenti: può intenderli dunque chi sappia che sia il
genere. Di ciascuno di essi si dànno varie specie --varie specie di sostanza,
di qualità, ecc. 00: ed anche ciò presuppone si sappia che sia specie, e
che sia la differenza per la quale ciascuna specie si allontana dall’altra
e l’un genere dall’altro. Inoltre, ogni genere ha le sue proprietà, mediante le
quali può essere descritto. E dei X
predicamenti, IX sono accidenti. Donde la necessità di saper bene che sia
proprietà e che sia accidente per intendere le Categorie del LIZIO. Ma
Porfirio spesso indica l’utilità della sua introduzione per le
definizioni, le divisioni e le dimostrazioni, oltreché, come già si è
visto, per l’intendimento delle Categorie del LIZIO. Per le definizioni,
perchè bisogna ben distinguere il genere prossimo e la differenza
specifica per fare una giusta definizione; per la divisione in tutte le
varie sue specie, giacché vanno distinte divisioni dei concetti presi in
sè stessi e divisioni accidentali. Le divisioni dei concetti presi per sè
stessi sono di tre ordini -- divisione del genere nelle sue specie -- distinzione
dei vari significati di una parola; -- partizione d’un tutto nelle sue
varie parti. Le divisioni accidentali sono anche di tre ordini: divisione
di un accidente secondo i soggetti che lo ricettano ( c dei beni, alcuni
sono nell’anima, altri nel corpo -- divisione di un soggetto secondo gli
accidenti (dei corpi, taluni sono (bianchi, altri sono neri -- divisione
di un accidente secondo altri accidenti (delle cose bianche, alcune sono
dure, altre liquide, altre molli. Per tutte queste divisioni occorre
sapere che sia genere e che sia differenza, quando luna parola ha un
significato solo univoca e quando più significati equivoca, e che sia
una parte e che una specie; occorre inoltre ben distinguere
sostanze ed accidenti. Infine, l’introduzione porfiriana è utile per
le dimostrazioni, giacché queste si fanno o da cose già note, o da cose
convenienti, o dalle prime cose, o dalla causa, o dalle cose connesse, o dalle
cose inerenti. In ciascuno di questi casi bisogna sapere che è genere e
che è differenza, e che è specie, giacché sono i generi quelli che sono
anteriori per natura alle specie, e quindi di esse più noti, e sono i
generi e le differenze le cause delle specie. BOEZIO tratta del
genere con un manifesto desiderio di porre più rigore nella trattazione porfiriana,
magari rifacendosi da teorie più vaste, che sembrano essere presupposte
da ciò che dice Porfirio. Cosi, per esempio, per illustrare i significati,
che Porfirio espone, della parola genere, che si riferisce a volte al
progenitore da cui una gente deriva, a volte al luogo da cui una gente
proviene, BOEZIO richiama la celebre dottrina aristotelica delle quattro
cause, efficiente, materiale, formale e finale, alle quali aggiunge due
principi accidentali, il luogo e il tempo. Quando si parla del genere dei
ROMANI, cioè dei discendenti da ROMOLO, si indica in costui la
causa efficiente della stirpe. Quando invece si dice Pindaro tebano,
si indica in Tebe il luogo da cui Pindaro i proviene. BOEZIO insiste
ancora sulla differenza tra descrizione e definizione. Il genere non può essere
definito, chè, per essere definito, dovrebbe avere un altro genere sopra di sè,
e, quando avesse un genere sopra di sè, sarebbe specie, non genere. Sicché,
non potendo essere definito, il genere è *descritto*, cioè ne vengono indicate
le proprietà, che sono come i colori con i quali si dipinge un quadro.
