Grice
e Cavour: implicatura conversazionale e ragione conversazionale – scuola di
Torino – filosofia torinese -- filosofia piemontese – filosofia italiana -- Luigi
Speranza (Torino).
Filosofo torinese. Filosofo piemontese. Filosofo italiano. Camillo Benso, conte
di C. Voce Discussione Leggi Visualizza sorgente Cronologia
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Disambiguazione – "Conte di C." rimanda qui. Se stai cercando la
corazzata, vedi Conte di C. (nave da battaglia). Camillo Benso di C.
Antonio Ciseri, ritratto di Camillo Benso di C., olio su tela, 1859 ca.
Presidente del Consiglio dei ministri del Regno d'Italia Ministro degli affari
esteri Durata mandato MonarcaVittorio Emanuele II Predecessore carica creata
Successore Bettino Ricasoli Presidente del Consiglio dei ministri del Regno di
Sardegna Durata mandato Monarca Vittorio Emanuele II Predecessore Massimo
d'Azeglio Successore Alfonso Ferrero La Marmora Durata mandato Predecessore Alfonso
Ferrero La Marmora SuccessoreSé stesso come Presidente del Consiglio dei
ministri del Regno d'Italia Ministro dell'agricoltura e commercio del Regno di
Sardegna Durata mandato Monarca Vittorio Emanuele II Capo del governo Massimo
d'Azeglio Predecessore Pietro De Rossi Di Santarosa Ministro delle finanze del
Regno di Sardegna Durata mandato Monarca Vittorio Emanuele II Capo del governo Massimo
d'Azeglio Predecessore Giovanni Nigra Successore Luigi Cibrario Sindaco di
Grinzane Durata mandato Deputato del Regno di Sardegna Durata mandato Durata
mandato Legislatura Sito istituzionale Deputato del Regno d'Italia Durata
mandato Legislatura Sito istituzionale Dati generali Suffisso onorifico Conte
di C. Partito politico Destra storica Professione Filosofo, Politico,
imprenditore Firma Firma di Camillo Benso di C. Camillo Paolo Filippo Giulio
Benso, conte di C., di Cellarengo e di Isolabella, noto semplicemente come
conte di C. o C. (Torino, 10 agosto 1810 – Torino, 6 giugno 1861), è stato un
politico, patriota e imprenditore italiano. Fu ministro del Regno di
Sardegna dal 1850 al 1852, presidente del Consiglio dei ministri dal 1852 al
1859 e dal 1860 al 1861. Nello stesso 1861, con la proclamazione del Regno
d'Italia, divenne il primo presidente del Consiglio dei ministri del nuovo
Stato e morì ricoprendo tale carica. Fu protagonista del Risorgimento
come sostenitore delle idee liberali, del progresso civile ed economico, della
separazione tra Stato e Chiesa, dei movimenti nazionali e dell'espansionismo
del Regno di Sardegna ai danni dell'Austria e degli stati italiani
preunitari. In economia promosse il libero scambio, i grandi investimenti
industriali (soprattutto in campo ferroviario) e la cooperazione fra pubblico e
privato. In politica sostenne la promulgazione e la difesa dello Statuto
albertino. Capo della cosiddetta Destra storica, siglò un accordo
("Connubio") con la Sinistra, con la quale realizzò diverse riforme.
Contrastò apertamente le idee repubblicane di Giuseppe Mazzini e spesso si
trovò in urto con Giuseppe Garibaldi, della cui azione temeva il potenziale
rivoluzionario. In politica estera coltivò con abilità l'alleanza con la
Francia, grazie alla quale, con la seconda guerra di indipendenza, ottenne
l'espansione territoriale del Regno di Sardegna in Lombardia. Riuscì a gestire
gli eventi politici (sommosse nel Granducato di Toscana, nei ducati di Modena e
Parma e nel Regno delle Due Sicilie) che, assieme all'impresa dei Mille,
portarono alla formazione del Regno d'Italia. Biografia La famiglia e la
giovinezza (fino al 1843) Lo stesso argomento in dettaglio: Benso
(famiglia). Michele Benso di C., padre di Camillo. Il palazzo a
Torino dove nacque C.. Adèle de Sellon (1780-1846), madre di
Camillo. Ritratto giovanile di C..[1] Camillo nacque il 10 agosto 1810
nella Torino napoleonica. Suo padre, il marchese Michele Benso di C., era
collaboratore e amico del governatore principe Camillo Borghese (marito di
Paolina Bonaparte, sorella di Napoleone I) che fu padrino di battesimo del
piccolo Benso al quale trasmise il nome. La madre del piccolo Camillo, Adèle de
Sellon (1780-1846), sorella del conte Jean-Jacques de Sellon, scrittore,
filantropo, collezionista d'arte, mecenate e pacifista svizzero, apparteneva
invece ad una ricca e nobile famiglia calvinista di Ginevra, che aveva
raggiunto un'ottima posizione negli ambienti borghesi della città
svizzera[2]. Aristocratico[N 1], C. in gioventù frequentò il 5º corso
della Regia Accademia Militare di Torino (conclusosi nel 1825) e nell'inverno
1826-1827, grazie ai corsi della Scuola di Applicazione del Corpo Reale del
Genio, diventò ufficiale del Genio[N 2]. Il giovane si dedicò ben presto,
per interessi personali e per educazione familiare, alla causa del progresso
europeo. Fra i suoi ispiratori fu il filosofo inglese Jeremy Bentham, alle cui
dottrine si accostò per la prima volta nel 1829, nonché Jean-Jacques Rousseau[N
3]. Di Bentham quell'anno lesse il Traité de législation civile et pénale, in
cui il filosofo inglese sostiene la dottrina dell'utilitarismo, espressa
concisamente dal principio: «Misura del giusto e dell'ingiusto è soltanto la
massima felicità del maggior numero». Un'altra tesi sostenuta da Bentham,
secondo cui ogni problema poteva ricondursi a fatti misurabili, fornì al
realismo del giovane C. una base teorica utile alla sua inclinazione
all'analisi matematica[3]. Trasferito nel 1830 a Genova, l'ufficiale
Camillo Benso ebbe modo di conoscere la marchesa Anna Giustiniani Schiaffino,
con la quale avvierà un'importante amicizia intrattenendo con lei un lungo
rapporto epistolare[4]. All'età di ventidue anni C. venne nominato
sindaco di Grinzane, dove la famiglia aveva dei possedimenti, e ricoprì tale
carica fino al 1848[5]. Dal dicembre 1834 iniziò a viaggiare all'estero
studiando lo sviluppo economico di paesi largamente industrializzati come
Francia[6] e Gran Bretagna. In questo contesto culturale, già a ventidue anni, C.
era influenzato dagli ideali risorgimentali e manifestava nelle sue lettere
private il sogno di diventare "primo ministro del Regno
d'Italia".[7] I viaggi di formazione a Parigi e a Londra Lo
stesso argomento in dettaglio: Viaggi di formazione di Camillo Benso, conte di C..
Accompagnato dall'amico Pietro De Rossi di Santarosa, C. nel febbraio del 1835
raggiunse Parigi, dove si fermò per quasi due mesi e mezzo: visitò istituzioni
pubbliche di ogni genere e frequentò gli ambienti politici della Monarchia di
Luglio. Partito dalla capitale francese, il 14 maggio 1835 arrivò a Londra dove
si interessò di questioni sociali. Durante questo periodo il giovane
Conte sviluppò quella propensione conservatrice che lo accompagnerà per tutta
la vita, ma al tempo stesso sentì fortemente crescere l'interesse e
l'entusiasmo per il progresso dell'industria, per l'economia politica e per il
libero scambio. Di nuovo a Parigi, fra il 1837 e il 1840 frequentò
assiduamente la Sorbona e incontrò, oltre a vari intellettuali, gli esponenti
della monarchia di Luigi Filippo della quale conservava una viva
ammirazione. Nel marzo 1841 fondò con degli amici la Società del Whist,
club prestigioso costituito dalla più alta aristocrazia torinese[8]. Da
proprietario terriero a deputato (1843-1850) Fra il ritorno dai viaggi
all'estero nel giugno del 1843 e l'ingresso al governo nell'ottobre del 1850, C.
si dedicò ad una nutrita serie di iniziative nel campo dell'agricoltura,
dell'industria, della finanza e della politica. Gli affari in agricoltura
e nell'industria Importante possidente terriero, C. contribuì, già nel maggio
1842, alla costituzione dell'Associazione agraria che si proponeva di
promuovere le migliori tecniche e politiche agrarie, per mezzo anche di una
Gazzetta che fin dall'agosto 1843 pubblicava un articolo del Conte[9].
Impegnatissimo nell'attività di gestione soprattutto della sua tenuta di Leri, C.
nell'autunno 1843, grazie alla collaborazione di Giacinto Corio, iniziò
un'attività di miglioramenti nei settori dell'allevamento del bestiame, dei
concimi e delle macchine agricole. In sette anni (dal 1843 al 1850) la sua
produzione di riso, frumento e latte crebbe sensibilmente, e quella di mais
addirittura risultò triplicata[10]. Ad
integrare le innovazioni della produzione agricola, Camillo Benso intraprese
anche delle iniziative di carattere industriale con risultati più o meno buoni.
Fra le iniziative più importanti, la partecipazione alla costituzione della
Società anonima dei molini anglo-americani di Collegno nel 1850, di cui il
Conte divenne successivamente il maggiore azionista e che ebbe dopo l'unità
d'Italiauna posizione di primo piano nel Paese[11]. Le estese relazioni d'affari a Torino,
Chivasso e Genova e soprattutto l'amicizia dei banchieri De La Rüe[N 4],
consentirono inoltre a C. di operare in un mercato più ampio rispetto a quello
usuale degli agricoltori piemontesi cogliendo importanti opportunità di
guadagno. Nell'anno 1847, ad esempio, realizzò introiti assai cospicui
approfittando del pessimo raccolto di cereali in tutta Europa che diede luogo
ad un aumento della richiesta spingendo i prezzi a livelli inconsueti[12]. Lo sviluppo delle idee politiche La linea ferroviaria Torino-Genova nel 1854. C.
attribuì alle ferrovie un'importanza decisiva nello sviluppo del progresso
civile e del movimento nazionale. Oltre ai suoi interventi sulla Gazzetta della
Associazione agraria, C. in quegli anni si dedicò alla scrittura di alcuni
saggi sui progressi dell'industrializzazione e del libero scambio in Gran
Bretagna, e sugli effetti che ne sarebbero derivati sull'economia e sulla
società italiana[13]. Principalmente C.
esaltava le ferrovie come strumento di progresso civile al quale, piuttosto che
alle sommosse, era affidata la causa nazionale. Egli a tale proposito mise in
rilievo l'importanza che avrebbero avuto due linee ferroviarie: una
Torino-Venezia e una Torino-Ancona[14].
Senza alcun bisogno di una rivoluzione, il progresso della civiltà
cristiana e lo sviluppo dei lumisarebbero sfociati, secondo il conte, in una
crisi politica che l'Italia era chiamata a sfruttare[15]. Camillo Benso aveva infatti fede nel progresso
che era soprattutto intellettuale e morale, poiché risorsa della dignità e
della capacità creativa dell'uomo. A tale convinzione si accompagnava l'altra
che la libertà economica è causa di interesse generale, destinata a favorire
tutte le classi sociali. Sullo sfondo di questi due principi emergeva il valore
della nazionalità[16]: «La storia di
tutti i tempi prova che nessun popolo può raggiungere un alto grado di
intelligenza e di moralità senza che il sentimento della sua nazionalità sia
fortemente sviluppato: in un popolo che non può essere fiero della sua
nazionalità il sentimento della dignità personale esisterà solo eccezionalmente
in alcuni individui privilegiati. Le classi numerose che occupano le posizioni
più umili della sfera sociale hanno bisogno di sentirsi grandi dal punto di
vista nazionale per acquistare la coscienza della propria dignità» (C., Chemins de fer, 1846, da Romeo, pp. 137,
141) .
