Grice e Ceretti: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del PASŒLOGICES SPECIMEN – scuola d’Inra – filosofia piemontese -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Intra). Filosofo piemontese. Filosofo italiano. Intra, Verbania, Verbano-Cusio-Ossola, Piemonte. Grice: “I love Ceretti; and I wish Strawson would, too! Ceretti distinguishes three stages in the development of a communication system. The first is very primitive, obviously, and avoids the reference to ‘io’ and ‘tu’ as metaphysical – ‘hic’ and ‘nunc’ will do. The second stage he says may be all that some societies need – ‘green’ for this plant – The third stage involves the general concept of ‘plant’ and this is where a soul-endowed entity (animal) can refer to a plant or to an animal like himself or his companion – at this last stage, Ceretti speaks of ‘soul’ (anima), and the affectations of the mind being what is communicated – if that’s not Griceian, I do not know what is!” -- I suoi genitori, Pietro e da Caterina Rabbaglietti, di condizioni agiate, lo affidarono all'insegnamento privato di ecclesiastici e successivamente ai docenti del seminario di Arona dove si distinse per il suo carattere refrattario ai vecchi metodi didattici e ribelle alle rigide regole di disciplina. Quasi al termine degli studi si appassiona all'approfondimento della lingua latina e alla composizione di poesie che lo fecero conoscere come poeta a braccio. Frequenta come alunno esterno un collegio di gesuiti a Novara dove risulta primo in retorica tanto che il suo maestro lo spinse a comporre la tragedia “Il duca di Guisa” sulla base della Storia delle guerre civili di Francia di Davila. Soggiorna successivamente a Firenze dove ebbe modo di frequentare i membri del gabinetto Vieusseux. Dedicatosi agli studi scientifici e storico-filologici e soprattutto a quelli filosofici, scrisse il poemetto incompiuto Eleonora da Toledo dove dà prova di penetrazione psicologica dei personaggi e di abile descrizione ambientale. Nello stesso periodo compose poesia a contenuto filosofico, il romanzo “Ultime lettere di un profugo” sul modello foscoliano, e infine le riflessioni “Pellegrinaggio in Italia”, nate a seguito di numerosi viaggi avventurosi per l'Europa in compagnia di zingari e vagabondi, che gli permisero di apprendere diverse lingue. Opere queste che mostrano la singolarità del suo mondo spirituale profondamente diverso e in contrasto con quello degli altri. Soggiorna nella villetta "La Chaumière", presso Chambéry, dove lavora alla “Pellegrinaggio in Italia” dato alla stampe a Intra con lo pseudonimo d’Goreni. Trasferitosi alle Cascine a Firenze, pubblica “La idea circa la genesi e la natura della Forza”. Adere all'hegelismo, di cui tenta una revisione in senso soggettivistico in una grande opera in latino, “Pasaelogices Specimen”, che non riscosse alcun successo di pubblico. Decide quindi non pubblicare più nulla. Tuttavia continua a comporre una grande varietà di saggi filosofici. Si dedica esclusivamente alle meditazioni filosofiche espresse in numerose opere tra le quali i “Sogni e favole” (Torino), le Grullerie poetiche (Torino) e le Massime e dialoghi (Torino). La sua opera è stata pressoché sconosciuta. Solo Gentile gli ha assegnato un ruolo di rilievo in “Le origini della filosofia contemporanea in Italia” (‘C. e la corruzione dell'hegelismo’). A lui oggi viene riconosciuta una certa influenza sul pensiero filosofico della scuola torinese. e sulla formazione della filosofia di Martinetti. A lui è dedicata la Biblioteca di Verbania. Dizionario Biografico degli Italianim Martinetti C. “La natura logica di tutte le cose” e pubblicata presso la POMBA di Torino. Gentile. Cfr. G. Colombo, La filosofia come soteriologia, Milano, Vigorelli. Dizionario biografico degli italiani, Opera Omnia D'Ercole, Torino, Vittore Alemanni, C.. L'uomo, il poeta, il filosofo, Hoepli, Pasquale D'Ercole, La filosofia della natura di C., POMBA, Giuseppe Colombo, La filosofia come soteriologia, Vita e Pensiero, Fiorenzo Ferrari, Il filosofo di Intra. L'idealismo di Ceretti, in Verbanus, Vigorelli, Martinetti. La metafisica civile di un filosofo dimenticato, Milano, Bruno Mondadori. L'uomo vuol essere considerato come l’ultimo frutto, ossia il massimo sviluppo psichico dell'animalità. Questo massimo sviluppo presuppone necessariamente i prossimi animali dello sviluppo minore, e cosi via discorrendo. L'uomo vuol essere, inoltre, considerato come il frutto più recente dell'albero zoologico. E qui nasce oggidi rispetto all’uomo una contestazione circa la sua produzione immediata o derivata da’ più prossimi animali inferiori. Questa contestazione non può ammettersi dalla speculazione, e neppure dalle discipline naturali empirico-induttive; ma la si agita sopra un terreno affatto estraneo a quello della speculazione, e della scibilità empirico-induttiva, fomentata da ogni sorta di passioni, partigiana di religiosità, di moralità, e così via. È assurdo supporre che una specie si tramuti in una nuova specie come tale; perocchè le specie sono mere distinzioni teoriche del nostro intelletto. La natura, come disse un sommo naturalista, non facit saltum; e conseguentemente la distinzione caratteristica che costituisce le specie “Homo sapiens” non risulta se non in quanto si prendono in considerazione termini sufficientemente lontani e si trascurano i termini intermedii. Infatti, se noi consideriamo gli animali superiori dell'albero zoologico, nei quali le differenze ci sono più sensibilmente manifeste, troveremo che le specie si suddividono in razze differenti fra loro sotto varii rapporti, e che le razze si suddividono in varietà differenti, e che dette varietà si suddividono in varii individui pur differenti fra loro. Inoltre, troveremo che queste differenze sono a noi tanto più evidentemente manifeste quanto più si salga alto nell'albero zoologico, ed a noi più vicina sia la specie che si prende a considerare. La vera trasformazione della specie perciò non si deve investigare nelle specie come tali, ma piuttosto nei minimi termini della specie, ossia nella variazione individuale del specimen. Questa variazione, tuttochè lentissima, modifica col volgere dei secoli le specie, così come la conchiglia microscopica, variando la propria natura, varia il terreno che ne risulta. Gli agenti che effettuano la suddetta progressiva variazione sono di tre ordini, vale a dire: planetarii, psichici, e spirituali. Questi agenti sono progressivamente tanto più efficaci quanto più si concretano nella efficacia spirituale. L’agenti del primo ordine planetario modifica semplicemente il corpo e l’organismo, e indirettamente, ma assai lentamente, la facoltà istintuale. E un agente puramente planetarii, p. es., la natura del suolo e dell'aria, ossia generalmente il clima, la condizione geografica e topografica, e cosi via. L’agente planetario si possono chiamare elementare, perocchè opera su tutta l'animalità senza distinzione veruna, e sono presupposti dagli altri agenti succennati. Si può dire in tesi generale che gli animali inferiori non subiscono modificazione se non lentissima, e molte specie degli animali inferiori si sono spente, appunto perchè non hanno potuto subire le modificazioni necessitate dalle progressive variazioni dell'aria e del suolo. L’istinto delle specie animali inferiori e rigido e difficilmente modificabile, appunto perchè e un istinti poco variato, che non puo neutralizzarsi fra se in una ricca varietà di modificazione. L’agente del secondo ordine e psichico (e no ‘psicologico’ ma veramente psichico), epperciò più intimo nell’organismo, ossia più essenziale. Un agente psichico modifica l'animale nella sua intima facoltà, ossia una attitudine, assai più facilmente e più profondamente che non gli agenti naturali succennali. Questo secondo agente e nella sua essenzialità un maggiore sviluppo del primo agente naturale plantario, epperciò si manifesta nella generazione susseguente come una profonda modificazione dell’organismo e dell’sstintualità. Questa modificazione non e più mera variazione giusta una astratta affinità, per le quale, p. es., una facoltà diventa minore di altra facoltà, vale a dire, si manifesta come una pura variazione quantitativa dell’istintualità. E una modificazione profonda che diventa la proprietà caratteristica dell'animale (un tigre che tigrizza) e qualche volta e affatto estranea e contra-dittoria o opposta, o contraria, alla facoltà della generazione pre-esistente. Allora si dice che una nuove specie (Homo sapiens) e venuta all'esistenza, e la vecchia si e spenta. La facoltà psichica si modifica sulla base di un istinto più svariato, il quale si neutralizza appunto fra loro tanto più facilmente quanto più svariati. L’istinto dell’animali inferiore e tanto più fermo e rigido quanto meno molteplice e svariato. Questa modificazione causata da un fattore psichico modifica il sistema anatomico e fisiologico, perocchè non e possibile una modificazione psichica sulla base d'una invariabilità anatomico-fisiologica. E una modificazione profonde, la quale, se qualche volta poco modifica l'ordine anatomico-fisiologico sensibilmente manifesto, e però effettuata piuttosto nell’elementi anatomico, nel così detto ordine istologico. La modificazione psichica non spetta, come quelle generali, ad una specie o ad una razza, ma sono più profonde modificazioni dell’organismo e della corrispettiva istintualità. Essa rifletta piuttosto la mera individualità animale, epperciò e variabile indefinitamente. La condizione causale di questa modificazione e data dalla ciscostanza nella quale versa un certo individuo animale. Cosi non è solo la varia natura geografica e topografica del suolo e dell'aria in che vive, ma anche i varii vegetabili e animali con che vive; perocchè dette varia condizione e sufficiente a modificare l'anima (la psiche) dell'animale. Le delle varia circostanza costringe un certo individuo a esercitare preferibilmente una certa facoltà psichica, e per conseguenza a svilupparle preferibilmente. Data la ricca molteplicità e varietà della facoltà istintuale proprie della specie di “Homo sapiens”, questa facoltà variamente si combina e si neutralizza. L’istinto cosi neutralizzato, ossia radicalmente variato, si trasmette alla generazione veniente; e cosi le condizioni succennate, variando l’atttudini dell’anima individuale, preparano il terreno alla più ricca e più profonda azione del fattore veramente spirituale. Il fattore spirituale modifica quell’attitudine che appartene non alla specie, ma all'individuo animale, ed e un fattore che non più modifica l'anima senziente, ma lo spirito (animus, psiche, sofflo) ideante dell’animale. Tuttochè questo fattore, nel su concreto sviluppo, appartene allo spirito umano, pure gli animali superiori (p. es., una scimia antropomorfa) possegge un certo quale esercizio equivoco e parziale del suddetto fattore. Cosi la scimia impara dalla propria osservazione, epperciò gl’individui più vecchi sono assai più scaltri e periti dei più giovani. È questa la ragione per la quale l’animale non solamente si aggrega ma si organizza gerarchicamente giusta un certi statuto di un sentimento comune. È importante che un individuo animale possa profittare della proprie osservazione; perocchè dello profitto provoca una maggiore perizia pratica, la quale dal più vecchio è partecipata al più giovane e trasmessa alla generazione vegnente come una dialettica della categoria istintuale che più tardi si sviluppe in una vera mentalità. La categoria spirituale (spiritus, animus) funziona qui come sviluppata categoria psichica (psiche), epperciò la lingua, il linguaggio e la communicazione, nel suo amplo uso, vera sintesi e genesi manifesta della categoria spirituale, arriva all’esistenza come linguaggio no planetario o naturale, ma puramente psichico; o come linguaggio equivoco o misto, ossia psichico-spirituale; o come linguaggio assolutamente o puramente spirituale o oggettivato (communicazione proposizionale – la logica di tutte e cose). Qui non occorre accennare al terzo ed ultimo stadio, ossia al linguaggio puramente o assolutamente spirituale, proprietà *esclusiva* (alla Grice) dell'uomo o Homo sapiens sapiens, ma solamente al primo stadio (psichico) e al secondo stadio (misto) del linguaggio che nasce e si sviluppa nell’animalità sub-umana, pre-razionale. Il fattore caratteristico di questa crisi, ossia lo sviluppo dell’anima senziente inter-soggetiva nella spiritualità pensante proposizionale, è manifesto piuttosto dal linguaggio ‘muto’ o il gesto di una emozione del corpo e principalmente di quell’emozione della fisio-nomia. Quest’emozione formula un sistema comunicativo, in quantochè manifesta una definita emozione intima con una certa categoria, che, non essendo destinate alla mera soprevivenza o conservazione dello specimen o della specie, non si puo chiamare semplicemente psichica, ovverosia istintuale. L’animale sub-umano, p. es., lussureggia per una mera sensualità erotica – omo-erotica, come Socrate ed Alcibiade --, la quale non può essere destinata in verun modo alla propagazione della specie dei Grecci! Così pure due specimen giovani di animale giocano (la lotta greco-romana) colla vivacità propria dell’età loro, la qualcosa può giovare, ma indirettamente, all’educazione e destrezza corporale dell’individualità. Così il padre non solo alimenta il suo figlio, ma l’educa e disciplina ad una pratica operazione requisita dalla