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Thursday, November 28, 2024

GRICE ITALO A/Z C CO

 

Grice e Cocconato: l’implicatura conversazionale --  scuola di Torino – filosofia torinese – filosofia piemontese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino).  Filosofo torinese. Filosofo piemontese. Filosofo italiano. Torino, Piemonte. Grice: “I like Coconato – I used to say that the first task for the historian of Italian philosophy, unless you are a member of La Crusca, is to decide on the surname – I like Cocconato! He spent some time in London, as I did – and he shows that the average Italian philosopher is a nobleman, or vice versa!” – Grice: “Venturi revived Cocconato, as did the re-issuing of his “Moral Discourses”!” -- “Manhood and unbelief” -- Alberto Radicati, conte di Passerano e Cocconato (Torino), filosofo. Libero pensatore, fu il «primo illuminista della penisola», secondo una definizione di Piero Gobetti. Cocconato matura il suo pensiero anti-clericale nel clima dell'anticurialismo sabaudo ben presente in alcuni settori della corte di Vittorio Amedeo II, re di Sardegna. S'ignora tutto della sua prima formazione, verosimilmente affidata a qualche ecclesiastico. Un infelice matrimonio precoce, combinato dalle famiglie, lo coinvolge ventenne, e già due volte padre, in una serie di penosi contrasti il cui significato travalica i conflitti coniugali. Mentre a prendere le parti della moglie si mobilita il partito devoto-clericale, Radicati trova sostegno a corte in chi appoggia il re sabaudo nei suoi conflitti giurisdizionali con la Curia romana.  Il grottesco-ironico racconto della sua «conversion pubblicato a Londra e ripubblicato con il titolo “A Comical and True Account of the Modern Cannibal's Religion” induce a datare intorno agli anni venti il precipitare della crisi della fede cattolica in cui il conte era stato cresciuto. Nell'opuscolo autobiografico presenta la sua personale vicenda come un caso emblematico di «uscita dalla minorità. Narra infatti come, a partire dal contrasto tra santoni bianchi e santoni neri monaci cistercensi e quelli agostinianisui presunti miracoli operati da un'immagine della Vergine, rinvenuta nel convento agostiniano, avesse cominciato a vacillare in lui la fede e come, verso i vent'anni, avesse cominciato anche in campo religioso “a far uso della mia ragione.”Importante per la sua ulteriore maturazione intellettuale è il viaggio compiuto nella Francia della "Reggenza" tin cui poté ampliare il raggio delle sue conoscenze e forse procurarsi testi libertine come La Sagesse di Charron, l'Hexameron rustique di Vayer o il Traité contre la Médisance di Brosse, in cui ricorrono motivi che troveranno eco e sviluppo nelle sue opere. Il suo scritto principaleI discorsi morali, storici e politici redatti su diretto incarico di Vittorio Amedeo II nel mutato clima conseguente alla ratifica del Concordato stipulato tra regno sabaudo e Benedetto XIII diverrà anche la ragione vera del suo esilio. Il conte, che da un riacquisito potere dell'Inquisizione a Torino deve temere per la sua libertà e per la sua stessa incolumità, lascia segretamente il Piemonte per dirigersi a Londra, dovendo poi subire per questa fuga non autorizzata dal sovrano il sequestro e la confisca dei beni.  A Londra pubblica con un discreto successo l'instant book che ricostruisce i retroscena della recente abdicazione di Vittorio Amedeo II mentre, al contempo, lavora alla stesura del più audace e radicale dei suoi scritti, “La Dissertazione filosofica sulla morte,” che, tradotta da JMorgan, uscirà dai torchi londinesi destando un enorme scandalo. Nella Dissertazione, che gli costa anche l'esperienza delle carceri della tollerante Inghilterra di Walpole, propugna il diritto al suicidio e all'eutanasia sullo sfondo di una esplicita filosofia materialistica che scorge nel Deus sive Natura spinoziano-tolandiano il suo unico grandioso orizzonte di senso. Nella sua meditazione sulla morte e sulla liceità del suicidio si inserisce in un dibattito che già Montesquieu aveva rilanciato nelle Lettere Persiane, riprendendo una discussione inaugurata nel Seicento da Donne con il suo Biothanatos. Interessato a proporre un progetto politico che esige come sua prima tappa essenziale una riforma radicale della cristianità occidentale, capace di affrancarla dal giogo clericale- o se si vuole, in termini più neutri dal potere pastorale- la scelta del tema del diritto individuale alla morte non è scelta casuale per quanto la meditazione sul suicidio non sia priva di elementi autobiografici. Le chiese cristiane di ogni confessione ritengono infatti un loro preciso dovere intervenire direttamente nella gestione del trapasso a quella che esse, in base alla loro fede, considerano la vera vita, quella ultraterrena. Del resto non solo il mondo cristiano, lo stesso ebraismo e l'islam, finendo con il recepire come un dogma l'interpretazione agostiniana del suicidio come omicidio di se stessi, per secoli hanno considerato la morte volontaria come il più grave e irreparabile dei peccati, suprema manifestazione di oltranza e ribellione alla volontà divina, mentre le autorità statali, dal canto loro, si distinguevano per la crudeltà inumana con cui trattavano i cadaveri dei suicidi e i beni dei loro eredi.  Se i Discorsi partivano dalla morale ricavata essenzialmente da una lettura pauperistico-comunistica dei Vangeli che faceva di Cristo, al pari di Licurgo, il grande critico dell'istituto familiare, nonché il fondatore di una democrazia perfetta in cui non esiste né il mio, né il tuo»per poi occuparsi di politica e concludersi in concrete proposte riformatrici, nella Dissertazione filosofica fornisce una risposta alla legittimità del suicidio muovendo da una concezione complessiva del mondo e dell'esistenza umana. Nonostante il suo titolo, la Dissertazione filosofica sulla morte non rinnega affatto l'istanza spinoziana che intende la filosofia quale gioiosa meditatio vitae, apertura mentale a una possibile transizione da una condizione di servitù a una condizione di più ampia libertà che è, simultaneamente, incremento della capacità del corpo di comporsi e ricomporsi con altri corpi per realizzare la sua potenza e ampliare la sua capacità di comprendere le cose.  Definisce l'individualità umana a partire dalle relazioni che essa intrattiene con il tutto. Per quanto grandezze infinitesimali noi siamo materia della materia che costituisce l'Universo nella sua indefinita immensità. La certezza che ci resta, quando ci liberiamo dall'ignoranza in cui nasciamo e dagli idola tribus, i pregiudizi con cui siamo allevati, è che noi siamo vicissitudini della materia. La materia a cui pensa tuttavia nel suo esilio londinese e poi olandese non è lo squalificato sostrato inerte che dai greci giunge fino a Cartesio che, limitandosi a identificare materia ed estensione, continua ad aspettarsi dal Dio creatore l'impulso motore e la creazione continua. Come per il Toland delle Lettere a Serena e del Pantheisticon, la materia pensata dal Radicati è la materia actuosa che reingloba nel meccanicismo moderno motivi provenienti dal naturalismo rinascimentale a cui ineriscono direttamente movimento e autoregolazione.  L'universo è un mondo infinito in perpetuo movimento: in esso nulla continua ad essere anche solo per un istante la stessa cosa. Le continue alterazioni, successioni, rivoluzioni e trasmutazioni della materia non incrementano né diminuiscono tuttavia il grande tutto, come nessuna lettera dell'alfabeto si aggiunge o si perde per le infinite combinazioni e trasposizioni di essa in tante diverse parole e linguaggi. La natura, mirabile architetta sa sempre come utilizzare anche il minimo dei suoi atomi. La fine della nostra individualità costituita dalla morte non è quindi fine assoluta, perché niente si annichila nella materia e il principio vitale che ci anima come non è nato con noi troverà sicuramente altre forme di esplicazione: come la nostra nascita non è avvenuta dal nulla, non sarà nel nulla che ci dissolveremo.-- è estranea ogni forma di lirismo e, tuttavia, una concezione non lontana dalla sua rifiorirà in una delle pagine finali di uno dei maggiori romanzi lirici della modernità, nell'Hyperion di Hölderlin che fa dire alla sua eroina, Diotima: “Noi moriamo per vivere: «Oh, certo, i miserabili che non conoscono se non il ciarpame arrabattato dalle loro mani, che sono esclusivamente servi del bisogno e disprezzano il genio e non ti venerano, o fanciullesca vita della natura, a ragione possono temere la morte. Il loro giogo è diventato il loro mondo, non conoscono niente di meglio della loro schiavitù: c'è forse da stupirsi che temano la libertà divina che ci offre la morte? Io no! Io l'ho sentita la vita della natura, più alta di tutti i pensierie anche se diverrò una pianta, sarà poi così grande il danno? Io sarò. Come potrei mai svanire dalla sfera della vita, in cui l'amore eterno che è partecipato a tutti, riunifica le nature? come potrei mai sciogliere il vincolo che riunisce tutti gli esseri?»  Opere Antologia di scritti, in Dal Muratori al Cesarotti. Politici ed economisti del primo Settecento, tomo V, F. Venturi, Milano-Napoli, Ricciardi, Dodici discorsi morali, storici e politici, T. Cavallo, Sestri Levante, Gammarò editori, Dissertazione filosofica sulla morte, T. Cavallo, Pisa, Ets Vite parallele. Maometto e Mosè. Nazareno e Licurgo, T. Cavallo, Sestri Levante, Gammarò editori, Discorsi morali, istorici e politici. Il Nazareno e Licurgo messi in parallelo, introduzione di G. Ricuperati (check); edizione e commento di D. Canestri, Torino, Nino Aragno Editore, Dissertazione filosofica sulla morte, F. Ieva, Indiana, Milano  Piero Gobetti, Risorgimento senza eroi. Studi sul pensiero nel Risorgimento, Torino, anche in Opere completeSpriano, Torino, Einaudi Franco Venturi, Adalberto Radicati di Passerano, Torino, Einaudi,  Franco Venturi, Settecento riformatore, I, Torino, Einaudi,  Silvia Berti, Radicati in Olanda. Nuovi documenti sulla sua conversione e su alcuni suoi manoscritti inediti, in «Rivista Storica Italiana», S. Berti, Radicali ai margini: materialismo, libero pensiero e diritto al suicidio in Radicati di Passerano, in «Rivista Storica Italiana», Israel, Radical Enlightenment. Philosophy and the Making of Modernity Oxford, Cavallo, Introduzione a Radicati, Dissertazione filosofica sulla morte, Pisa, Ets, Cavallo, Le divergenze parallele. Mosè, Maometto, Nazareno e Licurgo: impostori e legislatori nell'opera di Alberto Radicati, introduzione ad A. Radicati, Vite parallele. Maometto e Sosem. Nazareno e Licurgo, Sestri Levante, Gammarò, Vincenzo Sorella, Un partigiano della ragione umana, in «I Quaderni di Muscandia», Tarantino, “Alternative Hierarchies: Manhood and Unbelief in Early Modern Europe, in Governing Masculinities: Regulating Selves and Others in the Early Modern Period, ed. by Broomhall and JGent, Ashgate, Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere, M. Cappitti, Le Vite Parallele di Alberto Radicati su blog.carmillaonline. Se poca fortuna ebbe come uomo politico e consigliere di monarchi, non diversa fu la sua sorte di filosofo; e la sua filosofia che ha a tratti momenti di luce viva e che riuscirono a destare interessi e preoccupazioni persino nelli liberi circoli, giacquero come cose inanimate dopo la sua morte, come se questa le avesse private, come il loro autore, di quello spirito vitale che le fa palpitare. E l'oblio scese su di loro, crudele e inesorabile, facendo perdere la conoscenza di la sua filosofia. Infatti il Saraceno pubblicando il « Manifesto» e le due « Lettere » indirizzate, l'una a Vittorio Amedeo II, l'altra a Carlo Emanuele III e premettendo alla sua edizione alcune notizie di carattere biografico e bibliografico, limita, pur credendo di darne l'elenco completo la sua filosofia a quelli saggi da lui pubblicate e a quell'altre contenute nel Recueil edito a Rotterdam. Cat. del British Museum sotto il nome di Thomas Joseph Morgan, il suo traduttore. Più la “History” edita a Londra. Da quel momento, per quei pochissimi che del nostro s'interessarono, le parole del Saraceno furono vangelo, e la filosofia dimenticata scomparvero definitivamente, come non-esistente, dalla sua bibliografìa. La sensazione iniziale di una possibile lacuna nell’elenco della sua filosofia, divenuta certezza in seguito ad alcune notizie rinvenute nel carteggio diplomatico tra l’inviato piemontese a Londra e la Corte di Torino, in cui era fatta la sua parola, mi determinò alla ricerca di questa filosofia sperduta. Quasi del tutto infruttuose furono le ricerche in Italia -- due sole lettere rinvenni all'Ai-, di Stato di Torino --. Fortunate invece all'estero e precisamente alla Biblioteca Bodleiana di Oxford, al British Museum di Londra, ed alla Staats Preusische Bibliothek di Berlino, dimodoché tenendo conto dei nuovi materiali trovati, la sua filosofia risulta in una elencazione definitive. Manifesto di A. I. R. di P. (Archivio R. di P., Castello di Passerano. Lettera del P. a Vittorio Amedeo II. Memoria rilasciata al Marchese d'Aix. Lettera scritta dal conte A. R. di P. a S. M. il Re Vittorio Amedeo lì inserviente di prefazione ai discorsi da lui compilati e che intendeva dedicare alla prelodata Maestà sua. (Ardi. Stat. di Tor., Storia della Real Casa, Cat. terza, Storie pari). Lettera alla Contes. di S. Sebastiano. Lettera del P. a Vittorio Amedeo II. “Christianity set in a True Light” in “XII Discourses Political and Historical. By a pagan philosopher newly converted” (London. Printed for J. Peele at Lockes Head in Pater-noster-Row; and sold by the Booksellers of London and Westminster). “The History of the Abdication of Victor Amedeus II, Late King of Sardinia with his confinement in the Castle of Rivole, Shewing the real Motives, which indue'd that Prince to resign the Crown in Favour of his Son Charles Emanuel the present King, as also how be came to repent of his Resignation with the secret Reasons that urg’d him to attempt his Restauration. On a letter frorn the Marquis de T... a Piemonlais now at the Court of Poland; to the Count de C. in London. Printed and sold by A. Dodd without, Tempie-Bar; E. Mutt and E. Cooke, at the Royal. Dell'opera n. 9 ne fa recentemente parola il NATALI, Milano. Royal Exchange; and by the Booksellers and Pamphletsellers of London and Westminster. “A phliosophical [sic] dissertation upon death composed for the consolation of the unhappy, by a friend to Truth” (London. Printed for and sold by W. Mears at the Lamb on Ludgate-Hill). Lettera a S. M. il Re Carlo Emanuele III colla quale supplica la prelodata S. M. di voler gradire la dedica della opera da lui composta e già presentata alla fu S. M. il Re Vittorio Amedeo IIC. (Arch. Slato Torino - Storia Real Casa - Cat. Ili - Storie particolari). Twelve discourses concerning Religion and Governement, Inscribed to all lovers of Truth and Liberty by Albert Comte de Passeran, Written by Royal Command, The second Edition” (London, printed for the Booksellers, and at the Pamplet shops in London ad Westminster). Recueuil de pieces curieuses sur les matieres les plus interessantes – Rotterdam, Chez la Veuve Thomas Johnson et Fils - contenente: Dedica a Don Carlos; Factum d'A. R. de P. parce quel on voit les motifs qui l'ont engagé a composer cet ouvrage. Douze Discours Moraux, historiques et politiques, preceduti da una Declaration de l'Auteur, Histoire abregée de la profession sacerdotal, ancienne et moderne a la tres illustre et tres celèbre secte des esprit-forts par un Free-Thinker Chrètien, Nazarenus et Licurgos mis en parallele par Lucius Sempronius neophyte, Epitre à l'Empereur Trayan Auguste, Recit fìdelle et comique de la religion des Cannibales modernes par Zelin Moslem, dans lequel l'auteur declare les motifs qu'il eut de quitter celte abominable Idolatrie, traduit de l'Arabe a Rome par M. Machiavel [sic] imprimeur de la Sacrée congregation de Propaganda fide, con prefazione dell'editore. Projet facile, équitable et modeste, pour rendre utile à la Nation un grand nombre de pauvres enfans, qui lui son maintenant fort à charhe, traduit de l'Anglois. Sermon perché [sic] dans la grande assamblé des Quakers par le fameux frere E. Elwall dit l'Inspirée, traduit de l'Anglois a Londres, au depens de la Compagnie. La religion Muhammedane comparée à la paienne de l'Indostan par Ali-Ebn-Ornar, Moslem epitre a C.inknin, Bramili de Visa - pour traduit de l'Arabe. A Londres au depens de la Compagnie. Notiamo, ora di queste opere le notizie e di caratteri più salienti. È edita dal Saraceno, nell'opera più volte citata. Il testo rimane nella sua grafia del tutto immutato, con le inconstanze di scrittura (et, ed; chino e hanno) caratteristiche del filosofo; alquanto mutata è invece la punteggiatura, e gli alinea, la prima più scorretta nel testo originale, i secondi inesistenti nel MS., che corre tutto di seguito. Questa lettera con la quale comunica a Vittorio Amedeo II il suo desiderio di fargli pervenire la cassetta e di cui abbiamo notizia sia dalla lett. del March. d'Aix, sia dalla risposta del March, del Borgo, che c'informa pure del suo contenuto, per quante ricerche abbia fatte all'Arch. di Stato di Torino, non mi è stata possibile trovarla. Questa Memoria inedita si trova all'Ardi, di Stato di Torino. Fu edita dal Saraceno ed è una copia della lettera originale andata perduta. Delle lettere comprese sotto questi due numeri abbiamo notizia da una lettera del Cav. Ossorio al March. Del Borgo e dalla risposta del Del Borgo. Ma non mi è stato possibile poterle rintracciare. Quest'operetta edita, in un elegante Vili0, dopo due anni di soggiorno in Inghilterra, doveva nella mente dell'Autore essere composta di dodici discorsi. Fu edita invece incompleta contenendo solamente un “Preliminary discourse in wich the Author gives a particular account of his conversion” e il Discourse I, “Of the Precepts and Life of Jesus Clirist”. Al primo di essi corrisponde alquanto mutato nella forma e nell'estensione il Recit, contenuto nel Recueil. Al secondo corrisponde invece esattamente il Discorso I. Cfr. Twelve Discourses riprodotto poi integralmente dal Discours, Des Preceptes et des Mrnurs de Jesus Christ, dei Douze Discours, moreaux ecc.editi nel Becueil „. Ritornando al Preliminary discourse abbiamo detto che questo discorso fu riprodotto nelle sue linee sostanziali dal Recit incluso nel Recueil, ma molte varianti, e alcune di valore capitale sussistono fra i due testi. Accenneremo, qui, da un punto di vista generale, le caratteristiche più salienti dei due testi, e la maggior importanza che può avere, da un punto di vista biografico, l'edizione inglese; e infatti, pur essendo quest'ultima mancante dell'introduzione che troviamo nel testo di Rotterdam. L'imprimeur au lecteur judicieux, e della apocrifa Bolla di Benedetto XtlI, le numerosissime note esplicative, che svelano luoghi, nomi e date, la rendono di una importanza capitale per la ricostruzione della vita del filosofo. Senza questa edizione, corredata di note e di avvertimenti, veramente preziosi, sarebbe stato impossibile, per qualsiasi biografo, fare risultare dal semplice testo le notizie importantissime documentanti la conversione del filosofo al calvinismo. L'assenza di note del Recit e l'espressione più attenuata, in taluni punti, del testo inglese costituiscono i caratteri differenziali fra le due edizioni. I titoli dei discorsi annunciati, ma non editi nellla Christianity sono i seguenti: Discourse II: Of the Doctrine and Manners of the Apostles and Primitive Christians. Discourse III: The Christian Religion to the Religion of Nature itself. Discourse IV: What were the Causes of the Corruption of the Christians. Discourse V. Of the Mischief done to Christianity by the great Number of Churches and Ecclesiasticks. Discours VI. By what Means the Bishop of Rome are become Souvereigns of that Capital of the world. Discourse VII: That neither the spiritual nor temporal power of priests is authorized by the Gospel. Discourse VIII. Of the claims, by which the Papal Monarchy has maintained, continues to maintain and will maintain itself, as long as it can make use of them. Discourse IX. Of the evils caused by priests to sovereigns and their states. Discourse X: Of Natural right: Of the origin ond Nature of Government. Discourse XI: Of Religion in General. That all authority Spiritual as well as Temporal belongs, de jure, to the Sovereign; and how Ecclesiastical Affair should be regulated. Discourse XII: Of the Advantage that will accrue to Sovereigns and States, from the Observance of the Rules. Come si può presumere dai titoli i discorsi mancanti non avrebbero dovuto essere altro che quelli contenuti nei “Twelve Discourses” come di fatto prova il primo discorso contenuto nella Christianity del  tutto analogo al primo di quelli contenut i nei “Twelve Discourses” cosa, del resto, ch e si può rilevar e facilmente confrontando rispettivamente i titoli delle due edizioni, che, pur essendo vi qualche tenue variante di espressione, sintettizzano reciprocamente un analogo contenuto. Copia di questa edizione l'ho trovata soltanto al British Museu m di Londra. Di quest’opera falsamente attribuita al Marchese Trivié o ad un certo Lamberti ma che già il Saraceno ed il Carutti avevan o rivendicat a al filosofo, furono fatte numerosissime edizioni. Citiamo quelle che abbiamo potuto rintracciare e confrontar e con l'edizione inglese che possediamo. Anecdotes de l'abdication du roy de Sardaigne Victor Amédée II, ou l'on trouve les vrais motifs qui ont engagé ce prince a resigner la couronne en faveur de son fils Charles-Emmanuel a présent roi de Sardaigne. Comment il s’en est repenti, avec les raisons et les intrigues secretes qui l'ont porte à entreprendre son rétablissement par le marquis de F*** piemontois, à present à la Gour de Pologne; en forme de lettres écrite au comte de G*** a Londres. S. 1. in Vili. Histoire de l'abdication de Victor Amédé e nel volumetto La politique des deux partis, ou Recueil de pièces traduites de l'anglois de Bolingbroke et des Frère s Walpole (la Haye). Con la stessa intitolazione: Génève contenente una seconda lettera da Ghambery, probabilmente pur essa de filosofo. Histoire de l'abdication de Victor Amédée, roi de Sardaigne, Paris, in 4°, erratament e attribuiti dall'Oettinger ad un Lamberti non meglio identificato. L'Oettinger dà una traduzione tedesca dell’Histoire edita a Francoforte. Histoire de l'abdication de Victor Amédée roi de Sardaigne, et de sa detention au Ghateau de Rivoli. Où l'on voit les veritables motifs qui obligerent ce prince d'abdiquer la couronne en faveur de Charles-Emmanuel, son fils, et ceux qu'il eut ensuite de s'en repentir et de vouloir la reprendre. Lettre écrite au Conte de C*** a Londres, par le marquis de Trivié, qui est à présent à la Gour du roi de Pologne, edita nel " Recueil de pièces qui regardent le gouvernement du royaume d'Angleterre, et qui ont rapport aux affaires présentes de l'Europe, traduit de l'Anglois, la Haye. Histoire de l'abdication de Victor Amédée, roi de Sardaigne, Genève, pure attribuita dall'Oettinger al Lamberti. Cfr. OETTINGER, Bibliographie biographique universale, Paris. Histoire de l'abdication de Victor Amédée roi de Sardaigne etc. de sa detention au Ghateau de Rivoli et des moyens qu'il s'est servi pour remonter sur le trone, à Turiu. De l'impremerie Royal. Anecdotes de l'abdication du Roi de Sardaigne Victor Amédée II,  Anecdotes de l'abdication du Roi de Sardaigne Victor Amédée II. Edita sotto il nome di Marchese di Fleury che il Qnerard ritiene pseudonimo di Marchese di Trivié. Histoire de l'abdication de Victor Amédée Roi de Sardaigne ecc. De sa detention au Ghateau de Rivole, et des moyens dont il s'est servi pour remonter sur le trone. Nouvelle édition sur celle de Turin de 1734-, a Londres, 1782. Non abbiamo creduto necessario per quanto il testo inglese rappresenti il testo originale redatto dal P. di annotare le poche varianti che esistono più di forma che di contenuto. N. 9 di questa operetta, che ho trovato solamente al British Museum, catalogata sotto il nome di Thomas Morgan (l'indicazione della bibliografia del B. M. è: " A philosophical dissertation upon Death - Composed for the consolation of the Unhappy (By A. Badicati Count di Passerano translated or edited by John, or rather Thomas Morgan? era data notizia tanto dal Cav. Ossorio, che ne espone in brevissime righe il contenuto e ci avverte che fu causa di prigionia per l'autore e il traduttore, quanto dal Lilienthals, dal Kahl e dall'Henke (1). Completamente dimenticata dai più recenti studiosi del R. compare citata dal Natali senza indicazione nè di data nè di luogo di stampa. Secondo quanto afferma l'Ossorio, l'operetta stesa in lingua italiana dal R. sarebbe stata tradotta da " un de ses compagnons „ " en bon Anglois „ e sotto il nome di questo traduttore, che si seppe più tardi essere, Thomas Morgan essa andò per alcun tempo. N. 10 fu edita dal Saraceno ed è una copia della lettera originale andata smarrita. La scoperta di questa nuova edizione, ricordata in alcune opere Cfr. HENKE, op. cit. loco cit. LILIENTHALS, op. cit. loco cit. FREYTAG, op. cit. loco cit. VOGT, op. cit. loco cit. BAUER: op. cit. loco cit., WAHIUS, op. cit. loco cit. Cfr. NATALI: II settecento. Ove però compare come semplice elencazione bibliografica, senza indicazione nè di luogo di stampa, nè di data. quasi contemporanee, fa cadere l'affermazione che i " Discours „ siano stati stampati per la prima volta a Rotterdam nel " Recueil „, e che quindi sino al 1736 i " Discours „ medesimi siano rimasti manoscritti nelle mani del R. Risulta invece, (poiché posto che esista la primissima introvabile edizione in tutti i casi non la possiamo ammettere edita prima per le ragioni stesse che giustificano l'edizione) che il nostro si decise a dare alle stampe i " Discours „ dopo aver visto che non sarebbe mai riuscito a dedicarli a C. E. (3), e che di conseguenza dallo stampare o no quanto aveva inviato a V. A. non sarebbe più dipesa la possibilità di ritornare o meno in Piemonte. Comparve in tal modo l'edizione inglese dei " Discours „, la quale messa in confronto con quella di Rotterdam ha dato i seguenti risultati: Mancano nell'edizione inglese la " Dedica „ a Don Carlos (sedizione Rotterdam) e il " Factum „ fonte di preziose notizie biografiche (edizione Rotterdam da pag. 1 a pag. 10). mentre che la Declaration de Vauteur „ contenente i motivi che hanno spinto alla compilazione dell'opera, e i criteri seguiti nel suo svolgimento, che nell'edizione londinese occupa dieci pagine (V-XV) e che sotto riproduciamo è ridotta nell'ediz. di Rot. ad una pagina e un terzo. THE AUTHOR' S DECLARATION. Tho' prefaces are quite out of fashion, I yet hope the benevolent reader will forgive me for making a short declaration concerning the publication of this work, as follows. BAUMGARTEN: Narichten von einer Ilallischen Bibliothec, ENGEL: Bibliotheca selectissima seu catalogus librorum omni scientiarum genere rarissimorum - BERNAE, TRINIUS: Freydenken Lexicon. - Leipzig, und Bemberg, Erster Zugabe zu Freydenken Lexicon. MASCH I Beilriige zur Geschichte merkwiirdiger Biicher, Wismar, SCHROCK: Cristliche Kirchengeschichte seil deiReformation - Leipzig  SCHLEGELS: Kirchengeschichte des 18 Jahrunderts, Heidelberg. Il RENOUR D nel suo " Catalogne d'un Amateur  citato dal QUERARD. Les supercheries litteraires dévoillés, Paris, sotto il nome Ali-Ebn-Omar-Moslen) afferma parlando del P: Il n'existe de son Recueil que deux exemplaires sur grand papier, celui de la Bibliotheque du Roi, et le mien „ Di questa edizione, probabilmente in foglio o in 4° grande, (" sur grand papier „) non siamo però riusciti ad averne traccia nè notizia alcuna. Infatti la lettera indirizzata dal P. a CARLO EMMANUEI.E rimase senza risposta. Cfr. lettera, cit. In primis & ante omnia. I do declare that this Work was written at the Command of a great PRINCE, who would be plainly inform'd of all the matters contain'd in it: and as that PRINCE was then reputed to be one of the greatest Politicians of his Age, I was oblig'd to proportionate my Labour to his profound Capacity. So that if I have reveal'd some Religious or Civil Mystery, which had generally been conceal'd, I have methink given a suffìcient Reason for it: However, I have alter'd some Passages and soften'd some Expressions, to make them more intelligible and more agreeable to the Reader. I do solemnly declare, that in all this Work I had nothing in view but Truth, Equity, or Justice: In a word, the Good of Mankind in general; and I flatter my self that all who shall peruse it with candour, shall be convinced of the Rectitude of my Intentions. I do declare, that I have kept dos e throughout this Work to the Doctrine and Morality of our Saviour, occording to the best of my knowledge; and I hope I have not advanc'd anything without good authorities. I do protest before GOD and Men, that whatever is said in this Work concerning the Church or Clergy is to be understood of the Popish Church and Clergy only (who really have long since abandon'd and despis'd the most sacred Precepst of our Blessed LAWGIVER) and not of any other church whatsoever; whose Clergy and Prelates being very humble, vastly charitable, pious, and such utter Enemies to Grandeur and Riches; may justly be stiled the true and only Imitators of Crist's Disciples, and of those primitive good Prelates instituted by the Apostles. (*) See the 54th page of this Book, and you will fìnd what their duty was, and with what Qualities they were endued. Item. I do declare, that I have not her e opposed the superstitious Tenets of the Popish Church; for this has been so often done ever since the Reformation, and by so many Learned Divines, that it would be vain to attempt it. Besides, Popish Princes little regard at this time wha t is said against Transubstantiation, Purgatory, Confession, Invocation of Saints, and such like; as  things, which ways affect their temporal Interest: so, whethe r these opinions are well or ill-grounded; whethe r they spring from Heaven, or from Huma n Malice, 'tis no matter. But wer e they to know how prejudicial the Popish Religion is to their AUTHORITY, and to the WELFARE of their several Countries; they then would undoubtedly think upon the proper Expedients to preserve themselves and their Subjects from Ruin; and this is wha t I have endeavour'd (pag. XI ) to make evident in the ensuing Work. I tlierefore hope it will prove very beneficiai to such Princes, and even be of some service to this Country, particularly at this time, whe n " the Emissaries of Popery (as a worthy Divine (*) has observed) have increased their Diligence in gaining Proselytes, and are now more industriously employ'd in every Corner of our Metropolis than ha s been any time known in the present Age „. (*) Dr. Clarke' s Sermons, pag. 18,  LASTLY, ] declare that I have made use of ali the Reason and Understanding 1 ara master of, to discover (pag. XII ) the TRUTH S contained in the sacred Writings, so hidden and involv'd in Mysteries; in order that by them TRUTH S I might procure my own Happiness and that of others. I presume I have found them, and for that reason 1 now publish them. But if I have unluckily fallen into any involuntary Error, as I know myself not to be infallible. I earnestly entreat ali the orthodox and eminent Divines of this happy Kingdom, to poiat them out to me, and to convince my Reason by Reason itself, that I may both retract and avoid them. (pag. XIII ) And I farther beg of our SPIRITUAL DIRECTORS that in case they, f'avour me with this salutary Advice, to do it not with Passion and Bitterness, but LAWGiVER ha s expressly commend (*). For nothing is paser, worlliy, and more scandalous; nay, mor e contrary to the very Principles of the Christian Religion, tlian to rad, calumniate, to load with odious Appellations, and persecute those who labour Day and Night to find out the TRUTH, buried as it is in the dark Abvss of Errors and Superstitions. (*) Matth, XVtlI, 21, ete. AFTER having made this plain Declaration, as I know myself to be wholly destituted of Freinds; I hope that the ALIGHTY GOD, whose Powe r is above ali Huma n Artifice and Malice, will protect me against those, that will certainly promote my Destruction, for having openly espoused the Cause of TRUTH and EQUITY. Il Discorso I (Ediz. lond. pag. 1-13; Ediz. Rot. pag. 15-26 ) è integralmente riprodotto nella edizione olandese: uniche varianti sono le seguenti: Pag. 2 - in not a Collins è qualificato: 0  great and goodman „ attribut i c h e mancan o nell'Ediz. .  - manc a la not a sul ministr o Jurie u ch e si trov a a pag. 2 4 dell'Edizion e di Rotterdam. Il Discors o II (Ediz. lond. pag. 14-25; Ediz. Rot.) è pur e ess o integralment e riprodotto. Unich e varianti: pag. 21 - in not a su Bayl e (cfr. pag. 3 5 ediz. di Bot.) è aggiunt o " and 1 shall not be tought in the vrong for vanking him withe Heliogabalus „. nota, dop o le parol e " universally observed „ " généralement observées „ ediz. Rot.) ch e no n si trov a nell'edizion e del 1736: " I say universally observed: for wer e there a Society or Republic, however great it might be, that should be inclined to observe the Laws of Gbrist, it would be obliged for their own preservation, to lay aside the laws of Christ, or suffer themselves to be destroyed by following them. - In a word, a Society of true Christians, wer e they as numerous as the whole Empire of China, could no more make head against a single Infide], who had a mind to plunder them, than a hundred thousand Rabbits could make head against a hungry  Lion, that should fall in among them. But if ali Men, without exception, were good Christians, it is most sure they would be exceding happy. For, being without Ambition, Envy and Revenge, nothing would be capable of di sturbing Iheir Quiet - Here on Gonsult - Bayle's Pensées diverses chap. 141 - continuation des Pensées - Ghap.  „. Il Discorso III (Ediz. lond.; Ediz. Rot. pag. 38-60) ò invece del tutto diverso - Cfr. quindi il medesimo riportato in Appendice. Il Discorso IV (Ediz. lond.; Ediz. Rot.) è quasi del tutto riprodotto integralmente; però da pag. 63 (dopo le parole " le gouvernement de leur Eepublique „,  dell'ediz. di Rot.) il testo prosegue con 2 pagine in più che qui appresso riproduciamo. But they wer e never practised, for, if we carni fully examine the Epistles of the Apostles, we shall find that in effect they ali agreed in acknowledging that the Christian Religion wa s the best, but differed excedingly as to the Principles of it For, Paul proposing to persuade Christians of the Trut h of that Religion, and shew them wherein it consisted, says expressly, and in so many words, that we ar e " not to boast of our good works, but of Faith alone in Jesus Ghrist, for that good works ncither justify, nor save; but to him, saith he, that worketh not, but believeth on him that justifieth the ungodly, his Faith is counted for Righteousness (**) and shall save him „. James, on the other hand, in a few words summing up the Essentials of Religion, and not amusing himself with vain disputes, as Paul did, tells us; that " Faith without good woorks will neither justify, nor save „; and gives us to' understand that " good works will save us independent of Faith”This Doctrine is highly just and reasonable, and more orthodox than Paul's. For wha t avails it for a man to bellieve that Ghrist dieci to save him, so long as he is cruel, covetous, revengful, and i*) Rom. IV. 5.James II, etc. (***) Rom III. 26, 27, 28. See also Gal lì. 16 {pag. 64) proud? were he not better without that Belief, but good, charitable, and humble? it is much better for a man to be a Christian in practice without speculation, than to be a Christian in speculation, without the practice; that is, it wer e better being a Savage, who. tho' without any Religion, stili practised the duties of a true Christian, who is resolved absolutely to obey none of the precepts of his Religion, tlio' he firmly believes in its mysterles. This notion, so agreeable to the Justice and Wisdom of God, and Intentions of Ghrist, would be of great advantage to Society, wer e it put in practice. Now it is indisputable that the Apostles, by building Religion upon various. and different foundations bave caused an infinite numbe r of Quarrels and Schisms to spring up in the Christian Gommon-wealth, by whieh it ha s been,  and will ever be tome asunder most assuredly, if it does not lay aside the mysterious, or incomprehensible speeulations of Divinity, and frx wholly to those most holy and simple Tenets, which Christ hath taught us, and are very easy to be observed, being the same as those of Nature, as he himself has told us, saying: " Come unto me, ali ye that labour, and are heavy laden, and I will give you Rest (*). Take my yoke upon you, and learn of me, for I am meek, and lowly in heart, and ye shall find rest unto (pag. 65) your Souls. For my yoke is easy, and my burden is light„, and not grievous and insupportable, like that of cruel and ambitious men. (*) Mat. Xt. 28, 29, 30. Il Discorso V (Ediz. lond. pag. 73-92; Ediz. Rot.) è riprodotto integralmente. Notiamo soltanto che a pag. 80, in nota su S. Cipriano dopo la parola " aucupari „, il testo segue: " Non in Sacerdotibus Religio Devota, non Ministris fides integra, non in operibns misericordia, non in moribus disciplina; sed ad decipienda corda simplicium callide fraudes, circumveniendis fratribus subdolae voluntates - Cyprian de Lapsis „, mentre è mutilo alla medesima parola “aucupari” nella Edizione di Rotterdam. Il Discorso VI (Ediz. lond. pag. 93-124; Ediz. Rot.) è riprodotto nell'Edizione Olandese fedelmente. Il Discorso VII (Ediz. lond. ppg. 125-144; Ediz. Rot.) è riprodotto quasi del tutto integralmente. Uniche varianti sono: Pag. 129 nota (dopo le parole " alors soni fausses „ pag. 128 Ediz. Rot.): " See what Bayle Says in his Pensées diverses, eh. 49, et Contin. des Pensées diverses eh. 47. in arder to shew how ridiculous it is lo enquire whant a thind is, before we have examined whether it really exist „. Pag. 138 manca la nota della pag. 136 ediz. Rot. la parola “religion” è tradotta nelle due ultime righe di pag. 139 dell'Edizione Rot. con " Superstition „. Il Discorso Vili (Ediz. lond. pag. 145-164; Ediz. Rot.) è riprodotto nell'Ediz. Olandese fedelmente. Il Discorso IX (Ediz. lond. pag. 165-188; Ediz. Rot) è riprodotto quasi del tutto integralmente. Uniche varianti sono: Pag. 166 manca la nota Ediz. Rot. Pag. 186 manca la nota " cependant ces Emissaires „ di pag. 180 81 dell'Ediz. Rot. Il Discorso X (Ediz. lond.; Ediz. Rot.) ha subito una restrizione nelle pagine 189 a 200 ridotte nell'Ediz. Olandese a sole cinque; riproduciamo qui di seguito il testo inglese. By natural right (ius naturale), I mean the faculty given by nature to each individual, whereby each of them is forced or determined to act, according as he finds it necessary for the preservation of his own being. All animals are forced by nature to eat, drink, sleep, etc. Therefore it follows, that they eat, drink, and sleep of natural and absolute right, when they stand in need of them. In the same manner, fish being by nature determined to swim, and the greater to devour the smaller, consequently they enjoy water by natural right, and the greater by the same right devour the smaller. Thus, birds are determined by nature to fly, and by consequence possess the air by natural right, and birds of prey by the same right feed upon the tame. For it is most certain that Nature considered in the general, has an unlimited right over every part of herself: that is, this right extends as far as her power extends, so that every thing that she can do is lawful for her to do. For the power of nature is the very same as that of God, whose right is eternal, and consequently unalterable. Now as the power of nature is the same with that of every individual who make up that Nature, without exception, it follows, that the right of no one is limited, but extends as far as the strength and industry that nature has bestowed on them; and as it is a general law for all beings, that each of them in particular shall perpetuate his kind, as far as lies in his power, without regarding anything save his own preservation. it follows, that the natural right of every indivual is, to subsist and act to that end according to the power which nature has given him. In this state man is not to be distinguished from the rest of natural beings, no more than the words, reason, or wisdom, and folly; virtue, and vice; honest, and dishonest, just and unjust are, etc. Wherefore there is no difference between the wise and the foolish, the virtuous and vicious; for every individual has a right to act according to the laws of his constitution or organization. that is, according as he is determined by nature to such and such a thing, without being able to act otherwise. So that considering man under the empire of nature, as unacquainted with what philosophers call reason, or virtue; and not having acquired a habit of either, they have, I say, as much right to life in pursuing the dictates of their appetite, as they have that live according to the laws of reason, virtue, and justice, with which they have conneted their ideas. That is, that, as he who is called wise in society has a right to do any thing that is dictaded to him by reason, and to live according to the light of it; so the ignorant and foolish man in the state of nature has a right to every thing his appetite suggests, and to live according to its dictates. For, according to the apostle’s opinion before the law, or in the natural state of man, no man could sin. Rom.  It is not then the business of that reason, or justice, to regulate the right of nature, but of the desire or strength of every individual. For, so far is nature from determining us to live according to the law and rules of this reason, that, on the contrary, notwithstanding education, and the penalties appointed in order to natural impulses. Such is the power of nature. New as we are obliged, as far as in us lies, to preserve our natural being, so we cannot do it but by acting in obedience to the laws of appetite, since nature denies us the actual use of that reason, and none of us are more obliged to live according to the rules of good sense, introduced among us by the civilised part of mankind, than an ant is to live according to the nature of an elephant. From whence it follows that, in the state of mere nature, we have a lawful right (ius iudicatum) to all things whatever without exception, because nature has given all to every man, and may use it without a crime, if we can get it, whether by force, or cunning, by entreaties, or threats, so far as to look any one as enemy, who hinders, or endeavours to hinder us from satisfying our appetite. Therefore, by natural right, an animal may wish for whatever he pleases, and do whatever is in his power to support his own individual, or satisfy his inclination. However we are not to imagine that so unlimited a liberty can produce any great disorder amongst animals of the same kind, as many have thought, because nature has previded them necessaries in abundance; upon which foot, they can have none, no, not thel esst dissension among them, as I have Lions, Wolves with Wolves. Foxes with Foxes, Eagles with Eagles, and so all other species who are in the state of nature. It is to be owned indeed that *discord*, not con-cord, envy, and an implacable hatred reign between one species and another. And this would in reality be a great defect and imperfection in nature, if her wisdom consisted in making an animal happy for ever. For, upon such a supposition, the pidgeon would have reason to complain of nature for not bestowing upon him a sufficient strength to defend himself against the eagle. A hare mìght make the same complaint as to a wolf; and he again as to the lion. But each complaint would be unjust. For, Nature granted an animal his life but for a certain limited time, which is an effect of her infinite goodness, to the end that every being may succeed one another, and enjoy her benefits. Which could never be, if an animal, once alive, were to be immortal. Therefore, since he must necessarily die to make room for another, it imports little whether he dies in this or that manner. Nay more, I insist that a pidgeon that is the eagle's prey, and the wolf that is the lion’s, are happier than the eagle or lion that have devoured them. For his death is sudden, and his pain short, whereas the Eagle and Lion, languish and suffer long before they die, if they die a natural death. Besides, a Lion or an Eagle may at his death complain of nature's injustice, by making him the prey of innumerable and invisihle animals, that lodge in their bones, and throughout their whole bodies, which  feeding upon the best and finest substance in their blood, and wasting alt llieir animal spirit, kill him without mercy. For, those invisible animals that kill not only a lion, but a man too, and every beast that dies of a natural death has no more thought of the mischief they do in feeding upon their blood, than a lion or a man when he kills another animals for food without mercy, they having ali a power to do so by an absolute and natural right. An animal therefore, far from complaining, tough constantly to thank Nature for her infinite justice and goodnes to him, in giving them a limited life only. For, had she created him immortal, she had shewed herself exceeding cruel; considering we are all assured there is no condition of life, however happy, but what at last grows rneasy and burthensom. As we see by those, who having passed most of their time in the polite world, are desirous of retiring, and leading a private life in the country; so he that lives in solitude, often longs for the pleasures of the world; and lastly, he that has long enjoyed bolli, grows tired and out of humour with them, and wishes for a new life thro' death. Now since an animal is tired of life, he may be perpetually diversifying his pleasure, considering the short date of his life; what would it be, were they to live for ever, without ever varying the pleasures they (See the account of the Strulbrugs in Gulliver's Travels) had tasted in the first fifty years of life? Nay, how justly might not they complain, who drag an uneasy languishiug life from the infirmities to which they are subjects, or who perpetually groan under the yoke of another animal, who makes himself no uneasiness in making him miserable, in order to gratifiy his appetite? Every animal therefore ought to look upon death as the most signal blessing he has received from the hands of Nature, and as the effect of her incomparable wisdom; Death putting an end to their pain, aud making them equal with his tyrant. What I have been now saying ought to surprise no man, since Nature is not confined within the bounds of reason, or the instinct of an animal; for the word Nature, of which an animal is but as so much a small point, means an infìnity of other things that relate to an eternal order, and that inviolable law, which gives being, life, and motion to all things. So that what seems ridiculous, unjust, or wicked to an animal, and above all to a man, appears such only because we know things but in part, and because we cannot have an exact idea of the ties and relations of nature, we not comprehending the immense extent of her wisdom and power. Whence it preceeds, that what reason sets before us as an evil, is far from it in regard to the order and laws of universal nature, but only in regard to those of our own. This supreme natural right, which every animal enjoy, exclude not moral good and evil, which is really to be found in the state of nature. I call “morally good” any action of an animal tending to the preservation and propagation of his own individual or his species, for he is then performing their duty, by aiming at the end, proposed by Nature in their Greation. On the contrary, I cali moral evil ali those actions of Animals, that are either in the whole, or in part contrary to those notions, or sensations that Nature has implanted in each of them, that they may perceive and know what is proper for their subsistance, and for perpetuating their Species as far as in them lies. Allwise Nature, the tender mother of ali Animals, not satisfied with impressing on their mind those notions, has always affixed a proporlional recompense to moral good, and a like punishment to moral evil, to the end that ali Animals may chuse the one, and avoid the other with pleasure. Not that she had any occasion to setlle such rewards and punishment in order lo be obeyed; for, as she is Almighty, she well knew she should be obeyed, as she is in fact by ali except one Species, which is Man. And it was for them se appointed them, because knowing they had several cavities in their brains fdled with animai spirits, which by a high fermentalion would so heat their imagination, as to make them fall into a sort of madness, on Delirium. Nature, I say, to bring them back from their wandring, has thought lil severely to punisti them, whenever they swerve from their duty and act agreeably to the false notions with whict that madnes inspires them, which notions tend to the destruction of their own individuai, and to make their Species unhappy. I will explain my self. It is well known, that ali Animals, except Man, act according to the notions infused into them by Nature, commonly called Instinct, for instance, knows its proper food, and the actions to be performed in order to live in health, and perpetuate its Species. Consequently to these notions it acts, by chusing at first such places as are agreable to it: some live in Marchs, some in the Fields, some in the Plains, and others on Hills; some swim, other crawl, and in short, some, called amphibious, live bo!h on Land, and in Water. Ali these Animals perceive what they are to do in order to subsist Wherefore they eat, drink, and make use of their females, when they have occasion; mor did, or do, any one of them ever force itself to eat, or drilli or enjoy its females, when it was satisfied; nor did ever any of them ever voluntarily refuse to eat, drink, or make use of their females, whenever Nature required it; thus by denying themselves nothing necessary, and by never forcing themselves to do what is beyond their strength, they lead a healthy and a happy life. But this is not the case of Mankind. For, tho' they pretend to a greater share of wisdom and reason than other Animals, their actions shew they have less than the rest of them; some thro' excessive folly eating and drinking when they are neither hungry, nor dry, so far as lo bring distemper upon  and kill Ihemselves; and forcing themselves upon venereal pleasure when they are exhausted, is so much as to destroy themselves: Others from a contrary madness, denying themselves meat, and drink, and the enjoyment o' Women, and dragging a miserable life, consume and pine away. Thus by not allowing Nature what she absolutely requires, or forcing her beyond her strength, they are guilty of real moral evil, from whence the Physical takes its rise, which cruelly torments them their whole life time. Anolher madness, to which Mankind are subject, is Avarice, which puts Men upon perpetually heaping up riches, without making any use of them, for fear of wanting; so that the Miser not only makes himself miserable, but greatly contributes to the misery of others. There is stili another kind of madness, called ambition, that lords it over Man, which puts most Men upon depriving themselves of what is really necessary to life, for Ghimeras, that are entirely useless and superfluous to them. The ili effects of this last folly have not stopped there, but produced the greatest disorders amongst Men, and made theme more unhappy than alt other Animals. For, it has happened, that some of them thinlcing themselves better than others, have endeavoured to get above them, appropriate to themselves what belonged to the rest by Naturai right, and make their companions their slaves. which by the opposition they have found, has occasioned tumults, and civil Wars. These different Phrensies that have taken possession of the minds of Men, and that have in ali times scattered trouble and confusion amongst the race of Men, have from time to time obliged wise Men (who made use of their reason in order to preserve themselves from falling into that sad and terrible Delirium to which they were liable) to admonish the rest with a view of reclaiming them from their errore; and those admonitions had sometimes so good an effect, that a whole Nation perceiving anddetecting their Frenzy, voluntary submitted to the decisions of those wise Men, and each Man, renouncing and disclaiming his naturai right, promised obedience to them, upon condition that they on their side should always endeavour to make that Nalion happy. This was the rise and formation of Aristocratical Government.  (Ecliz.) il test o corrispond e esattament e nelle du e edizioni; salvo le lievi differenz a qui sott o notate.  - i puntin i di quest a edizione son o son o sostituiti nell'edizione olandes e " le coeur de Nobles en àrbitraire ou absolu „. Pag. 22 3: mancano le ultime due righe del testo di pag. 20 6 ediz. Rol. 11 Discorso (Ediz. lond.; Ediz. Rot.) Titolo: "Wherein it is proveci that religion was introduced into Society by legislatore, in order to give a sanction to their laivs; and that consequenty ali sacred and civil authority belong de jure to the Prince „.  Le pagine 224 e 236 costituiscono, in confronto dell'edizione olandese, una parte del tutto nuova, e corrispondente alla prima parte del titolo, che difatli non si trova nell'Ediz. Rot. Diamo un breve riassunto di queste pagine, che non parve necessario trascrivere integralmente. Il R. così comincia: My design then in this Discourse is to make Princes sensible that Religion was institued by legislators, in order to give strength and credit to their Laws, and that Sovereign Princes, having the administration of civil Laws, ought by consequence too have that of Religion; and thereby 1 propose tvvo benefits. Tho first to Princes, by joining the sacred and civil authority in one, and the second, to the People, by rescuing the from the Tiranny of Priests. This then is what the most celebrated Historians teli us concerning the Establishment of Religions „. A dimostrazione di questa tesi, l'intera pagina è dedicata ad una di citazione Diodoro Siculo, libr. I pag. 49, Ediz. Han.; l'inter pag. 227 ad una citazione di Strabone, Geograph. libr. 16 pag. 524, ecc.; indi dicendo di non voler citare anche Plutarco, Polibio, Erodoto e Livio, il R. procede a citare " a Zaeloux and Leavned Jew „ cioè Flav. Joseph, contra Appion. libr. 2, pag. 1071 - Edit. 1634, in fol., e " a very candid popish Priest „ (pag. 230-235) è cioè Gharron, of Widson, book 2 eh. 5. In nota a pag. 235, così meglio identifica il Gharron: " Ile was Canon and Master of the School of the Church of Bordeaux - He lived in Montagne's time, and ivas his intimate freind - See Bayle's Did. Artide, Charron „. E con tutte queste citazioni la dimostrazione è raggiunta: " Wherefore 1 may be allowed to say without any impietg, that lleligion might be subject to the Prince, to Religion „. Dopo di che da pag. 236 a 248 continua con la seconda parte, che corrisposde all'intero Disc. XI dell'Ediz. Rot. Unica differenza è che la nota a pag. " See in the life of Peter, late Czar of Moscow how be wisely reduced the high Priest's exorbitant authority io his own power „ è estesa nel testo a pag. 211 dell'Ediz. di Rotterdam. " Enfin chacun fait toutes les autres nouveautéz „. Il Discorso  Ediz. lond.; Ediz. Rot.) è riprodotto integralmente, ed unica differenza è data dalla mancanza a pag. 259 della esistente nell'Ediz. di Rot. a pag. 228. N. 12: Abbiamo già parlato a proposito del N. 11 degli scritti " a-b-c „ contenuti nel " Recueil „ ed a proposito del N. 7 dello scritto " f „ ed abbiamo notato come la loro prima comparsa, eccettuato per il " b „, sia avvenuta in lingua inglese, e quali cambiamenti abbiano subito nella loro ultima redazione francese.  Notiamo invece per le operette " d „, " e „ che il testo dato dal " Recueil „ deve presumibilmente essere l'unico lasciato dal P.; nè infatti abbiamo trovato di esse ediz. inglesi, anteriori o posteriori al 1736, nè elementi o prove che suffraghino questa possibilità; potrebbe essere presumibile che queste operette scritte dal R. ancora in Inghilterra e forse già pronte per essere tradotte, siano rimaste a noi nel loro testo originale per la fuga del P. in Olanda, oppure che compossle in Olanda, non avendo più possibilità di trovare un traduttore, le abbia conservate e poi edite nella loro lingua originale. Lo scritto " g „ è la traduzione dell'operetta analoga dello Svvift: " A modest proposai for preventnig the children of poor people in Ireland from beìng a burden to their parents or country, and for making them beneficiai io the publick „ (1). Non esiste tra le due edizioni alcuna differenza, che possano mutare lo spirito del testo originale le due uniche varianti che abbiamo notato sono; l'introduzione del " Recueil „ della parole: " Gastigat ridendo mores „ immediatamente dopo il titolo, e omesso dall'originale; e la sostitutuzione della parola " Spain „ del testo inglese, con la parola " Rome „ della versione del R. Fu fatta nel 1749 a Londra una ristampa di tutto il N. 12 (" Recueil de pieces curieuses sur le matieres les plus interessantes par A. R. comte d. P. a Londre) ma dall'esame di questa nuova ediz. posseduta dalla Bib. Querini-Stampalia di Venezia, è risultata l'identità, persino negli errori di stampa coll'ediz. di Rotterdam. N. 13-14 formano nell'Ediz. originale un volume solo, senza titolo generale, con pagine numerate progressivamente (da 1 a 47 il testo n. 13, da 49 a 104 il testo n. 14). L'attribuzione di paternità al R. del primo di questi opuscoli, e convalidata non solo da quanto afferma il " Dictionary of National Uography „ edito dal Leslie Stephen, il Querard ed il Barbier, ma dalla rispondenza che questo opuscolo ha con il Discorso III dei " Twelve discours „. Notiamo le principali variati: Pag. 2: " peché originai „ manca la nota del testo ing. Pag. 4-, nota 2: manca la cit. del testo ingl.; pag. 5, nota 1 e 3: manca il (1) Cfr. op. cit. in: The Works of Swift, London. (2) Cfr. Dictionary of national biography, edited by LESLIE STEPHEN, sotto 'Elicali.’ Cfr. QUERAR D op. cit. Col. 1231, T III. Cfr. BARBIER: Dictionaire des onorages anonymes et pseudonymes, Paris.  commento e la cit. del testo ingl.; pag. 8, nota. 1, mancal a cit. del testo ingl.; pag. 10: " vòtre pere celeste „ manca la nota del testo ingl.; pag. 11, nota 2: manca la nota del testo ingl.; pag. 12 nota 1: manca il lungo commento del testo ingl.; pag. 17 " ces Docteurs „ il testo ingl. ha “our Priest” e nota 2: manca la cit. e il comrn. del testo ingl.; pag. 18 " vous dis-je mes Frères „ manca nel testo ingl.; pag. 19 nota 1: manca la cit, del testo ingl.; pag. 21 nota 2: manca la spiegaz. esistente nel testo ingl.; pag. 22: "et comment auroit-il mieux „ manca la nota del testo ingl.;: " Amerique „ manca la nota del testo ingl.; pag. 27 e 28 sino ad: " Enfiti temoin... „ mancano nel testo ingl.; pag. 32, nota 2: manca il lungo coni, del testo ingl.; pag. 24 nota 2; manca la citaz. del testo ingl.; pag. 35: " les hommes hereux „ manca nel testo ingl. la nota corrispondente; pag. 38 dopo le parole "... leur dependence „ manca quasi l'intera pagina 47 del testo ingl.; pag. 40: " mes cheres Frères „ manca nel testo ingl.; pag. 4 nota 2: differisce dalla rispondente nel testo ingl.;: l'ultimo periodo (“l'esprit... vrais Quakers”) manca nel testo ingl. In merito al N. 14 l'attribuzione di esso al R., è affermata dal Querard (1) e dal Barbier (2) che svolgono lo pseudonimo Ali-EbnOmar con il nome del R., è confermata dal fatto che a pag. 100 dell'operetta in una nota l'autore citando se stesso rinvia al " Discorso Ili „ dei “Twelve Discourse” e tale attribuizione, per ambedue, N. 13 e 14, sostengono pure lo Henke, il Lihienlhals, il Freytag (3). Anzi a proposito di quest'ultimo che viene ad affermare che spesse volte l'opera n. 13 viene seguita dalla n. 14 con un seguirsi di pagine progressivamente numerate (tale è l'ediz. da noi esaminata), come facenti parli del " Recueil „ edito a Londra e Rotterdam nel 1736, facciamo rilevare come ciò non risponda a verità. A parte la confusione dell'ediz. londinese del “Recueil” con l'ediz. Olandese, tanto nell'una che nell'altra non troviamo stampate le operette di cui si tratta, nè infatti potevano essere incluse nell'ediz. del 1736 essendo venute alla luce la prima volta nè nell'ediz. del 1749, che riproduce esattamente la precedente, nè possiamo considerare questa ediz. dell'operette, che abbiamo esaminata, come stralciata dal volume del 0  Recueil „ stante la appariscente diversità dei caratteri di stampa. Come mai esse siano state edite a Londra, mentre già da quattro anni almeno si trovava in Olanda, non siamo in grado di dire: forse trovate fra le sue dopo la sua morte e fatte stampare da qualche suo amico nella capitale inglese? e allora non perchè a Rotterdam dove era già uscito per i tipi della Ved. Johnson il “Recueil” più volte citato? Sono questi tutti interrogativi che ci poniamo senza avere la possibilità di potere rispondere, per mancanza di documenti che giustifichino una ragione piuttosto che un'altra; e questa è un'altra lacuna nella perfetta conoscenza della vita del R. Cocconato.  [H] Desideri:  fenomenologia degenerativa e strategie di controllo 1. I/epithymia nella fenomenologia degenerativa   Il processo degenerativo che dal nobile desiderio per il sa-  pere del filosofo giunge infine alla liberazione e soddisfazione  dei più feroci desideri attuata dal tiranno è innescato, da una  prospettiva psicodinamica, dall'adozione di particolari moda-  lità repressive. Queste, e più in generale le strategie paradig-  matiche di controllo del desiderio, sono il nostro oggetto d'in-  dagine privilegiato. La loro analisi ci condurrà direttamente al-  la disamina delle molteplici specie di desideri, alla caratterolo-  gia e alle derive psicopatologiche tracciate da Platone nel libro  Vili, nonché alla dinamica dei processi onirici e alla mania di-  segnate nel IX. Da ultimo ci soffermeremo sulla contrapposi-  zione strutturale tra repressione e canalizzazione, parimenti  inerente a epithymiai ed eros, che attraversa il grande dialogo.   A monte, Yepithymia platonica è un moto psichico volto a  riempire, soddisfare, generando piacere, una mancanza di ori-  gine somatica come di matrice intellettuale; 1 essa viene così a  convergere con l'ampio spettro semantico dischiuso dal termi-   1 sull'intera questione cfr. qui voi.  Ili, [H], pp. 251 sgg.; sulla "interiorizzazione" della sfera del desiderio cfr. M.  VEGETTI, L'io, l'anima, il soggetto, in S. SETTIS (a cura di), I Greci, voi. I, Noi e  i Greci, Torino; sul rapporto complessivo psyche-so-  ma, cfr. ROBINSON, Plato 's Psychology, Toronto LA REPUBBLICA   ne "desiderio". 2 Tale estensione, uno dei cardini metapsicolo-  gici della fenomenologia degenerativa del libro Vili, fa tutt'u-  no con la diretta attribuzione ad ogni istanza di una sfera "pro-  pria" di desideri esplicitata nel libro IX: «siccome tre sono le  parti della psyche, triplici mi sembrano anche i piaceri, ognuno  proprio di ciascuna parte; e similmente i desideri e il loro ruolo  di comando» (580d6-7). Con ciò la statica tripartizione delineata nel libro viene calata, retroattivamente,  all'interno della dinamica psico-politica e quindi delle forme  caratteriali disegnata nell'VIII.   Più da vicino, l'attribuzione rende conto del legame tra il  governo del logistikon e il desiderio di sapere del filosofo, il go-  verno dello thymoeide s e il desiderio di onori e gloria del carattere timocratico, e le tre forme caratteriali dischiuse dal gover-  no del polimorfo epithymetikon, contenente tre specie di desi-  deri e piaceri: 1) i «necessari», dei quali «non ci si può libera-  re», quali fame, sete ed eros riproduttivo, il cui appagamento è  utile e salutare; 2) i «non necessari», che possono essere «al-  lontanati», la cui soddisfazione non frutta alcun bene, talvolta  anzi un male;  i paranomoi, fuorilegge, per-  versi e malvagi, sottospecie dei non necessari, anch'essi allonta-  nabili. Partizione metapsicologica sulla quale pog-  gia la fenomenologia caratteriale: l'avaro uomo oligarchico, do-  minato dai desideri necessari, nel quale il legittimo desiderio  per il denaro degenera in ossessione; il disinvolto carattere de-  mocratico, assediato dalla cangiante moltitudine dei desideri  non necessari; le inquietanti e parzialmente convergenti figure   2 La convergenza con il nostro "desiderio" è già attestata in Marsilio Fici-  no, Sopra il Convito di Platone, ove Amore è sempre "desiderio di bellezza";  soluzione che venne a sciogliere, indirettamente, le tensioni tra concupiscentia,  appetitus e desiderium derivate dalle letture scolastiche della metapsicologia  aristotelica: cfr., per es., TOMMASO d'Aquino, Summa theologiae, 30, 1-4; sul-  la revisione dell'impianto platonico dell'ultimo Aristotele cfr. per es. A.  GRAESER, Probleme der platonischen Seelenteilungslehre, Mùnchen 1969, pp.  22-24.  Vm E IX, [H]   deYL'erottkos e del tirannico, invasi e pervasi dai desideri para-  nomoi?   Questa diairesi delle specie del desiderio, tassonomica-  mente inerente d& epithymetikon, eccede euristicamente la ca-  talogazione tipologica su due fronti. Su un versante viene con-   3 Sulla convergenza tra la tripartizione delle specie dei desideri e il poli-  morfo epithymetikon, cfr., per es., HELLWIG, Adikia in Platons 'Politela'.  Interpretationen zu den Bùchern Vili undlX, Amsterdam 1980, pp. 47-50. Ha  sostenuto la forte «discrepanza» e «aperta contraddizione» tra la tripartizione  psichica e r«improwisata» diairesi dell' 'epithymetikon, N. BlÓéNER, Dia-  logform und Argument. Studien zu Platons 'Politeia', Stuttgart 1997, soprat-  tutto pp. 61-62, 237-40, -appellandosi alla possibilità che le forme costituzio-  nali e caratteriali potrebbero essere più numerose, e che la partizione psichica  sia forzatamente modellata su quella politica. Sebbene sia vero che rimangano  delle tensioni nel testo - soprattutto rispetto al desiderio necessario del carat-  tere oligarchico: l'ossessione per il denaro potrebbe a rigore esser interpretata  quale elemento appartenente al regno del non necessario - tuttavia Y epithy-  metikon stesso, in ragione della sua natura polimorfa, supporta perfettamente  i tre tipi caratteriali degenerati, come anche eventuali altre forme "interme-  die". Sul rapporto complessivo tra la tripartizione psichica e le cinque forme  politiche cfr. TJ. Andersson, Polis and Psyche. A motifin Plato's 'Republic',  Goteborg. Ferrari, City and Soulin Plato's 'Republic', Sankt Augustin, ha ultimamente sostenuto, di contro a Andersson,  il carattere meramente «analogico», «non causale» dell'isomorfismo, cfr. so-  prattutto pp. 50-53, 60, 65-66. Tale tesi implica però l'esclusione della kallipo-  lis e della tirannia (p: 53 e pp. 85 sgg.) nonché, di fatto, della timocrazia; vi è poi una tendenza a caricare eccessivamente alcune tensioni del testo  (cfr. per es. p. 71) e a trascurare la dimensione dialettica e temporale della di-  namica degenerativa. Inoltre, Ferrari è costretto a eludere interi brani, come  544d, e nello specifico la dimensione sociale nella quale è calata la degenera-  zione caratteriale come ove non considera che il giovane timocratico  «esce di casa» etc., e che la figura paterna risulta infine «sconfitta» per-  ché è collocata in un contesto etico-politico che osteggia il suo modello psico-  caratteriale (549c, 550b); analoga la questione rispetto al carattere oligarchico  (pp. 71-71) ove Ferrari elude 553a-d, e rispetto al carattere democratico ove tace. In breve ritengo, di con-  tro a Ferrari, che i due piani, psicologico e politico, siano in una relazione di  corrispondenza biunivoca circolare che garantisce ad ognuno un'autonomia  semi-ontologica dal punto di vista descrittivo, statico, ma che preserva nel     templata la possibilità che i desideri possano essere allontanati  o meno, approccio che mostra come la materia epithymetica  sia analizzata ad iniziare dalle strategie di controllo adottabili  nei suoi confronti. E questa la prospettiva all'interno della qua-  le si articola la catalogazione, non viceversa. Sull'altro fronte,  anche qui sorvolando al di sopra dei contenuti specifici veico-  lati dalle singole epithymiai, viene rimarcato il peso che la loro  soddisfazione gioca rispetto al benessere o al malessere psicofi-  sico complessivo del soggetto. Questi due fattori, modalità di  gestione tese al contenimento e allontanamento del materiale  epithymetico più pericoloso, insidie e derive psicopatologiche  ad esse correlate, sono i primi due assi sui quali corre la dege-  nerazione che conduce infine alla mania. Essi trovano la loro  unità nel concetto di repressione, dal quale cominceremo, ri-  percorrendola a ritroso, la nostra ricostruzione della degenera-  zione.   2. Repressione ed esilio   Kolazomenai: i desideri possono essere e talvolta vengono  repressi:   Fra i piaceri e i desideri non necessari, alcuni mi sembrano essere  contrari alle leggi. Essi probabilmente nascono in ognuno, ma se ven-  gono repressi (kolazomenai) dalle leggi e dai desideri migliori con  l'aiuto della ragione, nel caso di alcuni uomini si allontanano del tutto  oppure restano pochi e deboli, in altri (restano) più forti e numerosi.   La repressione dei desideri non necessari, ed in particolare  di quelli paranomoi, genera una dislocazione topica, bipartita  rispetto alla modalità funzionale, tripartita quanto alle catego-  rie caratterologiche.     contempo la relazione causale circolare dal punto di vista dinamico-tempora-  le, dialettico.   E IX, [H] 475   L'allontanamento: 1) nel primo caso i desideri repressi «si al-  lontanano del tutto» (pantapasin apallattesthai). Stesso esito  viene ascritto, più in generale, alla repressione giovanile dei de-  sideri genericamente non necessari: «si potrebbero allontanare  (apallaxeien) , se ci si prendesse cura di farlo fin da giovani. Ancora: se il desiderio non necessario «è represso ed  educato {kolazomene kai paideuomené) fin da giovani, può es-  sere tenuto lontano {apallattesthai) dalla maggior parte degli  uomini» (559b9-10).   b) La permanenza: i desideri repressi permangono esplicita-  mente (leipesthai) . Esito a sua volta ramificato: 2) in un caso  permangono «pochi e deboli» desideri; condizione che non  viene però contrapposta al loro intero allontanamento: le due  forme riguardano la stessa categoria di persone. Nel terzo  caso permangono desideri «più forti e numerosi sì che viene  delineata una seconda categoria di persone. Per comprendere la dinamica, la forma, la topica e le conseguenze che comporta l'adozione delle suddette strategie re-  pressive fornisce un contributo essenziale il brano sulla transizione dal carattere oligarchico a quello democratico. Analizzando l'aspro conflitto intrapsichico che lacera il  giovane democratico, 5 Platone traccia anzitutto una esplicita  distinzione inerente alle strategie di repressione e contenimen-  to del desiderio: alcuni desideri (non necessari) vengono di-  strutti {diephtharesan), altri banditi {exepeson). Ab-  bandonati i desideri banditi al proprio destino, Platone si con- Analoga la ricostruzione, che coniuga le modalità che permettono di  «abwenden» i desideri non necessari e il «fortdauern» dei paranomoi attestata  dall'analisi dei processi onirici, di VoiGTLÀNDER, Die Lust und das Gute  bei Platon, Wurzburg. Cfr. 559e4-560a2: il conflitto vede ivi schierati su un fronte la specie dei  desideri necessari, "alleati" alla figura paterna, rappresentanti della parte oli-  garchica, e la specie dei desideri non necessari, fomentati dalle cattive compagnie, rappresentanti della parte democratica. LA REPUBBLICA   centra quindi sull'analisi di «altri desideri affini a quelli che so-  no stati messi al bando», dei quali scrive, in un passaggio nevralgico, che, in talune occasioni, «cresciuti di nascosto» (hypotrephomenai) , diventano infine molti e vigorosi.   Hypotrephomenai: le epithymiai crescono di nascosto, insensibilmente; carattere subito rimarcato da Platone: esse  «unendosi di nascosto [tra loro] ne partoriscono una folla. Essendo tale proliferazione «nascosta», «segreta»,  «furtiva» {lathra), 6 siamo di fronte ad una crescita effettiva-  mente «inconsapevole»: ciò alle spalle di cui crescono, ciò da  cui si nascondono non può essere se non ciò che noi usualmen-  te indichiamo con l'espressione «coscienza». In breve, sfuggo-  no alla presa di coscienza. La proliferazione dei desideri non  necessari è dunque in questo caso collocata in un luogo intra-  psichico oscuro, nascosto, tenebroso, al di fuori della sfera co-  sciente. Tale sito è quasi certamente lo stesso dei desideri para-  nomoi repressi nel caso in cui restano «forti e numerosi». L'individuazione e concettualizzazione di processi psichici  pacificamente definibili come «inconsapevoli» è del resto attestata in diversi altri brani della Repubblica. Ad esempio ove  leggiamo che si deve evitare che i giovani, frequentando perso-  ne viziose, ammassino «senza accorgersene {lanthanosin) un'u-  nica grande mole di vizio nelle loro psychai» e che, al contrario,  devono crescere tra «opere belle» così che la loro «aura», «fin  da bambini, inconsapevolmente {lanthane)», li conduca «all'armonico accordo con la bella ragione. 7 Ed an- Anche HELLWIG sottolinea come le  «Begierden gewaltsam unterdriicken» rompano la Harmonie psichica e pos-  sano poi rafforzarsi «in heimlichem».   7 Jaeger, Paideia, Firenze, parla a questo proposito di «inconscio», così come Lear, La psicoanalisi e i  suoi nemici, Milano, XVIII; il termine «incon-  scio» però, in questo caso specifico, non può essere inteso nel senso classico e  ristretto (dinamico) di Freud, poiché slegato da processi riconducibili alla ri-  mozione.   cora ove leggiamo che in certi casi «un'opinione esce dalla  mente» «in modo involontario, come accade  in «coloro che vengono indotti a mutare le loro convinzioni e  che se le dimenticano, perché agli uni il tempo, agli altri il ra-  gionamento, le portano via di nascosto {exairoumenos lantha-  nei)». Ora, i suddetti processi repressivi sono collocati da Plato-  ne all'interno di una ben precisa topica metapsicologica: i desideri repressi, una volta rinvigoritisi e cresciuti di nascosto,  «hanno infine conquistato l'acropoli della psyche.  L'acropoli raffigura il centro direttivo della psyche-polis, il luo-  go nel quale si controlla l'azione, dal quale ognuna delle tre  istanze e le particolari sfere di desideri ad esse pertinenti pos-  sono governare l'individuo. I conflitti, lo scontro tra sfere di  desideri alternativi che segnano intimamente la psyche hanno  quindi un obbiettivo ultimo: conquistare la «regale fortezza»,  penetrare attraverso i «portali» che conducono al cuore del  soggetto, al sé.   La repressione che si limita ad allontanare, ma forse anche  a bandire, e comunque esclusivamente a dislocare topicamente  il desiderio senza distruggerlo, si lascia allora intendere quale  espulsione dall'acropoli e attività di continua difesa, resistenza  e opposizione al loro rientro in essa. Dinamica raffigurata nel  mettere «guardie e sentinelle» ai suoi portali, che altro non so-  no che discorsi, opinioni, convinzioni che sbarrano l'accesso  alla pressione del materiale pulsionale. Anche qui la  politicizzazione platonica della psyche mostra di non esser solo  metafora, ma descrizione, non anatomica o fisiologica, dei pro-  cessi psicologici di per se stessi, che divengono intelligibili, di-  rettamente, in questa dimensione concettuale.   Un ultimo elemento chiave inerente alle strategie repressi-  ve, sempre di matrice psico-politica, è la schiavitù cui sono  soggetti i desideri repressi. Una prima chiara indicazione in tal  senso ci è data nella discussione del carattere oligarchico che  letteralmente «rende schiavi», «mette in schiavitù» i desideri non necessari (554a7: doulomenos). Modalità che riemerge, in  generale, anche ove leggiamo che «bisogna reprimere e mette-  re in schiavitù» i «desideri malvagi» (kolazein te kai  doulousthai). Vedremo meglio come anche nell'analisi dei processi onirici la «schiavitù» (douleia), cui sono soggette  le opinioni che sorreggono i desideri paranomoi, svolga un ruo-  lo cruciale. Il punto che ora ci preme sottolineare è che la repressione in taluni casi si configura come un processo seguito  da una forma di controllo radicale, di incatenamento.   In conclusione, la repressione dei desideri, paranomoi ma  più in generale non necessari, è un processo tale per cui essi  vengono allontanati, non distrutti; in alcuni casi essa comporta  la loro esplicita permanenza, in catene, al di fuori della co-  scienza, dell'acropoli; dimensione dalla quale, rinvigorendosi  di nascosto, inconsapevolmente, possono, in un secondo mo-  mento, tentare un attacco alle sue porte.   3. Il ritomo onirico del represso   I desideri paranomoi repressi, scrive Platone all'inizio del  libro IX, «sono quelli che si risvegliano nel sonno,  inaugurando così l'analisi dei processi onirici. Disamina che ci  offre un contributo tanto stringato quanto sorprendente per la  sua modernità, essenziale nell'architettura metapsicologica  complessiva delle strategie di controllo deH'epithymia nonché  ai fini della definizione della specie dei desideri paranomoi e  della deriva psicopatologica complessiva della fenomenologia  degenerativa.   II «risveglio» avviene quando il resto della psyche - il logistikon e ciò che è socievole e adat-  to al comando - riposa, mentre la parte ferina e selvaggia, piena di ci-  bo o di vino, si sfrena nella sua danza e, scacciando il sonno, cerca di  aprirsi la via per dare sfogo ai suoi abituali costumi.   Vi è, dunque, una condizione positiva: Yepithymetikon, sti-  molato fisiologicamente (cibo e vino), si sfrena e respinge via il sonno; ciò comporta il sincronico «risveglio» dei suoi desideri;  ed una condizione negativa: il logistikon dorme, perciò non  può dominare la parte desiderante. E associato ad esso anche  ciò che è «socievole», 8 probabilmente lo thymoeides.   Il proseguo del brano fa luce su tale stato psicologico: Sai  bene che in un simile stato essa osa fare di tutto, come sciolta e  liberata da ogni freno di vergogna e di ragionevolezza» (571c7-  9). H sonno del logistikon, l'istanza cui va ascritta la phronesis,  e verosimilmente dello thymoeides, al quale possiamo attribui-  re, quando è sotto l'egida della ragione, Yaischyne, viene quindi  a rappresentare la mancanza di quell'attività di resistenza che  impedisce la manifestazione dei desideri repressi. Il fattore  quantitativo e la struttura dinamica delle due precondizioni sono perfettamente convergenti: al «risveglio» indotto dall'eccitazione della parte desiderante, quindi ad una rinnovata pressione dei desideri, segue la loro emersione e soddisfazione per-  messa dall'inattività delle forze razionali, morali.   Date tali condizioni,   tentare di accoppiarsi con la madre (così s'immagina) non la imbarazza affatto, o con chiunque altro fra uomini, dèi, animali, e commette-  re qualsiasi assassinio, e non astenersi da alcun cibo.   Quadro «edipico», 9 perversione, aggressività omicida.  Questo l'inquietante scenario che si apre dinanzi agli occhi  dell'impotente sognatore.   Posto che l'attività onirica rappresenta la «soddisfazione»  «immaginaria» o «visionaria» di desideri repressi, riprendendo la topica dell'acropoli la loro appari-   8 Su hemeron e thymoeides cfr. JAEGER, A New Greek Word in Plato's  'Republic', in Scripta Minora, Roma.   ' Hanno richiamato al riguardo l'edipo freudiano, tra gli altri, POPPER, La società aperta e i suoi nemici, Milano; Kahn, Plato's Theory of Desire, Review of Metaphysics; GlGON, Erlàuterungen, in Plato. Der  Staat, Munchen.   zione e sincronico appagamento potrebbero essere interpretati  come se essi vi penetrassero nottetempo, superando la vigilan-  za di sentinelle assopite. 10 Trattandosi di una soddisfazione, an-  che se solo immaginaria, è difatti lecito raffigurarsela nell'uni-  co sito nel quale essa sembra poter realizzarsi. Nel sonno l'a-  cropoli si verrebbe così a configurare come sfera della coscien-  za, come teatro dell'immaginazione nel quale i desideri impon-  gono la visione della loro drammatica rappresentazione, diven-  tando coscienti e trovando soddisfazione senza però attivare le  funzioni psico-motorie. La ricostruzione di quest'immagine,  priva di riferimenti diretti, mira soltanto a rendere in termini  spaziali il fatto che, come emerge senza incertezze dal testo, il  sogno rappresenta il momento privilegiato grazie al quale è  possibile prendere coscienza di quei desideri repressi e tenuti  in schiavitù che nella veglia sfuggono al suo sguardo. 11   Platone ha così dischiuso e percorso la «via regia per l'in-  conscio» tracciata nel Novecento da Sigmund Freud. A monte,  la repressione platonica si lascia intendere alla luce della rimo-  zione {Verdràngung), o viceversa, anzitutto perché quest'ultima,  che è una forma particolare di repressione {Unterdrùcken), 12 Cfr. anche VEGLEEIS, Platone e il sogno della notte, GuiDOKIZZI (a cura di), Il sogno in Grecia E IL SOGNO D’ENEA, Bari. La più articolata trattazione platonica di ciò che noi indichiamo con le  espressioni «coscienza» e «autocoscienza» è probabilmente quella di Filebo  33b-42c. Ivi, utilizzando la metafora del pittore, Platone scrive che un indivi-  duo «vede in qualche modo in se stesso le immagini delle cose dette o opinate, poi che egli «scorge in sé anche se stesso» (40a). Il passo della Re-  pubblica, limitato alla percezione di immagini prodotte psichicamente, pare  presupporre una concezione della «coscienza» simile.   u Parlano di desideri allo stato di «latenza» Kahn, e LEAR, op. cit. (n. 7), p. 142.   12 «Ci sono nella vita psichica desideri rimossi. Ci sono non è inteso  storicamente, nel senso che simili desideri sono esistiti e poi sono stati distrut-  ti; per la teoria della rimozione simili desideri rimossi esistono ancora,  ma contemporaneamente esiste un'inibizione che pesa su di essi. Il linguaggio  COMMENTO Al LIBRI Vm E LX, dal carattere «morale», 13 tesa a contrastare una sfera di deside-  ri «immorali, incestuosi e perversi, o di voglie omicide, sadi-  che», 14 anziché condurre ad «una completa distruzione» 15 dei  desideri, si limita al loro «allontanamento» (Entfernung) dalla  coscienza. Questi perciò «permangono» (Fortbesteben) al  di là dei confini della sfera cosciente. 17 In una sola parola, il  rimosso è vogelfrei, 18 ovvero "bandito", "proscritto", "fuori-  legge".   La rimozione rappresenta, dunque, un'arma a doppio ta-  glio. Su un fronte, al rimosso viene normalmente impedito di  «scaricarsi nell'azione reale», gli viene metaforicamente nega-  to l'accesso alla Festung freudiana, la «fortezza» dalla quale si     colpisce nel giusto quando parla della "repressione" (Unterdrucken) di tali  impulsi. L'organizzazione psichica, che permette a codesti desideri repressi di  realizzarsi, rimane intatta e utilizzabile» (S. Freud, L 'interpretazione dei sogni,  in Opere complete, 12 voli., trad. it. Torino; DIE TRAUMDEUTUNG, in Gesammelte Werke, 18 voli., rist. Frankfurt a. M. 1999,  voi. Il/in, p. 241; d'ora in poi, tutti i richiami a Freud si riferiscono a queste  edizioni). Freud, L'Io e l'Es; cfr. anche Lo., Breve compendio di  psicoanalisi, FREUD, Alcune aggiunte d'insieme alla 'Interpretazione dei sogni'. Freud, Introduzione alla psicoanalisi (nuova serie di lezioni), voi. XI,  p. 201 [FREUD, Neue Volge der Vorlesungen zur Einfiihrung in die Psychoa-  nalyse, voi. XV, p. 98: «eine vollstandige Zerstòrung»]; il richiamo successivo  è certamente a Id., Il tramonto del complesso edipico; cfr. anche  S. Freud, Inibizione, sintomo e angoscia, voi. X, p. 290.   16 S. FREUD, Metapsicologia, voi. Vili, p. 40, e ivi p. 37: «la sua essenza  consiste semplicemente nelPespellere e nel tener lontano qualcosa dalla co-  scienza» [Die Verdràngung]; cfr. anche Lo., L'Io e l'Es, FREUD, Metapsicologia, voi. Vili, p. 39 [Die Verdràngung, FREUD, Inibizione, sintomo e angoscia, voi. X, p. 300 [Hemmung,  Symptom undAngst, voi. XIV, p. 185]. FREUD, Al di là del principio di piacere. LA REPUBBLICA   «domina la motilità». 20 Sull'altro però esso «sopravvive al di  fuori» della coscienza godendo del «privilegio della Exterrito-  rialùàt»: 21 una volta estromesso dal dominio cosciente può  «sviluppare derivati e annodare connessioni», «prolifera per  così dire nell'oscurità», im Dunkeln. 22 Proliferazione che rap-  presenta la possibilità del suo sempre possibile «ritorno». 23 Da  qui la necessità di una costante attività di «resistenza» alle so-  glie della coscienza. In termini spaziali: espulso un ospite in-  desiderato si deve «poi far sorvegliare perennemente la porta  da un guardiano giacché altrimenti l'individuo respinto la for-  zerebbe». 25   Poste queste premesse, Freud, ricalcando ancora le orme  platoniche, 26 individua nel sogno la via regia per l'inconscio  perché in esso i desideri repressi, approfittando del cedimento  della sorveglianza deU'«Io dormiente», 27 e godendo del casuale     20 S. Freud, L 'interpretazione dei sogni  [Die Traumdeu-  tung, voi. II/III, p. 573]. Riprende questa stessa immagine, accostandola ai  conflitti della psyche platonica, M. Stella. FREUD, Inibizione, sintomo e angoscia, voi. X, pp. 247-48 [Hem-  mung, Symptom und Angst,; cfr. anche Id., Il problema del-  l'analisi condotta da non medici, Freud, Metapsicologia,  [Die Verdrdngung].  Sui meccanismi di difesa cfr., per es., S. Freud, Metapsicologia, voi.  VILT Sul dispendio psichico della resistenza cfr. per es. S. Freud, Metapsico-  logia, voi. Vili, p. 41; Id., Inibizione, SINTOMO (GRICE) e angoscia. Sulla  distinzione tra derivati e rimosso originario, e tra rimozione originaria e post-  rimozione, cfr. Id., Metapsicologia, Freud, Metapsicologia, voi. Vili, p. 43 e nota; cfr. anche Id., Cinque  conferenze sulla psicoanalisi; Id., Introduzione alla psicoa-  nalisi, Cfr. in questo senso anche KENNY [citato da Grice, VOLITING – INTENTION AND UNCERTAINTY, The Anatomy of the Soul – cf. Grice, THE POWER STRUCTURE OF THE SOUL,  Oxford; FREUD, Introduzione alla psicoanalisi (nuova serie di lezioni), Vili E IX, [H] 483   rinvestimento energetico pre-notturno, 28 riescono talvolta a  farsi breccia nelle «porte custodite da resistenze» della co-  scienza. 29 Non dunque nella Festung, la cui «porta che condu-  ce alla motilità» durante il sonno viene «chiusa» dal «guardia-  no», 30 il sogno rappresenta infatti la «soddisfazione allucinato-  ria», non certo reale, del desiderio. 31 Al di là dei meccanismi  peculiari del sogno 32 e delle possibilità con le quali la censura  inconscia può deformare i pensieri onirici latenti, anche per  Freud accade talvolta, sebbene «raramente», che si formino  sogni che «significano proprio quello che dicono, e non hanno  subito alcuna deformazione dalla censura», 33 «come quello cui  allude Giocasta nell'Edipo re». 34   Infine, considerato che il concetto di inconscio in senso  stretto (dinamico e non descrittivobè direttamente «ricavato»  dalla dottrina della rimozione, nel senso che il rimosso «è per  FREUD, Inibizione, sintomo e angoscia, voi. X, p. 304; Id., Intro-  duzione alla psicoanalisi (nuova serie di lezioni), vMetapsico-  logia; in Id., Analisi terminabile e interminabile, voi. XI,  p. 509, viene ribadito «l'irresistibile potere del fattore quantitativo» nei pro-  cessi di rimozione; sulla diversità dei vari stimoli cfr. per es. Id., L 'interpretazione dei sogni, Freud, Psicologia delle masse e analisi dell'Io;  cfr. anche Id., Autobiografia, Freud, Il interpretazione dei sogni; al limite ci si  può rifare all'immagine delle «guardie alle porte dell'intelletto. Cfr. anche S. FREUD, Introduzione alla psicoanalisi; Id., Introduzione alla psicoanalisi (nuova serie di lezioni) Cfr., per es., FREUD, Introduzione alla psicoanalisi (nuova serie di le-  zioni), FREUD, Alcune aggiunte d'insieme alla 'Interpretazione dei sogni' ,  voi. X, p. 158.   34 Ibidem. Freud allude qui al passo dell'Expo re in cui Giocasta dice:  «Tu non temere le nozze con tua madre: già molti mortali si giacquero in so-  gno con la propria madre» (980-82; trad. it. di R. Cantarella). noi il modello dell'inconscio», ove l'elemento essenziale è dato  dal fatto che i desideri confinati «non possono divenire coscienti perché una certa forza vi si oppone», 35 esattamente co-  me accade per i desideri repressi platonici tenuti in schiavitù,  possiamo concludere affermando che, di fronte alle analogie  tra le due concezioni complessive, questi ultimi possono essere  considerati alla stregua di desideri rimossi, dunque inconsci in  senso stretto (dinamico). Difese pre-oniriche La difesa approntata dall’ACCADEMIA per prevenire l'emersione  onirica dei desideri repressi o se si vuole «rimossi» è così deli-  neata: ci si deve «accostare al sonno dopo aver tenuto ben de-  sto il logistikon», facendo nel contempo «rimanere assopito Ye-  pithymetikon» - conducendolo cioè in una condizione tale per  cui non resti né «affamato» né sia «troppo riempito» - ed infi-  Freud, L'Io e l'Es, voi. Cfr. nello stesso senso JAEGER; GOULD, Platonic Love, London; Lear; HOBBS, Platon and the Hero. Courage, Manliness and the  Impersonai Good, Cambridge; GlGON; MONTONERI, Platone: l'eros, il piacere, la bellezza, in I filosofi  greci e il piacere,Bari; REALE (si veda), Corpo, anima e salute,  Milano. Nello stesso senso, ma un po' più cauti, cfr.  DODDS, Plato and the Irrational SOUL – cf. Grice --, Journal of Hellenic Studies; KENNY [citato da Grice, VOLITING – INTENTION AND UNCERTAINTY. Di diversa opinione FERRARI, 'AKRASIA' – cf. H. P. Grice ‘akrasia, incontentia, weakness of the will -- as Neurosis in Plato's 'Protagoras' , Boston Colloquium in Ancient Philosophy, rispetto a Repubblica; egli rimanda  però alla messa in schiavitù del logistikon da parte déH'epithymetikon, che abbiamo visto essere di natura diversa, in quanto tesa allo "sfrut-  tamento" e non all'allontanamento , dalla messa in schiavitù dei de-  sideri paranomoi etc. Ho cercato di affrontare l'intera questione in SOLINAS, Unterdrùckung, Traum und Unbewusstes in Platons 'Politeia' und bei  Freud, Philosophisches Jahrbuch.   ne «ammansendo lo thymoeides»; in questo caso «le visioni  fantasticate nei sogni sono le meno contrarie alle leggi. Rispetto all'emersione" onirica lo thymoeides presenta un  carattere asimmetrico: la sua inattività sembra agevolare l'e-  mersione del materiale represso, il suo risveglio rappresenta  però un pericolo. Ciò è verosimilmente dovuto alla sua costitu-  tiva ambivalenza: privo della guida del logistikon mostra la sua  natura bestiale, aggressiva (cfr. 441a sgg., 590b); caratteristica  che potrebbe suggerire che esso possa contribuire alla manife-  stazione stessa dei desideri paranomoi nel loro carattere marca-  tamente omicida, e che renderebbe conto del legame tra il logi-  stikon ed un vago «ciò che è socievole».   Quanto all' epithymetikon, il rimarcare la pericolosità del  lasciarlo «affamato» può esser inteso sia come un richiamo alla  concezione del desiderio quale soddisfazione di una mancanza, sia alla formazione di sogni non appaganti, avvalo-  rata dal fatto che l'attività onirica dell' 'epithymetikon è detta  comprendere oltre alle sue «gioie» anche i suoi «dolori»  (%aipov r\ À.imo'unevov). Richiamo all'incubo che trova  un puntello già nel libro I: l'uomo ingiusto «spesso si risveglia  dal sonno, come i bambini, in preda al terrore» (330e6-7).   Anche rispetto al logistikon, ora nutrito da «buoni discorsi  e ricerche, emerge un'asimmetria funzionale: il sonno  rappresenta l'inattività delle sue funzioni di controllo e resi-  stenza, il suo risveglio non comporta però la capacità di svolge-  re alcuna attività inibente, è limitata allo svolgimento di funzio-  ni intellettuali interne: «solo in se stesso nella sua purezza» po-  trà «venire in contatto con la verità. 38 Attività che   37 Anche in Timeo 45e-46a emerge uno stretto legame tra tranquillità e  qualità dei sogni, e in 71c-d tra condizioni pre-notturna e sogno.   38 Cfr. nello stesso senso anche VEGLERIS.  Profondamente diversa è la concezione del Timeo ove<è il fegato a fornire una  conoscenza non razionale che la ragione deve «interpretare con     non ha, quindi, niente a che fare con l'emersione dei desideri  repressi. (Rispetto a Freud si potrebbe pensare alla netta distinzione tra il lavoro intellettuale preconscio svolto nel sonno  dall'Io e l'emersione onirica del rimosso). 39   Platone non afferma del resto mai la possibilità di un inter-  vento diretto (notturno) del logistikon teso a calmare o sedare  o compiere una qualsiasi operazione tesa ad arginare eventuali  intemperanze delle altre istanze. Il loro assopimento, come vie-  ne ribadito due volte nel proseguo del passo, deve essere per-  seguito e raggiunto prima di abbandonarsi al sonno; soltanto  dopo aver assolto questo compito ci si può finalmente concedere il riposo. La non-emersione dei desideri è, dun-  que, garantita univocamente da un intervento consapevole,  pre-notturno. Le possibilità di interrelazioni nei processi oniri-  ci paiono perciò significativamente ridotte rispetto a quelle  della veglia, tanto da non contemplare casi di vero e proprio  conflitto. Tutt'al più la parte razionale può essere turbata dalle gioie o dai dolori dell' epithymetikon, accenno  che sembra indicare che essa si limiti a percepire passivamente,  ad assistere impotente alle sue turbolente manifestazioni.   In conclusione, il quadro dei processi onirici è così artico-  lato: o il logistikon è desto e le altri parti dormono, ed allora  «le visioni fantasticate nei sogni sono le meno contrarie alle   il ragionamento dopo il risveglio. Sempre diversi da quelli di Repubbli-  ca sono i sogni quali appaiono in Fedone, Critone, Leg.,  Epinomide, poiché veicolano messaggi di origine extra-psichica: cfr. al  riguardo Dodds, I Greci e l'irrazionale, Firenze. Cfr., per es., S. FREUD, L’io e l'Es: un lavoro intellettuale sottile e difficile, che normalmente richiede una rigorosa meditazione,  può essere effettuato in modo preconscio senza pervenire alla coscienza. Non  vi sono dubbi su casi del genere: essi si verificano ad esempio nel sonno», e  Id., Introduzione alla psicoanalisi (nuova serie di lezioni): la  funzione preconscia svolta dall'Io può ben accadere «durante la notte» ma  «non ha nulla a che fare con il lavoro onirico». leggi», ed esso può attivare le sue funzioni intellettuali; oppure  V epithymetikon e verosimilmente lo thymoeides son desti e il  logistikon dorme, ed allora emergono i desideri repressi. Es-  sendo l'esito univocamente determinato da un intervento indi-  retto e consapevole, tale concezione non ha niente a che fare  con la «difesa» di Freud, incentrata sulla censura onirica, di-  retta ed inconscia. In Platone, nel sogno, i desideri repressi o non compaiono  affatto o dilagano senza indossare maschera alcuna.   5. Strategie di controllo e caratteri universali   Ora, poiché leggiamo che proprio chi «si trovi in una con-  dizione di sanità e moderazione» deve ottemperare alle sud-  dette misure preventive prima di concedersi il riposo, sì da evi-  tare la manifestazione delle empie visioni, è necessario che sia  presente, anzi incombente il pericolo della loro comparsa. La  ragione metapsicologica fondamentale della precarietà di ogni  forma di difesa nei confronti dei desideri paranomoi, anche ri-  spetto ai moderati, ci è data nel brano che chiude l'analisi dei  processi onirici:   Però parlando di queste cose siamo andati troppo lontano. Ma ciò  che vogliamo capire è questo: in ognuno - anche in quei pochi di noi  che sembrano essere del tutto moderati - è senza dubbio presente  una forma di desideri terribile, selvaggia e illegale, che si manifesta  chiaramente appunto nel sonno.   Il sogno rappresenta, dunque, lo smascheramento delle ap-  parenze, il riconoscimento che «in ognuno», anche in coloro  che più sembrano moderati, nonostante ciò possa parere inam-   40 Cfr. per es. S. FREUD, Introduzione alla psicoanalisi (nuova serie di lezioni), voi; sulla metafora politica del sogno come «conquista» e  sulla «resistenza delle popolazioni soggiogate» cfr. Id., Compendio di psicoa-  nalisi, voi. missibile, ebbene anche in loro, anzi in «noi» - Platone qui  sembrerebbe includere anche se stesso - questa specie di desi-  deri esiste: essa «si manifesta appunto nel sonno». Poiché il moderato è sicuramente colui che ha operato la  migliore repressione, i desideri paranomoi in lui debbono esse-  re stati «interamente allontanati, non sono perciò né  pochi né deboli né schiavi. Ciò nonostante tale operazione la-  scia aperta la via alla possibilità del loro ritorno. Lo stesso peri-  colo affiorava del resto nel brano sull'acropoli, ove Platone  scriveva che gli uomini «cari agli dèi», in altri termini i mode-  rati, predispongono la «guardia» alle porte dell'acropoli.   