A favore dello Statuto e della guerra del 1848 Lo stesso argomento in dettaglio: Statuto
albertino e Prima guerra d'indipendenza italiana . C. a 31 anni, nel 1841.[17] La battaglia di Pastrengo. Nel 1848 C.
sostenne la guerra contro l'Austria come soluzione al pericolo rivoluzionario
che minacciava il Piemonte. Nel 1847 C. fece la sua comparsa ufficiale sulla
scena politica come fondatore, assieme al cattolico liberale Cesare Balbo, del
periodico Il Risorgimento, di cui assunse la direzione. Il giornale,
costituitosi grazie ad un ammorbidimento della censura di re Carlo Alberto, si
schierò più apertamente di tutti gli altri, nel gennaio del 1848, a favore di
una costituzione[18]. La presa di
posizione, che era anche di C., si rimarcò con la caduta in Francia (24
febbraio 1848) della cosiddetta Monarchia di luglio, con la quale crollava il
riferimento politico del Conte in Europa.
In questa atmosfera, il 4 marzo 1848, Carlo Alberto promulgò lo Statuto
albertino. Questa "costituzione breve" deluse gran parte
dell'opinione pubblica liberale, ma non C. che annunciò un'importante legge
elettorale per la quale era stata nominata una commissione, presieduta da
Cesare Balbo, e della quale anche lui faceva parte. Tale legge, poi approvata,
con qualche adeguamento rimase in vigore fino alla riforma elettorale del Regno
d'Italia del 1882[19]. Con la repubblica
in Francia, la rivoluzione a Viennae Berlino, l'insurrezione a Milano e il
sollevamento del patriottismo in Piemonte e Liguria, C., temendo che il regime
costituzionale potesse diventare vittima dei rivoluzionari se non avesse agito,
si pose in testa al movimento interventista incitando il Re ad entrare in
guerra contro l'Austria e ricompattare l'opinione pubblica[N 5][20]. Il 23 marzo 1848, Carlo Alberto dichiarò
guerra all'Austria. Dopo i successi iniziali, l'andamento del conflitto mutò e
la vecchia aristocrazia militare del regno fu esposta a dure critiche. Alle
prime sconfitte piemontesi C. chiese che si risalisse ai colpevoli che avevano
tradito le prove di valore dei semplici soldati. La deprecata condotta della
guerra spinse allora alla convinzione che il Piemonte non sarebbe stato al
sicuro fino a quando i poteri dello Stato non fossero stati controllati da
uomini di fede liberale[21][N 6].
Deputato al Parlamento Subalpino Il 27 aprile 1848 ci furono le prime
elezioni del nuovo regime costituzionale. C., forte della sua attività di
giornalista politico, si candidò alla Camera dei deputati e fu eletto nelle
elezioni suppletive del 26 giugno. Fece il suo ingresso alla Camera (Palazzo
Carignano) prendendo posto nei banchi di destra il 30 giugno 1848[22]. Fedele agli interessi piemontesi, che egli
vedeva minacciati dalle forze radicali genovesi e lombarde, C. fu oppositore
sia dell'esecutivo di Cesare Balbo, sia di quello successivo del milanese
Gabrio Casati. Tuttavia, quando, a seguito della sconfitta di Custoza, il
governo Casati chiese i pieni poteri, C. si pronunciò in suo favore. Ciò non
evitò però l'abbandono di Milano agli austriaci e l'armistizio Salasco del 9
agosto 1848[23]. Al termine di questa
prima fase della guerra, il governo di Cesare di Sostegno e il successivo di
Ettore di San Martino imboccarono la strada della diplomazia. Entrambi furono
appoggiati da C. che criticò aspramente Gioberti ancora risoluto a combattere
l'Austria. Nel suo primo grande discorso parlamentare, Camillo Benso, il 20
ottobre 1848 si pronunciò infatti per il rinvio delle ostilità, confidando
nella mediazione diplomatica della Gran Bretagna, gelosa della nascente potenza
germanica e quindi favorevole alla causa italiana. Con l'appoggio di C. la
linea moderata del governo San Martino passò, anche se il debole esecutivo su
un argomento minore rassegnò le dimissioni il 3 dicembre 1848[24]. Nell'impossibilità di formare una diversa
compagine ministeriale, re Carlo Alberto diede l'incarico a Gioberti, il cui
governo (insediatosi il 15 dicembre 1848) C. considerò di "pura
sinistra". A discapito del Conte arrivarono anche le elezioni del 22
gennaio 1849, al cui ballottaggio fu sconfitto da Giovanni Ignazio Pansoya. Lo
schieramento politico vincitore era tuttavia troppo eterogeneo per affrontare
la difficile situazione del Paese, sospeso ancora fra pace e guerra, e Gioberti
dovette dimettersi il 21 febbraio 1849[25].
Cambiando radicalmente politica di fronte alla crisi rivoluzionaria di
cui ravvisava ancora il pericolo, C. si pronunciò per una ripresa delle
ostilità contro l'Austria. La sconfitta di Novara (23 marzo 1849) dovette
precipitarlo nuovamente nello sconforto[26].
Capo della maggioranza parlamentare
Il re di Sardegna Vittorio Emanuele II, di cui C. condivise le prime
iniziative politiche. Massimo d'Azeglio
fu presidente del Consiglio del ministro C..[27] La grave sconfitta piemontese
portò, il 23 marzo 1849, all'abdicazione di Carlo Alberto a favore del figlio
Vittorio Emanuele. Costui, aperto avversario della politica paterna di alleanze
con la sinistra, sostituì il governo dei democratici (che chiedevano la guerra
a oltranza) con un esecutivo presieduto dal generale Gabriele de Launay. Tale
governo, che fu salutato con favore da C. e che riprese il controllo di Genova
insorta contro la monarchia, fu sostituito (7 maggio 1849) dal primo governo di
Massimo d'Azeglio. Di questo nuovo presidente del Consiglio Il Risorgimento
fece sua la visione del Piemonte come roccaforte della libertà
italiana[28]. Le elezioni del 15 luglio
1849 portarono, tuttavia, ad una nuova, benché debole, maggioranza dei
democratici. C. fu rieletto, ma D'Azeglio convinse Vittorio Emanuele II a
sciogliere la Camera dei deputati e il 20 novembre 1849 il Re emanò il proclama
di Moncalieri, con cui invitava il suo popolo ad eleggere candidati moderati
che non fossero a favore di una nuova guerra. Il 9 dicembre fu rieletta
l'assemblea che, finalmente, espresse un voto schiacciante a favore della pace.
Fra gli eletti figurava di nuovo C. che, nel collegio di Torino I, ottenne 307
voti contro i 98 dell'avversario[29][30].
In quel periodo Camillo Benso si mise in evidenza anche per le sue doti
di abile operatore finanziario. Ebbe infatti una parte di primo piano nella
fusione della Banca di Genova e della nascente Banca di Torino, che diede vita
alla Banca Nazionale degli Stati Sardi[31].
Dopo il successo elettorale del dicembre 1849 C. divenne una delle
figure dominanti dell'ambiente politico piemontese e gli venne riconosciuta la
funzione di guida della maggioranza moderata che si era costituita. Forte di questa posizione sostenne che fosse
arrivato il tempo delle riforme, favorite dallo Statuto albertino che aveva
creato reali prospettive di progresso. Si sarebbe potuto innanzitutto staccare
il Piemonte dal fronte cattolico-reazionario che trionfava nel resto
d'Italia[32]. A tale scopo il primo passo fu la promulgazione delle cosiddette
leggi Siccardi (9 aprile e 5 giugno 1850) che abolirono vari privilegi del
clero nel Regno di Sardegna e con le quali si aprì una fase di scontri con la
Santa Sede, con episodi gravi sia da parte di D'Azeglio sia da parte di papa
Pio IX. Fra questi ultimi ci fu il rifiuto di impartire l'estrema unzione
all'amico di C., Pietro di Santarosa, morto il 5 agosto 1850. A seguito di
questo rifiuto C. per reazione ottenne l'espulsione da Torino dell'Ordine dei
Servi di Maria, nel quale militava il sacerdote che si era rifiutato di
impartire il sacramento, influenzando probabilmente anche la decisione di
arresto dell'arcivescovo di Torino Luigi Fransoni[33]. Ministro del Regno di Sardegna
(1850-1852) C. intorno al 1850. L'Italia al tempo in cui C. ebbe il suo primo
incarico governativo, nel 1850. Con la morte dell'amico Santarosa, che
ricopriva la carica di ministro dell'Agricoltura e del Commercio, C., forte
della parte di primo piano assunta nella battaglia anticlericale e della sua
riconosciuta competenza tecnica, fu designato come naturale successore del
ministro scomparso. La decisione di
nominare C. ministro dell'Agricoltura e del Commercio fu presa dal presidente
del Consiglio D'Azeglio, convinto da alcuni deputati, assieme a Vittorio
Emanuele II, che fu incoraggiato in tal senso da Alfonso La Marmora. Il Conte
prestò così giuramento l'11 ottobre 1850[34].
Ministro dell'Agricoltura e del commercio Fra i primi incarichi
sostenuti da Camillo Benso ci furono una circolare ai sindaci sulla graduale
introduzione della libera panificazione [35] e il rinnovo del trattato
commerciale con la Francia, improntato all'insegna del libero commercio[N 7][N
8]. L'accordo, che non fu
particolarmente vantaggioso per il Piemonte, dovette essere sostenuto da
motivazioni politiche per essere approvato, benché C. ribadisse che ogni
riduzione doganale fosse di per sé un beneficio[36][N 9]. Affrontata la materia dei trattati di
commercio, il Conte diede anche l'avvio ai negoziati con il Belgio e la Gran
Bretagna. Con entrambi i Paesi ottenne e concesse estese facilitazioni
doganali. I due trattati, conclusi il 24 gennaio e il 27 febbraio
1851rispettivamente, furono il primo atto di vero liberismo commerciale
compiuto da C.[37][N 10]. Questi due
accordi, per i quali il Conte ottenne un largo successo parlamentare, aprirono
la strada ad una riforma generale dei dazi la cui legge fu promulgata il 14
luglio 1851. Intanto nuovi trattati commerciali erano stati firmati, fra marzo
e giugno, con la Grecia, le città anseatiche, l'Unione doganale tedesca, la
Svizzera e i Paesi Bassi. Con 114 voti favorevoli e 23 contrari, la Camera
approvò perfino un trattato analogo con l'Austria, concludendo quella prima
fase della politica doganale di C. che realizzava per il Piemonte il passaggio
dal protezionismo al libero scambio[38].
Nello stesso periodo a C. fu affidato anche l'incarico di ministro della
Marina e, come in situazioni analoghe, egli si distinse per le sue idee
innovative entrando in contrasto con gli alti ufficiali di tendenze reazionarie
che si opponevano finanche all'introduzione della navigazione a vapore. D'altro
canto la truppa era molto indisciplinata e l'intenzione di C. sarebbe stata
quella di far diventare la Marina sarda un corpo di professionisti come quella
del Regno delle Due Sicilie[39].
Ministro delle Finanze Intanto, già dal 19 aprile 1851, C. aveva
sostituito Giovanni Nigra al Ministero delle Finanze, conservando tutti gli
altri incarichi. Il Conte, durante la delicata fase del dibattito parlamentare
per l'approvazione dei trattati commerciali con Gran Bretagna e Belgio, aveva
annunciato di lasciare il governo se non si fosse abbandonata l'abitudine di
affidare ad un deputato (in questo caso Nigra) l'incarico delle Finanze.
