Grice e Carlini: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della filosofia fascista – scuola di Napoli – filosofia napoletana – filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Napoli). Filosofo napoletano. Filosofo campanese. Filosofo italiano. Napoli, Campania. Grice: “I love Carlini, and Speranza loves him even more, but then he is Italian! My favourite is his “A brief history of philosophy,” especially the subtitle: “Da Talete di Mileto a Talete di Mileto, con una postfazione di Talete di Mileto – “Nel principio era l’acqua”!” – “Il primo filossofo – che cadde in un pozzo.” Si laurea a Bologna (“l’unica universita italiana”) sotto Acri. Insegna a Iesi, Foggia, Cesena, Trani, e Parma. E chiamato presso Pisa per sostituire Gentile, trasferitosi a Roma, come titolare della cattedra di filosofia teoretica. Membro dell’Accademia d'Italia. Inizia a farsi conoscere assumendo la direzione di una collana edita da Laterza che inizialmente venne lanciata sotto il nome di “Testi di filosofia ad uso dei licei”. Ad introdurlo nella Laterza è GENTILE, conosciuto qualche anno prima, e CROCE, all'epoca ancora in rapporti col filosofo di Castelvetrano. “Testi di filosofia ad uso dei licei” ha un scopo divulgativo, ma divenne presto celebre per l'alto livello degli autori che collaborarono in vario modo al suo interno, fra cui, oltre al C., anche Saitta e lo stesso Gentile. Oltre al lavoro di direzione e coordinamento in qualità di direttore responsabile, pubblica due saggi su Aristotele (in realtà raccolte aristoteliche da lui curate, commentate e tradotte) cui fa seguito uno studio su BOVIO che desta l'interesse di non pochi studiosi e l'approvazione di GENTILE, considerato da C. suo tutore indiscusso. Pubblica due corposi volumi che gli assicurarono un posto di assoluto rilievo nell’ambiente filosofico: un esaustivo studio sul sense e l’esperienza, e soprattutto “Lo spirito”. In “Lo spirito” si inizia infatti chiaramente a delineare il proprio pensiero: adesione alla dottrina idealista, vista come sintesi fra il pensiero immanentista gentiliano (GENTILE è, fino alla propria scomparsa, suo amico, oltre che tutore) e quello crociano. Il soggetto attraversa un costante irto di dubbi ed angosce e un dialogo che riusciamo ad instaurare con noi stessi, in un percorso critico dialettico, una conquista realizzabile solo attraverso gli strumenti di una metafisica critica. La centralità della teoria della conoscenza e sviluppata in “Lineamenti di una concezione realistica dello spirito umano” e “Alla ricerca di noi stessi”, “alla ricerca di tu”. Comprensibile appare pertanto l'interesse che nutre per l'esistenzialismo, che però si espresse con una singolare preferenza verso Heidegger, nelle cui speculazioni trovarono ben poco posto le istanze metafisiche, piuttosto che nei confronti di Jaspers che su quelle stesse istanze aveva strutturato la propria filosofofia. Commenta il pensiero logico di Heidegger, e Che cos'è la metafisica? (“La nulla anihila”). Rende un commosso omaggio a Gentile con i suoi Studi gentiliani, raccolta di scritti in massima parte già pubblicati precedentemente, tesi a ricordarne la figura e le affinità intellettuali che un tempo lo avevano legato al grande filosofo siciliano. “Bovio” (Bari, Laterza); “Senso ed esperienza” (Firenze, Vallecchi); “Lo spirito” (Firenze, Vallecchi); “Note a la metafisica d’Aristotele” (Bari, Laterza); “Filosofia” (Roma, Quaderni dell'Ist. Naz. di Cultura); “Il mito del realism” (Firenze, Sansoni); “Lo spirito” (Roma, Perrella); Filosofia (Roma, Ist. Naz. di Cultura); Il problema di Cartesio, Bari, Laterza); Storia della filosofia, Firenze, Sansoni); “La Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi filosofici” (Firenze, Sansoni); Le ragioni della fede, Brescia, Morcelliana); Michelino e la sua eresia” (Bologna, Nicola Zanichelli). Dizionario biografico degli italiani. l'architrave 4 ala I ai Mi L. LL a cura di alberto schiavo Gy giovanni volpe editore FUTURISMO E FASCISMO. Una fotografia inedita di Marinetti mentre si esercita al poligona di tiro di Gorizia nel 1915. Marinetti e Russolo si erano arruolati volontari nel « Battaglione Lombardo Volontari Ciclisti » il 3 agosto 1914 per poi combattere da alpini sul Monte Altissimo. In seguito Marinetti verrà assegnato ad un reparto di autoblindate e poi servirà nei bombardieri. Sarà tre volte ferito e tre volte decorato al valore. Tutti i diritti riservati. Giovanni Volpe Editore in Roma, Via Michele Mercati. FUTURISMO E FASCISMO a cure di ALBERTO SCHIAVO GIOVANNI VOLPE EDITORE FUTURISMO CON E SENZA FASCISMO «A Giacinto Menotti Serrati allora direitore del- l’Avanti, che si era recato in Russia per respirare aria