Ta hautou ethe: nel sogno V epithymetikon soddisfa «i suoi  abituali costumi» o «i propri caratteri» (571c7). In questa defi-  nizione sta la chiave che spiega l'incombenza del pericolo: sia-  mo di fronte ad una «specie di desideri tremenda, selvaggia e  illegale» che costituisce un elemento strutturale dell' 'epithymetikon. Trattandosi di un'istanza costitutiva e origina-  ria della psyche, la specie epithymetica ad essa connaturata non  può che essere presente in ogni uomo. E universale. Con ciò  Platone sembra fugare ogni dubbio rispetto al fatto che i desi-  deri paranomoi «probabilmente nascono in ognuno» C571b5-  6). Del resto i desideri non necessari bussano alle porte dell'a-  cropoli fin dalla giovane età, come mostrano i molteplici ri-  chiami ad operare una loro repressione ed educazione «fin da  giovani.   Certo, il fatto che i desideri paranomoi repressi e allontana-  ti «esistano» anche nei moderati non significa che il loro status  sia lo stesso di quelli repressi e tenuti in schiavitù nei non-mo-  derati. Con ciò veniamo all'intreccio tra i vari tipi di repressio-  ne i cui fili è giunto il momento di provare a dipanare.   Bipartiamo dal carattere oligarchico. Egli «rende schiavi» i  desideri non necessari, in altri termini essi «vengono  tenuti sotto controllo con la forza» (554cl: katechomenas bia);  spiega ancor meglio Platone: il carattere oligarchico] con una sorta di apprezzabile violenza su di  sé tiene a freno gli altri cattivi desideri interni che pure lo abitano,  non perché li convinca che non vanno nella direzione migliore, né li  ammansisca con un discorso razionale, ma con il peso della necessità  e della paura (554cl2-d3: èrcieiKeì xivi èonnou pm Karéicei oì>  TteiOcov ot>8' finepcòv A,óy(p). La capacità di convinzione e persuasione {peithó) della sfe-  ra razionale è qui direttamente contrapposta alla forza o vio-  lenza (bia) di una repressione che, sebbene nei suoi intenti sia  apprezzabile, lodevole (epieikei), con le catene della schiavitù  non risolve il problema. Siamo di fronte a due modelli di ge-  stione del desiderio alternativi: l'uno repressivo, negativo, l'al-  tro persuasivo, positivo. 41   Di contro, è anche vero che Platone discutendo del carat-  tere democratico scrive:   se accade che qualcuno gli dica che alcuni piaceri sono relativi ai desi-  deri belli e buoni, altri a quelli malvagi, e che bisogna praticare e ono-  rare i primi, reprimere e mettere in schiavitù i secondi, in tutte queste  occasioni scuote la testa e afferma che essi sono tutti uguali e di pari  rispetto (561b8-c4).   Poiché qui la messa in schiavitù assume un valore positivo,  sembra emergere una contraddizione. In verità però come il  processo di repressione svolto dall'oligarchico è «apprezzabi-  le» nelle intenzioni, è comunque meglio di niente per un indi-  viduo degenerato, così nel «discorso vero» che deve esser fatto  passare nella psyche del giovane carattere democratico, che è  ancora più avanti nel processo di degenerazione, tanto da non   41 Anche D. Hellwig, op. cit. (n. 3), soprattutto pp. 147-54, insiste su  «die Alternative bia-peitho», ovvero tra l'atteggiamento che «mit Gewalt un-  terdriickt» e quello «durch Peitho», non solo rispetto al carattere ed alla co-  stituzione oligarchica ma nei confronti dell'intera fenomenologia degenerati-  va; la Hellwig inoltre riferisce tale alternativa, ai paradigmi naturalistici di fon-  do adottati da Platone.  preoccuparsi ormai di controllare alcun desiderio, sarebbe già  sufficiente se egli comprendesse che deve tentare di contrasta-  re perlomeno i suoi desideri peggiori. Includendo a tal fine l'a-  dozione della strategia più drastica: la loro repressione e messa  in schiavitù. Del resto, tale strategia dovrebbe essere l'unica a  disposizione dei degenerati caratteri oligarchico e democratico  (e anche del timocratico), nei quali il logistikon, l'unico in gra-  do di gestire i conflitti in modo «armonico», è ormai «asservi-  to» 42 all' ' epithymetikon (o allo thymoeides. Stringente il parallelismo semantico e concettuale che si  pone a livello politico nell'oligarchia. Ivi la degenerazione poli-  tica e sociale permette la nascita e proliferazione di «ladri, tagliaborse e saccheggiatori» «nascosti» negli angoli della polis  che «le autorità provvedono a tenere sotto controllo con la forza» (ove, èni\i£teiq pUa KoaéxoDow ai àp%ou). Il  circolo della degenerazione, a livello sia psichico che politico, si  avvita su stesso: conflitto e disarmonia generano elementi conturbanti, laceranti, patogeni, annidati negli anfratti di psyche e  polis, di fronte ai quali l'unica arma, ormai, è quella inefficace e  patogena, ancorché lodevole, della repressione violenta. In questo caso la «schiavitù» va intesa nel senso dell'asservimento, dello sfruttamento positivo: «l'una calcolando e studiando il modo di aumentare  le ricchezze, l'altro onorando le ricchezze»; viceversa la schiavitù dei desideri  ha carattere esclusivamente negativo: di incatenamento, espulsione, allonta-  namento.   43 Sull'armonia psichica instaurata dal logistikon nel filosofo, e sulla sua  contrapposizione con la scissione psichica dei caratteri degenerati cfr. R.  KRAUT, Plato's Comparison of Just and Unjust Lives, in Hòffe, Platon. Politela, Berlin. Diversa la questione che si pone rispetto alla kallipolis,  ove Platone, rimarcando il suo elitarismo e pessimismo antropologico, difende la necessità di «asservire» ai filosofi, ovvero di «imporre dall'esterno le di-  rettive corrette» agli individui ed alle classi sociali da lui considerate non pienamente educabili. Se in entrambi i casi si tratta di una extrema ratio, nell'uno  si fa fronte a differenze antropologiche costitutive, tali per cui l'auspicata ar-  monia sociale trova agli occhi di Platone dei limiti invalicabili; nell'altro inve- Riprendendo i fili delle diverse strategie di controllo dei  desideri non necessari emergono allora quattro modelli para-  digmatici (escludendo la loro soddisfazione): due repressivi,  uno misto, uno persuasivo: 1) quello per cui essi vengono «di-  strutti»; 2) quello che li «reprime e mette in schiavitù»; 3) quel-  lo in cui il desiderio «represso ed educato» viene «allontana-  to»; 4) quello in cui il desiderio, anziché esser «controllato con  la forza», è «convinto» e «ammansito». Ciò considerato, l'indeterminata «repressione» dei deside-  ri paranomoi che conduce al loro intero allontanamento od alla  loro esplicita permanenza in condizione di schiavitù non è  esattamente una medesima operazione repressiva come l'ab-  biamo interpretata inizialmente, ma rimanda a due strategie affini ma distinte. La prima rientra nel modello che «reprime e  mette in schiavitù» ed ha l'esito univoco di spostare e incatena-  re il desiderio. La seconda rientra nel modello per cui il deside-  rio «represso ed educato viene allontanato». Qui la com-  presenza di repressione e educazione, sì che il desiderio «allon-  tanato» non è né pienamente persuaso né brutalmente incate-  nato, designa un approccio misto, e spiega l'unificazione in  un'unica categoria di persone, i moderati, di coloro che hanno  interamente allontanato i desideri paranomoi o nei quali per-  mangono ma sono «pochi e deboli». Modalità nella quale po-  tremmo forse inserire anche quei desideri «banditi» che Plato-  ne abbandonava al proprio destino: in tutti e tre i casi i deside-  ri vengono repressi, non distrutti, ma si tratta di una repressio-  ne per così dire morbida, tendente perlomeno in parte alla loro  «educazione», sì che essi non permangono, in massa, alle porte  dell'acropoli. Viceversa, la strategia puramente repressiva, di   ce viene criticata una modalità di controllo metapsicologica che adotta, a  priori ed unilateralmente, un approccio brutalmente repressivo, lacerante.   45 Cfr. rispettivamente: 1) 560a5: diepbtbaresan: kolazein te  hai doulousthai; anche: douloumenos;  kolazomene kaipai-  deuomene apallattesthai; anche: apallaxeien; bia ka-  techei oupeitho oud'henieron logo. messa in schiavitù, lascia intonso il potenziale energetico dei  desideri; è questa la via che conduce prima al democratico, poi'  alla mania del tiranno.   In conclusione, l'eventualità che anche nei moderati emer-  gano oniricamente i desideri paranomoi si lascia intendere come se, piuttosto che singoli desideri incatenati che premono  ininterrottamente alle porte dell'acropoli, siano gli ethe origina-  ri e costitutivi dell' ' epithymetikon a riuscire talvolta ad approfit-  tare di una certa eccitazione pre-notturna e del sonno del logi-  stikon per mostrare le strutture universali, esse stesse «incon-  sce», che generano e sospingono in avanti i singoli desideri  paranomoi - come sarà poi per l'Es, non solo per i singoli desi-  deri rimossi, di Freud -, Al di là di ogni modalità di controllo  adottata e adottabile, siano pure le più persuasive, il sogno mostra che è impossibile sradicare definitivamente la «specie» dei  desideri paranomoi in quanto tale, parte propria di quella «be-  stia policefala», tremenda e selvaggia, che abita ogni uomo, e fa  sentire, di tanto in tanto, la sua minacciosa presenza, «anche in  quei pochi di noi che sembrano essere del tutto moderati». Jaeger scrive che siamo di fronte alle  «regioni istintive subcoscienti dell'anima»; cfr. nello stesso senso Kenny [citato da Grice, VOLITING – “INTENTION AND UNCERTAINTY”]; Vegleris; Janke, AAH0E-  LTATH TPAmiMA, «Archiv fiir Geschichte der Philosophie. Anche Freud opera del resto una distinzione  tra singolo desiderio rimosso e strutture «istintuali», innate ed «inconsce»  dell'Es, cfr. Freud, Compendio di psicoanalisi;  L’uomo Mosè e la religione monoteistica; Id.,  Metapsicologia; sulla differenza tra individuo e specie cfr.  Id., Dalla storia di una nevrosi infantile, voi.   47 Cfr., per es., S. FREUD, Introduzione alla psicoanalisi, tutti gli uomini hanno questi sogni perversi, incestuosi e omicidi», e Id., Alcune aggiunte d'insieme alla Interpretazione dei sogni, I  miei rapporti con Popper-Lynkeus; Gould. Sostengono apertamente l'universalità dei desideri paranomoi, tra gli  altri, Guthrie, A History ofGreek Philosophy, IV: Plato, Cambridge Dal sogno alla realtà: derive psicopatologiche   Se ritorniamo alla degenerazione caratteriale, è facile ora  riconoscere come rispetto alle modalità intrapsichiche di con-  tenimento del desiderio l'approccio univocamente repressivo  alle epithymiai sia il principale responsabile della deriva psico-  patologica.   La rottura dell'armonia intrapsichica, condizione necessaria dell'integrità, salute e euàaimonia individuale assicurata dal  governo del logistikon, ha inizio con il carattere timocratico,  che colloca sul trono dell'acropoli lo thymoeides. Se egli non rappresenta ancora una figura pa-  tologica in senso stretto le conseguenze del defenestramento si  fanno però sentire nella figura immediatamente successiva: il  carattere oligarchico, dominato ormai dai desideri necessari  dell 1 ' epithymetikon, non trova altra strada che reprimere e met-  tere in schiavitù gli altri desideri. Così facendo egli però non ri-  solve ma acuisce la scissione e la lacerazione intrapsichica: «un  simile uomo non potrà dunque esser libero da conflitti interiori, e non sarà uno ma in un certo senso doppio. In  negativo: «la vera virtù, quella della psyche concorde a armo-  niosa, fuggirà via lontano da lui.   La stessa strategia repressiva è adottata dal giovane figlio  democratico. Anche lui, dunque, si impegnerà a governare  con la forza quei piaceri che vi insorgono chiamati non; BlRAL, L’ACCADEMIA e la conoscenza di sé, Bari. KAHN; Klosko, The "Rule" of Reason in Plato s Psychology, «History of Philosophy Quarterly;VoiGTLÀNDER;  Lear, con linguaggio freudiano scrive che anche nel migliore dei casi nella  psiche vi saranno sempre desideri paranomoi da rendere inoffensivi o da rimuovere. L'approccio duramente repressivo mostra in questo caso la sua nefasta  presenza nell'interazione psyche-polis: i timocrati sono «educati non con la  persuasione ma con la forza. Necessari. Bice Sri kou oinoc, ap^cov xcòv év anta»  èSovcòv), In questo modo però, se talvolta alcuni desideri ven-  gono distrutti, talaltra invece proliferano «inconsciamente»,  rafforzandosi fino alla conquista dell'acropoli. Saranno allora  «i discorsi cialtroni» di cui si fanno scudo a «chiudere le porte  della regale fortezza» a più miti consigli e ad «esiliare il pudore. 30 Solitamente, tuttavia, superata la lacerante  fase adolescenziale, l'uomo democratico riequilibra parzial-  mente i suoi desideri e richiama a sé alcuni degli elementi in  passato sconsideratamente «esiliati.   Il passo che porta alla mania tirannica, nell'arbitrario de-  terminismo degenerativo disegnato da Platone, è però ormai  cortissimo: l'Eros tyrannos, che raccoglie intorno a sé l'intero  sciame dei desideri paranomoi, facendosene «capo» e «guida», e quelle opinioni che gli fanno da «scorta», si libera-  no definitivamente «dalla schiavitù», mentre prima, quando  egli «si autogovernava in modo democratico, esse [le opinioni]  si liberavano solo in sogno, nel sonno. 51 Le cate-  ne della schiavitù sono state spezzate:   Ma sotto la tirannide di Eros, divenuto in ogni momento della sua vi-  ta da desto quello che raramente gli capitava di essere in sogno, non  si asterrà da alcun tremendo assassinio né da alcun cibo né azione.   L'uomo tirannico è «colui che da sveglio è proprio come  l'avevamo descritto nei suoi sogni. Dal punto di vista della fenomenologia degenerativa questa figura è dunque  dovuta, a livello psicodinamico, al «ritorno» di un represso che  scavalca le barriere oniriche: si transita dall'appagamento oni- [Cfr. anche Lear. La comparsa dell'uomo de-  mocratico è, in linea di principio, il ritorno del represso nella generazione  successiva»; sull'oligarchico. Se sono le opinioni che si liberano dalla schiavitù, è però l'Eros con i  suoi desideri a riempire di contenuti sia le manifestazioni oniriche sia le azioni  dissolute del tiranno.   rico a quello reale dei desideri repressi, dall'estemporanea rap-  presentazione della loro soddisfazione nel teatro dell'immagi-  nazione alla conquista permanente dell'acropoli.   L'Eros «spadroneggia» ora incontrastato, «governa ogni  settore della psyche abitandovi come un tiranno. I rapporti di forza della psyche-polis vengono  nuovamente ribaltati: è l'Eros a «sopprimere e scacciare fuori  di sé i desideri e le opinioni oneste. Tirannia che  genera una profonda lacerazione, un'espropriazione della volontà. Il soggetto è in balìa dei suoi desideri più sel-  vaggi, rafforzatisi al grado estremo, ne ha perso ormai comple-  tamente il controllo e, messo all'angolo dalla loro inappagabile  ed ininterrotta pressione, «ogni giorno e ogni notte», ne cade  preda. Siamo alla mania: l'uomo tirannico è «reso folle dai  suoi desideri e amori. Riepilogando, dal punto di vista intrapsichico il processo  di degenerazione avviato dal defenestramento dell'armonico  ed armonizzante logistikon e concludentesi con la tirannia del-  l'Eros si configura, perlomeno nelle sue ultime tre fasi, quale  risultato di un approccio brutalmente repressivo del materiale  epithymetico. La repressione permette difatti la permanenza e  il rafforzamento «inconscio», accertato grazie all'analisi dei  processi onirici, dei desideri repressi, i quali, una volta rinvigoritisi, riescono a penetrare nell'acropoli, generando stati psico-  patologici di lacerazione, frammentazione, dispersione ed  espropriazione maniacale. Dalla nostra prospettiva psicodina-  mica è dunque a tale strategia di controllo che deve essere at-  tribuita la più grave responsabilità della fenomenologia degenerativa. Sul doppio livello psico-politico della «schiavitù» e sulla metameleia,  cfr. GlGON, Die Unseligkeit des Tyrannen in ACCADEMIA Staat,  “Museum Helveticum”. all: navvo|iévcp imo èniQv\ii&v te k<xì épcÓTCOV. L 'altra via: la canalizzazione ACCADEMIA, LA REPUBBLICA La strategia antitetica alla repressione è quella della per-  suasione e educazione del desiderio. L'architrave metapsicolo-  gico sotto il quale si dispiega tale modalità è rappresentato dal-  l'adozione di un modello pulsionale "idraulico" che assicura  all' epithy mia, e all'eroi-, una intrinseca malleabilità.   Uepithymia, anzi le epithymiai dal punto di vista dinamico  si delineano quale forza fluida, canalizzabile, come emerge lim-  pidamente nei libri: «Sappiamo che quando le epithy-  miai di una persona si concentrano con forza in una sola dire-  zione, esse ne risultano indebolite nei riguardi di tutto il resto,  come una corrente lì incanalata. Così, prosegue L’ACCADEMIA, in  quella persona in cui esse (le epithymiai) sono rivolte agli studi  e a ogni attività simile, esse riguarderanno, credo, il piacere  della psyche per se stessa e trascureranno i piaceri del corpo»,  come accade nel philosophos. Se, allora, si considera non Yepithymia nella sua fenomenica e contingente sin-  golarità, si tratti di specifici desideri necessari, non necessari  e/o paranomoi, ma le epithymiai nella loro plurale unitarietà,  esse risultano essere una forza energetico-pulsionale unitaria,  canalizzabile verso mete diverse, anche opposte, secondo un  modello economico. Anche da qui l'insistere di Platone, a  monte, piuttosto che sui contenuti specifici, sulle strategie di  gestione del materiale epithymetico.   Questa è la ragione, dalla nostra prospettiva psicodinami-  ca, con la quale si spiega perché l'estensione metapsicologica  della tripartizione poteva coniugare esplicitamen-  te, in modo simultaneo e complementare, piaceri, desideri e  governi: ogni parte, in conformità con la sua natura intrinseca,  «ha» dei desideri specifici, ma essi possono essere preservati,  rinforzati e quindi soddisfatti soltanto in virtù dell'egemonia  intrapsichica raggiunta dalla singola istanza anche perché le     Resp.: lóonep pev\ia éiceìae àjicoxexE'Uiiévov. COMMENTO AI LIBRI VHI E epithymiai sono una risorsa unitaria e limitata. Modello  rafforzato, descrittivamente, da una sorta di estremizzazione  erotico-caratteriale operata da Platone: si tratti del filosofo o  meno, chi «ama» veramente una cosa la «ama in tutta la sua  forma, come chi «desidera qualcosa la desidera  in tutta la sua forma. Estremismo che conforta la  tipologia caratteriale del libro Vili. L'integrazione tra queste due dimensioni, psicodinamica e  caratterologica, è, infine, rinsaldata dall'eros: unità di misura  comune à tutti i tipi, dal filosofo, letteralmente erastes della ve-  rità, 57 aìl'erotikos e al tirannico. La stessa contrapposizione  strutturale tra repressione e canalizzazione risulta così radica-  lizzarsi nel nome dell'eros. Ai due estremi: su un versante scorre il fiume impetuoso dell'eros tyrannos, ove confluiscono i ter-  ribili desideri paranomoi, che trascina il soggetto verso il mare  .aperto deìl'adikia; sul versante opposto si distende l'intensa ma  benefica corrente epithymetica dell'eros filosofico, la sola forza  psichica che in virtù della sua potenza può supportare la lunga  navigazione che permette infine di approdare nel porto sicuro  della dikaiosyne. 38   In conclusione, posta la permanenza di specie di desideri  stabili, indissolubilmente legate alle tre istanze di riferimento,  come quella dei desideri paranomoi, dalle quali non si può mai  svincolarsi del tutto, una parte cospicua del materiale epithy-  metico, decisivo rispetto agli equilibri o squilibri dei rapporti   56 Cfr. in questo senso anche J. ANNAS, An Introduction to Plato's 'Repu-  blic', Oxford -Sulla centralità psicologica, etica e politica dell'eros e la possibilità di  una sua «canalizzazione» o «sublimazione» nella Repubblica ma anche nel  Simposio e nel Fedro cfr. M. VEGETTI, Quindici lezioni su Platone, Torino, Rimarca la necessità di non confinare l'eros nel-  la dimensione subconscia L.H. CRAIG, The War Lover. A Study of Plato's 'Republic', Toronto «a psychology that confines eros to the sub-rational parts of the soul most definitely falls short of the truth. LA REPUBBLICA  di forza intrapsichici complessivi, è intrinsecamente trasformabile, manipolabile. E questa l'energia pulsionale, in gran parte  riconducibile all'universo dell'eros, che non è solo possibile ma  doveroso utilizzare, canalizzandola verso nobili mete, anziché  tentare, inutilmente ed invero assai pericolosamente, di annientarne il potenziale con strategie brutalmente repressive. E  questo lo snodo cruciale di fronte al quale vediamo divaricarsi  i due approcci fondamentali, le due strategie basilari di con-  trollo del desiderio adottate da Platone: repressione versus canalizzazione, violenza versus persuasione, schiavizzazione versus educazione. È questo il bivio dal quale si può imboccare la  via che conduce all'armonia, alla salute, all' 'eudaimonia e alla giustizia del filosofo, o invece il cammino psicopatologico che sbocca, da ultimo, nella mania del tiranno. L'uomo massimamente ingiusto, infelice, malato, espropriato, travolto da una  massa di epithymiai feroci, incontrollabili, ormai liberatesi dal-  le catene di quella schiavitù che le relegava al di là dei confini  della coscienza, sottraendole ad ogni controllo diretto e per-  mettendo così il rafforzamento fino al massimo grado, e quindi  l'esplosione finale del loro devastante potenziale.  Alberto Radicati, conte di Passerano e Cocconato. Keywords: implicature della morte, eros e tanatos, amore e morte. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cocconato” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Coco: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del mutuale prevalente – il contratto di carattere mutuale prevalente – scuola di Crotone – scuola d’Umbriatico – filosofia crotonese – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Umbriatico). Filosofo crotonese. Filosofo calabrese. Filosofo italiano. Umbriatico, Crotone, Calabria. Grice: “Typically, while in the Italian North, Conte can play with words, in the Italian South, Coco must work for the workers! Is conversation a work? I think so – lavoro – In the ‘codice civile’ or rather the ‘codice’ of the civil laws – there is a section on ‘lavoro’, and a title on ‘co-operativa’, short for ‘cooperative society’ – This is all due to Coco – It sounds slightly fascist, and he did write a little tract with ‘fascist’ in the subtitle! – Coco is a performativist, so he understands that ius must ‘constitute’ and define: so he goes on to analyse what I’ve been analysing too – what is to cooperate – in a common task or ‘lavoro’ – what is ‘mutuality’ – what are the requirements for mutuality, and so on – It’s not as legalese and boring as it sounds! And it provides a framework for my pragmatics – since a lawyer, and especially a Griceian one, can be VERY SMART! Coco is!” --  Dal punto di vista sistematico molto vicino alla visione del grundnorm, teoria da Kelsen.  Si laurea a Napoli. Sostituto procuratore del Re a Cassino. La Regia Procura di Roma. Procuratore Generale presso la Corte d'appello di Roma. Fondatore dell'Ufficio del Massimario. Insegna a Roma. Noto soprattutto per aver partecipato ai lavori di stesura del nuovo codice civile italiano nonché del codice di procedura civile, entrambi entrati in vigore nel 1942. Si occupa prevalentemente della stesura di leggi in materia del contratto, obbligazione, e diritto del lavoro. Altre opere: “Gli eclettismi contemporanei e le lezioni di filosofia del diritto” (Lagonegro, M. Tancredi & Figli); “La filosofia del diritto”; “Una quistione di diritto transitorio in tema di farmacie” (Milano, Società Editrice Libraria); “Sull'ultimo capoverso dell'art. 375 del codice penale” (Milano, Società Editrice Libraria); “Luce di pensiero italico nelle tenebre della guerra” (Cassino, Soc. Tip. Ed. Meridionale); “Per la tradizione giuridica italiana” (Milano, Società Editrice Libraria); “Saggio filosofico sulla corporazione fascista” (Roma, Edizioni del diritto del lavoro); “Sulla costituzione di parte civile delle associazioni sindacali” (Roma, Edizioni del diritto del lavoro); “Corso di diritto inter-nazionale (recensita da Santi Romano, seconda edizione riveduta ed ampliata, Padova, MILANI); “Intorno alla pre-giudiziale penale nel giudizio del lavoro” (Roma, U.S.I.L.A.); “Raffaele Garofalo” (Napoli, SIEM); “Il contratto collettivo di lavoro e la impresa cooperativa” (Roma); “Una inchiesta sulla criminalità” (Napoli, SIEM). Annuario Camera dei fasci e delle corporazioni. Rivista penale. Rassegna di dottrina, legislazione, giurisprudenza, Roma, Libreria del Littorio, Rivista di diritto pubblico. La giustizia amministrativa,  Roma, Società per la Rivista di diritto pubblico e la Giustizia amministrativa, Una vita per il Diritto Giusto, La giustizia penale. Rivista critica settimanale di giurisprudenza, dottrina e legislazione, Società editoriale del periodico La giustizia penale, Tale trasferimento avvenne per via di un suggerimento pervenutogli al Re dagli allora procuratori presso la Corte d'appello di Napoli Salvatore Pagliano e Giacomo Calabria.  La giustizia tributaria. Dottrina, giurisprudenza, legislazione, Città di Castello, Società tipografica Leonardo da Vinci. Cfr. Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, Cfr. Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, La scuola positiva. Rivista di diritto e procedura penale, Milano, Vallardi. Nominato pretore di Lagonegro. Pretore di Moliterno, assume in seguito le funzioni di sostituto procuratore a Cassino. Venne trasferito a Roma presso la Procura. Presidente di sezione della Corte Suprema di Cassazione, oltre che Professore di Filosofia del diritto. Dotato di una solidissima dottrina e di un rigorosissimo lavoro applicativo, partecipa ai lavori per la stesura del Codice Civile e del  Codice di Procedura Civile.Cura vari aspetti della normativa: contratto, obbligazione, diritto del lavoro. Una delle sue grandi doti è quella di riuscire a non farsi condizionare dal regime dell’epoca. Non accetta la candidatura in parlamento offertagli dai suoi conterranei della Calabria.  “Una Vita per il diritto giusto” si lascia leggere con piacere, in diversi passaggi si incontreranno i tratti che lo hanno contraddistinto come uomo,  come magistrato e giurista, troveremo, inoltre, la sua attività di ricerca e di elaborazione teoretica. Sotto il profilo sistematico si accosta alla visione di Kelsen per quanto riguarda l’ordinamento e le codificazioni, nonché, proprio per la ricerca e per l’identificazione di una grande norma fondamentale. Dal punto di vista epistemologico, rappresenta la condanna dell’ideologia e della prassi delle scomposizioni in una galassia di frammenti superficialistici. Lo sguardo al pensiero C. ci consente anche di sottolineare la sua analisi critica, egli non si ferma alla semplice stigmatizzazione della responsabilità oggettiva nei confronti del singolo. Prende spunto da queste aberrazioni per sottolineare come all’accanimento contro la condotta individuale della persona fisica non corrispondesse eguale severità verso gl’atti illeciti e dannosi della pubblica amministrazione. Scrive “la responsabilità della pubblica amministrazione”.  -- è stato anche filosofo e storico al tempo stesso. Un’uomo molto impegnato nel suo lavoro che ci sembra doveroso ricordare. Dal padre, persona di cultu­ra, ricevette  i primi  rudimenti  di storia, letteratura, e filosofia, che si ritroveranno, successivamente, in taluni suoi saggi filo­sofici su AQUINO (si veda). Inizia la carriera giudiziaria come pretore di Lagonegro. Divenne Pretore di Moliterno, per assumere successivamente le funzioni di Sostituto Procuratore del Re a Cassino. Trasferito a Roma, presso quella Regia Procura, col viatico di rapporti ol­tremodo favorevoli e lusinghieri dei Procuratori Generali Pagliano  e Calabria  della Corte d’Appello  di Napoli,  dove  vi  permarrà per passare alla Procura Generale presso la Corte d’Appello. Ottenne  la nomina a Procuratore Generale del Re presso la Corte d’Appello di Cagliari, ma non ne assumerà di fatto la titolarità. Chiamato, invece, a presiedere il Tribunale Supremo delle Acque, era Presidente di Sezione della Corte Suprema di Cassazione. Il giornale  “Il  Tribunale”, pubblicazione mensile  edita a Roma, lo sa­luta a tale nomina. È della nostra famiglia, di quell’aristocratica famiglia giornalistica, alla quale non disdegna di apparte­nere, nonostante  l’altissimo  grado che ricopre nell’ordine giudiziario, oggi lieti di salutarlo, insieme con quello forense, Presidente di Sezione della Suprema Corte. Noi lo abbiamo visto nella Corte di Cassazione sin dagli anni ormai lon­tani della sua felice unificazione. E stato, infatti, tra i fondatori e promotori di quell’Ufficio del Massimario che raccoglie il vasto e prezioso materiale giurisprudenziale  della Suprema Corte. Non appena conseguita la promozione al grado IV°; ha ricoperto la carica di Consigliere, partecipando attivamente alla fun­zione giudiziaria di così eminente consesso. Ci asterremo, di proposito, da ogni aggettivazione che non sa­rebbe di buon gusto né riuscirebbe gradita al nostro Amico e collaborato­re; non possiamo, peraltro, esimerci dal ricordare fra le benemerenze e il titolo di Professore di Filosofia del Diritto nel­la  Scuola di Perfezionamento di Diritto Penale né l’altro, per  noi particolarmente  caro, di Redattore Capo della    Rivista di Diritto Pubblico. La  recente nomina, se indubbiamente  costituisce un nuo­vo riconoscimento dei meriti di così eletto Magistrato, rappresenta però un onere, che si aggiunge all’onore di così ambita carica. Ma l’accoglierà  di  buon  grado, assolvendo anche dal nuovo seggio presidenziale le delicate  funzioni giudiziarie, alle quali porta il va­lido contributo della sua competen­za, ma soprattutto una grande se­renità ed equanimità. Riguardo ai meriti  illustrati dall’articolo dell’epoca, c’è da dire che il suo cursus honorum non è stato caratterizzato soltanto da so­lidissima dottrina e da rigorosissi­mo lavoro applicativo, ma anche dalla partecipazione costante all’e­voluzione dell’ordine giudiziario, e tappa importante in tale attività, fu la Sua nomina a membro del Consiglio Superiore della Magistratura, ossia dell’organo po­litico e politico-amministrativo, anche se in base alla legislazione dell’epoca il Consiglio Superiore della Magistratura non aveva ancora il potere e l’importanza che la Costituzione e la successi­va normativa di attuazione gli die­dero. Ancora, circa la indicata fondazione del Massimario civile della Corte di Cassazione Unificata va detto che Lui effettivamente fu tra i principali ideatori; era, quello, un periodo di grandi innovazioni, perchè all’atto dell’Unità d’Italia, oltre alla Corte di Cassazione di Torino esistevano quella di Firenze nonchè le due Corti Supreme di Giustizia di Napoli e di Palermo (che assunsero anch’esse la denomina­zione di Corte di Cassazione). Con la legge, vennero soppresse le Corti sopra indicate, mentre quella di Roma fu trasfor­mata in Corte di Cassazione del Regno. Fu titolare dell’insegnamento di filosofia a Roma. In questo ambito, svolse attività accademica per quel periodo che vide la Scuola annove­rare i più bei nomi della dottrina penalistica italiana, le cui teorie risultano, ancora oggi, alla base della trattatistica più importante. Altro aspetto rilevante della sua eccezionale figura di giurista, come si rileva da un saggio del nipote dell’alto Magistrato, che porta con orgoglio lo stesso nome, il Professore Nicola Coco, dell’Università di Roma “La Sapienza”, è costituito dal coerente ri­ferimento alla legalità, cioè allo stato e all’ordinamento giuridico quali unica garanzia di contratto sociale. Per questo, il periodo che va  dal  primo  dopoguerra all’ av­vento del fascismo, costituisce una parentesi temporale di efficace  e prorompente elaborazione delle basi di quel diritto del lavoro e sin­dacale, o “giuslavorismo”, costi­tuendo davvero una novità assolu­ta nelle scienze giuridiche del tem­po. Così, quando si verificheranno gravissime crisi socio0eco­nomiche che metteranno a rischio l’assetto della produzione, la poli­tica e i sindacati troveranno i loro punti d’incontro nel noto  Statuto del Lavoratori, una ri-edizione ag­giornata delle linee guida tracciate, agli inizi del “secolo breve”, dai primi “giuslavoristi”, tra i quali ap­punto C. Altro aspetto qualificante del giurista è l’aver concorso alla stesura del Codice Civile, ai cui lavori preparatori, dai Ministri Solmi e Grandi (che è il sottoscrittore anche del Codice di Procedura  Civile, emanato anch’esso, furono chiamate le più belle e fertili menti di magistrati e giuristi. Cura vari aspetti della normativa (il contratto, l’obbligazione, diritto del lavoro), tant’è, che nell’immi­nenza della promulgazione, il Ministro Grandi gli inviò una lettera personale di ringraziamento per il prezioso contributo offerto per il codice. Sua vita coincide  con  l’immane  conflitto mondiale, con la guerra civile e con la scia di vendette e iniquità che ne conseguirono. Dopo la fuga del Re e la costituzione della Repubblica Sociale Italiana, viene invitato ad assumere la Presidenza della Corte di Cassazione trasferitasi a Brescia e fors’anche la carica di Ministro Guardasigilli, ma egli fermamente rifiuta. Ha, nono­stante tale ferma presa di posizione nei confronti del regime fascista, sulla base di taluni articoli che ave­va scritto su “Il Messaggero” di Perrone, di commento a leggi e que­stioni giuridiche di alto livello, ovviamente di epoca fascista, l’occhiu­ta Commissione di epurazione, su decine di articoli scritti in una plu­ridecennale collaborazione, ne sco­va qualcuno che suona come apologetico del Fascismo. Nulla di più falso, quando era nota a tutti la dirittura morale del magistrato in­tegerrimo, del quale va appena ri­cordato, ammesso ve ne fosse biso­gno, che la sorella del Duce, Edvige Mussolini, gli fece pervenire solle­citazioni per una causa che la inte­ressava. Ebbene, Coco pro­cedette secondo coscienza, quindi non nel modo auspicato dalla sorella del Duce! L’epurazione ingiusta, nella quale probabilmente influirono anche motivazioni non occulte di gelosia e invidia da parte di taluni, soprattutto per il fatto che per me­riti poteva benissimo aspirare alle funzioni di Primo Presidente della Suprema Corte, ne mina rapida­mente le condizioni di salute. Negli ultimi mesi non volle proporre ri­corso contro i provvedimenti che lo avevano colpito e rifiuta cortese­mente anche una candidatura in Parlamento, per le elezioni, che i conterranei di Calabria gli avevano offerto con affetto e ri­conoscenza. Spira serenamente, non mancando nel suo testamento di perdonare cristiana­mente quanti gli avevano provocato tanto immeritato dolore. Codice Civile. Del Lavoro. Delle societa cooperative e della mutue assicuratrici, delle societa cooperative – disposizione generali – cooperative a mutualita prevalente. Articoli: societa cooperative; societa cooperative a mutualita prevalente, criterio per la definizione della prevalenza, requisiti delle cooperative a mutualita prevalente.  Del Lavoro.  Le Società di Mutuo Soccorso in Italia.    Il prof. Gobbi, nel suo pregevole libro: « Le Società di Mutuo  Soccorso » dice che « il nome di Società di Mutuo soccorso è comunemente assunto da associazioni, le quali hanno per loro scopo  principale di dare ai soci sussidi in caso di malattia o in altre eventualità che interessino la loro famiglia o l’esercizio della loro attività economica, ricavando i mezzi all’uopo principalmente da contributi dei soci stessi ».   Considerato così il carattere economico-sociale dei sodalizi muralisti, non possiamo sicuramente affermare che le prime traccie  di essi si riscontrino nelle antiche Corporazioni di arti e mestieri,  nelle maestranze, nei Collegi, nelle Università. Queste associazioni  si proponevano scopi di difesa professionale, di perfezionamento nelle  arti esercitate dagli associati ; qualche volta, in via secondaria, l’esercizio di pratiche religiose; e spesso assumevano importanza politica  di prim’ordine e conferivano dignità nobiliare, come nelle arti della  repubblica Fiorentina.   Abbiamo però nel nostro paese esempi di società mutualiste sca¬  turite dal vecchio tronco della corporazione o del Collegio, o meglio  che'di questo possono reputarsi trasformazione. Così e non altrimenti  noi possiamo considerare la Società fra i falegnami e fabbri di  Faenza che fa rimontare la sua origine al 1410; l’altra pure di  Faenza fra calzolai ed arti affini che si dice sorta nel 1474; la Società Veneta Sovvegno Calafati al R. Arsenale del 1454 ; la Società  Calafati del porto di Genova del 1456; la Società dei Cappellai di  Padova del 1530; il Consorzio degli Orafi ed Argentieri capi d’arte  di Roma del 1509. Nè diverso giudizio possiamo recare sui sodalizi  che sorsero nel secolo decimosettimo e nella prima metà del deci-  mottavo. E questi sono: la Società dei calzolai di Cesena (1610); le  due Società Maestri falegnami, ebanisti e carrozzai e fra falegnami  ed arti affini di Torino (1636); la Società fra carrozzai, sellai, fabbri¬  canti di Torino (1653); la Società fra calzolai padroni di Asti (1681);  la Società Archimede fra operai fabbri, meccanici ed affini e fra fabbri  ferrai e serraglieri (proprietari di officina) (1700); la Confraternita  Sovvegno fra israeliti di Padova; le Società Riunite Sovvegni  spagnuoli e tedeschi di Venezia; il Pio Istituto lavoranti Milano, Società editrice libraria, pellai di Torino (1736); la Società Cocchieri e palafrenieri di Torino. Quantunque sorta nel 1738, la Unione Pio-Tipografica Italiana di  Torino può dirsi la prima che abbia assunto dalle sue origini e poi  meglio perfezionati con successivi adattamenti, i caratteri del mutuo  soccorso. Essa fu approvata con Regie patenti e poi  nel suo riformato organismo con Regie patenti 28 settembre 1770. E  ira i sodalizi che sorsero nella seconda metà del secolo decimottavo  e possiamo considerare, al pari della Unione Pio Tipografica di To¬  rino, come le più antiche Società di mutuo soccorso, meritano par-  ticolar menzione: la Pia Unione fra lavoranti calzolai di Torino del  i/54 e la Società dei Servitori di Faenza  T . 1 -^ a s ? c °nda metà del secolo decimottavo sorsero quindi in  rippnr, • P rim ? Società di mutuo soccorso, secondo il concetto mo-  Daese affe[>m are che di buon'ora si manifestò nel nostro  Fara il^KfrfSr? 11 6 J° Uta A } P rev idenza sociale. Ed è cosa singo-  concettn°df nnl a Che ’ “® ntre secoQdo la evoluzione logica del  Sassari dalIe , f orme più semplici di essa dovrebbe   videnza tipIIa lesse, il risparmio, forma primigenia della pre¬   previdenza mutuaPs/nT 116 0I ! ganicile . sorse in Italia più tardi della  Hlllacoo^fonì qUale C r blna * due elementi del risparmio  auanrìn <yìà ^ !• ^ prime Casse di risparmio sorsero nel 1822,   litaria, la quale si esu M , Jl ns P arm io, che è virtù so-   adatto a raccoglierlo duò P«p.»?r ma - pa e ® e quando trova l’organo  domestiche, ed in questa anche nel segreto delle pareti   quanto l’economiaVonetaria dp? 0 ^^^ fumare che esso è antico  che l’atto primo deTsodalizfo ? 10va inoltre considerare   contributo che versa il socio 1Sta + e Un atto dl ris P a nmio; il   fini della mutualità, rappresenta La - 1 fondi occorren ti ai   “lata, sottratta alle spese vofottSie sp t np dei SU01 guadagni rispar-  occorre per i bisogni della vita 6 6 n pUre risecata su quanto   me„fo 0 U“liX a .S a m m uta 4 ,I?5', ’ ec ?l° 1 . d!,olmo " 0 no rapido l'inoro-  primo dofsecoli“orsòrKtcietó Fi ” 0 al 1851   società di mutuo soccorso (1).    di dii Gl0va rammentarle  dl Bergamo : nel 1810. Pr«    ’camnen*»! !’ ls p. tut0 n | armoniTo’dS el Teatr’f) 1 r?Ìni SU Ì“ t ^ municipale Simoiie Mayr    ano. la Pia Unione tessitori in seta areento l a Società di M. S. fra cap-  ’ aigento e oro di Tonno; nel 1884, la Società  Assieme a’gli altri benefici di ordine politico e 'sociale che la  unificazione del Regno ci recò, dobbiamo segnalare anche il rapido  incremento nelle Società di mutuo soccorso. Durante il periodo della  prima metà del secolo decimonono solo 48 Società nuove videro la  luce, come abbiamo veduto. Al 31 dicembre 1885, cioè dopo 35 anni  soltanto, la statistica a quella data denunzia la esistenza di 4896 So¬  dalizi e ah 31 dicembre 1894, dopo nove anni, ne troviamo 6722, con  un aumento di 1826. Vedremo in seguito quante e di qual forza siano  quei sodalizi al 31 dicembre 1904, secondo la recente statistica, pubblicata dall’Ispettorato Generale del Credito e della Previdenza. Le Società di mutuo soccorso italiane, nella loro generalità, sono  associazioni che esercitano in modo prevalente funzioni di carattere  assicurativo col principio della mutualità, aggiungendo spesso a queste  altre funzioni accessorie dirette ad accrescere le forze economiche  e intellettuali e morali dei soci.   Fra le funzioni di carattere assicurativo ha prevalenza in tutte  l’assicurazione di un sussidio in caso di malattia. Spesso vi si aggiungono le spese funerarie in caso di morte ed un sussidio una  volta tanto ai superstiti. I sussidi di malattia sono commisurati ai  contributi, spesso con calcoli empirici, qualche volta alla stregua  di previsioni tecnicamente calcolate. Quasi tutte le Societàc he concedono sussidi di malattia, per conseguire il diritto al sussidio fissano  un periodo di tempo dall’ ammissione, che comunemente chiamasi  periodo di noviziato. Sono poche le Società che accordano il sussidio  subito dopo l’ammissione: 45 secondo l’ultima statistica (1); tutte le  altre vanno da un minimo di un mese ad un massimo di 24 mesi, e  ve ne ha 120 nelle quali il periodo di noviziato supera i 24 mesi.  Ma il numero maggiore si condenza intorno al periodo da uno a  12 mesi: il 76 per 100 del totale.   Non tutte le Società concedono il sussidio dal primo giorno  della malattia, sono anzi pocchissime quelle che lo concedono; le al¬  tre fissano un periodo, che chiamono periodo di carenza, nel quale i  soci non hanno diritto al sussidio. Il periodo di carenza è di ordinario di uno a tre giorni, ma giunge sino a dieci e per poche So¬  cietà va oltre i dieci giorni.    orefici ed arti aifiai di Bologna, la Società Sant’Anna fra i maestri muratori di Pinerolo; nel'  1835, la Società cocchieri e domestici di Sant’Antonio Abate di Verona; nel 1836, la Società  •di M. S. fra parrucchieri di Novara, la Società di M. S. fra brentatori di Vercelli, la Società  di M. S. fra lavoranti guantai, tintori e conciatori di pelle di guanto di Torino, la Società  operaia di M. S. fra conciatori di Torino; nel 1812, la Società di M. S. fra parrucchieri di  "Torino, la Società dì vi. s. fra barbieri, parrucchieri e profumieri di Bologna; nei  1444, il Pio Istituto di M. S. pei medici e chirurgi della città e provincia di Bologna, la Società fra medici e chirurgi di Lombardia in Milano, la Società di M. S. fra farmacisti, medici  e veterinari di Parma, la Società lavoranti calzolai di Pinerolo, la Società di M. S. fra marinai pescatori di Trapani; nel 1846, la Società di M. S. dei medici-chirurgi della città e  provincia di Ferrara, l’Istituto di M. S. fra medici, chirurgi e farmacisti di Roma e sua pro¬  vincia, la Società mutua beneficenza di Citta di Castello; nel 1847, la Società di M. S. tra  calzolai di Alba, la Società medico-farmaceutica di Padova; nel 18 - 1 S, l’Unione operaia pa¬  triottica fratellanza di Asti, la Società Femminile di M. S. S. Bonifacio di Pinerolo, la Società Generale fra gli operai di Pinerolo, l’Unione per le malattie di Verona, la Federazione  italiana fra lavoranti del libro (compositori) di Tonno; nel 1849, la Società di M. S. fra i  pompieri municipali di Ancona ; nel 1764, la Università dei pescivendoli patentati di Roma  Questi dati e i seguenti concernono le Società riconosciute soltanto, per la quale la  statistica ha potuto registrare notizie più copiose. Si tratta quindi di osservazioni che concernono 1548 Società soltanto.  Nè il sussidio è concesso per tutta la durata della malattia.Società soltanto sussidiano la malattia fino al suo termine; ma nelle  altre assai raramente il sussidio va oltre i 180 giorni in un anno, e il  numero maggiore si conta fra quelle che non vanno oltre 120 giorni  La misura del sussidio di malattia per mo te Società (il 4-2 per  1001 rimane invariata per tutta la durata della malattia, in molte  altre (il 50.4 per 100) varia, sia aumentando dopo alquanti giorni  sia diminuendo. L’assicurazione obbligatoria contro gl infortuni del lavoro tutela  oggi in Italia una larga massa di operai, ma non H tutela tutti:  l’artigianato, la mano d’opera agricola, le industrie ohe non appli¬  cano macchine, sono ancora oggi fuori il campo dell assicurazione  obbligatoria. E’ confortante perciò osservare nell azione dei nostri  sodalizi muralisti, in via se pur vuoisi sussidiaria, un aiuto inte¬  gratore pei casi di infortunio. Per quanto concerne la invalidità  temporanea il numero maggiore delle Società (823 su 965) conside¬  rano questa agli effetti-del sussidio come una malattia ordinaria; le  altre danno il sussidio in misura diversa. Piu scarso è il numero  delle Società che danno sussidio in caso d’invahdita permanente  (542), e il sussidio per alcune è determinato sia in un assegno una  volta tanto, sia in forma continuativa;- per altre, e sono il numero  maggiore, il sussidio è indeterminato, viene dato, cioè, secondo la  entità e la disponibilità dei fondi sociali. E ancora in minor numero  sono le Società che danno sussidi in caso di morte per fa,tto di in¬  fortunio sul lavoro (464 soltanto); e questi sussidi sono in misura  determinata sotto forma di assegni per una volta o continuativi o  di pensioni o di spese funerarie, o in misura indeterminata.   Quantunque riferentisi alle Società riconosciute soltanto, hanno  valore, come indice tecnico, i dati relativi ai casi di malattia sussi¬  diati, ai soci sussidiati, alle giornate di malattia sussidiate ed agli  oneri finanziari che ne derivano alla Società. Di questi dati ripor-   Per ogni Società, in media, sono sussidiati 45.1 soci all’ anno,  per 52 6 casi di malattia e per 995.3 giornate di malattia, con una  spesa media di 1007.02. Su 100 soci si hanno 29.1 casi di malattia,  sussidiati e sono sussidiati 25 soci. Per ogni caso di malattia sono sussi¬  diate giornate 18.7; e per ogni socio esistente sono sussidiate giornate  5.52. Questa media può rappresentare l’indice di morbosità nei soci  delia Società di mutuo soccorso ed ha grande valore per il migliore  ordinamento tecnico di questi sodalizi, per una più razionale corri¬  spondenza fra i mezzi di cui dispongono e gli impegni che assumono  con la promessa statutaria. La spesa media pei sussidi di malattia,  annualmente, risulta di lire 5.64 per ogni socio esistente.   Nell’ordine stesso del mutuo soccorso devono porsi i sussidi per  spese funerarie di soci defunti. Molte Società provvedono diretta-  mente alle spese funerarie, alcune concorrono con la famiglia alle  spese stesse. Non sono infrequenti poi i casi di Società che danno  sussidi alle famiglie dei soci morti sia una volta tanto sia in forma  continuativa. Sono relativamente poche le Società che concedono  sussidi di puerperio e di baliatico (l’8.9 per 100). Nè sono molte le  Società che provvedono con sussidi ai soci disoccupati (il 6.5 per 5 — 100). Questi dati si riferiscono a tutte Società delle quali si occupa  la statistica recente.    Carattere degno del maggiore studio delle nostre Società mu-  iualiste è di aver attinto alla forza delle loro organizzazioni per dar  vita ad istituzioni cooperative a vantaggio dei propri soci. Questa  geniale filiazione della cooperazione dal seno della previdenza mu-  tualista fu rilevata ed illustrata dal Mabilleau in occasione di uno  studio che, per conto del Musee Sociale di Parigi venne a fare in Italia  delle nostre Istituzione di previdenza assieme al Conte di Rocquigny  ed al Rayneri (1). La statistica recente ne dà una conferma luminosa.   Nel quadro seguente è indicato il numero delle Società di Mutuo  Soccorso che esercitano funzioni cooperative. COMPARTIMENTI Prestiti ai soci Magazzini di consumo   Cooperative  di lavoro   Cooperative  di credito Piemonte. 174 281 2 Liguria 19 15 Lombardia 233 46 1 Veneto 161 32 Emilia. 182  23   1 Toscana.   92   58   1 Marche 128   24   1 Umbria. 72   18  Lazio 63 2 . Abruzzi.   82   5   Campania. 150   10  Puglie 1 • 57   7   1   Basilicata.   27   Calabria 47   14 Sicilia.   95   17 Sardegna 15 Regno . .1597 552   5 2    Nella maggior parte dei casi non si tratta di istituzioni autonome  fondate secondo le norme del codice di commercio, ma di i-ami di  attività della stessa Società di mutuo soccorso operante coi fondi di  questa. Le Casse di prestiti sono principalmente dirette al fine di  produrre un maggiore rendimento coi fondi sociali, e quindi si com¬  prende come esse siano in numero maggiore (il 24.9 per 100). I ma¬  gazzini di consumo, che sul totale rappresentano 8 6 per 100 delle  Società esistenti, primeggiano nel Piemonte, dove il 21.3 per 100  delle Società hanno annesso il magazzino di consumo, e merita par¬  ticolare mensione quello della Società Generale operaia di .Torino,  reso ancora più forte dalla alleanza con la Cooperativa di consumo  dei ferrovieri.  La Prévoyance Sociale en Italie - Paris, Armand Colin et C.