C'erano stati per questo gravi dissensi fra D'Azeglio e C. che, alla fine,
aveva ottenuto il ministero[40]. D'altra
parte il governo di Torino aveva disperato bisogno di liquidi, principalmente
per pagare le indennità imposte dagli austriaci dopo la prima guerra di indipendenza
e C., per la sua abilità e i suoi contatti sembrava l'uomo giusto per gestire
la delicata situazione. Il Regno di Sardegna era già fortemente indebitato con
i Rothschild dalla cui dipendenza il conte voleva sottrarre il Paese e, dopo
alcuni tentativi falliti con la Bank of Baring, C. ottenne un importante
prestito dalla più piccola Bank of Hambro[41].
Assieme a questo del prestito (3,6 milioni di sterline), Camillo Benso
ottenne vari altri risultati. Riuscì a chiarire e sintetizzare la situazione
effettiva del bilancio statale che, per quanto precaria, apparve migliore
rispetto a quanto si pensasse; fece approvare su tutti gli enti morali laici ed
ecclesiasticiun'unica imposta del 4% del reddito annuo; ottenne l'imposta delle
successioni; dispose per l'aumento di capitale della Banca Nazionale degli
Stati Sardiaumentandone l'obbligo delle anticipazioni allo Stato e avviò la
collaborazione tra finanza pubblica e iniziativa privata[42]. A tale riguardo accolse, nell'agosto 1851, le
proposte di aziende britanniche per la realizzazione delle linee ferroviarie
Torino-Susa e Torino-Novara, i cui progetti divennero legge il 14 giugno e l'11
luglio 1852 rispettivamente. Concesse all'armatore Raffaele Rubattino la linea
di navigazione sovvenzionata fra Genova e la Sardegna, e a gruppi genovesi l'esercizio
di miniere e saline in Sardegna. Fino a promuovere grandi progetti come
l'istituzione a Genova della Compagnia Transatlantica o come la fondazione
della società Ansaldo, futura fabbrica di locomotive a vapore[43]. L'alleanza con il Centrosinistra Lo stesso argomento in dettaglio:
Connubio. Urbano Rattazzi, alleato
politico di C. nel cosiddetto “connubio”. Spinto ormai dal desiderio di
raggiungere la carica di capo del governo e insofferente per la politica di
d'Azeglio di alleanza con la destra clericale, C. all'inizio del 1852 ebbe
l'idea di stringere un'intesa, il cosiddetto “connubio”, con il Centrosinistra
di Urbano Rattazzi. Costui, con i voti convergenti dei deputati guidati da C. e
di quelli del Centrosinistra, ottenne, l'11 maggio 1852, la presidenza della
Camera del Parlamento Subalpino. Il
presidente del Consiglio D'Azeglio, contrario come Vittorio Emanuele II alla
manovra politica di C., diede le dimissioni, ottenendo puntualmente il
reincarico dal re. Il governo che ne scaturì il 21 maggio 1852, assai debole,
non comprendeva più C. che D'Azeglio aveva sostituito con Luigi Cibrario. Il Conte non si scoraggiò e, in preparazione
della ripresa della lotta politica, partì per un viaggio in Europa. Al suo
ritorno a Torino, appoggiato dagli uomini del "connubio" che
rappresentavano ormai il più moderno liberalismo del Piemonte, forte di un
ampio consenso, diveniva il 4 novembre 1852 per la prima volta Presidente del
Consiglio dei ministri. In Gran Bretagna
e Francia (1852) Prima della sua definitiva affermazione, come abbiamo visto, C.
partì da Torino il 26 giugno 1852 per un periodo di esperienze all'estero. L'8
luglio era a Londra, dove si interessò ai più recenti progressi dell'industria
prendendo contatti con uomini d'affari, agricoltori e industriali, e visitando
impianti e arsenali. Rimase nella capitale britannica fino al 5 agosto[44] e
partì poi per un viaggio nel Galles; nell'Inghilterra settentrionale, di cui
visitò i distretti manifatturieri, e in Scozia[45]. A Londra e nelle loro
residenze di campagna ebbe vari incontri con esponenti politici britannici.
Vide il ministro degli Esteri Malmesbury, Palmerston, Clarendon, Disraeli,
Cobden, Lansdowne e Gladstone[46].
Colpito dalla grandezza imperiale della Gran Bretagna, C. proseguì il
viaggio e passò La Manica alla volta di Parigi, dove giunse il 29 agosto 1852.
Nella capitale francese Luigi Napoleone era presidente della Seconda
Repubblica, alla quale darà poi fine proclamandosi (2 dicembre 1852)
imperatore. L'attenzione del conte,
raggiunto a Parigi dall'alleato Rattazzi, si concentrò sulla nuova classe
dirigente francese, con la quale prese contatti. Entrambi si recarono dal nuovo
ministro degli Esteri Drouyn de Lhuys e il 5 settembre pranzarono con il
principe presidente Luigi Napoleone traendone già buone impressioni e grandi
auspici per il futuro dell'Italia[47]. C.
ripartì per Torino giungendovi il 16 ottobre 1852, dopo un'assenza di oltre tre
mesi. Il primo governo C.
(1852-1855) Lo stesso argomento in
dettaglio: Governo C. I. C. divenne per
la prima volta presidente del Consiglio il 4 novembre 1852.[48] Il banchiere francese James Mayer de
Rothschild con cui C. trattò diverse volte prestiti per il Piemonte. Dopo pochi
giorni dal ritorno di C. a Torino, il 22 ottobre 1852, d'Azeglio, a capo di un
debole esecutivo che aveva scelto di continuare una politica anticlericale,
diede le dimissioni. Vittorio Emanuele
II, su suggerimento di La Marmora, chiese a C. di formare un nuovo governo, a
condizione che il Conte negoziasse con lo Stato Pontificio le questioni rimaste
aperte, prima fra tutte quella dell'introduzione in Piemonte del matrimonio
civile. C. rispose che non avrebbe potuto cedere di fronte al Papa e indicò in
Cesare Balbo il successore di D'Azeglio. Balbo non trovò l'accordo con
l'esponente di destra Revel e il Re fu costretto a tornare da C.. Costui
accettò allora di formare il nuovo governo il 2 novembre 1852, promettendo di
far seguire alla legge del matrimonio civile il suo normale percorso
parlamentare (senza porre cioè la fiducia)[N 11] Costituito il suo primo governo due giorni
dopo, C. si adoperò con passione a favore del matrimonio civile che però fu
respinto al Senatocostringendo il Conte a rinunciarvi. Intanto il movimento repubblicano che faceva
capo a Giuseppe Mazzini non smetteva di preoccupare C.: il 6 febbraio 1853 una
sommossa scoppiò contro gli austriaci a Milano e il conte, temendo l'allargarsi
del fenomeno al Piemonte, fece arrestare diversi mazziniani (fra cui Francesco
Crispi). Tale decisione gli attirò l'ostilità della Sinistra, specie quando gli
austriaci lo ringraziarono per gli arresti[49].
Quando però, il 13 febbraio, il governo di Vienna stabilì la confisca
delle proprietà dei rifugiati lombardi in Piemonte, C. protestò energicamente,
richiamando l'ambasciatore sardo. Le
riforme della finanza e della giustizia Obiettivo principale del primo governo C.
fu la restaurazione finanziaria del Paese. Per raggiungere il pareggio il conte
prese varie iniziative: innanzi tutto fu costretto a ricorrere ai banchieri
Rothschildpoi, richiamandosi al sistema francese, sostituì alla dichiarazione
dei redditi l'accertamento giudiziario, fece massicci interventi nel settore
delle concessioni demaniali e dei servizi pubblici, e riprese la politica dello
sviluppo degli istituti di credito[50].
D'altro canto il governo effettuò grandi investimenti nel settore delle
ferrovie, proprio quando, grazie alla riforma doganale, le esportazioni stavano
avendo un aumento considerevole. Ci furono tuttavia notevoli resistenze ad
introdurre nuove imposte fondiarie e, in generale, nuove tasse che colpissero
il ceto di cui era composto il parlamento[51].
C., in effetti, non riuscì mai a realizzare le condizioni politiche che
consentissero una base finanziaria adeguata alle sue iniziative[52]. Il 19 dicembre 1853, si parlò di "quasi
restaurate finanze", benché la situazione fosse più seria di quanto
annunciato, anche per la crisi internazionale che precedette la guerra di
Crimea. C. di conseguenza si accordò ancora con i Rothschild per un prestito,
ma riuscì anche a collocare presso il pubblico dei risparmiatori, con un netto
successo politico e finanziario, una buona parte del debito contratto[53]. A Camillo Benso d'altronde non mancava il
consenso politico. Alle elezioni dell'8 dicembre 1853 furono eletti 130
candidati dell'area governativa, 52 della Sinistra e 22 della Destra.
Nonostante ciò, per replicare all'elezione di importanti politici avversari[54]
il Conte sviluppò un'offensiva politica sull'ordinamento giudiziario che la
crisi economica non gli permetteva di concentrare altrove. Fu deciso, anche per
recuperare parte della Sinistra, di riprendere la politica
anticlericale[55]. A tale riguardo il
ministro della Giustizia Urbano Rattazzi, all'apertura della V legislatura
presentò una proposta di legge sulla modifica del codice penale. Il nucleo
della proposta consisteva in nuove pene previste per i sacerdoti che, abusando
del loro ministero, avessero censurato le leggi e le istituzioni dello Stato.
La norma fu approvata alla Camera a larga maggioranza (raccogliendo molti voti
a Sinistra) e, con maggiore difficoltà, anche al Senato[56]. Furono successivamente adottate modifiche
anche al codice di procedura penale e fu ultimato il percorso per
l'approvazione del codice di procedura civile[57]. L'intervento nella guerra di Crimea Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra di
Crimea. Con la Battaglia della Cernaia
il corpo di spedizione piemontese, voluto da C., si distinse nella guerra di
Crimea e consentì di porre la questione italiana a livello europeo. Nel 1853 si
sviluppò una crisi europea scaturita da una disputa religiosa fra la Francia e
la Russia sul controllo dei luoghi santi nel territorio dell'Impero ottomano.
L'atteggiamento russo provocò l'ostilità anche del governo inglese che
sospettava che lo Zar volesse conquistare Costantinopoli e interrompere la via
terrestre per l'India britannica. Il 1º
novembre 1853 la Russia dichiarò guerra all'Impero ottomano, che aveva
accettato la linea francese, aprendo quella che sarà chiamata la guerra di
Crimea. Conseguentemente, il 28 marzo 1854 la Gran Bretagna e la Francia
dichiararono guerra alla Russia. La questione, per le opportunità politiche che
potevano presentarsi, cominciò ad interessare C.. Egli infatti, nell'aprile
1854, rispose alle richieste dell'ambasciatore inglese James Hudson affermando
che il Regno di Sardegna sarebbe intervenuto nella guerra se anche l'Austria
avesse attaccato la Russia, di modo da non esporre il Piemonte all'esercito
asburgico[58]. La soddisfazione degli
inglesi fu evidente, ma per tutta l'estate del 1854 l'Austria rimase neutrale.
