Grice
e Cocconato: l’implicatura conversazionale -- scuola di Torino – filosofia torinese – filosofia
piemontese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo torinese. Filosofo
piemontese. Filosofo italiano. Torino, Piemonte. Grice: “I like Coconato – I
used to say that the first task for the historian of Italian philosophy, unless
you are a member of La Crusca, is to decide on the surname – I like Cocconato!
He spent some time in London, as I did – and he shows that the average Italian
philosopher is a nobleman, or vice versa!” – Grice: “Venturi revived Cocconato,
as did the re-issuing of his “Moral Discourses”!” -- “Manhood and unbelief” -- Alberto Radicati, conte di
Passerano e Cocconato (Torino), filosofo. Libero pensatore, fu il «primo illuminista della
penisola», secondo una definizione di Piero Gobetti. Cocconato matura il
suo pensiero anti-clericale nel clima dell'anticurialismo sabaudo ben presente
in alcuni settori della corte di Vittorio Amedeo II, re di Sardegna. S'ignora
tutto della sua prima formazione, verosimilmente affidata a qualche
ecclesiastico. Un infelice matrimonio precoce, combinato dalle famiglie, lo
coinvolge ventenne, e già due volte padre, in una serie di penosi contrasti il
cui significato travalica i conflitti coniugali. Mentre a prendere le parti
della moglie si mobilita il partito devoto-clericale, Radicati trova sostegno a
corte in chi appoggia il re sabaudo nei suoi conflitti giurisdizionali con la
Curia romana. Il grottesco-ironico racconto della sua «conversion
pubblicato a Londra e ripubblicato con il titolo “A Comical and True Account of
the Modern Cannibal's Religion” induce a datare intorno agli anni venti il
precipitare della crisi della fede cattolica in cui il conte era stato
cresciuto. Nell'opuscolo autobiografico presenta la sua personale vicenda come
un caso emblematico di «uscita dalla minorità. Narra infatti come, a partire
dal contrasto tra santoni bianchi e santoni neri monaci cistercensi e quelli
agostinianisui presunti miracoli operati da un'immagine della Vergine,
rinvenuta nel convento agostiniano, avesse cominciato a vacillare in lui la
fede e come, verso i vent'anni, avesse cominciato anche in campo religioso “a
far uso della mia ragione.”Importante per la sua ulteriore maturazione
intellettuale è il viaggio compiuto nella Francia della "Reggenza"
tin cui poté ampliare il raggio delle sue conoscenze e forse procurarsi testi
libertine come La Sagesse di Charron, l'Hexameron rustique di Vayer o il Traité
contre la Médisance di Brosse, in cui ricorrono motivi che troveranno eco e
sviluppo nelle sue opere. Il suo scritto principaleI discorsi morali,
storici e politici redatti su diretto incarico di Vittorio Amedeo II nel mutato
clima conseguente alla ratifica del Concordato stipulato tra regno sabaudo e
Benedetto XIII diverrà anche la ragione vera del suo esilio. Il conte, che da
un riacquisito potere dell'Inquisizione a Torino deve temere per la sua libertà
e per la sua stessa incolumità, lascia segretamente il Piemonte per dirigersi a
Londra, dovendo poi subire per questa fuga non autorizzata dal sovrano il
sequestro e la confisca dei beni. A Londra pubblica con un discreto
successo l'instant book che ricostruisce i retroscena della recente abdicazione
di Vittorio Amedeo II mentre, al contempo, lavora alla stesura del più audace e
radicale dei suoi scritti, “La Dissertazione filosofica sulla morte,” che,
tradotta da JMorgan, uscirà dai torchi londinesi destando un enorme scandalo.
Nella Dissertazione, che gli costa anche l'esperienza delle carceri della
tollerante Inghilterra di Walpole, propugna il diritto al suicidio e
all'eutanasia sullo sfondo di una esplicita filosofia materialistica che scorge
nel Deus sive Natura spinoziano-tolandiano il suo unico grandioso orizzonte di
senso. Nella sua meditazione sulla morte e sulla liceità del suicidio si
inserisce in un dibattito che già Montesquieu aveva rilanciato nelle Lettere
Persiane, riprendendo una discussione inaugurata nel Seicento da Donne con il
suo Biothanatos. Interessato a proporre un progetto politico che esige come sua
prima tappa essenziale una riforma radicale della cristianità
occidentale, capace di affrancarla dal giogo clericale- o se si vuole, in
termini più neutri dal potere pastorale- la scelta del tema del diritto
individuale alla morte non è scelta casuale per quanto la meditazione sul
suicidio non sia priva di elementi autobiografici. Le chiese cristiane di ogni
confessione ritengono infatti un loro preciso dovere intervenire direttamente
nella gestione del trapasso a quella che esse, in base alla loro fede,
considerano la vera vita, quella ultraterrena. Del resto non solo il mondo
cristiano, lo stesso ebraismo e l'islam, finendo con il recepire come un dogma
l'interpretazione agostiniana del suicidio come omicidio di se stessi, per
secoli hanno considerato la morte volontaria come il più grave e irreparabile
dei peccati, suprema manifestazione di oltranza e ribellione alla volontà
divina, mentre le autorità statali, dal canto loro, si distinguevano per la
crudeltà inumana con cui trattavano i cadaveri dei suicidi e i beni dei loro
eredi. Se i Discorsi partivano dalla morale ricavata essenzialmente da
una lettura pauperistico-comunistica dei Vangeli che faceva di Cristo, al pari
di Licurgo, il grande critico dell'istituto familiare, nonché il fondatore di
una democrazia perfetta in cui non esiste né il mio, né il tuo»per poi
occuparsi di politica e concludersi in concrete proposte riformatrici, nella
Dissertazione filosofica fornisce una risposta alla legittimità del suicidio
muovendo da una concezione complessiva del mondo e dell'esistenza umana.
Nonostante il suo titolo, la Dissertazione filosofica sulla morte non rinnega
affatto l'istanza spinoziana che intende la filosofia quale gioiosa meditatio
vitae, apertura mentale a una possibile transizione da una condizione di
servitù a una condizione di più ampia libertà che è, simultaneamente,
incremento della capacità del corpo di comporsi e ricomporsi con altri corpi
per realizzare la sua potenza e ampliare la sua capacità di comprendere le
cose. Definisce l'individualità umana a partire dalle relazioni che essa
intrattiene con il tutto. Per quanto grandezze infinitesimali noi siamo materia
della materia che costituisce l'Universo nella sua indefinita immensità. La
certezza che ci resta, quando ci liberiamo dall'ignoranza in cui nasciamo e
dagli idola tribus, i pregiudizi con cui siamo allevati, è che noi siamo
vicissitudini della materia. La materia a cui pensa tuttavia nel suo esilio
londinese e poi olandese non è lo squalificato sostrato inerte che dai greci
giunge fino a Cartesio che, limitandosi a identificare materia ed estensione,
continua ad aspettarsi dal Dio creatore l'impulso motore e la creazione
continua. Come per il Toland delle Lettere a Serena e del Pantheisticon, la
materia pensata dal Radicati è la materia actuosa che reingloba nel
meccanicismo moderno motivi provenienti dal naturalismo rinascimentale a cui
ineriscono direttamente movimento e autoregolazione. L'universo è un
mondo infinito in perpetuo movimento: in esso nulla continua ad essere anche
solo per un istante la stessa cosa. Le continue alterazioni, successioni,
rivoluzioni e trasmutazioni della materia non incrementano né diminuiscono
tuttavia il grande tutto, come nessuna lettera dell'alfabeto si aggiunge o si
perde per le infinite combinazioni e trasposizioni di essa in tante diverse
parole e linguaggi. La natura, mirabile architetta sa sempre come utilizzare
anche il minimo dei suoi atomi. La fine della nostra individualità costituita
dalla morte non è quindi fine assoluta, perché niente si annichila nella
materia e il principio vitale che ci anima come non è nato con noi troverà
sicuramente altre forme di esplicazione: come la nostra nascita non è avvenuta
dal nulla, non sarà nel nulla che ci dissolveremo.-- è estranea ogni forma di
lirismo e, tuttavia, una concezione non lontana dalla sua rifiorirà in una
delle pagine finali di uno dei maggiori romanzi lirici della modernità,
nell'Hyperion di Hölderlin che fa dire alla sua eroina, Diotima: “Noi moriamo
per vivere: «Oh, certo, i miserabili che non conoscono se non il ciarpame
arrabattato dalle loro mani, che sono esclusivamente servi del bisogno e
disprezzano il genio e non ti venerano, o fanciullesca vita della natura, a ragione
possono temere la morte. Il loro giogo è diventato il loro mondo, non conoscono
niente di meglio della loro schiavitù: c'è forse da stupirsi che temano la
libertà divina che ci offre la morte? Io no! Io l'ho sentita la vita della
natura, più alta di tutti i pensierie anche se diverrò una pianta, sarà poi
così grande il danno? Io sarò. Come potrei mai svanire dalla sfera della vita,
in cui l'amore eterno che è partecipato a tutti, riunifica le nature? come
potrei mai sciogliere il vincolo che riunisce tutti gli esseri?» Opere
Antologia di scritti, in Dal Muratori al Cesarotti. Politici ed economisti del
primo Settecento, tomo V, F. Venturi, Milano-Napoli, Ricciardi, Dodici discorsi
morali, storici e politici, T. Cavallo, Sestri Levante, Gammarò editori,
Dissertazione filosofica sulla morte, T. Cavallo, Pisa, Ets Vite parallele.
Maometto e Mosè. Nazareno e Licurgo, T. Cavallo, Sestri Levante, Gammarò
editori, Discorsi morali, istorici e politici. Il Nazareno e Licurgo messi in
parallelo, introduzione di G. Ricuperati (check); edizione e commento di D.
Canestri, Torino, Nino Aragno Editore, Dissertazione filosofica sulla morte, F.
Ieva, Indiana, Milano Piero Gobetti,
Risorgimento senza eroi. Studi sul pensiero nel Risorgimento, Torino, anche in
Opere completeSpriano, Torino, Einaudi Franco Venturi, Adalberto Radicati di
Passerano, Torino, Einaudi, Franco
Venturi, Settecento riformatore, I, Torino, Einaudi, Silvia Berti, Radicati in Olanda. Nuovi
documenti sulla sua conversione e su alcuni suoi manoscritti inediti, in
«Rivista Storica Italiana», S. Berti, Radicali ai margini: materialismo, libero
pensiero e diritto al suicidio in Radicati di Passerano, in «Rivista Storica
Italiana», Israel, Radical Enlightenment. Philosophy and the Making of
Modernity Oxford, Cavallo, Introduzione a Radicati, Dissertazione filosofica
sulla morte, Pisa, Ets, Cavallo, Le divergenze parallele. Mosè, Maometto,
Nazareno e Licurgo: impostori e legislatori nell'opera di Alberto Radicati,
introduzione ad A. Radicati, Vite parallele. Maometto e Sosem. Nazareno e
Licurgo, Sestri Levante, Gammarò, Vincenzo Sorella, Un partigiano della ragione
umana, in «I Quaderni di Muscandia», Tarantino, “Alternative Hierarchies:
Manhood and Unbelief in Early Modern Europe, in Governing Masculinities:
Regulating Selves and Others in the Early Modern Period, ed. by Broomhall and
JGent, Ashgate, Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario di storia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Opere, M. Cappitti, Le Vite Parallele di Alberto
Radicati su blog.carmillaonline. Se poca fortuna ebbe come uomo politico e
consigliere di monarchi, non diversa fu la sua sorte di filosofo; e la sua
filosofia che ha a tratti momenti di luce viva e che riuscirono a destare
interessi e preoccupazioni persino nelli liberi circoli, giacquero come cose
inanimate dopo la sua morte, come se questa le avesse private, come il loro
autore, di quello spirito vitale che le fa palpitare. E l'oblio scese su di
loro, crudele e inesorabile, facendo perdere la conoscenza di la sua filosofia.
Infatti il Saraceno pubblicando il « Manifesto» e le due « Lettere »
indirizzate, l'una a Vittorio Amedeo II, l'altra a Carlo Emanuele III e
premettendo alla sua edizione alcune notizie di carattere biografico e
bibliografico, limita, pur credendo di darne l'elenco completo la sua filosofia
a quelli saggi da lui pubblicate e a quell'altre contenute nel Recueil edito a
Rotterdam. Cat. del British Museum sotto il nome di Thomas Joseph Morgan, il
suo traduttore. Più la “History” edita a Londra. Da quel momento, per quei
pochissimi che del nostro s'interessarono, le parole del Saraceno furono
vangelo, e la filosofia dimenticata scomparvero definitivamente, come
non-esistente, dalla sua bibliografìa. La sensazione iniziale di una possibile
lacuna nell’elenco della sua filosofia, divenuta certezza in seguito ad alcune
notizie rinvenute nel carteggio diplomatico tra l’inviato piemontese a Londra e
la Corte di Torino, in cui era fatta la sua parola, mi determinò alla ricerca
di questa filosofia sperduta. Quasi del tutto infruttuose furono le ricerche in
Italia -- due sole lettere rinvenni all'Ai-, di Stato di Torino --. Fortunate
invece all'estero e precisamente alla Biblioteca Bodleiana di Oxford, al
British Museum di Londra, ed alla Staats Preusische Bibliothek di Berlino,
dimodoché tenendo conto dei nuovi materiali trovati, la sua filosofia risulta
in una elencazione definitive. Manifesto di A. I. R. di P. (Archivio R. di P.,
Castello di Passerano. Lettera del P. a Vittorio Amedeo II. Memoria rilasciata
al Marchese d'Aix. Lettera scritta dal conte A. R. di P. a S. M. il Re Vittorio
Amedeo lì inserviente di prefazione ai discorsi da lui compilati e che
intendeva dedicare alla prelodata Maestà sua. (Ardi. Stat. di Tor., Storia
della Real Casa, Cat. terza, Storie pari). Lettera alla Contes. di S.
Sebastiano. Lettera del P. a Vittorio Amedeo II. “Christianity set in a True Light” in “XII Discourses
Political and Historical. By a pagan philosopher newly converted” (London.
Printed for J. Peele at Lockes Head in Pater-noster-Row; and sold by the
Booksellers of London and Westminster). “The History of the Abdication of
Victor Amedeus II, Late King of Sardinia with his confinement in the Castle of
Rivole, Shewing the real Motives, which indue'd that Prince to resign the Crown
in Favour of his Son Charles Emanuel the present King, as also how be came to
repent of his Resignation with the secret Reasons that urg’d him to attempt his
Restauration. On a letter frorn the Marquis de T... a Piemonlais now at the
Court of Poland; to the Count de C. in London. Printed and sold by A. Dodd
without, Tempie-Bar; E. Mutt and E. Cooke, at the Royal. Dell'opera n. 9 ne fa
recentemente parola il NATALI, Milano. Royal Exchange; and by the Booksellers
and Pamphletsellers of London and Westminster. “A phliosophical [sic]
dissertation upon death composed for the consolation of the unhappy, by a
friend to Truth” (London. Printed for and sold by W. Mears at the Lamb on
Ludgate-Hill). Lettera a S. M. il Re Carlo Emanuele III colla
quale supplica la prelodata S. M. di voler gradire la dedica della opera da lui
composta e già presentata alla fu S. M. il Re Vittorio Amedeo IIC. (Arch. Slato
Torino - Storia Real Casa - Cat. Ili - Storie particolari). Twelve discourses concerning
Religion and Governement, Inscribed to all lovers of Truth and Liberty by
Albert Comte de Passeran, Written by Royal Command, The second Edition”
(London, printed for the Booksellers, and at the Pamplet shops in London ad Westminster).
Recueuil de pieces
curieuses sur les matieres les plus interessantes – Rotterdam, Chez la Veuve
Thomas Johnson et Fils - contenente: Dedica a Don Carlos; Factum d'A. R. de P.
parce quel on voit les motifs qui l'ont engagé a composer cet ouvrage. Douze Discours
Moraux, historiques et politiques, preceduti da una Declaration de l'Auteur,
Histoire abregée de la profession sacerdotal, ancienne et moderne a la tres
illustre et tres celèbre secte des esprit-forts par un Free-Thinker Chrètien,
Nazarenus et Licurgos mis en parallele par Lucius Sempronius neophyte, Epitre à
l'Empereur Trayan Auguste, Recit fìdelle et comique de la religion des
Cannibales modernes par Zelin Moslem, dans lequel l'auteur declare les motifs
qu'il eut de quitter celte abominable Idolatrie, traduit de l'Arabe a Rome par
M. Machiavel [sic] imprimeur de la Sacrée congregation de Propaganda fide, con
prefazione dell'editore. Projet facile, équitable et modeste, pour rendre utile
à la Nation un grand nombre de pauvres enfans, qui lui son maintenant fort à
charhe, traduit de l'Anglois. Sermon perché [sic] dans la grande assamblé des
Quakers par le fameux frere E. Elwall dit l'Inspirée, traduit de l'Anglois a
Londres, au depens de la Compagnie. La religion Muhammedane comparée à la
paienne de l'Indostan par Ali-Ebn-Ornar, Moslem epitre a C.inknin, Bramili de
Visa - pour traduit de l'Arabe. A
Londres au depens de la Compagnie. Notiamo, ora di queste opere le notizie e di
caratteri più salienti. È edita dal Saraceno, nell'opera più volte citata. Il
testo rimane nella sua grafia del tutto immutato, con le inconstanze di
scrittura (et, ed; chino e hanno) caratteristiche del filosofo; alquanto mutata
è invece la punteggiatura, e gli alinea, la prima più scorretta nel testo
originale, i secondi inesistenti nel MS., che corre tutto di seguito. Questa
lettera con la quale comunica a Vittorio Amedeo II il suo desiderio di fargli
pervenire la cassetta e di cui abbiamo notizia sia dalla lett. del March. d'Aix,
sia dalla risposta del March, del Borgo, che c'informa pure del suo contenuto,
per quante ricerche abbia fatte all'Arch. di Stato di Torino, non mi è stata
possibile trovarla. Questa Memoria inedita si trova all'Ardi, di Stato di
Torino. Fu edita dal Saraceno ed è una copia della lettera originale andata
perduta. Delle lettere comprese sotto questi due numeri abbiamo notizia da una
lettera del Cav. Ossorio al March. Del Borgo e dalla risposta del Del Borgo. Ma
non mi è stato possibile poterle rintracciare. Quest'operetta edita, in un
elegante Vili0, dopo due anni di soggiorno in Inghilterra, doveva nella mente
dell'Autore essere composta di dodici discorsi. Fu edita invece incompleta contenendo solamente un
“Preliminary discourse in wich the Author gives a particular account of his
conversion” e il Discourse I, “Of the Precepts and Life of Jesus Clirist”. Al primo di essi corrisponde alquanto mutato nella
forma e nell'estensione il Recit, contenuto nel Recueil. Al secondo corrisponde
invece esattamente il Discorso I. Cfr. Twelve Discourses riprodotto poi
integralmente dal Discours, Des Preceptes et des Mrnurs de Jesus Christ, dei
Douze Discours, moreaux ecc.editi nel Becueil „. Ritornando al Preliminary
discourse abbiamo detto che questo discorso fu riprodotto nelle sue linee
sostanziali dal Recit incluso nel Recueil, ma molte varianti, e alcune di valore
capitale sussistono fra i due testi. Accenneremo, qui, da un punto di vista
generale, le caratteristiche più salienti dei due testi, e la maggior
importanza che può avere, da un punto di vista biografico, l'edizione inglese;
e infatti, pur essendo quest'ultima mancante dell'introduzione che troviamo nel
testo di Rotterdam. L'imprimeur au lecteur judicieux, e della apocrifa Bolla di
Benedetto XtlI, le numerosissime note esplicative, che svelano luoghi, nomi e
date, la rendono di una importanza capitale per la ricostruzione della vita del
filosofo. Senza questa edizione, corredata di note e di avvertimenti, veramente
preziosi, sarebbe stato impossibile, per qualsiasi biografo, fare risultare dal
semplice testo le notizie importantissime documentanti la conversione del
filosofo al calvinismo. L'assenza di note del Recit e l'espressione più
attenuata, in taluni punti, del testo inglese costituiscono i caratteri
differenziali fra le due edizioni. I titoli dei discorsi annunciati, ma non
editi nellla Christianity sono i seguenti: Discourse II: Of the Doctrine and
Manners of the Apostles and Primitive Christians. Discourse III: The Christian
Religion to the Religion of Nature itself. Discourse IV: What were the Causes
of the Corruption of the Christians. Discourse V. Of the Mischief done to
Christianity by the great Number of Churches and Ecclesiasticks. Discours VI.
By what Means the Bishop of Rome are become Souvereigns of that Capital of the
world. Discourse VII: That neither the spiritual nor temporal power of priests
is authorized by the Gospel. Discourse VIII. Of the claims, by which the Papal
Monarchy has maintained, continues to maintain and will maintain itself, as
long as it can make use of them. Discourse IX. Of the evils caused by priests
to sovereigns and their states. Discourse X: Of Natural right: Of the origin
ond Nature of Government. Discourse XI: Of Religion in General. That all
authority Spiritual as well as Temporal belongs, de jure, to the Sovereign; and
how Ecclesiastical Affair should be regulated. Discourse XII: Of the Advantage
that will accrue to Sovereigns and States, from the Observance of the Rules. Come si può presumere dai titoli i discorsi mancanti
non avrebbero dovuto essere altro che quelli contenuti nei “Twelve Discourses”
come di fatto prova il primo discorso contenuto nella Christianity del
tutto analogo al primo di quelli contenut i nei “Twelve Discourses” cosa, del
resto, ch e si può rilevar e facilmente confrontando rispettivamente i titoli
delle due edizioni, che, pur essendo vi qualche tenue variante di espressione,
sintettizzano reciprocamente un analogo contenuto. Copia di questa edizione
l'ho trovata soltanto al British Museu m di Londra. Di quest’opera falsamente
attribuita al Marchese Trivié o ad un certo Lamberti ma che già il Saraceno ed
il Carutti avevan o rivendicat a al filosofo, furono fatte numerosissime
edizioni. Citiamo quelle che abbiamo potuto rintracciare e confrontar e con
l'edizione inglese che possediamo. Anecdotes de l'abdication du roy de Sardaigne Victor
Amédée II, ou l'on trouve les vrais motifs qui ont engagé ce prince a resigner
la couronne en faveur de son fils Charles-Emmanuel a présent roi de Sardaigne.
Comment il s’en est repenti, avec les raisons et les intrigues secretes qui
l'ont porte à entreprendre son rétablissement par le marquis de F***
piemontois, à present à la Gour de Pologne; en forme de lettres écrite au comte
de G*** a Londres. S. 1. in Vili. Histoire de l'abdication de Victor Amédé e
nel volumetto La politique des deux partis, ou Recueil de pièces traduites de
l'anglois de Bolingbroke et des Frère s Walpole (la Haye). Con la stessa intitolazione: Génève contenente una
seconda lettera da Ghambery, probabilmente pur essa de filosofo. Histoire de
l'abdication de Victor Amédée, roi de Sardaigne, Paris, in 4°, erratament e
attribuiti dall'Oettinger ad un Lamberti non meglio identificato. L'Oettinger dà una traduzione
tedesca dell’Histoire edita a Francoforte. Histoire de l'abdication de Victor
Amédée roi de Sardaigne, et de sa detention au Ghateau de Rivoli. Où l'on voit
les veritables motifs qui obligerent ce prince d'abdiquer la couronne en faveur
de Charles-Emmanuel, son fils, et ceux qu'il eut ensuite de s'en repentir et de
vouloir la reprendre. Lettre écrite au Conte de C*** a Londres, par le marquis
de Trivié, qui est à présent à la Gour du roi de Pologne, edita nel "
Recueil de pièces qui regardent le gouvernement du royaume d'Angleterre, et qui
ont rapport aux affaires présentes de l'Europe, traduit de l'Anglois, la Haye.
Histoire de l'abdication de Victor Amédée, roi de Sardaigne, Genève, pure
attribuita dall'Oettinger al Lamberti. Cfr. OETTINGER, Bibliographie
biographique universale, Paris. Histoire de l'abdication de Victor Amédée roi
de Sardaigne etc. de sa detention au Ghateau de Rivoli et des moyens qu'il
s'est servi pour remonter sur le trone, à Turiu. De l'impremerie Royal. Anecdotes
de l'abdication du Roi de Sardaigne Victor Amédée II, Anecdotes de l'abdication du Roi de Sardaigne
Victor Amédée II. Edita sotto il nome di Marchese di Fleury
che il Qnerard ritiene pseudonimo di Marchese di Trivié. Histoire de l'abdication de
Victor Amédée Roi de Sardaigne ecc. De sa detention au Ghateau de Rivole, et
des moyens dont il s'est servi pour remonter sur le trone. Nouvelle édition sur celle de Turin de 1734-, a
Londres, 1782. Non abbiamo creduto necessario per quanto il testo inglese
rappresenti il testo originale redatto dal P. di annotare le poche varianti che
esistono più di forma che di contenuto. N. 9 di questa operetta, che ho trovato
solamente al British Museum, catalogata sotto il nome di Thomas Morgan
(l'indicazione della bibliografia del B. M. è: " A philosophical
dissertation upon Death - Composed for the consolation of the Unhappy (By A.
Badicati Count di Passerano translated or edited by John, or rather Thomas
Morgan? era data notizia tanto dal Cav. Ossorio, che ne espone in brevissime
righe il contenuto e ci avverte che fu causa di prigionia per l'autore e il
traduttore, quanto dal Lilienthals, dal Kahl e dall'Henke (1). Completamente
dimenticata dai più recenti studiosi del R. compare citata dal Natali senza
indicazione nè di data nè di luogo di stampa. Secondo quanto afferma l'Ossorio,
l'operetta stesa in lingua italiana dal R. sarebbe stata tradotta da " un
de ses compagnons „ " en bon Anglois „ e sotto il nome di questo
traduttore, che si seppe più tardi essere, Thomas Morgan essa andò per alcun
tempo. N. 10 fu edita dal Saraceno ed è una copia della lettera originale
andata smarrita. La scoperta di questa nuova edizione, ricordata in alcune
opere Cfr. HENKE, op. cit. loco cit. LILIENTHALS, op. cit. loco cit. FREYTAG, op. cit. loco
cit. VOGT, op. cit. loco cit. BAUER: op. cit. loco cit., WAHIUS, op. cit. loco
cit. Cfr. NATALI: II settecento. Ove però
compare come semplice elencazione bibliografica, senza indicazione nè di luogo
di stampa, nè di data. quasi contemporanee, fa cadere l'affermazione che i
" Discours „ siano stati stampati per la prima volta a Rotterdam nel
" Recueil „, e che quindi sino al 1736 i " Discours „ medesimi siano
rimasti manoscritti nelle mani del R. Risulta invece, (poiché posto che esista
la primissima introvabile edizione in tutti i casi non la possiamo ammettere
edita prima per le ragioni stesse che giustificano l'edizione) che il nostro si
decise a dare alle stampe i " Discours „ dopo aver visto che non sarebbe
mai riuscito a dedicarli a C. E. (3), e che di conseguenza dallo stampare o no
quanto aveva inviato a V. A. non sarebbe più dipesa la possibilità di ritornare
o meno in Piemonte. Comparve in tal modo l'edizione inglese dei " Discours
„, la quale messa in confronto con quella di Rotterdam ha dato i seguenti
risultati: Mancano nell'edizione inglese la " Dedica „ a Don Carlos
(sedizione Rotterdam) e il " Factum „ fonte di preziose notizie
biografiche (edizione Rotterdam da pag. 1 a pag. 10). mentre che la Declaration
de Vauteur „ contenente i motivi che hanno spinto alla compilazione dell'opera,
e i criteri seguiti nel suo svolgimento, che nell'edizione londinese occupa
dieci pagine (V-XV) e che sotto riproduciamo è ridotta nell'ediz. di Rot. ad
una pagina e un terzo. THE AUTHOR' S
DECLARATION. Tho' prefaces are quite out of fashion, I yet hope the benevolent
reader will forgive me for making a short declaration concerning the
publication of this work, as follows. BAUMGARTEN: Narichten von einer
Ilallischen Bibliothec, ENGEL: Bibliotheca selectissima seu catalogus librorum
omni scientiarum genere rarissimorum - BERNAE, TRINIUS: Freydenken Lexicon. -
Leipzig, und Bemberg, Erster Zugabe zu Freydenken Lexicon. MASCH I Beilriige
zur Geschichte merkwiirdiger Biicher, Wismar, SCHROCK: Cristliche
Kirchengeschichte seil deiReformation - Leipzig
SCHLEGELS: Kirchengeschichte des 18 Jahrunderts, Heidelberg. Il RENOUR D nel suo " Catalogne d'un
Amateur citato dal QUERARD. Les
supercheries litteraires dévoillés, Paris, sotto il nome Ali-Ebn-Omar-Moslen)
afferma parlando del P: Il n'existe de son Recueil que deux exemplaires sur
grand papier, celui de la Bibliotheque du Roi, et le mien „ Di questa edizione,
probabilmente in foglio o in 4° grande, (" sur grand papier „) non siamo
però riusciti ad averne traccia nè notizia alcuna. Infatti la lettera
indirizzata dal P. a CARLO EMMANUEI.E rimase senza risposta. Cfr. lettera, cit. In primis
& ante omnia. I do declare that this Work was written at the Command of a
great PRINCE, who would be plainly inform'd of all the matters contain'd in it:
and as that PRINCE was then reputed to be one of the greatest Politicians of
his Age, I was oblig'd to proportionate my Labour to his profound Capacity. So
that if I have reveal'd some Religious or Civil Mystery, which had generally
been conceal'd, I have methink given a suffìcient Reason for it: However, I
have alter'd some Passages and soften'd some Expressions, to make them more
intelligible and more agreeable to the Reader. I do solemnly declare, that in
all this Work I had nothing in view but Truth, Equity, or Justice: In a word,
the Good of Mankind in general; and I flatter my self that all who shall peruse
it with candour, shall be convinced of the Rectitude of my Intentions. I do
declare, that I have kept dos e throughout this Work to the Doctrine and
Morality of our Saviour, occording to the best of my knowledge; and I hope I
have not advanc'd anything without good authorities. I do protest before GOD
and Men, that whatever is said in this Work concerning the Church or Clergy is
to be understood of the Popish Church and Clergy only (who really have long
since abandon'd and despis'd the most sacred Precepst of our Blessed LAWGIVER)
and not of any other church whatsoever; whose Clergy and Prelates being very
humble, vastly charitable, pious, and such utter Enemies to Grandeur and
Riches; may justly be stiled the true and only Imitators of Crist's Disciples,
and of those primitive good Prelates instituted by the Apostles. (*) See the
54th page of this Book, and you will fìnd what their duty was, and with what
Qualities they were endued. Item. I do declare, that I have not her e opposed
the superstitious Tenets of the Popish Church; for this has been so often done
ever since the Reformation, and by so many Learned Divines, that it would be
vain to attempt it. Besides, Popish Princes little regard at this time wha t is
said against Transubstantiation, Purgatory, Confession, Invocation of Saints,
and such like; as things, which ways
affect their temporal Interest: so, whethe r these opinions are well or
ill-grounded; whethe r they spring from Heaven, or from Huma n Malice, 'tis no
matter. But wer e they to know how prejudicial the Popish Religion is to their
AUTHORITY, and to the WELFARE of their several Countries; they then would
undoubtedly think upon the proper Expedients to preserve themselves and their
Subjects from Ruin; and this is wha t I have endeavour'd (pag. XI ) to make
evident in the ensuing Work. I tlierefore hope it will prove very beneficiai to
such Princes, and even be of some service to this Country, particularly at this
time, whe n " the Emissaries of Popery (as a worthy Divine (*) has
observed) have increased their Diligence in gaining Proselytes, and are now
more industriously employ'd in every Corner of our Metropolis than ha s been
any time known in the present Age „. (*) Dr. Clarke' s Sermons, pag. 18,
LASTLY, ] declare that I have made use of ali the Reason and Understanding 1 ara
master of, to discover (pag. XII ) the TRUTH S contained in the sacred
Writings, so hidden and involv'd in Mysteries; in order that by them TRUTH S I
might procure my own Happiness and that of others. I presume I have found them,
and for that reason 1 now publish them. But if I have unluckily fallen into any
involuntary Error, as I know myself not to be infallible. I earnestly entreat
ali the orthodox and eminent Divines of this happy Kingdom, to poiat them out
to me, and to convince my Reason by Reason itself, that I may both retract and
avoid them. (pag. XIII ) And I farther beg of our SPIRITUAL DIRECTORS that in
case they, f'avour me with this salutary Advice, to do it not with Passion and
Bitterness, but LAWGiVER ha s expressly commend (*). For nothing is paser, worlliy,
and more scandalous; nay, mor e contrary to the very Principles of the
Christian Religion, tlian to rad, calumniate, to load with odious Appellations,
and persecute those who labour Day and Night to find out the TRUTH, buried as
it is in the dark Abvss of Errors and Superstitions. (*) Matth, XVtlI, 21, ete.
AFTER having made this plain Declaration, as I know myself to be wholly
destituted of Freinds; I hope that the ALIGHTY GOD, whose Powe r is above ali
Huma n Artifice and Malice, will protect me against those, that will certainly
promote my Destruction, for having openly espoused the Cause of TRUTH and
EQUITY. Il Discorso I (Ediz. lond. pag. 1-13;
Ediz. Rot. pag. 15-26 ) è integralmente riprodotto nella edizione olandese:
uniche varianti sono le seguenti: Pag. 2 - in not a Collins è qualificato:
0 great and goodman „ attribut i c h e mancan o nell'Ediz. . - manc a la not a sul ministr o Jurie u ch e
si trov a a pag. 2 4 dell'Edizion e di Rotterdam. Il Discors o II (Ediz. lond.
pag. 14-25; Ediz. Rot.) è pur e ess o integralment e riprodotto. Unich e varianti: pag. 21 -
in not a su Bayl e (cfr. pag. 3 5 ediz. di Bot.) è aggiunt o " and 1 shall
not be tought in the vrong for vanking him withe Heliogabalus „. nota, dop o le
parol e " universally observed „ " généralement observées „ ediz.
Rot.) ch e no n si trov a nell'edizion e del 1736: " I say universally
observed: for wer e there a Society or Republic, however great it might be,
that should be inclined to observe the Laws of Gbrist, it would be obliged for
their own preservation, to lay aside the laws of Christ, or suffer themselves
to be destroyed by following them. - In a word, a Society of true Christians,
wer e they as numerous as the whole Empire of China, could no more make head
against a single Infide], who had a mind to plunder them, than a hundred
thousand Rabbits could make head against a hungry Lion, that should fall
in among them. But if ali Men, without exception, were good Christians, it is
most sure they would be exceding happy. For, being without Ambition, Envy and
Revenge, nothing would be capable of di sturbing Iheir Quiet - Here on Gonsult
- Bayle's Pensées diverses chap. 141 - continuation des Pensées - Ghap. „. Il
Discorso III (Ediz. lond.; Ediz. Rot. pag. 38-60) ò invece del tutto diverso -
Cfr. quindi il medesimo riportato in Appendice. Il Discorso IV (Ediz. lond.;
Ediz. Rot.) è quasi del tutto riprodotto integralmente; però da pag. 63 (dopo
le parole " le gouvernement de leur Eepublique „, dell'ediz. di Rot.) il testo prosegue con 2
pagine in più che qui appresso riproduciamo. But they wer e never practised, for, if we carni fully
examine the Epistles of the Apostles, we shall find that in effect they ali
agreed in acknowledging that the Christian Religion wa s the best, but differed
excedingly as to the Principles of it For, Paul proposing to persuade
Christians of the Trut h of that Religion, and shew them wherein it consisted,
says expressly, and in so many words, that we ar e " not to boast of our
good works, but of Faith alone in Jesus Ghrist, for that good works ncither justify,
nor save; but to him, saith he, that worketh not, but believeth on him that
justifieth the ungodly, his Faith is counted for Righteousness (**) and shall
save him „. James, on the other hand, in a few words summing up the Essentials
of Religion, and not amusing himself with vain disputes, as Paul did, tells us;
that " Faith without good woorks will neither justify, nor save „; and
gives us to' understand that " good works will save us independent of
Faith”This Doctrine is highly just and reasonable, and more orthodox than
Paul's. For wha t avails it for a man to bellieve that Ghrist dieci to save
him, so long as he is cruel, covetous, revengful, and i*) Rom. IV. 5.James II,
etc. (***) Rom III. 26, 27, 28. See also Gal lì. 16 {pag. 64) proud? were he
not better without that Belief, but good, charitable, and humble? it is much
better for a man to be a Christian in practice without speculation, than to be
a Christian in speculation, without the practice; that is, it wer e better
being a Savage, who. tho' without any Religion, stili practised the duties of a
true Christian, who is resolved absolutely to obey none of the precepts of his
Religion, tlio' he firmly believes in its mysterles. This notion, so agreeable
to the Justice and Wisdom of God, and Intentions of Ghrist, would be of great
advantage to Society, wer e it put in practice. Now it is indisputable that the
Apostles, by building Religion upon various. and different foundations bave
caused an infinite numbe r of Quarrels and Schisms to spring up in the
Christian Gommon-wealth, by whieh it ha s been, and will ever be tome
asunder most assuredly, if it does not lay aside the mysterious, or
incomprehensible speeulations of Divinity, and frx wholly to those most holy
and simple Tenets, which Christ hath taught us, and are very easy to be
observed, being the same as those of Nature, as he himself has told us, saying:
" Come unto me, ali ye that labour, and are heavy laden, and I will give
you Rest (*). Take my yoke upon you, and learn of me, for I am meek, and lowly
in heart, and ye shall find rest unto (pag. 65) your Souls. For my yoke is
easy, and my burden is light„, and not grievous and insupportable, like that of
cruel and ambitious men. (*)
Mat. Xt. 28, 29, 30. Il Discorso V (Ediz. lond. pag. 73-92; Ediz. Rot.) è
riprodotto integralmente. Notiamo soltanto che a pag. 80, in nota su S.
Cipriano dopo la parola " aucupari „, il testo segue: " Non in
Sacerdotibus Religio Devota, non Ministris fides integra, non in operibns
misericordia, non in moribus disciplina; sed ad decipienda corda simplicium
callide fraudes, circumveniendis fratribus subdolae voluntates - Cyprian de
Lapsis „, mentre è mutilo alla medesima parola “aucupari” nella Edizione di
Rotterdam. Il Discorso VI (Ediz. lond. pag. 93-124; Ediz. Rot.) è riprodotto
nell'Edizione Olandese fedelmente. Il Discorso VII (Ediz. lond. ppg. 125-144;
Ediz. Rot.) è riprodotto quasi del tutto integralmente. Uniche varianti sono: Pag.
129 nota (dopo le parole " alors soni fausses „ pag. 128 Ediz. Rot.):
" See what Bayle Says in his Pensées diverses, eh. 49, et Contin. des
Pensées diverses eh. 47. in arder to shew how ridiculous it is lo enquire whant
a thind is, before we have examined whether it really exist „. Pag. 138 manca la nota della pag. 136 ediz. Rot. la
parola “religion” è tradotta nelle due ultime righe di pag. 139 dell'Edizione
Rot. con " Superstition „. Il Discorso Vili (Ediz. lond. pag. 145-164;
Ediz. Rot.) è riprodotto nell'Ediz. Olandese fedelmente. Il Discorso IX (Ediz.
lond. pag. 165-188; Ediz. Rot) è riprodotto quasi del tutto integralmente.
Uniche varianti sono: Pag. 166 manca la nota Ediz. Rot. Pag. 186 manca la nota
" cependant ces Emissaires „ di pag. 180 81 dell'Ediz. Rot. Il Discorso X
(Ediz. lond.; Ediz. Rot.) ha subito una restrizione nelle pagine 189 a 200
ridotte nell'Ediz. Olandese a sole cinque; riproduciamo qui di seguito il testo
inglese. By natural right
(ius naturale), I mean the faculty given by nature to each individual, whereby
each of them is forced or determined to act, according as he finds it necessary
for the preservation of his own being. All animals are forced by nature to eat,
drink, sleep, etc. Therefore it follows, that they eat, drink, and sleep of
natural and absolute right, when they stand in need of them. In the same
manner, fish being by nature determined to swim, and the greater to devour the
smaller, consequently they enjoy water by natural right, and the greater by the
same right devour the smaller. Thus, birds are determined by nature to fly, and
by consequence possess the air by natural right, and birds of prey by the same
right feed upon the tame. For it is most certain that Nature considered in the
general, has an unlimited right over every part of herself: that is, this right
extends as far as her power extends, so that every thing that she can do is
lawful for her to do. For the power of nature is the very same as that of God,
whose right is eternal, and consequently unalterable. Now as the power of
nature is the same with that of every individual who make up that Nature,
without exception, it follows, that the right of no one is limited, but extends
as far as the strength and industry that nature has bestowed on them; and as it
is a general law for all beings, that each of them in particular shall
perpetuate his kind, as far as lies in his power, without regarding anything
save his own preservation. it follows, that the natural right of every indivual
is, to subsist and act to that end according to the power which nature has
given him. In this state man is not to be distinguished from the rest of
natural beings, no more than the words, reason, or wisdom, and folly; virtue,
and vice; honest, and dishonest, just and unjust are, etc. Wherefore there is
no difference between the wise and the foolish, the virtuous and vicious; for
every individual has a right to act according to the laws of his constitution
or organization. that is, according as he is determined by nature to such and
such a thing, without being able to act otherwise. So that considering man
under the empire of nature, as unacquainted with what philosophers call reason,
or virtue; and not having acquired a habit of either, they have, I say, as much
right to life in pursuing the dictates of their appetite, as they have that
live according to the laws of reason, virtue, and justice, with which they have
conneted their ideas. That is, that, as he who is called wise in society has a
right to do any thing that is dictaded to him by reason, and to live according
to the light of it; so the ignorant and foolish man in the state of nature has
a right to every thing his appetite suggests, and to live according to its dictates.
For, according to the apostle’s opinion before the law, or in the natural state
of man, no man could sin. Rom. It is not then the business of that
reason, or justice, to regulate the right of nature, but of the desire or
strength of every individual. For, so far is nature from determining us to live
according to the law and rules of this reason, that, on the contrary,
notwithstanding education, and the penalties appointed in order to natural
impulses. Such is the power of nature. New as we are obliged, as far as in us
lies, to preserve our natural being, so we cannot do it but by acting in
obedience to the laws of appetite, since nature denies us the actual use of
that reason, and none of us are more obliged to live according to the rules of
good sense, introduced among us by the civilised part of mankind, than an ant
is to live according to the nature of an elephant. From whence it follows that,
in the state of mere nature, we have a lawful right (ius iudicatum) to all
things whatever without exception, because nature has given all to every man,
and may use it without a crime, if we can get it, whether by force, or cunning,
by entreaties, or threats, so far as to look any one as enemy, who hinders, or
endeavours to hinder us from satisfying our appetite. Therefore, by natural
right, an animal may wish for whatever he pleases, and do whatever is in his
power to support his own individual, or satisfy his inclination. However we are
not to imagine that so unlimited a liberty can produce any great disorder
amongst animals of the same kind, as many have thought, because nature has
previded them necessaries in abundance; upon which foot, they can have none,
no, not thel esst dissension among them, as I have Lions, Wolves with Wolves.
Foxes with Foxes, Eagles with Eagles, and so all other species who are in the
state of nature. It is to be owned indeed that *discord*, not con-cord, envy,
and an implacable hatred reign between one species and another. And this would
in reality be a great defect and imperfection in nature, if her wisdom
consisted in making an animal happy for ever. For, upon such a supposition, the
pidgeon would have reason to complain of nature for not bestowing upon him a
sufficient strength to defend himself against the eagle. A hare mìght make the
same complaint as to a wolf; and he again as to the lion. But each complaint
would be unjust. For, Nature granted an animal his life but for a certain
limited time, which is an effect of her infinite goodness, to the end that
every being may succeed one another, and enjoy her benefits. Which could never
be, if an animal, once alive, were to be immortal. Therefore, since he must
necessarily die to make room for another, it imports little whether he dies in
this or that manner. Nay more, I insist that a pidgeon that is the eagle's
prey, and the wolf that is the lion’s, are happier than the eagle or lion that
have devoured them. For his death is sudden, and his pain short, whereas the
Eagle and Lion, languish and suffer long before they die, if they die a natural
death. Besides, a Lion or an Eagle may at his death complain of nature's
injustice, by making him the prey of innumerable and invisihle animals, that
lodge in their bones, and throughout their whole bodies, which feeding
upon the best and finest substance in their blood, and wasting alt llieir
animal spirit, kill him without mercy. For, those invisible animals that kill
not only a lion, but a man too, and every beast that dies of a natural death
has no more thought of the mischief they do in feeding upon their blood, than a
lion or a man when he kills another animals for food without mercy, they having
ali a power to do so by an absolute and natural right. An animal therefore, far
from complaining, tough constantly to thank Nature for her infinite justice and
goodnes to him, in giving them a limited life only. For, had she created him
immortal, she had shewed herself exceeding cruel; considering we are all
assured there is no condition of life, however happy, but what at last grows
rneasy and burthensom. As we see by those, who having passed most of their time
in the polite world, are desirous of retiring, and leading a private life in
the country; so he that lives in solitude, often longs for the pleasures of the
world; and lastly, he that has long enjoyed bolli, grows tired and out of
humour with them, and wishes for a new life thro' death. Now since an animal is
tired of life, he may be perpetually diversifying his pleasure, considering the
short date of his life; what would it be, were they to live for ever, without
ever varying the pleasures they (See the account of the Strulbrugs in
Gulliver's Travels) had tasted in the first fifty years of life? Nay, how
justly might not they complain, who drag an uneasy languishiug life from the
infirmities to which they are subjects, or who perpetually groan under the yoke
of another animal, who makes himself no uneasiness in making him miserable, in
order to gratifiy his appetite? Every animal therefore ought to look upon death
as the most signal blessing he has received from the hands of Nature, and as
the effect of her incomparable wisdom; Death putting an end to their pain, aud
making them equal with his tyrant. What I have been now saying ought to
surprise no man, since Nature is not confined within the bounds of reason, or
the instinct of an animal; for the word Nature, of which an animal is but as so
much a small point, means an infìnity of other things that relate to an eternal
order, and that inviolable law, which gives being, life, and motion to all
things. So that what seems ridiculous, unjust, or wicked to an animal, and
above all to a man, appears such only because we know things but in part, and
because we cannot have an exact idea of the ties and relations of nature, we
not comprehending the immense extent of her wisdom and power. Whence it
preceeds, that what reason sets before us as an evil, is far from it in regard
to the order and laws of universal nature, but only in regard to those of our
own. This supreme natural right, which every animal enjoy, exclude not moral
good and evil, which is really to be found in the state of nature. I call
“morally good” any action of an animal tending to the preservation and
propagation of his own individual or his species, for he is then performing
their duty, by aiming at the end, proposed by Nature in their Greation. On the
contrary, I cali moral evil ali those actions of Animals, that are either in
the whole, or in part contrary to those notions, or sensations that Nature has
implanted in each of them, that they may perceive and know what is proper for
their subsistance, and for perpetuating their Species as far as in them lies.
Allwise Nature, the tender mother of ali Animals, not satisfied with impressing
on their mind those notions, has always affixed a proporlional recompense to
moral good, and a like punishment to moral evil, to the end that ali Animals
may chuse the one, and avoid the other with pleasure. Not that she had any
occasion to setlle such rewards and punishment in order lo be obeyed; for, as
she is Almighty, she well knew she should be obeyed, as she is in fact by ali
except one Species, which is Man. And it was for them se appointed them,
because knowing they had several cavities in their brains fdled with animai
spirits, which by a high fermentalion would so heat their imagination, as to
make them fall into a sort of madness, on Delirium. Nature, I say, to bring
them back from their wandring, has thought lil severely to punisti them,
whenever they swerve from their duty and act agreeably to the false notions
with whict that madnes inspires them, which notions tend to the destruction of
their own individuai, and to make their Species unhappy. I will explain my
self. It is well known, that ali Animals, except Man, act according to the
notions infused into them by Nature, commonly called Instinct, for instance,
knows its proper food, and the actions to be performed in order to live in
health, and perpetuate its Species. Consequently to these notions it acts, by
chusing at first such places as are agreable to it: some live in Marchs, some
in the Fields, some in the Plains, and others on Hills; some swim, other crawl,
and in short, some, called amphibious, live bo!h on Land, and in Water. Ali
these Animals perceive what they are to do in order to subsist Wherefore they
eat, drink, and make use of their females, when they have occasion; mor did, or
do, any one of them ever force itself to eat, or drilli or enjoy its females,
when it was satisfied; nor did ever any of them ever voluntarily refuse to eat,
drink, or make use of their females, whenever Nature required it; thus by
denying themselves nothing necessary, and by never forcing themselves to do
what is beyond their strength, they lead a healthy and a happy life. But this
is not the case of Mankind. For, tho' they pretend to a greater share of wisdom
and reason than other Animals, their actions shew they have less than the rest
of them; some thro' excessive folly eating and drinking when they are neither
hungry, nor dry, so far as lo bring distemper upon and kill Ihemselves;
and forcing themselves upon venereal pleasure when they are exhausted, is so
much as to destroy themselves: Others from a contrary madness, denying
themselves meat, and drink, and the enjoyment o' Women, and dragging a
miserable life, consume and pine away. Thus by not allowing Nature what she
absolutely requires, or forcing her beyond her strength, they are guilty of
real moral evil, from whence the Physical takes its rise, which cruelly
torments them their whole life time. Anolher madness, to which Mankind are
subject, is Avarice, which puts Men upon perpetually heaping up riches, without
making any use of them, for fear of wanting; so that the Miser not only makes
himself miserable, but greatly contributes to the misery of others. There is
stili another kind of madness, called ambition, that lords it over Man, which
puts most Men upon depriving themselves of what is really necessary to life,
for Ghimeras, that are entirely useless and superfluous to them. The ili
effects of this last folly have not stopped there, but produced the greatest
disorders amongst Men, and made theme more unhappy than alt other Animals. For,
it has happened, that some of them thinlcing themselves better than others,
have endeavoured to get above them, appropriate to themselves what belonged to
the rest by Naturai right, and make their companions their slaves. which by the
opposition they have found, has occasioned tumults, and civil Wars. These
different Phrensies that have taken possession of the minds of Men, and that
have in ali times scattered trouble and confusion amongst the race of Men, have
from time to time obliged wise Men (who made use of their reason in order to
preserve themselves from falling into that sad and terrible Delirium to which
they were liable) to admonish the rest with a view of reclaiming them from
their errore; and those admonitions had sometimes so good an effect, that a
whole Nation perceiving anddetecting their Frenzy, voluntary submitted to the
decisions of those wise Men, and each Man, renouncing and disclaiming his
naturai right, promised obedience to them, upon condition that they on their
side should always endeavour to make that Nalion happy. This was the rise and formation of Aristocratical
Government. (Ecliz.) il test o
corrispond e esattament e nelle du e edizioni; salvo le lievi differenz a qui
sott o notate. - i puntin i di quest a
edizione son o son o sostituiti nell'edizione olandes e " le coeur de
Nobles en àrbitraire ou absolu „. Pag. 22 3: mancano le ultime due righe del
testo di pag. 20 6 ediz. Rol. 11 Discorso
(Ediz. lond.; Ediz. Rot.) Titolo: "Wherein it is proveci that religion was
introduced into Society by legislatore, in order to give a sanction to their
laivs; and that consequenty ali sacred and civil authority belong de jure to
the Prince „. Le pagine 224 e
236 costituiscono, in confronto dell'edizione olandese, una parte del tutto
nuova, e corrispondente alla prima parte del titolo, che difatli non si trova
nell'Ediz. Rot. Diamo un breve riassunto di queste pagine, che non parve
necessario trascrivere integralmente. Il R. così comincia: My design then in this Discourse
is to make Princes sensible that Religion was institued by legislators, in
order to give strength and credit to their Laws, and that Sovereign Princes,
having the administration of civil Laws, ought by consequence too have that of
Religion; and thereby 1 propose tvvo benefits. Tho first to Princes, by joining
the sacred and civil authority in one, and the second, to the People, by
rescuing the from the Tiranny of Priests. This then is what the most celebrated
Historians teli us concerning the Establishment of Religions „. A dimostrazione di questa tesi, l'intera pagina è
dedicata ad una di citazione Diodoro Siculo, libr. I pag. 49, Ediz. Han.;
l'inter pag. 227 ad una citazione di Strabone, Geograph. libr. 16 pag. 524,
ecc.; indi dicendo di non voler citare anche Plutarco, Polibio, Erodoto e
Livio, il R. procede a citare " a Zaeloux and Leavned Jew „ cioè Flav. Joseph, contra Appion. libr.
