Powered By Blogger

Welcome to Villa Speranza.

Welcome to Villa Speranza.

Search This Blog

Translate

Tuesday, November 26, 2024

GRICE E CARLINI

 Grice e Carlini: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della filosofia fascista – scuola di Napoli – filosofia napoletana – filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Napoli). Filosofo napoletano. Filosofo campanese. Filosofo italiano. Napoli, Campania. Grice: “I love Carlini, and Speranza loves him even more,  but then he is Italian! My favourite is his “A brief history of philosophy,” especially the subtitle: “Da Talete di Mileto a Talete di Mileto, con una postfazione di Talete di Mileto – “Nel principio era l’acqua”!” – “Il primo filossofo – che cadde in un pozzo.” Si laurea a Bologna (“l’unica universita italiana”) sotto Acri. Insegna a Iesi, Foggia, Cesena, Trani, e Parma. E chiamato presso Pisa per sostituire Gentile, trasferitosi a Roma, come titolare della cattedra di filosofia teoretica. Membro dell’Accademia d'Italia. Inizia a farsi conoscere assumendo la direzione di una collana edita da Laterza che inizialmente venne lanciata sotto il nome di “Testi di filosofia ad uso dei licei”. Ad introdurlo nella Laterza è GENTILE, conosciuto qualche anno prima, e CROCE, all'epoca ancora in rapporti col filosofo di Castelvetrano. “Testi di filosofia ad uso dei licei” ha un scopo divulgativo, ma divenne presto celebre per l'alto livello degli autori che collaborarono in vario modo al suo interno, fra cui, oltre al C., anche Saitta e lo stesso Gentile. Oltre al lavoro di direzione e coordinamento in qualità di direttore responsabile, pubblica due saggi su Aristotele (in realtà raccolte aristoteliche da lui curate, commentate e tradotte) cui fa seguito uno studio su BOVIO che desta l'interesse di non pochi studiosi e l'approvazione di GENTILE, considerato da C. suo tutore indiscusso. Pubblica due corposi volumi che gli assicurarono un posto di assoluto rilievo nell’ambiente filosofico: un esaustivo studio sul sense e l’esperienza, e soprattutto “Lo spirito”.  In “Lo spirito” si inizia infatti chiaramente a delineare il proprio pensiero: adesione alla dottrina idealista, vista come sintesi fra il pensiero immanentista gentiliano (GENTILE è, fino alla propria scomparsa, suo amico, oltre che tutore) e quello crociano. Il soggetto attraversa un costante irto di dubbi ed angosce e un dialogo che riusciamo ad instaurare con noi stessi, in un percorso critico dialettico, una conquista realizzabile solo attraverso gli strumenti di una metafisica critica. La centralità della teoria della conoscenza e sviluppata in “Lineamenti di una concezione realistica dello spirito umano” e “Alla ricerca di noi stessi”, “alla ricerca di tu”. Comprensibile appare pertanto l'interesse che nutre per l'esistenzialismo, che però si espresse con una singolare preferenza verso Heidegger, nelle cui speculazioni trovarono ben poco posto le istanze metafisiche, piuttosto che nei confronti di Jaspers che su quelle stesse istanze aveva strutturato la propria filosofofia. Commenta il pensiero logico di Heidegger, e Che cos'è la metafisica? (“La nulla anihila”). Rende un commosso omaggio a Gentile con i suoi Studi gentiliani, raccolta di scritti in massima parte già pubblicati precedentemente, tesi a ricordarne la figura e le affinità intellettuali che un tempo lo avevano legato al grande filosofo siciliano. “Bovio” (Bari, Laterza); “Senso ed esperienza” (Firenze, Vallecchi); “Lo spirito” (Firenze, Vallecchi); “Note a la metafisica d’Aristotele” (Bari, Laterza); “Filosofia” (Roma, Quaderni dell'Ist. Naz. di Cultura); “Il mito del realism” (Firenze, Sansoni); “Lo spirito” (Roma, Perrella); Filosofia (Roma, Ist. Naz. di Cultura); Il problema di Cartesio, Bari, Laterza); Storia della filosofia, Firenze, Sansoni); “La Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi filosofici” (Firenze, Sansoni); Le ragioni della fede, Brescia, Morcelliana); Michelino e la sua eresia” (Bologna, Nicola Zanichelli). Dizionario biografico degli italiani. l'architrave 4    ala I ai Mi L. LL  a cura di  alberto schiavo Gy  giovanni volpe editore  FUTURISMO E FASCISMO. Una fotografia inedita di Marinetti mentre si esercita  al poligona di tiro di Gorizia nel 1915. Marinetti e Russolo si erano  arruolati volontari nel « Battaglione Lombardo Volontari Ciclisti » il  3 agosto 1914 per poi combattere da alpini sul Monte Altissimo. In  seguito Marinetti verrà assegnato ad un reparto di autoblindate e poi  servirà nei bombardieri. Sarà tre volte ferito e tre volte decorato  al valore.   