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Tuesday, November 26, 2024

GRICE E CATTANEO

 

Grice e Cattaneo: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dello stratto --  scuola di Roma – filosofia romana – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo romano. Filosofo lazio. Filosofo italiano. Roma, Lazio. Grice: “I love Cattaneo, but then you would, wouldn’t you – He reminds me of H. L. A. Hart, and then *I* am reminded that Cattaneo translated Hart to Italian as a pastime! What I like about Cattaneo is that instead of focusing on “Roman law” and Cicero – he focuses on Pinocchio!”. Si laurea a Milano sotto Treves. Su consiglio di Treves e Bobbio ha soggiornato al St. Antony's, criticando Hart, professore di Giurisprudenza, di cui su suggerimento di Bobbio e Entreves ha tradotto “Il concetto di legge”. Insegna a Ferrara, Milano, Sassari, Treviso. Analizza l'evoluzione storica delle teorie della pena e le opere dei grandi giuristi italiani. Membro della Società Italiana di Filosofia Giuridica e Politica. Altre opere: Il concetto di rivoluzione nella scienza del diritto” (Milano); “Il positivismo giuridico” (Milano); “Il partito politico nel pensiero dell'Illuminismo e della Rivoluzione” (Milano); “Le dottrine politiche” (Milano); Illuminismo e legislazione” (Milano); “Filosofia della Rivoluzione” (Milano); “Diritto liberale” “Giurisprudenza liberale” (Ferrara); “Filosofia del diritto, Ferrara); La filosofia della pena” (Ferrara); Delitto e pena” (Milano); Il problema filosofico della pena, Ferrara); Stato di diritto e stato totalitario, Ferrara); Dignità umana e pena nella filosofia di Kant, Milano); “Metafisica del diritto e ragione pura, studi sul platonismo giuridico di Kant” (Milano); “Goldoni ed Manzoni: illuminismo e diritto penale, Milano); “Carrara e la filosofia del diritto penale, Torino); “Libertà e Virtù” (Milano); Pena, diritto e dignità umana” (Torino); Diritto e Stato nella filosofia della rivoluzione” (Milano); Suggestioni penalistiche”; “Persona e Stato di diritto Discorsi alla nazione europea, Torino); Critica della giustizia, Pisa); L'umanesimo giuridico penale” (Pisa); Pena di morte e civiltà del diritto” (Milano); Terrorismo ed arbitrio, Il problema giuridico del totalitarismo, Padova); Il liberalismo penale di Montesquieu” (Napoli); Dignità umana e pace perpetua, Kant e la critica della politica” (Padova); “L’idolatria sociale (Napoli); “L’umanesimo giuridico, Napoli); Kant e la filosofia del diritto” (Napoli); Diritto e forza. Un delicato rapporto, Padova); Giusnaturalismo e dignità umana, Napoli); Dotta ignoranza e umanesimo” (Napoli); La radice dell'Europa: la ragione, uno studio filosofico-giuridico (Napoli). “Analisi del linguaggio e scienza politica” (Filosofia del diritto); “Il concetto di rivoluzione nella scienza del diritto, Milano, Istituto editoriale Cisalpino); “Il positivismo giuridico e la separazione tra il diritto e la morale” (Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Milano. Richiamo a istituti di diritto privato per la risoluzione del problema dell'origine dello stato, in “La norma giuridica: diritto pubblico e diritto privato, Atti del IV Congresso di Filosofia del diritto, Pavia, Milano, Giuffre); “Il realismo giuridico” in »Rivista di Diritto Civile”; Alcune osservazioni sui concetto di giustizia in Hobbes, in Il problema della giustizia: diritto ed economia, diritto e politica, diritto e logica, Atti del V Congresso Nazionale di Filosofia del Diritto, Roma (Milano, Giuffre); “Hobbes e il pensiero democratico nella Rivoluzione inglese e nella Rivoluzione francese, in »Rivista critica di storia della filosofia”; “Il positivismo giuridico inglese: Hobbes, Bentham, Austin, Milano, Giuffre); Il partito politico nel pensiero dell'illuminismo e della Rivoluzione francese, Milano, Giuffre); Le dottrine politiche di Montesquieu e di Rousseau, Milano, La Goliardica Stampa); Il positivismo giuridico, in »Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto«, “Il concetto di diritto” (Milano, Einaudi); “Considerazioni sul ‘significato’ della proposizione, ‘I giudice crea diritto«, in »Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto«; Illuminismo e legislazione, Milano, Edizioni di Comunita); Leggi penali e liberta del cittadino, in »Comunita«, Montesquieu, Rousseau e la Rivoluzione francese, Milano, La Goliardica); dispense del corso di Storia delle dottrine politiche, Milano); Quattro Punti, in »Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto«, Liberta e virtu nel pensiero politico di Robespierre, Milano-Varese, Istituto Editoriale Cisalpino); Considerazioni sull'idea di repubblica federale nell'illuminismo francese, in »Studi Sassaresi”,Liberta e virtu nel pensiero politico di Robespierre, Milano, Istituto Editoriale Cisalpino); Filosofo e giurista liberale, Milano, Edizioni di Comunita); Filosofia politica e Filosofia della pena, in Tradizione e novita della filosofia della politica, Atti del Primo Simposio di Filosofia della Politica, Bari, Bari, Laterza); Pigliaru: La figura e l'opera, testo della commemorazione tenuta i125 giugno 1969 nell' Aula Magna dell'U niversita di Sassari, in »Studi sassaresi«, Milano); Le elezioni e il liberalismo. Autonomia dell'Universita e neo-corporativismo, in »La Rassegna Pugliese«, Anti-Hobbes, ovvero i limiti del potere supremo e il diritto co-attivo dei cittadini contro il sovrano (Milano, Giuffre); Anti-Hobbes o il diritto co-attivo dei cittadini --; Considerazioni suI diritto di resistenza e liberalismo, in »Studi Sassaresi«, Ill, Autonomia e diritto di resistenza, Milano); La dottrina penale nella filosofia giuridica del criticismo, in Materiali per una Storia della Cultura Giuridica, ICorso di filosofia del diritto, Ferrara, Editrice Universitaria); La filosofia della pena nei secoli XVII e XVII: corso di filosofia del diritto, Ferrara, De Salvia). Discutendo giurisprudenza con Treves, pone il problema che sarebbe stato al centro di tutta la sua vita di uomo impegnato nello studio, nell'insegnamento, nella vita civile. Interrogandosi suI rapporto fra “rivoluzione” e “ordine giuridico”, vale a dire fra “fatto” (de facto) e “diritto” (de iure), giunge alIa conclusione che da un punto di vista epistemico-doxastico-giudicativo-conoscitivo-descrittivo non e possibile distinguere tra ordine giuridico e regime di violenza, autoritatismo, perche il diritto non e giusto per sua intrinseca natura, ma soltanto se e concretamente rivolto ad attuare il valore del giusto e rispetto della persona umana. Il rapporto fra forza autoritaria e la forza della legge, che da il  titolo a uno suo saggio, e la relazione fra diritto o gius come valore, costituisce infatti la questione su cui non cessa mai di interrogarsi, nella prospettiva del fondamento metafisico (escatologico, propriamente) del concetto di ‘giure’ non e riducibile alla volizione o ragione pratica del legislatore propriamente adgiudicato (alla Aristotele). In questo modo, C. indica la ricerca del giusto come compito specifico della filosofia del diritto e  pre-annuncia il suo intero percorso filosofico caratterizzato da un assunto basilaro. La filosofia, come assere Socrate, ha il suo carattere precipuo nel porre un problema piuttosto che nel risolverlo o dissolverlo, e, come nel mito platonico della caverna, l’analisi concettuale si muove suI piano della trascendenza escatologica, diverso e superiore a quello della realta empirica o naturale. Anche la filosofia giuridica, in quanto filosofia, e aperta alla escatologia metafisica e, avendo come base la conoscenza del codice u ordine del diritto romano-italiano *positivo*, pone il problema della sua valutazione escatologica alIa luce del valore della dignita kantiana umana e del concetto di un “stato di diritto”. Compito del filosofo non e dunque *descrivere* il diritto positive fattico empirico esistente, ma conoscerlo per condurne una meta-analisi critica al fine del suo adeguamento al modello ideale platonico socratico di giustizia contro il neo-trasimaco di Hart. Il problema giuridico della rivoluzione.  Il concetto di rivoluzione nella scienza e nel diritto, Milano-Varese. Neokantismo nella filosofia del diritto di Treves, in Diritto, cultura e liberta. Diritto e forza. Un delicato rapporto, Paova. La filosofia del diritto: il problema della sua identita, in Filosofia del diritto. Identita scientifica e didattica oggi, Cattania. IL tema del rapporto tra Diritto e Letteratura è stato più volte trattato dal Prof. Mario Cattaneo che ha pubblicato i seguenti saggi: ”Riflessioni sul <De Monarchia> di Dante Alighieri”, “L’Illuminismo giuridico di Alessandro Manzoni” pubblicato nelle Memorie del Seminario della Facoltà di Magistero di Sassari., “Goldoni e Manzoni. illuminismo e diritto penale” e “Suggestioni penalistiche in testi letterari. Nella Introduzione del volume su Goldoni e Manzoni rileva che i rapporti tra diritto e letteratura e la discussione di problemi giuridici in opere letterarie non sono stati in generale molto studiati; non mancano tuttavia alcune ricerche concernenti soprattutto il diritto nel teatro  Sono stati compiuti degli studi sul significato giuridico di alcune opere di Shakespeare daJhering  e  Kohler ed è stato esaminato il pensiero di alcuni poeti tra cui in Italia soprattutto Dante del quale si sono occupati Carrara, Vaturi , Vecchio, Mossini  e lo stesso Cattaneo.  Vi sono importanti opere della letteratura europea che hanno affrontato problemi giuridici rilevanti come il “Kolhaas” pubblicato da H. von  Kleist  e “Delitto e Castigo” di Dostoevskijj,l’ Autore rileva peraltro che la presenza di temi giuridici nella letteratura è particolarmente rilevante nell’illuminismo data la sensibilità civile di questo movimento. Il volume è dedicato all’esame degli aspetti giuridici – soprattutto di diritto penale – di due grandi autori italiani: Goldoni ed Manzoni.  Cattaneo rileva l’accostamento tra i due grandi letterati deriva da alcuni elementi di contatto: Goldoni passò l’ultima parte della vita in Francia e vide il declino dell’ancien regime francese e Manzoni trascorse parte della giovinezza in Francia nel periodo napoleonico. Goldoni visse gli ultimi anni della sua vita a Parigi nei primi anni della Rivoluzione francese ma non sappiamo come abbia seguito le fasi della stessa mentre Manzoni li seguì e scrisse l’ode “Del trionfo della libertà” che manifesta le opinioni del suo Autore e verso la conclusione della vita scrisse “La rivoluzione francese e la rivoluzione italiana” un saggio che fu pubblicato postumo e che, secondo C.,  è ispirato a sentimenti di libertà  i due scrittori  hanno un orientamento differente Goldoni, bonario ed ottimista,  esamina gli aspetti gioiosi della vita pur con una punta di satira e critica della società mentre Manzoni esamina gli aspetti essenziali e drammatici  della esistenza umana, sotto il profilo religioso Goldoni risulta tiepido ed alquanto indifferente mentre Manzoni nelle sue opere affronta il problema religioso.  Cattaneo evidenzia che l’accostamento tra i due letterati è già stata istituita da alcuni studiosi e cita l’opinione espressa da Ferdinando Galanti che evidenzia che Goldoni diede all’ Italia la nuova commedia, il ritratto della vita sulla scena, Manzoni è importante per la nuova tragedia ed il romanzo lasciando un popolo di caratteri originali, vivi e che rimarranno nella memoria di tutti come figure casalinghe, parlanti, che saranno ereditate di generazione in generazione quale caro tesoro di famiglia. Galanti ritiene che Manzoni abbia continuato, nel cammino della verità, l’opera di Goldoni.  Questo giudizio è ripreso da Federico Pellegrini in uno scritto che indica come elemento comune <il rispetto della natura> e ricorda i giudizi favorevoli di Manzoni su Goldoni in materia di lingua. Pellegrini rileva che nelle Commedie di Goldoni come nei Promessi Sposi l’esuberanza della fantasia non offende la sobrietà dell’insieme e vi è una processione di personaggi buoni e cattivi al di sopra dei quali vi è una idealità: la vittoria del bene sul male, questo è la morale di tutti i drammi. Pellegrini raffronta ed accosta  i personaggi delle opere dei due letterati e conclude affermando che: i geni si incontrano. Il Mazzoleni ha istituito un confronto fra “I Promessi Sposi” e “La Putta onorata”  commedia in cui Bettina, fidanzata di Pasqualino, viene rapita dal marchese Ottavio. Le coincidenze tra le due opere peraltro escludono l’influsso di Goldoni su Manzoni, per cui vi è affinità non dipendenza.  Il Petronio nel suo libro ”Parini e l ‘illuminismo lombardo” mette in rilievo che. “ben quattro volte l’Italia ha tentato una letteratura realistica”: “Una prima volta con l’illuminismo, col Parini e Goldoni; una seconda con il romanticismo lombardo, i tentativi generosi del Berchet nel verso e i risultati luminosi del Manzoni nella prosa; una terza col verismo meridionale e la soluzione geniale ma singolare, senza seguito, del Verga; una quarta in questo secondo dopoguerra” Passarella ha associato Goldoni, Manzoni e Collodi nel suo studio “Goldoni filosofo” ed ha definito i tre letterati “i più grandi umoristi del mondo” scrivendo che “Mentre Manzoni narra di lotte intime di uomini travolti dalla malvagità e Collodi sorride delle cadute e degli sforzi di quel Pinocchio fatto di legno ed emotivo e vivo di tutti gli elementi dell’essere umano, sintesi di tutta l’umanità aggrappantesi sulla ripida china che conduce a essere degni di chiamarsi umani, il sorriso col quale Goldoni guarda i suoi attori dice che il suo problema è la socialità: scontri ed incontri, beffe e incomprensioni, cadute e risollevamento nelle opinioni altrui”   C. evidenzia anche che un breve cenno comparativo tra Goldoni e Manzoni sotto il profilo giuridico è svolto anche daJemolo  il quale scrive a riguardo che Goldoni, che aveva studiato giurisprudenza, cercò nella commedia “L’Avvocato veneziano” di darci una figurazione di avvocato virtuoso, per cui la toga è davvero una divisa di soldato: Manzoni nel mondo del diritto non ci ha lasciato che la immagine imperitura di Azzecca-garbugli, il ricordo caricaturale delle Gride dei Governatori e quello del conte-zio, alto burocrate del suo tempo, il quadro atroce dei giudici della Colonna infame.  Padoan ha rilevato in un suo scritto che anche oggi, e non senza qualche ragione, potremmo indicare in Goldoni una polemica contro l’ozio nobiliare, anteriore al Parini; un atteggiamento di interesse verso il mondo degli umili, che non fu senza influenza sul Manzoni. C. conclude l’introduzione al volume affermando che le citazioni prima esposte sono sufficienti a giustificare la trattazione dei due autori in un unico volume , la sua analisi prende in considerazione la visione del problema giuridico dei due scrittori ed analizza il pensiero giuridico nelle sue premesse di fondo.nelle sue fondazioni filosofiche, nella misura in cui fare questo è possibile; a tal fine ritiene che l’elemento unificatore dei due autori in relazione al diritto, indicato anche nel titolo è l’illuminismo   L’autore evidenzia che nel Goldoni avvocato, difensore della professione forense, che mette in rilievo diversi problemi giuridici in molte sue commedie, si risente, in modo non marcato, l’influenza dell’Illuminismo, che è la radice della sua satira sociale, della sua garbata critica della nobiltà e delle disuguaglianze sociali, come in Manzoni critico della giustizia umana e della incertezza giuridica, che satireggia i pubblici funzionari e  gli avvocati, raccogliendo l’eredità del grande nonno Beccaria. C. ritiene che, oltre le apparenti differenze,.<< sia rintracciabile, nel pensiero di Goldoni e di Manzoni, il filo conduttore dato dai principi fondamentali dell’illuminismo giuridico, principi che si possono individuare essenzialmente nella certezza del diritto e nella dignità della persona umana. L’autore riferisce degli Studi su Goldoni avvocato rilevando che la critica ha tenuto presente in modo primario del significato letterario delle sue opere  un breve cenno agli studi giuridici di Goldoni era stato fatto da un grande recensore contemporaneo al commediografo Schiller nelle due recensioni  alla traduzione tedesca dei “MÉMOIRES.”  