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Monday, December 30, 2024

GRICE E LAMANNA

 

Grice e Lamanna: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del risorgimento fiorentino filosofia basilicatese – la scuola di Matera -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Matera). Filosofo italiano. Matera, Basilicata. Grice: “I like Lamanna – a very systematic philosopher especially interested in the longitudinal history of philosophy – he wrote on economics during controversial times, too!” Linceo. Fa i primi studi in seminario e poi nel Liceo classico della sua città. Si trasfere a Firenze, laureandosi con Sarlo. Insegna a Messina e Firenze. Pubblica un commento alla dottrina. Autore di un fortunato manuale di storia della filosofia. Membro dell'Accademia nazionale dei Lincei. Diresse la "Collana di Filosofia" delle Edizioni Morano di Napoli. Stabilito, per L., che la religiosità e un'esigenza naturale dello spirito umano, egli rileva le contraddizioni percepite dalla coscienza fra l'”essere” (“is”) e il dover essere (“ought”) -- fra l'esigenza di una realtà concepita come razionalità e ordine, e la percezione di una realtà che appare irrazionale e disordinata, così come fra la concezione dell'assolutezza dello spirito e la concreta limitatezza della realtà umana. Da queste contraddizioni deduce la necessità dell'esistenza di Dio. Analoga antinomia gli sembra esistere tra morale e politica che a suo avviso può essere risolta trasportando nell'attività pratica la riconosciuta razionalità dell'ordine trascendente e divino, che è di per sé bene assoluto. In questo modo l'operare umano si fa etico ossia, secondo L., realmente politico, realizzandosi concretamente nell'ordinamento giuridico e, così come nell'operare razionale si concreta la vita morale, da questa si raggiunge l'armonia in cui consiste la bellezza. Altri saggi: “Lo spirito – l’ispirante” (Firenze), Kant, Milano, “La polizia di Platone e gl’uomini”, Milano, “Filosofi italici d’eta antica” (Firenze); La filosofia, Firenze); “Il bene per il bene” (Firenze); “Il regno di fini” (Firenze); Scritti storici e pensieri sulla storia, Padova; Piovani (Torino); Piovani, Tra etica e storia, Napoli); Martano, L'esperienza speculative, in «Filosofia», Calò, Il pensiero, Napoli, Calò, Studi e testimonianze, Matera, Dizionario biografico degli Italiani, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani. Grice: “Lamanna was concerned about the idea of the state, which is not an easy thing. More specifically, the concept of the ITALIAN state. In his history of philosophy for ‘i licei classici’, he rewrote his Manuale di filosofia into a ‘Sommario’. – The history goes smoothly up to Kant. The third volume is about MUSSOLINI. He is the only philosopher he cares to capitalize. He also capitalizes fascism into FASCISMO, which is odd seeing that his main source is Mussolini’s own entry for ‘fascismo’ in the Treccani which does not give it such a status. The third volume is ITALO-CENTRIC, from VICO onwards, FARLINGIERI, and notably GENTILE to end with MUSSOLINI. The idea is presented by L. as a ‘riconstruzione dello stato’ – we are talking of the ‘stato moderno’ – il stato liberale borghese is in ruins – and although he plays with the ‘socialist state’ he does not consider it within the realm of the proper history of philosophy when he talks of French illuminism. So his concern is wht the idea of the state in the liberal party – the philosophy of the laissez-faire. It provides NEGATIVE freedom. Freedom from the other. And there is competition. Also, as he notes, liberalism lies in that the ‘condizioni iniziali’ are hardly ‘equal’ for every member of society, so that liberalism only pays lip service to ‘liberale’. With the socialist state, the problem is the opposite: the state becomes a gestore – and there is this idea of an endless dialectic among the classes. So how does Mussolini reconstruct all this. He calls it ‘stato fascista’ – Had L. continued from Kant to Fichte and Hegel, the student would be more prepared! Mussolini’s idea of the state is Hegel’s – it is the NAZIONE-STATO. While Mussolini speaks of the ‘individui’ of this nazione, he means the Italians (not the Jews, etc.). SO this NAZIONE however, is MORE than the sum of its individui. Individui come and go – but the state remains. The state becomes governo. Mussolini’s prose is machist and homosocial, and Lamanna has to lower down the rhetoric, but nothing is said about Germany. It is ITALY which is seen as proposing this new or novel idea of the state (after la rivoluzione fascista) with a Kantian approach. Since L. has only read Kant seriously, he applies Kantian categories here: Mussolini’s fascist state gives each individual POSITIVE freedom – to be a slave to the CAPO or Duce who ‘knows’ how to command. L. quotes from CICERONE to the effect that it is obeying the law that makes us free. The emphasis is constantly on the azione or prassi, which is understandable since the pupils are supposed to learn about philosophy. So where is the dotttina? Mussolini is candid about this. When ‘I all started it’ I did not know where I was going. It was the ANTI-PARTY movement --. L. provides the editorial. During the ventennio, this action, which is the INSTINCTIVE FORCE OF THE SPIRIT OF THE NATION, becomes legalistic, a party is formed, and indeed a government (polizia, politeia) established. But Mussolini accepts castes in society. Even the religion, a civil religion, is subdued and one can very well be allowed to worthip the God of the Heroes. It is an ‘etica guerriera’ and it targets the male – virtu, andreia. Being commanded by one know knows is a privilege. Ths is interesting because this is conceived after the temporary successes in Africa – Mussolini romano e africano – and before the problems of the second world war. For the first time, Italians FEEL they are part of a NATION. The seeds are in the Risorgimento, but this got stuck with a liberal kind of state, which only provides negative freedom, anyway, and where the initial conditions are  unequal. Lo stato fascista does not play with parlamentarism, so Congress is closed, and the only party is the national party. Jews are excluded from PUBLIC service -- even if some wrote panegirici for fascism, like Mondolfo. The philosophical foundations are found in Hegel. If Hegel concentrated all in the Kaiser of Prussia, Mussolini does so with himself. GENTILE did not really help, although he was the official voice of fascist philosophy --. The student of philosophy then is taught the lessons of history (philosophy is IDENTIFIED with its history) and indoctrinated in the final stages into a particular IDEOLOGY. The tone is catechistic, and there is no idea of dissent. L. however emphasises that the stato fascista still recognizes the indidivuality and the personality of each member – as the stato comunista or socialista would not!” IL REALISMO PSICOLOGISTICO NELLA NUOVA FILOSOFIA ITALIANA. Sarlo, nato nel 1864 in un paesello della Basilicata (San Chirico Raparo), venne alla filosofia dalla medicina. E ve Io condusse intima vocazione, oltre, e più, che esterna vicenda di casi. Già durante gli studi universitari, a Napoli, si compiaceva di frequentare, con le lezioni della Facoltà cui era iscritto, quelle di lettere e filosofia: e fu, tra l’altro, uditore dello Spaventa negli ul¬ timi anni del suo insegnamento. La stessa sua prima pubblicazione — un volumetto di Studi sul Darwinismo, ch’egli scrisse ancor giova¬ netto nel 1887 — attesta la tendenza di lui a studiare, anche nel cam¬ po delle scienze biologiche, le questioni più generali, quelle che sono poi stimolo e offrono motivi alla speculazione filosofica. Questa tendenza divenne in lui sempre più consapevole durante gli anni che passò, come medico, nel Manicomio di Reggio Emilia, dove compì ricerche psichiatriche che, mettendolo a contatto più diretto con i problemi dell’anima, determinarono il suo passaggio alla psi¬ cologia e alla filosofia. In questo campo non ebbe maestri: fu un autodidatta: dovette cercar da sè, come a tentoni, la sua strada, ed era naturale che la trovasse solo attraverso deviazioni, incertezze, ritorni. La sua edu¬ cazione naturalistica e l’influenza dell’ambiente culturale del tempo, impregnato di positivismo, lo portarono dapprima a seguire questo indirizzo di pensiero: e in uno degii organi della filosofia positivi¬ stica, la Rivista dell’Angiulli, egli fece le sue prime armi. Ma non tardò ad allontanarsi dal positivismo, a mano a mano che venne ac - quistando coscienza delle deficienze di quella dottrina cosi in or¬ dine all’interpretazione del fatto conoscitivo come in ordine alla fon¬ dazione della moralità e religiosità umana: deficienze, che illustrò poi in quelle Note sul positivismo contemporaneo in Italia, pubbli¬ cate in appendice agli « Studi sulla Filosofia contemporanea » nel 1901, una delle critiche più penetranti e conclusive che della gno¬ seologia positivistica siano state fatte in Italia. La sua coscienza filosofica si venne formando nel decennio 1890- 1900. Concorsero a questa formazione lo studio del Rosmini, i rapporti personali o spirituali con alcuni dei più cospicui rappresentanti ita¬ liani dello spiritualismo e del neo-criticismo, come Luigi Ferri, Filippo Masci e, in particolare, Francesco Bonatelli, e, più specialmente, lo studio diretto delle correnti più significative del pensiero filosofico e psicologico contemporaneo, segnatamente inglese e tedesco, alcune delle quali egli per primo, o tra i primi, fece conoscere in Italia. E di questa sua attività furono frutto due saggi rosminiani: La lo¬ gica di A. Rosmini e i problemi della logica moderna e Le basi della psicologia e della biologia secondo A. Rosmini considerate in rapporto ai risultati della scienza moderna (Roma, 1893) — poi ri¬ fusi in altri lavori — ; due volumi di Saggi filosofici (Torino, Clau- sen, 1896) — posteriormente anch’essi rielaborati e rifusi —; studi su autori stranieri sparsi in varie riviste, alcuni dei quali furono poi, con altri di epoca posteriore, raccolti nel volume Filosofi del tempo nostro (Firenze, La « Cultura Filosofica» editrice, 1916); saggi di psicologia; il volume Metafisica, Scienza e Moralità (Roma, Balbi, 1898), e il volume già ricordato Studi sulla Filosofia contemporanea : La Filosofia scientifica (Roma, Loescher, 1901). L’esigenza che si rivela come fondamentale in questi studi del De Sarlo, è quella di mostrare le vie per le quali le scienze positive, e più particolarmente quelle naturali, sboccano, per una necessità imposta dalla logica a loro immanente, in una concezione filosofica nella quale il naturalismo è superato, cosi per il riconoscimento dei poteri originari e irriducibili dello spirito quale soggetto conoscente e quale persona morale, come per il coronamento del sapere filo¬ sofico in un’interpretazione teistica della realtà universale; mentre, dall’altro lato, la filosofia stessa, come sistemazione e critica del sa¬ pere, riceve dalle scienze particolari continuo alimento e stimolo. E la necessità di questo connubio fecondo, nella loro reciproca azione, della scienza e della filosofia, è rimasta come uno dei motivi prin¬ cipali del pensiero del De Sarlo, anche quando, nel periodo di pie¬ na maturità della sua attività di studioso, ha tratto i principii del suo filosofare non più dal neo-criticismo, di cui si sente l’influsso neghi scritti sinora citati, ma dallo sperimentalismo inglese — da Locke a Mill —; dall’intuizionismo della scuola scozzese — specie per il rilievo costantemente dato agli assiomi così gnoseologici come etici, costitutivi dello spirito umano, e apprensibili con evidenza immediata nell’esperienza interna e infine dal realismo dell’Her- bart e del Lotze. Conseguita nel 1894 la libera docenza in filosofia presso l'Uni¬ versità di Roma, insegnò questa disciplina nei licei di Benevento, di Torino, di Roma, fino al 1900, quando ottenne per concorso la cattedra di filosofia teoretica all’Istituto di Studi Superiori di Fi¬ renze, cattedra ch’egli ha tenuto e tiene ancor oggi con l’autorità e l’efficacia di un Maestro. Presso lo stesso Istituto Superiore fondò nel 1903 un Gabinetto di Psicologia Sperimentale, il primo del ge¬ nere in Italia, e che è rimasto anche oggi il più ricco di apparec¬ chi: molte e importanti ricerche vi sono state compiute sotto la sua direzione, sebbene, in questi ultimi anni, la potenzialità scientifica- mente produttiva del Gabinetto sia stata assai ridotta per le con¬ dizioni materiali veramente miserevoli nelle quali si è venuto a tro¬ vare. Dal 1907 al 1917 il De Sarlo ha diretto la Cultura Filosofica, una Rivista che ebbe un programma ben definito e, specie nei pri¬ mi anni, fu vivacemente battagliera cosi contro il positivismo or¬ mai declinante, come, e più, contro il risorgente idealismo. La sua operosità di studioso ha dispiegato con assiduità e intensità instan¬ cabile nel campo della psicologia, dell’etica, della filosofia generale, pubblicando poderosi volumi, ai quali specialmente noi ci riferiremo nella esposizione e caratterizzazione della sua filosofia (1). (1) Il valore della sua opera ha avuto riconoscimento ufficiale nel premio Reale per la filosofia, conferitogli nel 1920 dall’Accademia dei Lincei, della quale egli è, dal 1921, socio nazionale. Elenchiamo qui le opere principali del De Sarlo, escluse le prime già ci¬ tate che poi sono state rifuse nelle successive: Metafisica Scienza e Moralità. Studi di Filosofia morale. Roma, Balbi, 1898, 1 voi. di circa 250 pagg. in 8: [Contiene: Il naturalismo — Il telismo — L’idealismo e la moralità — Il socialismo come concezione filosofica — Vita morale e vita sociale]. Studi sulla Filosofia contemporanea. — Prolegomeni : La « Filosofia scien¬ tifica ». — Roma, Loescher. Sarlo d’ordinario è presentato come un teista e uno spiritualista. Tale egli stesso ha sovente dichiarato esplicitamente [Contiene : Du Boys-Reymond, Helmholtz, Darwin, Il positivismo contem¬ poraneo in Italia ]. I dati dell’esperienza psichica. Firenze, Pubblicazioni del R. Istituto di Studi Superiori, 1903, 1. voi. di pagg. 430 in-8. L’attività pratica e la coscienza morale. Firenze, Seeber, 1907, 1 voi. di pagg. 250 in-16. Principii di Scienza etica, con un’Appendice su La patologia mentale in rap- perto all’etica e al diritto. Palermo, Sandron, [1907], 2 voi. di circa pagg. 500 in-16 (in collaborazione con Q. Calò). II Pensiero Moderno. Palermo, Sandron, [1915], 1 voi. di pagg. 410 in-8. [Contiene: a) Tre studi che possiamo dire introduttivi : La formazione della coscienza filosofica odierna — Uno sguardo alla filosofia del sec. XIX — I compiti della filosofia nel momento presente. b) Altri tre studi che costituiscono come la parte centrale del volume, la più vasta per il contenuto che abbraccia e per l’esten¬ sione che ha: ! problemi gnoseologici nella filosofia contemporanea — Lo psicologismo nelle sue principali forme — / diritti della Metafisica, nel quale ultimo specialmente sono sottoposti a un rapido e vi¬ goroso esame critico i principali indirizzi della filosofia contem¬ poranea. c) Altri quattro studi su particolari problemi o correnti filoso¬ fiche : Il significato filosofico dell'evoluzione [Filosofia e scienza dei valori — Stillo spiritualismo odierno]. Filosofi del tempo nostro. Firenze, La «Cultura Filosofica» editrice, 1916. [Contiene studi su Paulsen, Hodgson, Ward, Bradley, Reitike, Hartmann, Zeller, Bonatelli]. Psicologia e Filosofìa. Studi e ricerche. Firenze, La « Cultura Filosofica » edi¬ trice, 1918. 2. voi. di pagg. 1000 in-8. [Contiene: a) Alcuni studi di filosofia generale, importantissimi per la comprensione della posizione del De Sarlo nel campo filo¬ sofico, e della concezione dei rapporti tra filosofia e psicologia: Vecchia e nuova Psicologia — La psicologia e le scienze normative — L’esperienza psichica — L’individuo dal punto di vita psicologico — Il soggetto — La causalità psichica — Sensazione e coscienza. b ) Due ampi studi di psicologia metafisica: Il concetto dell'anima nella psicologia contemporanea — Idee metafisiche intorno all’anima c ) Saggi contenenti la materia per un orgànico trattato sulle funzioni psichiche : La classificazione dei fatti psichici — L’attività conoscitiva — L’attività immaginativa Vita affettiva ed attività pratica, con i quali saggi è strettamente connesso un amplissimq studio intorno a Le determinazioni formali della vita psichica, e più particolarmente all'azione dell’esercizio e dell'abitudine su tutte le funzioni fisiologiche e psichiche. (Appartengono a questo gruppo altri saggi minori.- Sulla teoria somatica delle emozioni — Sullo studio dei sentimenti nella psicologia inglese contemporanea - Sulla perce¬ zione delle forme). d) Studi di psicologia fisiologica e patologica: Cervello e at¬ tività psichica — L’attività psichica incosciente — Sulla psicologia della suggestione — Le alterazioni della vita psichica — La psicologia de¬ gli animali]. di essere. E tale, certo, egli si rivela nei suoi scritti, dai più antichi ai più recenti. — Ma, è da aggiungere subito, non è data così la caratteristica più saliente della sua figura di pensatore: sfugge a quella designazione gran parte, e forse la più significativa, della sua opera filosofica; viene, comunque, lasciata cosi nell’ombra quella con¬ cezione della filosofia e del metodo di filosofare che, meglio d’ogni altro elemento, vale a individuare la sua posizione personale nel movimento filosofico italiano contemporaneo. Uno dei suoi primi lavori, anzi il primo veramente organico che l’ulteriore sviluppo del suo pensiero abbia lasciato immune da quelle rielaborazioni più o meno sostanziali cui, come abbiamo già detto, egli ha sottoposto altri suoi scritti di quel tempo, voglio dire il vo¬ lume Metafìsica, Scienza e Moralità, è tutto una riaffermazione dei princìpi fondamentali della dottrina teistica cosi contro il naturalismo come contro l’idealismo assoluto. La concezione di Dio quale Ra¬ gione che si esprime continuamente ed eternamente nel mondo, e non come legge o ordinamento astratto, bensì come soggetto concreto e vivente, è in quel libro svolta e presentata come la sola concezione metafisico-religiosa, che, gravitando sulle esigenze morali più pro¬ fonde della coscienza umana, sulla considerazione del valore assoluto della persona, contenga di queste esigenze il riconoscimento e la giustificazione più piena, e fornisca per ciò stesso il principio di quella sistematica unificazione di tutta la realtà, a cui la mente umana tende per sua natura, e in cui possono essere inverate le partico¬ lari connessioni di frammenti di realtà che le scienze della natura stabiliscono mediante le serie causali dei fenomeni. E tra gli scritti meno antichi, due saggi, dei più elaborati e ricchi d’idee, I diritti della Metafìsica (nel volume « Pensiero Mo¬ derno ») e Idee metafìsiche intorno all’anima (nel II voi. di « Psicolo¬ gia e Filosofia »), giungono, attraverso l’analisi dei concetti di causa e di sostanza, alle medesime conclusioni teistico-spiritualistiche in¬ torno a Dio e all’anima umana. Dio è la Causa prima, la causa che non è effetto, postulata qual condizione essenziale della compren¬ sibilità di qualsiasi fatto particolare in quanto anello di una serie causale: causa la quale non può esser concepita, se non come ana¬ loga alla sola causa vera a noi nota, che è la nostra stessa volontà in quanto libera, in quanto costitutiva d’un cominciamento assoluto; non può quindi esser concepita se non come volere essa stessa, e quindi come causa finale. E Dio è la Sostanza Assoluta. l’Essere nel quale trova compiuto soddisfacimento l’esigenza del pensiero a cui risponde il concetto 126 E. PAOLO LAMANNA di sostanza: che è il concetto di essere che non è in altro nè per altro, ma è essere per sè, condizione e presupposto di ogni altra de¬ terminazione, principio e unità reale di ogni molteplicità. E anche per questo rispetto esso non può venir concepito se non in analo¬ gia con quella che è per noi l’espressione più immediata e genui¬ na della sostanzialità, ossia la coscienza, che è appunto esistenza per sè, l’io che è immediatamente percepito come principio unico di una molteplicità di funzioni e di atti, in cui manifesta la sua realtà. E le sostanze finite possono anche esser considerate come pen¬ sieri di Dio, e quindi come atti di quest’Essere per sè per eccel¬ lenza, purché però l’atto e la funzione di Dio siano intesi come tali che il termine di essi abbia un essere almeno parzialmente indipen¬ dente e sia fornito della capacità di esistere per sè, di spontaneità e di libertà. Appunto queste proprietà degli esseri finiti rileva e illustra il De S. nel tentativo di determinare cosi l’origine come il destino delle anime. L’origine dell’anima la quale implica, per un lato, la produzione di qualcosa di nuovo e, per l’altro, la conformità a un ordine di leggi immutabile, può, secondo il De S., esser posta in rapporto con l’azione divina, purché questa s’intenda appunto come sostrato reale in cui ha il suo sostegno quell’ordinamento di leggi, per il quale, in date condizioni, nuovi fatti accadono o nuovi fini e valori vengono realizzati. E poiché quelPordinamento è eterno, anche delle anime può dirsi che esistono ab aeterno, come princi¬ pi potenziali, i quali aspettano che i destini si maturino per poter divenire attuali. E una volta divenuti attuali, i centri reali di vita e di coscienza sono, secondo il De S-, indistruttibili, appunto in forza del pregio intrinseco che essi posseggono come sostanze: onde l'affermazione dell’immortalità di tutte le anime. * • * 3. — È innegabile, dunque, che del problema metafisico per eccellenza il De S. presenta costantemente una soluzione conforme, nei suoi principii fondamentali, al teismo e spiritualismo tradizionale. Ma bisogna subito aggiungere che nella trattazione di questo pro¬ blema della realtà egli è sempre consapevole del carattere mera¬ mente congetturale di quella soluzione, quantunque questa gli sem¬ bri meno inadatta delle altre a dare dei fatti e della realtà cono¬ scibile una certa quale interpretazione sistematica. Egli non si na¬ sconde mai le oscurità che si oppongono alla piena intelligibilità dell’Assoluto: non dissimula le antinomie tra le quali la ragione umana si dibatte ogni volta che pretende di dare della realtà ul¬ tima una definizione esauriente. E’ troppo persuaso dello scarso va¬ lore dimostrativo che possono avere le analogie in base alle quali noi trasportiamo dal finito all’infinito o estendiamo da una ad al¬ tra sfera di realtà i nostri concetti, perchè si possa credere che egli s’illuda sulla portata effettiva di quelle ipotesi, anche se l’intimo con¬ vincimento suo della preferibilità di quelle ad altre ipotesi dia ta¬ lora alla sua trattazione un tono che può parere alquanto dommatico. Le riserve prudenziali che spesso interrompono la sua trattazione di tali problemi potrebbero anzi indurre a ritenere ch’egli sia in fondo un agnostico in fatto di metafisica: ed egli non disdegnerebbe certo questo epiteto, se per agnosticismo s’intende la persuasione che il mistero dell’universo è e rimarrà ineluttabilmente un mistero per la mente umana. Agnosticismo, che ben si concilia in lui con la fede — questa, si, veramente dommatica nel senso migliore delia parola con la fede sulla validità assoluta dei princìpi razionali, con l’affermazione che nel fondo della realtà è la Ragione : si con¬ cilia, perchè, data appunto l’ind'pendenza relativa delle coscienze finite dall’Essere assoluto di Dio, possono da ognuna di quelle essere colti soltanto frammenti della razionalità in cui questo si rivela co¬ me immanente all'universo. È uno dei caconi della maniera di filosofare del De S. questo, che l’esigenza dell’unità, la quale è essenziale alla ragione e si esprime nel suo grado più alto nella posizione del problema metafisico, non può e non deve essere sodisfatta con l’eliminazione delle differenze che la realtà presenti e la ragione stessa riconosca come irriduci¬ bili, anche se non riesca poi facile o possibile alla mente umana stabilire come questa molteplicità irreduttibile possa esser ricon¬ dotta o comunque messa in relazione con quel principio reale di unità assoluta che è Dio. Cito due esempi caratteristici, relativi al concetto fondamentale di sostanza. Della sostanza, come s’è visto, noi abbiamo, secondo il D. S., una conoscenza immediata nell’apprensione del nostro io, in quanto questo è un essere per sè e si manifesta nei fatti psi¬ chici come in atti suoi, senza esaurirsi in nessuno di essi. Da ciò parrebbe lecito dedurre che il mondo sia costituito di sostanze omogenee, ossia di esseri che siano per sè come unità di coscienza, anche se tra le varie sostanze si debba stabilire una differenza di grado: parrebbe cioè giustificato il monismo spiritualistico. Invece il De S. dedica due saggi ad una critica stringente di questa soluzione del problema metafisico, che pur parrebbe la più conforme ai suoi supposti spiritualistici (// monismo psichico e Sullo spiritualismo odierno, nel volume « Pensiero Moderno »). È vero, egli dice, che tutto ciò che esiste, per il fatto che esiste, agisce in una data maniera, e noi non possiamo rappresentarci codesta attività che facendo uso di nozioni attinte alla nostra esperienza intima, e che quindi in ultimo siamo sempre spinti a identificare l’esistenza con una forma, per quanto attenuata, di psichicità. Ma l’analogia non deve far per¬ dere di vista le profonde differenze esistenti se non altro tra il modo di comportarsi degli obietti e fatti costituenti la natura esterna e quello degli esseri e processi psichici. Anzi, per il De S., a rigore non basterebbe opporre al monismo, sia esso materialistico o immaterialistico, il dualismo : sarebbe più logico parlare di pluralismo senza aggettivi, esprimente una pluralità di energie e di attività tanto differenti tra loro,' che a rigore non possono essere accomu¬ nate nè sotto la rubrica spirito né sotto qualsiasi altra rubrica. Come e perchè esista quel dato numero di principii, cornee perchè esistano quelli e non altri, non è possibile dire: è un fatto che va constatato, e non si può e non si deve spiegare; come vanno indagate, constatate e descritte le varie maniere di agire e reagire reciproca¬ mente di questi vari esseri, ma non si può presumere di spiegare, nel vero senso della parola, come e perchè si stabilisca la con¬ nessione reciproca di tali esseri che sono esistenti per sè, sebbene nelle maniere speciali di agire e reagire essi affermino e rivelino la loro esistenza. Ma vi ha di più: la sostanza vivente e, più in particolare, la sostanza psichica esiste ed agisce in quanto si sviluppa. Ora uno dei saggi più penetranti del De S. (Il significato filosofico dell'evo¬ luzione, nel volume « Il Pensiero moderno ») è dedicato all’analisi del concetto di evoluzione, ed è uno dei più significativi per dimostrare come nella concezione metafisica del De S. si conciliino un tempe¬ rato razionalismo e un prudente agnosticismo. Il concetto di evo¬ luzione, lungi dall’essere — come vuole, ad es., l’hegelismo — un principio esplicativo, e lungi dal dare un’espressione compiuta della realtà ultima, ha bisogno esso stesso di venir reso intelligibile. E l’analisi critica di tal concetto rivela la presenza in esso di vere e proprie contradizioni, che non possono essere eliminate se non considerando lo sviluppo non già come il prius della realtà, ma come qualcosa di accessorio e di secondario. Il processo evolutivo, mentre implica necessariamente il tempo, esige l’illusorietà del tempo; mentre vuol essere creazione, implica già la preesistenza del termine a cui arriva; si può leggere in esso, almeno post factum, la rispon¬ denza a un ordine razionale, ma chi dice razionalità, dice estra- temporaneità. Ogni evoluzione implica dunque qualcosa di assoluto, di perfetto, di stabile, che rappresenta il principio vero dell’evolu¬ zione. Ecco il risultato, positivo, certo, cui conduce l’analisi del concetto di evoluzione: ma è una certezza che fa sorgere nuovi interrogativi: allora, ci si domanda, come e perchè i reali concreti e finiti sono cosi fatti da dover attuare i fini solo mediante il pro¬ cesso evolutivo, come e perchè l’ordine si realizza per gradi e attra¬ verso lo sviluppo? Il che equivale a domandarsi come e perchè esistano esseri finiti che si trovano con l’assoluto in quegli speciali rapporti. E a questi interrogativi non è possibile rispondere: ed ecco come, conclude il De S., l’evoluzione è un aspetto del « my- sterium magnurn » della realtà. Il problema dell’evoluzione reale conduce al problema del tempo, e come questo resulta dalla con¬ nessione del flusso con la permanenza, della successione con la durata, così l’evoluzione poggia sul rapporto del divenire o variare con ciò che è immutabile, permanente e eterno. * * * 4. — Compito df;fa filosofia, dunque, di fronte al problema più propriamente metafisico sembrerebbe essere, per il De S., quello di rendere chiare e in un certo senso acuire e dimostrare insuperabili, piuttosto che superare, le difficoltà che quel problema offre alla mente umana; di illuminare i limiti di essa, piuttosto che additarle un varco alla conoscenza piena dell’Assoluto. Ma non è questo, per il De S., l’unico compito della filosofia: o meglio, per assolvere questo stesso compito, per condurre la mer*e umana appunto a queste posizioni che sono al margine del mistero, a queste che possono dirsi frontiere della conoscenza umana, e per dimostrare che sono frontiere invalicabili, la filosofia deve, secondo il De S., percorrere il dominio stesso che innanzi alla conoscenza si stende, di qua da quelle frontiere: ed è il dominio dell’esperieza nel senso più pieno e più ampio di questa parola. Prima della « Dialettica trascendentale » e quindi prima della Critica della Ra¬ gion pratica con i suoi postulati, vi è e vi deve essere una « Estetica » e una «Analitica», per servirci della terminologia usata da Kant, a designare un atteggiamento di pensiero analogo, per questo rispetto, a quello criticistico, anche se, come vedremo, muova da supposti e segua un. procedimento e giunga a risultati profonda¬ mente diversi. L’attività filosofica del De S. ha avuto sempre, sin dalle sue prime manifestazioni, un’impronta di positività, disdegnosa di ogni audacia speculativa, derivante così dalla tempra del suo spirito come dalla sua educazione scientifica, oltre che dal convincimento del valore nullo di ogni concezione che non sia un portato neces¬ sario della critica della conoscenza positiva e non abbia quindi una larga base empirica. Ma questo convincimento, si può dire, si è venuto in lui sempre più radicando col maturarsi del suo pensiero, sino a divenire il motivo fondamentale sempre più insistente del suo filosofare; sì che con questa designazione appunto di filosofia del¬ l'esperienza egli ama contrassegnare la sua dottrina e il suo metodo, in recisa opposizione alla speculazione idealistica dei neo hegeliani, che si è andata sempre più affermando in Italia. Si direbbe che il diffondersi di quell’antiempirismo dialettico ch’egli considera un vero « contagio » delle menti, l’abbia indotto ad accentuare sempre più la necessità di ricorrere a cautele immunizzatrici, in un contatto sempre più stretto, e più esclusivo, della filosofia col sapere empi¬ rico; di ricondurre la filosofia, come in rifugio sicuro, in quei con¬ fini entro i quali essa possa mantenere il carattere di scienza, es¬ sere, ai pari delle altre scienze, un prodotto dei processi logici comuni della mente umana, anziché l’espressione — mistica o lirica che sia, notevole quanto si voglia per novità e originalità, ma non suscettibile d’una dimostrazione razionale — l’espressione, dicevo, di una coscienza e quasi d’un temperamento individuale traverso il quale la realtà si rifranga. E inaugurando, nello scorso ottobre, l’ultimo Congresso italiano di filosofia a Firenze, giunse alle affer¬ mazioni estreme che le attuali condizioni della cultura filosofica in Italia esigono un più o meno lungo periodo di astinenza dall’alta speculazione, e che non il problema filosofico, quello metafisico intorno alla natura della realtà ultima e assoluta, ina / problemi filosofici particolari, o meglio questi prima e con più fiducia e anzi con più sicurezza di successo che quello, e come condizione per la stessa impostazione non che per ogni tentativo di soluzione di quello, meritano di essere oggetto dell’indagine filosofica. Ma con ciò, si può osservare, non è stato sacrificato proprio quello che è il carattere distintivo del sapere filosofico rispetto alle scienze particolari, e che è appunto la determinazione della relazione dei distinti, il riferimento della molteplicità delle distinzioni a un prin¬ cipio unitario? Il De S. risponde che la filosofia è aspirazione alla unità dell’Essere, senza che perciò il filosofo debba trasformarsi in un allucinato dell’unità. La varietà e la inconciliabilità dei tentativi compiuti nella storia della filosofia per unificare i reali e-le conoscen¬ ze e per dedurre la complessità dei fatti da un unico principio, sta a dimostrare, secondo lui, che all’unificazione si giunge colmando con l’immaginazione le lacune della conoscenza certa e dimostra¬ bile. Gli si può replicare con l’obiezione consueta, che la vanità di quei tentativi risulta dall’aver cercato la unità nell’oggetto invece che nel soggetto, nella natura (o in Dio, che è lo stesso) invece che nello Spirito. Ma il De S. ribatte che anzi appunto attraverso quel riferimento degli oggetti al soggetto conoscente, appunto at¬ traverso quella unificazione, diremmo, metodologica e gnoseologica, di tutto il reale nell’io — che è propria del sapere filosofico —, si rivela la irriducibilità, diremo, ontologica degli oggetti e dei valori. Infatti, per il De S., se da un lato la filosofia non può non scindersi in una molteplicità di discipline, fondate su principii irriducibili (essere e valere, p. es.), dall’altro lato queste hanno ca¬ ratteri comuni, che valgano a fare di esse appunto un unico gruppo, quello delle disciplini; filosofiche. E questi caratteri comuni sono: I) determinazione dei concetti universali, attraverso i quali la realtà può essere razionalizzata; 2) riferimento di tutta la realtà allo spi¬ rito del soggetto, in cui e per cui l’esperienza in ogni sua forma si costituisce. Due caratteri, questi, che sono per il De S. stret¬ tamente uniti e come interdipendenti: perchè le idee universali — ossia le nozioni metafisiche fondamentali — intanto assurgono a quel grado di fecondità per cui rappresentano i mezzi di raziona¬ lizzazione della realtà, in quanto o sono il risultato della giustii.jata estensione a tutta la realtà di concetti che abbiamo direttamente appreso nella coscienza (sostanza, fine, causa), ovvero sono il prodotto della riflessione sui modi in cui la realtà diviene intelli¬ gibile e acquista consistenza nella mente umana. Lo spirito, in quanto termine comune di riferimento di tutti gli elementi e fatti della realtà, viene ad occupare una posizione centrale nel mondo, e la psicologia, come scienza dello spirito, costituisce il terreno di incontro delle diverse discipline filosofiche. Si è detto, la psicologia come scienza dello spirito : e di questa determinazione v’è bisogno per non cadere nei facili equivoci cui può dar luogo la parola psicologia o psicologismo. Già nei 1903, nel suo poderoso volume I dati dell'esperienza psichica, il De S. insisteva sulla profonda differenza esistente tra la psicologia come scienza empirica e la psicologia coinè scienza filosofica. La prima, quale si è venuta costituendo negli ultimi decenni, studia l’anima umana come un « obietto» tra gli altri obietti della natura, ha aspetto e procedimento di una scienza naturale e non mira che alla spiega¬ zione causale dei fenomeni. Per essa la vita psichica è un complesso di « stati » di coscienza: i quali, sì, implicano tutti una certa coscienza dell’io (in maniera che per il De S. non è possibile una psicologia « senz’anima », anche se sia psicologia empirica): ma il soggetto non è còlto, da questa, in funzione, ossia nella sua attività tendente a determinati scopi. Si tratta di una considerazione statico di dati, a cui il concetto di atto è necessariamente estraneo; di una consi¬ derazione che tende a fissare i rapporti condizionali dei vari ordini di stati psichici e a ridurre il complesso al semplice. La psicologia empirica deve quindi limitarsi all’«analisi morfologica» della co¬ scienza, escludente qualunque funzionalità e quindi qualunque dina¬ mismo. Ora « lo spirito — dice il De Sarlo (p. 412) — non è una cosa tra le altre cose, ma è il mezzo di rivelazione della realtà. Come tale lo spirito è universale: universalizza sè stesso nelle sue funzioni ed universalizza per ciò stesso l’obietto a cui è rivolta la sua atti¬ vità ». Ecco perchè lo spirito può considerarsi come in una posizione centrale rispetto a tutte le cose: e la scienza che lo studia, ossia la psicologia come “ fisiologia „ dello spirito, è necessariamente scienza filosofica. Nella considerazione funzionale dello spirito s’im¬ pone il concetto di valore e quindi di fine. Le funzioni dello spirito mercè i loro atti oggettivano i dati e stati soggettivi; perchè sono determinazioni che qualificano, sì, il soggettò, ma lo qualificano in rapporto all’oggetto, e danno quindi luogo a ciò che è universal¬ mente valido, a quelli che sono i valori oggettivi. La verità, il bene, il bello non sono dei dati o dei fatti: sono degl’ideali, sono appunto valori, distinti da ogni altro valore unicamente soggettivo per que¬ sto carattere, che sono forniti di una speciale necessità che è la necessitàdi diritto ben diversa dalla necessità di fatto degli stati psichici. Quest’ultima denota soltanto che uno stato è inevitabilmente determinato, nella sua insorgenza, da certe condizioni, una volta che queste siano date, cioè siano determinate da altre condizioni, e così via; denota cioè che uno stato o un fatto psichico ha sempre la sua ragione d’essere in altro. Ma è indifferente al valore di quello stesso stato o fatto, se per valore s’intende ciò che ha la ragion d’essere in sè e non in altro ossia un valore incondizionato e assoluto, ciò che deve essere anche se le condizioni dell’essere non sussistano e quindi la realtà non sia ad esso adeguata. La necessità psico¬ logica abbraccia indifferentemente nella sua spiegazione così il valore come il disvalore, così il vero, il bello, il bene, come l’errore, il brutto, il male. Una tale distinzione di valore, come distinzione obiet¬ tiva e universale, non si può avere se non mediante il riferimento alle leggi costitutive delle funzioni originarie ed essenziali dello spirito, leggi non meccaniche, superiori anzi al meccanismo psichico, perchè essenzialmente teleologiche, indicanti cioè la maniera in cui quelle funzioni agiscono ogni volta che raggiungono il termine che è costi¬ tutivo della loro natura spirituale, leggi rivelanti la loro natura attra¬ verso una forma di evidenza che è indizio della loro necessità e universalità. Le leggi logiche e gnoseologiche definiscono la natura del pensiero, le leggi etiche quelle della volontà, le leggi estetiche quelle della fantasia. Sono principii o assiomi i quali significano che il pensiero, il volere e la fantasia in tanto meritano veramente questo nome e in tanto raggiungiamo il termine che ad esse è proprio, in quanto si esplicano nel senso indicato da quelle leggi piuttosto che in altro senso. La distinzione tra psicologia empirica, come scienza dell’anima — morfologica, naturalistica e la psicologia come scienza dello spirito — funzionale e filosofica, così nettamente affermata dal De S. nell’opera su citata del 1903, è forse stata successivamente attenuata in altri scritti, nel senso che, a suo giudizio, la conoscenza del meccanismo psichico risulta utile alla determinazione dei modi in cui lo spirito si eleve al di sopra di esso r e reciprocamente la conoscenza dei fini dello spirito è indispensabile per l’apprensione esatta del meccanismo che serve di mezzo al raggiungimento di t'°i. Ma l’attenuazione si riferisce ai rapporti tra le due considerazioni dell’anima e non elimina con ciò la distinzione. E comunque il De S. non ha mai cessato di differenziare net¬ tamente ed energicamente il suo psicologismo da quello naturali¬ stico, che considera i valori dello spirito come « o applicazioni di leggi psicologiche già operative in altre direzioni, ovvero particolari, originarie manifestazioni dell’attività psichica, le quali però attingono il loro significato dall’essere effetti necessari di certe cause psichiche o risultati inevitabili di processi mentali naturali, e non già dal ri¬ spondere a certi fini od esigenze valide anche se non mai realiz¬ zate». Si leggano specialmente, in proposito, i saggi Lo psicologismo nelle sue principali forme (nel voi. < Pensiero Moderno »), Vecchia e nuova psicologia, La psicologia e le scienze normative, e La clas¬ sificazione dei fatti psichici (nel I voi. di « Psicologia e Filosofia »). 134 E. PAOLO LAMANNA * * * 6. — Lo psicologismo del De S. non è dunque naturalismo, ma non è neppure immanentismo: offre anzi a lui il mezzo per affermare e dimostrare, contro ogni forma d’idealismo immanentistico, il suo realismo gnoseologico. Se nella determinazione di ciò che è l’essere e, in genere, di ciò che è oggetto di conoscenza, il De S. ritiene di dovere attenersi ai criteri generali su esposti del suo psicologismo, non è già perchè egli ritenga che la psiche e i processi psichici costituiscano la stessa realtà, anzi lo stesso essere, ma è solo in considerazione delle pre¬ rogative che, in ordine alla conoscenza, sono proprie dell’esperienza psichica di fronte ad ogni altra forma di esperienza. E queste pre¬ rogative sono due: 1) innanzi tutto la così detta esperienza estèrna si rivela e acquista consistenza sempre attraverso l'interna, perchè ciò che è direttamente percepito, anche in quelli che sono comune¬ mente detti oggetti esterni, è sempre il contenuto d’un atto psichico; l’esperienza interna presenta la nota dell’evidenza (evidenza di fatto) derivante dalla coincidenza del percepire col percepito; e perciò l’esperienza psichica rappresenta il vero fondamento per la consta¬ tazione di qualunque esistenza reale, e quindi di ogni sapere em¬ pirico. 2) In secondo luogo, l’esperienza psichica è il solo tra¬ mite attraverso il quale tutto ciò che è (reale o pensabile che sia), l’essere in generale ci si può rivelare. L’io distinguendosi da tutta la realtà traspare a sè medesimo, e insieme tutta la realtà diviene trasparente attraverso di esso. Nulla esiste che sia propriamente nell’io, tranne l’io stesso, e insieme, in un certo senso, nulla di cui si può discorrere esiste al di fuori dell’io, perchè la cosa, per essere affermata e riconosciuta, deve in qualche maniera esser presente alla coscienza. In questo consiste ciò che si può chiamare funzione rappresentativa della mente. Ma proprio da questo carattere essenziale alla mente il De S. deriva la necessità di affermare la trascendenza dell’oggetto rispetto alla mente che lo afferma e lo pone. Noi, egli dice, arriviamo, è vero, al concetto di essere e di obietto solo mediante la riflessione sull’atto di riconoscimento: ma questo in tanto è tale, in quanto è provocato da qualcosa di diverso da sè. La mente, non contenendo la realtà come tale, nè identificandosi con essa, non può giungervi se non attraverso qualcosa che rappresenti o sostituisca la realtà medesima. Le rappresentazioni mentali forniscono i segni in base a cui l’intelletto costituisce la realtà. La realtà, si può anche dire IL REALISMO PS1COLOOISTICO 135 che sia « percipi « e « intelligi », purché con ciò non si voglia signi¬ ficare che l’essere si esaurisca nel fatto di essere percepito e inteso, ma solo che non si ha modo di definire quest’essere prescindendo dalle sue rivelazioni nella coscienza individuale. La conoscenza vale sempre per altro, si riferisce sempre ad altro. Non che si tratti di una specie di corrispondenza tra l’obietto trascendente e la rappresentazione mentale — come grossolanamente si ritiene da molti critici di tale concezione —, quasi fosse am¬ missibile un’apprensione dell’oggetto qual’è in sé al di fuori della coscienza e quindi un confronto tra la Cosa e 1 idea- L affermazione della trascendenza è imposta dal bisogno di dare un senso alla funzione conoscitiva qual’è còlta in atto, al fatto conoscitivo nel suo significato e nell’intendimento che lo anima. Certo, per il De S., non si deve con Jiò pregiudicare la soluzione del problema metafisico della costituzioile intima della realtà ultima. La metafisica può anche giungere alla conclusione che la realtà, divelta da qualsiasi rapporto con la coscienza, è un non senso, che tutto ciò che esiste, esiste in quanto è connesso con una coscienza. Ma questo rapporto metafisico non può essere identificato col rap¬ porto gnoseologico tra obbietto e coscienza in quanto conoscente. La coscienza nel riferimento alla quale può farsi consistere la realtà di tutto ciò che è, non è certo la coscienza individuale del soggetto che conosce questa realtà e la conosce riferendola a sé come altro da sè: anche quando si sia ridotta metafisicamente la realtà a coscienza, tale coscienza rispetto al soggetto conoscente, a questo o quel soggetto, è sempre un reale, un oggetto, è sempre appresa da esso come altro da sè. Il quale ultimo punto non potrebbe essere negato se ì.'in di¬ mostrando che la distinzione delle singole coscienze è illusoria e che i rapporti tra gli obietti costituenti l’universo sono identici ai rapporti tra i fatti psichici di ciascuno. Questa dimostrazione, per il De S., non può essere data: e ne vedremo il perchè, tra poco, a pro¬ posito della natura del soggetto come reale. E, comunque, allo stesso modo che la soluzione del problema gnoseologico non deve acco¬ gliersi come tale da contenere o assorbire in sè la soluzione del pro¬ blema metafisico, cosi questa — che, d’altronde, può essere solo punto d’arrivo dell’indagine filosofica, e irta, come s’è già detto, di difficoltà e oscurità d’c^ni sorta —, non può e non deve pre¬ giudicare la soluzione del problema gnoseologico, sino a eliminare ciò che è costitutivo del fatto della conoscenza, la dualità di sog¬ getto e oggetto. L’esperienza psichica — l’abbiamo già detto — è, per il De S., costituita di atti : e perciò anche il pensiero è atto. Ma chi dice atto, dice qualcosa che accade nel tempo, qualcosa che sorge e si dilegua in un determinato punto della durata. E allora, secondo il De S., non si può sfuggire a questo quesito: se tutta l’esperienza psichica si risolve in un complesso di atti e se in conseguenza tutto ciò che può essere conosciuto non lo può che attraverso atti, come é possibile arrivare al concetto di ciò che non è atto, al concetto, poniamo, di una relazione universale e necessaria tra idee, com'è possibile arrivare al concetto del mondo della pensabilità, che esclude qualsiasi elemento di efficienza, di azione reale, e che non è nel tempo? Appunto per rispondere a questo quesito, occorre negare l’immanenza o l’inclusione dell’oggetto nell’atto psichico cor¬ rispondente. Mentre vi sono contenuti di coscienza i quali si mol¬ tiplicano come si moltiplicano i centri di coscienza, ve ne sono altri che, pur essendo in speciale rapporto con i primi, rimangono unici e anzi non sono concepibili che come unici. E anche quando agli obietti in quanto parvenze non è attribui¬ bile nessuna consistenza reale, non è lecito affermare che essi si identifichino con gli atti stessi, giacché anche in tali casi è sempre necessario presupporre ddle condizioni indipendenti atte a provo¬ care l’esplicazione dell’attività psichica riconosciuta poi come illusoria. L’esistenza di siffatte condizioni è un presupposto ineliminabile : o l’attività psichica ch’esse hanno provocata è adeguata alle condi¬ zioni medesime, e allora si è autorizzati a identificarle con obietti reali, aventi un’esistenza indipendente; o tale esplicazione è ina¬ deguata, e allora s’impone la necessità di ricercare quale forma di realtà e di esistenza possa essere attribuita a quelle condizioni. * * * 7. — Ma come si può decidere se vi sia o no adeguazione del¬ l’atto all’oggetto? Qui il De S. insiste sulla distinzione tra i due ordini di oggetti conoscibili: gli obietti concreti e individuali (con le loro qualità) da una parte, e gli elementi ideali o intelligibili, dall’altra. L’esistenza è fornita sempre dall’esperienza: o è dato sensoriale, o è dato della coscienza, e non può non occupare tempo ; l’intelligibile, invece, è sempre formulabile per mezzo di un rapporto o di un complesso di rapporti, ed è estraneo alle vicende del tempo. E il fondamento della cognizione, in rapporto a questi due ordini di obietti, è da un lato la percezione dei fatti psichici e di ciò che è relativo ad essi, e dall’altro la conoscenza di certi principii e assiomi costituenti come l’ossatura della ragione; da un lato, cioè, l’evidenza di fatto, fornita, come si è già accennato, dalla di¬ retta esperienza che abbiamo di noi stessi, e, dall’altro, la necessità razionale, qual’è còlta nei principii logici. Questa distinzipne, però, non è da intendere, secondo il De S., nel senso che l’apprensione dell’esistente e della sua qualità possa farsi indipendentemente dal pensiero logico. Il fatto individuale non è caratterizzabile che mediante nozioni universali; e 1 intelligibile, se può essere considerato per sè (astratto) solo per opera della mente, è tanto intimamente connesso (consubstanziale) con resistente, col puro fatto, che questo non può formare oggetto di conoscenza se non per ciò che contiene di inttj ligibile. È il pensiero che deve in certo modo investire di sè i dati'dell’esperienza psichica per og- gettivarli affermandoli, facendone cioè termini di atti giudicativi, e trasformarli così in reali conosciuti. Più in particolare, è il pensiero che fa di quella sfera dell’espe¬ rienza psichica che è la sensibilità, il tramite di una realtà trascen¬ dente la coscienza, e fa delle qualità sensoriali non soltanto contenuti psichici — aventi la realtà stessa di altri contenuti psichici, come sentimenti, volizioni ecc., aventi cioè resistenza che è propria degli stati o atti di quel prototipo di realtà individuale che è l’io —, ma fenomeni d’una realtà trascendente. Il pensiero pone e risolve il problema della realtà di un correlato obiettivo delle q alità senso¬ riali, in quanto da un Iato queste non sono meri contenuti di co¬ scienza o creazione del soggetto — come dimostrano la coerenza e permanenza che presenta l’esperienza sensibile e le variazioni a cui questa può andar soggetta indipendentemente da qualsiasi rap¬ porto con la coscienza individuale — ; e dall’altro lato non sono cose in sè — come dimostra la loro relatività alle condizioni subiet¬ tive, per cui è impossibile dire chiaramente in che cosa consistano, per sè prese. D’onde risulta che esse hanno una forma di esistenza speciale che è appunto l’essere proprio dei fenomeni. Ora questo correlato obiettivo delle qualità sensoriali può essere raggiunto solo per opera del pensiero e non è determinabile nei suoi tratti essen¬ ziali che in base ai principii razionali. Il pensiero rappresenta, pertanto, il solo mezzo per distinguere l’apparenza dalla realtà, anzi il solo mezzo per attribuire un signi¬ ficato a tale distinzione. Le parvenze sensoriali, i puri fenomeni e le forme intuitive dello spazio e del tempo non possono non essere constatati, e quindi come pseudo-esistenze, non possono non 138 E PAOLO LAMANNA divenire obietti di conoscenze immediate, nella forma di giudizi percettivi (pensiero tetico, immediato, concreto). E quando i dati così affermati si trovino in contrasto col sistema delle conoscenze or¬ ganizzate intorno ai principii razionali, il pensiero medesimo è chia¬ mato a decidere in ultima istanza su ciò che va affermato come reale e ciò che va riguardato come apparenza, è chiamato a decidere in¬ torno all’obbiettivo e al subbiettivo. Se già l’esistenza come tale esige, secondo il De S., l’intervento del pensiero logico, s’intende che anche l’essenza del reale non possa, e con più forte ragione, esser determinata che dal pensiero. Essa consiste in relazioni, nelle quali la mente traduce ciò che dapprima è soltanto sperimentato e vissuto (somiglianza e differenza, nesso di dipendenza, rapporti quantitativi, rapporti di azione e passione, rapporti spaziali e temporali atti a fornire le coordinate per l’indi¬ viduazione). L’intelligibile, distrigato dal reale per mezzo dei processi intellettivi, finisce per assumere l’ufficio di segno rispetto a ciò che è posto come indipendente dal soggetto e come sussistente. E il progressivo sviluppo della conoscenza è determinato dal bisogno di fissare ciò che nella realtà vi ha di conforme alla ragione e quindi di assimilabile da essa mediante la traduzione della realtà stessa in rapporti razionali. La credenza che l’obietto sia sempre risolubile in elementi intellettuali è il presupposto e anzi l’anima di qualsiasi conoscenza. La realtà esistente, dunque, non può essere posta che dal pen¬ siero in quanto giudizio tetico; e non può essere conosciuta nella sua struttura se non nella misura in cui il pensiero la traduce in un complesso di rapporti intelligibili. Ma — e con ciò il De Sarlo riafferma il carattere nettamente realistico del suo razionalismo — i termini di questi rapporti e il contenuto di quelle « tesi » non sono risolvibili in pensiero.Vi è sempre distinzione, secondo il De S., tra lo sperimentare e il pensare, nel senso che quello non è derivabile da questo, anche se non possa divenire sperimentare «obiettivo », e quindi conoscere, che per mezzo dell’attività del pensiero; vi è distinzione tra il pensiero come oggetto di conoscenza, come pensa¬ bile o pensato, e il pensiero come attività d’un soggetto, volta a raggiungere la verità — sia questa un dato di fatto o un’i¬ dea —, come pensiero pensante. È questa la natura dei rapporti, il cui complesso costituisce la pensabilità del reale: da un lato essi sono il risultato di atti (riferi¬ mento) compiuti dal soggetto, sì che, come tali, parrebbero immanenti a una mente e quindi il prodotto di un soggetto. Ma dall’altra parte IL REALISMO PSICOLOGISTICO 139 non sono posti arbitrariamente; sono, più che suggeriti, imposti da esigenze obiettive. Nè l’inlelligibiiità dei rapporti viene ad essere facilitata dal riferimento di essi ad una Mente universale. Con ciò i rapporti vengono consideratifcome creazione arbitraria di tale Mente ? E allora ogni analogia di questa con la mente umana verrebbe ad essere cancellata, e il ricorso ad essa diverrebbe inutile allo scopo. Vengono, invece, i rapporti considerati come espressione di una neces¬ sità intrinseca alla natura delle cose? E allora la Mente universale non è che il nome per esprimere la coerenza logica, l'intelligibilità nel suo aspetto obiettivo; i»/telligibilità che può condurre la mente ad ammettere un’Intelligenz.l! assoluta, senza che però questa sia assunta a principio esplicativo della razionalità: la razionalità vale per sè, indipendentemente dall’essere insidente in una mente. Quel che noi possiamo dire, conclude in proposito il De S. t è che i rap¬ porti, quali possono essere studiati dall’intelletto finito individuale, suppongono obietti (termini) nella cui proprietà hanno il loro fonda¬ mento, e che le relazioni, realizzate in questa o quella coscienza mediante gli atti di riferimento, sono il riflesso delle relazioni obiettive. * * * 8. — Il problema gnoseologico, s’è visto, non può, secondo il De S., essere convenientemente trattato se non quando si tenga pre¬ sente che il soggetto a cui, nel fatto conoscitiva, vien riferito l’oggetto, è il soggetto individuale; e la soluzione réalistica ch’egli ha dato al problema potrebbe essere compromessa esclusivamente nel caso che si fosse riusciti a dimostrare, in sede metafisica, non solo che la realtà non può esser resa intelligibile che quando sia considerata come il pensiero di una Mente Universale, ma anche che la distin¬ zione delle coscienze individuali tra loro e dalla Mente Universale sia illusoria. La dimostrazione di questo secondo punto è per il De S. impossibile. Intanto l’aver riconosciuto che l’esperienza psichica è costituita essenzialmente di atti, non significa per il De S. affermare che il soggetto dell’esperienza psichica si risolve in null’altro che in un complesso di atti. È il concetto e l’esperienza stessa di atto che rinvia per necessità al concetto di soggetto come di un reale distinto da ogni altro reale e quindi da ogni altro soggetto. Certo, non è possibile determinare la natura del soggetto (unità reale) senza rife¬ rirsi agli atti ch’esso compie: ma alla variabilità degli atti non cor¬ risponde la variabilità dell’unità del soggetto. L’individuo non può non aver coscienza di essere in rapporto con altro da sè per mezzo di atti da sè stesso compiuti; ma se esso non distinguesse sè (come principio degii atti) dagli atti stessi, e questi dagli obietti a cui gli atti sono rivolti, non potrebbe parlare di atti suoi numericamente distinti da quelli degli altri individui. Inoltre il soggetto si fa, si crea con i suoi atti, ma perchè possa farsi e crearsi, occorre che vi sia un principio reale, un dato iniziale e quindi qualcosa di già fatto. La creazione non è ex nihilo; e la stessa potenzialità o capa¬ cità è concepibile soltanto come inerente a qualcosa di attuale, come funzione possibile di un essere. Non può, dunque, la coscienza essere ridotta al mero complesso degli atti e fatti psichici. Ma non può neppure, d’altra parte, — so¬ stiene il De S., confutando in svariatissime occasioni la tesi idea¬ listica —, non può neppure essere ridotta a una mera equazione di pensante e pensato, alla pura relazione formale d’identità tra cono¬ scente e conosciuto. L’idealismo afferma che la suicoscienza è il grado supremo dell’evoluzione d’un principio ideale, d’una legge, d’un universale; quello in cui la realtà, che negli stadi inferiori si presenta come scissa dall’idea, come essere distinto dal pensiero, come oggetto opposto al soggetto, rivela invece la sua più intima natura, che è appunto unità e identità di soggettivo e di oggettivo, di pensante e di pensato, di essere e di pensiero. Quest’affermazione è per il De S. risultato d’una confusione deri¬ vante dal significato equivoco della parola coscienza. Quando si parla di coscienza e di suicoscienza, egli dice, bisogna distinguere tra la suicoscienza vera e propria, fondata sulla capacità che ha l’io di ripiegarsi su se stesso e di percepire il complesso dei fatti psichici come incentrantisi in un punto; e la coscienza, in senso largo, come espressione dello speciale rapporto che può esistere tra l’oggetto e l’io come conoscente. Quanto alla prima, l’equazione di pensiero e di pensato non è che l’espressione, in termini intel¬ lettuali, d’una esperienza vissuta sui generis, di un fatto che può essere indicato ma non definito, perchè per sè preso oltrepassa il pensiero, e non può assumere carattere di necessità razionale. E quanto alla seconda, la identificazione dei due termini del rapporto conoscitivo non può ottenersi se non sostituendo all’io empirico il cosi detto io universale o coscienza in generale o io trascendentale. Ma osserva il De S., o con ciò s’intende quello che è comune alle menti individuali ; e allora non si vede come si possa distinguere il soggettivo psicologico dal soggettivo gnoseologico. 