Grice e Lamanna: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale del risorgimento fiorentino filosofia basilicatese – la scuola
di Matera -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Matera). Filosofo italiano. Matera, Basilicata. Grice: “I like
Lamanna – a very systematic philosopher especially interested in the
longitudinal history of philosophy – he wrote on economics during controversial
times, too!” Linceo. Fa i primi studi in seminario e
poi nel Liceo classico della sua città. Si trasfere a Firenze, laureandosi con
Sarlo. Insegna a Messina e Firenze. Pubblica un commento alla dottrina. Autore
di un fortunato manuale di storia della filosofia. Membro dell'Accademia
nazionale dei Lincei. Diresse la "Collana di Filosofia" delle Edizioni
Morano di Napoli. Stabilito, per L., che la religiosità e un'esigenza naturale
dello spirito umano, egli rileva le contraddizioni percepite dalla coscienza
fra l'”essere” (“is”) e il dover essere (“ought”) -- fra l'esigenza di una
realtà concepita come razionalità e ordine, e la percezione di una realtà che
appare irrazionale e disordinata, così come fra la concezione dell'assolutezza
dello spirito e la concreta limitatezza della realtà umana. Da queste
contraddizioni deduce la necessità dell'esistenza di Dio. Analoga antinomia gli
sembra esistere tra morale e politica che a suo avviso può essere risolta
trasportando nell'attività pratica la riconosciuta razionalità dell'ordine
trascendente e divino, che è di per sé bene assoluto. In questo modo l'operare
umano si fa etico ossia, secondo L., realmente politico, realizzandosi
concretamente nell'ordinamento giuridico e, così come nell'operare razionale si
concreta la vita morale, da questa si raggiunge l'armonia in cui consiste la
bellezza. Altri saggi: “Lo spirito – l’ispirante” (Firenze), Kant, Milano, “La
polizia di Platone e gl’uomini”, Milano, “Filosofi italici d’eta antica” (Firenze);
La filosofia, Firenze); “Il bene per il bene” (Firenze); “Il regno di fini” (Firenze);
Scritti storici e pensieri sulla storia, Padova; Piovani (Torino); Piovani, Tra
etica e storia, Napoli); Martano, L'esperienza speculative, in «Filosofia», Calò,
Il pensiero, Napoli, Calò, Studi e testimonianze, Matera, Dizionario biografico
degli Italiani, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani. Grice: “Lamanna was concerned
about the idea of the state, which is not an easy thing. More specifically, the
concept of the ITALIAN state. In his history of philosophy for ‘i licei
classici’, he rewrote his Manuale di filosofia into a ‘Sommario’. – The history
goes smoothly up to Kant. The third volume is about MUSSOLINI. He is the only
philosopher he cares to capitalize. He also capitalizes fascism into FASCISMO,
which is odd seeing that his main source is Mussolini’s own entry for
‘fascismo’ in the Treccani which does not give it such a status. The third
volume is ITALO-CENTRIC, from VICO onwards, FARLINGIERI, and notably GENTILE to
end with MUSSOLINI. The idea is presented by L. as a ‘riconstruzione dello
stato’ – we are talking of the ‘stato moderno’ – il stato liberale borghese is
in ruins – and although he plays with the ‘socialist state’ he does not
consider it within the realm of the proper history of philosophy when he talks
of French illuminism. So his concern is wht the idea of the state in the
liberal party – the philosophy of the laissez-faire. It provides NEGATIVE
freedom. Freedom from the other. And there is competition. Also, as he notes,
liberalism lies in that the ‘condizioni iniziali’ are hardly ‘equal’ for every
member of society, so that liberalism only pays lip service to ‘liberale’. With
the socialist state, the problem is the opposite: the state becomes a gestore –
and there is this idea of an endless dialectic among the classes. So how does
Mussolini reconstruct all this. He calls it ‘stato fascista’ – Had L. continued
from Kant to Fichte and Hegel, the student would be more prepared! Mussolini’s
idea of the state is Hegel’s – it is the NAZIONE-STATO. While Mussolini speaks
of the ‘individui’ of this nazione, he means the Italians (not the Jews, etc.).
SO this NAZIONE however, is MORE than the sum of its individui. Individui come
and go – but the state remains. The state becomes governo. Mussolini’s prose is
machist and homosocial, and Lamanna has to lower down the rhetoric, but nothing
is said about Germany. It is ITALY which is seen as proposing this new or novel
idea of the state (after la rivoluzione fascista) with a Kantian approach.
Since L. has only read Kant seriously, he applies Kantian categories here:
Mussolini’s fascist state gives each individual POSITIVE freedom – to be a
slave to the CAPO or Duce who ‘knows’ how to command. L. quotes from CICERONE
to the effect that it is obeying the law that makes us free. The emphasis is
constantly on the azione or prassi, which is understandable since the pupils
are supposed to learn about philosophy. So where is the dotttina? Mussolini is
candid about this. When ‘I all started it’ I did not know where I was going. It
was the ANTI-PARTY movement --. L. provides the editorial. During the
ventennio, this action, which is the INSTINCTIVE FORCE OF THE SPIRIT OF THE
NATION, becomes legalistic, a party is formed, and indeed a government
(polizia, politeia) established. But Mussolini accepts castes in society. Even
the religion, a civil religion, is subdued and one can very well be allowed to
worthip the God of the Heroes. It is an ‘etica guerriera’ and it targets the male
– virtu, andreia. Being commanded by one know knows is a privilege. Ths is
interesting because this is conceived after the temporary successes in Africa –
Mussolini romano e africano – and before the problems of the second world war.
For the first time, Italians FEEL they are part of a NATION. The seeds are in
the Risorgimento, but this got stuck with a liberal kind of state, which only
provides negative freedom, anyway, and where the initial conditions are unequal. Lo stato fascista does not play with
parlamentarism, so Congress is closed, and the only party is the national
party. Jews are excluded from PUBLIC service -- even if some wrote panegirici
for fascism, like Mondolfo. The philosophical foundations are found in Hegel.
If Hegel concentrated all in the Kaiser of Prussia, Mussolini does so with
himself. GENTILE did not really help, although he was the official voice of
fascist philosophy --. The student of philosophy then is taught the lessons of
history (philosophy is IDENTIFIED with its history) and indoctrinated in the
final stages into a particular IDEOLOGY. The tone is catechistic, and there is
no idea of dissent. L. however emphasises that the stato fascista still
recognizes the indidivuality and the personality of each member – as the stato
comunista or socialista would not!” IL REALISMO PSICOLOGISTICO NELLA NUOVA
FILOSOFIA ITALIANA. Sarlo, nato nel 1864 in un paesello della Basilicata (San
Chirico Raparo), venne alla filosofia dalla medicina. E ve Io condusse intima
vocazione, oltre, e più, che esterna vicenda di casi. Già durante gli studi
universitari, a Napoli, si compiaceva di frequentare, con le lezioni della
Facoltà cui era iscritto, quelle di lettere e filosofia: e fu, tra l’altro,
uditore dello Spaventa negli ul¬ timi anni del suo insegnamento. La stessa sua
prima pubblicazione — un volumetto di Studi sul Darwinismo, ch’egli scrisse
ancor giova¬ netto nel 1887 — attesta la tendenza di lui a studiare, anche nel
cam¬ po delle scienze biologiche, le questioni più generali, quelle che sono
poi stimolo e offrono motivi alla speculazione filosofica. Questa tendenza
divenne in lui sempre più consapevole durante gli anni che passò, come medico,
nel Manicomio di Reggio Emilia, dove compì ricerche psichiatriche che,
mettendolo a contatto più diretto con i problemi dell’anima, determinarono il
suo passaggio alla psi¬ cologia e alla filosofia. In questo campo non ebbe
maestri: fu un autodidatta: dovette cercar da sè, come a tentoni, la sua
strada, ed era naturale che la trovasse solo attraverso deviazioni, incertezze,
ritorni. La sua edu¬ cazione naturalistica e l’influenza dell’ambiente
culturale del tempo, impregnato di positivismo, lo portarono dapprima a seguire
questo indirizzo di pensiero: e in uno degii organi della filosofia positivi¬
stica, la Rivista dell’Angiulli, egli fece le sue prime armi. Ma non tardò ad
allontanarsi dal positivismo, a mano a mano che venne ac - quistando coscienza
delle deficienze di quella dottrina cosi in or¬ dine all’interpretazione del
fatto conoscitivo come in ordine alla fon¬ dazione della moralità e religiosità
umana: deficienze, che illustrò poi in quelle Note sul positivismo
contemporaneo in Italia, pubbli¬ cate in appendice agli « Studi sulla Filosofia
contemporanea » nel 1901, una delle critiche più penetranti e conclusive che
della gno¬ seologia positivistica siano state fatte in Italia. La sua coscienza
filosofica si venne formando nel decennio 1890- 1900. Concorsero a questa
formazione lo studio del Rosmini, i rapporti personali o spirituali con alcuni
dei più cospicui rappresentanti ita¬ liani dello spiritualismo e del
neo-criticismo, come Luigi Ferri, Filippo Masci e, in particolare, Francesco
Bonatelli, e, più specialmente, lo studio diretto delle correnti più
significative del pensiero filosofico e psicologico contemporaneo, segnatamente
inglese e tedesco, alcune delle quali egli per primo, o tra i primi, fece
conoscere in Italia. E di questa sua attività furono frutto due saggi
rosminiani: La lo¬ gica di A. Rosmini e i problemi della logica moderna e Le
basi della psicologia e della biologia secondo A. Rosmini considerate in
rapporto ai risultati della scienza moderna (Roma, 1893) — poi ri¬ fusi in
altri lavori — ; due volumi di Saggi filosofici (Torino, Clau- sen, 1896) —
posteriormente anch’essi rielaborati e rifusi —; studi su autori stranieri
sparsi in varie riviste, alcuni dei quali furono poi, con altri di epoca
posteriore, raccolti nel volume Filosofi del tempo nostro (Firenze, La «
Cultura Filosofica» editrice, 1916); saggi di psicologia; il volume Metafisica,
Scienza e Moralità (Roma, Balbi, 1898), e il volume già ricordato Studi sulla
Filosofia contemporanea : La Filosofia scientifica (Roma, Loescher, 1901).
L’esigenza che si rivela come fondamentale in questi studi del De Sarlo, è
quella di mostrare le vie per le quali le scienze positive, e più
particolarmente quelle naturali, sboccano, per una necessità imposta dalla
logica a loro immanente, in una concezione filosofica nella quale il
naturalismo è superato, cosi per il riconoscimento dei poteri originari e
irriducibili dello spirito quale soggetto conoscente e quale persona morale,
come per il coronamento del sapere filo¬ sofico in un’interpretazione teistica
della realtà universale; mentre, dall’altro lato, la filosofia stessa, come
sistemazione e critica del sa¬ pere, riceve dalle scienze particolari continuo
alimento e stimolo. E la necessità di questo connubio fecondo, nella loro
reciproca azione, della scienza e della filosofia, è rimasta come uno dei
motivi prin¬ cipali del pensiero del De Sarlo, anche quando, nel periodo di
pie¬ na maturità della sua attività di studioso, ha tratto i principii del suo
filosofare non più dal neo-criticismo, di cui si sente l’influsso neghi scritti
sinora citati, ma dallo sperimentalismo inglese — da Locke a Mill —;
dall’intuizionismo della scuola scozzese — specie per il rilievo costantemente
dato agli assiomi così gnoseologici come etici, costitutivi dello spirito
umano, e apprensibili con evidenza immediata nell’esperienza interna e infine
dal realismo dell’Her- bart e del Lotze. Conseguita nel 1894 la libera docenza
in filosofia presso l'Uni¬ versità di Roma, insegnò questa disciplina nei licei
di Benevento, di Torino, di Roma, fino al 1900, quando ottenne per concorso la
cattedra di filosofia teoretica all’Istituto di Studi Superiori di Fi¬ renze,
cattedra ch’egli ha tenuto e tiene ancor oggi con l’autorità e l’efficacia di
un Maestro. Presso lo stesso Istituto Superiore fondò nel 1903 un Gabinetto di
Psicologia Sperimentale, il primo del ge¬ nere in Italia, e che è rimasto anche
oggi il più ricco di apparec¬ chi: molte e importanti ricerche vi sono state
compiute sotto la sua direzione, sebbene, in questi ultimi anni, la
potenzialità scientifica- mente produttiva del Gabinetto sia stata assai
ridotta per le con¬ dizioni materiali veramente miserevoli nelle quali si è
venuto a tro¬ vare. Dal 1907 al 1917 il De Sarlo ha diretto la Cultura
Filosofica, una Rivista che ebbe un programma ben definito e, specie nei pri¬
mi anni, fu vivacemente battagliera cosi contro il positivismo or¬ mai declinante,
come, e più, contro il risorgente idealismo. La sua operosità di studioso ha
dispiegato con assiduità e intensità instan¬ cabile nel campo della psicologia,
dell’etica, della filosofia generale, pubblicando poderosi volumi, ai quali
specialmente noi ci riferiremo nella esposizione e caratterizzazione della sua
filosofia (1). (1) Il valore della sua opera ha avuto riconoscimento ufficiale
nel premio Reale per la filosofia, conferitogli nel 1920 dall’Accademia dei
Lincei, della quale egli è, dal 1921, socio nazionale. Elenchiamo qui le opere
principali del De Sarlo, escluse le prime già ci¬ tate che poi sono state
rifuse nelle successive: Metafisica Scienza e Moralità. Studi di Filosofia
morale. Roma, Balbi, 1898, 1 voi. di circa 250 pagg. in 8: [Contiene: Il
naturalismo — Il telismo — L’idealismo e la moralità — Il socialismo come
concezione filosofica — Vita morale e vita sociale]. Studi sulla Filosofia
contemporanea. — Prolegomeni : La « Filosofia scien¬ tifica ». — Roma,
Loescher. Sarlo d’ordinario è presentato come un teista e uno spiritualista.
Tale egli stesso ha sovente dichiarato esplicitamente [Contiene : Du
Boys-Reymond, Helmholtz, Darwin, Il positivismo contem¬ poraneo in Italia ]. I
dati dell’esperienza psichica. Firenze, Pubblicazioni del R. Istituto di Studi
Superiori, 1903, 1. voi. di pagg. 430 in-8. L’attività pratica e la coscienza
morale. Firenze, Seeber, 1907, 1 voi. di pagg. 250 in-16. Principii di Scienza
etica, con un’Appendice su La patologia mentale in rap- perto all’etica e al
diritto. Palermo, Sandron, [1907], 2 voi. di circa pagg. 500 in-16 (in
collaborazione con Q. Calò). II Pensiero Moderno. Palermo, Sandron, [1915], 1
voi. di pagg. 410 in-8. [Contiene: a) Tre studi che possiamo dire introduttivi
: La formazione della coscienza filosofica odierna — Uno sguardo alla filosofia
del sec. XIX — I compiti della filosofia nel momento presente. b) Altri tre
studi che costituiscono come la parte centrale del volume, la più vasta per il
contenuto che abbraccia e per l’esten¬ sione che ha: ! problemi gnoseologici
nella filosofia contemporanea — Lo psicologismo nelle sue principali forme — /
diritti della Metafisica, nel quale ultimo specialmente sono sottoposti a un
rapido e vi¬ goroso esame critico i principali indirizzi della filosofia contem¬
poranea. c) Altri quattro studi su particolari problemi o correnti filoso¬
fiche : Il significato filosofico dell'evoluzione [Filosofia e scienza dei
valori — Stillo spiritualismo odierno]. Filosofi del tempo nostro. Firenze, La
«Cultura Filosofica» editrice, 1916. [Contiene studi su Paulsen, Hodgson, Ward,
Bradley, Reitike, Hartmann, Zeller, Bonatelli]. Psicologia e Filosofìa. Studi e
ricerche. Firenze, La « Cultura Filosofica » edi¬ trice, 1918. 2. voi. di pagg.
1000 in-8. [Contiene: a) Alcuni studi di filosofia generale, importantissimi
per la comprensione della posizione del De Sarlo nel campo filo¬ sofico, e
della concezione dei rapporti tra filosofia e psicologia: Vecchia e nuova
Psicologia — La psicologia e le scienze normative — L’esperienza psichica —
L’individuo dal punto di vita psicologico — Il soggetto — La causalità psichica
— Sensazione e coscienza. b ) Due ampi studi di psicologia metafisica: Il
concetto dell'anima nella psicologia contemporanea — Idee metafisiche intorno
all’anima c ) Saggi contenenti la materia per un orgànico trattato sulle
funzioni psichiche : La classificazione dei fatti psichici — L’attività
conoscitiva — L’attività immaginativa Vita affettiva ed attività pratica, con i
quali saggi è strettamente connesso un amplissimq studio intorno a Le
determinazioni formali della vita psichica, e più particolarmente all'azione
dell’esercizio e dell'abitudine su tutte le funzioni fisiologiche e psichiche.
(Appartengono a questo gruppo altri saggi minori.- Sulla teoria somatica delle
emozioni — Sullo studio dei sentimenti nella psicologia inglese contemporanea -
Sulla perce¬ zione delle forme). d) Studi di psicologia fisiologica e
patologica: Cervello e at¬ tività psichica — L’attività psichica incosciente —
Sulla psicologia della suggestione — Le alterazioni della vita psichica — La
psicologia de¬ gli animali]. di essere. E tale, certo, egli si rivela nei suoi
scritti, dai più antichi ai più recenti. — Ma, è da aggiungere subito, non è
data così la caratteristica più saliente della sua figura di pensatore: sfugge
a quella designazione gran parte, e forse la più significativa, della sua opera
filosofica; viene, comunque, lasciata cosi nell’ombra quella con¬ cezione della
filosofia e del metodo di filosofare che, meglio d’ogni altro elemento, vale a
individuare la sua posizione personale nel movimento filosofico italiano
contemporaneo. Uno dei suoi primi lavori, anzi il primo veramente organico che
l’ulteriore sviluppo del suo pensiero abbia lasciato immune da quelle
rielaborazioni più o meno sostanziali cui, come abbiamo già detto, egli ha
sottoposto altri suoi scritti di quel tempo, voglio dire il vo¬ lume
Metafìsica, Scienza e Moralità, è tutto una riaffermazione dei princìpi
fondamentali della dottrina teistica cosi contro il naturalismo come contro
l’idealismo assoluto. La concezione di Dio quale Ra¬ gione che si esprime
continuamente ed eternamente nel mondo, e non come legge o ordinamento
astratto, bensì come soggetto concreto e vivente, è in quel libro svolta e
presentata come la sola concezione metafisico-religiosa, che, gravitando sulle
esigenze morali più pro¬ fonde della coscienza umana, sulla considerazione del
valore assoluto della persona, contenga di queste esigenze il riconoscimento e
la giustificazione più piena, e fornisca per ciò stesso il principio di quella
sistematica unificazione di tutta la realtà, a cui la mente umana tende per sua
natura, e in cui possono essere inverate le partico¬ lari connessioni di
frammenti di realtà che le scienze della natura stabiliscono mediante le serie
causali dei fenomeni. E tra gli scritti meno antichi, due saggi, dei più
elaborati e ricchi d’idee, I diritti della Metafìsica (nel volume « Pensiero
Mo¬ derno ») e Idee metafìsiche intorno all’anima (nel II voi. di « Psicolo¬
gia e Filosofia »), giungono, attraverso l’analisi dei concetti di causa e di
sostanza, alle medesime conclusioni teistico-spiritualistiche in¬ torno a Dio e
all’anima umana. Dio è la Causa prima, la causa che non è effetto, postulata
qual condizione essenziale della compren¬ sibilità di qualsiasi fatto
particolare in quanto anello di una serie causale: causa la quale non può esser
concepita, se non come ana¬ loga alla sola causa vera a noi nota, che è la
nostra stessa volontà in quanto libera, in quanto costitutiva d’un cominciamento
assoluto; non può quindi esser concepita se non come volere essa stessa, e
quindi come causa finale. E Dio è la Sostanza Assoluta. l’Essere nel quale
trova compiuto soddisfacimento l’esigenza del pensiero a cui risponde il
concetto 126 E. PAOLO LAMANNA di sostanza: che è il concetto di essere che non
è in altro nè per altro, ma è essere per sè, condizione e presupposto di ogni
altra de¬ terminazione, principio e unità reale di ogni molteplicità. E anche
per questo rispetto esso non può venir concepito se non in analo¬ gia con
quella che è per noi l’espressione più immediata e genui¬ na della
sostanzialità, ossia la coscienza, che è appunto esistenza per sè, l’io che è
immediatamente percepito come principio unico di una molteplicità di funzioni e
di atti, in cui manifesta la sua realtà. E le sostanze finite possono anche
esser considerate come pen¬ sieri di Dio, e quindi come atti di quest’Essere
per sè per eccel¬ lenza, purché però l’atto e la funzione di Dio siano intesi
come tali che il termine di essi abbia un essere almeno parzialmente indipen¬
dente e sia fornito della capacità di esistere per sè, di spontaneità e di
libertà. Appunto queste proprietà degli esseri finiti rileva e illustra il De
S. nel tentativo di determinare cosi l’origine come il destino delle anime.
L’origine dell’anima la quale implica, per un lato, la produzione di qualcosa
di nuovo e, per l’altro, la conformità a un ordine di leggi immutabile, può,
secondo il De S., esser posta in rapporto con l’azione divina, purché questa
s’intenda appunto come sostrato reale in cui ha il suo sostegno
quell’ordinamento di leggi, per il quale, in date condizioni, nuovi fatti
accadono o nuovi fini e valori vengono realizzati. E poiché quelPordinamento è
eterno, anche delle anime può dirsi che esistono ab aeterno, come princi¬ pi
potenziali, i quali aspettano che i destini si maturino per poter divenire
attuali. E una volta divenuti attuali, i centri reali di vita e di coscienza
sono, secondo il De S-, indistruttibili, appunto in forza del pregio intrinseco
che essi posseggono come sostanze: onde l'affermazione dell’immortalità di
tutte le anime. * • * 3. — È innegabile, dunque, che del problema metafisico
per eccellenza il De S. presenta costantemente una soluzione conforme, nei suoi
principii fondamentali, al teismo e spiritualismo tradizionale. Ma bisogna
subito aggiungere che nella trattazione di questo pro¬ blema della realtà egli
è sempre consapevole del carattere mera¬ mente congetturale di quella
soluzione, quantunque questa gli sem¬ bri meno inadatta delle altre a dare dei
fatti e della realtà cono¬ scibile una certa quale interpretazione sistematica.
Egli non si na¬ sconde mai le oscurità che si oppongono alla piena
intelligibilità dell’Assoluto: non dissimula le antinomie tra le quali la
ragione umana si dibatte ogni volta che pretende di dare della realtà ul¬ tima
una definizione esauriente. E’ troppo persuaso dello scarso va¬ lore
dimostrativo che possono avere le analogie in base alle quali noi trasportiamo
dal finito all’infinito o estendiamo da una ad al¬ tra sfera di realtà i nostri
concetti, perchè si possa credere che egli s’illuda sulla portata effettiva di
quelle ipotesi, anche se l’intimo con¬ vincimento suo della preferibilità di
quelle ad altre ipotesi dia ta¬ lora alla sua trattazione un tono che può
parere alquanto dommatico. Le riserve prudenziali che spesso interrompono la
sua trattazione di tali problemi potrebbero anzi indurre a ritenere ch’egli sia
in fondo un agnostico in fatto di metafisica: ed egli non disdegnerebbe certo
questo epiteto, se per agnosticismo s’intende la persuasione che il mistero
dell’universo è e rimarrà ineluttabilmente un mistero per la mente umana.
Agnosticismo, che ben si concilia in lui con la fede — questa, si, veramente
dommatica nel senso migliore delia parola con la fede sulla validità assoluta
dei princìpi razionali, con l’affermazione che nel fondo della realtà è la
Ragione : si con¬ cilia, perchè, data appunto l’ind'pendenza relativa delle
coscienze finite dall’Essere assoluto di Dio, possono da ognuna di quelle
essere colti soltanto frammenti della razionalità in cui questo si rivela co¬
me immanente all'universo. È uno dei caconi della maniera di filosofare del De
S. questo, che l’esigenza dell’unità, la quale è essenziale alla ragione e si
esprime nel suo grado più alto nella posizione del problema metafisico, non può
e non deve essere sodisfatta con l’eliminazione delle differenze che la realtà
presenti e la ragione stessa riconosca come irriduci¬ bili, anche se non riesca
poi facile o possibile alla mente umana stabilire come questa molteplicità
irreduttibile possa esser ricon¬ dotta o comunque messa in relazione con quel
principio reale di unità assoluta che è Dio. Cito due esempi caratteristici,
relativi al concetto fondamentale di sostanza. Della sostanza, come s’è visto,
noi abbiamo, secondo il D. S., una conoscenza immediata nell’apprensione del
nostro io, in quanto questo è un essere per sè e si manifesta nei fatti psi¬
chici come in atti suoi, senza esaurirsi in nessuno di essi. Da ciò parrebbe
lecito dedurre che il mondo sia costituito di sostanze omogenee, ossia di
esseri che siano per sè come unità di coscienza, anche se tra le varie sostanze
si debba stabilire una differenza di grado: parrebbe cioè giustificato il
monismo spiritualistico. Invece il De S. dedica due saggi ad una critica
stringente di questa soluzione del problema metafisico, che pur parrebbe la più
conforme ai suoi supposti spiritualistici (// monismo psichico e Sullo
spiritualismo odierno, nel volume « Pensiero Moderno »). È vero, egli dice, che
tutto ciò che esiste, per il fatto che esiste, agisce in una data maniera, e
noi non possiamo rappresentarci codesta attività che facendo uso di nozioni
attinte alla nostra esperienza intima, e che quindi in ultimo siamo sempre
spinti a identificare l’esistenza con una forma, per quanto attenuata, di
psichicità. Ma l’analogia non deve far per¬ dere di vista le profonde
differenze esistenti se non altro tra il modo di comportarsi degli obietti e
fatti costituenti la natura esterna e quello degli esseri e processi psichici.
Anzi, per il De S., a rigore non basterebbe opporre al monismo, sia esso
materialistico o immaterialistico, il dualismo : sarebbe più logico parlare di
pluralismo senza aggettivi, esprimente una pluralità di energie e di attività
tanto differenti tra loro,' che a rigore non possono essere accomu¬ nate nè
sotto la rubrica spirito né sotto qualsiasi altra rubrica. Come e perchè esista
quel dato numero di principii, cornee perchè esistano quelli e non altri, non è
possibile dire: è un fatto che va constatato, e non si può e non si deve
spiegare; come vanno indagate, constatate e descritte le varie maniere di agire
e reagire reciproca¬ mente di questi vari esseri, ma non si può presumere di
spiegare, nel vero senso della parola, come e perchè si stabilisca la con¬
nessione reciproca di tali esseri che sono esistenti per sè, sebbene nelle
maniere speciali di agire e reagire essi affermino e rivelino la loro
esistenza. Ma vi ha di più: la sostanza vivente e, più in particolare, la
sostanza psichica esiste ed agisce in quanto si sviluppa. Ora uno dei saggi più
penetranti del De S. (Il significato filosofico dell'evo¬ luzione, nel volume «
Il Pensiero moderno ») è dedicato all’analisi del concetto di evoluzione, ed è
uno dei più significativi per dimostrare come nella concezione metafisica del
De S. si conciliino un tempe¬ rato razionalismo e un prudente agnosticismo. Il
concetto di evo¬ luzione, lungi dall’essere — come vuole, ad es., l’hegelismo —
un principio esplicativo, e lungi dal dare un’espressione compiuta della realtà
ultima, ha bisogno esso stesso di venir reso intelligibile. E l’analisi critica
di tal concetto rivela la presenza in esso di vere e proprie contradizioni, che
non possono essere eliminate se non considerando lo sviluppo non già come il
prius della realtà, ma come qualcosa di accessorio e di secondario. Il processo
evolutivo, mentre implica necessariamente il tempo, esige l’illusorietà del
tempo; mentre vuol essere creazione, implica già la preesistenza del termine a
cui arriva; si può leggere in esso, almeno post factum, la rispon¬ denza a un
ordine razionale, ma chi dice razionalità, dice estra- temporaneità. Ogni
evoluzione implica dunque qualcosa di assoluto, di perfetto, di stabile, che rappresenta
il principio vero dell’evolu¬ zione. Ecco il risultato, positivo, certo, cui
conduce l’analisi del concetto di evoluzione: ma è una certezza che fa sorgere
nuovi interrogativi: allora, ci si domanda, come e perchè i reali concreti e
finiti sono cosi fatti da dover attuare i fini solo mediante il pro¬ cesso
evolutivo, come e perchè l’ordine si realizza per gradi e attra¬ verso lo
sviluppo? Il che equivale a domandarsi come e perchè esistano esseri finiti che
si trovano con l’assoluto in quegli speciali rapporti. E a questi interrogativi
non è possibile rispondere: ed ecco come, conclude il De S., l’evoluzione è un
aspetto del « my- sterium magnurn » della realtà. Il problema dell’evoluzione
reale conduce al problema del tempo, e come questo resulta dalla con¬ nessione
del flusso con la permanenza, della successione con la durata, così
l’evoluzione poggia sul rapporto del divenire o variare con ciò che è
immutabile, permanente e eterno. * * * 4. — Compito df;fa filosofia, dunque, di
fronte al problema più propriamente metafisico sembrerebbe essere, per il De
S., quello di rendere chiare e in un certo senso acuire e dimostrare
insuperabili, piuttosto che superare, le difficoltà che quel problema offre
alla mente umana; di illuminare i limiti di essa, piuttosto che additarle un
varco alla conoscenza piena dell’Assoluto. Ma non è questo, per il De S.,
l’unico compito della filosofia: o meglio, per assolvere questo stesso compito,
per condurre la mer*e umana appunto a queste posizioni che sono al margine del mistero,
a queste che possono dirsi frontiere della conoscenza umana, e per dimostrare
che sono frontiere invalicabili, la filosofia deve, secondo il De S.,
percorrere il dominio stesso che innanzi alla conoscenza si stende, di qua da
quelle frontiere: ed è il dominio dell’esperieza nel senso più pieno e più
ampio di questa parola. Prima della « Dialettica trascendentale » e quindi
prima della Critica della Ra¬ gion pratica con i suoi postulati, vi è e vi deve
essere una « Estetica » e una «Analitica», per servirci della terminologia
usata da Kant, a designare un atteggiamento di pensiero analogo, per questo
rispetto, a quello criticistico, anche se, come vedremo, muova da supposti e
segua un. procedimento e giunga a risultati profonda¬ mente diversi. L’attività
filosofica del De S. ha avuto sempre, sin dalle sue prime manifestazioni,
un’impronta di positività, disdegnosa di ogni audacia speculativa, derivante
così dalla tempra del suo spirito come dalla sua educazione scientifica, oltre
che dal convincimento del valore nullo di ogni concezione che non sia un
portato neces¬ sario della critica della conoscenza positiva e non abbia quindi
una larga base empirica. Ma questo convincimento, si può dire, si è venuto in
lui sempre più radicando col maturarsi del suo pensiero, sino a divenire il
motivo fondamentale sempre più insistente del suo filosofare; sì che con questa
designazione appunto di filosofia del¬ l'esperienza egli ama contrassegnare la
sua dottrina e il suo metodo, in recisa opposizione alla speculazione
idealistica dei neo hegeliani, che si è andata sempre più affermando in Italia.
Si direbbe che il diffondersi di quell’antiempirismo dialettico ch’egli
considera un vero « contagio » delle menti, l’abbia indotto ad accentuare
sempre più la necessità di ricorrere a cautele immunizzatrici, in un contatto
sempre più stretto, e più esclusivo, della filosofia col sapere empi¬ rico; di
ricondurre la filosofia, come in rifugio sicuro, in quei con¬ fini entro i
quali essa possa mantenere il carattere di scienza, es¬ sere, ai pari delle
altre scienze, un prodotto dei processi logici comuni della mente umana,
anziché l’espressione — mistica o lirica che sia, notevole quanto si voglia per
novità e originalità, ma non suscettibile d’una dimostrazione razionale — l’espressione,
dicevo, di una coscienza e quasi d’un temperamento individuale traverso il
quale la realtà si rifranga. E inaugurando, nello scorso ottobre, l’ultimo
Congresso italiano di filosofia a Firenze, giunse alle affer¬ mazioni estreme
che le attuali condizioni della cultura filosofica in Italia esigono un più o
meno lungo periodo di astinenza dall’alta speculazione, e che non il problema
filosofico, quello metafisico intorno alla natura della realtà ultima e
assoluta, ina / problemi filosofici particolari, o meglio questi prima e con
più fiducia e anzi con più sicurezza di successo che quello, e come condizione
per la stessa impostazione non che per ogni tentativo di soluzione di quello,
meritano di essere oggetto dell’indagine filosofica. Ma con ciò, si può
osservare, non è stato sacrificato proprio quello che è il carattere distintivo
del sapere filosofico rispetto alle scienze particolari, e che è appunto la
determinazione della relazione dei distinti, il riferimento della molteplicità
delle distinzioni a un prin¬ cipio unitario? Il De S. risponde che la filosofia
è aspirazione alla unità dell’Essere, senza che perciò il filosofo debba
trasformarsi in un allucinato dell’unità. La varietà e la inconciliabilità dei
tentativi compiuti nella storia della filosofia per unificare i reali e-le
conoscen¬ ze e per dedurre la complessità dei fatti da un unico principio, sta
a dimostrare, secondo lui, che all’unificazione si giunge colmando con
l’immaginazione le lacune della conoscenza certa e dimostra¬ bile. Gli si può
replicare con l’obiezione consueta, che la vanità di quei tentativi risulta
dall’aver cercato la unità nell’oggetto invece che nel soggetto, nella natura
(o in Dio, che è lo stesso) invece che nello Spirito. Ma il De S. ribatte che
anzi appunto attraverso quel riferimento degli oggetti al soggetto conoscente,
appunto at¬ traverso quella unificazione, diremmo, metodologica e gnoseologica,
di tutto il reale nell’io — che è propria del sapere filosofico —, si rivela la
irriducibilità, diremo, ontologica degli oggetti e dei valori. Infatti, per il
De S., se da un lato la filosofia non può non scindersi in una molteplicità di
discipline, fondate su principii irriducibili (essere e valere, p. es.),
dall’altro lato queste hanno ca¬ ratteri comuni, che valgano a fare di esse
appunto un unico gruppo, quello delle disciplini; filosofiche. E questi
caratteri comuni sono: I) determinazione dei concetti universali, attraverso i
quali la realtà può essere razionalizzata; 2) riferimento di tutta la realtà
allo spi¬ rito del soggetto, in cui e per cui l’esperienza in ogni sua forma si
costituisce. Due caratteri, questi, che sono per il De S. stret¬ tamente uniti
e come interdipendenti: perchè le idee universali — ossia le nozioni
metafisiche fondamentali — intanto assurgono a quel grado di fecondità per cui
rappresentano i mezzi di raziona¬ lizzazione della realtà, in quanto o sono il
risultato della giustii.jata estensione a tutta la realtà di concetti che
abbiamo direttamente appreso nella coscienza (sostanza, fine, causa), ovvero
sono il prodotto della riflessione sui modi in cui la realtà diviene intelli¬
gibile e acquista consistenza nella mente umana. Lo spirito, in quanto termine
comune di riferimento di tutti gli elementi e fatti della realtà, viene ad
occupare una posizione centrale nel mondo, e la psicologia, come scienza dello
spirito, costituisce il terreno di incontro delle diverse discipline
filosofiche. Si è detto, la psicologia come scienza dello spirito : e di questa
determinazione v’è bisogno per non cadere nei facili equivoci cui può dar luogo
la parola psicologia o psicologismo. Già nei 1903, nel suo poderoso volume I
dati dell'esperienza psichica, il De S. insisteva sulla profonda differenza
esistente tra la psicologia come scienza empirica e la psicologia coinè scienza
filosofica. La prima, quale si è venuta costituendo negli ultimi decenni,
studia l’anima umana come un « obietto» tra gli altri obietti della natura, ha
aspetto e procedimento di una scienza naturale e non mira che alla spiega¬
zione causale dei fenomeni. Per essa la vita psichica è un complesso di « stati
» di coscienza: i quali, sì, implicano tutti una certa coscienza dell’io (in
maniera che per il De S. non è possibile una psicologia « senz’anima », anche
se sia psicologia empirica): ma il soggetto non è còlto, da questa, in
funzione, ossia nella sua attività tendente a determinati scopi. Si tratta di
una considerazione statico di dati, a cui il concetto di atto è necessariamente
estraneo; di una consi¬ derazione che tende a fissare i rapporti condizionali
dei vari ordini di stati psichici e a ridurre il complesso al semplice. La
psicologia empirica deve quindi limitarsi all’«analisi morfologica» della co¬
scienza, escludente qualunque funzionalità e quindi qualunque dina¬ mismo. Ora
« lo spirito — dice il De Sarlo (p. 412) — non è una cosa tra le altre cose, ma
è il mezzo di rivelazione della realtà. Come tale lo spirito è universale:
universalizza sè stesso nelle sue funzioni ed universalizza per ciò stesso
l’obietto a cui è rivolta la sua atti¬ vità ». Ecco perchè lo spirito può
considerarsi come in una posizione centrale rispetto a tutte le cose: e la
scienza che lo studia, ossia la psicologia come “ fisiologia „ dello spirito, è
necessariamente scienza filosofica. Nella considerazione funzionale dello
spirito s’im¬ pone il concetto di valore e quindi di fine. Le funzioni dello
spirito mercè i loro atti oggettivano i dati e stati soggettivi; perchè sono
determinazioni che qualificano, sì, il soggettò, ma lo qualificano in rapporto
all’oggetto, e danno quindi luogo a ciò che è universal¬ mente valido, a quelli
che sono i valori oggettivi. La verità, il bene, il bello non sono dei dati o
dei fatti: sono degl’ideali, sono appunto valori, distinti da ogni altro valore
unicamente soggettivo per que¬ sto carattere, che sono forniti di una speciale
necessità che è la necessitàdi diritto ben diversa dalla necessità di fatto
degli stati psichici. Quest’ultima denota soltanto che uno stato è
inevitabilmente determinato, nella sua insorgenza, da certe condizioni, una
volta che queste siano date, cioè siano determinate da altre condizioni, e così
via; denota cioè che uno stato o un fatto psichico ha sempre la sua ragione
d’essere in altro. Ma è indifferente al valore di quello stesso stato o fatto,
se per valore s’intende ciò che ha la ragion d’essere in sè e non in altro
ossia un valore incondizionato e assoluto, ciò che deve essere anche se le
condizioni dell’essere non sussistano e quindi la realtà non sia ad esso
adeguata. La necessità psico¬ logica abbraccia indifferentemente nella sua
spiegazione così il valore come il disvalore, così il vero, il bello, il bene,
come l’errore, il brutto, il male. Una tale distinzione di valore, come
distinzione obiet¬ tiva e universale, non si può avere se non mediante il
riferimento alle leggi costitutive delle funzioni originarie ed essenziali
dello spirito, leggi non meccaniche, superiori anzi al meccanismo psichico,
perchè essenzialmente teleologiche, indicanti cioè la maniera in cui quelle
funzioni agiscono ogni volta che raggiungono il termine che è costi¬ tutivo
della loro natura spirituale, leggi rivelanti la loro natura attra¬ verso una
forma di evidenza che è indizio della loro necessità e universalità. Le leggi
logiche e gnoseologiche definiscono la natura del pensiero, le leggi etiche
quelle della volontà, le leggi estetiche quelle della fantasia. Sono principii
o assiomi i quali significano che il pensiero, il volere e la fantasia in tanto
meritano veramente questo nome e in tanto raggiungiamo il termine che ad esse è
proprio, in quanto si esplicano nel senso indicato da quelle leggi piuttosto
che in altro senso. La distinzione tra psicologia empirica, come scienza
dell’anima — morfologica, naturalistica e la psicologia come scienza dello
spirito — funzionale e filosofica, così nettamente affermata dal De S.
nell’opera su citata del 1903, è forse stata successivamente attenuata in altri
scritti, nel senso che, a suo giudizio, la conoscenza del meccanismo psichico
risulta utile alla determinazione dei modi in cui lo spirito si eleve al di
sopra di esso r e reciprocamente la conoscenza dei fini dello spirito è
indispensabile per l’apprensione esatta del meccanismo che serve di mezzo al
raggiungimento di t'°i. Ma l’attenuazione si riferisce ai rapporti tra le due
considerazioni dell’anima e non elimina con ciò la distinzione. E comunque il
De S. non ha mai cessato di differenziare net¬ tamente ed energicamente il suo
psicologismo da quello naturali¬ stico, che considera i valori dello spirito
come « o applicazioni di leggi psicologiche già operative in altre direzioni,
ovvero particolari, originarie manifestazioni dell’attività psichica, le quali
però attingono il loro significato dall’essere effetti necessari di certe cause
psichiche o risultati inevitabili di processi mentali naturali, e non già dal
ri¬ spondere a certi fini od esigenze valide anche se non mai realiz¬ zate». Si
leggano specialmente, in proposito, i saggi Lo psicologismo nelle sue
principali forme (nel voi. < Pensiero Moderno »), Vecchia e nuova
psicologia, La psicologia e le scienze normative, e La clas¬ sificazione dei
fatti psichici (nel I voi. di « Psicologia e Filosofia »). 134 E. PAOLO LAMANNA
* * * 6. — Lo psicologismo del De S. non è dunque naturalismo, ma non è neppure
immanentismo: offre anzi a lui il mezzo per affermare e dimostrare, contro ogni
forma d’idealismo immanentistico, il suo realismo gnoseologico. Se nella
determinazione di ciò che è l’essere e, in genere, di ciò che è oggetto di
conoscenza, il De S. ritiene di dovere attenersi ai criteri generali su esposti
del suo psicologismo, non è già perchè egli ritenga che la psiche e i processi
psichici costituiscano la stessa realtà, anzi lo stesso essere, ma è solo in
considerazione delle pre¬ rogative che, in ordine alla conoscenza, sono proprie
dell’esperienza psichica di fronte ad ogni altra forma di esperienza. E queste
pre¬ rogative sono due: 1) innanzi tutto la così detta esperienza estèrna si
rivela e acquista consistenza sempre attraverso l'interna, perchè ciò che è
direttamente percepito, anche in quelli che sono comune¬ mente detti oggetti
esterni, è sempre il contenuto d’un atto psichico; l’esperienza interna
presenta la nota dell’evidenza (evidenza di fatto) derivante dalla coincidenza
del percepire col percepito; e perciò l’esperienza psichica rappresenta il vero
fondamento per la consta¬ tazione di qualunque esistenza reale, e quindi di
ogni sapere em¬ pirico. 2) In secondo luogo, l’esperienza psichica è il solo
tra¬ mite attraverso il quale tutto ciò che è (reale o pensabile che sia),
l’essere in generale ci si può rivelare. L’io distinguendosi da tutta la realtà
traspare a sè medesimo, e insieme tutta la realtà diviene trasparente
attraverso di esso. Nulla esiste che sia propriamente nell’io, tranne l’io
stesso, e insieme, in un certo senso, nulla di cui si può discorrere esiste al
di fuori dell’io, perchè la cosa, per essere affermata e riconosciuta, deve in
qualche maniera esser presente alla coscienza. In questo consiste ciò che si
può chiamare funzione rappresentativa della mente. Ma proprio da questo
carattere essenziale alla mente il De S. deriva la necessità di affermare la
trascendenza dell’oggetto rispetto alla mente che lo afferma e lo pone. Noi,
egli dice, arriviamo, è vero, al concetto di essere e di obietto solo mediante
la riflessione sull’atto di riconoscimento: ma questo in tanto è tale, in
quanto è provocato da qualcosa di diverso da sè. La mente, non contenendo la
realtà come tale, nè identificandosi con essa, non può giungervi se non
attraverso qualcosa che rappresenti o sostituisca la realtà medesima. Le
rappresentazioni mentali forniscono i segni in base a cui l’intelletto
costituisce la realtà. La realtà, si può anche dire IL REALISMO PS1COLOOISTICO
135 che sia « percipi « e « intelligi », purché con ciò non si voglia signi¬
ficare che l’essere si esaurisca nel fatto di essere percepito e inteso, ma
solo che non si ha modo di definire quest’essere prescindendo dalle sue
rivelazioni nella coscienza individuale. La conoscenza vale sempre per altro,
si riferisce sempre ad altro. Non che si tratti di una specie di corrispondenza
tra l’obietto trascendente e la rappresentazione mentale — come grossolanamente
si ritiene da molti critici di tale concezione —, quasi fosse am¬ missibile
un’apprensione dell’oggetto qual’è in sé al di fuori della coscienza e quindi
un confronto tra la Cosa e 1 idea- L affermazione della trascendenza è imposta
dal bisogno di dare un senso alla funzione conoscitiva qual’è còlta in atto, al
fatto conoscitivo nel suo significato e nell’intendimento che lo anima. Certo,
per il De S., non si deve con Jiò pregiudicare la soluzione del problema
metafisico della costituzioile intima della realtà ultima. La metafisica può
anche giungere alla conclusione che la realtà, divelta da qualsiasi rapporto
con la coscienza, è un non senso, che tutto ciò che esiste, esiste in quanto è
connesso con una coscienza. Ma questo rapporto metafisico non può essere
identificato col rap¬ porto gnoseologico tra obbietto e coscienza in quanto
conoscente. La coscienza nel riferimento alla quale può farsi consistere la
realtà di tutto ciò che è, non è certo la coscienza individuale del soggetto
che conosce questa realtà e la conosce riferendola a sé come altro da sè: anche
quando si sia ridotta metafisicamente la realtà a coscienza, tale coscienza
rispetto al soggetto conoscente, a questo o quel soggetto, è sempre un reale,
un oggetto, è sempre appresa da esso come altro da sè. Il quale ultimo punto
non potrebbe essere negato se ì.'in di¬ mostrando che la distinzione delle
singole coscienze è illusoria e che i rapporti tra gli obietti costituenti
l’universo sono identici ai rapporti tra i fatti psichici di ciascuno. Questa
dimostrazione, per il De S., non può essere data: e ne vedremo il perchè, tra
poco, a pro¬ posito della natura del soggetto come reale. E, comunque, allo
stesso modo che la soluzione del problema gnoseologico non deve acco¬ gliersi
come tale da contenere o assorbire in sè la soluzione del pro¬ blema
metafisico, cosi questa — che, d’altronde, può essere solo punto d’arrivo
dell’indagine filosofica, e irta, come s’è già detto, di difficoltà e oscurità
d’c^ni sorta —, non può e non deve pre¬ giudicare la soluzione del problema
gnoseologico, sino a eliminare ciò che è costitutivo del fatto della conoscenza,
la dualità di sog¬ getto e oggetto. L’esperienza psichica — l’abbiamo già detto
— è, per il De S., costituita di atti : e perciò anche il pensiero è atto. Ma
chi dice atto, dice qualcosa che accade nel tempo, qualcosa che sorge e si
dilegua in un determinato punto della durata. E allora, secondo il De S., non
si può sfuggire a questo quesito: se tutta l’esperienza psichica si risolve in
un complesso di atti e se in conseguenza tutto ciò che può essere conosciuto
non lo può che attraverso atti, come é possibile arrivare al concetto di ciò
che non è atto, al concetto, poniamo, di una relazione universale e necessaria
tra idee, com'è possibile arrivare al concetto del mondo della pensabilità, che
esclude qualsiasi elemento di efficienza, di azione reale, e che non è nel
tempo? Appunto per rispondere a questo quesito, occorre negare l’immanenza o
l’inclusione dell’oggetto nell’atto psichico cor¬ rispondente. Mentre vi sono
contenuti di coscienza i quali si mol¬ tiplicano come si moltiplicano i centri
di coscienza, ve ne sono altri che, pur essendo in speciale rapporto con i
primi, rimangono unici e anzi non sono concepibili che come unici. E anche
quando agli obietti in quanto parvenze non è attribui¬ bile nessuna consistenza
reale, non è lecito affermare che essi si identifichino con gli atti stessi,
giacché anche in tali casi è sempre necessario presupporre ddle condizioni
indipendenti atte a provo¬ care l’esplicazione dell’attività psichica
riconosciuta poi come illusoria. L’esistenza di siffatte condizioni è un presupposto
ineliminabile : o l’attività psichica ch’esse hanno provocata è adeguata alle
condi¬ zioni medesime, e allora si è autorizzati a identificarle con obietti
reali, aventi un’esistenza indipendente; o tale esplicazione è ina¬ deguata, e
allora s’impone la necessità di ricercare quale forma di realtà e di esistenza
possa essere attribuita a quelle condizioni. * * * 7. — Ma come si può decidere
se vi sia o no adeguazione del¬ l’atto all’oggetto? Qui il De S. insiste sulla
distinzione tra i due ordini di oggetti conoscibili: gli obietti concreti e
individuali (con le loro qualità) da una parte, e gli elementi ideali o
intelligibili, dall’altra. L’esistenza è fornita sempre dall’esperienza: o è
dato sensoriale, o è dato della coscienza, e non può non occupare tempo ;
l’intelligibile, invece, è sempre formulabile per mezzo di un rapporto o di un
complesso di rapporti, ed è estraneo alle vicende del tempo. E il fondamento
della cognizione, in rapporto a questi due ordini di obietti, è da un lato la
percezione dei fatti psichici e di ciò che è relativo ad essi, e dall’altro la
conoscenza di certi principii e assiomi costituenti come l’ossatura della
ragione; da un lato, cioè, l’evidenza di fatto, fornita, come si è già
accennato, dalla di¬ retta esperienza che abbiamo di noi stessi, e, dall’altro,
la necessità razionale, qual’è còlta nei principii logici. Questa distinzipne,
però, non è da intendere, secondo il De S., nel senso che l’apprensione
dell’esistente e della sua qualità possa farsi indipendentemente dal pensiero
logico. Il fatto individuale non è caratterizzabile che mediante nozioni
universali; e 1 intelligibile, se può essere considerato per sè (astratto) solo
per opera della mente, è tanto intimamente connesso (consubstanziale) con
resistente, col puro fatto, che questo non può formare oggetto di conoscenza se
non per ciò che contiene di inttj ligibile. È il pensiero che deve in certo
modo investire di sè i dati'dell’esperienza psichica per og- gettivarli
affermandoli, facendone cioè termini di atti giudicativi, e trasformarli così
in reali conosciuti. Più in particolare, è il pensiero che fa di quella sfera
dell’espe¬ rienza psichica che è la sensibilità, il tramite di una realtà
trascen¬ dente la coscienza, e fa delle qualità sensoriali non soltanto
contenuti psichici — aventi la realtà stessa di altri contenuti psichici, come
sentimenti, volizioni ecc., aventi cioè resistenza che è propria degli stati o
atti di quel prototipo di realtà individuale che è l’io —, ma fenomeni d’una
realtà trascendente. Il pensiero pone e risolve il problema della realtà di un
correlato obiettivo delle q alità senso¬ riali, in quanto da un Iato queste non
sono meri contenuti di co¬ scienza o creazione del soggetto — come dimostrano
la coerenza e permanenza che presenta l’esperienza sensibile e le variazioni a
cui questa può andar soggetta indipendentemente da qualsiasi rap¬ porto con la
coscienza individuale — ; e dall’altro lato non sono cose in sè — come dimostra
la loro relatività alle condizioni subiet¬ tive, per cui è impossibile dire
chiaramente in che cosa consistano, per sè prese. D’onde risulta che esse hanno
una forma di esistenza speciale che è appunto l’essere proprio dei fenomeni.
Ora questo correlato obiettivo delle qualità sensoriali può essere raggiunto solo
per opera del pensiero e non è determinabile nei suoi tratti essen¬ ziali che
in base ai principii razionali. Il pensiero rappresenta, pertanto, il solo
mezzo per distinguere l’apparenza dalla realtà, anzi il solo mezzo per
attribuire un signi¬ ficato a tale distinzione. Le parvenze sensoriali, i puri
fenomeni e le forme intuitive dello spazio e del tempo non possono non essere
constatati, e quindi come pseudo-esistenze, non possono non 138 E PAOLO LAMANNA
divenire obietti di conoscenze immediate, nella forma di giudizi percettivi
(pensiero tetico, immediato, concreto). E quando i dati così affermati si
trovino in contrasto col sistema delle conoscenze or¬ ganizzate intorno ai
principii razionali, il pensiero medesimo è chia¬ mato a decidere in ultima istanza
su ciò che va affermato come reale e ciò che va riguardato come apparenza, è
chiamato a decidere in¬ torno all’obbiettivo e al subbiettivo. Se già
l’esistenza come tale esige, secondo il De S., l’intervento del pensiero
logico, s’intende che anche l’essenza del reale non possa, e con più forte
ragione, esser determinata che dal pensiero. Essa consiste in relazioni, nelle
quali la mente traduce ciò che dapprima è soltanto sperimentato e vissuto
(somiglianza e differenza, nesso di dipendenza, rapporti quantitativi, rapporti
di azione e passione, rapporti spaziali e temporali atti a fornire le
coordinate per l’indi¬ viduazione). L’intelligibile, distrigato dal reale per
mezzo dei processi intellettivi, finisce per assumere l’ufficio di segno
rispetto a ciò che è posto come indipendente dal soggetto e come sussistente. E
il progressivo sviluppo della conoscenza è determinato dal bisogno di fissare
ciò che nella realtà vi ha di conforme alla ragione e quindi di assimilabile da
essa mediante la traduzione della realtà stessa in rapporti razionali. La
credenza che l’obietto sia sempre risolubile in elementi intellettuali è il
presupposto e anzi l’anima di qualsiasi conoscenza. La realtà esistente,
dunque, non può essere posta che dal pen¬ siero in quanto giudizio tetico; e
non può essere conosciuta nella sua struttura se non nella misura in cui il
pensiero la traduce in un complesso di rapporti intelligibili. Ma — e con ciò
il De Sarlo riafferma il carattere nettamente realistico del suo razionalismo —
i termini di questi rapporti e il contenuto di quelle « tesi » non sono
risolvibili in pensiero.Vi è sempre distinzione, secondo il De S., tra lo
sperimentare e il pensare, nel senso che quello non è derivabile da questo,
anche se non possa divenire sperimentare «obiettivo », e quindi conoscere, che
per mezzo dell’attività del pensiero; vi è distinzione tra il pensiero come
oggetto di conoscenza, come pensa¬ bile o pensato, e il pensiero come attività
d’un soggetto, volta a raggiungere la verità — sia questa un dato di fatto o
un’i¬ dea —, come pensiero pensante. È questa la natura dei rapporti, il cui
complesso costituisce la pensabilità del reale: da un lato essi sono il
risultato di atti (riferi¬ mento) compiuti dal soggetto, sì che, come tali,
parrebbero immanenti a una mente e quindi il prodotto di un soggetto. Ma
dall’altra parte IL REALISMO PSICOLOGISTICO 139 non sono posti arbitrariamente;
sono, più che suggeriti, imposti da esigenze obiettive. Nè l’inlelligibiiità
dei rapporti viene ad essere facilitata dal riferimento di essi ad una Mente
universale. Con ciò i rapporti vengono consideratifcome creazione arbitraria di
tale Mente ? E allora ogni analogia di questa con la mente umana verrebbe ad
essere cancellata, e il ricorso ad essa diverrebbe inutile allo scopo. Vengono,
invece, i rapporti considerati come espressione di una neces¬ sità intrinseca
alla natura delle cose? E allora la Mente universale non è che il nome per
esprimere la coerenza logica, l'intelligibilità nel suo aspetto obiettivo;
i»/telligibilità che può condurre la mente ad ammettere un’Intelligenz.l!
assoluta, senza che però questa sia assunta a principio esplicativo della
razionalità: la razionalità vale per sè, indipendentemente dall’essere
insidente in una mente. Quel che noi possiamo dire, conclude in proposito il De
S. t è che i rap¬ porti, quali possono essere studiati dall’intelletto finito
individuale, suppongono obietti (termini) nella cui proprietà hanno il loro
fonda¬ mento, e che le relazioni, realizzate in questa o quella coscienza mediante
gli atti di riferimento, sono il riflesso delle relazioni obiettive. * * * 8. —
Il problema gnoseologico, s’è visto, non può, secondo il De S., essere
convenientemente trattato se non quando si tenga pre¬ sente che il soggetto a
cui, nel fatto conoscitiva, vien riferito l’oggetto, è il soggetto individuale;
e la soluzione réalistica ch’egli ha dato al problema potrebbe essere
compromessa esclusivamente nel caso che si fosse riusciti a dimostrare, in sede
metafisica, non solo che la realtà non può esser resa intelligibile che quando
sia considerata come il pensiero di una Mente Universale, ma anche che la
distin¬ zione delle coscienze individuali tra loro e dalla Mente Universale sia
illusoria. La dimostrazione di questo secondo punto è per il De S. impossibile.
