Grice e Lami: la ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale della ragione dei antichi romani – la tradizione
della polizia romana – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Grice: “I like Lami; he has written
interesting approaches to Plato and Aristotle.” Si laurea e insegna a Roma. Altri saggi: "La
ragione degli antichi” (Giuffrè, Roma); "La politica di Platone” (Rubettino,
Cosenza); "Tra utopia e utopismo" (Cerchio, Rimini) "Qui ed ora
-- per una filosofia dell'eterno presente" (Cerchio, Rimini); "Il
libro Manifesto – in difesa dell’oggettività" (Heliopolis, Pesaro); G. Sessa,
"Voegelin -- Ordine e Storia” (Angeli, Roma, Filosofia politica Filosofia
della storia nuova destra. Letteratura e Tradizione//miro renzaglia.org letteratura-tradizione-il-resoconto/
Scuola Romana di Filosofia Politica//centro studi la runa Fondazione Julius Evola.
E’ davvero difficile per me, ricordare L. In questi giorni, ho dovuto farlo più
volte, intervenendo a pubbliche commemorazioni della Sua memoria, a cominciare
da domenica quando, in un gelido pomeriggio invernale, improvvisa e
sorprendente, ci è giunta la notizia della Sua dipartita, durante la presentazione
di un libro, alla quale avrebbe dovuto essere presente, come relatore, anche
lui. Immediatamente, il pensiero è corso al nostro primo incontro, quando
io, giovane studente di filosofia, lo conobbi in qualità di assistente di Noce.
Fin da allora, non si trattò di un semplice rapporto professionale, in quanto
Lami seppe trasmettere a noi giovani che lo frequentavamo, l’amore per il
sapere autentico, quello che si tramuta in testimonianza, in vita. Mi coinvolse
immediatamente in un progetto ambizioso: quello di introdurre in un paese
dominato culturalmente dalla Sinistra, il filosofo della storia Voegelin,
allora praticamente sconosciuto. Il risultato di questa ricerca, alla quale
ebbi l’onore e il piacere di partecipare in prima persona, assieme a Borghi e
pochi altri, si concretizzò nella pubblicazione di una serie di antologie
voegeliniane (qui è bene rinviare a Voegelin: un interprete del totalitarismo,
Astra), che fecero ampiamente discutere. Il merito maggiore, conseguito da
Lami, in questo ambito di studi, fu di individuare nel filosofo
austro-americano, un diagnosta della crisi della modernità. In particolare,
attraverso l’analisi e la traduzione di Ordine e storia, opera monumentale,
Egli presentò l’esperienza classica della ragione, quale unica terapia
possibile delle devianze neo-gnostiche contemporanee (si veda, prefazione a VOEGELIN,
Israele e rivelazione, Aracne, ma anche L., Introduzione a Voegelin,
Giuffré). Fece propria, in modo critico e originale, l’eredità di Noce,
secondo modalità più profonde rispetto a chi, tra i suoi presunti discepoli,
scelse, come il Maestro, una via di fede. La cosa, è facilmente deducibile
dalla lettura dell’organica monografia che egli dedicò al filosofo cattolico
(Introduzione a Augusto Del Noce, Pellicani), da cui si evincono tanto la
gratitudine per il discepolato e per gli insegnamenti ricevuti, sostanziati da
un metodo rigoroso d’analisi quanto le differenze speculative essenziali,
dovute alla valorizzazione filosofica, propria di Lami, delle qualità virtuose
dei singoli, nell’ambito pratico-politico. A questa scelta, che peraltro
individua, nello specifico, il campo d’indagine della scuola romana di filosofia
politica, che a Lui faceva e fa, tuttora, riferimento, hanno fortemente
contribuito gli interessi per gli autori dimenticati del novecento. Tra essi, TILGHER
e EVOLA. Al primo dedica un volume significativo (TILGHER, un pensatore
liberale, Seam), nel quale evidenzia il tema della pluralità delle morali, come
caratterizzante il pensatore napoletano. Ciò, secondo L., lo avvicinava al
filosofo tradizionalista, poiché il suo pensiero, individua effettive vie
realizzative in grado di determinare le tipologie umane dell’eroe, del santo,
dell’asceta, del saggio e del dotto. Sul secondo da alle stampe la prima
monografia filosofica: Introduzione a Evola. Un passo per la vita e un passo
per il pensiero, Volpe. Inoltre, quale collaboratore della Fondazione Evola, cura
diversi volumi della “Biblioteca evoliana” nei quali, come pochi, è riuscito a
contestualizzare storicamente l’opera del filosofo romano e a coglierne il
valore, in un lavoro esegetico sempre aperto alla comparazione. E’
proprio Evola, l’autore attorno al quale si sono dipanate, nel corso degli
anni, le nostre discussioni. Mi pare, infatti, che Egli leggesse EVOLA,
tentando, almeno su certi aspetti, di andare, con gli strumenti della
tradizione platonico-aristotelica, oltre le posizioni consuete a quest’ultimo,
interpretando, al medesimo tempo, la consolidata lettura di matrice cristiana
del pensiero classico, alla luce dell’esegesi evoliana. Stigmatizza sempre
negativamente l’abbandono, dovuto all’irruzione della visione del mondo
ebraico-cristiana, della dimensione civico-virtuosa, sulla quale la civiltà
romana tanto insiste. La cosa, è particolarmente chiara nello studio dedicato a
questo specifico tema (Socrate Platone Aristotele, Rubbettino), nel quale tenta
di presentare il simbolo epocale del mondo antico, la “vita contemplativa”,
come realizzantesi pienamente nella dimensione della Città, a testimoniare
della contrapposizione tra tensione utopica tradizionale, e scacco utopistico,
tipicamente moderno. Tema questo, attorno al quale spese le sue energie
intellettuali nel recente volume Tra utopia e utopismo (Il Cerchio).
Corrispondere a quella che è stata la via da lui indicata, ad un tempo ideale
ed esistenziale, a quella che egli definiva una filosofia dei pochi, del divino
e dell’ordine, è compito complesso e gravoso, al quale comunque, chi come me,
gli è stato vicino, non può permettersi il lusso di sottrarsi. Sarà la memoria
della Sua luce interiore, che accendeva anche negli studenti della “Sapienza”,
o in chi lo ascoltava nelle innumerevoli occasioni culturali per le quali tanto
lavorava, dai Convegni alle presentazioni librarie, a sostenerci nella Sua
assenza. Ma, più in particolare, l’idea di una tradizione sempre viva e
presente, che si realizza, addirittura nella comunanza dei vivi e dei morti,
come Roma (ma non solo) ci ha insegnato, e che rappresenta il suo testamento
spirituale più prezioso (al riguardo si veda, Qui e ora. Per una filosofia
dell’eterno presente, Il Cerchio. L’università di Roma, con Lui ha perso una
delle ultime personalità carismatiche, in grado di fare Scuola. Personalmente,
non posso che ringraziarlo per avermi onorato, in questo mondo, della Sua
amicizia, rara e preziosa: quella di un Signore. Tratto da Area. Grice: “Lami
touches some crucial points. For one, he criticizes Jowett for mistranslating
Plato. What Plato wrote is fair and simple, ‘Police’ – Politeia --. Lami as a
Roman hates the Pope – who does he think he is? The Papal dynasty is take in
that they cannot reproduce. So we must go to the civil-political organization
of the Romans, as seen from the the heroic ‘eta’ of Romolo. La citta. La Civilta. La tradizione. La tradizione
una. Espressione varie e tradizione una.
With the birth of
Christ, Roman words acquired new implicatures, for bad. Pagan started to mean
‘heathen’, and ‘ethnicus’ (ennico) more or less the same. Of course the old
Romans were anything but PAGAN or heathen – they did almost EVERYTHING for
Marzio, to whom they dedicated the downtown gym! (Campo Marzio). Lami knows all
this – and more --. Gian Franco Lami. Lami.
Keywords: la ragione degl’antichi, Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Lami” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Lampria:
la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia
pugliese – scuola di Taranto – scuola tarantina – filosofia tarantina -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Taranto).
Filosofo italiano.
Taranto, Puglia. Tutor of Aristosseno di Taranto, although he seems to have
taught him music rather than philosophy.
Grice e Landi: la ragione conversazionale e la semiotica
economica – prinzipio di economia dello sforzo razionale – filosofia lombarda –
scuola milanese – scuola di Milano -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo italiano. Milano, Lombardia. Grice:
“I would call Landi a Griceian; but he’d call me a Landian!” Studioso della
dottrina del ‘segno,’ vis-à-vis- scienze umane e antropologia, apportato un
notevole contributo agli sviluppi alla semantica (senso) e la pragmatica
(prassi, pratica – ragione pratica) -- crt, cercando di unificare la dialettica
romana e fiorentina con quella oxoniense.
Diplomato al Regio Liceo Ginnasio Alessandro Manzoni, si laurea a Milano.
Studia a Pavia. Insegna a Padova, Lecce. Riceve, e Trieste. La sua opera si può
suddividere in tre fasi. La prima riguarda studi su la prassi (ragione pratica),
nonché l'analisi dei processi di “segno.” La seconda fase propone una teoria
della “produzione” del segno intendendola come teoria del lavoro cui fondamento
è l'omologia tra la teoria del segno e so-miscalled aeco-nomia. (cf. Grice, P. E.
R. E.). La terza fase studia l'intricato rapporto tra il segno e la ideologia e
teorizza l'”alienazione” dell’usuario del segno (ego/alter/alien). Opere: Pratica
communicativa (Bocca, Milano); “Segno” (Manni, Lecce); “Significato, comunicazione
e parlare comune,” – cfr. Grice, “SignificARE, communicARE, impiegare,
implicARE, -- ‘common’ is Landi for Grice’s ‘ordinary’ as opposed to
extra-ordinario. Marsilio, Padova.
La semiotica e “Segnare” come lavoro e mercato,
-- cf. Grice against an utilitarian and pro a Kantian account of the rational
effort – but remarks in the “Retrospective Epilogue” about his concern with
‘rationality’ as being co-operative. And Grice’s remarks about the independence
of the two thesis: semiosis as rational and semiosis as cooperatively rational.
Bompiani, Milano, Segno ed ideologia
(Bompiani, Milano), “Segnare” (Bompiani, Milano); “Ideologia” (Mondadori,
Milano); “Metodica filosofica e semiotica -- scienza dei segni, o teoria? – cf.
Grice on philosophical psychology,’ folk science of psychology – ceteris
paribus – ‘law’ of the science of psychology --. The laws of psychology – “That’s why we call them
‘psycho-logical’ concepts, or theoretical terms, -- psychological theory --. Theory Th. (Bompiani,
Milano). Cf. Grice on the boundaries of ‘mean,’ and the idea of ‘consequence,’
y is a consequence of x, x means y. Il corpo del testo tra riproduzione sociale
ed eccedenza, Scritti su G. Ryle e la filosofia analitica” (il Poligrafo,
Padova); “Semiotica Filosofia del linguaggio
su ferrucciorossilandi.c om. Grice: “Landi takes economics seriously, as did
Aristotle – unfortunately, those researching onto Landi hardly quote from
Aristotle!” “While the Italians think that Landi is being very Original, we at
Oxford don’t! Game theory, strategy theory, and efficiency theory are all basic
to ‘oeconomica’ in most pragmatic models of efficient communication – “Information
is like money!” – Cf. la teoria del valore e le formulae dell’egoismo,
l’altruismo o non-egoismo, Meinong. Teoria
formale del valore. I valori egoistici risultano espressi con le lettere T e e
te1 Hay Ja, Un Un,, Tv Uy. Gli valori altruistici sono espresso con le lettere:
i. I valori neutrali sono espresso colle lettere : Ym. Siccome non si propone
di dare una teoria compiuta dei fatti concomitanti di questo o quello valore,
ma solo di ANALIZZARE tal unicasi va
speciali, così, quando adopera i simboli senza l'indice soscritto,
intende significare il valore egoistico – con la lettere ‘e’ sottoittesa.
Questi simboli possono esprimere questo o quello BENE, ma anche questa o quella
volizione a questo o quello BENE riferentisi. Per indicare una volizione, si
adopera il stesso segno *fra parentesi quadratti*. Infine, si suppone, di
regola ceteris paribus,che la circostanza concomitante sia sempre una sola, la
quale, insieme alla volizione, formi ciò che chiamamo il “bi-nomio” della
volizione. Se le circostanze sono più, allora si forma un “poli-nomio” della
volizione. La precedenza di una lettera in un binomio o un polimonioindica il
valore principale, sia desiderato o sia attuato. In che modo i fatti
concomitanti del valore sono connessi collo scopo della volizione? Siccome ogni
scopo di volizione è anche un oggetto di valutazione, la domanda può formularsi
così. Come i valori possono entrare in connessione tra loro? Si noti però che
la connessione deve stabilirsi prima del cominciamento della volizione, giacchè
questa volizione deve tenerne conto. Le co-esistenze casuali restano
naturalmente escluse. Tra lo scopo dellla volizione e l'oggetto della
valutazione concomitante possono correre varie relazioni. C’e una relazione
d’identità. Ciò che il artista o un
politico come Mussolini crea non soddisfa lui SOL tanto, apparirà sempre in
qualche modo come un BENEFICATORE di tutta una sfera di uomini – la nazione
italiana. C’e una relazione di CO-ESISTENZA di più qualità di una stessa cosa,
o anche di più cose. Per esempio, un tale VUOL comprare un piano che ha (+) un
bel tono. Ma il piano ha anche (-) una cattiva meccanica. O un cane da guardia
molto vigile (+), il quale però morde (-). O una macchina automobile che lavora
bene (+), ma che fa rumore e fumo (-),ecc. C’e un nesso causale, nelle sue due
forme: a) lo scopo è CAUSA di conseguenze valutabili. Il politico chi, per
esempio, promuove il movimento e l' industria dei forestieri, mira ad
arricchire la sua nazione (+), ma anche la de-moralizz (-). b) lo scopo non si
può raggiungere che come EFFETO di dati valori morali. Per esempio: un fabbricante
per . Ora torniamo alla domanda principale. In che modo il valore morale
di una valutazione dipende dai valori concomitanti, e,in caso di un simple
bi-nomio della volunta, dal valore concomitante? Abbiamo distinto quattro
categorie di valori, “g”, “T”, “u”, e “u”, le quali si applicano anche ai fatti
concomitanti. Però il caso u si può omettere, perchè non accadrà mai, CHE SI
VOGLIA UN PROPRIO NON-VALORE PER sè stesso. Rimangono così tre possibilità, le
quali, liberamente combinate, dànno *dodici* casi che costituiscono la tavola
dei valori. Per l'esame di questi casi bisogna pensare che ad un oggetto di
volizione si aggiungano gli altri come fatti concomitanti, e osservare le
variazioni di valore che questo intervento produce. La VOLIZIONE ‘POSITIVAMENTE
ALTRUISTICA’ (benevolenza e beneficenza) è data da una formula. Il momento più
importante è qui l'associazione della circostanza concomitante u, IL PROPRIO
DANNO. È evidente che l'aggiunta di questo secondo momento accresce il valore
di (i) e di tanto, quanto più grande sarà il sacrificio proprio. Indicando il
valore con “W”,si avrà dunque: W(ru) > WV. Se invece si aggiunge “u”, IL
DANNO ALTRUI, sia dello stesso beneficato (quando il beneficio produce pure un
MALE al beneficato), sia di persone estranee al rapporto (quando per beneficare
uno si danneggia altri), allora il valore della volizione con questa
circostanza concomitante diventerà minore. E la formula sarà: W(ru) < W(r).
Se la circostanza concomitante è pure in favore del beneficato, allora la
formula sarà indubbiamente: guadagnare di più deve migliorare la
condizione materiale dei suoi operai. W (rr)> Wr. glianze.
Invece L’AGGIUNTA DEL VANTAGGIO PROPRIO AL BENE ALTRUI nè diminuisce, nè
aumenta il valore. La volizione egoistica è espressa dalla formula, la
modificazione più grave qui si ha, quando al caso si aggiunge la circostanza
del MALE ALTRUI. Allora si avrà:
W(gu)<W(9). Se la circostanza concomitante è invece “r”, il valore della
volizione egoistica si eleva: W(gr) > W(g). Che poi alla volizione egoistica
si aggiunga la circostanza secon aria di un ALTRO PROPRIO VANTAGGIO (plusvalia)
o anche di un proprio danno, non modifica il valore di (g). Si avranno quindi
le due egua W (99)= W (g)= 0 W(gu)= W(9)=0. Così pure si aumenta il non-valore,
se oltre al danno principale si aggiungono altri danni. Epperò: W (UU)< W
(U). Per quanto il caso sia inusitato, si può prevedere anche, che al male
altrui si associ una qualche conseguenza buona, indiretta, W (rg)= Wr. La
volizione altruistica negativa o anti-altruistica è espressa con una formula.
Se per attuare il danno altrui, si fa anche il danno proprio u, questa
circostanza aggrava il male e aumenta il non-valore: W (uu) < W
(u). W(UY) > W(u). Il fatto concomitante della propria utilità non aggiunge
nè toglie al valore della volizione principale anti-altruistica. Si avrà quindi
l'eguaglianza: W (ug)= W u. La somma dei risultati ottenuti si può disporre in
un Quadro. W(rr) > W(v)? W(gr )> W(g)? W(ur)> W (U)? W(yg)=W(r)
W(99)=W(g)=0 W(ug)=W(U) W(ru)<W(Y) W(gu)<W(g) W(UU)<WU) W(ru)>W(V)
W(gu)=W(g)=0 W(uu)<W(U). Da questo quadro si rileva che le circostanze
concomitanti con segno negativo non sono più feconde di effetti di quelle con
segno positivo. Di queste ultime, “g” non modifica nulla, e “r” non dà
risultati sicuri, come indica il punto interrogativo. L'influenza dei fatti
concomitanti si può dunque riassumere così. Agisce aumentando debolmente il
valore. ‘g’ non modifica nulla. ‘u’ diminuisce grandemente il valore. ‘u’ opera
secondo lo scopo della volizione -- ora aumentando, ora diminuendo e ora
non-modificando il valore. Si è già detto che sarebbe uni-laterale il voler
giudicare del valore morale di una volizione dallo scopo ;che però, in quanto
lo scopo prende parte alla determinazione del valore, l'altruismo positivo è
buono, L’EGOISMO è INDIFFERENTE. L’altruismo NEGATIVO (malevolenza e
maleficenza) è cattivo. Ora è importante constatare, che il senso in cui i tre
momenti valutativi operano sui fatti concomitanti è completamente lo stesso La validità
della tavola dei valori, dianzi tracciata, ma pure prevista. Allora il
non-valore si ridurrà, nel modo indicato dalla in-eguaglianza: subisce
variazioni, se cambia la qualità della volizione? Itendendo per qualità la
differenza tra appetizione e repulsione, che però non deve equipararsi a una
contra-posizione logica tra affermazione e negazione, i cui termini si
escludano a vicenda, ma considerarsi come una doppia possibilità psicologica,
di cui l'una abbia altret tanta realtà indipendente, quanto l'altra. Un'analisi
della NOLIZIONE mostra, che esse si comportano egualmente come la volizione,
solo che si applicano di regola ai valori “T”, “u” ed “u”, RITTENENDOSI ASSURDO
(IRRAZIONALE) IL NON VOLVERE IL PROPRIO VANTAGGIO ‘g’. Indicando le nolizioni
con (T) (ū) (T) = (non- T) = (U) (U = (non-- U) = ( ) (ū)=(non u) = (g). Lo
stato subbiettivo di rappresentazioni ed i predisposizioni anteriore alla
volizione è indicato con il concetto di “Progetto”. E siccome in questo stato
abbiamo supposta anche la cognizione delle circostanze concomitanti valutabili,
così al binomio della volizione o al polinomio della volizione corrisponde un
binomio o un polinomio del progetto. Per indicare questi stati si adopera gli
stessi simboli *senza la parentesi quadratti*. Osservando le volizioni in
rapporto agli stati predisposizionali, l'analisi delle valutazioni dei fatti
concomitanti può rendersi più esatta. (ū) si possono fare le seguenti
sostituzioni, che aiutano a trovare il corrispondente valore nella tavola relativa
alle volizioni. Si ponga, per esempio, un bi-nomio iniziale della volizione
“uu”, che esprima il mio desiderio di far male, al momento opportuno, a una
persona, ma che non mi sia possible evitare, ciò facendo, conseguenze dannose
pe rme,u. Se ildesiderio di non danneggiarmi prevale, allora non si avrà più il
binomio (uu), ma l'altro (ūr), il quale dice che la volizione è risultata nel
senso di non volere il male proprio, pur ammettendo che questa volizione abbia
per circostanza concomitante y, cioè il bene altrui. In forma positiva la
volizione finale sarà (gr). E così da una situazione iniziale negativa “vu” si
riesce nella opposta gr (1). Questi sono i co-ordinati fra loro due bi-nomi di
progetti, dai quali procedano due volizioni formalmente concordanti. Anche i
due bi-nomi di queste volizioni saranno coordinati fra loro. Essaminemo la
coppia dei due binomi yu-gu, dei binomi, cioè, che hanno la maggiore importanza
pratica. Il primo bi-nomio esprime l'altrui bene col proprio danno. Il secondo
bi-nomio esprime il bene proprio col danno altrui. Nel primo rientrano, nel
senso o grado *massimale*, tutte le occasioni in cui si può affermare la
grandezza morale di un uomo (magnanimita). Nel senso o grado minimale, i casi
della più comune fedeltà al proprio dovere (to do one’s duty). La sezione di
linea dei valori morali che comprende il MERITORIO e IL CORRETTO è tutta
espressa da questo bi-nomio del Progetto. Laddove la sezione che va dal punto
d'INDIFFERENZA al TOLLERABILE e al RIPROVEVOLE corrisponde alla negazione di
questo binomio del progretto. Nel binomio “gu” sono espressi tutti i casi che
vanno dal più SANO EGOISMO alle negazioni più delittuose dell'altruismo.