Tutti i diritti riservati. Giovanni Volpe Editore  in Roma, Via Michele Mercati. FUTURISMO E FASCISMO a cure di ALBERTO SCHIAVO GIOVANNI VOLPE EDITORE    FUTURISMO CON E SENZA FASCISMO    «A Giacinto Menotti Serrati allora direitore del-  l’Avanti, che si era recato in Russia per respirare  aria comunista. Lenin affermò: “Voi socialisti non  siete dei rivoluzionari. In Italia ci sono soltanto tre  uomini che possono fare la rivoluzione: Mussolini,  Annunzio, Marinetti”. Il povero Menotti, inotridito, ritornò a Milano precipitosamente. E. quando, paco dapo, un capo scarico con un  magistrale colpo di forbice gli tagliò di netto, per  beffario, Ia veneranda barba, reagì in questo modo:  facendo proclamare nella grande città lombarda lo  sciopero generale. I milanesi orripilarono, è il caso  di dirlo, perché si sentirono da quel giorno appesi  ai peli del direttore dell'Avarti »  EmiLio SErTIMELLI, Mille giudizi di statisti, scrit-  tori, giornalisti, scienziati, industriali di Cinquanta  Stati sulla personalità e misstone di Mussolini, Erre, Milano). Quale futurismo? Il futurismo è ormai un fatto d’esportazione: italiano  d'origine pur se si è cercato di farlo passare per francese  e russo poi di acquisizione e di affermazione, è ormai  alla ribalta dell’esperimentazione artistica americana. Segno questo che il fenomeno è vitale e ancora carico di  prospettive, nonostante la « storicizzazione » di un avvenimento che fu d'avanguardia. Ma quale avvenimento?  Il manitesto del futurismo fu pubblicato sul parigino Le Figaro. Si tratta di un manifesto letterario di rinnovamento e di rivoluzione, se vogliamo, della tradizione classicista e « passatista » {secondo un termine caro ai futuristi) dominante.  Gli aspetti politici non furono tuttavia estranei alla sua volontà di rivolgimento letterario ed artistico. Ci  sembra quindi giusto prenderli in considerazione, eftet tuarne un esame. Anzi, è proprio di questi che ci vogliamo occupare, del loro svolgersi, articolarsi 0, comun-  que, manifestarsi nel corso del tempo e della vita del futurismo. Che, in fondo, ancora oggi è accettato o respinta,  condiviso o negletto, « approvato » o denigrato a seconda  delle posizioni o degli intendimenti politici del momento.  Ma anche è ticonsiderato, tivisto e « rivisitato » nel suo  complesso, da tutte le parti, vicine e lontane, amiche ed  avverse, per la carica vitale e rinnovatrice che lo anima,  suscitatrice di nuovi spiriti e ancòra, in fondo, moderna.   « La letteratura esaltò fino ad oggi l'immobilità pen-  sosa, l'estasi e il sonno », scriveva Marinetti in quel Mani  festo di settanta e più anni fa. « Noi vogliamo esaltare il  movimento aggressivo, l'insonnia febbrile, il passo di cor-  sa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno». E non è  già atteggiamento letterario « aggressivo », ma anche di  rinnovamento, questo? Non è, come si suol dire ancora,  « fare politica »? Al settimo punto del Manifesto, Marinetti così continuava: «Non c'è più bellezza, se non  nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere ag-  gressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere  concepita come un violento assalto contro le forze ignote,  per ridurle a prostrarsi davanti all’uomo ». Per conclu-  dere poi con l'undicesimo: « Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa; can-  teremo le maree multicolori e polifoniche delle rivolu-  zioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fer-  vore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da  violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici  di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole. E tutto questo cantava e diffondeva da Parigi, da uno  dei più gloriosi quotidiani della capitale francese; ma cio-  nonostante « ...è dall'Italia, che noi lanciamo pel mondo  questo nostro manifesto di violenza travolgente e incen-  diaria, col quale fondiamo oggi il “Futurismo”, perché  vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena  di professori, d’archeologi, di ciceroni e di antiquari. Un grido così coinvolgente e totale non può, in fon-  do, non trascinare ancora gli osservatori della cultura,    A       non invitarli almeno a prendere posizione, poco importa  se favorevole o contraria. Non si può rimanere indiffe-  renti ancora negli Anni Ottanta, non sentirlo tutt'ora pre-  sente nei suoi contenuti « prospettici » e attuali. Ecco  perché tutti lo hanno ripreso, riconsiderato o « riabilita-  to» alla loro dimensione storica: liberali e comunisti,  socialisti e conservatori, cattolici e radicali, fino alla nuova destra. Anche noi, vorremmo quindi riesaminarlo a  distanza non però per riappropriarcene, ma solo per ve-  dere la sua origine, il muoversi storico e la collocazione  politica nel corso della sua esistenza, che in fondo, è ancora incerta e anche, in parte, controversa.    