Intanto l’aver riconosciuto che l’esperienza psichica è costituita
essenzialmente di atti, non significa per il De S. affermare che il soggetto
dell’esperienza psichica si risolve in null’altro che in un complesso di atti.
È il concetto e l’esperienza stessa di atto che rinvia per necessità al
concetto di soggetto come di un reale distinto da ogni altro reale e quindi da
ogni altro soggetto. Certo, non è possibile determinare la natura del soggetto
(unità reale) senza rife¬ rirsi agli atti ch’esso compie: ma alla variabilità
degli atti non cor¬ risponde la variabilità dell’unità del soggetto.
L’individuo non può non aver coscienza di essere in rapporto con altro da sè
per mezzo di atti da sè stesso compiuti; ma se esso non distinguesse sè (come principio
degii atti) dagli atti stessi, e questi dagli obietti a cui gli atti sono
rivolti, non potrebbe parlare di atti suoi numericamente distinti da quelli
degli altri individui. Inoltre il soggetto si fa, si crea con i suoi atti, ma
perchè possa farsi e crearsi, occorre che vi sia un principio reale, un dato
iniziale e quindi qualcosa di già fatto. La creazione non è ex nihilo; e la
stessa potenzialità o capa¬ cità è concepibile soltanto come inerente a
qualcosa di attuale, come funzione possibile di un essere. Non può, dunque, la
coscienza essere ridotta al mero complesso degli atti e fatti psichici. Ma non
può neppure, d’altra parte, — so¬ stiene il De S., confutando in svariatissime
occasioni la tesi idea¬ listica —, non può neppure essere ridotta a una mera
equazione di pensante e pensato, alla pura relazione formale d’identità tra
cono¬ scente e conosciuto. L’idealismo afferma che la suicoscienza è il grado
supremo dell’evoluzione d’un principio ideale, d’una legge, d’un universale;
quello in cui la realtà, che negli stadi inferiori si presenta come scissa
dall’idea, come essere distinto dal pensiero, come oggetto opposto al soggetto,
rivela invece la sua più intima natura, che è appunto unità e identità di
soggettivo e di oggettivo, di pensante e di pensato, di essere e di pensiero.
Quest’affermazione è per il De S. risultato d’una confusione deri¬ vante dal
significato equivoco della parola coscienza. Quando si parla di coscienza e di
suicoscienza, egli dice, bisogna distinguere tra la suicoscienza vera e
propria, fondata sulla capacità che ha l’io di ripiegarsi su se stesso e di
percepire il complesso dei fatti psichici come incentrantisi in un punto; e la
coscienza, in senso largo, come espressione dello speciale rapporto che può
esistere tra l’oggetto e l’io come conoscente. Quanto alla prima, l’equazione
di pensiero e di pensato non è che l’espressione, in termini intel¬ lettuali,
d’una esperienza vissuta sui generis, di un fatto che può essere indicato ma
non definito, perchè per sè preso oltrepassa il pensiero, e non può assumere
carattere di necessità razionale. E quanto alla seconda, la identificazione dei
due termini del rapporto conoscitivo non può ottenersi se non sostituendo
all’io empirico il cosi detto io universale o coscienza in generale o io
trascendentale. Ma osserva il De S., o con ciò s’intende quello che è comune
alle menti individuali ; e allora non si vede come si possa distinguere il
soggettivo psicologico dal soggettivo gnoseologico. 0 s’intende qualcosa che
vale indipendentemente da questa o quella coscienza IL REALISMO PSICOLOGISTICO
141 empirica, che esprime il modo come lo spirito deve operare perchè sia
veramente tale, le esigenze dell’intelligibilità significanti veri e propri
compiti impditi da ciò che è indipendente dal soggetto; e allora non v’è più
ragione di parlare di io, di soggetto, quando la soggettività si è
identificata/con la razionalità, con l’intelligibilità, che è anzi l 'oggetto
della conoscenza e del pensiero pensante. Ma da tale concezione della coscienza
come di categoria delle categorie, questo solo, secondo il De S., si ricava,
che la realtà in tanto può essere conosciuta ed essere compenetrata dal
pensiero, in quanto è concepita essa tessa come implicante pensiero. Il che poi
significa che la realtà è fcosì fatta da imporre certe esigenze alla mente
individuale, ossia che nell’obietto vi è qualcosa atto a provocare il
riconoscimento. Ma il passaggio dalla intelligibilità in quanto esigenza del
riconoscimento da parte del soggetto, alla ridu¬ zione della realtà a un
processo di autocoscienza, all’affermazione che nella realtà stessa non si
trovi niente di più di ciò che è in noi stessi quando giungiamo a identificarci
e a riconoscerci, non è affatto giustificato. L’autocoscienza, piuttosto, è già
nel fondo della realtà, indipendentemente da noi: non è dunque l’autocoscienza,
quale si presenta negli individui singoli, l’espressione genuina e compiuta
della realtà. Nè vale ammettere l’autocoscienza come potenzialmente esistente
ab aeterno e attuantesi poi negli individui: si riaffaccia allora quella
suprema difficoltà contro cui, come già si è accennato, urta sempre il pensiero
umano, la difficoltà d’intendereA:ome da ciò che è pura¬ mente pensabile,
ideale, estratemporaneo, uno, si passi a ciò che è reale, attuale, temporaneo,
contingente, diverso, mutevole. Non è pos¬ sibile considerare soggetti
molteplici che sono nel tempo e hanno uno sviluppo e sono direttamente
impenetrabili e incomunicabili, come determinazioni, differenziazioni o sezioni
dell’Uno, sol perchè essi hanno il potere di superarci limiti del tempo
idealmente e di elevarsi al mondo della pura razionalità. E una riprova di
questo è l’esistenza dell’errore logico, etico, estetico che dimostra, come già
si è visto, la possibilità d’una discrepanza fra le funzioni psichiche e le
categorie o principii ideali, di qualunque ordine siano, tra la necessità
psico¬ logica e quella deontologica. Questa distinzione tra la necessità di
fatto e la necessità di diritto, tra ciò che è ed è per opera di un soggetto
reale e quel che dovrebbe essere in virtù di principii razionali, è il
presupposto da cui, è naturale, muove più particolarmente il De S., nelle sue
indagini di etica (per cui v. specialmente VAttività pratica e la co¬ scienza
morate e i Principii di scienza etica). Per lui tutta la vita morale ha il suo
fondamento in certi prin¬ cipii valutativi che si rivelano alla coscienza come
forniti d’evidenza immediata analoga a quella logica: veri e propri assiomi
morali, la cui azione pervade le particolari contingenze della vita pratica.
Compiti dell’Etica sono perciò questi: a) determinare la natura del- Vevidenza
pratica (necessità e universalità) e- il contenuto di queste condizioni
essenziali nella vita morale (e per il De S. tali principii si riducono a quelli
della dignità e della perfezione personale, della giustizia e della
benevolenza); — b) porre in luce lo svolgimento storico di tali principii, in
quanto, pur essendo stati sempre ope¬ rativi, hanno dispiegato variamente la
loro efficacia in relazione con il variare delle condizioni della civiltà; — c)
considerare tutte le istituzioni — per qualunque via primamente sorte — alla
luce degl’ideali etici, come organi dell’attuazione di essi. II De S., nella
trattazione di questi problemi, afferma l’autonomia dello spirito nel senso che
il soggetto è tratto dalla sua stessa natura a dare l’assenti¬ mento a
principii superiori al suo io empirico. Egli quindi ammette una forma di
esperienza morale specifica e distinta da ogni altra forma di esperienza
spirituale, scientifica, este¬ tica, religiosa ecc. La specificità di questa
esperienza è la condizione che rende possibile una scienza etica: della quale
egli insiste nel rivendicare l’autonomia e la priorità rispetto a qualsiasi
concezione propriamente metafisica. La Metafisica ha nell’etica una delle sue
basi più solide — e a tal principio è ispirato, come abbiamo visto, tutto il
volume del De Sarlo "Metafisica, Scienza e Moralità „ — ; ma nessuna
teoria morale può, secondo lui, essere costruita alla luce di una determinata
concezione generale dell’universo, piuttosto che sulla base dell’analisi
dell’esperienza morale. ★ * * 10. — Come si
vede, di fronte al problema etico il De S. man¬ tiene fermo quello stesso
atteggiamento — che abbiamo più par¬ ticolarmente illustrato a proposito del
problema gnoseologico — di stretta aderenza all’esperienza, come tramite
traverso il quale sol¬ tanto ci si rivela nella sua efficienza e nella pienezza
del suo con¬ tenuto ciò è che universale e razionalmente necessario. A coloro
che trovassero troppo modesto il compito cosi assegnato alla filosofia, il De S
opporrebbe volentieri le parole che Kant scrisse al¬ l’indirizzo dei
«metafisici» del suo tempo: «Il nostro disegno può mirare a costruire una torre
alta fino al cielo: ma il materiale è appena sufficiente per una casa, spaziosa
tuttavia abbastanza per le occupazioni nostre sul piano dell’esperienza e alta
a sufficienza per abbracciare questa d’uno sguardo ». E comunque « le alte
torri e i grandi metafisici simili ad esse, intorno a cui (sia le une che gli
altri) generalmente spira molto vento, non sono fatti Der me. Il mio posto è la
feconda bassura dell’esperienza » * * * 11. — Dalla scuola del De Sarlo uscì
nel 1903 ANTONIO A. (n. a Palermo nel 1881, ora già da alcuni anni professore
di filosofia nell’Università di Napoli). Iniziò la sua attività di studioso con
un volume, assai apprezzato anche all’estero, su la Misura in psi¬ cologia
sperimentale, (Firenze, « Pubblicazioni del R. Istituto di Studi Superiori »,
1905). Nel campo più specificamente filosofico si affermò, oltre che con lavori
minori e con l’attivissima sua collaborazione alla «Cultura Filosofica» del De
Sarlo, col libro: La reazione idea¬ listica contro la scienza (Palermo, 1912),
che è una bella battaglia in difesa del valore della scienza contro tutte le
forme d’intuizionismo, di prammatismo e d’idealismo assoluto, che tendono a
svalutare i concetti scientifici. Il motivo centrale di questa opera è che i
con¬ cetti della scienza non sonò un impoverimento della realtà, ma un
arricchimento del mondo dell’intuizione. Il concetto, infatti, non è nello
schema convenzionale che serve a comunicarlo praticamente, e che per se stesso
non ha certamente valore di realtà, ma nella sintesi di esperienze concrete che
attraverso quello schema si rea¬ lizza e nella quale l’intuizione si eleva ad
una superiore potenza, inquadrandosi in un contesto più largo di relazioni,
completandosi con altre intuizioni che sfuggono alla veduta dell’attimo
fuggitivo e ai nostri sensi limitati. Questo modo d’intendere il concetto
scientifico, come processo d’integrazione dell’esperienza, che non sostituisce
l’intuizione e non può mettersi al suo posto, ma la completa ed arricchisce,
già fin dal 1905, nelle sue prime discussioni col Croce, — ora raccolte nel vo¬
lume L’estetica del Croce e la crisi dell’idealismo moderno, Napoli 1917 —
l’Aliotta aveva contrapposto alia teoria dello pseudocon¬ cetto, con la quale
il Croce innestava nel ne^hegelianismo la dot¬ trina del Mach intorno al valore
puramente pratico ed economico 144 E. PAOLO LAMANNA dei concetti- E questo
motivo di rivendicazione del valore teore¬ tico della scienza è il nucleo che è
rimasto costante nel pensiero dell’Aliotta anche quando dal teismo delle sue
prime Linee d’una con¬ cezione spiritualistica del mondo (« La Cultura
filosofica » 1913) — com¬ parse poi come conclusioni della traduzione inglese
del suo libro La reazione idealistica contro la scienza (The Idealistic
Reaclion against Science, London, 1917) — egli è passato attraverso la crisi
della guerra mondiale a una concezione pluralistica del mondo. Questa seconda
fase del suo pensiero, che comincia col libro La guerra eterna e il dramma
dell’esistenza (Napoli, 1917) e si sviluppa e completa per la parte
gnoseologica nei saggi La teoria di Einstein e le mutevoli prospettive del
mondo (Palermo 1922), Re¬ lativismo e Idealismo (Napoli 1922), Il problema di
Dio e il nuovo pluralismo (Città di Castello, 1924), è caratterizzata da un
radicale sperimentalismo, il quale però sia per i principi! da cui muove e le
conclusioni a cui arriva, sia specialmente per gli arditi procedimenti che
segue, si allontana di parecchio dallo sperimentalismo del De Sarto, come sarà
facile scorgere dalla breve esposizione che segue. La realtà, per l’A., è l’atto
stesso di esperienza che ha due aspetti, distinti, ma sempre uniti, il
soggettivo e l’oggettivo. Non posso aver coscienza di me senza distinguermi dal
mondo e dalle altre persone: l’affermazione della mia individualità implica
dunque l’affermazione degli altri individui e del mondo, da cui mi distinguo.
Non ha sen¬ so parlare d’un soggetto in sè o d'un oggetto in sè, nè di soggetti
come monadi solitarie fuori di questa relazione. L’io e il mondo e le varie
anime non esistono che nella sintesi concreta dell’esperien¬ za, come momenti,
distinguibili, ma inseparabili, del suo processo. Questa sintesi è, per l’A.,
l’unicovivente modello a immagine del quale possiamo costruire le altre
attività reali che non ci son date all’intuizione immediatamente. E l’atto di
esperienza col suo processo di unificazione e distinzione del soggettivo e
dell’oggettivo, come dell’individuo e delle altre persone, col suo ritmo di
concreta du¬ rata e la sua intuizione dello spazio concreto, è l’unica forma a
priori, soggettiva ed oggettiva insieme. Le forme della nostra conoscenza,
dunque, non sono pure apparenze; bensì le forme stesse della realtà che si
svolge, essendo questa appunto il concreto processo dell’e¬ sperienza. Questo
processo, per l’A., è inesauribile; non ha nè principio, nè fine. Non ha senso
domandarsi donde sia derivata la esperienza. Ed è originaria la forma della sua
distinzione nella pluralità degli individui; pluralità che non esclude, come
abbiamo già detto, la IL REALISMO PSICOLOGISTICO concreta unità dell’esperienza,
perchè nell’atto stesso in cui si coglie la distinzione, si coglie insieme
indissolubilmente l’unità dei termini distinti. I soggetti d’esperienza son
dunque originarli e imperituri nella loro eterna correlazione. Possono da una
forma oscura di vita elevarsi a una forma più consapevole e chiara, o dalla
luce della coscienza discendere nella penombra, ma non si estinguono mai, non
cessano di essere e di agire come spontanee energie motrici del processo della
realtà. Queste attività non sono originariamente coordinate al raggiungi¬ mento
d’un fine, allo svolgimento di un piano razionale che si at- turi nella storia
del mondo. La materia corrisponde alla fase in cui esse si urtano
disordinatamente in continui conflitti, dirigendosi a caso per la loro spontaneità
in tutte le direzioni. Statisticamente ne ri¬ sultano medie costanti di azioni
complessive delle masse; onde l’apparente inerzia e uniformità della materia.
La vita dalle sue forme più semplici alle più complesse è il coordinarsi di
quella attività a un fine comune, che si raggiunge provando e riprovando
attraverso secolari esperimenti nell’evoluzione biologica e sociale. E
l’armonia del mondo non è mai completa, ma si va ancora rea¬ lizzando
attraverso le più alte funzioni dello spirito: l’arte, la scienza, la religione
e la filosofia, che sono tutte forme diverse per le quali la vita
dell’individuo si integra progressivamente con la vita degli altri. E le
sintesi più alte si raggiungono sempre con l’esperimento: non c’è nessuna
teoria e nessun sistema che possa pretendere una giustificazione a priori: la
dialettica è arbitraria e infeconda. Agli abusi logici dei neo-hegeliani
l’Aliotta contrappone l’assoluto spe¬ rimentalismo della sua dottrina della
verità. Il vero non è nella corrispondenza a un modello oggettivo, sussistente
in sè; ma non è neppure nel processo puramente dialettico del pensiero. Una
teoria è vera se le azioni da essa suggerite riescono a realizzare un su¬
periore accordo delle nostre attività umane e delle altre innumere¬ voli
energie operanti nel mondo. E questo criterio non vale soltanto per le teorie
scientifiche, ma anche per i sistemi religiosi e filoso¬ fici che debbono
sottoporsi anch’essi all’esperimento storico. Non vi sono categorie immutabili
e definitive, nè nel mondo della natura nè in quello dello spirito. Tutte le
forme di sistemazione sono prov¬ visorie e relative. Non c’è una verità
assoluta, ma gradi diversi di verità e realtà, secondo che realizzano forme più
complete e inte¬ grali di vita d’esperienza. L’errore, il falso non è quindi
neppur esso tale in senso asso- E. PAOLO LAMANNA luto; ma è una visione
parziale, frammentaria, unilaterale rispetto a una veduta più alta e più
comprensiva. Tutte le intuizioni indi¬ viduali, tutte le varie prospettive sono
vere e reali, ciascuna dal suo punto di vista; ma è più vera e reale quella che
riesce a coor¬ dinarle in una visione più completa da un punto di vista più
alto. E questo non esclude e cancella i punti di vista inferiori, ma in sè li
comprende integrandoli; dimodoché il progresso verso i più alti gradi di verità
è insieme un elevarsi a una maggiore ricchezza di vita. Nel nostro pensiero è
la realtà stessa che si tormenta nello sforzo di attingere una superiore
armonia. 12. — Giovanni calò (n. a Francavilla Fontana, in prov. di Lecce, nel
1882) è professore di pedagogia nell’Istituto di Studi Supe¬ riori di Firenze.
Rivolse la sua attenzione dapprima ai problemi mo¬ rali, ma con preferenza a
quelli che più direttamente si connettono a problemi filosofici d’ordine generale
e metafisico. Il suo primo lavoro importante, infatti, è quello intorno al
Problema della libertà nel pensiero contemporaneo (Palermo, Sandron), che
contiene un’a¬ nalisi molto penetrante e un’ampia e sottile critica del
contingen¬ tismo e del prammatismo e di altre correnti contemporanee come il
neo-criticismo renouvieriano; e giunge all’affermazione del potere di libertà
come attitudine propria dello spirito individuale, presup¬ posto indispensabile
della libertà etica; attitudine che si confonde con la stessa proprietà della
coscienza di porsi come un io, cioè come centro assoluto indeducibile e
irreducibiie d’ordinamento della realtà psichica e insieme d’energia
produttrice di fatti. Altri lavori ha dedicato il Calò a esaminare particolari
tendenze dell’etica moderna, come quello su l’ Individualismo etico nel sec.
XIX, premiato dall’Accademia Reale di Napoli, un quadro vasto e vivace delle
varie forme d’individualismo affermatesi non soltanto nella filosofia ma anche
nella letteratura del secolo scorso. Di fronte ad esse il C., mentre afferma
l’obiettività e universalità dei valori mo¬ rali, riconosce insieme che questi
non hanno esistenza concreta nè azione effettiva se non nella sintesi vivente
della personalità, che è per ciò da porre come il valore etico supremo, come la
sola realtà fornita d’intrinseco valore morale. Queste idee che, nei due citati
lavori, costituiscono la conclu¬ sione o i principii ispiratori dell’esame
critico di svariati indirizzi dell’etica contemporanea, furono poi sviluppate e
sistemate, in forma IL REALISMO PSICOLOGIST1CO di trattazione teorica della
coscienza morale, nel volume Principii di Scienza etica (Palermo, Sandron
1907), preparato insieme col De Sarlo e scritto dal C. In esso si illustra la
specificità e l’immedia¬ tezza dell’esperienza morale attraverso la quale si
rivelano i prin¬ cipii etici fondamentali, contro tutte le teorie che vogliono
ridurre la necessità ideale a necessità d’altro genere — al che il C. ha de¬
dicato anche altri scritti minori, tra cui notevole il saggio su L’in-
terpretàzione psicologica dei concetti etici (in « Atti del V Congresso
Internazionale di psicologia » Roma 1906) — . Vi sono inoltre definiti nel loro
contenuto gli oggetti-fini dell’attività umana, il cui va- ìore intrinseco è connaturato
all’esperienza etica. Ed è dato infine particolare sviluppo all’evoluzione
storica dei principii morali, la quale si fa consistere dal C. — come,
l’abbiamo visto, dal De S. — nel successivo chiarirsi e purificarsi di quei
principii da elementi extramorali o paramorali; nella loro più rigorosa e
coerente espli¬ cazione, resa possibile dallo sviluppo, oltre che della
sensibilità e della discriminazione etica, della cultura e del pensiero ; nella
suc¬ cessiva soluzione dei conflitti nei quali essi a volte vengono a tro¬
varsi, e nello sforzo sempre meglio riuscito di armonizzarli in va¬ lutazioni
sintetiche; nella estensione della loro applicazione a una sfera di realtà
sempre più larga. Pur occupandosi di problemi etici, il C. non ha mancato di por¬
tare il suo contributo ad altri campi di discipline filosofiche (no¬ tevoli, p.
es., i suoi studi sulla dottrina del Brentano intorno al giu¬ dizio tetico e
intorno alla classificazione dei processi psichici, e pa¬ recchi saggi storici
e critici sul Boutroux, sul Bergson, sull’Allievo, sul Naville, sul Ladd,
ecc.). Da questi studi risulta che il C. è un seguace dello spiritualismo
realistico, e concorda sostanzialmente, in metafisica e gnoseologia, con le
idee sopra esposte del De Sarlo. Voltoli alla Pedagogia, il C. ha lavorato
sulle medesime basi. In questo campo i suoi principali lavori sono: La
Psicologia del¬ l'attenzione in rapporto alla scienza educativa (Firenze, Tip.
Coope¬ rativa); Fatti e problemi del mondo educativo (Pavia, Mattei e Spe¬ roni);
Il problema della coeducazione e altri studi pedagogici (Roma, Soc. ed. D.
Alighieri); L'educazione degli educatori. (Napoli, Perrella); Dalla guerra
mondiale alla scuola nostra (Firenze, Bemporad); per non citare i suoi scritti
minori, specie di storia della pedagogia, come quelli sul Lambruschini e sul
Rousseau, premessi ai volumi di questi autori, da lui stesso curati, nella
Biblioteca pedagogica ch’egli di¬ rige presso l’editore Sansoni. Il valore e il
carattere dell’opera pedagogica del Calò furono E. PAOLO LAMANNA rilevati, con
giudizio non sospetto, dal Codignola, che nel 1916 af¬ fermò essere il Calò «
il più serio avversario della pedagogia idea¬ listica in Italia » (1). Invero,
il C., mentre ammette una filosofia del¬ l’educazione e ne riconosce la
fecondità,' non crede peraltro, come l’idealismo sostiene, che la dottrina
dell’educazione si riduca a filosofia. Vi sono metodi relativi allo sviluppo
delle attività psichiche, sia in sè stesse sia in rapporto con quelle
organiche, i quali non possono non essere ricavati direttamente dalla
conoscenza della realtà psichica e delle sue leggi, quali si offrono
all’esperienza e alla sperimentazione; vi sono norme educative che si ricavano
dalla determinazione dei fini etici dell’attività umana, considerati in rap¬
porto al progressivo potere d’attuazione del fanciullo; vi sono in¬ fine tipi e
norme didattiche che si ricavano dall’esperienza storica e da necessità
storiche. Per il C., perciò, la pedagogia non può trovare la sua sicura
costituzione e la sua vera fecondità di vedute e di applicazioni che in una
concezione la quale, correggendo e integrando, riprenda la posizione
herbartiana e consideri le leggi psicologiche in funzione delle finalità
etiche. L’educazione è per lui pur sempre fatto essenzialmente spiri¬ tuale,
che si distingue da ogni altra forma di sviluppo o di perfezio¬ namento in
quanto vi collabora la libera attività del soggetto edu¬ cando, e porta a un
sempre più pieno uso della propria libertà e all’acquisto sempre più
consapevole di valori intrinseci alla persona. Ciò che il C. nega è che
l’azione educativa si definisca per questo solo rispetto e sussista
indipendentemente da ogni forma di eteronomia: là dove i’eteronomia svanisce
ovvero si riduce a pura materia della libera determinazione del soggetto, si ha
l’attività etica strettamente intesa, non più il processo educativo. Per la
tendenza a psicologizzare il metodo, l’educazione appare al C. come un processo
di formazione nel quale le attività del sog¬ getto e la forma valgono anche più
dei contenuto, degli oggetti, della materia del sapere o dell’operare, e gl
'interessi, nel senso her- bartiano, sono le forze che si tratta di nutrire e
di promuovere in (1) Kant nella storia della pedagogia e dell'etica, Napoli
1916, p. 31. — Nonostante ciò o forse
appunto per ciò — il Codignola, facendo la storia della pedagogia italiana
contemporanea (nel libro Monroe Codignola, Breve corso di storia
dell’educazione, voi. II, Vallecchi, Firenze, p. 284), si è contentato di
accennare al Calò ponendolo accanto a G. M. Ferrari, come seguace di un
«indirizzo spiritualistico eclettico»; — e questo raccostamelo come questa
caratterizzazione sono stati poi echeggiati dal Saitta nel suo Disegno storico
della educazione, Bologna, Cappelli. modo da creare la personalità più viva e
compiuta e armonica. Perciò egli ha insistito sui diritti della cultura
Jormale, senza peral¬ tro porre nel nulla il valore degli acquisti concreti
(conoscenze e abilità), come vorrebbe fare un certo formalismo e subiettivismo
pedagogico superficiale. Ha mostrato la rispettiva necessità e in¬
sostituibilità della cultura umana e storica e di quella realistica e
scientifica. Ha rivendicato l'esigenza d’un’educazione religiosa, elementare e
aconfessionale prima, storica poi nella scuola, confessio- sionale nella
famiglia. Infine dalla legge della storicità come aspet¬ to essenziale
dell’anima umana, egli deduce l'immanenza dell’idea di patria alla vita dello
spirito e quindi alla sua educazione. Questa perciò non può, secondo il C., non
essere nazionale, non può cioè non curare che ideali di cultura e di moralità
traggano dalla tradi zione storica e dalla organizzata esperienza del fanciullo
forma e colore che ne facciano, traverso le coscienze individuali, elemento di
vita, di coesione, di prosperità della società nazionale. E perciò, in tutto
quel che abbia riflessi e importanza per questo fine, l’istru¬ zione,
l’educazione, la scuolà non possono non costituire ufficio e dovere dello
Stato, che è coscienza suprema, organizzazione unita¬ ria, garanzia
conservatrice della vita della nazione. Alla luce di questa concezione il C. ha
discusso — e non sol¬ tanto in sede scientifica, ma anche in Parlamento, dove
egli ha seduto per due legislature — problemi concreti, come quello del¬
l’ordinamento della Scuola media, della preparazione magistrale, della riforma
universitaria, dei rapporti tra scuola e famiglia, della coeducazione ecc.,
mostrando sempre lucidità e prontezza di visio¬ ne dei termini essenziali di
ogni problema e dei rapporti di esso con i principii dottrinari generali,
calore vivace e penetrazione nelle proposte di soluzioni. Lamanna (n. a Matera,
in Basilicata, professore di filosofia nell’Università di Messina) ha spiegato
la sua attività nel campo della filosofia della religione, dell’etica, e della
filosofia del diritto e della politica. Dopo alcuni studi minori sulle dottrine
religiose dello Schleier- macher, del Pfleiderer e delle scuole
sociopsicologiche più recenti, pubblicò nel 1914 un volume su La religione
nella vita dello spirito, (Firenze, La «Cultura Filosofica» edit., p. 500
in-8), nel quale, at¬ traverso un ampio esame critico dei principali indirizzi
di filosofia religiosa del sec. XIX, da Kant a Blondel e a James, si sforza di
determinare quale è per lui l’essenza della religione, intesa questa essenza
come il sostrato spirituale di tutte le forme storiche della religione, come il
principio dinamico informante e determinante l’evoluzione della vita religiosa
attraverso i secoli. Per il L. la re¬ ligiosità è elemento essenziale e perenne
della vita spirituale umana: è un’esigenza irriducibile alla coscienza
dell’ideale (conoscitivo o estetico o morale), sebbene nella coscienza
dell’ideale, o, meglio, nella coscienza dell’universalità e necessità dei
valori costitutivi degli ideali immanenti allo spirito, essa trovi la sua
radice. In ogni atto spirituale v’è la rivelazione, fatta a un’autocoscienza
in¬ dividuale, di qualcosa d 'assoluto (universalità e necessità dei prin-
cipii della ragione, intesa questa nel suo senso più ampio) e, insieme, di
qualcosa di relativo (elementi naturali, particolaristici e contin¬ genti, nei
quali l’universale e il necessario volta a volta si deter¬ mina, ma sempre
inadeguatamente). La natura stessa della raziona¬ lità, la quale o è tutto o è nulla,
o è universale o è una fantasma¬ goria, determina nell’uomo l’aspirazione ad
attuare pienamente in sè e ad estendere a tutto l’universo il dominio
dell’Assoluto. Ma, d altra parta, la presenza del «relativo» dimostra per un
lato che l’oggetto della razionalità, il vero, il bene, il bello è indefinito,
e contingente e parziale e continuamente minacciato ne è, per l’attività umana,
il possesso; e per l’altro lato che nella realtà v’è qualcosa che non dev
essere, qualcosa di anormale, di opposto alla raziona¬ lità. Da questa
situazione tragica lo spirito si libera mercè la credenza in Dio, come
fondamento reale di quello che nell’uomo è ideale, che spiega, per una parte,
la validità delle leggi ideali costitu¬ tive della razionalità, e garantisce,
per l’altro, l’indefinita attuabilità di esse, nonostante l’inadeguazione ad
esse della realtà empirica. Dimostrare come dall’esercizio stesso delle
funzioni fondamentali dello spirito scaturisca necessariamente l’idea di Dio,
nell’afferma¬ zione che quel che dev’essere è, quel che pér noi è soltanto un
ideale, ha già la sua piena attuazione in una sfera trascendente di realtà,
questo è il termine a cui tendono le dimostrazioni del volume del L. I problemi
morali sono stati dal L. esaminati specialmente nei due volumi II sentimento
del valore e la morale criticistica (Firenze, 1915, di pp. 200) e II fondamento
morale della politica secondo Kant (Firenze), a cui si collegano studi minori,
Il bene per il bene, L’amoralismo politico, L'esperienza giuridica, Il diritto
correlativo al dovere nell’idea di bene. In quei due volumi si prende lo spunto
dall’esame critico della dottrina Kantiana, rilevandovi il contrasto, così tra
il principio dell’autonomia e le conclusioni rigoristiche dell’etica in
generale, come tra le premesse idealistiche e democratiche e alcune conclusioni
assolutistiche e realistiche della morale politica; e si dimostra che quel
contrasto è conseguenza neces¬ saria del formalismo nella determinazione
dell’ideale e del pessimismo nella considerazione della realtà, inquanto,
ipostatizzata la legisla¬ zione autonoma nella volontà in sè e nella respublica
noumenon, Kant vede nella realtà individuale e sociale null’altro che inclina¬
zioni al male e giuoco meccanico di passioni. Da questi rilievi e dimostrazioni
di carattere storico il L.. prende occasione per affer¬ mare la necessità di un
tramite che, eliminando il dualismo tra l’ideale e il reale, renda possibile la
compenetrazione di questo da parte di quello. E siffatto tramite egli trova
nella caratteristica fun¬ zione della valutazione morale, rivelante con
evidenza immediata oggetti della volontà forniti d’intrinseco valore (beni
universali e necessari), nell’amore attivo per i quali si costituisce come
valore supremo la personalità, e nella cui indefinita attuabilità attraverso il
succedersi delle generazioni è posta la possibilità del progresso morale e
della unificazione spirituale sempre più piena della specie umana. Alla luce di
questo principio il L.: 1) riconduce nell’ambito della nozione di dovere
—caratteristica dell’esperienza morale — anche quegli elementi che in
opposizione al rigorismo kantiano son posti in rilievo nella concezione morale
dell’* anima bella» (Schiller e Fics), a proposito della quale egli fa un ampio
esame dei rapporti tra la funzione etica e quella estetica. 2) Illustra
l’ordinamento giuridico come tecnica per l’ordinamento morale: confutando i
tentativi di ridurre il diritto a qualche concetto estramorale, ne trova la
radice nell’idea di bene morale e nella correlatività al concetto di dovere, in
quanto l’idea di lecito scaturisce dalla coscienza della legittimità di
respingere il limite e l’ostacolo — postoda altri indivi¬ dui — all’attuazione
di un bene conforme a un principio etico riconoscibile anche da questi ultimi:
onde la conclusione che se il contrasto è occasione per l’insorgenza della
coscienza del diritto, la sostanza ideale di questo è Varmonia, Y accordo-, e
da questo punto di vista sono idealmente giustificati gli elementi empirici
costitutivi della giuridicità (potere supremo e coattività). Afferma, infine,
la sovranità della morale in politica, mostrando come, entro l’amb'to stesso di
una rigorosa moralità politica, possano essere pienamente sodisfatte quelle
esigenze alle quali l’amoralismo politico dà il mas¬ simo rilievo; e dimostra,
rimettendo in valore alcuni elementi delle concezioni giusnaturalistiche, il
valore deontologico e il concetto ideale di certe nozioni della coscienza
politica moderna (come vo¬ lontà generale, contratto originario, società dei
popoli ecc.). ENZO Bonaventura, libero docente e incaricato di psi¬ cologia
nell’Istituto di Studi Superiori di Firenze e assistente del De Sarlo nel
Laboratorio di psicologia sperimentale, dopo alcuni scritti minori di
psicologia e di logica, pubblicò un grosso volume su Le qualità del mondo
fisico: studi di filosofia naturale (Firenze, « Pubblicazioni del R. Ist. di
St. Sup. », 1916), in cui i dati della fisica, della chimica, della fisiologia
non dirò solo che siano lar¬ gamente utilizzati, ma costituiscono addirittura
la base per la solu¬ zione del problema, se sia o no possibile spiegare le
differenze qualitative tra le diverse energie fisiche riducendole ad un unico
tipo di energia: problema che il B. risolve in modo negativo, di¬ mostrando che
la riduzione delle molteplicità qualitative delle ener¬ gie fisiche ad un’unica
forma nel senso del meccanismo e di taluni indirizzi energetici, è illusoria.
Posteriormente egli ha volto la sua attività più in particolare agli studi e
alle ricerche di psicologia, compiuti, nel laboratorio diretto dal De Sarlo,
coi metodi rigorosi propri della psicologia moderna; ma la ricerca psicologica
sebbene abbia anche, per lui, un valore in sè stessa, come ricerca scientifica,
e un valore sociale, per le sue applicazioni, è stata ed è sempre,
nell’economia dal suo pensiero, il punto di partenza e di appoggio per salire
verso la filosofia. Tra i problemi psicologici, oltre ad alcune questioni di
metodo (come queile del valore dell’introspezione e- delle sue illusioni, a cui
è dedicato il volume intitolato appunto Ricerche sperimen¬ tali sulle illusioni
dell'introspezione, Firenze, 1915), quello che lo ha più attratto e su cui ha
più lavorato, è il problema della percezione, concepita come elaborazione
intellettuale dei dati senso¬ riali, e in ispecie della percezione dello spazio
e del tempo: proble¬ ma che da un lato connette la ricerca psicologica con
concezioni d’importanza fondamentale per la fisica e per la matematica, dal¬
l’altra forma il punto centrale della teoria della conoscenza. Intorno a questo
problema egli ha lavorato da vari anni, sia sottoponendo a revisione critica
tutto il lavoro sinora compiuto sull’argomento, sia compiendo egli stesso
ricerche sperimentali per chiarire quei punti che ancora gli sembravano non abbastanza
illuminati. Alcune di queste ricerche (concernenti l’attività del pensiero
nella percezione tattile dello spazio; i mezzi coi quali si stabilisce e i
limiti entro i quali si contiene l’accordo tra dati spaziali visivi e dati
spaziali tattili; le illusioni ottico-geometriche; l’importanza dei giudizi
spa¬ ziali visivi nella psicofisica) sono state già pubblicate in Riviste di
psicologia italiane e straniere; ma la somma di tutte le ricerche e di tutti
gli studi costituisce un grosso volume — già pronto, ma ancora inedito —, in
cui il problema psicologico dello spazio e del tempo e le conseguenze
filosofiche che ne scaturiscono, sono trattati in tutti loro asp Lamanna (n. a
Matera, in Basilicata, professore di filosofia nell’Università di Messina) ha
spiegato la sua attività nel campo della filosofia della religione, dell’etica,
e della filosofia del diritto e della politica. Dopo alcuni studi minori sulle
dottrine religiose dello Schleier- macher, del Pfleiderer e delle scuole
sociopsicologiche più recenti, pubblicò nel 1914 un volume su La religione
nella vita dello spirito, (Firenze, La «Cultura Filosofica» edit., p. 500
in-8), nel quale, at¬ traverso un ampio esame critico dei principali indirizzi
di filosofia religiosa del sec. XIX, da Kant a Blondel e a James, si sforza di
determinare quale è per lui l’essenza della religione, intesa questa essenza
come il sostrato spirituale di tutte le forme storiche della religione, come il
principio dinamico informante e determinante l’evoluzione della vita religiosa
attraverso i secoli. Per il L. la re¬ ligiosità è elemento essenziale e perenne
della vita spirituale umana: è un’esigenza irriducibile alla coscienza dell’ideale
(conoscitivo o estetico o morale), sebbene nella coscienza dell’ideale, o,
meglio, nella coscienza dell’universalità e necessità dei valori costitutivi
degli ideali immanenti allo spirito, essa trovi la sua radice. In ogni atto
spirituale v’è la rivelazione, fatta a un’autocoscienza in¬ dividuale, di
qualcosa d 'assoluto (universalità e necessità dei prin- cipii della ragione,
intesa questa nel suo senso più ampio) e, insieme, di qualcosa di relativo
(elementi naturali, particolaristici e contin¬ genti, nei quali l’universale e
il necessario volta a volta si deter¬ mina, ma sempre inadeguatamente). La
natura stessa della raziona¬ lità, la quale o è tutto o è nulla, o è universale
o è una fantasma¬ goria, determina nell’uomo l’aspirazione ad attuare pienamente
in sè e ad estendere a tutto l’universo il dominio dell’Assoluto. Ma, d altra
parta, la presenza del «relativo» dimostra per un lato che l’oggetto della
razionalità, il vero, il bene, il bello è indefinito, e contingente e parziale
e continuamente minacciato ne è, per l’attività umana, il possesso; e per
l’altro lato che nella realtà v’è qualcosa che non dev essere, qualcosa di
anormale, di opposto alla raziona¬ lità. Da questa situazione tragica lo
spirito si libera mercè la credenza in Dio, come fondamento reale di quello che
nell’uomo è ideale, che spiega, per una parte, la validità delle leggi ideali
costitu¬ tive della razionalità, e garantisce, per l’altro, l’indefinita
attuabilità di esse, nonostante l’inadeguazione ad esse della realtà empirica.
Dimostrare come dall’esercizio stesso delle funzioni fondamentali dello spirito
scaturisca necessariamente l’idea di Dio, nell’afferma¬ zione che quel che
dev’essere è, quel che pér noi è soltanto un ideale, ha già la sua piena
attuazione in una sfera trascendente di realtà, questo è il termine a cui
tendono le dimostrazioni del volume del L. I problemi morali sono stati dal L.
esaminati specialmente nei due volumi II sentimento del valore e la morale
criticistica (Firenze, 1915, di pp. 200) e II fondamento morale della politica
secondo Kant (Firenze), a cui si collegano studi minori, Il bene per il bene,
L’amoralismo politico, L'esperienza giuridica, Il diritto correlativo al dovere
nell’idea di bene. In quei due volumi si prende lo spunto dall’esame critico
della dottrina Kantiana, rilevandovi il contrasto, così tra il principio
dell’autonomia e le conclusioni rigoristiche dell’etica in generale, come tra
le premesse idealistiche e democratiche e alcune conclusioni assolutistiche e
realistiche della morale politica; e si dimostra che quel contrasto è
conseguenza neces¬ saria del formalismo nella determinazione dell’ideale e del
pessimismo nella considerazione della realtà, inquanto, ipostatizzata la
legisla¬ zione autonoma nella volontà in sè e nella respublica noumenon, Kant
vede nella realtà individuale e sociale null’altro che inclina¬ zioni al male e
giuoco meccanico di passioni. Da questi rilievi e dimostrazioni di carattere
storico il L.. prende occasione per affer¬ mare la necessità di un tramite che,
eliminando il dualismo tra l’ideale e il reale, renda possibile la
compenetrazione di questo da parte di quello. E siffatto tramite egli trova
nella caratteristica fun¬ zione della valutazione morale, rivelante con
evidenza immediata oggetti della volontà forniti d’intrinseco valore (beni
universali e necessari), nell’amore attivo per i quali si costituisce come
valore supremo la personalità, e nella cui indefinita attuabilità attraverso il
succedersi delle generazioni è posta la possibilità del progresso morale e
della unificazione spirituale sempre più piena della specie umana. Alla luce di
questo principio il L.: 1) riconduce nell’ambito della nozione di dovere
—caratteristica dell’esperienza morale — anche quegli elementi che in
opposizione al rigorismo kantiano son posti in rilievo nella concezione morale
dell’* anima bella» (Schiller e Fics), a proposito della quale egli fa un ampio
esame dei rapporti tra la funzione etica e quella estetica. 2) Illustra
l’ordinamento giuridico come tecnica per l’ordinamento morale: confutando i
tentativi di ridurre il diritto a qualche concetto estramorale, ne trova la
radice nell’idea di bene morale e nella correlatività al concetto di dovere, in
quanto l’idea di lecito scaturisce dalla coscienza della legittimità di
respingere il limite e l’ostacolo — postoda altri indivi¬ dui — all’attuazione
di un bene conforme a un principio etico riconoscibile anche da questi ultimi:
onde la conclusione che se il contrasto è occasione per l’insorgenza della
coscienza del diritto, la sostanza ideale di questo è Varmonia, Y accordo-, e
da questo punto di vista sono idealmente giustificati gli elementi empirici
costitutivi della giuridicità (potere supremo e coattività). Afferma, infine,
la sovranità della morale in politica, mostrando come, entro l’amb'to stesso di
una rigorosa moralità politica, possano essere pienamente sodisfatte quelle
esigenze alle quali l’amoralismo politico dà il mas¬ simo rilievo; e dimostra,
rimettendo in valore alcuni elementi delle concezioni giusnaturalistiche, il
valore deontologico e il concetto ideale di certe nozioni della coscienza
politica moderna (come vo¬ lontà generale, contratto originario, società dei
popoli ecc.). E,
PAOLO LAMANNA VITTORIO
MATHIEU STORIA DELLA
FILOSOFIA LA FILOSOFIA
DEL NOVECENTO *9^
*9^ %*^ rg*
^g% *|^ LE
MONNIER B. PAOLO
LAMANNA VITTORIO MATHIEU
^STORIA DELLA FILOSOFIA
LA FILOSOFIA DEL
NOVECENTO TOMO PRIMO
La filosofia italiana
: idealismo, anti-idealismo, spiritualismo FELICE
LE MONNIER -
FIRENZE PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA
* 2507 4046
- Stabilimenti Tipografici
« E. Ariani
» e «
L'Arte delia Stampa
» - Firenze
PREFAZIONE Accettando di
condurre a termine
un'opera altrui, mi
sono assunto una
responsabilità assai grave.
Non l'avrei fatto
se la Storia
della filosofia di
E. P. Lamanna
non fosse giunta
già così innanzi
da richiedere questo
completamento come quasi
indispensabile, e se le carte
manoscritte, fatte trascrivere
di- ligentemente dalla Signora
Edvige, non mi
avessero offerto una
trattazione già perfetta
di una parte
considerevole del periodo
scoperto. In una
storia generale della
filosofia, composta in
Italia, lasciar fuori
tutta la filosofia
italiana del Novecento
sarebbe stata ima
lacuna grave: basti
pensare alle posizioni
radicali di un
Gentile o di
un Carabellese, che
non trovano riscontro
in tutto l'arco
restante del pensiero.
Per di più
il piano del
lavoro, quale si
era andato progres-
sivamente definendo nella mente
del Lamanna durante
una vita dedicata
in gran parte
alla ricerca storica,
si allargava a
mano a mano
che si avvicinava
a noi. Infatti
i capitoli già
pronti, sull'eredità filosofica
dell'Ottocento italiano, erano
proporzionalmente i più,
estesi di tutta
l'opera. Ciò significava
che la parte
rimasta fuori sarebbe
stata ancor più
cospicua di quanto
il paragone con
le parti già
stampate lasciasse pen-
sare. Certo, riprendendo il
filo interrotto, non
potevo presumere di
rimediare alla perdita
che aveva rappresentato
per gli studi
la morte di
Eustachio Paolo Lamanna,
ma potevo sperare
di ridurre in
qualche misura il
danno. La trattazione
già svolta non
poteva, infatti, uscir
monca; e, d'altro
canto, sarebbe stato
colpevole verso il
pubblico lasciarla inedita,
per l'im- pegno che
lo storico vi
aveva posto e
per V esperienza viva
e 2. -
Lamanna. Storia della
filosofia. VII. VI
Prefazione diretta degli
autori e delle
dottrine: un'esperienza che,
per quel periodo,
nessuno più, avrebbe
potuto acquisire. Così
gli ultimi due
volumi di questa
Storia della filosofia,
che, per la
loro mole e
per il loro argomento, possono
fungere an- che da
trattazione autonoma, portano
il mio nome
accanto a quello
di E. P.
Lamanna. Ho cercato,
per quanto potevo,
di uniformarmi al
tono delle parti
già svolte, che,
salvo un paio
di aggiornamenti, non
ho più toccate.
Esse sono: nel
volume I, le
prime due sezioni
del capitolo XXX,
salvo i §§
6, 8, 11-13, le
prime due sezioni
del capitolo XXXI
e la prima
sezione del capitolo
su Benedetto Croce
{XXXVI) ; nel
volume II, il
capitolo sul- l'Abbagnano. Di tutto
il resto la
responsabilità è mia.
Aver- mela data è
stata una grande
prova di fiducia
da parte del-
l'editore e dei due
amici che si
son presi cura
delle Opere complete di
Lamanna presso Le
Monnier: Domenico Pesce
e Pietro Piovani,
a cui son
grato anche per
l'aiuto e i
consigli datimi. Vittorio
Mathieu PARTE DECIMA
L'EREDITÀ DELL'OTTOCENTO Capitolo
Trentesimo POSITIVISMO E
CORRENTI AFFINI I.
LA SCUOLA DI
ARDIGÒ I. Il
positivismo ardigoiano e
la sua crisi,
— Nel quadro
panoramico deUe correnti
di pensiero che
si deli- neano in
Italia negli anni
di transizione dall'Otto
al Nove- cento, fa
spicco il movimento
positivistico, sia per
ampiezza dell'area di
diffusione, sia per
profondità di forza
penetra- tiva. Questo movimento
si caratterizza non
per unità di
Unità di pro-
contenuto dottrinale, ma per
programma di lavoro
e metodo s^'^"^^"- di
ricerca: nel continuo
contatto con l'esperienza
concreta e nel
riferimento ai fatti
accertati o accertabili,
la filosofìa ha
la sua ragione,
e il suo
alimento vitale nello
stabilire una essenziale
inscindibile connessione, con
le scienze particolari,
di cui è
matrice costante e
coronamento finale. E
cioè la filosofia:
i) da un
lato si pone
come principio La
filosofia pro- promotore
di quel processo
di speciale spiritualizzazione del
^1°^^^ il sapere.
sapere a cui
sono dovuti i
meravigliosi progressi deUa
mo- derna conoscenza deUa
natura, come graduale
profilarsi - entro
un indistinto nebuloso
- di concetti
problematici, ognuno dei
quah, sempre più
distinguendosi dagh altri,
di- venta nucleo di
un particolare organarsi
di un settore
di ricerche; 2)
e, dall'altra parte
si pone come
organizzazione logica dei
risultati dei vari
settori del sapere.
Cap. XXX. -
Positivismo e correnti
affini Naturalismo. Soggetto
e ogget- to come
insiemi di sensazioni.
Per l'uno e per l'altro
rispetto, la filosofia
positivistica italiana rivendica
la qualifica di
filosofia scientifica. E Rivista di
filosofia scientifica s'intitola
quella che tra
il 1881 e il 1891
fu l'organo di
questo movimento, fondato
e diretto da
Enrico Morselli, professore
di psichiatria nell'Università di
Torino, e a
cui collaborarono, accanto
a cultori di
disci- pUne più
specificamente filosofiche, scienziati
che godevano di
alta fama, particolarmente nei
campi della fisica,
della biologia e
dell'antropologia. Tra essi
emergeva, universalmente riconosciuto
da tutti duce
e maestro, la
figura di Roberto
Ardigò. Proprio in
quegli anni egli
veniva compiendo la
costruzione di un
edi- ficio speculativo nel
quale il positivismo
italiano trovò l'espres-
sione più fedele dei
propri caratteri e
l'indicazione più arti-
colata dei propri compiti.
La sua vuol
essere una visione
della realtà rigidamente
naturalistica: non c'è
nessuna forma d'essere
che non sia
originata dalla natura
e non sussista
nella natura, intesa
semplicemente come la
totaHtà infinita dei
fatti d' esperienza. E
il fatto d'esperienza
fondamentale assolutamente originario
è la sensazione.
Questa è, sì,
co- scienza, ma di
nient' altro coscienza che
di sé, non
impli- cante, quindi, una
duahtà per cui
essa sia contrapposta
come soggettiva a
qualcos'altro che sia
l'oggetto: la sen-
sazione come coscienza di
sé stessa non
é né soggetto,
né oggetto. Certo
la distinzione soggetto-oggetto trova
posto nell'esperienza, ma non è
un fatto primitivo
rispetto all'atto della
sensazione, « non
anteriore e trovata
primitivamente in sé
dalla coscienza, ma
posteriore e costruita
a poco a
poco nella medesima
per via dello
stesso processo conoscitivo
», Chi considera
primitiva e originaria
quella distinzione è
portato a trasformarla
in un duahsmo
metafisico, per cui
soggetto e oggetto
implicano sostrati eterogenei,
l'uno spi- rituale, l'altro materiale,
e si contrappone
l'io come sostanza
spirituale alla cosa
fisica, un mondo
interiore a un
mondo esterno, ciò
che rende insolubile
il problema della
cono- scenza come rapporto
tra queste due
entità eterogenee. Il
fatto originario dell'esperienza, ripetiamo,
é la sensazione:
Il positivismo ardigoiano
e la sua
crisi 5 e
questa è indifferenziata, non
è soggettiva più
che oggettiva, o
viceversa. Soggetto e
oggetto non sono che aggruppamenti
o sintesi di
sensazioni, differenziantisi secondo
la specifi- cazione degli
organi di senso
(sensi intemi e
sensi estemi) e
secondo la stabiHtà
e costanza o la accidentahtà
e inter- mittenza delle attività
sensoriali. Si ha
cosi l'auto-sintesi (io
o mondo psichico)
e l'etero-sintesi (il
non-io o mondo
fisico) : con
che, in verità,
la differenziazione che
si intendeva spiegare,
è semphcemente presupposta.
Spirito e materia
non sono opposte
entità metafisiche, ma
astrazioni signi- ficanti alcuni caratteri
generali propri rispettivamente dei
fenomeni interni e
di quelli estemi.
