Powered By Blogger

Welcome to Villa Speranza.

Welcome to Villa Speranza.

Search This Blog

Translate

Thursday, November 28, 2024

GRICE ITALO A/Z C COS

 

Grice e Cosi: l’implicatura conversazionale del cuore -- accordo – cuori -- l’accordo – scuola di Firenze – filosofia fiorentina – filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza -- (Firenze). Filosofo fiorentino. Filosofo toscano. Filosofo italiano. Firenze, Toscana. Grice: “I love Cosi; my favourite of his philosophical essays on justice is the one on ‘l’accordo,’ for this is what my principle of conversational helpfulness or co-operation is all about!”  Giovanni Cosi. Si laurea a Firenze. Insegna a Firenza, Sassari, Siena. Altre opere: “La liberazione artificiale: l’uomo e il diritto di fronte a la droga” (Milano: Giuffrè); "Religiosità e teoria critica" (Giuffre); "Secolarizzazione e ri-sacralizzazioni" (Giuffre); "Il sacro e giusto: itinerario di archetipologia” (FrancoAngeli). Dopo aver compiuto ricerche sull'espressione del dissenso in forma non rivoluzionaria negli ordinamenti liberal-democratici, pubblica per la Giuffrè Editore il volume "Saggio sulla disobbedienza civile"; "Il traviato”, “il filosofo traviato: il filosofo come gentiluomo (Giuntina); “La  obbedienza civile, la disobbedienza civile: il consenso, il dissenso, la aristocracia, la plutocracia, la democrazia, la repubblica (Milano: Giuffrè). Il giurista perduto: avvocati e identità professionale” (Giuntina), “Logos e dialettica” (Giappichelli, Torino); “Il filosofo risponsabile” (Giappichelli,Torino); “Lo spazio della mediazione, -- il terzo escluso – chi media nella diada? (Giuffrè). “Invece di giudicare” (Giuffrè); “Il spazio della mediazione nel conflitto della diada conversazionale” (Giappichelli Torino); “Legge, Diritto, Giustizia” (Giappichelli, Torino). “Giudicare, o Fare giustizia. – vendetta – il concetto filosofico” (Giuffré Editore, Milano). La liberazione artificiale: l'uomo e il diritto di fronte alla droga, Giuffrè, Milano; Saggio sulla disobbedienza civile: storia e critica del dissenso in democrazia, Giuffrè, Milano; Il giurista perduto: avvocati e identità professionale, Giuntina, Firenze; Il sacro e il giusto: itinerari di archetipologia giuridica, Franco Angeli, Milano; Il Logos del diritto, Giappichelli, Torino; La responsabilità del giurista: etica e professione legale, Giappichelli, Torino; Società, diritto, culture: introduzione all'esperienza giuridica, dispense di Sociologia del Diritto, Firenze); La professione legale tra patologia e prevenzione: materiali di etica professionale, dispense di Sociologia del Diritto, Firenze; Per una politica del diritto del fenomeno droga: problemi e prospettive", Archivio Giuridico; Il diritto e la droga" e "Per una comprensione culturale dell'uso di droghe", Testimonianze; "Religiosità e Teoria Critica: la teologia negativa di Max Horkheimer", Rivista di Filosofia Neo-scolastica, "Secolarizzazione e risacralizzazioni: le sopravalutazioni post-illuministiche dell'immanentismo", in L. Lombardi Vallauri - G. Dilcher, Cristianesimo, secolarizzazione e diritto moderno, Giuffrè - Nomos Verlag, Milano - Baden-Baden);  "Sulla 'naturalità' dei diritti civili", Testimonianze; "L'Uno o i Molti? Il 'nuovo politeismo' di Miller e Hillman", Testimonianze; "Ordine e dissenso. La disobbedienza civile nella società liberale", Jus; "Iniziazione e tossicomania: intorno a un libro di Luigi Zoja", Testimonianze; "Le aporie del pacifismo: critica della pace come ideologia", Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto; "L'immagine sofferente della legge", L'Immaginale; "Diritto e morale in tema di aborto", Testimonianze; "Professionalità e personalità: riflessioni sul ruolo dell'avvocato nella società", Sociologia del Diritto; "L'avvocato e il suo cliente: appunti storici e sociologici sulla professione legale", Materiali per una storia della cultura giuridica; "La coscienza, gli dei, la legge", Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto;  "Il diritto del mondo I", Anima; "Un anniversario dimenticato: Il Bill  e la sua eredità", Sociologia del Diritto; "Vecchio e nuovo nelle crisi di identità degli avvocati", in Storia del diritto e teoria politica, Annali della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Macerata; "Verso il paese di Inanna", Anima;"Avvocato o giurista?", comunicazione al VI Convegno nazionale di studio dell'Unione Giuristi Cattolici Italiani, Firenze, Iustitia, "Tutela del mondo e normatività naturale", in L. Lombardi Vallauri (ed.), Il meritevole di tutela, Giuffrè, Milano); "Tutela del mondo e strumenti giuridici", Testimonianze; "La professione legale tra etica e deontologia", Etica degli Affari e delle professione; "Diritto e realizzazione: un'introduzione alla fenomenologia del logos giuridico", Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto; "La legge e le origini della coscienza", Per  la filosofia; "Naturalità del diritto e universali giuridici", Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto,"Naturalità del diritto e universali giuridici", in F. D'AGOSTINO (ed.), Pluralità delle culture e universalità dei diritti, Giappichelli, Torino); "Etica secondo il ruolo", Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto; "Purezza e olocausto: un'interpretazione psicologico-culturale", Per  la Filosofia; "Logos giuridico e archetipi normativi", in L. LOMBARDI VALLAURI, Logos dell'essere, Logos della norma, Adriatica, Bari); “Giustizia senza giudizio. Limiti del diritto e tecniche di mediazione”, in F. MOLINARI e A. AMOROSO, Teoria e pratica della mediazione, FrancoAngeli, Milano); “Le forme dell’informale”, comunicazione al Congresso Nazionale della Società di Filosofia Giuridica e Politica, Trieste, Ora in Giustizia e procedure, Atti del suddetto Convegno, Giuffrè, Milano); “L’idea di professione”, Dirigenti Scuola, “Controllare la professione”, Dirigenti Scuola, “Professione, patologia e prevenzione”, Dirigenti Scuola. Ricerca Cuore organo muscolare, centro motore dell'apparato circolatorio. disambigua.svg Disambiguazione. Se stai cercando altri significati, vedi Cuore (disambigua). Il cuore è un organo muscolare, che costituisce il centro motore dell'apparato circolatorio e propulsore del sangue e della linfa in diversi organismi animali, compresi gli esseri umani, nei quali è formato da un particolare tessuto, il miocardio ed è rivestito da una membrana, il pericardio. natomia del cuore umano EmbriologiaModifica Può originare da un abbozzo mesodermico ventrale, come negli anfibi, nella parte rostrale del celoma, oppure da due abbozzi pari, come nei mammiferi, che poi si uniscono medialmente. In entrambi i casi il primo abbozzo cardiaco è compreso nel mesentere ventrale che in seguito si dividerà in mesocardio dorsale e ventrale; successivamente entrambi spariranno per far spazio al tubo cardiaco che permane nella cavità pericardica, separatasi dalla cavità addominale per lo sviluppo di un setto trasverso.  In questa fase il cuore, che si trova lungo il decorso del vaso sanguifero mediano nella regione subfaringea, non ha ancora né valvole né altre suddivisioni: è rappresentato da un tubo con due pareti, una muscolare più esterna, miocardio, e una endoteliale più interna, endocardio.  Anatomia comparataModifica Nei vertebrati l'apparato circolatorio presenta una complessità crescente dai pesci ai mammiferi, le modifiche che ha subito nel corso dell'evoluzione sono in relazione allo sviluppo di un apparato respiratorio[1]sempre più efficiente.  Nei pesci il cuore è costituito da un solo atrio, che raccoglie il sangue povero di ossigeno proveniente da tutto il corpo, e un solo ventricolo, che raccoglie il sangue proveniente dall'atrio: esistono però un seno venoso nel punto di arrivo delle vene e un bulbo arterioso all'inizio delle arterie, quindi le camere sono in realtà quattro. Le camere nel cuore dei pesci La circolazione in questi animali è definita semplice perché il sangue compie un intero ciclo passando una sola volta per il cuore, da dove raggiunge le branchieper essere ossigenato così da arrivare ai tessutitrasportato dalle arterie. Dopo aver ceduto alle cellule l'ossigeno e aver prelevato il diossido di carbonio e i prodotti di rifiuto, il sangue torna verso l'atrio per mezzo delle vene. A questo punto torna nel ventricolo e da qui alle branchie: a questo punto il ciclo ricomincia. Nei vertebrati terrestri, mammiferi e uccelli, vi è una circolazione doppia (polmonare e sistemica), nella quale il sangue, nel corso di un ciclo completo, passa due volte per il cuore. Negli anfibi e nella maggior parte dei rettili il cuore ha due atri, ma un solo ventricolo così che i due tipi di sangue finiscono nell'unico ventricolo, qui si rimescolano parzialmente e riducono la quantità di ossigeno destinata ai tessuti; insieme all'aorta, alle arterie e vene polmonari esiste un’arteria pulmo-cutanea che porta il sangue alla pelle, dove il sangue circolante si ossigena.[1]  Cuore dei varani  Anatomia: RVH= atrio destro; LVH= atrio sinistro; KK= circolazione sistemica; LK= circolazione polmonare; SAK= valvole del setto atrioventricolare; CP= cavità polmonare.   Sistole: Frecce blu= sangue venoso, Frecce rosse= sangue arterioso   Diastole: Frecce blu= sangue venoso, Frecce rosse= sangue arterioso  Solo nei coccodrilli i ventricoli sono separati, mentre l'aorta e l'arteria polmonare sono collegate dal forame di Panizza.  Per ricapitolare i diversi tipi di circolazione, potremmo così riassumere[2]:  Nei pesci la circolazione è semplice, è unidirezionale e ha un solo ventricolo; Negli anfibi e nei rettili è doppia e incompleta; Nei mammiferi e uccelli è doppia e completa, vi sono due ventricoli completamente separati Anatomia umanaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Cuore umano.  La posizione del cuore all'interno del torace umano Negli esseri umani è posto al centro della cavità toracica, precisamente nel mediastino in posizione anteroinferiore fra le due regioni pleuropolmonari, dietro lo sterno e le cartilagini costali, che lo proteggono come uno scudo, davanti alla colonna vertebrale, da cui è separato dall'esofago e dall'aorta, e appoggiato sul diaframma, che lo separa dai visceri sottostanti. Il cuore ha la forma di un tronco di conoad asse obliquo rispetto al piano sagittale: la sua base maggiore guarda in alto, indietro e a destra, mentre l'apice è rivolto in basso, in avanti e a sinistra;[4] pesa nell'adulto all'incirca 250-300 g, misurando 12-13 cm in lunghezza, 9-10 cm in larghezza e circa 6 cm di spessore (si sottolinea che questi dati variano con età, sesso e costituzione fisica). Battito del cuore di un uomo a 61 bpm FisiologiaModifica Il cuore si contrae e si rilascia secondo il ciclo cardiaco.  Il cuore è costituito dalle cellule del miocardio, tipicamente striate, che si occupano della contrazione e dalle cellule auto ritmiche non contrattili, da cui origina lo stimolo di contrazione. Le cellule auto ritmiche possiedono la capacità di auto depolarizzarsi, grazie all'apertura canali del sodio (detti fun), che spostano il potenziale di membrana verso valori più positivi, consentendo l'apertura dei canali del calcio. L'ingresso di calcio nella cellula è prolungato e porta il potenziale a stabilizzarsi su valori positivi per qualche millisecondo, generando un plateau. Il segnale termina grazie all'apertura dei canali del potassio, che riportano il potenziale di membrana a valori negativi e consentono ai canali funny di aprirsi nuovamente. La contrazione del miocardio inizia grazie all'ingresso del calcio nella cellula, che provoca la fuoriuscita di altro calcio dal reticolo sarcoplasmatico e quindi la contrazione.  Il cuore nelle culture umane. Nell'antichità classica (anche per il filosofo e scienziato Aristotele) il cuore era ritenuto sede della memoria. Il verbo ricordare deriva infatti dal verbo latino recordari e questo dal sostantivo cŏr (genitivocŏrdis), cuore (come sede della memoria) col suffissore- di movimento all'incontrario: quindi, propriamente, rimettere nel cuore (= nella memoria). Ancora oggi l'espressione "a memoria" si traduce par coeur in francese, by heart in inglese e de cor in portoghese ("coeur", "heart" e "cor" significano "cuore").  Particolarmente cruento era il sacrificio del cuore nel mondo azteco. Gli Aztechi prendevano un cuore, estratto ancora palpitante dalle vittime sacrificali umane, e lo offrivano agli dei. Apparato respiratorio nei vertebrati, su sapere La circolazione dei vertebrati, su hischool.weebly. Fiocca, Testut e Latarjet, Dizionario etimologico della lingua italiana, di Manlio Cortelazzo e Paolo Zolli, ed. Zanichelli. Léo Testut e André Latarjet, Miologia-Angiologia, in Trattato di anatomia umana. Anatomia descrittiva e microscopica – Organogenesi, Torino, UTET, Silvio Fiocca et al., Fondamenti di anatomia e fisiologia umana, 2ª ed., Napoli, Sorbona, cuore, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Cuore, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata ( EN ) Opere riguardanti Cuore, su Open Library, Internet Archive.Cuore, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Portale Anatomia   Portale Biologia   Portale Medicina Ultima modifica 18 giorni fa di Lorenzo Longo Arteria vasi sanguigni che trasportano il sangue dalla periferia del cuore al corpo  Cuore umano organo muscolare cavo  Apparato circolatorio insieme degli organi deputati al trasporto di fluidi diversi – come il sangue e, in un'accezione più generale, la linfa – che hanno il compito di apportare alle cellule gli elementi necessari al loro sostentamento  Wikipedia Il contenutoGrice: “Italians are afraid of the ‘sacro’ because since the fall of the Roman Empire, it means the evil Pope! – unless otherwise stated by people like Evola, etc.” – Grice: “Hart should have spent more time analysing the implicatures of ‘disobey,’ as Cosi does -- to realise how wrong his theory is!” Grice: “Austin, who taught morals at Oxford, should have examined, as Cosi does, what we mean by ‘responsible philosopher’ before opening his mouth!” – Grice: “My idea of helpfulness does not quite include that of ‘mediation’ but it should – the space of mediation in the conflict in the conversational dyad! I owe this to Cosi.” Grice: “I decided to use ‘judicative’ versus ‘volitive’ after Cosi. – His ‘giudicare’ is a gem!” -- Giovanni Cosi. Keywords: l’accordo, il secolare/il sacro; profane/sacro – secolare; archetipo, il filosofo come gentiluomo, l’obbediente, il disobbediente, il consensus, il disensus, to obey, conflitto, mediazione, diritto (right), giure, giurato – legatum, vendetta, giudicare, fare giustizia, vendetta conversazionale, natura, naturalita, non-naturale, legge naturale gius naturale, giusnaturalismo, fenomenologia del giurato; normato naturale? Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cosi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Cosmacini: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del consenso e la compassione – sinestesia e simpatia – scuola di Milano – filosofia milanese – filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo milanese. Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Milano, Lombardia. Grice: “I like Cosmacini; for one he wrote on THREE areas of my concern: ‘cuore’, as when we say that two conversationalists reach an ‘accord’! – on ‘empatia’ – a Hellenism, and most importantly, on ‘compassione,’ which is at the root of my principle of conversational benevolence. -- Giorgio Cosmacini (Milano), filosofo. Studia a Milano e Pavia.la “convenzione della mutua” o INAM(Istituto nazionale per l'assicurazione contro le malattie) e apre un ambulatorio mutualistico Fare bene il mestiere di “medico della mutua” non significa gestire un certo numero di “mutuanti”; voleva inoltre dire aver cura di una comunità di persone, ciascuna delle quali con esigenze proprie. raggiungendo in quel periodo circa trecento mutuanti. Quando i suoi mutuanti erano circa millecinquecento, decise di realizzare un suo sogno: la libera docenza. è autore di numerose opere d'argomento filosofico-medico. Altre opere: la mutua, medico della mutua, mutuante, mutuanti, ambulatorio mutualistico. “Scienza medica e giacobinismo in Italia: l'impresa politico-culturale di Rasori (Collana La società, Milano, Franco Angeli); Röntgen. Il "fotografo dell'invisibile", lo scienziato che scoprì i raggi x, Collana Biografie, Milano, Rizzoli); “Gemelli. Il Machiavelli di Dio, Collana Biografie, Milano, Rizzoli); “Storia della medicina e della sanità in Italia. Dalla peste europea alla guerra mondiale. Gius. Laterza & Figli); “Medicina e Sanità in Italia nel Ventesimo secolo. Dalla 'Spagnola' alla 2ª Guerra Mondiale, Roma, Laterza); “La medicina e la sua storia. Da Carlo V al Re Sole, Collana Osservatorio italiano, Milano, Rizzoli); “Una dinastia di medici. La saga dei Cavacciuti-Moruzzi, Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli); Storia della medicina e della Sanità nell'Italia contemporanea, Roma-Bari, Laterza, G. C. Cristina Cenedella, I vecchi e la cura. Storia del Pio Albergo Trivulzio, Roma-Bari, Laterza); “La qualità del tuo medico. Per una filosofia della medicina, Roma-Bari, Laterza); “Medici nella storia d'Italia, Roma-Bari, Laterza, L'arte lunga. Storia della medicina dall'antichità a oggi, Roma-Bari, Laterza); “Il medico ciarlatano. Vita inimitabile di un europeo del Seicento, Laterza); “Ciarlataneria e medicina. Cure, maschere, ciarle, Milano, Cortina, La Ca' Granda dei milanesi. Storia dell'Ospedale Maggiore, Roma-Bari, Laterza); “Il mestiere di medico. Storia di una professione, Collana Scienze e Idee, Milano, Raffaello Cortina); “Introduzione alla medicina, Roma-Bari, Laterza, Biografia della Ca' Granda. Uomini e idee dell'Ospedale Maggiore di Milano, Laterza, Medicina e mondo ebraico. Dalla Bibbia al secolo dei ghetti, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza, Il male del secolo. Per una storia del cancro, Roma-Bari, Laterza); “La stagione di una fine, Terziaria); “Il medico giacobino. La vita e i tempi di Rasori, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza); “Salute e bioetica, Torino, Einaudi, G. C. Satolli, Lettera a un medico sulla cura degli uomini, Roma, Laterza, La vita nelle mani. Storia della chirurgia, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza, Una vita qualunque, viennepierre edizioni, Il medico materialista. Vita e pensiero di Jakob Moleschott, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza «La mia baracca». Storia della fondazione Don Gnocchi, Presentazione del Cardinale Dionigi Tettamanzi, Laterza); “La peste bianca. Milano e la lotta antitubercolare, Milano, Franco Angeli); “L'arte lunga. Storia della medicina dall'antichità a oggi, Roma-Bari, Laterza); “Il romanzo di un medico, viennepierre edizioni, L'Islam a La Thuile nel Medioevo. Un «tuillèn» alla terza crociata: andata, ritorno, morte misteriosa, KC Edizioni, Le spade di Damocle. Paure e malattie nella storia, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza); “La religiosità della medicina. Dall'antichità a oggi, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza); “L'anello di Asclepio. L'età dell'oro”; “La peste, passato e presente, Milano, Editrice San Raffaele); “La medicina non è una scienza. Breve storia delle sue scienze di base” (Collana Scienze e Idee, Milano, Raffaello Cortina); “Il medico saltimbanco. Vita e avventure di Buonafede Vitali, giramondo instancabile, chimico di talento, istrione di buona creanza” (Roma-Bari, Laterza); “Prima lezione di medicina, Collana Universale.Prime lezioni, Roma-Bari, Laterza); “Il medico e il cardinale, Milano, Editrice San Raffaele); “Testamento biologico. Idee ed esperienze per una morte giusta” (Bologna, Il Mulino); “Politica per amore” (Milano, Franco Angeli); “Guerra e medicina. Dall'antichità a oggi, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza); “Compassione” (Bologna, Il Mulino); “La scomparsa del dottore. Storia e cronaca di un'estinzione, Milano, Raffaello Cortina); “Camillo De Lellis. Il santo dei malati, Roma-Bari, Laterza); “Il medico delle mummie. Vita e avventure di Bozzi Granville, Collana Percorsi, Roma-Bari, Laterza); “Como, il lago, la montagna, NodoLibri); “Tanatologia della vita e stetoscopio. Bichat, Laënnec e la "nascita della clinica", AlboVersorio,. Medicina e rivoluzione. La rivoluzione francese della medicina e il nostro tempo” (Collana Scienza e Idee, Milano, Raffaello Cortina); “Un triennio cruciale. Como, il lago, la montagna, NodoLibri); “La forza dell'idea. Medici socialisti e compagni di strada a Milano. L'Ornitorinco,  Per una scienza medica non neutrale. Tre maestri della medicina tra Ottocento e Novecento, L'Ornitorinco,  Medicina Narrata, Sedizioni); “Galeno e il galenismo. Scienza e idee della salute” (Milano, Franco Angeli); “La chimica della vita” -- e microscopio. Pasteur e la microbiologia, AlboVersorio); “Per una scienza medica non neutrale. Tre maestri della medicina in Italia fra Ottocento e Novecento, L'Ornitorinco); “Il tempo della cura. Malati, medici, medicine, NodoLibri); “Elogio della Materia” -- Per una storia ideologica della medicina, Edra edizioni); “L'Infinito di Leopardi. Un impossibile congedo” (Sedizioni,. Memorie dal lago e ricordi dal confine. Como, il lago, la montagna, NodoLibri,  Salute e medicina a Milano. Sette secoli all'avanguardia, L'Ornitorinco); “La medicina dei papi, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza); “Medici e medicina durante il fascismo” (Pantarei); “Il viaggio di un ragazzo attraverso il fascismo, Pantarei); Historia cordis, Ass. Beretta,. Curatele Dizionario di storia della salute, G. Cosmacini, Giuseppe Gaudenzi, Roberto Satolli, Collana Saggi, Torino, Einaudi.  “mutua gratia” - Practicis nostris, Muri LAPIDES, sine inscriptione, apud nus, gadinca, vel Hnoc. Non liquet, “don mutual” – mutual gift -- Chartain Chartul. Hygenum de Limitibus constituendis. inquit Somnerus. (Mutinæ carnes, in Con thesaur. S. Germ. Prat. fol. 12. rº.: Dicta. mutuum, Exactio nomine mului, Charta suet. MSS. Eccl. Colon. e Bibl. Eccl. Atre- Ysabellis exhibuit dicto thesaurario quasdam Rogerii 1. Reg. Sicil. ann. apud Mu bat, eædem quæ vervecinæ. Vide Multo, litteras mutuæ gratiæ dudum confectas inter ralor. tom. 6. col. Nulla angaria, par I mutio, id est, Patuus. Vocabul. dictam Ysabellam et prædictum defunctum angaria, echioma, gabella,Muruum, extorsio utriusque Juris. dum vivebat, et constante legitimo matrimo- jaciatur, imponatur. Chron. Parmense ad mutis, Truncus, stirps. Pactum inter nio inter ipsos. aapud eumdem Humb. dalph. et episc. Gratianopol. ann. “mutuare”, Mutuum, seu exactionem ec impositum fuit per commune Parma in Reg:. Chartoph. reg.: nomine mutui impositam solvere. Vide unum mutuum octo millium librarum impe recte tendendo ad pedem cujusdam margassii mutuum. rialium per episcopatum, et quinque millium seu claperii in quo margassio seu cleppe. Mutuatim, pro mutuo, in Vita Anti- per civitatem. Et mutuum clericis fuit im rio sunt duæ mutes arborum. dii Archiep. Bisonticensis cap. 5: Bene- positum duo millium librarum, etc. Chron. Åwwvíz, in Gloss. Græc. Lat. dictionis ergo dono mutuatim dato, etc. Mutin.: Tria Mu [Mirac. S. Bernhardi Episc. tom. 5. Julii (mutuatio, pro mutatio, in Consuet. tua extorsit.] Historia Cortusiorum lib. 3. p.112, Eoque quippiam petere volente, MSS. Auscior. art. 3: Fiat autem mutua cap. 14, Teutonici cruciabant Paduanos verbis in ore reclusis, subito mulus effectus tio consulum annuatim in festo S. Joan. *mutuis* el daciis. Infra: *mutual* imposuit et est; qui a plerisque tentatus, an videlicet Baptistæ. datias. Lib. 7. cap. 1: V'exabantur Muluis astu Muritatem simularet, et tandem certa ex Ital. Mutola, Muta. Oc- et daliis. Albertinus Mussalus lib. 12. de loquendi impotentia comprobatur. Occurrit currit in Vita B. Justinæ de Aretio n. 9. Reb. gest. Italic. pag. 86: Communes da præterea toin. 2.Sanctorum Apr.], Idem quod Expeditatus, riæ, exactionesque et Mutua publica el priMuronagium. Vide in Charta Forestæ cap. 9. forte pro múti- vata etc. Charta R. Abbatis Monasterii Ka Mullo. latus. Locum vide in Mastinus. roffensis in Pictonib. ann. 1308. ex (Ovis, Massiliensibus Mous, Nudus, glaber. Regesto Philippi Pulcri Regis Franc. Tabu tonfede. Charta ann. 1390: Quilibet Mu- Gloss. Lat. Græc. MSS. Sangerman. larii Regii n. 11: Non recipiemus ibi Mu tofeda solvat xvi. denarios. * Castigat. in utrumque Glossar. forte tuum, nisi gratis mutuare voluerint habitan Lugdunensibus, Feye. Vide supra Menlulosus, ead'ns, ex Vulc. tes. Ita in Liberlatib. Novæ Bastidæ in Oc Lex Ripuar. lit. 6o. S 4: Si citania ann. in alio Regesto ejusdem xudovicv, Malum colo- autem ibidem infra terminationem aliqua in- Regis ann. n. 16. Vide Credentia, neum. Supplem. Antiquarii et Gloss. MSS. dicia sua arte, vel butinæ,aut Lat. Græc. Sangerm. Aliud itidem Gloss.: extiterint, ad sacramentum non admittatur, mutuum coactum* exactio, quæ a Mutonium, Tepábeuo, Additio. etc. Ubi mutuli, videntur esse aggeres ter- dominis in urgentibus negotiis suis ac ne 1., quos Motes nostri vocant: aut forte cessitatibus fiebat super subditos, vassallos, equilatus, quod sic describit Jovius Hist. lapides ii quosMuros vocant Agrimensores,ac tenentes cum restitutionis conditione ac lib. 14: Mutpharachæ admirabili virtute i. sine inscriptione, vice terminorum po- pollicitatione: a qua quidem exactione præstantes, toto orbe conquisiti, ea condi- siti. Vide Bonna 2. exempta pleraque oppida, quibus concessæ tione militant, ut quos velint Deos, impune KF Errat Cangius, si fides Eccardo, libertates, leguntur. Charla libertatum colant, præsentique tantum Imperatori ope- in Notis ad Legem citatam, quam ad cal- Aquarum Mortuarum ann. 1246: Omnes ram navent. Hæc post Carolum de Aquino cem Legis Salicæ edidit. Mútuli enim sunt habitatores loci illius sint liberi et immunes in Lex. milit. machinaliones clandestinæ, vel seditiones ab omnibus questis, talliis, et toltis, et clam excitatæ, a veteri German.Meulen, tuo coucto, et omni ademptu coacto. Con capitis tegumentum, quod monachi cap. | clandestine agere, unde Meutmacher, Fla- suetudines Monspelienses MSS.: paronem vocabant. Gall. Christ. tom. 4. bellum seditionis, Gall. Mutin. Hæc vir Toltam nec quistam, vel Mutuum coactum, col uti. Mutrellis 782: Statuimus in dormitorio, quod liceat fratribus eruditus; quæ tameninmeam fidem reci. vel aliquam exactionem coactam non habet;. Vide Mitræ. necunquam habuit dominus Montispessulani I Vide Morth. I Gall. Mouton. in hominibus Montispessulani. Eædem ver *, ut supra Muramen. Charta ann.  exArchivis Massil.: naculæ, totas inquistas, ni prest forsat, o Terrear.villæ de Busseul ex Cod. reg. Item super co quod petebantdicti parerii alcuna action destrecha, etc. Libertates fol. 47. vº.: Item unum Pariziensem Mut -I quartam partem Murunorum, astorium et concessæ oppidis Castelli Amorosi et Va CANGII CLOSS. – T. IV. 2. Feda 2. pere nolim. etc. lentiæ, in diæcesiAginnepsi, ab Edwardo I Eodem significatu, De S. 6: L. FURPANIO L. Lib. PuILOSTORGO Mr. I. Rege Angliæ ex Regesto Constabulariæ Juvenate Episc. tom. 1. Maii pag. 399: ROBRECHARIO VIX ann. LIJTI. Purpuria L. Burdegalensis fol. 55. 140: Nec recipiemus Episcopus Narniensis ex suo palatio, ialari L. OLYMPUSA PECIT.  in ibi Muruum, nisi gratis nobis mutuare velint reste indutus, racheto et Muzzeta. Vide Inscript. Vide Martin Lex. in habitantes. Eadem habent libertales Rio. Mozzetta. hac voce. magi in Arvernis. vocatur letri rudoris in. Fantasia, miratores. Pa Mutuum VIOLENTUM, in Charta liberta- quietudo terrena. Ita Apuleius de Muudo. pias. tum Jasseropis, apud Guicheponum in A Græco nimium púxw, Mugio, reboo. Vide Ma Histor. Bressensi pag. 106. Roga coacta, in I Piscis genus, qui alius zer. Charta Ludovici Comitis Blesensis et Cla- videtur ab eo quem Spelmannus piscem. in Statutis Mon romontens. ann. 1197. pro Creduliensi viridem vocat. Computus ann. 1425. apud tis Regal. fol. 318: Debeat solvere emptori villa: Omnes homines Credulio marentes Kennett. in Antiquit. Ambrosden. pag. gabellæ piscium, solidos quatuor pro quoli taliam mihi debentes, el eorum hæredes, a 575: Et in 111. copulis viridis piscis... Et bet rubo piscium, et intelligatur detracta talia, ablatione, impruntato et Roga coacta inxv. copulisde Myllewellminorissortisx: Myrta et cestis ac funibus. de cælero penitus quilos et immunes esse sol. vi. d. et in xx. Myllewell majoris sortis Eadem notione, usurpant Cat concedo. Exslat Statutum Philippi VI. Re- Xit, sol. (* Vide Mulsellus.] lius Aurelianus, Celsus, et Apicius. Vide gis Frane. 3. Febr. ann. 1343. quo vMoniales, ex Anglo -Sa- Murta. in posterum fieri ullum Mutuum coactum xop. myn'e'cen'e, vel minicene, hodie Graviter, com super subditos suos: quod scilicet paulo Anglis Minneken et minnekenlasse. Copeil. posite ambulare. Chron. Ditm. Mersburz. anie exegisse docet Diploma anni 1342. Ænbamiense in Anglia: l'episc. tom. 10. Collect. Histor. Frane. pag. 28. Junii, sed et Philippum Pulerum Re- Episcopi et abbates, monachi et Mynecenæ, 131: Henricus Dei gratia res inclytus à se. gem aliud ann. 1309. in 12. Regesto Char- canonici et nonne, natoribus duodecim vallatus, quorum ser tophyl. Reg. Ch. 15. et in 36. Regest. apud Ausonium in rasi barba,alii prolixa Mystace incedebant Ch. 48. lemmate Epigrammatis. Cantharus po- cum buculis, etc. Laudatum Philippi VI. Statutum torius Scaligero, qui a similitudine muris I Sacerdotum præposi frustra quæsitum in Regestis publicis testa- et barbæ, quæ in conum desinit, Myobar- tus; titulus honorarius Archiep. Toletani, tur D. de Lauriere tom. 2. Ordinat. Reg. bum voce ibrida dietum existimat. Turne- ex Hierolex. Macri. Franc. prg. 234. Undeexistimat D. Cangium bus vero Advers. lib. 3. cap. 19. putat ver- lapsum memoria art. 4. et 5. Statuti ejusd. | bum compositum mure et barbo, quod | , Mysteriorum per. Regis ann. 1345. 15. non3. Febr.spectasse, mensuram, liquidorum sescunciam penitus, vel princeps. Prudent. Peristeph. 