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e Catone Maggiore – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. Marco Porcio Catone Voce
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personaggi con lo stesso nome, vedi Marco Porcio Catone (disambigua). Marco
Porcio Catone Censore della Repubblica romana Particolare del Patrizio
Torlonia, busto identificato con Catone il Censore Nome originale Marcus
Porcius Cato Nascita Tusculum Morte Roma Coniuge Licinia Salonia Figli Marco Porcio Catone Liciniano Marco
Porcio Catone Saloniano Gens Porcia Padre Marco Porcio Tribuno militare Questura
Edilità 199 a.C. Pretura Consolato
Censura. Ceterum censeo Carthaginem esse delendam.» (IT) «Per il resto
ritengo che Cartagine debba essere distrutta.» (Marco Porcio
Catone) Marco Porcio Catone (in latino Marcus Porcius Cato; nelle
epigrafi M·PORCIVS·M·F·CATO; Tusculum, 234 a.C. circa – Roma, 149 a.C.) è stato
un politico, generale e scrittore romano, chiamato anche Catone il Censore
(Cato Censor), Catone il Sapiente (Cato Sapiens), Catone l'Antico (Cato
Priscus), Catone il Vecchio per aver superato di molto l'età media massima di
vita allora a Roma o Catone il Maggiore (Cato Maior) per distinguerlo dal
pronipote Catone l'Uticense. Biografia Ritratto Plutarco, autore delle
Vite parallele, dà questo ritratto di Catone: «[…] Quanto al suo aspetto,
aveva capelli rossastri e occhi azzurri, come ci rivela l'autore di questo poco
benevolo epigramma: Rosso, mordace, dagli occhi azzurri, Persefone non accoglie
Porcio in Ade neanche da morto.[1]» «Fisicamente era ben piantato; il suo
corpo s'adattava a qualunque uso, era tanto robusto quanto sano, poiché fin da
giovane si applicò al lavoro manuale - saggio metodo di vita - e partecipò a
campagne militari.[1]» Origini familiari De re rustica, 1794 Nacque
nel 234 a. C. a Tusculum, da un'antica famiglia plebea che si era fatta notare
per qualche servizio militare, ma che non aveva mai avuto esponenti tra le più
importanti cariche civili. Fu allevato, secondo la tradizione dei suoi antenati
latini, perché divenisse agricoltore, attività alla quale egli si dedicò
costantemente quando non fu impegnato nel servizio militare. Ma, avendo
attirato l'attenzione di Lucio Valerio Flacco, fu condotto a Roma, e divenne
successivamente questore (204), edile (199), pretore (198) e console nel 195
percorrendo tutte le tappe del cursus honorum assieme al suo vecchio protettore;
nel 184 divenne infine censore. Marco Porcio Catone è considerato il
fondatore della Gens Porcia. Ebbe due mogli: la prima fu Licinia,
un'aristocratica della Gens Licinia, da cui ebbe come figlio Marco Porcio
Catone Liciniano; la seconda, è Salonia, figlia di un suo liberto, sposata in
tarda età dopo la morte di Licinia, da cui ebbe Marco Porcio Catone Saloniano,
nato quando il Censore aveva 80 anni. Carriera politica «I ladri di beni
privati passano la vita in carcere e in catene, quelli di beni pubblici nelle
ricchezze e negli onori» (Marco Porcio Catone, citato in Aulo Gellio,
Notti attiche, XI, 18, 18) Nel 204 a.C. prestò servizio in Africa come
questore con Scipione l'Africano, ma lo abbandonò dopo un litigio a causa di
presunti sperperi. Nel 195 a.C. si oppose invano all'abrogazione della lex
Oppia, emanata durante la seconda guerra punica per contenere il lusso e le
spese esagerate da parte delle donne. Comandò poi in Sardegna, dove per la
prima volta mostrò la sua rigidissima moralità pubblica, e in Spagna, che
assoggettò spietatamente, guadagnando di conseguenza la fama di trionfatore
(194 a.C.). Nel 191 a.C. ricoprì il ruolo di tribuno militare
nell'esercito di Manio Acilio Glabrione nella guerra contro Antioco III il
Grande di Siria, giocò un ruolo importante nella battaglia delle Termopili e
attaccando alle spalle Antioco permise la vittoria dei romani, che segnò la
fine dell'invasione seleucide della Grecia. Nel 189 a.C. condusse un processo
sia contro Scipione l'Africano sia contro il fratello Scipione l'Asiatico,
accusandoli di aver concesso dei favori personali al re di Siria Antioco III e
di aver dissipato il tesoro dello Stato. Il caso degli Scipioni consiste in uno
dei più grandi scandali della Repubblica Romana, considerando che, soprattutto
Scipione L'Africano, era considerato l'eroe della Seconda Guerra Punica.
