Grice e Cosi: l’implicatura
conversazionale del cuore -- accordo – cuori -- l’accordo – scuola di Firenze –
filosofia fiorentina – filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza
-- (Firenze).
Filosofo fiorentino. Filosofo toscano. Filosofo
italiano. Firenze, Toscana. Grice: “I love Cosi; my favourite of his
philosophical essays on justice is the one on ‘l’accordo,’ for this is what my
principle of conversational helpfulness or co-operation is all about!” Giovanni Cosi. Si laurea a Firenze. Insegna
a Firenza, Sassari, Siena. Altre opere: “La liberazione artificiale: l’uomo e
il diritto di fronte a la droga” (Milano: Giuffrè); "Religiosità e teoria
critica" (Giuffre); "Secolarizzazione e ri-sacralizzazioni"
(Giuffre); "Il sacro e giusto: itinerario di archetipologia”
(FrancoAngeli). Dopo aver compiuto ricerche sull'espressione del dissenso in
forma non rivoluzionaria negli ordinamenti liberal-democratici, pubblica per la
Giuffrè Editore il volume "Saggio sulla disobbedienza civile";
"Il traviato”, “il filosofo traviato: il filosofo come gentiluomo (Giuntina);
“La obbedienza civile, la disobbedienza
civile: il consenso, il dissenso, la aristocracia, la plutocracia, la
democrazia, la repubblica (Milano: Giuffrè). Il giurista perduto: avvocati e
identità professionale” (Giuntina), “Logos e dialettica” (Giappichelli,
Torino); “Il filosofo risponsabile” (Giappichelli,Torino); “Lo spazio della
mediazione, -- il terzo escluso – chi media nella diada? (Giuffrè). “Invece di
giudicare” (Giuffrè); “Il spazio della mediazione nel conflitto della diada
conversazionale” (Giappichelli Torino); “Legge, Diritto, Giustizia”
(Giappichelli, Torino). “Giudicare, o Fare giustizia. – vendetta – il concetto
filosofico” (Giuffré Editore, Milano). La liberazione artificiale: l'uomo e il
diritto di fronte alla droga, Giuffrè, Milano; Saggio sulla disobbedienza
civile: storia e critica del dissenso in democrazia, Giuffrè, Milano; Il
giurista perduto: avvocati e identità professionale, Giuntina, Firenze; Il
sacro e il giusto: itinerari di archetipologia giuridica, Franco Angeli,
Milano; Il Logos del diritto, Giappichelli, Torino; La responsabilità del
giurista: etica e professione legale, Giappichelli, Torino; Società, diritto,
culture: introduzione all'esperienza giuridica, dispense di Sociologia del
Diritto, Firenze); La professione legale tra patologia e prevenzione: materiali
di etica professionale, dispense di Sociologia del Diritto, Firenze; Per una
politica del diritto del fenomeno droga: problemi e prospettive", Archivio
Giuridico; Il diritto e la droga" e "Per una comprensione culturale
dell'uso di droghe", Testimonianze; "Religiosità e Teoria Critica: la
teologia negativa di Max Horkheimer", Rivista di Filosofia Neo-scolastica, "Secolarizzazione
e risacralizzazioni: le sopravalutazioni post-illuministiche
dell'immanentismo", in L. Lombardi Vallauri - G. Dilcher, Cristianesimo,
secolarizzazione e diritto moderno, Giuffrè - Nomos Verlag, Milano - Baden-Baden);
"Sulla 'naturalità' dei diritti civili", Testimonianze;
"L'Uno o i Molti? Il 'nuovo politeismo' di Miller e Hillman",
Testimonianze; "Ordine e dissenso. La disobbedienza civile nella società
liberale", Jus; "Iniziazione e tossicomania: intorno a un libro di
Luigi Zoja", Testimonianze; "Le aporie del pacifismo: critica della
pace come ideologia", Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto;
"L'immagine sofferente della legge", L'Immaginale; "Diritto e
morale in tema di aborto", Testimonianze; "Professionalità e
personalità: riflessioni sul ruolo dell'avvocato nella società",
Sociologia del Diritto; "L'avvocato e il suo cliente: appunti storici e
sociologici sulla professione legale", Materiali per una storia della
cultura giuridica; "La coscienza, gli dei, la legge", Rivista
Internazionale di Filosofia del Diritto; "Il diritto del mondo
I", Anima; "Un anniversario dimenticato: Il Bill e la sua eredità", Sociologia del
Diritto; "Vecchio e nuovo nelle crisi di identità degli avvocati", in
Storia del diritto e teoria politica, Annali della Facoltà di Giurisprudenza
dell'Università degli Studi di Macerata; "Verso il paese di Inanna",
Anima;"Avvocato o giurista?", comunicazione al VI Convegno nazionale
di studio dell'Unione Giuristi Cattolici Italiani, Firenze, Iustitia,
"Tutela del mondo e normatività naturale", in L. Lombardi Vallauri
(ed.), Il meritevole di tutela, Giuffrè, Milano); "Tutela del mondo e
strumenti giuridici", Testimonianze; "La professione legale tra etica
e deontologia", Etica degli Affari e delle professione; "Diritto
e realizzazione: un'introduzione alla fenomenologia del logos giuridico",
Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto; "La legge e le origini
della coscienza", Per la filosofia; "Naturalità del diritto e
universali giuridici", Rivista Internazionale di Filosofia del
Diritto,"Naturalità del diritto e universali giuridici", in F.
D'AGOSTINO (ed.), Pluralità delle culture e universalità dei diritti, Giappichelli,
Torino); "Etica secondo il ruolo", Rivista Internazionale di
Filosofia del Diritto; "Purezza e olocausto: un'interpretazione
psicologico-culturale", Per la Filosofia; "Logos giuridico e
archetipi normativi", in L. LOMBARDI VALLAURI, Logos dell'essere, Logos
della norma, Adriatica, Bari); “Giustizia senza giudizio. Limiti del diritto e
tecniche di mediazione”, in F. MOLINARI e A. AMOROSO, Teoria e pratica della
mediazione, FrancoAngeli, Milano); “Le forme dell’informale”,
comunicazione al Congresso Nazionale della Società di Filosofia Giuridica e
Politica, Trieste, Ora in Giustizia e procedure, Atti del suddetto Convegno,
Giuffrè, Milano); “L’idea di professione”, Dirigenti Scuola, “Controllare la
professione”, Dirigenti Scuola, “Professione, patologia e prevenzione”,
Dirigenti Scuola. Ricerca Cuore organo muscolare, centro motore dell'apparato
circolatorio. disambigua.svg Disambiguazione. Se stai cercando altri
significati, vedi Cuore (disambigua). Il cuore è un organo muscolare, che
costituisce il centro motore dell'apparato circolatorio e propulsore del sangue
e della linfa in diversi organismi animali, compresi gli esseri umani, nei
quali è formato da un particolare tessuto, il miocardio ed è rivestito da una
membrana, il pericardio. natomia del cuore umano EmbriologiaModifica Può
originare da un abbozzo mesodermico ventrale, come negli anfibi, nella parte
rostrale del celoma, oppure da due abbozzi pari, come nei mammiferi, che poi si
uniscono medialmente. In entrambi i casi il primo abbozzo cardiaco è compreso
nel mesentere ventrale che in seguito si dividerà in mesocardio dorsale e
ventrale; successivamente entrambi spariranno per far spazio al tubo cardiaco
che permane nella cavità pericardica, separatasi dalla cavità addominale per lo
sviluppo di un setto trasverso. In questa fase il cuore, che si trova
lungo il decorso del vaso sanguifero mediano nella regione subfaringea, non ha
ancora né valvole né altre suddivisioni: è rappresentato da un tubo con due
pareti, una muscolare più esterna, miocardio, e una endoteliale più interna,
endocardio. Anatomia comparataModifica Nei vertebrati l'apparato
circolatorio presenta una complessità crescente dai pesci ai mammiferi, le
modifiche che ha subito nel corso dell'evoluzione sono in relazione allo
sviluppo di un apparato respiratorio[1]sempre più efficiente. Nei pesci
il cuore è costituito da un solo atrio, che raccoglie il sangue povero di
ossigeno proveniente da tutto il corpo, e un solo ventricolo, che raccoglie il
sangue proveniente dall'atrio: esistono però un seno venoso nel punto di arrivo
delle vene e un bulbo arterioso all'inizio delle arterie, quindi le camere sono
in realtà quattro. Le camere nel cuore dei pesci La circolazione in questi
animali è definita semplice perché il sangue compie un intero ciclo passando
una sola volta per il cuore, da dove raggiunge le branchieper essere ossigenato
così da arrivare ai tessutitrasportato dalle arterie. Dopo aver ceduto alle
cellule l'ossigeno e aver prelevato il diossido di carbonio e i prodotti di
rifiuto, il sangue torna verso l'atrio per mezzo delle vene. A questo punto
torna nel ventricolo e da qui alle branchie: a questo punto il ciclo
ricomincia. Nei vertebrati terrestri, mammiferi e uccelli, vi è una
circolazione doppia (polmonare e sistemica), nella quale il sangue, nel corso
di un ciclo completo, passa due volte per il cuore. Negli anfibi e nella
maggior parte dei rettili il cuore ha due atri, ma un solo ventricolo così che
i due tipi di sangue finiscono nell'unico ventricolo, qui si rimescolano parzialmente
e riducono la quantità di ossigeno destinata ai tessuti; insieme all'aorta,
alle arterie e vene polmonari esiste un’arteria pulmo-cutanea che porta il
sangue alla pelle, dove il sangue circolante si ossigena.[1] Cuore dei
varani Anatomia: RVH= atrio destro; LVH= atrio sinistro; KK= circolazione
sistemica; LK= circolazione polmonare; SAK= valvole del setto
atrioventricolare; CP= cavità polmonare. Sistole: Frecce blu=
sangue venoso, Frecce rosse= sangue arterioso Diastole: Frecce blu=
sangue venoso, Frecce rosse= sangue arterioso Solo nei coccodrilli i
ventricoli sono separati, mentre l'aorta e l'arteria polmonare sono collegate
dal forame di Panizza. Per ricapitolare i diversi tipi di circolazione,
potremmo così riassumere[2]: Nei pesci la circolazione è semplice, è
unidirezionale e ha un solo ventricolo; Negli anfibi e nei rettili è doppia e
incompleta; Nei mammiferi e uccelli è doppia e completa, vi sono due ventricoli
completamente separati Anatomia umanaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo
stesso argomento in dettaglio: Cuore umano. La posizione del cuore
all'interno del torace umano Negli esseri umani è posto al centro della cavità
toracica, precisamente nel mediastino in posizione anteroinferiore fra le due
regioni pleuropolmonari, dietro lo sterno e le cartilagini costali, che lo
proteggono come uno scudo, davanti alla colonna vertebrale, da cui è separato
dall'esofago e dall'aorta, e appoggiato sul diaframma, che lo separa dai
visceri sottostanti. Il cuore ha la forma di un tronco di conoad asse obliquo
rispetto al piano sagittale: la sua base maggiore guarda in alto, indietro e a
destra, mentre l'apice è rivolto in basso, in avanti e a sinistra;[4] pesa
nell'adulto all'incirca 250-300 g, misurando 12-13 cm in lunghezza, 9-10 cm in
larghezza e circa 6 cm di spessore (si sottolinea che questi dati variano con
età, sesso e costituzione fisica). Battito del cuore di un uomo a 61 bpm
FisiologiaModifica Il cuore si contrae e si rilascia secondo il ciclo
cardiaco. Il cuore è costituito dalle cellule del miocardio, tipicamente
striate, che si occupano della contrazione e dalle cellule auto ritmiche non
contrattili, da cui origina lo stimolo di contrazione. Le cellule auto ritmiche
possiedono la capacità di auto depolarizzarsi, grazie all'apertura canali del
sodio (detti fun), che spostano il potenziale di membrana verso valori più
positivi, consentendo l'apertura dei canali del calcio. L'ingresso di calcio
nella cellula è prolungato e porta il potenziale a stabilizzarsi su valori positivi
per qualche millisecondo, generando un plateau. Il segnale termina grazie
all'apertura dei canali del potassio, che riportano il potenziale di membrana a
valori negativi e consentono ai canali funny di aprirsi nuovamente. La
contrazione del miocardio inizia grazie all'ingresso del calcio nella cellula,
che provoca la fuoriuscita di altro calcio dal reticolo sarcoplasmatico e
quindi la contrazione. Il cuore nelle culture umane. Nell'antichità
classica (anche per il filosofo e scienziato Aristotele) il cuore era ritenuto
sede della memoria. Il verbo ricordare deriva infatti dal verbo latino
recordari e questo dal sostantivo cŏr (genitivocŏrdis), cuore (come sede della
memoria) col suffissore- di movimento all'incontrario: quindi, propriamente,
rimettere nel cuore (= nella memoria). Ancora oggi l'espressione "a
memoria" si traduce par coeur in francese, by heart in inglese e de cor in
portoghese ("coeur", "heart" e "cor" significano
"cuore"). Particolarmente cruento era il sacrificio del cuore
nel mondo azteco. Gli Aztechi prendevano un cuore, estratto ancora palpitante
dalle vittime sacrificali umane, e lo offrivano agli dei. Apparato
respiratorio nei vertebrati, su sapere La circolazione dei vertebrati, su
hischool.weebly. Fiocca, Testut e Latarjet, Dizionario etimologico della lingua
italiana, di Manlio Cortelazzo e Paolo Zolli, ed. Zanichelli. Léo Testut e
André Latarjet, Miologia-Angiologia, in Trattato di anatomia umana. Anatomia
descrittiva e microscopica – Organogenesi, Torino, UTET, Silvio Fiocca et al.,
Fondamenti di anatomia e fisiologia umana, 2ª ed., Napoli, Sorbona, cuore, su
Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Cuore,
su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata
( EN ) Opere riguardanti Cuore, su Open Library, Internet Archive.Cuore, in
Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Portale
Anatomia Portale Biologia Portale Medicina Ultima
modifica 18 giorni fa di Lorenzo Longo Arteria vasi sanguigni che trasportano
il sangue dalla periferia del cuore al corpo Cuore umano organo muscolare
cavo Apparato circolatorio insieme degli organi deputati al trasporto di
fluidi diversi – come il sangue e, in un'accezione più generale, la linfa – che
hanno il compito di apportare alle cellule gli elementi necessari al loro
sostentamento Wikipedia Il contenutoGrice: “Italians are afraid of the
‘sacro’ because since the fall of the Roman Empire, it means the evil Pope! –
unless otherwise stated by people like Evola, etc.” – Grice: “Hart should have
spent more time analysing the implicatures of ‘disobey,’ as Cosi does -- to
realise how wrong his theory is!” Grice: “Austin,
who taught morals at Oxford, should have examined, as Cosi does, what we mean
by ‘responsible philosopher’ before opening his mouth!” – Grice: “My idea of
helpfulness does not quite include that of ‘mediation’ but it should – the
space of mediation in the conflict in the conversational dyad! I owe this to
Cosi.” Grice: “I decided to use ‘judicative’ versus ‘volitive’ after Cosi. –
His ‘giudicare’ is a gem!” -- Giovanni Cosi. Keywords:
l’accordo, il secolare/il sacro; profane/sacro – secolare; archetipo, il
filosofo come gentiluomo, l’obbediente, il disobbediente, il consensus, il
disensus, to obey, conflitto, mediazione, diritto (right), giure, giurato –
legatum, vendetta, giudicare, fare giustizia, vendetta conversazionale, natura,
naturalita, non-naturale, legge naturale gius naturale, giusnaturalismo,
fenomenologia del giurato; normato naturale? Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Cosi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Cosmacini: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale del consenso e la compassione –
sinestesia e simpatia – scuola di Milano – filosofia milanese – filosofia lombarda
-- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo milanese. Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Milano,
Lombardia. Grice: “I like Cosmacini; for one he wrote on THREE areas of my
concern: ‘cuore’, as when we say that two conversationalists reach an ‘accord’!
– on ‘empatia’ – a Hellenism, and most importantly, on ‘compassione,’ which is
at the root of my principle of conversational benevolence. -- Giorgio Cosmacini
(Milano), filosofo. Studia a Milano e Pavia.la “convenzione della mutua” o
INAM(Istituto nazionale per l'assicurazione contro le malattie) e apre un
ambulatorio mutualistico Fare bene il mestiere di “medico della mutua” non
significa gestire un certo numero di “mutuanti”; voleva inoltre dire aver cura
di una comunità di persone, ciascuna delle quali con esigenze proprie.
raggiungendo in quel periodo circa trecento mutuanti. Quando i suoi mutuanti
erano circa millecinquecento, decise di realizzare un suo sogno: la libera
docenza. è autore di numerose opere d'argomento filosofico-medico. Altre opere:
la mutua, medico della mutua, mutuante, mutuanti, ambulatorio mutualistico. “Scienza
medica e giacobinismo in Italia: l'impresa politico-culturale di Rasori (Collana
La società, Milano, Franco Angeli); Röntgen. Il "fotografo
dell'invisibile", lo scienziato che scoprì i raggi x, Collana Biografie,
Milano, Rizzoli); “Gemelli. Il Machiavelli di Dio, Collana Biografie, Milano,
Rizzoli); “Storia della medicina e della sanità in Italia. Dalla peste europea
alla guerra mondiale. Gius. Laterza & Figli); “Medicina e Sanità in Italia
nel Ventesimo secolo. Dalla 'Spagnola' alla 2ª Guerra Mondiale, Roma, Laterza);
“La medicina e la sua storia. Da Carlo V al Re Sole, Collana Osservatorio italiano,
Milano, Rizzoli); “Una dinastia di medici. La saga dei Cavacciuti-Moruzzi,
Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli); Storia della medicina e della Sanità
nell'Italia contemporanea, Roma-Bari, Laterza, G. C. Cristina Cenedella, I
vecchi e la cura. Storia del Pio Albergo Trivulzio, Roma-Bari, Laterza); “La
qualità del tuo medico. Per una filosofia della medicina, Roma-Bari, Laterza);
“Medici nella storia d'Italia, Roma-Bari, Laterza, L'arte lunga. Storia della
medicina dall'antichità a oggi, Roma-Bari, Laterza); “Il medico ciarlatano.
Vita inimitabile di un europeo del Seicento, Laterza); “Ciarlataneria e
medicina. Cure, maschere, ciarle, Milano, Cortina, La Ca' Granda dei milanesi.
Storia dell'Ospedale Maggiore, Roma-Bari, Laterza); “Il mestiere di medico.
Storia di una professione, Collana Scienze e Idee, Milano, Raffaello Cortina);
“Introduzione alla medicina, Roma-Bari, Laterza, Biografia della Ca' Granda.
Uomini e idee dell'Ospedale Maggiore di Milano, Laterza, Medicina e mondo
ebraico. Dalla Bibbia al secolo dei ghetti, Collana Storia e Società,
Roma-Bari, Laterza, Il male del secolo. Per una storia del cancro, Roma-Bari,
Laterza); “La stagione di una fine, Terziaria); “Il medico giacobino. La vita e
i tempi di Rasori, Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza); “Salute e bioetica,
Torino, Einaudi, G. C. Satolli, Lettera a un medico sulla cura degli uomini,
Roma, Laterza, La vita nelle mani. Storia della chirurgia, Collana Storia e Società,
Roma-Bari, Laterza, Una vita qualunque, viennepierre edizioni, Il medico
materialista. Vita e pensiero di Jakob Moleschott, Collana Storia e Società,
Roma-Bari, Laterza «La mia baracca». Storia della fondazione Don Gnocchi,
Presentazione del Cardinale Dionigi Tettamanzi, Laterza); “La peste bianca.
Milano e la lotta antitubercolare, Milano, Franco Angeli); “L'arte lunga.
Storia della medicina dall'antichità a oggi, Roma-Bari, Laterza); “Il romanzo
di un medico, viennepierre edizioni, L'Islam a La Thuile nel Medioevo. Un
«tuillèn» alla terza crociata: andata, ritorno, morte misteriosa, KC Edizioni, Le
spade di Damocle. Paure e malattie nella storia, Collana Storia e Società,
Roma-Bari, Laterza); “La religiosità della medicina. Dall'antichità a oggi,
Collana Storia e Società, Roma-Bari, Laterza); “L'anello di Asclepio. L'età
dell'oro”; “La peste, passato e presente, Milano, Editrice San Raffaele); “La
medicina non è una scienza. Breve storia delle sue scienze di base” (Collana
Scienze e Idee, Milano, Raffaello Cortina); “Il medico saltimbanco. Vita e
avventure di Buonafede Vitali, giramondo instancabile, chimico di talento,
istrione di buona creanza” (Roma-Bari, Laterza); “Prima lezione di medicina,
Collana Universale.Prime lezioni, Roma-Bari, Laterza); “Il medico e il
cardinale, Milano, Editrice San Raffaele); “Testamento biologico. Idee ed esperienze
per una morte giusta” (Bologna, Il Mulino); “Politica per amore” (Milano,
Franco Angeli); “Guerra e medicina. Dall'antichità a oggi, Collana Storia e
Società, Roma-Bari, Laterza); “Compassione” (Bologna, Il Mulino); “La scomparsa
del dottore. Storia e cronaca di un'estinzione, Milano, Raffaello Cortina); “Camillo
De Lellis. Il santo dei malati, Roma-Bari, Laterza); “Il medico delle mummie.
Vita e avventure di Bozzi Granville, Collana Percorsi, Roma-Bari, Laterza); “Como,
il lago, la montagna, NodoLibri); “Tanatologia della vita e stetoscopio.
Bichat, Laënnec e la "nascita della clinica", AlboVersorio,. Medicina
e rivoluzione. La rivoluzione francese della medicina e il nostro tempo” (Collana
Scienza e Idee, Milano, Raffaello Cortina); “Un triennio cruciale. Como, il
lago, la montagna, NodoLibri); “La forza dell'idea. Medici socialisti e
compagni di strada a Milano. L'Ornitorinco,
Per una scienza medica non neutrale. Tre maestri della medicina tra
Ottocento e Novecento, L'Ornitorinco, Medicina Narrata, Sedizioni); “Galeno e il
galenismo. Scienza e idee della salute” (Milano, Franco Angeli); “La chimica
della vita” -- e microscopio. Pasteur e la microbiologia, AlboVersorio); “Per
una scienza medica non neutrale. Tre maestri della medicina in Italia fra
Ottocento e Novecento, L'Ornitorinco); “Il tempo della cura. Malati, medici,
medicine, NodoLibri); “Elogio della Materia” -- Per una storia ideologica della
medicina, Edra edizioni); “L'Infinito di Leopardi. Un impossibile congedo” (Sedizioni,.
Memorie dal lago e ricordi dal confine. Como, il lago, la montagna,
NodoLibri, Salute e medicina a Milano.
Sette secoli all'avanguardia, L'Ornitorinco); “La medicina dei papi, Collana
Storia e Società, Roma-Bari, Laterza); “Medici e medicina durante il fascismo”
(Pantarei); “Il viaggio di un ragazzo attraverso il fascismo, Pantarei); Historia
cordis, Ass. Beretta,. Curatele Dizionario di storia della salute, G.
Cosmacini, Giuseppe Gaudenzi, Roberto Satolli, Collana Saggi, Torino,
Einaudi. “mutua gratia” - Practicis
nostris, Muri LAPIDES, sine inscriptione, apud nus, gadinca, vel Hnoc. Non
liquet, “don mutual” – mutual gift -- Chartain Chartul. Hygenum de Limitibus constituendis. inquit Somnerus. (Mutinæ carnes, in Con
thesaur. S. Germ. Prat. fol. 12. rº.: Dicta. mutuum, Exactio nomine mului, Charta
suet. MSS. Eccl. Colon. e Bibl. Eccl. Atre- Ysabellis exhibuit dicto
thesaurario quasdam Rogerii 1. Reg. Sicil. ann. apud Mu bat, eædem quæ vervecinæ.
Vide Multo, litteras mutuæ gratiæ dudum confectas inter ralor. tom. 6. col.
Nulla angaria, par I mutio, id est, Patuus. Vocabul. dictam Ysabellam et
prædictum defunctum angaria, echioma, gabella,Muruum, extorsio utriusque Juris.
dum vivebat, et constante legitimo matrimo- jaciatur, imponatur. Chron.
Parmense ad mutis, Truncus, stirps. Pactum inter nio inter ipsos. aapud eumdem
Humb. dalph. et episc. Gratianopol. ann. “mutuare”, Mutuum, seu exactionem ec
impositum fuit per commune Parma in Reg:. Chartoph. reg.: nomine mutui
impositam solvere. Vide unum mutuum octo millium librarum impe recte tendendo
ad pedem cujusdam margassii mutuum. rialium per episcopatum, et quinque millium
seu claperii in quo margassio seu cleppe. Mutuatim, pro mutuo, in Vita Anti-
per civitatem. Et mutuum clericis fuit im rio sunt duæ mutes arborum. dii
Archiep. Bisonticensis cap. 5: Bene- positum duo millium librarum, etc. Chron.
Åwwvíz, in Gloss. Græc. Lat. dictionis ergo dono mutuatim dato, etc. Mutin.:
Tria Mu [Mirac. S. Bernhardi Episc. tom. 5. Julii (mutuatio, pro mutatio, in
Consuet. tua extorsit.] Historia Cortusiorum lib. 3. p.112, Eoque quippiam
petere volente, MSS. Auscior. art. 3: Fiat autem mutua cap. 14, Teutonici
cruciabant Paduanos verbis in ore reclusis, subito mulus effectus tio consulum
annuatim in festo S. Joan. *mutuis* el daciis. Infra: *mutual* imposuit et est;
qui a plerisque tentatus, an videlicet Baptistæ. datias. Lib. 7. cap. 1:
V'exabantur Muluis astu Muritatem simularet, et tandem certa ex Ital. Mutola,
Muta. Oc- et daliis. Albertinus Mussalus lib. 12. de loquendi impotentia comprobatur.
Occurrit currit in Vita B. Justinæ de Aretio n. 9. Reb. gest. Italic. pag. 86:
Communes da præterea toin. 2.Sanctorum Apr.], Idem quod Expeditatus, riæ,
exactionesque et Mutua publica el priMuronagium. Vide in Charta
Forestæ cap. 9. forte pro múti- vata etc. Charta R. Abbatis Monasterii Ka Mullo.
latus. Locum vide in Mastinus. roffensis in Pictonib. ann. 1308. ex (Ovis,
Massiliensibus Mous, Nudus, glaber. Regesto Philippi Pulcri Regis Franc. Tabu
tonfede. Charta ann. 1390: Quilibet Mu- Gloss. Lat. Græc. MSS. Sangerman. larii
Regii n. 11: Non recipiemus ibi Mu tofeda solvat xvi. denarios. * Castigat. in
utrumque Glossar. forte tuum, nisi gratis mutuare voluerint habitan
Lugdunensibus, Feye. Vide supra Menlulosus, ead'ns, ex Vulc. tes. Ita in
Liberlatib. Novæ Bastidæ in Oc Lex Ripuar. lit. 6o. S 4: Si citania ann. in
alio Regesto ejusdem xudovicv, Malum colo- autem ibidem infra terminationem
aliqua in- Regis ann. n. 16. Vide Credentia, neum. Supplem. Antiquarii et
Gloss. MSS. dicia sua arte, vel butinæ,aut Lat. Græc. Sangerm. Aliud itidem
Gloss.: extiterint, ad sacramentum non admittatur, mutuum coactum* exactio, quæ
a Mutonium, Tepábeuo, Additio. etc. Ubi mutuli, videntur esse aggeres ter-
dominis in urgentibus negotiis suis ac ne 1., quos Motes nostri vocant: aut
forte cessitatibus fiebat super subditos, vassallos, equilatus, quod sic
describit Jovius Hist. lapides ii quosMuros vocant Agrimensores,ac tenentes cum
restitutionis conditione ac lib. 14: Mutpharachæ admirabili virtute i. sine
inscriptione, vice terminorum po- pollicitatione: a qua quidem exactione
præstantes, toto orbe conquisiti, ea condi- siti. Vide Bonna 2. exempta
pleraque oppida, quibus concessæ tione militant, ut quos velint Deos, impune KF
Errat Cangius, si fides Eccardo, libertates, leguntur. Charla libertatum
colant, præsentique tantum Imperatori ope- in Notis ad Legem citatam, quam ad
cal- Aquarum Mortuarum ann. 1246: Omnes ram navent. Hæc post Carolum de Aquino
cem Legis Salicæ edidit. Mútuli enim sunt habitatores loci illius sint liberi
et immunes in Lex. milit. machinaliones clandestinæ, vel seditiones ab omnibus
questis, talliis, et toltis, et clam excitatæ, a veteri German.Meulen, tuo
coucto, et omni ademptu coacto. Con capitis tegumentum, quod monachi cap. |
clandestine agere, unde Meutmacher, Fla- suetudines Monspelienses MSS.: paronem
vocabant. Gall. Christ. tom. 4. bellum seditionis, Gall. Mutin.
Hæc vir Toltam nec quistam, vel Mutuum coactum, col uti. Mutrellis 782:
Statuimus in dormitorio, quod liceat fratribus eruditus; quæ tameninmeam fidem
reci. vel aliquam exactionem coactam non habet;. Vide Mitræ.
necunquam habuit dominus Montispessulani I Vide Morth. I Gall. Mouton. in
hominibus Montispessulani. Eædem ver *, ut supra Muramen. Charta ann. exArchivis Massil.:
naculæ, totas inquistas, ni prest forsat, o Terrear.villæ de Busseul ex Cod.
reg. Item super co quod petebantdicti parerii alcuna action destrecha, etc.
Libertates fol. 47. vº.: Item unum Pariziensem Mut -I quartam partem Murunorum,
astorium et concessæ oppidis Castelli Amorosi et Va CANGII CLOSS. – T. IV. 2. Feda 2.
pere nolim. etc. lentiæ, in diæcesiAginnepsi, ab Edwardo I Eodem significatu,
De S. 6: L. FURPANIO L. Lib. PuILOSTORGO Mr. I. Rege Angliæ
ex Regesto Constabulariæ Juvenate Episc. tom. 1. Maii pag. 399: ROBRECHARIO VIX
ann. LIJTI. Purpuria L. Burdegalensis fol. 55. 140: Nec recipiemus
Episcopus Narniensis ex suo palatio, ialari L. OLYMPUSA PECIT. in ibi Muruum, nisi
gratis nobis mutuare velint reste indutus, racheto et Muzzeta. Vide Inscript.
Vide Martin Lex. in habitantes. Eadem habent libertales Rio. Mozzetta.
hac voce. magi in Arvernis. vocatur letri rudoris in. Fantasia, miratores. Pa
Mutuum VIOLENTUM, in Charta liberta- quietudo terrena. Ita Apuleius de Muudo.
pias. tum Jasseropis, apud Guicheponum in A Græco nimium púxw, Mugio, reboo. Vide
Ma Histor. Bressensi pag. 106. Roga coacta, in I Piscis genus, qui alius zer.
Charta Ludovici Comitis Blesensis et Cla- videtur ab eo quem Spelmannus piscem.
in Statutis Mon romontens. ann. 1197. pro Creduliensi viridem vocat. Computus
ann. 1425. apud tis Regal. fol. 318: Debeat solvere emptori villa: Omnes
homines Credulio marentes Kennett. in Antiquit. Ambrosden. pag. gabellæ piscium,
solidos quatuor pro quoli taliam mihi debentes, el eorum hæredes, a 575: Et in
111. copulis viridis piscis... Et bet rubo piscium, et intelligatur detracta
talia, ablatione, impruntato et Roga coacta inxv. copulisde
Myllewellminorissortisx: Myrta et cestis ac funibus. de cælero penitus quilos
et immunes esse sol. vi. d. et in xx. Myllewell
majoris sortis Eadem notione, usurpant Cat concedo. Exslat Statutum Philippi
VI. Re- Xit, sol. (* Vide Mulsellus.] lius Aurelianus, Celsus, et Apicius. Vide
gis Frane. 3. Febr. ann. 1343. quo vMoniales, ex Anglo -Sa- Murta. in posterum
fieri ullum Mutuum coactum xop. myn'e'cen'e, vel minicene, hodie Graviter, com
super subditos suos: quod scilicet paulo Anglis Minneken et minnekenlasse.
Copeil. posite ambulare. Chron. Ditm. Mersburz. anie exegisse docet Diploma
anni 1342. Ænbamiense in Anglia: l'episc. tom. 10. Collect. Histor. Frane. pag.
28. Junii, sed et Philippum Pulerum Re- Episcopi et abbates, monachi et
Mynecenæ, 131: Henricus Dei gratia res inclytus à se. gem aliud ann. 1309. in
12. Regesto Char- canonici et nonne, natoribus duodecim vallatus, quorum ser
tophyl. Reg. Ch. 15. et in 36. Regest. apud Ausonium in rasi barba,alii prolixa
Mystace incedebant Ch. 48. lemmate Epigrammatis. Cantharus po- cum buculis,
etc. Laudatum Philippi VI. Statutum torius Scaligero, qui a similitudine muris
I Sacerdotum præposi frustra quæsitum in Regestis publicis testa- et barbæ, quæ
in conum desinit, Myobar- tus; titulus honorarius Archiep. Toletani,
tur D. de Lauriere tom. 2. Ordinat. Reg. bum voce ibrida dietum existimat.
Turne- ex Hierolex. Macri. Franc. prg. 234. Undeexistimat D. Cangium bus vero
Advers. lib. 3. cap. 19. putat ver- lapsum memoria art. 4. et 5. Statuti ejusd.
| bum compositum mure et barbo, quod | , Mysteriorum per. Regis ann. 1345. 15.
non3. Febr.spectasse, mensuram, liquidorum sescunciam penitus, vel princeps.
Prudent. Peristeph. 2. quo vetat Philippus Rex in posterum a dentem sonat, ut
sit tamquam muris cya- 349: Bene est, quod ipse ex omnibus My subditis suis
exigi equos, currus, ele. nisi thus. Quidam le;
emendat Lil. Gyraldus Epist, *mutuum
violatum* Exactio nomine xobarbaru, quod non placet. Vide Cupe. Zachariæ PP.
ann.748. tom. 1. Rer. Mo *mutui*, quæ a subditis exigitur. Charta rum
in Harpocrate pag. 78. gunt. pag. 255, Officium, sacra Li mutuum violatum, velmessionem
bajuli vel turgia. Pelagius Episcop. Ovetensis in Fer servientum. [** Leg.
Violentum ut, supra.) ctum... Si autem Myocepha aur ypopius fuerit,dinando Rege
Hispan.: Tunc Alfonsus Rez mutuum ebraldum. Charta Henrici Co- post inunctionem
ligabis oculos aut linteo in velociter Romam nuntios misi ad Papam mitis
Portugalliæ tom. 3. Monarchiæ Lusi- aqua infuso frigida, aut spongia in ipsa
Aldebrandum cognomento septimus Grego tanæ p.282, Non introducam *mutuum* aqua
infusa. rius. Ideo hoc fecit, quia Romanum Vyste Ebraldum Colimbriam. 9piratici
genus arium habere voluit in omni Regno. Infra: mutuum,
stipendium datum in ante-, ut placet Tur Confirmarit itaque Romanum Mysterium
in cessum. Lit. ann. 1408. tom. 9. Ordinat. nebo lib. 3. Adversar. cap. 1.
nomen omne regnum Regis Adefonsi æra 1113. (Chr. reg. Franc.: Ordinamus adepti.
Melius Scaliger, a forma qevūves, 1088. ) per senescallos, receptores,
thesaurarios,... hoc est, angusta et oblonga, dictum ira- Missæ sacrifi tum
nobilibus quam innobilibus, cum ex dit. cium. Acta S. Gratil. tom. 3. Aug. pag.
parte nostra mandati fuerint ut ad guerras Hist. Franc. Sfortiæ ad ann. col. 2:
Indutus est (Gratilianus) ve nostras accedant, *mutuum* fieri priusquam apud
Murator. tom. 31. Script.