propria specie, locchè dimostra che l’ingenita istintualità non puo bastare, ed abbisogna dell’ammaestramento dell’osservazione data a lui che ha già vissuto praticamente nella vita. Il linguaggio misto, o equivoco, ossia psichico-spirituale, è quel tale sistema di comunicazione che non consta semplicemente di questo o quello gesto, il quale segna non solo una definita emozione dell’animo, ma una certa anfi-bologica determinazione della ‘mente’ (mentatio, mentare, mentire). Così, per es., il cane, alla presentazione d'una cosa che altre volte fu nocivo, puo involuntariamente fuggire guaiolando. Il gesto segna naturalmente la paura. Qui certo v’ha una psichica emozione provocata da una simile cosa, ma quest’emozione del cane dev'essere legata alla *memoria* della *sensazione* originaria, la quale memoria appunto costituisce una determinazione *equivoca*, mista, psichica o mentale-spirituale. L’animale superiore possesse una facoltà che incluse un svariatissimo repertorio di questo o quello segno o gesto, mediante una modulazione combinatorial di questa equivoca determinazione. Quando l’animale arriva definitivamente alla soggettivazione della propria coscienza, ossia al suo “lo” distinto categoricamente dal “non-lo” (cfr. Grice, “Privazione e negazione), entra categoricamente nella coscienza spirituale – del spirito oggetivo. Questo passaggio costituisce la creazione o mutazione o trasmutazione o trassustanzazione (metaeousia) dell’uomo, Homo sapiens sapiens, e solamente questo passaggio colla propria manifestazione può segnare un soggetto umano che puo attuare in inter-soggetivita con un altro soggeto umano. Qui l’”umanismo” si manifesta categoricamente nel proprio caratteristico (la definita soggettivazione del ‘ego’ come ‘ego’ e del ‘tu’ come ‘tu’), e si manifesta colla parola (parabola) non certo col documento anatomico-fisiologico, che non puo bastare se non a certa ampla generalità della distinzione o del genus animale. Prima di entrare a caratterizzare questa crisi importantissima, ossia lo sviluppo dell’anima nello spirito, dobbiamo assumere la speculazione retro-spettiva della coscienza da un ordine uranico nel ordine planetario e nel ordine vegeto-animale. In un ordine uranico, la coscienza procede verso un’individuazione dalla nebulosa al cometa, al sole ed al pianeta. Il solo caratteristico essenziale dell'umanismo, assai più caratteristico di quell’antichissima vaga definizione dell'uomo ragionevole, animale rationale homo est, è senza dubbio la soggettivazione, e la manifestazione di questa soggettivazione è fatta con l’inezzo spiritualmente formolato. Conformemente a ciò, più innanzi, l’uomo (Homo sapiens sapiens) è designato anzi definito come coscienza inter-soggettivata. Quest’individuazione, qualunque la si voglia supporre, non può essere una soggettivazione; perocchè l'individuo (Erberto) non si distingue dalla specie (Homo sapiens sapiens), e le varie specie dei corpi celesti si confondono colle varie età di un solo individuo. Cosi pure, speculando in un ordine generalissimo, una specie animale e una età dell’animalità. Nella specie animale piu infima, l'individuo si distingue dalla specie (una rosa piu bella dall’altra). Nella specie animale superiore, non solo lo specimen si distingue dalla specie, ma anche il soggetto dallo specimen ė progressivamente distinto. Cosi, p. es., il corpo di un animale consta d'innumerevoli individualità viventi aggregate ed organizzate fra loro, le quali, svolgendosi dall’una in altra fase, costituiscono l’organo (dell’organismo), l’apparecchio, e la funzione vitale dell’animale. Ma la coscienza resuntiva di questo individuo vivente è nell’organismo dell’animale concreto, e non negli animalcoli gregarii che lo costituiscono. L'animale resuntivo della propria soggettività costituisce lo svolgimento del senso del pensiero. Qui dobbiamo definire la distinzione del senso e del pensiero. Il senso non può supporsi astratto dalla coscienza; perocchè in questo caso sarebbe un senso che non sente (il senso non sente, l’animale sente), ma può supporsi astratto dalla *co-scienza* del senso; perocchè la co-scienza e il senso funzionano indistintamente. Finchè la co-scienza non si distingue categoricamente dal proprio oggetto. E una co-scienza identica alla sua forma esteriore, la quale è una sensibile esistenza. Quando però la co-scienza si distingue categoricamente dal proprio oggetto, allora dice: “Io sono e l'oggetto è” – “Io sono quello che sono, e l’oggetto quello che è, cioè l’ “lo” e il “non-lo” (p. es., il tu) *siamo* due termini distinti in relazione d’intersoggetivita. Quest’idea fondamentale che si percepisce un “lo” (pirothood) è la soggettività; ossia, la nascita dello spirito. Nascita dello spirito e nascita del pensiero, facendo consistere la spiritualità specialmente in questo. A conferma di ciò, si noti, primamente, che in questo paragrafo ei vuole fare appunto la distinzione di senso e pensiero; secondamente, che nel susseguente paragrafo, parlando dei momenti dello spirito, vi accoglie il principio sensitivo non come pura e semplice *sensazione*, ma come *sentimento*. Sulla predetta distinzione, del resto, ritorno nei paragrafi susseguenti. Lo spirito consta di tre fasi: il sentimento (aisthetikon), l’intelletto (noetikon) ed il concetto – il A e B – concetto soggetto, concetto predicato). Lo spirito nel sentimento è uno spirito immediato che poco si distingue dall’anima senziente. Ma quest’anima senziente appartiene allo spirito, perocchè si *percepisce* soggetto (un ‘lo’). Il sentimento consta di tre termini: l’attenzione (la risposta ad un stimolo), la memoria (il riflesso condizionato), e l’imaginazione (la risposta ipotetica o condizionale). La funzione più o meno complessa di questi tre termini crea la *soggettività*, che lentamente si svolge dal sensibile nel cogitabile (co-gitatum, cogito; ergo sum). L’attenzione deve funzionare nello spirito esordiente, e cosi lo spirito deve *sentire* *che* il senso della natura – ossia, l’istinto -- più non gli basta. Questo sentimento dell’insufficienza del proprio istinto l’avverte *che* necessita osservare ed imparare la pratica della vita. E la prima funzione della mentalità. Epperciò la lingua ariana conserva più la traccia della parentela del concetto di “manere” e “mens” -- quasichè pensare e fermarsi, ossia il soggeto ferma l’attenzione sopra un oggetto – che puo essere un altro soggetto --, siano due operazioni molto affini. Veramente, tuttochè sommamente dissomiglino queste operazioni, nella loro sensibile inanifestazione esteriore s’identificano in un fatto comune, quello dell’arrestarsi – la risposta ad un stimolo. La co-scienza che fissa l’attenzione sopra un oggetto (che puo essere un altro soggetto), cerca nell’oggetto qualcosa *oltre* il sensibile immediato, quando esso oggetto non sia la funzione di una mera sensazione immanente, ma la funzione di una sensazione trascendente. Una seconda funzione del sentimento è la memoria. Mediante la memoria, una sensazione o attenzione presente si può risuscitare quando non sia più presente. La co-scienza attentiva all'oggetto studia un oggetto esteriore ed abbisogna della presenza di esso oggetto per osservarlo. Ma la memoria contiene e conserva in sè stessa l’oggetto osservato (che puo essere il ‘lo’ – l’identita personale come memoria), epperciò si costituisce in-dipendente dalla presenza del medesimo oggetto. Una terza funzione del sentimento è la imaginazione. L'imaginazione non solo conserva l’oggetto osservato, ma *crea* l'oggetto possibile che non ha osservato. Questa funzione emancipa o libera la co-scienza, non solo, come la memoria, dalla presenza dell’oggetto (s’ricorda o imagina un oggetto assente), ma anche dalla sensibile esteriore realtà del medesimo oggetto, epperciò l’imaginazione può liberamente crearsi una propria oggettività, alla Meinong. Questa facoltà crea non solo l’oggetto composto (compesso combinato) di due oggetti (obble 1 e obble 2) osservati, ossia non crea solo la mera composizione, addizione o combinazione, ma puo creare un oggetto che non consta di questo o quello elemento osservato, ma un oggetto radicalmente imaginario (un circolo quadrato, un numero imaginario), tuttochè le semplici categorie dello spirito e della natura debbano necessariamente fornire all’imaginazione se stesse per possibilitare questa creazione imaginativa o predittiva. Il passaggio dalla coscienza senziente alla cogitante, ossia dalla bestia all’uomo, è pure una progressiva distinzione della co-scienza in soggettiva ed intersoggetiva. Qui la distinzione de soggetivita e intersoggetivita è una mera distinzione generale dell'”io” dal “non-io” (il ‘tu’). L’ “io” si suppone vivente e pensante *altro* dal non-io (il tu, in combinazione, il noi), in sè stesso parimenti vivente e pensante. La natura si rivela come un *popolo*, popolazione, aggreggato, organismo sociale, di piroti viventi e di pensanti, non si suppone ancora l'altro dal vivente-pensante, ossia il non-vivente e il non-pensante. Si suppone semplicemente l’altro dal moio lo vivente e pensante. Perciò la natura uranica, la terrestre, stochiologica e minerale, la vegetabile o l’animale si suppone distinta dal mio io, non però distinta dall’io generalmente parlando, ossia si suppone possedere un loro io analogo a quello della mia co-scienza. Esaminate la radice, ossia gli antichissimi elementi della comunicazione e troverete ogni dove segnata l'universa natura (physis) come vivente e pensante analogicamente alla mia co-scienza. Non vi troverete mai la natura morta colla sua forza cieca, governata da necessità parimenti cieca, vale a dire, la natura della riflessione. Il sentimento esplicito dalla mia co-scienza soggettiva può essere comunicato dall'uno all'altro individuo. È questa comunicazione (o conversazione, nel senso biblico) la prima proprietà per cui una idea cogitabile è distinta da una mera sensazione per definizione non-condivisibile. Nessun sistema di comunicazione puo fornire una sensazione, se questa non sia stata data dal senso (il ‘dato del senso) come tale – nihil est in communicatione quo prius non fuerit in sensu). Potrò, p. es., parlare in qualsivoglia modo di un oggetti visibile. Ma un cieco nato non puo mai ne sentire ne comprendere che sia la visibilità. Se un soggetto abbia un tempo posseduta la facoltà visiva puo, parlando di un oggetto veduto, richiamarli alla memoria quasi visibilmente presente, ma non puo mai fare che tale visione sostituisca la concreta visibile realtà colla semplice imaginazione. La prima conseguenza della co-scienza senziente che si sviluppa nella cogitante è che, siccome l’idea o concetto come tale, ossia nella forma della co-scienza cogitante, può essere *trasmessa* (il trasmesso) dal l'uno soggeto all'altro soggetto, non può essere trasmesso il senso come tale, ossia nella forma della co-scienza senziente. Cosi un soggetto è abilitato a sapere quello che non egli, ma l’altro soggetto ha percepito col senso (“Una serpe!”), oppure quello che egli in altro tempo ha percepito col senso, oppure indurre un’idea da quello che presentemente percepisce col senso. Cosi, p. es., la pecora condotta al macello *vede* macellare la sua simile e fortunatamente non solo *non* induce che sarà ella stessa macellala, ma anche non percepisce che questa presente operazione segna un'uccisione; perocchè non possiede l'idea o il concetto della morte. Cosi il soggetto pensante o intellettivo può sapere quello che il senziente non può sapere, e questo sapere nasce dalla facoltà cogitativa o concettuale, per la quale da una sensazione si astrae un’idea generale o un concetto. Cosi, per es., il soggetto pensante vive nel passato colla memoria, e nell'avvenire (possibile o reale) coll'imaginazione; il soggetto senziente, o bestia, vive astrattamente nella sua sensazione presente. In virtù della sensazione che non può essere indotta in un’idea, egli non possiede, come il pensante, la distinzione di una natura predominante ed insubordinabile al soggetto e di una natura subordinabile e passibile del soggetto. Quest’idea prototipa della forza è un’idea cardinale dello spirito, è stata il primo germe del sacro. Osservate il sacro e lo troverete Dio, non perchè sommamente ragionevole, ma perchè onnipotente. Nella religione spiritualmente più adulta rimane tultavia l'idea dell'onnipotenza, piuttosto che quella della ragionevolezza, l’attributo eminentissimo del sacro. Mediante questa passibilità il soggetto può sapere la prima volta di essere nato, di essere stato lattante, di essere stato partorito, e cosi pure può sapere che OGNI soggetto, nessuno eccettuato, non vissi oltre una certa mnassima età, ma morirono in quella o prima di quella. Conseguentemente egli sa *che* il soggetto non solo nasce (si genera) e muore (corruption), ma può nascere in varie condizioni e morire in qualsivoglia momento della sua vita. La nozione della nascita e della morte del soggetto è un fenomeno della co-scienza realizzato la prima volta che la co-scienza senzienle si svolge nella pensante; perciò sapientemente nella “Genesi” è detto che l’uomo (Adamo) prima di peccare, ossia di gustare il frutto del bene e del male, non moriva, ed avendolo gustato dovrà morire. Veramente la co-scienza senziente non può sapere di nascere e di morire; perocchè questo sapere non si sa se non sia una nozione *trasmessa* (il trasmesso) da un soggeto ad altro soggetto, ovvero un'idea indotta dal fatto