0 s’intende qualcosa che vale indipendentemente da questa o quella coscienza IL REALISMO PSICOLOGISTICO 141 empirica, che esprime il modo come lo spirito deve operare perchè sia veramente tale, le esigenze dell’intelligibilità significanti veri e propri compiti impditi da ciò che è indipendente dal soggetto; e allora non v’è più ragione di parlare di io, di soggetto, quando la soggettività si è identificata/con la razionalità, con l’intelligibilità, che è anzi l 'oggetto della conoscenza e del pensiero pensante. Ma da tale concezione della coscienza come di categoria delle categorie, questo solo, secondo il De S., si ricava, che la realtà in tanto può essere conosciuta ed essere compenetrata dal pensiero, in quanto è concepita essa tessa come implicante pensiero. Il che poi significa che la realtà è fcosì fatta da imporre certe esigenze alla mente individuale, ossia che nell’obietto vi è qualcosa atto a provocare il riconoscimento. Ma il passaggio dalla intelligibilità in quanto esigenza del riconoscimento da parte del soggetto, alla ridu¬ zione della realtà a un processo di autocoscienza, all’affermazione che nella realtà stessa non si trovi niente di più di ciò che è in noi stessi quando giungiamo a identificarci e a riconoscerci, non è affatto giustificato. L’autocoscienza, piuttosto, è già nel fondo della realtà, indipendentemente da noi: non è dunque l’autocoscienza, quale si presenta negli individui singoli, l’espressione genuina e compiuta della realtà. Nè vale ammettere l’autocoscienza come potenzialmente esistente ab aeterno e attuantesi poi negli individui: si riaffaccia allora quella suprema difficoltà contro cui, come già si è accennato, urta sempre il pensiero umano, la difficoltà d’intendereA:ome da ciò che è pura¬ mente pensabile, ideale, estratemporaneo, uno, si passi a ciò che è reale, attuale, temporaneo, contingente, diverso, mutevole. Non è pos¬ sibile considerare soggetti molteplici che sono nel tempo e hanno uno sviluppo e sono direttamente impenetrabili e incomunicabili, come determinazioni, differenziazioni o sezioni dell’Uno, sol perchè essi hanno il potere di superarci limiti del tempo idealmente e di elevarsi al mondo della pura razionalità. E una riprova di questo è l’esistenza dell’errore logico, etico, estetico che dimostra, come già si è visto, la possibilità d’una discrepanza fra le funzioni psichiche e le categorie o principii ideali, di qualunque ordine siano, tra la necessità psico¬ logica e quella deontologica. Questa distinzione tra la necessità di fatto e la necessità di diritto, tra ciò che è ed è per opera di un soggetto reale e quel che dovrebbe essere in virtù di principii razionali, è il presupposto da cui, è naturale, muove più particolarmente il De S., nelle sue indagini di etica (per cui v. specialmente VAttività pratica e la co¬ scienza morate e i Principii di scienza etica). Per lui tutta la vita morale ha il suo fondamento in certi prin¬ cipii valutativi che si rivelano alla coscienza come forniti d’evidenza immediata analoga a quella logica: veri e propri assiomi morali, la cui azione pervade le particolari contingenze della vita pratica. Compiti dell’Etica sono perciò questi: a) determinare la natura del- Vevidenza pratica (necessità e universalità) e- il contenuto di queste condizioni essenziali nella vita morale (e per il De S. tali principii si riducono a quelli della dignità e della perfezione personale, della giustizia e della benevolenza); — b) porre in luce lo svolgimento storico di tali principii, in quanto, pur essendo stati sempre ope¬ rativi, hanno dispiegato variamente la loro efficacia in relazione con il variare delle condizioni della civiltà; — c) considerare tutte le istituzioni — per qualunque via primamente sorte — alla luce degl’ideali etici, come organi dell’attuazione di essi. II De S., nella trattazione di questi problemi, afferma l’autonomia dello spirito nel senso che il soggetto è tratto dalla sua stessa natura a dare l’assenti¬ mento a principii superiori al suo io empirico. Egli quindi ammette una forma di esperienza morale specifica e distinta da ogni altra forma di esperienza spirituale, scientifica, este¬ tica, religiosa ecc. La specificità di questa esperienza è la condizione che rende possibile una scienza etica: della quale egli insiste nel rivendicare l’autonomia e la priorità rispetto a qualsiasi concezione propriamente metafisica. La Metafisica ha nell’etica una delle sue basi più solide — e a tal principio è ispirato, come abbiamo visto, tutto il volume del De Sarlo "Metafisica, Scienza e Moralità „ — ; ma nessuna teoria morale può, secondo lui, essere costruita alla luce di una determinata concezione generale dell’universo, piuttosto che sulla base dell’analisi dell’esperienza morale. * * 10. — Come si vede, di fronte al problema etico il De S. man¬ tiene fermo quello stesso atteggiamento — che abbiamo più par¬ ticolarmente illustrato a proposito del problema gnoseologico — di stretta aderenza all’esperienza, come tramite traverso il quale sol¬ tanto ci si rivela nella sua efficienza e nella pienezza del suo con¬ tenuto ciò è che universale e razionalmente necessario. A coloro che trovassero troppo modesto il compito cosi assegnato alla filosofia, il De S opporrebbe volentieri le parole che Kant scrisse al¬ l’indirizzo dei «metafisici» del suo tempo: «Il nostro disegno può mirare a costruire una torre alta fino al cielo: ma il materiale è appena sufficiente per una casa, spaziosa tuttavia abbastanza per le occupazioni nostre sul piano dell’esperienza e alta a sufficienza per abbracciare questa d’uno sguardo ». E comunque « le alte torri e i grandi metafisici simili ad esse, intorno a cui (sia le une che gli altri) generalmente spira molto vento, non sono fatti Der me. Il mio posto è la feconda bassura dell’esperienza » * * * 11. — Dalla scuola del De Sarlo uscì nel 1903 ANTONIO A. (n. a Palermo nel 1881, ora già da alcuni anni professore di filosofia nell’Università di Napoli). Iniziò la sua attività di studioso con un volume, assai apprezzato anche all’estero, su la Misura in psi¬ cologia sperimentale, (Firenze, « Pubblicazioni del R. Istituto di Studi Superiori », 1905). Nel campo più specificamente filosofico si affermò, oltre che con lavori minori e con l’attivissima sua collaborazione alla «Cultura Filosofica» del De Sarlo, col libro: La reazione idea¬ listica contro la scienza (Palermo, 1912), che è una bella battaglia in difesa del valore della scienza contro tutte le forme d’intuizionismo, di prammatismo e d’idealismo assoluto, che tendono a svalutare i concetti scientifici. Il motivo centrale di questa opera è che i con¬ cetti della scienza non sonò un impoverimento della realtà, ma un arricchimento del mondo dell’intuizione. Il concetto, infatti, non è nello schema convenzionale che serve a comunicarlo praticamente, e che per se stesso non ha certamente valore di realtà, ma nella sintesi di esperienze concrete che attraverso quello schema si rea¬ lizza e nella quale l’intuizione si eleva ad una superiore potenza, inquadrandosi in un contesto più largo di relazioni, completandosi con altre intuizioni che sfuggono alla veduta dell’attimo fuggitivo e ai nostri sensi limitati. Questo modo d’intendere il concetto scientifico, come processo d’integrazione dell’esperienza, che non sostituisce l’intuizione e non può mettersi al suo posto, ma la completa ed arricchisce, già fin dal 1905, nelle sue prime discussioni col Croce, — ora raccolte nel vo¬ lume L’estetica del Croce e la crisi dell’idealismo moderno, Napoli 1917 — l’Aliotta aveva contrapposto alia teoria dello pseudocon¬ cetto, con la quale il Croce innestava nel ne^hegelianismo la dot¬ trina del Mach intorno al valore puramente pratico ed economico 144 E. PAOLO LAMANNA dei concetti- E questo motivo di rivendicazione del valore teore¬ tico della scienza è il nucleo che è rimasto costante nel pensiero dell’Aliotta anche quando dal teismo delle sue prime Linee d’una con¬ cezione spiritualistica del mondo (« La Cultura filosofica » 1913) — com¬ parse poi come conclusioni della traduzione inglese del suo libro La reazione idealistica contro la scienza (The Idealistic Reaclion against Science, London, 1917) — egli è passato attraverso la crisi della guerra mondiale a una concezione pluralistica del mondo. Questa seconda fase del suo pensiero, che comincia col libro La guerra eterna e il dramma dell’esistenza (Napoli, 1917) e si sviluppa e completa per la parte gnoseologica nei saggi La teoria di Einstein e le mutevoli prospettive del mondo (Palermo 1922), Re¬ lativismo e Idealismo (Napoli 1922), Il problema di Dio e il nuovo pluralismo (Città di Castello, 1924), è caratterizzata da un radicale sperimentalismo, il quale però sia per i principi! da cui muove e le conclusioni a cui arriva, sia specialmente per gli arditi procedimenti che segue, si allontana di parecchio dallo sperimentalismo del De Sarto, come sarà facile scorgere dalla breve esposizione che segue. La realtà, per l’A., è l’atto stesso di esperienza che ha due aspetti, distinti, ma sempre uniti, il soggettivo e l’oggettivo. Non posso aver coscienza di me senza distinguermi dal mondo e dalle altre persone: l’affermazione della mia individualità implica dunque l’affermazione degli altri individui e del mondo, da cui mi distinguo. Non ha sen¬ so parlare d’un soggetto in sè o d'un oggetto in sè, nè di soggetti come monadi solitarie fuori di questa relazione. L’io e il mondo e le varie anime non esistono che nella sintesi concreta dell’esperien¬ za, come momenti, distinguibili, ma inseparabili, del suo processo. Questa sintesi è, per l’A., l’unicovivente modello a immagine del quale possiamo costruire le altre attività reali che non ci son date all’intuizione immediatamente. E l’atto di esperienza col suo processo di unificazione e distinzione del soggettivo e dell’oggettivo, come dell’individuo e delle altre persone, col suo ritmo di concreta du¬ rata e la sua intuizione dello spazio concreto, è l’unica forma a priori, soggettiva ed oggettiva insieme. Le forme della nostra conoscenza, dunque, non sono pure apparenze; bensì le forme stesse della realtà che si svolge, essendo questa appunto il concreto processo dell’e¬ sperienza. Questo processo, per l’A., è inesauribile; non ha nè principio, nè fine. Non ha senso domandarsi donde sia derivata la esperienza. Ed è originaria la forma della sua distinzione nella pluralità degli individui; pluralità che non esclude, come abbiamo già detto, la IL REALISMO PSICOLOGISTICO concreta unità dell’esperienza, perchè nell’atto stesso in cui si coglie la distinzione, si coglie insieme indissolubilmente l’unità dei termini distinti. I soggetti d’esperienza son dunque originarli e imperituri nella loro eterna correlazione. Possono da una forma oscura di vita elevarsi a una forma più consapevole e chiara, o dalla luce della coscienza discendere nella penombra, ma non si estinguono mai, non cessano di essere e di agire come spontanee energie motrici del processo della realtà. Queste attività non sono originariamente coordinate al raggiungi¬ mento d’un fine, allo svolgimento di un piano razionale che si at- turi nella storia del mondo. La materia corrisponde alla fase in cui esse si urtano disordinatamente in continui conflitti, dirigendosi a caso per la loro spontaneità in tutte le direzioni. Statisticamente ne ri¬ sultano medie costanti di azioni complessive delle masse; onde l’apparente inerzia e uniformità della materia. La vita dalle sue forme più semplici alle più complesse è il coordinarsi di quella attività a un fine comune, che si raggiunge provando e riprovando attraverso secolari esperimenti nell’evoluzione biologica e sociale. E l’armonia del mondo non è mai completa, ma si va ancora rea¬ lizzando attraverso le più alte funzioni dello spirito: l’arte, la scienza, la religione e la filosofia, che sono tutte forme diverse per le quali la vita dell’individuo si integra progressivamente con la vita degli altri. E le sintesi più alte si raggiungono sempre con l’esperimento: non c’è nessuna teoria e nessun sistema che possa pretendere una giustificazione a priori: la dialettica è arbitraria e infeconda. Agli abusi logici dei neo-hegeliani l’Aliotta contrappone l’assoluto spe¬ rimentalismo della sua dottrina della verità. Il vero non è nella corrispondenza a un modello oggettivo, sussistente in sè; ma non è neppure nel processo puramente dialettico del pensiero. Una teoria è vera se le azioni da essa suggerite riescono a realizzare un su¬ periore accordo delle nostre attività umane e delle altre innumere¬ voli energie operanti nel mondo. E questo criterio non vale soltanto per le teorie scientifiche, ma anche per i sistemi religiosi e filoso¬ fici che debbono sottoporsi anch’essi all’esperimento storico. Non vi sono categorie immutabili e definitive, nè nel mondo della natura nè in quello dello spirito. Tutte le forme di sistemazione sono prov¬ visorie e relative. Non c’è una verità assoluta, ma gradi diversi di verità e realtà, secondo che realizzano forme più complete e inte¬ grali di vita d’esperienza. L’errore, il falso non è quindi neppur esso tale in senso asso- E. PAOLO LAMANNA luto; ma è una visione parziale, frammentaria, unilaterale rispetto a una veduta più alta e più comprensiva. Tutte le intuizioni indi¬ viduali, tutte le varie prospettive sono vere e reali, ciascuna dal suo punto di vista; ma è più vera e reale quella che riesce a coor¬ dinarle in una visione più completa da un punto di vista più alto. E questo non esclude e cancella i punti di vista inferiori, ma in sè li comprende integrandoli; dimodoché il progresso verso i più alti gradi di verità è insieme un elevarsi a una maggiore ricchezza di vita. Nel nostro pensiero è la realtà stessa che si tormenta nello sforzo di attingere una superiore armonia. 12. — Giovanni calò (n. a Francavilla Fontana, in prov. di Lecce, nel 1882) è professore di pedagogia nell’Istituto di Studi Supe¬ riori di Firenze. Rivolse la sua attenzione dapprima ai problemi mo¬ rali, ma con preferenza a quelli che più direttamente si connettono a problemi filosofici d’ordine generale e metafisico. Il suo primo lavoro importante, infatti, è quello intorno al Problema della libertà nel pensiero contemporaneo (Palermo, Sandron), che contiene un’a¬ nalisi molto penetrante e un’ampia e sottile critica del contingen¬ tismo e del prammatismo e di altre correnti contemporanee come il neo-criticismo renouvieriano; e giunge all’affermazione del potere di libertà come attitudine propria dello spirito individuale, presup¬ posto indispensabile della libertà etica; attitudine che si confonde con la stessa proprietà della coscienza di porsi come un io, cioè come centro assoluto indeducibile e irreducibiie d’ordinamento della realtà psichica e insieme d’energia produttrice di fatti. Altri lavori ha dedicato il Calò a esaminare particolari tendenze dell’etica moderna, come quello su l’ Individualismo etico nel sec. XIX, premiato dall’Accademia Reale di Napoli, un quadro vasto e vivace delle varie forme d’individualismo affermatesi non soltanto nella filosofia ma anche nella letteratura del secolo scorso. Di fronte ad esse il C., mentre afferma l’obiettività e universalità dei valori mo¬ rali, riconosce insieme che questi non hanno esistenza concreta nè azione effettiva se non nella sintesi vivente della personalità, che è per ciò da porre come il valore etico supremo, come la sola realtà fornita d’intrinseco valore morale. Queste idee che, nei due citati lavori, costituiscono la conclu¬ sione o i principii ispiratori dell’esame critico di svariati indirizzi dell’etica contemporanea, furono poi sviluppate e sistemate, in forma IL REALISMO PSICOLOGIST1CO di trattazione teorica della coscienza morale, nel volume Principii di Scienza etica (Palermo, Sandron 1907), preparato insieme col De Sarlo e scritto dal C. In esso si illustra la specificità e l’immedia¬ tezza dell’esperienza morale attraverso la quale si rivelano i prin¬ cipii etici fondamentali, contro tutte le teorie che vogliono ridurre la necessità ideale a necessità d’altro genere — al che il C. ha de¬ dicato anche altri scritti minori, tra cui notevole il saggio su L’in- terpretàzione psicologica dei concetti etici (in « Atti del V Congresso Internazionale di psicologia » Roma 1906) — . Vi sono inoltre definiti nel loro contenuto gli oggetti-fini dell’attività umana, il cui va- ìore intrinseco è connaturato all’esperienza etica. Ed è dato infine particolare sviluppo all’evoluzione storica dei principii morali, la quale si fa consistere dal C. — come, l’abbiamo visto, dal De S. — nel successivo chiarirsi e purificarsi di quei principii da elementi extramorali o paramorali; nella loro più rigorosa e coerente espli¬ cazione, resa possibile dallo sviluppo, oltre che della sensibilità e della discriminazione etica, della cultura e del pensiero ; nella suc¬ cessiva soluzione dei conflitti nei quali essi a volte vengono a tro¬ varsi, e nello sforzo sempre meglio riuscito di armonizzarli in va¬ lutazioni sintetiche; nella estensione della loro applicazione a una sfera di realtà sempre più larga. Pur occupandosi di problemi etici, il C. non ha mancato di por¬ tare il suo contributo ad altri campi di discipline filosofiche (no¬ tevoli, p. es., i suoi studi sulla dottrina del Brentano intorno al giu¬ dizio tetico e intorno alla classificazione dei processi psichici, e pa¬ recchi saggi storici e critici sul Boutroux, sul Bergson, sull’Allievo, sul Naville, sul Ladd, ecc.). Da questi studi risulta che il C. è un seguace dello spiritualismo realistico, e concorda sostanzialmente, in metafisica e gnoseologia, con le idee sopra esposte del De Sarlo. Voltoli alla Pedagogia, il C. ha lavorato sulle medesime basi. In questo campo i suoi principali lavori sono: La Psicologia del¬ l'attenzione in rapporto alla scienza educativa (Firenze, Tip. Coope¬ rativa); Fatti e problemi del mondo educativo (Pavia, Mattei e Spe¬ roni); Il problema della coeducazione e altri studi pedagogici (Roma, Soc. ed. D. Alighieri); L'educazione degli educatori. (Napoli, Perrella); Dalla guerra mondiale alla scuola nostra (Firenze, Bemporad); per non citare i suoi scritti minori, specie di storia della pedagogia, come quelli sul Lambruschini e sul Rousseau, premessi ai volumi di questi autori, da lui stesso curati, nella Biblioteca pedagogica ch’egli di¬ rige presso l’editore Sansoni. Il valore e il carattere dell’opera pedagogica del Calò furono E. PAOLO LAMANNA rilevati, con giudizio non sospetto, dal Codignola, che nel 1916 af¬ fermò essere il Calò « il più serio avversario della pedagogia idea¬ listica in Italia » (1). Invero, il C., mentre ammette una filosofia del¬ l’educazione e ne riconosce la fecondità,' non crede peraltro, come l’idealismo sostiene, che la dottrina dell’educazione si riduca a filosofia. Vi sono metodi relativi allo sviluppo delle attività psichiche, sia in sè stesse sia in rapporto con quelle organiche, i quali non possono non essere ricavati direttamente dalla conoscenza della realtà psichica e delle sue leggi, quali si offrono all’esperienza e alla sperimentazione; vi sono norme educative che si ricavano dalla determinazione dei fini etici dell’attività umana, considerati in rap¬ porto al progressivo potere d’attuazione del fanciullo; vi sono in¬ fine tipi e norme didattiche che si ricavano dall’esperienza storica e da necessità storiche. Per il C., perciò, la pedagogia non può trovare la sua sicura costituzione e la sua vera fecondità di vedute e di applicazioni che in una concezione la quale, correggendo e integrando, riprenda la posizione herbartiana e consideri le leggi psicologiche in funzione delle finalità etiche. L’educazione è per lui pur sempre fatto essenzialmente spiri¬ tuale, che si distingue da ogni altra forma di sviluppo o di perfezio¬ namento in quanto vi collabora la libera attività del soggetto edu¬ cando, e porta a un sempre più pieno uso della propria libertà e all’acquisto sempre più consapevole di valori intrinseci alla persona. Ciò che il C. nega è che l’azione educativa si definisca per questo solo rispetto e sussista indipendentemente da ogni forma di eteronomia: là dove i’eteronomia svanisce ovvero si riduce a pura materia della libera determinazione del soggetto, si ha l’attività etica strettamente intesa, non più il processo educativo. Per la tendenza a psicologizzare il metodo, l’educazione appare al C. come un processo di formazione nel quale le attività del sog¬ getto e la forma valgono anche più dei contenuto, degli oggetti, della materia del sapere o dell’operare, e gl 'interessi, nel senso her- bartiano, sono le forze che si tratta di nutrire e di promuovere in (1) Kant nella storia della pedagogia e dell'etica, Napoli 1916, p. 31. — Nonostante ciò  o forse appunto per ciò — il Codignola, facendo la storia della pedagogia italiana contemporanea (nel libro Monroe Codignola, Breve corso di storia dell’educazione, voi. II, Vallecchi, Firenze, p. 284), si è contentato di accennare al Calò ponendolo accanto a G. M. Ferrari, come seguace di un «indirizzo spiritualistico eclettico»; — e questo raccostamelo come questa caratterizzazione sono stati poi echeggiati dal Saitta nel suo Disegno storico della educazione, Bologna, Cappelli. modo da creare la personalità più viva e compiuta e armonica. Perciò egli ha insistito sui diritti della cultura Jormale, senza peral¬ tro porre nel nulla il valore degli acquisti concreti (conoscenze e abilità), come vorrebbe fare un certo formalismo e subiettivismo pedagogico superficiale. Ha mostrato la rispettiva necessità e in¬ sostituibilità della cultura umana e storica e di quella realistica e scientifica. Ha rivendicato l'esigenza d’un’educazione religiosa, elementare e aconfessionale prima, storica poi nella scuola, confessio- sionale nella famiglia. Infine dalla legge della storicità come aspet¬ to essenziale dell’anima umana, egli deduce l'immanenza dell’idea di patria alla vita dello spirito e quindi alla sua educazione. Questa perciò non può, secondo il C., non essere nazionale, non può cioè non curare che ideali di cultura e di moralità traggano dalla tradi zione storica e dalla organizzata esperienza del fanciullo forma e colore che ne facciano, traverso le coscienze individuali, elemento di vita, di coesione, di prosperità della società nazionale. E perciò, in tutto quel che abbia riflessi e importanza per questo fine, l’istru¬ zione, l’educazione, la scuolà non possono non costituire ufficio e dovere dello Stato, che è coscienza suprema, organizzazione unita¬ ria, garanzia conservatrice della vita della nazione. Alla luce di questa concezione il C. ha discusso — e non sol¬ tanto in sede scientifica, ma anche in Parlamento, dove egli ha seduto per due legislature — problemi concreti, come quello del¬ l’ordinamento della Scuola media, della preparazione magistrale, della riforma universitaria, dei rapporti tra scuola e famiglia, della coeducazione ecc., mostrando sempre lucidità e prontezza di visio¬ ne dei termini essenziali di ogni problema e dei rapporti di esso con i principii dottrinari generali, calore vivace e penetrazione nelle proposte di soluzioni. Lamanna (n. a Matera, in Basilicata, professore di filosofia nell’Università di Messina) ha spiegato la sua attività nel campo della filosofia della religione, dell’etica, e della filosofia del diritto e della politica. Dopo alcuni studi minori sulle dottrine religiose dello Schleier- macher, del Pfleiderer e delle scuole sociopsicologiche più recenti, pubblicò nel 1914 un volume su La religione nella vita dello spirito, (Firenze, La «Cultura Filosofica» edit., p. 500 in-8), nel quale, at¬ traverso un ampio esame critico dei principali indirizzi di filosofia religiosa del sec. XIX, da Kant a Blondel e a James, si sforza di determinare quale è per lui l’essenza della religione, intesa questa essenza come il sostrato spirituale di tutte le forme storiche della religione, come il principio dinamico informante e determinante l’evoluzione della vita religiosa attraverso i secoli. Per il L. la re¬ ligiosità è elemento essenziale e perenne della vita spirituale umana: è un’esigenza irriducibile alla coscienza dell’ideale (conoscitivo o estetico o morale), sebbene nella coscienza dell’ideale, o, meglio, nella coscienza dell’universalità e necessità dei valori costitutivi degli ideali immanenti allo spirito, essa trovi la sua radice. In ogni atto spirituale v’è la rivelazione, fatta a un’autocoscienza in¬ dividuale, di qualcosa d 'assoluto (universalità e necessità dei prin- cipii della ragione, intesa questa nel suo senso più ampio) e, insieme, di qualcosa di relativo (elementi naturali, particolaristici e contin¬ genti, nei quali l’universale e il necessario volta a volta si deter¬ mina, ma sempre inadeguatamente). La natura stessa della raziona¬ lità, la quale o è tutto o è nulla, o è universale o è una fantasma¬ goria, determina nell’uomo l’aspirazione ad attuare pienamente in sè e ad estendere a tutto l’universo il dominio dell’Assoluto. Ma, d altra parta, la presenza del «relativo» dimostra per un lato che l’oggetto della razionalità, il vero, il bene, il bello è indefinito, e contingente e parziale e continuamente minacciato ne è, per l’attività umana, il possesso; e per l’altro lato che nella realtà v’è qualcosa che non dev essere, qualcosa di anormale, di opposto alla raziona¬ lità. Da questa situazione tragica lo spirito si libera mercè la credenza in Dio, come fondamento reale di quello che nell’uomo è ideale, che spiega, per una parte, la validità delle leggi ideali costitu¬ tive della razionalità, e garantisce, per l’altro, l’indefinita attuabilità di esse, nonostante l’inadeguazione ad esse della realtà empirica. Dimostrare come dall’esercizio stesso delle funzioni fondamentali dello spirito scaturisca necessariamente l’idea di Dio, nell’afferma¬ zione che quel che dev’essere è, quel che pér noi è soltanto un ideale, ha già la sua piena attuazione in una sfera trascendente di realtà, questo è il termine a cui tendono le dimostrazioni del volume del L. I problemi morali sono stati dal L. esaminati specialmente nei due volumi II sentimento del valore e la morale criticistica (Firenze, 1915, di pp. 200) e II fondamento morale della politica secondo Kant (Firenze), a cui si collegano studi minori, Il bene per il bene, L’amoralismo politico, L'esperienza giuridica, Il diritto correlativo al dovere nell’idea di bene. In quei due volumi si prende lo spunto dall’esame critico della dottrina Kantiana, rilevandovi il contrasto, così tra il principio dell’autonomia e le conclusioni rigoristiche dell’etica in generale, come tra le premesse idealistiche e democratiche e alcune conclusioni assolutistiche e realistiche della morale politica; e si dimostra che quel contrasto è conseguenza neces¬ saria del formalismo nella determinazione dell’ideale e del pessimismo nella considerazione della realtà, inquanto, ipostatizzata la legisla¬ zione autonoma nella volontà in sè e nella respublica noumenon, Kant vede nella realtà individuale e sociale null’altro che inclina¬ zioni al male e giuoco meccanico di passioni. Da questi rilievi e dimostrazioni di carattere storico il L.. prende occasione per affer¬ mare la necessità di un tramite che, eliminando il dualismo tra l’ideale e il reale, renda possibile la compenetrazione di questo da parte di quello. E siffatto tramite egli trova nella caratteristica fun¬ zione della valutazione morale, rivelante con evidenza immediata oggetti della volontà forniti d’intrinseco valore (beni universali e necessari), nell’amore attivo per i quali si costituisce come valore supremo la personalità, e nella cui indefinita attuabilità attraverso il succedersi delle generazioni è posta la possibilità del progresso morale e della unificazione spirituale sempre più piena della specie umana. Alla luce di questo principio il L.: 1) riconduce nell’ambito della nozione di dovere —caratteristica dell’esperienza morale — anche quegli elementi che in opposizione al rigorismo kantiano son posti in rilievo nella concezione morale dell’* anima bella» (Schiller e Fics), a proposito della quale egli fa un ampio esame dei rapporti tra la funzione etica e quella estetica. 2) Illustra l’ordinamento giuridico come tecnica per l’ordinamento morale: confutando i tentativi di ridurre il diritto a qualche concetto estramorale, ne trova la radice nell’idea di bene morale e nella correlatività al concetto di dovere, in quanto l’idea di lecito scaturisce dalla coscienza della legittimità di respingere il limite e l’ostacolo — postoda altri indivi¬ dui — all’attuazione di un bene conforme a un principio etico riconoscibile anche da questi ultimi: onde la conclusione che se il contrasto è occasione per l’insorgenza della coscienza del diritto, la sostanza ideale di questo è Varmonia, Y accordo-, e da questo punto di vista sono idealmente giustificati gli elementi empirici costitutivi della giuridicità (potere supremo e coattività). Afferma, infine, la sovranità della morale in politica, mostrando come, entro l’amb'to stesso di una rigorosa moralità politica, possano essere pienamente sodisfatte quelle esigenze alle quali l’amoralismo politico dà il mas¬ simo rilievo; e dimostra, rimettendo in valore alcuni elementi delle concezioni giusnaturalistiche, il valore deontologico e il concetto ideale di certe nozioni della coscienza politica moderna (come vo¬ lontà generale, contratto originario, società dei popoli ecc.). ENZO Bonaventura, libero docente e incaricato di psi¬ cologia nell’Istituto di Studi Superiori di Firenze e assistente del De Sarlo nel Laboratorio di psicologia sperimentale, dopo alcuni scritti minori di psicologia e di logica, pubblicò un grosso volume su Le qualità del mondo fisico: studi di filosofia naturale (Firenze, « Pubblicazioni del R. Ist. di St. Sup. », 1916), in cui i dati della fisica, della chimica, della fisiologia non dirò solo che siano lar¬ gamente utilizzati, ma costituiscono addirittura la base per la solu¬ zione del problema, se sia o no possibile spiegare le differenze qualitative tra le diverse energie fisiche riducendole ad un unico tipo di energia: problema che il B. risolve in modo negativo, di¬ mostrando che la riduzione delle molteplicità qualitative delle ener¬ gie fisiche ad un’unica forma nel senso del meccanismo e di taluni indirizzi energetici, è illusoria. Posteriormente egli ha volto la sua attività più in particolare agli studi e alle ricerche di psicologia, compiuti, nel laboratorio diretto dal De Sarlo, coi metodi rigorosi propri della psicologia moderna; ma la ricerca psicologica sebbene abbia anche, per lui, un valore in sè stessa, come ricerca scientifica, e un valore sociale, per le sue applicazioni, è stata ed è sempre, nell’economia dal suo pensiero, il punto di partenza e di appoggio per salire verso la filosofia. Tra i problemi psicologici, oltre ad alcune questioni di metodo (come queile del valore dell’introspezione e- delle sue illusioni, a cui è dedicato il volume intitolato appunto Ricerche sperimen¬ tali sulle illusioni dell'introspezione, Firenze, 1915), quello che lo ha più attratto e su cui ha più lavorato, è il problema della percezione, concepita come elaborazione intellettuale dei dati senso¬ riali, e in ispecie della percezione dello spazio e del tempo: proble¬ ma che da un lato connette la ricerca psicologica con concezioni d’importanza fondamentale per la fisica e per la matematica, dal¬ l’altra forma il punto centrale della teoria della conoscenza. Intorno a questo problema egli ha lavorato da vari anni, sia sottoponendo a revisione critica tutto il lavoro sinora compiuto sull’argomento, sia compiendo egli stesso ricerche sperimentali per chiarire quei punti che ancora gli sembravano non abbastanza illuminati. Alcune di queste ricerche (concernenti l’attività del pensiero nella percezione tattile dello spazio; i mezzi coi quali si stabilisce e i limiti entro i quali si contiene l’accordo tra dati spaziali visivi e dati spaziali tattili; le illusioni ottico-geometriche; l’importanza dei giudizi spa¬ ziali visivi nella psicofisica) sono state già pubblicate in Riviste di psicologia italiane e straniere; ma la somma di tutte le ricerche e di tutti gli studi costituisce un grosso volume — già pronto, ma ancora inedito —, in cui il problema psicologico dello spazio e del tempo e le conseguenze filosofiche che ne scaturiscono, sono trattati in tutti loro asp Lamanna (n. a Matera, in Basilicata, professore di filosofia nell’Università di Messina) ha spiegato la sua attività nel campo della filosofia della religione, dell’etica, e della filosofia del diritto e della politica. Dopo alcuni studi minori sulle dottrine religiose dello Schleier- macher, del Pfleiderer e delle scuole sociopsicologiche più recenti, pubblicò nel 1914 un volume su La religione nella vita dello spirito, (Firenze, La «Cultura Filosofica» edit., p. 500 in-8), nel quale, at¬ traverso un ampio esame critico dei principali indirizzi di filosofia religiosa del sec. XIX, da Kant a Blondel e a James, si sforza di determinare quale è per lui l’essenza della religione, intesa questa essenza come il sostrato spirituale di tutte le forme storiche della religione, come il principio dinamico informante e determinante l’evoluzione della vita religiosa attraverso i secoli. Per il L. la re¬ ligiosità è elemento essenziale e perenne della vita spirituale umana: è un’esigenza irriducibile alla coscienza dell’ideale (conoscitivo o estetico o morale), sebbene nella coscienza dell’ideale, o, meglio, nella coscienza dell’universalità e necessità dei valori costitutivi degli ideali immanenti allo spirito, essa trovi la sua radice. In ogni atto spirituale v’è la rivelazione, fatta a un’autocoscienza in¬ dividuale, di qualcosa d 'assoluto (universalità e necessità dei prin- cipii della ragione, intesa questa nel suo senso più ampio) e, insieme, di qualcosa di relativo (elementi naturali, particolaristici e contin¬ genti, nei quali l’universale e il necessario volta a volta si deter¬ mina, ma sempre inadeguatamente). La natura stessa della raziona¬ lità, la quale o è tutto o è nulla, o è universale o è una fantasma¬ goria, determina nell’uomo l’aspirazione ad attuare pienamente in sè e ad estendere a tutto l’universo il dominio dell’Assoluto. Ma, d altra parta, la presenza del «relativo» dimostra per un lato che l’oggetto della razionalità, il vero, il bene, il bello è indefinito, e contingente e parziale e continuamente minacciato ne è, per l’attività umana, il possesso; e per l’altro lato che nella realtà v’è qualcosa che non dev essere, qualcosa di anormale, di opposto alla raziona¬ lità. Da questa situazione tragica lo spirito si libera mercè la credenza in Dio, come fondamento reale di quello che nell’uomo è ideale, che spiega, per una parte, la validità delle leggi ideali costitu¬ tive della razionalità, e garantisce, per l’altro, l’indefinita attuabilità di esse, nonostante l’inadeguazione ad esse della realtà empirica. Dimostrare come dall’esercizio stesso delle funzioni fondamentali dello spirito scaturisca necessariamente l’idea di Dio, nell’afferma¬ zione che quel che dev’essere è, quel che pér noi è soltanto un ideale, ha già la sua piena attuazione in una sfera trascendente di realtà, questo è il termine a cui tendono le dimostrazioni del volume del L. I problemi morali sono stati dal L. esaminati specialmente nei due volumi II sentimento del valore e la morale criticistica (Firenze, 1915, di pp. 200) e II fondamento morale della politica secondo Kant (Firenze), a cui si collegano studi minori, Il bene per il bene, L’amoralismo politico, L'esperienza giuridica, Il diritto correlativo al dovere nell’idea di bene. In quei due volumi si prende lo spunto dall’esame critico della dottrina Kantiana, rilevandovi il contrasto, così tra il principio dell’autonomia e le conclusioni rigoristiche dell’etica in generale, come tra le premesse idealistiche e democratiche e alcune conclusioni assolutistiche e realistiche della morale politica; e si dimostra che quel contrasto è conseguenza neces¬ saria del formalismo nella determinazione dell’ideale e del pessimismo nella considerazione della realtà, inquanto, ipostatizzata la legisla¬ zione autonoma nella volontà in sè e nella respublica noumenon, Kant vede nella realtà individuale e sociale null’altro che inclina¬ zioni al male e giuoco meccanico di passioni. Da questi rilievi e dimostrazioni di carattere storico il L.. prende occasione per affer¬ mare la necessità di un tramite che, eliminando il dualismo tra l’ideale e il reale, renda possibile la compenetrazione di questo da parte di quello. E siffatto tramite egli trova nella caratteristica fun¬ zione della valutazione morale, rivelante con evidenza immediata oggetti della volontà forniti d’intrinseco valore (beni universali e necessari), nell’amore attivo per i quali si costituisce come valore supremo la personalità, e nella cui indefinita attuabilità attraverso il succedersi delle generazioni è posta la possibilità del progresso morale e della unificazione spirituale sempre più piena della specie umana. Alla luce di questo principio il L.: 1) riconduce nell’ambito della nozione di dovere —caratteristica dell’esperienza morale — anche quegli elementi che in opposizione al rigorismo kantiano son posti in rilievo nella concezione morale dell’* anima bella» (Schiller e Fics), a proposito della quale egli fa un ampio esame dei rapporti tra la funzione etica e quella estetica. 2) Illustra l’ordinamento giuridico come tecnica per l’ordinamento morale: confutando i tentativi di ridurre il diritto a qualche concetto estramorale, ne trova la radice nell’idea di bene morale e nella correlatività al concetto di dovere, in quanto l’idea di lecito scaturisce dalla coscienza della legittimità di respingere il limite e l’ostacolo — postoda altri indivi¬ dui — all’attuazione di un bene conforme a un principio etico riconoscibile anche da questi ultimi: onde la conclusione che se il contrasto è occasione per l’insorgenza della coscienza del diritto, la sostanza ideale di questo è Varmonia, Y accordo-, e da questo punto di vista sono idealmente giustificati gli elementi empirici costitutivi della giuridicità (potere supremo e coattività). Afferma, infine, la sovranità della morale in politica, mostrando come, entro l’amb'to stesso di una rigorosa moralità politica, possano essere pienamente sodisfatte quelle esigenze alle quali l’amoralismo politico dà il mas¬ simo rilievo; e dimostra, rimettendo in valore alcuni elementi delle concezioni giusnaturalistiche, il valore deontologico e il concetto ideale di certe nozioni della coscienza politica moderna (come vo¬ lontà generale, contratto originario, società dei popoli ecc.). E,  PAOLO   LAMANNA  VITTORIO    MATHIEU   STORIA  DELLA  FILOSOFIA   LA    FILOSOFIA  DEL   NOVECENTO    *9^  *9^  %*^  rg*  ^g%   *|^    LE  MONNIER    B.   PAOLO   LAMANNA  VITTORIO    MATHIEU    ^STORIA  DELLA   FILOSOFIA   LA    FILOSOFIA  DEL     NOVECENTO    TOMO    PRIMO    La  filosofia    italiana  :    idealismo,    anti-idealismo,    spiritualismo    FELICE    LE   MONNIER    -    FIRENZE    PROPRIETÀ    LETTERARIA    RISERVATA    *        2507    4046  -  Stabilimenti  Tipografici  «  E.  Ariani  »  e  «  L'Arte  delia  Stampa  »  -  Firenze    PREFAZIONE    Accettando  di  condurre  a  termine  un'opera  altrui,  mi  sono  assunto  una  responsabilità  assai  grave.  Non  l'avrei  fatto  se  la  Storia  della  filosofia  di  E.  P.  Lamanna  non  fosse  giunta  già  così  innanzi  da  richiedere  questo  completamento  come  quasi  indispensabile,  e  se  le  carte  manoscritte,  fatte  trascrivere  di-  ligentemente dalla  Signora  Edvige,  non  mi  avessero  offerto  una  trattazione  già  perfetta  di  una  parte  considerevole  del  periodo  scoperto.  In  una  storia  generale  della  filosofia,  composta  in  Italia,  lasciar  fuori  tutta  la  filosofia  italiana  del  Novecento  sarebbe  stata  ima  lacuna  grave:  basti  pensare  alle  posizioni  radicali  di  un  Gentile  o  di  un  Carabellese,  che  non  trovano  riscontro  in  tutto  l'arco  restante  del  pensiero.   Per  di  più  il  piano  del  lavoro,  quale  si  era  andato  progres-  sivamente definendo  nella  mente  del  Lamanna  durante  una  vita  dedicata  in  gran  parte  alla  ricerca  storica,  si  allargava  a  mano  a  mano  che  si  avvicinava  a  noi.  Infatti  i  capitoli  già  pronti,  sull'eredità  filosofica  dell'Ottocento  italiano,  erano  proporzionalmente  i  più,  estesi  di  tutta  l'opera.  Ciò  significava  che  la  parte  rimasta  fuori  sarebbe  stata  ancor  più  cospicua  di  quanto  il  paragone  con  le  parti  già  stampate  lasciasse  pen-  sare. Certo,  riprendendo  il  filo  interrotto,  non  potevo  presumere  di  rimediare  alla  perdita  che  aveva  rappresentato  per  gli  studi  la  morte  di  Eustachio  Paolo  Lamanna,  ma  potevo  sperare  di  ridurre  in  qualche  misura  il  danno.  La  trattazione  già  svolta  non  poteva,  infatti,  uscir  monca;  e,  d'altro  canto,  sarebbe  stato  colpevole  verso  il  pubblico  lasciarla  inedita,  per  l'im-  pegno che  lo  storico  vi  aveva  posto  e  per  V esperienza  viva  e   2.  -  Lamanna.  Storia  della  filosofia.  VII.    VI  Prefazione   diretta  degli  autori  e  delle  dottrine:  un'esperienza  che,  per  quel  periodo,  nessuno  più,  avrebbe  potuto  acquisire.  Così  gli  ultimi  due  volumi  di  questa  Storia  della  filosofia,  che,  per  la  loro  mole  e  per  il  loro  argomento,  possono  fungere  an-  che da  trattazione  autonoma,  portano  il  mio  nome  accanto  a  quello  di  E.  P.  Lamanna.   Ho  cercato,  per  quanto  potevo,  di  uniformarmi  al  tono  delle  parti  già  svolte,  che,  salvo  un  paio  di  aggiornamenti,  non  ho  più  toccate.  Esse  sono:  nel  volume  I,  le  prime  due  sezioni  del  capitolo  XXX,  salvo  i  §§  6,  8, 11-13,  le  prime  due  sezioni  del  capitolo  XXXI  e  la  prima  sezione  del  capitolo  su  Benedetto  Croce  {XXXVI)  ;  nel  volume  II,  il  capitolo  sul-  l'Abbagnano. Di  tutto  il  resto  la  responsabilità  è  mia.  Aver-  mela data  è  stata  una  grande  prova  di  fiducia  da  parte  del-  l'editore e  dei  due  amici  che  si  son  presi  cura  delle  Opere  complete  di  Lamanna  presso  Le  Monnier:  Domenico  Pesce  e  Pietro  Piovani,  a  cui  son  grato  anche  per  l'aiuto  e  i  consigli  datimi.   Vittorio  Mathieu    PARTE  DECIMA   L'EREDITÀ  DELL'OTTOCENTO    Capitolo  Trentesimo  POSITIVISMO  E  CORRENTI  AFFINI   I.   LA  SCUOLA  DI  ARDIGÒ   I.  Il  positivismo  ardigoiano  e  la  sua  crisi,    Nel  quadro  panoramico  deUe  correnti  di  pensiero  che  si  deli-  neano in  Italia  negli  anni  di  transizione  dall'Otto  al  Nove-  cento, fa  spicco  il  movimento  positivistico,  sia  per  ampiezza  dell'area  di  diffusione,  sia  per  profondità  di  forza  penetra-  tiva. Questo  movimento  si  caratterizza  non  per  unità  di  Unità  di  pro-  contenuto dottrinale,  ma  per  programma  di  lavoro  e  metodo  s^'^"^^"-  di  ricerca:  nel  continuo  contatto  con  l'esperienza  concreta  e  nel  riferimento  ai  fatti  accertati  o  accertabili,  la  filosofìa  ha  la  sua  ragione,  e  il  suo  alimento  vitale  nello  stabilire  una  essenziale  inscindibile  connessione,  con  le  scienze  particolari,  di  cui  è  matrice  costante  e  coronamento  finale.   E  cioè  la  filosofia:  i)  da  un  lato  si  pone  come  principio  La  filosofia  pro-  promotore  di  quel  processo  di  speciale  spiritualizzazione  del  ^1°^^^  il  sapere.  sapere  a  cui  sono  dovuti  i  meravigliosi  progressi  deUa  mo-  derna conoscenza  deUa  natura,  come  graduale  profilarsi  -  entro  un  indistinto  nebuloso  -  di  concetti  problematici,  ognuno  dei  quah,  sempre  più  distinguendosi  dagh  altri,  di-  venta nucleo  di  un  particolare  organarsi  di  un  settore  di  ricerche;  2)  e,  dall'altra  parte  si  pone  come  organizzazione  logica  dei  risultati  dei  vari  settori  del  sapere.    Cap.  XXX.  -  Positivismo  e  correnti  affini    Naturalismo.    Soggetto  e  ogget-  to come  insiemi  di  sensazioni.    Per  l'uno  e  per  l'altro  rispetto,  la  filosofia  positivistica  italiana  rivendica  la  qualifica  di  filosofia  scientifica.  E  Rivista  di  filosofia  scientifica  s'intitola  quella  che  tra  il  1881  e  il  1891  fu  l'organo  di  questo  movimento,  fondato  e  diretto  da  Enrico  Morselli,  professore  di  psichiatria  nell'Università  di  Torino,  e  a  cui  collaborarono,  accanto  a  cultori  di  disci-  pUne  più  specificamente  filosofiche,  scienziati  che  godevano  di  alta  fama,  particolarmente  nei  campi  della  fisica,  della  biologia  e  dell'antropologia.   Tra  essi  emergeva,  universalmente  riconosciuto  da  tutti  duce  e  maestro,  la  figura  di  Roberto  Ardigò.  Proprio  in  quegli  anni  egli  veniva  compiendo  la  costruzione  di  un  edi-  ficio speculativo  nel  quale  il  positivismo  italiano  trovò  l'espres-  sione più  fedele  dei  propri  caratteri  e  l'indicazione  più  arti-  colata dei  propri  compiti.  La  sua  vuol  essere  una  visione  della  realtà  rigidamente  naturalistica:  non  c'è  nessuna  forma  d'essere  che  non  sia  originata  dalla  natura  e  non  sussista  nella  natura,  intesa  semplicemente  come  la  totaHtà  infinita  dei  fatti  d' esperienza.  E  il  fatto  d'esperienza  fondamentale  assolutamente  originario  è  la  sensazione.  Questa  è,  sì,  co-  scienza, ma  di  nient' altro  coscienza  che  di  sé,  non  impli-  cante, quindi,  una  duahtà  per  cui  essa  sia  contrapposta  come  soggettiva  a  qualcos'altro  che  sia  l'oggetto:  la  sen-  sazione come  coscienza  di    stessa  non  é    soggetto,    oggetto.  Certo  la  distinzione  soggetto-oggetto  trova  posto  nell'esperienza,  ma  non  è  un  fatto  primitivo  rispetto  all'atto  della  sensazione,  «  non  anteriore  e  trovata  primitivamente  in    dalla  coscienza,  ma  posteriore  e  costruita  a  poco  a  poco  nella  medesima  per  via  dello  stesso  processo  conoscitivo  »,  Chi  considera  primitiva  e  originaria  quella  distinzione  è  portato  a  trasformarla  in  un  duahsmo  metafisico,  per  cui  soggetto  e  oggetto  implicano  sostrati  eterogenei,  l'uno  spi-  rituale, l'altro  materiale,  e  si  contrappone  l'io  come  sostanza  spirituale  alla  cosa  fisica,  un  mondo  interiore  a  un  mondo  esterno,  ciò  che  rende  insolubile  il  problema  della  cono-  scenza come  rapporto  tra  queste  due  entità  eterogenee.  Il  fatto  originario  dell'esperienza,  ripetiamo,  é  la  sensazione:    Il  positivismo  ardigoiano  e  la  sua  crisi  5   e  questa  è  indifferenziata,  non  è  soggettiva  più  che  oggettiva,  o  viceversa.  Soggetto  e  oggetto  non  sono  che  aggruppamenti  o  sintesi  di  sensazioni,  differenziantisi  secondo  la  specifi-  cazione degli  organi  di  senso  (sensi  intemi  e  sensi  estemi)  e  secondo  la  stabiHtà  e  costanza  o  la  accidentahtà  e  inter-  mittenza delle  attività  sensoriali.  Si  ha  cosi  l'auto-sintesi  (io  o  mondo  psichico)  e  l'etero-sintesi  (il  non-io  o  mondo  fisico)  :  con  che,  in  verità,  la  differenziazione  che  si  intendeva  spiegare,  è  semphcemente  presupposta.  Spirito  e  materia  non  sono  opposte  entità  metafisiche,  ma  astrazioni  signi-  ficanti alcuni  caratteri  generali  propri  rispettivamente  dei  fenomeni  interni  e  di  quelli  estemi.  Il  che  non  esclude,  tut-  tavia, -  con  scarsa  coerenza  -  che  si  possa  parlare  di  un  monismo  psico-fisico,  e  che  si  ricada  anche  nell'ingenuo  dogmatismo  materiaUstico,  che  del  fenomeno  psichico  pone  come  causa  necessaria  il  fatto  fisiologico  della  vibrazione  nervosa  e  giunge,  col  Taine,  a  considerare  l'intelligenza  come  una  funzione  dell'organismo.   Il    principio    ardigoiano    dell'assoluta    originarietà    della  Non  c'è  un  so-  sensazione  come  fatto  costitutivo  dell'esperienza,  ossia  della  ^^.''^'°  f^^  '^^^'   ^  '  gtamenh.   realtà  immediatamente  vissuta  nella  coscienza,  esprime  in  termini  psicologici  il  principio  metafisico  che  riduce  il  mondo  a  un  processo  di  formazione  naturale,  ossia  a  una  continua  serie  di  cangiamenti,  che  non  presuppone  alcun  sostrato  permanente  (antisostanziahsmo)  ma  consiste  nello  scaturire  necessario  di  un  nuovo  stato  o  momento  attuale  dell'essere  dagH  stati  o  momenti  anteriori,  in  virtù  di  forze  insite  in  questi  stati  antecedenti.  E  la  struttura  di  un  tal  processo  universale  del  divenire  si  offre  intuitivamente  nel  fatto  fon-  damentale della  sensazione:  l'esperienza  nella  sua  immedia-  tezza si  costituisce  nel  necessario  passaggio  daUa  unità  in-  differenziata del  sentire  originario  nella  duaUtà  soggetto  oggetto.  Ebbene,  il  divenire  della  realtà  risulta  appunto  come  un  processo  nel  quale  la  moltepHcità  delle  forme  di  essere  che  il  pensiero  apprende  come  distinte  emergono  con-  tinuamente da  un  indistinto  nel  quale  quel  moltepHce  trova  la  sua  unità  e  la  sua  condizione.  Non  che  in  questa  inter-    6  Cap.  XXX.  -  Positivismo  e  correnti  affini   prelazione  della  «  formazione  naturale  »  l'indistinto  venga  contrapposto  al  distinto  in  modo  assoluto:  l'indistinto  è  tale  solo  relativamente,  cioè  rispetto  ai  distinti  che  esso  vale  a  spiegare;  ma  ognuno  di  questi  distinti  sollecita  aUa  sua  volta  ulteriori  distinjzioni  di  cui  esso  figura  come  l'unione  sintetica,  e  quindi  come  indistinta.  Il  processo  di  formazione  naturale  come  emergenza  dei  distinti  dall'indistinto,  è  in-  finito: se  i  distinti  sono  finiti,  infinito  è  l'indistinto  in  seno  al  quale  e  ad  opera  del  quale  essi  si  generano.  E  per  questo  rispetto  il  naturalismo  ardigoiano  s'ispira  a  quello  rinasci-  mentale, rivela  l'affinità  del  suo  concetto  d'indistinto  con  quello  bruniano  d'infinito  e  respinge  ogni  interpretazione  trascendente  del  principio  generatore  e  unificatore  del  reale,  sia  del  tipo  dell'inconoscibile  spenceriano  [l'indistinto  è  sem-  plicemente r  «  ignoto  »,  ossia  ciò  che  non  è  ancora  cono-  sciuto, appunto  perchè  ancora  privo  di  quelle  intrinseche  distinzioni  che  rendono  possibile  il  conoscere)  sia  del  tipo  del  noumeno  kantiano  (l'unità  sintetica  del  molteplice  fe-  nomenico è  appunto  l'indistinto  immanente  ai  distinti  e  fenomenico  al  pari  di  questi).  Universo  infi-  In  questa  tipica  struttura  di  «  formazione  naturale  »  è  concepito  dall' Ardigò  l'universo,  come  tutto  infinito,  le  cui  parti  non  sono  entità  semplici,  elementi  fissi,  ma  sono  «  ritmi  »  d'esperienza,  ossia  forme  speciaU  di  regolarità  nella  suc-  cessione dei  fatti,  costantemente  ricorrenti  e  unificantisi  in  quel  ritmo  dei  ritmi  che  è  l'ordine  razionale  deUa  natura.  Quest'ordine  presenta  caratteri  che  possono  apparire  op-  posti e  anche  contraddittori,  ma  che  nella  riflessione  filosofica  dell' Ardigò  tendono  a  conciMarsi,  anche  se  non  sempre  il  risultato  risponde  pienamente  al  proposito.  Così,  ad  esempio,  l'universale  ritmicità  comporta  una  rigida  necessità  causale  in  tutte  le  formazioni  naturah,  ma  questa  determinazione  non  esclude  la  casuahtà.  L'universo  comporta  una  infinità  di  ordini  possibili:  il  verificarsi  effettivo  di  uno  di  essi  e  il  determinarsi  in  seno  ad  esso  di  essenze  causali  necessarie,  non  ha  nulla  di  necessario  e  predeterminato,  è  il  prodotto  di  combinazioni  la  cui  fortuita  rende  imprevedibile  il  corso    nito.    Il  positivismo  ardigoiano  e  la  sua  crisi  7   degli  eventi.  Analogamente,  la  necessità  che  genera  e  do-  mina l'ordine  cosmico,  è  necessità  rigidamente  mnemonica,    che  ciò  che  di  più  meraviglioso  essa  presenta  è  per  Ardigò  il  fatto  che  «  la  diversità  prodigiosa  delle  cose  che  compon-  gono la  natura  e  la  varietà  inesauribile  delle  forme  che  vi  si  vanno  continuamente  sostituendo  è  il  risultato  di  un  lavoro  semphcemente  meccanico,  cioè  di  nuli' altro  che  certi  impulsi,  dati  e  ricevuti  ».  Ma  nel  tempo  stesso  l'ordine  com-  porta anzi  esige  una  spontaneità  della  forza  per  la  quale  il  processo  di  distinzione  risulta  un  vero  e  proprio  processo  creativo,  inconcihabile  col  meccanicismo  puro,  che  vede  nel  divenire  cosmico  un  complesso  di  trasformazioni  dell'essere  per    stesso  non  suscettibile  di  creazione  o  distruzione.  E  Meccanicismo  questa  duplice  faccia  che  nel  positivismo  ardigoiano  pre-  « '^^t^deterimm-  senta  l'ordine  cosmico,  -  la  faccia  meccanicistica  e  quella  antideterministica  o  contingentistica  -  riappare  nell'antitesi  tra  la  tendenza  a  interpretare  lo  sviluppo  cosmico  come  un  semphce  accrescimento  quantitativo  e  a  cercare  il  segreto  delle  forme  più  complesse  e  derivate  in  strutture  più  primi-  tive e  povere  di  determinazioni  e  la  tendenza  opposta  a  ve-  dere nel  divenire  cosmico  un  processo  dinamico  di  ascen-  sione dell'essere  in  forme  sempre  più  ricche  di  realtà,  in  sistemi  ritmici  forniti  di  un  grado  di  autonomia  sempre  più  elevato.  Questo  contrasto  tra  le  due  istanze  appare  in  più  cruda  luce  quando  oggetto  della  riflessione  filosofica  è  l'uomo  e  il  mondo  umano  :  esso  s'inserisce  nell'ordine  cosmico  senza  romperne  l'unità  e  continuità  col  mondo  fisico:  for-  mazione naturale  è  la  vita  della  coscienza,  quale  è  indagata  dalla  psicologia  come  scienza  positiva,  come  scienza  di  fatti  dominati  dal  meccanismo  psichico;  formazione  naturale  è  la  società  nella  quale  gh  uomini  formano    stessi  e  costrui-  scono la  propria  storia;  formazione  naturale  la  coscienza  delle  ideaHtà  superiori  -  etiche,  giuridiche,  rehgiose,  este-  tiche, scientifiche  -  che  regolano  e  promuovono  l'operare  umano.  