Il che non
esclude, tut- tavia, -
con scarsa coerenza
- che si
possa parlare di
un monismo psico-fisico,
e che si
ricada anche nell'ingenuo
dogmatismo materiaUstico, che
del fenomeno psichico
pone come causa
necessaria il fatto
fisiologico della vibrazione
nervosa e giunge,
col Taine, a
considerare l'intelligenza come
una funzione dell'organismo. Il
principio ardigoiano dell'assoluta originarietà della
Non c'è un
so- sensazione come
fatto costitutivo dell'esperienza, ossia
della ^^.''^'° f^^
'^^^' ^ '
gtamenh. realtà immediatamente vissuta
nella coscienza, esprime
in termini psicologici
il principio metafisico
che riduce il
mondo a un
processo di formazione
naturale, ossia a
una continua serie
di cangiamenti, che
non presuppone alcun
sostrato permanente (antisostanziahsmo) ma
consiste nello scaturire
necessario di un
nuovo stato o
momento attuale dell'essere
dagH stati o
momenti anteriori, in
virtù di forze
insite in questi
stati antecedenti. E
la struttura di
un tal processo
universale del divenire
si offre intuitivamente nel
fatto fon- damentale della sensazione:
l'esperienza nella sua
immedia- tezza si costituisce
nel necessario passaggio
daUa unità in-
differenziata del sentire originario
nella duaUtà soggetto
oggetto. Ebbene, il
divenire della realtà
risulta appunto come
un processo nel
quale la moltepHcità
delle forme di
essere che il
pensiero apprende come
distinte emergono con-
tinuamente da un indistinto
nel quale quel
moltepHce trova la
sua unità e
la sua condizione.
Non che in
questa inter- 6
Cap. XXX. -
Positivismo e correnti
affini prelazione della
« formazione naturale
» l'indistinto venga
contrapposto al distinto
in modo assoluto:
l'indistinto è tale
solo relativamente, cioè
rispetto ai distinti
che esso vale
a spiegare; ma
ognuno di questi
distinti sollecita aUa
sua volta ulteriori
distinjzioni di cui
esso figura come
l'unione sintetica, e
quindi come indistinta.
Il processo di
formazione naturale come
emergenza dei distinti
dall'indistinto, è in-
finito: se i distinti
sono finiti, infinito
è l'indistinto in
seno al quale
e ad opera
del quale essi
si generano. E
per questo rispetto
il naturalismo ardigoiano
s'ispira a quello
rinasci- mentale, rivela l'affinità
del suo concetto
d'indistinto con quello
bruniano d'infinito e
respinge ogni interpretazione trascendente
del principio generatore
e unificatore del
reale, sia del
tipo dell'inconoscibile spenceriano
[l'indistinto è sem-
plicemente r « ignoto
», ossia ciò
che non è
ancora cono- sciuto, appunto perchè
ancora privo di
quelle intrinseche distinzioni
che rendono possibile
il conoscere) sia
del tipo del
noumeno kantiano (l'unità
sintetica del molteplice
fe- nomenico è appunto
l'indistinto immanente ai
distinti e fenomenico
al pari di
questi). Universo infi-
In questa tipica
struttura di «
formazione naturale »
è concepito dall' Ardigò
l'universo, come tutto
infinito, le cui
parti non sono
entità semplici, elementi
fissi, ma sono
« ritmi »
d'esperienza, ossia forme
speciaU di regolarità
nella suc- cessione dei
fatti, costantemente ricorrenti
e unificantisi in
quel ritmo dei
ritmi che è
l'ordine razionale deUa
natura. Quest'ordine presenta
caratteri che possono
apparire op- posti e
anche contraddittori, ma che nella
riflessione filosofica dell' Ardigò
tendono a conciMarsi,
anche se non
sempre il risultato
risponde pienamente al
proposito. Così, ad
esempio, l'universale ritmicità
comporta una rigida
necessità causale in
tutte le formazioni
naturah, ma questa
determinazione non esclude
la casuahtà. L'universo
comporta una infinità
di ordini possibili:
il verificarsi effettivo
di uno di
essi e il
determinarsi in seno
ad esso di
essenze causali necessarie,
non ha nulla
di necessario e
predeterminato, è il
prodotto di combinazioni
la cui fortuita
rende imprevedibile il
corso nito. Il
positivismo ardigoiano e
la sua crisi
7 degli eventi.
Analogamente, la necessità
che genera e
do- mina l'ordine cosmico,
è necessità rigidamente
mnemonica, sì che
ciò che di
più meraviglioso essa
presenta è per
Ardigò il fatto
che « la diversità prodigiosa
delle cose che
compon- gono la natura
e la varietà
inesauribile delle forme
che vi si
vanno continuamente sostituendo
è il risultato
di un lavoro
semphcemente meccanico, cioè
di nuli' altro che
certi impulsi, dati
e ricevuti ». Ma
nel tempo stesso
l'ordine com- porta anzi
esige una spontaneità
della forza per
la quale il
processo di distinzione
risulta un vero
e proprio processo
creativo, inconcihabile col
meccanicismo puro, che
vede nel divenire
cosmico un complesso
di trasformazioni dell'essere
per sé stesso
non suscettibile di
creazione o distruzione.
E Meccanicismo questa
duplice faccia che
nel positivismo ardigoiano
pre- « '^^t^deterimm- senta
l'ordine cosmico, -
la faccia meccanicistica e
quella antideterministica o
contingentistica - riappare
nell'antitesi tra la
tendenza a interpretare
lo sviluppo cosmico
come un semphce
accrescimento quantitativo e
a cercare il
segreto delle forme
più complesse e
derivate in strutture
più primi- tive e
povere di determinazioni e
la tendenza opposta
a ve- dere nel
divenire cosmico un
processo dinamico di
ascen- sione dell'essere in
forme sempre più
ricche di realtà,
in sistemi ritmici
forniti di un
grado di autonomia
sempre più elevato.
Questo contrasto tra
le due istanze
appare in più
cruda luce quando
oggetto della riflessione
filosofica è l'uomo
e il mondo
umano : esso
s'inserisce nell'ordine cosmico
senza romperne l'unità
e continuità col
mondo fisico: for-
mazione naturale è la
vita della coscienza,
quale è indagata
dalla psicologia come
scienza positiva, come
scienza di fatti
dominati dal meccanismo
psichico; formazione naturale
è la società
nella quale gh
uomini formano sé
stessi e costrui-
scono la propria storia;
formazione naturale la
coscienza delle ideaHtà
superiori - etiche,
giuridiche, rehgiose, este-
tiche, scientifiche - che
regolano e promuovono
l'operare umano. Ma
queste formazioni naturah
si presentano nel
cosmo con connotazioni
speciah che rendono
esasperante- mente
problematica la inseribihtà
dell'umano nel monismo
8 Cap. XXX.
- Positivismo e
correnti afini naturalistico: problematica
è la derivazione,
per meccanismo psichico,
dei poteri intellettuali
dalla sensibilità e
del volere dall'impulsività inerente
alla sensazione; problematica
la fondazione della
libertà spirituale e
dell'autonomia umana sulla
necessità della natura,
come coronamento di
essa; problematica, l'identificazione dell'opposizione tra
morale e immorale
con quella tra
socialità antiegoistica ed egoismo, pur
essendo l'uno e
l'altro formazione naturale.
Fortuna del- La
fortuna del positivismo
ardigoiano presenta due
fasi VArdigo. distinte:
l'una, che riempie
l'ultimo trentennio dell'Otto-
cento ed è compresa
tra il discorso
su Pomponazzi, che
apre la rottura
col mondo ecclesiastico
in cui aveva
fin allora militato,
e la decadenza
mentale della tarda
vecchiaia : periodo
di progressiva maturazione
e articolazione del
pensiero po- sitivo e
di crescente efficacia
rinnovatrice cosi nella
demo- lizione dei vecchi
idoli della filosofia
tradizionale, svuotata negh
ultimi decenni di
vera vitahtà, come
nella costruzione della
nuova Itaha uscita
dal Risorgimento, laica
e demo- cratica: la
seconda, che si
estende oltre il
primo trentennio del
nostro secolo, in cui i
discepoli di Ardigò,
usciti dalla scuola
di Padova, accolgono
l'eredità del Maestro,
e mentre se
ne fanno apologisti
e spesso agiografi,
mentre esaltano la
fecondità del suo
positivismo inteso come
« metodo »,
sen- tono il bisogno
di sottoporre a
revisione critica i
temi prin- cipaH
della sua «
dottrina », sensibili
alle difficoltà e
contra- dizioni che vi
si annidavano, messi
in sempre più
chiara luce dalla
polemica incalzante di
agguerriti avversari, mili-
tanti nelle file del
risorgente spiritualismo e
più particolar- mente dell'ideahsmo d'ispirazione
hegehana, che proprio
in quel tomo
di tempo si
veniva costituendo e
grandeggiava sempre più
potente, fino a
soppiantare il positivismo
nel dominio della
cultura itaHana. Questa
seconda fase fu
detta dagh stessi
discepoli di Ardigò
fase di «
crisi ». È
questa crisi del
positivismo che si
esprime specialmente nella
dottrina del Marchesini,
del Troilo e,
con iimovazioni più
radicali in tutto
l'arco dei problemi
filosofici, del Tarozzi.
G. Marchesini 9
2. Giovanni Marchesini.
— Già nel
1898, quando Ro-
berto Ardigò era ancora
intento a completare
il suo edificio
speculativo, dal seno
stesso della scuola
ardigoiana usciva una
denuncia di crisi
del positivismo: La
crisi del positivi-
smo e il problema
filosofico, di cui
era autore Giovanni
Mar- chesini (1868-1931), uno
dei discepoli più
fedeli ed entu-
siasta divulgatore del pensiero
del Maestro, per
lunghi anni fino
alla morte professore
di filosofia morale
e di pedagogia
nell'Università di Padova.
Nella prima fase
della sua produzione
aveva accentuato contro
Vidoia- e applicato
il principio capitale
del positivismo, che
non v'è ^''^^
^^ •^'*"°- conoscenza
la quale non
sia fondata esclusivamente su
fatti sperimentati o
sperimentabiH. Questo principio
era da lui
affermato con tanto
piri intransigente rigore
quanto più viva
e urgente era
la lotta che
il positivismo conduceva
contro la tradizione
metafisica e rehgiosa.
Ma col graduale
ampharsi del campo
delle sue esperienze
culturaH e col
maturarsi della sua
riflessione critica, il
Marchesini si formò
la convinzione, svolta
appunto in quel
suo libro del
1898, che proprio
sif- fatta « idolatria
del fatto »
poneva in crisi
il positivismo. Questo
deve attenersi al
fatto, ma il
fatto vederlo alla luce
della ragione, al
di fuori della
quale non è
possibile nessuna conoscenza
non che filosofica
o scientifica, neppure
comune. E per
ragione il Marchesini
intende non solo
i poteri intellet-
tuaU, ma anche
ambiguamente quegli atteggiamenti
del- l'anima umana che
più spesso sono
quahficati come irra-
zionaH o alogici,
gh « slanci
» del sentimento
e deU'immagi- nazione,
che Marchesini volentieri
chiama « romantici
» o « mistici ».
« Dopo Platone
ed Hegel -
egli scrive - dopo i
trionfi delle rehgioni, delle metafisiche
e dell'arte, è
assurdo voler soffocare
e sopprimere, per
l'amore incomposto del
fatto, il senso
àeW! idealità razionale. Non è possibile
isolare e circoscrivere
il nostro pensiero
entro una breve
cerchia di fatti
minuti e non
risahre a principii
superiori razionali »
[La crisi del
positivismo, p. 17).
Il positivismo è
in crisi, ogni
volta che limita
il suo oriz-
Ritmicità. zonte mentale
a fatti accertabili
nella loro bruta
oggettività, IO Cap.
XXX. - Positivismo
e correnti affini
dissimulando per giunta
la presenta e
l'azione di quei
prin- cipii razionali
che costituiscono V « imperativo
» dell'espe- rienza e
rendono possibile la
conoscenza « scientifica
» pur di
questo ordine di
fatti, ossia la
scoperta in esso
d'una « ritmicità
», per la
quale la scienza
si trova innanzi
non a un
coacervo di dati
empirici (i «
fatti minuti »,
di cui il Mar- chesini parla
nel passo or ora citato),
ma innanzi a
un mondo uno
e continuo, il
mondo della «
natura materiale »,
scan- dita con necessità
meccanica, nei gradi
della fisicità, della
organicità biologica e
della psichicità. Il
positivismo è in
crisi ogni volta
che, presentandosi come « naturalismo
mate- rialistico », ignora
(e si mostra
incapace di spiegare)
la realtà di
un « regno
dello spirito »,
incentrato nell'uomo, quale
essere non riducibile
a mera realtà
bio-psichica, ma «
sog- getto » di
« ideaUtà »
capaci di rompere
il meccanismo della
natura materiale e
d'instaurare, pur in
seno ad essa,
un mondo superiore,
il mondo umano
della storia, il
mondo dell' «
incivihmento ». Superiorità
del- Nell'ordine biologico
e nell'ordine psichico,
l'uomo - af-
Vuomo. ferma risolutamente
il Marchesini -
ha una superiorità
su tutti gh
esseri, della quale
è fattore essenziale la
capacità sua a
trarre appunto dal
suo fondo fisio-psichico delle
idealità, ossia principii
di condotta accompagnati
da coscienza del
dovere, capaci di
contrastare a inclinazioni
sensoriali insite nella
sua natura. L'ideale.
« L'ideale non
è un lusso,
perchè non è un lusso
la civiltà, che
dall'ideale trasse sempre
aHmento e forza.
È un prodotto
umano, dovuto a
leggi necessarie, di
cui la ragione
è il sog-
getto libero e eterno.
Negare l'ideale morale,
come fatto e
come legge, come
principio fondamentale della
nostra esi- stenza, significa negare,
con la nostra
ragione e dignità,
la nostra stessa
natura: in una
parola, significa dimenticare
sé stessi »
{Ibidem, p. i86).
— « Il
positivismo non è
dunque con- trario alla
Morale, ma da
esso la Morale
sorge come scienza,
spoglia da ogni
preconcetto, forte e
sicura. Il positivista
non può arrestarsi
a scoprire nell'uomo
civile il selvaggio
e il bruto,
e trascurare quegli
elementi di civiltà
vera che sono
G. Marchesini ii
come le stratificazioni nuove,
solidissime, sovrappostesi agli
strati più antichi.
Tutta la storia
dell'uomo c'insegna che
la nostra civiltà
è la naturale
continuazione e il
dinamico sviluppo delle
primitive tendenze; ma
in questa continuità
dinamica il positivista
ritrova la legge
del progresso civile,
e soprattutto del
progresso morale» {Ibidem,
pp. 186-187). È
merito del Marchesini
aver posto al
centro del suo
Positivismo positivismo i
problemi dell'uomo e
della sua formazione
nella ^'^'^^^^^^^co. storia
e nell'educazione, conforme
alla sua schietta
voca- zione di morahsta
e di educatore.
Secondo lui, la via per
la quale il
positivismo poteva superare
la sua crisi
era che esso
diventasse positivismo idealistico,
capace cioè di
salvare la specifica
funzione delle «
ideahtà » umane
nella « realtà
» deUa natura,
e di spiegare
come in un
mondo di fatti
parti- colari e relativi
possano formarsi ed
essere operativi principii
ideali che s'impongano
alla coscienza con la pretesa
dell'uni- versahtà e
imperatività assoluta. Egli
tentò una costruzione
sistematica di questo
suo positivismo idealistico
nell'opera che, anche
cronologicamente, occupa il
posto centrale nella
sua trentennale produzione
speculativa. La dottrina
positiva delle idealità,
del 1913. In
questo Hbro egU
convoghò anche un
nucleo di idee
già ampiamente formulate
fin dal 1903
nell'opera capitale Le
finzioni dell'anima: e
costantemente riprese e
variamente appUcate negh
anni successivi; nucleo
d'idee per cui
il positivismo ideahstico
si configura come
funzionalismo o etica
e pedagogia del
come se, o
anche pram- matismo
razionale, che egli
considerò come l'apporto
più originale e
significativo da lui
recato all'esplorazione del
mondo umano, ma
che effettivamente è
forse la parte
più debole del
suo pensiero, rivelante
l'ambiguità d'impostazione e
l'incertezza o addirittura
la contraddittorietà di
soluzione del suo
problema. Il compito
che il Marchesini
si propone è
quello di mostrare
L'etica come la
idoneità e sufiicienza
del metodo positivo
a fondare una
dottrina deUe ideahtà
razionah, ossia a
costituire l'etica come
scienza. Un tal
compito imphca una
critica radicale di
qua- lunque forma di
etica metafisica ossia
di qualunque dottrina
scienza 12 Cap.
XXX. - Positivismo
e correnti affini
Analisi mora- le.
Natura e ir,
flusso sociale. la
quale esiga riferimento
a una sfera
trascendente l'espe- rienza per
spiegare dati rivelantisi
nella esperienza morale:
il produrre elementi
metafìsici nello studio
della moralità è
un procedimento non
conforme a ragione
scientifica, consi- stendo esso
nel proiettare nel
mondo trascendentale e
asso- luto modi soggettivi
ed empirici della
nostra vita spirituale.
La morale come
scienza deve eliminare
dalla concezione delle
idealità siffatte trasfigurazioni e
deformazioni del procedi-
mento metafìsico per fissare
i dati concreti
dell'esperienza spirituale umana.
Vale per l'Etica,
non meno che
per le altre
scienze, il principio
che ogni indagine
scientifica presuppone una
realtà data, la
quale ne costituisce
l'oggetto: l'Etica presuppone
la realtà del
fatto morale, realtà
che va non
soltanto con- statata empiricamente ma
determinata altresì nei
caratteri e nelle
leggi specifiche ad
essa pertinenti. Siffatta
determinazione si realizza
mediante il procedi-
mento deìl' analisi del fatto
morale: si tratta
di decomporre questo
fatto nei suoi
elementi costitutivi e
vedere come esso
sia il prodotto
o la sintesi
di coefficienti anche
d'ordine in- feriore.
Riassumendo i risultati
di questa analisi
quale il Mar-
chesini la conduce, vediamo
che le componenti
del fatto morale
sono: a) incUnazione
naturale propria dell'individuo come
essere biopsichico; b)
fattori della socialità
propria della vita
umana; e) ideaUtà
razionale ossia aspirazione
a modi e
forme di vita
superiori alla realtà
attuale; d) ten-
denza a concepire e
sentire l'ideale etico
come la rivelazione
dell'Assoluto. I primi
due ordini di
taU coefficienti sono
omogenei in quanto
esprimono i fattori
costitutivi della struttura
dell'in- dividualità umana come
soggetto morale. «
Il soggetto mo-
rale risulta anche dalle
attitudini originarie dell'uomo,
che si differenziano
in ogni individuo
per il vario
contributo delle eredità
biologica o bio-psichica;
e risulta inoltre
tra i rapporti
sociali stendentesi nello
spazio e nel
tempo in cui
la personalità è
compresa, e che
del pari si differenziano negli
G. Marchesini 13
individui per il
contributo di una
determinata eredità so-
ciale (....). Il soggetto
morale si compie
per l'integrazione di
questi due ordini
di coefficienti: né
la natura bio-psichica
dell'individuo, né l'influenza
sociale bastano isolatamente
a spiegarne, con
le idealità, la
vita morale. I
due ordini di
fattori per contrario
si fondono, e
ripercotendosi negH uni
la efficienza degli
altri, si modificano
reciprocamente » {La
dottrina positiva delle
idealità, p. 55).
Siffatta unità organica
di vita bio-psichica
e vita sociale
è la base
reale per la
formazione della personahtà
morale, per la
quale é necessario
l'apporto di quello
che noi abbiamo
indicato come terzo
ordine di coefficienti,
cioè le ideahtà
etiche. Queste sono
caratterizzate, a dire
del Marchesini, L'obbligazione. dalla
obbligazione ossia dalla
coscienza di una
necessità ideale a
cui si deve
sottostare, dalla coscienza
che certi modi
di condotta devono
essere preferiti a
certi altri. Ma
proprio neUa illustrazione
di questo concetto
del dover essere
speci- fico alla vita
morale, il pensiero
del Marchesini si
presenta particolarmente oscuro.
Da una parte
sembra che egli
insista sulla essenziale
amoraUtà della vita
sociale in quanto
priva del valore
derivante daUa idealità
(vi sono forme
di società animali
affini alle associazioni
umane ma prive
di ogni ca-
rattere di morahtà) ;
dall'altra parte tende
a identificare socialità
e morahtà. Parte
dalla giusta osservazione
che « la
morahtà non sarebbe
inteUigibile fuori dei
rapporti sociali, delle
tradizioni, del costume,
delle istituzioni varie
e del- l'azione inter-individuale »,
e da questa
affermazione infe- risce che
nel sentimento sociale
è già l'essenza
del sentimento morale
in quanto il
primo imphca per
sua natura la
coscienza dell'obbligazione di
risentire e rispettare
i vincoH compresi
nei rapporti sociali,
imphca cioè la
tendenza « a
restringere il proprio
arbitrio, e a
mantenersi in un
certo accordo con
i consociati: e
in ultima anahsi
adunque la tendenza
sociale è una
tendenza morale ».
« Noi possiamo
separare l'uno dall'altro
sentimento per astrazione,
e fissare neUe
rispettive definizioni termini
differenziah ; ma
tutto ciò è
ben lungi dal
distruggere la loro
fondamentale unità psicologica... per
ver essere. 14
Cap. XXX. -
Positivismo e correnti
affini la quale
le idealità sociali
costituiscono il principio
supremo della moralità,...
e si comprende
come si possano
scambiare i due
termini morale e
sociale, in quanto
ha natura morale
tutto ciò che
è sociale, ed
è sociale ogni
morale » {ibidem,
PP- 56-57)- Questa
tendenza a unificare
sul piano psicologico le
ideaHtà morali con
le esigenze sociaU,
attuata fino in
fondo, porterebbe a
una dottrina etica
risolventesi in pura
socio- // fatto
e il do-
logia. Il Marchesini
sembra restio ad
accettare una posi-
zione del genere, intuendo
più o meno
oscuramente la diffe-
renza radicale tra l'obbligazione o
normatività sociale e
l'obbhgazione o normatività
morale, in quanto
la prima si
risolve in una
pressione che di
fatto la società,
nel costume e
nella legge esercita
sulla coscienza individuale,
e a una
tale situazione di
fatto l'individuo avrebbe
sempre il diritto
di contrapporre un
altro fatto costituito
dalle sue esigenze
egoistiche; viceversa l'ideaHtà
morale sta ad
indicare non una
realtà storica o
psicologica, bensì il
diritto all'esistenza di
qualcosa che non
ha attualmente esistenza:
la norma- tività morale
è un dover
essere che s'impone
indipendente- mente da ogni
condizione particolare ed è in
forza di esso
che si sente
il valore imperativo
dell'idealità sociale non
solo, ma anche
la necessità ideale
di aspirare ad
una costituzione sociale
superiore, nella quale
siano superate le
deficienze della vita
sociale attuale. Ma,
ripeto, questa distinzione
è intuita dal
Marchesini solo oscuramente.
Egli descrive la
vita schiettamente morale
in questi termini
: « si
deve sen- tire e
operare altruisticamente superando
l'esclusivismo egoi- stico; si
deve attenersi al
dovere, qualunque sacrificio
pos- sano subirne i
nostri desideri; ci
si deve sottrarre
alla servitù vile
delle passioni ignobih
e dei ciechi
istinti brutali, e
acqui- stare quella hbertà
che ha nella
virtù i propri
simboli eterni »
[ibidem, p. 61).
Ma quando si
domanda quale è
il fondamento di
quel dovere che
è l'anima della
vita morale cosi
caratterizzata, si risponde
che questo fondamento
è dato da
quella che egli
chiama « natura
morale essenziale all'uomo
», ossia dalla
G. Marchesini 15
potenzialità propria dell'uomo
di costituirsi come
soggetto Potenzialità morale.
« Il principio
della naturale umanità
morale significa *"°''^'^- che
esistono nell'uomo in
quanto tale tendenze
naturali po- tenzialmente morali, destinate
a svolgersi per
l'esperienza della vita
{....)', questa non
crea le tendenze
in cui l'umanità
consiste, ma interviene
necessariamente a svilupparsi
(....)• Le idealità
morali traducono in
se medesime la
nostra uma- nità morale,
quale è e
quale aspira a
divenire (....). Non
esiste uomo normale
che nella coscienza
del valore delle
ideaUtà non affermi
la coscienza del
valore umano e
proprio; che non
riconosca insomma intimamente
la necessità che
il dovere e
il diritto non
l'arbitrio e la
violenza governino la
condotta individuale della
vita sociale» {ibidem,
pp. 25-26). Dal
che risulta che
la « umanità
morale » è
illazione tauto- logica daM'essere delle
ideaUtà morali al
loro poter essere
e non può
quindi offrire a
queste un fondamento
che esse non
abbiano già in
sé. La difficoltà
- nella visuale
del Marchesini -
di distinguere Ricerca
di una chiaramente
l'obbhgazione morale da
quella sociale risulta
^°^'^'^ ''^^^^■ anche
nella ricerca che
egh fa di
una norma delle
valutazioni delle idealità
etiche. Il regno
dei valori morah,
egU dice, è
l'io dell'uomo, ossia
essi sono soggettivi,
creazioni del sog-
getto. Ma d'altra parte
l'individuo stesso li
sente come og-
gettivi in quanto la
creazione loro da
parte del soggetto
non è arbitraria
e questa oggettività
consiste nel riconoscimento che
quelli «sono valori
sociali, storici, tradizionah;
che in essi
convengono i consociati;
che hanno una
durata nel tempo,
se non anche
la perennità propria
dei valori fonda-
mentaU d'ogni consorzio
umano; che si
fissano perfino nello
spazio mediante varie
istituzioni, e nel
costume. L'individuo perciò
ne riconosce la
sovrana potenza, superiore
infinita- mente al suo
arbitrio; riconosce che
non provengono dalla
Ubertà creatrice dello
spirito suo ma
da ragioni obiettive
concrete» {ibidem, p.
86). Dunque la
validità oggettiva delle
idealità etiche si
risolve nella normatività
delle valutazioni dominanti
nella società in una determinata
epoca; non è una necessità
del genere di
quella formulata da
Kant con 3.
- Lamanna. Storia
della filosofia. VU.
i6 Cap. XXX.
- Positivismo e
correnti affini l'imperativo
categorico « ma
una necessità concreta,
na- turale, immediata, relativa
alle condizioni specifiche
della convivenza, ossia
del modo e
grado di sviluppo
che in una
determinata epoca e
società venne raggiunto
dalla comune umanità
morale ». La
necessità delle norme
della valutazione è,
per il Marchesini,
razionale solo in
quanto è naturale
e storica «
e come tale
si scosta dalla
necessità pura immuta-
bile concepita e propugnata
dall'idealismo kantiano »
[ibidem, pp. 89-90).
La reintegrazio- Infine
uu tentativo di
caratterizzare nella sua
specificità "^- l'obbUgazione
morale è compiuta
dal Marchesini col
riferire la formazione
delle ideahtà etiche
al processo che
egli chiama di
reintegrazione, per cui
i motivi interiori,
le inchnazioni naturali
risultano gli elementi
originari che si
rifondono, per- sistendo, nelle formazioni
superiori dello spirito.
« Come la
sensazione persiste nell'idea,
che non avrebbe
senza di queUa
né origine né
contenuto, e tuttavia
l'idea non si
riduce alla sensazione
(poiché si pone
come un vero,
cioè in relazione
a una idealità
logica, che l'individuo
apprende per effetto
di una speciale
cultura) , così persistono
nelle ideahtà le
tendenze varie, fondamentali
della personalità, o
insomma persiste quello
che possiamo dire
il suo interesse,
ricostituendosi,
reintegrandosi in forme
nuove, a cui
si attribuisce più
pro- priamente il carattere
di valori »
{ibidem, p. 76) .
Per il Mar-
chesini questo principio della
reintegrazione abbraccia l'uni-
versa natura: questa procede
per integrazioni, disintegra-
zioni e reintegrazioni; equivale
cioè al principio
evolutivo del passaggio
dall'indistinto al distinto,
della continuità tra
mondo fisico, mondo
biologico e mondo
psichico. E entro
il mondo biopsichico
esso opera come
passaggio dall'istinto animale
e piii in
generale dalle inclinazioni
biopsichiche fon- damentali alle formazioni
superiori della umanità
morale. Ma nella
illustrazione di questo
passaggio il Marchesini
insiste più sul
concetto del persistere
dei coefficenti inferiori
nelle formazioni superiori,
che sul concetto
dell'originalità e novità
di queste ultime
e sulla specificità
dei caratteri spe-
cifici che le distinguono
l'una dall'altra. E
così, a proposito
lità della norma .
G. Marchesini 17
della formazione della
nostra « umanità
morale » non
si ac- cenna neppure
alla distinzione in
essa delle idealità
sociali dalle idealità
speciiìcamente etiche, limitandosi
il Marche- sini ad
affermare che gli
elementi inferiori si
reintegrano « nelle
formazioni superiori dello
spirito, soprattutto per
la provocazione e
il materiale suggestivo
di elaborazione che
provengono dai rapporti
sociah ». E
ad esempio, a
propo- sito della ideahtà
della Giustizia, si
afferma che il
processo reintegrativo in
essa consiste nella
trasformazione degl'im- pulsi biopsichici dell'individuo -
assommantisi nella tendenza
a perseverare nel
proprio essere -
in un senso
di sohdarietà e
simpatia che si
traduce nelle istituzioni
giuridiche, e sembra
che in queste
si esaurisca l'obbligazione morale,
come dipen- denza dell'individuo dalla
volontà sociale. L'idealità
della Relativa stabi-
giustizia - al
pari delle altre
idealità etiche - è legata
alla mobilità dell'esperienza storica
dell'umanità: e questa
con- nessione - su
cui il Marchesini
giustamente insiste -
giustifica il principio
metodologico che è da questa
esperienza che noi
dobbiamo ricavare i
criteri di giudizio
da appHcare ai
nuovi dati dell'esperienza stessa.
Il che significa
che l'esperienza storica
ci presenta elementi
che hanno per
noi valore norma-
tivo: e questi elementi
sono quelli che
nel mutamento del
mondo dell'esperienza storica,
risultano i più
stabili e che,
nei contrasti della
vita sociale, raccolgono
i consensi più
larghi. Ma se
questa stabihtà e
questo consenso sono
pura- mente elementi di
fatto, bastano essi
a costituire quella
nor- matività o imperatività
che è essenziale
all'ideahtà etica? Lo
stesso Marchesini sembra
dubitarne: egH infatti
in un passo
importante parla non
semplicemente di stabihtà
o di consenso,
ma di diritto
alla stabihtà e
al consenso sempre
più generale [ibidem,
pp. 138-139). Ma
non dice su
che cosa si fonda
e donde deriva
un tale diritto.
Nell'anahsi del fatto
morale il Marchesini
rileva un altro
coefficiente - quello
da noi designato
come quarto -
e cioè un
ordine d'impulsi, per i quali
l'ideale etico è
sentito come «
la rivelazione d'un
mondo trascendente e
insomma del- l'Assoluto »
[ibidem, p. 75
e sgg.). i8
Cap. XXX. -
Positivismo e correnti
affini ^Assoluto. Per
Marchesini l'Assoluto si
presenta alla coscienza
umana: a) come
la realtà suprema
da cui ogni
cosa dipende e
in cui tutte
le cose si
unificano, oggetto d'un'idea
metafisica; b) un
ideale trascendente di
perfezione, con cui
la vita degli
individui tende a
identificarsi, contenuto d'un
sentimento essenziale all'umanità
morale. Ma pel
Marchesini, la critica
razionale del pensiero
dell'Assoluto nell'una e
nell'altra forma dimostra
che esso appare
fattore costitutivo del
fatto morale non
in quanto la
trascendenza ad esso
attribuita significhi un'esistenza
esteriore in un
mondo ultraempirico, in
quanto cioè si
ponga come verità
oggettiva; bensì in
quanto sia il
simbolo di tutto
ciò che di
eccellente l'uomo sente
immanente alla propria
natura, esprima una
verità « soggettiva
» rispondente a
un bisogno essenziale
della coscienza. «
La visione dell'Assoluto
nella coscienza morale
emerge dal senso
del mistero di
cui le ideahtà
si circonfon- dono ».
« Il sentimento
dell'Assoluto è essenzialmente mi-
stico: e non risulta
dall'idea metafisica, ma
la precede e
la suggerisce ».
« La esistenza
esteriore all'Assoluto è una fin-
zione del pensiero,
ma non è
finzione il processo
psicologico ond'esso è
sentito nella sua
spirituale potenza, e
per cui il
soggetto vince gU
impulsi accidentali ».
Analogamente, la trascendenza
metafisica dell'ideale assoluto
di perfezione uno,
universale, immutato è
una. finzione, un'immagine
puramente contemplabile ma
priva di ogni
efficacia pratica. «
Un ideale è
necessario alla vita...;
fuori dell'ideale non
c'è che mec-
canismo insulso: esso è
degno pertanto dell'entusiasmo onde
lo si esalta
». Ma quando
venisse posto fuori
della natura umana
e dell'esperienza, esso
si ridurrebbe a
una vuota forma
pura, a una
realtà che non
è realtà, a
un mero nome.
« Ci si
può rappresentare l'ideale
etico come uno,
immu- tabile, trascendente, solo
in quanto si
faccia astrazione dalla
realtà concreta, psicologica
e storica, dai
caratteri individuali e dai modi
vari onde si
compone nei singoli
la coscienza morale;
dalle tradizioni etiche,
dal costume, dalle
leggi, daUe istituzioni
sociah e poUtiche;
cioè da tutto
ciò che dà
un contenuto concreto
e relativo all'ideale
etico; ma sarebbe
G. Marchesini 19
assurdo ritenere che
dopo ciò sussistesse
tutt'ora l'ideale stesso....
Perchè questo abbia
quella funzione teleologica
che gli è
intrinseca è necessario
che attecchisca nella
per- sonalità, assumendone il
vigore razionale, affettivo,
e pratico, ossia
che diventi un
suo interesse; che
si fondi nella
espe- rienza soggettiva perdendo
la purezza astratta
e nominale che
l'idealismo metafìsico gh
attribuisce; che diventi
insom- ma una finzione
dell'umanità morale dell'individuo,... un
bisogno interiore, un
modo fondamentale della
stessa vita Naturalismo
e soggettiva, una
legge naturale dell'esistenza. La sua con-
soggettivismo. cezione naturalistica
o realistica importa
necessariamente questo soggettivismo» {ibidem,
pp. 81-82). La
critica ra- zionale tende
a ridurre l'Assoluto
al relativo, l'idea
di per- fezione quale
entità oggettiva trascendente
a esigenza biopsichica
della coscienza individuale,
a fattore immanente
della soggettività umana.
Così ad esempio
l'ideale della giustizia,
che dalla metafìsica
è prospettata come
trascen- dente la natura,
in quanto sovrasta
su tutte le
accidentahtà e imperfezioni
delle cose umane,
incontaminata e perenne
e come trascendente
la storia, in
quanto questa, nella
sua perenne mutevolezza,
lungi dal rilevare
che cosa il
Giusto sia, lo
presuppone come un
a priori, un
primum stabile ed
eterno, è per
il Marchesini una
formazione naturale e un prodotto
storico, emerge dalla
natura umana in
quanto questa è
natura morale oltre
che fìsica {ibidem,
p. 135 e
sgg). La consistenza
oggettiva chela metafìsica
attribuisce Osservazioni alle
idealità morah è dal Marchesini
interpretata come estra-
'^''^^*'^^^- neità ai
voti della vita
del soggetto; e
perciò insiste nel
con- cetto che la
morahtà non possa
essere attuata se non nella
natura, che i
principii ideali valgono
in quanto hanno
la funzione di
investire e organizzare,
non già negare,
le ten- denze naturali perchè
il soggetto morale
si formi nella
sua concretezza vivente.
Ed è, questo,
un concetto giusto:
ma non è
necessariamente derivabile dalla
premessa, discu- tibile, che
la trascendenza sia
per sua natura
esclusiva di ogni
forma di immanenza
o interiorità al
soggetto. Questo appare
evidente nel concetto
fondamentale di dovere
o ob- 20
Cap. XXX. -
Positivismo e correnti
affini bligazione specificamente morale.
Il Marchesini riconosce
che « l'uomo
avverte nella sua
natura una necessità
cui spetta un
assoluto impero, e
vi si sente
legato pur se
vi facciano contrasto
altre inchnazioni:... non
v'è coscienza, di
un valore senza
la coscienza di
un vincolo, d'una
restri- zione dell'arbitrio, d'una
rinuncia» {ibidem, p.
93 e sgg).
E giunge perfino
ad affermare che
l'azione della società
sull'individuo, onde si
distingue in lui
la coscienza delle
norme e dei
valori moraU, è
puramente provocatoria e
sug- gestiva: l'obbligazione sociale
è costrittiva, ossia
vincolo esteriore, mentre
l'obbligazione morale è
interiore, è cor-
relativa al riconoscimento -
da parte della
coscienza del soggetto
agente - del
valore inerente al
fine proposto. Di
siffatto valore, a
cui è correlativa
l'imperatività incondi- zionata, indipendente cioè
dalle circostanze empiriche
par- ticolari in mezzo
alle quali l'azione
si svolge, il
soggetto ri- cerca il
fondamento ultimo, le
ragioni « impersonali
e uni- versaU,
assolute» {ibidem, p.
96). E crede
di trovarle, queste
ragioni, o neUa
volontà legislatrice di
Dio (morale teologica
o religiosa), o
in una sfera
di realtà oggettiva
superiore a tutti
gli impulsi del
soggetto, in un
mondo (di valori)
per sé stante
(morale ontologica), o in una
ragione pura imper-
sonale che, identica in
tutti gl'individui, detta
a tutti un
medesimo imperativo categorico
come forma universale
che investe a
priori i contenuti
più vari e
mutevoli della condotta
e indica quali
tra i fini
che l'esperienza dimostra
desiderati o desiderabili,
debbano essere desiderati
(etica formale) . A
priori reia- Ma
pel Marchesini sono
queste concezioni inaccettabili
dal punto di
vista positivo, poiché
tutte ugualmente pongono
il fondamento dell'obbligazione propria
delle ideahtà mo-
raU in qualcosa
di trascendente che
sfugge all'esperienza: implicano
la proiezione delle
idealità fuori della
vita in- teriore del
soggetto, e pertanto
le presuppongono già
formate nell'ambito di
questa, nell'atto stesso
che pretendono essere
tale formazione dovuta
all'azione estrinseca del
trascendente; e quanto
alla presunta ragione
impersonale dell'etica iov-
tivo G. Marchesini
21 male, « essa non
è che una
forma fittizia della
ragione per- sonale consociata, e
la necessità a
priori del dovere
è una necessità
naturale » {ibidem,
p. 104). L'identità
formale della ragione
non esprime che
l'identità psicologica dell'umanità
morale : «
Nel dovere formale
si traduce la
nostra vita morale
concreta, che ne
acquista il carattere
dell'universalità o dell'apparente incondizionaHtà. Accade
cioè che la
forma pura, assunta
come essenza del
dovere, abbia l'apparenza
e la funzione
della sintesi a
priori; ma questa
forma pura è
in realtà nient'altro
che l'indistinto degH
elementi concreti della
coscienza morale: è
una sintesi di
questi, ossia un
a priori relativo
e positivo, non
già assoluto e
metafisico. Il dovere,
per dire con
altre parole, è
un impulso originario
della nostra umanità
morale, una legge
della nostra vita,
un fondamento della
nostra esistenza come
individui sociali, e
in ciò consiste,
se si vuole,
il suo carattere
a priori. È
tale in relazione
alla nostra successiva
esperienza, rimanendo a
questa anteriore non
diversamente che la
nostra stessa natura
morale originaria, in
cui s'innesta» [ibidem,
p. 102). In
conclusione, per il
Marchesini, quelle concezioni
etiche Le concezioni
sono costruzioni fittizie,
sono finzioni, sotto
le quah la
cri- ^^l"^^^. .
^°^^ ' j
' T- «
finzioni ». tica
razionale deUa scienza
positiva non può
riconoscere altra radice
reale deUe ideahtà
che la stessa
natura umana nella
sua struttura biopsichica,
intesa come originaria
po- tenziahtà morale
indistinta, su cui la comunione
sociale esercita infinite
azioni stimolatrici di
quei processi di
attua- zione da cui
emergono le ideahtà
stesse. E la
dottrina po- sitiva delle
ideahtà ponendo «
il principio fondamentale
dell'umanità morale, come
germe (e indistinto)
sempre fe- condabile dell'evoluzione etica,
ci lega alla
natura, ma non
alla natura bruta,
bensì aUa natura
umana, che non
nega né asservisce
lo spirito, ma
è per sé
medesima capace di
autonomia morale» {ibidem,
p. 70). Questa
soluzione del problema
del fondamento deUe
idealità, a dir
vero, po- trebbe essere
sospettata di petizione
di principio: le
ideahtà morali, quali
vengono sperimentate nell'interiorità della
vita individuale e
neUo sviluppo deUa
storia, avrebbero la
22 Cap. XXX.
- Positivismo e
correnti affini loro
base in una
natura, che assume
la qualifica di
« mo- rale »,
solo in virtù
e in conseguenza
dell'esperienza di quelle
idealità che pur
si pretende siano
da essa spiegate
e giusti- ficate. Comunque, tale
dottrina positiva delle
ideahtà esclu- dente come
irrazionale qualunque interpretazione che
faccia appello a
un fondamento trascendente
la sfera empirica,
ha come suo
presupposto l'interpretazione naturalistica, della
realtà, diciamo pure
una metafisica sottostante
al- l'empirismo, al materiahsmo
che il Marchesini
qualifica come umanistico,
in quanto riconosce
i caratteri peculiari
dell'uma- nità, ma sempre
naturalismo: la fede
nelle ideahtà è
fede nella natura
umana, in cui
le ideahtà germinano
{ibidem, P- 52).
Rifiuto del tra-
scendente. Trasfigurazio- ne delle
cose. Che il
naturalismo etico delineato
dal Marchesini, in
quanto corollario del
naturahsmo metafisico, lasci
fuori - nel
tentativo di giustificare
e fondare le
idealità etiche -,
alcuni aspetti od
elementi del contenuto
di queste, e
che quel concetto
di « natura
umana » che
il Marchesini ha
co- struite per imperniare
su di esso
una visione positiva
della vita morale,
positiva in quanto
rifiuti come irrazionale
ogni riferimento al
trascendente e assoluto,
sia così vago
e in- definito da
includere in se,
contradditoriamente, proprio quel
bisogno dell'assoluto a
cui esso avrebbe
dovuto apporre un'insormontabile barriera,
è dimostrato dalla
dottrina del finzionalismo
che, come abbiamo
ripetutamente accen- nato, al
Marchesini sta tanto
a cuore. Proprio
nel paragrafo conclusivo
dell'opera La dottrina
positiva delle idealità
(il paragrafo 95,
intitolato « L'Arte
morale ») il
Marchesini dice che
è essenziale alla vita
dello spirito r
insoddisfazione - egli
dice anzi « disgusto »
-, per la
realtà di fatto,
e che questo
disgusto provoca lo
spirito a fare
ogni sforzo per
vincerlo, svolgendo «
le sue attività
costruttive, ossia quel
vigore artistico che gU è
proprio » {ibidem,
p. 255). Quest'arte
speculativa investe tutte
le attività dello
spirito, sia quelle
del pensiero logico
riflesso, il cui
prodotto - la
scienza delle cose
- se è
provocato ne- G.
Marchesini 23 cessariamente dalle
cose, è tuttavia
una costruzione del
soggetto, trasfiguratrice delle
cose, a cui
viene attribuita oggettività
appunto in virtìi
dell'arte speculativa, sia
il sentimento e
il volere con
le mirabili sintesi
ideali in cui
si ripercuotono i
moti etici e
con i disegni
d'azione in cui
si congegnano gl'impulsi
e le inibizioni.
E le idealità
stesse sono creazioni
estetiche dello spirito
(creazioni dell'arte speculativa,
che si specifica
come « arte
morale ») , in
quanto riproducono in
immagini sublimi e
perfette, moti vaghi
e tendenze multiformi
della nostra natura
sensibile e morale....
Ma pur come
tali esse rispondono
a una necessità
naturale dello spirito,
e rappresentano inoltre
il bisogno umano
di adattamento dell'io
alle ideahtà sociali.
Nelle idealità, senti-
mento e ragione si
armonizzano : «
la natura nostra,
fonte originaria del mondo ideale,
è in pari
tempo affettiva e
ra- zionale, onde la
ragione si spiega
pure nel sentimento
e il sentimento
si modera nella
ragione ». Ora
quest'attività costruttiva o
arte speculativa, di
cui sono creazione
le idealità, è
qualificata dal Marchesini
come potere di
finzione, e le
ideahtà etiche non
hanno efficacia e
valore nella vita
morale se non
in quanto vengono
rico- nosciute come finzioni.
E come abbiamo
già accennato, questo concetto
è l'idea direttiva
dell'opera Le finzioni
dell'anima. Il termine
finzione è equivoco:
il Marchesini stesso
di- stingue in esso
due significati opposti:
nel primo finzione
è « infingimento
» e «
ipocrisia », vera
e propria menzogna
per cui, mentre
si cela agh
occhi altrui il
proprio essere e
pen- sare, si tenta
con atti e
parole di farlo
apparire diverso da
quello che è,
e ciò col
proposito consapevole di
raggiungere con l'inganno
un qualsiasi utile
egoistico.... Nel secondo
Equivocità dei significato,
finzione è il
risultato d'un atteggiamento
della '^''"*"*^ *
f^^^^°- ^ .
°° ne ».
coscienza - in
cui l'immaginazione ha
parte prevalente -,
per cui si
costruiscono (« fingere
», etimologicamente, è
appunto plasmare) parvenze
d'essere o tipi
ideali di condotta,
che in sé
non hanno realtà,
ma s'inseriscono nella
realtà, conformandola e
adattandola a sé.
All'inizio della sua
trat- 24 Cap.
XXX. - Positivismo
e correnti affini
tazione, il Marchesini
precisa la definizione
della finzione in
questi termini :
« il fatto
della finzione consiste
nel creare enti
che, mentre per
sé sono irreaU,
si assumono e
si trattano come
reaU.... Esso consiste
nel prevalere d'uno
stato interno di
coscienza per cui
si dà corpo
alle ombre, proiettando
nel mondo reale
un prodotto dell'immaginazione. È
quell'arti- ficio interiore, per
cui si dà
forma di obiettiva
verità a cre-
denze che sono dovute
a un singolare
disporsi dell'anima per
effetto di intimi
bisogni, di segrete
tendenze, e che
si stabiliscono e
deducono senza che
il soggetto penetri
vera- mente l'essere e
il modo del
proprio spirito »
[Le finzioni dell'anima, pp.
5-7). E in
questo quadro del
concetto di finzione
rientrano le massime
pratiche nelle quali
si traducono le
ideahtà eti- che: cerca
il bene altrui
come il tuo
stesso bene (altruismo,
come identificazione di
sé con gh
altri nella com.une
umanità) ; riponi
la tua felicità
esclusivamente nella virtìi
(identifica- zione di virtri
e felicità) ;
fa' quel che
devi esclusivamente per
dovere (identificazione della
volontà buona con
la forma del
dovere) ; senti
la responsabihtà di
tutte le tue
azioni, quali manifestazioni della
tua libertà assoluta
(identificazione del volere
con l'agire hbero)
[ibidem, p. 85
e sgg.) E
la sin- tesi dei
valori additati da taH massime
é simboleggiata nel-
Videale etico come
modello di perfezione,
assoluto e univer-
sale, trascendente tutte le
singole personalità e
uguale per tutti.
E pertanto il
principio morale supremo
é formulabile così:
adegua la tua
personalità al modello
di perfezione as-
soluta, imphcante il concetto
dell'identificazione della vo-
lontà individuale con l'assolutezza
dell'ideale etico {ibidem,
p. 67 e
sgg.) Ragioni del
fin- Ora quaU
sono le ragioni
per le quaU,
secondo il Mar-
chesini, queste ideahtà sulle
quaU la morale
si regge, sono
finzioni? In breve,
sono queste tre:
i) esse sono
in con- trasto con
la realtà: le
identificazioni che l'anahsi
discopre impHcite sono
irreah, e perciò
i concetti etici
sono « erronei
». 2) La impossibihtà d'una
concihazione tra realtà
e ideahtà in
sede teoretica, non
esclude la possibihtà
d'una conciha- ztontsmo.
G. Marchesini 25
zione in sede
pratica, in quanto
il fatto, accettabile
nel- l'esperienza, che la
vita etica con
le sue idealità
si realizza, pur in forme
parziali e relative,
giustifica il principio
pram- matistico che
comanda di agire
conformemente a quei
va- lori, i cui
concetti sono riconosciuti
« erronei »,
come se fos-
sero veramente assoluti. 3)
Attraverso il prammatismo,
l'er- rore, riconosciuto in
sede teorica, dell'obiettività del
valore as- soluto, è
superato in una
superiore verità teorica,
per cui non
è contestabile la
realtà della persona,
quale si viene
co- stituendo nella sua
dignità attraverso l'azione
ispirantesi ai valori
assoluti: e in
tal modo è
salva l'unità della
ragione pratica e
della ragione teoretica.
i) « Lavorare
è finzione se
la si fa
consistere nel pieno
La perfezione possesso
della idealità assoluta
morale, o nella
perfezione. ^"'"^ '^°
'^ "' Ciascuno
è morale secondo
la propria natura,
e condizionata- mente a
questa, per i
motivi che sono
in essa, per
le incli- nazioni particolari ad
essa consentanee, e
nei modi cui
com- portano le innumerevoli
e svariatissime combinazioni
degli elementi del
suo divenire psichico
(....). La perfezione,
se fosse un
concetto positivamente valutabile,
sarebbe in ciascuno
in quanto la sua coscienza
morale risponde ^^'g-
namente alle condizioni
da cui è
emersa e dalla
quale è deter-
minata (....). Invece la
moraHtà di un
uomo è sempre
l'espo- nente delle accidentahtà
del suo io; e se
un grano di
bontà morale è
possibile, questo risulta
necessariamente dalla hmitazione
inerente al modo
concreto dell'essere e
del di- venire intimo, personale»
{Le finzioni, pp.
62-63). «Una conciliazione
teorica tra la
morale della realtà
e quella che
l'ideale etico assoluto
rappresenta come modello
unico, incondizionato, è
dunque impossibile» {ibidem,
p. 83). 2)
Ma a questa
inconciliabihtà teorica non
corrisponde Conciliabilità un'assoluta
inconcihabiHtà pratica. «
La personalità che
ha ^^"'^^'^'^• le sue proprie
tendenze e i
suoi propri ideah
deve essere tut-
tavia dominata e
diretta dall'ideale etico
impersonale, obiettivo, assoluto;
deve ricercarsi dunque
una conciliazione tra
le tendenze relative
ai bisogni soggettivi,
e l'impersonalità 20
Cap. XXX. -
Positivismo e correnti
affini o assolutezza
dell'imperativo morale. E
questa conciliazione dovrà
necessariamente essere pratica
» [ibidem, p.
128). Questa conciliazione
pratica si attua
nel principio pram-
matistico del come
se: i valori
assoluti sono fittizi,
ma noi dobbiamo
agire come se
fossero realtà. «
L'esistenza subiettiva è non meno
reale che quella
obiettiva, e se
esiste nell'anima dell'individuo una
credenza qualsiasi, fosse
pure nell'assurdo, questa
credenza, come modo
di essere dello
spirito, è una
realtà. Reale è
quindi nello spirito
l'oggetto, il contenuto
del credere, e
ha necessariamente un'azione
motrice o ini-
bitrice, un potere di
direzione nel concerto
delle idee, dei
sentimenti e delle
azioni individuah.... L'individuo,
per l'eccitamento che
a lui proviene
dalla sua fede, opera dunque
come se questa
fosse pienamente giustificata;
come se esi-
stesse obiettivamente
l'oggetto della sua
credenza » [ibidem,
pp. 198-199). Il
processo di moralizzazione della
vita ha due
momenti: constatarsi secondo
il proprio reale
essere individuale, con
la sua relatività,
e trasfigurarsi fingendosi
mighore: l'ind ividuo constata
in sé il
difetto di bontà,
di giustizia, di
generosità quale gli
apparisce dal sincero
con- fronto di sé con le
analoghe idealità, ed
opera per queste
idealità la catarsi
del proprio io,
l'incremento morale del
proprio essere e
poiché le ideahtà
sono essenzialmente sociali,
espressioni di una
volontà, la volontà
collettiva, non sog-
gettiva ma obiettiva, non
arbitraria ma necessaria,
io mi identifico
con questa volontà
sociale e riconosco
pratica- mente questa norma
suprema : «
opera come se
ciò che é
vero socialmente, ed
è socialmente imposto come
assoluto, fosse vero
e assoluto anche
per te » ; questa
formula esprime la
rcLzionahtà della condotta
morale, e per
il suo valore
pratico può dirsi
prammatistica [ibidem, p.
192 e sgg).
Fecondità della 3)
« La volontà
morale è per sé stessa
feconda, e può
volontà morale, crearsi
un mondo teoretico
obiettivamente razionale. Non
è da escludere
a priori che
un mondo teoretico
razionale, obiet- tivo, possa
costituirsi anche come
mondo morale; non
è da escludersi
che sia conciliabile
senza finzione la
ragione pratica o
volontà morale con
la ragione teoretica
o critica, G.
Marchesini 27 che
possano mantenersi integri
e rigogliosi i
valori morali seguendo
la scienza» {ibidem,
p. 156). Questo
è l'edificio speculativo
costruito dal Marchesini
ideale e valore.
per la sua
Morale della finzione
e del come
se. Dei tre
punti nei quali,
per amor di
chiarezza, l'abbiamo articolato,
il primo è
quello che dimostra
il grande equivoco
su cui tutto
l'edificio si regge.
È l'equivoco per
cui l'ideale etico
della perfezione, e gii altri
ideaH più speciaH
in cui esso
si deter- mina, siano
realtà in atto,
esprimano l'esistenza per
sé stante, obiettiva
di un'Assoluto trascendente
tutti i modi
di essere relativi
costituenti l'esperienza. E
messa a raffronto
con la realtà
empirica, alla cui
stregua noi misuriamo
la verità o
falsità delle nostre
conoscenze, quell'altra realtà
che è significata
dall'ideale, risulta in
netto contrasto, rivela
una contraddizione insuperabile
sul piano teoretico:
e questa contraddizione spinge
il pensiero critico
a qualificare come
fittizia la realtà
attribuita all'ideale, a
definire come nulla
più che finzioni
le idealità stesse
e a riconoscere
erronee tutte le
credenze nell'obiettività di
esse. Il vero
si è, invece,
che ideale non
significa realtà, ma
solo possibihtà e
neces- sità di realizzazione, non
esistenza, ma diritto
all'esistenza per il
valore intrinseco che
essa presenta, e
quindi dovere, per
la volontà, di
proporsele come fine
della propria azione.