« Editeurs Fra gli scopi accessori delle nostre Società mutualiste meritano  poi particolare mensione quelli diretti alla istruzione dei soci; le  Società vi contribuiscono mediante biblioteche, scuole serali o festive,  scuole di disegno o industriali, ó pure mediante I’ assegnazione di  premi, la provvista dei libri e così via.   Altri scopi accessori sono il collocamento dei soci disoccupati^  ed alcune Società hanno annessi veri e propri uffici di collocamento;  il conferimento di doti alle figlie dei soci; la costruzione di abitazioni  operaie; la concessione dei sussidi alle famiglie dei soci richiamati  sotto le armi.   Nei riguardi della costruzione delle case operaie la legge del  1903 sulle case popolari contempla in modo particolare le Società di  mutuo soccorso, dando ad esse facoltà di impiegare una parte dei  loro fondi in costruzione di case pei propri soci. La legge vuole  soltanto che le Società, le quali questa impresa intendono assumere,  costituiscano una sezione speciale. E già sotto l’impegno di quella  legge parecchie Società hanno chiesto ed ottenuto 1’ autorizzazione  di intraprendere la costruzione di case Operaie.    Un nuovissimo ufficio assunto delle nostre Società di mutuo soccorso è quello di promuovere la iscrizione, collettiva o individuale,  dei soci alla Cassa Nazionale di providenza per la invalidità e la  vecchiaia degli operai.   Contiamo nel nostro paese Società le quali assicurano pensioni  di vecchiaia tecnicamente calcolate: sono modelli del genere le due  Società, maschile e femminile, di Cremona. E sonovi Società le quali  non pensioni ma sussidi di invalidità o di vecchiaia promettono ai  loro soci in misura e qualità corrispondenti ai fondi disponibili.   E siccome le Società che corrispondono pensioni o sussidi' di  vecchiaia ai soci hanno per tale servizio costituito un fondo speciale  alimentato da speciali contributi o da avanzi di bilancio, la legge  institutrice della Cassa Nazionale di previdenza consente’ a queste  Società di versare alla Cassa i fondi così raccolti e le future contribuzioni, inscrivendo ad essa collettivamente i soci aventi diritto a  pensione ed accorda a quei soci, segnatamente i più anziani, qualche  maggior favore. Quel precetto della legge è provvido, contiene un germe che  dovrebbe essere sviluppato, fecondato da nuove e più larghe concessioni per condurre i sodalizi mutualisti a divenire organi intermedi attivissimi fra l’operaio e la Cassa Nazionale, sull’esempio di  quanto con maravigliosi risultati viene praticandosi nel Belgio.   Alcuni credono che, per mantenere vivo lo spirito di fratellanza  per aumentare gli elementi che fanno fiorire e cementano la soli¬  darietà mutualista, sia opportuno conservare alle Società di mutuo-  soccorso il servizio di pensioni di vecchiaia, di perfezionarlo. Ed  altri persuasi che quei sodalizi non possono coi soli contributi dei  b^ C n t rni°HAi I ìr e i+ PenS10ni vec ?. hiaia sufficienti ai più elementari  vorrebbero che una parte delle risorse assicurate  - e i ^ preTld ® nza 0 nu °ve risorse affluissero a  quelle Società che intendono mstituire o continuare un bene ordinato  servizio di pensioni di vecchiaia. ordinato  Io non posso, senza venir meno alle mie convinzioni, manifestate  già in pubbliche conferenze, accogliere 1’ una tesi nè 1’ altra. Non  occorrono lunghe considerazioni per dimostrare condannevole la  prima. In un paese in cui è sorto un Istituto, il quale, con mezzi  forniti dallo Stato, può assicurare pensioni di vecchiaia in misura  superiore a quella cui possono provvedere istituzioni o sodalizi privati, si renderebbe un cattivo servizio ai lavoratori consigliandoli a  preferire la cassa pensioni della Società mutualista cui appartengono.  Nè si può ammettere che le inscrizioni dei soci di un gruppo operaio  alla Cassa Nazionale rallenti i vincoli della fratellanza e della soli¬  darietà. La Società, organo intermedio fra il socio e la Cassa Nazionale, non affievolisce perciò i suoi rapporti coi soci, anzi li afforza,  procurando ad essi maggior vantaggio. E poi, come in tutti i fenomeni sociali ed economici, vi sono virtù compensatoci che colmano  le lacune e riconducono rapidamente 1’ equilibrio per un momento  turbato.   La seconda tesi è pericolosa per le conseguenze cui condurrebbe:  il fatale spezzamento delle forze le quali per dare il maggiore effetto  utile devono convergere in un unico grande e solido organismo, nel  quale soltanto può giuocare, in tema di assicurazioni, la legge così  proficua dei grandi numeri.   In un sistema d’assicurazione libera, nel quale, pure come nella  obbligatoria, devono nécessariamente concorrere i tre elementi: lo  Stato, il padrone, l’operaio, non si può ammettere che, accanto all’Istituto nazionale, il quale può funzionare e divenire centro potente  di attrazione soltanto per la larghezza dei mezzi che gli si procurano,  vivano Istituti privati e diano gli stessi buoni risultati anche procurando ad essi aiuti speciali e peggio ancora se questi vengono sot¬  tratti all’Istituto Nazionale,   L’esperimento dell’assicurazione libera non può farsi che all’ombra  di un grande Istituto verso il quale convergano le cure assidue dello  Stato, la simpatia delle classi dirigenti, la fiducia dei lavoratori.   La legge operò quindi saviamente quando volle associare alla  grande opera dell’assicurazione per la invalidità e la vecchiaia degli  operai le forze, le iniziative dei sodalizi mutualisti ; ed il legislatore  farà ancora meglio se aumenterà gli stimoli, con un ben congegnato  sistema di premi, per la iscrizione dei soci della Società di mutuo  soccorso.   Intanto sono salutari gl’incitamenti che l’amministrazione del  grande Istituto adopera presso le nostre Società mutualiste, fu provvido il pensiero del Ministero di agricoltura, industria e commercio,  il quale, con R. Decreto 19 marzo 1905, bandì un concorso a premi  in danaro ed in medaglie d’oro e di argento da conferire a quelle  Società di mutuo soccorso che al 30 giugno del corrente anno di¬  mostreranno di avere contribuito efficacemente alla iscrizione dei  propri soci alla Cassa Nazionale di previdenza.   Di queste buone iniziative già si raccolgono copiosi i primi frutti.  Sono molte le società che hanno inscritto collettivamente o procu¬  rato le inscrizioni individuali dei loro soci. Si hanno notizie precise  di 73 sodalizi a tutto il mese di febbraio scorso. Queste 73 Società  hanno inscritto alla Cassa Nazionale, 16,078 soci. Meritano particolare  mensione: la Società di m. s. della ditta Ginori, di Sesto Fiorentino  che ha inscritto tutti i soci (587); la Società Generale di m. s. per  le operaie di Milano che ne ha inscritto 568; la Società operaia di  m. s. di Modena che ne ha inscritto 519; la Società di m. s. di Mol-  fetta. (Bari) che ne ha inscritto 512.    3.° La legislazione e la giurisprudenza.   Le Società di mutuo soccorso sono regolate in Italia dalla legge  15 aprile 1886. Questa contempla però soltanto le Società Operaie. Il  legislatore temè che con le forme assai semplici per il riconosci¬  mento giuridico fissate nella legge, senza alcun controllo della potestà politica, potessero rivivere, sotto la specie dell’ associazione mu¬  tualistica. le soppresse corporazioni religiose e quindi volle che le  Società composte di operai soltanto potessero chiedere ed ottenere  il riconoscimento giuridico con il procedimento escogitato. La for¬  mula rigida della legge è stata però largamente temperata dalla giurisprudenza; la quale ha ammesso che possa considerarsi operaia una  Società costituita in gran parte da operai. E così si è potuto ammettere anche nelle Società operaie l’intervento di soci benemeriti,  di soci fondatori, che con largo concorso pecuniario esercitano il  benefico ufficio del patronato.   Le Società di mutuo soccorso non composte di operai possono  ottenere il riconoscimento giuridico in base all’articolo 2 del codice  civile, come enti morali, e seguendo le norme che all’ uopo furono  tracciate dal Consiglio di Previdenza (1). Qui è opportuno rilevare che la giurisprudenza ha riconosciuto nelle Società di mu¬  tuo soccorso i caratteri dell’ ente morale. E quindi non ammette che  in caso di scioglimento, il patrimonio sociale possa essere distribuito  fra i soci superstiti,jjma debba essere devoluto a scopi afllni o in opere  di beneficenza, e vuole che le Società di mutuo soccorso nello  acquisto di immobili, nell’accettazione di doni o di legati siano autorizzate con decreto Reale, ai termini della legge del 1850 che contempla appunto enti morali.  a uà, ^aucenena aei j   naie Civile, depositando copia autentica dell’atto costitutivo e  statuto.    statuto.  Le condizioni che la legge vuole adempiute sono soltanto le seguenti :   1. Le Società devono proporsi tutti o alcuni dei fini seguenti:   assicurar ai soci un sussidio nei casi di malattia, di impotenza al lavorò o di vecchiaia ;   venir in aiuto alle famiglie dei soci defunti.   Possono inoltre;   cooperare all’ educazione dei soci e delle loro famiglie ;   dare aiuto ai sòci per l’acquisto degli attrezzi del loro mestiere ;   esercitare altri uffici propri delle istituzioni di previdenza  economica.   2. Gli statuti delle Società devono determinare espressamente;   la sede dèlia Società;   i Ani pei quali è costituita ;   le condizioni, la modalità d’ammissione e di eliminazione  dei soci ;   i doveri che i soci contraggono e i diritti che ne acquistano ;   le norme e le cautele per l’impiego e la conservazione del  patrimonio sociale ;   la disciplina alla cui osservanza è condizionata la vali¬  dità delle assemblee generali, delle elezioni e delle deliberazioni;   la costituzione della rappresentanza della Società in giudizio   e fuori ;   le particolari cautele con cui possono essere deliberati, lo  scioglimento, la proroga della Società e le modificazioni degli sta-,  tuti, sempre che le medesime non. siano contrarie alle disposizioni  della legge.   La concessione della personalità giuridica alla Società di mutuo  soccorso è quindi secondo la legge del 1886, subordinata soltanto  all’ esame estrinsero dell’adempimento delle condizioni dianzi indicate.  Non si chiede come ne fn manifestato il proposito in alcuni disegni,  di legge presentati prima che si giungesse alla legge del 1886, la  dimostrazione tecnica della corrispondenza fra contributi e sussidi,  non si impone l’impiego dei fondi sociali in determinate specie di  investimenti. Deve però avvertirsi che la legge parla di sussidi  e dalla discussione parlamentare risulta che si volle escludere pensatamente la parola pensioni, implicando un regolare servizio di  pensioni necessariamente la dimostrazione di un ordinamento tec¬  nico adatto allo scopo. Nè si può dire che la facoltà di corrispondere pensioni possa vedersi compresa nella formula della  legge : « esercitare altri uffici propri delle istituzioni di previdenza  economica ». Si tratta di una funzione che ha speciale importanza  che non può essere esercitata senza un ordinamento tecnico preciso,  che implica impegni a lunga scadenza e non si può in modo assoluto ammettere, tenuto conto anche della discussione parlamentare,  che il legislatore abbia voluto concedere di straforo l’esercizio di una .  così importante funzione.   B la giurisprudenza ha confermato il pensiero del legislatore  ammettendo che occorra una speciale concessione governativa per'  esercitare il ramo pensióni di vecchiaia o di invalidità; concessione   subordinata alla dimostrazione di un ordinamento tecnico che dia  sicurezza per il mantenimento degli impegni assunti (1).   Nelle norme preparate dal Consiglio della Prev^nza per a  concessione della personalità giuridica mediante deci eto .R®* 1 ® a “®  Società di mutuo soccorso non operaie, si chiede qualche cosa di  più di quello che la legge del 1886 chiede alle Società operaie. Può  sembrare a una prima impressione, che ciò costituisce una c0I1 ^ 10ne  meno favorevole alle Società che non possono ottenere i 1 1 conoscimento giuridico altrimenti che con un atto del potere esecutivo. Ma  ove si consideri che si tratta di Società fra persone che hanno  qualche maggiore coltura, non sembrerà eccessivo chiedere ad esse  una più razionale discriminazione negli scopi, qualche maggiore det¬  taglio negli Statuti. E nello stabilire quelle nome il Consiglio della  Previdenza si è anche proposto l’obbiettivo d additarle ad esempio  alle Società operaie. La legge chiede il minimo, e non può quinci  escludere che si faccia di più e meglio.    I vantaggi che la legge del 1886 consente alle Società di mutuo  soccorso riconosciute sono i seguenti:   esenzione dalle tasse di bollo e registro, conferita alla Società cooperative dell’articolo 228 del codice di commercio;   esenzione dalla tassa sulle assicurazioni e dall' imposta di  ricchezza mobile, come all’ articolo 8 della legge 24 agosto 1877, numero 4021;   parificazione alle Opere pie per il gratuito patrocinio, per  la esecuzione dalle tasse di bollo e registro e perla misura dell’imposta di successione o di trasmissione per atti ira soci ;   esenzione da sequestro e pignoramento dei sussidi dovuti  dalle Società ai soci.   Gli obblighi delle Società registrate, come anche di quelle riconosciute con decreto Reale, si riassumono nell’invio del proprio  Statuto al Ministero di agricoltura, industria e commercio e nelle  comunicazioni allo stesso Ministero dei rendiconti annuali i quali  sono compilati sopra moduli dal Ministero stesso forniti gratuitamente.  Il Ministero esamina i rendiconti annuali e spesso dà buoni consigli  per la migliore gestione del patrimonio sociale, mettendo in guardia  il sodalizio contro la tendenza di spese suutuarie, per un più cauto  impiego dei fondi disponibili. Nessun altra ingerenza il Ministero  esercita nelle Società registrate, nè esercita ufficio di vigilanza so¬  vra di esse, non potendo sottoporle ad ispezioni, scioglierne le amministrazioni, nominare Commissari Regi.   Nè la legge del 1886 nè altre leggi, oltre i vantaggi di ordine  fiscale, conferiscono alle Società di mutuo soccorso aiuti diretti o inni Il Consiglio di Previdenza non espresse divei  del 1897, cosi concepita « Le Società di mutuo so<   lità giuridica ai termini della legge del 15 aprile --   -.-e pensioni, ossia rendite vitalizie jn^misuraJìssa e prestabi    i una nota al modello di statuto  spirano ad ottenere la persona-  s possono proporsi di assi-    diretti dello Stato. I nostri sodalizi mutualisti vivono esclusiva-  mente, o quasi, eccettuate le non frequenti obblazioni dei benefattori, attingendo le proprie forze alle contribuzioni dei soci. E ciò, a  mio giudizio, costituisce il loro miglior vanto.   Occorre però tener conto degli aiuti di carattere non continua¬  tivo e straordinario che vengono ad esse nei concorsi a premio e  da sussidi speciali conferiti dal Ministero di agricoltura, industria e  commercio.   Nel campo dei concorsi a premio meritano particolare mensione  quelli che una volta con alquanta frequenza indiceva la Cassa di  Risparmio di Milano fra le Società di mutuo soccorso meglio ordi¬  nate.   Nel 1882 fu bandito un concorso a premio, di lire 3000 (1500 offerte dal comm Besso e 1500 date dal Ministero) per il miglior ordinamento delle Società di mutuo soccorso; enei 1901 ne fu indetto  un’altro dal Ministero con un premio di mille lire, due di cinque¬  cento e con medaglie di argento o di bronzo a quelle Società ope¬  raie di M. S. che avessero meglio provveduto ad organizzare e garantire un servizio di rendite Vitalizie ai soci nei casi di inabilità  al lavoro o di vecchiaia, sia direttamente con apposito fondo sociale,  sia mediante l’inscrizione dei soci alla Cassa Nazionale di previdenza.   Ho rammentato più sopra il concorso a premi del 1905.   Incoraggiamenti morali vengono dal Governo alle Società di  mutuo soccorso, mediante concessione di medaglie di benemerenza.  Nella occasione della Esposizione Generale di Torino del 1882, il  Ministero istituì premi consistenti di quattro medaglie d’oro di prima  Classe, cinque di seconda e 12 medaglie di argento da conferirsi a  quelle Società Operaie che avessero dato prova di miglior ordinamento e di più lunga esistenza con risultati efficaci, giovando anche  con le scuole e con le biblioteche alla istruzione degli operai. E  frequensemente il Ministero concede medaglie di Benemerenza ai  sodalizi operai che hanno dato prova per lunga serie di anni di  buon ordinamento e di costante devozione ai principii della mutualità. Nè sono infrequenti i sussidi in denaro, non molto larghi data  la parità dal fondo all’uopo stanziato, che il Ministero dà alle Società operaie che più si addimostrano bisognose di aiuti.    A. Lo stato attuale.   La recente statistica sulle Società di mutuo soccorso, elaborate  dell’ Ispettorato generale del credito della previdenza, registra la  esistenza in Italia al 31 dicembre 1904 di 6535 Società delle quali   riconosciute 1548   non riconosciute 4987   Abbiamo veduto più innanzi che la statistica del 1892 denunziava  al 31 dicembre di quell’ànno la esistenza di 6722 Società di mutuo  soccorso; e quindi nel decennio, in luogo di riscontrare un incremento, come erasi verificata, e notevole, dal 1885 al 1894, si constata  uua diminuzione di 187 Società, e cioè, in cifra media, del 2 - 8 per  cento. La diminuzione più notevole si osserva nell’Italia meridionale  e nell’insulare ed in parte della centrale; si giunge sino al 48. 1    per cent© nelle Puglie. Ma per compenso si ha un aumento nell’ Italia  settentrionale e nel rimanente della centrale; aumento che riuscì  notevole nel Veneto col 24.2 per cento e nella Lombardia col .15.0  per cento. Abbiamo detto più innanzi che la diffusione delle Società di mutuo soccorso, assai lenta nella prima metà del secolo decimonono,  andò accentuandosi dopo la unificazione del Regno, e riportammo, a  dimostrazione, le cifre delle statistiche del 1885 e del 1894. La dimo¬  strazione riesce più evidente classificando il numero delle Società  per anno di fondazione. Dai numeri assoluti si traggono le medie  seguenti su 100 Società esistenti al 31 dicembre 1904:    Società fondate prima del 18*0 — % . 1.0   » ,, dal 1850 al 1859 — » . 2.7   » » dal 1860 al 1869 — » . 10 . 3   » » dal 1870 al 1879 — » . 19 . 2   » » dal 1880 al 1884 — » . 18 . 9   » » dal 1885 al 1889 — » . 14 . 5   » » dal 1890 al 1894 — » . 12 . 6   » » dal 1896 al 1899 — » . 8.7   » » dal 1900 al 1904 — ». 12 . 1    Il decennio più fecondo è stato quello dal 1880 al 1889, con una  inedia di 33 4: vien dopo il decennio 1890-99 con 21.3; e terzo il  decennio 1870-79 con 19 2. .   Ma l'incremento più rapido si determina appunto dal 1860 in poi.   Esaminando le cifre afferenti ai vari compartimenti è da notare  che, mentre nell’Italia settentrionale e centrale è piccolo il numero  delle Società instituite negli ultimi anni, questo numero è notevole  nell’Italia meridionale ed insulare. E siccome in queste regioni si  riscontra pure la maggior diminuzione delle Società nel periodo 1895-  1904, si deve concludere che in esse le Società hanno vita più breve.  Tale ipotesi trova conferma nelle cifre seguenti:   Su 100 Società esistenti al 31 dicembre 1891, numero di quelle  sciolte nel decennio: Piemonte Liguria Lombardia Veneto Emilia.  Toscana   Marche   Umbria    Abruzzi   Campania   Puglie.   Basilicata   Calabria   Sicilia .   Sardegna    Regno    25 . 2    L’indice più alto di diminuzioni lo danno le Puglie; seguono la  Basilicata, la Calabria, la Campania, la Sardegna. °    Delle 6,535 Società esistenti al 31 dicembre 1904    sono composte di soli uomini .   » » di sole donne   » » di uomini e donne   se ne ignora la composizione .    5,078   252   1,017   189   Le Società esistenti al 31 dicembre 1904, abbiamo veduto, sono  1548. Di queste 42 soltanto sono riconosciute con decreto Reale e  1506 con provvedimento del Tribunale, ai sensi della legge 15 aprile  1886. Al 31 dicembre 1894 le Società riconosciute erano 1156; vi fu  quindi nel decennio un aumento di 392 ed in media del 33. 6 per %•  L’aumento fu più sensibile nell’Italia meridionale. Su 100 Società esistenti, si contano 23.7 Società riconosciute. Quando si consideri che  la legge del 1886 è sufficientemente liberale, non impone vincoli e  formalità costose, lascia ai sodalizi la maggiore libertà di azione nello  esplicamento dei fini che si propongono, sullo impiego dei fondi, non  le asservisce ad alcuna vigilanza governativa, male si spiega il lento  incremento delle Società riconosciute e il loro scarso numero rispetto alla massa. Forse deve rintracciarsi la ragione del fatto in  pregiudizi non ancora rimossi dall’animo dei nostri lavoratori, nella  imperfetta conoscenza dei benefizi che la personalità giuridica reca,  indipendentemente da quelli d’ordine finanziario conferiti dalla legge.  Non vogliamo ammettere che influiscano anche tendenze che esulano  dal campo della mutualità, del fratellevole aiuto. Queste tendenze  trovano più conveniente esplicazione in altre forme di organizzazioni, che in ben ordinato reggimento politico hanno diritto di cittadinanza per la legittima difesa di interessi professionali e per la  protezione del lavoro.   Il,numero dei soci aggregati alle Società di mutuo soccorso, secondo le statistiche alle tre date, risulta nelle cifre seguenti:  nel 1885 — 730,475  nel 1894 - 933,685  nel 1904 — 926,026   Siccome però non tutte le Società diedero sulle tre indagini le  indicazioni del numero dei soci, assumendo, per la integrazione, il  criterio della media dei soci per ciascuna Società, si avrebbero le  cifre seguenti :   nel 1885 — 760,085  nel 1894 — 956,328  nel 1904 — 953,455   La media dei soci per ogni Società nel 1885 risulta di 153.2, nel  1894 di 142 . 3, nel 1904 di 145 . 9.   Il numero dei soci è aumentato in tutti i compartimenti dell’Ita¬  lia settentrionale, escluso il Piemonte: è aumentato anche nell’Emi¬  lia, nella Toscana, nell'Umbria e nella Sicilia; ed è diminuito in tutti  gli altri compartimenti. Nel periodo 1895-1904 il numero medio dei  soci è aumentato in Liguria, Emilia, Campania, Sicilia e Sardegna,  si è mantenuto eguale in Lombardia ed è diminuito negli altri com¬  partimenti.   Sopra 100 Società esistenti al 31 dicembre 1904, la diversa composizione numerica di esse è indicata dalle cifre seguenti:   Sino a 99 soci . — 53 . 6  Con soci da   » » da   » » da   » » da   » » da   » » da   b b da 1000 a 1500 — 0 . 5   b b oltre . 1500 — 0.3    100 a 199 — 27 . 6  200 a 299 — 27 . 3  300 a 399 — 4.5  400 a 499 — 2.3  500 a 699 — 1.2  700 a 899 — 0.8    In complesso, in tutti i compartimenti, esclusa 1’ Emilia ove se  ne ha il 43 . 2 per 100 e la Lombardia ove se ne ha il 46 . 0 per  100, più della metà delle Società conta meno di 100 soci; ed in ge¬  nerale un quarto circa delle Società conta un numero di soci da 100  a 200.   La statistica del 1904 discrimina anche i soci secondo i sessi.  Dei 926,026, soci, 849,418 sono uomini, 76,608 sono donne.    Sul movimento economico dqlle Società di mutuo soccorso si pos¬  sono fare raffronti con la statistica del 1885; quella del 1895 non con¬  tiene alcuna notizia sul patrimonio sociale. Ecco i dati riferentisi  alle due date:    Entrata.  Spese .  Patrimonio    L. 7.    L. 14,632.425  .404.205 » 11.790.028  1.200.840 » 72.395.544    Il patrimonio medio per ciascuna Società, che nel 1885 era di  L. 9.147,97, nel 1904 ammonta a L. 12.-017,85.   Volendo integrare le cifre per le Società, che nei due tempi non  diedero la indicazione del patrimonio sociale, assumendo come cri-  terio il patrimonio medio, si avrebbero le cifre seguenti:    Con lo stesso metodo si possono integrare le cifre afferenti alle  entrate ed alle spese.   Secondo tali risultati,!che non si possono discostare molto dalla  ventarsi ha nel 1904 in confronto al 1885 un aumento di L. 4.919.727  nelle entrate, di L; 5.089.469 nelle spese; e di L 33.748 218 sul pa¬  trimonio, nella misura cioè del 75 . 13 per 100.  t 9 o^? trata media .nell’ anno per ciascuna Società risulta di  L. 2,342,43, con un mimmo di L. 861,63 per le Società degli Abruzzi  e con un massimo di L. 3833,27 per le Società della provincia di  Roma. La media delle entrate per ciascun socio è di L. 16 con un  Lombardia L ’ 8 ’ 3 ° Pei> la Calabria e un massimo di L. 18,92 per la   „ n +S„ el ^ m . e ^ Ì prÌ - nc y? a À i .’ di cui si compongono le entrate sono tre:  “SJ on ? dl ® oc ì effettivi, contribuzioni di soci non effettivi, do¬  nazioni ed altro (patronato), altre entrate. Sopra ogni cento lire di  entrate nel 1904 ,1 tre elementi davano le cifre seguenti:   Contribuzioni di soci effettivi .... 68 80   Contributi di soci non effettivi, donazioni, ecc 7 28  Altre entrate . . y . . . 29 * 47   Il cfflpite inabor 6 di entrata è dovuto, come abbiamo già no¬  tato, alle contribuzioni dei soci effettivi. E la proporzione diventa  maggiore quando si consideri che le altre entrate slno in malsima  dei fondi impiegati, i quali alla loro  volta derivano dalle contribuzioni dei soci. La media delle entrate  1eT3 V 9 ate 5 8 da nn ^urioni dei Soci effettivi Varia da^ SSmo  Liguria 58 P °° m Basillcata ad un mas simo dall’82 per 100 in  Si hanno notizie più particolareggiate sulle entrate delle Società  riconosciute ; ma queste, desunte dai loro rendiconti, si riferiscono  al 1903. Le percentuali di queste entrate sono le seguenti:    Redditi patrimoniali  Contribuzioni di soci  Introiti lordi . . .   Redditi straordinari Rendita di beni immobili ... 1. 69   ( Interessi attivi.17. 13   (effettivi.38.60   ^ non effettivi.0. 99   l di Magazzini di consumo ... 27. 58   1 di aziende sociali.6.85   .7.16    Anche per queste Società, nella media generale del Regno, il  maggiore delle entrate deriva dalle contribuzioni dei soci effettivi,  esclusi però il Piemonte, la Toscana e la Calabria ove proviene da¬  gli introiti dei magazzini cooperativi, e la Sicilia ove la maggior  parte delle entrate sono dovute alla assunzione da parte di due So¬  cietà di Palermo, quella fra la gente di mare e T altra dei capitani  marittimi, di appalti di carico e scarico di merci. In Lombardia le  contribuzioni dei soci effettivi eguagliano quasi i redditi patrimo¬  niali; ivi infatti sono le Società più antiche e con patrimonio più  rilevante.   Le contribuzioni dei soci non effettivi variano dal 2. per 109  nell’Umbria, al 0. 5 per 100 nelle Puglie, perchè appunto nelle Società di questa regione è minimo il numero dei soci non effettivi. La spesa media per ciascuna Società nel 1904 risulta di L. 1902,84  e per socio di lire 13. Nelle medie per Società della spesa si va da  un minimo di lire 679,30 per le Soc età degli Abruzzi ad un massimo  di lire 2925.51 per quelle della provincia di Roma; il minimo ed il  massimo delle spese si riscontrano quindi nelle stesse regioni nelle  quali si hanno il minimo ed il massimo delle entrate. La spesa per  ciascun socio oscilla fra un minimo di lire 6-,67 negli Abruzzi e un  massimo di lire 16,51 in Liguria.   Nello insieme delle Società non è riuscita possibile una minuta  discriminazione delle spese: si è dovuto star paghi alle due grandi  divisioni: spese per sussidi, altre spese. Nel 1904, rispettivamente ad  ogni 100 lire di entrata, si hanno per il Regno le cifre seguenti:    spese per sussidi.51.4   altre spese.29.7   Le spese superarono le entrate dell’1.8 per 100 soltanto in Liguria:  nelle altre regioni le spese furono inferiori alle entrate. Nelle So¬  cietà della Basilicata, della Calabria, della Sicilia la proporzione delle  altre spese alle entrate è superiore a quella delle spese per sussidi  ai soci e alle loro famiglie, indizio di non buono e parsimonioso ordinamento amministrativo ; nel resto del Regno la parte maggiore  delle spese fu assorbita dai sussidi ai soci e alle loro famiglie.   Come per le entrate così per le spese si hanno più minuti rag¬  guagli nelle spese delle Società riconosciute, erogate durante l’anno  1903. Nelle cifre seguenti si dà la ripartizione di 100 lire di spesa    Spese di malattia j f^^se '. ! :  Sussidi di cronicità ed impotenza al lavoro  Sussidi di vecchiaia.    Soci defunti  Altri sussidi    l Onoranze funebri. .   ^ Sussidi alle famiglie    19,45  3.01  4,40  10 87  0.75  2.62  1.34 03 ( Magazzini di consumo .   “§ < Altre aziende sociali . ’S g ( Altre spese.   Spese di amministrazione  Spese straordinarie. . .   Le spese per sussidi assorbono il 42.44 per cento del totale  delle spese e vanno da un minimo del 14.21 per cento in Sicilia ad  un massimo del 69.57 per cento nell’ Umbria. In tutte le regioni,  esclusa la Lombardia, si nota che la maggior parte delle spese per  sussidi va nei sussidi di malattie, col massimo del 50 per cento nel¬  l’Umbria. In Lombardia invece hanno prevalenza i sussidi di vecchiaia.  Le spese pei magazzini di consumo sono rilevanti nel Piemonte (56.02  per cento), nella Toscana (43.51 per cento), in Calabria (39.97 per  cento). Le spese di amministrazione variano dall’ 8.02 per cento in  Piemonte, al 33.47 in Basilicata.    . 28.78  . 7.05  . 2.6S   . 13.14  . 5.91    La sostanza patrimoniale delle Società al 31 dicembre 1902 che  come abbiamo veduto, è di lire 72.395.544. ragguagliata per Società  e per soci e distinta fra Società registrate e Società non registrate,  dà le cifre seguenti:    patrimonio medio.   per ciascuna Società   Società riconosciuta 24.267,00   Società non riconosciuta 7.887,67   Riconosciute e non riconosciute 12.017,85    per ciascun Sòcio   123.32   60,16   82,50    È più alta la media nelle Società riconosciute; e ciò non dimo¬  stra che il riconoscimento giuridico sia stato per quei Sodalizi elemento di singolare prosperità, ma che i sodalizi più forti meglio do¬  tati e quindi più evoluti hanno sentito e voluto tutti i vantaggi della  personalità giuridica.   Dalla media generale del patrimonio per Società si discostano,  nel massimo la Lombardia con lire 20.655,70, nel minimo la Calabria  con lire 4 391,09; gli stessi scarti si riscontrano nella media del pa¬  trimonio per socio : 122.97 in Lombardia, 40.15 in Calabria.   Si hanno i dati della composizione del patrimonio soltanto per  le Società riconosciute, e si riferiscono al 31 dicembre 1903.   A quella data il patrimonio delle Società riconosciute ammontava a lire 35.976.981 ed era cosi composto. Beni stabili ...... L. 3.580.079 10,0   Titoli pubblici e privati .... » 15.239,047 42,6   Mutui e depositi a risparmio . « 14.648 374 40.7   Altre attività.» 2.50S.461 6,9    La misura massima di impieghi in immobili è nelle Società delle  Calabrie ove si ha il 33.5 per cento, il minimo si riscontra in quelle  della Campania col 2.5 per cento. Negli investimenti in titoli pubblici e privati il massimo è nella provincia romana col 70.3 per cento. Nelle Marche invece si ha il massimo in mutui e depositi a  risparmio con 1’ 81.9 per cento ; la Liguria presenta invece in questi impieghi il minimo col 13.8 per cento.   Hanno speciale importanza le cifre che discriminano le Società  di mutuo soccorso secondo la entità del patrimonio da esse posse¬  duto. Riferiamo qui le cifre assolute e proporzionali del numero  delle Società per entità patrimoniale, al 31 dicembre 1904.   Numero delle Società che hanno un patrimonio:    Da L. 0 a   999   Cifre assolute  1.517   Su 100 Società  23.6   11 1000 a   4999   2.117   35,3   » 5000 a   9999   9S9   16.5   n 10.000 a   49.999   1.239   20.6   n 50.000 a   99.999   156   2.6   n 100.000 a   249.999   60   1.0   ii 250.000 a   49.1,999   12   0.2   n 500.000 a   1.000.000   5   0.1   Oltre un milione   4   tu   Senza indicazione del patrimonio 535 Di 5999 Società che hanno comunicato 1’ ammontare del loro pa¬  trimonio, solo 81, delle quali 54 riconosciute, hanno un patrimonio  superiore a lire 100,000 ossia circa 1' 1.10 per cento. 11 23.6 per  cento delle Società ha un patrimonio inferiore a lire 1000; il 35 3  per cento un patrimonio da lire 1000 a 5000, il 16.5 per cento un  patrimonio da lire 5.000 a 10.0000 ; il 20.6 per cento un patrimonio  da lire 10.000 a lire 50 000 e il 2.6 per cento un patrimonio da lire  50.000 a 100.000.    5. Le federazioni.   Nelle norme preparate dal Consiglio di Previdenza per il rico¬  noscimento giuridico delle Società composte di non operai è am¬  messa la costituzione di consorzi fra Società riconosciute per formare un fondo di riserva consorziale, per assumere impiegati comuni, per stipulare contratti con medici e farmacie, per mettere in  comune alcuni servizi, o anche alcune assicurazioni. Si può stringere anche un accordo fra Società non tutte legalmente riconosciute  per esercitare un controllo sui soci sussidiati o per regolare il passaggio dall’uno all’ altro sodalizio di quei soci che cambiano resi-  Ta legge francese del 1898 sulle Società mutualiste consente la  costituzione di unioni fra le Società, conservando ciascuna la propria  autonomia, aventi per oggetto principalmente : l’organizzazione a  favore dei membri effettivi delle cure e dei soccorsi indicati nella  legge e specialmente la instituzione di farmacie nelle condizioni  stabilite dalle leggi speciali sulla materia ; l’ammissione dei membri  effettivi che abbiano cambiato residenza; il regolamento delle pensioni di vecchiaia; 1’ organizzazione di assicurazione mutua pei rischi  diversi a cui le Società debbano provvedere, specialmente la fondazione di Casse di pensioni e di assicurazioni comuni a più Società  per le operazioni a lunga scadenza e le malattie di lunga durata;  il servizio del collocamento gratuito.   La statistica ufficiale non registra la esistenza in Italia di Consorzi  o d Unioni costituiti per gli scopi predetti, che hanno alquanta  analogia eon quelli indicati nelle norme. In recenti Congressi regionali di Società di mutuo soccorso fu deliberata la costituzione di  unioni regionali, ma ancora non possiamo dire se furono costituite  e per quali scopi.   Nel primo Congresso nazionale delle Società di mutuo soccorso  tenuto a Milano il 29 giugno 1900 fu deliberato «d'organizzare fra  m loro tutte le Società operaie di mutuo soccorso in federazione  nazionale, salvo studiare il modo di organizzarle razionalmente, con  a nomma di una Commissione esecutiva provvisoria », fissando intanto  a Hi n^ ta 1 o annUa dl , pre ,. 5 per le Societ à aventi non più di 100 soci  t pe f <3 £ e i e dl - un numero superiore; e «di indire un  mprf Ha] lavnnn Fede n azl one delle Società operaie, quelle delle Ca-  La fnlliìl! 6 ?r e Ì Ie delle Cooperative per un’intesa comune ».  con?t^ a aduna " za deI 5 settembre dello stesso anno 1900,   Essa G ha S «Tintento F ri? e n aZ10D H SOn ° P reyaIen temente d'indole morale.  Società federate ed? ,?^ ed - ere . alla tutela de ^ interessi delle  nomico delle classi i a JÌ ,!f + lb - U ^ re a miglioramento morale ed eco-  raS ungeretei intenti ^ per mezzo delIa Previdenza ». Per  aggiungere p ento la Federazione si propone in modo speciale:   previdenza e cooperazionp A n< ?I 6 i ment + ) d '^ istituti di mutualità, di  Sano effettì^SX*teoon P«r Chè ris S°"-   fare opera di solidarietà con tutte le li“ ,QM . de ! lavoratori; e   ,SC ° P0 .iirftr 1 " t‘la<i'asse lavoratrice; “ P6r   slazione che valga a svfiunnare^Am 6 dÌ U ° . si ,f tema completo di legi-  a tutelare le ragioni deMavoro “ p pi . u 1 . bene . fiz i dell’associazione,  sulle classi lavoratrici; 6 ad alIeviare i tributi che gravano   nella m^deUo^ ifm^ 00Ì ^ Società federate, intervenendo   mediante pubblicazionrco^fere^ze 0 ÒQWe CÌ * ZÌOn - e 6 di P revid enza,   meZ SelK^ UÌ Ia C ° n tUttÌ 1   mutuo soccorso rTcoifosS^e Sf parte tutte le Soc ietà italiane di  siano inspirate ai5? f a „ 08 ,? ute 0 di fatto - P^chè-   videnza. P p l0 ndamentali della mutualità e della pre-   di iirc 5 se hanno^^numero^i^ff 1 - 6 UDa quota annua anticipata:  se hanno da 100 a 500 soci di k p ® non superiore a 100; di lire 10  ài lire 20 se hanno più di ìooo^om' 1 86 hann0 da 500 a 1000 soci ’   6 «5dfott federa a e hano diritt0:   consigli ed aiuti morali^ ^ oinn: n ss mne esecutiva in ogni circostanza   teresse generale- 1 " 81 d<J1 seryizl che la Federazione stabilirà nell’in-   àana, monitore della 6 P^derazton^^d^ giorna l e La Cooperazione Ita-  Congresso; ^aerazione, ed una copia degli atti di ogni   « d) di ottenere gratuitamente consulti legali e pareri di indole amministrativa;   « e) di valersi del giornale La Cooperazione Italiana per trattare  quelle questioni che si riferiscono agli interessi della mutualità e  della previdenza ».   Gli organi della Federazione sono: il Congresso delle Società  federate; il Consiglio Generale composto di 50 consiglieri eletti dal  Congresso fra i soci delle Società federate; la Commissione esecutiva  composta di nove membri scelti fra i soci delle Società federate e  residenti in Milano; i Comitati regionali, secondo le circoscrizioni  stabilite dalla Commissione esecutiva; il Collegio dei Sindaci com¬  posto di tre sindaci effettivi e due supplenti, nominati dal Congresso  fra i soci delle Società federate residenti in Milano; le Commissioni  di consulenza, di statistica, di propaganda, ecc. quando ne fosse re¬  clamata la costituzione.   La Federazione ha organizzato tre Congressi nazionali: quello  di Milano nel 1900; quello di Reggio Emilia nel 1901; quello di Fi¬  renze nel 1904. Le Società federate sono andate crescendo nei cinque  anni 1901-1905 nella proporzione seguente:   1901 — 548   1902 — 573   1903 — 720   1904 — 733   1905 — 745    In un Congresso internazionale e nel chiudere questa rela¬  zione la quale dimostra quale sia la condizione delle organizzazioni  mutualiste in Italia, io non credo che si possano presentare, come  epilogo dei fatti osservati, voti e proposte che abbiano riferimento  alle particolari condizioni delle nostre Mutue ed al loro avvenire.   Credo soltanto possibile esprimere un voto il quale ha necessario  legame con la proposta costituzione di una Federazione internazionale della mutualità, che sarà vanto di questo III Congresso, poiché,  a mio giudizio, una Federazione internazionale deve trovare il suo  principale fondamento nelle organizzazioni federative nazionali. Ed  il voto è il seguente:   Che si promuova in Italia la costituzione di Federazioni od  Unioni regionali di mutuo soccorso, le quali si propongano i fini  additati dalle Norme e meglio specificati dalla legge francese, in  quanto siano applicabili alle particolari condizioni e funzioni delle  nostre Società ;   Che le Federazioni regionali facciano capo ad una Federazione  Nazionale, la quale, pure esplicando l’azione d’indole morale che è  nel programma dell’attuale Federazione, compia anche alcuni uffici  propri delle federazioni regionali, specialmente quello di sovvenire  i soci dei sodalizi aggregati alle regionali, i quali, per ragioni di  lavoro o per altre ragioni, si trovino fuori del territorio nel quale  la Federazione regionale esplica la sua azione.  Uo spirito cooperativo.   Se il tracollare di tante impresa o società sorrette  da grossi capitali aggiunge nuove pa^ne ai volume delle  nostre afflizioni , è bello invece vedere per virtù popo-  lana sorreggersi liberi e sicuri nel loro corso anche in  Italia i sodalizii dèlia previdenza e* del mutuo soccorso.  Animati nelle loro operazioni dal sentimento della pietà ,  e non mossi da studio di soverchio guadagno , finiscono  col raccogliere anche la ricchezza , come premio della loro  virtù e col dare un'alta pro\a di quella verità che gli  affari più cauti ed onesti sono sempre in (in dei conti i  più lucrosi. Così queste società nuove di operai e di pic-  coli indaslriali , svincolale dai vecchi rancori , amiche  deirordiiie e della liherlA, v:inno sempre meglio disegnando  ed aiiargaiido i contorni dell' azione, c creando una buona    Speranza per l'avvenire della nostra patria. Fatta Tlta-  lìa, è d'uopo per fare gP italiani che alle vecchie e cascanti passioni di un popolo per secoli torpido e povero ,  sì sostituisca la fede energica nel lavoro e neir associazione.   Occorrono a ciò quelle tempre d^ uomini gagliardi ai  quali nulla di onesto e di utile pare impossibile, e che  nel meditare al proprio, tornaconto non dimenticano quello  degli altri. Occorre che in tutte le citlà^ d'Italia sorgano  e iiros|u'rino gli spirili benevoli, i quali sappiano inlen-  dere l' iiulirizzo del nostro secolo, e prodighino le opere  buono a quello stesso modo , e sto per dire , con quella  spensieratezza , colla quale i più le stemperano nella ca-  scafigine e nelT ozio.   E queste qualità cominciano appunto a ravvivarsi nei  gruppi de' nostri cooperatori , le quali , mef^lio di tanti  discorsi accademici che entrano ed escono dalle orecchie  0 di certi volumi di economia politica , senza lettori, val-  gono a provare colla evidenza dei fatti , che la maggiore  delle industrie è l'onestà dei costumi, e che il lavoro e  r associazione non accrescono soltanto la nostra fortuna  materiale, ma ben di più» il patrimonio dei nostri affetti  e delle virtù nostre.   Di fronte al movimento d'associazione che si estende  da tutte le parti, è. necessario stabilire i cardini su cui  s' aggiri ben definito l' oggetto e lo scopo dell' associa-  zione.   Fino ad oggi te società di commercio e dMndostrla  avevano per unica mira il guadagno di coloro che le di-  rigevano. Questo guadagno talvolta eccessivo , aveva per   motore l'egoismo, c per mezzi i tranelli , la speculazione  e r aggiolag!2Ìo. E pur troppo mezzi così odiosi hanno  fatto colossali e scandalose fortune con desolazione c rovina di una falange di creduloni e di delusi. Le società cooperative hanno invece per ragione la fra-  ternità, per principio l'eguaglianza, per mezzi l'onore,  la probità e il lavoro dei cooperatori associati ; e per  ìscopo r emancipazipoe di tutti ; la cooperazione dà ai-  spiaiTo d' associazione.    r uomo il mezzo di amministrare e di gestire da sè stesso  ciò che gli appartiene , ed a ciascun cooperatore accorda  la facoltà di aver parte air amministrazione delle cose co-  muni. Còsi la cooperazione sorretta dall' intelligenza , vi*  vificata dair amor fraterno , rivela air uomo T arcano della  sua forza e della sua potenza. Ma peicliè giunga agli  sperati e (Te ili senza deviare dai principii che sono fon-  damenlo di ogni rigenerazione sociale , si addomanda ai  cooperatori vigilanza attiva e studiosa, saggezza, aniiega-  zione e virtù; nè, per evitare gli scogli contro cui ruppero tanti , cessino di tenersi in guardia contro i funesti  allctlamenli, i desiderii ambiziosi , le passioni egoistiche  e gelose. Bando sopratutto ai sistemi esclusivi! essi con-  tengono i germi di discordia e di dissoluzione che bi-  sogna sradicare dalla loro prima comj)arsa. Quanto allo socielà cooperative formate lìnora in Italia,  mentre dobbiamo conoscere la devozione , il disinteresse  dei loro fondatori ed aderenti e i risultati abbastanza fe-  lici, tenendo calcolo delle difficoltà che erano da supe-  rare, converrà sìeno impiegate maggiori forze e sieno  sbandite tutte quelle mezze misure che conducono facilmente air aborto.   Si ha bisogno di uscire al più presto dalie vecchie  abitudini, dai sistemi restrittiyi, e rendersi p^puasi che  un progresso non è realmente buono se non m quanto  possano tutti parteciparvi; che T eguaglianza è T anima  della cooperazionc , come d'ogni giustizia; che il genio  cooperativo nel suo oggetto , nel suo scopo e nelle sue  conseguenze sociali , ha una missione immensa da com-  piere, e che deve penetrare come il sole, tanlo nelle campagne quanto nelle grandi città.   Ma perchè le società di credito e di produzione pos-  sano agire senza ostacoli deesi sgombrare il terreno del-  l' industria dall'impiccio delle tante braccia strappate alle  campagne e fioriate nelle città a far una disastrosa concorrenza cogli operai. Per togliere dallo stato precario e  dalla miseria, ove si trovano, lutti questi campagnoli che  disertano la gleba per cercarsi lavoro nelle manifatture »  bisognenibbe procurare la loro emancipazione col mclterli  anch'essi in grado di partecipare alla propriclà territoriale per mozzo delle associazioni cooperative. Al che  condurrebbero quando si formassero de' sodalizii agricoli  c industriali, abbastanza potenti per oHrirc un asilo a  coloro che non hanno una via aperta alla loro aUivilà.  Con questo mezzo il commercio e l’industria si troverebbero al riparo dalia concorrensa industriaJi superflui,  poiché ove le società cooperative non propagassero ia loro  azione nelle campagne, e restassero nelle sole pitià, subirebbero i maggiori disinganni.   Ed oltre a questa concorrenza dannosa, aggiunge  quella che i lavoratori si fanno fra essi e che forma  reggette dMndebite lagnanze. E infatti coltivatori, affit-  jtaìuoli , proprielarii si lamentano troppo spesso dr questa  concorrenza che , a detto loro , impedisce di vendere i  frulli del campo e del lavoro a buon prezzo, e non pensano intanto che la concorrenza de'' produttori coi prezzi moderali suscita un'altra concorrenza, quella de' consumatori; non pensano che se essi hanno quelle vanghe,  quelle zappe, quei martelli, quelle seghe a buon patio, e  appunto per la concorrenza delle fucine che procura a  minor prezzo il ferro di che hanno bisogno per gli isirumenti de' tgro mestieri ; che è la concorrenza dei tes-  sitori e de" granaiuoli che fa comperare ad essi con modici valori il vestito e il nutrimento, e tutto quanto entra  nei bisogni della vita. Ma quando l’equilibrio si rompe anche la concorrenza  diviene dannosa; le braccia divelle dai campi e intrec-  ciate agli ordigni de^ mestieri devono rompere Tarmonia  che è il supremo beneficio d^ogni sociale interesse > ed  è appunto un gran prezzo dell’opera il far in modo che  ì campagnoli restino nelle campagne , nò depongano la  marra e il sarchiello pel maglio o pel telaio.   La concorrenza è ìm gran motore delle attività umane,  e trova la sua perpetua alimentazione nelP interesse individuale. Essa non e che il risultato dello sforzo che fa  ciascuno pel proprio interesse , e porta poi come ultima conseguenza il bene generale. Essa è dunque il principio  deir esistenza Jelle società, poiché dalla concorrenza degli  uni e degli altri promana il vantaggio di lutti; nè permeile ad' alcuno di predominare a scapito degli altri, è  una compensazione che ci facciamo a vicenda.  Senza la concorrenza dei produUori i consumatori pa-  gherebbero tutto ad una esorbitanza di prezzi , e senza  la concorrenza clie i consomatori si fanno tutto cadrebbe  a prezzo sì abbietto che nessuno sarebbe più sollecitato  alla produzione. E chi sconoscerà il vantaggio che ne trae l’emulazione «  che è uno stimolante prezioso per T intelletto e per Fat-  tività deir uomo , e ne sorregge ne^ suoi lavori la medi-  tazione e i sudori per trionfare sui competitori suoi. Per studiare a tale intento , e trovare nuovi processi di  produzione più economica e più abbondante per accorciare  il tempo e conseguire Y esito migliore , e per soggiogare  le forze delia natura, decuplicando e centuplicando la forza  deir uomo?   Chi teme la concorrenza è solo colui che non sa far  meglio degli altri, o clic vagheggia guadagni più ghiotti;  egli sa che il consumatore si rivolgerà al fabbricatore che  lavora meglio, e al venditore che spaccia a minor prezzo;  e chi invoca misure restrittive, chi domanda ai governi  la proibizione d' introdurre merci forestiere , attenta alla  liberti, ed è un egoista che vuoi prelevare a suo pro-  fitto la differenza tra i suoi prezzi e quelli degli stranieri. Ha quando l’equilibrio delle classi si rompe allora la  concorrenza conduce diviato alla ruina. E pur troppo vediamo i giovani campagnoli non rare volte dalla mal tollerata loro condizione sospìnti a quella delP artigiano delle  città, perchè a questo la giornata si paga più cara che  ad essi , ed ogni sabato esce dall'officina col suo salario  alla mano. Queste braccia divelle dai campi e iuirecciate  agli ordigni degli opificii tolgono le larghe emanazioni di  quella occupazi.one che fin dai primi tempi alimentò l'uomo  «uila terra. Eppure l uomo della campagna quando pensa all'artiere della città, dice: in (jual minor conto siamo  ' noi tenuti! S'inganna esso a partito; nessuno tiene in  minor conto chi guida il solco e l’aratro, ed è necessario che i contadini il sappiano, che abbiano ànch'essi  le loro istituzioni da cui sieno allettati, e che le provvide  virtù camminino fra i popoli agricoli » sotto i tetti di  paglia , tra i novali e i vigneti , e che la vanga e il sarchiello non restino mortificati dinanzi al maglio ed  al telaio. Nicola Coco. Keywords: mutuale prevalente, cooperativa, impresa cooperativa, luce di pensiero italico nelle tenebre della guerra, giurisprudenza romana, giurisprudenza italiana, eccletismi, filosofia dell’atto, corporazione, contratto e cooperazione, codice civile italiano, codice di procedura civile italiano, la tradizione giuridica italiana, associazione, sindaco, Kelsen, grundnorm, legalita, nipote: Nicola Coco, ordine giuridico, unica garanzia del contratto sociale, mutuo soccorso, la societa di mutuo soccorso, le societa di mutuo soccorso, mutualita, mutualita prevalente, contratto di carattere mutuale prevalente, lo spirito cooperativo, considerazione sullo spirito cooperative. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Coco” – The Swimming-Pool Library. Coco

 