Ma  queste  formazioni  naturah  si  presentano  nel  cosmo  con  connotazioni  speciah  che  rendono  esasperante-  mente problematica  la  inseribihtà  dell'umano  nel  monismo    8  Cap.  XXX.  -  Positivismo  e  correnti  afini   naturalistico:  problematica  è  la  derivazione,  per  meccanismo  psichico,  dei  poteri  intellettuali  dalla  sensibilità  e  del  volere  dall'impulsività  inerente  alla  sensazione;  problematica  la  fondazione  della  libertà  spirituale  e  dell'autonomia  umana  sulla  necessità  della  natura,  come  coronamento  di  essa;  problematica,  l'identificazione  dell'opposizione  tra  morale  e  immorale  con  quella  tra  socialità  antiegoistica  ed  egoismo,  pur  essendo  l'uno  e  l'altro  formazione  naturale.  Fortuna  del-  La  fortuna  del  positivismo  ardigoiano  presenta  due  fasi  VArdigo.  distinte:   l'una,   che   riempie   l'ultimo   trentennio   dell'Otto-   cento ed  è  compresa  tra  il  discorso  su  Pomponazzi,  che  apre  la  rottura  col  mondo  ecclesiastico  in  cui  aveva  fin  allora  militato,  e  la  decadenza  mentale  della  tarda  vecchiaia  :  periodo  di  progressiva  maturazione  e  articolazione  del  pensiero  po-  sitivo e  di  crescente  efficacia  rinnovatrice  cosi  nella  demo-  lizione dei  vecchi  idoli  della  filosofia  tradizionale,  svuotata  negh  ultimi  decenni  di  vera  vitahtà,  come  nella  costruzione  della  nuova  Itaha  uscita  dal  Risorgimento,  laica  e  demo-  cratica: la  seconda,  che  si  estende  oltre  il  primo  trentennio  del  nostro  secolo,  in  cui  i  discepoli  di  Ardigò,  usciti  dalla  scuola  di  Padova,  accolgono  l'eredità  del  Maestro,  e  mentre  se  ne  fanno  apologisti  e  spesso  agiografi,  mentre  esaltano  la  fecondità  del  suo  positivismo  inteso  come  «  metodo  »,  sen-  tono il  bisogno  di  sottoporre  a  revisione  critica  i  temi  prin-  cipaH  della  sua  «  dottrina  »,  sensibili  alle  difficoltà  e  contra-  dizioni che  vi  si  annidavano,  messi  in  sempre  più  chiara  luce  dalla  polemica  incalzante  di  agguerriti  avversari,  mili-  tanti nelle  file  del  risorgente  spiritualismo  e  più  particolar-  mente dell'ideahsmo  d'ispirazione  hegehana,  che  proprio  in  quel  tomo  di  tempo  si  veniva  costituendo  e  grandeggiava  sempre  più  potente,  fino  a  soppiantare  il  positivismo  nel  dominio  della  cultura  itaHana.  Questa  seconda  fase  fu  detta  dagh  stessi  discepoli  di  Ardigò  fase  di  «  crisi  ».  È  questa  crisi  del  positivismo  che  si  esprime  specialmente  nella  dottrina  del  Marchesini,  del  Troilo  e,  con  iimovazioni  più  radicali  in  tutto  l'arco  dei  problemi  filosofici,  del  Tarozzi.    G.  Marchesini  9   2.  Giovanni  Marchesini.    Già  nel  1898,  quando  Ro-  berto Ardigò  era  ancora  intento  a  completare  il  suo  edificio  speculativo,  dal  seno  stesso  della  scuola  ardigoiana  usciva  una  denuncia  di  crisi  del  positivismo:  La  crisi  del  positivi-  smo e  il  problema  filosofico,  di  cui  era  autore  Giovanni  Mar-  chesini (1868-1931),  uno  dei  discepoli  più  fedeli  ed  entu-  siasta divulgatore  del  pensiero  del  Maestro,  per  lunghi  anni  fino  alla  morte  professore  di  filosofia  morale  e  di  pedagogia  nell'Università  di  Padova.   Nella  prima  fase  della  sua  produzione  aveva  accentuato  contro  Vidoia-  e  applicato  il  principio  capitale  del  positivismo,  che  non  v'è  ^''^^  ^^  •^'*"°-  conoscenza  la  quale  non  sia  fondata  esclusivamente  su  fatti  sperimentati  o  sperimentabiH.  Questo  principio  era  da  lui  affermato  con  tanto  piri  intransigente  rigore  quanto  più  viva  e  urgente  era  la  lotta  che  il  positivismo  conduceva  contro  la  tradizione  metafisica  e  rehgiosa.  Ma  col  graduale  ampharsi  del  campo  delle  sue  esperienze  culturaH  e  col  maturarsi  della  sua  riflessione  critica,  il  Marchesini  si  formò  la  convinzione,  svolta  appunto  in  quel  suo  libro  del  1898,  che  proprio  sif-  fatta «  idolatria  del  fatto  »  poneva  in  crisi  il  positivismo.  Questo  deve  attenersi  al  fatto,  ma  il  fatto  vederlo alla  luce  della  ragione,  al  di  fuori  della  quale  non  è  possibile  nessuna  conoscenza  non  che  filosofica  o  scientifica,  neppure  comune.  E  per  ragione  il  Marchesini  intende  non  solo  i  poteri  intellet-  tuaU,  ma  anche  ambiguamente  quegli  atteggiamenti  del-  l'anima umana  che  più  spesso  sono  quahficati  come  irra-  zionaH  o  alogici,  gh  «  slanci  »  del  sentimento  e  deU'immagi-  nazione,  che  Marchesini  volentieri  chiama  «  romantici  »  o  «  mistici  ».  «  Dopo  Platone  ed  Hegel  -  egli  scrive  -  dopo  i  trionfi  delle  rehgioni, delle  metafisiche  e  dell'arte,  è  assurdo  voler  soffocare  e  sopprimere,  per  l'amore  incomposto  del  fatto,  il  senso  àeW! idealità  razionale.  Non  è  possibile  isolare  e  circoscrivere  il  nostro  pensiero  entro  una  breve  cerchia  di  fatti  minuti  e  non  risahre  a  principii  superiori  razionali  »  [La  crisi  del  positivismo,  p.  17).   Il  positivismo  è  in  crisi,  ogni  volta  che  limita  il  suo  oriz-  Ritmicità.  zonte  mentale  a  fatti  accertabili  nella  loro  bruta  oggettività,    IO  Cap.  XXX.  -  Positivismo  e  correnti  affini   dissimulando  per  giunta  la  presenta  e  l'azione  di  quei  prin-  cipii  razionali  che  costituiscono  V  «  imperativo  »  dell'espe-  rienza e  rendono  possibile  la  conoscenza  «  scientifica  »  pur  di  questo  ordine  di  fatti,  ossia  la  scoperta  in  esso  d'una  «  ritmicità  »,  per  la  quale  la  scienza  si  trova  innanzi  non  a  un  coacervo  di  dati  empirici  (i  «  fatti  minuti  »,  di  cui  il  Mar-  chesini parla  nel  passo  or  ora  citato),  ma  innanzi  a  un  mondo  uno  e  continuo,  il  mondo  della  «  natura  materiale  »,  scan-  dita con  necessità  meccanica,  nei  gradi  della  fisicità,  della  organicità  biologica  e  della  psichicità.  Il  positivismo  è  in  crisi  ogni  volta  che,  presentandosi  come  «  naturalismo  mate-  rialistico »,  ignora  (e  si  mostra  incapace  di  spiegare)  la  realtà  di  un  «  regno  dello  spirito  »,  incentrato  nell'uomo,  quale  essere  non  riducibile  a  mera  realtà  bio-psichica,  ma  «  sog-  getto »  di  «  ideaUtà  »  capaci  di  rompere  il  meccanismo  della  natura  materiale  e  d'instaurare,  pur  in  seno  ad  essa,  un  mondo  superiore,  il  mondo  umano  della  storia,  il  mondo  dell'  «  incivihmento  ».  Superiorità  del-  Nell'ordine  biologico  e  nell'ordine  psichico,  l'uomo  -  af-  Vuomo.  ferma  risolutamente  il  Marchesini  -  ha  una  superiorità  su   tutti  gh  esseri,  della  quale  è  fattore  essenziale  la  capacità  sua  a  trarre  appunto  dal  suo  fondo  fisio-psichico  delle  idealità,  ossia  principii  di  condotta  accompagnati  da  coscienza  del  dovere,  capaci  di  contrastare  a  inclinazioni  sensoriali  insite  nella  sua  natura.  L'ideale.  «  L'ideale  non  è  un  lusso,  perchè  non  è  un  lusso  la  civiltà,   che  dall'ideale  trasse  sempre  aHmento  e  forza.  È  un  prodotto  umano,  dovuto  a  leggi  necessarie,  di  cui  la  ragione  è    il  sog-  getto libero  e  eterno.  Negare  l'ideale  morale,  come  fatto  e  come  legge,  come  principio  fondamentale  della  nostra  esi-  stenza, significa  negare,  con  la  nostra  ragione  e  dignità,  la  nostra  stessa  natura:  in  una  parola,  significa  dimenticare    stessi  »  {Ibidem,  p.  i86).    «  Il  positivismo  non  è  dunque  con-  trario alla  Morale,  ma  da  esso  la  Morale  sorge  come  scienza,  spoglia  da  ogni  preconcetto,  forte  e  sicura.  Il  positivista  non  può  arrestarsi  a  scoprire  nell'uomo  civile  il  selvaggio  e  il  bruto,  e  trascurare  quegli  elementi  di  civiltà  vera  che  sono    G.  Marchesini  ii   come  le  stratificazioni  nuove,  solidissime,  sovrappostesi  agli  strati  più  antichi.  Tutta  la  storia  dell'uomo  c'insegna  che  la  nostra  civiltà  è  la  naturale  continuazione  e  il  dinamico  sviluppo  delle  primitive  tendenze;  ma  in  questa  continuità  dinamica  il  positivista  ritrova  la  legge  del  progresso  civile,  e  soprattutto  del  progresso  morale»  {Ibidem,  pp.  186-187).   È  merito  del  Marchesini  aver  posto  al  centro  del  suo  Positivismo  positivismo  i  problemi  dell'uomo  e  della  sua  formazione  nella  ^'^'^^^^^^^co.  storia  e  nell'educazione,  conforme  alla  sua  schietta  voca-  zione di  morahsta  e  di  educatore.  Secondo  lui,  la  via  per  la  quale  il  positivismo  poteva  superare  la  sua  crisi  era  che  esso  diventasse  positivismo  idealistico,  capace  cioè  di  salvare  la  specifica  funzione  delle  «  ideahtà  »  umane  nella  «  realtà  »  deUa  natura,  e  di  spiegare  come  in  un  mondo  di  fatti  parti-  colari e  relativi  possano  formarsi  ed  essere  operativi  principii  ideali  che  s'impongano  alla  coscienza  con  la  pretesa  dell'uni-  versahtà  e  imperatività  assoluta.  Egli  tentò  una  costruzione  sistematica  di  questo  suo  positivismo  idealistico  nell'opera  che,  anche  cronologicamente,  occupa  il  posto  centrale  nella  sua  trentennale  produzione  speculativa.  La  dottrina  positiva  delle  idealità,  del  1913.  In  questo  Hbro  egU  convoghò  anche  un  nucleo  di  idee  già  ampiamente  formulate  fin  dal  1903  nell'opera  capitale  Le  finzioni  dell'anima:  e  costantemente  riprese  e  variamente  appUcate  negh  anni  successivi;  nucleo  d'idee  per  cui  il  positivismo  ideahstico  si  configura  come  funzionalismo  o  etica  e  pedagogia  del  come  se,  o  anche  pram-  matismo  razionale,  che  egli  considerò  come  l'apporto  più  originale  e  significativo  da  lui  recato  all'esplorazione  del  mondo  umano,  ma  che  effettivamente  è  forse  la  parte  più  debole  del  suo  pensiero,  rivelante  l'ambiguità  d'impostazione  e  l'incertezza  o  addirittura  la  contraddittorietà  di  soluzione  del  suo  problema.   Il  compito  che  il  Marchesini  si  propone  è  quello  di  mostrare  L'etica   come  la  idoneità  e  sufiicienza  del  metodo  positivo  a  fondare  una  dottrina  deUe  ideahtà  razionah,  ossia  a  costituire  l'etica  come  scienza.  Un  tal  compito  imphca  una  critica  radicale  di  qua-  lunque forma  di  etica  metafisica  ossia  di  qualunque  dottrina    scienza    12    Cap.  XXX.  -  Positivismo  e  correnti  affini    Analisi    mora-  le.    Natura    e    ir,  flusso  sociale.    la  quale  esiga  riferimento  a  una  sfera  trascendente  l'espe-  rienza per  spiegare  dati  rivelantisi  nella  esperienza  morale:  il  produrre  elementi  metafìsici  nello  studio  della  moralità  è  un  procedimento  non  conforme  a  ragione  scientifica,  consi-  stendo esso  nel  proiettare  nel  mondo  trascendentale  e  asso-  luto modi  soggettivi  ed  empirici  della  nostra  vita  spirituale.  La  morale  come  scienza  deve  eliminare  dalla  concezione  delle  idealità  siffatte  trasfigurazioni  e  deformazioni  del  procedi-  mento metafìsico  per  fissare  i  dati  concreti  dell'esperienza  spirituale  umana.   Vale  per  l'Etica,  non  meno  che  per  le  altre  scienze,  il  principio  che  ogni  indagine  scientifica  presuppone  una  realtà  data,  la  quale  ne  costituisce  l'oggetto:  l'Etica  presuppone  la  realtà  del  fatto  morale,  realtà  che  va  non  soltanto  con-  statata empiricamente  ma  determinata  altresì  nei  caratteri  e  nelle  leggi  specifiche  ad  essa  pertinenti.   Siffatta  determinazione  si  realizza  mediante  il  procedi-  mento deìl' analisi  del  fatto  morale:  si  tratta  di  decomporre  questo  fatto  nei  suoi  elementi  costitutivi  e  vedere  come  esso  sia  il  prodotto  o  la  sintesi  di  coefficienti  anche  d'ordine  in-  feriore.   Riassumendo  i  risultati  di  questa  analisi  quale  il  Mar-  chesini la  conduce,  vediamo  che  le  componenti  del  fatto  morale  sono:  a)  incUnazione  naturale  propria  dell'individuo  come  essere  biopsichico;  b)  fattori  della  socialità  propria  della  vita  umana;  e)  ideaUtà  razionale  ossia  aspirazione  a  modi  e  forme  di  vita  superiori  alla  realtà  attuale;  d)  ten-  denza a  concepire  e  sentire  l'ideale  etico  come  la  rivelazione  dell'Assoluto.   I  primi  due  ordini  di  taU  coefficienti  sono  omogenei  in  quanto  esprimono  i  fattori  costitutivi  della  struttura  dell'in-  dividualità umana  come  soggetto  morale.  «  Il  soggetto  mo-  rale risulta  anche  dalle  attitudini  originarie  dell'uomo,  che  si  differenziano  in  ogni  individuo  per  il  vario  contributo  delle  eredità  biologica  o  bio-psichica;  e  risulta  inoltre  tra  i  rapporti  sociali  stendentesi  nello  spazio  e  nel  tempo  in  cui  la  personalità  è  compresa,  e  che  del  pari  si  differenziano  negli    G.  Marchesini  13   individui  per  il  contributo  di  una  determinata  eredità  so-  ciale (....).  Il  soggetto  morale  si  compie  per  l'integrazione  di  questi  due  ordini  di  coefficienti:    la  natura  bio-psichica  dell'individuo,    l'influenza  sociale  bastano  isolatamente  a  spiegarne,  con  le  idealità,  la  vita  morale.  I  due  ordini  di  fattori  per  contrario  si  fondono,  e  ripercotendosi  negH  uni  la  efficienza  degli  altri,  si  modificano  reciprocamente  »  {La  dottrina  positiva  delle  idealità,  p.  55).   Siffatta  unità  organica  di  vita  bio-psichica  e  vita  sociale  è  la  base  reale  per  la  formazione  della  personahtà  morale,  per  la  quale  é  necessario  l'apporto  di  quello  che  noi  abbiamo  indicato  come  terzo  ordine  di  coefficienti,  cioè  le  ideahtà  etiche.  Queste  sono  caratterizzate,  a  dire  del  Marchesini,  L'obbligazione.  dalla  obbligazione  ossia  dalla  coscienza  di  una  necessità  ideale  a  cui  si  deve  sottostare,  dalla  coscienza  che  certi  modi  di  condotta  devono  essere  preferiti  a  certi  altri.  Ma  proprio  neUa  illustrazione  di  questo  concetto  del  dover  essere  speci-  fico alla  vita  morale,  il  pensiero  del  Marchesini  si  presenta  particolarmente  oscuro.  Da  una  parte  sembra  che  egli  insista  sulla  essenziale  amoraUtà  della  vita  sociale  in  quanto  priva  del  valore  derivante  daUa  idealità  (vi  sono  forme  di  società  animali  affini  alle  associazioni  umane  ma  prive  di  ogni  ca-  rattere di  morahtà)  ;  dall'altra  parte  tende  a  identificare  socialità  e  morahtà.  Parte  dalla  giusta  osservazione  che  «  la  morahtà  non  sarebbe  inteUigibile  fuori  dei  rapporti  sociali,  delle  tradizioni,  del  costume,  delle  istituzioni  varie  e  del-  l'azione inter-individuale  »,  e  da  questa  affermazione  infe-  risce che  nel  sentimento  sociale  è  già  l'essenza  del  sentimento  morale  in  quanto  il  primo  imphca  per  sua  natura  la  coscienza  dell'obbligazione  di  risentire  e  rispettare  i  vincoH  compresi  nei  rapporti  sociali,  imphca  cioè  la  tendenza  «  a  restringere  il  proprio  arbitrio,  e  a  mantenersi  in  un  certo  accordo  con  i  consociati:  e  in  ultima  anahsi  adunque  la  tendenza  sociale  è  una  tendenza  morale  ».  «  Noi  possiamo  separare  l'uno  dall'altro  sentimento  per  astrazione,  e  fissare  neUe  rispettive  definizioni  termini  differenziah  ;  ma  tutto  ciò  è  ben  lungi  dal  distruggere  la  loro  fondamentale  unità  psicologica...  per    ver  essere.    14  Cap.  XXX.  -  Positivismo  e  correnti  affini   la  quale  le  idealità  sociali  costituiscono  il  principio  supremo  della  moralità,...  e  si  comprende  come  si  possano  scambiare  i  due  termini  morale  e  sociale,  in  quanto  ha  natura  morale  tutto  ciò  che  è  sociale,  ed  è  sociale  ogni  morale  »  {ibidem,   PP-  56-57)-   Questa   tendenza    a   unificare    sul   piano   psicologico    le   ideaHtà  morali  con  le  esigenze  sociaU,  attuata  fino  in  fondo,  porterebbe  a  una  dottrina  etica  risolventesi  in  pura  socio-  //  fatto  e  il  do-  logia.  Il  Marchesini  sembra  restio  ad  accettare  una  posi-  zione del  genere,  intuendo  più  o  meno  oscuramente  la  diffe-  renza radicale  tra  l'obbligazione  o  normatività  sociale  e  l'obbhgazione  o  normatività  morale,  in  quanto  la  prima  si  risolve  in  una  pressione  che  di  fatto  la  società,  nel  costume  e  nella  legge  esercita  sulla  coscienza  individuale,  e  a  una  tale  situazione  di  fatto  l'individuo  avrebbe  sempre  il  diritto  di  contrapporre  un  altro  fatto  costituito  dalle  sue  esigenze  egoistiche;  viceversa  l'ideaHtà  morale  sta  ad  indicare  non  una  realtà  storica  o  psicologica,  bensì  il  diritto  all'esistenza  di  qualcosa  che  non  ha  attualmente  esistenza:  la  norma-  tività morale  è  un  dover  essere  che  s'impone  indipendente-  mente da  ogni  condizione  particolare  ed  è  in  forza  di  esso  che  si  sente  il  valore  imperativo  dell'idealità  sociale  non  solo,  ma  anche  la  necessità  ideale  di  aspirare  ad  una  costituzione  sociale  superiore,  nella  quale  siano  superate  le  deficienze  della  vita  sociale  attuale.  Ma,  ripeto,  questa  distinzione  è  intuita  dal  Marchesini  solo  oscuramente.  Egli  descrive  la  vita  schiettamente  morale  in  questi  termini  :  «  si  deve  sen-  tire e  operare  altruisticamente  superando  l'esclusivismo  egoi-  stico; si  deve  attenersi  al  dovere,  qualunque  sacrificio  pos-  sano subirne  i  nostri  desideri;  ci  si  deve  sottrarre  alla  servitù  vile  delle  passioni  ignobih  e  dei  ciechi  istinti  brutali,  e  acqui-  stare quella  hbertà  che  ha  nella  virtù  i  propri  simboli  eterni  »  [ibidem,   p.   61).   Ma  quando  si  domanda  quale  è  il  fondamento  di  quel  dovere  che  è  l'anima  della  vita  morale  cosi  caratterizzata,  si  risponde  che  questo  fondamento  è  dato  da  quella  che  egli  chiama  «  natura  morale  essenziale  all'uomo  »,  ossia  dalla    G.  Marchesini  15   potenzialità  propria  dell'uomo  di  costituirsi  come  soggetto  Potenzialità  morale.  «  Il  principio  della  naturale  umanità  morale  significa  *"°''^'^-  che  esistono  nell'uomo  in  quanto  tale  tendenze  naturali  po-  tenzialmente morali,  destinate  a  svolgersi  per  l'esperienza  della  vita  {....)',  questa  non  crea  le  tendenze  in  cui  l'umanità  consiste,  ma  interviene  necessariamente  a  svilupparsi  (....)•  Le  idealità  morali  traducono  in  se  medesime  la  nostra  uma-  nità morale,  quale  è  e  quale  aspira  a  divenire  (....).  Non  esiste  uomo  normale  che  nella  coscienza  del  valore  delle  ideaUtà  non  affermi  la  coscienza  del  valore  umano  e  proprio;  che  non  riconosca  insomma  intimamente  la  necessità  che  il  dovere  e  il  diritto  non  l'arbitrio  e  la  violenza  governino  la  condotta  individuale  della  vita  sociale»  {ibidem,  pp.  25-26).   Dal  che  risulta  che  la  «  umanità  morale  »  è  illazione  tauto-  logica daM'essere  delle  ideaUtà  morali  al  loro  poter  essere  e  non  può  quindi  offrire  a  queste  un  fondamento  che  esse  non  abbiano  già  in  sé.   La  difficoltà  -  nella  visuale  del  Marchesini  -  di  distinguere  Ricerca  di  una  chiaramente  l'obbhgazione  morale  da  quella  sociale  risulta  ^°^'^'^  ''^^^^■  anche  nella  ricerca  che  egh  fa  di  una  norma  delle  valutazioni  delle  idealità  etiche.  Il  regno  dei  valori  morah,  egU  dice,  è  l'io  dell'uomo,  ossia  essi  sono  soggettivi,  creazioni  del  sog-  getto. Ma  d'altra  parte  l'individuo  stesso  li  sente  come  og-  gettivi in  quanto  la  creazione  loro  da  parte  del  soggetto  non  è  arbitraria  e  questa  oggettività  consiste  nel  riconoscimento  che  quelli  «sono  valori  sociali,  storici,  tradizionah;  che  in  essi  convengono  i  consociati;  che  hanno  una  durata  nel  tempo,  se  non  anche  la  perennità  propria  dei  valori  fonda-  mentaU  d'ogni  consorzio  umano;  che  si  fissano  perfino  nello  spazio  mediante  varie  istituzioni,  e  nel  costume.  L'individuo  perciò  ne  riconosce  la  sovrana  potenza,  superiore  infinita-  mente al  suo  arbitrio;  riconosce  che  non  provengono  dalla  Ubertà  creatrice  dello  spirito  suo  ma  da  ragioni  obiettive  concrete»  {ibidem,  p.  86).  Dunque  la  validità  oggettiva  delle  idealità  etiche  si  risolve  nella  normatività  delle  valutazioni  dominanti  nella  società  in  una  determinata  epoca;  non  è  una  necessità  del  genere  di  quella  formulata  da  Kant  con   3.  -  Lamanna.  Storia  della  filosofia.  VU.    i6  Cap.  XXX.  -  Positivismo  e  correnti  affini   l'imperativo  categorico  «  ma  una  necessità  concreta,  na-  turale, immediata,  relativa  alle  condizioni  specifiche  della  convivenza,  ossia  del  modo  e  grado  di  sviluppo  che  in  una  determinata  epoca  e  società  venne  raggiunto  dalla  comune  umanità  morale  ».  La  necessità  delle  norme  della  valutazione  è,  per  il  Marchesini,  razionale  solo  in  quanto  è  naturale  e  storica  «  e  come  tale  si  scosta  dalla  necessità  pura  immuta-  bile concepita  e  propugnata  dall'idealismo  kantiano  »  [ibidem,  pp.  89-90).  La  reintegrazio-  Infine  uu  tentativo  di  caratterizzare  nella  sua  specificità  "^-  l'obbUgazione  morale  è  compiuta  dal  Marchesini  col  riferire   la  formazione  delle  ideahtà  etiche  al  processo  che  egli  chiama  di  reintegrazione,  per  cui  i  motivi  interiori,  le  inchnazioni  naturali  risultano  gli  elementi  originari  che  si  rifondono,  per-  sistendo, nelle  formazioni  superiori  dello  spirito.  «  Come  la  sensazione  persiste  nell'idea,  che  non  avrebbe  senza  di  queUa    origine    contenuto,  e  tuttavia  l'idea  non  si  riduce  alla  sensazione  (poiché  si  pone  come  un  vero,  cioè  in  relazione  a  una  idealità  logica,  che  l'individuo  apprende  per  effetto  di  una  speciale  cultura) ,  così  persistono  nelle  ideahtà  le  tendenze  varie,  fondamentali  della  personalità,  o  insomma  persiste  quello  che  possiamo  dire  il  suo  interesse,  ricostituendosi,  reintegrandosi  in  forme  nuove,  a  cui  si  attribuisce  più  pro-  priamente il  carattere  di  valori  »  {ibidem,  p.  76) .  Per  il  Mar-  chesini questo  principio  della  reintegrazione  abbraccia  l'uni-  versa natura:  questa  procede  per  integrazioni,  disintegra-  zioni e  reintegrazioni;  equivale  cioè  al  principio  evolutivo  del  passaggio  dall'indistinto  al  distinto,  della  continuità  tra  mondo  fisico,  mondo  biologico  e  mondo  psichico.  E  entro  il  mondo  biopsichico  esso  opera  come  passaggio  dall'istinto  animale  e  piii  in  generale  dalle  inclinazioni  biopsichiche  fon-  damentali alle  formazioni  superiori  della  umanità  morale.  Ma  nella  illustrazione  di  questo  passaggio  il  Marchesini  insiste  più  sul  concetto  del  persistere  dei  coefficenti  inferiori  nelle  formazioni  superiori,  che  sul  concetto  dell'originalità  e  novità  di  queste  ultime  e  sulla  specificità  dei  caratteri  spe-  cifici che  le  distinguono  l'una  dall'altra.  E  così,  a  proposito    lità  della  norma .    G.  Marchesini  17   della  formazione  della  nostra  «  umanità  morale  »  non  si  ac-  cenna neppure  alla  distinzione  in  essa  delle  idealità  sociali  dalle  idealità  speciiìcamente  etiche,  limitandosi  il  Marche-  sini ad  affermare  che  gli  elementi  inferiori  si  reintegrano  «  nelle  formazioni  superiori  dello  spirito,  soprattutto  per  la  provocazione  e  il  materiale  suggestivo  di  elaborazione  che  provengono  dai  rapporti  sociah  ».  E  ad  esempio,  a  propo-  sito della  ideahtà  della  Giustizia,  si  afferma  che  il  processo  reintegrativo  in  essa  consiste  nella  trasformazione  degl'im-  pulsi biopsichici  dell'individuo  -  assommantisi  nella  tendenza  a  perseverare  nel  proprio  essere  -  in  un  senso  di  sohdarietà  e  simpatia  che  si  traduce  nelle  istituzioni  giuridiche,  e  sembra  che  in  queste  si  esaurisca  l'obbligazione  morale,  come  dipen-  denza dell'individuo  dalla  volontà  sociale.  L'idealità  della  Relativa  stabi-  giustizia  -  al  pari  delle  altre  idealità  etiche  -  è  legata  alla  mobilità  dell'esperienza  storica  dell'umanità:  e  questa  con-  nessione -  su  cui  il  Marchesini  giustamente  insiste  -  giustifica  il  principio  metodologico  che  è  da  questa  esperienza  che  noi  dobbiamo  ricavare  i  criteri  di  giudizio  da  appHcare  ai  nuovi  dati  dell'esperienza  stessa.  Il  che  significa  che  l'esperienza  storica  ci  presenta  elementi  che  hanno  per  noi  valore  norma-  tivo: e  questi  elementi  sono  quelli  che  nel  mutamento  del  mondo  dell'esperienza  storica,  risultano  i  più  stabili  e  che,  nei  contrasti  della  vita  sociale,  raccolgono  i  consensi  più  larghi.  Ma  se  questa  stabihtà  e  questo  consenso  sono  pura-  mente elementi  di  fatto,  bastano  essi  a  costituire  quella  nor-  matività o  imperatività  che  è  essenziale  all'ideahtà  etica?  Lo  stesso  Marchesini  sembra  dubitarne:  egH  infatti  in  un  passo  importante  parla  non  semplicemente  di  stabihtà  o  di  consenso,  ma  di  diritto  alla  stabihtà  e  al  consenso  sempre  più  generale  [ibidem,  pp.  138-139).  Ma  non  dice  su  che  cosa  si  fonda  e  donde  deriva  un  tale  diritto.   Nell'anahsi  del  fatto  morale  il  Marchesini  rileva  un  altro  coefficiente  -  quello  da  noi  designato  come  quarto  -  e  cioè  un  ordine  d'impulsi,  per  i  quali  l'ideale  etico  è  sentito  come  «  la  rivelazione  d'un  mondo  trascendente  e  insomma  del-  l'Assoluto »  [ibidem,  p.  75  e  sgg.).    i8  Cap.  XXX.  -  Positivismo  e  correnti  affini   ^Assoluto.  Per  Marchesini  l'Assoluto  si  presenta  alla  coscienza  umana:   a)  come  la  realtà  suprema  da  cui  ogni  cosa  dipende  e  in  cui  tutte  le  cose  si  unificano,  oggetto  d'un'idea  metafisica;   b)  un  ideale  trascendente  di  perfezione,  con  cui  la  vita  degli  individui  tende  a  identificarsi,  contenuto  d'un  sentimento  essenziale  all'umanità  morale.  Ma  pel  Marchesini,  la  critica  razionale  del  pensiero  dell'Assoluto  nell'una  e  nell'altra  forma  dimostra  che  esso  appare  fattore  costitutivo  del  fatto  morale  non  in  quanto  la  trascendenza  ad  esso  attribuita  significhi  un'esistenza  esteriore  in  un  mondo  ultraempirico,  in  quanto  cioè  si  ponga  come  verità  oggettiva;  bensì  in  quanto  sia  il  simbolo  di  tutto  ciò  che  di  eccellente  l'uomo  sente  immanente  alla  propria  natura,  esprima  una  verità  «  soggettiva  »  rispondente  a  un  bisogno  essenziale  della  coscienza.  «  La  visione  dell'Assoluto  nella  coscienza  morale  emerge  dal  senso  del  mistero  di  cui  le  ideahtà  si  circonfon-  dono ».  «  Il  sentimento  dell'Assoluto  è  essenzialmente  mi-  stico: e  non  risulta  dall'idea  metafisica,  ma  la  precede  e  la  suggerisce  ».  «  La  esistenza  esteriore  all'Assoluto  è  una  fin-  zione  del  pensiero,  ma  non  è  finzione  il  processo  psicologico  ond'esso  è  sentito  nella  sua  spirituale  potenza,  e  per  cui  il  soggetto  vince  gU  impulsi  accidentali  ».  Analogamente,  la  trascendenza  metafisica  dell'ideale  assoluto  di  perfezione  uno,  universale,  immutato  è  una.  finzione,  un'immagine  puramente  contemplabile  ma  priva  di  ogni  efficacia  pratica.  «  Un  ideale  è  necessario  alla  vita...;  fuori  dell'ideale  non  c'è  che  mec-  canismo insulso:  esso  è  degno  pertanto  dell'entusiasmo  onde  lo  si  esalta  ».  Ma  quando  venisse  posto  fuori  della  natura  umana  e  dell'esperienza,  esso  si  ridurrebbe  a  una  vuota  forma  pura,  a  una  realtà  che  non  è  realtà,  a  un  mero  nome.  «  Ci  si  può  rappresentare  l'ideale  etico  come  uno,  immu-  tabile, trascendente,  solo  in  quanto  si  faccia  astrazione  dalla  realtà  concreta,  psicologica  e  storica,  dai  caratteri  individuali  e  dai  modi  vari  onde  si  compone  nei  singoli  la  coscienza  morale;  dalle  tradizioni  etiche,  dal  costume,  dalle  leggi,  daUe  istituzioni  sociah  e  poUtiche;  cioè  da  tutto  ciò  che    un  contenuto  concreto  e  relativo  all'ideale  etico;  ma  sarebbe    G.  Marchesini  19   assurdo  ritenere  che  dopo  ciò  sussistesse  tutt'ora  l'ideale  stesso....  Perchè  questo  abbia  quella  funzione  teleologica  che  gli  è  intrinseca  è  necessario  che  attecchisca  nella  per-  sonalità, assumendone  il  vigore  razionale,  affettivo,  e  pratico,  ossia  che  diventi  un  suo  interesse;  che  si  fondi  nella  espe-  rienza soggettiva  perdendo  la  purezza  astratta  e  nominale  che  l'idealismo  metafìsico  gh  attribuisce;  che  diventi  insom-  ma una  finzione  dell'umanità  morale  dell'individuo,...  un  bisogno  interiore,  un  modo  fondamentale  della  stessa  vita  Naturalismo  e  soggettiva,  una  legge  naturale  dell'esistenza.  La  sua  con-  soggettivismo.  cezione  naturalistica  o  realistica  importa  necessariamente  questo  soggettivismo»  {ibidem,  pp.  81-82).  La  critica  ra-  zionale tende  a  ridurre  l'Assoluto  al  relativo,  l'idea  di  per-  fezione quale  entità  oggettiva  trascendente  a  esigenza  biopsichica  della  coscienza  individuale,  a  fattore  immanente  della  soggettività  umana.  Così  ad  esempio  l'ideale  della  giustizia,  che  dalla  metafìsica  è  prospettata  come  trascen-  dente la  natura,  in  quanto  sovrasta  su  tutte  le  accidentahtà  e  imperfezioni  delle  cose  umane,  incontaminata  e  perenne  e  come  trascendente  la  storia,  in  quanto  questa,  nella  sua  perenne  mutevolezza,  lungi  dal  rilevare  che  cosa  il  Giusto  sia,  lo  presuppone  come  un  a  priori,  un  primum  stabile  ed  eterno,  è  per  il  Marchesini  una  formazione  naturale  e  un  prodotto  storico,  emerge  dalla  natura  umana  in  quanto  questa  è  natura  morale  oltre  che  fìsica  {ibidem,  p.  135  e  sgg).   La  consistenza  oggettiva  chela  metafìsica  attribuisce  Osservazioni  alle  idealità  morah  è  dal  Marchesini  interpretata  come  estra-  '^''^^*'^^^-  neità  ai  voti  della  vita  del  soggetto;  e  perciò  insiste  nel  con-  cetto che  la  morahtà  non  possa  essere  attuata  se  non  nella  natura,  che  i  principii  ideali  valgono  in  quanto  hanno  la  funzione  di  investire  e  organizzare,  non  già  negare,  le  ten-  denze naturali  perchè  il  soggetto  morale  si  formi  nella  sua  concretezza  vivente.  Ed  è,  questo,  un  concetto  giusto:  ma  non  è  necessariamente  derivabile  dalla  premessa,  discu-  tibile, che  la  trascendenza  sia  per  sua  natura  esclusiva  di  ogni  forma  di  immanenza  o  interiorità  al  soggetto.  Questo  appare  evidente  nel  concetto  fondamentale  di  dovere  o  ob-    20  Cap.  XXX.  -  Positivismo  e  correnti  affini   bligazione  specificamente  morale.  Il  Marchesini  riconosce  che  «  l'uomo  avverte  nella  sua  natura  una  necessità  cui  spetta  un  assoluto  impero,  e  vi  si  sente  legato  pur  se  vi  facciano  contrasto  altre  inchnazioni:...  non  v'è  coscienza,  di  un  valore  senza  la  coscienza  di  un  vincolo,  d'una  restri-  zione dell'arbitrio,  d'una  rinuncia»  {ibidem,  p.  93  e  sgg).  E  giunge  perfino  ad  affermare  che  l'azione  della  società  sull'individuo,  onde  si  distingue  in  lui  la  coscienza  delle  norme  e  dei  valori  moraU,  è  puramente  provocatoria  e  sug-  gestiva: l'obbligazione  sociale  è  costrittiva,  ossia  vincolo  esteriore,  mentre  l'obbligazione  morale  è  interiore,  è  cor-  relativa al  riconoscimento  -  da  parte  della  coscienza  del  soggetto  agente  -  del  valore  inerente  al  fine  proposto.  Di  siffatto  valore,  a  cui  è  correlativa  l'imperatività  incondi-  zionata, indipendente  cioè  dalle  circostanze  empiriche  par-  ticolari in  mezzo  alle  quali  l'azione  si  svolge,  il  soggetto  ri-  cerca il  fondamento  ultimo,  le  ragioni  «  impersonali  e  uni-  versaU,  assolute»  {ibidem,  p.  96).  E  crede  di  trovarle,  queste  ragioni,  o  neUa  volontà  legislatrice  di  Dio  (morale  teologica  o  religiosa),  o  in  una  sfera  di  realtà  oggettiva  superiore  a  tutti  gli  impulsi  del  soggetto,  in  un  mondo  (di  valori)  per    stante  (morale  ontologica),  o  in  una  ragione  pura  imper-  sonale che,  identica  in  tutti  gl'individui,  detta  a  tutti  un  medesimo  imperativo  categorico  come  forma  universale  che  investe  a  priori  i  contenuti  più  vari  e  mutevoli  della  condotta  e  indica  quali  tra  i  fini  che  l'esperienza  dimostra  desiderati  o  desiderabili,  debbano  essere  desiderati  (etica  formale) .   A  priori  reia-  Ma  pel  Marchesini  sono  queste  concezioni  inaccettabili  dal  punto  di  vista  positivo,  poiché  tutte  ugualmente  pongono  il  fondamento  dell'obbligazione  propria  delle  ideahtà  mo-  raU  in  qualcosa  di  trascendente  che  sfugge  all'esperienza:  implicano  la  proiezione  delle  idealità  fuori  della  vita  in-  teriore del  soggetto,  e  pertanto  le  presuppongono  già  formate  nell'ambito  di  questa,  nell'atto  stesso  che  pretendono  essere  tale  formazione  dovuta  all'azione  estrinseca  del  trascendente;  e  quanto  alla  presunta  ragione  impersonale  dell'etica  iov-    tivo    G.  Marchesini  21   male,  «  essa  non  è  che  una  forma  fittizia  della  ragione  per-  sonale consociata,  e  la  necessità  a  priori  del  dovere  è  una  necessità  naturale  »  {ibidem,  p.  104).  L'identità  formale  della  ragione  non  esprime  che  l'identità  psicologica  dell'umanità  morale  :  «  Nel  dovere  formale  si  traduce  la  nostra  vita  morale  concreta,  che  ne  acquista  il  carattere  dell'universalità  o  dell'apparente  incondizionaHtà.  Accade  cioè  che  la  forma  pura,  assunta  come  essenza  del  dovere,  abbia  l'apparenza  e  la  funzione  della  sintesi  a  priori;  ma  questa  forma  pura  è  in  realtà  nient'altro  che  l'indistinto  degH  elementi  concreti  della  coscienza  morale:  è  una  sintesi  di  questi,  ossia  un  a  priori  relativo  e  positivo,  non  già  assoluto  e  metafisico.  Il  dovere,  per  dire  con  altre  parole,  è  un  impulso  originario  della  nostra  umanità  morale,  una  legge  della  nostra  vita,  un  fondamento  della  nostra  esistenza  come  individui  sociali,  e  in  ciò  consiste,  se  si  vuole,  il  suo  carattere  a  priori.  È  tale  in  relazione  alla  nostra  successiva  esperienza,  rimanendo  a  questa  anteriore  non  diversamente  che  la  nostra  stessa  natura  morale  originaria,  in  cui  s'innesta»  [ibidem,  p.  102).   In  conclusione,  per  il  Marchesini,  quelle  concezioni  etiche  Le    concezioni  sono  costruzioni  fittizie,  sono  finzioni,  sotto  le  quah  la  cri-  ^^l"^^^.    .  ^°^^   '  j  '  T-  «  finzioni  ».   tica  razionale  deUa  scienza  positiva  non  può  riconoscere  altra  radice  reale  deUe  ideahtà  che  la  stessa  natura  umana  nella  sua  struttura  biopsichica,  intesa  come  originaria  po-  tenziahtà  morale  indistinta,  su  cui  la  comunione  sociale  esercita  infinite  azioni  stimolatrici  di  quei  processi  di  attua-  zione da  cui  emergono  le  ideahtà  stesse.  E  la  dottrina  po-  sitiva delle  ideahtà  ponendo  «  il  principio  fondamentale  dell'umanità  morale,  come  germe  (e  indistinto)  sempre  fe-  condabile dell'evoluzione  etica,  ci  lega  alla  natura,  ma  non  alla  natura  bruta,  bensì  aUa  natura  umana,  che  non  nega    asservisce  lo  spirito,  ma  è  per    medesima  capace  di  autonomia  morale»  {ibidem,  p.  70).  Questa  soluzione  del  problema  del  fondamento  deUe  idealità,  a  dir  vero,  po-  trebbe essere  sospettata  di  petizione  di  principio:  le  ideahtà  morali,  quali  vengono  sperimentate  nell'interiorità  della  vita  individuale  e  neUo  sviluppo  deUa  storia,  avrebbero  la    22    Cap.  XXX.  -  Positivismo  e  correnti  affini    loro  base  in  una  natura,  che  assume  la  qualifica  di  «  mo-  rale »,  solo  in  virtù  e  in  conseguenza  dell'esperienza  di  quelle  idealità  che  pur  si  pretende  siano  da  essa  spiegate  e  giusti-  ficate. Comunque,  tale  dottrina  positiva  delle  ideahtà  esclu-  dente come  irrazionale  qualunque  interpretazione  che  faccia  appello  a  un  fondamento  trascendente  la  sfera  empirica,  ha  come  suo  presupposto  l'interpretazione  naturalistica,  della  realtà,  diciamo  pure  una  metafisica  sottostante  al-  l'empirismo, al  materiahsmo  che  il  Marchesini  qualifica  come  umanistico,  in  quanto  riconosce  i  caratteri  peculiari  dell'uma-  nità, ma  sempre  naturalismo:  la  fede  nelle  ideahtà  è  fede  nella  natura  umana,  in  cui  le  ideahtà  germinano  {ibidem,  P-  52).    Rifiuto  del  tra-  scendente.    Trasfigurazio-  ne delle  cose.    Che  il  naturalismo  etico  delineato  dal  Marchesini,  in  quanto  corollario  del  naturahsmo  metafisico,  lasci  fuori  -  nel  tentativo  di  giustificare  e  fondare  le  idealità  etiche  -,  alcuni  aspetti  od  elementi  del  contenuto  di  queste,  e  che  quel  concetto  di  «  natura  umana  »  che  il  Marchesini  ha  co-  struite per  imperniare  su  di  esso  una  visione  positiva  della  vita  morale,  positiva  in  quanto  rifiuti  come  irrazionale  ogni  riferimento  al  trascendente  e  assoluto,  sia  così  vago  e  in-  definito da  includere  in  se,  contradditoriamente,  proprio  quel  bisogno  dell'assoluto  a  cui  esso  avrebbe  dovuto  apporre  un'insormontabile  barriera,  è  dimostrato  dalla  dottrina  del  finzionalismo  che,  come  abbiamo  ripetutamente  accen-  nato, al  Marchesini  sta  tanto  a  cuore.   Proprio  nel  paragrafo  conclusivo  dell'opera  La  dottrina  positiva  delle  idealità  (il  paragrafo  95,  intitolato  «  L'Arte  morale  »)  il  Marchesini  dice  che  è  essenziale  alla  vita  dello  spirito  r  insoddisfazione  -  egli  dice  anzi  «  disgusto  »  -,  per  la  realtà  di  fatto,  e  che  questo  disgusto  provoca  lo  spirito  a  fare  ogni  sforzo  per  vincerlo,  svolgendo  «  le  sue  attività  costruttive,  ossia  quel  vigore  artistico  che  gU  è  proprio  »  {ibidem,  p.  255).  Quest'arte  speculativa  investe  tutte  le  attività  dello  spirito,  sia  quelle  del  pensiero  logico  riflesso,  il  cui  prodotto  -  la  scienza  delle  cose  -  se  è  provocato  ne-    G.  Marchesini  23   cessariamente  dalle  cose,  è  tuttavia  una  costruzione  del  soggetto,  trasfiguratrice  delle  cose,  a  cui  viene  attribuita  oggettività  appunto  in  virtìi  dell'arte  speculativa,  sia  il  sentimento  e  il  volere  con  le  mirabili  sintesi  ideali  in  cui  si  ripercuotono  i  moti  etici  e  con  i  disegni  d'azione  in  cui  si  congegnano  gl'impulsi  e  le  inibizioni.  E  le  idealità  stesse  sono  creazioni  estetiche  dello  spirito  (creazioni  dell'arte  speculativa,  che  si  specifica  come  «  arte  morale  ») ,  in  quanto  riproducono  in  immagini  sublimi  e  perfette,  moti  vaghi  e  tendenze  multiformi  della  nostra  natura  sensibile  e  morale....  Ma  pur  come  tali  esse  rispondono  a  una  necessità  naturale  dello  spirito,  e  rappresentano  inoltre  il  bisogno  umano  di  adattamento  dell'io  alle  ideahtà  sociali.  Nelle  idealità,  senti-  mento e  ragione  si  armonizzano  :  «  la  natura  nostra,  fonte  originaria  del  mondo  ideale,  è  in  pari  tempo  affettiva  e  ra-  zionale, onde  la  ragione  si  spiega  pure  nel  sentimento  e  il  sentimento  si  modera  nella  ragione  ».   Ora  quest'attività  costruttiva  o  arte  speculativa,  di  cui  sono  creazione  le  idealità,  è  qualificata  dal  Marchesini  come  potere  di  finzione,  e  le  ideahtà  etiche  non  hanno  efficacia  e  valore  nella  vita  morale  se  non  in  quanto  vengono  rico-  nosciute come  finzioni.  E  come  abbiamo  già  accennato,  questo  concetto  è  l'idea  direttiva  dell'opera  Le  finzioni  dell'anima.   Il  termine  finzione  è  equivoco:  il  Marchesini  stesso  di-  stingue in  esso  due  significati  opposti:  nel  primo  finzione  è  «  infingimento  »  e  «  ipocrisia  »,  vera  e  propria  menzogna  per  cui,  mentre  si  cela  agh  occhi  altrui  il  proprio  essere  e  pen-  sare, si  tenta  con  atti  e  parole  di  farlo  apparire  diverso  da  quello  che  è,  e  ciò  col  proposito  consapevole  di  raggiungere  con  l'inganno  un  qualsiasi  utile  egoistico....  Nel  secondo  Equivocità  dei  significato,  finzione  è  il  risultato  d'un  atteggiamento  della  '^''"*"*^  *  f^^^^°-   ^    .  °°  ne  ».   coscienza  -  in  cui  l'immaginazione  ha  parte  prevalente  -,  per  cui  si  costruiscono    fingere  »,  etimologicamente,  è  appunto  plasmare)  parvenze  d'essere  o  tipi  ideali  di  condotta,  che  in    non  hanno  realtà,  ma  s'inseriscono  nella  realtà,  conformandola  e  adattandola  a  sé.  All'inizio  della  sua  trat-    24  Cap.  XXX.  -  Positivismo  e  correnti  affini   tazione,  il  Marchesini  precisa  la  definizione  della  finzione  in  questi  termini  :  «  il  fatto  della  finzione  consiste  nel  creare  enti  che,  mentre  per    sono  irreaU,  si  assumono  e  si  trattano  come  reaU....  Esso  consiste  nel  prevalere  d'uno  stato  interno  di  coscienza  per  cui  si    corpo  alle  ombre,  proiettando  nel  mondo  reale  un  prodotto  dell'immaginazione.  È  quell'arti-  ficio interiore,  per  cui  si    forma  di  obiettiva  verità  a  cre-  denze che  sono  dovute  a  un  singolare  disporsi  dell'anima  per  effetto  di  intimi  bisogni,  di  segrete  tendenze,  e  che  si  stabiliscono  e  deducono  senza  che  il  soggetto  penetri  vera-  mente l'essere  e  il  modo  del  proprio  spirito  »  [Le  finzioni dell'anima,   pp.    5-7).   E  in  questo  quadro  del  concetto  di  finzione  rientrano  le  massime  pratiche  nelle  quali  si  traducono  le  ideahtà  eti-  che: cerca  il  bene  altrui  come  il  tuo  stesso  bene  (altruismo,  come  identificazione  di    con  gh  altri  nella  com.une  umanità)  ;  riponi  la  tua  felicità  esclusivamente  nella  virtìi  (identifica-  zione di  virtri   e  felicità)  ;  fa'  quel  che  devi  esclusivamente  per  dovere  (identificazione  della  volontà  buona  con  la  forma  del  dovere)  ;  senti  la  responsabihtà  di  tutte  le  tue  azioni,  quali  manifestazioni  della  tua  libertà  assoluta  (identificazione  del  volere  con  l'agire  hbero)  [ibidem,  p.  85  e  sgg.)  E  la  sin-  tesi dei  valori  additati  da  taH  massime  é  simboleggiata  nel-  Videale  etico  come  modello  di  perfezione,  assoluto  e  univer-  sale, trascendente  tutte  le  singole  personalità  e  uguale  per  tutti.  E  pertanto  il  principio  morale  supremo  é  formulabile  così:  adegua  la  tua  personalità  al  modello  di  perfezione  as-  soluta, imphcante  il  concetto  dell'identificazione  della  vo-  lontà individuale  con  l'assolutezza  dell'ideale  etico  {ibidem,  p.  67  e  sgg.)  Ragioni  del  fin-  Ora  quaU  sono  le  ragioni  per  le  quaU,  secondo  il  Mar-  chesini, queste  ideahtà  sulle  quaU  la  morale  si  regge,  sono  finzioni?  In  breve,  sono  queste  tre:  i)  esse  sono  in  con-  trasto con  la  realtà:  le  identificazioni  che  l'anahsi  discopre  impHcite  sono  irreah,  e   perciò  i  concetti  etici  sono  «  erronei  ».  2)  La  impossibihtà  d'una  concihazione  tra  realtà  e  ideahtà  in  sede  teoretica,  non  esclude  la  possibihtà  d'una  conciha-    ztontsmo.    G.  Marchesini  25   zione  in  sede  pratica,  in  quanto  il  fatto,  accettabile  nel-  l'esperienza, che  la  vita  etica  con  le  sue  idealità  si  realizza,  pur  in  forme  parziali  e  relative,  giustifica  il  principio  pram-  matistico  che  comanda  di  agire  conformemente  a  quei  va-  lori, i  cui  concetti  sono  riconosciuti  «  erronei  »,  come  se  fos-  sero veramente  assoluti.  3)  Attraverso  il  prammatismo,  l'er-  rore, riconosciuto  in  sede  teorica,  dell'obiettività  del  valore  as-  soluto, è  superato  in  una  superiore  verità  teorica,  per  cui  non  è  contestabile  la  realtà  della  persona,  quale  si  viene  co-  stituendo nella  sua  dignità  attraverso  l'azione  ispirantesi  ai  valori  assoluti:  e  in  tal  modo  è  salva  l'unità  della  ragione  pratica  e  della  ragione  teoretica.   i)  «  Lavorare  è  finzione  se  la  si  fa  consistere  nel  pieno  La  perfezione  possesso  della  idealità  assoluta  morale,  o  nella  perfezione.  ^"'"^  '^°  '^  "'  Ciascuno  è  morale  secondo  la  propria  natura,  e  condizionata-  mente a  questa,  per  i  motivi  che  sono  in  essa,  per  le  incli-  nazioni particolari  ad  essa  consentanee,  e  nei  modi  cui  com-  portano le  innumerevoli  e  svariatissime  combinazioni  degli  elementi  del  suo  divenire  psichico  (....).  La  perfezione,  se  fosse  un  concetto  positivamente  valutabile,  sarebbe  in  ciascuno  in  quanto  la  sua  coscienza  morale  risponde  ^^'g-  namente  alle  condizioni  da  cui  è  emersa  e  dalla  quale  è  deter-  minata (....).  Invece  la  moraHtà  di  un  uomo  è  sempre  l'espo-  nente delle  accidentahtà  del  suo  io;  e  se  un  grano  di  bontà  morale  è  possibile,  questo  risulta  necessariamente  dalla  hmitazione  inerente  al  modo  concreto  dell'essere  e  del  di-  venire intimo,  personale»  {Le  finzioni,  pp.  62-63).  «Una  conciliazione  teorica  tra  la  morale  della  realtà  e  quella  che  l'ideale  etico  assoluto  rappresenta  come  modello  unico,  incondizionato,  è  dunque  impossibile»  {ibidem,  p.  83).   2)  Ma  a  questa  inconciliabihtà  teorica  non  corrisponde   Conciliabilità  un'assoluta  inconcihabiHtà  pratica.  «  La  personalità  che  ha  ^^"'^^'^'^•  le  sue  proprie  tendenze  e  i  suoi  propri  ideah  deve  essere  tut-  tavia   dominata    e    diretta    dall'ideale    etico    impersonale,  obiettivo,  assoluto;  deve  ricercarsi  dunque  una  conciliazione  tra  le  tendenze  relative  ai  bisogni  soggettivi,  e  l'impersonalità    20  Cap.  XXX.  -  Positivismo  e  correnti  affini   o  assolutezza  dell'imperativo  morale.  E  questa  conciliazione  dovrà  necessariamente  essere  pratica  »  [ibidem,  p.  128).  Questa  conciliazione  pratica  si  attua  nel  principio  pram-  matistico  del  come  se:  i  valori  assoluti  sono  fittizi,  ma  noi  dobbiamo  agire  come  se  fossero  realtà.  «  L'esistenza  subiettiva  è  non  meno  reale  che  quella  obiettiva,  e  se  esiste  nell'anima  dell'individuo  una  credenza  qualsiasi,  fosse  pure  nell'assurdo,  questa  credenza,  come  modo  di  essere  dello  spirito,  è  una  realtà.  Reale  è  quindi  nello  spirito  l'oggetto,  il  contenuto  del  credere,  e  ha  necessariamente  un'azione  motrice  o  ini-  bitrice, un  potere  di  direzione  nel  concerto  delle  idee,  dei  sentimenti  e  delle  azioni  individuah....  L'individuo,  per  l'eccitamento  che  a  lui  proviene  dalla  sua  fede,  opera  dunque  come  se  questa  fosse  pienamente  giustificata;  come  se  esi-  stesse obiettivamente  l'oggetto  della  sua  credenza  »  [ibidem,  pp.  198-199).  Il  processo  di  moralizzazione  della  vita  ha  due  momenti:  constatarsi  secondo  il  proprio  reale  essere  individuale,  con  la  sua  relatività,  e  trasfigurarsi  fingendosi  mighore:  l'ind ividuo  constata  in    il  difetto  di  bontà,  di  giustizia,  di  generosità  quale  gli  apparisce  dal  sincero  con-  fronto di    con  le  analoghe  idealità,  ed  opera  per  queste  idealità  la  catarsi  del  proprio  io,  l'incremento  morale  del  proprio  essere  e  poiché  le  ideahtà  sono  essenzialmente  sociali,  espressioni  di  una  volontà,  la  volontà  collettiva,  non  sog-  gettiva ma  obiettiva,  non  arbitraria  ma  necessaria,  io  mi  identifico  con  questa  volontà  sociale  e  riconosco  pratica-  mente questa  norma  suprema  :  «  opera  come  se  ciò  che  é  vero  socialmente,  ed  è  socialmente  imposto  come  assoluto,  fosse  vero  e  assoluto  anche  per  te  »  ;  questa  formula  esprime  la  rcLzionahtà  della  condotta  morale,  e  per  il  suo  valore  pratico  può  dirsi  prammatistica  [ibidem,  p.  192  e  sgg).  Fecondità  della  3)  «  La  volontà  morale  è  per    stessa  feconda,  e  può  volontà  morale,  crearsi  un  mondo  teoretico  obiettivamente  razionale.  Non  è  da  escludere  a  priori  che  un  mondo  teoretico  razionale,  obiet-  tivo, possa  costituirsi  anche  come  mondo  morale;  non  è  da  escludersi  che  sia  conciliabile  senza  finzione  la  ragione  pratica  o  volontà  morale  con  la  ragione  teoretica  o  critica,    G.  Marchesini  27   che  possano  mantenersi  integri  e  rigogliosi  i  valori  morali  seguendo  la  scienza»  {ibidem,  p.  156).   Questo  è  l'edificio  speculativo  costruito  dal  Marchesini  ideale  e  valore.  per  la  sua  Morale  della  finzione  e  del  come  se.  Dei  tre  punti  nei  quali,  per  amor  di  chiarezza,  l'abbiamo  articolato,  il  primo  è  quello  che  dimostra  il  grande  equivoco  su  cui  tutto  l'edificio  si  regge.  È  l'equivoco  per  cui  l'ideale  etico  della  perfezione,  e  gii  altri  ideaH  più  speciaH  in  cui  esso  si  deter-  mina, siano  realtà  in  atto,  esprimano  l'esistenza  per    stante,  obiettiva  di  un'Assoluto  trascendente  tutti  i  modi  di  essere  relativi  costituenti  l'esperienza.  E  messa  a  raffronto  con  la  realtà  empirica,  alla  cui  stregua  noi  misuriamo  la  verità  o  falsità  delle  nostre  conoscenze,  quell'altra  realtà  che  è  significata  dall'ideale,  risulta  in  netto  contrasto,  rivela  una  contraddizione  insuperabile  sul  piano  teoretico:  e  questa  contraddizione  spinge  il  pensiero  critico  a  qualificare  come  fittizia  la  realtà  attribuita  all'ideale,  a  definire  come  nulla  più  che  finzioni  le  idealità  stesse  e  a  riconoscere  erronee  tutte  le  credenze  nell'obiettività  di  esse.  Il  vero  si  è,  invece,  che  ideale  non  significa  realtà,  ma  solo  possibihtà  e  neces-  sità di  realizzazione,  non  esistenza,  ma  diritto  all'esistenza  per  il  valore  intrinseco  che  essa  presenta,  e  quindi  dovere,  per  la  volontà,  di  proporsele  come  fine  della  propria  azione.  E  tra  essere  e  dover  essere  non  è  possibile  una  contraddizione  logica,  appunto  perchè  essi  non  sono  termini  logicamente  omogenei:  per  contro,  l'essere,  in  un  soggetto  di  morahtà,  fa  appello  al  dover  essere  per  riceverne  elevazione  e  incre-  mento, e  il  dover  essere  fa  riferimento  all'essere  di  un  sog-  getto per  potersi  incarnare  nella  realtà.  Perciò  l'idealità  non  ignora  la  realtà  naturale  ad  essa  opposta,  ma  la  investe  per  impregnarla  di  sé,  trasfigurandola:  é  trascendente  e  assoluta,  ma  solo  nel  senso  che  il  suo  valore  è  sovraordinato  ad  ogni  realtà;  e  la  sua  imperatività  é  incondizionata.  Se  l'esperienza  morale  é  in  questi  termini,  che  senso  ha  il  trat-  tare l'ideahtà  come  finzione  ?  Finzione  essa  é  nel  significato  etimologico,  in  quanto  é  costruzione  della  coscienza,  in  quanto    28  Cap.  XXX.  -  Positivismo  e  correnti  afini   è  prospettiva  di  uno  stato  da  realizzare;  ma  non  nel  signifi-  cato d'  «  infingimento  »,  di  autoinganno,  implicito  nel  princi-  pio prammatistico  del  come  se,  che,  problematico  dal  punto  di  vista  psicologico,  è  negativo  dal  punto  di  vista  morale,  segno  d'insincerità.  L'ideale  di  perfezione  segna  una  mèta,  che,  po-  sta a  distanza  infinita,  può  anche  esser  riguardata  come  irrag-  giungibile: ma  non  per  questo  è  fittizia,  perchè  con  la  sua  imperatività  segna  alla  coscienza,  che  aspira  a  quella  mèta  una  direttiva,  nella  quale  è  il  criterio  oggettivo  per  distin-  guere ciò  che  nella  condotta  è  «  retto  »,  ha  valore  positivo,  e  ciò  che  è  «  deviazione  »,  ha  valore  negativo.  Apoditticità  Certo,  il  pensiero  speculativo  trova  aperta  innanzi  a  del  dovere.  g^  jg^  ^/^^  metafisica,  c  inclina  a  fare  dell'imperatività  asso-  luta dell'ideale  etico  e  della  fecondità  progressiva  dell'azione  che  ad  essa  s'ispira,  l'indice  di  una  Realtà  superiore  (Per-  fezione assoluta,  l'Essere  divino,  la  sfera  trascendente  dei  valori).  Questo  passaggio  dal  dover  essere  all'essere  si  attua  in  costruzioni  problematiche:  ma  la  problematicità  delle  deduzioni  metafisiche  non  distrugge  la  certezza  apodittica  dell'assoluta  imperatività  di  quei  principii  morali,  da  cui  la  metafisica  trae  le  sue  conclusioni  sull'Essere  assoluto.  Alla  morale,  sia  come  scienza  sia  come  pratica  di  vita,  basta  il  possesso  di  quella  certezza.   Nell'ambito  di  essa,  aggiungiamo,  si  pone  la  questione  fondamentale  della  specificità  dei  valori  morali  e  della  ra-  dice della  loro  obbligazione  assoluta.  Il  Marchesini,  abbiamo  visto,  risponde  riportando  la  morahtà  alla  sociahtà.  Contro  questa  soluzione  possono  essere  riprese  le  critiche  ripetuta-  mente mosse  a  ogni  interpretazione  esclusivamente  sociolo-  gica della  moralità.  Ma  non  a  questo  si  riferiscono  i  nostri  rihevi  finali,  bensì  al  fiiizionalismo  e  agh  equivoci  da  cui  esso  deriva.   3.  Erminio  Troilo:  dalla  posizione  positivistica  al  «  realismo  assoluto  ».    DaUa  scuola  di  Ardigò  usci  anche  Erminio  Troilo,  nato  nel  MoKse  nel  1874,  professore  di  filosofia    teoretica    dapprima    nell'Università    di    Palermo    e    E.  Troilo:  il           che  esprime  la  concezione  universalistica  dell  etica,  nella  quale  il  soggetto  che  valuta  pone    stesso  come  un  assoluto,  senza  tener  conto  delle  circostanze  particolari  nelle  quali  la  sua  coscienza  morale  si  è  costituita  quale  è,  e  assume  quella  coscienza  come  infallibile  principio  di  discriminazione  tra  il  bene  e  il  male).  «  Il  dovere,  che  è  l'astrazione  di  un  fatto  psicologico  ultimo,  è  di  natura  formale,  e  comporta  pertanto  ogni  maniera  di  contenuti;  e  il  bene  morale  non  può  farsi  consistere  in  uno  o  altro  di  questi  contenuti,  bensì  neU'at-  teggiarsi  della  condotta  coerentemente  al  riconoscimento  e  al  sentimento  dell'obbUgazione  »  [ibidem,  p.  512).  È  assolu-  tamente infondata  l'esigenza  di  stabiUre  quale  è  il  contenuto  in  se  e  per    buono,  quali  sono  i  principii  che  la  coscienza  dell'individuo  particolare  accogherà  e  riconoscerà.  La  psi-  cologia della  valutazione  porta  al  riconoscimento  di  una  pluraHtà  di  punti  di  vista,  i  quah  con  le  loro  armonie  e  con  le  loro  antinomie  le  forniscano  un  proprio  oggetto.  Ciascuna  delle  moltephci  direzioni  costanti  del  nostro  volere  vanta  diritti  o  accampa  pretese  sopra  l'uomo  tutto  quanto,  e  in  questo  é  il  germe  dei  conflitti  nei  quali  si  esprime  la  proble-  matica della  nostra  attività  pratica.  S'invoca  un  criterio  alla  stregua  del  quale  siano  conciliati  i  contrari  e  superate  le  contraddizioni.  Poiché  ciascuno  è  inclinato  a  pensare,  qualora  abbia  risolto  per  proprio  conto  il  problema,  che  quella  soluzione  da  lui  prescelta  sia  anche  «  la  »  soluzione  adeguata  e  giusta,  si  spiega  la  tendenza  ad  assegnarle  un  valore  uni-  versale, a  esigere  che  universalmente  venga  approvata  e  fatta  propria  dagh  altri  [ibidem,  p.  513  e  sgg.).    L.  Limentani:  pluralismo  etico  87   Questa  concezione  del  Limentani  solleva  riserve,  dubbi,  gh  intenti  dei  obiezioni,  di  cui  faremo  qualche  cenno  tra  poco.  