E tra essere
e dover essere
non è possibile
una contraddizione logica,
appunto perchè essi
non sono termini
logicamente omogenei: per
contro, l'essere, in
un soggetto di
morahtà, fa appello
al dover essere
per riceverne elevazione
e incre- mento, e
il dover essere
fa riferimento all'essere
di un sog-
getto per potersi incarnare
nella realtà. Perciò
l'idealità non ignora
la realtà naturale
ad essa opposta,
ma la investe
per impregnarla di
sé, trasfigurandola: é
trascendente e assoluta,
ma solo nel
senso che il
suo valore è
sovraordinato ad ogni
realtà; e la
sua imperatività é
incondizionata. Se l'esperienza
morale é in
questi termini, che
senso ha il
trat- tare l'ideahtà come
finzione ? Finzione
essa é nel
significato etimologico, in
quanto é costruzione
della coscienza, in
quanto 28 Cap.
XXX. - Positivismo
e correnti afini
è prospettiva di uno stato
da realizzare; ma non nel
signifi- cato d' «
infingimento », di
autoinganno, implicito nel
princi- pio prammatistico del
come se, che,
problematico dal punto
di vista psicologico,
è negativo dal
punto di vista
morale, segno d'insincerità. L'ideale
di perfezione segna
una mèta, che,
po- sta a distanza
infinita, può anche
esser riguardata come
irrag- giungibile: ma non
per questo è
fittizia, perchè con
la sua imperatività
segna alla coscienza,
che aspira a
quella mèta una
direttiva, nella quale
è il criterio
oggettivo per distin-
guere ciò che nella
condotta è «
retto », ha valore positivo,
e ciò che
è « deviazione
», ha valore
negativo. Apoditticità Certo,
il pensiero speculativo
trova aperta innanzi
a del dovere.
g^ jg^ ^/^^
metafisica, c inclina
a fare dell'imperatività asso-
luta dell'ideale etico e
della fecondità progressiva
dell'azione che ad
essa s'ispira, l'indice
di una Realtà
superiore (Per- fezione assoluta, l'Essere
divino, la sfera
trascendente dei valori).
Questo passaggio dal
dover essere all'essere
si attua in
costruzioni problematiche: ma
la problematicità delle
deduzioni metafisiche non distrugge la
certezza apodittica dell'assoluta
imperatività di quei
principii morali, da
cui la metafisica
trae le sue
conclusioni sull'Essere assoluto.
Alla morale, sia
come scienza sia
come pratica di
vita, basta il
possesso di quella
certezza. Nell'ambito di
essa, aggiungiamo, si
pone la questione
fondamentale della specificità
dei valori morali
e della ra-
dice della loro obbligazione
assoluta. Il Marchesini,
abbiamo visto, risponde
riportando la morahtà
alla sociahtà. Contro
questa soluzione possono
essere riprese le
critiche ripetuta- mente mosse
a ogni interpretazione esclusivamente sociolo-
gica della moralità. Ma
non a questo
si riferiscono i
nostri rihevi finali,
bensì al fiiizionalismo e agh equivoci
da cui esso
deriva. 3. Erminio
Troilo: dalla posizione
positivistica al «
realismo assoluto ».
— DaUa scuola
di Ardigò usci
anche Erminio Troilo,
nato nel MoKse
nel 1874, professore
di filosofia teoretica
dapprima nell'Università di
Palermo e E.
Troilo: il •
che esprime la
concezione universalistica dell
etica, nella quale
il soggetto che
valuta pone sé
stesso come un
assoluto, senza tener
conto delle circostanze
particolari nelle quali
la sua coscienza
morale si è
costituita quale è,
e assume quella
coscienza come infallibile
principio di discriminazione tra
il bene e
il male). «
Il dovere, che
è l'astrazione di
un fatto psicologico
ultimo, è di
natura formale, e
comporta pertanto ogni
maniera di contenuti;
e il bene
morale non può
farsi consistere in
uno o altro
di questi contenuti,
bensì neU'at- teggiarsi
della condotta coerentemente
al riconoscimento e
al sentimento dell'obbUgazione »
[ibidem, p. 512).
È assolu- tamente infondata l'esigenza
di stabiUre quale
è il contenuto
in se e
per sé buono,
quali sono i
principii che la
coscienza dell'individuo particolare
accogherà e riconoscerà.
La psi- cologia della
valutazione porta al
riconoscimento di una
pluraHtà di punti
di vista, i
quah con le
loro armonie e
con le loro
antinomie le forniscano
un proprio oggetto.
Ciascuna delle moltephci
direzioni costanti del
nostro volere vanta
diritti o accampa
pretese sopra l'uomo
tutto quanto, e
in questo é
il germe dei
conflitti nei quali
si esprime la
proble- matica della nostra
attività pratica. S'invoca
un criterio alla
stregua del quale
siano conciliati i
contrari e superate
le contraddizioni. Poiché
ciascuno è inclinato
a pensare, qualora
abbia risolto per
proprio conto il
problema, che quella
soluzione da lui
prescelta sia anche
« la »
soluzione adeguata e
giusta, si spiega
la tendenza ad
assegnarle un valore
uni- versale, a esigere
che universalmente venga
approvata e fatta
propria dagh altri
[ibidem, p. 513
e sgg.). L.
Limentani: pluralismo etico
87 Questa concezione
del Limentani solleva
riserve, dubbi, gh
intenti dei obiezioni,
di cui faremo
qualche cenno tra
poco. Ma, al
di ^*'"^"'««^- là
di tutte le
critiche anche le
più radicali che ad essa
pos- sano muoversi, è da riconoscere
innanzi tutto che
essa è tutta
animata e sorretta
da genuina e
fervida preoccupa- zione di
salvare i più
elevati valori morali.
Il concetto cen- trale
che morahtà non
è altro che
fedeltà - nella
condotta effettiva -
all'idea liberamente assunta
dal soggetto come
il proprio dovere,
come direttiva che
la coscienza dell'obbhgo
impone alla propria
azione, significa affermazione
del valore supremo
della persona, quale
operosa costruzione della
pro- pria realtà spirituale
nello sforzo di
sanare il dissidio
in- teriore inehminabile dalla
vita individuale, con
l'assicurare l'effettiva supremazia
di ciò che
è sentito come
doveroso sulle tendenze
avverse: in quell'enunciazione dell'imperatività della
coerenza dell'atto col
sentimento del dovere,
è l'eco della
celebre affermazione kantiana
che l'unico vero
bene morale è
la volontà buona
- e universale,
nel suo carattere
puramente formale -
questo valore della
dignità umana con-
sistente nella fedeltà pratica
al proprio sentimento
del do- vere: nessuno
di noi, certo,
può penetrare il
segreto della coscienza
degli altri individui
e dare un
giudizio sulla mo-
ralità del loro operare,
ma presumendo in
tutti la sincera
dedizione di ciascuno
all'idea da lui
sentita come doverosa,
noi sentiamo negh
altri individui, anche
se la causa
per cui combattono
con sincerità sia
diversa e perfino
antitetica alla nostra,
uno sforzo, identico
al nostro, di
costruire la pro-
pria personalità, comprendiamo il
senso della loro
azione e questa
comprensione si trasforma
in umana simpatia,
che ci affrateUa
anche ai nostri
nemici nella partecipazione a uno stesso
regno spirituale, — E non
manca infine nel
Limen- tani, sebbene oscura
e incerta, l'aspirazione
a porre le
basi per interpretare
il mondo degli
uomini come una
società di spiriti
che collaborano all'opera
comune di costruzione
dell'umanità non soltanto
in ciascuno di
noi ma anche
in tutti gh
altri consoci. NobiHssime
aspirazioni e preoccupazioni, queste,
che Osservazioni pervadono
la costruzione speculativa
del Limentani dando
88 Cap. XXX.
- Positivismo e
correnti affini alle
sue sottili e
faticose analisi un
afflato di schietta
ed ele- vata eticità.
Ma gli apparati
teoretici che egli
appresta per la
soluzione dei problemi
che l'esame della
vita etica viene
via via affrontando,
sono adeguati all'appagamento di
quelle aspirazioni e
preoccupazioni? Qui appunto
la critica solleva
obiezioni così numerose
e gravi, da
giustificare o rendere
al- meno plausibile la
conclusione che quella
dottrina, piuttosto che
convaUdare e fondare,
rinneghi le esigenze
etiche affer- mate, e
porti al dissolvimento
di ogni eticità.
Cosi, all'esame dei
concetti che pel
Limentani esprimono i
vari momenti o
elementi costitutivi dell'atto
fondamentale della costruzione
del valore della
propria personalità individuale,
risulta che la
« coscienza dell'obbligo
» ossia l'attribuzione del
carattere d'imperatività a
uno dei molteplici
e contrastanti fini
verso cui ci
spingono le tendenze
e inclinazioni costituenti
la nostra natura
di esseri fisio-psichici e
sociah, è per
il Limentani un
dato di fatto,
che potrà essere
spiegato causalmente nella
sua genesi; ma
rifiuta qualunque tentativo
di giusti- ficazione che
fondi la preferibilità
assoluta del fine
prescelto rispetto agli
altri: io debbo
agire così; perchè
così son fatto,
e, in forza
di questa mia
costituzione di fatto,
così sento di
dover agire: la
coscienza
dell'obbligatorietà non è
che sentimento, e
il sentimento è
espressione della mia
sogget- tività quale è
di fatto, e
si sottrae ad
ogni esigenza giusti-
ficativa. Può questa determinazione del
mio essere quale
mi si rivela
nel sentimento già
costituito reggere il
peso della prospettiva
del mio dover
essere ossia della
mia opera mo-
rale come instaurazione d'un
essere che è
da costituire come
una realtà nuova
rispetto a quella
che sentiamo al
punto di partenza
? D'altra parte,
il sentimento mi
rivela il mio
essere individuale quale
è costituito in
questo momento, in
questo punto attuale
del processo di
formazione della mia
individualità: ma in
ulteriori momenti questo
mio essere, sotto
l'azione dei moltepUci
fattori che concorrono
a costi- tuirlo, potrà
mutare, e il
sentimento registrerà questi
mu- tamenti e potrà
portare all'assunzione di
fini obbligatori diversi
da quelli che
attualmente s'impongono a me. Ora
L. Limentani: pluralismo
etico 89 è
lecito domandare se
la possibilità di
siffatta mutevolezza possa
conciliarsi con la
funzione che al
fine assunto come
obbligatorio si attribuisce,
di bandiera sotto
la quale io
com- batto la mia
battaglia morale, di
causa alla quale
si debba nell'azione
testimoniare la propria
fedeltà; non implica
tale funzione una
costanza e continuità,
che abbraccia anche
i momenti futuri
della mia esistenza
e renda possibile
l'unità e coerenza
interiore della mia
personaUtà ? Ma
nulla giustifica, nella
dottrina del Limentani,
la pretesa del
mio fine attuale,
ad estendere il
proprio predominio al
futuro : il
cambiar ban- diera, il
sostituire alla mia
causa di ieri un'altra
causa, non altera
quel rapporto formale
di coerenza tra
l'azione e il
dovere, che è
l'essenza della moralità
e il tratto
costitutivo della personahtà.
Se il valore
morale della mia
personahtà sussiste immu-
sì devono ri-
tato pur nella
diversità e antitesi
dei fini che
io posso assu-
^P^^^"-^^ ^^,'^''^ * ^ _
, ... .
programmi op- mere
come obbhgati in
momenti diversi dal
mio operare, è
pressivi? chiaro che
questo concetto formale
della personalità può
essere esteso anche
agh altri individui:
ma con questa
con- seguenza palesemente contraddittoria, che,
mentre da un
lato si afferma
che ogni personahtà
merita rispetto essendo
assoluto il valore
morale di essa,
dall'altro lato deve
essere non solo
compresa ma giustificata,
in questo o
queU'individuo, la fedeltà
a una causa
che implichi il
programma di oppres-
sione o addirittura di
soppressione violenta delle
personahtà altrui. Non
posso simpatizzare, in
nome di una
presunta comune umanità
con un altro
individuo il quale
si arroga il
diritto - anzi
come dovere -
di farsi persona
attraverso l'osservanza di
un principio che
è negazione di
una comune umanità,
un principio di
sopraffazione deUe personahtà
altrui. Di comune
a tutti i
soggetti che intendono
essere membri del
regno dello spirito
attuantesi nel mondo
degli uomini è
il diritto e
dovere di essere
coerenti con sé
stessi: ma è
un requisito questo
che, nella sua
formahtà, nella sua
indifferenza per il
contenuto del fine
e della norma
con cui l'individuo
si sente obbhgato
ad essere coerente,
ha un'uni- versahtà
che non ehmina
ma ribadisce la
chiusura dell'in- dividuo in
sé stesso, in
una radicale estraneità
agh altri. go
Cap. XXX. -
Positivismo e correnti
a fini Il
positivismo 6. Il
sociologismo di Alessandro
Levi. — Uno
svi- cnhco cerca
ti i^ppo autonomo
del positivismo sociale
troviamo in un
altro senso dei
fatti. -^ -^
^ scolaro dell'Ardigò,
Alessandro Levi (1881-1953)
che, dopo aver
schizzato a vent'anni
le vie fondamentali
del proprio pensiero
in Determinismo economico
e psicologia sociale,
si specializzò poi
in iìlosofìa del
diritto [Per un
programma di filosofia
del diritto, 1905)
e insegnò tale
discipHna in varie
Università, da ultimo
a Firenze. Classici
sono rimasti i
suoi Contributi ad
una teoria filosofica
dell'ordine giuridico (1914)
e il saggio
su Filosofia del
diritto e tecnicismo
giuridico (1920), nonché
la Teoria generale
del diritto (1950).
Dopo la sua
morte. Guido Fassò
curò la raccolta
in due volumi
degli Scritti minori
di filosofia del
diritto, coiTedandoli di
una completa bibliografia
(1957). Politicamente Alessandro
Levi aveva simpatia
per il sociaHsmo, espressa
nei lavori su
La filosofia politica
del Mazzini (1917)
e II positivismo
politico di Cattaneo
(1928); e nell'analisi
concreta dei fatti
sociali, pur restando
fedele al modello
di quello che
egli chiamò «
positivismo critico »,
seppe fare i
conti anche con
le esi- genze messe
innanzi dall'idealismo storicistico.
L'accerta- mento dei fatti,
nella sfera dei
fenomeni sociali, non
può per lui
andare disgiunto dalla
penetrazione del senso dei
fatti medesimi, in
cui si manifesta
la coscienza collettiva
dei gruppi sociali.
Questo tradursi della
psiche umana collettiva
nei fatti sociaU
è oggetto di
uno studio che
può dirsi di « fe-
nomenologia positiva », e che rappresenta
un'interessante risposta, da
parte di un
ricercatore formatosi in
clima posi- tivistico, al
nuovo modo storicistico
e non più
naturahstico di intendere
i fatti. II.
FENOMENISMO, SUPERREALISMO E
SCETTICISMO 7. Il
Fenomenismo di Guastella.
— Al di
fuori dei quadri
della scuola ardigoiana
con i suoi
sviluppi e le
sue crisi, si
delinearono in ItaUa
nei primi decenni
del secolo e.
Guastella: il fenomenismo
91 indirizzi filosofici
d'ispirazione o orientamento
più o meno
schiettamente positivistico. L'assunzione
dell'esperienza sen- L'esperienza
sibile - interpretata
in senso naturalistico
- a fonte
prima *^"** *
^' dei criteri
di soluzione dei problemi del
conoscere, della realtà,
della moralità, l'avversione
ad ogni forma
d'apriori- smo o di
presupposti metafisici, un
atteggiamento decisa- mente polemico verso
l'idealismo assoluto che
veniva pren- dendo n
sopravvento nella cultura
italiana, sono tratti
comuni a taH
indirizzi : tra
questi i più
rilevanti per la
natura delle posizioni
in cui sboccano,
sono il fenomenismo
del GuasteUa, il
superrealismo dell'
Orestano, lo scetticismo
e relativismo del
Rensi, del Levi e del
Tilgher. Cosmo Guastella
(1854-1922) professore di
filosofia teo- retica all'Università di
Palermo dal 1903
fino alla morte,
si era formato
nel clima del
positivismo italiano, ma,
risa- lendo alle fonti
lontane di esso,
e più particolarmente al
classico empirismo inglese,
era giunto a
formulare una dot-
trina sistematica sul pensiero
e sull'essere, che
è in sostanza
una rimeditazione e
rielaborazione delle tesi
fondamentali di Stuart
Mill, sviluppate fino
alle estreme conseguenze.
Espose le sue
idee in opere
ponderose {Saggi sulla
teoria della conoscenza:
Saggio primo: Sui
limiti e l'oggetto
della conoscenza a
priori, 1897; Saggio
secondo: Filosofia della
Metafisica in 2
voli., 1905; Le
ragioni del Fenomenismo,
in 3 voli.,
1921-22). Ma nonostante
il rigore logico
della sua trattazione
e la fermezza
intransigente con cui
sostenne le sue
idee, queste non
ebbero larga ripercussione
nel pensiero italiano,
sia per l'indole
sohtaria dell'Autore, sia
per la scarsa
novità dei motivi
fondamentali, sia per
l'avanzare vittorioso dell'ideaUsmo
nella stessa scuola
(per alcuni anni,
nell'Uni- versità di Palermo,
accanto al Guastella
insegnò il Gentile).
Non è possibile
oltrepassare il mondo
dell'esperienza:
impossibilità fuori dell'esperienza non
c'è nulla e
non è pensabile
nuUa. l'esperZma"^^^ Ed
esperienza significa sensibilità:
pensare è sentire,
cioè presenza o
avvertimento immediato di
determinazioni qua- litative
concrete e particolari, senza
che questo implichi
92 Cap. XXX.
- Positivismo e
correnti afini Problema
del- l'oggettività. Nominalismo. un
ente distinto da
esse a cui
esse siano presenti
o da cui
siano avvertite: quel
che si dice
soggetto dell'esperienza o
io non è
esso stesso che
un insieme di
sensazioni anche se
illanguidite o deboh
nella forma di
immagini o rappresen-
tazioni. E d'altra parte
quelli che diciamo
oggetti reali, essendo
un insieme di
sensazioni, sussistono se
e in quanto
essi sono sentiti
: « esse
est percipi ».
Se la conoscenza
ha per oggetto
la verità come
accordo tra pensiero
e essere, nessun'altra
dottrina è, secondo
il Guastella, in
grado di dare
a quest'accordo che
è la verità,
un fondamento altret-
tanto sicuro quanto la
sua, che considera
essere e pensiero
fatti della stessa
stoffa, la sensazione.
Ma su queste
basi non si
spiega la possibilità
di un co-
noscere oggettivo, del sapere
scientifico, le cui
verità hanno la
pretesa di valere
universalmente, di essere
leggi della realtà,
soverchianti la provvisorietà
e parziahtà e
causaUtà delle immediate
esperienze soggettive. Occon^e
dunque, a questo
scopo, ammettere principii
ultrasensibiH ? e
attri- buire al pensiero
il potere di
oltrepassare i limiti
dell'espe- rienza e di
procedere a priori
alla conquista di
verità ogget- tive? Il
Guastella lo nega
risolutamente, e per
riaffermare il suo
radicale empirismo sottopone
a un esame
critico la teoria
del pensiero, nella
tradizionale distinzione dei
tre momenti di
esso, il concetto,
il giudizio, il
ragiona- mento. Per
quel che riguarda
il concetto, di
esso non può
darsi che un'interpretazione nominahstica
: esso cioè è im'entità
puramente verbale, un
nome che, riferito
alla realtà, non
designa un contenuto
nuovo rispetto a
quello sensibile -
i] cosiddetto intelligibile
universale -, ma
sempUcemente una molteplicità
di sensazioni concrete
e particolari: è
assurdo attribuire realtà
alle astrazioni concettuah,
perchè queste sono
immagini generali, ed
è impossibile ammettere
che esi- sta un
reale, per esempio
un uomo, che
possegga i carat-
teri comuni all'umanità senza
quei caratteri particolari
che distinguono un
uomo da un
altro nella sua
concreta particolarità. e.
Guastella: il fenomenismo
93 Quanto al
giudizio, esso è
affermazione di rapporti
tra 11 giudizio
come dati sensoriaU
e tra immagini.
Ora pel GuasteUa
i rapporti \Z^f^'ZZu^'
più generali tra le cose
sono quelli di
tempo e di
spazio, sono sequenze
o coesistenze: e
questi non possono
essere offerti che
dall'esperienza effettiva delle
cose, sono a
po- steriori: la presenza
- al pensiero
- della nozione
o imma- gine di
ciò che in
una sequenza è
l'antecedente, perchè in
esso il pensiero
stesso vi trovi
il fondamento del
passaggio al conseguente.
Ma accanto ai
rapporti di sequenza
e coesi- stenza il
Guastella pone un'altra
classe di rapporti,
quella della somigHanza
e dissomigHanza ;
la cui affermazione
è il contenuto
di quei giudizi
ch'egH chiama comparativi.
Ora per questi
non è necessario
il ricorso all'esperienza delle
cose, basta la
comparazione delle nozioni
o idee di
esse : non
c'è bisogno di
percepire due gruppi
di due oggetti
cia- scuno da una
parte e di
un altro gruppo
di quattro oggetti
dall'altro, ma basta
la comparazione dei
concetti (imma- gini) di
essi, per scorgerne
l'uguaghanza (somigHanza), come
basta la comparazione
delle immagini di
verde e di
giallo per affermarne
la differenza: e
dunque la vaHdità
di questi giudizi
è a-priori, e solo successivamente è
trasferibile nelle cose.
La matematica è,
secondo il Guastella,
costituita di giudizi
di somigHanza, e
perciò è scienza
razionale a-priori. Ma
appunto perchè i
giudizi a priori
non hanno riferimento
aUa realtà, l'ammissione
di essi, secondo
GuasteUa, non incide
menomamente sul valore
del principio che
solo l'espe- rienza sensibile consente
la conoscenza deUa
realtà: l'empi- rismo radicale non
è intaccato. Solo
i giudizi esistenziali
concernono le cose,
mentre, i rapporti
di somigHanza non
sono nuUa di
oggettivo, non fanno
parte del contenuto
dei singoH termini,
ma sono il
risultato di una
sintesi mentale. Pertanto
le scienze fisiche
come queUe storiche
sono costi- tuite di
giudizi esistenziaH e
sono scienze sperimentaH,
mentre le matematiche
sono costituite di
giudizi compa- rativi e
riguardano le idee.
Con ciò, non
è ancora risolto
il problema deUa
possi- Possibilità delia
biHtà deUa scienza
come sapere oggettivo,
come determi- sctenza.
94 Cap. XXX.
- Positivismo e
correnti affini nazione
di leggi universali
dei fenomeni. I
rapporti di se-
quenza e di coesistenza
constatabili nell'esperienza sono
particolari: il passaggio
all'universale è compito
di quel terzo
momento del pensiero
che è il ragionamento, di
cui l'unica forma
legittima per l'empirismo
è l'induzione. Il
fon- damento dell'induzione è
la costanza di
certi rapporti di
sequenza e di
coesistenza constatata nell'esperienza passata.
Ma questo non
basta ancora per
la trasformazione di
un certo rapporto
in legge: a
ciò si esige
che la costanza
del rapporto constatata
nell'esperienza passata sia
estesa alla esperienza
futura, esige cioè
che il futuro
sia conforme al
passato. Ma la
credenza nell'uniformità della
natura è un
postulato indipendente dall'esperienza. Qui
non soccorre più
l'empirismo. E si
profila nella conclusione
l'ombra dello scetticismo
humiano. Uiiiusione me-
Un empirismo così
radicale come quello
del Guastella tafistca
va spie- esclude
qualunque forma di
conoscenza metafìsica. Eppure,
egU riconosce come
permanente e irresistibile
la tendenza dello
spirito umano a
oltrepassare il mondo
dell'esperienza e ad
ammettere una realtà
assoluta soprasensibile. Per-
tanto egh ritiene che
compito del filosofo
sia quello di
mo- strare insieme con
l'illusorietà del sapere
metafìsico la genesi
psicologica del suo
necessario formarsi. La
dimostrazione della illusorietà
della conoscenza metafìsica
comprende i) la
critica - condotta
sul modello dell'empirismo inglese,
da Locke a
Hume e al
Mill - dei
due concetti fondamentali
di causalità efficiente
e di sostanza,
intesi come arbitraria
trasformazione d'una sequenza
temporale attestata dall'espe-
rienza in connessione necessaria
tra antecedente e
conse- guente (produzione del
secondo da parte
del primo) per
quel che riguarda
la causa, e, per quel
che riguarda la
sostanza, d'un rapporto
di coesistenza tra
varie rappresentazioni quaUtative
in un qualcosa
di distinto da
esse che ne
costi- tuisca come il
sostrato permanente; -
l'arbitrarietà del pro-
cedimento psicologico da cui
si origina l'aspirazione
alla conoscenza di una realtà
ultrasensibile, ossia della
tendenza a estendere
alla totahtà dei
fenomeni - a
noi non famihari
- e. Guastella:
il fenomenismo 95
le spiegazioni -
o, meglio le
presunte spiegazioni - che dei
fenomeni a noi
più familiari si
crede di poter
dare mediante il
concetto di causazione
efficiente. In altri
termini, si ritiene
che al senso
comune e all'intelletto che
non ha fatto
ancora la critica
di sé e
delle sue nozioni,
sembra che l'esperienza
a noi più
familiare presenti due
tipi di causazione
efficente dei fenomeni,
l'azione dello spirito
sul corpo (cioè
la pro- duzione dei
movimenti del nostro
corpo da parte
dello spi- rito) e
l'urto di un
corpo con un altro corpo
come causa dei
movimenti di questo.
L'evidenza di questi
due modelli di
causazione autorizza ad
estendere l'uno o
l'altro di essi
a tutti quanti
i fenomeni e
si hanno così
le due classi
di si- stemi metafisici apparsi
nella storia del
pensiero, cioè i
si- stemi spirituaUstici (che
antropomorficamente scorgono in
tutta la realtà
l'azione causale dello
spirito) e quelli
mecca- nicistici che considerano
tutta la realtà
come un complesso
di urti reciproci
dei corpi. Ma
secondo il Guastella
questa tendenza psicologica
a univerzalizzare rapporti
che al più
valgono per l'esperienza
più famihare a noi uomini
non è per
nulla giustificata, e
pertanto la «
filosofia della meta-
fisica » è dimostrazione
deU'iUusorietà della metafisica
stessa. La fallacia
dei sistemi metafisici,
dimostrata attraverso la
critica empiristica del
concetto di causahtà
efficiente, è confermata
dalla critica empiristica
del concetto di
so- stanza. Il
senso comune e
l'intelletto non critico
credono di Fallace
concet- scorgere nelle
esperienze dei fenomeni
esterni a noi
più fa- '° '^^
. ^°^^"'^^"' °
^ ^ materiale
o spi- miUari
permanenza o identità
con sé stesso
di qualcosa rituale.
che si manifesta
nel divenire, ossia
nel sorgere e
nello scom- parire di
qualità sensoriaU, ma
non si esaurisce
in esso, in
quanto non nasce
e non muore.
E col sohto
passaggio dal famihare
al non famihare
s'interpreta tutto il
mondo esterno come
una plurahtà di
sostanze materiali immutabih,
le cui diverse
posizioni reciproche nello
spazio determinerebbero le
variazioni quahtative costituenti
il divenire. Si
formano così 1
sistemi metafisici materiahstici
o meccanicistici, tra
cui l'atomismo. Ma
la critica scopre
l'illusorietà del concetto
8. — Lamanna.
Storia della filosofia.
VH. 96 Cap.
XXX. - Positivismo
e correnti affini
di identità sostanziale
delle cose, in
quanto nell'esperienza non
v'è nulla di
permanente, e quindi
nessun fondamento oggettivo
hanno le interpretazioni metafisiche
materiali- stiche e atomistiche.
Analogamente è illusoria
la credenza che
l'esperienza interna ci
riveU la permanenza
e identità di
una sostanza spirituale
o anima, perchè
questa non è
altro che una
collezione di stati
di coscienza, e
quindi infon- date sono
tutte le interpretazioni metafisiche
di orienta- mento
spirituahstico. Questa critica
porta alla conclusione
che la filosofia
dell'esperienza deve limitarsi
alla constatazione dell'esi-
stenza di quaUtà sensoriali
e di dati
di coscienza, rifiutandosi
di ammettere sostanze
materiali o spirituali.
È soltanto un
pregiudizio del senso
comune la credenza
che il cosiddetto
mondo esterno sia
costituito da corpi
che esistono per
sé quah noi
li percepiamo ma
indipendentemente dal nostro
percepirli: che siano
percepiti o no,
è indifferente per
il loro essere.
Su questo pregiudizio
si basano tutte
le forme di
reahsmo, e da
esso derivano le
antinomie che le
conce- zioni reahstiche presentano
e sono per
esse insuperabiH. Solo
liberandoci da questo
pregiudizio si ha
una visione coe-
rente della realtà, quale
è data dal
fenomenismo : «
esse est percipi
». A questa
confutazione del realismo
e alla con-
seguente dimostrazione della tesi
che non v'è
altra realtà che
quella degli stati
di coscienza ossia quella della
nostra esperienza, il
Guastella dedica la
sua opera conclusiva,
Le ragioni del
fenomenismo (3 voli.,
1921-23). 8. L'assiologia
di C. A.
Sacheli. — Uno
sviluppo originale in
direzione della filosofia
dei valori fu
dato al fenomenismo
del Guastella da
Calogero Angelo Sacheli
(1890-1946), scolaro, oltre
che del Guastella,
del pedago- gista Giovanni Antonio
Colozza (1857- 1943), e
professore lui stesso
di pedagogia a
Messina. Il primo
nucleo di scritti
del Sacheli si
colloca poco dopo
la fine della
prima guerra mondiale
{Assiologia, 1919; Indagini
etiche, 1920; Feno-
menismo, 1926), e mira
soprattutto a scalzare
la pretesa di
L'assiologia di C.
A. Sacheli 97
una struttura concettuale
data, che offra
una volta per
tutte il quadro
necessario dell'attività umana.
In un secondo
gruppo di scritti
{Atto e valore
e Ragion pratica),
del 1938, il
Sacheli mostra che
riconoscere la concretezza
dell'imme- diato non significa
negare ma, al
contrario, salvaguardare i
valori dello spirito.
Il proton pseudos,
per il Sacheli,
è cercar n
valore non è
di ricondurre il
valore all'essere: poiché
allora il valore
sarà ^l^^^J^^^'^^^^''^' concepito
come qualcosa di già dato,
vuoi come fatto,
vuoi come forma,
e perciò come
qualcosa di inerte,
di irrilevante, che
cessa pertanto, non
solo di essere
valore, ma anche
di essere comunque,
per ridursi al
nulla. L'essere va
bensì cercato, ma
muovendo dal dover
essere, senza mai
pre- tendere d'averlo trovato
compiutamente: va cercato
in una tensione
continua. Per questo
il reale concreto
è sempre mobile,
imprevedibile, problematico, caratterizzato da
quella che il
Sacheli chiama axiofenomenicità: cioè
fenomenicità costituentesi nella
tensione verso un
valore. In questo
concetto dell'esistere si
può notare un
influsso, sia della
« critica del
concreto » di
CarabeUese, sia dell'idea-
lismo di Gentile, nel
senso che entrambi
stimolano la po-
lemica del SacheU e
quindi, in parte,
lo condizionano. Contro
il primo, il
SacheU sostiene infatti
il vanificarsi di
un onto- logismo verso
cui non ci
si muova axiofenomenicamente ;
contro il secondo,
la necessità di
ammettere una plurahtà
di soggetti, e
non un soggetto
unico e assoluto.
L'esigenza dell'alterità è,
anzi, il principio
sintetico originario dell'espe-
rienza, ciò per cui
l'esperienza concreta si
fa nell'io, in
vista dell'unità con
l'altro io. Ciascun
io, « nella
sinteticità con- creta che
egli è, è
chiamato a reaUzzare
quel pieno sé
stesso che non
può veramente essere
un me, un
ego - che distingue, separa
ed oppone - ma un
io che per
tale mezzo é,
in ultima analisi,
quell'unicità axiologica cui
solo siamo necessaria-
mente, interiormente orientati» [Ragion
pratica, p. 316).
Non senza forzature
e oscurità, il
Sacheh si sforza
così di mettere
in luce una
vocazione intimamente axiologica
nel fenomenismo della
filosofìa moderna, affacciatosi
con Hume, e
soffocato da Kant
e dai postkantiani
sotto strutture a
priori. gS Cap.
XXX. - Positivismo
e correnti affini
g. Francesco Orestano
: scienza etica
e « super-
realismo ». —
Francesco Orestano (1873-1945),
nato nel Palermitano,
professore di filosofia
morale e di
storia della filosofia
dal 191 1 al
1924, lasciò volontariamente la
cattedra, dichiarando di
voler dedicare tutta
la sua attività
all'ese- cuzione d'un programma
speculativo molto ambizioso,
o forse, più
propriamente, presuntuoso: la
costruzione di un
Ricerca di sistcma,
nel quale da
un lato il
problema etico e,
più in ge-
^ifica'^'^ ^"^"" ^^r^J-^'
dei valori umani,
dall'altro, il problema
della realtà e della conoscenza,
impostati su basi
sperimentali, avessero una
soluzione rigorosamente scientifica,
e costituissero quindi
(pur al di
fuori dei quadri
della scuola positivistica) una
nuova filosofia positiva.
E d'altra parte
questa, a suo
giu- dizio, si inseriva
nella più genuina
tradizione del pensiero
italiano: si prestava
quindi ad essere
strumento e appoggio
- nel campo
culturale - del
nuovo regime politico
instau- ratosi in Italia,
a difesa e
incremento dei nostri
valori na- zionali. Accademico d'Italia
tra i primissimi
nominati e quale
Presidente della Società
Filosofica Italiana, abile
orche- stratore di
congressi e convegni
filosofico-politici,
l'Orestano con una
campagna ferocissima di
poco edificanti polemiche
svolse un'accanita concorrenza
con l'ala gentiliana
deU'idea- Usmo -
da lui boUata
per le sue
origini hegeliane come
espres- sione deUo spirito
germanico -, in uno sforzo
tenace di soppiantarla
nella funzione di
filosofia ufficiale del
re- gime. I
primi lavori teoretici
concernono la fondazione
di una nuova
etica: e con
essi egli carezzava
in segreto - e più
tardi lo dichiarò
apertamente - l'idea
di essere il
Galilei o il
Newton deUa scienza
del bene e
del male, /
valori umani, 1907,
e i Prolegomeni
alla scienza del
bene e del
male, 19 15, sono
le più importanti
tra le sue
opere. L'Orestano presenta
un programma di
innovazione nel- l'indagine dell'esperienza morale,
perchè questa possa
assu- mere carattere e
valore di una
vera e propria
scienza quale «
esperienza pura »,
analogamente alla concezione
che della scienza
dei fatti naturah
ha formulata l'Avenarius.
La scienza F.
Orestano : scienza,
etica e «
superrealismo » 99
etica non può
essere altro che
la descrizione della
vita mo- Descrizione
di rale da
cui risultino lepri
esprimenti relazioni funzionali
^^!'^^^°^^ /""" 00
ir j ztonah
costanti. costanti tra
fenomeni e rappresentanti la
massima economia concettuale
rispetto alla varietà
infinita dei fenomeni
stessi, senza alcuna
pretesa normativa. Si
aggiunge che la
scienza della morale,
se vuol essere
scienza veramente positiva
e riuscire alla
descrizione più completa
e più semplice
della realtà etica,
deve rendere formali
i propri concetti,
senza dare alcuna
definizione concreta del
bene e del
male, né difendere
alcuna intuizione particolare
della vita morale,
sia egoistica o
altruistica, sia individualistica o
collettivi- stica, ecc., bensì
applicando indistintamente i
propri con- cetti a
tutte le esperienze
morali, dai gradi
infimi ai su-
premi. E le
relazioni funzionali costanti
che si scoprono
nel- / valori.
l'esperienza morale sono
i valori: l'atto
di valutazione è
quello che la
scienza morale deve
innanzitutto analizzare. Ogni
valutazione è reazione
di un oggetto
alla soggettività: ma a proposito
della natura di
tale reazione, il
pensiero dell'Orestano presenta
oscillazioni e incertezze
tra la per-
suasione che essa sia un atto
di coscienza (reazione
psico- logica) e l'altra
che essa comprenda
elementi extra psicolo-
gici, inconsci e subconsci.
La soggettività, che
reagisce nella valutazione,
è per l' Orestano
un « sistema
di vita »,
che presenta una
composizione multipla e
pluricentrica : sotto
l'aspetto psicologico è
polipsichica nel senso
che nello stesso
individuo si trovano
più centri di
attività, fonte di
processi sconnessi e
discontinui; sotto l'aspetto
organico è polizoico
cioè costituito da una moltephcità
di vite, e
sotto l'aspetto sociale
policoinotico. Questo sistema
di vita -
di cui la
co- scienza non sarebbe
che una piccola
porzione accanto a quelle dell'inconscio e
del subconscio -
è la fonte
onde pro- manano tutte
le determinazioni dei
valori umani. Ulteriore
chiarificazione della natura
dell'atto valutativo sembra
all'Orestano la riduzione
del valore a
uno stato di
interesse, inteso non
nel senso intellettualistico di
curiosità, ma in
senso bio-psichico, come
reazione della personalità
nella sua 100
Cap. XXX. -
Positivismo e correnti
affini totalità bio-psichica,
riferita al suo oggetto determinato
e indeterminato (il
che, come si
vede, non è
certo una chiari-
II subconscio, ficazione).
Ma per quanta
importanza possa avere
neUa vita della
personalità il subconscio
e l'inconscio e
per quanta verità
sia contenuta neUe
lunghe anahsi che
l'Orestano fa di
queste zone, rimane
indubitato che gli
elementi inconsci e
subconsci, intanto possono
essere riguardati come
fattori della mia
personahtà, in quanto
presentano un qualche
rapporto e hanno
una qualche ripercussione
nella coscienza, e
propriamente in quel
centro di essa
che costituisce l'unità
di tutte le
sue più diverse
manifestazioni, e che
appunto chiamiamo io. Un valore
è valore solo
in quanto vien
sentito come tale
dalla coscienza, qualunque
siano le indicazioni
che da questa
esperienza cosciente possano
trarsi in ordine
aUa realtà extra-psichica, qualunque
possano essere le
con- dizioni obiettive di essa, tra
le quali appunto
rientrano i fattori
subcoscienti e incoscienti.
E questo è
in ultima anahsi
riconosciuto dallo stesso
Orestano sia quando
definisce la valutazione
« coscienza riflessa
di uno stato
di interesse »,
sia quando risolutamente
afferma che «
la coscienza è
la vera, l'unica
sede della vita
morale » e
quindi della attività
valutativa in essa
imphcita. Ma allora
noi ci domandiamo,
perchè dichiarare vano
il tentativo di spiegare psicologicamente il
fatto della valu-
tazione e respingere la
teoria deUa funzione
valutatrice come specifica
e irriducibile ad
altro, quando la
sua equazione «
valore-interesse » è
espressione diversa di
questa stessa tesi
e non denota
elementi più semphci
ai quali la
nozione di valore
sia riducibile ?
La soggettività NeU'equivoco
e nel vago
noi restiamo quando
l'Orestano, loi possa
immaginare. La vita
è im complesso
di funzioni e
di attività, le
quali si svolgono
nelle direzioni più
varie: è vita
quella dell'idiota, come
è vita quella
di Socrate o
di Gesù: a
quale delle due
debbono venir ragguagliati
i diversi valori,
perchè se ne
possa stabilire una
serie graduale ?
La vita è
il campo in
cui l'attività pratica
si svolge, diciamo
meglio è la
materia che questa
attività tende ad
elaborare, a siste-
mare, a unificare; è
chiaro che questa
sistemazione ed uni-
ficazione non potrà esser
fatta, se non
alla stregua di
criteri e principii
di valutazione che
non possono esser
fatti dalla vita
stessa ut sic.
La vita può
anche essere considerata,
come vuole l'Orestano,
il quantum d'energia
- qualunque questa
sia - di
cui in ogni
istante disponiamo per
l'attuazione di questo
o di quel
fine; ma è chiaro che
è la graduazione
dei fini e
dei valori, presupposta
come già compiuta,
quella che determina
la misurazione del
quantìim di energia
da mettere al
servizio di questo
o quel fine,
e non viceversa.
E comunque può
richiedersi tanta forza
fisica, tanta intel-
hgenza, tanta energia
vohtiva, tanto coraggio,
ecc., per perpetrare
un dehtto, quanta
per compiere un
atto di sal-
vataggio. Nessun lume ci
viene in proposito
dal ricorso a
una o altra
delle metafore tratte
dalla matematica, che
per l'Orestano rappresentano
come lo specimen
del metodo di
misurazione che nello
studio dell'esperienza etica
deve essere introdotto
perchè questo studio
sia veramente scientifico:
{scire est mensurare).
Nessun lume, dicevo,
ci viene dalla
possibihtà, affermata dall' Orestano, di
rappresentare i di-
versi valori come tante
frazioni con numeratore
vario e con
comune denominatore -
la vita -,
quando a questo
deno- minatore, espresso si
con un unico
simbolo, si dà
volta a volta
un valore e
un contenuto diverso.
In questa teoria
della valutazione in
generale l'Orestano Teoria
delia va- inquadra
il problema del
carattere differenziale che
contro- ^«^«^^o^^- distingue
la valutazione morale
dalle altre forme
d'interesse. E ravvisa
questo tratto caratteristico nel
riferimento di un
oggetto ad un
concetto unitario della
vita nella totalità
dei 102 Cap.
XXX. - Positivismo
e correnti afini
suoi scopi: il
fatto morale è
impiego effettivo, cosciente
e volontario della
vita in funzione
di un concetto
di essa, con-
siderata nella totalità dei
suoi aspetti e
delle sue relazioni;
l'esperienza morale è
« la vita
che pensa e
vuole sé stessa
». Nei giudizi
morali è tutta
la vita in questione, non
la vita puramente
vissuta, ma la
vita secondo un
concetto o ideale
che noi ci
formiamo di essa
e dei suoi
scopi. Questo concetto
o ideale è
il vero fondamento
di tutti i giudizi
etici: fonda- mento relativo, perchè
soggetto a mutazioni
storiche e indi-
viduah; ma una
volta fissato, agisce
come principio assoluto
nella determinazione dei
valori dipendenti, e
non c'è momento
particolare della vita,
che non si
possa valutare sotto
l'aspetto morale. Il
centro di riferimento
delle valutazioni morali
è non necessariamente la
vita neUe sue
attuali modalità bio-
logiche, ma il concetto
di vita nella
totalità dei suoi
scopi, sia che
questi scopi confermino
o sia che
tendano a modi-
ficare in qualsiasi modo
la realtà biologica
nel piìi largo
senso di questa
espressione. u ideale. Nella
valutazione morale dunque,
la nozione di
vita che costituisce
per l'Orestano il
fulcro della dottrina
dei valori umani,
si comphca con
l'introduzione di un
nuovo elemento, il
concetto o ideale
di vita: e
questo presenta nuove
difficoltà e incertezze.
Come si forma
questo « concetto
unitario » della
vita, a cui
devono essere riferiti
tutti i valori,
perchè assumano carattere
morale ? Se
s'è detto che
la vita è
l'unità di misura
di ogni valore
e quindi anche
del valore dell'ideale,
come si può
poi affermare che
è l'ideale l'unità
di misura? L'Orestano
afferma che l'ideale
impone la propria
legge alla vita,
e parla di
« coscienza di
dovere », immanente
in date valutazioni
e determinazioni; parla,
altresì, di un
soggetto che ha
capacità e «
diritto » di
promulgare ideaH di
vita. Ma invano
noi cerchiamo nella
dottrina dell'Orestano un'ana-
lisi approfondita della nozione
di dovere. Per
lui la norma
morale non è
che lo schema
astratto e costante
di un'espe- rienza o
di un gruppo
di esperienze che
tendono a stabiLLz-
zarsi nella ripetizione,
e importa la
proclamazione di volere
e la coscienza
di volere persistere
in tutti i
casi analoghi F.
Orestano : scienza,
etica e «
superrealismo » 103
nelle medesime disposizioni
valutative e nell'attività
cor- rispondente. Quando poi la norma
è concepita e
proclamata in termini
universali non soltanto
per un dato
soggetto, ma per
una moltitudine di
soggetti appartenenti ad
una data società
(e tendenzialmente per
la totalità dei
soggetti possibili), quella
norma si chiama
legge; e le
leggi morali sono
norme e sistemi
di norme che
dispongono della vita
umana nella totalità
delle sue relazioni.
Queste sono le
conclusioni a cui
l'OreStano giunge nella
Morale econo- descrizione
della vita morale,
e significano la
pura e semplice
^If^^^^^ mora e
constatazione del fatto
che esistano date
valutazioni piìi o
meno durevoli, piii
o meno intense,
più o meno
costanti. Ma quando
è proposta la
questione della legittimità
della coscienza, dell'obbligatorietà e
della almeno potenziale
uni- versalità delle norme
e leggi morali
- che è
poi la questione
centrale dell'etica - l'
Orestano fa una
distinzione importan- tissima, che
minaccia di fallimento
il programma stesso
della fondazione di
un'etica scientifica. E
la distinzione è
tra due morali,
caratterizzate dall' Orestano come
morale economica e
morale elettiva o
morale dell'ideale. La
prima è un
insieme di norme
e leggi che
hanno una funzione
protettiva della vita,
di comandi proibitivi
di tutto ciò
che può nuocere
alla vita, e
costituiscono l'ordine etico
giuridico avente per
prin- cipio fondamentale il
valore assoluto della
vita biologicamente intesa
(vita tanto di
un individuo quanto
di una specie).
Questa morale fondata
sulla economia della
vita tende al
mantenimento di un
ordine sociale che
tuteli ogni vita
in- dividuale contro qualunque
fattore volontario di
distruzione e assicuri
a tutti il libero
svolgimento della personalità.
Alle leggi e
norme della morale
economica è riconosciuta
come essenziale l'obbhgatorietà e
universaHtà ma questa
si risolve nel
consenso sociale, ha
la sua fonte
nella autorità dello
Stato. — La
seconda morale invece
si fonda non
sul valore asso-
luto della vita ma
sul valore assoluto
dell'ideale, ossia del
concetto di bene
come costituente il
contenuto spirituale posi-
tivo della vita. Questo
problema comporta soluzioni
varie sempre più
libere per ciascuna
personaUtà (e perciò
è detta 104
Cap. XXX. -
Positivismo e correnti
affini morale elettiva).
Appunto perchè la
personalità è, come
s'è visto, una
collettività pluricentrica e
i vari centri
di funzioni sono
relativamente autonomi, ad
un stesso individuo
quel problema presenta
conflitti incomponibili e
ineliminabili anti- nomie. L'ideale di
vita è assoluto
m.a in rapporto
all'individuo che lo
formula e che
vi si sottomette,
anzi al momento
di vita che
egli attraversa. I
contrasti alle antinomie
fra i vari
ideali di vita
potrebbero portare ad
uno scetticismo etico,
potrebbero portare a
credere che la
vita si svolge
a caso senza
né ordine né
legge. Ma l'Orestano
arretra innanzi a
questa conclusione negativa
e si hmita
a dubitare che
l'espe- rienza morale e
forse tutta l'esperienza
umana non rivela
al pensiero la
totaUtà delle sue
condizioni; che l'empiria
esiga l'integrazione di
un qualche elemento
metempirico che è
forse l'elemento essenziale,
ma inafferrabile per
la scienza, avvolto
nel mistero. Mentre
si voleva fondare
sul- l'esperienza pura l'etica
come fondazione scientifica
e la distinzione
fra bene e
male, alla fine
sembra inevitabile il
ricorso alla metafisica
come tentativo di
svelamento del mistero.
L'Orestano scrive esphcitamente, alla
fine dei Prolegomeni:
«non tutta la
realtà è nell'esperienza. Questo
ci dice l'esame
scientifico piiì accurato,
esaurite le sue
più rigorose indagini
fra crescenti oscurità
e contraddizioni, alla
presenza di residui
che ci sfuggono.
Altra volta la
scienza era invocata
a far piena
luce in tutto:
oggi essa non fa che
adunare prove intorno
all'esistenza di un
mistero inviolabile ». V
antinomia del Tra
le antinomie scaturite
dall'anafisi dell'etica imper-
sacrtficto. niata nel
concetto di vita,
è rilevata dall' Orestano in
parti- colare quella relativa
al dovere che
l'etica elettiva impone
del sacrificio assoluto
dell'individuo per la
causa ideale trascelta.
È quello che
l'Orestano chiama il
paradosso della guerra:
per l'economia della
vita si distrugge
la vita: l'ideale,
funzione della vita,
può pretendere di
attuarsi a prezzo
della vita. La
vita è per il soggetto
la sola vera
misura che il sog- getto possiede, della
realtà e del
valore: come può
una fun- zione dipendente di
essa, cioè l'ideale,
inghiottire la variabile
indipendente, cioè la
vita? Questo paradosso
non si risolve
F. Orestano: scienza,
etica e «
superrealismo » 105
col determinarne un
certo rapporto di
quantità: la vita
è un valore
assoluto che non
può sottoporsi a
misura quan- titativa; le
vite distrutte nella
guerra non valgono
meno, sol perchè
meno numerose, delle
vite protette: forse
erano anzi le
piìi valide, le
più nobili, le
piìi degne di
vivere. La guerra
è un «
tragico esperimento »
: il paradosso
della guerra è
com.prensibile solo se
si oltrepassa l'individuo
mettendo un legame
intrinseco tra esso
e il tutto.
Se l'individuo fosse
veramente individuo, il suo sacrifìcio
per la sua
collettività sarebbe assurdo.
Se egli s'immola
all'idea del tutto,
vuol dire, che
questa vive in lui
con una forza
e un valore
che trascendono ogni
considerazione individuale. Quanto
più anzi l'idea
del tutto vive
nei singoli ed
è capace di
assorbire e disciplinare
tutte le altre
valutazioni, tanto più
il sacri- fìcio individuale diviene
facile e pronto.
E quando si
dice idea del
tutto s'intende non
la totalità della
vita individuale, ma
la totahtà dell'Essere.
Siamo in piena
metafìsica: alla via
discendente della riflessione
verso lo sviluppo
formativo della scienza
del bene e
del male, qui
l'Orestano sostituisce la
via ascendente, per
la quale il
problema morale scientifi-
camente trattato diventa tutto
il problema umano
: problema della
verità e dell'errore,
della certezza del
dubbio, del pen-
sabile e dell'impensabile, il
problema della coscienza
riflessa, del destino
umano universale. Il
passaggio è determinato
La crisi delia
dallo spettacolo tragico
della guerra. Fu questo
- dichiara §"'^''''^- l'Orestano
nella prefazione all'opera
Nuovi principii -
ciò che lo
indusse a una
riforma del pensiero,
per renderlo idoneo
a quella più
integrale comprensione della
realtà e del
dive- nire naturale e
umano che egH
chiama nuovo realismo
o iperrealismo; al
quale egli dedica,
oltre l'opera ora
ricordata dei Nuovi
principii (1925) parecchi
altri scritti successivi,
tra cui il
più importante è
Verità dimostrate (1934).
(Alla fine cfr.
il volume di
raccolta di saggi,
del 1939, intitolato
// nuovo realismo).
Per l'Orestano il
problema dei problemi
della filosofia La
realtà obiet- odierna
è quello della
realtà: si tratta
di vedere, contro
l'im- *^^'^' io6
Cap. XXX. -
Positivismo e correnti
affini manentismo prima
dominante, se si
possa ammettere l'esi-
stenza e determinare la
struttura d'una realtà
obiettiva per sé
stante, indipendente dal soggetto, Antimmanen- È
Sorprendente che, nel
procedere alla dimostrazione tismo.
della sua tesi
realistica in sensoanti-immanentistico, l'Ore-
stano muova da
premesse che sembra
significhino l'accet- tazione in
pieno deUa posizione
immanentistica: oggi, egli
dice, non è
più lecito dubitare
né deUa soggettività
deUe espe- rienze, né
della impossibilità di
un sapere che
pretenda uscir fuori
dall'esperienza. Da un
lato l'esperienza è neces- sariamente relativa alla
struttura psico-fisica e
logico-cate- goriale del soggetto
dell'esperienza stessa; e,
dall'altro lato, l'esperienza
è invalicabile. Ma
per l'Orestano questo
duplice riconoscimento non
basta a negare
una realtà indipendente
dal soggetto, ma
anzi la postula
a vera necessaria
integra- zione. Significa andare
oltre quella premessa,
dedurne che l'esperienza
sia nulla più
che indice d'una
realtà soltanto soggettiva.
Negare in nome
dell'esperienza una realtà
tra- scendente è già
oltrepassare l'esperienza, e fare dell'ontologia: posizione
arbitraria, questa, che
contraddice le premesse.
E questo va
detto non solo
delle esperienze particolari
nelle loro concrete
presentazioni, ma anche
delle stesse forme
a priori, che
Kant proclamò soggettive
e soltanto soggettive,
mentre niente autorizza
ad escludere che
esse, oltre che
forme a priori
nel soggetto, siano
anche schemi oggettivi
dell'ac- cadere, o abbiano
quanto meno un
analogo oggettivo. La
subiettività, una volta
stabihta, vieta di
affermare, ma vieta
anche di negare
ogni e qualsiasi
corrispondenza tra le
nostre esperienze e
una, sia pure
ipotetica realtà transubbiettiva :
chi lo nega
viola il principio
della subiettività quanto
chi l'afferma. Pertanto,
se ne desume
come unica conseguenza
legittima, non la
soppressione di qualunque
riferimento trascendentale della
nostra esperienza a una realtà
in sé, ma
l'affermazione della problematicità della
realtà in sé.