nella letteratura italiana Zanardelli, importante esponente dell’Italia risorgimentale, cita Goldoni in alcuni passi del volume “L’Avvocatura”  soffermandosi sulla figura della commedia “L’Avvocato veneziano” delineato come il tipo ideale dell’avvocato. Gli scritti italiani più importanti dedicati a Goldoni avvocato, scarsamente  ricordati nelle bibliografie goldoniane, sono opere di due studiosi parenti di C. Il primo è l’articolo “Goldoni avvocato” di Pascolato il secondo è di Cevolotto, avvocato di Treviso  Pascolato rifiuta la tesi che Goldoni sia stato un dilettante della giurisprudenza ed afferma la reale e profonda cultura giuridica attestata dall’esercizio dell’attività forense a Pisa dove vinse persino tre cause in un mese e che evidenziano il carattere schietto e buono anche in mezzo ai volumi dei dottori; Cervolotto esamina gli studi giuridici di Goldoni di tre anni a Pavia, ad Udine, la sua attività di coadiutore del cancelliere criminale a Chioggia e la sua laurea in legge a Padova. Un capitolo è dedicato alla attività professionale a Pisa dove esercitò più nel criminale che nel civile. Il penultimo capitolo è dedicato all’esame degli aspetti giuridici delle commedie goldoniane specie la commedia “L’Avvocato veneziano” che costituisce una esaltazione del foro veneto e altre note commedie. Cervolotto ritiene che Goldoni fu senza dubbio giurista, oltre che avvocato di valore non certo mediocre o comune evidenziando i buoni studi benché saltuari da lui compiuti e la sua conoscenza di molte questioni giuridiche presenti nelle sue opere. Cattaneo cita anche gli studiCozzi  e di Zennaro  Il secondo capitolo è intitolato “Goldoni, la procedura criminale e Il problema penale”  e C. riporta un passo dei “Mémoires” di Goldoni che tratta il tema della procedura criminale ed è commentato dal Pascolato che rileva che <<quella procedura criminale, colla continua ricerca della verità, coll’assiduo studio dei caratteri, lo aveva ammaliato: è una lezione interessantissima per lo studio dell’uomo. Di verità e di caratteri Goldoni faceva allora provvisione per i giorni, ancora lontani, della sua gloria. E intanto voleva diventare cancelliere  Goldoni sottolinea la presenza nel diritto vigente di limiti posti all’inquisizione dell’imputato, a tutela di questi ma non appaiono nelle sue opere chiari intenti riformatori della procedura criminale. IL terzo capitolo è intitolato “L’Avvocato veneziano: Goldoni fra diritto civile e diritto naturale” C. rileva che Goldoni stesso mette in rilevo i due fondamentali temi della commedia: la difesa della onorabilità della professione forense mettendo in scena la figura di un avvocato onesto ed onorato e la contrapposizione di due sistemi giuridici e giudiziari, quello di diritto comune e quello veneto, dando a quest’ultimo la preferenza;  la commedia come è stato evidenziato da alcuni studiosi, rompe una tradizione letteraria e teatrale di derisione e messa in cattiva luce della figura dell’avvocato, dell’uomo di legge che troveremo invece nella figura completamente negativa del dottor Azzeccagarbugli ne “I Promessi sposi”   Il quarto capitolo si intitola “Il giusnaturalismo illuministico di Goldoni: La Pamela e altre opere”  C. rileva che le radici illuministiche e giusnaturalistiche  del Goldoni si manifestano in rapporto alla procedura penale, al diritto penale, al problema delle fonti del diritto, ai rapporti fra la funzione del giudice e le opinioni dei giuristi. Il giusnaturalismo e l’Illuminismo di Goldoni si manifestano soprattutto nelle opere teatrali aventi come oggetto, o come sottofondo, il tema fondamentale della uguaglianza fra gli uomini, al di là delle differenze fra le classi sociali. Tra le opere significative per questa prospettiva giuridica teatrali emergono “La Pamela”, “Il Cavaliere e la Dama”, “Il Feudatario” “Le femmine puntigliose” il dramma giocoso per musica “I portentosi effetti della Madre Natura” e la tragicommedia (così definita dall’autore stesso) in versi “La bella selvaggia” che trattano il contrasto tra natura e società, infine la commedia in versi “La peruviana” che vengono esaminate negli aspetti più essenzialmente rilevanti sotto il profilo filosofico-giuridico dall’autore   che conclude il capitolo affermando che: “Quando si trattava dei valori supremi, come la pace, anche Goldoni sapeva essere religioso e invocare la grazia del cielo”  La seconda parte del volume è dedicata all’analisi di Alessandro Manzoni.  Il primo capitolo si intitola “Studi su Manzoni e il diritto”  e Cattaneo passa in rassegna gli studi esistenti dedicati espressamente ed esclusivamente o all’idea di giustizia nel pensiero di Manzoni, o agli aspetti giuridici della sua opera. L ‘autore commenta il lungo articolo di Zino, “Il diritto privato nei “ Promessi Sposi”, esamina poi l’articolo di Alessandro Visconti “Il pensiero storico-giuridico di Alessandro Manzoni nelle sue opere”.. Il più importante e più completo studio sul pensiero giuridico di Manzoni è il volume di Roberto Lucifredi. “Manzoni e il diritto”. Tale volume si conclude con alcune considerazioni generali sulla mentalità giuridica di Manzoni e Lucifredi ritiene che Manzoni era molto dotato per lo studio del diritto e sarebbe divenuto un ottimo cultore delle discipline giuridiche, un ottimo magistrato, un ottimo avvocato nel senso più nobile della parola e della funzione.. Nel 1939 Fortunato Rizzi ha pubblicato il volume “Alessandro Manzoni. Il Dolore e la Giustizia”  di cui la terza parte è dedicata al problema della giustizia. Nel 1942 è uscito il saggio di Opocher “ Il problema della giustizia nei Promessi Sposi”  in cui ribadisce che tutto il capolavoro manzoniano è essenzialmente un poema sulla giustizia e conclude affermando: ”I Promessi Sposi non costituiscono soltanto la storia attraverso cui la Provvidenza sana le sofferenze del giusto, ma anche, e vorrei dire soprattutto, la storia attraverso cui la Provvidenza feconda queste sofferenze, facendone lo strumento della redenzione degli oppressori” Nel 1961 il Tanarda ha pubblicato uno scritto “Il diritto nell’opera di Alessandro Manzoni”  in cui ribadisce che Manzoni era cresciuto in una famiglia coperta da una grande aureola giuridica, nipote di Cesare Beccaria, familiare dei Verri, amico di Rosmini; per lo scrittore lombardo l’uso del diritto autentico non può mai contrastare con la morale. Concludo ricordando la  strenna natalizia dell’editore Giuffrè pubblicata in occasione del bicentenario manzoniano con il titolo “<Se  a minacciare un curato c’è penale>”Il diritto nei Promessi Sposi” con saggi di noti docenti quali E. Opocher e Cotta.  In “Valori morali, giustizia, diritto naturale” C. ritiene opportuno esaminare la concezione manzoniana della giustizia, anche nelle sue premesse teoriche sulla base sia di alcuni brani, di pensieri inediti e di scritti di sapore filosofico. Dalla analisi di due postille redatte da Manzoni e da un brano scritto dallo stesso C. deduce che il grande scrittore lombardo esalta la tesi della certezza delle verità morali, tra le quali l’idea del giusto istituendo un paragone tra verità morali e verità matematiche.  Secondo C. questo brano manzoniano è affine alla dottrina platonica delle idee espressa nel dialogo “Parmenide” , vi è inoltre una affinità con Kant che afferma che non è cosa assurda pretendere di far derivare il concetto di virtù dall’esperienza, perché ciò significherebbe fare della virtù qualcosa di ambiguo e di mutevole secondo le circostanza. In realtà è sulla base  della idea di virtù che si giudicano gli esempi empirici di virtù e di comportamento morale.  L’Autore richiama anche la filosofia di Rosmini, il più grande filosofo italiano, la cui filosofia si fonda sull’idea dell’essere e cita un brano del “Nuovo saggio sull’origine delle idee” .Va anche evidenziato che Manzoni ribadisce una sostanziale e piena identità fra morale e religione, come si rileva dalle “Osservazioni sulla morale cattolica “ dedicato alla critica della distinzione fra filosofia morale e teologica. Cattaneo sottolinea che per Manzoni le leggi umane non raggiungono mai la giustizia, viceversa, la religione conduce naturalmente alla giustizia, senza ostacoli, perché si appella alla coscienza, perché porta a dare volontariamente (in vista di un bene futuro), il che non provoca opposizioni, ma solo ringraziamenti e benedizioni.  In “Le gride e l’illuminismo giuridico ne < I Promessi sposi>”.  C. rileva che se il problema morale e religioso della giustizia pervade tutta l’opera di Manzoni, ed in particolare il suo celebre romanzo, Stampa, figliastro dello scrittore lombardo, narra che Manzoni dichiarò che la prima idea del suo romanzo gli venne dalla lettura della grida fatta vedere dal dottor Azzeccagarbugli a Renzo, nella quale sono minacciate pene contro coloro i quali <con tirannide> e con minacce costringono un prete a non celebrare un matrimonio.  Dall’esame dei brani di ”Fermo e Lucia”  e dei “I Promessi sposi” risulta che Manzoni muove una pesante critica al sistema, in quei tempi diffuso, di consorterie e di caste, inoltre, descrivendo criticamente la società e la situazione giuridica di Milano sotto la dominazione spagnola, indica chiaramente il modo in cui le leggi penali non dovrebbero essere e le caratteristiche che le stesse non dovrebbero avere  Il risultato pratico di quella legislazione è da un lato l’impunità del  colpevole e dall’altro la vessazione degli innocenti e dei privati indifesi da parte dell’autorità  Manzoni raccoglie l’eredità dell’Illuminismo giuridico nella critica alla proliferazioni delle leggi e dell’incertezza giuridica, che può sorgere sia dalla mancanza di determinazione precisa delle fattispecie penali, sia dalla enumerazione eccessivamente prolissa dei delitti, a questa critica è connessa la denuncia dell’arbitrio degli esecutori della legge, che possono aumentare a capriccio le pene delle gride ed ai quali è sottoposta ogni mossa dei cittadini  Lo scrittore lombardo critica anche la comminazione di pene sproporzionate, misura considerata ingiusta ed inefficace per la prevenzione dei crimini, l’impunità dei colpevoli è indicata dagli illuministi come il risultato pratico che spesso deriva dalla eccessiva severità o crudeltà delle pene.   Il quarto capitolo si intitola  “La critica dell’utilitarismo e della prevenzione sociale”. Cattaneo sottolinea che la sfiducia di Manzoni nella giustizia penale umana si traduce in un atteggiamento critico verso la prevenzione generale come compito e funzione della pena, che si riscontra in numerosi passi de “I Promessi Sposi”; l’autore cita a proposito il brano del capitolo V in cui è inserita la conversazione alla tavola di Don Rodrigo, a cui assiste Padre Cristoforo, relativa al tema della carestia. Il conte Attilio raccoglie la tesi che la carestia dipenda dagli intercettatori e dai fornai che nascondono il grano e ribadisce che bisogna impiccare senza misericordia tali delinquenti senza processi, in tal modo il grano sarebbe saltato fuori da tutte le parti.. Questo brano rappresenta la mentalità violenta ed aggressiva che sta alla base della teoria della pena come <esempio>, cioè una pena esemplare esorbitante rispetto alla effettiva colpevolezza del reo, mirata esclusivamente a <dare un esempio> agli altri, per uno scopo sociale ed utilitaristico; in tal modo viene peraltro giustificata  la punizione dell’innocente. In altri passi del celebre romanzo manzoniano si rileva un atteggiamento mirato ad indicare non solo l’ingiustizia ma anche l’inefficacia e l’inutilità della prevenzione generale, unitamene ad una condanna della moltiplicazione dei supplizi, che finisce per favorire l’impunità, come messo n evidenza dagli scritti di molti giuristi illuministi. Significativo è a riguardo la conversione dell’Innominato e le ragioni per cui il potere pubblico non intende procedere contro lo stesso per i suoi passati delitti, in al modo viene dimostrata l’inefficacia della punizione nel caso di una persona che ha cambiato vita perché questa potrebbe avere solo l’effetto opposto a quello voluto  Nel penultimo capitolo il commento di Manzoni sulla situazione del bando di Renzo dal Ducato di Milano dopo le vicende della giornata di San Martino denota la tesi dell’impunità come risultato dell’eccessiva proliferazione di minacce legislative e del carattere esorbitante, situazione che porta ad una frattura tra il comando legislativo e l’esecuzione della pena.  C. conclude istituendo un parallelo sostanziale ed oggettivo (se pure a qualcuno potrà apparire sforzato) tra Manzoni e Kant, dato che:  “la visione della morale, nonché del diritto, ed in particolare del diritto penale è svolta in una prospettiva anti-empiristica e ani-utilitaristica, ed è caratterizzata da un <liberalismo cristiano >, vòlto a difendere la persona umana da ogni prevenzione collettivistica e <sociale>”   Il quinto capitolo si intitola“ La storia della Colonna Infame”  L’autore ribadisce che il motivo fondamentale della critica conto la ragione di stato, contro l’utilitarismo sociale, contro il prevalere dell’interesse generale  e sociale sui diritti individuali sta alla base dello scritto “Storia della Colonna Infame” due anni dopo l’edizione definitiva de “I Promessi Sposi”.. Di recente tale opera ha sollevato critiche severe sotto il profilo storiografico e si è accusato il Manzoni di non essere uno storico, ma di guardare alla storia da moralista, sul modello del cosiddetto <astrattismo> illuministico settecentesco, e quindi di non studiare le vicende storiche con partecipazione e simpatia ma di giudicare i comportamenti umani secondo un codice morale superiore Tale critica è stata formalizzata da Benedetto Croce . Dopo una lunga ed attenta analisi dello scritto e di alcuni dei suoi maggiori studiosi C.conclude che i punti di vista in relazione ai quali il volume manzoniano ha dato un importante contributo sono tre:Manzoni ha dato un contributo alla comprensione della storia, affermandone la non inevitabilità e questo punto ha suscitato le maggiori discussioni interpretative e le reazioni negative dei seguaci dello storicismo. Tale scritto manzoniano, come ha sottolineato Rovani, <non è per nulla inferiore alle altre opere del Manzoni, anzi rivela il suo ingegno e la sua dottrina e la profonda sua acutezza anche nelle materie giuridiche>  Tale scritto è un’opera giuridica, è senza dubbio la più giuridica del Manzoni. Il significato più importante del saggio è quello morale, come rilevato da Tenca, Rovani e Passerin d’Entreves e consiste nella difesa del libero arbitrio, della libertà del volere e nella rivendicazione della responsabilità morale dell’uomo. Libertà interiore dell’uomo, responsabilità morale, dignità umana; questo è il trinomio in cui Manzoni fonda la sua lezione morale o, come potremmo dire, la sua lezione etico-giuridica   Il sesto capitolo si intitola “Manzoni e la criminologia”  L’autore evidenzia che l’analisi della “Storia della Colonna Infame” ha portato a mettere in rilievo l’idea del libero arbitrio dell’uomo quale elemento centrale dell’impostazione manzoniana dei problemi giuridico-penali, della sua condanna dell’operato dei giudici milanesi. Vi sono studiosi come Graf e Sergi  che hanno creduto di vedere in tale opera di Manzoni ed in alcune figure di criminali de “I Promessi Sposi” dei precorrimenti delle correnti criminologiche sviluppatesi nell’ambito della Scuola positiva di diritto penale, che, rileva Cattaneo, ha respinto l’idea del libero arbitrio dal problema dell’imputabilità penale ed ha seguito la strada del determinismo. L’autore esamina in particolare lo scritto di C Leggiadri Laura “Il delinquente ne <Promessi Sposi> rivolto ad interpretare il pensiero manzoniano in chiave naturalistico-deterministica   e lo scritto del Preve “Manzoni penalista” che segue l’interpretazione del Leggiadri Laura e delinea nelle figure dei criminali del romanzo i tipi classificati dalla scienza lombrosiana. Dopo un attento esame critico di numerosi passi delle opere dei due autori prima citati e di altri studiosi  C. conclude che non ritiene valida la concezione di Manzoni come precursore del positivismo penale e criminologico, dato che per i positivisti non è questione di giustizia e di libertà del volere, bensì di determinismo e di difesa sociale. In “Manzoni teorico generale del diritto?”, secondo C.,  la forma mentis giuridica di Manzoni appare evidente anche negli scritti storici e storico-giuridici, in particolare essa si manifesta in modo tipico nel “Discorso sur alcuni punti della storia longobardica in Italia”  oltre che nello scritto postumo sulla Rivoluzione francese. C. mette in evidenza un aspetto meno noto che è peraltro presente nel libro: le osservazioni concernenti il rapporto tra Romani e Longobardi e le leggi regolanti la loro convivenza, osservazioni che sono di natura di una teoria generale del diritto. Le osservazioni riguardano  in particolare la concessione data agli Italiani di vivere secondo la legge romana che fu considerata dal Muratori <un bel tratto di clemenza, e una prova, fra le mole, della dolcezza e saviezza dei conquistatori longobardi> Manzoni dimostra una sensibilità moderna perché si preoccupa secondo C. di rendersi conto di come fosse strutturato l’ordinamento giuridico sotto i Longobardi e evidenzia la <struttura a gradi> dell’ordinamento giuridico, per dirla come Kelsen  e definisce alcune norme <leggi costituzionali>, le leggi così designate sono le <norme di competenza> di Ross  e le norme secondarie di Hart, cioè le norme che conferiscono il potere di emanare, modificare, abrogare le altre norme, concernenti direttamente il comportamento dei cittadini. Manzoni si preoccupa di esaminare quali fossero le norme di statuto, di competenza o secondarie, espressione del potere longobardo, le quali regolavano la permanenza delle leggi romane, che regolavano il comportamento dei cittadini di origine romana.  L’ottavo capitola si intitola “Manzoni e la Rivoluzione francese”  Il rapporto tra Manzoni e la Rivoluzione francese durò in varie forme per tutta la vita del letterato lombardo. Questi visse molti anni in Francia nel periodo napoleonico, scrive il “Trionfo della Libertà“ un poemetto di sentimenti giacobini ed anti-monarchici  con la condanna delle spietate repressioni penali. Nel ”5 Maggio” Manzoni fornisce un giudizio equanime su Napoleone  dapprima glorioso e poi rapidamente caduto e rileva la caducità degli idoli umani  Nel dialogo “Dell’Invenzione” Manzoni  esamina la figura di Robespierre ed abbandona il cupo giudizio di <mostro> del politico francese pur non abbandonando la tesi di una responsabilità avuta da Robespierre nel Terrore ridimensionata dalle moderne storiografie  Lo studio che esprime nel modo più chiaro il rapporto di Manzoni con la Rivoluzione francese è il saggio pubblicato postumo a cura di Ruggero Bonghi “La rivoluzione francese  e la rivoluzione italiana”   I motivi su cui si basa La critica di Manzoni alla Rivoluzione francese sono  La mancanza di un giusto motivo per la distruzione del governo di Luigi XVI e di una autorità competente nei deputati del Terzo Stato che ne furono gli autori. Questa distruzione avvenne indirettamente ma effettivamente in conseguenza dei loro atti. Il nesso di queste cause con gli effetti indicati Le riforme legittime, sentite dal popolo francese, avrebbero potuto avvenire per vie pacifiche e legali;  Manzoni peraltro non si rende conto che la sua critica non tiene conto della situazione dell’ancien régime, in cui il potere trovava la legittimità dal diritto divino mentre la critica da lui avanzata è accettabile entro i presupposi giuridico-costituzionali creati dalla Rivoluzione francese  Il letterato lombardo sottolinea l’aumento del dispotismo  dal Terrore, al Direttorio, al bonapartismo come risultato immediato degli atti iniziali della Rivoluzione francese. Trattando della “Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo” Manzoni discute il suo rapporto con la precedente Dichiarazione americana sottolineando le differenze. Lo scritto di Manzoni ha senza dubbio il merito di evidenziare il contrasto fra gli ideali e le realizzazioni pratiche della Rivoluzione francese, nella sua critica lo scrittore lombardo critica, come in altre opere, il potere politico umano che riveste in forme giuridiche la sostanza dell’arbitrio e della prepotenza ed ad esso contrappone il valore assoluto dell’idea del diritto, che è <una verità>  Tale considerazione induce C. a proporre un altro parallelo fra la posizione di Manzoni e quelle di Kant e Robespierre. Kant ha negato il diritto di un popolo alla rivoluzione ed ha considerato l’esecuzione di Luigi XVI un crimine inespiabile ma nello stesso tempo è stato un convinto sostenitore della Rivoluzione francese; Robespierre <rivoluzionario legalitario, giudicato non equamente dal Manzoni, fu un uomo dal forte sentimento giuridico e, nel momento della sua caduta,pur  proscritto e ricercato all’Hotel de la Ville, benché fosse esortato dagli amici a redigere un appello all’insurrezione popolare esitò e si chiese <Au nom de qui?