comunista. Lenin affermò: “Voi socialisti non siete dei rivoluzionari. In Italia ci sono soltanto tre uomini che possono fare la rivoluzione: Mussolini, Annunzio, Marinetti”. Il povero Menotti, inotridito, ritornò a Milano precipitosamente. E. quando, paco dapo, un capo scarico con un magistrale colpo di forbice gli tagliò di netto, per beffario, Ia veneranda barba, reagì in questo modo: facendo proclamare nella grande città lombarda lo sciopero generale. I milanesi orripilarono, è il caso di dirlo, perché si sentirono da quel giorno appesi ai peli del direttore dell'Avarti » EmiLio SErTIMELLI, Mille giudizi di statisti, scrit- tori, giornalisti, scienziati, industriali di Cinquanta Stati sulla personalità e misstone di Mussolini, Erre, Milano). Quale futurismo? Il futurismo è ormai un fatto d’esportazione: italiano d'origine pur se si è cercato di farlo passare per francese e russo poi di acquisizione e di affermazione, è ormai alla ribalta dell’esperimentazione artistica americana. Segno questo che il fenomeno è vitale e ancora carico di prospettive, nonostante la « storicizzazione » di un avvenimento che fu d'avanguardia. Ma quale avvenimento? Il manitesto del futurismo fu pubblicato sul parigino Le Figaro. Si tratta di un manifesto letterario di rinnovamento e di rivoluzione, se vogliamo, della tradizione classicista e « passatista » {secondo un termine caro ai futuristi) dominante. Gli aspetti politici non furono tuttavia estranei alla sua volontà di rivolgimento letterario ed artistico. Ci sembra quindi giusto prenderli in considerazione, eftet tuarne un esame. Anzi, è proprio di questi che ci vogliamo occupare, del loro svolgersi, articolarsi 0, comun- que, manifestarsi nel corso del tempo e della vita del futurismo. Che, in fondo, ancora oggi è accettato o respinta, condiviso o negletto, « approvato » o denigrato a seconda delle posizioni o degli intendimenti politici del momento. Ma anche è ticonsiderato, tivisto e « rivisitato » nel suo complesso, da tutte le parti, vicine e lontane, amiche ed avverse, per la carica vitale e rinnovatrice che lo anima, suscitatrice di nuovi spiriti e ancòra, in fondo, moderna. « La letteratura esaltò fino ad oggi l'immobilità pen- sosa, l'estasi e il sonno », scriveva Marinetti in quel Mani festo di settanta e più anni fa. « Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l'insonnia febbrile, il passo di cor- sa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno». E non è già atteggiamento letterario « aggressivo », ma anche di rinnovamento, questo? Non è, come si suol dire ancora, « fare politica »? Al settimo punto del Manifesto, Marinetti così continuava: «Non c'è più bellezza, se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere ag- gressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all’uomo ». Per conclu- dere poi con l'undicesimo: « Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa; can- teremo le maree multicolori e polifoniche delle rivolu- zioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fer- vore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole. E tutto questo cantava e diffondeva da Parigi, da uno dei più gloriosi quotidiani della capitale francese; ma cio- nonostante « ...è dall'Italia, che noi lanciamo pel mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incen- diaria, col quale fondiamo oggi il “Futurismo”, perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologi, di ciceroni e di antiquari. Un grido così coinvolgente e totale non può, in fon- do, non trascinare ancora gli osservatori della cultura, A non invitarli almeno a prendere posizione, poco importa se favorevole o contraria. Non si può rimanere indiffe- renti ancora negli Anni Ottanta, non sentirlo tutt'ora pre- sente nei suoi contenuti « prospettici » e attuali. Ecco perché tutti lo hanno ripreso, riconsiderato o « riabilita- to» alla loro dimensione storica: liberali e comunisti, socialisti e conservatori, cattolici e radicali, fino alla nuova destra. Anche noi, vorremmo quindi riesaminarlo a distanza non però per riappropriarcene, ma solo per ve- dere la sua origine, il muoversi storico e la collocazione politica nel corso della sua esistenza, che in fondo, è ancora incerta e anche, in parte, controversa. Si è parlato d’irrazionalismo filosofico, di decadenti- smo o di romanticismo letterario, di surrealismo con evi- dente errore di collocazione, di nietschianesimo natural mente, o di bergsonismo ecc. ecc. Ma non sta a noi que- sto compito, perché siamo convinti che rutto si potrebbe dite, o comunque tutto si potrebbe adattare in buona combinazione di purpurie filosofica, o di pensiero. E in- vece è il futurismo che vorremmo considerare nella sua realtà