Infine, il 29 novembre 1854, il ministro degli Esteri britannico Clarendon
scrisse ad Hudson chiedendogli di fare di tutto per assicurarsi un corpo di
spedizione piemontese. Un incitamento superfluo, poiché C. era già arrivato
alla conclusione che le richieste inglesi e quelle francesi, queste ultime
fatte all'inizio della crisi a Vittorio Emanuele II, dovevano essere
soddisfatte. Il Conte decise quindi per l'intervento sollevando le perplessità
del ministro della Guerra La Marmora e del ministro degli Esteri Giuseppe
Dabormida che si dimise[59]. Assumendo
anche la carica di ministro degli Esteri, C., il 26 gennaio 1855, firmò
l'adesione finale del Regno di Sardegna al trattato anglo-francese. Il Piemonte
avrebbe fornito 15.000 uomini e le potenze alleate avrebbero garantito
l'integrità del Regno di Sardegna da un eventuale attacco austriaco. Il 4 marzo
1855, C. dichiarò guerra alla Russia[N 12] e il 25 aprile il contingente
piemontese salpò da La Spezia per la Crimea dove arrivò ai primi di maggio. Il
Piemonte avrebbe raccolto i benefici della spedizione con la seconda guerra di
indipendenza, quattro anni dopo. La
legge sui conventi: la Crisi Calabiana
Lo stesso argomento in dettaglio: Crisi Calabiana. Papa Pio IX scomunicò C. dopo l'approvazione
della Legge sui conventi.[60] Con l'intento di avvicinarsi alla Sinistra e
ostacolare la Destra conservatrice che andava guadagnando terreno a causa della
crisi economica, il governo C. il 28 novembre 1854 presentò alla Camera la
legge sui conventi. La norma, nell'ottica del liberalismo anticlericale,
prevedeva la soppressione degli ordini religiosi non dediti all'insegnamento o
all'assistenza dei malati. Durante il dibattito parlamentare vennero attaccati,
anche da C., soprattutto gli ordini mendicanti come nocivi alla moralità del
Paese e contrari alla moderna etica del lavoro.
La forte maggioranza alla Camera del Conte dovette affrontare
l'opposizione del clero, del Re e soprattutto del Senato che in prima istanza
bocciò la legge. C. allora si dimise (27 aprile 1855) aprendo una crisi
politica chiamata crisi Calabianadal nome del vescovo di Casale Luigi Nazari di
Calabiana, senatore e avversario del progetto di legge. Il secondo governo C. (1855-1859) Lo stesso argomento in dettaglio: Governo C.
II. La legge sui conventi: l'approvazione
Lo stesso argomento in dettaglio: Crisi Calabiana. Dopo qualche giorno
dalle dimissioni, vista l'impossibilità a formare un nuovo esecutivo, il 4
maggio 1855, C. fu reintegrato dal Re nella carica di presidente del Consiglio.
Al termine di giorni di discussioni nei quali C. ribadì che «la società attuale
ha per base economica il lavoro»[61], la legge fu approvata con un emendamento
che lasciava i religiosi nei conventi fino all'estinzione naturale delle loro
comunità. A seguito dell'approvazione della legge sui conventi, il 26 luglio
1855 papa Pio IX emanò la scomunica contro coloro che avevano proposto,
approvato e ratificato il provvedimento, C. e Vittorio Emanuele II
compresi. Il Congresso di Parigi e la
politica estera successiva Lo stesso
argomento in dettaglio: Congresso di Parigi.
Il Congresso di Parigi. Il primo delegato a sinistra è C.. L'ultimo a
destra è l'ambasciatore piemontese Villamarina.[62] L'uniforme che C. indossò al Congresso di
Parigi.[N 13] La guerra di Crimea, vittoriosa per gli alleati, ebbe fine nel
1856 con il Congresso di Parigi al quale partecipò anche l'Austria. C. non ottenne compensi territoriali per la
partecipazione al conflitto, ma una seduta fu dedicata espressamente a
discutere il problema italiano. In questa occasione, l'8 aprile, il ministro
degli Esteri britannico Clarendon attaccò pesantemente la politica illiberale
sia dello Stato Pontificio, sia del Regno delle due Sicilie, sollevando le
proteste del ministro austriaco Buol.
Ben più moderato, lo stesso giorno, fu il successivo intervento di C.,
incentrato sulla denuncia della permanenza delle truppe austriache nella
Romagna pontificia[63]. Fatto sta che
per la prima volta la questione italiana venne considerata a livello europeo
come una situazione che richiedeva modifiche a fronte di legittime rimostranze
della popolazione. Fra Gran Bretagna,
Francia e Piemonte i rapporti si confermarono ottimi. Tornato a Torino, per
l'esito ottenuto a Parigi, C., il 29 aprile 1856, ottenne la più alta
onorificenza concessa da Casa Savoia: il collare dell'Annunziata[64]. Quello
stesso congresso, tuttavia, avrebbe portato il Conte a prendere importanti
decisioni, tali da dover fare una scelta: con la Francia o con la Gran
Bretagna. Si aprì infatti, a seguito
delle decisioni di Parigi, la questione dei due Principati danubiani. La
Moldaviae la Valacchia secondo Gran Bretagna, Austria e Turchia avrebbero
dovuto rimanere divise e sotto il controllo ottomano. Per Francia, Prussia e
Russia, invece, si sarebbero dovute unire (nella futura Romania) e costituirsi
come Stato indipendente. Quest'ultimo particolare richiamò l'attenzione di C. e
il Regno di Sardegna, con l'ambasciatore Villamarina, si schierò per
l'unificazione[N 14][65]. La reazione
della Gran Bretagna contro la posizione assunta dal Piemonte fu molto aspra. Ma
C. aveva già deciso: fra il dinamismo della politica francese e il
conservatorismo di quella britannica, il Conte aveva scelto la Francia. D'altra parte l'Austria andava sempre più
isolandosi[65][N 15] e a consolidare il fenomeno contribuì un episodio che il
Conte seppe sfruttare. Il 10 febbraio 1857 il governo di Vienna accusò la
stampa piemontese di fomentare la rivolta contro l'Austria e il governo C. di
correità. Il conte respinse ogni accusa e il 22 marzo Buol richiamò il suo
ambasciatore, seguito il giorno dopo da un'analoga misura del Piemonte. Accadde
così che l'Austria elevò una questione di stampa a motivo della rottura delle
relazioni con il piccolo Regno di Sardegna, esponendosi ai giudizi negativi di
tutta la diplomazia europea, compresa quella inglese, mentre in Italia si
animavano maggiormente le simpatie per il Piemonte[66]. Il miglioramento dell'economia e il calo dei
consensi A partire dal 1855 si registrò un miglioramento delle condizioni
economiche del Piemonte, grazie al buon raccolto cerealicolo e alla riduzione
del deficit della bilancia commerciale. Incoraggiato da questi risultati, C.
rilanciò la politica ferroviaria dando il via, tra l'altro, nel 1857, ai lavori
del traforo del Fréjus[67]. Il 16 luglio
1857 venne dichiarata anticipatamente la chiusura della V Legislatura, in una
situazione che, nonostante il miglioramento dell'economia, si presentava
sfavorevole a C.. Si era diffuso, infatti, un malcontento generato
dall'accresciuto carico fiscale, dai sacrifici fatti per la guerra di Crimea e
dalla mobilitazione antigovernativa del mondo cattolico. Il risultato fu che
alle elezioni del 15 novembre 1857 il centro liberale di C. conquistò 90 seggi
(rispetto ai 130 della precedente legislatura), la destra 75 (rispetto ai 22) e
la sinistra 21 (rispetto ai 52). Il successo clericale superò le più
pessimistiche previsioni di area governativa. C. decise tuttavia di rimanere al
suo posto, mentre la stampa liberale si scagliava contro la destra denunciando
pressioni improprie del clerosugli elettori. Ci fu per questo una verifica
parlamentare e per alcuni seggi assegnati vennero ripetute le elezioni. La
tendenza si invertì: il centro liberale passò a 105 seggi e la destra a
60[68]. Lo scossone politico provocò
comunque il sacrificio di Rattazzi, in precedenza passato agli Interni. Costui,
soprattutto, era inviso alla Francia per non essere riuscito ad arrestare
Mazzini giudicato pericoloso per la vita di Napoleone III. Rattazzi il 13
gennaio 1858 si dimise e C. assunse l'interimdell'Interno[69]. I piani contro l'Austria e l'annessione della
Lombardia Lo stesso argomento in
dettaglio: Accordi di Plombières, Alleanza sardo-francese, Seconda guerra
d'indipendenza italiana e Armistizio di Villafranca. L'imperatore Napoleone III di Francia e C.
provocarono l'Austria riuscendo a far scoppiare la guerra del 1859.[70] La satira piemontese riconosceva nella
Francia un'antagonista del Piemonte nel controllo della penisola. In questa
vignetta che si rifà a I promessi sposi Don Abbondio è C., Renzo è il Piemonte,
Lucia è l'Italia e Don Rodrigo è Napoleone III.[71] Suscitata l'attenzione
sull'Italia con il Congresso di Parigi, per sfruttarla a fini politici si
rivelò necessario l'appoggio della Francia di Napoleone III. Costui,
conservatore in politica interna, era sostenitore di una politica estera di
grandezza. Dopo una lunga serie di
trattative, funestate dall'attentato di Felice Orsini allo stesso imperatore
dei francesi, si arrivò, nel luglio 1858, agli accordi segreti di Plombières
fra C. e Napoleone III. Tale intesa
verbale prevedeva che, dopo una guerra che si auspicava vittoriosa contro
l'Austria, la penisola italiana sarebbe stata divisa in quattro stati
principali legati in una confederazione presieduta dal papa: il Regno dell'Alta
Italia sotto la guida di Vittorio Emanuele II; il Regno dell'Italia centrale;
lo Stato Pontificio limitato a Roma e al territorio circostante; e il Regno
delle Due Sicilie. Firenze e Napoli, avvenimenti locali permettendo, sarebbero
passate nella sfera d'influenza francese[72].
Gli accordi di Plombières furono ratificati l'anno successivo
dall'alleanza sardo-francese, secondo la quale in caso di attacco militare
provocato da Vienna, la Francia sarebbe intervenuta in difesa del Regno di
Sardegna con il compito di liberare dal dominio austriaco il Lombardo-Veneto e
cederlo al Piemonte. In compenso la Francia avrebbe ricevuto i territori di
Nizza e della Savoia, quest'ultima origine della dinastia sabauda e, come tale,
cara a Vittorio Emanuele II. Dopo la
firma dell'alleanza, C. escogitò una serie di provocazioni militari al confine
con l'Austria che, allarmata, gli lanciò un ultimatum chiedendogli di
smobilitare l'esercito. Il Conte rifiutò e l'Austria aprì le ostilità contro il
Piemonte il 26 aprile 1859, facendo scattare le condizioni dell'alleanza
sardo-francese. Era la seconda guerra di indipendenza. Ma i movimenti minacciosi dell'esercito
prussianoconvinsero Napoleone III, quasi con un atto unilaterale, a firmare un
armistizio con l'Austria a Villafranca l'11 luglio 1859, poi ratificato dalla
Pace di Zurigo, stipulata l'11 novembre. Le clausole del trattato prevedevano
che a Vittorio Emanuele II sarebbe andata la sola Lombardia e che per il resto
tutto sarebbe tornato come prima. C.,
deluso e amareggiato dalle condizioni dell'armistizio, dopo accese discussioni
con Napoleone III e Vittorio Emanuele, decise di dare le dimissioni da
presidente del Consiglio, provocando la caduta del governo da lui guidato il 12
luglio 1859[73]. Il terzo governo C.