>   come è attestato dalla sorella Charlotte  Nella lunga ed articolata conclusione  C. ribadisce che il pensiero giuridico di due letterati ha numerosi elementi in comune e svolge alcune considerazioni sul metodo seguito. L’autore evidenzia che il suo saggio ha <un taglio diverso> dagli studi citati sull’attività forense di Goldoni, sul significato riformatore delle sue commedie e sulle implicazioni politiche del pensiero di  Manzoni. Il punto di vista seguito nel volume dal docente è quello della considerazione a un lato del diritto come <categoria autonoma>, dotato delle sue specifiche caratteristiche e dall’altro del diritto inteso come fondato filosoficamente, posto in relazione con problemi storici, politici e sociali. Lo studio degli aspetti giuridici e dei problema del diritto nl pensiero e nell’opera di Goldoni e Manzoni non è stato disgiunto all’esame dei temi della riforma sociale e della riflessione politica nella loro attività letteraria. Il punto di vista seguito sempre dall’autore , come da lui steso dichiarato, è stato quindi¨<quello dell’ autonomia del diritto , ma non inteso secondo una prospettiva meramente logico-formale, bensì basato su una fondazione filosofica, e dotato di rilevanza politica. . L’angolo visuale usato come punto di riferimento per i due letterati è l’illuminismo giuridico. L’illuminismo  è coevo di Goldoni, che anticipa Rousseau nella proclamazione del principio dell’uguaglianza naturale ed è aperto al problema della riforma sociale,come è riconosciuto da numerosi interpreti delle sue opere. I rapporti tra Goldoni e l’illuminismo giuridico sono più evidenti nel passo dei “Mémoires “ sulla procedura criminale e nelle commedie L’uomo prudente e L’Avvocato veneziano . Manzoni è posteriore all’illuminismo ma l’autore ha cercato di indicare la presenza di una eredità Illuministica, con riferimento ai problemi giuridici, ne “I Promessi sposi” e nella “Storia della Colonna infame” dove peraltro sono presenti degli elementi di superamento delle concezioni illuministiche.  Il docente ritiene di rifiutare la tesi diffusa di coloro che interpretano Manzoni esclusivamente dall’angolo visuale della linea agostiniana-pascaliana con venature giansenistiche negando il profondo legame con l’illuminismo, in realtà Manzoni si dimostra erede dell’illuminismo per l’habitus mentale razionalistico del suo pensiero, per la sua considerazione della ragione e per la sua ricerca delle radici razionali della fede; in tal modo il grande scrittore lombardo fa propria l’eredità migliore dell’illuminismo, il filone etico-religioso che si contrappone al filone ateo e materialistico  di alcune correnti.   Ragonese   e Caretti  hanno bene sottolineato i rapporti tra Manzoni  e l’illuminismo. C. conclude il suo saggio ribadendo che il motivo comune fondamentale di Goldoni e Manzoni è il principio cristiano ed illuministico (e kantiano) della dignità umana.  In Goldoni questo principio è meno evidente ma è legato soprattutto all’idea della comune natura umana, al di là delle differenze sociali, che appare in numerose commedie ed opere drammatiche, in Manzoni la difesa della dignità umana è svolta ad un livello di maggior profondità ed è connessa ad una prospettiva religiosa come traspare chiaramente dal testo recitato dal coro de “Il Conte di Carmagnola”   Nella Appendice  viene riproposto lo studio di Pascolato “ Goldoni Avvocato” pubblicato su “Nuova Antologia” Cattaneo pubblica “Suggestioni penalistiche in testi letterari”. Il libro, che  è dedicato alla memoria del Prof. Renato Treves, per molti anni ordinario di Filosofia del Diritto all’Università degli Studi di Milano, tratta le opere di numerosi letterati. Il libro, che si articola in 12 capitoli ed una appendice, tratta di  scrittori  che nelle loro opere hanno affrontato il  tema della pena o problemi di natura giuridica. Il lavoro, rileva l’Autore, non ha avuto una genesi unitaria  Il primo saggio scritto riguardava Parini, un “poeta civile” rappresentante di un Illuminismo cristiano ed equilibrato, è seguito il saggio su Collodi, l’uomo del Risorgimento che ha combattuto a Curtatone e che mostra nel suo aperto scetticismo nei confronti della legge e dell’autorità costituita una opinione diffusa di molti uomini dell’Italia post-unitaria tra cui il grande giurista liberale Carrara..Il terzo saggio è stato dedicato a Foscolo che nello scritto < L’orazione sulla giustizia> ed altri due scritti <La difesa del sergente Armani> ed <una lettera al “Monitore Italiano”> tratta problemi relativi alla pena  Il primo saggio del volume si intitola “Studi Dante e il diritto penale”  Lo studio riguarda il rapporto tra il grande poeta ALIGHIERI ed il diritto penale.. C. rileva che gli studi di storici e filosofi del diritto che hanno trattato il pensiero giuridico di Dante hanno trascurato l’aspetto penalistico. ALIGHIERI non si è occupato di diritto penale ma l’analisi del suo capolavoro mostra un elaborato sistema di rapporti tra colpa e pena. Numerosi studiosi hanno rilevato che le pene crudeli descritte nell’Inferno del poema dantesco sono molto lontane dalle prospettive della legislazione penale moderna anche se occorre distinguere tra la prospettiva morale e religiosa del poema dantesco e le finalità delle legislazioni penali attuali Dante peraltro opera una distinzione tra peccati puniti fuori e dentro la città di Dite che può corrispondere  ad una distinzione tra peccati e delitti, il più rilevante contributo indiretto dato da Dante al diritto penale è il criterio di graduazione delle gravità delle colpe e le corrispondenti pene come è stato evidenziato da Vecchio. Il maggior contributo diretto di  Dante alla cultura giuridica moderna sono l’affermazione del principio di uguaglianza e di personalità delle pene e l’affermazione della volontà del volere dell’uomo quale presupposto della conseguente valutazione del merito o del demerito delle sue azioni.  C. conclude che:” Certamente, fare apparire Dante come un grande giurista, un grande penalista, può risultare sforzato e retorico. Ma nello stesso tempo, non è assolutamente possibile e lecito ignorare il contributo, diretto o indiretto, che Dante ha dato anche al diritto penale; la Divina Commedia è un costante punto di riferimento per qualunque problema, religioso, filosofico, umano;  ricordo che mio Padre diceva che nella Commedia <<c’è tutto>>”  Nella introduzione ho accennato a due recenti approfonditi studi su Dante ed il diritto, un tema caro a molti studiosi  Il secondo saggio si intitola “Giuseppe Parini e L’Illuminismo giuridico”.   C. rileva che Parini, sacerdote non per vocazione ma uomo profondamente credente, fu sensibile a numerosi ideali illuministici di riforma civile ed attraverso una delle sue Odi  riprende le idee illuministiche sul diritto penale, che propugnavano il principio umanitario della doverosità della mitigazione delle pene considerando l’inefficacia di pene eccessive in determinati contesti sociali. Vi è dunque una continuità di principi da Parini, cattolico ed illuminista, a Manzoni e Rosmini, cattolici liberali, una continuità di principi ed ideali umanitari relativi al problema della pena e nell’ode Il bisogno è presente una concezione penale cristiana ed illuminista.  C. conclude il suo saggio affermando che Parini poeta civile e morale interpreta il momento migliore dell’Illuminismo e si fa portavoce dei suoi più significativi valori.  In “Foscolo e la giustizia come forza,” C. rileva che notoriamente Foscolo fu un poeta impegnato nelle vicende politiche del suo tempo segnato dalla rivoluzione francese e dall’epopea napoleonica. Negli scritti di natura penalistica  il poeta accoglie i principi della dottrina giuridica illuministica, come la difesa della certezza del diritto ed il rispetto delle garanzie processuali. Foscolo inoltre critica la teoria della retribuzione morale e quella della prevenzione generale. Il quarto capitolo è intitolato. “Le <veglie notturne> di Bonaventura e la critica dei giuristi”  un libro tedesco poco conosciuto in Italia, opera uscita anonima nel 1805 a Penig (Sassonia) presso il poco noto editore F Dienemann, che l’aveva pubblicata nel suo <Journal von neuen deutschen Original Romanen>. C. evidenzia che nelle pagine dedicate a temi giuridici viene messo in rilievo l’invito a rendere il diritto più umano ed a metterlo al servizio degli uomini. La descrizione del giudice freddo paragonato ad una macchina o ad una marionetta, il rimprovero ai giuristi che si assumono il compito di tormentare i corpi, come i teologhi tormentano le anime, l’uccisione della giustizia da parte dei tribunali, il richiamo al diritto naturale, che dovrebbe essere il vero diritto positivo, la critica di una giurisprudenza svincolata dalla morale  sono chiari segnali di una aspirazione ad umanizzare il diritto, specie quello penale. In “Heine e la satira delle teorie della pena”, C. analizza il breve scritto che Heine aveva aggiunto quale appendice al suo volume “ Lutezia”Lo scritto è dedicato  al problema della riforma delle prigioni ed alla legislazione penale e porta il titolo <Gefaengnisreform und Strafgesetzgebung>.  Il saggio, pur nella brevità, è un esame attento delle teorie fondamentali della pena. C. suggerisce  che l’analisi critica del poeta si traduce in una satira delle dottrine della retribuzione, dell’intimidazione e dell’emenda e coglie i punti centrali di tali concezioni. Heine sottolinea l’ingiustizia della teoria dell’intimidazione generale  ed evidenzia il carattere patriarcale e paternalistico delle teoria dell’emenda. Nell’esaminare il principio di una prevenzione dei delitti commessi con mezzi diversi dalla pena, Heine ritiene che bisogna agire con durezza, reclusione ed addirittura con la pena di morte concepite come prospettiva di difesa sociale. C. rileva che è sempre più chiara e più facile la parte negativa della filosofia penale, cioè la critica delle dottrine sulle pena che la parte costruttiva  cioè l’indicazione di un fine positivo nella funzione penale.  Heine critica inoltre il sistema carcerario filadelfiano e quello auburniano  In “Victor Hugo e la pena come fonte di delitti,” C. rileva che il problema giuridico penale è presente nell’opera letteraria di Hugo con una severa critica del sistema penale dell’epoca e la sua difesa della dignità dell’uomo. Il problema emerge chiaramente nel celebre romanzo “Les Miserables”  e nel suo protagonista l’ex-forzato Jean Valjean. Il romanzo affronta il problema di una pena sproporzionata ed inumana, che è causa di nuovi delitti e di una spirale indefinita di reati e pene successive. Il tema è sviluppato nella figura centrale di Valjean.  Tutte le tragiche vicende del protagonista nascono da un tentativo di furto dovuto alla miseria ed alla fame; a causa del furto di un pezzo di pane,che poi viene gettato via,Valjean è condannato a 5 anni di detenzione e, in seguito a tre successive evasioni di breve durata, la sua detenzione dura ben 19 anni.  Vi è una enorme sproporzione  tra il danno causato dal reato e la pena che trasforma ed indurisce Valjean, la cui psicologia viene analizzata in profondità da Hugo. La pena continua a gravare su Valjean anche dopo la liberazione per cui questi riesce a lavorare solo per una giornata data la sua qualità di ex-forzato. Hugo critica sia l’atteggiamento di diffida e di rifiuto di tutta la popolazione sia la macchia di infamia stabilita dalla legge. C. rileva che è ammirabile la battaglia combattuta da Hugo contro la pena di morte, la sua  denuncia della sproporzione tra la gravità dei delitti e le pene, la critica dell’assurdo criterio nel valutare la recidiva. Queste battaglie  sono importanti contributi all’evoluzione del diritto penale ed alla difesa della dignità umana.  In “Dostoevskij la coscienza e la pena,” C.  evidenzia la centralità del tema del delitto, della colpa e della pena nello scrittore russo, come è stato rilevato nel profondo scritto di Italo Mancini, che ha evidenziato sia la validità di una ricerca su Dostoevskij pensatore e filosofo sia  che per lo scrittore russo < la questione penale non rappresenta solo un contenuto ma il contenuto>. Gobetti a proposito dei personaggi dello scrittore russo ha rilevato che <I suoi personaggi non si sforzano mai di arrivare ad una verità, ma piuttosto di chiarire e capire sé stessi>>  Nel volume “I ricordi della casa dei morti “ lo scrittore russo ricorda l’esperienza personale della prigionia in Siberia e sottolinea chiaramente l’incapacità  del carcere di procurare l’emenda del reo dato che Dostoevskij rileva che nel corso di parecchi anni non ha visto tra quella gente il minimo segno di pentimento, il minimo rimorso per il delitto commesso; lo scrittore russo  indica anche nella solitudine e nella mancanza di privatezza un elemento di particolare tormento della prigione.  Il lavoro nella prigione, rileva lo scrittore russo,  non era faticoso ma era penoso perché obbligato sotto la minaccia di un bastone. Dostoevskij evidenzia anche l’ineguaglianza della pena per i medesimi delitti in relazione alla classe sociale, da cui deriva l’ingiustizia e l’inefficacia della pena. Radicale è la sua critica svolta nei confronti del regolamento carcerario e del comportamento ottuso e crudele delle guardie carcerarie, severo è il giudizio sulla prassi della fustigazione definita una piaga della società> Nel <L’idiota>  lo scrittore russo pone un giudizio duro e severo  sulla pena di morte in bocca al principe  Miskin nelle prime pagine del romanzo. Nel brano Dostoevskij sottolinea la svalutazione del carattere meno afflittivo della decapitazione rispetto ai supplizi accompagnati da tormenti e la sofferenza morale generata dalla attesa della esecuzione, che è peggiore della sofferenza fisica. Nel romanzo “Delitto e castigo”  Dostoevskij evidenzia la tesi della necessità della pena giuridica quale espiazione della colpa e come risultato del rimorso avvertito dal colpevole.  La trama del romanzo mette in luce la progressiva conversione, il rimorso e la ricerca di espiazione del colpevole. Cattaneo sottolinea che il Leitmotiv del celebre romanzo è la ricerca della espiazione sulla base di una spinta interiore e del rimorso e che  tale impostazione pone lo scrittore russo sulla linea del Platone del Gorgia e di BOEZIO nel <Consolatio philosophiae>. La conclusione giuridica processuale del romanzo rileva una sensibilità giuridica moderna che pende in considerazione le circostanze attenuanti, le cause sociali, psicologiche e morali del delitto ed il recupero morale e sociale del colpevole. Il finale giuridico evidenzia la complessità del problema penale e l’interesse di Dostoevskij, spirito umanitario e riformatore,  per la riforma del procedimento penale, d’altra parte, sul piano morale, rileva il  desiderio di espiazione che conduce all’emenda.  Dostoevskij  manifesta l’atteggiamento del cristiano che si sente corresponsabile delle colpe degli altri e riprende le parole di Cristo “Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra contro di lei” C. ribadisce che per Dostoevskij il punto che più conta è il rimorso per la colpa commessa e la auto-condanna da parte del delinquente. La pena giuridica non ha rilevanza, ciò che conta è il processo di autocondanna, di espiazione e di redenzione che avviene nella coscienza del colpevole. In “Tolstoj e la abolizione della pena,” C.  ribadisce che lo scrittore russo postula una radicale abolizione del diritto penale in una prospettiva di amore cristiano e di non violenza. I temi giuridici vengono affrontati da Tolstoj un due opere “Resurrezione” e la novella “Il racconto di Koni”.  Il romanzo Resurrezione  è fondato su una vicenda processuale, la condanna ad alcuni anni di deportazione in Siberia della protagonista Ekaterina Maslova, diventata prostituta a seguito di tristi vicende. Tolstoj analizza il processo e la successiva pena dei forzati deportati ed evidenzia che negli istituti di pena gli uomini erano sottoposti ad ogni genere di umiliazioni inutili, catene, teste rasate, divise infamanti per cui si inculcava l’idea che qualsiasi violenza, crudeltà e atrocità era autorizzata dal governo per chi si trovava in prigionia nella sventura. Lo scrittore sottolinea il distacco tra la condanna e la concreta esecuzione della pena con le sue brutalità. In Tolstoj il tema fondamentale è l’indicazione dell’ingiustizia dell’intero sistema repressivo-penale e la sottolineatura delle cause sociali dei delitti come Victor Hugo.  