storica, nella sua entità e valenza « politica », di fianco o a distanza di quel fascismo con cui bene o male si è accompagnato. Anche se ciò non basta certamente per avere un'idea chiara e precisa della sua effettiva por- tata e del suo valore « storico ». Perché il futurismo va visto sì nel suo tempo, che non è poi tanto passato, pur se non è più momento dell’oggi; ma va visto anche nella sua prosecuzione e nella sua proiezione al tempo presen- te, sia pure per quel che riguarda la « dimensione d’arte ». Il futurismo oggi non è più un fatto politico, ma è tuttora fatto culturale, e diverse manifestazioni e pubbli cazioni lo dimostrano ancora. Quando nacque, fu espres- sione rivoluzionaria di un paese giovane e « nuovo » mos- so dalla felice conclusione dei fermenti unitari, i quali — è ovvio — comportano sempre semi di sconvolgimen- to e di rinnovazione. L’« Italia di Vittorio Veneto » sancità definitivamente ed epicamente il ciclo dell’unità e segnerà così anche, nel l'immediato dopoguetra, il momento di temperatura massima del « futurismo politico », che vedremo poi ricadere in seguito completamente a zero. Oggi, in tempi di riflusso dopo una guerra perduta anche se ormai lontana, il futurismo risulta meno com- prensibile e meno « attuale » alla nostra capacità d'in- tendimento storico. Ma a ben osservare possiamo ancora intravvederlo, per intendere poi anche meglio il futurismo artistico e letterario, che del tutto estraneo a quello « po- litico » proprio non è. La cultura è un fatto del presente, ma anche dell’av- venire. Come tale è o dovrebbe essere giovane, perché vissuta, voluta, « creduta » e quindi guardata in prospet- tiva nella visione dell’oltre, nell'ottica di uno sguardo lon- tano. Il futurismo si pone in questo «taglio » di visuale sull'inizio del secolo, e si focalizza in tale dimensione. Vuole aprire una nuova strada e vuole porgere un'indi- cazione, una proposta. Erano i tempi del progresso, dello sviluppo della scien- za e dell'industria, del nascere della velocità dei nuovi suoni e dei nuovi rumori, quelli delle scoperte e delle invenzioni, del cinema e dell'aviazione. Marinetti percepì tutto questo e lo espresse. E fondò il futurismo, pose le sue basi e cantò la sua prima voce. Nessuno forse s’aspettava o s'immaginava che potesse riuscire a trovare ascolto. Marinetti però viveva a Parigi a quel tempo, e seppe approfittare dei contatti che aveva con la cultura rancese per lanciare il Manifesto: fu un'occasione, e fu anche un lancio sicuro. 2. Futurismo e « passatismo » Esiste ancora oggi il « passatismo », quello di mari- nettiana memoria. E se è pet questo c'è ancora il futu- rismo. Proprio per tale suo aspetto, dunque, il futurismo è ancora attuale: la decadenza della cultura o il suo in- vecchiamento, e la sua inadeguatezza ai tempi; il preva- lere per contro dell'accademia, della pedanteria, del vec- chiume cattedratico sono sempre all'ordine del giorno. ® Il futurismo, quindi, non ha esaurito il suo compito, ov- vero non è riuscito nel suo intento. E allora dovremo dire che non è morto ed è tuttora attuale. Ma prima di aprire un'ipotesi di «nuovo futurismo », dovremmo esaminare quello passato, fattosi movimento d'avanguardia, e ormai da ridefinirsi vera e propria avanguardia storica, solo ed esclusivamente. Il « passatismo » può essere oggi solo un « fatto di ritorno », o esser rientrato ad occupare il suo campo d'’ori- gine, ma il futurismo settanta anni fa aveva già conosciu- to quello di allora, tanto da indicarlo e da definirlo, con una sua caratteristica espressione: passatismo, appunto. E non si trattava anche allora di una cultura ripetitiva e monocorde, puntualizzatrice e pedante, noiosa e inat- tuale? Allora come oggi: una cultura fuori dal tempo, sterile e ferma. E il futurismo aveva voluto muoversi a rinnovarla, a darle nuova spinta vitale. Ecco allora le sue invettive contro l’accademismo o il professorume, i suoi appelli alla distruzione di musei, archivi, biblioteche. Si trattava di appelli squisitamente letterari, ma sono stati presi il più delle volte alla lettera o in senso lette- rale, per farne atto d'accusa al futurismo e alla sua anti- cultura. Leggendo al di là delle righe, invece, dovremmo capire la portata o la dimensione del messaggio, rivolto agli uomini più che ai musei e alle accademie, o almeno a certi uomini capaci di rappresentare solo ed esclusiva- mente cultura da museo. Sulla spinta di questo stimolo « ideologico », era fatale che il movimento trovasse più facili accoglienze 0 acco- stamenti con le parti politiche d’azione, quelle dell'inter vento prima della Grande Guerra, e dell’arditismo prima durante e dopo il conflitto. La guerra veniva ormai intesa