Grice e Codronchi: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del contratto -- giochi d’assardo – contratto – gioco aleatorio – Ercole, l’Ara Massima, e il patto comunitario – scuola d’Imola – scuola di Bologna – filosofia bolgnese – filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Imola). Filosofo bolognese. Filosofo emiliano. Filosofo italiano. Imola, Bologna, Emilia-Romagna. Grice: “One would underestimate Codronchi if it were not for the fact that he wrote a smartest little tracts on the two ways I see conversation as: ‘game’ and ‘contract.’ In “Logic and conversation’ I do confess to having been attracted for a while to a ‘quasi-contractualist’ approach to conversation alla Grice (i. e., G. R. Grice) – and I’m not sure the reason I give there for rejecting the view is valid, or strong enough! As for ‘games’ – of course conversation is a game – but I never took that too seriously – perhaps because Austin was obsessed with games and rules of games – and the subject was worn out for me – when Hintikka came along all he did was talk about ‘dialogue games’! – I do use ‘game’ terminology – and cf. ‘contract bridge!” – such as ‘conversational move,’ ‘converaational rule’ of the ‘conversational game’ – and conversational ‘players’ – “Only this or that ‘move’ will be appropriate’, and so on.” Appartenente alla nobiltà, dopo la laurea prosegue gli studi approfondendo la filosofia spinto dal padre. In seguito entra alla corte del regno di Napoli, prima con Ferdinando I e poi con Giuseppe Bonaparte, da cui ottiene la nomina a consigliere di stato. Le sue saggi più celebri sono “Etica” e “Il contratto”, in cui affronta con semplicità l'argomento del calcolo delle probabilità. Distingue in tre classi di contratto. Contratto epistemico: C’e un contratto nel quale è noto il rapporto tra eventi favorevoli e contrari. Contratto empirico. C’e un secondo contrato nel quale il rapporto tra un evento favoravole e un evento contrario è fondato sull'esperienza. Contratto misto Finalmente, c’e un terzo tipo di contratto nel quale il rapporto tra un evento favoravole e un evento contrario si basa su una legge sicura e in parte sull'esperienza. For a time, I was attracted by the idea that observance of the CP and the maxims, in a talk exchange, could be thought of as a quasi-contractual matter, with parallels outside the realm of discourse. If you pass by when I am struggling with my stranded car, I no doubt have some degree of expectation that you will offer help, but once you join me in tinkering under the hood, my expectations become stronger and take more specific forms (in the absence of indications that you are merely an incompetent meddler); and talk exchanges seemed to me to exhibit, characteristically, certain features that jointly distinguish cooperative transactions: 1. The participants have some common immediate aim, like getting a car mended; their ultimate aims may, of course, be independent and even in conflict-each may want to get the car mended in order to drive off, leaving the other stranded. In characteristic talk exchanges, there is a common aim even if, as in an over-the-wall chat, it is a second-order one, namely, that each party should, for the time being, identify himself with the transitory conversational interests of the other. 2. The contributions of the participants.should be dovetailed, mutually dependent. 3. There is some sort of understanding (which may be explicit but which is often tacit) that, otl1er things being equal, the transaction should continue in appropriate style unless both parties are agreeable that it should terminate. You do not just shove off or start doing something else. SAGGIO FILOSOFICO SUI CONTRATTI E GIOCHI D'AZZARDO. C. Sor's incerta vagatur, Fertque refertque vices. Lucan. FIRENZE PER GAETANO CAMBIAGI STAMPATOR GRAND. CON APPROVAZIONE. ALL’ALTEZZA REALE DI PIETRO LEOPOLDO PRINCIPE REALE D'UNGHERIA E DI BOEMIA ARCIDUCA D'AUSTRIA GRANDUCA DI TOSCANA &c. &c. & c. 1 NICCOLA CODRONCHI. Questa operetta che sottopone il contratti d’azzardo o aleatorio all'esame della filosofia per fissare, quant'è possibile i I dati onde non discordino dalla giustizia, dovea bene essere umiliata, a VOI, che pieno del le verità della prima, avete consacrati tanti pensieri ad assi curare, e stabilir la seconda; onde può dirsi che il vostro trono è il punto più luminoso della loro unione, che sola può formare la felicità degli stati. Posta questa mia fatica, se non è degna dipresentarsi all'illuminatissima vostra mente, non dispiacere al vostro cuore, che non sdegnerà di riconoscere in esta una significazione dei sentimenti del mio, penetrato del la più viva gratitudine al vostro real patrocinio, e alle copiose beneficenze, auspici sotto de’ quali è nata, e condotta alla luce, e ai quali desidero con tutto lo spirito che sempre più raccomandi l'autore. Non avvi forſe negli uomini un sentimento più costante e universale del desiderio di arricchire. L'uomo tende incessantemente a procacciarsi, ed assicurarsi i mezzi necessari a sostenere e a rendere tranquilla e comoda la vita. La natura, che ha voluto che ciò concorra alla sua felicità alla quale con tanta forza lo stimola, gli ha inserito di sua mano nel petto questo vivissimo ardore; acciocchè se dalla propria industria riconosce egli il sostentamento e gli agi della vita, riconosca però dalle provvide mani di lei l'eccitamento e l'efficacia di questa industria medesima. Questa fiamma sempre operosa accende talvolta un cuore angusto che non ha altro oggetto che se medesimo, o un piccolo e ristretto sistema di persone. Talvolta pero trionfa sovranamente in un animo generoso, a che stima di se minori tutte le mire che non sian vaste e sublimi. Patria, nazione, pubblica felicità, interessi dell’uman genere ecco i grandi oggetti, che egli ha sempre davanti; ed ecco intorno a che si aggirano i lumi del politico pensatore; ecco ciò che forma le vigilie dell’uom’di stato. Quindi è che sempre nuove vie si spianano al commercio, nuovi mezzi si studiano per facilitarlo, nuovi metodi si ritrovano per dilatarlo. Questo ardore medesimo ha fatto sì, che gli uomini vadano sempre inventando un nuovo contratto, o ai ritrovati già prima diano nuove sempre e più estese forme. Chi avrebbe mai detto nei primi tempi delle nascenti civili società, quando altro contratto non conoscevasi che quello di dare i grassi capi dell’armento in cambio degli scelti frutti del campo, che vi sarebbero stati un giorno uomini, che avrebbero ridotte a contratto non solo una cosa esistente, sicura, e da esli ben conosciuta, ma la cosa non esistenti ancora, le incerta, la soggetta al caso, la sconosciute? O chi persuaderebbe alle numerose carovane dei mori che vanno nel fondo dell’Affrica a far coi negri il cambio del sale colla polvere d’or, che sonvi e lecici, e un vantaggioso contratto, che si appoggia solamente all’aleatorio pericoloso e al bizzarro capriccio della fortuna? Il moro che mette il suo sale in un mucchio e lo va sminuendo, se gli pare che il negro con cui commercia, non abbia ammassata in sufficiente quantità l'a preziosa polvere; riderà di coloro che si espongono a gravi perdite delle loro sostanze affidandole all'incertezza della sorte. Eppure, e vi e questo contratti aleatorio, e puo esser ridotti a quella uguaglianza che dopo determinati, o dalle leggi, o dalla consuetudine i prezzo della cosa è necessaria a render giusto qualunque contratto. A fissare il limite e il grado di uguaglianza in tale contratto aleatorio giova maravigliosamente quell’utilissima scienza che arditamente calcola le probabilità e si rende soggetti, per così dire, i sempre vari accidenti della fortuna. Questa scienza è stata chiamata finora aritmetica politica perchè è stata ordinata soltanto a ricercare l’utilità e la miglior sorte a 2 del commercio e di chi lo esercita, e ad apprestare dei nuovi dati a chi veglia alla pubblica felicità. Ma io crederò di potere con parità di ragione chiamarla “aritmetica del giusto” ed asserire che se il gran principio che fra il certo presente e l'incerto avvenire trovasi una vera proporzione è stato quel seme fecondo che ha germogliato al pubblico bene, è quello ancora che dee produr nulla meno la sicurezza e la tranquillità nell’animo di chi sulle tracce dell’onesto e del giusto voglia istituire tale contratto. Non farà però inutil cosa se io cercherò di spogliare della austerità e difficoltà del calcolo una sì vantaggiosa teoria e di ridurla a principi generali e semplici, facendo su di essi opportunamente alcune riflessioni ed applicandone le regole al contratto aleatorio, che verrò con la chiarezza e brevità maggiore che a me sia possibile investigando. Mi lusingherò quindi di aver sempre pronta una misura, più o meno esatta, a norma che eſli più o meno ne siano suscettibili, che ne determini l’uguaglianza, é una bilancia che ne pesi l'equità e la giustizia. Contratto aleatorio io chiamo quel contratto nel quale si fa acquisto di un diritto, o vogliam dire di una speranza (res sperata – emptio spei, emptio rei separatae), il buon esito della quale è affidato all’incertezza della sorte (cfr. Grice, “Intenzione e incertezza”). E quì si osservi che si può nel medesimo contratto considerare l’aleatorio relativamente ad ambedue i contraenti. (parola chiave: “ambedue i contraenti”). Quello, il quale talvolta per far guadagno di una tenue somma di denaro (a) ma certa, vende la speranza incerta di un gran guadagno, sottopone all'aleatorio tutto quel di più che avendo buon esito la ceduta speranza, supera la tenue somma in cui la cambio. L'uguaglianza che dopo fissato dalla legge o dalla consuetudine il prezzo della cosa ricercasa nel contratti perchè sia giusto, vi è ſempre, quando esaminata la cosa che ne forma l'oggetto, ritrovisi in Vedasi più sotto ove si parla del contratto di alii curazione un vero senso egualmente pregevole ciò che danno nel contratto e reciprocamente ricevono ambedue i contraenti. Or chi non vede che l'avere un diritto o una speranza è molto più valutabile che il non averla? E se ciò è vero, è manifeſso che questa speranza puo dirsi avere un vero e real prezzo nel commercio degli uomini. Ma siccome tuttociò che ha prezzo pui avere un prezzo diverso, questa speranza ha anch'essa la sua diversita e puo per conseguen prezzo calcolarsi in guisa da poterne trovare il *rapporto* a quello per cui alcuno desideri di farne acquistom che è quanto dire potrà ridursi ad una vera uguaglianza. Stabiliscasi adunque l’incontrastabile fondamenza il suo tale TEOREMA. Nel contratto aleatorio vi puo essere essere quella uguaglianza, che gli caratterizzi per giusti. ng Too vorrei potere esporre con la maggior precisione e chiarezza la serie delle idee che conducono a fissare il canone per cui si puo in un contratto aleatorio rinvenire l'uguaglianza di cui si parla. Il soggetto è molto arduo e per esporlo nel dovuto lume e farne poi l'opportuna applicazione è neceſſario fare di tratto in tratto molte importanti osservazioni che o sviluppino il principio fondamentale o vagliano a dilucidarlo. E prima di tutto io intendo sempre per nome di prezzo tutto quello o sia certo e determinato, o sia incerto anch'esso o per l'evento la quantità che si espone per far l’acquisto di una speranza. Premio io chiamo quello per cui ottenere si espone il prezzo così definite. Conviene pero osservare che per nome di premio si può intendere, e l'oggetto solo a cui si aspira e il medeſimo più il prezzo che si è o esposto o sborsato per acquistarne la speranza. Ciò ben'inteso parmi che per rintracciare questa uguaglianza sia d'uopo conoscere i o per 8 la diversa speranza. Di due elementi viene egli composto. Tanto è più stimabile una speranza quanto ha un'oggetto più pregevole; e questo è ciò che io intendo per valore intrinseco; ma tanto anche è più stimabile per altra parte quanto è più probabile che ha un esito favorevole, e questo col nome di estrinseco valore vuolsi significare. La probabilità è maggiore o minore secondo che è maggiore o minore il numero di casi favorevoli all'evento rispetto al numero de' sinistri; di modo che se si facesse una tavola che gradatamente, e per serie e sprimeſle questi rapporti si avrebbe una vera tavola delle probabilità. Conſiderando però ciascun evento separatamente e senza rapporto ad altri; la probabilità che esso liegua, vien espressa dal *rapporto* del numero de’ casi a lui favorevoli alla somma dei favorevoli insieme e de’ contrari. Poichè se sianvi in un urna 10 palle bianche e 10 nere; per definire la probabilità dell'estrazione di una palla Bianca fa d' uopo conſiderare le 10 bianche in massa colle nere; giacchè in massa sono quando si fa l'estrazione dall'urna. L'istesso avviene di ciascun evento che sia l’oggetto di una speranza; giacchè deve distaccarsi dalla massa che è il cumulo degli eventi favorevoli e dei sinistri che stan raccolti nell’urna sovrana regolatrice della umana vicenda. Se dato un prezzo con cui si voglia fare acquisto di una speranza, il numero dei casi favorevoli al buon esito sia uguale a quello dei sinistri, è troppo chiaro che a volere la ricercata uguaglianza e necessario che il valore intrinseco della speranza o sia dell'oggetto della medesima, sia *doppio* del prezzo che si espone per acquistarlo; poichè in tal guisa la metà del valore intrinseco resta compensata dal prezzo che si è pagato; l'altra metà, che sola è un vero guadagno è uguale al prezzo medesimo che si è espoſto all'aleatorio; e così deve essere essendo nel caso nostro uguale la probabilità del buon esito e dell’infausto. E non altro appunto significa quella regola infallibile secondo la quale è sempre 10 il valore (a) dell’aspettativa, quando in ugual numero siano i casi favorevoli all’esito bramato e i sinistri. Che se si accresca il numero de’ casi sinistri; siccome scema percið il valore estrinſeco della speranza, converrà che si accresca *proporzionatamente* l’intrinseco accrescendo il valore dell’oggetto medesimo. Per maggior chiarezza di cio suppongasi il prezzo con cui si compra la speranza uguale ad un dato numero e suppongasi il numero dei casi favorevoli uguale a quello dei sinistri. In questo caso la probabilità del buon esito e uguale a quella dell'infausto e la speranza si elide col timore, e per conseguenza il suo valore estrinſeco puo considerarsi = 0; verrà dunque in confronto il solo prezzo col premio; che però queste due quantità dovranno eſſere uguali, benchè il valore intrinſeco della speranza, o sia il premio medesimo preso in una più estesa significazione 111 (a) L’aspettativa non è altro che il grado di probabilità che uno ha di ottenere un’intento fortuito. II sia doppio del prezzo, poichè una metà del premio medesimo non si può chiamare lucro, restando compensata col prezzo già sbor fato ed esposto all’aleatorio. Stabilito adunque questo caso, come per punto fisso dal quale si parte la serie dei valori, è chiaro ugualmente che se il numero dei sinistri casi sia maggiore o minore di quello dei favorevoli, di tanto la probabilità del buon esito a fronte della probabilità dell'infausto farà a proporzione maggiore o minore di zero nel formare il valore totale della speranza; lo che non altro significa, se non che ad avere l'uguaglianza necessaria converrà che a proporzione l'oggetto della speranza superi nel primo caso il prezzo con cui si acquista e nel secondo sia ad esso inferiore, e quindi li puo universalmente stabilire. Nel secondo teorema, i valori delle speranze sono in ragion composta del valore intrinseco dell’oggetto o cosa o reale sperato (res sperata), o dell’spettativa. Ne terzo teorema, nel contratto aleatorio allora visarà l'us 1. Il contratto aleatorio allora vi sarà l'uguaglianza quando il prezzo che espone uno de contraenti stia al premio, come il numero dei casi favorevoli a lui, alla ſomma dei favorevoli e dei contrari. Notisi che quì per premio s’intende non solo la porzione che si lucra, ma di più il prezzo istesso che si è aleatorio, aleatato. E siccome, per quanti siano i prezzi dei contraenti, deve verificarsi in ciascun prezzo questo rapporto al premio, ne verrà che i prezzi staranno fra di loro come il numero dei casi favorevoli ad uno dei contraenti di viso per la somma de favorevoli e de’ contrari al numero de favorevoli a quello con cui si istituisce il paragone, diviso anch’esso per la somma dei favorevoli e dei contrari: e così dicasi di quanti siano i contraenti. Da questo teorema si deduce il seguente corollario. Nel contratto aleatorio allora vi sarà l'uguaglianza quando i prezzi dei contraenti ſtiano fra di loro, come i numeri dei caſi ri ſpettivamente favorevoli. Dagli enunciati Teoremi chiaramente ap pariſce, che per bene applicarli agl' indivi dui caſi, è neceſſario eſaminare maturamente, qual ſia il vero valore del prezzo con cui ſi compra la ſperanza; quali ſiano i veri caſi favorevoli, e ſiniſtri; e fiflarne il numero con quella eſattezza che convenga alla naturą del contratto in queſtione. Conſiderando at; tentamente la natura e le leggi dei diverſi contratti di azzardo, mi è parſo che preſen tino una facile e natural diviſione, per la quale in tre ſeparate, e diſtinte claſſi li pof ſono comodamente diſtribuire. Imperciocchè dalla loro diverſa natura, e dalle diverſe leg gi che gli coſtituiſcono, ne naſce una diverſa maniera di fiſſare i rapporti del numero dei caſi favorevoli, a quello dei ſiniſtri. A tre fi poſſono in fatti ridurre i metodi per fillare 1 14 gli accennati rapporti, e quindi collocare in una di tre diſtinte claſli ciaſcun contratto di azzardo. Primo metodo è quello per mezzo del quale conſiderata la natura, e le leggi del contrat to rilevaſi il ricercato rapporto dal numero delle cauſe e delle ragioni, che poſſono in fluire ſul buon eſito della ſperanza, numero determinabile, e ragioni certe, e ſicure. Il ſecondo è quello nel quale per la natura del contratto, non ſi può fondare il rapporto, ſe non che ſulla ſperienza, e ſulle oſſerva zioni eſatte perd, e molte volte replicate; e ſopra cagioni incerte, e variabiliffime per le quali il numero dei caſi favorevoli e dei fi niſtri, non può mai eſſer certo, determinato, e ſicuro. Terzo metodo è quello per cui ſi appoggia la indicata proporzione, parte alla conſiderazione di leggi certe e ſicure, e par te alla ſperienza del paſſato, e a circoſtanze incerte ', e di numero indefinito. Nei contratti adunque della prima fpecie, conoſciutene le leggi, fiffato il numero delle cauſe che poſſono influire ſull'oggetto del 1 4 13 contratto, ed eſaminate le diverſe maniere nelle quali poſſono combinarſi, ſi avrà un eſatta ed infallibile notizia del rapporto dei caſi favorevoli ai finiftri. La ſcienza delle combinazioni, e permu tazioni è ſtata nel noſtro ſecolo così illuſtra ta, e dall ’ Ugenio, e dal Bernullio, e dal Moivre, ed è così vaſta ed eſteſa, che vo lendo io trattarne a lungo, non potrei per l'una parte non oſcurare ciò che è ſtato detto con tanta preciſione, e ſicurezza, e non fa prei per l'altra accennar poche coſe, che non laſciaffero un neceffario deſiderio di molte più, intorno alle quali l'intertenermi, oltre paſſerebbe di gran lunga il fine, e l'idea di queſto faggio; e tanto più, che ſenza la fe verità del calcolo più aſtruſo non ſi potreb bero per avventura trattare tutti i caſi par ticolari. Nel venire però eſaminando la na tura dei diverſi contratti, ed applicando ad effi li ſtabiliti Teoremi, ſi vedranno di trat to in tratto i principj di queſta ſcienza ſvi luppati, ed indicata la maniera di applicarli ad alcuni caſi particolari, ſiccome con l'uſo ! 16 rétto, e ſicuro del calcolo ſi poſſono adattare a tutti i caſi i più compoſti, ed aſtruſi. Il gioco di pura ſorte è certamente uno dei contratti che alla prima claſſe debbonſi riferire. Mi è noto quanto ha ſcritto il cele bre Giacomo Bernulli, per dare le regole ficure onde fiſſare nei giochi di fortuna il numero dei caſi favorevoli e dei contrari, i vantaggi reſpettivi dei giocatori, e il pre mio che può uno eligere, dopo incominciato il gioco per ritirarſi ſenza rinunziare alla miglior condizione, in cui l'hanno già poſto alcuni colpi favorevoli. So che eſſendo la probabilità, o ſemplice, o compoſta, ne ha queſto gran Matematico ridotta la miſura all'interſezione di una linea retta con una curva logaritmica, o di queſta con una pa rabolica, e così ſucceſſivamente aſcendendo alle curve dei gradi più alti. Ma laſciando da parte i profondi calcoli, e i miſteri della fublime Geometria, i quali però ben pene trati ſcuoprono il profondo e inventore in gegno di queſto grand' uomo, piacemi in quella vece di eſaminare ſemplicemente ſen 17 za di effi la natura e le leggi del gioco, per riconoſcere ſecondo l'accennato metodo, come ſi poſſa in eſſo e dare e ſcoprire l'u guaglianza fra i giocatori, e in tal guiſa applicare a queſto contratto gli enunciati univerſali Teoremi. Il gioco di pura ſorte è una ſpecie di con tratto, nel quale due o più perſone, dopo di aver convenuto di certe leggi, e condizio ni, ſi diſputano un premio, che ſi rilaſcia a chi ſarà più felice, per rapporto a certi acci denti l'effetto dei quali non dipende per ve run modo dalla loro induſtria. E quì cade in acconcio fare una rifleſſione comune a tutti i contratti di azzardo. Il dire che una coſa accada caſualmente, non altro ſignifica, ſe non che la cagione ne è a noi ſconoſciuta; e che non vi abbiamo alcuna volontaria influenza. Per altro quan do fiegue in natura un determinato effetto, qualunque ſiaſi, è certo che neceſſariamente dovea ſeguire. Che due dadi gettati ſu di una tavola, ſcoprano piuttoſto un numero, che un altro; noi ne ignoriamo la cagione b 18 nell'atto ſteſſo che ne ſegue per le noſtre mani medeſime il tratto. E perd ugualmente vero, che dato quel tal moto alla mano che gli getta, dato quel tal grado d'impeto, e non più nè meno, data la mole dei medefi mi, e il piano ſu cui ſi aggirano, devono neceſſariamente preſentar quel tal dato nu mero e non altro. Così dicaſi dei giochi di carte le combinazioni delle quali dipendono dalla diverſa maniera di meſcolarle, e di dividerle alzandone una parte di eſſe fovra il reſtante; anzi pure non ſolo del gioco, ma dicaſi, come ſi avvertì di tutti i contratti di azzardo, e generalmente di qualunque evento fortuito (a ), (a) Non ſolo ne' contratti ove ciò che ſi perde o che ſi guadagna è riducibile ad una miſura diſtinta in gradi coſtanti ed eſattamente marcati, ma anche in tutto il tenore di una vita diretta a un fine fpe rato ma incerto ha luogo il prezzo ed il premio. Le fatiche, gl'incomodi, le priyazioni dei piaceri formano il primo. Nella gloria, nell'autorità, negli onori, nelle ricchezze è ripoſto il ſecondo, che molte volte defrauda le meglio fondate ſperanze, o almeno ad effe perfettamente non corriſponde; onde può dirlig.Varie ſono le ſpecie principali dei giochi di pura ſorte, ſiccome varie ſono le maniere di diſputarſi il premio.O due giocatori eſpon gono all'eſito della forte le loro reſpective porzioni di depoſito con la legge che deb baſi tutto a quello rilaſciare, il quale felice mente s'incontra prima dell'altro in un fa vorevole accidente, che ambi ſi ſono propoſti d'incontrare; o a quello, che in ugual nu mero di faggi, ſotto le medeſime leggi, di pendentemente dalle medeſime condizioni, 6 2 che così in queſte ſecrete e non ftipulate aſpettative come in quelle per cui s'inſtituiſcono e ſi celebrano i contratti,domina ugualmente quella inſtabile divinità creata dall'ignoranza della conneſſione delle cagioni delle coſe, e del compleſſo delle circoſtanze necef ſarie ai fortuiti eventi, ma che in tutti i caſi ſuol chiamarſi ugualmente Saevo laeta negotio Et ludum inſolentem ludere pertinax. Biſogna però rammentarſi ſempre che le parole che eſprimono gli attributi della fortuna, o del caſo, quando ſono uſate dal Filoſofo, hanno un fenſo di verſo da quello in cui le uſa il Poeta che simboleg gia, e il volgo che non ragiona. << tro, così dire nega incontra quelle combinazioni che preſen tano una maggior ſomma di quegli elementi ond'è compoſto il gioco, e alla quale è at taccata la vincita del medeſimo. Oppure il contratto del gioco è tale che un ſolo dei giocatori s'impegna in un dato numero di ſaggi, e ſotto certe condizioni, d'incontrare un dato favorevole accidente o ſemplice ſia di altri ' compoſto, e quale non incontran do, la ſorte s'intende aver deciſo per l'al la ſperanza di cui per tiva, non ha altro oggetto che l'eſito infe lice delle mire dell'avverſario, non obbli gandoſi intanto a tentare poſitivamente ve run colpo di gioco. Nei priini due caſi egli è chiaro che devo no i giocatori azzardare una egual fomma, o prezzo, altrimenti reſterebbe manifeſtamente tolta di mezzo la neceſſaria uguaglianza. E' chiaro che allora il prezzo con cui ſi acquiſta la ſperanza è eguale alla metà del valore dell' oggetto; poichè il primo altro non è che la porzione di depoſito di uno dei giocatori e il ſecondo è la ſomma delle due porzioni 2 1 uguali componenti il totaledepoſito.Ma co me trovare in queſto caſo il numero dei caſi favorevoli uguale a quello dei ſiniſtri come pure eſige la ſtabilita Teoria? E certamente ſe fi conſiderino i caſi favorevoli, ei con trarj diſtintamente in ciaſcuno dei giocatori; non ſi potrà fiſſare nè ragione di uguaglianza nè altra qualunque. E' queſta una evidente verità, ſe ben ſi conſiderino le leggi di queſto gioco, per le quali dipendendo la ſorte di un giocatore, non dai ſuoi colpi ſolamente ma da quelli ancora dell'avverſario, i ter mini della proporzione ſaranno ſempre rela tivi, e per conſeguenza variabili. Eſaminata però più maturamente la natura del gioco di cui ſi tratta, fi dee riflettere, che il nu mero dei caſi favorevoli a un giocatore, è compoſto non ſolo dei caſi propizi a lui di rettamente, ma dei caſi altresì all'avverſario contrarj; e al contrario il numero dei finiſtri, altro non è che la ſomma degl'infauſti a lui, e dei favorevoli all'avverſario. Ma quando fi giochi con condizioni eguali, queſte due fomme fono eguali: dunque anche in queſto 22 caſo può reſtare verificato il canone della ſtabilita proporzione, e i prezzi ſtare fra loro come i caſi favorevoli ai finiſtri. Da ciò ne ſegue, che ſe due giocatori proponganſi di incontrare la medeſima favo revole combinazione o la medeſima ſomma di accidenti; ma che uno voglia far più ſaggi del gioco, o cercar con più mezzi quelle combinazioni che preſentino maggior ſomma degli elementi del gioco, nella guiſa di ſopra accennata; l'altro in tal caſo dovrà eſami nare di quanto il numero delle combinazioni a ſe favorevoli reſti fuperato dalle ſiniſtre, ed eligere che la porzione di depoſito dell' avverſario ſuperi in tal proporzione quella che egli conferiſce nel gioco. Sia concertato per eſempio, che abbia il premio del gioco quello che fa più numeri con i dadi, ed uno voglia gettarli più volte, o in ugual numero di volte gittarne un mag gior numero, è manifeſto, che dalla natura, e dalle leggi di queſto gioco, ſi potrà con le note regole delle combinazioni ricavare in che proporzione debba egli eſporre all'azzardo ſomma maggiore. Che ſe poi trattiſi della ſeconda ſpecie di ſopra accennata, che è allor.quando uno ſolo dei giocatori ſi eſpone ad incontrare una o più favorevoli combinazioni, in un dato numero di faggi, e ſotto certe leggi, e l'altro guadagna full infauſto eſito dell'avverſario, ſenza tentare egli di per ſe alcuna forte di gioco, è più difficile allora, ed è più operoſo il fiſſare gli opportuni termini della noſtra proporzione. L'intenzione e l'oggetto dei giocatori in tal caſo può eſſere di eſporre all'azzardo una ugual porzione, o di eſporla diverſa. Nel primo caſo il giocatore che intraprende, e faminata la natura del gioco, e le leggi chę a lui propone l'avverſario, potrà ricavarne il numero dei caſi favorevoli e quello dei ſiniſtri, e dimandare quelle condizioni nelle quali queſti due numeri ſi uguaglino: nel ſe condo conviene che dimandi quelle condi zioni nelle quali, il numero dei favorevoli caſi, ſuperi tanto quello dei contrari, di quan to la ſua porzione di depoſito ſupera quella dell'altro, o al contrario. Intraprende uno 14 di gettare un dado in maniera che ſi ſcuopra la faccia la quale moſtra il numero 6. Se lo deve fare in una ſol volta, ſiccome ha cin que combinazioni contrarie, e una ſola fa vorevole, converrà, che l'altro azzardi una ſomma cinque volte maggiore, altrimente la proporzione reſta alterata. Che ſe trattiſi di azzardare una fomma eguale da entrambi i giocatori, e ſi voglia più volte ricominciare, erinovare il gioco, converrà oflervare quanti tratti di dado ſiano neceſſarj per fare che il numero dei caſi favorevoli, ſia uguale a quel lo dei contrarj, del che, e relativamente al noſtro addotto caſo, e ai fimili, ne da una eſtefa tavola il gran Bernulli alla propoſizio ne X. del libro primo del ſuo trattato inti tolato ars conje &tandi; ove dimoſtra un ingan no che in fiſſare queſta proporzione è facile a pigliarſi da chi eſamini queſta ſpecie di gioco ſulla prima apparenza, ſenza internarſi profondamente nelle fue leggi. Diffi, quan do fi voglia più volte ricominciare, e rino vare il gioco, per le ragioni addotte dal Ber nulli nel loco citato; giacchè fe non ſi ri 25 novi ſucceſſivamente, egli è evidente che chi deve con un ſol dado ſcoprire la faccia del numero 6. per eſempio, ed azzardare una ſomma eguale a quella dell'avverſario, do vrà chiedere di gettare il dado tre volte; e cid col patto che non s'intendano in queſto numero compreſe quelle volte in cui ſi vol taſſe di nuovo una medeſima faccia del dado già ſtata ſcoperta. Ciò che ſi è detto di due giocatori, dicaſi di più, e ſi conſiderino diſtintamente tutti i contratti che fa ciaſcuno dei giocatori, e l'azzardo a cui eſpone ciaſcuno la depoſitata porzione, e ſi vedrà che non reſta punto terata la noſtra teoria, benchè coll’eſporre una determinata ſomma ſi poſſa guadagnare la medeſima moltiplicata per il numero dei giocatori (a ). Anzi è regola univerſale in tutti i caſi compleſſi di gioco, ridurli ai ſem plici dei quali è compoſto, ed eſaminare in ciaſcuno di effi le ſovra ſtabilite maſſime. Dalle medeſime troppo chiaro appariſce (a) Vedi il Corollario del Teorema III. che i vantaggi, che ha in alcuni giochi il banchiere, per eſempio nel faraone quello dei doppietti, quello dell'ultima carta, ed altri che ha ſecondo i vari uſi dei paeſi ove giocaſi tolgono l'uguaglianza, perchè tur bano la fiſſata da noi proporzione; poichè nei caſi medeſimi nei quali il premio che dà il banchiere è uguale alla ſomma azzardata dal puntatore, il numero dei caſi favorevoli al primo è maggiore del numero dei favo revoli al ſecondo; o in ugual numero di caſi favorevoli il ſecondo azzarda più del primo. Si pretende nonoſtante, che ſe ſi conſideri, non la relazione che ha ciaſcun giocatore in particolare al banchiere ma bensì tutto il ſiſtema del gioco, vi ſiano molti rifleſſi che giuſtifichino queſto vantaggio di condizione. Una ſplendida ſomma ſottopone egli alla cie ca ſorte, e ſi obbliga di laſciarla ſempre in pericolo. Il puntatore per lo contrario può voltar le ſpalle ſdegnoſo a quella avverſa for tuna, che tenta in vano di placare; o aven dola provata propizia può aſſicurare i ſuoi doni dalla capriccioſa ſua volubilità. Oltre 1 1 27 di ciò la ineguaglianza delle ſomme eſpoſte dai vari giocatori, delle quali alcune per dendo può il banchiere rimanere ftremo, ed eſauſto, ſenza ſperanza di tirar profitto dalla incoſtanza della fortuna; le altre ſe vin ce appena gli recano un tenuiſſimo guada gno; la non leggiere fatica per ultimo del banchiere medeſimo poſſono baſtevolmente render leciti i vantaggi che egli ha nel liſte ma del gioco. Io preſcindo dall' eſaminare quale, e quanta conſiderazione eſigano le accennate circoſtanze. Due coſe ſolo aſſeri ſco. E che alcune di queſte ſono quantità non già coſtanti ma variabiliſſime, eſſendo relative a circoſtanze facilmente alterabili; e che conſiderato il gioco in ciaſcuno a par te dei puntatori relativamente al banchiere, come par certamente debbaſi conſiderare, la alterazione della proporzione ſtabilita è mol to notabile in iſvantaggio dei primi, e in manifeſta utilità del ſecondo. Non voglio perd omettere, che eſſendo ſta ta eſaminata con eſatto calcolo la ſerie dei vantaggi del banchiere per ogni pofta femplice, cominciando dalla ſuppoſizione che vi ſiano 52. carte fino a quella che ve ne ſia no quattro due delle quali ſiano dell'iſteſſa figura, ſi è rilevato che la media, è il 5. per 100. Ma in tutto un giro quando l'avi dità dei giocatori fa che per mezzo dei pa roli o delle paci la forza del gioco ſi traſporti almeno verſo l'ultime 24. carte, allora la media diventa il 9. incirca per 100. Ep pure le circoſtanze che eſigono compenſa zione non variano in modo da efigere que Ita differenza (a ). Non ſi ha dunque nell'attuale ſiſtema del faraone la vera maniera di trovare la com penſazione delli ſvantaggi del banchiere. Bi ſognerà dunque per ottenerla, o fiſſare il nu mero delle pofte: 0 por dei termini ſopra, e fotto de' quali non poſſa ſalire o ribaſſarſi la poſta: 0 tentar di fiſſare più che fia poſſibile una ſomma relativa alle diverſe poſte la quale (a) Si noti che il vantaggio di ſopra indicato del ban chiere ſi ripete tante volte quante poite fi fanno, onde ſi vede in un ſol giro quanto ſia enorme ed ecceffivo. 29 effendo un di più della poſta medeſima, ma conoſciuto, non altererà le giuſte proporzioni fra il prezzo ed il premio: o diſperare per ultimo di poter mai annoverare fra i con tratti giuſti il gioco del faraone. Sogliono comunemente dalle fagge leggi vietarſi i giochi di pura ſorte, come quelli che per una certa fatalità luſinghiera, ſi uſur pano il tempo dovuto alle pubbliche cure, alle dotte occupazioni, ed al domeſtico reg gimento delle famiglie, alle quali recano sì di frequente irreparabile ruina; che non è già sì di rado, che una carta di gioco, o un ſol colpo di dado decida della defolazione, e dell' inopia di molti infelici. Si aggiunge a queſto, che la dura legge del biſogno, e la ſevera faccia dell'avverſa fortuna dettano all'inaſprito giocatore le arti meno oneſte, e i mezzi più indiretti nel gio co medeſimo; talchè ſi verificano di troppo i celebri verſi di Madama Deshouliers. Le deſir de gagner qui nuit &jour occupe Eft un dangereux aiguillon; Souvent quoique l'eſprit, quoique le coeur foit bon, On commence paretre dupe, On finit par etre fripon. E quanto il gioco di pura ſorte ſia ſtato ſempre deteſtato lo conoſcerà chi oſſervi le Leggi Romane al tit. De aleatoribus, e nei digeſti, e nel codice, e legga i dotti commenti degl' interpreti sù i medeſimi, e vedrà che ſi è ſempre riguardata come oggetto di compal ſione e di orrore la miſera condizione di que gl’incauti quos praeceps alea nudat. Io però e nel gioco, e in tutti i contratti di azzardo eſamino la giuſtizia per rapporto ſoltanto alla ſovra eſpoſta neceſſaria ugua glianza, preſcindendo affatto da qualunque carattere che poſſa rendere i medeſimi, o conformi, o oppoſti alle provide leggi, e ai retti coſtumi. Similiſſima al gioco è un'altra ſpecie di contratti d'azzardo, che chiamaſi comune mente il lotto de go. numeri; cinque dei quali ſi eſtraggono da un vaſo, e decidono della ſorte di chi ſulla ſperanza, che eſcano 31 dall'urna miniſtra della fortuna, azzarda una data ſomma di denaro. Troppo ſon note le leggi di queſto contratto, e troppo è facile il conoſcerne e combinarne gli accidenti, per poter francamente aſſerire che non vi è forſe contratto di azzardo nel quale, e più nota bilmente e più ſolennemente la ſtabilita pro porzione reſti alterata. Sempliciſſimi elemen ti formano il ſiſtema di queſto contratto, e una ſuperficialiſfima cognizione di calcolo è baſtevole per far conoſcere, che ſebbene una tenue ſomma di denaro può cambiarſi in una ſplendida maſſa di oro, pure a fronte di un caſo favorevole ve ne ſono tanti dei ſiniſtri, che rieſce aſſai più ſuperata la probabilità di gua dagnare da quella di perdere, che non la ſomma azzardata dal promeſſo premio per ricco e grande che poſſa parere. Per ſalvare la giuſtizia di queſto gioco, non giova il dire, che conſentendo i gioca tori con piena e perfetta libertà a queſta diſuguaglianza, queſto baſta per rendere le gitima quella convenzione, che ſarebbe al trimenti tanto leſiva. Queſto argomento proverebbe troppo in genere di contratti, e per ciò deve conſiderarſi di neſſun vigore. Sareb be queſta maſſima l'appoggio di moltilli mi contratti ingiuſti, e la difeſa di infiniti illeciti guadagni. Oltre di ciò la maggior parte di quelli che giocano al lotto neppure ardiſce di ſoſpet tare, che ſiavi a loro ſvantaggio una sì di chiarata ſproporzione; anzi moltiſſimi rin graziano come generoſa e prodiga quella mano che premia i vincitori, come ſe foſſe un gratuito dono ciò che non è ſe non una piccola parte di un debito. Più ſolida difeſa potrebbe recarſi riflettendo doverſi in queſto contratto dal padrone del lotto impiegare molti miniſtri, e fare molte e gravi ſpeſe, per lo che può eſigere ragionevolmente un riſarcimento; ma tutto ciò ancora non baſta a rendere giuſto queſto contratto fe ad altri termini e ad altre maſſime non ſia ridotto. Troppo anche più enorme era la diſugua glianza, prima che con lo ſtabilito aumento foſſe migliorata la condizione dei giocatori; condizione però, che tuttora è aſſai inferio re a quella del padrone del lotto. Quì però fa d'uopo dileguare un inganno comune a moltiſſimi che hanno le vedute corte, e limitate dalla prima ſuperficie delle coſe. Altro è l'aſferire, che il lotto conſide rato ſemplicemente come un contratto è in giuſto; altro è il dire che un Principe giuſto non poſſa ammetterlo nel ſuo ſtato, e debba toglierlo affatto, e ſradicarlo come un mal nato germe della rovina di tanti ſconſigliati. Il lotto può conſiderarſi come un tributo, che viene impoſto a chi ſpontaneamente con fente di pagarlo; cangiandoſi così in vantag gioſo al pubblico, ciò che potrebbe eſſer tan to pernicioſo al privato. Non ſi può deſcri vere l'ardore che muove ciaſcuno a cercare in queſta guiſa un propizio ſguardo della for te; nè ſi può immaginare quanto ſia pungen. te lo ſtimolo che ſpinge, e inquieta chi ri fiette che con una tenue ſomma di denaro, che azzardi, può guadagnare di che ſoſten tare una languente e numeroſa famiglia, o pur talora dilatare i confini del proprio luf ſo, o accreſcer anco tal volta un nuovo peſo agl’inoperoſi forzieri. Quindi è che tanti, e 34 tanti ſi affollano a tentare nel lotto la ſorte (a ). Penetrati dall'idea, e ſedotti dalla luſinga di (a) Non può negarſi per altro, che riccome tutte le cofe hanno un grado di valore e di eſtimazione ri Spettiva che naſce dall' uſo che può o vuol farne chi ne è padrone: può conſiderarſi ſotto l'iſteſſo aſpetto anche il denaro. Oltre il ſuo valor generale che na. ſce dal rapporto che egli ha alla maſſa delle coſe che ſono in commercio, può dirſi che un altro egli ne abbia privato e ſpeſſo mutabile, che naſce dalla qualità e quantità deibiſogni, o reali, o di opinione che à nelle date particolari circoſtanze, chi lo poſſiede; Può darli adunque che ciò che ſi azzarda al lotto, levato da una gran quantità, fia una piccola por zione di eſſa, relativamente ſuperflua; onde il ſuo valore ſia ſtimato sì tenue a fronte di una ſomma ragguardevole che rappreſenta un gran numero di comodi e di piaceri benchè fperabile ſolo per un piccoliſſimo grado di probabilità, che detto valore nella eſtimazione di chi lo gioca ſia conſiderato come zero, o come una quantità più o meno ad eſſo approf. fimante, formandoſi perciò, per così dire, una nuova e riſpettiva proporzione, ſecondo la quale il vantaggio molte volte ſarebbe dalla ſua parte. Queſto ſe non baſta, come ognun yede manifeſtamente, a render giuſto il contratto ſerve a render qualche ragione del traſporto, che hanno a tentar la forte in queſto gioco tanti che pur ne fanno ben conoſcere le condizioni, e calcolar le ſperanze. 35 quel bene che ſperano, non penſano a mi. ſurare i gradi della ſperanza medeſima; e il molto oro che già poſſeggono col penſiero, getta ſugli occhi loro un lampo che abbaglia talvolta anche il più ſaggio filoſofo, e il più freddo calcolatore. Quindi un tale impeto non conoſce freno che poſſa reggerlo, e non legge che poſſa vincerlo. Se un Principe tol ga dal proprio ſtato queſto oggetto dei co muni voti, la ſconſigliata avidità ad onta delle più fagge leggi, e deludendo le più ve glianti ſollecitudini ſi precipiterà in altri ſtati, che ſi arricchiranno a ſpeſe di quello onde il lotto ſia proibito ed eſcluſo. Unſaggio Principe adunque che può far ar gine a queſto torrente, accid non sbocchi al di fuori; deve procurare che ſi ſcarichi tutto a pubblico vantaggio, e che quella porzione di ſoſtanze che fagrificano follemente alla loro avidità i membri del corpo di cui egli è il capo circoli per il medeſimo, e poichè i pri vati ſi eſpongono a riſentire dello ſvantaggio, neſſun nocumento però ne venga alla Repub blica. Così facendo il faggio Principe, e non 1fi attira la taccia di ingiuſto, e merita tutta la lode di prudente, di politico, di difenſore e cuſtode della pubblica felicità. Di queſta verità ne conoſcono per una fe lice eſperienza il frutto in più ſpecial maniera quei popoli, che hanno la ſorte di eſſere go vernati da Principi umani e benefici, che per l'uſo che fanno del loro erario, anzichè pof ſeſſori, ſe ne moſtrano piuttoſto amminiſtra tori a pubblico e generale vantaggio. Havvi un'altra ſpecie di lotti nei quali non è un ſolo il premio, nè un ſolo il colpo fa vorevole della forte, ma molti ſono i premi, come molti e vari i caſi propizi; e ſecondo l'ordine dell'eſtrazione dei numeri dall'ur na, o ſecondo altre leggi convenute in pri ma ſi decide del maggiore, o minor premio. Tale è il lotto che ſi è fatto in Spagna per la coſtruzione del canale di Murcia, nella quale occaſione ſiccome ha fatta luminoſa comparſa la vaſtità, e penetrazione di ſpirito di chi ha ideato il progetto della grand'ope ſi è diſtinta non meno la finezza, e il di ſcernimento di chi ha regolato il metodo di ra;. 