Ital.col.stimentis a. Wikipedia Ricerca Sinestesia (psicologia) fenomeno
sensoriale/percettivo Lingua Segui Modifica Avvertenza Le informazioni
riportate non sono consigli medici e potrebbero non essere accurate. I
contenuti hanno solo fine illustrativo e non sostituiscono il parere medico:
leggi le avvertenze. La sinestesia è un fenomeno sensoriale/percettivo, che
indica una "contaminazione" dei sensi nella percezione.[1] Il
fenomeno neurologico della sinestesia si realizza quando stimolazioni provenienti
da una via sensoriale o cognitiva inducono a delle esperienze, automatiche e
involontarie, in un secondo percorso sensoriale o cognitivo.[2]
Possibile visione dei mesi dell'anno da parte di una persona soggetta al
fenomeno della Sinestesia Descrizione generale del fenomenoModifica Con il
termine "sinestesia" si fa riferimento a quelle situazioni in cui una
stimolazione uditiva, olfattiva, tattile o visiva è percepita come due eventi
sensoriali distinti ma conviventi.[1] Nella sua forma più blanda è
presente in molti individui, spesso dovuta al fatto che i nostri sensi, pur
essendo autonomi, non agiscono in maniera del tutto distaccata dagli
altri. Più indicativo di un'effettiva presenza di sinestesia è il caso in
cui il percepire uno stimolo (come ad esempio il suono) provoca una reazione
netta e propria di un altro senso (ad esempio la vista). Per "forma
pura" si intende la sinestesia che si manifesta automaticamente come
fenomeno percettivo e non cognitivo. Il fenomeno è involontario, ma una maggiore
attenzione prestata dal soggetto può evocarlo con maggiore consapevolezza, al
punto che il sinestesico puro, vedendo i suoni e sentendo i colori, può
riuscire a trarre vantaggio da queste contaminazioni sensoriali; un compositore
che sfruttava questa sua capacità fu Olivier Messiaen, così come il pittore
Vasilij Vasil'evič Kandinskij, che affermava di poter sentire la voce dei
colori, che per lui erano suoni, entità vive e lo spiega bene nel suo libro Lo
spirituale nell’arte. Un altro sinestesico fu il pittore e musicista lituano,
Mikalojus Konstantinas Čiurlionis. Il compositore russo Aleksandr Nikolaevič
Skrjabin era particolarmente interessato agli effetti psicologici sul pubblico
quando sperimentavano suoni e colori contemporaneamente. La sua teoria era che
quando si percepiva il colore giusto con il suono corretto, si creava "un
potente risonatore psicologico per l'ascoltatore". La sua opera
sinestetica più famosa, che viene eseguita ancora oggi, è Prometeo: il poema
del fuoco [1]. Ma la lista degli artisti sinestesici è molto lunga, infatti le
ultime ricerche affermano che il fenomeno sinestesico interessi il 4% della
popolazione e di questo 4% la maggior parte sono artisti. Un'altra
caratteristica della sinestesia è poi che si presenta a volte nelle persone
mancine, o in concomitanza con altre caratteristiche come l'allochiria
(confusione della mano destra con la sinistra), scarso senso dell'orientamento,
dislessia, deficit dell'attenzione e, raramente, autismo. Spesso la
contaminazione sensoriale avviene a direzione unica: ad esempio, se vedo una
nota musicale come un colore, non è detto che vedendo quel colore la mia mente
evochi quella nota. Questa è una delle caratteristiche della sinestesia
percettiva, l'unidirezionalità. Secondo lo storico Angelo Paratico il mancino
Leonardo Da Vinci era affetto da sinestesia.[3] Esperienze di tipo
sinestetico possono essere indotte in maniera artificiale, mediante l'uso di
sostanze allucinogene, sostanze stupefacenti come l'LSD, esperienze di deprivazione
sensoriale, meditazione, ed in alcuni tipi di malattie che colpiscono la
corteccia cerebrale. Questo tipo di sinestesia è detta pseudosinestesia, in
quanto è indotta o non presente dalla nascita. La sinestesia acquisita sembra
riguardare solo le forme di sinestesia percettiva, e non sono stati documentati
casi di sinestesia concettuale acquisita. Le persone che hanno esperienze
sinestesiche nella "forma pura" sono un numero relativamente ridotto.
Studi recenti hanno mostrato una certa variabilità: 1 ogni 2000 1 ogni
200 Queste esperienze sono quotidiane ed iniziano sin dall'infanzia. Molti
sinestesici si sorprendono scoprendo che questa esperienza non è provata da
tutte le persone. L'esperienza sinestetica è composta da due
elementi: L'evento induttore (inducer). L'evento concorrente
(concurrent). Per esempio, può accadere che un sinestesico descriva il suono
(inducer) del proprio bambino che piange come un colore giallo sgradevole
(concurrent). La relazione tra un inducer e un concurrent è sistematica, nel
senso che a ogni inducer corrisponde un preciso concurrent. Grossenbacher
& Lovelace, distinguono due tipi di sinestesia a seconda che l'inducer sia
percettivoo concettuale. Sinestesia percettiva: l'inducer è uno stimolo
percettivo (per es. la vista di lettere produce anche la vista di colori
"collegati"). Sinestesia concettuale: i concurrent sono prodotti dal
pensare a un particolare concetto (per es: numero, mese dell'anno, posizione
nello spazio). Si utilizza intensivamente la sinestesia anche nella
terminologia utilizzata nella degustazione o nell'analisi sensoriale.
Basi genetiche della sinestesia Purtroppo con le competenze scientifiche
attuali non è possibile identificare singoli loci genici che determinino con
certezza questo fenomeno neurocognitivo. Il fenomeno è più probabilmente dovuto
a un complesso meccanismo neurale e non a singole proteine codificate da parti
di genoma. In ogni caso interessanti esperimenti di neuroimaging paiono
confermare tale fenomeno. [6] Sinestesia:
grafema-coloreModificaRamachandran e i suoi collaboratori hanno notato che la
forma più comune di sinestesia è quella grafema(lettera, numero) - colore e
infatti i rispettivi centri cerebrali sono molto vicini tra loro. Tecniche di
neuroimmagini (es. risonanza magnetica funzionale) hanno permesso di
individuare il "centro del colore" (es. Zeki & Marini, 1998,
Brain), l'area V4 nel giro fusiforme. L'area dei grafemi è stata
anch'essa individuata nel giro fusiforme, in particolare nell'emisfero sinistro
vicino all'area V4. L'area si attiva sia in seguito alla presentazione di
lettere sia in seguito alla presentazione di numeri. L'ipotesi di
Ramachandran è che ci sia una attivazione congiunta. La presentazione di un
grafema fa attivare l'area dei grafemi, che fa attivare contemporaneamente
anche l'area del colore, anche senza la presenza di uno stimolo. Questo è
dovuto ad un eccesso di connessioni tra le due aree, non presente in tutte le
persone. Le connessioni che si hanno alla nascita sono un numero
superiore di quello che si trovano in un cervello adulto. Quello che avviene
nei primi mesi di vita è un processo definito pruning (potatura, sfoltimento)
delle connessioni cerebrali. L'ipotesi di Ramachandran è che le connessioni tra
area del colore e area dei grafemi, che normalmente subiscono un processo di
pruning, rimangono invece intatte nei sinestesici. Probabilmente per una
mutazione genetica che fa fallire il processo di pruning. Esisteranno delle
regole che in seguito all'esperienza permetteranno di sviluppare connessioni
particolari tra area dei grafemi e area del colore. Questo spiegherebbe perché
ad un grafema viene sempre associato un certo colore. Ramachandran
ipotizza che l'attivazione del giro fusiforme non implichi un arrivo alla
coscienza delle informazioni. Perché sia possibile essere consapevoli
dell'informazione percepita si dovranno attivare altre aree superiori.
Tuttavia, Grossenbacher sostiene che la sinestesia non sia dovuta alla presenza
di un numero maggiore di connessioni neurali (le quali non sarebbero presenti
nei non sinestesici); infatti, secondo lo studioso tale fenomeno percettivo è
imputabile al fatto che, nel cervello dei sinestesici, alcune connessioni
neurali risultano ancora attive, mentre non vengono più "utilizzate"
in chi non sperimenta tale modo di percepire. Questo spiegherebbe il motivo per
cui chi assume droghe psicoattive sia in grado di esperire una condizione di
"pseudo-sinestesia", circoscritta esclusivamente al limite temporale
in cui tali sostanze dispieghino il loro effetto, per poi tornare a non
percepire sinestesicamente una volta terminato quest'ultimo. Secondo
Grossenbacher è molto improbabile, infatti, che si siano create nuove
connessioni neurali durante l'assunzione di tali droghe; piuttosto, risulta più
probabile che vengano percorse "strade" neurali solitamente
"disattive". Influenza dell'attenzione sulla percezioneModifica
Esperimento di Ramachandran e Hubbard: caso della figura gerarchica (un 5
composto da tanti 3), se ai soggetti veniva chiesto di fare attenzione a
livello globale vedevano il colore rosso, se invece dovevano dirigere la loro
attenzione a livello locale (3) vedevano verde. Questo esperimento porta
a concludere che l'attenzione influenza il manifestarsi del fenomeno
sinestesico. Sinestesici projector Nel caso di grafema-colore, il colore è visto
come una pellicola che ricopre il numero completamente. Un sinestesico testato
da Dixon, riferiva di provare un'esperienza irritante se il numero era di un
colore incongruente con quello del fotismo (l'effetto della sua sinestesia). Se
per esempio il numero 5 gli evocava il colore rosso, ma in realtà era scritto
con il giallo. Sinestesici associatorModifica Sempre nel caso di
grafema-colore, il colore appare nella mente, e non sopra il numero. In genere,
i sinestesici associator riferiscono che l'esperienza di vedere un numero con
un colore non congruente con quello del fotismo, non è un'esperienza per nulla
disturbante. La percezione del colore "reale" del numero è
un'esperienza molto più intensa del fotismo, per un sinestesico
associator. I sinestesici projector sembrano una minoranza rispetto ai
sinestesici associator (11 su 100, tra quelli intervistati da Dixon e
collaboratori). Tra i maggiori studiosi della sinestesia percettiva, Richard
Cytowic, Ramachandran, E. Hubbard, Sean Day, Bulat Galeyev, Irina
Vaneckina. Rapporto con i canali del calcioModifica Studiando nel
moscerino della frutta un gene coinvolto nell'elaborazione del dolore, alcuni
ricercatori hanno creato il primo modello della sinestesia. Con la tecnica
dell'interferenza a RNA hanno isolato 600 geni quali candidati a interessare
possibili geni del dolore. Il primo ad essere analizzato più in dettaglio è
stato quello che codifichi parte di un canale del calcio noto come α2δ3. Questi
canali che regolano il passaggio di Ca2+ attraverso la membrana cellulare sono
fondamentali per l'eccitabilità elettrica dei neuroni. Con questi canali
interferiscono diversi antidolorifici. Nei topi carenti di α2δ3 si è
dimostrato che questo gene controlli la sensibilità al dolore provocato dal
calore sia nella Drosophila sia nei mammiferi. Indagini condotte con la MRI
hanno anche rivelato che α2δ3 partecipi all'elaborazione del dolore termico a
livello cerebrale. In assenza di α2δ3 il segnale del dolore a genesi termica
arriva al talamo, ma poi non prosegue verso i suoi centri corticali superiori.
Le immagini di fMRI mostrano piuttosto un'attivazione crociata delle aree
corticali per la visione, l'olfatto e l'udito. Questa sinestesia si osserva
anche quando lo stimolo doloroso sia di natura tattile. Emozioni colorate | Le
Scienze, su lescienze.espresso.repubblica.it. ^ Harrison, John E.; Simon
Baron-Cohen (1996). Synaesthesia: classic and contemporary readings.
Oxford: Blackwell Vinci. A Chinese Scholar Lost in Renaissance Italy, Lascar
Publishing, lascarpublishing.com/Leonardo in Internet Archive. ^ Baron- Cohen, Ramachandran
& Hubbard, Neurocognitive mechanism of synesthesia" Edward M. Hubbard1
and V.S. Ramachandran, Neurocognitive mechanism of synesthesia, su cell.com,
November 3, 2005. URL
consultato il libero. ^ percezione e idee, la sinestesia | PsycHomer, su
psychomer. Le Scienze: Non provo dolore, ma ne sento l'odore e
ascolto le note BibliografiaModifica Córdoba M.J. de, Hubbard E.M., Riccò D.,
Day S.A., III Congreso Internacional de Sinestesia, Ciencia y Arte, Parque de
las Ciencias de Granada, Ediciones Fundación Internacional Artecittà, Edición
Digital interactiva, Imprenta del Carmen. Granada. Córdoba M.J. de, Riccò D.
(et al.), Sinestesia. Los fundamentos teóricos, artísticos y científicos,
Ediciones Fundación Internacional Artecittà, Granada. Cytowic, R.E., Synesthesia: A Union of The Senses, second edition, MIT
Press, Cambridge, Cytowic, R.E., The Man Who Tasted Shapes, Cambridge, MIT
Press, Massachusetts, Marks L.E., The Unity of the Senses. Interrelations among
the modalities, Academic Press, New York Riccò, Sinestesie per il design. Le
interazioni sensoriali nell'epoca dei multimedia, Etas, Milano, Riccò D.,
Sentire il design. Sinestesie nel progetto di comunicazione, Carocci, Roma,
2Tornitore T., Storia delle sinestesie. Le origini dell'audizione colorata,
Genova, 1986. Tornitore T., Scambi di sensi. Preistoria delle sinestesie,
Centro Scientifico Torinese, Torino, Voci correlate Takete e Maluma Sinestesia
tattile-speculare. «sinestesia» Udire i colori, gustare le forme, su
lescienze.espresso.repubblica.it, Le Scienze. TED Talk: "I listen to
color" Portale Psicologia: accedi alle voci di che trattano di psicologia Qualia
aspetti qualitativi delle esperienze coscienti Locus ceruleus Sinestesia
tattile-speculare raro fenomeno sensoriale/percettivo Wikipedia Il
contenutoGrice: “The grammar of ‘mutuality’ can be extraordinarily complicated.
But I’m sure Schiffer’s ‘A and B mutually know that p’
doesn’t make sense as an analysandum.” Grice: “You can trade (L mutate both
ways) or exchange *information* -- The grammar is: A and B are in love –
implicated: ‘mutual’ -- A and B are
friends – implicated: mutual. Dickens, who never attended Oxford, would never
catch the subtlety of his biggest solecism, “Our mutual friend”! – Grice: “But
I’m surprised from Schiffer, who did attend the varsity!” -- Giorgio Cosmacini.
Cosmacini.
Keywords: compassione, salute, mens sana in corpore sano, storia della
medicina, Foucault, l’anello di Asclepio, la medicina nella Roma antica,
giacobinismo, fascismo, giacobinismo in Italia, medici fascisti, medicina
fascista, la medicina non e una scienza, tanatologia, bio-chemica, la chemical
della vita, bio-chemistry –Grice on life, the philosophy of life, cooperation
and compassion. Imperativo conversazionale, compassione
conversazionale, imperative della mutualita conversazionale – mutualita
conversazionale – imperative of conversational mutuality, mutuality, mutual,
the depth grammar of mutuality – Grice against Schiffer – Grice scared by
‘mutual knowledge’ – and using it in scare quotes (“Such monsters as Schiffer’s
‘mutual knowledge’ have been proposed to replace my regress when there’s
nothing wrong with stopping it elsewise!” Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Cosmacini” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Cosmi: all’isola-- la ragione conversazionale el’implicatura
conversazionale dei discorsi: corsi e ricorsi -- metodo dei principi generali
del discorso – scuola di Casteltermini – filosofia girgentina – filosofia siciliana
-- filosofia italiana – Luigi Speranza (Casteltermini). Filosofo girgentino. Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Casteltermini,
Gigenti, Sicilia. Grice: “I love Cosmi – for one he uses the very exact phrase
I do, ‘the general principles of discourse,’ and he also finds them to have a
rational (‘razionale’) basis – they involve those desiderata for helpful
communication, a co-operative principle – concerning most constraints I refer
to: the necessity to avoid superfluity (supperfluita) and to maximize clarity
(chiarezza) – so that’s genial!” – Grice: “Cosmi actually has two treatise, a
more theoretical one, “General principles of discourse,” and an applied tract,
“Metodo’ – of the “general principles of discourse’ – he had already elaborated
on all the figures of rhetoric, so he knew what he was talking about and where
he was leading --.” Grice: “The fact that he like me also loved Locke – and
perhaps was more of a ‘sensista’ than I am, makes him great, too!” Fu
un'imponente filosofo, no italiano, ma siciliano (Grice: “Sicily is not
considered part of the ‘peninsola italiana’). Formatosi nel Seminario dei
Chierici di Agrigento, ricopre la carica di rettore a Catania. Riceve dal re Ferdinando
l'incarico di redigere il piano regolatore della filosofia siciliana. Da un
rilevante contributo all'innovazione del illuministimo. Fu un grande filosofo,
il primo e il più geniale del regno meridionale e uno dei primi e più geniali
del Settecento italiano. Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Principi
generali del discorso, e della ortografia italiana ad uso delle regie scuole
normali di Sicilia by C., edition published in Italian and held by 2 WorldCat
member libraries worldwide. E primo forne il D2 Cosmi. Questo e un aureo
libretto dei "Principi generali del discorso" – i. e. un principio
comune a ogni discorso. Questo affinchè il filosofo a una nozione direttrice,
non superflue. In questo trattato invano cercheresti quella immensa farragine
di precetti disordinati, e quelle infinite minuterie non necessarie, con cui si
sostitoleva confondere e stancare la prattica conversazionale del giovanetto.
Si spone un solo principio generale e fondamentale, sintetizzato nell'antico ma
verissimo motto: precetto uno. Il resto e uso. Questa mia preziosa filosofia è
un sapientissimo essamine pel filosofo che vuole adoperare il "metodo
conversazionale." Quivi si ricorda dapprimà quanto in occasione di
filosofare sulla maniera di dare la prima istruzione conversazionale al
ragazzo, in caso la necessita. Si ricorda come puo potè attuare la mia
prammatica conversazionale, mettendo in esecuzione un maniobra chiara, spedita,
uniforme per ogni topico conversazionale adattata alla maniera del civil
conversare -- è cosa necessaria il sapere la semantica e le implicature
conversazionale del volgare linguaggio. Il pirincipio della conversazionale e
un principio di chiarezza (perspicuita) -- e un principio di aggiustatezza
(approprio_ -- e un principio di mezzana eleganza (stilo estetico), e un
principio senza oscurità, e un principio con univoci e senza cattive equivoci
(un buon aequi-voce e accettable)– sensa non sunt multiplicanda praeter
necessitatem --, e un principio senza superfluità (economia dello sforzo
conversazionale, fortitudine conversazionale, candore conversazionale -- e un
principio senza barbarismi -- imperciochè la perfezione e efficenza del volgare
linguaggio guidato dalla semantica formale e il segno del reale. E vuole che al
giovane si da un principio generale e fondamentale -- e un principio generale
della conversazione, esposto con metodo ragionabile e calculable e con
chiarezza. Un solo principio o imperativo categorico, un principio di efficenza
communicative -- un principio soggetto il meno che si può all'eccezione o la
violazione involuntaria si non a la splotazione retorica -- e un principio
stesso ben capito e ben esercitato, chi forma il corpo di ogni parte
della filosofia. Ebbe un giorno a scrivere di CICERONE, che questo ingegno eminente
prende a gradi la sua maturità e si perfezionava coll’uso, colla riflessione e
col maneggio dei grandi affair. Or quello che osservo su Cicerone, intervenne
proprio me medesimo, i cui Elementi di filologia, non prometto continuazione;
ma osservazioni su l'uso dei Principj del Discorso, e qualche riflessione su i
primi pensieri, da cui era partito nell'immaginar il mio metodo, gli
somministrarono la materia di un secondo, e anche di un terzo volume di
preziose nozioni di metodica prammatica. Il secondo volume e come il primo, è diviso in due parti.
La prima parte ha per titolo, “PRINCIPJ GENERALI DEL DISCORSO applicati alla
lingua volgare”, per la quale avverto che, sebbene nelle parti già pubblicate
dei “Principj generalie del discorso” siesi detto ciò che basta per
l'istruzione della prima età; la sperienza mi ha fatto conoscere, che,
volendosi col metodo intrapreso tirare innanzi il cammino, per la piena
intelligenza, 1 C., Elem. di filol. ecc.,
Elem. di filol, ital. e latina, tomo II, Palermo; pag. III
ed imitazione dei classici principalmente italiani, era necessario ad
entrare in qualche più esteso rischiarimento, *non per multiplicare
l’imperativo conversazionale, ma per agevolarne l'uso, senza di cui inutili
sempre la massima conversazionale universalisable si rimarranno. Dietro di che,
in cinque paragrafi, filosofo, con la solita competenza, “Del Pronome in
generale”, “Del Pro-nome ed dell’Articolo”; “Del pronomi e del verbo che ne dipendono;
Della Preposizione, detta “segnacasi”, e “Della Costruzione irregolare”. I
quali cinque paragrafi, con la giunta delle prime due parti dei PRINCIPJ
GENERALI DEL DISCORSO -- PRINCIPIO
GENERALE DEL DISCORSO -- già stampati a riprese. Egli fece riunire in separato
volumetto per uso degli scolari 3 Io non mi stancherei, dirò col Blasi, di riportare varie altre sentenze, che
oggi pajono roba fresca, e pure da presso a un secolo il nostro l'aveva
annunziato con tanta chiarezza da farla scorgere anco ai ciechi; ed è per tanto
che riferisco qualche altro criterio, che dovrebbe aver nell'animo e nella
coscienza ognuno, che si dà all'educazione specialmente elementare:
Invece di sorprendere, cosi il C., l'età fanciullesca coll' apparenza
dottrinale di parole incognite, ingegnerassi il maestro a far vedere, che ciò
che s'insegna di nuovo, è presso a poco quanto sapeva il fanciullo o quanto
avrebbe potuto agevolmente sapere con un poco di riflessione 5. Anzi che
ad un giuoco di memoria desiderava che lo studio fosse diretto allo sviluppo
dell'intendimento; inculcava lo studio dell' aritmetica fatto a norma delle
regole predette, e indi tornava a ribadire che: Per mantenere sempre
desta l'attività nella mente degli allievi, è di somma importanza il non
sgomentarli giammai coll'apparenza di gravi difficoltà nelle operazioni che
loro si propongono; anzi colla frequenza degli esempi il far loro osservare,
che avrebbero da se sciolto le domande, se avessero fatto riflessione alle cose
sa pute 6. E poi seguiva cosi: Che se alle volte occorrerà di
dovere insegnare delle cose difficili, allora il maestro procurerà di scemare
la difficoltà colla curiosità della ricerca, perchè il piacere della scoverta
l'incoraggisca al tedio dell'operazione. Ma qualora la curiosità non è
infiammata, il fanciullo non sente altro che la fatica, e la fatica sola da se
ributta 7. Poi chiedeva a se stesso: É necessario il rappresentare
al naturale lo stato presente della educazione ncstra letteraria? Lo farò con
coraggio. Si è caricata la nostra memoria; perciò è rimasto senza energia e
senza originalità l'intelletto. La nostra filosofia, in vece C.,
Metodo dei principj generali del Discorso, Palermo, Metodo cit., BLABI, Note
storiche di G. A. De C.; Palermo, Cosmi, Metodo ecc., d'essere l'arte di
pensare, è stata l'arte di parlare di ciò che non s'intende; la nostra rettɔrica,
l'arte di csaggerare con parole, e di parlare a controsen 30. Gran servigio,
gran servigio, ridico, si presta al pubblico da chi indirizza per la strada
regia del sipere la presente gioventù, da chi coltiva la loro ragione e il loro
cuore. Era tempo oramai di aprirsi a tutti la strada alla coltura delle
scienze e delle arti; di venire nella comune estimazione le cognizioni
realmente utili all'umanità, di siudiarsi la Natura nei suoi varj regni e nel
suo vero prospetto. Era già il tempo ce la pubblica e la privata utilità
fossero rico 103ciute ch.n: la misar di calcolare l'importanza delle
cognizioni; che la Religione s'impari nella sua storia, nei suoi Dogmi, nella
sua Morale, mi senza il pru:ito della costroversia; che nelle lingue doite si
cerchi il gusto, ma senza pedanteria; che le matematiche, e l'analisi ci
servano di guida nelle cognizioni astratte; che nelle scienze naturali si
cerchino i mezzi per accrescere, o conservare la sanità dei nostri corpi, o per
influire ne la ricchezza nazionale, coltivando e migliorando i prodotti
dell'arte e della natura; e che finalmente la volgare e popolare lingua, vero
termometro della coltura nazionale, si perfezioni; che non pud perfezionarsi,
senza che si eserciti la ragione nello stesso tempo '. [ocr errors]
IV. A questa stupenda Direzione pei maestri, il De Cosmi unì la prima
parte dei Principj Generali del Discor30, che già aveva stampato a solo sin. dal
1790; cui fece seguire ora dalla parte secondo, che delle proposizioni, dei
verbi, dei pronomi, delle congiunzioni s'intertiene, chiudendola con alcune
regole primarie ad illustrazione delle altre, messe in fine della prima parte;
e terminando l'aureo librettino con un capitolo sulla Scelta dei libri
necessari allo studio della lingua italiana; dove vuole che siano preferiti i
libri del Trecento; additando per libro di prima lettura il Fiore di virtù o il
Volgarizzamento dei Gradi di S. Girolamo, 'od anche gli Ammaestra. minti degli
antichi di frate Bartolomeo da San Concordio; e per la seconda classe, il
Trattato del Governo della famiglia di Agnolo Pandolfini 5. A sintesi di
tutto il libretto il De Cosmi conchiude così: Ciò che i maestri debbono
inculcar continuamente alle tenere orecchie degli scolari sarà la necessità
delle regole e dell'uso; perchè l'uso e le regole sono i veri arbitri di ogni
lingua. Nulla contro le regole, nissuna parola fuori dell'uso",
Questo pregevole volumetto incontrò l'applauso di tutti i letterati; e un di
essi, che si volle occultare sotto le iniziali 0. G. R. P., ne fece una
bellissima ed estesa rivista nelle Notizie Letterarie di Cesena-agosto 1792
“. 1 G. A. De Cosmi, Op. cit., p. 17-18. . Vedi sopra pag.
166. • C., , Metodo ecc., p. 56-57." • Lo stesso, Op. cit., p.
60-61. * Pag. 55 e seg. L'articolo dell' O. G. R. P. venne
riprodotto da Angelo nelle Memorie per servire alla Storia letteraria di
Sicilia; Ms. della Biblioteca Comunale C.. Discorso concetto filosofico
Lingua Segui Modifica Ulteriori informazioni Questa voce sull'argomento
linguistica è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo le
convenzioni di Wikipedia. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. Un
discorso è una modalità di comunicazionelinguistica mediante cui si parla o
scrive. La definizione del termine varia a seconda dei campi di applicazione
(antropologia, etnografia, cultura, letteratura, filosofia, ecc.). In semantica e analisi del discorso è una
generalizzazione del concetto di comunicazione all'interno di tutti i contesti.
Nel campo dei codici è la totalità del linguaggio utilizzato (vocabolario) in
un determinato settore di pratica sociale o ricerca intellettuale (es: discorso
giuridico, discorso religioso, discorso medico, ecc.). Michel Foucault ha
definito il discorso come "un ensemble de séquences de signes" (un
insieme di sequenze di segni).[1] Per quanto riguarda il campo delle scienze
sociali e delle scienze umanistiche, il termine ha rilevanza riguardo a un
pensiero che si può esprimere mediante il linguaggio. Il discorso si differenzia dall'enunciato e
dalla dichiarazione. Il discorso, infatti, può rappresentare la manifestazione
di un pensiero individuale relativamente o meno a un determinato argomento; la
dichiarazione invece consiste in un atto ufficiale di solito è preparato e
coinvolto in documentazioni. Con il
termine discorso si identifica anche l'esposizione pronunciata in pubblico
relativamente a un argomento o materia (discorso inaugurale, discorso
commemorativo, ecc.). Foucault,
L'archéologie du savoir, Parigi, Gallimard, 1969, p. 141. Voci
correlateModifica Parti del discorso Parresia Discorso diretto Discorso
indiretto Frase Autore Dialettica Retorica Monologo Dialogo «discorso» Portale Antropologia Portale Filosofia Portale Linguistica Portale Sociologia Pregiudizio
Strutturalismo (filosofia) movimento filosofico
Le parole e le cose Libro di Michel Foucault. Grice: “I call it ‘principle’ not ‘principles’ – or at least I did in my
first William James lecture: ‘some general principle of discourse’ – I later
found out that Aristotle is right: ‘arkhe’ is best used in the singular!.Grice:
“So MY principle is ‘be cooperative’ – principle of conversational helpfulness
--. Maxims are not as important as
‘principle’ is – as Kant would agree!” Cosmi. Giovanni Agostino De Cosmi.
Giovanni Cosmi. R Cosmi. Keywords: metodo dei principi generali del discorso,
discorso, discursus, principle versus principle – principio, principii -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cosmi” –
The Swimming-Pool Library. Cosmi.
Grice e Cosottini: la ragione conversazionale el’implicatura
conversazionale di MELOPEA – scuola di Figline Valdarno – filosofia fiorentina –
filosofia toscana -- filosofia italiana –Luigi Speranza (Figline
Valdarno). Filosofo fiorentino. Filosofo toscano. Filosofo italiano. Figline Valdarno,
Firenze, Toscana. Grice: “Cosotini considers ‘Home, sweet home,’ in
terms of linearity – surely Miss X can ‘improve’ on the score! Especially if
she did visit Payne’s little cottage by the sea – in Easthampton, and shed a
tear!”. Si
laurea a Firenze con “Fenomenologia”. Fonda GRIM, Gruppo per la Reserccia
dell’Improvisazione Musicale. GRICE Gruppo por la research dell’Improvisazione
conversazione espressiva. Insegna Improvvisazione Musicale. Le Fanfole, canzoni
composte su testi del poemetto meta-semantico di Fosco Maraini Gnosi delle
Fanfole. Linearità e Nonlinearita in semiotica – sintagma
lineare, sintagma soprasegmentale – the volume of a sound – a ‘natural’
expression of pain – the higher the volume, the higher the pine --. Grice on
stress, intonation and implicature. I KNOW it. I KNOW it (you don’t have to
tell me). SMITH
paid the bill. Due conversazionaliste si muovono pacatamente per le loro vie,
variando direzioni e anche versi, ascoltandosi sempre, ma con dialoghi liberi e
mai serrati. “La musica dei matti” creazione dialogica di suoni del tutto
libera e interamente legata all'istante, tale da produrre mozzione
conversazionale dallo sviluppo verticale. Improvvisare la verità. Il concetto
di ‘improvvisare’ improvissato – cf. English ‘improved’. Improvisation –
improvised. Musica e Filosofia. Realizza la partitura grafica Dettagliper tre
esecutori, che consiste di una mappa e ottantuno carte con segni grafici
codificati (la mappa e le carte sono i “veicoli” e il modo in cui si legge la
grafia genera molteplici possibilità di implicature. “wordless novel”. I suoi
studi si concentrano sulla filosofia della musica e sull’improvvisazione
musicale, scrivendo numerosi saggi per riviste specializzate come Musica
Domani, Perspectives of New Music, Aisthesis, Musicheria e la rivista online De
Musica. Inoltre pubblica un saggio sul
silenzio e sulle sue potenzialità performative. Metodologia
dell'Improvvisazione Musicale. Tra Linearità e Nonlinearità, un libro di
metodologia dell’improvvisazione musicale nel quale Cosottini teorizza la dicotomia
tra Linearità e Nonlineairtà come strumento per l’analisi dell’improvvisazione
musicale. Non-linearita EDT, il silenzio in contesto non lineare, Filosofia
della Musica. Non-linearità. Metodi non
lineari. EDT Non linearità. EDT Ascolto creativo e scrittura creativa di
un’improvvisazione musicale. Metodologia dell’improvvisazione musicale. Tra
Linearità e Nonlinearità Edizioni ETS, L’estetica dell’improvvisazione tra
suono e silenzio in Musica Domani, improvisation-research-center--musica-e-filosofia.
Do You Need A Sign. Wikipedia Ricerca Palazzo Bardi edificio a Firenze
Lingua Segui Modifica Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando
altri significati, vedi Palazzo Bardi (disambigua). Palazzo Bardi Palazzo
busini-bardi 11.JPG Esterno del Palazzo Bardi Localizzazione StatoItalia Italia
RegioneToscana LocalitàFirenze Indirizzovia de' Benci 5 Coordinate 43°46′02.99″N
11°15′32.75″E Informazioni generali CondizioniIn uso CostruzioneXV secolo
Realizzazione Committentebanchieri Busini Il palazzo Bardi o
Busini-Bardi-Serzelli si trova in via de' Benci 5 a Firenze.
Palazzo Bardi, il cortile attribuito a Brunelleschi StoriaModifica Fu
costruito su preesistenze negli anni Trenta del XV secolo per conto della
famiglia di banchieri Busini, su disegno forse di Filippo Brunelleschi: è
quindi evidente la sua grande importanza nel testimoniare, circa quindici anni
prima della costruzione di palazzo Medicidi via Larga ad opera di Michelozzo,
il definirsi della tipologia del palazzo rinascimentale, con cortile centrale,
in un momento di significativa crescita urbana promossa dai ceti dirigenti del
tempo. Giovanni de' Bardi (della linea di Gualtiero, non di quella di
Piero, esiliata nel 1343) acquistò il palazzo nel 1482: la famiglia già nel
secolo precedente aveva significative proprietà di là dal ponte. Agnolo de'
Bardi, nipote di Giovanni, fece fare dei lavori di ammodernamenti al palazzo,
forse con il concorso di Giuliano da Maiano, ma non ne venne modificato
l'assetto generale. Furono chiuse le grandi aperture sul fronte che davano
accesso a vari locali adibiti a botteghe (una successione di fornici è ancora
apprezzabile su via Malenchini e due permangono su via de' Vagellai). Da
sottolineare come i lavori, pur giungendo ad esiti formalmente diversi, si
sviluppassero in parallelo con quelli dell'antistante palazzo Corsi, ugualmente
volti a convertire la più antica struttura medievale in un palazzo adeguato
alla nuova concezione rinascimentale. Preesistenze sul lato sud in
via Malenchini Verso la fine del XVI secolo, come ricorda una lapide sulla
facciata, si riuniva in questo palazzo una comitivadi letterati, artisti e
musicisti, conosciuta sotto il nome di Camerata fiorentina di casa Bardi,
istituita dapprima allo scopo di risuscitare l'antico teatro greco e che più
tardi si occupò del melodramma teatrale, tanto che qui si eseguì per la prima
volta il canto dantesco del conte Ugolino, messo in musica da Vincenzo Galilei
e si eseguirono le Nuove Musiche di Giulio Caccini. Più tardi la Camerata
divenne Accademia, trasferendosi nell'odierno palazzo Corsi-Tornabuoni in via
Tornabuoni. Il palazzo fu abitato dai Bardi fino all'estinzione del ramo
familiare a inizio dell'Ottocento, per poi passare ai Bardi Serzelli, che
l'hanno abitato fino al 1954, anno della morte del conte Alberto.