Reciprocamente, la rinunzia a siffatte volizioni va dal semplicemente dove ROSO
ALL’EROICO. Le volizioni che procedono da questi due bi-nomi comprendono
adunque tutte le quattro classi di valori, caratterizzati in principio. I due
bi-nomi anzidetti suppongono un CONFLITTO (non coooperazione) fra l'interesse
proprio e l'interesse altrui. È evidente che dalla grandezza di questi
interessi, dalla portata di “g” e di “Y”, dipende il valore morale della
valutazione. I momenti “u” e “u” s'intendono compresi nella negazione di “g” e
“y”. Intanto è certo che il VALORE EGOISTICO in cui “g” è congiunto con “u”,
“W(gu)”, si trova sempre al di sotto del zero della scala, ed ha segno
negativo. Mentre il valore altruistico in cui è congiunto con “u”, “W(ru)”, si
trova al di sopra del zero ed ha segno positivo. Ciò posto, la funzione
valutativa tra i termini dei due binomi dei pogretti si può scoprire
agevolmente con una semplice osservazione. Sacrificare un piccolo interesse
proprio a un grande interesse altrui ha un VALORE POSITIVO MINORE che il
sacrificare a un piccolo interesse altrui un grande interesse proprio. D'altra
parte chi non pospone a un grande interesse altrui un piccolo interesse proprio
produce un non-valore morale più basso, che non colui il quale per una utilità
propria rilevante non tien conto di utilità altrui tras curabili. Questo
abbozzo di una LEGGE del valore si può esprimere nelle formule, nelle quali “C”
e “C'” indicano le costanti proporzionali sconosciute, condizionate dalla
qualità delle due unità “g” e “r”. Nell'applicazione di queste due formule
all'esperienza si rendono necessarie talune modificazioni. Se poniamo I valori
“r” o “g” eguali ai limiti 0 e 0,allora i calcoli diventano molto esatti. Per g
per g. L’ESPERIENZA NON è però SEMPRE D’ACCORDO CON QUESTE FORMULE. Ognuno
ammetterà che l'adoperarsi nell'interesse altrui si accosti l punto morale
d’INDIFFERENZA, quanto più grande è quest'inteesse; e che il trascurarlo
divenga nella stessa misura RIPROVEVOLE, “u” pposto costante e limitato
l'interesse proprio da sacrificare. È F, 1 W(ru) = Cg -0 Y Y g W (gu) = -
C per r = 00 per r = 0 lim W (ru) = 0, lim W(ru)= 0, lim W (ru)= 0 limW(ru)= 0,
lim W (gu) = - 0 0 limW (gu)= 0 lim W (gu)= 0 lim W (gu)= – 00. pure evidente,
che la trascuranza di un interesse altrui diviene tanto più INDIFFERENTE quanto
più IRRILEVANTE è questo interesse. Epperò non si ammetterà da tutti, che il
valore dell'altruismo di venga allora infinito, come nella seconda formula.
Osservando però bene, questi casi non rientrano nel campo della morale. Si
contrasterà pure che il valore del sacrificio di un bene proprio per l'altrui,
cresca colla grandezza del bene sacrificato (formula terza). Ma l'esperienza
prova che l'esitazione al sacrificio si fa maggiore quanto più grande è il bene
cui si sta per rinunziare. Invece è da riconoscersi che non è esatta la quarta
formula. Non si può negare ogni valore al bene che si fa ad altri, solo perchè
NON si determina un CONFLITTO con un bene proprio. Le formule anzidette si
debbono mitigare nella loro assolutezza, perchè si accostino di più alla
realtà. Per far ciò, basta attenuare il valore di “g”, il che si può ottenere
aggiungendo a “g” ogni volta una costante “c” o “c '”. Queste formule non modificano i limiti
funzionali dianzi ottenuti, ponendo r = 00, T = 0 0 g = 00. Cambia bensì la
formula del quarto limite. Se g= 0: lim W (ru) = C, lim W(gu) = - ' Sin qui
abbiamo considerato l'una variabile IN-DIPENDENTE dall'altra. Che avverrà però,
se le variazioni si compiranno in entrambe le variabili congiuntamente,
supponendo che “r” e “g” rimangano uguali fra loro per grandezza di valore?
Sostituendo a “g” il simbolo “r”, le formule diverranno altri. Si avranno così
le formule. Tr W (ru) = 0 9 + c g +di e
Y W(gu)= W(gu)=-C' ito Y W(ru)= C y- to' . Da questo risulta che il non-valore
deve crescere e diminuire nello stesso senso o grado limite di “r” e “g”, e il
valore in senso o grado di limite contrario. Consultando l'esperienza, si può
riscontrare agevolmente che un oggetto, per esempio un dono, abbia lo stesso
valore per chi lo dà e per chi lo riceve. Ora si domanda, regalare di più avrà
un valore più alto o più basso del regalare di meno? Senza dubbio più alto. E
se si contrapponga vita a vita, CHI SACRIFICHI LA PROPRIA VITA per conservare
quella di un altro, suscita di fatto grande ammirazione. QUESTO è però IL
CONTRARIO DI ciò che quelle formule esprimono. O “c” corre adunque correggere
le formule e per far ciò introducemo un esponente di “g”, più grande
dell'unità, e lo indicamo colle lettere “k” e “k'”. Le due formule diverranno
così, rimettendo “y” al posto di “r”. Sicchè si avranno i seguenti limiti. A
questo punto, il concetto di limite non hanno più bisogno di alcun'altra
correzione. Per semplicità di espressione ponendo C= 1ek =2, la formula del
binomio divienne W(gu)= T. È questa una formula a discuttere. . g2+1 ghto Y
gkilt o W(gu)= W (ru)= C per r= 9 perr= g= 0 T g2+1 W (ru)= e Y e limW(ru)=00
lim W(gu) = 0 limW(ru)=0 limW(gv)=0. Preliminarmente non si ne ricava alcune
conseguenze. Ogni pr getto offre a colui, che dovrà reagire con una volizione,l
a doppia possibilità di fare o di tralasciare. Le due volizioni staranno,
secondo la formula principale or ora ricavata, in un rapporto di
RECIPROCITà negativa, per ciò che ri guarda il loro valore morale. In secondo
luogo, siccome una volizione di grande valore (positivo o negativo) o e
MERITORIA O RIPROVEVOLE. Quella volizione di piccolo valore o e CORRETTA o
TOLLERABILE, così potrà dirsi in generale che quanto PIù DISTANTI sono il
NUMERATORE E IL DE-NOMINATORE della formula in una scala ordinale (1, 2, 3, …
n), tanto più il valore della volizione e indicato dalle parti estreme
superiore o inferiore della linea dei valori. Quanto più vicini o meno distanti
sono invece quei numeri, tanto più l'indice del valore cadde verso il punto di
mezzo di detta linea. La formula si applica inoltre anche ai casi di una
volizione I cui scopo non siano accompagnati da circostanze concomitanti. Basta
ridurla. W(9)=0(1). UU. Mentre la prima coppia esprime il caso di CONFLITTO
D’INTERESSI, la caratteristica della seconda formula è la CONCOORDANZA O
INTERSEZZIONE O COOPERAZIONE O CONDIVIZIONE gl'interessi propri con gli altrui,
positive, o, come nella guerra o il duello, negativi. Se il progetto offre l'occasione di
congiungere con la mia utilità l'altrui, o se mi rappresenta un pericolo altrui
nel quale scorgo un pericolo mio, la volizione corrispondente e espressa con
(gr). V'è però anche la rappresentazione del desiderio di un male altrui, cui
si associa anche la previsione di un danno proprio. La corrispondente volizione
e espressa con “(uu)”. Il conflitto qui non esiste fra “g” e “y”, ma fra “g”
e”v”, cio è fra “g” e -Y Questa riflessione ci fa subito applicare al caso
attuale la formula principale del primo binomio. Così, go+1 Y. W(uu)= W (Y)=
>. Passamo ora ad esaminare un'altra
coppia di binomi: gr g+1 1 T (go+
1)r. Mantenendo anche in questo caso il principio della RECIPROCITà negativa
dei due binomi di progetto, l'altro binomio diverrà epperò la seconda formula
principale così ottenuta e (1): W(uu)= -(g2+ 1)r. Le costanze rilevate in
queste formule dimostrano sufficientemente che il valore morale è in relazione
tanto con lo scopo principale della volizione quanto con i fatti valutabili
concomitanti, com’era di sperare! Ferruccio Rossi-Landi. Landi. Keywords:
implicature. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Landi,” The Swimming-Pool Library,
Villa SPeranza, Luigi Speranza, “Grice e Rossi-Landi a Oxford.” Luigi Speranza, “Grice’s
principle of economy of rational effort and Rossi-Landi’s economical
semiotics.” Luigi Speranza, “Grice and Rossi-Landi: over-informativeness and
excess: the implicature” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Landino: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale della sforziade degl’italiani – filosofia toscana – filosofia
fiorentina – scuola di Firenze – scuola fiorentina -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Firenze). Filosofo italiano. Firenze,
Toscana. Grice: “I love the way a philosopher can be judged by his fellow
citizens and by furriners: Landino’s “De Anima” fascinates the Germans, for
example! While his poetry fascinates the Americans, as I Tatti testifies!” Nacque da una famiglia originaria di Pratovecchio,
nel Casentino, e compì gli studi in materie letterarie e giuridiche a Volterra.
Gli venne affidata presso lo Studio fiorentino la cattedra di oratoria e
poetica che era stata del suo maestro Marsuppini: L., sostenuto dai Medici, e
stato avversato da non pochi personaggi in vista, come Rinuccini e Acciaiuoli.
Tra i suoi allievi ci furono Poliziano e FICINO (si veda). In quel periodo
ricopre anche incarichi pubblici, facendo parte della segreteria di Parte
guelfa e della prima Cancelleria. Tra i suoi viaggi, spicca quello a Roma.
La sua Xandra e una raccolta di componimenti dedicata inizialmente ad Alberti e
de' Medici. In campo filosofico scrisse III dialoghi: il De anima, le
Disputationes Camaldulenses e il De vera
nobilitate. La maggiore fama nei secoli di L. e però legata alla sua attività
di commentatore dei classici. Diede alle stampe il Comento sopra la Comedia di ALIGHIERI,
su ORAZIO e su VIRGILIO. Traduttore dal latino in fiorentino della Storia
natural di PLINIO e la Sforziade di Simonetta Il volgarizzamento pliniano e un
vero e proprio evento. Per la prima volta la plebe puo leggere la più
importante e vasta enciclopedia del mondo romano -- tra i suoi lettori Pulci,
Colombo e Vinci. Per i meriti acquisiti, la signoria fiorentina gli assegna una
torre nel Casentino e una pensione. Venne ritratto tra illustri fiorentini
a lui contemporanei da Ghirlandaio nella Cappella Tornabuoni di Santa Maria
Novella. Altri saggi: “Orazione alla Signoria fiorentina incipit della
Historia naturale tradocta di lingua latina in fiorentina”; Xandra, “De anima”;
“Disputationes Camaldulenses; “De vera nobilitated”; “Comento sopra la Comedia
di Dante”; “Commento a Orazio”; “Commento all’epopea eroica di Virgilio”; “Historia
naturale di Caio Plinio Secondo tradocta di lingua latina in fiorentina al serenissimo Ferdinando re di Napoli”; “Orazione
alla Signoria fiorentina quando presenta il suo Commento di Dante, Firenze,
Niccolò di Lorenzo, Formulario di epistole, Firenze, Bartolomeo de' Libri. Il
testo si può leggere in edizione critica. Carmina omnia ex codicibus manuscriptis
primum edidit A. Perosa (Firenze); “Disputationes Camaldulenses” Lohe (Firenze,
Sansoni); C “De vera nobilitate, M. T. Liaci, (Firenze, Olschki); R. Cardini,
La critica del Landino” (Firenze, Sansoni). Dallo stesso studioso è stata
allestita la raccolta: C. Landino, Scritti critici e teorici, Cardini, Roma,
Bulzoni, Comento sopra la Comedia, I-IVProcaccioli, Roma, Salerno editrice, Questo
commento è stato solo parzialmente edito (la sezione relativa all'Ars poetica):
Cristoforo Landino, In Quinti Horatii Flacci Artem poeticam ad Pisones
interpretationes, G. Bugada, Firenze, Sismel, R. Fubini, Quattrocento
fiorentino. Politica, diplomazia, cultura, Pisa, R. M. Comanducci, Nota sulla
versione landiniana della Sforziade di Giovanni Simonetta, «Interpres» Uno
studio complessivo, sia filologico sia storico-culturale, dell'opera in A.
Antonazzo, Il volgarizzamento pliniano” (Messina, Centro di Studi Umanistici). Questo
testo proviene in parte dalla relativa voce del progetto Mille anni di scienza
in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza di
Firenze, Orazio, “Artem poeticam ad Pisones interpretationes. G. Bugada,
Firenze, Sismel-Società internazionale per lo studio del Medioevo latino, Galluzzo,
Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani, Dizionario
Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, A. Antonazzo,
Il volgarizzamento pliniano Messina, di
Studi Umanistici, Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Enciclopedia Italiana,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Lee Sorensen. ALCUIN, Ratisbona. Liba secundus u
aut Eandetn otionanft in anibus denrchedas. Ars enim natnratn quoad ua
Itt feropq imitatur. Sed nefeio quo pado cum de eqmalo quod iti vita
Kiriorio iMispa natura nucttigadum nobis propofuannus:iam fecundo in
naturam rela« bor.lta^ bacomifla ad illud tademrueamusipcimunique omnibus PHILOSOPHIS
omnibmi cbtifiianis audoribus non in eo quod ab ad ione proueninfcdin fo»
h ratione coUocemus. Non enim quid fadum iinfed qua mente fadum animad
uettunt. Quapropter quatuor ueluti principia ponunt. Cum enim fe nobis
ilu quid offert: mouctuc ea te fic oblata uis quzdam animorum nofttorums ut
illam cognoscat: tandem p decernit aliud bonum efTc aliud contra maium. Quapto ptrrcumiam
feferes obtuleritrcum iam fecundo loco (it de ea iudicium fadumt adtamr
tertio loco uoluntast ut hoc quidem fequamur. Illud vero fugiamus. Qua
quidem uoluntate ita iubente motus poftremo in corpora infurgut : ut id
tncmbraezc quantur quod noiunusancea de creuerit.Ncffi igitur a duobus
illis ptimisprindpiisnetp ab boc poftremo uitiumfpedatur:led a voluntate
qua in ordine tertiam pofuimust. Non enim eo Verres pcccauit quod tabulz
ftgnac ac reliqua ftculorum preriofilTima fupeliez illi fefe of Ferreti Non
rurfus quia iudica ret forefibi ex ufu huiufccmodi ornatu abundaretfcd
quia rapere uoluit cu uf«p adeocz fola uoluntate res pendat: ut etiam ft
non rapuerit :tamen quia rapere uo luerit fitelus commifllim fitx Non
enim interfecerit ne an non interfecerit: fed uo lueiitne interficere in
culpa eft:Defueruntuires. P.CIodio quominus Annium Milonem oeddere pof Tetx.
Qua quidem in re fi naturz uitium quzras t pcccauit ea uis:quzmentis
propofitum non implcuit:fi uero ad morem teconuertas non aduscorpord
motus fed uoluntatis adus crimen concipit: Dicetur iure homi dda Clodius
quia Milonem uoluit ocddere: Fac autem ocddifte cum minime ta men
uoluerit exddere ftarim crimine abfoluetur. Qui enim non ex uoluntate:
fed uel ex infirmitate uirium quas modo pofiii vel ex insdiia rem quampiam
c6 mittunnii non modo culpa carent: uCTum etiam cdmiseratione fzpistime
digni putanmr. Quis enim cum illud de Cephalo in procrin legit etiam fi
fabulosum putetmon iolum illum crimine liberat: Sed fumma
infupercomifetatione profe quituRcum animadvertat hominem ex infdria dum
feram uulnerarc putat: ca tifiimam fibi coniugem percu Eiffeteuius morte in summum
moerorem acludu paulo postcafuruseifett Vides igitur auolutatisadu ueluti
a fua origine uitium in monbus flum: Verum cum iam conftet imbedllitatem
adionis prouenire ex infirmitate primi agentis rem hanc planius
exponendam cenfeo: Videamus ita in quo defidatuoluntas ante commifllim
fadnus. Qui quidem defedusfibi a natura non erinfemperenimadbzrct/ femp pcccaret:ne
rurfus eftcafu bc for luna:eflet enim extra nos. Est igitur
uOluurius.S'ed ut uideasundeifit error boc aedpe. Visdus rd quz agit ab
eo agente perficittu quod fupra fe eft: Donec enim id quod fecundo loco
agit perfeuerat in ordine primi agentis munus fuum abfo lute
peragit:Sinautemao illo declinet nullum iam remedium eflqn aut fiatim aut
paulo poftdefidattin gyrum uertitutdrculus qui manu humana torquef. Hic idem fi
nunu dedinet a mom ceflabit. Ergo igitur ut ad rem redeam nupa dicebam
duo cflic pdndpiarquae uoluntatcm aateire ntt Res quz fefe nobis oSu a :
k [ t Oerumniobonp nttitt K uii gucdam ilfas oblatu
fufdpiatt At cum qiiicgd bnhi!!»ttb£ A Ut moueri poffifaliguidhabeat
proprium a quo moucaturmoo omnis pcrap et di uis omnem appetitum mouebit.
Nim quz fmlibilia percipit cum dutaiatape petitum qui a renfibus e(i
mouere ualai Ratio autem proprie uoluntatem mouc biti Rurfuscum latio varia
bonorum genera percipere poiritcuiuilibetautcm et proprius finist Etit uoluntatis quoque pprius
nnis k primum quo moueatiu n5 bonum quodlibetifed certum aliquod ac
pncfizum.Siigit" mensnofira acuolo tas perceptione eius
rati6ismoueac7quz tedum bonorum malotu iudiciui B teneat reda indeadio
exorictur. Sinautem ab iis ezorit" quz falfo fenfuum iudb do bona
efle deaeta Tunticum minime flnt bona Ibtim peccat in uiu 6tmorib9
uoluntas. Peiueriio igit" ordinis qui est ad rationem et ad proprium finem
gignit peccatum in adione. Ad rationem quidem cum ad fubium fec fiis
perceptionem voluntas fertunin id quod fi rede pcrfpidas bonum non efiifcd
quia fuis ilicee brisrcnrusdemulfitia Dillis bonum iudicatat. Efirurrus cum
ratio ipfa minime decepta id bonum efle decemittquod uere bonum dici
potcft.Hcx tamen tepore aut hocmodo bonum efie negatur. Voluntas tamen in id
fertur nu llam ordinis tanonem babens.huiufccmodi igitut ordinis per uerfio
uoluntaria eih pptc reaqi uitio non carets Loquacior fortalTc fum q par cfi in
natura mali. Addam tamen ex iis argumentationibus quibus demonftracum efimalum
nullam efienda am eflesati ob eam tem per fe fubfifierenon polle: facile
animaduerti id aliquo in bono feroper efle oportere: Verum idem hac quoip
ratione probatur. Cum malum dicimus priuationem dicimus:hoc enim iam
conuicnPnuatio autem ipla K foima qua res priuatut in eodem funt.ld autem
quod formz fubiidtur huiuTce modi cil ut fua natius facultate formam
fufeipere ualeat. Hoc autem quis bona negabit cum eodem in genere et ipsa
sive facultas sive potentia Scadus qui inde cll omnino confilhnt. Prxterea
malum ta folum ratione malum didiT quia nev cct. At non ncKct malo. ElTc
enim bonum fi malo pemitirm afiFcrrct. Nocet igitur bono. Nonautefi de
rei forma loquamur noceret nifi in eoelTet. Quzenimcz citas polyphcmo
nocebitinifi fit in polyphemo excitas. Verum cum uulum boa no opponatur quo
pado utn idem erit fubiedum.oppofiro 9 t enim altc/alte tum pellinhoc fi
dicas ita tibi refpondebo.Quicquid ens did poteft idem 8C boa num
dicitunNon autem abfurdum cll ut non ens in ente fit:quzlibct enim ptia
uatio in aliqua elTentia c(l:quz cll ens tamen non efi in ente fibi oppofito.
Si enim czeitatem dico hoc non eos comune quide minime eft ut uifum ubi^
tola lat:Ergo non ell in uifu uelud in fuo fubicdo fcd in animaote. Q_ux quide
om nia eo teduntiut non pofliit iu fummum malum inueniri:ut inuenitur
fummn bonum.Quod enim fummum malum fututum fit id fine alicuius boni
cofora tio elTc oportet. At nullum malum a bono omnino feparatu efle
inuehies. C^ua doquidem ut paulo ante ofiendimus fuas in bono radices
malu egit: et in eo luu ut Ita loquar fundamentum iedt:Ptztctea fi mihi
dabis aliquid fummum malis fututum effe id ita fua eflentia malum futurum
erit/ut fua eflenda fummum bo num clfc uidemus. At malum eflentiam nullam
babae iam demonfiratu efi. Ita quod ptiouUD pdndpiii eft eus cflcpo^too
cogn ellet pti IaP.Vitg«M.AIl^o.Liba tettius cipranificflct caura iitidepcadcrettt
Dafiautcaurambotiucfre dirimus. A 4 de et boc^uTa enim qux per fe caufa
diatunfcmpcr prior eft illa quz per accidens caula dicitur. At malum non
efi caufa niri per accidens.Non igitur inuenimr (u Inum malum.Hatc funt
quae de plurimis longecp «ccllenrioribus quz Leo Baptista memoriter diluride ac
copiose in tantorum uirotum confriTu difputauit t mcminil Te ualui.ln
quibus cum abunde Laurentio fatilTadum efletxfol^ ia me*
ridiemalccndi(ret:nos omnes ita adbottante Mariotto hofpite libeta Mimo
to» Kzimusiillumf fecuti ad tefidenda corpora difi:ellimus. L.