2, pag. 1071 - Edit. 1634, in fol., e " a very candid popish Priest „
(pag. 230-235) è cioè Gharron, of Widson, book 2 eh. 5. In nota a pag. 235,
così meglio identifica il Gharron: " Ile was Canon and Master of the
School of the Church of Bordeaux - He lived in Montagne's time, and ivas his
intimate freind - See Bayle's Did. Artide, Charron „. E con tutte queste
citazioni la dimostrazione è raggiunta: " Wherefore 1 may be allowed to
say without any impietg, that lleligion might be subject to the Prince, to
Religion „. Dopo di che da pag. 236 a 248 continua
con la seconda parte, che corrisposde all'intero Disc. XI dell'Ediz. Rot. Unica
differenza è che la nota a pag. " See in the life of Peter, late Czar of Moscow how be wisely
reduced the high Priest's exorbitant authority io his own power „ è estesa nel
testo a pag. 211 dell'Ediz. di Rotterdam. " Enfin chacun fait toutes les autres nouveautéz
„. Il Discorso Ediz. lond.; Ediz. Rot.)
è riprodotto integralmente, ed unica differenza è data dalla mancanza a pag.
259 della esistente nell'Ediz. di Rot. a pag. 228. N. 12: Abbiamo già parlato a
proposito del N. 11 degli scritti " a-b-c „ contenuti nel " Recueil „
ed a proposito del N. 7 dello scritto " f „ ed abbiamo notato come la loro
prima comparsa, eccettuato per il " b „, sia avvenuta in lingua inglese, e
quali cambiamenti abbiano subito nella loro ultima redazione francese.
Notiamo invece per le operette " d „, " e „ che il testo dato dal
" Recueil „ deve presumibilmente essere l'unico lasciato dal P.; nè
infatti abbiamo trovato di esse ediz. inglesi, anteriori o posteriori al 1736,
nè elementi o prove che suffraghino questa possibilità; potrebbe essere
presumibile che queste operette scritte dal R. ancora in Inghilterra e forse
già pronte per essere tradotte, siano rimaste a noi nel loro testo originale
per la fuga del P. in Olanda, oppure che compossle in Olanda, non avendo più
possibilità di trovare un traduttore, le abbia conservate e poi edite nella
loro lingua originale. Lo scritto "
g „ è la traduzione dell'operetta analoga dello Svvift: " A modest
proposai for preventnig the children of poor people in Ireland from beìng a
burden to their parents or country, and for making them beneficiai io the
publick „ (1). Non esiste tra le due edizioni alcuna
differenza, che possano mutare lo spirito del testo originale le due uniche
varianti che abbiamo notato sono; l'introduzione del " Recueil „ della
parole: " Gastigat ridendo mores „ immediatamente dopo il titolo, e omesso
dall'originale; e la sostitutuzione della parola " Spain „ del testo
inglese, con la parola " Rome „ della versione del R. Fu fatta nel 1749 a
Londra una ristampa di tutto il N. 12 (" Recueil de pieces curieuses sur
le matieres les plus interessantes par A. R. comte d. P. a Londre) ma
dall'esame di questa nuova ediz. posseduta dalla Bib. Querini-Stampalia di
Venezia, è risultata l'identità, persino negli errori di stampa coll'ediz. di
Rotterdam. N. 13-14 formano nell'Ediz. originale un volume solo, senza titolo
generale, con pagine numerate progressivamente (da 1 a 47 il testo n. 13, da 49
a 104 il testo n. 14). L'attribuzione di paternità al R. del primo di questi
opuscoli, e convalidata non solo da quanto afferma il " Dictionary of
National Uography „ edito dal Leslie Stephen, il Querard ed il Barbier, ma
dalla rispondenza che questo opuscolo ha con il Discorso III dei " Twelve
discours „. Notiamo le principali variati: Pag. 2: " peché originai „
manca la nota del testo ing. Pag. 4-, nota 2: manca la cit. del testo ingl.;
pag. 5, nota 1 e 3: manca il (1) Cfr. op. cit. in: The Works of Swift, London. (2) Cfr. Dictionary of
national biography, edited by LESLIE STEPHEN, sotto 'Elicali.’ Cfr. QUERAR D op. cit. Col. 1231,
T III. Cfr. BARBIER: Dictionaire des onorages anonymes et pseudonymes, Paris.
commento e la cit. del testo ingl.; pag.
8, nota. 1, mancal a cit. del testo ingl.; pag. 10: " vòtre pere celeste „
manca la nota del testo ingl.; pag. 11, nota 2: manca la nota del testo ingl.;
pag. 12 nota 1: manca il lungo commento del testo ingl.; pag. 17 " ces
Docteurs „ il testo ingl. ha “our Priest” e nota 2: manca la cit. e il comrn.
del testo ingl.; pag. 18 " vous dis-je mes Frères „ manca nel testo ingl.;
pag. 19 nota 1: manca la cit, del testo ingl.; pag. 21 nota 2: manca la spiegaz.
esistente nel testo ingl.; pag. 22: "et comment auroit-il mieux „ manca la
nota del testo ingl.;: " Amerique „ manca la nota del testo ingl.; pag. 27
e 28 sino ad: " Enfiti temoin... „ mancano nel testo ingl.; pag. 32, nota
2: manca il lungo coni, del testo ingl.; pag. 24 nota 2; manca la citaz. del
testo ingl.; pag. 35: " les hommes hereux „ manca nel testo ingl. la nota
corrispondente; pag. 38 dopo le parole "... leur dependence „ manca quasi
l'intera pagina 47 del testo ingl.; pag. 40: " mes cheres Frères „ manca
nel testo ingl.; pag. 4 nota 2: differisce dalla rispondente nel testo ingl.;:
l'ultimo periodo (“l'esprit... vrais Quakers”) manca nel testo ingl. In merito
al N. 14 l'attribuzione di esso al R., è affermata dal Querard (1) e dal
Barbier (2) che svolgono lo pseudonimo Ali-EbnOmar con il nome del R., è
confermata dal fatto che a pag. 100 dell'operetta in una nota l'autore citando
se stesso rinvia al " Discorso Ili „ dei “Twelve Discourse” e tale
attribuizione, per ambedue, N. 13 e 14, sostengono pure lo Henke, il
Lihienlhals, il Freytag (3). Anzi a proposito di quest'ultimo che viene ad affermare
che spesse volte l'opera n. 13 viene seguita dalla n. 14 con un seguirsi di
pagine progressivamente numerate (tale è l'ediz. da noi esaminata), come
facenti parli del " Recueil „ edito a Londra e Rotterdam nel 1736,
facciamo rilevare come ciò non risponda a verità. A parte la confusione
dell'ediz. londinese del “Recueil” con l'ediz. Olandese, tanto nell'una che
nell'altra non troviamo stampate le operette di cui si tratta, nè infatti
potevano essere incluse nell'ediz. del 1736 essendo venute alla luce la prima
volta nè nell'ediz. del 1749, che riproduce esattamente la precedente, nè
possiamo considerare questa ediz. dell'operette, che abbiamo esaminata, come
stralciata dal volume del 0 Recueil „ stante la appariscente diversità
dei caratteri di stampa. Come mai esse siano state edite a Londra, mentre già
da quattro anni almeno si trovava in Olanda, non siamo in grado di dire: forse
trovate fra le sue dopo la sua morte e fatte stampare da qualche suo amico
nella capitale inglese? e allora non perchè a Rotterdam dove era già uscito per
i tipi della Ved. Johnson il “Recueil” più volte citato? Sono questi tutti
interrogativi che ci poniamo senza avere la possibilità di potere rispondere,
per mancanza di documenti che giustifichino una ragione piuttosto che un'altra;
e questa è un'altra lacuna nella perfetta conoscenza della vita del
R. Cocconato. [H] Desideri: fenomenologia degenerativa e
strategie di controllo 1. I/epithymia nella fenomenologia
degenerativa Il processo degenerativo che dal nobile desiderio per
il sa- pere del filosofo giunge infine alla liberazione e
soddisfazione dei più feroci desideri attuata dal tiranno è innescato, da
una prospettiva psicodinamica, dall'adozione di particolari moda-
lità repressive. Queste, e più in generale le strategie paradig- matiche
di controllo del desiderio, sono il nostro oggetto d'in- dagine
privilegiato. La loro analisi ci condurrà direttamente al- la disamina
delle molteplici specie di desideri, alla caratterolo- gia e alle derive
psicopatologiche tracciate da Platone nel libro Vili, nonché alla
dinamica dei processi onirici e alla mania di- segnate nel IX. Da ultimo
ci soffermeremo sulla contrapposi- zione strutturale tra repressione e
canalizzazione, parimenti inerente a epithymiai ed eros, che attraversa
il grande dialogo. A monte, Yepithymia platonica è un moto psichico
volto a riempire, soddisfare, generando piacere, una mancanza di
ori- gine somatica come di matrice intellettuale; 1 essa viene così
a convergere con l'ampio spettro semantico dischiuso dal termi-
1 sull'intera questione cfr. qui voi. Ili, [H], pp. 251 sgg.; sulla
"interiorizzazione" della sfera del desiderio cfr. M. VEGETTI,
L'io, l'anima, il soggetto, in S. SETTIS (a cura di), I Greci, voi. I, Noi
e i Greci, Torino; sul rapporto complessivo psyche-so- ma, cfr. ROBINSON,
Plato 's Psychology, Toronto LA REPUBBLICA ne
"desiderio". 2 Tale estensione, uno dei cardini metapsicolo-
gici della fenomenologia degenerativa del libro Vili, fa tutt'u- no con
la diretta attribuzione ad ogni istanza di una sfera "pro- pria"
di desideri esplicitata nel libro IX: «siccome tre sono le parti della
psyche, triplici mi sembrano anche i piaceri, ognuno proprio di ciascuna
parte; e similmente i desideri e il loro ruolo di comando» (580d6-7). Con
ciò la statica tripartizione delineata nel libro viene calata,
retroattivamente, all'interno della dinamica psico-politica e quindi
delle forme caratteriali disegnata nell'VIII. Più da vicino,
l'attribuzione rende conto del legame tra il governo del logistikon e il
desiderio di sapere del filosofo, il go- verno dello thymoeide s e
il desiderio di onori e gloria del carattere timocratico, e le tre forme
caratteriali dischiuse dal gover- no del polimorfo epithymetikon,
contenente tre specie di desi- deri e piaceri: 1) i «necessari», dei
quali «non ci si può libera- re», quali fame, sete ed eros riproduttivo,
il cui appagamento è utile e salutare; 2) i «non necessari», che possono
essere «al- lontanati», la cui soddisfazione non frutta alcun bene,
talvolta anzi un male; i
paranomoi, fuorilegge, per- versi e malvagi, sottospecie dei non
necessari, anch'essi allonta- nabili. Partizione metapsicologica sulla
quale pog- gia la fenomenologia caratteriale: l'avaro uomo oligarchico,
do- minato dai desideri necessari, nel quale il legittimo desiderio
per il denaro degenera in ossessione; il disinvolto carattere de-
mocratico, assediato dalla cangiante moltitudine dei desideri non
necessari; le inquietanti e parzialmente convergenti figure 2 La
convergenza con il nostro "desiderio" è già attestata in Marsilio
Fici- no, Sopra il Convito di Platone, ove Amore è sempre "desiderio
di bellezza"; soluzione che venne a sciogliere, indirettamente, le
tensioni tra concupiscentia, appetitus e desiderium derivate dalle
letture scolastiche della metapsicologia aristotelica: cfr., per es.,
TOMMASO d'Aquino, Summa theologiae, 30, 1-4; sul- la revisione
dell'impianto platonico dell'ultimo Aristotele cfr. per es. A. GRAESER,
Probleme der platonischen Seelenteilungslehre, Mùnchen 1969, pp.
22-24. Vm E IX, [H] deYL'erottkos e del tirannico, invasi e
pervasi dai desideri para- nomoi? Questa diairesi delle
specie del desiderio, tassonomica- mente inerente d& epithymetikon,
eccede euristicamente la ca- talogazione tipologica su due fronti. Su un
versante viene con- 3 Sulla convergenza tra la tripartizione delle
specie dei desideri e il poli- morfo epithymetikon, cfr., per es., HELLWIG,
Adikia in Platons 'Politela'. Interpretationen zu den Bùchern Vili undlX,
Amsterdam 1980, pp. 47-50. Ha sostenuto la forte «discrepanza» e «aperta
contraddizione» tra la tripartizione psichica e r«improwisata» diairesi
dell' 'epithymetikon, N. BlÓéNER, Dia- logform und Argument. Studien zu
Platons 'Politeia', Stuttgart 1997, soprat- tutto pp. 61-62, 237-40,
-appellandosi alla possibilità che le forme costituzio- nali e
caratteriali potrebbero essere più numerose, e che la partizione psichica
sia forzatamente modellata su quella politica. Sebbene sia vero che
rimangano delle tensioni nel testo - soprattutto rispetto al desiderio
necessario del carat- tere oligarchico: l'ossessione per il denaro
potrebbe a rigore esser interpretata quale elemento appartenente al regno
del non necessario - tuttavia Y epithy- metikon stesso, in ragione della
sua natura polimorfa, supporta perfettamente i tre tipi caratteriali
degenerati, come anche eventuali altre forme "interme- die".
Sul rapporto complessivo tra la tripartizione psichica e le cinque forme
politiche cfr. TJ. Andersson, Polis and Psyche. A motifin Plato's
'Republic', Goteborg. Ferrari, City and Soulin Plato's 'Republic', Sankt
Augustin, ha ultimamente sostenuto, di contro a Andersson, il carattere
meramente «analogico», «non causale» dell'isomorfismo, cfr. so- prattutto
pp. 50-53, 60, 65-66. Tale tesi implica però l'esclusione della kallipo-
lis e della tirannia (p: 53 e pp. 85 sgg.) nonché, di fatto, della timocrazia;
vi è poi una tendenza a caricare eccessivamente alcune tensioni del testo
(cfr. per es. p. 71) e a trascurare la dimensione dialettica e temporale della
di- namica degenerativa. Inoltre, Ferrari è costretto a eludere interi
brani, come 544d, e nello specifico la dimensione sociale nella quale è
calata la degenera- zione caratteriale come ove non considera che il
giovane timocratico «esce di casa» etc., e che la figura paterna risulta
infine «sconfitta» per- ché è collocata in un contesto etico-politico che
osteggia il suo modello psico- caratteriale (549c, 550b); analoga la
questione rispetto al carattere oligarchico (pp. 71-71) ove Ferrari elude
553a-d, e rispetto al carattere democratico ove tace. In breve ritengo, di
con- tro a Ferrari, che i due piani, psicologico e politico, siano in una
relazione di corrispondenza biunivoca circolare che garantisce ad ognuno
un'autonomia semi-ontologica dal punto di vista descrittivo, statico, ma
che preserva nel templata la possibilità che i desideri
possano essere allontanati o meno, approccio che mostra come la materia
epithymetica sia analizzata ad iniziare dalle strategie di controllo
adottabili nei suoi confronti. E questa la prospettiva all'interno della
qua- le si articola la catalogazione, non viceversa. Sull'altro
fronte, anche qui sorvolando al di sopra dei contenuti specifici
veico- lati dalle singole epithymiai, viene rimarcato il peso che la
loro soddisfazione gioca rispetto al benessere o al malessere
psicofi- sico complessivo del soggetto. Questi due fattori, modalità
di gestione tese al contenimento e allontanamento del materiale
epithymetico più pericoloso, insidie e derive psicopatologiche ad esse
correlate, sono i primi due assi sui quali corre la dege- nerazione che
conduce infine alla mania. Essi trovano la loro unità nel concetto di
repressione, dal quale cominceremo, ri- percorrendola a ritroso, la
nostra ricostruzione della degenera- zione. 2. Repressione ed
esilio Kolazomenai: i desideri possono essere e talvolta
vengono repressi: Fra i piaceri e i desideri non necessari,
alcuni mi sembrano essere contrari alle leggi. Essi probabilmente nascono
in ognuno, ma se ven- gono repressi (kolazomenai) dalle leggi e dai
desideri migliori con l'aiuto della ragione, nel caso di alcuni uomini si
allontanano del tutto oppure restano pochi e deboli, in altri (restano)
più forti e numerosi. La repressione dei desideri non necessari, ed
in particolare di quelli paranomoi, genera una dislocazione topica,
bipartita rispetto alla modalità funzionale, tripartita quanto alle
catego- rie caratterologiche. contempo la relazione
causale circolare dal punto di vista dinamico-tempora- le,
dialettico. E IX, [H] 475 L'allontanamento:
1) nel primo caso i desideri repressi «si al- lontanano del tutto»
(pantapasin apallattesthai). Stesso esito viene ascritto, più in
generale, alla repressione giovanile dei de- sideri genericamente non
necessari: «si potrebbero allontanare (apallaxeien) , se ci si prendesse
cura di farlo fin da giovani. Ancora: se il desiderio non necessario «è
represso ed educato {kolazomene kai paideuomené) fin da giovani, può
es- sere tenuto lontano {apallattesthai) dalla maggior parte degli
uomini» (559b9-10). b) La permanenza: i desideri repressi
permangono esplicita- mente (leipesthai) . Esito a sua volta ramificato:
2) in un caso permangono «pochi e deboli» desideri; condizione che
non viene però contrapposta al loro intero allontanamento: le due
forme riguardano la stessa categoria di persone. Nel terzo caso
permangono desideri «più forti e numerosi sì che viene delineata una
seconda categoria di persone. Per comprendere la dinamica, la forma, la topica
e le conseguenze che comporta l'adozione delle suddette strategie re-
pressive fornisce un contributo essenziale il brano sulla transizione dal
carattere oligarchico a quello democratico. Analizzando l'aspro conflitto
intrapsichico che lacera il giovane democratico, 5 Platone traccia
anzitutto una esplicita distinzione inerente alle strategie di
repressione e contenimen- to del desiderio: alcuni desideri (non
necessari) vengono di- strutti {diephtharesan), altri banditi {exepeson).
Ab- bandonati i desideri banditi al proprio destino, Platone si con- Analoga
la ricostruzione, che coniuga le modalità che permettono di «abwenden» i
desideri non necessari e il «fortdauern» dei paranomoi attestata
dall'analisi dei processi onirici, di VoiGTLÀNDER, Die Lust und das Gute
bei Platon, Wurzburg. Cfr. 559e4-560a2: il conflitto vede ivi schierati su un
fronte la specie dei desideri necessari, "alleati" alla figura
paterna, rappresentanti della parte oli- garchica, e la specie dei
desideri non necessari, fomentati dalle cattive compagnie, rappresentanti della
parte democratica. LA REPUBBLICA centra quindi sull'analisi di
«altri desideri affini a quelli che so- no stati messi al bando», dei
quali scrive, in un passaggio nevralgico, che, in talune occasioni, «cresciuti
di nascosto» (hypotrephomenai) , diventano infine molti e vigorosi.
Hypotrephomenai: le epithymiai crescono di nascosto, insensibilmente;
carattere subito rimarcato da Platone: esse «unendosi di nascosto [tra
loro] ne partoriscono una folla. Essendo tale proliferazione «nascosta»,
«segreta», «furtiva» {lathra), 6 siamo di fronte ad una crescita
effettiva- mente «inconsapevole»: ciò alle spalle di cui crescono, ciò
da cui si nascondono non può essere se non ciò che noi usualmen- te
indichiamo con l'espressione «coscienza». In breve, sfuggo- no alla presa
di coscienza. La proliferazione dei desideri non necessari è dunque in
questo caso collocata in un luogo intra- psichico oscuro, nascosto,
tenebroso, al di fuori della sfera co- sciente. Tale sito è quasi
certamente lo stesso dei desideri para- nomoi repressi nel caso in cui
restano «forti e numerosi». L'individuazione e concettualizzazione di
processi psichici pacificamente definibili come «inconsapevoli» è del
resto attestata in diversi altri brani della Repubblica. Ad esempio ove
leggiamo che si deve evitare che i giovani, frequentando perso- ne
viziose, ammassino «senza accorgersene {lanthanosin) un'u- nica grande
mole di vizio nelle loro psychai» e che, al contrario, devono crescere
tra «opere belle» così che la loro «aura», «fin da bambini,
inconsapevolmente {lanthane)», li conduca «all'armonico accordo con la bella
ragione. 7 Ed an- Anche HELLWIG sottolinea come le «Begierden
gewaltsam unterdriicken» rompano la Harmonie psichica e pos- sano poi
rafforzarsi «in heimlichem». 7 Jaeger, Paideia, Firenze, parla a
questo proposito di «inconscio», così come Lear, La psicoanalisi e i suoi
nemici, Milano, XVIII; il termine «incon- scio» però, in questo caso
specifico, non può essere inteso nel senso classico e ristretto
(dinamico) di Freud, poiché slegato da processi riconducibili alla ri-
mozione. cora ove leggiamo che in certi casi «un'opinione esce
dalla mente» «in modo involontario, come accade in «coloro che
vengono indotti a mutare le loro convinzioni e che se le dimenticano,
perché agli uni il tempo, agli altri il ra- gionamento, le portano via di
nascosto {exairoumenos lantha- nei)». Ora, i suddetti processi
repressivi sono collocati da Plato- ne all'interno di una ben precisa
topica metapsicologica: i desideri repressi, una volta rinvigoritisi e
cresciuti di nascosto, «hanno infine conquistato l'acropoli della psyche.
L'acropoli raffigura il centro direttivo della psyche-polis, il luo- go
nel quale si controlla l'azione, dal quale ognuna delle tre istanze e le
particolari sfere di desideri ad esse pertinenti pos- sono governare
l'individuo. I conflitti, lo scontro tra sfere di desideri alternativi
che segnano intimamente la psyche hanno quindi un obbiettivo ultimo:
conquistare la «regale fortezza», penetrare attraverso i «portali» che
conducono al cuore del soggetto, al sé. La repressione che si
limita ad allontanare, ma forse anche a bandire, e comunque
esclusivamente a dislocare topicamente il desiderio senza distruggerlo,
si lascia allora intendere quale espulsione dall'acropoli e attività di
continua difesa, resistenza e opposizione al loro rientro in essa.
Dinamica raffigurata nel mettere «guardie e sentinelle» ai suoi portali,
che altro non so- no che discorsi, opinioni, convinzioni che sbarrano
l'accesso alla pressione del materiale pulsionale. Anche qui la
politicizzazione platonica della psyche mostra di non esser solo
metafora, ma descrizione, non anatomica o fisiologica, dei pro- cessi
psicologici di per se stessi, che divengono intelligibili, di-
rettamente, in questa dimensione concettuale. Un ultimo elemento
chiave inerente alle strategie repressi- ve, sempre di matrice
psico-politica, è la schiavitù cui sono soggetti i desideri repressi. Una
prima chiara indicazione in tal senso ci è data nella discussione del
carattere oligarchico che letteralmente «rende schiavi», «mette in
schiavitù» i desideri non necessari (554a7: doulomenos). Modalità che
riemerge, in generale, anche ove leggiamo che «bisogna reprimere e
mette- re in schiavitù» i «desideri malvagi» (kolazein te kai
doulousthai). Vedremo meglio come anche nell'analisi dei processi onirici la
«schiavitù» (douleia), cui sono soggette le opinioni che sorreggono i
desideri paranomoi, svolga un ruo- lo cruciale. Il punto che ora ci preme
sottolineare è che la repressione in taluni casi si configura come un processo
seguito da una forma di controllo radicale, di incatenamento.
In conclusione, la repressione dei desideri, paranomoi ma più in
generale non necessari, è un processo tale per cui essi vengono
allontanati, non distrutti; in alcuni casi essa comporta la loro
esplicita permanenza, in catene, al di fuori della co- scienza,
dell'acropoli; dimensione dalla quale, rinvigorendosi di nascosto,
inconsapevolmente, possono, in un secondo mo- mento, tentare un attacco
alle sue porte. 3. Il ritomo onirico del represso I
desideri paranomoi repressi, scrive Platone all'inizio del libro IX,
«sono quelli che si risvegliano nel sonno, inaugurando così l'analisi dei
processi onirici. Disamina che ci offre un contributo tanto stringato
quanto sorprendente per la sua modernità, essenziale nell'architettura
metapsicologica complessiva delle strategie di controllo deH'epithymia
nonché ai fini della definizione della specie dei desideri paranomoi
e della deriva psicopatologica complessiva della fenomenologia
degenerativa. II «risveglio» avviene quando il resto della
psyche - il logistikon e ciò che è socievole e adat- to al comando -
riposa, mentre la parte ferina e selvaggia, piena di ci- bo o di vino, si
sfrena nella sua danza e, scacciando il sonno, cerca di aprirsi la via per
dare sfogo ai suoi abituali costumi. Vi è, dunque, una condizione
positiva: Yepithymetikon, sti- molato fisiologicamente (cibo e vino), si
sfrena e respinge via il sonno; ciò comporta il sincronico «risveglio» dei
suoi desideri; ed una condizione negativa: il logistikon dorme, perciò
non può dominare la parte desiderante. E associato ad esso anche
ciò che è «socievole», 8 probabilmente lo thymoeides. Il proseguo
del brano fa luce su tale stato psicologico: Sai bene che in un simile
stato essa osa fare di tutto, come sciolta e liberata da ogni freno di
vergogna e di ragionevolezza» (571c7- 9). H sonno del logistikon,
l'istanza cui va ascritta la phronesis, e verosimilmente dello thymoeides,
al quale possiamo attribui- re, quando è sotto l'egida della ragione,
Yaischyne, viene quindi a rappresentare la mancanza di quell'attività di
resistenza che impedisce la manifestazione dei desideri repressi. Il
fattore quantitativo e la struttura dinamica delle due precondizioni sono
perfettamente convergenti: al «risveglio» indotto dall'eccitazione della parte
desiderante, quindi ad una rinnovata pressione dei desideri, segue la loro
emersione e soddisfazione per- messa dall'inattività delle forze
razionali, morali. Date tali condizioni, tentare di
accoppiarsi con la madre (così s'immagina) non la imbarazza affatto, o con
chiunque altro fra uomini, dèi, animali, e commette- re qualsiasi
assassinio, e non astenersi da alcun cibo. Quadro «edipico», 9
perversione, aggressività omicida. Questo l'inquietante scenario che si
apre dinanzi agli occhi dell'impotente sognatore. Posto che
l'attività onirica rappresenta la «soddisfazione» «immaginaria» o
«visionaria» di desideri repressi, riprendendo la topica dell'acropoli la loro
appari- 8 Su hemeron e thymoeides cfr. JAEGER, A New Greek Word in
Plato's 'Republic', in Scripta Minora, Roma. ' Hanno
richiamato al riguardo l'edipo freudiano, tra gli altri, POPPER, La società
aperta e i suoi nemici, Milano; Kahn, Plato's Theory of Desire, Review of
Metaphysics; GlGON, Erlàuterungen, in Plato. Der Staat, Munchen.
zione e sincronico appagamento potrebbero essere interpretati come
se essi vi penetrassero nottetempo, superando la vigilan- za di
sentinelle assopite. 10 Trattandosi di una soddisfazione, an- che se solo
immaginaria, è difatti lecito raffigurarsela nell'uni- co sito nel quale
essa sembra poter realizzarsi. Nel sonno l'a- cropoli si verrebbe così a
configurare come sfera della coscien- za, come teatro dell'immaginazione
nel quale i desideri impon- gono la visione della loro drammatica
rappresentazione, diven- tando coscienti e trovando soddisfazione senza
però attivare le funzioni psico-motorie. La ricostruzione di
quest'immagine, priva di riferimenti diretti, mira soltanto a rendere in
termini spaziali il fatto che, come emerge senza incertezze dal testo,
il sogno rappresenta il momento privilegiato grazie al quale è
possibile prendere coscienza di quei desideri repressi e tenuti in
schiavitù che nella veglia sfuggono al suo sguardo. 11 Platone ha
così dischiuso e percorso la «via regia per l'in- conscio» tracciata nel
Novecento da Sigmund Freud. A monte, la repressione platonica si lascia
intendere alla luce della rimo- zione {Verdràngung), o viceversa,
anzitutto perché quest'ultima, che è una forma particolare di repressione
{Unterdrùcken), 12 Cfr. anche VEGLEEIS, Platone e il sogno della notte, GuiDOKIZZI
(a cura di), Il sogno in Grecia E IL SOGNO D’ENEA, Bari. La più articolata
trattazione platonica di ciò che noi indichiamo con le espressioni
«coscienza» e «autocoscienza» è probabilmente quella di Filebo 33b-42c.
Ivi, utilizzando la metafora del pittore, Platone scrive che un indivi-
duo «vede in qualche modo in se stesso le immagini delle cose dette o opinate,
poi che egli «scorge in sé anche se stesso» (40a). Il passo della Re-
pubblica, limitato alla percezione di immagini prodotte psichicamente,
pare presupporre una concezione della «coscienza» simile. u
Parlano di desideri allo stato di «latenza» Kahn, e LEAR, op. cit. (n. 7), p.
142. 12 «Ci sono nella vita psichica desideri rimossi. Ci sono non
è inteso storicamente, nel senso che simili desideri sono esistiti e poi
sono stati distrut- ti; per la teoria della rimozione simili desideri
rimossi esistono ancora, ma contemporaneamente esiste un'inibizione che
pesa su di essi. Il linguaggio COMMENTO Al LIBRI Vm E LX, dal carattere
«morale», 13 tesa a contrastare una sfera di deside- ri «immorali,
incestuosi e perversi, o di voglie omicide, sadi- che», 14 anziché
condurre ad «una completa distruzione» 15 dei desideri, si limita al loro
«allontanamento» (Entfernung) dalla coscienza. Questi perciò «permangono»
(Fortbesteben) al di là dei confini della sfera cosciente. 17 In una sola
parola, il rimosso è vogelfrei, 18 ovvero "bandito",
"proscritto", "fuori- legge". La rimozione
rappresenta, dunque, un'arma a doppio ta- glio. Su un fronte, al rimosso
viene normalmente impedito di «scaricarsi nell'azione reale», gli viene
metaforicamente nega- to l'accesso alla Festung freudiana, la «fortezza»
dalla quale si colpisce nel giusto quando parla della
"repressione" (Unterdrucken) di tali impulsi. L'organizzazione
psichica, che permette a codesti desideri repressi di realizzarsi, rimane
intatta e utilizzabile» (S. Freud, L 'interpretazione dei sogni, in Opere
complete, 12 voli., trad. it. Torino; DIE TRAUMDEUTUNG, in Gesammelte Werke, 18
voli., rist. Frankfurt a. M. 1999, voi. Il/in, p. 241; d'ora in poi,
tutti i richiami a Freud si riferiscono a queste edizioni). Freud,
L'Io e l'Es; cfr. anche Lo., Breve compendio di psicoanalisi, FREUD,
Alcune aggiunte d'insieme alla 'Interpretazione dei sogni'. Freud, Introduzione
alla psicoanalisi (nuova serie di lezioni), voi. XI, p. 201 [FREUD, Neue
Volge der Vorlesungen zur Einfiihrung in die Psychoa- nalyse, voi. XV, p.
98: «eine vollstandige Zerstòrung»]; il richiamo successivo è certamente
a Id., Il tramonto del complesso edipico; cfr. anche S. Freud,
Inibizione, sintomo e angoscia, voi. X, p. 290. 16 S. FREUD,
Metapsicologia, voi. Vili, p. 40, e ivi p. 37: «la sua essenza consiste
semplicemente nelPespellere e nel tener lontano qualcosa dalla co- scienza»
[Die Verdràngung]; cfr. anche Lo., L'Io e l'Es, FREUD, Metapsicologia, voi.
Vili, p. 39 [Die Verdràngung, FREUD, Inibizione, sintomo e angoscia, voi. X, p.
300 [Hemmung, Symptom undAngst, voi. XIV, p. 185]. FREUD, Al di là
del principio di piacere. LA REPUBBLICA «domina la motilità».
20 Sull'altro però esso «sopravvive al di fuori» della coscienza godendo
del «privilegio della Exterrito- rialùàt»: 21 una volta estromesso dal
dominio cosciente può «sviluppare derivati e annodare connessioni»,
«prolifera per così dire nell'oscurità», im Dunkeln. 22 Proliferazione
che rap- presenta la possibilità del suo sempre possibile «ritorno». 23
Da qui la necessità di una costante attività di «resistenza» alle so-
glie della coscienza. In termini spaziali: espulso un ospite in-
desiderato si deve «poi far sorvegliare perennemente la porta da un
guardiano giacché altrimenti l'individuo respinto la for- zerebbe».
25 Poste queste premesse, Freud, ricalcando ancora le orme
platoniche, 26 individua nel sogno la via regia per l'inconscio perché in
esso i desideri repressi, approfittando del cedimento della sorveglianza
deU'«Io dormiente», 27 e godendo del casuale 20 S. Freud, L
'interpretazione dei sogni [Die
Traumdeu- tung, voi. II/III, p. 573]. Riprende questa stessa immagine,
accostandola ai conflitti della psyche platonica, M. Stella. FREUD,
Inibizione, sintomo e angoscia, voi. X, pp. 247-48 [Hem- mung, Symptom
und Angst,; cfr. anche Id., Il problema del- l'analisi condotta da non
medici, Freud, Metapsicologia, [Die
Verdrdngung]. Sui meccanismi di difesa cfr., per es., S. Freud,
Metapsicologia, voi. VILT Sul dispendio psichico della resistenza cfr.
per es. S. Freud, Metapsico- logia, voi. Vili, p. 41; Id., Inibizione, SINTOMO
(GRICE) e angoscia. Sulla distinzione tra derivati e rimosso originario,
e tra rimozione originaria e post- rimozione, cfr. Id., Metapsicologia, Freud,
Metapsicologia, voi. Vili, p. 43 e nota; cfr. anche Id., Cinque
conferenze sulla psicoanalisi; Id., Introduzione alla psicoa- nalisi, Cfr.
in questo senso anche KENNY [citato da Grice, VOLITING – INTENTION AND
UNCERTAINTY, The Anatomy of the Soul – cf. Grice, THE POWER STRUCTURE OF THE SOUL,
Oxford; FREUD, Introduzione alla psicoanalisi (nuova serie di lezioni), Vili E
IX, [H] 483 rinvestimento energetico pre-notturno, 28 riescono
talvolta a farsi breccia nelle «porte custodite da resistenze» della
co- scienza. 29 Non dunque nella Festung, la cui «porta che condu-
ce alla motilità» durante il sonno viene «chiusa» dal «guardia- no», 30
il sogno rappresenta infatti la «soddisfazione allucinato- ria», non
certo reale, del desiderio. 31 Al di là dei meccanismi peculiari del
sogno 32 e delle possibilità con le quali la censura inconscia può
deformare i pensieri onirici latenti, anche per Freud accade talvolta,
sebbene «raramente», che si formino sogni che «significano proprio quello
che dicono, e non hanno subito alcuna deformazione dalla censura», 33
«come quello cui allude Giocasta nell'Edipo re». 34 Infine,
considerato che il concetto di inconscio in senso stretto (dinamico e non
descrittivobè direttamente «ricavato» dalla dottrina della rimozione, nel
senso che il rimosso «è per FREUD, Inibizione, sintomo e angoscia, voi.
X, p. 304; Id., Intro- duzione alla psicoanalisi (nuova serie di
lezioni), vMetapsico- logia; in Id., Analisi terminabile e interminabile,
voi. XI, p. 509, viene ribadito «l'irresistibile potere del fattore
quantitativo» nei pro- cessi di rimozione; sulla diversità dei vari
stimoli cfr. per es. Id., L 'interpretazione dei sogni, Freud, Psicologia delle
masse e analisi dell'Io; cfr. anche Id., Autobiografia, Freud, Il
interpretazione dei sogni; al limite ci si può rifare all'immagine delle
«guardie alle porte dell'intelletto. Cfr. anche S. FREUD, Introduzione alla
psicoanalisi; Id., Introduzione alla psicoanalisi (nuova serie di lezioni) Cfr.,
per es., FREUD, Introduzione alla psicoanalisi (nuova serie di le-
zioni), FREUD, Alcune aggiunte d'insieme alla 'Interpretazione dei sogni'
, voi. X, p. 158. 34 Ibidem. Freud allude qui al passo
dell'Expo re in cui Giocasta dice: «Tu non temere le nozze con tua madre:
già molti mortali si giacquero in so- gno con la propria madre» (980-82;
trad. it. di R. Cantarella). noi il modello dell'inconscio», ove
l'elemento essenziale è dato dal fatto che i desideri confinati «non
possono divenire coscienti perché una certa forza vi si oppone», 35 esattamente
co- me accade per i desideri repressi platonici tenuti in
schiavitù, possiamo concludere affermando che, di fronte alle
analogie tra le due concezioni complessive, questi ultimi possono
essere considerati alla stregua di desideri rimossi, dunque inconsci
in senso stretto (dinamico). Difese pre-oniriche La difesa
approntata dall’ACCADEMIA per prevenire l'emersione onirica dei desideri
repressi o se si vuole «rimossi» è così deli- neata: ci si deve
«accostare al sonno dopo aver tenuto ben de- sto il logistikon», facendo
nel contempo «rimanere assopito Ye- pithymetikon» - conducendolo cioè in
una condizione tale per cui non resti né «affamato» né sia «troppo
riempito» - ed infi- Freud, L'Io e l'Es, voi. Cfr. nello stesso senso JAEGER;
GOULD, Platonic Love, London; Lear; HOBBS, Platon and the Hero. Courage, Manliness and the Impersonai Good,
Cambridge; GlGON; MONTONERI, Platone: l'eros, il piacere, la bellezza, in I
filosofi greci e il piacere,Bari; REALE (si veda), Corpo, anima e
salute, Milano. Nello stesso senso, ma un po' più cauti, cfr. DODDS,
Plato and the Irrational SOUL – cf. Grice --, Journal of Hellenic Studies; KENNY
[citato da Grice, VOLITING – INTENTION AND UNCERTAINTY. Di diversa opinione FERRARI,
'AKRASIA' – cf. H. P. Grice ‘akrasia, incontentia, weakness of the will -- as
Neurosis in Plato's 'Protagoras' , Boston Colloquium in Ancient Philosophy,
rispetto a Repubblica; egli rimanda però alla messa in schiavitù del
logistikon da parte déH'epithymetikon, che abbiamo visto essere di natura
diversa, in quanto tesa allo "sfrut- tamento" e non
all'allontanamento , dalla messa in schiavitù dei de- sideri paranomoi
etc. Ho cercato di affrontare l'intera questione in SOLINAS, Unterdrùckung,
Traum und Unbewusstes in Platons 'Politeia' und bei Freud, Philosophisches
Jahrbuch. ne «ammansendo lo thymoeides»; in questo caso «le
visioni fantasticate nei sogni sono le meno contrarie alle leggi. Rispetto
all'emersione" onirica lo thymoeides presenta un carattere
asimmetrico: la sua inattività sembra agevolare l'e- mersione del
materiale represso, il suo risveglio rappresenta però un pericolo. Ciò è
verosimilmente dovuto alla sua costitu- tiva ambivalenza: privo della
guida del logistikon mostra la sua natura bestiale, aggressiva (cfr. 441a
sgg., 590b); caratteristica che potrebbe suggerire che esso possa
contribuire alla manife- stazione stessa dei desideri paranomoi nel loro
carattere marca- tamente omicida, e che renderebbe conto del legame tra
il logi- stikon ed un vago «ciò che è socievole». Quanto all'
epithymetikon, il rimarcare la pericolosità del lasciarlo «affamato» può
esser inteso sia come un richiamo alla concezione del desiderio quale
soddisfazione di una mancanza, sia alla formazione di sogni non appaganti,
avvalo- rata dal fatto che l'attività onirica dell' 'epithymetikon è
detta comprendere oltre alle sue «gioie» anche i suoi «dolori» (%aipov
r\ À.imo'unevov). Richiamo all'incubo che trova un puntello già nel libro
I: l'uomo ingiusto «spesso si risveglia dal sonno, come i bambini, in
preda al terrore» (330e6-7). Anche rispetto al logistikon, ora
nutrito da «buoni discorsi e ricerche, emerge un'asimmetria funzionale:
il sonno rappresenta l'inattività delle sue funzioni di controllo e
resi- stenza, il suo risveglio non comporta però la capacità di
svolge- re alcuna attività inibente, è limitata allo svolgimento di funzio-
ni intellettuali interne: «solo in se stesso nella sua purezza» po- trà
«venire in contatto con la verità. 38 Attività che 37 Anche in
Timeo 45e-46a emerge uno stretto legame tra tranquillità e qualità dei
sogni, e in 71c-d tra condizioni pre-notturna e sogno. 38 Cfr.
nello stesso senso anche VEGLERIS. Profondamente diversa è la concezione
del Timeo ove<è il fegato a fornire una conoscenza non razionale che
la ragione deve «interpretare con non ha, quindi, niente a
che fare con l'emersione dei desideri repressi. (Rispetto a Freud si
potrebbe pensare alla netta distinzione tra il lavoro intellettuale preconscio
svolto nel sonno dall'Io e l'emersione onirica del rimosso). 39
Platone non afferma del resto mai la possibilità di un inter- vento
diretto (notturno) del logistikon teso a calmare o sedare o compiere una
qualsiasi operazione tesa ad arginare eventuali intemperanze delle altre
istanze. Il loro assopimento, come vie- ne ribadito due volte nel
proseguo del passo, deve essere per- seguito e raggiunto prima di abbandonarsi
al sonno; soltanto dopo aver assolto questo compito ci si può finalmente
concedere il riposo. La non-emersione dei desideri è, dun- que, garantita
univocamente da un intervento consapevole, pre-notturno. Le possibilità
di interrelazioni nei processi oniri- ci paiono perciò significativamente
ridotte rispetto a quelle della veglia, tanto da non contemplare casi di
vero e proprio conflitto. Tutt'al più la parte razionale può essere turbata
dalle gioie o dai dolori dell' epithymetikon, accenno che sembra indicare
che essa si limiti a percepire passivamente, ad assistere impotente alle
sue turbolente manifestazioni. In conclusione, il quadro dei
processi onirici è così artico- lato: o il logistikon è desto e le altri
parti dormono, ed allora «le visioni fantasticate nei sogni sono le meno
contrarie alle il ragionamento dopo il risveglio. Sempre diversi da
quelli di Repubbli- ca sono i sogni quali appaiono in Fedone, Critone,
Leg., Epinomide, poiché veicolano messaggi di origine extra-psichica:
cfr. al riguardo Dodds, I Greci e l'irrazionale, Firenze. Cfr., per
es., S. FREUD, L’io e l'Es: un lavoro intellettuale sottile e difficile, che
normalmente richiede una rigorosa meditazione, può essere effettuato in
modo preconscio senza pervenire alla coscienza. Non vi sono dubbi su casi
del genere: essi si verificano ad esempio nel sonno», e Id., Introduzione
alla psicoanalisi (nuova serie di lezioni): la funzione preconscia svolta
dall'Io può ben accadere «durante la notte» ma «non ha nulla a che fare
con il lavoro onirico». leggi», ed esso può attivare le sue funzioni
intellettuali; oppure V epithymetikon e verosimilmente lo thymoeides son
desti e il logistikon dorme, ed allora emergono i desideri repressi.
Es- sendo l'esito univocamente determinato da un intervento indi-
retto e consapevole, tale concezione non ha niente a che fare con la
«difesa» di Freud, incentrata sulla censura onirica, di- retta ed
inconscia. In Platone, nel sogno, i desideri repressi o non compaiono
affatto o dilagano senza indossare maschera alcuna. 5. Strategie di
controllo e caratteri universali Ora, poiché leggiamo che proprio
chi «si trovi in una con- dizione di sanità e moderazione» deve
ottemperare alle sud- dette misure preventive prima di concedersi il
riposo, sì da evi- tare la manifestazione delle empie visioni, è
necessario che sia presente, anzi incombente il pericolo della loro
comparsa. La ragione metapsicologica fondamentale della precarietà di
ogni forma di difesa nei confronti dei desideri paranomoi, anche
ri- spetto ai moderati, ci è data nel brano che chiude l'analisi
dei processi onirici: Però parlando di queste cose siamo
andati troppo lontano. Ma ciò che vogliamo capire è questo: in ognuno -
anche in quei pochi di noi che sembrano essere del tutto moderati - è
senza dubbio presente una forma di desideri terribile, selvaggia e
illegale, che si manifesta chiaramente appunto nel sonno. Il
sogno rappresenta, dunque, lo smascheramento delle ap- parenze, il
riconoscimento che «in ognuno», anche in coloro che più sembrano
moderati, nonostante ciò possa parere inam- 40 Cfr. per es. S.
FREUD, Introduzione alla psicoanalisi (nuova serie di lezioni), voi; sulla
metafora politica del sogno come «conquista» e sulla «resistenza delle
popolazioni soggiogate» cfr. Id., Compendio di psicoa- nalisi, voi. missibile,
ebbene anche in loro, anzi in «noi» - Platone qui sembrerebbe includere
anche se stesso - questa specie di desi- deri esiste: essa «si manifesta
appunto nel sonno». Poiché il moderato è sicuramente colui che ha operato
la migliore repressione, i desideri paranomoi in lui debbono esse-
re stati «interamente allontanati, non sono perciò né pochi né deboli né
schiavi. Ciò nonostante tale operazione la- scia aperta la via alla
possibilità del loro ritorno. Lo stesso peri- colo affiorava del resto
nel brano sull'acropoli, ove Platone scriveva che gli uomini «cari agli
dèi», in altri termini i mode- rati, predispongono la «guardia» alle
porte dell'acropoli. Ta hautou ethe: nel sogno V epithymetikon
soddisfa «i suoi abituali costumi» o «i propri caratteri» (571c7). In
questa defi- nizione sta la chiave che spiega l'incombenza del pericolo:
sia- mo di fronte ad una «specie di desideri tremenda, selvaggia e
illegale» che costituisce un elemento strutturale dell' 'epithymetikon.
Trattandosi di un'istanza costitutiva e origina- ria della psyche, la
specie epithymetica ad essa connaturata non può che essere presente in
ogni uomo. E universale. Con ciò Platone sembra fugare ogni dubbio
rispetto al fatto che i desi- deri paranomoi «probabilmente nascono in
ognuno» C571b5- 6). Del resto i desideri non necessari bussano alle porte
dell'a- cropoli fin dalla giovane età, come mostrano i molteplici
ri- chiami ad operare una loro repressione ed educazione «fin da
giovani. Certo, il fatto che i desideri paranomoi repressi e
allontana- ti «esistano» anche nei moderati non significa che il loro
status sia lo stesso di quelli repressi e tenuti in schiavitù nei
non-mo- derati. Con ciò veniamo all'intreccio tra i vari tipi di
repressio- ne i cui fili è giunto il momento di provare a dipanare.
Bipartiamo dal carattere oligarchico. Egli «rende schiavi» i
desideri non necessari, in altri termini essi «vengono tenuti sotto
controllo con la forza» (554cl: katechomenas bia); spiega ancor meglio
Platone: il carattere oligarchico] con una sorta di apprezzabile violenza
su di sé tiene a freno gli altri cattivi desideri interni che pure lo
abitano, non perché li convinca che non vanno nella direzione migliore,
né li ammansisca con un discorso razionale, ma con il peso della
necessità e della paura (554cl2-d3: èrcieiKeì xivi èonnou pm Karéicei oì>
TteiOcov ot>8' finepcòv A,óy(p). La capacità di convinzione e
persuasione {peithó) della sfe- ra razionale è qui direttamente
contrapposta alla forza o vio- lenza (bia) di una repressione che,
sebbene nei suoi intenti sia apprezzabile, lodevole (epieikei), con le
catene della schiavitù non risolve il problema. Siamo di fronte a due
modelli di ge- stione del desiderio alternativi: l'uno repressivo,
negativo, l'al- tro persuasivo, positivo. 41 Di contro, è
anche vero che Platone discutendo del carat- tere democratico
scrive: se accade che qualcuno gli dica che alcuni piaceri sono
relativi ai desi- deri belli e buoni, altri a quelli malvagi, e che
bisogna praticare e ono- rare i primi, reprimere e mettere in schiavitù i
secondi, in tutte queste occasioni scuote la testa e afferma che essi
sono tutti uguali e di pari rispetto (561b8-c4). Poiché qui
la messa in schiavitù assume un valore positivo, sembra emergere una
contraddizione. In verità però come il processo di repressione svolto
dall'oligarchico è «apprezzabi- le» nelle intenzioni, è comunque meglio
di niente per un indi- viduo degenerato, così nel «discorso vero» che
deve esser fatto passare nella psyche del giovane carattere democratico,
che è ancora più avanti nel processo di degenerazione, tanto da non
41 Anche D. Hellwig, op. cit. (n. 3), soprattutto pp. 147-54, insiste
su «die Alternative bia-peitho», ovvero tra l'atteggiamento che «mit
Gewalt un- terdriickt» e quello «durch Peitho», non solo rispetto al
carattere ed alla co- stituzione oligarchica ma nei confronti dell'intera
fenomenologia degenerati- va; la Hellwig inoltre riferisce tale
alternativa, ai paradigmi naturalistici di fon- do adottati da
Platone. preoccuparsi ormai di controllare alcun desiderio, sarebbe
già sufficiente se egli comprendesse che deve tentare di contrasta-
re perlomeno i suoi desideri peggiori. Includendo a tal fine l'a- dozione
della strategia più drastica: la loro repressione e messa in schiavitù.