Successivamente affittato alla Provincia di Firenze, è stato da questa scelto
negli anni settanta per ospitare il III Liceo Scientifico statale. Nel 1983 ha
subito il rifacimento degli intonaci sul fronte di via Malenchini. A partire
dal 1990 circa, oramai liberato dalla presenza della scuola e acquistato da una
società immobiliare, è stato interessato da un complesso cantiere finalizzato
al recupero della fabbrica e alla suddivisione in appartamenti dei grandi
ambienti interni, conclusosi nel 2007. Il palazzo appare nell'elenco
redatto nel 1901 dalla Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti, quale
edificio monumentale da considerare patrimonio artistico nazionale, ed è
sottoposto a vincolo architettonico. Descrizione Esterno La semplice
facciata, sviluppata sui canonici tre piani e graffita con una finta muratura a
conci rinnovata nel 1885 (al tempo della proprietà di Ferdinando Bardi,
comunque da considerare sostanzialmente fedele alle preesistenze), quindi
restaurata e integrata nell'ambito del recente intervento, presenta ai lati due
scudi con le armi, oramai consunte ma ancora ben leggibili, della famiglia
Busini (d'azzurro, a tre fasce increspate d'oro, e alla banda attraversante di
rosso, caricata di tre rosed'argento). Da segnalare sul fronte anche la lapide
che ricorda come, in questo palazzo, Giovanni Bardi conte di Vernio avesse
riunito a Camerata fiorentina di casa Bardi, in seno alla quale nacque il
melodramma. IN QUESTA CASA DEI BARDI VISSE GIOVANNI CONTE DI VERNIO CHE
AL VALOR MILITARE MOSTRATO NEGLI ASSEDI DI SIENA E DI MALTA CONGIUNSE LO STUDIO
DELLE SCIENZE E L'AMOR DELLE LETTERE COLTIVÒ LA POESIA E LA MUSICA E ACCOLSE E
FU L'ANIMA DI QUELLA CELEBRE CAMERATA LA QUALE INTESA A RIPORTARE L'ARTE
MUSICALE IMBARBARITA DALLE STRANEZZE FIAMMINGHE ALLA SUBLIMITÀ DELLA MELOPEA DI
CUI SCRISSERO GLI STORICI DELL'ANTICA CIVILTÀ APRÌ LA VIA GIÀ CHIUSA DA SECOLI
AL RECITATIVO CANTATO E ALLA MELODIA E CON LA RIFORMA DEL MELODRAMMA FU LA CUNA
DELL'ARTE MODERNA. Palazzo busini-bardi, targa camerata dei bardi. JPG
Stemma Bardi sul cancello d'ingresso Di rilievo l'androne, chiuso sul fondo da
una elegante cancellata (presumibilmente databile al Settecento) con sulla
rosta l'arme dei Bardi (d'oro, alla banda di losanghe accollate di rosso)
accostata da due aquile. Le fasce marcapiano aggettanti sono ornate da volute
di fiori, primo esempio di "stile nuovo" fiorentino. Semplici
finestre centinate si allineano su otto assi. all'esterno si trova murato anche
un piccolo tabernacolo con un affresco scarsamente leggibile con la Madonna in
gloria adorata da una monaca. L'elemento più interessante è il bel
cortile centrale porticato sui quattro lati, progettato forse dal Brunelleschi,
probabilmente il primo cortile privato signorile a Firenze (dopo i cortili
pubblici del Palazzo del Bargello e di Palazzo Vecchio): a pianta quadrata,
presenta arcate a tutto sesto con colonne con capitelli corinzi che scandiscono
lo spazio. I volumi sono scanditi ad altezza doppia rispetto al modulo usato
spesso successivamente del cubo sormontato da semisfera: qui l'altezza delle
colonne è doppia rispetto all'intercolumnio (a differenza per esempio del
loggiato dello Spedale degli Innocenti) e, pur mantenendo dimensioni armoniche,
presenta un maggior slancio. Tipicamente brunelleschiana è anche la
disposizione delle porte che si aprono sul cortile. "Si osservi
anche il sonoro androne d'ingresso, con volte a crociera su capitelli pensili
strettamente analoghi a quelli del palazzo di Niccolò da Uzzano; o lo splendido
episodio dei capitelli delle colonne del cortile stesso, che presentano un
singolare episodio di protocorinzio appunto brunelleschiano, cui non a caso
rispondono i capitelli del cortile della casa di Apollonio Lapi, posta in via
del Corso 13, egualmente attribuita all'esordio professionale di Filippo: per
la qual cosa piacerebbe datare pure il prezioso testo architettonico
protobrunelleschiano di palazzo Bardi (Morolli). All'interno molte stanze
presentano dei soffitti in legno risalenti all'epoca di Agnolo de' Bardi, che
li fece uniformare. BibliografiaModifica Tabernacolo Emilio Burci,
Guida artistica della città di Firenze, riveduta e annotata da Pietro Fanfani,
Firenze, Tipografia Cenniniana; Ministero della Pubblica Istruzione (Direzione
Generale delle Antichità e Belle Arti), Elenco degli Edifizi Monumentali in
Italia, Roma, Tipografia ditta Ludovico Cecchini; Ross, Florentine Palace and
their stories, with many illustrations by Adelaide Marchi, London, Dent; Schiaparelli,
La casa fiorentina e i suoi arredi, Firenze, Sansoni, Limburger, Die Gebäude
von Florenz: Architekten, Strassen und Plätze in alphabetischen Verzeichnissen,
Lipsia, F.A. Brockhaus, Bertarelli, Italia Centrale, II, Firenze, Siena,
Perugia, Assisi, Milano, Touring Club Italiano; Garneri, Firenze e dintorni: in
giro con un artista. Guida ricordo pratica storica critica, Torino et alt.,
Paravia; Bertarelli, Firenze e dintorni, Milano, Touring Club Italiano; Allodoli,
Arturo Jahn Rusconi, Firenze e dintorni, Roma, Istituto Poligrafico e Libreria
dello Stato, Barfucci, Giornate fiorentine. La città, la collina, i pellegrini
stranieri, Firenze, Vallecchi; Thiem, Christel Thiem, Toskanische
Fassaden-Dekoration in Sgraffito und Fresko, München, Bruckmann, Limburger, Le
costruzioni di Firenze, traduzione, aggiornamenti bibliografici e storici a
cura di Mazzino Fossi, Firenze, Soprintendenza ai Monumenti di Firenze,
Biblioteca della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio
per le province di Firenze Pistoia e Prato); Bucci, Palazzi di Firenze, fotografie di
Raffaello Bencini, 4 voll., Firenze, Vallecchi, Quartiere di Santa Croce; Quartiere
della SS. Annunziata; Quartiere di S. Maria Novella, Quartiere di Santo
Spirirto; Lisci, I palazzi di Firenze nella storia e nell’arte, Firenze, Giunti
& Barbèra, Fanelli, Firenze architettura e città: atlante -- Firenze,
Vallecchi, Touring Club Italiano, Firenze e dintorni, Milano, Touring Editore; Salvagnini,
La guerra degli sporti, in "Granducato", Bargellini, Ennio Guarnieri,
Le strade di Firenze, Firenze, Bonechi, Il Monumento e il suo doppio: Firenze,
a cura di Marco Dezzi Bardeschi, Firenze, Fratelli Alinari; Firenze. Guida di
Architettura, a cura del Comune di Firenze e della Facoltà di Architettura
dell’Università di Firenze, coordinamento editoriale di Domenico Cardini,
progetto editoriale e fotografie di Lorenzo Cappellini, Torino, Umberto
Allemandi; MOROLLI, Vannucci, Splendidi palazzi di Firenze, con scritti di
Janet Ross e Antonio Fredianelli, Firenze, Le Lettere; Zucconi, Firenze. Guida
all’architettura, con un saggio di Pietro Ruschi, Verona, Arsenale; Cesati, Le
strade di Firenze. Storia, aneddoti, arte, segreti e curiosità della città più
affascinante del mondo attraverso vie, piazze e canti, 2 voll., Roma, Newton
& Compton editori; Touring Club Italiano, Firenze e provincia, Milano,
Touring, Pecchioli, ‘Florentia Picta’. Le facciate dipinte e graffite dal XV al
XX secolo, fotografie di Antonio Quattrone, Firenze, Centro Di; Paolini, Case e
palazzi nel quartiere di Santa Croce a Firenze, Firenze, Paideia; Paolini,
Lungo le mura del secondo cerchio. Case e palazzi di via de’ Benci, Quaderni
del Servizio Educativo della Soprintendenza BAPSAE per le province di Firenze
Pistoia e Prato n. 25, Firenze, Polistampa; Paolini, Architetture fiorentine.
Case e palazzi nel quartiere di Santa Croce, Firenze, Paideia, Palazzo Bardi; Paolini,
scheda nel Repertorio delle architetture civili di Firenze di Palazzo
Spinelli(testi concessi in GFDL). Una pagina sulla conservazione del palazzo,
su limen. Portale Architettura Portale Firenze Ultima
modifica 2 anni fa di Omega Bot Palazzo Malenchini Alberti Palazzo Bardi-Tempi
Palazzo de' Benci Edificio a Firenze, Italia. Mirio Cosottini.
Cossotini. Grice: “I am sure that a suprasegmental or non-linear segment adds
to what a conversationalist means – he means THAT Smith did not pay the bill,
and that somebody else did” – By stressing on LOVE he means that he likes her
AND that he loves her.” Keywords: melopea, prosodia, Hjelmslev, Hockett,
fonema, tratto sopra-segmentale, stress – Grice’s examples: “Smith kicked the
cat” – “Smith didn’t pay the bill. Nowell did.” “Smith didn’t pay the bill”. “I
knew it” “I love her” -- segno, nonlinearita, codice, soprasegmento. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Cosottini” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Costa: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’interno e l’esterno –
l’internalizzazione-l’esternalizzazione -- uomini fuori di sé– scuola di Torre
del Greco – filosofia napoletana – filosofia campanese --filosofia italiana –
Luigi Speranza (Torre del Greco). Filosofo napoletano. Filosofo
campanese. Filosofo italiano. Torre del Greco, Napoli, Campania. Grice: “I love Costa; if I have to chose three of my favourite essays of
his, those would be, “Le passioni,” “L’uomo fuori di se: l’esternalissazione’
and above all, his sublime, “l’estetica della communicazione,’ which is what my
philosophy is all about!” -- Mario Costa
(Torre del Greco), filosofo. È conosciuto, in particolare, per aver
studiato le conseguenze, nell’arte e nell’estetica, delle nuove tecnologie,
introducendo nel dibattito filosofico una nuova prospettiva teorica, attraverso
concetti come "estetica della comunicazione", "sublime
tecnologico", "blocco comunicante", "estetica del
flusso". Professore a Salerno e, come professore incaricato di
Metodologia e storia della critica letteraria e di Etica ed estetica della
comunicazione, ha contemporaneamente insegnato per molti anni nelle Università
degli Studi di Napoli "L'Orientale" e di Nizza (Sophia-Antipolis). A Salerno
ha fondato e diretto, daArtmedia, Laboratorio permanente dedicato al rapporto
tra tecno-scienza, filosofia ed estetica, organizzando su queste tematiche
decine di iniziative di studio, mostre e convegni internazionali. L'estetica
dei media ha ottenuto il Premio Nazionale Fabbri. Pubblicato una trentina di libri; alcuni di
essi e numerosi suoi saggi sono tradotti e pubblicati in Europa e in
America. Il suo lavoro teorico si è svolto in due momenti successivi ed ha
seguito due fondamentali direzioni di ricerca: l'interpretazione socio-politica
e filosofica delle avanguardie artistiche, e l'elaborazione di una filosofia
della tecnica costruita soprattutto attraverso l'analisi dei cambiamenti che la
nuova situazione tecno-antropologica ha indotto nell'arte e
nell'estetico. Per quanto riguarda la prima delle due direzioni indicate,
ha fornito un complesso di interpretazioni filosofiche ed estetiche di numerosi
movimenti dell'avanguardia artistica e letteraria. Momenti di particolare
rilievo in questo ambito di ricerca possono essere considerati i suoi lavori su
Duchamp e sulle funzioni della moderna critica d'arte, nonché i suoi studi sul
"lettrismo" e sullo "schematismo", movimenti artistici di
grande importanza, anche estetologica, ma, all'epoca, pressoché ignoti in
Italia. Per quanto riguarda la seconda delle direzioni indicate, il suo
pensiero si è a sua volta sviluppato secondo due assi fondamentali: uno
riguardante le conseguenze sociali ed etiche della comunicazione tecnologica,
riassunte soprattutto nel libro La televisione e le passioni che analizza gli
effetti disgreganti e distruttivi della televisione, e poi nel più recente La
disumanizzazione tecnologica, e l'altro, dominante rispetto al primo,
consistente in un ripensamento del senso che l'"estetico" e
l'"artistico" vanno assumendo nella fase attuale delle nuove
tecnologie elettro-elettroniche e digitali della scrittura, dell'immagine,
della spazialità, del suono e della comunicazione, ciò che lo ha condotto ad
una radicale ed originale reimpostazione teoretica di tutto il campo
investigato. Negli ultimi suoi lavori (Ontologia dei media, e Dopo la tecnica)
la prospettiva teoretica si è andata ulteriormente approfondendo dando luogo ad
una compiuta filosofia dei media e della tecnica in quanto tale. Alcune opere
rappresentative L'estetica dei media può considerarsi, per i contenuti trattati
e per la inedita metodologia di indagine instaurata e seguita, un libro che
apre un nuovo campo di ricerca, prima del tutto ignorato ed inesplorato dalle
discipline estetologiche, quello appunto della "estetica dei media",
da non confondere, ad esempio, con l'estetica della fotografia o con quella del
cinema, alle quali ha comunque dedicato altri suoi importanti lavori. Il libro
in questione segue ai diversi contributi teorici relativi all'estetica della
comunicazione le cui identificazione, nominazione e formulazione teorica
risalgono, e che è ora rappresentata, nella sola Italia, da numerose Cattedre e
indirizzi universitari. Il sublime tecnologico è considerato il lavoro più noto
e più innovativo di tutta la sua produzione teorica; è in esso che,
considerando le conseguenze indotte nel campo dell'arte e dell'estetico dalla
nuova situazione tecno-antropologica, si parla dell'oltrepassamento della dimensione
dell'arte e delle categorie ad essa connesse, nella direzione di una nuova
forma di sublime, quella appunto del sublime tecnologico, con tutto quello che
questo concetto implica e comporta. La nozione del sublime tecnologico è stata
diffusamente accolta e seguita sul piano internazionale della teoria estetica
ed ha sollecitato un incalcolabile numero di sperimentazioni da parte di
artisti di tutto il mondo. Arte contemporanea ed estetica del flusso traccia le
linee di una nuova estetica e della sperimentazione artistica che da essa può
scaturire. Si tratta da una parte di un violento e argomentato pamphlet contro
l'arte contemporanea, ritenuta “una congerie più o meno sgradevole di nullità
mercantili”, e dall'altra della tematizzazione ed elaborazione del concetto di
“flusso estetico tecnologico”, considerato come ultima e residua possibilità di
sperimentazione per gli artisti e come chiave per comprendere alcuni aspetti
dell'ontologia contemporanea. Dopo la tecnica ripercorre la storia delle varie
epoche della tecnica sottolineandone la discontinuità e la capacità di agire
configurando, ogni volta in maniera diversa, l'organizzazione antropologica di
chi da esse è abitato. Sulla base di questi presupposti, si mostra come la
tecnica, una volta connessa e dipendente dai bisogni umani, si va rendendo
incondizionatamente autonoma forzando l'uomo a vivere dentro di essa, ad
appartenerle e a favorire il suo sviluppo. Altre saggi: “Arte come soprastruttura”,
Napoli, CIDED, Teoria e Sociologia dell'arte, Napoli, Guida Editori, Sulle
funzioni della critica d'arte e una messa a punto a proposito di Marcel
Duchamp, Napoli, M.Ricciardi Editore, Il ‘lettrismo' di Isidore Isou.
Creatività e Soggetto nell'avanguardia artistica parigina posteriore, Roma,
Carucci Editore, Le immagini, la folla e il resto. Il dominio dell'immagine
nella società contemporanea, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, Il sublime
tecnologico, Salerno, Edisud, L'estetica dei media. Tecnologie e produzione
artistica, Lecce, Capone Editore, Il ‘lettrismo'. Storia e Senso di un'avanguardia,
Napoli, Morra, La televisione e le passioni, Napoli, A.Guida, 1Lo
‘schematismo'. Avanguardia e psicologia, Napoli, Morra, Lo ‘schématisme
parisien'.Tra post-informale ed estetica della comunicazione, Fondazione
Ghirardi, Piazzola sul Brenta (Padova), Sentimento del sublime e strategie del
simbolico, Salerno, Edisud, Della fotografia senza soggetto. Per una teoria
dell'oggetto tecnologico, Genova/Milano, Co.& Nolan, Il sublime
tecnologico. Piccolo trattato di estetica della tecnologia, Roma, Castelvecchi,
Tecnologie e costruzione del testo, Napoli, L'Orientale, L'estetica dei media.
Avanguardie e tecnologia, Roma, Castelvecchi, L'estetica della comunicazione.
Come il medium ha polverizzato il messaggio. Sull'uso estetico della
simultaneità a distanza, Roma, Castelvecchi, Dall'estetica dell'ornamento alla
computerart, Napoli, Tempo Lungo, Internet e globalizzazione estetica, Napoli,
Tempo Lungo, New Technologies, Artmedia-Museo del Sannio, oDimenticare l'arte.
Nuovi orientamenti nella teoria e nella sperimentazione estetica, Milano,
Franco Angeli, L'oggetto estetico e la critica, Salerno, Edisud, La
disumanizzazione tecnologica. Il destino dell'arte nell'epoca delle nuove
tecnologie, Milano, C. & Nolan, Della fotografia senza soggetto. Per una
teoria dell'oggetto estetico tecnologico, Milano, C. & Nolan, Arte
contemporanea ed estetica del flusso, Vercelli, Mercurio, Ontologia dei media, Milano, Post media books, Dopo la tecnica. Dal chopper alle similcose, Napoli,
Liguori. Il lavoro teorico di C. teso, tra l'altro, a definire la nuova epoca
dell'estetico connessa alle neo-tecnologie elettro-elettroniche e digitali, e a
fare in modo che questa si andasse ben configurando e definendo, si è, per ciò
stesso, sempre accompagnato ad un'intensa attività di promozione
estetico-culturale: agli inizi degli anni ottanta organizza a Napoli, col
supporto della RAI-TV, una grande esposizione di videoarte (Differenzavideo); per
sollecitare una riflessione sugli effetti estetico-antropologici indotti dalle
tecnologie della comunicazione, co-organizza (conPerniola) presso l'Salerno, il
Convegno Estetica e antropologia i cui Atti sono, in parte, pubblicati sulla
Rivista di estetica di Torino, necrea, con l'artista Forest, il movimento
internazionale dell'Estetica della comunicazione che presenta in vari contesti (Electra di Popper, al Centre Pompidou a La
Revue parlée di Gautier, ialla Sorbonne, al Séminaire de Philosophie de l'art
di Revault D'Allonnes); dà luogo al primo evento/rassegna di estetica della
comunicazione (L'immaginario tecnologico, Benevento, Museo del Sannio);
concepisce e dirige, presso l'Salerno, Artmedia, Convegno Internazionale di
Estetica dei Media e della Comunicazione; organizza presso l'Salerno un
Convegno Internazionale su estetica e tecnologia; organizza presso la stessa
Università il Convegno "Il suono da lontano". Eventi sonori e
tecnologie della comunicazione"; realizza, per la RAI-TV (Dipartimento
Scuola e Educazione) la trasmissione televisiva in tre puntate: Un'estetica per
i media; fa svolgere, presso la settecentesca Villa Bruno (S.GiorgioNapoli)
Technettronica. Laboratorio di Estetica dei Media e della Comunicazione;
presenta per la prima volta in Italia presso l'Salerno due videoplays di Samuel
Beckett; fonda e dirige, la Rivista Multilingue Epipháneia. Ricerca estetica e
tecnologie, fonda e dirige, presso le Edizioni Tempo Lungo di Napoli, Vertici,
una «Collana di Estetica e Poetiche» aperta alle questioni estetologiche
connesse ai nuovi media (testi di Piselli, Cauquelin, Adorno, C., Solulard,
Dorfles); co-organizza a Parigi la
Edizione di Artmedia; co-organizza presso l'Salerno il Convegno Internazionale
Tecnologie e forme nell'arte e nella scienza; organizza presso il Museo del
Sannio di Benevento la Mostra New Technologies (Roy Ascott, Maurizio Bolognini,
Forest, Kriesche, Mitropoulos); norganizza presso l'Salerno la IX Edizione di
Artmedia; nco-organizza a Parigi la X Edizione di Artmedia; norganizza presso
l'Salerno un seminario conclusivo di Artmedia dal titolo "L'oggetto estetico
dell'avvenire". Sulle funzioni della critica d'arte e una messa a punto a
proposito di Marcel Duchamp, Napoli, Ricciardi, C., L'oggetto estetico e la critica,
Edisud, Salerno. C., Il 'lettrismo' di Isou. Creatività e Soggetto
nell'avanguardia artistica parigina, Carucci Editore, Roma,Il 'lettrismo'.
Storia e Senso di un'avanguardia, Morra, Napoli, Si veda anche Signe, forme,
schéma, ornement, in "Schéma et schématisation", L'estetica dei
media. Avanguardie e tecnologia, Castelvecchi, Roma, C.Il sublime tecnologico.
Piccolo trattato di estetica della tecnologia, Castelvecchi, Roma, Arte
contemporanea ed estetica del flusso, Mercurio, Vercelli. Inoltre: Technology,
Artistic Production and the "Aesthetics of communication", in
"Leonardo", Tecnologie e costruzione del testo, L'Orientale, Napoli, Reti
e destino della scrittura. Sulla diffusione e la rilevanza del suo pensiero, si
vedano tra gli altri: Bootz, The thesis of Benjamin and C., in Bootz, Baldwin,
Regards Croisés, West Virginia, Abruzzese, Il compiersi della pubblicità dal
manifesto metropolitano ai linguaggi elettronici del presente: pretesti, testi
e questioni, in Lattuada, Nuove tendenze ed esperienze nella comunicazione e
nell'estetico, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane. Kerckhove, L'estetica
dei media e la sensibilità spaziale. Riflessioni su un libro di C., in
"Mass Media",Frank Popper, L'art à l'âge électronique, Paris, Hazan, C.,
professore di estetica, in MCmicrocomputer, Roma, Pluricom. esternalismo/internalismo.
– La nozione di esternalismo (externalism), usata in contrapposizione a quella
di internalismo (internalism), si è sviluppata principalmente in merito ai
dibattiti sulla filosofia della mente e sull’epistemologia ed è attualmente al
centro del dibattito filosofico sulla giustificazione epistemica,
sull’epistemologia sociale, sul ruolo dell’ambiente e dell’esterno negli stati
mentali, nei processi cognitivi e nei processi linguistici e comunicativi; si
parla di e./i. anche in filosofia morale. Nell’e. una conoscenza si considera
giustificata se è causata da processi affidabili derivati dall’esperienza
esterna; diversamente, nella prospettiva internalista, una credenza viene
considerata vera se fondata su esperienze interne al soggetto (per es. il
cogitocartesiano), riconducendo la conoscenza, anche sensibile, del mondo
esterno all’appercezione di stati di coscienza (Kornblith, Epistemology:
internalism and externalism; Bonjour, E. Sosa, Epistemic justification:
internalism vs. externalism, foundations vs virtues). Nella filosofia della
mente, gli stati mentali vengono ricondotti, in prospettiva esternalista, a
connessioni causali con l’ambiente esterno; in chiave internalista, a processi
e fattori interni alla mente. Nella teoria della motivazione morale si parla di
i. allorché si ritiene che vi sia una connessione necessaria fra considerazioni
morali e motivazione, costitutiva della considerazione morale stessa; si parla
invece di e. quando si ritiene che tale connessione si fondi su fattori
concomitanti contingenti. Con l’argomento della ‘Terra gemella’ (twin Earth),
il filosofo Hilary Putnam ha sostenuto che una differenza di estensione, ossia
dell’insieme degli individui cui si applica un concetto o un predicato, è anche
una differenza di significato; questo per dimostrare che i significati non sono
enti mentali, ossia che la medesima parola applicata a due enti diversi (anche
se non apparentemente tali) cambia di significato, benché averne o meno
cognizione dipenda dalla competenza semantica dei parlanti in merito
all’oggetto designato (The meaning of ‘meaning’, Gunderson, ed.,Language, mind
and knowledge). A partire dalle tesi dell’e. semantico (in filosofia del
linguaggio si privilegia la coppia di termini esternismo/internismo) il
dibattito si è esteso alle filosofie della mente e alle scienze cognitive,
indagando se il soggetto cognitivo sia circoscrivibile al cervello e al sistema
nervoso, o se la mente e il mentale includano anche fattori ambientali, sia
fisici sia sociali, ricalibrando i confini fra mente, corpo, ambiente. Nel
dibattito filosofico ha avuto rilievo anche la tesi della ‘mente estesa’ di Clark
e Chalmers (Chalmers, The extended mind, in Analysis; Clark, Supersizing the
mind: embodiment, action, and cognitive extension, ), che riconosce il ruolo dei
fattori extracorporei e ambientali nel costituirsi della mente, ma riguardo
agli aspetti cognitivi non fenomenici (non coscienti). Superando
contrapposizioni troppo rigide fra le due posizioni, nelle tesi esternaliste
più recenti si tende a riconoscere non unicamente la dipendenza causale
dall’esterno del mentale, ma a vedere l’origine del mentale nell’interazione
causale ambiente-corpo-cervello, ciascuno influente nei processi cognitivi e
mentali. In ambito sia semantico sia fenomenico si è differenziato l’e. dall’i.
in base alla possibilità di ‘individuare’ uno stato mentale ritenendo di poter
ricorrere, o meno, a fattori esterni (Wilson, Boundaries of the mind. The
individual in the fragile sciences: cognition). Più recentemente si è teso
invece a privilegiare l’aspetto della realizzazione fisica. Si parla, in tal
senso, di e. del veicolo o anche procedurali, spostando il punto di messa a
fuoco dall’identificazione del contenuto dello stato mentale (intenzionale o
fenomenico) alla natura del sistema di realizzazione fisica di tale stato
(Amoretti, La mente fuori dal corpo. Prospettive esternaliste in relazione al
mentale). Entro l’approccio incentrato sul veicolo e sulla realizzazione fisica
sono state elaborate posizioni differenziate, principalmente riguardo alla
possibilità di comprendervi o meno elementi fenomenici, ossia legati agli stati
cognitivi coscienti.Grice: “Costa uses words in ways we don’t allow at Oxford:
a sign by which nobody signs; and so on.Mario Costa. Keywords: – uomini fuori di sé, blocco comunicante, communicazione sine
contenuto, communicazione fatica, semiotica, estetica della comunicazione,
significante sine significato – segno sine segnato – autoreferenzialita –
asemanticita – sintassi – retorica – codice – intenzione communicative, medio,
messaggio, recursivita, self-reference, meta-linguaggio – linguaggio come
metalinguaggio -- - Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Costa” – The Swimming-Pool
Library. Costa.
Grice e Costa: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale della sinestesia
conversazionale – scuola di Ravenna – filosofia ravennese -- filosofia emiliana
-- filosofia italiana – Luigi Speranza (Ravenna). Filosofo ravennese. Filosofo emiliano. Filosofo Italiano. Ravenna,
Emilia-Romagna. Grice: “My favourite keyword for Costa is ‘contrassegnare’!” –
Grice: ““I love Costa; for one, he improves on Locke; on the composition of
ideas and how to ‘countersignal’ them with ‘vocaboli precisi’ – I explored that
a little in my ‘Prejudices and Predilections,’ when I attack minimalism and
extensionalism, and provide a way which is meant to resemble Locke’s way of
words, or rather Locke’s way of ‘complex’ words, or ‘composite’ (Costa’s
‘comporre’) out of ‘simple’ ones – as in Quine’s worn-out ‘bachelor’ unmarried
male that I play with with Strawson in “In defense of a dogma.” In this
respect, it is interesting to see that Costa also wrote on ‘ellocution’ and ‘sintesi’
versus ‘analisi’!” Figlio di Domenico e Lucrezia Ricciarelli, studia a
Ravenna e Padova. Insegna a Treviso e Bologna, a Villa Costa, Bologna -- è
costretto a riparare a Corfù perché sospettato di essere affiliato alla Carboneria.
Può rientrare a Bologna. Altre opere: “I trattati della elocuzione e del modo di
esprimere l’idea e di segnarla con una espressione precisa a fine di ben
ragionare” – Colla profferenza, “Fa fredo,” C. segna che fa freddo. Il trattato
filosofico della sintesi e dell'analisi; i quattro sermoni dell'arte poetica,
un commento alla Divina Commedia, la Vita di Dante, il Dizionario della lingua
italiana, poesie (Laocoonte), lettere e traduzioni. Letterato neo-classico e dunque tipicamente
italiano e anti-romantico, ammira i corregionali Monti e Giordani e sostenitore
del purismo e del “sensismo” lucreziano in filosofia. Nella lettera a Ranalli
di introduzione al Della sintesi e dell'analisi così riassume le sue concezioni
filosofiche. È necessario, per togliere la infinita confusione che è nelle
scienze ideologiche, di dare all’espressione un determinato valore. Sostengo
che questo non si può ottenere, come crede Locke, colla de-finizione (horismos)
(la quale e una scomposizioni di una idea o di piu idee), se prima la idea non
sia stata ben composta. Sostengo che questa non si puo compor bene, se prima
non si conosce quale ne sieno gli elementi semplici – soggetto e predicato, il
S e P -- Sostengo che un elemento semplice e una reminiscenza relative a una
sensazione, e che la idea si compone di almenno due di sì fatti elementi – il S
e P – la proposizione, ‘segno che p’ -- e del sentimento del rapporto di una
reminiscenza e dell’altra, cioè dei proposizione – nel indicativo o imperative –
il giudizio – il giudicato – e la volizione – il volute. Da ciò conséguita che
l'esperienza (se l'esperienza vale ciò che si sente mediante l'attenzione) è il
fondamento della scienza umana. I kantisti ed altri filosofi distinguono una
idea in una idea soggettiva e in una idea oggettiva, ed attribuiscono
un'origine a posteriori e sintetico alla una ed un'origine a priori e analitico
all’ltra. Questa distinzione può esser buona, ma non è buona l'ammettere che abbiano
origini di natura diversa: a posteriori/sintetico, dal senso – e a
priori/analitico – dall’intelleto – nihil est in intellectus quod prior non
fuerit in sensu. Ogni idea ha un stesso
origine. e questo si fa palese per un solo esempio. Da una idea soggettiva puo
nascere sue proposizioni. Una
proposizione: "La reminiscenza S1 e la reminicenza S2 sono in me”. Altra
proposizione: “La reminiscenza S si associa con la reminiscenza P”. Qual è
l'origine dell’idea dalla quale deriva sì fatta proposizione? Il sentimento.
Dire che la reminiscenza del color di rosa è in me, è dire che sento che è in
me, e dico: “Vedo una macchia rosa”. Così direte dell'altra proposizione.
Dall’idea oggettiva puo nascere una proposizione e altra proposizione. Il corpo
pesa. La rosa manda odore. Da che nasce la proposizione? Dal sentimento (senso).
Perciocché dire che questo corpo pesa è lo stesso che dire che sento il peso di
questo corpo; giu-dico, ovvero, sento che la cagione (causante, causans) della
mia sensazione tattile del senso del tattoo è in questo corpo. Così dire che la
rose manda odore è lo stesso che dire che sento l'odore della rosa, giu-dico,
ovvero, sento che l'odore dela rosa ha una delle cagioni in cose fuori, cioè
che non sono in me. Fra una idea soggettiva e una idea oggettiva non vi è altra
differenza, se non che nella che si suppone oggetiva sento che la cagione (causans) è nella nostra
persona. Nell’idea che si suppone oggetiva sento che la cagione (causans) è in
me (o noi entrambi – nella diada --), nell’idea soggetiva nella cosa (il
reale). fuori. Ma come sentiamo noi che vi sia una cosa (il reale) fuori?
Questo è il gran problema dagl'ideologi non ancora solute. Ma l'ignoranza in
che siamo non dà facoltà legittima alla scuola trascendentali di concludere che
il giudizio dell’idea soggetiva non dipende dal sentire. Il giudicio è un
sentimento, cioè, un rapporto sentito fra una sensazione e altre sensazione,
una reminicenza (il S) e altra reminiscenza (il P); ché se tale non fosse,
nessuno potrebbe dire che l'idea che abiamo di una rosa p.e. ha la sue cagioni
fuori di noi entrambi, perciocché una sì fatta proposizione suppone che l'uomo
che proferisce questa proposizione o explicatura (spiegato) abbia o la
sensazione S e la sensazione P, o le reminiscenza S e la reminiscenza P in
relazione alla sensazione prodotte dalla rosa, e l'idea del sentente. Voi
vedete chiaramente, che nell'uno e nell'altro degli addotti esempii la
modificazione che chiamamo ‘idea,’ e il sentimento dei loro rapporti sono nella
nostre anime ambidue, e che quindi si esprimono falsamente coloro, che dicono
che sentiamo il corpo fuori di noi. Dovrebbero dire, strettamente, che sentiamo
che la cagione (causans) del nostro sentire (sentito) non è in noi entrambe.
Coi fondamenti da me posti si può stabilire una dottrina, se il buon desiderio
non mi acceca, per la quale vadano a terra le opinioni di coloro che disprezzano
il sensismo, e che con odiosa espressione la chiamano dottrina de' “sensuali”.
Con che danno a divedere, che essi mattamente opinano che il materiale organo
del senso (i cinque organi, i cinque sensi) senta e percepisca, senza
accorgersi che se gli occhi (visum) e le orecchie (auditum) e il naso (odore) sentissero
ciascuno separatamente, non potrebbe giammai nascere giudizio alcuno circa la
qualità della sensazione di natura
diversa. L’uomo non potrebbe mai dire che l’odore della rosa mi diletta più del
colore della rosa, e così via discorrendo. Il sentimento di un solo centro,
nostre anime ambidue: e nostre anima ambidue senteno in sé mesima, e non fuori
di sé. Puo parere che questa dottrina del sensismo sia la stessa che quella
dell'idealista irlandese Bercleio; ma essa è diversa, poiché ammette che oltre
la idea vi sieno fuori dell'uomo la cagione (causans) di essa idea. Di questa
cagione (causans) – il reale, il noumeno -- noi conosciamo l'esistenza, e nulla
più. Che cosa e un corpo in se stesso? A questa interrogazione non si può
rispondere se non dicendo che e ignota la cagione della nostra sensazione
condivisa. Sappiamo che esiste, sappiamo che si modifica, e tutto ciò sappiamo,
perché fa della mutazione nell'animo nostro ambedue o nell’anima nostra ambedue.
Dal che si deduce ciò che dianzi vi dissi, che ogni idea ha per loro due primitivi
elementi (il S e P) la sensazione, la reminiscenza, il sentimento che e nelle
nostre anime ambidue, e non fuori di lei. Così la pensa il filosofo chiamato
per beffa dal cattolico romano col nome di sensualista e di materialista.
Materialista a buona ragione si puo chiamare i nostri avversario, o almeno
materialista per metà, giacché ammette che il sentimento del corpo
percepiscano, e giudichino relativamente alla qualità del reale, della cosa
esterna. Leggete le lettere filosofiche di Galluppi stampate non è guari in
Firenze. In Galluppi troverete chiaramente esposte la dottrine sensista, quelle
di Hume circa la cagione, e segnatamente quelle di Kant. Se dalle mie teoriche
si possono ricavare gli argomenti validi a confutare le opinioni del filosofo
trascendentale, o di coloro, che oggi si danno il nome di eclettico – come ha
tempo Cicerone --, io vi prego di compilare alcune note, o vogliam dire
corollarii, pei quali si vegga manifesta la falsità di alcuni principii del
irlandese Bercleio, del scozzese Reid e del scozzese-tedesco Kant, la filosofia
dei quali è fonte della massima parte della moderne follia (Della Sintesi e
dell'Analisi, ed. Liber Liber / Fara Editore). Altre opere: “Alighieri”; “Della
elocuzione” Fara editore, S. Arcangelo di Romagna); “Della sintesi e
dell'analisi” (Giovanni Battista Borghi e Melchiorre Missirini); “La divina
commedia, con le note di Paolo Costa, e gli argomenti dell'Ab.G. Borghi. Adorna
de 500 vignette” (Giovanni Battista Niccolini e Giuseppe Bezzuoli, Firenze, Stabilimento
artistico Fabris,Claudio Chiancone, La scuola di Cesarotti e gli esordi del
giovane Foscolo, Pisa, Edizioni ETS (sulla formazione padovana del Costa, e sulla
sua amicizia giovanile col Foscolo) Filippo Mordani, Vite di ravegnani
illustri, Ravenna, Stampe de' Roveri. Dizionario biografico degli italiani. Una
delle facoltà, onde l'uomo è tanto superiore alle bestie, si è la favella
[fabula – da ‘fa’, speak – cf. fama], mercè della quale i primi uomini non solo
si strinsero in comunanza civile, ed ordinarono la legge ed il governo; ma a
fare più beata e gloriosa la vita crebbero le scienze e le arti, ed ispirarono
con queste l'odio al vizio ed al falso; l'amore della virtù, del vero, del
bello; e i fatti e i nomi degni di memoria ai tardi secoli tramandarono. E qual
cosa è più utile ai privati, ed alla repubblica e più degna e di maggiore
onore, che l'arte di gentilmenle parlare? Per questa ci è aperta la via alla
dignità, alla fortune ed alla fama; per questa le città si mantene ordinata e
pacifica; per questa sono animati i
guerrieri – come Niso ed Eurialo --, encomiato un principio; per questa con più
degni modi si loda e si prega il supremo autore elle cose, e pura e viva si
mantiene nel cuor degli uomini la religione. Laonde, se desiderate onore o
giovamento a voi stessi ed alla Italia, ardentemente volgete l'animo a questo
nobilissimo studio del parlare o discorsare civile. Che se vi fu dolce fatica
l'interpretare e l'imitare gli antichi filosofi romani, non meno dolce vi e il
venire meco investigando il magistero, che è nelle opere loro; imperciocchè,
essendo la favella [la lingua, il parlare] istrumento col quale si commovono e
si traggono gli animi degli uomini, uopo è di volgere sovente la considerazione
alle proprietà dell'intelletto e del cuore umano; il che, pel naturale
desiderio, che abbi mo di conoscere noi stessi, è dilettevolissimo. Mettiamoci dunque
volentieri a quest'opera; e per cominciare con ordine, poniam subitomente al
fine, che si propone chi scrive, perocche non sarà poi difficile temperare ed
ordinare secondo quello il modo del favellare. La favella – nella diada
conversazionale -- intende a *manifestare* (cfr. Vitters) ad altro un pensiero
e un affetto proprio con soddisfazione dell’altro. Ad ottenere questo FINE,
sono necessarie due codizioni. Prima: che la elocuzione sia chiarà – Grice:
“imperative of conversational clarity). Seconda condizione: che l’elocuzione
sia ornata convenevolmente. Parliamo tosto della chiarezza conversazionale, che
poco appresso diremo dell' ornament. La chiarezza da due cose procede. Prima:
dalla qualità dell’espresione, che si pone in uso. Secondo: dalla collocazione –
cum-locatio, syn-taxis -- loro. Prima diciamo della qualità dell’espressione,
L’espressione, che e un *segno* [cf. Grice: Words are not signs] di una idea,
fa perfettamente l'ufficio suo ogni qual volta sia ben determinata, cioè
appropriata a ciascuna idea singolare per nodo, che non possa a verun' altra
appartenere. Per meglio iutendere in che consista la natura loro, bisogna
considerare che ogni idea e composta – il S e P -; e che alcune, differendo da
altre in pochi elementi, abbisognano di segno particolare, per apparire
distinte. Quell’espressione che la distingue dicesi “proprio”. Vaglia un
esempio. L'idea di ‘frutto’ ha per suoi elementi le idee delle qualità comuni a
ogni frutto; l'idea di “melagrana,” oltre i detti elementi, comprende le idee
delle qualità particolari della melagrana: perciò è che, se chiameremo frutto
la melagrana, quando è mestieri distinguerla, non parleremo con proprietà. (cf.