CAMALDVLENSLVM DISPVTATIONVM AD ILLVSTREM FEDERICVM VRBINATVM PRINCIPEM IN P. VIRGILIO
MARONIS ALLEGORIAS. Um Satuissem cum fermonem illustrissime Federice
litteris mandate quem Leo BAPTISTA Albertus no sine summa oiumquia et
erunt admirarione: at(^ftu porede iis Homeris
habuiflct inqbus. VIRGILIO j fundiflimam illam fcietiam i occultatcqua
fummu bois bonum diuinitus defcribit et quU uia ad id Hcircamur mirificc
exprimit: uercbar ne in nonui 1 holum reprehcnlionem incidcrem:qui cunria
ex fui ingenii imbecillitate tnericntcs et Maronem ipfum nihil przter
fabellas:quibus ociofas auditoru au icsdcledaret cdmctum rae credant et
nos pro arbitrio nodro quz dicimus ottu uia finxilTe exifiimcnt. Qui
quidetn fi quid poctz fint: fi quam eorum origo ue tufia appareat fecum
teputentifi q magna/q uaria dodrina plurimi in eo artifii< rioflorucrint confidcTcnncogoofccnt
profedoid quod grauil Timorum PHILOSOPHORUM iudido comprobatum uidemus nullum
efie feriptorum genus : qui autmagnitudine cloquentiz.aut divinitate
iapictiz poetis pates fuerintr Qua quidem ce ARISTOTELE virum excellenti
ingenio et doctrina pofi PLATONE om nino singulari motum crediderimrut
eofdem prifds temporibus theologos poe tafi} fuine a£btmet;Et profedo fi
poesis ipsa quid sit diligentius inturamur: fad k erit nofle non cfle
illam unam ex iis artibusrquas noflri maiores quoniam reli quis
excellentiores funt libctales appcllarunnin quarum una altera ue fiqui 0 o lucrunttin
maximo funt femper pretio habiti:fed cfi res quzdam diuiniortquz universas
illas compledcns certis quibufdam nu meris aftridatcerris quibufdam
pedibus ptogrcdienstuariifi luminibus ac floribus diftinda quzcutp
homines qjotnt quaecn norint: quzeu contemplati fuerint: ea miris
figmetis exoractr atip in alias quasdam spedes traducattut cum aliud
quippii multo inferiusimul (09 humilius narrare uideantur:aut cum metas
fabellas ad ceflantium aures ob kftmdas ludere credantur:tum maxime
cxcclla quzdatfic in ipfo diuinitaris fbn tctecondita pTonunt: Quo quidem
gratilTimo errore tandem animaduerfo au ditoc non Colum in fummam rerum
cognitionem deucniat: fed mira eriam uolu ptatccz figmento pctfundatuc. Quam
quidem temdiuinam potius s humani f iii fn. cfle cu!
potius f Platoni credidcrimnilr rnim in lonr dicit pot ffm non arte yana
tradi;f<d divino furore npftras tnentesirrepne.ln co aurem qui phxdrua
infcnbitur/cum tria alia diuini furoris genera expliraflet/quaitum furoretn quc
poeticum elfe uult/huiurcemodi([ni fallor^fentcntia exprimir. Rcfeit enim
da ibcxleftibusredibusucr farcntur animi no(lri/ et cius harmonix
quxinxtema dei mente confiftitiK eius quxcxlorum motibus conficitur/illos
participes fuit fe. Verum cum deinde monalium rerum cupiditate degrauati propterca
ad ia feriora iam deuoluti corporibus incluti tint:tunc terrenis artubus
ac monbodia membris impeditos uix eos concentus qui humano artiHno
comparantur auribus padperc poflerqui et Ii a cxledi harmonia longe
abfintinihilominus quoni om ucluti fimulacra quxdam ac imagines illius
funt nos in tacitam quadam ex Icftium recordationem
inducuntiacardcntiifiroa cupiditate ad antiquam patrw am reuolandi
inflammanciut ueram ipfam muficam/cuius hxc adumbrata ima go lit pnofcamus.interim
uero quo ad pemiolcdilT mum corporis carcerem noa bis licet/bac noftra
illam imitari cdtedimus non uocum modulationibus ueluti uulgares quidi et
leviores mulici cofucueruntrquos aunu frufus demulcete posse no negauerimtquicq
aut prxterea prxihre posse no cocedor Sed grauiori quo« dam iudicio
diuinam harmonia imitati/ pfundos inrimof mentis fenfus elega ti arminc
exprimutsat divino furore concitati res frpe adeo mirabilesiadcoq fupra
humanas uires cofticutas gradi spiritu proferunt: ut cum paulo poft furoc
ille iam refedetitifeipfosadmirentVat obllupercant. Quapropter non folum
auribus adulant ifed fuaui nedarc et diuina ambrolia mentes demulcet hi igic
diuini uates funt/& faai mufarum facerdotesihi iure optimo fandti ab Ennio
ap E elbnt": his folum diuiniiuscocefl'umeft/ut carmine modo
iocude fuauiteripla entitmodo grauiter alteq; furgetitmodo uchemeti
impetu ruerirmodo in leda ti amnis morem fluetiinonunq copiofe
exundantiinonunq breuiicr atqt copref fef gredicnti quocui uelint
auditorem rapiat.quiobrcm quonia diuimor uche metior^ in iilis spiritus infurgitiab
huiufmodi ueheroeria uates appcllant. Grxa dautipfos poetasdixeruntteo
quod apud illos facere figniriut. At dices fonafle none 8C reliqui feriptores
fuo libto poetx id eft effedores iuie dici poiTunt ( poflunt illi quide.
Veru quoniam hi foii et dicedo limul et intelligedo ni reliquos oes longe
fuperant/nomen id quod oibus feriptoribus comune etie opottuitsucluti
fuum ac pprium fibi uedicauerunt. Et piedo quicuqi uates boc noie digni
fueriitiii fupra humanamuim aliqd pofle uili funticuius rei teftimoe DIO
elTe poflunt prifei illi uiri:quos poetas fuifliecoflatinam apud hebrxos
Moy fes uir bello inuidus:qui 6C xgyptios ab xthiopibus SC ab xg 3 tptiis
hebrxos lib^; rauitmdne cius ucrlibusiuerlibus enim uolume cofalplitiocm
diuinitate cofai plitiocm diuinitate coplexus cft.uir adeo prifeus/u t
cum odoginta iam natus an nos iudxos e leruitute educeretrCecrops athrnis
r aret. Nam qux ea fint qux Idumxus lob fuiscanninibus madauit:ormine ex
iis chriflianis qui paulo dudi ores babet latere puto. At hic ut ex libro
fuo coiedari licet tertia xtate poli iftael tutPcftincc nuc {>fcqr
quata qliaue fint qux catminib^^Oauid regis:q d^iiJii Si Jonumis i qux
dcutctonomiuquc Ibix catico codnent" tEgregiu dno inudu cotitinuab
dekiceps ferie r<rfiiper rctetitum: ut iion modo poete: verum exteri 9uo(^
rcriptorcs quicutK remaliguam maiorem litteris mandarent: eam ua tiis Hgmentis/uariisfigurarum
integumentis obfcurarent: putabant enim fo teii negodumdifibcilius
ccdderent: ut fi: gux rciip(i{rent: maiorcmeflent dignitatem audoritatemc^
habitura: 8C 9U1 percepiffent: guoniam non fine la^ borc at(^ induftria
id afreguerenturtea pluris elTe faduros.maiorem inde uoluptatem
percepturos fi guz ipfi tenerent minime fibi cum indodis commu
ciaclfent.Hac igitur ratione a fandis facrifi^ rebus profanos arcebant
non inuidiamoti sed ut aliquod inter follertem at mentem diferimen
appareret: cum non idem ociofusguod studiosus affeguetetur: sic enim dC
premia guz dodis debentur folis illis proponebantur exteri ut iifdem
artibus quando leKguis noD prohccrent niterentur fummopere accendebantur.
Difficultate enim inopia rei mortalium ingenia acuuntur: uindt onmia la
bor impro bus: et du ris um ens in rebus egeftas 2 Quam guiiguam
feribendi ratione grxid guoi^lccutimntfguortim et Orpheum thracem:&
atheniefem museum et thebanum Linum antiguiflimos fuiffe accepimus: Verum
Lini Mufei^ uiz uciligia eztant: Orphd autem poemata in quibus multa deui
diuinainecpau ca dererumnatura continentur 2 ad eam quam diaimus formam
confcnptitaf fe/fadle efl cognofeere 2 de reliquis uero qui deinceps doruerunt/nihil
dicam: Fabularum enim figtUenta quibus aut deorum/aut rerum naturam /aut
ea gu» ad uitam et mores pertinent obfcuriusquidem sed maxima cum
dignitate exprimunt: rem manifeffam reddunt. Qua propter cui mirum uideatur: fi
otnnisxtas:omnesnationes. Omnesguialigua ufguamdodrinacxcelluerint: poc
tasfemper maximi fecerint.Nam ut reliquos adprzfens omittamq multos q
maximos in philofophia locos Aristotele tanms uir poetarum tcflimonio cot roboranquibus
quidem nifi tatu tribuifletmunqua netpde poetis duosme^ de arte poetica
tres libros accuratiffime confaipfiflet. Quanti autem hoc bomi num genus PLATONE
fadat: ipfe in libro de re.p.fadle offendit: q uoniam n ihil uei
jbementius mentis intima penetrare/qua poefim affirma. At dicet aliquis no
ne in libro de legibus idem PLATONE poefim reiidendam ccnfctmufquam ille
hoc. Sed eam rdidenda dmonet: qux more tragico pturbatos animos
imitatur;qux uee to laudes canit deoru:patria inffituta defcribitimores
edocet: probosuiros extol ]it:iroprobos deprimit/aedpiendam iubet. Deni nonullis
in lods aliquod poe tarum genus uitupetari ab hoc philofopho inuenias.
Poesim autem ipfam qua donout diuina mex tollit quas quidem res cum
diligentius fecu reputauerint qui confilium noftrum damnantifentetiam
illos fuam immutaturos exiffimo: qui tamen si nos carpere uoluerint: potius
temeritatis arguantiquoniam ea qux fupranoftrasuires funt/aggreffi
fuerimus: qua aliquid quod Maro non uidc tit 2 nos uidif Te putent 2 Ego
autem quauis non tantum mihi arrogem: ut hu ius poetx diuinitatem fatis
pro dignitate explicare pofIim:non tamen inutile fii turum putauirH noff
ra indufiria quantulacunc ea fit/dodiores uicos ad tnaioif ra de ENEIDE
demonftranda exdtar 02 qui cum nos non omnia potuiffeintelli indigo oiK
no otn&mq ioiufta aduerfus nos induti utbca ca coi nim lutun erga
Iiuiurcemodi dodris» cupidos adtadiS errata Uoftra conS gant i ii qua
detint addant t Qua quide in re non modo emendari me xquo animo fctam: r<d
ultro iam nunc omnes qui hoc polTunt ut id faciant uebemc ter oro. dam m
maxi me propriu m hominis p utem» 8t quod jpfe. uiderit U> ter aliis
oftendet er et qu od ne^t fiudipie adijj^ercum in hoc fibi Ipii in il lo
reliquis profuturus iitu o 6c uitam inftitui s ut fic quicquid in me efi
iiberalif fime effundamtfl Canullo mortalium quz mihi delint/fumere
dedigner:ad que autem nofha hrc potius qualiacun<p imt fcribamiquam ad
te iUui^ime Fcde tice:qui et Maronis pra; terca KeTos et udiofiirimusrem perfuetist
et cum reliqui iulue principes in eo omnem indufiriam ponannut quamaximos
fibi tbc£uitos comparent i auri^ at^ argenti aceruus magis magifi^ indies
aefcatitu maxu mam tuarum opum partem in mularum et eorum qui mulas
colunt omsmen ta liberalissime effuns: ut iam quemadmodum Homericus ille
Agamenon coniidebat/fi decem aliifibi Nefimesadeircntiforeut breui Troiam
apturus eflett fienospro comperto habeamus fi Itali populi non diam decem
ut iliet fcd duos przteta Federicos haberent t brevi futurum ut universa ITALIA
alterz Athenz futun fitr feddeczteris alio locoi Non enim in hunc
fermonem hoc tempore uemmus t ut quequam arpamus t fcd ut te fic dc
litteratis hominibus meritum quamaiimispof Tumus laudibus profequamuri
qui quauisfolus ex omnibus qui in imperio confiituti funt has parta
tuearis : amen iu late patet tua in oes litteratos liberalitas. Ut non
pauciora ez a fiC poetae BC ontorat et om niuffl rerum feriptora
prouenturi fintsqua ii fuerint t quos olim Nicolaus lUe quintus pontifex
mazimus:quem omnes uidimus fuis pulcherrimis muneris bus/ac maximis
pretniisprouoauittqui quidem tuo beneficioad ftudia czdta ti:8t fibi
gloriam fua dodrina fua eloquentia ucndiabunt.6: te ulem roufape E
atronu etiam tuc cum multorum principum qui et nuc uiuunt/& olim regna«
ut fama fepulta iacebit in xtema femper^ recenti memoria uiuum
retinebut. Veru haec quoniam omni luce clariora fu Dt; longiusprofequenda
non cenfeot Praefertim cu ipfa iam ra postuletaut diuinum dodimmi uiti
Baptiftz Termone ego quantum memoria repetere poteto Tuo ordine
referam.Ille enim cum bci> ne mane ad confuctum locum ueniflemus : 8i
min audiendi cupiditate inflam mati ab eius ore Tummo cum filentio penderemus
huiufccmodi principio dil/ putationem exorfus cfi|£)um eius poctz mentem
tibi Laurenti aperiri cupias r qui uel ex omnibus re^onibusaquarum babiatorcshifioriacognofant
suci cxotnnibus lzculis squkadnofhamur memoriam acriptorum beneficio
per uenerintsfi non primus primo tamen par aequalif (^ exifiatsno poflfum
meo oea tionbingreflu tantzrei magnitudine non penitus pctturbaii. Ncmo
modome diocri fit dodrina imbutus hunc uirn ui ac copia dicendi ipfnn ut
ita loquar eloquentia fuperare unquam dubitauit.Nam cumtraindidionefiue
figurae rrnt sive charaderasin quotum uno fiquis excelluerit maximam fit
glot L - am adeptus. Quis non uidetnon folum in lingulis fuis uoluminibus
fiivmlos adimplet Verum paucis liepe uctfibtis ita omnacofudific aepennL:
fcuific/ut miro quodam temperamento u clotifidiucifcuoc Bcoocctu Mluaf^ t«a Z iotl dk\ M aia uFdi £ IIBD mu
DCMI mat vtik lia cnlK lioilfl olis a tpai KSoa 10
ik lOa B oulip icbui> nft» none flbfr
qSiQ 011 ipiB’ bSlfimu cottfiaabt incredibilefli auribus voluptate
pariat. Ex quatuor aut riie& di generibus ita opus contcxitiut ne ocio
copiame negocio brevitas defit. Vi dcbis quxdarua sic dtatc at<j
ariditate placerctquzdamuetoueluri flofculis ib lufhau at diftint Sa
deledare.Sunt deni^ eunda eo attifido confirudaiut un# deoiaadoe
elocutionis genus exempla potius qbincrumas/fcriptum DulIum invenias. Adde
ad haec cognitionem hifioriatai Adde quadili gentissimus and» quitaristt
oonmodonofliaturctuifed &grzcaru &omm nationu inuelliga#
torcxriterittqptil conjmuaborumobretuatiinmus fueritiq elegata quxdain
Boua ex fe fotmaucritiqua f pric omniu uim tenuerit. Prxterco ius duile:
omit loiuspontiridu nihil dicodeiurcauguratqus; oiaita tenuitaitnonab
aliis accepilTeifed ipfc conftituiOie uideatue. Hzc igitur et cotum limilia fi
a me tibi ex« pheanda pctaestac ut fifiguk» in eo poeta locos diligeorius
apetiiem contende tes: 8C operofum fimul et difiidle mihi negociu
imponetes. Quis enim illa pub chetrima cxcdlentiiliinaf/ac fummo artifido
tccondita non ludicct: fed funt ta nicri a multis iifdcm^ dodisuitis
patefada. Quod aute petis id et multo diviiuuscftt Kmagisinobrcuro UtetiKanullo
quod ego quide rdam/badenus fua ferie patcfadum.quod ne gtimaricus nc
tbetot nouerit.fed fi ex intimis FILOSOFI arcanis eruendum. Vis enim
nolTe quid per fua illa enigmata de Ae ncaectrotibusidc dus hominis in
italia profei^one fibi Maro uoluerit.Q^ua qua (untnonulli/qui di ea quae
paulo ante dicebam promaximb admirentutt at^ in ipfis fuma abfolutam^
poetx laudem contineri putent: nihil maius in eo uate fuicent. Quos tamen
fi roges quid fibi in ea te VIRGILIO perficere uolue riti Hometumimitandu
fibi propofum eafibtmabut: Addent^ ne^ ingeniu ne dodrinamtquo minus id
pilare pofTet fibi defuifreiQ^uod nobis cu dederint fuccubat penitus
necefle efl. Habemus enim ^ut gramaiicope iiinita pene tutba omitta multoseofde
grauifTimos PHILOSOPHOS tqu i Homerii ocm zgypriopi dodrina
haufilTctca^ more illote uariis hgmetis adubraffe cotcdat. Qua in fen
tcnria nili ARISTOTELE fuiiret nunqua homeriaru ambiguitatii libros fex scripfif
fet. Na quid Balilius Bi dodrinz magnitudie/K mo^ fanditate magnus coo
minatus de homine fentianfacileefi iudicare:qui tota Homeri pocfim laude/
uittutis continete dixit /fccutus ut puto Anaxagoram Claxomeniiitqui
quidem idem de hoc poeta a Sirmauit t Arcbefiias ucto mediz academiz
inudor tra OMERO tribuitiut nunqua fe iniedu tecepcritiquin prius aliquid ex eo
legerit: Sed et inlucem le ad amauum ite dicebatiquo hin dus legendi
maior copia daretur, yctum quid reliquos nunc colligamtcum unius PLATONE
testimonio nihil fit, quod probari non polTitlls igitur in eo uolumine
quod de summo bono scripsit omnes artes huc diuinz fiue humanz illz fint in
unum Homeri poema uciuti r in proprium receptaculum confluxifle afHrmat.
Quamobrem animaduettens Mato dodrinam huius hominis ex egyptiorum sacerdotum
fontibus bauftam fimillimamcum Platonicist quorum Qud iofifTimus fuit rauonem
babere eam uTadeo admiratus dl:ut idem in fuo ENEA efficere uolucrit :
quod ille antea in Vlyxc finxerat^ Q_uaproptet pulcherrimis poeticif:^
figmentis eum nobis unw i^oiinai qui pluri, a^ aux^nis u itiis pauwim
expiatusue dckeps 'ir»v I f •*/ .«MI inr ;
iRft. mitis uiituHbiu Illuftratus id quod fummahotmnibdliaeStquoiI^
tufi et pl ip6t/ tatnnlal^ equnec^ VcTdcu illud mrera
diuinanunfpcca msnullusafTequii latione conlidcre a PLATONE
didioirctylimul SC illud didicit co antbt minime perueniripofle/q animi
nofhiuirtutibns illissquz deuiu K moribus funtex piati penitus reddantur.
Cum SOCRATE i pfe puru impuioiittiogetc fas c$/cfle neget. Quapropcet non
folumflnes bonoru nobis miririceezpreiritt Verum etiam qua uia qua ue
ratione eo cuadere tandem homini liceat demonftrauitt Ne qua pars eius
philofophia; qui gtxd ethicen/nos de vita et moribus nomp namus: prxtermitteretur:in
ea enim nos nihil aliud quammus nili primum bo notum malorum^
iincstdeindeof Scia quibusueluti uia quadam ad eosdem ducamur. Laboriofum
omnino negodum/at^ omni difficultate plcnum: divinum tamen et quo uno foelix
limul atip fapiens homo effidaturtdeo^ iungaf Soli enim fapienti fas eft
ufi adeo deo c6iungi:ut nihil quod feparcr/intercink ce poflit. Deus enim
ueritas eft .Q^uis aut nefdat qui uerum mente non pettin gat/eum
lapientem efle minime poiTet^os autem cum quatuor lint qu 2 in feru
ptoris mente aperienda inue(tigemus in rem nolfram futurum puto: ut
certos ia terminos drcufaibamus: quos in poeta interpretando egredi non
liceat. ES igitur cum id quod geffum Iit quxrimus: quam
hilforiamappelbnt/ut cum le gimus apud Matonem haud ptocul inde dtx Meda
indiue^ qoadrigxdiSa lerant.C^uxrimus itidem non quid geSum litifed qua
ratione geSum nt:ut eS illud At tu didis albanemanetes. Nam eoloco
dcmonfhat propter eadifcerptu a quadrigis elTcalbanorum regem /quoniam
illein fide non manlilTet.hic gta&« dethimologiam dictuit. Quxrimus
et tertio in loco an ea qux dicantur pu^ gnantia inter fe lintr Alibi
enim didt ChriSus patrem fe maiorem efle:alibi ego &pater Idem fumus.
Quapropter cum ita interpteumur/ bxc ut minime intec fediiridereo ()endamus.
Analogiam sequimur. Interpretamur postremo aliquod per allegoriam quod
tunc sit cum non qux uaba SIGNIFICANT INTELLIGIMUS sed quiddam ALIUD SUB
FIGURA OBSCURATUM. Scribunt poetx Amphionis lyra motos m lapides ut fua
fponte in thebanorum moenium flruduram coirettper quod figmentu quid
aliud intelligimus:nili fapientillimi viri eloquentia esse dum eifer ut BOEZIO
populi qui hadenus ad omne rone ueluti lapides Supidi: K aduetfus oem
humanitate durilfimi czi(ferent:e fyluis ac luflris in duitatem
uenirentrac poSremo legibus qux ad comunem ufum latx cfTennultro fefe
rubiicerct. Nos igitur reliqua tria genera hoc tempore omittemus:at(^ in
ipfa fola allegoria uet fabimur:ut quid per Troia(n: quidpCTxneam:quid
per ITALIA reliqua^ huiu& modifibiuelituideamus. froixigit"
oritur ENEA rperquautberedeut puo to prima bois asutem intelligemus.in
qua cu ro adhuc ois cofopita (lufolus fen fusregnat: At ipli
mottales/quia ea xtate fapientia ne furpicaot' quide ea fola fibi
proponut qux philofophi prima naturx appellat. Ni cu oe aial (ibi a
natura comendatu (it:in primis feipfum diligit:deinde o^s corporis partes
ita integras: ualidafip hne cupit ut ufui (imul fit pulchritudini fibi
(int: maxime autem uohi ptatibus demulcetur flc quauis animum fefimul
corpur^efTe intelligattat Utru faluum
efb cupiautamen in iis qux in animo apetenda funt/ quoniam BOO dbm plane ilhcog Oolat minus
laboratsea autem quz corpori corporeilm uoiuptanBus conducunt/anxie
expetit. Sunt enimflbi abipfoortu iamnotissima. QuaptopteiT cum in hac
zutcnaturxui potius trahamur/g nofharum adionum domini efTeualeamusmel
minimum uc omnino nullum uirtuduw do^ locum relinguamus:cum que agimus
eanccuoiuntariaflnt: neccum de ledu aliquo fiant. Ita in puero virtutem
e(1'e nemo dicet. Verum ubi iam pro gtcflu ztatis rationis lumine aliquo
illufirari indpit mens noftra s tum demum tanm in nobis conlilii
apparet:uta prauisreda difcerncrcualeamus. Eft enim iam ad illud PITAGORICA
litterxbiuium pcrucntum/fic iatnuitzne Tciuseiton utcil apud P um. Deduxit
trepidas ramofa in compita mentes. Vnde cum di fceflciimus nccefle efitut
uel reda pergamus : uel in finifira deiledamus . Nam quz deinceps
agimus/quoniam ceru quadi ratione agimus/fi reda fuerint uit tutitfin
contra uitioadlcribuntur. Troiz igitur 8t Aeneas limul fit Parisa/un tur.