Opera pubblica La sua reputazione di soldato era quindi consolidata; da quel
momento in poi egli preferì servire lo Stato a casa, esaminando la condotta
morale dei candidati alle cariche pubbliche e dei generali sul campo. Pur non
essendo egli personalmente coinvolto nel processo per corruzione contro gli
Scipioni (l'Africano e l'Asiatico), fu tuttavia lo spirito che animò l'attacco
contro di loro. Persino Scipione l'Africano, che si rifiutò di rispondere
all'accusa, affermando solo: "Romani, questo è il giorno in cui io
sconfissi Annibale", venendo assolto per acclamazione, trovò necessario
ritirarsi, auto-esiliandosi, nella sua villa a Liternum. L'ostilità di Porcio
Catone risaliva alla campagna d'Africa quando discusse con Scipione per
l'eccessiva distribuzione del bottino tra le truppe, e la vita sfarzosa e
stravagante che quest'ultimo conduceva. Censore Al secondo tentativo, nel
184, egli fu eletto censore ed esercitò questa carica per quattro anni così
bene che gli venne assegnato il soprannome di Censore (anche per il suo
carattere severo, per il suo austero moralismo e per l'asprezza delle critiche
rivolte da lui contro ogni indizio di corruzione delle antiche virtù romane).
Contro l'ellenismo Catone si oppose inoltre all'ellenizzazione, ossia il
diffondersi della cultura ellenistica, che egli riteneva minacciasse di
distruggere la sobrietà dei costumi del vero romano, sostituendo l'idea di
collettività con l'esaltazione del singolo individuo. Fu nell'esercizio della
carica di censore che questa sua determinazione fu più duramente esibita e
ovviamente il motivo dal quale gli derivò il suo celebre soprannome. Revisionò
con inflessibile severità la lista dei senatori e degli equites, cacciando da
ogni ordine coloro che riteneva indegni, sia per quanto riguarda la moralità,
che per la mancanza dei requisiti economici previsti. L'espulsione di Lucio
Quinzio Flaminino per ingiustificata crudeltà, fu un esempio della sua rigida
giustizia. Contro il lusso La sua lotta contro il lusso fu assai serrata.
Impose una pesante tassa sugli abiti e gli ornamenti personali, specialmente
delle donne, e sui giovani schiavi comprati come concubini o favoriti domestici
(leggi sumptuariae). Nel 181 a.C. appoggiò la lex Orchia (secondo altri egli
prima si oppose alla sua introduzione, e successivamente alla sua abrogazione),
la quale prescriveva un limite al numero di ospiti in un ricevimento, e nel 169
a.C. la lex Voconia, uno dei provvedimenti che miravano a impedire l'accumulo
di un'eccessiva ricchezza nelle mani delle donne, nei cui confronti in realtà
Catone appare quasi un nemico. Ne limitò il lusso degli abiti e dei gioielli, e
si oppose al possesso da parte della donna di denaro e ricchezza, sempre in
difesa dei valori morali della Repubblica.[senza fonte] Con le donne di casa,
mogli, figlie o schiave, fu assai severo, fino a sfiorare talvolta la tirannia;
una delle cause di dissenso con gli Scipioni era proprio la libertà e il lusso che
questi concedevano alle loro donne. Contro i Baccanali Fu assai
disgustato, assieme a molti altri dei romani più conservatori, dalla diffusione
dei riti misterici dei Baccanali, che egli attribuì all'influenza negativa dei
costumi greci; perciò sollecitò con veemenza l'espulsione dei filosofi greci
(Carneade, Diogene lo Stoico e Critolao), che erano giunti come ambasciatori da
Atene, sulla base della pericolosa influenza delle idee diffuse da
costoro. Contro i medici Catone provava ripugnanza per i medici, che
erano principalmente greci. Ottenne il rilascio di Polibio, lo storico, e dei
suoi compagni prigionieri, chiedendo sprezzante se il Senato non avesse niente
di più importante da discutere del fatto che qualche greco dovesse morire a
Roma o nella sua terra. Era quasi ottantenne quando, secondo quanto dicono le
fonti biografiche, ebbe il suo primo contatto con la letteratura greca; anche
se, dopo aver esaminato i suoi scritti, è verosimile ritenere che possa aver
avuto un contatto con le opere greche per gran parte della sua vita.