Lawrence: What is that? E un fiore). Ho qui recato il materiale esempio di un
errore, in che è diſficile di cadere, affinché si vegga chiaramente non essere
molto dissimile da questo l'errore di coloro, che d'altre cose ragionando usano
i vocaboli generali (fiore) per ignoranza' de'particolari (tulipano). Tanto
sconvenevol cosa si repula l 'usare una espressione impropria, dice il Casa,
che si hanno per non costumali coloro, i quali, non dan dosene gran pensiero,
pare che amino di essere frantesi, e nulla curino il fastidio di chi si sforza
d'intenderli: all'incontro coloro, i quali usano l’espressione propria,
mostrano di essere civili, essendo solleciti di alleviare altrui la fatica [cf.
Grice, prinzipio di economia dello sforzo razionale], poichè pare che mercè
della espressione proprie le cose si mostrino, non coll’espressione, ma con
esso il dito. I poeti, che sono lodali per la evidenza, onde le cose ci pongono
dinanzi agli occhi ci somministrano
esempi del modo assai proprio. Giovi recarne qui alcuno a schiarimenlo di
quanto abbiamo detto: Come d'un tizzo verde, ch'arso sia dall'un de capi che
dall'altro geme, e cigola per vento, che va via. È qui da notare come
l’espressione “tizzo” e l’espressione “cigola” meglio ci rappresentano la cosa,
che arde, e l'effetto del fuoco, di quello che se Alighieri avesse detto: un
ramo verde fa romore per vento che va via, essendo questa SIGNIFICAZIONE alta a
denotare altra idea non simili in tutto a quella che si voleva esprimere. Cosi
Petrarca disse propriamente: raffigurato alle fattezze conte, piuttosto che
dire alla persona; e Alighieri: levando i moncherin per Ľaria fosca, in vece di
dire, levando le braccia tronche. Qui si vede come l’espressione “fattezza” e l’espressione
“moncherino” sieno meglio usati per essere espressione di SIGNIFICAZIONE
SINGOLARE. Se la proprietà [cf. be as informative as is required – avoid
ambiguity] è si necessaria a SIGNIFICARE la cosa che cade sotto i sensi, quanto
maggiormente nol sarà ella, quando si vogliono esprimere le idee intellettuali
e le morali, che se non fossero determinata in virtù dell’espressione, o svanirebbero
dalla mente nostra, o vi starebbero disordinate e mal ferme? A quel modo che
dalla precisione delle cifre dell'aritmetica dipende la esattezza de’ calcoli,
cosi dalla proprietà dell’espressione dipende quella delle idee e de'
ragionamenti in qualsivoglia delle scienze astratte; e quindi ottima è quella
sentenza del filosofo: consistere il sommo dell'arte di ragionare nel l'uso di
un discorso bene ordinata. Anche Piccolomini ha detto della sua parafrasi di
Aristotele, che la base e il fondamento della elocuzione si ha da stimar che
sia la purità, la netlezza e candidezza – cf. Grice, the imperative of
conversational candour -- di quel discorso, nella quale l'uom parla. Ad
acquistare l'abito di discurrire con proprietà tre cose si richieggono.
Prima, il saper bene dividere le idee
fino ai primi loro elementi. Secondo, il conoscere l'etimologia
dell’espressione (etimo: il vero), per quanto è possibile. Terzo, il rendersi
famigliari le opere degli antichi filosofi romani, ne'quali è dovizia di voci
pure e di modi assai propri. Chi non ha uso delle delle cose è spesso costretto
di adoperare le noiose circonlocuzioni in luogo di un solo vocabolo o di una
breve sentenza, e di abusare de sinonimi. Si dice “sinonimo” l’espressione di una
medesima sigoificazione, o quelli, che rappresentando le stesse idee
principali, differiscono in qualche accessoria. Della prima generazione sono i
seguenti: fine e finimenio; abbadia e badia; consenso e consentimenlo e simili.
Aliri ne trov po nella formazione de' tempi, e de'partecipii, come rendei e
rendetli; visto e veduto; parso e paruto; ma colali sinonimi non sono in gran
numero. La più parle è di quelli che differiscono per aumento, o diſelto di
qualche idea accessoria. Cavallo, corridore, destriero, palafreno, poledro,
rozza, sono espressioni istituite a significare il medesimo animale; ma ognuna
differisce dall'altra. “Cavallo” denola la qualità della specie; “corridore” la
particolarità d'esser veloce; “destriero” ricorda l'uso di menare il cavallo a
mano destra; “palafreno” quello di frenarlo colla mano; “poledro” la qualità
dell'essere giovane; “rozza” quella dell'essere vecchio e disadalto. Le voci
unico e solo sembrano per avventura la stessa cosa; ma il Petrarca disse la sua
donna essere “unica e sola” (one and only), volendo significare che nessun'altra
è nella schiera di Laura, e che nessuna può esserle dala in compagnia. Incontra
alle volte, che le parole istituile a significare un'idea stessa differiscono
per la virtù, che haono di richiainarne alla mente alcun'altra più o men nobile,
o per cagione del suono o vobile o rimesso, o per cagione dell'uso, che di
quella suol esser fatlo in umile o in illustre componimento. Tali sono, a
cagione d'esempio, i vocaboli “adesso” ed “ora”, che significano ‘il momento
presente’, ma “adesso” non sarebbe ricevuto in nobile componimento; dal che si
vede che sebbene ei denoli il punto presente del tempo, come fa l'altro, pure
trae in sua compagnia alcune idee, che il fanno parere di bassa condizione. É
dunque da por wenle che l’espressione, che si dice sinonimo, non sempre ci
rappresentano stesso complesso d'idee; e quindi può intervenire, che ingannali
dall'apparenza, alcuna votla siamo lralli ad usarli impropriamenle. È da
avvertire per ultimo, che ogni espressione antiquale, cioè quelle, che pel consenso
universale de’ filosofi sono stale abolite, non hanno più luogo tra le voci
proprie. Si uilmente sono improprie ogni espressione dei dialelli parlicolari,
e l’espressione forastiera, che dall'uso de' wigliori filosofi non hanno avuto
la cile tadinanza. Le quali tutte non sarebbero bene intese dall'intera Italia;
e perciò denuo essere, da chi desidera di discurrire chiaramente, a lullo
polere schivale. Questo basli aver dello della proprietà, che è la prima cosa,
che si richiede a render chiara le elocuzione. Direino poi a suo luogo come il
trasporlare con altra legge di proprietà l’espressione dal significato proprio
all'improprio giovi maravigliosamente alla chiarezza. In virtù dell’espressione
esprimiamo i nostri giudizii, e collegando insieme il giudizio espresso
formiamo i raziocioii, i quali verranno chiari alla menle altrui, qualvolta
sieno osservate le leggi, di che ora faremo parola; ma prima si vuole
avvertire, cha talora il discorso può es sere ordinato secondo le leggi, per le
quali ' riesce chiaro, ma non avere poi quella forza, quella virtù e quella
eſficacia, che avrebbe, se si disponessero le parole diversamente senza però
offendere le delle leggi. A suo luogo direno della disposizione (sintassi)
delle parole, che agagiunge efficacia al discorso. Ora è a dire solo tanto di
quella, che lo fa chiaro. Ogni giudizio espresso dicesi proposizione. Nel
ragionamento, il quale di nolle proposizioni si compone, alcuna vene ba, che
viene modificata dalle altre. Quella, che è modificata, dicesi principale, le
allre suballerne (o minore). Vaglia a ben distinguerle il seguente esempio del
Casa. Menire i nostri nobili cittadini gli agi e le morbidezze e i privuli loro
comodi abbracciano e stringono, l'impera lore, non dormendo nè riposandu, mu
travagliando e fabbricando, ha la sua fierezza e la sua forza accresciuta.
L'imperatore ha la sua fierezza e la sua forza accresciuta è la proposizione (premessa)
principale (maiore), le altre, che lei modificano, sono le subaltern (premessa
minore). La proposizio ne principale, a somiglianza della principale figura in
un dipinto, dee fra tutte le subalterne campeggiare e risplendere; per ciò è
che vuolsi evitare la frequenza di queste ultime, le quali, allorchè fossero
troppe, invece di raflorzare la principale o premessa maiore, siccome è loro
officio, verrebbero ad indebolirla. Questa si è la prima avvertenza, che circa
le proposizioni subalterne aver dee colui che discurre; indi si prenderà cura
di ben' collocarle. Prima che veniamo a dire quale sia la buona collocazione
loro, è necessario di osservare, che le delle proposizioni subalterne si distin
guono in espresse ed in implicite. Diconsi espresse quelle, nelle quali tutte
le parli loro sono manifeste, come nella seguente: ľuomo è ragionevole. Diconsi
implicite quando il giudizio che si esprime, e significati dall nome addiettivo
o dal nome sustantivo con preposizione o dall’avverbio, come nelle seguenti.
L’uomo GIUSTO è lodato. Pilade ama Oreste. CON. I romani amarono GRANDEMENTE la
patria. Quando si dice “l'uomo giusto” si viene ad affermare che ad esso si
appartiene la giustizia, che è quanto dire giudichiamo che egli è giusto. Si
dica il medesimo delle altre due proposizioni. Ama con FEDE GRANDEMENTE, La
proposizione IMPLICITA (entimema, implicatura) serve a significar del giudizio,
che per abilo la mente umana FEDE amarono suol fare rapidamente; perciò è che
non si denno usare in vece di quelle la proposizione espressa, SPLICITA
(splicatura), perciocchè impedirebbero la spedi tezza dell' intelletto di
nostro compagno conversazionale. Si dovranno ancora nello scegliere la
proposizione implicita (implicatura, impiegato) schivare le inutili, cioè
quelle, che risveglierebbero le idee, che in virtù del solo sustantivo o del
solo verbo possono essere richiamate a mente, e scegliere quelle, che meglio
qualificano il significato. Sarebbe, a cagione d ' esempio, vano (redundante) e
noioso l'aggiunto di “bianca” alla “neve” (salvo se il caso richiedesse di far
conoscere parti colarmente questa qualità), essendo che l’espressione “neve”
trae seco, senz'altro aiulo, la idea di ‘bianco’ (cf. ‘atleta’ ‘longo’). Rispello
alla collocazione della proposiziona suballerna, sia ella implicite o espresse,
la regola (massima, imperativo) si mostra di per sé: imperciocchè, essendo
intese a denotare alcuna qualità del signato o da' sustantivo o da' verbo o da'
participio, deve chiaramente apparire a quali di queste parti dell'orazione (l’otto
parti dell’orazione – partes orationis) vogliono appartenere; e perciò fa
mestieri collocarle in luogo tale, che mai non venga dubbio se sia poste a
modificare piuttosto l'uno, che l' altro o verbo o participio o sustantivo.
Quao do a ciò si manca nasce perplessità (“misleading, but true) come nel
seguente luogo di Boccaccio. E comechè Aligheri aver questo libretto fallo
nell'età più matura si vergognasse. Qui può sembrare che il libretto sia stato
falto nell' età più matura; che se avesse dello: comechè egli aver futto questo
libretto si vergognasse nell'età più matura, la proposizione sarebbe stata
chiarissima. Alcuna perplessità è ancora in quest'a tro di Passavanti: Leggesi,
ed è scritto dal venerabile dottor Beda, che negli anni domini ottocento sei un
uomo passò di questa vila in Inghilterra. Comechè non sia per cadere nel
pensiero di alcuno che colui, che si parle di questa vita, possa andare in
Inghilterra, nulladimeno, per quella collocazione di parole, la mente di chi legge
resla alcun poco sospesa. Molte TRASPOSIZIONE – Grice: William Blake: love that
told cannot be, love that never told can be --, che si biasimano nella lingua
italiana, sono spesso con venevoli NALLE LINGUA LATINA, perchè, nella lingua
romana, il nome aggettivo, che per le desinenze diverse nei generi, nei numeri
e nei casi si accordano col nome sustantivo, rade volte LASCIANO DUBBIO a cui
vogliano appartenere, e rade volte i casi obliqui si confondono col caso retto,
comunque nella proposizione sieno collocati. Bellissimo è in latino il seguente
luogo di CRASSO, riportato da CICERONE. HÆC TIBI EST EXCIDENDA LINGVA QVA VEL
EVVLSA SPIRITV IPSO LIBIDINEM TVAM LIBERTAS MEA REFVTABIT. Tenendo l'ordine di
queste parole nella lingua italiana si produce falsità nella sentenza. Sconvolgendolo
si perde tutta l'efficacia. Se dico. Questa lingua li è d'uopo recidere: recisa
questa, col fiato stesso la tua sfrenatezza la libertà mia reprimerà’ – Appare che
LA SFRENATEZZA reprima LA LIBERTÀ. Se, per
lo contrario, dico. La libertà mia reprimerà la tua sfrenatezza, toglieremo
alla sentenza molto della sua forza – devuta a una disobbedenza intenzionale
della massima conversazionale d’evitare l’ambiguità. Vedremo a suo luogo la
ragione, per cui la diversa collocazione di una espressione semplice rafforza o
snerva l'espressione complessa. Ora ci basta osservare, poichè cade in acconcio,
che le varie lingue -- parlando ora della sola facoltà, che hanno di PERMUTARE
IL LUGO ALLE PAROLE – “love that never told can be”/”love that told can never
be” -- luttochè sieno alle a qua. Junque
specie di componimento, nol sono ad esprimere uno stesso concetto nella stessa
FORMA – massima conversazinale della forma, non del contenuto --; perciò è che
quando si trasportano le scritture da una favella ad un'altra non dove
l'espositore darsi briga di ritrarre espressione per espressione. Avendo rispetto
al genio della lingua, cerca di produrre per altro convepevol modo nell’animo
di nostro compagno conversazionale gl’effetto che l’espressione in lui operano.
Per fuggire le equivocazioni [cf. Grice, avoid ambiguity] giov ancora badare
ne' verbi alla prima voce dell'imperfetto dell'indicativo – “amava” -- la quale
è simile alla terza, dicendosi “amava” +> “io amava”; “amava” +> “colui amava” – cf. latino: ‘amaba’/’amabaT’
--. Perciò a distinguerle è sovente bisogno di preineltere all’espressione ‘AMAVA’
– latino: AMABA/AMABAT -- il nome o il pronome. Giova spesso alla CHIAREZZA, e
segnatamente nell’espressione complessa o composita, il ben distinguere le
persone e le cose, delle quali si parla (il topico). E perciò sta bene talvolta
il *ripetere* il nome sostantivo per non confondere l’una coll'altra. Imperciocchè,
i pronomi e i relativi sogliono spesso essere cagione di equivoco – confusione
– cf. avoid ambiguity, be perspicuous [sic], the imperative of conversational
clarity. E questo interviene specialmente, quando nella proposizione
antecedente sono più nomi sustantivi di un medesimo genere e numero, che si
possono accordare coi relativi delle susseguenti. Perciò, conviene tal volta o
giovarsi di un sinonimo onde porre in luogo di alcun nome mascolino un
femminino. O inulare il numero del più in quello del meno. O viceversa. Può ancora
geverarsi PERPLESSITÀ nell'usare il possessivo “suo” e “suoi,” invece de
relativo lei, lui e loro; e perciò alle volle è necessario adoperar questo per
quello, come nel caso seguente. “MAI DA SÈ PARTIR NOL POTÈ, INFINO A LANTO CHE
EGLI [CIMONE] NON L’EBBE FINO ALLA CASA *DI LEI* ACCOMPAGNATA” (Boccaccio). Se Boccaccio avesse detto: “fino
alla casa SUA accompagnata”, si sarebbe potuto credere essere QUELLA DI CIMONE!
Per far maniſesta (esplicita, chiarissima) la connessione de'ragionamenti sono
assai opportune le particelle copulative (“e” – He went to bed and took off his
trousers” (Urmson); avversative (“ma” – Lei e povera, ma onesta – Frege,
FARBUNG), illative (“se” – se p, q – FILONE, DIODORO, CRISIPPO) e somiglianti –
e disgiuntiva (“o” – “Lei sta alla cucina o alla stanza di dormire”). Molli
fra' filosofi italiani, ad imitazione de’ filosofi francesi, sogliono scrivere
a piccoli membri, senza congiungerli insieme colle particelle, e in ciò sono da
biasimare, iaperciocchè costringono la mente o l’animo di nostro compagno
conversazionale a passare “di salto” da una proposizione all'altra senza dargli
occasione di scorgere subitamente le attenenze (pertinenza, relevanza – cf.
Grice, category of relation – be relevant – a ‘platitude’ -- Strawson) loro. JILL: JACK IS AN ENGLISHMAN; HE IS, THEREFORE, BRAVE” – deduzione,
induzione, adduzione? --. Affinchè si vegga manifestamente quanto la
mancanza de' legamenti tolga di chiarezza al discorso, leverò dal seguente
luogo di PASSAVANTI le particelle che ne conneltono le parti. Qualunque persona
sogna, pensi se il suo sogno corrisponde all’affezione sua, a quella che più ta
sprona. Se vede che si, non a. spetti che al sogno suo debba altro seguitare.
Quel sogno non è cagione alla quale debba altro effetto seguitare; è l'effetto
dell'affezione della persona. Tale sogno oseservare, cioè considerare donde proceda,
non è in sè male: è l'effetto di naturale cagione. Facciamo congiunti questi
membri colla particella “e”, la particella “imperciocchè”, la particella “ma” e
vedremo il discorso apparire più chiaro (“She was poor and she was honest”). Qualunque
persona sogna, pensi se il suo sogno corrisponde all’affezione sua, a quella,
che più lu sprona. *E* se vede che si, non aspetti che al sogno suo debba altro
seguilare; *imperciocchè* quel sogno non è cagione, alla quale debba altro
effetto seguitare; *ma* è l'effetto del l'affezione della persona; e tale sogno
osservare, cioè considerare donde proceda, non è in sè male: imperciocchè è
l'effetto di natural cagione.” Questi pochi avvertimenti basteranno, se io non
erro, a render cauti i conversatori che desiderano di conversare chiaramente.
Tralascio le wolle cose che i filosofi hanno ragionato in torno la proposizione,
poichè mi pare che, qual volta siasi imparato a distinguere la proposizione principale
(premessa maiore) dalle proposizione subalterna (premessa minore), e siasi
conosciuto che la virtù di queste si è di modificare le parti dell'altra, non
faccia mestieri di *molto sottile* ragionamento a sapere in che modo elle si debbono
collocare nella orazione o espressione complessa; perciò senza più entro a
parlare dell' ornamento. La perſezione dell'arte del conversare nella LINGUA
LATINA, secondo CICERONE, consiste nell'esporre chiaramente, or nataniente e
convenevolmente le cose o il topico, che a trattare imprendiamo. Di quella
chiarezza e di quell'ornamento e decoro – CANDORE --, che dall’invenzione e
disposizione della materia procede, si ragiona nella rettorica – G. N. LEECH:
“H. P. GRICE’S CONVERSATIONAL RHETORIC”. Accade qui di parlare delle suddette tre
qualità solamente rispetto al modo di significare (modus significandi) il
concetto ritrovati. Avendo abbastanza detto della prima, diremo ora delle altre
due, che fanno il discorso – la mozione, mossa, o moto, conversazionale --
accetto a nostro compagno conversazionale. Grice: “I’m not
surprised that the Italians start the cataloguing of the maxims of
conversations by the MANNER, rather than the CONTENT!” -- Prima di tutto si
vuole osservare che la proprietà delle voci e l'ordinata (cf. Grice, be
orderly) composizione loro generano gran parte della BELLEZZA DEL DISCORSO –
Grice: “My maxims aim at rational cooperation, they are not moral or aesthetic
in purpose.”. Imperciocchè
fanno sì, che esso sia inteso senza fatica, che è quanto dire con qualche sorta
di piacere. Ma questo non basta; chè nessuno per verità loda il conversatore
solamente perchè si fa intendere dal suo compagno conversazionale; ma lo
biasima e sprezza, s'ei fa altrimenti. Chi è dunque che faccia meravigliare gl’uomini
e tragga a sua voglia le volontà loro? Chi è applaudito e chi è venerato più
che more tale? Colui che NEL CONVERSARE è distinto, COPIOSO – ma non *troppo*
copioso --, splendido, armonioso, e che queste qualità, onde si forma
l'ornamento, congiunge al decoro – CANDOR – veracita e sincerita. Que' che
conversa co'rispetti, che la qualità delle materia e del compagno
conversazionale richiede, solo merita lode: che qualsivoglia ornamento DISGIUNTO
DAL DECORO diviene sconcezza e deformità. Molto leggiadre ed efficaci sono le
voci proprie, che per cagione del loro suono hanno somiglianza col significato,
o quelle che ne ricordano qualche particolare qualità. E espressione, che ricorda
il significato per somiglianza di suono le seguenti: “belato”; “ruggito”;
“soffio”; “nitrito”; “boato”; “rimbombo”; “tonfo”, e molte al tre, che per
alcuni furono sono termini figure, a differenza di quelle, che, non avendo
soosiglianza veruna col significato, sono delle termini memorativi o cifre. Fra
i termini figure voglionsi annoverare, oltre le voci che abbiamo teste accennat,
quelle che o provengono da altr’espressione, che è segno di cosa somigliante al
signficato che si vuol esprimere o communicare (cf. Grice on the circularity of
analyising ‘signare’ e ‘communicare’), o ricordano l'origine o gl’usi del
significato. L’espressione “spirito” è bella per certa tal qual somiglianza,
che il significato, cioè l’immateriale sostanza, sembra avere col fialo o con
qualsivoglia altra sottil materia, che SPIRI (onomatopoeia) e preferibile a
‘animo’. Belle similmente e l’espressione “moneta” e l’espressione “pecunia”.
la prima delle quali, venendo da “moneo”, significa che il metallo ed il conio
ammoniscono la gente circa il valore di essa moneta. La seconda, venendo da “pecus”,
ricorda l'origine del denaro, che fu sostituito ai buoi ed alle pecore, antica
inisura delle cose mercatabili. Ho qui posti questi due esempi ancora perchè si
vegga quanto giovi alcuna volta l'investigare l’etimologia. Concorrono co' termini
propri e co' termini figure a far bella la mozione conversazionale le parole
nobili, qualvolta sieno convenevolmente adoperate. Accade delle parole, dice
Pallavicini, che comunemente accade degli uomini nel civil conversare. Questi
acquistano ripulazione o vilipendio dalla qualità delle persone colle quali
usano farnigliarmente; e le parole dalla qualità delle persone da cui sono
sovente proſerite; e ciò interviene perchè tutti hanno per fermo, che i personaggi
illustri e gl’uomini letterati sieno ESPERTI A CONVERSARE *con legge*, e che la
plebe allo incontro parli e cianci barbaramente. Avviene da ciò che alcune
voci, che significano cose vili o laide [‘the --- bishop fell from the – stairs
– profanity – Grice], sono tuttavia tenute per nobilissime. All 'opposito altre
ve a'ba, che, nobili cose significando, in grave componimento non sarebbero
lodate. Della prima spezie sono in Italia l’espressione “lordo”; “lezzo”;
“tube”; “piaga”, ed altre, che nelle più nobili conversazione sogliono essere
usate. Dall'altro canto, l’espressione “papa”, siccome osserva il lodato cardinale
Pallavicini, la quale nobilissimo personaggio rappresenta, non sarebbe ricevuta
in grave componimento poetico. In tre schiere vengono separate da Pallavicini
le parole rispetto la maggiore o minore nobiltà loro. Nella prima si collocano
quelle, che dal conversatore in nobile conversazione e usata a significare un
concetto grande ed il lustre. Vocaboli di questa specie non si potranno senza AFFETAZIONE
adoperare in tenue argomento, o in famigliare discorso. Che se alcuno
famigliarmente usa l’espressione “pugna” in vece di “battaglia”; “luci” in vece
di “occhi”; “accento” o “nota” in vece di “parola”, certo è che moverebbe a
riso il compagno conversazionale. La seconda schiera è di quella espressione,
che vanno egualmente per le bocche degl’uomini ragguardevoli e del popolo, e
che si possono senza biasimo usare in ogni occorrenza. La terza poi è di
quelle, che sono avvilite nella bocca della plebe, come e l’espressione
“pancia”; “budella”; “corala” e simili, le quali possono essere opportune in
una conversazione intesa ad avvilire alcuna cosa, come e la mossa, noto, o mozione
conversazionale ‘satirica’. Anche le espressione antiche, qualvolta elle hanno convenevole
forma e non sieno passate ad altro significato [non multiplicare sensi piu di
la necessita], vagliono à nobilitare la conversazione. Ma si richiede somma
cautela in co lui che a vila le richiama, poichè una espressione antiquata,
ollrechè spesso portano seco oscurità [cf. Grice, ‘avoid obscurity of
expression, procrastinate obfuscation, be perspicuous [sic]], ‘avoid
unnecessary proliity [sic]’], più spesso fanno l'orazione ricercata e deforme.
E chi oggi potrebbe, senza indurre a riso il compagno conversazionale,
l’espressione “beninanza”; “bellore”; “dolzore”; “piota”, “spingare” ed altre
simili d’usare. Ora diremo della metafora (“You are the cream in my coffee), la
quale, usata opportunamente, è lume e vaghezza della orazione. Prima è a sapere
che gl’uomini selvaggi per essere scarsi di cognizioni mancarono
dell’espressione, e che volendo eglino significare alcuna cosa non ancora
significata, fanno uso naturalmente di quella espressione gia usata, la quale e
inventata a contras-segnare *altra* cosa somigliante in qualche parte all'idea
novella (“You are LIKE the cream in my coffee”). Occorrendo loro, per esempio,
di significare alcun uomo crudele, il chiamarono “tigre” per la somiglianza
dell'indole di colal bestia con quella dell'uomo crudele. Cosi dissero assetate
le campagne asciulle, “volpe” 1'uomo astuto (“sly as a fox” – he is a fox),
“capo del monte” la cima – ‘top of the heap’ ‘New York, New York’ -- e “piè” del
monte la falda di quello. Per gl’addotti esempi si vede questo trasporlamento (meta-bole,
transferenza, trans-latio) di una expression da un significato propio e vero ad
un significato impropio e falso (“You are the cream”) altro non essere che una
similitudine ristretta in una espressione (“You are like the cream –
simplifcata a “You are the cream”); imperciocchè la seguente similitudine
spiegata. La comparazione vera “Costui è crudele COME una tigre” si restringe, per
brevita, in questa forma metaforica falsa. “Costui è una tigre”. È dunque la
metafora una abbreviata similitudine [an elliptical simile], che si fa recando
una espressione dal significato proprio al signficato improprio: e perciò da
Aristotele è detta imposizione del nome d'altri. Siccome la metaſora e da
principio usata per *necessità*, potrà parere ad alcuno che crescendo il numero
delle idee determinate e della espressione propria, la metafora divenga
pressochè inutile – o una figura di retorica --; ma non accade cosi: perocchè,
sebbene fra le conversatori civili e culle non sia tanto necessaria quanto fra
le selvagge e rozze, pure la metafora è e sempre luce e VAGHEZZA della
conversazione per virtù e forza di quelle sue qualità. La metafora presenta
spesso all'animo più chiaramente ogni sorta di concetti, poichè, veslendo di
forma *sensibile* una idea non-sensibile, o intelleltuale (nihil est in
intellectu quod prior non fuerit in sensu), ce le pone davanli agli cinque
sensi. Vuole Alighieri significare che non è meraviglia se per la le nuità della
nostra fantasia non possiamo per venire ad imaginare le cose, che Alighieri
desidera narrare del Cielo; e questo con una metafora dicendo. E se le fantasie
nostre son basse a tant'altezza non è maraviglia. Per tal modo il concetto, che
era tutto non-sensibile e intelettuale, divenne sensibile e per conseguente più
chiaro (cfr. Grice, ‘be perspicuous [sic] – the imperative of conversational
clarity] e più popolare. E se taluno volendo dire che gl’uomini bugiardi saono
talvolta infingersi e comporre gl’atti e le parole a modo di parer verilieri,
dice che la menzogna prende talvolta il manto della verità, non significherebbe
egli il suo concetto assai vivamente. (He said that she
was the cream in her coffee, By uttering ‘You’re the cream in my coffee” U
signs – explicitly – THAT the addressee is the cream in the utterer’s coffee. Fra tutte
le metafore poi e più efficace quella metafora che si cava da una qualità
sensibile, corporea, materiale, che si mostra a le cinque sensi, e forse la
ragione si è questa. Alla reminiscenza della qualità di un corpo, la quale ci
vengono all'animo per i cinque sensi, più tenacemente si associano le idee, che
di essi ci vengono per gli altri sentimenti; quindi è che ogni qualvolta ci
riduciamo a memoria una della qualità sensibile (in questo caso visibile) del
reale (un oggetto) quasi tutte le altre appartenenti a quello pur si
risvegliano, e vivamente ed intero lo ci pongono dinanzi agli “occhi”
dell'intelletto. Laonde se belle sono le metafore – parola dolce. che si cávano
dalla qualità, da cui sono affetto: l'odorato (secondo senso dell’odore), il tatto
(terzo senso del tatto), l'udito (quarto senso dell’audizione) e il gustato
(quinto senso del gusto), come queste: odore di santità – odore santo, durezza
di cuore – duro cuore, ruggir di venti, vento ruggente -- dolcezza di parole;
parola dolce -- più bella, per che più viva si presenta all'animo, entrando
quasi per gli cinque organi de’cinque sensi, sono le seguenti. Splende la gloria
(visum). Folgoreggiano gli scudi. Ridono i prali (udito). Si rasserena la
fronte; l’anima è oscurata per tristezza. Piacquero ad Aristotele sommamente
quella metafora, che ci rappresenta (re-praesentatum, rappresentato) la cosa in
mozzo, e principalmente quando la metafora attribuisce a una in-animato una
operazione di un animato.Tali sono queste di Omero. Le saette di volar desiose;
inorridisce il mare. Anche VIRGILIO, parlando di una satta entrata nel petto di
una vergine, dice. Harsit virgineumque alle bibit hasta cruorem. Si dalla
metafora ci pone la cosa vivamente quasi innanzi agl’organi dei cinque sensi, e
per la “novità” o vita (no morte) loro ci fanno maravigliare. La metafora,
siccome dice Aristotele, partorisce dottrina, facendo conoscere fra le idee
alcuna attenenza dianzi non osservata. Quale attenenza scorgesi tosto fra un
manto e la nobillà della prosapia? Certamente nessuna: pure veggasi come
Alighieri ce la fa scorgere. O poca nostra nobiltà di sangue, ben tu se'manto,
che tosto raccorce, sì che se non s'appondi die in die lo tempo ya d'intorno
co' la for Coine un bello e ricco manto adorna la persona di colui che sen
veste, così adorna l'animo d' alcuni uomini quell'onore che ricevono pei pregi
degli avi loro, e che chiamasi nobiltà: ma, se per virtù novella non si
rinfranca, ei viene di giorno in giorno scemando. Questi pensieri il divino
poeta ci reca alla mente colla nuova similitudine, e ci dilella e ci illumina.
Vale eziandio la metafora a muovere con maggior forza l’affeto, perciocchè,
laddove alcuna volta parole proprie astretti a recare alla mente di nostro
compagno conversazionale le idee una dopo l'altra, la metafora,
rappresentandole tutte ad un tempo, assale l’animo con veemenza. Basti un solo
esempio di PETRARCA, il quale rivolto alla morte così le dice: con saremmo me dove
lasci sconsolato e cieco, poscia che il dolce ed amoroso e piano lume degli
occhi miei non è più meco? Quali e quanli pensieri si destano nella mente
all’espessione “cieco” e la frase/espressione frasale “lume degli ochi miei”!
Ma circa l'uso della metaſora nell’aſſetto si vuole por menle che ella non
mostra il lavoro e la fatica dell’intelletto,
perocchè non è verisimile che colui, che ha l'animo perturbato, si perda a far
cerca d'ingegnosi concetti e figure retoriche. È ancora pregio della metafora
di coprire con velo di modestia e di gentilezza il segnato, che espressa con un
termino *proprio* (e non un termino figura como e la metafora) sarebbero odioso
o turpo. Ecco un bell’esempio di Passavanti. La innata concupiscenza, che nella
s vecchia carne e nell'ossa aride era addor meniata, si cominciò a svegliare:
la favilla, quasi spenta si raccese in fiamma; e le frigide membra, che come morte
si giacevano in prima, si risentirono con oltraggioso orgoglio. E VIRGILIO dice.
O luce magis dilecta sorori, Sola ne perpetua moerens curpere juventa? Nec
dulces natos, Veneris nec praemia noris? Questo e i principale vantaggio della
metaſora, onde sovente viene preferita al termino proprio. Diremo ora dei vizii
che talvolta elle possono avere. Se bella e la metafora che fa scorgere una maniſesta
somiglianza tra due segnati (‘you’ ‘the cream in my coffee’), da che si toglie
il vocabolo e l'altra, a cui si reca, chiaro è che deformi saravno quelle, che
tengono ji paragone di rose o polla e poco somiglianti, e che sono male
acconcie al proposto dne (“a woman without a man is a fish without a bicycle”).
Nessuna somiglianza si vede fra le cose paragonale nella seguente metafora di
MARINI. Folendo egli lodare un maestro, che formara bellissimi esempi da
scrivere, esalta la penna di lui, dicendo ch'ella deve essere divina: Perchè
una penna sela, Benchè s'alzi per sè pronto e sicura, Se divina non è tanto non
rola. E qual somiglianza è mai tra il relare e lo scrivere? E tolta da peca
somiglianza quella metafora che volendo segnare una cosa piccola prende da una
cosa grande l'imagine, e al contrario. Mariai assomiglia le lacrime della sua
douna a'lesori dell'Oriente, e Tertulliano il diluvio universale al bucato.
Erro similmente colui che dice a suo amante. Son gli occhi resiri archiòugiati
a ruote, Ele ciglia inarcale archi turcheschi. È bellissina la metafora che
Poliziano tolse al Boccaccio. E le biade ondeggiar come fa il mare. Sarebbe
difettosa quest’altra. E tremolare il mar come le biade. Viziose come le
sopraddeile sono la più parte delle metafore usate dagli scrittori del secolo
XVII, e soprattutto dai poeti, i quali sriscerarano i monti per estrarne i
metalli, face vano sudare i fuochi, ed avvelenavano l'obolio colp inchiostro.
Parmi inutile cosa l'estendermi in questa materia, essendochè il nostro secolo,
sebbene incorra in altri vizii, di così falle baie si mostra nemico. Della
metafora e l’analogia che e alquanto dura, ė da sapere che puo essere
mollificata per certa maniera di dire, quali sarebbero: quasi – per dir cosi e
che alcune ve nha, che sono state ammollite dall'uso, come la seguente: Fabbro
del bel parlare. Ė da biasimare ancora la metafora, che la sorvenire il nostro
compagno conversazionale di qualche bruttura, o di cosa rile, o che disconvenga
alla gravità della trattata materia o topico. Perciò meritamente Casa
rimprovera ALIGHIERI per essere talvolta caduto in questo difeilo, siccome
quando disse. L'allo fato di Dio sarebbe rotto se Lete si passasse, e lal
vivanda fosse gustala senza alcuno scollo di pentinento. E altrove. E vedervi,
se avessi avuto di tal tigna brama, colui poteri ec. Questa e una imagine
plebea e sconvenienti alla gravità del subbietto. Cosi merita biasimo
Pallavicini, comechè sia maestro sommo nel l'arte dello stile conversazionale,
quando disse, che il cardinal Bentivoglio aveca saputo illustrar la porpora
coll' inchiostro, e quando per accennare la qualità, ond'è costituita
l'eleganza della elocuzione, dice: saputi distintamente quali ingredienti
compongono quesla salsa, cioè l'eleganza; i quali modi sono da biasimare,
essendochè nel primo esempio li vedi dinanzi agli occhi la porpora brullala
d'inchiostro, e nell’altro t’infastidisce l'abbietta voce che sa di cucina.