costante della morte. Questa crisi della co-scienza, ci manifesta che la co-scienza, dalla sensazione svolgendosi nella mentalità, procede in un sistema di distinzioni ideali o possibile o concettuali e astratte che non sono possibili nella mera sensazione. La mentalità, che nasce dalla sensazione, è prototipicamente *imitatrice* o inconica della sensazione, e porta seco nel suo sviluppo la *forma logica* della sensazione stessa, che progressivamente si trasforma in quella del pensiero. La mentalità è prototipicamente sentiment e funziona in tre caratteristiche funzioni -- attenzione, memoria, ed imaginazione. Da queste tre prototipiche funzioni del sentimento nascono tre forme rudimentali della mentalità. La mentalità non più vive nell’immediata sensazione ma crea il conflato temporaneo, e vive nella retrospettiva del passato, e nella prospettiva dell'avvenire. Questo conflato temporaneo possibilita un'esistenza ideale oltre l’immediato sensibile presente, e conseguentemente un'idealità inducibile dall'osservazione. Da quest’osservazione nasce una seconda idea elementare della mentalità, cioè d'una forza naturale che domina la nostra, e d'una forza subordinabile alla nostra. Di qui la mentalità si esercita per subordinare le forze predominanti, e da questa generale osservazione si percepisce come un fatto costante che l’uomo nasce e muore, e finalmente che *io*, come uomo, ma no come persona, sono nato e devo morire. L'idea della morte come necessità, tuttochè sembri un’idea comunissima, è lungi dall'essere tale. La co-scienza primitiva, come quella di certi selvaggi oggidi viventi, percepisce la morte come un fatto costante. Ma, come la riſlessione, non arguisce punto che questo fatto, tuttochè costante, sia necessario. Suppongono questi selvaggi che la natura umana o sovrumana abbia sempre ucciso l’uomo. Ma suppongono parimenti che quest'uccisione non sia una necessità, ma una sfortunata accidentalità. La co-scienza che dalla sensazione si svolge nella mentalità si sistematizza in un sentimento pressochè comune alla umanità. Il soggetto possiede la sua propria determinazione individuale. Ma proprie determinazioni non affettano un sistema generale della co-scienza umana, che perciò ſu chiamato senso comune. Mentre questo sistema generale della co-scienza è pienamente uniforme al senso comune, il soggetto è un soggetto comune e spiritualmente normale. Ma quando questo sistema si aliena dal senso comune in on sistema d'idealità più misteriosa, e trascende con un giudizio prestigioso i giudizi comuni degli uomini, allora si dice, che questo soggetto è inspirato, ossia profetico, taumaturgico, e così via. Generalmente parlando, questa co-scienza trascendente subordina la comune, come provano i varii sacerdoti della primitiva religiosità romana ed etrusca. Quando il soggetto si aliena dal senso comune senza trascendere in un'idealità prestigiosa, ed esercita una pratica contradittoria o contraria o opposta a sè stessa, ovvero incompatibile colle esigenze generali della pratica oggettività, allora si dice che il soggetto è spiritualmente ammalato, ovverosia demente. L'alienazione vuol essere accuratamente distinta, se cioè sia alienazione dal mero senso comune (in questo senso si può dire, che tutti gli uomini grandi furono alienati), ovvero se sia una alienazione dalle generali esigenze pratiche dell'oggettività naturale e spirituale (in questo senso gli alienati sono coloro che comunemente si chiamano pazzi). La co-scienza trascendentale, ossia la co-scienza dominata dall'idealismo, co-scienza essenzialmente poetica, è il polo opposto della co-scienza dominata dalla sensazione, co-scienza essenzialmente prosaica. A quella si devono tutte le organizza zioni primitive dell'umanità, a questa si deve preferibilmente la tecnica industrialità e la mercatura primitiva. Vedremo più oltre, che la Coscienza umana progredisce sulla base di quest'opposizione archetipica della sua storia. La funzione più essenziale e più generale della mentalità è la comunicazione (il trasmesso). Il primo stadio del trasmesso è l'uso di una radice designativa – de-segna – segna. Qui io non segno che una presentazione o un modo di una presentazione, e sempre si riduce alle semplici categorie dello spazio e del tempo. Il pronome personali non fu primitivamente io e tu, e così via, categorie troppo metafisiche, per servire a questo primo stadio della lingua, ma, “qui”, “là” (Bradley, this, that, and th’other, thatness, thisness), ecc., categorie dello spazio. Un sistema di comunicazione che consta di radici semplicemente per la che io de-segno non può soddisfare alle esigenze più generali della mentalità, epperciò da questo primo stadio si sviluppa, per l'implicita esigenza della mentalità, il secondo stadio. Il secondo stadio consta della combinazione di una radice con la che de-segno con una radice pre-dicativa, ma tuttavia legate a una sensibile determinazione; cosi, p. es., per designare un oggetto, si sceglie l'attributo sensibile più esplicito in quel l'oggetto, p.es., il verde per designar la pianta, il bianco per designer la neve. Quest’attributo sensibile, sendo necessariamente variabile o contingente nell'oggetto, non può costituire una specie. In questo secondo stadio si trovano molte lingue dei selvaggi o barbari, i quali scelgono un attributo sensibile dell'oggetto per designarlo, e conseguentemente non possono arrivare a formolare le specie o il genus o l’universale, ma semplicemente oggetti in certe sensibili condizioni. Il terzo stadio usa la categoria propria della mentalità esplicita, la categoria metafisica, per designare l'oggelto; come, p. es., define la pianta non l'individuo verde, ma l’individuo polare, i cui poli cospirano alla luce ed all'acqua. Questa proprietà generica comprende ogni pianta; perocchè la detta polarità è l'attributo cogitabile generale della pianta. Il gesto è posseduto da ogni animale come inezzo psichico di movimenti o di formalità; ma il gesto che caratterizza la soggettività è appunto il trasmesso psichico che si svolse nella spirituale. La prima radice segna una mera affezioni dell'anima e più tardi si svolse in un segnato meta-forico, per rispondere all'esigenze della progressiva mentalità. Il rapporto fra il canale fisico *espresso* dall'anima e l'anima esprimente (segnante) è quello stesso rapporto, ma più complesso, per il quale un animale segna con un certo definite gesto certa definite affezione della sua anima. L'uomo, sviluppando in sè stesso la propria mentalità e l’inezzo per segnarla, si conobbe come specie comune. Il primo sistema di comunicazione quasi naturale deve essere stato pressochè identico in ogni umano, come ogni pecora bela, ogni cani abbaia ed urla. Dovette essere un inezzo nato con lui e trasmesso senza il minimo bisogno di convenzionalismo e di pratica convivenza per essere capita. La communicazione è stata realmente uno degli argomenti più favoriti e più frequentemente trattati dal filosofo, il quale la conosceva, ed a fondo, in molte forme antiche ed in un numero ancora maggiore di forme moderne. Egli ne ha trattato, infatti, in molte sue opere. Ne ha accennato nel primo volume della sua grande opera, cioè Saggio circa la ragione logica di tutte le cose “Prolegomeni,, Torino. Ne ha accennato anche nelle seguenti opere già pubblicale in Torino, e cioè nella Proposta di riforma sociale; nella Introduzione alla cultura generale (facente parte del predetto vol.), pag. 120 e seguenti. Ne parla poi in parecchie altre opere ancora inedite. L'uomo che possedette questo sistema di communicazione visse nelle foreste in una aggregazione o società piuttosto fortuita, poco dissimili da quelle dei quadrumani, ma si armò per esercire la caccia e la pesca. La sua nudità lo facea più fragile degli altri animali, epperciò ha dovuto sopperire a questa nudità e debolezza colle armi artificiali, e sopratutto colla propria scaltrezza. Questo primo stato dell'uomo vuol essere qui accennato come quello dell'astratta soggettività abbandonata a sè stessa; perocchè l'uomo, cacciatore o vivente dei prodotti naturali della terra e del mare, può vivere solitario. Le aggregazioni o società di questi uomini sono mera accidentalità non necessità dello stato proprio. In questo primo stato la soggettività nascente è caratteristicamente manifestata dalla perversione di certi istinti essenzialissimi alla conservazione del soggetto e della specie. Così, p. es., nessuna specie animale s'alimenta del proprio simile, ma certi selvaggi mangiano indifferentemente i loro nemici, amici, consanguinei, figliuoli, ed alimentano le donne, affinchè ingrassino e siano buone a essere mangiate quando partoriscono più figliuoli da mangiare. Quest’enorme perversione d’un istinto cosi radicale (l’affezione alla progenitura) segna quanto sia profonda la crisi che svolge l'istintualità nella mentalità. Sono certo che la quasi totalità de’ filosofi non sarà d'accordo su questo puntoe riterrà l’associazione umana come una necessità e non già come un'accidentalità. Ma l'autore, per la vita solitaria e un po' misantropica da lui fatta, è stato come involontariamente tirato a generalizzare questo suo particolare carattere. E una mentalita che si manifesta come un'orribile perversione dell'istinto, ma è una mentalità volente, non un mero modo d'ingenita istintualità. Questo titolo è quello, che nonostante la massima perversione, può nobilitare l’uomo antropofago sopra la bestia istintualmente tutrice della prole. Cosi pure, relativamente al soggetto individuo, l'uomo selvaggio o barbaro in procinto di essere cattivato dai suoi nemici, può suicidarsi, la bestia non mai (penguino?). L'istinto della propria conservazione individuale è un istinto comune a tutti i viventi nella natura, come pure quello della conservazione della propria specie non offre eccezione veruna nel regno della natura. Le sole eccezioni a questo fenomeno generalissimo della vita si trovano fra gli animali pensanti come il penguino. Tuttochè qui dobbiamo parlare del soggetto della natura, astratto da qualsivoglia organizzazione necessitata dalla sua condizione, abbiamo parlato di tre stadii caratteristici della comunicazione, come quella che può essere comunicata da soggetto a soggett, senza convenzione, indipendentemente dall'organizzazione sociale fra soggetti o dalla nessuna organizzazione. La comunicazione appartiene cosi al soggetto solitario (il Deutero-Esperanto di Grice ch’inventa al bagno) come al soggetto socievole, e generalmente al soggetto solitario che profitta segnatamente delle occasioni dell’amore. L’uomo solitario pratica qualche volta questo rapporto colla femmina come un mero rapporto erotico occasionale. Abbandona la femmina alle conseguenze della fecondità, non conosce i suoi figliuoli che sono allattati, nudriti ed educati dalla madre. Ma la comunicazione, che persuase la copula dell'amore, è la medesima colla quale la madre educa i suoi figliuoli. Cosi la comunicazione può dirsi radicalmente una creazione della specie ed assume dignità ed ha il suo svolgimento nella storia universa della spiritualità. Si può dire in tesi generale che la comunicazione genera la storia nella sua più semplice elementarità; e dallo svolgimento della lingua si conosce lo svolgimento dell'umana mentalità e conseguentemente, delle gesta che ne sono conseguite. Mi furono mandati a casa, in Torino, dal benemerito libraio Loescher tre grossissimi volumi intitolati Paselogices Specimen Theoo editum. Intri, etc. Un filosofo di nome Teofilo Eleutero è a tutti ignoto; e non fu poca la mia mera viglia nel vedere come un'opera filosofica così voluminosa, scritta e stampata in latino, avesse potuto sfuggirmi; giacchè, come adesso ancora nella mia tarda età, specialmente allora ho sempre seguito con vivo interesse il movimento filosofico. La curiosità quindi di sapere chi egli fosse, e qual valore avesse, mi fe' tosto gittare gli occhi sul primo volume che portava la designazione di Prolegomena, e che, come subito vidi, era una Introduzione, o Propedeutica che voglia dirsi, a tutta l'opera. La mia meraviglia crebbe dopo la lettura delle prime pagine del volume, tanto più che ad essa si congiunse il sentimento del l'ammirazione: sentimento che col proseguimento della lettura di venne un vero entusiasmo. Io mi trovava dinanzi ad un hegeliano, e, per giunta, un hegeliano di alto ingegno e di larghi propo siti: i quali propositi erano nientemeno che quelli di una Riforma dell'hegelianismo mediante principii dell'hegelianismo stesso. Comunicai la mia impressione e il mio entusiasmo al signor Loescher, il quale m'informò che l'autore dell'opera era un intrese, di nome C., dalla cui figlia aveva ricevuto l'esemplare dell'opera che mandò a me per prenderne conoscenza. L'impres sione e l'entusiamo potettero ancora, per mezzo della figlia, essere comunicati al filosofo, che era già assai infermo e che poco di poi morì della malattia che da parecchi anni lo travagliava, la paralisi progressiva. Io continuai, naturalmente, a leggere e stu diare la preziosa opera, ed è di essa che accennerò maggiormente in questo ricordo del filosofo, essendo essa indubbiamente il maggior titolo del valore e della posizione filosofica del medesimo. Senonchè, a render meno incompiuto il ricordo, mi si conceda che rilevi alcuni altri particolari della sua complessa personalità. Per cio che concerne biografia e bibliografia mi limiterò alle poche notizie seguenti. Assolti bene o male, anzi