Ma,  al  di  ^*'"^"'««^-    di  tutte  le  critiche  anche  le  più  radicali  che  ad  essa  pos-  sano muoversi,  è  da  riconoscere  innanzi  tutto  che  essa  è  tutta  animata  e  sorretta  da  genuina  e  fervida  preoccupa-  zione di  salvare  i  più  elevati  valori  morali.  Il  concetto  cen-  trale che  morahtà  non  è  altro  che  fedeltà  -  nella  condotta  effettiva  -  all'idea  liberamente  assunta  dal  soggetto  come  il  proprio  dovere,  come  direttiva  che  la  coscienza  dell'obbhgo  impone  alla  propria  azione,  significa  affermazione  del  valore  supremo  della  persona,  quale  operosa  costruzione  della  pro-  pria realtà  spirituale  nello  sforzo  di  sanare  il  dissidio  in-  teriore inehminabile  dalla  vita  individuale,  con  l'assicurare  l'effettiva  supremazia  di  ciò  che  è  sentito  come  doveroso  sulle  tendenze  avverse:  in  quell'enunciazione  dell'imperatività  della  coerenza  dell'atto  col  sentimento  del  dovere,  è  l'eco  della  celebre  affermazione  kantiana  che  l'unico  vero  bene  morale  è  la  volontà  buona  -  e  universale,  nel  suo  carattere  puramente  formale  -  questo  valore  della  dignità  umana  con-  sistente nella  fedeltà  pratica  al  proprio  sentimento  del  do-  vere: nessuno  di  noi,  certo,  può  penetrare  il  segreto  della  coscienza  degli  altri  individui  e  dare  un  giudizio  sulla  mo-  ralità del  loro  operare,  ma  presumendo  in  tutti  la  sincera  dedizione  di  ciascuno  all'idea  da  lui  sentita  come  doverosa,  noi  sentiamo  negh  altri  individui,  anche  se  la  causa  per  cui  combattono  con  sincerità  sia  diversa  e  perfino  antitetica  alla  nostra,  uno  sforzo,  identico  al  nostro,  di  costruire  la  pro-  pria personalità,  comprendiamo  il  senso  della  loro  azione  e  questa  comprensione  si  trasforma  in  umana  simpatia,  che  ci  affrateUa  anche  ai  nostri  nemici  nella  partecipazione  a  uno  stesso  regno  spirituale,    E  non  manca  infine  nel  Limen-  tani, sebbene  oscura  e  incerta,  l'aspirazione  a  porre  le  basi  per  interpretare  il  mondo  degli  uomini  come  una  società  di  spiriti  che  collaborano  all'opera  comune  di  costruzione  dell'umanità  non  soltanto  in  ciascuno  di  noi  ma  anche  in  tutti  gh  altri  consoci.   NobiHssime    aspirazioni    e    preoccupazioni,    queste,    che   Osservazioni  pervadono  la  costruzione  speculativa  del  Limentani  dando    88  Cap.  XXX.  -  Positivismo  e  correnti  affini   alle  sue  sottili  e  faticose  analisi  un  afflato  di  schietta  ed  ele-  vata eticità.  Ma  gli  apparati  teoretici  che  egli  appresta  per  la  soluzione  dei  problemi  che  l'esame  della  vita  etica  viene  via  via  affrontando,  sono  adeguati  all'appagamento  di  quelle  aspirazioni  e  preoccupazioni?  Qui  appunto  la  critica  solleva  obiezioni  così  numerose  e  gravi,  da  giustificare  o  rendere  al-  meno plausibile  la  conclusione  che  quella  dottrina,  piuttosto  che  convaUdare  e  fondare,  rinneghi  le  esigenze  etiche  affer-  mate, e  porti  al  dissolvimento  di  ogni  eticità.  Cosi,  all'esame  dei  concetti  che  pel  Limentani  esprimono  i  vari  momenti  o  elementi  costitutivi  dell'atto  fondamentale  della  costruzione  del  valore  della  propria  personalità  individuale,  risulta  che  la  «  coscienza  dell'obbligo  »  ossia  l'attribuzione  del  carattere  d'imperatività  a  uno  dei  molteplici  e  contrastanti  fini  verso  cui  ci  spingono  le  tendenze  e  inclinazioni  costituenti  la  nostra  natura  di  esseri  fisio-psichici  e  sociah,  è  per  il  Limentani  un  dato  di  fatto,  che  potrà  essere  spiegato  causalmente  nella  sua  genesi;  ma  rifiuta  qualunque  tentativo  di  giusti-  ficazione che  fondi  la  preferibilità  assoluta  del  fine  prescelto  rispetto  agli  altri:  io  debbo  agire  così;  perchè  così  son  fatto,  e,  in  forza  di  questa  mia  costituzione  di  fatto,  così  sento  di  dover  agire:  la  coscienza  dell'obbligatorietà  non  è  che  sentimento,  e  il  sentimento  è  espressione  della  mia  sogget-  tività quale  è  di  fatto,  e  si  sottrae  ad  ogni  esigenza  giusti-  ficativa. Può  questa  determinazione  del  mio  essere  quale  mi  si  rivela  nel  sentimento  già  costituito  reggere  il  peso  della  prospettiva  del  mio  dover  essere  ossia  della  mia  opera  mo-  rale come  instaurazione  d'un  essere  che  è  da  costituire  come  una  realtà  nuova  rispetto  a  quella  che  sentiamo  al  punto  di  partenza  ?  D'altra  parte,  il  sentimento  mi  rivela  il  mio  essere  individuale  quale  è  costituito  in  questo  momento,  in  questo  punto  attuale  del  processo  di  formazione  della  mia  individualità:  ma  in  ulteriori  momenti  questo  mio  essere,  sotto  l'azione  dei  moltepUci  fattori  che  concorrono  a  costi-  tuirlo, potrà  mutare,  e  il  sentimento  registrerà  questi  mu-  tamenti e  potrà  portare  all'assunzione  di  fini  obbligatori  diversi  da  quelli  che  attualmente  s'impongono  a  me.   Ora    L.  Limentani:  pluralismo  etico  89   è  lecito  domandare  se  la  possibilità  di  siffatta  mutevolezza  possa  conciliarsi  con  la  funzione  che  al  fine  assunto  come  obbligatorio  si  attribuisce,  di  bandiera  sotto  la  quale  io  com-  batto la  mia  battaglia  morale,  di  causa  alla  quale  si  debba  nell'azione  testimoniare  la  propria  fedeltà;  non  implica  tale  funzione  una  costanza  e  continuità,  che  abbraccia  anche  i  momenti  futuri  della  mia  esistenza  e  renda  possibile  l'unità  e  coerenza  interiore  della  mia  personaUtà  ?  Ma  nulla  giustifica,  nella  dottrina  del  Limentani,  la  pretesa  del  mio  fine  attuale,  ad  estendere  il  proprio  predominio  al  futuro  :  il  cambiar  ban-  diera, il  sostituire  alla  mia  causa  di  ieri  un'altra  causa,  non  altera  quel  rapporto  formale  di  coerenza  tra  l'azione  e  il  dovere,  che  è  l'essenza  della  moralità  e  il  tratto  costitutivo  della  personahtà.   Se  il  valore  morale  della  mia  personahtà  sussiste  immu-     devono  ri-  tato  pur  nella  diversità  e  antitesi  dei  fini  che  io  posso  assu-  ^P^^^"-^^  ^^,'^''^  *   ^  _  ,  ...  .  programmi   op-   mere  come  obbhgati  in  momenti  diversi  dal  mio  operare,  è  pressivi?  chiaro  che  questo  concetto  formale  della  personalità  può  essere  esteso  anche  agh  altri  individui:  ma  con  questa  con-  seguenza palesemente  contraddittoria,  che,  mentre  da  un  lato  si  afferma  che  ogni  personahtà  merita  rispetto  essendo  assoluto  il  valore  morale  di  essa,  dall'altro  lato  deve  essere  non  solo  compresa  ma  giustificata,  in  questo  o  queU'individuo,  la  fedeltà  a  una  causa  che  implichi  il  programma  di  oppres-  sione o  addirittura  di  soppressione  violenta  delle  personahtà  altrui.  Non  posso  simpatizzare,  in  nome  di  una  presunta  comune  umanità  con  un  altro  individuo  il  quale  si  arroga  il  diritto  -  anzi  come  dovere  -  di  farsi  persona  attraverso  l'osservanza  di  un  principio  che  è  negazione  di  una  comune  umanità,  un  principio  di  sopraffazione  deUe  personahtà  altrui.  Di  comune  a  tutti  i  soggetti  che  intendono  essere  membri  del  regno  dello  spirito  attuantesi  nel  mondo  degli  uomini  è  il  diritto  e  dovere  di  essere  coerenti  con    stessi:  ma  è  un  requisito  questo  che,  nella  sua  formahtà,  nella  sua  indifferenza  per  il  contenuto  del  fine  e  della  norma  con  cui  l'individuo  si  sente  obbhgato  ad  essere  coerente,  ha  un'uni-  versahtà  che  non  ehmina  ma  ribadisce  la  chiusura  dell'in-  dividuo in    stesso,  in  una  radicale  estraneità  agh  altri.    go  Cap.  XXX.  -  Positivismo  e  correnti  a  fini   Il   positivismo        6.  Il  sociologismo  di  Alessandro  Levi.    Uno  svi-  cnhco  cerca  ti  i^ppo  autonomo  del  positivismo  sociale  troviamo  in  un  altro   senso  dei  fatti.        -^  -^  ^   scolaro  dell'Ardigò,  Alessandro  Levi  (1881-1953)  che,  dopo  aver  schizzato  a  vent'anni  le  vie  fondamentali  del  proprio  pensiero  in  Determinismo  economico  e  psicologia  sociale,  si  specializzò  poi  in  iìlosofìa  del  diritto  [Per  un  programma  di  filosofia  del  diritto,  1905)  e  insegnò  tale  discipHna  in  varie  Università,  da  ultimo  a  Firenze.  Classici  sono  rimasti  i  suoi  Contributi  ad  una  teoria  filosofica  dell'ordine  giuridico  (1914)  e  il  saggio  su  Filosofia  del  diritto  e  tecnicismo  giuridico  (1920),  nonché  la  Teoria  generale  del  diritto  (1950).  Dopo  la  sua  morte.  Guido  Fassò  curò  la  raccolta  in  due  volumi  degli  Scritti  minori  di  filosofia  del  diritto,  coiTedandoli  di  una  completa  bibliografia  (1957).  Politicamente  Alessandro  Levi  aveva  simpatia  per  il  sociaHsmo,  espressa  nei  lavori  su  La  filosofia  politica  del  Mazzini  (1917)  e  II  positivismo  politico  di  Cattaneo  (1928);  e  nell'analisi  concreta  dei  fatti  sociali,  pur  restando  fedele  al  modello  di  quello  che  egli  chiamò  «  positivismo  critico  »,  seppe  fare  i  conti  anche  con  le  esi-  genze messe  innanzi  dall'idealismo  storicistico.  L'accerta-  mento dei  fatti,  nella  sfera  dei  fenomeni  sociali,  non  può  per  lui  andare  disgiunto  dalla  penetrazione  del  senso  dei  fatti  medesimi,  in  cui  si  manifesta  la  coscienza  collettiva  dei  gruppi  sociali.  Questo  tradursi  della  psiche  umana  collettiva  nei  fatti  sociaU  è  oggetto  di  uno  studio  che  può  dirsi  di  «  fe-  nomenologia positiva  »,  e  che  rappresenta  un'interessante  risposta,  da  parte  di  un  ricercatore  formatosi  in  clima  posi-  tivistico, al  nuovo  modo  storicistico  e  non  più  naturahstico  di  intendere  i  fatti.   II.   FENOMENISMO,  SUPERREALISMO  E  SCETTICISMO   7.  Il  Fenomenismo  di  Guastella.    Al  di  fuori  dei  quadri  della  scuola  ardigoiana  con  i  suoi  sviluppi  e  le  sue  crisi,  si  delinearono  in  ItaUa  nei  primi  decenni  del  secolo    e.  Guastella:  il  fenomenismo  91   indirizzi  filosofici  d'ispirazione  o  orientamento  più  o  meno  schiettamente  positivistico.  L'assunzione  dell'esperienza  sen-  L'esperienza  sibile  -  interpretata  in  senso  naturalistico  -  a  fonte  prima  *^"**  *  ^'  dei  criteri  di  soluzione  dei  problemi  del  conoscere,  della  realtà,  della  moralità,  l'avversione  ad  ogni  forma  d'apriori-  smo o  di  presupposti  metafisici,  un  atteggiamento  decisa-  mente polemico  verso  l'idealismo  assoluto  che  veniva  pren-  dendo n  sopravvento  nella  cultura  italiana,  sono  tratti  comuni  a  taH  indirizzi  :  tra  questi  i  più  rilevanti  per  la  natura  delle  posizioni  in  cui  sboccano,  sono  il  fenomenismo  del  GuasteUa,  il  superrealismo  dell' Orestano,  lo  scetticismo  e  relativismo  del  Rensi,  del  Levi  e  del  Tilgher.   Cosmo  Guastella  (1854-1922)  professore  di  filosofia  teo-  retica all'Università  di  Palermo  dal  1903  fino  alla  morte,  si  era  formato  nel  clima  del  positivismo  italiano,  ma,  risa-  lendo alle  fonti  lontane  di  esso,  e  più  particolarmente  al  classico  empirismo  inglese,  era  giunto  a  formulare  una  dot-  trina sistematica  sul  pensiero  e  sull'essere,  che  è  in  sostanza  una  rimeditazione  e  rielaborazione  delle  tesi  fondamentali  di  Stuart  Mill,  sviluppate  fino  alle  estreme  conseguenze.  Espose  le  sue  idee  in  opere  ponderose  {Saggi  sulla  teoria  della  conoscenza:  Saggio  primo:  Sui  limiti  e  l'oggetto  della  conoscenza  a  priori,  1897;  Saggio  secondo:  Filosofia  della  Metafisica  in  2  voli.,  1905;  Le  ragioni  del  Fenomenismo,  in  3  voli.,  1921-22).  Ma  nonostante  il  rigore  logico  della  sua  trattazione  e  la  fermezza  intransigente  con  cui  sostenne  le  sue  idee,  queste  non  ebbero  larga  ripercussione  nel  pensiero  italiano,  sia  per  l'indole  sohtaria  dell'Autore,  sia  per  la  scarsa  novità  dei  motivi  fondamentali,  sia  per  l'avanzare  vittorioso  dell'ideaUsmo  nella  stessa  scuola  (per  alcuni  anni,  nell'Uni-  versità di  Palermo,  accanto  al  Guastella  insegnò  il  Gentile).   Non   è   possibile    oltrepassare   il   mondo   dell'esperienza:   impossibilità  fuori  dell'esperienza  non  c'è  nulla  e  non  è  pensabile  nuUa.  l'esperZma"^^^  Ed  esperienza  significa  sensibilità:   pensare   è   sentire,   cioè  presenza  o  avvertimento  immediato  di  determinazioni  qua-  litative  concrete   e   particolari,   senza   che   questo   implichi    92    Cap.  XXX.  -  Positivismo  e  correnti  afini    Problema     del-  l'oggettività.    Nominalismo.    un  ente  distinto  da  esse  a  cui  esse  siano  presenti  o  da  cui  siano  avvertite:  quel  che  si  dice  soggetto  dell'esperienza  o  io  non  è  esso  stesso  che  un  insieme  di  sensazioni  anche  se  illanguidite  o  deboh  nella  forma  di  immagini  o  rappresen-  tazioni. E  d'altra  parte  quelli  che  diciamo  oggetti  reali,  essendo  un  insieme  di  sensazioni,  sussistono  se  e  in  quanto  essi  sono  sentiti  :  «  esse  est  percipi  ».  Se  la  conoscenza  ha  per  oggetto  la  verità  come  accordo  tra  pensiero  e  essere,  nessun'altra  dottrina  è,  secondo  il  Guastella,  in  grado  di  dare  a  quest'accordo  che  è  la  verità,  un  fondamento  altret-  tanto sicuro  quanto  la  sua,  che  considera  essere  e  pensiero  fatti  della  stessa  stoffa,  la  sensazione.   Ma  su  queste  basi  non  si  spiega  la  possibilità  di  un  co-  noscere oggettivo,  del  sapere  scientifico,  le  cui  verità  hanno  la  pretesa  di  valere  universalmente,  di  essere  leggi  della  realtà,  soverchianti  la  provvisorietà  e  parziahtà  e  causaUtà  delle  immediate  esperienze  soggettive.  Occon^e  dunque,  a  questo  scopo,  ammettere  principii  ultrasensibiH  ?  e  attri-  buire al  pensiero  il  potere  di  oltrepassare  i  limiti  dell'espe-  rienza e  di  procedere  a  priori  alla  conquista  di  verità  ogget-  tive? Il  Guastella  lo  nega  risolutamente,  e  per  riaffermare  il  suo  radicale  empirismo  sottopone  a  un  esame  critico  la  teoria  del  pensiero,  nella  tradizionale  distinzione  dei  tre  momenti  di  esso,  il  concetto,  il  giudizio,  il  ragiona-  mento.   Per  quel  che  riguarda  il  concetto,  di  esso  non  può  darsi  che  un'interpretazione  nominahstica  :  esso  cioè  è  im'entità  puramente  verbale,  un  nome  che,  riferito  alla  realtà,  non  designa  un  contenuto  nuovo  rispetto  a  quello  sensibile  -  i]  cosiddetto  intelligibile  universale  -,  ma  sempUcemente  una  molteplicità  di  sensazioni  concrete  e  particolari:  è  assurdo  attribuire  realtà  alle  astrazioni  concettuah,  perchè  queste  sono  immagini  generali,  ed  è  impossibile  ammettere  che  esi-  sta un  reale,  per  esempio  un  uomo,  che  possegga  i  carat-  teri comuni  all'umanità  senza  quei  caratteri  particolari  che  distinguono  un  uomo  da  un  altro  nella  sua  concreta  particolarità.    e.  Guastella:  il  fenomenismo  93   Quanto  al  giudizio,  esso  è  affermazione  di  rapporti  tra  11  giudizio  come  dati  sensoriaU  e  tra  immagini.  Ora  pel  GuasteUa  i  rapporti  \Z^f^'ZZu^'  più  generali  tra  le  cose  sono  quelli  di  tempo  e  di  spazio,  sono  sequenze  o  coesistenze:  e  questi  non  possono  essere  offerti  che  dall'esperienza  effettiva  delle  cose,  sono  a  po-  steriori: la  presenza  -  al  pensiero  -  della  nozione  o  imma-  gine di  ciò  che  in  una  sequenza  è  l'antecedente,  perchè  in  esso  il  pensiero  stesso  vi  trovi  il  fondamento  del  passaggio  al  conseguente.  Ma  accanto  ai  rapporti  di  sequenza  e  coesi-  stenza il  Guastella  pone  un'altra  classe  di  rapporti,  quella  della  somigHanza  e  dissomigHanza  ;  la  cui  affermazione  è  il  contenuto  di  quei  giudizi  ch'egH  chiama  comparativi.  Ora  per  questi  non  è  necessario  il  ricorso  all'esperienza  delle  cose,  basta  la  comparazione  delle  nozioni  o  idee  di  esse  :  non  c'è  bisogno  di  percepire  due  gruppi  di  due  oggetti  cia-  scuno da  una  parte  e  di  un  altro  gruppo  di  quattro  oggetti  dall'altro,  ma  basta  la  comparazione  dei  concetti  (imma-  gini) di  essi,  per  scorgerne  l'uguaghanza  (somigHanza),  come  basta  la  comparazione  delle  immagini  di  verde  e  di  giallo  per  affermarne  la  differenza:  e  dunque  la  vaHdità  di  questi  giudizi  è  a-priori,  e  solo  successivamente  è  trasferibile  nelle  cose.  La  matematica  è,  secondo  il  Guastella,  costituita  di  giudizi  di  somigHanza,  e  perciò  è  scienza  razionale  a-priori.  Ma  appunto  perchè  i  giudizi  a  priori  non  hanno  riferimento  aUa  realtà,  l'ammissione  di  essi,  secondo  GuasteUa,  non  incide  menomamente  sul  valore  del  principio  che  solo  l'espe-  rienza sensibile  consente  la  conoscenza  deUa  realtà:  l'empi-  rismo radicale  non  è  intaccato.  Solo  i  giudizi  esistenziali  concernono  le  cose,  mentre,  i  rapporti  di  somigHanza  non  sono  nuUa  di  oggettivo,  non  fanno  parte  del  contenuto  dei  singoH  termini,  ma  sono  il  risultato  di  una  sintesi  mentale.  Pertanto  le  scienze  fisiche  come  queUe  storiche  sono  costi-  tuite di  giudizi  esistenziaH  e  sono  scienze  sperimentaH,  mentre  le  matematiche  sono  costituite  di  giudizi  compa-  rativi e  riguardano  le  idee.   Con   ciò,   non  è   ancora  risolto  il  problema  deUa  possi-   Possibilità  delia  biHtà  deUa  scienza  come   sapere   oggettivo,   come   determi-    sctenza.    94  Cap.  XXX.  -  Positivismo  e  correnti  affini   nazione  di  leggi  universali  dei  fenomeni.  I  rapporti  di  se-  quenza e  di  coesistenza  constatabili  nell'esperienza  sono  particolari:  il  passaggio  all'universale  è  compito  di  quel  terzo  momento  del  pensiero  che  è  il  ragionamento,  di  cui  l'unica  forma  legittima  per  l'empirismo  è  l'induzione.  Il  fon-  damento dell'induzione  è  la  costanza  di  certi  rapporti  di  sequenza  e  di  coesistenza  constatata  nell'esperienza  passata.  Ma  questo  non  basta  ancora  per  la  trasformazione  di  un  certo  rapporto  in  legge:  a  ciò  si  esige  che  la  costanza  del  rapporto  constatata  nell'esperienza  passata  sia  estesa  alla  esperienza  futura,  esige  cioè  che  il  futuro  sia  conforme  al  passato.  Ma  la  credenza  nell'uniformità  della  natura  è  un  postulato  indipendente  dall'esperienza.  Qui  non  soccorre  più  l'empirismo.  E  si  profila  nella  conclusione  l'ombra  dello  scetticismo  humiano.  Uiiiusione  me-  Un  empirismo  così  radicale  come  quello  del  Guastella  tafistca  va  spie-  esclude  qualunque  forma  di  conoscenza  metafìsica.  Eppure,  egU  riconosce  come  permanente  e  irresistibile  la  tendenza  dello  spirito  umano  a  oltrepassare  il  mondo  dell'esperienza  e  ad  ammettere  una  realtà  assoluta  soprasensibile.  Per-  tanto egh  ritiene  che  compito  del  filosofo  sia  quello  di  mo-  strare insieme  con  l'illusorietà  del  sapere  metafìsico  la  genesi  psicologica  del  suo  necessario  formarsi.  La  dimostrazione  della  illusorietà  della  conoscenza  metafìsica  comprende  i)  la  critica  -  condotta  sul  modello  dell'empirismo  inglese,  da  Locke  a  Hume  e  al  Mill  -  dei  due  concetti  fondamentali  di  causalità  efficiente  e  di  sostanza,  intesi  come  arbitraria  trasformazione  d'una  sequenza  temporale  attestata  dall'espe-  rienza in  connessione  necessaria  tra  antecedente  e  conse-  guente (produzione  del  secondo  da  parte  del  primo)  per  quel  che  riguarda  la  causa,  e,  per  quel  che  riguarda  la  sostanza,  d'un  rapporto  di  coesistenza  tra  varie  rappresentazioni  quaUtative  in  un  qualcosa  di  distinto  da  esse  che  ne  costi-  tuisca come  il  sostrato  permanente;  -  l'arbitrarietà  del  pro-  cedimento psicologico  da  cui  si  origina  l'aspirazione  alla  conoscenza  di  una  realtà  ultrasensibile,  ossia  della  tendenza  a  estendere  alla  totahtà  dei  fenomeni  -  a  noi  non  famihari  -    e.  Guastella:  il  fenomenismo  95   le  spiegazioni  -  o,  meglio  le  presunte  spiegazioni  -  che  dei  fenomeni  a  noi  più  familiari  si  crede  di  poter  dare  mediante  il  concetto  di  causazione  efficiente.  In  altri  termini,  si  ritiene  che  al  senso  comune  e  all'intelletto  che  non  ha  fatto  ancora  la  critica  di    e  delle  sue  nozioni,  sembra  che  l'esperienza  a  noi  più  familiare  presenti  due  tipi  di  causazione  efficente  dei  fenomeni,  l'azione  dello  spirito  sul  corpo  (cioè  la  pro-  duzione dei  movimenti  del  nostro  corpo  da  parte  dello  spi-  rito) e  l'urto  di  un  corpo  con  un  altro  corpo  come  causa  dei  movimenti  di  questo.  L'evidenza  di  questi  due  modelli  di  causazione  autorizza  ad  estendere  l'uno  o  l'altro  di  essi  a  tutti  quanti  i  fenomeni  e  si  hanno  così  le  due  classi  di  si-  stemi metafisici  apparsi  nella  storia  del  pensiero,  cioè  i  si-  stemi spirituaUstici  (che  antropomorficamente  scorgono  in  tutta  la  realtà  l'azione  causale  dello  spirito)  e  quelli  mecca-  nicistici che  considerano  tutta  la  realtà  come  un  complesso  di  urti  reciproci  dei  corpi.  Ma  secondo  il  Guastella  questa  tendenza  psicologica  a  univerzalizzare  rapporti  che  al  più  valgono  per  l'esperienza  più  famihare  a  noi  uomini  non  è  per  nulla  giustificata,  e  pertanto  la  «  filosofia  della  meta-  fisica »  è  dimostrazione  deU'iUusorietà  della  metafisica  stessa.   La  fallacia  dei  sistemi  metafisici,  dimostrata  attraverso  la  critica  empiristica  del  concetto  di  causahtà  efficiente,  è  confermata  dalla  critica  empiristica  del  concetto  di  so-  stanza.   Il  senso   comune   e   l'intelletto   non   critico    credono    di   Fallace  concet-  scorgere  nelle  esperienze  dei  fenomeni  esterni  a  noi  più  fa-    '^^ .  ^°^^"'^^"'   °  ^  ^  materiale  o  spi-   miUari  permanenza  o  identità  con    stesso  di  qualcosa  rituale.  che  si  manifesta  nel  divenire,  ossia  nel  sorgere  e  nello  scom-  parire di  qualità  sensoriaU,  ma  non  si  esaurisce  in  esso,  in  quanto  non  nasce  e  non  muore.  E  col  sohto  passaggio  dal  famihare  al  non  famihare  s'interpreta  tutto  il  mondo  esterno  come  una  plurahtà  di  sostanze  materiali  immutabih,  le  cui  diverse  posizioni  reciproche  nello  spazio  determinerebbero  le  variazioni  quahtative  costituenti  il  divenire.  Si  formano  così  1  sistemi  metafisici  materiahstici  o  meccanicistici,  tra  cui  l'atomismo.  Ma  la  critica  scopre  l'illusorietà  del  concetto   8.    Lamanna.  Storia  della  filosofia.  VH.    96  Cap.  XXX.  -  Positivismo  e  correnti  affini   di  identità  sostanziale  delle  cose,  in  quanto  nell'esperienza  non  v'è  nulla  di  permanente,  e  quindi  nessun  fondamento  oggettivo  hanno  le  interpretazioni  metafisiche  materiali-  stiche e  atomistiche.  Analogamente  è  illusoria  la  credenza  che  l'esperienza  interna  ci  riveU  la  permanenza  e  identità  di  una  sostanza  spirituale  o  anima,  perchè  questa  non  è  altro  che  una  collezione  di  stati  di  coscienza,  e  quindi  infon-  date sono  tutte  le  interpretazioni  metafisiche  di  orienta-  mento  spirituahstico.   Questa  critica  porta  alla  conclusione  che  la  filosofia  dell'esperienza  deve  limitarsi  alla  constatazione  dell'esi-  stenza di  quaUtà  sensoriali  e  di  dati  di  coscienza,  rifiutandosi  di  ammettere  sostanze  materiali  o  spirituali.  È  soltanto  un  pregiudizio  del  senso  comune  la  credenza  che  il  cosiddetto  mondo  esterno  sia  costituito  da  corpi  che  esistono  per    quah  noi  li  percepiamo  ma  indipendentemente  dal  nostro  percepirli:  che  siano  percepiti  o  no,  è  indifferente  per  il  loro  essere.  Su  questo  pregiudizio  si  basano  tutte  le  forme  di  reahsmo,  e  da  esso  derivano  le  antinomie  che  le  conce-  zioni reahstiche  presentano  e  sono  per  esse  insuperabiH.  Solo  liberandoci  da  questo  pregiudizio  si  ha  una  visione  coe-  rente della  realtà,  quale  è  data  dal  fenomenismo  :  «  esse  est  percipi  ».  A  questa  confutazione  del  realismo  e  alla  con-  seguente dimostrazione  della  tesi  che  non  v'è  altra  realtà  che  quella  degli  stati  di  coscienza  ossia  quella  della  nostra  esperienza,  il  Guastella  dedica  la  sua  opera  conclusiva,  Le  ragioni  del  fenomenismo   (3  voli.,   1921-23).   8.  L'assiologia  di  C.  A.  Sacheli.    Uno  sviluppo  originale  in  direzione  della  filosofia  dei  valori  fu  dato  al  fenomenismo  del  Guastella  da  Calogero  Angelo  Sacheli  (1890-1946),  scolaro,  oltre  che  del  Guastella,  del  pedago-  gista Giovanni  Antonio  Colozza  (1857- 1943),  e  professore  lui  stesso  di  pedagogia  a  Messina.  Il  primo  nucleo  di  scritti  del  Sacheli  si  colloca  poco  dopo  la  fine  della  prima  guerra  mondiale  {Assiologia,  1919;  Indagini  etiche,  1920;  Feno-  menismo, 1926),  e  mira  soprattutto  a  scalzare  la  pretesa  di    L'assiologia  di  C.  A.  Sacheli  97   una  struttura  concettuale  data,  che  offra  una  volta  per  tutte  il  quadro  necessario  dell'attività  umana.  In  un  secondo  gruppo  di  scritti  {Atto  e  valore  e  Ragion  pratica),  del  1938,  il  Sacheli  mostra  che  riconoscere  la  concretezza  dell'imme-  diato non  significa  negare  ma,  al  contrario,  salvaguardare  i  valori  dello  spirito.  Il  proton  pseudos,  per  il  Sacheli,  è  cercar  n  valore  non  è  di  ricondurre  il  valore  all'essere:  poiché  allora  il  valore  sarà  ^l^^^J^^^'^^^^''^'  concepito  come  qualcosa  di  già  dato,  vuoi  come  fatto,  vuoi  come  forma,  e  perciò  come  qualcosa  di  inerte,  di  irrilevante,  che  cessa  pertanto,  non  solo  di  essere  valore,  ma  anche  di  essere  comunque,  per  ridursi  al  nulla.  L'essere  va  bensì  cercato,  ma  muovendo  dal  dover  essere,  senza  mai  pre-  tendere d'averlo  trovato  compiutamente:  va  cercato  in  una  tensione  continua.  Per  questo  il  reale  concreto  è  sempre  mobile,  imprevedibile,  problematico,  caratterizzato  da  quella  che  il  Sacheli  chiama  axiofenomenicità:  cioè  fenomenicità  costituentesi  nella  tensione  verso  un  valore.   In  questo  concetto  dell'esistere  si  può  notare  un  influsso,  sia  della  «  critica  del  concreto  »  di  CarabeUese,  sia  dell'idea-  lismo di  Gentile,  nel  senso  che  entrambi  stimolano  la  po-  lemica del  SacheU  e  quindi,  in  parte,  lo  condizionano.  Contro  il  primo,  il  SacheU  sostiene  infatti  il  vanificarsi  di  un  onto-  logismo verso  cui  non  ci  si  muova  axiofenomenicamente  ;  contro  il  secondo,  la  necessità  di  ammettere  una  plurahtà  di  soggetti,  e  non  un  soggetto  unico  e  assoluto.  L'esigenza  dell'alterità  è,  anzi,  il  principio  sintetico  originario  dell'espe-  rienza, ciò  per  cui  l'esperienza  concreta  si  fa  nell'io,  in  vista  dell'unità  con  l'altro  io.  Ciascun  io,  «  nella  sinteticità  con-  creta che  egli  è,  è  chiamato  a  reaUzzare  quel  pieno    stesso  che  non  può  veramente  essere  un  me,  un  ego  -  che  distingue,  separa  ed  oppone  -  ma  un  io  che  per  tale  mezzo  é,  in  ultima  analisi,  quell'unicità  axiologica  cui  solo  siamo  necessaria-  mente, interiormente  orientati»  [Ragion  pratica,  p.  316).  Non  senza  forzature  e  oscurità,  il  Sacheh  si  sforza  così  di  mettere  in  luce  una  vocazione  intimamente  axiologica  nel  fenomenismo  della  filosofìa  moderna,  affacciatosi  con  Hume,  e  soffocato  da  Kant  e  dai  postkantiani  sotto  strutture  a  priori.    gS  Cap.  XXX.  -  Positivismo  e  correnti  affini   g.  Francesco  Orestano  :  scienza  etica  e  «  super-  realismo  ».    Francesco  Orestano  (1873-1945),  nato  nel  Palermitano,  professore  di  filosofia  morale  e  di  storia  della  filosofia  dal  191 1  al  1924,  lasciò  volontariamente  la  cattedra,  dichiarando  di  voler  dedicare  tutta  la  sua  attività  all'ese-  cuzione d'un  programma  speculativo  molto  ambizioso,  o  forse,  più  propriamente,  presuntuoso:  la  costruzione  di  un  Ricerca  di  sistcma,  nel  quale  da  un  lato  il  problema  etico  e,  più  in  ge-  ^ifica'^'^  ^"^""  ^^r^J-^'  dei  valori  umani,  dall'altro,  il  problema  della  realtà  e  della  conoscenza,  impostati  su  basi  sperimentali,  avessero  una  soluzione  rigorosamente  scientifica,  e  costituissero  quindi  (pur  al  di  fuori  dei  quadri  della  scuola  positivistica)  una  nuova  filosofia  positiva.  E  d'altra  parte  questa,  a  suo  giu-  dizio, si  inseriva  nella  più  genuina  tradizione  del  pensiero  italiano:  si  prestava  quindi  ad  essere  strumento  e  appoggio  -  nel  campo  culturale  -  del  nuovo  regime  politico  instau-  ratosi in  Italia,  a  difesa  e  incremento  dei  nostri  valori  na-  zionali. Accademico  d'Italia  tra  i  primissimi  nominati  e  quale  Presidente  della  Società  Filosofica  Italiana,  abile  orche-  stratore  di  congressi  e  convegni  filosofico-politici,  l'Orestano  con  una  campagna  ferocissima  di  poco  edificanti  polemiche  svolse  un'accanita  concorrenza  con  l'ala  gentiliana  deU'idea-  Usmo  -  da  lui  boUata  per  le  sue  origini  hegeliane  come  espres-  sione deUo  spirito  germanico  -,  in  uno  sforzo  tenace  di  soppiantarla  nella  funzione  di  filosofia  ufficiale  del  re-  gime.   I  primi  lavori  teoretici  concernono  la  fondazione  di  una  nuova  etica:  e  con  essi  egli  carezzava  in  segreto  -  e  più  tardi  lo  dichiarò  apertamente  -  l'idea  di  essere  il  Galilei  o  il  Newton  deUa  scienza  del  bene  e  del  male,  /  valori  umani,  1907,  e  i  Prolegomeni  alla  scienza  del  bene  e  del  male,  19 15,  sono  le  più  importanti  tra  le  sue  opere.   L'Orestano  presenta  un  programma  di  innovazione  nel-  l'indagine dell'esperienza  morale,  perchè  questa  possa  assu-  mere carattere  e  valore  di  una  vera  e  propria  scienza  quale  «  esperienza  pura  »,  analogamente  alla  concezione  che  della  scienza  dei  fatti  naturah  ha  formulata  l'Avenarius.  La  scienza    F.  Orestano  :  scienza,  etica  e  «  superrealismo  »  99   etica  non  può  essere  altro  che  la  descrizione  della  vita  mo-  Descrizione   di  rale    da   cui   risultino   lepri   esprimenti   relazioni   funzionali  ^^!'^^^°^^  /"""   00  ir  j  ztonah  costanti.   costanti  tra  fenomeni  e  rappresentanti  la  massima  economia  concettuale  rispetto  alla  varietà  infinita  dei  fenomeni  stessi,  senza  alcuna  pretesa  normativa.  Si  aggiunge  che  la  scienza  della  morale,  se  vuol  essere  scienza  veramente  positiva  e  riuscire  alla  descrizione  più  completa  e  più  semplice  della  realtà  etica,  deve  rendere  formali  i  propri  concetti,  senza  dare  alcuna  definizione  concreta  del  bene  e  del  male,    difendere  alcuna  intuizione  particolare  della  vita  morale,  sia  egoistica  o  altruistica,  sia  individualistica  o  collettivi-  stica, ecc.,  bensì  applicando  indistintamente  i  propri  con-  cetti a  tutte  le  esperienze  morali,  dai  gradi  infimi  ai  su-  premi.   E  le  relazioni  funzionali  costanti  che  si  scoprono  nel-  /  valori.  l'esperienza  morale  sono  i  valori:  l'atto  di  valutazione  è  quello  che  la  scienza  morale  deve  innanzitutto  analizzare.  Ogni  valutazione  è  reazione  di  un  oggetto  alla  soggettività:  ma  a  proposito  della  natura  di  tale  reazione,  il  pensiero  dell'Orestano  presenta  oscillazioni  e  incertezze  tra  la  per-  suasione che  essa  sia  un  atto  di  coscienza  (reazione  psico-  logica) e  l'altra  che  essa  comprenda  elementi  extra  psicolo-  gici, inconsci  e  subconsci.  La  soggettività,  che  reagisce  nella  valutazione,  è  per  l' Orestano  un  «  sistema  di  vita  »,  che  presenta  una  composizione  multipla  e  pluricentrica  :  sotto  l'aspetto  psicologico  è  polipsichica  nel  senso  che  nello  stesso  individuo  si  trovano  più  centri  di  attività,  fonte  di  processi  sconnessi  e  discontinui;  sotto  l'aspetto  organico  è  polizoico  cioè  costituito  da  una  moltephcità  di  vite,  e  sotto  l'aspetto  sociale  policoinotico.  Questo  sistema  di  vita  -  di  cui  la  co-  scienza non  sarebbe  che  una  piccola  porzione  accanto  a  quelle  dell'inconscio  e  del  subconscio  -  è  la  fonte  onde  pro-  manano tutte  le  determinazioni  dei  valori  umani.  Ulteriore  chiarificazione  della  natura  dell'atto  valutativo  sembra  all'Orestano  la  riduzione  del  valore  a  uno  stato  di  interesse,  inteso  non  nel  senso  intellettualistico  di  curiosità,  ma  in  senso  bio-psichico,  come  reazione  della  personalità  nella  sua    100  Cap.  XXX.  -  Positivismo  e  correnti  affini   totalità  bio-psichica,  riferita  al  suo  oggetto  determinato  e  indeterminato  (il  che,  come  si  vede,  non  è  certo  una  chiari-  II  subconscio,  ficazione).  Ma  per  quanta  importanza  possa  avere  neUa  vita  della  personalità  il  subconscio  e  l'inconscio  e  per  quanta  verità  sia  contenuta  neUe  lunghe  anahsi  che  l'Orestano  fa  di  queste  zone,  rimane  indubitato  che  gli  elementi  inconsci  e  subconsci,  intanto  possono  essere  riguardati  come  fattori  della  mia  personahtà,  in  quanto  presentano  un  qualche  rapporto  e  hanno  una  qualche  ripercussione  nella  coscienza,  e  propriamente  in  quel  centro  di  essa  che  costituisce  l'unità  di  tutte  le  sue  più  diverse  manifestazioni,  e  che  appunto  chiamiamo  io.  Un  valore  è  valore  solo  in  quanto  vien  sentito  come  tale  dalla  coscienza,  qualunque  siano  le  indicazioni  che  da  questa  esperienza  cosciente  possano  trarsi  in  ordine  aUa  realtà  extra-psichica,  qualunque  possano  essere  le  con-  dizioni obiettive  di  essa,  tra  le  quali  appunto  rientrano  i  fattori  subcoscienti  e  incoscienti.  E  questo  è  in  ultima  anahsi  riconosciuto  dallo  stesso  Orestano  sia  quando  definisce  la  valutazione  «  coscienza  riflessa  di  uno  stato  di  interesse  »,  sia  quando  risolutamente  afferma  che  «  la  coscienza  è  la  vera,  l'unica  sede  della  vita  morale  »  e  quindi  della  attività  valutativa  in  essa  imphcita.   Ma  allora  noi  ci  domandiamo,  perchè  dichiarare  vano  il  tentativo  di  spiegare  psicologicamente  il  fatto  della  valu-  tazione e  respingere  la  teoria  deUa  funzione  valutatrice  come  specifica  e  irriducibile  ad  altro,  quando  la  sua  equazione  «  valore-interesse  »  è  espressione  diversa  di  questa  stessa  tesi  e  non  denota  elementi  più  semphci  ai  quali  la  nozione  di  valore  sia  riducibile  ?  La  soggettività  NeU'equivoco  e  nel  vago  noi  restiamo  quando  l'Orestano,          loi   possa  immaginare.  La  vita  è  im  complesso  di  funzioni  e  di  attività,  le  quali  si  svolgono  nelle  direzioni  più  varie:  è  vita  quella  dell'idiota,  come  è  vita  quella  di  Socrate  o  di  Gesù:  a  quale  delle  due  debbono  venir  ragguagliati  i  diversi  valori,  perchè  se  ne  possa  stabilire  una  serie  graduale  ?  La  vita  è  il  campo  in  cui  l'attività  pratica  si  svolge,  diciamo  meglio  è  la  materia  che  questa  attività  tende  ad  elaborare,  a  siste-  mare, a  unificare;  è  chiaro  che  questa  sistemazione  ed  uni-  ficazione non  potrà  esser  fatta,  se  non  alla  stregua  di  criteri  e  principii  di  valutazione  che  non  possono  esser  fatti  dalla  vita  stessa  ut  sic.  La  vita  può  anche  essere  considerata,  come  vuole  l'Orestano,  il  quantum  d'energia  -  qualunque  questa  sia  -  di  cui  in  ogni  istante  disponiamo  per  l'attuazione  di  questo  o  di  quel  fine;  ma  è  chiaro  che  è  la  graduazione  dei  fini  e  dei  valori,  presupposta  come  già  compiuta,  quella  che  determina  la  misurazione  del  quantìim  di  energia  da  mettere  al  servizio  di  questo  o  quel  fine,  e  non  viceversa.  E  comunque  può  richiedersi  tanta  forza  fisica,  tanta  intel-  hgenza,  tanta  energia  vohtiva,  tanto  coraggio,  ecc.,  per  perpetrare  un  dehtto,  quanta  per  compiere  un  atto  di  sal-  vataggio. Nessun  lume  ci  viene  in  proposito  dal  ricorso  a  una  o  altra  delle  metafore  tratte  dalla  matematica,  che  per  l'Orestano  rappresentano  come  lo  specimen  del  metodo  di  misurazione  che  nello  studio  dell'esperienza  etica  deve  essere  introdotto  perchè  questo  studio  sia  veramente  scientifico:  {scire  est  mensurare).  Nessun  lume,  dicevo,  ci  viene  dalla  possibihtà,  affermata  dall' Orestano,  di  rappresentare  i  di-  versi valori  come  tante  frazioni  con  numeratore  vario  e  con  comune  denominatore  -  la  vita  -,  quando  a  questo  deno-  minatore, espresso  si  con  un  unico  simbolo,  si    volta  a  volta  un  valore  e  un  contenuto  diverso.   In  questa  teoria  della  valutazione  in  generale  l'Orestano   Teoria  delia  va-  inquadra  il  problema  del  carattere  differenziale  che  contro-  ^«^«^^o^^-  distingue  la  valutazione  morale  dalle  altre  forme  d'interesse.  E  ravvisa  questo  tratto  caratteristico  nel  riferimento  di  un  oggetto  ad  un  concetto  unitario  della  vita  nella  totalità  dei    102  Cap.  XXX.  -  Positivismo  e  correnti  afini   suoi  scopi:  il  fatto  morale  è  impiego  effettivo,  cosciente  e  volontario  della  vita  in  funzione  di  un  concetto  di  essa,  con-  siderata nella  totalità  dei  suoi  aspetti  e  delle  sue  relazioni;  l'esperienza  morale  è  «  la  vita  che  pensa  e  vuole    stessa  ».  Nei  giudizi  morali  è  tutta  la  vita  in  questione,  non  la  vita  puramente  vissuta,  ma  la  vita  secondo  un  concetto  o  ideale  che  noi  ci  formiamo  di  essa  e  dei  suoi  scopi.  Questo  concetto  o  ideale  è  il  vero  fondamento  di  tutti  i  giudizi  etici:  fonda-  mento relativo,  perchè  soggetto  a  mutazioni  storiche  e  indi-  viduah;  ma  una  volta  fissato,  agisce  come  principio  assoluto  nella  determinazione  dei  valori  dipendenti,  e  non  c'è  momento  particolare  della  vita,  che  non  si  possa  valutare  sotto  l'aspetto  morale.  Il  centro  di  riferimento  delle  valutazioni  morali  è  non  necessariamente  la  vita  neUe  sue  attuali  modalità  bio-  logiche, ma  il  concetto  di  vita  nella  totalità  dei  suoi  scopi,  sia  che  questi  scopi  confermino  o  sia  che  tendano  a  modi-  ficare in  qualsiasi  modo  la  realtà  biologica  nel  piìi  largo  senso  di  questa  espressione.  u ideale.  Nella  valutazione  morale  dunque,  la  nozione  di  vita  che   costituisce  per  l'Orestano  il  fulcro  della  dottrina  dei  valori  umani,  si  comphca  con  l'introduzione  di  un  nuovo  elemento,  il  concetto  o  ideale  di  vita:  e  questo  presenta  nuove  difficoltà  e  incertezze.  Come  si  forma  questo  «  concetto  unitario  »  della  vita,  a  cui  devono  essere  riferiti  tutti  i  valori,  perchè  assumano  carattere  morale  ?  Se  s'è  detto  che  la  vita  è  l'unità  di  misura  di  ogni  valore  e  quindi  anche  del  valore  dell'ideale,  come  si  può  poi  affermare  che  è  l'ideale  l'unità  di  misura?  L'Orestano  afferma  che  l'ideale  impone  la  propria  legge  alla  vita,  e  parla  di  «  coscienza  di  dovere  »,  immanente  in  date  valutazioni  e  determinazioni;  parla,  altresì,  di  un  soggetto  che  ha  capacità  e  «  diritto  »  di  promulgare  ideaH  di  vita.  Ma  invano  noi  cerchiamo  nella  dottrina  dell'Orestano  un'ana-  lisi approfondita  della  nozione  di  dovere.  Per  lui  la  norma  morale  non  è  che  lo  schema  astratto  e  costante  di  un'espe-  rienza o  di  un  gruppo  di  esperienze  che  tendono  a  stabiLLz-  zarsi  nella  ripetizione,  e  importa  la  proclamazione  di  volere  e  la  coscienza  di  volere  persistere  in  tutti  i  casi  analoghi    F.  Orestano  :  scienza,  etica  e  «  superrealismo  »        103   nelle  medesime  disposizioni  valutative  e  nell'attività  cor-  rispondente. Quando  poi  la  norma  è  concepita  e  proclamata  in  termini  universali  non  soltanto  per  un  dato  soggetto,  ma  per  una  moltitudine  di  soggetti  appartenenti  ad  una  data  società  (e  tendenzialmente  per  la  totalità  dei  soggetti  possibili),  quella  norma  si  chiama  legge;  e  le  leggi  morali  sono  norme  e  sistemi  di  norme  che  dispongono  della  vita  umana  nella  totalità  delle  sue  relazioni.   Queste  sono  le  conclusioni  a  cui  l'OreStano  giunge  nella  Morale  econo-  descrizione  della  vita  morale,  e  significano  la  pura  e  semplice  ^If^^^^^  mora  e  constatazione  del  fatto  che  esistano  date  valutazioni  piìi  o  meno  durevoli,  piii  o  meno  intense,  più  o  meno  costanti.  Ma  quando  è  proposta  la  questione  della  legittimità  della  coscienza,  dell'obbligatorietà  e  della  almeno  potenziale  uni-  versalità delle  norme  e  leggi  morali  -  che  è  poi  la  questione  centrale  dell'etica  -  l' Orestano  fa  una  distinzione  importan-  tissima, che  minaccia  di  fallimento  il  programma  stesso  della  fondazione  di  un'etica  scientifica.  E  la  distinzione  è  tra  due  morali,  caratterizzate  dall' Orestano  come  morale  economica  e  morale  elettiva  o  morale  dell'ideale.  La  prima  è  un  insieme  di  norme  e  leggi  che  hanno  una  funzione  protettiva  della  vita,  di  comandi  proibitivi  di  tutto  ciò  che  può  nuocere  alla  vita,  e  costituiscono  l'ordine  etico  giuridico  avente  per  prin-  cipio fondamentale  il  valore  assoluto  della  vita  biologicamente  intesa  (vita  tanto  di  un  individuo  quanto  di  una  specie).  Questa  morale  fondata  sulla  economia  della  vita  tende  al  mantenimento  di  un  ordine  sociale  che  tuteli  ogni  vita  in-  dividuale contro  qualunque  fattore  volontario  di  distruzione  e  assicuri  a  tutti  il  libero  svolgimento  della  personalità.  Alle  leggi  e  norme  della  morale  economica  è  riconosciuta  come  essenziale  l'obbhgatorietà  e  universaHtà  ma  questa  si  risolve  nel  consenso  sociale,  ha  la  sua  fonte  nella  autorità  dello  Stato.    La  seconda  morale  invece  si  fonda  non  sul  valore  asso-  luto della  vita  ma  sul  valore  assoluto  dell'ideale,  ossia  del  concetto  di  bene  come  costituente  il  contenuto  spirituale  posi-  tivo della  vita.  Questo  problema  comporta  soluzioni  varie  sempre  più  libere  per  ciascuna  personaUtà  (e  perciò  è  detta    104  Cap.  XXX.  -  Positivismo  e  correnti  affini   morale  elettiva).  Appunto  perchè  la  personalità  è,  come  s'è  visto,  una  collettività  pluricentrica  e  i  vari  centri  di  funzioni  sono  relativamente  autonomi,  ad  un  stesso  individuo  quel  problema  presenta  conflitti  incomponibili  e  ineliminabili  anti-  nomie. L'ideale  di  vita  è  assoluto  m.a  in  rapporto  all'individuo  che  lo  formula  e  che  vi  si  sottomette,  anzi  al  momento  di  vita  che  egli  attraversa.  I  contrasti  alle  antinomie  fra  i  vari  ideali  di  vita  potrebbero  portare  ad  uno  scetticismo  etico,  potrebbero  portare  a  credere  che  la  vita  si  svolge  a  caso  senza    ordine    legge.  Ma  l'Orestano  arretra  innanzi  a  questa  conclusione  negativa  e  si  hmita  a  dubitare  che  l'espe-  rienza morale  e  forse  tutta  l'esperienza  umana  non  rivela  al  pensiero  la  totaUtà  delle  sue  condizioni;  che  l'empiria  esiga  l'integrazione  di  un  qualche  elemento  metempirico  che  è  forse  l'elemento  essenziale,  ma  inafferrabile  per  la  scienza,  avvolto  nel  mistero.  Mentre  si  voleva  fondare  sul-  l'esperienza pura  l'etica  come  fondazione  scientifica  e  la  distinzione  fra  bene  e  male,  alla  fine  sembra  inevitabile  il  ricorso  alla  metafisica  come  tentativo  di  svelamento  del  mistero.  L'Orestano  scrive  esphcitamente,  alla  fine  dei  Prolegomeni:  «non  tutta  la  realtà  è  nell'esperienza.  Questo  ci  dice  l'esame  scientifico  piiì  accurato,  esaurite  le  sue  più  rigorose  indagini  fra  crescenti  oscurità  e  contraddizioni,  alla  presenza  di  residui  che  ci  sfuggono.  Altra  volta  la  scienza  era  invocata  a  far  piena  luce  in  tutto:  oggi  essa  non  fa  che  adunare  prove  intorno  all'esistenza  di  un  mistero  inviolabile  ».  V antinomia  del  Tra  le  antinomie  scaturite  dall'anafisi  dell'etica  imper-  sacrtficto.  niata  nel  concetto  di  vita,  è  rilevata  dall' Orestano  in  parti-   colare quella  relativa  al  dovere  che  l'etica  elettiva  impone  del  sacrificio  assoluto  dell'individuo  per  la  causa  ideale  trascelta.  È  quello  che  l'Orestano  chiama  il  paradosso  della  guerra:  per  l'economia  della  vita  si  distrugge  la  vita:  l'ideale,  funzione  della  vita,  può  pretendere  di  attuarsi  a  prezzo  della  vita.  La  vita  è  per  il  soggetto  la  sola  vera  misura  che  il  sog-  getto possiede,  della  realtà  e  del  valore:  come  può  una  fun-  zione dipendente  di  essa,  cioè  l'ideale,  inghiottire  la  variabile  indipendente,  cioè  la  vita?  Questo  paradosso  non  si  risolve    F.  Orestano:  scienza,  etica  e  «  superrealismo  »        105   col  determinarne  un  certo  rapporto  di  quantità:  la  vita  è  un  valore  assoluto  che  non  può  sottoporsi  a  misura  quan-  titativa; le  vite  distrutte  nella  guerra  non  valgono  meno,  sol  perchè  meno  numerose,  delle  vite  protette:  forse  erano  anzi  le  piìi  valide,  le  più  nobili,  le  piìi  degne  di  vivere.  La  guerra  è  un  «  tragico  esperimento  »  :  il  paradosso  della  guerra  è  com.prensibile  solo  se  si  oltrepassa  l'individuo  mettendo  un  legame  intrinseco  tra  esso  e  il  tutto.  Se  l'individuo  fosse  veramente  individuo,  il  suo  sacrifìcio  per  la  sua  collettività  sarebbe  assurdo.  Se  egli  s'immola  all'idea  del  tutto,  vuol  dire,  che  questa  vive  in  lui  con  una  forza  e  un  valore  che  trascendono  ogni  considerazione  individuale.  Quanto  più  anzi  l'idea  del  tutto  vive  nei  singoli  ed  è  capace  di  assorbire  e  disciplinare  tutte  le  altre  valutazioni,  tanto  più  il  sacri-  fìcio individuale  diviene  facile  e  pronto.  E  quando  si  dice  idea  del  tutto  s'intende  non  la  totalità  della  vita  individuale,  ma  la  totahtà  dell'Essere.  Siamo  in  piena  metafìsica:  alla  via  discendente  della  riflessione  verso  lo  sviluppo  formativo  della  scienza  del  bene  e  del  male,  qui  l'Orestano  sostituisce  la  via  ascendente,  per  la  quale  il  problema  morale  scientifi-  camente trattato  diventa  tutto  il  problema  umano  :  problema  della  verità  e  dell'errore,  della  certezza  del  dubbio,  del  pen-  sabile e  dell'impensabile,  il  problema  della  coscienza  riflessa,  del  destino  umano  universale.  Il  passaggio  è  determinato  La  crisi  delia  dallo  spettacolo  tragico  della  guerra.  Fu  questo  -  dichiara  §"'^''''^-  l'Orestano  nella  prefazione  all'opera  Nuovi  principii  -  ciò  che  lo  indusse  a  una  riforma  del  pensiero,  per  renderlo  idoneo  a  quella  più  integrale  comprensione  della  realtà  e  del  dive-  nire naturale  e  umano  che  egH  chiama  nuovo  realismo  o  iperrealismo;  al  quale  egli  dedica,  oltre  l'opera  ora  ricordata  dei  Nuovi  principii  (1925)  parecchi  altri  scritti  successivi,  tra  cui  il  più  importante  è  Verità  dimostrate  (1934).  (Alla  fine  cfr.  il  volume  di  raccolta  di  saggi,  del  1939,  intitolato  //  nuovo  realismo).   Per  l'Orestano  il  problema  dei   problemi   della  filosofia  La  realtà  obiet-  odierna  è  quello  della  realtà:  si  tratta  di  vedere,  contro  l'im-  *^^'^'    io6  Cap.  XXX.  -  Positivismo  e  correnti  affini   manentismo  prima  dominante,  se  si  possa  ammettere  l'esi-  stenza e  determinare  la    struttura    d'una    realtà    obiettiva  per    stante,  indipendente  dal  soggetto,  Antimmanen-         È   Sorprendente   che,    nel   procedere   alla   dimostrazione  tismo.  della  sua  tesi  realistica  in  sensoanti-immanentistico,   l'Ore-   stano  muova  da  premesse  che  sembra  significhino  l'accet-  tazione in  pieno  deUa  posizione  immanentistica:  oggi,  egli  dice,  non  è  più  lecito  dubitare    deUa  soggettività  deUe  espe-  rienze, né  della  impossibilità  di  un  sapere  che  pretenda  uscir  fuori  dall'esperienza.  Da  un  lato  l'esperienza  è  neces-  sariamente relativa  alla  struttura  psico-fisica  e  logico-cate-  goriale del  soggetto  dell'esperienza  stessa;  e,  dall'altro  lato,  l'esperienza  è  invalicabile.  Ma  per  l'Orestano  questo  duplice  riconoscimento  non  basta  a  negare  una  realtà  indipendente  dal  soggetto,  ma  anzi  la  postula  a  vera  necessaria  integra-  zione. Significa  andare  oltre  quella  premessa,  dedurne  che  l'esperienza  sia  nulla  più  che  indice  d'una  realtà  soltanto  soggettiva.  Negare  in  nome  dell'esperienza  una  realtà  tra-  scendente è  già  oltrepassare  l'esperienza,  e  fare  dell'ontologia:  posizione  arbitraria,  questa,  che  contraddice  le  premesse.  E  questo  va  detto  non  solo  delle  esperienze  particolari  nelle  loro  concrete  presentazioni,  ma  anche  delle  stesse  forme  a  priori,  che  Kant  proclamò  soggettive  e  soltanto  soggettive,  mentre  niente  autorizza  ad  escludere  che  esse,  oltre  che  forme  a  priori  nel  soggetto,  siano  anche  schemi  oggettivi  dell'ac-  cadere, o  abbiano  quanto  meno  un  analogo  oggettivo.  La  subiettività,  una  volta  stabihta,  vieta  di  affermare,  ma  vieta  anche  di  negare  ogni  e  qualsiasi  corrispondenza  tra  le  nostre  esperienze  e  una,  sia  pure  ipotetica  realtà  transubbiettiva  :  chi  lo  nega  viola  il  principio  della  subiettività  quanto  chi  l'afferma.  Pertanto,  se  ne  desume  come  unica  conseguenza  legittima,  non  la  soppressione  di  qualunque  riferimento  trascendentale  della  nostra  esperienza  a  una  realtà  in  sé,  ma  l'affermazione  della  problematicità  della  realtà  in  sé.  Ogni  esperienza  nasce  e  si  fissa  con  un  suo  riferimento  onto-  logico, cioè  con  un  senso  vettoriale  verso  una  sia  pure  ipo-  tetica realtà  in  sé,  assunta  come  il  sustrato,  lo  sfondo,  ragione    F.  Or  estano:  scienza,  etica  e  «  superrealismo  »        107   e  misura  della  stessa  esperienza.  Ma  la  problematicità  di  questi  riferimenti  ne  esige  una  continua  verificazione,  esclu-  dendone l'accettazione  passiva  e  totale.  La  soluzione  del  problema  della  realtà  in    deve  per  l'Orestano  essere  in  qualche  modo  positiva,  ancorché  parziale,  approssimata,  provvisoria,  pena  la  vita;  perchè  noi  viviamo  effettivamente  non  mai  tra  soU  fenomeni,  ma  tra  noumeni,  noumeni  noi  stessi.   Come  presupposto  di  tutta  la  trattazione  del  problema  La  «dimensio-  ontoloedco,    l'Orestano    ammette    quella    che    egh    chiama  "^   trascenden-   ^  ^  ^  °  tale»    dell'espe-   dimensione  trascendentale  dell'esperienza,  come  componente  Henza.  costante  e  insopprimibile  di  tutta  l'esperienza  nel  suo  com-  plesso e  di  ciascuna  esperienza  particolarmente  presa,  che  ne  addita  i  riferimenti  a  una  realtà  in  sé,  a  un  ipotetico  sfondo  noumenico,  trascendente  tutti  i  dati  componenti  l'esperienza  stessa.  E  un  tale  riferimento  si  manifesta  in  due  direzioni:  l'una  verso  un  non-io  (cose  esteme,  soggetti  altri  da  noi,  ecc.),  e  l'altra  verso  il  nostro  stesso  io,  come  entità  tanto  nascosta  e  misteriosa  e  inaccessibile  quanto  ogni  oggetto  o  non-io  a  noi  estraneo.  E  in  questa  dupUce  direzione,  le  rivelazioni  della  cosa  in    che  riusciamo  a  coghere  sono  egofanie,  se  riferibili  al  nostro  io  trascendente,  eterofanie  se  riferibih  a  un  mondo  in  sé,  a  un  non-io.  Sulla  dimensione  trascenden-  tale si  fonda  quella  che  l'Orestano  chiama  metafisica  del  fatto  empirico.  La  dimensione  trascendentale  propone  per  ciascuna  esperienza  un'ipotesi  di  ordine  ontologico  e  non  soltanto  fenomenico;  ipotesi  suscettibile  di  verificazioni  sperimentaU  soltanto  parziaU  e  provvisorie,  di  correzioni,  integrazioni,  abbandoni  e  riprese.  La  dimensione  trascen-  dentale costituisce  l'asse  non  solo  di  tutto  il  nostro  pensare  e  conoscere,  ma  di  tutto  il  nostro  agire,  in  quanto  ad  essa  noi  ci  appoggiamo  nel  trattare  i  fenomeni  sia  sul  piano  teo-  retico,  sia  sul  piano  tecnico  e  pratico.   La  questione  fondamentale  dell'ontologia,  secondo  l'Ore-  stano, consiste  nell'esaminare  se  è  possibile  uscire  dalla  problematicità  ontologica  delle  esperienze,  rimanendo  con  le  esperienze   e   nella   esperienza.    Questo   problema   comporta    io8  Cap.  XXX.  -  Positivismo  e  correnti  affini   una  soluzione  positiva  solo  a  condizione  che  ammettiamo  a  priori  di  poter  distinguere  con  criterii  interni  esperienze  da  esperienze,  confr ontare  cioè  le  esperienze  ontologicamente  certe  con  le  dubbie  e  con  le  ingannevoli,  le  obiettivamente  condizionate  dalle  incondizionate,  ecc.  La  scala  ontoio-  Con  questo  intento  e  questo  procedimento  l'Orestano  ^'^'^"'-  crede  di  poter  ordinare  i  valori  ontologici  del  nuovo  realismo   in  una  scala  ontologica  graduata  in  modo  che  i  gradi  supe-  riori implichino  tutti  gli  inferiori,  ma  li  oltrepassino  aggiun-  gendo ai  precedenti  indici  di  accrescimento  di  potere  e  di  valore umano.   Questa  scala  è  così  costituita:   i)  ricerca  e  verificazione  di  costanti  delle  esperienze  implicante  la  ripetizione  delle  esperienze,  sia  la  ripetizione  indipendente  dalla  nostra  volontà  (osservazione)  sia  ripe-  tizione a  volontà  (esperimento)  :  la  scienza  è  tutta  un'ansiosa  ricerca  di  tali  costanti;   2)  verifica  delle  costanti  teoriche  scientificamente  ac-  certate, negazione  integralmente  considerata:  l'uomo,  per  la  soddisfazione  dei  suoi  bisogni,  svolge  un'azione  la  quale  è  come  un  interrogatorio  a  una  realtà  in  sé,  proposto  con  le  nostre  previsioni:  i  risultati  dell'azione  sono  altrettante  risposte;  che  danno  sempre  un  valore  positivo  e  negativo  alle  nostre  incognite  e  costituiscono  l'unico  controllo  che  possediamo,  sebbene  e  soltanto  approssimativo  e  provvi-  sorio, delle  nostre  verità  e  dei  nostri  errori  in  un  piano  non  soltanto   fenomenico   ma   ontologico;   3)  gli  atti  di  valutazione,  con  cui  si  trasfigura  in  senso  umano  la  realtà  obiettivamente  data  e  vi  si  inseriscono  realtà  umane  che  la  stessa  natura  ignora;   4)  funzione  creatrice  di  realtà  tutte  e  soltanto  umane,  Creazione  di  la  Creazione  del  mondo  dei  valori  umani:  creazione  che  ha   luogo  non  soltanto  nella  sfera  circoscritta  di  una  personalità  ma  nelle  costruzioni  storico-collettive  le  quali  danno  indi-  cazioni pregnanti  e  provanti  il  realismo,  nel  grado  massimo  consentito.    Questa  ontologia  non  è  più  confinata  ai  rilievi    realtà  umane.    F.  Orestano:  scienza,  etica  e  «  superrealismo  »         109   di  date  costanti,  pur  utilizzandole  tutte;  essa  va  oltre  tutto  ciò  che  è  già  acquisito  all'esperienza,  non  solo,  ma  che  possa  esservi  empiricamente  dato.  Non  è  un'ontologia  passiva  e  contemplativa,  ma  essenzialmente  attiva,  guerriera,  in  cui  funzioni  creatrici  e  rivelazioni  trascendentali  (egofanie  ed  eterofanie)  si  compenetrano  oltre  tutti  i  hmiti.  