Ogni esperienza nasce
e si fissa
con un suo
riferimento onto- logico, cioè
con un senso
vettoriale verso una
sia pure ipo-
tetica realtà in sé,
assunta come il
sustrato, lo sfondo,
ragione F. Or
estano: scienza, etica
e « superrealismo
» 107 e
misura della stessa
esperienza. Ma la
problematicità di questi
riferimenti ne esige
una continua verificazione, esclu-
dendone l'accettazione passiva e
totale. La soluzione
del problema della
realtà in sé
deve per l'Orestano
essere in qualche
modo positiva, ancorché
parziale, approssimata, provvisoria,
pena la vita;
perchè noi viviamo
effettivamente non mai
tra soU fenomeni,
ma tra noumeni,
noumeni noi stessi.
Come presupposto di
tutta la trattazione
del problema La
«dimensio- ontoloedco, l'Orestano ammette
quella che egh
chiama "^ trascenden-
^ ^ ^
° tale» dell'espe-
dimensione trascendentale dell'esperienza, come
componente Henza. costante
e insopprimibile di
tutta l'esperienza nel
suo com- plesso e
di ciascuna esperienza
particolarmente presa, che
ne addita i
riferimenti a una
realtà in sé,
a un ipotetico
sfondo noumenico, trascendente
tutti i dati
componenti l'esperienza stessa.
E un tale
riferimento si manifesta
in due direzioni:
l'una verso un non-io (cose
esteme, soggetti altri
da noi, ecc.),
e l'altra verso
il nostro stesso
io, come entità
tanto nascosta e
misteriosa e inaccessibile
quanto ogni oggetto
o non-io a
noi estraneo. E
in questa dupUce
direzione, le rivelazioni
della cosa in
sé che riusciamo
a coghere sono
egofanie, se riferibili
al nostro io
trascendente, eterofanie se
riferibih a un
mondo in sé,
a un non-io.
Sulla dimensione trascenden-
tale si fonda quella
che l'Orestano chiama
metafisica del fatto
empirico. La dimensione
trascendentale propone per
ciascuna esperienza un'ipotesi
di ordine ontologico
e non soltanto
fenomenico; ipotesi suscettibile
di verificazioni sperimentaU
soltanto parziaU e
provvisorie, di correzioni,
integrazioni, abbandoni e
riprese. La dimensione
trascen- dentale costituisce l'asse
non solo di
tutto il nostro
pensare e conoscere,
ma di tutto
il nostro agire,
in quanto ad
essa noi ci
appoggiamo nel trattare
i fenomeni sia
sul piano teo-
retico, sia sul
piano tecnico e
pratico. La questione
fondamentale dell'ontologia, secondo
l'Ore- stano, consiste nell'esaminare se è possibile
uscire dalla problematicità ontologica
delle esperienze, rimanendo
con le esperienze
e nella esperienza. Questo
problema comporta io8
Cap. XXX. -
Positivismo e correnti
affini una soluzione
positiva solo a
condizione che ammettiamo
a priori di
poter distinguere con
criterii interni esperienze
da esperienze, confr ontare
cioè le esperienze
ontologicamente certe con
le dubbie e
con le ingannevoli,
le obiettivamente condizionate
dalle incondizionate, ecc.
La scala ontoio-
Con questo intento
e questo procedimento
l'Orestano ^'^'^"'- crede
di poter ordinare
i valori ontologici
del nuovo realismo
in una scala
ontologica graduata in
modo che i
gradi supe- riori implichino tutti
gli inferiori, ma
li oltrepassino aggiun-
gendo ai precedenti indici
di accrescimento di
potere e di
valore umano. Questa scala
è così costituita:
i) ricerca e
verificazione di costanti
delle esperienze implicante
la ripetizione delle
esperienze, sia la
ripetizione indipendente dalla
nostra volontà (osservazione) sia
ripe- tizione a volontà
(esperimento) : la
scienza è tutta
un'ansiosa ricerca di
tali costanti; 2)
verifica delle costanti
teoriche scientificamente ac-
certate, negazione
integralmente considerata: l'uomo,
per la soddisfazione
dei suoi bisogni,
svolge un'azione la
quale è come
un interrogatorio a
una realtà in
sé, proposto con
le nostre previsioni:
i risultati dell'azione
sono altrettante risposte;
che danno sempre
un valore positivo
e negativo alle
nostre incognite e
costituiscono l'unico controllo
che possediamo, sebbene
e soltanto approssimativo e
provvi- sorio, delle nostre
verità e dei
nostri errori in
un piano non
soltanto fenomenico ma
ontologico; 3) gli
atti di valutazione,
con cui si
trasfigura in senso
umano la realtà
obiettivamente data e
vi si inseriscono
realtà umane che la stessa
natura ignora; 4)
funzione creatrice di
realtà tutte e
soltanto umane, Creazione
di la Creazione
del mondo dei
valori umani: creazione
che ha luogo
non soltanto nella
sfera circoscritta di
una personalità ma
nelle costruzioni storico-collettive le
quali danno indi-
cazioni pregnanti e provanti
il realismo, nel
grado massimo consentito.
— Questa ontologia
non è più
confinata ai rilievi
realtà umane. F.
Orestano: scienza, etica
e « superrealismo
» 109 di
date costanti, pur
utilizzandole tutte; essa
va oltre tutto
ciò che è
già acquisito all'esperienza, non
solo, ma che
possa esservi empiricamente
dato. Non è
un'ontologia passiva e
contemplativa, ma essenzialmente attiva,
guerriera, in cui
funzioni creatrici e
rivelazioni trascendentali (egofanie
ed eterofanie) si
compenetrano oltre tutti
i hmiti. Per
essa il mondo
non è più
una quantità data ; ma
il soggetto si
immette in un
mondo di possibilità
sconosciute e sconfinate
e marcia alla
conquista di posizioni
assolute. Nel mondo
dei valori umani,
edificato storicamente da
intere collettività umane,
i valori spiegano
tanta piii potenza
realizzatrice propria, quanto
meno sono obiettivamente condizionati.
Perciò si graduano
essi pure in
una scala dai
più ai meno
condizionati, e inversamente
dai meno ai più elettivamente
costituiti: valori economici,
giuridici, politici, morali,
poetici, religiosi. In
questa gradazione interna
del mondo dei
valori umani si
va da queUi
che segnano un
massimo di dipendenza
o con- dizionalità
obiettiva (i valori
economici) a quelH
(i valori rehgiosi)
che segnano il
massimo d'indipendenza o
incondi- zionalità empirica
e fondano realtà
umane storicamente resistenti
e universalmente dominanti.
I valori rehgiosi
trasformano l'asse ontologico
di tutti i
valori umani in
un sistema metempirico:
la categoria dell'Assoluto
opera in tutta
la sua estensione:
la trascendenza involge
e domina tutta
l'immanenza e questa
si potenzia e
subhma nella tra-
scendenza. Alle egofanie ed
alle eterofanie sono
congiunte le teofanie.
Tutti i gradi
di questa ontologia
dalla prima ricerca
delle costanti dell'esperienza al
più alto ed
efficiente sforzo costruttivo
di un mondo
umano in funzione
del Sopranna- Anelito
ai so- turale,
sono pervasi dall'anelito
a una realtà
non illusoria. P''^'^^^^^''^^^- Questo
slancio di continuo
superamento riesce a
fondare sistemi di
realtà spirituale trasumananti,
a cui nessuna
realtà fisica e
naturale è confrontabile
per potenza ordinatrice
e per fecondità
creativa. Era un
errore di prospettiva della
vecchia ontologia dare
per veramente reale
il regno della
natura, e per
reale no Cap.
XXX. - Positivismo
e correnti affini
il regno dell'uomo
solo in quanto
assimilato al primo.
Per rOrestano è
vero il contrario:
non c'è nulla
di cosi labile
come il fenomeno
fisico, e nulla
di più resistente
e fecondo di
realtà del mondo
dei valori umani,
che la stessa
natura è incapace
di porre in
essere e che
l'uomo crea e
propaga all'infuori di
ogni dipendenza da
modelli fisici e
naturali. La scala
ontologica, per essere
umana, non è
mai soltanto soggettiva,
e per essere
frutto di pensieri,
sentimenti e voli-
zioni dell'uomo non per
questo presenta caratteri
di realtà meno
imponenti, anzi più,
di qualsiasi più
potente processo cosmico.
E, poiché ciascun
grado superiore non
solo implica e
convahda ma anche
supera tutti i
gradi inferiori, l'Ore-
stano quahfica il
suo reahsmo costruttivo
come superrea- lismo.
Secondo questo realismo
costruttivo il processo
della conoscenza non
è mai sempHce
adeguazione passiva a
una realtà data,
ma si alimenta
di un attivismo,
che concorre col
fatto proprio a
stabilire la consistenza
e misura della
realtà da noi
conosciuta e vissuta.
Le nostre categorie
- contro quel
che pensava Kant
- non hanno
impiego e significato,
se non sono
riferite alla realtà
in sé. Esse
sono gli schemi
relativamente stabih, benché
sempre ipotetici, alla
cui stre- gua noi
tentiamo di congetturare
e organizzare l'accordo
deUa nostra mente
con una vera
e non illusoria
realtà. La loro
funzione è quella
di ipotesi trascendentale e più precisa-
mente di ipotesi di
lavoro. Le configurazioni che
l'esperienza assume in
esse e per
esse sono certo
simboliche, ma le
risposte che noi
otteniamo alla nostra
inchiesta logico-categorica della
realtà hanno sempre
un significato. Le
categorie, come ipotesi
di lavoro, sono
da conservare finché
utili e da
abban- donare, se sostituibiH
con altre più
feconde. // «superreaii-
Nel supcrrealismo dell' Orestano confluiscono:
i) mo- tivi del
positivismo (invalicabilità dell'esperienza nella
de- terminazione del reale,
valore della scienza
come attività formulatrice
di costanti relazionali
e funzionali dell'esperienza, rifiuto
dell' a-priorità e fissità
delle strutture categoriali
del pensiero, da
considerare invece come
risultato provvisorio d'un
processo di formazione
sempre aperto, concezione
dell'io smo ».
F. Orestano: scienza,
etica e «
superrealismo i> ili
non come realtà
originaria e centro
e sostegno dell'esperienza ma
come una costruzione
mentale) ; 2)
motivi prammati- stici
{['azione come supremo
criterio di verifica
e di discri-
minazione tra vero e
falso) ; 3)
motivi spiritualistici (la
spi- ritualità umana come
potenza trasfiguratrice di
tutta quanta la
realtà alla luce
e in forza
di valori costitutivi
dell'essenza stessa della
spiritualità, e come
potenza creatrice d'un
mondo umano, grado
supremo della realtà
medesima, culminante nell'Assoluto
divino). Questi motivi
di cosi diversa
prove- nienza e così
eterogenei sono, nel
« nuovo realismo
» del- rOrestano,
piuttosto accostati e
giustapposti che non
fusi organicamente in una visione
veramente unitaria, e gli sviluppi
di essi lasciano
tante oscurità e
ambiguità, che essi
spesso appaiono asserzioni
gratuite piuttosto che,
come l'Orestano pretende,
« verità dimostrate
». Lo stesso
con- cetto di «
dimensione trascendentale »
dell'esperienza, che è
presentato dall' Orestano come
l'asse della sua
ontologia, non è sorretto da
ragioni che valgano
a dissipare l'impres-
sione che esso non
si distingua sostanzialmente dall'esi-
genza, puramente
psicologica, che è
alla radice di
ogni reali- smo ingenuo.
L'ontologia del «
nuovo reaUsmo »
si presenta come
la trascrizione in
chiave trascendentlstica di
quella rete di
rapporti che l'immanentismo pone
come prodotta dall'io
e insidente nell'io.
IO. Lo SCETTICISMO E
IL MATERIALISMO FENOMENISTICO DI
Giuseppe Rensi. —
Giuseppe Rensi (1871-1941)
dopo avere esercitato,
per molti anni
a Verona, sua
città natale, e
nel Canton Ticino,
suo rifugio di
profugo, l'avventura e
n giornalismo pohtico,
fu professore di
filosofia nell'Istituto Superiore
di Magistero a
Firenze e poi
nelle Università di
Messina e di
Genova, fino al
1934, anno in
cui, avendo ri-
fiutato il giuramento di
fedeltà al fascismo,
fu privato della
cattedra. Dalla fine
della prima guerra
mondiale in poi
egh, con una
abbondante produzione filosofica,
si fece ban-
ditore d'un radicale scetticismo,
denunciando l'impotenza della
ragione a stabihre
principii che, oltre
le moltepUci e
9. - Lamanna.
storia della filosofia.
VII. 112 Cap.
XXX. - Positivismo
e correnti affini
contrastanti opinioni, permettano
un qualsiasi accordo
fra gli uomini
nella ricerca del
vero, nella pratica
del bene, nella
contemplazione del bello,
nello sforzo di
costruzione d'un ordine
sociale e politico,
nell'aspirazione al divino
Scrittore popò- come
fonte di fiducia
e di speranza.
E si conquistò
una larga ^"■^^-
cerchia di lettori,
anche al di
fuori del mondo
dei filosofi di
professione. Questa quasi-popolarità fu
favorita dalle innegabiU
doti di scrittore
vivace e immaginoso;
dallo spi- rito polemico, pronto
agli attacchi piìi
violenti contro gl'idoli
del giorno, a
cui magari egli
stesso aveva il
giorno avanti bruciato
qualche grano d'incenso
(e il neo-idealismo
di Croce e
Gentile fu l'oggetto
dei colpi più
duri), pronto, altresì,
alla difesa della
causa dei vinti,
all'abilità dialettica, spesso
con- taminata - se
non soverchiata -
da capziosità sofìstica,
nel raccattare alle
fonti piìi eterogenee
e lontane e
accozzare insieme argomenti
a sostegno delle
proprie tesi, con
scarso senso della
prospettiva storica, più per estrinseca
giustap- posizione che per
intima rigorosa connessione
logica; infine, dalla
consonanza dei motivi
fondamentali del suo
speculare con lo
stato di disorientamento e
di angoscia dominante
in un'Europa turbata
e sconvolta dalla
catastrofe della guerra
mondiale, della rivoluzione
russa, dal croUo
di vecchi mondi,
dalle convulsioni violente
di lotte tra
partiti e nazioni.
Nella lunga prefazione
al volume che
può considerarsi come
il Manifesto del
suo scetticismo. Lineamenti
di filosofia scettica
(1919), il Rensi
insiste nel tentativo
di dimostrare la
continuità del suo
pensiero, quale è
formulato in quest'opera,
con le idee
direttive di scritti
antecedenti : e
rileva, in parti-
colare, i titoH significativi
dei due hbri,
Le antinomie dello
Spirito, 1910, e
Sic et non,
1911, oltre che
l'orientamento Le antinomie
generale dell'altro volume,
La trascendenza, 1904,
per mo- deiia
ragione, strare chc
in tutte e
tre queste raccolte
di saggi è
chiaro l'intento di
mettere in luce
l'insuperabile e reciproco
contrasto tra le
posizioni che la
ragione prende di
fronte ai problemi
fondamentah della morale
e della rehgione
[Lineamenti, pp. vii-viii) .
Ma è da
notare che qui
si tratta di un atteggia-
mento che è soltanto
antidogmatico e critico,
non ancora G.
Rensi: scetticismo e
materialismo fenomenistico 113
propriamente scettico: la
negazione non è
definitiva, solo si
esclude la possibilità
di giungere -
attraverso l'esame com-
parativo di ipotesi anche
opposte - a
una ricostruzione sin-
tetica: positiva. È l'atteggiamento che
esplicitamente viene affermato
dal Rensi stesso
nel dehneare, nel
1906, il program-
ma della rivista «Coenobium»
(di cui fu
per parecchi anni
« magna pars
») , a cui
pure fa riferimento
la prefazione ci-
tata : « Qualche
millennio di svariate
ipotesi metafisiche e
un secolo di
educazione strettamente scientifica
hanno tolto al
pensiero contemporaneo ogni
rigidità dogmatica. Noi
pos- siamo comprendere, e,
quasi diremmo, accoghere
nel più intimo
del nostro spirito
le ipotesi, le
tendenze, le soluzioni
più opposte.... tutte
noi le comprendiamo
ed amiamo, perchè
di tutte scorge
le ragioni profonde
la nostra anima
multi- pla » {ibidem,
pp. vi-vii). Comunque,
è fuori dubbio
che, in quel
primo periodo della
sua attività di
pensiero, il Rensi
ebbe fede sincera
- oltre che
nel sociahsmo, quale
aspira- zione a una
più alta giustizia
- nell'idealismo, o
almeno in un
certo ideahsmo, al
cui incremento, diede
opera con la
traduzione delle opere
del Royce e
di uno studio
di Hibben sulla
logica di Hegel.
Egli dà, dell'idealismo hegeUano,
un'in- terpretazione trascendentlstica, quale
era richiesta da
quella « vena
rehgioso-mistica » che,
come egli stesso
dichiarò più tardi
nella sua Autobiografia
intellettuale, si mescolava
in lui, in
questa prima fase,
con la vena
scettica o antidog-
matica. Contro la
tendenza prevalente nel
neo-ideahsmo itahano Contro
l'imma- contemporaneo, il
Rensi afferma che
1 immanenza non
e ^^ lo
stadio più alto
del pensiero ideaUstico,
ma è solo
lo stadio intermedio
tra una concezione
meccanica del mondo
e la concezione
della divinità personale,
immanente e trascendente
a un tempo.
Successivamente - dichiara
il Rensi nella
citata Auto- Passaggio
a un biografia
intellettuale -, quella
vena reUgioso-idealistico- mistica
che prima era
commista con quella
scettica, si estinse
in lui e
lasciò il posto
a una visione
della realtà e
della vita decisamente
scettico-pessimistica. Tra le
ragioni di questa
pessimismo ateistico. 114
Cap. XXX. - Positivismo e
correnti afini scelta
il Rensi pone,
in particolare, la
guerra. « La
guerra ci pone
impetuosamente sotto gli
occhi la terribile
e vissuta grandiosa
messa in scena
dell'inesistenza
d'un'universalità e comunità
di ragione.... Non mi limito
semplicemente a dire:
qui non c'è
verità perchè gli
uomini la pensano
diver- samente e si
contraddicono tra loro
(contraddizioni esterne); ma
dimostro anche: qui
non c'è verità,
perchè questo pen-
siero logicamente non si
sorregge, non può
condursi avanti senz'urti,
erompono in esso
invincibili contraddizioni inter-
ne.... Se un concetto
è interiormente e
in sé stesso
contrad- dittorio cioè contiene
aspetti insolubilmente inconcOiabiU,
non si ha
che da riflettere
che ciascuno di
questi aspetti viene
incorporato e fatto
proprio dalla mente
di un uomo
o di un
popolo, per scorgere
come la contraddizione interna
si traduca e
rispecchi nella contraddizione estema
del dissenso e
della guerra» [Lineamenti,
pp. xv-xvii). La
guerra. La guerra
è un fatto
pohtico, in cui si affida
alla irra- zionalità della forza
la decisione delle
controversie tra le
opposte « ragioni
» dei contendenti.
E le lotte
interne tra i
partiti non sono
di natura diversa:
la democrazia e
il libe- ralismo ahmentano la
fiducia che la
Ubera discussione porti
a un accordo
suUe questioni controverse,
ma i fatti
dimostrano che l'urto
tra le idee
diventa sempre più
irriducibile; la ragione
continua inesauribilmente a
fornir ragioni a
tutte le tesi.
Un parere vale
l'altro: e non
c'è che una
via per uscire
dal contrasto, lasciare
la decisione aUa
forza, all'irrazionalità deUa
violenza camuffata di
legahtà: il principio
degl'autorità costituisce l'unico
fondamento della poUtica.
Il volume La
filosofia dell'autorità fu
pubblicato dal Rensi
nel 1920, con
largo successo di
pubbUco, e forniva
argo- menti di propaganda
al regime autoritario
che si veniva
preparando in ItaHa,
e che pure
il Rensi combattè
tenace- mente e sinceramente,
dando - si
direbbe - una
conferma personale alla
teoria scettica della
vanità della ragione.
La guerra è
la molla della
storia umana, e
appunto per questo
la storia è
senza senso, è un vagare
cieco verso un
fine che non
esiste, offre il
quadro sconsolante del
passaggio G. Rensi:
scetticismo e materialismo
fenomenistico 115 continuo
da un'assurdità e
sofferenza ad un'altra
assurdità e sofferenza:
lo scetticismo si
fonde col pessimismo.
Il pre- sente è
insopportabile, si vuole
evaderne, si aspira
a un fu-
turo che sia altro
dall'assurdità e dal
male che è
il presente: all'essere
si contrappone un
dover essere. E
così si crea
il tempo : nel presente
che è, si
sogna un futuro
che deve essere
: e quando
il dover essere
si fa essere,
cade in quella
stessa assurdità e
male che è
il presente. Il
processo storico è
avan- zamento da errore
a errore, da
male a male:
se si fosse
nel bene e
nel vero, non
vi sarebbe ragione
di uscire da
esso, di far
seguire z\ì! adesso un
poi: ci sarebbe
permanenza, non processo
[Interiora rerum, 1924).
In conclusione, il
principio deU'ideahsmo hegeUano
è n reale
è irra- da, rovesciare: ciò
che è reale,
è irrazionale; ciò
che è ra-
z^o*^'^^^- zionale è
irreale. La razionalità
è sogno, è
fantasia che tenta
di mascherare l'assurdità
del reale, fìngendo
un universale che
invano tenta di
sovrapporsi alla moltephcità
incom- ponibile
dell'individuale: non c'è
una ragione una,
vi sono tante
ragioni quanti sono
gH individui, anzi,
i momenti delle
vite individuah. La
ragione sorge nell'uomo
quando questi contrappone
all'essere un dover
essere, che gli
permetta di farsi
giudice del reale,
distinguendo il vero
dal falso, il
bene dal male,
il bello dal
brutto. La critica
scettica dimostra che
il reale si
ribella a questa
pretesa deUa ragione,
affer- mandosi costantemente come
posto al di
là del vero
e del falso,
al di là
del bene e
del male, al di là
del bello e
del brutto (e,
accanto ai Lineamenti
di filosofia scettica
in generale, il
Rensi illustra La scepsi estetica,
1920 e La
scepsi etica, 1921).
La critica scettica
dimostra, da una
parte, che quella
pre- tesa della ragione
è una chimera,
e, dall'altra, che
nell'uomo il perseguimento
di questa chimera
è la radice
deU'infehcità. Quale lo
sbocco di questo
scetticismo pessimistico? Il
più ovvio sembra
sia la rinuncia
alla ragione -
a questo che
è, insieme, privilegio
e maledizione dell'uomo
-; rinuncia al
suo chimerico dover
essere e accettazione
rassegnata e inerte
del reale quale
è di fatto.
Ed è la
via che il
Rensi imbocca risolutamente, specialmente
nelle opere dai
titoli ii6 Cap.
XXX. - Positivismo
e correnti affini
significativi Realismo (1925),
Materialismo critico (1927)
e Apologia dell'ateismo,
(1923). Ma v'è
anche un'altra via,
opposta alla prima:
ed è quella
di riconoscere un
valore positivo all'esperienza del
male, nel senso
che, nel cruccio
pel trionfo del
male, nella sofferenza
per la sconfitta
che il reale
infligge alla nostra
coscienza del dover
essere, si attua
l'elemento piri nobile
del nostro spirito,
si ravviva l'aspira-
zione mistica al divino:
e anche questa
via percorre il
Rensi neUe sue
ultime opere, quali
Testamento filosofico e
Lettere spiritiiali, del
1938. Scetticismo rea-
RcaUsmo è la
posizione nella quale
sfocia lo scetticismo
hstico. ^Qj^ 1^
g^g^ negazione radicale
della ragione. Se
col sorgere della
ragione nasce nell'uomo
la pretesa di
giudicare la realtà,
nell'illusione di possedere
un saldo criterio
per la valutazione
dei fatti, di
approvazione e disapprovazione, il
ripudio della ragione
significa rifiuto di
attribuire alla realtà
quelle qualifiche di
irrazionale, assurdo, male
che essa per
sé non possiede,
ma risultano da
discriminazione operata in
nome di un
principio per cui
qualcosa è ma
non dovrebbe essere.
Realismo significa constatare
la realtà quale
è di fatto,
accettare quel che
ci consta. E
ciò che consta,
sot- tratto ad ogni
dubbio, è il
mondo dei sensi,
il mondo del
positivismo ridotto al
più rigoroso empirismo.
Le sensazioni sono,
non il tramite
dell'apparire della realtà
a una coscienza,
bensì gli elementi
che costituiscono senza
residuo la realtà
stessa. Le cose
come Le cose
souo aggregati di
quahtà sensoriaH secondo
aggregati di rapporti
Spaziali e temporali
e categoriah: le
cose sono ciò
che si palpa,
si vede, si
ode e così
via. E lo
stesso io non
è altro che
un fascio d'impressioni
sensoriali. Il linguaggio
comune chiama materia
ciò che nella
sua concretezza è
oggetto del sentire,
senza complicazioni di
significati meta- fisici: in
questo senso, pel
Rensi, il reahsmo
è materialismo. E
questo materialismo egli
qualifica come fenomenistico
o critico. Dando
del criticismo kantiano
un'interpretazione opposta a
quella prevalsa nell'idealismo, egli
afferma che la
correlatività del reale
al pensiero, che
costituisce il prin-
G. Rensi: scetticismo
e materialismo fenomenistico 117
cipio fondamentale del
criticismo, non può
non essere raccolta
dal realismo (il
quale, appunto per
questo, è qualificabile
come realismo critico),
ma va intesa
nel senso che
il Pensiero a
cui il reale
in sé (noumeno)
deve essere riferito
perchè sia soggetto
conoscibile (fenomeno), non è un
soggetto ana- logo all'io
empirico, una Coscienza
originaria a cui
siano es- senziaU
le forme sensibili-intellettuali, (spazio,
tempo, ca- tegorie), che
vengano immesse nell'oggetto,
ma è l'insieme
di queste stesse
forme come inerenti
al mondo dei
fenomeni, purificate da
ogni elemento psicologico
della soggettività, constituenti
la pensahilità del
fenomeno. Il fenomeno
è indipendente da
ogni soggettività, e
s'identifica quindi con la cosa
in sé :
ma cosa in
sé categorizzata, e
quindi cono- scibile. Il
realismo non è
che fenomenismo, materialismo
fenomenistico. E questo,
in rehgione, é
ateismo. Se nulla
è reale all'in-
fuori di ciò
che può essere
percepito come fenomeno
senso- riale, attribuire realtà
a un essere
che si sottrae
ad ogni percezione,
quale sarebbe Dio,
é pel Rensi
pura pazzia. Ma
la negazione di
Dio non significa
irreligiosità: l'ateismo é
anzi, per Rensi,
« la più
alta e pura
delle rehgioni ».
Inse- gnandoci a guardare
alla realtà come
sovranamente indif- ferente, esso
bandisce dalla nostra
\dta ogni egoismo:
é la Uberazione
dall'egoismo, la stoica
fermezza di fronte
alle vicende tormentose
del mondo, é
religiosità. Ma quest'atteggiamento non
é permanente: in
alcuni Ritorno di
fede. degli scritti
più tardi Rensi
riafferma l'antico bisogno
di credere: riscopre,
al di là
del mondo degli
atomi e del
vuoto, « il
divino in me
» ; il
regno di Dio
riluce come un
regno di valori
atti a salvare
il nostro spirito
dal naufragio nel
pre- valere del male.
La genuina rehgiosità
consiste, per lui,
nel non adagiarsi,
sia nella pace
della negazione, sia
in quella dell'affermazione: il
problema ci sta
dinanzi come un
pro- blema che continua
ad eccitarci e
ad angosciarci. Tutta
la produzione del
Rensi, dalle prime
opere a quelle
della vecchiaia, é
un perenne intrecciarsi
e susseguirsi di
motivi contrastanti: inflessioni d'una
sensibihtà estrema- ii8
Cap. XXX. -
Positivismo e correnti
affini mente mobile
e acuta, piuttosto
che articolazioni di
un pensiero vigile
e rigoroso: lirica,
piuttosto che filosofia.
II. Lo SCETTICISMO SOLIPSISTICO DI
ADOLFO LeVI. —
Diversissimo, fuorché nel
nome, da quello
del Rensi lo
scet- ticismo di Adolfo
Levi (1878-1941), elaborato
attraverso un'indagine storica,
intelligente e minuziosa,
di tutte le
po- sizioni filosofiche fondamentali.
Nato a Modena
da una fa-
migha di Reggio
Emilia il Levi,
precocemente incline agli
studi ma ostacolato
da una malferma
salute, si licenziò
al Liceo Spallanzani
di Reggio, e,
quando si iscrisse
all'Univer- sità di Pisa,
aveva già in
cantiere la pubbhcazione
di alcuni codici.
Proseguì poi gli
studi a Firenze,
con Tocco e
De Sarlo, e a Roma,
dove si laureò
con Giacomo Barzellotti.
La tesi, su L'
indeterminismo nella filosofia
francese contem- poranea (1904), fu
lodata da Bergson.
Nel 1904 il
Levi entrò nell'insegnamento secondario,
che professò con
grande scru- polo ed
efficacia, ad Arezzo
e a Torino.
Nel 191 1 ottenne
la libera docenza,
e undici anni
più tardi la
cattedra di storia
della filosofia nell'Università di
Pavia. La sua
produzione storica, ripetutamente
premiata dai Lincei
e dall'Accademia delle
Scienze di Torino,
comprendeva ormai numerosi
titoli, soprattutto di
filosofia antica: da
Le origini della
scienza greca (1904)
a Platone [Sulle
interpretazioni
immanentistiche della filosofia
di Platone, 1920,
Il concetto del
tempo nei suoi
rapporti con i
problemi del divenire
e dell'essere nella
filosofia di Platone,
1920, che riprende
l'identico tema trattato
sulla / sofisti.
« Rivista di
filosofia neoscolastica »
per il periodo
anteriore a Platone).
Più tardi il
Levi affrontò i
sofisti, sceverando gli
autentici dagli pseudosofisti, difendendoU
dall'accusa di aver
corrotto i costumi,
e insistendo sul
contenuto etico del
loro insegnamento. I
pregi filologici di
questi studi (ripresi
nella postuma Storia
della sofistica, a
cura di D.
Pesce, 1966) dimostrano
come il Levi
avesse messo a
frutto l'insegna- n
problema del- mento
di Girolamo Vitelli.
Seguì una serie
di articoli su
Verrore. ji p^^oblema
dell'errore, dai presocratici al
Windelband (in varie
riviste), e una
serie di saggi
su pensatori inglesi
moderni A. Levi:
scetticismo solipsistico 119
[Bacone, 1925, Hobbes,
1929, Berkeley, 1922,
Hume), messi a
raffronto con Descartes
e con Leibniz,
allo scopo di
sfatare la leggenda
di una contrapposizione rigida
tra empirismo e
razionalismo da Cartesio
a Kant. L'interesse
teoretico che spingeva
il Levi a
queste ricerche non
ne falsava, tuttavia,
la prospettiva storica.
Duro fu per
il Levi abbandonare
l'insegnamento, nel 1938,
a causa delle
leggi razziali. Si
ritirò a Todi,
nelle terre di
famigha della moghe,
poi a Roma,
dove potè continuare
a studiare nelle
biblioteche pontifice. Alla
fine della guerra
fu reintegrato ma,
sempre più debole
di salute, non
riprese a insegnare
: continuò fino
all'ultimo l'attività di
ricerca prepa- rando, in
particolare, una Storia
della filosofia romana
(1949). Il frutto
speculativo che il
Levi trasse dalle
sue ricerche L'estetica.
storiche lo troviamo
anzitutto nel volume
La fantasia este-
tica (1913), la cui
conclusione, tutta problematica,
è che «
l'opera d'arte nasce
dal mistero, ha
caratteri non deter-
minabili completamente ed esaurientemente, e
suscita, in chi
la contempla, uno
stato particolarissimo, irriducibile
e non del
tutto definibile »
(p. 262) ;
e lo troviamo
soprattutto, in Sceptica,
del 1921 (ristampato
da Adolfo Ravà
con ag- giunte inedite nel
1949). Questo hbro
ebbe una risonanza
notevole, in Itaha
e fuori. Fu
largamente letto. Ne
parlarono il Losacco
e il Varisco
(1928), dopo che
Annibale Pastore aveva
dedicato un intero
volume alla sua
confutazione {Il solipsismo,
Torino, 1924). Che
il Hbro fosse
notato anche in
Inghilterra (« Mind
», 1921, pp.
470-472) non meraviglia:
il suo andamento
aporetico ricorda quello
di Apparenza e
realtà del Bradley.
Tra noi, esso
urtava inevitabilmente l'ortodossia
gentihana, perchè accusava
la teoria deUo
spi- rito come atto
puro di essere
un « soHpsismo
trascendentale » che
avrebbe trovato la
propria coerenza solo
diventando soHpsismo empirico.
Comprensibile, quindi, la
reazione di Armando
Carlini [Studi contemporanei
di filosofia, in
«AnnaH deU'istruzione media»,
1929, pp. 429-437),
a cui il
Levi rispose con il
breve scritto Come
si ricostruisce la
storia (« Rivista
Pedagogica», 1930, pp.
58-60). 120 Cap.
XXX. - Positivismo
e correnti affini
Il solipsismo. La
tesi del Levi
trovò per contro,
buone accoglienze presso
la scuola del
Varisco. Il Castelli,
dopo averla ripresa in
Idealismo e solipsismo
(Roma, 1933), dedicherà
a II solip-
sismo, un intero volume
del suo «
Archivio di filosofia
» (1950) che
già, nel '31,
aveva pubblicato Scetticismo
e solip- sismo del
Levi medesimo (pp.
26-35). Anche Giuho
Allenej giudicava con
benevolenza la filosofia
di Adolfo Levi
sul- r «Archivio
di storia delia
filosofia » (1935,
4). Muovendo da
altro punto di
vista, P. Piovani
pubbHcava nel «
Giornale critico della
filosofia italiana »
del 1949 un
articolo. La con-
clusione del solipsismo, in
cui dichiarava «
fondamentale » il
contributo del Levi
allo studio del
sohpsismo, « proprio
perchè esperto dell'esperienza dell'idealismo tedesco
e italiano »
(p. 156) :
pur osservando che
« la soluzione
raggiunta risulta assai
fragile » (p.
171), nella sua
pretesa di formulare
un im- perativo della coscienza
senza sapere (« Fa ciò
che devi, av-
venga ciò che può
»). Infatti l'imperativo
implica già, quanto
meno un agire
sapendo quale sia
il dovere da
farsi. Tale in-
certezza deriva dal fatto
che la posizione
del Levi non
è attivistica, «
ma ancora legata,
per taluni aspetti,
allo scet- ticismo tradizionale »,
mentre il sohpsismo,
secondo il Pio-
vani, non può
essere, da ultimo,
che attivistico. Non
si sa se
Lo Scetticismo del
Levi non afferma
che sia impossibile
sapere: afferma però
che è impossibile
sapere se si
sappia o no.
È come il
fuoco, che consuma
le altre cose,
ma anche sé
stesso. Esso sfugge,
così, all'accusa di
interna contrad- dizione che
colpisce lo scetticismo
dogmatico [Sceptica, 2^
ed. a cura
di A. Ravà,
Firenze, 1959, p.
13). E a
una tal conclusione
giunge muovendo da
un'impostazione « gnoseo-
logistica », secondo
cui tutto ciò
che si dice
dell'oggetto è condizionato
dal pensiero, che
pensa l'oggetto. La domanda è
allora, anzitutto, se il pensiero
sia « uno
strumento in sé
stesso adatto al
suo ufficio, o
non includa qualche
vizio di costruzione
». Solo in
seco nda istanza, posto
che il pensiero
sia uno strumento
adatto, potremo domandarci
« quale interpretazione debba
darsi dell'oggetto pensato»
{Op. cit., P-
3)- si sa.
A. Levi: scetticismo
solipsistico 121 «
Un motivo fortissimo
di diffidenza è
dato dall'errore » (p. 5)
: da quel problema, cioè,
che, appunto perciò,
il Levi andava
studiando sotto un
profilo storico. L'esperienza
d'aver sbagliato una
volta mi fa
sospettare che sia
possibile sba- ghare
sempre, e lo
scetticismo nasce da
questo sospetto. Acutamente
il Levi vede
che, a questo
problema, sfugge l'ideaHsmo
attuale gentiliano, quando
contrappone all'er- rore, come
« pensato »,
l'atto del pensare
che, in quanto
è attuale, non
può non essere
nel vero. EgU
vede però anche
che questo vantaggio
è illusorio: ciò
da cui si
avrebbe in- teresse a
tener lontano l'errore
è, appunto, il
pensato. Infatti che
l'atto, in quanto
« atto puro
», sia infaUibile,
non mi dice
nulla circa la
validità di ciò
che penso. Per
poter fruire di un contenuto,
occorre affidarsi all'evidenza
del pensato: ma
si può sempre
temere di scambiare
per « evidenza
» una sempHce
impressione soggettiva (p.
io). Sollevato il dubbio sulla
capacità di mediazione
del Critica a
reaii- pensiero, il
Levi passa a
domandarsi se, ciò
posto, vi sia
^^^^id^'^^^^'^- « una
metafisica plausibile, se
non certa »
dell'oggetto pen- sato: e
attacca, nell'ordine, il
reaUsmo espHcito, il
monismo, la filosofia
dell'esperienza, il monadologismo, l'ideaHsmo
attuale. Egli osserva
che il reahsmo
ingenuo, che identifica
il reale con
ciò che appare,
è messo in
crisi dall'esigenza di
discernere che cosa
vi sia di
oggettivo in questo
apparire; ma che,
d'altra parte, il
tentativo di rintracciare
la realtà oggettiva
in un insieme
di elementi materiali,
dotati di mere
qualità primarie (secondo
i canoni del
meccanicismo), fal- lisce, perchè
non spiega quell'effettivo «
divenire sensibile »
(p. 24) del
mondo, colorato, sonoro,
ecc., che è,
appunto, il concreto.
Il meccanicismo altro
non è se
un tentativo di
eHminare quell'offesa al
principio di identità
che è rappre-
sentato dal divenire (p.
20) : la
realtà vera, afferma
infatti il meccanicismo,
rimane immutata. Ma
(e qui si
sente, nel- l'argomentare
del Levi, l'influsso
del Bergson e
del Meyerson) esso
non può giustificare
come mai questa
immutabihtà sostanziale appaia,
al soggetto, come
un mutamento qua-
litativo : > (p.
184). « Come
determinazioni dell'essere, il
quale non esiste
che in esse
determinazioni, le singole
coscienze si distinguono
in quanto coscienze,
s'accordano quanto al
contenuto; ciascuna è
un variare per
conto suo, e
insieme, per la
stessa ragione, il
variare di ciascuna
si compie, ciascuna
si svolge o
si inviluppa, secondo
le medesime leggi
universah » (p.
188). L'assoluto, pertanto,
viene a coincidere
con l'universo. L'Essere
come « Nell'unità
della sua forma,
che imphca la
necessità, ma, insieme,
neUa moltepHcità deUa
sua materia e
delle sue forme
secondarie : moltepHcità
che impHca la
accidentahtà ». L'
« es- sere indeterminatissimo »,
di cui il
Varisco parla richiaman-
dosi al Rosmini (p.
204, n. i)
è, per un
verso, l'orizzonte in
cui ogni soggetto
« pensa impHcitamente
l'universo » {ivi)
; ma « non è
qualcosa che sussista
indipendentemente dai fe-
nomeni e da quelle
loro unità secondarie
che sono i
soggetti » (p.
205). Ciò spiega,
più esaurientemente di
quanto non fa-
cessero / fnassimi problemi,
perchè il Varisco
non si senta
in grado, in
questa fase del
suo pensiero, di
giustificare la trascendenza
dell'assoluto a cui,
pure, l'esigenza del
per- manere dei valori
lo porterebbe a
credere. 7. Il
soggetto dei soggetti.
— Dopo Conosci
te stesso 11
soggetto di- il
Varisco lavorò per
altri vent'anni al
suo problema fonda-
^^^°- mentale, che
rimase il problema
del principio unitario,
il problema di
Dio. Qualche altro
cauto passo è
mosso verso il
riconoscimento della trascendenza
divina, e porta,
da ultimo, a
una concezione che
al Varisco appare
concihabile con una
religione positiva quale
il cristianesimo. Nelle
Linee di filosofia
critica, del 1925
(un hbretto di
introduzione teo- rico-storica
alla filosofia, esposto
in forma piana
e collo- 244
Cap. XXXIV. -
Monadismo teistico di
B. Varisco quiale,
e che fu
raccolto per iscritto
dal Castelli) la
parte conclusiva, più
interessante, verte appunto
su Dio, e
pro- spetta la necessità
di risalire a Dio muovendo
dal problema della
subcoscienza. Il soggetto
è fatto in
gran parte di
sub- coscienza: basti pensare
ai ricordi che
tornano di quando
in quando, e
in minima parte,
alla mente. E
ciò suscita il
pro- blema: come può il non
conscio (o non
più conscio) divenire
conscio ? La
subcoscienza rende evidente
che il soggetto
che cono- sciamo è
finito, cioè che ha qualcosa,
per qualche aspetto,
fuori di sé.
Ma, d'altro canto,
« una realtà
non riducentesi a
pensiero pensato è
un controsenso »
(p. 153). «
Per superare le
difficoltà rilevate, non
c'è che un
modo: riconoscerle relative
soltanto al singolo;
ammettendo, al di
sopra d'ogni singolo,
il soggetto universale
». Il pensiero
di questo sog-
getto universale dovrà essere:
«in primo luogo,
tutto consa- pevole; in
secondo luogo, creatore
d'ogni realtà» (p.
154). Allora si
potrà capire che,
ciò che è
subconscio nel singolo
sussiste tuttavia come
pienamente conscio nel
soggetto universale, e che la
realtà, irriducibile al
pensiero del singolo,
consiste tuttavia in
un « pensiero
del soggetto universale
» {ivi) . La
creazione. Quella chc
generalmente si dice
« creazione »
si può, allora,
concepire così: il
soggetto universale fa,
di certi suoi
pensieri, un «gruppo
connesso» (p. 156),
e li dota
di una coscienza
e di una
iniziativa autonome, di
cui neppure il
soggetto universale conosce
in anticipo gli
sviluppi (p. 157).
Ciò peraltro non
limita il soggetto
universale, se non
nella misura in
cui lui stesso
vtwle questo «
indeterminismo » (p.
158), mantenuto all'interno
di un controllo
costante e consapevole.
// teismo. Il
Varisco formula, così,
un « teismo
» (p. 158) in cui
Dio è, in
certo modo, esterno
ai singoh, ma non viceversa:
perchè « il
soggetto singolo, essendo,
anche in ordine
alla propria iniziativa,
interno al soggetto
universale, nella coscienza
del singolo non
ci può essere
nulla che non
sia, ipso facto,
anche nella coscienza
del soggetto universale» (p.
157). // soggetto
dei soggetti 245
È quello che
il volume Dall'uomo
a Dio, chiamerà
« imma- nentismo relativo »,
o (identicamente) «
trascendentahsmo relativo »,
in contrapposto a
trascendentahsmo e immanen-
tismo « assoluti »
(p. 92) :
non senza citare
San Paolo, negU
Atti degli Apostoli,
secondo cui «
gli uomini (in
generale, i soggetti)
vivono, si muovono
ed esistono in
Dio » {Dall'uomo
a Dio, p.
91). Frattanto il
Varisco aveva pubblicato
in « Logos
» (1929, i)
un articolo su
La prova ontologica,
affermando che l'argo-
mento di Anselmo non
compie un salto
ingiustificato dal- l'ordine del
pensiero a quello
dell'esistenza, perchè, quando
si pensa un
oggetto, non lo
si pensa isolatamente,
ma sempre in
un sistema di
relazioni ; quindi,
quando si pensa
« id quo
maius cogitari nequit
», si pensa
qualcosa che effettiva-
mente non si trova
nella sola mente
umana. Ma significa
anche, ciò, che
questo essere sia
« tutt'uno col
Dio del cri-
stianesimo ? » Cosi
si chiede Dall'uomo
a Dio (p
15) ; e
ri- sponde: si tratta,
senza dubbio d'un
pensiero (anzi di
un pensare), senza,
però, che se
ne possa concludere
nulla «ri- spetto ad
altri attributi »,
pur necessari al
concetto cristiano di
Dio. Dall'uomo a
Dio rappresenta, per
certi aspetti, un
per- Difficoltà. fezionamento
del monadologismo varischiano,
ma non toglie
tutte le difficoltà.
Non soddisfa l'esigenza,
sentita dal Varisco
fin dal periodo
positivistico, di ascendere
al concetto di
Dio attraverso una
riflessione ben fondata,
compatibile con quella
della religione positiva.
E, questo, perchè
il Dio di
Varisco è pur
sempre un concetto
gnoseologico-metafisico. Pili che
di quel rapporto
lo-Tu, in cui
l'uomo rehgioso si
sente rispetto a
Dio, si tratta,
insomma, del rapporto
tra una monade
infinita, - leibnizianamente priva
di rappresen- tazioni oscure e
confuse, e, quindi,
di materia -
e le innu-
merevoh monadi finite,
che essa costituisce
in sé, come
espressione (non già
parziale, ma prospettica)
di particolari punti
di vista. «
Tutto ciò che
l'uomo presentemente pensa
è, in ogni
caso, pensiero divino
presente: l'uomo non
è stac- cabile dalla
coscienza divina di
cui è una
formazione » (p.
166). 246 Cap.
XXXIV. - Monadismo
teistico di B.
Varisco « L'uomo
è tutto immanente
in Dio, invece
Dio non è
tutto immanente in alcun uomo;
essendoci necessariamente nel
pensiero divino qualcosa
che nessun singolo,
né tutta insieme
la moltitudine dei
singoli, pensa con
determinazione» {ivi). Del
resto, nonostante gli
sforzi meritori della
figlia Giulia, e
poi, dopo la
sua morte (1934),
di Enrico Castelli
coadiuvato dal nipote
del Varisco, Giulio
Alliney, per riordinare
i ma- noscritti inediti «
seguendo alcune sommarie
indicazioni rinvenute in
un libro di
appunti» (p. i).
Dall'uomo a Dio
risente della mancanza
di una revisione
definitiva da parte
dell'autore, e le
sue conclusioni rimangono,
in parte, sospese
(cfr, p. 281).
Interesse pra- 8.
Il VALORE. —
La filosofia del
Varisco, pur nel
suo '^'^^- mai
abbandonato teoreticismo -
cioè nel suo
intendere il problema
della realtà essenzialmente come
un problema di
teoria della conoscenza
- è assai
sensibile al problema
morale, quando questo
sia inteso nel
suo senso piìi
universale e pro-
fondo. Il pensiero infatti,
che della realtà
è il fondamento,
consiste essenzialmente in
un'attività, in un
fare (sia pure
non riducibile al
fare poetico di
chi plasma una
materia preesistente) ;
e il bene
consiste neU'espandersi di
questa attività, protesa
su tutto l'universo.
La sezione introduttiva
del capitolo su
« I valori
», nei Massimi
problemi, affermava appunto
: « Il
soggetto, per sua natura, ossia
in virtù di
quella legge a
cui deve l'essere,
tende insieme a
intensificare sé stesso
e ad espandersi,
ad includere in
sé l'universo: la
soddisfa- zione o l'insoddisfazione di
queste due tendenze
(che, in sostanza,
ne fanno una
sola) sono essenzialmente, per
il soggetto, un
bene o un
male» (p. 107).
Questo espandersi mostra
il suo vero
valore solo quando
non riguardi «
l'ani- male associato all'io
», bensì l'io
medesimo (p. 138)
; e «
io vuol dire
autocoscienza, ossia cognizione
» (p. 139) .
// conoscere è
Di Conseguenza, «
conoscere o non
conoscere, o, peggio,
errare, sono un
bene e, rispettivamente, un
male (....): do-
\Temmo anzi dire,
il bene, il
male » {ivi).
Ma questo, aggiunge
il Varisco, non
vuol dire che
bene e male
si riducano a
« mo- identico
al bene. //
valore 247 menti
di coscienza teoretica
», perchè «
coscienza teoretica, attività e
sentimento (....) non
sono tre cose
(....), sono tre
aspetti, o tre
forme, d'mia stessa
cosa» (p. 138).
Ciò implica una
particolare unità della
coscienza in senso
pratico con la
coscienza in senso
teoretico, in virtù
di un «
originario prin- cipio di
organizzazione (universale necessario)
(....) indicato comunemente
col termine di a priori
» e che
« si riduce
al- l'essenziale connessione della
coscienza umana con
la divina »
{Dall'uomo a Dio,
p. 131). In questo senso
il Varisco può
affermare che «
la coscienza, una,
saldamente organizzata, essendo
la radice dei
valori, è il
massimo valore» (p.
132). Questo particolare
carattere attivo, e
non soltanto con-
templativo, del
coscienziahsmo varischiano spiega
l'inte- resse del Varisco
per i problemi
dello stato: di
uno stato che
« deve essere
fortissimamente organizzato :
cosi organizzato come
un uomo robusto,
intelligente e di
carattere che s'af-
ferma, s'apre una via,
sviluppa l'attività propria
d'accordo con gh
altri, se gli
riesce »: ma
anche, se non
gU riesce, contro
« chiunque gli
impedisca di realizzare
il suo diritto,
che è la
sua forza, ma
che sta un
poco anche nella
sua forza ».
Questo l'ideale che
accomuna gh scritti
di La scuola
per la vita
(1922) con i
Discorsi politici (1926),
da cui la
citazione è tratta
(pp. 111-112). Codesti
discorsi cominciano nel
1911, e si
concludono nel 1926
con lo scritto
introduttivo su L'idea
dello stato, che
indica « la
vera funzione »
deUo stato nel
« rea- lizzare la
prosperità, così del
popolo in quanto
moltitudine ordinata, come
dello stato, cioè
ancora del popolo,
in quanto unità
viva e spirituale
(....). A uno
stato che la
compia, non si
può domandare altro
se non che
seguiti a compierla,
svi- luppandola. Uno stato
che non la
compia non fa
che disor- ganizzare sé
stesso e il
popolo» (p. 37).
9. Neoclassicismo filosofico.
— In una
età di ritorni
romantici in filosofìa,
la dottrina del
Varisco rappresentò un
esempio di filosofìa
« neoclassica »,
che dal romanticismo,
tuttavia, è condizionata.
Condizionata per la
sua imposta- zione, costituendosi come
una « riflessione
di secondo grado
» 248 Cap.
XXXIV. - Monadismo
teistico di B.
Varisco sull'attività del
soggetto, attraverso la
quale si perviene
a una conoscenza
dell'oggetto, cioè della
realtà unitaria, co-
stituita dall'interferire di infiniti
centri soggettivi. E
condi- zionata nel suo
esito: perchè tale
conoscenza dell'oggetto -
a differenza che
nei grandi classici
della filosofia moderna,
a cui il
Varisco si ispira
- non riesce
più a svilupparsi
in una forma
schiUerianamente « ingenua
», ma solo
in una forma
« sentimentale ».
E, infatti, la cautela scientifica,
che, pur trasformandosi, rimane
il canone metodologico
del Varisco, dà
luogo, non già
a una vera
e propria inibizione
speculativa - perchè
il Varisco non
esita a proporre
un suo sistema
- ma, certo,
a una speculazion e
fatta più per
discutere che per
Eredità più di
costruirc. Ciò che
il Varisco trasmise
a una parte
non tra- stimoh
che di scurabile
della filosofia italiana
fu, quindi, un'eredità
fatta contenuti. . . più
di stimoli che
di contenuti. All'estero,
il suo pensiero
ebbe qualche risonanza
in Francia, e
meglio che altrove
fu capito in
Inghilterra, grazie all'attenzione che
gli dedicò A.
E. Taylor. In
effetti, se la
forma mentis del
Varisco ha qualcosa
in comune con
quella del Bradley,
il suo monado-
logismo si lascia
facilmente avvicinare a
quello degli idea-
listi inglesi non monisti,
e del McTaggart
in particolare. La
cosa può colpire,
considerando che
il Varisco ha
fonti - al
di fuori delle
italiane (Rosmini) -
soprattutto tedesche e
francesi; ma, in
realtà, si spiega
facilmente: l'idealismo inglese
non monistico e
l'idealismo varischiano risalgono
a una stessa
radice comune, non
sempre scoperta, ma
assolu- tamente
fondamentale: il pensiero
del Lotze. Di
qui il Varisco
trasse, oltre che
i materiali più
importanti della sua
costru- zione
coscienzialistica, l'impulso (di
origine lontanamente leibniziana)
che gU permise
di uscire dalla
prospettiva del positivismo:
il riconoscere, cioè,
alla scienza la
possibilità di afferrare
l'intero reale, però
sotto un suo
aspetto soltanto. Ciò
rende inevitabile, per
giustificare l'oggetto stesso
della scienza, il
non rimanere chiusi
nella sua prospettiva
soltanto, bensì l'uscirne,
pur con tutte
le necessarie cautele
metodo- logiche, verso una
prospettiva specificamente filosofica.
Capitolo Trentacinquesimo L'ONTOLOGISMO
DI PANTALEO CARABELLESE
I. Il problema.
— La formazione
di Pantaleo Cara-
BELLESE ben corrisponde
aUa difficoltà di
collocare il suo
pensiero in uno
sviluppo organico della
filosofia italiana. Dopo
aver frequentato le
scuole secondarie presso
il Semi- nario di
Molfetta (dove era
nato nel 1877),
si iscrisse in
Giurisprudenza a Napoli,
e si laureò
(1900) con una
tesi, poi stampata,
dal titolo Sulla
vetta ierocratica del
Papato (1910), che
rivela abbastanza scoperte
ambizioni letterarie. Solo
nel 1905 si
laureò in filosofia
a Roma, dove
avvenne l'incontro col
Varisco sotto il
segno di un
comune interesse per
il Rosmini. La
teoria della percezione
intellettiva in A .
Ro- smini fu l'argomento
della tesi, pubblicata
nel 1907, e
re- censita dallo stesso
Varisco sulla «
Rivista di filosofia
» del 1909.
Anche quando, dopo
aver insegnato a lungo nelle
scuole secondarie, il
CarabeUese salì in
cattedra a Palermo
(1923), forte ormai
di una concezione
tutta sua, egli
rimase devoto al
Varisco come al
massimo rappresentante di
un ideahsmo non
storicistico. E grazie
al Varisco, che
premeva su Gio-
vanni Gentile, il CarabeUese,
nel '30, fu
chiamato a Roma,
di dove ebbe
modo di esercitare
una influenza quantitati-
vamente meno vasta di
quella del Gentile,
ma assai profonda.