2 37 accumulare le gravi ſomme di denaro neceſ fario ad un sì grandioſo diſpendio. In queſto contratto come nei ſimili ad eſſo biſogna conſiderare, che varie ſono le ſperanze e molte, perchè vari e molti ſono i premi, e che la ſomma di tutti reſta come venduta a quelli che hanno comprati i viglietti. Sicco me queſti hanno sborſato un ugual prezzo, così devono avere fra loro ugual numero di caſi favorevoli e finiftri relativamente ai di verſi, o maggiori o minori premi; quali eſſendo per lo più vitalizj, l'uguaglianza fra gli azionarj e il padron dell'impreſa dipen de dalle regole, ſecondo le quali ſi ſtabiliſce la giuſtiza dei vitalizj. Ma non ſi troverà mai eſatta queſta uguaglianza, poichè una parte notabile del denaro che contribuiſcono gli azionarj, non già nel numero o nel valore dei premi ſi impiega, ma ſi deſtina alle ſpeſe delle ideate opere ſontuoſe. In queſto di Murcia però così ſono ſtati bilanciati i di ritti degli azzionarj, e ſono ſtati così grada tamente formati i premi, e in tal numero, e così bene è ſtata regolata l'economia di queſta sì grandioſa impreſa, che forſe non vi è ſtato mai un'altro lotto, in cui ſiaſi nel tempo iſteffo meglio aſſicurata la ſomma ne ceſſaria alla deſtinata opera, e ſia ſtata me no alterata la proporzione a ſvantaggio de gli azzionarj. Troppo ſon note le lotterie, che con al tro nome chiamanſi dai Franceſi Blanques perchè io impieghi molto tempo in eſami nare le qualità, e i caratteri di tale contrat to. Dall'economo del gioco ſi mette in un vaſo un certo numero di viglietti, dei quali alcuni ſon bianchi ed altri neri, e ſi vende il diritto di eſtrarne uno il quale ſe è nero apporta a chi lo eſtraſſe il guadagno di un premio del valore che è notato ful viglietto medefimo. Ognun vede, che accið ſiavi ugua glianza convien ricorrere alla regola mede ſima, che ſi è data pei lotti che ſi fanno per grandioſe opere pubbliche, avuta anche quì in conſiderazione la fatica, e il diſpendio dell'economo del gioco, e riflettendo che in queſto caſo i premi non ſono vitalizj. Queſto è un contratto della natura di quello che dai 39 Latini chiamavaſi olla fortunae. In fimil guiſa Auguſto dilettavaſi al riferir di Svetonio di compartir doni ai ſuoi cortigiani, chiaman do così la forte ad eſſer miniſtra della ſua beneficenza. Talora un ſolo è il premio che ſi diſputa fra quelli che giocano alla lotteria, e allora ſe il premio non è denaro ma un altra coſa qualunque che abbia prezzo, ſi giuſtifica più facilmente, giuſta l'opinione del Barbeirac, la notata diſuguaglianza: e l'economo del gioco può vendere non ſolo tanti viglietti quanti corriſpondono al valore del premio, ma ancora in maggior numero anche di quello che altronde eſiger pud e l'opera ſua, e il diſpendio, quando ve n'abbia. Queſti lotti fi riducono, dice il citato au tore ad una ſpecie di compra, che ſi fa in comune, a condizione che la ſorte decida a chi debba appartenere la coſa comprata. Se ſiavi adunque dell'alterazione nella propor zione, ſi potrà conſiderare come ſe fi foſſe comprata la coſa ad un prezzo un poco più alto del corrente; penſando che ciaſcuno tra 1 ! fcuri queſto di più che in altra fpecie di con tratto gli parrebbe forſe notabile, ſulla ſpe ranza di guadagnare il premio più o meno fondata a proporzione che uno ha comprata maggiore, o minor quantità di viglietti. Queſta mallima, che non è certamente di ri goroſa giuſtizia, non ſi potrebbe eſtendere perfettamente a quei lotti nei quali, e molti e di vario prezzo ſono i viglierti, e molti e di vario valore i premi; a tutti quelli in ſomma, nei quali non ſia aſſolutamente u guale la condizione dei ſingoli poſſeſſori di ciaſcun viglietto, benchè lo ſia riſpettiva mente. Prima di paſſare ad altri contratti giovami riflettere, che anche quando il padron del gioco, o qualunque altro che ne abbia di ritto pretende, che ſiano valutate le ſue fa tiche e il ſuo difpendio, non tanto ſi può dire che v'intervenga una compenſazione; quanto che ſi verifica di fatto a tutto rigore la noſtra proporzione, giacchè quel di più che fi paga, non è a titolo di compra della ſperanza, ma bensì a titolo dell'altrui di 41 ſpendio, e fatica; e per conſeguenza eſſendo una quantità eſtranea alla detta proporzione non la può in verun modo alterare. Si poſſono ridurre ad un contratto d'az zardo appartenente a queſta claſſe le ſorti ancora propriamente dette. La ſorte, dice l'elegantiſſimo ſcrittore della ſtoria degl'ora coli, è l'effetto dell'azzardo, e come la deci fione, o l'oracolo della fortuna; ma le ſorti fono gli ſtrumenti di cui uno pud valerſi per ſapere qual ſia queſta deciſione. Le ſorti ſono ſtate in uſo preſſo i più antichi popoli; e la forte s'interrogava, o col gettare i dadi colle proprie mani, o col gettarli da un urna: e ai caratteri, ed alle parole che ſu i dadi erano ſegnate, corriſpondevano alcune tavole che ne contenevano la ſpiegazione. Altre molte erano le maniere di tentare la ſorte, e di a ſcoltarne gli oracoli. E' incredibile poi quan iti, e quanto gravi affari ſi regolaſſero a ta lento di queſta cieca divinità. Baſta leggere gli autori che trattano dei voti che ſi offe rivano a Preneſte, e ad Anzio, e che parlano diffuſamente delle forti Omeriche, e Virgiliane. I verſi dell'immortale Epico Greco, nei quali dipinge con sì vivi tratti l'impeto, e il furore dell'indomito Achille, ritrovati a caſo nell'aprire l'lliade, erano talvolta la fola innocente cagione della rovina delle più floride città, e della deſolazione d'intiere Provincie. E ſe per lo contrario, aprendo i libri della divina Eneide s'incontravano gli amabili colori coi quali ſi dipinge la man fuetudine e la pietà del figlio d' Anchiſe, gli animi tutti non reſpiravan che pace, e quei pochi verſi baſtavano per dar fine alle guerre più ſanguinoſe. Aleſſandro Severo, ſalito al foglio dei Ce fari, credette di averne avuto un preſagio, quando privato ancora, anzi odioſo all'Im peratore Eliogabalo, aprendo nel Tempio di Preneſte l'Eneide di Virgilio, s'incontrò in quel tratto, ove queſto gran Poeta eſalta le virtù e piange i'immatura morte di Marcel lo, e preciſamente gli ſi preſentarono quelle parole fi qua fata aſpera rumpas Tu Marcellus eris. Ma io non parlo propriamente di queſte forti, e confeſſo anzi eſſere le medeſime uno dei monumenti più ſolenni dell'umana fol lìa. Io quì parlo delle ſorti, che chiamanlı elettive, diviſorie, attributorie, e ſimili delle quali brevemente eſporrò la natura e le qua lità, ed applicherò alle medeſime i più volte enunciati Teoremi. Due, o più perſone han diritto ad una coſa medeſima; eſaminato il valore del lor diritto lo trovano uguale; non vogliono gettare, nè tempo, nè denaro in ſuſcitare queſtioni; aſcoltano anzi ſentimenti più miti, e commettono alla ſorte la deci fione dell'affare, anzichè affidarlo alle lun ghe, e diſaſtroſe vie dei Tribunali. Conſe gnano i loro nomi all'urna diſpenſatrice della forte, e quello è giudicato favorito dalla me deſima, del quale vien eſtratto il nome; e vien dichiarato pacifico, e ſolo padrone di quella coſa alla quale avea con gli altri ugual diritto. Che ſia lecito commettere in talguiſa alla ſorte un affare dubbioſo o controverſo non v'ha dubbio alcuno, giacchè non vi è ra gione per cui non polfa uno obbligarſi ſotto una condizione tale, che il purificarſi la mede fima dipenda dall'incerto, e vario evento della forte. Ora ſe i diritti ſono uguali, ſe quanti fono i concorrenti tanti ſono i nomi che ſi conſegnano all'urna, ecco che i prezzi che vengono rappreſentati dai diritti che ſi az zardano, ſtaran fra loro come i numeri dei caſi favorevoli ad uno, al numero dei caſi favorevoli a ciaſcuno degli altri riſpettiva mente; ed ecco ſalvata l'uguaglianza di pro porzione fra i favorevoli, e ſiniſtri caſi, e fra i riſpettivi prezzi della ſperanza, la ſomma dei quali è l'oggetto della medeſima nel caſo di cui ſi tratta. L'iſteſſo può dirſi a proporzione, quando uno abbia un diritto, per eſempio doppio di quello degli altri; e baſterà che in tal caſo due volte ſi affidi il ſuo nome all' urna fata le; e così dicaſi di altri ſimili caſi. E di fatto queſto contratto a farne una giuſta analiſi ſi riduce ad un gioco di pura forte, in cui molti depoſitando ugual por zione un ſolo guadagna tutte le porzioni de poſitate, del quale ſi è di ſopra parlato; e ſi 45 è detto, che uno depoſitando maggior por zione, pud eſigere a proporzione condizioni più vantaggioſe. L'iſteſſe maſſime regolar denno le ſorti elettive che ſi uſano, quando molti avendo un privato diritto ad eſſere eletti a qualche onorifica o autorevole dignità, troncano ogni ſorgente di diſcordanza col tentare la forte, L'iſteſſo dicaſi delle ſorti diviſorie, e di quan te altre poſſono immaginarſi, che tutte ſi ap poggiano ai medeſimi fondamenti, e in tutte nel modo iſteſſo ſi trova la proporzione che coſtituiſce l'uguaglianza fra i contraenti, Fin quì fi è parlato di quei contratti che alla prima delle ſopra indicate claſſi appar tengono. In effi fra la ſperanza che ſi acqui ſta, e il prezzo con cui ſi acquiſta ſi può fif fare un eſatta, inalterabile, e matematica proporzione. Note fono tutte le cagioni che poſſono aver rapporto al favorevole o triſto evento della ſorte, ſi conoſcono tutti gli ele menti dei quali ſi formano le varie combi nazioni, e ſi fanno perfettamente tutti i modi 46 diverſi per mezzo dei quali queſte fi forma no. E' queſto forſe l'unico caſo al quale ſi poſſa applicare lo ſpiritoſo Emblema del ce lebre Moivre, rappreſentante la ruota della fortuna, e ſopra di eſla una ſemicirconferen za di cerchio, che con le ſue diviſioni ſerve a regolare quei capriccioſi giri, che ſono l'og getto di tanti voti, e la cagione di tante vi cende dei mortali. Chi intraprende queſti contratti pud, direi quafi, venire alle preſe con la ſorte, e conoſcendone la forza e l'ar mi bilanciare il deſtino della lotta fatale. Non è così certamente nei contratti che alla ſeconda claſſe ſi riferiſcono, ne' quali il rapporto neceſſario a formare l'uguaglianza fra i contraenti, ſi appoggia alla ſola ſperien za del paſſato, e a cagioni incerte, e varia: biliffime. lo ſo bene che ſi ſono pur trovati dei Filoſofi che hanno francamente aſſerite due coſe. La prima, che nelle umane vicen de che colpi chiamanſi della ſorte, e a noi pajono fortunoſi e irregolari, ſiavi un ordine coſtante, eun'originale diſegno per cui dirette da una provida mano che lor dà moto ſecon 47 1 do certe invariate leggi, eſcano a ſuo tempo ad agire in queſto sì ben congegnato ſiſtema del Mondo. La ſeconda, che l'irregolarità, che non agli eventi medeſimi e alle vicende, ma alle noſtre cortę vedute deveſi attribuire, ſcom parirà finalmente, e replicate l'eſperienze fi vedrà quella conneſſione che ora ci è inco gnita, e ſi conoſceranno i fottiliſſimi punti nei quali ſi uniſcono i tanti fili, che regolano con sì bella armonia l'intero univerſo. Da queſte due propoſizioni argomentano, che dunque dopo un dato tempo, ſiccome cre ſcendo il numero delle ſperienze, queſte ci danno regola per conoſcere ſempre più la probabilità di un evento, che anch'eſſa va ſempre aumentando a miſura che ſe ne co noſce la regolarità, arriverà un giorno queſta probabilità a cangiarſi in certezza. Ecco ciò che aſſeriſcono con molta ſicu rezza alcuni Filoſofi, alla teſta dei quali è l'incomparabile Moivre più altero di aver rintracciato ne' ſuoi intimi penetrali l'ordine della natura, e di averle ſtrappato queſto ſe 43 creto, che non fu già il ſuo celebre concit tadino di aver conoſciuti, e indicati i rego lari moti e le orbite dei pianeti per gl'im menſi ſpazi del cielo. Egli è veriſſimo che la gran macchina dell univerſo ricevè dalle mani creatrici quel grande impulſo, che poi la mantiene in moto coſtantemente, e dal quale come da prima cagione derivano tutti i più piccoli moti della medeſima, benchè immediatamente prodotti dalle ſottiliſſime e varie molle che la com pongono, e le dan forza. Ad eſſo ſi riferiſce ugualmente un'auretta leggiera che diſſipa per la ſelva poche aride foglie, e un procel loſo vento che ſull'immenſo Oceano di ſperde e rompe una flotta ſuperba di mille vele. Le grandi vedute di un politico illumi nato, che formano il ſoſtegno e la forza del Trono, non ſono agli occhi dell' Onni potente niente più luminoſe delle ignobili e ſconoſciute cure di un ſelvaggio, dirette ſoltanto a ſoſtentare la propria vita, e a difenderſi dall'ingiuria delle ſtagioni. Che poi l'Eterna mente che tutto sà e 49 za, o del tutto regola, abbia voluto che fra i varj eventi che inteflono la ſerie delle umane vicende, e che ſon chiamati in più ſtretto ſenſo fortunoſi ſiavi un rapporto più che un altro, un tal'ordine e non un altro, queſto è quello che io credo non poterſi ſcopriregiam mai. Che dopo un certo periodo ricompa riſca di nuovo l'iſteſſo evento, chedopo certe rivoluzioni torni l'iſteſla ſerie di coſe, ridon da egli forſe in maggior lode o della fapien potere eterno, e ſovrano? Nell'immenſo vortice della divinità fi pers dono le idee, che noi abbiamo di ordine, e conneſſione. O non vi è relativamente agli occhi divini ordine e regola; o non potiam noi conoſcere in che conſiſta; o tutto deve dirſi averla ugualmente. Chi vede inſieme col preſente ſiſtema di coſe infiniti altri pof fibili, vede un punto che non è ſuſcettibile di quei rapporti, che ſono idee relative a vedute limitate e finite; o ne vede infiniti altri, per cagion dei quali pud agli occhi ſuoi parer regolato tutto ciò che noi chiameremmo forſe diſordine, e confuſione, d 50 Ma non è forſe neppur vero eſſere più van taggioſo all'uomo che ſiavi di fatto nelle umane vicende queſta regolarità. Fra le infinite vedute, che l'occhio im menſo ha preſenti per il vantaggio delle ſue creature, chi ſaprà dire quale abbia fillata a preferenza dell'altre? Se un Sovrano cela ai ſuoi popoli i diſegni che forma, e le impreſe che và maturando, queſta condotta è diretta a tenergli nella dovuta ſommiſſione, e ad allontanarne l'orgoglio: e ſe un padre, ben chè benefico fa l'iſteſſo co'propri figli, non lo fa ad altro oggetto, che ad animarne la cieca confidenza che è uno dei più vivaci alimenti di un reciproco amore. Non vi è dunque argomento che comprovi queſta preteſa regolarità degli eventi che ſi fogliono chiamare fortuiti, e caſuali. Ma ſe ancor foſſevi, io ben non veggo ſu che fondamento ſi aſſeriſca, che agli occhi mortali eziandío dovrà una volta comparir chiara, e ſvanire per conſeguenza quella ap parente irregolarità che alla ſcarſezza delle noſtre notizie, e alla mancanza di eſperien ze, in tale ipoteſi deveſi attribuire. SI Quando ſi vuol fiſſare la contingibilità di un evento, oſſervar dennoſi ogni volta ch ' ei compariſce, le circoſtanze che lo accom pagnano, e l'intervallo di tempo che paſſa fra le diverſe ſue apparizioni. Quanto più creſceranno di numero le oſſervazioni, tanto più potrà conoſcerſi in quali circoſtanze ed in qual tempo debba arrivare. Da queſto ap punto argomentano gl ' indicati filoſofi, che ciaſcuna ofſervazione è diretta a ſcemare un grado della diſtanza che corre fralla irrego larità dipendente a ſenſo loro dalle noſtre corte vedute, e la regolarità che eſiſte di fatti nell'originale diſegno, e lega inſieme ed u niſce ſotto certe leggi tutte le varie vicende. Replicando adunque le eſperienze, rinovan do le offervazioni, ſi potrà arrivare a render nulla affatto queſta diſtanza; e a ſquarciare del tutto quel velo che cela ai noſtri occhi queſta bella regolarità. Di fatto ſoggiungono, che altro è la cer tezza ſe non un tutto di cui la probabilità è una parte? Creſcendo adunque queſta per mezzo delle oſſervazioni, potrà arrivare al 1 گرí grado di confonderſi col ſuo tutto: ed ecco fiſſata la certezza di quegli eventi, che ſi fo no ſempre creduti giochi, e capricci di una irregolare fortuna. E' egli per altro evidente queſto diſcorſo? Potrebb'egli un animo, che non voglia ar renderſi ad altra forza, che a quella della ve rità, dubitare ancora di ciò medeſimo che uomini di grande ingegno hanno tenuto per certo? E prima di tutto nel formare la tavola dei tempi nei quali ricompariſce l'evento medeſimo, convien riflettere di non notare ſe non quelle volte, nelle quali ſi moſtra ri veſtito delle medeſime circoſtanze. Se così è, e ſe queſte ſono preſſo che infinite, e in finitamente variabili, ne verrà per conſeguen za che quella rivoluzione che dee ricondur l'iſteſſo evento farà sì vaſta, e il circolo che la rappreſenta sì ampio, che o non ſi potran no da chi oſſerva congiungere oſſervazioni sì diſparate e rimote, o sì poche ſe ne po tranno fare, e la probabilità creſcerà sì len tamente da non potere giammai arrivare al 53 grado di confonderſi con la certezza. Tra= laſcio di oſſervare che un evento può com parire a noi accompagnato dalle medeſime circoſtanze, ed eſſervi nulladimeno tanta va rietà, che ſe foſle da noi ben conoſciuta fa rebbe sì che a tutt'altra ſerie da quella di cui ſi fanno le oſſervazioni, dovrebbeſi ri chiamare. Si conſideri ora ſeriamente qua lunque di queſti eventi che fortuiti chiamat ſogliamo, da quante cauſe poſſa provenire, e queſte in quante maniere poſſano combi narſi; e vedremo, ſe per quante ſi vogliano replicate ſperienze ſi potrà giammai arrivare ad argomentare dalle circoſtanze che altre volte fi videro accompagnare un evento, la eſiſtenza del medeſimo. Quelle ragioni medeſime che immediata mente influiſcono ſugli eventi fortuiti hanno conneſſione con vari ordini di cauſe più o meno rimote, che innumerabili ſono ancor eſſe, e capaci di innumerabili gradi di alte razione. E quì potrei ricorrere a tante fiſiche teorie, le quali dimoſtrano, che un gran fe nomeno può avere la ſua prima ſorgente, tam 54 lora sì rimota che per infiniti giri, e tortuoſi fentieri appena ſi può rintracciare; talvolta sì piccola, che dopo averla conoſciuta, ap pena ſi può credere che da eſſa derivi. E la ragione, e la immaginazione vanno in queſto caſo d'accordo a preſentare al pen fiero l'enormiſſima ſproporzione che correrà ſempre fra un gran numero di offervazioni quali peraltro non potranno eſſere moltiſſi me, (ſe vogliano porſi in calcolo quelle ſolo che fimiliſſime ſono, è relative ad oggetti ſimili ) e l'immenſo vortice fra cui fi aggi ra ľ apparente irregolarità. Di quì deriva, che a rigore parlando dubitar deveſi di quella maſſima, che la probabilità di queſti eventi arriverà una volta a cangiarſi in cer tezza. E quì fa d'uopo riflettere, che la proba bilità, e la certezza ſono due atti eſſenzial mente fra loro diverſi, come dicono i meta fiſici, e che fralla maſſima probabilità che arrivi un evento, e la certezza, vi è di mez zo una ſerie infinita di poflibili. Il timore di errare che ſi coinpone con la maſſiına pro. 55 babilità e viene eſcluſo dalla minima cer tezza, è una barriera inſuperabile, per cui non ſi poſſono giammai fra loro confon dere, ed è quello appunto che le rende (ſia mi lecito uſare un termine di matematica trattando di una materia nella quale ſe n'è fatto uſo con tanto profitto ) quantità in commenſurabili. Le prime oſſervazioni che fi fanno intorno a un determinato evento, non poſſono dargli che un grado di pro babilità così piccolo riſpetto al vortice im menſo della irregolarità, e all' infinita ſe rie dei poſſibili dall'evento medeſimo di verſi, che queſto grado pud conſiderarſi co me un infiniteſimo. Siccome adunque per trasformare un infiniteſimo in una quantità finita deveſi queſto moltiplicare per l'in finito, così queſto grado di probabilità do vrebbe ricevere infiniti aumenti per mezzo di infinite oflervazioni, prima che ſi poſſa chiamare ridotto al carattere della cer tezza. Parlo di caſi nei quali la ſerie dei poſſibili, che è di mezzo fralla probabilità e la cer 56 2 ! tezza, è compoſta di cauſe, che ogn'uno fa eſſere non immaginate ma vere, e poterſi in infinite maniere combinare. Poche oſſervazioni baſtano al filoſofo per render certe, o almeno eſcludenti un pru dente dubbio, alcune ſempliciſſime leggi della natura, dove tanto è lontano che ſi co noſca effervi infinite altre cagioni poſſibili, che anzi per argomenti preſi dai principi delle ſcienze ſi deduce non eſſervi luogo a ſoſpettare che altre ve ne ſiano. E' ben diverſo il caſo noftro ove trattaſi degli eventi che danno occaſione ai contratti di azzardo; e riguardo a quali ſi pretende ſolo di mettere in diffidenza la maſſima che promette che ſi abbia a cangiare in una aſſo luta e rigoroſa certezza, quella che è mera probabilità, e forſe capace di creſcer ſolo pochi gradi. Che non pud fare l'amor di ſiſtema? Lo ſpirito calcolatore avvezzo a portar lume ai più aſtruſi miſteri della geometria, e ad ana lizzare le coſtanti leggi della natura col più felice ſucceſſo, ſi lancia ardito dal gabinetto $ 7 di un filoſofo, e prefume di porre in mano ai mortali un filo che ſegni la traccia co ſtante degli eventi più incerti, e di aſſoggets tare alla ſua eſattezza ed uniformità, quan to v'ha di più vario, e mutabile. Non ſolo hanno cercato alcuni di ſcoprire un'ordine conoſciuto dai naufragi, un'ordi ne riſpettato dai morbi, e dalla ineſorabil morte; ma hanno fperato di poterlo tro vare anche in quegli eventi che più dipen dono da cauſe morali e libere, le quali agi ſcono certamente, non perchè così voglia un ordine e non un'altro, ma perchè così vo glion eſſe, e non altrimenti. Si è perfino tro vato chi ha propoſto le tavole degl'incendii, delle cadute fatali da un precipizio, e di molti altri ſimili fortunofi accidenti come ſe ſi poteſſe ſcuoprire anche in eſſi a ſuo tempo regola, ed ordine. Per quanto poſſa nei caſi dipendenti da fi fiche cauſe trovarſi una conneſſione fralle me deſime per lunga ſerie concatenate, in guiſa che debbano in un dato tempo produrre un effetto più che un'altro; non ſi potrà mai dire 1 1. $$ altrettanto quando vi abbia luogo una libera volontà che non ſiegue ordine, o conneſ fione, e che può produrre un'atto ſenza rap porto a verun' altro che abbia altre volte prodotto, o che ſia per produrre in appreſſo. E ſe è vero, che negli eventi, e nei caſi preſi in compleſſo di tutte le loro circoſtanze, e in quelli ſpecialmente che ſono il ſoggetto dei contratti di cui parliamo, qualche o più proſſima, o più rimota influenza vi hanno le cauſe morali; che ſi può egli penſare di più ſtravagante che il volergli ridurre eſattamen te a regola e pretendere di cangiare la pro babilità in certezza? E chi fu mai che tentaffe di ordinare le diſperſe, e confuſe foglie, che contenevano le riſpoſte ſull'avvenire, della fatidica Sacer dotella di Cuma? Ma quand'anche gli argomenti da me ad dotti non provaſſero l'impoſſibilità di arriva re dopo un lunghiſſimo corſo di anni a can giare in qualche certezza la probabilità, pro vano almeno, che per noi, e per ben mol te generazioni queſta farà una ſterile ricer 59 ca; giacchè per molti, e molti ſecoli, (ac cordando anche più di quello certamente, che ſi può ) non ſi potrà vincere quel diſordi ne, e irregolarità almeno apparente, che of ſervaſi nelle umane vicende, e che in ſomma il limite delle medeſime è tanto diſcoſto, che pud conſiderarſi come infinitamente diſtante. Dal fin quì detto per altro non ſi può ra gionevolmente inferire, che dunque dal com mercio degli uomini ſi debbano eſcludere i contratti di azzardo che appartengono alla ſeconda delle ſopra indicate clafli. Per provare la verità di queſta aſſerzione convien fiſſare due maſſime conformi alla ragione, e che ſe non erro ſono il fonda mento al quale ſi appoggia la giuſtizia di queſti contratti. Queſta uguaglianza fra i contraenti che è sì neceſſaria a render giuſti i contratti è un termine vago, e che non ha affiffa alcuna idea, ſe allo ſtato di natura vogliam rimon tare. Il prezzo delle coſe introdotto o dalla legge, o dalla conſuetudine che imitatrice della legge la vince di autorità, ecco ciò che ha chiamata l' uguaglianza a preſiedere ai contratti. Alla ſocietà dunque, e alle fire maſſime deveſi attribuire. Si eſamini pero lo ſpirito della ſocietà, e ſi vedrà che nelle ſue maſſime generali non ſi devono comprendere quei caſi che è dello ſpirito della medeſima l'eſcludergli, e l' eccettuarli. Si riduce al lora la queſtione, ad eſaminare ſe ſiano utili alla ſocietà i contratti in queſtione; e ſe nelle bilance del pubblico bene ſia di maggior mo mento il vantaggio che recano, o la preciſa offervanza di quella perfetta uguaglianza ne contratti, che è tanto neceſſaria generalmen te alla quiete, e felicità degli individui, e al buon ſiſtema, e conſervazione di queſto cor po morale, e politico. Pochi elementi, e poche idee ſciolgono il problema. Induſtria eccitata, commercio invigorito, circolazione ampliata. Vantaggi fono queſti generalmente procurati da tali contratti ben regolati, come ſi può ben co noſcere da chi ne eſamini lo ſpirito, e le conſeguenze. Daqueſto argomento riceve gran forza un 61 ſecondo rifleflo. In queſti contratti non ſi può avere fra i contraenti una perfetta ugua glianza di condizione, perchè non ſi può eſattamente miſurare la loro forte. Ma ciò che manca a queſta giuſta miſura è con une ad entrambi. Ad entrambi è egualme ite i gnoto per chi debba eſſere il vantaggio, e per chi il diſcapito, potendo ugualmente nel caſo noſtro, e l'uno, e l'altro a ciaſcun di loro arrivare; e queſto medeſimo forma una ſpecie di ſorte uguale, la quale pud ſupplire a quanto manca alla perfetta uguaglianza. Diſli alla perfetta uguaglianza, perchè le maſſime ſopra eſpoſte ed impugnate, vacil lano ſoltanto, perchè oltrepaſſano certi li miti, dentro dei quali rinchiuſe provano moltiſſimo, rapporto alla uguaglianza che deve eſſere nei contratti della ſeconda claſſe. Inteſe le maſſime con la dovuta moderazio ne, è veriſſimo che eſtraendo da un'urna ove ſiano alla rinfufa molti viglietti bianchi e molti neri, quante più eſtrazioni fi anderan no facendo, tanto più creſcerà la conoſcen za del rapporto che hanno fra loro: è verif fimo che le oſſervazioni ſegnate in tavole danno ai giovani la prudenza dei vecchi: ed è incontraſtabile che quanto più ſpeſſo ac caderà in natura un evento, tanto più ſi po tranno attrappare le circoſtanze che lo ac compagnano, e farà meno irragionevole l'in duzione che dalla eſiſtenza di queſte, ſi farà della futura eſiſtenza di quello. Si potrà dun que avere un qualche dato per eſaminare la probabilità di un'evento, e proporzionargli il prezzo con cui ſe ne acquiſti la ſperanza. Per formare una ſerie dei diverſi gradi di tale probabilità gioverà eſaminare un qualche contratto in ſpecie, e fiffare i punti dai quali la ſerie ſi parte; poichè non ſi potrebbe con tanta facilità fare una giuſta analiſi, o alme no egualmente chiara, ſe fi conſideraſſero le idee in aſtratto, e ſenza applicarle ad un de terminato ſoggetto. Fra tutti i contratti che ridur ſi poſſono a queſta ſeconda claſſe parmi che meriti di eſ ſere diſtintamente eſaminata l'aſſicurazione, Efla è un contratto per cui uno dei contraenti ſi obbliga a riparare tutti i danni che può un altro ſoffrire nelle ſue merci per naufragio, o altre convenute cagioni; e queſti ſi obbli ga a pagarli una determinata mercede in com penſo del pericolo al quale volontariamente ſi eſpone. 1 Fiorentini che avendo già eſteſo il loro commercio per tutto il Levante aveano fatto conoſcere a tutto il mondo quello ſpirito di lo devole induſtria, e fagacità, che forma il nerbo e la floridezza di uno ſtato, e che fu ſempre del loro carattere, furon quelli che riduſſero a certe leggi queſto contratto, e gli diedero for ma e credito. Inſegnarono così alle altre na zioni commercianti a tirarne quel profitto, che il profondo, ed illuminato Melon aſſe riſce dover eſſere sì ampio per uno ſtato che abbondi di eſperti, ed avveduti aſſicuratori. Di fatto alla Repubblica Fiorentina deb bonſi i primi capitoli di aſſicurazione che furono diſteſi negli anni 1523., e 1525. A queſti ſucceſſero negli anni 1563., e 1570. le ordinazioni di Olanda. Non è ſtata queſta l'unica occafionein cui abbiano, gareggiato in fatto di commercio 64 queſte due nazioni, la prima delle quali ha faputo ſempre profittar pienamente delle fe lici fue circoſtanze, e la ſeconda compenſare ognora in mille modi i danni della infelice ſua ſituazione; e inſultar quaſi alla natura di ayerla in eſſa collocata. Gli ſcrittori che hanno trattato di queſto contratto lo diſtinguono in due ſpecie. La prima chiamano eſſi aſſicurazione propria mente detta, ed è quando le merci che ne ſono l'oggetto appartengono di fatto a quello che ne chiede l'aſſicurazione; e queſto è ciò che intendono ſotto il nome di riſico dell' aſſicurato; ed inoltre ſono eſſe realmente ſog gette a pericolo, o com'eſſi dicono a ſiniſtro. Per la validità di queſto contratto ricercaſi la coeſiſtenza del riſico, e del ſiniſtro; ed è quanto dire, che l'aſſicuratore non deve pa gare la ſicurtà, nè l'aſſicurato la mercede, ſe le merci avean corſo già il loro deſtino quan do fi ftipulò il contratto, o ſe non apparten gono all'aſſicurato. Per maggior comodo poi, e dilatazione di commercio fu introdotto il contratto di affi 65 curazione ſulle merci o proprie, ma non nella ſomma che ſi afferiſce, e che cade ſotto l'aſſi curazione: o appartenenti affatto ad altra perſona. In queſto contratto il fondamento conſiſte nella fola eventualità dell'azione; e ſi può in eſſo ravviſare un'apparenza di Scommeſſa della quale però gli mancano ſe condo molti, alcuni caratteri. Anche in queſta ſeconda ſpecie comunemente ricer caſi, che le merci ſiano in pericolo ancora quando ſi fa il contratto; benchè in alcune piazze ſi ſoſtenga anche nel caſo che le merci aveſſero già corſa la loro forte quando ſi ſti puld il contratto, purchè però queſto non foſſe a notizia dei contraenti. Per ridurre pertanto in qualche vero ſenſo il contratto di aſſicurazione alla Teoria ſopra eſpoſta regolatrice della uguaglianza neceſ faria nei contratti di azzardo, fa d'uopo con ſiderare due fatta di caufe che influir poſſono full'evento incerto, che ne forma l'oggetto. Altre ſono le cauſe fiſiche che per un puro meccanico impulſo della materia agiſcono in dipendentemente da qualunque libera deter 66 minazione di una cauſa ſeconda; il mare cioè più o meno ſparſo di pericoli, agitato da vortici, terribile per gli ſcogli; il vento che tormenta più un ſeno di mare che un altro, e domina più in una ſtagione, che in un altra; la qualità del naviglio, più o me no capace di reſiſtere agli urti, e di inſul tare gli Aquiloni; e finili altre che a que ſte ridur ſi ponno, anzi con queſte confon derſi. Più incerte affai, e più indocili all'eſat tezza del calcolo ſono quelle cagioni che mo rali ſi chiamano, perchè o conſiſtenti nella libera determinazione di un ente creato, o da quella dipendenti almeno mediatamente. La deſtrezza, e la buona fede del capitano: l'abilità dei marinari e dei piloti: il nume ro, e la gagliardìa dell'equipaggio: la mag giore o minor frequenza dei pirati che infi diano fraudolenti, e poi attaccano rapaci; o dei nemici armatori che appoggiano le fan guinoſe loro infeſtazioni ai tremendi diritti della guerra, ſono o le uniche, o le più con ſiderabili di queſte cauſe morali. 67 i Se il fondare un calcolo eſatto ſulle fiſiche cagioni ſuaccennate è impoſſibile: il fondarlo che ſi accoſti all'eſattezza difficiliſſimo: lo ſarà molto più l'appoggiarlo alle cauſe morali che non agiſcono per una conneſſione di mo vimenti, e d'impulſi che l'un l'altro fiſie guano neceſſariamente; ma che operano per una mera libera determinazione, che per qualunque congettura la più apparentemente probabile non ſi può preſagire; poichè anche preſa può ſul momento abbandonarſi, per cangiarla in una affatto diverſa, e talora dia metralmente oppoſta, e contraria. Un canone perd univerſaliſſimo, e da non preterirſi giammai in queſto contratto, parmi quello di non conſiderare neſſuna cauſa, o fiſica, o morale, ſeparatamente o iſolata dalle altre; ma di oſſervare l'influenza reci proca che hanno tutte le cauſe l'una ſopra dell'altra, e quella non meno che hanno ſulle morali; e l'iſteſſo dicaſi di queſte rapporto alle fiſiche. Il momento di ciaſcuna cauſa ſi altera a miſura che diverſamente è combi nata, o temperata colle altre. e 2 68 Per conoſcere però quanto poſſano queſte cagioni, e ſingolarmente preſe, e in complef ſo, è neceſſaria una lunga ſperienza. In queſto contratto, per caſi ſiniſtri non ſi intendono già tutte quelle combinazioni, che realmente poſſono funeſtare l'aſſicuratore, e perder la nave, nè per favorevoli quelle che ſalva dai naufragi, e dalle oſtili violenze, la confe gnano al ſoſpirato porto. Fatta una tavola di accurate, e frequenti oſſervazioni, e conoſciuto quante volte in parità di circoſtanze ſiaſi perduta la nave, e quante ſia giunta felicemente al deſiato fuo termine; la ſomma delle prime rappreſenta la ſomma dei caſi ſiniſtri; e quella delle ſe conde ſi tiene per il numero dei favorevoli; e ſu queſti dati ſi forma la proporzione da noi ſtabilita nel III. Teorema. Queſta è la ſpecifica differenza che paſſa fra i contratti del primo genere, e queſti che al ſecondo appartengono. Nei primi entrano in calcolo tutti quanti i poſſibili caſi e fini ſtri, e favorevoli, perchè ſi fanno tutti, e ſe ne conoſce perfettamente il numero; noi 1 69 ſecondi fi calcolano quelli ſoltanto, che dopo una lunga ſperienza ſi ſono oſſervati; reſtan done non compreſi nel calcolo tanti altri pof ſibili, i quali perd dopo molte e molte oſler vazioni fi fuppongono in proporzione di no tati. La proporzione ſi accoſta tanto più al vero, quanti più ſono i caſi oſſervati, come appunto accade nell'urna che contiene un ignoto numero di palle bianche e nere: delle quali con tanto minor pericolo di errore ſi può fiffare la proporzione, quanto più copioſa ſe ne è fatta l'eſtrazione. In una parola, nei primi è incerto l'eſito della ſorte; nei ſecondi è incerto anche ciò che può determinarlo. Rariſſimi però ſono i caſi che ſieno riveſtiti perfettamente delle medefine circoſtanze. Fa d'uopo adunque per formare la propor zione ricorrere alle diverſe tavole, ove ſono notate le circoſtanze preſe ſeparatamente; e conſiderarle come tanti elementi dei quali ſono compoſti i dati della proporzione. Scioglie una nave dal Porto, e veleggia per un mare tranquillo, e placido; queſta circoſtanza è un fondamento della propor 70 zione da ſtabilirſi fra il valor delle merci, e il prezzo dell'aſſicurazione; e la tavola delle navigazioni fatte in queſto mare lo additerà preciſamente. Ma fe queſta nave corra un pericolo di pirati, o di nemici che le altre navi facendo il medeſimo viaggio non avevan corſo giammai, nel formare la proporzione vi entra anche queſto elemento, la di cui forza ſi miſura dalla tavola di altre naviga zioni benchè fatte in altri mari, e ſi compone il minor pericolo che ha queſta veleggiando per un mare tranquillo; col pericolo che cor ſer altre per la ſola oſtile infeſtazione. Vaglia queſto per eſempio delle proporzioni com poſte di varj elementi, il valor dei quali ſia regiſtrato in diverſe tavole, non obliando giammai nel combinarli la forza che acqui ſtano dalla reciproca loro influenza. Ma può talvolta non eſſervi l'eſperienza baſtante a far conoſcere i gradi di probabi lità dell'eſito lieto, o infauſto. Monta per la prima volta un vaſcello un Capitano, che non ha mai per l'avanti governato naviglio alcuno: infeſta i mari una turma di corſari 1 1 71 sbucati da qualche ſcoglio che alzava prima una barriera alla fanguinaria loro rapacità e dei quali ignoraſi per anco il numero, ed il valore, o a meglio dire la violenza della eſecrabile loro ſete dell'oro e del ſangue; chi potrà miſurare i gradi dell'influenza che ha ſull'eſito felice la prụdenza e la deſtrezza del primo, e ſull’infauſto l'ardire, e la forza dei ſecondi? In tal caſo per quanto vogliaſi dare un va lore anche a queſte circoſtanze nuove; fon dandolo ſu qualche piuttoſto appreſa, che conoſciuta ſomiglianza ad altri caſi; egli è certo però che ſenza una più volte ripetu ta eſperienza, non può fiffarſi una propor zione di cui ſi calcolino i gradi, e ſi nume rino i valori; e ſenza di eſſa non ſi può for mare una ſerie che ſerva di norma all'u guaglianza ricercata in tali contratti. Tutto alla fine ci conduce a riflettere, che una e fatta proporzione nei contratti del ſecondo genere non può ſperarſi giammai; che in molti caſi ſi potrà avere meño lontana dall' eſattezza; in altri ſi troverà dalla medeſima 72 più rimota, come dal fin qui detto chiara mente appariſce. Ma forſe gli aſſicuratori interrogano que ſte tavole, formano calcoli, e ſciolgon pro blemi? Il filoſofo che ſcortato dalla ragione fino ai loro principi eſamina le azioni degli uomini e le bilancia, conoſce che queſti cal coli ſono neceſſarj a ridurre i contratti all' uguaglianza e comprende che queſta tanto più ſi otterrà facilmente, quanto più ſiano frequenti queſte tavole, e numeroſi i caſi che ad eſſe, come a indicatrici della ſorte ſono af fidati; l'aſſicuratore poi accorto ed illumi nato le conſulta, o le deſidera; l'indotto, e meno avveduto ha preſente, almeno in con fuſo la maggiore, o minor frequenza de' fini ſtri nelle date circoſtanze ſeguiti, e ſu queſto implicito calcolo forma il ſuo giudicio più o meno eſatto, e non ſi affida totalmente alla cieca all'arbitrio dell'incerta forte. In queſto contratto il prezzo che eſpone l'aſſicuratore, è il valore delle merci, che egli ſi mette in azzardo di dover pagare all' aſſicurato; quello dell'aſſicurato è la merce: 1 73 de che egli paga all'aſſicuratore in compenſo di queſto azzardo medeſimo. Ma ſiccome fatto il contratto di aſſicura zione, l'aſſicurato deve in qualunque evento pagare all'aſſicuratore la convenuta merce de, pare a prima viſta che per l'aſſicurato non ſiavi azzardo alcuno; poichè dal punto dello ſtabilito contratto è deciſa la ſua forte; o a dir meglio riguardo a lui nel ſuo con tratto non ha luogo alcuno la forte. Baſta però una giuſta rifleſſione ſulla natura di tal contratto, per vedere che anche per l'aſſicu rato vi è l'eſito favorevole della ſorte ſicco meancora l'infauſto. Caſo favorevole può chiamarſi quello che rende il contraente pago, e contento di aver fatto il contratto; talmente che ſe aveſſe pre veduto l'eſito, conſultando ſolo il ſuo van taggio, l'avrebbe nonoſtante fatto, anzi con tanto maggiore alacrità. Per lo contrario infauſto può dirſi quello che in qualche modo gli dà occaſione di pentimento, in guiſa che ſe aveſſe previſto l'eſito avrebbe omeſſo di fare il contratto. Ora quantunque 74 l'aſſicurato, fatto il contratto ſia già ſicuro di dover pagare la mercede, qualunque ſia l'evento; quando però la nave giunga a ſal vamento, è in caſo di pentirſi del ſuo con tratto; poichè ſe non lo aveſſe fatto, e avreb be avuta ſalva la nave, e non avrebbe fof ferto il diſpendio della ſtabilita mercede. In queſto ſolo ſenſo, e non in altro, che ſareb be troppo contrario all'umanità, poichè ſi riſolverebbe in compiacerſi dell'altrui dan no, che neppur ridonda in proprio vantaggio, ſi pud intendere ſiniſtro per l'aſſicurato il caſo del ſalvamento della nave; e in queſto ſolo può ridurſi il contratto al carattere di una vera ſcommeſſa, di cui è eſſenziale ſe condo alcuni, che l'avvenimento favorevole ad uno dei contraenti, ſia per l'altro infau ſto, e ſiniſtro. Conchiuſo il contratto, l'al ficurato che ha ſentimenti di umanità, deſi dera che ſi falvi la nave, ma falvata la nave vorrebbe non aver fatto il contratto. Quello che non ſi può in modo alcuno ri durre a calcolo, ſi è nella perdita di una na ve, la minore, o maggior quantità di merci, ! 75 che ritoglier ſi potranno all'ingordigia dell onde, e ritrarre al lido; lo che ſuccede mol te volte, e fa che non debbanſi tutti i cafi ſiniſtri giudicare di un carattere egualmente dannoſo; ma diverſi, a miſura, che più o meno delle aſſicurate merci, ſi perde, e ro vinafi. Il poter prevedere, e calcolare in a vanti tal quantità influirebbe molto a deter minare la mercede che l'aſſicurato promet te. Ma chi potrà mai calcolare le tante cauſe che poſſono influire ſopra un sì variabile ac cidente? Forſe l'aſſicurato avrà all'ingroſſo preſente queſta varietà di combinazioni; ma potrà egli dare ai loro effetti un giuſto valore? I principj fin'ora eſpoſti regolatori di que Ito contratto, quando ha per oggetto merci affidate al pericoloſo traſporto di mare, pof ſono facilmente adattarſi alle merci traſpor tate per terra; anzi alle merci, o ſituate nei magazzini, o in altra maniera cuſtodite. Tutto ciò che può eſſer ſoggetto ad un fatal accidente, e per quello perire, o deteriorarſi, fi fa eſſere oggetto di queſto contratto. Anzi il guaſto di un incendio divoratore, le ruine 70 di un turbine procellofo che abbatte caſe, porta la deſolazione per le campagne, la vio lenta incurſione di rapaci aſſaſſini, o le ru berie affidate al ſegreto e alle tenebre della notte dalle timide mani infidiatrici, ed altri pericoli di tal fatta, che a prevederli biſogne rebbe nulla meno che lo ſpirito di divinazio ne, ſomminiſtrano in alcuni paeſi occaſione di venire alle mani con la ſorte, ſenza che nè l'una parte nè l'altra poſſa mai, neppure all'in groſſo e colla maggiore ineſattezza, miſurarla. Un'altro contratto non meno intereſſante, e che appartiene a queſta ſeconda claſſe ſi è quello che chiamaſi vitalizio. Gli uomini non contenti di affidare la loro forte a tante, e sì varie combinazioni che alterano, e modificano sì ſtranamente gli ef Teri inanimati; hanno voluto che ella dipen da anche dalla vita dei loro ſimili, ed hanno fatto sì che un uomo debba ftimarſi infelice ſe un altro gode per lungo tempo sì prezioſo dono del cielo. La vita iſteſſa è venuta tal volta in bilancia con un tenuiſſimo guadagno. Il vitalizio altro non è che l'annuo inte 77 ! reſſe di un capitale collocato a fondo per duto. Chi colloca in tal guiſa il ſuo capitale lo fa ad oggetto di ritrarne un profitto mag giore di quello che riſerbandoſene il dominio potea ſperare. Suol eſſere comune queſto con tratto e a coloro che non avendo perſone congiunte con ſtretto vincolo di ſangue o di amicizia, o che non curando le veci dell' uno, o dell' altra, non hanno nulla che gli ritragga dal provvederſi i mezzi di ſodisfare anche a quei biſogni che ſono figli del più molle, e faſtoſo luſſo; e a quegl' infelici, che ſenza queſto compenſo condur dovrebbero i triſti loro giorni in ſeno all'inopia, e allo ſqual lore. Il vantaggio di liberarſi da tante fre quenti, e penoſe cure della domeſtica eco nomia luſinga molto, ed è talor neceſſario, a chi trovandoſi in un'età cadente, accom pagnata per lo più da una infaufta dote di mali, vedrebbe da mercenarie mani rapaci diſperſi, e lacerati i ſuoi fondi, rendergli un frutto di gran lunga inferiore a quello che potrebbe ritrarne perchè diviſo con tanci domeſtici fti pendiati uſurpatori. 78 Quello poi che ſi carica di pagare un frutto maggiore dell'ordinario ha per oggetto non folo di fare in un colpo l'acquiſto di una ragguardevole ſomma, ma di vedere la vita di quello a cui lo paga non oltrepaſſare un tal corſo di anni che la rendita ecceſſiva af forbiſca il capitale, e la ſomma degli inte reſſi ordinarj, che egli ne ha ritratti. Aipri mo arride la ſorte fe ſopravviva un tal nu mero di anni che fatta la ſomına delle an nuali rendite vitalizie, queſta ſuperi il fondo perduto e di più le rendite ordinarie del medeſimo. Favoriſce il ſecondo ſe la morte fi affretti a troncare prima di tal termine i giorni dell'altro. Ecco lo ſpirito di queſto contratto. Per rintracciare nel medeſimo la neceſſaria uguaglianza, e per verificare i noſtri teore mi è neceſſario riflettere, che sborſato il ca pitale che ſi perde, e fiſſata la rendita mag giore dell'ordinaria, vi ſarà un certo nume ro di anni, per il corſo dei quali ſopravi vendo, la ſomma degli ecceſſi della rendita vitalizia full' ordinaria uguaglierà il capita 6 79 le. Se quello adunque che perde il fondo foſſe ſicuro di ſopravivere un tal corſo d'an ni, non potrebbe eſiger di più di queſta de terminata rendita vitalizia. Ma ſiccome quel lo che dà a vitalizio non è ſicuro di vivere un determinato numero d'anni; per poter rendere eguali le condizioni dei contraenti, è neceſſario fiſſare un tal numero d'anni, che la probabilità di ſopravivere ſia uguale a quella di premorire, e che al caſo che uno ſopraviva o due o tre anni, o qualunque altro numero, ſi poſſa con ugual probabilità contrapporre il caſo che muoja un egual nu, mero d'anni prima. Quando dunque ſi tratta di formare un vitalizio, conviene eſaminare quanto abbia ſopraviſſuto un gran numero di perſone, per eſempio mille, all'età di quello che vuol farlo. La ſomma di tutti gli anni che tali perſone hanno ſopraviſſuto di viſa per il numero delle medeſime, dà un numero, che ſi chiama l'età media. Trovato queſto, ſi ſuppone che chi fa il vitalizio deb ba ſopravivere fino a tal termine, e ſi fa il diſcorſo che ſi è detto di ſopra, quando ſi è 80 fatta l'ipoteſi che uno foſſe ſicuro di vivere nè più nè meno un determinato numero d'anni. Nel fiſſare la media ſi ſono conſide rati gli eventi che poſſono favorire il caſo della ſopravivenza eguali in numero a quelli che vi ſi oppongono; uguaglianza che ſi ac coſterà tanto più al vero quanto ſarà mag giore il numero delle vite dalle quali ſi ri cava la media. Ecco dunque, come in queſto caſo la ſpe ranza può dirſi uguale al timore, e per con ſeguenza può aver luogo l'azzardo ſenza op porſi alla giuſtizia, ed ecco finalmente ridot to il contratto ai termini dei noſtri teore mi. La ſomma del capitale più le rendite ordinarie, che è il prezzo eſpoſto da chi perde il fondo, deve ſtare alla ſomma delle rendite vitalizie che formano il prezzo eſpoſto dall' altro contraente, come il numero dei cafi favorevoli al primo, al numero dei caſi fa vorevoli al ſecondo; i quali ſupponendoſi moralmente uguali per l'accennata ragione, ne ſegue che la ſomma del capitale, e delle rendite vitalizie dovrà eſſere eguale alla fom 81 ma del capitale, e delle rendite ordinarie computando tal ſomma fino al termine del la vita media, che per ipoteſi ſi dà ſtabilito per l'indicato calcolo. Si ridurrà dunque l'uguaglianza di queſto contratto a diſtribui re per detto numero d'anni queſta ſomma; o ſia a rendere anche più ſemplice l'eſpreſ fione, ſi tratterà di aggiungere alle annue rendite ordinarie il capitale diſtribuito per detto numero d'anni. E'evidente che per rendere in queſto contratto le condizioni più eguali convien pigliare un grandiſſimo nu mero di vite per formar la media. E quì ſi oſſervi che ſe poteſſe la probabilità della du rata di una vita fino a un dato numero d'an ni cangiarſi in certezza, ſarebbe tolto affatto l'uſo di queſto contratto: lo che dee dirſi di tutti i contratti di azzardo. Si penſa a can giare la probabilità degli eventi in certezza. Se queſto ſi otteneſſe ſarebbe affatto bandita quella cieca divinità alla quale ſi abbando nano gli uomini per formarne un ramo di commercio. Vogliamo adunque miſurar la forte, non eſpellerla. f 82 Tanto più farà facile in queſto contratto fiſſare la media, quanto più ſaranno ridotte a claſſi diſtinte le perſone delle quali ſi ſom mano le età. Qualità di profeſſione, carattere di temperamento, indole di clima, eligono ſeparate oſſervazioni. In fatti, ſiccome per cali favorevoli s'intendono quelli per i quali ſi prolungano le vite, per contrari quelli che le abbreviano; e i ſecondi, nel fillarſi l'età media vengono conſiderati moralmente ugua li di numero ai primi; queſta uguaglianza ſarà più vicina alla vera, quanto maggiore ſarà la parità di circoſtanze. Se abbiaſi però riguardo non ſolo alle an nue rendite vitalizie, ma al frutto delle me deſime, potendoſi eſſe, e il frutto loro cangia re ſucceſſivamente in forte fruttifera; fic come quello che paga l'annua rendita vita lizia paga un frutto maggiore di quello che ritrae; dovrà a proporzione ſcemarſi l'ecceſſo della rendita vitalizia ſull'ordinaria. Queſto però non ſi oppone alla verità del teorema terzo; poichè in tal caſo il prezzo che eſpo ne quello che paga la rendita vitalizia non farà più quell'ecceſſo della rendita vitalizia ſull' ordinaria, che naſcerebbe dalla fillata proporzione; ma ſarà un ecceſſo tanto mino re, quanto è la differenza del frutto della rendita vitalizia conſiderato ſucceſſivamente, e per ferie cangiato in forte fruttifera, dal frutto della rendita ordinaria conſiderata nell'iſteſſa maniera, e così cangiandoſi pro porzionalmente le eſpreſſioni dei due prezzi, non ſi cangerà l'analogia. Non farà difficile il perſuaderſi dell'indi cata differenza fe fi conſideri, che chiamata la ſorte totale per eſempio A, e una di lei porzione C, alla quale corriſponda l'annuo frutto B, ſarà la ſerie delle annue rate d'in tereſſe o ſia di ciò che ſi deve ogni anno nella ipoteſi che il frutto ſi cangi in forte, eſpreſſa dalla ſeguente formola. (C + B ) A,(B ) A (C (C + B С N o ſia eſprimendo per Nil numero degli anni ſcorſi dal primo (C + B) À laddove quando il N frutto non ſi cangia in ſorte fi avrà una ſe C_A f 2 84 rie aritmetica il di cui primo numero cor riſpondente al primo anno farà il capitale col frutto; il ſecondo il capitale col doppio del primo frutto; il terzo il capitale col tri plo del primo frutto. Il valore adunque del frutto del primo anno ſarà la differenza dei termini di queſta ſerie. Siccome poi nel caſo dell'ultima ipoteſi, tanto la rendita ordiną ria, quanto la vitalizia ſi cangiano in forte; fatte le due ſerie di potenze ſecondo la eſpo fta formula, e ridotte ai termini individui del caſo di cui ſi cerca, ſi conoſcerà il valore della ricercata differenza. Richiaminſi però a queſto contratto i prin cipj ſtabiliti in quello dell'aſſicurazione, e ſi abbia in viſta che per caſi favorevoli, altro non s'intende, che il numero di quelle per ſone che in parità di circoſtanze hanno ſo pravviſſuto un dato numero d'anni, per ſi niſtri poi il numero di quelle che ſono man cate prima; che queſta parità di circoſtanze vien compoſta talora da molti elementi il valore de'quali dev'eſſere prima a parte no tato; e che la vita dell'uomo dipendendo da 85 cagioni fiſiche e morali, fa di meſtieri riflet tere al diverſo loro carattere, e alla recipro ca influenza delle medeſime. Lodevolilimo però è l'uſo di far le tavole, o regiſtri, nei quali ſi notino la naſcita, la morte, e gli altri accidenti della vita umana; poichè queſte ſole appreſtano il fondamento ſu cui ſi appoggiano tanti vantaggioſi con tratti; ed elle ſole danno la miſura delle forti, e delle aſpettative dei contraenti. Sarebbe in conſeguenza deſiderabile che ciaſcun medico regiſtraſſe privatamente le qualità, e gli accidenti dellemalattie che egli tratta; ſiccome quelle del temperamento di ciaſcun malato, che egli libera, o che non può ritrarre dalle prepotenti fauci di morte. Queſte ridotte in ſiſtema, e reſe pubbliche riſparmierebbero molte volte la pena di com binarne molte formate da indotti oſſervatori, anzi fovente farebbero neceſſarie; poichè l'imperito regiſtratore omettendo tutte le circoſtanze, o alcuna almeno delle eſſenziali, rende inutili le ſue oſſervazioni, e appreſta piuttoſto occaſione all'altrui errore, o irri fleſſione. 86 Benchè e da quali tavole ſi potrà mai rica vare la giuſta miſura della vita d'un uomo? Quot non ſunt caufae, dice S'graveſand intro duft. ad Phil. a quibus vita hominis pendet? Una di queſte tavole forſe la più eccel lente, perchè ricavata da regiſtri d'interi regni e provincie, è quella di Pietro Süſmlich da lui intitolata: La divina providenza nelle vicende dell'umana ſpecie, dimoſtrata dall'or dine delle naſcite, morti e moltiplicazioni. Celebre è anche quella di Hocdſon fatta appunto per fillare le annue penſioni vitali žie, e dedotta dai cataloghi di mortalità di Londra. Gl’Italiani forſe ſono quelli che hanno traſcurato fin'ora più dell'altre nazioni queſti importanti regiſtri. Oh ſe lo ſpirito d'indu ſtria, e di curioſità, che non è l'ultimo pre gio di queſta nazione ſe l'intendeſſe ſempre con la vera, ed utile filoſofia ! Sono ſtate fatte oſſervazioni meteorologiche, ed ulti mamente l'aſtronomo di Padova il chiariſ fimo S: Toaldo ha dato alla luce un libro nel quale ſono regiſtrate le oſſervazioni fatte 87 í per un lungo corſo d'anni. Più palpabile però, per ſervirmi di una eſpreſſione di un fommo Filoſofo, e più immediata ſarebbe l'utilità delle tavole di cui ſi parla. Vi è tutta la ragione di aſpettarla grandiſſima, dalla aſſiduità, ed efficacia dei noſtri Italiani oſſervatori. Il preſagio comincia ad avve raríi felicemente. Già dai regiſtri delle na ſcite, che la noſtra fanta religione rende neceffari, ſonoſi ricavate delle conſeguenze ſull'articolo della popolazione: ficcome dalle oſſervazioni delle frequenti morti dei bambi ni, ſi è preſa occaſione di rintracciarne la cauſa, e d'indagare la maniera di ſalvare queſti teneri germi, che sì facilmente foc combono anche ad un leggiero urto, e ad una tenue ſcoſſa. Al genere dei vitalizj appartiene quella convenzione, che dal ſuo oggetto chiamaſi: la dote della figlia. Un provido padre sborfa una determinata ſomma di denaro con la condizione che fe una tal figlia di freſco natagli manchi prima dell'età nubile, la sborſata ſomma cada in 88 proprietà di quello che l'ha ricevuta; ma ſe la figlia arrivi all'età nubile riceva eſſa da queſto una ſomma proporzionata agl'intereſſi decorſi del denaro, e al pericolo in cui ella è ſtata di morire in tal intervallo, e di per der così la ſomma dal padre sborſata. Dovrà in tal contratto rifletterſi che il prez zo, che sborſa il padre per la figlia è uguale alla fomma più le rendite ordinarie fino all anno prefiffo; quello che azzarda l'altro è l'ecceſſo della dote ſopra la sborfata ſomma, e i frutti ordinari: ecceſſo che fi deve per l'incertezza della vita. Deve dunque come il numero dei caſi favorevoli alla vita della figlia fino alprefillo termine, ſta ai ſiniſtri (a), o fia ai favorevoli all'altro; così ſtare la ſom ma sborſata dal padre, più le rendite ordi narie, all'ecceſſo della dote che ſi dovrà alla figlia in caſo di ſopravvivenza ſulla ſomma sborſata più le rendite ordinarie. Havvi un'altro contratto per cui un par ticolare, che vuol comprare una conſidera (a) Anche in queſto contratto i caſi favorevoli, e i finiftri s'intendono come fi dille parlando de' vitalizji 89 bile carica; per non privare della ſomma ne ceſſaria a tal acquiſto una famiglia a lui ca ra che la ſua morte potrebbe mettere in braccio alla deſolazione, e all'inopia; fi fa aſſicurare la propria vita per un dato corſo di anni, pagando, o una ſomma, o un'an nua penſione all'aſſicuratore, che ſi obbliga all'incontro di pagare agli eredi di lui la ſom ma ſpeſa nell'acquiſto della carica, ſe egli muoja prima del termine ſtabilito. La eva luazione della vita, si in queſto, come in tutti gli altri caſi ſi ricava dalle non mai ab baſtanza commendate tavole. Si oſſervi, che in queſto contratto quello che riceve la ſoin ma o l'annua penſione, trova vantaggio nella prolungazione della vita di chi la sborſa, al contrario di ciò che accade nei vitalizj, e negli altri contratti ad eſſi analoghi. Nel for mare adunque la proporzione cangian nome fra loro i caſi che nei vitalizj ſi chiamano favorevoli, o ſiniſtri; del reſto non vi è dif ferenza veruna. E' queſto un contratto di cui tanto meno importa trattenerſi ad eſami nare i dettagli quanto importa più alla feli 1 $ 1 1 1 1 1 go cità di uno ſtato che non poſſa mai trovarſi occaſione d'iſtituirlo. Diaſi però in quella vece una rapida oc chiata a quello che dal nome del ſuo inven tore chiamaſi Tontina. Non differiſce que fto dal vitalizio, ſe non in ciò che ove in quello la rendita annua ceſſa alla morte di colui, che collocò il ſuo capitale a fondo per duto; in queſto ſi diſtribuiſce nei ſuperſtiti che appartengono alla medeſiına claſſe, e che hanno fatto un ſimile contratto col padro ne della tontina. L'ultimo però di ciaſcu na claſſe conſolida ſul ſuo capo tutte le ren dite che ſi pagavano a quegli che gli ſono premorti nella ſua claffe. A formare le diverſe claſli dà norma la diverſa età. E' celebre la Vedova di un Chirurgo di Parigi la quale morì in età di 90. anni, e godeva 35000, lire di annua penlione frutto di uno sborſo di 600, lire. Dalle tavole di mortalità ſi è ricavata la formula che eſprime in un dato numero di vite coetanee quanti anni ſia per durare la più lunga. Da ciò il padrone della tontina pud co 91 lui il pagare a o il noſcere per quanti anni dovrà pagare le ren dite; poichè per il ſovra eſpoſto carattere di tal contratto, val lo ſteſſo per ciaſcuno la ſua penſione col diritto di ac creſcere, che hanno quelliche ſopravvivono, pagare la fomma di tutte a quella vita che durerà più dell'altre. Potrà per conſe guenza fiſſare il valore di queſte annue pen ſioni. Si è in oltre trovata la formola che eſpri me, dato qualunque numero di vite coetanee, il tempo in cui uno, o due, o più manche ranno, la formola per il caſo che più perſo ne comprino un annualità da dividerſi fra loro mentre vivono, da dividerſi poi dopo la mor te di qualcuno di loro ugualmente fra i ſo praviventi, e da ricadere finalmente tutta all'ultimo ſuperſtite da goderſi durante la ſua vita; e queſta ancora dà lume agli azionari ſulla contribuzione che devono preſtare. E faminate queſte formole, ed avuto in conſi derazione il metodo tenuto nel fiſſare la pro porzione per i vitalizj, ſi ritrova facilmente la medeſima anche per le contine. 