Verum alter quoniam Venerem Paladi ideft uirtuti f uoluptatem ante« poni
neceife efitut una cum Troia pereat. Alter autem ducematie Venere fe ab
omni incendio explicat. Quod quid aliud intelligamus/nifi cos/ qui magno amore
inflammati ad uen cognitionem impclluntur omnia facile confer qui pofle.
Qua propter Venerem diuinum amorem rede interpretabimur. Sed tu LAVRENTl
ncfdo quid iam diu uclle dicere uiderisiCupio quidem inquit LAVRENTIVS t
Ni uerear perpetuum tux disputationis filum intec nimpae.lmmo potius iflo
modo inquit BAPTISTA: Nam cum uniuerfus hiefermo non ad oflentandum
ingenium neq; ad gloriam comparandam a nobis infticutus fit : fed ut
honeflifiimx- uoluntati tux obtemperem: fit fi quid in me dodrinx efi/id
libenter cfiFundam : interroga : inter peilaiobiice: confuta pro arbitrio
tuo.Hac enim uia id quod quxrimus verum dilucidius apparebit. Vtar quod mihi
permittis arbitrio inquit LAVRENTIVS utrum id non tui confutandi sed mei
erudiendi caula . Miror igitur cur tu Venerem amorem interpreteris eum
prafertim amorem : qui non modo cadus verum etiam divinus fit. Ego enim Venerem
non folum apud poetas : fed etiam apud reliquos feriptoresita fumptam uideo:
ut per eam nonnifi maris foeminz^ coniundionem fignificarc uelinr.hinc
illud Terentianum, e Cerere fit Bac chouenaemfrigefceretEt ipfc in
bucolicis: Parta mez uenerifunt munera. Quapropter fi uenerem pro huiufce
modi'coniundioneponas:quxbadenua dixidi/ea omnia inter fe pugnate
uidebuntur . Sed eft fit aliud qu^ nifi tu mi< ili petfpicuum reddas
ego minime explicare ualeam. Qui enim fit ut cum duo fintuiri Aeneas at^
Paris: Alter quoniam Palladi Venerem prxponattnecefle fit ut una cum
Troia pereat : Alter ueto quoniam prxeipienti Veneri obtempe reriomne
periculum incolumis cuadat. Ego enim non uideo cur fi bona fit Ve nus
Paridi noccat:fi mala prqfit ENEA. Qux quidem dum cogito/in eorum potius
Icntenciam labor:qui rem omnem ad eam flellam qux hoc nomine ap
pellet'':flt ad ipfam bidoria referut: Putat enim qd* te no fugit/qua hora a
Troia ITALIA versus jificifcerct Aeneas:librz fignu qd* domiciliu ucnetis
6ad nfm hoc hcaifpcpu afiacdifli^lpfam Y^ete in medio czlo loui fuide
roniundam. Quibus oibus poftendebat" foelidtas illi tegtia^ per
muliere peruentufoioJo' uem enim regnU ptzeflc non ra odo OMERO
SIGNIFICAT qui reges ; id enim eS a loue nutritos rcribit. Sed et mathematici
ide ditant. Salutareenini omnino Itduse Qsquonia inter Saturni frigus K
Marcis ardorem colloatu opti moeemperamento Iit: 8i propterea eundis
euentibus profpcrum. Nam cum ui tam noftram praxipue sol et luna
gubernet: iccirco lupitet omnium nobis fa luberrimus eihquia foli per
omnes numeros/iunzautem per plurimos coniuo dus eft. Refecunr etiam in
initio mundanzfabricziouem in ariete dotniciiio tuncafcendcnte fui/Te.
Volunt illum inducere leges/caliicatem/mirericordiam in egenos K
calamitate opprelTos. Veridicos homines fadt/& vere amicos fine
fraude fine dolo: Saturni fzuitiam frangit fiCquzcun^ ille mala
infert:hicaut tollit aut minuit. Quapropterfcite Petii us Satutnumip
grauem nolito loue frihgimu s una: Oeni^ fi in alicuius ortu fe bene
habeaticum ille hominem for tunatumreddit.bfinimehzc dilpliccnt inquit
BAPTISTA. Sunt enim ex 15 ma dodtina eruta: 8C hifioriz uehementer
accommodata. Verum cum omnis nofira difputatio nullam hilloriz ratione
habeat i Sed eam qui totiens gtzco uabo allegoriam nomino/exprimete
conetut/non uideo cur ea qua adhibui in terpretatio iure amitti non
pofiit : Si enim iis omilTis quz de ENEA deqj cztctis troianis prifei
faiptores tradidere/pro arbitrio licuifiet poetz non modo finge te:fed SL
peruertere et addere et fubtrahere.Si deni^ nulla hifioriz ratione liabi
ta id folum tentaret quo pado per ENEA cum nobis uirum informaret: qui ta
dem fapiens beatufqj citet futurus/nonueneremfortafiefed cupidinem aliud
ue numen pofuiflet. Sed cum ita poeticum figmentum profequi inSituifiet:
ut tamen ab hilloria non difccderet:cum Aenez matrem fuilTe et exilii
ducem naviganti filio fc przQitilTe Vennem Icgil Tenfuit cx iis quz aderant res
perficiedat non autem nomina fingenda. Hoc enim plus negocii poetz cll
qua reliquis qui alio figmento rem obfcurateuolunc. Illi enim ab omni
hiftoria foluti pro arbitrio ea cominifcuntunquz magis rei fuzjpromendz
quadrent. Quodut ! )lanius teneas/unum de multis excmplicaula proponendum
cenfeo. Placuitil I primo huius fabulz audori ollendcrc quz in tempore ex
materia gignuntur: ea omnia in interitum cadae quatuor dutaxat clementis
exceptis: quz principia (unt oibus rebus generadis Duos igitut comentus
ell deos Saturnii at Opima et illum temporis fjmbolu obtinere uoluittquod
gtzcu nomen indicat. Chronos enim qui Saturnus ell ab eo fubtrada harpitatioe
deducifrquem ipfi chro non appellant. At quis ntfdat tempus grzce chronon
dici. Per Saturnum igitut teropus: per Opim fiuerhcamterram intelligit.
Addit deinde Saturnu pmnes quos de thearufccpilTct filios uoralTe prztcr
loue lunonc Neptunnu Plutonem. Qua fabula exprimit omnia quz ex materia funt
prartctipla quatuoc elementa tempore conteri: at in interitum deduci.
Quorfum igitur hzc ne reliquum fabulz profequar : nempe utintelligas
licuilTe huic homini pro arbitrio quzeum^ uolebat fingere: ut quod de
rerum procreatione sentiebat: commode exprimeret : cum nihil aliud prztcr
phyfices particulam fibi propofuiflc. Maroni autcih longe alia rado cfi:
qui cum ENEA res io laudem' I II Litxr tertius AngulH ezoritatidas t
ft librum iprum omnibus poeddsluminibasitluftrandum fibi fumpfiflet t non
iis qux ipfe uio ingenio digeret t (ed iis quz hiftoria porrigit banc
fuprcmam ingemi fui laudem comparat . Mirus profedo uir qui non ex op
tads fed ex datis ha opus intexat : ut cum hiftonam minime deferat :pet eam
rame illaedibili integumento humanam fcelicitatem exprimatiHabcs^ut
opinor^qua ratione uenaem pro diuino amore ponae coadus iit. Quod ita
tamen rede pro cedit < ut ni£ ab iniquis reprehendi non poiTit.
Videmus enim Platonem in eo fa mone quem phatdtum nominat :
Aphr^iten/quaic nos uenaem nuncupamus: oqn lafouololum sed et diuino
amori ptaxiTci Verum quam uenerem piatonie cua poeta Aenez matrem eife
uoluerit : faale intelligemus ii quzdam paulo altu uscx ipso PLATONE
repetamus. PauCmiasigiturin fympofio duas ueneres comme morat/aketam
czlcfiem vulgarem alraam . prinum autem czio natam refert: cui nulla
mater iit. Quod cum lingit eam intelligentiam iignihcat/quz in angeli me
te poiita amore ingenito ad dei pulchntudinem intelligendam rapirur/quam
quo numprocula bomnifflaterizcon fortiolitiinc matre prodiidam dicit.
Secudam uao uenaem mundi animz tribuitiita ut patre loue : matre uero
Dione eam na» tam feribat. Manat enim ab ea ui quz in anima mundi eft :
et uim creat quz infe« hora bzc omnia gignat et mundi fyluam fubeat: Vtra
igitur fibi ingenito amo ce rapitur czlefiia ilU ad dei pulchritudinem
intuendam : hzc uao ut eandem pul chritudinem e fylua conforma. Sed hzc
parum ad rem. Animus autem noda cum&ip Ge similes quafdamuires habeat
inteliigendi at y gignendi duas itidem ueiiera habaedicitur/quas gemini
comitentur cupidines. Cum enim corporea puichnmdo oculis nodtis
obiicitucrmcns noftra^quz piima uenus eft}eam non quia corporea litillcd
quia limulaaum divini decori admiratunar diligitiea quz ueluu uia quadam
ad czlos effenur: Gignendi aurem uis: quz fecunda uenus ell formam gignae
huic limilem concupifcir uapropter uterqi amor iure dicitur utaltcr
contemplandz altergignendz pulchficudinis defidcrium fit. Nemo igU tur
nifi totius rationis expas fit duos iflos amores damnare audebit t cum
uta qj humanz naturz neceflariusfit: Nerp enim diu efremortalium genus
finefo bolis propagatione t neij ruifus beneefte fmcueri inuefligatione
potait. Prza ttantiuri igimr illa ucnae duce in italiam perucnire potuit
zneasi Ac dices cui hzc fecunda fi bonacfl paridi nocuit: quia illa male
ufuscfl. Vir enimgignen di autdior quam reda ratio didatfitin ea re plus
quam oportet occupatus /in Ibiis corporas uoluputibus meretur. Quo fit ut
6i primam quz ad fummutn bonum dudt omninn deferat : et fecunda pcffime
abutatur : proptaearp in om nes animi petturbanones incidat: ueritater^
defpctata mifaq^ efifedusin omne indignitatem dcfccndat Efi ut dixi
diuious amor fi Platoni credimus dcfideti« um redeundi a corporea
pulchritudine ad diuinam contemplandam: Non ta uencum diuinam defidetamus eam
quz oculis pcrcipitur/contemnimus.Nam qui aliquid appetit hunc illius
quom rei : quam appetit imagine delcdari ne« ceffe cfi. Verum funt quidam
ita hebeti ingenio: ut mentem a fcnfibus nullo modo feuocate poffint: hi
ueiam pulchritudinem non norunt. Huiufccmodi igitui amot adultctinus cfl
/ et a uao degenoans: quem lafduia ac pcocadtas frtnpff
cotnit3tnr:quem diffiniunt cupidinem eius uoluptatist que e cotpdo rea
Forma percipitur rrede qux dicunt cum ardorem animi in fuo cotporetnot
tui in alieno uiuenns i quod fecums poeta quidam dixit J, I Plato ucio ait
illum natum ab humanis morbis follicitudineqi plenum . At quis non uideat
illum nerp confilium in fe nc modum ullum habere. InefTci^ in
coiniurias/furpi# dones/ ac reliquas illas omnes peftes : quas fidelis
Feruus Terentiano phzdtix prudenter oftcndit. Habes(urputn^dupliccm
amorem verum illum fidiuino: de quo paulo ante dicebam /& hunc falfum
et adulterinum: et qui uetoamo ri talis fit qualem aut amico adulatorem:
aut medico coquum efifeuidemus: cui quidem cum fe totum dedidiffet Paris
uiia cum Troia periit. ENEA autem cz lelii illo duce paulatim ex troiano
incendio ideftex corporearum uoluputum ardore fe expediens li non reda
nauigatione id enim humanz condidoni : aut nunquam aut raro conceditur:
ut eodem rempore licfiulcitiam exuat. &rapiens efficiatur: tamen poft
multos errores in luliamad ueram fapieutiam pcrucnit. Quam quidem
nauigationem cumfudorislabonfi^ plcniliima fit/nemouna quam nili
fummoillius amore inccnfus difficultatem omnem perferre paratus fit
penitus perficiet. Amor enim uerus/ut apud eundem Platonem offendit
Eriximachi oratio omnium naturalium rerum creator effat feruator : eo emn
fimilia omnia ad eaquz fibi fimilia funt perhenni concordia
ttahuntur.Effitt dem omnium maximorum artium magiffer. Nemo enim aut
artem inuenitiaut ab alio inurntam addifcit : nili inueftigationis
obiedatio/K difeendi cupido ia dtet uam quidem rem fi non apette offendit
: obfcudus tamen ut poeta rummos efl SIGNIFICAT noffer VIRGILIO. Cum enim
in georgicis fe uen cognidonem reliquis rebus prxponere dicat difficultatem
ipfamfumma amoris ui fu peraturum his ueibis demonffrat. Me uero pnmum
dulces ante omnia mulas Quarum sacra fero ingenti pnculfus amore
Accipiant . Ingenti ergoamotela« boies fummos:quiin factis mufarum/ id
eff in rerum cognitione fubeuodi funt fe laturum affirmat |0 uinus enim
amor/nii aliud meditatur: nil molicurmui Ia alia in re laborat t nihil
tentat: nihil nititur /nili utiam corporex pulcbritudinis afpedu concitus
addiuinam nos pulchritudinem rapiat. Dum enim cor/ porcis tenebris
demetfi funt animi noffti diuin i non recognofeunt : nifi umbris et simulacris
quibuf damtqux fefenoffris lentibus obiidunt . Q^uam quidem rem non folum
exprefferunt prifei ex grzcia pbilofophi : in quibus Pythagoram EMPEDOCLE DI
GIRGENTI Heraclitum sed longe ante alios Platonem enumerare poC fiim tSed
Bi chrifhani ab eadem fententia minime difcedunt: Nam et Paulus et qui
Pauli auditor fuit Dionysius areopagita cxleffuac diuina : qux in fetu
fus non cadunt/pet ea qux fenfibus percipiuntur /cerni uolunt. Inxc eff
igu tur illa uera uenus: qux mentem noffram ad diuina erigit: qua matre
quisoc Idat natum xneam nomen abeo quod effxneos id eff a laude dedudum. Vb
rum enim ad omnia magna dCexccIfa natum: quis non fummis laudibus proe
fequaturf Verum &ipfea uolunrate delinitusdrca Troiz defenfionem
laborat Xioiamco impdiuatuturztin quibus, voluptates corpotex plurimum
uigent/ Liba totius intoprctari licet : prima enim
>tate’cum ipfa ratio non dum fe exdtare : ft fuas ui CCS EXPLICARE poflit
/ etiam qui magni at^ admirandi uiri futuri funt uoluptate de mulcentur:
prima naturas ueluri fumma admirantur: di quoniam diuina qux fint nem
nouaunt : beatiflimam eam uitam putant: per quam uoluptate frui lice at *
Hi igitur quid fummurn bemum rit: nondum compei tum habent: Veni cum
illius acquirendi fummo ardore inflammentunpaulatim bxc omnia qux dixi
pri ma tiaturx aduca momentaneai efle animaduertunt. Habet enim hanc irim
ue tus amor : ut paulo ante dixi
ut mentem ucbementn exacuat : magifterep illi re cum inuenieodarum
paulatim fit t ut nibil eam latae poflit. Qua propta egre ei llud qi
£Ulete poifit atuanton : Deinde cum nihil dfficik puta / modo re amata
potiatur : omnes labores tolaat: omnes difficultates fupetat . Hxc eff uenus
illa non uulgaris ; qux materix admixta utm haba gnendi/fed illa cxicflis
ab omtii materia remota : qux a mente noflra eft : ipfamq; mentem excitat;&
Iu* cem illi liiam nobis badenus incognita in node id enim efl in nofita
infritia oflen dit t fc^ deam &taurfeenim indicans fua diuinitatem
demonftrat: admonet non peme feruari Troiam id eft originem corporis qux
necefle eft ut pneat . Hxc eadem oftendit uoluptates cotporeas non Tolum
ab ipa lacena id eft a feipfts/ut in beftema difputatione diximus
cotrumpi: sed ab lunone a Pallade at a exteris di is: Nam deos Troiam
populati quis ignoret f Divina enim omnia uoluptatibus aduafantuc. Sed in
primis Pallas . Hxc enim sapientix symbolum obtinet. Sapientia autem non folum
uoluptates contemnit: verum eriam (fummopae exhore ret. eft quod de
lunone quifquam dubita : qux quamuis regnomm dea ha be Oiiriproptaca in
hxc caduca ac mottalia magis ptopenfa uideatur: tamen cumlidmmes
imperandi aipiditate nullum labotem pafetre recufent t omnibus
uoluptatibus bellum indiaint: modo eo perueniant unde poflint reliquis
impe* ritare: Deos autem minime uida ENEA dum pronoluptate pugnat .
Nubium cni Biteilebtis cnnnis ei ptorpedus eripitur . Sunt enim animi
noftri ita a deo aea diutfuapte natura facile omnem utritatem confequantur.
Sed a materia corpo* ea quam philofopfaifyluam appellant: omnia nobis mala
proueniunt.llla enim tardat heb^t at^ pemirbat mentes noftras:: at tenebris
obfcutat. Sioiim ex in fritia omnia uitia ptoueniunt: Quaproptcr et Chty
lippus et reliqui ftoici perturintiones omnes a fallis opinionibus oriri dicunt
:(^uodtamai longe ante feoferat MERCURIO ille: quem grxciob ingenii
diuinitatem Trimaxinnimappeihnt. Siigitur omnia uitia ex infritia ptoueniunt.
Infrit ia autem ex corpotea calu ginecft/ut PLATONE putat /erunt omnia
uitia a corpore. Quam caufam prxeipu* am fuH&idixerini / ut is quem
paulo ante nominaui Meteutius fyluam malignita temappella: fedderylua commodiordifputandi
locuspaulopoft dabitur. Pugnat igitur xneas pro uita uoluptuofa: illat demerfus
deos uidae nequit. Verum cuminhuiufcemodi miferia non delit amor neri
inueftigandi valet ipfe amot mentem excitare: ut feco Uigens tenebras
difaitiat:flt uideat quibus numinibus Trcria cuertatur. Ducetp eodem
amore pa medias flammas at^ hoftes ita tutum anipit. Et profedo uolenti
ad tes arduas profleifri / hinc mira quxdam'uoluptatum : qux defoendx funt
cupiditas ucluti flamma quxdam illinc laborum difiS* cultatutntp terror / qui
aduerfus honeftatem afliduo pugnet fefe opponfit. Quz omnia ducente
Venere Araex cedunt. Nam niii amor abfit : netp ram blandas oo
luptatescontcmnere>ne<^ tam duras difficultates fuperare pofTemus. Venit igu tur domum ut
familiam omnem componat : at^ inde ex urbe proficifatur. Ridit enim in fe ipfum
animus t omnef^ fuas uires : at<p uirtutcs gux uariz funnad
profcAionem / id enim eif ad ueri cognitionem quam Troix nunquam afTeque^
retur: fuo ordine componit omnia^ (ibi ex uoto fuccederent: (1 pater filium
fe qui uelit.Verum negat ANCHISE fe ex Troia difcefTurum» Hoc ueroquid
(ibi ue lit : (i me roges ego (ic puto. ENEA huiufcemodi parentibus natus
efi: ut Venus dea: ANCHISE mortalis (it : homo enim ex animo qui
immortalis diuinufip eftiK ex corporemortali Kcito in interitum
cafuroconftactMmsigitur originem fuam femperfufpicit: ad eamcp redire
cupiens Troiam auidiflime dcferit . Senfus au« tcm qui a corpore funt
corporea incorporeis pratponunt . Hinc igitur alTiduum atrox<^
certamen illud exoritur rpiritusaduerfus carnem ut noftti dicunt t cum
mens totum hominem ad diuina trahae conetur t BC fenfus in potefiatem
tedige« re 8 C fibi obtemperantes reddere cupiat . Contra uao fenfus
feculcnto elementa rum potu ebrii / 8 C lahea obliuione grauati nihil
nili caducum et tenenum cupi» unr ANCHISE igitur id efi tenenus pata i 8
i ea qux a chrilHanis uabo parum tri» tofcnfualitas appellatur 2 Troiam
fedeferturum negat .Mauult enim perire fen» fus / quam uoluptate priuari.