Quando il CarabeUese
mori (il 19
settembre 1948, a
Genova) la sua
attività speculativa, cominciata
assai tardi, era
an- 250 Cap.
XXXV. - L'Ontologismo
di P. Carahellese
Soluzione origi- nale di
un pro- blema comune. L'uovo
di Co- lombo.
Cora in pieno
corso, sul binario
su cui, da
25 anni, egli
l'aveva avviata. Ma
l'essenziale del suo
pensiero, probabilmente, era
ormai stato detto:
difficilmente le applicazioni
che egli andava
definendo - soprattutto
attraverso una preparazione
meditatissima dei suoi
corsi di teoretica
- avrebbero dato
un indirizzo nuovo
alla sua riflessione,
che aveva proposto,
ormai, una sua
soluzione personaUssima a
una problematica tutta
inserita nell'ambiente italiano
di quegli anni.
Se, infatti, la
soluzione di Carabellese
non è avvicinabile
a nessun'altra, i
problemi che egU
affronta non sono
solle- vati da lui
: gU sono
posti, piuttosto, dalla
filosofia di Gentile,
e dalla interpretazione che
il Gentile aveva
dato dell'Otto- cento italiano e
tedesco, in relazione
alla filosofia moderna.
Gentile rappresentava, come
si vedrà, il
punto d'arrivo di
un processo storico
lunghissimo, cominciato con
Platone, giunto al
suo punto di
rottura con Hegel,
e portato da
Gen- tile a un
estremo che rovesciava
i termini stessi
del pro- blema; del
problema di determinare
il contenuto dell'idea.
Con la teoria
dell'atto puro, il
Gentile era giunto
a un ra-
dicale « ideahsmo senza
le idee ». Il Varisco,
per contro, affondava
le sue radici
in un passato
piìi recente: da
Leibniz in poi;
e proponeva in
Italia (parallelamente a
quanto aveva fatto
l'idealismo personahstico in
Inghilterra) temi dello
spirituaUsmo tedesco non
hegehano dell'Ottocento: in
par- ticolare, il tema
del rapporto indispensabile, ma
cosi dif- ficile da
configurare tra soggetto
e oggetto del
conoscere. Con un
tratto di genio
(« uovo di
Colombo », lo
chiama la Critica
del concreto, 1921 ; 1940^,
p. 86), il
Carabellese si accorge
che è possibile
soddisfare alle esigenze
del Gentile e
del Varisco insieme,
h'idea può essere
considerata in una
forma non assolutamente
plurahzzabile, e tuttavia
non come un
atto - come
atto soggettivo -
bensì come oggetto
puro. Il compito
di attuare tale
idea andrà invece
affidato a soggetti
plurimi, mai unificabili
nel varischiano «
soggetto assoluto ».
Così i punti
d'arrivo delle due
distinte evoluzioni - del- l'idealismo assoluto e
dell'idealismo
personalistico - vengono
a coincidere in
un punto solo,
grazie a un
riassestamento Il problema
251 nel significato
di certi termini
tradizionali, che li
rende com- patibili in
una forma nuova.
Per certi aspetti,
questo riasse- stamento è
bensì un rovesciamento
di Gentile, come
sostiene l'Abbagnano sulla
scorta di una
osservazione dello stesso
Carabellese {op. cit.,
p. 53): ma
non certo un
rovesciamento meccanico. Occorreva
un pensiero originale
per arrivarci, sebbene,
poi, i concetti
così riassestati assumano
tutta l'aria di
essere appunto qualcosa
che le due
Hnee idealistiche precedenti
avrebbero voluto pensare,
senza riuscirci. 2.
Ripensamento della filosofia
moderna. — Trat-
interesse stori- tandosi,
dunque, di riprendere
originalmente problemi altrui,
^o-teorehco. si spiega
che la filosofia
del CarabeUese nasca
da una continua
discussione storico-critica dei
sistemi che formavano
la base della
cultura filosofica del
tempo: essenzialmente, da
una reinterpretazione della
filosofia moderna Da
Cartesio a Rosmini,
che, come dice
il sottotitolo di
questo volume, stam-
pato dal Carabellese nel
1946, rappresenta la
« fondazione [storica]
dell'ontologismo critico »
carabellesiano. D'altro canto
la pretesa, che
il CarabeUese manifesta,
di trovare, in
questo medesimo materiale
storico (e in
particolare neUa tappa
pili importante rappresentata
da Kant), un
signifi- cato speculativo tutto
diverso da quello
che si era
comune- mente abituati a
riconoscervi spiega perchè
il Carabellese, pur
nel suo filosofare
tutto appoggiato a
una critica storica,
assuma un atteggiamento
che potremmo dire
« profetico » : non
nel senso di
predire il futuro,
s'intende, bensì di
parlare in nome
di altro, essendo
questo « altro
» una Verità
con cui gU
uomini erano già
prima a contatto,
ma senza essere
ca- paci di riconoscerla:
come i dormienti
di EracUto, che
non si accorgono
di quel logos
con cui massimamente
hanno a che
fare (framm. 72).
Atteggiamento profetico, al
punto che il
CarabeUese giunse a
pensare che fosse
necessaria la sua
sparizione come persona
fisica perchè la
verità da lui
pro- clamata trionfasse. Questo
presentarsi come uno
che dice :
« Ora vi
spiego io ciò
che cercavate di
pensare, senza riuscirci
» dava inevi-
252 Cap. XXXV.
- L'Ontologismo di
P. Carahellese labilmente
fastidio a molti
; e l'espressione
piìi « fuor
dei denti » di questo
fastidio si trova
probabilmente in un
arti- colo di Carmelo
Ottaviano: Pontifex Maximus
locutus est (in
«Sophia», 1937, 3,
pp. 345-353)- Ma,
in fondo, il
Cara- bellese non
ne poteva nulla
se il suo
filosofare era un
ripensare creativo, e
se il suo
ripensamento dei problemi
era una traspo-
sizione, che dava un
senso nuovo a
un materiale già
appa- rentemente sfruttato fino
in fondo. Interpretazione In
che cosa consiste
qucsta trasposizione, che
trasforma del termine
i^og- jj problema
quasi con un
colpo di bacchetta
magica? Con- siste in
una interpretazione del
termine « oggetto
», che per
un verso rovescia
ciò che con
quella parola si
è sohti pensare,
ma per un
altro porta in
piena luce una
esigenza che, pure,
aveva guidato i
filosofi nel parlare
di « oggettività
». « Og-
getto » è, comunemente,
il determinato che « sta
contro » alla
facoltà di rappresentazione cosciente:
il Gegen-stand, rispetto
a cui una
coscienza, in sé
potenziale, si determina
in guise particolari.
Oggetto è il
calamaio, la penna,
il libro senza
i quali la
mia coscieriza sarebbe
una « tabula
rasa », priva
di segni che
la determinino. Rasa
non è detto
che significhi «
inattiva » :
anzi, la mia
facoltà rappresentativa non
sarebbe tale se
non fosse attività;
ma, certo, questa
at- tività rimarrebbe priva
di contenuto, se
non si riferisse
a certi dati
esterni particolari, che
sarebbero « gh
oggetti ». Questa
impostazione realistica del
problema dell'oggetto è,
per il Carabellese,
il proton pseiidos
della filosofia :
il primo falso,
e, in fondo,
anche l'ultimo, perchè
questo falso radicale
ritorna, rovesciato, anche
in quella dottrina
che tradizional- mente si
oppone al «
realismo empiristico »,
l'idealismo. L'idealismo si era sforzato,
con Platone, di
porre oggetti (in
questo caso sarebbe
meglio dire: principii
di determina- zione) sovratemporaH, le
« idee »,
distinti dagli oggetti
em- pirici. Molto più
tardi, con Berkeley,
aveva cercato di
ripor- tare all'attività di
uno Spirito il
principio di determinazione particolare
delle coscienze, che
le cose materiali,
inattive, non potevano
fornire. In seguito
Fichte aveva cercato
in una «
egoità pura »
quell'unità delle coscienze
che, prima. Ripensamento della
filosofia moderna 253
si era soliti
attribuire al fatto
che le coscienze,
per deter- minarsi, si
riferirebbero ai medesimi
« oggetti ».
Infine, con Gentile,
l'idealismo si era
scrollato di dosso
tutta questa problematica.
Aveva interpretato quella
moltepHcità di de-
terminazioni, in cui si
è soKti cercare
il concreto, come
un mèro salto
in basso: come
una caduta dall'atto
puro, nel- l'astratto. Di fronte
al soggetto, sempre
identico a sé,
la mol- teplicità delle determinazioni non
è piri che
l'astratto, sebbene, dialetticamente, sia
contenuta nel soggetto
medesimo. A questo
punto era divenuto
inutile fondare l'ideahsmo
su un mondo
di « idee
», vuoi eterne,
vuoi prodotte volta
per volta da
uno Spirito divino.
L'ideahsmo poteva liberarsi
dal problema delle
idee, al plurale,
la pluralità non
essendo altro che
caduta nell'astratto, da
cui l'ideahtà deve,
appunto, riscattarci. Sembrava
così, al momento
in cui Carabellese
cercava la sua
via, che il problema di
una pluralità ideale
fosse stato risolto definitivamente, cancellandone
il concetto. 3.
Unicità dell'oggetto. —
Una linea diversa,
di idea- Non
u soggetto hsmo
pluralistico, opponeva tuttavia
al monismo l'irriduci-
^^^.J'°^^^"'' bihtà dei
soggetti plurimi, eppure
concreti. Una esigenza
che era giusto
far valere; ma
essa aveva il
torto di farla
valere attraverso una
contrapposizione estrinseca all'idealismo
tra- scendentale: quindi di
non poter spiegare
a quest'ultimo, dall'interno,
perchè, impostando il
problema in quel
modo, l'ideahsmo si
rovesciasse, paradossalmente, in
un idealismo senza
le idee. Per
contro, osserva il
Carabellese, basta chia-
rire una cosa semplicissima: quell'esigenza di
unità e unicità
- a cui
l'ideahsmo gentiliano cercava
di rispondere con il concetto
di un soggetto
unico come «
atto puro » - è
invece precisamente l'esigenza
espressa dal termine
oggetto. Non è
appunto l'oggetto ciò
in cui tutti
i soggetti s'incontrano,
convengono, riconoscono un'unità?
È dunque l'aspetto
oggettivo quello che
non si lascia
plurahzzare, l'unico per
tutti, e non
l'aspetto soggettivo dell'esperienza. Converrà,
dunque, cessare di
parlare di «
oggetti », al
plurale : sarebbe
uno scambiare 1'
« oggetto » con la
« cosa ».
unico. lato. 254
Cap. XXXV. -
L'Ontologismo di P.
Carabellese E, dal
momento che le
cose non sono
l'oggetto (sebbene abbiano,
certamente, un'oggettività), non
occorrerà piìi, come
faceva l'ideaHsmo tradizionale,
andare in cerca
di oggetti superiori
alle cose, le
idee, per superare
l'empiricità. L'oggetto è
inconfondibile con l'empiricità,
per ciò stesso
che è unico.
In questo modo
l'idealismo riesce a
scalzare veramente il
reahsmo, senza lasciarsene
soggiogare. Per contro
gli oggetti superiori
alle cose, presi
al plurale, come
« idee »,
sono in realtà
concepiti ancora al
modo di cose.
E appunto per
sfuggire a tale
incongruenza l'ideaHsmo si
era visto costretto,
da ultimo, a
rifugiarsi in una
« egoità pura
», e poi
in un «
atto puro »,
di cui tutte
le determinazioni particolari
non sono che
una caduta. Realismo
dehei- Appena si
csclude dall'oggetto, in
quanto oggetto, ogni
pluralità, il realismo
è debellato, perchè
il modello empirico
delle cose non
vale piìi. Non
per questo i
soggetti saran costretti
ad attribuire aUa
mèra empiria (seguendo
Gentile) il loro
reciproco distinguersi l'uno
dall'altro. Anzi, liberati
dall'obbligo di fornire
il principio di
unificazione, i soggetti
molteplici potranno, e
dovranno, rivendicare come
irridu- cibile la propria
plurahtà, ben piìi
fondatamente che nel-
l'ideaKsmo personaHstico varischiano.
Quest'ultimo, per spie-
gare l'incontro dei soggetti
che costituisce una
stessa espe- rienza «
oggettiva », doveva ricorrere
a un Soggetto
assoluto supremo, che
« tollererebbe »
in sé i
punti di vista
Umitati dei soggetti
particolari. NeUa nuova
situazione, invece, il
concetto di un
oggetto, assolutamente unico,
come idea, non
solo tollera, ma
esige di essere
intrinseco, nella coscienza,
a una pluralità
di punti di
vista soggettivi. 4.
Intrinsecità di soggetto
e oggetto. —
Occorre dunque cessare
di concepire l'oggetto
come qualcosa che
ci sta contro,
secondo una relazione
che, per ciò
stesso, risul- terà esterna.
Ciò che ci
« sta contro
» non è
l'oggetto come idea
- luogo d'incontro
di tutti i
soggetti - bensì
l'altro da me;
cioè sempre l'edtro
soggetto. Le cose,
è vero, ci
stanno contro: ma
solo perchè nascono
daU'interferire dei vari
Intrinsecità di soggetto
e oggetto 255
soggetti, non perchè
siano « oggetto
», o oggetti
al plurale, a
cui ci riferiamo.
In altri termini,
il rapporto, su cui tanto
avevano insi- l«
concretezza stito i
vari idealismi spiritualistici dell'Ottocento, non
nei rapporto tra
,, ., ,
i soggetti e
l'og- mtercorre tra
1 soggetti e
1 oggetto: il
rapporto, legando getto.
altro ad altro,
è sempre tra
i diversi soggetti;
e aver concepito
V intrinsecità di soggetto
e oggetto come
un « rapporto
» (in conseguenza
di un uso
troppo generico, e
perciò equivoco, delle
parole « rapporto
» e «
relazione ») ha
fatto fallire gli
innumerevoh tentativi (conosciuti
anche in Italia,
soprat- tutto dal Martinetti
in poi), di
costruire la concretezza
del- l'esperienza attraverso il
« rapporto tra
soggetto e oggetto
». Che il
concreto non si
trovi, né nell'oggetto
per conto suo,
né nel soggetto
per conto suo,
ma solo nel
loro « rap-
porto », era stato
ripetuto in mille
maniere da spiritualisti, psicologi,
monisti, idealisti, neokantiani,
ecc. : ciascuno
cercando di utilizzare
a modo suo
il trascendentalismo di
Kant. Ma nessuno
aveva saputo liberarsi
da quell'elemento falsificatore
attraverso cui, malauguratamente, il
trascen- dentahsmo kantiano
era filtrato :
la « teoria
della rappresen- tazione »
di Reinhold. Dire
che il concreto
non si trova
né nel soggetto
per conto suo,
né nell'oggetto per
conto suo, é
vero, ma non
implica che si
trovi in un
loro rapporto; e
neppure nel semphce
rapporto dei soggetti
tra loro, come
per il Varisco.
Il concreto si
trova neU'intrinsecità dei
soggetti con l'oggetto,
che non può
dirsi rapporto perché
non é un
riferimento ad altro.
Il CarabeUese chiama
questa intrinsecità compattezza
interpretando in questo
modo il problema
che l'Ottocento tedesco
aveva ereditato da
Kant, e poi
tra- smesso, irrisolto, al
secolo successivo: l'inseparabilità del
soggettivo e dell'oggettivo. Kant,
osserva la Critica
del con- creto (edizione cit.,
pp. 85-86), «ha
dimostrato, con evidenza
che finora nessuno
é riuscito di
oscurare, che quei
due mondi formano
una concreta compattezza
» (Nella terza
edizione, del 1948,
il testo sarà
variato: «che quei
due mondi neces-
sariamente formano o richiedono
un mondo solo,
che non é
piìi mondo, ma
é essere concreto
deUa coscienza»: p.
89). 18. -
Lamanna. storia della filosofia. VH.
256 Cap. XXXV.
- L'Ontologismo di
P. Carabellese L'aggancio
a 5- L'ONTOLOGISMO. —
Questo Oggetto che
è unità (non
Rosmini, Gio- -Qi^^dMìk
di cose o
di idee a
immagine e somiglianza
delle berti e
Gentile. ^ ^
. . cose)
è l'essere; l'essere
in quanto oggettività
pura: dunque, se
si vuole, 1'
« essere oggettivo
» di Rosmini.
Ciò spiega a
sufficienza l'attenzione di
Carabellese verso la
dottrina del roveretano
che - attraverso
il Bonatelli e
per ragioni tutte
diverse - era
stata già una
fonte anche del
Varisco. In che
modo, però, si
potesse adoperare il
Rosmini per ovviare
davvero (come Rosmini
avrebbe voluto) all'
« errore gno-
seologistico » della
filosofia moderna, non
poteva risultare chiaro
al CarabeUese ai
tempi della laurea:
occorreva, in verità,
che il Gentile
portasse alle sue
ultime conseguenze quell'errore. Questa
è la ragione
sostanziale per cui
Carabellese, come filosofo,
matura tardi. Dopo
che Gentile ebbe
pubbli- cato, nel 1913,
la sua Riforma
della dialettica hegeliana,
il pensiero del
CarabeUese comincia a
dehnearsi. Nel volume
su L' essere e
il problema religioso.
A proposito del
« Conosci te
stesso » di
Bernardino Varisco (1914)
si configura il
tema di quello
che sarà il
suo ontologismo; e
nel saggio su
La coscienza morale
(1915), stampato a
qualche settimana di
distanza dal precedente,
è già «
quasi esplicita »
(cfr. Critica del
concreto, p. 11)
« la scoperta
della concretezza dell'essere
», Venne, però,
la guerra e
la meditazione del
Carabellese dovette interrompersi
per cinque anni.
Quando riprese (Gentile,
frattanto, aveva pubbhcato
le sue opere
principali, tra il
'16 e il
'17), le linee
maestre del suo
pensiero mostrano, ormai,
queUo che sarà
i] loro assetto
definitivo, l'assetto della
Critica del concreto
(scritta nel 1920).
Rosmini è rimasto,
ma l'essere oggettivo
e indeterminato che,
con la sua
pre- senza alle menti,
permette loro di
pensare, non è
più la mèra
« idea »
dell'essere, è l'essere.
L'ontologismo di Gioberti,
con la sua
critica al mèro
« essere ideale
», è ripreso,
ma con un
intento diverso e
ben piti radicale:
perchè l'essere non è più
r « ente
» e neppure
è il «
concreto » ;
è la pura
ontologicità degh enti:
pura idea, inseparabile
dalla loro pluralizzazione soggettiva.
In altri termini,
l'essere è pensabile,
ormai, solo L'Ontologismo 257
in una assoluta
immanenza: quell'immanenza che
Gentile e, ancor
più, i gentiliani
andavano spasmodicamente cer-
cando, e che, paradossalmente, veniva
trovata in un
rove- sciamento della posizione
di Gentile. 6.
Unità di conoscere
e fare, nel
« concreto ». — Il
testo fondamentale per
penetrare nell'ontologismo del
La Critica dei
Carabellese è, dunque,
la Critica del
concreto, che, uscita
'^°^'^^^^°- a Pistoia
nel 192 1, fu
dall'Autore rimaneggiata abbastanza
profondamente per la
seconda edizione romana
del 1940, e
meno profondamente per la terza,
che usci a
Firenze nel 1948,
in vista di una opera
omnia poi non
condotta alla fine.
La Critica del
concreto è lo
strumento costante di
meditazione e di
espressione del Carabellese; e,
nonostante che nella
prefazione alla terza
edizione egli insista
molto sulla prov-
visorietà di questo «
sillabario concettuale delle
successive ricerche »
(p. xxviii), rimane
il testo fondamentale.
Del resto le
« successive ricerche
», per il
Carabellese del 1947,
erano più quelle
che rimanevano da
svolgere che quelle
svolte dal 1927
in poi: e,
quindi, noi non
possiamo sapere quali
sarebbero state. Anche
le opere storiche,
per quel che
si è detto,
vanno capite muovendo
da quella intuizione
fondamentale, che a
tratti illumina, senza
dubbio, gU autori
considerati, ma che
essenzialmene si chiarisce
attraverso di essi.
Dopo gli scritti
del 1927-29 su
Kant e su La filosofia
da Kant a
Fichte, queste opere
storiche si concretarono
soprattutto nel primo
periodo romano, in
cui il Carabellese
occupò una cattedra
di Storia della
filosofìa (1930-1943), prima
di passare sulla
cattedra, a lui
più congeniale, di
teoretica. Esse erano
infatti, in origine,
corsi universitari usciti
in dispense, e
poi ristam- pati nei
tre volumi delle
Obiezioni al cartesianesimo (1946-47)
e nel volume
La fdosofia dell'esistenza in
Kant (Bari, 1969).
Del resto, non
fu solo un
interesse archeologico quello
storiografia che spinse
il Carabellese a
ritornare per due
volte sulla Cri-
speculativa, tica, Hbro
del 1920, bensì
la coscienza che di lì
si sviluppava tutta
la sua filosofìa.
Seguiremo dunque la
Critica del concreto
258 Cap. XXXV.
- L'Ontologismo di P. Carabellese
nella sua edizione
definitiva (1948), che
differisce dalla originaria
su punti non
trascurabili (il termine
« esperienza »,
ad esempio, a
partire dalla seconda
edizione è spesso
sosti- tuito dal termine
varischiano di «
coscienza ») . Teoria
e pra- Il
CarabcUese comincia col
distinguere, nell'attività ttca
non cornei- u^^ana,
i duc aspetti
della teoria e
della pratica che
si rifiuta dono
con cono- ...
... scema e
azione, di assimilare,
comc si fa
di solito, a
« conoscenza »
e « azione
». La teoria
è l'aspetto universale
di ogni attività,
e la pratica
ne è l'attuazione
moltepUce: indispensabile anche
quando si tratti
di attività conoscitive.
Del pari il
Carabellese mostra falsa
l'identificazione del binomio
pratico-teoretico col bi-
nomio astratto-concreto : «
Sia la teoria
che la pratica,
se prese ciascuna
per sé, sono
astratte » ;
sono entrambe aspetti
separati dell'attività spirituale,
e quindi entrambe
affette da una
astrazione per cui
« dimezziamo l'atto,
per fermarci a
una parte di
esso » (p.
12). Concreta è
solo un'attività che
attui, in forme
particolari, « una
idea unica e
universale », senza
la quale idea
non sarebbe presente
nel nostro volere
un « dover
fare » (che
non è dovere
etico soltanto), e
quindi si cadrebbe
in una «
inconsistente vanità delle
azioni nella loro
singolarità plurima ».
Per contro «
è evidente nel
con- creto volere la
presenza della qualità
universale di esso
[l'idea], quanto evidente
nel concreto conoscere
la presenza dei
molti fatti conosciuti
» (p. 18).
L'individuazio- 7- La
TEMPORALITÀ DELL'ESSERE E
IL MALE. —
QuestO ne deiv
unico nei rifiuto
di chiamare «teoretico»
il conoscitivo soltanto
vuol singoli. essere
una contestazione dei
« distinti »
crociani, ed evitare,
al tempo stesso,
il monismo gentiUano.
Ma esso serve
anche a ben
piìi : a
dirigere « le
menti verso la
vera sintesi a
priori dell'essere, e cioè l'individuazione dell'unico
nei singoli »
(p. 22 ;
o, come diceva
la seconda edizione,
« verso la
concre- tezza e cioè
la compattezza dei
singoH nell'unico»: p.
21). La teoria
è, dunque, l'orizzonte
impersonale in cui
i singoH si
attuano personalmente. Essa
serve, inoltre, a
fondare « ontologicamente »
la struttura dell'agire
sulla struttura dell'essere. La
temporalità dell'essere e
il male 259
Il Croce aveva
fornito, dell'attività umana,
una siste- mazione che
aveva avuto un
successo perfino superiore
aUe sue intenzioni.
Ma il Carabellese,
prima ancora che
com- parisse sull'orizzonte uno
Heidegger, fornisce un
sistema delle «
forme di coscienza
» (la prima
edizione diceva :
« esperienza »)
fondato ontologicamente sui
« momenti dell'essere
», cioè sulla
intrinseca temporalità deW essere
come essere presente
nella coscienza. «
Noi conosciamo ciò
che fu, sentiamo
ciò che è,
vogliamo ciò che
sarà» (p. 26).
La conoscenza, è,
infatti, una particolare
forma di co-
scienza, che si rivolge
al passato; l'intuizione
è un sentire
come coscienza, del
presente; l'azione è
coscienza dell'essere che
sarà, «coscienza del
futuro» {ivi). ((Momenti
del tempo, che
sono gh stessi
momenti dell'essere» (p.
27, nota), in
corrispondenza dei quali
troviamo, rispettivamente, nel-
l'oggetto il vero, il
hello, il buono.
Il concreto importa,
così, una «
valutazione ontologica //
tempo. del tempo
» che, affacciatasi
già in L'essere
e il problema
religioso (1914), starà
alla base del
modo antistoricistico di
concepire e salvare
La storia, prospettato
nel saggio con
questo titolo uscito
in Scritti in
onore di Bernardino
Varisco (1926). Nasce
qui il concreto
come «compattezza» o,
come il Carabellese
preferirà dire piìi
tardi, intrinsecità di
oggetto e soggetto
: « Oggetto
e soggetto, in
quanto separati, sono
astrazioni » (p.
30) - le
stesse che si
chiamano, rispettiva- mente, «
teoria » e
« pratica »
- mentre «
in concreto la
co- scienza è pratica
dell'essere (....) come
l'essere è teoria
della coscienza ».
Una appHcazione importante
è fatta dal
Carabellese al L'errore
di va- problema
dell' « errore
di volontà »,
o male, in
cui il Croce,
'''"''^' distinguendo Tattività
pratica in due
gradi, e rendendo
Ìl primo indipendente
dal secondo, era
rimasto invischiato. Nella
moralità come tale,
dice il Carabellese
(rovesciando, si può
osservare, quello che
per il Croce
valeva dell'eco- nomia) non
c'è errore : la coscienza
morale, come «
teoria della volontà
», è infallibile.
Ma, di per
sé, la moralità
non è ancora
concreta: è solo
la teoria del
concreto volere, e
200 Cap. XXXV.
- L'Ontologismo di
P. Carahellese «
di questa un
mio atto (o
io stesso tutto
intero addirittura?) potrà
essere un errore
» (p. 38).
Vi è, insomma,
un'oggettività morale (e
una estetica), e
non soltanto un'oggettività conoscitiva.
A tale oggettività,
i soggetti tendono
con un volere
che « non
è pura facoltà
del soggetto, ma
è attività concreta,
e perciò unità
di teoria e
di pratica, di
oggettività e soggettività
insieme » (p.
41). L'oggettività, in
tutte le sue
forme, è intrinseca
ai soggetti, ma
non certo identica
ad essi: essa
è infatti l'unità,
di cui i
soggetti sono il
molteplice. I soggetti
sentono, dunque, l'oggettività
come una esigenza,
come un bisogno;
e ciò fa
della filosofìa del
Carabellese una tipica
filosofìa del finito
e della tensione
del finito verso
l'infinito. Filosofìa dinamica,
ma non prassistica,
essendo la prassi
tesa verso la
teoria, e la
teoria accessibile solo
attraverso la prassi.
Idealismo asso- E
poichè l'cssere è
l'oggetto, presente nei
soggetti, la luto
non sogget- filosofìa
di Carabcllese si
presenta come un
« idealismo asso-
tivtsttco. ^ luto
», non però soggettivistico :
perchè nell'idealismo sog-
gettivistico l'oggetto è concepito
ancora al modo
del rea- lismo, come
un particolare, mentre
per Carabellese l'oggetto
ha da essere
l'universale, il «valere
per tutti» (p.
57). La cosa
particolare a cui
mi riferisco in
un mio atto
(conoscitivo, intuitivo o
pratico), ad esempio
un ulivo che
vedo dalla finestra,
non è un
oggetto in quanto
sia un mèro
particolare: è, tutto
al contrario, «
qualità o atto
soggettivo » (p.
61). Quello che
esso ha di
oggettivo è l'essere
ulivo non solo
per me, ma
per tutti :
cioè il rappresentare
- sia pure
individuata in un
atto particolare -
l'unicità dei soggetti
(pp. 61, 64).
Se, allora, si
conserva astrattamente questa
unicità da sola,
si ottiene 1'
« oggettività dei
soggetti », che
non è però
l'oggettività dell'ulivo: cioè
la particolarità, in
quanto, tale si
perde. « L'ulivo
in quanto universale
vuol dire l'unicità
(per quanto parziale,
perchè si tratta
soltanto di un
ulivo) dei soggetti.
E se l'universalità costituisce
l'oggettività, questa unicità
dei soggetti costituisce
l'oggettività loro. Quell'ulivo,
in fondo, costituisce
una parte della
oggettività naturale dei
soggetti uomini »
(p. 62) . Nel
realismo, o nel-
La temporalità dell'essere
e il male
261 l'idealismo soggettivistico che lo ricalca,
i soggetti e
gH oggetti si
presentano, invece, come
membri di una
stessa comunità (in
relazione tra loro)
: hanno un
analogo modo d'essere,
che impedisce a
questi due aspetti
del concreto di
assumere la loro
vera funzione. Questo
è l'errore. L'essere,
come puro oggetto,
non è un
insieme di cose:
è piuttosto quella
«co- scienza normale »
kantiana su cui
tanto avevano insistito
invano le fonti
tedesche, tra Ottocento
e Novecento; quella
« normalità »
della coscienza, con
cui CarabeUese giungerà
presto a identificare
il concetto kantiano
di cosa in
se. 8. I
SOGGETTI. — I
soggetti, per contro,
sono molteplici /
soggetti come per
definizione. Non enti-io,
da porre accanto
agU enti-cose: ^^^'^^soiaredtco- .
, _ -^
_ _ °
scienza ». in
quest'ultimo caso non
si avrebbe modo
di risolvere la
ver- tenza tra il
« realismo ingenuo
», che fa
dei primi i soggetti passivi
di una attività
dei secondi, e
l'idealismo parimenti ingenuo,
che inverte semplicemicnte la
relazione, ma non
muta la natura
dei suoi termini.
I soggetti non
sono neppure coscienza,
in concreto, bensì
« il singolare
di coscienza »,
così come l'oggetto
è « l'universale
di coscienza » (p. 96)
; sono «
individuazione dell'essere »,
« termini singolari
della sua individuazione» (p.
118). Parlare di
un soggetto unico
è, dunque, il
massimo dei Rifiuto
dei sog- non
sensi: il soggettivizzarsi della
coscienza è identico
al ^^"° ^^'^'^°'
suo pluralizzarsi. Codesto
pluralizzarsi non chiude,
tuttavia, i soggetti
in sé stessi:
perchè l'io, che
è il soggetto
concreto, non è
aw^ocoscienza (p. 138),
non è un
riflettersi su sé
stesso - che
porterebbe diritti al
solipsismo (p. 81)
-, è l' aprirsi
sull'unica oggettività dell'essere.
Sicché, mentre le
monadi varischiane si
aprivano l'una al
guardare dell'altra, e
pro- ducevano l'oggettività con
il loro reciproco
interferire, i soggetti
carabeUesiani si aprono
per l'immanere in
essi di un
identico oggetto, in
cui si è
rovesciata la concezione
gentihana dell'unico soggetto.
Del « Soggetto
universale » di
Varisco non c'è,
dunque, pili bisogno,
anzi esso non
è neppur concepibile.
Se io penso
Dio come un
principio soggettivo, non
ottengo altro che
202 Cap. XXXV.
- L'Ontologismo di
P. Carabellese «il
personale Dio pagano,
tutt'altro che unico»;
mentre se lo
affermo come soggetto
unico ne faccio
un « di
là » che,
non dovendo constare
per nulla nel
di qua, non
ha piìi per
noi alcun significato:
«Affermare, dunque, la
personalità di Dio
è non affermare
Dio; è negarlo»
(p. 156). 9.
La trascendenza. —
Ciò non toglie
che si possa
e si debba
dare un significato
alla trascendenza. Trascendenza,
diceva l'edizione del
1940, significa che
« il concreto
è sempre inadeguato
alle sue condizioni
trascendentali » che,
«nella loro purezza,
superano la coscienza
concreta, non vengono
da questa raggiunte
interamente » (pp.
175-176). Anziché di
« condizioni trascendentah
», l'edizione definitiva
parla di «
distinti », che
la coscienza non
attua interamente :
proba- bilmente perchè la
dizione « condizioni
trascendentah » sembrava
imphcare un' antecedenza
sul concreto, sia pure lo-
gica e non cronologica.
Trascendenza La stessa
Struttura del concreto
porta quindi il
Cara- rehgiosa e
tra- j^gjjgse ad
ammettere le due
forme tradizionah di
trascen- scendenza gno-
seologica, denza: la trascendenza religiosa,
per la quale
si afferma l'esistenza
separata e irrelativa
dell'ente spirituale assoluto,
e la trascendenza
gnoseologica, « più
grossolana e primitiva
», che afferma
l'indipendenza e assolutezza
dell'essere in sé.
Ma egli riconduce
entrambe queste forme
alla « inadegua-
bilità dell'intrinseco »,
cioè dell'essere oggettivo
puro (p. 192
corsivo nel testo),
che non è
qualcosa di esterno,
bensì qual- cosa d'intrinseco, appunto,
ai soggetti che
trascende. Del resto
il Carabellese riconosce
alla trascendenza reli-
giosa il merito di
rilevare, sia pure
in modo imphcito
soltanto, il valore
della coscienza, e
così di porsi
veramente sul ter-
reno dell'essere concreto (p.
195). Infatti, anche
se ad essa
accade di insistere
sull'eternità di Dio,
« si deve
tener pre- sente che
l'assolutezza divina ha
sempre avuta una
propria rappresentanza nell'essere
concreto, almeno in
coloro che l'affermavano» (p.
198). ,.tT..J7JAt^,l Riformulate
così le due
forme di trascendenza
tradizionale, concreta». il
Carabellese non le
accetta, tuttavia, tali
quali: sostituisce La
trascendenza 263 ad
esse «due forme
di trascendenza concreta»
(p. 200), la
trascendenza relativa, cioè « l'alterità
reciproca di coscienza
» tra un
soggetto e l'altro
(p. 205), e
la trascendenza «
dell'unico assoluto di
fronte ai singoli
soggetti ». Quest'ultima
non è, al
contrario della prima,
« relativa »,
perchè tra l'essere
as- soluto e i
soggetti, come abbiamo
visto, non intercorre
una « relazione
». La trascendenza
assoluta, in altre
parole, non è
simmetrica, perchè, mentre
noi non riusciamo
ad ade- guare l'oggetto, questo
non è mai
trasceso da noi
: « Il
prin- cipio non si
trascende ». Così,
« mentre la
trascendenza gnoseologica, che
si cre- deva trascendenza dell'assoluto
oggetto alla coscienza,
si riconosce come
irriducibihtà relativa di
un soggetto concreto
singolare all'altro, la
trascendenza religiosa, che
pareva soltanto soggettiva,
manifesta veramente la
sua assolutezza in
quanto inadeguabihtà dell'oggetto
puro, immanente neUa
coscienza dei soggetti
(p. 210). «La
trascendenza è dunque
nella coscienza, e
perciò non è
il reaUstico di
là da questa
(....). L'esigenza della
trascendenza è, invece,
l'esigenza che il
concreto ha di
un principio, esigenza
che è soddisfatta
relativamente dalla reciprocità
condizionata dei sog-
getti, e assolutamente dalla
unicità universale dell'oggetto
» [ivi) . IO.
I DUE POLI
DEL CONCRETO. —
A questo punto
si in- Il
sacrificio del- nesta
la più sorprendente
conclusione della Critica
del concreto. ^'^
coscienza. Abbiamo visto
che, isolando le
condizioni del concreto,
si cade nell'astratto
: ma allora
perchè la coscienza
« cerca di
cogliere detti distinti
nel loro isolamento,
perchè cerca di
dissolvere la propria
individua concretezza nell'uno
o nel- l'altro suo
distinto? » (p.
211. In luogo
di «distinto» l'edi-
zione precedente diceva :
« estremo ») .
Il CarabeUese avvi-
cina questo « sacrificio
» che la
coscienza fa della
propria concretezza al
dramma di Gesìi,
che prega :
« Transeat a
me caUx iste
», pur sapendo
che il sacrificio
a cui va
incontro è necessario
alla redenzione. «
Il transire della
ricerca del distinto
come tale non
può avvenire senza
l'annullamento 264 Cap.
XXXV. - L'Ontologismo
di P. Carahellese
della stessa concretezza,
come non poteva
avvenire quello di
Gesìi senza l'annullamento della
redenzione» (p. 212).
In altri termini,
alla concretezza è
necessaria anche la
distinzione delle sue
condizioni intrinseche (oggettiva
e sog- gettiva) :
non già per
una necessità di
tipo dialettico, che
faccia risultare il
concreto dalle antitesi
(pp. 92 e
138), bensì per
una necessità immediata
: « Il
credente muove dal
bisogno di sapere
la sua stessa
essenza singolare, di
sentirla distinta »
(p. 212). D'altra
parte, di fronte
al credente, la
coscienza rappresenta uno
sforzo continuo -
che non giunge
mai al termine
- « per
risolversi nel suo
principio universale, e
perciò essa è
sempre inesausta e
inesauribile problematicità »
e, quindi, filosofìa
(p. 213). Le
attività tra- Nel
concrcto pcrciò, a
cagione della sua
« polarità »
- come scendentah:
re- ^ chiamata,
ad escmpio, in
L'idealismo italiano (Napoli,
hgione e filoso-
f _ ^
^ _ fia.
1938, P- 294)
-, si costituiscono
due « attività
trascendentali, rehgione e
filosofìa » (p.
210) che «
sono l'intrinseca trascen-
dentahtà del concreto,
non la concretezza
stessa» (p. 214).
Esse dovran tornare,
dice il Carabellese,
« dopo tutte
le scal- trezze (....), alla
loro esigenza ingenua.
La concreta coscienza
umana non segue,
certo, solo la
misteriosa fede del
credente o la
superba ansia dimostrativa
del filosofo, ma
nella sua attività
è proprio sforzo
che richiede riposo,
riposo che pre-
para lo sforzo» (p.
214). In che
misura il credente
possa sentirsi soddisfatto
del- l' « esigenza
ingenua » della
religione, quale il
Carabellese ghela presenta,
è dubbio :
il credente ha
generalmente bisogno di
un Dio a
cui rivolgersi come
a un Tu,
e non soltanto
di « genuflettersi
dinnanzi all'universale mistero
che lo tra-
scende » (p. 206).
Ma il filosofo
può essere più
soddisfatto. Egli può
trovare nella trascendenza
carabellesiana la ragione
della prohlematicitcì della
sua ricerca, che
una mèra consi-
derazione dell'oggettività
come tale non
avrebbe fatto sup-
porre. In un immanentismo
di tipo hegehano,
in cui la
filo- sofia è il
prendere coscienza dell'Assoluto, la
problematicità si risolve
interamente nello sviluppo
storico; in un
imma- nentismo gentihano, in cui l'atto
coincide eternamente con
I due poli
del concreto 265
sé stesso, la
problematicità scade nell'indifferenza verso
la singolarità dei
fatti. Per contro
nell'immanentismo carabel- lesiano,
in cui l'oggettività
è una idea
pura, universale e
di per sé
astratta, l'esigenza di
una tale oggettività
riesce invece, inevitabilmente, problematica
e pluralisticamente attuata.
Per questo l'analisi
del concreto nelle
sue condizioni, o
nei suoi distinti
di per sé
astratti, é necessaria
alla reden- zione. Una
redenzione che riscatta
anche quello che
abbiamo chiamato il
« profetismo »
di Carabellese. La
profezia in nome
dell'assoluto apre, infatti,
e non chiude
la ricerca. Rimane,
senza dubbio, un
problema gravissimo: con
Quai è u
crUe- qual criterio
misurare se questa
esigenza di oggettività
sia ''^o deii'oggeth-
più o meno
soddisfatta? Il criterio
non può essere
dato, é chiaro,
da una formula;
l'oggettività carabellesiana non
sarebbe tale se
vi fosse una
formula capace di
definirla. Ciò rende
difficile - quasi
altrettanto nella posizione
di Cara- bellese quanto in
quella di Gentile
- passare dalla
sistemazione del valore
in generale a
una valutazione specifica,
dei prodotti portatori
di valore. Ma
ciò dà altresì
al problema della
filo- sofìa una apertura
che le posizioni
di dialettiche, di
stampo hegeliano, per
contro gli negavano.
II. Possibilità di un pluralismo
filosofico. — L'anno
stesso della Critica
del concreto, 192 1,
il Carabellese pubbHca
infatti, sulla «
Rivista di filosofìa
» un articolo
fondamentale Che cos'è
la filosofia? in
cui riconosce «
la difficoltà della
conciliazione dell'assoluta universalità
della filosofia con la sua
determinata concretezza »
(edizione in volume,
con altri saggi,
1942, p. 91)
; e non
esita, dovendo scegliere,
a lasciar cadere
pittosto la concretezza,
per conservare l'universafità. Ma,
se si tien
conto della «
attuazione e pratica
della filosofia »,
ci si accorge
che, rispetto a
quella universahtà, «
il filosofo è
esso il problema
dell'individuazione ». L'universaHtà
ha bisogno di
essere individuata per
esistere, e quindi
« l'espli- cazione dell'imphcito »,
che è il
problema filosofico fonda-
mentale, quando si consideri
la filosofia nella
sua attuahtà diviene
il problema dell'individuazione dell'universale. «
Si 266 Cap.
XXXV. - L'Ontologismo
di P. Carahellese
parte dall'affermazione dell'essere
nella sua universalità,
e si arriva
a una assoluta
affermazione della individualità, che
può parere dogmatica,
intollerante, tirannica ed
arbi- traria solo a
chi nulla sente
di filosofia, e
perciò scambi l'arbitrio
del singolo, che
deve farsi valere
pur quando debba
affermare non il
suo proprio arbitrio,
ma l'assoluto univer-
sale, con l'universale idea
animatrice da quel
singolo, toccata in
un potente sforzo
di sublimazione » (p. 112).
In questo senso
è riconquistato il
« concetto ingenuo
della filosofia, che
non è possesso
ma (....) sforzo»
(p. 113). Il
saggio del '21
sul concetto della
filosofia fu ristampato
nel '42, come
secondo volume dei
Primi Saggi: ma
le postille e
l'ultimo saggio, aggiunto
nel '42, fanno
in realtà, di
questo volume l'espressione
di una maturazione
ulteriore del Cara-
hellese, che presuppone tutto
il lavoro di
insegnamento uni- versitario e
di polemica. Dopo
il 1921, infatti,
il Carabellese si
dedicò a «
verificare » la
propria concezione sulla
storia della filosofia,
soprattutto kantiana: su
quello strano de-
stino, cioè che aveva
portato l'annunzio kantiano
(mal for- mulato) della
pura oggettività a
rovesciarsi nella soggettività
assoluta di Fichte.
// problema della
filosofia. Da Kant
a Fichte (1929)
è il «problema
interno» della filosofia:
quel problema che
la filosofia soUeva
a sé stessa
quando si inter-
roga suUa propria possibiUtà,
e che va
distinto accuratamente dal
« problema oggettivo
che la filosofia
vuol risolvere »
(p. v), che
il CarabeUese chiama
« problema teologico
». Kant (e
questo è il
punto in cui
l'esegesi del Carabellese
si mostra più
aderente ai problemi
testuah) non chiarì
mai in modo
soddisfacente il rapporto
tra critica (propedeutica) Il
problema teo- e
metafisica (filosofìa). Ciò
portò i suoi
successori a confon-
ogtco. ^gj.g ^
problema interno della
filosofia col problema
oggettivo, e a
pretendere di risolverh
in un sol
colpo, col concetto
di autocoscienza. È
la tesi che
il Carabellese espone
nella prima parte
di La filosofia
di Kant. L'idea
teologica (1927; parte
non più seguita
dalla seconda e
dalla terza, che
avrebbero dovuto riguardare,
rispettivamente, 1' «
idea psicologica »
e r «
idea cosmologica»). Il
Carabellese contesta la
legittimità Possibilità di
un pluralismo filosofico
267 di presentare
come filosofia di
Kant il criticismo,
che voleva essere
soltanto la via
per arrivarci; ma
non perchè segua
l'indicazione espressa di
Kant, secondo cui
il contenuto effettivo
deUa filosofia andrebbe
cercato in una
« metafisica della
natura » e
« dei costumi
», contenente l'insieme
delle condizioni a
priori rispettivamente della
scienza deUa natura
in generale e
della moralità. Carabellese
cerca, al contrario
di « determinare,
attraverso la dottrina
metafisica che Kant
tacitamente o esplicitamente professa,
quella che la
critica gli impone
di professare »
(p. xv). In
che cosa consiste
questa dottrina? Essa è la
dottrina dell'idea come
oggettività pura; dell' «
idea Dio» (come
il Carabellese amava
dire, e LUidea
dìo». non idea
di Dio: secondo
una precisazione che
risale, effet- tivamente, al
Kant àeWOpus poshimum,
sebbene il Cara-
bellese conoscesse l'Opus postumum
solo indirettamente). Carabellese
riconosce che «
Kant non fu
consapevole della scoperta
che egh faceva
quando, di fronte
al problema del-
l'esistenza di Dio, rispondeva
che Dio è
idea, e trasformava
così l'argomento ontologico»
[La filosofia di
Kant, p. 392).
Riconosce, cioè, che
la verità che
egli attribuisce a Kant è,
in fondo, la
stessa verità scoperta
da lui, Carabellese.
Con tutto ciò
il suo hbro,
come tutto il
resto delle sue
ricer- che storiche, pur
nel carattere molto
personale delle sue
ve- dute, contiene spesso
intuizioni illuminanti. 12.
Il problema teologico.
— Dopo questi
saggi, non esaurienti
ma condotti in
profondità, su Kant
e su Fichte,
il Carabellese poteva
raccoghere la somma
del proprio pen-
siero intorno al «
problema oggettivo »
(e non piìi
« interno »
soltanto) della filosofia,
nel volume II
problema teologico come
filosofia (1931), che,
pur avendo una
origine alquanto compo-
sita, costituisce una sintesi
molto coerente. La
filosofia trascendentale sbagHa
quando fa della
critica La critica
non è la
scienza assoluta (p.
6) : ma
non per questo
ha ragione ^^
scienza su- Hegel
(che critica tale
assunto) di cercare
la verità nel
dia- lettismo (p. II).
L'errore di Kant
è di muovere
dalla critica della
conoscenza soltanto (p.
12), anziché della
coscienza: 208 Cap.
XXXV. - L'Ontologismo
di P. Carabellese
che, allora, si
scoprirebbe in essa
« l'immanenza dell'essere
in sé, come
puro oggetto »
(p. i6), cioè
come idea. La
meta- fisica critica può,
dunque, essere definita
come « l'attività
teorica della trascendenza
nella immanenza dell'assoluto
» (p. 15).
Ma poiché la
trascendenza é «sforzo
verso l'asso- luto» (e
non l'assoluto medesimo),
la filosofia si
persona- lizza; e non
«capitalizza», come la
religione, un patrimonio
di fede, «ma
si consuma in
sempre nuovo sforzo»
(p. 18). Con
ciò il Carabellese
rende esphcito e
risoluto il suo
schie- rarsi per una
filosofia critica contro
ogni filosofia normativa.
« La filosofia
rinunzia ad essere,
con le proprie
norme, la guidatrice
di ogni concreta
attività spirituale »
(p. 19), avendo
«natura di sforzo,
e non di
scienza» {ivi). «La
filo- sofia deve dunque
abbandonare la scientificità, per
salvare, insieme con
la propria oggettività,
quella stessa dell'essere
» (p. 117).
Dio come asso-
Giustificate COSÌ le
tesi della Critica
del concreto e
quelle luto oggetto
^j £j^^ ^Q^'^
i^ filosofia?, la
nuova analisi del
Carabellese viene puro.
. . a
trovarsi direttamente di
fronte al problema
di Dio. Dio,
« come assoluto
oggetto puro »,
é ancora il
problema del lontano
volume del 1914,
L'essere e il
problema religioso, filtrato,
tuttavia, attraverso tutta
l'esperienza storiografica e
speculativa di quegli
anni. Al volume
giovanile era stato
obiettato che l'essere,
che è il
piìi astratto dei
concetti, non può
illuminare il problema
religioso, che é tra i
piìi concreti; e
la meditazione carabellesiana di
quegli anni era
stata la risposta
a tale obiezione:
l'inserzione dell'essere nel
concreto. Perciò il
Carabellese torna a
dire che la
filosofia, non solo
non può evitare,
ma ha per
suo compito oggettivo
spe- cifico il parlare
di Dio, e
il correggerne la
rappresentazione realistica che
ne dà generalmente
la religione; nonché
il liberare Dio
dai due «
presupposti », della
esistenza e della
soggettività, senza peraltro
aver punto la
pretesa di con-
testare l'atteggiamento
dell'adorazione religiosa: anzi,
of- frendole il suo
vero oggetto. Dio
è, non esi-
DÌO, afferma Carabellese,
è, non esiste.
Era stato detto
^^^- già da
molti altri, in
particolare dal Vico,
al termine della
// problema teologico
269 Prima risposta
al Giornale dei
letterati: « Impropriamente esplica
la sua pietà
» chi (come
Cartesio) inferisce dalla
pro- pria esistenza la
esistenza di Dio,
perchè « Dio
non esiste, ma è »
(e ancora: «
Iddio non c'è,
ma è »). Il senso,
tuttavia, in cui
il CarabeUese riprende
questa formula è
originale: « Se,
infatti, Dio è
essere in sé,
e l'esistere invece
è essere in
relazione, dire che
Dio come tale
esiste, comunque si
intenda l'esistere, è
pronunciare verbalmente soltanto
una contraddizione, ma
non dire nulla:
affermare l'esistenza di
Dio è negare
Dio» (p. 169).
«Affermare l'esistenza di
Dio è negare
Dio rendendo impossibile
uno spirito che
lo affermi »
(p. 171). Anche
l'argomento ontologico, che
il CarabeUese -
come L'argomento quasi
tutti gh idealisti
- riprende e
accogUe originalmente, ^^^°^°s^^°-
adattandolo al proprio
tipo di idealismo,
è bensì inadatto
- egH dice
- a dimostrare
l'esistenza di Dio,
ma serve ad
attestarne la «
pura inseità »
(p. 177) :
la quale è
solo di Dio,
dato che «
tutto ciò che
esiste non è
in sé, perchè
l'esistenza sta proprio
nella reciprocità, che
è alterità, e
non inseità »
(p. 180). «L'essenza
dell'argomento ontologico sta
proprio nella negazione
della singolarità e
rappresentatività di Dio
(negazione della quale
l'inconoscibilità kantiana non
è lon- tana) »
(p. 179). Pensare,
e non pensare
Dio, è davvero
im- possibile, come osservava
Anselmo: perché Dio
è l'ogget- tività di
ogni atto di
pensiero. 13. La
manifestazione dell'essere. —
Tuttavia questo essere
come puro oggetto
del pensiero, pur
essendo stato immesso
nel concreto, rischia
facilmente di apparire
troppo povero di
determinazioni per costituire
il « problema
og- gettivo » della
filosofia. E negH
anni dell'insegnamento di
teoretica a Roma
il CarabeUese si
sforza di quaUficarlo
mag- giormente, servendosi deUe
determinazioni del tempo,
secondo la hnea
già indicata daUa
Critica del concreto.
Queste medi- tazioni deU'ultimo CarabeUese
furono raccolte in
cinque volumi di
dispense, preparate da
lui prima dei
rispettivi corsi, tra
il 1944 e
il 1948. I
titoli sono: L'essere
e la sua
270 Cap. XXXV.
- L'Ontologismo di
P. Carabellese manifestazione. Parte
I: La dialettica
delle forme (1944-46);
L'essere. Parte II:
Io (1947); L'attività
spirituale umana. Prime
linee di una
logica dell'essere (1948).
Uessere quali- «
L'essere qualitativo -
egli spiega nel
primo di questi
tahvo. volumi -
proprio perchè è
il diverso, presenta
la sua attività,
che è attività
prima e principio
di ogni attività,
sotto tre aspetti,
che finora hanno
costituito tre ordini
di problemi separati
gli uni dagli
altri, e che,
quindi, sono stati
risolti indipendentemente e
incoerentemente: dico i
problemi dei valori
delle categorie e
degU atti dell'attività
spirituale » (p.
86). Anche se
l'essere è una
pura potenziahtà eterna,
gli atti si
diversificano: il passato,
inserendosi nel presente,
vi costituisce il
fatto e il
futuro vi costituisce
il fine :
« Il fine,
come già il
fatto, è un
diverso atto in
sé » (II,
p. 160), e
ha anch'esso una
sua oggettività pura,
perchè « il
sommo fine in
sé non può essere uno
dei tanti che
sentono il fine,
ma dev'essere, invece,
proprio quel tale
unico sentimento del
bene che tutti
noi abbiamo quando
ci proponiamo dei
fini» (p. 196).
La bellezza. Auchc
la bellezza ritorna,
nell'esame dell'ultimo Cara-
bellese, come « realtà
in sé »
del « sentimento
fondamentale », e,
quindi, non come
prodotto dell'arte (crocianamente), bensì
all'inverso come suo
presupposto : «
Dio come bellezza
è l'ineliminabile presupposto
dell'arte e degli
artisti » (p,
257). Coerentemente con
tutto il resto
della sua posizione,
il Cara- bellese considera un
grave errore il
« presupporre l'artista
al bello, cioè
il singolare all'universale» (III,
p. 325). Nella
seconda parte dell'opera,
intitolata L'io, il
Carabel- lese ribadisce la sua concezione
della coscienza concreta:
« Il consapere
è il sapere
che io, compatta
unità plurima, ho
di Dio, l'unico
universale» (p. 162).
Maggiori novità si
trovano nella parte
su L'attività spirituale
umana, che obbedisce
a questo canone
generale : «
L'attività spirituale umana
attui l'essere »
(p. 32) :
canone specificantesi poi
nell'imperativo di attuare
l'essere in quanto
bene (p. 42)
e in quanto
necessità (p. 46).