92 1 1 E' oltre ogni credere benemerito dell'u“ manità il gran inatematico Abramo Moivre, che ha trovate, e applicate le anzidette, e molte altre formole, che ſi trovano nella incomparabile ſua opera intitolata la dot trina degli azzardi. Io non le ho riportate perchè il far ciò e troppo lungo ſarebbe, e devierebbe dallo ſcopo fin da principio pro poſtomi. Benchè peraltro l'unico mio oggetto nell’ eſaminare i contratti d'azzardo ſia quello di fiſſare i principj sù cui ſi fonda l'uguaglianza perchè ſian giuſti; voglio rammentare, che i più illuminati politici hanno deteſtato l'a buſo di queſte pubbliche rendite, come ap punto ſono le tontine, ed altre di fomi gliante natura. E' troppo chiaro che queſte tendono a ſoffocare i germi dell'induſtria, e ad appreſtare alla parte ozioſa, e indolente della ſocietà armi ſempre nuove per oppri inere la porzione che co'ſuoi ſudori dà moto, ed anima al ben eſſere dello ſtato; oltre di che ſi oppongono alla propagazione, allet tando eſſe a ſituarſi in uno ſtato nel quale il 1 I 93 generar figli ſarebbe un'accreſcere il numero degl’infelici. En fin je ne me plaindrai plus De l'etoile qui me domine; Il me reſte encore cent ecus Que je vais mettre a la Tontine: O la charmante invention ! Sans avoir du Dieu Mars eſſuyé le orages, Sans avoir fatiguè la cour de mes hom mages, Je ferai ſur l'etat, & j'aurai penſion. Così cantò un elegante Poeta Franceſe in tendendo così di far la ſatira delle tontine; e pare di fatto che il Poeta potrebbe ora viver quieto ſu queſto articolo eſſendo eſſe molto ſcemate, e andate in diſuſo, benchè non così gli altri contratti del genere di cui parliamo. Ma d'altra parte eſſendo utiliſſimo, e tal volta neceſſario al ben dello ſtato il poter ſollecitamente raccogliere una grandioſa ſomma di denaro, ſenza imporre perciò nuo ve contribuzioni; ed effendovi talora molti cittadini, le circoſtanze dei quali rendono ad eſſi neceſſario il ſoccorſo di queſte pen 94. fioni vitalizie ſi potrebbero forſe ritrovare provvedimenti opportuni, per fare un eſame regolato dell'età, e delle circoſtanze di quelli che doveſſero eſſere ammeſſi alla compra delle azioni, e con i neceſſari regolamentipreveni re gl ' inganni, che in queſto articolo intereſ fante poteſſero deludere le pubbliche vedute. 1 1 1 1. 1 Per eſaminare i contratti della terza claſſe ne quali il rapporto su cui ſi fonda l ' ugua glianza fra i contraenti ſi appoggia in parte alla conſiderazione di leggi certe, e ſicure, e in parte alla ſperienza del paſſato, e a cir coſtanze incerte e di numero indeterminato, ſi ripigli l'eſempio dell'urna, nella quale ab biavi un determinato numero, per eſempio di go. palle. Se la ſperanza dell'eſito felice è affidata all'eſtrazione di una palla; per la natura di tal contratto, o gioco che voglia chiamarſi, e per le ſue leggi, il numero dei caſi favorevoli ai ſiniſtri farà come 1. 89,0 ſia chiamando il numero totale m farà il mu mero dei caſi favorevoli ai ſiniſtri come 1: m - 1 e per conſeguenza l'aſpettativa del buon'eſito farà = mo ſia -112 95 Ma ſe ſia vero che la palla alla quale è affidata la ſperanza eſca più frequentemente dall'urna che qualunque altra, e l'ecceſſo di tal frequenza ſu quella delle altre ſia Þ; il numero dei caſi favorevoli non ſarà più i ma bensì 1 Xp; e quello dei ſiniſtri eſſendo m = 1, la probabilità della ſperata eſtrazione farà Xp L'addotto eſempio è la norma coſtante di tutti i contratti che poſſano mai cadere for to queſta terza claſſe, come comprendenti le condizioni che ne formano il carattere. Di fatti la probabilità dell'eſtrazione della palla fatale dipende dalle leggi del contratto certe, e ficure che danno il rapporto di e dalla ſperienza, ed oſſervazione delle fre quenti eſtrazioni della medeſima, che danno l'ecceſſo di p ſulla frequenza dell'eſtrazione dell'altre palle nell' urna rinchiuſe, la quale i XP fa che l'aſpettativa diventi I: m; 112 Non è neceſſario che io offervi che per quanto ſiaſi oſſervato queſto ecceſſo p, non 96 dimeno non è ſicuro e certo che piuttoſto eſca tal palla, di quello che ne eſca un'al tra. E queſta è una di quelle circoſtanze che io chiamo incerte e variabili. Che ſe ſi trattaſſe di paragonare la pro babilità dell'eſtrazione fra due palle, ſicco rapporto che naſce dalle leggi certe e ſicure è lo ſteſſo per tutte due, eſſendo in me il I tutte due ſi dovrebbe attendere ſolamen in te la diverſa frequenza dell' eſtrazione di queſte due palle. A queſto eſempio ſi poſſono ridurre fpe cialmente le offervazioni dei giocatori di lotto, e di quelli che ſi travagliano in oſſer vare quali carte ſi moſtrino più ſovente, o quali facce del volubil dado, ad avvicendare nell'agitato cuore dei giocatori la gioja e la triſtezza. Ben' è vero però che per quanto fiano replicate le eſperienze, in moltiſſimi caſi non apparendo neppure in confuſo una minima conneſſione di tal frequenza con una vera cauſa da cui derivi, non potranno giam mai meritare che le abbia in viſta, chi ra 97 giona ſu dati veri, e non fa caſo di mere e vaganti accidentalità. Se ſi aveſſe a queſte riguardo, molti di quei contratti, che nella prima claſſe ho eſa minati, a queſta terza dovrebbonſi riferire. Ma io per le indicate ragioni, a quella ſola nei ſuoi veri termini inteſa giudico i mede ſimi appartenere. Anche in tali caſi perd vi ſono inolti che credono doverſi fare ſcrupo lofo conto dell'oſſervazioni, e per queſta ra gione ancora approverebbero la mia diviſio ne; eſſendo queſta terza claſſe da me confi derata in modo che può, ſe vogliaſi, compren dere le medeſime, anche quando non appa riſca la ſopra indicata conneſſione. Che ſe il numero delle offervazioni ſia grande, e i riſultati coſtanti, ed abbiavi qual che conneſſione fra l'eſito della ſperanza, ed una cauſa dalla quale poſla derivare tal frequenza di oſſervazioni, allora non v'ha dubbio che ſiamo nel caſo che caratterizza queſta terza claſſe, e la diſtingue dalle altre. Vi ſono in fatti molti giochi, nei quali l'eſito fortunato dipende in parte dalla pro g. 98 pizia ſorte, e in parte deveſi alla propria in duſtria o deſtrezza nel combinare gli elemen ti del gioco, e rendergli coſpiranti al termi ne a cui ſta anneſſo il guadagno del premio deſiderato. L'induſtria però di un giocatore pud conſiſtere o nella ſola avvedutezza e pre ciſione nell'oſſervare l'eſito delle varie coin binazioni del gioco, che ſi vanno ſuccefliva mente preſentando, e la replicata ſperienza delle quali porge la norma ai caſi avvenire; o nella deſtrezza maggiore di combinare gli accidenti medeſimi del gioco, di dedurre, di ſcuoprire gli artificj dell'avverſario; e in qualſivoglia di queſti due aſpetti ſi ravviſi l'induſtria, è ſempre vero che i giochi che di effa, e della forte ſi chiamano miſli, hanno un filo non traſcurabile per cui ſi attengono alla terza clafle dei contratti di azzardo, In un gioco miſto è molto difficile che tornino per appunto le medeſime circoſtan ze; e quindi è che le oſſervazioni ad e {To re lative ſono della natura di quelle dei con tratti alla ſeconda claſſe appartenenti; in certe cioè, e incapaci di rendere indubitato 99 e ſicuro l'evento, ma fiſabili quanto baſta per formarne un calcolo che miſuri l ' ugua glianza, acciò il contratto ſia giuſto. Ma ſiccome in queſti giochi medeſimi vi ſono dati ſicuri dipendenti dalle loro leggi inva riabili; quindi è che eſſi appartengono alla terza claſſe, perchè regolati in parte da tali leggi, e in parte da cagioni incerte e inde terminate, e dalla ſola ſperienza. Siccome però poſſono eſſere o molte o poche le com binazioni che conducono all'eſito medeſimo, a miſura che queſte ſono in maggiore o mi nor numero, prevale nei giochi miſti l'in duſtria o la ſorte. Inoltre la deſtrezza di combinare, di de durre, di rammentarſi gli elementi delle com binazioni che ſono uſcite ſucceſſivamente dalla malla totale delle medeſime nel decorſo del gioco, è variabile, come può ognuno of ſervare, quanto è variabile la tranquillità d'a nimo neceſſaria, la perfetta diſpoſizione di ſa lute, e per conſeguenza l'agilità degli ſpiriti, l'elaſticità delle fibre; in una parola l'atti vità neceſſaria per ben riuſcire in qualunque 100 impreſa richiegga applicazione di mente, e attuazione di fantasia. Conſiderate queſte come cauſe incerte ed indeterminate, e che ſi poſſono ſoltanto dopo un lungo corſo di oſſervazioni fatte giocando col medeſimo avverſario ridurre a calcolo, e quanto alla loro frequenza, e quanto al grado d'influenza ſull'eſito del gioco; ecco anche in ciò un motivo per cui il fiſſare l’u guaglianza fra i giocatori nei giochi miſti, dipende, e dalle invariate e ſicure leggi del gioco, e da circoſtanze incerte, e indeter minate, Certo è che nei giochi miſti l'induſtria sà tirar profitto dai colpi della ſorte, e il gioca tore avveduto, dice la Bruyere, imita in queſto un gran generale, e un abile politico. Al valore del primo, e alle vedute del ſe condo è miniſtra la forte. Arrivano entrambi francamente al loro intento per quelle ſtrade medeſime che aperſe il caſo; e che là metton capo, ove forſe non gli avrebber condotti i mezzi più maturati, e i piùmeditatiprogetti. Nei giochi miſti deve farſi la rifleſſione IOI medeſima di cui ſi parlò trattando dei giochi di puro azzardo. O i giocatori tentano con eguali condizioni l'evento medeſimo; o un folo tenta la ſorte del gioco, e l'altro ſta ozioſo ſpettatore, e riduce la ſua ſperanza unicamente all'infauſto eſito dell'avverſario. Nel primo caſo ſiccome il numero dei caſi favorevoli e dei ſiniſtri dipendente dalle leggi del gioco, è l'iſteſſo per ambidue, ſi riduce a calcolo l'eſperienza ed induſtria, la quale ſi oſſerva nelle medeſime circoſtanze quante volte abbia ſaputo ridurre a buon termine il gioco; calcolo che ſi fonda ſopra oſſervazioni molto difficili, e incerte. Giacchè farebbe d' uopo che ſi foſſe ſempre giocato col mede fimo avverſario; eſſendo la deſtrezza, e abi lità di un giocatore affatto relativa a quella dell'avverſario; e potendoſi queſto rapporto variare ogni giorno, o reſtar coſtante ſecondo i progrelli, o uguali, o proporzionali, o di verſi, che l'uno, o l'altro facciano nel gio co. E' vero però non meno, che trattandoſi di rapporti, poſſono in qualche modo gio vare le offervazioni fatte dell'abilità di un 102 giocatore riſpetto ad un terzo all'induſtria del quale è noto qual proporzione abbia quella dell'avverſario. Nel ſecondo caſo poi l'induſtria non è più riſpettiva, ma aſſoluta; e fi riduce a calcolo con l'offervare, nelle medeſime combina zioni, o in non molto diffimili per la natura del gioco, quante volte l'avverſario abbia ottenuto quell'intento che ſi era propoſto, fotto le date condizioni; e quante volte non abbia toccato il termine al quale per otte nere il premio dovea pervenire. Generalmente adunque ficcome il numero dei caſi favorevoli e de'ſiniſtri è dipendente in parte dalle leggi del gioco, in parte dalle oſſervazioni, che miſurano la riſpettiva, e afloluta induſtria, converrà diſtinguere, e calcolare queſti due elementi componenti la ſomma dei caſi favorevoli, e ſiniſtri; e formare poi la proporzione eſpoſta nel Teo rema III.', e nel Corollario. Se non due, ina più ſiano i giocatori, ſi rammenti la regola di ridurre i caſi compleſſi ai ſemplici componenti, e di eſaminare in 103 ciaſcuno a parte le ſtabilite maſſime. Sarebbe un ripetere il già detto; ſe io voleſſi ram mentare i principj ſtabiliti nei contratti della prima claſſe, e in quelli della feconda. Bafli l'avvertire che in queſti della terza claſſe ove trattaſi dei caſi favorevoli o ſiniſtri, in quanto dipendono dalle leggi certe e ſicure del contratto, convien ricorrere ai priini; ove poi fia queſtione di offervazioni, e di cauſe indeterminate, conviene eſaminare i ſecondi; non omettendo mai di riflettere quanta alterazione poſſa produrre l'influenza degli uni, ſu gli altri, e la varia loro com binazione. Stabilite così le leggi ſulla ſcorta delle quali ſi giunge a fiſſare la ricercata ugua glianza in qualunque claſſe di contratti di azzardo; non devo diffimulare, che uno dei più grandi Filoſofi il Signor d'Alembert ha preteſo di abbattere il calcolo delle pro babilità quanto alla ſua applicazione agli ac cidenti umani. Accid, dic ' egli, queſto cal colo foſſe applicabile, ſarebbe neceſſario, che tutti i caſi che ſono ugualmente poſlibili ma 104 tematicamente parlando, lo foſſero anche di fiſica poſſibilità. Sarebbe dunque neceſſario, che gettata infinite volte in alto una moneta, ſopra una faccia della quale vi ſia impreſſa una marca, per eſempio palle, e ſull' altra una diverſa, per eſempio croce, foſſe ugual mente poſſibile che ſi ſcopriſſe ſempre palle, o croce; e che ſi ſcopriſſero alternativamente queſte due diverſe marche. Ma benchè ciò ſia ugualmente poſſibile matematicamente parlando, non lo è fiſicamente. E queſta di verſità appunto è quella che fa sì, che il cal colo matematico delle probabilità, non è applicabile ai caſi fiſici. Anzi non ſi potrà mai fiſſare il numero delle volte per il quale duri la poſſibilità fiſica di ſcoprirſi ſempre l'iſtella faccia della moneta, e il limite ol tre il quale non paſſi queſta fiſica poſlibilità, durante però ſempre oltre ogni limnite com'è certiſſimo, ed oltre qualunque aſſegnabile numero di getti, la matematica poſſibilità del continuo ſcoprirſi della medeſima faccia.: Lo prova con una inafſima che egli ſtabi liſce per certa: che non è in natura, che un 1 1 1 IOS 1 effetto ſia ſempre, e coſtantemente il mede fino; ſiccome non è in natura che tutti gli alberi, ſi raſſomiglino fra loro. Queſta maf ſima lo induce ad argomentare che la pro babilità di una combinazione, nella quale il medeſimo effetto ſi ſuppone accader più vol te, in parità di circoſtanze è tanto più pic cola, quanto queſto numero di volte è più grande, di modo tale che quando queſto è maſſimo, la probabilità è aſſolutamente nulla, o quaſi nulla; e all'incontro quando queſto numero è aſſai piccolo la probabilità non ne reſta che poco, o punto diminuita per queſto riguardo. Adduce egli moltiſſimi eſempi compro vanti la ſua aſſerzione, e conclude che i re ſultati della teoria dei probabili, quand'anche ſiano fuori di ogni queſtione nell'aftrazion geometrica, ſono ſuſcettibili di molta reſtri zione quando i medeſimi ſi applicano alla natura. Alle ragioni però ingegnoſiſſime di un si grand' uomo converrà adunque arrenderſi, e diſperare della cauſa del noſtro calcolo dei probabili? 1 106 1 Parmi che ben'inteſi i noſtri principj co me ſono ſtati da noi ſtabiliti, o non ſiano at taccati da tali oppoſte difficoltà, o le mede fime reftino ſciolte. Prima di tutto ſi oflervi che noi trattiamo ſolo di calcolare i gradi di probabilità nei caſi nei quali ſi ſuppone po terſi efla rinvenire. Se diaſi dunque un caſo, che non cada in modo alcuno forto la cate goria dei fiſicamente poflibili, e che per con ſeguenza nè il minimo grado abbia di proba bilità; io dirò che queſto non è oggetto delle mie teorie; ma non concederò mai che per queſto non ſi poſſano eſſe applicare perfet tainente ai caſi, che ſiano di fatto filica mente poſſibili. Per conoſcere poi quali ſiano i caſi o le combinazioni fiſicamente poſſibili nel ſenſo del Sig. d'Alembert, è neceſſaria una fre quente e replicata oflervazione. Che ſia fiſicamente impoſibiie (ſe pure ſi può uſar queſto termine ) che una moneta moſtri un inaſſimo o un infinito numero di volte la ſtella faccia, donde ſi ricava, fe non dall'avere offervato che una tale con 107 tinuazione dello ſcoprimento medeſimo non accade, ma che al contrario ſi vanno alter nando, e cangiando di tanto in tanto le facce della moneta? Benchè non può dirſi a rigore fiſicamente impoſſibile il caſo in cui per un infinito numero di getti ſi paleſi ſempre l'iſteſſa fac cia, a meno che non vi ſia nella moneta qualche fiſica e meccanica cagione che ciò non permetta. Se ſi concedeſſe ancora (benchè non ſo quanto ſia dimoſtrato ) che ſia fiſicamente impoſſibile, che ſi dia un albero perfetta mente ſimile ad un altro, non che, come fi contenta di dire il Sig. d'Alembert, che ſi raſſomiglino tutti gli alberi fra di loro; non correrebbe la parità, per dedurne che nel caſo di un infinito numero di getti di una moneta, l'uniforme ſcoprimento di una fac cia della medeſima ſia fiſicamente impoſſi bile. Poichè vi corre una notabiliflima di ſparità. Tutte le combinazioni le quali fanno, che una coſa non ſia fimile all'altra, danno tanti ios riſultati fra loro diverſi. Dalle diverſe com binazioni infinite che faran caufa che l'ala bero A non ſia perfettamente ſimile all'albe+ ro B, naſceranno tanti alberi fra loro diverſi; o altri corpi dei quali ſi conoſcerà la diffe renza. Ma dalle diverſe combinazioni che poſſono fare che non venga infinite volte di ſeguito la faccia palle della moneta; non ne poſſono venire che riſultati affatto ſimili, cioè croce; poichè ogni volta che non ſi ſcopra palle, ſi ſcoprirà croce. Queſto prova che le combinazioni che ſono contrarie alla per fetta ſomiglianza di due coſe, formano infi niti rapporti, infiniti riſultati dei medeſimi, infinite diverſe compoſizioni di parti dipen denti da infinite meccaniche direzioni delle particelle della materia di infinite poſſibili diverſe velocità, figure ec.: coſe tutte che nel caſo noftro non ſi verificano. Di fatto gli elementi che formano la com binazione, che per infinito numero di volte preſenta palle, ſono tutti ſimili fra di loro, ed hanno fra di loro un folo invariato rap porto. Di modo che ſe ſi ſupponeſſe mutato 109 l'ordine col quale eſce prima la infinita ſerie di palle, e ſi ricominciaſſe il getto, e ritor naſſe di nuovo a ſcuoprirſi infinite volte la faccia che preſenta palle, ne verrebbe un or dine fimiliſfimo al primo, potendoſi dire, che l'iſteſla relazione ha il primo ſcoprimento di palle al milleſimo, che ha il ſecondo al cen teſimo, e così dicaſi di tutti. Talmentechè a rigor parlando, non ſi può dire, che fra queſti getti vi ſia ordine che formi fra effi un rapporto piuttoſto che un altro. Non così degli elementi che formano un dato fiore, o albero; eſſendo combinabili fra di loro con infinite varietà di ſopra ac cennate. Gli elementi fiſici adunque delle combinazioni nel caſo della moneta ſono ſempliciſſimi, laddove nell'eſempio addotto dal Sig. d'Alembert fono infiniti, dal che ne viene, che la parità non corre; e dalla fiſica impoſſibilità (ſe fi ammetta ) di trovare mol te, o anche due coſe fra loro ſimili; non ne viene la fiſica impoſſibilità che una monetan gettata in aria infinite volte moſtri ſempre l' iſtefla faccia. 110 1 La diſparità compariſce più chiara, fe li rifletta che qualunque vedendo in un dato ſpazio tutte le particelle più minute compo nenti i corpi; e riflettendo alle variazioni poſſibili della velocità, e della figura delle medeſime; e vedendone in un ſimile ſpazio un altro ſimile numero, avrebbe ſubito infe rita l'impoſſibilità di una combinazione ta le, che ne riſultaſſero due alberi ſimili. Laddove vedendo una moneta, e ſapendo che ſi deve gettare in aria infinite volte, non avrebbe avuta una fiſica ragione di preſagire che non ſi ſarebbe un infinito numero di volte ſcoperta l'iſteſſa faccia, e di credere tal combinazione fiſicamente impoſſibile, come la pretende, fondato ſulle addotte ri fleſſioni, il Sig. d'Alembert. In una parola della impoſſibilità (ſe tal vo glia chiamarſi ) della ſomiglianza di due al beri ſe ne può addurre a colpo d'occhio una fiſica meccanica ragione; lo che non può dirſi dello ſcoprimento della faccia di una moneta. Lo ſteſſo a proporzione dicaſi delle diverſe, III combinazioni delle lettere che formano la parola Conſtantinopolitanenfibus. Chi attribuirà al caſo, dice d'Alembert, che ſi combinino in modo tante lettere che formino queſta pa rola? chi vorrà crederlo poſſibile? Dunque conchiude egli ſarà ugualmente impoſſibile il continuo per infinite volte ſcoprimento della faccia medeſima di una moneta. Queſto eſempio è molto ſimile a quello dei due al beri fimili; e ſi riſponde anche a queſto, che ciaſcuna lettera può variare rapporto a tutte le altre, e che ciaſcun riſultato ſarà diverſo. La Luna, aggiunge il Ch. Filoſofo, gira attorno al ſuo alle in un tempo preciſamente uguale a quello che ella impiega nel deſcri vere la ſua orbita intorno alla terra; e queſta eguaglianza di tempo produce ammirazione, e ſi vuol cercare qual n'è la cagione. Se il rapporto dei due tempi foſſe quello di due numeri preſi all'azzardo, per eſempio di 21: 33, niſſuno non ne ſarebbe ſorpreſo, e non ſe ne ricercherebbe la cagione; e pure il rap porto di uguaglianza è matematicamente و II2 parlando ugualmente poſſibile, che quello di 21:33; perchè dunque ſi cerca una cagione del primo, che non ſi cercherebbe del ſe condo? Lo ſteſſo dicaſi della ſituazione dei pianeti e del rapporto che ha la zona nella quale fono rinchiuſe le orbite loro, alla sfera. Per chè ſi conchiude egli che queſto non è effet to del caſo? perchè queſta combinazione, benchè matematicamente poſſibile al par dell'altre, ſi riguarda.come effetto di un diſegno, e di una regolarità? E non ſi crederà poi, che il ſolo caſo non può pro durre quella combinazione per la quale la moneta ſcopra infinite volte di ſeguito fem pre palle; e non ſi crederà queſta fiſicamente impoſſibile, benchè abbia una matematica poſſibilità eguale a quella delle altre combi nazioni? Ma io riſpondo, che di fatto le com binazioni dei citati eſempi hanno avuta una fiſica poſſibilità uguale a quella di tutte l'al tre combinazioni; che non vi è forſe argo mento che provi che il caſo non le aveſle po tute produrre; ma che anche ſe ſi vogliono LI3 fiſicamente impoſſibili al ſolo caſo; ciò è per chè ſon compoſte di elementi infinitamente variabili; lo che appariſce a chi ſi faccia di propofito a conſiderare le diverſe cagioni, e le diverſe poſſibili combinazioni, che poſſon far sì che i tempi dei due giri lunari non ſia no uguali; e che la zona delle orbite plane tarie abbia alla sfera un rapporto diverſo da quello che ora ha infatti; cagioni tutte fi fiche, e meccaniche. Di più dico, che l'uguaglianza dei corſi della luna intanto a noi fa impreſſione, in quanto che il rapporto di uguaglianza è quello al quale ſi fogliono riferire tutti gli altri; e tutta la differenza che fra eſſo, e gli altri paffa, non è che metafiſica; e nulla po ne di fiſico per cui tal combinazione debba eſſere più difficile dell'altre. Lo ſteſſo dicaſi della parola Coſtantinopoli tanenſibus. Queſta combinazione di lettere fa ſpecie a noi che intendiamo il ſenſo della parola, e che al ſuono della medeſima abbia mo legataunidea; non così a un Turco idio ta il quale non col nome di Coſtantinopli b 114 ma con quello di Stamboul è avvezzo a no minare la ſuperba metropoli dell'Impero Ot tomano. Non contento Monſieur d'Alembert degli eſempi addotti in conferma della ſua aſſer zione, l'appoggia ad altre due rifleſſioni. Si fa che la durata media della vita di un uomo, contando dal giorno della ſua naſcita è all'incirca di 27 anni; ſi è pure conoſciuto per mezzo delle oſſervazioni, che la durata media delle ſucceſſive generazioni più ome no è di 32 anni; finalmente ſi è provato per tutte le liſte della durata dei regni di ciaſcu na parte d'Europa, che la durata media di ciaſcun regno è di circa a 20 in 22 anni. Si può dunque dic' egli, ſcoinmettere non ſolo con vantaggio ma a gioco ſicuro che 100. fanciulli nati nel medeſimo tempo non vive-, ranno che 27 anni l ' un' per l'altro; che 20 generazioni non dureranno più di 640 anni in circa; che 20 Re ſucceſſivi non viveran no che intorno a 420 anni. Una combina zione adunque che non daſſe intorno a 27. anni la durata media della vita dell'uomo, IIS pigliandone cento a eſaminare, o non dalle di 32 anni la durata media di 100 fuccef five generazioni; oppure portaſſe che 20 Re ſucceſſivi regnaſſero, o molto più, o molto meno di 420 anni, non ſarebbe fiſicamente poſſibile; eppure lo ſarebbe matematicamen te parlando. Dal che riſulta che vi ſono al cune combinazioni matematicamente pofli bili, che ſi denno eſcludere, quando eſſe fo no contrarie all'ordine coſtante della natu ra. Dunque la combinazione in cui, o infi nite volte, o un gran numero veniſſe ſcoperta ſempre la medeſima faccia della moneta, benchè di matematica poſſibilità uguale a quella di qualunque altra combinazione, dev’ eſſere rigettata. E' nell'ordine naturale, ché un banchiere di faraone, che ha dei caſi favorevoli più che dei ſiniſtri ſi arricchiſca coll'andar del tempo. Di fatti ſi oſſerva coſtantemente, che non vi è banchiere, che non accumuli groſſe fomme di denaro. Queſto prova, che quelle combinazioni, che hanno più caſi contrari che favorevoli, ſono alla fine di un certo b 2 116 tempo, meno fiſicamente poſſibili che le al tre; quantunque matematicamente parlando tutte le combinazioni ſiano ugualmente pof ſibili. Dunque conclude egli, la combina zione, la quale preſenti ſucceſſivamente per un gran numero di volte ſempre la ſteſſa fac cia della moneta dev'eſſere eſcluſa. Per riſpondere a queſti due eſempi parmi che prima di tutto ſi poſſa negare la fiſica impoſſibilità, che con tanta franchezza ſi af feriſce della durata media della vita di un' uomo diverſa dallo ſpazio di circa 27 anni. Ed io ſono ben perſuaſo che eſaminando il caſo della vita di molte centinaja d' uomini ſe ne troveranno di quelle, o aſſai maggiori, o aiſai minori dello ſpazio di 27 anni; dun que tale combinazione non fi deve ſcartare come fiſicamente impoſſibile. L'iſteſſo dicafi di quella, per cui un banchiere in vece di arricchire ſi vedeſſe dal gioco medeſimo ri dotto all' inopia; caſo che non è poi sì in frequente ad accadere. Dicafi piuttoſto che l'una, e l'altra di queſte combinazioni con tenute nei due eſempi addotti dal chiarilli 117 mo d'Alemberţ ſono molto difficili, e tanto più, quanto l'ecceſſo dei caſi contrarj alle combinazioni medeſime ſupera il numero dei favorevoli; lo che conviene appunto con li da me ſtabiliti principj. Venendo poi al caſo noſtro dico, che fo no varie, e moltiſſime in numero le cauſe vere, e fiſiche che influiſcono ſulla vita degli uomini. Ma trattandoſi del getto della mo neta, non vi ſono principj fiſici diverſi, e tali, che ſi debba in vigor deị medeſimi pre dire piuttoſto una, che l'altra delle combi nazioni, che a rigor parlando non ſono che due, come più ſopra ſi è offeryato. L'ordine delle umane coſe, e le fifiche qualità, e coſtituzioni dell'uomo, e delle ca gioni che lo poſſono privar di vita, ſon con ſultati nel primo caſo; nel ſecondo nulla hav: vi di fiſico che ſi poſſa conſultare a formare il preſagio. Dunque fi pud predire, che ioo o maggior numero di uomini avranno preſi inſieme un corſo di vita uguale a quello di altri 100 uomini; benchè prima di aver faţte le offervazioni non ſi poſſa cal corſo file 1 b 3 118 ſare; così prima di aver’anche fatte le oſſer vazioni, conoſciuto il ſiſtema del gioco del faraone ſi può predire che un numero molto maggiore farà quello dei banchieri che arric chiſcono, che non ſarà quello degli altri che ſi rovinano. E ciò perchè veramente vi ſono delle intrinſeche cagioni che portano a for mare queſto preſagio, e cagioni che naſcono dal ſiſtema del gioco. Ma chi sà dire qual fi fica ragione addur voglia uno, che vedendo gettarall'aria una moneta, aſſeriſca che è fiſicamente impoſſibile, che o per un maſſi mo, o anche infinito numero di volte, pre ſenti ſempre la ſteſſa faccia? Varie poſſono eſſere le maniere di gettare in alto la moneta. Si può gettare a una gran de altezza, e a una piccola; con poca forza, e con molta; con tale direzione che la baſe faccia angolo retto con l'orizzonte; o che lo faccia obliquo; oppure in modo che ſia ad eſlo parallela. Si può anche gettare in ma niera che ſomigli quaſi il laſciarla cadere leggermente da un punto fiſſo. Fermiamoci ad eſaminare queſt' ultima ipoteſi; e ſi ve 1 1 119 1 drà, che laſciandola in tal modo cadere, ſpecialmente a piccola altezza, anche in finite volte, non vi è ragione di preſagire, che non poſſa eſſere coſtante lo ſcoprimen to della faccia medeſima. La impoffiſibilità di queſto uniforme ſcoprimento, la inten de egli il Signor d'Alembert in queſto ca ſo, o negli altri caſi? Se la intende in queſto caſo, come dunque ſi verifica, che il ſolo or dine della natura renda impoſſibile queſto u niforme ſcoprimento? Se poi non la intende in queſto caſo, come dunque ſi verifica uni verſalinente la ſua maſſima? Ma io aſſeriſco eſſere più conforme allo ſpirito delle ragioni del Sig. d'Alembert, che anzi egli intenda di queſto ſolo caſo in cui non altro appunto, che un non sò quale fatal ordine della natu ra,potrebbe cagionare la preteſa variazione. Che ſe pure ſi trattaſſe degli altri caſi, dico che nonoſtante la variabilità delle combina zionidell'impeto,dell'altezza, della direzio ne; queſte non poſſono valutarſi in modo da rendere fiſicamente impoſſibile l ' uniforme ſcoprimento; poichè gli effetti di queſte va 120 riabili combinazioni, non ſono che due; o lo ſcoprimento di palle, o lo ſcoprimento di croce; e non ogni variazione, e combinazione di tali cauſe influiſce a diverſificare gli ef fetti: come peraltro ſuccede negli eſempi ad dotti dal Sig. d'Alembert, nei quali trattan doſi di rapporto, o di diverſa conſociazione di parti, ognun vede, che ogni variazione influiſce a produrre un effetto diverſo. O ſi riſguardi adunque la diverſità negli effetti; e negli addotti eſempi, queſti ſono in finiti, nel caſo noftro non ſon che due non potendoſi voltare, che palle, o croce; o ſi ri guardi la diverſità nelle cagioni che tali ef fetti producono; e negli addotti eſempi, ſo no anch'eſſe infinite, giacchè ogni minima variazione influiſce come nuova cauſa; nel caſo della moneta non è così, potendoſi dare moltiſſime combinazioni di forza, altezza, direzione, che producano ſempre l'iſteſſo effetto; potendoſi anche dare che in infiniti getti, o in un numero aſſai grande, ſi man tenga l'iſteſſa direzione, benchè obliqua; l'iſteſſa altezza benchè grande; l'iſteſſo im 1 1 pero, benchè forte; oppure che fi muti ad ogni getto. Parmi adunque che e queſti ultimi e gli altri addotti eſempi, o non combinano con quello della moneta; o al più provano una no tabile difficoltà nella combinazione che pre ſenti ſempre l ' ifteffa faccia della moneta; verità che ſi accorda perfettamente con gli eſpoſti principj; poichè le oſſervazioni me deſime ce lo fanno conoſcere,ed io ſuppon go nell' applicargli, il caſo probabile, e con la ſcorta dei medeſimi ne cerco il grado di probabilità; dal che ne viene che la teo rìa non è applicabile ai caſi ove o neſſuna o quaſi neſſuna probabilità del buon eſito appariſca, per poterne formare la propor zione.. Quando poi cominci il numero in cui non ſia ſperabile un continuodiſcoprimento di una fola faccia della moneta, le oſſervazioni, e non altro, poſſono moſtrarlo; quelle oſſer vazioni io dico, che io medeſimo ho prefe per ſcorta in moltiſſimi caſi appartenenti alla materia dei contratti di azzardo. 122 } E' poi tanto evidente che la propoſizione del Sig. d'Alembert non atterra l'uſo del calcolo delle probabilità, che anzi in qual che caſo ſe ne poſſono tirare delle conſeguen ze, che lo conferinano. Chi gettando un dado intraprende di ſcuo prire per eſempio il 6 non vorrà gettarlo una ſol volta, quando debba azzardare una fom ma eguale a quella che azzarda l'avverſario; ma vorrà gettarlo più volte. La ſua ſperan za è,che non voltandoſi ſempre l'iſtello nu mero che al primo tratto ſi ſcuopre, e che può non eſſere il 6, arrivi in più volte a vol tarſi anche il 6; altrimenti ſe non fcopren doſi alla prima il 6 ſi doveſſe ſempre ſcopri re in tutti i tratti ſucceſſivi quel numero che ſi ſcopre il primo, la ſua perdita ſarebbe ſicura. La ſperanza dunque di queſto gio catore acquiſta tanto maggior fondamento quanto più è vero che ſia impoſſibile che ſi volti ſempre quel numero che alla prima fi ſcoprì; impoſſibilità, che reſta compreſa nel la impugnata opinione del Sig. d'Alembert. Stabiliti i principj regolatori dell' ugua 123 glianza nei contratti d'azzardo, e difeſane l'applicazione non reſta che a deſiderare, che uomini di ſublime ingegno, e di pro fondo ſapere ſi applichino in gran numero ad eſtendere ſempre più l'uſo di una dottri na sì utile. Quanto a me, mi pare di aver ottenuto il mio intento, ſe poſſo luſingarmi di aver formate ed eſpoſte idee giuſte, e chia in un articolo per una parte sì arduo, e per l'altra sì intereſſante. Codronchi. (NrcoLA), na cque in Imola il 2o aprile 1751 ed alla patria e al casato accrebbe lu stro e decoro: perchè già rapida-, mente corsi gli studii delle amene lettere e della eloquenza sotto la disciplina de' Gesuiti, e con pub blico saggio nelle materie di filo sofia sperimentatosi non ancora compiuti gli anni 16, potè dallo stesso genitore nelle matematiche, delle quali era egli peritissimo, essere ammaestrato. E col magi stero di quella scienza sublime, illuminando la mente già ordinata a diritti giudizii e scorto da pre cetti delibati dalla scuola non fal libile degli antichi esemplari, com formò la scrittura alla altezza del pensiero, alla cultura dello spirito ed al candore dell'animo: nè i gravi studii della giurisprudenza cui tennesi in Roma applicato (insegnatore monsignor Giovan nardi concittadino di lui, e fiore de giureconsulti) gli tolse di col tivare la poetica, alla quale senti vasi per tal guisa inclinato, che poco oltre il terzo lustro di età bastò a dettare alcuni componi menti i quali resi pubblici con le stampe trovarono grazia e lode somma ne cultissimi di quel tem pi, e sì pure in Arcadia alla cui accademia appartenne col nome pastorale di Cratino. E sono ne gli scritti di lui altri saggi in tal genere di lettere che a migliori poeti, onde la città di Santerno si onora, il pareggiano: che se come ne sono degni verranno presen tati al pubblico giudizio, ben si farà manifesto aver egli con arte maestra saputi attingere da cia scuno de più valenti Imolesi quei modi sceltissimi onde le loro ope re di bella luce risplendono mel l'italiano parnaso. Il carme in fat to robusto e nervoso tal come u sciva dalla penna di Antonio Zam pieri, e castigato ad un tempo ed elegante, quale il vedi in Camil lo, muove nel Codronchi con quella spontanea e nobile sempli cità che t'invaghisce nel Canti; 282 e si abbella di quelle grazie ed e leganze di che lo Zappi infioriva le soavi e dolci sue rime. Tornato in Imola venne decorato della cro ce di Santo Stefano, e nella Imole se accademia degli Industriosi di cui fu socio si mostrò erudito ed elegante oratore e poeta: d'indi a non molto passato per le caro vame a Pisa ebbe colà lezioni di pubblico diritto da quell'alto spi rito del Lampredi, che il tenne in istima d'ingegnoso e di colto, e che lo ebbe sempre carissimo. Quindi il magnanimo gran duca Leopoldo gli conferì la carica di ispettore delle carovane, e ad un tempo la cattedra di etica; intor no a che compose un trattato qua si corso di lezioni, degno per fer mo di essere fatto di pubblica ra gione: ed a quel principe intitolò il Codronchi una eloquente e dot ta Orazione composta eletta, per incarico da lui avutone, al capito lo de'cavalieri Circa l'origine, le leggi ed i fasti dell'ordine, che fu pubblicata il 1779, pel Cam biagi in Firenze, dai torchi del quale uscì nel seguente anno 1785 altro grave e prezioso libro col titolo di Saggio sui contratti e giochi d'azzardo, ove risplende la dottrina di pubblico economista e di filosofo; ed ove la materia gravissima, e che diresti poter so lo dimostrarsi col soccorso del cal colo, per la chiara sposizione pia ma e facile si mostra alla intelli genza comune, Corse intanto tal fama del sa pere di lui alla corte di Ferdinan. do di Napoli, che con reale decre to del 25 novembre 1787, il no minò membro del supremo consi glio di Finanze; nel qual tempo venne ad egual carica eletto quel sommo ingegno di Gaetano Filan gieri, cui il Codronchi fu poi sempre stretto con vincoli di re ciproca stima e di amicizia tene rissima. E ben di questo è prova il pa rere dal Filangieri proposto al re intorno all'enfiteusi del così no mato Tavoliere di Puglia che leg gesi negli opuscoli di lui pubbli cati pel Silvestri in Milano il 1818. ove egli da maestro discorre ciò che con grave senno e sapere a veva il suo collega consigliere Codronchi proposto, quando a questo fine per sovrano volere eb be a recarsi in queHa provincia. Del quale importantissimo servi gio ebbe onore da maestrati quivi preposti alla agraria economia che con parole di lode il provvedimen to del principe ed il nome del be nemerito consigliere in latina e pigrafe eternarono; e n'ebbe dal monarca eziandio meritato pre mio: imperciocchè gli di grado di consigliere effettivo con voto, e di sopraintendente alle dogane ed alle zecche del regno; nel che adoperò a maniera, che sommo vantaggio m'ebbe lo stato per la retta amministrazione di quegli ufficii, ed a lui vennero per mol te lettere di mano della stessa regnante Carolina onorevolissime lodi. Seguì il Codronchi la real corte a Palermo quando dovè colà ri fuggirsi nel 1798: e con essa lei tornò al suo impiego in Napoli nel seguente anno 1799. Salito al trono il re Giuseppe, volse tosto gli sguardi ad esso lui come a spec chio di sapiente reggimento e di non comune interesse, e gli confe rì la carica di consiglier di stato, di cavaliere del nuovo ordine del le due Sicilie da esso lui istitui to: ma la mal ferma salute che gli vietò continuare a quel monarca i suoi servigi, e che il tolse a quel regno ove lasciò fama durabile del suo merito, procacciò alla patria il conforto di vederlo tornare fra' suoi concittadini de quali era de siderio e delizia: e ben l'ebbero eglino zelantissimo della pubblica 283 morale, e civile istruzione dei giovani a quali col più potente dei precetti, l'esempio, era di bel la guida e di stimolo; e per l'im portante buon regime delle acque operoso; e di quant'altro poteva interessare il pubblico vantaggio studiosissimo: nè mancavano ai mendici dalla mano benefica di lui generosi soccorsi i quali seppe providamente elargire, anzichè ad alimento dell'ozio, a meritato sollievo della vera indigenza. Illi bato del costume e per la esqui sita erudizione della quale era for nito nella sociale consuetudine piacentissimo, con la serena calma del giusto vide giungere l'ora e strema del vivere, che a suoi cari ed alla patria il rapì nel giorno 15 novembre 1818, in età di an mi 67: e della acerba morte di lui amaramente si dolse l'universale della città desolato per la perdita irreparabile di quest'uomo chia rissimo nel quale si ammirarono congiunte a sapere profondo in o gni maniera di scienze e di lette re, integrità di vita e dovizioso corredo di ogni bella virtù. Whoever has glanced through the pages of  any text-book on mercantile law will hardly deny  that CONTRACT is the handmaid if not actually the  child of Trade. Merchants and bankers must have  what soldiers and farmers seldom need, the means  of making and enforcing various agreements with  ease and certainty. Thus, turning to the special  case before us, we should expect to find that WHEN ROME IS IN HER INFANCY and when her free  inhabitants busied themselves chiefly with tillage  and with petty warfare, their rules of sale, loan,  suretyship, were few and clumsy. Villages do not  contain lawyers, and even in tdwns hucksters do  not employ them. Poverty of Contract was in fact  a striking feature of the early Roman Law, and can  be readily understood in the light of the rule just  stated. The explanation given by Sir Henry Maine  is doubtless true, but does not seem altogether  adequate. He points out 1 that the Roman household consisted of many families under the rule of a   1 Ancient Law, p. 312.  B. E. 1 2 paternal autocrat, so that few freemen had what we  should call legal capacity, and consequently there  arose few occasions for Contract. This may indeed  account for the non-existence of Agency, but not  for that of all other contractual forms. For if the  households had been trading instead of farming  corporations, they must necessarily have been more  richly provided in this respect. The fact that their  commerce was trivial, if it existed at all, alone  accounts completely for the insignificance of Contract in their early Law.   The origin of Contract as a feature of social life  was therefore simultaneous with the birth of Trade  and requires no further explanation. It is with the  origin and history of its individual forms that the  following pages have to deal. As ROMAN CIVILISATION progresses we find Commerce extending and Contract  growing steadily to be more complex and more  flexible. Before the end of the Roman Republic  the rudimentary modes of agreement which sufficed  for the requirements of a semi-barbarous people  have been almost wholly transformed into the  elaborate system f of Contract preserved for us in  the fragments of the Antonine jurists. At the most remote period concerning which  statements of reasonable accuracy can be made,  and which for convenience we may call the Regal  Period, we can distinguish three ways of securing  the fulfilment of a promise. The promise could  be enforced either by the person interested,  or  by the gods, or  by the community. When  however we speak of enforcement, we must not think  of what is now called specific performance, a conception unknown to primitive Law. The only kind  of enforcement then possible was to make punish-  ment the alternative of performance. Self-help, the most obvious method of redress in a society just emerging from barbarism, was  doubtless the most ancient protection to promises,  since we find it to have been not only the mode by  which the anger of the individual was expressed, but  also one of the authorised means employed by the  gods or the community to signify their displeasure.  This rough form of justice fell within the domain of  Law in the sense that the law allowed it, and even encouraged men to punish the delinquent, whenever  religion or custom had been violated. But as people  grew more civilized and the nation larger, self-help  must have proved a difficult and therefore inade-  quate remedy. Accordingly its scope was by degrees  narrowed, and at last with the introduction of surer  methods it became wholly obsolete. Religious Law, as administered by the  priests, the representatives of the gods, was another  powerful agency for the support of promises. A  violation of Fides, the sacred bond formed between  the parties to an agreement, was an act of impiety  which laid a burden on the conscience of the delin-  quent and may even have entailed religious disabili-  ties. Fides was of the essence of every compact,  but there were certain cases in which its violation  was punished with exceptional severity. If an  agreement had been solemnly made in the presence  of the gods, its breach was punishable as an act  of gross sacrilege.   III. The third agency for the protection of  promises was legal in our sense of the word. It  consisted of penalties imposed upon bad faith by  the laws of the nation, the rules of the gens, or the  by-laws of the guild to which the delinquent  belonged. What the sanction was in each case we  are left to conjecture. It may have been public  disgrace, or exclusion from the guild, or the paying  of a fine. And as some promises might be strength-  ened by an appeal to the gods, so might others by  an invocation of the people as witnesses.   Agreements then might be of three kinds corresponding to the three kinds of sanction. They  might consist of an entirely formless compact,  (2) a solemn appeal to the gods, or (3) a solemn  appeal to the people. A formless compact is called pactum in the  language of the twelve Tables. It was merely a  distinct understanding between parties who trusted  to each other's word, and in the infancy of Law  it must have been the kind of agreement most  generally used in the ordinary business of life.  Such agreements are doubtless the oldest of all,  since it is almost impossible to conceive of a time  when men did not barter acts and promises as freely  as they bartered goods and without the accompani-  ment of any ceremony. Compacts of this sort were  protected by the universal respect for Fides, and  their violation may perhaps have been visited with  penalties by the guild or by the gens. But intensely  religious as the early Romans were, there must have  been cases in which conscience was too weak a  barrier against fraud, and slight penalties were  ineffectual. Fear of the gods had to be reinforced  by the fear of man, and self-help was the remedy  which naturally suggested itself. In the twelve  Tables pactum appears in a negative shape,  as a compact by performing which retaliation or  a law-suit could be avoided 1 . If this compact was  broken the offended party pursued his remedy.  Similarly where a positive pactum was violated, the  injured person must have had the option of chastising  1 GELLIO. zx. 1. 14. Auct. ad Her. n. 13. 20.  the delinquent. His revenge might take the form  of personal violence, seizure of the other's goods,  or the retention of a pawn already in his possession.  He could choose his own mode of punishment, but if  his adversary proved too strong for him, he doubtless  had to go unavenged ; whereas if the broken agree-  ment belonged to either of the other classes, the  injured party had the whole support of the  priesthood or the community at his back, and  thus was certain of obtaining satisfaction. It is  therefore plain that though formless agreements  contained the germ of Contract, they could not  have produced a true law of Contract, because by  their very nature they lacked binding force. Their  sanction depended on the caprice of individuals,  whereas the essence of Contract is that the breach  of an agreement is punishable in a particular way.  A further element was needed, and this was supplied  by the invocation of higher powers.   II. At what period the feshion was introduced  of confirming promises by an appeal to the gods  it would be idle to guess. Originally, it seems,  the plain meaning of such appeals is alone considered, and their form is of no importance.  But, under the influence of custom or of the priesthood, they assume by degrees a formal character, and it is thus that we find them in our earliest  authorities. Since religion and law – [“as H. L. A. Hart so well knows, since he is a jew” – H. P. Grice] -- are both at first the  monopoly of the priestly order, and since the religious forms of promise have their counterpart in the customs of Greece and other primitive peoples, whereas the secular form is PECULIARLY Roman,  the religious form is evidently the older, and formal contract therefore has a religious origin. Fides being a divine thing, the most natural means  of confirming a promise is to place it under divine  protection. This may be accomplished in two ways, by ius iurandum, or by sponsio -- each of which  is a solemn, Austinian-type performative declaration placing the promise or  agreement under the guardianship of the god, notably GIOVE. Each form has a curious history, and as  this is are the earliest specimen of a contract,  we should discuss them, and we might! Another method, and one peculiar to the  Romans, which naturally suggests itself for the  protection of agreements, is to perform the whole  transaction in view of other people. This publicity ensures  the fairness of the agreement, and places its existence beyond Cartesian – or Berkeleyian -- dispute. If the transaction is essentially a public matter, such as the official sale of  some public land, or the giving out of a public contract,  no formality seems ever to have been required, so  that even a formless agreement in in that case  is binding. The same validity may be secured for  a private contract, by having it publicly witnessed,  and the nexum is but one application of this  principle. In testamentary law – “How my father, Herbert Grice, inherited the property on the High Way of Halborne” – Grice -- it seems probable  that the public will in comitiis calatis is also  formless, whereas in private the testator may only  give effect to his will by formally saying to his  fellow-citizens testimonium mihi perhibetote. Thus the two elements which turned a bare    agreement into a contract were religion and publicity.  