2. quo vetat Philippus Rex in posterum a dentem sonat, ut sit tamquam muris cya- 349: Bene est, quod ipse ex omnibus My subditis suis exigi equos, currus, ele. nisi thus. Quidam le; emendat Lil. Gyraldus  Epist, *mutuum violatum* Exactio nomine xobarbaru, quod non placet. Vide Cupe. Zachariæ PP. ann.748. tom. 1. Rer. Mo *mutui*, quæ a subditis exigitur. Charta rum in Harpocrate pag. 78. gunt. pag. 255, Officium, sacra Li mutuum violatum, velmessionem bajuli vel turgia. Pelagius Episcop. Ovetensis in Fer servientum. [** Leg. Violentum ut, supra.) ctum... Si autem Myocepha aur ypopius fuerit,dinando Rege Hispan.: Tunc Alfonsus Rez mutuum ebraldum. Charta Henrici Co- post inunctionem ligabis oculos aut linteo in velociter Romam nuntios misi ad Papam mitis Portugalliæ tom. 3. Monarchiæ Lusi- aqua infuso frigida, aut spongia in ipsa Aldebrandum cognomento septimus Grego tanæ p.282, Non introducam *mutuum* aqua infusa. rius. Ideo hoc fecit, quia Romanum Vyste Ebraldum Colimbriam. 9piratici genus arium habere voluit in omni Regno. Infra: mutuum, stipendium datum in ante-, ut placet Tur Confirmarit itaque Romanum Mysterium in cessum. Lit. ann. 1408. tom. 9. Ordinat. nebo lib. 3. Adversar. cap. 1. nomen omne regnum Regis Adefonsi æra 1113. (Chr. reg. Franc.: Ordinamus adepti. Melius Scaliger, a forma qevūves, 1088. ) per senescallos, receptores, thesaurarios,... hoc est, angusta et oblonga, dictum ira- Missæ sacrifi tum nobilibus quam innobilibus, cum ex dit. cium. Acta S. Gratil. tom. 3. Aug. pag. parte nostra mandati fuerint ut ad guerras Hist. Franc. Sfortiæ ad ann. col. 2: Indutus est (Gratilianus) ve nostras accedant, *mutuum* fieri priusquam apud Murator. tom. 31. Script. Ital.col.stimentis a.  Wikipedia Ricerca Sinestesia (psicologia) fenomeno sensoriale/percettivo Lingua Segui Modifica Avvertenza Le informazioni riportate non sono consigli medici e potrebbero non essere accurate. I contenuti hanno solo fine illustrativo e non sostituiscono il parere medico: leggi le avvertenze. La sinestesia è un fenomeno sensoriale/percettivo, che indica una "contaminazione" dei sensi nella percezione.[1] Il fenomeno neurologico della sinestesia si realizza quando stimolazioni provenienti da una via sensoriale o cognitiva inducono a delle esperienze, automatiche e involontarie, in un secondo percorso sensoriale o cognitivo.[2]   Possibile visione dei mesi dell'anno da parte di una persona soggetta al fenomeno della Sinestesia Descrizione generale del fenomenoModifica Con il termine "sinestesia" si fa riferimento a quelle situazioni in cui una stimolazione uditiva, olfattiva, tattile o visiva è percepita come due eventi sensoriali distinti ma conviventi.[1]  Nella sua forma più blanda è presente in molti individui, spesso dovuta al fatto che i nostri sensi, pur essendo autonomi, non agiscono in maniera del tutto distaccata dagli altri.  Più indicativo di un'effettiva presenza di sinestesia è il caso in cui il percepire uno stimolo (come ad esempio il suono) provoca una reazione netta e propria di un altro senso (ad esempio la vista). Per "forma pura" si intende la sinestesia che si manifesta automaticamente come fenomeno percettivo e non cognitivo. Il fenomeno è involontario, ma una maggiore attenzione prestata dal soggetto può evocarlo con maggiore consapevolezza, al punto che il sinestesico puro, vedendo i suoni e sentendo i colori, può riuscire a trarre vantaggio da queste contaminazioni sensoriali; un compositore che sfruttava questa sua capacità fu Olivier Messiaen, così come il pittore Vasilij Vasil'evič Kandinskij, che affermava di poter sentire la voce dei colori, che per lui erano suoni, entità vive e lo spiega bene nel suo libro Lo spirituale nell’arte. Un altro sinestesico fu il pittore e musicista lituano, Mikalojus Konstantinas Čiurlionis. Il compositore russo Aleksandr Nikolaevič Skrjabin era particolarmente interessato agli effetti psicologici sul pubblico quando sperimentavano suoni e colori contemporaneamente. La sua teoria era che quando si percepiva il colore giusto con il suono corretto, si creava "un potente risonatore psicologico per l'ascoltatore". La sua opera sinestetica più famosa, che viene eseguita ancora oggi, è Prometeo: il poema del fuoco [1]. Ma la lista degli artisti sinestesici è molto lunga, infatti le ultime ricerche affermano che il fenomeno sinestesico interessi il 4% della popolazione e di questo 4% la maggior parte sono artisti. Un'altra caratteristica della sinestesia è poi che si presenta a volte nelle persone mancine, o in concomitanza con altre caratteristiche come l'allochiria (confusione della mano destra con la sinistra), scarso senso dell'orientamento, dislessia, deficit dell'attenzione e, raramente, autismo.  Spesso la contaminazione sensoriale avviene a direzione unica: ad esempio, se vedo una nota musicale come un colore, non è detto che vedendo quel colore la mia mente evochi quella nota. Questa è una delle caratteristiche della sinestesia percettiva, l'unidirezionalità. Secondo lo storico Angelo Paratico il mancino Leonardo Da Vinci era affetto da sinestesia.[3]  Esperienze di tipo sinestetico possono essere indotte in maniera artificiale, mediante l'uso di sostanze allucinogene, sostanze stupefacenti come l'LSD, esperienze di deprivazione sensoriale, meditazione, ed in alcuni tipi di malattie che colpiscono la corteccia cerebrale. Questo tipo di sinestesia è detta pseudosinestesia, in quanto è indotta o non presente dalla nascita. La sinestesia acquisita sembra riguardare solo le forme di sinestesia percettiva, e non sono stati documentati casi di sinestesia concettuale acquisita.  Le persone che hanno esperienze sinestesiche nella "forma pura" sono un numero relativamente ridotto. Studi recenti hanno mostrato una certa variabilità:  1 ogni 2000 1 ogni 200 Queste esperienze sono quotidiane ed iniziano sin dall'infanzia. Molti sinestesici si sorprendono scoprendo che questa esperienza non è provata da tutte le persone.  L'esperienza sinestetica è composta da due elementi:  L'evento induttore (inducer). L'evento concorrente (concurrent). Per esempio, può accadere che un sinestesico descriva il suono (inducer) del proprio bambino che piange come un colore giallo sgradevole (concurrent). La relazione tra un inducer e un concurrent è sistematica, nel senso che a ogni inducer corrisponde un preciso concurrent.  Grossenbacher & Lovelace, distinguono due tipi di sinestesia a seconda che l'inducer sia percettivoo concettuale.  Sinestesia percettiva: l'inducer è uno stimolo percettivo (per es. la vista di lettere produce anche la vista di colori "collegati"). Sinestesia concettuale: i concurrent sono prodotti dal pensare a un particolare concetto (per es: numero, mese dell'anno, posizione nello spazio). Si utilizza intensivamente la sinestesia anche nella terminologia utilizzata nella degustazione o nell'analisi sensoriale.    Basi genetiche della sinestesia Purtroppo con le competenze scientifiche attuali non è possibile identificare singoli loci genici che determinino con certezza questo fenomeno neurocognitivo. Il fenomeno è più probabilmente dovuto a un complesso meccanismo neurale e non a singole proteine codificate da parti di genoma. In ogni caso interessanti esperimenti di neuroimaging paiono confermare tale fenomeno. [6]  Sinestesia: grafema-coloreModificaRamachandran e i suoi collaboratori hanno notato che la forma più comune di sinestesia è quella grafema(lettera, numero) - colore e infatti i rispettivi centri cerebrali sono molto vicini tra loro. Tecniche di neuroimmagini (es. risonanza magnetica funzionale) hanno permesso di individuare il "centro del colore" (es. Zeki & Marini, 1998, Brain), l'area V4 nel giro fusiforme.  L'area dei grafemi è stata anch'essa individuata nel giro fusiforme, in particolare nell'emisfero sinistro vicino all'area V4. L'area si attiva sia in seguito alla presentazione di lettere sia in seguito alla presentazione di numeri.  L'ipotesi di Ramachandran è che ci sia una attivazione congiunta. La presentazione di un grafema fa attivare l'area dei grafemi, che fa attivare contemporaneamente anche l'area del colore, anche senza la presenza di uno stimolo. Questo è dovuto ad un eccesso di connessioni tra le due aree, non presente in tutte le persone.  Le connessioni che si hanno alla nascita sono un numero superiore di quello che si trovano in un cervello adulto. Quello che avviene nei primi mesi di vita è un processo definito pruning (potatura, sfoltimento) delle connessioni cerebrali. L'ipotesi di Ramachandran è che le connessioni tra area del colore e area dei grafemi, che normalmente subiscono un processo di pruning, rimangono invece intatte nei sinestesici. Probabilmente per una mutazione genetica che fa fallire il processo di pruning. Esisteranno delle regole che in seguito all'esperienza permetteranno di sviluppare connessioni particolari tra area dei grafemi e area del colore. Questo spiegherebbe perché ad un grafema viene sempre associato un certo colore.  Ramachandran ipotizza che l'attivazione del giro fusiforme non implichi un arrivo alla coscienza delle informazioni. Perché sia possibile essere consapevoli dell'informazione percepita si dovranno attivare altre aree superiori. Tuttavia, Grossenbacher sostiene che la sinestesia non sia dovuta alla presenza di un numero maggiore di connessioni neurali (le quali non sarebbero presenti nei non sinestesici); infatti, secondo lo studioso tale fenomeno percettivo è imputabile al fatto che, nel cervello dei sinestesici, alcune connessioni neurali risultano ancora attive, mentre non vengono più "utilizzate" in chi non sperimenta tale modo di percepire. Questo spiegherebbe il motivo per cui chi assume droghe psicoattive sia in grado di esperire una condizione di "pseudo-sinestesia", circoscritta esclusivamente al limite temporale in cui tali sostanze dispieghino il loro effetto, per poi tornare a non percepire sinestesicamente una volta terminato quest'ultimo. Secondo Grossenbacher è molto improbabile, infatti, che si siano create nuove connessioni neurali durante l'assunzione di tali droghe; piuttosto, risulta più probabile che vengano percorse "strade" neurali solitamente "disattive".  Influenza dell'attenzione sulla percezioneModifica Esperimento di Ramachandran e Hubbard: caso della figura gerarchica (un 5 composto da tanti 3), se ai soggetti veniva chiesto di fare attenzione a livello globale vedevano il colore rosso, se invece dovevano dirigere la loro attenzione a livello locale (3) vedevano verde.  Questo esperimento porta a concludere che l'attenzione influenza il manifestarsi del fenomeno sinestesico.  Sinestesici projector  Nel caso di grafema-colore, il colore è visto come una pellicola che ricopre il numero completamente. Un sinestesico testato da Dixon, riferiva di provare un'esperienza irritante se il numero era di un colore incongruente con quello del fotismo (l'effetto della sua sinestesia). Se per esempio il numero 5 gli evocava il colore rosso, ma in realtà era scritto con il giallo.  Sinestesici associatorModifica Sempre nel caso di grafema-colore, il colore appare nella mente, e non sopra il numero. In genere, i sinestesici associator riferiscono che l'esperienza di vedere un numero con un colore non congruente con quello del fotismo, non è un'esperienza per nulla disturbante. La percezione del colore "reale" del numero è un'esperienza molto più intensa del fotismo, per un sinestesico associator.  I sinestesici projector sembrano una minoranza rispetto ai sinestesici associator (11 su 100, tra quelli intervistati da Dixon e collaboratori).  Tra i maggiori studiosi della sinestesia percettiva, Richard Cytowic, Ramachandran, E. Hubbard, Sean Day, Bulat Galeyev, Irina Vaneckina.  Rapporto con i canali del calcioModifica Studiando nel moscerino della frutta un gene coinvolto nell'elaborazione del dolore, alcuni ricercatori hanno creato il primo modello della sinestesia. Con la tecnica dell'interferenza a RNA hanno isolato 600 geni quali candidati a interessare possibili geni del dolore. Il primo ad essere analizzato più in dettaglio è stato quello che codifichi parte di un canale del calcio noto come α2δ3. Questi canali che regolano il passaggio di Ca2+ attraverso la membrana cellulare sono fondamentali per l'eccitabilità elettrica dei neuroni. Con questi canali interferiscono diversi antidolorifici.  Nei topi carenti di α2δ3 si è dimostrato che questo gene controlli la sensibilità al dolore provocato dal calore sia nella Drosophila sia nei mammiferi. Indagini condotte con la MRI hanno anche rivelato che α2δ3 partecipi all'elaborazione del dolore termico a livello cerebrale. In assenza di α2δ3 il segnale del dolore a genesi termica arriva al talamo, ma poi non prosegue verso i suoi centri corticali superiori. Le immagini di fMRI mostrano piuttosto un'attivazione crociata delle aree corticali per la visione, l'olfatto e l'udito. Questa sinestesia si osserva anche quando lo stimolo doloroso sia di natura tattile. Emozioni colorate | Le Scienze, su lescienze.espresso.repubblica.it. ^ Harrison, John E.; Simon Baron-Cohen (1996). Synaesthesia: classic and contemporary readings. Oxford: Blackwell Vinci. A Chinese Scholar Lost in Renaissance Italy, Lascar Publishing, lascarpublishing.com/Leonardo in Internet Archive. ^ Baron- Cohen, Ramachandran & Hubbard, Neurocognitive mechanism of synesthesia" Edward M. Hubbard1 and V.S. Ramachandran, Neurocognitive mechanism of synesthesia, su cell.com, November 3, 2005. URL consultato il libero. ^ percezione e idee, la sinestesia | PsycHomer, su psychomer. Le Scienze: Non provo dolore, ma ne sento l'odore e ascolto le note BibliografiaModifica Córdoba M.J. de, Hubbard E.M., Riccò D., Day S.A., III Congreso Internacional de Sinestesia, Ciencia y Arte, Parque de las Ciencias de Granada, Ediciones Fundación Internacional Artecittà, Edición Digital interactiva, Imprenta del Carmen. Granada. Córdoba M.J. de, Riccò D. (et al.), Sinestesia. Los fundamentos teóricos, artísticos y científicos, Ediciones Fundación Internacional Artecittà, Granada. Cytowic, R.E., Synesthesia: A Union of The Senses, second edition, MIT Press, Cambridge, Cytowic, R.E., The Man Who Tasted Shapes, Cambridge, MIT Press, Massachusetts, Marks L.E., The Unity of the Senses. Interrelations among the modalities, Academic Press, New York Riccò, Sinestesie per il design. Le interazioni sensoriali nell'epoca dei multimedia, Etas, Milano, Riccò D., Sentire il design. Sinestesie nel progetto di comunicazione, Carocci, Roma, 2Tornitore T., Storia delle sinestesie. Le origini dell'audizione colorata, Genova, 1986. Tornitore T., Scambi di sensi. Preistoria delle sinestesie, Centro Scientifico Torinese, Torino, Voci correlate Takete e Maluma Sinestesia tattile-speculare. «sinestesia» Udire i colori, gustare le forme, su lescienze.espresso.repubblica.it, Le Scienze. TED Talk: "I listen to color" Portale Psicologia: accedi alle voci di che trattano di psicologia Qualia aspetti qualitativi delle esperienze coscienti  Locus ceruleus Sinestesia tattile-speculare raro fenomeno sensoriale/percettivo  Wikipedia Il contenutoGrice: “The grammar of ‘mutuality’ can be extraordinarily complicated. But I’m sure Schiffer’s ‘A and B mutually know that p’ doesn’t make sense as an analysandum.” Grice: “You can trade (L mutate both ways) or exchange *information* -- The grammar is: A and B are in love – implicated: ‘mutual’ --  A and B are friends – implicated: mutual. Dickens, who never attended Oxford, would never catch the subtlety of his biggest solecism, “Our mutual friend”! – Grice: “But I’m surprised from Schiffer, who did attend the varsity!” -- Giorgio Cosmacini. Cosmacini. Keywords: compassione, salute, mens sana in corpore sano, storia della medicina, Foucault, l’anello di Asclepio, la medicina nella Roma antica, giacobinismo, fascismo, giacobinismo in Italia, medici fascisti, medicina fascista, la medicina non e una scienza, tanatologia, bio-chemica, la chemical della vita, bio-chemistry –Grice on life, the philosophy of life, cooperation and compassion. Imperativo conversazionale, compassione conversazionale, imperative della mutualita conversazionale – mutualita conversazionale – imperative of conversational mutuality, mutuality, mutual, the depth grammar of mutuality – Grice against Schiffer – Grice scared by ‘mutual knowledge’ – and using it in scare quotes (“Such monsters as Schiffer’s ‘mutual knowledge’ have been proposed to replace my regress when there’s nothing wrong with stopping it elsewise!” Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cosmacini” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Cosmi:  all’isola-- la ragione conversazionale el’implicatura conversazionale dei discorsi: corsi e ricorsi -- metodo dei principi generali del discorso – scuola di Casteltermini – filosofia girgentina – filosofia siciliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Casteltermini). Filosofo girgentino. Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Casteltermini, Gigenti, Sicilia. Grice: “I love Cosmi – for one he uses the very exact phrase I do, ‘the general principles of discourse,’ and he also finds them to have a rational (‘razionale’) basis – they involve those desiderata for helpful communication, a co-operative principle – concerning most constraints I refer to: the necessity to avoid superfluity (supperfluita) and to maximize clarity (chiarezza) – so that’s genial!” – Grice: “Cosmi actually has two treatise, a more theoretical one, “General principles of discourse,” and an applied tract, “Metodo’ – of the “general principles of discourse’ – he had already elaborated on all the figures of rhetoric, so he knew what he was talking about and where he was leading --.” Grice: “The fact that he like me also loved Locke – and perhaps was more of a ‘sensista’ than I am, makes him great, too!” Fu un'imponente filosofo, no italiano, ma siciliano (Grice: “Sicily is not considered part of the ‘peninsola italiana’). Formatosi nel Seminario dei Chierici di Agrigento, ricopre la carica di rettore a Catania. Riceve dal re Ferdinando l'incarico di redigere il piano regolatore della filosofia siciliana. Da un rilevante contributo all'innovazione del illuministimo. Fu un grande filosofo, il primo e il più geniale del regno meridionale e uno dei primi e più geniali del Settecento italiano. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.   Principi generali del discorso, e della ortografia italiana ad uso delle regie scuole normali di Sicilia by C., edition published in Italian and held by 2 WorldCat member libraries worldwide. E primo forne il D2 Cosmi. Questo e un aureo libretto dei "Principi generali del discorso" – i. e. un principio comune a ogni discorso. Questo affinchè il filosofo a una nozione direttrice, non superflue. In questo trattato invano cercheresti quella immensa farragine di precetti disordinati, e quelle infinite minuterie non necessarie, con cui si sostitoleva confondere e stancare la prattica conversazionale del giovanetto. Si spone un solo principio generale e fondamentale, sintetizzato nell'antico ma verissimo motto: precetto uno. Il resto e uso. Questa mia preziosa filosofia è un sapientissimo essamine pel filosofo che vuole adoperare il "metodo conversazionale." Quivi si ricorda dapprimà quanto in occasione di filosofare sulla maniera di dare la prima istruzione conversazionale al ragazzo, in caso la necessita. Si ricorda come puo potè attuare la mia prammatica conversazionale, mettendo in esecuzione un maniobra chiara, spedita, uniforme per ogni topico conversazionale adattata alla maniera del civil conversare --  è cosa necessaria il sapere la semantica e le implicature conversazionale del volgare linguaggio. Il pirincipio della conversazionale e un principio di chiarezza (perspicuita) -- e un principio di aggiustatezza (approprio_ -- e un principio di mezzana eleganza (stilo estetico), e un principio senza oscurità, e un principio con univoci e senza cattive equivoci (un buon aequi-voce e accettable)– sensa non sunt multiplicanda praeter necessitatem --, e un principio senza superfluità (economia dello sforzo conversazionale, fortitudine conversazionale, candore conversazionale -- e un principio senza barbarismi -- imperciochè la perfezione e efficenza del volgare linguaggio guidato dalla semantica formale e il segno del reale. E vuole che al giovane si da un principio generale e fondamentale -- e un principio generale della conversazione, esposto con metodo ragionabile e calculable e con chiarezza. Un solo principio o imperativo categorico, un principio di efficenza communicative -- un principio soggetto il meno che si può all'eccezione o la violazione involuntaria si non a la splotazione retorica -- e un principio stesso ben capito e ben esercitato, chi forma il  corpo di ogni parte della filosofia. Ebbe un giorno a scrivere di CICERONE, che questo ingegno eminente prende a gradi la sua maturità e si perfezionava coll’uso, colla riflessione e col maneggio dei grandi affair. Or quello che osservo su Cicerone, intervenne proprio me medesimo, i cui Elementi di filologia, non prometto continuazione; ma osservazioni su l'uso dei Principj del Discorso, e qualche riflessione su i primi pensieri, da cui era partito nell'immaginar il mio metodo, gli somministrarono la materia di un secondo, e anche di un terzo volume di preziose nozioni di metodica prammatica.  Il secondo volume  e come il primo, è diviso in due parti.  La prima parte ha per titolo, “PRINCIPJ GENERALI DEL DISCORSO applicati alla lingua volgare”, per la quale avverto che, sebbene nelle parti già pubblicate dei “Principj generalie del discorso” siesi detto ciò che basta per l'istruzione della prima età; la sperienza mi ha fatto conoscere, che, volendosi col metodo intrapreso tirare innanzi il cammino, per la piena intelligenza,  1 C., Elem. di filol. ecc.,  Elem. di filol, ital. e latina, tomo II, Palermo; pag. III   ed imitazione dei classici principalmente italiani, era necessario ad entrare in qualche più esteso rischiarimento, *non per multiplicare l’imperativo conversazionale, ma per agevolarne l'uso, senza di cui inutili sempre la massima conversazionale universalisable si rimarranno. Dietro di che, in cinque paragrafi, filosofo, con la solita competenza, “Del Pronome in generale”, “Del Pro-nome ed dell’Articolo”; “Del pronomi e del verbo che ne dipendono; Della Preposizione, detta “segnacasi”, e “Della Costruzione irregolare”. I quali cinque paragrafi, con la giunta delle prime due parti dei PRINCIPJ GENERALI DEL DISCORSO  -- PRINCIPIO GENERALE DEL DISCORSO -- già stampati a riprese. Egli fece riunire in separato volumetto per uso degli scolari 3  Io non mi stancherei, dirò col  Blasi, di riportare varie altre sentenze, che oggi pajono roba fresca, e pure da presso a un secolo il nostro l'aveva annunziato con tanta chiarezza da farla scorgere anco ai ciechi; ed è per tanto che riferisco qualche altro criterio, che dovrebbe aver nell'animo e nella coscienza ognuno, che si dà all'educazione specialmente elementare:  Invece di sorprendere, cosi il C., l'età fanciullesca coll' apparenza dottrinale di parole incognite, ingegnerassi il maestro a far vedere, che ciò che s'insegna di nuovo, è presso a poco quanto sapeva il fanciullo o quanto avrebbe potuto agevolmente sapere con un poco di riflessione 5.  Anzi che ad un giuoco di memoria desiderava che lo studio fosse diretto allo sviluppo dell'intendimento; inculcava lo studio dell' aritmetica fatto a norma delle regole predette, e indi tornava a ribadire che:  Per mantenere sempre desta l'attività nella mente degli allievi, è di somma importanza il non sgomentarli giammai coll'apparenza di gravi difficoltà nelle operazioni che loro si propongono; anzi colla frequenza degli esempi il far loro osservare, che avrebbero da se sciolto le domande, se avessero fatto riflessione alle cose sa pute 6.  E poi seguiva cosi:  Che se alle volte occorrerà di dovere insegnare delle cose difficili, allora il maestro procurerà di scemare la difficoltà colla curiosità della ricerca, perchè il piacere della scoverta l'incoraggisca al tedio dell'operazione. Ma qualora la curiosità non è infiammata, il fanciullo non sente altro che la fatica, e la fatica sola da se ributta 7.  Poi chiedeva a se stesso:  É necessario il rappresentare al naturale lo stato presente della educazione ncstra letteraria? Lo farò con coraggio. Si è caricata la nostra memoria; perciò è rimasto senza energia e senza originalità l'intelletto. La nostra filosofia, in vece   C., Metodo dei principj generali del Discorso, Palermo, Metodo cit., BLABI, Note storiche di G. A. De C.; Palermo, Cosmi, Metodo ecc., d'essere l'arte di pensare, è stata l'arte di parlare di ciò che non s'intende; la nostra rettɔrica, l'arte di csaggerare con parole, e di parlare a controsen 30. Gran servigio, gran servigio, ridico, si presta al pubblico da chi indirizza per la strada regia del sipere la presente gioventù, da chi coltiva la loro ragione e il loro cuore.  Era tempo oramai di aprirsi a tutti la strada alla coltura delle scienze e delle arti; di venire nella comune estimazione le cognizioni realmente utili all'umanità, di siudiarsi la Natura nei suoi varj regni e nel suo vero prospetto. Era già il tempo ce la pubblica e la privata utilità fossero rico 103ciute ch.n: la misar di calcolare l'importanza delle cognizioni; che la Religione s'impari nella sua storia, nei suoi Dogmi, nella sua Morale, mi senza il pru:ito della costroversia; che nelle lingue doite si cerchi il gusto, ma senza pedanteria; che le matematiche, e l'analisi ci servano di guida nelle cognizioni astratte; che nelle scienze naturali si cerchino i mezzi per accrescere, o conservare la sanità dei nostri corpi, o per influire ne la ricchezza nazionale, coltivando e migliorando i prodotti dell'arte e della natura; e che finalmente la volgare e popolare lingua, vero termometro della coltura nazionale, si perfezioni; che non pud perfezionarsi, senza che si eserciti la ragione nello stesso tempo '.  [ocr errors] IV.  A questa stupenda Direzione pei maestri, il De Cosmi unì la prima parte dei Principj Generali del Discor30, che già aveva stampato a solo sin. dal 1790; cui fece seguire ora dalla parte secondo, che delle proposizioni, dei verbi, dei pronomi, delle congiunzioni s'intertiene, chiudendola con alcune regole primarie ad illustrazione delle altre, messe in fine della prima parte; e terminando l'aureo librettino con un capitolo sulla Scelta dei libri necessari allo studio della lingua italiana; dove vuole che siano preferiti i libri del Trecento; additando per libro di prima lettura il Fiore di virtù o il Volgarizzamento dei Gradi di S. Girolamo, 'od anche gli Ammaestra. minti degli antichi di frate Bartolomeo da San Concordio; e per la seconda classe, il Trattato del Governo della famiglia di Agnolo Pandolfini 5.  A sintesi di tutto il libretto il De Cosmi conchiude così:  Ciò che i maestri debbono inculcar continuamente alle tenere orecchie degli scolari sarà la necessità delle regole e dell'uso; perchè l'uso e le regole sono i veri arbitri di ogni lingua. Nulla contro le regole, nissuna parola fuori dell'uso",  Questo pregevole volumetto incontrò l'applauso di tutti i letterati; e un di essi, che si volle occultare sotto le iniziali 0. G. R. P., ne fece una bellissima ed estesa rivista nelle Notizie Letterarie di Cesena-agosto 1792 “.   1 G. A. De Cosmi, Op. cit., p. 17-18. . Vedi sopra pag. 166.  • C., , Metodo ecc., p. 56-57."  • Lo stesso, Op. cit., p. 60-61.  * Pag. 55 e seg.   L'articolo dell' O. G. R. P. venne riprodotto da Angelo nelle Memorie per servire alla Storia letteraria di Sicilia; Ms. della Biblioteca Comunale C.. Discorso concetto filosofico Lingua Segui Modifica Ulteriori informazioni Questa voce sull'argomento linguistica è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. Un discorso è una modalità di comunicazionelinguistica mediante cui si parla o scrive. La definizione del termine varia a seconda dei campi di applicazione (antropologia, etnografia, cultura, letteratura, filosofia, ecc.).  In semantica e analisi del discorso è una generalizzazione del concetto di comunicazione all'interno di tutti i contesti. Nel campo dei codici è la totalità del linguaggio utilizzato (vocabolario) in un determinato settore di pratica sociale o ricerca intellettuale (es: discorso giuridico, discorso religioso, discorso medico, ecc.). Michel Foucault ha definito il discorso come "un ensemble de séquences de signes" (un insieme di sequenze di segni).[1] Per quanto riguarda il campo delle scienze sociali e delle scienze umanistiche, il termine ha rilevanza riguardo a un pensiero che si può esprimere mediante il linguaggio.  Il discorso si differenzia dall'enunciato e dalla dichiarazione. Il discorso, infatti, può rappresentare la manifestazione di un pensiero individuale relativamente o meno a un determinato argomento; la dichiarazione invece consiste in un atto ufficiale di solito è preparato e coinvolto in documentazioni.   Con il termine discorso si identifica anche l'esposizione pronunciata in pubblico relativamente a un argomento o materia (discorso inaugurale, discorso commemorativo, ecc.).  Foucault, L'archéologie du savoir, Parigi, Gallimard, 1969, p. 141. Voci correlateModifica Parti del discorso Parresia Discorso diretto Discorso indiretto Frase Autore Dialettica Retorica Monologo Dialogo  «discorso» Portale Antropologia   Portale Filosofia   Portale Linguistica   Portale Sociologia Pregiudizio Strutturalismo (filosofia) movimento filosofico  Le parole e le cose Libro di Michel Foucault. Grice: “I call it ‘principle’ not ‘principles’ – or at least I did in my first William James lecture: ‘some general principle of discourse’ – I later found out that Aristotle is right: ‘arkhe’ is best used in the singular!.Grice: “So MY principle is ‘be cooperative’ – principle of conversational helpfulness --.  Maxims are not as important as ‘principle’ is – as Kant would agree!” Cosmi. Giovanni Agostino De Cosmi. Giovanni Cosmi. R Cosmi. Keywords: metodo dei principi generali del discorso, discorso, discursus, principle versus principle – principio, principii  -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cosmi” – The Swimming-Pool Library. Cosmi.