Similmente non paiono degni di lode coloro, che sogliono usare per vezzo della
conversazione un idiotismo, e segnatamente quello, che ha origine da certa
anticha costumanze dimenticata oggidi. Non merita lode Davanzali quando volendo
dire: o nulla o lullo: disse: o asso o sette. Questo proverbio, oltre chè si è
di vilissima condizione, è tolto da un giuoco, che potrebbe essere sconosciuto
a molli. E proverbio, del quale non si sa l'origine, il seguente; e perciò
freddo od oscuro: Maria per Ravenna, invece di cercar la cosa dove ella non e.
Bastino questi pochi proverbi per moltissimi, che qui si po ebbero recare, e
de' quali vanno in traccia alcuni mal accorti conversatori, onde parere versali
nella lingua antica. Aucora è biasimevole alcune volte la metaſora, che si
deriva dalle materie filosofiche; imperciocchè, se il fine, pel quale il
conversatore usa di quella, si è di rendere più chiaro e più vivo i concetto,
questo non si potrà ottenere traendo la similitudine da cose poco nole o malagevoli
ad intendere, come a la metafisica, che spesso, ond'essere chiarita, hanno
bisogno delle similitudini tolle dalle cose materiali; ma di rado somministrano
imagini, che vagliano a cercar recar luce alle prose ed alle poesie. Pure in questi
tempi sono alcuni conversatori, i quali hanno per vezzo l'usare siffatta
metafora, avvisando d'illustrarne la sua mozzione conversazionale, e di mo
strarsi intendente e sottile; ma va grandemente errato, perciocchè non
solamente appor tano ombra ed oscurità (‘avoid obscurity of expression, be
clear) alla sentenza, ma danno segno di affettazione che è vizio sopra tutti
spiacevole. si è dello di sopra che la metafora diletta, non solamenle perchè
ci pone dinanzi agli oc ebi in forma quasi sensibile un pensiero astratto, ma
ancora perchè ci porge ammaestramento col farci apprendere fra le idee alcuna
attenenze prima non osservata; dal che si deduce che il conversatore, i quali
vogliono recar maraviglia, de guardarsi dall' usare una metafora troppo
comunale, come quelle, che, a somiglianza della monete passata per molle mani,
sono rimase senza vaghezza. Non ogni metafora poi, comechè sia ben derivata, potrà
convenire ad ogni conversazione. Poichè tra le metafore ve n'ha delle più o
meno illustri, converrà avvertire che il grado della nobiltà loro non
disconvenga alla qualità del componimenlo. Similmente nel formare la metafora
si vuole avere riguardo al pensare della gente nella cui lingua si conversa. La
diversità de'luoghi e de' climi fa che gli uomini abbiano diversi i costumi e
le usanze, e perciò diverse ancora le idee e le significazioni di esse.
Impercioc chè, traendo ciascuna gente le similitudini dalle cose, che più
spesso le sono dinanzi agli occhi, incontra che alcun popolo deriva una
metafora da una cosa campestre, lal altro da una cosa marittima, tal altro dal
combinercio o dalle arti, secondo suo silo e costume. Il rigore o la benignità
del clima poi è spesso cagione che l'umana imaginativa sia più vivace in un
luogo e meno altrove; e quindi è che una metafora naturalissime nel Trastevere
appaia ardila e strana nel Tevere. Anche l’essere le geoli più o meno civili
cambia la natura della metafora; perciocchè dove sono leggi meno buone, ivi è
più ignoranza del vero; e dove è più ignoranza del vero è più amore del
verisimil; il che torna il medesimo, ove è minor virtù intelleltiva, ivi abbonda
la forza della fantasia. Cadono perciò in gravissimo errore coloro, che,
imilando il volgarizzamento di Ossian falio da Cesarolli, sperano di venire in
fama di sommi poeli toglieodo sempre la metafora da'venti e dalle tempeste, dai
torrenti, dalle nebbie e dalle nuvole. Paiono a costoro inaravigliose
squisitezze e delizie i seguenti, e simili modi: sparger lagrime di bellà - i
figli dell'acaciaro il tempestoso figlio della guerra siede sul brando
distruzione di eroi dar. deggiano gli sguardi rotola la morle - urlano i
torrenti. Cotale metaſora, che per avventura e naturale a'popoli selvaggi, sono
in Italia ridevoli e sciocche fantasie. Alla diversa indole delle genti debbe
anche por mente chi dall' una lingua all'allra trasporla i versi e le prose, se
non vuole produrre nell'animo di nostro compagno conversazionale effetto
contrario a quello che l'autore straniero o forastiero o del Trastevere
produsse in coloro, ai quali volse le sue parole. Affiuché si vegga
manifestamente che non lutte lete. metafore convengono a tulti i popoli,
recherò qui alcuni esempi che a questo proposito Tagliazucchi toglie dalla
lingua latina. Bella metafora si è questa presso Virgilio: classique im millit
habenas; deformità sarebbe tradu re in italiano: melte le briglie alla flolla.
Così per segnare il pane corrotto dall'acqua dice lo stesso poeta. Cererem
corruptam undis; mal si tradurrebbe: Cerere corrolla dall'onde. Orazio disse.
lene caput aquae sacrae; e si tradurrebbe malissimo in italiano: il dolce capo
dell'acqua sacra. Per segnare il liero sdegno d'Achille dice: gravem sioma chum
Pelidae; e malissimo si tradurrebbe: il grave stomaco del Pelide. Moltssime
altre metaſore potrei qui recare, che sono proprie solamente della lingua
latina; ma chi ha cognizione della lingua latina conoscerà di per sè la verità
di quello che io dico, ed argomenterà quanto debbono differire nella metafora
la lingua italiana e quelle de'popoli da noi disgiunli e per costume e per
clima, se tanto differiscono l'italiana e latina con islrelto vincolo di
parentela congiunte. Una regola o massima o omperativo da osservarsi nell'uso
della metafora si è di non aminassarle nella conversazione, ma collocarvele
parcamente e di guisa, che paiano, come dice Cicerone, esserci venule
volonterosamente, e non per forza nė per invadere il luogo altrui. È da
avvertire in secondo luogo, che la metafora o non si dee congiungere con altra
metafora o con voci proprie di maniera, che fra queste e quella si scorga
opposizione maniſesta. Se per esempio avrai detto che Scipione è un fulmine di
guerra, non dirai tosto che egli trioníò in Campidoglio. Se paragonerai
eloquenza ad un torrente, non le attribuirai poco appresso la qualità del
fuoco, ma avrai cura che la metafora sia sempre collegata (e no mista) colle
idee prossime di guise, che nostro compagno conversazionale non trovi mai
contrarietà ne' tuo concetto. In questo difetto caddero anche alcuni autori
eccellenti, come Petrarca nel Sonetto XXXII, dove, cominciando dal dire
metaforicamente, ch' egli ordisce una tela, prosegue: ſ ' farò forse un mio
lavor si doppio fra lo stil de'moderni e il sermon prisco, Che (paventosamente
a dirlo ardisco) Infino a Roma ne udirai lo scoppio. Ma non così egli fece nel
Sonetto che comincia Passa la nave mia colma d'obblio, chè in esso avendo preso
ad assomigliare gli amorosi affanni suoi alla nave, da questa imagine non si
diparte sino alla fine. Non intendo io però di affermare coll’esempio di questa
allegoria, che in breve discorso non possano star bene insieme più metafore di
natura diversa; ma di avveitire che assai disconviene il trapassare da una
similitudine ad un'altra inconsideratamente e quasi per salto. Giova moltissimo
talvolta a render chiare e naturali quella metafora, che per se medesime
sarebbero ardite e spiacenti, il preparare per convenevole modo l'animo di
nostro compagno conversazionale. Se taluno volendo dire che gli uomini per mal
esempio altrui caggiono in errore, dicesse caggiono nella “fossa” della falsa
opinione, use rebbe certamente ardita e spiacevole metafora: nulladimeno ella
diviene bellissima, qualvolta per le cose antecedenti ne siamo disposti. Va.
glia l'esempio di Alighieri. Dopo aver ricordata la nota sentenza se il cieco
al cieco sarà guida cadranno ambedue nella fossa prosegue: i ciechi
soprannominati, che sono quasi infiniti, con la mano in sula spalla a questi
mentitori sono caduti nella fossa della falsa opinione. Cosi l’ardita metafora
divenla parte di una vaghissima dipintura, che viene quasi per gli occhi alla
mente, ed ivi s'imprime e lungamente rimane. Sono certi scrittori, i quali
riducono le idee astratte a termini più astratti (obscurus per obscurius) di
quello che si converrebbe cercand a tulto potere di al lontanarle da' sensi: indi
a questi loro soltilis simi concelti uniscono molte metafore repugnanti fra
loro, il che fa che la mente di nostro compagno conversazionale tra questi estremi
e tra questi contrari confusa nulla comprenda, come si può di leggeri conoscere
nel seguente esempio tolto da un libro moderno: A giudizio dei savi scorgesi
palesement, che nelle vedute su blimi della gran madre anche l'emulazione,
principio avvedutamente inserito nella costituzione dell'uom, ' concorrer deve
a scuotere ed a sferzare l'industria, on de riguardo allo sviluppamento di
questa [Oh quanta confusione ed oscurità in tanta pompa di parole! Pare che il
conversatore volesse dire, che i savi conobbero che la natura ha posto nel
cuore dell' uomo il desiderio d'emulare gli altri; e che da questo procede
l'industri; ma accoppiando i vocaboli principio e costituzione, che sono segni
d'idee molto astratte, colla melaforica voce “inserire” ha composto un enigma;
perciocchè nessuno polrà imaginare chiaramente siffallo innesto. Più strana poi
diviene la metafor, quando l'astratto segnato dalla espressione “principio” si
fa a scuolere ed a sferzare l'ind stria falla inopportunamente persona per
trasformarsi losto in altra cosa, che si sviluppa a guisa di una malassa. In
questa forma la metafora, che e vaghezza e luce della favella, diviene tenebre
alla mente e vano suono (flatus vocis) agli orecchi. Conciossiache L’INTENZIONE
del conversatore non sia solamente di render chiaro il concetto, ma di farlo
talvolta dilettevole e maraviglioso, interviene che alcuni, per recare altrui
dilelto e maraviglia, si fango a derivare dalla metafora certe loro
conseguenze, come se in quella non già una simililudine si contenessa, ma come
se la cosa a cui si reca il nome novello, veramente si trasformasse nella cosa,
donde esso nome si toglie. Di questa specie di concetti si presero diletto i
prosatori ed i poeti del secolo decimo settimo, forse per desiderio di avanzare
gli scrittori delle altre elà, ed in fastidirono tutti i sani intellelli. Basti
di ques 1 [Atti dell' Costitulo pazionale. era sti vizi un solo esempio. Ugone
Grozio, per mostrare che non a dolere la morte di Giovanna d'Arco, dopo aver
lodate nel principio di un epigramma le virtù di lei, sog giunse: Necfas est de
morte queri, namque ignea tota aut numquam, aut solo debuit igne mori. Con
l’espressione “fuoco”, imposta a cagione di similitudine, viene il conversatore
a trasformare la misera vergine in vero fuoco materiale; e quindi trae la
strana conseguenza, che ella mai non dovesse morire, o morire nel fuoco.
Similmente si è frivolo modo e sciocco il derivare la metafora dalla
somiglianza ed uguaglianza de'noni imposti a cose diverse, ALLUDENDO all' una
di esse mentre si fa mostra di ſavellare dell'allra. In questo difetto incorse
anche il primo de'nostri poeti lirici quando, piangendo la sua donna, parla del
lauro, ed allude freddamente al nome di lei, come nella canzone, che comincia, Alla
dolce ombra delle belle fronde ed in molti altri luoghi si può vedere. Essendosi
fin qui parlato de' pregi e de'vizi delle metafore, cadrebbe in acconcio il
ragionare degli altri traslati di parole e di concetto e della figura: ma, perciocchè
queste cose sono state definite e largamente dichiarate da tutti i retlorici,
stimo che qui basti il ricordare che siffatte maniera di favellare non e bella,
se non in quanto vengono dal conversatore opportunamente adoperate. Per lo
stesso fine, che la metafora si propone, cioè di rendere più vivo il concetto,
melte bene talvolta il trasportare l’espressione a un segnato improprio o
nominando invece del tutto la parte (metonimia), o invece della cosa la materia,
ond'ella è composta, o il genere per la specie o il plurale pel singolare
(majestic plural – We are not amused), e viceversa. Si può cadere in difetto
usando questo traslato, che fu chiamato “sinedoche”, ogni qualvolla l'imagine
della cosa, da cui si prende l’espressione, non sia bene associata alle idee,
che si vo gliono svegliare in altrui, non sia atta a fare impressione nell'animo
più che le altre ide, che vanno in sua compagnia. Vaglia a dichiarazione di ciò
un solo esempio. Si dirà con maggior efficacia: fuggono per ſalto mare le vele,
di quello ch: fuggono per l'alto mare le prore; poichè l’imagine delle vele
gonfiate dal vento, come quella, che maggiormente percuote la vista di colui,
che mira la nave in alto, più strettamente d'ogni altra idea si associa
all'idea del fuggire: in altro caso però tornerà meglio chiamar la nave o poppa
o carena, cioè quando l'azione, che essa fa, o la passione, che riceve, meno
con venga alla vela che alle altre parti. Veggasi come ne ua Virgilio: vela
dabant laeti. Submersas obrue puppes si nomida ancora talvolla la causa per
l’effetto, o questo per quella: il contenente pel contenuto: il possessore per
la cosa posseduta: la virtù ed il vizio invece dell'uomo virtuoso e del vizioso:
il segno per il segnato ed il contrario; e questa figura, che dicesi “metonimia”,
giova per le delle ragioni, essa pure adoperala opportunamente, a dare evidenza
alla elocuzione. Ma di questi traslati e di quelli di concetto, che consistono
in sentenze da intendersi a contra-senso (ironia), tanto se ne parla, come già
dissi, in tutte le scuole, che qui, facendo la definizione dell'”allegoria”,
dell'”ironia” e di altri simili traslali, avvertirò solamente che questi
saranno diſellosi se verranno a collocarsi nella conversazione senza essere
mossi dagli affetti. Anche rispetto a quelle forme, che sovente adoperiamo per
rendere più efficaci i pensieri, e che si chiama con ispecial nome figura,
ricorderò che alcune ve n'ha, come l’ “interrogazione” e l’ “apostrophe”, che
nascono dall'affetto, ed alcune altre dall'ingegno, come l'”antitesi”
(contrapposizione) e la distribuzione; e che perciò vuolsi avvertire di non far
uso di queste seconde ne'luoghi, ove si possa credere che colui, che favella,
abbia l'animo perturbato. Ma nessuno avvertimento, per ' vero dire, è giovevole
a chi non sente nell'animo la forza degli affetti. Il più delle figure, come
detto è di sopra, muovono dalla passione, e, se dall'ingegno vengo. no cercal,
riescono fredde e di nessuna virtù: perciò è che male s'imparano da' rettorici.
Con più figure favella la rivendugliola, secondo il detto di un illustre
scrittore, contrattando sua merce, che il retſorico in suo studiato serino ne: tanto
egli è vero che procedono più dalla natura che dall'arte. Questo vogliamo che
ci basli aver dello così alla grossa delle figure. Dappoichè abbiamo detto in
che consista la proprietà dell’espressione e della metafore, e come queste e
quelle si debbano collegare per rendere chiaro ed accelto la mozzione
conversazionale a nostro compagno conversazionale, e fatto alcun cenno de'
traslati e delle figure, vérreio a dire, seguitando le dottrine di Palavicini,
degli elementi, onde è costituita la “eleganza” (cf. Grice, ‘aesthetic
maxims’), senza della quale ogni altro ornamento quasi vano riuscirebbe. L’espressione
“eleganza”deriva dal verbo “eligere” ed è usata a segnare quella certa tersezza
e gentilezza, per la quale una mozzione conversazionale non solamente viene ad
essere scevro da ogni errore, ma in ogni sua parte ornato di qualità che da
tutto ciò che ha del plebeo si allontana. Diciamo delle parti, delle quali ella
si compone, che sono quattro. La prima e la brevità (Grice, ‘be brief – avoid
unnecessary prolixity [sic].” La seconda e l'osservanza delle regole
morfosintattiche. Terzo, la civilita o l'urbanità. Quarta, la varietà
(non-detachability). Sebbene la chiarezza (conversational clarity, be
perspicuous [sic]) spesso si ottenga col l'ampio e largo mozzione
conversazionale, pure talvolta colla brevità si rende il pensiero più lucido e
più penetranti (Brevity is the soul of wit). Le parole, dice Seneca, vogliono
essere sparse a guisa della semenza, la quale comechè sia poca, molto
fruttifica. La sovrabbondanza (over-informativeness) delle parole all'incontro
empie le orecchie di vano suono (flatus vocis) e lascia vuote le menti. Perciò
è da guardare non solo che nostro compagno conversazionale non sia distratto da
una vana proposizione subaltern (premessa minore), ma che non sieno affetti più
da un segno che dall’idea segnata. Saranno perciò utili a togliere questo
inconveniente ed acconce a rendere elegante l'elocuzione quella espressione,
che somigliante alla moneta d'oro equivale al valore di più altre, come le
seguenti: disamare, disvolere, rileggere, ed altre molte, e con queste i diminutivi,
gli accrescitivi, i vezzeggiativi, i peggiorativi, de' quali abbonda la nostra
lingua. Vi sono ancora molti modi, che abbreviano la mozzione conversazione, e
questi consistono nel tralasciare o il verbo o il pronome o la particella o l’affissi,
che racchiusi nella diretta favella puo essere SOTTINTESO. (Implicatura). Basta
qui recarne alcuni ad esempio. Se io grido ho di che dammi bere quo ha di belle
cose onde fosti & cui figliuolo andovui il cielo imbianca - vergognando
tacque a baldanza del signore il baltè иот da faccende non se da ciò vedi cui
do mangiare il mio, ed altri moltissimi somiglianti modi, coi quali si ottiene
questa importantissima parle della eleganza, onde rice. ve nerbo l'orazione,
Avend’io delto che la brevità costituisce gran parte della eleganza, non intesi
di affermare che agli scrillori non sia lecito di esporre le cose
particolarizzando; chè questa anzi è l'arte colla quale si produce l'evidenza;
ma volli avvertire chi brama dilettare altrui colle proprie scritture, di ben
ponderare quali sieno le particolarità, che hanno virtù di far luminoso il
concetto, e di tralasciar quelle, che l'offuscano e pongono l’altrui mente in
falica. Secondo, dobbiamo eziandio osservare la regola morfosintattica, cioè
quelle leggi che la volontà de’ primi favellalori e l'uso di coloro, che
vennero dopo, banno imposto alla lingua italiana. Comechè il trascurarle non
induca sempre oscurità (avoid obscurity of expression) pure importa moltissimo
che sieno osservata, poichè ogni elocuzione irregolare apparisce plebea (un
solecismo). E perciò grande si è la stoltezza di coloro, che vando cercando
negli autori antichi i costrutti contro grammatica, e quelli come pellegrine
eleganze pongono nelle scritture: dal che ottengono effetto contrario al buon
desiderio: per ciocchè o portano oscurità nella sentenza, o in fastidiscono i
lettori facendo ridere gli uomini di lettere, non ignari che quelle strane
forme sono la più parte errori, o di amanuensi o di stampatori o di autori
plebei, de'quali non fu piccol numero anche nel bel secolo dell'oro (errata). Terzo,
siccome sono molli' vocaboli, secondo che è dello, i quali usati già da ' buoni
scrittori han no acquistata certa nobiltà e fanno nobile il conversare, così
pure sono molli modi, i quali, avendo in sè certa gentilezza, il fanno elegante,
e non essendo propri degli stranieri, gli danno quel paliyo colore, e direi
quasi fisonomia, per cui ciascuna favella da ogni allra si distingue. In che
precisamente sia riposta que sta vaghezza, che si chiama civilita o “urbanità”,
si è difficile dichiarare; e perciò assal meglio che con parole, si può
mostrare cogli esempi. Porrò qui dunque alcuni modi volgari, ed al fianco di
essi i moderni urbani o civile. Ciò che loro venisse in grado. A chicsa non
usava giammai. Seppegli reo. Ciò che loro piacesse. Non era solita di andare in
chiesa. Gli parve cosa calli va. Fece rivivere. Il prese per marito. “Era il
giorno in cui” -- Egli domandò al servo certa cosa. Ben io mi ricordo. A vila
recò. Il prese a marito. “Era il giorno che” – “Egli domandò il servo di certa
cosa” -- Ben mi ricorda, o ben mi torna a mente. Vicino di quell'isola.
Non-Upper: Viveva a modo di bestia. “Vicino a quell'isola” Upper: “Viveva come
una bestia” Moltissime sono le forme somiglianti a que ste, le quali, sebbene
non vadano per la bocca de ' comunali scrittori, pure sono chiare e naturali, e
per cerla loro indicibile gentilezza recano diletto. Vogliono però essere
parcamenle adoperate, perocchè in troppa copia ſarebbero il discorso ricercato;
e questo difetto dobbia mo schivare anche a pericolo di parere negligenti. La
negligenza è mancanza di virtù (salvo quando e falsa – nulla piu difficile che
falsare la negligenza), che rende meno lodevole il discorso, ma non meno
credibile: e l'affettazione è deforme vizio, che al dicitore toglie autorità e
fede. Modo più sconcio si è quello di coloro, i quali, per vaghezza di parere
eleganti ed SUO esperti della PATRIA LINGUA – LINGUA PATRIA -- patria lingua,
compongono prose con parole e modi fuor d'uso, e costruzioni contorte alla
boccaccesca; e della stessa guisa fanno versi oscuri e senza grazia e senza per
bo, e si argomentano poi di avere imitato Aligheri o Petrarca. Ma che altro per
verità fanno costoro, se non se muovere a sdegno i buoni ingegni, e dare
occasione al volgo di ridersi di quei pochi, che studiano a’libri antichi?
Un'altra generazione di scrillori (e questa è dei più ), alzato il segno
dell'anarchia, gridando che l’USO è l'ARBITRO della lingua (Wittgenstein), si
fa beffe di ogni gentilezza e di ogni proprietà: guida per entro l'idioma
nativo parole e forme forestiere, e il guasta sì, che non gli lascia di se non
la sola terminazione delle voci. Cosi due sette di contraria opinione
vorrebbero partire la repubblica letteraria. L'una tiinida e superstiziosa restringe
la lingua a que' termini, in cui stette nel trecento: l'altra licenziosa ed
arrogante vuole che ogni ar gine si rompa sì, che le purissime fonti del civil
conversare si facciano torbide e limacciose. Affinchè appaia manifesto il torlo
di questi se diziosi, dirò che cosa sia lingua; e dalla sua definizione trarrò
alcune conseguenze. La serie de' segni e dei modi vocali instituiti a rappre
sentare ogni generazione di pensieri, o, per meglio dire, ad esprimerc tulle
quante le idee, ond’è formata la scienza di una patria, è ciò che dicesi lingua
(come l’italiano dal latino, o il pidgin e il creole che e il francese). Da
questa definizione si deduce che nè una sola città nè un'età sola può essere
autrice e signora della lingua italiana – Roma e la citta della lingua romana;
ma che è forza che alla formazione di questa abbia avuto parte la nazione
intera, cioè tutti gli uomini congiunti di luogo e di costumi, che hanno idee
proprie da manifestare; e che a scernere il fiore dalla crusca abbiano dato e
diano opera gl'illustri scrittori. E così avvenne di vero nella formazione e
nell'incremento di questo, che Alighieri chiamò, ironicamente, il volgare
d'Italia, poichè, come dice BEMPO, e un siciliano e un Pugliese e un Toscano e
e un Marchegiano e un romagnolo e un lombardo e un veneto vi posero mano. Tutte
le parole dunque per tal guisa formate, che vagliono ad esprimere con chiarezza
i pensieri, potranno essere con lode usate, sieno elle an tiche o moderne; chè
le moderne ancora deb bono essere benignamente accolle, quando sie no
necessarie a segnare una idea novella. Quella facoltà, che fu conceduta agli
antichi, non si può togliere ai presenti uomini; perciocchè, se non si possono
prescrivere limiti all'umano sapere, nè meno alla quantità dei segni delle idee
si potrà prescrivere (quark, querk). Per la qual cosa ſu e sarà sempre lecito
a' sapienti, qualvolla la necessità il richiegga, l'inventare una nuova
espressione (“Deutero-Esperanto”) e un nuovo modo. Questa risposta è alla selta
dei superstiziosi. Ora ai libertini (Bennett – meaning-liberalismo –
libertinismo semiotico – Locke – liberty) brevemente diremo che la lingua
italica non è la lingua del volgo, ma, come è delto, si è quella, che gli
illustri scrittori di ogni secolo hanno ricevuta per buona, e che perciò quando
si dice che appo l'uso è la signoria, la ragione e la regola del parlare, non
si vuol dire l'uso del volgo, ma de' buoni scrittori. I più antichi die dero
vita e forma alla lingua romana, ed i posleri loro la arricchirono e la
potranno arricchire, non senza grande biasimo potranno toglierle l’essere suo.
Siccome ad ogni mazione è spe ma ciale la fisonomia e certa foggia di vestire,
cosi e speciale al idio-letto le voci ed i modi propri e figurati, i quali
hanno attenenza co'diversi costumi delle diverse genti; e perciò coloro, i
quali vogliono introdurre licenziosamente nell'idioma nativo espressione e modi
forestieri – implicate, non impiegato -- operano “contro ragione”, e, mentre ambiscono di essere tenuti uomini liberi
e filosofi, fanno mostra d'obbrobriosa ignoranza. Non si lascino dunque
sopraffare i gio vanelli da quei beffardi filosofastri, che con trassegnano per
derisione col nome di purista chi studia scrivere italianamente; ma alla co
storo petulanza coll'autorità di CICERONE ri spondano arditamente che colui, il
quale la patria favella vilipende e deforma, non solo non è oratore, non è
poela, ma non è uomo (CICERONE, de orat.). Quarta e ultima, se le parole
fossero sempre composte ugualmente, non sarebbero graziose a chi ascolla o
legge; e perciò un altro elemento della eleganza si è la variet. Il discorso può
ricevere varietà da sei luogh, che ad uno ad uno ver remo a dichiarare
brevemente, seguitando Pallavicini. Accade tante volte di dover nominare replicatamente
la cosa medesima, e ciò produce noia agli orecchi, i quali sopra tutti i sentimenti
del corpo sono vaghi di varietà; onde per isfuggire la ripetizione delle voci
sono molto giovevole il sinonimo, quando la piccola differenza, che è in essi,
non tolga al discorso laproprietà necessaria; per non peccare contro la quale
sarà mestieri aver considerazione, co me allrove si è detto, al vero
intendimento de vocaboli. Se, a cagion d'esempio, dovendo si cambiare
l’espressione “fanciullo”, si prendesse l’espressione “infante”, si osserverà
che questa, venendo dal verbo fari, segna non parlante, e che perciò non può strettamente
essere sempre sostituita a quella di “fanciullo”. Il secondo dai sei luogo
della varietà sta nel ra presentare una cosa pe' suoi effetti congiunti, come,
a cagion d'esempio, se poeticamente dicessimo; il sole velava i pesci, per dire
era il fine dell'inverno: al germogliare delle piante, per dire al tornare
della primavera. Con somma grazia e novità Aligheri rappresentò la sera pe'
suoi effetti dicendo: Era già l'ora, che volge il desio a' naviganti, e
inlenerisce il core lo di, che han detto a' dolci amici addio; E che lo nuovo
peregrin d'amore punge, se ode squilla di lontano, Che par il giorno pianger,
che si muore. Questo fonte di varietà è abbondantissimo, e possiamo vederne un
esempio in Bernardo Tasso, che in cento modi segna il sorgere del giorno. Nel
rappresentare le cose pe' suoi effetti porrai cura che questi non destino al
cun pensiero sordido od abbietlo, e che nel le scritture famigliari la
congiunzione loro coll'oggetto sia mollo nola, sicchè non paia puplo ricercata.
Il terzo luogo dai sei modi sono le definizioni o epiteto o apposizione delle
cose, o sia le brevi descrizioni loro, le quali si possono prendere invece
delle cose stesse, o que ste indicare per alcuna loro speciale proprietà; come
chi per nominare Giove dicesse il padre degli uomini e degli Dei, o per dire la
fortuna, Colei, che a suo senno gi infimi innalza ed i sovrani deprime. Il
quarto luogo dai sei modo si è l'uso promiscuo del signato attivo, medio, o
passivo da un verbio Potrai dire: Raffaele colori questa tavola, ovvero, da
Raffaele fu colorita questa tavola; e secon do che chiederà il bisogno, userai o
questo o quello segno. Il quinto luogo dai sei luoghi è la qualita (categoria d’Aristotelel'uso
negativo (o infinito – privazione) invece dell’affirmativo o positivo; come chi
sosliluisse alla proposizione positiva o affirmative seguente, ma con signato
negativo: Il sole si oscurò, quest' altra proposizione splicitamente negative,
per mezzo dell’adverbo di negazione, “non”: Il sole non isplendette”. Il sesto luogo
dai se luoghi e la metafora (you’re the cream in my coffee), per la quale si
può maravigliosamente variare il discorso, ora volgendo in “senso” (segnato,
strettamente) metaforico – Sensi non sunt multiplicanda praeter necessitatem –
uso metaforico -- un concetto allre volle espresso con termini propri: ora
usando una metafora tolta o dal genere o dalla specie o da cose animate o da
cose inanimate: ora quelle, che si presentano ai sensi: ora le altre, che si
riferiscono agli altri sentimenti del corpo. Ornamento, dal quale l'elocuzione
riceve molta gravità, e la sentenza. La sentenza o dogma o assioma o principio
o adagio o gnomico o proverbo (“Methinks the lady doth protest too much” what
the eye no longer sees the heart no longer grieves for”) si è verità morale ed
universale, segnata con la brevità, che all'intelletto sia lieve il
comprenderla ed il ritenerla. Tali sono le seguenti. Ipsa quidem virlus sibimet
pulcherri. ma ncrces. Quidquid erit, superanda omnis for tuna ferendo est. La
mala ineple non ha mai allegrezza di pace. Proprio de'tiranni è il temere. La
buona coscienza è sempre sicura. Avvegnachè la sentenze sia più accomodata a
quella conversazione che tratta di materie gravi, nulladimeno possono adornare
molte altre specie di componimenti, e perfino le lettere famigliari, se ivi con
moderazione sieno adoperate. Dico che sieno adoperate con moderazione, perchè
il soverchio uso delle sentenze, anche nelle materie più gravi, è indizio che
lo scrittore vuol ostentare sapienza, e perciò il fa parere affettato. In cotal
vizio cadde ro molli scrittori del secol nostro, i quali me ritamente furono tacciali
di “filosofismo” di Borsa, che in una
sua dissertazione ra giopò del presente gusto degl'italiani. Scon venevolissimo
è l'abuso e talvolta anche l'uso della sentenza pe' discorsi, che trattano di
cose mediocri o umili. Ma che diremo poi росо senno di coloro, che guidano in
teatro i servied altre persone rozze ed agresli a parlamentare ed a spular
tondo, come se dal pergamo predicassero? Questo è modo tanto sconcio, che il
volgo slesso ne rimane infastidito, on d'è qui da passare con silenzio. È da
lodarsi segnatamente nelle opere morali o politiche l'elocuzione, che a quando
a quando sia ornata, ma non tessuta di sentenze, la copia soverchia delle
quali, stanca i lettori invece di sollevarli, come si può sperimentare leggendo
le opere morali di Seneca. Lo scrittore dal quale più che da ogni altro si
apprende a fare buon uso della sentenza, è Cicerone, nelle cui filosofia mai non
pare che quelle sieno condotte nel discorso a pompa, ina sempre vi nascono
naturalmenle per recar luce e diletto. Diciamo alcuna cosa anche del concetto,
onde viene grazia o piacevolezza ai componimenti. Concetto propriamente si dice
una certa proposizione, che per essere nuove ed espresso con brevi parole recano
altrui diletto e maraviglia e scuoprono il sottile ingegno di chi le dice. Ve
n'ha di due maniere. La prima è dei delti gravi, l'altra dei ridevoli, che con
proprio nome si chiama una facezia. Gli uni e gli altri nascono da’ medesimi
luo ghi, e differiscono, secondo Cicerone, solamente in questo: che i gravi si
traggono da cose oneste; i ridevoli da cose deformi o alcun poco turpi: ma pare
veramente che a far ri devole un dello, sia necessario, il più delle 1 volle,
che esso comprenda in sè alcune idee discrepanti congiunte insieme di maniera,
che la congiunzione loro ben si convenga con una terza idea. Ciò sia chiaro per
un esempio. Un buon ingegno de' nostri tempi fcce incidere in rame la figura di
un vecchio venerabile con lunga barba, vestito alla francese, ornato di frangie
e di feltucce e tutto cascante di vezzi, e sotto vi pose queste parole. Traduzione
d' Omero di M. C. Tultii ne fecero le risa grandi. Se il ridicolo di questa
figura consistesse nel solo accoppiamento dell'imagine dell'uomo antico e grave
con quella de' giovani leziosi, ci ſarebbe ridere anche l'imagine di una sirena,
che è composta di due contrarie nature; lo che per verità non accade, ed
accadrebbe solamente qualora si dicesse che la bella donna, che termina in
pesce, figura delle folli poesie ricordate da Orazio nella Poetica. Pare dunque
manifesto che il ridicolo di sì falta deformità si generi dalla convenienza che
è tra esse e la cosa, cui si vogliono assomigliare. Per ciò s'intende quanto
diriltamente Castiglione dichiari che si ride di quelle cose, che hanno in sè
disconvenienza, e par che slieno male senza però slar male. Affinchè prima di
tutto si vegga che da’ luoghi, donde si cava la grave sentenza, si possono ancora
cavare i molli da ridere, re cherò l'esempio, che ne dà Castiglione. Lodando un
uom liberale, che fa comuni cogli amici le cose proprie, si polrà dire, che ciò
ch'egli ha, non è suo: il medesimo si può dire per biasimo di chi abbia rubato,
o con male arti acquistato quello che tiene. Di un buon servo fedele si suol
dire: non vi ha cosa che a lui sia chiusa e sigillata: e que sto similmente si
dirà di un servo malvagio destro a rubare. Le maniere de concelli ingegnosi
sono pres sochè infinile, e di moltissime ha ragionalo Cicerone nel terzo libro
dell'Oratore, ma noi toccheremo qui solamenle alcune principali. Cicerone
distingue primieramente le maniere graziose, che consistono nelle parole, da
quelle che stanno nella cosa, o che si esprimono col parlare continuato. Egli
dice che consistono nella cosa quelle (sieno gravi o piacevoli ), che mulale le
parole non cessano di generare maraviglia o riso: tali sono le narrazioni
verisimili, e fatte secondo il costume e le varie condizioni degli uomini, e di
queste molte ve n'ha nel Decamerone di Boccaccio. Una seconda consiste nella
imitazione de’ costumi altrui fatta per modo di parlare continuato, come quella
che fece Crasso, il quale in una sua orazione contraffacendo un uom supplichevole
con queste parole, per la tua nobiltà, per la tua famiglia, ne imitò cosi bene
la voce e gli alti, che mosse la gente a ridere; e proseguendo, per le statue,
distese il braccio, ed accompagnò la voce con geslo e con imitazione si
naturale, che le risa scoppiarono maggiori. Queste sono le due maniere, che
consistono nella cosa, e che si esprimono col parlar continuato. Quelle che maggiormente
si attengono alla materia che qui si tratta sono le maniere di que'concetti, la
grazia de quali sta nella parola. Recbiamone esempi. Alcuni molli graziosi si generano
in virtù della metafora. Avendo Lodovico Sforza duca di Milano eletta per sua
impresa una spazzetta, con che voleva segare se essere disposto a cacciare dall'Italia
gli oltremontani, domanda alcuni ambasciatori fiorentini, che loro ne paresse.