sola ed unica «igiene del mondo », ed era logico che i futuristi si accostassero a lei, come ad una forza capace di debellare ed estirpare il tanto inviso « passatismo ». I futuristi quindi furono interventisti accanto ai naziona- listi (D'Annunzio) ed ai socialisti di Corridoni e di Mus- solini. La ineluttabilità della storia accosta spesso e vo- lentieri i « differenti ». Furono vicini nei comizi, nelle manifestazioni, nella propaganda per l’intervento. E poi partirono, praticamente tutti 1 futuristi, volontari per il fronte di una guerta che avevano inteso e visto aggressiva, purificatrice e moderna. Una guerra al passo coi tempi, si direbbe oggi, una guerra insomma « futu- rista ». Partì Martinetti e partì Boccioni, partirono Funi e Sitoni, partì Sant'Elia, che lasciò i suoi 23 anni in trincea sulle colline del Carso. Erano entrati tutti e cinque « compatti » in quel glorioso battaglione ciclisti, che tan- to fece patlare di sé, e che Funi rittasse in un famoso quadro. Anche Boccioni morirà in ospedale a Verona. La vita fu forse la massima offerta all’« igiene » di una guetra tanto desiderata. Il futurismo in quanto fermento rinnovatore di una lotta nazionale che concluse il Risorgimento, potrebbe es- sere inteso come un epigono del Romanticismo. Fu in- vece di più e di meglio, visto in altra dimensione o in altro significato. Perché fu avanguardia, anzi il primo ve- to e proprio movimento d’avanguardia culturale del nuo- vo secolo. E l'avvento del fascismo in senso politico, di- mostra in fondo che lo sbocco di tutto quel rivolgimento innovativo 0 avanguardistico che tutti sentivano e « avevano nel sangue », era diventato una ineluttabile necessità del momento. L’irreggimentazione del fascismo è un fatto successiva, indipendente dal futurismo. Il fascismo-regime, per dirla con De Felice, è un'esito autonomo e « solitario » di Mus- solini e del potere. Il fascismo-movimento invece, sempre per dirla alla De Felice, no. I) fascismo-movimento è una realtà più complessa, articolata e multiforme, più sentita e partecipata. Ed in essa entra il futurismo, che « vive » il fa- scismo ma anche lo anima, che Jo vuole in parte, ma anche lo informa. Il « passatismo » doveva essere stroncato: e in un primo momento, con l'avvento di Mussolini, languì. La cultura subì uno svecchiamento non indifferente ed il fer- mento del nuovo portò sulla scena uomini « giovani » ac- cantonando | « vecchioni » dell'accademia libera!socialista. Balla, Carrà, Soffici, Funi, Sironi, Prampolini si afferma- rono col vento futurista che stava soffiando. Ed ebbero spazio nelle mostre, almeno in un primo momento, aper- tura nei musei, apprezzamento all’estero, dove vennero accolti, ammirati, imitati. Il futurismo ebbe una grande forza vitale sua, autonoma e individuale. Senza per que- sto imporsi e schiacciare la « concorrenza », anzi. I fu- turisti accettatono nuove esperienze ed accolsero scambi con avanguardie straniere (come l'astrattismo), che vol. lero mutuare in reciprocità l’influenze. Il fascismo fu l’avan- guatdia collaterale politica del futurismo, che tuttavia que- st'ultimo cronologicamente precedette e « ideologicamente », almeno in parte, ispirò. La lotta al « passatismo » diven- ne così quasi simbolo del fascismo, che si fece portaban- diera del rinnovamento e della nuova rivoluzione nazio- nale. I « professori », non avendo messaggi originali da con- trapporre, rimasero in disparte. Marinetti divenne acca- demico d’Italia a fascismo avanzato e, forse, suo malgra- do. Tuttavia « usò » l'Accademia per promuovere ed ap- poggiare i « suoi » futuristi, per dar loro spazio nelle di- verse manifestazioni d’arte e di cultura. Il filosofo Croce, « professore ad honorem », era stato proposto alla presi- denza dell’Accademia, ed era stato proposto da parte fa- scista, quando ancora da Napoli applaudiva a Mussolini: ebbe invece più consensi la presidenza Marconi, lo scien- ziato, e Croce si ritirò nell’antifascismo, forse mi litante, della sua incensurata e liberissima Critica. Croce fu « pas- satista », 0 tortò ad essere tale dopo una parentesi {od un tentativo di rivolgimento innovativo), che non lo sot- trasse tuttavia dalle « carte » della sua più o meno im- mobile filosofia. 