Contro Cartagine Il suo ultimo impegno pubblico fu di spronare i suoi
compatrioti verso la terza guerra punica e la distruzione di Cartagine. Nel 157
a.C. fu uno dei delegati mandati a Cartagine per arbitrare tra i cartaginesi e
Massinissa, re di Numidia. La missione fu fallimentare e i commissari
ritornarono a casa. Ma Porcio Catone fu colpito dalle prove della prosperità
dei cartaginesi a tal punto da convincersi che la sicurezza di Roma dipendesse
dalla distruzione totale di Cartagine. Da quel momento egli continuò a ripetere
in Senato: «Ceterum censeo Carthaginem delendam esse.» ("Per il resto
ritengo che Cartagine debba essere distrutta."). È noto che egli ripeteva
ciò alla conclusione di ogni suo discorso. Altre attività Riguardo alle
altre questioni egli fece riparare gli acquedotti di Roma, pulire le fognature,
impedì a soggetti privati di deviare le acque pubbliche per il loro uso
personale, ordinò la demolizione di edifici che ostruivano le vie pubbliche, e
costruì la prima basilica nel Foro vicino alla Curia (Livio, Ab Urbe condita,
XXXIX, 44; Plutarco, Vita di Catone, 19). Aumentò inoltre la somma dovuta allo
stato dai pubblicani per il diritto di riscuotere le tasse e allo stesso tempo
diminuì il prezzo contrattuale per la realizzazione di lavori pubblici.
Morte Dalla data della sua carica di censore (184 a.C.) alla sua morte,
avvenuta nel 149 a.C. sotto il consolato di Manio Manilio Nepote e Lucio Marcio
Censorino[2], Porcio Catone non occupò nessun'altra carica pubblica, ma
continuò a distinguersi in Senato come tenace oppositore ad ogni nuova
influenza. Solo dopo la sua morte si iniziò la spedizione contro
Cartagine (149 a.C.), che lui aveva voluto. La visione della società Per
Porcio Catone la vita individuale era un continuo auto-disciplinarsi, e la vita
pubblica era la disciplina dei molti. Egli riteneva il singolo pater come il
principio della famiglia, e la famiglia come il principio dello stato.
Attraverso una rigida organizzazione del suo tempo egli realizzò un'enorme
quantità di opere; pretese inoltre la medesima applicazione dai suoi
dipendenti. Riconoscimenti Per i Romani stessi ci fu poco nella sua
condotta che sembrasse necessario censurare; fu sempre rispettato e considerato
come un esempio tradizionale degli antichi e più genuini costumi romani. Nel
notevole passo (XXXIX, 40) in cui Livio descrive il carattere di Porcio Catone,
non c'è alcuna parola di biasimo per la rigida disciplina della sua condotta
domestica. Opera letteraria Porcio Catone è tra le principali personalità
della letteratura latina arcaica: egli fu oratore, storiografo e trattatista.