Quelli risposero. Bene ce ne pare, salvochè molle volle avviene che chi spazza
tira la polvere sopra di sè. Più grazioso ė il motto, quando ad alcuno, che
metaforicamente abbia parlato, si risponde cosa inaspettata continuando la metafora
stessa. Tale si fu detto il Cosimo de' Medici, il quale a' Fiorentini
ſuoruscili, che gli mandarono a dire che la gallina cova, rispose. Male potrà
covare fuori del nido. Anche il paragonare cose vili e piccole a cose grandi è
spesso cagione di ridere, come in questi versi del Berni: E prima, iodanzi
tutto, è da sapere che l’orinale è a quel modo tondo, Acciocchè possa più cose
tenere, E falto proprio come è falto il mondo. Dobbiamo in questa maniera della
facezia guardarci dal fare sovvenire il compagno conversazionale di cose laide
e stomachevoli, affiochè la piacevolezza non degeneri in buffoneria: lo che
sovente accade a coloro, che non sono piacevoli per naturale disposizione. Molti
molti ridevoli si formano per via di iperbole [“Every nice girl loves a
sailor”] accrescendo o diminuendo alcuna cosa. Diminui ed accrebbe a un tempo
le cose Cicerone parlando giocosamente di suo fratello, che essendo di piccola
slatura aveva cinto il fianco di una spada' smisurata. Chi ha, disse, cosi legato
mio fratello a quella spada? Dall’equivoco procede spesso i motti freddi ed
insulsi, ma spesse volte ancora gli arguli. Argulo parmi il seguente in biasimo
di una donna, che fosse di molli. Ella è donna d'assai: il qual molio potrebbe
ancora essere usato per lodare alcuna femmina prudente e buona. Molla venustà è
in que’ delli, che invece di esprimere due cose ne esprimono una sola, per la
quale l'altra s'intende (IMPLICATURA, SOTTITESSO). Assai leggiadro è questo in cui si favella di un'amazzone dormiente,
recato ad un esempio da Demetrio Falereo: in terra aveva posto l'arco, piena
era la faretr, e sotto il capo aveva lo scud: il cinto esse non isciolgono mai.
Similmente è grazioso il nominare con buone parole le cose non buone, come fece
lo Scipione, secondo che narra M. Tullio, con quel centurione, che non si era
trovato al conflitto di Paolo Emilio contro Annibale. Il centurione scusasi di
sua negligenza col dire. Io sono rimasto agli alloggiamenti per farli sicuri; perchè,
o Scipione, vuoi dunque tormi la civiltà? Cui rispose Scipione. Perchè non amo
gl;uomini troppo diligenti. Sono assai argute quelle risposte, per le quali si
DEDUCE da una medesima cosa il contrario di quello che altri deduceva. Appio
Claudio dice a Scipione. Lo maraviglio che un uomo ďalto affare, quale tu sei,
ignori il nome di tante persone. Non maravigliare, rispose Scipione, perocchè
io non sono mai 69 blato sollecito d’imparare a conoscer molti, ma a far si,
che molti conoscano me. Per egual modo Parnone rispose a colui che chiamava
sapientissimo il tempo: Di pari dunque potrai chiamarlo “ignorantissimo”, perchè
col tempo tutte le cose si dimenticano. Il concetto della risposta
conversazionale può essere grazioso solamente perchè racchiude alcun
insegnamento non aspettato da colui che fa la domanda. Fu chiesto ad uno spartano,
perchè si facesse crescere la barba, e quegli rispose. Acciocchè mirando in
essa i peli canuli io non faccia cosa, che all età mia disconvenga. Hauno
grazia similmente alcuni detti, perchè mollo convengono al costume della
persona, alla quale si attribuiscono. Essendo un colal uomo beone caduto
inſermo, era assai mole stalo dalla sete. I medici a piè del suo letto
parlavano tra loro del modo di trargli quella molestia, quando l'infermo disse:
Ponsate di grazia, o signori, a togliermi di dosso la febbre, e del cacciar via
la sete lasciate la briga a me solo. loducono a ridere anche que’ detti, che
procedono da sciocchezza o goffezz, finta o vera che ella sia. Tali sono le due
seguenti terzine di Berni: lo ho sentito dir che Mecenale Diede un fanciullo a
VIRGILIO Marone, che per martel voleva farsi frate; E questo fece per
compassione, ch'egli ebbe di quel povero cristiano, Che non si desse alla
disperazione. si può similmente cavare il ridicolo dalle parole composte di
nuov, che esprimono al cuna deformità del corpo, o dell'animo, come furono
queste usate dal Boccaccio: picchia. pello; madonna poco.fila; lava-ceci; bacia
santi. Si falte maniere, che direi quasi deſormità della lingua, poichè
dall'uso si allonta pano, essendo convenienti alla cosa segnata stanno bene, e
perciò inducono a ridere e han lode di graziose; ma se poi in forza dell'uso
divengono proprie, perdono, a somiglianza delle vecchie metafore, alquanto
della grazia primiera. Osserva Demetrio Falereo che la grazia del detto proviene
alcuna volla dall'ordine solamente, quando una cosa posta nel fine produce un
effetto, che posta nel mezzo o nel principio nol produrrebbe, o il produrrebbe
minore. Egli reca l'esempio seguente di Senofoole, che, parlando dei doni dali da
Ciro a certo Siennesi, disse. Gli donò un cavallo, una vesle, una collana, e
che i suoi campi non fossero guasti. L'ullimo dono è quello dove sta la grazia,
parendo cosa nuova, che si donasse a siennesi ciò che egli possedeva: se quel
dono fosse stalo collocato prima degli altri non avrebbe avuto grazia alcuna.
Bello pel medesimo artificio ci pare un detto di Benedetto XIV. Accomiatandosi
da lui due personaggi di religione luterana, egli avvisa di benedirli e di
ammonirli. Era di vero assai agevol cosa il fare che egli no ricevessero con
grato animo quell'atto di amore paterno: ma il venerabile vecchio ollenne il
buon effetto parlando così. Figliuoli, la benedizio ne de vecchi è acceita a
tutte le genti; il Signore v'illumini. Ingegnosissimo si è que sto detto per
l'ordine suo maraviglioso. Colla prima affeltuosa parola, “Figliuolo,” il papa
procacciasi la benevolenza del compagno conversazionale. Nella sentenza, la
benedizione de’vecchi è accetta a tulle le genti, chiude la prova della con
venevolezza di ciò ch'egli vuol fare. In quel l'io io vi benedico, trae la
conseguenza delle promesse. Nella precazione poi ripiglia la dignità di
pontefice, che accortamente aveva quasi deposta da principio e solto cortesi pa
role nasconde il documento, che a lui si ad dice di porgere a chi è fuori della
chiesa romana. Questo ci basti d'aver ragionato pei delli graziosi e piacevol,
chè il voler parlare di tulle le maniere loro o semplici o miste sarebbe
officio di chi volesse trattare solamente di questa materia: e diciamo con
maggior brevità de’ concetli sublimi. Alcuni haimo chiamato sublime
qualsivoglia concetto, coi nulla manchi di grazia e di perfezione; ina qui si
vuol prendere la parola nel segnato, in che viene usata da ' più de' moderni
reltorici e perciò così detiniamo i concetto sublime. Concetto sublime si
dicono quelli, che rappresentano con brevi parole l'idea di alcuna potenza o
forza straordinaria, per la quale chi ode resla compreso di alla maraviglia.
Tali sono i seguenti. Giove nel primo libro dell'Iliade promette a Teli di
vendicare Achill, e dopo il conforto delle sue parole i neri Sopraccigli
inchinò: sull immortale Capo del sire le divine chiome Ondeggiaro, e tremonne
il vasto Olimpo. Questo concetto, il quale ci fa maravigliare della potenza di
Giove, cesserebbe di essere sublime se con lunghezza di parole fosse segnato:
perchè quella lunghezza sarebbe contraria alla rapidità dell'alto divino e farebbe
che il pensiero del poeta non venisse improvviso alla mente di nostro compagno
conversazionale, che è quanto dire non generasse maraviglia. Sublime è ancora
quel luogo di T. LIVIO nella allocuzione di Annibale a Scipione. Ego Annibal
pelo pacem, poichè la parola Annibal reca al pensiero la virtù, le imprese, la
fero cia di quel capitano. Medesigiamente si fa maniſesta una straordinaria
fortezza di animo ne'due luoghi seguenti. Seneca, nella Medea, fa dire alla
nudrice: Abiere Colchi: conjugis nulla est fides, Nihilque superest opibus e
tantis tibi. Medea risponde: Medea superesto Corneille, ad imitazione di Senec:
Nerine: Dans un si grand revers que vous reste- t- il? Med. Moi. In luogo del
nome di Medea il poeta francese pose il pronone, ed ottenne effetto maraviglioso
e colla brevità e con quella cotal pienezza di suono, che è nella voce “moi”.
Il poeta latino col nome di Medea desta nel compagno conversazionale la memoria
della potenza, della sapienza e della magnanimità di quella maga. Divisata così
la natura de' motti graziosi e piacevoli e de' sublimi, e restando a dire al
cuna cosa dell'uso, che se ne può fare, ripe teremo ciò, che già detto abbiamo
delle sentenze, cioè che lo scrittore si guardi dal fare troppo uso de'
concetti ingegnosi e graziosi e de' sublimi, poichè non è cosa tanto contraria
alla grazia e alla grandezza, quanto l'artificio manifesto e l'affettazione. Le
grazie si dipinsero ignude appunto per insegnare che elle sono nemiche di tutto
che non è ingenuo e naturale. La grandezza similmente non va mai disgiunta
dalla semplicità, e piccole appaiono sempre quelle cose, che sono piene
d'ornamenti; imperciocchè la mente soffermandosi in ciascun d'essi riceve molle
e divise imaginet le in luogo di quella imagine sola, che ci rappresenta la
cosa continuata ed una. Male adoperano coloro che non avendo rispetto alla
materia, di che favellano, nè alle persone ne alla modestia nè alla gravità
conveniente allo scrittore, colgono tutte le occasioni, che loro porgono o le
cose o le parole, per trar materia di motleggiare; perocchè invece di mo strare
acutezza d'ingegno appaiono loquaci ed insulsi. Che dovrà dirsi poi di que, che
abusano dell'ingegno per empiere le scritture di freddi e falsi concelti, di
riboboli, di bislicci e d'indovinelli? di que', che tengono per finis sime
arguzie le allusioni delle parole, che erano la delizia del Marino e de' suoi
seguaci? Diremo che nali non sono per ricreare gli ani mi e sollevarli dalla
fatica, e per indur ſesta e riso, ma per noia, fastidio e sfinimento di chi è
costretto di udirli. Se il discorso si fa strada all’animo per gli orecchi, è necessario
che egli sia accompagnato dall' armonia, della quale niuna cosa ha maggior
forza negli uomini. L'armonia ci dispone al pianto e all'ira, e ci rallegra e
ci placa; e lulle le genti, avvegnachè barbare, sono tocche dalla dolcezza di
lei; laonde gran de mancamento sarebbe, se lo scrittore ad ac crescere
efficacia alle sue parole non se ne valesse. Dalla greca voce d.gpótely
(armosin), che segna connettere, è derivata la voce “armonia”. I maestri di
musica insegnano, che essa consiste nell'accordo di più voci sonanti nel
medesimo punto; ma coloro, che parlano del l'arte retorica e della poelica,
presero questa parola quasi nel significato, che i maestri di musica prendono
quella di melodia, come si vede aver fatto Aristotele, che usò in questa
significazione ora la voce melos, ora la voce armonia. La melodia consiste
nella altenenza, che hanno rispettivamente i gradi successivi di un suono nel
salire dal grave all'acut: e noi direino che rispetto al discorso l'armo nia
sta nell'altenenze delle lettere o delle sil labe o delle parole, che si
succedono con quel la certa legge che si affà alla natura dell'or gano
dell'udito. L'armonia, di che parliamo, è di due maniere, semplice o imitative.
L’una ba per fine soltanto la dileltazio ne degli orecchi, l'altra, oltre la
dilettazione degli orecchi, la imitazione del suono e dei movimenti delle cose
inanimate e delle animate, e quella degli umani affetti: colle quali imitazioni
inaggiormente ella si rende accetta all'intelletto e gli animi sigrioreggia. La
dilettazione degli orecchi si ottiene con parole costrutte e disposte in modo
analogo, come è dello, alla natura dell'organo del l'udito e fuggendo tutte le
voci e tutti gli accozzamenli di esse, che producono sensazio ne spiacevole.
L'imitazione poi si fa adope. rando e componendo suoni o gravi o acuti o inolli
o robusti, secondo che meglio si affanno a ciò che si vuole imitare. Diciamo
alcuna cosa più largamente e dell' una e dell'altra armonia, l’armonia semplice
e l’armonia composita o imitativa. Le parole, le quali, come tutti sanno, si
compongono di vocali e di consonanti, sono più o meno armoniche, secondo che le
lettere delle due specie suddelte si trovano disposte con certa proporzione. Le
vocali fanno dolce il vocabolo le consonanti robusto. Ma le troppe vocali, che
si succedono, producono quel suono spiacevole, che si dice iato; le troppe
consonanti fanno le parole aspre e diſficili a pronunciare: così l'incontro
delle sillabe somiglianti produce la cacofonia, Circa le parole non molto armoniche,
ma approvate dall' uso, diremo chę elle non si banno a rigettare; ma si deve aver
cura di collocarle in guisa, che il loro suono disarmonico serva al l'armonia
di tutto il discorso. Anzi sono da commendare quelle lingue che ricche si trovano
di vocaboli diversi di suono, i quali, giunti insieme con bell'arte, sogliono
rendere maravigliosa l'armonia del conversare. Sebbene, circa l'arte del collocare
le parole con armonia, non possa darsi maestro infuori dell' orecchio avvezzo
alla lettura de' classici scrittori, pure non sarà del tutto vano il dire più
particolarmente alcuna cosa delle parti, onde l'armonia si coropone. E prima di
tutto è a sapere che l’altenenza tra le lettere, le sillabe e le parole, dalle
quali risulta l'armonia, sono di due ragioni: cioè altenenze di tempo, poichè
si pronunciano o in tempi uguali o disuguali; e attenenza di suono, poichè ogni
sillaba differisce dall'altra per aculezza e gravità e per più o meno di
dolcezza o di asprezza. Diciamo prima delle attenenze di tempo. Pie chiamamo I
LATINI quella certa quantità di sillabe, che pronunciandosi in tempi eguali, si
potevano misurare colla battuta del piede nel modo che oggi ancora fanno i suonatori.
E, poichè si pronunciavano più o meno sillabe (attesa la varia conformazione
delle parole) in ispazi uguali di tempo, avvenne che lunghe si dissero quelle
che occupavano la maggior parte del tempo misurato dalla battuta, e brevi le
altre, che occupavano la parte minore. “Coelum”, per esempio, si compone di due
sillabe e si pronuncia in ugual tempo che ful-mi-na, che è di tre: perciò
coelum è un piede di due lunghe, e ſulmina è un pie de di una lunga e di due
brevi. I piedi sono di molte specie, e ciascuna ha il suo nome. Ve n'ha de'
semplici di due sillabe, che sono o due brevi o due lunghe, una breve e una lunga,
o una lunga e una breve: ve n'ha di tre sillabe, che per la varia combinazione
delle brevi e delle lunghe risultano di otto specie: ve n'ha finalmente più di
cento specie dei composti, cioè formali dall' unione di due piedi semplici.
Dall'indelernipala quantità di piedi disposti con legge analoga alla natura
dell'organo del l'udito umano, la qual legge si sente nell'anima e definire non
si può, nasce il numero; e similmeple dall ' unione determinata di varii piedi,
i versi, che sono molle maniere, se condo la qualità de' piedi, onde sono
composti. Dalla varia qualità e quantità de’ versi nascono poi le differenti
specie del metro. A rendere armonioso il verso si congiunge al pu nero il
suono, che, siccome abbiamo accennato, si genera dalla proporzione, con che
sono di sposte le consonanti e le vocali. Da ciò nasce che, sebbene talvolta i
versi abbiano il medesimo número, non hanno il medesimo suono, ma variano nella
loro armonia maravigliosamente: per la qual cosa interviene che dalla unione di
molti versi che abbiano il medesimo numero, come a cagion d'esempio, di
esametri, si possono generare molle ed assai varie armo pie: la diversa upione
di queste armonie di cesi, “ritmo”. Come nella poesia dal ipovimento di molti versi
upili nasce il ritmo poetico, così da quello di minuti membri d' indeterminala
mi sura nasce quello della prosa, il quale pure è di varie sorla, siccome
avremo occasione di osservare in appresso. Ora veniamo a dire del l'armonia
della favella italiana. Gl’italiani non hanno determinata la quantità nelle
sillabe, come si vede aver fatto i latini, per la qual cosa nemmeno i piedi
hanno potuto determinare. Alcuni letterali del sesto decimo secolo, fra' quali
il Caro, tentarono di rinnovare fra noi i versi esametri ed i pentametri, ma
quanto poco (per la in sufficienza della lingua nostra) al buon volere
rispondesse l'effett, apparirà dai seguenti versi di Claudio Tolomei, i quali,
se non sono molto aiutati dall'arte del recitante, non possono ricevere
soavità. Ecco il chiaro rio, pien eccolo d'acque soavi, Ecco di verdi erbe
carca la terra ride. Scacciano gli alni i soli co' le frondi e co'ra (mi
coprendo; Spiraci con dolce fato auretta vaga. A noi servono invece di piedi le
sillabe é gli accenti, e quindi è che da un determinato numero di sillabe e da
una determinata positura di accenti nasce il numero, onde si generano molte
specie di versi. Omettendo le di spute de'rettorici e le loro opinioni circa
questa materia, faremo qui alcun cenno solamente rispetto agli accenti. Le
parole sono di una o più sillabe: se di una soltanto, l'accento è su quella,
come in tu, me, no, si: se di più o egli è nell'ullima, come in mori, o nella
pri 79 ma, come in tempo, o nella penullima come in andarono, o prima di essa,
come in concedea glisi. L’indicati accento si dice “acuto”, perchè alzano la
pronuncia: dove questi non sono, si trova il “grave”, che l'abbassano. Gli
acuto e il grave alzando ed abbassando
il discorso, por tano seco certa proporzione di tempo, e perciò tengono fra noi
il luogo de' piedi Jalini, e formano varie specie di versi, che, secondo, la
quantità delle sillabe, si dicono o pentasillabi o senarii o seltenarii o
ottonarii o novenarii o decasillabi o endecasillabi. Dalle varie unioni di questi
nascono i diversi metri. E il ritmo nasce nel modo, che si è detto parlando
della lingua latina, e circa il verso e circa la prosa. Non si contenta l'animo
upano dell'armonia, onde è ricreato solamente l'orecchio, ma gran demente si
piace di que' suoni, che più vivamenle ci pougono innanzi il segnato; e questo
specialmente egli ricerca nella poesia, la quale o avendo, o mostrando di avere
per suo principal fine il diletto, dee apparire più d'ogni altro discorso
ordinala, e splendida: sarà quindi utile cosa l'investigare quale sia la virtù
imitativa delle parole. Questa e l’armonia imitativa. Dalla mescolanza delle
lettere liquide e delle vocali risulta infinita varietà di vocaboli dell’imitazione
delle grida, de’suoni, de’romori e de’movimenti, e chi, porrà mente alla nostra
lingua troverà, secondo che osserva BEMPO, voci sciolle, languide, dense,
aride, morbide, riserrate, tarde, mutole, rolle, impedite, scorrevoli e
strepitanti. Perciò è che variando la composizione di questi suoni si potranno
ordinare.e versi e ritmi, che ogni grido o romore o movimento vagliano ad imi.
tare. Jofinili esempi bellissimi di si ſalta imi. tazione sono nella Divina
Commedia: ma basti qui la sola descrizione dello strepito, che ALIGHIERI udi
nell'Inferno: Quivi' sospiri, pianti, ed alti guai risonavan per l'äer senza
stelle, Perch'io al cominciar ne lagrimai. Diverse lingue, orribili favelle, parole
di dolore, accenti d'ira, voci alte ' e fioche, e suon di man con elle facevano
un tumulto, il qual s'aggira sempre in quell'aria senza tempo tinta, Come
l'arena, quando il turbo spira. Del medesimo genere sono i seguenti versi del
Poliziano. Di stormir, d'abbaiar cresce il romore: Di fischi e bussi tutto il
bosco suon: Del rimbombar de' corni il ciel rintrona. Con tal romor, qualor
l'äer discorda, Di Giove il foco d'alta nube piomba: Con tal tumulto, onde la
gente assorda, dall'alte cataratte il nil rimbomba. Con tal orror del latin
sangue ingorda Sonò Megera la tartarea tromba.Il Parioi ci fece sentir il
guaire di una ca goolina, e il risponder dell' eco in questi bellissimi vers.
Aita, aita, Parea dicesse; e dall'arcate volte a lei l'impielosita eco rispose.
Siccome il succedersi delle parole ora va lento or celere, è manifesto che
questo, che si può chiamare movimento del discorso, ba somiglianza coi
movimenti delle cose, e che per ciò aver dee virtù d'imitare le azioni loro.
Recherò qui per maniera d'esempio alcuni luo ghi cavali da' poeti. Odesi il
furore e l'impeto del vento in questi versi di Dante: Non altrimenti fatto che
d'un vento Impetüoso per gli avversi ardori, Che fier la selva senza alcuu
rallento, E i rami schianta, abbatte, e porta i fiori; Dinanzi polveroso va
superbo, E fa fuggir le belve ed i pastori. Mirabilmente Virgilio descrisse il
tumullo dei venti all'uscire della grotta di Eolo: Qua data porta ruunt et
terras turbine per flant. Incubuere mari, totumque a sedibus imis Una Eurusque,
Notusque ruunt, creber que procellis Africus, et vaslos volvunt ad sidera flu
clus. Insequitur clamorque virum, stridorque rudentum. Fra i versi che
esprimono la caduta de corpi sono bellissimi i seguenti: E caddi come corpo
morto cade; il qual verso è cadente, come il corpo che cade. Insequitur
praeruplus aquae mons. In queste parole di Virgilio si sente il piom bare
dell'acqua precipitosa: ed eccellentemente fece sentire il medesimo suono il
Caro: E d' acque un monte intanto Venne come dal cielo a cader giù. In virtù di
quest'altro verso dello stesso Caro, una nave sparisce in un subito, e si sente
il romor dell'acqua che l'inghiotte: Calossi gorgogliando e s'aſfondò. Lo
stesso con una sola parola lunga e scor revole dipinse il procedere del carro
di Net tuno: Poscia sovra il suo carro d'ogni intorno Scorrendo lievemente,
ovunque apparve Agguagliò il mare e lo ripose in calma. Nelle seguenti parole
di Virgilio quasi sen tiamo a stramazzare il bue; Procumbit humi bos.
Dell’armonia che imita gli affetti col suono, Onde conoscere per qual modo gli
affelli vengano imitati dall'armonia, uopo è d'inve sligare quali altenenze
essi abbiano col suono e quali col namero. In quanto alle altenenze si ponga
mente che ad ogni sorta di affetli risponde un particolar molo del l'organo
vocale, per cui si formano voci di verse secondo la diversità de' medesimi
affetli; all'allegrezza risponde il riso, alla mestizia il pianto; ed il riso
ed il pianto si manifestano con suono al tutto diverso: così presso tutte le
geoli la subita maraviglia è significata dal l'esclamazione ah, ovvero oh; il
lamento dall' eh, o dall’ahi; e la paura dall'uh. Que ste voci, che da
principio sono elfelti naturali delle aſſezioni dell'animo, diventano poi,
merce dell'esperienza, segni di quelle: per la qual cosa interviene che i
vocaboli composti di ma, niera, che facciano mollo sentire il suono di quelle
leltere, che alle predette voci primitive si assomigliano, avranno virtù
d'imitare o questa o quella affezione. Le parole, che s'in, nalzano per la a o
per l'o, che sono lettere di largo suono, saranno acconce ad esprimere
l'allegrezza e gli affetti nobili ed alli: quelle, che declinano per la é e per
l'i, che sono lettere di molle suono, saranno convenienti alla malinconia ed
agli umili e miti affetti. [ Omnis enim motus
animi suum quemdam a natura habet vullum, et sonum et gesium (CICERONE, de
Orat. ). quelle,
che si abbassano nell' u potranno e sprimere le cose paurose e le perturbazioni
dell'animo, che ne procedono. Questa particolare virtù delle parole viene poi
rafforzata dalle attenenze, che le passioni hanno col numero. Volgendo la
considerazione alle varie passioni, si potrà conoscere che l' uomo'nell'ira è
fatto impetuoso, frettoloso nell'allegrezza, lento nella mestizia, svarialo
nell' amore, immobile nella paura. Quindi av. viene che la musica non solamente
si giova delle note gravi o delle acute, ma delle rapi de e delle tarde
modulazioni a risvegliare ogni sorta d'affetto. A somiglianza di quest' arte
maravigliosa, anche la naturale favella, il suono ed il numero adoperando,
innalza o abbassa gli accenli, rallenta od accelera il corso delle parole,
secondo la natura degli affetti, che di esprimere intende. Con quest' arte
medesima l'accorto scrittore compone i ritmi diversi secondo la tenuità o la
gravità della materia, e secondo le qualità della persona che parla. Ma di
questo avremo altrove occasione di favellare. Ora in confer. mazione di quanto
abbiamo detto intorno gli affetti, recheremo alcuni esempi. Come la lettera a
innalzi il verso e lieto il faccia, si può conoscere da quel solo verso del PETRARCA:
Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono; il qual verso sarebbe rimesso se
dicesse: O voi, che udite in dolci rime il suono; sostituendo 1'i alla a.
Veggasi come Dante seppe significare uno stesso concetto con due diverse
armonie, che rispondono a due diversi affelti. Il conte Ugo lino sdegnalo, e
Francesca d' Arimino dolente dicono all’ALIGHIERIdi esser presti a rispon dere
alla sua domanda. Ma lo sdegnato dice con suono aspro e terribile: Parlare e
lagrimar vedrai insieme; e quella mesta con dolcissimo e tenue suono: Farò come
colui che piange e dice. Maravigliosamente esprime Dante con voci aspre lo
sdegno: E disse, taci, maladelto lupo, Consuma dentro le con la tua rabbia. La
velocità de' pensieri, che procedono dal l'aſſello, apparisce in questo esempio
dello stesso poeta: Dunque che è, perchè perchè ristai? Perchè tanta viltà nel
core allelte? Perchè ardire e franchezza non bai? Un verso, che esprime luogo
pauroso e cupo, si è questo: 10 venni in loco d'ogni luce mulo. Dove si vede
che se Dante, in vece di muto, avesse delto privo, il verso non avrebbe messo
nell'animo quel sentimento d'orrore. La e, che è lettera di suono lento, basso
ed oscuro, rende sommamente imitativi i se gucnti versi: Buio d'inferno e di
notte privata D'ogni pianeta solto pover cielo Quant' esser può di nuvol
tenebrata. In virtù di somiglianli armonie producono gli scriltori que'
maravigliosi effetti, che la più parte degli uomini sentono nell'animo, ene
ignorano il magistero. Di queslo cercai mani. festare la natura, non già perchè
io pensi che colui che scrive debba avere di continuo alle mani la regola; chè
anzi ho sempre creduto la dolcezza e proprietà del suono, al pari d'ogni allra
vaghezza poetica ed oratoria, nascere spontaneamente; ma questo volli fare,
perchè stimai che l'investigar le occulte ragioni del. l'arte aiuti l '
intelletto a dirittamente giudi carne, e quindi a formare quell'interior senso
si necessario a comporre lodevolmente, e quel l'abito, che prendono gli orecchi
alla lettura de'ben giudicati esemplari. Nulladimeno per compiacere agli
orecchi non si vuol mai turbare quell'ordine delle parole, in virtù del quale
diventa chiara l'elocuzione. Se per esprimere qualsisia o movimento o suono od
affello coll'armonia, o per formare un pe riodo numeroso e grave ci faremo
oscuri, nes suna lode al certo ce ne verrà. Nè solamente dobbiam sempre conciliare
l'ordine domandato dagli orecchi con l'ordine sopraddello, ma spesso ancora con
quello, che rende più evi. denti o più efficaci i concetti, del quale ora ci
rimane a parlare, siccome di sopra abbiamo promesso. Parliemo della
collocazione dell’espressione, per la quale si rende ‘efficace’ la mozzione
conversazionale. È manifesto che in ciascun periodo le pa role o le
proposizioni si possono, senza to gliere la chiarezza, alcuna volta posporre o
anteporre l'una all'altra in più maniere; ma è da por mente che, fra le molte
possibili permutazioni, poche sono quelle che meritino di essere lodate, e che
spesso una solamente si è l'ottima. Ho udito dire da molti che il più delle
volte l'ordine migliore delle parole nella proposizione si è l'ordine diretto,
e que sto in verità nell'italiana favella è spesso da preferirsi all'inverso,
segnatamente nei die scorsi didascalici o in quelli ove non si ma nifesta alcun
affetto; ma certo egli è che l'or. dine diretto (prescindendo dai mancamenti
che aver può rispello all'armonia) è alcuna volla degno di biasimo, siccome
freddo ed inefficace. A quale legge dunque dovremo ubbidire, ol. tre a quella
già stabilita circa la chiarezza e l'armonia, nel collocare le parole e le
propo. sizioni a fine di rendere più vive le descri zioni e più efficace
l'espressione degli affetti? La filosofia ci mostra che le idee tornano alla
mente associate in quell' ordine, che vennero all' anima per l'impressione
delle cose ester 88ne, o in quello, che si genera in virtù della forza
particolare di ciascuna idea, essendo che le più vivaci, o quelle che
maggiormente si attengono a' nostri bisogni, si risvegliano pri ma dell'altre;
e questo mostrandoci, ella ne insegna che, se vogliamo fedelmente ritrarre
nelle menli altrui cio che abbiamo veduto o imaginiamo di vedere, v ciò, che
sentiamo, ci è duopo di formare la catena delle parole se. condo quella delle
nostre idee, per quanto il comporta il genio della lingua. Questa verità
verremo ora con alcuni esempi mostrando, Si osservi primieramente nel seguente
esem pio, tolto dall'Ariosto, come nella descrizione delle cose, che non sono
in moto, sieno poste innanzi all'animo dell'ascoltalore quelle idee, che prima
farebbero impressione ne' sensi del riguardante, e poscia succedano a mano a
mano le altre secondo loro qualità e silo: La stanza quadra e spazïosa pare Una
devola e venerabil chiesa, Che su colonne alabastrine e rare Con bella
architellura era sospesa. Sorgea nel mezzo un ben locato altare, Che avea
d'innanzi una lampada accesa, E quella di splendente e chiaro ſoco Rendea gran
lume all'uno e all'altro loco. La prima impressione, che riceverebbero gli
occhi di chi mirasse un somigliante luogo, sa rebbe certamente la forma e
l'ampiezza di esso, e tosto occorrerebbe alla ' mente la cosa alla quale somiglia,
cioè la devota e venerabil chiesa: indi l'allenzione del riguardante si
indirizzerebbe alle parti del luogo più appari scenti, le colonne alabastrine e
rare: queste chiamano il pensiere a fermarsi alcun poco sulle qualità
dell'architellura, indi alle parli. più minute, cioè all'altare, alla lampada,
alla luce, che si spande d'intorno. Quanto giovi disporre le parole
nell'ordine, in che le idee sono naturalmente impresse nei sensi dalle
successive modificazioni delle ester ne cose, si può conoscere da questo
esempio di Virgilio, il quale, volendo rappresentare all'imaginazione nostra il
greco Sinone trallo al cospetto di Priamo, si esprime cosi: Namque ut conspectu
in medio turbatus, inermis Constitit, atque oculis Phrygia agmina circumspexit.
La collocazione di queste parole è secondo l' ordine, nel quale avrebbero
proceduto le sensazioni di colui, che avesse veduto cogli occhi propri sinone,
e che l'imagine di quella vista si riducesse a memoria. La prima cosa, che gli
verrebbe all'animo, sarebbe il luogo ov'era condotto Sipone, conspectu in
medio; indi la persona di lui colle sue più distinte qualità, turbatus, inermis;
poi l'azione, constitit; poi la parte del' vollo, che subito chiama a sè
l'altenzione del riguardante, co Die quella, che è indizio dello stato dell'ani
ma, oculis; poi le cose, sopra le quali gli occhi si volsero, Phrygia agmina;
infine l'ultima e lenla azione degli occhi dipinta colla tarda parola
circumspesil. go Un altro esempio dello stesso VIRGILIO dimo. slrerà come sieno
poste nel proprio luogo pro posizioni e parole. Ecce autem gemini a Tenedo
tranquilla per alla (Horresco referens ) immensis orbibus (angues Incumbunt
pelago, pariterque ad litora tendunt: Pectora quorum inter fluctus arrecta,
jubacque Sanguineae exsuperant undas: pars cae lera pontum Pone legit,
sinualque immensa volumine lerga. Fit Sonitus, spumante salo, jamque arva
tenebant; Ardentesque oculos suffecti sanguine et igni, Sibila lambebant
linguis vibrantibus ora. و Colui che fosse presente al descritto caso,
osserverebbe primamente di lontano due cose indistinte venir del luogo che gli
fosse al co spetto, gemini a Tenedo; indi le acque per le quali nuotassero,
tranquilla per alta; al l'avvicinarsi di quelle due indistinte cose, egli
comiocerebbe a distinguere il loro divincolare; poi ecco che le due cose, che
da prima indi stinte si mostravano, si vedrebbe essere due serpenti, angues, i
quali più s'accostano e più li vedi, e più discerni l'azione loro; prima del
gittarsi sul mare, poi del girarsi al lido, incumbunt pelago, pariterque ad
litora lendunt; ed a mano a mano più visibili la. cendosi le qualità de'
serpenti, si vedrebbero i pelti erti sui flutti ed alte le creste sangui. gne,
e il rimanente de'corpi con grandi volute nuolare, pectora quorum ec.
Finalmente udi rebbe il suono dell' acque, e ne vedrebbe le spume. Pervenuti al
lido i serpenli, discerne rebbe i loro occhi ardenli e sanguigni, ne
ascollerebbe i fischi, e vedrebbe a vibrare le lingue, fit sonitus ec. Per
l'addotto esempio maniſestamente si vede che nel collocare le parole secondo la
catena di quelle sole idee, che verrebbero al. l'animo di chi il descritto caso
avesse veduto, sta l'arte di rendere evidenti le descrizioni: di qualità che
all'uditore sia avviso non di udir raccontare ma di vedere cogli occhi pro pri.
Nel rappresentare colle parole le sole idee che vengono naturalmente all'animo
di chi mira le cose, e di chi è mosso dagli affetti, consiste l'arte del
particolareggiare: chi tra passasse Test limite cadrebbe nella prolissi tà, e
nella minutezza, la quale rende stucche voli que' poeti che eccessivamente
particola reggiando si pensano di produrre l'evidenza. Siccome poi le cose
hanno più o meno di forza sull'animo nostro a misura che più o meno vagliano a
concitare l'amore o l'odio, o a mettere timore; così interviene talvolta, che
esse al tornar che fanno alla mente tengono quell'ordine, che è secondo i gradi
della ri. spettiva loro forza. Perciò è che qualvolta le idee in virtù delle
parole sieno ordinate con formemente a siffatta legge, il discorso è caldo e
passionato; e freddo e di nessun efletto se l'ordine delle parole discorda da
quello delle idee. Nel libro IX dell'ENEIDE veggendo Niso l'amico EURIALO già presso
ad esser morto dai Rutuli, cosi esclama: Me me (adsum qui feci), in me conver:
tite ferrum, O Rutuli, mea fraus onnis: nihil iste nec, ausus, Nec potuit:
coelum hoc, et conscia si dera testor. Volendo il poeta esprimere le veemenza
della passione di NISO, soppresse il verbo interficile, e pose innanzi alle
altre la voce me quarto caso, poichè la prima idea, che viene all'animo del
giovanetlo, si è quella della propria persona, che egli vuole sacrificare per
l'amico suo; poi vengono le altre parole ordinata Diente seguitando la della
legge. Similipente PETRARCA: E i cor, che indura e serra Marle superbo e fero,
Apri tu, padre, inlenerisci e spoda. Se invece egli avesse dello: Apri tu,
padre, intenerisci e snoda I cor, che indura e serra Marte superbo e ſero,
l'elocuzione sarebbe riuscita fredda, perciocchè la prima imagine che si
presenta al commosso animo del poeta, sono i cuori, i quali egli con quelle
prime parole quasi pone innanzi a Dio, affinchè si piaccia d'intenerirli.