Si è parlato d’irrazionalismo filosofico, di decadenti-  smo o di romanticismo letterario, di surrealismo con evi-  dente errore di collocazione, di nietschianesimo natural  mente, o di bergsonismo ecc. ecc. Ma non sta a noi que-  sto compito, perché siamo convinti che rutto si potrebbe  dite, o comunque tutto si potrebbe adattare in buona  combinazione di purpurie filosofica, o di pensiero. E in-  vece è il futurismo che vorremmo considerare nella sua  realtà storica, nella sua entità e valenza « politica », di  fianco o a distanza di quel fascismo con cui bene o male  si è accompagnato. Anche se ciò non basta certamente  per avere un'idea chiara e precisa della sua effettiva por-  tata e del suo valore « storico ». Perché il futurismo va  visto sì nel suo tempo, che non è poi tanto passato, pur  se non è più momento dell’oggi; ma va visto anche nella  sua prosecuzione e nella sua proiezione al tempo presen-  te, sia pure per quel che riguarda la « dimensione d’arte ».   Il futurismo oggi non è più un fatto politico, ma è  tuttora fatto culturale, e diverse manifestazioni e pubbli  cazioni lo dimostrano ancora. Quando nacque, fu espres-  sione rivoluzionaria di un paese giovane e « nuovo » mos-  so dalla felice conclusione dei fermenti unitari, i quali  — è ovvio — comportano sempre semi di sconvolgimen-  to e di rinnovazione. L’« Italia di Vittorio Veneto » sancità definitivamente  ed epicamente il ciclo dell’unità e segnerà così anche, nel  l'immediato dopoguetra, il momento di temperatura massima del « futurismo politico », che vedremo poi ricadere  in seguito completamente a zero.   Oggi, in tempi di riflusso dopo una guerra perduta  anche se ormai lontana, il futurismo risulta meno com-  prensibile e meno « attuale » alla nostra capacità d'in-  tendimento storico. Ma a ben osservare possiamo ancora  intravvederlo, per intendere poi anche meglio il futurismo  artistico e letterario, che del tutto estraneo a quello « po-  litico » proprio non è.   La cultura è un fatto del presente, ma anche dell’av-  venire. Come tale è o dovrebbe essere giovane, perché  vissuta, voluta, « creduta » e quindi guardata in prospet-  tiva nella visione dell’oltre, nell'ottica di uno sguardo lon-  tano. Il futurismo si pone in questo «taglio » di visuale  sull'inizio del secolo, e si focalizza in tale dimensione.  Vuole aprire una nuova strada e vuole porgere un'indi-  cazione, una proposta.   Erano i tempi del progresso, dello sviluppo della scien-  za e dell'industria, del nascere della velocità dei nuovi  suoni e dei nuovi rumori, quelli delle scoperte e delle  invenzioni, del cinema e dell'aviazione. Marinetti percepì  tutto questo e lo espresse. E fondò il futurismo, pose  le sue basi e cantò la sua prima voce. Nessuno forse  s’aspettava o s'immaginava che potesse riuscire a trovare  ascolto. Marinetti però viveva a Parigi a quel tempo, e  seppe approfittare dei contatti che aveva con la cultura  rancese per lanciare il Manifesto: fu un'occasione, e fu  anche un lancio sicuro.    2. Futurismo e « passatismo »    Esiste ancora oggi il « passatismo », quello di mari-  nettiana memoria. E se è pet questo c'è ancora il futu-  rismo. Proprio per tale suo aspetto, dunque, il futurismo  è ancora attuale: la decadenza della cultura o il suo in-  vecchiamento, e la sua inadeguatezza ai tempi; il preva-  lere per contro dell'accademia, della pedanteria, del vec-  chiume cattedratico sono sempre all'ordine del giorno.    ®    Il futurismo, quindi, non ha esaurito il suo compito, ov-  vero non è riuscito nel suo intento. E allora dovremo dire  che non è morto ed è tuttora attuale. Ma prima di aprire  un'ipotesi di «nuovo futurismo », dovremmo esaminare  quello passato, fattosi movimento d'avanguardia, e ormai  da ridefinirsi vera e propria avanguardia storica, solo ed  esclusivamente.   Il « passatismo » può essere oggi solo un « fatto di  ritorno », o esser rientrato ad occupare il suo campo d'’ori-  gine, ma il futurismo settanta anni fa aveva già conosciu-  to quello di allora, tanto da indicarlo e da definirlo, con  una sua caratteristica espressione: passatismo, appunto.  E non si trattava anche allora di una cultura ripetitiva  e monocorde, puntualizzatrice e pedante, noiosa e inat-  tuale? Allora come oggi: una cultura fuori dal tempo,  sterile e ferma. E il futurismo aveva voluto muoversi a  rinnovarla, a darle nuova spinta vitale. Ecco allora le  sue invettive contro l’accademismo o il professorume, i  suoi appelli alla distruzione di musei, archivi, biblioteche.   Si trattava di appelli squisitamente letterari, ma sono  stati presi il più delle volte alla lettera o in senso lette-  rale, per farne atto d'accusa al futurismo e alla sua anti-  cultura. Leggendo al di là delle righe, invece, dovremmo  capire la portata o la dimensione del messaggio, rivolto  agli uomini più che ai musei e alle accademie, o almeno  a certi uomini capaci di rappresentare solo ed esclusiva-  mente cultura da museo.   