Lo scrittore  suggerisce anche la necessità di abolire la pena e sostituirla con il perdono, un ideale sublime ma difficile da realizzare in pratica e che indica tutta la complessità del problema, C. si chiede se si tratta “del sogno di un visionario, una utopia generosa o di un ideale verso cui la società deve tendere.”  In “Pinocchio e il diritto”, C. rileva che l’opera di Collodi è stata oggetto di numerose indagini . Le ricerche sulla natura pedagogica ed educativa sono state sviluppate da Bertacchini, Il testo di Collodi è stato esaminato sotto il profilo filosofico e teologico nei due volumi scritti da Frosini e Biffi . Frosini evidenzia che: << Il mito di Pinocchio si rivela……come un mito  tipicamente risorgimentale,  al tramonto di un’epoca; e anzi proprio di un risorgimentalismo di stampo repubblicano e mazziniano>> basato su principi di umanitarismo positivistico. Biffi sottolinea che Pinocchio fu scritto quando l’Italia era unita politicamente ma non era una nazione consapevole di sé e concorde sui valori che danno senso alla vita. Il Collodi aveva un cuore più grande delle sue persuasioni, un carisma profetico più alto della sua militanza politica, così poté porsi in comunione forse ignara con la fede dei suoi padri e con la vera filosofia del suo popolo. . La lettura di Pinocchio evidenzia interessanti problemi e temi di natura giuridica e filosofico-giuridica e lo scritto di Cattaneo evidenzia soprattutto i temi più rilevanti dal punto di vista penalistico.  Cattaneo sottolinea che Lorenzini (ovvero Collodi) era un fine umorista  che sapeva cogliere il lato ridicolo ed insieme  doloroso della vita umana (opinione espressa anche da Lina Passarella nel suo scritto prima citato su Goldoni filosofo), e cita  ad esempio l’episodio dei pareri opposti dei medici al capezzale di Pinocchio in casa della Fata dal Corvo e dalla Civetta e quello della condanna del burattino derubato degli zecchini dal giudice-scimmione. Pinocchio scappa di casa ed è acciuffato da un carabiniere  per il naso (Cattaneo rileva in tal modo la naturale predisposizione dei cittadini ad essere oggetto delle interferenza da parte del potere); dopo la riconsegna di Pinocchio a Geppetto e le sue proteste il carabiniere, a seguito dei commenti della gente, rimette in libertà il burattino e conduce in prigione Geppetto che piange disperatamente. L’episodio mostra un membro dell’apparato giudiziario che arresta Geppetto sulla base delle opinioni della <voce pubblica> compiendo un atto arbitrario senza motivazioni precise e mostra un innocente debole ed inerme che non riesce a difendersi di fronte all’atto arbitrario del potere.  Un altro episodio interessante è narrato nel capitolo XXVII, dove si descrive la battaglia con i libri di testo fra Pinocchio ed i suoi compagni. Un grosso volume scagliato verso Pinocchio colpisce alla tesa un compagno che cade come morto. Tutti i ragazzi fuggono e rimane Pinocchio a soccorrere il compagno. Arrivano due carabinieri che,dopo un breve colloquio, arrestano Pinocchio malgrado le sue dichiarazioni di innocenza. Il burattino fugge inseguito dal cane Alidoro al quale salva la vita mentre stava per annegare. Cattaneo evidenzia a riguardo che la vittima del potere è l’innocente, l’unico trovato vicino ad Eugenio, che viene arrestato perché le circostanze sono contro di lui La frase dei carabinieri “Basta così” è commentata da Biffi che evidenzia che l’invito a ragionare insospettisce spesso l’autorità, la quale è incline a tagliar corto. In molte vicende giudiziarie si nota che una concatenazione di indizi sfavorevoli dà l’avvio a processi indiziari seguiti da condanne di persone innocenti.  Un altro episodio clamoroso di palese ingiustizia è la vicenda che conclude il rapporto tra Pinocchio ed il due truffatori La Volpe ed il Gatto.  Pinocchio incontra la Volpe ed il Gatto e viene convinto a seminare i 4 zecchini d’oro nel Campo dei miracoli vicino alla città di Acchiappacitrulli. Tale città descritta minuziosamente  da Collodi  è,secondo C., e il simbolo dell’ingiustizia e di un diritto positivo basato sul puro potere politico; tale città esprime in modo chiaro il pericolo del prevalere della politica sulla giustizia  nella amministrazione della giustizia, come dimostra l’episodio giudiziario che riguarda Pinocchio. Pinocchio accortosi di essere stato derubato delle monete d’oro torna in città e denunzia al giudice i due malandrini che lo avevano derubato, ma,invece di ottenere giustizia, è vittima di una tragica beffa.  Il giudice scimmione, al quale Pinocchio si era rivolto,  ordina che il burattino  venga messo in prigione. L’ordine viene eseguito da due mastini che tappano la bocca al burattino, il quale resta 4 mesi in prigione e viene liberato a seguito di una vittoria dell’imperatore della città di Acchiappacitrulli.  Per ottenere la libertà Pinocchio dichiara al carceriere di appartenere al numero dei malandrini e così viene salutato rispettosamente e può scappare. C. rileva che la figura dello scimmione sottolinea la miseria della giustizia umana ed il carattere insoddisfacente dei tribunali umani dove, come scrive Platone, si discute sulle “ombre della giustizia” Biffi nel suo volume rileva dapprima l’aspetto positivo della figura del giudice che è descritto come un personaggio rispettabile, benevolo, attento al racconto del burattino, successivamente Biffi sottolinea che la figura dello scimmione della razza dei gorilla rappresenta la caricaturalità della giustizia terrena rispetto a quella vera, per cui  il giudice finisce con applicare la legge umana che con i suoi meccanismi colpisce il debole anche se innocente. Cattaneo rileva che la situazione proposta da Collodi ricorda quella descritta da Manzoni ne I Promessi Sposi dove i violenti erano organizzati e protetti ed i deboli, non sorretti da consorterie, erano vittime dei soprusi del potere.   La lettura di Pinocchio di Collodi ed in particolare di alcuni brani può dar luogo a considerazioni di natura filosofico-giuridica e giuridico- penale, come suggerisce acutamente  C. nel suo volume. Merito indubbio di Collodi è descrivere alcune situazioni caratterizzate da abuso di potere, oppressione dei deboli e sfasamento dei corretti rapporti stabiliti dagli ordinamenti giuridici, come del resto è stato rilevato da numerosi importanti interpreti. E’ opportuno sottolineare che il capolavoro di Collodi, come molte altre opere letterarie, affronta importanti problemi giuridici tra i quali va segnalata l’importante e costante aspirazione perenne che la legge in essere non sia solo la volontà del gruppo sociale dominante, una forma di controllo sociale, e che inoltre l’ordinamento giuridico tuteli la dignità e le aspirazioni degli uomini come attesta la storia del diritto. Il capitolo decimo è intitolato “Wilde e le sofferenze del prigione”  Wilde in alcune sue opere ha descritto la sua penosa esperienza carceraria ed il clima del carcere., lo scrittore inglese fu condannato a due anni di carcere che scontò interamente.  C. evidenzia che <Wilde fu il tipico capro espiatorio dell’ipocrisia della società vittoriana> Lo stesso letterato nel <De Profundis>,  redatto in carcere, attesta di essere passato dalla gloria all’infamia con un mutamento dell’opinione pubblica dalla esaltazione al disprezzo. Le osservazioni di Wilde sul problema della pena nel suo celebre <De Profundis> e nella accorata <The Ballad of Reading Gaol> hanno fornito un importante contributo alla battaglia per la riforma del sistema carcerario. Il volume <De profundis> fu redatto da Wilde negli ultimi anni carcere. L’opera è redatta sotto forma di lettera all’amico Alfred Douglas <Bosie> e contiene molti rimproveri all’amico per i suoi atteggiamenti durante il processo ed il successivo carcere. L’opera, dopo molte controversie, fu pubblicata definitivamente dal figlio di Wilde Vyvyan Holland. All’inizio dell’opera Wilde rimprovera l’amico Douglas   e soprattutto sé stesso e riflette sul suo stato di persona imprigionata e rovinata <a disgraced and ruined man>   lo angoscia dopo la sentenza e l’esperienza carceraria e e. Lo scrittore inglese rileva che per chi vive in carcere la sofferenza che lo domina è la misura stessa del tempo ed il fondamento del proprio continuare ad esistere  Wilde evidenzia che la terribile esperienza in prigione sia stata per lui più dolorosa che per altri e si e si lamenta per la perdita della patria potestà sui due figli e rimarca l’ingiustizia di tale procedimento che incrina il rapporto familiare. Lo scrittore rileva che per i poveri la prigione è un dramma che tuttavia suscita peraltro la simpatia delle altre persone mentre per gli uomini del suo ceto la prigione li rende dei <paria>, per cui i condannati di ceto abbiente non hanno più diritto all’aria ed al sole,la loro presenza infetta i piaceri degli altri e bisogna tagliare i legami con l’esterno dato che l’onore e la reputazione della persona condannata è leso.   Wilde evidenzia anche che molte persone,quando escono di prigione, nascondono il fatto di essere stati in carcere che considerano una sciagura e, rileva lo scrittore inglese,, è orribile che la società li costringa a tale comportamento. La società ha il diritto di punire i colpevoli ma non riesce a completare ciò che ha fatto e lascia l’uomo al termine della pena, quando dovrebbe iniziare la riabilitazione, sarebbe giusto invece che non ci fosse amarezza o rancore tra le parti (colpevoli e vittime). Cattaneo evidenzia l’ipocrisia che sta dietro l’idea della retribuzione morale  e cioè che subendo la pena il colpevole abbia pagato il suo debito verso la società, se si applicasse tale principio, dopo la fine della pena tutto dovrebbe cessare e non dovrebbero esservi più né fedine penali né casellari giudiziari. Nella realtà comune resta una macchia sulla persona che è stata in carcere, un pregiudizio che la società perpetua e l’onta non deriva dal delitto commesso ma dalla pena scontata. La società riconosce implicitamente l’inutilità della pena perché l’onta del colpevole incarcerato rimane. Analizzando la vita in carcere Wilde sottolinea che le privazioni e restrizioni del carcere rendono una persona ribelle ed impietrisce i cuori dei condannati. L’abito dei carcerati li rende grotteschi come clowns, oggetto di derisione e berlina della gente. Tali sofferenze ed umiliazioni dei condannati sono contrari al principio della dignità umana che Wilde riafferma come profonda esigenza morale della società. Lo scrittore afferma anche che tutti i processi sono processi per la propria vita e tutte le sentenze sono sentenze di morte; spesso anche una condanna alla prigione genera delle sofferenze che conducono alla morte e va rilevato che Wilde stesso morì pochi anni dopo il carcere in Francia . Wilde scrisse anche <The Ballad of Reading Goal> , l’anno del suo rilascio. in questa lunga ballata il poeta inglese descrive le  sofferenze e le crudeltà cui aveva assistito durante la prigionia e dalle sue considerazioni sulla triste sorte dei carcerati risulta un grande senso di pietà per i carcerati ed i condannati a morte. La poesia è pervasa da spirito religioso e Wilde mette in confronto il vero spirito cristiano, la pietà per i sofferenti ed i peccatori con l’atteggiamento chiuso, duro ed indifferente delle istituzioni religiose ufficiali e dei cappellani delle carceri . Cattaneo rileva che la tragica esperienza personale ha portato Wilde ad affrontare il tema della riforma delle prigioni e del sistema penale del quale si era occupato nello scritto “The soul of man under socialism” . Dalle riflessioni dello scrittore inglese redatte nelle opere dopo il carcere si ricava una denuncia della brutalità del trattamento carcerario e della inumanità nell’esecuzione della pena con critiche alla utilità sociale della stessa   In “Gide e il non giudicare,” il problema giuridico-penale è stato esaminato anche da un noto scrittore francese contemporaneo Gide, che lo ha affrontato in tre stimolanti scritti “Souvenir de la Cour d’Assise” che racchiude la sua esperienza quale giurato in alcuni processi penali, “L’affaire Redureau” e “La sequestrée de Poitiers” che poi sono stati pubblicati insieme in una raccolta dal titolo ”Ne jugez pas”  C. rileva che di tale scritto non si sono occupati molto i critici ed i commentatori, come sempre avviene quando si tratta di problemi giuridici in veste letteraria. L’analisi del volume di Gide è interessante perché il libro è molto rilevante per lo studio di rapporti tra diritto  penale  e letteratura e costituisce delle precise prese di posizione dirette su temi giuridico-penali, desunti dalla realtà della vita. C. mette in luce l’attenzione, la precisione, la serietà e la preparazione dimostrate dallo scrittore francese nel trattare i temi giuridici, soprattutto per la precisione del linguaggio giuridico. Gide dimostra competenza nel trattare problemi giuridico-penali e probabilmente “l’ indagine di certi casi criminali lo induce all’analisi di talune zone inesplorate della psiche umana”  L’atteggiamento dominante di Gide  è il “favor rei”  che si esprime in due modi o a due livelli: da un lato sul piano processuale lo scrittore volge l’attenzione al rispetto delle garanzie dell’imputato, ad una equilibrata ed equa conduzione dell’interrogatorio, alla escussione di tutti i testimoni, specie quelli della difesa. Lo scrittore francese solleva anche  nei suoi scritti l’esigenza di una riforma del modo di porre le domande ai giurati e di chiarire il loro contenuto. Gide si mostra sempre umano e compassionevole verso i colpevoli, mostra l’esigenza che la pena sia in generale ridotta e che si tenga conto degli elementi che valgono a titolo di difesa, quali motivi di giustificazioni e scuse. Lo scrittore francese si preoccupa che la pena possa causare mali peggiori e cerca di evitare risultati negativi della stessa. C. evidenzia che in sostanza nel libro di Gide “è primaria l’attenzione per l’uomo, la sua complessità e la sua imperscrutabilità psicologica, che porta al dubbio e alla perplessità circa il fatto che alcuni uomini possano giudicare altri uomini, queste pagine sono dunque dominate dal monito evangelico, per cui particolarmente adatto risulta il titolo complessivo della raccolta: Ne jugez pas.”  In “Franz Kafka, la legge e il totalitarismo”   C. ha discusso in molte opere il problema del totalitarismo che è stato analizzato soprattutto nel suo volume “Terrorismo ed arbitrio Il problema giuridico del totalitarismo”  Analizzando le opere di Kafka C. premette che è particolarmente rilevante il pericolo di un forte divario fra la letteratura critica ed interpretativa ed il testo originario dello scrittore per cui ritiene che siano legittime molte diverse interpretazioni dell’opera di Kafka, e molte <chiavi di lettura> ., certamente l’interpretazione più interessante dello scrittore ceco è quella data dall’amico Max Brod,  che evidenzia la religiosità ebraica presente nelle opere di Kafka ed in questa chiave interpreta i brani relativi al problema della legge, del processo e della colpa. Una interpretazione giuridica delle opere di Kafka è stata compiuta da Pernthaler.C. intende esaminare alcune opere di Kafka dalle quali il problema della legge emerge anche dal punto di vista filosofico-giuridico  In tali opere di Kafka ricorre il tema del difficile rapporto dell’uomo con la legge, che è interpretato in chiave religiosa o in chiave psicologica o psicoanalitica ma che può essere analizzato anche dal punto di vista filosofico-giuridico. C. esamina alcuni temi che emergono da “Il Processo”  dall’apologo “Vor dem gesetz”, dallo scritto ”Zur Frage der Gesetze” e dalla novella “In der Strafkolonie” e dall’analisi complessiva di tali opere interpreta Kafka come profeta e critico del totalitarismo che fu instaurato in alcune nazioni dopo la sua morte, lo scrittore ceco delinea situazioni di angoscia, di incertezza, di impossibilità di comunicazione, di errore e di ferocia tipiche del totalitarismo. Kafka collega la burocrazia e l’oppressione del potere sugli uomini caratteristica del nascente totalitarismo . PCitati rileva che <Nel Processo, l’immenso Dio sconosciuto, di cui non ascoltiamo mai pronunciare il nome, ha invece una vita così intensa e un potere così illimitato, come forse non ha ma avuto nei tempi> L’interpretazione di Citati è più psicanalitica che religiosa ma è priva di prospettiva giuridico-politica. Di impronta psicoanalitica è l’interpretazione data da Sgorlon del <Processo> di Kafka  ma la prospettiva giuridico politica, trascurata da questi studiosi, è presente e C.  evidenzia che proprio nel primo capitolo, in cui è narrato l’improvviso arresto mattutino di Joseph K esprime in modo preciso proprio la sensazione del passaggio graduale ed insensibile dallo Stato di diritto allo Stato totalitario .Di seguito le indicazioni che Joseph K riesce a ricevere da parte di vari personaggi connessi al Tribunale concernenti il meccanismo, il funzionamento, l’andamento del processo mettono in luce la totale assenza di garanzie giuridiche e processuali, di tutela dell’imputato, elementi che costituiscono l’esatta antitesi dello Stato di diritto Il tema della inconoscibilità e irragiugibilità delle leggi è ripreso da Kafka nello scritto <Zur Frage der Gesetze> In tale scritto Kafka delle <nostre leggi> che non sono conosciute da tutti, ma sono un segreto del piccolo gruppo della nobiltà che ci domina. Kafka dichiara di non avere in mente tanto gli svantaggi derivanti dalle diverse possibilità di interpretazione, quando questa è riservata ad alcuni e non all’intero popolo, questi svantaggi non sono poi molto grandi. Le leggi sono antiche, secoli hanno lavorato alla loro interpretazione, l’interpretazione è diventata essa stessa legge, e sussistono sempre, benché limitate, alcune libertà di scelta dell’interpretazione  Il motivo dominane l’intero scritto è il carattere inconoscibile della legge, dato che la legge è misteriosa e nessun membro del popolo è in grado di conoscerla per cui è comprensibile che vi sia qualcuno che arriva a negare l’esistenza delle leggi e riconosce peraltro il diritto all’esistenza della nobiltà  La fredda descrizione di uno strumento di supplizio, nell’ambito di un sistema processuale completamente privo delle fondamentali garanzie è il messaggio del racconto <In der Strafkolonie> (Nella colonia penale) e la conclusione della novella di Kafka riflette la logica del totalitarismo per cui quando il viaggiatore comunica all’ufficiale di essere avversario di questo sistema punitivo, l’ufficiale si rende conto di essere rimasto il solo difensore di tale sistema punitivo e libera il soldato dalla macchina del supplizio, si denuda e si pone lui stesso sul lettino al posto del condannato, la macchina del supplizio inizia a funzionare  e l’ufficiale muore senza aver capito il senso del supplizio   come ogni sistema totalitario si autodistrugge e divora i propri figli C. cita la fucilazione dei coniugi Ceausescu operata nell’ambito del totalitarismo comunista. L’Appendice del volume è intitolata “Vaclav Havel e la legge come <<alibi>> nel sistema post-totalitario” Havel, noto scrittore contemporaneo, che è stato Presidente della repubblica cecoslovacca, è autore di numerose opere letterarie e teatrali. C. ritiene che se Kafka rappresenta il tempo del pre-totalitarismo, Havel rappresenta il post-totalitarismo,al quale ha dedicato uno scritto bblicato che l’autore del volume esamina nella traduzione tedesca.  