Mox tamen cum filium omnemq; domum t id eft totum hominem periturum
audiat 2 cump cxleftibus monihis meliora moneatur 2 mutat fententiam/ab ENEA^
fublatus exportatur : molliltitna enim bxc at« ^ eneruata animi pars ad
fummum bonum nunquam fat t fed i pfa potius inficr» tur . Hxc de ancbife
j ENEA autem cum iam incendii 2 armorumcp pericula eua» ftlVct ; atep
incolumis urbem e(Tct egrelTus : ingentem comitum afduxilfc nouo# rum
inuenit ad miransnumaumtqui quidem undi^ conuenerant animis opi» buf^
parati in quafcunt^ uriit pelago deducere tereas.t et rede quidem. Nani
ca tandcmcferuitio incendioi uoluptatum fumus liberatit e(f<^ iam
animus redi uaiqtinueniendiauidus/tum plunmx animorum uires 2 quxhadenus
ignauia torprbant :ucbementa excitantur2 8 C bene in(fitutammentcra
quocunt uocae uerit / fequuntur. Quo quidem tempore ne a redo itinere
omnino aberraret xneas / Iam iugis fummx Turgebat luciret idx t Ducebattp
diem . Eff enim ludBtr uenerisfydust quodurfolem lunamip omittam 2 omnium
quinque fteliarum quas nolfri aratiles grxei planctas uocitantt
lucidiflimumlitizodiacum autem odo ac quadraginta diebus fupra trecentos
perficit / nunquam a fole longius fex et quadraginta unius (igni partibus
difcedens . Verum/quoniam modo pcxcedit/ modo TubTequitur 2 folem non
eandem (lellam fed duas eife prifei crcdidcrunttpti mum autem Pytbagoram
extitiffe ferunt :qui in eo apud grxeos unum depreben derit .Cum igitur
folem prxuenit lucifer dicitur : uefperus autem cum fubfequi» tur . Rede
autem lucifer prxuius foli eff . Stella enim uennis/is enim amor efi ue
ri inueniendi / ei exoritur 2 qui iam uiram uoluptari obnoxiam deferir 2 dudt^
di em 2 nam rationem excitat talis amor / cuius luce illuSrati uetum
noffe ualeamus. Apparet autem a
idamonu id eft a pulchritudine.Idos eoimapudgntos formam figaificat. Amor
autem apud Platonem pulchittudioisdefideri um diffii S, Quapropter
in ipfo pudor nos a turpibus auoc^: cupiditas ucro czcellen quztj boneiia
rapit . Fertur igitur ENEA duce m are exui in alt
um incertus quo fata ferant ubi iiftae detur. Quz omnia non fine fumma
fapientia a poeta ponuntur: facile enim cognofeit Troiam relinquendam :
et fummi boni princi' panun uoluptati minime esse tradendum. In qua autem
re fummum bonum coii tiatnondum cognofcit.lureigitur exui appellatur. Nam
ab eoquod habuit cie dus eft : ne^ dum id quod ucluti proprium poflideat
inuenit . Mari autem fermt quia animi nofiri quocun^ moucantw nulla alia
re niii appetitu mouentur : qui quam fimilis mari iit paulo poft aperiam
ii pauca prius de appetitu dixeto^ft igi^ tur fenfus et uis quzdam in
animis nofiris t quam cogitandi nominant : cui bono tum malorum iudicium
a natura demandatum efi, Non nunquam autem ita iudicat buiufcemodi uis :
ut nihil prarter fenfus refpiciens : 8L ueluti illorum illc« cebris
attrada et uoiuptatis oblato ptzmio corrupta quod pecudis bonum eft i{v
fa hominis bonum decernat. Si autem eadem cogitandi uis falutari rationis
lumi ne illuftretur et eius norma dirigatur : non id bonum eife iudicat /
quo fenfus de mulcentur ; fed quod reda didat ratio: quod uemm (implexi^
bonum cui iit ne« ^interire ne^ corrumpi pofiit. Cum igitur huiufcemodi
uis bcx bonum illud ucro malum elfedeacuerit excitatur in nobis alia
quzdam uis quz ad bonum afei Icendum / malum^ declinandum infurgat .
Huncautem appetitum omnes ap« pellant . Sed &, eum duplicem efle
oportetialtrtum qui ab eo iudicio quod folus fenlus fcdt femper pendeat :
nibil^ cum ratione expetat: alterum qui nihil omni no sequitur t niii
quod ratio prius pra^epent : primum illum libidinem : hunc fe eundum
uoluptatem nuncupamus. uaptopter erit appetitus quo animi honii num ad
bonum afdicendum maium declinandum
moucantur redus quU demiiaratione/contraii a fenfu.Quaptopter pulcherrimo
enygmate diuinus Elato cum animum noibum ueluti cunum pofuilTet : aurigam
ilii duofep equos adiungit . Nam ueluti equis currus trahitur : iic animus ab
appetitu duatur. Fe.< mnt autem equi non suo
arbitrio: fed imperio aurigz a quo reguntur eodem pa do appetitus nihil
ex fe agendum decernit . Sed quod iam ab
aii a ui deaetu m eli fequitur. Quarc autem equorum alterum album
pulchettimum^ i at^ hono« tis cupidum : Bi qui non minis ui<^ / sed
cohortatione ratione regatur. Alterum nigrum inglorium et contumacem
hnzerit ex iis quz paulo ante a me de duplici appetitu dicebantur
perfpicuum eft. ExprefVit enim per bonum rationalem : per B^um ucro
irrationalem appetitum quo animus fertur: at<^ hzc de appetitu : quem
quidem mari limillimumelTe quis negaueritr Videmus enim mareftnuL» lis
uentis uetbcretur fedatum tranquiliumtp perdurare. Sin autem diuerfistun
datur uentis: in geauiflimas turbulentiflimaftp tcmpeftates infurgir : Sed
hzc eadem in appetitu dcprzhendastFac illum uacarc a pcttutbationibust
nihil ni fi rede appetet : Fac rurfus iliis uehementer uezari : quos iam
ftudus quasuc procellas intuebere: Quapropter illud elegannflime
u^tio^ irarum 6)s d^t (ftu. Illud autem tibi fortalTc occurren/ quod non
bene iis quz diximus cohzrere uideatur : Nam fi radonali appethufertur
zneas : fi iam uitam uoluptu g iiofatn damnault t unde nunc illud
quod patnx liHota lachrimajupotfutnij^KliQ quit . Q_uod enim odifle iatn
coeperimus: id non lachrimantes: fed Izti fugcR fo letnus t Sed uoluic
Virgilius primum a uolupcatc ad uirtutem difcelTum demoo' I firare . In
quo cum temperati non dum fed continentes fimus : agimus illud qui> I
dem t fed cum diu uoluptati aifueti illius illecebris demulceamur t non nili
zgte, ab ea diuellimur : imitemur^ fenes tioianos: qui cum ELENA ut grxconun
tro> ianorumtp certamen fpedarct mcenia confcendilTet admirabatur cum
(hiporemu lieris pulchritudinem t ea uehementer deledabantur : uetum
tantorum maltv rum illam caufam eflie animiduertentcs : abeat dicebant
potius Helena: quamp pter illam pereat Troia . Quod ut plaiuus
intelligas. Qucmadmodnm tordnk do uirtus eft qua dura omnis ar^ afpera
inuido animo ferimus: lic tempcran» tia aduerfus uoluptates armamur : in
qua quoniam iam habitum contraximus li ne ulla difficultate aut moleffia
negocium conficimus. Quod li habitus nem dum contratSus Iit: Si tamen
illud idem efficere tentamus t tandem^ effiamusfi nitimum quoddam 6C
uiriuti proximum nancifeimur ut nondum temperantes effedi tamen
abftineamus quamuis xgre et non line luda: Quz contmenna di citur in qua
li diu exerceamur : paulatim temperantiam acquirimus: htij uirtus id quod
hadenus uirtus non erat: fed ingrelfus ad virtutem. Hoc igitut intcrcft
intcttempcrantiamfii contincntiam. Namquam uisutrai^ idem przdet:continens
tamen eo detenor eft quia cum dolore ablhnetmec ctt fatis Armus aduerfus
uoluptates Tempuans uero bene uolens Iztufk^ abffinet. quod li itidem de
ineo Anente intemperantem inuelliges: facile ell uidere quanto a
temperantia condoe da fuperatur i tanto incontinmte ipfum intemperantem
pemitioliorem elfe: I na continens enim quia non dum in uitii habitu ell
rationem difeemit: prindpiui Knct:pugnatm aduerfus malum: fed tadem magnitudine
cupiditatis et fui animi imbecillitate uidusucluticmtiuus in feruitutem
rapitur. Vetum uc qua; uctbts adumbro ea exemplo exprediora reddantur t
dicimus continenum a pruicipiofii ilTc DIDONE quz quamuis Acnez amore
teneretur: tamen adeo lunliter repuagnat utmori malit:q pudorem uiolare. Incontinens autem paulo polf redditui cum
fororis oratione uida pudorem foluit. Prius enim fortiufcula adhuc ita puagnabat:
ut uidrix cuaderet. Deinde eneruats omnino pugnando fuccumbit.pua gnatenim
incontinens/ fedfupaatur. Intemperans autem in habitu uitiiconftitutus omnem
rationem amiDti ne pugnat aduerfuscupiditates: quin illis uo» lens gaudmfqi obtemperat: quippe in quo adeo
deprauamm Iit iudidumtut qdf tnalum fit
bonum rlTe dicat. Sed ut iam ad inffitutum redeamus: non dum tem' perantia munitus erat zneas: nuper enim ea
ratio in homine uluxcrat: ut uolupts tum fordes intueri poffet: nei^ rurfus
tempeians : aut incontinensinon enim io de fe expedilTet. Sed cum hincilleccbrx
uoluptatum traherent: illinc honefti uui pulchritudo ad omnia excclfa cum
erigeret/demuiccbatur quidem a uoluptate cam feolibusfuauilTtmam iudicabat: non
potccatip non zgte ab ea diuelli.51i da
enim adulatrix voluptas efi.uehementcr fenlibus applaudit: ut etiam
gcQ’tolioiit animi qui funt illa capiantur .lu cnim fuauiter nos irrepit aut
totos pau lanm occupctt Smgjt igitm comn ucac ft guis lachiimaiu taincta
littcin tioiaiu ti s h P U Ii 9 si Q lu ia K a» 10 k liu tic adi li] tu »1I» bi
» m inii tta ip DOi tUU) aoi pqai V» 'Z tiO*iJuti idtai am i&:l» oap jiua
riKil apoi at(p tdib ;iup» ib 0f
Libettmiiu Klinquittquonii c6tines. Quod H unam tcpnitii adcptua fuifTn no
lacbrimSs fcd lema reliquidet : po<ta
enim non ipfum a principio sapientem fingit:£C
una uircure ornatum t (icd cum qui a perturbationibus animum
uendica» K cupiens fe paulatim a uitiis
redimat t k poft uarios errores in italiam id eft aducram fapicatiam pnumiat» Nam quznos de
continentia dc^ incontinen eia diximusan
quibus fenfus pugnat U ratioiuidiTim^ uincuntacuincunmr. eadem de
reliquis uitiis ac uirtunbusintelligas mtn quas mediae funtaffcdio nes
nullo adhuc habitu latis Hrmxifcdquz modo ad has modo ad illaimpel lantiquisfortadeinuiu
ciuiiiin qua quz ad bonum tendunt incohau potius quam pctfcda lepenas non
nulli uittutes nominarent . Sed profici fcatur iam no &r Acncastuerum
quo tandem exui pn altum feretur: Nempe in thraciamre^ gionem patrue
fininmam/fiC terram Matd confcaatamnnquanupn Polynco ftoc holpitem fuum POLIDORO
ut auro potiretur interemerati Erit autem aua titia; fjtnbolum thtada.Nam
ipfe paulo poft: Fuge littus auarum . Vnum cum duplex auaritix genus fit.
Eft enim auarus 8C iis qui inde rapit unde minime con ucnitideis qui cui
dandum eft ei minime dat.primum illud genus perthraciam cxpdmimroi enim
in illa Mars colitur -quisncldt habendi cupi ditate plurima a mortalibus
bella geri. Sed ne Polyneftor borpitisintcrfedots6( Tuorum bo» Domm
raptor quicquam expreftius quam auaritiam rapinaft^ denoubit Cur igi tur
prima inthraciam ENEA nauigatioeftrQ^uiacuma uolupute difceftimus at<j
non dum uerae uirtutis habitum contraximus facile ex ilia in aliam
cupidita« tcminadimusiinfurgitip habendi libidoibeatilTimam enim uitam
multi feade< ptos putantifi opibus maximifip diuitiis reliquos
mortales fupecet:Qua cupidi tace inflammati non dubitant non modo
nefaria: uerum etiam laboribus pericu lil^ refcitiftima bella fuTciper e.
Ingens profedo ftultitia:6i ab coanimo profeda: qui et fi uoluptates
contempferitcnihil adhuc altum furapete poiTit.Habet enim auaritia
pccuniz ftudiumiquam nemo unquam fapiens optauit. Nihil enim illa
mobiliusinihil quod magis fottunz temeritati fubiiciatar. Quapropter rede
Sa luftius auahtiam ita malis uenenis imbutam dixittut animum cotpufij
uirilc cf< foemineuquando quidem Si ad omnem humilitatem infimaTqi
fordes dcTcende tccogic:& inomnem crudelita temproreuili(Iimainfurgete.lpra
enim perfidia am pctiuriumip edocet:cot fraudibus: linguam
mendaciis:manum uenenis/fer.» to in aliorum pemitiem inftruit. Apud eam
quid fandum efle poteft: cum ho.*tes quoip qu Polydori exemplo docet poeta
minime incolumes fint. Nemi nem tamen mirari oportet fi Ancas fapientiz
quidem cupidus minime tamen ad buc fapiens in huiurcemodiuitiumprolapTus
fit. plurima enim inuiu humana Uidemusiquzquauis caduca momcntaneaip
finntamen morulcs pro maximis admirantur: quz quidem omnia cum ucnalia
efteuideantipecuniz prz czte^ ris ftudent.Q_uotus enim quifi^ repetitur:
qui non putet quod genus ficfoc mm regina pecunia donat t quis non totus
commouetur : cum auditi Si b^ ne numatum decorat fuadela Venus. Verum qui
duce Venere fertur Si tna gnarum rerum amore incenius cfi/pauladm errorem
recognoliit. uitiumip abominans Xfaradz auariflimutn lictas fugit, At^
cum iam fecundo deceptus i deinceps turpi Timum mirerrimumep iudicet
Apollinem: cuius oracula ue riiTima e(Te audient confulendum iudicac:
Retur enim (i ex illius dei ptxut pris uitam inftituat futurum. ut mifet
ciTe non pofTit. Qua proptei naviga donem in delum fumit: per Apollinem autem
qui fol cft: quid aliud quam lapientiam intelligemusf^Nam ut id omittam
quod ut fole eunda qux in lien fum cadunt illuftrantur:(ic lapientia
illuftiatus animus eunda profpicete ua. leat uideamus reliquam eius plancta: naturam. Sed
illud in primis. Nam cum Heraclitus fontem caelefiis luds appellat. CICERONE
ueto ducem carterorum lu« minum ea ratione dixit: quoniam fui luminis
maiellate praecedit: dixh itidem ptindpem dixit moderatorem: Nam SC ita
eminet/ ut ptopterea quod buiut> modi folus appareat fol uodtetur :
curfus reliquorum recurfuf^ipre mode ramr. Nam certa fptii
diffinitio eS ad quod cum quaim erratica ftdia recc' deos a fole
peruenerit tanquam ultedus accedere prohioeatur agitur retro. Rurfus
autem cum certam partem recedendo attigerit : ad diredi curfuscon fueta
reuocatur.Q^uapropter non iniuria et mens mundi cor czliapri« fcisdidus
ell:Quz omnianon ne fapientiz quadrant Non ne fapien^ tia reliquas animi
uires przcedit : non ne illis moderatur C Quin etiam li uim huius fyderis
diligentius aduertas iurc datur fapientiz dicetur: Nam ut a Saturno
ratiodnandi a loue agendi uim : ut a Marte animorum uehe« mentiam at^
calorem aedpimus; uta Venere deliderii motum fumimus: et quod loquimur atqi intcrptztamur a Mercurio
cft: ut deni^ a luna quod grz ci phyticon idcll gignendi augendic^ uim
habemus; (ic ipfe fol quod friamus: quod^ opinemur nobis prxllat : Sed
hzc de Apolline. Deli autem nomen S ipfumnon nihil ad rem affert, grzce
enim manifeflum flgnificat. Loca enim quibus fapientia przfidet : clara
femper manifefta^ fuat.Q_uod autem tot»> us infulz Anius imperet: qui
et rex hominuni et deorum facerdos iittnonca ret ratione : Sapientia enim
humanarum rerum cognitionem continet. Qua ptopternihilnouum fapienti
accidere poteft: quippe qui omnia iam percepo> rit : quam quidem rem
nomen regis oftendit. Anius enim didtut quali id elf (inc nouo .
Hic igitur hofpitio Aeneam fufdpit: SC pio* fedoipfa fapientia animi
nolfti aluntur . Veneratur autem templa : at^ ea retn pia quz faxo
uetullo conftuida fint.Nam quid obfecro te: aut flabilius im* mobiliufi^
: aut antiquius ipfa fapientia deprehenditur : quam fapientiflimus ille
omnium bebrzorum S^omon ab initio Si ante fzcula creatam fxcula aea ta
effe uerilfime didt.Sed tu quid me o LAVRENTI fubridens fpedas.Non polfum
inquit LAVRENTIVS dodillimorum uirotum ingenia non admirati lztuf(|:quz a
principio de hifioiia decp allegoria dixilli mecu repeto :Q_^uis enim non
obfiupefcat huius poetz confilium .Q_uicum apud Cioatiumueri
umlegilTetinDelo aram elfc Apollinis genitoris: in qua nullum animal
facrifi atur: quam Pythagoram ueluti inuiolatam adorauiffe fetunt :
legiffct eti^ am Sc apud Epaphum : Delon ne antea nem pofiea tettz motu
uexatam: femper eodem manere luo legiifet: et apud Thucydidem non mirum esse
fi przlidio tebgionis tuta infula femper fit : cum teucreruia locotumfibi
acccficrit Liber tertius coBtltiuafax Ieiurdetn firmitate: Cum igitur
bacc legilTet itafcnblt/ ut eodem tempore ex antiquitate hifioriam
eruatiponit enim Aeneam Tolis przcibui deum uenerari:K templa antiquo
Taxo confirudaefTe/ficbxc cum ponit fimul ea affert quz PER ALLEGORIAM Tapientiz
conueniant. Dices quid in cacteris : hoc idem. Sed nefdoquo pado hic me
locus in quo hifioria non minus qua allegoria latet:mul to magis mouinSed
perge obTcaomolo enim mea interpellatione mihi ipfi audi endi cupidiffimo
moleftiam ex mora afferre. Datur igitur ab Apolline oraculu inquit
BAPTISTA z Dardanidx duri quz uos a fiirpe parentumzPrima tulit tel^ Ius
eadem uos ubere Izto Accipiet reduces:antiquam exquirite matremz Hic do#
mus znez eundis dominabitur oris:Et nati natorum 8C qui nafeentur ab
illis. Q_uo quidem oraculo quid diuinius excogitari poffit non
reperio:Q^uid enim faomini salutarius: quid conducibiliusefi: qu3
originem Tuam noffexin quam cu redire potuerit /tum demum fit futurus
beatiffimus: Dixit igitur pluribus/ne a poeta difcederet Maroxquod grzci
duobus tm uerbis expediutx qui omnium ora# culorum quz Apollini
tribuuntur maximum effeuolunt i«r</7>> V nofceteipfumx Verum
ut haxea nobis planius explicenturx Omnesquicuh^un# quam de fummo bono
ferip Terunt philofophi in eo fi non uerbis re Taltem con Ira Teruntxutbenebeate^
uiuere fit apte conuenienterq; naturz uiuere t Verum ubicoiamdeuenturn
efl/ut fit hominis natura diffinienda : tunc innumerabi# les
pemitiofilTimi^ errores emanant: cum animorum nofirorum ui ignorata
plufquampar efi corpori attribuatur. Nam cum ex animo corpore^ conflare
bomo dicatur . et alterum brutum/caducumt^ at(^ facile in interitum
pronuma Alter mcorrufmbiiis immortalis diuinuft fitxpaud omnino ita
mentem a fcnfi# busfeuocat: ut feanimi nobilitate imniortales cogoofcant:
corpufcp in nulla pene parte habendum cenTeant.praedpitur ergo Troianis
ut eo reuertantur de originem ducunt . Duplex autem illis origo efi.Nam
Teucer Scamandri cu# iufdam filius profedus ex creta infula in Phrygiam
uenit; 62 una cum Dardano Kgnau:t ; Dardanus autem prius SCipfe in
Phrygiam ueneratatnon ex creta: ut ille fed ex italia: nec mortali patre
natusxfed ex deo loue. Veniunt igitur am# bo in Phrygiam id efl in uitam:
et pnmam ztatem quam perTroiam fignificari di ximusxfed hic a czlo ille a
mortali. Ad huius enim animantis quem hominem dicimus compofitionem
animus a cziefii corpus a mortali patre prouenit.Qua propter cum primam nofiram
onginem inquirere nos Apollo iubeticuius ora# culum efl Nqfce te ip Tum :
non quid corpus fitxquid ue illi conducat inuefiiga# re iubct.Sed quid
animus fit 8C quo pado fecundum animi natutam uiuere fodi ces effepoflimus
inquirendum mandatxQ^uam quidem rem ut ezpreflius fignifi caietannquam
didtxEfi enim animus fi non tempore/ut Platonid uolunt digni tate Tua
at(^ excellentia prior: Optimum igitur oraculum: Sed quid prodeft fi
illud male interpretatur ANCHISE . Hic mortalis Aenez parens omnia ad
lenfns referens ibi (edes collocandas cenfet ubi prima corporis origo fit.
