Grice e Centofanti: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della filosofia italica, no romana – Appio – scuola di Calci – filosofia pisana – filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Calci). Filosofo pisano. Filosofo toscano. Filosofo italiano. Calci, Pisa, Toscana. Grice: “I love Centofanti; he is a silvestro indeed, born in the rus of Tuscany – dedicated all his life to the philosophy of Tuscani – notable are his philosophical explorations on “Inferno’s Dante,” to use the Cole Porter mannerism; but my favourite are his notes on Plutarch’s “Romolo” – how much he hated the Etrurians, he made them second-class! – and most importantly, the Platonic tradition in Italy – as part of a larger exploration on ‘Italian philosophy,’ as such; at Oxford, Warnock did not give a dedicatee for his history of English philosophy, but in a typical Italian manner, Centofanti dedicates his history of Italian philosophy to a member of the nobility! – the duca de Argento!” – Figlio da Giuseppe e Rosalia Zucchini. Si laurea a Pisa. Insegna a Pisa. Altre opere: “La prova della realtà esteriore secondo Mamiani”; “La verità obiettiva della cognizione umana”; “Alighieri. (Galileiana, Firenze); Pitagora, in Monumenti del giardino Puccini, Pistoia); “Sull'indole e le vicende della letteratura greca” Società editrice fiorentina, Firenze); “Storia della filosofia, (Prosperi, Pisa); “Del platonismo in Italia” (Prosperi, Pisa); “Notizia intorno alla cospirazione e al processo di T. Campanella”; “Alighieri” (Crescini, Padova); “Storia della filosofia italiana” (Prosperi, Pisa); “Noologia – noologico – il noologico --. Una formula logica della filosofia della storia” (Nistri, Pisa); “Del diritto di nazionalità in universale e di quello della nazionalità italiana in particolare” (Nistri, Pisa); “Sul risorgimento italiano” (Vannucchi, Pisa); “Il Romolo di Plutarco” (Le Monnier, Firenze); “Averroeismo in Italia”; “I poeti greci nella traduzione italiana, Preceduti da un discorso storico sulla letteratura greca (Mazzajoli, Livorno); “Aosta”; Sopra un luogo diversamente letto nella Divina Commedia” (F. Bencini, Firenze); Al commento di Buti sopra Alighieri” (Nistri, Pisa); “Galilei” (Nistri, Pisa); “Campanella”. “La letteratura greca dalle sue origini sino alla caduta di Costantinopoli; “Pitagora” (Le Monnier, Firenze). Dizionario biografico degl’italiani. Italia, teatro delle vere glorie di Pitagora, e sede del suo Instituto celebratissimo -- Non prima giunge Pitagora a CROTONE che tosto vi opera un mutamento grande cosi nell’animo come nella cosa pubblica. I crotoniati si adunano intorno mossi dalla fama dell’uomo, e vinti dall’autorità del sembiante, dalla soavità dell’eloquio, dalla forza delle ragioni discorse. E Pitagora vi ordina la sua società, che presto cresce a grande eccellenza. Per tutto penetra il fuoco divino che per lui si diffonde. A Sibari, a Taranto, a Reggio, a Catania, a Imera, a Girgentu, e più innanzi. E la discordia cessa, e il costume ha riforma, e la tirannide fa luogo all’ordine liberale e giusto. Non soli i lucani, i peucezi, i messapi, ma I ROMANI (pria di Carneade!) vengono a lui; e Zaleuco e Caronda, e il re NUMA escono legislatori dalla sua scuola. In un medesimo giorno è a Metaponto e a Taormina. Gli animali l’obbediscono. I fiumi lo salutano. Le procelle e le pesti si calmano alla sua voce. Taccio il servo Zamolcsi, la coscia d'oro, il telo d’Abari, il mistico viaggio all’inferno. I crotoniati lo riveggono stupefatti e lo accolgono come un dio. Ma questo iddio finalmente è vittima dell’invidia e malvagità umane, e chiude una gloriosissima vita con una miserabil morte. Quando e come si forma questo mito? Non tutto in un tempo nè con un intendimento solo, ma per varie cause e per lungo processo di secoli fino al nuovo pitagorismo, o, per dir meglio, fino ai tempi della moderna critica. L'uomo, come naturalmente desidera di sapere, cosi è facilmente pronto a parlare anche delle cose che meno intende. Anzi quanto l'oscurità loro è maggiore, con libertà tanto più sicura si move ad escogitarne l’essenza e le condizioni. Però l'ingegno