Havel delinea l’opposizione al comunismo, nel suo momento post-totalitario, come tentativo di vivere nella verità; la verità, intesa come opposizione ad un sistema che si fonda e si regge sulla menzogna. Lo scritto ha un carattere etico-politico ma contiene importanti pagine di natura giuridica e di critica dell’ordinamento giuridico proprio del regime totalitario e post-totalitario.  Tale sistema politico è caratterizzato, secondo lo scrittore ceco,  come una dittatura della burocrazia politica su una società livellata. Lo scrittore ceco  elenca le caratteristiche del sistema <post-totalitario> che lo distinguono dalla dittatura tradizionale ed evidenzia che  tale sistema non è delimitato territorialmente ma domina in un ampio blocco di forze ed è retto da una superpotenza  mentre le dittature classiche non hanno una solida radice storica, la radice di tale sistema dono i movimenti operai e socialisti. Tale sistema dispone di una ideologia strutturata ed elastica che ha i caratteri di una religione secolarizzata ed offre una risposta ad ogni domanda dell’uomo in una epoca di crisi delle certezze esistenziali. Alle dittature tradizionali spettano elementi di improvvisazione per quanto attiene alla tecnica del potere mentre lo sviluppo di anni nell’Unione sovietica e di anni nei paesi dell’Est europeo ha dimostrato la creazione di un meccanismo perfetto, che permette la manipolazione diretta ed indiretta della società. La forza di tale sistema è incrementata dalla proprietà statuale  e dalla amministrazione centralizzata dei <mezzi di produzione>  Nella dittatura classica vi è una atmosfera di entusiasmo rivoluzionario, di eroismo, di spirito di sacrificio che sono scomparsi nel blocco sovietico. Tale blocco sovietico, che è un elemento solido del nostro mondo, è caratterizzato dalla stessa gerarchia di valori presenti nei paesi occidentali sviluppati e  sono una forma di società consumistica ed  industriale. Il sistema sopra descritto è designato da Havel come <post-totalitario> perché è un sistema totalitario con caratteristiche diverse dalle dittature classiche e, rispetto al totalitarismo classico, è caratterizzato da una misura più attenuata di terrore ed arbitrio  Havel considera il sistema post-totalitario come caratterizzato dalla menzogna, ciò è un effetto del dominio della ideologia; gli uomini non devono credere alle mistificazioni totalitarie ma tollerarle in silenzio ed accetta, ciò è un vivere nella menzogna  e  lo scrittore insiste sul valore e sul significato morale ed esistenziale della dissidenza. Per quanto riguarda l’ordinamento giuridico nel sistema post-totalitario  lo scrittore rileva  che tale sistema sente la necessità di regolare tutto con una rete di prescrizioni, norme, istituzioni e regolamenti per cui gli uomini sono delle piccole viti di un meccanismo gigantesco.  Le professioni, le abitazioni ed i movimenti dei cittadini e le sue manifestazioni sociali e culturali sono controllate, ogni deviazione viene considerata un passo falso ed una manifestazione di egoismo ed anarchia. Havel rileva che non bisogna prendere alla lettera l’ordinamento giuridico e ciò che conta è< come è la vita> e se le leggi servono alla vita o la opprimono ¸la battaglia per la <legalità> deve vedere questa <legalità> sullo sfondo della vita come è realmente.  Analizzando il rapporto tra la società post-totalitaria e la moderna civiltà tecnologica, con riferimento anche agli scritti di Heidegger, Havel rileva che il sistema post-totalitario è solo un aspetto della generale incapacità dell’uomo contemporaneo di divenire <padrone della propria situazione> e la prospettiva giusta è quella di una <rivoluzione esistenziale> generalmente comprensiva  L’aspetto più interessane di Havel è la delineazione dei caratteri del sistema post-totalitario come fenomeno sorto dall’incontro della dittatura con la società industriale e consumistica.  Per quanto riguarda i problemi giuridici, Cattaneo rileva che Havel sottolinea il significato autentico del diritto, che deve avere coscienza dei propri limiti naturali, il diritto ha un significato esteriore, deve difendere alcune esigenze minime (tutela della convivenza civile dalla violenza e dalle invasioni nei diritti altrui ma non deve pretendere di adempiere a compiti per cui non è adatto  - In tal modo, sottolinea C., il letterato ceco riprende la migliore lezione del liberalismo classico per cui il diritto non è al servizio del potere, ma può essere un valore solo in quanto esso sia un mezzo di difesa e la garanzia della libertà e della dignità dell’uomo   Il grande insegnamento del letterato Havel è la tutela del valore più calpestato dal totalitarismo, la dignità umana che è lo scopo fondamentale ed essenziale del diritto,  dato che diritto e libertà sono collegati ed il diritto ha valore se garantisce e protegge la libertà. DISSERTAZIONE SULL’ORIGINE DELL’ANTICA IDOLATRIA E SULLA FORMA DE’PRIMI IDOLATRICI SIMULACRI COMPOSTA DALL'ABATE; Giuseppe luigi traversari H Patrizio Ravennate , Canonico Arciprete della Infigne Collegiata di Meldola, e tra gli Arcadi.LANIO' ATENIENSH.     PRESSO GIOSEFFANTONIO ARCHI.  DISSERTAZIONE   SULL' ORIGINE   DELL’ ANTICA IDOLATRIA  E SULLA FORMA DE' PRIMI   IDOLATRICI SIMULACRI. AL NOBILISSIMO CAVALIERE,   E DOTTISSIMO LETTERATO IL SIGNOR CONTE AURELIO GUARNIERI   PATRIZIO OS1MANO  L’AUTORE. Veneratissimo Signor Conte  fi 'S T fi Aria, intralciata, difficile , e per nju-  /. X no, ch’io fappia, di proposto rifchia-   tt » rata fi è la Queftione , che mi vien pro-   OS A porta a trattare, veneratiffimo Sig. Conte ; cioè fe i Simulacri primieri delle pagane divinità fodero lemplici e rozze Pietre, o quadrate, o rotonde, lenza veruna umana, o animalel-  ca ferabianza . Io ricevo con Ibmmo giubbilo per  una parte l’onore de’ voftri cenni, e vi fi) al mag-  gior fegao buon grado per avermeli gentilmente  partecipati . E’ una degnazion Angolare la voftra il  credermi pur capace di l'oddisfarvi in materia di eru-  dizione . Ma per l’ altra ben coaofcendo la pochez-  A 3 za del v/ 6 ' Dksert. sull* Origine   za del mio talento, e la fcartezza di mie cognizioni , provo un eftremo roflòre di non potervi ubbi-  dire in quel modo, che ad un voftro pari, ed alla  qualità dell’ argomento fi converrebbe. Inclinato  per genio all’ amena Letteratura , ma Tempre da im-  pieghi fagri , e da gravi Itudj recinto , e fommer-  lo in occupazioni tutte diverte , lenza tempo , lèn-  za relpiro come potrò teftenere la qualità di Lette-  rato innanzi a Voi , che in ogni maniera di colte  Lettere liete Maeflro ? E ben fapete quanto male in-  contrante a colui , che fu ardito parlar di guerra in-  T 4 nanzi ad Annibaie. Ciò non pertanto , fcnibrando-  mi più teoncia la taccia di malcreato , e di (cono-  fcente , che non quella d’ignorante , e di mal efper-  to , a telo fine di tellimoniarvi per alcun modo la  mia oltervanza , mi farò lecito di comunicarvi i miei  penlamenti. Sarà quindi gentile impiego del voltro  bel cuore infieme, e della vofira dottrina il com-  patirli te rozzi , o il rigettarli fe erranti. Per-  mettetemi però , gentilifitmo Sig. Conte , che io nel  diitenderli mi allontani alquanto dal metodo fecco  e digiuno, che per alcuni fi tiene , e che foltanto  confine nel produrre Autori a rifate , e inzeppar fe-  lli , e affafteflar citazioni. Comecché molto io lodi  la fatica e l’ induftria di chi procede fifFattamente ,  la materia, che abbiamo tra mano, fe io non vò  lungi dal vero , brama di fpaziare in più aperto cammino , « di venir rintracciata da’ Tuoi vetulti principi.  In due parti perciò credo ben fatto il dividere la  prefente Dillèrtazione , che a Voi trafmetto, e cou-  facro. Ragionerò nella prima alcun poco della ori-  gine, delle maniere , e degli oggetti di quella fatale  Idolatria , che a poco a poco lopprimendo i lumi  della natura , della ragione , della Religione , della  lloria , coprì di tenebre , e manommite tutta la faccia  dell’ Univerfo . Difcenderò pofeia naturalmente nel-  la feconda a rendere, per quanto io polla , proba-  bile la opinione, che t primi Idolatrici Simulacri  tollero di quadrata, o rotonda forma, e non aven-  ti figura alcuna o di Animale , o di Uomo . In   questa    dell'antica Idolatria 7   quella guila crederò di potere all* autorità voìtra ,  ed alla mia ubbidienza per alcuna via foddisfare. Si laici a Maimonide ( i J , ed alla Scuola Ra-  binica il fidare lenza prove agli Antidiluviani tem-  pi l’epoca della nafcente fuperftizione. Entrando  nell’argomento, quel che puolli da noi con cer-  tezza affermare fi è, che poco tempo dopo il Di*  luvio s’ intrulè il Politeifmo a pervertir le menti de-  gli Uomini . Il libro di Giosuè f a ) ne avverte ,  che Tare Padre di Abramo , e di Nachor aveva fer-  vito a* Dei menzogneri . Óra la nalcita di Tare ?  fecondo i calcoli dell’ Uflerio, accadde non più di  22 1. anni dopo la generale inondazione del nofiro  Globo . Il libro poi di Giuditta ci fa lapere ,  che non pur Tare , ma eli Antenati di Abramo fe-  guivano gli empj riti della Caldea adoratrice di più  falle Divinità. Labano chiama Tuoi Dei gl’ Idoli *  che Rachele tua Figliuola gli avea involati (”4), e  Giacobbe prima di offrire un facrificio all’ Altiifi-  mo fa recarli da tutti quelli di fua comitiva gl’ Ido-  li , che ferbavano , e li nafconde (otterrà .   Molto, dagli Eruditi fi difputa qual folle dell*  Idolatria nafcente il primiero oggetto. Pretende  il Clerico ( 5 J elfère fiati gli Angeli adorati lenza  limitazione , e lenza relazione all* Onnipotente.  Volilo d* altra parte lòltiene , che il Dogma  de’ due Principi buono , e cattivo folle dell’ Idola-  tria più antica generatore. Noi non fiamo per di-  partirci dalla fentenza più comune, e più compro-  vata, cioè che gli Altri, e quindi gli < Elementi  follerò i primi a rifcuoter l’ adorazione de’ tralignan-  ti mortali. Fra un nembo di monumenti, e di au-  torità , che in conferma di tale fentenza recar po-   . A 4 * ' trei *   \ r »  De Idolat. curri Interpr. Dionyfi VoJJìi .  Cape 24. v. 2. ( 3 ) Cap. p. v. 8.   C4) Genef.cap. 31. v. 19. £?. 30., Cap . 3$. v. 2.   4 * (5 J Index Philolog. ad HiJÌ. Thil. Orienta  in voce Angelus , V Ajlra . ( 6 ) De idolat . lib. 1.8 Dissert. sull* Origine   trei 3 e che in Macrobio C i ) , in Gerardo VofTio  già citato C 2 )> ne l Le Plucne ( 3 ), nel Bergero ( 4 )  lt polfòno agevolmente vedere , io trafcelgo il folo  Eufebio Cefarienlè , tanto più che in Lui rinven-  go accennata non pur 1 ’ origine , ma V ingànnevol  motivo di quella umana depravazione.' Egli adun-  que colia (corta del gravilTìmo Diodoro Sici-  liano, parlando prima degli Egiziani, poi de’ Fe-  nici , popoli , fra’ quali ebbe forfè 1 ’ Idolatria la fua  culla , e finalmente de’ Greci , dice , che  ,, i  „ primi Abitatori di Egitto , avendo volti gli oc-  chi a contemplare il Mondo, e con alto ilupo-  „ re coixfiderando la natura di tutte le cole , ili-  3> marono, che il Sole, e la Luna follerò Dei lem-  3, piterni , e primarj , de’ quali per certo rapporto   „ chiamarono 1’ uno Ofiride , e 1’ altra Ilide   ,, infegnando eller quelli due Dei dell’ Univerfo  3, tutto moderatori. Rapporto poi ai Fenicj egli  afferma che • ,, i primi fra loro datifi ( 7 ) a filo-  ,, fofare , tennero unicamente in luogo di Dei il  ,, Sole , e la Luna , e gli altri Pianeti , e gli Ele-   ,, men-  33 . >   Saturnale lib. 1. C 2 ) De Idololat. Orig. lib ».  3. per totum . (3 ) Storia del Cielo Tom. I.   C 4 ) Trattat . Storie, della Relig. Tom. 1 .   4 5 ) Yraparat. Evang. lib. I. c. 9.   ( 6 ) Tot* owj xotr A lyuirrov Avd’p'jìTHS ro  7 rcchctiQt ywofJLtviss ccvccfihr^ccvrcce tov xo$[jlov , xou  rlw rctfr oKw xa.rcLT'Kccyv/rcts re xoui  rocrras UTTohccfìett/ uvea Osar otihas re xou irpu-  ru$ vihiW) xou rlw <relwnv y w rov \xiv Osipiv ;  rlw ’Be Kit ovoyxKOA rara? Sé .Tttf Ozag   u<pirrocvr<u rov $i[/,tccvtcc xospLw ì>ioixe*v .   ( 7 ) HA/ok , xcu (reXlw/iv 5 xou r»? Tkoittxs  T rKetfY\rots ctrrepccs , xou rot sto%£cc } xta tvtoìs  nwoufiiy pLQvov lyivwsxov .    dell'antica Idolatria. 9   „ menti in oltre con quanto a !or fi congiunge ,,  Finalmente paHando a far parola dei Greci , reca  il bel palio di Platone nel Cratilo, che in queite  note fi elprime ( i ): ,, A me certamente ralfem-  ,,bra, che i primi ad abitare la Grecia quelli fol-  „ tanto per Dei riputalfero , che dalla maggior  , pane de’ Barbari prefentemente fi adorano , il  ’, Sole cioè , la Luna , la Terra , gli Altri , il Cie-  lo , quali vedendo e.fi con perpetuo corlb aggi-  ,, rarfi , dalla parola ra G«y correre , Aosi Dei li   ,, chiamarono. ,, t   Il lèntimento di Eulebio, o di Diodoro, che  dee chiamarli il lèntimento di tutti gli Storici  più fenfati , potrebbe!! agevolmente con facra au-  torità comprovare. Mosè ( *J, Giobbe (i ) , I*  .Autore del libro della Sapienza ( 4 ) col profcri-  vere il culto fuperltiziofo degli Altri, e degli Ele-  menti , il fuppongono tacitamente come il più an-  tico , perchè il dipingono come il più lulinghie-  j>o , e capace a pervertire l'umano cuore.   Così fu veramente. Il cuore umano aggirato  da un fafeino teuebrofo di licenziole palliont , am-  mollito dal lbverchio amor del piacere , fcollò dal  natio genio d' indipendenza , languido , e indiffe-  rente negli efercizj della Religione , la quale già  inftillata nel primo Padre erafi poi tutta pura da  INoè trafmellà ne' difeeudenti , cominciò palio pal-  io a   ( 1 ) tyojyovTout tj.ot 01 t porrà ruv P 1 tìpuiruv rwv   Trìpi TW EAÀa^a J T 8 TKf ^JjOVtSi Stai «y«>' 6 cU ,   • WiTTlp vuù T0XK01 TVV (locpQctpW , t{KlOV , XOU  xcu ylw, xou carpa , xou tspcaov . art   OVLU tWTOC OpWTK TTOO/TCO OMrl 10 VTCL , XOU   Piovra, j curo tojuths tìk <piKi'j>s rns tu Orir Qks  curasi (tovoijlkìou .   (2) Deuter. c. 4. v. ip. (3) Job. C. 31. V. 16.  1 ( 4 ) Sap. c. 1 3.    Digitized by Google    io Dissert. sull'Origine  fo a perdere la giufta idea del vero Nfume , elio  gli brillava all’ intorno con tanta luce* Un guitto*  e terribil giudizio di Dio medeilmo , il quale, come  avverte S. Agostino , fparge penali tenebre (opra .  le illecite cupidigie , permife nell’ Domo un sì fa-  tale dementamento. Chi fdegnava di rendere al  Facitore 1’ onor dovuto come a Sovrano , meritò  di perder colpevolmente lino le tracce per ravvi-  farlo . Abbandonato così alla stoltezza de' Tuoi pen-  fieri, fcambiò la gloria sfolgoreggiarne, ed  immenia dell' incorruttibile Iddio co'’ limitati river-  beri , che ne vedea nelle Creature. Gli Astri pri- .  ma di tutto a lui parvero contrallegnati co' mag-  giori caratteri della Divinità . Quel movimento •.  loro non interrotto , que’ periodi tempre uniformi ,  quello fplendore Tempre brillante, quegl' in Aulii :  sempre benefìci fermarono il corfo alla di lui am-  mirazione , e riconofcenza , quando pur dovevano  lervirgli di guida per falire ad amar la bontà, a riconofcere la potenza del Creatore . Egli lciocca-  mente impadulò ne’ rulcelli , e dimenticò la lòrgen-  te , e invece di riguardarli come Ministri delle  divine beneficenze, li adorò come Dei. L’ amor  proprio , la fuperbia , la mollezza , il libertinaggio  trovarono il loro conto in fimil delirio. Gli Astri  comparivano Dei benigni, comodi, utili, che nul*  la eligevano, nulla vietavano, per nulla al più cor*  rotto genio opponevanlì , nè mettean freno alle più  torte inclinazioni . Il culto degli Elementi , della  Terra, del Fuoco, dell’Aria, de’ Venti lì congiun-  te ben presto con quello degli Astri, perchè appog-  giato fopra gli stelli principj , e come un palio mal  mifurato lud’un pendio fdrucciolevole cagiona pre-  cipizi Tempre maggiori , fi venne ad attribuire la  divinità alle inlenfibili cole, ed infieme agli utili,  e dannofi animali, agli uni per riconolceili de’ be-  nefizi , che fanno agli Uomini \ agli altri per pla-  carli , e distornarli dall’ infierire . L’ antichiflima   opmio- Afojì. ad Rom, c. x. dell' antica Idolatria . n  opinione de’ due Principj buono , e cattivo ebbe for-  fè gran parte in questi folleggiamenti, eia vera-  ce , ma poi alterata dottrina degli Angeli , de’ De-  moni , delle Anime de’ trapalfati trovolfi molto op-  portuna per dilatarli. Si volle credere tutta la na-  tura animata . Animati lì tennero gli Astri dagl’  Indiani , dai Caldei, dagli Egizj , dai Maghi, da  Pitagora , da Platone , da Cicerone , da Varrone .  