Sulla spinta di questo stimolo « ideologico », era fatale  che il movimento trovasse più facili accoglienze 0 acco-  stamenti con le parti politiche d’azione, quelle dell'inter  vento prima della Grande Guerra, e dell’arditismo prima  durante e dopo il conflitto. La guerra veniva ormai intesa  sola ed unica «igiene del mondo », ed era logico che i  futuristi si accostassero a lei, come ad una forza capace  di debellare ed estirpare il tanto inviso « passatismo ».  I futuristi quindi furono interventisti accanto ai naziona-  listi (D'Annunzio) ed ai socialisti di Corridoni e di Mus-  solini. La ineluttabilità della storia accosta spesso e vo-  lentieri i « differenti ». Furono vicini nei comizi, nelle  manifestazioni, nella propaganda per l’intervento.  E poi partirono, praticamente tutti 1 futuristi, volontari per il fronte di una guerta che avevano inteso e visto  aggressiva, purificatrice e moderna. Una guerra al passo  coi tempi, si direbbe oggi, una guerra insomma « futu-  rista ». Partì Martinetti e partì Boccioni, partirono Funi  e Sitoni, partì Sant'Elia, che lasciò i suoi 23 anni in trincea sulle colline del Carso. Erano entrati tutti e cinque  « compatti » in quel glorioso battaglione ciclisti, che tan-  to fece patlare di sé, e che Funi rittasse in un famoso  quadro. Anche Boccioni morirà in ospedale a Verona.  La vita fu forse la massima offerta all’« igiene » di una  guetra tanto desiderata.    Il futurismo in quanto fermento rinnovatore di una  lotta nazionale che concluse il Risorgimento, potrebbe es-  sere inteso come un epigono del Romanticismo. Fu in-  vece di più e di meglio, visto in altra dimensione o in  altro significato. Perché fu avanguardia, anzi il primo ve-  to e proprio movimento d’avanguardia culturale del nuo-  vo secolo. E l'avvento del fascismo in senso politico, di-  mostra in fondo che lo sbocco di tutto quel rivolgimento  innovativo 0 avanguardistico che tutti sentivano e « avevano  nel sangue », era diventato una ineluttabile necessità del  momento.    L’irreggimentazione del fascismo è un fatto successiva,  indipendente dal futurismo. Il fascismo-regime, per dirla  con De Felice, è un'esito autonomo e « solitario » di Mus-  solini e del potere. Il fascismo-movimento invece, sempre  per dirla alla De Felice, no. I) fascismo-movimento è una  realtà più complessa, articolata e multiforme, più sentita e  partecipata. Ed in essa entra il futurismo, che « vive » il fa-  scismo ma anche lo anima, che Jo vuole in parte, ma anche  lo informa.    Il « passatismo » doveva essere stroncato: e in un  primo momento, con l'avvento di Mussolini, languì. La  cultura subì uno svecchiamento non indifferente ed il fer-  mento del nuovo portò sulla scena uomini « giovani » ac-  cantonando | « vecchioni » dell'accademia libera!socialista.  Balla, Carrà, Soffici, Funi, Sironi, Prampolini si afferma-  rono col vento futurista che stava soffiando. Ed ebbero spazio nelle mostre, almeno in un primo momento, aper-  tura nei musei, apprezzamento all’estero, dove vennero  accolti, ammirati, imitati. Il futurismo ebbe una grande  forza vitale sua, autonoma e individuale. Senza per que-  sto imporsi e schiacciare la « concorrenza », anzi. I fu-  turisti accettatono nuove esperienze ed accolsero scambi  con avanguardie straniere (come l'astrattismo), che vol.  lero mutuare in reciprocità l’influenze. Il fascismo fu l’avan-  guatdia collaterale politica del futurismo, che tuttavia que-  st'ultimo cronologicamente precedette e « ideologicamente »,  almeno in parte, ispirò. La lotta al « passatismo » diven-  ne così quasi simbolo del fascismo, che si fece portaban-  diera del rinnovamento e della nuova rivoluzione nazio-  nale.   I « professori », non avendo messaggi originali da con-  trapporre, rimasero in disparte. Marinetti divenne acca-  demico d’Italia a fascismo avanzato e, forse, suo malgra-  do. Tuttavia « usò » l'Accademia per promuovere ed ap-  poggiare i « suoi » futuristi, per dar loro spazio nelle di-  verse manifestazioni d’arte e di cultura. Il filosofo Croce,  « professore ad honorem », era stato proposto alla presi-  denza dell’Accademia, ed era stato proposto da parte fa-  scista, quando ancora da Napoli applaudiva a Mussolini:  ebbe invece più consensi la presidenza Marconi, lo scien-  ziato, e Croce si ritirò nell’antifascismo, forse mi litante,  della sua incensurata e liberissima Critica. Croce fu « pas-  satista », 0 tortò ad essere tale dopo una parentesi {od  un tentativo di rivolgimento innovativo), che non lo sot-  trasse tuttavia dalle « carte » della sua più o meno im-  mobile filosofia.    3. Futurismo e politica    La comparsa « politica » del futurismo fu praticamente  contemporanea alla sua nascita «artistica: infatti avvenne  in occasione delle elezioni del 1909, quando Marinetti  lanciò il suo Primo Manifesto Politico, che così si rivol-  ge agli « Elettori Futuristi »: « Noi Futuristi invochiamo da tutti i giovani ingegni d’Italia una lotta ad oltranza  contro i candidati che patteggiano coi vecchi e coi preti ».  