3. Futurismo e politica La comparsa « politica » del futurismo fu praticamente contemporanea alla sua nascita «artistica: infatti avvenne in occasione delle elezioni del 1909, quando Marinetti lanciò il suo Primo Manifesto Politico, che così si rivol- ge agli « Elettori Futuristi »: « Noi Futuristi invochiamo da tutti i giovani ingegni d’Italia una lotta ad oltranza contro i candidati che patteggiano coi vecchi e coi preti ». Posizione confermata nel marzo dello stesso anno in un famoso Discorso ai Triestini tenuto al Politeama Rosset- ti, della città giuliana, dove così sottolinea: « In politica, stamo tanto lontani da] socialismo internazionalista e an- tipatriottico — ignobile esaltazione dei diritti del ven- tre — quanto dal conservatorismo pauroso e clericale, simboleggiato dalle pantofole e dallo scaldaletto ». Sono le premesse del famoso anticlericalismo marinettiano, che sfocerà poco dopo nello « svaticanamento » tanto predi- cato per la salvezza nazionale. Nel 1910, dopo la nascita del futurismo politico, vie- ne fondato il Partito Nazionalista Italiano, antidemocra- tico ed antiborghese. Nel 1913 nasce Lacerba, cui diede- ro vita a Firenze Soffici e Papini, la rivista che in pra- tica divenne ben presto organo ufficiale del futurismo /ato sensu. Sempre nel 1913 sorgeva a Napoli un’altra rivista futurista, diretta da Ferdinando Russo e intitolata Vele Latina, che si ergeva in un primo tempo a voce di pa- sizioni morigerate e tranquille, e poi dal 1915 più spinte nella mischia dell'intervento. Ancora del ’13, e dell'11 ottobre per l'esattezza, è la pubblicazione del Programma politico futurista a firma di Marinetti, Boccioni, Carrà e Russolo, per le elezioni dello stesso anno. « Questo programma vincerà », s'in- dica al margine inferiore del foglio, «il programma cle- rico-moderato-liberale » e «il programma democratico-re- pubblicana-socialista ». Cosa che poi in realtà non avvenne. Il 12 dicembre dello stesso anno Marinetti pronun- ciava un discorso al Teatro Verdi di Firenze, dove sao- stiene la volontà di appoggiare l'impresa libica ed il suo felice compimento. Il discorso viene immediatamente ri- preso e pubblicato da Lacerba, nel numero del 15 dicem- bre (n. 24, anno I): « Si convincano i socialisti che noi rappresentanti della nuova gioventù artistica italiana com- batteremo con tutti i mezzi e senza tregua i loto vigliac- chissimi tentativi... » iniziava il discorso; e così concludeva, a rafforzamento delle sue inconciliabili posizioni: « Noi siamo dei nazionalisti futuristi e perciò ferocemen- te avversi all’altro grande pericolo imminente: il clerica- lismo con tutte le sue propaggini di moralismo reaziona- sio, di repressione poliziesca, di professoralismo archeo- logico e di quetismo rammollito o affatismo di partito ». Ormai la collocazione del movimento è quanto mai chia- ra e inequivocabile. 4. Futuristi e « fiorentini. Che i futuristi fossero « milanesi » è problema tutto da vedere, anche se è vero che Marinetti abitava a Mi- lano e che dopo la fondazione del movimento a Parigi fu a Milano il suo centro di spinta e di irradiazione. Ma i legami con Firenze furono ben presto agganciati, e determinanti. Scrive Luciano De Matia: « Fsiste un fu- turismo milanese (con Marinetti e Boccioni in simbio- si); esiste un primo futurismo fiorentino lacerbiano, che assimila, elabora in modo nuovo, creativo, le istanze mi- lanesi; esiste un secondo futurismo fiorentino (la « pattu- glia azzurra »; i giovani de L'Italia futurista) psicologico, occultista, predadaista e presurrealista. E potremmo con- tinuate nelle differenziazioni »”. Ma non è tanto per questo tipo di differenziazioni che ci interessa il futurismo fiorentino, quanto per la dimen- sione « politica » dei personaggi che vi aderirono, diversa da quella di Marinetti e degli altri futuristi milanesi o degli altri politici che a Milano operavano e si muove- vano (Boccioni, Sant'Elia, Balla; più tardi poi, Vecchi e Mussolini). Milano era già città d'avanguardia e alla guida dell’industrializzazione settentrionale: questo non va dimenticato. Firenze era ancora « passatista », accademica e salot- tiera; legata comunque ad una cultura d’indagine e di ! Tuciano De Maria, Palazzeschi e l'avanguardia, Mondadori, Milano, 1968, pag. 31. riesumazione di un passato ricco e glorioso, ma ormai ri- petitivo e sclerotizzato. Firenze tuttavia era anche la terra feconda del primo Novecento, delle nuove riviste, dei tentativi di rivisitazione di una cultura pur sempre na- zionale, e di lancio dell'avanguardia sullo scorcio del nuo- vo secolo, che andava creato e costituito, Il Leonardo apre le sue tirature il 4 gennaio 1903, per chiuderle poi nel- l'agosto del 1907. Era stato Papini a fondarlo, ma c’era già anche presente Prezzolini (Giuliano il Sofista). Che poi mise in piedi La voce nel 1908: uno dei migliori ten- tativi di collegamento delle forze intellettuali e di fon- dazione di un minimo denominatore comune, letterario e politica {idealismo e sindacalismo socialistico di tipo so- reliano). Papini continuò la « collaborazione ». Ma vi fu- rono anche, sulle pagine de La Voce, Amendola e Sal vemini, Soffici e De Robertis, oltre