 

Grice e Cosottini:  la ragione conversazionale el’implicatura conversazionale di MELOPEA – scuola di Figline Valdarno – filosofia fiorentina – filosofia toscana -- filosofia italiana –Luigi Speranza (Figline Valdarno). Filosofo fiorentino. Filosofo toscano. Filosofo italiano. Figline Valdarno, Firenze, Toscana. Grice: “Cosotini considers ‘Home, sweet home,’ in terms of linearity – surely Miss X can ‘improve’ on the score! Especially if she did visit Payne’s little cottage by the sea – in Easthampton, and shed a tear!”. Si laurea a Firenze con “Fenomenologia”. Fonda GRIM, Gruppo per la Reserccia dell’Improvisazione Musicale. GRICE Gruppo por la research dell’Improvisazione conversazione espressiva. Insegna Improvvisazione Musicale. Le Fanfole, canzoni composte su testi del poemetto meta-semantico di Fosco Maraini Gnosi delle Fanfole. Linearità e Nonlinearita in semiotica – sintagma lineare, sintagma soprasegmentale – the volume of a sound – a ‘natural’ expression of pain – the higher the volume, the higher the pine --. Grice on stress, intonation and implicature. I KNOW it. I KNOW it (you don’t have to tell me). SMITH paid the bill. Due conversazionaliste si muovono pacatamente per le loro vie, variando direzioni e anche versi, ascoltandosi sempre, ma con dialoghi liberi e mai serrati. “La musica dei matti” creazione dialogica di suoni del tutto libera e interamente legata all'istante, tale da produrre mozzione conversazionale dallo sviluppo verticale. Improvvisare la verità. Il concetto di ‘improvvisare’ improvissato – cf. English ‘improved’. Improvisation – improvised. Musica e Filosofia. Realizza la partitura grafica Dettagliper tre esecutori, che consiste di una mappa e ottantuno carte con segni grafici codificati (la mappa e le carte sono i “veicoli” e il modo in cui si legge la grafia genera molteplici possibilità di implicature. “wordless novel”. I suoi studi si concentrano sulla filosofia della musica e sull’improvvisazione musicale, scrivendo numerosi saggi per riviste specializzate come Musica Domani, Perspectives of New Music, Aisthesis, Musicheria e la rivista online De Musica.  Inoltre pubblica un saggio sul silenzio e sulle sue potenzialità performative. Metodologia dell'Improvvisazione Musicale. Tra Linearità e Nonlinearità, un libro di metodologia dell’improvvisazione musicale nel quale Cosottini teorizza la dicotomia tra Linearità e Nonlineairtà come strumento per l’analisi dell’improvvisazione musicale.  Non-linearita EDT, il silenzio in contesto non lineare, Filosofia della Musica. Non-linearità.  Metodi non lineari. EDT Non linearità. EDT Ascolto creativo e scrittura creativa di un’improvvisazione musicale. Metodologia dell’improvvisazione musicale. Tra Linearità e Nonlinearità Edizioni ETS, L’estetica dell’improvvisazione tra suono e silenzio in Musica Domani, improvisation-research-center--musica-e-filosofia. Do You Need A Sign.  Wikipedia Ricerca Palazzo Bardi edificio a Firenze Lingua Segui Modifica Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi Palazzo Bardi (disambigua). Palazzo Bardi Palazzo busini-bardi 11.JPG Esterno del Palazzo Bardi Localizzazione StatoItalia Italia RegioneToscana LocalitàFirenze Indirizzovia de' Benci 5 Coordinate 43°46′02.99″N 11°15′32.75″E Informazioni generali CondizioniIn uso CostruzioneXV secolo Realizzazione Committentebanchieri Busini Il palazzo Bardi o Busini-Bardi-Serzelli si trova in via de' Benci 5 a Firenze.   Palazzo Bardi, il cortile attribuito a Brunelleschi StoriaModifica Fu costruito su preesistenze negli anni Trenta del XV secolo per conto della famiglia di banchieri Busini, su disegno forse di Filippo Brunelleschi: è quindi evidente la sua grande importanza nel testimoniare, circa quindici anni prima della costruzione di palazzo Medicidi via Larga ad opera di Michelozzo, il definirsi della tipologia del palazzo rinascimentale, con cortile centrale, in un momento di significativa crescita urbana promossa dai ceti dirigenti del tempo.  Giovanni de' Bardi (della linea di Gualtiero, non di quella di Piero, esiliata nel 1343) acquistò il palazzo nel 1482: la famiglia già nel secolo precedente aveva significative proprietà di là dal ponte. Agnolo de' Bardi, nipote di Giovanni, fece fare dei lavori di ammodernamenti al palazzo, forse con il concorso di Giuliano da Maiano, ma non ne venne modificato l'assetto generale. Furono chiuse le grandi aperture sul fronte che davano accesso a vari locali adibiti a botteghe (una successione di fornici è ancora apprezzabile su via Malenchini e due permangono su via de' Vagellai). Da sottolineare come i lavori, pur giungendo ad esiti formalmente diversi, si sviluppassero in parallelo con quelli dell'antistante palazzo Corsi, ugualmente volti a convertire la più antica struttura medievale in un palazzo adeguato alla nuova concezione rinascimentale.   Preesistenze sul lato sud in via Malenchini Verso la fine del XVI secolo, come ricorda una lapide sulla facciata, si riuniva in questo palazzo una comitivadi letterati, artisti e musicisti, conosciuta sotto il nome di Camerata fiorentina di casa Bardi, istituita dapprima allo scopo di risuscitare l'antico teatro greco e che più tardi si occupò del melodramma teatrale, tanto che qui si eseguì per la prima volta il canto dantesco del conte Ugolino, messo in musica da Vincenzo Galilei e si eseguirono le Nuove Musiche di Giulio Caccini. Più tardi la Camerata divenne Accademia, trasferendosi nell'odierno palazzo Corsi-Tornabuoni in via Tornabuoni.  Il palazzo fu abitato dai Bardi fino all'estinzione del ramo familiare a inizio dell'Ottocento, per poi passare ai Bardi Serzelli, che l'hanno abitato fino al 1954, anno della morte del conte Alberto. Successivamente affittato alla Provincia di Firenze, è stato da questa scelto negli anni settanta per ospitare il III Liceo Scientifico statale. Nel 1983 ha subito il rifacimento degli intonaci sul fronte di via Malenchini. A partire dal 1990 circa, oramai liberato dalla presenza della scuola e acquistato da una società immobiliare, è stato interessato da un complesso cantiere finalizzato al recupero della fabbrica e alla suddivisione in appartamenti dei grandi ambienti interni, conclusosi nel 2007.  Il palazzo appare nell'elenco redatto nel 1901 dalla Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti, quale edificio monumentale da considerare patrimonio artistico nazionale, ed è sottoposto a vincolo architettonico. Descrizione  Esterno La semplice facciata, sviluppata sui canonici tre piani e graffita con una finta muratura a conci rinnovata nel 1885 (al tempo della proprietà di Ferdinando Bardi, comunque da considerare sostanzialmente fedele alle preesistenze), quindi restaurata e integrata nell'ambito del recente intervento, presenta ai lati due scudi con le armi, oramai consunte ma ancora ben leggibili, della famiglia Busini (d'azzurro, a tre fasce increspate d'oro, e alla banda attraversante di rosso, caricata di tre rosed'argento). Da segnalare sul fronte anche la lapide che ricorda come, in questo palazzo, Giovanni Bardi conte di Vernio avesse riunito a Camerata fiorentina di casa Bardi, in seno alla quale nacque il melodramma.  IN QUESTA CASA DEI BARDI VISSE GIOVANNI CONTE DI VERNIO CHE AL VALOR MILITARE MOSTRATO NEGLI ASSEDI DI SIENA E DI MALTA CONGIUNSE LO STUDIO DELLE SCIENZE E L'AMOR DELLE LETTERE COLTIVÒ LA POESIA E LA MUSICA E ACCOLSE E FU L'ANIMA DI QUELLA CELEBRE CAMERATA LA QUALE INTESA A RIPORTARE L'ARTE MUSICALE IMBARBARITA DALLE STRANEZZE FIAMMINGHE ALLA SUBLIMITÀ DELLA MELOPEA DI CUI SCRISSERO GLI STORICI DELL'ANTICA CIVILTÀ APRÌ LA VIA GIÀ CHIUSA DA SECOLI AL RECITATIVO CANTATO E ALLA MELODIA E CON LA RIFORMA DEL MELODRAMMA FU LA CUNA DELL'ARTE MODERNA. Palazzo busini-bardi, targa camerata dei bardi. JPG  Stemma Bardi sul cancello d'ingresso Di rilievo l'androne, chiuso sul fondo da una elegante cancellata (presumibilmente databile al Settecento) con sulla rosta l'arme dei Bardi (d'oro, alla banda di losanghe accollate di rosso) accostata da due aquile. Le fasce marcapiano aggettanti sono ornate da volute di fiori, primo esempio di "stile nuovo" fiorentino. Semplici finestre centinate si allineano su otto assi. all'esterno si trova murato anche un piccolo tabernacolo con un affresco scarsamente leggibile con la Madonna in gloria adorata da una monaca.  L'elemento più interessante è il bel cortile centrale porticato sui quattro lati, progettato forse dal Brunelleschi, probabilmente il primo cortile privato signorile a Firenze (dopo i cortili pubblici del Palazzo del Bargello e di Palazzo Vecchio): a pianta quadrata, presenta arcate a tutto sesto con colonne con capitelli corinzi che scandiscono lo spazio. I volumi sono scanditi ad altezza doppia rispetto al modulo usato spesso successivamente del cubo sormontato da semisfera: qui l'altezza delle colonne è doppia rispetto all'intercolumnio (a differenza per esempio del loggiato dello Spedale degli Innocenti) e, pur mantenendo dimensioni armoniche, presenta un maggior slancio. Tipicamente brunelleschiana è anche la disposizione delle porte che si aprono sul cortile.  "Si osservi anche il sonoro androne d'ingresso, con volte a crociera su capitelli pensili strettamente analoghi a quelli del palazzo di Niccolò da Uzzano; o lo splendido episodio dei capitelli delle colonne del cortile stesso, che presentano un singolare episodio di protocorinzio appunto brunelleschiano, cui non a caso rispondono i capitelli del cortile della casa di Apollonio Lapi, posta in via del Corso 13, egualmente attribuita all'esordio professionale di Filippo: per la qual cosa piacerebbe datare pure il prezioso testo architettonico protobrunelleschiano di palazzo Bardi (Morolli).  All'interno molte stanze presentano dei soffitti in legno risalenti all'epoca di Agnolo de' Bardi, che li fece uniformare.  BibliografiaModifica  Tabernacolo Emilio Burci, Guida artistica della città di Firenze, riveduta e annotata da Pietro Fanfani, Firenze, Tipografia Cenniniana; Ministero della Pubblica Istruzione (Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti), Elenco degli Edifizi Monumentali in Italia, Roma, Tipografia ditta Ludovico Cecchini; Ross, Florentine Palace and their stories, with many illustrations by Adelaide Marchi, London, Dent; Schiaparelli, La casa fiorentina e i suoi arredi, Firenze, Sansoni, Limburger, Die Gebäude von Florenz: Architekten, Strassen und Plätze in alphabetischen Verzeichnissen, Lipsia, F.A. Brockhaus, Bertarelli, Italia Centrale, II, Firenze, Siena, Perugia, Assisi, Milano, Touring Club Italiano; Garneri, Firenze e dintorni: in giro con un artista. Guida ricordo pratica storica critica, Torino et alt., Paravia; Bertarelli, Firenze e dintorni, Milano, Touring Club Italiano; Allodoli, Arturo Jahn Rusconi, Firenze e dintorni, Roma, Istituto Poligrafico e Libreria dello Stato, Barfucci, Giornate fiorentine. La città, la collina, i pellegrini stranieri, Firenze, Vallecchi; Thiem, Christel Thiem, Toskanische Fassaden-Dekoration in Sgraffito und Fresko, München, Bruckmann, Limburger, Le costruzioni di Firenze, traduzione, aggiornamenti bibliografici e storici a cura di Mazzino Fossi, Firenze, Soprintendenza ai Monumenti di Firenze, Biblioteca della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio per le province di Firenze Pistoia e Prato);  Bucci, Palazzi di Firenze, fotografie di Raffaello Bencini, 4 voll., Firenze, Vallecchi, Quartiere di Santa Croce; Quartiere della SS. Annunziata; Quartiere di S. Maria Novella, Quartiere di Santo Spirirto; Lisci, I palazzi di Firenze nella storia e nell’arte, Firenze, Giunti & Barbèra, Fanelli, Firenze architettura e città: atlante -- Firenze, Vallecchi, Touring Club Italiano, Firenze e dintorni, Milano, Touring Editore; Salvagnini, La guerra degli sporti, in "Granducato", Bargellini, Ennio Guarnieri, Le strade di Firenze, Firenze, Bonechi, Il Monumento e il suo doppio: Firenze, a cura di Marco Dezzi Bardeschi, Firenze, Fratelli Alinari; Firenze. Guida di Architettura, a cura del Comune di Firenze e della Facoltà di Architettura dell’Università di Firenze, coordinamento editoriale di Domenico Cardini, progetto editoriale e fotografie di Lorenzo Cappellini, Torino, Umberto Allemandi; MOROLLI, Vannucci, Splendidi palazzi di Firenze, con scritti di Janet Ross e Antonio Fredianelli, Firenze, Le Lettere; Zucconi, Firenze. Guida all’architettura, con un saggio di Pietro Ruschi, Verona, Arsenale; Cesati, Le strade di Firenze. Storia, aneddoti, arte, segreti e curiosità della città più affascinante del mondo attraverso vie, piazze e canti, 2 voll., Roma, Newton & Compton editori; Touring Club Italiano, Firenze e provincia, Milano, Touring, Pecchioli, ‘Florentia Picta’. Le facciate dipinte e graffite dal XV al XX secolo, fotografie di Antonio Quattrone, Firenze, Centro Di; Paolini, Case e palazzi nel quartiere di Santa Croce a Firenze, Firenze, Paideia; Paolini, Lungo le mura del secondo cerchio. Case e palazzi di via de’ Benci, Quaderni del Servizio Educativo della Soprintendenza BAPSAE per le province di Firenze Pistoia e Prato n. 25, Firenze, Polistampa; Paolini, Architetture fiorentine. Case e palazzi nel quartiere di Santa Croce, Firenze, Paideia, Palazzo Bardi; Paolini, scheda nel Repertorio delle architetture civili di Firenze di Palazzo Spinelli(testi concessi in GFDL). Una pagina sulla conservazione del palazzo, su limen.   Portale Architettura   Portale Firenze Ultima modifica 2 anni fa di Omega Bot Palazzo Malenchini Alberti Palazzo Bardi-Tempi Palazzo de' Benci Edificio a Firenze, Italia. Mirio Cosottini. Cossotini. Grice: “I am sure that a suprasegmental or non-linear segment adds to what a conversationalist means – he means THAT Smith did not pay the bill, and that somebody else did” – By stressing on LOVE he means that he likes her AND that he loves her.” Keywords: melopea, prosodia, Hjelmslev, Hockett, fonema, tratto sopra-segmentale, stress – Grice’s examples: “Smith kicked the cat” – “Smith didn’t pay the bill. Nowell did.” “Smith didn’t pay the bill”. “I knew it” “I love her” -- segno, nonlinearita, codice, soprasegmento. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cosottini” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Costa: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’interno e l’esterno – l’internalizzazione-l’esternalizzazione -- uomini fuori di sé– scuola di Torre del Greco – filosofia napoletana – filosofia campanese --filosofia italiana – Luigi Speranza (Torre del Greco). Filosofo napoletano. Filosofo campanese. Filosofo italiano. Torre del Greco, Napoli, Campania. Grice: “I love Costa; if I have to chose three of my favourite essays of his, those would be, “Le passioni,” “L’uomo fuori di se: l’esternalissazione’ and above all, his sublime, “l’estetica della communicazione,’ which is what my philosophy is all about!” --  Mario Costa (Torre del Greco), filosofo. È conosciuto, in particolare, per aver studiato le conseguenze, nell’arte e nell’estetica, delle nuove tecnologie, introducendo nel dibattito filosofico una nuova prospettiva teorica, attraverso concetti come "estetica della comunicazione", "sublime tecnologico", "blocco comunicante", "estetica del flusso".  Professore a Salerno e, come professore incaricato di Metodologia e storia della critica letteraria e di Etica ed estetica della comunicazione, ha contemporaneamente insegnato per molti anni nelle Università degli Studi di Napoli "L'Orientale" e di Nizza (Sophia-Antipolis). A Salerno ha fondato e diretto, daArtmedia, Laboratorio permanente dedicato al rapporto tra tecno-scienza, filosofia ed estetica, organizzando su queste tematiche decine di iniziative di studio, mostre e convegni internazionali. L'estetica dei media ha ottenuto il Premio Nazionale Fabbri.  Pubblicato una trentina di libri; alcuni di essi e numerosi suoi saggi sono tradotti e pubblicati in Europa e in America. Il suo lavoro teorico si è svolto in due momenti successivi ed ha seguito due fondamentali direzioni di ricerca: l'interpretazione socio-politica e filosofica delle avanguardie artistiche, e l'elaborazione di una filosofia della tecnica costruita soprattutto attraverso l'analisi dei cambiamenti che la nuova situazione tecno-antropologica ha indotto nell'arte e nell'estetico.  Per quanto riguarda la prima delle due direzioni indicate, ha fornito un complesso di interpretazioni filosofiche ed estetiche di numerosi movimenti dell'avanguardia artistica e letteraria. Momenti di particolare rilievo in questo ambito di ricerca possono essere considerati i suoi lavori su Duchamp e sulle funzioni della moderna critica d'arte, nonché i suoi studi sul "lettrismo" e sullo "schematismo", movimenti artistici di grande importanza, anche estetologica, ma, all'epoca, pressoché ignoti in Italia. Per quanto riguarda la seconda delle direzioni indicate, il suo pensiero si è a sua volta sviluppato secondo due assi fondamentali: uno riguardante le conseguenze sociali ed etiche della comunicazione tecnologica, riassunte soprattutto nel libro La televisione e le passioni che analizza gli effetti disgreganti e distruttivi della televisione, e poi nel più recente La disumanizzazione tecnologica, e l'altro, dominante rispetto al primo, consistente in un ripensamento del senso che l'"estetico" e l'"artistico" vanno assumendo nella fase attuale delle nuove tecnologie elettro-elettroniche e digitali della scrittura, dell'immagine, della spazialità, del suono e della comunicazione, ciò che lo ha condotto ad una radicale ed originale reimpostazione teoretica di tutto il campo investigato. Negli ultimi suoi lavori (Ontologia dei media, e Dopo la tecnica) la prospettiva teoretica si è andata ulteriormente approfondendo dando luogo ad una compiuta filosofia dei media e della tecnica in quanto tale. Alcune opere rappresentative L'estetica dei media può considerarsi, per i contenuti trattati e per la inedita metodologia di indagine instaurata e seguita, un libro che apre un nuovo campo di ricerca, prima del tutto ignorato ed inesplorato dalle discipline estetologiche, quello appunto della "estetica dei media", da non confondere, ad esempio, con l'estetica della fotografia o con quella del cinema, alle quali ha comunque dedicato altri suoi importanti lavori. Il libro in questione segue ai diversi contributi teorici relativi all'estetica della comunicazione le cui identificazione, nominazione e formulazione teorica risalgono, e che è ora rappresentata, nella sola Italia, da numerose Cattedre e indirizzi universitari. Il sublime tecnologico è considerato il lavoro più noto e più innovativo di tutta la sua produzione teorica; è in esso che, considerando le conseguenze indotte nel campo dell'arte e dell'estetico dalla nuova situazione tecno-antropologica, si parla dell'oltrepassamento della dimensione dell'arte e delle categorie ad essa connesse, nella direzione di una nuova forma di sublime, quella appunto del sublime tecnologico, con tutto quello che questo concetto implica e comporta. La nozione del sublime tecnologico è stata diffusamente accolta e seguita sul piano internazionale della teoria estetica ed ha sollecitato un incalcolabile numero di sperimentazioni da parte di artisti di tutto il mondo. Arte contemporanea ed estetica del flusso traccia le linee di una nuova estetica e della sperimentazione artistica che da essa può scaturire. Si tratta da una parte di un violento e argomentato pamphlet contro l'arte contemporanea, ritenuta “una congerie più o meno sgradevole di nullità mercantili”, e dall'altra della tematizzazione ed elaborazione del concetto di “flusso estetico tecnologico”, considerato come ultima e residua possibilità di sperimentazione per gli artisti e come chiave per comprendere alcuni aspetti dell'ontologia contemporanea. Dopo la tecnica ripercorre la storia delle varie epoche della tecnica sottolineandone la discontinuità e la capacità di agire configurando, ogni volta in maniera diversa, l'organizzazione antropologica di chi da esse è abitato. Sulla base di questi presupposti, si mostra come la tecnica, una volta connessa e dipendente dai bisogni umani, si va rendendo incondizionatamente autonoma forzando l'uomo a vivere dentro di essa, ad appartenerle e a favorire il suo sviluppo. Altre saggi: “Arte come soprastruttura”, Napoli, CIDED, Teoria e Sociologia dell'arte, Napoli, Guida Editori, Sulle funzioni della critica d'arte e una messa a punto a proposito di Marcel Duchamp, Napoli, M.Ricciardi Editore, Il ‘lettrismo' di Isidore Isou. Creatività e Soggetto nell'avanguardia artistica parigina posteriore, Roma, Carucci Editore, Le immagini, la folla e il resto. Il dominio dell'immagine nella società contemporanea, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, Il sublime tecnologico, Salerno, Edisud, L'estetica dei media. Tecnologie e produzione artistica, Lecce, Capone Editore, Il ‘lettrismo'. Storia e Senso di un'avanguardia, Napoli, Morra, La televisione e le passioni, Napoli, A.Guida, 1Lo ‘schematismo'. Avanguardia e psicologia, Napoli, Morra, Lo ‘schématisme parisien'.Tra post-informale ed estetica della comunicazione, Fondazione Ghirardi, Piazzola sul Brenta (Padova), Sentimento del sublime e strategie del simbolico, Salerno, Edisud, Della fotografia senza soggetto. Per una teoria dell'oggetto tecnologico, Genova/Milano, Co.& Nolan, Il sublime tecnologico. Piccolo trattato di estetica della tecnologia, Roma, Castelvecchi, Tecnologie e costruzione del testo, Napoli, L'Orientale, L'estetica dei media. Avanguardie e tecnologia, Roma, Castelvecchi, L'estetica della comunicazione. Come il medium ha polverizzato il messaggio. Sull'uso estetico della simultaneità a distanza, Roma, Castelvecchi, Dall'estetica dell'ornamento alla computerart, Napoli, Tempo Lungo, Internet e globalizzazione estetica, Napoli, Tempo Lungo, New Technologies, Artmedia-Museo del Sannio, oDimenticare l'arte. Nuovi orientamenti nella teoria e nella sperimentazione estetica, Milano, Franco Angeli, L'oggetto estetico e la critica, Salerno, Edisud, La disumanizzazione tecnologica. Il destino dell'arte nell'epoca delle nuove tecnologie, Milano, C. & Nolan, Della fotografia senza soggetto. Per una teoria dell'oggetto estetico tecnologico, Milano, C. & Nolan, Arte contemporanea ed estetica del flusso, Vercelli, Mercurio,  Ontologia dei media, Milano, Post media books,  Dopo la tecnica. Dal chopper alle similcose, Napoli, Liguori. Il lavoro teorico di C. teso, tra l'altro, a definire la nuova epoca dell'estetico connessa alle neo-tecnologie elettro-elettroniche e digitali, e a fare in modo che questa si andasse ben configurando e definendo, si è, per ciò stesso, sempre accompagnato ad un'intensa attività di promozione estetico-culturale:  agli inizi degli anni ottanta organizza a Napoli, col supporto della RAI-TV, una grande esposizione di videoarte (Differenzavideo); per sollecitare una riflessione sugli effetti estetico-antropologici indotti dalle tecnologie della comunicazione, co-organizza (conPerniola) presso l'Salerno, il Convegno Estetica e antropologia i cui Atti sono, in parte, pubblicati sulla Rivista di estetica di Torino, necrea, con l'artista Forest, il movimento internazionale dell'Estetica della comunicazione che presenta in vari contesti  (Electra di Popper, al Centre Pompidou a La Revue parlée di Gautier, ialla Sorbonne, al Séminaire de Philosophie de l'art di Revault D'Allonnes); dà luogo al primo evento/rassegna di estetica della comunicazione (L'immaginario tecnologico, Benevento, Museo del Sannio); concepisce e dirige, presso l'Salerno, Artmedia, Convegno Internazionale di Estetica dei Media e della Comunicazione; organizza presso l'Salerno un Convegno Internazionale su estetica e tecnologia; organizza presso la stessa Università il Convegno "Il suono da lontano". Eventi sonori e tecnologie della comunicazione"; realizza, per la RAI-TV (Dipartimento Scuola e Educazione) la trasmissione televisiva in tre puntate: Un'estetica per i media; fa svolgere, presso la settecentesca Villa Bruno (S.GiorgioNapoli) Technettronica. Laboratorio di Estetica dei Media e della Comunicazione; presenta per la prima volta in Italia presso l'Salerno due videoplays di Samuel Beckett; fonda e dirige, la Rivista Multilingue Epipháneia. Ricerca estetica e tecnologie, fonda e dirige, presso le Edizioni Tempo Lungo di Napoli, Vertici, una «Collana di Estetica e Poetiche» aperta alle questioni estetologiche connesse ai nuovi media (testi di Piselli, Cauquelin, Adorno, C., Solulard, Dorfles);  co-organizza a Parigi la Edizione di Artmedia; co-organizza presso l'Salerno il Convegno Internazionale Tecnologie e forme nell'arte e nella scienza; organizza presso il Museo del Sannio di Benevento la Mostra New Technologies (Roy Ascott, Maurizio Bolognini, Forest, Kriesche, Mitropoulos); norganizza presso l'Salerno la IX Edizione di Artmedia; nco-organizza a Parigi la X Edizione di Artmedia; norganizza presso l'Salerno un seminario conclusivo di Artmedia dal titolo "L'oggetto estetico dell'avvenire". Sulle funzioni della critica d'arte e una messa a punto a proposito di Marcel Duchamp, Napoli, Ricciardi, C., L'oggetto estetico e la critica, Edisud, Salerno. C., Il 'lettrismo' di Isou. Creatività e Soggetto nell'avanguardia artistica parigina, Carucci Editore, Roma,Il 'lettrismo'. Storia e Senso di un'avanguardia, Morra, Napoli, Si veda anche Signe, forme, schéma, ornement, in "Schéma et schématisation", L'estetica dei media. Avanguardie e tecnologia, Castelvecchi, Roma, C.Il sublime tecnologico. Piccolo trattato di estetica della tecnologia, Castelvecchi, Roma, Arte contemporanea ed estetica del flusso, Mercurio, Vercelli. Inoltre: Technology, Artistic Production and the "Aesthetics of communication", in "Leonardo", Tecnologie e costruzione del testo, L'Orientale, Napoli, Reti e destino della scrittura. Sulla diffusione e la rilevanza del suo pensiero, si vedano tra gli altri: Bootz, The thesis of Benjamin and C., in Bootz, Baldwin, Regards Croisés, West Virginia, Abruzzese, Il compiersi della pubblicità dal manifesto metropolitano ai linguaggi elettronici del presente: pretesti, testi e questioni, in Lattuada, Nuove tendenze ed esperienze nella comunicazione e nell'estetico, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane. Kerckhove, L'estetica dei media e la sensibilità spaziale. Riflessioni su un libro di C., in "Mass Media",Frank Popper, L'art à l'âge électronique, Paris, Hazan, C., professore di estetica, in MCmicrocomputer, Roma, Pluricom. esternalismo/internalismo. – La nozione di esternalismo (externalism), usata in contrapposizione a quella di internalismo (internalism), si è sviluppata principalmente in merito ai dibattiti sulla filosofia della mente e sull’epistemologia ed è attualmente al centro del dibattito filosofico sulla giustificazione epistemica, sull’epistemologia sociale, sul ruolo dell’ambiente e dell’esterno negli stati mentali, nei processi cognitivi e nei processi linguistici e comunicativi; si parla di e./i. anche in filosofia morale. Nell’e. una conoscenza si considera giustificata se è causata da processi affidabili derivati dall’esperienza esterna; diversamente, nella prospettiva internalista, una credenza viene considerata vera se fondata su esperienze interne al soggetto (per es. il cogitocartesiano), riconducendo la conoscenza, anche sensibile, del mondo esterno all’appercezione di stati di coscienza (Kornblith, Epistemology: internalism and externalism; Bonjour, E. Sosa, Epistemic justification: internalism vs. externalism, foundations vs virtues). Nella filosofia della mente, gli stati mentali vengono ricondotti, in prospettiva esternalista, a connessioni causali con l’ambiente esterno; in chiave internalista, a processi e fattori interni alla mente. Nella teoria della motivazione morale si parla di i. allorché si ritiene che vi sia una connessione necessaria fra considerazioni morali e motivazione, costitutiva della considerazione morale stessa; si parla invece di e. quando si ritiene che tale connessione si fondi su fattori concomitanti contingenti. Con l’argomento della ‘Terra gemella’ (twin Earth), il filosofo Hilary Putnam ha sostenuto che una differenza di estensione, ossia dell’insieme degli individui cui si applica un concetto o un predicato, è anche una differenza di significato; questo per dimostrare che i significati non sono enti mentali, ossia che la medesima parola applicata a due enti diversi (anche se non apparentemente tali) cambia di significato, benché averne o meno cognizione dipenda dalla competenza semantica dei parlanti in merito all’oggetto designato (The meaning of ‘meaning’, Gunderson, ed.,Language, mind and knowledge). A partire dalle tesi dell’e. semantico (in filosofia del linguaggio si privilegia la coppia di termini esternismo/internismo) il dibattito si è esteso alle filosofie della mente e alle scienze cognitive, indagando se il soggetto cognitivo sia circoscrivibile al cervello e al sistema nervoso, o se la mente e il mentale includano anche fattori ambientali, sia fisici sia sociali, ricalibrando i confini fra mente, corpo, ambiente. Nel dibattito filosofico ha avuto rilievo anche la tesi della ‘mente estesa’ di Clark e Chalmers (Chalmers, The extended mind, in Analysis; Clark, Supersizing the mind: embodiment, action, and cognitive extension, ), che riconosce il ruolo dei fattori extracorporei e ambientali nel costituirsi della mente, ma riguardo agli aspetti cognitivi non fenomenici (non coscienti). Superando contrapposizioni troppo rigide fra le due posizioni, nelle tesi esternaliste più recenti si tende a riconoscere non unicamente la dipendenza causale dall’esterno del mentale, ma a vedere l’origine del mentale nell’interazione causale ambiente-corpo-cervello, ciascuno influente nei processi cognitivi e mentali. In ambito sia semantico sia fenomenico si è differenziato l’e. dall’i. in base alla possibilità di ‘individuare’ uno stato mentale ritenendo di poter ricorrere, o meno, a fattori esterni (Wilson, Boundaries of the mind. The individual in the fragile sciences: cognition). Più recentemente si è teso invece a privilegiare l’aspetto della realizzazione fisica. Si parla, in tal senso, di e. del veicolo o anche procedurali, spostando il punto di messa a fuoco dall’identificazione del contenuto dello stato mentale (intenzionale o fenomenico) alla natura del sistema di realizzazione fisica di tale stato (Amoretti, La mente fuori dal corpo. Prospettive esternaliste in relazione al mentale). Entro l’approccio incentrato sul veicolo e sulla realizzazione fisica sono state elaborate posizioni differenziate, principalmente riguardo alla possibilità di comprendervi o meno elementi fenomenici, ossia legati agli stati cognitivi coscienti.Grice: “Costa uses words in ways we don’t allow at Oxford: a sign by which nobody signs; and so on.Mario Costa. Keywords: uomini fuori di sé, blocco comunicante, communicazione sine contenuto, communicazione fatica, semiotica, estetica della comunicazione, significante sine significato – segno sine segnato – autoreferenzialita – asemanticita – sintassi – retorica – codice – intenzione communicative, medio, messaggio, recursivita, self-reference, meta-linguaggio – linguaggio come metalinguaggio -- - Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Costa” – The Swimming-Pool Library. Costa.

 