Per  essa  il  mondo  non  è  più  una  quantità  data  ;  ma  il  soggetto  si  immette  in  un  mondo  di  possibilità  sconosciute  e  sconfinate  e  marcia  alla  conquista  di  posizioni  assolute.  Nel  mondo  dei  valori  umani,  edificato  storicamente  da  intere  collettività  umane,  i  valori  spiegano  tanta  piii  potenza  realizzatrice  propria,  quanto  meno  sono  obiettivamente  condizionati.  Perciò  si  graduano  essi  pure  in  una  scala  dai  più  ai  meno  condizionati,  e  inversamente  dai  meno  ai  più  elettivamente  costituiti:  valori  economici,  giuridici,  politici,  morali,  poetici,  religiosi.  In  questa  gradazione  interna  del  mondo  dei  valori  umani  si  va  da  queUi  che  segnano  un  massimo  di  dipendenza  o  con-  dizionalità  obiettiva  (i  valori  economici)  a  quelH  (i  valori  rehgiosi)  che  segnano  il  massimo  d'indipendenza  o  incondi-  zionalità  empirica  e  fondano  realtà  umane  storicamente  resistenti  e  universalmente  dominanti.  I  valori  rehgiosi  trasformano  l'asse  ontologico  di  tutti  i  valori  umani  in  un  sistema  metempirico:  la  categoria  dell'Assoluto  opera  in  tutta  la  sua  estensione:  la  trascendenza  involge  e  domina  tutta  l'immanenza  e  questa  si  potenzia  e  subhma  nella  tra-  scendenza. Alle  egofanie  ed  alle  eterofanie  sono  congiunte  le  teofanie.   Tutti  i  gradi  di  questa  ontologia  dalla  prima  ricerca  delle  costanti  dell'esperienza  al  più  alto  ed  efficiente  sforzo  costruttivo  di  un  mondo  umano  in  funzione  del  Sopranna-  Anelito  ai  so-  turale,  sono  pervasi  dall'anelito  a  una  realtà  non  illusoria.  P''^'^^^^^''^^^-  Questo  slancio  di  continuo  superamento  riesce  a  fondare  sistemi  di  realtà  spirituale  trasumananti,  a  cui  nessuna  realtà  fisica  e  naturale  è  confrontabile  per  potenza  ordinatrice  e  per  fecondità  creativa.   Era    un    errore    di    prospettiva    della   vecchia    ontologia  dare  per  veramente  reale  il  regno  della  natura,  e  per  reale    no  Cap.  XXX.  -  Positivismo  e  correnti  affini   il  regno  dell'uomo  solo  in  quanto  assimilato  al  primo.  Per  rOrestano  è  vero  il  contrario:  non  c'è  nulla  di  cosi  labile  come  il  fenomeno  fisico,  e  nulla  di  più  resistente  e  fecondo  di  realtà  del  mondo  dei  valori  umani,  che  la  stessa  natura  è  incapace  di  porre  in  essere  e  che  l'uomo  crea  e  propaga  all'infuori  di  ogni  dipendenza  da  modelli  fisici  e  naturali.  La  scala  ontologica,  per  essere  umana,  non  è  mai  soltanto  soggettiva,  e  per  essere  frutto  di  pensieri,  sentimenti  e  voli-  zioni dell'uomo  non  per  questo  presenta  caratteri  di  realtà  meno  imponenti,  anzi  più,  di  qualsiasi  più  potente  processo  cosmico.  E,  poiché  ciascun  grado  superiore  non  solo  implica  e  convahda  ma  anche  supera  tutti  i  gradi  inferiori,  l'Ore-  stano  quahfica  il  suo  reahsmo  costruttivo  come  superrea-  lismo.  Secondo  questo  realismo  costruttivo  il  processo  della  conoscenza  non  è  mai  sempHce  adeguazione  passiva  a  una  realtà  data,  ma  si  alimenta  di  un  attivismo,  che  concorre  col  fatto  proprio  a  stabilire  la  consistenza  e  misura  della  realtà  da  noi  conosciuta  e  vissuta.  Le  nostre  categorie  -  contro  quel  che  pensava  Kant  -  non  hanno  impiego  e  significato,  se  non  sono  riferite  alla  realtà  in  sé.  Esse  sono  gli  schemi  relativamente  stabih,  benché  sempre  ipotetici,  alla  cui  stre-  gua noi  tentiamo  di  congetturare  e  organizzare  l'accordo  deUa  nostra  mente  con  una  vera  e  non  illusoria  realtà.  La  loro  funzione  è  quella  di  ipotesi  trascendentale  e  più  precisa-  mente di  ipotesi  di  lavoro.  Le  configurazioni  che  l'esperienza  assume  in  esse  e  per  esse  sono  certo  simboliche,  ma  le  risposte  che  noi  otteniamo  alla  nostra  inchiesta  logico-categorica  della  realtà  hanno  sempre  un  significato.  Le  categorie,  come  ipotesi  di  lavoro,  sono  da  conservare  finché  utili  e  da  abban-  donare, se  sostituibiH  con  altre  più  feconde.  //  «superreaii-  Nel  supcrrealismo  dell' Orestano  confluiscono:  i)  mo-  tivi del  positivismo  (invalicabilità  dell'esperienza  nella  de-  terminazione del  reale,  valore  della  scienza  come  attività  formulatrice  di  costanti  relazionali  e  funzionali  dell'esperienza,  rifiuto  dell' a-priorità  e  fissità  delle  strutture  categoriali  del  pensiero,  da  considerare  invece  come  risultato  provvisorio  d'un  processo  di  formazione  sempre  aperto,  concezione  dell'io    smo  ».    F.  Orestano:  scienza,  etica  e  «  superrealismo  i>        ili   non  come  realtà  originaria  e  centro  e  sostegno  dell'esperienza  ma  come  una  costruzione  mentale)  ;  2)  motivi  prammati-  stici  {['azione  come  supremo  criterio  di  verifica  e  di  discri-  minazione tra  vero  e  falso)  ;  3)  motivi  spiritualistici  (la  spi-  ritualità umana  come  potenza  trasfiguratrice  di  tutta  quanta  la  realtà  alla  luce  e  in  forza  di  valori  costitutivi  dell'essenza  stessa  della  spiritualità,  e  come  potenza  creatrice  d'un  mondo  umano,  grado  supremo  della  realtà  medesima,  culminante  nell'Assoluto  divino).  Questi  motivi  di  cosi  diversa  prove-  nienza e  così  eterogenei  sono,  nel  «  nuovo  realismo  »  del-  rOrestano,  piuttosto  accostati  e  giustapposti  che  non  fusi  organicamente  in  una  visione  veramente  unitaria,  e  gli  sviluppi  di  essi  lasciano  tante  oscurità  e  ambiguità,  che  essi  spesso  appaiono  asserzioni  gratuite  piuttosto  che,  come  l'Orestano  pretende,  «  verità  dimostrate  ».  Lo  stesso  con-  cetto di  «  dimensione  trascendentale  »  dell'esperienza,  che  è  presentato  dall' Orestano  come  l'asse  della  sua  ontologia,  non  è  sorretto  da  ragioni  che  valgano  a  dissipare  l'impres-  sione che  esso  non  si  distingua  sostanzialmente  dall'esi-  genza, puramente  psicologica,  che  è  alla  radice  di  ogni  reali-  smo ingenuo.  L'ontologia  del  «  nuovo  reaUsmo  »  si  presenta  come  la  trascrizione  in  chiave  trascendentlstica  di  quella  rete  di  rapporti  che  l'immanentismo  pone  come  prodotta  dall'io  e  insidente  nell'io.   IO.    Lo    SCETTICISMO    E    IL    MATERIALISMO    FENOMENISTICO   DI  Giuseppe  Rensi.    Giuseppe  Rensi  (1871-1941)  dopo  avere  esercitato,  per  molti  anni  a  Verona,  sua  città  natale,  e  nel  Canton  Ticino,  suo  rifugio  di  profugo,  l'avventura  e  n  giornalismo  pohtico,  fu  professore  di  filosofia  nell'Istituto  Superiore  di  Magistero  a  Firenze  e  poi  nelle  Università  di  Messina  e  di  Genova,  fino  al  1934,  anno  in  cui,  avendo  ri-  fiutato il  giuramento  di  fedeltà  al  fascismo,  fu  privato  della  cattedra.  Dalla  fine  della  prima  guerra  mondiale  in  poi  egh,  con  una  abbondante  produzione  filosofica,  si  fece  ban-  ditore d'un  radicale  scetticismo,  denunciando  l'impotenza  della  ragione  a  stabihre  principii  che,  oltre  le  moltepUci  e   9.  -  Lamanna.  storia  della  filosofia.  VII.    112  Cap.  XXX.  -  Positivismo  e  correnti  affini   contrastanti  opinioni,  permettano  un  qualsiasi  accordo  fra  gli  uomini  nella  ricerca  del  vero,  nella  pratica  del  bene,  nella  contemplazione  del  bello,  nello  sforzo  di  costruzione  d'un  ordine  sociale  e  politico,  nell'aspirazione  al  divino  Scrittore  popò-  come  fonte  di  fiducia  e  di  speranza.  E  si  conquistò  una  larga  ^"■^^-  cerchia  di  lettori,   anche  al  di  fuori  del  mondo  dei  filosofi   di  professione.  Questa  quasi-popolarità  fu  favorita  dalle  innegabiU  doti  di  scrittore  vivace  e  immaginoso;  dallo  spi-  rito polemico,  pronto  agli  attacchi  piìi  violenti  contro  gl'idoli  del  giorno,  a  cui  magari  egli  stesso  aveva  il  giorno  avanti  bruciato  qualche  grano  d'incenso  (e  il  neo-idealismo  di  Croce  e  Gentile  fu  l'oggetto  dei  colpi  più  duri),  pronto,  altresì,  alla  difesa  della  causa  dei  vinti,  all'abilità  dialettica,  spesso  con-  taminata -  se  non  soverchiata  -  da  capziosità  sofìstica,  nel  raccattare  alle  fonti  piìi  eterogenee  e  lontane  e  accozzare  insieme  argomenti  a  sostegno  delle  proprie  tesi,  con  scarso  senso  della  prospettiva  storica,  più  per  estrinseca  giustap-  posizione che  per  intima  rigorosa  connessione  logica;  infine,  dalla  consonanza  dei  motivi  fondamentali  del  suo  speculare  con  lo  stato  di  disorientamento  e  di  angoscia  dominante  in  un'Europa  turbata  e  sconvolta  dalla  catastrofe  della  guerra  mondiale,  della  rivoluzione  russa,  dal  croUo  di  vecchi  mondi,  dalle  convulsioni  violente  di  lotte  tra  partiti  e  nazioni.   Nella  lunga  prefazione  al  volume  che  può  considerarsi  come  il  Manifesto  del  suo  scetticismo.  Lineamenti  di  filosofia  scettica  (1919),  il  Rensi  insiste  nel  tentativo  di  dimostrare  la  continuità  del  suo  pensiero,  quale  è  formulato  in  quest'opera,  con  le  idee  direttive  di  scritti  antecedenti  :  e  rileva,  in  parti-  colare, i  titoH  significativi  dei  due  hbri,  Le  antinomie  dello  Spirito,  1910,  e  Sic  et  non,  1911,  oltre  che  l'orientamento  Le  antinomie  generale  dell'altro  volume,  La  trascendenza,  1904,  per  mo-  deiia  ragione,  strare  chc  in  tutte  e  tre  queste  raccolte  di  saggi  è  chiaro  l'intento  di  mettere  in  luce  l'insuperabile  e  reciproco  contrasto  tra  le  posizioni  che  la  ragione  prende  di  fronte  ai  problemi  fondamentah  della  morale  e  della  rehgione  [Lineamenti,  pp.  vii-viii) .  Ma  è  da  notare  che  qui  si  tratta  di  un  atteggia-  mento che  è  soltanto  antidogmatico  e  critico,  non  ancora    G.  Rensi:  scetticismo  e  materialismo  fenomenistico       113   propriamente  scettico:  la  negazione  non  è  definitiva,  solo  si  esclude  la  possibilità  di  giungere  -  attraverso  l'esame  com-  parativo di  ipotesi  anche  opposte  -  a  una  ricostruzione  sin-  tetica: positiva.  È  l'atteggiamento  che  esplicitamente  viene  affermato  dal  Rensi  stesso  nel  dehneare,  nel  1906,  il  program-  ma della  rivista  «Coenobium»  (di  cui  fu  per  parecchi  anni  «  magna  pars  ») ,  a  cui  pure  fa  riferimento  la  prefazione  ci-  tata :  «  Qualche  millennio  di  svariate  ipotesi  metafisiche  e  un  secolo  di  educazione  strettamente  scientifica  hanno  tolto  al  pensiero  contemporaneo  ogni  rigidità  dogmatica.  Noi  pos-  siamo comprendere,  e,  quasi  diremmo,  accoghere  nel  più  intimo  del  nostro  spirito  le  ipotesi,  le  tendenze,  le  soluzioni  più  opposte....  tutte  noi  le  comprendiamo  ed  amiamo,  perchè  di  tutte  scorge  le  ragioni  profonde  la  nostra  anima  multi-  pla »  {ibidem,  pp.  vi-vii).  Comunque,  è  fuori  dubbio  che,  in  quel  primo  periodo  della  sua  attività  di  pensiero,  il  Rensi  ebbe  fede  sincera  -  oltre  che  nel  sociahsmo,  quale  aspira-  zione a  una  più  alta  giustizia  -  nell'idealismo,  o  almeno  in  un  certo  ideahsmo,  al  cui  incremento,  diede  opera  con  la  traduzione  delle  opere  del  Royce  e  di  uno  studio  di  Hibben  sulla  logica  di  Hegel.  Egli  dà,  dell'idealismo  hegeUano,  un'in-  terpretazione trascendentlstica,  quale  era  richiesta  da  quella  «  vena  rehgioso-mistica  »  che,  come  egli  stesso  dichiarò  più  tardi  nella  sua  Autobiografia  intellettuale,  si  mescolava  in  lui,  in  questa  prima  fase,  con  la  vena  scettica  o  antidog-  matica.   Contro  la  tendenza  prevalente  nel  neo-ideahsmo  itahano   Contro  l'imma-  contemporaneo,  il  Rensi  afferma    che    1  immanenza    non    e   ^^  lo  stadio  più  alto  del  pensiero  ideaUstico,  ma  è  solo  lo  stadio  intermedio  tra  una  concezione  meccanica  del  mondo  e  la  concezione  della  divinità  personale,  immanente  e  trascendente  a  un  tempo.   Successivamente  -  dichiara  il  Rensi  nella  citata  Auto-  Passaggio  a  un  biografia    intellettuale    -,     quella    vena    reUgioso-idealistico-  mistica  che  prima  era  commista  con  quella  scettica,  si  estinse  in  lui  e  lasciò  il  posto  a  una  visione  della  realtà  e  della  vita  decisamente  scettico-pessimistica.   Tra  le  ragioni  di  questa    pessimismo  ateistico.    114  Cap.  XXX.  -  Positivismo  e  correnti  afini   scelta  il  Rensi  pone,  in  particolare,  la  guerra.  «  La  guerra  ci  pone  impetuosamente  sotto  gli  occhi  la  terribile  e  vissuta  grandiosa  messa  in  scena  dell'inesistenza  d'un'universalità  e  comunità  di  ragione....  Non  mi  limito  semplicemente  a  dire:  qui  non  c'è  verità  perchè  gli  uomini  la  pensano  diver-  samente e  si  contraddicono  tra  loro  (contraddizioni  esterne);  ma  dimostro  anche:  qui  non  c'è  verità,  perchè  questo  pen-  siero logicamente  non  si  sorregge,  non  può  condursi  avanti  senz'urti,  erompono  in  esso  invincibili  contraddizioni  inter-  ne.... Se  un  concetto  è  interiormente  e  in    stesso  contrad-  dittorio cioè  contiene  aspetti  insolubilmente  inconcOiabiU,  non  si  ha  che  da  riflettere  che  ciascuno  di  questi  aspetti  viene  incorporato  e  fatto  proprio  dalla  mente  di  un  uomo  o  di  un  popolo,  per  scorgere  come  la  contraddizione  interna  si  traduca  e  rispecchi  nella  contraddizione  estema  del  dissenso  e  della  guerra»  [Lineamenti,  pp.  xv-xvii).  La  guerra.  La  guerra  è  un  fatto  pohtico,  in  cui  si  affida  alla  irra-   zionalità della  forza  la  decisione  delle  controversie  tra  le  opposte  «  ragioni  »  dei  contendenti.  E  le  lotte  interne  tra  i  partiti  non  sono  di  natura  diversa:  la  democrazia  e  il  libe-  ralismo ahmentano  la  fiducia  che  la  Ubera  discussione  porti  a  un  accordo  suUe  questioni  controverse,  ma  i  fatti  dimostrano  che  l'urto  tra  le  idee  diventa  sempre  più  irriducibile;  la  ragione  continua  inesauribilmente  a  fornir  ragioni  a  tutte  le  tesi.  Un  parere  vale  l'altro:  e  non  c'è  che  una  via  per  uscire  dal  contrasto,  lasciare  la  decisione  aUa  forza,  all'irrazionalità  deUa  violenza  camuffata  di  legahtà:  il  principio  degl'autorità  costituisce  l'unico  fondamento  della  poUtica.   Il  volume  La  filosofia  dell'autorità  fu  pubblicato  dal  Rensi  nel  1920,  con  largo  successo  di  pubbUco,  e  forniva  argo-  menti di  propaganda  al  regime  autoritario  che  si  veniva  preparando  in  ItaHa,  e  che  pure  il  Rensi  combattè  tenace-  mente e  sinceramente,  dando  -  si  direbbe  -  una  conferma  personale  alla  teoria  scettica  della  vanità  della  ragione.   La  guerra  è  la  molla  della  storia  umana,  e  appunto  per  questo  la  storia  è  senza  senso,  è  un  vagare  cieco  verso  un  fine  che  non  esiste,  offre  il  quadro  sconsolante  del  passaggio    G.  Rensi:  scetticismo  e  materialismo  fenomenistico      115   continuo  da  un'assurdità  e  sofferenza  ad  un'altra  assurdità  e  sofferenza:  lo  scetticismo  si  fonde  col  pessimismo.  Il  pre-  sente è  insopportabile,  si  vuole  evaderne,  si  aspira  a  un  fu-  turo che  sia  altro  dall'assurdità  e  dal  male  che  è  il  presente:  all'essere  si  contrappone  un  dover  essere.  E  così  si  crea  il  tempo  :  nel  presente  che  è,  si  sogna  un  futuro  che  deve  essere  :  e  quando  il  dover  essere  si  fa  essere,  cade  in  quella  stessa  assurdità  e  male  che  è  il  presente.  Il  processo  storico  è  avan-  zamento da  errore  a  errore,  da  male  a  male:  se  si  fosse  nel  bene  e  nel  vero,  non  vi  sarebbe  ragione  di  uscire  da  esso,  di  far  seguire  z\ì! adesso  un  poi:  ci  sarebbe  permanenza,  non  processo  [Interiora  rerum,  1924).   In  conclusione,  il  principio  deU'ideahsmo  hegeUano  è  n  reale  è  irra-  da, rovesciare:  ciò  che  è  reale,  è  irrazionale;  ciò  che  è  ra-  z^o*^'^^^-  zionale  è  irreale.  La  razionalità  è  sogno,  è  fantasia  che  tenta  di  mascherare  l'assurdità  del  reale,  fìngendo  un  universale  che  invano  tenta  di  sovrapporsi  alla  moltephcità  incom-  ponibile dell'individuale:  non  c'è  una  ragione  una,  vi  sono  tante  ragioni  quanti  sono  gH  individui,  anzi,  i  momenti  delle  vite  individuah.  La  ragione  sorge  nell'uomo  quando  questi  contrappone  all'essere  un  dover  essere,  che  gli  permetta  di  farsi  giudice  del  reale,  distinguendo  il  vero  dal  falso,  il  bene  dal  male,  il  bello  dal  brutto.  La  critica  scettica  dimostra  che  il  reale  si  ribella  a  questa  pretesa  deUa  ragione,  affer-  mandosi costantemente  come  posto  al  di    del  vero  e  del  falso,  al  di    del  bene  e  del  male,  al  di    del  bello  e  del  brutto  (e,  accanto  ai  Lineamenti  di  filosofia  scettica  in  generale,  il  Rensi  illustra  La  scepsi  estetica,  1920  e  La  scepsi  etica,  1921).  La  critica  scettica  dimostra,  da  una  parte,  che  quella  pre-  tesa della  ragione  è  una  chimera,  e,  dall'altra,  che  nell'uomo  il  perseguimento  di  questa  chimera  è  la  radice  deU'infehcità.   Quale  lo  sbocco  di  questo  scetticismo  pessimistico?  Il  più  ovvio  sembra  sia  la  rinuncia  alla  ragione  -  a  questo  che  è,  insieme,  privilegio  e  maledizione  dell'uomo  -;  rinuncia  al  suo  chimerico  dover  essere  e  accettazione  rassegnata  e  inerte  del  reale  quale  è  di  fatto.  Ed  è  la  via  che  il  Rensi  imbocca  risolutamente,   specialmente  nelle  opere   dai  titoli    ii6  Cap.  XXX.  -  Positivismo  e  correnti  affini   significativi  Realismo  (1925),  Materialismo  critico  (1927)  e  Apologia  dell'ateismo,  (1923).  Ma  v'è  anche  un'altra  via,  opposta  alla  prima:  ed  è  quella  di  riconoscere  un  valore  positivo  all'esperienza  del  male,  nel  senso  che,  nel  cruccio  pel  trionfo  del  male,  nella  sofferenza  per  la  sconfitta  che  il  reale  infligge  alla  nostra  coscienza  del  dover  essere,  si  attua  l'elemento  piri  nobile  del  nostro  spirito,  si  ravviva  l'aspira-  zione mistica  al  divino:  e  anche  questa  via  percorre  il  Rensi  neUe  sue  ultime  opere,  quali  Testamento  filosofico  e  Lettere  spiritiiali,  del  1938.  Scetticismo  rea-  RcaUsmo  è  la  posizione  nella  quale  sfocia  lo  scetticismo  hstico.  ^Qj^  1^  g^g^  negazione  radicale  della  ragione.  Se  col  sorgere   della  ragione  nasce  nell'uomo  la  pretesa  di  giudicare  la  realtà,  nell'illusione  di  possedere  un  saldo  criterio  per  la  valutazione  dei  fatti,  di  approvazione  e  disapprovazione,  il  ripudio  della  ragione  significa  rifiuto  di  attribuire  alla  realtà  quelle  qualifiche  di  irrazionale,  assurdo,  male  che  essa  per    non  possiede,  ma  risultano  da  discriminazione  operata  in  nome  di  un  principio  per  cui  qualcosa  è  ma  non  dovrebbe  essere.  Realismo  significa  constatare  la  realtà  quale  è  di  fatto,  accettare  quel  che  ci  consta.  E  ciò  che  consta,  sot-  tratto ad  ogni  dubbio,  è  il  mondo  dei  sensi,  il  mondo  del  positivismo  ridotto  al  più  rigoroso  empirismo.  Le  sensazioni  sono,  non  il  tramite  dell'apparire  della  realtà  a  una  coscienza,  bensì  gli  elementi  che  costituiscono  senza  residuo  la  realtà  stessa.  Le  cose  come  Le  cose  souo  aggregati  di  quahtà  sensoriaH  secondo  aggregati  di  rapporti  Spaziali  e  temporali  e  categoriah:  le  cose  sono  ciò  che  si  palpa,  si  vede,  si  ode  e  così  via.  E  lo  stesso  io  non  è  altro  che  un  fascio  d'impressioni  sensoriali.  Il  linguaggio  comune  chiama  materia  ciò  che  nella  sua  concretezza  è  oggetto  del  sentire,  senza  complicazioni  di  significati  meta-  fisici: in  questo  senso,  pel  Rensi,  il  reahsmo  è  materialismo.  E  questo  materialismo  egli  qualifica  come  fenomenistico  o  critico.  Dando  del  criticismo  kantiano  un'interpretazione  opposta  a  quella  prevalsa  nell'idealismo,  egli  afferma  che  la  correlatività  del  reale   al  pensiero,   che  costituisce   il  prin-    G.  Rensi:  scetticismo  e  materialismo  fenomenistico       117   cipio  fondamentale  del  criticismo,  non  può  non  essere  raccolta  dal  realismo  (il  quale,  appunto  per  questo,  è  qualificabile  come  realismo  critico),  ma  va  intesa  nel  senso  che  il  Pensiero  a  cui  il  reale  in    (noumeno)  deve  essere  riferito  perchè  sia  soggetto  conoscibile  (fenomeno),  non  è  un  soggetto  ana-  logo all'io  empirico,  una  Coscienza  originaria  a  cui  siano  es-  senziaU  le  forme  sensibili-intellettuali,  (spazio,  tempo,  ca-  tegorie), che  vengano  immesse  nell'oggetto,  ma  è  l'insieme  di  queste  stesse  forme  come  inerenti  al  mondo  dei  fenomeni,  purificate  da  ogni  elemento  psicologico  della  soggettività,  constituenti  la  pensahilità  del  fenomeno.  Il  fenomeno  è  indipendente  da  ogni  soggettività,  e  s'identifica  quindi  con  la  cosa  in    :  ma  cosa  in    categorizzata,  e  quindi  cono-  scibile. Il  realismo  non  è  che  fenomenismo,  materialismo  fenomenistico.   E  questo,  in  rehgione,  é  ateismo.  Se  nulla  è  reale  all'in-  fuori  di  ciò  che  può  essere  percepito  come  fenomeno  senso-  riale, attribuire  realtà  a  un  essere  che  si  sottrae  ad  ogni  percezione,  quale  sarebbe  Dio,  é  pel  Rensi  pura  pazzia.  Ma  la  negazione  di  Dio  non  significa  irreligiosità:  l'ateismo  é  anzi,  per  Rensi,  «  la  più  alta  e  pura  delle  rehgioni  ».  Inse-  gnandoci a  guardare  alla  realtà  come  sovranamente  indif-  ferente, esso  bandisce  dalla  nostra  \dta  ogni  egoismo:  é  la  Uberazione  dall'egoismo,  la  stoica  fermezza  di  fronte  alle  vicende  tormentose  del  mondo,  é  religiosità.   Ma  quest'atteggiamento  non  é  permanente:  in  alcuni  Ritorno  di  fede.  degli  scritti  più  tardi  Rensi  riafferma  l'antico  bisogno  di  credere:  riscopre,  al  di    del  mondo  degli  atomi  e  del  vuoto,  «  il  divino  in  me  »  ;  il  regno  di  Dio  riluce  come  un  regno  di  valori  atti  a  salvare  il  nostro  spirito  dal  naufragio  nel  pre-  valere del  male.  La  genuina  rehgiosità  consiste,  per  lui,  nel  non  adagiarsi,  sia  nella  pace  della  negazione,  sia  in  quella  dell'affermazione:  il  problema  ci  sta  dinanzi  come  un  pro-  blema che  continua  ad  eccitarci  e  ad  angosciarci.   Tutta  la  produzione  del  Rensi,  dalle  prime  opere  a  quelle  della  vecchiaia,  é  un  perenne  intrecciarsi  e  susseguirsi  di  motivi    contrastanti:    inflessioni    d'una    sensibihtà    estrema-    ii8  Cap.  XXX.  -  Positivismo  e  correnti  affini   mente   mobile   e   acuta,   piuttosto   che   articolazioni   di   un  pensiero  vigile  e  rigoroso:  lirica,  piuttosto  che  filosofia.   II.    Lo    SCETTICISMO    SOLIPSISTICO    DI    ADOLFO    LeVI.       Diversissimo,  fuorché  nel  nome,  da  quello  del  Rensi  lo  scet-  ticismo di  Adolfo  Levi  (1878-1941),  elaborato  attraverso  un'indagine  storica,  intelligente  e  minuziosa,  di  tutte  le  po-  sizioni filosofiche  fondamentali.  Nato  a  Modena  da  una  fa-  migha  di  Reggio  Emilia  il  Levi,  precocemente  incline  agli  studi  ma  ostacolato  da  una  malferma  salute,  si  licenziò  al  Liceo  Spallanzani  di  Reggio,  e,  quando  si  iscrisse  all'Univer-  sità di  Pisa,  aveva  già  in  cantiere  la  pubbhcazione  di  alcuni  codici.  Proseguì  poi  gli  studi  a  Firenze,  con  Tocco  e  De  Sarlo,  e  a  Roma,  dove  si  laureò  con  Giacomo  Barzellotti.  La  tesi,  su  L' indeterminismo  nella  filosofia  francese  contem-  poranea (1904),  fu  lodata  da  Bergson.  Nel  1904  il  Levi  entrò  nell'insegnamento  secondario,  che  professò  con  grande  scru-  polo ed  efficacia,  ad  Arezzo  e  a  Torino.  Nel  191 1  ottenne  la  libera  docenza,  e  undici  anni  più  tardi  la  cattedra  di  storia  della  filosofia  nell'Università  di  Pavia.  La  sua  produzione  storica,  ripetutamente  premiata  dai  Lincei  e  dall'Accademia  delle  Scienze  di  Torino,  comprendeva  ormai  numerosi  titoli,  soprattutto  di  filosofia  antica:  da  Le  origini  della  scienza  greca  (1904)  a  Platone  [Sulle  interpretazioni  immanentistiche  della  filosofia  di  Platone,  1920,  Il  concetto  del  tempo  nei  suoi  rapporti  con  i  problemi  del  divenire  e  dell'essere  nella  filosofia  di  Platone,  1920,  che  riprende  l'identico  tema  trattato  sulla  /  sofisti.  «  Rivista  di  filosofia  neoscolastica  »  per  il  periodo  anteriore   a  Platone).  Più  tardi  il  Levi  affrontò  i  sofisti,  sceverando  gli  autentici  dagli  pseudosofisti,  difendendoU  dall'accusa  di  aver  corrotto  i  costumi,  e  insistendo  sul  contenuto  etico  del  loro  insegnamento.  I  pregi  filologici  di  questi  studi  (ripresi  nella  postuma  Storia  della  sofistica,  a  cura  di  D.  Pesce,  1966)  dimostrano  come  il  Levi  avesse  messo  a  frutto  l'insegna-  n  problema  del-  mento  di  Girolamo  Vitelli.  Seguì  una  serie  di  articoli  su  Verrore.  ji  p^^oblema   dell'errore,    dai   presocratici   al   Windelband  (in   varie  riviste),  e  una  serie  di  saggi  su  pensatori  inglesi  moderni    A.  Levi:  scetticismo   solipsistico  119   [Bacone,  1925,  Hobbes,  1929,  Berkeley,  1922,  Hume),  messi  a  raffronto  con  Descartes  e  con  Leibniz,  allo  scopo  di  sfatare  la  leggenda  di  una  contrapposizione  rigida  tra  empirismo  e  razionalismo  da  Cartesio  a  Kant.  L'interesse  teoretico  che  spingeva  il  Levi  a  queste  ricerche  non  ne  falsava,  tuttavia,  la  prospettiva  storica.   Duro  fu  per  il  Levi  abbandonare  l'insegnamento,  nel  1938,  a  causa  delle  leggi  razziali.  Si  ritirò  a  Todi,  nelle  terre  di  famigha  della  moghe,  poi  a  Roma,  dove  potè  continuare  a  studiare  nelle  biblioteche  pontifice.  Alla  fine  della  guerra  fu  reintegrato  ma,  sempre  più  debole  di  salute,  non  riprese  a  insegnare  :  continuò  fino  all'ultimo  l'attività  di  ricerca  prepa-  rando, in  particolare,  una  Storia  della  filosofia  romana  (1949).   Il  frutto  speculativo  che  il  Levi  trasse  dalle  sue  ricerche  L'estetica.  storiche  lo  troviamo  anzitutto  nel  volume  La  fantasia  este-  tica (1913),  la  cui  conclusione,  tutta  problematica,  è  che  «  l'opera  d'arte  nasce  dal  mistero,  ha  caratteri  non  deter-  minabili completamente  ed  esaurientemente,  e  suscita,  in  chi  la  contempla,  uno  stato  particolarissimo,  irriducibile  e  non  del  tutto  definibile  »  (p.  262)  ;  e  lo  troviamo  soprattutto,  in  Sceptica,  del  1921  (ristampato  da  Adolfo  Ravà  con  ag-  giunte inedite  nel  1949).  Questo  hbro  ebbe  una  risonanza  notevole,  in  Itaha  e  fuori.  Fu  largamente  letto.  Ne  parlarono  il  Losacco  e  il  Varisco  (1928),  dopo  che  Annibale  Pastore  aveva  dedicato  un  intero  volume  alla  sua  confutazione  {Il  solipsismo,  Torino,  1924).  Che  il  Hbro  fosse  notato  anche  in  Inghilterra    Mind  »,  1921,  pp.  470-472)  non  meraviglia:  il  suo  andamento  aporetico  ricorda  quello  di  Apparenza  e  realtà  del  Bradley.  Tra  noi,  esso  urtava  inevitabilmente  l'ortodossia  gentihana,  perchè  accusava  la  teoria  deUo  spi-  rito come  atto  puro  di  essere  un  «  soHpsismo  trascendentale  »  che  avrebbe  trovato  la  propria  coerenza  solo  diventando  soHpsismo  empirico.  Comprensibile,  quindi,  la  reazione  di  Armando  Carlini  [Studi  contemporanei  di  filosofia,  in  «AnnaH  deU'istruzione  media»,  1929,  pp.  429-437),  a  cui  il  Levi  rispose  con  il breve  scritto  Come  si  ricostruisce  la  storia    Rivista  Pedagogica»,   1930,  pp.  58-60).    120  Cap.  XXX.  -  Positivismo  e  correnti  affini   Il  solipsismo.  La   tesi   del   Levi   trovò   per   contro,   buone   accoglienze   presso  la  scuola  del  Varisco.  Il  Castelli,  dopo  averla  ripresa  in  Idealismo  e  solipsismo  (Roma,  1933),  dedicherà  a  II  solip-  sismo, un  intero  volume  del  suo  «  Archivio  di  filosofia  »  (1950)  che  già,  nel  '31,  aveva  pubblicato  Scetticismo  e  solip-  sismo del  Levi  medesimo  (pp.  26-35).  Anche  Giuho  Allenej  giudicava  con  benevolenza  la  filosofia  di  Adolfo  Levi  sul-  r  «Archivio  di  storia  delia  filosofia  »  (1935,  4).  Muovendo  da  altro  punto  di  vista,  P.  Piovani  pubbHcava  nel  «  Giornale  critico  della  filosofia  italiana  »  del  1949  un  articolo.  La  con-  clusione del  solipsismo,  in  cui  dichiarava  «  fondamentale  »  il  contributo  del  Levi  allo  studio  del  sohpsismo,  «  proprio  perchè  esperto  dell'esperienza  dell'idealismo  tedesco  e  italiano  »  (p.  156)  :  pur  osservando  che  «  la  soluzione  raggiunta  risulta  assai  fragile  »  (p.  171),  nella  sua  pretesa  di  formulare  un  im-  perativo della  coscienza  senza  sapere    Fa  ciò  che  devi,  av-  venga ciò  che  può  »).  Infatti  l'imperativo  implica  già,  quanto  meno  un  agire  sapendo  quale  sia  il  dovere  da  farsi.  Tale  in-  certezza deriva  dal  fatto  che  la  posizione  del  Levi  non  è  attivistica,  «  ma  ancora  legata,  per  taluni  aspetti,  allo  scet-  ticismo tradizionale  »,  mentre  il  sohpsismo,  secondo  il  Pio-  vani,  non  può   essere,   da  ultimo,   che   attivistico.   Non  si  sa  se  Lo  Scetticismo  del  Levi  non  afferma  che  sia  impossibile  sapere:  afferma  però  che  è  impossibile  sapere  se  si  sappia  o  no.  È  come  il  fuoco,  che  consuma  le  altre  cose,  ma  anche    stesso.  Esso  sfugge,  così,  all'accusa  di  interna  contrad-  dizione che  colpisce  lo  scetticismo  dogmatico  [Sceptica,  2^  ed.  a  cura  di  A.  Ravà,  Firenze,  1959,  p.  13).  E  a  una  tal  conclusione  giunge  muovendo  da  un'impostazione  «  gnoseo-  logistica  »,  secondo  cui  tutto  ciò  che  si  dice  dell'oggetto  è  condizionato  dal  pensiero,  che  pensa  l'oggetto.  La  domanda  è  allora,  anzitutto,  se  il  pensiero  sia  «  uno  strumento  in    stesso  adatto  al  suo  ufficio,  o  non  includa  qualche  vizio  di  costruzione  ».  Solo  in  seco nda  istanza,  posto  che  il  pensiero  sia  uno  strumento  adatto,  potremo  domandarci  «  quale  interpretazione  debba  darsi  dell'oggetto  pensato»  {Op.  cit.,   P-  3)-    si  sa.    A.  Levi:  scetticismo  solipsistico  121   «  Un  motivo  fortissimo  di  diffidenza  è  dato  dall'errore  »  (p.  5)  :  da  quel  problema,  cioè,  che,  appunto  perciò,  il  Levi  andava  studiando  sotto  un  profilo  storico.  L'esperienza  d'aver  sbagliato  una  volta  mi  fa  sospettare  che  sia  possibile  sba-  ghare  sempre,  e  lo  scetticismo  nasce  da  questo  sospetto.  Acutamente  il  Levi  vede  che,  a  questo  problema,  sfugge  l'ideaHsmo  attuale  gentiliano,  quando  contrappone  all'er-  rore, come  «  pensato  »,  l'atto  del  pensare  che,  in  quanto  è  attuale,  non  può  non  essere  nel  vero.  EgU  vede  però  anche  che  questo  vantaggio  è  illusorio:  ciò  da  cui  si  avrebbe  in-  teresse a  tener  lontano  l'errore  è,  appunto,  il  pensato.  Infatti  che  l'atto,  in  quanto  «  atto  puro  »,  sia  infaUibile,  non  mi  dice  nulla  circa  la  validità  di  ciò  che  penso.  Per  poter  fruire  di  un  contenuto,  occorre  affidarsi  all'evidenza  del  pensato:  ma  si  può  sempre  temere  di  scambiare  per  «  evidenza  »  una  sempHce  impressione   soggettiva   (p.    io).   Sollevato  il  dubbio  sulla  capacità  di  mediazione  del  Critica  a  reaii-  pensiero,  il  Levi  passa  a  domandarsi  se,  ciò  posto,  vi  sia  ^^^^id^'^^^^'^-  «  una  metafisica  plausibile,  se  non  certa  »  dell'oggetto  pen-  sato: e  attacca,  nell'ordine,  il  reaUsmo  espHcito,  il  monismo,  la  filosofia  dell'esperienza,  il  monadologismo,  l'ideaHsmo  attuale.  Egli  osserva  che  il  reahsmo  ingenuo,  che  identifica  il  reale  con  ciò  che  appare,  è  messo  in  crisi  dall'esigenza  di  discernere  che  cosa  vi  sia  di  oggettivo  in  questo  apparire;  ma  che,  d'altra  parte,  il  tentativo  di  rintracciare  la  realtà  oggettiva  in  un  insieme  di  elementi  materiali,  dotati  di  mere  qualità  primarie  (secondo  i  canoni  del  meccanicismo),  fal-  lisce, perchè  non  spiega  quell'effettivo  «  divenire  sensibile  »  (p.  24)  del  mondo,  colorato,  sonoro,  ecc.,  che  è,  appunto,  il  concreto.  Il  meccanicismo  altro  non  è   se  un  tentativo  di  eHminare  quell'offesa  al  principio  di  identità  che  è  rappre-  sentato dal  divenire  (p.  20)  :  la  realtà  vera,  afferma  infatti  il  meccanicismo,  rimane  immutata.  Ma  (e  qui  si  sente,  nel-  l'argomentare  del  Levi,  l'influsso  del  Bergson  e  del  Meyerson)  esso  non  può  giustificare  come  mai  questa  immutabihtà  sostanziale  appaia,  al  soggetto,  come  un  mutamento  qua-  litativo :   >  (p.  184).  «  Come  determinazioni  dell'essere,  il  quale  non  esiste  che  in  esse  determinazioni,  le  singole  coscienze  si  distinguono  in  quanto  coscienze,  s'accordano  quanto  al  contenuto;  ciascuna  è  un  variare  per  conto  suo,  e  insieme,  per  la  stessa  ragione,  il  variare  di  ciascuna  si  compie,  ciascuna  si  svolge  o  si  inviluppa,  secondo  le  medesime  leggi  universah  »  (p.  188).   L'assoluto,  pertanto,  viene  a  coincidere  con  l'universo.  L'Essere  come  «  Nell'unità  della  sua  forma,  che  imphca  la  necessità,  ma,  insieme,  neUa  moltepHcità  deUa  sua  materia  e  delle  sue  forme  secondarie  :  moltepHcità  che  impHca  la  accidentahtà  ».  L'  «  es-  sere indeterminatissimo  »,  di  cui  il  Varisco  parla  richiaman-  dosi al  Rosmini  (p.  204,  n.  i)  è,  per  un  verso,  l'orizzonte  in  cui  ogni  soggetto  «  pensa  impHcitamente  l'universo  »  {ivi)  ;  ma  «  non  è  qualcosa  che  sussista  indipendentemente  dai  fe-  nomeni e  da  quelle  loro  unità  secondarie  che  sono  i  soggetti  »  (p.  205).  Ciò  spiega,  più  esaurientemente  di  quanto  non  fa-  cessero /  fnassimi  problemi,  perchè  il  Varisco  non  si  senta  in  grado,  in  questa  fase  del  suo  pensiero,  di  giustificare  la  trascendenza  dell'assoluto  a  cui,  pure,  l'esigenza  del  per-  manere dei  valori  lo  porterebbe  a  credere.   7.  Il  soggetto  dei  soggetti.    Dopo  Conosci  te  stesso  11  soggetto  di-  il  Varisco  lavorò  per  altri  vent'anni  al  suo  problema  fonda-  ^^^°-  mentale,  che  rimase  il  problema  del  principio  unitario,  il  problema  di  Dio.  Qualche  altro  cauto  passo  è  mosso  verso  il  riconoscimento  della  trascendenza  divina,  e  porta,  da  ultimo,  a  una  concezione  che  al  Varisco  appare  concihabile  con  una  religione  positiva  quale  il  cristianesimo.  Nelle  Linee  di  filosofia  critica,  del  1925  (un  hbretto  di  introduzione  teo-  rico-storica  alla   filosofia,    esposto   in   forma   piana   e   collo-    244  Cap.  XXXIV.  -  Monadismo  teistico  di  B.  Varisco   quiale,  e  che  fu  raccolto  per  iscritto  dal  Castelli)  la  parte  conclusiva,  più  interessante,  verte  appunto  su  Dio,  e  pro-  spetta la  necessità  di  risalire  a  Dio  muovendo  dal  problema  della  subcoscienza.  Il  soggetto  è  fatto  in  gran  parte  di  sub-  coscienza: basti  pensare  ai  ricordi  che  tornano  di  quando  in  quando,  e  in  minima  parte,  alla  mente.  E  ciò  suscita  il  pro-  blema: come  può  il  non  conscio  (o  non  più  conscio)  divenire  conscio  ?   La  subcoscienza  rende  evidente  che  il  soggetto  che  cono-  sciamo è  finito,  cioè  che  ha  qualcosa,  per  qualche  aspetto,  fuori  di  sé.  Ma,  d'altro  canto,  «  una  realtà  non  riducentesi  a  pensiero  pensato  è  un  controsenso  »  (p.  153).  «  Per  superare  le  difficoltà  rilevate,  non  c'è  che  un  modo:  riconoscerle  relative  soltanto  al  singolo;  ammettendo,  al  di  sopra  d'ogni  singolo,  il  soggetto  universale  ».  Il  pensiero  di  questo  sog-  getto universale  dovrà  essere:  «in  primo  luogo,  tutto  consa-  pevole; in  secondo  luogo,  creatore  d'ogni  realtà»  (p.  154).  Allora  si  potrà  capire  che,  ciò  che  è  subconscio  nel  singolo  sussiste  tuttavia  come  pienamente  conscio  nel  soggetto  universale,  e  che  la  realtà,  irriducibile  al  pensiero  del  singolo,  consiste  tuttavia  in  un  «  pensiero  del  soggetto  universale  »  {ivi) .   La  creazione.  Quella    chc    generalmente    si    dice    «  creazione  »    si    può,   allora,  concepire  così:  il  soggetto  universale  fa,  di  certi  suoi  pensieri,  un  «gruppo  connesso»  (p.  156),  e  li  dota  di  una  coscienza  e  di  una  iniziativa  autonome,  di  cui  neppure  il  soggetto  universale  conosce  in  anticipo  gli  sviluppi  (p.  157).  Ciò  peraltro  non  limita  il  soggetto  universale,  se  non  nella  misura  in  cui  lui  stesso  vtwle  questo  «  indeterminismo  »  (p.  158),  mantenuto  all'interno  di  un  controllo  costante  e  consapevole.   //  teismo.  Il  Varisco  formula,  così,  un  «  teismo  »  (p.  158)  in  cui  Dio   è,  in  certo  modo,  esterno  ai  singoh,  ma  non  viceversa:  perchè  «  il  soggetto  singolo,  essendo,  anche  in  ordine  alla  propria  iniziativa,  interno  al  soggetto  universale,  nella  coscienza  del  singolo  non  ci  può  essere  nulla  che  non  sia,  ipso  facto,  anche    nella    coscienza    del   soggetto    universale»    (p.    157).    //  soggetto  dei  soggetti  245   È  quello  che  il  volume  Dall'uomo  a  Dio,  chiamerà  «  imma-  nentismo relativo  »,  o  (identicamente)  «  trascendentahsmo  relativo  »,  in  contrapposto  a  trascendentahsmo  e  immanen-  tismo «  assoluti  »  (p.  92)  :  non  senza  citare  San  Paolo,  negU  Atti  degli  Apostoli,  secondo  cui  «  gli  uomini  (in  generale,  i  soggetti)  vivono,  si  muovono  ed  esistono  in  Dio  »  {Dall'uomo  a  Dio,  p.  91).   Frattanto  il  Varisco  aveva  pubblicato  in  «  Logos  »  (1929,  i)  un  articolo  su  La  prova  ontologica,  affermando  che  l'argo-  mento di  Anselmo  non  compie  un  salto  ingiustificato  dal-  l'ordine del  pensiero  a  quello  dell'esistenza,  perchè,  quando  si  pensa  un  oggetto,  non  lo  si  pensa  isolatamente,  ma  sempre  in  un  sistema  di  relazioni  ;  quindi,  quando  si  pensa  «  id  quo  maius  cogitari  nequit  »,  si  pensa  qualcosa  che  effettiva-  mente non  si  trova  nella  sola  mente  umana.  Ma  significa  anche,  ciò,  che  questo  essere  sia  «  tutt'uno  col  Dio  del  cri-  stianesimo ?  »  Cosi  si  chiede  Dall'uomo  a  Dio  (p  15)  ;  e  ri-  sponde: si  tratta,  senza  dubbio  d'un  pensiero  (anzi  di  un  pensare),  senza,  però,  che  se  ne  possa  concludere  nulla  «ri-  spetto ad  altri  attributi  »,  pur  necessari  al  concetto  cristiano  di  Dio.   Dall'uomo  a  Dio  rappresenta,  per  certi  aspetti,  un  per-  Difficoltà.  fezionamento  del  monadologismo  varischiano,  ma  non  toglie  tutte  le  difficoltà.  Non  soddisfa  l'esigenza,  sentita  dal  Varisco  fin  dal  periodo  positivistico,  di  ascendere  al  concetto  di  Dio  attraverso  una  riflessione  ben  fondata,  compatibile  con  quella  della  religione  positiva.  E,  questo,  perchè  il  Dio  di  Varisco  è  pur  sempre  un  concetto  gnoseologico-metafisico.  Pili  che  di  quel  rapporto  lo-Tu,  in  cui  l'uomo  rehgioso  si  sente  rispetto  a  Dio,  si  tratta,  insomma,  del  rapporto  tra  una  monade  infinita,  -  leibnizianamente  priva  di  rappresen-  tazioni oscure  e  confuse,  e,  quindi,  di  materia  -  e  le  innu-  merevoh  monadi  finite,  che  essa  costituisce  in  sé,  come  espressione  (non  già  parziale,  ma  prospettica)  di  particolari  punti  di  vista.  «  Tutto  ciò  che  l'uomo  presentemente  pensa  è,  in  ogni  caso,  pensiero  divino  presente:  l'uomo  non  è  stac-  cabile dalla  coscienza  divina  di  cui  è  una  formazione  »  (p.  166).    246  Cap.  XXXIV.  -  Monadismo  teistico  di  B.  Varisco   «  L'uomo  è  tutto  immanente  in  Dio,  invece  Dio  non  è  tutto  immanente  in  alcun  uomo;  essendoci  necessariamente  nel  pensiero  divino  qualcosa  che  nessun  singolo,    tutta  insieme  la  moltitudine  dei  singoli,  pensa  con  determinazione»  {ivi).  Del  resto,  nonostante  gli  sforzi  meritori  della  figlia  Giulia,  e  poi,  dopo  la  sua  morte  (1934),  di  Enrico  Castelli  coadiuvato  dal  nipote  del  Varisco,  Giulio  Alliney,  per  riordinare  i  ma-  noscritti inediti  «  seguendo  alcune  sommarie  indicazioni  rinvenute  in  un  libro  di  appunti»  (p.  i).  Dall'uomo  a  Dio  risente  della  mancanza  di  una  revisione  definitiva  da  parte  dell'autore,  e  le  sue  conclusioni  rimangono,  in  parte,  sospese  (cfr,  p.  281).   Interesse    pra-         8.   Il  VALORE.    La  filosofia  del  Varisco,  pur  nel  suo  '^'^^-  mai  abbandonato  teoreticismo  -  cioè  nel  suo  intendere  il   problema  della  realtà  essenzialmente  come  un  problema  di  teoria  della  conoscenza  -  è  assai  sensibile  al  problema  morale,  quando  questo  sia  inteso  nel  suo  senso  piìi  universale  e  pro-  fondo. Il  pensiero  infatti,  che  della  realtà  è  il  fondamento,  consiste  essenzialmente  in  un'attività,  in  un  fare  (sia  pure  non  riducibile  al  fare  poetico  di  chi  plasma  una  materia  preesistente)  ;  e  il  bene  consiste  neU'espandersi  di  questa  attività,  protesa  su  tutto  l'universo.  La  sezione  introduttiva  del  capitolo  su  «  I  valori  »,  nei  Massimi  problemi,  affermava  appunto  :  «  Il  soggetto,  per  sua  natura,  ossia  in  virtù  di  quella  legge  a  cui  deve  l'essere,  tende  insieme  a  intensificare    stesso  e  ad  espandersi,  ad  includere  in    l'universo:  la  soddisfa-  zione o  l'insoddisfazione  di  queste  due  tendenze  (che,  in  sostanza,  ne  fanno  una  sola)  sono  essenzialmente,  per  il  soggetto,  un  bene  o  un  male»  (p.  107).  Questo  espandersi  mostra  il  suo  vero  valore  solo  quando  non  riguardi  «  l'ani-  male associato  all'io  »,  bensì  l'io  medesimo  (p.  138)  ;  e  «  io  vuol  dire  autocoscienza,  ossia  cognizione  »  (p.  139) .  //  conoscere  è  Di  Conseguenza,  «  conoscere  o  non  conoscere,  o,  peggio,  errare,  sono  un  bene  e,  rispettivamente,  un  male  (....):  do-  \Temmo  anzi  dire,  il  bene,  il  male  »  {ivi).  Ma  questo,  aggiunge  il  Varisco,  non  vuol  dire  che  bene  e  male  si  riducano  a  «  mo-    identico  al  bene.    //  valore  247   menti  di  coscienza  teoretica  »,  perchè  «  coscienza  teoretica,  attività  e  sentimento  (....)  non  sono  tre  cose  (....),  sono  tre  aspetti,  o  tre  forme,  d'mia  stessa  cosa»  (p.  138).  Ciò  implica  una  particolare  unità  della  coscienza  in  senso  pratico  con  la  coscienza  in  senso  teoretico,  in  virtù  di  un  «  originario  prin-  cipio di  organizzazione  (universale  necessario)  (....)  indicato  comunemente  col  termine  di  a  priori  »  e  che  «  si  riduce  al-  l'essenziale connessione  della  coscienza  umana  con  la  divina  »  {Dall'uomo  a  Dio,  p.  131).  In  questo  senso  il  Varisco  può  affermare  che  «  la  coscienza,  una,  saldamente  organizzata,  essendo  la  radice  dei  valori,  è  il  massimo  valore»  (p.  132).  Questo  particolare  carattere  attivo,  e  non  soltanto  con-  templativo, del  coscienziahsmo  varischiano  spiega  l'inte-  resse del  Varisco  per  i  problemi  dello  stato:  di  uno  stato  che  «  deve  essere  fortissimamente  organizzato  :  cosi  organizzato  come  un  uomo  robusto,  intelligente  e  di  carattere  che  s'af-  ferma, s'apre  una  via,  sviluppa  l'attività  propria  d'accordo  con  gh  altri,  se  gli  riesce  »:  ma  anche,  se  non  gU  riesce,  contro  «  chiunque  gli  impedisca  di  realizzare  il  suo  diritto,  che  è  la  sua  forza,  ma  che  sta  un  poco  anche  nella  sua  forza  ».  Questo  l'ideale  che  accomuna  gh  scritti  di  La  scuola  per  la  vita  (1922)  con  i  Discorsi  politici  (1926),  da  cui  la  citazione  è  tratta  (pp.  111-112).  Codesti  discorsi  cominciano  nel  1911,  e  si  concludono  nel  1926  con  lo  scritto  introduttivo  su  L'idea  dello  stato,  che  indica  «  la  vera  funzione  »  deUo  stato  nel  «  rea-  lizzare la  prosperità,  così  del  popolo  in  quanto  moltitudine  ordinata,  come  dello  stato,  cioè  ancora  del  popolo,  in  quanto  unità  viva  e  spirituale  (....).  A  uno  stato  che  la  compia,  non  si  può  domandare  altro  se  non  che  seguiti  a  compierla,  svi-  luppandola. Uno  stato  che  non  la  compia  non  fa  che  disor-  ganizzare sé  stesso  e  il  popolo»   (p.   37).   9.  Neoclassicismo  filosofico.    In  una  età  di  ritorni  romantici  in  filosofìa,  la  dottrina  del  Varisco  rappresentò  un  esempio  di  filosofìa  «  neoclassica  »,  che  dal  romanticismo,  tuttavia,  è  condizionata.  Condizionata  per  la  sua  imposta-  zione, costituendosi  come  una  «  riflessione  di  secondo  grado  »    248  Cap.  XXXIV.  -  Monadismo  teistico  di  B.  Varisco   sull'attività  del  soggetto,  attraverso  la  quale  si  perviene  a  una  conoscenza  dell'oggetto,  cioè  della  realtà  unitaria,  co-  stituita dall'interferire  di  infiniti  centri  soggettivi.  E  condi-  zionata nel   suo  esito:   perchè   tale   conoscenza  dell'oggetto   -  a  differenza  che  nei  grandi  classici  della  filosofia  moderna,  a  cui  il  Varisco  si  ispira  -  non  riesce  più  a  svilupparsi  in  una  forma  schiUerianamente  «  ingenua  »,  ma  solo  in  una  forma  «  sentimentale  ».  E,  infatti,  la  cautela  scientifica,  che,  pur  trasformandosi,  rimane  il  canone  metodologico  del  Varisco,    luogo,  non  già  a  una  vera  e  propria  inibizione  speculativa   -  perchè  il  Varisco  non  esita  a  proporre  un  suo  sistema  -  ma,  certo,  a  una  speculazion e  fatta  più  per  discutere  che  per   Eredità  più  di  costruirc.  Ciò  che  il  Varisco  trasmise  a  una  parte  non  tra-  stimoh  che  di  scurabile  della  filosofia  italiana  fu,  quindi,  un'eredità  fatta   contenuti.  .  .   più  di  stimoli  che  di  contenuti.  All'estero,  il  suo  pensiero  ebbe  qualche  risonanza  in  Francia,  e  meglio  che  altrove  fu  capito  in  Inghilterra,  grazie  all'attenzione  che  gli  dedicò  A.  E.  Taylor.  In  effetti,  se  la  forma  mentis  del  Varisco  ha  qualcosa  in  comune  con  quella  del  Bradley,  il  suo  monado-  logismo  si  lascia  facilmente  avvicinare  a  quello  degli  idea-  listi inglesi  non  monisti,  e  del  McTaggart  in  particolare.  La  cosa  può  colpire,   considerando  che  il  Varisco  ha  fonti   -  al  di  fuori  delle  italiane  (Rosmini)  -  soprattutto  tedesche  e  francesi;  ma,  in  realtà,  si  spiega  facilmente:  l'idealismo  inglese  non  monistico  e  l'idealismo  varischiano  risalgono  a  una  stessa  radice  comune,  non  sempre  scoperta,  ma  assolu-  tamente fondamentale:  il  pensiero  del  Lotze.  Di  qui  il  Varisco  trasse,  oltre  che  i  materiali  più  importanti  della  sua  costru-  zione coscienzialistica,  l'impulso  (di  origine  lontanamente  leibniziana)  che  gU  permise  di  uscire  dalla  prospettiva  del  positivismo:  il  riconoscere,  cioè,  alla  scienza  la  possibilità  di  afferrare  l'intero  reale,  però  sotto  un  suo  aspetto  soltanto.  Ciò  rende  inevitabile,  per  giustificare  l'oggetto  stesso  della  scienza,  il  non  rimanere  chiusi  nella  sua  prospettiva  soltanto,  bensì  l'uscirne,  pur  con  tutte  le  necessarie  cautele  metodo-  logiche, verso  una  prospettiva  specificamente  filosofica.    Capitolo  Trentacinquesimo  L'ONTOLOGISMO  DI  PANTALEO  CARABELLESE    I.  Il  problema.    La  formazione  di  Pantaleo  Cara-  BELLESE  ben  corrisponde  aUa  difficoltà  di  collocare  il  suo  pensiero  in  uno  sviluppo  organico  della  filosofia  italiana.  Dopo  aver  frequentato  le  scuole  secondarie  presso  il  Semi-  nario di  Molfetta  (dove  era  nato  nel  1877),  si  iscrisse  in  Giurisprudenza  a  Napoli,  e  si  laureò  (1900)  con  una  tesi,  poi  stampata,  dal  titolo  Sulla  vetta  ierocratica  del  Papato  (1910),  che  rivela  abbastanza  scoperte  ambizioni  letterarie.  Solo  nel  1905  si  laureò  in  filosofia  a  Roma,  dove  avvenne  l'incontro  col  Varisco  sotto  il  segno  di  un  comune  interesse  per  il  Rosmini.  La  teoria  della  percezione  intellettiva  in  A .  Ro-  smini fu  l'argomento  della  tesi,  pubblicata  nel  1907,  e  re-  censita dallo  stesso  Varisco  sulla  «  Rivista  di  filosofia  »  del  1909.   Anche  quando,  dopo  aver  insegnato  a  lungo  nelle  scuole  secondarie,  il  CarabeUese  salì  in  cattedra  a  Palermo  (1923),  forte  ormai  di  una  concezione  tutta  sua,  egli  rimase  devoto  al  Varisco  come  al  massimo  rappresentante  di  un  ideahsmo  non  storicistico.  E  grazie  al  Varisco,  che  premeva  su  Gio-  vanni Gentile,  il  CarabeUese,  nel  '30,  fu  chiamato  a  Roma,  di  dove  ebbe  modo  di  esercitare  una  influenza  quantitati-  vamente meno  vasta  di  quella  del  Gentile,  ma  assai  profonda.  Quando  il  CarabeUese  mori  (il  19  settembre  1948,  a  Genova)  la  sua  attività  speculativa,  cominciata  assai  tardi,  era  an-    250     Cap.  XXXV.  -  L'Ontologismo  di  P.  Carahellese    Soluzione  origi-  nale di  un  pro-  blema comune.    L'uovo   di    Co-  lombo.    Cora  in  pieno  corso,  sul  binario  su  cui,  da  25  anni,  egli  l'aveva  avviata.  Ma  l'essenziale  del  suo  pensiero,  probabilmente,  era  ormai  stato  detto:  difficilmente  le  applicazioni  che  egli  andava  definendo  -  soprattutto  attraverso  una  preparazione  meditatissima  dei  suoi  corsi  di  teoretica  -  avrebbero  dato  un  indirizzo  nuovo  alla  sua  riflessione,  che  aveva  proposto,  ormai,  una  sua  soluzione  personaUssima  a  una  problematica  tutta  inserita  nell'ambiente  italiano  di  quegli  anni.   Se,  infatti,  la  soluzione  di  Carabellese  non  è  avvicinabile  a  nessun'altra,  i  problemi  che  egU  affronta  non  sono  solle-  vati da  lui  :  gU  sono  posti,  piuttosto,  dalla  filosofia  di  Gentile,  e  dalla  interpretazione  che  il  Gentile  aveva  dato  dell'Otto-  cento italiano  e  tedesco,  in  relazione  alla  filosofia  moderna.  Gentile  rappresentava,  come  si  vedrà,  il  punto  d'arrivo  di  un  processo  storico  lunghissimo,  cominciato  con  Platone,  giunto  al  suo  punto  di  rottura  con  Hegel,  e  portato  da  Gen-  tile a  un  estremo  che  rovesciava  i  termini  stessi  del  pro-  blema; del  problema  di  determinare  il  contenuto  dell'idea.  Con  la  teoria  dell'atto  puro,  il  Gentile  era  giunto  a  un  ra-  dicale «  ideahsmo  senza  le  idee  ».  Il  Varisco,  per  contro,  affondava  le  sue  radici  in  un  passato  piìi  recente:  da  Leibniz  in  poi;  e  proponeva  in  Italia  (parallelamente  a  quanto  aveva  fatto  l'idealismo  personahstico  in  Inghilterra)  temi  dello  spirituaUsmo  tedesco  non  hegehano  dell'Ottocento:  in  par-  ticolare, il  tema  del  rapporto  indispensabile,  ma  cosi  dif-  ficile da  configurare  tra  soggetto  e  oggetto  del  conoscere.   Con  un  tratto  di  genio    uovo  di  Colombo  »,  lo  chiama  la  Critica  del  concreto,  1921  ;  1940^,  p.  86),  il  Carabellese  si  accorge  che  è  possibile  soddisfare  alle  esigenze  del  Gentile  e  del  Varisco  insieme,  h'idea  può  essere  considerata  in  una  forma  non  assolutamente  plurahzzabile,  e  tuttavia  non  come  un  atto  -  come  atto  soggettivo  -  bensì  come  oggetto  puro.  Il  compito  di  attuare  tale  idea  andrà  invece  affidato  a  soggetti  plurimi,  mai  unificabili  nel  varischiano  «  soggetto  assoluto  ».   Così  i  punti  d'arrivo  delle  due  distinte  evoluzioni  -  del-  l'idealismo assoluto  e  dell'idealismo  personalistico  -  vengono  a  coincidere  in  un  punto  solo,  grazie  a  un  riassestamento    Il  problema  251   nel  significato  di  certi  termini  tradizionali,  che  li  rende  com-  patibili in  una  forma  nuova.  Per  certi  aspetti,  questo  riasse-  stamento è  bensì  un  rovesciamento  di  Gentile,  come  sostiene  l'Abbagnano  sulla  scorta  di  una  osservazione  dello  stesso  Carabellese  {op.  cit.,  p.  53):  ma  non  certo  un  rovesciamento  meccanico.  Occorreva  un  pensiero  originale  per  arrivarci,  sebbene,  poi,  i  concetti  così  riassestati  assumano  tutta  l'aria  di  essere  appunto  qualcosa  che  le  due  Hnee  idealistiche  precedenti  avrebbero  voluto  pensare,   senza  riuscirci.   2.  Ripensamento  della  filosofia  moderna.    Trat-  interesse  stori-  tandosi,  dunque,  di  riprendere  originalmente  problemi  altrui,  ^o-teorehco.  si  spiega  che  la  filosofia  del  CarabeUese  nasca  da  una  continua  discussione  storico-critica  dei  sistemi  che  formavano  la  base  della  cultura  filosofica  del  tempo:  essenzialmente,  da  una  reinterpretazione  della  filosofia  moderna  Da  Cartesio  a  Rosmini,  che,  come  dice  il  sottotitolo  di  questo  volume,  stam-  pato dal  Carabellese  nel  1946,  rappresenta  la  «  fondazione  [storica]  dell'ontologismo  critico  »  carabellesiano.  D'altro  canto  la  pretesa,  che  il  CarabeUese  manifesta,  di  trovare,  in  questo  medesimo  materiale  storico  (e  in  particolare  neUa  tappa  pili  importante  rappresentata  da  Kant),  un  signifi-  cato speculativo  tutto  diverso  da  quello  che  si  era  comune-  mente abituati  a  riconoscervi  spiega  perchè  il  Carabellese,  pur  nel  suo  filosofare  tutto  appoggiato  a  una  critica  storica,  assuma  un  atteggiamento  che  potremmo  dire  «  profetico  »  :  non  nel  senso  di  predire  il  futuro,  s'intende,  bensì  di  parlare  in  nome  di  altro,  essendo  questo  «  altro  »  una  Verità  con  cui  gU  uomini  erano  già  prima  a  contatto,  ma  senza  essere  ca-  paci di  riconoscerla:  come  i  dormienti  di  EracUto,  che  non  si  accorgono  di  quel  logos  con  cui  massimamente  hanno  a  che  fare  (framm.  72).  Atteggiamento  profetico,  al  punto  che  il  CarabeUese  giunse  a  pensare  che  fosse  necessaria  la  sua  sparizione  come  persona  fisica  perchè  la  verità  da  lui  pro-  clamata trionfasse.   Questo  presentarsi  come  uno  che  dice  :   «  Ora  vi  spiego  io  ciò  che  cercavate  di  pensare,  senza  riuscirci  »  dava  inevi-    252     Cap.  XXXV.  -  L'Ontologismo  di  P.  Carahellese   labilmente  fastidio  a  molti  ;  e  l'espressione  piìi  «  fuor  dei  denti  »  di  questo  fastidio  si  trova  probabilmente  in  un  arti-  colo di  Carmelo  Ottaviano:  Pontifex  Maximus  locutus  est  (in  «Sophia»,  1937,  3,  pp.  345-353)-  Ma,  in  fondo,  il  Cara-  bellese  non  ne  poteva  nulla  se  il  suo  filosofare  era  un  ripensare  creativo,  e  se  il  suo  ripensamento  dei  problemi  era  una  traspo-  sizione, che  dava  un  senso  nuovo  a  un  materiale  già  appa-  rentemente sfruttato  fino  in  fondo.  Interpretazione  In  che  cosa  consiste  qucsta  trasposizione,  che  trasforma  del  termine  i^og-  jj  problema  quasi  con  un  colpo  di  bacchetta  magica?  Con-  siste in  una  interpretazione  del  termine  «  oggetto  »,  che  per  un  verso  rovescia  ciò  che  con  quella  parola  si  è  sohti  pensare,  ma  per  un  altro  porta  in  piena  luce  una  esigenza  che,  pure,  aveva  guidato  i  filosofi  nel  parlare  di  «  oggettività  ».  «  Og-  getto »  è,  comunemente,  il  determinato  che  «  sta  contro  »  alla  facoltà  di  rappresentazione  cosciente:  il  Gegen-stand,  rispetto  a  cui  una  coscienza,  in    potenziale,  si  determina  in  guise  particolari.  Oggetto  è  il  calamaio,  la  penna,  il  libro  senza  i  quali  la  mia  coscieriza  sarebbe  una  «  tabula  rasa  »,  priva  di  segni  che  la  determinino.  Rasa  non  è  detto  che  significhi  «  inattiva  »  :  anzi,  la  mia  facoltà  rappresentativa  non  sarebbe  tale  se  non  fosse  attività;  ma,  certo,  questa  at-  tività rimarrebbe  priva  di  contenuto,  se  non  si  riferisse  a  certi  dati  esterni  particolari,  che  sarebbero  «  gh  oggetti  ».   