che il futuro fonda- tore de Il Popolo d’Italia e del Fascismo. La Voce chiudeva però i battenti nel 1912 senza ec- cessiva eco politica immediata. Papini non aveva condi- viso certe alleanze del suo amico Giuliano il Sofista, come non condivideva l'intento didascalico e divulgativo della Voce su qualsiasi argomento artistico e sociale, come an- che « idealistico ». Si unì a Soffici di cui condivideva gli atteggiamenti, ed insieme fondarono Lacerba (il 1° gen- naio del 1913, sempre a Firenze). « Non si volge chi a stella è fisso! », portava come motto il Leonardo sotto la testata. Volendo dare tono battagliero a Lacerbae, Pa- pini forse ancora seguiva le prospettive d’arte e di cul- tura del Leonardo. Anche se in una dimensione « attiva » che già i « leonardiani » avevano inteso fondare nell’uti- lizzazione del pragmatismo come « strumento di poten- za ». (« In quegli anni tutti vollero sapere che cosa fosse il pragmatismo »). Lacerba riprende l’impostazione di battaglia, tipica di Papini, e ritotna all’orientamento spe- cifico dell’arte. ? Vedi anche Giovanni Papini, Pragmatismo, Firenze, Vallec- chi, 1927. 14 In questo contesto è evidente che non poteva man- care l’incontro col futurismo. La scazzottatura dei futuristi con Soffici e i vociani nel 1911° non poteva aver contribuito all'incontro? Potrebbe darsi, anche se Papini non vi aveva partecipato, come Marinetti stesso asserisce in una sua lettera a Pra- tella. Sta di fatto che col 15 marzo del 1913, cioè col suo sesto numero, Lacerba diventa futurista. Con un articolo proprio di Papini dal titolo Contro il futurismo che dal famosa attacco iniziava così: « Il futurismo italiano ha fatto ridere, urlare e sputare. Vediamo se potesse far pen- sare». Segue un passo di Boccioni sul «fondamento plastico della scultura e pittura futurista». Proprio Boccioni che ave- va investito Soffici col suo celebre pugno, poco più di un anno prima a Firenze. E che continuerà a pubblicare articoli sul numero del 1° di aprile e su quello del 1° di agosto e poi sul primo numero del 1914, ecc. Per non parlare di Carrà, Marinetti, Russolo, Sant'Elia, Auro d'Al- ba, ecc., che porteranno continuamente i loro contributi. Il 15 ottobre del ’13 Lacerba pubblicherà addirittura il citato Programma politico futurista in occasione delle elezioni generali. Il manifesto politico compare in prima pagina con tutti i crismi d'appoggio o di affiancamento della rivista. Papini ne dà un commento più che « sod- disfacente ». E lo stesso Papini il 1° dicembre dello stes- so anno uscirà poi con un lungo articolo intitolato Perché son futurista. Sarà l’atto di accettazione definitiva del fu- turismo, od il suo accoglimento più completo, e « globale ». 1 Su La Voce Soffici pubblica la sua Ri- cetta di Ribi Buffone. Vi si elencano gli ingredienti del neonato futurismo: « Un chilo di Verhaeren, 200 gr. di Alfred Jarry, cento di Laforgue, trenta di Laurent Tailhade, cinque di Viélé Griffin, un pugno di Morasso..., una presa di Pascoli », aggiungendovi poi « una pila di undici automobili, sette aetoplani, quattro treni, due carghi, due biciclette, diverse batterie elettriche e qualche candela arden- te». Sempre su La Voce Soffici pubblicherà poi nel ‘10 e nell’11 dei rendiconti negativi sulle opere futuriste esposte a Venezia e a Milano, per cui sarà decisa la spedizione punitiva a Firenze da par- te dei fuiuristi, Non molti giorni dopo, il 12 dicembre (lo ab- biamo già visto), si tenne al Teatro Verdi a Firenze una « grande serata futurista », di cui riporta il « reso- conto sintetico » il numero 24 della rivista (del 15 di- cembre 1913). Non molto tempo dopo, però, il 15 febbraio del ’14, appare sul quarto numeto del nuovo anno I! cerchio si chiude, che avvia inesorabilmente al declino della colla- borazione. Autore ne è ancora una volta Giovanni Papini, che chiuderà definitivamente il « colloquio » sull'ultimo numero dell’anno insieme a Soffici, cofirmatario de Il Fu- turismo e Lacerba. E’ l'atto di chiusura di un « perio- do »: quello, appunto, del futurismo lacerbiano. Rispon- derà Boccioni il 1° di marzo sul numero 5 con Il cerchio non si chiude; ma sono solo sussulti, e anche sugli ultimi numeri dell'anno della rivista compariranno solamente i cosidetti « canti del cigno ». Il cerchio era ormai già chiuso. E non molto dopo chiudeva anche Lacerba, nonostante i suoi ultimi tenta- tivi interventisti di rivivificazione (1915) e le sue discri- minazioni tta futurismo c marinettismo, che ne sarebbe stata la versione deteriore‘. 1l marinettismo sarebbe pra ticamente già morto secondo «i fiorentini », mentre il futurismo avrebbe potuto tendere a mete migliori. Dopo pochi mesi in realtà morirà definitivamente anche Lacerba. 