piuttosto male che bene, i primi elementi della sua istruzione, comincia a trarre qualche profitto in un collegio di gesuiti a Novara. È una singolare circostanza questa, che un uomo che ebbe sempre uno spirito non solo diverso, ma anche opposto a quello de' gesuiti, avesse proprio da questi avuto il primo impulso e il primo profitto agli studi Ma un profitto maggiore e un vero inizio di studi serii sono da lui fatti a Firenze, ove si reca subito dopo, mettendosi in relazione cogli uomini del famoso Gabinetto Viessieux e consacrandosi tutto agli studî' di lingue, lettere e scienze. Quanto a lingue, tra il tempo che e a Firenze e gli anni che immediatamente seguirono, ne apprese parecchie tra antiche e moderne, allo scopo non solo di legger la filosofia negli idiomi originali, ma anche di viaggiare, per prender diretta notizia di uomini e cose. Infatti, comincia subito a viaggiare percorrendo in lungo e in largo non solo l'Italia, ma anche la Svizzera, la Francia, la Germania, l'Olanda e l'Inghilterra. Gli studî che fa nella prima giovinezza si allargano e diveneno più intensi, quando dopo i viaggi si ritira nella nativa Intra, nella quale accanto agli studi comincia anche a scrivere opere di vario genere, segnatamente filosofiche. Nella sua carriera di filosofo passa per varie fasi, che io (nella mia opera intitolata Notizia degli scritti e del pensiero filosofico di Ceretti) designo e describo come fase poetica, fase filosofica in genere ed hegeliana in ispecie, fase di transizione, fase utopistica e riformativa della società civile, e fase ultima del pensiero cerettiano, la quale è quella del cosìdetto sistema contemplativo. Ad ognuna di queste fasi corrispondono opere, e non poche, che si muovono nell’orbita del pensiero cerettiano gradatamente svolgentesi ed esprimentesi in essa. Le quali opere, se si considera il complesso di esse tutte, costituiscono una massa addirittura ingente, che versa su tutte le parti dello scibile. E, infatti, un filosofo universale. Tanto per dare una idea della predetta massa di saggi, ricordo innanzi tutto quelli che si riferiscono alla fase poetica, la quale gli scalda tanto la mente ed il cuore, che gli fe ' dire: Cari poeti, voi dell'alma mia foste il primo verissimo Messia. Ad essa appartengono le opere poetiche di genere romantico: Eleonora di Toledo; il Prometeo; il Pellegrinaggio in Italia; le Poesie liriche: inoltre, queste altre di genere giocoso, satirico e filosofico e scritte anche in tempo posteriore alla giovinezza: le Avventure di Cecchino, e le Grullerie poetiche. A queste opere scritte in versi se ne potrebbe aggiungere un'altra scritta in prosa e pur facente parte di questa prima fase, cioè quella intitolata Ultime Lettere d'un profugo e costituente un romanzo sul genere del Werther di Goethe e del Jacopo Ortis di FOSCOLO (si veda). Questa prima fase nella quale la sua mente è ancora incomposta ed in via di formazione – è caratterizzata dall'aspirazione di lui ad incarnare in sè stesso i pensieri e i sentimenti de' grandi uomini del suo tempo e di quello che immediatamente lo precede (Cenobium). Il che egli stesso riepiloga ed esprime dicendo. In giovinezza io fui innamorato e delirante alla Werther, patriota furibondo alla Ortis, stravagante alla Byron, dolorante alla Leopardi, misantropico alla Rousseau, satanico alla Voltaire, ateo materialista alla La Mettrie, e finalmente miserabile alla mia propria maniera. Alla seconda fase, che contiene la sua filosofia più eminente e più compiuta, appartiene -- oltre ad un primo abbozzo di opera intitolata Idea circa la genesi e la natura della forza la grande opera latina predetta “Pasælogices Specimen”. La filosofia di questa fase ha il fondo hegeliano, ma però da lui riformato. Le ultime fasi costituiscono poi una ulteriore deviazione tanto dal pensiero hegeliano in genere, quanto dall'istesso pensiero hegeliano da lui riformato ed esposto in que st'ultima. Come prima deviazione e ad un tempo come transizione alle fasi susseguenti si possono considerare la “Sinossi del l'Enciclopedia speculative”, le “Considerazioni sul sistema della natura e dello spirito; l'Insegnamento filosofico: le quali saggi hanno ancora spiccatamente il carattere di filosofia teoretica ed enciclopedica. La nota principale della suddetta deviazione è che al logo assoluto, il quale nella grande opera latina diviene il principio cerettiano riformativo dell'Idea hegeliana, viene più de terminatamente e accentuatamente sostituito il principio della coscienza assoluta, Coscienza, che, a dir vero, e già apparsa nella stessa opera latina. Quale ulteriore deviazione, ma specificamente appartenenti alla fase utopistica riformativa della società civile, si ricordano le opere intitolate “Sogni e favole” e “Proposta di una riforma civile”. Oltre ad esse, vanno ricordate anche queste altre, le quali però sono scritte in forma di romanzi, cioè, i Viaggi utopistici; l'Inconcludente; Don Simplicio; Don Gregorio; il Protagonista, e qualche altra. La deviazione massima è in quegli altri saggi, che rappresentano più spiccatamente l'ultima fase, nella quale perviene ad una specie di subbiettivismo nullistico, da lui designato, come è detto, col nome di sistema contemplativo. I pensieri di quest'ultima fase appaiono in parecchi altri scritti dell'ultimo tempo di sua vita, come per esempio, per nominarne alcuni, nella Vita di Caramella e nelle Memorie postume. Ma gli scritti mentovati delle diverse fasi, benchè già numerosi, non costituiscono neppur gli scritti tutti del filosofo d'Intra, essendovene una quantità ancora notevole, che possono esser nominati scritti varii ed ai quali appartengono: Biografie, Autobiografie (tra queste, notevolissima, La mia Celebrità), Commedie, Novelle morali, ecc. e persino un Trattato d'Astronomia e un Trattato di Medicina. Come vede il lettore, quella che io chiamava una ingente massa di scritti, e versante sulla universalità dello scibile, non è una denominazione esagerata, ma interamente reale. E ciò basti a dare una idea sommaria degli scritti del filosofo intrese. Per cio che concerne il filosofo propriamente detto, va considerato rispetto al corso della filosofia in genere ed al periodo filosofico idealistico tedesco in ispecie, nel qual periodo si riattacca alla maggiore manifestazione speculativa del medesimo, che è la hegeliana. Si apparecchiò a pigliare il suo posto in quest'ultima, con uno studio e conoscenza non comune, primamente delle varie discipline dello scibile, sopratutto di quelle concernenti la Storia universale e le Scienze positive e naturali d'ogni specie; secondamente, di quelle attinenti alla filosofia propriamente detta. Rispetto a quest'ultima, è veramente ammirabile l'opera del nostro filosofo, che – dopo i suoi profondi studi sui filosofi delle diverse età (non esclusa quella stessa della filosofia indiana) e in genere ne' testi originali de' medesimi ne ha dato un saggio notevolissimo egli stesso nel primo volume della sua opera latina, cioè ne' mentovati Prolegomeni. Ma nella Storia della filosofia uno de' periodi che più studia e conosciuto è il predetto periodo filosofico tedesco sì ne' filosofi massimi di essa, come Kant, Fichte, Schelling ed Hegel, si ne' secondarii e pur importanti del medesimo, come Herbart, Schopenhauer ed altri. In questo periodo e naturale che quello che massimamente attraesse e legasse il suo spirito fosse Hegel, siccome quello che compendia in sè, primamente la Storia filosofica generale e, in secondo luogo, lo stesso speciale periodo tedesco. Hegel, in fatti, è da lui considerato come quello che ha raggiunta la più alta forma di speculazione nella scienza filosofica, sopratutto nella disciplina logica. Considerando il filosofo tedesco in tal modo, è naturale che nel complesso ne accogliesse le idee e si riattaccasse a lui. Senonchè, pur accogliendole, non le riteneva scevre di vizii o errori che voglian dirsi. In conseguenza di ciò si propose da una parte, di additare questi vizii, dall'altra, di correggerli. E la correzione, che costituiva per lui una riformazione dell'hegelianismo, non è poi altro che la filosofia cerettiana stessa, quale è concepita ed esposta nella predetta grande opera latina. Ciò posto, seguiamo ora tal pensiero filosofico cerettiano ne suoi tratti fondamentali. Primamente, accogliendo l'hegelianismo come la predetta suprema manifestazione della coscienza filosofica, ei l'accoglie nel general fondo e pensiero del medesimo, fondo e pensiere, che vengono da lui riassunti ne' seguenti principii generali. Primo, L'assoluto è l'Idea. Secondo, l'Idea concreta è lo spirito. Terzo, l'essenza concreta ed assoluta dello Spirito è l'Idea logica. Inoltre, l'evoluzione dialettica del l'Idea, nella quale evoluzione consiste il processo metodico di quest'ultima, avviene e deve avvenire secondo la Nozione, ossia secondo il Concetto, come dice Hegel (dem Begriffe nach). Rispetto a tali principii designati come hegeliani non che come veri e inoppugnabili, e quindi da lui stesso accolti, va però osservato, che di essi non può essere ritenuto come schiettamente e veramente hegeliano il terzo; giacchè, secondo Hegel, l'essenza concreta ed assoluta dello Spirito non è l'Idea logica. Questa è per Hegel l’Idea pura e semplice soltanto, e però immediata ed astratta, non ancora dialetticamente esplicata e, mediante l'esplicazione, fatta concreta. L'essenza assoluta e concreta dello Spirito è per lui invece l’Idea che da puramente e semplicemente logica (da Idea logica ) si è estrinsecata nella Natura (cioè si è fatta Idea naturale o Natura), e, attraverso di questa, è giunta a coscienza di sè, ossia è divenuta spirituale, o, che vale lo stesso, è divenuta Spirito. In altri termini, l'essenza concreta assoluta dello spirito è la coscienza dell'idea, ovvero è l'idea conscia di sé, mentre l'idea logica hegeliana è ancora inconscia. Per cio che concerne i mancamenti e vizii della dottrina hegeliana, essi, secondo C. concernono l'evoluzione dialettica dell’idea, o, che vale lo stesso, concernono l'idea nel suo processo (esplicazione) dialettico. Un primo vizio generale in tale evoluzione è per lui quello che nella logica hegeliana concerne il prius e il risultato dell'idea. Notoriamente per Hegel, benchè l'idea sia, da una parte, il principio universale assoluto, e, dall'altra il principio iniziale dell'evoluzione dialettica assoluta, principio iniziale che farebbe come il prius ideale dialettico, pur non di meno pel filosofo tedesco il vero prius dell'idea non è questo iniziale, ma quello finale a cui l'idea perviene come risultato del processo dialettico, risultato finale che è propriamente lo spirito, ossia l'idea pervenuta a coscienza di sè. È per questo che Hegel sostiene che il vero prius non è l'idea logica, ossia l'idea pura ed estratta, ma lo spirito, che è l'idea che col processo dialettico si è fatta veramente reale e concreta. Or questo prius che Hegel pensa e pone come vero è invece da C. ritenuto falso, perchè pensato ed ottenuto secondo un procedimento dialettico prestigioso e sconforme al vero ordine logico, che deve avere e seguire il logo (logo che, come tosto si vedrà, è il principio specifico assoluto cerettiano sostituito all’idea hegeliana). Accanto a questo vizio generale, trova e addita vizii particolari affettanti l'idea come logica naturale e spirituale. I vizii spettanti all'idea logica e al corrispondente processo dialettico sono tre. Il primo vizio è che nell'esplicazione dialettica dell'idea logica la genesi di questa sia una genesi della nozione dalla non-nozione. Il secondo vizio è che l'esplicazione dialettica dell'idea logica è piuttosto un'astratta esplicazione delle categorie, anzichè un concreto un rimmanente processo di esplicazione ed IMPLICAZIONE. Il terzo vizio è che il processo dialettico dell'idea logica hegeliana è piuttosto un logo astratto astrattamente esplicantesi e riassumentesi insultato, anzichè la sanzione (o affermazione) di sè stesso nella concreta immanente ed assoluta verificazione della propria posizione, dialettica e riassunzione. Il primo de' tre vizii indicati, riproducendo il mentovato general vizio del prius, ei lo determina meglio designandolo come processo inconscio dell'idea logica, processo che Hegel pensa appunto come inconscio ed C. pensa e vuole invece come conscio. E può dirsi che su tal coscienza dell'idea logica poggia il punto cardinale della differenza dell'idea hegeliana dal logo cerettiano. Quanto al vizio concernente l'idea naturale, esso è in grosso quello stesso dell'astrattezza, testè rilevato, o, che vale lo stesso, della non raggiunta realtà dell'idea nel farsi naturale. Infatti, l'idea logica, estrinsecandosi e divenendo natura, rimane in quello stato astratto e puramente e semplicemente ideale che ha come idea logica, e non giunge a veramente naturarsi, com'ei dice, cioè a farsi vera realtà naturale. E finalmente, quanto allo spirito, od idea hegeliana spirituale, il filosofo intrese vi trova il vizio di quella stessa prestigiosità speculativa (speculativa prestigiositas), che ha trovata e rilevata per la logica. Ed osserva, per giunta, che il general vizio innanzi mentovato dell'idea hegeliana, che cioè essa sia un risultato, diviene più specifico nello spirito, in quanto questo, concepito da Hegel come l'idea che dal suo esser-altro (cioè dalla sua esistenza naturale ) ritorna a sè stessa, ha appunto il carattere speciale di essere un risultato e non una realtà, a dir