Questa  impostazione  realistica  del  problema  dell'oggetto  è,  per  il  Carabellese,  il  proton  pseiidos  della  filosofia  :  il  primo  falso,  e,  in  fondo,  anche  l'ultimo,  perchè  questo  falso  radicale  ritorna,  rovesciato,  anche  in  quella  dottrina  che  tradizional-  mente si  oppone  al  «  realismo  empiristico  »,  l'idealismo.   L'idealismo  si  era  sforzato,  con  Platone,  di  porre  oggetti  (in  questo  caso  sarebbe  meglio  dire:  principii  di  determina-  zione) sovratemporaH,  le  «  idee  »,  distinti  dagli  oggetti  em-  pirici. Molto  più  tardi,  con  Berkeley,  aveva  cercato  di  ripor-  tare all'attività  di  uno  Spirito  il  principio  di  determinazione  particolare  delle  coscienze,  che  le  cose  materiali,  inattive,  non  potevano  fornire.  In  seguito  Fichte  aveva  cercato  in  una  «  egoità  pura  »  quell'unità  delle  coscienze  che,  prima.    Ripensamento  della  filosofia  moderna  253   si  era  soliti  attribuire  al  fatto  che  le  coscienze,  per  deter-  minarsi, si  riferirebbero  ai  medesimi  «  oggetti  ».  Infine,  con  Gentile,  l'idealismo  si  era  scrollato  di  dosso  tutta  questa  problematica.  Aveva  interpretato  quella  moltepHcità  di  de-  terminazioni, in  cui  si  è  soKti  cercare  il  concreto,  come  un  mèro  salto  in  basso:  come  una  caduta  dall'atto  puro,  nel-  l'astratto. Di  fronte  al  soggetto,  sempre  identico  a  sé,  la  mol-  teplicità delle  determinazioni  non  è  piri  che  l'astratto,  sebbene,  dialetticamente,  sia  contenuta  nel  soggetto  medesimo.   A  questo  punto  era  divenuto  inutile  fondare  l'ideahsmo  su  un  mondo  di  «  idee  »,  vuoi  eterne,  vuoi  prodotte  volta  per  volta  da  uno  Spirito  divino.  L'ideahsmo  poteva  liberarsi  dal  problema  delle  idee,  al  plurale,  la  pluralità  non  essendo  altro  che  caduta  nell'astratto,  da  cui  l'ideahtà  deve,  appunto,  riscattarci.  Sembrava  così,  al  momento  in  cui  Carabellese  cercava  la  sua  via,  che  il  problema  di  una  pluralità  ideale  fosse  stato  risolto  definitivamente,  cancellandone  il  concetto.   3.  Unicità  dell'oggetto.    Una  linea  diversa,  di  idea-  Non  u  soggetto  hsmo  pluralistico,  opponeva  tuttavia  al  monismo  l'irriduci-  ^^^.J'°^^^"''  bihtà  dei  soggetti  plurimi,  eppure  concreti.  Una  esigenza  che  era  giusto  far  valere;  ma  essa  aveva  il  torto  di  farla  valere  attraverso  una  contrapposizione  estrinseca  all'idealismo  tra-  scendentale: quindi  di  non  poter  spiegare  a  quest'ultimo,  dall'interno,  perchè,  impostando  il  problema  in  quel  modo,  l'ideahsmo  si  rovesciasse,  paradossalmente,  in  un  idealismo  senza  le  idee.  Per  contro,  osserva  il  Carabellese,  basta  chia-  rire una  cosa  semplicissima:  quell'esigenza  di  unità  e  unicità  -  a  cui  l'ideahsmo  gentiliano  cercava  di  rispondere  con  il  concetto  di  un  soggetto  unico  come  «  atto  puro  »  -  è  invece  precisamente  l'esigenza  espressa  dal  termine  oggetto.  Non  è  appunto  l'oggetto  ciò  in  cui  tutti  i  soggetti  s'incontrano,  convengono,  riconoscono  un'unità?  È  dunque  l'aspetto  oggettivo  quello  che  non  si  lascia  plurahzzare,  l'unico  per  tutti,  e  non  l'aspetto  soggettivo  dell'esperienza.   Converrà,  dunque,  cessare  di  parlare  di  «  oggetti  »,  al  plurale  :  sarebbe  uno  scambiare  1'  «  oggetto  »  con  la  «  cosa  ».    unico.    lato.    254     Cap.  XXXV.  -  L'Ontologismo  di  P.  Carabellese   E,  dal  momento  che  le  cose  non  sono  l'oggetto  (sebbene  abbiano,  certamente,  un'oggettività),  non  occorrerà  piìi,  come  faceva  l'ideaHsmo  tradizionale,  andare  in  cerca  di  oggetti  superiori  alle  cose,  le  idee,  per  superare  l'empiricità.  L'oggetto  è  inconfondibile  con  l'empiricità,  per  ciò  stesso  che  è  unico.  In  questo  modo  l'idealismo  riesce  a  scalzare  veramente  il  reahsmo,  senza  lasciarsene  soggiogare.  Per  contro  gli  oggetti  superiori  alle  cose,  presi  al  plurale,  come  «  idee  »,  sono  in  realtà  concepiti  ancora  al  modo  di  cose.  E  appunto  per  sfuggire  a  tale  incongruenza  l'ideaHsmo  si  era  visto  costretto,  da  ultimo,  a  rifugiarsi  in  una  «  egoità  pura  »,  e  poi  in  un  «  atto  puro  »,  di  cui  tutte  le  determinazioni  particolari  non  sono  che  una  caduta.  Realismo  dehei-  Appena  si  csclude  dall'oggetto,  in  quanto  oggetto,  ogni  pluralità,  il  realismo  è  debellato,  perchè  il  modello  empirico  delle  cose  non  vale  piìi.  Non  per  questo  i  soggetti  saran  costretti  ad  attribuire  aUa  mèra  empiria  (seguendo  Gentile)  il  loro  reciproco  distinguersi  l'uno  dall'altro.  Anzi,  liberati  dall'obbligo  di  fornire  il  principio  di  unificazione,  i  soggetti  molteplici  potranno,  e  dovranno,  rivendicare  come  irridu-  cibile la  propria  plurahtà,  ben  piìi  fondatamente  che  nel-  l'ideaKsmo  personaHstico  varischiano.  Quest'ultimo,  per  spie-  gare l'incontro  dei  soggetti  che  costituisce  una  stessa  espe-  rienza «  oggettiva  »,  doveva  ricorrere  a  un  Soggetto  assoluto  supremo,  che  «  tollererebbe  »  in    i  punti  di  vista  Umitati  dei  soggetti  particolari.  NeUa  nuova  situazione,  invece,  il  concetto  di  un  oggetto,  assolutamente  unico,  come  idea,  non  solo  tollera,  ma  esige  di  essere  intrinseco,  nella  coscienza,  a  una  pluralità  di  punti  di  vista  soggettivi.   4.  Intrinsecità  di  soggetto  e  oggetto.    Occorre  dunque  cessare  di  concepire  l'oggetto  come  qualcosa  che  ci  sta  contro,  secondo  una  relazione  che,  per  ciò  stesso,  risul-  terà esterna.  Ciò  che  ci  «  sta  contro  »  non  è  l'oggetto  come  idea  -  luogo  d'incontro  di  tutti  i  soggetti  -  bensì  l'altro  da  me;  cioè  sempre  l'edtro  soggetto.  Le  cose,  è  vero,  ci  stanno  contro:    ma    solo    perchè    nascono    daU'interferire    dei    vari    Intrinsecità  di  soggetto  e  oggetto  255   soggetti,  non  perchè  siano  «  oggetto  »,  o  oggetti  al  plurale,  a  cui  ci  riferiamo.   In  altri  termini,  il  rapporto,  su  cui  tanto  avevano  insi-     concretezza  stito    i    vari    idealismi    spiritualistici    dell'Ottocento,     non  nei  rapporto  tra   ,,  .,  ,  i  soggetti  e  l'og-   mtercorre  tra  1  soggetti  e  1  oggetto:  il  rapporto,  legando  getto.  altro  ad  altro,  è  sempre  tra  i  diversi  soggetti;  e  aver  concepito  V intrinsecità  di  soggetto  e  oggetto  come  un  «  rapporto  »  (in  conseguenza  di  un  uso  troppo  generico,  e  perciò  equivoco,  delle  parole  «  rapporto  »  e  «  relazione  »)  ha  fatto  fallire  gli  innumerevoh  tentativi  (conosciuti  anche  in  Italia,  soprat-  tutto dal  Martinetti  in  poi),  di  costruire  la  concretezza  del-  l'esperienza attraverso  il  «  rapporto  tra  soggetto  e  oggetto  ».  Che  il  concreto  non  si  trovi,    nell'oggetto  per  conto  suo,    nel  soggetto  per  conto  suo,  ma  solo  nel  loro  «  rap-  porto »,  era  stato  ripetuto  in  mille  maniere  da  spiritualisti,  psicologi,  monisti,  idealisti,  neokantiani,  ecc.  :  ciascuno  cercando  di  utilizzare  a  modo  suo  il  trascendentalismo  di  Kant.  Ma  nessuno  aveva  saputo  liberarsi  da  quell'elemento  falsificatore  attraverso  cui,  malauguratamente,  il  trascen-  dentahsmo  kantiano  era  filtrato  :  la  «  teoria  della  rappresen-  tazione »  di  Reinhold.  Dire  che  il  concreto  non  si  trova    nel  soggetto  per  conto  suo,    nell'oggetto  per  conto  suo,  é  vero,  ma  non  implica  che  si  trovi  in  un  loro  rapporto;  e  neppure  nel  semphce  rapporto  dei  soggetti  tra  loro,  come  per  il  Varisco.  Il  concreto  si  trova  neU'intrinsecità  dei  soggetti  con  l'oggetto,  che  non  può  dirsi  rapporto  perché  non  é  un  riferimento  ad  altro.  Il  CarabeUese  chiama  questa  intrinsecità  compattezza  interpretando  in  questo  modo  il  problema  che  l'Ottocento  tedesco  aveva  ereditato  da  Kant,  e  poi  tra-  smesso, irrisolto,  al  secolo  successivo:  l'inseparabilità  del  soggettivo  e  dell'oggettivo.  Kant,  osserva  la  Critica  del  con-  creto (edizione  cit.,  pp.  85-86),  «ha  dimostrato,  con  evidenza  che  finora  nessuno  é  riuscito  di  oscurare,  che  quei  due  mondi  formano  una  concreta  compattezza  »  (Nella  terza  edizione,  del  1948,  il  testo  sarà  variato:  «che  quei  due  mondi  neces-  sariamente formano  o  richiedono  un  mondo  solo,  che  non  é  piìi  mondo,  ma  é  essere  concreto  deUa  coscienza»:  p.  89).   18.  -  Lamanna.  storia  della  filosofia.  VH.    256     Cap.  XXXV.  -  L'Ontologismo  di  P.  Carabellese   L'aggancio  a         5-  L'ONTOLOGISMO.    Questo  Oggetto  che  è  unità  (non  Rosmini,    Gio-  -Qi^^dMìk  di  cose  o  di  idee  a  immagine  e  somiglianza  delle   berti  e   Gentile.    ^  ^  .  .   cose)  è  l'essere;  l'essere  in  quanto  oggettività  pura:  dunque,  se  si  vuole,  1'  «  essere  oggettivo  »  di  Rosmini.  Ciò  spiega  a  sufficienza  l'attenzione  di  Carabellese  verso  la  dottrina  del  roveretano  che  -  attraverso  il  Bonatelli  e  per  ragioni  tutte  diverse  -  era  stata  già  una  fonte  anche  del  Varisco.  In  che  modo,  però,  si  potesse  adoperare  il  Rosmini  per  ovviare  davvero  (come  Rosmini  avrebbe  voluto)  all'  «  errore  gno-  seologistico  »  della  filosofia  moderna,  non  poteva  risultare  chiaro  al  CarabeUese  ai  tempi  della  laurea:  occorreva,  in  verità,  che  il  Gentile  portasse  alle  sue  ultime  conseguenze  quell'errore.   Questa  è  la  ragione  sostanziale  per  cui  Carabellese,  come  filosofo,  matura  tardi.  Dopo  che  Gentile  ebbe  pubbli-  cato, nel  1913,  la  sua  Riforma  della  dialettica  hegeliana,  il  pensiero  del  CarabeUese  comincia  a  dehnearsi.  Nel  volume  su  L' essere  e  il  problema  religioso.  A  proposito  del  «  Conosci  te  stesso  »  di  Bernardino  Varisco  (1914)  si  configura  il  tema  di  quello  che  sarà  il  suo  ontologismo;  e  nel  saggio  su  La  coscienza  morale  (1915),  stampato  a  qualche  settimana  di  distanza  dal  precedente,  è  già  «  quasi  esplicita  »  (cfr.  Critica  del  concreto,  p.  11)  «  la  scoperta  della  concretezza  dell'essere  »,   Venne,  però,  la  guerra  e  la  meditazione  del  Carabellese  dovette  interrompersi  per  cinque  anni.  Quando  riprese  (Gentile,  frattanto,  aveva  pubbhcato  le  sue  opere  principali,  tra  il  '16  e  il  '17),  le  linee  maestre  del  suo  pensiero  mostrano,  ormai,  queUo  che  sarà  i]  loro  assetto  definitivo,  l'assetto  della  Critica  del  concreto  (scritta  nel  1920).  Rosmini  è  rimasto,  ma  l'essere  oggettivo  e  indeterminato  che,  con  la  sua  pre-  senza alle  menti,  permette  loro  di  pensare,  non  è  più  la  mèra  «  idea  »  dell'essere,  è  l'essere.  L'ontologismo  di  Gioberti,  con  la  sua  critica  al  mèro  «  essere  ideale  »,  è  ripreso,  ma  con  un  intento  diverso  e  ben  piti  radicale:  perchè  l'essere  non  è  più  r  «  ente  »  e  neppure  è  il  «  concreto  »  ;  è  la  pura  ontologicità  degh  enti:  pura  idea,  inseparabile  dalla  loro  pluralizzazione  soggettiva.  In  altri  termini,  l'essere  è  pensabile,  ormai,  solo    L'Ontologismo  257   in  una  assoluta  immanenza:  quell'immanenza  che  Gentile  e,  ancor  più,  i  gentiliani  andavano  spasmodicamente  cer-  cando, e  che,  paradossalmente,  veniva  trovata  in  un  rove-  sciamento della  posizione  di  Gentile.   6.  Unità  di  conoscere  e  fare,  nel  «  concreto  ».    Il  testo  fondamentale  per  penetrare  nell'ontologismo  del  La  Critica  dei  Carabellese  è,  dunque,  la  Critica  del  concreto,  che,  uscita  '^°^'^^^^°-  a  Pistoia  nel  192 1,  fu  dall'Autore  rimaneggiata  abbastanza  profondamente  per  la  seconda  edizione  romana  del  1940,  e  meno  profondamente  per  la  terza,  che  usci  a  Firenze  nel  1948,  in  vista  di  una  opera  omnia  poi  non  condotta  alla  fine.  La  Critica  del  concreto  è  lo  strumento  costante  di  meditazione  e  di  espressione  del  Carabellese;  e,  nonostante  che  nella  prefazione  alla  terza  edizione  egli  insista  molto  sulla  prov-  visorietà di  questo  «  sillabario  concettuale  delle  successive  ricerche  »  (p.  xxviii),  rimane  il  testo  fondamentale.  Del  resto  le  «  successive  ricerche  »,  per  il  Carabellese  del  1947,  erano  più  quelle  che  rimanevano  da  svolgere  che  quelle  svolte  dal  1927  in  poi:  e,  quindi,  noi  non  possiamo  sapere  quali  sarebbero  state.   Anche  le  opere  storiche,  per  quel  che  si  è  detto,  vanno  capite  muovendo  da  quella  intuizione  fondamentale,  che  a  tratti  illumina,  senza  dubbio,  gU  autori  considerati,  ma  che  essenzialmene  si  chiarisce  attraverso  di  essi.  Dopo  gli  scritti  del  1927-29  su  Kant  e  su  La  filosofia  da  Kant  a  Fichte,  queste  opere  storiche  si  concretarono  soprattutto  nel  primo  periodo  romano,  in  cui  il  Carabellese  occupò  una  cattedra  di  Storia  della  filosofìa  (1930-1943),  prima  di  passare  sulla  cattedra,  a  lui  più  congeniale,  di  teoretica.  Esse  erano  infatti,  in  origine,  corsi  universitari  usciti  in  dispense,  e  poi  ristam-  pati nei  tre  volumi  delle  Obiezioni  al  cartesianesimo  (1946-47)  e  nel  volume  La  fdosofia  dell'esistenza  in  Kant  (Bari,  1969).   Del  resto,  non  fu  solo  un  interesse  archeologico  quello   storiografia  che  spinse  il  Carabellese  a  ritornare  per  due  volte  sulla  Cri-  speculativa,  tica,  Hbro  del  1920,  bensì  la  coscienza  che  di    si  sviluppava  tutta  la  sua  filosofìa.  Seguiremo  dunque  la  Critica  del  concreto    258     Cap.  XXXV.  -  L'Ontologismo  di  P.  Carabellese   nella  sua  edizione  definitiva  (1948),  che  differisce  dalla  originaria  su  punti  non  trascurabili  (il  termine  «  esperienza  »,  ad  esempio,  a  partire  dalla  seconda  edizione  è  spesso  sosti-  tuito dal  termine  varischiano  di  «  coscienza  ») .  Teoria  e  pra-  Il  CarabcUese  comincia  col  distinguere,  nell'attività  ttca  non  cornei-  u^^ana,  i  duc  aspetti  della  teoria  e  della  pratica  che  si  rifiuta   dono  con  cono-       ...  ...   scema  e  azione,  di  assimilare,  comc  si  fa  di  solito,  a  «  conoscenza  »  e  «  azione  ».  La  teoria  è  l'aspetto  universale  di  ogni  attività,  e  la  pratica  ne  è  l'attuazione  moltepUce:  indispensabile  anche  quando  si  tratti  di  attività  conoscitive.  Del  pari  il  Carabellese  mostra  falsa  l'identificazione  del  binomio  pratico-teoretico  col  bi-  nomio astratto-concreto  :  «  Sia  la  teoria  che  la  pratica,  se  prese  ciascuna  per  sé,  sono  astratte  »  ;  sono  entrambe  aspetti  separati  dell'attività  spirituale,  e  quindi  entrambe  affette  da  una  astrazione  per  cui  «  dimezziamo  l'atto,  per  fermarci  a  una  parte  di  esso  »  (p.  12).  Concreta  è  solo  un'attività  che  attui,  in  forme  particolari,  «  una  idea  unica  e  universale  »,  senza  la  quale  idea  non  sarebbe  presente  nel  nostro  volere  un  «  dover  fare  »  (che  non  è  dovere  etico  soltanto),  e  quindi  si  cadrebbe  in  una  «  inconsistente  vanità  delle  azioni  nella  loro  singolarità  plurima  ».  Per  contro  «  è  evidente  nel  con-  creto volere  la  presenza  della  qualità  universale  di  esso  [l'idea],  quanto  evidente  nel  concreto  conoscere  la  presenza  dei  molti  fatti  conosciuti  »  (p.  18).   L'individuazio-  7-    La   TEMPORALITÀ    DELL'ESSERE    E    IL    MALE.       QuestO   ne  deiv  unico  nei  rifiuto  di  chiamare  «teoretico»  il  conoscitivo  soltanto  vuol   singoli.   essere  una  contestazione  dei  «  distinti  »  crociani,  ed  evitare,  al  tempo  stesso,  il  monismo  gentiUano.  Ma  esso  serve  anche  a  ben  piìi  :  a  dirigere  «  le  menti  verso  la  vera  sintesi  a  priori  dell'essere,  e  cioè  l'individuazione  dell'unico  nei  singoli  »  (p.  22  ;  o,  come  diceva  la  seconda  edizione,  «  verso  la  concre-  tezza e  cioè  la  compattezza  dei  singoH  nell'unico»:  p.  21).  La  teoria  è,  dunque,  l'orizzonte  impersonale  in  cui  i  singoH  si  attuano  personalmente.  Essa  serve,  inoltre,  a  fondare  «  ontologicamente  »  la  struttura  dell'agire  sulla  struttura  dell'essere.    La  temporalità  dell'essere  e  il  male  259   Il  Croce  aveva  fornito,  dell'attività  umana,  una  siste-  mazione che  aveva  avuto  un  successo  perfino  superiore  aUe  sue  intenzioni.  Ma  il  Carabellese,  prima  ancora  che  com-  parisse sull'orizzonte  uno  Heidegger,  fornisce  un  sistema  delle  «  forme  di  coscienza  »  (la  prima  edizione  diceva  :  «  esperienza  »)  fondato  ontologicamente  sui  «  momenti  dell'essere  »,  cioè  sulla  intrinseca  temporalità  deW essere  come  essere  presente  nella  coscienza.  «  Noi  conosciamo  ciò  che  fu,  sentiamo  ciò  che  è,  vogliamo  ciò  che  sarà»  (p.   26).   La  conoscenza,  è,  infatti,  una  particolare  forma  di  co-  scienza, che  si  rivolge  al  passato;  l'intuizione  è  un  sentire  come  coscienza,  del  presente;  l'azione  è  coscienza  dell'essere  che  sarà,  «coscienza  del  futuro»  {ivi).  ((Momenti  del  tempo,  che  sono  gh  stessi  momenti  dell'essere»  (p.  27,  nota),  in  corrispondenza  dei  quali  troviamo,  rispettivamente,  nel-  l'oggetto il  vero,  il  hello,  il  buono.   Il  concreto  importa,  così,  una  «  valutazione  ontologica  //  tempo.  del  tempo  »  che,  affacciatasi  già  in  L'essere  e  il  problema  religioso  (1914),  starà  alla  base  del  modo  antistoricistico  di  concepire  e  salvare  La  storia,  prospettato  nel  saggio  con  questo  titolo  uscito  in  Scritti  in  onore  di  Bernardino  Varisco  (1926).  Nasce  qui  il  concreto  come  «compattezza»  o,  come  il  Carabellese  preferirà  dire  piìi  tardi,  intrinsecità  di  oggetto  e  soggetto  :  «  Oggetto  e  soggetto,  in  quanto  separati,  sono  astrazioni  »  (p.  30)  -  le  stesse  che  si  chiamano,  rispettiva-  mente, «  teoria  »  e  «  pratica  »  -  mentre  «  in  concreto  la  co-  scienza è  pratica  dell'essere  (....)  come  l'essere  è  teoria  della  coscienza  ».   Una  appHcazione  importante  è  fatta  dal  Carabellese  al  L'errore  di  va-  problema  dell'  «  errore  di  volontà  »,  o  male,  in  cui  il  Croce,  '''"''^'  distinguendo  Tattività  pratica  in  due  gradi,  e  rendendo  Ìl  primo  indipendente  dal  secondo,  era  rimasto  invischiato.  Nella  moralità  come  tale,  dice  il  Carabellese  (rovesciando,  si  può  osservare,  quello  che  per  il  Croce  valeva  dell'eco-  nomia) non  c'è  errore  :  la  coscienza  morale,  come  «  teoria  della  volontà  »,  è  infallibile.  Ma,  di  per  sé,  la  moralità  non  è  ancora  concreta:   è  solo  la  teoria  del  concreto  volere,  e    200     Cap.  XXXV.  -  L'Ontologismo  di  P.  Carahellese   «  di  questa  un  mio  atto  (o  io  stesso  tutto  intero  addirittura?)  potrà  essere  un  errore  »  (p.  38).   Vi  è,  insomma,  un'oggettività  morale  (e  una  estetica),  e  non  soltanto  un'oggettività  conoscitiva.  A  tale  oggettività,  i  soggetti  tendono  con  un  volere  che  «  non  è  pura  facoltà  del  soggetto,  ma  è  attività  concreta,  e  perciò  unità  di  teoria  e  di  pratica,  di  oggettività  e  soggettività  insieme  »  (p.  41).  L'oggettività,  in  tutte  le  sue  forme,  è  intrinseca  ai  soggetti,  ma  non  certo  identica  ad  essi:  essa  è  infatti  l'unità,  di  cui  i  soggetti  sono  il  molteplice.  I  soggetti  sentono,  dunque,  l'oggettività  come  una  esigenza,  come  un  bisogno;  e  ciò  fa  della  filosofìa  del  Carabellese  una  tipica  filosofìa  del  finito  e  della  tensione  del  finito  verso  l'infinito.  Filosofìa  dinamica,  ma  non  prassistica,  essendo  la  prassi  tesa  verso  la  teoria,  e  la  teoria  accessibile  solo  attraverso  la  prassi.  Idealismo  asso-  E  poichè  l'cssere  è  l'oggetto,  presente  nei  soggetti,  la  luto  non  sogget-  filosofìa  di  Carabcllese  si  presenta  come  un  «  idealismo  asso-   tivtsttco.  ^   luto  »,  non  però  soggettivistico  :  perchè  nell'idealismo  sog-  gettivistico l'oggetto  è  concepito  ancora  al  modo  del  rea-  lismo, come  un  particolare,  mentre  per  Carabellese  l'oggetto  ha  da  essere  l'universale,  il  «valere  per  tutti»  (p.  57).  La  cosa  particolare  a  cui  mi  riferisco  in  un  mio  atto  (conoscitivo,  intuitivo  o  pratico),  ad  esempio  un  ulivo  che  vedo  dalla  finestra,  non  è  un  oggetto  in  quanto  sia  un  mèro  particolare:  è,  tutto  al  contrario,  «  qualità  o  atto  soggettivo  »  (p.  61).  Quello  che  esso  ha  di  oggettivo  è  l'essere  ulivo  non  solo  per  me,  ma  per  tutti  :  cioè  il  rappresentare  -  sia  pure  individuata  in  un  atto  particolare  -  l'unicità  dei  soggetti  (pp.  61,  64).   Se,  allora,  si  conserva  astrattamente  questa  unicità  da  sola,  si  ottiene  1'  «  oggettività  dei  soggetti  »,  che  non  è  però  l'oggettività  dell'ulivo:  cioè  la  particolarità,  in  quanto,  tale  si  perde.  «  L'ulivo  in  quanto  universale  vuol  dire  l'unicità  (per  quanto  parziale,  perchè  si  tratta  soltanto  di  un  ulivo)  dei  soggetti.  E  se  l'universalità  costituisce  l'oggettività,  questa  unicità  dei  soggetti  costituisce  l'oggettività  loro.  Quell'ulivo,  in  fondo,  costituisce  una  parte  della  oggettività  naturale  dei  soggetti  uomini  »  (p.  62) .  Nel  realismo,  o  nel-    La  temporalità  dell'essere  e  il  male  261   l'idealismo  soggettivistico  che  lo  ricalca,  i  soggetti  e  gH  oggetti  si  presentano,  invece,  come  membri  di  una  stessa  comunità  (in  relazione  tra  loro)  :  hanno  un  analogo  modo  d'essere,  che  impedisce  a  questi  due  aspetti  del  concreto  di  assumere  la  loro  vera  funzione.  Questo  è  l'errore.  L'essere,  come  puro  oggetto,  non  è  un  insieme  di  cose:  è  piuttosto  quella  «co-  scienza normale  »  kantiana  su  cui  tanto  avevano  insistito  invano  le  fonti  tedesche,  tra  Ottocento  e  Novecento;  quella  «  normalità  »  della  coscienza,  con  cui  CarabeUese  giungerà  presto  a  identificare  il  concetto  kantiano  di  cosa  in  se.   8.  I  SOGGETTI.    I  soggetti,  per  contro,  sono  molteplici  /  soggetti  come  per  definizione.  Non  enti-io,  da  porre  accanto  agU  enti-cose:   ^^^'^^soiaredtco-   .  ,  _  -^  _     _    °  scienza  ».   in  quest'ultimo  caso  non  si  avrebbe  modo  di  risolvere  la  ver-  tenza tra  il  «  realismo  ingenuo  »,  che  fa  dei  primi  i  soggetti  passivi  di  una  attività  dei  secondi,  e  l'idealismo  parimenti  ingenuo,  che  inverte  semplicemicnte  la  relazione,  ma  non  muta  la  natura  dei  suoi  termini.  I  soggetti  non  sono  neppure  coscienza,  in  concreto,  bensì  «  il  singolare  di  coscienza  »,  così  come  l'oggetto  è  «  l'universale  di  coscienza  »  (p.  96)  ;  sono  «  individuazione  dell'essere  »,  «  termini  singolari  della  sua  individuazione»    (p.    118).   Parlare  di  un  soggetto  unico  è,  dunque,  il  massimo  dei  Rifiuto  dei  sog-  non  sensi:  il  soggettivizzarsi  della  coscienza  è  identico  al  ^^"°  ^^'^'^°'  suo  pluralizzarsi.  Codesto  pluralizzarsi  non  chiude,  tuttavia,  i  soggetti  in    stessi:  perchè  l'io,  che  è  il  soggetto  concreto,  non  è  aw^ocoscienza  (p.  138),  non  è  un  riflettersi  su    stesso  -  che  porterebbe  diritti  al  solipsismo  (p.  81)  -,  è  l' aprirsi  sull'unica  oggettività  dell'essere.  Sicché,  mentre  le  monadi  varischiane  si  aprivano  l'una  al  guardare  dell'altra,  e  pro-  ducevano l'oggettività  con  il  loro  reciproco  interferire,  i  soggetti  carabeUesiani  si  aprono  per  l'immanere  in  essi  di  un  identico  oggetto,  in  cui  si  è  rovesciata  la  concezione  gentihana  dell'unico  soggetto.   Del  «  Soggetto  universale  »  di  Varisco  non  c'è,  dunque,  pili  bisogno,  anzi  esso  non  è  neppur  concepibile.  Se  io  penso  Dio  come   un   principio   soggettivo,   non   ottengo   altro   che    202     Cap.  XXXV.  -  L'Ontologismo  di  P.  Carabellese   «il  personale  Dio  pagano,  tutt'altro  che  unico»;  mentre  se  lo  affermo  come  soggetto  unico  ne  faccio  un  «  di    »  che,  non  dovendo  constare  per  nulla  nel  di  qua,  non  ha  piìi  per  noi  alcun  significato:  «Affermare,  dunque,  la  personalità  di  Dio  è  non  affermare  Dio;   è  negarlo»   (p.   156).   9.  La  trascendenza.    Ciò  non  toglie  che  si  possa  e  si  debba  dare  un  significato  alla  trascendenza.  Trascendenza,  diceva  l'edizione  del  1940,  significa  che  «  il  concreto  è  sempre  inadeguato  alle  sue  condizioni  trascendentali  »  che,  «nella  loro  purezza,  superano  la  coscienza  concreta,  non  vengono  da  questa  raggiunte  interamente  »  (pp.  175-176).  Anziché  di  «  condizioni  trascendentah  »,  l'edizione  definitiva  parla  di  «  distinti  »,  che  la  coscienza  non  attua  interamente  :  proba-  bilmente perchè  la  dizione  «  condizioni  trascendentah  »  sembrava  imphcare  un'  antecedenza  sul  concreto,  sia  pure  lo-  gica e  non  cronologica.  Trascendenza  La  stessa  Struttura  del  concreto  porta  quindi  il  Cara-  rehgiosa  e  tra-  j^gjjgse  ad  ammettere  le  due  forme  tradizionah  di  trascen-   scendenza    gno-  seologica, denza:    la   trascendenza   religiosa,    per   la   quale   si   afferma   l'esistenza  separata  e  irrelativa  dell'ente  spirituale  assoluto,  e  la  trascendenza  gnoseologica,  «  più  grossolana  e  primitiva  »,  che  afferma  l'indipendenza  e  assolutezza  dell'essere  in  sé.  Ma  egli  riconduce  entrambe  queste  forme  alla  «  inadegua-  bilità  dell'intrinseco  »,  cioè  dell'essere  oggettivo  puro  (p.  192  corsivo  nel  testo),  che  non  è  qualcosa  di  esterno,  bensì  qual-  cosa d'intrinseco,  appunto,  ai  soggetti  che  trascende.   Del  resto  il  Carabellese  riconosce  alla  trascendenza  reli-  giosa il  merito  di  rilevare,  sia  pure  in  modo  imphcito  soltanto,  il  valore  della  coscienza,  e  così  di  porsi  veramente  sul  ter-  reno dell'essere  concreto  (p.  195).  Infatti,  anche  se  ad  essa  accade  di  insistere  sull'eternità  di  Dio,  «  si  deve  tener  pre-  sente che  l'assolutezza  divina  ha  sempre  avuta  una  propria  rappresentanza  nell'essere  concreto,  almeno  in  coloro  che  l'affermavano»  (p.  198).  ,.tT..J7JAt^,l  Riformulate  così  le  due  forme  di  trascendenza  tradizionale,  concreta».  il  Carabellese  non  le  accetta,  tuttavia,  tali  quali:  sostituisce    La  trascendenza  263   ad  esse  «due  forme  di  trascendenza  concreta»  (p.  200),  la  trascendenza  relativa,  cioè  «  l'alterità  reciproca  di  coscienza  »  tra  un  soggetto  e  l'altro  (p.  205),  e  la  trascendenza  «  dell'unico  assoluto  di  fronte  ai  singoli  soggetti  ».  Quest'ultima  non  è,  al  contrario  della  prima,  «  relativa  »,  perchè  tra  l'essere  as-  soluto e  i  soggetti,  come  abbiamo  visto,  non  intercorre  una  «  relazione  ».  La  trascendenza  assoluta,  in  altre  parole,  non  è  simmetrica,  perchè,  mentre  noi  non  riusciamo  ad  ade-  guare l'oggetto,  questo  non  è  mai  trasceso  da  noi  :  «  Il  prin-  cipio non  si  trascende  ».   Così,  «  mentre  la  trascendenza  gnoseologica,  che  si  cre-  deva trascendenza  dell'assoluto  oggetto  alla  coscienza,  si  riconosce  come  irriducibihtà  relativa  di  un  soggetto  concreto  singolare  all'altro,  la  trascendenza  religiosa,  che  pareva  soltanto  soggettiva,  manifesta  veramente  la  sua  assolutezza  in  quanto  inadeguabihtà  dell'oggetto  puro,  immanente  neUa  coscienza  dei  soggetti  (p.  210).  «La  trascendenza  è  dunque  nella  coscienza,  e  perciò  non  è  il  reaUstico  di    da  questa  (....).  L'esigenza  della  trascendenza  è,  invece,  l'esigenza  che  il  concreto  ha  di  un  principio,  esigenza  che  è  soddisfatta  relativamente  dalla  reciprocità  condizionata  dei  sog-  getti, e  assolutamente  dalla  unicità  universale  dell'oggetto  »  [ivi) .   IO.    I   DUE   POLI   DEL  CONCRETO.     A  questo  punto  si  in-    Il  sacrificio  del-   nesta  la  più  sorprendente  conclusione  della  Critica  del  concreto.  ^'^  coscienza.  Abbiamo  visto  che,  isolando  le  condizioni  del  concreto,  si  cade  nell'astratto  :  ma  allora  perchè  la  coscienza  «  cerca  di  cogliere  detti  distinti  nel  loro  isolamento,  perchè  cerca  di  dissolvere  la  propria  individua  concretezza  nell'uno  o  nel-  l'altro suo  distinto?  »  (p.  211.  In  luogo  di  «distinto»  l'edi-  zione precedente  diceva  :  «  estremo  ») .  Il  CarabeUese  avvi-  cina questo  «  sacrificio  »  che  la  coscienza  fa  della  propria  concretezza  al  dramma  di  Gesìi,  che  prega  :  «  Transeat  a  me  caUx  iste  »,  pur  sapendo  che  il  sacrificio  a  cui  va  incontro  è  necessario  alla  redenzione.  «  Il  transire  della  ricerca  del  distinto  come  tale  non  può  avvenire  senza  l'annullamento    264     Cap.  XXXV.  -  L'Ontologismo  di  P.  Carahellese   della  stessa  concretezza,  come  non  poteva  avvenire  quello  di  Gesìi  senza  l'annullamento  della  redenzione»  (p.  212).   In  altri  termini,  alla  concretezza  è  necessaria  anche  la  distinzione  delle  sue  condizioni  intrinseche  (oggettiva  e  sog-  gettiva) :  non  già  per  una  necessità  di  tipo  dialettico,  che  faccia  risultare  il  concreto  dalle  antitesi  (pp.  92  e  138),  bensì  per  una  necessità  immediata  :  «  Il  credente  muove  dal  bisogno  di  sapere  la  sua  stessa  essenza  singolare,  di  sentirla  distinta  »  (p.  212).  D'altra  parte,  di  fronte  al  credente,  la  coscienza  rappresenta  uno  sforzo  continuo  -  che  non  giunge  mai  al  termine  -  «  per  risolversi  nel  suo  principio  universale,  e  perciò  essa  è  sempre  inesausta  e  inesauribile  problematicità  »  e,  quindi,  filosofìa  (p.  213).  Le  attività  tra-  Nel  concrcto  pcrciò,  a  cagione  della  sua  «  polarità  »  -  come  scendentah:  re-  ^    chiamata,    ad    escmpio,    in    L'idealismo    italiano    (Napoli,   hgione  e  filoso-  f     _  ^        ^      _   fia.  1938,  P-  294)  -,  si  costituiscono  due  «  attività  trascendentali,   rehgione  e  filosofìa  »  (p.  210)  che  «  sono  l'intrinseca  trascen-  dentahtà  del  concreto,  non  la  concretezza  stessa»  (p.  214).  Esse  dovran  tornare,  dice  il  Carabellese,  «  dopo  tutte  le  scal-  trezze (....),  alla  loro  esigenza  ingenua.  La  concreta  coscienza  umana  non  segue,  certo,  solo  la  misteriosa  fede  del  credente  o  la  superba  ansia  dimostrativa  del  filosofo,  ma  nella  sua  attività  è  proprio  sforzo  che  richiede  riposo,  riposo  che  pre-  para lo  sforzo»  (p.  214).   In  che  misura  il  credente  possa  sentirsi  soddisfatto  del-  l' «  esigenza  ingenua  »  della  religione,  quale  il  Carabellese  ghela  presenta,  è  dubbio  :  il  credente  ha  generalmente  bisogno  di  un  Dio  a  cui  rivolgersi  come  a  un  Tu,  e  non  soltanto  di  «  genuflettersi  dinnanzi  all'universale  mistero  che  lo  tra-  scende »  (p.  206).  Ma  il  filosofo  può  essere  più  soddisfatto.  Egli  può  trovare  nella  trascendenza  carabellesiana  la  ragione  della  prohlematicitcì  della  sua  ricerca,  che  una  mèra  consi-  derazione dell'oggettività  come  tale  non  avrebbe  fatto  sup-  porre. In  un  immanentismo  di  tipo  hegehano,  in  cui  la  filo-  sofia è  il  prendere  coscienza  dell'Assoluto,  la  problematicità  si  risolve  interamente  nello  sviluppo  storico;  in  un  imma-  nentismo gentihano,  in  cui  l'atto  coincide  eternamente  con    I  due  poli  del  concreto  265     stesso,  la  problematicità  scade  nell'indifferenza  verso  la  singolarità  dei  fatti.  Per  contro  nell'immanentismo  carabel-  lesiano,  in  cui  l'oggettività  è  una  idea  pura,  universale  e  di  per    astratta,  l'esigenza  di  una  tale  oggettività  riesce  invece,  inevitabilmente,  problematica  e  pluralisticamente  attuata.   Per  questo  l'analisi  del  concreto  nelle  sue  condizioni,  o  nei  suoi  distinti  di  per    astratti,  é  necessaria  alla  reden-  zione. Una  redenzione  che  riscatta  anche  quello  che  abbiamo  chiamato  il  «  profetismo  »  di  Carabellese.  La  profezia  in  nome  dell'assoluto  apre,  infatti,  e  non  chiude  la  ricerca.   Rimane,  senza  dubbio,  un  problema  gravissimo:  con  Quai  è  u  crUe-  qual  criterio  misurare  se  questa  esigenza  di  oggettività  sia  ''^o  deii'oggeth-  più  o  meno  soddisfatta?  Il  criterio  non  può  essere  dato,  é  chiaro,  da  una  formula;  l'oggettività  carabellesiana  non  sarebbe  tale  se  vi  fosse  una  formula  capace  di  definirla.  Ciò  rende  difficile  -  quasi  altrettanto  nella  posizione  di  Cara-  bellese quanto  in  quella  di  Gentile  -  passare  dalla  sistemazione  del  valore  in  generale  a  una  valutazione  specifica,  dei  prodotti  portatori  di  valore.  Ma  ciò    altresì  al  problema  della  filo-  sofìa una  apertura  che  le  posizioni  di  dialettiche,  di  stampo  hegeliano,   per  contro  gli  negavano.   II.  Possibilità  di  un  pluralismo  filosofico.    L'anno  stesso  della  Critica  del  concreto,  192 1,  il  Carabellese  pubbHca  infatti,  sulla  «  Rivista  di  filosofìa  »  un  articolo  fondamentale  Che  cos'è  la  filosofia?  in  cui  riconosce  «  la  difficoltà  della  conciliazione  dell'assoluta  universalità  della  filosofia  con  la  sua  determinata  concretezza  »  (edizione  in  volume,  con  altri  saggi,  1942,  p.  91)  ;  e  non  esita,  dovendo  scegliere,  a  lasciar  cadere  pittosto  la  concretezza,  per  conservare  l'universafità.  Ma,  se  si  tien  conto  della  «  attuazione  e  pratica  della  filosofia  »,  ci  si  accorge  che,  rispetto  a  quella  universahtà,  «  il  filosofo  è  esso  il  problema  dell'individuazione  ».  L'universaHtà  ha  bisogno  di  essere  individuata  per  esistere,  e  quindi  «  l'espli-  cazione dell'imphcito  »,  che  è  il  problema  filosofico  fonda-  mentale, quando  si  consideri  la  filosofia  nella  sua  attuahtà  diviene  il  problema  dell'individuazione  dell'universale.   «  Si    266     Cap.  XXXV.  -  L'Ontologismo  di  P.  Carahellese   parte  dall'affermazione  dell'essere  nella  sua  universalità,  e  si  arriva  a  una  assoluta  affermazione  della  individualità,  che  può  parere  dogmatica,  intollerante,  tirannica  ed  arbi-  traria solo  a  chi  nulla  sente  di  filosofia,  e  perciò  scambi  l'arbitrio  del  singolo,  che  deve  farsi  valere  pur  quando  debba  affermare  non  il  suo  proprio  arbitrio,  ma  l'assoluto  univer-  sale, con  l'universale  idea  animatrice  da  quel  singolo,  toccata  in  un   potente  sforzo  di  sublimazione  »   (p.    112).   In  questo  senso  è  riconquistato  il  «  concetto  ingenuo  della  filosofia,  che  non  è  possesso  ma  (....)  sforzo»  (p.  113).  Il  saggio  del  '21  sul  concetto  della  filosofia  fu  ristampato  nel  '42,  come  secondo  volume  dei  Primi  Saggi:  ma  le  postille  e  l'ultimo  saggio,  aggiunto  nel  '42,  fanno  in  realtà,  di  questo  volume  l'espressione  di  una  maturazione  ulteriore  del  Cara-  hellese, che  presuppone  tutto  il  lavoro  di  insegnamento  uni-  versitario e  di  polemica.  Dopo  il  1921,  infatti,  il  Carabellese  si  dedicò  a  «  verificare  »  la  propria  concezione  sulla  storia  della  filosofia,  soprattutto  kantiana:  su  quello  strano  de-  stino, cioè  che  aveva  portato  l'annunzio  kantiano  (mal  for-  mulato) della  pura  oggettività  a  rovesciarsi  nella  soggettività  assoluta  di  Fichte.  //  problema  della  filosofia.  Da  Kant  a  Fichte  (1929)  è  il  «problema  interno»  della  filosofia:  quel  problema  che  la  filosofia  soUeva  a    stessa  quando  si  inter-  roga suUa  propria  possibiUtà,  e  che  va  distinto  accuratamente  dal  «  problema  oggettivo  che  la  filosofia  vuol  risolvere  »  (p.  v),  che  il  CarabeUese  chiama  «  problema  teologico  ».  Kant  (e  questo  è  il  punto  in  cui  l'esegesi  del  Carabellese  si  mostra  più  aderente  ai  problemi  testuah)  non  chiarì  mai  in  modo  soddisfacente  il  rapporto  tra  critica  (propedeutica)  Il  problema  teo-  e  metafisica  (filosofìa).  Ciò  portò  i  suoi  successori  a  confon-  ogtco.  ^gj.g  ^  problema  interno  della  filosofia  col  problema  oggettivo,   e  a  pretendere  di  risolverh  in  un  sol  colpo,  col  concetto  di  autocoscienza.  È  la  tesi  che  il  Carabellese  espone  nella  prima  parte  di  La  filosofia  di  Kant.  L'idea  teologica  (1927;  parte  non  più  seguita  dalla  seconda  e  dalla  terza,  che  avrebbero  dovuto  riguardare,  rispettivamente,  1'  «  idea  psicologica  »  e  r  «  idea  cosmologica»).  Il  Carabellese  contesta  la  legittimità    Possibilità  di  un  pluralismo  filosofico  267   di  presentare  come  filosofia  di  Kant  il  criticismo,  che  voleva  essere  soltanto  la  via  per  arrivarci;  ma  non  perchè  segua  l'indicazione  espressa  di  Kant,  secondo  cui  il  contenuto  effettivo  deUa  filosofia  andrebbe  cercato  in  una  «  metafisica  della  natura  »  e  «  dei  costumi  »,  contenente  l'insieme  delle  condizioni  a  priori  rispettivamente  della  scienza  deUa  natura  in  generale  e  della  moralità.  Carabellese  cerca,  al  contrario  di  «  determinare,  attraverso  la  dottrina  metafisica  che  Kant  tacitamente  o  esplicitamente  professa,  quella  che  la  critica  gli  impone  di  professare  »  (p.  xv).  In  che  cosa  consiste  questa  dottrina?  Essa  è  la  dottrina  dell'idea  come  oggettività  pura;  dell' «  idea  Dio»  (come  il  Carabellese  amava  dire,  e  LUidea  dìo».  non  idea  di  Dio:  secondo  una  precisazione  che  risale,  effet-  tivamente, al  Kant  àeWOpus  poshimum,  sebbene  il  Cara-  bellese conoscesse  l'Opus  postumum  solo  indirettamente).  Carabellese  riconosce  che  «  Kant  non  fu  consapevole  della  scoperta  che  egh  faceva  quando,  di  fronte  al  problema  del-  l'esistenza di  Dio,  rispondeva  che  Dio  è  idea,  e  trasformava  così  l'argomento  ontologico»  [La  filosofia  di  Kant,  p.  392).  Riconosce,  cioè,  che  la  verità  che  egli  attribuisce  a  Kant  è,  in  fondo,  la  stessa  verità  scoperta  da  lui,  Carabellese.  Con  tutto  ciò  il  suo  hbro,  come  tutto  il  resto  delle  sue  ricer-  che storiche,  pur  nel  carattere  molto  personale  delle  sue  ve-  dute, contiene  spesso  intuizioni  illuminanti.   12.  Il  problema  teologico.    Dopo  questi  saggi,  non  esaurienti  ma  condotti  in  profondità,  su  Kant  e  su  Fichte,  il  Carabellese  poteva  raccoghere  la  somma  del  proprio  pen-  siero intorno  al  «  problema  oggettivo  »  (e  non  piìi  «  interno  »  soltanto)  della  filosofia,  nel  volume  II  problema  teologico  come  filosofia  (1931),  che,  pur  avendo  una  origine  alquanto  compo-  sita, costituisce  una  sintesi  molto  coerente.   La  filosofia  trascendentale  sbagHa  quando  fa  della  critica  La  critica  non  è  la  scienza  assoluta   (p.   6)  :   ma  non  per  questo  ha  ragione  ^^  scienza  su-  Hegel  (che  critica  tale  assunto)  di  cercare  la  verità  nel  dia-  lettismo (p.  II).  L'errore  di  Kant  è  di  muovere  dalla  critica  della  conoscenza  soltanto    (p.    12),   anziché   della  coscienza:    208     Cap.  XXXV.  -  L'Ontologismo  di  P.  Carabellese   che,  allora,  si  scoprirebbe  in  essa  «  l'immanenza  dell'essere  in  sé,  come  puro  oggetto  »  (p.  i6),  cioè  come  idea.  La  meta-  fisica critica  può,  dunque,  essere  definita  come  «  l'attività  teorica  della  trascendenza  nella  immanenza  dell'assoluto  »  (p.  15).  Ma  poiché  la  trascendenza  é  «sforzo  verso  l'asso-  luto» (e  non  l'assoluto  medesimo),  la  filosofia  si  persona-  lizza; e  non  «capitalizza»,  come  la  religione,  un  patrimonio  di  fede,  «ma  si  consuma  in  sempre  nuovo  sforzo»  (p.  18).   Con  ciò  il  Carabellese  rende  esphcito  e  risoluto  il  suo  schie-  rarsi per  una  filosofia  critica  contro  ogni  filosofia  normativa.  «  La  filosofia  rinunzia  ad  essere,  con  le  proprie  norme,  la  guidatrice  di  ogni  concreta  attività  spirituale  »  (p.  19),  avendo  «natura  di  sforzo,  e  non  di  scienza»  {ivi).  «La  filo-  sofia deve  dunque  abbandonare  la  scientificità,  per  salvare,  insieme  con  la  propria  oggettività,  quella  stessa  dell'essere  »  (p.  117).  Dio  come  asso-  Giustificate  COSÌ  le  tesi  della  Critica  del  concreto  e  quelle  luto  oggetto  ^j  £j^^  ^Q^'^  i^  filosofia?,  la  nuova  analisi  del  Carabellese  viene   puro.  .       .   a  trovarsi  direttamente  di  fronte  al  problema  di  Dio.  Dio,  «  come  assoluto  oggetto  puro  »,  é  ancora  il  problema  del  lontano  volume  del  1914,  L'essere  e  il  problema  religioso,  filtrato,  tuttavia,  attraverso  tutta  l'esperienza  storiografica  e  speculativa  di  quegli  anni.  Al  volume  giovanile  era  stato  obiettato  che  l'essere,  che  è  il  piìi  astratto  dei  concetti,  non  può  illuminare  il  problema  religioso,  che  é  tra  i  piìi  concreti;  e  la  meditazione  carabellesiana  di  quegli  anni  era  stata  la  risposta  a  tale  obiezione:  l'inserzione  dell'essere  nel  concreto.  Perciò  il  Carabellese  torna  a  dire  che  la  filosofia,  non  solo  non  può  evitare,  ma  ha  per  suo  compito  oggettivo  spe-  cifico il  parlare  di  Dio,  e  il  correggerne  la  rappresentazione  realistica  che  ne    generalmente  la  religione;  nonché  il  liberare  Dio  dai  due  «  presupposti  »,  della  esistenza  e  della  soggettività,  senza  peraltro  aver  punto  la  pretesa  di  con-  testare l'atteggiamento  dell'adorazione  religiosa:  anzi,  of-  frendole il  suo  vero  oggetto.  Dio  è,  non  esi-  DÌO,  afferma  Carabellese,  è,  non  esiste.  Era  stato  detto  ^^^-  già  da  molti  altri,  in  particolare  dal  Vico,  al  termine  della    //  problema  teologico  269   Prima  risposta  al  Giornale  dei  letterati:  «  Impropriamente  esplica  la  sua  pietà  »  chi  (come  Cartesio)  inferisce  dalla  pro-  pria esistenza  la  esistenza  di  Dio,  perchè  «  Dio  non  esiste,  ma  è  »  (e  ancora:  «  Iddio  non  c'è,  ma  è  »).  Il  senso,  tuttavia,  in  cui  il  CarabeUese  riprende  questa  formula  è  originale:  «  Se,  infatti,  Dio  è  essere  in  sé,  e  l'esistere  invece  è  essere  in  relazione,  dire  che  Dio  come  tale  esiste,  comunque  si  intenda  l'esistere,  è  pronunciare  verbalmente  soltanto  una  contraddizione,  ma  non  dire  nulla:  affermare  l'esistenza  di  Dio  è  negare  Dio»  (p.  169).  «Affermare  l'esistenza  di  Dio  è  negare  Dio  rendendo  impossibile  uno  spirito  che  lo  affermi  »  (p.    171).   Anche  l'argomento  ontologico,  che  il  CarabeUese  -  come  L'argomento  quasi  tutti  gh  idealisti  -  riprende  e  accogUe  originalmente,  ^^^°^°s^^°-  adattandolo  al  proprio  tipo  di  idealismo,  è  bensì  inadatto  -  egH  dice  -  a  dimostrare  l'esistenza  di  Dio,  ma  serve  ad  attestarne  la  «  pura  inseità  »  (p.  177)  :  la  quale  è  solo  di  Dio,  dato  che  «  tutto  ciò  che  esiste  non  è  in  sé,  perchè  l'esistenza  sta  proprio  nella  reciprocità,  che  è  alterità,  e  non  inseità  »  (p.  180).  «L'essenza  dell'argomento  ontologico  sta  proprio  nella  negazione  della  singolarità  e  rappresentatività  di  Dio  (negazione  della  quale  l'inconoscibilità  kantiana  non  è  lon-  tana) »  (p.  179).  Pensare,  e  non  pensare  Dio,  è  davvero  im-  possibile, come  osservava  Anselmo:  perché  Dio  è  l'ogget-  tività di  ogni  atto  di  pensiero.   13.  La  manifestazione  dell'essere.    Tuttavia  questo  essere  come  puro  oggetto  del  pensiero,  pur  essendo  stato  immesso  nel  concreto,  rischia  facilmente  di  apparire  troppo  povero  di  determinazioni  per  costituire  il  «  problema  og-  gettivo »  della  filosofia.  E  negH  anni  dell'insegnamento  di  teoretica  a  Roma  il  CarabeUese  si  sforza  di  quaUficarlo  mag-  giormente, servendosi  deUe  determinazioni  del  tempo,  secondo  la  hnea  già  indicata  daUa  Critica  del  concreto.  Queste  medi-  tazioni deU'ultimo  CarabeUese  furono  raccolte  in  cinque  volumi  di  dispense,  preparate  da  lui  prima  dei  rispettivi  corsi,  tra  il  1944  e  il  1948.   I  titoli  sono:  L'essere  e  la  sua    270     Cap.  XXXV.  -  L'Ontologismo  di  P.  Carabellese   manifestazione.   Parte  I:  La  dialettica  delle  forme  (1944-46);  L'essere.    Parte   II:    Io    (1947);    L'attività   spirituale   umana.  Prime  linee  di  una  logica  dell'essere  (1948).  Uessere  quali-         «  L'essere  qualitativo  -  egli  spiega  nel  primo  di  questi  tahvo.  volumi  -  proprio  perchè  è  il  diverso,  presenta  la  sua  attività,   che  è  attività  prima  e  principio  di  ogni  attività,  sotto  tre  aspetti,  che  finora  hanno  costituito  tre  ordini  di  problemi  separati  gli  uni  dagli  altri,  e  che,  quindi,  sono  stati  risolti  indipendentemente  e  incoerentemente:  dico  i  problemi  dei  valori  delle  categorie  e  degU  atti  dell'attività  spirituale  »  (p.  86).  Anche  se  l'essere  è  una  pura  potenziahtà  eterna,  gli  atti  si  diversificano:  il  passato,  inserendosi  nel  presente,  vi  costituisce  il  fatto  e  il  futuro  vi  costituisce  il  fine  :  «  Il  fine,  come  già  il  fatto,  è  un  diverso  atto  in    »  (II,  p.  160),  e  ha  anch'esso  una  sua  oggettività  pura,  perchè  «  il  sommo  fine  in    non  può  essere  uno  dei  tanti  che  sentono  il  fine,  ma  dev'essere,  invece,  proprio  quel  tale  unico  sentimento  del  bene  che  tutti  noi  abbiamo  quando  ci  proponiamo  dei  fini»  (p.  196).  La  bellezza.  Auchc  la  bellezza  ritorna,   nell'esame  dell'ultimo  Cara-   bellese, come  «  realtà  in    »  del  «  sentimento  fondamentale  »,  e,  quindi,  non  come  prodotto  dell'arte  (crocianamente),  bensì  all'inverso  come  suo  presupposto  :  «  Dio  come  bellezza  è  l'ineliminabile  presupposto  dell'arte  e  degli  artisti  »  (p,  257).  Coerentemente  con  tutto  il  resto  della  sua  posizione,  il  Cara-  bellese considera  un  grave  errore  il  «  presupporre  l'artista  al  bello,  cioè  il  singolare  all'universale»  (III,  p.  325).   Nella  seconda  parte  dell'opera,  intitolata  L'io,  il  Carabel-  lese ribadisce  la  sua  concezione  della  coscienza  concreta:  «  Il  consapere  è  il  sapere  che  io,  compatta  unità  plurima,  ho  di  Dio,  l'unico  universale»  (p.  162).  Maggiori  novità  si  trovano  nella  parte  su  L'attività  spirituale  umana,  che  obbedisce  a  questo  canone  generale  :  «  L'attività  spirituale  umana  attui  l'essere  »  (p.  32)  :  canone  specificantesi  poi  nell'imperativo  di  attuare  l'essere  in  quanto  bene  (p.  42)  e  in  quanto  necessità  (p.  46).  Su  quest'ultimo  punto  si  fonda  la  logica,  come  legge  dell'attività  umana  consapevole,  dato    La  manifestazione  dell'essere  271   che  «  il  logo  si  rivela  come  lo  stesso  essere  in  quanto  pre-  sente nell'attiva  coscienza  umana»  (p.  89).   Sotto  questa  rubrica  il  Carabellese  estende  ora  la  sua  ri-  La  società.  cerca  a  un  campo  che  poteva  sembrare  marginale,  rispetto  ai  suoi  interessi,  la  società:  poiché  la  logica,  come  legge  dell'attività  umana,  sotto  il  suo  aspetto  sentimentale,  è  «  logica  della  famigha  »,  oltre  che  della  poesia  e  dell'arte,  e  sotto  il  suo  aspetto  intellettivo  è  «  logica  della  nazione  »,  «  della  scuola  »  e  «  della  storia  ».  Infine,  sotto  il  suo  aspetto  vohtivo,  è  «  logica  del  popolo  »,  «  dello  Stato  »,  «  del  costume  ».   Per  quanto  affiancate,  però,  da  un  volumetto  pubbhcato  nel  1946,  L'idea  politica  d'Italia,  queste  riflessioni  ultime  del  Carabellese  sui  temi  della  società  appaiono  prive  di  suf-  ficiente elaborazione.  Del  resto,  questo  non  è  un  caso:  ri-  sponde al  rifiuto  del  Carabellese  di  sacrificare  alla  concre-  tezza della  filosofia  la  sua  universalità.  Abbiamo  già  incon-  trato questo  rifiuto  nell'articolo  del  '21,  e  nel  Problema  teologico;  e  lo  troviamo  ribadito  negli  scritti  Che  cos'è  la  filosofia?  (1942).  Esso  non  è  altro  che  un  corollario  del  rifiuto  di  «  accettare  l'idealistica  riduzione  dell'essere  alla  coscienza  »,  la  quale  impedirebbe  alla  filosofia  di  continuare  ad  essere  filosofia  dell'essere,  e  quindi,  in  ultima  analisi,  annullerebbe  la   possibilità   della   filosofia  medesima.   Capire  ciò  -  osserva  una  postilla  del  '42  al  saggio  del  '21  -  irriducibilità  «  deve  essere  ben  difficile,  se  i  miei  giovani  amici,  certo  di  '^^''^  filosofia.  pronto  ingegno,  come  lo  Spirito  prima  e  il  Calogero  dopo,  non  hanno  visto  che,  con  la  loro  aperta  professione  di  ridu-  zione della  filosofia  alle  determinate  scienze  (Spirito),  o  a  filosofia  della  prassi  (Calogero)  non  hanno  fatto  altro  che  dotarmi  di  spirito  profetico,  in  quanto  avevo  prearmunziato  il  necessario  finire  della  filosofia  neohegehana  in  genere,  e  attuahstica  in  specie,  nell'uno  o  nell'altro  dei  detti  estremi  »  {Che  cos'è  la  filosofia?,  1942,  p.  71).   La  stessa  soluzione  che  il  Carabellese  aveva  proposta  nel  '21,  peraltro,  \'iene  da  lui  criticata,  perchè  in  essa  il  «  pro-  blema interno  »  della  possibihtà  del  filosofare  non  era  visto  nella  sua  «  connessione  con  la  soluzione  ontologica  del  pro-   19.   -  Lamanna.  Storia  della  filosofia.  VII,    272     Cap.  XXXV.  -  L'Ontologismo  di  P.  Carabellese   blema  oggettivo»  (p.  87).    si  parlava  ancora,  infatti,  di  una  «  trascendenza  »  della  filosofia,  mentre  la  filosofia  -  come  la  religione  -  non  è  trascendente  essa  stessa,  bensì  «  ricerca  del  trascendente,  trascendentalità  ».  Entrambe,  filosofia  e  religione,  se  rivendicassero  il  concreto,  «  dovrebbero  perire  insieme  nel  contendersi  tutta  l'attività  spirituale  concreta,  o  una  determinata  forma  di  questa  ».  Ma  «  che  periscano  è  impossibile:  bisogna  dunque  che  rinunzino  entrambe  alla  concretezza,  per  salvarsi  entrambe,  ciascuna  col  suo  proprio  valore  »  (p.  120).   Eppure  questa  rinunzia  è  ancora  soltanto  una  condi-  zione negativa.  Dopo  di  essa  bisogna  chiedersi,  come  fa  il  saggio  conclusivo  del  volume:  È  possibile  filosofare  ?  ».  Kant  aveva  dimostrato  (secondo  il  CarabeUese)  che  una  filosofia  come  specifico  «  sapere  dell'  essere  »  è  indispensabile.  Ma  i  post-kantiani  «  annullarono  »  la  dimostrazione  kantiana,  e  con  ciò  la  stessa  filosofia,  ridotta  all'attività  spirituale  in  genere.  Solo  la  «  riflessione  pura  della  coscienza  ontologica  »  ristabilisce  la  possibilità  della  filosofia,  evitando  di  identifi-  carla, sia  col  sapere  concreto  (delle  scienze),  sia  con  lo  stesso  principio  trascendente  (verso  il  quale  è  sforzo) .  Allora  «  pro-  blema interno  e  problema  oggettivo  del  filosofare  si  strin-  gono saldamente  tra  loro,  pur  senza  confondersi:  perchè  sia  possibile  filosofare  devesi  ammettere  l'essere  in  sé,  del  quale  la  filosofia  sia  riflessione;  perchè  si  ammetta  l'essere  in  sé,  bisogna  che  sia  possibile  la  filosofia  come  speciale  sapere  o  meglio,  se  si  vuole,  come  quello  speciale  atteggiamento  di  coscienza  che  ricerca  il  trascendente  assoluto,  che  é  l'essere  in  sé»  (pp.  269-270).   La    filosofia    e  I4.    SOVRANITÀ   DELLA   FILOSOFIA.      DcttO  CÌÒ,   tuttavia,   l'oggethvtia.  ^^^  gj  vcdc  aucora  da  che  cosa  il  filosofo  possa  desumere  ciò  che  ha  da  dire.  «  Il  filosofo  non  deve  professare  la  filo-  sofia che  a  lui  personalmente  piaccia,  ma  quella  a  cui  l'og-  gettiva coscienza  lo  induca  »  {Che  cos'è  la  filosofia?,  cit.,  p.  vili)  :  ma  quale  è  quella  filosofia  a  cui  «  l'oggettiva  coscienza  lo  induce  »?  A  questa  domanda  il  Carabellese  non  può  ri-    co.    Sovranità  della  filosofia  273   spendere,  se  non  con  una  «perenne  problematicità»  (p.  262),  che  corrisponde,  in  qualche  modo,  a  quella  problematicità  che  Ugo  Spirito  trarrà  dall' attuaUsmo.  Egli  dice  che  «  la  problematicità  del  filosofo  non  parte  affatto  dal  nulla,    dalla  negazione  :  parte  dalla  coscienza  concreta  »  (pp.  263-264)  :  ma  con  ciò  non  fa  altro  che  reinserirsi,  in  sostanza,  nella  tra-  dizione socratico-platonica  (il  Carabellese  ne  cita  come  rappresentanti  «Aristotele  e  Agostino,  qui  d'accordo»),  secondo  cui  «  sapere  è  sempre  sapere  in  modo  piìi  espUcito  ciò  che  già  si  sapeva»  (p.  361).  Questo  appello  a  un  impli-  cito da  esphcitare  si  giustifica,  tuttavia,  forse  meno  nell'on-  tologismo critico  che  nelle  filosofie  tradizionali,  platoniche  e  cristiane.   Queste  riserve  non  tolgono  che  Carabellese,  con  il  suo  spirito  profeti-  volume  del  '42  sulla  possibilità  della  filosofia  -  scritto  che  può  considerarsi  come  il  suo  testamento  spirituale  -  ponga  il  tema  principale  del  dibattito  filosofico  in  Italia  per  almeno  un  decennio:  il  tema  della  «morte  della  metafisica».  Anche  se  non  tutti  coloro  che  conducevano  quel  dibattito  si  ricor-  darono di  lui,  anche  se  i  più  tra  quelli  che  pronunziarono  una  sentenza  di  morte  per  la  metafisica  non  si  accorsero  della  loro  ignoratio  elenchi  rispetto  alle  tesi  del  Carabellese,  noi  non  possiamo  non  riconoscere  ancora  una  volta  in  Carabel-  lese una  sorta  di  spirito  profetico  e,  questa  volta,  anche  rispetto  al  futuro.  Con  lucidità  impressionante,  infatti,  nel  1942  egli  respinge,  insieme  col  «  pregiudizio  della  norma-  tività della  filosofia  »,  l'identificazione  tra  filosofia  e  politica  pura,  tra  filosofia  e  pohtica  determinata,  tra  filosofia  e  storia  della  filosofia  (nel  senso  che  sarà  sostenuto  poi,  tra  gh  altri,  dal  Garin)  e,  infine,  tra  filosofia  e  fede  (oltre  che,  come  già  si  è  visto,  tra  filosofia  e  scienza  e  tra  filosofia  e  prassi).  La  capacità  di  prevedere  e  prevenire  i  nemici,  in  Carabellese,  non  aveva  l'eguale.  Il  vedere  neUa  «  non  hegeliana  identi-  ficazione di  filosofia  e  politica  pura  »  la  «  esasperazione  della  hegehana  eticità  dello  Stato  »  ;  il  riconoscere  «  l'inutihtà  del  filosofare  nelle  determinate  esigenze  poUtiche  »,  contro  il  «  sogno  platonico  dei  filosofi  reggitori  di  Stato  »  ;  il  sostenere    274     Cap.  XXXV .  -  L'Ontologismo  di  P.  Carabellese   «l'inutilità  del  filosofare  per  la  vita»  (p.  274),  come  «segno  deUa  sovranità  della  filosofia  »,  sono  una  battaglia  combat-  tuta in  anticipo  contro  nemici  non  ancora  tutti  schierati.  E,  se  si  dovesse  guardare  al  suo  esito  pragmaticamente  e  storicisticamente,  si  dovrebbe  anche  dire:  una  battaglia  perduta.  Ma  il  senso  del  testamento  spirituale  di  Pantaleo  Carabellese  è  appunto  il  rifiuto  di  una  considerazione  prag-  matica e  storicistica  della  filosofia.  Questo  rimane,  anche  se  la  tendenza  a  sacrificare  il  concreto  all'universalità  toghe,  a  quel  rifiuto,  molte  opportunità  di  proporsi  come  più  po-  sitivamente costruttivo.    Capitolo  Trentaseiesimo  L'IDEALISMO  STORICISTICO  DI  BENEDETTO  CROCE   I.   LA  FASE  DI  PREPARAZIONE   I.    I   CASI   DELLA  VITA.     