Posizione confermata nel marzo dello stesso anno in un  famoso Discorso ai Triestini tenuto al Politeama Rosset-  ti, della città giuliana, dove così sottolinea: « In politica,  stamo tanto lontani da] socialismo internazionalista e an-  tipatriottico — ignobile esaltazione dei diritti del ven-  tre — quanto dal conservatorismo pauroso e clericale,  simboleggiato dalle pantofole e dallo scaldaletto ». Sono  le premesse del famoso anticlericalismo marinettiano, che  sfocerà poco dopo nello « svaticanamento » tanto predi-  cato per la salvezza nazionale.    Nel 1910, dopo la nascita del futurismo politico, vie-  ne fondato il Partito Nazionalista Italiano, antidemocra-  tico ed antiborghese. Nel 1913 nasce Lacerba, cui diede-  ro vita a Firenze Soffici e Papini, la rivista che in pra-  tica divenne ben presto organo ufficiale del futurismo /ato  sensu. Sempre nel 1913 sorgeva a Napoli un’altra rivista  futurista, diretta da Ferdinando Russo e intitolata Vele  Latina, che si ergeva in un primo tempo a voce di pa-  sizioni morigerate e tranquille, e poi dal 1915 più spinte  nella mischia dell'intervento.   Ancora del ’13, e dell'11 ottobre per l'esattezza, è  la pubblicazione del Programma politico futurista a firma  di Marinetti, Boccioni, Carrà e Russolo, per le elezioni  dello stesso anno. « Questo programma vincerà », s'in-  dica al margine inferiore del foglio, «il programma cle-  rico-moderato-liberale » e «il programma democratico-re-  pubblicana-socialista ». Cosa che poi in realtà non avvenne.    Il 12 dicembre dello stesso anno Marinetti pronun-  ciava un discorso al Teatro Verdi di Firenze, dove sao-  stiene la volontà di appoggiare l'impresa libica ed il suo  felice compimento. Il discorso viene immediatamente ri-  preso e pubblicato da Lacerba, nel numero del 15 dicem-  bre (n. 24, anno I): « Si convincano i socialisti che noi  rappresentanti della nuova gioventù artistica italiana com-  batteremo con tutti i mezzi e senza tregua i loto vigliac-  chissimi tentativi... » iniziava il discorso; e così concludeva, a rafforzamento delle sue inconciliabili posizioni:  « Noi siamo dei nazionalisti futuristi e perciò ferocemen-  te avversi all’altro grande pericolo imminente: il clerica-  lismo con tutte le sue propaggini di moralismo reaziona-  sio, di repressione poliziesca, di professoralismo archeo-  logico e di quetismo rammollito o affatismo di partito ».  Ormai la collocazione del movimento è quanto mai chia-  ra e inequivocabile.    4. Futuristi e « fiorentini. Che i futuristi fossero « milanesi » è problema tutto  da vedere, anche se è vero che Marinetti abitava a Mi-  lano e che dopo la fondazione del movimento a Parigi  fu a Milano il suo centro di spinta e di irradiazione.  Ma i legami con Firenze furono ben presto agganciati,  e determinanti. Scrive Luciano De Matia: « Fsiste un fu-  turismo milanese (con Marinetti e Boccioni in simbio-  si); esiste un primo futurismo fiorentino lacerbiano, che  assimila, elabora in modo nuovo, creativo, le istanze mi-  lanesi; esiste un secondo futurismo fiorentino (la « pattu-  glia azzurra »; i giovani de L'Italia futurista) psicologico,  occultista, predadaista e presurrealista. E potremmo con-  tinuate nelle differenziazioni »”.   Ma non è tanto per questo tipo di differenziazioni che  ci interessa il futurismo fiorentino, quanto per la dimen-  sione « politica » dei personaggi che vi aderirono, diversa  da quella di Marinetti e degli altri futuristi milanesi o  degli altri politici che a Milano operavano e si muove-  vano (Boccioni, Sant'Elia, Balla; più tardi poi, Vecchi  e Mussolini). Milano era già città d'avanguardia e alla  guida dell’industrializzazione settentrionale: questo non va  dimenticato.   Firenze era ancora « passatista », accademica e salot-  tiera; legata comunque ad una cultura d’indagine e di    ! Tuciano De Maria, Palazzeschi e l'avanguardia, Mondadori,  Milano, 1968, pag. 31. riesumazione di un passato ricco e glorioso, ma ormai ri-  petitivo e sclerotizzato. Firenze tuttavia era anche la terra  feconda del primo Novecento, delle nuove riviste, dei  tentativi di rivisitazione di una cultura pur sempre na-  zionale, e di lancio dell'avanguardia sullo scorcio del nuo-  vo secolo, che andava creato e costituito, Il Leonardo apre  le sue tirature il 4 gennaio 1903, per chiuderle poi nel-  l'agosto del 1907. Era stato Papini a fondarlo, ma c’era  già anche presente Prezzolini (Giuliano il Sofista). Che  poi mise in piedi La voce nel 1908: uno dei migliori ten-  tativi di collegamento delle forze intellettuali e di fon-  dazione di un minimo denominatore comune, letterario e  politica {idealismo e sindacalismo socialistico di tipo so-  reliano). Papini continuò la « collaborazione ». Ma vi fu-  rono anche, sulle pagine de La Voce, Amendola e Sal  vemini, Soffici e De Robertis, oltre che il futuro fonda-  tore de Il Popolo d’Italia e del Fascismo.    