(1860-1861) Lo stesso argomento in
dettaglio: Governo C. III. Nizza e Savoia per Modena, Parma, Romagna e
Toscana Alfonso La Marmora non riuscì a
risolvere la situazione di stallo internazionale del 1860 e il Re fu costretto
a richiamare C.. Già durante la guerra i governi e le forze armate dei piccoli
Stati italiani dell'Italia centro-settentrionale e della Romagna pontificia
abbandonarono i loro posti e dovunque si installarono autorità provvisorie
filo-sabaude. Dopo la Pace di Zurigo, tuttavia, si giunse ad una fase di
stallo, poiché i governi provvisori si rifiutavano di restituire il potere ai
vecchi regnanti (così come previsto dal trattato di pace) e il governo di La
Marmora non aveva il coraggio di proclamare le annessioni dei territori al
Regno di Sardegna. Il 22 dicembre 1859 Vittorio Emanuele II si rassegnò, così,
a richiamare C. che nel frattempo aveva ispirato la creazione del partito di
Unione Liberale. Il Conte, rientrato
alla presidenza del Consiglio dei Ministri il 21 gennaio 1860, si trovò in
breve di fronte ad una proposta francese di soluzione della questione dei
territori liberati: annessione al Piemonte dei ducati di Parma e Modena,
controllo sabaudo della Romagna pontificia, regno separato in Toscana sotto la
guida di un esponente di Casa Savoia e cessione di Nizza e Savoia alla Francia.
In caso di rifiuto della proposta il Piemonte avrebbe dovuto affrontare da solo
la situazione di fronte all'Austria, "a suo rischio e
pericolo"[74]. Rispetto agli
accordi dell'alleanza sardo-francesequesta proposta di soluzione sostituiva per
il Piemonte l'annessione del Veneto che non si era potuto liberare
dall'occupazione austriaca. Stabilita, di fatto, l'annessione di Parma, Modena
e Romagna, C., forte dell'appoggio della Gran Bretagna, sfidò la Francia sulla
Toscana, organizzando delle votazioni locali sull'alternativa fra l'unione al
Piemonte e la formazione di un nuovo Stato. Il plebiscito si tenne l'11 e il 12
marzo 1860, con risultati che legittimarono l'annessione della Toscana al Regno
di Sardegna[75]. Il governo francese
reagì con grande irritazione sollecitando la cessione della Savoia e di Nizza
che avvenne con la firma del Trattato di Torino il 24 marzo 1860. In cambio di
queste due province il Regno di Sardegna acquisì, oltre alla Lombardia, anche
l'attuale Emilia-Romagna e la Toscana trasformandosi in una nazione assai più
omogenea. Di fronte all'Impresa dei
Mille C. diffidò dell'Impresa dei Mille
che considerava foriera di rivoluzione e dannosa per i rapporti con la
Francia.[76] C. era al corrente che la Sinistra non aveva abbandonato l'idea di
una spedizione in Italia meridionale e che Garibaldi, circondato da personaggi
repubblicani e rivoluzionari, era in contatto a tale scopo con Vittorio
Emanuele II. Il Conte considerava rischiosa l'iniziativa alla quale si sarebbe
decisamente opposto, ma il suo prestigio era stato scosso dalla cessione di
Nizza e Savoia e non si sentiva abbastanza forte[77]. C. riuscì, comunque, attraverso Giuseppe La
Farina a seguire le fasi preparatorie dell'Impresa dei Mille, la cui partenza
da Quarto fu meticolosamente sorvegliata dalle autorità piemontesi. Ad alcune
voci sulle intenzioni di Garibaldi di sbarcare nello Stato Pontificio, il
Conte, preoccupatissimo per la eventuale reazione della Francia, alleata del
Papa, dispose il 10 maggio 1860 l'invio di una nave nelle acque della Toscana
"per arrestarvi Garibaldi"[78].
Il generale invece puntò a Sud e dopo il suo sbarco a Marsala (11 maggio
1860) C. lo fece raggiungere e controllare (per quanto possibile) da La Farina.
In campo internazionale, intanto, alcune potenze straniere, intuendo la
complicità di Vittorio Emanuele II nell'impresa, protestarono con il governo di
Torino che poté affrontare con una certa tranquillità la situazione data la
grave crisi finanziaria dell'Austria, in cui era anche ripresa la rivoluzione
ungherese[79]. Napoleone III, d'altra
parte, si attivò subito nel ruolo di mediatore e, per la pace fra garibaldini
ed esercito napoletano, propose a C. l'autonomia della Sicilia, la
promulgazione della costituzione a Napoli e a Palermo e l'alleanza fra Regno di
Sardegna e Regno delle due Sicilie. Immediatamente il regime borbonico si
adeguò alla proposta francese instaurando un governo liberale e proclamando la
costituzione. Tale situazione mise in grave difficoltà C. per il quale
l'alleanza era irrealizzabile. Nello stesso tempo non poteva scontentare
Francia e Gran Bretagna che premevano almeno per una tregua. Il governo piemontese decise allora che il Re
avrebbe inviato un messaggio a Garibaldi con il quale gli si intimava di non
attraversare lo stretto di Messina. Il 22 luglio 1860 Vittorio Emanuele II
inviò sì la lettera voluta da C., ma la fece seguire da un messaggio personale
nel quale smentiva la lettera ufficiale[80].
Garibaldi a Napoli L'arrivo di
Giuseppe Garibaldi a Napoli (7 settembre 1860). Evento che C. tentò di
prevenire organizzando una sommossa filo piemontese che fallì. Il 6 agosto 1860
il conte di C. informò i delegati del Regno delle due Sicilie del rifiuto di
Garibaldi di concedere la tregua dichiarando esauriti i mezzi di conciliazione
e rinviando ad un futuro incerto i negoziati per l'alleanza. Negli stessi giorni il Conte, nel timore di
far precipitare i rapporti con la Francia, sventò una spedizione militare di
Mazzini che dalla Toscana doveva muovere contro lo Stato Pontificio. A seguito
di questi avvenimenti, C. si preparò a fare tutti i suoi sforzi per impedire
che il movimento per l'unità d'Italia diventasse rivoluzionario. In questa
ottica cercò, nonostante il parere sfavorevole del suo ambasciatore a Napoli
Villamarina, di prevenire Garibaldi nella capitale borbonica organizzando una
spedizione clandestina di armi per una rivolta filopiemontese che non si poté
realizzare. Garibaldi entrò trionfalmente a Napoli il 7 settembre 1860 fugando,
per l'amicizia che serbava a Vittorio Emanuele II, i timori di C.[81]. L'invasione piemontese di Marche e
Umbria L'Italia alla morte di C., nel
1861. Fallito il progetto di un successo dei moderati a Napoli, il Conte per
ridare a Casa Savoia una parte attiva nel movimento nazionale, decise
l'invasione delle Marche e dell'Umbria pontificie. Ciò avrebbe allontanato il
pericolo di un'avanzata di Garibaldi su Roma. Bisognava però preparare
Napoleone III agli avvenimenti e convincerlo che l'invasione piemontese dello
Stato Pontificio sarebbe stato il male minore. Per la delicata missione
diplomatica il Conte scelse Farini e Cialdini. L'incontro fra costoro e
l'imperatore francese avvenne a Chambéry il 28 agosto 1860, ma su ciò che in
quel colloquio si disse resta molta incertezza e sul consenso francese,
riportato dalla tesi italiana, è possibile che si sia determinato un equivoco.
In buona sostanza Napoleone III tollerò l'invasione piemontese delle Marche e
dell'Umbria cercando di rovesciare sul governo di Torino l'impopolarità di
un'azione controrivoluzionaria. E appunto questo era ciò che C. voleva evitare.
Le truppe piemontesi non si dovevano scontrare con Garibaldi in marcia su Roma,
ma prevenirlo e fermarlo con un intervento giustificabile in nome della causa
nazionale italiana. Anche il timore di un attacco austriaco al Piemonte, tuttavia,
fece precipitare gli eventi e C. intimò allo Stato pontificio di licenziare i
militari stranieri con un ultimatum a cui seguì l'11 settembre, prima ancora
che giungesse la risposta negativa del cardinale Antonelli, la violazione dei
confini dello Stato della Chiesa. La Francia ufficialmente reagì in difesa del
Papa, e anche lo zar Alessandro II ritirò il suo rappresentante a Torino, ma
non ci furono effetti pratici[82].
Intanto la crisi con Garibaldi si era improvvisamente aggravata, poiché
quest'ultimo aveva proclamato il 10 che avrebbe consegnato al Re i territori da
lui conquistati solo dopo aver occupato Roma. L'annuncio aveva anche ottenuto
il plauso di Mazzini. Ma il successo piemontese nella battaglia di
Castelfidardo contro i pontifici del 18 e il conferimento al governo di un prestito
di 150 milioni per le spese militari, ridiedero forza e fiducia a C., mentre
Garibaldi, pur vittorioso nella battaglia del Volturno, esauriva la sua spinta
verso Roma[83]. L'annessione del Sud,
delle Marche e dell'Umbria A questo punto, il "prodittatore" Giorgio
Pallavicino Trivulzio, venendo incontro ai desideri del Conte, indisse a Napoli
il plebiscito per l'annessione immediata al Regno sabaudo, seguito da una
stessa iniziativa del suo omologo Antonio Mordini a Palermo. Le votazioni si
tennero il 21 ottobre 1860, sancendo l'unione del Regno delle due Sicilie a
quello di Sardegna. All'inizio dello
stesso mese di ottobre C. si era così espresso: «Non sarà l'ultimo titolo di gloria per
l'Italia d'aver saputo costituirsi a nazione senza sacrificare la libertà
all'indipendenza, senza passare per le mani dittatoriali d'un Cromwell, ma svincolandosi
dall'assolutismo monarchico senza cadere nel dispotismo rivoluzionario […].
Ritornare […] alle dittature rivoluzionarie d'uno o più, sarebbe uccidere sul
nascere la libertà legale che vogliamo inseparabile dalla indipendenza della
nazione» (C., 2 ottobre 1860.Romeo, p.
489) Il 4 e il 5 novembre 1860 anche in
Umbria e nelle Marche si votava e si decideva per l'unione allo Stato
sabaudo. I rapporti fra Stato e Chiesa Fermati
i disegni di Garibaldi su Roma, a C. restava ora il problema di decidere su
cosa fare di ciò che rimaneva dello Stato Pontificio (approssimativamente il
Lazio attuale), tenendo conto che un attacco a Roma sarebbe stato fatale per le
relazioni con la Francia. Il progetto
del Conte, avviato dal novembre 1860 e perseguito fino alla sua morte, fu
quello di proporre al Papa la rinuncia al potere temporale in cambio della
rinuncia da parte dello Stato al corrispettivo, ovvero il giurisdizionalismo.
Si sarebbe perciò adottato il principio di "Libera Chiesa in libero
Stato"[84][85], celebre motto pronunciato nel discorso del 27 marzo 1861
sebbene già coniato in precedenza da Charles de Montalembert[86], ma le
trattative naufragarono sulla fondamentale intransigenza di Pio IX. Il governo C. del Regno d'Italia (1861) Lo stesso argomento in dettaglio: Governo C.