cosi, originaria. Accanto ai predetti vizii fondamentali concernenti l'idea nelle sue varie forme, logica, naturale e spirituale, ne rileva alcuni altri secondarii; ma noi, limitandoci alla indicazione de ' fondamentali, passiamo ad indicare le corrispondenti emendazioni di essi. Preposto che all’idea hegeliana egli in genere sostituisce il logo, principio universale ed assoluto anch'esso, la prima generale emendazione, concernente il prius ed il risultato dell'idea innanzi esposti, è fatta da C. nel senso che il logo è oiginariamente conscio e non già tale per risultato. Rispetto ai tre vizii dell'idea logica propone come emendazione (Mi piace di riferire colle stesse parole latine di C. il predetto triplice vizio. Hegelianæ logicæ tractationis defectuositas, in exitu prolegome norum designata, est primo, quatenus notionis a non-notione progenesis; secundo, quatenus categoriarum abstracta explicativ, potiusquam concreta explicationis et IMPLICATIONIS immanens contraprocessu osilas; tertio, quatenus abstractus er plicativce dialectica LOGUS in abstracta resumptione, potiusquam in concreta positionis, dialectica et remsumptionis immanente absoluta verificatione suun ipsum sanciens. Pasael. Spec., CENOBIUM) e però riformazione, che il primo venga emendato mediante il principio della generale coscienza logica della nozione od idea hegeliana: il che importa che il logo sia una nozione (idea) che si genera dalla nozione stessa e non già dalla non-nozione (nozione inconscia). La emendazione di questo primo vizio coincide in grosso anche colla generale emendazione predetta del prius e del risultato. La emendazione del secondo vizio è dal nostro filosofo ottenuta col propugnare ed effettuare che la genesi delle categorie logiche non avvenga secondo un processo astratto di sola esplicazione, ma secondo un processo concreto di esplicazione ED IMPLICAZIONE insieme: nel qual processo concreto i momenti astratti di esplicazione si negano come astrattamente tali ed affermano perciò la loro unità. Il terzo finalmente viene emendato, pensando e determinando il logo assoluto in guisa che esso non rimanga un momento astratto di riassunzione (risultato), ma che divenga assoluta ed immanente affermazione (sanzione) di tutto il corso esplicativo, costituendo così un processo e contro-processo, in cui ogni momento è unità dell'astratto e del concreto. Quanto ai vizi relativi all'idea naturale hegeliana, la emendazione (stata già implicitamente accennata nella critica fatta di essi ) consiste in quella che C. appella la NATURAZIONE del logo. E cioè, mentre Hegel concepisce la natura siccome l'idea ritornante a sè stessa dal suo esser-altro (dalla sua esternazione ed alterazione), il Ceretti invece pensa che la natura non è sol tanto ciò, ma è e dev'essere reale naturazione del logo, ossia reale incarnazione ed obbiettivazione del medesimo. E da ultimo, quanto all'emendazione del vizio dell'idea spirituale, essa nel complesso è quella già rilevata nella critica fatta del vizio, e consiste nel concepir la medesima, ossia lo spirito, siccome logo originariamente conscio e non divenente tale per risultato d'un processo. Le predette generali e fondamentali emendazioni, accanto ad altre subordinate e secondarie, son quelle che nella esposizione ed esecuzione delle idee filosofiche costituiscono la filosofia cerettiana riformativa della hegeliana, e filosofia riformativa che forma il contenuto della più volte mentovata grande opera di C., intitolata “Saggio di Panlogica.” Questo Saggio è un'opera veramente colossale ed è l'enciclopedia filosofica cerettiana, modellata sulla nota corrispondente Enciclopedia hegeliana (Encyclopädie der philosophischen duissen schaften) in tre volumi. Concepì la propria enciclopedia vasto disegno da assolversi in otto volume. Il primo (i prolegomeni) come propedeutica a tutta l'opera, propedeutica che ad un tempo contenesse in germe il pensiere della stessa Enciclopedia. Il secondo contenente (col nome di “ESO-LOGIA”) l'esposizione della logica e metafisica. Il terzo, il quarto, ed il una con un quinto (col nome di ‘ESSO-LOGIA’) costituenti la trattazione ed esposizione della filosofia della natura nelle sue tre parti della Meccanica, della Fisica e della Biologia (od Organica). Il sesto, il settimo e l'ottavo (col nome di “SINAUTOLOGIA”) designati a trattare la filosofia dello spirito, distinta anch'essa in tre parti denomi nate Antropologia, Antropo-pedeutica ed Antropo-sofia. Di questa vasta concezione ed esecuzione il principio fondamentale ed assoluto è il Logo, che il lettore vede essere in fondo alla Esologia, Essologia e Sinautologia: Logo che, come si è detto, in Ceretti piglia il posto e la generale significazione del l'idea di Hegel. Il logo Cerettiano, come quest'ultima, è l'universa ed assoluta realtà, e realtà con preminente carattere ideale, comprendente in sè la realtà logica, la naturale e la spirituale. Per tal carattere anche la filosofia cerettiana è idealismo; tanto più veramente assoluto, in quanto, non meno e forse ancor più dell'hegeliano, abbraccia in sè in complessiva unità tutte le forme di Idealismo apparse nel corso storico della filosofia, si in generale le antecedenti all'Idealismo tedesco, si in modo più speciale quelle di quest'ultimo, cioè gli Idealismi subbiettivi Kantiano e Fichtiano, l'Idealismo obbiettivo Schellinghiano, non che lo stesso Idealismo assoluto Hegeliano. Questo carattere di universalità ed assolutezza dell'Idealismo cerettiano è una delle cose più spiccanti, più notevoli ed anche più rilevate dell'Enciclopedia filosofica del filosofo intrese. Quanto al principio assoluto del Logo, va parimenti rilevato, che, per la natura conscia del medesimo innanzi additata, esso vien da C. designato anche come puramente e semplicemente coscienza: per modo che coscienza e logo ricorrono quasi pro miscuamente nell’enciclopedia cerettiana ed anche in altre opere posteriori) come espressive e determinative del principio assoluto. È bene, inoltre, rilevare che tal principio assoluto e dal nostro filosofo anche puramente e semplicemente detto l'assoluto, il quale corrisponde in tutto e per tutto al logo e alla coscienza consi derati come assoluti. Ciò fa intendere come per C. l'elemento conscio costituisce il carattere essenziale del suo principio assoluto, ossia del suo Logo in tutto il suo ambito, mentre per Hegel l'elemento conscio è caratteristico e specifico dello spirito propriamente detto, ossia dell'idea giunta a coscienza di sé. Ciò farà, d'altra parte, pari menti intendere come il filosofo intrese ponga come riformativa dell'hegelianismo la proposizione: L'assoluto è la coscienza. Per cio che concerne la designazione del principio assoluto, rilevo ancora che, ad esprimere il predetto principio assoluto, egli adopera tante altre volte anche le parole idea, nozione, persin Pensiere, come Hegel. Ma, se le espressioni son varie, il senso e valore fondamentale del suo principio è quello del logo pensato come Logo conscio o coscienza assoluta. Conformemente a ciò (e in grosso conformemente all'hegelianismo) il Logo vien pensato nella sua IN-TRINSECA natura e nel suo processo dialettico. Nella sua natura il Logo vien considerato in tre diverse forme di esistenza, cioè: quale è IN sè, quale è PER sè, e quale è IN sè E PER sè. La considerazione del Logo IN sè stesso costituisce la predetta “ESO-LOGIA”, da sis, és, dentro e logos, ossia la dottrina logico-metafisica del logo. Quella del Logo FUORI DI sè costituisce la “ESSO-LOGIA” (da few, fuori, in latino, “Exologia”), ossia la dottrina filosofica della Natura. Quella del Logo IN sè E PER sė, o come il Ceretti la dice, del Logo IN sè e SON sè, costituisce la “SIN-AUTO-LOGIA”, da “syn” e “autos”, con stesso ), ossia la dottrina dello spirito. Degno di rilievo è inoltre che il logo IN sè è il logo nella sua subbiettività. Il logo FUORI DI sè è il logo nella sua obbiettività. Il logo IN sè e sè e il logo nella unità della sua subbiettività e della sua obbiettività, ossia è il logo subbiettivo-obiettivo, che è poi il logo assoluto. È bene parimenti rilevare che come il logo è per eccellenza il logo conscio, il quale è poi lo spirito o la coscienza, così si designano egualmente lo spirito e la coscienza nella loro subbiettività, nella loro obbiettività, e nell'unità della subbiettività e dell'obbiettività. Il predetto triplice modo di essere della natura del logo soggiace ad un processo esplicativo, che costituisce il processo dialettico, appellato anche metodo dialettico. Questo processo metodico ha, tanto per Hegel quanto per Ceretti, tre momenti anch'esso. Questi momenti, che il filosofo tedesco appella comunemente dell'IN sè, del PER sè e dell'IN sè e del PER sè, dando loro il valore e significato di momento immediato o intellettivo (della speculazione dell'idea ), di momento mediato o razionale negativo, e di momento immediato e mediato insieme, o razionale positivo, vengono invece dal Ceretti appellati (nel complesso però con valore e significato simili a quelli di Hegel) momenti della posizione (thesis, positio), ri-flessione e con-cezione. La posizione, come la parola stessa indica, ha il valore e significato di quella che comunemente (in Fichte, Schelling ed Hegel), ricorre come “tesi”, mentre la ri-flessione ha significato e valore di contraddizione (opposizione, ob-positio, contra-posizione, antitesi ) e la concezione significato e valore di conciliazione (com-posizione, sintesi) degli opposti, sintesi della tesi e dall'antitesi. La triplicità delle forme di esistenza del logo (quelle di Eso-Logo, posizione; Esso-Logo; contra-posizione; e Sinauto-Logo, com-posizione, con le corrispondenti dottrine d’esologia, essologia e sinantologia, costituisce per C. i tre Cicli di quest'ultimo. Cicli che, mentre son tre, pur ne costitui solo sotto triplice forma: costituiscono cioè il logo assoluto uni-trino. Un altro punto pur degno di rilievo e caratteristico è il modo come determina la considerazione filosofica o speculativa de tre cicli. La considerazione del primo, ossia dell'Esologia (posizione) per lui il pensiero del Pensiero (“cogitatio cogitationis”, l’implicazione o impiegazione dell’impiegazione) quella del scono un ma secondo o dell'Essologia è il Pensiero del Pensato (“cogitatio cogitatis” – implicazione dell’implicato, o impiegazione dell’impiegato, e quella del terzo, o della Sinautologia, è il Pensiero del Pensante (“cogitatio cogitantis,” implicazione dell’implicante, impiegazione dell’impiegante). Anche nell'hegelianismo il Pensiero assoluto è identificato col l'idea assoluta, in quella guisa che il C. identifica parimenti il Pensiero assoluto col Logo assoluto. Però nella espressione e determinazione cerettiana la cosa ha un significato più specifico, e propriamente questo, che cioè l'Esologia (posizione) è la considerazione del Pensiero in sè stesso, del pensiero puro hegeliano e potrei anche soggiungere, della ragion pura kantiana. L’Essologia (contra-posizione, impiegato) è la considerazione del Pensiero del Pensato, cioè del Pensiero non più in sè, puro ed astratto, del Pensiero estrinsecato (fatto per sè), obbiettivato. La Sinautologia (com-posizione) la considerazione del Pensiero del Pensante (impiegante: implicazione come relazione tra il implicante e l’implicato) cioè del pensiero come esistente ed esercitantesi nel subbietto pensante. Potrei dire che la predetta triplice considerazione è quella del Pensiero puro e semplice, quella del Pensiero come obbietto di sè medesimo (estrinsecatosi fuori di sè nella natura), e quella del pensiero astratto ed operante come proprio subbietto (nella coscienza del pensiero stesso o nello Spirito ). Dopo le antecedenti generalità, passiamo a considerare parte per parte il logo nelle sue tre forme di esistenza nella logico metafisica (Esogia, posizione), nella naturale (Essologia, contra-posizione) e nella spirituale (Sinautologia, composizione). La dottrina logico-metafisica, conformemente alla hegeliana, è pur distinta in tre parti che anche per lui, come per Hegel, son quelle dell'Essere, dell’Essenza e del Concetto: solo che queste nel filosofo tedesco si susseguono nel modo indicato e nel filosofo intrese mutan posto, diventando primo il Concetto, secondo l'Essere e terzo l’Essenza. Questo mutamento diposto nella serie porta poi naturalmente con sè un corrispondente mutamento nel processo dialettico. Le dottrine di queste tre parti così spostate hanno in Ceretti i nomi speciali di “PRO-LOGIA” (concetto); “DIA-LOGIA” (essere); e “AUTO-LOGIA” (essenza). La PRO-LOGIA con sidera il Logo esologico (ESO-LOGO) o logico-metafisico, nella astratta identità del Pensiero (impiegazione). La DIA-LOGIA (CONTRA-POSIZIONE) considera il logo nella differenza (IMPIEGATO) di esso. La AUTO-LOGIA (COM-POSIZIONE) considera il logo nella unità sintetica (IMPIEGANTE) dell'identità E della differenza del Pensiero stesso. Non credo che il nostro filosofo abbia avuto giusta ragione d'invertire l'ordine de' tre principii fondamentali predetti. Ma, checchè sia di ciò, è bene di allegare la ragione dell'invertimento da lui ritenuto razionale e necessario. La quale, a suo credere, è che per il logo conscio, o che vale lo stesso, per la Coscienza il primo (prius) PRO-LOGICO (cioè il primo con cui deve cominciar la logica) non dev'essere nè indeterminato, come sono l'essere di Hegel e di Rosmini-Serbati, nè determinato (impiegato), come sono l'Io di Fichte e la predetta Ragione di Schelling, ma