Grice e Costa: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della sinestesia conversazionale – scuola di Ravenna – filosofia ravennese -- filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Ravenna). Filosofo ravennese. Filosofo emiliano. Filosofo Italiano. Ravenna, Emilia-Romagna. Grice: “My favourite keyword for Costa is ‘contrassegnare’!” – Grice: ““I love Costa; for one, he improves on Locke; on the composition of ideas and how to ‘countersignal’ them with ‘vocaboli precisi’ – I explored that a little in my ‘Prejudices and Predilections,’ when I attack minimalism and extensionalism, and provide a way which is meant to resemble Locke’s way of words, or rather Locke’s way of ‘complex’ words, or ‘composite’ (Costa’s ‘comporre’) out of ‘simple’ ones – as in Quine’s worn-out ‘bachelor’ unmarried male that I play with with Strawson in “In defense of a dogma.” In this respect, it is interesting to see that Costa also wrote on ‘ellocution’ and ‘sintesi’ versus ‘analisi’!” Figlio di Domenico e Lucrezia Ricciarelli, studia a Ravenna e Padova. Insegna a Treviso e Bologna, a Villa Costa, Bologna -- è costretto a riparare a Corfù perché sospettato di essere affiliato alla Carboneria. Può rientrare a Bologna. Altre opere: “I trattati della elocuzione e del modo di esprimere l’idea e di segnarla con una espressione precisa a fine di ben ragionare” – Colla profferenza, “Fa fredo,” C. segna che fa freddo. Il trattato filosofico della sintesi e dell'analisi; i quattro sermoni dell'arte poetica, un commento alla Divina Commedia, la Vita di Dante, il Dizionario della lingua italiana, poesie (Laocoonte), lettere e traduzioni.  Letterato neo-classico e dunque tipicamente italiano e anti-romantico, ammira i corregionali Monti e Giordani e sostenitore del purismo e del “sensismo” lucreziano in filosofia. Nella lettera a Ranalli di introduzione al Della sintesi e dell'analisi così riassume le sue concezioni filosofiche. È necessario, per togliere la infinita confusione che è nelle scienze ideologiche, di dare all’espressione un determinato valore. Sostengo che questo non si può ottenere, come crede Locke, colla de-finizione (horismos) (la quale e una scomposizioni di una idea o di piu idee), se prima la idea non sia stata ben composta. Sostengo che questa non si puo compor bene, se prima non si conosce quale ne sieno gli elementi semplici – soggetto e predicato, il S e P -- Sostengo che un elemento semplice e una reminiscenza relative a una sensazione, e che la idea si compone di almenno due di sì fatti elementi – il S e P – la proposizione, ‘segno che p’ -- e del sentimento del rapporto di una reminiscenza e dell’altra, cioè dei proposizione – nel indicativo o imperative – il giudizio – il giudicato – e la volizione – il volute. Da ciò conséguita che l'esperienza (se l'esperienza vale ciò che si sente mediante l'attenzione) è il fondamento della scienza umana. I kantisti ed altri filosofi distinguono una idea in una idea soggettiva e in una idea oggettiva, ed attribuiscono un'origine a posteriori e sintetico alla una ed un'origine a priori e analitico all’ltra. Questa distinzione può esser buona, ma non è buona l'ammettere che abbiano origini di natura diversa: a posteriori/sintetico, dal senso – e a priori/analitico – dall’intelleto – nihil est in intellectus quod prior non fuerit in sensu.  Ogni idea ha un stesso origine. e questo si fa palese per un solo esempio. Da una idea soggettiva puo nascere sue  proposizioni. Una proposizione: "La reminiscenza S1 e la reminicenza S2 sono in me”. Altra proposizione: “La reminiscenza S si associa con la reminiscenza P”. Qual è l'origine dell’idea dalla quale deriva sì fatta proposizione? Il sentimento. Dire che la reminiscenza del color di rosa è in me, è dire che sento che è in me, e dico: “Vedo una macchia rosa”. Così direte dell'altra proposizione. Dall’idea oggettiva puo nascere una proposizione e altra proposizione. Il corpo pesa. La rosa manda odore. Da che nasce la proposizione? Dal sentimento (senso). Perciocché dire che questo corpo pesa è lo stesso che dire che sento il peso di questo corpo; giu-dico, ovvero, sento che la cagione (causante, causans) della mia sensazione tattile del senso del tattoo è in questo corpo. Così dire che la rose manda odore è lo stesso che dire che sento l'odore della rosa, giu-dico, ovvero, sento che l'odore dela rosa ha una delle cagioni in cose fuori, cioè che non sono in me. Fra una idea soggettiva e una idea oggettiva non vi è altra differenza, se non che nella che si suppone oggetiva  sento che la cagione (causans) è nella nostra persona. Nell’idea che si suppone oggetiva sento che la cagione (causans) è in me (o noi entrambi – nella diada --), nell’idea soggetiva nella cosa (il reale). fuori. Ma come sentiamo noi che vi sia una cosa (il reale) fuori? Questo è il gran problema dagl'ideologi non ancora solute. Ma l'ignoranza in che siamo non dà facoltà legittima alla scuola trascendentali di concludere che il giudizio dell’idea soggetiva non dipende dal sentire. Il giudicio è un sentimento, cioè, un rapporto sentito fra una sensazione e altre sensazione, una reminicenza (il S) e altra reminiscenza (il P); ché se tale non fosse, nessuno potrebbe dire che l'idea che abiamo di una rosa p.e. ha la sue cagioni fuori di noi entrambi, perciocché una sì fatta proposizione suppone che l'uomo che proferisce questa proposizione o explicatura (spiegato) abbia o la sensazione S e la sensazione P, o le reminiscenza S e la reminiscenza P in relazione alla sensazione prodotte dalla rosa, e l'idea del sentente. Voi vedete chiaramente, che nell'uno e nell'altro degli addotti esempii la modificazione che chiamamo ‘idea,’ e il sentimento dei loro rapporti sono nella nostre anime ambidue, e che quindi si esprimono falsamente coloro, che dicono che sentiamo il corpo fuori di noi. Dovrebbero dire, strettamente, che sentiamo che la cagione (causans) del nostro sentire (sentito) non è in noi entrambe. Coi fondamenti da me posti si può stabilire una dottrina, se il buon desiderio non mi acceca, per la quale vadano a terra le opinioni di coloro che disprezzano il sensismo, e che con odiosa espressione la chiamano dottrina de' “sensuali”. Con che danno a divedere, che essi mattamente opinano che il materiale organo del senso (i cinque organi, i cinque sensi) senta e percepisca, senza accorgersi che se gli occhi (visum) e le orecchie (auditum) e il naso (odore) sentissero ciascuno separatamente, non potrebbe giammai nascere giudizio alcuno circa la qualità della sensazione  di natura diversa. L’uomo non potrebbe mai dire che l’odore della rosa mi diletta più del colore della rosa, e così via discorrendo. Il sentimento di un solo centro, nostre anime ambidue: e nostre anima ambidue senteno in sé mesima, e non fuori di sé. Puo parere che questa dottrina del sensismo sia la stessa che quella dell'idealista irlandese Bercleio; ma essa è diversa, poiché ammette che oltre la idea vi sieno fuori dell'uomo la cagione (causans) di essa idea. Di questa cagione (causans) – il reale, il noumeno -- noi conosciamo l'esistenza, e nulla più. Che cosa e un corpo in se stesso? A questa interrogazione non si può rispondere se non dicendo che e ignota la cagione della nostra sensazione condivisa. Sappiamo che esiste, sappiamo che si modifica, e tutto ciò sappiamo, perché fa della mutazione nell'animo nostro ambedue o nell’anima nostra ambedue. Dal che si deduce ciò che dianzi vi dissi, che ogni idea ha per loro due primitivi elementi (il S e P) la sensazione, la reminiscenza, il sentimento che e nelle nostre anime ambidue, e non fuori di lei. Così la pensa il filosofo chiamato per beffa dal cattolico romano col nome di sensualista e di materialista. Materialista a buona ragione si puo chiamare i nostri avversario, o almeno materialista per metà, giacché ammette che il sentimento del corpo percepiscano, e giudichino relativamente alla qualità del reale, della cosa esterna. Leggete le lettere filosofiche di Galluppi stampate non è guari in Firenze. In Galluppi troverete chiaramente esposte la dottrine sensista, quelle di Hume circa la cagione, e segnatamente quelle di Kant. Se dalle mie teoriche si possono ricavare gli argomenti validi a confutare le opinioni del filosofo trascendentale, o di coloro, che oggi si danno il nome di eclettico – come ha tempo Cicerone --, io vi prego di compilare alcune note, o vogliam dire corollarii, pei quali si vegga manifesta la falsità di alcuni principii del irlandese Bercleio, del scozzese Reid e del scozzese-tedesco Kant, la filosofia dei quali è fonte della massima parte della moderne follia (Della Sintesi e dell'Analisi, ed. Liber Liber / Fara Editore). Altre opere: “Alighieri”; “Della elocuzione” Fara editore, S. Arcangelo di Romagna); “Della sintesi e dell'analisi” (Giovanni Battista Borghi e Melchiorre Missirini); “La divina commedia, con le note di Paolo Costa, e gli argomenti dell'Ab.G. Borghi. Adorna de 500 vignette” (Giovanni Battista Niccolini e Giuseppe Bezzuoli, Firenze, Stabilimento artistico Fabris,Claudio Chiancone, La scuola di Cesarotti e gli esordi del giovane Foscolo, Pisa, Edizioni ETS  (sulla formazione padovana del Costa, e sulla sua amicizia giovanile col Foscolo) Filippo Mordani, Vite di ravegnani illustri, Ravenna, Stampe de' Roveri. Dizionario biografico degli italiani. Una delle facoltà, onde l'uomo è tanto superiore alle bestie, si è la favella [fabula – da ‘fa’, speak – cf. fama], mercè della quale i primi uomini non solo si strinsero in comunanza civile, ed ordinarono la legge ed il governo; ma a fare più beata e gloriosa la vita crebbero le scienze e le arti, ed ispirarono con queste l'odio al vizio ed al falso; l'amore della virtù, del vero, del bello; e i fatti e i nomi degni di memoria ai tardi secoli tramandarono. E qual cosa è più utile ai privati, ed alla repubblica e più degna e di maggiore onore, che l'arte di gentilmenle parlare? Per questa ci è aperta la via alla dignità, alla fortune ed alla fama; per questa le città si mantene ordinata e pacifica; per questa  sono animati i guerrieri – come Niso ed Eurialo --, encomiato un principio; per questa con più degni modi si loda e si prega il supremo autore elle cose, e pura e viva si mantiene nel cuor degli uomini la religione. Laonde, se desiderate onore o giovamento a voi stessi ed alla Italia, ardentemente volgete l'animo a questo nobilissimo studio del parlare o discorsare civile. Che se vi fu dolce fatica l'interpretare e l'imitare gli antichi filosofi romani, non meno dolce vi e il venire meco investigando il magistero, che è nelle opere loro; imperciocchè, essendo la favella [la lingua, il parlare] istrumento col quale si commovono e si traggono gli animi degli uomini, uopo è di volgere sovente la considerazione alle proprietà dell'intelletto e del cuore umano; il che, pel naturale desiderio, che abbi mo di conoscere noi stessi, è dilettevolissimo. Mettiamoci dunque volentieri a quest'opera; e per cominciare con ordine, poniam subitomente al fine, che si propone chi scrive, perocche non sarà poi difficile temperare ed ordinare secondo quello il modo del favellare. La favella – nella diada conversazionale -- intende a *manifestare* (cfr. Vitters) ad altro un pensiero e un affetto proprio con soddisfazione dell’altro. Ad ottenere questo FINE, sono necessarie due codizioni. Prima: che la elocuzione sia chiarà – Grice: “imperative of conversational clarity). Seconda condizione: che l’elocuzione sia ornata convenevolmente. Parliamo tosto della chiarezza conversazionale, che poco appresso diremo dell' ornament. La chiarezza da due cose procede. Prima: dalla qualità dell’espresione, che si pone in uso. Secondo: dalla collocazione – cum-locatio, syn-taxis -- loro. Prima diciamo della qualità dell’espressione, L’espressione, che e un *segno* [cf. Grice: Words are not signs] di una idea, fa perfettamente l'ufficio suo ogni qual volta sia ben determinata, cioè appropriata a ciascuna idea singolare per nodo, che non possa a verun' altra appartenere. Per meglio iutendere in che consista la natura loro, bisogna considerare che ogni idea e composta – il S e P -; e che alcune, differendo da altre in pochi elementi, abbisognano di segno particolare, per apparire distinte. Quell’espressione che la distingue dicesi “proprio”. Vaglia un esempio. L'idea di ‘frutto’ ha per suoi elementi le idee delle qualità comuni a ogni frutto; l'idea di “melagrana,” oltre i detti elementi, comprende le idee delle qualità particolari della melagrana: perciò è che, se chiameremo frutto la melagrana, quando è mestieri distinguerla, non parleremo con proprietà. (cf. Lawrence: What is that? E un fiore). Ho qui recato il materiale esempio di un errore, in che è diſficile di cadere, affinché si vegga chiaramente non essere molto dissimile da questo l'errore di coloro, che d'altre cose ragionando usano i vocaboli generali (fiore) per ignoranza' de'particolari (tulipano). Tanto sconvenevol cosa si repula l 'usare una espressione impropria, dice il Casa, che si hanno per non costumali coloro, i quali, non dan dosene gran pensiero, pare che amino di essere frantesi, e nulla curino il fastidio di chi si sforza d'intenderli: all'incontro coloro, i quali usano l’espressione propria, mostrano di essere civili, essendo solleciti di alleviare altrui la fatica [cf. Grice, prinzipio di economia dello sforzo razionale], poichè pare che mercè della espressione proprie le cose si mostrino, non coll’espressione, ma con esso il dito. I poeti, che sono lodali per la evidenza, onde le cose ci pongono dinanzi agli occhi  ci somministrano esempi del modo assai proprio. Giovi recarne qui alcuno a schiarimenlo di quanto abbiamo detto: Come d'un tizzo verde, ch'arso sia dall'un de capi che dall'altro geme, e cigola per vento, che va via. È qui da notare come l’espressione “tizzo” e l’espressione “cigola” meglio ci rappresentano la cosa, che arde, e l'effetto del fuoco, di quello che se Alighieri avesse detto: un ramo verde fa romore per vento che va via, essendo questa SIGNIFICAZIONE alta a denotare altra idea non simili in tutto a quella che si voleva esprimere. Cosi Petrarca disse propriamente: raffigurato alle fattezze conte, piuttosto che dire alla persona; e Alighieri: levando i moncherin per Ľaria fosca, in vece di dire, levando le braccia tronche. Qui si vede come l’espressione “fattezza” e l’espressione “moncherino” sieno meglio usati per essere espressione di SIGNIFICAZIONE SINGOLARE. Se la proprietà [cf. be as informative as is required – avoid ambiguity] è si necessaria a SIGNIFICARE la cosa che cade sotto i sensi, quanto maggiormente nol sarà ella, quando si vogliono esprimere le idee intellettuali e le morali, che se non fossero determinata in virtù dell’espressione, o svanirebbero dalla mente nostra, o vi starebbero disordinate e mal ferme? A quel modo che dalla precisione delle cifre dell'aritmetica dipende la esattezza de’ calcoli, cosi dalla proprietà dell’espressione dipende quella delle idee e de' ragionamenti in qualsivoglia delle scienze astratte; e quindi ottima è quella sentenza del filosofo: consistere il sommo dell'arte di ragionare nel l'uso di un discorso bene ordinata. Anche Piccolomini ha detto della sua parafrasi di Aristotele, che la base e il fondamento della elocuzione si ha da stimar che sia la purità, la netlezza e candidezza – cf. Grice, the imperative of conversational candour -- di quel discorso, nella quale l'uom parla. Ad acquistare l'abito di discurrire con proprietà tre cose si richieggono. Prima,  il saper bene dividere le idee fino ai primi loro elementi. Secondo, il conoscere l'etimologia dell’espressione (etimo: il vero), per quanto è possibile. Terzo, il rendersi famigliari le opere degli antichi filosofi romani, ne'quali è dovizia di voci pure e di modi assai propri. Chi non ha uso delle delle cose è spesso costretto di adoperare le noiose circonlocuzioni in luogo di un solo vocabolo o di una breve sentenza, e di abusare de sinonimi. Si dice “sinonimo” l’espressione di una medesima sigoificazione, o quelli, che rappresentando le stesse idee principali, differiscono in qualche accessoria. Della prima generazione sono i seguenti: fine e finimenio; abbadia e badia; consenso e consentimenlo e simili. Aliri ne trov po nella formazione de' tempi, e de'partecipii, come rendei e rendetli; visto e veduto; parso e paruto; ma colali sinonimi non sono in gran numero. La più parle è di quelli che differiscono per aumento, o diſelto di qualche idea accessoria. Cavallo, corridore, destriero, palafreno, poledro, rozza, sono espressioni istituite a significare il medesimo animale; ma ognuna differisce dall'altra. “Cavallo” denola la qualità della specie; “corridore” la particolarità d'esser veloce; “destriero” ricorda l'uso di menare il cavallo a mano destra; “palafreno” quello di frenarlo colla mano; “poledro” la qualità dell'essere giovane; “rozza” quella dell'essere vecchio e disadalto. Le voci unico e solo sembrano per avventura la stessa cosa; ma il Petrarca disse la sua donna essere “unica e sola” (one and only), volendo significare che nessun'altra è nella schiera di Laura, e che nessuna può esserle dala in compagnia. Incontra alle volte, che le parole istituile a significare un'idea stessa differiscono per la virtù, che haono di richiainarne alla mente alcun'altra più o men nobile, o per cagione del suono o vobile o rimesso, o per cagione dell'uso, che di quella suol esser fatlo in umile o in illustre componimento. Tali sono, a cagione d'esempio, i vocaboli “adesso” ed “ora”, che significano ‘il momento presente’, ma “adesso” non sarebbe ricevuto in nobile componimento; dal che si vede che sebbene ei denoli il punto presente del tempo, come fa l'altro, pure trae in sua compagnia alcune idee, che il fanno parere di bassa condizione. É dunque da por wenle che l’espressione, che si dice sinonimo, non sempre ci rappresentano stesso complesso d'idee; e quindi può intervenire, che ingannali dall'apparenza, alcuna votla siamo lralli ad usarli impropriamenle. È da avvertire per ultimo, che ogni espressione antiquale, cioè quelle, che pel consenso universale de’ filosofi sono stale abolite, non hanno più luogo tra le voci proprie. Si uilmente sono improprie ogni espressione dei dialelli parlicolari, e l’espressione forastiera, che dall'uso de' wigliori filosofi non hanno avuto la cile tadinanza. Le quali tutte non sarebbero bene intese dall'intera Italia; e perciò denuo essere, da chi desidera di discurrire chiaramente, a lullo polere schivale. Questo basli aver dello della proprietà, che è la prima cosa, che si richiede a render chiara le elocuzione. Direino poi a suo luogo come il trasporlare con altra legge di proprietà l’espressione dal significato proprio all'improprio giovi maravigliosamente alla chiarezza. In virtù dell’espressione esprimiamo i nostri giudizii, e collegando insieme il giudizio espresso formiamo i raziocioii, i quali verranno chiari alla menle altrui, qualvolta sieno osservate le leggi, di che ora faremo parola; ma prima si vuole avvertire, cha talora il discorso può es sere ordinato secondo le leggi, per le quali ' riesce chiaro, ma non avere poi quella forza, quella virtù e quella eſficacia, che avrebbe, se si disponessero le parole diversamente senza però offendere le delle leggi. A suo luogo direno della disposizione (sintassi) delle parole, che agagiunge efficacia al discorso. Ora è a dire solo tanto di quella, che lo fa chiaro. Ogni giudizio espresso dicesi proposizione. Nel ragionamento, il quale di nolle proposizioni si compone, alcuna vene ba, che viene modificata dalle altre. Quella, che è modificata, dicesi principale, le allre suballerne (o minore). Vaglia a ben distinguerle il seguente esempio del Casa. Menire i nostri nobili cittadini gli agi e le morbidezze e i privuli loro comodi abbracciano e stringono, l'impera lore, non dormendo nè riposandu, mu travagliando e fabbricando, ha la sua fierezza e la sua forza accresciuta. L'imperatore ha la sua fierezza e la sua forza accresciuta è la proposizione (premessa) principale (maiore), le altre, che lei modificano, sono le subaltern (premessa minore). La proposizio ne principale, a somiglianza della principale figura in un dipinto, dee fra tutte le subalterne campeggiare e risplendere; per ciò è che vuolsi evitare la frequenza di queste ultime, le quali, allorchè fossero troppe, invece di raflorzare la principale o premessa maiore, siccome è loro officio, verrebbero ad indebolirla. Questa si è la prima avvertenza, che circa le proposizioni subalterne aver dee colui che discurre; indi si prenderà cura di ben' collocarle. Prima che veniamo a dire quale sia la buona collocazione loro, è necessario di osservare, che le delle proposizioni subalterne si distin guono in espresse ed in implicite. Diconsi espresse quelle, nelle quali tutte le parli loro sono manifeste, come nella seguente: ľuomo è ragionevole. Diconsi implicite quando il giudizio che si esprime, e significati dall nome addiettivo o dal nome sustantivo con preposizione o dall’avverbio, come nelle seguenti. L’uomo GIUSTO è lodato. Pilade ama Oreste. CON. I romani amarono GRANDEMENTE la patria. Quando si dice “l'uomo giusto” si viene ad affermare che ad esso si appartiene la giustizia, che è quanto dire giudichiamo che egli è giusto. Si dica il medesimo delle altre due proposizioni. Ama con FEDE GRANDEMENTE, La proposizione IMPLICITA (entimema, implicatura) serve a significar del giudizio, che per abilo la mente umana FEDE amarono suol fare rapidamente; perciò è che non si denno usare in vece di quelle la proposizione espressa, SPLICITA (splicatura), perciocchè impedirebbero la spedi tezza dell' intelletto di nostro compagno conversazionale. Si dovranno ancora nello scegliere la proposizione implicita (implicatura, impiegato) schivare le inutili, cioè quelle, che risveglierebbero le idee, che in virtù del solo sustantivo o del solo verbo possono essere richiamate a mente, e scegliere quelle, che meglio qualificano il significato. Sarebbe, a cagione d ' esempio, vano (redundante) e noioso l'aggiunto di “bianca” alla “neve” (salvo se il caso richiedesse di far conoscere parti colarmente questa qualità), essendo che l’espressione “neve” trae seco, senz'altro aiulo, la idea di ‘bianco’ (cf. ‘atleta’ ‘longo’). Rispello alla collocazione della proposiziona suballerna, sia ella implicite o espresse, la regola (massima, imperativo) si mostra di per sé: imperciocchè, essendo intese a denotare alcuna qualità del signato o da' sustantivo o da' verbo o da' participio, deve chiaramente apparire a quali di queste parti dell'orazione (l’otto parti dell’orazione – partes orationis) vogliono appartenere; e perciò fa mestieri collocarle in luogo tale, che mai non venga dubbio se sia poste a modificare piuttosto l'uno, che l' altro o verbo o participio o sustantivo. Quao do a ciò si manca nasce perplessità (“misleading, but true) come nel seguente luogo di Boccaccio. E comechè Aligheri aver questo libretto fallo nell'età più matura si vergognasse. Qui può sembrare che il libretto sia stato falto nell' età più matura; che se avesse dello: comechè egli aver futto questo libretto si vergognasse nell'età più matura, la proposizione sarebbe stata chiarissima. Alcuna perplessità è ancora in quest'a tro di Passavanti: Leggesi, ed è scritto dal venerabile dottor Beda, che negli anni domini ottocento sei un uomo passò di questa vila in Inghilterra. Comechè non sia per cadere nel pensiero di alcuno che colui, che si parle di questa vita, possa andare in Inghilterra, nulladimeno, per quella collocazione di parole, la mente di chi legge resla alcun poco sospesa. Molte TRASPOSIZIONE – Grice: William Blake: love that told cannot be, love that never told can be --, che si biasimano nella lingua italiana, sono spesso con venevoli NALLE LINGUA LATINA, perchè, nella lingua romana, il nome aggettivo, che per le desinenze diverse nei generi, nei numeri e nei casi si accordano col nome sustantivo, rade volte LASCIANO DUBBIO a cui vogliano appartenere, e rade volte i casi obliqui si confondono col caso retto, comunque nella proposizione sieno collocati. Bellissimo è in latino il seguente luogo di CRASSO, riportato da CICERONE. HÆC TIBI EST EXCIDENDA LINGVA QVA VEL EVVLSA SPIRITV IPSO LIBIDINEM TVAM LIBERTAS MEA REFVTABIT. Tenendo l'ordine di queste parole nella lingua italiana si produce falsità nella sentenza. Sconvolgendolo si perde tutta l'efficacia. Se dico. Questa lingua li è d'uopo recidere: recisa questa, col fiato stesso la tua sfrenatezza la libertà mia reprimerà’ – Appare che LA SFRENATEZZA  reprima LA LIBERTÀ. Se, per lo contrario, dico. La libertà mia reprimerà la tua sfrenatezza, toglieremo alla sentenza molto della sua forza – devuta a una disobbedenza intenzionale della massima conversazionale d’evitare l’ambiguità. Vedremo a suo luogo la ragione, per cui la diversa collocazione di una espressione semplice rafforza o snerva l'espressione complessa. Ora ci basta osservare, poichè cade in acconcio, che le varie lingue -- parlando ora della sola facoltà, che hanno di PERMUTARE IL LUGO ALLE PAROLE – “love that never told can be”/”love that told can never be” --  luttochè sieno alle a qua. Junque specie di componimento, nol sono ad esprimere uno stesso concetto nella stessa FORMA – massima conversazinale della forma, non del contenuto --; perciò è che quando si trasportano le scritture da una favella ad un'altra non dove l'espositore darsi briga di ritrarre espressione per espressione. Avendo rispetto al genio della lingua, cerca di produrre per altro convepevol modo nell’animo di nostro compagno conversazionale gl’effetto che l’espressione in lui operano. Per fuggire le equivocazioni [cf. Grice, avoid ambiguity] giov ancora badare ne' verbi alla prima voce dell'imperfetto dell'indicativo – “amava” -- la quale è simile alla terza, dicendosi “amava” +> “io amava”; “amava” +>  “colui amava” – cf. latino: ‘amaba’/’amabaT’ --. Perciò a distinguerle è sovente bisogno di preineltere all’espressione ‘AMAVA’ – latino: AMABA/AMABAT -- il nome o il pronome. Giova spesso alla CHIAREZZA, e segnatamente nell’espressione complessa o composita, il ben distinguere le persone e le cose, delle quali si parla (il topico). E perciò sta bene talvolta il *ripetere* il nome sostantivo per non confondere l’una coll'altra. Imperciocchè, i pronomi e i relativi sogliono spesso essere cagione di equivoco – confusione – cf. avoid ambiguity, be perspicuous [sic], the imperative of conversational clarity. E questo interviene specialmente, quando nella proposizione antecedente sono più nomi sustantivi di un medesimo genere e numero, che si possono accordare coi relativi delle susseguenti. Perciò, conviene tal volta o giovarsi di un sinonimo onde porre in luogo di alcun nome mascolino un femminino. O inulare il numero del più in quello del meno. O viceversa. Può ancora geverarsi PERPLESSITÀ nell'usare il possessivo “suo” e “suoi,” invece de relativo lei, lui e loro; e perciò alle volle è necessario adoperar questo per quello, come nel caso seguente. “MAI DA SÈ PARTIR NOL POTÈ, INFINO A LANTO CHE EGLI [CIMONE] NON L’EBBE FINO ALLA CASA *DI LEI* ACCOMPAGNATA”  (Boccaccio). Se Boccaccio avesse detto: “fino alla casa SUA accompagnata”, si sarebbe potuto credere essere QUELLA DI CIMONE! Per far maniſesta (esplicita, chiarissima) la connessione de'ragionamenti sono assai opportune le particelle copulative (“e” – He went to bed and took off his trousers” (Urmson); avversative (“ma” – Lei e povera, ma onesta – Frege, FARBUNG), illative (“se” – se p, q – FILONE, DIODORO, CRISIPPO) e somiglianti – e disgiuntiva (“o” – “Lei sta alla cucina o alla stanza di dormire”). Molli fra' filosofi italiani, ad imitazione de’ filosofi francesi, sogliono scrivere a piccoli membri, senza congiungerli insieme colle particelle, e in ciò sono da biasimare, iaperciocchè costringono la mente o l’animo di nostro compagno conversazionale a passare “di salto” da una proposizione all'altra senza dargli occasione di scorgere subitamente le attenenze (pertinenza, relevanza – cf. Grice, category of relation – be relevant – a ‘platitude’ -- Strawson) loro. JILL: JACK IS AN ENGLISHMAN; HE IS, THEREFORE, BRAVE” – deduzione, induzione, adduzione? --. Affinchè si vegga manifestamente quanto la mancanza de' legamenti tolga di chiarezza al discorso, leverò dal seguente luogo di PASSAVANTI le particelle che ne conneltono le parti. Qualunque persona sogna, pensi se il suo sogno corrisponde all’affezione sua, a quella che più ta sprona. Se vede che si, non a. spetti che al sogno suo debba altro seguitare. Quel sogno non è cagione alla quale debba altro effetto seguitare; è l'effetto dell'affezione della persona. Tale sogno oseservare, cioè considerare donde proceda, non è in sè male: è l'effetto di naturale cagione. Facciamo congiunti questi membri colla particella “e”, la particella “imperciocchè”, la particella “ma” e vedremo il discorso apparire più chiaro (“She was poor and she was honest”). Qualunque persona sogna, pensi se il suo sogno corrisponde all’affezione sua, a quella, che più lu sprona. *E* se vede che si, non aspetti che al sogno suo debba altro seguilare; *imperciocchè* quel sogno non è cagione, alla quale debba altro effetto seguitare; *ma* è l'effetto del l'affezione della persona; e tale sogno osservare, cioè considerare donde proceda, non è in sè male: imperciocchè è l'effetto di natural cagione.” Questi pochi avvertimenti basteranno, se io non erro, a render cauti i conversatori che desiderano di conversare chiaramente. Tralascio le wolle cose che i filosofi hanno ragionato in torno la proposizione, poichè mi pare che, qual volta siasi imparato a distinguere la proposizione principale (premessa maiore) dalle proposizione subalterna (premessa minore), e siasi conosciuto che la virtù di queste si è di modificare le parti dell'altra, non faccia mestieri di *molto sottile* ragionamento a sapere in che modo elle si debbono collocare nella orazione o espressione complessa; perciò senza più entro a parlare dell' ornamento. La perſezione dell'arte del conversare nella LINGUA LATINA, secondo CICERONE, consiste nell'esporre chiaramente, or nataniente e convenevolmente le cose o il topico, che a trattare imprendiamo. Di quella chiarezza e di quell'ornamento e decoro – CANDORE --, che dall’invenzione e disposizione della materia procede, si ragiona nella rettorica – G. N. LEECH: “H. P. GRICE’S CONVERSATIONAL RHETORIC”.  Accade qui di parlare delle suddette tre qualità solamente rispetto al modo di significare (modus significandi) il concetto ritrovati. Avendo abbastanza detto della prima, diremo ora delle altre due, che fanno il discorso – la mozione, mossa, o moto, conversazionale -- accetto a nostro compagno conversazionale. Grice: “I’m not surprised that the Italians start the cataloguing of the maxims of conversations by the MANNER, rather than the CONTENT!” -- Prima di tutto si vuole osservare che la proprietà delle voci e l'ordinata (cf. Grice, be orderly) composizione loro generano gran parte della BELLEZZA DEL DISCORSO – Grice: “My maxims aim at rational cooperation, they are not moral or aesthetic in purpose.”. Imperciocchè fanno sì, che esso sia inteso senza fatica, che è quanto dire con qualche sorta di piacere. Ma questo non basta; chè nessuno per verità loda il conversatore solamente perchè si fa intendere dal suo compagno conversazionale; ma lo biasima e sprezza, s'ei fa altrimenti. Chi è dunque che faccia meravigliare gl’uomini e tragga a sua voglia le volontà loro? Chi è applaudito e chi è venerato più che more tale? Colui che NEL CONVERSARE è distinto, COPIOSO – ma non *troppo* copioso --, splendido, armonioso, e che queste qualità, onde si forma l'ornamento, congiunge al decoro – CANDOR – veracita e sincerita. Que' che conversa co'rispetti, che la qualità delle materia e del compagno conversazionale richiede, solo merita lode: che qualsivoglia ornamento DISGIUNTO DAL DECORO diviene sconcezza e deformità. Molto leggiadre ed efficaci sono le voci proprie, che per cagione del loro suono hanno somiglianza col significato, o quelle che ne ricordano qualche particolare qualità. E espressione, che ricorda il significato per somiglianza di suono le seguenti: “belato”; “ruggito”; “soffio”; “nitrito”; “boato”; “rimbombo”; “tonfo”, e molte al tre, che per alcuni furono sono termini figure, a differenza di quelle, che, non avendo soosiglianza veruna col significato, sono delle termini memorativi o cifre. Fra i termini figure voglionsi annoverare, oltre le voci che abbiamo teste accennat, quelle che o provengono da altr’espressione, che è segno di cosa somigliante al signficato che si vuol esprimere o communicare (cf. Grice on the circularity of analyising ‘signare’ e ‘communicare’), o ricordano l'origine o gl’usi del significato. L’espressione “spirito” è bella per certa tal qual somiglianza, che il significato, cioè l’immateriale sostanza, sembra avere col fialo o con qualsivoglia altra sottil materia, che SPIRI (onomatopoeia) e preferibile a ‘animo’. Belle similmente e l’espressione “moneta” e l’espressione “pecunia”. la prima delle quali, venendo da “moneo”, significa che il metallo ed il conio ammoniscono la gente circa il valore di essa moneta. La seconda, venendo da “pecus”, ricorda l'origine del denaro, che fu sostituito ai buoi ed alle pecore, antica inisura delle cose mercatabili. Ho qui posti questi due esempi ancora perchè si vegga quanto giovi alcuna volta l'investigare l’etimologia. Concorrono co' termini propri e co' termini figure a far bella la mozione conversazionale le parole nobili, qualvolta sieno convenevolmente adoperate. Accade delle parole, dice Pallavicini, che comunemente accade degli uomini nel civil conversare. Questi acquistano ripulazione o vilipendio dalla qualità delle persone colle quali usano farnigliarmente; e le parole dalla qualità delle persone da cui sono sovente proſerite; e ciò interviene perchè tutti hanno per fermo, che i personaggi illustri e gl’uomini letterati sieno ESPERTI A CONVERSARE *con legge*, e che la plebe allo incontro parli e cianci barbaramente. Avviene da ciò che alcune voci, che significano cose vili o laide [‘the --- bishop fell from the – stairs – profanity – Grice], sono tuttavia tenute per nobilissime. All 'opposito altre ve a'ba, che, nobili cose significando, in grave componimento non sarebbero lodate. Della prima spezie sono in Italia l’espressione “lordo”; “lezzo”; “tube”; “piaga”, ed altre, che nelle più nobili conversazione sogliono essere usate. Dall'altro canto, l’espressione “papa”, siccome osserva il lodato cardinale Pallavicini, la quale nobilissimo personaggio rappresenta, non sarebbe ricevuta in grave componimento poetico. In tre schiere vengono separate da Pallavicini le parole rispetto la maggiore o minore nobiltà loro. Nella prima si collocano quelle, che dal conversatore in nobile conversazione e usata a significare un concetto grande ed il lustre. Vocaboli di questa specie non si potranno senza AFFETAZIONE adoperare in tenue argomento, o in famigliare discorso. Che se alcuno famigliarmente usa l’espressione “pugna” in vece di “battaglia”; “luci” in vece di “occhi”; “accento” o “nota” in vece di “parola”, certo è che moverebbe a riso il compagno conversazionale. La seconda schiera è di quella espressione, che vanno egualmente per le bocche degl’uomini ragguardevoli e del popolo, e che si possono senza biasimo usare in ogni occorrenza. La terza poi è di quelle, che sono avvilite nella bocca della plebe, come e l’espressione “pancia”; “budella”; “corala” e simili, le quali possono essere opportune in una conversazione intesa ad avvilire alcuna cosa, come e la mossa, noto, o mozione conversazionale ‘satirica’. Anche le espressione antiche, qualvolta elle hanno convenevole forma e non sieno passate ad altro significato [non multiplicare sensi piu di la necessita], vagliono à nobilitare la conversazione. Ma si richiede somma cautela in co lui che a vila le richiama, poichè una espressione antiquata, ollrechè spesso portano seco oscurità [cf. Grice, ‘avoid obscurity of expression, procrastinate obfuscation, be perspicuous [sic]], ‘avoid unnecessary proliity [sic]’], più spesso fanno l'orazione ricercata e deforme. E chi oggi potrebbe, senza indurre a riso il compagno conversazionale, l’espressione “beninanza”; “bellore”; “dolzore”; “piota”, “spingare” ed altre simili d’usare. Ora diremo della metafora (“You are the cream in my coffee), la quale, usata opportunamente, è lume e vaghezza della orazione. Prima è a sapere che gl’uomini selvaggi per essere scarsi di cognizioni mancarono dell’espressione, e che volendo eglino significare alcuna cosa non ancora significata, fanno uso naturalmente di quella espressione gia usata, la quale e inventata a contras-segnare *altra* cosa somigliante in qualche parte all'idea novella (“You are LIKE the cream in my coffee”). Occorrendo loro, per esempio, di significare alcun uomo crudele, il chiamarono “tigre” per la somiglianza dell'indole di colal bestia con quella dell'uomo crudele. Cosi dissero assetate le campagne asciulle, “volpe” 1'uomo astuto (“sly as a fox” – he is a fox), “capo del monte” la cima – ‘top of the heap’ ‘New York, New York’ -- e “piè” del monte la falda di quello. Per gl’addotti esempi si vede questo trasporlamento (meta-bole, transferenza, trans-latio) di una expression da un significato