quafl prima naturz non animi fed corporis fpedanda fint t Quaraobrem non
ia Italiam fed in Cretam enauigandum proponit: qua in infula multa mala
Tubi# bui fint Ttoiani. Nam cum (ummum bonum non iis quae animum: fed
quaa In.P,Vtrg. M.AlIego. corpus fpcdcnt natura noftra
ignorata reponimus necefle eft/guoniaft illa pati> io po(Hnpe(lem/ac
demum in interitum cafuraiint/ut non bearirredmiferi fiu turi
(imus:TuIerunt ergo prxrium ob ftuitiriam Troiani:gui in italiam nauiga»
te iulTi actam ptticrint. Si enim in italiam.i.in originem animi redeant
Troiam percipiunt cognitionem rerum diuinarum in qua fola flabiles et manfuras
feda inueniuBt ; Hic enim domus Aenea; eundis dominabitur oris:Et nati
rutorum et qui nafeantur ab illis . In aeta enim nullum e(l Aenex
imperium. Na corpus ne^ fe nerp aliud mouet:fed iners brutum: 8C line
fenfu iacetrnec quicquara Ii ne animi auxilio ualet.ln italia uero
imperium latepatet.Corports enim domina tor et redor eft animusrin
nullam^ nin uolens fauitutem cadit . Cunda autem fue cognitioni rabiiciu Se
enim pafe uideticum autem deum cognofccie tem/ ptat fuz menris acie ad
fuperiora erigimr. Colidaado oia fpedat: Rimatut occulta. Videt
abfeiitia:breuicp temporis momento uniuerTas mundi oras anv bit:Defcendit
ad interiora: Afcendit cxlum . Adxret deo: in quo efl patria fua:Et
? uoniam imorulis eft hxc femper facit : Quapropta eius imperiu eft
aeterna: ixcaprincipioqua uisdiuiniscflentmomtiprxcepris cognoicere no
potuerat Troiani: Nunc uao calamitates eipaticognofamt. Epimetheo quidem
ferius: Sed uidete quxfo quam admirabili ingenio reliqua profequaturt. Cum
pefie labo rarent Troiani danmatfuam oraculi interpretationem
Anchifes.Nam poftqui diutius debaccliatus eft homo dum fenfibus
obtemperans omnem fpem in rebus caducis reponit/tandem ufu Si experientia
dodior redditus animadueftit no fua« fifle acta Apollincm.i.nunqua
pofleefte homines beatos ex iis qux mortalia fntt Cenfaigimr alibi
quxrendamfoelicitatenuVenmi non dum tanta metiris arie ualenut qua inrcconliftat
discernerc poiritr Na humiproftratusanimus/St fieri gi nitatur tamen
corpote'obrutus qu x in/cxcclfo collocata funt non nili poft mui tum
tempus difeemit: At dii penates eadem dicent qux didurus efliet ApolIotPu
tabantenim antiqui deos penates elfe ex animisiuotummatoTumtqui clari
ilhi^ ftref(^ multis egregtiftp uirtutibus fuilTent quali deos
domcfticos: Ergo Si hos animoru noftro excellentiores uires
intapretabimur:quales funt ratio intelle# dus atqr intelligentia. Qux
hadenus furentibus fenlibust Si omnia tumultu co plentibus nihil
fanuiudicare poterat: Nunc autcpoftquamfuograui damnoeu pertus eft homo
fenfuu iudicium falfum elfe illos a tribunali quod tumultuo &oc
cupaucrant deiicit:& luris dicundi potcftatem iisjuiribus quas paulo ante
nomii> nauipermittinillx autem cum iam fcnlibus parentioribus ut atuc:quippequipu
dorc confufi nihil amplius audeant/K cum eorum iudicium diuturnus iam
ufus at^ experientia confutauerinparaciam non amplius prxeipne
deaeucrintrfc a tumulm colligunt:at (pfeipfascxdtant:fumma ( contentioeruftitix
nebulis fua luce fugatis mentem ab iniquiffimo fenfuum iudido prouocauit
ita a aetenfi domicilio abfoluunt : ut tamen italicam profedionem fuo
dcacto 'edicant, ii dunt^ proptnea fux fententix ftandum: quoniam eadem iubeant
quxipfe Apollo a quo mittuntur didurus fit: Et profcdomcns nostra multatum
rerum usu iam dodior reddita multa, ex fe cognofdt: qux fapientia
ptxdpere con sueuitt Nec ucto quempiam moveatli deorum pcnatii oratione
pct fu ad catut
Andrifas I t ( II P nudfi D B B< P> h Jrj-B
SNitn ubi ndo pneualerc iitn crprrit : appetitus Hli rubiicitun MuItS iatn
profeoe nintdii pcnatess quiquz obfcunus Apollo SIGNIFICAT prrfpicue
enodaruntt docent«piniuIuadrcrum diuinarum cognitionem enauigandum rfle:
Beatus profedo ENEA (i decretis ftarett (i quod bonum efTe cognouit:id
ita mordicus arriperet ut nulla re inde po(Tet auclli:Non enim totiens a
redo curfu deiicere^ s Veru non is adhuc uir eft qui conftanti habitu in
hisobdurauerit:& per (uma t& perantiam a rerum moruliu
cupiditatibus sit penitus purgatustfed inter contine tia; at(^
incontinentiz uarios frudus uacillans fzpe cum ad aliquod Tparium fuo
uento procelTerit: nauisfubito a redo curfu deiicitur . Non enim is gubernator clauum tenet qui fummo
nauigandi artiBdo arperrimam etiam tempeftatetn fupcrarcualeattfed
Palinurus t qui poftquam ceruleus fupra caputaftiiit imber nodem
hyememt^fercns.poftquam inhorruit unda tenebris : poftquam conti»
nuouenti uoluiit maretmagna^ rurguntzquora:& quz fequuntur.ipfe diem
nodemt^ negat difcernereczios nec raeminifTeuiz: Diximus a ptindpio
foloap petitu moueri aniraumtdiximus itidem duplicem e(Te appetitum
alterum qui a fblis feniibus ex dtetutitationi^ aduerfeturidicatnttp
libidotalterum qui ratione pareat:uoluntaf(^iure nuncupetur. Qui quidem sinauiprzfuifTetiporerat
ea am aduafantibus uentis iter redum tenere, oed przFuit Palinurustis
enim eft qui folisfeniibasob temperatiuirefij aduerfus uentosinterprxtari
poteft enimgrzce retro uentis didtur quali qui in contrarium refetat. Hic
igitur infurgcntibus pertutbationibus/uehementioriburi^ cupiditatibus
uelutitcncbiis animuminuoluetibuscum ipfenulla rationis luce illuRracus
(it dicsano dibus ideft ucrumafairodifcerncrenrgat. Magna profedo
hominum ioldtiatmazima^ fenruum perturbatio qui ita rationi aduerfanturi
ut quauisil la fzpe infarg.it t ut animum ab illorum nefaria tyrannide
feruituteq; eripiattipfa uclutiiulbirima regina ueramuelit inducere
libertatemitamen cum nondum uiresfuasrecupetaueritm Dpercp a diuturno
exilio reuerfa a paucis fuorum ciuin cognofeatur fzpe antea qua dus regni
quod (ibi iure dcbctur polfeinonem recu» peret ab lilis repellitunquippe
qui multos iam annos tyrannidum tenentes omni largitionum genere
appetitum corruperint : illum cp adeo demulfcrinttur malit io feruitute
uolaptuofc degere qua honorifice in libertate laborare. uamob» temcum
acbrainterillos przliac6mittantur:difcedic fzpeuida ratio, lllicnim
parere rccuCiDS Palinurus nihil sanum fentit : Eiufcp ilultitiaatcptrmeiitate
cd» mittirurtuc dedituto curfu t quem penates dii prasceperantin
(Itophadas infu» lasdeclinetur. Hunc autem locum nos ni fallor
auaritizuitium redeinterprzta bimur/non illud tamen quo inde rapimus tunde
minime conuenitiid enim nobis Thrada ddignauit. Verum aliud quod tunc
patratur: cum ex iis qux iam peperimus minime illis (ubuenimus : quibus
tus naturacp ac humanz fo detatis uinculum fubueniendum poftulat . Oodus
enim'iam Fragilitate rerum buroanarum Aeneas ad diuina ratione id
efflagitante ferebatur. Sed appetitus aduerfus illam adhuc contumax
ftaredeaetis non potuit. Verum ad ea quae uulgus admiratur rurfus conuerfus
diuitias cupit. At quoniam multum de pti* fiuufcritateitniautufuctaUndui
nc rapiaisilJafibicompatatecoBteodit: fcd
In.P.Vitg.M.AIIego. per (oBUS fordes plus qustn psr eft parto
pacens nullo libmlitatis munere fiigiei DC(p (ibi nc(^ Tuis beneficus
eft.Q_ux quidem cum facit fe parcum non auarutn prsdicatiprzfert enim
fpeciem boni uiri cum peflfimus Ar. Q_uaproptcrnon io« iuna harpyz ipfz
uirginea facie Angunturdimulanc enim pudorcmimodtfHaou
robrietatem^iomneri^ uirtutesprzfe ferunt. At earu ucntris ptoluuies
fcedifli< tna eft.Q_uisenim po(TetauaritizfordesexpIicare:quis qui
turpis hominis di uitis eiufdemtp tenacis uita fdt latis referrer Cum
furor bau d dubius s cum ftene As manifefta At egenus uiuereiut diues
moriaris. Quid miru igitur A earum fu des palidafcmperc fame et macilenta
AtiNarahuiulizmodi homines iure tanta • locomparamussqui inter aquas.interi^
uaria poma confbtutus Ati tamen at^ fameconAdturiNam ut cumulus diuitiarum
acrcatiprcinterim ruum/utillete« . centianus Gcta defraudans genium
partis abfbnct ac timet uti: Quod autem ua ds Angantur manibus ratione
non aretiNihil enim remittunt quod femel ctpe> nntauarii Q_uinfunt
adeoperaino A auarinxundiut hominem ad dtuma qua dam natum ab alnlTimis
curis ad hzcinfenoratrahantifiC uelutide czioin terras K e lucidis
fjderibus in profudilTima tartara trudant. Auertit enim nos at^ feuo« cat
habendi cupiditas a cognitione carum reru quibus folis Axiiz animus ciTe
po( At. Sapienter igitur adiugit.TrilHus baudillis mdiltunec fzuior ulla
peAisidtjia deum ftygiis fefe extulit undis: Non autc Aulta rado poetas
impulittut ex Thau« inante patre: matre Helcdraoceani Alia natas harpyas
fabulentur.Thauroan« tem tede admiratione dicemus grzci enim admiran
dicunt. Cu cnimobfumma fiultitiam diuicias maxima bona putemus cum
aut bona non Antaut minima bonaiproptcreaq^ illas adrairamut:cuenit:utcx
ca admiratione cupiditas habendi nosinflamct.Ncmo enim cupit caquz
negligit:at(j contenv nit.Suntautem ex eamatrequzAt Oceani Aiia:Nam
liquis maieriam diuinarn diligentius conAderct:omnia mari Amillima in ea
uidebit.Vt enim mare in afli' duo motu cAicundac^ inco facilem ifcentunat^
pcnurbanturaAc diuitiis ai<jf opibus nihil Auxibilius inuenias:multiq)
tumultus ac fzui Aima bella inde ezota tur. Hz igitur c£.'n paflim
armenta gtegcfij pafcant : nihil inde Abi ad ncccAiu tem fumunt. nihil
aliis rumerepermittunqvcrumfiC ab hocquoq^ regenereaua tinz quando^
explicat uir fummi boni acquiredi cupidus. Relin querat olim uo
luptates.indderat in rapinasiquibusquo^ damnatis otacuium confuliti A quo
accipitnofceteipfum:in quo errat Ancbifcscum ea ad corpus refcrctrquz de
ani tno przcipiebanturicauturqi ruo damno fadus errorem cognofat: con Alium
inutat:rclida(^ creta tendit in lauum . Verum rurfus perturbationibus
uexatus animus ad diuicias rutfus refluit: non tamen ad eas quas rapinis
ut hadeoust fed quas nimis fordida pat Amonia comparet: Sed et boc
quo<^ uinum effc cognofccns / proptetea^ damnans < ad Helenum per
hoftcsproAafatui. bes igitur quare in harpyarum infulam delatum mixcrit
Aeneam y?^uod ue^ IO ab ip As uefd prohiberetur iam parariscpulis inde
efliqnia eam uim habet auarina/ ut qui etiam dinflimi Antfame
penrequamuci minimam acerui par« Aculam imminuae malint JAcmis tamen eas
pepulerunt Troiani: Nam di aua AAacxifflbcdllitateat^ builitate animi
tuliaf':qiiz ci cAiut&fctia et tnulict«' i-% « % % t ik tltl I- 1 II-
1- i j mii oa* iff Liber
toriiu <aIcgux'tninori animo runtauarioresTemp^e pncbeact/tunc Fadle
pellitur fi foitemgcn ercfum^ fumamus animum ^6Ilcedit e fitopbadibus
a;neas t fed non prius quam cnfle a ccleno oraculum aedpiat < mendax
omnino uates Bc in E s fubdola } et quz uctborum firepitu honorem
inde incutere uelit unde ni timendum : bed profedo hoc morbo laborant
auari i Nam fi quando ho« ncOa quzdam SC una ratio lilos ad divina
exploranda erigat < propterea^ huma na bzcfiC mortalia
negligendafuadeatrihtiminfuigit ex auaritia metus si rem noftram
familiarem negiigentius curemus fore ut (i fame pereundum x Sed ne«
fiauot fiuItilTimt homines quam paucis natura contenta (it i quam facile t
quam minimo fumptu eius diuitiz comparentur: Efi autem fames iis timenda
qui in anesqui infinitas cupiditates et quz ne^ neceifariz ne<^
naturales lint fibi exple das propofuaint quorum uotago um lata tam
profunda efi : ut nulla auri ui t nullo gemmatum iapillorumtp cumulo
repleri queat . Qui autem ita uitam ia* fiituerunt > ut fola fe
uirtute bntos putent : animum^ non corpus ditandum ^ ponant : his omnia
femper abunde adaunt t Q_uam quidem rcm:quo tibi pia* nius exprimam : at^
adeo potius oculis fubiiaam.ptopone tibi duos diuetlifii^ mz quidem
fottunz/fedeiufdem pene ztatis utros Alexadrum macedonumte gem/&
Cynicum Liogenem utrum ditiorem iuch'cabis:uide quid dicas. Maximi
Alexandro thc Ciuri erant plurimi tobu Riflimi^ exerdtus (ibi militabant :
Imperium latilTimum poflidebat. Innumerz pene nationes acpopuli ex Europa
A(ia* ^uedigales huic erant.Diogene autem quid potcftangu (liusexcogitari:
qui prz tet rimofum illud uas e figulo acceptum : quo l'e recipetet ut e
frigore calorctp tuf tuselletnetuguriolum quidem haberet : quem eodem
panno in utroi^ folftirio obfitum confpiccrcs : cuius auda olera etiam
nullo file alperfa beati (limorum re gum dapes fuperarent. Vttum igitur
horum ditiorem Laurenti iudicabisr Ego q dem inquit LAVRENTlVS h a
deptauatilTima confuetudine : quz altera pene in nobis natura cfl
dirce{l'eto/& rem totam fenfiiu iudicio exclufo rationi cogno»
lixndam tradam beablfimum Diogenem:miferrimum Alexandrum proferre no
dubitabo . Vehementer enim iis aifentior : qui in diuitiis penfiiandis non
quam tum tuii^ adiit : fed quam abunde id quod adeft fibi futurum (it
animaduerien» dum cenfent.Si emm is diues eft cuius cupiditanbus adeo
fatis fupercp fadum (it ut nihil pczterea defidcret quis Diogene ditior
:qui cum (lue pafiurem (iue arato rem quendam cauis manibus aquam e fonte
ad potum haurientem uidiifet : po culum quod ad eundem ufum hdile gerebat
ueluti fuperuacaneum abnaedum putiuu . Q^uis rutfus Alexandro pauperior :
qui podquam a Democrito ut p\i to PHILOSOPHO plureselfe mundos audiuaat :
lamentari non crilauit tanquam nulla ratione diues effici poffet nili
illos prius imperio fuo adiecilfcif Rede o Lau tenti de utro^fentis
inquit BAPTISTA. Q^uamobtem cum idem rex motus animi tranquilliute quam
in Cynico cognouerat ita pronuciaiTcticupcrem Diogenes e(Te nifi cifem
Alexander : magna ex parte fiultitiam fuam indicauit : cum in fummis
opibus zgere : quam in fumma inopia ditefeae mallet . Quamobte difeant
homines quam paucis natura contenta fic s quod cum didicennttoracu# ium a
Cclcno zditum &cile tldcbunt:quamuis ipla ut otadoni liiz fidem
faciat diat fe ca pronunciare guz Phabo pater otnnipoteos flbi Pbccbus Apollo pn« dixit . Natn rempn
auari qui funt : uiriutn quo laborant fallis uirtutum limula» cbtis
tegere conantur. NatnquzmoEraauaritia eftream patlimoniatn uocants et aut
deorum t aut maximorum uirorum audoritate famem timendam pctfua» dete
conantur. Oolofa profedo
cupiditas et quz cos etiam quos prudendotes putamus fzpe decipiat .
Aduerfus cuius fraudes illud unicum remedium cft nof fe ea quz hominum
ftultilfima cupido ad uitam degendam neceffaria putabnoa modo nihil
peodelTc i fed omnium noftrorum malorum caulam exiiiae. Deferens igitur
Harpyarum infulam Aeneas ad Helenum enauigatrEll au» tem Helenus 8C uates
K conduis«|Q_uapropccr rede ilium dicemus ingeni» tam nobis rationem et ueri
lumen quod natura in nobis refulget,: quod nos fallis bonis decepti
confulhnus ut in redam uiam ab erroribus reducat» Ipfe autem uates uera
przdicere poteft : fed ditfidle eft ad illum petuenitei cum Iit itet pn
medios hoftes tenendum : Nam 8i fenfus omnes 8i apped» tus fenlibus
obtempetans uolentibus nobis in uetum iudidum delcendcrc (em» per
aduerfantur:,At(p adeo nobis confultantibus obfirepunt: ut uix radonem
adire et uera bona a fallis fecetnerc poflimus. Verum cum ad Helenum
perucne rimus iuuat cualilfe tot urbes argolicas medios fu^m ten uilfe pa
hgges : Supe» rads emm perturbationibus iratiquilla'quTdai^ r^nquitut
mens: in qua lecxd tans lux radonis nobis ucrum oftendit : Q^uo dodior
fada mens agnofeit itali» am t quam propinquam elfe putabat uia inuia
longe diuidi: multum^ matis ef fedreueundumi et ad inferos defeendendum
antea quam quietas in Italia fedu collocet : uz quidem omnia quanta
ratione dicantur ; faulius cS mente coo pledi quam uerbis exprimeret
poliquam enim animus non dico profligatis /fed magna ex parte repreitis
uitiis per medios / ut diximus hoftes in lumen luz luca defeeudit Itum
demum aduertitfummum bonum: quod in propinquo coUo« catum habemus putabat
poculabclleioporterei^ nos amplo dreuitu Mariamo ftris obfelfa
peraauigare : Nam inter ipfam contemplationem: hanc quam ui uimus
uiuminteriacet is quem iam totiens appetitum nomino uelutiturbulcn liifimum
mare: quod fcyllacharibdifcp pernitiofiirima monlha infeftum red» dant:
Si tamen eft pei hzc loca enauigandum li IN ITALIAM VENIRE nolumus : Oi»
ximus enim a principio (i rede memini nulla alia ui nilT appetitu animum motuti
.Sed quoniam de duobus iis monftris dicitur a poeta : facile eft ex ipfis
fabulis quid fibi uelit coniedari. Nam cum eas foeminas rapaci fhmas
fuilfe memorizf proditum Iit : non ne per eas commode exprimi animi
nimias cupiditates dice» mus : quarum prindpes luxuriem at^ auaritiam
eife nemo dubitat . Scjlla e^o s glauco adamata ucneteasuoluptates
exprimet: quz maxime rebus nofttis fio» rcndbus uigent: Nam quod eius
uniunia pubes m canes latrantes conuerlafu/? uantum ad negodum faciat : fadle
eft cognofccre. Chanbdim ueroipli quof Icrculiboucs quondam
fubripereaufam quis non intelligat limulai tum nobis auandz refene : 8I qnoniam
ab ca non ita in rebus fxliatei fuccedenubus ut gemur quemadmodum a
libidine. Sed tunc potius cumnimi sanguftiis diuida nun terminis incluli
uidemur: ac ob eam oufam minime nobis noUxa placent
ii •p. a MI ia Bi itk iw “!f
lab ipoK imi». okib! abii
l{DKd biW uocA \^2Dli .qmX (uitbi SUID* jniisi^uin®^ iCID# aajb crlb<
jola* OUfl^ 1^1^' amba* mfia eKccT^ eflcopinaiaut t
iccirco dextrum a fcylla : Icuum a cbarybdi latus obfi dcri Mato dixit
(quoniam altera in rebus quas aduetfas putamus t altaa in iis quibus
uebcmenter dele Aamur : nimis nos urget. Quz cum Baptifta dixiflct : at^
refumendi fpiritus caufa aliquantulum obdcuiflet. Admiror inquit Laurendus tam
magnx tam^ reconditx dodrinz diuinitatem . Verum quanto me iffa tnagis deleant / tanto
magis cupio : ne minima quidc m in tota re mibi dubita» donem relinqui. (tai^ utar ea quam mihi
conceiTi^ libertate uel licentia potius: At^ ut iamioulligas quid illud
(it (quod nili tibi aliter uideamr/ planius heri cupio . Odenderas a
principio ea ratione politum ellc a Marone Troiam zneam cekquifle t
quoniam lam uir ille corporeas uoluptates contempriflet t per thraci»
amuero at^ dropbadas utrun^ auaridx genus exprelTum cfTe uoluidi : Cur
igi» tur (i buiufccmodi iam uitia exuerat Aeneas ( rurfusnunc ut illa
uitet ab Heleno monetur C Dcle&at me tua interrogado o Laurend inquit
BAPTISTA t Oden» dit cnimmaion quodam iudicio quam idbxc xtas gerere
foleat te ea qux dixi c6 fideralTe: Veium quo omnia tibi plane pateant:
memineris non eum uinim a Virglio [VIRGILIO] produci AENEAM Aeneam: in
quo uirtutum habitus conoboratus fit. fcdqui pro uirtuteaduetfus uida ita
pugnet tut non (inemulta difficultate per continen dam uincat :
nonnunquam etiam uelud incondnensuincatur.Q^ui ueroin Ita liam id enim ed
ad diurnarum retum inueibgarionem uentuius ed/ huic non fa dsed : ut
continens fit . Nam quamuis condnentia a cupiditatibus arceatitamen
S uoniam in affiduo certamine uerfatur:non przdat eam animis nodris
tranquil tatcm/quaadrestamexcclfascognofccndas opus ed Quimobrcm
egenus ipfa temperantia uirrute undi^abfoluta: et in ipfo pene cerdo
uirtutum ordine corroborata qua qui inlbudi fuirt/nonfolumonuies
cupiditates Tupc Tantiue» lum edam illatum penitus obiiuiftuntut . H oc
autem habitu nemo mortalium fe corroboratum in confidat : nili plurimis
afliduif^ adionibus prius ad eum co fequendum fe exercuerit : Q_^ux res
line longioris temporis interuallo effici nem poted . Huiufcemodi igitur
temporis moram VIRGILIUS poetice quidem fed opd me tamc exprelTic : cum
dixit : Prxdat trinaaii moeras ludrare pachtnni. Ceffan tem longos/
Sedteunfledere curfus. Quod autem moneat ut eo quem dixi ha» bieurn fe
con firmet xneas uerfus unus indicio elTe pet^d . Adiungit enim quam
fcmel informem uadouidilfefub antro rcy1lam. Quamobrem icdiflime uni»
uerfum locum concludemus neminem poffeipram dminitatem attingere : nili
perlongum prius intefuallumeuih: quem dixi habitum ita contraxerit: ut
non modo non rapiatur a fcjlla : fed ne femel quidem ipfam uideat . uod
quid ali nd fibi nuit : nili ita obiiuifeatut cupiditatum omnlumtut
nunquam illx in con ipedum fuxmentisredeantrperpulchrc per^ commode omnia
ida inquit LAVRENTIVS. Verum quid tibi paulo ante explicare libuerit: triplici
illo ordine oir tutnm non plane intclIigo.Res inquit BAPTISTA huiufcemodi
ed : qux &: Iz pe alias maximo tibi ufui et prxfcnti fermoni apprime
neceffaria futura linOiui» nus enim Plato cum uirtutes de uita Sl motibus
eafdem quas exteri pofuilTet:ita sd podremum illas diueilis Gue ordinibus
Gue generibus didinguit :.ut alia qua dam ratione ab iis illas coli
odendat : qui ccetus ac duitates adamant t alia ab iia h
ii i I qui omnan mortalitatem dedifcnc cupimtes/ft humanatum rerum
odio taoii •d fula diurna rognofccnda eriguntur : alia poftrcmo ab iis
qui ab omni iamc6« tagionc expiati in folis diuinis ueriinturtprimas
igitur ciuiles dixir/fecundas pw gatorias/ac tertias animi iam
puigati.Eft enim triplex hominum rcAe et ex ratitv oe uiuenbum ordo.Horum
trium inferior eft eoru qui io fudali acciuili uita dt gentes rerum
publicarum adminiftrationem fufcipiut.His {iximi fed m ercdioti gradu
confiituti ii funtiqui a publicis adionibus ueluti tepcftuoflsiac
procellolis Kin qbus fortuna; temeritas oino dominet'' :fe in portum
tranqllitatis trafferuot et a turba io odum fe tecipietes/ quirta uitam
degutinon ita tn ut no aliqd adhne tefictaduerfus quod Iudadumlit. Supremo
autIocoeoscerncsqui penitusa re« rum humanatu concurfitionerac tumultu
remoti nihil cuius panitcdum sit /c& mittut.Eft autem oibus his
ordinibus hoc c6munr/ut uirtute dure ciida ad boni redi^ normam dirigati
Verum qa in uita duili cupiditaribusiac pturbationibus omnia tumultuant
hifip non oiu xgre refifti^ rdicunt in ea hoium genere uiitm tesi Dcohataspotiusqabfolutast
Quaproptetidinill bptadcntiac6tendit/utm bil agatuticuius non
polTit ratio (^tem probabilis reddi i Fortitudo uero animd fupra omne
piculum at<p moetum affett : et nihil nifi turpia timenda admonet.