straordinario e la sapienza di Pitagora nei tempi ai quali egli appartiene, l’arcano della società da lui instituita, e il simbolico linguaggio adoperato fra suoi seguaci dano occasioni e larga materia alle congetture, alle ipotesi, ed ai fantasticamenti del volgo: e le passioni e gl’interessi politici accrebbero la selva di queste varie finzioni. Quando surgeno gli storici era già tardi, e il maraviglioso piacque sempre alle anime umane, e specialmente alle italiane; e non senza gran difficoltà potevasi oggi mai separare il vero dal falso con pienezza di critica. Poi vennero le imposture delle dottrine apocrife, il sincretismo delle idee filosofiche, il furore di quelle superstiziose. Onde se il mito primamente nacque, ultimamente fu fatto, e con intendimento scientifico: e la verità rimase più che mai ricoperta di densi veli alla posterità che e curiosa d’investigarla. Non dirò delle arti usate da altri per trarla in luce nè delle cautele per non cadere in errore. Basta mostrare la natura e le origini di questo mito, senza il cui accompagnamento mancherebbe alla storia di Pitagora una sua propria caratteristica. La società pitagorica fu ordinata a perfezionamento e a modello di vita. Vi entravano solamente i maschi. La speculazione scientifica non impede l’azione e la moralità conduce alla scienza. Ragione ed autorità sono cosi bene contemperate negli ordini della disciplina che avesse a derivarne il più felice effetto all’ammaestrato [tutee]. Tutto poi conchiude in una idea religiosa, principio organico di vita solidaria, e cima di perfezione a quella setta filosofica. Condizione prima ad entrarvi e l’ottima o buona disposizione dell’animo. Pitagora, come nota Gellio (Noctes Atticae) e uno scorto fisonomista (ipuoloyuwuóvel) osservando la conformazione ed espressione del volto e da ogni esterna dimostrazione argomentando l’indole dell’uomo interiore. Ai quali argomenti aggiunge le fedeli informazioni che avesse avuto. Se il giovinetto presto impara, verso quale cose ha propensione, se modesto, se veemento, se ambizioso, se liberali, ecc. E ricevuto, comincia la sua prova; vero noviziato in questo collegio italico. Voluttà, superbia, avarizia bisogna imparare a vincere con magnanimità austera e perseveranza forte. Il piacer sensuale ti fa aborrente dalle fatiche anco non dure, ti fa freddo al sacrificio generoso, ti fa chiuso alla morale dolcezza, o ti rende impuro a goderle. Imperocchè il giovinetto voluttuoso è un egoista codardo, un ignobile schiavo di sè. Un esercizio laborioso conforta il corpo e lo spirito. Breve il riposo, semplice il vitto; o laute mense imbandite ma non godute, a meglio esercitar l’astinenza, e corporali gastighi reprimessero dalla futura trasgressione l’anime ritornante a mollezza. Un altro egoismo è quello che procede dall’opinione, quando sei arrogante nella stima di te, sicché gli altri ne restino indegnamente soperchiati, e questa è superbia. La domande cavillosa, la questione difficile, l’obiezione forte sbaldanza presto l’ingegno prosuntuoso, e a modestia prudente e vigorosa lo conforma. Il disprezzo giusto e stimolo a meritare l’estimazione d’altro; accortamente i ingiusto, a cercare sicuro contentamento nella coscienza propria: e le squallide vesti doma la compiacenza nell’ornamento vano. Questo accrescimento del mito é opera di Bruckero (Hist. crit. phil., Lips.). Chi recalcitra ostinato, accusavasi inetto a generosa perfezione. Finalmente, un terzo egoismo è alimentato dal privato possesso di una cosa esteriore immoderatamente desiderata. La qual cupidità, molto spesso contraria alla fratellevole espansione del l’umana socievolezza, vincesi con la comunione del bene, ordinata a felicità più certa della setta. Quei che appartene ad un pitagorico e a disposizione del suo consorte. Ecco la verità istorica. Il resto, esagerazione favolosa. Ma la favola ha conformità col principio fondamentale della setta pitagorico, perchè è fabbricata secondo la verità dell’idea -- cosa molto notabile. “Pythagorici”, dice Diodoro Siculo, “si quis sodalium facultatibus exciderat, bona sua velut cum *fratre* dividebant” (Excerpt. Val. Wess.). La