Su quest'ultimo punto
si fonda la
logica, come legge
dell'attività umana consapevole,
dato La manifestazione dell'essere
271 che «
il logo si
rivela come lo
stesso essere in
quanto pre- sente nell'attiva coscienza
umana» (p. 89).
Sotto questa rubrica
il Carabellese estende
ora la sua
ri- La società.
cerca a un
campo che poteva
sembrare marginale, rispetto
ai suoi interessi,
la società: poiché
la logica, come
legge dell'attività umana,
sotto il suo
aspetto sentimentale, è
« logica della
famigha », oltre
che della poesia
e dell'arte, e
sotto il suo
aspetto intellettivo è
« logica della
nazione », «
della scuola »
e « della
storia ». Infine,
sotto il suo
aspetto vohtivo, è
« logica del
popolo », «
dello Stato »,
« del costume
». Per quanto
affiancate, però, da
un volumetto pubbhcato
nel 1946, L'idea
politica d'Italia, queste
riflessioni ultime del
Carabellese sui temi
della società appaiono
prive di suf-
ficiente elaborazione. Del resto,
questo non è
un caso: ri-
sponde al rifiuto del
Carabellese di sacrificare
alla concre- tezza della
filosofia la sua
universalità. Abbiamo già
incon- trato questo rifiuto
nell'articolo del '21,
e nel Problema
teologico; e lo
troviamo ribadito negli
scritti Che cos'è
la filosofia? (1942).
Esso non è
altro che un
corollario del rifiuto
di « accettare
l'idealistica riduzione dell'essere
alla coscienza », la quale
impedirebbe alla filosofia
di continuare ad
essere filosofia dell'essere,
e quindi, in
ultima analisi, annullerebbe
la possibilità della
filosofia medesima. Capire
ciò - osserva
una postilla del
'42 al saggio
del '21 -
irriducibilità « deve
essere ben difficile,
se i miei
giovani amici, certo
di '^^''^ filosofia.
pronto ingegno, come
lo Spirito prima
e il Calogero
dopo, non hanno
visto che, con
la loro aperta
professione di ridu-
zione della filosofia alle
determinate scienze (Spirito),
o a filosofia
della prassi (Calogero)
non hanno fatto
altro che dotarmi
di spirito profetico,
in quanto avevo
prearmunziato il necessario
finire della filosofia
neohegehana in genere,
e attuahstica in
specie, nell'uno o
nell'altro dei detti
estremi » {Che
cos'è la filosofia?,
1942, p. 71).
La stessa soluzione
che il Carabellese
aveva proposta nel
'21, peraltro, \'iene
da lui criticata,
perchè in essa
il « pro-
blema interno » della
possibihtà del filosofare
non era visto
nella sua «
connessione con la
soluzione ontologica del
pro- 19. -
Lamanna. Storia della
filosofia. VII, 272
Cap. XXXV.
- L'Ontologismo di
P. Carabellese blema
oggettivo» (p. 87).
Là si parlava
ancora, infatti, di
una « trascendenza
» della filosofia,
mentre la filosofia
- come la
religione - non
è trascendente essa
stessa, bensì «
ricerca del trascendente,
trascendentalità ». Entrambe,
filosofia e religione,
se rivendicassero il
concreto, « dovrebbero
perire insieme nel
contendersi tutta l'attività
spirituale concreta, o
una determinata forma
di questa ».
Ma « che
periscano è impossibile:
bisogna dunque che
rinunzino entrambe alla
concretezza, per salvarsi
entrambe, ciascuna col
suo proprio valore
» (p. 120).
Eppure questa rinunzia
è ancora soltanto
una condi- zione negativa. Dopo
di essa bisogna
chiedersi, come fa
il saggio conclusivo
del volume: È
possibile filosofare ? ». Kant
aveva dimostrato (secondo
il CarabeUese) che
una filosofia come
specifico « sapere
dell' essere »
è indispensabile. Ma
i post-kantiani «
annullarono » la
dimostrazione kantiana, e
con ciò la
stessa filosofia, ridotta
all'attività spirituale in
genere. Solo la
« riflessione pura
della coscienza ontologica
» ristabilisce la
possibilità della filosofia,
evitando di identifi-
carla, sia col sapere
concreto (delle scienze),
sia con lo
stesso principio trascendente
(verso il quale
è sforzo) . Allora
« pro- blema interno
e problema oggettivo
del filosofare si
strin- gono saldamente tra
loro, pur senza
confondersi: perchè sia
possibile filosofare devesi
ammettere l'essere in
sé, del quale
la filosofia sia
riflessione; perchè si
ammetta l'essere in
sé, bisogna che
sia possibile la
filosofia come speciale
sapere o meglio,
se si vuole,
come quello speciale
atteggiamento di coscienza
che ricerca il
trascendente assoluto, che é l'essere
in sé» (pp.
269-270). La filosofia
e I4. SOVRANITÀ DELLA
FILOSOFIA. — DcttO
CÌÒ, tuttavia, l'oggethvtia. ^^^
gj vcdc aucora
da che cosa
il filosofo possa
desumere ciò che ha da
dire. « Il
filosofo non deve
professare la filo-
sofia che a lui
personalmente piaccia, ma
quella a cui
l'og- gettiva coscienza lo
induca » {Che
cos'è la filosofia?,
cit., p. vili)
: ma quale
è quella filosofia
a cui «
l'oggettiva coscienza lo
induce »? A
questa domanda il
Carabellese non può
ri- co. Sovranità
della filosofia 273
spendere, se non
con una «perenne
problematicità» (p. 262),
che corrisponde, in
qualche modo, a
quella problematicità che
Ugo Spirito trarrà
dall' attuaUsmo. Egli dice
che « la problematicità del
filosofo non parte
affatto dal nulla,
né dalla negazione
: parte dalla
coscienza concreta »
(pp. 263-264) :
ma con ciò
non fa altro
che reinserirsi, in
sostanza, nella tra-
dizione socratico-platonica
(il Carabellese ne
cita come rappresentanti «Aristotele
e Agostino, qui
d'accordo»), secondo cui
« sapere è
sempre sapere in
modo piìi espUcito
ciò che già
si sapeva» (p.
361). Questo appello
a un impli-
cito da esphcitare si
giustifica, tuttavia, forse
meno nell'on- tologismo critico che
nelle filosofie tradizionali,
platoniche e cristiane.
Queste riserve non
tolgono che Carabellese,
con il suo
spirito profeti- volume
del '42 sulla
possibilità della filosofia
- scritto che
può considerarsi come
il suo testamento
spirituale - ponga
il tema principale
del dibattito filosofico
in Italia per
almeno un decennio:
il tema della
«morte della metafisica».
Anche se non
tutti coloro che
conducevano quel dibattito
si ricor- darono di
lui, anche se
i più tra
quelli che pronunziarono
una sentenza di
morte per la
metafisica non si
accorsero della loro
ignoratio elenchi rispetto
alle tesi del
Carabellese, noi non
possiamo non riconoscere
ancora una volta
in Carabel- lese una
sorta di spirito
profetico e, questa
volta, anche rispetto
al futuro. Con
lucidità impressionante, infatti,
nel 1942 egli
respinge, insieme col
« pregiudizio della
norma- tività della filosofia
», l'identificazione tra
filosofia e politica
pura, tra filosofia
e pohtica determinata,
tra filosofia e
storia della filosofia
(nel senso che
sarà sostenuto poi,
tra gh altri,
dal Garin) e,
infine, tra filosofia
e fede (oltre
che, come già
si è visto,
tra filosofia e
scienza e tra
filosofia e prassi).
La capacità di
prevedere e prevenire
i nemici, in
Carabellese, non aveva
l'eguale. Il vedere
neUa « non
hegeliana identi- ficazione di
filosofia e politica
pura » la
« esasperazione della
hegehana eticità dello
Stato » ;
il riconoscere «
l'inutihtà del filosofare
nelle determinate esigenze
poUtiche », contro
il « sogno
platonico dei filosofi
reggitori di Stato
» ; il
sostenere 274 Cap.
XXXV . - L'Ontologismo
di P. Carabellese
«l'inutilità del filosofare
per la vita»
(p. 274), come
«segno deUa sovranità
della filosofia »,
sono una battaglia
combat- tuta in anticipo
contro nemici non
ancora tutti schierati.
E, se si
dovesse guardare al
suo esito pragmaticamente e
storicisticamente, si dovrebbe
anche dire: una
battaglia perduta. Ma
il senso del testamento spirituale
di Pantaleo Carabellese
è appunto il
rifiuto di una
considerazione prag- matica e
storicistica della filosofia.
Questo rimane, anche
se la tendenza
a sacrificare il
concreto all'universalità toghe,
a quel rifiuto,
molte opportunità di
proporsi come più
po- sitivamente costruttivo. Capitolo
Trentaseiesimo L'IDEALISMO STORICISTICO
DI BENEDETTO CROCE
I. LA FASE
DI PREPARAZIONE I.
I CASI DELLA
VITA. — Il
CrOCE giunse assai
tardi alla Tardivo
appro- fìlosofia. Benché
la sua attività
di studioso fosse
precocis- ^^ '^^^"'
fi^^^'^fi'^- sima (prima
dei vent'anni egli
aveva già pubblicato
alcuni lavori) e
si esplicasse fin
dall'inizio con rara
intensità, tut- tavia essa
non offrì stimoli
efficaci al manifestarsi
della sua vocazione
filosofica, essendo dominata
da una curiosità
di erudito e
di letterato che
trovava il suo
pascolo nella ricerca
d'archivio e di biblioteca, in
collaborazione con «
altra onesta e
buona e mite
gente, uomini.... che
non avevano l'abito
del troppo pensare»
{Etica e Politica,
Bari, 1956*, p.
388), come si
esprime il Croce
stesso ; ne
taU stimoU al
« pensare »
venivano offerti al
giovane Croce dai
casi della vita
e dalle influenze
dei vari ambienti
in cui tah
casi si verificavano
sotto forma di
problemi spirituali d'indole
etico-rehgiosa, o pratico-sociale, e
simili (e son
preziose per questo
rispetto le confessioni
del Croce medesimo
nel suo Contributo
alla critica di
me stesso del
1915, ripubbhcato in
appendice al volume
Etica e Politica).
Nato nel 1866
a Pescasseroh, paese
montano degH Abruzzi,
Vamhiente. da una
ricca famiglia di
proprietari terrieri, trovò
in questa 276
Cap. XXXVI. -
L'idealismo storicistico di B. Croce
esempi di severe
virtii domestiche, austera
laboriosità del padre
nell'amministrazione del suo
patrimonio, cura attenta
e amorosa della
casa da parte
della madre, la
quale serbava altresì
amore per i
libri e soprattutto
per la letteratura
ro- mantica di costume
medievale oltre che
per l'arte e
per gli antichi
monumenti, amore che
trasmise vivissimo fin
dai primi anni
d'infanzia al figlio,
il quale -
come scrive -
si trovò ad
avere in tutta
la sua fanciullezza
« come un
cuore nel cuore
», e questo
cuore « era
la letteratura o
piuttosto la storia»
[ivi, p. 380).
Ma mancava in
quell'ambiente fa- miliare qualunque risonanza
di vita pubblica
e politica: il
persistente segreto attaccamento
ai Borboni, la
sorda dif- fidenza per
le idee e
il costume del
nuovo Stato «
piemontese », vietavano
ogni partecipazione attiva
al moto del
Risorgi- mento e all'opera
di costruzione del
nuovo Stato nazionale.
E le relazioni
della famigha con
i due fratelli
Spaventa, cu- gini del
padre, si erano
rotte: l'ex-prete Bertrando,
allora professore di
filosofia all'Università di
Roma, era oggetto
di scandalo per
la sua apostasia;
e Silvio, esponente
auto- revole del liberalismo
trionfante, era sentito
come l'incar- nazione di
quel mondo a
cui i Croce
erano intimamente estranei
o avversi. Eguale
sordità alle esigenze
della nuova politica
e del nuovo
pensiero, il giovane
Croce trovò nel
collegio tenuto da ecclesiastici a
Napoli, dove egli
entrò a circa
io anni e dove compì
i suoi studi
secondari, che alimentarono
le sue inclinazioni
letterario-erudite,
specialmente sotto l'influenza
del De Sanctis
e del Carducci,
da lui letti
e riletti sui
banchi del liceo,
senza che tuttavia
riuscisse a sentire,
se non in
modo superficiale l'alta
ispirazione morale della
loro opera critica.
E si compì
in quegli anni
quella ch'egli chiama
« crisi rehgiosa »,
determinata non da
profondo travaglio o
inquie- tudine interiore, ma
dal graduale spontaneo
spegnersi del- l'adesione a
credenze da lui
fino allora passivamente
accolte e dall'abbandono delle
pratiche esteriori. Gli
studi. Al termine
degli studi secondari,
la sua vita
fu sconvolta da
una gravissima sciagura
familiare, la perdita
di entrambi /
casi della vita
277 i genitori
e dell'unica sorella
nel terremoto di
Casamicciola (nell'isola d'Ischia,
dove la famiglia
era a villeggiare),
ed egli stesso
rimase per molte
ore seppellito sotto
le macerie, uscendone
con le ossa
fracassate. Guarito daUe
ferite, avendo lo
zio Silvio Spaventa
assunto la tutela
dei due orfani
so- pravvissuti, egli si
trasferi a Roma,
in casa del
tutore, e ci
rimase tre anni.
In questo periodo
fece due esperienze
nuove, che lasciarono
tracce durevoli nel
suo spirito: casa
Spaventa era frequentata
da gran numero
di parlamentari e
giornalisti ed esponenti
deUa cultura universitaria, tra
i quali si
accen- devano vivacissime discussioni
sui fatti del
giorno e sugh
avvenimenti della vita
politica, discussioni dominate
da pas- sioni e
contrasti così importanti
e violenti da
turbare l'animo del
giovanetto che vi
assisteva, trasformando l'indifferenza per
la politica, propria
degli ambienti in
cui fino allora
era vissuto, in
vera e propria
avversione. D'altra parte,
iscritto alla Facoltà
di Giurisprudenza, per
essere avviato alla
diplo- mazia, non trovò
in quegU studi
nulla che lo
interessasse e valesse
a placare le
sue ansie per
la vita avvenire,
a solle- vare il
suo spirito dalla
nera depressione nella
quale la scia-
gura famihare lo aveva
lasciato (fu pessimo
scolaro, e non
giunse mai alla
laurea). Ma nella
Facoltà di Lettere
inse- gnava allora Filosofia
Morale un uomo
di grande ingegno
e di forti
entusiasmi, Antonio Labriola,
ch'egU aveva cono-
sciuto e preso ad
ammirare nelle conversazioni
serali di casa
Spaventa. Il giovane
Croce si diede
a frequentare le
lezioni universitarie del
Labriola, e ne
fu preso. «
.... Quelle lezioni
- scrive il
Croce nel suo
Contributo Labriola, [ivi,
p. 387) -
vennero incontro inaspettatamente al
mio angoscioso bisogno
di rifarmi in
forma razionale una
fede sulla vita
e i suoi fini e
doveri, avendo perso
la guida della
dottrina rehgiosa e
sentendomi nel tempo
stesso insidiato da
teorie materialistiche, sensistiche
e associazionistiche, circa
le quah non
mi facevo illusioni,
scorgendovi chiaramente la
sostanziale negazione della
moraUtà stessa, risoluta
in egoismo piìi
o meno larvato.
L'etica herbartiana del
Labriola valse a
restaurare nel mio
animo la maestà
dell'ideale, del 278
Cap. XXXVI. -
L'idealismo storicistico di
B. Croce dover
essere contrapposto all'essere,
e misterioso in
quel suo contrapporsi,
ma perciò stesso
assoluto e intransigente
». L'herbartismo del
Labriola suscitava in
Croce reverenza per
forme ideali eterne,
platonicamente scisse dal
reale e collocate
nell'empireo, fornenti nella
loro assolutezza un
solido fondamento alla
morale, e andava
incontro alla sua
istintiva avversione al
naturalism.o positivistico, che
som- mergeva nell'esperienza e
abbassava a superstizione
ogni culto dell'ideale.
Piiì tardi il
Croce tornerà sull'herbartismo, e
porrà ogni suo
sforzo nell'intento di
colmare quell'abisso tra
ideale e reale,
attribuendo alle idee - calate
dall'empireo nel mondo
dell'esperienza - il
valore di principii
direttivi o «
forme » dell'operare
umano, e riconoscendo
le esigenze più
profonde dell'aborrito positivismo.
Ma per il
momento l'herbartismo suscitava
in lui un
fermentare d'idee sul
rap- porto tra dovere
e piacere, sulla
distinzione tra azioni
ispirate al rispetto
della pura idea
morale e quelle
scaturite da im-
pulsi passionali. Indagini
eru- Tomato a
NapoH, dopo tre
anni di soggiorno
a Roma, «
lasciata la pohticante
società romana acre
di passioni »,
entrò « in
una società tutta
composta di bibliotecari,
archi- visti, eruditi, curiosi
» [ivi, p.
388) e a
quella società egli
si adeguò pienamente
e dall'86 al
'92 fu -
com'egli dice -
« tutto versato
nell'esterno, cioè nelle
ricerche di erudizione
» {ivi, p.
390). L'intensità e
la foga di
questo lavoro d'indagini
nei campi angusti
degli aneddoti e
curiosità, finì col
produrre in lui
« sazietà »
e « disgusto
» per quelle
« esercitazioni esterne
». E da
questo scontento credette
di poter uscire
allargando l'orizzonte delle
sue ricerche dall'ambito
di vi- cende locali
a quello della
vita morale delle
nazioni nei loro
reciproci rapporti (ad
esempio i rapporti
italo-spagnoH nel Rinascimento). Ma
di quello scontento
egli intuì la
più vera e
profonda ragione nel
fatto che, mentre
da tanti anni
fa- ceva o credeva
di fare storia,
non sapeva che
cosa fosse la
storia, quale ne
fosse la natura:
e meditando su
questo problema, con
ampie letture (prendendo,
tra l'altro, un
primo contatto con
La scienza nuova
del Vico) s'accorse
che la dite
/ casi della
vita 279 soluzione
di esso impKcava
un radicale cangiamento
di pro- spettiva, uno
spostamento d'interesse da
quello che è
l'og- getto del conoscere
storico, dai fatti
costituenti il passato
che s'intende ricostruire,
alla mente dello
storico che è
il soggetto di
quell'opera di ricostruzione, per
ricercare in essa,
nella coscienza dell'uomo,
i tratti specifici
di quella forma
di conoscenza che
è la conoscenza storica
nelle sue connessioni
con le altre
forme di sapere
di cui l'uomo
è capace e
con l'operare pratico
costitutivo della vita
dell'uomo. Era, //
problema quello, un
problema di logica
della storia, concernente
cioè '^^"^ ^^'"'*^-
il concetto della
storia, era dunque
un problema di
filosofia, di filosofia
sulla storia. Da
queste meditazioni nacque
il saggio del
1893, La storia
ridotta sotto il
concetto generale dell'arte,
« che fu
- come dice
il Croce -
come una rivelazione
di me a me stesso,...
come cosa che mi stava
a cuore e
mi usciva dal
cuore, e non
come una più
o meno frivola
e indif- ferente
scrittura di erudizione
». Quel saggio
suscitò un gran
fervore di polemiche
che tennero impegnato
il Croce per
vari mesi, e
lo indussero a
chiarire e sviluppare
il suo pensiero
in vari scritti,
raccolti poi nel
volume Primi saggi.
Ma quando, gettata
luce filosofica sul
lavoro storico, egH
credeva di poter
tornare a questo
riprendendo le sue
ricerche sui rapporti
tra ItaUa e
Spagna, una nuova
spinta improv- visa e
irresistibile lo ricacciò
con rinnovato fervore
nelle riflessioni sul
problema della storia
e fu un
secondo incontro col
suo vecchio maestro
e amico Antonio
Labriola, che, pas-
sato dall'herbartismo al marxismo,
mise il suo
giovane amico a
parte dell'opera, a
cui egli si
era accinto, di teoriz-
zamento del socialismo
e della dottrina
del materiahsmo storico
che ne costituiva
l'ideologia. Il contatto
col marxismo ingenerò
nel Croce anche
un 11 marxismo.
appassionamento politico, la
fede sociaHstica nella
pahnge- nesi del
genere umano redento
dal lavoro, e
nel lavoro: ma
fu un appassionamento politico
passeggero, che quella
fede fu corrosa
dalla critica ch'egU
venne facendo dei
concetti 28o Cap.
XXXVI. - L'idealismo
storicistico di B.
Croce del marxismo,
in una serie
di saggi, da
lui scritti tra
il 1895 e
il 1900, raccolti
poi nel volume
del '900 che
porta il titolo
Materialismo storico ed
economia marxistica. Ma
« del tumulto
di quegli anni
mi rimase come
buon frutto l'accresciuta
espe- rienza dei problemi
umani e il
rinvigorito spirito filosofico
» {Primi Saggi,
Bari, 1951^, p.
396). Il Croce
si sente ormai
maturo per dare
una organica sistemazione
alle idee sulla
storia, scaturite primamente
dalle riflessioni sulla
connes- sione della storia
con l'arte e
ampliatesi poi e
approfonditesi
nell'esperienza marxistica. Quest'organica sistemazione
co- stituirà quella che
Croce chiamerà «
Filosofia dello Spirito
», che si
apre con l'Estetica
e si conclude
con la Teoria
e storia della
storiografia, occupando il
quindicennio che precede
la guerra mondiale.
Politica attiva. Dopo
la fine della
guerra Croce, senatore
dal 1910, entrò
a far parte
del gabinetto Giolitti
(1920-21) come ministro
dell'Istruzione, e progettò
una riforma scolastica
che, tutta- via, non
ebbe il tempo
di far approvare
dalle Camere, per
la caduta del
Ministero. Con l'avvento
del fascismo non
volle pili accettare
incarichi di governo,
ma lui stesso
indicò in Gentile
l'uomo che avrebbe
potuto portare a
termine la riforma.
Già in questo
momento, tuttavia, i
rapporti tra i
due filosofi si
andavano raffreddando :
sia per ragioni
teoriche (come vedremo),
accentuate ancora dalle
polemiche tra i
rispettivi discepoli, sia
per ragioni politiche.
Dopo il delitto
Matteotti, Croce, che
aveva in un
primo tempo accettato
il fascismo come
minor male, mutò
il suo voto
favorevole, « prudente
e patriottico »,
in una decisa
opposizione. Cessò quasi
del tutto di
frequentare il Senato,
e pronunziò, e
mise per scritto,
severe condanne del
fascismo. Salvo, tuttavia,
un'invasione della sua
casa napoletana da
parte di esagitati,
che la moglie
Adele contribuì a
fermare, fu sempre
lasciato tranquillo, e
alla rivista che
il Croce aveva
fondato nel 1903,
« La critica
», fu lasciata
una libertà, per
quei tempi, ecce-
zionale. Questa voce d'opposizione, per
un verso, serviva
da aUbi culturale
al regime, ma per un
altro servì a
raccogliere intorno al
crocianesimo tutto l'antifascismo rimasto
nei / casi
della vita 281
confini italiani. Caduto
il fascismo, tuttavia,
non riuscì al
Croce di trattenere
se non in
minima parte tale
antifa- scismo nel quadro
e nello spirito
del ricostituito partito
liberale, di cui
Croce fu presidente.
Membro della Costituente
e ministro, Croce
concluse definitivamente la sua vita
po- litica nel 1948,
per proseguire senza
soste i suoi
studi, fino alla
morte, avvenuta il
20 novembre 1952.
Lasciò parte del
suo palazzo napoletano
e la ricchissima
biblioteca all'Istituto per
gli studi storici,
da lui fondato
nel 1947, con
lo scopo soprattutto
di indirizzare i
giovani verso quelle
ricerche che più
aveva amate. 2.
La storia come
arte e come
scienza. — Avendo
l'occhio alla futura
costruzione del sistema
della « Filosofia
dello Spirito »,
delineeremo brevemente come
preparazione di essa
le idee principah
contenute così nella
memoria su La
storia ridotta sotto
il concetto generale
dell'arte e negh
scritti ad essa
collegati, come nella
raccolta dei saggi
sul Materia- lismo stanco. Nell'attività intellettuale
del giovane Croce,
la ricerca La
storia tra storico-erudita e
quella storico-letteraria o
critica della poesia
erano costantemente affiancate
e spesso (come
ad esempio nell'esame
della poesia popolare
e delle leggende
locali) s'in- trecciavano tra loro,
guidate, se non
dal concetto, dall'in-
travvedimento d'un'affinità spirituale
e d'una comune
radice spirituale della
storia e dell'arte.
Si capisce quindi
che, quando nel
1893, nella «
Memoria » con
cui Croce inizia
la sua atti-
vità filosofica, prese ad
esaminare di proposito
nei suoi termini
più generali il
problema della natura
della storia, egH
avesse presente quel
ravvicinamento della storia
all'arte, da lui
sperimentato negh anni
precedenti. E partendo
dal presupposto -
comunemente accettato, anche
se non criti-
camente fondato - che
vi siano due - e
non più di
due - forme
di conoscenza, quella
sopraccennata dell'arte e
quella della scienza,
il problema deUa
natura della conoscenza
sto- rica assumeva la
forma del problema
se la storia
rientrasse nell'ambito dell'arte
o in quello
della scienza, e
si risolveva arte
e scienza. 282
Cap. XXXVI. - L'idealismo storicistico
di B. Croce
con la tesi
che la storia
non si identificasse
senz'altro con l'arte,
ma fosse riducibile
sotto il concetto
generale dell'arte, come
suona il titolo
della « Memoria
». Occorre dunque
innanzi tutto precisare
i caratteri che
differenziano l'arte dalla
scienza. E in
questa precisazione si
conclude che la
scienza è elaborazione
della realtà in
forma concettuale, per
cui il particolare
è inteso in
quanto ripor- tato all'universale; l'arte
invece è elaborazione
della realtà in
forma rappresentativa, è
conoscenza immediata o
intuitiva dell'individuale. Vero
è che il
Croce, all'inizio della
sua «Memoria», esa-
minando le varie definizioni
dell'arte date dagli
studiosi, ritiene come
sola definizione accettabile
quella che gH
storici dell'Estetica attribuiscono
ad Hegel, secondo
la quale l'arte
è manifestazione sensibile
o espressione di
qualcosa che per Hegel è
l'idea. Sembra che
con ciò il
Croce enunci un
concetto dell'arte, nuovo
rispetto a quello
dell'arte come conoscenza
dell'individuale. Ma in
effetti il Croce
non dà al
concetto di espressione
alcun rilievo particolare
in questo senso,
e in ogni
caso non sarebbe
pertinente al problema
ch'egH discute, concernente
la natura artistica
della storia: per
questo pro- blema il
concetto di arte-espressione è
irrilevante, mentre si
accentua a questo
scopo il concetto
di arte come
conoscenza rappresentativa, non
concettuale. La storia
come Da quauto
SÌ è detto
sui caratteri differenziali
tra scienza e
arte, risulta che
la storia non
è scienza, appunto
perchè non elabora
concetti, ma espone
fatti nella loro
concretezza individuale. Vero
è che da
varie parti si
è tentato di
consi- derare la storia
come elaborazione di
concetti. Da parte
del positivismo la
storia è presentata
come scienza dello
svol- gimento degli uomini
nella loro attività
di esseri sociali,
identificandola con la
sociologia, che «
convertiva l'idea della
vita storica nella
monotona ripetizione di
alcuni schemi poHtici,
sociali e variamente
istituzionah, e nell'azione
di alcune leggi
generali », e
con tale conversione
si menava vanto
d' innalzare 1' «
ingenua ' storia
degli storici '
» a «scienza
positiva e naturale»
{ivi, p. x).
E d'altra parte,
arte La storia
come arte e
come scienza 283
nel tempo stesso
il positivismo abbassava
l'arte a «
piacere dei sensi,
piacere di associazioni
psichiche, piacere di
abi- tudini e disposizioni
ereditarie non diverso
da quello del-
l'utile » e «
non mancavano coloro
che la riportavano
addi- rittura all'istinto sessuale
o alla preistoria
animalesca e la
descrivevano come una
sorta di Hbidine
affinata e svaporata
» {ivi, p.
ix). Contro tali
deformazioni del concetto
di storia, miranti
Polemiche can- ai caratterizzare la
storia come scienza
o elaborazione con-
^^0 le pseudosto-
rte. cettuale, il
Croce assume un
atteggiamento risolutamente polemico.
Per quel che
riguarda il positivismo,
come contro il
sensismo che considera
l'arte torbida e
oscura vibrazione del
piacere e dell'utile,
il Croce riaffermava
che l'arte è
cono- scenza, così contro
il sociologismo affermava
che la storia
non è conoscenza
di ritmi generali
della vita sociale,
ma è, al
pari dell'arte, conoscenza
di fatti individuah;
e agli evo-
luzionisti osservava che la
storia non è
scienza dello svolgi-
mento, non determina che
cosa lo svolgimento
è (compito, questo,
della filosofia indagatrice
dei concetti che
sono i principii
dell'essere) ; la
storia espone i
fatti dello svolgimento
umano {ivi, pp.
17-18). E con
argomenti analoghi criticava
la filosofia della
storia. Che la
realtà storica sia
attingibile all'esperienza e
sia specificamente realtà
umana, è concetto
che si collega
a un ordine
di considerazioni con
cui il Croce
fa un nuovo
passo avanti sulla
questione della natura
della storia. Si, la storia
- s'è visto
- è riducibile
sotto il concetto
generale dell'arte, in
quanto questa è
conoscenza rappresentativa della
realtà, intuizione immediata
e irriflessa dell'individuale nella
sua concretezza. Ma
non per questo
la storia s'identifica
con l'arte: entro
l'ambito della produzione
estetica la storia
occupa un suo
posto speciale che
si tratta di
definire. « La
storia, rispetto alle
altre produzioni dell'arte,
si occupa (....)
non di ciò
ch'è possibile, ma
di ciò ch'è
real- mente accaduto. E sta al
complesso della produzione
del- l'arte come la
parte al tutto;
(....). Ora, nel
senso corrente 284
Cap. XXXVI. -
L'idealismo storicistico di B. Croce
della parola, si
chiama arte solo
quell'attività, ch'è diretta
a rappresentare il
possibile (piìi propriamente
l'arte in senso
stretto è indifferente
alla distinzione tra
possibile e reale).
(....) In fondo,
anche la rappresentazione del
realmente ac- caduto -
la storia -
è processo essenzialmente artistico
ed offre interesse
simile a quello
dell'arte » {ivi,
p. 35). Costruire
la Prima Condizione
per avere una
storia vera (e
insieme narrazione. opera
d'arte) è secondo
il Croce che
sia possibile «
costruire una narrazione
», cioè appurare
la materia da
esporre con lavori
preparatore di ricerca
critica e interpretazione dei
documenti, i quali
tuttavia solo di
rado consentono una
« narrazione »
completa, ostacolata dal
sorgere continuo di
dubbi e riserve
e discussioni [ivi,
p. 38). Ma a questo
punto il problema
della natura della
storia cambia radicalmente
d'aspetto e presenta
gravi difficoltà: è
conciliabile l'antico concetto
di storia-arte col
nuovo di storia-narrazione? Si
può ancora mantenere
la tesi che
la storia sia
rappresentazione immediata e
irriflessa e intuitiva,
escludente qualsiasi elaborazione
concettuale, quando si
af- ferma che la
storia-narrazione ha il
compito di ridurre
i fatti alle
loro cause, e
questo compito implica
un complesso e
faticoso lavoro di
preparazione che, per
giunta, solo di
rado porta allo
scopo? Non occorre
forse rinunziare a
quella che era
la tesi fondamentale
della « Memoria
», che la
storia dovendo essere
ricondotta sotto il
concetto dell'arte, resta
esclusa dall'ambito della
Scienza? Questi interrogativi
si fanno sempre
piìi assillanti, via
via che procediamo
nell'esame di considerazioni espHcative
che il Croce
fa negli scrittarelli
da lui pubblicati
nei due anni
successivi, e particolarmente in
quelli su La
filosofia della storia
e in quelli
Sulla classificazione dello
scibile: con- siderazioni le quali,
pur con oscillazioni
derivanti dall'attac- camento alla
vecchia tesi della
storia-arte, accentuano il
carattere scientifico del
nuovo concetto di
storia-narrazione.
Distinzione tra Del
resto - è
Opportuno sottolineare -
il Croce stesso
possibile e reale.
^Iq^^ìì anni dopo,
quando aveva già
percorso un lungo
iti- nerario speculativo fino
al punto di
giungere alla sua
tesi La storia
come arte e
come scienza 285
fondamentale della identità
della storia con
la filosofia quale
scienza dei concetti
puri, raccogliendo nel
volume Primi saggi
gli scritti giovanili
sopra esaminati (la
prima edizione della
raccolta è del
1919), scrive nella
prefazione ad esso,
che quando componeva
quegli scritti, «non
scorgeva (....) il
nuovo problema che
la concezione della
storia come rappre-
sentazione estetica del reale,
gli poneva innanzi:
ossia, che una
rappresentazione, nella quale
il reale è
dialetticamente distinto dal
possibile, è più
che semplice rappresentazione ed
estetica intuizione, e
si attua proprio
per virtù del
con- cetto » {ivi,
p. xi) , filosoficamente inteso
come unità di
uni- versale e
individuale. 3. Il
problema della storia
negli studi marxistici.
— Dal travaglio
di pensiero che si esprimeva
negli scritti cro-
ciani apparsi tra il
1893 e il '95, afiìorava
sempre più chiaro
il convincimento che
la storia, pur
rimanendo saldata all'arte
nelle sue radici,
in quanto conoscenza
rappresentativa,
a-concettuale del reale
nella sua concreta
individualità, im- plichi altresì -
in quanto «
narrazione » di
fatti realmente accaduti
- un'elaborazione dei
dati per la
quale i fatti
siano ricondotti alle
loro cause, in
una concezione generale
della natura dell'uomo
- autore della
storia - tanto
come indi- viduo quanto
come essere sociale:
e in questa
elaborazione la storia
si accosta alla
scienza. Siffatto convincimento, che
negli scritti sopra
accennati - volti
alla dimostrazione della
riducibilità della storia
sotto il concetto
generale dell'arte -
appare vacillante e
marginale, si consoUda
e si pone
al centro della
riflessione speculativa del
Croce, quando, attraverso i
suoi rapporti col
Labriola, gli si
venne scoprendo un
mondo nuovo, a
lui fino allora
del tutto ignoto,
raffigurato nella dottrina
marxistica del ma-
teriaUsmo storico, di
cui il Labriola
si era rivelato
autorevolis- simo interprete in
saggi pubblicati a
cura dello stesso
Croce. « Intanto
io - scrisse
il Croce molti
anni più tardi
-, Lo studio
di infiammato dalla
lettura deUe pagine
del Labriola, preso
dal sentimento di una rivelazione
che si apriva
al mio spirito
Marx. 286 Cap.
XXXVI. - L'idealismo
storicistico di B.
Croce ansioso, ....
mi cacciai tutto
nello studio del
Marx e degli
economisti e dei
comunisti moderni e
antichi, studio che
dovevo proseguire intensamente,
per oltre due
anni » [Mate-
rialismo storico ed economia
marxistica, Bari, 1961^",
Appen- dice, p. 282).
Frutto di questo
studio fu una
serie di saggi
usciti tra il
1896, e il
'900, raccolti in
quest'ultimo anno nel
volume dal titolo
Materialismo storico ed
economia marxistica. Ed è opportuno
sottolineare subito il
punto di vista
dal quale per
esplicita dichiarazione egli
si proponeva di
esaminare la dottrina
marxistica: questa gli
importava soprattutto « al fine
di quel che
se ne potesse
o no trarre
per concepire in
modo piti vivo
e pieno la
filosofia e intendere
meglio la storia
» [ivi, Appendice,
p. 302) ; il che
significava che, nel-
l'interpretazione del
marxismo, nello sforzo
di liberarne il
« nocciolo sano
» dalle sovrapposizioni accidentali
intro- dottevi dallo stesso
autore e dalle
incaute deduzioni della
scuola, erano presenti
al Croce gli
stessi problemi attorno
a cui egli
si travagliava fin
dal periodo precedente,
e cioè la
natura gnoseologica della
storia e la
determinazione del posto
che essa occupa
nel quadro generale
della vita spi- rituale,
che è
compito della filosofia
delineare. Era un
allar- gamento d'orizzonte e
un arricchimento di
materiale idoneo all'avviamento a
soluzione, ma in
una continuità di
pro- blematica. Il
materialismo storico presenta
due aspetti, che
il Croce nettamente
distingue pur riconoscendo
che nella dottrina
sono strettamente connessi.
// materialismo Per
un lato, esso
vuol essere una
teoria scientifica, che
storico. mette in
luce la struttura
del divenire storico.
Sostrato della storia
è l'economia, cioè
quel sistema nei
rapporti tra l'uomo
e le cose
della natura e
tra l'uomo e
l'uomo, che si
concreta nel lavoro,
produttivo per un
lato di beni
materiali, il cui
valore, s'identifica e
si commisura con
la quantità di
lavoro necessario a
produrli, e per
l'altro lato di
socialità e divisione
di classi in
un giuoco d'interessi
contrastanti. Di questa
Il problema della
storia negli studi
marxistici 287 struttura
reale della storia
sono eco o
riflesso (sovrastrut- ture) quelle
manifestazioni della vita
umana che si
chiamano moralità e
rehgione, diritto e
politica, arte e
scienza o filo-
sofia, - sistemi d'idee
(ideologie) attraverso i quaU l'uomo
acquista coscienza del
suo proprio essere
economico e del
divenire di esso
nella storia. Per
l'altro lato, il
materialismo storico è
un programma // programma
pratico-politico, che, appoggiandosi
sulla previsione dell'av-
P^^'^'^^o'^^^arx. venire umano
resa possibile dalla
teoria, assegna all'azione
degli uomini una
direttiva rivoluzionaria, tendente
cioè non più
a comprendere ma
a cangiare la
realtà storica, verso
uno sbocco finale
nel quale il
dram.ma della storia
abbia il suo
scioglimento (rivoluzione comunista).
La necessità im-
manente al divenire storico
ha portato, nell'età
moderna, alla strutturazione della
società sulla base
dell'economia capitalistica, caratterizzata dalla
formazione di due
classi in reciproca
lotta radicale: l'una
è quella dei
detentori di tutti
gli strumenti di
produzione, minoranza privilegiata
sempre pili ristretta,
classe dominante; l'altra
è la massa
di coloro, che,
per vivere, dispongono
soltanto del lavoro
delle proprie braccia
che, in regime
di sfrenata concorrenza,
essi sono costretti
a vendere ai dominatori
a condizioni sempre
più esose. La
ripartizione della ricchezza
prodotta si traduce
in un sistema
di implacabile sfruttamento
dei lavoratori da
parte dei datori
di lavoro. Quando
lo sfruttamento avrà
raggiunto il suo
culmine, non potrà
non determinarsi l'in-
sorgere degli sfruttati contro
gli sfruttatori, non
potrà non determinarsi
l'urto violento fra le due
classi, la rivoluzione
che spezzerà l'involucro
capitalistico e porterà
all'espro- priazione degli espropriatori. I
capitalisti abbandoneranno allora
alle masse gli
strumenti di produzione
di cui si
sono impossessati. Lo
Stato diventerà così
l'unico imprenditore e
datore di lavoro.
E con l'abolizione
della proprietà privata
cesserà anche la
divisione della società
in classi. A
conclusione delle lunghe
ricerche e meditazioni su
questo mondo di
pensiero rivelatogli dal
Labriola, Croce 20.
— Lamanna. storia
della filosofia. VH.
ima 288 Cap.
XXXVI. - L'idealismo
storicistico di B.
Croce espresse sul
materialismo storico il
suo giudizio -
che ulte- riormente sarà sviluppato
e articolato, ma
non mutato nella
sua sostanza -
in due saggi,
uno del 1896,
intitolato Sulla forma
scientifica del materialismo
storico, e l'altro
del 1897, intitolato
Per la interpretazione e la critica
di alcuni concetti
del marxismo (nel
voi. cit. Materialismo
storico a pp.
1-2 1 e 57-114
rispettivamente). Critica del
con- E innanzitutto
affronta la tesi
che è al
centro della dot-
!!!■? '^^ ^'^"Mo-
trina, secondo la
quale sostrato o
struttura sottostante della
Storia, sorreggente tutto
il resto e
principio di spiega-
zione, è l'Economia. In
questa tesi egli
rileva un'ambiguità fondamentale.
Per un verso
l'Economia è presentata
come una entità
trascendente la storia,
materia, in quanto
ne- gazione della spiritualità
o coscienza umana,
« dea ascosa
» della storia,
quella che tira
i fili dei
personaggi e delle
loro azioni, con
un disegno preordinato,
implicante uno stadio
terminale e apocahttico,
che segna il
passaggio fatale dalla
servitù al regno
della libertà; -
forma o nome
nuovo del- l'antico Dio
dei teologi o
dell'Assoluto e dell'Idea
dei meta- fisici. Ne
deriva la conseguenza
deUa tendenza metodologica
a costruire la
storia secondo leggi
a priori, mettendo
a ta- cere la
voce genuina dei
fatti; ne deriva
altresì una scis-
sione, nella vita storica,
tra realtà e
apparenza, noumeno e
fenomeno, tra essere
originario (materiale) non
determinato dalla coscienza
e coscienza determinata
dell'essere, tra strut-
tura (economica) e soprastrutture (ideologiche). -
Per l'altro verso:
il materialismo storico
è una prospettiva
di umaniz- zazione dell'economia, in
quanto questa non è che
un mo- mento o
aspetto dell'operosità umana,
- unica autrice
della storia -,
inserita quindi in
un processo (immanente
a un processo)
di vita cosciente
o spirituale, che
la salda a
tutte le altre
manifestazioni egualmente originarie,
della coscienza. La
dialettica dell'economia non
è l'astratta dialettica
del- l'Idea, ma la
dialettica dei bisogni
ossia dell'effettiva ope-
rosità umana, quale si
concreta e si
svolge non in
forme meccanicamente preordinate
e prevedibili a
priori, ma in
fatti empiricamente accertabili;
la storia è
concepita come //
problema della storia
negli studi marxistici 289
un unico tutto,
in cui è
indistinguibile il «
nocciolo » dalla
« corteccia »
; lo spirito,
creatore della propria
storia, non è
lo spirito economico,
cioè in una
forma particolare e
astratta, ma è
lo spirito nella
sua reale unità
e totalità; si
scioglie quindi il
nesso arbitrario fra
storia e problema
socialista e in
genere economico, e
si annoda quello
tra storia e
vita, concependosi la
vita nella totalità
delle sue forme,
a ogni momento
nuova, e perciò
anche come economia,
ma non solo
come economia. Questi
due ordini di
motivi sono frammisti
e confusi. Filosofia
delia cosi nell'esposizione dei
due fondatori della
dottrina (Marx ^smrcHHcoT^'
e Engels) come
nei seguaci della
scuola. Per Croce
si tratta di
due orientamenti opposti,
termini d'un'alternativa che
impone una scelta
: o la
via vecchia delle
filosofìe della storia,
teologiche o metafìsiche
che siano, o la via
nuova d'un uma-
nismo critico e «
realistico ». Abbiamo
veduto che il
Croce, anche prima
di prender contatto
col marxismo, aveva
preso un atteggiamento
di netta opposizione
ad ogni forma
di filosofìa della
storia; si comprende
quindi come, di
fronte al materialismo
storico, egli ribadisca
il concetto che
la rea- zione filosofica dello
spirito critico ha
colpito a morte
e get- tato a
teiTa quelle costruzioni
della storia, fantasiose
e arbitrarie e
anche tendenziose; e
affermi risolutamente, per
far valere quegli
elementi in esso
contenuti che costituiscono
un contributo positivo
e fecondo al
rinnovamento della sto-
riografìa e della filosofìa,
che il materialismo
storico « non è una
filosofìa della storia
» {Materialismo storico,
p. 9 ; e cfr.,
per la distinzione
dei due opposti
orientamenti del ma-
terialismo, l'opera di Croce,
Storia della storiografia
italiana nel secolo
XIX, Bari, Laterza,
1964*, voi. II,
p. 123 e
sgg.). Per quali
ragioni il materialismo
storico non ha
validità come filosofìa
della storia? E
per quali ragioni
gli autori e
gli interpreti di
esso gli hanno
dato questo orientamento
fallace? Alla prima
domanda il Croce
risponde: la possibilità
d'una filosofìa della
storia presuppone la
possibilità di una
risoluzione concettuale del
corso della storia,
ossia, di ri-
trovare il concetto al
quale si riducono
i complessi fatti
290 Cap. XXXVI.
- L'idealismo storicistico
di B. Croce
storici, di scoprire
in una parola
la legge della
storia. Ora mentre
è possibile ridurre
concettualmente gli elementi
di realtà che
appaiono nella storia
(moralità, diritto, economia,
arte, scienza) e
anche le loro
relazioni reciproche, «
non è possibile
elaborare concettualmente il
complesso individuato di
questi elementi, ossia
il fatto concreto,
che è il
corso sto- rico »
{Materialismo storico, p.
3). «La società
è un dato
- scrive il
Labriola, e il
Croce vi aderisce
-, e la
storia non è
che storia della
società ». Il
materialismo storico non è una
teoria rigo- rosa.
Li conclusione, per
il Croce nel materialismo storico
non bisogna cercare
una teoria da
prendere in senso
rigo- roso e anzi
esso non è
punto quel che
si dice propriamente
una teoria. Il che non
significa disconoscimento del
valore delle feconde
scoperte che sono
dovute al materialismo
storico per intendere
la vita e
la storia, l'affermazione della
reciproca dipendenza di
tutte le parti
della vita, e
della ge- nesi di
esse dal sottosuolo
economico: sicché è
accettabile l'affermazione dell'Engels
che le condizioni
economiche « for-
mano il filo rosso
che attraversa tutta
la storia e
ne guida l'intendimento» {ivi,
p. 14). Rispetto
alla storiografia, «il
materialismo storico si
risolve.... in un
ammonimento a tener
presenti le osservazioni
fatte da esso
come nuovo sussidio
a intendere la
storia» {ivi, p.
15), fornisce allo
storico un buon
paio di occhiali,
che permette al
miope di vedere
ben altrimenti e
di dare contorni
precisi a tante
ombre incerte; ma
sono formule non
assolute, che sottintendono
sempre un «
presso a poco
» e un
« all'incirca ».
Esso sorge dal
bisogno di rendersi
conto di una
determinata configurazione sociale,
quella scaturita dalla
Rivoluzione francese, non
già dal proposito
di ricercare i
fattori della vita
storica in generale,
« e si
formò nella testa
di politici e
di rivoluzionari e
non già di
freddi e compassati
scienziati di biblioteca
» {ivi, p.
13). Pel Croce,
Marx era personalità
di uomo pratico
e rivo- luzionario, impaziente di
ricerche schiettamente storiche,
preoccupato soprattutto di
cercare nelle anahsi
della società ti
co. Il problema
della storia negli
studi marxistici 291
attuale (capitalistica) le
premesse per una
società futura (comunistica)
da realizzare con
un'azione rivoluzionaria, a
cui una teleologia
storica, determinata a priori, assicurasse
con una infallibile
previsione dell'avvenire il
pieno successo. Per
lui tra la
comprensione della realtà
storica e l'azione
Prevalere dei- volta,
a cangiare questa
realtà v'è connessione,
ma non ^'^«'^'•'^sse
pf^- nel senso
che l'una costituisca
il prius che
condiziona l'altra, bensì
nel senso che
sia l'azione a
crearsi quella forma
di comprensione che si presti
a fungere da
strumento per lo
scopo che essa
persegue. Un tal
predominio dell'interesse pratico-politico su
quello teorico-scientifico il
Croce rileva anche
nel Labriola, che
pure, nella sua
interpretazione del marxismo,
aveva dato un
riUevo all'aspetto umanistico
di esso, tale
che alla sua
posizione si era
inizialmente appog- giato il
Croce nella sua
critica del marxismo
quale filosofìa della
storia. Egli, che
pure ha così
alto il rispetto
della storia ed
è così cauto
di fronte ai
fatti concreti, rimane
impigliato nelle formule
teoriche del materialismo
storico, non riesce
a liberarsi del
tutto dal fardello
delle teorie metafìsiche.
In lui, che
pure era uomo
di scienza, predominava
la fede nell'immancabile avvento
del comunismo, e
questa fede era
sostenuta e illuminata
dalla « Weltanschauung »
metafìsica del materialismo
storico, « ultima
e definitiva filosofìa
della storia ».
Sicché per lui
la posizione del
Croce - che,
preso da tenace
passione scientifica, accettava,
sia pure con
limita- zioni e riserve,
1' « economismo
» marxistico, ma
rifiutava re- cisamente il
« socialismo »
- significava rinuncia
ad intendere sia
l'uno che l'altro
dei due termini;
era posizione d'
«intel- lettuale » indifferente
alle lotte della
vita, di «
epicureo con- templante »
amatore solo dei
dibattiti delle idee
nei Hbri {ivi,
p. 300 e
sgg.). Contro una
tale connessione o anzi identificazione, operata
dal Labriola, tra
interpretazione
materialistica della storia
e sociaHsmo, il
Croce scrive :
« Spogliato il
materialismo sto- rico di
ogni sopravvivenza di
finalità e di
disegni provvi- denziali, esso non
può dare appoggio
né al socialismo
né a qualsiasi
altro indirizzo pratico
della vita. Solamente
nelle 292 Gap.
XXXVI. - L'idealismo
storicistico di B.
Croce sue determinazioni storiche
particolari, nella osservazione
che per mezzo
di esso sarà
possibile fare, si
potrà eventual- mente trovare
un legame tra
materiahsmo storico e
socia- lismo. L'osservazione sarà,
per esempio, la
seguente: - la
società è ora
così conformata che la più
adatta soluzione, che
contiene in sé,
è il socialismo.
- Osservazione la
quale, per altro,
non potrà diventare
azione e fatto
senza una serie
di complementi, che
sono motivi di
interesse economico non
meno che etici
e sentimentali, giudizi
morali ed entusiasmi
di fede. Per
sé stessa, è
fredda e impotente....
» {ivi, p.
17). Il rapporto
tra È qui
adombrato il problema
del rapporto tra
conoscere conoscere e
agi- ^^ agire,
che sarà d'ora
innanzi costantemente presente
alla speculazione crociana
e avrà la
sua più articolata
e ragionata formulazione
nell'opera della tarda
maturità che porta
appunto il titolo
di La storia
come pensiero e
come azione. La
critica crociana del
materialismo storico quale
teoria dell'interpretazione della
storia ha mirato
finora a liberare
quella dottrina da
ogni concetto aprioristico
sia che si
trat- tasse di eredità
hegeliana, sia che
si trattasse di
contagio di «
volgare evoluzionismo »,
sia che fosse
richiesto dalla preoccupazione di
dare fondamento saldo
alle previsioni dell'avvenire
contenute nel programma
d'azione pratico- politico
proprio del socialismo.
Compiuta quest'opera nega-
tiva, si ripropone la
questione da cui
essa ha preso
le mosse: si
salva dalla critica
qualcosa per cui
il materialismo storico
possa essere utilizzato
dalla storiografia? Che
cosa può farsi
di esso per
un compiuto intendimento
della storia? E
si risponde: il
materiahsmo storico è
accettabile solo come
canone d'interpretazione storica,
che « consiglia
di rivolgere l'attenzione
al cosiddetto sostrato
economico delle società,
per intendere meglio
le loro configurazioni e
vicende » :
canone che «
non importa nessuna
anticipazione di risultati,
ma solamente un
aiuto a cercarli,
e che é
di uso affatto
em.- pirico »
[ivi, pp. 80-81).
Il materialismo storico
non può essere
che questo: «una
somma di nuovi
dati, di nuove
esperienze, che entrano
nella coscienza dello
storico » [ivi,
p. io). Il
problema della storia
negli studi marxistici 293
In questa formula
crociana - perchè
se ne intenda
il si- gnificato e
la portata - è da
sottolineare il rilievo
che in essa
è dato al carattere d'interiorità, alla
coscienza dello storico,
del nuovo canone
d'interpretazione. Non si
tratta di accrescimento
quantitativo del materiale
elaborato dallo storico,
di aggiunta di
fatti nuovi a
quelli già considerati
dall'antica storiografia nella
loro esteriorità, e
presunta oggettività ;
si tratta invece
di dare alla
coscienza storiografica una
dimensione nuova, di
arricchire con nuovi
elementi l'interesse vivo
dello storico, per
penetrare nel passato,
e comprenderlo in
una sempre più
articolata connessione dei
fatti; opera quindi
della mente dello
storico. Ecco in
che senso il
Croce ha utihzzato
il materialismo 11
posto dei pen-
storico ai fini
della soluzione dei
problemi su cui la sua
spe- ^'^^^o logico
nei- \ _
'^ la storiografia. culazione
si travagliava anche
prima di entrare
a contatto con
la nuova dottrina.
Ricordiamo che questi
problemi si accentravano
nello sforzo di
determinare la natura
della storia e
la sua riducibilità
sotto il concetto
dell'arte. In questo
sforzo si affermava
sempre più chiara
l'esigenza d'integrare e
conciliare, nella storia,
con l'elaborazione intuitiva
dei fatti per
la quale s'identificava con
l'arte, un'elaborazione concettuale
che la ravvicinava
alla scienza. Ora
l'esame critico del
materialismo storico, che
scopriva nell'economismo della
vita sociale un
nuovo canone d'in-
terpretazione storica,
rafforzava la convinzione
della neces- sità di
avvicinare la storia
aUa scienza. Il
nuovo canone d'interpretazione, per
un lato, apre
un campo di
nuove esperienze, «
che sono interne
alla coscienza dello
storico », e
quindi non hanno
consistenza che nell'attività
spirituale esercitata dallo
storico sui dati
grezzi, attività per la quale
dalla materialità dei
frammenti di realtà
storica offerta dai
documenti nascono a
poco a poco
intuizioni di persone
e situazioni e
avvenimenti sempre meglio
definite, affini alle
forme create dalla
fantasia dell' artista
; ma, per l'
altro verso, impone
una connessione mentale
dei fatti, costituita
dai rapporti concettuali
che la scienza
economica fissa nella
valore. 294 Cap.
XXXVI. - L'idealismo
storicistico di B.
Croce realtà storica.