Fu autore di una vasta raccolta di manuali tecnico-pratici, con i quali
intendeva difendere i valori tradizionali del mos maiorum contro le tendenze ellenizzanti
dell'aristocrazia legata al circolo degli Scipioni, indirizzata al figlio
Marco, i Libri ad Marcum filium o Praecepta ad Marcum filium, di cui si
conserva per intero soltanto il Liber de agri cultura, in cui esamina,
soprattutto, l'azienda schiavile che tanto spazio si conquisterà poi in età
imperiale.[3] Affrontò inoltre la tematica dei valori tradizionali romani anche
in un Carmen de moribus, di cui sono ad oggi pervenuti pochissimi
frammenti. Fin dalla giovinezza si dedicò all'attività oratoria: sul
finire della Repubblica erano note ben 150 sue orazioni,[4] mentre attualmente
sono conservati solo frammenti, di varia estensione, riconducibili a circa
ottanta orazioni diverse.[5] Si distinguono tra esse orationes deliberativae,
ovvero discorsi pronunciati in Senato a favore o contro una proposta di legge,
e orationes iudiciales, discorsi giudiziari di accusa o difesa. Fu
inoltre autore, in vecchiaia, della prima opera storiografica in lingua latina,
le Origines, il cui argomento era la storia romana dalla leggendaria fondazione
fino al II secolo a.C. Dell'opera, pur significativa dal punto di vista
ideologico, si conservano scarsi frammenti.[6] Catone individua nel culmine del
percorso educativo la formazione di un vir bonus, dicendi peritus (uomo di
valore, esperto nel dire), espressione che sarà il cardine del successivo
modello educativo romano.[7] L'opera letteraria di Catone, in particolare
quella storica e oratoria, fu elogiata da Cicerone,[8] che definì il censore
primo grande oratore romano e il più degno d'essere letto. Nella prima età
imperiale, nonostante l'ideologia catoniana coincidesse in buona parte con la
politica restauratrice del mos maiorum promossa da Augusto, l'opera di Catone
fu oggetto di sempre minore interesse. Con l'affermarsi delle tendenze
arcaizzanti nel II secolo, invece, essa fu oggetto di grandi attenzioni,
seppure a carattere esclusivamente linguistico ed erudito: Gellio e Cornelio
Frontone ne tramandarono molti frammenti, e l'imperatore Adriano dichiarò di
preferirlo addirittura a Cicerone.[9] A partire dal IV secolo iniziò a
perdersi la conoscenza diretta della sua opera, con l'eccezione del manuale
sull'agricoltura. Grande diffusione ebbe invece la raccolta di proverbi in
esametri erroneamente attribuitagli, denominata Disticha Catonis (con anche
alcuni Monosticha Catonis), in realtà composta probabilmente nel III
secolo.[9] Edizioni Scriptores rei rusticae, Venetiis, apud Nicolaum
Ienson, 1472 [Contiene i De re rustica di Catone, Varrone, Columella e Rutilio
Tauro Palladio] (editio princeps). De agri cultura liber, Recognovit Henricus
Keil, Lipsiae, in aedibus B.G. Teubneri, 1895. De agri cultura, ad fidem
Florentini codicis deperditi edidit Antonius Mazzarino, Lipsiae, in aedibus
B.G. Teubneri, 1962. Marci Porci Catonis Oratio pro Rhodiensibus. Catone,
l'Oriente Greco e gli Imprenditori Romani. Introduzione, Edizione Critica dei
Frammenti, Traduzione Ital. e Commento, a cura di Gualtiero Calboli, Bologna
1978. Traduzioni italiane Catone, De re rustica, con note, [Traduzione di
Giuseppe Compagnoni], Tomo I-III, Venezia, nella stamperia Palese, 1792-1794
(«Rustici latini volgarizzati»). Catone, Dell'agricoltura, Versione di
Alessandro Donati, Milano, Notari, 1929. Liber de agricoltura, Roma, Ramo
editoriale degli agricoltori, 1964. L'agricoltura, a cura di Luca Canali e
Emanuele Lelli, Milano, A. Mondadori, 2000. Opere, a cura di Paolo Cugusi e
Maria Teresa Sblendorio Cugusi, 2 voll., Torino, UTET, 2001. Note
Plutarco, Vita di Marco Catone, 1. ^ Velleio Patercolo, Historiae Romanae ad M.