Tcm{watia autem oftedit fola honefta appeicdainulla in re moderationis
legnn excellcdamioea cupiditates iugo ronisrubiidendasiluftitta; poftre moptesfuni:
ut unicuimruumredd»’' iutx quoiureoesuiuant .lnrccudoautilioh>iumgene
tctqui ea it ronea negodo in odum uendicat/ut liberius poflit rerum
diuinaium conicplationi incubcrcifunget munetefuoprudciiafifpretis oibus
mortalibus rebus &cxleflium collatione pro nihilo habitis omni cura
omnim cogitatione ad diuina copuertat" . Temperitia autem cum ea
folum nobis cdce(Utit/bne qui busferuari uita non polTiticaitera omnia
fcueriffimoiudidocontenendarf^upeii datp pronuciabit. Sed necaberit
fortiiudo qu* afliduo pridpiatiut nullum meo moduminullumlaboreminullu
periculum horrefeamus/quo minus redo 8£w petuo^uti**' - j 1 n- ». tuo^ut
ita loquar)curfu ad cxlcftia et ad origine fuam icdat animus.Diccs q d
luIhtia.Hoc jifcdo minus libi imponctiut reliquarum uinutu cofenfum in hu iulcemodi
ppoAtum firdatilfti quo^utrupiarcsaduafuspturbationcspugnit fcd fadiius
fupcratsfei^ paulatim expi .tos reddunt. Quapropter uirtutes ipCrin illis
purgatoriz appellantur. Verum audi iam tertium illud eorum genus/quota
animi ab omni uitiorumlabe ^cul ab Ant. Hi igit' in eo prudentiam
exered/non ut deledu quodam habito diuma terrenb prxferantifed iit illa
fola nofcantifuU J ueluti nibil aliud At intueantur. Adhibent autem
temperantura non ut cupitates coberceatifed lilas penitus ignorent.Eadem ratio
erit fortitudinis.llla eni pernitbariones non uincicifed ignorati Quin
opubic dura at^ horreuda Abi of ferrirnon ut uidoriamaiTequacurired ut in
eorum obliuione perpetua riimiuts 'ifidiligentetinfpides/ fadiecognofcesidabhelenoadmo
petduret. Quxomniaf ^ neri xneam
non pofle illum fedes in Italia qetas ftabi colloare/niA priiis ad
boc tertium uirtutum genus peruenerit : (^uid ergo hadenus: nonne
Troiam deftrueiatjacthradam ftrophadefipteliquerat. Defenieiatquidemjred
nondum $mca uitia fugiflct illa dcdilutc poterat Jiunc autem non ut
Moliirnt^iP Liber tettiai «Birittaib^ deponatt^od tam
feceratered ita de tnte deleat: ita perpetue obK tuooi roaadntut nunquam
eorum memoria illum rubeat:Cu autem prz omni bus rcbua iterum at(p iterum
1 unonem pbcandam moneatsqua quidem adua •imte Italiam nunqua podturua
(itmdnc nobis documentum eftroaximum nui Ium ex innumeris uahif^ uitus
eflieta quo etiam ii qui ad quzip ezceifa eriguiu lur t scgriiu liberetur
quam ab bonorum imperii^ cupiditate.Fadle eft enim cd temnere uoluptatesa
qui iam maiora mente conccpit.Diuittasuero &li fpecie maximorum
bonorum a principio nobis oftendantipoftrcmo tamen ab excelle tianimo
negiiguotur.Atucrohooorcsmagiftratus& imperia quoniam exedi' lens
quodda et eminens in fe cotinere uidetuunfpecie decori at<p magnifici
ztu* mum etiam excclfum deripiuntiNamcum cupiat ille fefe qua proximii
deo red deretanimaduertac autem nulla alia te nos magis deo fimiles efle
qua dandis bc ncficiisiNt^ hzc przftari ab hominibus pofle nifi in fumma
reru poteftate coo flinitifintiaocenduuruebcmenti quadam cupnditate ut
reliquos antecedat: Eft enim natura nobis iditu/utfcnm (upiores in rebus
oibus euadere cupiamusi Ce dcrcauteautfuccumbeieturpimmumputemus.Q_uz
quidem naturalis cupv» ditas nifi reda ronc temperer in ambitione ac
pofttcmo in tyrannide nos rapit: in qua muka aduerius humanitatem audelia
tetra nefariaip comitthnus : cu natura ipla nifi deprauata fuerit
ad magnanimitatem erigat nos ad fupetbiam ft dominatum omnia rapimus.Hinc
fraudes:hinc czdes : hinc reliqua imania
fiagitiainfurgunt.Q^uibustcbusipfam humanitatem exuri in truculcntilTima
monfiu conueitimur.Non igitur fine fiimma lapinia ad Cyclopum littora ht Dti
dedudt diuinus poctatut ofiendat qui magna quzdam et cxccifa petuntten
nulla certaratio anima reganfefe falli et pro animi magnitudine in
imanitaicla bi.Scd hzcquocp loca miferia ad fc fugientis uiri admonitus
qua primu cifugit ENEA. Quid
enim aliud nobis cxprciTius cfiFmgerc:at^ipfis(^ucica loquar oculis fubuccrc potcfi
ambitio larofiC fumma efferitate deteflandam 1)^300103 uitam quam cyciops
Polipbemu$:qui procul ab omni hominum confortio hu manis carnibus
paicatur^^ inter luflra feraru fola uita agat . Nonne enim iure
Andropophagos tfic enim eos appellant grzci qui humanis arnibus
uefeun' nmilloscl Te dicemus: non qui carentia iam anima corpora id enim
multo ma gnto Uerandumefiiinfuas epulas conucTruntifed qui uiuentes
omnibus ctu» oatibuscrudelil Timc exeduntiqui ut aut tytannidem|fibi
comparentiaut iam cd paratamtut cnturioptimum queipuirum et iufhzqui ac
libertatis amatoicm lzuifiiimemteTficiuat. Qui utfcelerariirimi uori
compotcsc £ Ficiantut:aonmo do fingulos homines ttuddanttfed totam
urbem:ne^ folum totam urbemifed integras nationes ferroigni fameij
populantuncun^ libidini militari fubiid imtt. Qui nc^ agris cultoribus
fpoliaietne hominum pecudum^ przdas abi gete uomturiqui pueros tcncraf uirgines
ex parentum complexu aut ad mor tcmautad libidinemrapiunnqui caftarum
mationara pudicitiam expugnat: qui publica acpriuata faaa
ptofanacpzdificia funditus cuertunt:S qui modo in florcnrifiinu re
publica ampIifTimum dignitatis gradum fumma cu gloria ob tincbantitot
nunc oibux foituius lpoliatos mmiraritni feruttutc abducunu V'
I.4 In.P .Virg-M.AIIego. uos igitur cydo^quos leftrigonas cum iftorum
imani fcttida cofErcnaif Quimobrtm uir iummi boni cupidus qui antea non
bene infttcuta animi (oi magnitudine quacun^ uia ad honores imperia^
nitebaturmunc demum tam nefariam crudelitatem quam primum eam nouit
deteftatunnouit autem a ma dlenta rqualenci<| achemenide forma per
quii lapiens poeU omnes calatnittla quz ex tyrannide generi humano
perueniunt s latenter (ignilicauiticum dues paulo ante omnibus
ampiifhmotum honorum gradibus honefiati/ ad rern ino piam cxtremai^
famem cdpellunturicum illudiis mortis moetu latere ct^un^t Rclida
enim ariffmu patna ignobililfimis obfcurilbmirip lods exulant: Qua:
quidem miferia edam li in graium hominem et Aenex hodem cadatitame non
poted ipfequi uit bonusauc fu aut elTe dudat ad fummul tyrannidis odium
no impelli. Qudigitur Maronis fapiendam noniureadmiretun qui uirumm
ita liamuentutum maria at^adiaceda littora tam horrendis mondris obfefla
ita caute dreuire iubetiut illis omnibus euitads in Siciliam incolumis
perueniat un de breuidiffius curfus in italia dc.Fadle enim ed homni qui
fe ab omni ii auari» dxfpcde cxpediucntomnemip iniuditiaatipei Fentate exuedtiadreru
magnis rum cognitionem edgi iprxfctdm fi iam in Sidliam uenerit. Ed aut
Sidlia nue in(u Ia olim uero italix coiumdai Bt condnends parstfed uenit medio
in pontus K undis hefpenum (iculo latus abfddittarua^ Si utbes littore
didudas angudo interluit zdu.lta enim abimortali deoapnndpioaeataed
diuinitas animoti nodrorumiut una cademi^ dt pars infedot rdniside qua
paulo pod ent didin dius difputandum di parte rupertori.Scd quoniaipfa,in
agendis rebua uerfaf drea ea quz loco 6i tempore citcdfcnpta adiduam
mutadonem redpiunt euenit ut interucnientibus Uanis pettutbadonibusi quibus
prudenda decepta (xpe pto bonis mala cligitiratio ipfa inferior illis
uelun uehemcdlTimit fludibus alfiduO percu(riabitaliatandem diuellacur:6 (aruperiodradonead
appedtum defid> at Quz omnia quauis ita fint unde tamen breuiot
ciufusad italiam.i.ad eo» teplatiunciquz m ipfa ratione fupedod polita
ediquaa ratione inferiod quz per Siciliam lignidcatur nihil repedes
przferdm humato patenteique nos mol bticm quanda eneruata homini a
fenfibus prouenienteinterpraetati fumus.NS quam enim ad ueram
contemplationem deuenicmusinifi pdus ipafut ebddia notum uerbo
utar)fenfualitasnon modo earinda uerii eria penitus fepulta in nobis
fuerit. Q_uapropterli rede animaduerds de Anchife mocte meminit poeta de
fepultura non meminittno enim in iuliam ed uenturus.ln quinto ueto libto
celebratur funusiut demu fepuito Anchife in italiam cotenderc lice Apparatis
itai^ rebus oibus Aeneas ex dciliafoluens paulo pod italix pot/ tus
fubite fperat.Ne(p fuilfet a fua fpe deceptus (i lunonem aduerdiTimam .
bi dea ex Heleni przcepto antea placauiffct.Odendimus paulo ante lunonoa
honopi impcriiij cupiditate expnmeredn qua quidc « fi Æneas ita fe
geiatiut nihil iniude/nihil audeliter in reru adminidtadone aduius
fit.faocenima Po lyphemo fuga indicauit nihilominus cum in confpedu
Italix iam fiti& in li nunc pene fpeculandi conditurus: Animadueitat^
non poife in rerum diuiu nuncognidonedcucnidsnifi humana haec omnia
cotenat/nidtut ille quidf Liber tettiiu rem perficere . Std appetitus
qui nou dum ratione fubiedus fit omnino ro> pugaat: faKU 9
argumentationibus perfuadet noncireaurneg]igendoihono« tes/autimpia
relinquenda .Percomodeo tnqiUate inquit LAVRENTfVS tC ad rem uehementer
appofitx.Sed unum efl de quo SC fi fortafTe confentanea fu fpicer >
tamen fentendam tuam uehementer cupiam.Na quid fibi obfecro uult
^fficilis ilia et apprime moiofa dea luno. Si enim manentibus
TroixTtoianis iiafcebaturscur deinceps iifdem illis in italiam
enauigatibus adeo boftili animo aductlatunan fortaiTequiautracp
uiuambltiofoK imperii cupido aduerfa Et. ifibne ipfum inquit BAPTISTA.
Atnbitiois enim dea olim Aenex irafeebatun quiuoluptatibus dclinitui
nihil honorificum quacreretmunc autem rurfus ira fdtnncum uideat illum ad
altiora quxdam eredum ea qux exteri mortales in admiratione
habentsotnnino contemnere. Omittens enim illa que primum gradum in uita
duili tenent non motulia amplius ifed immortalia quxrin mi rifice ictura
poeta.Vix e confpedu SicuIx telluris in altum Veb dabant Ixd j K fpumas
falis xre ruebant. Cum luno xtemum feruaru fub pedore uulnus: quae
deinceps fequuntur: Ratio enim uiuendiiqux honoribus inferuit cum
animadueitatfc ab Aenea deferiia quo olimquo cu ille uoluptatemtociu
amaret negleda fuaatyuehementadolet.Cognofcit enim fi ROMANUM IMPERIUM ed fhtuutur
foreiut fua Carthago ruituta Et: Quisenimnon intelligat E ad c6tcplationem:qui
ptxftanti ingenio funt uiti accefferint/ illos ciuiles actio.* nes
ccdercrturos. Oolet igitur St pfeotiiniutia admonita pteiitotutcminifdt.
Manet enim alta mente repoEum ludicium paridisfpretx^ iniuria
formx. Et genus inuifum et RATTO GANIMEDE ONORE. Qux quidem fabulx E
diligentius conEderentur nihil aliud nobis prader de*
ditauoluptanbusuitam referct: Nam Paridis ludicium in quo lunonl Venus
prxferturiquid aliud cefeasniEuitx honorum cupide molle enetuata^ 8 (uo
luptatibusaddidam prxponi: Genus autc inuifum.i.louis Eledtxt^ adulteri'
um:acpoSremo RATTO GANIMEDE nemo modo mediocriter eruditus Et alia
traduccuHisigituraccenla luno naufragio Troianos perdere tentat. Verunx
ne noseaquxfubhuiufcemodi tempeftatis Egmento recondita funt ulla ex
pattelateant: neuequidluno: quidxolusiquid neptunnus Ebi uelit incogni'
tum relinquatur:pauca de animorum noEroruui at<^ natura repetenda
funt. Illud tamen pmonebo cuenireiut eadem ad multos locos enodandos
adhiben da Ent t Q_u« E fcmel a’me expteEa exteris deiceps in locis
ueluti ia cognita file tioptacanc luideo me qd* fumopete cupio breuitati
inferulturu.Sed rurfus cu eodieteprKc/E Ecagamus/duplextibionusipo Eturus
Emieritenim eode tpe 8C memoria qd alibi didum Et repetendum: K quod
interim perpetuo orationis filo contexif' : Ene ulla inteccapedine:percipiendum
malo loquacior etk/q oomittere ne ingeniu eodem mometuo in plura
diEradum:ucl minima difpu lationis paidcula incogmta ptaucrmlttcre
cogaturiCum igitur ad id quod pro Ia.P. VIRGILIO M^IIfgo* tPrn/f
<«•’<*• 'v'»^ prium noSnim^ tft:quod(^ a noftrz onginls
diuimtate traximus t id eSsdt» tiocinandum/ad concemplandum/ad
intelligendum mgitDut:eam animi pai> tcmadhibcmus:quamgrzci nos mentem
nuncupamus. Verum hae mutiifed przcipuc Platonici chriffiani
FILOSOFI duplicem elTe uolueruntt 4 alteracu inrctiorem quam rationem
appcllant:diuiniorem alteram et fuperioro TIfct. qu- i
4eIIedumnuncupant.QU3propterfapienter Auicena animos noftroi ur t alterum
lanu duplici ore inllgnitos e(Te dizitiut hoc furfum uerTum ptia r .na
altilTima per (apientiam rufpiciamus.lllo uero res mortales et adioneshua
manas per prudentiam adminifhemus. Diuiditur igitur mens in duo rurfum in
tapientiara/deorfum in prudendamrquz Ht reda rerum agendarum ratio qua
iiinuirumfiC mulieremrutuirrupcnor iit ®at:Mulier inferior 8l
regatUR Quapropteregregiei!lud:^lioieiliniquitas uiriiqui mulier
bencfadensrnd enim przponitur iniquitas uiriliszquitari muliebri: Sed commode
exprimitut I 'tedius eum agereiquideiideriorerumczieftium raptus plurima
corporis &fo cialis uitz commoda negligat: quz res uideturiniquatquam
eum : qui ut nuW Ium uitae ciuilis officium deferat:czlcftium rerum curam
omittit : (^uz cura ita (intiuideamus quz a Marone dicuntur: Nrmpe zoium
lunonis przdbus uentostquoslouis iulTu regere debet/in mare cmififTeiqua
tempeflate obrui poterant Troiani nili illis aNeptunno rubuentumfuilTct. Quo
in loco fi ui tz ciuilis cupiditas (it luno commode zoium inferiorem:
neptunum uerofu« periorem hominis rationem interprztabimur. Non igitur
mirum liabhono» rumae imperii ardentilTima cupiditate ratio illa inferior
(lediturrattp de fuo gradu deiieiiur. Referunt fabulz zoium
uentisprzpolitum aloueefleiut iuC> TuAioillos BC intra carcerem
cohiberet&indeemmcreceru quadam lege ualc4 at. Quamobrem celfa fedet
znius arce Seeprta unfDS mpHit^ apimos: K teinperatiras:_8£,iilud N i
faciat maria ac terra stcilumq: profundum. Quippc fei^tfec^ rapidi :
uertantep per auras. Et profrd Ot&infiituti funt animi noflri ^etum
omnium fumnioatcfiitcdotut cum Iit in nobis ea pars quz ad tes
afeifeendas fugiendaf^ inlurgit: przponatur libi ea rationis particula :
quz infenor cum(it:adres omnes agendas rede appetitum moueat. Ratio auum
- Iplis mortalibus indita non a corpore efttfcd aloue.Hzciguurdumfuo
co ditori obtemperat celfa arce fedet:quia nihil humile cogitat: fed
quztp aigre^ gia: attp excelfa meditatur : teneti^ fceptra.Nam totius
uitzadminifttatianein habet: mollit^ animos /& temperat itas: cum
nimiis cupidiutibui appetii tum cohercet : at^ inna modelliz fines
continet : Sin autem ita lunonis blan>' ditiis demulceaturiut fuz
naturz propriz^ originis immemot rerum rettena rum cupiditatibus
irretiatur/ totum lilife przbet : eiult^ iuffu non autem lo uisuentos/hi
enim penuibationcsrunt/emittit.llli uao mare quem apped<> tum cflic
diximus paulo ante tranquillum ex diuafispartibus ferientes bor« tendas
tempeflatcs excitant: hebetant enim tadonis adem honorum cupidi tatesrquz
uelud nubibus obdudauerum bonum a falfo non difccrnitiip fumcp appedmm :
qui a fenfibus originem dudt: non modo non refhnguit ardaemractum ultro
inflamat: &gcntemiunonisinimicaseaautcft mens no / » Liba totius
Itlbullu Qanitn rnunicotit^tm:diuinatuin autftn cupida/mratiis
perturbati poibusobtuae nititur.Scd rcaeo ad lunonemillla enim cum
tecencitiiuriaanti / MUm (H)i uulnus refrkafictiira plena in zoiiatn
tendit. Kimbofum in patriam loca fceta furentibus auibis.