Del resto, tale strategia dovrebbe essere l'unica a disposizione dei
degenerati caratteri oligarchico e democratico (e anche del timocratico),
nei quali il logistikon, l'unico in gra- do di gestire i conflitti in
modo «armonico», è ormai «asservi- to» 42 all' ' epithymetikon (o allo
thymoeides. Stringente il parallelismo semantico e concettuale che si
pone a livello politico nell'oligarchia. Ivi la degenerazione poli- tica
e sociale permette la nascita e proliferazione di «ladri, tagliaborse e
saccheggiatori» «nascosti» negli angoli della polis che «le autorità
provvedono a tenere sotto controllo con la forza» (ove, èni\i£teiq pUa
KoaéxoDow ai àp%ou). Il circolo della degenerazione, a livello sia
psichico che politico, si avvita su stesso: conflitto e disarmonia
generano elementi conturbanti, laceranti, patogeni, annidati negli anfratti di
psyche e polis, di fronte ai quali l'unica arma, ormai, è quella
inefficace e patogena, ancorché lodevole, della repressione violenta. In
questo caso la «schiavitù» va intesa nel senso dell'asservimento, dello
sfruttamento positivo: «l'una calcolando e studiando il modo di aumentare
le ricchezze, l'altro onorando le ricchezze»; viceversa la schiavitù dei
desideri ha carattere esclusivamente negativo: di incatenamento,
espulsione, allonta- namento. 43 Sull'armonia psichica
instaurata dal logistikon nel filosofo, e sulla sua contrapposizione con
la scissione psichica dei caratteri degenerati cfr. R. KRAUT, Plato's Comparison of
Just and Unjust Lives, in Hòffe, Platon. Politela,
Berlin. Diversa la questione che si pone rispetto alla kallipolis, ove
Platone, rimarcando il suo elitarismo e pessimismo antropologico, difende la
necessità di «asservire» ai filosofi, ovvero di «imporre dall'esterno le
di- rettive corrette» agli individui ed alle classi sociali da lui
considerate non pienamente educabili. Se in entrambi i casi si tratta di una
extrema ratio, nell'uno si fa fronte a differenze antropologiche
costitutive, tali per cui l'auspicata ar- monia sociale trova agli occhi
di Platone dei limiti invalicabili; nell'altro inve- Riprendendo i fili
delle diverse strategie di controllo dei desideri non necessari emergono
allora quattro modelli para- digmatici (escludendo la loro
soddisfazione): due repressivi, uno misto, uno persuasivo: 1) quello per cui
essi vengono «di- strutti»; 2) quello che li «reprime e mette in
schiavitù»; 3) quel- lo in cui il desiderio «represso ed educato» viene
«allontana- to»; 4) quello in cui il desiderio, anziché esser
«controllato con la forza», è «convinto» e «ammansito». Ciò considerato,
l'indeterminata «repressione» dei deside- ri paranomoi che conduce al
loro intero allontanamento od alla loro esplicita permanenza in
condizione di schiavitù non è esattamente una medesima operazione
repressiva come l'ab- biamo interpretata inizialmente, ma rimanda a due
strategie affini ma distinte. La prima rientra nel modello che «reprime e
mette in schiavitù» ed ha l'esito univoco di spostare e incatena- re il
desiderio. La seconda rientra nel modello per cui il deside- rio
«represso ed educato viene allontanato». Qui la com- presenza di
repressione e educazione, sì che il desiderio «allon- tanato» non è né
pienamente persuaso né brutalmente incate- nato, designa un approccio
misto, e spiega l'unificazione in un'unica categoria di persone, i
moderati, di coloro che hanno interamente allontanato i desideri
paranomoi o nei quali per- mangono ma sono «pochi e deboli». Modalità
nella quale po- tremmo forse inserire anche quei desideri «banditi» che
Plato- ne abbandonava al proprio destino: in tutti e tre i casi i
deside- ri vengono repressi, non distrutti, ma si tratta di una
repressio- ne per così dire morbida, tendente perlomeno in parte alla
loro «educazione», sì che essi non permangono, in massa, alle porte
dell'acropoli. Viceversa, la strategia puramente repressiva, di ce
viene criticata una modalità di controllo metapsicologica che adotta, a
priori ed unilateralmente, un approccio brutalmente repressivo,
lacerante. 45 Cfr. rispettivamente: 1) 560a5: diepbtbaresan:
kolazein te hai doulousthai; anche: douloumenos; kolazomene kaipai- deuomene apallattesthai;
anche: apallaxeien; bia ka- techei oupeitho oud'henieron logo. messa
in schiavitù, lascia intonso il potenziale energetico dei desideri; è
questa la via che conduce prima al democratico, poi' alla mania del
tiranno. In conclusione, l'eventualità che anche nei moderati
emer- gano oniricamente i desideri paranomoi si lascia intendere come se,
piuttosto che singoli desideri incatenati che premono ininterrottamente
alle porte dell'acropoli, siano gli ethe origina- ri e costitutivi dell'
' epithymetikon a riuscire talvolta ad approfit- tare di una certa
eccitazione pre-notturna e del sonno del logi- stikon per mostrare le
strutture universali, esse stesse «incon- sce», che generano e sospingono
in avanti i singoli desideri paranomoi - come sarà poi per l'Es, non solo
per i singoli desi- deri rimossi, di Freud -, Al di là di ogni modalità
di controllo adottata e adottabile, siano pure le più persuasive, il
sogno mostra che è impossibile sradicare definitivamente la «specie» dei
desideri paranomoi in quanto tale, parte propria di quella «be- stia
policefala», tremenda e selvaggia, che abita ogni uomo, e fa sentire, di
tanto in tanto, la sua minacciosa presenza, «anche in quei pochi di noi
che sembrano essere del tutto moderati». Jaeger scrive che siamo di fronte
alle «regioni istintive subcoscienti dell'anima»; cfr. nello stesso senso
Kenny [citato da Grice, VOLITING – “INTENTION AND UNCERTAINTY”]; Vegleris; Janke,
AAH0E- LTATH TPAmiMA, «Archiv fiir Geschichte der Philosophie. Anche
Freud opera del resto una distinzione tra singolo desiderio rimosso e
strutture «istintuali», innate ed «inconsce» dell'Es, cfr. Freud,
Compendio di psicoanalisi; L’uomo Mosè e la religione monoteistica;
Id., Metapsicologia; sulla differenza tra individuo e specie cfr.
Id., Dalla storia di una nevrosi infantile, voi. 47 Cfr., per es.,
S. FREUD, Introduzione alla psicoanalisi, tutti gli uomini hanno questi sogni
perversi, incestuosi e omicidi», e Id., Alcune aggiunte d'insieme alla
Interpretazione dei sogni, I miei rapporti con Popper-Lynkeus; Gould. Sostengono
apertamente l'universalità dei desideri paranomoi, tra gli altri,
Guthrie, A History ofGreek Philosophy, IV: Plato, Cambridge Dal sogno alla
realtà: derive psicopatologiche Se ritorniamo alla degenerazione
caratteriale, è facile ora riconoscere come rispetto alle modalità
intrapsichiche di con- tenimento del desiderio l'approccio univocamente
repressivo alle epithymiai sia il principale responsabile della deriva
psico- patologica. La rottura dell'armonia intrapsichica,
condizione necessaria dell'integrità, salute e euàaimonia individuale
assicurata dal governo del logistikon, ha inizio con il carattere
timocratico, che colloca sul trono dell'acropoli lo thymoeides. Se egli
non rappresenta ancora una figura pa- tologica in senso stretto le
conseguenze del defenestramento si fanno però sentire nella figura
immediatamente successiva: il carattere oligarchico, dominato ormai dai
desideri necessari dell 1 ' epithymetikon, non trova altra strada che
reprimere e met- tere in schiavitù gli altri desideri. Così facendo egli
però non ri- solve ma acuisce la scissione e la lacerazione
intrapsichica: «un simile uomo non potrà dunque esser libero da conflitti
interiori, e non sarà uno ma in un certo senso doppio. In negativo: «la
vera virtù, quella della psyche concorde a armo- niosa, fuggirà via
lontano da lui. La stessa strategia repressiva è adottata dal
giovane figlio democratico. Anche lui, dunque, si impegnerà a
governare con la forza quei piaceri che vi insorgono chiamati non; BlRAL,
L’ACCADEMIA e la conoscenza di sé, Bari. KAHN; Klosko, The "Rule" of Reason
in Plato s Psychology, «History of Philosophy Quarterly;VoiGTLÀNDER; Lear, con linguaggio freudiano scrive che anche
nel migliore dei casi nella psiche vi saranno sempre desideri paranomoi
da rendere inoffensivi o da rimuovere. L'approccio duramente repressivo mostra
in questo caso la sua nefasta presenza nell'interazione psyche-polis: i
timocrati sono «educati non con la persuasione ma con la forza. Necessari.
Bice Sri kou oinoc, ap^cov xcòv év anta» èSovcòv), In questo modo però,
se talvolta alcuni desideri ven- gono distrutti, talaltra invece
proliferano «inconsciamente», rafforzandosi fino alla conquista
dell'acropoli. Saranno allora «i discorsi cialtroni» di cui si fanno
scudo a «chiudere le porte della regale fortezza» a più miti consigli e
ad «esiliare il pudore. 30 Solitamente, tuttavia, superata la lacerante
fase adolescenziale, l'uomo democratico riequilibra parzial- mente i suoi
desideri e richiama a sé alcuni degli elementi in passato
sconsideratamente «esiliati. Il passo che porta alla mania
tirannica, nell'arbitrario de- terminismo degenerativo disegnato da
Platone, è però ormai cortissimo: l'Eros tyrannos, che raccoglie intorno
a sé l'intero sciame dei desideri paranomoi, facendosene «capo» e «guida»,
e quelle opinioni che gli fanno da «scorta», si libera- no
definitivamente «dalla schiavitù», mentre prima, quando egli «si
autogovernava in modo democratico, esse [le opinioni] si liberavano solo
in sogno, nel sonno. 51 Le cate- ne della schiavitù sono state
spezzate: Ma sotto la tirannide di Eros, divenuto in ogni momento
della sua vi- ta da desto quello che raramente gli capitava di essere in
sogno, non si asterrà da alcun tremendo assassinio né da alcun cibo né
azione. L'uomo tirannico è «colui che da sveglio è proprio
come l'avevamo descritto nei suoi sogni. Dal punto di vista della
fenomenologia degenerativa questa figura è dunque dovuta, a livello
psicodinamico, al «ritorno» di un represso che scavalca le barriere
oniriche: si transita dall'appagamento oni- [Cfr. anche Lear. La comparsa
dell'uomo de- mocratico è, in linea di principio, il ritorno del represso
nella generazione successiva»; sull'oligarchico. Se sono le opinioni che
si liberano dalla schiavitù, è però l'Eros con i suoi desideri a riempire
di contenuti sia le manifestazioni oniriche sia le azioni dissolute del
tiranno. rico a quello reale dei desideri repressi, dall'estemporanea
rap- presentazione della loro soddisfazione nel teatro dell'immagi-
nazione alla conquista permanente dell'acropoli. L'Eros
«spadroneggia» ora incontrastato, «governa ogni settore della psyche
abitandovi come un tiranno. I rapporti di forza della psyche-polis
vengono nuovamente ribaltati: è l'Eros a «sopprimere e scacciare
fuori di sé i desideri e le opinioni oneste. Tirannia che genera
una profonda lacerazione, un'espropriazione della volontà. Il soggetto è in
balìa dei suoi desideri più sel- vaggi, rafforzatisi al grado estremo, ne
ha perso ormai comple- tamente il controllo e, messo all'angolo dalla
loro inappagabile ed ininterrotta pressione, «ogni giorno e ogni notte»,
ne cade preda. Siamo alla mania: l'uomo tirannico è «reso folle dai
suoi desideri e amori. Riepilogando, dal punto di vista intrapsichico il
processo di degenerazione avviato dal defenestramento dell'armonico
ed armonizzante logistikon e concludentesi con la tirannia del- l'Eros si
configura, perlomeno nelle sue ultime tre fasi, quale risultato di un
approccio brutalmente repressivo del materiale epithymetico. La
repressione permette difatti la permanenza e il rafforzamento
«inconscio», accertato grazie all'analisi dei processi onirici, dei
desideri repressi, i quali, una volta rinvigoritisi, riescono a penetrare
nell'acropoli, generando stati psico- patologici di lacerazione,
frammentazione, dispersione ed espropriazione maniacale. Dalla nostra
prospettiva psicodina- mica è dunque a tale strategia di controllo che deve
essere at- tribuita la più grave responsabilità della fenomenologia degenerativa. Sul
doppio livello psico-politico della «schiavitù» e sulla metameleia, cfr. GlGON,
Die Unseligkeit des Tyrannen in ACCADEMIA Staat, “Museum Helveticum”. all:
navvo|iévcp imo èniQv\ii&v te k<xì épcÓTCOV. L 'altra via: la
canalizzazione ACCADEMIA, LA REPUBBLICA La strategia antitetica alla
repressione è quella della per- suasione e educazione del desiderio.
L'architrave metapsicolo- gico sotto il quale si dispiega tale modalità è
rappresentato dal- l'adozione di un modello pulsionale "idraulico"
che assicura all' epithy mia, e all'eroi-, una intrinseca
malleabilità. Uepithymia, anzi le epithymiai dal punto di vista
dinamico si delineano quale forza fluida, canalizzabile, come emerge
lim- pidamente nei libri: «Sappiamo che quando le epithy- miai di
una persona si concentrano con forza in una sola dire- zione, esse ne
risultano indebolite nei riguardi di tutto il resto, come una corrente lì
incanalata. Così, prosegue L’ACCADEMIA, in quella persona in cui esse (le
epithymiai) sono rivolte agli studi e a ogni attività simile, esse
riguarderanno, credo, il piacere della psyche per se stessa e
trascureranno i piaceri del corpo», come accade nel philosophos. Se,
allora, si considera non Yepithymia nella sua fenomenica e contingente
sin- golarità, si tratti di specifici desideri necessari, non
necessari e/o paranomoi, ma le epithymiai nella loro plurale
unitarietà, esse risultano essere una forza energetico-pulsionale
unitaria, canalizzabile verso mete diverse, anche opposte, secondo
un modello economico. Anche da qui l'insistere di Platone, a monte,
piuttosto che sui contenuti specifici, sulle strategie di gestione del
materiale epithymetico. Questa è la ragione, dalla nostra
prospettiva psicodinami- ca, con la quale si spiega perché l'estensione
metapsicologica della tripartizione poteva coniugare esplicitamen-
te, in modo simultaneo e complementare, piaceri, desideri e governi: ogni
parte, in conformità con la sua natura intrinseca, «ha» dei desideri
specifici, ma essi possono essere preservati, rinforzati e quindi
soddisfatti soltanto in virtù dell'egemonia intrapsichica raggiunta dalla
singola istanza anche perché le Resp.: lóonep pev\ia éiceìae
àjicoxexE'Uiiévov. COMMENTO AI LIBRI VHI E epithymiai sono una risorsa
unitaria e limitata. Modello rafforzato, descrittivamente, da una sorta
di estremizzazione erotico-caratteriale operata da Platone: si tratti del
filosofo o meno, chi «ama» veramente una cosa la «ama in tutta la
sua forma, come chi «desidera qualcosa la desidera in tutta la sua
forma. Estremismo che conforta la tipologia caratteriale del libro
Vili. L'integrazione tra queste due dimensioni, psicodinamica e
caratterologica, è, infine, rinsaldata dall'eros: unità di misura comune
à tutti i tipi, dal filosofo, letteralmente erastes della ve- rità, 57
aìl'erotikos e al tirannico. La stessa contrapposizione strutturale tra
repressione e canalizzazione risulta così radica- lizzarsi nel nome
dell'eros. Ai due estremi: su un versante scorre il fiume impetuoso dell'eros
tyrannos, ove confluiscono i ter- ribili desideri paranomoi, che trascina
il soggetto verso il mare .aperto deìl'adikia; sul versante opposto si
distende l'intensa ma benefica corrente epithymetica dell'eros
filosofico, la sola forza psichica che in virtù della sua potenza può
supportare la lunga navigazione che permette infine di approdare nel
porto sicuro della dikaiosyne. 38 In conclusione, posta la
permanenza di specie di desideri stabili, indissolubilmente legate alle
tre istanze di riferimento, come quella dei desideri paranomoi, dalle
quali non si può mai svincolarsi del tutto, una parte cospicua del
materiale epithy- metico, decisivo rispetto agli equilibri o squilibri
dei rapporti 56 Cfr. in questo senso anche J. ANNAS, An
Introduction to Plato's 'Repu- blic', Oxford -Sulla centralità
psicologica, etica e politica dell'eros e la possibilità di una sua
«canalizzazione» o «sublimazione» nella Repubblica ma anche nel Simposio
e nel Fedro cfr. M. VEGETTI, Quindici lezioni su Platone, Torino, Rimarca la
necessità di non confinare l'eros nel- la dimensione subconscia L.H.
CRAIG, The War Lover. A Study of
Plato's 'Republic', Toronto «a psychology that confines eros to the
sub-rational parts of the soul most definitely falls short of the truth. LA REPUBBLICA di forza intrapsichici
complessivi, è intrinsecamente trasformabile, manipolabile. E questa l'energia
pulsionale, in gran parte riconducibile all'universo dell'eros, che non è
solo possibile ma doveroso utilizzare, canalizzandola verso nobili mete,
anziché tentare, inutilmente ed invero assai pericolosamente, di
annientarne il potenziale con strategie brutalmente repressive. E questo
lo snodo cruciale di fronte al quale vediamo divaricarsi i due approcci
fondamentali, le due strategie basilari di con- trollo del desiderio
adottate da Platone: repressione versus canalizzazione, violenza versus
persuasione, schiavizzazione versus educazione. È questo il bivio dal quale si
può imboccare la via che conduce all'armonia, alla salute, all'
'eudaimonia e alla giustizia del filosofo, o invece il cammino
psicopatologico che sbocca, da ultimo, nella mania del tiranno. L'uomo
massimamente ingiusto, infelice, malato, espropriato, travolto da una
massa di epithymiai feroci, incontrollabili, ormai liberatesi dal- le
catene di quella schiavitù che le relegava al di là dei confini della
coscienza, sottraendole ad ogni controllo diretto e per- mettendo così il
rafforzamento fino al massimo grado, e quindi l'esplosione finale del loro
devastante potenziale. Alberto Radicati, conte di Passerano e Cocconato. Keywords:
implicature della morte, eros e tanatos, amore e morte. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Cocconato” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Coco: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale del mutuale prevalente – il
contratto di carattere mutuale prevalente – scuola di Crotone – scuola d’Umbriatico
– filosofia crotonese – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Umbriatico).
Filosofo crotonese. Filosofo calabrese. Filosofo
italiano. Umbriatico, Crotone, Calabria. Grice: “Typically, while in the
Italian North, Conte can play with words, in the Italian South, Coco must work
for the workers! Is conversation a work? I think so – lavoro – In the ‘codice
civile’ or rather the ‘codice’ of the civil laws – there is a section on
‘lavoro’, and a title on ‘co-operativa’, short for ‘cooperative society’ – This
is all due to Coco – It sounds slightly fascist, and he did write a little
tract with ‘fascist’ in the subtitle! – Coco is a performativist, so he
understands that ius must ‘constitute’ and define: so he goes on to analyse
what I’ve been analysing too – what is to cooperate – in a common task or
‘lavoro’ – what is ‘mutuality’ – what are the requirements for mutuality, and
so on – It’s not as legalese and boring as it sounds! And it provides a
framework for my pragmatics – since a lawyer, and especially a Griceian one,
can be VERY SMART! Coco is!” -- Dal
punto di vista sistematico molto vicino alla visione del grundnorm, teoria da
Kelsen. Si laurea a Napoli. Sostituto
procuratore del Re a Cassino. La Regia Procura di Roma. Procuratore Generale
presso la Corte d'appello di Roma. Fondatore dell'Ufficio del Massimario.
Insegna a Roma. Noto soprattutto per aver partecipato ai lavori di stesura del
nuovo codice civile italiano nonché del codice di procedura civile, entrambi
entrati in vigore nel 1942. Si occupa prevalentemente della stesura di leggi in
materia del contratto, obbligazione, e diritto del lavoro. Altre opere: “Gli
eclettismi contemporanei e le lezioni di filosofia del diritto” (Lagonegro, M.
Tancredi & Figli); “La filosofia del diritto”; “Una quistione di diritto transitorio
in tema di farmacie” (Milano, Società Editrice Libraria); “Sull'ultimo
capoverso dell'art. 375 del codice penale” (Milano, Società Editrice Libraria);
“Luce di pensiero italico nelle tenebre della guerra” (Cassino, Soc. Tip. Ed.
Meridionale); “Per la tradizione giuridica italiana” (Milano, Società Editrice
Libraria); “Saggio filosofico sulla corporazione fascista” (Roma, Edizioni del
diritto del lavoro); “Sulla costituzione di parte civile delle associazioni
sindacali” (Roma, Edizioni del diritto del lavoro); “Corso di diritto inter-nazionale
(recensita da Santi Romano, seconda edizione riveduta ed ampliata, Padova, MILANI);
“Intorno alla pre-giudiziale penale nel giudizio del lavoro” (Roma,
U.S.I.L.A.); “Raffaele Garofalo” (Napoli, SIEM); “Il contratto collettivo di lavoro
e la impresa cooperativa” (Roma); “Una inchiesta sulla criminalità” (Napoli,
SIEM). Annuario Camera dei fasci e delle corporazioni. Rivista penale. Rassegna
di dottrina, legislazione, giurisprudenza, Roma, Libreria del Littorio, Rivista
di diritto pubblico. La giustizia amministrativa, Roma, Società per la Rivista di diritto
pubblico e la Giustizia amministrativa, Una vita per il Diritto Giusto, La
giustizia penale. Rivista critica settimanale di giurisprudenza, dottrina e
legislazione, Società editoriale del periodico La giustizia penale, Tale
trasferimento avvenne per via di un suggerimento pervenutogli al Re dagli
allora procuratori presso la Corte d'appello di Napoli Salvatore Pagliano e
Giacomo Calabria. La giustizia
tributaria. Dottrina, giurisprudenza, legislazione, Città di Castello, Società
tipografica Leonardo da Vinci. Cfr. Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, Cfr.
Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, La scuola positiva. Rivista di diritto e
procedura penale, Milano, Vallardi. Nominato pretore di Lagonegro. Pretore di
Moliterno, assume in seguito le funzioni di sostituto procuratore a Cassino.
Venne trasferito a Roma presso la Procura. Presidente di sezione della Corte
Suprema di Cassazione, oltre che Professore di Filosofia del diritto. Dotato di
una solidissima dottrina e di un rigorosissimo lavoro applicativo, partecipa ai
lavori per la stesura del Codice Civile e del Codice di Procedura
Civile.Cura vari aspetti della normativa: contratto, obbligazione, diritto del
lavoro. Una delle sue grandi doti è quella di riuscire a non farsi condizionare
dal regime dell’epoca. Non accetta la candidatura in parlamento offertagli dai
suoi conterranei della Calabria. “Una Vita per il diritto giusto” si
lascia leggere con piacere, in diversi passaggi si incontreranno i tratti che
lo hanno contraddistinto come uomo, come magistrato e giurista, troveremo,
inoltre, la sua attività di ricerca e di elaborazione teoretica. Sotto il
profilo sistematico si accosta alla visione di Kelsen per quanto riguarda
l’ordinamento e le codificazioni, nonché, proprio per la ricerca e per
l’identificazione di una grande norma fondamentale. Dal punto di vista
epistemologico, rappresenta la condanna dell’ideologia e della prassi delle
scomposizioni in una galassia di frammenti superficialistici. Lo sguardo al
pensiero C. ci consente anche di sottolineare la sua analisi critica, egli non
si ferma alla semplice stigmatizzazione della responsabilità oggettiva nei
confronti del singolo. Prende spunto da queste aberrazioni per sottolineare
come all’accanimento contro la condotta individuale della persona fisica non
corrispondesse eguale severità verso gl’atti illeciti e dannosi della pubblica
amministrazione. Scrive “la responsabilità della pubblica
amministrazione”. -- è stato anche filosofo e storico al tempo stesso.
Un’uomo molto impegnato nel suo lavoro che ci sembra doveroso ricordare. Dal
padre, persona di cultura, ricevette i primi rudimenti di
storia, letteratura, e filosofia, che si ritroveranno, successivamente, in
taluni suoi saggi filosofici su AQUINO (si veda). Inizia la carriera
giudiziaria come pretore di Lagonegro. Divenne Pretore di Moliterno, per
assumere successivamente le funzioni di Sostituto Procuratore del Re a Cassino.
Trasferito a Roma, presso quella Regia Procura, col viatico di rapporti oltremodo
favorevoli e lusinghieri dei Procuratori Generali Pagliano e
Calabria della Corte d’Appello di Napoli, dove vi
permarrà per passare alla Procura Generale presso la Corte d’Appello.
Ottenne la nomina a Procuratore Generale del Re presso la Corte d’Appello
di Cagliari, ma non ne assumerà di fatto la titolarità. Chiamato, invece, a
presiedere il Tribunale Supremo delle Acque, era Presidente di Sezione della
Corte Suprema di Cassazione. Il giornale “Il Tribunale”,
pubblicazione mensile edita a Roma, lo saluta a tale nomina. È della
nostra famiglia, di quell’aristocratica famiglia giornalistica, alla quale non
disdegna di appartenere, nonostante l’altissimo grado che ricopre
nell’ordine giudiziario, oggi lieti di salutarlo, insieme con quello forense,
Presidente di Sezione della Suprema Corte. Noi lo abbiamo visto nella Corte di
Cassazione sin dagli anni ormai lontani della sua felice unificazione. E
stato, infatti, tra i fondatori e promotori di quell’Ufficio del Massimario che
raccoglie il vasto e prezioso materiale giurisprudenziale della Suprema
Corte. Non appena conseguita la promozione al grado IV°; ha ricoperto la carica
di Consigliere, partecipando attivamente alla funzione giudiziaria di così
eminente consesso. Ci asterremo, di proposito, da ogni aggettivazione che non
sarebbe di buon gusto né riuscirebbe gradita al nostro Amico e collaboratore;
non possiamo, peraltro, esimerci dal ricordare fra le benemerenze e il titolo
di Professore di Filosofia del Diritto nella Scuola di Perfezionamento
di Diritto Penale né l’altro, per noi particolarmente caro, di
Redattore Capo della Rivista di Diritto Pubblico. La recente
nomina, se indubbiamente costituisce un nuovo riconoscimento dei meriti
di così eletto Magistrato, rappresenta però un onere, che si aggiunge all’onore
di così ambita carica. Ma l’accoglierà di buon grado,
assolvendo anche dal nuovo seggio presidenziale le delicate funzioni
giudiziarie, alle quali porta il valido contributo della sua competenza, ma
soprattutto una grande serenità ed equanimità. Riguardo ai meriti
illustrati dall’articolo dell’epoca, c’è da dire che il suo cursus honorum non
è stato caratterizzato soltanto da solidissima dottrina e da rigorosissimo
lavoro applicativo, ma anche dalla partecipazione costante all’evoluzione
dell’ordine giudiziario, e tappa importante in tale attività, fu la Sua nomina
a membro del Consiglio Superiore della Magistratura, ossia dell’organo politico
e politico-amministrativo, anche se in base alla legislazione dell’epoca il
Consiglio Superiore della Magistratura non aveva ancora il potere e
l’importanza che la Costituzione e la successiva normativa di attuazione gli
diedero. Ancora, circa la indicata fondazione del Massimario civile della
Corte di Cassazione Unificata va detto che Lui effettivamente fu tra i
principali ideatori; era, quello, un periodo di grandi innovazioni, perchè
all’atto dell’Unità d’Italia, oltre alla Corte di Cassazione di Torino
esistevano quella di Firenze nonchè le due Corti Supreme di Giustizia di Napoli
e di Palermo (che assunsero anch’esse la denominazione di Corte di
Cassazione). Con la legge, vennero soppresse le Corti sopra indicate, mentre
quella di Roma fu trasformata in Corte di Cassazione del Regno. Fu titolare
dell’insegnamento di filosofia a Roma. In questo ambito, svolse attività accademica
per quel periodo che vide la Scuola annoverare i più bei nomi della dottrina
penalistica italiana, le cui teorie risultano, ancora oggi, alla base della
trattatistica più importante. Altro aspetto rilevante della sua eccezionale
figura di giurista, come si rileva da un saggio del nipote dell’alto
Magistrato, che porta con orgoglio lo stesso nome, il Professore Nicola Coco,
dell’Università di Roma “La Sapienza”, è costituito dal coerente riferimento
alla legalità, cioè allo stato e all’ordinamento giuridico quali unica garanzia
di contratto sociale. Per questo, il periodo che va dal primo
dopoguerra all’ avvento del fascismo, costituisce una parentesi temporale di
efficace e prorompente elaborazione delle basi di quel diritto del lavoro
e sindacale, o “giuslavorismo”, costituendo davvero una novità assoluta
nelle scienze giuridiche del tempo. Così, quando si verificheranno gravissime
crisi socio0economiche che metteranno a rischio l’assetto della produzione, la
politica e i sindacati troveranno i loro punti d’incontro nel noto
Statuto del Lavoratori, una ri-edizione aggiornata delle linee guida
tracciate, agli inizi del “secolo breve”, dai primi “giuslavoristi”, tra i
quali appunto C. Altro aspetto qualificante del giurista è l’aver concorso
alla stesura del Codice Civile, ai cui lavori preparatori, dai Ministri Solmi e
Grandi (che è il sottoscrittore anche del Codice di Procedura Civile,
emanato anch’esso, furono chiamate le più belle e fertili menti di magistrati e
giuristi. Cura vari aspetti della normativa (il contratto, l’obbligazione,
diritto del lavoro), tant’è, che nell’imminenza della promulgazione, il
Ministro Grandi gli inviò una lettera personale di ringraziamento per il
prezioso contributo offerto per il codice. Sua vita coincide con
l’immane conflitto mondiale, con la guerra civile e con la scia di
vendette e iniquità che ne conseguirono. Dopo la fuga del Re e la costituzione
della Repubblica Sociale Italiana, viene invitato ad assumere la Presidenza
della Corte di Cassazione trasferitasi a Brescia e fors’anche la carica di
Ministro Guardasigilli, ma egli fermamente rifiuta. Ha, nonostante tale ferma
presa di posizione nei confronti del regime fascista, sulla base di taluni
articoli che aveva scritto su “Il Messaggero” di Perrone, di commento a leggi
e questioni giuridiche di alto livello, ovviamente di epoca fascista, l’occhiuta
Commissione di epurazione, su decine di articoli scritti in una pluridecennale
collaborazione, ne scova qualcuno che suona come apologetico del Fascismo.
Nulla di più falso, quando era nota a tutti la dirittura morale del magistrato
integerrimo, del quale va appena ricordato, ammesso ve ne fosse bisogno, che
la sorella del Duce, Edvige Mussolini, gli fece pervenire sollecitazioni per
una causa che la interessava. Ebbene, Coco procedette secondo coscienza,
quindi non nel modo auspicato dalla sorella del Duce! L’epurazione ingiusta,
nella quale probabilmente influirono anche motivazioni non occulte di gelosia e
invidia da parte di taluni, soprattutto per il fatto che per meriti poteva
benissimo aspirare alle funzioni di Primo Presidente della Suprema Corte, ne
mina rapidamente le condizioni di salute. Negli ultimi mesi non volle proporre
ricorso contro i provvedimenti che lo avevano colpito e rifiuta cortesemente
anche una candidatura in Parlamento, per le elezioni, che i conterranei di
Calabria gli avevano offerto con affetto e riconoscenza. Spira serenamente,
non mancando nel suo testamento di perdonare cristianamente quanti gli avevano
provocato tanto immeritato dolore. Codice Civile. Del Lavoro. Delle societa
cooperative e della mutue assicuratrici, delle societa cooperative –
disposizione generali – cooperative a mutualita prevalente. Articoli: societa
cooperative; societa cooperative a mutualita prevalente, criterio per la
definizione della prevalenza, requisiti delle cooperative a mutualita
prevalente. Del Lavoro. Le Società
di Mutuo Soccorso in Italia. Il prof. Gobbi, nel suo pregevole
libro: « Le Società di Mutuo Soccorso » dice che « il nome di Società di
Mutuo soccorso è comunemente assunto da associazioni, le quali hanno per loro
scopo principale di dare ai soci sussidi in caso di malattia o in altre
eventualità che interessino la loro famiglia o l’esercizio della loro attività
economica, ricavando i mezzi all’uopo principalmente da contributi dei soci
stessi ». Considerato così il carattere economico-sociale dei
sodalizi muralisti, non possiamo sicuramente affermare che le prime
traccie di essi si riscontrino nelle antiche Corporazioni di arti e
mestieri, nelle maestranze, nei Collegi, nelle Università. Queste associazioni
si proponevano scopi di difesa professionale, di perfezionamento nelle
arti esercitate dagli associati ; qualche volta, in via secondaria, l’esercizio
di pratiche religiose; e spesso assumevano importanza politica di
prim’ordine e conferivano dignità nobiliare, come nelle arti della
repubblica Fiorentina. Abbiamo però nel nostro paese esempi di
società mutualiste sca¬ turite dal vecchio tronco della corporazione o
del Collegio, o meglio che'di questo possono reputarsi trasformazione.
Così e non altrimenti noi possiamo considerare la Società fra i falegnami
e fabbri di Faenza che fa rimontare la sua origine al 1410; l’altra pure
di Faenza fra calzolai ed arti affini che si dice sorta nel 1474; la
Società Veneta Sovvegno Calafati al R. Arsenale del 1454 ; la Società
Calafati del porto di Genova del 1456; la Società dei Cappellai di Padova
del 1530; il Consorzio degli Orafi ed Argentieri capi d’arte di Roma del
1509. Nè diverso giudizio possiamo recare sui sodalizi che sorsero nel
secolo decimosettimo e nella prima metà del deci- mottavo. E questi sono:
la Società dei calzolai di Cesena (1610); le due Società Maestri
falegnami, ebanisti e carrozzai e fra falegnami ed arti affini di Torino
(1636); la Società fra carrozzai, sellai, fabbri¬ canti di Torino (1653);
la Società fra calzolai padroni di Asti (1681); la Società Archimede fra
operai fabbri, meccanici ed affini e fra fabbri ferrai e serraglieri
(proprietari di officina) (1700); la Confraternita Sovvegno fra israeliti
di Padova; le Società Riunite Sovvegni spagnuoli e tedeschi di Venezia;
il Pio Istituto lavoranti Milano, Società editrice libraria, pellai di Torino
(1736); la Società Cocchieri e palafrenieri di Torino. Quantunque sorta nel
1738, la Unione Pio-Tipografica Italiana di Torino può dirsi la prima che
abbia assunto dalle sue origini e poi meglio perfezionati con successivi
adattamenti, i caratteri del mutuo soccorso. Essa fu approvata con Regie
patenti e poi nel suo riformato organismo con Regie patenti 28 settembre
1770. E ira i sodalizi che sorsero nella seconda metà del secolo
decimottavo e possiamo considerare, al pari della Unione Pio Tipografica
di To¬ rino, come le più antiche Società di mutuo soccorso, meritano
par- ticolar menzione: la Pia Unione fra lavoranti calzolai di Torino
del i/54 e la Società dei Servitori di Faenza T . 1 -^ a s ? c °nda metà del secolo
decimottavo sorsero quindi in rippnr, • P rim ? Società di mutuo soccorso,
secondo il concetto mo- Daese affe[>m are che di buon'ora si manifestò
nel nostro Fara il^KfrfSr? 11 6 J° Uta A } P rev idenza sociale. Ed è
cosa singo- concettn°df nnl a Che ’ “® ntre secoQdo la evoluzione logica
del Sassari dalIe , f orme più semplici di essa dovrebbe
videnza tipIIa lesse, il risparmio, forma primigenia della pre¬
previdenza mutuaPs/nT 116 0I ! ganicile . sorse in Italia più tardi
della Hlllacoo^fonì qUale C r blna * due elementi del risparmio
auanrìn <yìà ^ !• ^ prime Casse di risparmio sorsero nel 1822,
litaria, la quale si esu M , Jl ns P arm io, che è virtù so-
adatto a raccoglierlo duò P«p.»?r ma - pa e ® e quando trova
l’organo domestiche, ed in questa anche nel segreto delle pareti
quanto l’economiaVonetaria dp? 0 ^^^ fumare che esso è antico che l’atto
primo deTsodalizfo ? 10va inoltre considerare contributo che versa
il socio 1Sta + e Un atto dl ris P a nmio; il fini della mutualità,
rappresenta La - 1 fondi occorren ti ai “lata, sottratta alle spese
vofottSie sp t np dei SU01 guadagni rispar- occorre per i bisogni della
vita 6 6 n pUre risecata su quanto me„fo 0 U“liX a .S a m m uta 4
,I?5', ’ ec ?l° 1 . d!,olmo " 0 no rapido l'inoro- primo
dofsecoli“orsòrKtcietó Fi ” 0 al 1851 società di mutuo soccorso
(1). di dii Gl0va rammentarle dl Bergamo : nel 1810.
Pr« ’camnen*»! !’ ls p. tut0 n | armoniTo’dS el Teatr’f) 1 r?Ìni
SU Ì“ t ^ municipale Simoiie Mayr ano. la Pia Unione tessitori in
seta areento l a Società di M. S. fra cap- ’ aigento e oro di Tonno; nel
1884, la Società Assieme a’gli altri benefici di ordine politico e
'sociale che la unificazione del Regno ci recò, dobbiamo segnalare anche
il rapido incremento nelle Società di mutuo soccorso. Durante il periodo
della prima metà del secolo decimonono solo 48 Società nuove videro la
luce, come abbiamo veduto. Al 31 dicembre 1885, cioè dopo 35 anni
soltanto, la statistica a quella data denunzia la esistenza di 4896 So¬
dalizi e ah 31 dicembre 1894, dopo nove anni, ne troviamo 6722, con un
aumento di 1826. Vedremo in seguito quante e di qual forza siano quei
sodalizi al 31 dicembre 1904, secondo la recente statistica, pubblicata
dall’Ispettorato Generale del Credito e della Previdenza. Le Società di
mutuo soccorso italiane, nella loro generalità, sono associazioni che
esercitano in modo prevalente funzioni di carattere assicurativo col
principio della mutualità, aggiungendo spesso a queste altre funzioni
accessorie dirette ad accrescere le forze economiche e intellettuali e
morali dei soci. Fra le funzioni di carattere assicurativo ha
prevalenza in tutte l’assicurazione di un sussidio in caso di malattia.
Spesso vi si aggiungono le spese funerarie in caso di morte ed un sussidio
una volta tanto ai superstiti. I sussidi di malattia sono commisurati
ai contributi, spesso con calcoli empirici, qualche volta alla
stregua di previsioni tecnicamente calcolate. Quasi tutte le Societàc he
concedono sussidi di malattia, per conseguire il diritto al sussidio
fissano un periodo di tempo dall’ ammissione, che comunemente chiamasi
periodo di noviziato. Sono poche le Società che accordano il sussidio
subito dopo l’ammissione: 45 secondo l’ultima statistica (1); tutte le
altre vanno da un minimo di un mese ad un massimo di 24 mesi, e ve ne ha
120 nelle quali il periodo di noviziato supera i 24 mesi. Ma il numero
maggiore si condenza intorno al periodo da uno a 12 mesi: il 76 per 100
del totale. Non tutte le Società concedono il sussidio dal primo
giorno della malattia, sono anzi pocchissime quelle che lo concedono; le
al¬ tre fissano un periodo, che chiamono periodo di carenza, nel quale
i soci non hanno diritto al sussidio. Il periodo di carenza è di
ordinario di uno a tre giorni, ma giunge sino a dieci e per poche So¬
cietà va oltre i dieci giorni. orefici ed arti aifiai di Bologna,
la Società Sant’Anna fra i maestri muratori di Pinerolo; nel' 1835, la
Società cocchieri e domestici di Sant’Antonio Abate di Verona; nel 1836, la
Società •di M. S. fra parrucchieri di Novara, la Società di M. S. fra
brentatori di Vercelli, la Società di M. S. fra lavoranti guantai,
tintori e conciatori di pelle di guanto di Torino, la Società operaia di
M. S. fra conciatori di Torino; nel 1812, la Società di M. S. fra parrucchieri
di "Torino, la Società dì vi. s. fra barbieri, parrucchieri e profumieri
di Bologna; nei 1444, il Pio Istituto di M. S. pei medici e chirurgi
della città e provincia di Bologna, la Società fra medici e chirurgi di
Lombardia in Milano, la Società di M. S. fra farmacisti, medici e
veterinari di Parma, la Società lavoranti calzolai di Pinerolo, la Società di
M. S. fra marinai pescatori di Trapani; nel 1846, la Società di M. S. dei
medici-chirurgi della città e provincia di Ferrara, l’Istituto di M. S.
fra medici, chirurgi e farmacisti di Roma e sua pro¬ vincia, la Società
mutua beneficenza di Citta di Castello; nel 1847, la Società di M. S. tra
calzolai di Alba, la Società medico-farmaceutica di Padova; nel 18 - 1 S,
l’Unione operaia pa¬ triottica fratellanza di Asti, la Società Femminile
di M. S. S. Bonifacio di Pinerolo, la Società Generale fra gli operai di
Pinerolo, l’Unione per le malattie di Verona, la Federazione italiana fra
lavoranti del libro (compositori) di Tonno; nel 1849, la Società di M. S. fra
i pompieri municipali di Ancona ; nel 1764, la Università dei pescivendoli
patentati di Roma Questi dati e i seguenti concernono le Società
riconosciute soltanto, per la quale la statistica ha potuto registrare
notizie più copiose. Si tratta quindi di osservazioni che concernono 1548
Società soltanto. Nè il sussidio è concesso per tutta la durata della
malattia.Società soltanto sussidiano la malattia fino al suo termine; ma
nelle altre assai raramente il sussidio va oltre i 180 giorni in un anno,
e il numero maggiore si conta fra quelle che non vanno oltre 120 giorni
La misura del sussidio di malattia per mo te Società (il 4-2 per 1001
rimane invariata per tutta la durata della malattia, in molte altre (il
50.4 per 100) varia, sia aumentando dopo alquanti giorni sia
diminuendo. L’assicurazione obbligatoria contro gl infortuni del lavoro
tutela oggi in Italia una larga massa di operai, ma non H tutela
tutti: l’artigianato, la mano d’opera agricola, le industrie ohe non
appli¬ cano macchine, sono ancora oggi fuori il campo dell
assicurazione obbligatoria. E’ confortante perciò osservare nell azione
dei nostri sodalizi muralisti, in via se pur vuoisi sussidiaria, un aiuto
inte¬ gratore pei casi di infortunio. Per quanto concerne la
invalidità temporanea il numero maggiore delle Società (823 su 965)
conside¬ rano questa agli effetti-del sussidio come una malattia
ordinaria; le altre danno il sussidio in misura diversa. Piu scarso è il
numero delle Società che danno sussidio in caso d’invahdita
permanente (542), e il sussidio per alcune è determinato sia in un
assegno una volta tanto, sia in forma continuativa;- per altre, e sono il
numero maggiore, il sussidio è indeterminato, viene dato, cioè, secondo
la entità e la disponibilità dei fondi sociali. E ancora in minor
numero sono le Società che danno sussidi in caso di morte per fa,tto di
in¬ fortunio sul lavoro (464 soltanto); e questi sussidi sono in
misura determinata sotto forma di assegni per una volta o continuativi
o di pensioni o di spese funerarie, o in misura indeterminata.
Quantunque riferentisi alle Società riconosciute soltanto, hanno
valore, come indice tecnico, i dati relativi ai casi di malattia sussi¬
diati, ai soci sussidiati, alle giornate di malattia sussidiate ed agli
oneri finanziari che ne derivano alla Società. Di questi dati ripor-
Per ogni Società, in media, sono sussidiati 45.1 soci all’ anno,
per 52 6 casi di malattia e per 995.3 giornate di malattia, con una spesa
media di 1007.02. Su 100 soci si hanno 29.1 casi di malattia, sussidiati
e sono sussidiati 25 soci. Per ogni caso di malattia sono sussi¬ diate
giornate 18.7; e per ogni socio esistente sono sussidiate giornate 5.52.
Questa media può rappresentare l’indice di morbosità nei soci delia
Società di mutuo soccorso ed ha grande valore per il migliore ordinamento
tecnico di questi sodalizi, per una più razionale corri¬ spondenza fra i
mezzi di cui dispongono e gli impegni che assumono con la promessa
statutaria. La spesa media pei sussidi di malattia, annualmente, risulta
di lire 5.64 per ogni socio esistente. Nell’ordine stesso del mutuo
soccorso devono porsi i sussidi per spese funerarie di soci defunti.
Molte Società provvedono diretta- mente alle spese funerarie, alcune
concorrono con la famiglia alle spese stesse. Non sono infrequenti poi i
casi di Società che danno sussidi alle famiglie dei soci morti sia una
volta tanto sia in forma continuativa. Sono relativamente poche le
Società che concedono sussidi di puerperio e di baliatico (l’8.9 per
100). Nè sono molte le Società che provvedono con sussidi ai soci
disoccupati (il 6.5 per 5 — 100). Questi dati si riferiscono a tutte
Società delle quali si occupa la statistica recente.
Carattere degno del maggiore studio delle nostre Società mu- iualiste è
di aver attinto alla forza delle loro organizzazioni per dar vita ad
istituzioni cooperative a vantaggio dei propri soci. Questa geniale
filiazione della cooperazione dal seno della previdenza mu- tualista fu
rilevata ed illustrata dal Mabilleau in occasione di uno studio che, per
conto del Musee Sociale di Parigi venne a fare in Italia delle nostre
Istituzione di previdenza assieme al Conte di Rocquigny ed al Rayneri
(1). La statistica recente ne dà una conferma luminosa. Nel quadro
seguente è indicato il numero delle Società di Mutuo Soccorso che esercitano
funzioni cooperative. COMPARTIMENTI Prestiti ai soci Magazzini di
consumo Cooperative di lavoro Cooperative
di credito Piemonte. 174 281 2 Liguria 19 15 Lombardia
233 46 1 Veneto 161 32 Emilia. 182 23
1 Toscana. 92 58 1 Marche 128
24 1 Umbria. 72 18 Lazio 63 2 .
Abruzzi. 82 5 Campania. 150
10 Puglie 1 • 57 7 1
Basilicata. 27 Calabria 47 14 Sicilia.
95 17 Sardegna 15 Regno . .1597 552 5 2 Nella maggior parte dei
casi non si tratta di istituzioni autonome fondate secondo le norme del
codice di commercio, ma di i-ami di attività della stessa Società di
mutuo soccorso operante coi fondi di questa. Le Casse di prestiti sono
principalmente dirette al fine di produrre un maggiore rendimento coi
fondi sociali, e quindi si com¬ prende come esse siano in numero maggiore
(il 24.9 per 100). I ma¬ gazzini di consumo, che sul totale rappresentano
8 6 per 100 delle Società esistenti, primeggiano nel Piemonte, dove il
21.3 per 100 delle Società hanno annesso il magazzino di consumo, e
merita par¬ ticolare mensione quello della Società Generale operaia di
.Torino, reso ancora più forte dalla alleanza con la Cooperativa di
consumo dei ferrovieri. La Prévoyance Sociale en Italie - Paris,
Armand Colin et C.« Editeurs Fra gli scopi accessori delle nostre Società
mutualiste meritano poi particolare mensione quelli diretti alla
istruzione dei soci; le Società vi contribuiscono mediante biblioteche,
scuole serali o festive, scuole di disegno o industriali, ó pure mediante
I’ assegnazione di premi, la provvista dei libri e così via.
Altri scopi accessori sono il collocamento dei soci disoccupati^ ed
alcune Società hanno annessi veri e propri uffici di collocamento; il
conferimento di doti alle figlie dei soci; la costruzione di abitazioni
operaie; la concessione dei sussidi alle famiglie dei soci richiamati
sotto le armi. Nei riguardi della costruzione delle case operaie la
legge del 1903 sulle case popolari contempla in modo particolare le Società
di mutuo soccorso, dando ad esse facoltà di impiegare una parte dei
loro fondi in costruzione di case pei propri soci. La legge vuole
soltanto che le Società, le quali questa impresa intendono assumere,
costituiscano una sezione speciale. E già sotto l’impegno di quella legge
parecchie Società hanno chiesto ed ottenuto 1’ autorizzazione di
intraprendere la costruzione di case Operaie. Un nuovissimo
ufficio assunto delle nostre Società di mutuo soccorso è quello di promuovere
la iscrizione, collettiva o individuale, dei soci alla Cassa Nazionale di
providenza per la invalidità e la vecchiaia degli operai.