dev'essere lo stesso prius, nel quale sieno implicitamente contenute tanto la indeterminazione quanto la determinazione. E un sì fatto prius è la PRO-POSIZIONE, che è il primo ed iniziale momento della sua Pro-logia, il quale è più primitivo e più semplice del giudizio (A e B) che ne costituisce il secondo, al quale poi segue il terzo unitivo de' due primi, che è il Sillogismo (CONIUNCTIO, CO-RAZIONALE). Quanto alla natura de suddetti momenti della Pro-logia, la Pro-posizione è la immediata ed indistinta coscienza logica, la quale, appunto per la sua indistinzione, non è nè subbiettiva nè obbiettiva. Il Giudizio (la proposizione pensata) invece è la coscienza logica, che dalla indistinzione od indifferenza si esplica e passa nella subbiettività ed obbiettività di sè medesima. E da ultimo il Sillogismo (coniuctio, co-razionale) è la subbiettività della coscienza logica, la cui attività consiste nell'esplicare se stessa, esplicazione di sè stessa, che in fondo è poi una obbiettivazione della subbiettività. Dato tal concetto generale de' momenti della pro-logia, il nostro autore passa a considerare e determinar ciascuno in se medesimo, ed inoltre secondo il predetto processo metodico tricotomico della Posizione (Proposizione, impiegazione), della Riflessione (contra-posizione, impiegato) e della Concezione (com-posizione, impiegante). Conformemente a ciò, distingue la Pro-posizione in “posta”, ri-flessa e concepita; e in posto, riflesso e concepito, distingue e determina parimenti sì il giudizio (proposizione pensato) che il Sillogismo (impiegante, composizione). La trattazione ed esposizione di ciò è amplissima, specialmente quella del Sillogismo; ed è non solo amplissima, ma anche note volissima per le molteplici determinazioni logiche ed ontologiche non che illustrazioni ed applicazioni d'ogni genere alle diverse parti dello scibile e della stessa realtà. La trattazione è di tanto interesse che è degnissima di esser presa da ognuno in considerazione anche oggi alla distanza di una sessantina d'anni, dacchè fu pensata ed esposta. Non potendo entrare nelle particolarità a far intendere il pensiero cerettiano sì nella concezione de' momenti della predetta pro-logia sì nel passaggio da questa alla Dia-logia, allegherò un luogo nel quale l'autore lo ri-epiloga, e che è questo. Il pensiero pro-logico, uscito e passato dalla sua generalità formale (cioè, dalla pro-posizione) colla particolarità formale della sua generalità (cioè, col giudizio, impiegato) nell'unità formale della sua generalità e della sua particolarità (cioè, nel sillogismo, la com-posizione, impiegante), si concepisce come sistema metodico della RAZIONALITÀ, ossia come forma assoluta delle forme. La forma sillogistica delle forme pensabili insegna che il pensiero è essenzialmente il sistema di sè, e non v'è sistema all'in fuori del sistema del pensiero, poichè l'altro del pensiero non può essere fatto (posto) da altro che dal pensiero. Inoltre, insegna che il sistema assoluto del pensiero è il sillogismo giudicativo della proposizione, perciò l'assoluto non può esser concepito altrimenti. Cosi a pag. 125 della Ragione Logica di tutte le cose. Esologia, nella versione dal latino (Torino, Baldini)) che nella forma sillogistica. Questa concezione porta con sè la necessità logica di sè, poichè è la nozione della nozione. Il sillogismo assoluto, come pro-logico, non è più che la formalità (la forma assoluta del logo, la quale invoca l'essenzialità assoluta di sè da esplicare in sè da sè stesso. Quindi il sillogismo passa dalla sua subbiettività assoluta ad esplicare la sua obbiettività IMPLICITA assoluta. Questa obbiettività è la verità della subbiettività sillogistica assoluta. Ciò posto, quella che ora effettua il passaggio e progresso dalla forma e dalla subbiettività del Pensiero alla essenzialità ed obbiettività del medesimo è la Dia-logia, che per eccellenza è la dottrina delle categorie logiche del Pensiero. Corrispondendo la dottrina dialogica cerettiana alle dottrine logiche hegeliane dell'Essere e dell'Essenza prese insieme, ne segue che le categorie, onde qui è parola, sono in grosso quelle che ricorrono nelle predette due dottrine hegeliane. Quanto al concetto della categoria e alla funzione logica della categorizzazione, sono importanti queste parole del filosofo intrese. La categoria (predicamento) è propriamente la predicazione del Pensiere fondata dallo stesso pensiere come necessaria; e la categorizzazione del Pensiere è l'atto più nobile della speculazione filosofica e la più alta concezione dal Pensiere umano. Nè meno importanti in proposito sono gli additamenti che fa intorno alla evoluzione storica delle categorie presso i diversi filosofi e corrispondenti scuole che spiccano intorno ad esse. Percio che concerne le categorie trattate e sviluppate nella Dialogia, le fondamentali son quelle dell'Essere, dell’Essenza, e del l'Esistenza, come costituenti la triplicità dialogica per eccellenza; e da queste fondamentali se ne sviluppano altre costituenti momenti subordinati, ma non meno importanti. L'Essere, infatti, è da prima il Logo generale ed indeterminato (est logus conscentiæ generalis), ma esso si particolarizza e de termina in sè medesimo in ulteriori principii categorici. Per esempio, si distingue e particolarizza come QUALITATIVO, QUANTITATIVO, E MODALE, sorgendo così LE TRE CATEGORIE DELLA QUALITÀ, della QUANTITÀ e della MODALITÀ (misura). Ed inoltre l'Essere nella sua stessa generità (innanzi alla predetta particolarizzazione dunque) è essere (pro-posizione), non-essere (opposizione o contraposizione) e divenire (composizione): (esse, non-esse, latino FIERI, perduto nel volgare). Come, d'altra parte, le TRE CATEGORIE della QUALITÀ, QUANTITÀ e MODALITÀ alla lor volta si distinguono e particolarizzano in altre. Chi conosce la logica di Hegel vede subito nelle predette categorie cerettiane la simiglianza con le corrispondenti hegeliane. Ed è forse questa la parte, nella quale si tiene più da vicino a quello, mentre in altre parti vi sono non poche dissimiglianze. Nel predetto citato volume della Esologia, ecc. Dall'essere il processo dia-logico conduce alla seconda categoria fondamentale predetta, cioè alla Essenza la quale non è altro che la particolarizzazione dello stesso Essere (Esse suam absolutam particolaritatem adeptum est Essentia). Ciò che si è detto avvenire per la categoria fondamentale del l'essere avviene anche per l’essenza, che cioè anche questa, alla sua volta distinguendosi e particolarizzandosi in sè medesima, ne produce di ulteriori, come quelle del fondamento, della sostanza, della materia, ecc. E quanto alla terza categoria fondamentale, cioè l'esistenza, essa è l'unità dell'essere e dell'essenza (INSISTENZA, ESISTENZA, CONSISTENZA). Ognuno nella “Ex-istentia” riconosce l'Esse come particolarizzato. Ma d'altra parte, nella particolarizzazione dell'Essere si specifica e manifesta anche l'elemento dell'Essenza, per forma che l'esistenza risulta siccome una manifestazione dell'essenza (“EX-SISTENTIA est essentia manifesta ). E da ultimo l'Esistenza (E-SISTENZA, EX-SISTENZA) dà anch'essa origine ad altre categorie subordinate, come realtà, necessità, La terza parte della Logica (o della Eso-logia ) cerettiana, cioè l'Auto-logia, si fonda, sviluppa e sistematizza in tre categorie fondamentali, che son quelle di Sapere, Volere, Agire (Scire, Velle, Agere ), le quali sono in corrispondenza di quelle che ricorrono nella terza parte della Logica hegeliana, e che sono l'idea del conoscere (die idee des erkennens ), l'idea del bene (die idee des guten) e l'idea assoluta (die absolute idee). Va però osservato che il volere e l'agire che in Hegel si congiungono nell’idea del bene, e costituiscono l’idea pratica, in C. appariscono, al contrario, come momenti e categorie distinte. Questa terza parte della Logica del Ceretti è una delle più belle e ad un tempo una di quelle in cui il Ceretti è come più originale e più indipendente da Hegel. Il modo come vede la distinzione, la relazione e la unificazione del sapere, del Volere e dell'Agire è qualche cosa di profondo, di stupendo e di vero, e lo si vede più chiaramente e più determinatamente di quel che possa vedersi nel, pure grandissimo, filosofo tedesco. Ciò viene dal perchè i tre momenti, che in Hegel sono come ancora implicati e inviluppati, in C. ricorrono come più sviluppati e ad un tempo più sistemati. Il pensiero cerettiano dell'auto-logia è (secondo che lo espressi nella mia Notizia degli scritti del pensiere filosofico del Ceretti) che l'assoluto è la coscienza logica che si sistematizza in se stessa, per quindi sistemarsi fuori di sè allo scopo finale di sistemarsi in sè e per sè come assoluta unità di sè stessa. L'Auto-logia costituisce un sillogismo assoluto (cioè una connessa triplicità assoluta), i cui termini sono i predetti di Sapere, Volere, Agire. Nella Coscienza assoluta il Sapere è l'essere del Volere. Nel Volere c'è, infatti, esterîorazione del Saputo. Il volere è l'essenza del Sapere. L’agire è l'esistenza del Volere. Tutti e tre insieme costituiscono l'unitrinità della Coscienza. Anche le tre predette categorie si distinguono e particolarizzano in altre. Il Sapere si svolge ne ' momenti subordinati (i quali son tre sotto-categorie anch'essi) la prima sottocategoria di sapere immediato, la seconda sottocategoria di sapere mediato, e la terza sottocategoria di sapere assoluto. Il Volere si distingue e particolarizza alla sua volta nelle tre forme sottocategoriche. Prima sottocategoria del Volere subbiettivo. Seconda categoria del volere obbiettivo. Terza categoria del volere assoluto. La categoria auto-logica dell’Agire si particolarizza nelle sue corrispondenti tre sottocategorie. Prima sottocategoria di “agire attuoso”, aagire come atto puro e semplice. Una seconda sottocategoria come Agire volonteroso. Terza sottocategoria come Agire concettuale.Queste tre azioni o funzioni categoriche dell’Agire le designa come Agere actum, Agere voluntatem e Agere notionem. Questo è in breve il concetto e disegno della prima parte della grande opera enciclopedica del nostro filosofo. La seconda parte, quella del Logo FUORI sè (EXO-LOGO, esso-logo) o del Logo nella sua obbiettivazione, cioè la Filosofia della Natura, ha avuta una estesissima trattazione; e trattazione in cui il nostro filosofo si mostra non poco originale ed indipendente rispetto alla corrispondente parte della Enciclopedia hegeliana. Essa è PER NOI ITALIANI TANTO più importante, in quanto non vi è in Italia, neppure presso i nostri filosofi maggiori moderni, una sola opera che, prima di questa di C., meriti il nome di filosofia della Natura nel senso ampio, vero e moderno della parola. Io ho scritto su questa parte della grande opera cerettiana tre lunghissime Introduzioni ai tre volumi che vi si riferiscono, le quali, riunite insieme e pubblicate sotto il titolo di “Filosofia della Natura” formano un'opera di ben 487 pagine; e in questa ho ampiamente chiarita e dimostrata la verità di tutto ciò. Quanto al cenno che posso farne qui, specialmente a cagione della vastità di trattazione che ha in C., esso non può consistere in altro se non nella pura e semplice indicazione del disegno, della materia e dell'andamento della trattazione stessa. Premessa la determinazione della posizione e del concetto della filosofia della Natura nel Sistema pan-logico, passa alla considerazione di un punto importantissimo, quello cioè della evoluzione storica della concezione filosofica della natura, evoluzione che, secondo lui, passa per tre gradi e corrispondenti forme della coscienza filosofica, la forma estetico-teologica (o sentimentale) la forma empirico -matematica (o intellettiva e riflessiva ) e la forma speculativa propriamente detta (o concetturale). E fa in propo sito una stupenda rassegna storica di queste forme, giungendo all'ultima, ossia alla hegeliana, alla quale egli si riattacca, ulteriormente sviluppandola e riformandola in ciò che ha di difettivo. Procede quindi alla partizione della Filosofia della Natura, dividendola come abbiam detto in Meccanica, Fisica e Biologia, conformemente alla Natura distinta in sè stessa in meccanica, fisica, e biotica (vivente). Carattere costitutivo della Natura meccanica è la QUANTITà, della fisica la qualità, e della vivente l'UNITà (composizione) della quantità e della qualità, la quale unità è poi la MODALITà o la misura della medesima. Quanto all'unità inscindibile delle tre parti distinte e de' corrispondenti tre' caratteri della natura, sono notevoli e riassuntive queste parole del filosofo intrese. Cioè: Il meccanismo é ove è la fisica (la natura fisica), e la fisica é ove è il meccanismo; e se vi sono il meccanismo e la fisica, vi è anche la natura vivente. Ad intendere meglio il rapporto ed il corrispondente concetto filosofico delle predette tre parti e de' tre predetti corrispondenti caratteri, arreca un esempio illustrativo, che è bene di riprodurre anche qui. Il meccanismo suppone necessariamente l'esteriorità reciproca dei suoi termini. Quando questa esteriorità, passata nella sua interiorità, nella sua unità inseparabile, trascenda sé a sè esteriore, non versa più in un piano o campo meccanico, il quale ammetta per sè alcuna intrinsecazione qualitativa della esteriorità meccanica, ma versa propriamente nella natura fisica del meccanismo (in mechanismi physi), la quale è la à passatQUANTITa nella sua QUALITà che deve esplicarsi. Così, ad