La Voce chiudeva però i battenti nel 1912 senza ec-  cessiva eco politica immediata. Papini non aveva condi-  viso certe alleanze del suo amico Giuliano il Sofista, come  non condivideva l'intento didascalico e divulgativo della  Voce su qualsiasi argomento artistico e sociale, come an-  che « idealistico ». Si unì a Soffici di cui condivideva gli  atteggiamenti, ed insieme fondarono Lacerba (il 1° gen-  naio del 1913, sempre a Firenze). « Non si volge chi  a stella è fisso! », portava come motto il Leonardo sotto  la testata. Volendo dare tono battagliero a Lacerbae, Pa-  pini forse ancora seguiva le prospettive d’arte e di cul-  tura del Leonardo. Anche se in una dimensione « attiva »  che già i « leonardiani » avevano inteso fondare nell’uti-  lizzazione del pragmatismo come « strumento di poten-  za ». (« In quegli anni tutti vollero sapere che cosa fosse  il pragmatismo »).  Lacerba riprende l’impostazione di  battaglia, tipica di Papini, e ritotna all’orientamento spe-  cifico dell’arte.       ? Vedi anche Giovanni Papini, Pragmatismo, Firenze, Vallec-  chi, 1927.    14    In questo contesto è evidente che non poteva man-  care l’incontro col futurismo.   La scazzottatura dei futuristi con Soffici e i vociani  nel 1911° non poteva aver contribuito all'incontro? Potrebbe darsi, anche se Papini non vi aveva partecipato,  come Marinetti stesso asserisce in una sua lettera a Pra-  tella. Sta di fatto che col 15 marzo del 1913, cioè col  suo sesto numero, Lacerba diventa futurista. Con un articolo proprio di Papini dal titolo Contro il futurismo che  dal famosa attacco iniziava così: « Il futurismo italiano ha  fatto ridere, urlare e sputare. Vediamo se potesse far pen-  sare». Segue un passo di Boccioni sul «fondamento plastico  della scultura e pittura futurista». Proprio Boccioni che ave-  va investito Soffici col suo celebre pugno, poco più di  un anno prima a Firenze. E che continuerà a pubblicare  articoli sul numero del 1° di aprile e su quello del 1° di  agosto e poi sul primo numero del 1914, ecc. Per non  parlare di Carrà, Marinetti, Russolo, Sant'Elia, Auro d'Al-  ba, ecc., che porteranno continuamente i loro contributi.   Il 15 ottobre del ’13 Lacerba pubblicherà addirittura  il citato Programma politico futurista in occasione delle  elezioni generali. Il manifesto politico compare in prima  pagina con tutti i crismi d'appoggio o di affiancamento  della rivista. Papini ne dà un commento più che « sod-  disfacente ». E lo stesso Papini il 1° dicembre dello stes-  so anno uscirà poi con un lungo articolo intitolato Perché  son futurista. Sarà l’atto di accettazione definitiva del fu-  turismo, od il suo accoglimento più completo, e « globale ».    1 Su La Voce Soffici pubblica la sua Ri-  cetta di Ribi Buffone. Vi si elencano gli ingredienti del neonato  futurismo: « Un chilo di Verhaeren, 200 gr. di Alfred Jarry, cento  di Laforgue, trenta di Laurent Tailhade, cinque di Viélé Griffin, un  pugno di Morasso..., una presa di Pascoli », aggiungendovi poi « una  pila di undici automobili, sette aetoplani, quattro treni, due carghi,  due biciclette, diverse batterie elettriche e qualche candela arden-  te». Sempre su La Voce Soffici pubblicherà poi nel ‘10 e nell’11  dei rendiconti negativi sulle opere futuriste esposte a Venezia e a  Milano, per cui sarà decisa la spedizione punitiva a Firenze da par-  te dei fuiuristi,   Non molti giorni dopo, il 12 dicembre (lo ab-  biamo già visto), si tenne al Teatro Verdi a Firenze  una « grande serata futurista », di cui riporta il « reso-  conto sintetico » il numero 24 della rivista (del 15 di-  cembre 1913).   Non molto tempo dopo, però, il 15 febbraio del ’14,  appare sul quarto numeto del nuovo anno I! cerchio si  chiude, che avvia inesorabilmente al declino della colla-  borazione. Autore ne è ancora una volta Giovanni Papini,  che chiuderà definitivamente il « colloquio » sull'ultimo  numero dell’anno insieme a Soffici, cofirmatario de Il Fu-  turismo e Lacerba. E’ l'atto di chiusura di un « perio-  do »: quello, appunto, del futurismo lacerbiano. Rispon-  derà Boccioni il 1° di marzo sul numero 5 con Il cerchio  non si chiude; ma sono solo sussulti, e anche sugli ultimi  numeri dell'anno della rivista compariranno solamente i  cosidetti « canti del cigno ».   Il cerchio era ormai già chiuso. E non molto dopo  chiudeva anche Lacerba, nonostante i suoi ultimi tenta-  tivi interventisti di rivivificazione (1915) e le sue discri-  minazioni tta futurismo c marinettismo, che ne sarebbe  stata la versione deteriore‘. 