Contiamo nel nostro paese Società le quali assicurano pensioni di
vecchiaia tecnicamente calcolate: sono modelli del genere le due Società,
maschile e femminile, di Cremona. E sonovi Società le quali non pensioni
ma sussidi di invalidità o di vecchiaia promettono ai loro soci in misura
e qualità corrispondenti ai fondi disponibili. E siccome le Società
che corrispondono pensioni o sussidi' di vecchiaia ai soci hanno per tale
servizio costituito un fondo speciale alimentato da speciali contributi o
da avanzi di bilancio, la legge institutrice della Cassa Nazionale di
previdenza consente’ a queste Società di versare alla Cassa i fondi così
raccolti e le future contribuzioni, inscrivendo ad essa collettivamente i soci
aventi diritto a pensione ed accorda a quei soci, segnatamente i più
anziani, qualche maggior favore. Quel precetto della legge è provvido,
contiene un germe che dovrebbe essere sviluppato, fecondato da nuove e
più larghe concessioni per condurre i sodalizi mutualisti a divenire organi
intermedi attivissimi fra l’operaio e la Cassa Nazionale, sull’esempio di
quanto con maravigliosi risultati viene praticandosi nel Belgio.
Alcuni credono che, per mantenere vivo lo spirito di fratellanza
per aumentare gli elementi che fanno fiorire e cementano la soli¬ darietà
mutualista, sia opportuno conservare alle Società di mutuo- soccorso il
servizio di pensioni di vecchiaia, di perfezionarlo. Ed altri persuasi
che quei sodalizi non possono coi soli contributi dei b^ C n t rni°HAi I
ìr e i+ PenS10ni vec ?. hiaia sufficienti ai più elementari vorrebbero
che una parte delle risorse assicurate - e i ^ preTld ® nza 0 nu °ve
risorse affluissero a quelle Società che intendono mstituire o continuare
un bene ordinato servizio di pensioni di vecchiaia. ordinato Io non
posso, senza venir meno alle mie convinzioni, manifestate già in
pubbliche conferenze, accogliere 1’ una tesi nè 1’ altra. Non occorrono
lunghe considerazioni per dimostrare condannevole la prima. In un paese
in cui è sorto un Istituto, il quale, con mezzi forniti dallo Stato, può
assicurare pensioni di vecchiaia in misura superiore a quella cui possono
provvedere istituzioni o sodalizi privati, si renderebbe un cattivo servizio ai
lavoratori consigliandoli a preferire la cassa pensioni della Società
mutualista cui appartengono. Nè si può ammettere che le inscrizioni dei
soci di un gruppo operaio alla Cassa Nazionale rallenti i vincoli della
fratellanza e della soli¬ darietà. La Società, organo intermedio fra il
socio e la Cassa Nazionale, non affievolisce perciò i suoi rapporti coi soci,
anzi li afforza, procurando ad essi maggior vantaggio. E poi, come in tutti
i fenomeni sociali ed economici, vi sono virtù compensatoci che colmano
le lacune e riconducono rapidamente 1’ equilibrio per un momento
turbato. La seconda tesi è pericolosa per le conseguenze cui
condurrebbe: il fatale spezzamento delle forze le quali per dare il
maggiore effetto utile devono convergere in un unico grande e solido
organismo, nel quale soltanto può giuocare, in tema di assicurazioni, la
legge così proficua dei grandi numeri. In un sistema
d’assicurazione libera, nel quale, pure come nella obbligatoria, devono
nécessariamente concorrere i tre elementi: lo Stato, il padrone,
l’operaio, non si può ammettere che, accanto all’Istituto nazionale, il quale
può funzionare e divenire centro potente di attrazione soltanto per la
larghezza dei mezzi che gli si procurano, vivano Istituti privati e diano
gli stessi buoni risultati anche procurando ad essi aiuti speciali e peggio
ancora se questi vengono sot¬ tratti all’Istituto Nazionale,
L’esperimento dell’assicurazione libera non può farsi che all’ombra
di un grande Istituto verso il quale convergano le cure assidue dello
Stato, la simpatia delle classi dirigenti, la fiducia dei lavoratori.
La legge operò quindi saviamente quando volle associare alla grande
opera dell’assicurazione per la invalidità e la vecchiaia degli operai le
forze, le iniziative dei sodalizi mutualisti ; ed il legislatore farà
ancora meglio se aumenterà gli stimoli, con un ben congegnato sistema di
premi, per la iscrizione dei soci della Società di mutuo soccorso.
Intanto sono salutari gl’incitamenti che l’amministrazione del
grande Istituto adopera presso le nostre Società mutualiste, fu provvido il
pensiero del Ministero di agricoltura, industria e commercio, il quale,
con R. Decreto 19 marzo 1905, bandì un concorso a premi in danaro ed in
medaglie d’oro e di argento da conferire a quelle Società di mutuo
soccorso che al 30 giugno del corrente anno di¬ mostreranno di avere
contribuito efficacemente alla iscrizione dei propri soci alla Cassa
Nazionale di previdenza. Di queste buone iniziative già si
raccolgono copiosi i primi frutti. Sono molte le società che hanno
inscritto collettivamente o procu¬ rato le inscrizioni individuali dei
loro soci. Si hanno notizie precise di 73 sodalizi a tutto il mese di
febbraio scorso. Queste 73 Società hanno inscritto alla Cassa Nazionale,
16,078 soci. Meritano particolare mensione: la Società di m. s. della
ditta Ginori, di Sesto Fiorentino che ha inscritto tutti i soci (587); la
Società Generale di m. s. per le operaie di Milano che ne ha inscritto
568; la Società operaia di m. s. di Modena che ne ha inscritto 519; la
Società di m. s. di Mol- fetta. (Bari) che ne ha inscritto 512.
3.° La legislazione e la giurisprudenza. Le Società di mutuo
soccorso sono regolate in Italia dalla legge 15 aprile 1886. Questa
contempla però soltanto le Società Operaie. Il legislatore temè che con
le forme assai semplici per il riconosci¬ mento giuridico fissate nella
legge, senza alcun controllo della potestà politica, potessero rivivere, sotto
la specie dell’ associazione mu¬ tualistica. le soppresse corporazioni
religiose e quindi volle che le Società composte di operai soltanto
potessero chiedere ed ottenere il riconoscimento giuridico con il
procedimento escogitato. La for¬ mula rigida della legge è stata però
largamente temperata dalla giurisprudenza; la quale ha ammesso che possa
considerarsi operaia una Società costituita in gran parte da operai. E
così si è potuto ammettere anche nelle Società operaie l’intervento di soci
benemeriti, di soci fondatori, che con largo concorso pecuniario
esercitano il benefico ufficio del patronato. Le Società di
mutuo soccorso non composte di operai possono ottenere il riconoscimento
giuridico in base all’articolo 2 del codice civile, come enti morali, e
seguendo le norme che all’ uopo furono tracciate dal Consiglio di
Previdenza (1). Qui è opportuno rilevare che la giurisprudenza ha riconosciuto
nelle Società di mu¬ tuo soccorso i caratteri dell’ ente morale. E quindi
non ammette che in caso di scioglimento, il patrimonio sociale possa
essere distribuito fra i soci superstiti,jjma debba essere devoluto a
scopi afllni o in opere di beneficenza, e vuole che le Società di mutuo
soccorso nello acquisto di immobili, nell’accettazione di doni o di
legati siano autorizzate con decreto Reale, ai termini della legge del 1850 che
contempla appunto enti morali. a uà, ^aucenena aei j naie
Civile, depositando copia autentica dell’atto costitutivo e statuto.
statuto. Le condizioni che la legge vuole adempiute sono soltanto
le seguenti : 1. Le Società devono proporsi tutti o alcuni dei fini
seguenti: assicurar ai soci un sussidio nei casi di malattia, di
impotenza al lavorò o di vecchiaia ; venir in aiuto alle famiglie
dei soci defunti. Possono inoltre; cooperare all’
educazione dei soci e delle loro famiglie ; dare aiuto ai sòci per
l’acquisto degli attrezzi del loro mestiere ; esercitare altri
uffici propri delle istituzioni di previdenza economica. 2.
Gli statuti delle Società devono determinare espressamente; la sede
dèlia Società; i Ani pei quali è costituita ; le
condizioni, la modalità d’ammissione e di eliminazione dei soci ;
i doveri che i soci contraggono e i diritti che ne acquistano ;
le norme e le cautele per l’impiego e la conservazione del
patrimonio sociale ; la disciplina alla cui osservanza è
condizionata la vali¬ dità delle assemblee generali, delle elezioni e
delle deliberazioni; la costituzione della rappresentanza della
Società in giudizio e fuori ; le particolari cautele
con cui possono essere deliberati, lo scioglimento, la proroga della
Società e le modificazioni degli sta-, tuti, sempre che le medesime non.
siano contrarie alle disposizioni della legge. La concessione
della personalità giuridica alla Società di mutuo soccorso è quindi
secondo la legge del 1886, subordinata soltanto all’ esame estrinsero
dell’adempimento delle condizioni dianzi indicate. Non si chiede come ne
fn manifestato il proposito in alcuni disegni, di legge presentati prima
che si giungesse alla legge del 1886, la dimostrazione tecnica della
corrispondenza fra contributi e sussidi, non si impone l’impiego dei
fondi sociali in determinate specie di investimenti. Deve però avvertirsi
che la legge parla di sussidi e dalla discussione parlamentare risulta
che si volle escludere pensatamente la parola pensioni, implicando un regolare
servizio di pensioni necessariamente la dimostrazione di un ordinamento
tec¬ nico adatto allo scopo. Nè si può dire che la facoltà di
corrispondere pensioni possa vedersi compresa nella formula della legge :
« esercitare altri uffici propri delle istituzioni di previdenza
economica ». Si tratta di una funzione che ha speciale importanza che non
può essere esercitata senza un ordinamento tecnico preciso, che implica
impegni a lunga scadenza e non si può in modo assoluto ammettere, tenuto conto
anche della discussione parlamentare, che il legislatore abbia voluto
concedere di straforo l’esercizio di una . così importante funzione.
B la giurisprudenza ha confermato il pensiero del legislatore
ammettendo che occorra una speciale concessione governativa per'
esercitare il ramo pensióni di vecchiaia o di invalidità; concessione
subordinata alla dimostrazione di un ordinamento tecnico che dia
sicurezza per il mantenimento degli impegni assunti (1). Nelle
norme preparate dal Consiglio della Prev^nza per a concessione della
personalità giuridica mediante deci eto .R®* 1 ® a “® Società di mutuo
soccorso non operaie, si chiede qualche cosa di più di quello che la
legge del 1886 chiede alle Società operaie. Può sembrare a una prima
impressione, che ciò costituisce una c0I1 ^ 10ne meno favorevole alle
Società che non possono ottenere i 1 1 conoscimento giuridico altrimenti che
con un atto del potere esecutivo. Ma ove si consideri che si tratta di
Società fra persone che hanno qualche maggiore coltura, non sembrerà
eccessivo chiedere ad esse una più razionale discriminazione negli scopi,
qualche maggiore det¬ taglio negli Statuti. E nello stabilire quelle nome
il Consiglio della Previdenza si è anche proposto l’obbiettivo d
additarle ad esempio alle Società operaie. La legge chiede il minimo, e
non può quinci escludere che si faccia di più e meglio. I
vantaggi che la legge del 1886 consente alle Società di mutuo soccorso
riconosciute sono i seguenti: esenzione dalle tasse di bollo e
registro, conferita alla Società cooperative dell’articolo 228 del codice di
commercio; esenzione dalla tassa sulle assicurazioni e dall'
imposta di ricchezza mobile, come all’ articolo 8 della legge 24 agosto
1877, numero 4021; parificazione alle Opere pie per il gratuito
patrocinio, per la esecuzione dalle tasse di bollo e registro e perla
misura dell’imposta di successione o di trasmissione per atti ira soci ;
esenzione da sequestro e pignoramento dei sussidi dovuti dalle Società
ai soci. Gli obblighi delle Società registrate, come anche di
quelle riconosciute con decreto Reale, si riassumono nell’invio del
proprio Statuto al Ministero di agricoltura, industria e commercio e
nelle comunicazioni allo stesso Ministero dei rendiconti annuali i
quali sono compilati sopra moduli dal Ministero stesso forniti
gratuitamente. Il Ministero esamina i rendiconti annuali e spesso dà
buoni consigli per la migliore gestione del patrimonio sociale, mettendo
in guardia il sodalizio contro la tendenza di spese suutuarie, per un più
cauto impiego dei fondi disponibili. Nessun altra ingerenza il
Ministero esercita nelle Società registrate, nè esercita ufficio di
vigilanza so¬ vra di esse, non potendo sottoporle ad ispezioni,
scioglierne le amministrazioni, nominare Commissari Regi. Nè la
legge del 1886 nè altre leggi, oltre i vantaggi di ordine fiscale,
conferiscono alle Società di mutuo soccorso aiuti diretti o inni Il Consiglio
di Previdenza non espresse divei del 1897, cosi concepita « Le Società di
mutuo so< lità giuridica ai termini della legge del 15 aprile
-- -.-e pensioni, ossia rendite vitalizie jn^misuraJìssa e
prestabi i una nota al modello di statuto spirano ad
ottenere la persona- s possono proporsi di assi- diretti
dello Stato. I nostri sodalizi mutualisti vivono esclusiva- mente, o
quasi, eccettuate le non frequenti obblazioni dei benefattori, attingendo le
proprie forze alle contribuzioni dei soci. E ciò, a mio giudizio,
costituisce il loro miglior vanto. Occorre però tener conto degli
aiuti di carattere non continua¬ tivo e straordinario che vengono ad esse
nei concorsi a premio e da sussidi speciali conferiti dal Ministero di
agricoltura, industria e commercio. Nel campo dei concorsi a
premio meritano particolare mensione quelli che una volta con alquanta
frequenza indiceva la Cassa di Risparmio di Milano fra le Società di
mutuo soccorso meglio ordi¬ nate. Nel 1882 fu bandito un
concorso a premio, di lire 3000 (1500 offerte dal comm Besso e 1500 date dal
Ministero) per il miglior ordinamento delle Società di mutuo soccorso; enei
1901 ne fu indetto un’altro dal Ministero con un premio di mille lire,
due di cinque¬ cento e con medaglie di argento o di bronzo a quelle
Società ope¬ raie di M. S. che avessero meglio provveduto ad organizzare
e garantire un servizio di rendite Vitalizie ai soci nei casi di
inabilità al lavoro o di vecchiaia, sia direttamente con apposito fondo
sociale, sia mediante l’inscrizione dei soci alla Cassa Nazionale di
previdenza. Ho rammentato più sopra il concorso a premi del
1905. Incoraggiamenti morali vengono dal Governo alle Società
di mutuo soccorso, mediante concessione di medaglie di benemerenza.
Nella occasione della Esposizione Generale di Torino del 1882, il
Ministero istituì premi consistenti di quattro medaglie d’oro di prima
Classe, cinque di seconda e 12 medaglie di argento da conferirsi a quelle
Società Operaie che avessero dato prova di miglior ordinamento e di più lunga
esistenza con risultati efficaci, giovando anche con le scuole e con le biblioteche
alla istruzione degli operai. E frequensemente il Ministero concede
medaglie di Benemerenza ai sodalizi operai che hanno dato prova per lunga
serie di anni di buon ordinamento e di costante devozione ai principii
della mutualità. Nè sono infrequenti i sussidi in denaro, non molto larghi
data la parità dal fondo all’uopo stanziato, che il Ministero dà alle
Società operaie che più si addimostrano bisognose di aiuti. A. Lo
stato attuale. La recente statistica sulle Società di mutuo
soccorso, elaborate dell’ Ispettorato generale del credito della
previdenza, registra la esistenza in Italia al 31 dicembre 1904 di 6535
Società delle quali riconosciute 1548 non riconosciute
4987 Abbiamo veduto più innanzi che la statistica del 1892
denunziava al 31 dicembre di quell’ànno la esistenza di 6722 Società di
mutuo soccorso; e quindi nel decennio, in luogo di riscontrare un
incremento, come erasi verificata, e notevole, dal 1885 al 1894, si
constata uua diminuzione di 187 Società, e cioè, in cifra media, del 2 -
8 per cento. La diminuzione più notevole si osserva nell’Italia
meridionale e nell’insulare ed in parte della centrale; si giunge sino al
48. 1 per cent© nelle Puglie. Ma per compenso si ha un aumento
nell’ Italia settentrionale e nel rimanente della centrale; aumento che
riuscì notevole nel Veneto col 24.2 per cento e nella Lombardia col
.15.0 per cento. Abbiamo detto più innanzi che la diffusione delle
Società di mutuo soccorso, assai lenta nella prima metà del secolo decimonono,
andò accentuandosi dopo la unificazione del Regno, e riportammo, a
dimostrazione, le cifre delle statistiche del 1885 e del 1894. La dimo¬
strazione riesce più evidente classificando il numero delle Società per
anno di fondazione. Dai numeri assoluti si traggono le medie seguenti su
100 Società esistenti al 31 dicembre 1904: Società fondate prima
del 18*0 — % . 1.0 » ,, dal 1850 al 1859 — » . 2.7 » »
dal 1860 al 1869 — » . 10 . 3 » » dal 1870 al 1879 — » . 19 .
2 » » dal 1880 al 1884 — » . 18 . 9 » » dal 1885 al
1889 — » . 14 . 5 » » dal 1890 al 1894 — » . 12 . 6 » »
dal 1896 al 1899 — » . 8.7 » » dal 1900 al 1904 — ». 12 . 1
Il decennio più fecondo è stato quello dal 1880 al 1889, con una
inedia di 33 4: vien dopo il decennio 1890-99 con 21.3; e terzo il
decennio 1870-79 con 19 2. . Ma l'incremento più rapido si
determina appunto dal 1860 in poi. Esaminando le cifre afferenti ai
vari compartimenti è da notare che, mentre nell’Italia settentrionale e
centrale è piccolo il numero delle Società instituite negli ultimi anni,
questo numero è notevole nell’Italia meridionale ed insulare. E siccome
in queste regioni si riscontra pure la maggior diminuzione delle Società
nel periodo 1895- 1904, si deve concludere che in esse le Società hanno
vita più breve. Tale ipotesi trova conferma nelle cifre seguenti:
Su 100 Società esistenti al 31 dicembre 1891, numero di quelle
sciolte nel decennio: Piemonte Liguria Lombardia Veneto Emilia.
Toscana Marche Umbria Abruzzi Campania
Puglie. Basilicata Calabria Sicilia .
Sardegna Regno 25 . 2 L’indice più
alto di diminuzioni lo danno le Puglie; seguono la Basilicata, la
Calabria, la Campania, la Sardegna. ° Delle 6,535 Società
esistenti al 31 dicembre 1904 sono composte di soli uomini .
» » di sole donne » » di uomini e donne se ne
ignora la composizione . 5,078 252
1,017 189 Le Società esistenti al 31 dicembre
1904, abbiamo veduto, sono 1548. Di queste 42 soltanto sono riconosciute
con decreto Reale e 1506 con provvedimento del Tribunale, ai sensi della
legge 15 aprile 1886. Al 31 dicembre 1894 le Società riconosciute erano
1156; vi fu quindi nel decennio un aumento di 392 ed in media del 33. 6
per %• L’aumento fu più sensibile nell’Italia meridionale. Su 100 Società
esistenti, si contano 23.7 Società riconosciute. Quando si consideri che
la legge del 1886 è sufficientemente liberale, non impone vincoli e formalità
costose, lascia ai sodalizi la maggiore libertà di azione nello
esplicamento dei fini che si propongono, sullo impiego dei fondi, non le
asservisce ad alcuna vigilanza governativa, male si spiega il lento
incremento delle Società riconosciute e il loro scarso numero rispetto alla
massa. Forse deve rintracciarsi la ragione del fatto in pregiudizi non
ancora rimossi dall’animo dei nostri lavoratori, nella imperfetta
conoscenza dei benefizi che la personalità giuridica reca,
indipendentemente da quelli d’ordine finanziario conferiti dalla legge.
Non vogliamo ammettere che influiscano anche tendenze che esulano dal
campo della mutualità, del fratellevole aiuto. Queste tendenze trovano
più conveniente esplicazione in altre forme di organizzazioni, che in ben ordinato
reggimento politico hanno diritto di cittadinanza per la legittima difesa di
interessi professionali e per la protezione del lavoro.
Il,numero dei soci aggregati alle Società di mutuo soccorso, secondo le
statistiche alle tre date, risulta nelle cifre seguenti: nel 1885 —
730,475 nel 1894 - 933,685 nel 1904 — 926,026 Siccome
però non tutte le Società diedero sulle tre indagini le indicazioni del
numero dei soci, assumendo, per la integrazione, il criterio della media
dei soci per ciascuna Società, si avrebbero le cifre seguenti :
nel 1885 — 760,085 nel 1894 — 956,328 nel 1904 —
953,455 La media dei soci per ogni Società nel 1885 risulta di
153.2, nel 1894 di 142 . 3, nel 1904 di 145 . 9. Il numero
dei soci è aumentato in tutti i compartimenti dell’Ita¬ lia
settentrionale, escluso il Piemonte: è aumentato anche nell’Emi¬ lia,
nella Toscana, nell'Umbria e nella Sicilia; ed è diminuito in tutti gli
altri compartimenti. Nel periodo 1895-1904 il numero medio dei soci è
aumentato in Liguria, Emilia, Campania, Sicilia e Sardegna, si è
mantenuto eguale in Lombardia ed è diminuito negli altri com¬
partimenti. Sopra 100 Società esistenti al 31 dicembre 1904, la
diversa composizione numerica di esse è indicata dalle cifre seguenti:
Sino a 99 soci . — 53 . 6 Con soci da » » da
» » da » » da » » da » » da
b b da 1000 a 1500 — 0 . 5 b b oltre . 1500 — 0.3
100 a 199 — 27 . 6 200 a 299 — 27 . 3 300 a 399 — 4.5
400 a 499 — 2.3 500 a 699 — 1.2 700 a 899 — 0.8 In
complesso, in tutti i compartimenti, esclusa 1’ Emilia ove se ne ha il 43
. 2 per 100 e la Lombardia ove se ne ha il 46 . 0 per 100, più della metà
delle Società conta meno di 100 soci; ed in ge¬ nerale un quarto circa
delle Società conta un numero di soci da 100 a 200. La
statistica del 1904 discrimina anche i soci secondo i sessi. Dei 926,026,
soci, 849,418 sono uomini, 76,608 sono donne. Sul movimento
economico dqlle Società di mutuo soccorso si pos¬ sono fare raffronti con
la statistica del 1885; quella del 1895 non con¬ tiene alcuna notizia sul
patrimonio sociale. Ecco i dati riferentisi alle due date:
Entrata. Spese . Patrimonio L. 7. L.
14,632.425 .404.205 » 11.790.028 1.200.840 » 72.395.544
Il patrimonio medio per ciascuna Società, che nel 1885 era di L.
9.147,97, nel 1904 ammonta a L. 12.-017,85. Volendo integrare le
cifre per le Società, che nei due tempi non diedero la indicazione del
patrimonio sociale, assumendo come cri- terio il patrimonio medio, si
avrebbero le cifre seguenti: Con lo stesso metodo si possono
integrare le cifre afferenti alle entrate ed alle spese.
Secondo tali risultati,!che non si possono discostare molto dalla
ventarsi ha nel 1904 in confronto al 1885 un aumento di L. 4.919.727
nelle entrate, di L; 5.089.469 nelle spese; e di L 33.748 218 sul pa¬
trimonio, nella misura cioè del 75 . 13 per 100. t 9 o^? trata media
.nell’ anno per ciascuna Società risulta di L. 2,342,43, con un mimmo di
L. 861,63 per le Società degli Abruzzi e con un massimo di L. 3833,27 per
le Società della provincia di Roma. La media delle entrate per ciascun
socio è di L. 16 con un Lombardia L ’ 8 ’ 3 ° Pei> la Calabria e un
massimo di L. 18,92 per la „ n +S„ el ^ m . e ^ Ì prÌ - nc y? a À i
.’ di cui si compongono le entrate sono tre: “SJ on ? dl ® oc ì
effettivi, contribuzioni di soci non effettivi, do¬ nazioni ed altro
(patronato), altre entrate. Sopra ogni cento lire di entrate nel 1904 ,1
tre elementi davano le cifre seguenti: Contribuzioni di soci
effettivi .... 68 80 Contributi di soci non effettivi, donazioni,
ecc 7 28 Altre entrate . . y . . . 29 * 47 Il cfflpite inabor
6 di entrata è dovuto, come abbiamo già no¬ tato, alle contribuzioni dei
soci effettivi. E la proporzione diventa maggiore quando si consideri che
le altre entrate slno in malsima dei fondi impiegati, i quali alla
loro volta derivano dalle contribuzioni dei soci. La media delle
entrate 1eT3 V 9 ate 5 8 da nn ^urioni dei Soci effettivi Varia da^
SSmo Liguria 58 P °° m Basillcata ad un mas simo dall’82 per 100 in
Si hanno notizie più particolareggiate sulle entrate delle Società
riconosciute ; ma queste, desunte dai loro rendiconti, si riferiscono al
1903. Le percentuali di queste entrate sono le seguenti: Redditi
patrimoniali Contribuzioni di soci Introiti lordi . . .
Redditi straordinari Rendita di beni immobili ... 1. 69
( Interessi attivi.17. 13 (effettivi.38.60 ^ non
effettivi.0. 99 l di Magazzini di consumo ... 27. 58 1
di aziende sociali.6.85 .7.16 Anche per queste
Società, nella media generale del Regno, il maggiore delle entrate deriva
dalle contribuzioni dei soci effettivi, esclusi però il Piemonte, la
Toscana e la Calabria ove proviene da¬ gli introiti dei magazzini
cooperativi, e la Sicilia ove la maggior parte delle entrate sono dovute
alla assunzione da parte di due So¬ cietà di Palermo, quella fra la gente
di mare e T altra dei capitani marittimi, di appalti di carico e scarico
di merci. In Lombardia le contribuzioni dei soci effettivi eguagliano
quasi i redditi patrimo¬ niali; ivi infatti sono le Società più antiche e
con patrimonio più rilevante. Le contribuzioni dei soci non
effettivi variano dal 2. per 109 nell’Umbria, al 0. 5 per 100 nelle
Puglie, perchè appunto nelle Società di questa regione è minimo il numero dei
soci non effettivi. La spesa media per ciascuna Società nel 1904 risulta
di L. 1902,84 e per socio di lire 13. Nelle medie per Società della spesa
si va da un minimo di lire 679,30 per le Soc età degli Abruzzi ad un
massimo di lire 2925.51 per quelle della provincia di Roma; il minimo ed
il massimo delle spese si riscontrano quindi nelle stesse regioni
nelle quali si hanno il minimo ed il massimo delle entrate. La spesa
per ciascun socio oscilla fra un minimo di lire 6-,67 negli Abruzzi e
un massimo di lire 16,51 in Liguria. Nello insieme delle
Società non è riuscita possibile una minuta discriminazione delle spese:
si è dovuto star paghi alle due grandi divisioni: spese per sussidi,
altre spese. Nel 1904, rispettivamente ad ogni 100 lire di entrata, si
hanno per il Regno le cifre seguenti: spese per sussidi.51.4
altre spese.29.7 Le spese superarono le entrate dell’1.8 per
100 soltanto in Liguria: nelle altre regioni le spese furono inferiori
alle entrate. Nelle So¬ cietà della Basilicata, della Calabria, della
Sicilia la proporzione delle altre spese alle entrate è superiore a
quella delle spese per sussidi ai soci e alle loro famiglie, indizio di
non buono e parsimonioso ordinamento amministrativo ; nel resto del Regno la
parte maggiore delle spese fu assorbita dai sussidi ai soci e alle loro
famiglie. Come per le entrate così per le spese si hanno più minuti
rag¬ guagli nelle spese delle Società riconosciute, erogate durante
l’anno 1903. Nelle cifre seguenti si dà la ripartizione di 100 lire di
spesa Spese di malattia j f^^se '. ! : Sussidi di cronicità
ed impotenza al lavoro Sussidi di vecchiaia. Soci
defunti Altri sussidi l Onoranze funebri. . ^
Sussidi alle famiglie 19,45 3.01 4,40 10
87 0.75 2.62 1.34 03 ( Magazzini di consumo .
“§ < Altre aziende sociali . ’S g ( Altre spese. Spese di
amministrazione Spese straordinarie. . . Le spese per sussidi
assorbono il 42.44 per cento del totale delle spese e vanno da un minimo
del 14.21 per cento in Sicilia ad un massimo del 69.57 per cento nell’
Umbria. In tutte le regioni, esclusa la Lombardia, si nota che la maggior
parte delle spese per sussidi va nei sussidi di malattie, col massimo del
50 per cento nel¬ l’Umbria. In Lombardia invece hanno prevalenza i
sussidi di vecchiaia. Le spese pei magazzini di consumo sono rilevanti
nel Piemonte (56.02 per cento), nella Toscana (43.51 per cento), in
Calabria (39.97 per cento). Le spese di amministrazione variano dall’
8.02 per cento in Piemonte, al 33.47 in Basilicata. . 28.78
. 7.05 . 2.6S . 13.14 . 5.91 La sostanza
patrimoniale delle Società al 31 dicembre 1902 che come abbiamo veduto, è
di lire 72.395.544. ragguagliata per Società e per soci e distinta fra
Società registrate e Società non registrate, dà le cifre seguenti:
patrimonio medio. per ciascuna Società Società
riconosciuta 24.267,00 Società non riconosciuta 7.887,67
Riconosciute e non riconosciute 12.017,85 per ciascun
Sòcio 123.32 60,16 82,50 È più
alta la media nelle Società riconosciute; e ciò non dimo¬ stra che il
riconoscimento giuridico sia stato per quei Sodalizi elemento di singolare
prosperità, ma che i sodalizi più forti meglio do¬ tati e quindi più
evoluti hanno sentito e voluto tutti i vantaggi della personalità
giuridica. Dalla media generale del patrimonio per Società si
discostano, nel massimo la Lombardia con lire 20.655,70, nel minimo la
Calabria con lire 4 391,09; gli stessi scarti si riscontrano nella media
del pa¬ trimonio per socio : 122.97 in Lombardia, 40.15 in
Calabria. Si hanno i dati della composizione del patrimonio
soltanto per le Società riconosciute, e si riferiscono al 31 dicembre
1903. A quella data il patrimonio delle Società riconosciute ammontava
a lire 35.976.981 ed era cosi composto. Beni stabili ...... L. 3.580.079
10,0 Titoli pubblici e privati .... » 15.239,047 42,6
Mutui e depositi a risparmio . « 14.648 374 40.7 Altre
attività.» 2.50S.461 6,9 La misura massima di impieghi in immobili
è nelle Società delle Calabrie ove si ha il 33.5 per cento, il minimo si
riscontra in quelle della Campania col 2.5 per cento. Negli investimenti
in titoli pubblici e privati il massimo è nella provincia romana col 70.3
per cento. Nelle Marche invece si ha il massimo in mutui e depositi
a risparmio con 1’ 81.9 per cento ; la Liguria presenta invece in questi
impieghi il minimo col 13.8 per cento. Hanno speciale importanza le
cifre che discriminano le Società di mutuo soccorso secondo la entità del
patrimonio da esse posse¬ duto. Riferiamo qui le cifre assolute e
proporzionali del numero delle Società per entità patrimoniale, al 31
dicembre 1904. Numero delle Società che hanno un patrimonio:
Da L. 0 a 999 Cifre assolute 1.517
Su 100 Società 23.6 11 1000 a 4999
2.117 35,3 » 5000 a 9999
9S9 16.5 n 10.000 a 49.999
1.239 20.6 n 50.000 a 99.999
156 2.6 n 100.000 a 249.999
60 1.0 ii 250.000 a 49.1,999
12 0.2 n 500.000 a 1.000.000
5 0.1 Oltre un milione 4 tu
Senza indicazione del patrimonio 535 Di 5999 Società che hanno
comunicato 1’ ammontare del loro pa¬ trimonio, solo 81, delle quali 54
riconosciute, hanno un patrimonio superiore a lire 100,000 ossia circa 1'
1.10 per cento. 11 23.6 per cento delle Società ha un patrimonio inferiore
a lire 1000; il 35 3 per cento un patrimonio da lire 1000 a 5000, il 16.5
per cento un patrimonio da lire 5.000 a 10.0000 ; il 20.6 per cento un
patrimonio da lire 10.000 a lire 50 000 e il 2.6 per cento un patrimonio
da lire 50.000 a 100.000. 5. Le federazioni.
Nelle norme preparate dal Consiglio di Previdenza per il rico¬
noscimento giuridico delle Società composte di non operai è am¬ messa la
costituzione di consorzi fra Società riconosciute per formare un fondo di
riserva consorziale, per assumere impiegati comuni, per stipulare contratti con
medici e farmacie, per mettere in comune alcuni servizi, o anche alcune
assicurazioni. Si può stringere anche un accordo fra Società non tutte
legalmente riconosciute per esercitare un controllo sui soci sussidiati o
per regolare il passaggio dall’uno all’ altro sodalizio di quei soci che
cambiano resi- Ta legge francese del 1898 sulle Società mutualiste
consente la costituzione di unioni fra le Società, conservando ciascuna
la propria autonomia, aventi per oggetto principalmente :
l’organizzazione a favore dei membri effettivi delle cure e dei soccorsi
indicati nella legge e specialmente la instituzione di farmacie nelle
condizioni stabilite dalle leggi speciali sulla materia ; l’ammissione
dei membri effettivi che abbiano cambiato residenza; il regolamento delle
pensioni di vecchiaia; 1’ organizzazione di assicurazione mutua pei
rischi diversi a cui le Società debbano provvedere, specialmente la fondazione
di Casse di pensioni e di assicurazioni comuni a più Società per le
operazioni a lunga scadenza e le malattie di lunga durata; il servizio
del collocamento gratuito. La statistica ufficiale non registra la
esistenza in Italia di Consorzi o d Unioni costituiti per gli scopi
predetti, che hanno alquanta analogia eon quelli indicati nelle norme. In
recenti Congressi regionali di Società di mutuo soccorso fu deliberata la
costituzione di unioni regionali, ma ancora non possiamo dire se furono
costituite e per quali scopi. Nel primo Congresso nazionale
delle Società di mutuo soccorso tenuto a Milano il 29 giugno 1900 fu
deliberato «d'organizzare fra m loro tutte le Società operaie di mutuo
soccorso in federazione nazionale, salvo studiare il modo di organizzarle
razionalmente, con a nomma di una Commissione esecutiva provvisoria »,
fissando intanto a Hi n^ ta 1 o annUa dl , pre ,. 5 per le Societ à
aventi non più di 100 soci t pe f <3 £ e i e dl - un numero superiore;
e «di indire un mprf Ha] lavnnn Fede n azl one delle Società operaie,
quelle delle Ca- La fnlliìl! 6 ?r e Ì Ie delle Cooperative per un’intesa
comune ». con?t^ a aduna " za deI 5 settembre dello stesso anno
1900, Essa G ha S «Tintento F ri? e n aZ10D H SOn ° P reyaIen
temente d'indole morale. Società federate ed? ,?^ ed - ere . alla tutela
de ^ interessi delle nomico delle classi i a JÌ ,!f + lb - U ^ re a
miglioramento morale ed eco- raS ungeretei intenti ^ per mezzo delIa
Previdenza ». Per aggiungere p ento la Federazione si propone in modo
speciale: previdenza e cooperazionp A n< ?I 6 i ment + ) d '^
istituti di mutualità, di Sano effettì^SX*teoon P«r Chè ris
S°"- fare opera di solidarietà con tutte le li“ ,QM . de !
lavoratori; e ,SC ° P0 .iirftr 1 " t‘la<i'asse lavoratrice;
“ P6r slazione che valga a svfiunnare^Am 6 dÌ U ° . si ,f tema
completo di legi- a tutelare le ragioni deMavoro “ p pi . u 1 . bene .
fiz i dell’associazione, sulle classi lavoratrici; 6 ad alIeviare i
tributi che gravano nella m^deUo^ ifm^ 00Ì ^ Società federate,
intervenendo mediante pubblicazionrco^fere^ze 0 ÒQWe CÌ * ZÌOn - e
6 di P revid enza, meZ SelK^ UÌ Ia C ° n tUttÌ 1 mutuo
soccorso rTcoifosS^e Sf parte tutte le Soc ietà italiane di siano
inspirate ai5? f a „ 08 ,? ute 0 di fatto - P^chè- videnza. P p l0
ndamentali della mutualità e della pre- di iirc 5 se
hanno^^numero^i^ff 1 - 6 UDa quota annua anticipata: se hanno da 100 a 500
soci di k p ® non superiore a 100; di lire 10 ài lire 20 se hanno più di
ìooo^om' 1 86 hann0 da 500 a 1000 soci ’ 6 «5dfott federa a e hano
diritt0: consigli ed aiuti morali^ ^ oinn: n ss mne esecutiva in
ogni circostanza teresse generale- 1 " 81 d<J1 seryizl che
la Federazione stabilirà nell’in- àana, monitore della 6
P^derazton^^d^ giorna l e La Cooperazione Ita- Congresso; ^aerazione, ed
una copia degli atti di ogni « d) di ottenere gratuitamente
consulti legali e pareri di indole amministrativa; « e) di valersi
del giornale La Cooperazione Italiana per trattare quelle questioni che
si riferiscono agli interessi della mutualità e della previdenza ».
Gli organi della Federazione sono: il Congresso delle Società
federate; il Consiglio Generale composto di 50 consiglieri eletti dal
Congresso fra i soci delle Società federate; la Commissione esecutiva
composta di nove membri scelti fra i soci delle Società federate e residenti
in Milano; i Comitati regionali, secondo le circoscrizioni stabilite
dalla Commissione esecutiva; il Collegio dei Sindaci com¬ posto di tre
sindaci effettivi e due supplenti, nominati dal Congresso fra i soci
delle Società federate residenti in Milano; le Commissioni di consulenza,
di statistica, di propaganda, ecc. quando ne fosse re¬ clamata la
costituzione. La Federazione ha organizzato tre Congressi
nazionali: quello di Milano nel 1900; quello di Reggio Emilia nel 1901;
quello di Fi¬ renze nel 1904. Le Società federate sono andate crescendo
nei cinque anni 1901-1905 nella proporzione seguente: 1901 —
548 1902 — 573 1903 — 720 1904 — 733
1905 — 745 In un Congresso internazionale e nel chiudere
questa rela¬ zione la quale dimostra quale sia la condizione delle
organizzazioni mutualiste in Italia, io non credo che si possano
presentare, come epilogo dei fatti osservati, voti e proposte che abbiano
riferimento alle particolari condizioni delle nostre Mutue ed al loro
avvenire. Credo soltanto possibile esprimere un voto il quale ha
necessario legame con la proposta costituzione di una Federazione
internazionale della mutualità, che sarà vanto di questo III Congresso,
poiché, a mio giudizio, una Federazione internazionale deve trovare il
suo principale fondamento nelle organizzazioni federative nazionali.
Ed il voto è il seguente: Che si promuova in Italia la
costituzione di Federazioni od Unioni regionali di mutuo soccorso, le
quali si propongano i fini additati dalle Norme e meglio specificati
dalla legge francese, in quanto siano applicabili alle particolari
condizioni e funzioni delle nostre Società ; Che le
Federazioni regionali facciano capo ad una Federazione Nazionale, la
quale, pure esplicando l’azione d’indole morale che è nel programma
dell’attuale Federazione, compia anche alcuni uffici propri delle
federazioni regionali, specialmente quello di sovvenire i soci dei
sodalizi aggregati alle regionali, i quali, per ragioni di lavoro o per
altre ragioni, si trovino fuori del territorio nel quale la Federazione
regionale esplica la sua azione. Uo spirito cooperativo. Se
il tracollare di tante impresa o società sorrette da grossi capitali
aggiunge nuove pa^ne ai volume delle nostre afflizioni , è bello invece
vedere per virtù popo- lana sorreggersi liberi e sicuri nel loro corso
anche in Italia i sodalizii dèlia previdenza e* del mutuo soccorso.
Animati nelle loro operazioni dal sentimento della pietà , e non mossi da
studio di soverchio guadagno , finiscono col raccogliere anche la ricchezza
, come premio della loro virtù e col dare un'alta pro\a di quella verità
che gli affari più cauti ed onesti sono sempre in (in dei conti i
più lucrosi. Così queste società nuove di operai e di pic- coli
indaslriali , svincolale dai vecchi rancori , amiche deirordiiie e della
liherlA, v:inno sempre meglio disegnando ed aiiargaiido i contorni dell'
azione, c creando una buona Speranza per l'avvenire della
nostra patria. Fatta Tlta- lìa, è d'uopo per fare gP italiani che alle
vecchie e cascanti passioni di un popolo per secoli torpido e povero , sì
sostituisca la fede energica nel lavoro e neir associazione.
Occorrono a ciò quelle tempre d^ uomini gagliardi ai quali nulla di
onesto e di utile pare impossibile, e che nel meditare al proprio,
tornaconto non dimenticano quello degli altri. Occorre che in tutte le
citlà^ d'Italia sorgano e iiros|u'rino gli spirili benevoli, i quali
sappiano inlen- dere l' iiulirizzo del nostro secolo, e prodighino le
opere buono a quello stesso modo , e sto per dire , con quella
spensieratezza , colla quale i più le stemperano nella ca- scafigine e
nelT ozio. E queste qualità cominciano appunto a ravvivarsi
nei gruppi de' nostri cooperatori , le quali , mef^lio di tanti
discorsi accademici che entrano ed escono dalle orecchie 0 di certi
volumi di economia politica , senza lettori, val- gono a provare colla
evidenza dei fatti , che la maggiore delle industrie è l'onestà dei
costumi, e che il lavoro e r associazione non accrescono soltanto la
nostra fortuna materiale, ma ben di più» il patrimonio dei nostri
affetti e delle virtù nostre. Di fronte al movimento
d'associazione che si estende da tutte le parti, è. necessario stabilire
i cardini su cui s' aggiri ben definito l' oggetto e lo scopo dell'
associa- zione. Fino ad oggi te società di commercio e
dMndostrla avevano per unica mira il guadagno di coloro che le di-
rigevano. Questo guadagno talvolta eccessivo , aveva per motore
l'egoismo, c per mezzi i tranelli , la speculazione e r aggiolag!2Ìo. E
pur troppo mezzi così odiosi hanno fatto colossali e scandalose fortune
con desolazione c rovina di una falange di creduloni e di delusi. Le
società cooperative hanno invece per ragione la fra- ternità, per
principio l'eguaglianza, per mezzi l'onore, la probità e il lavoro dei
cooperatori associati ; e per ìscopo r emancipazipoe di tutti ; la
cooperazione dà ai- spiaiTo d' associazione. r uomo il mezzo di amministrare e di
gestire da sè stesso ciò che gli appartiene , ed a ciascun cooperatore
accorda la facoltà di aver parte air amministrazione delle cose co-
muni. Còsi la cooperazione sorretta dall' intelligenza , vi* vificata
dair amor fraterno , rivela air uomo T arcano della sua forza e della sua
potenza. Ma peicliè giunga agli sperati e (Te ili senza deviare dai
principii che sono fon- damenlo di ogni rigenerazione sociale , si
addomanda ai cooperatori vigilanza attiva e studiosa, saggezza,
aniiega- zione e virtù; nè, per evitare gli scogli contro cui ruppero
tanti , cessino di tenersi in guardia contro i funesti allctlamenli, i
desiderii ambiziosi , le passioni egoistiche e gelose. Bando sopratutto
ai sistemi esclusivi! essi con- tengono i germi di discordia e di
dissoluzione che bi- sogna sradicare dalla loro prima
comj)arsa. Quanto allo socielà cooperative formate lìnora in Italia,
mentre dobbiamo conoscere la devozione , il disinteresse dei loro
fondatori ed aderenti e i risultati abbastanza fe- lici, tenendo calcolo
delle difficoltà che erano da supe- rare, converrà sìeno impiegate
maggiori forze e sieno sbandite tutte quelle mezze misure che conducono
facilmente air aborto. Si ha bisogno di uscire al più presto dalie
vecchie abitudini, dai sistemi restrittiyi, e rendersi p^puasi che
un progresso non è realmente buono se non m quanto possano tutti
parteciparvi; che T eguaglianza è T anima della cooperazionc , come
d'ogni giustizia; che il genio cooperativo nel suo oggetto , nel suo
scopo e nelle sue conseguenze sociali , ha una missione immensa da
com- piere, e che deve penetrare come il sole, tanlo nelle campagne
quanto nelle grandi città. Ma perchè le società di credito e di
produzione pos- sano agire senza ostacoli deesi sgombrare il terreno
del- l' industria dall'impiccio delle tante braccia strappate alle
campagne e fioriate nelle città a far una disastrosa concorrenza cogli operai.
Per togliere dallo stato precario e dalla miseria, ove si trovano, lutti
questi campagnoli che disertano la gleba per cercarsi lavoro nelle
manifatture » bisognenibbe procurare la loro emancipazione col
mclterli anch'essi in grado di partecipare alla propriclà territoriale
per mozzo delle associazioni cooperative. Al che condurrebbero quando si
formassero de' sodalizii agricoli c industriali, abbastanza potenti per
oHrirc un asilo a coloro che non hanno una via aperta alla loro
aUivilà. Con questo mezzo il commercio e l’industria si troverebbero al
riparo dalia concorrensa industriaJi superflui, poiché ove le società
cooperative non propagassero ia loro azione nelle campagne, e restassero
nelle sole pitià, subirebbero i maggiori disinganni. Ed oltre a
questa concorrenza dannosa, aggiunge quella che i lavoratori si fanno fra
essi e che forma reggette dMndebite lagnanze. E infatti coltivatori,
affit- jtaìuoli , proprielarii si lamentano troppo spesso dr questa
concorrenza che , a detto loro , impedisce di vendere i frulli del campo
e del lavoro a buon prezzo, e non pensano intanto che la concorrenza de''
produttori coi prezzi moderali suscita un'altra concorrenza, quella de'
consumatori; non pensano che se essi hanno quelle vanghe, quelle zappe,
quei martelli, quelle seghe a buon patio, e appunto per la concorrenza
delle fucine che procura a minor prezzo il ferro di che hanno bisogno per
gli isirumenti de' tgro mestieri ; che è la concorrenza dei tes- sitori e
de" granaiuoli che fa comperare ad essi con modici valori il vestito e il
nutrimento, e tutto quanto entra nei bisogni della vita. Ma quando l’equilibrio
si rompe anche la concorrenza diviene dannosa; le braccia divelle dai
campi e intrec- ciate agli ordigni de^ mestieri devono rompere
Tarmonia che è il supremo beneficio d^ogni sociale interesse >
ed è appunto un gran prezzo dell’opera il far in modo che ì
campagnoli restino nelle campagne , nò depongano la marra e il sarchiello
pel maglio o pel telaio. La concorrenza è ìm gran motore delle
attività umane, e trova la sua perpetua alimentazione nelP interesse
individuale. Essa non e che il risultato dello sforzo che fa ciascuno pel
proprio interesse , e porta poi come ultima conseguenza il bene generale.
Essa è dunque il principio deir esistenza Jelle società, poiché dalla
concorrenza degli uni e degli altri promana il vantaggio di lutti; nè permeile
ad' alcuno di predominare a scapito degli altri, è una compensazione che
ci facciamo a vicenda. Senza la concorrenza dei produUori i consumatori
pa- gherebbero tutto ad una esorbitanza di prezzi , e senza la
concorrenza clie i consomatori si fanno tutto cadrebbe a prezzo sì
abbietto che nessuno sarebbe più sollecitato alla produzione. E chi
sconoscerà il vantaggio che ne trae l’emulazione « che è uno stimolante
prezioso per T intelletto e per Fat- tività deir uomo , e ne sorregge ne^
suoi lavori la medi- tazione e i sudori per trionfare sui competitori
suoi. Per studiare a tale intento , e trovare nuovi processi di
produzione più economica e più abbondante per accorciare il tempo e
conseguire Y esito migliore , e per soggiogare le forze delia natura,
decuplicando e centuplicando la forza deir uomo? Chi teme la
concorrenza è solo colui che non sa far meglio degli altri, o clic
vagheggia guadagni più ghiotti; egli sa che il consumatore si rivolgerà
al fabbricatore che lavora meglio, e al venditore che spaccia a minor
prezzo; e chi invoca misure restrittive, chi domanda ai governi la
proibizione d' introdurre merci forestiere , attenta alla liberti, ed è
un egoista che vuoi prelevare a suo pro- fitto la differenza tra i suoi
prezzi e quelli degli stranieri. Ha quando l’equilibrio delle classi si
rompe allora la concorrenza conduce diviato alla ruina. E pur troppo
vediamo i giovani campagnoli non rare volte dalla mal tollerata loro condizione
sospìnti a quella delP artigiano delle città, perchè a questo la giornata
si paga più cara che ad essi , ed ogni sabato esce dall'officina col suo
salario alla mano. Queste braccia divelle dai campi e iuirecciate
agli ordigni degli opificii tolgono le larghe emanazioni di quella
occupazi.one che fin dai primi tempi alimentò l'uomo «uila terra. Eppure
l uomo della campagna quando pensa all'artiere della città, dice: in (jual
minor conto siamo ' noi tenuti! S'inganna esso a partito; nessuno tiene
in minor conto chi guida il solco e l’aratro, ed è necessario che i
contadini il sappiano, che abbiano ànch'essi le loro istituzioni da cui
sieno allettati, e che le provvide virtù camminino fra i popoli agricoli
» sotto i tetti di paglia , tra i novali e i vigneti , e che la vanga e
il sarchiello non restino mortificati dinanzi al maglio ed al
telaio. Nicola Coco. Keywords: mutuale prevalente, cooperativa, impresa
cooperativa, luce di pensiero italico nelle tenebre della guerra,
giurisprudenza romana, giurisprudenza italiana, eccletismi, filosofia dell’atto,
corporazione, contratto e cooperazione, codice civile italiano, codice di
procedura civile italiano, la tradizione giuridica italiana, associazione,
sindaco, Kelsen, grundnorm, legalita, nipote: Nicola Coco, ordine giuridico,
unica garanzia del contratto sociale, mutuo soccorso, la societa di mutuo
soccorso, le societa di mutuo soccorso, mutualita, mutualita prevalente,
contratto di carattere mutuale prevalente, lo spirito cooperativo,
considerazione sullo spirito cooperative. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Coco”
– The Swimming-Pool Library. Coco
Grice e Codronchi: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale del contratto -- giochi
d’assardo – contratto – gioco aleatorio – Ercole, l’Ara Massima, e il patto
comunitario – scuola d’Imola – scuola di Bologna – filosofia bolgnese –
filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Imola). Filosofo
bolognese. Filosofo emiliano. Filosofo italiano. Imola, Bologna,
Emilia-Romagna. Grice: “One would underestimate Codronchi if it were
not for the fact that he wrote a smartest little tracts on the two ways I see
conversation as: ‘game’ and ‘contract.’ In “Logic and conversation’ I do
confess to having been attracted for a while to a ‘quasi-contractualist’
approach to conversation alla Grice (i. e., G. R. Grice) – and I’m not sure the
reason I give there for rejecting the view is valid, or strong enough! As for
‘games’ – of course conversation is a game – but I never took that too seriously
– perhaps because Austin was obsessed with games and rules of games – and the
subject was worn out for me – when Hintikka came along all he did was talk
about ‘dialogue games’! – I do use ‘game’ terminology – and cf. ‘contract
bridge!” – such as ‘conversational move,’ ‘converaational rule’ of the
‘conversational game’ – and conversational ‘players’ – “Only this or that
‘move’ will be appropriate’, and so on.” Appartenente alla nobiltà, dopo la
laurea prosegue gli studi approfondendo la filosofia spinto dal padre. In
seguito entra alla corte del regno di Napoli, prima con Ferdinando I e poi con
Giuseppe Bonaparte, da cui ottiene la nomina a consigliere di stato. Le sue
saggi più celebri sono “Etica” e “Il contratto”, in cui affronta con semplicità
l'argomento del calcolo delle probabilità. Distingue in tre classi di
contratto. Contratto epistemico: C’e un contratto nel quale è noto il rapporto
tra eventi favorevoli e contrari. Contratto empirico. C’e un secondo contrato
nel quale il rapporto tra un evento favoravole e un evento contrario è fondato
sull'esperienza. Contratto misto Finalmente, c’e un terzo tipo di contratto nel
quale il rapporto tra un evento favoravole e un evento contrario si basa su una
legge sicura e in parte sull'esperienza. For a time, I was
attracted by the idea that observance of the CP and the maxims, in a talk
exchange, could be thought of as a quasi-contractual matter, with parallels
outside the realm of discourse. If you pass by when I am struggling with my
stranded car, I no doubt have some degree of expectation that you will offer
help, but once you join me in tinkering under the hood, my expectations become
stronger and take more specific forms (in the absence of indications that you
are merely an incompetent meddler); and talk exchanges seemed to me to exhibit,
characteristically, certain features that jointly distinguish cooperative
transactions: 1. The participants have some common immediate aim, like getting
a car mended; their ultimate aims may, of course, be independent and even in
conflict-each may want to get the car mended in order to drive off, leaving the
other stranded. In characteristic talk exchanges, there is a common aim even
if, as in an over-the-wall chat, it is a second-order one, namely, that each party
should, for the time being, identify himself with the transitory conversational
interests of the other. 2. The contributions of the participants.should be
dovetailed, mutually dependent. 3. There is some sort of understanding (which
may be explicit but which is often tacit) that, otl1er things being equal, the
transaction should continue in appropriate style unless both parties are
agreeable that it should terminate. You do not just shove off or start doing
something else. SAGGIO FILOSOFICO SUI CONTRATTI E GIOCHI D'AZZARDO. C.