Il mare , i fiumi , le fontane , la pioggia , il tuo-  no , le rupi , le caverne , le pietre , i monti , gli  alberi , le piante , gli erbaggi , e tutti poi gli Ani-  mali li coniìderarono come alberghi d’ una infinità  di attive prelìdi Intelligenze producitrici di quelli  effetti or nocevoli , .or vantaggiolt , che feulco-  no il fenlo umano . Le Anime de’ Trapalfati o  dalla riconolcenza , o dall’ amor degli Uomini con-  fecrate ricevettero ben prello 1’ Apoteolì , ed ac-  crebbero il numero delle Intelligenze motrici del-  la natura . Come Macrobio C i ) , e 1’ Abate Le  Pluche ( 2 _),il primo in aria da Filofofo , il fecon-  do in aria da Storico, diffiifamente ci mollrano,  Oliride, Ifidè , Amone,Oro, Serapide degli Egizj ;  Zeus , o Dios Giove , Marte , Saturno , Venere ,  Mercurio , Giunone , Cibele de’ Greci , e de’ Roma-  ni ; Dionilìo, Urotalt ,e Alilat degli Arabi; Marnas  de’ Fililtei; Moloch degli Ammoniti; Adad de’ Sirj ;  Adonai , Achad , Architi , Baelet , Belfamin , Mel-  chet de’ Paleltini , non erano da principio che il  Sole, la Luna, o la Terra, e quindi in progredii  Anime di Principi o Principelle, d’ Eroi o Eroi-  ne ite a regnar nel Sole, nella Luna, negli Altri,  o a preledere alla Terra. Quindi la turba degl’ Id-  dj Confenti o maggiori , degl’ Iddj fecondar) o  minori ; e 1’ altra infinita plebaglia di unte varie  Divinità regolatrici di tutti gli effetti , e di tutti  gli elleri naturali , quale non meno accuratamen-  te, che leggiadramente ci viene dal grande Ago-  stino   ( t ) Saturnal. lib. I. f a J Star, del Ciel. lib. I*  i2 Dissert. sull* Origine   ftino C 1 J accennata . In Quella guifa le due opi-  nioni del Volito, e del Clerico amichevolmente  fi legano colla opinione comune, e tutte unite ci  additano la prima origine del più grande acceca-  mento degli Uomini. ,, Deplorabile acciecamen-  ,, to ! (" concluda quello paragrafo il facro Autore del  Libro della Sapienza ) vana illufione di quelli ,  „ che non conolcono Dio ! Attorniati da’ Tuoi be-  ,, nefizj non hanno veduta la mano, che li dif-  „ fonde ; dalla magnificenza delle opere della na-  ,, tura non ne hanuo faputo riconofcere 1’ Artefi-  ce . Si fono perfuafi , che il fuoco , 1’ aria , i  ,, venti , le llelle. Tacque, il Sole, la Luna fof-   fero i Dei , che reggono il' Mondo Più   „ miferabili ancora , perchè ripongono la lor fìdu-  ,, eia in fimulacri morti , ed inanimati ; elfi dan-  „ no il nome di Dei all’ opera della mano degli  „ Uomini , alT oro , all’ argento indullriofamente  ,, lavorati a figure d’ animali , a pietre modellate, fecondo il gulto di un Artefice L’Uomo   ,, fi forma un Dio d’ un tronco inutile, a cui dà  •la propria forma dia', oppur quella d’ un Ani-  „ male. ,,   Qui però vuole avvertirli , che T ufo de’ Si-  mulacri in figura d’ Uomini , e d’ Animali appar-  tiene bensì a’ tempi della già groil'olana , ed  avanzata Idolatria , ma non a quelli della nalcen-  te . ,, Un Uom fa J , che dritto ragioni f pro-   fieeue    fi) De Civit. Dei lib. V. VI.   ( 2 ) AM' ort y.ev oi rpurrot } koa tMcuot«-   TOl TUV (XV&pWTUJV , «Té VOCUy O/XoBojWfOWf TpO-  tìx.o * , «Té hot# ccipttpufjLcuriv j «tu t ore ypot~  tylXJfc , «Sé xA.afT.XW J yi yAlTTtXW , » « vlpict -  rrOTQITLKH f rCKVYK tpiUpyifAWYIS , 8^£ fJ.IV QLKQÒOUt-  *W, B^é op^iTtKTOVtKVis o-vujKTurrg y ra.ru ry  o ifjca mfaoyityj.(vy ìiyiXov etra*dell'antica Idolatria;.   fiegue il noftro Eufebio, rapportandoli alle telli-  monianze di tutti gli Autori gentili ) può facil-  „ mente rimanere perfuafo , che i primi ed an-  „ tichiffimi Uomini niuna fatica , o Audio ripofe-  „ ro nel fabbricare Templi , ed innalzar Simula-  cri , non etlèndo Aate per anco inventate le  „ Arti della Pittura , della Statuaria , della Scol-  „ tura, anzi neppure 1’ Architettonica . „ Quindi  dopo avere ripetuto il già detto circa la primige-  nia adorazione degli Astri conclude , che „ da  „ principio niuna menzione vi fu di greca , o di  yy babilonica Teogonia , niun ufo di Simulacri y  „ niuna ridevole vanità nella denominazione de-  ,, gli Dei parte mafchj , e parte femmine • fi)  È veramente lembra cofa aliai naturale , che la  fòrgente Idolatria ne' vetustiffimi tempi , comecché  avelie cangiato 1* oggetto della Religion prima e  verace , non giungeiìè però sì tosto a cangiarne i  riti e le cerimonie . Porfirio fcortato da Teo-  frasto , e citato da Eufebio ( 2 J pretende delinear-  ci il religiofo culto innocente degli antichi Poli-  teisti . Ma in verità quell'impostore Filofofo ne-  mico giurato del Cristianefimo nell’ adombrarci ì*  estrinseca religione de’ primi adoratori de’ falfi Dei ,  non fa che prendere in prestito que’ colori , con  cui la Scrittura Santa ci adombra la Religione de’  Patriarchi adoratori del vero Dio. Nulla infatti di  più fèmplice e di più fchietto . Que' fanti IH mi v  Uomini negli efercizj di Religione poco curavanfi  dell’esteriore, e del fasto. Ellì la facev.an confi-  stere in picciol numero di estrinfeche azioni , per-  fuafi , che il vero culto è quello del cuore. L’ in-  nalzamento de’ Templi non oltrepalla per avventu-  ra l’età di Mosè. Un femplice Altare in un luo-  go   ( I ) Oux tstpct ng Iw Qtoyoviccs EXXfuwX'f? , #  fiapGctpiKK rote TaXouTaTOtf f «^6/x »; tcw 7\oy<K y  • bhe &X.0VW ìlpustS y ìtìt Ó c. «   (a} Prjepar. Evang. lib, J,Djssert. sull’Origine   go mondo , e fpartato , lènza statue e lènza figu*  re , lènza adornamenti e lènza ricchezze , in un  bofco , o fovra d’ una eminenza era il luogo dove  Abele , Noè , Abramo , Ifiacco , Giacobbe colle lo-  ro famiglie fi raunavano per tributare all* Altiflìmo  i loro voti ed omaggi . Ivi a Lui predavano le  primizie dell’ erbe e de’ frutti , ovvero il latte , i  «radumi , e le lane degli Animali , che dopo il Di-  luvio cominciarono ad immolarli . Ora fu quelle  medefime tracce di religiofa femplicità io tengo per  certo , che nella fua infanzia procedette la Idola-  tria . Intela a venerar come Dei il Sole, la Luna,  la milizia celefte, gli elementi , le prelidi Intelli-  genze non Teppe sì tofto ufare altra forma di culto ,  fe non fe quella , con cui aveva intefo , e veduto  adorarli da’ Patriarchi fedeli il fommo Conditore  dell’ Univerfo . Niun ulo adunque per anco de’ Si-  mulacri rapprelentanti fiotto animalefica , o umana  lembianza le pretelè Divinità . Niun ufo di quelle  datue , che rozzamente in feguito , e grottefcamen-  te modellate dagli Egizj , ottennero poi e castiga-  to difiegno , e fipiccata *. motta , ed energico atteg-  giamento lotto lo ficalpello indulìre di Dedalo. An-  zi qui dee acconciamente fioggiungerfi , che anche  dopo la coftruzione de’ Templi fi tardò molto prefi*  fo le antiche Nazioni ad ergere in elfi le llatue fi-  gurate ; come degli Egiziani parlando afièrma Lu-  ciano , il quale aggiunge ( i ) d’ aver nella Siria  veduti Templi dell’ antichità più remota lènza im-  magine , o rapprefientanza veruna . Che più? Ro-  ma detta , che in paragon degli Egizj , e de’ Greci  nacque sì tardi, per oltre anni 170. ( come ci atte-  da Varrone citato ( 2 ) da S. Agofiino ) Simulacri  non ebbe ( 3 ) ne’ proprj Templi,, finché Tarquinia   Fri fico  De Dea Syria . ( 2 ) De Civit. Dei lib . 4. c. 3 1. Dicit eiiam Varrò , antiquos Rcmanos ylufi   quam annos 170. Deos fine Simulacro coluijje .   Qiiod fi adhuc , inquit , manfijjet y caflius Dii ob -  fervarcntur . S. Auguft. citat.    dell’antica Idolatria. t?   Prifco Uomo di Greco , e di Tofcano genio tutta  di Simulacri inondolla . Anzi più didimamente  aflerifce Zonara ellervi date leggi , forfè di Numa ,   £ roibitive a’ Romani di rapprelentare la immagine  livina fotto la forma di Uomo, ovvero di Anima-  le .( i ) Ma l’ Idolatria finalmente è l’opera del-  le tenebre, e per poco crefciuta, non potea a me-  no di non addenfarle nel cuor dell’Uomo. L’Uo-  mo divenuto più empio circa gli oggetti dell’inter-  no fuo culto , non tardò guari a fard ridicolo circa  le maniere di elercitarlo. Egli avea degradata ab-  ballala la fua ragione , adorando come Dei le fem-  plici Creature . Quello medelìmo fpirito di verti-  gine il tratte ben pretto ad avvilirli viemmaggior-  menfe coll’ adorare 1’ opera fletta delle fue mani .  Ei volle oggetti fenfibili e materiali anche all’  •efterno fuo culto. Ei pretefe di circolcrivere li  fuoi Dei per converfarvi più da vicino , ed innal-  zò , e venerò .Simulacri . Or di qual forma erede-  rem noi , che follerò in quello genere le prime in-  venzioni dell’ umana ttoltezza > Quali gli fcogli ,  in cui da quella banda urtarono primamente gli  Uomini deliranti ? Eccomi alla feconda parte della  Dittertazione pervenuto, ed eccomi al punto di nia-  nifeltare la mia opinione .   Io reputo adunque probabiliflìmo , che follerò  in primo luogo i Pilieri , o le grotte pietre qua-  drate , le quau chiamate furon Betilie , e che ori-   f linariamente non erano, che Are ferventi alle rc-  igiole adunanze. Sanconiatone , Scrittore antichit-  fimo delle tradizioni Fenicie , portato da Portino  fino alle ftelle , e da Lui creduto informatilfimo  della Storia Giudaica , come non molto dittante  dalla età di Mosè , nel celebre fuo frammento , là  dove narra le imprefe del Dio Urano , o Cielo ,   affer-   ( i ) At'typvrou$v , xan tyofiop$ov nxwa. tu Sa  eariSTca Pvy.yjois aTe-r/wcoo'. / uuar . Tom. a . y. io-   I  T 6 DlSSEftf. sull* Ortgtné    afferma, che ,, Egli trovò le Betilie ( i ) coftrtien-  „ do con inlolita mirabil arte Pietre animate. ,,  Io non ho letto di tale Frammento fé non la ver-  done greca fatta già da Filone Biblico , e riporta-  ta diftefamente da Eufebio . ( 2 J So, che il Si-  gnor di Gebelin colla fpiegazione di quello antico  irjonumento ha fatto vedere, che il Traduttor gre-  cò ne avea malamente recato il lenfo, e che ridu-  cendo i termini al vero loro fignificato , 1 ’ Autor  Fenicio trovali uniforme al Legislator degli Ebrei.  (3) Checché ne fia , dilHetto non vengami di le-  guir le tracce già legnate dal grande Uezio , e dall*  erudito Calmet , affermando , che Sanconiatone in  quell’ accennato ritrovamento delle Betilie , e co-  struzion di Pietre animate ci adombra , benché in  modo affai alterato , la vera Storia del celebre mo-  numento, o Altare di Giacobbe. Quest’ottimo Pa-  triarca (~ 4 J nel fuo viaggio da Berfabee in Melo-  potamia postoli in certo luogo a dormire fu di un  grande , e ruvido Saffo acconciatoli a forma di guan-  ciale , ebbe la sì nota vifion della Scala corfeggia-  ta dagli Angeli , fu la di cui lòmmità appoggiato  flava 1 ’ AltilTìmo , da cui lènti rinnovarli le grandi  promelfe fatte ad Abramo . Deftatofi egli , efcla-  mò Quanto è mai terribile quello luogo / Vera-  mente non è egli altro , che la Cafa di Dio , e la  porta del Cielo . Diede a quel luogo il nome di  Beth - el , che lignifica nell’ ebreo linguaggio Cafa.  di Dio Conlècrò il Saffo, che la notte lèrvUo  gli aveva di guanciale , verfandovi dell’ Olio , e in  monumento 1 * erefle. Quindi concependo un Vo-  to , il conclufe col dire cs II Signore farà il mi®  Dio se e quella Pietra chiameraffì Cafa di Dio c 5    ( I ) Et/ miwe 0»? Oupcao?    ( 2 ) Pr*p. Evang. lib . I. c. 9. C 3 ) AUeg. Orien-  tai. p. 22. e 9 5. Memor. de V Accad. des Infcrip*  T . 6 1. in 12. p, 24 3. (4) Cenef..    Dalla V* dell'antica Idolatria; 17   Dalla Mefopotamia tornando nella Terra di Ca*  naan , giunto allo Stello luogo , e Soddisfar volen-  do al già fatto voto d’ offerire a Dio la decima  de’ Tuoi beni , innalzò fimil mente un Altare di  pietra , e replicò il nome di Beth - el , Cafìz di  Dio. Finalmente di bel nuovo in que’ contorni  felicitato dall’ apparizien del Signore , nove! mo-  numento di pietra cortrulle , d’ olio , e di liba-  zioni Spalmandolo, ed a lui pure comunicando la  denominazione di Beth - el . Io ammetterò , che  quello termine Beth - el dato agli Altari , ed ai mo-  numenti facri , quanto all’ edema efprelfione , fofr  fe uri ritrovamento di Giacobbe; ma follerrò con  egual verità, che quanto all’ idea , ed all’interno  . concetto degli Uomini ei difcendelfè dalla tradi'  zion più rimota. Beth - el , Caja di Dio , potea fi-  milmente confiderai , e chiamarli 1’ Altare nell*  ulcir dall’ Arca edificato dal buon Noè , perchè  ivi 1’ AltiSTimo a lui diede fegni fenfibili di fua  prelenza , e mifericordia . Beth-el per Somiglian-  te ragione potea appellarli 1’ Altare edificato da  Abramo fui monte Moria per fagrificare il Figliuo-  lo; éd egli infatti chiamò quel monte Dominus vi -  debit. Beth-el giuftamente nomar fi poteano tutti  gli Altari innalzati da’ Patriarchi fedeli per ufo an-  tichilfimo, forle dagli antidiluviani fecoli proceden-  te , perchè tutti onorati da qualche' Speciale com-  mercio della Divinità , percnè diftinti da qualche  fuperna verfata beneficenza , perchè in certo modo  protetti , ed invertiti dal Nume , e destinati a tri-  butargli culto , Sacrifizio , e riconofcenza dalle cir-  costanti Generazioni .   Ora da quefti Altari , e monumenti di pietra ,  chiamati da Giacobbe per la prima volta Beth - el ,  cioè Caja di Dio , e già tenuti per tali fino da*  remotiSfimi tempi , chi non conofce ( entra qui  acconciamente il Le Pluche) (i J etìerne derivate  le sì note Betilie , quelle grolle pietre quadrate ,   B che   to Stor. del Cielo , 1 8 D r SSERT. SULL* ORIGINE  che con ol) preziofi , ed aromatiche eircnze irriga-  vano , e che poi furono in tanti luoghi oggetto di  veturtiffima adorazione, come da più Autori , e no-  minatamente da Fozio nella fua Biblioteca dinto-  ftrafi ? Chi non conofce dal Bethel di Giacobbe  C foggiunge opportunamente il Voflìo ) ( i ) deri-  vato il famofò Betilos , quel (allo prelentato a Sa-  turno invece di Giove, come per relazione favo-  lofa Efichio ( 2 ) ci narra , e che ottenne poi tan-  to culto dalla forfennata Gentilità ? Ed io al Vof-  iìo , ed al Le Pluche fottofcrivendomi , concludo :  Chi non conofce in quelti monumenti, ed Altari  il primo inciampo degl’ Idolatri , ed il primo og-  getto fènfìbile , e materiale delle adorazioni fuper-  ìtiziofe ? Mettiamci di grazia in varj punti di villa  naturalismi . Confideriamo il genere umano dopo  la confufion delle lingue , e la differitone delle  .Nazioni già prefo da uno fpirito di vertigine , e  già declinante al Politeifmo . Malgrado le volon-  tarie tenebre , che incominciano ad acciecarlo et  l'erba tuttora nel cuore il fème della religion pri-  migenia ; e nella memoria i fagri riti, e le reli-  giofe cerimonie dal Patriarca Noè tramandate .  Egli perciò innalza, e confagra in ogni luogo pie-  tre modellate a fòggia d’ Altare per onorarvi la  Divinità : ei vi ft proftra all’ intorno: ci vi ce-  lebra le religiofè adunanze : ei vi prefenta i Tuoi  Sagrifizj , comecché forfè non più al folo , e vero  Nume, nta agli altri ' ancora , agli elementi, agli  fpiriti . Ei fa però , ed una tradizione non rimo-  ta glielo rammenta , che il primo Riparatore de-  gli Uomini dopo il Diluvio ergendo un limile Al-  tare , il vide torto adombrato dalla fènfibil pre-  lenza , e maeftà dell’ Altiflìmo difeefo in atto di  ricevere , e di gradire placabilmente i fuoi Olo-   caufti .   CO De PhU. ChriJIUn. C? Theol. Gent. Vib. 6. t. :p.   ( 2 ) BatTuho? «toj fjtocXe-fTO o AtGo; to>   K poeti) cari &ios , Dell* antica Idolatria;   taufti . Comecché la Scrittura noi dica , io noa  credo temerità 1* aderire , che limili degnazioni  compartifle talvolta il Signore anche ai Figliuoli,  o ai Nipoti di Noè , che fi mantenner fedeli pri-  ma d' Aoramo. Ben il vecchio Sacerdote, e Re  di Salem Melchifedecco ne avea tutto il merito.  Checché ne fia , certamente il genere umano  non può non confiderar quelle pietre , od Altari ,  che qual cola rilpettabile , e (anta. Fi le vede  fèrbate ad un culto Speciale della Divinità , e ad  un peculiar commercio col Cielo : ei le vede in-   nalzate o per rinnovar la memoria d' alcun luper-  no ricevuto favore , o per invitar gli animi ad una  fedele riconofceitza : ei le vede anche ufate per   edere teftimonio , e monumento durevole delle al-  leanze , de' patti , delle folenni prometle , e de' giu-  ramenti , ne’ quali s’ interpone il tremendo nome »  e la Maeftà Divina. Gli efempli , che fu di ciò  abbiamo nella Scrittura , non fanno , che dinotarci  una vetuftidìma poftumanza. A tutto quello s' ag-  giunga 1' opinione già di fopra accennata , e che fi-  no dai primi tempi fi propagò fra i mortali , cioè  che tutto ripieno folle d’ Intelligenze regolatrici  degli elleri , e degli effetti della natura . Con-  nettali pure l’altra opinione d’ antichità non mi-  nore da S. Agoffino rammentataci ( i J colle pa-  role del celebre Mercurio Trifmegifto , cioè che  per certe conlecrazioni rimanellèro li Simulacri  non pure inveititi , ma realmente animati dalli  Dei venuti ad abitarvi , affin di nuocere, o d?  giovare più da vicino ai loro adoratori . Ciò , che  forfè adombrar volle Sanconiatone con quella ef-   preffione di 7 ^ 0 ^$ Pietre animate. Con-   siderando noi il genere umano in tali profpetti ,  qual cola più probabile, e naturale a concluderli,  eh' egli , parte abufando delle antiche tradizioni  veraci , parte ingannato dalle nuove folli perlua-   B 2 fioni,   C t J De Civit. Dei lib. 7. e. 23. e 24*    f    2 o Dissert. sull* Origine   fioni j e già rilbluto di voler oggetti fenfibili al  proprio culto , cominciale ben pretto a venerare  quegli Altari , que’ monumenti di pietra , quelle  Eetilie , .riguardandole o come Alberghi della Di-  vinità , o come fimboli della prefenza divina , e  finalmente , tempre più creteendo 1* accecamen-  to , come tanti veraci Iddii ? Se il genere umano  è pure intefiato di adorare l’opera delle tee ma-  ni , qual cofa più reverenda , e più degna di culto  ai di lui occhi pretentali , che i mentovati Altari ,  o monumenti , o Betilie ?   Qui vorrà alcuno per avventura obbjettarmi ,  che quando trattali d’antichità olcurilfima , più che^  col raziocinio , voglionfi colla fioria , e co’ fatti  fiabilir le opinioni j ed io non fono per conten-  derlo. Forte però, che l’opinione da me propo-  sta non li deduce naturalmente in gran parte dai  Libri Storici di Mosè , i quali ( lanciando anche  ftare quella ifpirazione divina , che li confacra, e  mirandoli tei con occhio di Filotefo non tumido  per alterezza , nè da paliioni alterato ) ben va-  gliono aliai più, che tutti li Vedam de’Bramini,  gli Zend di Zoroaftro , i Kinghi di Confucio , e  di Se-ma-fiien, ed i racconti favololi di Erodo-  lo ? Pur i*on fi creda , che io voglia in quella ma-  teria lafciare affatto il mio Leggitore digiuno di  monumenti , e di autorità .   