esempio, in qualunque modo supponiamo il ferro, diviso, figurato, posto in movimento, ecc., esso non cessa di essere ferro. E quando per azioni esterne, come ad esempio, per l'ossidazione, cessi di essere ferro, non consideriamo tali azioni come meccaniche, perchè due modi della materia (l'ossigeno e il ferro) sono divenuti un solo modo (neutrale), il quale non ammette più alcuna co-alteriorità esterna di fattori (essenzialissima al meccanismo, ma è in sè l'unità qualificata de' quanti, la natura fisica del meccanismo. La quale unità è poi LA VITA, ossia, quel principio grazie al quale l'alteriorità meccanica si neutralizza fisicamente, e la neutralità fisica si alteriora (si fa altra ) meccanicamente: il che, in quanto è nella circoscrizione essologica (naturale), è la vita. Ciò posto, concependo la natura meccanica o il meccanismo come il sistema della quantità, passa alla reale considerazione e corrispondente sistemazione filosofica di tutti i principii (detti anche categorie naturali) della medesima come spazio, tempo, moto, ecc. Conformemente a ciò, concependo la natura fisica parimenti come il sistema della qualità, svolge i principii o categorie naturali di essa, come etere (o materia eterea), luce calore, magnetismo, elettricità ecc. E s'intende che ciò che è detto della natura meccanica e della fisica, va detto anche della NATURA VIVENTE, della quale, come unità concreta delle due antecedenti, si vvolgono, determinano e sistematizzano i corrispondenti principii e momenti. Questi principii, coi relativi sistemi vitali, sono nella loro generalità e progressività evolutiva la vita cosmica od URANICA, la vita geologica e la vita fito-zoologica. Per questa intende la predetta reciproca esteriorità de' termini. La vastità di conoscenza delle discipline naturali non che la forza speculativa ch'ei mostra nell'intenderne e collocarne i principii nel suo vasto disegno del sistema panto-logico sono tali da fare de C. una delle menti filosofiche più vaste e più profonde del nostro paese. Col terzo volume della Filosofia della Natura, che è il quinto della grande opera pan-logica, questa rimase interrotta; però se rimase interrotta, la iattura non è stata nè intera nè irreparabile. Giacchè i cenni e relativi concetti riformativi anche della terza parte del sistema pan-logico già delineati primamente ne' Prolegomeni, poscia qua e là considerati negli stessi quattro susseguenti volumi, son tali e tanti da potersi fare un concetto chiaro e de terminato anche di esso. Ma, per giunta ed ulteriore integrazione di questa, lascia due saggi che concernono proprio questa terza parte, cioè le due già mentovate intitolate, l'una, Considerazioni sopra il sistema generale dello spirito ecc. (Torino), l'altra, Sinossi del l'enciclopedia speculativa (Torino). Un brevissimo cenno anche di questa terza parte è il seguente. Quanto al concetto, obbietto e partizione di essa, rappresen tando la prima parte la subbiettività del logo o della coscienza assoluta, e la seconda la obbiettività, questa terza rappresenta l'assoluta unità delle medesime: assoluta unità, che vien cosi ad essere la Coscienza subbiettiva obbiettivata e ad un tempo la Coscienza obbiettiva subbiettivata. Or questa Coscienza risultata tale è ciò che C. (conformemente ad Hegel) appella comune mente anche spirito, il quale è appunto l'obbietto di questa parte da lui denominata sin-auto-logia. Intanto, siccome lo Spirito, benchè già sorgente nella stessa animalità, pur non giunge alla sua reale manifestazione, esistenza e verità se non nella umanità, così divien questa lo speciale obbietto della sin-auto-logia. La quale perciò è dal nostro filosofo, designata come speculante l'Uomo, primamente nella Subbiettività secondamente nella Obbiettività, e in terzo luogo nella Assolutezza del medesimo: Assolutezza, che è l'unità della subbiettività e dell'obbiettività. Di questa triplice considerazione, o meglio speculazione, la prima costituisce ciò che egli chiama l'Antropo-logia, la seconda l'Antropo-pedeutica, la terza, l'Antropo-sofia. I lettori che conoscono la dottrina hegeliana vedranno tosto la simiglianza della dottrina cerettiana colla dottrina hegeliana dello Spirito, distinta in quella di Spirito subbiettivo, spirito obbiettivo e Spirito assoluto. Senonché, se c'è simiglianza nella generale concezione, c'è anche una notevole differenza nella portico. L'uomo è la concreta verità dello Spirito (Homo est spiritus concreta veritas). lare trattazione della medesima. Per dire ancora qualche cosa della concezione e partizione cerettiana della predetta Sin-auto-logia rilevo che l'Antropo-logia considera l'Uomo come Subbietto generale. E come tal Subbietto consiste dell'elemento fisico o corporeo e dell'elemento meta-fisico ossia animico, così essa è primamente Psico-fisio-logia. Indi considera nel generale subbietto umano l'elemento, dirò così specificamente umano, ossia la mente, ed è Noo-logia; in terzo luogo, la mente, o l'attività teoretica, si realizza come attività pratica e allora l’Antropo-logia nel suo terzo momento è Prasseo-logia o dottrina del l'azione spirituale. La Psico-fisio-logia, la Noo-logia e la Prasseo-logia hanno alla lor volta principii, ossia momenti subordinati, e vengono anche questi considerati, accolti e sistemati nella Antropo-logia L'Antropo-pedeutica, all'opposto della Antro-pologia che consi sidera l'Uomo subbiettivo, considera l'Uomo obbiettivo, ossia l'uomo nella obbiettivazione della propria subbiettività: la quale obbiettivazione costituisce, primamente, la dialettica mondiale umana e produce ciocchè si appella la storia; è in secondo luogo il logo sistematico della dialettica obbiettiva, che in senso lato è ciocchè si appella la didattica; e in terzo luogo è la stessa obbiettività sistemata nel Subbietto, che è quella che si designa col nome di DIRITTO. Che anche queste tre parti dell'Antropo-pedeutica (Storia, Didattica, Diritto), si sviluppino, particolarizzino e sistematizzino in ulteriori sfere, attività, principii, ecc., lo s'intende da sè. E cosi viene assolta anche questa parte della Sinautologia. E finalmente vien considerata e trattata l'ultima sfera di questa, cioè l'Antropo-sofia, la quale ha che fare coll'uomo considerato nella sua assolutezza, ovvero nella sua Coscienza assoluta, e com prende la sua attività artistica, religiosa e filosofica. L'Arte è la contemplazione e produzione del bello, del buono e del vero mediante l'ispirazione estetica: la Religione e l'apprensione, rivelazione e culto del divino, e tramezza la manifestazione estetica e la concezione filosofica; la FILO-SOFIA sviluppa la immediata apprensione religiosa nella mediata concezione del pensiero assoluto. La triplice ed assoluta attività dello spirito, artistica, religiosa e filosofica costituisce l'ultimo e supremo sillogismo del Logo assoluto o della Coscienza assoluta, e con esso si chiude il Sistema pan-logico. Tale è in nuce il vasto pensiere filosofico cerettiano e la vasta esecuzione del medesimo. Per ciò che è riferito in queste poche pagine rimando il lettore ai miei molteplici lavori intorno al Ceretti, specialmente alla Notizia degli scritti e del pensiere filosofico non che alla Filosofia della Natura » del medesimo. E soggiungo e annunzio qui volentieri che intorno a quest'uomo, che ha occupato due decenni di studi della mia vita, son presso a finire l'ultima mia opera: opera che consiste in una estesa e particolareggiata esposizione di tutto intero il suo sistema panlogico, compresa la sinautologia. Ho forse speso intorno a lui più tempo di quel che conveniva per i miei propri studî e lavori. Ma non me nepento, non solo perchè è stato di giovamento a questi stessi, ma specialmente perchè ho contribuito a far conoscere un uomo, che fa onore grandissimo alla filosofia in genere e alla filosofia italiana in ispecie. Grazie! Diamo a giustificazione un elenco, che pur non si può dire ancora com- pleto, delle opere postume di C.: Traduzioni varie dal latino, francese, tedesco, inglese. (VIRGILIO, ORAZIO, Lamartine, Kozbue, Schiller, Shakespeare, Byron e Thompson). Orig. Leonora di Toledo. Poemetto in tre canti, versi sciolti con liriche intercalate, varie liriche. Ulttime lettere di un Profugo. Romanzo in prosa. Pellegrinaggio in Italia. Canti. Poesie Uriche. Prometeo. Poema. Storia del diritto Canonico. Avventure di Cecchino. Poema. Miscellanee filosofiche. Scienze naturali e considerazioni storiche. Scritti. Salùi. Sogni e Favole (umorismo trascendente), Apocalypsis (misticismo allegòrico) greco con versione latina (imitazione del greco e latino della Chiesa primitiva). Opuscolo. Grullerie Poetiche (umorismo parodiaco) Massime e Dialoghi. I Conferenti. Commedia nebulosa. Ormuzd. Dramma mistico. Synùp s i dell' Enciclopédia Siwr.idatirn -TSimplizio. Romanzo. Idee radicali delle discipline finite e delle matematiche empirico-induttive. Cavalier Sriovannino. Romanzo. Manuale di medicina pratica. L'Inconcludente. Romanzo. Lo Zio Giuseppe. Commedia. Considerazioni sopra il anatema generale dello spirito entro i limiti della riflessione. Considerazion i circa il sustema della natura entro i limiti della riflessione. Viaggi utopistici. Il Protagonista. Proposta di una riforma sociale. Considerazioni generali circa la caratteristica spiritualità dell'Italia. Insegnamento filosofico.Gregorio. Romanzo. Novellette morali Itinerario d'un Inqualificabile. Trattato di Astronomia. Introduzione alla coltura generale. La Divina Commedia. Vita di Giustino Caramella scritta da se stesso. Vita di due Comici. 1 volume, ld. Vita di Virginia Bonaventura. Sonnambulo. La mia celebrità. Inventario delle mie vicissitudini mondane. Memorie Posthume. Stramberie philosophiche. La pubblicazione, che si inizia con questo primo volume, è un monumento che una figlia pia innalza alla memoria di un amatissimo padre, non per adempiere ad una espressa o tacita di lui volontà, ma piuttosto in contrasto a questa, e perchè gli studiosi conoscano, almeno dopo la di lui morte, la profondità del sapere che egli aveva potuto condensare nella propria mente, e le diuturne e dotte speculazioni da lui compiute nella sua non lunga vita. E affinchè niuna meraviglia possa solére .dalla pubblicazione stessa, e dalle opere che ne sono l'oggetto, in quanto che e l'una, e le altre, si differenziano alquanto dal comune, parve opportuno e conveniente di premettere una breve notizia, che dica al lettore chi sia stalo, e come abbia vissuto fautore, e con quali intendi- menti, e con quali criteri si diano alla luce i suoi scritti, che egli non ha creduto di diffondere. C. ha i suoi natali in Intra, la città più popolosa tra quelle che si adagiano sulle amenissime rive del Lago Maggiore, e meritamente celebrata per le sue potenti industrie, dal cav. Pietro. Il padre suo, uomo di chiaro ingegno, tutto compreso della necessità dell'istruzione e della educazione, prerogativa abbastanza mia in quei tempi, e fervei ile pi opugualure di ugni istituzione, che ha per iscopo di promuovere quelle due fonti di civile e materiale benessere, provvide tosto a coltivare la mente del figliuolo. Seguendo però l'inveterala consuetudine avita, dapprima l'affida alle cure di questo e quell'abate, che non riuscirono ad illuminare gran che il di lui intelletto irrequieto, come egli stesso ha poi umoristicamente narrato in interessantissime pagine. Di poi lo alloga nel seminario di Arona e nel Collegio di Novara. Ma il giovanetto, vivace di animo, e la mente precocemente inlesa ad altri ideali, poco o nulla approdilo di quei primi studi; e liberatosi alfine dalle pastoie degli insegnanti e del vivere collegiale, tolse a maestro se medesimo, sorretto solo dalla terrea tenacità del suo volere, e dall'imperioso ed irresistibile bisogno di sapere. In breve, il diremo con frase che nel caso nostro non è punlo rellorica, da fondo all'universo scibile; apprese a parlare ben selle delle moderne lingue, e delle morte, al latino insegnatogli dai precettori, aggiunse profonde cognizioni del greco, dell'ebraico e del sanscrito. Si reca a Firenze, dove soggiorna qualche anno, stringendo amicizia coi primari ingegni di quel tempo, specie con Capponi, Niccolini, e con quella chiara pleiade di filosofi che frequentarono il gabinetto del Vieusseux. Più tardi, desioso di vedere paesi e persone, e fidente nel suo temperamento robusto e nella florida salute, si da a lunghi e singolari viaggi. Percorse in vero, più volle, e quasi sempre a piedi, l'Italia peninsulare, la Sicilia, la Germania, la Francia, e l'Inghilterra, in cui fece lunga dimora. Ed è tanto in lui il desi- ci) 1 suoi concittadini venerano ancora in lui il fondatore di un Asilo infantile, die è Ira i pili antichi, eil b modello a Inlla Italia, e lo zelante Sovra Jtiteiifh'iitf, per più di 'ìi) unni, delle scuole elementari riviene. derio di penetrare nei più ascosi recessi e della natura, e dell'animo umano, che attraversa i più malagevoli passaggi dei Pirenei, accompagnandosi colle frotte di zingari e malviventi, clie abbondavano in quei paraggi. Nulla lascia in quelle sue peregrinazioni di intentato, o inesplorato, che può servirgli nello studio dei suoi simili, e dell’abitudini e costumi dei diversi ordini sociali; e dalle più alle società, dai primari alberghi, scese alle più umili taverne, mescolandosi colle infime classi, per indagarne i sentimenti e le tendenze. Dopo siffatto giro per l'Europa ritornò in patria, ove si compone nella pace famigliare, e si