massima o il precetto “ideón te medėn fysiofai” – “proprium nihil arbitrandum” -- riferito da Laerzio consuona al principio ideale della setta: e ogni conosce il detto attribuito a Pitagora da Timeo. Fra due amanti dover esser comuni le cose – “κοινά τα των φίλων”. Anche la domande cavillosa, le vesti squallide, il corporale gastigo abbiansi pure, se cosi vuolsi, per cose mitiche. Ma i tre punti cardinali della vera e primitiva disciplina rimangono sempre alla storia. E però ne abbiamo fatto materia di considerazioni opportune. Cosi i punti centrali donde si dirama la co-relazione tra l’ordine morale e l’ordine intellettuale, e stato con profondo senno determinato e valutato, sicchè l’educazione e formazione di ogni procede al provveduto fine con leggi e con arti di perfettissimo magistero. Ma suprema legge in questa fondamental disciplina e l’autorità. Nell’età odierna, dissoluta e pettegola, s'ignora da non pochi l’arte vero dell’*obbedienza* e dell'impero perchè spesso la libertà è una servilità licenziosa o non conosciuta. Il fanciullo presume di essere un uomo. E l’uomo che si lascia dominare dal fanciullo. Nell’Italia pitagorica voleasi dar forma all’uomo e la presunzione non occupa il luogo della scienza. La solidità della cognizione radica nella temperata costumatezza. Il giovinetto che muta i passi per le vie del sapere ha una nozione sempre scarsa della verità che impara, finchè non ne ha compreso l’ordine necessario ed intero, e la nozione imparata non basta, chi non v’aggiunga l’uso e la varia esperienza della cosa, perpetuo e sapientissimo testi-monio della verità infinita. Poi non ogni verità puo essere intese pienamente da ogni e puo dover essere praticata. Onde l’autorità di quelche la insegna o che presiede alla sua debita esecuzione. L’alunno, non per anche iniziato al gran mistero della sapienza, riceveva la dottrine dal maestro senza discuterla. Il precetto e giusto, semplice, breve. La forma del discorso e simbolica; e la ragione assoluta di ogni documento, il nome di Pitagora che così ha detto e insegnato. “Dutòs ipa” – “Ipse dixit” -- Di questo famoso “ipse dixit” credo di aver determinato il vero valore. Alcuni filosofi, secondo chè nota Diogene Laerzio, lo attribuivano a un Pitagora di *Zacinto*! Ma Cicerone, Quintiliano, Clemente Alessandrino, Ermia, Origene, Teodoreto, etc., lo attribui ai discepoli del nostro Pitagora. E Cicerone se ne offende come di grave disorbitanza. “Tantvm opinio præiudicata poterat ut eliam sine ratione valeret auctoritas” (De Nat. Deor.). Secondo Suida, l’”ipse dixit” l'avrebbe detto Pitagora stesso, riferendolo a *Dio* maschio, solo sapiente vero e dal quale riceve il suo domma – “ουκ εμος, αλλά του Θεού λόγος šotiv” -- come, secondo altri (Clem. Aless..) rifiuta il titolo di *sapiente* e adotta il titolo di ‘filosofo’, perché la sapienza (sofia) vera, che è quella assoluta, a Dio solo appartiene. Meiners e incerto fra varie congetture, accostandosi anche alla verità, ma senza distinguerla. Applicasi quel precetto alla vita e dai buoni effetti ne argomenta il pregio. Ma acogliere con più sicurezza il frutto che puo venire da questo severo tirocinio, moltissimo dove conferire il silenzio. Però la TEMPERANZA dalla parola (ix&uubia ) per due, tre, o cinque anni, e proporzionevolmente prescritta. Imperocchè nella vanità del trascorrente eloquio si dissipa il troppo facile pensiero. E la baldanza dell’espressione spesso argomenta impotenza all’operazione. Non diffusa nel discorso l’anima, nata all’attività, si raccoglie tutta e si ripercote dentro se stessa, e prende altissimo vigore, e genera l’espressione sua propria col quale poi ragiona ed intende il vero, il bello, il buono, il giusto, ed il santo. Oltrediché le necessità del viver civile richiede non dirado questa difficile virtù del *tacere*, fedelissima compagna della prudenza e del senno pratico. Persevera l’alunno nella sua prova fino al termine stabilito. E allora passa alla classe superiore e divene de’ genuino fratello, amante, discepolo (pvýccol óuenetai). Fa mala prova, o sentesi impotente a continuarla, ed e rigettato