E il socialismo
marxistico ha la
pretesa di essere
socialismo scientifico appunto
perchè fondato sulle
leggi dell'economia quale
scienza rigorosa. Valore
e plus- Ma
era veramente giustificata
la pretesa dell'economia
marxistica di essere
assunta alla dignità
di scienza auto-
noma? Ed erano validi
i concetti di
valore e plus-valore,
posti al centro
dell'economia marxistica, come
pernio della teoria
cosi del materialismo
storico come della
ideologia socialistica? È
questo il nuovo
campo nel quale
si esercitò largamente
la critica crociana
della dottrina di
Marx. La critica
del materialismo storico
come teoria (pan-
economica) della storia
si concludeva con
l'affermazione che essa
non è affatto
teoria, ma in
sostanza corollario d'un
programma pratico-politico (il
programma del socialismo),
e ai fini
della storiografia non
poteva essere utilizzato
che come un
nuovo canone d'interpretazione dei
fatti storici. Analogamente,
l'economia marxistica, che
pretende essere la
trattazione eminentemente scientifica
dei fatti econo-
mici e della nozione
di valore inerente
ai beni prodotti
da una società,
non è affatto
scienza economica, perchè
non abbraccia tutta
la regione dell'attività
economica quale si
svolge in qualunque
forma reale o
possibile di convivenza
sociale né si
eleva a un
concetto di valore
applicabile a tutti
i beni comunque
prodotti. Essa costruisce
astrattamente una società
ipotetica, che assume
come società tipo,
alla quale devono
essere conguagliate altre
forme di società
per coglierne i
fattori anomali, in
quanto divergenti dalla
prima: e questa
società tipica è
quella costituita esclusiva-
mente di lavoratori, è
questa società proletaria,
che rappre- senta il
termine ideale del
programma politico del
socialismo. È l'intrusione
di queste preoccupazioni sociali-pohtiche nel
campo economico ciò
che vizia i
concetti fondamentali di
esso - valore
e sopravalore -,
e impone di
contrapporre all'economia marxistica
un'economia pura, ossia
un'eco- nomia come scienza
generale [ivi, p. 57 e
sgg.). La tesi
centrale dell'economia marxistica
è l'eguaglianza del
valore dei beni
che si producono
alla quantità del
lavoro // problema
della storia negli
studi marxistici 295
necessario per produrli
: ma essa
ha il suo fondamento appunto
nell'ipotesi di una
società fatta esclusivamente di
lavoratori e nell'assunzione di
questa società a
società tipica (e
quindi del valore-lavoro
come misura di
ogni valore). Ma
nella realtà (ad
es., nell'attuale società
capitalistica) i lavoratori
rappresentano solo una
frazione della società
produttiva che agisce
tra altre categorie
economiche, quelle appunto
che apportano alla
produzione non il
lavoro ma il
ca- pitale. Da
queste considerazioni, tuttavia,
non risulta, secondo
n valore-lavoro. il
Croce, che la
concezione marxistica manchi
affatto di ri-
spondenza ai fatti: la
determinazione del valore-lavoro
avrà una certa
rispondenza nei fatti,
sempre che esisterà
una società che
produca beni per
mezzo del lavoro.
E la storia
ci mostra finora
soltanto società di
tal fatta, e
quindi l'egua- glianza affermata dal
Marx del valore
col lavoro è
un fatto: ma,
sottolinea il Croce,
« è un
fatto, che vive
tra altri fatti,
ossia un fatto
che empiricamente ci
appare contrastato, sminuito,
svisato da altri
fatti, quasi una
forza tra le
forze, la quale
dia risultante diversa
da quella che
darebbe se le
altre forze cessassero
di operare. Non
è un fatto
dominante assoluto, ma non è
nemmeno un fatto
inesistente e sem-
plicemente immaginario»
{ivi, pp. 68-69).
La critica del
Croce all'economia marxistica
si riassume in
queste due proposizioni,
che essa non
è la scienza
econo- mica generale, e
che il valore-lavoro
non è il
concetto generale di
valore. Onde la
conclusione che, «
accanto alla ricerca
marxistica può, anzi
deve vivere e
prosperare una scienza
economica generale », una economJa
pura, che deduca
il concetto di
valore « da
principii affatto diversi
e più com-
prensivi di quelli particolari
del Marx »
(ivi, p. 73).
E ritiene che
questa esigenza sia
soddisfatta dalla scuola
edonistica (o austriaca),
allora fiorente, la
quale, muovendo dalla
na- tura economica dell'uomo,
ne deduce il
concetto di utilità
(«ofelimità» del Pareto),
«e man mano
tutte le (....)
leggi secondo le
quali si governa
l'uomo in quanto
astratto homo oeconomicus
» {ivi, p.
78). r «
homo oeco nomicus
». 296 Cap.
XXXVI. - L'idealismo
storicistico di B.
Croce Critiche all'eco-
Sembra dunque che
l'obiettivo cui mira
il Croce nella
nomia pura. g^g^
critica dell'economia marxistica
sia la difesa
della scienza economica
pura quale la
scuola edonistica la
veniva co- struendo. Ma
in essa era
operante un motivo
profondo, che nel
corso dei suoi
studi marxistici emerge
sempre più chiaro
e netto, essenziale
al pensiero crociano,
e valido in
esso anche al
di là dell'obiettivo della costruzione della
scienza eco- nomica. Questo motivo
viene esplicitamente enunciato
in uno scritto
del 1899 in
cui la sua
adesione all'economia pura è limitata
e corretta con
qualche riserva e
cautela. « ....
Io credo -
egli scrive -
che ci sia
ancora da elaborare
filosofi- camente il concetto
di valore, e
che bisogni percorrere
fino al fondo
quella strada, che
gli economisti puri
hanno per- corso solo
fino a un
certo punto ».
L'attività del- Elaborazione
filosofica del concetto
di valore economico,
ecco la nuova
istanza posta dal
Croce; che significa
esami- nare quell'umana attività
che tende al
conseguimento - col
minimo mezzo e
il massimo risultato
- di scopi
individuali, non pili
astratta considerazione àeW'homo
oeconomicus , ma come
inserita nella concreta
totalità della vita
dell'uomo, con un
suo posto specifico
e una sua
funzione ben definita
rispetto alle altre
attività dell'uomo, con
un suo principio
autonomo, che potesse
essere assunto come
fondamento e premessa
della scienza economica
pura. Risalire dalla
scienza alla filosofia
per ridiscendere deduttivamente dalle
conclusioni di questa
a una rinnovata
e piìi salda
costruzione di quella,
significava poiTe in
questione e problematizzare quelle
che per gli
economisti erano le
premesse o i
postulati dei loro
procedimenti. Quali erano
queste premesse che gli economisti
accoglie- vano come pacifiche,
e che invece
a un ulteriore
esame (ela- borazione filosofica) risultavano
ambigue o false
? Il Croce,
che vedeva in
Vilfredo Pareto un
rappresentante tipico dell'economia
pura, gli prospetta
in due lettere
del 1900 la
questione, sforzandosi di
convincerlo della necessità
del passaggio dalla
pura scienza alla
filosofia del principio
eco- nomico [ivi, pp.
229-251). Tre sono
le erronee premesse
del- // problema
della storia negli
studi marxistici 297
l'economia pura, ch'egli
critica: quelle che
riguardano il fatto
economico o come
meccanico, o come
edonistico, o come
egoistico. Per Croce,
il principio economico
non può avere
natura meccanica: il
fatto meccanico è
un fatto bruto:
il fatto economico
è un fatto
di valutazione, è
una scelta suscettibile
di approvazione o
disapprovazione, a seconda
che la scelta
cada o no
su ciò che
è realmente conveniente
a chi la
compie. Quanto alla
concezione edonistica, è
fuori dubbio che
ogni atto di
scelta economica ha
come suo con-
comitante un fatto di
sentimento piacevole se
la scelta è
economicamente ben condotta:
l'utile è, insieme,
piacevole. Ma non
è vera la reciproca: il
piacevole non è
l'utile (che è
la tesi dell'edonismo). Il
piacere può apparire
scompagnato dall'attività umana
o accompagnarsi a
una forma di
umana attività che
non sia l'economica.
Infine la concezione
egoi- stica del fatto
economico è inficiata
da questo errore
: mentre pretende
distinguere, nell'ambito dell'attività
pratica umana, l'economico
dal morale (che
sarebbe qualificato come
altrui- smo), in realtà
assorbe il primo
nel secondo, perchè
la qua- lifica di
egoistico attribuita a
un atto è
una qualifica di
valutazione morale, quahfica
negativa, immoralità, per-
vertimento della stessa attività
morale. Il fatto
economico non sta
col fatto morale
in antitesi, bensì
è nel rapporto
pacifico di condizione
a condizionato; come
cioè la con-
dizione generale che rende
possibile il sorgere
dell'attività etica. Tanto
il morale quanto
l'immorale sono azioni
econo- miche: il che
vuol dire che
l'azione economica, per
sé presa, non è né
morale né immorale:
è amorale o
pre- morale. E in conclusione,
il Croce dà del fatto
economico questa L'economìa
in- definizione: esso è «l'attività
pratica dell'uomo in
quanto 'l'fZm'^ie ^'^^'
si consideri per
sé, indipendentemente da
ogni determina- zione morale
o immorale» [ivi,
p. 241). E
pertanto il con-
cetto di utile o
di valore o
di ofelimo non
è altro se
non l'azione economica
stessa in quanto
ben condotta, cioè
in quanto è
veramente economica. «
Riallacciare a queste
pro- posizioni generali le
varie questioni che
si dicono di
scienza 298 Cap.
XXXVI. - L'idealismo
storicistico di B.
Croce economica »
è compito degli
economisti. Quella definizione
filosofica del fatto
economico, dice il
Croce, « a
me piacerebbe vederla
a capo dei
trattati di economia
». Ma il
Croce non doveva
tardare ad accorgersi
che la sua
era un'illusione. Già
egli stesso non
scorgeva e non
mostrava per quali
vie potessero essere
derivate da quel
concetto filosofico le
operazioni di comparazione
e calcolo delle
diverse scelte economiche
e quali nuovi
vantaggi ne derivassero
alla scienza. Ed
era naturale che
gli economisti non
acco- gliessero l'invito di
Croce a riallacciare
le questioni di
cui essi si
occupavano alle proposizioni
generali alle quali
egli era pervenuto
: alla scienza
non interessava la
determinazione della natura
filosofica del fatto
economico: suo compito
esclusivo era quello
di trattare i
fatti dell'attività umana
come fenomeni in
nulla differenti da
quelli fisici, sotto-
porli cioè a comparazione
e astrazione, per
stabilirne e cal-
colarne le uniformità e
le divergenze. La
scienza economica era
e intendeva rimanere
- per poter
progredire - una
scienza
naturahstico-matematica,
rinserrandosi nei fenomeni
e vol- gendo le
spalle all'indagine filosofica
dell'atto economico. E
qualche anno più
tardi, nel 1906,
il Pareto doveva
illu- strare e attuare
questo proposito nel
suo Mamiale di
economia politica. D'altra
parte, il Croce
stesso, affrontando nel
frat- tempo il problema
logico, giungeva alla
conclusione della radicale
eterogeneità tra conoscenza
(o pseudo-conoscenza) scientifica
e la conoscenza
filosofica: poteva quindi
abban- donare la scienza
al suo destino,
che la condannava
al pro- cedimento empirico e
astratto del naturalismo
matematico, e volgere
la propria riflessione
alla filosofia dell'economia
come indagine sull'atto
economico, nelle sue
relazioni con gli
altri atti spirituali,
inserita in una
generale « filosofia
dello spirito ».
Uutiie. Alla fine
dei suoi studi
economici, chiariti gli
equivoci che erano
al fondo del
suo dibattito con
gli economisti puri,
rimane fermo nel
pensiero del Croce
il risultato di
cui nel 1901
giustamente menava vanto:
l'ufficio essenziale, nella
// problema della
storia negli studi
marxistici 299 vita
dello spirito, dell'utilità
o della economicità,
« messe in
luce come non
era stato fatto
da altri ».
« L'utile è
stato reputato iìnora
dai filosofi o
un atto secondario
e misto, o un semplice
caso di deviazione
dalla morale (egoismo).
Esso è invece,
a mio parere,
un momento distinto
e autonomo della
vita dello spirito:
il momento in
cui la volontà
è volontà, senza
essersi ancora determinata
e dialettizzata in
morale e immorale
(....). La critica
deve consistere nel
dimostrare che, affermandosi
essere ogni azione
dell'uomo dominata dal
criterio dell'utile, si
afferma cosa ir\dubitabile
; ma che
ciò non toglie
punto che essa
debba essere, e
sia insieme, determinata
anche dal criterio
del do- vere, il
quale è sempre
(e come potrebbe
non essere?) do-
vere-utile {ivi, pp. 262-263).
Di questa, che è stata
detta « scoperta
crociana del- l'utile »,
il Croce si
sente in gran
parte debitore al
marxismo, che vede
nell'economia il sostrato
e la molla
della storia. E
se il Croce
incentra la definizione
dell'utile nel rapporto
di questo con
la morale, anche
di questa impostazione
egli cerca traccia
in Marx. Questi
dichiarò che «
la questione sociale
non è questione
morale », e
criticò acerbamente quelle
ideologie morali che
ipocritamente mascheravano interessi
di classe. Ma
intendeva con questo
sostenere che la
questione sociale non
si risolve coi
« sermoni »
di un astratto
moralismo, che s'illude
di poter sanare
i mali di
cui una società
soffre, senza tener
conto delle particolari
situazioni storiche nelle
quali è la
radice di quei
mah, e alle
quah devono essere
com- misurati i programmi
d'azione morale perchè
questa possa avere
efficacia risanatrice. In
questo senso la
morale è cor-
rispettiva alle condizioni sociali
e in ultima
anahsi alle con-
dizioni economiche. Ma con
ciò, « la
questione del pregio
intrinseco e assoluto
dell'ideale morale, della
sua riduci- bihtà
o irriducibilità alla
verità intellettuale o al bisogno
utihtario, rimane intatta
» per il
marxismo, il quale
anzi, di fatto,
considera l'ideale morale
come un presupposto
ne- cessario, come dimostra
la costruzione del
concetto di sopravalore, che
in pura economia
non ha senso,
ma 300 Cap.
XXXVI. - L'idealismo
storicistico di B.
Croce è ispirato
da un interesse
schiettamente morale [ivi,
pp. 19-20). Vanità
pratica Le asserzioni
marxistiche che paiono
negazione della mo-
deiie condanne, j-g^jg^
hanno per Croce
ben altro significato.
Quella che Marx
chiama impotenza della
morale sta a
significare la vanità
pratica delle condanne
o delle commiserazioni per
uomini, che, dominatori
o dominati, sono
gli uni e gh altri
schiavi di situazioni
storiche necessarie per
il momento, e
« non potrebbero
essere diversi da
quel che sono,
né potrebbero compiere
se non l'ufficio
ad essi assegnato
dalla natura stessa
delle cose» {ivi,
p. 105). Ma
le situazioni che
la storia ha
creato, possono anzi
debbono dalla storia
essere disfatte. Per
queste considerazioni, a
giudizio del Croce,
Marx, pur con
le sue proposizioni
approssimative e paradossali,
insegna a penetrare
in ciò che
la società è
nella sua realtà
effettuale, e potrebbe
esser chiamato, a
titolo d'onore, il
Machiavelli del proletariato
{ivi, p. 113).
In questa sua
fase di studi
marxistici, il Croce
ampliò via via
e variò il
significato dell'utile o
economico, la cui
scoperta egU riconduceva
alla potente suggestione
del Marx (non
appare ancora nei
suoi scritti quella
definizione del- l'utile come
« volizione dell'individuale »
con cui poi
carat- terizzerà il grado
economico della forma
pratica dell'attività spirituale).
Che l'economicità o
utilità fosse intesa
come una categoria
autonoma da aggiungere
a quelle costituenti
la triade tradizionale
di bello, vero,
buono, sì che
la triade si
allarghi in una
tetrade; o che
essa fosse intesa
come ciò che
vi è di
primario in ogni
attività umana, come
la base comune
di tutte le
attività, il primum
della vita, non
nel senso di
primo della serie
delle quattro forme,
ma appunto di
primordiale indifferenziato che
emerge nelle forme
e le connette
tra loro, sì
che l'economia finisca
con l'identificarsi umazione
pu- con 1' «
azione pura», principio
di qualsiasi atto
spirituale e la
forza, yuoto di
Ogni contenuto determinato
; o che,
infine, l'eco- nomico o
utile fosse identificato
con la «
forza » o
vigore del volere,
come abilità calcolatrice
e lucida tensione
verso il fine,
per affermarsi nella
« lotta »
contro altre volontà.
ra » //
problema della storia
negli studi marxistici 301
e che è
la dura legge
della vita «
politica » -
d'onde l'allac- ciamento, caro al
Croce, del marxismo
« alle migliori
tradi- zioni della scienza
politica italiana »
(machiavellismo), e l'esaltazione
della politica di
potenza contro i
sermoni dei profeti
disarmati {Materialismo storico,
prefazione all'edi- zione del
1917, pp. xii-xiv;
e cfr. rav\àcinamento di
Marx a Machiavelli,
ivi, pp. 106-107,
nota) - sempre,
pur in questa
varietà di accezioni,
l'utile era per
Croce il punto
d'appoggio pili solido
e indispensabile per
l'esplicazione
dell'operosità umana nella
costruzione della storia,
nel senso immanenti-
stico e « mondano
» proprio dello
spirito moderno. Il
progresso è lotta
continua e ha
per motore l'uomo,
l'uomo come pas-
sionalità naturale resa lucida
dalla disciplina intellettuale
per andar dietro
alla « verità
effettuale » delle
cose; l'uomo come
forma primordiale, nella
quale anche le
idealità più alte
debbono tradursi e
incarnarsi, per poter
affermarsi effica- cemente in
questo mondo che
è la palestra
della nostra operosità.
Nell'utile, rivelatogli dal
marxismo, il Croce
scor- geva la chiave
per svincolare l'operare
umano da qualsiasi
piano storico trascendente
- reUgioso o
metafìsico che fosse
-, e risolvere
« positivamente » i problemi
che di continuo
sca- turiscono dal divenire
storico. II. L'ESTETICA
4. Primo schizzo
del sistema. —
L'anno stesso che
rac- La scienza
dei- coglieva in
volume gli studi
sul materialismo storico
il Croce '^'^^P''^^^^'^^- dava
alla luce una
memoria accademica intitolata:
Tesi fondamentali d'un' Estetica come
scienza dell'espressione e
linguistica generale (1900;
ripubblicata da A.
Attisani in La
prima forma dell'estetica
e della logica,
Messina, 1924). Queste
tesi furono riesposte,
ampliate e inquadrate
in una concezione
generale della filosofia,
neW! Estetica del 1902
che, originariamente concepita
come opera a
se, rimase lo
scritto meritatamente pii!i
famoso del Croce.
In seguito essa
sarà 302 Cap.
XXXVI. - L'idealismo
storicistico di B.
Croce ripubblicata come
primo dei quattro
volumi di cui
si compone la crociana
Filosofia dello spirito.
Il sistema. La
sistcmazionc che quest'opera
dà del sapere
filosofico è semplice.
La realtà è
un prodotto dell'attività
spirituale, la quale
si specifica, secondo
una classica distinzione,
in at- tività «
teoretica » e
attività « pratica
». Ciascuna di
queste due specificazioni ha
due gradi, a
seconda che lo
spirito si rivolga
al particolare o
all'universale (cap. VII).
L'attività teoretica rivolta
al particolare è
l'arte (o pensiero
intuitivo), e la
scienza filosofica che
la studia è
l'estetica; l'attività teoretica
rivolta all'universale è il pensiero
discorsivo, oggetto della
logica; l'attività pratica
rivolta al particolare
è l'eco- nomia, oggetto dell'economica; e
l'attività pratica rivolta
all'universale è la
morale, oggetto dell'etica.
L'universale, in ciascuno
dei due campi,
presuppone il particolare.
Il con- cetto, infatti, presuppone
l'immagine prodotta dall'arte,
senza la quale
non potrebbe esprimersi;
e l'operare morale
implica un agire
indirizzato all'utile, perchè
non si potrebbe
« fare il
bene » senza
giovare, in qualche
modo, a qualcuno.
Almeno in questa
prima sistemazione, al
contrario, il par-
ticolare non esige l'universale
(p. 30) :
l'utile si può
perse- guire prescindendo del
tutto da una
moralità oggettiva; e
l'immagine artistica -
prodotto aurorale deUo
spirito - può
presentarsi
indipendentemente da ogni
intenzione con- cettuale. Ciò
non toglie, ovviamente,
che l'attività concreta
dello spirito sia
un continuo intrecciarsi
e collaborare di
queste quattro forme,
ciascuna delle quali,
presa per se,
apparirebbe astratta. Tutte
le altre attività
spirituali devono potersi
ridurre in qualche
modo a queste
quattro (cap. Vili).
Così, ad esempio,
il diritto e
la pohtica rientreranno
integralmente nell'attività economica;
la scienza, nella
misura in cui
sia autenticamente conoscitiva
(ciò che significa,
per il Croce,
filosofica: pp. 34-35)
rientra nell'attività logica.
La religione non
rientra propria- mente da
nessuna parte; ma,
in quanto abbia
pretesa di co-
noscere il trascendente, è
una forma, piìi
o meno genuina,
di filosofia; in
quanto si ponga
come atteggiamento morale,
o Estetica: primo
schizzo del sistema
303 espressione di
ideali pratici (p.
70), trova la
sua collocazione nel
quarto grado dello
spirito; e, infine,
in quanto mèra
espressione di sentimenti
può considerarsi sotto
la rubrica dell'economia, che,
nel sistema crociano,
assume la funzione
di cestino in
cui va a
finire tutto ciò
che non trova
collo- cazione altrove (cap.
X). All'efficacia sistematoria
della sua filosofia,
per un verso.
Le categorie il
Croce non dava
troppa importanza, convinto
che il concreto
^P^^^^^'^^^- conoscere non
possa se non
portarsi sulla attività
spirituale nella sua
interezza (p. 86,
p. 103 e
passim) ; ma,
per un altro
verso, egli non
si riconobbe mai
disposto a lasciarla
cadere, cioè ad
assegnare un carattere
semplicemente « empirico
» alla quadruplicità
delle forme. Al
contrario, essa ebbe
sem- pre per lui
un carattere categoriale.
Le quattro forme
del- l'attività spirituale sono
tutte e sole
le « categorie
» che si possano, e
si debbano, ammettere
come tali. Ciò
significa che vi
è una radicale
irriducibilità di una
forma all'altra, trascurare
la quale significherebbe confondere
e mescolare ciò
che va tenuto
filosoficamente distinto :
la concreta «
dia- lettica », che
si instaura tra
questi « distinti
», in tanto
ha valore filosofico
in quanto essi
conservino questa loro
irri- ducibihtà. Tale
principio, strenuamente difeso
dal Croce, in
particolare contro i
gentiliani, suscita molte
difficoltà e, appunto
perciò, anche molti
spunti positivi. Peraltro,
nella comune cultura
italiana, in cui il crocianesimo
fu largamente accolto
nel periodo tra
le due guerre,
l' efficacia classificatoria delle
quattro forme prevalse
nettamente sulla loro
funzione categoriale. L'uomo
mediamente colto in
fatto di filosofia,
che aveva abbracciato
il sistema crociano,
si sentiva spiri-
tualmente sorretto dalla possibiUtà, poniamo,
di dichiarare che
una opera d'arte
mal riuscita era
un « atto
pratico », che
il prodotto di
una ricerca psicologica
era « uno
pseudo- concetto », ecc.
: daUa possibilità,
insomma, di assegnare
ogni manifestazione della
vita alla sua
giusta casella. 5.
Definizione dell'arte per
via negativa. —
Quando tracciò lo
schizzo sistematico con
cui si apre
l'Estetica del 1902,
21, - Lamanna.
storia della filosofia.
VII. dell'attività ar-
tistica. 304 Cap.
XXXVI. - L'idealismo
storicistico di B.
Croce il Croce
non pensava, probabilmente, che
esso avrebbe avuto
tanta importanza nella
ricezione del suo
pensiero. Il suo
scopo era solo
di sistemare nel
modo migliore l'attività
spi- rituale in genere,
per passare poi
a considerarla in
quella forma che,
al momento, gli
interessava: la forma
artistica. Questa comprendeva
- in questa
fase della speculazione
crociana - anche
l'istorica, dato che,
come conoscenza del-
l'individuale, « la storia
si riduce sotto
il concetto generale
dell'arte» (p. 31).
La distinzione La
sistemazionc, tuttavia, aveva
anche una diretta
efficacia sull'oggetto specifico
della trattazione, l'arte.
Infatti la specificità
e l'autonomia del
valore estetico si
definiscono attraverso una
serie di negazioni,
che lo distinguono
dagli altri valori
spirituali : «
Dimmi da che
cosa ti distingui
e ti dirò
chi sei »
è il motto,
implicito, dell'estetica crociana,
fino al Breviario
del 1912. In
questo senso l'identificazione dell'arte,
vista nella sua
specificità, dipende dalla
struttura sistematica dei
distinti. L'arte non
è concetto, perchè
le sue rappresentazioni non
intendono l'universale : e con
ciò cade l'intellettualismo estetico
(cap. IV). L'arte
non è rivolta
dovutile (sentito, in
ultima analisi, dal
soggetto come pia-
cere) : e con ciò
cade l'edonismo estetico
(cap. XI). L'arte
non persegue il
bene perchè, non
si sviluppa come
obbedienza all'universale dovere:
e con ciò
cade il moralismo
estetico (cap. VI).
Le altre negazioni,
attraverso cui il
Croce delimita e,
quindi, definisce il
valore dell'arte, dipendono
da queste: l'arte
non ha uno
scopo didascahco (p.
94) ; non
si propone di
offrire il vero
« condito in
molU versi » ; non
mira a fini
di edificazione, né
a scopi pragmatici,
ecc. Che potesse
far pili che
tanto, e dire,
anche positivamente, in
che cosa l'arte
consista, il Croce,
in certo senso,
escluse sempre; e
questo non è
strano : perchè
un genere sommo
come la «
categoria » è
(per parlare in
termini di filosofia
classica) un «
predicato » da
cui ogni definizione
muove, quindi non
può essere il
ri- sultato di definizioni
antecedenti. Nel 1912,
perciò, il Bre-
viario di estetica
si inizierà con
questa affermazione: che
Estetica: definizione dell'arte
per via negativa 305
«l'arte è ciò
che tutti sanno
che cosa sia»;
e riprenderà poi
la determinazione per
via negativa, che
già era stata
pro- pria noi
giudichiamo ora buoni
ora cattivi, ora
importanti ora insignificanti, trovano
un posto. «
Tutti i fatti
sono fatti storici
» aveva detto
la Logica (p.
212), e ripete
la Teoria della
storiografia. E poiché
la storia, nel
pensiero crociano, è
ciò che comunemente
si chiama Dio,
codesta frase viene
a costituire l'esatto
equivalente storici- stico dell'affermazione che
l'Ardigò aveva enunciata
in chiave naturalistica: «Tutti
i fatti sono
divini)}. V. REVISIONI
ESTETICHE 18. L'
« INTUIZIONE LIRICA
». — La
UOvità più importante
11 sentimento del
Breviario di estetica,
scritto nel 1912
per l'inaugurazione ^'^^'''"'''^^■ del
Rice Institute di Houston, nel
Texas, è (come
è noto) l'introduzione di
un nuovo «
sinonimo » del
termine « intui-
zione»: il sentimento. Una
novità già annunciata,
del resto, dalla
conferenza tenuta nel
1908 al Congresso
di filosofia di
Heidelberg, su L'intuizione
pura e il
carattere lirico del-
l'arte (in Problemi di
estetica, 1910, 3^
ed., 1940, p.
33) da cui
forma e contenuto,
nell'opera d'arte riuscita,
vengono identi- ficati. Notando come
ogni grande opera
d'arte sia «
classica » e
« romantica »
insieme, il Breviario
fa risalire ciò
alla neces- saria fusione, nell'opera
d'arte riuscita, del
momento lirico col
momento immaginativo. Lo
scopo dichiarato di
tale dottrina è
dare un fondamento
alla distinzione (indispen-
sabile per il critico)
tra opera d'arte
riuscita e non
riuscita: 328 Cap.
XXXVI. - L'idealismo
storicistico di B.
Croce e, quindi,
ancora di far
posto al disvalore
che, come abbiamo
visto, stenta a
trovare una giustificazione nella
filosofia crociana. La
coerenza. Come nella
pratica così nell'estetica, il
valore è inteso
come coerenza: ma,
mentre nella pratica
il segno di
codesta coe- renza era
piuttosto il successo
di una certa
attività, nell'este- tica il
suo indizio si
presenta come uno
stato d'animo che,
fino allora, il
Croce aveva considerato
sotto una luce
piutto- sto negativa, come
espressione di passività
: il «
sentire ». In
realtà, il sentire
utilizzato dal Breviario
di estetica è
molto diverso dal
sentire come stato
d'animo passivo -
« materia »
non informata, o
non perfettamente formata,
dall'attività spirituale -
che aveva dato
luogo, nella Filosofia
della pratica, alla « negazione
della forma spirituale
del sentimento »
(parte I, sez.
I, cap. I).
Là, l'intenzione era
di contestare l'esi-
stenza di una terza
forma di attività,
accanto alla teoretica
e alla pratica
(p. io) ;
qui è di
riconoscere, nel sentimento,
il modo d'essere
incoativo in cui
si presenta la
stessa attività spirituale
che, nella sua
esistenza piena, si
sviluppa come im-
magine : « L'intuizione
è veramente tale
perchè rappresenta un
sentimento, e solo
da esso e sopra di
esso può sorgere
» (Nuovi saggi
d'estetica, 1919; 2*
ed., 1926, p.
27). Grazie alla
sua globalità, alla
sua indivisibilità essenziale,
il sentimento offre
al Croce quel
fondamento di unità
che egli va
ormai cercando: «Ciò
che dà coerenza
e unità all'intui-
zione è il sentimento»
[ivi). «L'intuizione è
veramente arti- stica, veramente intuizione
», quando sia,
« non caotico
am- masso d'immagini »,
ma « solo
quando ha un
principio vitale che
l'animi, facendo tutt'uno
con lei» (p.
25). E questo
prin- cipio è il
sentimento, che permette,
cosi, di distinguere
tra l'intuizione-immagine, «
che è sempre
nesso d'immagini, non
esistendo immagini atomi
» (p. 29)
e « quella
falsa intui- zione che
è coacervo d'immagini
» [ivi) :
falsa e imperfetta
per « il
contrasto non unificato
di piìi e
diversi stati d'animo,
la loro stratificazione o il loro
miscuglio, o il
loro procedere traballante,
che riceve una
unità apparente dall'arbitrio
dell'autore» (p. 27).
Allo stesso modo
la Filosofia della pra-
riuscita. L' «
intuizione lirica »
329 tica aveva
distinto tra esistenza
unitariamente raccolta e
esistenza « dissoluta
», lacerata dalla
contraddizione. La distanza
dall'Estetica del 1902,
dove si consideravano
L'opera d'arte come
opere d'arte alcune
espressioni « assai
complicate e diffìcili
», è evidente.
Per un verso,
si tratta di
una ripresa del
motivo estetico, molto
tradizionale, dell'opera d'arte
come organismo vivente,
individuato da un
« principio vitale
» (p. 25).
Infatti, «ciò che
ammiriamo nelle genuine
opere d'arte è
la perfetta forma
fantastica che riassume
uno stato d'animo,
e codesto chiamiamo
vita, unità, compattezza,
pienezza dell'opera d'arte
» (p. 27).
Ma, nel sistema
crociano, questa distinzione
e fusione tra
un principio globale
d'unità e una
forma articolata che
l'esprime rappresenta una
novità: essa non
aveva mai avuto
una espressione cosi esplicita, nep-
pure nella teoria della
coerenza pratica propria
del volume del
1908. La Filosofia
della pratica conteneva,
peraltro, uno spunto
importante di questo
sviluppo: nel capitolo
stesso in cui
ne- gava l'autonomia del
sentimento. Qui infatti
il Croce, mentre
contesta che al
sentimento si possa
assegnare un posto
a sé, dà
tuttavia una interpretazione eccezionalmente acuta
delle teorie del
sentimeno che, soprattutto
dal Settecento in poi, erano
fiorite nella storia
della filosofìa. Il
sentimento, egli dice,
è comparso nella
storia della filosofìa,
con la fun-
zione di una escogitazione
provvisoria, « ogni
qualvolta ci si
è trovati innanzi
a una forma
o sottoforma dell'attività
spirituale che non si riusciva
né a eliminare
né ad assorbire
nelle forme già
conosciute » [Pratica,
p. 16). Sicché
il vedere una
qualsiasi attività spirituale
specifica come «
sentimento » è la prima
forma che assume
la rivendicazione della
sua autonomia. Così,
infatti, era accaduto.
L'estetica del sentimento
del Settecento, nelle
sue forme piìi
disparate, da Vico
a Rousseau, da
Shaftesbury ad Alison,
dalla Scientia cognitionis
sensi- tivae del
Baumgarten alle Osservazioni
sul sentimento del
hello e del
sublime di Kant,
è, effettivamente, una
rivendi- cazione dell'autonomia dell'arte
rispetto alla conoscenza 330
Cap. XXXVI. - L'
idealismo storicistico di B. Croce
concettuale: perfino quando
(come nel Baumgarten)
sembri « intellettualistica ».
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nel pensiero di
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Forni, Il problema
dell'esistenza in Kant
nell'interpretazione di P.
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di studio carabellesiane, con
scritti di autori
vari, Genova, 1955.
4. - B.
Croce Opere. Salvo
le Pagine sparse,
e pochi altri
scritti, le opere
complete sono state
rac- colte dall'editore Laterza
di Bari. La
storia ridotta sotto
il concetto generale
dell'arte, Napoli, 1893.
La critica letteraria,
Roma, 1895 (poi
entrambe in Primi
saggi, 1919). Materialismo
storico ed economia
marxista, Palermo, 1900,
6* ed., Bari,
1941. Tesi fondamentali
di un' estetica come
scienza dell'espressione e
linguistica generale, Napoli,
1900. Estetica come
scienza dell'espressione e linguistica generale,
Palermo, 1902. Logica
come scienza del
concetto puro, Napoli,
1905; 2^ ed.,
rifatta, Bari, 1909.
Ciò che è
vivo e ciò
che è morto
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Hegel, Bari, 1907.
Letteratura e critica
della letteratura contemporanea
in Italia, Bari,
1908. Filosofia della
pratica. Economica ed
Etica, Bari, 1909.
Problemi d'estetica e
contributi alla storia
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1910; 3^ ed.,
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Giambattista Vico, Bari,
191 1; 2^ ed.
riveduta, 1922. Saggi
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del Seicento, Bari,
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napoletana del 1799,
Bari, 1912. Breviario
di Estetica. Quattro
lezioni, Bari, 1913;
3^ ed., con
aggiunte, 1924. Cultura
e vita morale.
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raddoppiata, 1926. La
letteratura della nuova
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Bari, 1914-40. La
Spagna nella vita
italiana durante la
Rinascenza, Bari, 1914.
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e profili settecenteschi, Palermo,
1914. I teatri
di Napoli, Bari,
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Bari, 1917; 3*
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Contributo alla critica
di me stesso,
Napoli, 19 18. Conversazioni critiche,
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1918-39. Storie e
leggende napoletane, Bari,
1918. Curiosità storiche,
Napoli, 1919. Pagine
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Napoli, 1919-27. Goethe.
Con una scelta
delle liriche nuovamente
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Primi saggi, Bari,
19 19. Nuovi saggi
di estetica, Bari,
1920; 2^ ed.
accresciuta, 1926. Ariosto,
Shakespeare, Corneille, Bari,
1920. Storia della
storiografia italiana nel
sec. XIX, Bari,
192 1; 1^ ed.,
con appen- dice,
1930. La poesia
di Dante, Bari,
1921. Poesia e
non poesia. Nota
sulla letteratura europea
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Bari, 1923. Uomini
e cose della
vecchia Italia, 2
voli., Bari, 1927.
Poeti e scrittori
d'Italia, Bari, 1927,
2 voli., Bari,
1927. Storia d'Italia
dal i8yi al 191
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Storia dell'età barocca
in Italia. Pensiero,
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Storia d'Europa nel
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e poesia d'arte.
Studi sulla poesia
italiana dal Tre
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1933. Orientamenti. Piccoli
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politica, Milano, 1934;
3* ^d. accre-
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Francesco De Sanctis.
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collaborazione con E.
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e scrittori del
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alla lettura di
Croce (a cura
di D. Pesce),
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Gentile Opere. La
raccolta delle Opere
complete, in 55
voli, oltre all'epistolario, è in corso
presso la casa
Sansoni di Firenze,
a cura della «
Fondazione Giovanni Gentile
per gli studi
filosofici ». Rosmini
e Gioberti, Pisa,
1898; 3^' ed.
accresciuta, Firenze, 1959.
La filosofia di
Marx. Studi critici,
Pisa, 1899. Dal
Genovesi al Galluppi.
Ricerche storiche, Napoli,
1903; 2* ed.,
col titolo Storia
della filosofia italiana
dal Genovesi al
Galluppi, Milano, 1930.
Studi sullo stoicismo
romano nel I
secolo dopo Cristo,
Trani, 1904. Giordano
Bruno nella storia
della cultura, Palermo,
1907. Il modernismo
e i rapporti
tra la religione
e la filosofia,
Bari, 1909; 2*
ed. ac- cresciuta,
192 1. Bernardino Telesio,
Bari, 191 1. Per
il riordinamento dell'istruzione superiore.
Studi e proposte,
Palermo, 191 1. /
problemi della scolastica
e il pensiero
italiano, Bari, 1913;
2* ed. 1923.
La riforma della
dialettica hegeliana ed
altri scritti, Messina,
191 3; 2* ed.
am- pliata, 1923.
Sommario di pedagogia
come scienza filosofica.
I : Pedagogia
generale. II : Di- dattica,
2 voli., Bari,
1913-14. Studi vichiani,
Messina, 1915; 2*
ed., Firenze, 1927.
Teoria generale dello
spirito come atto
puro, Pisa, 191 6;
3» ed., Bari,
1920. Sistema di
logica come teoria
del conoscere, Pisa,
1917; 2^ ed.
in 2 voli.,
Bari, 1922-23. Le
origini della filosofia
contemporanea in Italia.
I: / platonici.
II: / positi-
visti. Ili: I kantiani
e gli hegeliani,
4 voli., Messina,
1917-23. Il tramonto
della cultura siciliana,
Bologna, 1919. Il
problema scolastico del
dopoguerra, Napoli, 1919.
Guerra e fede.
Frammenti politici, Napoli,
1919; 2^ ed.,
Roma, 1927. Discorsi
di religione, Firenze,
1920; 2* ed.
riveduta, 1924. Giordano
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pensiero del Rinascimento,
Firenze, 1920. La
riforma dell'educazione. Discorsi
ai maestri di
Trieste, Bari, 1920.
Bibliografia ^yj Dopo
la vittoria. Nuovi
frammenti politici, Roma,
1920. Saggi critici,
Napoli, 1921; Firenze,
1927. Frammenti di
estetica e di
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Educazione e scuola
laica, Firenze, 1921.
Gino Capponi e
la cultura toscana
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del diritto, Roma,
1923; 2^ ed.
accresciuta, Fi- renze,
1937. Dante e
Manzoni. Con un
saggio su arte
e religione, Firenze,
1923. Albori della
nuova Italia, 2
voli., Lanciano, 1923.
Studi sul Rinascimento, Firenze,
1923. / profeti
del Risorgimento italiano,
Firenze, 1923. Difesa
della filosofia. Lanciano,
1924. Preliminari allo
studio del fanciullo,
Roma, 1924; 4*
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1934- Bertrando Spaventa,
Firenze, 1924. La
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fascismo al governo
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1924. La nuova
scuola media, Firenze,
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Venezia, 1926. Frammenti
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V. A. Bellezza,
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storia, Firenze, 1968,
INDICI INDICE DEI
NOMI Abbagnano N.,
i6o, 189, 251.
Agostino (Sant'), 228,
360. Aliotta A.,
159-167. Alliney G.,
120, 246. Ardigò
R., 3-8, 9,
29, 42, 43,
73, 194,
327. 387- Aristotele,
215, 218, 356,
376, 380. Avenarius
R., 98. Bacone
F., 390. Bergson
E., 49, 72,
118, 121, 128,
161, 220, 230
sgg. Berkeley G.,
123, 171, 213,
252, 354. Bonatelii
F., 169, 171,
232, 256. Bonaventura
E., 160, 170-172.
Boutroux E., 49.
Bradley F. H.,
119, 219, 248.
Brentano F., 152.
Bruno G., 29,
333, 386. Calò
G., 167, 168-170.
Calogero G., 271.
Campanella T., 386,
391. Cantoni C, 179, 180,
190. Capone-Braga G.,
56, 175-178. CarabeUese
P., 97, 249-274.
Carlini A., 119.
Carlyle Th., 177.
Cartesio, vedi Descartes.
Castelli E., 120,
233, 246. Comte
A., 29, 77.
Croce B., 112,
126, 161 sgg.,
220, 259, 275-335.
347, 362,
367, 388, 394,
401, 407. Della
Valle G., 180,
197-199. Democrito, 385.
De Sanctis F.,
137, 398. De
Santillana G., 135,
De Sarlo F.,
118, 137-159, 167,
168, 169 sg.,
172, 197. Descartes R., 119,
122, 211, 215.
Enriques F., 134-136.
Eucken R. C,
198. Faggi A.,
194 sgg. Feuerbach
L., 174. Fichte
G. A., 125,
213, 216, 252,
339. Fourier C,
128. Freud S.,
130, 171. Jaia
D., 342, 343.
James W., 173.
Jevons W. S., 176.
Juvalta E., 82,
179, 180-189, 194.
Galilei G., 98.
Galluppi P., 176.
Garbasso G. A.,
132, 133. Garin
E., 273. Geymonat
L., 134, 180,
188. Gentile G.,
91, 97, 112,
123, 125, 167,
196, 219, 249
sg., 256, 265,
280, 310, 316
sg., 336. Geulincx
A., 176 sg.
Gioberti V., 256,
344. Gonseth F.,
136. Coretti C,
205, 207. Graf
A., 203. Guastella
G., 90-96. Guzzo
A., 167, 189,
408. Hartmann (von)
E., 194 sg.,
206. Hegel G.
G. F., 9,
113, 176, 216,
225, 228, 250,
282, 322, 336,
339, 340, 345
sg., 350, 384,
395. 442 Indice
dei nomi Heidegger
M., 125, 259. Herder G.,
308. Herbart J. F., 170.
Hòftding H., 213.
Hume D., 46,
94, 97, 213.
Husserl E., 153.
Kant
E., 29, 61,
81 sg., 97,
106, no, 119,
125, 161, 171,
173, 179, 182,
184, 185, 186,
192, 194, 198,
205, 206, 207,
208, 218, 224,
225, 251, 255,
267, 272, 338.
363- Kiesow F.,
132, 189, 232.
Labriola A., 277
sg., 285, 288,
290, 291, 345-
Lamanna P. E.,
172-175. Leibniz G.,
119, 122, 215,
239, 250, 376.
Levi Ad., 118-125.
Levi Al., 90,
91. Limentani C,
73-89. Locke J.,
54, 94. Losacco,
119. Lotze R.
H., 170, 173,
198, 203, 212,
232, 234, 248.
Mach E., 135,
217. Machiavelli N.,
300, 301, 324.
Malebranche N., 177,
213, 215. Manzoni
A., 193, 194.
Me Taggart J.
E., 248. Marchesini
G., 8, 9-28,
50, 73, 78.
Maresca M., 180,
196 sg. Martinetti
P., 190, 203-228,
255. Marx C,
128, 129, 286,
289, 290, 294,
295. 299, 300,
312, 345 sg.
Masci F. 179,
195, 198. Meyerson
E., 121, 238.
Moore G. E.,
182. Newton L,
98. Nietzsche F.,
174, 188. Nobile
E., 197. Novalis,
133. Orestano F.,
91, 98-111. Pareto
V., 295, 296,
298. Parmenide, 216.
Pastore A., 119,
132-134. Paulsen F.,
212. Peano G.,
132. Pesce D.,
118, 172. Piaget
J., 136. Piovani
P., 120, 174.
Pirandello L., 131.
Platone, 9, 118,
215, 250, 252,
336, 356, 384,
385. Plotino, 206,
215, 217. Poincaré
E., 135, 176,
182. Pomponazzi P., 8. Rensi
G., 91, 111-118,
182. Resta R.,
180, 195 sg.
Rosmini A., 193,
194, 215, 243,
248 sg., 256.
Sacheli C. A.,
96 sg. Schelling
F. G., 213,
216, 380 sg.
Schleiermacher F. E.,
174. Schopenhauer A.,
125, 206, 209,
212, 222. Schuppe
W., 213. Solari G.,
193, 205. Spaventa
B., 137, 276,
339. Spaventa S.,
276. Spencer E.,
29, 182, 184.
Spinoza B., 29,
72, 122, 205,
216, 221 sg.,
317, 386, 404.
Spir A., 174,
204, 208, 221,
223. Spirito U.,
271, 273. Stuart
Min J., 91,
94, 213. Tarozzi
G., 8, 42,
73, 388. Telesio
B., 29. Tilgher
A., 91, 125-131.
Troiano P. R.,
203. Troilo E.,
8, 28-42, 73.
Vaihinger H., 182.
Varisco B., 119,
120, 122, 207,
219-248, 249 sg.,
256. Vico G.
B., 268, 278,
308, 309, 330,
336, 346, 348.
Vidari G., 179,
189, 190-194. Villa
G., 189 sg.
Vitelh G.. 118.
Wahle R., 212.
Whittaker Th., 182.
Windelband G., 118,
198, 371. Wundt
G., 180 sg.,
197, 208, 211,
232. INDICE Parte
Decima L'EREDITÀ DELL'OTTOCENTO Gap.
XXX. - Positivismo
e correnti affini Pag. 3
I. La scuola
di Ardigò. -
i. Il positivismo
ardigoiano e la
sua crisi, p.
3. - 2.
Giovanni Marchesini, p.
9. - 3.
Erminio Troilo: dalla
po- sizione positivistica al
« realismo assoluto
», p. 28.
- 4. Giuseppe
Ta- rozzi: dal positivismo
al realismo spiritualistico, p.
42. - 5.
Il plu- ralismo etico
di Lodovico Limentani,
p. 73. -
6. Il sociologismo
di Alessandro Levi,
p. 90. IL
Fenomenismo, superrealismo e
scetticismo. - 7.
Il fenomenismo di
Guastella, p. 90.
- 8. L'assiologia
di C. A.
Sacheli, p. 96. - 9.
Fran- cesco Orestano: scienza,
etica e «superrealismo», p.
98. - io.
Lo scetticismo ed
il materialismo fenomenistico
di Giuseppe Rensi,
p. III. -
lì. Lo scetticismo
solipsistico di Adolfo
Levi, p. 118.
- 12. Il
relativismo di Adriano
Tilgher, p. 125.
III. La critica
della scienza. -
13. La «logica
del potenziamento »
di Annibale Pastore,
p. 132. -
14. Filosofìa e
storia della scienza
in Federigo Enriques,
134. Gap. XXXI.
- Francesco De
Sarlo e lo
spiritualismo come filo-
sofia dell'esperienza psichica
Pag. 137 I. La dottrina
del De Savio.
- i. Lo
sviluppo del pensiero,
p. 137. -
2. Il problema
metafìsico: valore meramente
congetturale della soluzione
teistica, p. 142.
- 3. La
filosofìa come sforzo
di raziona- lizzazione e
sua identificazione con
la « psicologia
» quale scienza
del soggetto spirituale,
p. 146. -
4. Il problema
del soggetto del-
l'esperienza psichica: io individuale
ed io universale,
p. 153. -
5. L'oggetto dell'attività
di coscienza; il
realismo e la
sua proble- maticità, p.
157. IL La
scuola del De
Sarlo. Lo sperimentalismo di
Antonio Aliotta. -
6. La prima
fase del pensiero
di Antonio Aliotta:
spiritualismo teistico, p.
159. - 7.
Seconda fase: pluralismo
relativistico e spe-
rimentalismo, p. 164. III.
Le « scienze
umane » nella
scuola del De
Sarlo. — 8.
Sviluppi pedagogici e
psicologici in Giovanni
Gaio ed Enzo
Bonaventura, p. 167.
- 9. Eustachio
Paolo Lamanna ed
il problema della
reli- gione, p. 172. - IO.
L'unità ontologica del
sensibile in Gapone
Braga, P- 175-
444 Indice Cap.
XXXII. - Il
Neocriticismo Pag. 179 I.
La scuola Pavese.
- i. I
limiti del razionalism.o
etico in Ju-
valta, p. 179.
- 2. L'unità
attiva delle scienze
umane in Vidari,
p. 189. II.
La scuola Napoletana.
- 3. Etica
e pedagogia negli
scolari di Filippo
Masci, p. 195.
Parte Undicesima L'ETÀ
DELL'IDEALISMO Cap. XXXIII.
- La gnosi
di Piero Martinetti Pag. 203
I. L'insegnamento, p.
203. - 2.
La metafisica religiosa,
p. 206. - 3. Il
compito della filosofia,
p. 208. -
4. Ermeneutica dell'Idea-
lismo, p. 211. -
5. Distinzione del
razionale dall'empirico, p.
215. - 6.
L'unità essenziale, p.
217. - 7.
Il Cristianesimo, p.
220. - 8.
La libertà spinoziana,
p. 221. -
9. Rifiuto della
mediazione, p. 225.
Cap. XXXIV. -
Il monadismo teistico
di Bernardino Varisco.
Pag. 229 i.
Il distacco dal
positivismo, p. 229.
- 2. Il
pensiero vissuto, p.
231. - 3.
I massimi problemi,
p. 235. -
4. I centri
di coscienza, p.
237. - 5.
Teismo o Panteismo
?, p. 240.
- 6. L'unità
dell'uni- verso, p. 241.
- 7. Il
soggetto dei soggetti,
p. 243. - 8. Il
valore, p. 246.
- 9. Neoclassicismo filosofico,
p. 247. Cap.
XXXV. - L'ontologismo
di Pantaleo Carabellese .
. Pag. 249
I. Il problema,
p. 249. -
2. Ripensamento della
filosofia moderna, p.
251. - 3.
Unicità dell'oggetto, p.
253. - 4.
Intrinsecità di sog-
getto ed oggetto, p.
254. - 5.
L'ontologismo, p. 256.
- 6. Unità di conoscere
e di fare
nel «concreto», p.
257. - 7. La temporalità
dell'essere ed il
male, p. 258.
- 8. I soggetti, p.
261. - 9.
La tra- scendenza, p.
262. - 10.
I due poli
del concreto, p.
263. - 11.
Pos- sibilità di un
pluralismo filosofico, p.
265. - 12.
Il problema teolo-
gico, p. 267. -
13. La raanifestazione dell'essere,
p. 269. -
14. So- vranità della
filosofia, p. 272.
Cap. XXXVI. -
L'idealismo storicistico di
Benedetto Croce. Pag.
275 I. La
fase di preparazione.
- i. I
casi della vita,
p. 275. -
2. La storia
come arte e
come scienza, p.
281. - 3. Il problema
della storia negli
studi marxistici, p.
285. IL L'estetica.
- 4. Primo
schizzo del sistema,
p. 301. -
5. De- finizione dell'arte per
via negativa, p.
303. - 6.
Successive iden- tificazioni, p. 306.
III. La logica.
— 7. L'unità
di problema e
soluzione, p. 309. - 8.
Gli pseudo-concetti, p.
311. - 9.
Il concetto genuino,
p. 312. -
io. Identità di
storiografia e filosofia,
p. 314. -
11. L'errore, p.
316. Indice 445
IV. La pratica.
- 12. Il
male nel bene,
p. 317. -
13. Unità e dis- soluzione, p.
319. - 14. Il progresso,
p. 322. -
15. Storia e
storio- grafia, p. 322. - 16.
Il fascismo, p.
323. - 17.
Pensiero ed azione,
P- 325- V.
Revisioni estetiche. -
18. L' «
intuizione lirica »,
p. 327. -
19. Cosmicità dell'arte,
p. 330. -
20. La vitalità,
p. 332. - 21. Pan-
teismo storicistico, p. 333.
Cap. XXXVII. -
L'idealismo attualistico di
Giovanni Gentile. Pag.
336 I. L'attualismo
come punto di
arrivo. - i.
Significato del Gen-
tilianesimo, p. 336. - 2.
Le vicende della
vita, p. 341.
- 3. Gli
inizi speculativi, p.
343. - 4.
I momenti della
dialettica riformata, p.
346. II. La
pedagogia. - 5.
«Destructio pedagogorum »,
p. 352. -
6. La sensibilità,
p. 354. -
7. L'unità di
maestro e scolaro,
p. 357. -
8. Lo spontaneismo
educativo, p. 358.
III. La «
Storia eterna ».
- 9. «La
teoria dello spirito»,
p. 362. -
IO. L' «antinomia
storica», p. 364.
- 11. Contemporaneità della
sto- ria, p. 367.
- 12. Storia
e storiografia, p.
368. IV. La
logica. - 13.
Il giudizio assertorio,
p. 372. -
14. La logica
dell'astratto, p. 373.
- 15. La
carne e lo
spirito, p. 378.
- 16. Con-
tro il platonismo dell'
« Apodissi »,
p. 384. V.
Etica e diritto.
— 17. L'
« autoprassi »,
p. 389. -
18. L'ener- gia, p.
390. - 19.
Legge e «
fatto », p.
392. - 20. La rivoluzione
per- manente, p.
394. - 21.
La libertà assoluta,
p. 396. VI.
Arte e religione.
— 22. Il
momento della «
posizione », p.
399. — 23.
L'arte come amore,
p. 402. -
24. La negazione
di sé, p.
403. - 25.
L'immanenza, p. 405.
STAMPATO A FIRENZE
NEGLI STABILIMENTI TIPOGRAFICI E.
ARIANI » E
« l'arte DELLA
STAMPA » Eustachio Paolo Lamanna.
E[ustachio] P. Lamanna. E. Paolo Lamanna. E. P. Lamanna. Lamanna. Keywords: il
risorgimento fiorentino, Mussolini nella storia della filosofia. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Lamanna” – The Swimming-Pool Library.
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