Sor's incerta vagatur, Fertque refertque vices. Lucan. FIRENZE PER GAETANO
CAMBIAGI STAMPATOR GRAND. CON APPROVAZIONE. ALL’ALTEZZA REALE DI PIETRO
LEOPOLDO PRINCIPE REALE D'UNGHERIA E DI BOEMIA ARCIDUCA D'AUSTRIA GRANDUCA DI
TOSCANA &c. &c. & c. 1 NICCOLA CODRONCHI. Questa operetta che
sottopone il contratti d’azzardo o aleatorio all'esame della filosofia per
fissare, quant'è possibile i I dati onde non discordino dalla giustizia, dovea
bene essere umiliata, a VOI, che pieno del le verità della prima, avete consacrati
tanti pensieri ad assi curare, e stabilir la seconda; onde può dirsi che il
vostro trono è il punto più luminoso della loro unione, che sola può formare la
felicità degli stati. Posta questa mia fatica, se non è degna dipresentarsi
all'illuminatissima vostra mente, non dispiacere al vostro cuore, che non
sdegnerà di riconoscere in esta una significazione dei sentimenti del mio,
penetrato del la più viva gratitudine al vostro real patrocinio, e alle copiose
beneficenze, auspici sotto de’ quali è nata, e condotta alla luce, e ai quali
desidero con tutto lo spirito che sempre più raccomandi l'autore. Non avvi
forſe negli uomini un sentimento più costante e universale del desiderio di
arricchire. L'uomo tende incessantemente a procacciarsi, ed assicurarsi i mezzi
necessari a sostenere e a rendere tranquilla e comoda la vita. La natura, che ha
voluto che ciò concorra alla sua felicità alla quale con tanta forza lo
stimola, gli ha inserito di sua mano nel petto questo vivissimo ardore;
acciocchè se dalla propria industria riconosce egli il sostentamento e gli agi
della vita, riconosca però dalle provvide mani di lei l'eccitamento e l'efficacia
di questa industria medesima. Questa fiamma sempre operosa accende talvolta un
cuore angusto che non ha altro oggetto che se medesimo, o un piccolo e
ristretto sistema di persone. Talvolta pero trionfa sovranamente in un animo
generoso, a che stima di se minori tutte le mire che non sian vaste e sublimi.
Patria, nazione, pubblica felicità, interessi dell’uman genere ecco i grandi
oggetti, che egli ha sempre davanti; ed ecco intorno a che si aggirano i lumi
del politico pensatore; ecco ciò che forma le vigilie dell’uom’di stato. Quindi
è che sempre nuove vie si spianano al commercio, nuovi mezzi si studiano per
facilitarlo, nuovi metodi si ritrovano per dilatarlo. Questo ardore medesimo ha
fatto sì, che gli uomini vadano sempre inventando un nuovo contratto, o ai
ritrovati già prima diano nuove sempre e più estese forme. Chi avrebbe mai
detto nei primi tempi delle nascenti civili società, quando altro contratto non
conoscevasi che quello di dare i grassi capi dell’armento in cambio degli
scelti frutti del campo, che vi sarebbero stati un giorno uomini, che avrebbero
ridotte a contratto non solo una cosa esistente, sicura, e da esli ben
conosciuta, ma la cosa non esistenti ancora, le incerta, la soggetta al caso,
la sconosciute? O chi persuaderebbe alle numerose carovane dei mori che vanno nel
fondo dell’Affrica a far coi negri il cambio del sale colla polvere d’or, che sonvi
e lecici, e un vantaggioso contratto, che si appoggia solamente all’aleatorio
pericoloso e al bizzarro capriccio della fortuna? Il moro che mette il suo sale
in un mucchio e lo va sminuendo, se gli pare che il negro con cui commercia,
non abbia ammassata in sufficiente quantità l'a preziosa polvere; riderà di
coloro che si espongono a gravi perdite delle loro sostanze affidandole
all'incertezza della sorte. Eppure, e vi e questo contratti aleatorio, e puo
esser ridotti a quella uguaglianza che dopo determinati, o dalle leggi, o dalla
consuetudine i prezzo della cosa è necessaria a render giusto qualunque contratto.
A fissare il limite e il grado di uguaglianza in tale contratto aleatorio giova
maravigliosamente quell’utilissima scienza che arditamente calcola le
probabilità e si rende soggetti, per così dire, i sempre vari accidenti della
fortuna. Questa scienza è stata chiamata finora aritmetica politica perchè è
stata ordinata soltanto a ricercare l’utilità e la miglior sorte a 2 del
commercio e di chi lo esercita, e ad apprestare dei nuovi dati a chi veglia
alla pubblica felicità. Ma io crederò di potere con parità di ragione chiamarla
“aritmetica del giusto” ed asserire che se il gran principio che fra il certo
presente e l'incerto avvenire trovasi una vera proporzione è stato quel seme
fecondo che ha germogliato al pubblico bene, è quello ancora che dee produr
nulla meno la sicurezza e la tranquillità nell’animo di chi sulle tracce
dell’onesto e del giusto voglia istituire tale contratto. Non farà però inutil
cosa se io cercherò di spogliare della austerità e difficoltà del calcolo una
sì vantaggiosa teoria e di ridurla a principi generali e semplici, facendo su
di essi opportunamente alcune riflessioni ed applicandone le regole al
contratto aleatorio, che verrò con la chiarezza e brevità maggiore che a me sia
possibile investigando. Mi lusingherò quindi di aver sempre pronta una misura,
più o meno esatta, a norma che eſli più o meno ne siano suscettibili, che ne
determini l’uguaglianza, é una bilancia che ne pesi l'equità e la giustizia.
Contratto aleatorio io chiamo quel contratto nel quale si fa acquisto di un
diritto, o vogliam dire di una speranza (res sperata – emptio spei, emptio rei
separatae), il buon esito della quale è affidato all’incertezza della sorte
(cfr. Grice, “Intenzione e incertezza”). E quì si osservi che si può nel
medesimo contratto considerare l’aleatorio relativamente ad ambedue i
contraenti. (parola chiave: “ambedue i contraenti”). Quello, il quale talvolta
per far guadagno di una tenue somma di denaro (a) ma certa, vende la speranza
incerta di un gran guadagno, sottopone all'aleatorio tutto quel di più che
avendo buon esito la ceduta speranza, supera la tenue somma in cui la cambio.
L'uguaglianza che dopo fissato dalla legge o dalla consuetudine il prezzo della
cosa ricercasa nel contratti perchè sia giusto, vi è ſempre, quando esaminata
la cosa che ne forma l'oggetto, ritrovisi in Vedasi più sotto ove si parla del
contratto di alii curazione un vero senso egualmente pregevole ciò che danno
nel contratto e reciprocamente ricevono ambedue i contraenti. Or chi non vede che
l'avere un diritto o una speranza è molto più valutabile che il non averla? E
se ciò è vero, è manifeſso che questa speranza puo dirsi avere un vero e real
prezzo nel commercio degli uomini. Ma siccome tuttociò che ha prezzo pui avere
un prezzo diverso, questa speranza ha anch'essa la sua diversita e puo per
conseguen prezzo calcolarsi in guisa da poterne trovare il *rapporto* a quello
per cui alcuno desideri di farne acquistom che è quanto dire potrà ridursi ad
una vera uguaglianza. Stabiliscasi adunque l’incontrastabile fondamenza il suo
tale TEOREMA. Nel contratto aleatorio vi puo essere essere quella uguaglianza,
che gli caratterizzi per giusti. ng Too vorrei potere esporre con la maggior
precisione e chiarezza la serie delle idee che conducono a fissare il canone
per cui si puo in un contratto aleatorio rinvenire l'uguaglianza di cui si
parla. Il soggetto è molto arduo e per esporlo nel dovuto lume e farne poi
l'opportuna applicazione è neceſſario fare di tratto in tratto molte importanti
osservazioni che o sviluppino il principio fondamentale o vagliano a
dilucidarlo. E prima di tutto io intendo sempre per nome di prezzo tutto quello
o sia certo e determinato, o sia incerto anch'esso o per l'evento la quantità
che si espone per far l’acquisto di una speranza. Premio io chiamo quello per
cui ottenere si espone il prezzo così definite. Conviene pero osservare che per
nome di premio si può intendere, e l'oggetto solo a cui si aspira e il medeſimo
più il prezzo che si è o esposto o sborsato per acquistarne la speranza. Ciò
ben'inteso parmi che per rintracciare questa uguaglianza sia d'uopo conoscere i
o per 8 la diversa speranza. Di due elementi viene egli composto. Tanto è più
stimabile una speranza quanto ha un'oggetto più pregevole; e questo è ciò che
io intendo per valore intrinseco; ma tanto anche è più stimabile per altra
parte quanto è più probabile che ha un esito favorevole, e questo col nome di
estrinseco valore vuolsi significare. La probabilità è maggiore o minore
secondo che è maggiore o minore il numero di casi favorevoli all'evento
rispetto al numero de' sinistri; di modo che se si facesse una tavola che
gradatamente, e per serie e sprimeſle questi rapporti si avrebbe una vera
tavola delle probabilità. Conſiderando però ciascun evento separatamente e
senza rapporto ad altri; la probabilità che esso liegua, vien espressa dal *rapporto*
del numero de’ casi a lui favorevoli alla somma dei favorevoli insieme e de’
contrari. Poichè se sianvi in un urna 10 palle bianche e 10 nere; per definire
la probabilità dell'estrazione di una palla Bianca fa d' uopo conſiderare le 10
bianche in massa colle nere; giacchè in massa sono quando si fa l'estrazione
dall'urna. L'istesso avviene di ciascun evento che sia l’oggetto di una
speranza; giacchè deve distaccarsi dalla massa che è il cumulo degli eventi
favorevoli e dei sinistri che stan raccolti nell’urna sovrana regolatrice della
umana vicenda. Se dato un prezzo con cui si voglia fare acquisto di una
speranza, il numero dei casi favorevoli al buon esito sia uguale a quello dei
sinistri, è troppo chiaro che a volere la ricercata uguaglianza e necessario
che il valore intrinseco della speranza o sia dell'oggetto della medesima, sia *doppio*
del prezzo che si espone per acquistarlo; poichè in tal guisa la metà del
valore intrinseco resta compensata dal prezzo che si è pagato; l'altra metà,
che sola è un vero guadagno è uguale al prezzo medesimo che si è espoſto
all'aleatorio; e così deve essere essendo nel caso nostro uguale la probabilità
del buon esito e dell’infausto. E non altro appunto significa quella regola
infallibile secondo la quale è sempre 10 il valore (a) dell’aspettativa, quando
in ugual numero siano i casi favorevoli all’esito bramato e i sinistri. Che se
si accresca il numero de’ casi sinistri; siccome scema percið il valore
estrinſeco della speranza, converrà che si accresca *proporzionatamente*
l’intrinseco accrescendo il valore dell’oggetto medesimo. Per maggior chiarezza
di cio suppongasi il prezzo con cui si compra la speranza uguale ad un dato
numero e suppongasi il numero dei casi favorevoli uguale a quello dei sinistri.
In questo caso la probabilità del buon esito e uguale a quella dell'infausto e
la speranza si elide col timore, e per conseguenza il suo valore estrinſeco puo
considerarsi = 0; verrà dunque in confronto il solo prezzo col premio; che però
queste due quantità dovranno eſſere uguali, benchè il valore intrinſeco della
speranza, o sia il premio medesimo preso in una più estesa significazione 111
(a) L’aspettativa non è altro che il grado di probabilità che uno ha di
ottenere un’intento fortuito. II sia doppio del prezzo, poichè una metà del
premio medesimo non si può chiamare lucro, restando compensata col prezzo già
sbor fato ed esposto all’aleatorio. Stabilito adunque questo caso, come per
punto fisso dal quale si parte la serie dei valori, è chiaro ugualmente che se
il numero dei sinistri casi sia maggiore o minore di quello dei favorevoli, di
tanto la probabilità del buon esito a fronte della probabilità dell'infausto
farà a proporzione maggiore o minore di zero nel formare il valore totale della
speranza; lo che non altro significa, se non che ad avere l'uguaglianza
necessaria converrà che a proporzione l'oggetto della speranza superi nel primo
caso il prezzo con cui si acquista e nel secondo sia ad esso inferiore, e
quindi li puo universalmente stabilire. Nel secondo teorema, i valori delle
speranze sono in ragion composta del valore intrinseco dell’oggetto o cosa o
reale sperato (res sperata), o dell’spettativa. Ne terzo teorema, nel contratto
aleatorio allora visarà l'us 1. Il contratto aleatorio allora vi sarà
l'uguaglianza quando il prezzo che espone uno de contraenti stia al premio,
come il numero dei casi favorevoli a lui, alla ſomma dei favorevoli e dei
contrari. Notisi che quì per premio s’intende non solo la porzione che si
lucra, ma di più il prezzo istesso che si è aleatorio, aleatato. E siccome, per
quanti siano i prezzi dei contraenti, deve verificarsi in ciascun prezzo questo
rapporto al premio, ne verrà che i prezzi staranno fra di loro come il numero
dei casi favorevoli ad uno dei contraenti di viso per la somma de favorevoli e
de’ contrari al numero de favorevoli a quello con cui si istituisce il
paragone, diviso anch’esso per la somma dei favorevoli e dei contrari: e così
dicasi di quanti siano i contraenti. Da questo teorema si deduce il seguente
corollario. Nel contratto aleatorio allora vi sarà l'uguaglianza quando i
prezzi dei contraenti ſtiano fra di loro, come i numeri dei caſi ri
ſpettivamente favorevoli. Dagli enunciati Teoremi chiaramente ap pariſce, che
per bene applicarli agl' indivi dui caſi, è neceſſario eſaminare maturamente,
qual ſia il vero valore del prezzo con cui ſi compra la ſperanza; quali ſiano i
veri caſi favorevoli, e ſiniſtri; e fiflarne il numero con quella eſattezza che
convenga alla naturą del contratto in queſtione. Conſiderando at; tentamente la
natura e le leggi dei diverſi contratti di azzardo, mi è parſo che preſen tino
una facile e natural diviſione, per la quale in tre ſeparate, e diſtinte claſſi
li pof ſono comodamente diſtribuire. Imperciocchè dalla loro diverſa natura, e
dalle diverſe leg gi che gli coſtituiſcono, ne naſce una diverſa maniera di
fiſſare i rapporti del numero dei caſi favorevoli, a quello dei ſiniſtri. A tre
fi poſſono in fatti ridurre i metodi per fillare 1 14 gli accennati rapporti, e
quindi collocare in una di tre diſtinte claſli ciaſcun contratto di azzardo.
Primo metodo è quello per mezzo del quale conſiderata la natura, e le leggi del
contrat to rilevaſi il ricercato rapporto dal numero delle cauſe e delle
ragioni, che poſſono in fluire ſul buon eſito della ſperanza, numero
determinabile, e ragioni certe, e ſicure. Il ſecondo è quello nel quale per la
natura del contratto, non ſi può fondare il rapporto, ſe non che ſulla
ſperienza, e ſulle oſſerva zioni eſatte perd, e molte volte replicate; e ſopra
cagioni incerte, e variabiliffime per le quali il numero dei caſi favorevoli e
dei fi niſtri, non può mai eſſer certo, determinato, e ſicuro. Terzo metodo è
quello per cui ſi appoggia la indicata proporzione, parte alla conſiderazione
di leggi certe e ſicure, e par te alla ſperienza del paſſato, e a circoſtanze
incerte ', e di numero indefinito. Nei contratti adunque della prima fpecie,
conoſciutene le leggi, fiffato il numero delle cauſe che poſſono influire
ſull'oggetto del 1 4 13 contratto, ed eſaminate le diverſe maniere nelle quali
poſſono combinarſi, ſi avrà un eſatta ed infallibile notizia del rapporto dei
caſi favorevoli ai finiftri. La ſcienza delle combinazioni, e permu tazioni è
ſtata nel noſtro ſecolo così illuſtra ta, e dall ’ Ugenio, e dal Bernullio, e
dal Moivre, ed è così vaſta ed eſteſa, che vo lendo io trattarne a lungo, non
potrei per l'una parte non oſcurare ciò che è ſtato detto con tanta preciſione,
e ſicurezza, e non fa prei per l'altra accennar poche coſe, che non laſciaffero
un neceffario deſiderio di molte più, intorno alle quali l'intertenermi, oltre
paſſerebbe di gran lunga il fine, e l'idea di queſto faggio; e tanto più, che
ſenza la fe verità del calcolo più aſtruſo non ſi potreb bero per avventura
trattare tutti i caſi par ticolari. Nel venire però eſaminando la na tura dei
diverſi contratti, ed applicando ad effi li ſtabiliti Teoremi, ſi vedranno di
trat to in tratto i principj di queſta ſcienza ſvi luppati, ed indicata la
maniera di applicarli ad alcuni caſi particolari, ſiccome con l'uſo ! 16 rétto,
e ſicuro del calcolo ſi poſſono adattare a tutti i caſi i più compoſti, ed
aſtruſi. Il gioco di pura ſorte è certamente uno dei contratti che alla prima
claſſe debbonſi riferire. Mi è noto quanto ha ſcritto il cele bre Giacomo
Bernulli, per dare le regole ficure onde fiſſare nei giochi di fortuna il
numero dei caſi favorevoli e dei contrari, i vantaggi reſpettivi dei giocatori,
e il pre mio che può uno eligere, dopo incominciato il gioco per ritirarſi
ſenza rinunziare alla miglior condizione, in cui l'hanno già poſto alcuni colpi
favorevoli. So che eſſendo la probabilità, o ſemplice, o compoſta, ne ha queſto
gran Matematico ridotta la miſura all'interſezione di una linea retta con una
curva logaritmica, o di queſta con una pa rabolica, e così ſucceſſivamente
aſcendendo alle curve dei gradi più alti. Ma laſciando da parte i profondi
calcoli, e i miſteri della fublime Geometria, i quali però ben pene trati
ſcuoprono il profondo e inventore in gegno di queſto grand' uomo, piacemi in
quella vece di eſaminare ſemplicemente ſen 17 za di effi la natura e le leggi
del gioco, per riconoſcere ſecondo l'accennato metodo, come ſi poſſa in eſſo e
dare e ſcoprire l'u guaglianza fra i giocatori, e in tal guiſa applicare a
queſto contratto gli enunciati univerſali Teoremi. Il gioco di pura ſorte è una
ſpecie di con tratto, nel quale due o più perſone, dopo di aver convenuto di
certe leggi, e condizio ni, ſi diſputano un premio, che ſi rilaſcia a chi ſarà
più felice, per rapporto a certi acci denti l'effetto dei quali non dipende per
ve run modo dalla loro induſtria. E quì cade in acconcio fare una rifleſſione
comune a tutti i contratti di azzardo. Il dire che una coſa accada caſualmente,
non altro ſignifica, ſe non che la cagione ne è a noi ſconoſciuta; e che
non vi abbiamo alcuna volontaria influenza. Per altro quan do fiegue in natura
un determinato effetto, qualunque ſiaſi, è certo che neceſſariamente dovea
ſeguire. Che due dadi gettati ſu di una tavola, ſcoprano piuttoſto un numero,
che un altro; noi ne ignoriamo la cagione b 18 nell'atto ſteſſo che ne ſegue
per le noſtre mani medeſime il tratto. E perd ugualmente vero, che dato quel
tal moto alla mano che gli getta, dato quel tal grado d'impeto, e non più nè
meno, data la mole dei medefi mi, e il piano ſu cui ſi aggirano, devono
neceſſariamente preſentar quel tal dato nu mero e non altro. Così dicaſi dei
giochi di carte le combinazioni delle quali dipendono dalla diverſa maniera di
meſcolarle, e di dividerle alzandone una parte di eſſe fovra il reſtante; anzi
pure non ſolo del gioco, ma dicaſi, come ſi avvertì di tutti i contratti di
azzardo, e generalmente di qualunque evento fortuito (a ), (a) Non ſolo ne'
contratti ove ciò che ſi perde o che ſi guadagna è riducibile ad una miſura
diſtinta in gradi coſtanti ed eſattamente marcati, ma anche in tutto il tenore
di una vita diretta a un fine fpe rato ma incerto ha luogo il prezzo ed il
premio. Le fatiche, gl'incomodi, le priyazioni dei piaceri formano il primo.
Nella gloria, nell'autorità, negli onori, nelle ricchezze è ripoſto il ſecondo,
che molte volte defrauda le meglio fondate ſperanze, o almeno ad effe
perfettamente non corriſponde; onde può dirlig.Varie ſono le ſpecie principali
dei giochi di pura ſorte, ſiccome varie ſono le maniere di diſputarſi il
premio.O due giocatori eſpon gono all'eſito della forte le loro reſpective
porzioni di depoſito con la legge che deb baſi tutto a quello rilaſciare, il
quale felice mente s'incontra prima dell'altro in un fa vorevole accidente, che
ambi ſi ſono propoſti d'incontrare; o a quello, che in ugual nu mero di faggi,
ſotto le medeſime leggi, di pendentemente dalle medeſime condizioni, 6 2 che
così in queſte ſecrete e non ftipulate aſpettative come in quelle per cui
s'inſtituiſcono e ſi celebrano i contratti,domina ugualmente quella inſtabile
divinità creata dall'ignoranza della conneſſione delle cagioni delle coſe, e
del compleſſo delle circoſtanze necef ſarie ai fortuiti eventi, ma che in tutti
i caſi ſuol chiamarſi ugualmente Saevo laeta negotio Et ludum inſolentem ludere
pertinax. Biſogna però rammentarſi ſempre che le parole che eſprimono gli
attributi della fortuna, o del caſo, quando ſono uſate dal Filoſofo, hanno un
fenſo di verſo da quello in cui le uſa il Poeta che simboleg gia, e il volgo
che non ragiona. << tro, così dire nega incontra quelle combinazioni che
preſen tano una maggior ſomma di quegli elementi ond'è compoſto il gioco, e
alla quale è at taccata la vincita del medeſimo. Oppure il contratto del gioco
è tale che un ſolo dei giocatori s'impegna in un dato numero di ſaggi, e ſotto
certe condizioni, d'incontrare un dato favorevole accidente o ſemplice ſia di
altri ' compoſto, e quale non incontran do, la ſorte s'intende aver deciſo per
l'al la ſperanza di cui per tiva, non ha altro oggetto che l'eſito infe lice
delle mire dell'avverſario, non obbli gandoſi intanto a tentare poſitivamente
ve run colpo di gioco. Nei priini due caſi egli è chiaro che devo no i
giocatori azzardare una egual fomma, o prezzo, altrimenti reſterebbe
manifeſtamente tolta di mezzo la neceſſaria uguaglianza. E' chiaro che allora
il prezzo con cui ſi acquiſta la ſperanza è eguale alla metà del valore dell'
oggetto; poichè il primo altro non è che la porzione di depoſito di uno dei
giocatori e il ſecondo è la ſomma delle due porzioni 2 1 uguali componenti il
totaledepoſito.Ma co me trovare in queſto caſo il numero dei caſi favorevoli
uguale a quello dei ſiniſtri come pure eſige la ſtabilita Teoria? E certamente
ſe fi conſiderino i caſi favorevoli, ei con trarj diſtintamente in ciaſcuno dei
giocatori; non ſi potrà fiſſare nè ragione di uguaglianza nè altra qualunque.
E' queſta una evidente verità, ſe ben ſi conſiderino le leggi di queſto gioco,
per le quali dipendendo la ſorte di un giocatore, non dai ſuoi colpi ſolamente
ma da quelli ancora dell'avverſario, i ter mini della proporzione ſaranno
ſempre rela tivi, e per conſeguenza variabili. Eſaminata però più maturamente
la natura del gioco di cui ſi tratta, fi dee riflettere, che il nu mero dei
caſi favorevoli a un giocatore, è compoſto non ſolo dei caſi propizi a lui di
rettamente, ma dei caſi altresì all'avverſario contrarj; e al contrario il
numero dei finiſtri, altro non è che la ſomma degl'infauſti a lui, e dei
favorevoli all'avverſario. Ma quando fi giochi con condizioni eguali, queſte
due fomme fono eguali: dunque anche in queſto 22 caſo può reſtare verificato il
canone della ſtabilita proporzione, e i prezzi ſtare fra loro come i caſi
favorevoli ai finiſtri. Da ciò ne ſegue, che ſe due giocatori proponganſi di
incontrare la medeſima favo revole combinazione o la medeſima ſomma di
accidenti; ma che uno voglia far più ſaggi del gioco, o cercar con più mezzi
quelle combinazioni che preſentino maggior ſomma degli elementi del gioco,
nella guiſa di ſopra accennata; l'altro in tal caſo dovrà eſami nare di quanto
il numero delle combinazioni a ſe favorevoli reſti fuperato dalle ſiniſtre, ed
eligere che la porzione di depoſito dell' avverſario ſuperi in tal proporzione
quella che egli conferiſce nel gioco. Sia concertato per eſempio, che abbia il
premio del gioco quello che fa più numeri con i dadi, ed uno voglia gettarli
più volte, o in ugual numero di volte gittarne un mag gior numero, è manifeſto,
che dalla natura, e dalle leggi di queſto gioco, ſi potrà con le note regole
delle combinazioni ricavare in che proporzione debba egli eſporre all'azzardo
ſomma maggiore. Che ſe poi trattiſi della ſeconda ſpecie di ſopra accennata,
che è allor.quando uno ſolo dei giocatori ſi eſpone ad incontrare una o più
favorevoli combinazioni, in un dato numero di faggi, e ſotto certe leggi, e
l'altro guadagna full infauſto eſito dell'avverſario, ſenza tentare egli di per
ſe alcuna forte di gioco, è più difficile allora, ed è più operoſo il fiſſare
gli opportuni termini della noſtra proporzione. L'intenzione e l'oggetto dei
giocatori in tal caſo può eſſere di eſporre all'azzardo una ugual porzione, o
di eſporla diverſa. Nel primo caſo il giocatore che intraprende, e faminata la
natura del gioco, e le leggi chę a lui propone l'avverſario, potrà ricavarne il
numero dei caſi favorevoli e quello dei ſiniſtri, e dimandare quelle condizioni
nelle quali queſti due numeri ſi uguaglino: nel ſe condo conviene che dimandi
quelle condi zioni nelle quali, il numero dei favorevoli caſi, ſuperi tanto
quello dei contrari, di quan to la ſua porzione di depoſito ſupera quella
dell'altro, o al contrario. Intraprende uno 14 di gettare un dado in maniera
che ſi ſcuopra la faccia la quale moſtra il numero 6. Se lo deve fare in una
ſol volta, ſiccome ha cin que combinazioni contrarie, e una ſola fa vorevole,
converrà, che l'altro azzardi una ſomma cinque volte maggiore, altrimente la
proporzione reſta alterata. Che ſe trattiſi di azzardare una fomma eguale da
entrambi i giocatori, e ſi voglia più volte ricominciare, erinovare il gioco,
converrà oflervare quanti tratti di dado ſiano neceſſarj per fare che il numero
dei caſi favorevoli, ſia uguale a quel lo dei contrarj, del che, e
relativamente al noſtro addotto caſo, e ai fimili, ne da una eſtefa tavola il
gran Bernulli alla propoſizio ne X. del libro primo del ſuo trattato inti
tolato ars conje &tandi; ove dimoſtra un ingan no che in fiſſare queſta
proporzione è facile a pigliarſi da chi eſamini queſta ſpecie di gioco ſulla
prima apparenza, ſenza internarſi profondamente nelle fue leggi. Diffi, quan do
fi voglia più volte ricominciare, e rino vare il gioco, per le ragioni addotte
dal Ber nulli nel loco citato; giacchè fe non ſi ri 25 novi ſucceſſivamente,
egli è evidente che chi deve con un ſol dado ſcoprire la faccia del numero 6.
per eſempio, ed azzardare una ſomma eguale a quella dell'avverſario, do vrà
chiedere di gettare il dado tre volte; e cid col patto che non s'intendano in
queſto numero compreſe quelle volte in cui ſi vol taſſe di nuovo una medeſima
faccia del dado già ſtata ſcoperta. Ciò che ſi è detto di due giocatori, dicaſi
di più, e ſi conſiderino diſtintamente tutti i contratti che fa ciaſcuno dei
giocatori, e l'azzardo a cui eſpone ciaſcuno la depoſitata porzione, e ſi vedrà
che non reſta punto terata la noſtra teoria, benchè coll’eſporre una
determinata ſomma ſi poſſa guadagnare la medeſima moltiplicata per il numero
dei giocatori (a ). Anzi è regola univerſale in tutti i caſi compleſſi di gioco,
ridurli ai ſem plici dei quali è compoſto, ed eſaminare in ciaſcuno di effi le
ſovra ſtabilite maſſime. Dalle medeſime troppo chiaro appariſce (a) Vedi il
Corollario del Teorema III. che i vantaggi, che ha in alcuni giochi il
banchiere, per eſempio nel faraone quello dei doppietti, quello dell'ultima
carta, ed altri che ha ſecondo i vari uſi dei paeſi ove giocaſi tolgono
l'uguaglianza, perchè tur bano la fiſſata da noi proporzione; poichè nei caſi
medeſimi nei quali il premio che dà il banchiere è uguale alla ſomma azzardata
dal puntatore, il numero dei caſi favorevoli al primo è maggiore del numero dei
favo revoli al ſecondo; o in ugual numero di caſi favorevoli il ſecondo azzarda
più del primo. Si pretende nonoſtante, che ſe ſi conſideri, non la relazione
che ha ciaſcun giocatore in particolare al banchiere ma bensì tutto il ſiſtema
del gioco, vi ſiano molti rifleſſi che giuſtifichino queſto vantaggio di
condizione. Una ſplendida ſomma ſottopone egli alla cie ca ſorte, e ſi obbliga
di laſciarla ſempre in pericolo. Il puntatore per lo contrario può voltar le
ſpalle ſdegnoſo a quella avverſa for tuna, che tenta in vano di placare; o aven
dola provata propizia può aſſicurare i ſuoi doni dalla capriccioſa ſua
volubilità. Oltre 1 1 27 di ciò la ineguaglianza delle ſomme eſpoſte dai vari
giocatori, delle quali alcune per dendo può il banchiere rimanere ftremo, ed
eſauſto, ſenza ſperanza di tirar profitto dalla incoſtanza della fortuna; le
altre ſe vin ce appena gli recano un tenuiſſimo guada gno; la non leggiere
fatica per ultimo del banchiere medeſimo poſſono baſtevolmente render leciti i
vantaggi che egli ha nel liſte ma del gioco. Io preſcindo dall' eſaminare quale,
e quanta conſiderazione eſigano le accennate circoſtanze. Due coſe ſolo aſſeri
ſco. E che alcune di queſte ſono quantità non già coſtanti ma variabiliſſime,
eſſendo relative a circoſtanze facilmente alterabili; e che conſiderato il
gioco in ciaſcuno a par te dei puntatori relativamente al banchiere, come par
certamente debbaſi conſiderare, la alterazione della proporzione ſtabilita è
mol to notabile in iſvantaggio dei primi, e in manifeſta utilità del ſecondo.
Non voglio perd omettere, che eſſendo ſta ta eſaminata con eſatto calcolo la
ſerie dei vantaggi del banchiere per ogni pofta femplice, cominciando dalla
ſuppoſizione che vi ſiano 52. carte fino a quella che ve ne ſia no quattro due
delle quali ſiano dell'iſteſſa figura, ſi è rilevato che la media, è il 5. per
100. Ma in tutto un giro quando l'avi dità dei giocatori fa che per mezzo dei
pa roli o delle paci la forza del gioco ſi traſporti almeno verſo l'ultime 24.
carte, allora la media diventa il 9. incirca per 100. Ep pure le circoſtanze
che eſigono compenſa zione non variano in modo da efigere que Ita differenza (a
). Non ſi ha dunque nell'attuale ſiſtema del faraone la vera maniera di trovare
la com penſazione delli ſvantaggi del banchiere. Bi ſognerà dunque per
ottenerla, o fiſſare il nu mero delle pofte: 0 por dei termini ſopra, e fotto
de' quali non poſſa ſalire o ribaſſarſi la poſta: 0 tentar di fiſſare più che
fia poſſibile una ſomma relativa alle diverſe poſte la quale (a) Si noti che il
vantaggio di ſopra indicato del ban chiere ſi ripete tante volte quante poite
fi fanno, onde ſi vede in un ſol giro quanto ſia enorme ed ecceffivo. 29
effendo un di più della poſta medeſima, ma conoſciuto, non altererà le giuſte
proporzioni fra il prezzo ed il premio: o diſperare per ultimo di poter mai
annoverare fra i con tratti giuſti il gioco del faraone. Sogliono comunemente
dalle fagge leggi vietarſi i giochi di pura ſorte, come quelli che per una
certa fatalità luſinghiera, ſi uſur pano il tempo dovuto alle pubbliche cure,
alle dotte occupazioni, ed al domeſtico reg gimento delle famiglie, alle quali
recano sì di frequente irreparabile ruina; che non è già sì di rado, che una
carta di gioco, o un ſol colpo di dado decida della defolazione, e dell' inopia
di molti infelici. Si aggiunge a queſto, che la dura legge del biſogno, e la
ſevera faccia dell'avverſa fortuna dettano all'inaſprito giocatore le arti meno
oneſte, e i mezzi più indiretti nel gio co medeſimo; talchè ſi verificano di
troppo i celebri verſi di Madama Deshouliers. Le deſir de gagner qui nuit &jour occupe Eft un dangereux aiguillon;
Souvent quoique l'eſprit, quoique le coeur foit bon, On commence paretre dupe,
On finit par etre fripon. E quanto il gioco di pura ſorte ſia ſtato
ſempre deteſtato lo conoſcerà chi oſſervi le Leggi Romane al tit. De
aleatoribus, e nei digeſti, e nel codice, e legga i dotti commenti degl'
interpreti sù i medeſimi, e vedrà che ſi è ſempre riguardata come oggetto di
compal ſione e di orrore la miſera condizione di que gl’incauti quos praeceps
alea nudat. Io però e nel gioco, e in tutti i contratti di azzardo eſamino la
giuſtizia per rapporto ſoltanto alla ſovra eſpoſta neceſſaria ugua glianza,
preſcindendo affatto da qualunque carattere che poſſa rendere i medeſimi, o
conformi, o oppoſti alle provide leggi, e ai retti coſtumi. Similiſſima al
gioco è un'altra ſpecie di contratti d'azzardo, che chiamaſi comune mente il
lotto de go. numeri; cinque dei quali ſi eſtraggono da un vaſo, e decidono
della ſorte di chi ſulla ſperanza, che eſcano 31 dall'urna miniſtra della
fortuna, azzarda una data ſomma di denaro. Troppo ſon note le leggi di queſto
contratto, e troppo è facile il conoſcerne e combinarne gli accidenti, per
poter francamente aſſerire che non vi è forſe contratto di azzardo nel quale, e
più nota bilmente e più ſolennemente la ſtabilita pro porzione reſti alterata.
Sempliciſſimi elemen ti formano il ſiſtema di queſto contratto, e una
ſuperficialiſfima cognizione di calcolo è baſtevole per far conoſcere, che
ſebbene una tenue ſomma di denaro può cambiarſi in una ſplendida maſſa di oro,
pure a fronte di un caſo favorevole ve ne ſono tanti dei ſiniſtri, che rieſce
aſſai più ſuperata la probabilità di gua dagnare da quella di perdere, che non
la ſomma azzardata dal promeſſo premio per ricco e grande che poſſa parere. Per
ſalvare la giuſtizia di queſto gioco, non giova il dire, che conſentendo i
gioca tori con piena e perfetta libertà a queſta diſuguaglianza, queſto baſta
per rendere le gitima quella convenzione, che ſarebbe al trimenti tanto leſiva.
Queſto argomento proverebbe troppo in genere di contratti, e per ciò deve
conſiderarſi di neſſun vigore. Sareb be queſta maſſima l'appoggio di moltilli
mi contratti ingiuſti, e la difeſa di infiniti illeciti guadagni. Oltre di ciò
la maggior parte di quelli che giocano al lotto neppure ardiſce di ſoſpet tare,
che ſiavi a loro ſvantaggio una sì di chiarata ſproporzione; anzi moltiſſimi
rin graziano come generoſa e prodiga quella mano che premia i vincitori, come
ſe foſſe un gratuito dono ciò che non è ſe non una piccola parte di un debito.
Più ſolida difeſa potrebbe recarſi riflettendo doverſi in queſto contratto dal
padrone del lotto impiegare molti miniſtri, e fare molte e gravi ſpeſe, per lo
che può eſigere ragionevolmente un riſarcimento; ma tutto ciò ancora non baſta
a rendere giuſto queſto contratto fe ad altri termini e ad altre maſſime non
ſia ridotto. Troppo anche più enorme era la diſugua glianza, prima che con lo
ſtabilito aumento foſſe migliorata la condizione dei giocatori; condizione però,
che tuttora è aſſai inferio re a quella del padrone del lotto. Quì però fa
d'uopo dileguare un inganno comune a moltiſſimi che hanno le vedute corte, e
limitate dalla prima ſuperficie delle coſe. Altro è l'aſferire, che il lotto
conſide rato ſemplicemente come un contratto è in giuſto; altro è il dire che
un Principe giuſto non poſſa ammetterlo nel ſuo ſtato, e debba toglierlo
affatto, e ſradicarlo come un mal nato germe della rovina di tanti ſconſigliati.
Il lotto può conſiderarſi come un tributo, che viene impoſto a chi
ſpontaneamente con fente di pagarlo; cangiandoſi così in vantag gioſo al
pubblico, ciò che potrebbe eſſer tan to pernicioſo al privato. Non ſi può
deſcri vere l'ardore che muove ciaſcuno a cercare in queſta guiſa un propizio
ſguardo della for te; nè ſi può immaginare quanto ſia pungen. te lo ſtimolo che
ſpinge, e inquieta chi ri fiette che con una tenue ſomma di denaro, che azzardi,
può guadagnare di che ſoſten tare una languente e numeroſa famiglia, o pur
talora dilatare i confini del proprio luf ſo, o accreſcer anco tal volta un
nuovo peſo agl’inoperoſi forzieri. Quindi è che tanti, e 34 tanti ſi affollano
a tentare nel lotto la ſorte (a ). Penetrati dall'idea, e ſedotti dalla luſinga
di (a) Non può negarſi per altro, che riccome tutte le cofe hanno un grado di
valore e di eſtimazione ri Spettiva che naſce dall' uſo che può o vuol farne
chi ne è padrone: può conſiderarſi ſotto l'iſteſſo aſpetto anche il denaro.
Oltre il ſuo valor generale che na. ſce dal rapporto che egli ha alla maſſa
delle coſe che ſono in commercio, può dirſi che un altro egli ne abbia privato
e ſpeſſo mutabile, che naſce dalla qualità e quantità deibiſogni, o reali,
o di opinione che à nelle date particolari circoſtanze, chi lo poſſiede; Può
darli adunque che ciò che ſi azzarda al lotto, levato da una gran quantità, fia
una piccola por zione di eſſa, relativamente ſuperflua; onde il ſuo valore ſia
ſtimato sì tenue a fronte di una ſomma ragguardevole che rappreſenta un gran
numero di comodi e di piaceri benchè fperabile ſolo per un piccoliſſimo grado
di probabilità, che detto valore nella eſtimazione di chi lo gioca ſia
conſiderato come zero, o come una quantità più o meno ad eſſo approf. fimante,
formandoſi perciò, per così dire, una nuova e riſpettiva proporzione, ſecondo
la quale il vantaggio molte volte ſarebbe dalla ſua parte. Queſto ſe non baſta,
come ognun yede manifeſtamente, a render giuſto il contratto ſerve a render
qualche ragione del traſporto, che hanno a tentar la forte in queſto gioco
tanti che pur ne fanno ben conoſcere le condizioni, e calcolar le ſperanze. 35
quel bene che ſperano, non penſano a mi. ſurare i gradi della ſperanza
medeſima; e il molto oro che già poſſeggono col penſiero, getta ſugli occhi
loro un lampo che abbaglia talvolta anche il più ſaggio filoſofo, e il più
freddo calcolatore. Quindi un tale impeto non conoſce freno che poſſa reggerlo,
e non legge che poſſa vincerlo. Se un Principe tol ga dal proprio ſtato queſto
oggetto dei co muni voti, la ſconſigliata avidità ad onta delle più fagge
leggi, e deludendo le più ve glianti ſollecitudini ſi precipiterà in altri
ſtati, che ſi arricchiranno a ſpeſe di quello onde il lotto ſia proibito ed
eſcluſo. Unſaggio Principe adunque che può far ar gine a queſto torrente, accid
non sbocchi al di fuori; deve procurare che ſi ſcarichi tutto a pubblico
vantaggio, e che quella porzione di ſoſtanze che fagrificano follemente alla
loro avidità i membri del corpo di cui egli è il capo circoli per il medeſimo,
e poichè i pri vati ſi eſpongono a riſentire dello ſvantaggio, neſſun nocumento
però ne venga alla Repub blica. Così facendo il faggio Principe, e non 1fi
attira la taccia di ingiuſto, e merita tutta la lode di prudente, di politico,
di difenſore e cuſtode della pubblica felicità. Di queſta verità ne conoſcono
per una fe lice eſperienza il frutto in più ſpecial maniera quei popoli, che
hanno la ſorte di eſſere go vernati da Principi umani e benefici, che per l'uſo
che fanno del loro erario, anzichè pof ſeſſori, ſe ne moſtrano piuttoſto
amminiſtra tori a pubblico e generale vantaggio. Havvi un'altra ſpecie di lotti
nei quali non è un ſolo il premio, nè un ſolo il colpo fa vorevole della forte,
ma molti ſono i premi, come molti e vari i caſi propizi; e ſecondo l'ordine
dell'eſtrazione dei numeri dall'ur na, o ſecondo altre leggi convenute in pri
ma ſi decide del maggiore, o minor premio. Tale è il lotto che ſi è fatto in
Spagna per la coſtruzione del canale di Murcia, nella quale occaſione ſiccome
ha fatta luminoſa comparſa la vaſtità, e penetrazione di ſpirito di chi ha
ideato il progetto della grand'ope ſi è diſtinta non meno la finezza, e il di
ſcernimento di chi ha regolato il metodo di ra;. 2 37 accumulare le gravi ſomme
di denaro neceſ fario ad un sì grandioſo diſpendio. In queſto contratto come
nei ſimili ad eſſo biſogna conſiderare, che varie ſono le ſperanze e molte,
perchè vari e molti ſono i premi, e che la ſomma di tutti reſta come venduta a
quelli che hanno comprati i viglietti. Sicco me queſti hanno sborſato un ugual
prezzo, così devono avere fra loro ugual numero di caſi favorevoli e finiftri
relativamente ai di verſi, o maggiori o minori premi; quali eſſendo per lo più
vitalizj, l'uguaglianza fra gli azionarj e il padron dell'impreſa dipen de
dalle regole, ſecondo le quali ſi ſtabiliſce la giuſtiza dei vitalizj. Ma non
ſi troverà mai eſatta queſta uguaglianza, poichè una parte notabile del denaro
che contribuiſcono gli azionarj, non già nel numero o nel valore dei premi ſi
impiega, ma ſi deſtina alle ſpeſe delle ideate opere ſontuoſe. In queſto di
Murcia però così ſono ſtati bilanciati i di ritti degli azzionarj, e ſono ſtati
così grada tamente formati i premi, e in tal numero, e così bene è ſtata
regolata l'economia di queſta sì grandioſa impreſa, che forſe non vi è ſtato
mai un'altro lotto, in cui ſiaſi nel tempo iſteffo meglio aſſicurata la ſomma
ne ceſſaria alla deſtinata opera, e ſia ſtata me no alterata la proporzione a
ſvantaggio de gli azzionarj. Troppo ſon note le lotterie, che con al tro nome
chiamanſi dai Franceſi Blanques perchè io impieghi molto tempo in eſami nare le
qualità, e i caratteri di tale contrat to. Dall'economo del gioco ſi mette in
un vaſo un certo numero di viglietti, dei quali alcuni ſon bianchi ed altri
neri, e ſi vende il diritto di eſtrarne uno il quale ſe è nero apporta a chi lo
eſtraſſe il guadagno di un premio del valore che è notato ful viglietto
medefimo. Ognun vede, che accið ſiavi ugua glianza convien ricorrere alla
regola mede ſima, che ſi è data pei lotti che ſi fanno per grandioſe opere
pubbliche, avuta anche quì in conſiderazione la fatica, e il diſpendio
dell'economo del gioco, e riflettendo che in queſto caſo i premi non ſono
vitalizj. Queſto è un contratto della natura di quello che dai 39 Latini
chiamavaſi olla fortunae. In fimil guiſa Auguſto dilettavaſi al riferir di
Svetonio di compartir doni ai ſuoi cortigiani, chiaman do così la forte ad
eſſer miniſtra della ſua beneficenza. Talora un ſolo è il premio che ſi diſputa
fra quelli che giocano alla lotteria, e allora ſe il premio non è denaro ma un
altra coſa qualunque che abbia prezzo, ſi giuſtifica più facilmente, giuſta
l'opinione del Barbeirac, la notata diſuguaglianza: e l'economo del gioco può
vendere non ſolo tanti viglietti quanti corriſpondono al valore del premio, ma
ancora in maggior numero anche di quello che altronde eſiger pud e l'opera ſua,
e il diſpendio, quando ve n'abbia. Queſti lotti fi riducono, dice il citato au
tore ad una ſpecie di compra, che ſi fa in comune, a condizione che la ſorte
decida a chi debba appartenere la coſa comprata. Se ſiavi adunque
dell'alterazione nella propor zione, ſi potrà conſiderare come ſe fi foſſe
comprata la coſa ad un prezzo un poco più alto del corrente; penſando che
ciaſcuno tra 1 ! fcuri queſto di più che in altra fpecie di con tratto gli
parrebbe forſe notabile, ſulla ſpe ranza di guadagnare il premio più o meno
fondata a proporzione che uno ha comprata maggiore, o minor quantità di
viglietti. Queſta mallima, che non è certamente di ri goroſa giuſtizia, non ſi
potrebbe eſtendere perfettamente a quei lotti nei quali, e molti e di vario
prezzo ſono i viglierti, e molti e di vario valore i premi; a tutti quelli in
ſomma, nei quali non ſia aſſolutamente u guale la condizione dei ſingoli
poſſeſſori di ciaſcun viglietto, benchè lo ſia riſpettiva mente. Prima di
paſſare ad altri contratti giovami riflettere, che anche quando il padron del
gioco, o qualunque altro che ne abbia di ritto pretende, che ſiano valutate le
ſue fa tiche e il ſuo difpendio, non tanto ſi può dire che v'intervenga una
compenſazione; quanto che ſi verifica di fatto a tutto rigore la noſtra
proporzione, giacchè quel di più che fi paga, non è a titolo di compra della
ſperanza, ma bensì a titolo dell'altrui di 41 ſpendio, e fatica; e per
conſeguenza eſſendo una quantità eſtranea alla detta proporzione non la può in
verun modo alterare. Si poſſono ridurre ad un contratto d'az zardo appartenente
a queſta claſſe le ſorti ancora propriamente dette. La ſorte, dice
l'elegantiſſimo ſcrittore della ſtoria degl'ora coli, è l'effetto dell'azzardo,
e come la deci fione, o l'oracolo della fortuna; ma le ſorti fono gli ſtrumenti
di cui uno pud valerſi per ſapere qual ſia queſta deciſione. Le ſorti ſono
ſtate in uſo preſſo i più antichi popoli; e la forte s'interrogava, o col
gettare i dadi colle proprie mani, o col gettarli da un urna: e ai caratteri,
ed alle parole che ſu i dadi erano ſegnate, corriſpondevano alcune tavole che
ne contenevano la ſpiegazione. Altre molte erano le maniere di tentare la ſorte,
e di a ſcoltarne gli oracoli. E' incredibile poi quan iti, e quanto gravi
affari ſi regolaſſero a ta lento di queſta cieca divinità. Baſta leggere gli
autori che trattano dei voti che ſi offe rivano a Preneſte, e ad Anzio, e che
parlano diffuſamente delle forti Omeriche, e Virgiliane. I verſi dell'immortale
Epico Greco, nei quali dipinge con sì vivi tratti l'impeto, e il furore
dell'indomito Achille, ritrovati a caſo nell'aprire l'lliade, erano talvolta la
fola innocente cagione della rovina delle più floride città, e della
deſolazione d'intiere Provincie. E ſe per lo contrario, aprendo i libri della
divina Eneide s'incontravano gli amabili colori coi quali ſi dipinge la man
fuetudine e la pietà del figlio d' Anchiſe, gli animi tutti non reſpiravan che
pace, e quei pochi verſi baſtavano per dar fine alle guerre più ſanguinoſe.