Il Volilo C i ) rapportaci , che il Beth - el , o  Pietra di Giacobbe , di cui tanto abbiamo parlato ,  fu a fomiglianza del Serpente di bronzo , per lun-  ga età foggetto di fuperfiiziofa adorazione a molti  Giudei , finché da’ veri Ifraeliti prete giuftameu-  te in abbominio , gli fu cambiato il nome di JBef/i-  el % Cafa di Dio, in quel di Beth - ave , cioè Cafa  della Menzogna .   Quali poi furono i primi Simulacri degli Ara-  bi , tra i quali i Moabiti , e gli Ammoniti fi com-  prendevano? Gli Autori antichi, a’ quali rappor-  tali    i ) lai’, d. r. 2p.   dell’ antica Idolatria. 21'   tali il Calmet , e che ci parlano delle prime  Divinità di que’ Popoli , le defcrivono come fem-  pjici Pietre informi, o fcalpellate, ma non con  umana forma. ,, Voi ridete, dice Arnobio, (2)  „ che ne’ vetufti tempi gli Arabi adoraflero una  ,, Pietra informe . „ Malììmo Tirio ( 3 ) o di que*  ito , o d’ altro Arabico Simulacro parlando il chia-  nia Tfrrpxyjìm Pietra, quadrangolare. Ed Eu-   timio Zigabeno nella fua Panoplia ragionando  co’ Saraceni : ,, Ed in tjual modo , efclama , voi ab-  ,, bracciate la Pietra di Brachthan , e la baciate ?  ,, Alcuni rilpondono : Perchè Abramo fopra di efc   „ fa eboe il fuo primo commercio con Agar. Al-  ,, tri poi : Perchè ad ella legò il fuo CameTo quan-  ,, do fu per lagrifìcare Ilàcco . f 4 ) „ Non pen-  io di meritar la taccia di capricciofo , fe giudico  quelle Pietre adorate in feguito nell’ Arabia nuli*  altro elfere fiate da principio, che vetulte Beti-  lie , o rozzi Altari fors’ anche al vero Dio confe-  crati . Certamente Mosè , ("5 J in ciò ieguendo   S er avventura la tradizione , e il più vetullo co-  ume , prefcrive , che di rozze Pietre dal ferro  non tocche , e informi fallì , ed impoliti follerò  gli Altari , che dopo il patlàggio del Giordano fi  volelfero al Dio d’ Ifraello innalzare; e nuli’ al-  tro , che grandi Pietre fpalmate alquanto di calce  folfero i monumenti defiinati. a fcrivervi lòpra le  parole della legge. Temette forfè il grande Le-  B 3 gisla-   ( 1 ) 7 efor. cP Antich. tratto dai Coment, del Cal-  met T. 2. ( 2 J Lib. 6 . C 3 J Sermon. 3 8.   ( 4 ) Ili* VfJUHi TposrpiQtsrt toj ?u 9 u» t ts  Bpxyficxv j xou tpiKsirt raro» ; kou tiiik j aa>  ewrw tpctti y %tQTi tir coki) aura s trasloca rn Ay cefi  0 Afipaont. AÀA01 ?>£ ori rpotilìiKur carro» thv  xxiju iXov , fJ.iKho»r (jusai rov I sotux. .   C s ) Deuter. 27. 5.22 Dissert. sull’Origine   gislatore , che fé tali monumenti , ed Altari fi f 0 f.  fero con più eleganza collutti , divenilfero più fa-  cilmente al rozzo fuo Popolo, e vacillante pietra  d’inciampo, e fomento d’idolatrica fuperllizione .   E qui , giacché dell’ Arabica fuperllizione ho fatto  parola , voglio avvertire, che della per lungo tem-  po mantenne!! nella lua primigenia feniplicità.   Giobbe Arabo, o Idumeo , forfè contemporaneo , le-  non anteriore a Mosè, accenna lenza meno l’ Ido-  latria del fuo Pael'e. Or ei non parla nè di lla-  tue , nè di figure . Indica fidamente 1’adorazione , ed il faluto del Sole , e della Luna, che poi Uroralt, ed Alilat furono nominati . Se-  gno manifelto, che fra que’ popoli non fi era introdotto per anco quel lopraccarico di moftruole  follie, con cui dalle Scolture Egiziane rimale ag-  gravata l’ Idolatria. Che fe non pertanto gli Ara-  bi ab antico proltravanfi a Pietre informi , o qua-  drate , quali io reputo Betilie , ed Altari , ben con-  cluder potrai!! , che quelli follerò il primo. fco-  glio, e il primo fcandalo al/ materialifmo de’ più  antichi Politeilli . Teltiinonio ne facciano i primi Abitatori del-  la Germania . Colloro finché rimaforo nella vern-  ila loro rozzezza, finché la fuperllizione fra eli!  col commercio delle arti Greche , e Romane non  giunfe a farli più vaga infieme , e più llolta , al-  tri Simulacri non ebbero, come Tacito ( a J av-  verte , che folli informi di legno , e di rozze pietre . Erano quelle le forme degl’ Iddii , che por-  tavanocon elfo loro alla guerra , penlando , che  folle un offendere la Divinità il rapprelèntarla  fotto umana fembianza . Ciò , che pure da molti   altri  C. 31. v. 16. ( 2 J De Morìb. Germart. Sta-   tua ex stipitibus rudibus , i? impolito lapide effi-  gi e s , CP Jìgna quxdam detracia luci s in prxlium  ferunt . Nec cohibere parietibus Deos , ncque in  ullam humani oris Jpeciem affimilare ex magni-  tudine cotlejìium arbitrantur. altri Popoli di non peranche ingentilito collume ,  per quanto narrano gravi Autori , collantemente  penfolfi . Ma e dove lalcio la celebre Madre degl*  Iddìi , o fia Cibele di Frigia portata in Roma da  Pelìinunte col miniftero di Scipione Nafica , e da*  Romani ottenuta per mediazione del Re di Perga-  mo al tempo della feconda guerra Cartagine!? ? Livio le dà il nome di fagra Pietra„  Pietra informe la chiama Minuzio Felice . Arno-  bio la defcrive come una Selce non grande  di forco, ed atro colore , e per angoli prominenti  ineguale . Eravi fra quei Popoli tradizione , che  quella Pietra caduta folle dal Cielo, e che ap-  punto da jrK&y cadere la Città Pelfinunte folle Hata  chiamata .   La Grecia ftefTa non fu priva di quelle fog-  gie di Simulacri. Paufania ci attefta, che in una  loia parte d’ Acaja furono da trenta Pietre taglia-  te in quadro , aventi ciafcuna il nome di una qual-  che Divinità , e con fomma venerazione riguarda-  te , fendo llato collume antico de* Greci il prellar  culto a limili Pietre , non meno di quello , che  pofcia faceflèro alle figure, e alle llatue. Mi farà egli difdetto il probabilmente congetturare per  le ragioni di fopra addotte , che quelle , ed altre*  limili Pietre di Grecia nuli’ altro da principio fof-  fero , che Betilie ? Servirono un tempo a niun altro ufo, che agli efercizj delle facre adunanze. L*  Idolatria col farli più tenebrola giunte a diviniz-  zarle . Betilie ùmilmente , o imitazione fenza me-  no delle Betilie pollòno crederli gli Ermi , di cui  la Grecia , e Roma furono ripiene , e che pofcia  ad abellire fervirono fpecialmente le Biblioteche.  Bili non erano da principio , che tronchi informi di  legno , o di marmo , o di pietre tagliate in quadro  fenza mani , e fenza piedi : T runcoque fiinillimus Her-  inu?, dille Giovenale. Ne* quattro di loro lati  pretendeva!! dinotare o le quattro ltagioni, o le quat-   B 4 tro   ( 1 J Lib. 2$4 ( 2 J Lib . 6 • ("3 ) SiiU 8. 1  '24 Dissert. sull* Origine .   tro parti del Mondo. Si confiderarono poi come  ilatue degli Dei , e di Mercurio principalmente „  Il di lui capo , che vi fi aggiunfe , fu fenza meno  un poderiore ornamento. Anche il Dio Termine  non fu nell* età più vetude rapprefentato , che fot-  to la figura di grolfi Saffi quadrati , cubici , privi   di mano, e di piede : Ttrpctywoi , xuQoziìitls y   K'Xttp&y xou airone? ; quantunque al Dio Termine   pur s* aggiungere la teda umana ne’ fecoli confeguen-  ti . E che non può in quella parte una matta per-  fuafione a poco a poco crelciuta fra i barlumi di  tradizioni parte vere* e parte mendaci? A tutti è  noto , che da molti Popoli fi giunte per fino a ve-  nerare le Montagne , quali grandilfimi Simulacri  della Divinità. Il monte Atlante era il Dio de-  gli AfFricani. Occidentali : un monte il Dio de*  Oappadoci per allerzione di Malfimo Tirio : Moni  a pud Cappadoces prò Deo ejl , prò jur amento , atquc   Simulacrum . Un monte , o fia rupe SxotéA© r y   xoputplw il chiama Stefano , rifcoire pure  adorazione dagli Arabi. Giove fi venerava nella  cima de’ più alti monti , come dell’ Olimpo , del  Callo , dell’ Ida ; e il nome quindi ne rifcuotea di  Giove Oljmpico , di Giove Cafio , di Giove Ideo.  Gl’ Italiani ilelfi predarono al monte Appennino  venerazione , come apparifce da una Ifcrizione ri-  ferita dal Matfèi nel tuo Mufeo Veronefe, la qua-  le comincia IOVI APENINO. Ora e per qual ra-  gione crederemo noi , che adorati veniflero tal»  monti , te non per la della , che confecrate avea  le Betilie ? Ce la prelenta naturalmente il Bergero.  Fu fcelta la cima de’ monti per offrirvi   de’ facrihzj , perchè credevano gli Uomini d’ e fie-  re più vicini al Cielo, e conseguentemente agli  Dei, qualora fi adoravano gli Altri. Per tal mo-  tivo  In Avsccpq . Trattai, della vera Relig. ìf  tfvo <i feielfero le pili alte. Tali cime per eli  .«lercizj della Religione confècrare ben predo dir  vennero rilpettabili Immaginoifi , che gli Dei vi  fodero difcefi^ p®* ricevervi T’ incenfo , e gli omag-  gi degli Uomini. Pài non vi volle. Riguardata  prima come abitazione de* Numi , fi confidcrarono  ben predo quai Simulacri immenfi animati dalla  Divinità, ed ottennero una fpecie d’Apoteofi.   . Gon quanto fi è da me finora ragionato, e che,  le il tempo lo permettelle , con altre notizie, e  cagioni facilmente potrebbe!* dilatare, io giudico  refa ormai probabile la opinione di chi accinger  vogliali a fo denere , che. i primi Simulacri delìq  Gentilefche Divinità fodero femplicl Pietre riqua-  drate , od informi, fenza alcuna umana, q anima-  • Jefca fembianza .  Reda ora , che alcuna cola ragionili de* Simu»  * a , cr * ° rot °ndi , o tendenti a rotondità, a cui pre-  ito fuo culto primiero la cieca' fuperdizione , pfi*  ma che folle ai figuri te Statue provveduta.   Io non fono per ripetere quanto di fapra ba*  ftevolmente ti £ detto intorno a| culto degli Adri*  e degli Elementi , degli Spiriti, e degli Eroi. Ag-  giungerò (blamente , che non sdendo per anche  giunto lo fcalpello Adirio , o. Egiziano a rapprefentar le figure degli Uomini, e degli Animali, e  per elprelfioni di Arnobio , ( i J avanti 1’ ufo ,   e U difciplina della fcoltura , già penfato avea 1*  Idolatria a procacciarli , oltre le Betilie , oggetti  temibili alle lue adorazioni. Gonfiitevano quelli  iti certi fimboli q dinotanti, la potenza, e dabi-  hta de’ Numi , o adombranti in qualche modo alcuna or qualità, J Battoni , le Verghe, le Afte,  che al dir di Trago Pompeo (a) furono la prima  “^gna .dei Re, lignificavano il fommo imperio  . de Numi, Le colonne, i cilindri , le pur non erano una imitazione più ‘ ingrandita dei Badoni da  comando, ne accennavano l’ eternità. Gli Obe-   B 5 Ufchi, '   fi) Lib, & (Lib % ultima   t6 Dissert. sull* Origine   lifchi , le Piramidi , i Coni efprimevano i »gg*  «}el • Sole , e delle Stelle , o la natura del fuoco ,  che -in alto vibrava!! acuminato. Menianrto pur  buone a Porfirio ( i ) le interpretazioni sì fatte .  Concediamogli ancora, fe piace , che tali monu-  menti alzati dalla pili vetulla gentilità non fi ri-  guarda fiero da principio , che come fimboli , o  meri Pegni d’ onore . Il Volfio , e forfè con trop-  po impegno, è dello fleflo parere ; ma poi di Por-  firio più ragionevole , perchè non tanto foffifta ,  nè così empio , s’ arrende a concludere , che ben  pretto divennero occafione di lcandalo alla materiale Idolatria , e oggetto furono di profane ado-  razioni . Elfi in una parola ne’ primi tempi flet-  terò in luogo di quelle ftatue figurate, che poi ot-  tenner l’ incenfo dalle corrotte umane generazio-  ni . E qui bramo s’ avverta ? che dove di fopra io  dilli , aver preffo molte nazioni tardato non poco  le ftatue ad innalzarfi ne’ Templi anche dopo la  erezione de’medefimi, io intefi favellar foltanto  delle Statue rapprefentanti le Teodie fotto la forma di Uomo , oppur d’ Animale ; ma non volli  giammai includere i Simulacri , per così dire , fim-  Eolici , e non aventi figura . Quelli fono anteriori , non pure alla ftabil mole de’ grandi Templi ,  ma eziandio a quei Padiglioni, o Tabernacoli, o  Tempietti portatili , con cui gli antichi Idola-  tri ebbero in ul'o di condurre a patteggio i loro  Numi .   Ora di quelli non figurati Simulacri parlando ,  m’aprirò il varco con l'autorità di Filone Bibli-  co ( aj , il quale nel fuo proemio alla interpreta-  zione di Sanconiatone, diftinguendo gli Dei immor-  tali , come il Sole , e la Luna , dagli Dei mortali ,  cioè da que’ Principi , ed Eroi , che per le loro  getta avevano confeguita l’ Apoteofi , ci avverte  «fiere flato vetullo immcmorabil collume , fpecialmente   (ij Apud Eufeb. Trap. Evang. lib, 3. c. 7.   (a) JW. lib. 1. e. 9.   mente degli Egiziani , e Fenici , da’ quali preferì  norma le altre fazioni, d’ innalzare a quelle Chili  d’Iddii Colonnette, o Baftoni , o fia Scettri di le-   • J_ - -t fn..: ninmimpntl il nome di    (cerando. (i),„   Sanconiatone poi nel fuo frammento racconta-  ci fa J, che molti fecoli prima della coftruzione  de’ Templi, e formazione delle Statue Ufoo primo  navigatore avea dedicate due Colonne %uo sTtfKxS   al fuoco , e al vento, e prellato ad entrambe cul-  to , e facrificio col fangue degli Animali. Proiie :   f He indi a narrare , che dopo la morte de primi  roi già divinizzati la grata pofterita onorata avea  la lor memoria , lotto i loro nomi confecrando ver-  ghe , e colonne, e con feftivi giorni , e fagre ce-  rimonie adorandole . Finalmente ci addita , che  dopo lunghiffima età fu innalzata al Dio Agro vera  effigiata Statua nella Fenicia . ..   Giu Teppe Ebreo f 3 ) non diubmigliantl noti-  zie prefentaci , aderendo , che i Tir) da principio  a’ loro Dii fornirono Afte , e Baftoni , poi Colon*  ne , e finalmente le Statue . .Certo nella primitiva Egiziana Scrittura fimbo-  lica ( 4 ) non in altra foggia, che d’ un Bafton da  comando con un occhio efiprimevafi Ofmde , il   S uale originariamente fu il Sole , fignificar volen-  o la fua regale potenza, ed il mirar ch’egli fa  dall’alto tutte le cole. Ed io ben credo efftre  agli Eruditi notiffime le Piramidi , gli Obelifchi ,  ed i Coni dall’ Egitto al Sole innalzati , come per   imitar-   * i   'Tru'Xas rt , xcu pa&lti; aipitpoiw coope-  ro? ccuTiM , xoa rocurot ju.yaAw? , kou   ioprrccs m/J.or carrots Taf pryisrccs.   fi) Apud Eufeb. ibi c. io. ( 3 ) Cont. Apìon.  lib. I. (4J Macrok. SatumaL lib. I.c. ai.    Digitized by Google  aS DisserY. ' suit* Ormine  imitarne I fuqi raggi . Da ciò forfè provennero  quelle corna , d* cui in fedito 1 Egizia bizzaria  li compiacque ornar gentilmente il capo del tuo  Giove Amone, del fpo Apollo d*Eliopoli,e della  fua Ifide. Ove à no\ piaccia di ftare * certe le-  zioni per altro antiche del tetto di Quinto Cur-  zio, CO ammetter dovremo, che 1' Amone ado-  rato da’ Trogloditi , e proceifionalmente a fpalle di  Uomini condotto in una dorata barchetta per aver-  ne eli Oracoli , altra forma non avea , che d un  Goiìò, ó d’ un Ombelico tutto di fmeratdi , e P rc ~  ziofe gemme fmaltato . Almeno rigettar non po-  tralTi 1* autorità di Brodiano,f 2 J il quale ci delcrive il Simulacro del Sole (otto nome di   Elegalu , venerato iq Edeilfo della Siria Apamena •  Di tale Simulacro (e ne può vedere adombrata «.  forma in una medaglia pretto il Vaillant battuta  ali* ùltimo e più pazzo degl’ Imperadori Antonini .  Or ecco la defcrizione di Erodiano, giufta la ver-  fione latina fatta dal ^oliziarfo . „ In Edefla non   v’ ha Simulacro atta Greca , o alla Romana em-  ” «iato fecondo P immagine di quel Dio -, ma un  latto grande rotondo da imo > e , a P oco a P oco  crefcente in punta quali a figura di Cono . Nero  V, è il color della pietra , cui facciano eflere ca-   V, data dal Cielo. ed affermano quella 1   ” fer 1* immagine del Sole no n da umano artificio  3y lavnrata Su tali parole fa una riflettìone op-   /.ante voi* citato G^>     del soie : uiciiuc , 7 - , -,   Tentare gl* Iddìi fotto umana fembianza fu de po-  fteriorf Greci, e Romani. Ma gli Afiatici più ve.,  tutti, ecl anche gli Egizj moltq divamente fi *i-   P ° rt Chi °fà pertanto, che, fe ci rimane^ro le me-  rie delle più antiche orientali Divinità , ^noi^noi*    mone Lib. s. Lih 5- CO Uh. 9. c. io >    dell'antica IdoiatrYa. 19   le trovaffimo quali tutte in figura di Colonne , d?  Obelifchi , di Piramidi , o di Coni rappreleutate ?  Certo non fenza ragione i Settanta hanno in co(ìu«  me di traslatar per Colonne la voce ebrea Matgaba ,  che ordinariamente traduce!! per ljìatue ; e come il  Calmet ( t J ci avverte , il nome di Colonne lem-  bra meglio corrifpondere al lignificato del termine  originale. Forfè que’ dottilììmi Interpreti vollero  dinotare la forma antica , con cui 1 ’ Oriente , e la  Terra di Canaan rapprefentar foleva i fuoi Numi ;  E forfè Mosè coll’ imporre , che fi demolillèr tutte  le ftatue delle profane incontrate Divinità , nuli’  altro impofe nella maggior parte , che la demolizio-  ne di Piramidi , e di Colonne . Dilli nella maggior  parte, e non in univerfale, poiché quel Sacrifica-  verunt fiulptilibus Canaan , che abbiamo nel Salmo  105. , mi lece ellèr più continente nelle parole . E  de’ famofi Serafini di Rachele , primo monumento  d’ Idolatria materiale , che s’ incontri nella Scrittura, e degli altri Idoletti elìdenti prellb la làmiglia  di Giacobbe dalla Melopotamia recati, che diremo  noi ? S’ io pretendelfi figurarmeli come piccioli Coni ,  o colonnette , con quai monumenti , ed autorità po-  trei ellère contradetto? Per verità io miro Giacob-  be , che intefo a ripurgare la fua Famiglia , pren-  de , e (otterrà , non folo gl’ Idoli chiamati Dei ftra-  nieri : Deos alienos , ma angora i pendenti , che fi  trovavano all’ orecchie de’ fuoi feguaci Io   non crederò già, che le Pedone della comitiva di  Giacobbe , e malTìme le piilfime Donne Lia , e  Rachele ardlllèro di portare sfacciatamente agli orec-  chi appefe le (lamette, od immagini d’ alcuna pro-  fana Divinità . Primieramente potrebbe!! con tut-  ta ragione foftenere , che di que’ tempi non eranò   peranco T. 2. DiJJìrt. de' Templi degli Antichi .  