propio e vero ad un significato impropio e falso (“You are the cream”) altro non essere che una similitudine ristretta in una espressione (“You are like the cream – simplifcata a “You are the cream”); imperciocchè la seguente similitudine spiegata. La comparazione vera “Costui è crudele COME una tigre” si restringe, per brevita, in questa forma metaforica falsa. “Costui è una tigre”. È dunque la metafora una abbreviata similitudine [an elliptical simile], che si fa recando una espressione dal significato proprio al signficato improprio: e perciò da Aristotele è detta imposizione del nome d'altri. Siccome la metaſora e da principio usata per *necessità*, potrà parere ad alcuno che crescendo il numero delle idee determinate e della espressione propria, la metafora divenga pressochè inutile – o una figura di retorica --; ma non accade cosi: perocchè, sebbene fra le conversatori civili e culle non sia tanto necessaria quanto fra le selvagge e rozze, pure la metafora è e sempre luce e VAGHEZZA della conversazione per virtù e forza di quelle sue qualità. La metafora presenta spesso all'animo più chiaramente ogni sorta di concetti, poichè, veslendo di forma *sensibile* una idea non-sensibile, o intelleltuale (nihil est in intellectu quod prior non fuerit in sensu), ce le pone davanli agli cinque sensi. Vuole Alighieri significare che non è meraviglia se per la le nuità della nostra fantasia non possiamo per venire ad imaginare le cose, che Alighieri desidera narrare del Cielo; e questo con una metafora dicendo. E se le fantasie nostre son basse a tant'altezza non è maraviglia. Per tal modo il concetto, che era tutto non-sensibile e intelettuale, divenne sensibile e per conseguente più chiaro (cfr. Grice, ‘be perspicuous [sic] – the imperative of conversational clarity] e più popolare. E se taluno volendo dire che gl’uomini bugiardi saono talvolta infingersi e comporre gl’atti e le parole a modo di parer verilieri, dice che la menzogna prende talvolta il manto della verità, non significherebbe egli il suo concetto assai vivamente. (He said that she was the cream in her coffee, By uttering ‘You’re the cream in my coffee” U signs – explicitly – THAT the addressee is the cream in the utterer’s coffee. Fra tutte le metafore poi e più efficace quella metafora che si cava da una qualità sensibile, corporea, materiale, che si mostra a le cinque sensi, e forse la ragione si è questa. Alla reminiscenza della qualità di un corpo, la quale ci vengono all'animo per i cinque sensi, più tenacemente si associano le idee, che di essi ci vengono per gli altri sentimenti; quindi è che ogni qualvolta ci riduciamo a memoria una della qualità sensibile (in questo caso visibile) del reale (un oggetto) quasi tutte le altre appartenenti a quello pur si risvegliano, e vivamente ed intero lo ci pongono dinanzi agli “occhi” dell'intelletto. Laonde se belle sono le metafore – parola dolce. che si cávano dalla qualità, da cui sono affetto: l'odorato (secondo senso dell’odore), il tatto (terzo senso del tatto), l'udito (quarto senso dell’audizione) e il gustato (quinto senso del gusto), come queste: odore di santità – odore santo, durezza di cuore – duro cuore, ruggir di venti, vento ruggente -- dolcezza di parole; parola dolce -- più bella, per che più viva si presenta all'animo, entrando quasi per gli cinque organi de’cinque sensi, sono le seguenti. Splende la gloria (visum). Folgoreggiano gli scudi. Ridono i prali (udito). Si rasserena la fronte; l’anima è oscurata per tristezza. Piacquero ad Aristotele sommamente quella metafora, che ci rappresenta (re-praesentatum, rappresentato) la cosa in mozzo, e principalmente quando la metafora attribuisce a una in-animato una operazione di un animato.Tali sono queste di Omero. Le saette di volar desiose; inorridisce il mare. Anche VIRGILIO, parlando di una satta entrata nel petto di una vergine, dice. Harsit virgineumque alle bibit hasta cruorem. Si dalla metafora ci pone la cosa vivamente quasi innanzi agl’organi dei cinque sensi, e per la “novità” o vita (no morte) loro ci fanno maravigliare. La metafora, siccome dice Aristotele, partorisce dottrina, facendo conoscere fra le idee alcuna attenenza dianzi non osservata. Quale attenenza scorgesi tosto fra un manto e la nobillà della prosapia? Certamente nessuna: pure veggasi come Alighieri ce la fa scorgere. O poca nostra nobiltà di sangue, ben tu se'manto, che tosto raccorce, sì che se non s'appondi die in die lo tempo ya d'intorno co' la for Coine un bello e ricco manto adorna la persona di colui che sen veste, così adorna l'animo d' alcuni uomini quell'onore che ricevono pei pregi degli avi loro, e che chiamasi nobiltà: ma, se per virtù novella non si rinfranca, ei viene di giorno in giorno scemando. Questi pensieri il divino poeta ci reca alla mente colla nuova similitudine, e ci dilella e ci illumina. Vale eziandio la metafora a muovere con maggior forza l’affeto, perciocchè, laddove alcuna volta parole proprie astretti a recare alla mente di nostro compagno conversazionale le idee una dopo l'altra, la metafora, rappresentandole tutte ad un tempo, assale l’animo con veemenza. Basti un solo esempio di PETRARCA, il quale rivolto alla morte così le dice: con saremmo me dove lasci sconsolato e cieco, poscia che il dolce ed amoroso e piano lume degli occhi miei non è più meco? Quali e quanli pensieri si destano nella mente all’espessione “cieco” e la frase/espressione frasale “lume degli ochi miei”! Ma circa l'uso della metaſora nell’aſſetto si vuole por menle che ella non mostra  il lavoro e la fatica dell’intelletto, perocchè non è verisimile che colui, che ha l'animo perturbato, si perda a far cerca d'ingegnosi concetti e figure retoriche. È ancora pregio della metafora di coprire con velo di modestia e di gentilezza il segnato, che espressa con un termino *proprio* (e non un termino figura como e la metafora) sarebbero odioso o turpo. Ecco un bell’esempio di Passavanti. La innata concupiscenza, che nella s vecchia carne e nell'ossa aride era addor meniata, si cominciò a svegliare: la favilla, quasi spenta si raccese in fiamma; e le frigide membra, che come morte si giacevano in prima, si risentirono con oltraggioso orgoglio. E VIRGILIO dice. O luce magis dilecta sorori, Sola ne perpetua moerens curpere juventa? Nec dulces natos, Veneris nec praemia noris? Questo e i principale vantaggio della metaſora, onde sovente viene preferita al termino proprio. Diremo ora dei vizii che talvolta elle possono avere. Se bella e la metafora che fa scorgere una maniſesta somiglianza tra due segnati (‘you’ ‘the cream in my coffee’), da che si toglie il vocabolo e l'altra, a cui si reca, chiaro è che deformi saravno quelle, che tengono ji paragone di rose o polla e poco somiglianti, e che sono male acconcie al proposto dne (“a woman without a man is a fish without a bicycle”). Nessuna somiglianza si vede fra le cose paragonale nella seguente metafora di MARINI. Folendo egli lodare un maestro, che formara bellissimi esempi da scrivere, esalta la penna di lui, dicendo ch'ella deve essere divina: Perchè una penna sela, Benchè s'alzi per sè pronto e sicura, Se divina non è tanto non rola. E qual somiglianza è mai tra il relare e lo scrivere? E tolta da peca somiglianza quella metafora che volendo segnare una cosa piccola prende da una cosa grande l'imagine, e al contrario. Mariai assomiglia le lacrime della sua douna a'lesori dell'Oriente, e Tertulliano il diluvio universale al bucato. Erro similmente colui che dice a suo amante. Son gli occhi resiri archiòugiati a ruote, Ele ciglia inarcale archi turcheschi. È bellissina la metafora che Poliziano tolse al Boccaccio. E le biade ondeggiar come fa il mare. Sarebbe difettosa quest’altra. E tremolare il mar come le biade. Viziose come le sopraddeile sono la più parte delle metafore usate dagli scrittori del secolo XVII, e soprattutto dai poeti, i quali sriscerarano i monti per estrarne i metalli, face vano sudare i fuochi, ed avvelenavano l'obolio colp inchiostro. Parmi inutile cosa l'estendermi in questa materia, essendochè il nostro secolo, sebbene incorra in altri vizii, di così falle baie si mostra nemico. Della metafora e l’analogia che e alquanto dura, ė da sapere che puo essere mollificata per certa maniera di dire, quali sarebbero: quasi – per dir cosi e che alcune ve nha, che sono state ammollite dall'uso, come la seguente: Fabbro del bel parlare. Ė da biasimare ancora la metafora, che la sorvenire il nostro compagno conversazionale di qualche bruttura, o di cosa rile, o che disconvenga alla gravità della trattata materia o topico. Perciò meritamente Casa rimprovera ALIGHIERI per essere talvolta caduto in questo difeilo, siccome quando disse. L'allo fato di Dio sarebbe rotto se Lete si passasse, e lal vivanda fosse gustala senza alcuno scollo di pentinento. E altrove. E vedervi, se avessi avuto di tal tigna brama, colui poteri ec. Questa e una imagine plebea e sconvenienti alla gravità del subbietto. Cosi merita biasimo Pallavicini, comechè sia maestro sommo nel l'arte dello stile conversazionale, quando disse, che il cardinal Bentivoglio aveca saputo illustrar la porpora coll' inchiostro, e quando per accennare la qualità, ond'è costituita l'eleganza della elocuzione, dice: saputi distintamente quali ingredienti compongono quesla salsa, cioè l'eleganza; i quali modi sono da biasimare, essendochè nel primo esempio li vedi dinanzi agli occhi la porpora brullala d'inchiostro, e nell’altro t’infastidisce l'abbietta voce che sa di cucina. Similmente non paiono degni di lode coloro, che sogliono usare per vezzo della conversazione un idiotismo, e segnatamente quello, che ha origine da certa anticha costumanze dimenticata oggidi. Non merita lode Davanzali quando volendo dire: o nulla o lullo: disse: o asso o sette. Questo proverbio, oltre chè si è di vilissima condizione, è tolto da un giuoco, che potrebbe essere sconosciuto a molli. E proverbio, del quale non si sa l'origine, il seguente; e perciò freddo od oscuro: Maria per Ravenna, invece di cercar la cosa dove ella non e. Bastino questi pochi proverbi per moltissimi, che qui si po ebbero recare, e de' quali vanno in traccia alcuni mal accorti conversatori, onde parere versali nella lingua antica. Aucora è biasimevole alcune volte la metaſora, che si deriva dalle materie filosofiche; imperciocchè, se il fine, pel quale il conversatore usa di quella, si è di rendere più chiaro e più vivo i concetto, questo non si potrà ottenere traendo la similitudine da cose poco nole o malagevoli ad intendere, come a la metafisica, che spesso, ond'essere chiarita, hanno bisogno delle similitudini tolle dalle cose materiali; ma di rado somministrano imagini, che vagliano a cercar recar luce alle prose ed alle poesie. Pure in questi tempi sono alcuni conversatori, i quali hanno per vezzo l'usare siffatta metafora, avvisando d'illustrarne la sua mozzione conversazionale, e di mo strarsi intendente e sottile; ma va grandemente errato, perciocchè non solamente appor tano ombra ed oscurità (‘avoid obscurity of expression, be clear) alla sentenza, ma danno segno di affettazione che è vizio sopra tutti spiacevole. si è dello di sopra che la metafora diletta, non solamenle perchè ci pone dinanzi agli oc ebi in forma quasi sensibile un pensiero astratto, ma ancora perchè ci porge ammaestramento col farci apprendere fra le idee alcuna attenenze prima non osservata; dal che si deduce che il conversatore, i quali vogliono recar maraviglia, de guardarsi dall' usare una metafora troppo comunale, come quelle, che, a somiglianza della monete passata per molle mani, sono rimase senza vaghezza. Non ogni metafora poi, comechè sia ben derivata, potrà convenire ad ogni conversazione. Poichè tra le metafore ve n'ha delle più o meno illustri, converrà avvertire che il grado della nobiltà loro non disconvenga alla qualità del componimenlo. Similmente nel formare la metafora si vuole avere riguardo al pensare della gente nella cui lingua si conversa. La diversità de'luoghi e de' climi fa che gli uomini abbiano diversi i costumi e le usanze, e perciò diverse ancora le idee e le significazioni di esse. Impercioc chè, traendo ciascuna gente le similitudini dalle cose, che più spesso le sono dinanzi agli occhi, incontra che alcun popolo deriva una metafora da una cosa campestre, lal altro da una cosa marittima, tal altro dal combinercio o dalle arti, secondo suo silo e costume. Il rigore o la benignità del clima poi è spesso cagione che l'umana imaginativa sia più vivace in un luogo e meno altrove; e quindi è che una metafora naturalissime nel Trastevere appaia ardila e strana nel Tevere. Anche l’essere le geoli più o meno civili cambia la natura della metafora; perciocchè dove sono leggi meno buone, ivi è più ignoranza del vero; e dove è più ignoranza del vero è più amore del verisimil; il che torna il medesimo, ove è minor virtù intelleltiva, ivi abbonda la forza della fantasia. Cadono perciò in gravissimo errore coloro, che, imilando il volgarizzamento di Ossian falio da Cesarolli, sperano di venire in fama di sommi poeli toglieodo sempre la metafora da'venti e dalle tempeste, dai torrenti, dalle nebbie e dalle nuvole. Paiono a costoro inaravigliose squisitezze e delizie i seguenti, e simili modi: sparger lagrime di bellà - i figli dell'acaciaro il tempestoso figlio della guerra siede sul brando distruzione di eroi dar. deggiano gli sguardi rotola la morle - urlano i torrenti. Cotale metaſora, che per avventura e naturale a'popoli selvaggi, sono in Italia ridevoli e sciocche fantasie. Alla diversa indole delle genti debbe anche por mente chi dall' una lingua all'allra trasporla i versi e le prose, se non vuole produrre nell'animo di nostro compagno conversazionale effetto contrario a quello che l'autore straniero o forastiero o del Trastevere produsse in coloro, ai quali volse le sue parole. Affiuché si vegga manifestamente che non lutte lete. metafore convengono a tulti i popoli, recherò qui alcuni esempi che a questo proposito Tagliazucchi toglie dalla lingua latina. Bella metafora si è questa presso Virgilio: classique im millit habenas; deformità sarebbe tradu re in italiano: melte le briglie alla flolla. Così per segnare il pane corrotto dall'acqua dice lo stesso poeta. Cererem corruptam undis; mal si tradurrebbe: Cerere corrolla dall'onde. Orazio disse. lene caput aquae sacrae; e si tradurrebbe malissimo in italiano: il dolce capo dell'acqua sacra. Per segnare il liero sdegno d'Achille dice: gravem sioma chum Pelidae; e malissimo si tradurrebbe: il grave stomaco del Pelide. Moltssime altre metaſore potrei qui recare, che sono proprie solamente della lingua latina; ma chi ha cognizione della lingua latina conoscerà di per sè la verità di quello che io dico, ed argomenterà quanto debbono differire nella metafora la lingua italiana e quelle de'popoli da noi disgiunli e per costume e per clima, se tanto differiscono l'italiana e latina con islrelto vincolo di parentela congiunte. Una regola o massima o omperativo da osservarsi nell'uso della metafora si è di non aminassarle nella conversazione, ma collocarvele parcamente e di guisa, che paiano, come dice Cicerone, esserci venule volonterosamente, e non per forza nė per invadere il luogo altrui. È da avvertire in secondo luogo, che la metafora o non si dee congiungere con altra metafora o con voci proprie di maniera, che fra queste e quella si scorga opposizione maniſesta. Se per esempio avrai detto che Scipione è un fulmine di guerra, non dirai tosto che egli trioníò in Campidoglio. Se paragonerai eloquenza ad un torrente, non le attribuirai poco appresso la qualità del fuoco, ma avrai cura che la metafora sia sempre collegata (e no mista) colle idee prossime di guise, che nostro compagno conversazionale non trovi mai contrarietà ne' tuo concetto. In questo difetto caddero anche alcuni autori eccellenti, come Petrarca nel Sonetto XXXII, dove, cominciando dal dire metaforicamente, ch' egli ordisce una tela, prosegue: ſ ' farò forse un mio lavor si doppio fra lo stil de'moderni e il sermon prisco, Che (paventosamente a dirlo ardisco) Infino a Roma ne udirai lo scoppio. Ma non così egli fece nel Sonetto che comincia Passa la nave mia colma d'obblio, chè in esso avendo preso ad assomigliare gli amorosi affanni suoi alla nave, da questa imagine non si diparte sino alla fine. Non intendo io però di affermare coll’esempio di questa allegoria, che in breve discorso non possano star bene insieme più metafore di natura diversa; ma di avveitire che assai disconviene il trapassare da una similitudine ad un'altra inconsideratamente e quasi per salto. Giova moltissimo talvolta a render chiare e naturali quella metafora, che per se medesime sarebbero ardite e spiacenti, il preparare per convenevole modo l'animo di nostro compagno conversazionale. Se taluno volendo dire che gli uomini per mal esempio altrui caggiono in errore, dicesse caggiono nella “fossa” della falsa opinione, use rebbe certamente ardita e spiacevole metafora: nulladimeno ella diviene bellissima, qualvolta per le cose antecedenti ne siamo disposti. Va. glia l'esempio di Alighieri. Dopo aver ricordata la nota sentenza se il cieco al cieco sarà guida cadranno ambedue nella fossa prosegue: i ciechi soprannominati, che sono quasi infiniti, con la mano in sula spalla a questi mentitori sono caduti nella fossa della falsa opinione. Cosi l’ardita metafora divenla parte di una vaghissima dipintura, che viene quasi per gli occhi alla mente, ed ivi s'imprime e lungamente rimane. Sono certi scrittori, i quali riducono le idee astratte a termini più astratti (obscurus per obscurius) di quello che si converrebbe cercand a tulto potere di al lontanarle da' sensi: indi a questi loro soltilis simi concelti uniscono molte metafore repugnanti fra loro, il che fa che la mente di nostro compagno conversazionale tra questi estremi e tra questi contrari confusa nulla comprenda, come si può di leggeri conoscere nel seguente esempio tolto da un libro moderno: A giudizio dei savi scorgesi palesement, che nelle vedute su blimi della gran madre anche l'emulazione, principio avvedutamente inserito nella costituzione dell'uom, ' concorrer deve a scuotere ed a sferzare l'industria, on de riguardo allo sviluppamento di questa [Oh quanta confusione ed oscurità in tanta pompa di parole! Pare che il conversatore volesse dire, che i savi conobbero che la natura ha posto nel cuore dell' uomo il desiderio d'emulare gli altri; e che da questo procede l'industri; ma accoppiando i vocaboli principio e costituzione, che sono segni d'idee molto astratte, colla melaforica voce “inserire” ha composto un enigma; perciocchè nessuno polrà imaginare chiaramente siffallo innesto. Più strana poi diviene la metafor, quando l'astratto segnato dalla espressione “principio” si fa a scuolere ed a sferzare l'ind stria falla inopportunamente persona per trasformarsi losto in altra cosa, che si sviluppa a guisa di una malassa. In questa forma la metafora, che e vaghezza e luce della favella, diviene tenebre alla mente e vano suono (flatus vocis) agli orecchi. Conciossiache L’INTENZIONE del conversatore non sia solamente di render chiaro il concetto, ma di farlo talvolta dilettevole e maraviglioso, interviene che alcuni, per recare altrui dilelto e maraviglia, si fango a derivare dalla metafora certe loro conseguenze, come se in quella non già una simililudine si contenessa, ma come se la cosa a cui si reca il nome novello, veramente si trasformasse nella cosa, donde esso nome si toglie. Di questa specie di concetti si presero diletto i prosatori ed i poeti del secolo decimo settimo, forse per desiderio di avanzare gli scrittori delle altre elà, ed in fastidirono tutti i sani intellelli. Basti di ques 1 [Atti dell' Costitulo pazionale. era sti vizi un solo esempio. Ugone Grozio, per mostrare che non a dolere la morte di Giovanna d'Arco, dopo aver lodate nel principio di un epigramma le virtù di lei, sog giunse: Necfas est de morte queri, namque ignea tota aut numquam, aut solo debuit igne mori. Con l’espressione “fuoco”, imposta a cagione di similitudine, viene il conversatore a trasformare la misera vergine in vero fuoco materiale; e quindi trae la strana conseguenza, che ella mai non dovesse morire, o morire nel fuoco. Similmente si è frivolo modo e sciocco il derivare la metafora dalla somiglianza ed uguaglianza de'noni imposti a cose diverse, ALLUDENDO all' una di esse mentre si fa mostra di ſavellare dell'allra. In questo difetto incorse anche il primo de'nostri poeti lirici quando, piangendo la sua donna, parla del lauro, ed allude freddamente al nome di lei, come nella canzone, che comincia, Alla dolce ombra delle belle fronde ed in molti altri luoghi si può vedere. Essendosi fin qui parlato de' pregi e de'vizi delle metafore, cadrebbe in acconcio il ragionare degli altri traslati di parole e di concetto e della figura: ma, perciocchè queste cose sono state definite e largamente dichiarate da tutti i retlorici, stimo che qui basti il ricordare che siffatte maniera di favellare non e bella, se non in quanto vengono dal conversatore opportunamente adoperate. Per lo stesso fine, che la metafora si propone, cioè di rendere più vivo il concetto, melte bene talvolta il trasportare l’espressione a un segnato improprio o nominando invece del tutto la parte (metonimia), o invece della cosa la materia, ond'ella è composta, o il genere per la specie o il plurale pel singolare (majestic plural – We are not amused), e viceversa. Si può cadere in difetto usando questo traslato, che fu chiamato “sinedoche”, ogni qualvolla l'imagine della cosa, da cui si prende l’espressione, non sia bene associata alle idee, che si vo gliono svegliare in altrui, non sia atta a fare impressione nell'animo più che le altre ide, che vanno in sua compagnia. Vaglia a dichiarazione di ciò un solo esempio. Si dirà con maggior efficacia: fuggono per ſalto mare le vele, di quello ch: fuggono per l'alto mare le prore; poichè l’imagine delle vele gonfiate dal vento, come quella, che maggiormente percuote la vista di colui, che mira la nave in alto, più strettamente d'ogni altra idea si associa all'idea del fuggire: in altro caso però tornerà meglio chiamar la nave o poppa o carena, cioè quando l'azione, che essa fa, o la passione, che riceve, meno con venga alla vela che alle altre parti. Veggasi come ne ua Virgilio: vela dabant laeti. Submersas obrue puppes si nomida ancora talvolla la causa per l’effetto, o questo per quella: il contenente pel contenuto: il possessore per la cosa posseduta: la virtù ed il vizio invece dell'uomo virtuoso e del vizioso: il segno per il segnato ed il contrario; e questa figura, che dicesi “metonimia”, giova per le delle ragioni, essa pure adoperala opportunamente, a dare evidenza alla elocuzione. Ma di questi traslati e di quelli di concetto, che consistono in sentenze da intendersi a contra-senso (ironia), tanto se ne parla, come già dissi, in tutte le scuole, che qui, facendo la definizione dell'”allegoria”, dell'”ironia” e di altri simili traslali, avvertirò solamente che questi saranno diſellosi se verranno a collocarsi nella conversazione senza essere mossi dagli affetti. Anche rispetto a quelle forme, che sovente adoperiamo per rendere più efficaci i pensieri, e che si chiama con ispecial nome figura, ricorderò che alcune ve n'ha, come l’ “interrogazione” e l’ “apostrophe”, che nascono dall'affetto, ed alcune altre dall'ingegno, come l'”antitesi” (contrapposizione) e la distribuzione; e che perciò vuolsi avvertire di non far uso di queste seconde ne'luoghi, ove si possa credere che colui, che favella, abbia l'animo perturbato. Ma nessuno avvertimento, per ' vero dire, è giovevole a chi non sente nell'animo la forza degli affetti. Il più delle figure, come detto è di sopra, muovono dalla passione, e, se dall'ingegno vengo. no cercal, riescono fredde e di nessuna virtù: perciò è che male s'imparano da' rettorici. Con più figure favella la rivendugliola, secondo il detto di un illustre scrittore, contrattando sua merce, che il retſorico in suo studiato serino ne: tanto egli è vero che procedono più dalla natura che dall'arte. Questo vogliamo che ci basli aver dello così alla grossa delle figure. Dappoichè abbiamo detto in che consista la proprietà dell’espressione e della metafore, e come queste e quelle si debbano collegare per rendere chiaro ed accelto la mozzione conversazionale a nostro compagno conversazionale, e fatto alcun cenno de' traslati e delle figure, vérreio a dire, seguitando le dottrine di Palavicini, degli elementi, onde è costituita la “eleganza” (cf. Grice, ‘aesthetic maxims’), senza della quale ogni altro ornamento quasi vano riuscirebbe. L’espressione “eleganza”deriva dal verbo “eligere” ed è usata a segnare quella certa tersezza e gentilezza, per la quale una mozzione conversazionale non solamente viene ad essere scevro da ogni errore, ma in ogni sua parte ornato di qualità che da tutto ciò che ha del plebeo si allontana. Diciamo delle parti, delle quali ella si compone, che sono quattro. La prima e la brevità (Grice, ‘be brief – avoid unnecessary prolixity [sic].” La seconda e l'osservanza delle regole morfosintattiche. Terzo, la civilita o l'urbanità. Quarta, la varietà (non-detachability). Sebbene la chiarezza (conversational clarity, be perspicuous [sic]) spesso si ottenga col l'ampio e largo mozzione conversazionale, pure talvolta colla brevità si rende il pensiero più lucido e più penetranti (Brevity is the soul of wit). Le parole, dice Seneca, vogliono essere sparse a guisa della semenza, la quale comechè sia poca, molto fruttifica. La sovrabbondanza (over-informativeness) delle parole all'incontro empie le orecchie di vano suono (flatus vocis) e lascia vuote le menti. Perciò è da guardare non solo che nostro compagno conversazionale non sia distratto da una vana proposizione subaltern (premessa minore), ma che non sieno affetti più da un segno che dall’idea segnata. Saranno perciò utili a togliere questo inconveniente ed acconce a rendere elegante l'elocuzione quella espressione, che somigliante alla moneta d'oro equivale al valore di più altre, come le seguenti: disamare, disvolere, rileggere, ed altre molte, e con queste i diminutivi, gli accrescitivi, i vezzeggiativi, i peggiorativi, de' quali abbonda la nostra lingua. Vi sono ancora molti modi, che abbreviano la mozzione conversazione, e questi consistono nel tralasciare o il verbo o il pronome o la particella o l’affissi, che racchiusi nella diretta favella puo essere SOTTINTESO. (Implicatura). Basta qui recarne alcuni ad esempio. Se io grido ho di che dammi bere quo ha di belle cose onde fosti & cui figliuolo andovui il cielo imbianca - vergognando tacque a baldanza del signore il baltè иот da faccende non se da ciò vedi cui do mangiare il mio, ed altri moltissimi somiglianti modi, coi quali si ottiene questa importantissima parle della eleganza, onde rice. ve nerbo l'orazione, Avend’io delto che la brevità costituisce gran parte della eleganza, non intesi di affermare che agli scrillori non sia lecito di esporre le cose particolarizzando; chè questa anzi è l'arte colla quale si produce l'evidenza; ma volli avvertire chi brama dilettare altrui colle proprie scritture, di ben ponderare quali sieno le particolarità, che hanno virtù di far luminoso il concetto, e di tralasciar quelle, che l'offuscano e pongono l’altrui mente in falica. Secondo, dobbiamo eziandio osservare la regola morfosintattica, cioè quelle leggi che la volontà de’ primi favellalori e l'uso di coloro, che vennero dopo, banno imposto alla lingua italiana. Comechè il trascurarle non induca sempre oscurità (avoid obscurity of expression) pure importa moltissimo che sieno osservata, poichè ogni elocuzione irregolare apparisce plebea (un solecismo). E perciò grande si è la stoltezza di coloro, che vando cercando negli autori antichi i costrutti contro grammatica, e quelli come pellegrine eleganze pongono nelle scritture: dal che ottengono effetto contrario al buon desiderio: per ciocchè o portano oscurità nella sentenza, o in fastidiscono i lettori facendo ridere gli uomini di lettere, non ignari che quelle strane forme sono la più parte errori, o di amanuensi o di stampatori o di autori plebei, de'quali non fu piccol numero anche nel bel secolo dell'oro (errata). Terzo, siccome sono molli' vocaboli, secondo che è dello, i quali usati già da ' buoni scrittori han no acquistata certa nobiltà e fanno nobile il conversare, così pure sono molli modi, i quali, avendo in sè certa gentilezza, il fanno elegante, e non essendo propri degli stranieri, gli danno quel paliyo colore, e direi quasi fisonomia, per cui ciascuna favella da ogni allra si distingue. In che precisamente sia riposta que sta vaghezza, che si chiama civilita o “urbanità”, si è difficile dichiarare; e perciò assal meglio che con parole, si può mostrare cogli esempi. Porrò qui dunque alcuni modi volgari, ed al fianco di essi i moderni urbani o civile. Ciò che loro venisse in grado. A chicsa non usava giammai. Seppegli reo. Ciò che loro piacesse. Non era solita di andare in chiesa. Gli parve cosa calli va. Fece rivivere. Il prese per marito. “Era il giorno in cui” -- Egli domandò al servo certa cosa. Ben io mi ricordo. A vila recò. Il prese a marito. “Era il giorno che” – “Egli domandò il servo di certa cosa” -- Ben mi ricorda, o ben mi torna a mente. Vicino di quell'isola. Non-Upper: Viveva a modo di bestia. “Vicino a quell'isola” Upper: “Viveva come una bestia” Moltissime sono le forme somiglianti a que ste, le quali, sebbene non vadano per la bocca de ' comunali scrittori, pure sono chiare e naturali, e per cerla loro indicibile gentilezza recano diletto. Vogliono però essere parcamenle adoperate, perocchè in troppa copia ſarebbero il discorso ricercato; e questo difetto dobbia mo schivare anche a pericolo di parere negligenti. La negligenza è mancanza di virtù (salvo quando e falsa – nulla piu difficile che falsare la negligenza), che rende meno lodevole il discorso, ma non meno credibile: e l'affettazione è deforme vizio, che al dicitore toglie autorità e fede. Modo più sconcio si è quello di coloro, i quali, per vaghezza di parere eleganti ed SUO esperti della PATRIA LINGUA – LINGUA PATRIA -- patria lingua, compongono prose con parole e modi fuor d'uso, e costruzioni contorte alla boccaccesca; e della stessa guisa fanno versi oscuri e senza grazia e senza per bo, e si argomentano poi di avere imitato Aligheri o Petrarca. Ma che altro per verità fanno costoro, se non se muovere a sdegno i buoni ingegni, e dare occasione al volgo di ridersi di quei pochi, che studiano a’libri antichi? Un'altra generazione di scrillori (e questa è dei più ), alzato il segno dell'anarchia, gridando che l’USO è l'ARBITRO della lingua (Wittgenstein), si fa beffe di ogni gentilezza e di ogni proprietà: guida per entro l'idioma nativo parole e forme forestiere, e il guasta sì, che non gli lascia di se non la sola terminazione delle voci. Cosi due sette di contraria opinione vorrebbero partire la repubblica letteraria. L'una tiinida e superstiziosa restringe la lingua a que' termini, in cui stette nel trecento: l'altra licenziosa ed arrogante vuole che ogni ar gine si rompa sì, che le purissime fonti del civil conversare si facciano torbide e limacciose. Affinchè appaia manifesto il torlo di questi se diziosi, dirò che cosa sia lingua; e dalla sua definizione trarrò alcune conseguenze. La serie de' segni e dei modi vocali instituiti a rappre sentare ogni generazione di pensieri, o, per meglio dire, ad esprimerc tulle quante le idee, ond’è formata la scienza di una patria, è ciò che dicesi lingua (come l’italiano dal latino, o il pidgin e il creole che e il francese). Da questa definizione si deduce che nè una sola città nè un'età sola può essere autrice e signora della lingua italiana – Roma e la citta della lingua romana; ma che è forza che alla formazione di questa abbia avuto parte la nazione intera, cioè tutti gli uomini congiunti di luogo e di costumi, che hanno idee proprie da manifestare; e che a scernere il fiore dalla crusca abbiano dato e diano opera gl'illustri scrittori. E così avvenne di vero nella formazione e nell'incremento di questo, che Alighieri chiamò, ironicamente, il volgare d'Italia, poichè, come dice BEMPO, e un siciliano e un Pugliese e un Toscano e e un Marchegiano e un romagnolo e un lombardo e un veneto vi posero mano. Tutte le parole dunque per tal guisa formate, che vagliono ad esprimere con chiarezza i pensieri, potranno essere con lode usate, sieno elle an tiche o moderne; chè le moderne ancora deb bono essere benignamente accolle, quando sie no necessarie a segnare una idea novella. Quella facoltà, che fu conceduta agli antichi, non si può togliere ai presenti uomini; perciocchè, se non si possono prescrivere limiti all'umano sapere, nè meno alla quantità dei segni delle idee si potrà prescrivere (quark, querk). Per la qual cosa ſu e sarà sempre lecito a' sapienti, qualvolla la necessità il richiegga, l'inventare una nuova espressione (“Deutero-Esperanto”) e un nuovo modo. Questa risposta è alla selta dei superstiziosi. Ora ai libertini (Bennett – meaning-liberalismo – libertinismo semiotico – Locke – liberty) brevemente diremo che la lingua italica non è la lingua del volgo, ma, come è delto, si è quella, che gli illustri scrittori di ogni secolo hanno ricevuta per buona, e che perciò quando si dice che appo l'uso è la signoria, la ragione e la regola del parlare, non si vuol dire l'uso del volgo, ma de' buoni scrittori. I più antichi die dero vita e forma alla lingua romana, ed i posleri loro la arricchirono e la potranno arricchire, non senza grande biasimo potranno toglierle l’essere suo. Siccome ad ogni mazione è spe ma ciale la fisonomia e certa foggia di vestire, cosi e speciale al idio-letto le voci ed i modi propri e figurati, i quali hanno attenenza co'diversi costumi delle diverse genti; e perciò coloro, i quali vogliono introdurre licenziosamente nell'idioma nativo espressione e modi forestieri – implicate, non impiegato -- operano “contro ragione”,  e, mentre ambiscono di essere tenuti uomini liberi e filosofi, fanno mostra d'obbrobriosa ignoranza. Non si lascino dunque sopraffare i gio vanelli da quei beffardi filosofastri, che con trassegnano per derisione col nome di purista chi studia scrivere italianamente; ma alla co storo petulanza coll'autorità di CICERONE ri spondano arditamente che colui, il quale la patria favella vilipende e deforma, non solo non è oratore, non è poela, ma non è uomo (CICERONE, de orat.). Quarta e ultima, se le parole fossero sempre composte ugualmente, non sarebbero graziose a chi ascolla o legge; e perciò un altro elemento della eleganza si è la variet. Il discorso può ricevere varietà da sei luogh, che ad uno ad uno ver remo a dichiarare brevemente, seguitando Pallavicini. Accade tante volte di dover nominare replicatamente la cosa medesima, e ciò produce noia agli orecchi, i quali sopra tutti i sentimenti del corpo sono vaghi di varietà; onde per isfuggire la ripetizione delle voci sono molto giovevole il sinonimo, quando la piccola differenza, che è in essi, non tolga al discorso laproprietà necessaria; per non peccare contro la quale sarà mestieri aver considerazione, co me allrove si è detto, al vero intendimento de vocaboli. Se, a cagion d'esempio, dovendo si cambiare l’espressione “fanciullo”, si prendesse l’espressione “infante”, si osserverà che questa, venendo dal verbo fari, segna non parlante, e che perciò non può strettamente essere sempre sostituita a quella di “fanciullo”. Il secondo dai sei luogo della varietà sta nel ra presentare una cosa pe' suoi effetti congiunti, come, a cagion d'esempio, se poeticamente dicessimo; il sole velava i pesci, per dire era il fine dell'inverno: al germogliare delle piante, per dire al tornare della primavera. Con somma grazia e novità Aligheri rappresentò la sera pe' suoi effetti dicendo: Era già l'ora, che volge il desio a' naviganti, e inlenerisce il core lo di, che han detto a' dolci amici addio; E che lo nuovo peregrin d'amore punge, se ode squilla di lontano, Che par il giorno pianger, che si muore. Questo fonte di varietà è abbondantissimo, e possiamo vederne un esempio in Bernardo Tasso, che in cento modi segna il sorgere del giorno. Nel rappresentare le cose pe' suoi effetti porrai cura che questi non destino al cun pensiero sordido od abbietlo, e che nel le scritture famigliari la congiunzione loro coll'oggetto sia mollo nola, sicchè non paia puplo ricercata. Il terzo luogo dai sei modi sono le definizioni o epiteto o apposizione delle cose, o sia le brevi descrizioni loro, le quali si possono prendere invece delle cose stesse, o que ste indicare per alcuna loro speciale proprietà; come chi per nominare Giove dicesse il padre degli uomini e degli Dei, o per dire la fortuna, Colei, che a suo senno gi infimi innalza ed i sovrani deprime. Il quarto luogo dai sei modo si è l'uso promiscuo del signato attivo, medio, o passivo da un verbio Potrai dire: Raffaele colori questa tavola, ovvero, da Raffaele fu colorita questa tavola; e secon do che chiederà il bisogno, userai o questo o quello segno. Il quinto luogo dai sei luoghi è la qualita (categoria d’Aristotelel'uso negativo (o infinito – privazione) invece dell’affirmativo o positivo; come chi sosliluisse alla proposizione positiva o affirmative seguente, ma con signato