Accade alcuna volta che lo scrittore vuole accrescere vigore alla propria
sentenza, e in questo caso non dee disporre le sue parole a modo, che
all'uditore paia di aver inteso tutto al prinio detto, ma far sì, che le idee
vengano all' animo di lui crescendo gradatamente, come nel seguente esempio: Tu
se' buono, santo, divino. E in quest'altro del Boccaccio: Ri. prenderannomi,
morderannomi, lacereran nomi costoro. Similmente metterà bene il collocare l'ay
verbio dopo il verbo e l'addiettivo dopo il sustantivo, qualvolla sieno posti
nel discorso alfine di accrescergli vigore. Perciò è che me. glio si dirà: io
ti amerò sempre, che io sempre ti amerò: è facile il sentire come questa
seconda collocazione riesca fredda. Molli preclari ingegni, e Ira questi il
Caro, hanno biasimato il Boccaccio, perchè troppo frequentemente pone il verbo
alla fine del pe riodo; e per verità l'hanno biasimato a ragio ne; perchè non
solo con ciò si toglie al di. scorso la varietà, ma anche perchè il più delle
volle si viene a turbare la naturale associa zione delle idee. Alla quale
associazione se porrà mente lo scrittore troverà sempre molivo onde approvare o
disapprovare l'ordine che egli avrà posto nelle sue parole. Lunga opera sarebbe
il trattare qui minutamente questa materia e il prescrivere le regole
applicabili a tutti i casi particolari; queste si possono age volmente dedurre
dalla regola generale, che abbiamo assegnata, e perciò stimiamo che qui 94
basti fare qualche altra osservazione intorno ad alcuni luoghi, ne'quali il
verbo è posto in ultimo. Avendo il principe Tancredi, presso il Boccaccio,
rimproverato Ghismonda di avere eletto per suo amatore Guiscardo di nazione
vile, e non uomo dicevole alla nobiltà di lei, così ella, rinfacciandogli il
fatto rimprovero, gli dice: in che non taccorgi che non il mio pec cato, ma
quello della fortuna riprendi. Qui chiaro si vede che se Ghismonda avesse dello:
non taccorgi che non riprendi il mio pec cato, ma quello della fortuna, avrebbe
par. lalo freddamente. Il figliuolo di Perolla, in LIVIO, sdegnato che il padre suo gli abbia
inpedito di uccidere Annibale, si volge alla patria dicendo: O PATRIA FERRVM
QVO PRO TE ARMATVS HANC ARCEM DEFENDERE COLEBAM HODIE MINIME PARCENS QUANDO
PATER EXTORQVE ACCIPE. Ne'due citati luoghi son poste innanzi le idee, che
prima si presentano all'animo passionato di colui che favella, e in ullimo è il
verbo, che apporta luce alla MENTE SOSPESA dell'ascoltatore. Se T. LIVIO avesse
detto: O Patrin, accipe ferrum ec., oltrechè avrebbe parlalo fuori del modo
naturale di colui che ha l'animo commosso, avrebbe ancora mancato di
quell'arte, che l'attenzione altrui si procaccia: imperciocchè qualvolta egli
ci porge innanzi il ferro, col quale il giovane vuole difendere ostinatamente
la rocca, subito la mente sta attendendo impazientemente che cosa esser debba
di quel ferro; e, poiché ode la risoluzione di esso giovane, resla preso da
subita maraviglia e ne riceve diletto. Nel collocare le parole secondo la
catena delle idee, si vuol porre grande cura di conciliare quest'ordine con
quello che è richiesto dall'orecchio e dal genio della lingua, al quale non si
può contrariare. Qualvolta lo scrittore ciò pervenga ad ottenere, sembra che le
sue parole siensi di persé poste al luogo loro, e che chiunque avesse voluto
dire la stessa cosa l'avrebbe detta a quel modo. Questa si è quella facilità,
che molti avvisano di poter conseguire, ma spesso invano a ciò si affaticano e
sudano. Parliamo del carattere del discorso. Avendovi posti innanzitulli gl’elemenli,
onde si compongono accade ora di ragionare più parlicolarmente delle leggi
della CONVENEVOLEZZA, o sia del DECORO. Come dalla mescolanza de'sette colori
fatta con legge si genera la varietà e la vaghezza nella imagine delle cose dal
pittore imitate, cosi dalla mescolanza degl’elementi predetti, similmente fatta
con legge, nasce la varietà e la venustà della conversazione. Colui che si
facesse ad accozzare e ad ammassare alla rinfusa parole nobili, modi urbani,
mela fore, traslali, igure, sentenze, ec., verrebbe certamente a comporre di
buona materia as sai deforme Perſella riuscirà posizione, allorchè le parole e
i modi e l'armonia e le figure verranno e ben divisale le une con le altre e
lulle insieme, SECONDO I FINI che lo scrillore si propone, secondo la materia
della quale savella, secondo la condizione sua e di coloro che l'odono, secondo
i luoghi in cui parla; chè in queste tutte cose consiste IL DECORO. Dal decoro
nasce la leggiadria, che risplende nelle più belle opere dell'arle, e senza di
esso nessuna cosa al mondo è pregevole. Conciossiachè poi varii sono I FINI speciali,
che lo scrittore si propone, varii i subbielli, di che può ragionare, varie le
umane condizioni e le circostanze, conseguita che varii pur sieno i generi e le
specie de' conponimenti per loro proprio carattere distinti. Il qual carattere,
per le cose delle di sopra, definiremo nel modo seguente: Il carattere del
discorso si è la contemperanza degli ele nepli, da ' quali risultano la CHIAREZZA
e l'ornamento, fatta secondo la legge del decoro. E perciocchè la principal
legge del decoro si è quella, che riguarda IL FINE CHE CI PROPONIAMO QUANDO
ALTRUI MANFESTIAMO I NOSTRI CONCETTIi, a questo volgeremo tosto la nostra
considerazione. Chi scrive intende o a convincere o ä PERSSUADERE o dilettare altrui. Secondo questi tre fini
nasceno tre generi di scrivere o tre caratteri si diversi, che vogliono essere
di stigli e particolarmente considerati; cioè il filosofico, il PERSUASIVO, il
poetico. Di questi diremo prima alcuna cosa in generale, indine accenneremo le
specie. In quanto al carattere del discorso filosofico, Ufficio de'flosofi si è
il mostrare altrui la verità, e perciò le loro scritture intendono a fare che
il lettore od ascoltatore non sola. menle venga di buona voglia nella sentenza
a lui esposta, ma che sia costretto anche suo malgrado a vevirvi, che è quanto
dire ch'egli rimanga convinto. Se pertanto ci verrà fallo di scuoprire quella
virtù del linguaggio, per la quale si genera il convincimento, ci saranno
subito manifeste le qualità, onde il carallere filosofico si distingue dagli
altri. Il convincimento si genera nell'animo o qual volta per via de' sensi
percepiamo l’ATTENENZA ſra alcune qualità, e in questo caso diciamo esser
convinti dal fatto, o qualvolta ci vien posta innanzi una serie di proposizioni
insieme collegate e procedenti da una o da più altre conformi a'falli, le quali
si chiamano principii; ed in questo secondo caso diciamo di essere CONVINTI CON
EVIDENZA DI RAGIONE. A costringere l’animo con questa evidenza intendono i
filosofi, ed a tal fine son loro necessarii i vocaboli di singolare
significazione ed i modi precisi; imperciocchè se nella catena delle
proposizioni che formano il ragionamento, una sola vi fosse di perplesso
significato, o che accrescesse o menomasse di un solo elemento iniportante
alcuna idea, si mulerebbero le attenenze delle dette proposizioni, dal che
procederebbe l'errore, come accade nelle operazioni aritmeliche, qualvolta, no
solo numero si ponga iu luogo di un altro, Se agli uomini venisse dalo (che Dio
volesse) di ordinare la lingua italiana a modo che dalle percezioni delle
qualità semplici delle cose fino alle più complesse idee d'ogni maniera non
fosse vocabolo di mal fer ma significazione, non sarebbe malagevole il
ragionare dirittamente in qualsivoglia altra Ina teria, come si ragiona nella
matemalica; inn perciocchè in virtù de'segni ben determinali si verrebbe al
conoscimento delle attenenze delle idee complesse grado per grado fino ai loro
principii; e per tal forma ciascuno potrebbe sempre rendersi certo della
enunciata verità. Da tutto ciò si raccoglie che nella precisione delle parole e
dei modi sta la virtù di convincere; e che perciò essa precisione esser dee la
prerogativa dello scrivere filosofico. L'uso della metafora pertantoe delle
figure può divenire larghissima fonte d'errori, per ciocchè è facile che
l'animo umano ingannato dalle similitudini, di che si formano le metafore, e
commosso dagli artificii travegga, e quindi si faccia a comporre le nozioni,
non secondo la natura delle cose, ma secondo le apparenze e la capricciosa
indole della fantasia. Il sistema del Malebranche, ch'ebbe tanti se.guaci e
disputatori (per lacere di molli altri ) procede da una similitudine. E si
dovrà dunque nello scrivere insegnali vo schivare ogni metafora ed ogni figura,
e renderlo secco e ruvido, come quello de'ma temalici? V'hanno certamente
alcune malerie (e tale è per avventura la ideologia ), le quali richieggono un
linguaggio pressochè simile a quello della geometria o dell'algebra; ma non è
perciò che le altre parti della filosofia, ed anche talvolta la stessa austera
scienza delle idee, non dimandino ornamento sobrio e ve recondo. Niuna materia
filosofica vuol essere molto mollo fregiala, acciocchè il verisimile, in forza
degli artifizii oratorii, non venga ad invadere. il luogo del vero, nė paia che
il filosofo voglia invescare e prendere altrui: nulladimeno è necessario che a
quando a quando l'intelletto del leggitore, affaticato dal lungo ragionare,
trovi riposo, e venga alleltato, senza che la esposta verità rimanga oscurala.
Perciò il filosofo collo schivare le parole barbare, rance, oscure e
disarmoniche toglie ogni ruvidezza al suo discorso, e gli da grazia e
leggiadria convenevole co' modi urbani e gentili, colle vereconde metafore
scelte a maggiore schiarimento di quanto per le parole ben determinate e
espresso; colla BREVOTÀ e colla varietà de'modi, con alcune naturali figure,
quale sarebbe l'interrogazione, e specialmente coll’armonia facile e piana, e
con tutti gli allri modi naturali alla temperata favella. Questo carattere
filosofico e si ben divisato da CICERONE, che io stimo convenevole cosa di
recare le sue parole temperata e famigliare è l'orazione de’ filosofi: non è
composta di modi popolari; non è legata a cerle regole d'armonia, ma discorre
liberamente. Niente sa d'iralo, niente d'invidioso, niente di inirabile, niente
di astuto. Casla, vereconda, quasi pudica vergine, onde piuttosto ragionamento
che orazione può nominarsi. Parliamo del discorso di carattere PERSUASIVO o PROTETTICO [Grice –
‘protreptic’]. Poichè abbiamo dato contrassegno del carattere filosofico,
veniamo a fare il medesimo della mozzione conversazionale persuasiva. “Persuadere”
(“to influence and being influenced”) segna propriamente far credere altrui
alcuna cosa; dal che manifesto apparisce essere grande la differenza tra il “convincimento”
e la “persuasion”. Perchè siamo CONVINTI è forza che conosciamo ogni
proposizione che compone un ragionamento fino alla prima percezione, dalle
quali dipende il principio fondamentale di quello. Perchè siamo “PERSUASI” basta
che il ragionare abbia per fondamento o l'opinione o l'apparenza o l'autorità
(non come l’intende Courmayeur). Molti dicono, a cagion d' esempio, di essere “PERSUASI”
che il sole si giri intorno la terra, ed altri che la terra si volga intorno al
proprio asse. Gl’uni prestano fede all'apparenza, gli allri al detto degl’uomini
sapienti. Ma di quello che credono non sanno porgere altrui vera dimostrazione.
Da questo esempio, e da infiniti altri, si può vedere che la PERSUASINE non è
sempre generata dal conoscimento – o sceinza, ma credenza -- di ogni
proposizioe che si richieggono nella
dimostrazione, e che per conseguente a trarre le volontà, ed a tenere le menti
del più degl’uomini, non importa semipre il dimostrare sollilmente alla maniera
del filosofo, ma giova di far uso di qualsi voglia verisimile principio: di
comporre imaginazioni che abbiano faccia di verità: di adoperare figure che,
perlurbando l'aninmo di nostro compagno conversazionale, conformino i pensieri
di lui secondo la nostra volontà di guisa, che, se egli sia per venire nella
nostra sentenza, precipitosamente vi corra. Ma tutte queste cose si vogliono
adoperare a modo, che il discorso abbia sempre apparenza di vera dimostrazione;
perciocchè l’uditore di qualsivoglia condizione sempre domanda al conversatore
che sia loro mostra la verità. Converrà quindi dedurre il discorso, per natural
guisa e chiaramente, e da esso rimovere ogni proposizione ed ogni artificio,
nel quale apparisca alcuna ombra di falsità. Primo ufficio del conversatore si
è il provare la sua proposizione nella divisata maniera. Secondo, il dilettare.
Terzo, il commovere; accorgimento si richiede nelle prove; sobrieta dell’ornamento
che intendono al diletto; veemenza nel concitare l’affeto. Con queste arti si perviene a trionfare ed a
governare la volontà di nostro compagno conversazionale. Per le cose dette si
conosce che il conversatore, comechè dice di voler dare esatta dimostrazione di
quanto afferma, questo non fa sempr: del che si può aver prova nella disputa,
che fa in contraddilorin, per le quali talvolta appaiono vere due sentenze, una
delle quali, essendo opposta all'altra, deve di necessità esser ſalsa
(reduction ad absurdum, introduduzione della negazione). Non è dunque l'arte
della conversazione veramente l'arte di dimostrare (prendendo questa parola
nello stretto segnato del filosofo) ma, come la define Dionigi d'Alicarnasso, “l'arte
di farsi credere”. Ma qui potrà per avventura sembrare che, avendo io nel sopra
indicato modo divisata la natura di una mozzione conversazionale persuasiva, de
abbia fat 10 un'arte d'inganno. Chi però cosi pensasse а porterebbe opinione falsissima;
perciocchè non si ſa inganno agl’uomini adoperando a bene quell'arte, che sola
si conſà all'indole della più parte di essi. Pochi sono coloro, che possono
essere falli capaci della verità per via di sollile ed esatto ragionamento;
anzi avviene il più delle volte che, sembrando molti falsissimo il vero e piacesse
a Dio che così non fosse), è forz, per guadagnare l'opinione foro, venire ad
alcuna utile verità per le strade del verisimile; e questo non è certo
ingannare, ma giovare la umana famiglia. Vero ufficio dei conversatori si è l '
usare l'eloquenza non ad inganno, ma per indurre gl’uomini a fuggire il vizio,
a seguitare la virtù e la verità; per metter fine alle conlese, per sedare i
tumulti, per sollevare l'autorità della legge contro il volere di coloro, che
il privato bene antepongono a quello della repubblica: che se alcuni malvagi
intellelli abusano di tutte le arti civili, dovremo per questo sbandirle da
Roma e ricondurre gli uomini a viver di ghiaude? Finalmente e la mozzion
conversazionale di carattere poetico, come in Heidegger. La poesia fou dai
ROMANI inventata per proprio diletto, e poscia dagli autori della vila civile
ad ammaestramento di esso popolo adoperala. Piacque ad aleuni a solo ricreamen
to dell'animo usarla, ma i più nobili poeti sotto il velame delle favole, delle
imitazioni e dei mirabili concetti pascosero la dottrina, e con locuzione
accesa nella fantasia e con soavi armonie si aprirono la strada alle menli
volgari, le quali all'insegnamento dei filosofi sarebbero stale ritrose. Per lo
che niuno può dubitare che chiunque si dispone a fare una mozzione
conversazionale poetica non debba cercare di piacere alla più parte degli
uomini. Questo fece ad imagine degli antichi il nostro Alighieri, la cui divina
Commedia leggevano anche le persone d'umile condizione, e ne traevano documenti
a ben vivere. Questo ſecero l'Ariosto e il Tasso, e cosi dee fare chiunque ha
vaghezza di essere salutato un autore di una mozzione conversazionale poetica. Se
dunque investigheremo quali sieno quei modi che dilettano il più degli uomini,
e quali sieno que' che li noiano, giungeremo a conoscere quali convengano e
quali disconvengano al carattere della mozzione conversazionale poetica. E
primieramente e palese che le espressione apportano diletto e colla materiale
struttura loro e colla qualità delle idea, che recano alla mente; perciò è che
l'essere del carattere poetico dall'una e dall'altra di queste cose dovrà
generarsi. Una delle qualità necessarie alla mozzione conversazionale poetica
sarà dunque la più squisita armonia, onde siano dilettati i sensi ed appagato
l'intelletto in virtù della imitazione. Dell'armonia abbiamo dello abbastanza,
perchè passeremo tosto a dire della natura delle idee dilettevoli. Il diletto
si genera negli animi da ciò che, dolcemente i sensi movendo, fa operare la
mente senza tenerla in fatica: e perciò è che le imagini dei corpi diversi e
tulte quelle cose e que’ concetti, che hanno virtù di risvegliare gli affetti,
ci recano maraviglioso piacere e le idee astratte all'incontro non lo ci
recano, perciocchè, se non sono mollo complesse, fanno lieve impressione
nell’animo; se molto complesse, abbisognano di molta attenzione, e perciò
affaticano la mente. Proprii, saranno dunque del carattere poetico i vocaboli e
i modi acconci a svegliare ad un tempo la rimembranza di molte sensazioni
dilettevoli ed a concitare le varie passioni ed a rendere sensibili coll'aiuto
delle similitudini tolte dalle cose corporee i più sottili concetti della
mente. Cogli aggiunti opportunamente scelti vengono segnata la passione o l’azione,
e gli usi delle cose e le qualità loro proprie, le quali in virtù dei soli nomi
sustantivi non verrebbero all'animo di nostro compagno conversazionale, o ci
verrebbero debolmente; perciò al poeta conviene l'adoperare essi aggiunti più
frequentemente che all'oralore, quale dipinge meno parli colarmente le cose,
siccoine colui che non ha per fine principale il diletto. Colla metafora si dà
corpo a una nozione astratta, coi tropi si pone dinanzi agli occhi della mente
quella sola parte o qualità dell'obbietlo, che prima si presenterebbe al senso
di colui che cogli occhi del corpo il mirasse. Adoperando i predetti modi, si
perviene a dare a’ concetti intellettuali forma sensibile guisa, che nostro
compagno conversazionale, direi quasi, non più per segni percepisce le cose, ma
le vede, e con mano le tocca. Affincho palesemente si vegga questa prerogativa,
che sopra tutt e rende il carattere poetico distinto dagli altri, recherò ad
esempio alcuni concetti intellettuali, convertendoli in forma sensibile. Tutti
i viventi muoiono. La sede del romano impero fu da Costantino trasferitu a Bisanzio
Il popolo facilmente mula consiglio. Quello ch' ei fece dai tempi di Romolo,
sino a quello dei Tarquinii. Quello concetto si dice intellettuale, siccome
quelli che si denno giudicare secondo il segnato proprio di ciascuna parola;
sensibili saranno, qualvolla sieno espressi di maniera che giudicare si debbano
secondo l'apparenza o la similitudine, siccome divengono i predelti Trasformandoli
nel modo seguente. La morte batte egualmente alle capanne de poveri ed a’
palagi de’ re. Posciachè Costantin lo quila volse contro il corso del ciel, che
la seguiu Dietro quel grande, che Lavinia Wolse. Infida è ľaura popolare. E
guel cliei fe' dal mal delle Sabine Al do Tor di Lucrezia. Queste finzioni che
assai di lettano, e perchè contengono manifeste similitudini e perchè racchiudono
veri intellettuali concetti, sono talmente proprie della mozzione conversazionale
poetica, ch'elle sarebbero sconvenevoli nei discorsi, che non hanno per fine
primario il diletto. Come queste poi si addicano più a cerle specie, che a
certe altre, vedrenio a suo Juogo. Ora bastea di avere in genere contra-segnata
la natura del carattere poetico, onde apparisca che tengono mala strada coloro,
i quali cercando "fama tra i poeti fanno pompa ne’loro versi di dottrina e
di soltile ingegno, ed espongono i loro pensieri con ordine troppo minuto e
distinto. I concetti che si cavano dall’intrinseco della filosofia, recanó seco
molta oscurità e difficoltà, specialmente quando vengono segnato co' vocaboli e
commodi loro proprii, e perciò sono contrarii al diletto, che è il fine del
poet, o, come altri vuole, il mezzo necessario ad indurre il giovamento. E
quando si dice che il poeta dev'essere filosofo, non si vuol dire che a modo
dei filosofi debba scegliere, ordinare e segnare il concetto, ma che egli usi
molto di filosofia nello scegliere le materie più utili agli uomini, e nel dare
a quelle e forma e veste conveniente alla natura di ciascuna. Che se talvolta egli
vorrà togliere alcun concetto dalla filosofia, lo toglierà dalla superficie e
non dal profondo seno di lei, in quel modo, che ha fatto il Petrarca, qualvolta
si è giovato della filosofia di Platone, come si vede nel seguente esempio. Per
le cose mortali, che son scala al fattor chi ben le stima, D'una in altra
sembianza potea levarsi all'alta cagion prima. E in altri luoghi moltissimi si
vede con qual arle e cautela dalla flosofia nella poesia egli abbia trasportati
i concetti, gli abbia temperati ed ornati, sicchè non hanno nè ruvidezza alcuna
nè oscurità, ma naturalezza, novità, e magnificenza, che sono qualità popolari,
che è quanto a dire poetiche. C’e una e altra specia del discourse di carattere
filosofico. Le materie, intorno le quali cade l'insegnamento, sono: la
matematica, la fisica, la metafisica, la morale, la politica, l'arte oratoria e
la poetica, le arti liberali e le meccaniche, e tutte le conoscenze che da queste
principali procedono, ciascuna delle quali essendo più o meno astratta,
richiede o maggiore o minore soltigliezza d'ingegno e forza di attenzione in
chi le consider: per la qual cosa interviene che dovendo i conversatori usar
parole e modi con venevoli alla natura di ciascuna delle dette materie, ne risultano
diverse specie di caratteri insegnativi più o meno austeri. Rispelto poi alle
persone, cui vuolsi mostrare la verità, giova osservare che elle sono di due
maniere. Alcune letterale ed alcune mezzanamente istruite. Alle prime, che sono
avvezze al ragionamento, si converrà stretto sermone: più diffuso alle altre,
le quali hanno bisogno che le cose sieno esposte loro per minuto, ed anche
talvolta per via di similitudini e di esempi chiarile. Per tal cagione il
discorso filosofico prende spesso alcuna delle forme del persuasivo, senza mai
perdere però la precisione, che forma l'essenziale sua proprietà. Di tal sorta
sono molte mozzione conversazionale indirizzati all'insegnamento de' giovani, e
i dialoghi e le epistole filosofiche, le quali vengono usate affinchè certe
materie depongano alquanto della nativa loro austerità, ed allin cbè i
conversatori affaticati trovino riposo nelle digressioni e in altre parti
accessorie. C’e una e altra specia di discourse di carattere pesuasivo o
protrettico. Se al mondo fossero uomini dirittamente sapienti e perfettamente
savi, sicchè astuzia e lusinga di oratore non potessero negli animi loro, vana
riuscirebbe l'arte del persuadere, perciocchè tutti richiederebbero di essere
convinti con precisa e poco adorna favella: ma Blo non sono quaggiù nel mondo
cose perfette, e perciò è che, sebbene tutti gli uomini avvisando di poter
essere condotti alla verità per via di vera dimostrazione, sdegnino i manifesti
artificii; pure non v'ha alcuno, che vaglia a resistere alla seduzione di
astuta eloquenza; dal che si ricava che l'arte del persuadere si può adoperare
con ogni sorta di persone; po pendo menle però che quanto maggiore negli ascoltanti
è l'aculezza dell'intelletto e la sapienza, altrellanto esser deve la cura
nell'ora tore di occultare l’artificio. Dovranno dunqne i modi del discorso
persuasivo tanto più avvicinarsi a quelli del filosofico, quanto piu le
persone, cui si favella, sono sapienti ed arcorte; ed all'incontro tanto più
dovranno lingersi, direi quasi, del COLORE (Farbung) poetico, quanto nel
conversatore è minore l'altitudine ad argo nentare sottilmente: e la ragione di
questo si è che, a misura che negli uomini manca l'acı fezza dello intelletto,
cresce la forza della fan. tasia, dell'opinione e delle passioni. Ma no è
perciò che, anche favellando a sì falte persone, debba l'oratore ornare il
discorso d'imagini fantastiche a modo che esso perda le apparenze della buona
dimostrazione; essendo che' il popolo stesso, il qual pure, come è detto,
presume di sapere ragionare sottilmente, sde gna quella orazione che gli par
vuota di ragioni. Dovrà dunque il discorso persuasivo aver sempre l'aspetto di
vera dimostrazione; ma colale aspetto poi sarà diverso, secondo la maggiore o
minor perspicacia delle persone, che si vogliono persuadere, le quali si
possono dividere in tre schiere. La prima è degli uomini letterati: la seconda
degli uomini che banno convenevole discrezione di mente: la terza del popolo
basso. Per le quali tre schiere tre specie di carattere PERSUASIVO procedono.
La prima partecipa alquanto delle qualità del genere filosofico: la terza di
quelle del poelico: la seconda è stile medio e media fra le due. Della prima
specie e l’allegazione, che l’avvocato pronuncia al cospetto de' giudici; della
seconda i discorsi morali, la storia, l’elogio, ed altre opere intese a
persuadere circa il giusto e l'onesto le persone discrete; della terza la
predica e la allocuzione e il parlamento, che si fanno al popolo ed a; soldati.
Siccome poi varia si è la condizione delle persone che favellano, e varie le
cose di cui si può favellare, interviene che secondo queste e quelle verrà il
carattere PERSUASIVO a dividersi in altre specie: e perciocchè le per le cose
si possono considerare di tre ragioni, cioè di nobili, di mezzane e di umili,
piacque a' retorici di restringere sotto tre soli nomi i molli membri del
carallere persuasivo, e questi sono: il sublime, il temperato ed il tenue. Che
a ciascuna di queste specie si addicano e voci e modi particolari, è facile
comprendere e chi non vede che al discorso rivolto a celebrare le lodi di un
eroe o di un sapiente si convengono maniere diverse da quelle, che sarebbero
accomodate a descrivere o a lodare l’amenità della villa? Che la lettera
famigliare intenla a persuadere qualsivoglia verità ad alcuno, dev'e di natura
diversa dall' orazione che tralla della cosa medesima? Paren sone e I 2 domi
che qui non sia bisogno di allargarsi troppo in parole, una sola cosa ricorderò,
cioè, che von solamente si addicano a cfascuna spe. cie particolari maniere, ma
ancora particolare collocazione di parole e particolare armonia. Imperciocchè
l'animo di chi favella, essendo secondo i varii casi o tranquillo o perturbato,
o elevato o umiliato, non è dubbio che, nel seguitare questi diversi affetti,
variamente si devono ordinare le idee, e colle idee le paro le, e che
similmente dee variare l'armonia, se vero è ch'ella soglia naturalmente,
qualvolta favelliamo, accompagnare i moti dell'animo, Oltre di che vuolsi
considerare che que' che parlano alla moltitudine, o scrivono cose da
proferirsi ad alla voce, sogliono muoverla e modularla con diverso andamento da
quello che userebbe colui, il quale famigliarmente ragionasse e tranquillamente
in angusto loco alcun fatto narrasse; e perciò il ritmo di que ste due specie
di favellare è fatto diverso dalla necessità di pronunciare a modo, che le
nostre parole sieno ascoltate volentieri, e quan do in luogo pubblico di gravi
negozii a molti parliamo, e quando in camera a pochi di qual sivoglia materia.
Quale sia poi quella deter minala armonia, che in ciascun caso convenga,
insegnare uon si può. Qui basti l'avvertimento, chè l’esempio de classici
scrittori assai meglio ne può ammaestrare. Penso che sia convenevole cosa il
collocare fra le specie del carattere persuasivo anche quello che si addice
alla istoria; e ciò per le seguenti ni. Uſlicio dell'istorico si è di produrre
coll'insegnamenlo la prudenza civile e militare, il che si ottiene col porre
innanzi all ' animo del lettore i fatti importanti e le cagioni e gli effelli
di quelli. Al qual line, è mestieri di descrivere avvenimenti d'ogni ma piera e
particolari e generali, assalti, uccisioni, incendii, battaglie, saccheggi,
trattazioni, páci congiure, delilli e
virtù; di palesare nelle concioni poste in bocca ai re, ai magistrati, ai
capilani, i gravi consigli e i documenti della politica; di esprimere i
caratteri delle passioni, e di usare le più luminose sentenze. Le quali tulle
cose vogliono essere significate con modi che varino secondo il variare della
maleria. Comechè uguale a sè medesimo sia sempre il carattere della storia,
cioè grave, siccome si addice a chi le gravi cose racconta, certo egli è che
secondo la differenza degli avvenimenti dovrà variare nel sostenersi e nello
innalzarsi, ed apparire nelle concioni più alto ed eſti cace, nelle descrizioni
più ameno ed ordinato, e spesso più veemenle nella persona degli uo mini ivi
introdolli a parlare, ma sempre temperato in quella dello scrittore, che da
ogni parteggiare dee mostrarsi lontano. Non può dunque convenire al caraltere
storico nè l'autorità filosofica, la quale sarebbe contraria alle malerie, nè
la poetica pompa, che torrebbe fede alla narrazione; perciò é forza che gli
sieno proprie le prerogative generali del ca. rattere persuasivo, dal quale
differisce sola mente per le qualità speciali di sopra accennale. C’e una e
altra specia del discourse di carattere poetico. Se ſu bisogno dividere in
alcune specie il carattere persuasivo a cagione della maggiore o minore
altitudine delle menti umane a di scerncre la verità, ciò non occorrerà circa
il carallere poetico; imperciocchè tanto gli uo. mini di sottile ingegno,
quanto quelli, in cui la fantasia prevale all'intelletto, hanno tulli dinanzi
al poela una medesima disposizione. Se il popolo porge orecchio alle finzioni
noe. tiche, quasi come a cose vere, i sapienti le riguardano come simboli della
verità e quasi come leggiadri sogni della filosofia, e in questo loro dolce
ricreamento sdegnano ogni austerilà e fino l'apparenza delle faticose forme
filoso. fiche. Perciò è palese che il poeta rivolge sem. pre le parole ad
vomini, i quali, sieno di qual sivoglia condizione, amano che la mente loro şia
condotta ad operare senza fatica. Da que. sto si ricava che ogni specie di
carattere poe tico dovrà avere sempre la prerogativa di schivare, come dicemmo
di sopra, le idee che tengono in falica l'intelletto, e rappresentare quelle,
che vestile di forme sensibili, eserci. citano la imaginativa. Non sarà dunque
diviso in ispecie questo genere per rispelto della diversità degl'intel letti,
ma della condizione del poeta o delle persone che introduce a parlare, e delle
varie cose, che ei ſa subbietto del canto. Ma, prima di entrare in questo
proposito, parni che sia da togliere una falsa opinione circa la natura della
poesia. Sono alcuni i quali avvisano che 115 ma il l'essenza di lei consista
nel metro, e fra que sti è il Melaslasio, il quale nella sua esposi zione della
Poetica d'Aristotele sostiene che la lavella metrica, per essere l'istrumenlo
con che l'imitazione si fa, ne forma l'essenza. Ma io domanderei voleplieri a
coloro che cosi la pensano, qual nome vorrebbono dare all’ENEIDE tradolla in
favella sciolta dal metro? Le daranno per avventura nome di prosa?
L’espressione “prosa” altro non segna che discorso senza metro, e per ciò
verranno a dire solamente che quell'illustre racconto è fatto sce. mo di quella
sola qualità, di che grandemente si diletta l'orecchio, ma non già di tutte le
altre, che stabiliscono la natura dei discorsi composti a fine di diletto. Dal
che appare manifesto che un altro general nome è bisogno per distinguere i
discorsi composti per dilettare. E quale è a ciò più accomodalo vocabolo che
quello di poesia? L’espressione “poeta”, secondo sua origine, significa facilore
o vogliam dire fabbricatore; e perciò poesia sonerà lo stesso che fabbricazione
o finzione, e tali sono di necessità quasi tutti i discorsi, che si compongono
a fine di dilellare, essendo che il nudo vero non è dilettevole sempre e in
ogni sua parle: perciò Varchi dice nell'Erco laro, che il verso non è quello
che faccia principalmente il poeta; e che Boccaccio talvolla più poeta si
mostra in una delle sue Novelle, che in tutta la Teseide. Ed Orazio afferma che
a distinguere la poesia da ciò che essa non è, basta disgiungerne le membra,
cioè loglierle il metro, e allora si vede manifestamente che il carattere non
le si toglie. Conchiudiamo pertanto, che il metro induce diſſerenza di specie
ma non determina la natura del genere; e stabiliamo che a tutti i discorsi che hanno per fine il dilettare con metro o
senza, si conviene il nome di “poesia”. Ora veniamo alle specie. Talvolta il poeta
rappresenta la persona d'uomo, che cantando, dice laudi degli Dei e degli Eroi;
talvolta quella, ch'esprime i moti dell'allegrezza, dell'affanno o dell’amore,
o solamente gli scherzevoli con cetli. Le poesie di questa maniera solevano
dagli antichi essere cantate sulla “lira,” e perciò presero il pome di “lirica”,
e tuttora il conservano. Varie essendo le passioni e le cose che esprimere si
possono dal conversatore lirico, interviene che ancora il canto si divide in
varie specie, che tutte poi si riducono a tre, come nel carattere persuasivo:
cioè al sublime, al mediocre ed al tenue. Ciascuno di questi canti ha qualità
sue proprie. Magnificenza e gravità di mod, di sentenze e di arinonia, e splendore
d'illustri parole e di concetti fantastici convengono a chi celebra le laudi
degli Dei e degli Eroi, ed esprime alte e generose passioni: più tenui maniere
e parole e più soave armonia a chi esprime gli affelli meno gravi e canta di
subbielli meno nobili: quegli poi, che dice i mili affetti o gli scherzi o le
umili cose, avrà nelle sue parole piacevolezza e semplicità da ogni fasto
lontana, ed armonia soave e varia, ma sempre tenue. Alla detta varietà
d'armonie, mirabilmente poi servono i metri, alcuni de' quali portano
secofl'umiltà, altri la mediocrità, altri l'allezza dell'armonia. Sono molti
esempi di questa varietà in Petrarca, Si ponga mente ai modi, al metro, al
ritmo delle due canzoni d'amore, una delle quali comincia, Chiure, fresche e
dolci ucque; e l'altra, Di pensiero in pensier, di monte in monte; e si vedrà
la prima essere in tutte le sue parti piena di soavità, di gentilezza e di grazia,
e l'allra di robustezza e di gravità. Talvolta il poeta narra gl ' illustri
ſalli; tal volla i mediocri; e talvolta i piacevoli: indi si generano i poemi
epici, i romanzi, i poemi burleschi e le novelle. Talvolta poi introduce a
parlare o le persone illustri o le mediocri o le umili, e quindi provengono le
tragedie, le commedie, le egloghe pastorali e le pisca torie. Ognuna di queste
specie, siccome è pa lese, ha modi ed armonia convenevole alla maleria ed alla
condizione delle persone. Perciò è che il poeta, specialmente nella tragedia,
nella commedia e nell' egloga, ove se medesimo nasconde introducendo altri a
par lare, dee rendere alquanto umili i modi, l'ar monia di guisa, che lo
spettatore, ascollando le tragiche persone o le coniche, abbia a dire: così
parlerebbero gli uomini di questa o di quella condizione, se loro naturale
favella fos sero i versi. Giovi questo generale avverli mento, perciocchè non
si possono mostrare i certi limili, fra i quali dee slarsi ciascuna spe 118 rie.
Tutte hanno nell'intero loro corpo faltezze particolari, alle quali colui che
ben vede di stintamente le raffigura: pure a quando a quando or questa or
quella viene a parteci. pare dell ' altrui colore di guisa, che l'epico nelle
forti passioni innalza le parole e i modi al pari del cantore degl'inni; e il
più sublime lirico parra alcuna volla, siccome fa l'epico. Lo stesso interviene
delle allre specie, fra le quali per fino la commedia talora si leva a
gareggiare colla Tragedia, e la tragedia al dire l'Orazio, spesso, si duole con
sermone pe destre. Nelle opere dell'arle, siccome in quelle dels la nalura, si
scorge infinita diversilà, ma per questa spesso non è tolto che moltissimi indi
vidui della medesima specie, sebbene molto dissimili, non sieno egualmente
belli e prege voli. Questo vedesi manifestamente per le la vole colorite da'
celebri dipinlori, de'quali uno essendo il fine, cioè quello dell'imitare la
bella natura, non in tutti una apparisce la sembianza del loro dipingere.