Vinicium consulem libri duo, I, 13. ^ Antonio Saltini, Storia delle scienze
agrarie, vol. I, Dalle civiltà mediterranee al Rinascimento europeo, 3ª ediz.,
Firenze, Nuova Terra Antica, 2010, pp. 41-50. ^ Cicerone, Brutus, 65. ^ G. Pontiggia
- M.C. Grandi, Letteratura latina. Storia e testi, Milano, Principato, 1996-98,
vol. I, p. 159. ^ Pontiggia - Grandi, p. 164. ^ U. Avalle - M. Maranzana,
Pedagogia, vol. I, Dall'età antica al Medioevo, Torino, Paravia, 2010, p. ? ^
Brutus, 63-69. Pontiggia - Grandi, p. 165. Bibliografia (Per la
bibliografia specifica sul De agri cultura e sulle Origines si rimanda alle
rispettive voci) L. Alfonsi, Catone il censore e l'umanesimo romano,
Napoli, Macchiaroli, 1954 (estr.). A.E. Astin, Cato
the Censor, Oxford, Clarendon press, 1978. C.C. Burckhardt, Cato der Censor,
Basel, Reinhardt, 1899. L. Cordioli, Marco Porcio Catone il censore e il suo
tempo, Bergamo, Sestante, 2013. F. Della Corte, Catone Censore. La vita e la
fortuna, Torino, Rosemberg e Sellier, 1949 (rist. Firenze, La Nuova Italia,
1969). P. Fraccaro, Sulla biografia di Catone maggiore sino al consolato e le
sue fonti, Mantova, G. Mondovì, 1910 (estr.). F. D. Gerlach, Marcus Porcius
Cato der Censor, Basel, C. Schultze, 1869. F. Marcucci, Studio critico sulle
opere di Catone il maggiore, vol. I [unico pubblicato], Analisi delle fonti,
questioni varie, Orazioni del periodo consolare e degli anni posteriori fino
alla censura, Orazioni del periodo censorio, Pisa, succ. fratelli Nistri, 1902.
E.V. Marmorale, Cato maior, Catania, G. Crisafulli, 1944 (II ed. Bari, Laterza,
1949). C. Ricci, Catone nell'opposizione alla cultura greca e ai grecheggianti.
Nota, Palermo, D. Lao e S. De Luca, 1895. E.
Sciarrino, Cato the Censor and the beginnings of Latin prose. From poetic
translation to elite transcription, Columbus, Ohio State University Press,
2011. Fonti
antiche Cicerone, Cato maior de senectute Cornelio Nepote, Vita M. Porcii
Catonis Tito Livio, Ab Urbe condita, XXXIX, 40 Plutarco, Vita Catonis maioris
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Porcio, detto il Censore, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto
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Porcio, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1931.
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storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010. Modifica su Wikidata Catóne,
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Istituto centrale per i beni sonori ed audiovisivi. Modifica su Wikidata (LA,
IT) Biblioteca degli scrittori latini con traduzione e note: M. Porcii Catonis
quae supersunt opera, Venetiis excudit Joseph Antonelli, 1846. (LA, FR) Les agronomes latins, Caton, Varron, Columelle, Palladius, avec la
traduction en français, M. Nisard (a cura di), Paris, Firmin Didot Fréres,
1856, pagg. 1 sgg. Historicorum Romanorum Reliquiae, Hermannus Peter (a
cura di), vol. 1, in aedibus B. G. Teubneri, Lipsiae, 1914², pagg. 55-97. M.
Catonis praeter librum de re rustica quae extant, Henri Jordan (a cura di),
Lipsiae, in aedibus B. G. Teubneri, 1860. Predecessore Fasti consulares Successore
Lucio Furio Purpureo e Marco Claudio Marcello con Lucio Valerio Flacco Publio
Cornelio Scipione II e Tiberio Sempronio Longo V · D · M Gens Porcia Cato V · D
· M Plutarco Controllo di autorità VIAF (EN) 99852885 · ISNI (EN) 0000 0001
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