Il   CrOCE  giunse  assai  tardi  alla    Tardivo  appro-   fìlosofia.  Benché  la  sua  attività  di  studioso  fosse  precocis-  ^^  '^^^"'  fi^^^'^fi'^-  sima  (prima  dei  vent'anni  egli  aveva  già  pubblicato  alcuni  lavori)  e  si  esplicasse  fin  dall'inizio  con  rara  intensità,  tut-  tavia essa  non  offrì  stimoli  efficaci  al  manifestarsi  della  sua  vocazione  filosofica,  essendo  dominata  da  una  curiosità  di  erudito  e  di  letterato  che  trovava  il  suo  pascolo  nella  ricerca  d'archivio  e  di  biblioteca,  in  collaborazione  con  «  altra  onesta  e  buona  e  mite  gente,  uomini....  che  non  avevano  l'abito  del  troppo  pensare»  {Etica  e  Politica,  Bari,  1956*,  p.  388),  come  si  esprime  il  Croce  stesso  ;  ne  taU  stimoU  al  «  pensare  »  venivano  offerti  al  giovane  Croce  dai  casi  della  vita  e  dalle  influenze  dei  vari  ambienti  in  cui  tah  casi  si  verificavano  sotto  forma  di  problemi  spirituali  d'indole  etico-rehgiosa,  o  pratico-sociale,  e  simili  (e  son  preziose  per  questo  rispetto  le  confessioni  del  Croce  medesimo  nel  suo  Contributo  alla  critica  di  me  stesso  del  1915,  ripubbhcato  in  appendice  al  volume  Etica  e  Politica).   Nato  nel  1866  a  Pescasseroh,  paese  montano  degH  Abruzzi,   Vamhiente.  da  una  ricca  famiglia  di  proprietari  terrieri,  trovò  in  questa    276  Cap.  XXXVI.  -  L'idealismo  storicistico  di  B.  Croce   esempi  di  severe  virtii  domestiche,  austera  laboriosità  del  padre  nell'amministrazione  del  suo  patrimonio,  cura  attenta  e  amorosa  della  casa  da  parte  della  madre,  la  quale  serbava  altresì  amore  per  i  libri  e  soprattutto  per  la  letteratura  ro-  mantica di  costume  medievale  oltre  che  per  l'arte  e  per  gli  antichi  monumenti,  amore  che  trasmise  vivissimo  fin  dai  primi  anni  d'infanzia  al  figlio,  il  quale  -  come  scrive  -  si  trovò  ad  avere  in  tutta  la  sua  fanciullezza  «  come  un  cuore  nel  cuore  »,  e  questo  cuore  «  era  la  letteratura  o  piuttosto  la  storia»  [ivi,  p.  380).  Ma  mancava  in  quell'ambiente  fa-  miliare qualunque  risonanza  di  vita  pubblica  e  politica:  il  persistente  segreto  attaccamento  ai  Borboni,  la  sorda  dif-  fidenza per  le  idee  e  il  costume  del  nuovo  Stato  «  piemontese  »,  vietavano  ogni  partecipazione  attiva  al  moto  del  Risorgi-  mento e  all'opera  di  costruzione  del  nuovo  Stato  nazionale.  E  le  relazioni  della  famigha  con  i  due  fratelli  Spaventa,  cu-  gini del  padre,  si  erano  rotte:  l'ex-prete  Bertrando,  allora  professore  di  filosofia  all'Università  di  Roma,  era  oggetto  di  scandalo  per  la  sua  apostasia;  e  Silvio,  esponente  auto-  revole del  liberalismo  trionfante,  era  sentito  come  l'incar-  nazione di  quel  mondo  a  cui  i  Croce  erano  intimamente  estranei  o  avversi.   Eguale  sordità  alle  esigenze  della  nuova  politica  e  del  nuovo  pensiero,  il  giovane  Croce  trovò  nel  collegio  tenuto  da  ecclesiastici  a  Napoli,  dove  egli  entrò  a  circa  io  anni  e  dove  compì  i  suoi  studi  secondari,  che  alimentarono  le  sue  inclinazioni  letterario-erudite,  specialmente  sotto  l'influenza  del  De  Sanctis  e  del  Carducci,  da  lui  letti  e  riletti  sui  banchi  del  liceo,  senza  che  tuttavia  riuscisse  a  sentire,  se  non  in  modo  superficiale  l'alta  ispirazione  morale  della  loro  opera  critica.  E  si  compì  in  quegli  anni  quella  ch'egli  chiama  «  crisi  rehgiosa  »,  determinata  non  da  profondo  travaglio  o  inquie-  tudine interiore,  ma  dal  graduale  spontaneo  spegnersi  del-  l'adesione a  credenze  da  lui  fino  allora  passivamente  accolte  e  dall'abbandono  delle  pratiche  esteriori.  Gli  studi.  Al  termine  degli  studi  secondari,  la  sua  vita  fu  sconvolta   da  una  gravissima  sciagura  familiare,  la  perdita  di  entrambi    /  casi  della  vita  277   i  genitori  e  dell'unica  sorella  nel  terremoto  di  Casamicciola  (nell'isola  d'Ischia,  dove  la  famiglia  era  a  villeggiare),  ed  egli  stesso  rimase  per  molte  ore  seppellito  sotto  le  macerie,  uscendone  con  le  ossa  fracassate.  Guarito  daUe  ferite,  avendo  lo  zio  Silvio  Spaventa  assunto  la  tutela  dei  due  orfani  so-  pravvissuti, egli  si  trasferi  a  Roma,  in  casa  del  tutore,  e  ci  rimase  tre  anni.  In  questo  periodo  fece  due  esperienze  nuove,  che  lasciarono  tracce  durevoli  nel  suo  spirito:  casa  Spaventa  era  frequentata  da  gran  numero  di  parlamentari  e  giornalisti  ed  esponenti  deUa  cultura  universitaria,  tra  i  quali  si  accen-  devano vivacissime  discussioni  sui  fatti  del  giorno  e  sugh  avvenimenti  della  vita  politica,  discussioni  dominate  da  pas-  sioni e  contrasti  così  importanti  e  violenti  da  turbare  l'animo  del  giovanetto  che  vi  assisteva,  trasformando  l'indifferenza  per  la  politica,  propria  degli  ambienti  in  cui  fino  allora  era  vissuto,  in  vera  e  propria  avversione.  D'altra  parte,  iscritto  alla  Facoltà  di  Giurisprudenza,  per  essere  avviato  alla  diplo-  mazia, non  trovò  in  quegU  studi  nulla  che  lo  interessasse  e  valesse  a  placare  le  sue  ansie  per  la  vita  avvenire,  a  solle-  vare il  suo  spirito  dalla  nera  depressione  nella  quale  la  scia-  gura famihare  lo  aveva  lasciato  (fu  pessimo  scolaro,  e  non  giunse  mai  alla  laurea).  Ma  nella  Facoltà  di  Lettere  inse-  gnava allora  Filosofia  Morale  un  uomo  di  grande  ingegno  e  di  forti  entusiasmi,  Antonio  Labriola,  ch'egU  aveva  cono-  sciuto e  preso  ad  ammirare  nelle  conversazioni  serali  di  casa  Spaventa.  Il  giovane  Croce  si  diede  a  frequentare  le  lezioni  universitarie  del  Labriola,  e  ne  fu  preso.   «  ....  Quelle  lezioni  -  scrive  il  Croce  nel  suo  Contributo  Labriola,  [ivi,  p.  387)  -  vennero  incontro  inaspettatamente  al  mio  angoscioso  bisogno  di  rifarmi  in  forma  razionale  una  fede  sulla  vita  e  i  suoi  fini  e  doveri,  avendo  perso  la  guida  della  dottrina  rehgiosa  e  sentendomi  nel  tempo  stesso  insidiato  da  teorie  materialistiche,  sensistiche  e  associazionistiche,  circa  le  quah  non  mi  facevo  illusioni,  scorgendovi  chiaramente  la  sostanziale  negazione  della  moraUtà  stessa,  risoluta  in  egoismo  piìi  o  meno  larvato.  L'etica  herbartiana  del  Labriola  valse  a  restaurare  nel  mio  animo  la  maestà  dell'ideale,  del    278  Cap.  XXXVI.  -  L'idealismo  storicistico  di  B.  Croce   dover  essere  contrapposto  all'essere,  e  misterioso  in  quel  suo  contrapporsi,  ma  perciò  stesso  assoluto  e  intransigente  ».   L'herbartismo  del  Labriola  suscitava  in  Croce  reverenza  per  forme  ideali  eterne,  platonicamente  scisse  dal  reale  e  collocate  nell'empireo,  fornenti  nella  loro  assolutezza  un  solido  fondamento  alla  morale,  e  andava  incontro  alla  sua  istintiva  avversione  al  naturalism.o  positivistico,  che  som-  mergeva nell'esperienza  e  abbassava  a  superstizione  ogni  culto  dell'ideale.  Piiì  tardi  il  Croce  tornerà  sull'herbartismo,  e  porrà  ogni  suo  sforzo  nell'intento  di  colmare  quell'abisso  tra  ideale  e  reale,  attribuendo  alle  idee  -  calate  dall'empireo  nel  mondo  dell'esperienza  -  il  valore  di  principii  direttivi  o  «  forme  »  dell'operare  umano,  e  riconoscendo  le  esigenze  più  profonde  dell'aborrito  positivismo.  Ma  per  il  momento  l'herbartismo  suscitava  in  lui  un  fermentare  d'idee  sul  rap-  porto tra  dovere  e  piacere,  sulla  distinzione  tra  azioni  ispirate  al  rispetto  della  pura  idea  morale  e  quelle  scaturite  da  im-  pulsi  passionali.   Indagini  eru-  Tomato  a  NapoH,  dopo  tre  anni  di  soggiorno  a  Roma,  «  lasciata  la  pohticante  società  romana  acre  di  passioni  »,  entrò  «  in  una  società  tutta  composta  di  bibliotecari,  archi-  visti, eruditi,  curiosi  »  [ivi,  p.  388)  e  a  quella  società  egli  si  adeguò  pienamente  e  dall'86  al  '92  fu  -  com'egli  dice  -  «  tutto  versato  nell'esterno,  cioè  nelle  ricerche  di  erudizione  »  {ivi,  p.  390).  L'intensità  e  la  foga  di  questo  lavoro  d'indagini  nei  campi  angusti  degli  aneddoti  e  curiosità,  finì  col  produrre  in  lui  «  sazietà  »  e  «  disgusto  »  per  quelle  «  esercitazioni  esterne  ».  E  da  questo  scontento  credette  di  poter  uscire  allargando  l'orizzonte  delle  sue  ricerche  dall'ambito  di  vi-  cende locali  a  quello  della  vita  morale  delle  nazioni  nei  loro  reciproci  rapporti  (ad  esempio  i  rapporti  italo-spagnoH  nel  Rinascimento).  Ma  di  quello  scontento  egli  intuì  la  più  vera  e  profonda  ragione  nel  fatto  che,  mentre  da  tanti  anni  fa-  ceva o  credeva  di  fare  storia,  non  sapeva  che  cosa  fosse  la  storia,  quale  ne  fosse  la  natura:  e  meditando  su  questo  problema,  con  ampie  letture  (prendendo,  tra  l'altro,  un  primo  contatto  con  La  scienza  nuova  del  Vico)   s'accorse  che  la    dite    /  casi  della  vita  279   soluzione  di  esso  impKcava  un  radicale  cangiamento  di  pro-  spettiva, uno  spostamento  d'interesse  da  quello  che  è  l'og-  getto del  conoscere  storico,  dai  fatti  costituenti  il  passato  che  s'intende  ricostruire,  alla  mente  dello  storico  che  è  il  soggetto  di  quell'opera  di  ricostruzione,  per  ricercare  in  essa,  nella  coscienza  dell'uomo,  i  tratti  specifici  di  quella  forma  di  conoscenza  che  è  la  conoscenza  storica  nelle  sue  connessioni  con  le  altre  forme  di  sapere  di  cui  l'uomo  è  capace  e  con  l'operare  pratico  costitutivo  della  vita  dell'uomo.  Era,  //  problema  quello,  un  problema  di  logica  della  storia,  concernente  cioè  '^^"^  ^^'"'*^-  il  concetto  della  storia,  era  dunque  un  problema  di  filosofia,  di  filosofia  sulla  storia.  Da  queste  meditazioni  nacque  il  saggio  del  1893,  La  storia  ridotta  sotto  il  concetto  generale  dell'arte,  «  che  fu  -  come  dice  il  Croce  -  come  una  rivelazione  di  me  a  me  stesso,...  come  cosa  che  mi  stava  a  cuore  e  mi  usciva  dal  cuore,  e  non  come  una  più  o  meno  frivola  e  indif-  ferente  scrittura  di  erudizione  ».   Quel  saggio  suscitò  un  gran  fervore  di  polemiche  che  tennero  impegnato  il  Croce  per  vari  mesi,  e  lo  indussero  a  chiarire  e  sviluppare  il  suo  pensiero  in  vari  scritti,  raccolti  poi  nel  volume  Primi  saggi.   Ma  quando,  gettata  luce  filosofica  sul  lavoro  storico,  egH  credeva  di  poter  tornare  a  questo  riprendendo  le  sue  ricerche  sui  rapporti  tra  ItaUa  e  Spagna,  una  nuova  spinta  improv-  visa e  irresistibile  lo  ricacciò  con  rinnovato  fervore  nelle  riflessioni  sul  problema  della  storia  e  fu  un  secondo  incontro  col  suo  vecchio  maestro  e  amico  Antonio  Labriola,  che,  pas-  sato dall'herbartismo  al  marxismo,  mise  il  suo  giovane  amico  a  parte  dell'opera,  a  cui  egli  si  era  accinto,  di  teoriz-  zamento  del  socialismo  e  della  dottrina  del  materiahsmo  storico  che  ne  costituiva  l'ideologia.   Il  contatto  col  marxismo  ingenerò  nel  Croce  anche  un  11  marxismo.  appassionamento  politico,  la  fede  sociaHstica  nella  pahnge-  nesi  del  genere  umano  redento  dal  lavoro,  e  nel  lavoro:  ma  fu  un  appassionamento  politico  passeggero,  che  quella  fede  fu  corrosa  dalla  critica  ch'egU  venne  facendo  dei  concetti    28o  Cap.  XXXVI.  -  L'idealismo  storicistico  di  B.  Croce   del  marxismo,  in  una  serie  di  saggi,  da  lui  scritti  tra  il  1895  e  il  1900,  raccolti  poi  nel  volume  del  '900  che  porta  il  titolo  Materialismo  storico  ed  economia  marxistica.  Ma  «  del  tumulto  di  quegli  anni  mi  rimase  come  buon  frutto  l'accresciuta  espe-  rienza dei  problemi  umani  e  il  rinvigorito  spirito  filosofico  »  {Primi  Saggi,  Bari,  1951^,  p.  396).  Il  Croce  si  sente  ormai  maturo  per  dare  una  organica  sistemazione  alle  idee  sulla  storia,  scaturite  primamente  dalle  riflessioni  sulla  connes-  sione della  storia  con  l'arte  e  ampliatesi  poi  e  approfonditesi  nell'esperienza  marxistica.  Quest'organica  sistemazione  co-  stituirà quella  che  Croce  chiamerà  «  Filosofia  dello  Spirito  »,  che  si  apre  con  l'Estetica  e  si  conclude  con  la  Teoria  e  storia  della  storiografia,  occupando  il  quindicennio  che  precede  la  guerra  mondiale.  Politica  attiva.  Dopo  la  fine  della  guerra  Croce,  senatore  dal  1910,  entrò  a  far  parte  del  gabinetto  Giolitti  (1920-21)  come  ministro  dell'Istruzione,  e  progettò  una  riforma  scolastica  che,  tutta-  via, non  ebbe  il  tempo  di  far  approvare  dalle  Camere,  per  la  caduta  del  Ministero.  Con  l'avvento  del  fascismo  non  volle  pili  accettare  incarichi  di  governo,  ma  lui  stesso  indicò  in  Gentile  l'uomo  che  avrebbe  potuto  portare  a  termine  la  riforma.  Già  in  questo  momento,  tuttavia,  i  rapporti  tra  i  due  filosofi  si  andavano  raffreddando  :  sia  per  ragioni  teoriche  (come  vedremo),  accentuate  ancora  dalle  polemiche  tra  i  rispettivi  discepoli,  sia  per  ragioni  politiche.  Dopo  il  delitto  Matteotti,  Croce,  che  aveva  in  un  primo  tempo  accettato  il  fascismo  come  minor  male,  mutò  il  suo  voto  favorevole,  «  prudente  e  patriottico  »,  in  una  decisa  opposizione.  Cessò  quasi  del  tutto  di  frequentare  il  Senato,  e  pronunziò,  e  mise  per  scritto,  severe  condanne  del  fascismo.  Salvo,  tuttavia,  un'invasione  della  sua  casa  napoletana  da  parte  di  esagitati,  che  la  moglie  Adele  contribuì  a  fermare,  fu  sempre  lasciato  tranquillo,  e  alla  rivista  che  il  Croce  aveva  fondato  nel  1903,  «  La  critica  »,  fu  lasciata  una  libertà,  per  quei  tempi,  ecce-  zionale. Questa  voce  d'opposizione,  per  un  verso,  serviva  da  aUbi  culturale  al  regime,  ma  per  un  altro  servì  a  raccogliere  intorno    al    crocianesimo    tutto    l'antifascismo    rimasto    nei    /  casi  della  vita  281   confini  italiani.  Caduto  il  fascismo,  tuttavia,  non  riuscì  al  Croce  di  trattenere  se  non  in  minima  parte  tale  antifa-  scismo nel  quadro  e  nello  spirito  del  ricostituito  partito  liberale,  di  cui  Croce  fu  presidente.  Membro  della  Costituente  e  ministro,  Croce  concluse  definitivamente  la  sua  vita  po-  litica nel  1948,  per  proseguire  senza  soste  i  suoi  studi,  fino  alla  morte,  avvenuta  il  20  novembre  1952.  Lasciò  parte  del  suo  palazzo  napoletano  e  la  ricchissima  biblioteca  all'Istituto  per  gli  studi  storici,  da  lui  fondato  nel  1947,  con  lo  scopo  soprattutto  di  indirizzare  i  giovani  verso  quelle  ricerche  che  più  aveva  amate.   2.  La  storia  come  arte  e  come  scienza.    Avendo  l'occhio  alla  futura  costruzione  del  sistema  della  «  Filosofia  dello  Spirito  »,  delineeremo  brevemente  come  preparazione  di  essa  le  idee  principah  contenute  così  nella  memoria  su  La  storia  ridotta  sotto  il  concetto  generale  dell'arte  e  negh  scritti  ad  essa  collegati,  come  nella  raccolta  dei  saggi  sul  Materia-  lismo stanco.   Nell'attività  intellettuale  del  giovane  Croce,  la  ricerca  La  storia  tra  storico-erudita  e  quella  storico-letteraria  o  critica  della  poesia  erano  costantemente  affiancate  e  spesso  (come  ad  esempio  nell'esame  della  poesia  popolare  e  delle  leggende  locali)  s'in-  trecciavano tra  loro,  guidate,  se  non  dal  concetto,  dall'in-  travvedimento  d'un'affinità  spirituale  e  d'una  comune  radice  spirituale  della  storia  e  dell'arte.  Si  capisce  quindi  che,  quando  nel  1893,  nella  «  Memoria  »  con  cui  Croce  inizia  la  sua  atti-  vità filosofica,  prese  ad  esaminare  di  proposito  nei  suoi  termini  più  generali  il  problema  della  natura  della  storia,  egH  avesse  presente  quel  ravvicinamento  della  storia  all'arte,  da  lui  sperimentato  negh  anni  precedenti.  E  partendo  dal  presupposto  -  comunemente  accettato,  anche  se  non  criti-  camente fondato  -  che  vi  siano  due  -  e  non  più  di  due  -  forme  di  conoscenza,  quella  sopraccennata  dell'arte  e  quella  della  scienza,  il  problema  deUa  natura  della  conoscenza  sto-  rica assumeva  la  forma  del  problema  se  la  storia  rientrasse  nell'ambito  dell'arte  o  in  quello  della  scienza,  e  si  risolveva    arte   e   scienza.    282  Cap.  XXXVI.  -  L'idealismo  storicistico  di  B.  Croce   con  la  tesi  che  la  storia  non  si  identificasse  senz'altro  con  l'arte,  ma  fosse  riducibile  sotto  il  concetto  generale  dell'arte,  come  suona  il  titolo  della  «  Memoria  ».   Occorre  dunque  innanzi  tutto  precisare  i  caratteri  che  differenziano  l'arte  dalla  scienza.  E  in  questa  precisazione  si  conclude  che  la  scienza  è  elaborazione  della  realtà  in  forma  concettuale,  per  cui  il  particolare  è  inteso  in  quanto  ripor-  tato all'universale;  l'arte  invece  è  elaborazione  della  realtà  in  forma  rappresentativa,  è  conoscenza  immediata  o  intuitiva  dell'individuale.   Vero  è  che  il  Croce,  all'inizio  della  sua  «Memoria»,  esa-  minando le  varie  definizioni  dell'arte  date  dagli  studiosi,  ritiene  come  sola  definizione  accettabile  quella  che  gH  storici  dell'Estetica  attribuiscono  ad  Hegel,  secondo  la  quale  l'arte  è  manifestazione  sensibile  o  espressione  di  qualcosa  che  per  Hegel  è  l'idea.  Sembra  che  con  ciò  il  Croce  enunci  un  concetto  dell'arte,  nuovo  rispetto  a  quello  dell'arte  come  conoscenza  dell'individuale.  Ma  in  effetti  il  Croce  non    al  concetto  di  espressione  alcun  rilievo  particolare  in  questo  senso,  e  in  ogni  caso  non  sarebbe  pertinente  al  problema  ch'egH  discute,  concernente  la  natura  artistica  della  storia:  per  questo  pro-  blema il  concetto  di  arte-espressione  è  irrilevante,  mentre  si  accentua  a  questo  scopo  il  concetto  di  arte  come  conoscenza  rappresentativa,  non  concettuale.  La  storia  come  Da  quauto    è  detto  sui  caratteri  differenziali  tra  scienza  e  arte,  risulta  che  la  storia  non  è  scienza,  appunto  perchè  non  elabora  concetti,  ma  espone  fatti  nella  loro  concretezza  individuale.  Vero  è  che  da  varie  parti  si  è  tentato  di  consi-  derare la  storia  come  elaborazione  di  concetti.  Da  parte  del  positivismo  la  storia  è  presentata  come  scienza  dello  svol-  gimento degli  uomini  nella  loro  attività  di  esseri  sociali,  identificandola  con  la  sociologia,  che  «  convertiva  l'idea  della  vita  storica  nella  monotona  ripetizione  di  alcuni  schemi  poHtici,  sociali  e  variamente  istituzionah,  e  nell'azione  di  alcune  leggi  generali  »,  e  con  tale  conversione  si  menava  vanto  d' innalzare  1'  «  ingenua  '  storia  degli  storici  '  »  a  «scienza  positiva  e  naturale»   {ivi,  p.   x).   E  d'altra  parte,    arte    La  storia  come  arte  e  come  scienza  283   nel  tempo  stesso  il  positivismo  abbassava  l'arte  a  «  piacere  dei  sensi,  piacere  di  associazioni  psichiche,  piacere  di  abi-  tudini e  disposizioni  ereditarie  non  diverso  da  quello  del-  l'utile »  e  «  non  mancavano  coloro  che  la  riportavano  addi-  rittura all'istinto  sessuale  o  alla  preistoria  animalesca  e  la  descrivevano  come  una  sorta  di  Hbidine  affinata  e  svaporata  »  {ivi,  p.   ix).   Contro  tali  deformazioni  del  concetto  di  storia,  miranti   Polemiche  can-  ai caratterizzare  la  storia  come  scienza  o  elaborazione  con-  ^^0  le  pseudosto-  rte.  cettuale,   il   Croce   assume   un   atteggiamento   risolutamente   polemico.  Per  quel  che  riguarda  il  positivismo,  come  contro  il  sensismo  che  considera  l'arte  torbida  e  oscura  vibrazione  del  piacere  e  dell'utile,  il  Croce  riaffermava  che  l'arte  è  cono-  scenza, così  contro  il  sociologismo  affermava  che  la  storia  non  è  conoscenza  di  ritmi  generali  della  vita  sociale,  ma  è,  al  pari  dell'arte,  conoscenza  di  fatti  individuah;  e  agli  evo-  luzionisti osservava  che  la  storia  non  è  scienza  dello  svolgi-  mento, non  determina  che  cosa  lo  svolgimento  è  (compito,  questo,  della  filosofia  indagatrice  dei  concetti  che  sono  i  principii  dell'essere)  ;  la  storia  espone  i  fatti  dello  svolgimento  umano  {ivi,  pp.  17-18).  E  con  argomenti  analoghi  criticava  la  filosofia  della  storia.   Che  la  realtà  storica  sia  attingibile  all'esperienza  e  sia  specificamente  realtà  umana,  è  concetto  che  si  collega  a  un  ordine  di  considerazioni  con  cui  il  Croce  fa  un  nuovo  passo  avanti  sulla  questione  della  natura  della  storia.  Si,  la  storia  -  s'è  visto  -  è  riducibile  sotto  il  concetto  generale  dell'arte,  in  quanto  questa  è  conoscenza  rappresentativa  della  realtà,  intuizione  immediata  e  irriflessa  dell'individuale  nella  sua  concretezza.  Ma  non  per  questo  la  storia  s'identifica  con  l'arte:  entro  l'ambito  della  produzione  estetica  la  storia  occupa  un  suo  posto  speciale  che  si  tratta  di  definire.   «  La  storia,  rispetto  alle  altre  produzioni  dell'arte,  si  occupa  (....)  non  di  ciò  ch'è  possibile,  ma  di  ciò  ch'è  real-  mente accaduto.  E  sta  al  complesso  della  produzione  del-  l'arte come  la  parte  al  tutto;  (....).  Ora,  nel  senso  corrente    284  Cap.  XXXVI.  -  L'idealismo  storicistico  di  B.  Croce   della  parola,  si  chiama  arte  solo  quell'attività,  ch'è  diretta  a  rappresentare  il  possibile  (piìi  propriamente  l'arte  in  senso  stretto  è  indifferente  alla  distinzione  tra  possibile  e  reale).  (....)  In  fondo,  anche  la  rappresentazione  del  realmente  ac-  caduto -  la  storia  -  è  processo  essenzialmente  artistico  ed  offre  interesse  simile  a  quello  dell'arte  »  {ivi,  p.  35).  Costruire  la  Prima  Condizione  per  avere  una  storia  vera  (e  insieme  narrazione.  opera  d'arte)  è  secondo  il  Croce  che  sia  possibile  «  costruire  una  narrazione  »,  cioè  appurare  la  materia  da  esporre  con  lavori  preparatore  di  ricerca  critica  e  interpretazione  dei  documenti,  i  quali  tuttavia  solo  di  rado  consentono  una  «  narrazione  »  completa,  ostacolata  dal  sorgere  continuo  di  dubbi  e  riserve  e  discussioni  [ivi,  p.  38).   Ma  a  questo  punto  il  problema  della  natura  della  storia  cambia  radicalmente  d'aspetto  e  presenta  gravi  difficoltà:  è  conciliabile  l'antico  concetto  di  storia-arte  col  nuovo  di  storia-narrazione?  Si  può  ancora  mantenere  la  tesi  che  la  storia  sia  rappresentazione  immediata  e  irriflessa  e  intuitiva,  escludente  qualsiasi  elaborazione  concettuale,  quando  si  af-  ferma che  la  storia-narrazione  ha  il  compito  di  ridurre  i  fatti  alle  loro  cause,  e  questo  compito  implica  un  complesso  e  faticoso  lavoro  di  preparazione  che,  per  giunta,  solo  di  rado  porta  allo  scopo?  Non  occorre  forse  rinunziare  a  quella  che  era  la  tesi  fondamentale  della  «  Memoria  »,  che  la  storia  dovendo  essere  ricondotta  sotto  il  concetto  dell'arte,  resta  esclusa  dall'ambito  della  Scienza?   Questi  interrogativi  si  fanno  sempre  piìi  assillanti,  via  via  che  procediamo  nell'esame  di  considerazioni  espHcative  che  il  Croce  fa  negli  scrittarelli  da  lui  pubblicati  nei  due  anni  successivi,  e  particolarmente  in  quelli  su  La  filosofia  della  storia  e  in  quelli  Sulla  classificazione  dello  scibile:  con-  siderazioni le  quali,  pur  con  oscillazioni  derivanti  dall'attac-  camento alla  vecchia  tesi  della  storia-arte,  accentuano  il  carattere  scientifico  del  nuovo  concetto  di  storia-narrazione.  Distinzione  tra  Del  resto  -  è  Opportuno  sottolineare  -  il  Croce  stesso  possibile  e  reale.  ^Iq^^ìì  anni  dopo,  quando  aveva  già  percorso  un  lungo  iti-  nerario speculativo  fino  al  punto  di  giungere  alla  sua  tesi    La  storia  come  arte  e  come  scienza  285   fondamentale  della  identità  della  storia  con  la  filosofia  quale  scienza  dei  concetti  puri,  raccogliendo  nel  volume  Primi  saggi  gli  scritti  giovanili  sopra  esaminati  (la  prima  edizione  della  raccolta  è  del  1919),  scrive  nella  prefazione  ad  esso,  che  quando  componeva  quegli  scritti,  «non  scorgeva  (....)  il  nuovo  problema  che  la  concezione  della  storia  come  rappre-  sentazione estetica  del  reale,  gli  poneva  innanzi:  ossia,  che  una  rappresentazione,  nella  quale  il  reale  è  dialetticamente  distinto  dal  possibile,  è  più  che  semplice  rappresentazione  ed  estetica  intuizione,  e  si  attua  proprio  per  virtù  del  con-  cetto »  {ivi,  p.  xi) ,  filosoficamente  inteso  come  unità  di  uni-  versale  e   individuale.   3.  Il  problema  della  storia  negli  studi  marxistici.    Dal  travaglio  di  pensiero  che  si  esprimeva  negli  scritti  cro-  ciani apparsi  tra  il  1893  e  il  '95,  afiìorava  sempre  più  chiaro  il  convincimento  che  la  storia,  pur  rimanendo  saldata  all'arte  nelle  sue  radici,  in  quanto  conoscenza  rappresentativa,  a-concettuale  del  reale  nella  sua  concreta  individualità,  im-  plichi altresì  -  in  quanto  «  narrazione  »  di  fatti  realmente  accaduti  -  un'elaborazione  dei  dati  per  la  quale  i  fatti  siano  ricondotti  alle  loro  cause,  in  una  concezione  generale  della  natura  dell'uomo  -  autore  della  storia  -  tanto  come  indi-  viduo quanto  come  essere  sociale:  e  in  questa  elaborazione  la  storia  si  accosta  alla  scienza.   Siffatto  convincimento,  che  negli  scritti  sopra  accennati  -  volti  alla  dimostrazione  della  riducibilità  della  storia  sotto  il  concetto  generale  dell'arte  -  appare  vacillante  e  marginale,  si  consoUda  e  si  pone  al  centro  della  riflessione  speculativa  del  Croce,  quando,  attraverso  i  suoi  rapporti  col  Labriola,  gli  si  venne  scoprendo  un  mondo  nuovo,  a  lui  fino  allora  del  tutto  ignoto,  raffigurato  nella  dottrina  marxistica  del  ma-  teriaUsmo  storico,  di  cui  il  Labriola  si  era  rivelato  autorevolis-  simo interprete  in  saggi  pubblicati  a  cura  dello  stesso  Croce.   «  Intanto  io  -  scrisse  il  Croce  molti  anni  più  tardi  -,   Lo    studio    di  infiammato   dalla   lettura   deUe   pagine   del   Labriola,   preso  dal  sentimento  di  una  rivelazione  che  si  apriva  al  mio  spirito    Marx.    286  Cap.  XXXVI.  -  L'idealismo  storicistico  di  B.  Croce   ansioso,  ....  mi  cacciai  tutto  nello  studio  del  Marx  e  degli  economisti  e  dei  comunisti  moderni  e  antichi,  studio  che  dovevo  proseguire  intensamente,  per  oltre  due  anni  »  [Mate-  rialismo storico  ed  economia  marxistica,  Bari,  1961^",  Appen-  dice, p.   282).   Frutto  di  questo  studio  fu  una  serie  di  saggi  usciti  tra  il  1896,  e  il  '900,  raccolti  in  quest'ultimo  anno  nel  volume  dal  titolo  Materialismo  storico  ed  economia  marxistica.  Ed  è  opportuno  sottolineare  subito  il  punto  di  vista  dal  quale  per  esplicita  dichiarazione  egli  si  proponeva  di  esaminare  la  dottrina  marxistica:  questa  gli  importava  soprattutto  «  al  fine  di  quel  che  se  ne  potesse  o  no  trarre  per  concepire  in  modo  piti  vivo  e  pieno  la  filosofia  e  intendere  meglio  la  storia  »  [ivi,  Appendice,  p.  302)  ;  il  che  significava  che,  nel-  l'interpretazione del  marxismo,  nello  sforzo  di  liberarne  il  «  nocciolo  sano  »  dalle  sovrapposizioni  accidentali  intro-  dottevi dallo  stesso  autore  e  dalle  incaute  deduzioni  della  scuola,  erano  presenti  al  Croce  gli  stessi  problemi  attorno  a  cui  egli  si  travagliava  fin  dal  periodo  precedente,  e  cioè  la  natura  gnoseologica  della  storia  e  la  determinazione  del  posto  che  essa  occupa  nel  quadro  generale  della  vita  spi-  rituale, che  è  compito  della  filosofia  delineare.  Era  un  allar-  gamento d'orizzonte  e  un  arricchimento  di  materiale  idoneo  all'avviamento  a  soluzione,  ma  in  una  continuità  di  pro-  blematica.   Il  materialismo  storico  presenta  due  aspetti,  che  il  Croce  nettamente   distingue   pur  riconoscendo   che   nella   dottrina  sono  strettamente  connessi.  //  materialismo         Per  un  lato,  esso  vuol  essere  una  teoria  scientifica,  che  storico.  mette  in  luce  la  struttura  del  divenire  storico.  Sostrato  della   storia  è  l'economia,  cioè  quel  sistema  nei  rapporti  tra  l'uomo  e  le  cose  della  natura  e  tra  l'uomo  e  l'uomo,  che  si  concreta  nel  lavoro,  produttivo  per  un  lato  di  beni  materiali,  il  cui  valore,  s'identifica  e  si  commisura  con  la  quantità  di  lavoro  necessario  a  produrli,  e  per  l'altro  lato  di  socialità  e  divisione  di  classi   in   un   giuoco   d'interessi  contrastanti.    Di   questa    Il  problema  della  storia  negli  studi  marxistici         287   struttura  reale  della  storia  sono  eco  o  riflesso  (sovrastrut-  ture) quelle  manifestazioni  della  vita  umana  che  si  chiamano  moralità  e  rehgione,  diritto  e  politica,  arte  e  scienza  o  filo-  sofia, -  sistemi  d'idee  (ideologie)  attraverso  i  quaU  l'uomo  acquista  coscienza  del  suo  proprio  essere  economico  e  del  divenire  di  esso  nella  storia.   Per  l'altro  lato,  il  materialismo  storico  è  un  programma  //  programma  pratico-politico,  che,  appoggiandosi  sulla  previsione  dell'av-  P^^'^'^^o'^^^arx.  venire  umano  resa  possibile  dalla  teoria,  assegna  all'azione  degli  uomini  una  direttiva  rivoluzionaria,  tendente  cioè  non  più  a  comprendere  ma  a  cangiare  la  realtà  storica,  verso  uno  sbocco  finale  nel  quale  il  dram.ma  della  storia  abbia  il  suo  scioglimento  (rivoluzione  comunista).  La  necessità  im-  manente al  divenire  storico  ha  portato,  nell'età  moderna,  alla  strutturazione  della  società  sulla  base  dell'economia  capitalistica,  caratterizzata  dalla  formazione  di  due  classi  in  reciproca  lotta  radicale:  l'una  è  quella  dei  detentori  di  tutti  gli  strumenti  di  produzione,  minoranza  privilegiata  sempre  pili  ristretta,  classe  dominante;  l'altra  è  la  massa  di  coloro,  che,  per  vivere,  dispongono  soltanto  del  lavoro  delle  proprie  braccia  che,  in  regime  di  sfrenata  concorrenza,  essi  sono  costretti  a  vendere  ai  dominatori  a  condizioni  sempre  più  esose.  La  ripartizione  della  ricchezza  prodotta  si  traduce  in  un  sistema  di  implacabile  sfruttamento  dei  lavoratori  da  parte  dei  datori  di  lavoro.  Quando  lo  sfruttamento  avrà  raggiunto  il  suo  culmine,  non  potrà  non  determinarsi  l'in-  sorgere degli  sfruttati  contro  gli  sfruttatori,  non  potrà  non  determinarsi  l'urto  violento  fra  le  due  classi,  la  rivoluzione  che  spezzerà  l'involucro  capitalistico  e  porterà  all'espro-  priazione degli  espropriatori.  I  capitalisti  abbandoneranno  allora  alle  masse  gli  strumenti  di  produzione  di  cui  si  sono  impossessati.  Lo  Stato  diventerà  così  l'unico  imprenditore  e  datore  di  lavoro.  E  con  l'abolizione  della  proprietà  privata  cesserà  anche  la  divisione  della  società  in  classi.   A    conclusione    delle    lunghe    ricerche    e    meditazioni    su  questo   mondo   di   pensiero   rivelatogli   dal   Labriola,    Croce   20.    Lamanna.  storia  della  filosofia.  VH.    ima    288  Cap.  XXXVI.  -  L'idealismo  storicistico  di  B.  Croce   espresse  sul  materialismo  storico  il  suo  giudizio  -  che  ulte-  riormente sarà  sviluppato  e  articolato,  ma  non  mutato  nella  sua  sostanza  -  in  due  saggi,  uno  del  1896,  intitolato  Sulla  forma  scientifica  del  materialismo  storico,  e  l'altro  del  1897,  intitolato  Per  la  interpretazione  e  la  critica  di  alcuni  concetti  del  marxismo  (nel  voi.  cit.  Materialismo  storico  a  pp.  1-2 1  e  57-114  rispettivamente).  Critica  del  con-  E  innanzitutto  affronta  la  tesi  che  è  al  centro  della  dot-  !!!■?  '^^  ^'^"Mo-  trina,  secondo  la  quale  sostrato  o  struttura  sottostante  della  Storia,  sorreggente  tutto  il  resto  e  principio  di  spiega-  zione, è  l'Economia.  In  questa  tesi  egli  rileva  un'ambiguità  fondamentale.  Per  un  verso  l'Economia  è  presentata  come  una  entità  trascendente  la  storia,  materia,  in  quanto  ne-  gazione della  spiritualità  o  coscienza  umana,  «  dea  ascosa  »  della  storia,  quella  che  tira  i  fili  dei  personaggi  e  delle  loro  azioni,  con  un  disegno  preordinato,  implicante  uno  stadio  terminale  e  apocahttico,  che  segna  il  passaggio  fatale  dalla  servitù  al  regno  della  libertà;  -  forma  o  nome  nuovo  del-  l'antico Dio  dei  teologi  o  dell'Assoluto  e  dell'Idea  dei  meta-  fisici. Ne  deriva  la  conseguenza  deUa  tendenza  metodologica  a  costruire  la  storia  secondo  leggi  a  priori,  mettendo  a  ta-  cere la  voce  genuina  dei  fatti;  ne  deriva  altresì  una  scis-  sione, nella  vita  storica,  tra  realtà  e  apparenza,  noumeno  e  fenomeno,  tra  essere  originario  (materiale)  non  determinato  dalla  coscienza  e  coscienza  determinata  dell'essere,  tra  strut-  tura (economica)  e  soprastrutture  (ideologiche).  -  Per  l'altro  verso:  il  materialismo  storico  è  una  prospettiva  di  umaniz-  zazione dell'economia,  in  quanto  questa  non  è  che  un  mo-  mento o  aspetto  dell'operosità  umana,  -  unica  autrice  della  storia  -,  inserita  quindi  in  un  processo  (immanente  a  un  processo)  di  vita  cosciente  o  spirituale,  che  la  salda  a  tutte  le  altre  manifestazioni  egualmente  originarie,  della  coscienza.  La  dialettica  dell'economia  non  è  l'astratta  dialettica  del-  l'Idea, ma  la  dialettica  dei  bisogni  ossia  dell'effettiva  ope-  rosità umana,  quale  si  concreta  e  si  svolge  non  in  forme  meccanicamente  preordinate  e  prevedibili  a  priori,  ma  in  fatti  empiricamente  accertabili;  la  storia  è  concepita  come    //  problema  della  storia  negli  studi  marxistici        289   un  unico  tutto,  in  cui  è  indistinguibile  il  «  nocciolo  »  dalla  «  corteccia  »  ;  lo  spirito,  creatore  della  propria  storia,  non  è  lo  spirito  economico,  cioè  in  una  forma  particolare  e  astratta,  ma  è  lo  spirito  nella  sua  reale  unità  e  totalità;  si  scioglie  quindi  il  nesso  arbitrario  fra  storia  e  problema  socialista  e  in  genere  economico,  e  si  annoda  quello  tra  storia  e  vita,  concependosi  la  vita  nella  totalità  delle  sue  forme,  a  ogni  momento  nuova,  e  perciò  anche  come  economia,  ma  non  solo  come  economia.   Questi  due  ordini  di  motivi  sono  frammisti  e  confusi.  Filosofia  delia  cosi  nell'esposizione  dei  due  fondatori  della  dottrina  (Marx  ^smrcHHcoT^'  e  Engels)  come  nei  seguaci  della  scuola.  Per  Croce  si  tratta  di  due  orientamenti  opposti,  termini  d'un'alternativa  che  impone  una  scelta  :  o  la  via  vecchia  delle  filosofìe  della  storia,  teologiche  o  metafìsiche  che  siano,  o  la  via  nuova  d'un  uma-  nismo critico  e  «  realistico  ».  Abbiamo  veduto  che  il  Croce,  anche  prima  di  prender  contatto  col  marxismo,  aveva  preso  un  atteggiamento  di  netta  opposizione  ad  ogni  forma  di  filosofìa  della  storia;  si  comprende  quindi  come,  di  fronte  al  materialismo  storico,  egli  ribadisca  il  concetto  che  la  rea-  zione filosofica  dello  spirito  critico  ha  colpito  a  morte  e  get-  tato a  teiTa  quelle  costruzioni  della  storia,  fantasiose  e  arbitrarie  e  anche  tendenziose;  e  affermi  risolutamente,  per  far  valere  quegli  elementi  in  esso  contenuti  che  costituiscono  un  contributo  positivo  e  fecondo  al  rinnovamento  della  sto-  riografìa e  della  filosofìa,  che  il  materialismo  storico  «  non  è  una  filosofìa  della  storia  »  {Materialismo  storico,  p.  9  ;  e  cfr.,  per  la  distinzione  dei  due  opposti  orientamenti  del  ma-  terialismo, l'opera  di  Croce,  Storia  della  storiografia  italiana  nel  secolo  XIX,  Bari,  Laterza,  1964*,  voi.  II,  p.  123  e  sgg.).   Per  quali  ragioni  il  materialismo  storico  non  ha  validità  come  filosofìa  della  storia?  E  per  quali  ragioni  gli  autori  e  gli  interpreti  di  esso  gli  hanno  dato  questo  orientamento  fallace?  Alla  prima  domanda  il  Croce  risponde:  la  possibilità  d'una  filosofìa  della  storia  presuppone  la  possibilità  di  una  risoluzione  concettuale  del  corso  della  storia,  ossia,  di  ri-  trovare il  concetto   al   quale   si  riducono  i   complessi  fatti    290  Cap.  XXXVI.  -  L'idealismo  storicistico  di  B.  Croce   storici,  di  scoprire  in  una  parola  la  legge  della  storia.  Ora  mentre  è  possibile  ridurre  concettualmente  gli  elementi  di  realtà  che  appaiono  nella  storia  (moralità,  diritto,  economia,  arte,  scienza)  e  anche  le  loro  relazioni  reciproche,  «  non  è  possibile  elaborare  concettualmente  il  complesso  individuato  di  questi  elementi,  ossia  il  fatto  concreto,  che  è  il  corso  sto-  rico »  {Materialismo  storico,  p.  3).  «La  società  è  un  dato  -  scrive  il  Labriola,  e  il  Croce  vi  aderisce  -,  e  la  storia  non  è   che   storia   della  società  ».    Il  materialismo  storico  non  è  una  teoria  rigo-  rosa.    Li  conclusione,  per  il  Croce  nel  materialismo  storico  non  bisogna  cercare  una  teoria  da  prendere  in  senso  rigo-  roso e  anzi  esso  non  è  punto  quel  che  si  dice  propriamente  una  teoria.  Il  che  non  significa  disconoscimento  del  valore  delle  feconde  scoperte  che  sono  dovute  al  materialismo  storico  per  intendere  la  vita  e  la  storia,  l'affermazione  della  reciproca  dipendenza  di  tutte  le  parti  della  vita,  e  della  ge-  nesi di  esse  dal  sottosuolo  economico:  sicché  è  accettabile  l'affermazione  dell'Engels  che  le  condizioni  economiche  «  for-  mano il  filo  rosso  che  attraversa  tutta  la  storia  e  ne  guida  l'intendimento»  {ivi,  p.  14).  Rispetto  alla  storiografia,  «il  materialismo  storico  si  risolve....  in  un  ammonimento  a  tener  presenti  le  osservazioni  fatte  da  esso  come  nuovo  sussidio  a  intendere  la  storia»  {ivi,  p.  15),  fornisce  allo  storico  un  buon  paio  di  occhiali,  che  permette  al  miope  di  vedere  ben  altrimenti  e  di  dare  contorni  precisi  a  tante  ombre  incerte;  ma  sono  formule  non  assolute,  che  sottintendono  sempre  un  «  presso  a  poco  »  e  un  «  all'incirca  ».  Esso  sorge  dal  bisogno  di  rendersi  conto  di  una  determinata  configurazione  sociale,  quella  scaturita  dalla  Rivoluzione  francese,  non  già  dal  proposito  di  ricercare  i  fattori  della  vita  storica  in  generale,  «  e  si  formò  nella  testa  di  politici  e  di  rivoluzionari  e  non  già  di  freddi  e  compassati  scienziati  di  biblioteca  »  {ivi,  p.  13).    Pel  Croce,  Marx  era  personalità  di  uomo  pratico  e  rivo-  luzionario, impaziente  di  ricerche  schiettamente  storiche,  preoccupato  soprattutto  di  cercare  nelle  anahsi  della  società    ti  co.    Il  problema  della  storia  negli  studi  marxistici        291   attuale  (capitalistica)  le  premesse  per  una  società  futura  (comunistica)  da  realizzare  con  un'azione  rivoluzionaria,  a  cui  una  teleologia  storica,  determinata  a  priori,  assicurasse  con  una  infallibile  previsione  dell'avvenire  il  pieno  successo.   Per  lui  tra  la  comprensione  della  realtà  storica  e  l'azione  Prevalere  dei-  volta,  a  cangiare  questa  realtà  v'è  connessione,  ma  non  ^'^«'^'•'^sse  pf^-  nel  senso  che  l'una  costituisca  il  prius  che  condiziona  l'altra,  bensì  nel  senso  che  sia  l'azione  a  crearsi  quella  forma  di  comprensione  che  si  presti  a  fungere  da  strumento  per  lo  scopo  che  essa  persegue.  Un  tal  predominio  dell'interesse  pratico-politico  su  quello  teorico-scientifico  il  Croce  rileva  anche  nel  Labriola,  che  pure,  nella  sua  interpretazione  del  marxismo,  aveva  dato  un  riUevo  all'aspetto  umanistico  di  esso,  tale  che  alla  sua  posizione  si  era  inizialmente  appog-  giato il  Croce  nella  sua  critica  del  marxismo  quale  filosofìa  della  storia.  Egli,  che  pure  ha  così  alto  il  rispetto  della  storia  ed  è  così  cauto  di  fronte  ai  fatti  concreti,  rimane  impigliato  nelle  formule  teoriche  del  materialismo  storico,  non  riesce  a  liberarsi  del  tutto  dal  fardello  delle  teorie  metafìsiche.  In  lui,  che  pure  era  uomo  di  scienza,  predominava  la  fede  nell'immancabile  avvento  del  comunismo,  e  questa  fede  era  sostenuta  e  illuminata  dalla  «  Weltanschauung  »  metafìsica  del  materialismo  storico,  «  ultima  e  definitiva  filosofìa  della  storia  ».  Sicché  per  lui  la  posizione  del  Croce  -  che,  preso  da  tenace  passione  scientifica,  accettava,  sia  pure  con  limita-  zioni e  riserve,  1'  «  economismo  »  marxistico,  ma  rifiutava  re-  cisamente il  «  socialismo  »  -  significava  rinuncia  ad  intendere  sia  l'uno  che  l'altro  dei  due  termini;  era  posizione  d'  «intel-  lettuale »  indifferente  alle  lotte  della  vita,  di  «  epicureo  con-  templante »  amatore  solo  dei  dibattiti  delle  idee  nei  Hbri  {ivi,  p.  300  e  sgg.).   Contro  una  tale  connessione  o  anzi  identificazione,  operata  dal  Labriola,  tra  interpretazione  materialistica  della  storia  e  sociaHsmo,  il  Croce  scrive  :  «  Spogliato  il  materialismo  sto-  rico di  ogni  sopravvivenza  di  finalità  e  di  disegni  provvi-  denziali, esso  non  può  dare  appoggio    al  socialismo    a  qualsiasi  altro  indirizzo  pratico  della  vita.  Solamente  nelle    292  Gap.  XXXVI.  -  L'idealismo  storicistico  di  B.  Croce   sue  determinazioni  storiche  particolari,  nella  osservazione  che  per  mezzo  di  esso  sarà  possibile  fare,  si  potrà  eventual-  mente trovare  un  legame  tra  materiahsmo  storico  e  socia-  lismo. L'osservazione  sarà,  per  esempio,  la  seguente:  -  la  società  è  ora  così  conformata  che  la  più  adatta  soluzione,  che  contiene  in  sé,  è  il  socialismo.  -  Osservazione  la  quale,  per  altro,  non  potrà  diventare  azione  e  fatto  senza  una  serie  di  complementi,  che  sono  motivi  di  interesse  economico  non  meno  che  etici  e  sentimentali,  giudizi  morali  ed  entusiasmi  di  fede.  Per    stessa,  è  fredda  e  impotente....  »  {ivi,  p.  17).  Il  rapporto  tra  È  qui  adombrato  il  problema  del  rapporto  tra  conoscere  conoscere  e  agi-  ^^  agire,  che  sarà  d'ora  innanzi  costantemente  presente  alla  speculazione  crociana  e  avrà  la  sua  più  articolata  e  ragionata  formulazione  nell'opera  della  tarda  maturità  che  porta  appunto  il  titolo  di  La  storia  come  pensiero  e  come  azione.  La  critica  crociana  del  materialismo  storico  quale  teoria  dell'interpretazione  della  storia  ha  mirato  finora  a  liberare  quella  dottrina  da  ogni  concetto  aprioristico  sia  che  si  trat-  tasse di  eredità  hegeliana,  sia  che  si  trattasse  di  contagio  di  «  volgare  evoluzionismo  »,  sia  che  fosse  richiesto  dalla  preoccupazione  di  dare  fondamento  saldo  alle  previsioni  dell'avvenire  contenute  nel  programma  d'azione  pratico-  politico  proprio  del  socialismo.  Compiuta  quest'opera  nega-  tiva, si  ripropone  la  questione  da  cui  essa  ha  preso  le  mosse:  si  salva  dalla  critica  qualcosa  per  cui  il  materialismo  storico  possa  essere  utilizzato  dalla  storiografia?  Che  cosa  può  farsi  di  esso  per  un  compiuto  intendimento  della  storia?  E  si  risponde:  il  materiahsmo  storico  è  accettabile  solo  come  canone  d'interpretazione  storica,  che  «  consiglia  di  rivolgere  l'attenzione  al  cosiddetto  sostrato  economico  delle  società,  per  intendere  meglio  le  loro  configurazioni  e  vicende  »  :  canone  che  «  non  importa  nessuna  anticipazione  di  risultati,  ma  solamente  un  aiuto  a  cercarli,  e  che  é  di  uso  affatto  em.-  pirico  »  [ivi,  pp.  80-81).  Il  materialismo  storico  non  può  essere  che  questo:  «una  somma  di  nuovi  dati,  di  nuove  esperienze,  che  entrano  nella  coscienza  dello  storico  »  [ivi,  p.  io).    Il  problema  della  storia  negli  studi  marxistici        293   In  questa  formula  crociana  -  perchè  se  ne  intenda  il  si-  gnificato e  la  portata  -  è  da  sottolineare  il  rilievo  che  in  essa  è  dato  al  carattere  d'interiorità,  alla  coscienza  dello  storico,  del  nuovo  canone  d'interpretazione.  Non  si  tratta  di  accrescimento  quantitativo  del  materiale  elaborato  dallo  storico,  di  aggiunta  di  fatti  nuovi  a  quelli  già  considerati  dall'antica  storiografia  nella  loro  esteriorità,  e  presunta  oggettività  ;  si  tratta  invece  di  dare  alla  coscienza  storiografica  una  dimensione  nuova,  di  arricchire  con  nuovi  elementi  l'interesse  vivo  dello  storico,  per  penetrare  nel  passato,  e  comprenderlo  in  una  sempre  più  articolata  connessione  dei  fatti;  opera  quindi  della  mente  dello  storico.   Ecco  in  che  senso  il  Croce  ha  utihzzato  il  materialismo  11  posto  dei  pen-  storico  ai  fini  della  soluzione  dei  problemi  su  cui  la  sua  spe-  ^'^^^o  logico  nei-   \  _  '^         la  storiografia.   culazione  si  travagliava  anche  prima  di  entrare  a  contatto  con  la  nuova  dottrina.  Ricordiamo  che  questi  problemi  si  accentravano  nello  sforzo  di  determinare  la  natura  della  storia  e  la  sua  riducibilità  sotto  il  concetto  dell'arte.  In  questo  sforzo  si  affermava  sempre  più  chiara  l'esigenza  d'integrare  e  conciliare,  nella  storia,  con  l'elaborazione  intuitiva  dei  fatti  per  la  quale  s'identificava  con  l'arte,  un'elaborazione  concettuale  che  la  ravvicinava  alla  scienza.  Ora  l'esame  critico  del  materialismo  storico,  che  scopriva  nell'economismo  della  vita  sociale  un  nuovo  canone  d'in-  terpretazione storica,  rafforzava  la  convinzione  della  neces-  sità di  avvicinare  la  storia  aUa  scienza.  Il  nuovo  canone  d'interpretazione,  per  un  lato,  apre  un  campo  di  nuove  esperienze,  «  che  sono  interne  alla  coscienza  dello  storico  »,  e  quindi  non  hanno  consistenza  che  nell'attività  spirituale  esercitata  dallo  storico  sui  dati  grezzi,  attività  per  la  quale  dalla  materialità  dei  frammenti  di  realtà  storica  offerta  dai  documenti  nascono  a  poco  a  poco  intuizioni  di  persone  e  situazioni  e  avvenimenti  sempre  meglio  definite,  affini  alle  forme  create  dalla  fantasia  dell'  artista  ;  ma,  per  l' altro  verso,  impone  una  connessione  mentale  dei  fatti,  costituita  dai  rapporti  concettuali  che  la  scienza  economica  fissa  nella    valore.    294  Cap.  XXXVI.  -  L'idealismo  storicistico  di  B.  Croce   realtà  storica.  E  il  socialismo  marxistico  ha  la  pretesa  di  essere  socialismo  scientifico  appunto  perchè  fondato  sulle  leggi  dell'economia  quale  scienza  rigorosa.  Valore  e  plus-  Ma  era  veramente  giustificata  la  pretesa  dell'economia  marxistica  di  essere  assunta  alla  dignità  di  scienza  auto-  noma? Ed  erano  validi  i  concetti  di  valore  e  plus-valore,  posti  al  centro  dell'economia  marxistica,  come  pernio  della  teoria  cosi  del  materialismo  storico  come  della  ideologia  socialistica?  È  questo  il  nuovo  campo  nel  quale  si  esercitò  largamente  la  critica  crociana  della  dottrina  di  Marx.   La  critica  del  materialismo  storico  come  teoria  (pan-  economica)  della  storia  si  concludeva  con  l'affermazione  che  essa  non  è  affatto  teoria,  ma  in  sostanza  corollario  d'un  programma  pratico-politico  (il  programma  del  socialismo),  e  ai  fini  della  storiografia  non  poteva  essere  utilizzato  che  come  un  nuovo  canone  d'interpretazione  dei  fatti  storici.  Analogamente,  l'economia  marxistica,  che  pretende  essere  la  trattazione  eminentemente  scientifica  dei  fatti  econo-  mici e  della  nozione  di  valore  inerente  ai  beni  prodotti  da  una  società,  non  è  affatto  scienza  economica,  perchè  non  abbraccia  tutta  la  regione  dell'attività  economica  quale  si  svolge  in  qualunque  forma  reale  o  possibile  di  convivenza  sociale    si  eleva  a  un  concetto  di  valore  applicabile  a  tutti  i  beni  comunque  prodotti.  Essa  costruisce  astrattamente  una  società  ipotetica,  che  assume  come  società  tipo,  alla  quale  devono  essere  conguagliate  altre  forme  di  società  per  coglierne  i  fattori  anomali,  in  quanto  divergenti  dalla  prima:  e  questa  società  tipica  è  quella  costituita  esclusiva-  mente di  lavoratori,  è  questa  società  proletaria,  che  rappre-  senta il  termine  ideale  del  programma  politico  del  socialismo.  È  l'intrusione  di  queste  preoccupazioni  sociali-pohtiche  nel  campo  economico  ciò  che  vizia  i  concetti  fondamentali  di  esso  -  valore  e  sopravalore  -,  e  impone  di  contrapporre  all'economia  marxistica  un'economia  pura,  ossia  un'eco-  nomia come  scienza  generale  [ivi,  p.  57  e  sgg.).   La  tesi  centrale  dell'economia  marxistica  è  l'eguaglianza  del  valore  dei  beni  che  si  producono  alla  quantità  del  lavoro    //  problema  della  storia  negli  studi  marxistici        295   necessario  per  produrli  :  ma  essa  ha  il  suo  fondamento  appunto  nell'ipotesi  di  una  società  fatta  esclusivamente  di  lavoratori  e  nell'assunzione  di  questa  società  a  società  tipica  (e  quindi  del  valore-lavoro  come  misura  di  ogni  valore).  Ma  nella  realtà  (ad  es.,  nell'attuale  società  capitalistica)  i  lavoratori  rappresentano  solo  una  frazione  della  società  produttiva  che  agisce  tra  altre  categorie  economiche,  quelle  appunto  che  apportano  alla  produzione  non  il  lavoro  ma  il  ca-  pitale.   Da  queste  considerazioni,  tuttavia,  non  risulta,  secondo  n  valore-lavoro.  il  Croce,  che  la  concezione  marxistica  manchi  affatto  di  ri-  spondenza ai  fatti:  la  determinazione  del  valore-lavoro  avrà  una  certa  rispondenza  nei  fatti,  sempre  che  esisterà  una  società  che  produca  beni  per  mezzo  del  lavoro.  E  la  storia  ci  mostra  finora  soltanto  società  di  tal  fatta,  e  quindi  l'egua-  glianza affermata  dal  Marx  del  valore  col  lavoro  è  un  fatto:  ma,  sottolinea  il  Croce,  «  è  un  fatto,  che  vive  tra  altri  fatti,  ossia  un  fatto  che  empiricamente  ci  appare  contrastato,  sminuito,  svisato  da  altri  fatti,  quasi  una  forza  tra  le  forze,  la  quale  dia  risultante  diversa  da  quella  che  darebbe  se  le  altre  forze  cessassero  di  operare.  Non  è  un  fatto  dominante  assoluto,  ma  non  è  nemmeno  un  fatto  inesistente  e  sem-  plicemente immaginario»  {ivi,  pp.  68-69).   La  critica  del  Croce  all'economia  marxistica  si  riassume  in  queste  due  proposizioni,  che  essa  non  è  la  scienza  econo-  mica generale,  e  che  il  valore-lavoro  non  è  il  concetto  generale  di  valore.  Onde  la  conclusione  che,  «  accanto  alla  ricerca  marxistica  può,  anzi  deve  vivere  e  prosperare  una  scienza  economica  generale  »,  una  economJa  pura,  che  deduca  il  concetto  di  valore  «  da  principii  affatto  diversi  e  più  com-  prensivi di  quelli  particolari  del  Marx  »  (ivi,  p.  73).  E  ritiene  che  questa  esigenza  sia  soddisfatta  dalla  scuola  edonistica  (o  austriaca),  allora  fiorente,  la  quale,  muovendo  dalla  na-  tura economica  dell'uomo,  ne  deduce  il  concetto  di  utilità  («ofelimità»  del  Pareto),  «e  man  mano  tutte  le  (....)  leggi  secondo  le  quali  si  governa  l'uomo  in  quanto  astratto  homo  oeconomicus  »  {ivi,  p.  78).    r  «  homo     oeco  nomicus  ».    296  Cap.  XXXVI.  -  L'idealismo  storicistico  di  B.  Croce   Critiche  all'eco-  Sembra  dunque  che  l'obiettivo  cui  mira  il  Croce  nella  nomia  pura.  g^g^  critica  dell'economia  marxistica  sia  la  difesa  della  scienza  economica  pura  quale  la  scuola  edonistica  la  veniva  co-  struendo. Ma  in  essa  era  operante  un  motivo  profondo,  che  nel  corso  dei  suoi  studi  marxistici  emerge  sempre  più  chiaro  e  netto,  essenziale  al  pensiero  crociano,  e  valido  in  esso  anche  al  di    dell'obiettivo  della  costruzione  della  scienza  eco-  nomica. Questo  motivo  viene  esplicitamente  enunciato  in  uno  scritto  del  1899  in  cui  la  sua  adesione  all'economia  pura  è  limitata  e  corretta  con  qualche  riserva  e  cautela.  «  ....  Io  credo  -  egli  scrive  -  che  ci  sia  ancora  da  elaborare  filosofi-  camente il  concetto  di  valore,  e  che  bisogni  percorrere  fino  al  fondo  quella  strada,  che  gli  economisti  puri  hanno  per-  corso solo  fino  a  un  certo  punto  ».  L'attività  del-  Elaborazione  filosofica  del  concetto  di  valore  economico,  ecco  la  nuova  istanza  posta  dal  Croce;  che  significa  esami-  nare quell'umana  attività  che  tende  al  conseguimento  -  col  minimo  mezzo  e  il  massimo  risultato  -  di  scopi  individuali,  non  pili  astratta  considerazione  àeW'homo  oeconomicus ,  ma  come  inserita  nella  concreta  totalità  della  vita  dell'uomo,  con  un  suo  posto  specifico  e  una  sua  funzione  ben  definita  rispetto  alle  altre  attività  dell'uomo,  con  un  suo  principio  autonomo,  che  potesse  essere  assunto  come  fondamento  e  premessa  della  scienza  economica  pura.  Risalire  dalla  scienza  alla  filosofia  per  ridiscendere  deduttivamente  dalle  conclusioni  di  questa  a  una  rinnovata  e  piìi  salda  costruzione  di  quella,  significava  poiTe  in  questione  e  problematizzare  quelle  che  per  gli  economisti  erano  le  premesse  o  i  postulati  dei  loro  procedimenti.   Quali  erano  queste  premesse  che  gli  economisti  accoglie-  vano come  pacifiche,  e  che  invece  a  un  ulteriore  esame  (ela-  borazione filosofica)  risultavano  ambigue  o  false  ?  Il  Croce,  che  vedeva  in  Vilfredo  Pareto  un  rappresentante  tipico  dell'economia  pura,  gli  prospetta  in  due  lettere  del  1900  la  questione,  sforzandosi  di  convincerlo  della  necessità  del  passaggio  dalla  pura  scienza  alla  filosofia  del  principio  eco-  nomico [ivi,  pp.  229-251).  Tre  sono  le  erronee  premesse  del-    //  problema  della  storia  negli  studi  marxistici         297   l'economia  pura,  ch'egli  critica:  quelle  che  riguardano  il  fatto  economico  o  come  meccanico,  o  come  edonistico,  o  come  egoistico.  Per  Croce,  il  principio  economico  non  può  avere  natura  meccanica:  il  fatto  meccanico  è  un  fatto  bruto:  il  fatto  economico  è  un  fatto  di  valutazione,  è  una  scelta  suscettibile  di  approvazione  o  disapprovazione,  a  seconda  che  la  scelta  cada  o  no  su  ciò  che  è  realmente  conveniente  a  chi  la  compie.  Quanto  alla  concezione  edonistica,  è  fuori  dubbio  che  ogni  atto  di  scelta  economica  ha  come  suo  con-  comitante un  fatto  di  sentimento  piacevole  se  la  scelta  è  economicamente  ben  condotta:  l'utile  è,  insieme,  piacevole.  Ma  non  è  vera  la  reciproca:  il  piacevole  non  è  l'utile  (che  è  la  tesi  dell'edonismo).  Il  piacere  può  apparire  scompagnato  dall'attività  umana  o  accompagnarsi  a  una  forma  di  umana  attività  che  non  sia  l'economica.  