5. Il futurismo e la guerra Nel 1929 Marinetti ricordava così l’inizio della sua « carriera interventista »: « Nel settembre 1914 dutante la battaglia della Marna e in piena neutralità italiana, noi futuristi organizzammo le due prime dimostrazioni contro l’Austria e per l'intervento. Bruciammo il 15 settembre nel Teatro Dal Verme e il 16 settembre in Piazza del 4 Cfr. Palazzeschi, Papini, Soffici, Futurismo e Marmnettismo, in Lacerba, anno III, n. 7, 14 febbraio 1915, pp. 49-50. Duomo e in Galleria undici bandiere austriache ». Poco prima di quegli avvenimenti, Mussolini aveva fondato il suo nuovo quotidiano, I{ Popolo d’Italia. Contemporanea- mente, sotto l'auspicio e il favore di Corridoni, i gruppi rivoluzionari di sinistra, già pronunciatisi a favore della guerra, si stavano organizzando per sostenere anch’essi l'intervento. Come ricorda De Felice, «il 5 ottobre il Fascio Rivoluzionario d'Azione Internazionalista avreb- be lanciato il suo primo appello ai lavoratori italiani in questo senso » * L'incontro tra futuristi e rivoluzionari di estrema sinistra si stava verificando e « stringendo », anche se già confortato da reciproche simpatie per le uni. voche posizioni anticlericali ed antiborghesi. Mussolini scriveva dalla direzione de Il Fopolo d'Italia una lettera a Buzzi, che riportiamo interamente: « Caro Buzzi, Boccioni vi avrà detto — se mai vi avrà parlato di me — che tutte le mie simpatie sono — anche nel dominio dell’arte — per i novatori e i demolitori: per i “futuristi”. Inattesa, e perciò gradita, mi giunge la vostra lettera riboccante di simpatia. E’ questo uno dei momenti più amari della mia vita. Ma vincerò. Vincerò. Lo sento. F' necessario. Ho messo nel gioco tutta me stesso. Credetemi. Vostro Mus- solini ». L’amarezza gli è data probabilmente dall’espulsione dal Partito socialista proprio per la posizione da lui assun- ta a favore dell'intervento. La conoscenza da parte di Mussolini, di Boccioni e del movimento d’arte d’avanguar- dia di Marinetti, risultava sino a poco tempo fa inesistente. La lettera, unica del genere, conferma la precedenza del futurismo politico rispetto al fascismo ancora da sorgere, che poi mutuerà da esso idee, elementi e programmi. Le simpatie si manifestano per il dominio dell'arte, al dire di Mussolini, ma non solo; c'è un « anche », che indica chiaramente dell'altro e un'apertura, forse politi ca, possibile nei confronti degli innovatori e dei « demo- Renzo De Felice, Mussolini il Rivoluzionario, Einaudi, Tori. litori », vale a dire per i futuristi. Che ancora il 9 dicembre di quell’anno organizzano le prime manifesta- zioni interventiste all’Università di Roma, sotto la guida di Marinetti, Balla, Cangiullo e Depero. Qualche mese dopo, nel ’15, le autorità di governo fermano Marinetti, Cangiullo, Balla e Depero che avevano indetto una manifestazione interventista un’altra volta a Roma, in Piazza Venezia. E' il primo « fermo politico » di Marinetti. Sia- mo quasi alla vigilia della guerra. Il 12 aprile 1915 si mette in piedi la « terza grande dimostrazione interventista » davanti alla Camera dei De- putati. E' presente anche Mussolini e si verifica uno dei maggiori « momenti d’incontro » tra futuristi e Mussolini sul terreno dell’intervento. Balla, Corra, Settimelli, Ma- rinetti e lo stesso Mussolini vengono attestati. Tutti gli sforzi ormai, tutte le volontà e tutte le energie sono con- centrate verso un'unica e suprema meta: quella della guer- ra. A Messina esce il nuovo periodico La Balze, e Ma- rinetti pubblica il manifesto Guerra sole igiene del mon- do, mentre il poeta futurista Auro d'Alba « lancia » a Mi- lano per le Edizioni Futuriste di « Poesia » (« sostenute » da Marinetti) il volume Baionette. Con l’entrata in guerra nel maggio, a Fitenze Lacerba interrompe — come si è visto — le pubblicazioni. Una guerra che avevano tutti quanti, in un certo senso, pre- parato con interventi, discorsi, giornali, manifestazioni e pubblicazioni. Fra questi non va dimenticato il manifesto del Teatro futurista sintetico, firmato da Martinetti, Corra e Settimelli, nel quale, fra l’altro, così si legge: « Aspettan- do la nostra grande guerra tanto invocata noi Futuristi al- terniamo la nostra violentissima azione artistica sulla sen- sibilità italiana, che vogliamo preparate alla grande ora del massimo pericolo ». E più avanti: « Perché I’Italia impari a decidersi fulmineamente a slanciarsi, a sostenere ogni sforzo e ogni possibile sventura non occorrono libri e riviste... La guerta, futurismo intensificato, ci impone di marciare e di non marcire nelle biblioteche e nelle sale di lettura. No: crediamo dunque che non si possa oggi influenzare guerrescamente l'anima