IV. C. nel 1861 Giuseppe Garibaldi ebbe uno scontro nel 1861
con C. per la decisione di quest'ultimo di sciogliere l'Esercito meridionale
Dal 27 gennaio al 3 febbraio 1861 si tennero le elezioni per il primo
Parlamento italiano unitario. Oltre 300 dei 443 seggi della nuova Camera
andarono alla maggioranza governativa. L'opposizione ne conquistò un centinaio,
ma fra loro non comparivano rappresentanti della Destra, poiché i clericali
avevano aderito all'invito di non eleggere e di non farsi eleggere in un
Parlamento che aveva leso i diritti del pontefice[87]. Il 18 febbraio venne inaugurata la nuova
sessione, nella quale sedettero per la prima volta rappresentanti piemontesi,
lombardi, siciliani, toscani, emiliani, romagnoli e napoletani insieme. Il 17
marzo il Parlamento proclamò il Regno d'Italia e Vittorio Emanuele II suo
re. Il 22 marzo C. veniva confermato
alla guida del governo, dopo che il Re aveva dovuto rinunciare a Ricasoli. Il
Conte, che tenne per sé anche gli Esteri e la Marina, il 25 affermò in
parlamento che Roma sarebbe dovuta diventare capitale d'Italia. Lo scontro con Garibaldi L'episodio più
tumultuoso della vita politica di C., se si esclude l'incidente con Vittorio
Emanuele II dopo l'armistizio di Villafranca, fu il suo scontro con Garibaldi
dell'aprile 1861. Oggetto del
contendere: l'esercito di volontari garibaldini del Sud, del quale C. volle
evitare il trasferimento al nord nel timore che venisse influenzato dai
radicali. Il 16 gennaio 1861 fu quindi decretato lo scioglimento dell'Esercito
meridionale. Su questa decisione, che provocò le vibrate proteste del
comandante del Corpo Giuseppe Sirtori, C. fu irremovibile[88]. In difesa del suo esercito, il 18 aprile 1861
Garibaldi pronunciò un memorabile discorso alla Camera, accusando «la fredda e
nemica mano di questo Ministero [C.]» di aver voluto provocare una «guerra
fratricida». Il Conte reagì con violenza, chiedendo, invano, al presidente
della Camera Rattazzi di richiamare all'ordine il generale. La seduta fu
sospesa e Nino Bixio tentò nei giorni successivi una riconciliazione, che non
si compì mai del tutto[88]. Gli ultimi
giorni I funerali di C. a Torino Santena: tomba del conte di C. Il 29 maggio
1861 C. ebbe un malore, attribuito dal suo medico curante a una delle crisi
malariche che lo colpivano periodicamente da quando - in gioventù - aveva
contratto la malaria nelle risaie di famiglia del vercellese. In questa
occasione tutte le cure praticate non ebbero effetto, tanto che il 5 giugno
venne fatto chiamare un sacerdote francescano suo amico, padre Giacomo da
Poirino[89], al secolo Luigi Marocco (1808-1885)[90], parroco di Santa Maria
degli Angeli, chiesa nella quale si sarebbero poi svolte le esequie[91][92].
Costui, come gli aveva promesso già da cinque anni, lo confessò e gli
somministrò l'estrema unzione, ignorando sia la scomunica, che il conte aveva
subito nel 1855, sia il fatto che C. non aveva ritrattato le sue scelte
anticlericali[89]. Per questo motivo padre Giacomo, dopo aver riferito i fatti
alle autorità religiose, fu richiamato a Roma, gli fu tolta la parrocchia e gli
fu interdetto l'esercizio del ministero della confessione, al quale venne però
riammesso nel 1881 da papa Leone XIII[93]. La nipote Giuseppina Alfieri di
Sostegno ha tramandato che, sul letto di morte, alla vista del confessore, C.
abbia pronunciato le parole: «Frate, frate, libera chiesa in libero
Stato!»[94][95] Subito dopo il colloquio
con padre Giacomo, C. chiese di parlare con Luigi Carlo Farini, al quale, come
rivela la nipote Giuseppina, confidò a futura memoria: «Mi ha confessato ed ho
ricevuto l'assoluzione, più tardi mi comunicherò. Voglio che si sappia; voglio
che il buon popolo di Torino sappia che io muoio da buon cristiano. Sono
tranquillo e non ho mai fatto male a nessuno»[96]. Nel 2011 è stata ritrovata una missiva di
padre Giacomo a Pio IX, nella quale il frate racconta che C. aveva dichiarato
che «intendeva di morire da vero e sincero cattolico». Per cui il confessore,
«incalzato dalla gravità del male che a gran passi il portava a morte», la
mattina del 5 giugno concesse il sacramento. Scrisse anche che «nel corso della
sua gravissima malattia», C. «era ad intervalli soggetto ad alienazione di
mente». Il frate chiude quindi la lettera di scuse ribadendo di «aver fatto,
quanto era in sé, il suo officio»[97].
Verso le nove giunse al suo capezzale il Re. Nonostante la febbre, il
Conte riconobbe Vittorio Emanuele, ma tuttavia non riuscì ad articolare un
discorso molto coerente: «Oh sire! Io ho molte cose da comunicare a Vostra
Maestà, molte carte da mostrarle: ma son troppo ammalato; mi sarà impossibile
di recarmi a visitare la Vostra Maestà; ma io le manderò Farini domani, che le
parlerà di tutto in particolare. Vostra Maestà ha ella ricevuta da Parigi la
lettera che aspettava? L'Imperatore è molto buono per noi ora, sì, molto buono.
E i nostri poveri Napoletani così intelligenti! Ve ne sono che hanno molto
ingegno, ma ve ne sono altresì che sono molto corrotti. Questi bisogna lavarli.
Sire, sì, sì, si lavi, si lavi! Niente stato d'assedio, nessun mezzo di governo
assoluto. Tutti sono buoni a governare con lo stato d'assedio [...] Garibaldi è
un galantuomo, io non gli voglio alcun male. Egli vuole andare a Roma e a
Venezia, e anch'io: nessuno ne ha più fretta di noi. Quanto all'Istria e al
Tirolo è un'altra cosa. Sarà il lavoro di un'altra generazione. Noi abbiamo
fatto abbastanza noialtri: abbiamo fatto l'Italia, sì l'Italia, e la cosa
va...»[98][99] Secondo l'amico
Michelangelo Castelli, le ultime parole del Conte furono: «L'Italia è fatta -
tutto è salvo», così come le intese al capezzale Luigi Carlo Farini. Il 6
giugno 1861, a meno di tre mesi dalla proclamazione del Regno d'Italia, C.
moriva così a Torino nel palazzo di famiglia. La sua fine suscitò immenso
cordoglio, anche perché del tutto inattesa, e ai funerali vi fu straordinaria
partecipazione[100]. A C. succedette
come presidente del Consiglio Bettino Ricasoli.
In memoria di C. La moneta da 2
euro commemorativa emessa in occasione del 200º anniversario della nascita Banconota uruguayana del 1887 raffigurante C.
e Garibaldi C. nell'agiografia postunitaria dall'anno della sua morte fu
ritenuto il "Padre della Patria" da un illustre personaggio come
Giuseppe Verdi, che lo definì "il vero padre della patria"[101] e dal
politico liberale, senatore del Regno, Nicomede Bianchi, che lo definì "il
buono e generoso padre della patria nascente"[102]. Il Conte è stato ricordato in vari modi. Due
città italiane hanno aggiunto il suo nome a quello originario: Grinzane C., di
cui Camillo Benso fu sindaco, e Sogliano C. per celebrare l'unità nazionale.
Gli sono state dedicate innumerevoli vie e piazze e numerose statue. Diverse le targhe ricordo, anche al di fuori
dei confini italiani, come ad esempio quella posta a San Bernardino (frazione
di Mesocco, nel Cantone dei Grigioni), che ricorda il passaggio dello statista
il 27 luglio 1858, dopo gli accordi di Plombières con Napoleone III. Nel 2010, in occasione del 200º anniversario
della sua nascita, è stata coniata dalla zecca italiana una moneta da 2 euro
commemorativa che lo raffigura. La tomba
di C. si trova a Santena e consiste in un semplice loculo posto nella cripta
sotto la cappella di famiglia nella chiesa dei SS. Pietro e Paolo; l'accesso
avviene tuttavia dall'esterno della chiesa (piazza Visconti Venosta, su cui si
affaccia anche la facciata secondaria della Villa C.). Lo statista è sepolto
per sua espressa volontà accanto all'amato nipote Augusto Benso di C., figlio
di suo fratello Gustavo e morto a 20 anni nella battaglia di Goito. La cripta è
stata dichiarata monumento nazionale nel 1911.
La nave da battaglia Conte di C. e la portaerei C. (C 550) sono state
così chiamate in suo onore. A C. furono
dedicate delle caramelle di liquirizia aromatizzate alla violetta: le
cosiddette sénateurs. Lo storico Caffè
Confetteria Al Bicerin dal 1763ricorda C. come suo cliente fidato (uno dei
tavolini al suo interno viene segnalato come abituale del conte). Ancona Ancona Firenze Firenze Livorno Livorno
Milano Milano Novara Novara Roma Roma Torino Torino Vercelli Vercelli Verona
Verona Padova Padova Controversie Il conflitto con Mazzini Giuseppe Mazzini, di cui C. combatteva le
idee repubblicane. Giuseppe Mazzini, che dopo la sua attività cospirativa degli
anni 1827-1830 fu esiliato dal governo piemontese a Ginevra, fu uno strenuo
oppositore della guerra di Crimea, che costò un'ingente perdita di soldati.
Egli rivolse un appello ai militari in partenza per il conflitto: «Quindicimila tra voi stanno per essere
deportati in Crimea. Non uno forse tra voi rivedrà la propria famiglia. Voi non
avrete onore di battaglie. Morrete, senza gloria, senza aureola, di splendidi fatti
da tramandarsi per voi, conforto ultimo ai vostri cari. Morrete per colpa di
governi e capi stranieri. Per servire un falso disegno straniero, l'ossa vostre
biancheggeranno calpestate dal cavallo del cosacco, su terre lontane, né alcuno
dei vostri potrà raccoglierle e piangervi sopra. Per questo io vi chiamo, col
dolore dell'anima, "deportati".»
(Giuseppe Mazzini[103]) Quando
nel 1858, Napoleone III scampò all'attentato teso da Felice Orsini e Giovanni
Andrea Pieri, il governo di Torino incolpò Mazzini (C. lo avrebbe definito «il
capo di un'orda di fanatici assassini»[104] oltreché «un nemico pericoloso
quanto l'Austria»[105]), poiché i due attentatori avevano militato nel suo
Partito d'Azione. Secondo Denis Mack Smith,
C. aveva in passato finanziato i due rivoluzionari a causa della loro rottura
con Mazzini e, dopo l'attentato a Napoleone III e la conseguente condanna dei
due, alla vedova di Orsini fu assicurata una pensione[106]. C. al riguardo fece
anche pressioni politiche sulla magistratura per far giudicare e condannare la
stampa radicale[107]. Egli, inoltre,
favorì l'agenzia Stefani con fondi segreti sebbene lo Statuto vietasse
privilegi e monopoli ai privati[108]. Così l'agenzia Stefani, forte delle
solide relazioni con C. divenne, secondo il saggista Gigi Di Fiore, un
fondamentale strumento governativo per il controllo mediatico nel Regno di
Sardegna[109]. Mazzini, intanto, oltre
ad aver condannato il gesto di Orsini e Pieri, espose un attacco nei confronti
del primo ministro, pubblicato sul giornale L'Italia del Popolo: «Voi avete inaugurato in Piemonte un fatale
dualismo, avete corrotto la nostra gioventù, sostituendo una politica di
menzogne e di artifici alla serena politica di colui che desidera risorgere.