o puo andarsene, riprendendosi il suo bene. Dura l’esperimento quanto e bisogno alla diversa natura del candidato: ed all’uscit od espulso ponesi il monumento siccome a uomo morto. Che questo monumento e posto, non lo nega neppure Meiners. All’abito del silenzio, necessario al più forte uso della mente, e al buon governo della setta, bisogn formare il discepolo. Ma qui ancora il mito dà nel soverchio. L’impero dell’autorità dove essere religioso e grande. Ma il degno di rimanere nella setta, e che passa alla classe superiore, comincia e segue una disciplina al tutto scientifica. Non più simboli nè silenzio austero né fede senza libertà di discussione e d’esame. Alzata la misteriosa cortina, il discepoli divene college, compagno di giocco, condizionato a non più giurare sulla parola del maestro, puo francamente ragionare rispondendo – conversazione --, pro-ponendo, impugnando, e con ogni termine convenevole cercando e conchiudendo la verità. La aritmetica e la geometria apparecchiano ed elevano la mente alla più alta idea del mondo intelligibile. Interpretasi la natura, speculasi intorno al necessario attributi dell’ente parmenideano; trovasi nella ragione del numero l’essenza del cosmo. E chi giunge all’ardua cima della contemplazione filosofica ottene il titolo dovuto a questa iniziazione epoptica, il titolo di perfetto e di venerabile (“TÉNELOS kai OsBaotixÒS”), ovvero chiamasi per eccellenza “uomo”. Compiuti il corso di literae humaniores, gli studi, ciascuno seconda al suo genio coltivando quel genere della dottrine, o esercitando quell’ufficio che meglio e inclinator. Il più alto intelletto alla filosofia; gli altri, a governar le città e a dar la leggi al volgo. Della classe de’ pitagorici e detto a suo luogo quello che ci sembri più simile al vero: lascisi il venerabile, etc. Intendasi la simbolica cortina cosi come poi mostreremo doversi intendere. E quanto ai gradi dell’insegnamento, notisi una certa confusione di una filosofia neoplatonica con l’anticho ordine pitagorico, probabilmente più semplici (V. Porfirio, V. P..; Giamblico). Vivesi a social vita e la casa eletta al cenobio dicesi uditorio comune (õpaxóïov). Prima che sorgesse il sole, ogni pitagorico dove esser desto, e seco medesimo discorrere nel memore pensiero la cose fatta, lla cosa parlata, la cosa osservata, omesse nel giorno o ne’ due giorni prossimamente decorsi, seguitando nel rimembrarle quel medesimo ordine con che prima l’una all’altra si succede. Poi scossi dal sorgente astro a metter voce armoniosa come la statua di Memnone, adorava e salutava la luce animatrice a della natura, cantando o anche danzando. La qual musica li dispone a conformarsi al concento della vita cosmica ed e eccitamento all’operazione. Passeggiav soletto a divisar bene nella mente la cose da fare. Poi applica alla dottrine e tene il con-gresso nel templo. Il maestro insegna, l’alunni impara, ogni piglia argomento a divenir migliore. E coltivato lo spirito, esercita il corpo -- al corso, alla lotta, ad altri ludi ginnastici. Dopo il quale esercizio, con pane, miele ed acqua si ristora e preso il parco e salubre cibo, da opera al civile negozio. Verso il mancar del giorno, non più solingo come sul mattino, ma a due, ovvero a tre, dasi compagnevol passeggio ragionando insieme della cosa imparata e fatta. Indi si reca al bagno. Cosi viene l’ora del comun pasto, al quale sedeno dieci per mensa. Con una libazione e un sacrificio lo apre: lo imbanda di vegetabili, ma anche di scelte carni di animali: e religiosamente lo chiude con altra libazione e con una lezione opportuna. E prima di coricarsi canta al cadente sole e l’anima già occupata e vagante fra molteplici cure e diversi oggetti, ricompone con l’accordo musicale alla beata unità della sua vita interiore. Il maestro rammenta all’alunno il generale precetto e la regola ferma della setta; e quell’eletto sodalizio, rendutosi all’intimo senso dell’acquistata perfezione, rianda col pensiero l’ora vivuta, e nella certezza di altre sempre uguali o migliori amorosamente si addormenta. Questa parte del mito, chi generalmente guardi, è anche storia. Quanto