L’intera teoria del genere, della differenza, della specie, della
proprietà e dell’accidente, è chiusa come in un prospetto nelle seguenti
classificazioni boeziane. Ciò che si Ciò che si predica predica di
di più cose una cosa sola | S o in O ® og O ce
05 S ce p! ce<e •1-Ph o u Ph o <v Ph m 'Pce
^03 S OM ■Tj■ pP ceP■ cr cS a^ p p p iJ} OJ co a? a; pO o a O) G *S (p o S *02 OO ce 03 .3
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G ’B ® p 02 P m — I
a; 'p 03 rQ O .P O ■TP O O (D VP
ce ^ P. P P ce p sostanzialmente
accidentalmente l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO. BOEZIO prosegue,
poi, illustrando via via i passi porfìriani che traduce e riporta: e le
sue sono delucidazioni speciali, del resto assai utili. Per esempio: in
che senso si dice che gl’uomini differiscono tra loro numericamente? Nel senso
che si dice: Socrate è un uomo, Platone è un altro uomo. B. tratta delle
specie e non prima della differenza nonostante che la differenza,
contenendo in sè più specie, sia ad essa anteriore, perchè la specie è
specie del genere, come il genere è genere della specie, epperò
vanno studiati in connessione l’uno con l’altra. Le illustrazioni, per
solito, non aggiungono nulla di nuovo. Interessante può essere l’atteggiamento
di osseqio al LIZIO su le questioni delle X categorie; atteggiamento che
è di Porfirio e non viene mutato da Boezio. Nè i X predicamenti
possono ridursi tutti dXVente [GRICE, ARISTOTLE ON THE MULTIPLICITY OF BEING],
perchè ente ha significati diversi secondo che s’applichi alla sostanza,
alla qualità, alla quantità, ecc. Vale a dire è un nome di più
significati, e non un genere d’un significato solo. Del resto, come
ogni predicamento cosi ogni predicamento è un predicamento; sicché se
ente fosse genere, i X predicamenti avrebbero *due* generi: ente e uno\ e ciò è
assurdo, perchè non si può appartenere a più di un genere. B. tratta
della differenza, ripetendo lo sforzo, visibile già nel primo commento, di
dare organicità ed unità alla trattazione porfiriana dell’argomento col
connettere insieme le varie classificazioni, tutte svolte da una
distinzione fondamentale, tra differenze sostanziali e differenze
accidentali, e col condannare più risolutamente di Porfirio quelle
definizioni che idem per idem definiunt, quando dicono che differenza è ciò per
cui una cosa *differisce* da un’altra, e che non precisano davvero cosa
sia differenza quando la definiscono ciò per cui una cosa dista da un’altra,
potendosi una cosa allontanare da un'altra per qualità del tutto
accidentali che non costituiscono diiferenze in senso proprio. BOEZIO
tratta anche della proprietà, rispetto alla quale osserva che, se l’essere di
una cosa è espressa dal suo genere, dalla sua differenza e dalla sua
specie, le sue proprietà non costituiscono la sua sostanza, ma qualcosa
di accidentale, sebbene si chiamino proprietà, e che quando Porfirio distingue
proprietà di quattro sorte, non intende enumerare quattro specie del
genere proprietà, ma indicare i quattro significati diversi nei quali si parla
di proprietà. Il IV libro tratta infine dell’accidente, condannando,
più di Porfirio, la distinzione puramente negativa, per la quale
accidente è ciò che non è nè genere, nè differenza, nè specie, nè
proprietà. BOEZIO illustra la comparazione che Porfirio istituisce tra le
cinque voci senza alcuna particolare osservazione. Notevole è tuttavia che
BOEZIO non lascia passare la divisione porfiriana dell’animale razionale in
animale razionale mortale (l’uomo) e animale razionale immortale (il
divino) senza notare che ciò si poteva dire quando si riteneno il sole e
gl’altri corpi celesti animati e divini. Su questi testi si chinarono, per
generazioni e generazioni, gl’uomini del medioevo, come su libri di
profondissima sapienza. Se l’Europa usce dal medioevo cosi fortemente
razionalistica, essa s'e fatta la sua potente quadratura logica meditando
su questi ultimi fra gl’antichi, lungamente venerati e studiati. Grice: “I like Guzzo. For
one, he spent a tutorial or two on the very same ‘tratarello’ I did: Boezio’s
latinizing Porphyry!” Augusto Guzzo. Guzzo.
Keywords: pagine di filosfi per i giovani italiani; il Vico di Guzzo, il
Galluppi di Guzzo, il Bruno di Guzzo, Gentile, Gli hegeliani d’Italia, Vera,
Spaventa, Jaja, Maturi, Gentile, dirito, stato, Biblioteca Italiana di
Filosofia, spunti e contrattacchi, Della causa, del principio e del uno,
dell’analisi e la sintesi, autobiografia e scienza nuova per giovani italiani
dei licei classici, il manual di filosofia di Fiorentino. -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Guzzo: tra idealismo ed empirismo” – The Swimming-Pool
Library.
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