italiana, se non mediante il teatro ». E in effetti, a partire dal gennaio del '15, i futuristi avevano iniziato una serie di « Tournées di tea- tro futurista interventista » per sostenere la necessità del- l’intervento con un mezzo di comunicazione ben più po- polare e « circolante » della letteratura. Anche la «serata futurista », per esempio, è un al tro canale o strumento di « incoraggiamento » dell'inter- vento. Si tratta di una sorta di riunione o ritrovo di arti- sti futuristi, uno dei quali sollecita gli intervenuti (pubbli- co) danda uno spunto, e proponendo un tema, o aggre- dendo qualche aspetto dell'arte del passato, da cui nasce lo stimolo alla creazione e alla lotta del nuovo 0 del futu- ro, e anche lo stimolo alla guerra che lo conduce sino alle ultime conseguenze. Ma sentiamo Marinetti come la defi- nisce quando si rivolge agli studenti in un altro manifesto, di poco precedente a quello « teatrale », intitolato Im que- st'anno futurista, rivelto agli « studenti italiani » e datato 29 novembre 1914. Laddove si esortano i giovani alla guerra così si afferma: «... il futurismo segnò appunto l’irrompere della guerra nell’arte, col creare quel fenome- no che è la Serata futurista (efficacissima propaganda di coraggio). Il futurismo fu la militarizzazione degli artisti novatori ». E la guerra arrivò, come A biamo visto, e per molti versi fu vera e propria « guerra futurista ». In luglio par- tiva il gruppo più consistente di « volontari »: Marinetti, Boccioni, Russolo, Sant'Elia, Bucci, Carlo Erba e Funi. Ma ci saranno al fronte anche Carrà e Sironi, fattosi futu- rista nello stesso anno, e Piatti e Fortunato Depero. Alla fine dello stesso anno Boccioni, Russolo, Sant’E- lia, Sironi e Piatti, sempre sotto l'egida di Marinetti, firmano un altro manifesto futurista, quello dell’Orgoglio italiano, con cui si promettono pugni, schiaffi e fucilate a quelli degli italiani che avessero manifestato in sé «la più piccola traccia del vecchio pessimismo imbecille, deni- gratore e straccione che ha caratterizzato la vecchia Italia di mediocristi antimilitaristi (tipo Giolitti), di professori pacifisti (tipo Benedetto Croce, Claudio Treves, Enrico Ferri, Filippo Turati), di archeologi, di eruditi, di poeti nostalgici. Sant'Elia muore al fronte, e Boccioni, una settimana dopo, per una caduta da cavallo durante un'esercitazione militare a Orte. Nasce a Firenze la nuova rivista L'Italia futurista. Prampolini fonda con Fol- gore il foglio d'avanguardia Awvenscoperta. Nel ’17 nasce il periodico Deda, che tanto dovrà nell’ispirazione al no- stro futurismo. I) 18 è ormai l'anno della vittoria. Depe- ro realizza i suoi nuovi «balli plastici ». Bruno Corra pubblica a Milano con i tipi dello Studio Editoriale Lom- bardo Per l'arte della nuova Italia. Siamo infatti nell’Ita- lia della vittoria. 6. Il Partito politico futurista Nella nuova realtà del dopoguerra il futurismo cerca una sua nuova collocazione politica più « pacifista », se il termine non è nella fattispecie una contraddizione. Ai fasti dell'intervento e della militarizzazione, succede un nuovo intento programmatico di realizzazione. La prima espressione di questa volontà è ancora una volta dovuta a Marinetti che pubblica nel febbraio del ’18 un Manifesto del Partito politico futurista, l'adesione al quale era libera ed aperta a tutti coloro che avessero accettato i principî del suo programma, indipendentemente dalle concezioni dell’arte o dal consenso all’« estetica futurista ». E questo indica una presa di posizione più ponderata e meno « di rottura », almeno in senso sociale. Il documento esprime, negli intenti, il desiderio di rinnovamento di quelle fasce del combattentismo inter. ventista, comprese fra i mussoliniani, i sindacalisti tivo- luzionari, i socialisti e i repubblicani di sinistra, che avreb- bero poi dato vita alla formazione dei Fasci di Combatti- mento, quelli cui futuristi ed arditi avrebbero infuso la prima linfa vitale. Si possono considerare punti essenziali del nuovo programma l'estensione del suffragio universa- le, comprendente anche le donne, la socializzazione della terra con assegnazione ai reduci, la tassazione progressi- va, l'abolizione dell'esercito e la sua professionalizzazione (volontariato), la giustizia gratuita, la libertà di sciopero e stampa, le otto ore lavorative e Î contratti collettivi di lavoro, l'assistenza e la previdenza sociale, la « tecnicizzazione » clel parlamento e l’introduzione del divorzio. A diffondere le idee del nuovo partito era destinato il perio- dico Roma futurista, fondato a Roma da Marinetti, Mario Carli ed Emilio Settimelli,
Tuesday, November 26, 2024
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