Tra voi e noi, signore, un abisso ci separa. Noi rappresentiamo l'Italia, voi
la vecchia sospettosa ambizione monarchica. Noi desideriamo soprattutto l'unità
nazionale, voi l'ingrandimento territoriale»
(Giuseppe Mazzini[110])
Risorgimento Il ruolo di C. durante il Risorgimento ha suscitato varie
dispute. Sebbene sia considerato uno dei padri della patria assieme a
Garibaldi, Vittorio Emanuele II e Mazzini, il Conte inizialmente non riteneva
fosse possibile unire tutta l'Italia soprattutto per l'ostacolo rappresentato
dallo Stato Pontificio e dunque puntava solamente ad allargare i confini del
regno dei Savoia nel nord Italia (lo stesso Mazzini lo accusava di non
promuovere una politica chiaramente volta all'unificazione di tutta la
penisola)[110]. Nella cultura di massa
Nelo Risi, Patria mia. Camillo Benso di C., Rai, 1961, documentario
(successivamente trasmesso da Rai Storia il 10 agosto 2010). Piero Schivazappa,
Vita di C., sceneggiato su sceneggiatura di Giorgio Prosperi (1967). Maricla
Boggio, C., l'amore e l'Opera Incompiuta, (2011, testo teatrale). Onorificenze
Camillo Benso di C. Camillo Paolo
Filippo Giulio Benso, conte di C., di Cellarengo e di Isolabella Conte di
Cellarengo e di Isolabella Conte dei marchesi di C. Stemma Nome completo
Camillo Paolo Filippo Giulio Nascita Torino, 10 agosto 1810 Morte Torino, 6
giugno 1861 Luogo di sepoltura Castello C. di Santena Dinastia Benso Padre
Michele Benso di C. Madre Adele di Sellon d'Allaman Religione Cattolicesimo C.
ottenne numerose onorificenze, anche straniere. Si riportano quelle di cui si è
a conoscenza da fonti attendibili[111]:
Cavaliere dell'Ordine supremo della Santissima Annunziata - nastrino per
uniforme ordinaria Cavaliere dell'Ordine supremo della Santissima Annunziata —
29 aprile 1856 Cavaliere di gran croce dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro
- nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di gran croce dell'Ordine dei Santi
Maurizio e Lazzaro — 26 marzo 1853 Cavaliere dell'Ordine civile di Savoia - nastrino
per uniforme ordinaria Cavaliere dell'Ordine civile di Savoia Cavaliere
dell'Ordine imperiale di Sant'Alessandr Nevskij (Russia) - nastrino per
uniforme ordinaria Cavaliere dell'Ordine imperiale di Sant'Alessandr Nevskij
(Russia) Cavaliere di gran croce dell'Ordine della Legion d'onore (Francia) -
nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di gran croce dell'Ordine della
Legion d'onore (Francia) Cavaliere dell'Ordine di Carlo III (Spagna) - nastrino
per uniforme ordinaria Cavaliere dell'Ordine di Carlo III (Spagna) Cavaliere di
gran croce dell'Ordine di Leopoldo (Belgio) - nastrino per uniforme ordinaria
Cavaliere di gran croce dell'Ordine di Leopoldo (Belgio) Cavaliere di gran
croce dell'Ordine del Salvatore (Grecia) - nastrino per uniforme ordinaria
Cavaliere di gran croce dell'Ordine del Salvatore (Grecia) Cavaliere di I
classe dell'Ordine di Medjidié (Impero Ottomano) - nastrino per uniforme
ordinaria Cavaliere di I classe dell'Ordine di Medjidié (Impero Ottomano)
Cavaliere di gran croce dell'Ordine Reale Guelfo (Gran Bretagna e Hannover) -
nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di gran croce dell'Ordine Reale
Guelfo (Gran Bretagna e Hannover) Cavaliere di grande stella dell'Ordine del
leone e del sole (Persia) - nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di grande
stella dell'Ordine del leone e del sole (Persia) Tavola genealogica di
sintesi Lo stesso argomento in
dettaglio: Benso_(famiglia) § Armoriale.
Bernardino *?
†? Pompilio[112]
*? †1624 Silvio
*? †1624 Michelantonio *1600
†1655 Bernardino
*? †? Zenobia *? †? Maurizio Pompilio Conte di Cellarengo e
Isolabella 1635 †? Paolo
Giacinto Signore di C. *1637†1712 Ludovico
Percivalle *1647 †1685 Giuseppe
Filippo Signore di C. *1648 †1719 Carlo
Ottavio *? †1724 Michele Antonio III Marchese di C. *1707
†1774 Giuseppe Filippo IV Marchese di C. *1741
†1807 Michele V Marchese di C. *1781 †1850 Gustavo
VI Marchese di C. *1806 †1864 Camillo
Paolo Conte di C. *1810†1861 Augusto
*1828 †1848 Giuseppina *1831 †1888 ⚭ Carlo Alfieri di Sostegno *1827
†1897 Ainardo VII Marchese di C.
*1833†1875 Maria Luisa *1852 †1920 ⚭ Emilio Visconti Venosta *1829 †1914 Adele *1857 †1937 Paola *1877†1886 Carlo *1879†1942 Francesco
*1880 †1898 Enrico
*1883 †1945 Giovanni *1887†1947 Note
Esplicative ^ Il titolo di conte attribuito al C. era un titolo di cortesia,
all'uso francese. Questo sistema concedeva al primogenito il titolo
immediatamente inferiore a quello del titolare capofamiglia, al secondogenito
quello ancora inferiore e così via a scalare. In questo caso, quando morì il
padre di Camillo (il marchese Michele) al suo primo figlio (Gustavo) andò il
titolo di marchese e al suo secondogenito (Camillo) quello di conte. Alla morte
del fratello Gustavo, Camillo avrebbe ereditato il titolo di marchese. Morì
invece prima di Gustavo. Forum "I Nostri Avi", su iagiforum.info. URL
consultato il 28 maggio 2013. ^ Al termine del suo tirocinio militare presentò
una memoria dal titolo Esposizione compita dell'origine, teoria, pratica, ed
effetti del tiro di rimbalzo tanto su terra che sull'acqua. Cfr. Dalle Regie
scuole teoriche e pratiche di Artiglieria e Fortificazione alla Scola
d'applicazione di Artiglieria e Genio, Scuola di applicazione delle armi di
Artiglieria e Genio, Torino, 1939. ^ "Dal momento in cui mi trovai in
condizione di poter leggere da me stesso i libri di Rousseau, ho sentito per
lui la più viva ammirazione. È a mio giudizio l'uomo che più ha cercato di
rialzare la dignità umana, spesso avvilita nella società dei secoli trascorsi.
La sua voce eloquente ha più di ogni altra contribuito a fissarmi nel partito
del progresso e della emancipazione sociale. L'Emilesoprattutto mi è sempre
piaciuto per la giustezza delle idee e la forza della logica. (Citato in Italo
de Feo, C.: l'uomo e l'opera, A. Mondadori, 1969, pp. 49-50) ^ I De La Rüe
erano originari di Lessines ma appartenevano ad un'antica famiglia nobile di
Ginevra dove occupavano una posizione eminente nell'aristocrazia locale già nel
XVI e XVII secolo. Fra il XVIII e il XIX secolo due membri della famiglia,
Antoine e Jean, si trasferirono a Genova. Ad essi si deve la fondazione della
banca De La Rüe frères. C., arrivato a Genova nel 1830, strinse amicizia con i
figli di Jean: David-Julien, Hippolyte ed Émile. Quest'ultimo dopo il 1850 fu
l'unico a dirigere la banca (divenuta la De La Rüe C.) e fu il riferimento
dell'imprenditore C.. Cfr. Romeo, p. 26. ^ C. in un articolo scrisse: «L'ora
suprema per la monarchia sarda è suonata, l'ora delle forti deliberazioni,
l'ora dalla quale dipendono i fati degli imperii, le sorti dei popoli» ^ La
guerra colpì C. anche personalmente, poiché nella Battaglia di Goito il figlio
del fratello Gustavo, il marchese Augusto di C., rimase ucciso a soli 21 anni.
Il colpo fu molto duro per il Conte, che per il nipote nutriva un affetto
paterno. Prova ne fu che conservò la sua divisa insanguinata per tutta la vita.
Cfr. Hearder, C., Bari, 2000, pag. 67. ^ Furono accordati a Parigi riduzioni
sui dazi per l'importazione in Piemonte di vini e articoli di moda; ottenendo
in cambio il mantenimento dei vantaggi per l'esportazione in Francia del
bestiame sardo, del riso e della frutta fresca. ^ Le trattative, iniziate già
prima dell’avvento di C. al governo, furono difficili per i negoziatori
piemontesi. Posti nell’alternativa tra l’accettazione di un trattato per vari
rispetti poco favorevole e il ritorno al regime precedente a quello convenuto
nel 1843, essi ammisero restrizioni alla reciprocità nei diritti di navigazione
allora stabilita (e che ora veniva limitata alla navigazione diretta tra i
porti dei due Stati), a Parigi accordarono riduzioni sui dazi che colpivano
l’importazione francese di vini e acquaviti, porcellane e articoli di moda ottenendo
in cambio il mantenimento del regime di favore per l’ingresso nel territorio
francese del bestiame sardo (a eccezione della frontiera savoiarda, donde si
temeva l’afflusso in Francia di bestiame svizzero), e riduzioni sul riso e la
frutta fresca. Non riuscirono però a strappare alcuna concessione sull’olio
d'oliva, di grande importanza soprattutto per le regioni produttrici ed
esportatrici della Riviera di Ponente; e dovettero in pari tempo accettare una
convenzione sulla proprietà letteraria che era nettamente favorevole a un paese
esportatore di idee e di libri come la Francia. Rosario Romeo, C. e il suo
tempo 1842-1854, p. 206-207. ^ Le industrie esportatrici come la seta non
ponevano alcun problema di protezione, mentre quelle della lana, della canapa e
del lino sembravano abbastanza sviluppate da resistere anche con una protezione
considerevolmente ridotta. Invece, si prevedevano reclami contro le riduzioni
daziarie da parte della industria del cotone, la meno naturale di tutte in
quanto dipendente tutta da materie prime provenienti dall'estero e si escludeva
ogni competitività per la siderurgia, possibile in Piemonte solo con una
protezione elevatissima. Per le lavorazioni meccaniche si prevedeva un dazio
medio del 25%, giudicando inesistete qualunque settore non riuscisse a
sopravvivere alla concorrenza con una tale protezione. Eliminati presso che
interamente i dazi alla esportazione – anche in casi come quello degli stracci
che l’industria della carta, sviluppata specialmente in Liguria, utilizzava
come materia prima – il governo assunse un atteggiamento nettamente contrario
alla protezione anche in fatto di industria zuccheriera, rifiutando di cedere
alle insistenti richieste degli interessati per una riduzione ulteriore del
dazio sugli zuccheri non raffinati, in vista di uno sviluppo della industria
nazionale della raffinazione, che neppure il regime eccezionale di favore
stabilito dopo il 1830 era riuscito ad attivare. In agricoltura ci si orientò
verso il mantenimento della moderata protezione esistente sui cereali, godendo
già di un vantaggio da valutarsi a non meno del 10% sovra le spese di
trasporto, anticipazioni di fondi ecc. in confronto alle importazioni
dall’estero. Rosario Romeo, C. e il suo tempo 1842-1854, p. 207. ^ In cambio di
estese facilitazioni a vantaggio dei prodotti agricoli, dei sali e dei marmi
piemontesi, si concessero al Belgio importanti agevolazioni (parallelamente
concesse all’Inghilterra) per le sue manifatture, esplicitamente rinunciando
alla protezione degli zuccherifici e della siderurgia (soprattutto ligure, che
per C. non aveva avvenire), e manifestando invece la fiducia che le industrie
tessili, compresa quella del cotone, ricavassero nuovi impulsi al loro sviluppo
e ammodernamento dalla più attiva concorrenza belga. Rosario Romeo, C. e il suo
tempo 1842-1854, p. 208. Il conte aveva previsto che, dopo i trattati con il
Belgio e con l’Inghilterra, la Francia avrebbe chiesto il trattamento della
nazione più favorita e per correndo il rischio di nuove concessioni senza
corrispettivo alla potente vicina doveva valere il carattere oneroso, sia pure
apparente, ch’egli aveva voluto dare alle concessioni fatte alla Gran Bretagna.