Aleſſandro Severo, ſalito al foglio dei Ce fari, credette di averne avuto un
preſagio, quando privato ancora, anzi odioſo all'Im peratore Eliogabalo,
aprendo nel Tempio di Preneſte l'Eneide di Virgilio, s'incontrò in quel tratto,
ove queſto gran Poeta eſalta le virtù e piange i'immatura morte di Marcel lo, e
preciſamente gli ſi preſentarono quelle parole fi qua fata aſpera rumpas Tu
Marcellus eris. Ma io non parlo propriamente di queſte forti, e confeſſo anzi
eſſere le medeſime uno dei monumenti più ſolenni dell'umana fol lìa. Io quì
parlo delle ſorti, che chiamanlı elettive, diviſorie, attributorie, e ſimili
delle quali brevemente eſporrò la natura e le qua lità, ed applicherò alle
medeſime i più volte enunciati Teoremi. Due, o più perſone han diritto ad una
coſa medeſima; eſaminato il valore del lor diritto lo trovano uguale; non
vogliono gettare, nè tempo, nè denaro in ſuſcitare queſtioni; aſcoltano anzi
ſentimenti più miti, e commettono alla ſorte la deci fione dell'affare, anzichè
affidarlo alle lun ghe, e diſaſtroſe vie dei Tribunali. Conſe gnano i loro nomi
all'urna diſpenſatrice della forte, e quello è giudicato favorito dalla me
deſima, del quale vien eſtratto il nome; e vien dichiarato pacifico, e ſolo
padrone di quella coſa alla quale avea con gli altri ugual diritto. Che ſia
lecito commettere in talguiſa alla ſorte un affare dubbioſo o controverſo non
v'ha dubbio alcuno, giacchè non vi è ra gione per cui non polfa uno obbligarſi
ſotto una condizione tale, che il purificarſi la mede fima dipenda dall'incerto,
e vario evento della forte. Ora ſe i diritti ſono uguali, ſe quanti fono i
concorrenti tanti ſono i nomi che ſi conſegnano all'urna, ecco che i prezzi che
vengono rappreſentati dai diritti che ſi az zardano, ſtaran fra loro come i
numeri dei caſi favorevoli ad uno, al numero dei caſi favorevoli a ciaſcuno
degli altri riſpettiva mente; ed ecco ſalvata l'uguaglianza di pro porzione fra
i favorevoli, e ſiniſtri caſi, e fra i riſpettivi prezzi della ſperanza, la
ſomma dei quali è l'oggetto della medeſima nel caſo di cui ſi tratta. L'iſteſſo
può dirſi a proporzione, quando uno abbia un diritto, per eſempio doppio di
quello degli altri; e baſterà che in tal caſo due volte ſi affidi il ſuo nome
all' urna fata le; e così dicaſi di altri ſimili caſi. E di fatto queſto
contratto a farne una giuſta analiſi ſi riduce ad un gioco di pura forte, in
cui molti depoſitando ugual por zione un ſolo guadagna tutte le porzioni de
poſitate, del quale ſi è di ſopra parlato; e ſi 45 è detto, che uno depoſitando
maggior por zione, pud eſigere a proporzione condizioni più vantaggioſe.
L'iſteſſe maſſime regolar denno le ſorti elettive che ſi uſano, quando molti
avendo un privato diritto ad eſſere eletti a qualche onorifica o autorevole dignità,
troncano ogni ſorgente di diſcordanza col tentare la forte, L'iſteſſo dicaſi
delle ſorti diviſorie, e di quan te altre poſſono immaginarſi, che tutte ſi ap
poggiano ai medeſimi fondamenti, e in tutte nel modo iſteſſo ſi trova la
proporzione che coſtituiſce l'uguaglianza fra i contraenti, Fin quì fi è
parlato di quei contratti che alla prima delle ſopra indicate claſſi appar
tengono. In effi fra la ſperanza che ſi acqui ſta, e il prezzo con cui ſi
acquiſta ſi può fif fare un eſatta, inalterabile, e matematica proporzione.
Note fono tutte le cagioni che poſſono aver rapporto al favorevole o triſto
evento della ſorte, ſi conoſcono tutti gli ele menti dei quali ſi formano le
varie combi nazioni, e ſi fanno perfettamente tutti i modi 46 diverſi per mezzo
dei quali queſte fi forma no. E' queſto forſe l'unico caſo al quale ſi poſſa
applicare lo ſpiritoſo Emblema del ce lebre Moivre, rappreſentante la ruota
della fortuna, e ſopra di eſla una ſemicirconferen za di cerchio, che con le
ſue diviſioni ſerve a regolare quei capriccioſi giri, che ſono l'og getto di
tanti voti, e la cagione di tante vi cende dei mortali. Chi intraprende queſti
contratti pud, direi quafi, venire alle preſe con la ſorte, e conoſcendone la
forza e l'ar mi bilanciare il deſtino della lotta fatale. Non è così certamente
nei contratti che alla ſeconda claſſe ſi riferiſcono, ne' quali il rapporto
neceſſario a formare l'uguaglianza fra i contraenti, ſi appoggia alla ſola
ſperien za del paſſato, e a cagioni incerte, e varia: biliffime. lo ſo bene che
ſi ſono pur trovati dei Filoſofi che hanno francamente aſſerite due coſe. La
prima, che nelle umane vicen de che colpi chiamanſi della ſorte, e a noi pajono
fortunoſi e irregolari, ſiavi un ordine coſtante, eun'originale diſegno per cui
dirette da una provida mano che lor dà moto ſecon 47 1 do certe invariate
leggi, eſcano a ſuo tempo ad agire in queſto sì ben congegnato ſiſtema del
Mondo. La ſeconda, che l'irregolarità, che non agli eventi medeſimi e alle
vicende, ma alle noſtre cortę vedute deveſi attribuire, ſcom parirà finalmente,
e replicate l'eſperienze fi vedrà quella conneſſione che ora ci è inco gnita, e
ſi conoſceranno i fottiliſſimi punti nei quali ſi uniſcono i tanti fili, che
regolano con sì bella armonia l'intero univerſo. Da queſte due propoſizioni
argomentano, che dunque dopo un dato tempo, ſiccome cre ſcendo il numero delle
ſperienze, queſte ci danno regola per conoſcere ſempre più la probabilità di un
evento, che anch'eſſa va ſempre aumentando a miſura che ſe ne co noſce la
regolarità, arriverà un giorno queſta probabilità a cangiarſi in certezza. Ecco
ciò che aſſeriſcono con molta ſicu rezza alcuni Filoſofi, alla teſta dei quali
è l'incomparabile Moivre più altero di aver rintracciato ne' ſuoi intimi
penetrali l'ordine della natura, e di averle ſtrappato queſto ſe 43 creto, che
non fu già il ſuo celebre concit tadino di aver conoſciuti, e indicati i rego
lari moti e le orbite dei pianeti per gl'im menſi ſpazi del cielo. Egli è
veriſſimo che la gran macchina dell univerſo ricevè dalle mani creatrici quel
grande impulſo, che poi la mantiene in moto coſtantemente, e dal quale come da
prima cagione derivano tutti i più piccoli moti della medeſima, benchè
immediatamente prodotti dalle ſottiliſſime e varie molle che la com pongono, e
le dan forza. Ad eſſo ſi riferiſce ugualmente un'auretta leggiera che diſſipa
per la ſelva poche aride foglie, e un procel loſo vento che ſull'immenſo Oceano
di ſperde e rompe una flotta ſuperba di mille vele. Le grandi vedute di un
politico illumi nato, che formano il ſoſtegno e la forza del Trono, non ſono
agli occhi dell' Onni potente niente più luminoſe delle ignobili e ſconoſciute
cure di un ſelvaggio, dirette ſoltanto a ſoſtentare la propria vita, e a
difenderſi dall'ingiuria delle ſtagioni. Che poi l'Eterna mente che tutto sà e
49 za, o del tutto regola, abbia voluto che fra i varj eventi che inteflono la
ſerie delle umane vicende, e che ſon chiamati in più ſtretto ſenſo fortunoſi
ſiavi un rapporto più che un altro, un tal'ordine e non un altro, queſto è
quello che io credo non poterſi ſcopriregiam mai. Che dopo un certo periodo
ricompa riſca di nuovo l'iſteſſo evento, chedopo certe rivoluzioni torni
l'iſteſla ſerie di coſe, ridon da egli forſe in maggior lode o della fapien
potere eterno, e ſovrano? Nell'immenſo vortice della divinità fi pers dono le
idee, che noi abbiamo di ordine, e conneſſione. O non vi è relativamente agli
occhi divini ordine e regola; o non potiam noi conoſcere in che conſiſta; o
tutto deve dirſi averla ugualmente. Chi vede inſieme col preſente ſiſtema di
coſe infiniti altri pof fibili, vede un punto che non è ſuſcettibile di quei
rapporti, che ſono idee relative a vedute limitate e finite; o ne vede infiniti
altri, per cagion dei quali pud agli occhi ſuoi parer regolato tutto ciò che
noi chiameremmo forſe diſordine, e confuſione, d 50 Ma non è forſe neppur vero
eſſere più van taggioſo all'uomo che ſiavi di fatto nelle umane vicende queſta
regolarità. Fra le infinite vedute, che l'occhio im menſo ha preſenti per il
vantaggio delle ſue creature, chi ſaprà dire quale abbia fillata a preferenza
dell'altre? Se un Sovrano cela ai ſuoi popoli i diſegni che forma, e le impreſe
che và maturando, queſta condotta è diretta a tenergli nella dovuta ſommiſſione,
e ad allontanarne l'orgoglio: e ſe un padre, ben chè benefico fa l'iſteſſo
co'propri figli, non lo fa ad altro oggetto, che ad animarne la cieca
confidenza che è uno dei più vivaci alimenti di un reciproco amore. Non vi è
dunque argomento che comprovi queſta preteſa regolarità degli eventi che ſi
fogliono chiamare fortuiti, e caſuali. Ma ſe ancor foſſevi, io ben non veggo ſu
che fondamento ſi aſſeriſca, che agli occhi mortali eziandío dovrà una volta
comparir chiara, e ſvanire per conſeguenza quella ap parente irregolarità che
alla ſcarſezza delle noſtre notizie, e alla mancanza di eſperien ze, in tale
ipoteſi deveſi attribuire. SI Quando ſi vuol fiſſare la contingibilità di un
evento, oſſervar dennoſi ogni volta ch ' ei compariſce, le circoſtanze che lo
accom pagnano, e l'intervallo di tempo che paſſa fra le diverſe ſue apparizioni.
Quanto più creſceranno di numero le oſſervazioni, tanto più potrà conoſcerſi in
quali circoſtanze ed in qual tempo debba arrivare. Da queſto ap punto
argomentano gl ' indicati filoſofi, che ciaſcuna ofſervazione è diretta a
ſcemare un grado della diſtanza che corre fralla irrego larità dipendente a
ſenſo loro dalle noſtre corte vedute, e la regolarità che eſiſte di fatti
nell'originale diſegno, e lega inſieme ed u niſce ſotto certe leggi tutte le
varie vicende. Replicando adunque le eſperienze, rinovan do le offervazioni, ſi
potrà arrivare a render nulla affatto queſta diſtanza; e a ſquarciare del tutto
quel velo che cela ai noſtri occhi queſta bella regolarità. Di fatto
ſoggiungono, che altro è la cer tezza ſe non un tutto di cui la probabilità è
una parte? Creſcendo adunque queſta per mezzo delle oſſervazioni, potrà
arrivare al 1 گرí grado di confonderſi col ſuo tutto: ed ecco fiſſata la
certezza di quegli eventi, che ſi fo no ſempre creduti giochi, e capricci di
una irregolare fortuna. E' egli per altro evidente queſto diſcorſo?
Potrebb'egli un animo, che non voglia ar renderſi ad altra forza, che a quella
della ve rità, dubitare ancora di ciò medeſimo che uomini di grande ingegno
hanno tenuto per certo? E prima di tutto nel formare la tavola dei tempi nei
quali ricompariſce l'evento medeſimo, convien riflettere di non notare ſe non
quelle volte, nelle quali ſi moſtra ri veſtito delle medeſime circoſtanze. Se
così è, e ſe queſte ſono preſſo che infinite, e in finitamente variabili, ne
verrà per conſeguen za che quella rivoluzione che dee ricondur l'iſteſſo evento
farà sì vaſta, e il circolo che la rappreſenta sì ampio, che o non ſi potran no
da chi oſſerva congiungere oſſervazioni sì diſparate e rimote, o sì poche ſe ne
po tranno fare, e la probabilità creſcerà sì len tamente da non potere giammai
arrivare al 53 grado di confonderſi con la certezza. Tra= laſcio di oſſervare
che un evento può com parire a noi accompagnato dalle medeſime circoſtanze, ed
eſſervi nulladimeno tanta va rietà, che ſe foſle da noi ben conoſciuta fa rebbe
sì che a tutt'altra ſerie da quella di cui ſi fanno le oſſervazioni, dovrebbeſi
ri chiamare. Si conſideri ora ſeriamente qua lunque di queſti eventi che
fortuiti chiamat ſogliamo, da quante cauſe poſſa provenire, e queſte in quante
maniere poſſano combi narſi; e vedremo, ſe per quante ſi vogliano replicate
ſperienze ſi potrà giammai arrivare ad argomentare dalle circoſtanze che altre
volte fi videro accompagnare un evento, la eſiſtenza del medeſimo. Quelle
ragioni medeſime che immediata mente influiſcono ſugli eventi fortuiti hanno
conneſſione con vari ordini di cauſe più o meno rimote, che innumerabili ſono
ancor eſſe, e capaci di innumerabili gradi di alte razione. E quì potrei
ricorrere a tante fiſiche teorie, le quali dimoſtrano, che un gran fe nomeno
può avere la ſua prima ſorgente, tam 54 lora sì rimota che per infiniti giri, e
tortuoſi fentieri appena ſi può rintracciare; talvolta sì piccola, che dopo
averla conoſciuta, ap pena ſi può credere che da eſſa derivi. E la ragione, e
la immaginazione vanno in queſto caſo d'accordo a preſentare al pen fiero
l'enormiſſima ſproporzione che correrà ſempre fra un gran numero di
offervazioni quali peraltro non potranno eſſere moltiſſi me, (ſe vogliano porſi
in calcolo quelle ſolo che fimiliſſime ſono, è relative ad oggetti ſimili ) e
l'immenſo vortice fra cui fi aggi ra ľ apparente irregolarità. Di quì deriva,
che a rigore parlando dubitar deveſi di quella maſſima, che la probabilità di
queſti eventi arriverà una volta a cangiarſi in cer tezza. E quì fa d'uopo
riflettere, che la proba bilità, e la certezza ſono due atti eſſenzial mente
fra loro diverſi, come dicono i meta fiſici, e che fralla maſſima probabilità
che arrivi un evento, e la certezza, vi è di mez zo una ſerie infinita di
poflibili. Il timore di errare che ſi coinpone con la maſſiına pro. 55 babilità
e viene eſcluſo dalla minima cer tezza, è una barriera inſuperabile, per cui
non ſi poſſono giammai fra loro confon dere, ed è quello appunto che le rende (ſia
mi lecito uſare un termine di matematica trattando di una materia nella quale
ſe n'è fatto uſo con tanto profitto ) quantità in commenſurabili. Le prime
oſſervazioni che fi fanno intorno a un determinato evento, non poſſono dargli
che un grado di pro babilità così piccolo riſpetto al vortice im menſo della
irregolarità, e all' infinita ſe rie dei poſſibili dall'evento medeſimo di
verſi, che queſto grado pud conſiderarſi co me un infiniteſimo. Siccome adunque
per trasformare un infiniteſimo in una quantità finita deveſi queſto
moltiplicare per l'in finito, così queſto grado di probabilità do vrebbe
ricevere infiniti aumenti per mezzo di infinite oflervazioni, prima che ſi
poſſa chiamare ridotto al carattere della cer tezza. Parlo di caſi nei quali la
ſerie dei poſſibili, che è di mezzo fralla probabilità e la cer 56 2 ! tezza, è
compoſta di cauſe, che ogn'uno fa eſſere non immaginate ma vere, e poterſi in
infinite maniere combinare. Poche oſſervazioni baſtano al filoſofo per render
certe, o almeno eſcludenti un pru dente dubbio, alcune ſempliciſſime leggi
della natura, dove tanto è lontano che ſi co noſca effervi infinite altre
cagioni poſſibili, che anzi per argomenti preſi dai principi delle ſcienze ſi
deduce non eſſervi luogo a ſoſpettare che altre ve ne ſiano. E' ben diverſo il
caſo noftro ove trattaſi degli eventi che danno occaſione ai contratti di
azzardo; e riguardo a quali ſi pretende ſolo di mettere in diffidenza la
maſſima che promette che ſi abbia a cangiare in una aſſo luta e rigoroſa
certezza, quella che è mera probabilità, e forſe capace di creſcer ſolo pochi
gradi. Che non pud fare l'amor di ſiſtema? Lo ſpirito calcolatore avvezzo a
portar lume ai più aſtruſi miſteri della geometria, e ad ana lizzare le
coſtanti leggi della natura col più felice ſucceſſo, ſi lancia ardito dal
gabinetto $ 7 di un filoſofo, e prefume di porre in mano ai mortali un filo che
ſegni la traccia co ſtante degli eventi più incerti, e di aſſoggets tare alla
ſua eſattezza ed uniformità, quan to v'ha di più vario, e mutabile. Non ſolo
hanno cercato alcuni di ſcoprire un'ordine conoſciuto dai naufragi, un'ordi ne
riſpettato dai morbi, e dalla ineſorabil morte; ma hanno fperato di poterlo tro
vare anche in quegli eventi che più dipen dono da cauſe morali e libere, le
quali agi ſcono certamente, non perchè così voglia un ordine e non un'altro, ma
perchè così vo glion eſſe, e non altrimenti. Si è perfino tro vato chi ha
propoſto le tavole degl'incendii, delle cadute fatali da un precipizio, e di
molti altri ſimili fortunofi accidenti come ſe ſi poteſſe ſcuoprire anche in
eſſi a ſuo tempo regola, ed ordine. Per quanto poſſa nei caſi dipendenti da fi
fiche cauſe trovarſi una conneſſione fralle me deſime per lunga ſerie
concatenate, in guiſa che debbano in un dato tempo produrre un effetto più che
un'altro; non ſi potrà mai dire 1 1. $$ altrettanto quando vi abbia luogo una
libera volontà che non ſiegue ordine, o conneſ fione, e che può produrre
un'atto ſenza rap porto a verun' altro che abbia altre volte prodotto, o che
ſia per produrre in appreſſo. E ſe è vero, che negli eventi, e nei caſi preſi
in compleſſo di tutte le loro circoſtanze, e in quelli ſpecialmente che ſono il
ſoggetto dei contratti di cui parliamo, qualche o più proſſima, o più rimota
influenza vi hanno le cauſe morali; che ſi può egli penſare di più ſtravagante
che il volergli ridurre eſattamen te a regola e pretendere di cangiare la pro
babilità in certezza? E chi fu mai che tentaffe di ordinare le diſperſe, e
confuſe foglie, che contenevano le riſpoſte ſull'avvenire, della fatidica Sacer
dotella di Cuma? Ma quand'anche gli argomenti da me ad dotti non provaſſero
l'impoſſibilità di arriva re dopo un lunghiſſimo corſo di anni a can giare in
qualche certezza la probabilità, pro vano almeno, che per noi, e per ben mol te
generazioni queſta farà una ſterile ricer 59 ca; giacchè per molti, e molti
ſecoli, (ac cordando anche più di quello certamente, che ſi può ) non ſi potrà
vincere quel diſordi ne, e irregolarità almeno apparente, che of ſervaſi nelle
umane vicende, e che in ſomma il limite delle medeſime è tanto diſcoſto, che
pud conſiderarſi come infinitamente diſtante. Dal fin quì detto per altro non
ſi può ra gionevolmente inferire, che dunque dal com mercio degli uomini ſi
debbano eſcludere i contratti di azzardo che appartengono alla ſeconda delle
ſopra indicate clafli. Per provare la verità di queſta aſſerzione convien
fiſſare due maſſime conformi alla ragione, e che ſe non erro ſono il fonda
mento al quale ſi appoggia la giuſtizia di queſti contratti. Queſta uguaglianza
fra i contraenti che è sì neceſſaria a render giuſti i contratti è un termine
vago, e che non ha affiffa alcuna idea, ſe allo ſtato di natura vogliam rimon
tare. Il prezzo delle coſe introdotto o dalla legge, o dalla conſuetudine che
imitatrice della legge la vince di autorità, ecco ciò che ha chiamata l'
uguaglianza a preſiedere ai contratti. Alla ſocietà dunque, e alle fire maſſime
deveſi attribuire. Si eſamini pero lo ſpirito della ſocietà, e ſi vedrà che
nelle ſue maſſime generali non ſi devono comprendere quei caſi che è dello
ſpirito della medeſima l'eſcludergli, e l' eccettuarli. Si riduce al lora la
queſtione, ad eſaminare ſe ſiano utili alla ſocietà i contratti in queſtione; e
ſe nelle bilance del pubblico bene ſia di maggior mo mento il vantaggio che
recano, o la preciſa offervanza di quella perfetta uguaglianza ne contratti,
che è tanto neceſſaria generalmen te alla quiete, e felicità degli individui, e
al buon ſiſtema, e conſervazione di queſto cor po morale, e politico. Pochi
elementi, e poche idee ſciolgono il problema. Induſtria eccitata, commercio
invigorito, circolazione ampliata. Vantaggi fono queſti generalmente procurati
da tali contratti ben regolati, come ſi può ben co noſcere da chi ne eſamini lo
ſpirito, e le conſeguenze. Daqueſto argomento riceve gran forza un 61 ſecondo
rifleflo. In queſti contratti non ſi può avere fra i contraenti una perfetta
ugua glianza di condizione, perchè non ſi può eſattamente miſurare la loro
forte. Ma ciò che manca a queſta giuſta miſura è con une ad entrambi. Ad
entrambi è egualme ite i gnoto per chi debba eſſere il vantaggio, e per chi il
diſcapito, potendo ugualmente nel caſo noſtro, e l'uno, e l'altro a ciaſcun di
loro arrivare; e queſto medeſimo forma una ſpecie di ſorte uguale, la quale pud
ſupplire a quanto manca alla perfetta uguaglianza. Diſli alla perfetta
uguaglianza, perchè le maſſime ſopra eſpoſte ed impugnate, vacil lano ſoltanto,
perchè oltrepaſſano certi li miti, dentro dei quali rinchiuſe provano
moltiſſimo, rapporto alla uguaglianza che deve eſſere nei contratti della
ſeconda claſſe. Inteſe le maſſime con la dovuta moderazio ne, è veriſſimo che
eſtraendo da un'urna ove ſiano alla rinfufa molti viglietti bianchi e molti
neri, quante più eſtrazioni fi anderan no facendo, tanto più creſcerà la
conoſcen za del rapporto che hanno fra loro: è verif fimo che le oſſervazioni
ſegnate in tavole danno ai giovani la prudenza dei vecchi: ed è incontraſtabile
che quanto più ſpeſſo ac caderà in natura un evento, tanto più ſi po tranno
attrappare le circoſtanze che lo ac compagnano, e farà meno irragionevole l'in
duzione che dalla eſiſtenza di queſte, ſi farà della futura eſiſtenza di quello.
Si potrà dun que avere un qualche dato per eſaminare la probabilità di
un'evento, e proporzionargli il prezzo con cui ſe ne acquiſti la ſperanza. Per
formare una ſerie dei diverſi gradi di tale probabilità gioverà eſaminare un
qualche contratto in ſpecie, e fiffare i punti dai quali la ſerie ſi parte;
poichè non ſi potrebbe con tanta facilità fare una giuſta analiſi, o alme no
egualmente chiara, ſe fi conſideraſſero le idee in aſtratto, e ſenza applicarle
ad un de terminato ſoggetto. Fra tutti i contratti che ridur ſi poſſono a
queſta ſeconda claſſe parmi che meriti di eſ ſere diſtintamente eſaminata
l'aſſicurazione, Efla è un contratto per cui uno dei contraenti ſi obbliga a
riparare tutti i danni che può un altro ſoffrire nelle ſue merci per naufragio,
o altre convenute cagioni; e queſti ſi obbli ga a pagarli una determinata
mercede in com penſo del pericolo al quale volontariamente ſi eſpone. 1
Fiorentini che avendo già eſteſo il loro commercio per tutto il Levante aveano
fatto conoſcere a tutto il mondo quello ſpirito di lo devole induſtria, e
fagacità, che forma il nerbo e la floridezza di uno ſtato, e che fu ſempre del
loro carattere, furon quelli che riduſſero a certe leggi queſto contratto, e
gli diedero for ma e credito. Inſegnarono così alle altre na zioni commercianti
a tirarne quel profitto, che il profondo, ed illuminato Melon aſſe riſce dover
eſſere sì ampio per uno ſtato che abbondi di eſperti, ed avveduti aſſicuratori.
Di fatto alla Repubblica Fiorentina deb bonſi i primi capitoli di aſſicurazione
che furono diſteſi negli anni 1523., e 1525. A queſti ſucceſſero negli anni
1563., e 1570. le ordinazioni di Olanda. Non è ſtata queſta l'unica occafionein
cui abbiano, gareggiato in fatto di commercio 64 queſte due nazioni, la prima
delle quali ha faputo ſempre profittar pienamente delle fe lici fue circoſtanze,
e la ſeconda compenſare ognora in mille modi i danni della infelice ſua
ſituazione; e inſultar quaſi alla natura di ayerla in eſſa collocata. Gli
ſcrittori che hanno trattato di queſto contratto lo diſtinguono in due ſpecie.
La prima chiamano eſſi aſſicurazione propria mente detta, ed è quando le merci
che ne ſono l'oggetto appartengono di fatto a quello che ne chiede
l'aſſicurazione; e queſto è ciò che intendono ſotto il nome di riſico dell'
aſſicurato; ed inoltre ſono eſſe realmente ſog gette a pericolo, o com'eſſi
dicono a ſiniſtro. Per la validità di queſto contratto ricercaſi la coeſiſtenza
del riſico, e del ſiniſtro; ed è quanto dire, che l'aſſicuratore non deve pa
gare la ſicurtà, nè l'aſſicurato la mercede, ſe le merci avean corſo già il
loro deſtino quan do fi ftipulò il contratto, o ſe non apparten gono
all'aſſicurato. Per maggior comodo poi, e dilatazione di commercio fu
introdotto il contratto di affi 65 curazione ſulle merci o proprie, ma non
nella ſomma che ſi afferiſce, e che cade ſotto l'aſſi curazione: o appartenenti
affatto ad altra perſona. In queſto contratto il fondamento conſiſte nella fola
eventualità dell'azione; e ſi può in eſſo ravviſare un'apparenza di Scommeſſa
della quale però gli mancano ſe condo molti, alcuni caratteri. Anche in queſta
ſeconda ſpecie comunemente ricer caſi, che le merci ſiano in pericolo ancora
quando ſi fa il contratto; benchè in alcune piazze ſi ſoſtenga anche nel caſo
che le merci aveſſero già corſa la loro forte quando ſi ſti puld il contratto,
purchè però queſto non foſſe a notizia dei contraenti. Per ridurre pertanto in
qualche vero ſenſo il contratto di aſſicurazione alla Teoria ſopra eſpoſta
regolatrice della uguaglianza neceſ faria nei contratti di azzardo, fa d'uopo
con ſiderare due fatta di caufe che influir poſſono full'evento incerto, che ne
forma l'oggetto. Altre ſono le cauſe fiſiche che per un puro meccanico impulſo
della materia agiſcono in dipendentemente da qualunque libera deter 66
minazione di una cauſa ſeconda; il mare cioè più o meno ſparſo di pericoli,
agitato da vortici, terribile per gli ſcogli; il vento che tormenta più un ſeno
di mare che un altro, e domina più in una ſtagione, che in un altra; la qualità
del naviglio, più o me no capace di reſiſtere agli urti, e di inſul tare gli
Aquiloni; e finili altre che a que ſte ridur ſi ponno, anzi con queſte confon
derſi. Più incerte affai, e più indocili all'eſat tezza del calcolo ſono quelle
cagioni che mo rali ſi chiamano, perchè o conſiſtenti nella libera
determinazione di un ente creato, o da quella dipendenti almeno mediatamente.
La deſtrezza, e la buona fede del capitano: l'abilità dei marinari e dei piloti:
il nume ro, e la gagliardìa dell'equipaggio: la mag giore o minor frequenza dei
pirati che infi diano fraudolenti, e poi attaccano rapaci; o dei nemici
armatori che appoggiano le fan guinoſe loro infeſtazioni ai tremendi diritti
della guerra, ſono o le uniche, o le più con ſiderabili di queſte cauſe morali.
67 i Se il fondare un calcolo eſatto ſulle fiſiche cagioni ſuaccennate è
impoſſibile: il fondarlo che ſi accoſti all'eſattezza difficiliſſimo: lo ſarà
molto più l'appoggiarlo alle cauſe morali che non agiſcono per una conneſſione
di mo vimenti, e d'impulſi che l'un l'altro fiſie guano neceſſariamente; ma che
operano per una mera libera determinazione, che per qualunque congettura la più
apparentemente probabile non ſi può preſagire; poichè anche preſa può ſul
momento abbandonarſi, per cangiarla in una affatto diverſa, e talora dia
metralmente oppoſta, e contraria. Un canone perd univerſaliſſimo, e da non
preterirſi giammai in queſto contratto, parmi quello di non conſiderare neſſuna
cauſa, o fiſica, o morale, ſeparatamente o iſolata dalle altre; ma di oſſervare
l'influenza reci proca che hanno tutte le cauſe l'una ſopra dell'altra, e
quella non meno che hanno ſulle morali; e l'iſteſſo dicaſi di queſte rapporto
alle fiſiche. Il momento di ciaſcuna cauſa ſi altera a miſura che diverſamente
è combi nata, o temperata colle altre. e 2 68 Per conoſcere però quanto poſſano
queſte cagioni, e ſingolarmente preſe, e in complef ſo, è neceſſaria una lunga
ſperienza. In queſto contratto, per caſi ſiniſtri non ſi intendono già tutte
quelle combinazioni, che realmente poſſono funeſtare l'aſſicuratore, e perder
la nave, nè per favorevoli quelle che ſalva dai naufragi, e dalle oſtili
violenze, la confe gnano al ſoſpirato porto. Fatta una tavola di accurate, e
frequenti oſſervazioni, e conoſciuto quante volte in parità di circoſtanze
ſiaſi perduta la nave, e quante ſia giunta felicemente al deſiato fuo termine;
la ſomma delle prime rappreſenta la ſomma dei caſi ſiniſtri; e quella delle ſe
conde ſi tiene per il numero dei favorevoli; e ſu queſti dati ſi forma la
proporzione da noi ſtabilita nel III. Teorema. Queſta è la ſpecifica differenza
che paſſa fra i contratti del primo genere, e queſti che al ſecondo
appartengono. Nei primi entrano in calcolo tutti quanti i poſſibili caſi e fini
ſtri, e favorevoli, perchè ſi fanno tutti, e ſe ne conoſce perfettamente il
numero; noi 1 69 ſecondi fi calcolano quelli ſoltanto, che dopo una lunga
ſperienza ſi ſono oſſervati; reſtan done non compreſi nel calcolo tanti altri
pof ſibili, i quali perd dopo molte e molte oſler vazioni fi fuppongono in
proporzione di no tati. La proporzione ſi accoſta tanto più al vero, quanti più
ſono i caſi oſſervati, come appunto accade nell'urna che contiene un ignoto
numero di palle bianche e nere: delle quali con tanto minor pericolo di errore
ſi può fiffare la proporzione, quanto più copioſa ſe ne è fatta l'eſtrazione.
In una parola, nei primi è incerto l'eſito della ſorte; nei ſecondi è incerto
anche ciò che può determinarlo. Rariſſimi però ſono i caſi che ſieno riveſtiti
perfettamente delle medefine circoſtanze. Fa d'uopo adunque per formare la
propor zione ricorrere alle diverſe tavole, ove ſono notate le circoſtanze
preſe ſeparatamente; e conſiderarle come tanti elementi dei quali ſono compoſti
i dati della proporzione. Scioglie una nave dal Porto, e veleggia per un mare
tranquillo, e placido; queſta circoſtanza è un fondamento della propor 70 zione
da ſtabilirſi fra il valor delle merci, e il prezzo dell'aſſicurazione; e la
tavola delle navigazioni fatte in queſto mare lo additerà preciſamente. Ma fe
queſta nave corra un pericolo di pirati, o di nemici che le altre navi facendo
il medeſimo viaggio non avevan corſo giammai, nel formare la proporzione vi
entra anche queſto elemento, la di cui forza ſi miſura dalla tavola di altre
naviga zioni benchè fatte in altri mari, e ſi compone il minor pericolo che ha
queſta veleggiando per un mare tranquillo; col pericolo che cor ſer altre per
la ſola oſtile infeſtazione. Vaglia queſto per eſempio delle proporzioni com
poſte di varj elementi, il valor dei quali ſia regiſtrato in diverſe tavole,
non obliando giammai nel combinarli la forza che acqui ſtano dalla reciproca
loro influenza. Ma può talvolta non eſſervi l'eſperienza baſtante a far conoſcere
i gradi di probabi lità dell'eſito lieto, o infauſto. Monta per la prima volta
un vaſcello un Capitano, che non ha mai per l'avanti governato naviglio alcuno:
infeſta i mari una turma di corſari 1 1 71 sbucati da qualche ſcoglio che
alzava prima una barriera alla fanguinaria loro rapacità e dei quali ignoraſi
per anco il numero, ed il valore, o a meglio dire la violenza della eſecrabile
loro ſete dell'oro e del ſangue; chi potrà miſurare i gradi dell'influenza che
ha ſull'eſito felice la prụdenza e la deſtrezza del primo, e ſull’infauſto
l'ardire, e la forza dei ſecondi? In tal caſo per quanto vogliaſi dare un va
lore anche a queſte circoſtanze nuove; fon dandolo ſu qualche piuttoſto appreſa,
che conoſciuta ſomiglianza ad altri caſi; egli è certo però che ſenza una più
volte ripetu ta eſperienza, non può fiffarſi una propor zione di cui ſi
calcolino i gradi, e ſi nume rino i valori; e ſenza di eſſa non ſi può for mare
una ſerie che ſerva di norma all'u guaglianza ricercata in tali contratti.
Tutto alla fine ci conduce a riflettere, che una e fatta proporzione nei
contratti del ſecondo genere non può ſperarſi giammai; che in molti caſi ſi
potrà avere meño lontana dall' eſattezza; in altri ſi troverà dalla medeſima 72
più rimota, come dal fin qui detto chiara mente appariſce. Ma forſe gli
aſſicuratori interrogano que ſte tavole, formano calcoli, e ſciolgon pro blemi?
Il filoſofo che ſcortato dalla ragione fino ai loro principi eſamina le azioni
degli uomini e le bilancia, conoſce che queſti cal coli ſono neceſſarj a
ridurre i contratti all' uguaglianza e comprende che queſta tanto più ſi
otterrà facilmente, quanto più ſiano frequenti queſte tavole, e numeroſi i caſi
che ad eſſe, come a indicatrici della ſorte ſono af fidati; l'aſſicuratore poi
accorto ed illumi nato le conſulta, o le deſidera; l'indotto, e meno avveduto
ha preſente, almeno in con fuſo la maggiore, o minor frequenza de' fini ſtri
nelle date circoſtanze ſeguiti, e ſu queſto implicito calcolo forma il ſuo
giudicio più o meno eſatto, e non ſi affida totalmente alla cieca all'arbitrio
dell'incerta forte. In queſto contratto il prezzo che eſpone l'aſſicuratore, è
il valore delle merci, che egli ſi mette in azzardo di dover pagare all'
aſſicurato; quello dell'aſſicurato è la merce: 1 73 de che egli paga
all'aſſicuratore in compenſo di queſto azzardo medeſimo. Ma ſiccome fatto il
contratto di aſſicura zione, l'aſſicurato deve in qualunque evento pagare
all'aſſicuratore la convenuta merce de, pare a prima viſta che per l'aſſicurato
non ſiavi azzardo alcuno; poichè dal punto dello ſtabilito contratto è deciſa
la ſua forte; o a dir meglio riguardo a lui nel ſuo con tratto non ha luogo
alcuno la forte. Baſta però una giuſta rifleſſione ſulla natura di tal
contratto, per vedere che anche per l'aſſicu rato vi è l'eſito favorevole della
ſorte ſicco meancora l'infauſto. Caſo favorevole può chiamarſi quello che rende
il contraente pago, e contento di aver fatto il contratto; talmente che ſe
aveſſe pre veduto l'eſito, conſultando ſolo il ſuo van taggio, l'avrebbe
nonoſtante fatto, anzi con tanto maggiore alacrità. Per lo contrario infauſto
può dirſi quello che in qualche modo gli dà occaſione di pentimento, in guiſa
che ſe aveſſe previſto l'eſito avrebbe omeſſo di fare il contratto. Ora
quantunque 74 l'aſſicurato, fatto il contratto ſia già ſicuro di dover pagare
la mercede, qualunque ſia l'evento; quando però la nave giunga a ſal vamento, è
in caſo di pentirſi del ſuo con tratto; poichè ſe non lo aveſſe fatto, e avreb
be avuta ſalva la nave, e non avrebbe fof ferto il diſpendio della ſtabilita
mercede. In queſto ſolo ſenſo, e non in altro, che ſareb be troppo contrario
all'umanità, poichè ſi riſolverebbe in compiacerſi dell'altrui dan no, che
neppur ridonda in proprio vantaggio, ſi pud intendere ſiniſtro per l'aſſicurato
il caſo del ſalvamento della nave; e in queſto ſolo può ridurſi il contratto al
carattere di una vera ſcommeſſa, di cui è eſſenziale ſe condo alcuni, che
l'avvenimento favorevole ad uno dei contraenti, ſia per l'altro infau ſto, e
ſiniſtro. Conchiuſo il contratto, l'al ficurato che ha ſentimenti di umanità,
deſi dera che ſi falvi la nave, ma falvata la nave vorrebbe non aver fatto il
contratto. Quello che non ſi può in modo alcuno ri durre a calcolo, ſi è nella
perdita di una na ve, la minore, o maggior quantità di merci, ! 75 che
ritoglier ſi potranno all'ingordigia dell onde, e ritrarre al lido; lo che
ſuccede mol te volte, e fa che non debbanſi tutti i cafi ſiniſtri giudicare di
un carattere egualmente dannoſo; ma diverſi, a miſura, che più o meno delle
aſſicurate merci, ſi perde, e ro vinafi. Il poter prevedere, e calcolare in a
vanti tal quantità influirebbe molto a deter minare la mercede che l'aſſicurato
promet te. Ma chi potrà mai calcolare le tante cauſe che poſſono influire ſopra
un sì variabile ac cidente? Forſe l'aſſicurato avrà all'ingroſſo preſente
queſta varietà di combinazioni; ma potrà egli dare ai loro effetti un giuſto
valore? I principj fin'ora eſpoſti regolatori di que Ito contratto, quando ha
per oggetto merci affidate al pericoloſo traſporto di mare, pof ſono facilmente
adattarſi alle merci traſpor tate per terra; anzi alle merci, o ſituate nei
magazzini, o in altra maniera cuſtodite. Tutto ciò che può eſſer ſoggetto ad un
fatal accidente, e per quello perire, o deteriorarſi, fi fa eſſere oggetto di
queſto contratto. Anzi il guaſto di un incendio divoratore, le ruine 70 di un
turbine procellofo che abbatte caſe, porta la deſolazione per le campagne, la
vio lenta incurſione di rapaci aſſaſſini, o le ru berie affidate al ſegreto e
alle tenebre della notte dalle timide mani infidiatrici, ed altri pericoli di
tal fatta, che a prevederli biſogne rebbe nulla meno che lo ſpirito di
divinazio ne, ſomminiſtrano in alcuni paeſi occaſione di venire alle mani con
la ſorte, ſenza che nè l'una parte nè l'altra poſſa mai, neppure all'in groſſo
e colla maggiore ineſattezza, miſurarla. Un'altro contratto non meno
intereſſante, e che appartiene a queſta ſeconda claſſe ſi è quello che chiamaſi
vitalizio. Gli uomini non contenti di affidare la loro forte a tante, e sì
varie combinazioni che alterano, e modificano sì ſtranamente gli ef Teri
inanimati; hanno voluto che ella dipen da anche dalla vita dei loro ſimili, ed
hanno fatto sì che un uomo debba ftimarſi infelice ſe un altro gode per lungo
tempo sì prezioſo dono del cielo. La vita iſteſſa è venuta tal volta in
bilancia con un tenuiſſimo guadagno. Il vitalizio altro non è che l'annuo inte
77 ! reſſe di un capitale collocato a fondo per duto. Chi colloca in tal guiſa
il ſuo capitale lo fa ad oggetto di ritrarne un profitto mag giore di quello
che riſerbandoſene il dominio potea ſperare. Suol eſſere comune queſto con
tratto e a coloro che non avendo perſone congiunte con ſtretto vincolo di ſangue
o di amicizia, o che non curando le veci dell' uno, o dell' altra, non hanno
nulla che gli ritragga dal provvederſi i mezzi di ſodisfare anche a quei
biſogni che ſono figli del più molle, e faſtoſo luſſo; e a quegl' infelici, che
ſenza queſto compenſo condur dovrebbero i triſti loro giorni in ſeno
all'inopia, e allo ſqual lore. Il vantaggio di liberarſi da tante fre quenti, e
penoſe cure della domeſtica eco nomia luſinga molto, ed è talor neceſſario, a
chi trovandoſi in un'età cadente, accom pagnata per lo più da una infaufta dote
di mali, vedrebbe da mercenarie mani rapaci diſperſi, e lacerati i ſuoi fondi,
rendergli un frutto di gran lunga inferiore a quello che potrebbe ritrarne
perchè diviſo con tanci domeſtici fti pendiati uſurpatori. 78 Quello poi che ſi
carica di pagare un frutto maggiore dell'ordinario ha per oggetto non folo di
fare in un colpo l'acquiſto di una ragguardevole ſomma, ma di vedere la vita di
quello a cui lo paga non oltrepaſſare un tal corſo di anni che la rendita
ecceſſiva af forbiſca il capitale, e la ſomma degli inte reſſi ordinarj, che
egli ne ha ritratti. Aipri mo arride la ſorte fe ſopravviva un tal nu mero di
anni che fatta la ſomına delle an nuali rendite vitalizie, queſta ſuperi il
fondo perduto e di più le rendite ordinarie del medeſimo. Favoriſce il ſecondo
ſe la morte fi affretti a troncare prima di tal termine i giorni dell'altro.
Ecco lo ſpirito di queſto contratto. Per rintracciare nel medeſimo la
neceſſaria uguaglianza, e per verificare i noſtri teore mi è neceſſario
riflettere, che sborſato il ca pitale che ſi perde, e fiſſata la rendita mag
giore dell'ordinaria, vi ſarà un certo nume ro di anni, per il corſo dei quali
ſopravi vendo, la ſomma degli ecceſſi della rendita vitalizia full' ordinaria
uguaglierà il capita 6 79 le. Se quello adunque che perde il fondo foſſe ſicuro
di ſopravivere un tal corſo d'an ni, non potrebbe eſiger di più di queſta de
terminata rendita vitalizia. Ma ſiccome quel lo che dà a vitalizio non è ſicuro
di vivere un determinato numero d'anni; per poter rendere eguali le condizioni
dei contraenti, è neceſſario fiſſare un tal numero d'anni, che la probabilità
di ſopravivere ſia uguale a quella di premorire, e che al caſo che uno
ſopraviva o due o tre anni, o qualunque altro numero, ſi poſſa con ugual
probabilità contrapporre il caſo che muoja un egual nu, mero d'anni prima.
Quando dunque ſi tratta di formare un vitalizio, conviene eſaminare quanto
abbia ſopraviſſuto un gran numero di perſone, per eſempio mille, all'età di
quello che vuol farlo. La ſomma di tutti gli anni che tali perſone hanno ſopraviſſuto
di viſa per il numero delle medeſime, dà un numero, che ſi chiama l'età media.
Trovato queſto, ſi ſuppone che chi fa il vitalizio deb ba ſopravivere fino a
tal termine, e ſi fa il diſcorſo che ſi è detto di ſopra, quando ſi è 80 fatta
l'ipoteſi che uno foſſe ſicuro di vivere nè più nè meno un determinato numero
d'anni. Nel fiſſare la media ſi ſono conſide rati gli eventi che poſſono
favorire il caſo della ſopravivenza eguali in numero a quelli che vi ſi
oppongono; uguaglianza che ſi ac coſterà tanto più al vero quanto ſarà mag
giore il numero delle vite dalle quali ſi ri cava la media. Ecco dunque, come
in queſto caſo la ſpe ranza può dirſi uguale al timore, e per con ſeguenza può
aver luogo l'azzardo ſenza op porſi alla giuſtizia, ed ecco finalmente ridot to
il contratto ai termini dei noſtri teore mi. La ſomma del capitale più le
rendite ordinarie, che è il prezzo eſpoſto da chi perde il fondo, deve ſtare
alla ſomma delle rendite vitalizie che formano il prezzo eſpoſto dall' altro
contraente, come il numero dei cafi favorevoli al primo, al numero dei caſi fa
vorevoli al ſecondo; i quali ſupponendoſi moralmente uguali per l'accennata
ragione, ne ſegue che la ſomma del capitale, e delle rendite vitalizie dovrà
eſſere eguale alla fom 81 ma del capitale, e delle rendite ordinarie computando
tal ſomma fino al termine del la vita media, che per ipoteſi ſi dà ſtabilito
per l'indicato calcolo. Si ridurrà dunque l'uguaglianza di queſto contratto a
diſtribui re per detto numero d'anni queſta ſomma; o ſia a rendere anche più
ſemplice l'eſpreſ fione, ſi tratterà di aggiungere alle annue rendite ordinarie
il capitale diſtribuito per detto numero d'anni. E'evidente che per rendere in
queſto contratto le condizioni più eguali convien pigliare un grandiſſimo nu
mero di vite per formar la media. E quì ſi oſſervi che ſe poteſſe la
probabilità della du rata di una vita fino a un dato numero d'an ni cangiarſi
in certezza, ſarebbe tolto affatto l'uſo di queſto contratto: lo che dee dirſi
di tutti i contratti di azzardo. Si penſa a can giare la probabilità degli
eventi in certezza. Se queſto ſi otteneſſe ſarebbe affatto bandita quella cieca
divinità alla quale ſi abbando nano gli uomini per formarne un ramo di
commercio. Vogliamo adunque miſurar la forte, non eſpellerla. f 82 Tanto più
farà facile in queſto contratto fiſſare la media, quanto più ſaranno ridotte a
claſſi diſtinte le perſone delle quali ſi ſom mano le età. Qualità di
profeſſione, carattere di temperamento, indole di clima, eligono ſeparate
oſſervazioni. In fatti, ſiccome per cali favorevoli s'intendono quelli per i
quali ſi prolungano le vite, per contrari quelli che le abbreviano; e i ſecondi,
nel fillarſi l'età media vengono conſiderati moralmente ugua li di numero ai
primi; queſta uguaglianza ſarà più vicina alla vera, quanto maggiore ſarà la
parità di circoſtanze. Se abbiaſi però riguardo non ſolo alle an nue rendite
vitalizie, ma al frutto delle me deſime, potendoſi eſſe, e il frutto loro
cangia re ſucceſſivamente in forte fruttifera; fic come quello che paga l'annua
rendita vita lizia paga un frutto maggiore di quello che ritrae; dovrà a
proporzione ſcemarſi l'ecceſſo della rendita vitalizia ſull'ordinaria. Queſto
però non ſi oppone alla verità del teorema terzo; poichè in tal caſo il prezzo
che eſpo ne quello che paga la rendita vitalizia non farà più quell'ecceſſo
della rendita vitalizia ſull' ordinaria, che naſcerebbe dalla fillata
proporzione; ma ſarà un ecceſſo tanto mino re, quanto è la differenza del
frutto della rendita vitalizia conſiderato ſucceſſivamente, e per ferie
cangiato in forte fruttifera, dal frutto della rendita ordinaria conſiderata
nell'iſteſſa maniera, e così cangiandoſi pro porzionalmente le eſpreſſioni dei
due prezzi, non ſi cangerà l'analogia. Non farà difficile il perſuaderſi
dell'indi cata differenza fe fi conſideri, che chiamata la ſorte totale per
eſempio A, e una di lei porzione C, alla quale corriſponda l'annuo frutto B,
ſarà la ſerie delle annue rate d'in tereſſe o ſia di ciò che ſi deve ogni anno
nella ipoteſi che il frutto ſi cangi in forte, eſpreſſa dalla ſeguente formola.