all’uditorio comune piacemi di addurre queste parole di Clemente Alessandrino: και την Εκκλησίαν, την νύν δυτω καλουμένην, το παρ αυτώ 'Ομα.xos ov diVÍTTETA!” “et eam quæ nunc vocatur ecclesia significat id quod apud ipsum Pythagora est Ouaxoslon (Str.). Questo e l’ordine, questo il vivere della società pitagorica secondo il tipo ideale che via via formossi alla storia. Ogni facoltà dell’uomo vi e educata ed abituata ad operare un nobile effetto. La salute del corpo conduce o sirve a quella dello spirito. E lo spirito forte e contento nella esplicazione piena e nella feconda disposizione della sua potenza, concordasi di atti e di letizia col mondo e trova in Dio il principio eterno d'ogni armonia e contentezza. Così il pitagorico era modello a quel che lo riguarda: il quale anche con la sua veste di lino bianco mostrasi diviso dalla volgare schiera e singolare dall’altro. La breve narrazione della cosa che fin qui fu fatta, e necessaria a conservare alla storia di Pitagora la sua indole maravigliosa e quindi una sua propria nota ed anche sotto un certo aspetto una nativa bellezza. Dobbiamo ora cercare e determinare un criterio onde la verità possa essere separata dalla favola quanto lo comporta l'antichità e la qualità dell’oggetto che e materia a questo nostro ragionamento. E prima si consideri che il mito, popolarmente nato, o scientificamente composto, quantunque assurdo o strano puo parere in alcune sue parti, pur ha una certa attinenza o necessaria conformità col vero. Imperocchè una prima cosa vi è sempre la quale dia origine alla varia opinione che altri ne ha; e quando la tradizione rimane ha un fondamento nel vero primitivo dal quale deriva, o nella costituzione morale e nella civiltà della setta a cui quel vero storicamente appartiene. Che se nella molta diversità della sua apparenza mostra un punto fisso e costante a che riducasi quella varia moltiplicità loro, questo è il termine ove il mito probabilmente riscontrasi con la storia. Or chi intimamente pensa e ragiona la biografia di Pitagora vede conchiudersi tutto il valore delle cose che la costituiscono in due idee principali. Prima in quella di un essere che sovrasta alla comune condizione dell’uomo per singolarissima partecipazione alla virtù divina. Seconda in quella di una sapienza anco in diversi luoghi raccolta e ordinata a rendersi universale nel nome di quest'uomo straordinario. Chi poi risguarda alla setta pitagorica, ne vede il fondatore cosi confuso con gli ordini e con la durata di essa che sembri impossibile il separarnelo. Dalla quale conclusione ultimamente risulta, Pitagora e un filosofo, ed e certissimamente un’idea storica e scientifica. L’Italia poi senz’ombra pure di dubbio è il paese dove quest’idea pitagorica doventa una magnifica instituzione, ha incremento e fortuna, si congiunge con la civiltà e vi risplende con una sua vivissima luce. Pertanto le prime due nostre conclusioni risultando dalla general sostanza del mito e riducendone la diversità molteplice a una certa unità primitiva, sembra essere il necessario effetto della convertibilità logica di esso nella verità che implicitamente vi sia contenuta. E deducendosi la terza dalle altre due che precedono, già per un ordine continuo di ragioni possiamo presupporre che Pitagora (o Grice) sia insieme un filosofo e una filosofia perenne. Nel che volentieri si adagia quel forte e temperato senno che non lasciandosi andare l’agli estremi, ne concilia e ne misura il contrario valore in una verità necessaria. Ma porre fin da principio che Pitagora è solamente un filosofo, e alla norma di questo concetto giudicare tutte le cose favoleggiate intorno alla filosofia, alle azioni miracolose di colui che ancora non si conosce appieno, e assolutamente rigettarle perchè non si possono dire di un filosofo, è un rinunziare anticipatamente quello che potrebbe esser vero per rispetto alla filosofia. Lo che venne fatto a molti. D'altra parte se la esclusione del filosofo e assolutamente richiesta alla spiegazione del mito e alla ricupera della storia e timidezza soverchia il non farlo, o ritrosia irrazionale. Potendosi conservare