1l marinettismo sarebbe pra  ticamente già morto secondo «i fiorentini », mentre il  futurismo avrebbe potuto tendere a mete migliori. Dopo  pochi mesi in realtà morirà definitivamente anche Lacerba.    5. Il futurismo e la guerra    Nel 1929 Marinetti ricordava così l’inizio della sua  « carriera interventista »: « Nel settembre 1914 dutante  la battaglia della Marna e in piena neutralità italiana, noi  futuristi organizzammo le due prime dimostrazioni contro  l’Austria e per l'intervento. Bruciammo il 15 settembre  nel Teatro Dal Verme e il 16 settembre in Piazza del       4 Cfr. Palazzeschi, Papini, Soffici, Futurismo e Marmnettismo, in  Lacerba, anno III, n. 7, 14 febbraio 1915, pp. 49-50. Duomo e in Galleria undici bandiere austriache ». Poco  prima di quegli avvenimenti, Mussolini aveva fondato il  suo nuovo quotidiano, I{ Popolo d’Italia. Contemporanea-  mente, sotto l'auspicio e il favore di Corridoni, i gruppi  rivoluzionari di sinistra, già pronunciatisi a favore della  guerra, si stavano organizzando per sostenere anch’essi  l'intervento. Come ricorda De Felice, «il 5 ottobre il  Fascio Rivoluzionario d'Azione Internazionalista avreb-  be lanciato il suo primo appello ai lavoratori italiani in  questo senso » * L'incontro tra futuristi e rivoluzionari  di estrema sinistra si stava verificando e « stringendo »,  anche se già confortato da reciproche simpatie per le uni.  voche posizioni anticlericali ed antiborghesi.  Mussolini scriveva dalla direzione de Il Fopolo d'Italia una lettera a Buzzi, che  riportiamo interamente: « Caro Buzzi, Boccioni vi avrà  detto — se mai vi avrà parlato di me — che tutte le  mie simpatie sono — anche nel dominio dell’arte — per  i novatori e i demolitori: per i “futuristi”. Inattesa, e  perciò gradita, mi giunge la vostra lettera riboccante di  simpatia. E’ questo uno dei momenti più amari della mia  vita. Ma vincerò. Vincerò. Lo sento. F' necessario. Ho  messo nel gioco tutta me stesso. Credetemi. Vostro Mus-  solini ».   L’amarezza gli è data probabilmente dall’espulsione  dal Partito socialista proprio per la posizione da lui assun-  ta a favore dell'intervento. La conoscenza da parte di  Mussolini, di Boccioni e del movimento d’arte d’avanguar-  dia di Marinetti, risultava sino a poco tempo fa inesistente.  La lettera, unica del genere, conferma la precedenza del  futurismo politico rispetto al fascismo ancora da sorgere,  che poi mutuerà da esso idee, elementi e programmi.   Le simpatie si manifestano per il dominio dell'arte,  al dire di Mussolini, ma non solo; c'è un « anche », che  indica chiaramente dell'altro e un'apertura, forse politi  ca, possibile nei confronti degli innovatori e dei « demo-    Renzo De Felice, Mussolini il Rivoluzionario, Einaudi, Tori. litori », vale a dire per i futuristi. Che ancora il 9  dicembre di quell’anno organizzano le prime manifesta-  zioni interventiste all’Università di Roma, sotto la guida  di Marinetti, Balla, Cangiullo e Depero. Qualche mese  dopo, nel ’15, le autorità di governo fermano Marinetti,  Cangiullo, Balla e Depero che avevano indetto una manifestazione interventista un’altra volta a Roma, in Piazza  Venezia. E' il primo « fermo politico » di Marinetti. Sia-  mo quasi alla vigilia della guerra.    Il 12 aprile 1915 si mette in piedi la « terza grande  dimostrazione interventista » davanti alla Camera dei De-  putati. E' presente anche Mussolini e si verifica uno dei  maggiori « momenti d’incontro » tra futuristi e Mussolini  sul terreno dell’intervento. Balla, Corra, Settimelli, Ma-  rinetti e lo stesso Mussolini vengono attestati. Tutti gli  sforzi ormai, tutte le volontà e tutte le energie sono con-  centrate verso un'unica e suprema meta: quella della guer-  ra. A Messina esce il nuovo periodico La Balze, e Ma-  rinetti pubblica il manifesto Guerra sole igiene del mon-  do, mentre il poeta futurista Auro d'Alba « lancia » a Mi-  lano per le Edizioni Futuriste di « Poesia » (« sostenute »  da Marinetti) il volume Baionette.    Con l’entrata in guerra nel maggio, a Fitenze Lacerba  interrompe — come si è visto — le pubblicazioni. Una  guerra che avevano tutti quanti, in un certo senso, pre-  parato con interventi, discorsi, giornali, manifestazioni e  pubblicazioni. Fra questi non va dimenticato il manifesto  del Teatro futurista sintetico, firmato da Martinetti, Corra  e Settimelli, nel quale, fra l’altro, così si legge: « Aspettan-  do la nostra grande guerra tanto invocata noi Futuristi al-  terniamo la nostra violentissima azione artistica sulla sen-  sibilità italiana, che vogliamo preparate alla grande ora  del massimo pericolo ». E più avanti: « Perché I’Italia  impari a decidersi fulmineamente a slanciarsi, a sostenere  ogni sforzo e ogni possibile sventura non occorrono libri  e riviste... La guerta, futurismo intensificato, ci impone  di marciare e di non marcire nelle biblioteche e nelle sale  di lettura. No: crediamo dunque che non si possa oggi  influenzare guerrescamente l'anima italiana, se non mediante il teatro ». E in effetti, a partire dal gennaio del '15,  i futuristi avevano iniziato una serie di « Tournées di tea-  tro futurista interventista » per sostenere la necessità del-  l’intervento con un mezzo di comunicazione ben più po-  polare e « circolante » della letteratura.   