negativo: Il sole si oscurò, quest' altra proposizione splicitamente negative, per mezzo dell’adverbo di negazione, “non”: Il sole non isplendette”. Il sesto luogo dai se luoghi e la metafora (you’re the cream in my coffee), per la quale si può maravigliosamente variare il discorso, ora volgendo in “senso” (segnato, strettamente) metaforico – Sensi non sunt multiplicanda praeter necessitatem – uso metaforico -- un concetto allre volle espresso con termini propri: ora usando una metafora tolta o dal genere o dalla specie o da cose animate o da cose inanimate: ora quelle, che si presentano ai sensi: ora le altre, che si riferiscono agli altri sentimenti del corpo. Ornamento, dal quale l'elocuzione riceve molta gravità, e la sentenza. La sentenza o dogma o assioma o principio o adagio o gnomico o proverbo (“Methinks the lady doth protest too much” what the eye no longer sees the heart no longer grieves for”) si è verità morale ed universale, segnata con la brevità, che all'intelletto sia lieve il comprenderla ed il ritenerla. Tali sono le seguenti. Ipsa quidem virlus sibimet pulcherri. ma ncrces. Quidquid erit, superanda omnis for tuna ferendo est. La mala ineple non ha mai allegrezza di pace. Proprio de'tiranni è il temere. La buona coscienza è sempre sicura. Avvegnachè la sentenze sia più accomodata a quella conversazione che tratta di materie gravi, nulladimeno possono adornare molte altre specie di componimenti, e perfino le lettere famigliari, se ivi con moderazione sieno adoperate. Dico che sieno adoperate con moderazione, perchè il soverchio uso delle sentenze, anche nelle materie più gravi, è indizio che lo scrittore vuol ostentare sapienza, e perciò il fa parere affettato. In cotal vizio cadde ro molli scrittori del secol nostro, i quali me ritamente furono tacciali di “filosofismo” di  Borsa, che in una sua dissertazione ra giopò del presente gusto degl'italiani. Scon venevolissimo è l'abuso e talvolta anche l'uso della sentenza pe' discorsi, che trattano di cose mediocri o umili. Ma che diremo poi росо senno di coloro, che guidano in teatro i servied altre persone rozze ed agresli a parlamentare ed a spular tondo, come se dal pergamo predicassero? Questo è modo tanto sconcio, che il volgo slesso ne rimane infastidito, on d'è qui da passare con silenzio. È da lodarsi segnatamente nelle opere morali o politiche l'elocuzione, che a quando a quando sia ornata, ma non tessuta di sentenze, la copia soverchia delle quali, stanca i lettori invece di sollevarli, come si può sperimentare leggendo le opere morali di Seneca. Lo scrittore dal quale più che da ogni altro si apprende a fare buon uso della sentenza, è Cicerone, nelle cui filosofia mai non pare che quelle sieno condotte nel discorso a pompa, ina sempre vi nascono naturalmenle per recar luce e diletto. Diciamo alcuna cosa anche del concetto, onde viene grazia o piacevolezza ai componimenti. Concetto propriamente si dice una certa proposizione, che per essere nuove ed espresso con brevi parole recano altrui diletto e maraviglia e scuoprono il sottile ingegno di chi le dice. Ve n'ha di due maniere. La prima è dei delti gravi, l'altra dei ridevoli, che con proprio nome si chiama una facezia. Gli uni e gli altri nascono da’ medesimi luo ghi, e differiscono, secondo Cicerone, solamente in questo: che i gravi si traggono da cose oneste; i ridevoli da cose deformi o alcun poco turpi: ma pare veramente che a far ri devole un dello, sia necessario, il più delle 1 volle, che esso comprenda in sè alcune idee discrepanti congiunte insieme di maniera, che la congiunzione loro ben si convenga con una terza idea. Ciò sia chiaro per un esempio. Un buon ingegno de' nostri tempi fcce incidere in rame la figura di un vecchio venerabile con lunga barba, vestito alla francese, ornato di frangie e di feltucce e tutto cascante di vezzi, e sotto vi pose queste parole. Traduzione d' Omero di M. C. Tultii ne fecero le risa grandi. Se il ridicolo di questa figura consistesse nel solo accoppiamento dell'imagine dell'uomo antico e grave con quella de' giovani leziosi, ci ſarebbe ridere anche l'imagine di una sirena, che è composta di due contrarie nature; lo che per verità non accade, ed accadrebbe solamente qualora si dicesse che la bella donna, che termina in pesce, figura delle folli poesie ricordate da Orazio nella Poetica. Pare dunque manifesto che il ridicolo di sì falta deformità si generi dalla convenienza che è tra esse e la cosa, cui si vogliono assomigliare. Per ciò s'intende quanto diriltamente Castiglione dichiari che si ride di quelle cose, che hanno in sè disconvenienza, e par che slieno male senza però slar male. Affinchè prima di tutto si vegga che da’ luoghi, donde si cava la grave sentenza, si possono ancora cavare i molli da ridere, re cherò l'esempio, che ne dà Castiglione. Lodando un uom liberale, che fa comuni cogli amici le cose proprie, si polrà dire, che ciò ch'egli ha, non è suo: il medesimo si può dire per biasimo di chi abbia rubato, o con male arti acquistato quello che tiene. Di un buon servo fedele si suol dire: non vi ha cosa che a lui sia chiusa e sigillata: e que sto similmente si dirà di un servo malvagio destro a rubare. Le maniere de concelli ingegnosi sono pres sochè infinile, e di moltissime ha ragionalo Cicerone nel terzo libro dell'Oratore, ma noi toccheremo qui solamenle alcune principali. Cicerone distingue primieramente le maniere graziose, che consistono nelle parole, da quelle che stanno nella cosa, o che si esprimono col parlare continuato. Egli dice che consistono nella cosa quelle (sieno gravi o piacevoli ), che mulale le parole non cessano di generare maraviglia o riso: tali sono le narrazioni verisimili, e fatte secondo il costume e le varie condizioni degli uomini, e di queste molte ve n'ha nel Decamerone di Boccaccio. Una seconda consiste nella imitazione de’ costumi altrui fatta per modo di parlare continuato, come quella che fece Crasso, il quale in una sua orazione contraffacendo un uom supplichevole con queste parole, per la tua nobiltà, per la tua famiglia, ne imitò cosi bene la voce e gli alti, che mosse la gente a ridere; e proseguendo, per le statue, distese il braccio, ed accompagnò la voce con geslo e con imitazione si naturale, che le risa scoppiarono maggiori. Queste sono le due maniere, che consistono nella cosa, e che si esprimono col parlar continuato. Quelle che maggiormente si attengono alla materia che qui si tratta sono le maniere di que'concetti, la grazia de quali sta nella parola. Recbiamone esempi. Alcuni molli graziosi si generano in virtù della metafora. Avendo Lodovico Sforza duca di Milano eletta per sua impresa una spazzetta, con che voleva segare se essere disposto a cacciare dall'Italia gli oltremontani, domanda alcuni ambasciatori fiorentini, che loro ne paresse. Quelli risposero. Bene ce ne pare, salvochè molle volle avviene che chi spazza tira la polvere sopra di sè. Più grazioso ė il motto, quando ad alcuno, che metaforicamente abbia parlato, si risponde cosa inaspettata continuando la metafora stessa. Tale si fu detto il Cosimo de' Medici, il quale a' Fiorentini ſuoruscili, che gli mandarono a dire che la gallina cova, rispose. Male potrà covare fuori del nido. Anche il paragonare cose vili e piccole a cose grandi è spesso cagione di ridere, come in questi versi del Berni: E prima, iodanzi tutto, è da sapere che l’orinale è a quel modo tondo, Acciocchè possa più cose tenere, E falto proprio come è falto il mondo. Dobbiamo in questa maniera della facezia guardarci dal fare sovvenire il compagno conversazionale di cose laide e stomachevoli, affiochè la piacevolezza non degeneri in buffoneria: lo che sovente accade a coloro, che non sono piacevoli per naturale disposizione. Molti molti ridevoli si formano per via di iperbole [“Every nice girl loves a sailor”] accrescendo o diminuendo alcuna cosa. Diminui ed accrebbe a un tempo le cose Cicerone parlando giocosamente di suo fratello, che essendo di piccola slatura aveva cinto il fianco di una spada' smisurata. Chi ha, disse, cosi legato mio fratello a quella spada? Dall’equivoco procede spesso i motti freddi ed insulsi, ma spesse volte ancora gli arguli. Argulo parmi il seguente in biasimo di una donna, che fosse di molli. Ella è donna d'assai: il qual molio potrebbe ancora essere usato per lodare alcuna femmina prudente e buona. Molla venustà è in que’ delli, che invece di esprimere due cose ne esprimono una sola, per la quale l'altra s'intende (IMPLICATURA, SOTTITESSO). Assai leggiadro è questo  in cui si favella di un'amazzone dormiente, recato ad un esempio da Demetrio Falereo: in terra aveva posto l'arco, piena era la faretr, e sotto il capo aveva lo scud: il cinto esse non isciolgono mai. Similmente è grazioso il nominare con buone parole le cose non buone, come fece lo Scipione, secondo che narra M. Tullio, con quel centurione, che non si era trovato al conflitto di Paolo Emilio contro Annibale. Il centurione scusasi di sua negligenza col dire. Io sono rimasto agli alloggiamenti per farli sicuri; perchè, o Scipione, vuoi dunque tormi la civiltà? Cui rispose Scipione. Perchè non amo gl;uomini troppo diligenti. Sono assai argute quelle risposte, per le quali si DEDUCE da una medesima cosa il contrario di quello che altri deduceva. Appio Claudio dice a Scipione. Lo maraviglio che un uomo ďalto affare, quale tu sei, ignori il nome di tante persone. Non maravigliare, rispose Scipione, perocchè io non sono mai 69 blato sollecito d’imparare a conoscer molti, ma a far si, che molti conoscano me. Per egual modo Parnone rispose a colui che chiamava sapientissimo il tempo: Di pari dunque potrai chiamarlo “ignorantissimo”, perchè col tempo tutte le cose si dimenticano. Il concetto della risposta conversazionale può essere grazioso solamente perchè racchiude alcun insegnamento non aspettato da colui che fa la domanda. Fu chiesto ad uno spartano, perchè si facesse crescere la barba, e quegli rispose. Acciocchè mirando in essa i peli canuli io non faccia cosa, che all età mia disconvenga. Hauno grazia similmente alcuni detti, perchè mollo convengono al costume della persona, alla quale si attribuiscono. Essendo un colal uomo beone caduto inſermo, era assai mole stalo dalla sete. I medici a piè del suo letto parlavano tra loro del modo di trargli quella molestia, quando l'infermo disse: Ponsate di grazia, o signori, a togliermi di dosso la febbre, e del cacciar via la sete lasciate la briga a me solo. loducono a ridere anche que’ detti, che procedono da sciocchezza o goffezz, finta o vera che ella sia. Tali sono le due seguenti terzine di Berni: lo ho sentito dir che Mecenale Diede un fanciullo a VIRGILIO Marone, che per martel voleva farsi frate; E questo fece per compassione, ch'egli ebbe di quel povero cristiano, Che non si desse alla disperazione. si può similmente cavare il ridicolo dalle parole composte di nuov, che esprimono al cuna deformità del corpo, o dell'animo, come furono queste usate dal Boccaccio: picchia. pello; madonna poco.fila; lava-ceci; bacia santi. Si falte maniere, che direi quasi deſormità della lingua, poichè dall'uso si allonta pano, essendo convenienti alla cosa segnata stanno bene, e perciò inducono a ridere e han lode di graziose; ma se poi in forza dell'uso divengono proprie, perdono, a somiglianza delle vecchie metafore, alquanto della grazia primiera. Osserva Demetrio Falereo che la grazia del detto proviene alcuna volla dall'ordine solamente, quando una cosa posta nel fine produce un effetto, che posta nel mezzo o nel principio nol produrrebbe, o il produrrebbe minore. Egli reca l'esempio seguente di Senofoole, che, parlando dei doni dali da Ciro a certo Siennesi, disse. Gli donò un cavallo, una vesle, una collana, e che i suoi campi non fossero guasti. L'ullimo dono è quello dove sta la grazia, parendo cosa nuova, che si donasse a siennesi ciò che egli possedeva: se quel dono fosse stalo collocato prima degli altri non avrebbe avuto grazia alcuna. Bello pel medesimo artificio ci pare un detto di Benedetto XIV. Accomiatandosi da lui due personaggi di religione luterana, egli avvisa di benedirli e di ammonirli. Era di vero assai agevol cosa il fare che egli no ricevessero con grato animo quell'atto di amore paterno: ma il venerabile vecchio ollenne il buon effetto parlando così. Figliuoli, la benedizio ne de vecchi è acceita a tutte le genti; il Signore v'illumini. Ingegnosissimo si è que sto detto per l'ordine suo maraviglioso. Colla prima affeltuosa parola, “Figliuolo,” il papa procacciasi la benevolenza del compagno conversazionale. Nella sentenza, la benedizione de’vecchi è accetta a tulle le genti, chiude la prova della con venevolezza di ciò ch'egli vuol fare. In quel l'io io vi benedico, trae la conseguenza delle promesse. Nella precazione poi ripiglia la dignità di pontefice, che accortamente aveva quasi deposta da principio e solto cortesi pa role nasconde il documento, che a lui si ad dice di porgere a chi è fuori della chiesa romana. Questo ci basti d'aver ragionato pei delli graziosi e piacevol, chè il voler parlare di tulle le maniere loro o semplici o miste sarebbe officio di chi volesse trattare solamente di questa materia: e diciamo con maggior brevità de’ concetli sublimi. Alcuni haimo chiamato sublime qualsivoglia concetto, coi nulla manchi di grazia e di perfezione; ina qui si vuol prendere la parola nel segnato, in che viene usata da ' più de' moderni reltorici e perciò così detiniamo i concetto sublime. Concetto sublime si dicono quelli, che rappresentano con brevi parole l'idea di alcuna potenza o forza straordinaria, per la quale chi ode resla compreso di alla maraviglia. Tali sono i seguenti. Giove nel primo libro dell'Iliade promette a Teli di vendicare Achill, e dopo il conforto delle sue parole i neri Sopraccigli inchinò: sull immortale Capo del sire le divine chiome Ondeggiaro, e tremonne il vasto Olimpo. Questo concetto, il quale ci fa maravigliare della potenza di Giove, cesserebbe di essere sublime se con lunghezza di parole fosse segnato: perchè quella lunghezza sarebbe contraria alla rapidità dell'alto divino e farebbe che il pensiero del poeta non venisse improvviso alla mente di nostro compagno conversazionale, che è quanto dire non generasse maraviglia. Sublime è ancora quel luogo di T. LIVIO nella allocuzione di Annibale a Scipione. Ego Annibal pelo pacem, poichè la parola Annibal reca al pensiero la virtù, le imprese, la fero cia di quel capitano. Medesigiamente si fa maniſesta una straordinaria fortezza di animo ne'due luoghi seguenti. Seneca, nella Medea, fa dire alla nudrice: Abiere Colchi: conjugis nulla est fides, Nihilque superest opibus e tantis tibi. Medea risponde: Medea superesto Corneille, ad imitazione di Senec: Nerine: Dans un si grand revers que vous reste- t- il? Med. Moi. In luogo del nome di Medea il poeta francese pose il pronone, ed ottenne effetto maraviglioso e colla brevità e con quella cotal pienezza di suono, che è nella voce “moi”. Il poeta latino col nome di Medea desta nel compagno conversazionale la memoria della potenza, della sapienza e della magnanimità di quella maga. Divisata così la natura de' motti graziosi e piacevoli e de' sublimi, e restando a dire al cuna cosa dell'uso, che se ne può fare, ripe teremo ciò, che già detto abbiamo delle sentenze, cioè che lo scrittore si guardi dal fare troppo uso de' concetti ingegnosi e graziosi e de' sublimi, poichè non è cosa tanto contraria alla grazia e alla grandezza, quanto l'artificio manifesto e l'affettazione. Le grazie si dipinsero ignude appunto per insegnare che elle sono nemiche di tutto che non è ingenuo e naturale. La grandezza similmente non va mai disgiunta dalla semplicità, e piccole appaiono sempre quelle cose, che sono piene d'ornamenti; imperciocchè la mente soffermandosi in ciascun d'essi riceve molle e divise imaginet le in luogo di quella imagine sola, che ci rappresenta la cosa continuata ed una. Male adoperano coloro che non avendo rispetto alla materia, di che favellano, nè alle persone ne alla modestia nè alla gravità conveniente allo scrittore, colgono tutte le occasioni, che loro porgono o le cose o le parole, per trar materia di motleggiare; perocchè invece di mo strare acutezza d'ingegno appaiono loquaci ed insulsi. Che dovrà dirsi poi di que, che abusano dell'ingegno per empiere le scritture di freddi e falsi concelti, di riboboli, di bislicci e d'indovinelli? di que', che tengono per finis sime arguzie le allusioni delle parole, che erano la delizia del Marino e de' suoi seguaci? Diremo che nali non sono per ricreare gli ani mi e sollevarli dalla fatica, e per indur ſesta e riso, ma per noia, fastidio e sfinimento di chi è costretto di udirli. Se il discorso si fa strada all’animo per gli orecchi, è necessario che egli sia accompagnato dall' armonia, della quale niuna cosa ha maggior forza negli uomini. L'armonia ci dispone al pianto e all'ira, e ci rallegra e ci placa; e lulle le genti, avvegnachè barbare, sono tocche dalla dolcezza di lei; laonde gran de mancamento sarebbe, se lo scrittore ad ac crescere efficacia alle sue parole non se ne valesse. Dalla greca voce d.gpótely (armosin), che segna connettere, è derivata la voce “armonia”. I maestri di musica insegnano, che essa consiste nell'accordo di più voci sonanti nel medesimo punto; ma coloro, che parlano del l'arte retorica e della poelica, presero questa parola quasi nel significato, che i maestri di musica prendono quella di melodia, come si vede aver fatto Aristotele, che usò in questa significazione ora la voce melos, ora la voce armonia. La melodia consiste nella altenenza, che hanno rispettivamente i gradi successivi di un suono nel salire dal grave all'acut: e noi direino che rispetto al discorso l'armo nia sta nell'altenenze delle lettere o delle sil labe o delle parole, che si succedono con quel la certa legge che si affà alla natura dell'or gano dell'udito. L'armonia, di che parliamo, è di due maniere, semplice o imitative. L’una ba per fine soltanto la dileltazio ne degli orecchi, l'altra, oltre la dilettazione degli orecchi, la imitazione del suono e dei movimenti delle cose inanimate e delle animate, e quella degli umani affetti: colle quali imitazioni inaggiormente ella si rende accetta all'intelletto e gli animi sigrioreggia. La dilettazione degli orecchi si ottiene con parole costrutte e disposte in modo analogo, come è dello, alla natura dell'organo del l'udito e fuggendo tutte le voci e tutti gli accozzamenli di esse, che producono sensazio ne spiacevole. L'imitazione poi si fa adope. rando e componendo suoni o gravi o acuti o inolli o robusti, secondo che meglio si affanno a ciò che si vuole imitare. Diciamo alcuna cosa più largamente e dell' una e dell'altra armonia, l’armonia semplice e l’armonia composita o imitativa. Le parole, le quali, come tutti sanno, si compongono di vocali e di consonanti, sono più o meno armoniche, secondo che le lettere delle due specie suddelte si trovano disposte con certa proporzione. Le vocali fanno dolce il vocabolo le consonanti robusto. Ma le troppe vocali, che si succedono, producono quel suono spiacevole, che si dice iato; le troppe consonanti fanno le parole aspre e diſficili a pronunciare: così l'incontro delle sillabe somiglianti produce la cacofonia, Circa le parole non molto armoniche, ma approvate dall' uso, diremo chę elle non si banno a rigettare; ma si deve aver cura di collocarle in guisa, che il loro suono disarmonico serva al l'armonia di tutto il discorso. Anzi sono da commendare quelle lingue che ricche si trovano di vocaboli diversi di suono, i quali, giunti insieme con bell'arte, sogliono rendere maravigliosa l'armonia del conversare. Sebbene, circa l'arte del collocare le parole con armonia, non possa darsi maestro infuori dell' orecchio avvezzo alla lettura de' classici scrittori, pure non sarà del tutto vano il dire più particolarmente alcuna cosa delle parti, onde l'armonia si coropone. E prima di tutto è a sapere che l’altenenza tra le lettere, le sillabe e le parole, dalle quali risulta l'armonia, sono di due ragioni: cioè altenenze di tempo, poichè si pronunciano o in tempi uguali o disuguali; e attenenza di suono, poichè ogni sillaba differisce dall'altra per aculezza e gravità e per più o meno di dolcezza o di asprezza. Diciamo prima delle attenenze di tempo. Pie chiamamo I LATINI quella certa quantità di sillabe, che pronunciandosi in tempi eguali, si potevano misurare colla battuta del piede nel modo che oggi ancora fanno i suonatori. E, poichè si pronunciavano più o meno sillabe (attesa la varia conformazione delle parole) in ispazi uguali di tempo, avvenne che lunghe si dissero quelle che occupavano la maggior parte del tempo misurato dalla battuta, e brevi le altre, che occupavano la parte minore. “Coelum”, per esempio, si compone di due sillabe e si pronuncia in ugual tempo che ful-mi-na, che è di tre: perciò coelum è un piede di due lunghe, e ſulmina è un pie de di una lunga e di due brevi. I piedi sono di molte specie, e ciascuna ha il suo nome. Ve n'ha de' semplici di due sillabe, che sono o due brevi o due lunghe, una breve e una lunga, o una lunga e una breve: ve n'ha di tre sillabe, che per la varia combinazione delle brevi e delle lunghe risultano di otto specie: ve n'ha finalmente più di cento specie dei composti, cioè formali dall' unione di due piedi semplici. Dall'indelernipala quantità di piedi disposti con legge analoga alla natura dell'organo del l'udito umano, la qual legge si sente nell'anima e definire non si può, nasce il numero; e similmeple dall ' unione determinata di varii piedi, i versi, che sono molle maniere, se condo la qualità de' piedi, onde sono composti. Dalla varia qualità e quantità de’ versi nascono poi le differenti specie del metro. A rendere armonioso il verso si congiunge al pu nero il suono, che, siccome abbiamo accennato, si genera dalla proporzione, con che sono di sposte le consonanti e le vocali. Da ciò nasce che, sebbene talvolta i versi abbiano il medesimo número, non hanno il medesimo suono, ma variano nella loro armonia maravigliosamente: per la qual cosa interviene che dalla unione di molti versi che abbiano il medesimo numero, come a cagion d'esempio, di esametri, si possono generare molle ed assai varie armo pie: la diversa upione di queste armonie di cesi, “ritmo”. Come nella poesia dal ipovimento di molti versi upili nasce il ritmo poetico, così da quello di minuti membri d' indeterminala mi sura nasce quello della prosa, il quale pure è di varie sorla, siccome avremo occasione di osservare in appresso. Ora veniamo a dire del l'armonia della favella italiana. Gl’italiani non hanno determinata la quantità nelle sillabe, come si vede aver fatto i latini, per la qual cosa nemmeno i piedi hanno potuto determinare. Alcuni letterali del sesto decimo secolo, fra' quali il Caro, tentarono di rinnovare fra noi i versi esametri ed i pentametri, ma quanto poco (per la in sufficienza della lingua nostra) al buon volere rispondesse l'effett, apparirà dai seguenti versi di Claudio Tolomei, i quali, se non sono molto aiutati dall'arte del recitante, non possono ricevere soavità. Ecco il chiaro rio, pien eccolo d'acque soavi, Ecco di verdi erbe carca la terra ride. Scacciano gli alni i soli co' le frondi e co'ra (mi coprendo; Spiraci con dolce fato auretta vaga. A noi servono invece di piedi le sillabe é gli accenti, e quindi è che da un determinato numero di sillabe e da una determinata positura di accenti nasce il numero, onde si generano molte specie di versi. Omettendo le di spute de'rettorici e le loro opinioni circa questa materia, faremo qui alcun cenno solamente rispetto agli accenti. Le parole sono di una o più sillabe: se di una soltanto, l'accento è su quella, come in tu, me, no, si: se di più o egli è nell'ullima, come in mori, o nella pri 79 ma, come in tempo, o nella penullima come in andarono, o prima di essa, come in concedea glisi. L’indicati accento si dice “acuto”, perchè alzano la pronuncia: dove questi non sono, si trova il “grave”, che l'abbassano. Gli acuto e il grave  alzando ed abbassando il discorso, por tano seco certa proporzione di tempo, e perciò tengono fra noi il luogo de' piedi Jalini, e formano varie specie di versi, che, secondo, la quantità delle sillabe, si dicono o pentasillabi o senarii o seltenarii o ottonarii o novenarii o decasillabi o endecasillabi. Dalle varie unioni di questi nascono i diversi metri. E il ritmo nasce nel modo, che si è detto parlando della lingua latina, e circa il verso e circa la prosa. Non si contenta l'animo upano dell'armonia, onde è ricreato solamente l'orecchio, ma gran demente si piace di que' suoni, che più vivamenle ci pougono innanzi il segnato; e questo specialmente egli ricerca nella poesia, la quale o avendo, o mostrando di avere per suo principal fine il diletto, dee apparire più d'ogni altro discorso ordinala, e splendida: sarà quindi utile cosa l'investigare quale sia la virtù imitativa delle parole. Questa e l’armonia imitativa. Dalla mescolanza delle lettere liquide e delle vocali risulta infinita varietà di vocaboli dell’imitazione delle grida, de’suoni, de’romori e de’movimenti, e chi, porrà mente alla nostra lingua troverà, secondo che osserva BEMPO, voci sciolle, languide, dense, aride, morbide, riserrate, tarde, mutole, rolle, impedite, scorrevoli e strepitanti. Perciò è che variando la composizione di questi suoni si potranno ordinare.e versi e ritmi, che ogni grido o romore o movimento vagliano ad imi. tare. Jofinili esempi bellissimi di si ſalta imi. tazione sono nella Divina Commedia: ma basti qui la sola descrizione dello strepito, che ALIGHIERI udi nell'Inferno: Quivi' sospiri, pianti, ed alti guai risonavan per l'äer senza stelle, Perch'io al cominciar ne lagrimai. Diverse lingue, orribili favelle, parole di dolore, accenti d'ira, voci alte ' e fioche, e suon di man con elle facevano un tumulto, il qual s'aggira sempre in quell'aria senza tempo tinta, Come l'arena, quando il turbo spira. Del medesimo genere sono i seguenti versi del Poliziano. Di stormir, d'abbaiar cresce il romore: Di fischi e bussi tutto il bosco suon: Del rimbombar de' corni il ciel rintrona. Con tal romor, qualor l'äer discorda, Di Giove il foco d'alta nube piomba: Con tal tumulto, onde la gente assorda, dall'alte cataratte il nil rimbomba. Con tal orror del latin sangue ingorda Sonò Megera la tartarea tromba.Il Parioi ci fece sentir il guaire di una ca goolina, e il risponder dell' eco in questi bellissimi vers. Aita, aita, Parea dicesse; e dall'arcate volte a lei l'impielosita eco rispose. Siccome il succedersi delle parole ora va lento or celere, è manifesto che questo, che si può chiamare movimento del discorso, ba somiglianza coi movimenti delle cose, e che per ciò aver dee virtù d'imitare le azioni loro. Recherò qui per maniera d'esempio alcuni luo ghi cavali da' poeti. Odesi il furore e l'impeto del vento in questi versi di Dante: Non altrimenti fatto che d'un vento Impetüoso per gli avversi ardori, Che fier la selva senza alcuu rallento, E i rami schianta, abbatte, e porta i fiori; Dinanzi polveroso va superbo, E fa fuggir le belve ed i pastori. Mirabilmente Virgilio descrisse il tumullo dei venti all'uscire della grotta di Eolo: Qua data porta ruunt et terras turbine per flant. Incubuere mari, totumque a sedibus imis Una Eurusque, Notusque ruunt, creber que procellis Africus, et vaslos volvunt ad sidera flu clus. Insequitur clamorque virum, stridorque rudentum. Fra i versi che esprimono la caduta de corpi sono bellissimi i seguenti: E caddi come corpo morto cade; il qual verso è cadente, come il corpo che cade. Insequitur praeruplus aquae mons. In queste parole di Virgilio si sente il piom bare dell'acqua precipitosa: ed eccellentemente fece sentire il medesimo suono il Caro: E d' acque un monte intanto Venne come dal cielo a cader giù. In virtù di quest'altro verso dello stesso Caro, una nave sparisce in un subito, e si sente il romor dell'acqua che l'inghiotte: Calossi gorgogliando e s'aſfondò. Lo stesso con una sola parola lunga e scor revole dipinse il procedere del carro di Net tuno: Poscia sovra il suo carro d'ogni intorno Scorrendo lievemente, ovunque apparve Agguagliò il mare e lo ripose in calma. Nelle seguenti parole di Virgilio quasi sen tiamo a stramazzare il bue; Procumbit humi bos. Dell’armonia che imita gli affetti col suono, Onde conoscere per qual modo gli affelli vengano imitati dall'armonia, uopo è d'inve sligare quali altenenze essi abbiano col suono e quali col namero. In quanto alle altenenze si ponga mente che ad ogni sorta di affetli risponde un particolar molo del l'organo vocale, per cui si formano voci di verse secondo la diversità de' medesimi affetli; all'allegrezza risponde il riso, alla mestizia il pianto; ed il riso ed il pianto si manifestano con suono al tutto diverso: così presso tutte le geoli la subita maraviglia è significata dal l'esclamazione ah, ovvero oh; il lamento dall' eh, o dall’ahi; e la paura dall'uh. Que ste voci, che da principio sono elfelti naturali delle aſſezioni dell'animo, diventano poi, merce dell'esperienza, segni di quelle: per la qual cosa interviene che i vocaboli composti di ma, niera, che facciano mollo sentire il suono di quelle leltere, che alle predette voci primitive si assomigliano, avranno virtù d'imitare o questa o quella affezione. Le parole, che s'in, nalzano per la a o per l'o, che sono lettere di largo suono, saranno acconce ad esprimere l'allegrezza e gli affetti nobili ed alli: quelle, che declinano per la é e per l'i, che sono lettere di molle suono, saranno convenienti alla malinconia ed agli umili e miti affetti. [ Omnis enim motus animi suum quemdam a natura habet vullum, et sonum et gesium (CICERONE, de Orat. ). quelle, che si abbassano nell' u potranno e sprimere le cose paurose e le perturbazioni dell'animo, che ne procedono. Questa particolare virtù delle parole viene poi rafforzata dalle attenenze, che le passioni hanno col numero. Volgendo la considerazione alle varie passioni, si potrà conoscere che l' uomo'nell'ira è fatto impetuoso, frettoloso nell'allegrezza, lento nella mestizia, svarialo nell' amore, immobile nella paura. Quindi av. viene che la musica non solamente si giova delle note gravi o delle acute, ma delle rapi de e delle tarde modulazioni a risvegliare ogni sorta d'affetto. A somiglianza di quest' arte maravigliosa, anche la naturale favella, il suono ed il numero adoperando, innalza o abbassa gli accenli, rallenta od accelera il corso delle parole, secondo la natura degli affetti, che di esprimere intende. Con quest' arte medesima l'accorto scrittore compone i ritmi diversi secondo la tenuità o la gravità della materia, e secondo le qualità della persona che parla. Ma di questo avremo altrove occasione di favellare. Ora in confer. mazione di quanto abbiamo detto intorno gli affetti, recheremo alcuni esempi. Come la lettera a innalzi il verso e lieto il faccia, si può conoscere da quel solo verso del PETRARCA: Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono; il qual verso sarebbe rimesso se dicesse: O voi, che udite in dolci rime il suono; sostituendo 1'i alla a. Veggasi come Dante seppe significare uno stesso concetto con due diverse armonie, che rispondono a due diversi affelti. Il conte Ugo lino sdegnalo, e Francesca d' Arimino dolente dicono all’ALIGHIERIdi esser presti a rispon dere alla sua domanda. Ma lo sdegnato dice con suono aspro e terribile: Parlare e lagrimar vedrai insieme; e quella mesta con dolcissimo e tenue suono: Farò come colui che piange e dice. Maravigliosamente esprime Dante con voci aspre lo sdegno: E disse, taci, maladelto lupo, Consuma dentro le con la tua rabbia. La velocità de' pensieri, che procedono dal l'aſſello, apparisce in questo esempio dello stesso poeta: Dunque che è, perchè perchè ristai? Perchè tanta viltà nel core allelte? Perchè ardire e franchezza non bai? Un verso, che esprime luogo pauroso e cupo, si è questo: 10 venni in loco d'ogni luce mulo. Dove si vede che se Dante, in vece di muto, avesse delto privo, il verso non avrebbe messo nell'animo quel sentimento d'orrore. La e, che è lettera di suono lento, basso ed oscuro, rende sommamente imitativi i se gucnti versi: Buio d'inferno e di notte privata D'ogni pianeta solto pover cielo Quant' esser può di nuvol tenebrata. In virtù di somiglianli armonie producono gli scriltori que' maravigliosi effetti, che la più parte degli uomini sentono nell'animo, ene ignorano il magistero. Di queslo cercai mani. festare la natura, non già perchè io pensi che colui che scrive debba avere di continuo alle mani la regola; chè anzi ho sempre creduto la dolcezza e proprietà del suono, al pari d'ogni allra vaghezza poetica ed oratoria, nascere spontaneamente; ma questo volli fare, perchè stimai che l'investigar le occulte ragioni del. l'arte aiuti l ' intelletto a dirittamente giudi carne, e quindi a formare quell'interior senso si necessario a comporre lodevolmente, e quel l'abito, che prendono gli orecchi alla lettura de'ben giudicati esemplari. Nulladimeno per compiacere agli orecchi non si vuol mai turbare quell'ordine delle parole, in virtù del quale diventa chiara l'elocuzione. Se per esprimere qualsisia o movimento o suono od affello coll'armonia, o per formare un pe riodo numeroso e grave ci faremo oscuri, nes suna lode al certo ce ne verrà. Nè solamente dobbiam sempre conciliare l'ordine domandato dagli orecchi con l'ordine sopraddello, ma spesso ancora con quello, che rende più evi. denti o più efficaci i concetti, del quale ora ci rimane a parlare, siccome di sopra abbiamo promesso. Parliemo della collocazione dell’espressione, per la quale si rende ‘efficace’ la mozzione conversazionale. È manifesto che in ciascun periodo le pa role o le proposizioni si possono, senza to gliere la chiarezza, alcuna volta posporre o anteporre l'una all'altra in più maniere; ma è da por mente che, fra le molte possibili permutazioni, poche sono quelle che meritino di essere lodate, e che spesso una solamente si è l'ottima. Ho udito dire da molti che il più delle volte l'ordine migliore delle parole nella proposizione si è l'ordine diretto, e que sto in verità nell'italiana favella è spesso da preferirsi all'inverso, segnatamente nei die scorsi didascalici o in quelli ove non si ma nifesta alcun affetto; ma certo egli è che l'or. dine diretto (prescindendo dai mancamenti che aver può rispello all'armonia) è alcuna volla degno di biasimo, siccome freddo ed inefficace. A quale legge dunque dovremo ubbidire, ol. tre a quella già stabilita circa la chiarezza e l'armonia, nel collocare le parole e le propo. sizioni a fine di rendere più vive le descri zioni e più efficace l'espressione degli affetti? La filosofia ci mostra che le idee tornano alla mente associate in quell' ordine, che vennero all' anima per l'impressione delle cose ester 88ne, o in quello, che si genera in virtù della forza particolare di ciascuna idea, essendo che le più vivaci, o quelle che maggiormente si attengono a' nostri bisogni, si risvegliano pri ma dell'altre; e questo mostrandoci, ella ne insegna che, se vogliamo fedelmente ritrarre nelle menli altrui cio che abbiamo veduto o imaginiamo di vedere, v ciò, che sentiamo, ci è duopo di formare la catena delle parole se. condo quella delle nostre idee, per quanto il comporta il genio della lingua. Questa verità verremo ora con alcuni esempi mostrando, Si osservi primieramente nel seguente esem pio, tolto dall'Ariosto, come nella descrizione delle cose, che non sono in moto, sieno poste innanzi all'animo dell'ascoltalore quelle idee, che prima farebbero impressione ne' sensi del riguardante, e poscia succedano a mano a mano le altre secondo loro qualità e silo: La stanza quadra e spazïosa pare Una devola e venerabil chiesa, Che su colonne alabastrine e rare Con bella architellura era sospesa. Sorgea nel mezzo un ben locato altare, Che avea d'innanzi una lampada accesa, E quella di splendente e chiaro ſoco Rendea gran lume all'uno e all'altro loco. La prima impressione, che riceverebbero gli occhi di chi mirasse un somigliante luogo, sa rebbe certamente la forma e l'ampiezza di esso, e tosto occorrerebbe alla ' mente la cosa alla quale somiglia, cioè la devota e venerabil chiesa: indi l'allenzione del riguardante si indirizzerebbe alle parti del luogo più appari scenti, le colonne alabastrine e rare: queste chiamano il pensiere a fermarsi alcun poco sulle qualità dell'architellura, indi alle parli. più minute, cioè all'altare, alla lampada, alla luce, che si spande d'intorno. Quanto giovi disporre le parole nell'ordine, in che le idee sono naturalmente impresse nei sensi dalle successive modificazioni delle ester ne cose, si può conoscere da questo esempio di Virgilio, il quale, volendo rappresentare all'imaginazione nostra il greco Sinone trallo al cospetto di Priamo, si esprime cosi: Namque ut conspectu in medio turbatus, inermis Constitit, atque oculis Phrygia agmina circumspexit. La collocazione di queste parole è secondo l' ordine, nel quale avrebbero proceduto le sensazioni di colui, che avesse veduto cogli occhi propri sinone, e che l'imagine di quella vista si riducesse a memoria. La prima cosa, che gli verrebbe all'animo, sarebbe il luogo ov'era condotto Sipone, conspectu in medio; indi la persona di lui colle sue più distinte qualità, turbatus, inermis; poi l'azione, constitit; poi la parte del' vollo, che