Ma nei nuovi negoziati, richiesti da parte francese, la Sardegna riuscì solo a
ottenere qualche concessione sulle esportazioni di bestiame minuto e di frutta
e dovette anche concedere nuove agevolazioni sulle sete e sui libri. Rosario
Romeo, C. e il suo tempo 1842-1854, p. 209. ^ Secondo Chiala, quando La Marmora
propose a Vittorio Emanuele la nomina di C. a Presidente del Consiglio, il Re
avrebbe risposto in piemontese: «Ca guarda, General, che côl lì a j butarà
tutii con't le congie a'nt l'aria» ("Guardi Generale, che quello lì
butterà tutti con le gambe all'aria"). Secondo Ferdinando Martini, che lo
seppe da Minghetti, la risposta del Sovrano sarebbe stata ancora più colorita:
«E va bin, coma ch'aa veulo lor. Ma ch'aa stago sicur che col lì an poch temp
an lo fica an't el prònio a tuti!» ("E va bene, come vogliono loro. Ma
stiamo sicuri che quello lì in poco tempo lo mette nel culo a tutti!")
cfr. Indro Montanelli, L'Italia unita, Bur, 26 November 2015, ISBN
9788858682722. ^ C. per l'apertura delle ostilità colse il pretesto che la
Russia durante la prima guerra di indipendenza aveva rotto le relazioni con il
Regno di Sardegna (al tempo la Russia intratteneva rapporti migliori con
l'Austria) e che lo Zar Nicola I aveva rifiutato, nel 1849, di riconoscere
l'ascesa al trono di Vittorio Emanuele II. Cfr. Hearder, C., Bari, 2000, pag.
102. ^ L'uniforme è esposta nel Museo del Risorgimento di Torino. Con spadino,
feluca, placca e fascia da Cavaliere dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro,
cotone, velluto, acciaio, madreperla, ottone, cuoio, piume di struzzo, argento,
argento dorato, smalto e gros di seta. ^ Il Piemonte, assieme alla Francia,
chiese anche l'annullamento delle elezioni tenutesi in Moldavia nel luglio 1857
che, con risultati definiti inattendibili, avevano avuto un esito sfavorevole
all'unione dei due principati. ^ L'Austria con la guerra di Crimea aveva perso
l'amicizia della Russia e vedeva allontanarsi la Prussia che era alla ricerca
di maggiore autonomia, mentre la tiepida amicizia della Gran Bretagna non
poteva bilanciare la situazione. Bibliografiche ^ Disegno dell'inglese William
Brockedon. ^ Romeo, pp. 3-4. ^ Romeo, p. 32. ^ Romeo, pp. 25-26. ^ Hearder, C.,
Bari, 2000, pag. 26. ^ Giuseppe Talamo, La formazione di C.: la rivoluzione di
luglio e i primi anni Trenta, in Nuova antologia, APR - GIU, 2010 p=45. ^ AA.
VV., C. nel 150° anniversario dell’Unità, Gangemi Editore SpA, novembre 2011,
p. 45, ISBN 9788849272703. ^ Federico Navire, Torino come centro di sviluppo
culturale: un contributo agli studi della civiltà italiana, Francoforte, Peter
Lang, 2009, p. 337, ISBN 978-3-631-59130-7. ^ Romeo, pp. 102-103. ^ Romeo, pp.
112, 114-115, 118. ^ Romeo, pp. 118-121. ^ Romeo, p. 121. ^ Romeo, p. 131. ^
Romeo, p. 137. ^ Romeo, p. 139. ^ Romeo, pp. 140-141. ^ Dipinto di Paolo
Bozzini (1815-1892). ^ Romeo, pp. 149-150. ^ Romeo, pp. 157-158. ^ Romeo, p.
159. ^ Romeo, pp. 160-162. ^ Romeo, pp. 162-163. ^ Romeo, pp. 165-166. ^ Romeo,
pp. 167-168. ^ Romeo, pp. 171-172. ^ Romeo, pp. 172-173. ^ Ritratto di
Francesco Hayez del 1860. ^ Romeo, pp. 174-176. ^ Hearder, C., Bari, 2000, pag.
69. ^ Romeo, pp. 175-176, 179. ^ Romeo, pp. 177-178. ^ Romeo, p. 186. ^ Romeo,
pp. 186-187. ^ Romeo, pp. 188-189. ^ Rosario Romeo, C. e il suo tempo
1842-1854, p. 204. ^ Romeo, p. 191. ^ Romeo, p. 192. ^ Romeo, pp. 193-194. ^
Hearder, C., Bari, 2000, pag. 70. ^ Romeo, pp. 195-196. ^ Hearder, C., Bari,
2000, pagg. 71-72. ^ Romeo, pp. 197, 201-202. ^ Romeo, pp. 202-203. ^ Da Londra
effettuò escursioni a Oxford, Woolwich e Portsmouth. ^ Nel viaggio toccò
Manchester, Liverpool, Sheffield, Hull, Edimburgo, Glasgow e le Highlands. ^
Romeo, p. 223. ^ Romeo, pp. 224-225. ^ Dipinto di Michele Gordigiani ^ Hearder,
C., Bari, 2000, pag. 81. ^ Romeo, pp. 233, 235-236, 238. ^ Romeo, pp. 240,
244-245, 252. ^ Romeo, p. 245. ^ Romeo, pp. 248-249. ^ Valerio, Brofferio,
Pareto a Sinistra e Solaro della Margarita a Destra. ^ Romeo, p. 259. ^ Romeo,
pp. 259-260. ^ Romeo, p. 261. ^ Hearder, C., Bari, 2000, pagg. 94-96. ^
Hearder, C., Bari, 2000, pagg. 85, 99, 100. ^ Ritratto di George Peter
Alexander Healy ^ Romeo, p. 300. ^ Dipinto di Édouard Louis Dubufe. ^ Romeo, p.
327. ^ Romeo, p. 337. Romeo, pp.
347-348. ^ Romeo, pp. 352-354. ^ Romeo, pp. 360-362. ^ Romeo, pp. 366-368, 370.
^ Romeo, pp. 355, 371. ^ Dipinto di Adolphe Yvon. ^ Vignetta di Francesco
Redenti (1820-1876) del gennaio 1857 apparsa sul giornale torinese Il
Fischietto. ^ AA.VV, Storia delle relazioni internazionali, Monduzzi, Bologna,
2004, pagg. 45-46. ^ Romeo, pp. 431-432. ^ Romeo, p. 450. ^ Romeo, pp. 450-451.
^ Ritratto di Francesco Hayez. ^ Romeo, pp. 457-458. ^ Romeo, pp. 459-460. ^
Romeo, pp. 460, 462-463. ^ Romeo, pp. 464-465. ^ Romeo, pp. 468-469. ^ Romeo,
pp. 470-473. ^ Romeo, pp. 474, 476. ^ C. e la famiglia, su Fondazione Camillo C.
Santena. URL consultato il 28 giugno 2021. «Fa specie pensarlo, ma nelle vene
di Camillo C., propugnatore della laicità dello Stato, scorreva lo stesso
sangue di un campione della Controriforma cattolica!» ^ Camillo Benso, Discorso
del 27 Marzo 1861 - Camillo Benso di C., su camilloC..com, 27 marzo 1861. URL
consultato il 28 giugno 2021. «noi siamo pronti a proclamare nell'Italia questo
gran principio: Libera Chiesa in libero Stato. I vostri amici di buona fede
riconoscono come noi l'evidenza, riconoscono cioè che il potere temporale quale
è non può esistere.» ^ Libera Chiesa in libero Stato nell'Enciclopedia
Treccani, su treccani.it. URL consultato il 28 giugno 2021. ^ Romeo, p.
508. Romeo, p. 518. Romeo, p. 524. ^ Marziano Bernardi, op. cit.,
p. 122 ^ Roberto Dinucci, Guida di Torino, Edizioni D'Aponte, p. 127 ^ Marziano
Bernardi, Torino – Storia e arte, Torino, Editori Fratelli Pozzo, 1975, p. 122.
^ In Dizionario Biografico Treccani ^ Rino Fisichella, La confessione di uno
scomunicato, in: L'Osservatore Romano, 6 novembre 2009 ^ Indro Montanelli,
L'Italia dei notabili, Milano, Rizzoli, 1973, p. 15 ^ In In Gianni Gennari,
Avvenire, 11 giugno 2015 ^ "C. ultimo atto l'inferno può attendere",
La Stampa, 20 aprile 2011, su www3.lastampa.it. URL consultato il 5 giugno 2013
(archiviato dall'url originale il 27 settembre 2011). ^ Indro Montanelli,
L'Italia dei Notabili (1861-1900), Milano, Rizzoli, 1973. ^ La morte di C., su
win.storiain.net. URL consultato il 20 settembre 2017. ^ Romeo, p. 525. ^ Rita
Belenghi, Giuseppe Verdi, Liguori, 2007, p. 56, ISBN 9788820740931. ^ Nicomede
Bianchi, Camillo di C., Torino, Unione Tipografico-Editrice, 1863, p. 67. ^
"Volantino pubblicato su "Italia del popolo", 25 febbraio 1855 ^
Giancarlo De Cataldo, Chi ha paura di Mazzini?, in lastampa.it. URL consultato
il 5 giugno 2013 (archiviato dall'url originale il 27 settembre 2011). ^ Denis
Mack Smith, Mazzini, Rizzoli, Milano, 1993, pag. 158 ^ Denis Mack Smith,
Mazzini, Rizzoli, Milano, 1993, pag. 173 ^ Denis Mack Smith, Mazzini, Rizzoli,
Milano, 1993, pag. 174 ^ Gigi Di Fiore, Controstoria dell'unità d'Italia: fatti
e misfatti del Risorgimento, Milano, 2007, pag. 64. ^ Gigi Di Fiore,
Controstoria dell'unità d'Italia: fatti e misfatti del Risorgimento, Milano,
2007, pag. 62. Alberto Cappa, C., G.
Laterza & figli, 1932, pag. 249. ^ Calendario reale per l'anno 1861,
Ceresole e Panizza, Torino, s.d. ma 1861, pagg. 171, 195, 513. ^ Il 21 maggio
1614 Pompilio Benso riceve l'investitura del feudo di Isolabella. Il 20 giugno
1618 il feudo fu eretto a contea. Cfr. Storia del Comune di Isolabella, su
comune.isolabella.to.it. URL consultato il 6 novembre 2019. Bibliografia Scritti di economia, 1962 Uno dei riferimenti
principali della bibliografia relativa a C. è la Bibliografia dell'età del
Risorgimento in onore di A.M. Ghisalberti (Olschki, Firenze, 1971-1977, in 3
volumi più uno di indici), nel cui primo volume, alle pp. 160–164, sono
riportati, a cura di Giuseppe Talamo, gli scritti del Conte e la bibliografia
su di lui fino al 1969. L'opera è stata aggiornata per il periodo 1970-2001 con
altri 3 volumi più uno di indici nel 2003-2005. A C. sono dedicate le pp.
307–310 a cura di Sergio La Salvia.
Carteggio, scritti, discorsi Camillo Benso conte di C. (a cura della
Commissione Nazionale per la pubblicazione dei carteggi del Conte di C.),
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a cura di Adriano Viarengo, prefazione di Giuseppe Galasso, Classici moderni
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ministri del Regno di Sardegna Risorgimento Unità d'Italia Famiglia Benso
Tavola genealogica di sintesi della famiglia Benso Canale C. Altri progetti
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conte di C. Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Camillo
Benso, conte di C. Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene
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versione) / Camillo Benso, conte di C. (altra versione), su MLOL, Horizons
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su storia.camera.it, Camera dei deputati. Modifica su Wikidata Camillo Benso,
conte di C., in Archivio storico Ricordi, Ricordi & C.. Modifica su
Wikidata Riccardo Faucci, C., Camillo Benso conte di, in Il contributo italiano
alla storia del Pensiero: Economia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
2012. Fondazione C. di Santena, su fondazioneC..it. Associazione degli amici
della Fondazione C., su camilloC..com. Portale Biografie Portale Politica Portale Risorgimento Ultima modifica 2 mesi
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