Genef C. 25. Dederunt ergo ei omnes Dcos  alienos , quos habebant , IP inaures , qua : erant in  auribus eorum. At ille infodit eas subter Terebin -thum .30 Dissert. sull* Origine  perineo in ufo le dame figurate. Le Rabbiniche  tradizioni dell’ arte datuaria efercitata fuperdiziofa-  mente da Tare Padre di Àbramo fono già (eredi-  tate prellò degli Eruditi. La pretefa antichità della Statua di Nino alzata a Belo fuo Padre rella dai  calceli dell’UHèrio fmentita. Nino regnò in Affi-  na parecchj fecoli dopo Giacobbe . All’etàdique^  fio Patriarca il Sole , gli Aflri , e malfime il fuoco  adorati nella Caldea , Affiria , e Mofopotamia probabiliffimamente non aveano che Simulacri fimbolici. Quando pure fenza fondamento ammetter fi  voleflèro le Statue figurate ai giorni dello ftefiò  Giacobbe, io non potrò perfuadermi giammai, che  1’Uom fanto permeili avelie in alcun tempo ne’  fuoi l’ irreligiol'a ollentazione di tenerle appele agli  orecchi, comecché per folo ornamento . Il motivo ideilo, oltre a varj altri, che addurre potrei,  mi trattiene dal fottolcrivermi all’ opinione del  Grazio, e del Wandale , i quali pretendono , che  tali orecchini follerò fuperdiziofi Amuleti . Quale  relazione adunque degli orecchini cogl’ Idoli per  dovere anch’ «Ili meritare il fotterramento ? Se avefi  fi luogo ad edernare un mio non inverifimil pen-  dere, direi , che la relazione confidelle in una cer-  ta edrinfeca fomiglianza colla fimbolica figura degl’  Idoli . Forle l’ ornato di quegli orecchini potea  edere qualche gemma , o preziofo metallo cadente ,  e travagliato a maniera di goccia , di cono, o vergherà, che molto raflòmiglialTe la forma appunto  degl’ Idolatrici Simulacri . Quindi Giacobbe volen-  do abolita per fempre di quedi ultimi la memoria  predo de’luoi, nalcolè unitamente fotterra tutti  quegli ornamenti, che per la loro forma, e lavoro  potuto avrebbero in alcun tempo rifvegliarne la rimembranza. Ma fi torni in carriera , e col Voffio ( i ) ornai  fi rammenti , che non in figura umana , ma bensì  in figura di colonne o piramidi acuminate furono   i Si-   Lib. g. c. 5.  i Simulacri , a cui nei primi , e più rimoti fuoi tem-  pi l’ idolatrante Grecia prodrofli ; che le per con-  ientimentò di tutti gli Autori ebbe la Grecia dagli  Orientali , e dall' Egitto principalmente i fuoi Nu-  mi , e le cerimonie di Religione , farà quella una  riprova novella, che di cilindrica, piramidale, o  conica forma federo i Simulacri almen più vetulli  dall’Oriente, e dall' Egitto inventati.   Ora nuli’ altro appunto , che una Colonna fu  la Giunone Argiva. Ce lo atteda Clemente Alef-  fandrino ( i ) recando alcuni verlì di un vecchio  Poeta Greco in lode di Callitoe prima Sacerdo-  tellà di quella Diva predò gli Argivi . Io mi farò  lecito di darne una mia Traduzione;  Della Donna del Ciel preliede al Tempio  Clavigera Callitoe , che intorno  Di ferti , e bende un dì già ornò primiera  Dell’ Argiva Giunon 1 ’ alta Colonna .   Non altro , che femplici acuminate Colonne , o  Piramidi furono i Simulacri podi ad Apollo , e a  Diana, come lo Scaligero (3 ) dalle antiche me-  morie deduce. Non altro, erte una rozza Colon-  na di legno la Statua di Pallade Attica. ,, Quan-  „ to ( dicea perciò Tertulliano) ( aJ diltinguelt  ,, dallo dipite d' una croce la Pallade Attica , o  „ la Cerere Farrea , che lènza effigie coda d’ un  „ rozzo palo , e d’ un legno informe . Un legno  „ non dolato ( proliegue Arnobio ) ( $ ) adorodì  ,, da que’ di Caria in luogo di Diana : in luogo  „ di Giunone un Pluteo da que’ di Samo ; un’ Atta  „ dai Romani in luogo di Marte , come le Mule   » ài   'Zrpuu.eerwv I  K «XfaQoti cXifjLTtcìbos BajiAtw   H/W fi pryutK W> {Tìia/axsi , XM buiOCVOKl  ripa irti tx.orjj.tKur rtpt tttwx jJMxpw curctsitK .   Ad an. Eufib. 377, f 4 ) AJverf. Cent.   C 5 J Lib. 6. 3 2 Dissert. suix’ Origine   „ di Vairone ci additano. ,, E giacché Arnobio  un Romano Autore ha citato , qui giovi connet-  terne un altro , cioè Trogo Pompeo , o fia il Tuo  Compilatore Giurino ( i ) , il quale d’ Amulio ,~e  di Numitore parlando ultimi fra i Re d’ Alba , in  quella foggia h efprime. ,, In que’ tempi tuttora  ,, dai Re invece di Diadema portavanfi 1 ’ alle »  ,, che lcettri dai Greci furon chiamate. Conciof-  ,, liachè dalla prima origine delle cofe furono ado-  ,, rate 1 ’ Alle in luogo de’ Simulacri degl' Iddii im-  ,, mortali . Ed in memoria di tal religione ai Si-  „ mulacri degl’ Iddii tuttora 1' Alte s’ aggiungono. „  Finalmente non altro , che un rozzo malconcio  legno , e deforme» liccome Ateneo ( 2 ) ne fa fede era il Simulacro di Latoua prello a quelli di Deio y  c per fitìfatta guilà ridevole, che al ibi vederlo  n’ ebbe a icoppiar dalle rifa quel Parmenilco di  Metaponto , che dopo 1 * ufeita dall’ antro di Tri-  ionio non avea rifo giammai. Quindi non ci ltu-  piremo altrimenti al fapere» che un breve defeo  attaccato ad una lunghi ifima pertica folle il Simu*  lacro del Sole venerato da que’ di Peonia ; e che  informi tronchi , maltagliati , e fenz' arte fodero  1 Numi degli antichi Germani » e de’ prilchi Galli , come ne allicura Lucano . ( 3 ) Molto mena  furem meraviglia in vedere queiti primi idolatrici  monumenti di legno più tolto , che d’ altra mate-  ria lavorati . Per poco che fiali nell’ erudizione  verfato » non può ignorarli » che i Simulacri pri-  mieri dell’ ancor giovane Idolatria materiale , giu-  lta il collume degli Orientali pattato nella Grecia »  e nel Lazio, furono quali comunemente d’ argil-  la, o di legno , a cui fuccedè ben prello il mar-  mo » quindi i metalli v e finalmente 1’avorio. Non lafcianci dubitarne i be' palli, che abbiamo   in C O Lib. 43. (z) Mb. 5.  Simulacraque moejla Deorum Arte careni, caefisque extant informia truficis .  in Ifiaia, in Geremia in Ofiea, e  nel Libro della Sapienza. Gli eleganti verfi  poi di Tibullo CìJ 1 non Ibi rapporto a quello  capo, ma tutta in generale confermano la mia presente opinione. Non di legno però - ma di pietra in figura di  gran piramide, al dir di Pautania , fi* il Simula-  cro fiotto il nome di Apollo da’ Megarefi guarda-  to , e Umilmente una pietra fu la sì celebre Venere Pafia , il di cui Santuario tanta venerazione  rifico Uè non pur dall’ Ifiola di Cipro , ma dalla  Grecia tutta, e dall’Alia minore. Venere Pafia,  che ha data occafione , e primo impullò al mio  fieri vere , quella fi a appunto , che ornai gli dia  compimento. Il di lei Simulacro viene da Maflimo Tirio  ( 6 ) ad una piramide bianca paragonato. Noi  però più efatta ne prenderemo la detenzione da  Tacito ( 7 ) , le di cui parole nel fiuo nativo linguaggio mi fo lecito di produrre : Haud crtt lon-  gum initi a religionis , temyli fitum , formanti Dea 9  ncque alibi fic habetur , vaucis dijjerere. Simulacrum Dea non effigie fiumana continuus orbis , la -  tiore initio tenuem m ambitum , met a modo exurgens , C? ratio in obfcuro - Or di quefia Venere  Pafia noi coi noftri proprj occhi ne potremo facilmente rilevar Ja figura tutta appunto conforme alla   C o f. 29. ( 2) I. f 3 ) 4. 12, co «$•   Eleg. 1. lib. I.   O) Nam veneror, jèu Jìiyes habet defertus in agris ,  $eu vetits in trivio florida Certa lapis f  Eleg. io. lib. I..   Sed yatrii fervute lares , coluiflis CP idem  Curfarem veflros cum tener ante lares ;   Kec yudeat yrifios vos ejfe e fliyite faclos,   Sic veteris JeJes incoluiflis evi. T unc melius tenuere fidem , cum ytniyere teSÌ 9  l Stabat in exigua ligneus ade Q$us •   Orat. 38. Lib , 2. 54 Dissert. sull'Origine   alla defcrizione di Tacito. Balla oflervar tre Me**  daglie riportateci dal Patino. La prima bat-  tuta dalla Città di Paflo a Drulo Celare. La  feconda coniata da’Cipriotti a Vefpalìano  La terza da’ Cipriotti Umilmente dedicata a Tra-  mano C4J • Anzi non l’ Itola lòia di Cipro, co-  me di lòpra toccai , e come attella , e compro-  va P eruditiffimo incomparabile Spanemio (5),  adorò la Venere Pafia . Il di lei culto propagolfi  ancora in altre Nazioni , e Città , le «juali perciò  lì fecero vanto di ornare col di lei Simulacro, e  Tempio i rovefci di lor medaglie . Fede ne fac-  cia la Medaglia di Adriano battuta da que’di Sardi  nell’ Afia minore, e riferita dal Sirmondo, e  Umilmente un’ altra coniata da Pergameni fpet-  tante ad Euripilo prellò il citato Spanemio ( 7 ) ;  ed anche un’ antica Corniola prodotta dall’ Ago-  ltini , fenza accennare però, le Greca, o Romana. Ed io lòn di parere , che dal tempo , e  dagli Eruditi altri limili monumenti o fcoperti lì  fieno , o (coprire lì pollano dinotanti la venera-  zione dilatata, in che lì ebbe quella folle Palla  divinità, e infieme comprovanti la veridica deferii  zione , che del di Lei Simulacro Tacito ci rap-  prefenta . Debbo però confettare , che quanto ne*  monumenti addotti io riconol'co per vera ed el'at-  ta la delcrizione mentovata , mi lòrprende altret-  tanto il modo , con cui Tacito la conclude : Me-  t.r modo exurgens , ei dice , i? ratio in olj'curo . Pof-  fibile , che ad un Uom si erudito , quale fu Taci-  to, sì gran meraviglia facelle il mirar Venere Pafia  in figura di un cono , o di una piramide ? Non  dovea egli piuttollo da una tale figura defumere 1*  antichità di tal Simulacro , o almeno la derivazio-  ne di   C 1 J Imy. Roin. Numis.   C 3 )  De   Praeft. , t? Ufìi Numism. Dijf. 5. ) Colleg. del-  le Med. del Col. Chiaram. di Parigi. C»J DiaL. ne di una veturtilfima coltomanza ? Non dovea Ta-  pe re , che ne’ più rimoti tempi, e come Trogo di-  cea , ab origine rerum , altri Simulacri non ebbero  i Numi , che o pietre quadrate , o piramidi , od obe-  lifchi , o coni , o colonne di legno , e di fallo ?  Come ignorar potea il conico Simulacro d’ Apollo  in Megara , e del Sole in Ed e Ila , e gli obelifchi,  è le piramidi al Sole ideilo alzate in Egitto ? Come  gli ufeiron di mente i furti, o colonnette rozze di  legno , e le impolite pietre , che per di lui alfer-  zione rifeuoteano le adorazioni della Germania ?  Come sfuggirono alla di lui maflima erudizione le  due colonne porte a Giove nel Tempio d’ Ercole  in Tiro ; come le altre molte collocate nel Tempio  di Gadi ; come le due confecrate al Sole dal Re  Ferone nel di lui Tempio in Egitto? Tante co-  lonne infine fi J , con cui adombrar (i folevano  e Giove , e Giunone , e Bacco chiamato perciò   TUputiovios Colutnnarius , e Apollo detto Ayiftfs   Compitali , ed Ercole , e Marte , e Bellona , non do-  vevano farlo falire all’ origine delle cole , ai coltomi dell’antica, e primiera rozzezza, e deporre la  meraviglia circa la forma del Simulacro di Venere  Pafia ? Ma qual cofa Tacito fi penfaflè in quella Tua  fofpenfione, egli fel vegga, e noi non ce ne brighe-  remo altrimenti.   Raccoglieremo bensì le vele ad una Dillerta-  zione , che in vallo pelago trafeorfe ornai troppo  lungi. Voi, o dottiamo Sig. Conte, farete telfi-  monio o del Tuo felice tragitto, o del Ilio infaufto  naufragio ; e onorar dovrete o di compatimento i  fuoi rilicofi viaggi , o i luoi errori di correzione .  Se 1 amor proprio non mi fa velo al giudizio , ere.   c " e ^ della tratto avelie a qualche porto di  1 ufficiente probabilità 1 opinione da Voi propolla-  ™ l . \ c }°£ che i Simulacri più vernili delle pagane  Divinità follerò di quadrata, o di rotonda figura,   o al- C O Ue^io Aìnetan. Qjiejì . lib.    3<5 Dissert. SuliTdolatria; (  o almeno tendente a rotonditi . Un più ralente  Piloto e di forze , e di tempo , e di finimenti più  agiato faprà condurla felicemente ad un porto di  fìcurezza . Quanto a me , fe altro non averti po-  tato ottenere , Tarò almeno contentiamo d avervi   f er alcun modo tellimoniata la mia. ubbidienza , alto pregio , in che tengo 1’ autorità voftra , e ij  voltro merito Angolare .   l'idi t prò lUtàe , ac Revino D. V. Domini co  Al archi one Mancinforte Epifcopo F aventino  Albertus Raccagni Farocbus Sanfli Antonini.  Fr. Angelus Maria Merenda Ordinis Predicato-  rum Sacra Scripturx LeElor , ac f^icartus Gg~  neralis SaaEli Offici* F aventi a .  In tale direzione, si riscontra la necessità di condurre la ricerca a un livello sem iotico-sem iosico, ricorrendo alla sem iotica di Peirce, e in particolare alla sua definizione di “interpretante iconico”, segno creativo capace di comprendere meglio ciò che è altro dall’identico, ciò che differisce dal segno “idolo”. Attraverso una semiotica dell’interpretazione, si cercherà quindi di spiegare teoricamente il funzionamento degli elementi che compongono un testo, per una comprensione del concetto di scrittura e le prospettive che questa propone per la costruzione di un approccio critico alla problematica della lettura del testo BACON, LE QUATTRO SPECIE DI IDOLI Bacon espone in queste pagine la sua teoria sugli idola (i pregiudizi) che occupano la mente umana e le rendono difficile “l’accesso alla verità”. Bacon, Novum Organon, Gli idoli e le false nozioni che penetrarono nell’intelletto umano fissandosi in profondità dentro di esso, non solo assediano le menti umane in modo da rendere difficile l’accesso alla verità, ma addirittura (una volta che quest’accesso sia dato e concesso) di nuovo risorgeranno e saranno causa di molestia nella stessa instaurazione delle scienze: almeno che gli uomini, preavvertiti, non si agguerriscano, per quanto è possibile contro di essi. Quattro sono le specie degli idoli che assediano le menti umane. Per farci intendere abbiamo imposto loro dei nomi: chiameremo la prima specie idoli della tribú; la seconda idoli della spelonca; la terza idoli del mercato; la quarta idoli del teatro. Gli idoli della tribú sono fondati sulla stessa natura umana e sulla stessa tribú o razza umana. Pertanto si asserisce falsamente che il senso umano è la misura delle cose ché al contrario tutte le percezioni, sia del senso sia della mente, derivano dall’analogia con l’uomo, non dall’analogia con l’universo. Rispetto ai raggi delle cose l’intelletto umano è simile a uno specchio disuguale che mescola la sua propria natura a quella delle cose e la deforma e la travisa. Gli idoli della spelonca sono idoli dell’uomo in quanto individuo. Ciascuno infatti (oltre alle aberrazioni proprie della natura in generale) ha una specie di propria caverna o spelonca che rifrange e deforma la luce della natura: o a causa della natura propria e singolare di ciascuno, o a causa dell’educazione e della conservazione con gli altri, o della lettura di libri e dell’autorità di coloro che si onorano e si ammirano, o a causa della diversità delle impressioni a seconda che siano accolte da un animo preoccupato e prevenuto o calmo ed equilibrato. Cosicché lo spirito umano (come si presenta nei singoli individui) è cosa varia e grandemente mutevole e quasi soggetta al caso. Perciò giustamente affermò Eraclito che gli uomini cercano le scienze nei loro mondi particolari e non nel piú grande mondo a tutti comune. Vi sono poi gli idoli che derivano quasi da un contratto e dalle reciproche relazioni del genere umano: li chiamiamo idoli del mercato a causa del commercio e del consorzio degli uomini. Gli uomini infatti si associano per mezzo dei discorsi, ma i nomi vengono imposti secondo la comprensione del volgo e tale errata e inopportuna imposizione ingombra in molti modi l’intelletto. D’altra parte le definizioni o le spiegazioni, delle quali gli uomini dotti si provvidero e con le quali si protessero in certi casi, non sono in alcun modo servite di rimedio. Anzi le parole fanno violenza all’intelletto e confondono ogni cosa e trascinano gli uomini a controversie e a finzioni innumerevoli e vane.  XLIV Vi sono infine gli idoli che penetrano negli animi degli uomini dai vari sistemi filosofici e dalle errate leggi delle dimostrazioni. Li chiamiamo idoli del teatro perché consideriamo tutte le filosofie che sono state ricevute o create come tante favole presentate sulla scena e recitate che hanno prodotto mondi fittizi da palcoscenico. Non parliamo solo dei sistemi filosofici che già abbiamo o delle antiche filosofie e delle antiche sètte perché è sempre possibile comporre e combinare moltissime altre favole dello stesso tipo: le cause di errori diversissimi possono essere infatti quasi comuni. Né abbiamo queste opinioni solo intorno alle filosofie universali, ma anche intorno a molti princípi e assiomi delle scienze che sono invalsi per tradizione, credulità e trascuratezza.     (Il pensiero di F. Bacon, a cura di P. Rossi, Loescher, Torino. The idol fixes one's gaze on itself ; the icon , for its part , demands that one go throughGrice: “Cattaneo’s philosophical background is much stronger than Hart’s! Hart always doubted his philosophical abilities – as he kept comparing himself to me! When Cattaneo was at St. Antony’s, Hart found that he had to play brilliant, since a ‘continental’ was watching! Cattaneo is especially good in the study of Roman-Italian giurisprudenza, from Cicero, Goldoni, Carrrara, and Manzoni, onwards! They don’t need no stinking Hart!” -- M. A. Cattaneo. Mario A. Cattaneo. Mario Alessandro Cattaneo. Mario Cattaneo. Keywords: eidolon, idolo, idol of the market place – bentham -- autorita, autoritarismo, positivismo di H. L. A. Hart, il concetto della legge, filosofia del linguaggio ordinario, scuola oxoniense di filosofia del linguaggio ordinario, il gruppo di giocco di Austin, il primo o vecchio gruppo di giocco di Austin al All Souls, giovedi notte; il nuovo gruppo di giocco di Austin sabato alla mattina. Hart, Hampshire, Grice. Grice, neo-Trasimaco, giustizia, fairness, valore legale, valore morale, le legge e la morale, priorita della moralita sulla legalita, concetti di priorita, priorita evaluativa, neo-trasimaco, neo-socrate, platonismo giuridico, positivismo pre-Kelsen: hobbes, bentham, autin. I giuristi italiani. Storia della giurisprudenza italiana. Goldoni, Carrara, Manzoni, Collodi, Lorenzini, Pinocchio, Foscolo, Perini, Beccaria, Colonna infame, letteratura italiana, fizione italiana, prosa italiana, giurisprudenza italiana, avvocatura ed implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cattaneo” – The Swimming-Pool Library. Cattaneo.

 

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