Infine  la  concezione  egoi-  stica del  fatto  economico  è  inficiata  da  questo  errore  :  mentre  pretende  distinguere,  nell'ambito  dell'attività  pratica  umana,  l'economico  dal  morale  (che  sarebbe  qualificato  come  altrui-  smo), in  realtà  assorbe  il  primo  nel  secondo,  perchè  la  qua-  lifica di  egoistico  attribuita  a  un  atto  è  una  qualifica  di  valutazione  morale,  quahfica  negativa,  immoralità,  per-  vertimento della  stessa  attività  morale.  Il  fatto  economico  non  sta  col  fatto  morale  in  antitesi,  bensì  è  nel  rapporto  pacifico  di  condizione  a  condizionato;  come  cioè  la  con-  dizione generale  che  rende  possibile  il  sorgere  dell'attività  etica.  Tanto  il  morale  quanto  l'immorale  sono  azioni  econo-  miche: il  che  vuol  dire  che  l'azione  economica,  per    presa,  non  è    morale    immorale:  è  amorale  o  pre-  morale.   E  in  conclusione,  il  Croce    del  fatto  economico  questa  L'economìa  in-  definizione:  esso  è  «l'attività  pratica  dell'uomo  in  quanto  'l'fZm'^ie  ^'^^'  si  consideri  per  sé,  indipendentemente  da  ogni  determina-  zione morale  o  immorale»  [ivi,  p.  241).  E  pertanto  il  con-  cetto di  utile  o  di  valore  o  di  ofelimo  non  è  altro  se  non  l'azione  economica  stessa  in  quanto  ben  condotta,  cioè  in  quanto  è  veramente  economica.  «  Riallacciare  a  queste  pro-  posizioni generali  le  varie  questioni  che  si  dicono  di  scienza    298  Cap.  XXXVI.  -  L'idealismo  storicistico  di  B.  Croce   economica  »  è  compito  degli  economisti.  Quella  definizione  filosofica  del  fatto  economico,  dice  il  Croce,  «  a  me  piacerebbe  vederla  a  capo  dei  trattati  di  economia  ».   Ma  il  Croce  non  doveva  tardare  ad  accorgersi  che  la  sua  era  un'illusione.  Già  egli  stesso  non  scorgeva  e  non  mostrava  per  quali  vie  potessero  essere  derivate  da  quel  concetto  filosofico  le  operazioni  di  comparazione  e  calcolo  delle  diverse  scelte  economiche  e  quali  nuovi  vantaggi  ne  derivassero  alla  scienza.  Ed  era  naturale  che  gli  economisti  non  acco-  gliessero l'invito  di  Croce  a  riallacciare  le  questioni  di  cui  essi  si  occupavano  alle  proposizioni  generali  alle  quali  egli  era  pervenuto  :  alla  scienza  non  interessava  la  determinazione  della  natura  filosofica  del  fatto  economico:  suo  compito  esclusivo  era  quello  di  trattare  i  fatti  dell'attività  umana  come  fenomeni  in  nulla  differenti  da  quelli  fisici,  sotto-  porli cioè  a  comparazione  e  astrazione,  per  stabilirne  e  cal-  colarne le  uniformità  e  le  divergenze.  La  scienza  economica  era  e  intendeva  rimanere  -  per  poter  progredire  -  una  scienza  naturahstico-matematica,  rinserrandosi  nei  fenomeni  e  vol-  gendo le  spalle  all'indagine  filosofica  dell'atto  economico.  E  qualche  anno  più  tardi,  nel  1906,  il  Pareto  doveva  illu-  strare e  attuare  questo  proposito  nel  suo  Mamiale  di  economia  politica.  D'altra  parte,  il  Croce  stesso,  affrontando  nel  frat-  tempo il  problema  logico,  giungeva  alla  conclusione  della  radicale  eterogeneità  tra  conoscenza  (o  pseudo-conoscenza)  scientifica  e  la  conoscenza  filosofica:  poteva  quindi  abban-  donare la  scienza  al  suo  destino,  che  la  condannava  al  pro-  cedimento empirico  e  astratto  del  naturalismo  matematico,  e  volgere  la  propria  riflessione  alla  filosofia  dell'economia  come  indagine  sull'atto  economico,  nelle  sue  relazioni  con  gli  altri  atti  spirituali,  inserita  in  una  generale  «  filosofia  dello  spirito  ».   Uutiie.  Alla  fine  dei  suoi  studi  economici,  chiariti  gli  equivoci   che  erano  al  fondo  del  suo  dibattito  con  gli  economisti  puri,  rimane  fermo  nel  pensiero  del  Croce  il  risultato  di  cui  nel  1901   giustamente   menava  vanto:   l'ufficio  essenziale,   nella    //  problema  della  storia  negli  studi  marxistici        299   vita  dello  spirito,  dell'utilità  o  della  economicità,  «  messe  in  luce  come  non  era  stato  fatto  da  altri  ».   «  L'utile  è  stato  reputato  iìnora  dai  filosofi  o  un  atto  secondario  e  misto,  o  un  semplice  caso  di  deviazione  dalla  morale  (egoismo).  Esso  è  invece,  a  mio  parere,  un  momento  distinto  e  autonomo  della  vita  dello  spirito:  il  momento  in  cui  la  volontà  è  volontà,  senza  essersi  ancora  determinata  e  dialettizzata  in  morale  e  immorale  (....).  La  critica  deve  consistere  nel  dimostrare  che,  affermandosi  essere  ogni  azione  dell'uomo  dominata  dal  criterio  dell'utile,  si  afferma  cosa  ir\dubitabile  ;  ma  che  ciò  non  toglie  punto  che  essa  debba  essere,  e  sia  insieme,  determinata  anche  dal  criterio  del  do-  vere, il  quale  è  sempre  (e  come  potrebbe  non  essere?)  do-  vere-utile {ivi,  pp.  262-263).   Di  questa,  che  è  stata  detta  «  scoperta  crociana  del-  l'utile »,  il  Croce  si  sente  in  gran  parte  debitore  al  marxismo,  che  vede  nell'economia  il  sostrato  e  la  molla  della  storia.  E  se  il  Croce  incentra  la  definizione  dell'utile  nel  rapporto  di  questo  con  la  morale,  anche  di  questa  impostazione  egli  cerca  traccia  in  Marx.  Questi  dichiarò  che  «  la  questione  sociale  non  è  questione  morale  »,  e  criticò  acerbamente  quelle  ideologie  morali  che  ipocritamente  mascheravano  interessi  di  classe.  Ma  intendeva  con  questo  sostenere  che  la  questione  sociale  non  si  risolve  coi  «  sermoni  »  di  un  astratto  moralismo,  che  s'illude  di  poter  sanare  i  mali  di  cui  una  società  soffre,  senza  tener  conto  delle  particolari  situazioni  storiche  nelle  quali  è  la  radice  di  quei  mah,  e  alle  quah  devono  essere  com-  misurati i  programmi  d'azione  morale  perchè  questa  possa  avere  efficacia  risanatrice.  In  questo  senso  la  morale  è  cor-  rispettiva alle  condizioni  sociali  e  in  ultima  anahsi  alle  con-  dizioni economiche.  Ma  con  ciò,  «  la  questione  del  pregio  intrinseco  e  assoluto  dell'ideale  morale,  della  sua  riduci-  bihtà  o  irriducibilità  alla  verità  intellettuale  o  al  bisogno  utihtario,  rimane  intatta  »  per  il  marxismo,  il  quale  anzi,  di  fatto,  considera  l'ideale  morale  come  un  presupposto  ne-  cessario, come  dimostra  la  costruzione  del  concetto  di  sopravalore,    che    in    pura    economia    non    ha    senso,    ma    300  Cap.  XXXVI.  -  L'idealismo  storicistico  di  B.  Croce   è  ispirato  da  un  interesse  schiettamente  morale  [ivi,  pp.  19-20).  Vanità  pratica  Le  asserzioni  marxistiche  che  paiono  negazione  della  mo-  deiie  condanne,  j-g^jg^  hanno  per  Croce  ben  altro  significato.  Quella  che  Marx  chiama  impotenza  della  morale  sta  a  significare  la  vanità  pratica  delle  condanne  o  delle  commiserazioni  per  uomini,  che,  dominatori  o  dominati,  sono  gli  uni  e  gh  altri  schiavi  di  situazioni  storiche  necessarie  per  il  momento,  e  «  non  potrebbero  essere  diversi  da  quel  che  sono,    potrebbero  compiere  se  non  l'ufficio  ad  essi  assegnato  dalla  natura  stessa  delle  cose»  {ivi,  p.  105).  Ma  le  situazioni  che  la  storia  ha  creato,  possono  anzi  debbono  dalla  storia  essere  disfatte.   Per  queste  considerazioni,  a  giudizio  del  Croce,  Marx,  pur  con  le  sue  proposizioni  approssimative  e  paradossali,  insegna  a  penetrare  in  ciò  che  la  società  è  nella  sua  realtà  effettuale,  e  potrebbe  esser  chiamato,  a  titolo  d'onore,  il  Machiavelli  del  proletariato  {ivi,  p.  113).   In  questa  sua  fase  di  studi  marxistici,  il  Croce  ampliò  via  via  e  variò  il  significato  dell'utile  o  economico,  la  cui  scoperta  egU  riconduceva  alla  potente  suggestione  del  Marx  (non  appare  ancora  nei  suoi  scritti  quella  definizione  del-  l'utile come  «  volizione  dell'individuale  »  con  cui  poi  carat-  terizzerà il  grado  economico  della  forma  pratica  dell'attività  spirituale).  Che  l'economicità  o  utilità  fosse  intesa  come  una  categoria  autonoma  da  aggiungere  a  quelle  costituenti  la  triade  tradizionale  di  bello,  vero,  buono,    che  la  triade  si  allarghi  in  una  tetrade;  o  che  essa  fosse  intesa  come  ciò  che  vi  è  di  primario  in  ogni  attività  umana,  come  la  base  comune  di  tutte  le  attività,  il  primum  della  vita,  non  nel  senso  di  primo  della  serie  delle  quattro  forme,  ma  appunto  di  primordiale  indifferenziato  che  emerge  nelle  forme  e  le  connette  tra  loro,    che  l'economia  finisca  con  l'identificarsi  umazione  pu-  con  1' «  azione  pura»,  principio  di  qualsiasi  atto  spirituale  e  la  forza,  yuoto  di  Ogni  contenuto  determinato  ;  o  che,  infine,  l'eco-  nomico o  utile  fosse  identificato  con  la  «  forza  »  o  vigore  del  volere,  come  abilità  calcolatrice  e  lucida  tensione  verso  il   fine,   per   affermarsi  nella   «  lotta  »  contro   altre   volontà.    ra  »    //  problema  della  storia  negli  studi  marxistici        301   e  che  è  la  dura  legge  della  vita  «  politica  »  -  d'onde  l'allac-  ciamento, caro  al  Croce,  del  marxismo  «  alle  migliori  tradi-  zioni della  scienza  politica  italiana  »  (machiavellismo),  e  l'esaltazione  della  politica  di  potenza  contro  i  sermoni  dei  profeti  disarmati  {Materialismo  storico,  prefazione  all'edi-  zione del  1917,  pp.  xii-xiv;  e  cfr.  rav\àcinamento  di  Marx  a  Machiavelli,  ivi,  pp.  106-107,  nota)  -  sempre,  pur  in  questa  varietà  di  accezioni,  l'utile  era  per  Croce  il  punto  d'appoggio  pili  solido  e  indispensabile  per  l'esplicazione  dell'operosità  umana  nella  costruzione  della  storia,  nel  senso  immanenti-  stico e  «  mondano  »  proprio  dello  spirito  moderno.  Il  progresso  è  lotta  continua  e  ha  per  motore  l'uomo,  l'uomo  come  pas-  sionalità naturale  resa  lucida  dalla  disciplina  intellettuale  per  andar  dietro  alla  «  verità  effettuale  »  delle  cose;  l'uomo  come  forma  primordiale,  nella  quale  anche  le  idealità  più  alte  debbono  tradursi  e  incarnarsi,  per  poter  affermarsi  effica-  cemente in  questo  mondo  che  è  la  palestra  della  nostra  operosità.  Nell'utile,  rivelatogli  dal  marxismo,  il  Croce  scor-  geva la  chiave  per  svincolare  l'operare  umano  da  qualsiasi  piano  storico  trascendente  -  reUgioso  o  metafìsico  che  fosse  -,  e  risolvere  «  positivamente  »  i  problemi  che  di  continuo  sca-  turiscono dal  divenire  storico.    II.   L'ESTETICA   4.  Primo  schizzo  del  sistema.    L'anno  stesso  che  rac-  La  scienza  dei-  coglieva  in  volume  gli  studi  sul  materialismo  storico  il  Croce  '^'^^P''^^^^'^^-  dava  alla  luce  una  memoria  accademica  intitolata:  Tesi  fondamentali  d'un' Estetica  come  scienza  dell'espressione  e  linguistica  generale  (1900;  ripubblicata  da  A.  Attisani  in  La  prima  forma  dell'estetica  e  della  logica,  Messina,  1924).  Queste  tesi  furono  riesposte,  ampliate  e  inquadrate  in  una  concezione  generale  della  filosofia,  neW! Estetica  del  1902  che,  originariamente  concepita  come  opera  a  se,  rimase  lo  scritto  meritatamente  pii!i  famoso  del  Croce.   In  seguito  essa  sarà    302  Cap.  XXXVI.  -  L'idealismo  storicistico  di  B.  Croce   ripubblicata  come  primo  dei  quattro  volumi  di  cui  si  compone  la  crociana  Filosofia  dello  spirito.  Il  sistema.  La  sistcmazionc  che  quest'opera    del  sapere  filosofico   è  semplice.  La  realtà  è  un  prodotto  dell'attività  spirituale,  la  quale  si  specifica,  secondo  una  classica  distinzione,  in  at-  tività «  teoretica  »  e  attività  «  pratica  ».  Ciascuna  di  queste  due  specificazioni  ha  due  gradi,  a  seconda  che  lo  spirito  si  rivolga  al  particolare  o  all'universale  (cap.  VII).  L'attività  teoretica  rivolta  al  particolare  è  l'arte  (o  pensiero  intuitivo),  e  la  scienza  filosofica  che  la  studia  è  l'estetica;  l'attività  teoretica  rivolta  all'universale  è  il  pensiero  discorsivo,  oggetto  della  logica;  l'attività  pratica  rivolta  al  particolare  è  l'eco-  nomia, oggetto  dell'economica;  e  l'attività  pratica  rivolta  all'universale  è  la  morale,  oggetto  dell'etica.  L'universale,  in  ciascuno  dei  due  campi,  presuppone  il  particolare.  Il  con-  cetto, infatti,  presuppone  l'immagine  prodotta  dall'arte,  senza  la  quale  non  potrebbe  esprimersi;  e  l'operare  morale  implica  un  agire  indirizzato  all'utile,  perchè  non  si  potrebbe  «  fare  il  bene  »  senza  giovare,  in  qualche  modo,  a  qualcuno.  Almeno  in  questa  prima  sistemazione,  al  contrario,  il  par-  ticolare non  esige  l'universale  (p.  30)  :  l'utile  si  può  perse-  guire prescindendo  del  tutto  da  una  moralità  oggettiva;  e  l'immagine  artistica  -  prodotto  aurorale  deUo  spirito  -  può  presentarsi  indipendentemente  da  ogni  intenzione  con-  cettuale. Ciò  non  toglie,  ovviamente,  che  l'attività  concreta  dello  spirito  sia  un  continuo  intrecciarsi  e  collaborare  di  queste  quattro  forme,  ciascuna  delle  quali,  presa  per  se,  apparirebbe  astratta.   Tutte  le  altre  attività  spirituali  devono  potersi  ridurre  in  qualche  modo  a  queste  quattro  (cap.  Vili).  Così,  ad  esempio,  il  diritto  e  la  pohtica  rientreranno  integralmente  nell'attività  economica;  la  scienza,  nella  misura  in  cui  sia  autenticamente  conoscitiva  (ciò  che  significa,  per  il  Croce,  filosofica:  pp.  34-35)  rientra  nell'attività  logica.  La  religione  non  rientra  propria-  mente da  nessuna  parte;  ma,  in  quanto  abbia  pretesa  di  co-  noscere il  trascendente,  è  una  forma,  piìi  o  meno  genuina,  di  filosofia;  in  quanto  si  ponga  come  atteggiamento  morale,  o    Estetica:  primo  schizzo  del  sistema  303   espressione  di  ideali  pratici  (p.  70),  trova  la  sua  collocazione  nel  quarto  grado  dello  spirito;  e,  infine,  in  quanto  mèra  espressione  di  sentimenti  può  considerarsi  sotto  la  rubrica  dell'economia,  che,  nel  sistema  crociano,  assume  la  funzione  di  cestino  in  cui  va  a  finire  tutto  ciò  che  non  trova  collo-  cazione altrove   (cap.   X).   All'efficacia  sistematoria  della  sua  filosofia,  per  un  verso.  Le  categorie  il  Croce  non  dava  troppa  importanza,  convinto  che  il  concreto  ^P^^^^^'^^^-  conoscere  non  possa  se  non  portarsi  sulla  attività  spirituale  nella  sua  interezza  (p.  86,  p.  103  e  passim)  ;  ma,  per  un  altro  verso,  egli  non  si  riconobbe  mai  disposto  a  lasciarla  cadere,  cioè  ad  assegnare  un  carattere  semplicemente  «  empirico  »  alla  quadruplicità  delle  forme.  Al  contrario,  essa  ebbe  sem-  pre per  lui  un  carattere  categoriale.  Le  quattro  forme  del-  l'attività spirituale  sono  tutte  e  sole  le  «  categorie  »  che  si  possano,  e  si  debbano,  ammettere  come  tali.  Ciò  significa  che  vi  è  una  radicale  irriducibilità  di  una  forma  all'altra,  trascurare  la  quale  significherebbe  confondere  e  mescolare  ciò  che  va  tenuto  filosoficamente  distinto  :  la  concreta  «  dia-  lettica »,  che  si  instaura  tra  questi  «  distinti  »,  in  tanto  ha  valore  filosofico  in  quanto  essi  conservino  questa  loro  irri-  ducibihtà.  Tale  principio,  strenuamente  difeso  dal  Croce,  in  particolare  contro  i  gentiliani,  suscita  molte  difficoltà  e,  appunto  perciò,  anche  molti  spunti  positivi.  Peraltro,  nella  comune  cultura  italiana,  in  cui  il  crocianesimo  fu  largamente  accolto  nel  periodo  tra  le  due  guerre,  l' efficacia  classificatoria  delle  quattro  forme  prevalse  nettamente  sulla  loro  funzione  categoriale.  L'uomo  mediamente  colto  in  fatto  di  filosofia,  che  aveva  abbracciato  il  sistema  crociano,  si  sentiva  spiri-  tualmente sorretto  dalla  possibiUtà,  poniamo,  di  dichiarare  che  una  opera  d'arte  mal  riuscita  era  un  «  atto  pratico  »,  che  il  prodotto  di  una  ricerca  psicologica  era  «  uno  pseudo-  concetto »,  ecc.  :  daUa  possibilità,  insomma,  di  assegnare  ogni  manifestazione  della  vita  alla  sua  giusta  casella.   5.  Definizione  dell'arte  per  via  negativa.    Quando  tracciò  lo  schizzo  sistematico  con  cui  si  apre  l'Estetica  del  1902,   21,  -  Lamanna.  storia  della  filosofia.  VII.    dell'attività   ar-  tistica.    304  Cap.  XXXVI.  -  L'idealismo  storicistico  di  B.  Croce   il  Croce  non  pensava,  probabilmente,  che  esso  avrebbe  avuto  tanta  importanza  nella  ricezione  del  suo  pensiero.  Il  suo  scopo  era  solo  di  sistemare  nel  modo  migliore  l'attività  spi-  rituale in  genere,  per  passare  poi  a  considerarla  in  quella  forma  che,  al  momento,  gli  interessava:  la  forma  artistica.  Questa  comprendeva  -  in  questa  fase  della  speculazione  crociana  -  anche  l'istorica,  dato  che,  come  conoscenza  del-  l'individuale, «  la  storia  si  riduce  sotto  il  concetto  generale  dell'arte»  (p.  31).  La  distinzione  La  sistemazionc,  tuttavia,  aveva  anche  una  diretta  efficacia  sull'oggetto  specifico  della  trattazione,  l'arte.  Infatti  la  specificità  e  l'autonomia  del  valore  estetico  si  definiscono  attraverso  una  serie  di  negazioni,  che  lo  distinguono  dagli  altri  valori  spirituali  :  «  Dimmi  da  che  cosa  ti  distingui  e  ti  dirò  chi  sei  »  è  il  motto,  implicito,  dell'estetica  crociana,  fino  al  Breviario  del  1912.  In  questo  senso  l'identificazione  dell'arte,  vista  nella  sua  specificità,  dipende  dalla  struttura  sistematica  dei  distinti.  L'arte  non  è  concetto,  perchè  le  sue  rappresentazioni  non  intendono  l'universale  :  e  con  ciò  cade  l'intellettualismo  estetico  (cap.  IV).  L'arte  non  è  rivolta  dovutile  (sentito,  in  ultima  analisi,  dal  soggetto  come  pia-  cere) :  e  con  ciò  cade  l'edonismo  estetico  (cap.  XI).  L'arte  non  persegue  il  bene  perchè,  non  si  sviluppa  come  obbedienza  all'universale  dovere:  e  con  ciò  cade  il  moralismo  estetico  (cap.  VI).   Le  altre  negazioni,  attraverso  cui  il  Croce  delimita  e,  quindi,  definisce  il  valore  dell'arte,  dipendono  da  queste:  l'arte  non  ha  uno  scopo  didascahco  (p.  94)  ;  non  si  propone  di  offrire  il  vero  «  condito  in  molU  versi  »  ;  non  mira  a  fini  di  edificazione,    a  scopi  pragmatici,  ecc.  Che  potesse  far  pili  che  tanto,  e  dire,  anche  positivamente,  in  che  cosa  l'arte  consista,  il  Croce,  in  certo  senso,  escluse  sempre;  e  questo  non  è  strano  :  perchè  un  genere  sommo  come  la  «  categoria  »  è  (per  parlare  in  termini  di  filosofia  classica)  un  «  predicato  »  da  cui  ogni  definizione  muove,  quindi  non  può  essere  il  ri-  sultato di  definizioni  antecedenti.  Nel  1912,  perciò,  il  Bre-  viario  di  estetica   si   inizierà  con    questa   affermazione:    che    Estetica:  definizione  dell'arte  per  via  negativa        305   «l'arte  è  ciò  che  tutti  sanno  che  cosa  sia»;  e  riprenderà  poi  la  determinazione  per  via  negativa,  che  già  era  stata  pro-  pria   noi  giudichiamo  ora  buoni  ora  cattivi,  ora  importanti  ora  insignificanti,  trovano  un  posto.  «  Tutti  i  fatti  sono  fatti  storici  »  aveva  detto  la  Logica  (p.  212),  e  ripete  la  Teoria  della  storiografia.  E  poiché  la  storia,  nel  pensiero  crociano,  è  ciò  che  comunemente  si  chiama  Dio,  codesta  frase  viene  a  costituire  l'esatto  equivalente  storici-  stico dell'affermazione  che  l'Ardigò  aveva  enunciata  in  chiave  naturalistica:  «Tutti  i  fatti  sono  divini)}.    V.   REVISIONI  ESTETICHE   18.  L'  «  INTUIZIONE  LIRICA  ».    La  UOvità  più  importante    11  sentimento   del  Breviario  di  estetica,  scritto  nel  1912  per  l'inaugurazione  ^'^^'''"'''^^■  del  Rice  Institute  di  Houston,  nel  Texas,  è  (come  è  noto)  l'introduzione  di  un  nuovo  «  sinonimo  »  del  termine  «  intui-  zione»: il  sentimento.  Una  novità  già  annunciata,  del  resto,  dalla  conferenza  tenuta  nel  1908  al  Congresso  di  filosofia  di  Heidelberg,  su  L'intuizione  pura  e  il  carattere  lirico  del-  l'arte (in  Problemi  di  estetica,  1910,  3^  ed.,  1940,  p.  33)  da  cui  forma  e  contenuto,  nell'opera  d'arte  riuscita,  vengono  identi-  ficati. Notando  come  ogni  grande  opera  d'arte  sia  «  classica  »  e  «  romantica  »  insieme,  il  Breviario  fa  risalire  ciò  alla  neces-  saria fusione,  nell'opera  d'arte  riuscita,  del  momento  lirico  col  momento  immaginativo.  Lo  scopo  dichiarato  di  tale  dottrina  è  dare  un  fondamento  alla  distinzione  (indispen-  sabile per  il  critico)  tra  opera  d'arte  riuscita  e  non  riuscita:    328  Cap.  XXXVI.  -  L'idealismo  storicistico  di  B.  Croce   e,  quindi,  ancora  di  far  posto  al  disvalore  che,  come  abbiamo  visto,    stenta    a    trovare    una    giustificazione    nella    filosofia  crociana.  La  coerenza.  Come  nella  pratica  così  nell'estetica,  il  valore  è  inteso  come   coerenza:  ma,  mentre  nella  pratica  il  segno  di  codesta  coe-  renza era  piuttosto  il  successo  di  una  certa  attività,  nell'este-  tica il  suo  indizio  si  presenta  come  uno  stato  d'animo  che,  fino  allora,  il  Croce  aveva  considerato  sotto  una  luce  piutto-  sto negativa,  come  espressione  di  passività  :  il  «  sentire  ».  In  realtà,  il  sentire  utilizzato  dal  Breviario  di  estetica  è  molto  diverso  dal  sentire  come  stato  d'animo  passivo  -  «  materia  »  non  informata,  o  non  perfettamente  formata,  dall'attività  spirituale  -  che  aveva  dato  luogo,  nella  Filosofia  della  pratica,  alla  «  negazione  della  forma  spirituale  del  sentimento  »  (parte  I,  sez.  I,  cap.  I).  Là,  l'intenzione  era  di  contestare  l'esi-  stenza di  una  terza  forma  di  attività,  accanto  alla  teoretica  e  alla  pratica  (p.  io)  ;  qui  è  di  riconoscere,  nel  sentimento,  il  modo  d'essere  incoativo  in  cui  si  presenta  la  stessa  attività  spirituale  che,  nella  sua  esistenza  piena,  si  sviluppa  come  im-  magine :  «  L'intuizione  è  veramente  tale  perchè  rappresenta  un  sentimento,  e  solo  da  esso  e  sopra  di  esso  può  sorgere  »  (Nuovi  saggi  d'estetica,   1919;   2*  ed.,   1926,  p.   27).   Grazie  alla  sua  globalità,  alla  sua  indivisibilità  essenziale,  il  sentimento  offre  al  Croce  quel  fondamento  di  unità  che  egli  va  ormai  cercando:  «Ciò  che    coerenza  e  unità  all'intui-  zione è  il  sentimento»  [ivi).  «L'intuizione  è  veramente  arti-  stica, veramente  intuizione  »,  quando  sia,  «  non  caotico  am-  masso d'immagini  »,  ma  «  solo  quando  ha  un  principio  vitale  che  l'animi,  facendo  tutt'uno  con  lei»  (p.  25).  E  questo  prin-  cipio è  il  sentimento,  che  permette,  cosi,  di  distinguere  tra  l'intuizione-immagine,  «  che  è  sempre  nesso  d'immagini,  non  esistendo  immagini  atomi  »  (p.  29)  e  «  quella  falsa  intui-  zione che  è  coacervo  d'immagini  »  [ivi)  :  falsa  e  imperfetta  per  «  il  contrasto  non  unificato  di  piìi  e  diversi  stati  d'animo,  la  loro  stratificazione  o  il  loro  miscuglio,  o  il  loro  procedere  traballante,  che  riceve  una  unità  apparente  dall'arbitrio  dell'autore»  (p.  27).  Allo  stesso  modo  la  Filosofia  della  pra-    riuscita.    L'  «  intuizione  lirica  »  329   tica  aveva  distinto   tra  esistenza  unitariamente  raccolta  e  esistenza  «  dissoluta  »,   lacerata  dalla  contraddizione.   La  distanza  dall'Estetica  del  1902,  dove  si  consideravano  L'opera  d'arte  come  opere  d'arte  alcune  espressioni  «  assai  complicate  e  diffìcili  »,  è  evidente.  Per  un  verso,  si  tratta  di  una  ripresa  del  motivo  estetico,  molto  tradizionale,  dell'opera  d'arte  come  organismo  vivente,  individuato  da  un  «  principio  vitale  »  (p.  25).  Infatti,  «ciò  che  ammiriamo  nelle  genuine  opere  d'arte  è  la  perfetta  forma  fantastica  che  riassume  uno  stato  d'animo,  e  codesto  chiamiamo  vita,  unità,  compattezza,  pienezza  dell'opera  d'arte  »  (p.  27).  Ma,  nel  sistema  crociano,  questa  distinzione  e  fusione  tra  un  principio  globale  d'unità  e  una  forma  articolata  che  l'esprime  rappresenta  una  novità:  essa  non  aveva  mai  avuto  una  espressione  cosi  esplicita,  nep-  pure nella  teoria  della  coerenza  pratica  propria  del  volume  del  1908.   La  Filosofia  della  pratica  conteneva,  peraltro,  uno  spunto  importante  di  questo  sviluppo:  nel  capitolo  stesso  in  cui  ne-  gava l'autonomia  del  sentimento.  Qui  infatti  il  Croce,  mentre  contesta  che  al  sentimento  si  possa  assegnare  un  posto  a  sé,    tuttavia  una  interpretazione  eccezionalmente  acuta  delle  teorie  del  sentimeno  che,  soprattutto  dal  Settecento  in  poi,  erano  fiorite  nella  storia  della  filosofìa.  Il  sentimento,  egli  dice,  è  comparso  nella  storia  della  filosofìa,  con  la  fun-  zione di  una  escogitazione  provvisoria,  «  ogni  qualvolta  ci  si  è  trovati  innanzi  a  una  forma  o  sottoforma  dell'attività  spirituale  che  non  si  riusciva    a  eliminare    ad  assorbire  nelle  forme  già  conosciute  »  [Pratica,  p.  16).  Sicché  il  vedere  una  qualsiasi  attività  spirituale  specifica  come  «  sentimento  »  è  la  prima  forma  che  assume  la  rivendicazione  della  sua  autonomia.   Così,  infatti,  era  accaduto.  L'estetica  del  sentimento  del  Settecento,  nelle  sue  forme  piìi  disparate,  da  Vico  a  Rousseau,  da  Shaftesbury  ad  Alison,  dalla  Scientia  cognitionis  sensi-  tivae  del  Baumgarten  alle  Osservazioni  sul  sentimento  del  hello  e  del  sublime  di  Kant,  è,  effettivamente,  una  rivendi-  cazione   dell'autonomia    dell'arte    rispetto    alla    conoscenza    330  Cap.  XXXVI.  -  L' idealismo  storicistico  di  B.  Croce   concettuale:  perfino  quando  (come  nel  Baumgarten)  sembri  «  intellettualistica  ».  Ma  anche  l'etica  del    poi  i^  Filosofia  perenne  e  personalità  filosofiche,   Padova,   1942.   A.  Guzzo,  Vita  e  scritti  di  E.  Juvalta,  «  Giorn.  crit.  d.  filos.  It.  »,  1936,  pp.  79-85.  G.  SoLiNAS,  L'autassia  dei  valori  e  le  indagini  etiche  di  E.  Juvalta,  Torino,   1954-   D.  Basciani,  e.  Juvalta  e  l'etica  della  giustizia,  Roma,   1966.    2.    -    G.    VlDARI    Opere    Problemi  generali  di  etica,  Milano,    1901.  Elementi  di  etica,  Milano,   1903;  5*  ed.   1922.  Doveri  sociali  dell'età  presente,   Milano,    1903.    Bibliografia  427   L'individualismo  nelle  dottrine  morali  del  sec.  XIX,  Milano,    1909.   Elementi  di  pedagogia,  3  voli.,  Milano,   1916-20;  3*  ed.,  Torino,   1938.   Per  l'educazione  nazionale.  Saggi  e  discorsi,  3  voli.,  Torino,  1916;  4*  ed.,  col  titolo   Educazione   nazionale,   Torino,    1938.   La  cultura  dello  spirito  come  ideale  pedagogico,   Torino,    191 7.   Etica  e  pedagogia,   Firenze,    1922.   Il  pensiero  pedagogico  italiano  nel  suo  sviluppo  storico.  Delineazione  som-  maria,  Torino,    1924;   3*  ed.    1935.   L'educazione  dell'uomo.   I:  Il  hello  e  l'educazione  estetica,  Torino,  1926;   2*  ed.   1935-   L'educazione  in  Italia  dall'Umanesimo  al  Risorgimento,   Roma,    1930.   Le  civiltà  d'Italia  nel  loro  sviluppo  storico.  I:  Le  civiltà  organizzatrici;  II:  Le   civiltà  liberatrici,   2   voli.,   Torino,    1932-34.  Alessandro  Manzoni,  Torino,   1935.    Letteratura.   G.   Gentile,   Educazione  e  scuola  laica,   Firenze,    1921,   pp.   315-335.  L.  Cappiello,  Il  pensiero  pedagogico  di  G.    Vidari,  Roma,   1930.  Giovanni   Vidari.  In  memoriam,  Torino,   1934  (scritti  di  Calò,  Credaro,  Ma-   resca.   Solari,   Tarozzi) .  Autori  vari,  G.   Vidari,  «  Riv.  pedag.  »,   1934,  5-    3.  -  A.  Faggi    Opere    La  filosofia  dell'incosciente.  Metafisica  e  morale.  Contributo  alla  storia  del  pes-  simismo, Firenze,   1890.  La  religione  e  il  suo  avvenire  secondo  E.  Hartmann,  Firenze,   1892.   E.  Hartmann  e  l'estetica  tedesca,  Firenze,    1895.   F.  A.  Lange  e  il  materialismo,   Firenze,    1896.  Questioni  logiche  e  psicologiche,  Bologna,   1900.  Il  materialismo  psicofisico,   Palermo,    1901.  Lenau  e  Leopardi,  Palermo,  1901.   Principi  di  psicologia  moderna,   2   voli.,    Palermo,    1895-97;    2^  ed.   rifatta,   1907.  Schelling  e  la  filosofia  dell'arte,   Modena,    1909.  Hartmann,   Milano,    1928.  Studi  filosofici  e  letterari,  Torino,   1938.    Letteratura.   A.  Del  Noce,  La  solitudine  di  Adolfo  Faggi,  «Filosofia»,  1954.  P-  409-   L.  Barabino,  Ricordo  di  A.  Faggi.  Inediti,  «Filosofia»,   1966,  pp.  299-327.    428  Bibliografia    R.  Resta    Opere.    L'anima  del  fanciullo  e  la  pedagogia,    Roma,    1908.   I  problemi  fondamentali  della  pedagogia,   Roma,    191 1.  Trattato  di  pedagogia.  La  pedagogia  generale,   Roma,   1919.   II  lavoro  e  la  scuola  del  lavoro,   Roma,   1928.  La  metafisica  realistica   dell'io,   Messina,    1933.  Dante  e  la  filosofìa  dell'amore,   Bologna,    1935.  Comenio  e  la  scuola  della  democrazia,   Bari,   1946.  Dio  secondo  la  ragione,  Bari,   1948.   Metafisica  dell'insegnamento,   Bari,    1949.   Filosofia  dell'  educazione .   I  :   L' educazione  come  legge  della  persona,   Padova,   1942;  2*  ed.   1944.  La  teoria  della  cultura  e  l'insegnamento,  Genova,   1951.  L'esistenza  e  l'immortalità  dell'anima.  Lecce,  1965  (postumo).   Letteratura.   E.  Tozzi,  Profili  di  educatori  viventi,  Firenze,   1929.   F.  D'Ambrosio,  R.  Resta  precursore  della  riforma  Bottai,  Napoli,  1940.   G.  Calogero,  R.  Resta  e  la  pedagogia  della  cultura,  Catania,  1955.  Autori  vari,  Gli  aspetti  essenziali  di  una  vita  e  di  un  pensiero.  Studi  in  onore   di  R.  Resta,  Bari,  1956.    5.  -  M.  Maresca   Opere.   Di   due   opposti   atteggiamenti   della  filosofia   moderna    rispetto   alla   religione,   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naturale,  Milano,   1903.   Studi  di  filosofia  naturale,  Milano,    1903.   Corpo  e  anima,   Pavia,    1903.   Appunti  sulla  conoscenza,   Pavia,    1904.   Forza  ed  energia,  Pavia,   1904.   Su  alcune  questioni  di  gnoseologia  e  di  filosofia  morale,  Pavia,   1904.   Dottrine  e  fatti,   Pavia,    1905.   Paralipomeni  alla  conoscenza,   Pavia,   1905.   Scienza  e  filosofia,  Trani,   1908.   Modernismo  e  modernità,  Treviso,   1909.   I  Massimi  problemi,   Milano,    1910;   2*  ed.    1914.  Lo  spirito  della  filosofia,   Ortona,    1910.   Conosci  te  stesso,   Milano,    1912;   2^  ed.,   Firenze,    1943.   La  Patria.    Idealità  e  interessi,   Roma,    1913.   La  scuola  e  l'esperienza,  Palermo,   1914.   La  scuola  per  la  vita.  Scritti  pedagogici,  Milano,  1922;  3^  ed.,  Firenze,  1941.   Linee  di  filosofia  critica,  Roma,   1925;  2^  ed.   1931.   Discorsi  politici,  Roma,  1926.   Dall'uomo  a  Dio  (a  cura  di  E.  Castelli  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Genova,    1955.    4.  -  B.  Croce  Opere.   Salvo  le  Pagine  sparse,  e  pochi  altri  scritti,  le  opere  complete  sono  state  rac-  colte dall'editore  Laterza  di  Bari.   La  storia  ridotta  sotto  il  concetto  generale  dell'arte,  Napoli,  1893.   La  critica  letteraria,   Roma,    1895   (poi  entrambe  in  Primi  saggi,   1919).   Materialismo  storico  ed  economia  marxista,  Palermo,  1900,  6*  ed.,  Bari,  1941.   Tesi  fondamentali  di  un' estetica  come  scienza  dell'espressione  e  linguistica  generale,  Napoli,   1900.   Estetica  come  scienza  dell'espressione  e  linguistica  generale,   Palermo,    1902.   Logica  come  scienza  del  concetto  puro,  Napoli,  1905;  2^  ed.,  rifatta,  Bari,  1909.   Ciò  che  è  vivo  e  ciò  che  è  morto  della  filosofia  di  Hegel,  Bari,  1907.   Letteratura  e  critica  della  letteratura  contemporanea  in  Italia,  Bari,   1908.   Filosofia  della  pratica.  Economica  ed  Etica,  Bari,   1909.   Problemi  d'estetica  e  contributi  alla  storia  dell'estetica  italiana,  Bari,  1910;  3^  ed.,  con  aggiunte,   1940.   La  filosofia  di  Giambattista   Vico,  Bari,   191 1;   2^  ed.  riveduta,    1922.   Saggi  sulla  letteratura  italiana  del  Seicento,    Bari,    191 1.   La  rivoluzione  napoletana  del  1799,   Bari,    1912.   Breviario  di  Estetica.  Quattro  lezioni,  Bari,  1913;  3^  ed.,  con  aggiunte,  1924.   Cultura  e  vita  morale.  Intermezzi  polemici,  Bari,  1914;  2^  ed.,  raddoppiata,  1926.   La  letteratura  della  nuova  Italia,  6  voli.,  Bari,   1914-40.   La  Spagna  nella  vita  italiana  durante  la  Rinascenza,  Bari,    1914.    434  Bibliografia   Aneddoti  e  profili  settecenteschi,  Palermo,  1914.   I  teatri  di  Napoli,  Bari,   191 6.   Teoria  e  storia  della  storiografia,  Bari,   1917;  3*  ed.  accresciuta,   1927.   Contributo  alla  critica  di  me  stesso,  Napoli,   19 18.   Conversazioni  critiche,   5  voli.,   Bari,    1918-39.   Storie  e  leggende  napoletane,  Bari,   1918.   Curiosità  storiche,  Napoli,   1919.   Pagine  sparse,   1^-^^  serie,  Napoli,   1919-27.   Goethe.  Con  una  scelta  delle  liriche  nuovamente  tradotte,  Bari,  1919.   Primi   saggi,    Bari,    19 19.   Nuovi  saggi  di  estetica,   Bari,    1920;   2^  ed.   accresciuta,    1926.   Ariosto,    Shakespeare,    Corneille,    Bari,    1920.   Storia  della  storiografia  italiana  nel  sec.  XIX,  Bari,  192 1;  1^  ed.,  con  appen-  dice,  1930.   La  poesia  di  Dante,  Bari,   1921.   Poesia  e  non  poesia.  Nota  sulla  letteratura  europea  del  sec.  XIX,  Bari,  1923.   Uomini  e  cose  della  vecchia  Italia,   2  voli.,   Bari,   1927.   Poeti  e  scrittori  d'Italia,  Bari,   1927,   2  voli.,  Bari,   1927.   Storia  d'Italia  dal  i8yi  al  191 5,   Bari,    1928.   Storia  dell'età  barocca  in  Italia.  Pensiero,  poesia  e  letteratura.  Vita  morale,  Bari,   1929.   Aesthetica  in  nuce,  Napoli,   1929.   Alessandro  Manzoni.  Saggi  e  discussioni,  Bari,   1930.   Nuovi  saggi  sulla  letteratura  italiana  del  Seicento,   Bari,    1931.   Etica  e  politica,  Bari,   193 1.   Storia  d'Europa  nel  secolo  XIX,   Bari,    1932.   Poesia  popolare  e  poesia  d'arte.  Studi  sulla  poesia  italiana  dal  Tre  al  Cinque-  cento, Bari,   1933.   Orientamenti.  Piccoli  saggi  di  filosofia  politica,  Milano,  1934;  3*  ^d.  accre-  sciuta,  1935.   Nuovi  saggi  sul  Goethe,  Bari,   1934.   La  critica  e  la  storia  delle  arti  figurative,  Bari,   1934.   Francesco  De  Sanctis.  Pagine  sparse  (in  collaborazione  con  E.  Clone  e  C.  Mu-  scetta),   Bari,   1934.   Ultimi  saggi,   Bari,   1935.   La  poesia.  Introduzione  alla  critica  e  storia  della  poesia  e  della  letteratura,  Bari,   1936.   La  storia  come  pensiero  e  come  azione,  Bari,   1938.   II  carattere  della  filosofia  moderna,  Bari,   1941.  Poesia  antica  e  moderna.  Interpretazioni,  Bari,  1941.  Storia  dell'estetica  per  saggi,   Bari,    1942.   Pagine  sparse,  3  voli.,  Napoli,   1943.  Discorsi  di  varia  filosofia,  2  voli.,  Bari,   1945.  Pagine  politiche.  Luglio-dicembre   1944,   Bari,    1945.  Poeti  e  scrittori  del  pieno  e  del  tardo  Rinascimento,  Bari,   1945.  Pensiero  politico  e  politica  attuale.   Scritti  e  discorsi  del   1945,   Bari,    1946.  Bibliografia  vichiana  (accresciuta  e  rielaborata  da  F.  Nicolini),  2  voli.,  Na-  poli,  1947-48.  Quando  l'Italia  era  tagliata  in  due.  Estratto  di  un  diario,  Bari,   1948.    Bibliografia  435    Due  anni  di  vita  politica  italiana  {ig46-ig4y),  Bari,   1948.   Filosofia  e  storiografia,  Bari,   1949.   Nuove  pagine  sparse,  2  voli.,  Napoli,   1949.   La  letteratura  italiana  del  Settecento,   Bari,    1949.   Ludovico  Ariosto,   Bari,    195 1.   Indagini  su  Hegel  e  schiarimenti  filosofici,  Bari,   1952.   Intorno  alla  dialettica.  Discussioni,  Bari,   1952.    Letteratura.   Bibliografie  :   L'opera  filosofica  storica  e  letteraria  di  B.  Croce,  a  cura  di  vari  autori,  Bari,   1942.  E.  CiONE,  Bibliografia  crociana,  Milano,  1956.  S.   Borsari,   L'opera  di  B.   Croce,   Napoli,    1964.   Studi  :   E.  Chiocchetti,  La  filosofia  di  B.  Croce,  Firenze,   1915.  A.  e  L.  VoLPiCELLi  e  U.  Spirito,  B.  Croce,  Roma,   1929.   A.   M.    Fraenkel,   Die  Philosophie  Benedetto   Croces  und  das   Problem  der   Naturerkenntnis,  Tiibingen,   1929;  trad.  it.,  Bari,   1952.  J.  Lameere,  L'esthétique  de  B.  Croce,  Parigi,   1933.   C.  Carbonara,  Sviluppo  e  problemi  dell'estetica  crociana,  Napoli,   1947.   A.  Caracciolo,  L'estetica  di  B.  Croce  nel  suo  svolgimento  e  nei  suoi  limiti,  Torino,   1948.   D.  Faucci,  Storicismo  e  metafisica  nel  pensiero  crociano,  Firenze,   1950.   C.  Sfrigge,  Croce,  Man  and  Thinker,  Cambridge,  1952;  trad.  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Opere  complete,  in  55  voli,  oltre  all'epistolario,  è  in  corso  presso  la  casa  Sansoni  di  Firenze,  a  cura  della  «  Fondazione  Giovanni  Gentile  per  gli  studi  filosofici  ».   Rosmini  e  Gioberti,  Pisa,   1898;  3^'  ed.  accresciuta,  Firenze,   1959.   La  filosofia  di  Marx.  Studi  critici,  Pisa,   1899.   Dal  Genovesi  al  Galluppi.  Ricerche  storiche,  Napoli,  1903;  2*  ed.,  col  titolo  Storia  della  filosofia  italiana  dal  Genovesi  al  Galluppi,  Milano,   1930.   Studi  sullo  stoicismo  romano  nel  I  secolo  dopo  Cristo,  Trani,   1904.   Giordano  Bruno  nella  storia  della  cultura,   Palermo,    1907.   Il  modernismo  e  i  rapporti  tra  la  religione  e  la  filosofia,  Bari,  1909;  2*  ed.  ac-  cresciuta,  192 1.   Bernardino   Telesio,   Bari,    191 1.   Per  il  riordinamento  dell'istruzione  superiore.  Studi  e  proposte,  Palermo,  191 1.   /  problemi  della    scolastica  e  il  pensiero  italiano,   Bari,    1913;   2*  ed.    1923.   La  riforma  della  dialettica  hegeliana  ed  altri  scritti,  Messina,  191 3;  2*  ed.  am-  pliata,  1923.   Sommario  di  pedagogia  come  scienza  filosofica.  I  :  Pedagogia  generale.  II  :  Di-  dattica,  2   voli.,   Bari,    1913-14.   Studi  vichiani,  Messina,   1915;   2*  ed.,  Firenze,   1927.   Teoria  generale  dello  spirito  come  atto  puro,  Pisa,   191 6;     ed.,   Bari,   1920.   Sistema  di  logica  come  teoria  del  conoscere,  Pisa,  1917;  2^  ed.  in  2  voli.,  Bari,  1922-23.   Le  origini  della  filosofia  contemporanea  in  Italia.  I:  /  platonici.  II:  /  positi-  visti. Ili:  I  kantiani  e  gli  hegeliani,  4  voli.,  Messina,   1917-23.   Il  tramonto  della  cultura  siciliana,   Bologna,    1919.   Il  problema  scolastico  del  dopoguerra,   Napoli,    1919.   Guerra  e  fede.  Frammenti  politici,  Napoli,   1919;  2^  ed.,  Roma,   1927.   Discorsi  di  religione,   Firenze,    1920;   2*  ed.   riveduta,    1924.   Giordano  Bruno  e  il  pensiero  del  Rinascimento,  Firenze,   1920.   La  riforma  dell'educazione.  Discorsi  ai  maestri  di  Trieste,  Bari,   1920.    Bibliografia  ^yj   Dopo  la  vittoria.  Nuovi  frammenti  politici,  Roma,  1920.  Saggi  critici,   Napoli,   1921;   Firenze,    1927.  Frammenti  di  estetica  e  di  letteratura,   Lanciano,    192 1.  Educazione  e  scuola  laica,  Firenze,   1921.   Gino  Capponi  e  la  cultura  toscana  del  sec.  XIX,  Firenze,   1922.  /  fondamenti  della  filosofia  del  diritto,  Roma,   1923;   2^  ed.  accresciuta,   Fi-  renze,  1937.  Dante  e  Manzoni.  Con  un  saggio  su  arte  e  religione,  Firenze,   1923.  Albori  della  nuova   Italia,    2   voli.,   Lanciano,    1923.  Studi  sul  Rinascimento,   Firenze,    1923.  /  profeti  del  Risorgimento  italiano,  Firenze,   1923.  Difesa  della  filosofia.  Lanciano,   1924.  Preliminari  allo  studio  del  fanciullo,  Roma,   1924;  4*  ed.  riveduta,  Firenze,   1934-   Bertrando  Spaventa,   Firenze,    1924.   La  riforma  della  scuola,  Bari,  1924.   //  fascismo  al  governo  della  scuola.  Discorsi  e  interviste,  Palermo,  1924.   La  nuova  scuola  media,  Firenze,   1925.   Che  cosa  è  il  fascismo,   Firenze,    1925.   L'eredità  di    Vittorio  Alfieri,   Venezia,    1926.   Frammenti  di  storia  della  filosofia,   i^  serie,  Lanciano,   1926.   Vincenzo  Cuoco.   Studi  e  appunti,   Venezia,    1927.   Manzoni  e  Leopardi.   Saggi  critici,   Milano,    1928.   Fascismo  e  cultura,  Milano,  1928.   Origini  e  dottrina  del  fascismo,   Roma,    1929.   La  filosofia  dell'arte,   Milano,    1931.   Der  aktuale  Idealismus.  Zwei  Vortràge,  Tiibingen,   1931.   La  riforma  della  scuola  in  Italia,   Milano,    1932.   Introduzione  alla  filosofia,  Milano,   1933.   La  profezia  di  Dante,  Roma,   1933.   La  filosofia  dell'arte  in  compendio,   Firenze,    1934.   Memorie  italiane  e  problemi  della  filosofia  e  della  vita,   Firenze,    1936.   Dottrina  politica  del  fascismo,   Padova,    1937.   Poesia  e  filosofia  di   Giacomo   Leopardi,    Firenze,    1939.   //  pensiero  italiano  del  Rinascimento,   Firenze,    1940.   //  pensiero  di  Leonardo,   Firenze,    1941.   La  filosofia  italiana  contemporanea.  Due  scritti,  Firenze,   1941.   Genesi  e   struttura  della  società.   Saggio   di  filosofia  pratica,    Firenze,    1946.   Letteratura.   Un  vasto  insieme  di  studi  sulla  filosofia  del  Gentile  è  rappresentato  dalla  raccolta,  di  vari  autori,  Giovanni  Gentile:  La  vita  e  il  pensiero,  12  voli.,  Firenze,   1948-67.  Cfr.  inoltre:   E.  Chiocchetti,  La  filosofia  di  G.  Gentile,  Milano,   1922.  V.  La  Via,  L'idealismo  attuale  di  G.  Gentile,  Trani,   1925.   F.  De  Sarlo,   Gentile  e  Croce,   Firenze,    1925.  F.   D'Amato,   G.   Gentile,   Milano,    1927.   U.  Spirito,  L'idealismo  italiano  e  i  suoi  critici,  Firenze,  1930.    438  Bibliografia   M.  M.  Thompson,   The  Educational  Philosophy  of  G.  Gentile,  Los  Angeles,   1934-  S.   Hessen,   Die  Pàdagogik   von   G.   Gentile,   «Die  Erziehung  »,    1934,   9-1 1;   trad.  it.,  Roma,   1940;  2.^  ed.   1952.  J.   Baur,   Gentiles  Philosophie  und  Pàdagogik,   Langensalza,    1935.  R.  W.  Holmes,  The  Idealism  of  G.  Gentile,  New  York,   1937.  P.  RoMANELL,   The  Philosophy  of  G.  Gentile,  New  York,   1938.   F.  Collctti,  Il  problema  religioso  dal  punto  di  vista  dell'idealismo  attuale,  Messina,  1938.   G.  Bontadini,    Dall'attualismo   al  problematicismo,    Brescia,    1946.  A.  Guzzo,   Croce  e  Gentile,  Lugano,   1953.   U.  Scarpelli,  La  filosofia  di  G.  Gentile  e  le  critiche  di  G.  Solari,  Torino,  1954.   U.   Spirito,   Note  sul  pensiero  di  G.   Gentile,   Firenze,   1954.   V.  A.  Bellezza,  L' esistenzialismo  positivo  di  G.  Gentile,  Firenze,   1954.   A.   Carlini,   Studi  gentiliani,   Firenze,   1958.   H.  S.  Harris,  The  Social  Philosophy  of  G.  Gentile,  Urbana,  i960.   M.    F.    Sci  ACCA,   Dall'attualismo   allo  spiritualismo,   Milano,    1962.   V.    A.    Bellezza,    La  problematica   attualistica   della   storia,    Firenze,    1968,    INDICI    INDICE  DEI  NOMI    Abbagnano  N.,   i6o,   189,  251.   Agostino   (Sant'),   228,   360.   Aliotta  A.,   159-167.   Alliney  G.,   120,   246.   Ardigò  R.,   3-8,   9,   29,   42,   43,    73,    194,   327.  387-  Aristotele,   215,   218,   356,   376,   380.  Avenarius  R.,   98.   Bacone  F.,   390.   Bergson  E.,  49,  72,   118,   121,   128,   161,   220,  230  sgg.  Berkeley  G.,   123,   171,  213,  252,  354.  Bonatelii  F.,   169,   171,  232,  256.  Bonaventura  E.,  160,  170-172.  Boutroux  E.,  49.  Bradley  F.  H.,   119,  219,  248.  Brentano  F.,   152.  Bruno  G.,  29,  333,   386.   Calò  G.,  167,  168-170.   Calogero  G.,  271.   Campanella  T.,   386,   391.   Cantoni  C,  179,  180,  190.   Capone-Braga  G.,  56,  175-178.   CarabeUese  P.,  97,  249-274.   Carlini  A.,  119.   Carlyle  Th.,  177.   Cartesio,  vedi  Descartes.   Castelli  E.,   120,  233,   246.   Comte  A.,  29,  77.   Croce  B.,   112,   126,   161   sgg.,   220,   259,   275-335.  347,  362,  367,  388,  394,  401,   407.   Della  Valle  G.,   180,   197-199.  Democrito,   385.  De  Sanctis   F.,    137,    398.  De  Santillana  G.,    135,    De  Sarlo    F.,    118,    137-159,    167,    168,   169  sg.,   172,   197.  Descartes  R.,  119,  122,  211,  215.   Enriques   F.,    134-136.  Eucken  R.  C,   198.   Faggi  A.,    194  sgg.   Feuerbach  L.,   174.   Fichte  G.   A.,    125,   213,   216,   252,   339.   Fourier  C,   128.   Freud  S.,   130,   171.   Jaia  D.,  342,  343.   James  W.,   173.   Jevons  W.   S.,    176.   Juvalta  E.,  82,   179,   180-189,   194.   Galilei  G.,  98.   Galluppi  P.,   176.   Garbasso  G.  A.,   132,   133.   Garin  E.,   273.   Geymonat  L.,    134,    180,    188.   Gentile  G.,  91,  97,  112,  123,  125,  167,  196,  219,  249  sg.,  256,  265,  280,  310,  316  sg.,  336.   Geulincx  A.,   176  sg.   Gioberti  V.,  256,  344.   Gonseth  F.,   136.   Coretti  C,  205,  207.   Graf  A.,  203.   Guastella  G.,  90-96.   Guzzo  A.,   167,   189,  408.   Hartmann  (von)   E.,   194  sg.,  206.  Hegel  G.   G.   F.,    9,   113,   176,   216,   225,   228,    250,    282,    322,     336,    339,    340,   345  sg.,  350,  384,  395.    442    Indice  dei  nomi    Heidegger  M.,  125,  259.  Herder  G.,  308.  Herbart  J.  F.,   170.  Hòftding  H.,  213.  Hume  D.,  46,  94,  97,  213.  Husserl  E.,   153.   Kant  E.,  29,  61,  81  sg.,  97,  106,  no,  119,  125,  161,  171,  173,  179,  182,  184,  185,  186,  192,  194,  198,  205,  206,  207,  208,  218,  224,  225,  251,  255,  267,  272,   338.  363-  Kiesow  F.,   132,   189,  232.   Labriola  A.,  277  sg.,  285,  288,  290,  291,   345-  Lamanna  P.  E.,   172-175.  Leibniz  G.,   119,  122,  215,  239,  250,  376.  Levi  Ad.,   118-125.  Levi  Al.,  90,  91.  Limentani  C,  73-89.  Locke  J.,  54,  94.  Losacco,   119.  Lotze  R.   H.,    170,    173,    198,   203,   212,   232,  234,  248.   Mach  E.,   135,  217.  Machiavelli  N.,  300,  301,  324.  Malebranche   N.,    177,    213,    215.  Manzoni  A.,   193,   194.  Me    Taggart  J.  E.,  248.  Marchesini  G.,  8,  9-28,  50,   73,   78.  Maresca  M.,   180,   196  sg.  Martinetti  P.,   190,   203-228,   255.  Marx  C,    128,    129,   286,   289,   290,   294,   295.   299,   300,   312,   345  sg.  Masci  F.   179,   195,   198.  Meyerson  E.,   121,  238.  Moore  G.  E.,   182.   Newton  L,  98.  Nietzsche  F.,   174,   188.  Nobile  E.,   197.  Novalis,   133.   Orestano  F.,  91,  98-111.   Pareto  V.,  295,   296,  298.  Parmenide,  216.  Pastore  A.,   119,   132-134.  Paulsen  F.,  212.    Peano  G.,   132.   Pesce  D.,  118,  172.   Piaget  J.,  136.   Piovani  P.,   120,   174.   Pirandello  L.,   131.   Platone,  9,  118,  215,  250,  252,  336,  356,   384,  385.  Plotino,  206,  215,  217.  Poincaré  E.,   135,   176,   182.  Pomponazzi  P.,  8.   Rensi  G.,   91,    111-118,    182.  Resta  R.,   180,   195  sg.  Rosmini  A.,  193,  194,  215,  243,  248  sg.,  256.   Sacheli  C.  A.,  96  sg.  Schelling   F.   G.,   213,   216,    380   sg.  Schleiermacher  F.   E.,    174.  Schopenhauer   A.,    125,    206,    209,    212,   222.  Schuppe  W.,  213.  Solari  G.,   193,  205.  Spaventa  B.,   137,  276,   339.  Spaventa  S.,  276.  Spencer  E.,  29,   182,   184.  Spinoza  B.,  29,  72,  122,  205,  216,  221  sg.,   317,  386,  404.  Spir  A.,   174,  204,  208,  221,  223.  Spirito  U.,  271,  273.  Stuart  Min  J.,  91,  94,  213.   Tarozzi  G.,  8,  42,  73,  388.  Telesio  B.,  29.  Tilgher  A.,  91,   125-131.  Troiano  P.  R.,  203.  Troilo  E.,   8,  28-42,   73.   Vaihinger  H.,   182.   Varisco  B.,  119,  120,   122,  207,  219-248,   249  sg.,  256.  Vico  G.  B.,  268,  278,  308,  309,  330,  336,   346,  348.  Vidari  G.,    179,    189,    190-194.  Villa  G.,   189  sg.  Vitelh  G..   118.   Wahle  R.,  212.   Whittaker  Th.,   182.   Windelband  G.,   118,   198,  371.   Wundt  G.,   180  sg.,   197,  208,  211,  232.    INDICE   Parte  Decima  L'EREDITÀ  DELL'OTTOCENTO   Gap.  XXX.  -  Positivismo  e  correnti  affini Pag.       3   I.  La  scuola  di  Ardigò.  -  i.  Il  positivismo  ardigoiano  e  la  sua  crisi,  p.  3.  -  2.  Giovanni  Marchesini,  p.  9.  -  3.  Erminio  Troilo:  dalla  po-  sizione positivistica  al  «  realismo  assoluto  »,  p.  28.  -  4.  Giuseppe  Ta-  rozzi: dal  positivismo  al  realismo  spiritualistico,  p.  42.  -  5.  Il  plu-  ralismo etico  di  Lodovico  Limentani,  p.  73.  -  6.  Il  sociologismo  di  Alessandro  Levi,  p.  90.   IL  Fenomenismo,  superrealismo  e  scetticismo.  -  7.  Il  fenomenismo  di  Guastella,  p.  90.  -  8.  L'assiologia  di  C.  A.  Sacheli,  p.  96.  -  9.  Fran-  cesco Orestano:  scienza,  etica  e  «superrealismo»,  p.  98.  -  io.  Lo  scetticismo  ed  il  materialismo  fenomenistico  di  Giuseppe  Rensi,  p.    III.  -   lì.   Lo  scetticismo  solipsistico  di  Adolfo  Levi,   p.    118.   -  12.  Il  relativismo  di  Adriano  Tilgher,  p.   125.   III.  La  critica  della  scienza.  -  13.  La  «logica  del  potenziamento  »  di  Annibale  Pastore,  p.  132.  -  14.  Filosofìa  e  storia  della  scienza  in  Federigo  Enriques,  134.   Gap.  XXXI.  -  Francesco  De  Sarlo  e  lo  spiritualismo  come  filo-  sofia dell'esperienza  psichica Pag.   137   I.  La  dottrina  del  De  Savio.  -  i.  Lo  sviluppo  del  pensiero,  p.  137.   -  2.  Il  problema  metafìsico:  valore  meramente  congetturale  della  soluzione  teistica,  p.  142.  -  3.  La  filosofìa  come  sforzo  di  raziona-  lizzazione e  sua  identificazione  con  la  «  psicologia  »  quale  scienza  del  soggetto  spirituale,  p.  146.  -  4.  Il  problema  del  soggetto  del-  l'esperienza psichica:  io  individuale  ed  io  universale,  p.  153.  -  5.  L'oggetto  dell'attività  di  coscienza;  il  realismo  e  la  sua  proble-  maticità, p.   157.   IL  La  scuola  del  De  Sarlo.  Lo  sperimentalismo  di  Antonio  Aliotta.   -  6.  La  prima  fase  del  pensiero  di  Antonio  Aliotta:  spiritualismo  teistico,  p.  159.  -  7.  Seconda  fase:  pluralismo  relativistico  e  spe-  rimentalismo, p.   164.   III.  Le  «  scienze  umane  »  nella  scuola  del  De  Sarlo.    8.  Sviluppi  pedagogici  e  psicologici  in  Giovanni  Gaio  ed  Enzo  Bonaventura,  p.  167.  -  9.  Eustachio  Paolo  Lamanna  ed  il  problema  della  reli-  gione, p.  172.  -  IO.  L'unità  ontologica  del  sensibile  in  Gapone  Braga,  P-   175-    444  Indice   Cap.  XXXII.  -  Il  Neocriticismo Pag.   179   I.  La  scuola  Pavese.  -  i.  I  limiti  del  razionalism.o  etico  in  Ju-  valta,  p.  179.  -  2.  L'unità  attiva  delle  scienze  umane  in  Vidari,  p.   189.   II.  La  scuola  Napoletana.  -  3.  Etica  e  pedagogia  negli  scolari  di  Filippo  Masci,  p.   195.   Parte  Undicesima  L'ETÀ  DELL'IDEALISMO   Cap.  XXXIII.  -  La  gnosi  di  Piero  Martinetti Pag.  203   I.  L'insegnamento,  p.   203.  -  2.  La  metafisica  religiosa,  p.   206.   -  3.  Il  compito  della  filosofia,  p.  208.  -  4.  Ermeneutica  dell'Idea-  lismo, p.  211.  -  5.  Distinzione  del  razionale  dall'empirico,  p.  215.   -  6.  L'unità  essenziale,  p.  217.  -  7.  Il  Cristianesimo,  p.  220.  -  8.  La  libertà  spinoziana,  p.   221.  -  9.   Rifiuto  della  mediazione,  p.   225.   Cap.  XXXIV.  -  Il  monadismo  teistico  di  Bernardino  Varisco.   Pag.  229   i.  Il  distacco  dal  positivismo,  p.  229.  -  2.  Il  pensiero  vissuto,  p.  231.  -  3.  I  massimi  problemi,  p.  235.  -  4.  I  centri  di  coscienza,  p.  237.  -  5.  Teismo  o  Panteismo  ?,  p.  240.  -  6.  L'unità  dell'uni-  verso, p.  241.  -  7.  Il  soggetto  dei  soggetti,  p.  243.  -  8.  Il  valore,  p.   246.  -  9.  Neoclassicismo  filosofico,  p.   247.   Cap.  XXXV.  -  L'ontologismo  di  Pantaleo  Carabellese     .    .      Pag.  249   I.  Il  problema,  p.  249.  -  2.  Ripensamento  della  filosofia  moderna,  p.  251.  -  3.  Unicità  dell'oggetto,  p.  253.  -  4.  Intrinsecità  di  sog-  getto ed  oggetto,  p.  254.  -  5.  L'ontologismo,  p.  256.  -  6.  Unità  di  conoscere  e  di  fare  nel  «concreto»,  p.  257.  -  7.  La  temporalità  dell'essere  ed  il  male,  p.  258.  -  8.  I  soggetti,  p.  261.  -  9.  La  tra-  scendenza, p.  262.  -  10.  I  due  poli  del  concreto,  p.  263.  -  11.  Pos-  sibilità di  un  pluralismo  filosofico,  p.  265.  -  12.  Il  problema  teolo-  gico, p.  267.  -  13.  La  raanifestazione  dell'essere,  p.  269.  -  14.  So-  vranità della  filosofia,   p.   272.   Cap.  XXXVI.  -  L'idealismo  storicistico  di  Benedetto  Croce.    Pag.  275   I.  La  fase  di  preparazione.  -  i.  I  casi  della  vita,  p.  275.  -  2.  La  storia  come  arte  e  come  scienza,  p.  281.  -  3.  Il  problema  della  storia  negli  studi  marxistici,  p.   285.   IL  L'estetica.  -  4.  Primo  schizzo  del  sistema,  p.  301.  -  5.  De-  finizione dell'arte  per  via  negativa,  p.  303.  -  6.  Successive  iden-  tificazioni, p.  306.   III.  La  logica.    7.  L'unità  di  problema  e  soluzione,  p.  309.  -  8.   Gli  pseudo-concetti,  p.   311.  -  9.   Il  concetto  genuino,   p.   312.   -  io.  Identità  di  storiografia  e  filosofia,  p.  314.  -  11.  L'errore,  p.  316.    Indice  445   IV.  La  pratica.  -  12.  Il  male  nel  bene,  p.  317.  -  13.  Unità  e  dis-  soluzione, p.  319.  -  14.  Il  progresso,  p.  322.  -  15.  Storia  e  storio-  grafia, p.  322.  -  16.  Il  fascismo,  p.  323.  -  17.  Pensiero  ed  azione,  P-  325-   V.  Revisioni  estetiche.  -  18.  L'  «  intuizione  lirica  »,  p.  327.  -  19.  Cosmicità  dell'arte,  p.  330.  -  20.  La  vitalità,  p.  332.  -  21.  Pan-  teismo storicistico,  p.  333.   Cap.  XXXVII.  -  L'idealismo  attualistico  di  Giovanni  Gentile.  Pag.  336   I.  L'attualismo  come  punto  di  arrivo.  -  i.  Significato  del  Gen-  tilianesimo,  p.  336.  -  2.  Le  vicende  della  vita,  p.  341.  -  3.  Gli  inizi  speculativi,  p.  343.  -  4.  I  momenti  della  dialettica  riformata,  p.  346.   II.  La  pedagogia.  -  5.  «Destructio  pedagogorum  »,  p.  352.  -  6.  La  sensibilità,  p.  354.  -  7.  L'unità  di  maestro  e  scolaro,  p.  357.  -  8.  Lo  spontaneismo  educativo,  p.  358.   III.  La  «  Storia  eterna  ».  -  9.  «La  teoria  dello  spirito»,  p.  362.  -  IO.  L'  «antinomia  storica»,  p.  364.  -  11.  Contemporaneità  della  sto-  ria, p.  367.  -  12.  Storia  e  storiografia,  p.  368.   IV.  La  logica.  -  13.  Il  giudizio  assertorio,  p.  372.  -  14.  La  logica  dell'astratto,  p.  373.  -  15.  La  carne  e  lo  spirito,  p.  378.  -  16.  Con-  tro il  platonismo  dell'  «  Apodissi  »,  p.  384.   V.  Etica  e  diritto.    17.  L'  «  autoprassi  »,  p.  389.  -  18.  L'ener-  gia, p.  390.  -  19.  Legge  e  «  fatto  »,  p.  392.  -  20.  La  rivoluzione  per-  manente,  p.   394.  -  21.   La  libertà  assoluta,  p.   396.   VI.  Arte  e  religione.    22.  Il  momento  della  «  posizione  »,  p.  399.     23.  L'arte  come  amore,  p.  402.  -  24.  La  negazione  di  sé,  p.  403.   -  25.  L'immanenza,  p.  405.    STAMPATO    A    FIRENZE   NEGLI    STABILIMENTI    TIPOGRAFICI   E.    ARIANI  »    E    «  l'arte    DELLA    STAMPA  » Eustachio Paolo Lamanna. E[ustachio] P. Lamanna. E. Paolo Lamanna. E. P. Lamanna. Lamanna. Keywords: il risorgimento fiorentino, Mussolini nella storia della filosofia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Lamanna” – The Swimming-Pool Library.

 

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