(C + B ) A,(B ) A (C (C + B С N o ſia eſprimendo per Nil numero degli anni
ſcorſi dal primo (C + B) À laddove quando il N frutto non ſi cangia in ſorte fi
avrà una ſe C_A f 2 84 rie aritmetica il di cui primo numero cor riſpondente al
primo anno farà il capitale col frutto; il ſecondo il capitale col doppio del
primo frutto; il terzo il capitale col tri plo del primo frutto. Il valore
adunque del frutto del primo anno ſarà la differenza dei termini di queſta
ſerie. Siccome poi nel caſo dell'ultima ipoteſi, tanto la rendita ordiną ria,
quanto la vitalizia ſi cangiano in forte; fatte le due ſerie di potenze ſecondo
la eſpo fta formula, e ridotte ai termini individui del caſo di cui ſi cerca,
ſi conoſcerà il valore della ricercata differenza. Richiaminſi però a queſto
contratto i prin cipj ſtabiliti in quello dell'aſſicurazione, e ſi abbia in
viſta che per caſi favorevoli, altro non s'intende, che il numero di quelle per
ſone che in parità di circoſtanze hanno ſo pravviſſuto un dato numero d'anni,
per ſi niſtri poi il numero di quelle che ſono man cate prima; che queſta
parità di circoſtanze vien compoſta talora da molti elementi il valore de'quali
dev'eſſere prima a parte no tato; e che la vita dell'uomo dipendendo da 85
cagioni fiſiche e morali, fa di meſtieri riflet tere al diverſo loro carattere,
e alla recipro ca influenza delle medeſime. Lodevolilimo però è l'uſo di far le
tavole, o regiſtri, nei quali ſi notino la naſcita, la morte, e gli altri
accidenti della vita umana; poichè queſte ſole appreſtano il fondamento ſu cui
ſi appoggiano tanti vantaggioſi con tratti; ed elle ſole danno la miſura delle
forti, e delle aſpettative dei contraenti. Sarebbe in conſeguenza deſiderabile
che ciaſcun medico regiſtraſſe privatamente le qualità, e gli accidenti
dellemalattie che egli tratta; ſiccome quelle del temperamento di ciaſcun
malato, che egli libera, o che non può ritrarre dalle prepotenti fauci di morte.
Queſte ridotte in ſiſtema, e reſe pubbliche riſparmierebbero molte volte la
pena di com binarne molte formate da indotti oſſervatori, anzi fovente
farebbero neceſſarie; poichè l'imperito regiſtratore omettendo tutte le
circoſtanze, o alcuna almeno delle eſſenziali, rende inutili le ſue
oſſervazioni, e appreſta piuttoſto occaſione all'altrui errore, o irri
fleſſione. 86 Benchè e da quali tavole ſi potrà mai rica vare la giuſta miſura
della vita d'un uomo? Quot non ſunt caufae, dice S'graveſand intro duft. ad
Phil. a quibus vita hominis pendet? Una di queſte tavole forſe la più eccel
lente, perchè ricavata da regiſtri d'interi regni e provincie, è quella di
Pietro Süſmlich da lui intitolata: La divina providenza nelle vicende
dell'umana ſpecie, dimoſtrata dall'or dine delle naſcite, morti e
moltiplicazioni. Celebre è anche quella di Hocdſon fatta appunto per fillare le
annue penſioni vitali žie, e dedotta dai cataloghi di mortalità di Londra.
Gl’Italiani forſe ſono quelli che hanno traſcurato fin'ora più dell'altre
nazioni queſti importanti regiſtri. Oh ſe lo ſpirito d'indu ſtria, e di
curioſità, che non è l'ultimo pre gio di queſta nazione ſe l'intendeſſe ſempre
con la vera, ed utile filoſofia ! Sono ſtate fatte oſſervazioni meteorologiche,
ed ulti mamente l'aſtronomo di Padova il chiariſ fimo S: Toaldo ha dato alla
luce un libro nel quale ſono regiſtrate le oſſervazioni fatte 87 í per un lungo
corſo d'anni. Più palpabile però, per ſervirmi di una eſpreſſione di un fommo
Filoſofo, e più immediata ſarebbe l'utilità delle tavole di cui ſi parla. Vi è
tutta la ragione di aſpettarla grandiſſima, dalla aſſiduità, ed efficacia dei
noſtri Italiani oſſervatori. Il preſagio comincia ad avve raríi felicemente.
Già dai regiſtri delle na ſcite, che la noſtra fanta religione rende neceffari,
ſonoſi ricavate delle conſeguenze ſull'articolo della popolazione: ficcome
dalle oſſervazioni delle frequenti morti dei bambi ni, ſi è preſa occaſione di
rintracciarne la cauſa, e d'indagare la maniera di ſalvare queſti teneri germi,
che sì facilmente foc combono anche ad un leggiero urto, e ad una tenue ſcoſſa.
Al genere dei vitalizj appartiene quella convenzione, che dal ſuo oggetto
chiamaſi: la dote della figlia. Un provido padre sborfa una determinata ſomma
di denaro con la condizione che fe una tal figlia di freſco natagli manchi
prima dell'età nubile, la sborſata ſomma cada in 88 proprietà di quello che
l'ha ricevuta; ma ſe la figlia arrivi all'età nubile riceva eſſa da queſto una
ſomma proporzionata agl'intereſſi decorſi del denaro, e al pericolo in cui ella
è ſtata di morire in tal intervallo, e di per der così la ſomma dal padre
sborſata. Dovrà in tal contratto rifletterſi che il prez zo, che sborſa il
padre per la figlia è uguale alla fomma più le rendite ordinarie fino all anno
prefiffo; quello che azzarda l'altro è l'ecceſſo della dote ſopra la sborfata
ſomma, e i frutti ordinari: ecceſſo che fi deve per l'incertezza della vita.
Deve dunque come il numero dei caſi favorevoli alla vita della figlia fino
alprefillo termine, ſta ai ſiniſtri (a), o fia ai favorevoli all'altro; così
ſtare la ſom ma sborſata dal padre, più le rendite ordi narie, all'ecceſſo
della dote che ſi dovrà alla figlia in caſo di ſopravvivenza ſulla ſomma
sborſata più le rendite ordinarie. Havvi un'altro contratto per cui un par
ticolare, che vuol comprare una conſidera (a) Anche in queſto contratto i caſi
favorevoli, e i finiftri s'intendono come fi dille parlando de' vitalizji 89
bile carica; per non privare della ſomma ne ceſſaria a tal acquiſto una
famiglia a lui ca ra che la ſua morte potrebbe mettere in braccio alla
deſolazione, e all'inopia; fi fa aſſicurare la propria vita per un dato corſo
di anni, pagando, o una ſomma, o un'an nua penſione all'aſſicuratore, che ſi
obbliga all'incontro di pagare agli eredi di lui la ſom ma ſpeſa nell'acquiſto
della carica, ſe egli muoja prima del termine ſtabilito. La eva luazione della
vita, si in queſto, come in tutti gli altri caſi ſi ricava dalle non mai ab
baſtanza commendate tavole. Si oſſervi, che in queſto contratto quello che
riceve la ſoin ma o l'annua penſione, trova vantaggio nella prolungazione della
vita di chi la sborſa, al contrario di ciò che accade nei vitalizj, e negli
altri contratti ad eſſi analoghi. Nel for mare adunque la proporzione cangian
nome fra loro i caſi che nei vitalizj ſi chiamano favorevoli, o ſiniſtri; del
reſto non vi è dif ferenza veruna. E' queſto un contratto di cui tanto meno
importa trattenerſi ad eſami nare i dettagli quanto importa più alla feli 1 $ 1
1 1 1 1 go cità di uno ſtato che non poſſa mai trovarſi occaſione d'iſtituirlo.
Diaſi però in quella vece una rapida oc chiata a quello che dal nome del ſuo
inven tore chiamaſi Tontina. Non differiſce que fto dal vitalizio, ſe non in
ciò che ove in quello la rendita annua ceſſa alla morte di colui, che collocò
il ſuo capitale a fondo per duto; in queſto ſi diſtribuiſce nei ſuperſtiti che
appartengono alla medeſiına claſſe, e che hanno fatto un ſimile contratto col
padro ne della tontina. L'ultimo però di ciaſcu na claſſe conſolida ſul ſuo
capo tutte le ren dite che ſi pagavano a quegli che gli ſono premorti nella ſua
claffe. A formare le diverſe claſli dà norma la diverſa età. E' celebre la
Vedova di un Chirurgo di Parigi la quale morì in età di 90. anni, e godeva
35000, lire di annua penlione frutto di uno sborſo di 600, lire. Dalle tavole
di mortalità ſi è ricavata la formula che eſprime in un dato numero di vite
coetanee quanti anni ſia per durare la più lunga. Da ciò il padrone della
tontina pud co 91 lui il pagare a o il noſcere per quanti anni dovrà pagare le
ren dite; poichè per il ſovra eſpoſto carattere di tal contratto, val lo ſteſſo
per ciaſcuno la ſua penſione col diritto di ac creſcere, che hanno quelliche
ſopravvivono, pagare la fomma di tutte a quella vita che durerà più dell'altre.
Potrà per conſe guenza fiſſare il valore di queſte annue pen ſioni. Si è in
oltre trovata la formola che eſpri me, dato qualunque numero di vite coetanee,
il tempo in cui uno, o due, o più manche ranno, la formola per il caſo che più
perſo ne comprino un annualità da dividerſi fra loro mentre vivono, da
dividerſi poi dopo la mor te di qualcuno di loro ugualmente fra i ſo
praviventi, e da ricadere finalmente tutta all'ultimo ſuperſtite da goderſi
durante la ſua vita; e queſta ancora dà lume agli azionari ſulla contribuzione
che devono preſtare. E faminate queſte formole, ed avuto in conſi derazione il
metodo tenuto nel fiſſare la pro porzione per i vitalizj, ſi ritrova facilmente
la medeſima anche per le contine. 92 1 1 E' oltre ogni credere benemerito
dell'u“ manità il gran inatematico Abramo Moivre, che ha trovate, e applicate
le anzidette, e molte altre formole, che ſi trovano nella incomparabile ſua
opera intitolata la dot trina degli azzardi. Io non le ho riportate perchè il
far ciò e troppo lungo ſarebbe, e devierebbe dallo ſcopo fin da principio pro
poſtomi. Benchè peraltro l'unico mio oggetto nell’ eſaminare i contratti
d'azzardo ſia quello di fiſſare i principj sù cui ſi fonda l'uguaglianza perchè
ſian giuſti; voglio rammentare, che i più illuminati politici hanno deteſtato
l'a buſo di queſte pubbliche rendite, come ap punto ſono le tontine, ed altre
di fomi gliante natura. E' troppo chiaro che queſte tendono a ſoffocare i germi
dell'induſtria, e ad appreſtare alla parte ozioſa, e indolente della ſocietà
armi ſempre nuove per oppri inere la porzione che co'ſuoi ſudori dà moto, ed
anima al ben eſſere dello ſtato; oltre di che ſi oppongono alla propagazione,
allet tando eſſe a ſituarſi in uno ſtato nel quale il 1 I 93 generar figli
ſarebbe un'accreſcere il numero degl’infelici. En fin je ne me plaindrai plus De l'etoile qui me domine; Il me reſte
encore cent ecus Que je vais mettre a la Tontine: O la charmante invention !
Sans avoir du Dieu Mars eſſuyé le orages, Sans avoir fatiguè la cour de mes hom
mages, Je ferai ſur l'etat, & j'aurai penſion. Così cantò un
elegante Poeta Franceſe in tendendo così di far la ſatira delle tontine; e pare
di fatto che il Poeta potrebbe ora viver quieto ſu queſto articolo eſſendo eſſe
molto ſcemate, e andate in diſuſo, benchè non così gli altri contratti del
genere di cui parliamo. Ma d'altra parte eſſendo utiliſſimo, e tal volta
neceſſario al ben dello ſtato il poter ſollecitamente raccogliere una grandioſa
ſomma di denaro, ſenza imporre perciò nuo ve contribuzioni; ed effendovi talora
molti cittadini, le circoſtanze dei quali rendono ad eſſi neceſſario il
ſoccorſo di queſte pen 94. fioni vitalizie ſi potrebbero forſe ritrovare
provvedimenti opportuni, per fare un eſame regolato dell'età, e delle
circoſtanze di quelli che doveſſero eſſere ammeſſi alla compra delle azioni, e
con i neceſſari regolamentipreveni re gl ' inganni, che in queſto articolo
intereſ fante poteſſero deludere le pubbliche vedute. 1 1 1 1. 1 Per eſaminare
i contratti della terza claſſe ne quali il rapporto su cui ſi fonda l ' ugua
glianza fra i contraenti ſi appoggia in parte alla conſiderazione di leggi
certe, e ſicure, e in parte alla ſperienza del paſſato, e a cir coſtanze
incerte e di numero indeterminato, ſi ripigli l'eſempio dell'urna, nella quale
ab biavi un determinato numero, per eſempio di go. palle. Se la ſperanza
dell'eſito felice è affidata all'eſtrazione di una palla; per la natura di tal
contratto, o gioco che voglia chiamarſi, e per le ſue leggi, il numero dei caſi
favorevoli ai ſiniſtri farà come 1. 89,0 ſia chiamando il numero totale m farà
il mu mero dei caſi favorevoli ai ſiniſtri come 1: m - 1 e per conſeguenza l'aſpettativa
del buon'eſito farà = mo ſia -112 95 Ma ſe ſia vero che la palla alla quale è
affidata la ſperanza eſca più frequentemente dall'urna che qualunque altra, e
l'ecceſſo di tal frequenza ſu quella delle altre ſia Þ; il numero dei caſi
favorevoli non ſarà più i ma bensì 1 Xp; e quello dei ſiniſtri eſſendo m = 1,
la probabilità della ſperata eſtrazione farà Xp L'addotto eſempio è la norma
coſtante di tutti i contratti che poſſano mai cadere for to queſta terza claſſe,
come comprendenti le condizioni che ne formano il carattere. Di fatti la
probabilità dell'eſtrazione della palla fatale dipende dalle leggi del
contratto certe, e ficure che danno il rapporto di e dalla ſperienza, ed
oſſervazione delle fre quenti eſtrazioni della medeſima, che danno l'ecceſſo di
p ſulla frequenza dell'eſtrazione dell'altre palle nell' urna rinchiuſe, la
quale i XP fa che l'aſpettativa diventi I: m; 112 Non è neceſſario che io
offervi che per quanto ſiaſi oſſervato queſto ecceſſo p, non 96 dimeno non è
ſicuro e certo che piuttoſto eſca tal palla, di quello che ne eſca un'al tra. E
queſta è una di quelle circoſtanze che io chiamo incerte e variabili. Che ſe ſi
trattaſſe di paragonare la pro babilità dell'eſtrazione fra due palle, ſicco
rapporto che naſce dalle leggi certe e ſicure è lo ſteſſo per tutte due,
eſſendo in me il I tutte due ſi dovrebbe attendere ſolamen in te la diverſa
frequenza dell' eſtrazione di queſte due palle. A queſto eſempio ſi poſſono
ridurre fpe cialmente le offervazioni dei giocatori di lotto, e di quelli che
ſi travagliano in oſſer vare quali carte ſi moſtrino più ſovente, o quali facce
del volubil dado, ad avvicendare nell'agitato cuore dei giocatori la gioja e la
triſtezza. Ben' è vero però che per quanto fiano replicate le eſperienze, in
moltiſſimi caſi non apparendo neppure in confuſo una minima conneſſione di tal
frequenza con una vera cauſa da cui derivi, non potranno giam mai meritare che
le abbia in viſta, chi ra 97 giona ſu dati veri, e non fa caſo di mere e
vaganti accidentalità. Se ſi aveſſe a queſte riguardo, molti di quei contratti,
che nella prima claſſe ho eſa minati, a queſta terza dovrebbonſi riferire. Ma
io per le indicate ragioni, a quella ſola nei ſuoi veri termini inteſa giudico
i mede ſimi appartenere. Anche in tali caſi perd vi ſono inolti che credono
doverſi fare ſcrupo lofo conto dell'oſſervazioni, e per queſta ra gione ancora
approverebbero la mia diviſio ne; eſſendo queſta terza claſſe da me confi
derata in modo che può, ſe vogliaſi, compren dere le medeſime, anche quando non
appa riſca la ſopra indicata conneſſione. Che ſe il numero delle offervazioni
ſia grande, e i riſultati coſtanti, ed abbiavi qual che conneſſione fra l'eſito
della ſperanza, ed una cauſa dalla quale poſla derivare tal frequenza di
oſſervazioni, allora non v'ha dubbio che ſiamo nel caſo che caratterizza queſta
terza claſſe, e la diſtingue dalle altre. Vi ſono in fatti molti giochi, nei
quali l'eſito fortunato dipende in parte dalla pro g. 98 pizia ſorte, e in
parte deveſi alla propria in duſtria o deſtrezza nel combinare gli elemen ti
del gioco, e rendergli coſpiranti al termi ne a cui ſta anneſſo il guadagno del
premio deſiderato. L'induſtria però di un giocatore pud conſiſtere o nella ſola
avvedutezza e pre ciſione nell'oſſervare l'eſito delle varie coin binazioni del
gioco, che ſi vanno ſuccefliva mente preſentando, e la replicata ſperienza
delle quali porge la norma ai caſi avvenire; o nella deſtrezza maggiore di
combinare gli accidenti medeſimi del gioco, di dedurre, di ſcuoprire gli
artificj dell'avverſario; e in qualſivoglia di queſti due aſpetti ſi ravviſi
l'induſtria, è ſempre vero che i giochi che di effa, e della forte ſi chiamano
miſli, hanno un filo non traſcurabile per cui ſi attengono alla terza clafle
dei contratti di azzardo, In un gioco miſto è molto difficile che tornino per
appunto le medeſime circoſtan ze; e quindi è che le oſſervazioni ad e {To re
lative ſono della natura di quelle dei con tratti alla ſeconda claſſe
appartenenti; in certe cioè, e incapaci di rendere indubitato 99 e ſicuro
l'evento, ma fiſabili quanto baſta per formarne un calcolo che miſuri l ' ugua
glianza, acciò il contratto ſia giuſto. Ma ſiccome in queſti giochi medeſimi vi
ſono dati ſicuri dipendenti dalle loro leggi inva riabili; quindi è che eſſi
appartengono alla terza claſſe, perchè regolati in parte da tali leggi, e in
parte da cagioni incerte e inde terminate, e dalla ſola ſperienza. Siccome però
poſſono eſſere o molte o poche le com binazioni che conducono all'eſito
medeſimo, a miſura che queſte ſono in maggiore o mi nor numero, prevale nei
giochi miſti l'in duſtria o la ſorte. Inoltre la deſtrezza di combinare, di de
durre, di rammentarſi gli elementi delle com binazioni che ſono uſcite
ſucceſſivamente dalla malla totale delle medeſime nel decorſo del gioco, è
variabile, come può ognuno of ſervare, quanto è variabile la tranquillità d'a
nimo neceſſaria, la perfetta diſpoſizione di ſa lute, e per conſeguenza
l'agilità degli ſpiriti, l'elaſticità delle fibre; in una parola l'atti vità
neceſſaria per ben riuſcire in qualunque 100 impreſa richiegga applicazione di
mente, e attuazione di fantasia. Conſiderate queſte come cauſe incerte ed
indeterminate, e che ſi poſſono ſoltanto dopo un lungo corſo di oſſervazioni
fatte giocando col medeſimo avverſario ridurre a calcolo, e quanto alla loro
frequenza, e quanto al grado d'influenza ſull'eſito del gioco; ecco anche in
ciò un motivo per cui il fiſſare l’u guaglianza fra i giocatori nei giochi
miſti, dipende, e dalle invariate e ſicure leggi del gioco, e da circoſtanze
incerte, e indeter minate, Certo è che nei giochi miſti l'induſtria sà tirar
profitto dai colpi della ſorte, e il gioca tore avveduto, dice la Bruyere,
imita in queſto un gran generale, e un abile politico. Al valore del primo, e
alle vedute del ſe condo è miniſtra la forte. Arrivano entrambi francamente al
loro intento per quelle ſtrade medeſime che aperſe il caſo; e che là metton
capo, ove forſe non gli avrebber condotti i mezzi più maturati, e i
piùmeditatiprogetti. Nei giochi miſti deve farſi la rifleſſione IOI medeſima di
cui ſi parlò trattando dei giochi di puro azzardo. O i giocatori tentano con
eguali condizioni l'evento medeſimo; o un folo tenta la ſorte del gioco, e
l'altro ſta ozioſo ſpettatore, e riduce la ſua ſperanza unicamente all'infauſto
eſito dell'avverſario. Nel primo caſo ſiccome il numero dei caſi favorevoli e
dei ſiniſtri dipendente dalle leggi del gioco, è l'iſteſſo per ambidue, ſi
riduce a calcolo l'eſperienza ed induſtria, la quale ſi oſſerva nelle medeſime
circoſtanze quante volte abbia ſaputo ridurre a buon termine il gioco; calcolo
che ſi fonda ſopra oſſervazioni molto difficili, e incerte. Giacchè farebbe d'
uopo che ſi foſſe ſempre giocato col mede fimo avverſario; eſſendo la deſtrezza,
e abi lità di un giocatore affatto relativa a quella dell'avverſario; e
potendoſi queſto rapporto variare ogni giorno, o reſtar coſtante ſecondo i
progrelli, o uguali, o proporzionali, o di verſi, che l'uno, o l'altro facciano
nel gio co. E' vero però non meno, che trattandoſi di rapporti, poſſono in
qualche modo gio vare le offervazioni fatte dell'abilità di un 102 giocatore
riſpetto ad un terzo all'induſtria del quale è noto qual proporzione abbia
quella dell'avverſario. Nel ſecondo caſo poi l'induſtria non è più riſpettiva,
ma aſſoluta; e fi riduce a calcolo con l'offervare, nelle medeſime combina
zioni, o in non molto diffimili per la natura del gioco, quante volte
l'avverſario abbia ottenuto quell'intento che ſi era propoſto, fotto le date
condizioni; e quante volte non abbia toccato il termine al quale per otte nere
il premio dovea pervenire. Generalmente adunque ficcome il numero dei caſi
favorevoli e de'ſiniſtri è dipendente in parte dalle leggi del gioco, in parte
dalle oſſervazioni, che miſurano la riſpettiva, e afloluta induſtria, converrà
diſtinguere, e calcolare queſti due elementi componenti la ſomma dei caſi
favorevoli, e ſiniſtri; e formare poi la proporzione eſpoſta nel Teo rema
III.', e nel Corollario. Se non due, ina più ſiano i giocatori, ſi rammenti la
regola di ridurre i caſi compleſſi ai ſemplici componenti, e di eſaminare in
103 ciaſcuno a parte le ſtabilite maſſime. Sarebbe un ripetere il già detto; ſe
io voleſſi ram mentare i principj ſtabiliti nei contratti della prima claſſe, e
in quelli della feconda. Bafli l'avvertire che in queſti della terza claſſe ove
trattaſi dei caſi favorevoli o ſiniſtri, in quanto dipendono dalle leggi certe
e ſicure del contratto, convien ricorrere ai priini; ove poi fia queſtione di
offervazioni, e di cauſe indeterminate, conviene eſaminare i ſecondi; non
omettendo mai di riflettere quanta alterazione poſſa produrre l'influenza degli
uni, ſu gli altri, e la varia loro com binazione. Stabilite così le leggi ſulla
ſcorta delle quali ſi giunge a fiſſare la ricercata ugua glianza in qualunque
claſſe di contratti di azzardo; non devo diffimulare, che uno dei più grandi
Filoſofi il Signor d'Alembert ha preteſo di abbattere il calcolo delle pro
babilità quanto alla ſua applicazione agli ac cidenti umani. Accid, dic ' egli,
queſto cal colo foſſe applicabile, ſarebbe neceſſario, che tutti i caſi che
ſono ugualmente poſlibili ma 104 tematicamente parlando, lo foſſero anche di
fiſica poſſibilità. Sarebbe dunque neceſſario, che gettata infinite volte in
alto una moneta, ſopra una faccia della quale vi ſia impreſſa una marca, per
eſempio palle, e ſull' altra una diverſa, per eſempio croce, foſſe ugual mente
poſſibile che ſi ſcopriſſe ſempre palle, o croce; e che ſi ſcopriſſero
alternativamente queſte due diverſe marche. Ma benchè ciò ſia ugualmente
poſſibile matematicamente parlando, non lo è fiſicamente. E queſta di verſità
appunto è quella che fa sì, che il cal colo matematico delle probabilità, non è
applicabile ai caſi fiſici. Anzi non ſi potrà mai fiſſare il numero delle volte
per il quale duri la poſſibilità fiſica di ſcoprirſi ſempre l'iſtella faccia
della moneta, e il limite ol tre il quale non paſſi queſta fiſica poſlibilità,
durante però ſempre oltre ogni limnite com'è certiſſimo, ed oltre qualunque
aſſegnabile numero di getti, la matematica poſſibilità del continuo ſcoprirſi
della medeſima faccia.: Lo prova con una inafſima che egli ſtabi liſce per
certa: che non è in natura, che un 1 1 1 IOS 1 effetto ſia ſempre, e
coſtantemente il mede fino; ſiccome non è in natura che tutti gli alberi, ſi
raſſomiglino fra loro. Queſta maf ſima lo induce ad argomentare che la pro
babilità di una combinazione, nella quale il medeſimo effetto ſi ſuppone
accader più vol te, in parità di circoſtanze è tanto più pic cola, quanto
queſto numero di volte è più grande, di modo tale che quando queſto è maſſimo,
la probabilità è aſſolutamente nulla, o quaſi nulla; e all'incontro quando
queſto numero è aſſai piccolo la probabilità non ne reſta che poco, o punto
diminuita per queſto riguardo. Adduce egli moltiſſimi eſempi compro vanti la
ſua aſſerzione, e conclude che i re ſultati della teoria dei probabili,
quand'anche ſiano fuori di ogni queſtione nell'aftrazion geometrica, ſono
ſuſcettibili di molta reſtri zione quando i medeſimi ſi applicano alla natura.
Alle ragioni però ingegnoſiſſime di un si grand' uomo converrà adunque
arrenderſi, e diſperare della cauſa del noſtro calcolo dei probabili? 1 106 1
Parmi che ben'inteſi i noſtri principj co me ſono ſtati da noi ſtabiliti, o non
ſiano at taccati da tali oppoſte difficoltà, o le mede fime reftino ſciolte.
Prima di tutto ſi oflervi che noi trattiamo ſolo di calcolare i gradi di
probabilità nei caſi nei quali ſi ſuppone po terſi efla rinvenire. Se diaſi
dunque un caſo, che non cada in modo alcuno forto la cate goria dei fiſicamente
poflibili, e che per con ſeguenza nè il minimo grado abbia di proba bilità; io
dirò che queſto non è oggetto delle mie teorie; ma non concederò mai che per
queſto non ſi poſſano eſſe applicare perfet tainente ai caſi, che ſiano di
fatto filica mente poſſibili. Per conoſcere poi quali ſiano i caſi o le
combinazioni fiſicamente poſſibili nel ſenſo del Sig. d'Alembert, è neceſſaria
una fre quente e replicata oflervazione. Che ſia fiſicamente impoſibiie (ſe
pure ſi può uſar queſto termine ) che una moneta moſtri un inaſſimo o un
infinito numero di volte la ſtella faccia, donde ſi ricava, fe non dall'avere
offervato che una tale con 107 tinuazione dello ſcoprimento medeſimo non accade,
ma che al contrario ſi vanno alter nando, e cangiando di tanto in tanto le
facce della moneta? Benchè non può dirſi a rigore fiſicamente impoſſibile il
caſo in cui per un infinito numero di getti ſi paleſi ſempre l'iſteſſa fac cia,
a meno che non vi ſia nella moneta qualche fiſica e meccanica cagione che ciò
non permetta. Se ſi concedeſſe ancora (benchè non ſo quanto ſia dimoſtrato )
che ſia fiſicamente impoſſibile, che ſi dia un albero perfetta mente ſimile ad
un altro, non che, come fi contenta di dire il Sig. d'Alembert, che ſi
raſſomiglino tutti gli alberi fra di loro; non correrebbe la parità, per
dedurne che nel caſo di un infinito numero di getti di una moneta, l'uniforme
ſcoprimento di una fac cia della medeſima ſia fiſicamente impoſſi bile. Poichè
vi corre una notabiliflima di ſparità. Tutte le combinazioni le quali fanno,
che una coſa non ſia fimile all'altra, danno tanti ios riſultati fra loro
diverſi. Dalle diverſe com binazioni infinite che faran caufa che l'ala bero A
non ſia perfettamente ſimile all'albe+ ro B, naſceranno tanti alberi fra loro
diverſi; o altri corpi dei quali ſi conoſcerà la diffe renza. Ma dalle diverſe
combinazioni che poſſono fare che non venga infinite volte di ſeguito la faccia
palle della moneta; non ne poſſono venire che riſultati affatto ſimili, cioè
croce; poichè ogni volta che non ſi ſcopra palle, ſi ſcoprirà croce. Queſto
prova che le combinazioni che ſono contrarie alla per fetta ſomiglianza di due
coſe, formano infi niti rapporti, infiniti riſultati dei medeſimi, infinite
diverſe compoſizioni di parti dipen denti da infinite meccaniche direzioni
delle particelle della materia di infinite poſſibili diverſe velocità, figure
ec.: coſe tutte che nel caſo noftro non ſi verificano. Di fatto gli elementi
che formano la com binazione, che per infinito numero di volte preſenta palle,
ſono tutti ſimili fra di loro, ed hanno fra di loro un folo invariato rap porto.
Di modo che ſe ſi ſupponeſſe mutato 109 l'ordine col quale eſce prima la infinita
ſerie di palle, e ſi ricominciaſſe il getto, e ritor naſſe di nuovo a
ſcuoprirſi infinite volte la faccia che preſenta palle, ne verrebbe un or dine
fimiliſfimo al primo, potendoſi dire, che l'iſteſla relazione ha il primo
ſcoprimento di palle al milleſimo, che ha il ſecondo al cen teſimo, e così
dicaſi di tutti. Talmentechè a rigor parlando, non ſi può dire, che fra queſti
getti vi ſia ordine che formi fra effi un rapporto piuttoſto che un altro. Non
così degli elementi che formano un dato fiore, o albero; eſſendo combinabili
fra di loro con infinite varietà di ſopra ac cennate. Gli elementi fiſici
adunque delle combinazioni nel caſo della moneta ſono ſempliciſſimi, laddove
nell'eſempio addotto dal Sig. d'Alembert fono infiniti, dal che ne viene, che
la parità non corre; e dalla fiſica impoſſibilità (ſe fi ammetta ) di trovare
mol te, o anche due coſe fra loro ſimili; non ne viene la fiſica impoſſibilità
che una monetan gettata in aria infinite volte moſtri ſempre l' iſtefla faccia.
110 1 La diſparità compariſce più chiara, fe li rifletta che qualunque vedendo
in un dato ſpazio tutte le particelle più minute compo nenti i corpi; e
riflettendo alle variazioni poſſibili della velocità, e della figura delle
medeſime; e vedendone in un ſimile ſpazio un altro ſimile numero, avrebbe
ſubito infe rita l'impoſſibilità di una combinazione ta le, che ne riſultaſſero
due alberi ſimili. Laddove vedendo una moneta, e ſapendo che ſi deve gettare in
aria infinite volte, non avrebbe avuta una fiſica ragione di preſagire che non
ſi ſarebbe un infinito numero di volte ſcoperta l'iſteſſa faccia, e di credere
tal combinazione fiſicamente impoſſibile, come la pretende, fondato ſulle
addotte ri fleſſioni, il Sig. d'Alembert. In una parola della impoſſibilità (ſe
tal vo glia chiamarſi ) della ſomiglianza di due al beri ſe ne può addurre a
colpo d'occhio una fiſica meccanica ragione; lo che non può dirſi dello
ſcoprimento della faccia di una moneta. Lo ſteſſo a proporzione dicaſi delle
diverſe, III combinazioni delle lettere che formano la parola
Conſtantinopolitanenfibus. Chi attribuirà al caſo, dice d'Alembert, che ſi
combinino in modo tante lettere che formino queſta pa rola? chi vorrà crederlo
poſſibile? Dunque conchiude egli ſarà ugualmente impoſſibile il continuo per
infinite volte ſcoprimento della faccia medeſima di una moneta. Queſto eſempio
è molto ſimile a quello dei due al beri fimili; e ſi riſponde anche a queſto,
che ciaſcuna lettera può variare rapporto a tutte le altre, e che ciaſcun
riſultato ſarà diverſo. La Luna, aggiunge il Ch. Filoſofo, gira attorno al ſuo
alle in un tempo preciſamente uguale a quello che ella impiega nel deſcri vere
la ſua orbita intorno alla terra; e queſta eguaglianza di tempo produce ammirazione,
e ſi vuol cercare qual n'è la cagione. Se il rapporto dei due tempi foſſe
quello di due numeri preſi all'azzardo, per eſempio di 21: 33, niſſuno non ne
ſarebbe ſorpreſo, e non ſe ne ricercherebbe la cagione; e pure il rap porto di
uguaglianza è matematicamente و II2 parlando ugualmente poſſibile, che quello
di 21:33; perchè dunque ſi cerca una cagione del primo, che non ſi cercherebbe
del ſe condo? Lo ſteſſo dicaſi della ſituazione dei pianeti e del rapporto che
ha la zona nella quale fono rinchiuſe le orbite loro, alla sfera. Per chè ſi
conchiude egli che queſto non è effet to del caſo? perchè queſta combinazione,
benchè matematicamente poſſibile al par dell'altre, ſi riguarda.come effetto di
un diſegno, e di una regolarità? E non ſi crederà poi, che il ſolo caſo non può
pro durre quella combinazione per la quale la moneta ſcopra infinite volte di
ſeguito fem pre palle; e non ſi crederà queſta fiſicamente impoſſibile, benchè
abbia una matematica poſſibilità eguale a quella delle altre combi nazioni? Ma
io riſpondo, che di fatto le com binazioni dei citati eſempi hanno avuta una
fiſica poſſibilità uguale a quella di tutte l'al tre combinazioni; che non vi è
forſe argo mento che provi che il caſo non le aveſle po tute produrre; ma che
anche ſe ſi vogliono LI3 fiſicamente impoſſibili al ſolo caſo; ciò è per chè
ſon compoſte di elementi infinitamente variabili; lo che appariſce a chi ſi
faccia di propofito a conſiderare le diverſe cagioni, e le diverſe poſſibili
combinazioni, che poſſon far sì che i tempi dei due giri lunari non ſia no
uguali; e che la zona delle orbite plane tarie abbia alla sfera un rapporto
diverſo da quello che ora ha infatti; cagioni tutte fi fiche, e meccaniche. Di
più dico, che l'uguaglianza dei corſi della luna intanto a noi fa impreſſione,
in quanto che il rapporto di uguaglianza è quello al quale ſi fogliono riferire
tutti gli altri; e tutta la differenza che fra eſſo, e gli altri paffa, non è
che metafiſica; e nulla po ne di fiſico per cui tal combinazione debba eſſere
più difficile dell'altre. Lo ſteſſo dicaſi della parola Coſtantinopoli
tanenſibus. Queſta combinazione di lettere fa ſpecie a noi che intendiamo il
ſenſo della parola, e che al ſuono della medeſima abbia mo legataunidea; non
così a un Turco idio ta il quale non col nome di Coſtantinopli b 114 ma con
quello di Stamboul è avvezzo a no minare la ſuperba metropoli dell'Impero Ot
tomano. Non contento Monſieur d'Alembert degli eſempi addotti in conferma della
ſua aſſer zione, l'appoggia ad altre due rifleſſioni. Si fa che la durata media
della vita di un uomo, contando dal giorno della ſua naſcita è all'incirca di
27 anni; ſi è pure conoſciuto per mezzo delle oſſervazioni, che la durata media
delle ſucceſſive generazioni più ome no è di 32 anni; finalmente ſi è provato
per tutte le liſte della durata dei regni di ciaſcu na parte d'Europa, che la
durata media di ciaſcun regno è di circa a 20 in 22 anni. Si può dunque dic'
egli, ſcoinmettere non ſolo con vantaggio ma a gioco ſicuro che 100. fanciulli
nati nel medeſimo tempo non vive-, ranno che 27 anni l ' un' per l'altro; che
20 generazioni non dureranno più di 640 anni in circa; che 20 Re ſucceſſivi non
viveran no che intorno a 420 anni. Una combina zione adunque che non daſſe
intorno a 27. anni la durata media della vita dell'uomo, IIS pigliandone cento
a eſaminare, o non dalle di 32 anni la durata media di 100 fuccef five
generazioni; oppure portaſſe che 20 Re ſucceſſivi regnaſſero, o molto più, o
molto meno di 420 anni, non ſarebbe fiſicamente poſſibile; eppure lo ſarebbe
matematicamen te parlando. Dal che riſulta che vi ſono al cune combinazioni
matematicamente pofli bili, che ſi denno eſcludere, quando eſſe fo no contrarie
all'ordine coſtante della natu ra. Dunque la combinazione in cui, o infi nite
volte, o un gran numero veniſſe ſcoperta ſempre la medeſima faccia della moneta,
benchè di matematica poſſibilità uguale a quella di qualunque altra
combinazione, dev’ eſſere rigettata. E' nell'ordine naturale, ché un banchiere
di faraone, che ha dei caſi favorevoli più che dei ſiniſtri ſi arricchiſca
coll'andar del tempo. Di fatti ſi oſſerva coſtantemente, che non vi è banchiere,
che non accumuli groſſe fomme di denaro. Queſto prova, che quelle combinazioni,
che hanno più caſi contrari che favorevoli, ſono alla fine di un certo b 2 116
tempo, meno fiſicamente poſſibili che le al tre; quantunque matematicamente
parlando tutte le combinazioni ſiano ugualmente pof ſibili. Dunque conclude
egli, la combina zione, la quale preſenti ſucceſſivamente per un gran numero di
volte ſempre la ſteſſa fac cia della moneta dev'eſſere eſcluſa. Per riſpondere
a queſti due eſempi parmi che prima di tutto ſi poſſa negare la fiſica
impoſſibilità, che con tanta franchezza ſi af feriſce della durata media della
vita di un' uomo diverſa dallo ſpazio di circa 27 anni. Ed io ſono ben perſuaſo
che eſaminando il caſo della vita di molte centinaja d' uomini ſe ne troveranno
di quelle, o aſſai maggiori, o aiſai minori dello ſpazio di 27 anni; dun que
tale combinazione non fi deve ſcartare come fiſicamente impoſſibile. L'iſteſſo
dicafi di quella, per cui un banchiere in vece di arricchire ſi vedeſſe dal
gioco medeſimo ri dotto all' inopia; caſo che non è poi sì in frequente ad
accadere. Dicafi piuttoſto che l'una, e l'altra di queſte combinazioni con
tenute nei due eſempi addotti dal chiarilli 117 mo d'Alemberţ ſono molto
difficili, e tanto più, quanto l'ecceſſo dei caſi contrarj alle combinazioni
medeſime ſupera il numero dei favorevoli; lo che conviene appunto con li da me
ſtabiliti principj. Venendo poi al caſo noſtro dico, che fo no varie, e
moltiſſime in numero le cauſe vere, e fiſiche che influiſcono ſulla vita degli
uomini. Ma trattandoſi del getto della mo neta, non vi ſono principj fiſici
diverſi, e tali, che ſi debba in vigor deị medeſimi pre dire piuttoſto una, che
l'altra delle combi nazioni, che a rigor parlando non ſono che due, come più
ſopra ſi è offeryato. L'ordine delle umane coſe, e le fifiche qualità, e
coſtituzioni dell'uomo, e delle ca gioni che lo poſſono privar di vita, ſon con
ſultati nel primo caſo; nel ſecondo nulla hav: vi di fiſico che ſi poſſa
conſultare a formare il preſagio. Dunque fi pud predire, che ioo o maggior
numero di uomini avranno preſi inſieme un corſo di vita uguale a quello di
altri 100 uomini; benchè prima di aver faţte le offervazioni non ſi poſſa cal
corſo file 1 b 3 118 ſare; così prima di aver’anche fatte le oſſer vazioni,
conoſciuto il ſiſtema del gioco del faraone ſi può predire che un numero molto
maggiore farà quello dei banchieri che arric chiſcono, che non ſarà quello
degli altri che ſi rovinano. E ciò perchè veramente vi ſono delle intrinſeche
cagioni che portano a for mare queſto preſagio, e cagioni che naſcono dal
ſiſtema del gioco. Ma chi sà dire qual fi fica ragione addur voglia uno, che
vedendo gettarall'aria una moneta, aſſeriſca che è fiſicamente impoſſibile, che
o per un maſſi mo, o anche infinito numero di volte, pre ſenti ſempre la ſteſſa
faccia? Varie poſſono eſſere le maniere di gettare in alto la moneta. Si può
gettare a una gran de altezza, e a una piccola; con poca forza, e con molta;
con tale direzione che la baſe faccia angolo retto con l'orizzonte; o che lo
faccia obliquo; oppure in modo che ſia ad eſlo parallela. Si può anche gettare
in ma niera che ſomigli quaſi il laſciarla cadere leggermente da un punto fiſſo.
Fermiamoci ad eſaminare queſt' ultima ipoteſi; e ſi ve 1 1 119 1 drà, che
laſciandola in tal modo cadere, ſpecialmente a piccola altezza, anche in finite
volte, non vi è ragione di preſagire, che non poſſa eſſere coſtante lo
ſcoprimen to della faccia medeſima. La impoffiſibilità di queſto uniforme
ſcoprimento, la inten de egli il Signor d'Alembert in queſto ca ſo, o negli
altri caſi? Se la intende in queſto caſo, come dunque ſi verifica, che il ſolo
or dine della natura renda impoſſibile queſto u niforme ſcoprimento? Se poi non
la intende in queſto caſo, come dunque ſi verifica uni verſalinente la ſua
maſſima? Ma io aſſeriſco eſſere più conforme allo ſpirito delle ragioni del
Sig. d'Alembert, che anzi egli intenda di queſto ſolo caſo in cui non altro
appunto, che un non sò quale fatal ordine della natu ra,potrebbe cagionare la
preteſa variazione. Che ſe pure ſi trattaſſe degli altri caſi, dico che
nonoſtante la variabilità delle combina zionidell'impeto,dell'altezza, della
direzio ne; queſte non poſſono valutarſi in modo da rendere fiſicamente
impoſſibile l ' uniforme ſcoprimento; poichè gli effetti di queſte va 120
riabili combinazioni, non ſono che due; o lo ſcoprimento di palle, o lo
ſcoprimento di croce; e non ogni variazione, e combinazione di tali cauſe
influiſce a diverſificare gli ef fetti: come peraltro ſuccede negli eſempi ad
dotti dal Sig. d'Alembert, nei quali trattan doſi di rapporto, o di diverſa
conſociazione di parti, ognun vede, che ogni variazione influiſce a produrre un
effetto diverſo. O ſi riſguardi adunque la diverſità negli effetti; e negli
addotti eſempi, queſti ſono in finiti, nel caſo noftro non ſon che due non
potendoſi voltare, che palle, o croce; o ſi ri guardi la diverſità nelle
cagioni che tali ef fetti producono; e negli addotti eſempi, ſo no anch'eſſe
infinite, giacchè ogni minima variazione influiſce come nuova cauſa; nel caſo
della moneta non è così, potendoſi dare moltiſſime combinazioni di forza,
altezza, direzione, che producano ſempre l'iſteſſo effetto; potendoſi anche
dare che in infiniti getti, o in un numero aſſai grande, ſi man tenga l'iſteſſa
direzione, benchè obliqua; l'iſteſſa altezza benchè grande; l'iſteſſo im 1 1
pero, benchè forte; oppure che fi muti ad ogni getto. Parmi adunque che e queſti
ultimi e gli altri addotti eſempi, o non combinano con quello della moneta; o
al più provano una no tabile difficoltà nella combinazione che pre ſenti ſempre
l ' ifteffa faccia della moneta; verità che ſi accorda perfettamente con gli
eſpoſti principj; poichè le oſſervazioni me deſime ce lo fanno conoſcere,ed io
ſuppon go nell' applicargli, il caſo probabile, e con la ſcorta dei medeſimi ne
cerco il grado di probabilità; dal che ne viene che la teo rìa non è
applicabile ai caſi ove o neſſuna o quaſi neſſuna probabilità del buon eſito
appariſca, per poterne formare la propor zione.. Quando poi cominci il numero
in cui non ſia ſperabile un continuodiſcoprimento di una fola faccia della
moneta, le oſſervazioni, e non altro, poſſono moſtrarlo; quelle oſſer vazioni
io dico, che io medeſimo ho prefe per ſcorta in moltiſſimi caſi appartenenti
alla materia dei contratti di azzardo. 122 } E' poi tanto evidente che la
propoſizione del Sig. d'Alembert non atterra l'uſo del calcolo delle
probabilità, che anzi in qual che caſo ſe ne poſſono tirare delle conſeguen ze,
che lo conferinano. Chi gettando un dado intraprende di ſcuo prire per eſempio
il 6 non vorrà gettarlo una ſol volta, quando debba azzardare una fom ma eguale
a quella che azzarda l'avverſario; ma vorrà gettarlo più volte. La ſua ſperan
za è,che non voltandoſi ſempre l'iſtello nu mero che al primo tratto ſi
ſcuopre, e che può non eſſere il 6, arrivi in più volte a vol tarſi anche il 6;
altrimenti ſe non fcopren doſi alla prima il 6 ſi doveſſe ſempre ſcopri re in
tutti i tratti ſucceſſivi quel numero che ſi ſcopre il primo, la ſua perdita
ſarebbe ſicura. La ſperanza dunque di queſto gio catore acquiſta tanto maggior
fondamento quanto più è vero che ſia impoſſibile che ſi volti ſempre quel
numero che alla prima fi ſcoprì; impoſſibilità, che reſta compreſa nel la
impugnata opinione del Sig. d'Alembert. Stabiliti i principj regolatori dell'
ugua 123 glianza nei contratti d'azzardo, e difeſane l'applicazione non reſta
che a deſiderare, che uomini di ſublime ingegno, e di pro fondo ſapere ſi
applichino in gran numero ad eſtendere ſempre più l'uſo di una dottri na sì
utile. Quanto a me, mi pare di aver ottenuto il mio intento, ſe poſſo
luſingarmi di aver formate ed eſpoſte idee giuſte, e chia in un articolo per
una parte sì arduo, e per l'altra sì intereſſante. Codronchi. (NrcoLA), na cque
in Imola il 2o aprile 1751 ed alla patria e al casato accrebbe lu stro e
decoro: perchè già rapida-, mente corsi gli studii delle amene lettere e della
eloquenza sotto la disciplina de' Gesuiti, e con pub blico saggio nelle materie
di filo sofia sperimentatosi non ancora compiuti gli anni 16, potè dallo stesso
genitore nelle matematiche, delle quali era egli peritissimo, essere
ammaestrato. E col magi stero di quella scienza sublime, illuminando la mente
già ordinata a diritti giudizii e scorto da pre cetti delibati dalla scuola non
fal libile degli antichi esemplari, com formò la scrittura alla altezza del
pensiero, alla cultura dello spirito ed al candore dell'animo: nè i gravi
studii della giurisprudenza cui tennesi in Roma applicato (insegnatore
monsignor Giovan nardi concittadino di lui, e fiore de giureconsulti) gli tolse
di col tivare la poetica, alla quale senti vasi per tal guisa inclinato, che
poco oltre il terzo lustro di età bastò a dettare alcuni componi menti i quali
resi pubblici con le stampe trovarono grazia e lode somma ne cultissimi di quel
tem pi, e sì pure in Arcadia alla cui accademia appartenne col nome pastorale
di Cratino. E sono ne gli scritti di lui altri saggi in tal genere di lettere
che a migliori poeti, onde la città di Santerno si onora, il pareggiano: che se
come ne sono degni verranno presen tati al pubblico giudizio, ben si farà
manifesto aver egli con arte maestra saputi attingere da cia scuno de più
valenti Imolesi quei modi sceltissimi onde le loro ope re di bella luce
risplendono mel l'italiano parnaso. Il carme in fat to robusto e nervoso tal
come u sciva dalla penna di Antonio Zam pieri, e castigato ad un tempo ed
elegante, quale il vedi in Camil lo, muove nel Codronchi con quella spontanea e
nobile sempli cità che t'invaghisce nel Canti; 282 e si abbella di quelle
grazie ed e leganze di che lo Zappi infioriva le soavi e dolci sue rime.