Pitagora alla storia della filosofia (unita longitudinale), e separar questa dalle favole, pecca di scetticismo vano chi non sa contenersi dentro questo termine razionale. Vediamo ora se a questa nostra deduzione logica aggiunge forza istorica la autorità positiva di un autore rispettabile, e primamente parliamo della sapienza universale del nostro filosofo. Erodoto, il quale congiunge la orgia e la instituzione pitagorica con quella orfica, dionisiaca, e con le getiche di Zamolcsi, attribuisce implicitamente al figliuolo di Mnesarco una erudizione che si stende alla cosa greco-latina ed alla cosa barbarica (Erodoto).Isocrate reca a Pitagora la prima introduzione della filosofia -- φιλοσοφίας εκείνων TTPŪTOS ES tous Ezanvas éxóulge (in Busir., 11). E CICERONE lo fa viaggiare per la Liguria (De Finibus). Ed Eraclito, allegato da Laerzio, parla di Pitagora come di filosofo diligentissimo più che altri mai a cercare storicamente la umana cognizione e a farne tesoro e scelta per costituire la sua enciclopedica disciplina – Laerzio -- la cui allegazione delle parole di Eraclito è confermata da Clemente Alessandrino (Strom.). Eraclito reputa a mala arte (“xaxoteXvinv”) l’erudizione di Pitagora; perché, a suo parere, ogni verità e nella mente, la quale sa trovare la scienza dentro di sè e basta a se stessa. Parole sommamente notabili, le quali, confermate dalla concorde asserzione di Empedocle, rendono bella e opportuna testimonianza a quella nostra conclusione, onde Pitagora, secondo il mito, è raccoglitore e maestro d’una filosofia che quasi possa dirsi “cosmopolitica” o universale in senso hegeliano. “Vir erat inter eos quidam praestantia doctus plurima, mentis opes amplas sub pectore servans cunctaque vestigans sapientum docta reperta, nam quotiens animi vires intenderat omnes perspexit facile is cunctarum singula rerum usque decem vel viginti ad mortalia secla. (Empedocle presso Giamblico nella Vita di Pitagora, XV e presso Porfirio, id., 30). A dar fondamento istorico all’altra conclusione non ci dispiaccia di ascoltare Aristippo, il quale nota che PITAgora e con questo nome appellato perchè nel dire la verità non e inferiore ad Apollo pizio (Diog. Laerzio). E noi qui alleghiamo Aristippo, non per accettare la convenienza prepostera del valore etimologico del nome (pizio, pizagora) con quello scientifico del filosofo, ma per mostrare che prima degli alessandrini il nome di “Pitagora” (pizio, pizagora) era anche nell’uso dei filosofi quello di un essere umano e di una più che umana virtù, ala Nietzsche, e che nella sua straordinaria partecipazione alla divinità (Apollo pizio) fonda l’opinione intorno alla di lui stupenda eccellenza. Aristotele, allegato da Eliano (Var. Hist., II ) conferma Aristippo, testimoniando che i crotoniati lo appellano “apollo iperboreo” (Lascio Diodoro Siculo, Excer. Val.) e tutti gli altri filosofi meno antichi, i quali peraltro ripeteno una tradizione primitiva o molto antica. Ma ciò non basta. Un filosofo, innanzi alla cui autorità volentieri s'inchina il moderno critico, ci fa sapere che principalissimo fra gli arcani della setta pitagorica era questo: tre essere le forme o specie della vita razionale: Dio (pizio Apollo), ľ uomo e Pitagora -- Giamblico nella Vita di Pitagora, VI, ed. Kust. Amstel, Vers. Ulr. Obr. Tradit etiam Aristoteles in libris De pythagorica disciplina (“èv τοίς περί της Πυθαγορικής φιλοσοφίας”) quod huiusmodi divisio a υiris illis inter praecipua urcana (“èv toiS TAVT atroppñtois”) servata sit animalium rationalium aliud est Deus, aliud homo, aliud quale Pythagoras. L'originale non dice “animalium” ma “animantis” -- zúov; che è notabile differenza: perchè, laddove le tre vite razionali nella traduzione latina (three rational lifes: God, man, and Pythagoras). sono obiettivamente divise. Nel greco sono distinte e insieme recate ad un comune principio. Il Ritter, seguitando altra via da quella da me tenuta, non vide l'idea filosofica che pure è contenuta in queste parole né la ragione dell'arcano (Hist. de la phil. anc.).
Tuesday, November 26, 2024
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