Raffaello, Correggio, Domenichino, Caraccio, Tiziano e Paolo, i quali cerlo non
mancano nelle regole invaria bili dell'arte, sono fra loro assai differenti.
Tutti mostrano invenzione lodevole e lodevole composizione, belle forme, ben
disposto colo. rito e conveniente a ciascuna cosa: tutti esprimono i costumi e
gli affelli, ma ciascuno d'essi ſa delle predette e di altre virtù una cotale
mislura, che siamo condolti a dire che nessu. 1 Til no di loro ha la maniera
dell'altro, comechè Tulli sieno eccellenti. Questa, che i pillori chia mano
maniera, è similmente comune a' filosofi, agli oratori, agli storici ed
a'poeli. Quanti scriltori sono tenuli meritevoli di pari commendazione, sebbene
tale fra loro sia la diſſerenza, che spesso ciascuno solamente a sè me, desinio
ed a nessun altro assomiglia? La rinsposizione dell'ingegno e delle affezioni
dela l'animo, che in ciascun uomo è diversa, è cagione che le dette maniere sieno
di numero pressochè infinito. Alcuno de' famosi scriitori ha il pregio della
perspicuità, alcuno della eleganza, allri della grazia, altri dell'aculezza.
Questi è grave e maestoso: quegli delicato e molle: chi è breve e robusto: chi
copioso, chi úrbano e chi veemente: ma tali poi sono tutti, che, se alcuno di
noi desiderasse di ottener gloria di ottimo scrillore, sarebbe incerto a quale
di loro volesse essere somigliante. L'accennata maniera particolare, per la
quale ciascuno scrittore è distinto dagli altri, si è quella che gli antichi
chiamarono “stile” (cf. Tannen, Conversational style), prendendo questa voce
dall'istrumento che per iscrivere adoperavano. La stessa parola “stile”, presa
più largamente che non fanno i filosofi, segna comunemente il carattere in
genere o in ispecie: ma è palese che, filosoficamente parlando, si è bene d'usarla
nel senso leste dichiarato. Ond'è che assai propriamente diremo in generale,
carattere filosofico, caruilere persuasivo o poetico; ed in ispecie carattere
oralorio, lirico, epico, tragico, sublime, medi cre e tenue: e stile di
Demostene, di CICERONE, di Ortensio, di Omero, di VIRGILIO: percioc chè nei
primi fu il solo carattere persuasivo, negli altri il poelico; ma in ciascuno
ebbe una particolare maniera, che modificando il carattere, l’essere suo non
gli tolse. E chi volesse invesligare le cagioni da che proceda colale maniera,
che stile si appella, vedrebbe ch'elle sono le qualità dell'intellello, della
fantasia di ciascuno scrillore, e le qualità degli affetti, a cui egli ha l'
animo disposto: laonde volendo dare alcuna definizione dello stile, paroi che far
si potesse nel modo seguente. Lo stile si è il carattere modificato secondo le
qualità dell'intellelto, della fantasia e degli affelli dello scrittore. Parliamo
sommeramente del modo di acquistare la qualita necessaria a conversare
civilmente. Ora che abbiamo poluto conoscere che cosa sia lo stile, non sarà
indarno l'investigare co me si possa acquistare forza, grazia e vaghezza nello
scrivere; e che è quanto dire come si possa formare lo stile convenevole e
pulito. Se lo stile si genera per la qualilà dell ' in tellelto, della fantasia
e degli affetti dello scrit tore, vera cosa è che, a formarlo convenevole e
pulito, bisognerà rendere perfette le mento vate tre cagioni il più che si può.
L'uomo nasce fornilo dell'intelletto, cioè della facollâ di sentire, di
percepire, di alten. dere, di paragonare, di giudicare, di astrarre, di
ricordarsi, di imaginare, ma d'uopo è che queste lacollà vengano poscia diriltamente
usate ed esercitale, onde sia generala quella virtù pressochè divina, che si
appella la ragione, la quale consiste nell'abito di. paragonare in sieme i
sentimenti distinti dell'anima e le idee, di derivar dai falli pariicolari le
nozioni gene. rali; di anteporre o posporre le une alle altre, di congiungerie
o di separarle, secondo la con venienza o disconvenienza loro, e secondo i loro
gradi di più o di meno. A formare que sl’abito, sarà bisogno di studiare le
opere de' filosoti, che trattano soltilmente delle cose na lurali, delle
proprietà dell'intelletto e del cuore umano; di apprendere l ' istoria, senza
la co gnizion della quale, al dire di Cicerone, l'uo mo si rimane sempre
fanciullo; di osservare la nalura, di pralicare fra le diverse condi. zioni
degli uomini, e di operare ne privati negozii e ne' pubblici. Ad arriccbire
l'imagi. nativa, la quale è l'abito di recare all'animo la reminiscenza delle
qualità sensibili che più ci muovono e dilellano; di congiugnere insie me con
verisimiglianza quelle, che sono di. sgiunte in nalura, e di significare per
siinili tudine delle cose corporee i concelli astralli, non solo metterà bene
di leggere gl'inventori di nuove e vaghe fantasie, ina di por menle a tutto ciò
che ai sensi porge diletlo, sia nelle azioni degli uomini e degli anigali sia
nel l’esteriore aspelto e movimento delle cose inanimate; e soprattullo gioverà
di ben con siderare le somiglianze che fanno fra loro le cose di qualsivoglia
genere e specie; chè que sto si è il fonte, dal quale si derivano le vuo ve e
maravigliose metafore. Di molla ulilità sarà poi all'intellelto ed
all'immaginativa lo sludio de' precelli dell'arte oratoria e della poetica, i
quali, essendo il compendio di quanto ove i filosofi hanno osservato intorno le
cagioni, onde piacciono e dispiacciono le opere degli scrillori, apportano
quella luce, che un uomo solo nel breve spazio della vila studierebbe indarno
di procacciarsi colla sola virtù del proprio ingegno. Vuolsi però sull'osservanza
de'precelli avvertire ciò che nell'arle poetica osserva Zanotti; cioè che le
cagioni del piacere e del dispiacere trovate da’ filosofi, essendo cagioni
universali ed indeterminale, mostrano bensi i luoghi, non vogliono che si
ecceda o si manchi, ma non prescrivono poi a qual segno si debba giugnere o
rimanere, per non ecce dere o non mancare; ond' è che, a fare buon uso del
precello, è bisogno di quella discre. zione, che si acquista con lungo sludio e
fatica. Rispetto agli affelli, io mi penso che, sel) bene sieno da natura, pure
a conciliarli in al trui grande aiuto si possa trarre dall'arte. Se l'amore,
l'odio, l'ira, la mansuetudine, la misericordia ed allre affezioni dell'animo
na. scono da cagioni determinale, come per eseni. pio l'amore da bellezza e da
virtù, l’odio da male qualità del corpo o dell'animo altrui, non v'ha dubbio
che gli aſſelti medesimi si deb bono in chi legge risvegliare per virtù della
viva' rappresentazione di quelle cagioni: dal che si raccoglie che lo
scrittore, considerando le varie disposizioni degli uomini passionali, e le
cagioni, per le quali la passione si genera, avrà materia onde gli animi
perlurbare. Cosi per aiuto dell'arte verrà ad operare in altrui quell'eſello, che
imperſellamente avrebbe operalo mercè della sola naturale sua disposi. zione.
Da quanto è dello apparisce che la scienza avvalora l'intellelto e
l'immaginativa, ed aiuta a muovere gli affetti, e che perciò ella si è il fonte
dello scrivere rettamente. La scienza poi è generala negli umani intellelli da
due cagioni: queste sono: la naturale disposizione delle organo corporale e
l'azione delle cose esterne sopra di esso; sì falte ca. gioni sono di necessità
diverse in ciascuno; perocchè non è da credere che si possano tro vare due
corpi nella stessa maniera conforma li; ed è poi certamente impossibile che uno
riceva dalle cose esterne nell'animo le mede sime impressioni che un altro. Per
la qual cosa avviene che diversa in ciascuno si generi la scienza, e quindi
diversa la forza dell'in gegno e dell'imaginaliya, diversa la qualilà degli
affetti, e per conseguente anche lo stile, che da queste procede, deve riuscire
diverso. Dal che si vede che imprendono opera dispe rala coloro, che si affaticano
ad imitare lo stile d'altri. E alcuni pur sono che andando passo passo sull'
orme di ALIGHIERI, del Petrarca o del Boccaccio, avvisano alla costoro gloria
di per venire; ma le opere loro per verità, in fuori di un poco di pulita
buccia, niun sugo hanno. Che cosa dovremo dunque apprendere dagli scrittori?
Rispondo che si vuole apprendere la lingua e i modi acconci ad esprimere chia
ramente, ornatamente e convenevolmente i no stri concelli. Da questo scrillore
ci sludieremo di procacciare una cosa, da quello un'altra, a seguileremo sempre
la nostra natura, secondo l'esempio di Dante, il quale lasciò scritto di sè: lo
mi son un che, quando amore spira, nolo, ed a quel modo che delta dentro, vo
significando. Che se allrove disse a VIRGILIO: Tu se' lo mio maestro e lo mio
autore, Tu se' solo colui, da cui io loisi Lo bello stile, che mi ha fallo
onore, non intese già d'avere tolto al maestro la ma niera propria di quel
poeta, ma sibbene la qualità, onde il carattere poetico é differente dal
filosofico e dal persuasivo. E chi è che pon senta la differenza che è dallo
stile di Dante a quello di Virgilio? Rimane per ultimo a dire degli autori, che
coloro che amano di scrivere nell'italiana favella, devono scegliere a maestri.
Nulla dirò dello studio della lingua greca e della latina, perciocchè essendo
notissimo che nell'una e nell'altra scrissero coloro, che insegnarono a tutto
il mondo, e che questa nostra da quelle procede, ciascuno conosce di per sé
quanta ulilità trarre se ne possa. Mi ristringerò dunque a fare alcuna parola
de' solo il conversatore italiano, che agli altri si devono preporre. E prima è
a sapere che nel secolo XIV alcuni prosatori ed alcuni poeti diedero al volgar
nostro tanta proprietà e grazia, che nessuno ha poi polulo eguagliarli: che nel
secolo XV questo volgare ſu quasi abbandonalo per soverchio amore della lingua
latina e per pusillanimità degli uomini d’Italia: che nel secolo XVI ſu dal
Fortunio e dal Bembo ridollo a regole deter. minate; e da molti ſu nobilmente
adoperato in varii generi di scritture: che nel secolo XVII fu da talupo
acconciamente impiegato ed ar ricchito di voci perlinenti alle scienze, fu da
alcun altro scrillo con eleganza, ma venne da moltissimi in parte corrotto e
rivolto in vanilà di falsi concelli: che nel XVIII finalmente ſu da pochi bene
usato, e da moltissimi con pa role e modi forestieri vituperato. Tale essendo
stata la fortuna di questa bellissima lingua, chi potrà dubitare che oggi non
sia a noi sa lutevole il consiglio, che ci porgono gli uomini sapienli, cioè
quello di studiare agli antichi esemplari? Se nel buon secolo della lingua la
lina si stimava essere opera di gran probllo ai giovani il molto leggere gli
antichi scrittori del Lazio, quanto maggiormente non si dee credere che lo
studiare i nostri sia per giovare a noi, che viviamo in un secolo, ove gl'ita
liani, pressoché tutti, più delle cose forestiere che delle proprie
dilettandosi, scrivono sì, che punto non pare alle loro scritture che sieno
stali allevati in Italia? Verissimo si ė (anche parlando delle arti) quello che
dicono i politi ci, cioè che qualvolta le cose sieno pervenule a corruzione,
bisogna richiamarle ai loro principii. Questa sentenza dovrebbe essere dinanzi
all'animo di tutti coloro, che amano il profitto de' giovani nelle lettere
umane; pure sono al cuni cbe, deridendo coloro che studiano i lesti della
lingua, dicono essere sciocchezza il darsi tanto pensiero delle parole ogni
qualvolta si 1centisti, abbia cura dei concelli; come se il recare alla mente
altrui i nostri concelli non dipenda dalla virtù di ben accoviodate parole.
Colali persone, avendo posla loro usanza o ne' soli domestici negozii o in
alcuna scienza o arte, nè mai data opera allo studio della lingua, vilipendono
ciò che non conoscono, e perciò, non avendo au. torità, non meritano alcuna
risposta. Tutti gli uomini di mente discreta non si maraviglie ranno, se qui
vengono consigliati i giovanetti a studiare prima nelle opere de’ trecentisti,
ne’ quali è dovizia di vocaboli proprii e di forme gentili, e chiarezza e
semplicità e urba nità e maravigliosa dolcezza, ed a riserbare agli anni loro
più maturi lo studio dei cinque che scrissero eloquentemenle di cose gravi e
magnifiche. Ma per avventura alcuno dirà: non dobbia. ino noi essere intesi
dagli uomini del nostro secolo e cercare di piacer loro seguendo l'usanza?
Perchè dunque vorremo che la gioventù studii ancora quelle opere, ove si
trovano, ol tre le voci ed i modi, che sono fuor d'uso, e barbarismi e
pleonasmi e solecismi ed equivocazioni, e talvolta negligenza e stranezza nel
costrutti? Perchè non vorremo consigliarla piullosto a leggere i soli scrillori
del cinquecento, i quali seguitando le regole grammati. cali dettate dal
Fortunio e da Bembo, non solo scrissero correttamente, ma trattarono eloquen
temente di varie ed importanti materie? A queste obbiezioni risponderemo che si
dee se guire l'usanza, del buon conversatore, l'usanza del volgo; che non si
vuole negare che in molle opere del trecento non si trovino ma non fra la copia
delle maniere proprie, nobili e graziose, varii difelli; ma che per questo non
ci rimarremo da consigliare la gioventù di avere sempre caro sopra tutti quel
secolo beato, e di leggere per tempo i suoi eccellenti scrittori, poichè ci
teniamo certi che quanto è difficile il rendersi famigliari e domestiche le
maniere native e gentili, altrettanto è facile di perdere l’abito di peccare
contro la grammatica e contro l’uso. La predetta virtù non si può acquistare se
non con lungo esercizio: il diſello si può togliere assai agevolmente dopo lo
studio della grammatica, e dopoche per la filosofia e per la erudizione ci
verrà dato di ben conoscere il valore delle parole e di ben distinguere la
lingua nobile dalla plebea, e le maniere, che per vecchiezza ban no perduta la
grazia e la forza pativa, da quel le che sono ancora belle ed efficaci. Quanto
allo studio de'cinquecentisti, non du bitiamo che ei sia per essere ulilissimo,
essen do che molli eccellenti scrittori di quel tempo adoperarono la lingua,
che appresero da Alighieri, da Boccacio, da Petrarca e dagli altri tre centisti,
emulando mirabilmente i romani in molli generi di scrilture: ma teniamo per
ſermo che convenga alla gioventù di avvezzarsi al candore ed alla semplicità
del trecento prima di cercare lo splendore, la ma gnificenza, la copia e
l'altezza de' pensieri nei cinquecentisti. Perciocché lulti coloro, che sfor
zano di parere magnifici e splendidi primaché dalla filosofia sieno ſalli
ricchi di cognizioni, fanno l'orazione loro bella nella buccia, una
nell'intrinseco vana e puerile. Non potendo i giovanelli esprimere con verila
se non quei pensieri e quegli allelli, che sono proprii del la tenera età,
troveranno assai comodale al bisogno le parole ed i modi usati da'trecentisti,
la più parte de'quali, come que' che vissero nell'infanzia dell'italico sapere,
scrissero di tenui materie. Verrà poi quel tempo maturo, in che a'giovani farà
mestiero di alzare a'gravi concelli lo stile, ed allora apprenderanno da
Guicciardini gravità e nerbo; dal Segretario fiorentino sobrietà ed evidenza;
dal Carocopia, efficacia e gentilezza; da Casa splendore e magnificenza; da GALILEI
ordine e precisione; d’Ariosto e da Tasso i pregi lulli, ond' ė divina la
poesia. Ma allo studio di quesli e degli altri molli, che fecero glorioso il
secolo di papa Leone, non avranno l'animo ben di. sposto se non coloro, cui
prima sarà piaciuto di allingere ai puri fonti del trecento, da'quali
derivarono i sopraddetli abbondantissimi fiumi. Questo, o Giovani, è quanto ho
stimato op portuno di porvi dinanzi per indirizzarvi nel cammino delle lettere,
alle quali inolti vanno per vie distorte e per lo contrario. Vi ho mo strato
quali sieno gli elementi dell’ELOCUZIONE; come nel contemperarli secondo le
leggi del decoro si loronino i varii caratteri; e final. mente come lo stile
proceda da naturale di sposizione e come col sapere si perfezioni. Darò fine
coll'avvertirvi, se vero è che la scienza e l'esempio fanno l'arte, è vero
altresì che arte senza uso poco giova: onde, se dallo stile cercate onore, vi
sarà bisogno di neditare mollo, di leggere molto e di scrivere mollissimo. Ricerca
Sinestesia (figura retorica) Questa voce sull'argomento retorica è solo un
abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. La
sinestesia (dal greco syn, 'insieme', e aisthánomai, 'percepisco') è una figura
retorica, in particolare un tipo di metafora ("metafora
sinestetica"), che prevede l'accostamento di 2 parole appartenenti a due
sfere sensoriali diverse.[1] Ha largo uso in poesia ed in genere nella
versificazione: «L'odorino amaro» (Giovanni Pascoli, Novembre.)
«Voci di tenebra azzurra.» (Giovanni Pascoli, La mia sera.) «Venivano
soffi di lampi.» (Pascoli, L'assiuolo.) «Urlo nero» (Salvatore
Quasimodo, Alle fronde dei salici.) Tra le canzoni, si può citare Il sogno di
Maria di Fabrizio De André: «Quando mi chiese: "Conosci
l'estate?" io per un giorno per un momento, corsi a vedere il colore del
vento.» È usata anche nella lingua di tutti i giorni ("colori
caldi", "giallo squillante" ecc.) e quindi anche in prosa.
NoteModifica ^ Angelo Marchese, Dizionario di retorica e di stilistica, Milano,
Arnoldo Mondadori Wikizionario contiene il lemma di dizionario
«sinestesia» Portale Linguistica: accedi alle voci di Wikipedia che
trattano di Linguistica Ultima modifica 2 mesi fa di Nima Tayebian, Enfasi
Sinestesia pagina di disambiguazione di un progetto Wikimedia Analogia
(retorica) Figura retorica Wikipedia Il contenutoWikipedia Ricerca
Sinestesia (psicologia) fenomeno sensoriale/percettivo Lingua Segui Modifica
Avvertenza Le informazioni riportate non sono consigli medici e potrebbero non
essere accurate. I contenuti hanno solo fine illustrativo e non sostituiscono
il parere medico: leggi le avvertenze. La sinestesia è un fenomeno
sensoriale/percettivo, che indica una "contaminazione" dei sensi
nella percezione.[1] Il fenomeno neurologico della sinestesia si realizza
quando stimolazioni provenienti da una via sensoriale o cognitiva inducono a
delle esperienze, automatiche e involontarie, in un secondo percorso sensoriale
o cognitivo. Possibile visione dei mesi dell'anno da parte di una
persona soggetta al fenomeno della Sinestesia Descrizione generale del
fenomenoModifica Con il termine "sinestesia" si fa riferimento a
quelle situazioni in cui una stimolazione uditiva, olfattiva, tattile o visiva
è percepita come due eventi sensoriali distinti ma conviventi. Nella sua forma
più blanda è presente in molti individui, spesso dovuta al fatto che i nostri
sensi, pur essendo autonomi, non agiscono in maniera del tutto distaccata dagli
altri. Più indicativo di un'effettiva presenza di sinestesia è il caso in
cui il percepire uno stimolo (come ad esempio il suono) provoca una reazione
netta e propria di un altro senso (ad esempio la vista). Per "forma
pura" si intende la sinestesia che si manifesta automaticamente come
fenomeno percettivo e non cognitivo. Il fenomeno è involontario, ma una
maggiore attenzione prestata dal soggetto può evocarlo con maggiore
consapevolezza, al punto che il sinestesico puro, vedendo i suoni e sentendo i
colori, può riuscire a trarre vantaggio da queste contaminazioni sensoriali; un
compositore che sfruttava questa sua capacità fu Messiaen, così come il pittore
Kandinskij, che affermava di poter sentire la voce dei colori, che per lui
erano suoni, entità vive e lo spiega bene nel suo libro Lo spirituale
nell’arte. Un altro sinestesico fu il pittore e musicista lituano, Mikalojus
Konstantinas Čiurlionis. Il compositore russo Skrjabin era particolarmente
interessato agli effetti psicologici sul pubblico quando sperimentavano suoni e
colori contemporaneamente. La sua teoria era che quando si percepiva il colore
giusto con il suono corretto, si creava "un potente risonatore psicologico
per l'ascoltatore". La sua opera sinestetica più famosa, che viene
eseguita ancora oggi, è Prometeo: il poema del fuoco. Ma la lista degli artisti
sinestesici è molto lunga, infatti le ultime ricerche affermano che il fenomeno
sinestesico interessi il 4% della popolazione e di questo 4% la maggior parte
sono artisti. Un'altra caratteristica della sinestesia è poi che si presenta a
volte nelle persone mancine, o in concomitanza con altre caratteristiche come
l'allochiria (confusione della mano destra con la sinistra), scarso senso
dell'orientamento, dislessia, deficit dell'attenzione e, raramente,
autismo. Spesso la contaminazione sensoriale avviene a direzione unica:
ad esempio, se vedo una nota musicale come un colore, non è detto che vedendo
quel colore la mia mente evochi quella nota. Questa è una delle caratteristiche
della sinestesia percettiva, l'unidirezionalità. Secondo lo storico Angelo
Paratico il mancino Leonardo Da Vinci era affetto da sinestesia. Esperienze di
tipo sinestetico possono essere indotte in maniera artificiale, mediante l'uso
di sostanze allucinogene, sostanze stupefacenti come l'LSD, esperienze di
deprivazione sensoriale, meditazione, ed in alcuni tipi di malattie che
colpiscono la corteccia cerebrale. Questo tipo di sinestesia è detta
pseudosinestesia, in quanto è indotta o non presente dalla nascita. La
sinestesia acquisita sembra riguardare solo le forme di sinestesia percettiva,
e non sono stati documentati casi di sinestesia concettuale acquisita. Le
persone che hanno esperienze sinestesiche nella "forma pura" sono un
numero relativamente ridotto. Studi recenti hanno mostrato una certa
variabilità: 1 ogni 2000 1 ogni 200 Queste esperienze sono quotidiane ed
iniziano sin dall'infanzia. Molti sinestesici si sorprendono scoprendo che
questa esperienza non è provata da tutte le persone. L'esperienza
sinestetica è composta da due elementi: L'evento induttore (inducer).
L'evento concorrente (concurrent). Per esempio, può accadere che un sinestesico
descriva il suono (inducer) del proprio bambino che piange come un colore
giallo sgradevole (concurrent). La relazione tra un inducer e un concurrent è
sistematica, nel senso che a ogni inducer corrisponde un preciso
concurrent. Grossenbacher & Lovelace (2001), distinguono due tipi di
sinestesia a seconda che l'inducer sia percettivoo concettuale.
Sinestesia percettiva: l'inducer è uno stimolo percettivo (per es. la vista di
lettere produce anche la vista di colori "collegati"). Sinestesia
concettuale: i concurrent sono prodotti dal pensare a un particolare concetto
(per es: numero, mese dell'anno, posizione nello spazio). Si utilizza
intensivamente la sinestesia anche nella terminologia utilizzata nella
degustazione o nell'analisi sensoriale. Basi genetiche della
sinestesiaModifica Purtroppo con le competenze scientifiche attuali non è
possibile identificare singoli loci genici che determinino con certezza questo
fenomeno neurocognitivo. Il fenomeno è più probabilmente dovuto a un complesso
meccanismo neurale e non a singole proteine codificate da parti di genoma. In
ogni caso interessanti esperimenti di neuroimaging paiono confermare tale
fenomeno. Sinestesia: grafema-coloreModifica Ramachandran e i suoi
collaboratori hanno notato che la forma più comune di sinestesia è quella
grafema(lettera, numero) - colore e infatti i rispettivi centri cerebrali sono
molto vicini tra loro. Tecniche di neuroimmagini (es. risonanza magnetica
funzionale) hanno permesso di individuare il "centro del colore" (es.
Zeki & Marini, Brain), l'area V4 nel giro fusiforme. L'area dei
grafemi è stata anch'essa individuata nel giro fusiforme, in particolare
nell'emisfero sinistro vicino all'area V4. L'area si attiva sia in seguito alla
presentazione di lettere sia in seguito alla presentazione di numeri.
L'ipotesi di Ramachandran è che ci sia una attivazione congiunta. La
presentazione di un grafema fa attivare l'area dei grafemi, che fa attivare
contemporaneamente anche l'area del colore, anche senza la presenza di uno stimolo.
Questo è dovuto ad un eccesso di connessioni tra le due aree, non presente in
tutte le persone. Le connessioni che si hanno alla nascita sono un numero
superiore di quello che si trovano in un cervello adulto. Quello che avviene
nei primi mesi di vita è un processo definito pruning (potatura, sfoltimento)
delle connessioni cerebrali. L'ipotesi di Ramachandran è che le connessioni tra
area del colore e area dei grafemi, che normalmente subiscono un processo di
pruning, rimangono invece intatte nei sinestesici. Probabilmente per una
mutazione genetica che fa fallire il processo di pruning. Esisteranno delle
regole che in seguito all'esperienza permetteranno di sviluppare connessioni
particolari tra area dei grafemi e area del colore. Questo spiegherebbe perché
ad un grafema viene sempre associato un certo colore. Ramachandran
ipotizza che l'attivazione del giro fusiforme non implichi un arrivo alla
coscienza delle informazioni. Perché sia possibile essere consapevoli
dell'informazione percepita si dovranno attivare altre aree superiori.
Tuttavia, Grossenbacher sostiene che la sinestesia non sia dovuta alla presenza
di un numero maggiore di connessioni neurali (le quali non sarebbero presenti
nei non sinestesici); infatti, secondo lo studioso tale fenomeno percettivo è
imputabile al fatto che, nel cervello dei sinestesici, alcune connessioni
neurali risultano ancora attive, mentre non vengono più "utilizzate"
in chi non sperimenta tale modo di percepire. Questo spiegherebbe il motivo per
cui chi assume droghe psicoattive sia in grado di esperire una condizione di
"pseudo-sinestesia", circoscritta esclusivamente al limite temporale
in cui tali sostanze dispieghino il loro effetto, per poi tornare a non
percepire sinestesicamente una volta terminato quest'ultimo. Secondo
Grossenbacher è molto improbabile, infatti, che si siano create nuove
connessioni neurali durante l'assunzione di tali droghe; piuttosto, risulta più
probabile che vengano percorse "strade" neurali solitamente
"disattive". Influenza dell'attenzione sulla percezioneModifica
Esperimento di Ramachandran e Hubbard: caso della figura gerarchica (un 5
composto da tanti 3), se ai soggetti veniva chiesto di fare attenzione a
livello globale vedevano il colore rosso, se invece dovevano dirigere la loro
attenzione a livello locale vedevano verde. Questo esperimento porta a
concludere che l'attenzione influenza il manifestarsi del fenomeno
sinestesico. Sinestesici projectorModifica Nel caso di grafema-colore, il
colore è visto come una pellicola che ricopre il numero completamente. Un
sinestesico testato da Dixon, riferiva di provare un'esperienza irritante se il
numero era di un colore incongruente con quello del fotismo (l'effetto della
sua sinestesia). Se per esempio il numero 5 gli evocava il colore rosso, ma in
realtà era scritto con il giallo. Sinestesici associatorModifica Sempre
nel caso di grafema-colore, il colore appare nella mente, e non sopra il
numero. In genere, i sinestesici associator riferiscono che l'esperienza di
vedere un numero con un colore non congruente con quello del fotismo, non è
un'esperienza per nulla disturbante. La percezione del colore "reale"
del numero è un'esperienza molto più intensa del fotismo, per un sinestesico
associator. I sinestesici projector sembrano una minoranza rispetto ai
sinestesici associator (11 su 100, tra quelli intervistati da Dixon e
collaboratori). Tra i maggiori studiosi della sinestesia percettiva,
Richard Cytowic, Ramachandran, E. Hubbard, Sean Day, Bulat Galeyev, Irina
Vaneckina. Rapporto con i canali del calcioModifica Studiando nel
moscerino della frutta un gene coinvolto nell'elaborazione del dolore, alcuni
ricercatori hanno creato il primo modello della sinestesia. Con la tecnica
dell'interferenza a RNA hanno isolato 600 geni quali candidati a interessare
possibili geni del dolore. Il primo ad essere analizzato più in dettaglio è
stato quello che codifichi parte di un canale del calcio noto come alfa 2 delta
3 (α2δ3). Questi canali che regolano il passaggio di Ca2+ attraverso la
membrana cellulare sono fondamentali per l'eccitabilità elettrica dei neuroni.
Con questi canali interferiscono diversi antidolorifici. Nei topi carenti
di α2δ3 si è dimostrato che questo gene controlli la sensibilità al dolore
provocato dal calore sia nella Drosophila sia nei mammiferi. Indagini condotte
con la MRI hanno anche rivelato che α2δ3 partecipi all'elaborazione del dolore
termico a livello cerebrale. In assenza di α2δ3 il segnale del dolore a genesi
termica arriva al talamo, ma poi non prosegue verso i suoi centri corticali
superiori. Le immagini di fMRI mostrano piuttosto un'attivazione crociata delle
aree corticali per la visione, l'olfatto e l'udito. Questa sinestesia si
osserva anche quando lo stimolo doloroso sia di natura tattile. Emozioni
colorate | Le Scienze, su lescienze.espresso.repubblica.it. ^ Harrison, John
E.; Simon Baron-Cohen Synaesthesia: classic and contemporary readings. Oxford: Blackwell Vinci. A Chinese Scholar Lost in Renaissance Italy,
Lascar Publishing, lascarpublishing.com/Leonardo in Internet Archive. ^ Baron-
Cohen, 1997 ^ Ramachandran & Hubbard, Neurocognitive mechanism of
synesthesia" Hubbard1 and Ramachandran, Neurocognitive mechanism of
synesthesia, su cell.com, November 3, 2005. URL consultato il libero. ^
percezione e idee, la sinestesia | PsycHomer, su psychomer.it Le Scienze: Non provo dolore, ma ne sento
l'odore e ascolto le note Córdoba M.J. de, Hubbard E.M., Riccò D., Day S.A.,
III Congreso Internacional de Sinestesia, Ciencia y Arte, Parque de las
Ciencias de Granada, Ediciones Fundación Internacional Artecittà, Edición
Digital interactiva, Imprenta del Carmen. Granada Córdoba M.J. de, Riccò D. (et al.), Sinestesia. Los fundamentos
teóricos, artísticos y científicos, Ediciones Fundación Internacional
Artecittà, Granada Cytowic, R.E., Synesthesia: A Union of The Senses, second
edition, MIT Press, Cambridge, 2002. ISBN
978-0-262-03296-4 Cytowic, R.E., The Man Who Tasted Shapes, Cambridge, MIT
Press, Massachusetts, Marks L.E., The Unity of the Senses. Interrelations among
the modalities, Academic Press, New York, Riccò D., Sinestesie per il design. Le
interazioni sensoriali nell'epoca dei multimedia, Etas, Milano, Riccò D.,
Sentire il design. Sinestesie nel progetto di comunicazione, Carocci, Roma, Tornitore
T., Storia delle sinestesie. Le origini dell'audizione colorata, Genova, 1986.
Tornitore T., Scambi di sensi. Preistoria delle sinestesie, Centro Scientifico
Torinese, Torino, Voci correlate Takete e Maluma Sinestesia tattile-speculare
Altri progettiModifica Collabora a Wikizionario Wikizionario contiene il lemma
di dizionario «sinestesia» Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons
contiene immagini o altri file su sinestesia Collegamenti esterniModifica Udire
i colori, gustare le forme, su lescienze.espresso.repubblica.it, Le Scienze.
TED Talk: "I listen to color" Portale Psicologia. Qualia aspetti
qualitativi delle esperienze coscienti Locus ceruleus Sinestesia
tattile-speculare raro fenomeno sensoriale/percettivo Wikipedia
IlWikipedia Ricerca Sinestesia (film) film diretto da Bernasconi Sinestesia
Lingua originale italiano Paese di produzione Svizzera Durata 91 min
Rapporto1:1.85 Generedrammatico RegiaErik Bernasconi SceneggiaturaErik
Bernasconi ProduttoreVilli Hermann, Imagofilm Lugano e RSI FotografiaPietro
Zuercher MontaggioClaudio Cormio Effetti specialiFlavio Scarponi, Oltremondo
studio Lugano MusicheZeno Gabaglio, Christian Gilardi ScenografiaFabrizio
Nicora CostumiLaura Pennisi Interpreti e personaggi Alessio Boni: Alan Giorgia
Würth: Francoise Melanie Winiger: Michela Leonardo Nigro: Igor Teco Celio:
Padre di Francoise Bindu De Stoppani: Maide Roberta Fossile: Cathrine Igor
Horvat: Martin Federico Caprara: Uomo strano Eva Allenbach: Segretaria
Massimiliano Zampetti: Infermiere Daniele Bernardi: Fisioterapista Alessandro
Otupacca: Proprietario ristorante Sinestesia è un film del 2010 scritto e
diretto da Erik Bernasconi, prodotto da Villi Hermann e coprodotto da Giulia
Fretta per la RSI. I protagonisti sono Alessio Boni, Melanie Winiger, Würth e Nigro.
È stato nominato ai Quartz per la miglior sceneggiatura, per la miglior attrice
(Melanie Winiger) e per la miglior attrice esordiente (Giorgia Wurth). La
pellicola è uscita nelle sale ticinesi. Trama Il film racconta due momenti
della vita di quattro giovani adulti confrontati con le prove del destino.
Alan, sua moglie Françoise, la sua amante Michela, il suo migliore amico Igor,
vivono le sfaccettature del quotidiano dopo un incidente che costringe Alan su
una sedia a rotelle. Per questo la narrazione si compone, con una struttura
circolare, in quattro capitoli: uno per personaggio, ognuno ispirato a un
genere cinematografico. Sono quattro momenti di una stessa storia, che
esplorano le emozioni dei personaggi da quattro angolature diverse. La trama si
basa in larga parte sull'osservazione di fatti realmente accaduti e affronta
con accenti diversi (thriller psicologico, commedia, dramma…) i temi
dell'amicizia, dell'amore, dell'infedeltà e della disabilità.
ProduzioneModifica L'idea del film è partita nel dicembre 2006, con la lettura
di un trafiletto in un quotidiano. Poi nell'estate del 2007 il regista e
sceneggiatore Erik Bernasconi ha vinto un concorso indetto dal Dipartimento
della Cultura del Cantone Ticino e dalla RSI per progetti di scrittura di film.
Così Erik Bernasconi inizia a collaborare con il produttore Villi Hermann,
della Imagofilm, e parte la stesura della sceneggiatura.
AmbientazioneModifica Il film è stato girato quasi interamente nella Svizzera
italiana, a parte alcune scene girate a Lucerna e Ginevra. Le riprese hanno
avuto luogo nella primavera e nell'estate del 2009.
RiconoscimentiModifica 2010 - Premio del cinema svizzero Candidatura al premio
Quartz per la miglior sceneggiatura Collegamenti esterniModifica ( EN )
Sinestesia, su Internet Movie Database, IMDb.com. Modifica su Wikidata ( EN )
Sinestesia, su Rotten Tomatoes, Flixster Inc. Sinestesia, su FilmAffinity.
Modifica su Wikidata Portale Televisione: accedi alle voci di
Wikipedia che trattano di televisione Ultima modifica 2 mesi fa di Botcrux
Melanie Winiger modella e attrice svizzera Erik Bernasconi regista e
sceneggiatore svizzero Zeno Gabaglio Wikipedia Il contenuto èGrice: “It
may be said that my transcendental Kantian approach to cooperative rational
conversation is a response to Costa’s totally empiricist (or ‘sensista’ as he
prefers) invocations of ‘chiarezza’ (my imperative of conversational clarity),
and brevita, eleganza, and all the categories that inform the maxims. Paolo
Costa. Keywords: la teoria sensista della communicazione – senso – consenso –
aesthesis – synaesthesia --– idea dei chi proferisce la proposizione “Me
diletta l’odore di questa rosa piu del colore”, cooperiamo, e la risponsa di
nostre anime e “Contrariamente, a me mi diletta il colore di questa rosa piu
dell’odore” -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Costa” – The Swimming-Pool
Library.
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