subito chiama a sè l'altenzione del riguardante, co Die quella, che è indizio dello stato dell'ani ma, oculis; poi le cose, sopra le quali gli occhi si volsero, Phrygia agmina; infine l'ultima e lenla azione degli occhi dipinta colla tarda parola circumspesil. go Un altro esempio dello stesso VIRGILIO dimo. slrerà come sieno poste nel proprio luogo pro posizioni e parole. Ecce autem gemini a Tenedo tranquilla per alla (Horresco referens ) immensis orbibus (angues Incumbunt pelago, pariterque ad litora tendunt: Pectora quorum inter fluctus arrecta, jubacque Sanguineae exsuperant undas: pars cae lera pontum Pone legit, sinualque immensa volumine lerga. Fit Sonitus, spumante salo, jamque arva tenebant; Ardentesque oculos suffecti sanguine et igni, Sibila lambebant linguis vibrantibus ora. و Colui che fosse presente al descritto caso, osserverebbe primamente di lontano due cose indistinte venir del luogo che gli fosse al co spetto, gemini a Tenedo; indi le acque per le quali nuotassero, tranquilla per alta; al l'avvicinarsi di quelle due indistinte cose, egli comiocerebbe a distinguere il loro divincolare; poi ecco che le due cose, che da prima indi stinte si mostravano, si vedrebbe essere due serpenti, angues, i quali più s'accostano e più li vedi, e più discerni l'azione loro; prima del gittarsi sul mare, poi del girarsi al lido, incumbunt pelago, pariterque ad litora lendunt; ed a mano a mano più visibili la. cendosi le qualità de' serpenti, si vedrebbero i pelti erti sui flutti ed alte le creste sangui. gne, e il rimanente de'corpi con grandi volute nuolare, pectora quorum ec. Finalmente udi rebbe il suono dell' acque, e ne vedrebbe le spume. Pervenuti al lido i serpenli, discerne rebbe i loro occhi ardenli e sanguigni, ne ascollerebbe i fischi, e vedrebbe a vibrare le lingue, fit sonitus ec. Per l'addotto esempio maniſestamente si vede che nel collocare le parole secondo la catena di quelle sole idee, che verrebbero al. l'animo di chi il descritto caso avesse veduto, sta l'arte di rendere evidenti le descrizioni: di qualità che all'uditore sia avviso non di udir raccontare ma di vedere cogli occhi pro pri. Nel rappresentare colle parole le sole idee che vengono naturalmente all'animo di chi mira le cose, e di chi è mosso dagli affetti, consiste l'arte del particolareggiare: chi tra passasse Test limite cadrebbe nella prolissi tà, e nella minutezza, la quale rende stucche voli que' poeti che eccessivamente particola reggiando si pensano di produrre l'evidenza. Siccome poi le cose hanno più o meno di forza sull'animo nostro a misura che più o meno vagliano a concitare l'amore o l'odio, o a mettere timore; così interviene talvolta, che esse al tornar che fanno alla mente tengono quell'ordine, che è secondo i gradi della ri. spettiva loro forza. Perciò è che qualvolta le idee in virtù delle parole sieno ordinate con formemente a siffatta legge, il discorso è caldo e passionato; e freddo e di nessun efletto se l'ordine delle parole discorda da quello delle idee. Nel libro IX dell'ENEIDE veggendo Niso l'amico EURIALO già presso ad esser morto dai Rutuli, cosi esclama: Me me (adsum qui feci), in me conver: tite ferrum, O Rutuli, mea fraus onnis: nihil iste nec, ausus, Nec potuit: coelum hoc, et conscia si dera testor. Volendo il poeta esprimere le veemenza della passione di NISO, soppresse il verbo interficile, e pose innanzi alle altre la voce me quarto caso, poichè la prima idea, che viene all'animo del giovanetlo, si è quella della propria persona, che egli vuole sacrificare per l'amico suo; poi vengono le altre parole ordinata Diente seguitando la della legge. Similipente PETRARCA: E i cor, che indura e serra Marle superbo e fero, Apri tu, padre, inlenerisci e spoda. Se invece egli avesse dello: Apri tu, padre, intenerisci e snoda I cor, che indura e serra Marte superbo e ſero, l'elocuzione sarebbe riuscita fredda, perciocchè la prima imagine che si presenta al commosso animo del poeta, sono i cuori, i quali egli con quelle prime parole quasi pone innanzi a Dio, affinchè si piaccia d'intenerirli. Accade alcuna volta che lo scrittore vuole accrescere vigore alla propria sentenza, e in questo caso non dee disporre le sue parole a modo, che all'uditore paia di aver inteso tutto al prinio detto, ma far sì, che le idee vengano all' animo di lui crescendo gradatamente, come nel seguente esempio: Tu se' buono, santo, divino. E in quest'altro del Boccaccio: Ri. prenderannomi, morderannomi, lacereran nomi costoro. Similmente metterà bene il collocare l'ay verbio dopo il verbo e l'addiettivo dopo il sustantivo, qualvolla sieno posti nel discorso alfine di accrescergli vigore. Perciò è che me. glio si dirà: io ti amerò sempre, che io sempre ti amerò: è facile il sentire come questa seconda collocazione riesca fredda. Molli preclari ingegni, e Ira questi il Caro, hanno biasimato il Boccaccio, perchè troppo frequentemente pone il verbo alla fine del pe riodo; e per verità l'hanno biasimato a ragio ne; perchè non solo con ciò si toglie al di. scorso la varietà, ma anche perchè il più delle volle si viene a turbare la naturale associa zione delle idee. Alla quale associazione se porrà mente lo scrittore troverà sempre molivo onde approvare o disapprovare l'ordine che egli avrà posto nelle sue parole. Lunga opera sarebbe il trattare qui minutamente questa materia e il prescrivere le regole applicabili a tutti i casi particolari; queste si possono age volmente dedurre dalla regola generale, che abbiamo assegnata, e perciò stimiamo che qui 94 basti fare qualche altra osservazione intorno ad alcuni luoghi, ne'quali il verbo è posto in ultimo. Avendo il principe Tancredi, presso il Boccaccio, rimproverato Ghismonda di avere eletto per suo amatore Guiscardo di nazione vile, e non uomo dicevole alla nobiltà di lei, così ella, rinfacciandogli il fatto rimprovero, gli dice: in che non taccorgi che non il mio pec cato, ma quello della fortuna riprendi. Qui chiaro si vede che se Ghismonda avesse dello: non taccorgi che non riprendi il mio pec cato, ma quello della fortuna, avrebbe par. lalo freddamente. Il figliuolo di Perolla, in  LIVIO, sdegnato che il padre suo gli abbia inpedito di uccidere Annibale, si volge alla patria dicendo: O PATRIA FERRVM QVO PRO TE ARMATVS HANC ARCEM DEFENDERE COLEBAM HODIE MINIME PARCENS QUANDO PATER EXTORQVE ACCIPE. Ne'due citati luoghi son poste innanzi le idee, che prima si presentano all'animo passionato di colui che favella, e in ullimo è il verbo, che apporta luce alla MENTE SOSPESA dell'ascoltatore. Se T. LIVIO avesse detto: O Patrin, accipe ferrum ec., oltrechè avrebbe parlalo fuori del modo naturale di colui che ha l'animo commosso, avrebbe ancora mancato di quell'arte, che l'attenzione altrui si procaccia: imperciocchè qualvolta egli ci porge innanzi il ferro, col quale il giovane vuole difendere ostinatamente la rocca, subito la mente sta attendendo impazientemente che cosa esser debba di quel ferro; e, poiché ode la risoluzione di esso giovane, resla preso da subita maraviglia e ne riceve diletto. Nel collocare le parole secondo la catena delle idee, si vuol porre grande cura di conciliare quest'ordine con quello che è richiesto dall'orecchio e dal genio della lingua, al quale non si può contrariare. Qualvolta lo scrittore ciò pervenga ad ottenere, sembra che le sue parole siensi di persé poste al luogo loro, e che chiunque avesse voluto dire la stessa cosa l'avrebbe detta a quel modo. Questa si è quella facilità, che molti avvisano di poter conseguire, ma spesso invano a ciò si affaticano e sudano. Parliamo del carattere del discorso. Avendovi posti innanzitulli gl’elemenli, onde si compongono accade ora di ragionare più parlicolarmente delle leggi della CONVENEVOLEZZA, o sia del DECORO. Come dalla mescolanza de'sette colori fatta con legge si genera la varietà e la vaghezza nella imagine delle cose dal pittore imitate, cosi dalla mescolanza degl’elementi predetti, similmente fatta con legge, nasce la varietà e la venustà della conversazione. Colui che si facesse ad accozzare e ad ammassare alla rinfusa parole nobili, modi urbani, mela fore, traslali, igure, sentenze, ec., verrebbe certamente a comporre di buona materia as sai deforme Perſella riuscirà posizione, allorchè le parole e i modi e l'armonia e le figure verranno e ben divisale le une con le altre e lulle insieme, SECONDO I FINI che lo scrillore si propone, secondo la materia della quale savella, secondo la condizione sua e di coloro che l'odono, secondo i luoghi in cui parla; chè in queste tutte cose consiste IL DECORO. Dal decoro nasce la leggiadria, che risplende nelle più belle opere dell'arle, e senza di esso nessuna cosa al mondo è pregevole. Conciossiachè poi varii sono I FINI speciali, che lo scrittore si propone, varii i subbielli, di che può ragionare, varie le umane condizioni e le circostanze, conseguita che varii pur sieno i generi e le specie de' conponimenti per loro proprio carattere distinti. Il qual carattere, per le cose delle di sopra, definiremo nel modo seguente: Il carattere del discorso si è la contemperanza degli ele nepli, da ' quali risultano la CHIAREZZA e l'ornamento, fatta secondo la legge del decoro. E perciocchè la principal legge del decoro si è quella, che riguarda IL FINE CHE CI PROPONIAMO QUANDO ALTRUI MANFESTIAMO I NOSTRI CONCETTIi, a questo volgeremo tosto la nostra considerazione. Chi scrive intende o a convincere o ä PERSSUADERE  o dilettare altrui. Secondo questi tre fini nasceno tre generi di scrivere o tre caratteri si diversi, che vogliono essere di stigli e particolarmente considerati; cioè il filosofico, il PERSUASIVO, il poetico. Di questi diremo prima alcuna cosa in generale, indine accenneremo le specie. In quanto al carattere del discorso filosofico, Ufficio de'flosofi si è il mostrare altrui la verità, e perciò le loro scritture intendono a fare che il lettore od ascoltatore non sola. menle venga di buona voglia nella sentenza a lui esposta, ma che sia costretto anche suo malgrado a vevirvi, che è quanto dire ch'egli rimanga convinto. Se pertanto ci verrà fallo di scuoprire quella virtù del linguaggio, per la quale si genera il convincimento, ci saranno subito manifeste le qualità, onde il carallere filosofico si distingue dagli altri. Il convincimento si genera nell'animo o qual volta per via de' sensi percepiamo l’ATTENENZA ſra alcune qualità, e in questo caso diciamo esser convinti dal fatto, o qualvolta ci vien posta innanzi una serie di proposizioni insieme collegate e procedenti da una o da più altre conformi a'falli, le quali si chiamano principii; ed in questo secondo caso diciamo di essere CONVINTI CON EVIDENZA DI RAGIONE. A costringere l’animo con questa evidenza intendono i filosofi, ed a tal fine son loro necessarii i vocaboli di singolare significazione ed i modi precisi; imperciocchè se nella catena delle proposizioni che formano il ragionamento, una sola vi fosse di perplesso significato, o che accrescesse o menomasse di un solo elemento iniportante alcuna idea, si mulerebbero le attenenze delle dette proposizioni, dal che procederebbe l'errore, come accade nelle operazioni aritmeliche, qualvolta, no solo numero si ponga iu luogo di un altro, Se agli uomini venisse dalo (che Dio volesse) di ordinare la lingua italiana a modo che dalle percezioni delle qualità semplici delle cose fino alle più complesse idee d'ogni maniera non fosse vocabolo di mal fer ma significazione, non sarebbe malagevole il ragionare dirittamente in qualsivoglia altra Ina teria, come si ragiona nella matemalica; inn perciocchè in virtù de'segni ben determinali si verrebbe al conoscimento delle attenenze delle idee complesse grado per grado fino ai loro principii; e per tal forma ciascuno potrebbe sempre rendersi certo della enunciata verità. Da tutto ciò si raccoglie che nella precisione delle parole e dei modi sta la virtù di convincere; e che perciò essa precisione esser dee la prerogativa dello scrivere filosofico. L'uso della metafora pertantoe delle figure può divenire larghissima fonte d'errori, per ciocchè è facile che l'animo umano ingannato dalle similitudini, di che si formano le metafore, e commosso dagli artificii travegga, e quindi si faccia a comporre le nozioni, non secondo la natura delle cose, ma secondo le apparenze e la capricciosa indole della fantasia. Il sistema del Malebranche, ch'ebbe tanti se.guaci e disputatori (per lacere di molli altri ) procede da una similitudine. E si dovrà dunque nello scrivere insegnali vo schivare ogni metafora ed ogni figura, e renderlo secco e ruvido, come quello de'ma temalici? V'hanno certamente alcune malerie (e tale è per avventura la ideologia ), le quali richieggono un linguaggio pressochè simile a quello della geometria o dell'algebra; ma non è perciò che le altre parti della filosofia, ed anche talvolta la stessa austera scienza delle idee, non dimandino ornamento sobrio e ve recondo. Niuna materia filosofica vuol essere molto mollo fregiala, acciocchè il verisimile, in forza degli artifizii oratorii, non venga ad invadere. il luogo del vero, nė paia che il filosofo voglia invescare e prendere altrui: nulladimeno è necessario che a quando a quando l'intelletto del leggitore, affaticato dal lungo ragionare, trovi riposo, e venga alleltato, senza che la esposta verità rimanga oscurala. Perciò il filosofo collo schivare le parole barbare, rance, oscure e disarmoniche toglie ogni ruvidezza al suo discorso, e gli da grazia e leggiadria convenevole co' modi urbani e gentili, colle vereconde metafore scelte a maggiore schiarimento di quanto per le parole ben determinate e espresso; colla BREVOTÀ e colla varietà de'modi, con alcune naturali figure, quale sarebbe l'interrogazione, e specialmente coll’armonia facile e piana, e con tutti gli allri modi naturali alla temperata favella. Questo carattere filosofico e si ben divisato da CICERONE, che io stimo convenevole cosa di recare le sue parole temperata e famigliare è l'orazione de’ filosofi: non è composta di modi popolari; non è legata a cerle regole d'armonia, ma discorre liberamente. Niente sa d'iralo, niente d'invidioso, niente di inirabile, niente di astuto. Casla, vereconda, quasi pudica vergine, onde piuttosto ragionamento che orazione può nominarsi. Parliamo del discorso  di carattere PERSUASIVO o PROTETTICO [Grice – ‘protreptic’]. Poichè abbiamo dato contrassegno del carattere filosofico, veniamo a fare il medesimo della mozzione conversazionale persuasiva. “Persuadere” (“to influence and being influenced”) segna propriamente far credere altrui alcuna cosa; dal che manifesto apparisce essere grande la differenza tra il “convincimento” e la “persuasion”. Perchè siamo CONVINTI è forza che conosciamo ogni proposizione che compone un ragionamento fino alla prima percezione, dalle quali dipende il principio fondamentale di quello. Perchè siamo “PERSUASI” basta che il ragionare abbia per fondamento o l'opinione o l'apparenza o l'autorità (non come l’intende Courmayeur). Molti dicono, a cagion d' esempio, di essere “PERSUASI” che il sole si giri intorno la terra, ed altri che la terra si volga intorno al proprio asse. Gl’uni prestano fede all'apparenza, gli allri al detto degl’uomini sapienti. Ma di quello che credono non sanno porgere altrui vera dimostrazione. Da questo esempio, e da infiniti altri, si può vedere che la PERSUASINE non è sempre generata dal conoscimento – o sceinza, ma credenza -- di ogni proposizioe  che si richieggono nella dimostrazione, e che per conseguente a trarre le volontà, ed a tenere le menti del più degl’uomini, non importa semipre il dimostrare sollilmente alla maniera del filosofo, ma giova di far uso di qualsi voglia verisimile principio: di comporre imaginazioni che abbiano faccia di verità: di adoperare figure che, perlurbando l'aninmo di nostro compagno conversazionale, conformino i pensieri di lui secondo la nostra volontà di guisa, che, se egli sia per venire nella nostra sentenza, precipitosamente vi corra. Ma tutte queste cose si vogliono adoperare a modo, che il discorso abbia sempre apparenza di vera dimostrazione; perciocchè l’uditore di qualsivoglia condizione sempre domanda al conversatore che sia loro mostra la verità. Converrà quindi dedurre il discorso, per natural guisa e chiaramente, e da esso rimovere ogni proposizione ed ogni artificio, nel quale apparisca alcuna ombra di falsità. Primo ufficio del conversatore si è il provare la sua proposizione nella divisata maniera. Secondo, il dilettare. Terzo, il commovere; accorgimento si richiede nelle prove; sobrieta dell’ornamento che intendono al diletto; veemenza nel concitare l’affeto.  Con queste arti si perviene a trionfare ed a governare la volontà di nostro compagno conversazionale. Per le cose dette si conosce che il conversatore, comechè dice di voler dare esatta dimostrazione di quanto afferma, questo non fa sempr: del che si può aver prova nella disputa, che fa in contraddilorin, per le quali talvolta appaiono vere due sentenze, una delle quali, essendo opposta all'altra, deve di necessità esser ſalsa (reduction ad absurdum, introduduzione della negazione). Non è dunque l'arte della conversazione veramente l'arte di dimostrare (prendendo questa parola nello stretto segnato del filosofo) ma, come la define Dionigi d'Alicarnasso, “l'arte di farsi credere”. Ma qui potrà per avventura sembrare che, avendo io nel sopra indicato modo divisata la natura di una mozzione conversazionale persuasiva, de abbia fat 10 un'arte d'inganno. Chi però cosi pensasse а porterebbe opinione falsissima; perciocchè non si ſa inganno agl’uomini adoperando a bene quell'arte, che sola si conſà all'indole della più parte di essi. Pochi sono coloro, che possono essere falli capaci della verità per via di sollile ed esatto ragionamento; anzi avviene il più delle volte che, sembrando molti falsissimo il vero e piacesse a Dio che così non fosse), è forz, per guadagnare l'opinione foro, venire ad alcuna utile verità per le strade del verisimile; e questo non è certo ingannare, ma giovare la umana famiglia. Vero ufficio dei conversatori si è l ' usare l'eloquenza non ad inganno, ma per indurre gl’uomini a fuggire il vizio, a seguitare la virtù e la verità; per metter fine alle conlese, per sedare i tumulti, per sollevare l'autorità della legge contro il volere di coloro, che il privato bene antepongono a quello della repubblica: che se alcuni malvagi intellelli abusano di tutte le arti civili, dovremo per questo sbandirle da Roma e ricondurre gli uomini a viver di ghiaude? Finalmente e la mozzion conversazionale di carattere poetico, come in Heidegger. La poesia fou dai ROMANI inventata per proprio diletto, e poscia dagli autori della vila civile ad ammaestramento di esso popolo adoperala. Piacque ad aleuni a solo ricreamen to dell'animo usarla, ma i più nobili poeti sotto il velame delle favole, delle imitazioni e dei mirabili concetti pascosero la dottrina, e con locuzione accesa nella fantasia e con soavi armonie si aprirono la strada alle menli volgari, le quali all'insegnamento dei filosofi sarebbero stale ritrose. Per lo che niuno può dubitare che chiunque si dispone a fare una mozzione conversazionale poetica non debba cercare di piacere alla più parte degli uomini. Questo fece ad imagine degli antichi il nostro Alighieri, la cui divina Commedia leggevano anche le persone d'umile condizione, e ne traevano documenti a ben vivere. Questo ſecero l'Ariosto e il Tasso, e cosi dee fare chiunque ha vaghezza di essere salutato un autore di una mozzione conversazionale poetica. Se dunque investigheremo quali sieno quei modi che dilettano il più degli uomini, e quali sieno que' che li noiano, giungeremo a conoscere quali convengano e quali disconvengano al carattere della mozzione conversazionale poetica. E primieramente e palese che le espressione apportano diletto e colla materiale struttura loro e colla qualità delle idea, che recano alla mente; perciò è che l'essere del carattere poetico dall'una e dall'altra di queste cose dovrà generarsi. Una delle qualità necessarie alla mozzione conversazionale poetica sarà dunque la più squisita armonia, onde siano dilettati i sensi ed appagato l'intelletto in virtù della imitazione. Dell'armonia abbiamo dello abbastanza, perchè passeremo tosto a dire della natura delle idee dilettevoli. Il diletto si genera negli animi da ciò che, dolcemente i sensi movendo, fa operare la mente senza tenerla in fatica: e perciò è che le imagini dei corpi diversi e tulte quelle cose e que’ concetti, che hanno virtù di risvegliare gli affetti, ci recano maraviglioso piacere e le idee astratte all'incontro non lo ci recano, perciocchè, se non sono mollo complesse, fanno lieve impressione nell’animo; se molto complesse, abbisognano di molta attenzione, e perciò affaticano la mente. Proprii, saranno dunque del carattere poetico i vocaboli e i modi acconci a svegliare ad un tempo la rimembranza di molte sensazioni dilettevoli ed a concitare le varie passioni ed a rendere sensibili coll'aiuto delle similitudini tolte dalle cose corporee i più sottili concetti della mente. Cogli aggiunti opportunamente scelti vengono segnata la passione o l’azione, e gli usi delle cose e le qualità loro proprie, le quali in virtù dei soli nomi sustantivi non verrebbero all'animo di nostro compagno conversazionale, o ci verrebbero debolmente; perciò al poeta conviene l'adoperare essi aggiunti più frequentemente che all'oralore, quale dipinge meno parli colarmente le cose, siccoine colui che non ha per fine principale il diletto. Colla metafora si dà corpo a una nozione astratta, coi tropi si pone dinanzi agli occhi della mente quella sola parte o qualità dell'obbietlo, che prima si presenterebbe al senso di colui che cogli occhi del corpo il mirasse. Adoperando i predetti modi, si perviene a dare a’ concetti intellettuali forma sensibile guisa, che nostro compagno conversazionale, direi quasi, non più per segni percepisce le cose, ma le vede, e con mano le tocca. Affincho palesemente si vegga questa prerogativa, che sopra tutt e rende il carattere poetico distinto dagli altri, recherò ad esempio alcuni concetti intellettuali, convertendoli in forma sensibile. Tutti i viventi muoiono. La sede del romano impero fu da Costantino trasferitu a Bisanzio Il popolo facilmente mula consiglio. Quello ch' ei fece dai tempi di Romolo, sino a quello dei Tarquinii. Quello concetto si dice intellettuale, siccome quelli che si denno giudicare secondo il segnato proprio di ciascuna parola; sensibili saranno, qualvolla sieno espressi di maniera che giudicare si debbano secondo l'apparenza o la similitudine, siccome divengono i predelti Trasformandoli nel modo seguente. La morte batte egualmente alle capanne de poveri ed a’ palagi de’ re. Posciachè Costantin lo quila volse contro il corso del ciel, che la seguiu Dietro quel grande, che Lavinia Wolse. Infida è ľaura popolare. E guel cliei fe' dal mal delle Sabine Al do Tor di Lucrezia. Queste finzioni che assai di lettano, e perchè contengono manifeste similitudini e perchè racchiudono veri intellettuali concetti, sono talmente proprie della mozzione conversazionale poetica, ch'elle sarebbero sconvenevoli nei discorsi, che non hanno per fine primario il diletto. Come queste poi si addicano più a cerle specie, che a certe altre, vedrenio a suo Juogo. Ora bastea di avere in genere contra-segnata la natura del carattere poetico, onde apparisca che tengono mala strada coloro, i quali cercando "fama tra i poeti fanno pompa ne’loro versi di dottrina e di soltile ingegno, ed espongono i loro pensieri con ordine troppo minuto e distinto. I concetti che si cavano dall’intrinseco della filosofia, recanó seco molta oscurità e difficoltà, specialmente quando vengono segnato co' vocaboli e commodi loro proprii, e perciò sono contrarii al diletto, che è il fine del poet, o, come altri vuole, il mezzo necessario ad indurre il giovamento. E quando si dice che il poeta dev'essere filosofo, non si vuol dire che a modo dei filosofi debba scegliere, ordinare e segnare il concetto, ma che egli usi molto di filosofia nello scegliere le materie più utili agli uomini, e nel dare a quelle e forma e veste conveniente alla natura di ciascuna. Che se talvolta egli vorrà togliere alcun concetto dalla filosofia, lo toglierà dalla superficie e non dal profondo seno di lei, in quel modo, che ha fatto il Petrarca, qualvolta si è giovato della filosofia di Platone, come si vede nel seguente esempio. Per le cose mortali, che son scala al fattor chi ben le stima, D'una in altra sembianza potea levarsi all'alta cagion prima. E in altri luoghi moltissimi si vede con qual arle e cautela dalla flosofia nella poesia egli abbia trasportati i concetti, gli abbia temperati ed ornati, sicchè non hanno nè ruvidezza alcuna nè oscurità, ma naturalezza, novità, e magnificenza, che sono qualità popolari, che è quanto a dire poetiche. C’e una e altra specia del discourse di carattere filosofico. Le materie, intorno le quali cade l'insegnamento, sono: la matematica, la fisica, la metafisica, la morale, la politica, l'arte oratoria e la poetica, le arti liberali e le meccaniche, e tutte le conoscenze che da queste principali procedono, ciascuna delle quali essendo più o meno astratta, richiede o maggiore o minore soltigliezza d'ingegno e forza di attenzione in chi le consider: per la qual cosa interviene che dovendo i conversatori usar parole e modi con venevoli alla natura di ciascuna delle dette materie, ne risultano diverse specie di caratteri insegnativi più o meno austeri. Rispelto poi alle persone, cui vuolsi mostrare la verità, giova osservare che elle sono di due maniere. Alcune letterale ed alcune mezzanamente istruite. Alle prime, che sono avvezze al ragionamento, si converrà stretto sermone: più diffuso alle altre, le quali hanno bisogno che le cose sieno esposte loro per minuto, ed anche talvolta per via di similitudini e di esempi chiarile. Per tal cagione il discorso filosofico prende spesso alcuna delle forme del persuasivo, senza mai perdere però la precisione, che forma l'essenziale sua proprietà. Di tal sorta sono molte mozzione conversazionale indirizzati all'insegnamento de' giovani, e i dialoghi e le epistole filosofiche, le quali vengono usate affinchè certe materie depongano alquanto della nativa loro austerità, ed allin cbè i conversatori affaticati trovino riposo nelle digressioni e in altre parti accessorie. C’e una e altra specia di discourse di carattere pesuasivo o protrettico. Se al mondo fossero uomini dirittamente sapienti e perfettamente savi, sicchè astuzia e lusinga di oratore non potessero negli animi loro, vana riuscirebbe l'arte del persuadere, perciocchè tutti richiederebbero di essere convinti con precisa e poco adorna favella: ma Blo non sono quaggiù nel mondo cose perfette, e perciò è che, sebbene tutti gli uomini avvisando di poter essere condotti alla verità per via di vera dimostrazione, sdegnino i manifesti artificii; pure non v'ha alcuno, che vaglia a resistere alla seduzione di astuta eloquenza; dal che si ricava che l'arte del persuadere si può adoperare con ogni sorta di persone; po pendo menle però che quanto maggiore negli ascoltanti è l'aculezza dell'intelletto e la sapienza, altrellanto esser deve la cura nell'ora tore di occultare l’artificio. Dovranno dunqne i modi del discorso persuasivo tanto più avvicinarsi a quelli del filosofico, quanto piu le persone, cui si favella, sono sapienti ed arcorte; ed all'incontro tanto più dovranno lingersi, direi quasi, del COLORE (Farbung) poetico, quanto nel conversatore è minore l'altitudine ad argo nentare sottilmente: e la ragione di questo si è che, a misura che negli uomini manca l'acı fezza dello intelletto, cresce la forza della fan. tasia, dell'opinione e delle passioni. Ma no è perciò che, anche favellando a sì falte persone, debba l'oratore ornare il discorso d'imagini fantastiche a modo che esso perda le apparenze della buona dimostrazione; essendo che' il popolo stesso, il qual pure, come è detto, presume di sapere ragionare sottilmente, sde gna quella orazione che gli par vuota di ragioni. Dovrà dunque il discorso persuasivo aver sempre l'aspetto di vera dimostrazione; ma colale aspetto poi sarà diverso, secondo la maggiore o minor perspicacia delle persone, che si vogliono persuadere, le quali si possono dividere in tre schiere. La prima è degli uomini letterati: la seconda degli uomini che banno convenevole discrezione di mente: la terza del popolo basso. Per le quali tre schiere tre specie di carattere PERSUASIVO procedono. La prima partecipa alquanto delle qualità del genere filosofico: la terza di quelle del poelico: la seconda è stile medio e media fra le due. Della prima specie e l’allegazione, che l’avvocato pronuncia al cospetto de' giudici; della seconda i discorsi morali, la storia, l’elogio, ed altre opere intese a persuadere circa il giusto e l'onesto le persone discrete; della terza la predica e la allocuzione e il parlamento, che si fanno al popolo ed a; soldati. Siccome poi varia si è la condizione delle persone che favellano, e varie le cose di cui si può favellare, interviene che secondo queste e quelle verrà il carattere PERSUASIVO a dividersi in altre specie: e perciocchè le per le cose si possono considerare di tre ragioni, cioè di nobili, di mezzane e di umili, piacque a' retorici di restringere sotto tre soli nomi i molli membri del carallere persuasivo, e questi sono: il sublime, il temperato ed il tenue. Che a ciascuna di queste specie si addicano e voci e modi particolari, è facile comprendere e chi non vede che al discorso rivolto a celebrare le lodi di un eroe o di un sapiente si convengono maniere diverse da quelle, che sarebbero accomodate a descrivere o a lodare l’amenità della villa? Che la lettera famigliare intenla a persuadere qualsivoglia verità ad alcuno, dev'e di natura diversa dall' orazione che tralla della cosa medesima? Paren sone e I 2 domi che qui non sia bisogno di allargarsi troppo in parole, una sola cosa ricorderò, cioè, che von solamente si addicano a cfascuna spe. cie particolari maniere, ma ancora particolare collocazione di parole e particolare armonia. Imperciocchè l'animo di chi favella, essendo secondo i varii casi o tranquillo o perturbato, o elevato o umiliato, non è dubbio che, nel seguitare questi diversi affetti, variamente si devono ordinare le idee, e colle idee le paro le, e che similmente dee variare l'armonia, se vero è ch'ella soglia naturalmente, qualvolta favelliamo, accompagnare i moti dell'animo, Oltre di che vuolsi considerare che que' che parlano alla moltitudine, o scrivono cose da proferirsi ad alla voce, sogliono muoverla e modularla con diverso andamento da quello che userebbe colui, il quale famigliarmente ragionasse e tranquillamente in angusto loco alcun fatto narrasse; e perciò il ritmo di que ste due specie di favellare è fatto diverso dalla necessità di pronunciare a modo, che le nostre parole sieno ascoltate volentieri, e quan do in luogo pubblico di gravi negozii a molti parliamo, e quando in camera a pochi di qual sivoglia materia. Quale sia poi quella deter minala armonia, che in ciascun caso convenga, insegnare uon si può. Qui basti l'avvertimento, chè l’esempio de classici scrittori assai meglio ne può ammaestrare. Penso che sia convenevole cosa il collocare fra le specie del carattere persuasivo anche quello che si addice alla istoria; e ciò per le seguenti ni. Uſlicio dell'istorico si è di produrre coll'insegnamenlo la prudenza civile e militare, il che si ottiene col porre innanzi all ' animo del lettore i fatti importanti e le cagioni e gli effelli di quelli. Al qual line, è mestieri di descrivere avvenimenti d'ogni ma piera e particolari e generali, assalti, uccisioni, incendii, battaglie, saccheggi, trattazioni, páci  congiure, delilli e virtù; di palesare nelle concioni poste in bocca ai re, ai magistrati, ai capilani, i gravi consigli e i documenti della politica; di esprimere i caratteri delle passioni, e di usare le più luminose sentenze. Le quali tulle cose vogliono essere significate con modi che varino secondo il variare della maleria. Comechè uguale a sè medesimo sia sempre il carattere della storia, cioè grave, siccome si addice a chi le gravi cose racconta, certo egli è che secondo la differenza degli avvenimenti dovrà variare nel sostenersi e nello innalzarsi, ed apparire nelle concioni più alto ed eſti cace, nelle descrizioni più ameno ed ordinato, e spesso più veemenle nella persona degli uo mini ivi introdolli a parlare, ma sempre temperato in quella dello scrittore, che da ogni parteggiare dee mostrarsi lontano. Non può dunque convenire al caraltere storico nè l'autorità filosofica, la quale sarebbe contraria alle malerie, nè la poetica pompa, che torrebbe fede alla narrazione; perciò é forza che gli sieno proprie le prerogative generali del ca. rattere persuasivo, dal quale differisce sola mente per le qualità speciali di sopra accennale. C’e una e altra specia del discourse di carattere poetico. Se ſu bisogno dividere in alcune specie il carattere persuasivo a cagione della maggiore o minore altitudine delle menti umane a di scerncre la verità, ciò non occorrerà circa il carallere poetico; imperciocchè tanto gli uo. mini di sottile ingegno, quanto quelli, in cui la fantasia prevale all'intelletto, hanno tulli dinanzi al poela una medesima disposizione. Se il popolo porge orecchio alle finzioni noe. tiche, quasi come a cose vere, i sapienti le riguardano come simboli della verità e quasi come leggiadri sogni della filosofia, e in questo loro dolce ricreamento sdegnano ogni austerilà e fino l'apparenza delle faticose forme filoso. fiche. Perciò è palese che il poeta rivolge sem. pre le parole ad vomini, i quali, sieno di qual sivoglia condizione, amano che la mente loro şia condotta ad operare senza fatica. Da que. sto si ricava che ogni specie di carattere poe tico dovrà avere sempre la prerogativa di schivare, come dicemmo di sopra, le idee che tengono in falica l'intelletto, e rappresentare quelle, che vestile di forme sensibili, eserci. citano la imaginativa. Non sarà dunque diviso in ispecie questo genere per rispelto della diversità degl'intel letti, ma della condizione del poeta o delle persone che introduce a parlare, e delle varie cose, che ei ſa subbietto del canto. Ma, prima di entrare in questo proposito, parni che sia da togliere una falsa opinione circa la natura della poesia. Sono alcuni i quali avvisano che 115 ma il l'essenza di lei consista nel metro, e fra que sti è il Melaslasio, il quale nella sua esposi zione della Poetica d'Aristotele sostiene che la lavella metrica, per essere l'istrumenlo con che l'imitazione si fa, ne forma l'essenza. Ma io domanderei voleplieri a coloro che cosi la pensano, qual nome vorrebbono dare all’ENEIDE tradolla in favella sciolta dal metro? Le daranno per avventura nome di prosa? L’espressione “prosa” altro non segna che discorso senza metro, e per ciò verranno a dire solamente che quell'illustre racconto è fatto sce. mo di quella sola qualità, di che grandemente si diletta l'orecchio, ma non già di tutte le altre, che stabiliscono la natura dei discorsi composti a fine di diletto. Dal che appare manifesto che un altro general nome è bisogno per distinguere i discorsi composti per dilettare. E quale è a ciò più accomodalo vocabolo che quello di poesia? L’espressione “poeta”, secondo sua origine, significa facilore o vogliam dire fabbricatore; e perciò poesia sonerà lo stesso che fabbricazione o finzione, e tali sono di necessità quasi tutti i discorsi, che si compongono a fine di dilellare, essendo che il nudo vero non è dilettevole sempre e in ogni sua parle: perciò Varchi dice nell'Erco laro, che il verso non è quello che faccia principalmente il poeta; e che Boccaccio talvolla più poeta si mostra in una delle sue Novelle, che in tutta la Teseide. Ed Orazio afferma che a distinguere la poesia da ciò che essa non è, basta disgiungerne le membra, cioè loglierle il metro, e allora si vede manifestamente che il carattere non le si toglie. Conchiudiamo pertanto, che il metro induce diſſerenza di specie ma non determina la natura del genere; e stabiliamo che a tutti i discorsi  che hanno per fine il dilettare con metro o senza, si conviene il nome di “poesia”.  