Anche la «serata futurista », per esempio, è un al  tro canale o strumento di « incoraggiamento » dell'inter-  vento. Si tratta di una sorta di riunione o ritrovo di arti-  sti futuristi, uno dei quali sollecita gli intervenuti (pubbli-  co) danda uno spunto, e proponendo un tema, o aggre-  dendo qualche aspetto dell'arte del passato, da cui nasce  lo stimolo alla creazione e alla lotta del nuovo 0 del futu-  ro, e anche lo stimolo alla guerra che lo conduce sino alle  ultime conseguenze. Ma sentiamo Marinetti come la defi-  nisce quando si rivolge agli studenti in un altro manifesto,  di poco precedente a quello « teatrale », intitolato Im que-  st'anno futurista, rivelto agli « studenti italiani » e datato  29 novembre 1914. Laddove si esortano i giovani alla  guerra così si afferma: «... il futurismo segnò appunto  l’irrompere della guerra nell’arte, col creare quel fenome-  no che è la Serata futurista (efficacissima propaganda di  coraggio). Il futurismo fu la militarizzazione degli artisti  novatori ».   E la guerra arrivò, come A biamo visto, e per molti  versi fu vera e propria « guerra futurista ». In luglio par-  tiva il gruppo più consistente di « volontari »: Marinetti,  Boccioni, Russolo, Sant'Elia, Bucci, Carlo Erba e Funi.  Ma ci saranno al fronte anche Carrà e Sironi, fattosi futu-  rista nello stesso anno, e Piatti e Fortunato Depero.   Alla fine dello stesso anno Boccioni, Russolo, Sant’E-  lia, Sironi e Piatti, sempre sotto l'egida di Marinetti, firmano un altro manifesto futurista, quello dell’Orgoglio  italiano, con cui si promettono pugni, schiaffi e fucilate  a quelli degli italiani che avessero manifestato in sé «la  più piccola traccia del vecchio pessimismo imbecille, deni-  gratore e straccione che ha caratterizzato la vecchia Italia  di mediocristi antimilitaristi (tipo Giolitti), di professori  pacifisti (tipo Benedetto Croce, Claudio Treves, Enrico  Ferri, Filippo Turati), di archeologi, di eruditi, di poeti  nostalgici. Sant'Elia muore al fronte, e Boccioni, una settimana dopo, per una caduta da cavallo durante un'esercitazione militare a Orte. Nasce a Firenze la  nuova rivista L'Italia futurista. Prampolini fonda con Fol-  gore il foglio d'avanguardia Awvenscoperta. Nel ’17 nasce  il periodico Deda, che tanto dovrà nell’ispirazione al no-  stro futurismo. I) 18 è ormai l'anno della vittoria. Depe-  ro realizza i suoi nuovi «balli plastici ». Bruno Corra  pubblica a Milano con i tipi dello Studio Editoriale Lom-  bardo Per l'arte della nuova Italia. Siamo infatti nell’Ita-  lia della vittoria.    6. Il Partito politico futurista    Nella nuova realtà del dopoguerra il futurismo cerca  una sua nuova collocazione politica più « pacifista », se  il termine non è nella fattispecie una contraddizione. Ai  fasti dell'intervento e della militarizzazione, succede un  nuovo intento programmatico di realizzazione. La prima  espressione di questa volontà è ancora una volta dovuta a  Marinetti che pubblica nel febbraio del ’18 un Manifesto  del Partito politico futurista, l'adesione al quale era libera  ed aperta a tutti coloro che avessero accettato i principî  del suo programma, indipendentemente dalle concezioni  dell’arte o dal consenso all’« estetica futurista ». E questo  indica una presa di posizione più ponderata e meno « di  rottura », almeno in senso sociale.   Il documento esprime, negli intenti, il desiderio di  rinnovamento di quelle fasce del combattentismo inter.  ventista, comprese fra i mussoliniani, i sindacalisti tivo-  luzionari, i socialisti e i repubblicani di sinistra, che avreb-  bero poi dato vita alla formazione dei Fasci di Combatti-  mento, quelli cui futuristi ed arditi avrebbero infuso la  prima linfa vitale. Si possono considerare punti essenziali  del nuovo programma l'estensione del suffragio universa-  le, comprendente anche le donne, la socializzazione della  terra con assegnazione ai reduci, la tassazione progressi-  va, l'abolizione dell'esercito e la sua professionalizzazione  (volontariato), la giustizia gratuita, la libertà di sciopero  e stampa, le otto ore lavorative e Î contratti collettivi di  lavoro, l'assistenza e la previdenza sociale, la « tecnicizzazione » clel parlamento e l’introduzione del divorzio. A  diffondere le idee del nuovo partito era destinato il perio-  dico Roma futurista, fondato a Roma da Marinetti, Mario  Carli ed Emilio Settimelli,

No comments:

Post a Comment