Tornato in Imola venne decorato della cro ce di Santo Stefano, e nella Imole se
accademia degli Industriosi di cui fu socio si mostrò erudito ed elegante
oratore e poeta: d'indi a non molto passato per le caro vame a Pisa ebbe colà
lezioni di pubblico diritto da quell'alto spi rito del Lampredi, che il tenne
in istima d'ingegnoso e di colto, e che lo ebbe sempre carissimo. Quindi il
magnanimo gran duca Leopoldo gli conferì la carica di ispettore delle carovane,
e ad un tempo la cattedra di etica; intor no a che compose un trattato qua si
corso di lezioni, degno per fer mo di essere fatto di pubblica ra gione: ed a
quel principe intitolò il Codronchi una eloquente e dot ta Orazione composta
eletta, per incarico da lui avutone, al capito lo de'cavalieri Circa l'origine,
le leggi ed i fasti dell'ordine, che fu pubblicata il 1779, pel Cam biagi in
Firenze, dai torchi del quale uscì nel seguente anno 1785 altro grave e
prezioso libro col titolo di Saggio sui contratti e giochi d'azzardo, ove
risplende la dottrina di pubblico economista e di filosofo; ed ove la materia
gravissima, e che diresti poter so lo dimostrarsi col soccorso del cal colo,
per la chiara sposizione pia ma e facile si mostra alla intelli genza comune,
Corse intanto tal fama del sa pere di lui alla corte di Ferdinan. do di Napoli,
che con reale decre to del 25 novembre 1787, il no minò membro del supremo
consi glio di Finanze; nel qual tempo venne ad egual carica eletto quel sommo
ingegno di Gaetano Filan gieri, cui il Codronchi fu poi sempre stretto con
vincoli di re ciproca stima e di amicizia tene rissima. E ben di questo è prova
il pa rere dal Filangieri proposto al re intorno all'enfiteusi del così no mato
Tavoliere di Puglia che leg gesi negli opuscoli di lui pubbli cati pel
Silvestri in Milano il 1818. ove egli da maestro discorre ciò che con grave
senno e sapere a veva il suo collega consigliere Codronchi proposto, quando a
questo fine per sovrano volere eb be a recarsi in queHa provincia. Del quale
importantissimo servi gio ebbe onore da maestrati quivi preposti alla agraria
economia che con parole di lode il provvedimen to del principe ed il nome del
be nemerito consigliere in latina e pigrafe eternarono; e n'ebbe dal monarca
eziandio meritato pre mio: imperciocchè gli di grado di consigliere effettivo
con voto, e di sopraintendente alle dogane ed alle zecche del regno; nel che
adoperò a maniera, che sommo vantaggio m'ebbe lo stato per la retta
amministrazione di quegli ufficii, ed a lui vennero per mol te lettere di mano
della stessa regnante Carolina onorevolissime lodi. Seguì il Codronchi la real
corte a Palermo quando dovè colà ri fuggirsi nel 1798: e con essa lei tornò al
suo impiego in Napoli nel seguente anno 1799. Salito al trono il re Giuseppe,
volse tosto gli sguardi ad esso lui come a spec chio di sapiente reggimento e
di non comune interesse, e gli confe rì la carica di consiglier di stato, di
cavaliere del nuovo ordine del le due Sicilie da esso lui istitui to: ma la mal
ferma salute che gli vietò continuare a quel monarca i suoi servigi, e che il
tolse a quel regno ove lasciò fama durabile del suo merito, procacciò alla
patria il conforto di vederlo tornare fra' suoi concittadini de quali era de
siderio e delizia: e ben l'ebbero eglino zelantissimo della pubblica 283
morale, e civile istruzione dei giovani a quali col più potente dei precetti,
l'esempio, era di bel la guida e di stimolo; e per l'im portante buon regime
delle acque operoso; e di quant'altro poteva interessare il pubblico vantaggio
studiosissimo: nè mancavano ai mendici dalla mano benefica di lui generosi
soccorsi i quali seppe providamente elargire, anzichè ad alimento dell'ozio, a
meritato sollievo della vera indigenza. Illi bato del costume e per la esqui
sita erudizione della quale era for nito nella sociale consuetudine
piacentissimo, con la serena calma del giusto vide giungere l'ora e strema del
vivere, che a suoi cari ed alla patria il rapì nel giorno 15 novembre 1818, in
età di an mi 67: e della acerba morte di lui amaramente si dolse l'universale
della città desolato per la perdita irreparabile di quest'uomo chia rissimo nel
quale si ammirarono congiunte a sapere profondo in o gni maniera di scienze e
di lette re, integrità di vita e dovizioso corredo di ogni bella virtù. Whoever has glanced through the pages of any text-book on mercantile
law will hardly deny that CONTRACT is the handmaid if not actually
the child of Trade. Merchants and bankers must have what soldiers
and farmers seldom need, the means of making and enforcing various
agreements with ease and certainty. Thus, turning to the special
case before us, we should expect to find that WHEN ROME IS IN HER INFANCY and
when her free inhabitants busied themselves chiefly with tillage
and with petty warfare, their rules of sale, loan, suretyship, were few
and clumsy. Villages do not contain lawyers, and even in tdwns hucksters
do not employ them. Poverty of Contract was in fact a striking
feature of the early Roman Law, and can be readily understood in the
light of the rule just stated. The explanation given by Sir Henry
Maine is doubtless true, but does not seem altogether adequate. He
points out 1 that the Roman household consisted of many families under the rule
of a 1 Ancient Law, p. 312. B. E. 1 2 paternal autocrat,
so that few freemen had what we should call legal capacity, and
consequently there arose few occasions for Contract. This may
indeed account for the non-existence of Agency, but not for that of
all other contractual forms. For if the households had been trading
instead of farming corporations, they must necessarily have been
more richly provided in this respect. The fact that their commerce
was trivial, if it existed at all, alone accounts completely for the
insignificance of Contract in their early Law. The origin of
Contract as a feature of social life was therefore simultaneous with the
birth of Trade and requires no further explanation. It is with the
origin and history of its individual forms that the following pages have
to deal. As ROMAN CIVILISATION progresses we find Commerce extending and
Contract growing steadily to be more complex and more flexible.
Before the end of the Roman Republic the rudimentary modes of agreement
which sufficed for the requirements of a semi-barbarous people have
been almost wholly transformed into the elaborate system f of Contract
preserved for us in the fragments of the Antonine jurists. At the
most remote period concerning which statements of reasonable accuracy can
be made, and which for convenience we may call the Regal Period, we
can distinguish three ways of securing the fulfilment of a promise. The
promise could be enforced either by the person interested, or by the gods, or by the community. When however we speak
of enforcement, we must not think of what is now called specific performance,
a conception unknown to primitive Law. The only kind of enforcement then
possible was to make punish- ment the alternative of
performance. Self-help, the most obvious method of redress in a society
just emerging from barbarism, was doubtless the most ancient protection
to promises, since we find it to have been not only the mode by
which the anger of the individual was expressed, but also one of the
authorised means employed by the gods or the community to signify their
displeasure. This rough form of justice fell within the domain of
Law in the sense that the law allowed it, and even encouraged men to
punish the delinquent, whenever religion or custom had been violated. But
as people grew more civilized and the nation larger, self-help must
have proved a difficult and therefore inade- quate remedy. Accordingly
its scope was by degrees narrowed, and at last with the introduction of
surer methods it became wholly obsolete. Religious Law, as administered
by the priests, the representatives of the gods, was another
powerful agency for the support of promises. A violation of Fides, the
sacred bond formed between the parties to an agreement, was an act of
impiety which laid a burden on the conscience of the delin- quent
and may even have entailed religious disabili- ties. Fides was of the
essence of every compact, but there were certain cases in which its
violation was punished with exceptional severity. If an agreement
had been solemnly made in the presence of the gods, its breach was
punishable as an act of gross sacrilege. III. The third
agency for the protection of promises was legal in our sense of the word.
It consisted of penalties imposed upon bad faith by the laws of the
nation, the rules of the gens, or the by-laws of the guild to which the
delinquent belonged. What the sanction was in each case we are left
to conjecture. It may have been public disgrace, or exclusion from the
guild, or the paying of a fine. And as some promises might be
strength- ened by an appeal to the gods, so might others by an
invocation of the people as witnesses. Agreements then might be of
three kinds corresponding to the three kinds of sanction. They might
consist of an entirely formless compact, (2) a solemn appeal to the gods,
or (3) a solemn appeal to the people. A formless compact is called pactum
in the language of the twelve Tables. It was merely a distinct
understanding between parties who trusted to each other's word, and in the
infancy of Law it must have been the kind of agreement most
generally used in the ordinary business of life. Such agreements are
doubtless the oldest of all, since it is almost impossible to conceive of
a time when men did not barter acts and promises as freely as they
bartered goods and without the accompani- ment of any ceremony. Compacts
of this sort were protected by the universal respect for Fides, and
their violation may perhaps have been visited with penalties by the guild
or by the gens. But intensely religious as the early Romans were, there
must have been cases in which conscience was too weak a barrier
against fraud, and slight penalties were ineffectual. Fear of the gods
had to be reinforced by the fear of man, and self-help was the
remedy which naturally suggested itself. In the twelve Tables
pactum appears in a negative shape, as a compact by performing which
retaliation or a law-suit could be avoided 1 . If this compact was
broken the offended party pursued his remedy. Similarly where a positive
pactum was violated, the injured person must have had the option of
chastising 1 GELLIO. zx. 1. 14. Auct. ad Her. n. 13. 20. the
delinquent. His revenge might take the form of personal violence, seizure
of the other's goods, or the retention of a pawn already in his
possession. He could choose his own mode of punishment, but if his
adversary proved too strong for him, he doubtless had to go unavenged ;
whereas if the broken agree- ment belonged to either of the other
classes, the injured party had the whole support of the priesthood
or the community at his back, and thus was certain of obtaining
satisfaction. It is therefore plain that though formless agreements
contained the germ of Contract, they could not have produced a true law
of Contract, because by their very nature they lacked binding force.
Their sanction depended on the caprice of individuals, whereas the
essence of Contract is that the breach of an agreement is punishable in a
particular way. A further element was needed, and this was supplied
by the invocation of higher powers. II. At what period the feshion
was introduced of confirming promises by an appeal to the gods it
would be idle to guess. Originally, it seems, the plain meaning of such
appeals is alone considered, and their form is of no importance. But, under
the influence of custom or of the priesthood, they assume by degrees a formal
character, and it is thus that we find them in our earliest
authorities. Since religion and law – [“as H. L. A. Hart so well knows,
since he is a jew” – H. P. Grice] -- are both at first the monopoly of
the priestly order, and since the religious forms of promise have their
counterpart in the customs of Greece and other primitive
peoples, whereas the secular form is PECULIARLY Roman, the religious
form is evidently the older, and formal contract therefore has a religious
origin. Fides being a divine thing, the most natural means of
confirming a promise is to place it under divine protection. This may be
accomplished in two ways, by ius iurandum, or by sponsio -- each of
which is a solemn, Austinian-type performative declaration placing the
promise or agreement under the guardianship of the god, notably GIOVE. Each
form has a curious history, and as this is are the earliest specimen of a
contract, we should discuss them, and we might! Another method, and one
peculiar to the Romans, which naturally suggests itself for the
protection of agreements, is to perform the whole transaction in view of other
people. This publicity ensures the fairness of the agreement, and places
its existence beyond Cartesian – or Berkeleyian -- dispute. If the transaction is
essentially a public matter, such as the official sale of some public
land, or the giving out of a public contract, no formality seems ever to
have been required, so that even a formless agreement in in that
case is binding. The same validity may be secured for a private
contract, by having it publicly witnessed, and the nexum is but one
application of this principle. In testamentary law – “How my father,
Herbert Grice, inherited the property on the High Way of Halborne” – Grice -- it
seems probable that the public will in comitiis calatis is also
formless, whereas in private the testator may only give effect to his
will by formally saying to his fellow-citizens testimonium mihi
perhibetote. Thus the two elements which turned a bare agreement
into a contract were religion and publicity. The naked agreements (pacta)
need not concern us, since their validity as contracts never
received complete recognition. But it will be the object of the
following pages to show how agreements grew into contracts by being
invested with a religious or public dignity, and to trace the subsequent
process by which this outward clothing was slowly cast off.
Formalism was the only means by which Contract could have risen to an
established position, but when that position was folly attained we shall
find Contract discarding forms and returning to the state of bare
agreement from which it had sprung. Art 1. Ivsivrandvm is
derived by some from Iouisiurandum 1 , which merely indicates that
Jupiter was the god by whom men generally swore. To make an oath was to
call upon some god to witness the integrity of the swearer, and to
punish him if he swerved from it. This appears from the wording of
the oath in LIVIO, where SCIPIONE says: Si sciensfalloy turn me, Iuppiter
optime maxime, domum familiam remque rneam pessimo leto afficias"
and from the oath upon the Iuppiter lapis given by Polybius and
Paulus Diaconus, where a man throws down a flint and says : " Si
sciens /alio, turn me Dispiter salua urbe arceque bonis eiiciat, uti ego
hunc lapidem" A promise accompanied by an oath was simply a
unilateral contract under religious sanction. And it would seem that the
oath was in fact used for purposes of contract. CICERONE remarks 8 that
the oath was proved by the language of the XII Tables to have been
in former times the most binding form of promise ; and since an oath was
still morally binding 1 Cf. Apul. de deo Socr. 5. a xzii. 53.
» Off. ni. 31. 111. in the time of CICERONE, though it
had then no legal force, the point of his remark must be that in
earlier times the oath was legally binding also. From Dionysius we know
that the altar of ERCOLE (called ARA MASSIMA) was a place at which solemn
compacts (ovvdfjtcai) were often made 1 , while Plautus and Cicero inform
us that such compacts were solemnized by grasping the altar and taking
an oath 2 . It would seem probable that the gods were consulted by
the taking of auspices before an oath was made. Cicero says that even in
private affairs the ancients used to take no step without asking
the advice of the gods 8 ; and we may safely conjecture that whenever a
god was called upon to witness a solemn promise, he was first enquired of,
so that he might have the option of refusing his assent by giving
unfavourable auspices. The terms of the oath were known as concepta
uerba, at least in the later Republic, and like the other forms of
the period they were strictly construed 4 . Periuriv/m did not mean
then, as now, false swearing. It meant the breach of an oath 5 , the
commission of any act at variance with the uerha concepta There is some
dispute as to what were the exact consequences of such a breach. Voigt 7
thinks that it merely entailed excommunication from religious
rites, but Danz 8 is clearly right in maintaining that its consequences
in early times were far more serious ; 1 Dion. i. 40. 2 Plaut. Rud.
5. 2. 49. Cio. Flacc. 36. 90. 8 Div. 1. 16. 28. 4 Seru. ad Aen. 12.
13. 6 i.e. 8ciem fallere, Plin. Paneg. 64. Seneca, Ben. in. 37.
4. 6 Off. in. 29. 108. 7 Ius Nat. in. 229. 8 Ram. RG. n. § 149.
they amounted in fact to complete outlawry. Cicero says that
the sacratae leges of the ancients confirmed the validity of oaths. Now a
sacrata lex was one which declared the transgressor to be sacer
(i.e. a victim devoted) to some particular god 1 , and sacer in the
so-called laws of Seruius Tullius 2 and in the XII Tables 8 was the
epithet of condem- nation applied to the undutiful child and the
unrighteous patron. So likewise it seems highly probable that the breaker
of an oath became sacer, and that his punishment, as CICERONE hints,
was usually death. The formula of an oath given by Polybius 6 is
more comprehensive than that given by Paulus Diaconus , for in it the
swearer prays that, if he should transgress, he may forfeit not
onry the religious but also the civil rights of his countrymen. This
shows that the oath-breaker was an utter outcast; in fact, as the gods
could not always execute vengeance in person, what they did was to
withdraw their protection from the offender and leave him tolhe
punishment of his fellow-men. The drawbacks to this method of contract were
the same as those of the old English Law, which made hanging the
penalty for a slight theft ; the penalty was likely to be out of all
proportion to the injury inflicted by a breach of the promise. So
awful indeed was it, that no promise of an ordinary kind could well
be given in such a dangerous form, and consequently the oath was not
available for the 1 Festus, p. 318, s.u. sacratae. 2 Fest. p. 230,
s.u. plorare. 8 Seru. ad Aen. 6. 609. 4 Leg. n. 9. 22. B in.
25. 6 p. 114, s.u. lapidem. 7 Liu. v. 11. 16. common affairs
of daily life. The use of the oath therefore disappeared with the rise of
other forms of binding agreement, the severity of whose remedies
was proportionate to the rights which had been violated; while at the
same time the breaking of an oath came to be considered as a moral,
instead of a legal, offence, and by the end of the Republic
entailed nothing more serious than disgrace (dedecus). In one instance
only did the legal force of the oath survive. As late as the days of
Justinian^ the services due to patrons by their freedmen were still
promised under oath 1 . But the penalty for the neglect of those services
had changed with the development of the law. At and before the time
of the XII Tables, the freedman who neglected his patron, like the
patron who injured his freedman 2 , no doubt became sacer, and was an
outlaw fleeing for his life, as we are told by DIONISIO. But in
classical times the heavy religious penalty had disappeared, and the
iurisiurandi obligatio was en- forced by a special praetorian action, the
actio operarum*. By the time of Ulpian the effects of the iurata
operarum promissio seem indeed to have been identical with those of the
operarum stipu- latio*, though the forms of the two were still quite
distinct. We may then summarise as follows our knowledge as
to this primitive mode of contract : The form was a verbal
declaration on the part of the promisor, couched in a solemn and
carefully 1 38 Dig. 1. 7. a Sera, ad Aen. 6. 609. 8 n. 10. 4
38 Dig. 1. 2 and 7. 5 Cf. 38 Dig. 1. 10. 1 worded 1 formula
(concepta tierba), wherein he called upon the gods {testari deos)*, to
behold his good faith and to punish him for a breach of it.
The sanction was the withdrawal of divine protection, so that the
delinquent was exposed to death at the hand of any man who chose to
slay him. The mode of release, if any, does not appear.
In classical times it was the acceptilatio*, but this Was clearly
anomalous and resulted from the similar juristic treatment of operae
promissae and operae iuratae. Art. 2. Sponsio. Though the
point is contested by high authority, yet it scarcely admits of a
doubt that there existed from very early times another form, known
as sponsio, by which agreements could be made under religious sanction.
This method, as Danz has pointed out, was originally connected with
the preceding one. It was derived from the stern and solemn compact made
under an oath to the gods. But Danz goes too far when he identifies
the two, and states that sponsio was but another name for the sworn
promise 4 . The stages through which the sponsio seems to have passed
tell a different story. The word is closely connected with
airovSij, tnrivSeiv, and hence originally meant a pouring out of wine 8 ,
quite distinct from the con- vivial \ocfirf or libatio 6 , so that "
libation " is not its proper equivalent. The other derivation given
by 1 38 Dig. 1. 7, fr. 3. 2 Plant. Rud. 5. 2. 52. * 46
Dig. 4. 13. 4 Danz, Sacr. Schutz, p. 106. 8 Festus p. 329 s.u.
spondere. 6 Leist, Greco-It. R. O. p. 464, note o.
Varro 1 and Verrius 2 from sports, the will, whence according to
Girtanner 8 sponsio must have meant a declaration of the will, savours
somewhat too strongly of classical etymology. I. This pouring
out of wine, as Leist 4 has shown, was in the Homeric age a constant
accom- paniment to the conclusion of a sworn compact of alliance
(optcia iriara) between friendly nations. The sacrificial wine seems
originally to have added force to the oath by symbolising the blood
which would be spilt if the gods were insulted by a breach of that
oath. In this then its original form sponsio was nothing more than an
accessory piece of ceremonial. The second stage was brought about by
the omission of the oath and by the use of wine-pouring alone as
the principal ceremony in making less important agreements of a private
nature. In the Indian Sutras for instance a sacrifice of wine is
customary at betrothals 5 , and comparison shows that the marriage
ceremonies of the Romans, in connec- tion with which we find sponsio and
sponsalia applied to the betrothal and sponsa to the bride 6 , were
very like those of other Aryan communities 7 . We may therefore
clearly infer that at Rome also there was a time when the pouring out of
wine was a part of the marriage-contract; and thus our derivation of
the word receives independent confirmation. III. In the third
and last stage sponsio meant 1 L. L. vi. 7. 69. 2 Festus, «. u.
spondere. 8 Stip. p. 84. 4 Greco-It. B. G. § 60. 8 Leist, AlUAr. I. Civ.
p. 448. 8 Gell. iv. 4. Varro, L. L. vi. 7. 70. 7 Leist, loc.
ciu nothing more than a particular form of promise,
and it is easy to see how this came about. At first the verbal
promise took its name from the ceremony of wine-pouring which gave to it
binding force ; but in course of time this ceremony was left out as
taken for granted, and then the promise alone, provided words of
style were correctly used, still retained its old uses and its old name.
Sponsio from being a ceremonial act became a form of words. Such
was the final stage of its development. The importance
attached to the use of the words spondesne ?, spondeo in preference to
all others 1 thus becomes clear. Spondesne ? spondeo originally
meant " Do you promise by the sacrifice of wine V "I do
so promise," just as we say, "I give you my oath,"
when we do not dream of actually taking one. Another peculiarity of
sponsio, noticed though not explained by GAIO 2 , was the fact that it
could be used in one exceptional case to make a binding agreement
between Romans and aliens, namely, at the conclusion of a treaty. Gaius
expresses surprise at this exception. But if, as above stated, a
sacrifice of pure wine {airovhal a/cprjTot) was one of the early
formalities of an international compact (op/cia mard), it was natural
that the word spondeo should survive on such occasions, even after the
oath and the wine- pouring had long since vanished. Sponsio
being then a religious act and subse- quently a religious formula, its
sanctity was doubtless protected by the pontiffs with suitable
penalties. What these penalties were we cannot hope to know,
1 Gai. in. 93. 2 in. 94. though clearly they
were the forerunners of the penal sponsio tertiae partis of the later
procedure. Varro 1 informs us that, besides being used at be-
trothals the sponsio was employed in money (pecu/nia) transactions. If
pecunia includes more than money we may well suppose that cattle and
other forms of property, which could be designated by number and
not by weight, were capable of being promised in this manner. Indeed it
is by no means unlikely 2 that nexum was at one time the proper form
for a loan of money by weight, while sponsio was the proper form
for a loan of coined money (pecunia nwmerata). The making of a sponsio
for a sum of money was at all events the distinguishing feature of
the afibio per sponsionem, and though we cannot now enter upon the disputed
history of that action, its antiquity will hardly be denied.
The account here given of the origin and early history of the
sponsio is so different from the views taken by many excellent
authorities that we must examine their theories in order to see why
they appear untenable. One great class of commentators have held
that the sponsio is not a primitive institu- tion, but was introduced at
a date subsequent to the XII TABVLAE. The adherents of this theory
are afraid of admitting the existence, at so early a period, of a
form of contract so convenient and flexible as the sponsio, and they also
attach great weight to the fact that no mention of sponsio occurs in
our fragments of the XII Tables. While it would doubtless be an
anachronism to ascribe to the early 1 L. L. vi. 7. 70. a Karsten,
Stip. p. 42. J sponsio the actionability and breadth of scope
which it had in later times, still it may very well have been
sanctioned by religious law, in ways of which nothing can be known unless
the pontifical Commentaries of Papirius 1 should some day be discovered.
As to the silence of the XII Tables on this subject, we are told by
Pomponius that they were intended to define and reform the law rather
than to serve as a comprehensive code 2 . Therefore they may well
have passed over a subject like sponsio which was already regulated by
the priesthood. Or, if they did mention it, their provisions on the
subject may have been lost, like the provisions as to iusiurandum, which'
we know of only through a casual remark of CICERONE’s. 8 . The
early date here attributed to the sponsio cannot therefore be disproved
by any such negative evidence. Let us see how the case stands with
regard to the question of origin. (a) The theory best known in
England, owing to its support by Sir H. Maine, is that sponsio was
a simplified form of neocum, in which the ceremonial had fallen
away and the nuncupatio had alone been left 4 . This explanation is now
so utterly obsolete that it is not worth refuting, especially since
Mr Hunter's exhaustive criticism 5 . One fact which in itself is
utterly fatal to such a theory is that the nuncupatio was an assertion
requiring no reply 6 , i Dion. in. 36. 2 1 Dig. 2. 2. 4.
8 Off. in. 31. 111. * Maine, Am. Law, p. 326. 5 Hunter, Roman
Law, p. 385. 6 Gai. n. 24. B. E. 2 whereas the
essential thing about the sponsio was a question coupled with an
answer. (6) Voigt follows Girtanner in maintaining that
spondere signified originally " to declare one's will," and he
vaguely ascribes the use of sponsiones in the making of agreements to an
ancient custom existing at Borne as well as in Latium 1 . He agrees
with the view here expressed that the sponsio was known prior to the XII
Tables, but thinks that before the XII Tables it was neither a
contract (which is strictly true if by contract we mean an
agreement enforceable by action), nor an act in the law, and that its use
as a contract began in the fourth century as a result of Latin influence
2 . In another place 8 he expresses the opinion that its
introduction as a contract was due to legislation, and most probably to
the Lex Silia. The objections to this view are that the etymology is
probably wrong, and that the inference drawn as to the original
meaning of spondere iuvolves us in serious difficulties. An expression of
the will can be made by a formless declaration as well as by a formal
one. And if a formless agreement be a sponsio, as it must be if
sponsio means any declaration of the will, how are we to explain the
formal importance attaching to the use of the particular words "
spon- desne ? spondeo." (3) This view ignores the religious
nature of the sponsio, which I have endeavoured to establish, and (4) it
forgets that sponsio, being part of the marriage ceremonial, one of the
first subjects 1 Rom. RG. i. p. 42. 2 16. p. 43. 8 Ius
Nat. §§ 33-4. to be regulated by the laws of Romulus 1 , is
most probably one of the oldest Roman institutions. Again (5), as
Esmarch has observed 2 , the legislative origin of the sponsio is a very
rash hypothesis. We only know that the Lex Silia introduced an
improved procedure for matters which were already actionable, and
had a new formal contract been created by such a definite act we should
almost certainly have been informed of this by the classical
writers. (c) Danz also derives sponsio from sports, the will;
but he takes spondere to mean sua sponte iurare, and thinks that the
original sponsio was exactly the same as iusiurandum, i.e. nothing
more than an oath of a particular kind 3 . . His chief argu- ment
for this view is to be found in PAOLO DIACONO, who gives consponsor =
coniurator. But why need we suppose that Paulus meant more than to give
a synonym ? in which case it by no means follows that spondere =
iurare. For such a statement as that we have absolutely no authority.
Moreover, as we saw above, iusiurandum was a one-sided declaration
on the part of the promisor only. How then could the sponsio,
consisting as it did of question and answer, have sprung from such a
source ? especially since the iusiurandum, though no longer armed
with a legal sanction, was still used as late as the days of
Plautus alongside of the sponsio and in complete contrast to it ? Girtanner,
in his reply to the "Sacrale Schutz" of Danz 4 , maintains that
sponsio had nothing 1 Dion. n. 25. 2 K. V. filr G. u. R. W. n. 516. 3 Sacr. Schutz, p. 149. 4 Ueber die Sponsio, p. 4 fif. 2—2
9 to do with an oath, but was a simple declaration of
the individual will, and that stipulatio had its origin in the respect
paid to Fides. This view however is even less supported by evidence than
that of Danz. Arguing again from analogy Girtanner thinks that, as
the Roman people regulated its affairs by expressing its will publicly in
the Comitia, so we may conjecture that individuals could validly
express their will in private affairs, in other words could make a
binding sponsio. But this, as well as being a wrong analogy, is a
misapprehension of a leading principle of early Law. For, as we
have seen, no agreement resting simply upon the will of the parties
(i.e. pactum) was valid without some outward stamp being affixed to it,
in the shape of approval expressed by the gods or by the people. In
the language of the more modern law, we may say that such approval, tacit
or explicit, religious or secular, was the original causa ciuilis which
dis- tinguished contractus from pactiones. Now a popular vote in
the Comitia bore the stamp of public approval as plainly as did the
nexum. But the sponsio, requiring no witnesses, was clearly not
endorsed by the people ; therefore the endorsement which it needed in
order to become a contractus iuris cvuilis must have been of a religious
nature, and that such was the case appears plainly if we admit that
sponsio originated in a religious cere- monial such as I have
described. To recapitulate the view here given, we may
conclude that sponsio was a primordial institution 1 See
Windscheid, K. F. fiir G. «. R. W. i. 291. of the Roman and
Latin peoples, which grew into its later form through three stages, It is
originally a sacrifice of wine annexed to a solemn compact of
alliance or of peace made under an oath to the gods. (b) Next it became a
sacrifice used as an appeal to the gods in compacts not made under oath
such as betrothals. Just as iusiurandum for many purposes was
sufficient without the pouring out of wine, so for other purposes sponsio
came to be sufficient without the oath, Lastly it becomes a verbal
formula, expressed in language IMPLYING the accompaniment of a
wine-sacrifice, but at the making of which no sacrifice was ever actually
performed. In this final stage, which continued as late as the days of
Justi- nian, Its form was a question put by the promisee,
and an answer given by the promisor, each using the verb spondere. Filiam
mihi spondesne? Spondeo? Centum dari spondes? Spondeo. Throughout its history
this is a form which Roman citizens alone may use, in which fact we
clearly see religious exclusiveness and a further proof of
religious origin. Why they use question and answer rather than plain
statement is a minor point the origin of which no theory – except Grice’s--
has yet accounted for. The most plausible conjecture seems to be that
the recapitulation by the promisee was intended to secure the
complete understanding by the promisor of the exact nature of his
promise. Its sanction in the early period of which we are
treating was doubtless imposed by the priests, but owing to our almost
complete ignorance of the pontifical law we cannot tell what that
sanction was. Having now examined the ways in which an
agreement could be made binding under religious sanction, let us see how
binding agreements could be made with the approval of the
community. There is reason to believe that this secular class of
contracts is less ancient than the religious class, because nexum and
mancipium were peculiar to the Romans, whereas traces of iusiurandum and
sponsio are found, as Leist has shown, in other Aryan civilizations.
Nexvm. There is no more disputed subject in the whole history of Roman Law than
the origin and development of this one contract. Yet the facts are
simple, and though we cannot be sure that every detail is accurate, we
have enough information to see clearly what the transaction was like
as a whole. We know that it was a negotium per aes et libram, a
weighing of raw copper or other commodity measured by weight in the
presence of witnesses 2 ; that the commodity so weighed was a loan
8 ; and that default in the repayment of a loan thus made exposed the
borrower to bondage 4 and savage punishment at the hands of the lender.
We know also that it existed as a loan before the XII Tables, for
it is mentioned in them as something quite different from mancipium. To
assert, as Bech- mann does, that since nexum included conveyance as 1
Alt Ar. I. Civ. I«
e Abt. pp. 435-443. 2 Gai. in. 173. 3 Muciu* in Varro, L. L. 7. 105. 4 Varro, L. L. vi. 5. 5 Clark, E. R. L. § 22. well as
loan " mancipiumque " must therefore be an interpolation into
the text of the XII Tables 1 , is an arbitrary and unnecessary
conjecture. The etymology of nexwm, and of mancipium shows that they
were distinct conceptions. Mancipium implies the transfer of mami8,
ownership ; nexum implies the making of a bond (cf. nectere, to bind),
the precise equivalent of obligatio in the later law. It is true that
both nexwm and mancipium required the use of copper and scales, to
measure in one case the price, in the other the amount of the loan. But
this coincidence by no means proves that the two transactions were
identical. A modern deed is used both for leases and for conveyances of
real property, yet that would be a strange argument to prove that a lease
and a conveyance were originally the same thing. Here however we
are met by a difficulty. If, as some hold 8 and as I have tried to prove,
we must regard mancipium as an institution of prehistoric times
distinct from the purely contractual nexwm, how are we to explain the
fact that nexwm is used by Cicero 8 and by other classical writers 4 as
equi- valent to mancipium, or as a general term signifying omne
quod per aes et libram geritur, whether a loan, a will, or a conveyance ?
Now first we must notice the fact that neamm had at any rate not always
been synonymous with mancipium, for if it had been so, there could
have been no doubt in the minds of 1 Kauf f p. 130. * Mommsen,
Hist. 1. 11. p. 162 n. * ad Fam. 7. 30 ; de Or. 3. 40; Top. 5. 28;
Parad. 5. 1. 35. ; pro Mwr. 2. 4 Boethius lib. 3 ad Top. 5.
28 ; Gallus Aelius in Festas, s.u. nexwm ; Manilim in Varro, L. L. 7.
105. Scaeuola and Varro that a res nexa was the same thing
as a res mamipata. This Scaeuola and Varro both deny, and we must
remember that Mucius Scaeuola was the Papinian of his day. Manilius 1
on the other hand, struck perhaps by the likeness in form of the
obsolete nexum to other still existing negotia per aes et libram, seems
to have made nexum into a generic term for this whole class of
trans- actions. In this he was followed by Gallus Aelius 2 . The
new and wider meaning, given by them to that which was a technical term
at the period of the XII Tables, apparently became general in
literature, partly for the very reason that nexum no longer had an
actual existence, partly because need liberatio, the old release of
nexum, had been adopted by custom as the proper form of release in
matters which had nothing to do with the original nexum, namely in
the release of judgment-debts and of legacies per damnationem*. One
peculiarity men- tioned by Gaius in the release of such legacies
seems altogether fatal to the theory that mandpium was but a species of
the genus nexum. Gaius says that nexi liberatio could be used only for
legacies of things measured by weight. Such things were the sole
objects of the true nexum, whereas res maricipi included land and cattle.
Therefore if mancipiwm were only a species of nexum we should
certainly find nexi liberatio applying to legacies of res mancipi,
but this, as Gaius shows, was not the case. The view that nexum was
the parent gestum per 1 Varro, L. L. vu. 105. a Festus, p. 165, s.
u. nexum. 3 Gai. iii. 173-5. aes et
libram, and that mancipium was the name given later to one particular
form of nexum, is worth examining at some length, because it is
widely accepted 1 , and because it fundamentally affects our opinion
concerning the early history of an important contract. Bechmarm 2 thinks
it more reasonable to suppose that nexum narrowed from a general to
a specific conception. But it is scarcely conceivable that nexum
should have had the vague generic meaning of quodcumque per aes et libram
geritur* when it was still a living mode of contract, and the
technical meaning of obligatio per aes et libram when such a contractual
form no longer existed. What seems far more likely is that nexum had
a technical meaning until it ceased to be practised subsequently to
the Lex Poetilia, and that its loose meaning was introduced in the later
Bepublic, partly to denote the binding force of any contract 4 ,
partly as a convenient expression for any transaction per aes et
libram\ Even in Cicero we find the word nexum used chiefly with a view to
elegance of style 8 in places where mandpatio would have been a
clumsy word and where 7 there could be no doubt as to the real meaning.
But when Cicero is writing history, he uses nexum in its old technical
sense and actually tells us that it had become obsolete 8 . 1
See Bechmann, Kauf, i. p. 130 ; Clark, E. R. L. § 22. 2 .16. p.
181. •
Varro, I. c. — Festus, *. u. nexum. 4 Cf. "nexu uetu&ti
" in Ulpian, 12 Dig. 6. 26. 7. 5 Cic. de
Or. in. 40. 159. 6 Uar. Resp. vn. 14; ad Fam. vii. 30. 2; Top. 5.
28. 7 As in pro Mur. 2; Parad. v. 1. 35. 8 de Rep. 2.
34 and cf. Liu. mi. 28. 1. Rejecting then as
untenable the notion that nexum denoted a variety of transactions, let
us see how it originated. The most obvious way of lending corn or
copper or any other ponderable commodity, was to weigh it out to the
borrower, who would naturally at the same time specify by word of
mouth the terms on which he accepted the loan. In order to make the
transaction binding, an obvious precaution would be to call in
witnesses, or if the transaction took place, as it most likely
would, in the market-place, the mere publicity of the loan would be enough.
Thus it was, we may believe, that a nexurn was originally made. It
was a formless agreement necessarily accompanied by the act of
weighing and made under public super- vision. It dealt only with
commodities which could be measured with the scales and weights, and
did not recognize the distinction between res mancipi and res nee
mancipi, — a strong argument that nescum and mandpium were, as above
said, totally distinct affairs. Its sanction lay in the acts of
violence which the creditor might see fit to commit against the debtor,
if payment was not performed according to the terms of his agreement.
Personal violence was regulated by the XII Tables, in the rules of
manus iniectio, but before that time it is safe to conjecture that any
form of retaliation against the person or property of the debtor was
freely allowed. The fixing of the number of witnesses at five 1
, which we find also in rnancipium, . is the only modification of
nexum that we know of prior to 1 Gai. hi. 174. .
the XII Tables. Bekker 1 suggests that this change was one of the
reforms of Seruius Tullius, and that the five witnesses, by representing
the five classes of the Servian ceruma, personified the whole people.
This is a mere conjecture, but a very plausible one. For we are told by
Dionysius 8 that Seruius made fifty enactments on the subject of Contract
and Crime, and in another passage of the same author 8 , we find an
analogous case of a law which forbade the exposure of a child except with
the approval of five witnesses. But here a question has been raised as
to what the witnesses did. The correct answer, I believe, is that
given by Bechmann 4 , who maintains that the witnesses approved the
transaction as a whole, and vouched for its being properly and
fairly performed. Huschke, on the other hand, claims that the
function of the witnesses was to superintend the weighing of the copper,
and that before the intro- duction of coined money some such public
supervision was necessary in order to convert the raw copper into a
lawful medium of exchange 5 . This view is part of Huschke's theory, that
neacum had two marked peculiarities: (1) it was a legal act per-
formed under public authority, and it was the recognised mode of
measuring out copper money by weight. The first part of Huschke's
theory may be accepted without reserve, but the second part seems
quite untenable. We have no evidence to show that nexum was confined to
loans of money or of 1 Akt, i. 22 ff. a iv. 13. » ii. 15.
4 Kauf. Nexum, p. 16 ff. copper. Indeed we gather from a passage of CICERONE
(si veda) that far, corn, may have been the earliest object of
nexum 1 , while GAIO (si veda) states that anything measurable by weight
could be dealt with by neari solvtio. No inference in favour of Huschke's
theory may be drawn from the name negotium per cms et libram, for
this phrase obviously dates from the more recent times when the ceremony
had only a formal signifi- cance, and when the aes (ravduscvlum) was
merely struck against the scales. If then we reject the second part
of Huschke's theory, and admit, as we certainly should, that nexum could
deal with any ponderable commodity, it is evident that his whole
view as to the function of the witnesses must collapse also. The very
notion of turning copper from merchandise into legal tender is far too
subtle to have ever occurred to the minds of the early Romans. As
Bechmann 8 rightly remarks, the original object of the State in making
coin was not to create an authorised medium of exchange, but simply
to warrant the weight and fineness of the medium most generally used. The
view of Buschke seems therefore a complete anachronism. There is
also another interpretation of neawm radically different from the one
here advocated, and formerly given by some authorities 4 , but
which has few if any supporters among modern jurists. This , view
was founded upon a loosely expressed remark of Varro's in which nexus is
defined as CICERONE (si veda) de Leg. Agr. n. 30. 83. 2 in. 175. 8 Kauf.
4 See Sell, Scbeurl, Niebuhr, Christiansen, Puchta, quoted in Danz, Rom.
RG. n. 25. a freeman who gives himself into slavery for a debt which
he owes The inference drawn from this remark was that the debtor's body,
not the creditor's money, was the object of nexwm, and that a
debtor who sold himself by mancipium as a pledge for the repayment
of a loan was said to make a nexum. Such a theory does not however
harmonize with the facts. The evidence is entirely opposed to it,
for Varro's statement, as will be seen later on, admits of quite
another meaning. Neither nexum nor mancipium is ever found practised by a man
upon his own person. Nor could nexum have applied to a debtors
person, for the idea of treating a debtor like a res mancipi or like a
thing quod pondere numero constat, is absurd. Again, if nexum =
mancipium, the conveyance of the debtors body as a pledge must have
taken effect as soon as the money was lent, therefore (1) by thus
becoming nexus he must have been in mancipio long before a default could
occur, which is too strange to be believed, and (2) being in
mancipio he must have been capite deminutus*, which Quintilian expressly
states that no nexal debtor ever was 4 . Clearly then mancipium was under
no circumstances a factor in nexum. Thus it would seem that the
theory which regards nexum as a loan of raw copper or other goods
measurable by weight, is the one beset with fewest difficulties. Such
goods correspond pretty nearly to what in the later law were called res
fungibiles. VARRONE
(si veda), L. L. nexum inire, Liu. vn. Paul. Diao. u. deminutus. Decl. The borrower was not required to return the
very same thing, but an equal quantity of the same kind of thing.
And this explains why neanim, the first genuine contract of the Roman
Law, should have received such ample protection. A tool or a beast
of burden could be lent with but little risk, for either could be
easily identified ; but the loan of corn or of metal would have been
attended with very great risk, had not the law been careful to ensure the
publicity of every such transaction. lusiurandum or sponsio might no
doubt have been used for making loans, but they both lacked . the
great advantage of accurate measurement, which neanim owed to its
public character. It was the presence of witnesses which raised neanim
from a formless loan into a contract of loan. This general
sketch of the original neanim is all that can be given with certainty.
The details of the picture cannot be filled in, unless we draw upon our
imagination. We do not know what verbal agreement passed between the
borrower and the lender, though it is fairly certain that payment
of interest on the loan might be made a part of the contract. We cannot
even be quite sure whether the scale-holder (libripens) was an official,
as some have suggested, or a mere assistant. Our description of the
contract may then be briefly recapitulated as follows: The
form consisted of the weighing out and delivery to the borrower of goods
measurable by weight, in the presence of witnesses, (five in number, probably
since the time of Seruius Tullius), whose attendance ensured the proper
performance of the ceremony. The ownership of the particular goods
passed to the borrower, who was merely bound to return an equal quantity
of the same kind of goods, but the terms of each contract were
approximately fixed by a verbal agreement uttered at the time. The
sanction consisted of the violent measures which the creditor might
choose to take against a defaulting debtor. Before the XII Tables
there seems to have been no limit to the creditor's power of
punishment. Any violence against the debtor was approved by custom and
justified by the noto- riety of the transaction, so that self-help was
more easily exercised and probably more severe in the case of nexum
than in that of any other agreement. The release (nexi solutio) was a
ceremony pre- cisely similar to that of the nexum itself, the
amount of the loan being weighed and delivered to the lender, in
presence of witnesses. We have now examined three methods by which a
binding promise could be made in the earliest period of the Roman Law.
The next question which confronts us is whether there existed at
that time any other method. The other forms of contract, besides those
already described, which are found existing at the period of the XII
Tables, were fiducia, lex mancipi, uadimonium, and dotis dictio.
Did any of these have their origin before this time ? Fiducia is doubtful,
and lex mancipi, as we shall see, owed its existence to an important
provision Gai. in. 174. \.t of that code. As to the origin of
uadirnonium, we cannot be certain, but judging from a passage in
Gellius 1 we are almost forced to the conclusion that uadimonium also was
a creation of the XII Tables. Gellius speaks of •'
uades et subuades et XX V asses et taliones...omnisque ilia XII
Tabhlarum antiquitas." We know that
twenty-five asses was the fine imposed by the XII Tables for cutting
down another man's tree, therefore it would seem from the context
that uades had also been introduced by that code. The point cannot be
settled, but since the XII Tables were at any rate the first
enactments on the subject of which anything is known, we may
discuss uadimonium in treating of the next period. The only contract of
which the remote antiquity is beyond dispute is the dotis dictio. DOTIS
DICTIO. Dionysius 8 informs us that in the earliest times a dowry was
given with daughters on their marriage, and that if the father
could not afford this expense his clients were bound to contribute. Hence
it is clear not only that dos existed from very early times, but that
custom even in remote antiquity had fenced it about with strict
rules. From Ulpian 8 we know that dos could be bestowed either by dotis
dictio, dotis promissio, or dotis datio. The promissio is a promise by
stipulation, and the datio was the transfer by mancipation or tradition
of the property constituting the dowry ; so that these two are easy to
understand. But dotis dictio is an obscure subject. It is difficult to
know whence it acquired its binding force as a contract, 1
xvi. 10. 8. 2 ii. 10. 8 Reg. since in form it was unlike all other
contracts with which we are acquainted. Its antiquity is evidenced
not only by this peculiarity of form, but 9,lso by a passage in the
Theodosian Code which speaks of dotis dictio as conforming with the
ancient law 1 . An illustration occurs in Terence, where the father
says, "Dos, Pamphile, est decern talenta" and Pamphilus, the
future son-in-law, replies, "Accipio"; but we need not conclude
that the transaction was always formal, for the above Code 8 , in
permitting the use of any form, seems rather to be restating the old law
than making a new enactment. A further peculiarity, stated by Ulpian
4 and by Gaius 5 , was that dotis dictio could be validly used only
by the bride, by her father or cognates on the fathers side, or by a
debtor of the bride acting with her authority. Dictio is a significant
word, for Ulpian 6 distinguishes between dictum and promis- sum,
the former, he says, being a mere statement, the latter a binding
promise. This distinction should doubtless be applied in the present
case, since dotis dictio and dotis promissio were clearly
different. The following theories seem to be erroneous : Von Meykow
7 holds that dictio was adopted as a form of promise instead of sponsio
for this family affair of dos, in order not to hurt the feelings of
the bride and of her kinsmen by appearing to question their bona
fides. That theory would be a plausible explanation, if dictio could ever
have meant a 1 C. Th. 3. 12. 3. 2 And Reg. Epit.Dig. Diet. d. Rfim.
Brautg. p. 5 ff. B. E. 3 promise, but from what Ulpian says,
this can hardly be admitted. (6) Bechmann 1 , again, connects
dotis dictio with the ceremony of sponsio at the betrothal of a
daughter. The dos, he thinks, was promised by a sponsio made at the
betrothal, so that the peculiar form known as dotis dictio was originally
nothing more than the specification of a dowry already promised. The
dotis dictio would therefore have been at first a mere pactum
adiectum, which was made actionable in later times, while still preserving
its ancient form. The objection to this theory is tKat it lacks evidence
: indeed the only passage (that of Terence) in which dotis dictio
is presented to us with a context goes to show that this contract was in
no way connected with the act of betrothal. (c) Another
explanation is given by Czylharz, ie. that dotis dictio was a formal
contract. His view is based on the scholia attached to the passage
of Terence, which say of the bridegroom's answer: "Mle nisi dixisset
' accipio' dos non esset." Czylharz therefore looks upon the
contract as an inverted stipulation. The offer of a promise was
made by the promisor, and when accepted by the promisee became a
contract. Though such a process is quite in harmony with modern notions
of Contract, it would have been a complete anomaly at Rome. And we
cannot believe that, if acceptance by the promisee had been a necessary
part of the dotis dictio, we should not have been so informed by
Gaius, when he has been so careful to impress Rom. Dotalrecht. 2 Abt. p.
103. a Z.f. R. G. vn. 243. upon us that the dotis dictio could be made
nulla interrogatione praecedente. Thus the view of Czylharz besides
being in itself improbable is almost entirely unsupported by evidence.
Even the scholiast on Terence need not necessarily mean that ‘accipio’
is an indispensable part of the transaction. He may merely have meant that the
bride- groom at this juncture could decline the proffered dos if he
chose, and this interpretation is borne out by Iulianus 1 and Marcellus 8
, who give formulae of dotis dictio without any words of
acceptance. A satisfactory solution of the problem seems to have
been found by Danz. He looks upon dos as having been due from the father
or male ascendants of the bride as an officium pietatis 4 , and
quotes passages from the classical writers in which they speak of
refusing to dower a sister or a daughter as a most shameful thing 5 .
The source of the obligation lay in this relationship to the bride,
not in any binding effect of the dotis dictio itself. But in order that
the obligation might be actionable its amount had to be fixed, and
this was just what the dictio accomplished. It was an
acknowledgment of the debt which custom had decreed that the bride's
family must pay to the bridegroom. In this respect the dos was
precisely analogous to the debt of service which a freedman owed as
an offidum to his patron, and which he acknowledged by the iurata
operarumpromissio. The dos and the operae were both officio, pietatis,
but 1 23 Dig. 3. 44. 2 23 Dig. 3. 59. 3 Rom. RO. I. 163.Dig. 3. 2.
5 Plaut. Trin.; Oic. Quint. it became customary to specify their nature
and their quantity. In the one case this was done by an oath, in
the other by a simple declaration, and in both cases the law gave an
action to protect these anomalous forms of agreement. What kind of
action could be brought on a dotis dictio is not known. Voigt 1 states it
to have been an actio dictae dotis, for which he even gives the
formula, but formula and action are alike purely conjectural. We
can only infer that the dotis dictio was action- able since it
constituted a valid contract. How or when this came to pass we cannot
tell. A further advantage of Danz' theory, and one not mentioned by
him, is that it explains the capacity of the three classes of persons by
whom alone dotis dictio could be performed. (1) The father and male
ascendants of the bride were bound to provide a dos under penalty of
ignominia; the bride, if sui iuris, was bound to contribute to the
support of her husband's household for exactly the same reason; and
a debtor of the bride was bound to carry out her orders with respect to
her assets in his possession, and supposing her whole fortune to have
con- sisted of a debt due to her, it is evident that a dotis dictio
by the debtor was the only way in which this fortune could be settled as
a dos at all. Thus the hypothesis that the dos was a debt morally
due from the father of the bride, or from the bride herself, whenever a
marriage took place, completely explains the curious limitation
with 1 XII Taf. ii. § 123. 2 24 Dig. 3. 1. 8 CICERONE (si veda),
Top. FORM OF D0TI8 DICTIO. 37 regard to the parties who could
perform dotis dictio. The nature of the transaction may then be
summarized as follows : Its form was an oral declaration on the
part of the bride's father or male cognates, of the bride herself,
or of a debtor of the bride, setting forth the nature and amount of the
property which he or she meant to bestow as dowry, and spoken in
the presence of the bridegroom. Land as well as moveables could be
settled in this manner No particular formula is necessary. The
bridegroom might, if he liked, express himself satisfied with the
dos so specified ; but his acceptance does not seem to have been an
essential feature of the proceeding. Most probably he did not have to
speak at all. Its sanction does not appear, though we may be
sure that there was some action to compel perform- ance of the promise.
This action, whatever it may have been, could of course be brought by the
bride's husband against the maker of the dotis dictio. Perhaps in
the earliest times the sanction was a purely religious one.
Art. 6. Now that we have seen the various ways in which a binding
contract could be made in the earliest period of Roman history, we may
con- sider briefly the general characteristics of that primi- tive
contractual system. The first striking point is that all the contracts
hitherto mentioned are unilateral: the promisor alone was bound, and
he was not entitled, in virtue of the contract, to any
counterperformance on the part of the promisee. Gai. Ep. The second point
is that the consent of the parties was not sufficient to bind them. Over
and above that consent the agreement between them was required to
bear the stamp of popular or divine approval. Even in dotis dictio, as we
have just seen, a simple declaration uttered by the promisor was
invested with the force of a contract merely because the substance of
that declaration was a transfer of property approved and required by
public opinion. Thirdly we notice that the intention of the con-
tracting parties was verbally expressed, but that the language employed
was not originally of any impor- tance (except in the one case of
sponsio), provided the intention was clearly conveyed. We must
therefore modify the statement so commonly made that the earliest
known contracts were couched in a particular form of words. For how did
each of these particular forms originate and acquire the shape in
which we afterwards find it ? By having long been used to express
agreements which were binding though their language was informal, and by
having thus gradually obtained a technical significance. Conse-
quently the formal stage was not the earliest stage of Contract. The most
primitive contract of all was not an agreement clothed with a form, but an
agree- ment clothed with the approval of Church or State. Nicola
Codronchi. Keywords: Su i contratti e giochi d’assardo, contratto, tre tipi di
contratto, contratto epistemico, contratto empirico, contratto misto,
concordato puo essere informale o formale. tre tipi di concordi formali
nell’eta regale, il giuramento per giove, il sponsio (il vino come simbolo del
sangue dei vittimi) e il nesso. Il giuramento per Giove e lo sponsio sono ambi
religiosi in natura. Solo il ‘nesso’ e secular – e chiede o necessita la
presenza della comunita come testificatore – e una forma tipicamente romana e
consequentemente piu tard ache le forme religiose che vediamo in altre comuita
arie. Il nesso si manifesta nel templo publico – ara maxima per Ercole – e
invoca la regola del primo re Romolo, contratti bilaterali, forma dialogica, A
esprime la proposizione e B risponde assentendo alla comprehension e
all’accettazione di p. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Codronchi” – The
Swimming-Pool Library. Codronchi.
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