Ora veniamo alle specie. Talvolta il poeta rappresenta la persona d'uomo, che cantando, dice laudi degli Dei e degli Eroi; talvolta quella, ch'esprime i moti dell'allegrezza, dell'affanno o dell’amore, o solamente gli scherzevoli con cetli. Le poesie di questa maniera solevano dagli antichi essere cantate sulla “lira,” e perciò presero il pome di “lirica”, e tuttora il conservano. Varie essendo le passioni e le cose che esprimere si possono dal conversatore lirico, interviene che ancora il canto si divide in varie specie, che tutte poi si riducono a tre, come nel carattere persuasivo: cioè al sublime, al mediocre ed al tenue. Ciascuno di questi canti ha qualità sue proprie. Magnificenza e gravità di mod, di sentenze e di arinonia, e splendore d'illustri parole e di concetti fantastici convengono a chi celebra le laudi degli Dei e degli Eroi, ed esprime alte e generose passioni: più tenui maniere e parole e più soave armonia a chi esprime gli affelli meno gravi e canta di subbielli meno nobili: quegli poi, che dice i mili affetti o gli scherzi o le umili cose, avrà nelle sue parole piacevolezza e semplicità da ogni fasto lontana, ed armonia soave e varia, ma sempre tenue. Alla detta varietà d'armonie, mirabilmente poi servono i metri, alcuni de' quali portano secofl'umiltà, altri la mediocrità, altri l'allezza dell'armonia. Sono molti esempi di questa varietà in Petrarca, Si ponga mente ai modi, al metro, al ritmo delle due canzoni d'amore, una delle quali comincia, Chiure, fresche e dolci ucque; e l'altra, Di pensiero in pensier, di monte in monte; e si vedrà la prima essere in tutte le sue parti piena di soavità, di gentilezza e di grazia, e l'allra di robustezza e di gravità. Talvolta il poeta narra gl ' illustri ſalli; tal volla i mediocri; e talvolta i piacevoli: indi si generano i poemi epici, i romanzi, i poemi burleschi e le novelle. Talvolta poi introduce a parlare o le persone illustri o le mediocri o le umili, e quindi provengono le tragedie, le commedie, le egloghe pastorali e le pisca torie. Ognuna di queste specie, siccome è pa lese, ha modi ed armonia convenevole alla maleria ed alla condizione delle persone. Perciò è che il poeta, specialmente nella tragedia, nella commedia e nell' egloga, ove se medesimo nasconde introducendo altri a par lare, dee rendere alquanto umili i modi, l'ar monia di guisa, che lo spettatore, ascollando le tragiche persone o le coniche, abbia a dire: così parlerebbero gli uomini di questa o di quella condizione, se loro naturale favella fos sero i versi. Giovi questo generale avverli mento, perciocchè non si possono mostrare i certi limili, fra i quali dee slarsi ciascuna spe 118 rie. Tutte hanno nell'intero loro corpo faltezze particolari, alle quali colui che ben vede di stintamente le raffigura: pure a quando a quando or questa or quella viene a parteci. pare dell ' altrui colore di guisa, che l'epico nelle forti passioni innalza le parole e i modi al pari del cantore degl'inni; e il più sublime lirico parra alcuna volla, siccome fa l'epico. Lo stesso interviene delle allre specie, fra le quali per fino la commedia talora si leva a gareggiare colla Tragedia, e la tragedia al dire l'Orazio, spesso, si duole con sermone pe destre. Nelle opere dell'arle, siccome in quelle dels la nalura, si scorge infinita diversilà, ma per questa spesso non è tolto che moltissimi indi vidui della medesima specie, sebbene molto dissimili, non sieno egualmente belli e prege voli. Questo vedesi manifestamente per le la vole colorite da' celebri dipinlori, de'quali uno essendo il fine, cioè quello dell'imitare la bella natura, non in tutti una apparisce la sembianza del loro dipingere. Raffaello, Correggio, Domenichino, Caraccio, Tiziano e Paolo, i quali cerlo non mancano nelle regole invaria bili dell'arte, sono fra loro assai differenti. Tutti mostrano invenzione lodevole e lodevole composizione, belle forme, ben disposto colo. rito e conveniente a ciascuna cosa: tutti esprimono i costumi e gli affelli, ma ciascuno d'essi ſa delle predette e di altre virtù una cotale mislura, che siamo condolti a dire che nessu. 1 Til no di loro ha la maniera dell'altro, comechè Tulli sieno eccellenti. Questa, che i pillori chia mano maniera, è similmente comune a' filosofi, agli oratori, agli storici ed a'poeli. Quanti scriltori sono tenuli meritevoli di pari commendazione, sebbene tale fra loro sia la diſſerenza, che spesso ciascuno solamente a sè me, desinio ed a nessun altro assomiglia? La rinsposizione dell'ingegno e delle affezioni dela l'animo, che in ciascun uomo è diversa, è cagione che le dette maniere sieno di numero pressochè infinito. Alcuno de' famosi scriitori ha il pregio della perspicuità, alcuno della eleganza, allri della grazia, altri dell'aculezza. Questi è grave e maestoso: quegli delicato e molle: chi è breve e robusto: chi copioso, chi úrbano e chi veemente: ma tali poi sono tutti, che, se alcuno di noi desiderasse di ottener gloria di ottimo scrillore, sarebbe incerto a quale di loro volesse essere somigliante. L'accennata maniera particolare, per la quale ciascuno scrittore è distinto dagli altri, si è quella che gli antichi chiamarono “stile” (cf. Tannen, Conversational style), prendendo questa voce dall'istrumento che per iscrivere adoperavano. La stessa parola “stile”, presa più largamente che non fanno i filosofi, segna comunemente il carattere in genere o in ispecie: ma è palese che, filosoficamente parlando, si è bene d'usarla nel senso leste dichiarato. Ond'è che assai propriamente diremo in generale, carattere filosofico, caruilere persuasivo o poetico; ed in ispecie carattere oralorio, lirico, epico, tragico, sublime, medi cre e tenue: e stile di Demostene, di CICERONE, di Ortensio, di Omero, di VIRGILIO: percioc chè nei primi fu il solo carattere persuasivo, negli altri il poelico; ma in ciascuno ebbe una particolare maniera, che modificando il carattere, l’essere suo non gli tolse. E chi volesse invesligare le cagioni da che proceda colale maniera, che stile si appella, vedrebbe ch'elle sono le qualità dell'intellello, della fantasia di ciascuno scrillore, e le qualità degli affetti, a cui egli ha l' animo disposto: laonde volendo dare alcuna definizione dello stile, paroi che far si potesse nel modo seguente. Lo stile si è il carattere modificato secondo le qualità dell'intellelto, della fantasia e degli affelli dello scrittore. Parliamo sommeramente del modo di acquistare la qualita necessaria a conversare civilmente. Ora che abbiamo poluto conoscere che cosa sia lo stile, non sarà indarno l'investigare co me si possa acquistare forza, grazia e vaghezza nello scrivere; e che è quanto dire come si possa formare lo stile convenevole e pulito. Se lo stile si genera per la qualilà dell ' in tellelto, della fantasia e degli affetti dello scrit tore, vera cosa è che, a formarlo convenevole e pulito, bisognerà rendere perfette le mento vate tre cagioni il più che si può. L'uomo nasce fornilo dell'intelletto, cioè della facollâ di sentire, di percepire, di alten. dere, di paragonare, di giudicare, di astrarre, di ricordarsi, di imaginare, ma d'uopo è che queste lacollà vengano poscia diriltamente usate ed esercitale, onde sia generala quella virtù pressochè divina, che si appella la ragione, la quale consiste nell'abito di. paragonare in sieme i sentimenti distinti dell'anima e le idee, di derivar dai falli pariicolari le nozioni gene. rali; di anteporre o posporre le une alle altre, di congiungerie o di separarle, secondo la con venienza o disconvenienza loro, e secondo i loro gradi di più o di meno. A formare que sl’abito, sarà bisogno di studiare le opere de' filosoti, che trattano soltilmente delle cose na lurali, delle proprietà dell'intelletto e del cuore umano; di apprendere l ' istoria, senza la co gnizion della quale, al dire di Cicerone, l'uo mo si rimane sempre fanciullo; di osservare la nalura, di pralicare fra le diverse condi. zioni degli uomini, e di operare ne privati negozii e ne' pubblici. Ad arriccbire l'imagi. nativa, la quale è l'abito di recare all'animo la reminiscenza delle qualità sensibili che più ci muovono e dilellano; di congiugnere insie me con verisimiglianza quelle, che sono di. sgiunte in nalura, e di significare per siinili tudine delle cose corporee i concelli astralli, non solo metterà bene di leggere gl'inventori di nuove e vaghe fantasie, ina di por menle a tutto ciò che ai sensi porge diletlo, sia nelle azioni degli uomini e degli anigali sia nel l’esteriore aspelto e movimento delle cose inanimate; e soprattullo gioverà di ben con siderare le somiglianze che fanno fra loro le cose di qualsivoglia genere e specie; chè que sto si è il fonte, dal quale si derivano le vuo ve e maravigliose metafore. Di molla ulilità sarà poi all'intellelto ed all'immaginativa lo sludio de' precelli dell'arte oratoria e della poetica, i quali, essendo il compendio di quanto ove i filosofi hanno osservato intorno le cagioni, onde piacciono e dispiacciono le opere degli scrillori, apportano quella luce, che un uomo solo nel breve spazio della vila studierebbe indarno di procacciarsi colla sola virtù del proprio ingegno. Vuolsi però sull'osservanza de'precelli avvertire ciò che nell'arle poetica osserva Zanotti; cioè che le cagioni del piacere e del dispiacere trovate da’ filosofi, essendo cagioni universali ed indeterminale, mostrano bensi i luoghi, non vogliono che si ecceda o si manchi, ma non prescrivono poi a qual segno si debba giugnere o rimanere, per non ecce dere o non mancare; ond' è che, a fare buon uso del precello, è bisogno di quella discre. zione, che si acquista con lungo sludio e fatica. Rispetto agli affelli, io mi penso che, sel) bene sieno da natura, pure a conciliarli in al trui grande aiuto si possa trarre dall'arte. Se l'amore, l'odio, l'ira, la mansuetudine, la misericordia ed allre affezioni dell'animo na. scono da cagioni determinale, come per eseni. pio l'amore da bellezza e da virtù, l’odio da male qualità del corpo o dell'animo altrui, non v'ha dubbio che gli aſſelti medesimi si deb bono in chi legge risvegliare per virtù della viva' rappresentazione di quelle cagioni: dal che si raccoglie che lo scrittore, considerando le varie disposizioni degli uomini passionali, e le cagioni, per le quali la passione si genera, avrà materia onde gli animi perlurbare. Cosi per aiuto dell'arte verrà ad operare in altrui quell'eſello, che imperſellamente avrebbe operalo mercè della sola naturale sua disposi. zione. Da quanto è dello apparisce che la scienza avvalora l'intellelto e l'immaginativa, ed aiuta a muovere gli affetti, e che perciò ella si è il fonte dello scrivere rettamente. La scienza poi è generala negli umani intellelli da due cagioni: queste sono: la naturale disposizione delle organo corporale e l'azione delle cose esterne sopra di esso; sì falte ca. gioni sono di necessità diverse in ciascuno; perocchè non è da credere che si possano tro vare due corpi nella stessa maniera conforma li; ed è poi certamente impossibile che uno riceva dalle cose esterne nell'animo le mede sime impressioni che un altro. Per la qual cosa avviene che diversa in ciascuno si generi la scienza, e quindi diversa la forza dell'in gegno e dell'imaginaliya, diversa la qualilà degli affetti, e per conseguente anche lo stile, che da queste procede, deve riuscire diverso. Dal che si vede che imprendono opera dispe rala coloro, che si affaticano ad imitare lo stile d'altri. E alcuni pur sono che andando passo passo sull' orme di ALIGHIERI, del Petrarca o del Boccaccio, avvisano alla costoro gloria di per venire; ma le opere loro per verità, in fuori di un poco di pulita buccia, niun sugo hanno. Che cosa dovremo dunque apprendere dagli scrittori? Rispondo che si vuole apprendere la lingua e i modi acconci ad esprimere chia ramente, ornatamente e convenevolmente i no stri concelli. Da questo scrillore ci sludieremo di procacciare una cosa, da quello un'altra, a seguileremo sempre la nostra natura, secondo l'esempio di Dante, il quale lasciò scritto di sè: lo mi son un che, quando amore spira, nolo, ed a quel modo che delta dentro, vo significando. Che se allrove disse a VIRGILIO: Tu se' lo mio maestro e lo mio autore, Tu se' solo colui, da cui io loisi Lo bello stile, che mi ha fallo onore, non intese già d'avere tolto al maestro la ma niera propria di quel poeta, ma sibbene la qualità, onde il carattere poetico é differente dal filosofico e dal persuasivo. E chi è che pon senta la differenza che è dallo stile di Dante a quello di Virgilio? Rimane per ultimo a dire degli autori, che coloro che amano di scrivere nell'italiana favella, devono scegliere a maestri. Nulla dirò dello studio della lingua greca e della latina, perciocchè essendo notissimo che nell'una e nell'altra scrissero coloro, che insegnarono a tutto il mondo, e che questa nostra da quelle procede, ciascuno conosce di per sé quanta ulilità trarre se ne possa. Mi ristringerò dunque a fare alcuna parola de' solo il conversatore italiano, che agli altri si devono preporre. E prima è a sapere che nel secolo XIV alcuni prosatori ed alcuni poeti diedero al volgar nostro tanta proprietà e grazia, che nessuno ha poi polulo eguagliarli: che nel secolo XV questo volgare ſu quasi abbandonalo per soverchio amore della lingua latina e per pusillanimità degli uomini d’Italia: che nel secolo XVI ſu dal Fortunio e dal Bembo ridollo a regole deter. minate; e da molti ſu nobilmente adoperato in varii generi di scritture: che nel secolo XVII fu da talupo acconciamente impiegato ed ar ricchito di voci perlinenti alle scienze, fu da alcun altro scrillo con eleganza, ma venne da moltissimi in parte corrotto e rivolto in vanilà di falsi concelli: che nel XVIII finalmente ſu da pochi bene usato, e da moltissimi con pa role e modi forestieri vituperato. Tale essendo stata la fortuna di questa bellissima lingua, chi potrà dubitare che oggi non sia a noi sa lutevole il consiglio, che ci porgono gli uomini sapienli, cioè quello di studiare agli antichi esemplari? Se nel buon secolo della lingua la lina si stimava essere opera di gran probllo ai giovani il molto leggere gli antichi scrittori del Lazio, quanto maggiormente non si dee credere che lo studiare i nostri sia per giovare a noi, che viviamo in un secolo, ove gl'ita liani, pressoché tutti, più delle cose forestiere che delle proprie dilettandosi, scrivono sì, che punto non pare alle loro scritture che sieno stali allevati in Italia? Verissimo si ė (anche parlando delle arti) quello che dicono i politi ci, cioè che qualvolta le cose sieno pervenule a corruzione, bisogna richiamarle ai loro principii. Questa sentenza dovrebbe essere dinanzi all'animo di tutti coloro, che amano il profitto de' giovani nelle lettere umane; pure sono al cuni cbe, deridendo coloro che studiano i lesti della lingua, dicono essere sciocchezza il darsi tanto pensiero delle parole ogni qualvolta si 1centisti, abbia cura dei concelli; come se il recare alla mente altrui i nostri concelli non dipenda dalla virtù di ben accoviodate parole. Colali persone, avendo posla loro usanza o ne' soli domestici negozii o in alcuna scienza o arte, nè mai data opera allo studio della lingua, vilipendono ciò che non conoscono, e perciò, non avendo au. torità, non meritano alcuna risposta. Tutti gli uomini di mente discreta non si maraviglie ranno, se qui vengono consigliati i giovanetti a studiare prima nelle opere de’ trecentisti, ne’ quali è dovizia di vocaboli proprii e di forme gentili, e chiarezza e semplicità e urba nità e maravigliosa dolcezza, ed a riserbare agli anni loro più maturi lo studio dei cinque che scrissero eloquentemenle di cose gravi e magnifiche. Ma per avventura alcuno dirà: non dobbia. ino noi essere intesi dagli uomini del nostro secolo e cercare di piacer loro seguendo l'usanza? Perchè dunque vorremo che la gioventù studii ancora quelle opere, ove si trovano, ol tre le voci ed i modi, che sono fuor d'uso, e barbarismi e pleonasmi e solecismi ed equivocazioni, e talvolta negligenza e stranezza nel costrutti? Perchè non vorremo consigliarla piullosto a leggere i soli scrillori del cinquecento, i quali seguitando le regole grammati. cali dettate dal Fortunio e da Bembo, non solo scrissero correttamente, ma trattarono eloquen temente di varie ed importanti materie? A queste obbiezioni risponderemo che si dee se guire l'usanza, del buon conversatore, l'usanza del volgo; che non si vuole negare che in molle opere del trecento non si trovino ma non fra la copia delle maniere proprie, nobili e graziose, varii difelli; ma che per questo non ci rimarremo da consigliare la gioventù di avere sempre caro sopra tutti quel secolo beato, e di leggere per tempo i suoi eccellenti scrittori, poichè ci teniamo certi che quanto è difficile il rendersi famigliari e domestiche le maniere native e gentili, altrettanto è facile di perdere l’abito di peccare contro la grammatica e contro l’uso. La predetta virtù non si può acquistare se non con lungo esercizio: il diſello si può togliere assai agevolmente dopo lo studio della grammatica, e dopoche per la filosofia e per la erudizione ci verrà dato di ben conoscere il valore delle parole e di ben distinguere la lingua nobile dalla plebea, e le maniere, che per vecchiezza ban no perduta la grazia e la forza pativa, da quel le che sono ancora belle ed efficaci. Quanto allo studio de'cinquecentisti, non du bitiamo che ei sia per essere ulilissimo, essen do che molli eccellenti scrittori di quel tempo adoperarono la lingua, che appresero da Alighieri, da Boccacio, da Petrarca e dagli altri tre centisti, emulando mirabilmente i romani in molli generi di scrilture: ma teniamo per ſermo che convenga alla gioventù di avvezzarsi al candore ed alla semplicità del trecento prima di cercare lo splendore, la ma gnificenza, la copia e l'altezza de' pensieri nei cinquecentisti. Perciocché lulti coloro, che sfor zano di parere magnifici e splendidi primaché dalla filosofia sieno ſalli ricchi di cognizioni, fanno l'orazione loro bella nella buccia, una nell'intrinseco vana e puerile. Non potendo i giovanelli esprimere con verila se non quei pensieri e quegli allelli, che sono proprii del la tenera età, troveranno assai comodale al bisogno le parole ed i modi usati da'trecentisti, la più parte de'quali, come que' che vissero nell'infanzia dell'italico sapere, scrissero di tenui materie. Verrà poi quel tempo maturo, in che a'giovani farà mestiero di alzare a'gravi concelli lo stile, ed allora apprenderanno da Guicciardini gravità e nerbo; dal Segretario fiorentino sobrietà ed evidenza; dal Carocopia, efficacia e gentilezza; da Casa splendore e magnificenza; da GALILEI ordine e precisione; d’Ariosto e da Tasso i pregi lulli, ond' ė divina la poesia. Ma allo studio di quesli e degli altri molli, che fecero glorioso il secolo di papa Leone, non avranno l'animo ben di. sposto se non coloro, cui prima sarà piaciuto di allingere ai puri fonti del trecento, da'quali derivarono i sopraddetli abbondantissimi fiumi. Questo, o Giovani, è quanto ho stimato op portuno di porvi dinanzi per indirizzarvi nel cammino delle lettere, alle quali inolti vanno per vie distorte e per lo contrario. Vi ho mo strato quali sieno gli elementi dell’ELOCUZIONE; come nel contemperarli secondo le leggi del decoro si loronino i varii caratteri; e final. mente come lo stile proceda da naturale di sposizione e come col sapere si perfezioni. Darò fine coll'avvertirvi, se vero è che la scienza e l'esempio fanno l'arte, è vero altresì che arte senza uso poco giova: onde, se dallo stile cercate onore, vi sarà bisogno di neditare mollo, di leggere molto e di scrivere mollissimo.  Ricerca Sinestesia (figura retorica) Questa voce sull'argomento retorica è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. La sinestesia (dal greco syn, 'insieme', e aisthánomai, 'percepisco') è una figura retorica, in particolare un tipo di metafora ("metafora sinestetica"), che prevede l'accostamento di 2 parole appartenenti a due sfere sensoriali diverse.[1]  Ha largo uso in poesia ed in genere nella versificazione:  «L'odorino amaro»  (Giovanni Pascoli, Novembre.) «Voci di tenebra azzurra.»  (Giovanni Pascoli, La mia sera.) «Venivano soffi di lampi.»  (Pascoli, L'assiuolo.) «Urlo nero»  (Salvatore Quasimodo, Alle fronde dei salici.) Tra le canzoni, si può citare Il sogno di Maria di Fabrizio De André:  «Quando mi chiese: "Conosci l'estate?" io per un giorno per un momento, corsi a vedere il colore del vento.»  È usata anche nella lingua di tutti i giorni ("colori caldi", "giallo squillante" ecc.) e quindi anche in prosa.  NoteModifica ^ Angelo Marchese, Dizionario di retorica e di stilistica, Milano, Arnoldo Mondadori Wikizionario contiene il lemma di dizionario «sinestesia»   Portale Linguistica: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di Linguistica Ultima modifica 2 mesi fa di Nima Tayebian, Enfasi Sinestesia pagina di disambiguazione di un progetto Wikimedia  Analogia (retorica) Figura retorica  Wikipedia Il contenutoWikipedia Ricerca Sinestesia (psicologia) fenomeno sensoriale/percettivo Lingua Segui Modifica Avvertenza Le informazioni riportate non sono consigli medici e potrebbero non essere accurate. I contenuti hanno solo fine illustrativo e non sostituiscono il parere medico: leggi le avvertenze. La sinestesia è un fenomeno sensoriale/percettivo, che indica una "contaminazione" dei sensi nella percezione.[1] Il fenomeno neurologico della sinestesia si realizza quando stimolazioni provenienti da una via sensoriale o cognitiva inducono a delle esperienze, automatiche e involontarie, in un secondo percorso sensoriale o cognitivo.   Possibile visione dei mesi dell'anno da parte di una persona soggetta al fenomeno della Sinestesia Descrizione generale del fenomenoModifica Con il termine "sinestesia" si fa riferimento a quelle situazioni in cui una stimolazione uditiva, olfattiva, tattile o visiva è percepita come due eventi sensoriali distinti ma conviventi. Nella sua forma più blanda è presente in molti individui, spesso dovuta al fatto che i nostri sensi, pur essendo autonomi, non agiscono in maniera del tutto distaccata dagli altri.  Più indicativo di un'effettiva presenza di sinestesia è il caso in cui il percepire uno stimolo (come ad esempio il suono) provoca una reazione netta e propria di un altro senso (ad esempio la vista). Per "forma pura" si intende la sinestesia che si manifesta automaticamente come fenomeno percettivo e non cognitivo. Il fenomeno è involontario, ma una maggiore attenzione prestata dal soggetto può evocarlo con maggiore consapevolezza, al punto che il sinestesico puro, vedendo i suoni e sentendo i colori, può riuscire a trarre vantaggio da queste contaminazioni sensoriali; un compositore che sfruttava questa sua capacità fu Messiaen, così come il pittore Kandinskij, che affermava di poter sentire la voce dei colori, che per lui erano suoni, entità vive e lo spiega bene nel suo libro Lo spirituale nell’arte. Un altro sinestesico fu il pittore e musicista lituano, Mikalojus Konstantinas Čiurlionis. Il compositore russo Skrjabin era particolarmente interessato agli effetti psicologici sul pubblico quando sperimentavano suoni e colori contemporaneamente. La sua teoria era che quando si percepiva il colore giusto con il suono corretto, si creava "un potente risonatore psicologico per l'ascoltatore". La sua opera sinestetica più famosa, che viene eseguita ancora oggi, è Prometeo: il poema del fuoco. Ma la lista degli artisti sinestesici è molto lunga, infatti le ultime ricerche affermano che il fenomeno sinestesico interessi il 4% della popolazione e di questo 4% la maggior parte sono artisti. Un'altra caratteristica della sinestesia è poi che si presenta a volte nelle persone mancine, o in concomitanza con altre caratteristiche come l'allochiria (confusione della mano destra con la sinistra), scarso senso dell'orientamento, dislessia, deficit dell'attenzione e, raramente, autismo.  Spesso la contaminazione sensoriale avviene a direzione unica: ad esempio, se vedo una nota musicale come un colore, non è detto che vedendo quel colore la mia mente evochi quella nota. Questa è una delle caratteristiche della sinestesia percettiva, l'unidirezionalità. Secondo lo storico Angelo Paratico il mancino Leonardo Da Vinci era affetto da sinestesia. Esperienze di tipo sinestetico possono essere indotte in maniera artificiale, mediante l'uso di sostanze allucinogene, sostanze stupefacenti come l'LSD, esperienze di deprivazione sensoriale, meditazione, ed in alcuni tipi di malattie che colpiscono la corteccia cerebrale. Questo tipo di sinestesia è detta pseudosinestesia, in quanto è indotta o non presente dalla nascita. La sinestesia acquisita sembra riguardare solo le forme di sinestesia percettiva, e non sono stati documentati casi di sinestesia concettuale acquisita.  Le persone che hanno esperienze sinestesiche nella "forma pura" sono un numero relativamente ridotto. Studi recenti hanno mostrato una certa variabilità:  1 ogni 2000 1 ogni 200 Queste esperienze sono quotidiane ed iniziano sin dall'infanzia. Molti sinestesici si sorprendono scoprendo che questa esperienza non è provata da tutte le persone.  L'esperienza sinestetica è composta da due elementi:  L'evento induttore (inducer). L'evento concorrente (concurrent). Per esempio, può accadere che un sinestesico descriva il suono (inducer) del proprio bambino che piange come un colore giallo sgradevole (concurrent). La relazione tra un inducer e un concurrent è sistematica, nel senso che a ogni inducer corrisponde un preciso concurrent.  Grossenbacher & Lovelace (2001), distinguono due tipi di sinestesia a seconda che l'inducer sia percettivoo concettuale.  Sinestesia percettiva: l'inducer è uno stimolo percettivo (per es. la vista di lettere produce anche la vista di colori "collegati"). Sinestesia concettuale: i concurrent sono prodotti dal pensare a un particolare concetto (per es: numero, mese dell'anno, posizione nello spazio). Si utilizza intensivamente la sinestesia anche nella terminologia utilizzata nella degustazione o nell'analisi sensoriale.    Basi genetiche della sinestesiaModifica Purtroppo con le competenze scientifiche attuali non è possibile identificare singoli loci genici che determinino con certezza questo fenomeno neurocognitivo. Il fenomeno è più probabilmente dovuto a un complesso meccanismo neurale e non a singole proteine codificate da parti di genoma. In ogni caso interessanti esperimenti di neuroimaging paiono confermare tale fenomeno. Sinestesia: grafema-coloreModifica Ramachandran e i suoi collaboratori hanno notato che la forma più comune di sinestesia è quella grafema(lettera, numero) - colore e infatti i rispettivi centri cerebrali sono molto vicini tra loro. Tecniche di neuroimmagini (es. risonanza magnetica funzionale) hanno permesso di individuare il "centro del colore" (es. Zeki & Marini, Brain), l'area V4 nel giro fusiforme.  L'area dei grafemi è stata anch'essa individuata nel giro fusiforme, in particolare nell'emisfero sinistro vicino all'area V4. L'area si attiva sia in seguito alla presentazione di lettere sia in seguito alla presentazione di numeri.  L'ipotesi di Ramachandran è che ci sia una attivazione congiunta. La presentazione di un grafema fa attivare l'area dei grafemi, che fa attivare contemporaneamente anche l'area del colore, anche senza la presenza di uno stimolo. Questo è dovuto ad un eccesso di connessioni tra le due aree, non presente in tutte le persone.  Le connessioni che si hanno alla nascita sono un numero superiore di quello che si trovano in un cervello adulto. Quello che avviene nei primi mesi di vita è un processo definito pruning (potatura, sfoltimento) delle connessioni cerebrali. L'ipotesi di Ramachandran è che le connessioni tra area del colore e area dei grafemi, che normalmente subiscono un processo di pruning, rimangono invece intatte nei sinestesici. Probabilmente per una mutazione genetica che fa fallire il processo di pruning. Esisteranno delle regole che in seguito all'esperienza permetteranno di sviluppare connessioni particolari tra area dei grafemi e area del colore. Questo spiegherebbe perché ad un grafema viene sempre associato un certo colore.  Ramachandran ipotizza che l'attivazione del giro fusiforme non implichi un arrivo alla coscienza delle informazioni. Perché sia possibile essere consapevoli dell'informazione percepita si dovranno attivare altre aree superiori. Tuttavia, Grossenbacher sostiene che la sinestesia non sia dovuta alla presenza di un numero maggiore di connessioni neurali (le quali non sarebbero presenti nei non sinestesici); infatti, secondo lo studioso tale fenomeno percettivo è imputabile al fatto che, nel cervello dei sinestesici, alcune connessioni neurali risultano ancora attive, mentre non vengono più "utilizzate" in chi non sperimenta tale modo di percepire. Questo spiegherebbe il motivo per cui chi assume droghe psicoattive sia in grado di esperire una condizione di "pseudo-sinestesia", circoscritta esclusivamente al limite temporale in cui tali sostanze dispieghino il loro effetto, per poi tornare a non percepire sinestesicamente una volta terminato quest'ultimo. Secondo Grossenbacher è molto improbabile, infatti, che si siano create nuove connessioni neurali durante l'assunzione di tali droghe; piuttosto, risulta più probabile che vengano percorse "strade" neurali solitamente "disattive".  Influenza dell'attenzione sulla percezioneModifica Esperimento di Ramachandran e Hubbard: caso della figura gerarchica (un 5 composto da tanti 3), se ai soggetti veniva chiesto di fare attenzione a livello globale vedevano il colore rosso, se invece dovevano dirigere la loro attenzione a livello locale vedevano verde.  Questo esperimento porta a concludere che l'attenzione influenza il manifestarsi del fenomeno sinestesico.  Sinestesici projectorModifica Nel caso di grafema-colore, il colore è visto come una pellicola che ricopre il numero completamente. Un sinestesico testato da Dixon, riferiva di provare un'esperienza irritante se il numero era di un colore incongruente con quello del fotismo (l'effetto della sua sinestesia). Se per esempio il numero 5 gli evocava il colore rosso, ma in realtà era scritto con il giallo.  Sinestesici associatorModifica Sempre nel caso di grafema-colore, il colore appare nella mente, e non sopra il numero. In genere, i sinestesici associator riferiscono che l'esperienza di vedere un numero con un colore non congruente con quello del fotismo, non è un'esperienza per nulla disturbante. La percezione del colore "reale" del numero è un'esperienza molto più intensa del fotismo, per un sinestesico associator.  I sinestesici projector sembrano una minoranza rispetto ai sinestesici associator (11 su 100, tra quelli intervistati da Dixon e collaboratori).  Tra i maggiori studiosi della sinestesia percettiva, Richard Cytowic, Ramachandran, E. Hubbard, Sean Day, Bulat Galeyev, Irina Vaneckina.  Rapporto con i canali del calcioModifica Studiando nel moscerino della frutta un gene coinvolto nell'elaborazione del dolore, alcuni ricercatori hanno creato il primo modello della sinestesia. Con la tecnica dell'interferenza a RNA hanno isolato 600 geni quali candidati a interessare possibili geni del dolore. Il primo ad essere analizzato più in dettaglio è stato quello che codifichi parte di un canale del calcio noto come alfa 2 delta 3 (α2δ3). Questi canali che regolano il passaggio di Ca2+ attraverso la membrana cellulare sono fondamentali per l'eccitabilità elettrica dei neuroni. Con questi canali interferiscono diversi antidolorifici.  Nei topi carenti di α2δ3 si è dimostrato che questo gene controlli la sensibilità al dolore provocato dal calore sia nella Drosophila sia nei mammiferi. Indagini condotte con la MRI hanno anche rivelato che α2δ3 partecipi all'elaborazione del dolore termico a livello cerebrale. In assenza di α2δ3 il segnale del dolore a genesi termica arriva al talamo, ma poi non prosegue verso i suoi centri corticali superiori. Le immagini di fMRI mostrano piuttosto un'attivazione crociata delle aree corticali per la visione, l'olfatto e l'udito. Questa sinestesia si osserva anche quando lo stimolo doloroso sia di natura tattile. Emozioni colorate | Le Scienze, su lescienze.espresso.repubblica.it. ^ Harrison, John E.; Simon Baron-Cohen Synaesthesia: classic and contemporary readings. Oxford: Blackwell Vinci. A Chinese Scholar Lost in Renaissance Italy, Lascar Publishing, lascarpublishing.com/Leonardo in Internet Archive. ^ Baron- Cohen, 1997 ^ Ramachandran & Hubbard, Neurocognitive mechanism of synesthesia" Hubbard1 and Ramachandran, Neurocognitive mechanism of synesthesia, su cell.com, November 3, 2005. URL consultato il libero. ^ percezione e idee, la sinestesia | PsycHomer, su psychomer.it  Le Scienze: Non provo dolore, ma ne sento l'odore e ascolto le note Córdoba M.J. de, Hubbard E.M., Riccò D., Day S.A., III Congreso Internacional de Sinestesia, Ciencia y Arte, Parque de las Ciencias de Granada, Ediciones Fundación Internacional Artecittà, Edición Digital interactiva, Imprenta del Carmen. Granada Córdoba M.J. de, Riccò D. (et al.), Sinestesia. Los fundamentos teóricos, artísticos y científicos, Ediciones Fundación Internacional Artecittà, Granada Cytowic, R.E., Synesthesia: A Union of The Senses, second edition, MIT Press, Cambridge, 2002. ISBN 978-0-262-03296-4 Cytowic, R.E., The Man Who Tasted Shapes, Cambridge, MIT Press, Massachusetts, Marks L.E., The Unity of the Senses. Interrelations among the modalities, Academic Press, New York, Riccò D., Sinestesie per il design. Le interazioni sensoriali nell'epoca dei multimedia, Etas, Milano, Riccò D., Sentire il design. Sinestesie nel progetto di comunicazione, Carocci, Roma, Tornitore T., Storia delle sinestesie. Le origini dell'audizione colorata, Genova, 1986. Tornitore T., Scambi di sensi. Preistoria delle sinestesie, Centro Scientifico Torinese, Torino, Voci correlate Takete e Maluma Sinestesia tattile-speculare Altri progettiModifica Collabora a Wikizionario Wikizionario contiene il lemma di dizionario «sinestesia» Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su sinestesia Collegamenti esterniModifica Udire i colori, gustare le forme, su lescienze.espresso.repubblica.it, Le Scienze. TED Talk: "I listen to color" Portale Psicologia. Qualia aspetti qualitativi delle esperienze coscienti  Locus ceruleus Sinestesia tattile-speculare raro fenomeno sensoriale/percettivo  Wikipedia IlWikipedia Ricerca Sinestesia (film) film diretto da Bernasconi Sinestesia Lingua originale italiano Paese di produzione Svizzera Durata 91 min Rapporto1:1.85 Generedrammatico RegiaErik Bernasconi SceneggiaturaErik Bernasconi ProduttoreVilli Hermann, Imagofilm Lugano e RSI FotografiaPietro Zuercher MontaggioClaudio Cormio Effetti specialiFlavio Scarponi, Oltremondo studio Lugano MusicheZeno Gabaglio, Christian Gilardi ScenografiaFabrizio Nicora CostumiLaura Pennisi Interpreti e personaggi Alessio Boni: Alan Giorgia Würth: Francoise Melanie Winiger: Michela Leonardo Nigro: Igor Teco Celio: Padre di Francoise Bindu De Stoppani: Maide Roberta Fossile: Cathrine Igor Horvat: Martin Federico Caprara: Uomo strano Eva Allenbach: Segretaria Massimiliano Zampetti: Infermiere Daniele Bernardi: Fisioterapista Alessandro Otupacca: Proprietario ristorante Sinestesia è un film del 2010 scritto e diretto da Erik Bernasconi, prodotto da Villi Hermann e coprodotto da Giulia Fretta per la RSI. I protagonisti sono Alessio Boni, Melanie Winiger, Würth e Nigro. È stato nominato ai Quartz per la miglior sceneggiatura, per la miglior attrice (Melanie Winiger) e per la miglior attrice esordiente (Giorgia Wurth). La pellicola è uscita nelle sale ticinesi. Trama Il film racconta due momenti della vita di quattro giovani adulti confrontati con le prove del destino. Alan, sua moglie Françoise, la sua amante Michela, il suo migliore amico Igor, vivono le sfaccettature del quotidiano dopo un incidente che costringe Alan su una sedia a rotelle. Per questo la narrazione si compone, con una struttura circolare, in quattro capitoli: uno per personaggio, ognuno ispirato a un genere cinematografico. Sono quattro momenti di una stessa storia, che esplorano le emozioni dei personaggi da quattro angolature diverse. La trama si basa in larga parte sull'osservazione di fatti realmente accaduti e affronta con accenti diversi (thriller psicologico, commedia, dramma…) i temi dell'amicizia, dell'amore, dell'infedeltà e della disabilità.  ProduzioneModifica L'idea del film è partita nel dicembre 2006, con la lettura di un trafiletto in un quotidiano. Poi nell'estate del 2007 il regista e sceneggiatore Erik Bernasconi ha vinto un concorso indetto dal Dipartimento della Cultura del Cantone Ticino e dalla RSI per progetti di scrittura di film. Così Erik Bernasconi inizia a collaborare con il produttore Villi Hermann, della Imagofilm, e parte la stesura della sceneggiatura.  AmbientazioneModifica Il film è stato girato quasi interamente nella Svizzera italiana, a parte alcune scene girate a Lucerna e Ginevra. Le riprese hanno avuto luogo nella primavera e nell'estate del 2009.  RiconoscimentiModifica 2010 - Premio del cinema svizzero Candidatura al premio Quartz per la miglior sceneggiatura Collegamenti esterniModifica ( EN ) Sinestesia, su Internet Movie Database, IMDb.com. Modifica su Wikidata ( EN ) Sinestesia, su Rotten Tomatoes, Flixster Inc. Sinestesia, su FilmAffinity. Modifica su Wikidata   Portale Televisione: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di televisione Ultima modifica 2 mesi fa di Botcrux Melanie Winiger modella e attrice svizzera  Erik Bernasconi regista e sceneggiatore svizzero  Zeno Gabaglio Wikipedia Il contenuto èGrice: “It may be said that my transcendental Kantian approach to cooperative rational conversation is a response to Costa’s totally empiricist (or ‘sensista’ as he prefers) invocations of ‘chiarezza’ (my imperative of conversational clarity), and brevita, eleganza, and all the categories that inform the maxims. Paolo Costa. Keywords: la teoria sensista della communicazione – senso – consenso – aesthesis – synaesthesia --– idea dei chi proferisce la proposizione “Me diletta l’odore di questa rosa piu del colore”, cooperiamo, e la risponsa di nostre anime e “Contrariamente, a me mi diletta il colore di questa rosa piu dell’odore” -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Costa” – The Swimming-Pool Library.

 

No comments:

Post a Comment