The naked agreements (pacta) need not concern us,  since their validity as contracts never received  complete recognition. But it will be the object of  the following pages to show how agreements grew  into contracts by being invested with a religious or  public dignity, and to trace the subsequent process  by which this outward clothing was slowly cast off.  Formalism was the only means by which Contract  could have risen to an established position, but  when that position was folly attained we shall find  Contract discarding forms and returning to the state  of bare agreement from which it had sprung.     Art 1. Ivsivrandvm is derived by some  from Iouisiurandum 1 , which merely indicates that  Jupiter was the god by whom men generally swore.  To make an oath was to call upon some god to  witness the integrity of the swearer, and to punish  him if he swerved from it. This appears from the  wording of the oath in LIVIO, where SCIPIONE says: Si  sciensfalloy turn me, Iuppiter optime maxime, domum familiam remque rneam pessimo leto afficias" and  from the oath upon the Iuppiter lapis given by  Polybius and Paulus Diaconus, where a man throws  down a flint and says : " Si sciens /alio, turn me  Dispiter salua urbe arceque bonis eiiciat, uti ego hunc  lapidem" A promise accompanied by an oath was  simply a unilateral contract under religious sanction.  And it would seem that the oath was in fact used for  purposes of contract. CICERONE remarks 8 that the oath  was proved by the language of the XII Tables to  have been in former times the most binding form of  promise ; and since an oath was still morally binding   1 Cf. Apul. de deo Socr. 5. a xzii. 53.   » Off. ni. 31. 111.     in the time of CICERONE, though it had then no legal  force, the point of his remark must be that in  earlier times the oath was legally binding also.  From Dionysius we know that the altar of ERCOLE (called ARA MASSIMA) was a place at which solemn  compacts (ovvdfjtcai) were often made 1 , while Plautus  and Cicero inform us that such compacts were  solemnized by grasping the altar and taking an  oath 2 . It would seem probable that the gods were  consulted by the taking of auspices before an  oath was made. Cicero says that even in private  affairs the ancients used to take no step without  asking the advice of the gods 8 ; and we may safely  conjecture that whenever a god was called upon to  witness a solemn promise, he was first enquired of,  so that he might have the option of refusing his  assent by giving unfavourable auspices. The terms  of the oath were known as concepta uerba, at least  in the later Republic, and like the other forms of the  period they were strictly construed 4 . Periuriv/m did  not mean then, as now, false swearing. It meant  the breach of an oath 5 , the commission of any act at  variance with the uerha concepta There is some dispute as to what were the exact  consequences of such a breach. Voigt 7 thinks that  it merely entailed excommunication from religious  rites, but Danz 8 is clearly right in maintaining that  its consequences in early times were far more serious ;   1 Dion. i. 40. 2 Plaut. Rud. 5. 2. 49. Cio. Flacc. 36. 90.   8 Div. 1. 16. 28. 4 Seru. ad Aen. 12. 13.   6 i.e. 8ciem fallere, Plin. Paneg. 64. Seneca, Ben. in. 37. 4.  6 Off. in. 29. 108. 7 Ius Nat. in. 229. 8 Ram. RG. n. § 149.     they amounted in fact to complete outlawry.  Cicero says that the sacratae leges of the ancients  confirmed the validity of oaths. Now a sacrata lex  was one which declared the transgressor to be  sacer (i.e. a victim devoted) to some particular god 1 ,  and sacer in the so-called laws of Seruius Tullius 2  and in the XII Tables 8 was the epithet of condem-  nation applied to the undutiful child and the  unrighteous patron. So likewise it seems highly  probable that the breaker of an oath became sacer,  and that his punishment, as CICERONE hints, was  usually death. The formula of an oath given by  Polybius 6 is more comprehensive than that given  by Paulus Diaconus , for in it the swearer prays  that, if he should transgress, he may forfeit not  onry the religious but also the civil rights of his  countrymen. This shows that the oath-breaker was  an utter outcast; in fact, as the gods could not  always execute vengeance in person, what they did  was to withdraw their protection from the offender  and leave him tolhe punishment of his fellow-men. The drawbacks to this method of contract were the  same as those of the old English Law, which made  hanging the penalty for a slight theft ; the penalty  was likely to be out of all proportion to the injury  inflicted by a breach of the promise. So awful  indeed was it, that no promise of an ordinary kind  could well be given in such a dangerous form, and  consequently the oath was not available for the   1 Festus, p. 318, s.u. sacratae. 2 Fest. p. 230, s.u. plorare.   8 Seru. ad Aen. 6. 609. 4 Leg. n. 9. 22. B in. 25.   6 p. 114, s.u. lapidem. 7 Liu. v. 11. 16. common affairs of daily life. The use of the oath  therefore disappeared with the rise of other forms of  binding agreement, the severity of whose remedies  was proportionate to the rights which had been  violated; while at the same time the breaking  of an oath came to be considered as a moral, instead  of a legal, offence, and by the end of the Republic  entailed nothing more serious than disgrace (dedecus).  In one instance only did the legal force of the oath  survive. As late as the days of Justinian^ the  services due to patrons by their freedmen were still  promised under oath 1 . But the penalty for the  neglect of those services had changed with the  development of the law. At and before the time of  the XII Tables, the freedman who neglected his  patron, like the patron who injured his freedman 2 ,  no doubt became sacer, and was an outlaw fleeing  for his life, as we are told by DIONISIO. But in  classical times the heavy religious penalty had  disappeared, and the iurisiurandi obligatio was en-  forced by a special praetorian action, the actio  operarum*. By the time of Ulpian the effects of  the iurata operarum promissio seem indeed to have  been identical with those of the operarum stipu-  latio*, though the forms of the two were still quite  distinct.   We may then summarise as follows our knowledge  as to this primitive mode of contract :   The form was a verbal declaration on the part of  the promisor, couched in a solemn and carefully   1 38 Dig. 1. 7. a Sera, ad Aen. 6. 609. 8 n. 10. 4 38 Dig. 1. 2 and 7. 5 Cf. 38 Dig. 1. 10.  1  worded 1 formula (concepta tierba), wherein he called  upon the gods {testari deos)*, to behold his good faith  and to punish him for a breach of it.   The sanction was the withdrawal of divine  protection, so that the delinquent was exposed to  death at the hand of any man who chose to slay  him.   The mode of release, if any, does not appear. In  classical times it was the acceptilatio*, but this Was clearly anomalous and resulted from the similar  juristic treatment of operae promissae and operae  iuratae.   Art. 2. Sponsio. Though the point is contested  by high authority, yet it scarcely admits of a doubt  that there existed from very early times another  form, known as sponsio, by which agreements could  be made under religious sanction. This method,  as Danz has pointed out, was originally connected  with the preceding one. It was derived from the  stern and solemn compact made under an oath to  the gods. But Danz goes too far when he identifies  the two, and states that sponsio was but another  name for the sworn promise 4 . The stages through  which the sponsio seems to have passed tell a  different story. The word is closely connected with  airovSij, tnrivSeiv, and hence originally meant a  pouring out of wine 8 , quite distinct from the con-  vivial \ocfirf or libatio 6 , so that " libation " is not its  proper equivalent. The other derivation given by   1 38 Dig. 1. 7, fr. 3. 2 Plant. Rud. 5. 2. 52.   * 46 Dig. 4. 13. 4 Danz, Sacr. Schutz, p. 106.   8 Festus p. 329 s.u. spondere. 6 Leist, Greco-It. R. O. p. 464, note o.        Varro 1 and Verrius 2 from sports, the will, whence  according to Girtanner 8 sponsio must have meant a  declaration of the will, savours somewhat too strongly  of classical etymology.   I. This pouring out of wine, as Leist 4 has  shown, was in the Homeric age a constant accom-  paniment to the conclusion of a sworn compact of  alliance (optcia iriara) between friendly nations.  The sacrificial wine seems originally to have added  force to the oath by symbolising the blood which  would be spilt if the gods were insulted by a breach  of that oath. In this then its original form sponsio  was nothing more than an accessory piece of ceremonial. The second stage was brought about by the  omission of the oath and by the use of wine-pouring  alone as the principal ceremony in making less  important agreements of a private nature. In the  Indian Sutras for instance a sacrifice of wine is  customary at betrothals 5 , and comparison shows that  the marriage ceremonies of the Romans, in connec-  tion with which we find sponsio and sponsalia applied  to the betrothal and sponsa to the bride 6 , were very  like those of other Aryan communities 7 . We may  therefore clearly infer that at Rome also there was a  time when the pouring out of wine was a part of the  marriage-contract; and thus our derivation of the  word receives independent confirmation.   III. In the third and last stage sponsio meant   1 L. L. vi. 7. 69. 2 Festus, «. u. spondere. 8 Stip. p. 84.  4 Greco-It. B. G. § 60. 8 Leist, AlUAr. I. Civ. p. 448.   8 Gell. iv. 4. Varro, L. L. vi. 7. 70. 7 Leist, loc. ciu       nothing more than a particular form of promise, and  it is easy to see how this came about. At first the  verbal promise took its name from the ceremony of  wine-pouring which gave to it binding force ; but in  course of time this ceremony was left out as taken  for granted, and then the promise alone, provided  words of style were correctly used, still retained its  old uses and its old name. Sponsio from being a  ceremonial act became a form of words. Such was  the final stage of its development.   The importance attached to the use of the words  spondesne ?, spondeo in preference to all others 1 thus  becomes clear. Spondesne ? spondeo originally meant  " Do you promise by the sacrifice of wine V "I do so  promise," just as we say, "I give you my oath,"  when we do not dream of actually taking one.   Another peculiarity of sponsio, noticed though  not explained by GAIO 2 , was the fact that it could  be used in one exceptional case to make a binding  agreement between Romans and aliens, namely, at  the conclusion of a treaty. Gaius expresses surprise  at this exception. But if, as above stated, a sacrifice  of pure wine {airovhal a/cprjTot) was one of the early  formalities of an international compact (op/cia mard),  it was natural that the word spondeo should survive  on such occasions, even after the oath and the wine-  pouring had long since vanished.   Sponsio being then a religious act and subse-  quently a religious formula, its sanctity was doubtless  protected by the pontiffs with suitable penalties.  What these penalties were we cannot hope to know,   1 Gai. in. 93. 2 in. 94.      though clearly they were the forerunners of the  penal sponsio tertiae partis of the later procedure.  Varro 1 informs us that, besides being used at be-  trothals the sponsio was employed in money (pecu/nia)  transactions. If pecunia includes more than money  we may well suppose that cattle and other forms of  property, which could be designated by number and  not by weight, were capable of being promised in  this manner. Indeed it is by no means unlikely 2  that nexum was at one time the proper form for  a loan of money by weight, while sponsio was the  proper form for a loan of coined money (pecunia  nwmerata). The making of a sponsio for a sum  of money was at all events the distinguishing feature  of the afibio per sponsionem, and though we cannot  now enter upon the disputed history of that action,  its antiquity will hardly be denied.   The account here given of the origin and early  history of the sponsio is so different from the views  taken by many excellent authorities that we must  examine their theories in order to see why they  appear untenable. One great class of commentators  have held that the sponsio is not a primitive institu-  tion, but was introduced at a date subsequent to the XII TABVLAE. The adherents of this theory are  afraid of admitting the existence, at so early a period,  of a form of contract so convenient and flexible  as the sponsio, and they also attach great weight to  the fact that no mention of sponsio occurs in our  fragments of the XII Tables. While it would  doubtless be an anachronism to ascribe to the early   1 L. L. vi. 7. 70. a Karsten, Stip. p. 42. J  sponsio the actionability and breadth of scope which  it had in later times, still it may very well have  been sanctioned by religious law, in ways of which  nothing can be known unless the pontifical Commentaries of Papirius 1 should some day be discovered.  As to the silence of the XII Tables on this  subject, we are told by Pomponius that they were  intended to define and reform the law rather than  to serve as a comprehensive code 2 . Therefore they  may well have passed over a subject like sponsio  which was already regulated by the priesthood. Or,  if they did mention it, their provisions on the  subject may have been lost, like the provisions as to  iusiurandum, which' we know of only through a  casual remark of CICERONE’s. 8 .   The early date here attributed to the sponsio  cannot therefore be disproved by any such negative  evidence. Let us see how the case stands with  regard to the question of origin.   (a) The theory best known in England, owing  to its support by Sir H. Maine, is that sponsio was a  simplified form of neocum, in which the ceremonial  had fallen away and the nuncupatio had alone been  left 4 . This explanation is now so utterly obsolete  that it is not worth refuting, especially since Mr  Hunter's exhaustive criticism 5 . One fact which in  itself is utterly fatal to such a theory is that the  nuncupatio was an assertion requiring no reply 6 ,   i Dion. in. 36. 2 1 Dig. 2. 2. 4.   8 Off. in. 31. 111. * Maine, Am. Law, p. 326.   5 Hunter, Roman Law, p. 385. 6 Gai. n. 24.   B. E. 2   whereas the essential thing about the sponsio was a  question coupled with an answer.   (6) Voigt follows Girtanner in maintaining that  spondere signified originally " to declare one's will,"  and he vaguely ascribes the use of sponsiones in  the making of agreements to an ancient custom  existing at Borne as well as in Latium 1 . He agrees  with the view here expressed that the sponsio was  known prior to the XII Tables, but thinks that  before the XII Tables it was neither a contract  (which is strictly true if by contract we mean an  agreement enforceable by action), nor an act in the  law, and that its use as a contract began in the  fourth century as a result of Latin influence 2 . In  another place 8 he expresses the opinion that its  introduction as a contract was due to legislation, and  most probably to the Lex Silia. The objections to  this view are that the etymology is probably  wrong, and that the inference drawn as to the  original meaning of spondere iuvolves us in serious  difficulties. An expression of the will can be made  by a formless declaration as well as by a formal one.  And if a formless agreement be a sponsio, as it must  be if sponsio means any declaration of the will,  how are we to explain the formal importance  attaching to the use of the particular words " spon-  desne ? spondeo." (3) This view ignores the religious  nature of the sponsio, which I have endeavoured to  establish, and (4) it forgets that sponsio, being part  of the marriage ceremonial, one of the first subjects   1 Rom. RG. i. p. 42. 2 16. p. 43.   8 Ius Nat. §§ 33-4.   to be regulated by the laws of Romulus 1 , is most  probably one of the oldest Roman institutions.  Again (5), as Esmarch has observed 2 , the legislative  origin of the sponsio is a very rash hypothesis. We  only know that the Lex Silia introduced an improved  procedure for matters which were already actionable,  and had a new formal contract been created by such  a definite act we should almost certainly have been  informed of this by the classical writers.   (c) Danz also derives sponsio from sports, the  will; but he takes spondere to mean sua sponte  iurare, and thinks that the original sponsio was  exactly the same as iusiurandum, i.e. nothing more  than an oath of a particular kind 3 . . His chief argu-  ment for this view is to be found in PAOLO DIACONO,  who gives consponsor = coniurator. But why need  we suppose that Paulus meant more than to give a  synonym ? in which case it by no means follows that  spondere = iurare. For such a statement as that we  have absolutely no authority. Moreover, as we saw  above, iusiurandum was a one-sided declaration on  the part of the promisor only. How then could the  sponsio, consisting as it did of question and answer,  have sprung from such a source ? especially since  the iusiurandum, though no longer armed with  a legal sanction, was still used as late as the days of  Plautus alongside of the sponsio and in complete  contrast to it ? Girtanner, in his reply to the "Sacrale  Schutz" of Danz 4 , maintains that sponsio had nothing   1 Dion. n. 25. 2 K. V. filr G. u. R. W. n. 516. 3 Sacr. Schutz, p. 149. 4 Ueber die Sponsio, p. 4 fif.   2—2     9   to do with an oath, but was a simple declaration of  the individual will, and that stipulatio had its origin  in the respect paid to Fides. This view however  is even less supported by evidence than that of  Danz. Arguing again from analogy Girtanner  thinks that, as the Roman people regulated its  affairs by expressing its will publicly in the Comitia,  so we may conjecture that individuals could validly  express their will in private affairs, in other words  could make a binding sponsio. But this, as well  as being a wrong analogy, is a misapprehension of a  leading principle of early Law. For, as we have  seen, no agreement resting simply upon the will of  the parties (i.e. pactum) was valid without some  outward stamp being affixed to it, in the shape  of approval expressed by the gods or by the people.  In the language of the more modern law, we may  say that such approval, tacit or explicit, religious or  secular, was the original causa ciuilis which dis-  tinguished contractus from pactiones. Now a popular  vote in the Comitia bore the stamp of public  approval as plainly as did the nexum. But the  sponsio, requiring no witnesses, was clearly not  endorsed by the people ; therefore the endorsement  which it needed in order to become a contractus  iuris cvuilis must have been of a religious nature,  and that such was the case appears plainly if we  admit that sponsio originated in a religious cere-  monial such as I have described.   To recapitulate the view here given, we may  conclude that sponsio was a primordial institution   1 See Windscheid, K. F. fiir G. «. R. W. i. 291.     of the Roman and Latin peoples, which grew into its  later form through three stages, It is originally  a sacrifice of wine annexed to a solemn compact of  alliance or of peace made under an oath to the gods.  (b) Next it became a sacrifice used as an appeal to  the gods in compacts not made under oath such as  betrothals. Just as iusiurandum for many purposes  was sufficient without the pouring out of wine, so for  other purposes sponsio came to be sufficient without  the oath, Lastly it becomes a verbal formula,  expressed in language IMPLYING the accompaniment  of a wine-sacrifice, but at the making of which no  sacrifice was ever actually performed. In this final  stage, which continued as late as the days of Justi-  nian,   Its form was a question put by the promisee,  and an answer given by the promisor, each using  the verb spondere. Filiam mihi spondesne? Spondeo? Centum dari spondes? Spondeo. Throughout its history this is a form which Roman citizens alone may use, in which fact we clearly see  religious exclusiveness and a further proof of religious  origin. Why they use question and answer rather than plain statement is a minor point the origin  of which no theory – except Grice’s-- has yet accounted for. The  most plausible conjecture seems to be that the  recapitulation by the promisee was intended to  secure the complete understanding by the promisor  of the exact nature of his promise.   Its sanction in the early period of which we  are treating was doubtless imposed by the priests,  but owing to our almost complete ignorance of the pontifical law we cannot tell what that sanction  was.   Having now examined the ways in which an  agreement could be made binding under religious  sanction, let us see how binding agreements could  be made with the approval of the community.  There is reason to believe that this secular class  of contracts is less ancient than the religious class,  because nexum and mancipium were peculiar to the  Romans, whereas traces of iusiurandum and sponsio  are found, as Leist has shown, in other Aryan  civilizations. Nexvm. There is no more disputed subject in the whole history of Roman Law than the  origin and development of this one contract. Yet the  facts are simple, and though we cannot be sure that  every detail is accurate, we have enough information  to see clearly what the transaction was like as  a whole. We know that it was a negotium per aes  et libram, a weighing of raw copper or other  commodity measured by weight in the presence of  witnesses 2 ; that the commodity so weighed was  a loan 8 ; and that default in the repayment of a loan  thus made exposed the borrower to bondage 4 and  savage punishment at the hands of the lender. We  know also that it existed as a loan before the XII  Tables, for it is mentioned in them as something  quite different from mancipium. To assert, as Bech-  mann does, that since nexum included conveyance as 1 Alt Ar. I. Civ. I« e Abt. pp. 435-443.   2 Gai. in. 173. 3 Muciu* in Varro, L. L. 7. 105.  4 Varro, L. L. vi. 5. 5 Clark, E. R. L. § 22. well as loan " mancipiumque " must therefore be an  interpolation into the text of the XII Tables 1 , is an  arbitrary and unnecessary conjecture. The etymology  of nexwm, and of mancipium shows that they were  distinct conceptions. Mancipium implies the transfer  of mami8, ownership ; nexum implies the making of  a bond (cf. nectere, to bind), the precise equivalent  of obligatio in the later law. It is true that both  nexwm and mancipium required the use of copper  and scales, to measure in one case the price, in the  other the amount of the loan. But this coincidence  by no means proves that the two transactions were  identical. A modern deed is used both for leases and  for conveyances of real property, yet that would be  a strange argument to prove that a lease and a  conveyance were originally the same thing. Here  however we are met by a difficulty. If, as some  hold 8 and as I have tried to prove, we must regard  mancipium as an institution of prehistoric times  distinct from the purely contractual nexwm, how  are we to explain the fact that nexwm is used  by Cicero 8 and by other classical writers 4 as equi-  valent to mancipium, or as a general term signifying  omne quod per aes et libram geritur, whether a loan,  a will, or a conveyance ? Now first we must notice  the fact that neamm had at any rate not always been  synonymous with mancipium, for if it had been so,  there could have been no doubt in the minds of   1 Kauf f p. 130. * Mommsen, Hist. 1. 11. p. 162 n.   * ad Fam. 7. 30 ; de Or. 3. 40; Top. 5. 28; Parad. 5. 1. 35. ; pro  Mwr. 2.   4 Boethius lib. 3 ad Top. 5. 28 ; Gallus Aelius in Festas, s.u.  nexwm ; Manilim in Varro, L. L. 7. 105.    Scaeuola and Varro that a res nexa was the same  thing as a res mamipata. This Scaeuola and Varro  both deny, and we must remember that Mucius  Scaeuola was the Papinian of his day. Manilius 1 on  the other hand, struck perhaps by the likeness in  form of the obsolete nexum to other still existing  negotia per aes et libram, seems to have made nexum  into a generic term for this whole class of trans-  actions. In this he was followed by Gallus Aelius 2 .  The new and wider meaning, given by them to that  which was a technical term at the period of the  XII Tables, apparently became general in literature,  partly for the very reason that nexum no longer had  an actual existence, partly because need liberatio,  the old release of nexum, had been adopted by  custom as the proper form of release in matters  which had nothing to do with the original nexum,  namely in the release of judgment-debts and of  legacies per damnationem*. One peculiarity men-  tioned by Gaius in the release of such legacies  seems altogether fatal to the theory that mandpium  was but a species of the genus nexum. Gaius says  that nexi liberatio could be used only for legacies of  things measured by weight. Such things were the  sole objects of the true nexum, whereas res maricipi  included land and cattle. Therefore if mancipiwm  were only a species of nexum we should certainly  find nexi liberatio applying to legacies of res mancipi,  but this, as Gaius shows, was not the case.   The view that nexum was the parent gestum per   1 Varro, L. L. vu. 105. a Festus, p. 165, s. u. nexum.   3 Gai. iii. 173-5.      aes et libram, and that mancipium was the name  given later to one particular form of nexum, is worth  examining at some length, because it is widely  accepted 1 , and because it fundamentally affects our  opinion concerning the early history of an important  contract. Bechmarm 2 thinks it more reasonable to  suppose that nexum narrowed from a general to a  specific conception. But it is scarcely conceivable  that nexum should have had the vague generic  meaning of quodcumque per aes et libram geritur*  when it was still a living mode of contract, and the  technical meaning of obligatio per aes et libram  when such a contractual form no longer existed.  What seems far more likely is that nexum had a  technical meaning until it ceased to be practised  subsequently to the Lex Poetilia, and that its loose  meaning was introduced in the later Bepublic, partly  to denote the binding force of any contract 4 , partly  as a convenient expression for any transaction per  aes et libram\ Even in Cicero we find the word  nexum used chiefly with a view to elegance of style 8  in places where mandpatio would have been a  clumsy word and where 7 there could be no doubt as  to the real meaning. But when Cicero is writing  history, he uses nexum in its old technical sense and  actually tells us that it had become obsolete 8 .   1 See Bechmann, Kauf, i. p. 130 ; Clark, E. R. L. § 22.   2 .16. p. 181. • Varro, I. c. — Festus, *. u. nexum.   4 Cf. "nexu uetu&ti " in Ulpian, 12 Dig. 6. 26. 7.   5 Cic. de Or. in. 40. 159.   6 Uar. Resp. vn. 14; ad Fam. vii. 30. 2; Top. 5. 28.   7 As in pro Mur. 2; Parad. v. 1. 35.   8 de Rep. 2. 34 and cf. Liu. mi. 28. 1.       Rejecting then as untenable the notion that  nexum denoted a variety of transactions, let us  see how it originated. The most obvious way of  lending corn or copper or any other ponderable  commodity, was to weigh it out to the borrower,  who would naturally at the same time specify by  word of mouth the terms on which he accepted  the loan. In order to make the transaction binding,  an obvious precaution would be to call in witnesses,  or if the transaction took place, as it most likely  would, in the market-place, the mere publicity of the  loan would be enough. Thus it was, we may  believe, that a nexurn was originally made. It was  a formless agreement necessarily accompanied by  the act of weighing and made under public super-  vision. It dealt only with commodities which could  be measured with the scales and weights, and did  not recognize the distinction between res mancipi  and res nee mancipi, — a strong argument that  nescum and mandpium were, as above said, totally  distinct affairs. Its sanction lay in the acts of  violence which the creditor might see fit to commit  against the debtor, if payment was not performed  according to the terms of his agreement. Personal  violence was regulated by the XII Tables, in the  rules of manus iniectio, but before that time it is safe  to conjecture that any form of retaliation against the  person or property of the debtor was freely allowed.   The fixing of the number of witnesses at five 1 ,  which we find also in rnancipium, . is the only  modification of nexum that we know of prior to   1 Gai. hi. 174.     .  the XII Tables. Bekker 1 suggests that this change  was one of the reforms of Seruius Tullius, and that  the five witnesses, by representing the five classes of  the Servian ceruma, personified the whole people.  This is a mere conjecture, but a very plausible one.  For we are told by Dionysius 8 that Seruius made  fifty enactments on the subject of Contract and  Crime, and in another passage of the same author 8 ,  we find an analogous case of a law which forbade the  exposure of a child except with the approval of five  witnesses. But here a question has been raised as to  what the witnesses did. The correct answer, I  believe, is that given by Bechmann 4 , who maintains  that the witnesses approved the transaction as a  whole, and vouched for its being properly and fairly  performed. Huschke, on the other hand, claims that  the function of the witnesses was to superintend the  weighing of the copper, and that before the intro-  duction of coined money some such public supervision  was necessary in order to convert the raw copper  into a lawful medium of exchange 5 . This view  is part of Huschke's theory, that neacum had two  marked peculiarities: (1) it was a legal act per-  formed under public authority, and it was the  recognised mode of measuring out copper money by  weight. The first part of Huschke's theory may be  accepted without reserve, but the second part seems  quite untenable. We have no evidence to show  that nexum was confined to loans of money or of   1 Akt, i. 22 ff. a iv. 13. » ii. 15.   4 Kauf. Nexum, p. 16 ff. copper. Indeed we gather from a passage of CICERONE (si veda)  that far, corn, may have been the earliest object of  nexum 1 , while GAIO (si veda) states that anything measurable  by weight could be dealt with by neari solvtio. No  inference in favour of Huschke's theory may be  drawn from the name negotium per cms et libram,  for this phrase obviously dates from the more recent  times when the ceremony had only a formal signifi-  cance, and when the aes (ravduscvlum) was merely  struck against the scales. If then we reject the  second part of Huschke's theory, and admit, as  we certainly should, that nexum could deal with any  ponderable commodity, it is evident that his whole  view as to the function of the witnesses must  collapse also. The very notion of turning copper  from merchandise into legal tender is far too subtle  to have ever occurred to the minds of the early  Romans. As Bechmann 8 rightly remarks, the  original object of the State in making coin was  not to create an authorised medium of exchange,  but simply to warrant the weight and fineness of  the medium most generally used. The view of  Buschke seems therefore a complete anachronism.  There is also another interpretation of neawm  radically different from the one here advocated, and  formerly given by some authorities 4 , but which  has few if any supporters among modern jurists. This , view was founded upon a loosely expressed  remark of Varro's in which nexus is defined as CICERONE (si veda) de Leg. Agr. n. 30. 83. 2 in. 175. 8 Kauf.  4 See Sell, Scbeurl, Niebuhr, Christiansen, Puchta, quoted in  Danz, Rom. RG. n. 25. a freeman who gives himself into slavery for a debt  which he owes The inference drawn from this  remark was that the debtor's body, not the creditor's  money, was the object of nexwm, and that a debtor  who sold himself by mancipium as a pledge for the  repayment of a loan was said to make a nexum. Such a theory does not however harmonize with the  facts. The evidence is entirely opposed to it, for  Varro's statement, as will be seen later on, admits of  quite another meaning. Neither nexum nor mancipium is ever found practised by a man upon  his own person. Nor could nexum have applied to a  debtors person, for the idea of treating a debtor like  a res mancipi or like a thing quod pondere numero  constat, is absurd. Again, if nexum = mancipium, the  conveyance of the debtors body as a pledge must  have taken effect as soon as the money was lent,  therefore (1) by thus becoming nexus he must have  been in mancipio long before a default could occur,  which is too strange to be believed, and (2) being in  mancipio he must have been capite deminutus*, which  Quintilian expressly states that no nexal debtor ever  was 4 . Clearly then mancipium was under no circumstances a factor in nexum.   Thus it would seem that the theory which  regards nexum as a loan of raw copper or other goods  measurable by weight, is the one beset with fewest  difficulties. Such goods correspond pretty nearly  to what in the later law were called res fungibiles. VARRONE (si veda), L. L. nexum inire, Liu. vn. Paul. Diao. u. deminutus. Decl. The borrower was not required to return the very  same thing, but an equal quantity of the same kind  of thing. And this explains why neanim, the first  genuine contract of the Roman Law, should have  received such ample protection. A tool or a beast of  burden could be lent with but little risk, for either  could be easily identified ; but the loan of corn or of  metal would have been attended with very great  risk, had not the law been careful to ensure the  publicity of every such transaction. lusiurandum  or sponsio might no doubt have been used for  making loans, but they both lacked . the great  advantage of accurate measurement, which neanim  owed to its public character. It was the presence of  witnesses which raised neanim from a formless loan  into a contract of loan.   This general sketch of the original neanim is  all that can be given with certainty. The details of the picture cannot be filled in, unless we draw  upon our imagination. We do not know what verbal  agreement passed between the borrower and the  lender, though it is fairly certain that payment  of interest on the loan might be made a part of the  contract. We cannot even be quite sure whether the  scale-holder (libripens) was an official, as some have  suggested, or a mere assistant. Our description of the contract may then be  briefly recapitulated as follows:   The form consisted of the weighing out and  delivery to the borrower of goods measurable by  weight, in the presence of witnesses, (five in number, probably since the time of Seruius Tullius), whose  attendance ensured the proper performance of the  ceremony. The ownership of the particular goods  passed to the borrower, who was merely bound to  return an equal quantity of the same kind of goods,  but the terms of each contract were approximately  fixed by a verbal agreement uttered at the time. The sanction consisted of the violent measures  which the creditor might choose to take against a  defaulting debtor. Before the XII Tables there  seems to have been no limit to the creditor's power  of punishment. Any violence against the debtor  was approved by custom and justified by the noto-  riety of the transaction, so that self-help was more  easily exercised and probably more severe in the case  of nexum than in that of any other agreement. The release (nexi solutio) was a ceremony pre-  cisely similar to that of the nexum itself, the amount  of the loan being weighed and delivered to the lender,  in presence of witnesses. We have now examined three methods  by which a binding promise could be made in the  earliest period of the Roman Law. The next  question which confronts us is whether there existed  at that time any other method. The other forms of  contract, besides those already described, which are  found existing at the period of the XII Tables, were  fiducia, lex mancipi, uadimonium, and dotis dictio.  Did any of these have their origin before this time ?  Fiducia is doubtful, and lex mancipi, as we shall  see, owed its existence to an important provision Gai. in. 174. \.t  of that code. As to the origin of uadirnonium,  we cannot be certain, but judging from a passage  in Gellius 1 we are almost forced to the conclusion  that uadimonium also was a creation of the XII  Tables. Gellius speaks of •' uades et subuades et XX V  asses et taliones...omnisque ilia XII Tabhlarum  antiquitas." We know that twenty-five asses was the  fine imposed by the XII Tables for cutting down  another man's tree, therefore it would seem from the  context that uades had also been introduced by that  code. The point cannot be settled, but since the  XII Tables were at any rate the first enactments  on the subject of which anything is known, we may  discuss uadimonium in treating of the next period.  The only contract of which the remote antiquity is  beyond dispute is the dotis dictio. DOTIS DICTIO. Dionysius 8 informs us  that in the earliest times a dowry was given with  daughters on their marriage, and that if the father  could not afford this expense his clients were bound  to contribute. Hence it is clear not only that dos  existed from very early times, but that custom even  in remote antiquity had fenced it about with strict  rules. From Ulpian 8 we know that dos could be  bestowed either by dotis dictio, dotis promissio, or  dotis datio. The promissio is a promise by stipulation, and the datio was the transfer by mancipation  or tradition of the property constituting the dowry ;  so that these two are easy to understand. But dotis  dictio is an obscure subject. It is difficult to know  whence it acquired its binding force as a contract,   1 xvi. 10. 8. 2 ii. 10. 8 Reg. since in form it was unlike all other contracts  with which we are acquainted. Its antiquity is  evidenced not only by this peculiarity of form, but  9,lso by a passage in the Theodosian Code which  speaks of dotis dictio as conforming with the ancient  law 1 . An illustration occurs in Terence, where the  father says, "Dos, Pamphile, est decern talenta"  and Pamphilus, the future son-in-law, replies,  "Accipio"; but we need not conclude that the  transaction was always formal, for the above Code 8 ,  in permitting the use of any form, seems rather  to be restating the old law than making a new  enactment. A further peculiarity, stated by Ulpian 4  and by Gaius 5 , was that dotis dictio could be validly  used only by the bride, by her father or cognates on  the fathers side, or by a debtor of the bride acting  with her authority. Dictio is a significant word, for  Ulpian 6 distinguishes between dictum and promis-  sum, the former, he says, being a mere statement,  the latter a binding promise. This distinction should  doubtless be applied in the present case, since dotis  dictio and dotis promissio were clearly different.  The following theories seem to be erroneous :  Von Meykow 7 holds that dictio was adopted  as a form of promise instead of sponsio for this family  affair of dos, in order not to hurt the feelings of the  bride and of her kinsmen by appearing to question  their bona fides. That theory would be a plausible  explanation, if dictio could ever have meant a   1 C. Th. 3. 12. 3. 2 And Reg. Epit.Dig. Diet. d. Rfim. Brautg. p. 5 ff.   B. E. 3 promise, but from what Ulpian says, this can hardly  be admitted.   (6) Bechmann 1 , again, connects dotis dictio with  the ceremony of sponsio at the betrothal of a daughter.  The dos, he thinks, was promised by a sponsio made  at the betrothal, so that the peculiar form known as  dotis dictio was originally nothing more than the  specification of a dowry already promised. The dotis  dictio would therefore have been at first a mere  pactum adiectum, which was made actionable in  later times, while still preserving its ancient form.  The objection to this theory is tKat it lacks evidence :  indeed the only passage (that of Terence) in which  dotis dictio is presented to us with a context goes to  show that this contract was in no way connected  with the act of betrothal.   (c) Another explanation is given by Czylharz,  ie. that dotis dictio was a formal contract. His  view is based on the scholia attached to the  passage of Terence, which say of the bridegroom's  answer: "Mle nisi dixisset ' accipio' dos non esset."  Czylharz therefore looks upon the contract as an  inverted stipulation. The offer of a promise was  made by the promisor, and when accepted by the  promisee became a contract. Though such a process  is quite in harmony with modern notions of Contract,  it would have been a complete anomaly at Rome.  And we cannot believe that, if acceptance by the  promisee had been a necessary part of the dotis  dictio, we should not have been so informed by  Gaius, when he has been so careful to impress Rom. Dotalrecht. 2 Abt. p. 103. a Z.f. R. G. vn. 243.  upon us that the dotis dictio could be made nulla  interrogatione praecedente. Thus the view of  Czylharz besides being in itself improbable is  almost entirely unsupported by evidence. Even the  scholiast on Terence need not necessarily mean that ‘accipio’ is an indispensable part of the transaction. He may merely have meant that the bride-  groom at this juncture could decline the proffered  dos if he chose, and this interpretation is borne out  by Iulianus 1 and Marcellus 8 , who give formulae  of dotis dictio without any words of acceptance. A satisfactory solution of the problem seems  to have been found by Danz. He looks upon  dos as having been due from the father or male  ascendants of the bride as an officium pietatis 4 ,  and quotes passages from the classical writers in  which they speak of refusing to dower a sister  or a daughter as a most shameful thing 5 . The  source of the obligation lay in this relationship  to the bride, not in any binding effect of the dotis  dictio itself. But in order that the obligation might  be actionable its amount had to be fixed, and this  was just what the dictio accomplished. It was an  acknowledgment of the debt which custom had  decreed that the bride's family must pay to the  bridegroom. In this respect the dos was precisely  analogous to the debt of service which a freedman  owed as an offidum to his patron, and which he  acknowledged by the iurata operarumpromissio. The  dos and the operae were both officio, pietatis, but   1 23 Dig. 3. 44. 2 23 Dig. 3. 59. 3 Rom. RO. I. 163.Dig. 3. 2. 5 Plaut. Trin.; Oic. Quint. it became customary to specify their nature and  their quantity. In the one case this was done by an  oath, in the other by a simple declaration, and in  both cases the law gave an action to protect these  anomalous forms of agreement. What kind of  action could be brought on a dotis dictio is not  known. Voigt 1 states it to have been an actio  dictae dotis, for which he even gives the formula,  but formula and action are alike purely conjectural.  We can only infer that the dotis dictio was action-  able since it constituted a valid contract. How or  when this came to pass we cannot tell. A further advantage of Danz' theory, and one not  mentioned by him, is that it explains the capacity  of the three classes of persons by whom alone dotis  dictio could be performed. (1) The father and male  ascendants of the bride were bound to provide a dos  under penalty of ignominia; the bride, if sui  iuris, was bound to contribute to the support of her  husband's household for exactly the same reason;  and a debtor of the bride was bound to carry  out her orders with respect to her assets in his possession, and supposing her whole fortune to have con-  sisted of a debt due to her, it is evident that  a dotis dictio by the debtor was the only way in  which this fortune could be settled as a dos at all.  Thus the hypothesis that the dos was a debt  morally due from the father of the bride, or from  the bride herself, whenever a marriage took place,  completely explains the curious limitation with   1 XII Taf. ii. § 123. 2 24 Dig. 3. 1. 8 CICERONE (si veda), Top. FORM OF D0TI8 DICTIO. 37   regard to the parties who could perform dotis  dictio. The nature of the transaction may then be  summarized as follows :   Its form was an oral declaration on the part  of the bride's father or male cognates, of the  bride herself, or of a debtor of the bride, setting  forth the nature and amount of the property which  he or she meant to bestow as dowry, and spoken  in the presence of the bridegroom. Land as well as  moveables could be settled in this manner No  particular formula is necessary. The bridegroom  might, if he liked, express himself satisfied with the  dos so specified ; but his acceptance does not seem  to have been an essential feature of the proceeding.  Most probably he did not have to speak at all.   Its sanction does not appear, though we may be  sure that there was some action to compel perform-  ance of the promise. This action, whatever it may  have been, could of course be brought by the bride's  husband against the maker of the dotis dictio.  Perhaps in the earliest times the sanction was a  purely religious one.   Art. 6. Now that we have seen the various  ways in which a binding contract could be made in  the earliest period of Roman history, we may con-  sider briefly the general characteristics of that primi-  tive contractual system. The first striking point  is that all the contracts hitherto mentioned are  unilateral: the promisor alone was bound, and he  was not entitled, in virtue of the contract, to any counterperformance on the part of the promisee. Gai. Ep. The second point is that the consent of the parties  was not sufficient to bind them. Over and above  that consent the agreement between them was  required to bear the stamp of popular or divine  approval. Even in dotis dictio, as we have just seen,  a simple declaration uttered by the promisor was  invested with the force of a contract merely because  the substance of that declaration was a transfer of  property approved and required by public opinion. Thirdly we notice that the intention of the con-  tracting parties was verbally expressed, but that the  language employed was not originally of any impor-  tance (except in the one case of sponsio), provided the  intention was clearly conveyed. We must therefore modify the statement so commonly made that the  earliest known contracts were couched in a particular  form of words. For how did each of these particular  forms originate and acquire the shape in which  we afterwards find it ? By having long been used to express agreements which were binding though  their language was informal, and by having thus  gradually obtained a technical significance. Conse-  quently the formal stage was not the earliest stage  of Contract. The most primitive contract of all was not an agreement clothed with a form, but an agree-  ment clothed with the approval of Church or State. Nicola Codronchi. Keywords: Su i contratti e giochi d’assardo, contratto, tre tipi di contratto, contratto epistemico, contratto empirico, contratto misto, concordato puo essere informale o formale. tre tipi di concordi formali nell’eta regale, il giuramento per giove, il sponsio (il vino come simbolo del sangue dei vittimi) e il nesso. Il giuramento per Giove e lo sponsio sono ambi religiosi in natura. Solo il ‘nesso’ e secular – e chiede o necessita la presenza della comunita come testificatore – e una forma tipicamente romana e consequentemente piu tard ache le forme religiose che vediamo in altre comuita arie. Il nesso si manifesta nel templo publico – ara maxima per Ercole – e invoca la regola del primo re Romolo, contratti bilaterali, forma dialogica, A esprime la proposizione e B risponde assentendo alla comprehension e all’accettazione di p. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Codronchi” – The Swimming-Pool Library. Codronchi.

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