da tutto a viaggi di altro genere, vogliamo dire a spedizioni lunghe e laboriose nel campo immenso del sapere, leggendo, e più meditando, le opere dei massimi filosofi e pensatori d'Italia, ed arricchendo la mente di un incommensurabile tesoro di cognizioni, di osservazioni e di pensieri È notabile questo periodo della sua vita, in cui il nostro autore condensa, per cosi dire, tutta l'umana sapienza nel suo intelletto; chè dopo d'allora, e in ispecie negli ultimi anni del viver suo, nei quali fu pur massima la fecondità dello scrivere, ben poco legge, ed anzi si può asserire che più non consulta nel dettare libro alcuno, ma lutto quanto gli occorresse, evocasse dalla sua tenacissima memoria, dallo sterminalo accumulamento di cognizioni, che ha in mente. Leniti e progressiva paralisi lo ha quasi immobilizzato ; egli dove ricorrere quindi all'alimi aiuto per ugni «no movimento, e i suoi Lunigliari asseriscono che da anni ed anni non ha mai ad ordinare di recargli libro alcuno da consultale, mentre detta continuamente per molte ore del giorno. Era d'altronde ima delle massime da lui predicate, che l'ingegno vero approfitta poco del materiale altrui, bensì moltissimo dell'abitudine del coiu-etttrantento e della riflessione; e solpva dirr fhp gran parte delle sue cognizioni non le (Tivca acqui- state eolla lettura, ma colla meditazione e quasi per una catena di messori' derivazioni. Infatti la maggior quantità dui suoi scritti data dall'epoca che cessa di leggere. Manda ai torcili un primo saggio del buu ingegno, un'opera letteraria, intitolata: II Pellegrinaggio in Italia di Alessandro Goreni, poema in ottava rima, ove con poesia profondamente inlima, sostanzialmente nuova ed originale, da sfogo ai molti pensieri ed affetti, di cui aveva ripieno l'animo. E poco dopo pubblica, coll'allro pseudonimo di Tkeophilo Eleutero, un secondo e ben diverso saggio della profondità del suo sapere, e dell'acume del suo intelletto, mandando alla luce Ire grossi volumi di un'opera filosofica, che intitola “Pasaelogices Specimen”, e fa stampare in latino – saggio che per modestia volle fosse edito in pochi esemplari, ma che in Germania da argomento a serie critiche nella Rivista filosofica Zcitschrift (Halle) ed in altri periodici scientifici. Ma qui pur troppo s'arrestano i lavori edili del nostro Autore; chè all'infuori di qualche scritto di minore importanza, apparso su giornali locali, nulla ei più permise che si da alle stampe di quanto anda scrivendo fino alle sue ultime ore. Racchiudendosi modestamente, e un poco anche egoisticamente, nelle soddisfazioni intime delle sue elucubrazioni, più non volle che alle sue gioie mentali, alle sue indagini filosofiche, ai suoi profondi ed originali pensieri partecipassero i lettori; e studia e scrive per sè solo, per esercizio e ginnastica della sua [Pasaelogices specimen, Tiikophilo Eleutero editimi. Voltimeli pr imitili. Prolegomena. Volumen secundum. Esologia. Volumen tertium. Natura Medianica — Intra Torino e Firenze, lilucria di Loeschef. — Ve ne sonu altri due volumi inedili. Ecco come ne parla, fra gl’altri, il Foglio Centrale Letterario di Lipsia in un lungo articolo sull'opera stessa, di cui noi riportiamo solo un brano. E sorto un anonimo italiano. Egli parla nella lingua ecumenica del passato il suo è un lavoro che ò il risultato di un'escogitazione indefessa di tanti anni, forse di tutta la sua vita con un'estensione di due mila pagine, e che tratta di tutte le cose del cielo e della terra, e per di più della logica dello spirito assoluto; è una continuazione della speculazione di Hegel, dalla quale perù vuole assolutamente distinguere la propria dottrina] inenLe elevatissima, del poderoso suo intelletto, per appagare la sua smania del vero. Medita e scrive, al pari di Gioberti, dodici e più ore al giorno. I suoi concittadini il ritrovavano spesso solitario per le campagne e i dolci declivi delle amene montagne che stanno a cavaliere d'Intra, sotto al vitale raggio del sole, o seduto alle ombre amiclie dei l'aggi e dei castani, colle lasche zeppe di libri, sempre speculando ed annotando colla matita sopra la carta i suoi pensieri.Al pari dei peripatetici si diletta di filosofare camminando nell'aer puro, nella serena festività della natura, alla luce gaia del sole, o nella tepida ed affascinante quiete dei boschi. Dal ponderoso lavorio mentale del filosofare egli trova sollievo nelle arti belle e nelle belle lettere; ed allora detta quelle innumerevoli poesie, che stanno raccolte sotto il caratteristico titolo di Grullerie Poetiche, e nelle quali con vena originalissima, non leziosa o ricercatrice di supposti e romantici ideali, e con spirito satirico il più fine, spesse volte non facilmente apprezzabile, egli fìssa l'impressione del momento, o deride le costumanze strane delle mode, o celebra i fasti cittadini, che giungono col rumore dell'eco all'orecchio suo, lontano ornai dal consorzio umano, e non abituato che alle voci dei suoi inlimi; ed allora traeva dal prediletto flauto dolci suoni, o sull'arpa antica traduce la soave ispirazione dell'animo suo, o sul pianoforte combina le armonie musicali, consuonanti colle armonie delle idee sue, della natura, e della verità, che a lui si disvelavano nelle profonde sue speculazioni. Cosi vive C., tanto grande per intelletto, quanto semplice di modi e di costumi. L'altezza della sua mente pareggiava la nobiltà affettuosa del suo cuore. Austero per indole, tollerante delle fatiche, intrepido nei pericoli, alieno dagl’agi, benché a lui permessi dai beni della fortuna, schivo del mondano frastuono (non desiderò die una cosa: vivere sconosciuto), chiuse in petto un'anima temprala a rettitudine, a purezza quasi primitiva, che lo rese incapace di odio e di avversioni contro chicchessia, e di qualunque simulazione o maldicenza. Naturale, aborrente da leziosaggini, si riprodusse, quasi in specchio fedele, nel suo stile semplice e rigido, tendente ad essere chiaro più che seducente. Affabile, unitissimo, nel conversare parve un fanciullo; lo si sarebbe detto, anche per la modestia del vestire e del vivere, un uomo taglialo alia grossa, e di rozzi sensi ; ed invece di quanto allo sentire, di quanta soavità d'animo era egli dotato! Un cullo affettuoso ei professa per la consorte, troppo presto rapitagli; un'inarrivabile tenerezza per l'unica sua figlia, che ne consola la precoce inferma vecchiaia. Colpito invero a cinquantanni da lento, ma inesorabile morbo, che gli impedi l'uso delle gambe, per quasi due lustri non si mosse dalle sue stanze, che volle in uno spazioso lenimento, sull'alto della città, affine di poter distendere lo sguardo vivo e sereno sul più ampio tratto possibile di quella natura, in cui egli ha tanto liberamente voluto vivere fino allora. Il suo temperamento, pur tanto desioso di moto e di novità, si compone con ammiranda rassegnazione alla quiete, a spaziare in pochi metri quadrali di superficie. Con una forza d'animo, che solo può venire o da angelico spirito, o dal conforto della filosofia, sopporta i dolori fisici e morali della lunga infermità; e mai un lamento, mai un lagno uscì dalla bocca sua, neppur quando venne da ultimo costretto al letto, e vi rimane fermo per gli ultimi diciotlo mesi di vita. Che anzi consola e ravviva lo spirito afflitto della figliuola; e l'anda preparando con filosofici pensieri alla sua dipartila da questo mondo, che con spirito antiveggente e quasi profetico, calcola prossima di mesi e di giorni. Era solito di dire: morire non è, ni un bene, uè un mule, mn soltanto naturai rosa come il nascere. Siate perciò calmi come sono io. patimenti fisici non gli tolsero, estrema consolazione della travagliosa vita, la lucidità e la fecondità del pensiero; e continua le sue meditazioni e i suoi sludi lavoriti, dettando incessantemente alla diligente sua lettrice. Fin negli estremi momenti, allorché l'ansia affannosa del respiro rese inintelligibili i suoi accenti, tenta più volte di esporre l'ultimo suo pensiero sull'opera che aveva in corso. Tale in breve la vita del nostro autore, nella quale tu non trovi da celebrare avventure o fatti straordinari, poiché fu tutta dedicata, e modestamente dedicala, ad una faticosa, ma tranquilla e serena lotta mentale, ad umbratili sludi, ad inlime soddisfazioni, originate dalla scoperta di nuovi veri, al cullo delle arti belle e delle scienze; ma per compenso in essa ti si rivela un inimitabile esempio di indefesso amore del sapere, di privale eminentissime virtù, di sublime rassegnazione ai mali fisici. É in memoria adunque di quell'affettuoso padre, di quell'alta e modestissima intelligenza, di quello squisito animo, che la figlia sua, signora Argia Franzosim C., intraprende la pubblicazione delle numerose opere filosofiche, scientifiche e letterarie, che egli lascia manoscritte ed inedite. L'abbiamo già detto, e convien ripeterlo, con questo nè interpreta un desiderio del padre, nè fa un pietoso sfregio alla volontà di lui. Imperocché, come egli non ha pensato a proibirlo, cosi non ha imposto nè esplicitamente, né implicitamente, per una postuma vanità, che le sue opere vedessero la luce. Egli non brama mai in vila sua di curarne la stampa. Lo sperimento fallo del Pellegrinaggio in Italia e dello Specimen Pasaelogices gli prova quante noie e quanti fastidi arreca il sorvegliare l'edizione di poderosi manoscritti; e, ciò che a lui maggiormente dispiacque, gli ruba soverchiamente di quel tempo, che egli ha sempre prezioso. Anda d'altronde convinto che i suoi concetti si discostassero tanto dal modo volgare di pensare, da sembrare meri paradossi; e più volle invero nelle opere sue ripete essere a lui consentila la maggior libertà di pensare e di scrivere, appunto perchè non teme di disgustare i suoi non-lettori. Questo però non è il parere di chi attende alla presente pubblicazione; è vero che negli scrini, che vedranno la luce, vi è una originalità di pensiero, la quale può parer strana ai poco colti, ed impressionare anche i doni; ma è vero altresì che, anzi che provocare censure, vi è piuttosto a credere che gli stessi desteranno l'ammirazione per la novità, la potenza, l'altezza dei concetti che vi si affermano dal nostro filosofo; è piuttosto a sperare che i lettori andranno lieti di poter rinvenire, in tanta serie di scrittori o plagiari o volgari, una intelligenza, che esprime idee tutte proprie, e forti, e vere, meritevoli insomma della più grande considerazione. La quale originalità, che è riproduzione fedele del carattere dell'Autore, è con suprema e scrupolosa cura conservata intatta. Più che ad adornargli la veste in modo, che gli accaparrasse a primo acchito la simpatia, più che a fornirlo di allettatici attrattive, si è mirato a presentarlo al pubblico nella fedele e polente impronta del suo genio. Sicché, ad onla che sarebbe tornato facile di rimediare ad alcune mende del suo stile, piuttosto tendente a chiarezza che ad eleganza, e di ammodernare la sua specialissima ortografia, nulla si volle sostanzialmente immutare, e gli scritti si pubblicano quali si trovarono dettali, ad eccezione di qualche correzione di forma, necessaria e solila di farsi anche dagli autori stessi, allorché i loro manoscritti stanno per essere consegnali al tipografo. Un'altra dichiarazione occorre porre avanli ; ed è che la pubblicazione viene cominciata colle due opere conlciiute nel presente [Egli stesso, parlando rìrlle sue open 1, così si esprime. Miei scritti potrebbero aen&rare a molti ti» ainmaxsn ili rontrailiziotii, o anche l'eccesso della trivialità.] volume, pel solo motivo che esse sono quelle che, fra le poche potute finora disaminare, parvero a preferenza scritte in modo piano, ordinato e quasi melodico, e perciò facile ad essere compreso dall'universalità dei lettori ; e quelle altresì, che, trattando di una materia generale, si prestano a fare in modo riassuntivo rilevare quale fosse la mente dell'autore e quali le sue dottrine, quali le sue idee su gran parte delle cose umane. Nell'una invero si discorre dello spirito umano, e si descrivono e criticano i vari sistemi, che si vennero formando dalla sua nozione ; nell'altra si tratta di tutti i principi cardinali, dei quali è la natura costrutta, e si analizzano coi criteri forniti dall'intelligenza riflessa. Ben si sarebbe potuto seguire o un ordine cronologico, man- dando alle stampe le opere nella stessa successione nella quale l'Autore le scrisse, oppure un ordine razionale, prefiggendosi un punto di partenza, come dal generale al particolare, o dalle opere letterarie alle filosofiche, e cosi via. Ma da un lato l'ordine cronologico non ha alcuna base in ragione, dipendendo da pura casualità materiale che un'opera sia stata scritta prima dell'altra; dall'altro il razionale, che certo sarebbe stato più logico e preferibile, richiedeva per essere at- tuato una previa disamina, anche solo sommaria, delle opere tutte, che si hanno manoscritte; il che avrebbe cagionato un in- gente lavorio da compiersi, per l'unicità dei criteri, da una sola persona, e di conseguenza avrebbe ritardato chissà di quanto tempo l'inizio di questa pubblicazione, che considerazioni morali di non minor peso delle razionali consigliavano di intraprendere tosto. Diamo a giustificazione un elenco, che pur non si può dire ancora completo, delle opere postum e di C. Traduzioni varie dal latino, francese, tedesco, inglese (VIRGILIO, ORAZIO,
Tuesday, November 26, 2024
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