Cidlidaomnino dea guz regionem ad ea quzcupiebatpaHcienda fibi deligat
nott'ignotauic:Cum enim raum humanarum amor nos ad diuinarum cogniti onem
abfttabae nititurrin zoiiam patriam uento^rad enim eft in appeti tum p
tuibationibus expofitum ueniat necefle efi. Verum iouis iuflli hoc regnum
zoio commiffum cds Nam ri deo obtempaemus rationi fempa obtemperabit
appeti tU&Redifljme enim Platonicum illud bpnp uiro legem deum ellr :
malo autem bbidincm: Quaobrem huiulcemodi rarionemdeprauare aggreditur
Iuno:& ue iuriti qui caufz (iiz diflFiduntrfit fallis rationibus
perfuadae/& largitionibus cor tumpae iudices patanttita ipla zolum
adoriturteonaturep oftendere zquum elTc 4tillc gentem fibi INIMICAM
ITALIAM attingne prohibeat. Perfuade zolustfe^ cn da M iulTu lunonis
fadurum redpit:Q_uin quicqd imperii habet/id omne a iu BoUe
tecognofcit.Nam nili inflametur appetitus cupiditate rerum terrenaruiatrp
illp uduti mare ucntls turbet rminime uideretur indigere uita nofira impio
ratio tus.Hocigi^ padotromnia lunoni debere ratio fatetur ueluriquz(^nifi
pturba lioaesaflint^aibil habeat in quo fuum impium exerceatrac decepta
cupiditate ea tum raum quas magnas putatmentis habenas remittit/ac mare
perturbattquoni •tUturbulemimis cupiditatibus appetitum
codut.Quibuszneasqui ad cxle^ Bium rerum contcplarioncm tedit/adeo labo
paiculorut^ magnitudine infrio giturtuta jppolitodciiciat" :Et ^fedo
cum appetitus quo folo animus moueturr ftquonosad fummum bonum duci
oportet/aKonosrapiat/infurgit atrorilTima iUa tempeftasrin qua eripiunt
fubito nubes czlui^ diemt^ teucroru ex oculis . Na qui paulo ante
tranqllo appetitu adrpeculationemfaebant"tinfurgentibuspaturi Mtionibus
adeo illis oixzcant" :ut quicqd luminis a rdnepueniebat/peniti»
tollat tVnde fit ut nox atra ponto incubet. Appetitus enim qui hadenus luce
rationis illul habac nuc illa amilTa in tenebris uetfatur. Adeot^ zfi uat hoc
maretuc lii aqlone fetuntur/hzc enim elatio quzdam elliquz a rebus
fecundis profluit. Alii in fummo fludu pendentmam fupra fuas uires
difficilia ardua^ aggrediens tes amdi foliciti perpaua expedatione
pendet. Alii terram inter fludus tangens tcsabipfa fortuna dnedi
mifetiarum cumulo obruuntur.Sunt deniip qui in fas
alatcntiacontorqurantur. Nam multi cum impetu perturbationum ad huiuf^
cemodi cupiditates explendas ternae ferunturiin uariatp pericula fibi
improuifa inddunt. Sunt poftremo quos auaricia ueluri in fyrtes
ttahat.Nam quis non uis daefle aiam quorum nauis demergatur. Vnde utre
omnino apparent rari nan tes in gurgite uaftoiNam ex inumera mortalium
turbaiquos perturbationum p cclh]dcmagit: paud emagae ualentiFado enim
habitu pauci ad portum enare pofluntiprzfertim cum ipfe gubernator a
temone tcuulfus imo in przceptls deie dus in profundum ruitiCum enim ea
animi pars quz uitz regedz przpolita eft fuaiicde deiidtur/adum iam de
uniuafa te cite quis non putarHzc autem otns Iliacum lunonis zoli^ culpa
acddiftenttinterim Neptunnus commotus graui* i In. P. VIRGILIO
M. AIlego. tate t<tnpcfta^sf>Ia'd(]uin caput ex fumma unda cxtuIk. N(ptaliutn
mum macia deum cfTe finxerunt: Dico aut fummumiguia alia quo^smaf^o» mina
extann&ptofcdo plutea uires appetitui prxfantimouet' enimilfe iudit»
fcnfuumrmouct" tonis inferionsifummum tamen impium fupioii ronirefenu
tur. haec igif r^tio quam nuc neptrai nomine (ignifiat poeta cum
oibuspturba« tionibus rapi uexariip uideat:caput e fumma unda ueiuti ex
fpecula rifetttVnde ipfius appetitus fludus jicellafip animaduertes aium
illius furore in pram pinum rapi cognofcitinei^ folum tcpe(htemfmtit:fed
etiam ipfam lunonisdolisexdta tam intucc :Nouit enim reda ratio aium ita
afFedum:,ppterea in hasmiferiasitw ddiffeiquonia falfa bonop: fpe decepta
inferior ratio urntos no modo non cohi buerit: fed ultro
emiferinC^uamobre utfubitn tato malo remedi uni affecat cuje zephyrui^iac
reliquos uctos ad feconuocas grauirer increpariqui impio titanum
fanguineorti/deo^i regnum infeftareaudeanReferut enim fabuix uctos Aftrd
filios fuilTei Aftreum aut unum ex iis titanibus eifedicunquiimani impietate
ad« uerfus deos imortales temeratiu bellum fumere lint aufi.Hxcigi^ in
fabulis rcr periesi Non aut CICERONEM reliquofip dodiflimos
uirosaudiamusiquidoa ali ud cum diis bellum gerere qnaturxnolhx repugnare
interptabimur;Q_ua qui dem re quid magis temeratiu rflepolTit non
rcperio:nam queadmodutn cosUi demum fapietes Bi dicimus Sc frntimus:qui
naturam optimam ducem fequund ita illos (hiltos temerariofep
putabimus:qui ab ea oino dcfcifcut.lure igic' uentM c titanibus ortos
iinxeruuquonia ptuibjtioncs a temerario fempi&nalurc repu gnante
iudicio pueniunt. Audax igitur facinus comittunt perturbationes i qux
flultitia 6i temeritate humana gente appetitum diuinitatis nolhx id eft tonis
itm perio fubiedum turbare audeant.Quaraobrcm iufte a neptuno
obiurganifues ti:fu(lcc^ impium pelagi fibi uedicat ncptunus/cum in bene
inftituto animo hw iufcrmodi illud e(fc oporteat ut folo mentis iudicio
moueatur. Ad huiufccmodi igitur fentemiam commode polfe ttanffcrri
xolum/at^ neptunum putaui. Qod (1 qua in parte fatis tibi fadum non
e(l:aut li quid in mentem urnitiquod aptius IcKo quadret:promas illud
licet: Nihil enim c(l quod uereatis:aut pudore impe< diaris:Nam
neminem ex omnibus qui uiuuntiuucnics/qui aut xquiori animo refutari
patiatur:q ego fero/aut auidiusqucxlnefcicntaddifcat: Necp eft etiam quod
dicas huiufccmodi fenem ego adolefcens. Vidi enim multos ex iis qui et ha
bentur et funt dodiflimi nonnunq admonitu etiam indodilTimi hominis in at
rum rerum cognitionem ueni(Te:in quam fuo ingenio tam diuturno nunquatD
tempore hadenus uenerant.Ego inquit Laurentius quid aliis euenerit
ncfaoiiiu hi tamen nunq tantum arrogabo. Verum quia accidere in tanta
rerum copia at^ uirictatc dodilTimis quibufc^ folet/ut cum plurima eodem
tempore fefe med of ferant: nonnulla fint:qux fic fi non explicent"
:facile umen Sc reliquorum fimilitudine percipi pofiint.Sint etiam et alia qux
quamuis enucleate planecp ediflicrae turihcbetiori tamen ingenio qui funt
illa minime confequant":utar ea quam mi hi pamittis licentia:&
quoniam de confugio xoIi:at(^ deiopex nihil a te didum cftipetam nifi id
omnino inutile ducas:ut fi quid ea in fabella fitiquod ad rcno< fisata
confciat/nobis explices. At dices n unquid tibi m mentem uenit i ac
edam Liber tertiuf nthinu Horib^tne(!erat!ges« Vcnicqdetn. Kamaiffi
nKo adiuiDis ad humana abducenda cftinullum pene maius przmium proponi
pote(l:g pulchrum cafiu m coniugium:inde enim cupiditas ilia naturalis:quz
eft coniundionis maris SC fttminaeezpIetur. Lndefoboliseft |> pagatio:quxquidem
non fotum uoluptatiii tuul ac ufui nobis cd;uetuffl etiam pofteritati
confulit/ut etia morrui aliquo mo do ih illis uiuamus.Ulbucipfum inquit
BAPTI5TA nec modo |>po(itx quxlH oni rationem habcas quicq eft
prxterea defiderandum.Nam id hoc in loco aperi amiquod alio paulo pofi
foret aperiedum*Prifci igit" illi qui de deoni natura
fcii» pferunritria ibeologiz genera pofuerutiunum fabulofum/quod grzci
mithicon nomtnant:quo quidem populum ociofum in theatro oblec rent:
Alterum nata rale/idenimeft phy ficonrper quod comode
uimnaturxexprimuntiut cum per iatumumhlios omnes przter illos
quatuoruorantem tempus nebis denotant: itodii quatuor elementa
ezcipias:omniafua edacitate confumit.Tertium uero iccirco
ciuiJeappcllant:quia inde ad benebeareqj uiuendum przcepta promatur
Coofueuerc igitur poetx quibus nihil dodius reperias/hzc omnia ita
confundere:at<p m unum comifcereiut optimo quodam temperameto eodem tempore
et aures fummauoluptacedemulceant:&
mentem recondita dodrina alantiac nos adredum at^ honeftum et ad ipfum
fummum bonum deducant: Nos aur quo ciam A hzc omnia exadius in Marone ^fequi
uoIuiiremus:nimis operofum ne godum |poni uidebat" duobus primis
generibus obmiiTis intra ciuilis generis ca cellos difputationem noAram
mcluAmus.Q_uapropter illud paululumtqd mo* do de fabula decerpferas/noftro
operi conducet: Nam reliqua phy Acen fpedanr. Dicunt enim Pbccbi Aurorzi^
Alias.xiiii.fuiiTe eafcp lunoni nymphas attributas exiliorum enim
intcrptatione luno aer cA* Aeri autem feptem quzdam attributa
fuiit.Septem itidem in aere ignum''. Quz omnia ipAus folis tunc maxime cum
in noftro hcmifpcrio ueriat :opera proucniunt.Sed ut de primis priori loco
dica tur eft aeris ut leuisAt:ut mobilis:utcalidus:ut humidus: utferenus:
uttacitum P Utlpirabilisxbasigic ueluti feptem nymphas finxerunt
poctz:earutn autem quz in aere gignunt pi imam ponunt quz Ins
appellac'':Cui etiam attnbuut tres ueiu li minittras pluuiam grandinem
niuem.ln his enim contingit ut nubes fuli oppo Dat :fcd eft id^ut ita
loquar^nubiu corpus ut alia fui parte denfum/ut alia denii^ us/alu den Aflunum
At.Q_^uapropter a prima fubrubeus/a fecuda ccruleus/a ter<« tia niger
color perucnitx Contra ucro partes quz in ca purz funt croceumiquz ue ro
puriores uindemxquz poftremo puriftimz album colorem remittuntibzc igi
tur piima ex alus feptem nympha eftxquam deinde fex fequutur phy thon
come.* ta fulmen ronitruumxcxhalatio ac tcrremotustdeqbusfuo ordine
difpacarc no grauereniuriniii ex tnbus illis quz dixi generibus ciuile
folum profequi conftitu il Temus: Vaum cum uoies bzc probe et quid qua
ratione gignantur: faci* ]ccognofccs.Sunteniminiisquzmeteora appellanturab
Ariftotele quidem pr acute:ab Aiberto uero cui magno cognomen eft etiam
aperte petferipta. Quod autem dciopeam omnium pulcherrimam fe daturam
pollicetur luno ratione no carenEft enim ca in aere facies quz ferenitas
didtur.(^uz res autein magis io cu pidiutem tcruin humanarum trahere
zolumpotetauqDamfctena czii facies. Perplacent ifiainquic LAVRENTlVSs at ita
perplacentuit nihil in iis prxt» rea deiideretn:perplacent quo^ quz tu de
ratione appetitu^ diziftitfed uide at pugnantia
Ioquaris.Natn(ire^tnemini/tu paulo ante xoluminferioiemratu
netnelTcuoIuiditnuncncptunum fuperiorem ponis:redeutru^:Verumcn hic
impetiutn fibi non autrtn illi datum dicattnon uideo cur zolo quotp non
conoe datur:ut mare uel io mittendis uel coheteendis uentis:aut extollat
aut fcdett No co inficias inquit Baptifta pertinere ad hanc inferiorem
rationrmiut cum deage dis rebus iudicium habeat/ipfa appetitum et ad
raquz afeifeenda funtimpellati et ab iis quzfunt fugienda auocet.Vcrum
quemadmodum in bene inlhtutare publica fupremus quidam
magifiratuscreaturicuiusatbitrio £d ii omnia getan^t alii tamen aifunt
minores magiQratusiquibus fingulis fmgula committantunili totius uitz imperium
in mente confi(ht:ita tamen ut infenor ratio appetitui ea Ic ge propolita
(itsut nihil niii rede iudicet.Q_^uod ii illecebris rerum humanatum
decepta non rede fentiat:fcd iint eius iudteta falfa/adeft fupremus ille
magifha* tus ad quem prouocare liceat:Q_uapropter rede faipcura eil zoium
no niii clau fo carcere regnare: quoniam in uita hac communi ac ciuili
potius cohibetur appe titus ui quadam rationistquam quietus tranquilluf^
tcddatur:non enim in bo nas affcdionesconucrtuntur:red potius moderatione
cohercenturjRatio autm fuperior cum caput ex undis exculittemiiTamt^ a
lunonc hiemem cognouitteun da in tranquillitatem redigit. Emittit enim
raput ex undis cum fe a corporea mo letqua hadenus obruta opprimebatur
ucndicans ipfa fe excitaUat^afeniibus fe uocattquo tempore non folum
cognofeit qua hieme opprimatur zneasne in Ita liam tendat:uerum etiam
tantorum malorum caufam lunonem id eft rerum bu manarum cupiditatem
ei1'einteliigit;(^uamobrem uentos qprimumanutire mouet : Nam
uacuuspertutbationibus appetitus rationi obtemperantior reddi tut lllofq)
ut deterreat maiores poenas fibi daturos minitatur: quam illi ab Aenea
acceperint: nec iniuria . Nam appetitus a perturbationibus inuafusad tempus
uexatur « Intelligentia autem illa fuprrma fi imperium fibi uendicae tit/
quoniam fummo lumine animus illufiratus nunquam deinceps nec ded
pitut:nec labitur : neccfle eft ut perturbationes: quarum genitrix falfa
opinio fuerat in nobis penitus fepultz reddantur. Quapropter non fimili
pasnaco milTa uenti Neptuno luent. Sed undz quz fequantur . Remotis
uentis ou bes dirperfas in unum colligit Neptunnus: at«^ colledas fugat: Efi
enimboc intelligcntiz:ut a principio fingulas falfas opiniones
profequatur : in unum congerat : atq demum confutet: quibus confutatis
tum demum folis lUe ce: ea enim efi ueri cognitio eunda iiluftrantur. Q^uio
81 dmothoe et totos naues a fcopulis abducunt. Cimothoe per undas currens
fi gtzcum uerbum aduertas faale interpretatur. Triton autem neptunni
tubicen babetur. Iftaigi tur duo numina afcopulis cupiditatum naues reducuntr
quia cum tedum DOuerimus/uana relinquimus. Scientiam autem autnofiro ingenio al
Tequimun cum id fua uclodtatc pet eunda difeunat t aut dodtina aliunde
accepta pd«' IIs I a :v t Ii* :lil i i M d nit ai fli iib idi &bi m Ml ItM
IS it alti nbi lii» IStl' uti
«m 110 0» 1» ufl «I (i ‘i? iit tf tnumilludd
motlioesuelodtasciprimir hoc autem tnton signifiat. Mam ut Cubidaes fuo
przconio mandata prindpis manifcfti Qtidc dodrina quid ucriras
4ieIitaperit: quod autem prorpcrocurfu per pacatum mare utatur neptunus
fadleprobatur.Nam cum pacatus eftab omnibus perturbationibus appetitus
ita per eum labitur ratioiut nufquam ofFendat.Diximus de tempeftate.Nuc
ad reliqua pergamus: Neptuni beneficio ex tam manifefto peri culo erepti
Troiani cum fefu fradi(p Italiam utpote longinquam terram contingere
pofTe defperatent:extemporaneo ac^ minime przmeditato confiiio ad propinquum
carebam ginenfium littus uela dirigunt: puto uosmeminifTeitaliam
fpecu!ationis:cartha ginem adionis figuram habere. Quapropter id nunc
exprimit poeta quod in humana uita fxpe ufu ucnire uidemus sSunt enim
multi:qui cum ne in uoi luptatcne^ in diuitiisnet^ poftremo in honoribus
fummum bonum inueni^ ant ad ueri cognitionem fefe conferant; Verum cum fe
humana omnia Facile poircconcemncrci& reorfum ab hominum coctu
contemplationi incumbere cxiftimenniamtp rem aggrediantur uix illam
reliquerunt cum tantum relidam tum rerum defiderium infurgitiadeo ex
recordatione tantarum illecebrarum cffeminanrur: utrurfusin fumma spcrruibationes
incidant : qux quauts tan« dem fumma ratione fedentur:adeo tamen defefTi
defacigatit^ relinquuntur ant mi nodriteum non fine difficultate tam
horrendam tcmpdiatem euaferintiut latis fupert^egiffe putent fi
focietatem humanam incolentes qux immania 8i humano generi pernitiofa
funtuitia effugiant. Virtutes autem fi non exadas; ati^perfcdas/incohatas
tamen retineantifi: cum difficultate dus uitzqux in ucnfpeculatione pofitaefideccrreantut:animaduettantqux
hutufccmodi ui^ tz genus humanam pene imbecillitatem excedere cum
Arifioteles maius aliV quid quam hominem effe qui hzec poffir affirmet
fecum fic ratiocinantur.Non- parum erit uoluptatum incendia euafiffe :
Thracenfium rapinas euicaffe : hac harpyarum fordes et Cyclopum immanitatem
refugiffe . Nunc ucro fi id non. pofiumus: quod diuinitatis potiusiquam
humanitatis effe uidetunillud quis reprehendet ut in hominum locierate ad
quam colend >m tucndamiaugendam ^ nati fumustuerfati prudenter iufte
fortiter deniqi ac temperate uiuamus/ pa rati pro pania ac parentibus
nullum laboreminullum periculum deuicemus.. In omnes qui nobis
fangumeconiundifunt pietatem obferuemus: Ciuibus nofiris aut egenis
liberaliterfubucniamus: aut errantibus redam uiam demo- firemusiaut
iniuriaoppreffos confiiio opera gratia audontate noffra fub«'
leuemus.Speculationem ucro magnarum rerum in maturiorem zratem anp
inipfam fenedutem: quz a multis perturbationibus i quibus huiufcemodf
uita maxime impeditur liberior effefolcC reiiciamusiquamquidem fententt
am iis quz de Hyfach magni Abraz filio dicuntur : tueri fe poffe
confidunt: Nam quod de patriarcha lilo legitur egreffum effe ad
meditandum in agrum inclinata iam die ita interpretantur exiffc illum a
corporeis fenfibus adme ditandum in agrum quafi feorfum ab humana frequentia
inclinata iam die/ id enim efi circa fenedutem iam femore fanguinis
ceffante.Conanr prztereii Cuamcaufam grauiffimotu uiioium teffimonio
corroborareiqui ufutn potius lQ. P.Virg.M.AIIcgo< triqaam
aufamunde bonum (it confidcrantesadionem contemplationi aiw teponunt.
Pcxfcrtim in uiridiori aetate: in qua philofophum agere, dicere rem
publicam adminiftrare militare at^ imperare iubemtoftenduntip Platon ip
tum uakdioribus annis K nauigationes io (Iciliam : et (iudia in Dione exerciM
retSencfccotem autem in academia circa ueri inqai(itione quieuilTe: Xen
ophi» tem quorp adolefccntem in rebus agendis fummopere laudant:Srn:m
ueto in fpcculatione admirantur: et beatum propter odum putant: Q_ui n
etiam mub tos ut fapiendorex fierent plurimos populos paagrafle oftedunt
: Q^iuproptct K Homerus Vlyxem fapientem propterea dicit:quod multorum
hominum ut bes ac mores nouerit:Huiurcemodi igitur ac plura alia in unum
collig^es/qux tu fummo artificio ac prudentia nudius tertius cum hoc
genus uiucdi laudibus efferes enumerabas fpeculandi propofimm in feriorem
ztatem rdiciunt i at^ ad res ciuilcs agendas interim fe conuertunt:Q_uod
quidem uitx genus qui ui tuperabit/is profedo iuflam ut ab om nibus
uituperetur caufam prxbebit.Sunt enim fua (ibi qutxp muneraiSt plutima
quidem at^ przclaraiquibus (i rede fu gaturi&czteris utilitatem
ficfibi gloriam tranquillitaremip quoad imbedllitai bumana patitur (ine
controuer(ia pariet:Q_uapropter non (ine fumma ratione tutus
tranquillnfip portus in caithaginen(i littore defcribituricuius formam
li< tum^quzfo diligentius infpidte.Eftenim in fece(fu longo locus:quem
infula portum ef&datiMortalium enim uita continentem: ea enim terra
eft quz marU nis fludibus minus e(f expolita nufquam hibct.lnfulam autem
habet zfiuinti busafliduofurentibafip undis undu^perculVam.Sed quz tamen
ita fua mole beteat: ut aduerfus omnem uentorum undarumip impetu
immobilis fimpcr obduret : Nam cum hzc quz momentanea funt: et tamen (f
ultitia humana bo na putantur fortunz temeritad fubieda (inticut^ amore
fui mentes humanas in Cendant conficerent profedo nos nili infula in
medio mari (imus : quz quauis unditp mari mndaturitamen uirtutibus
(fabilita non mergitur.Eif autem in 16 gofccefTuiNam animus uirtutibus
aduerfus fortunz impetus munitus procul a perturbationibus
feiunduscft.lllz enim obiedu laterum repelluntur. Cu hin: fortitudo
contra res aducrfasihinc temperantia aduerfus res fecundas opponar i
rede^ uafte rupes appellantur. Virtus enim in diffidli luco polita etf.Aode
qtf ita medium tenet:ut quocunt^ te inde araoueas:ad extrema peiuemi
ndutn liu unde tanquie piti rupe labatis gemini^ minamurinczlum fcopuli.
Nam non folum noUra prudentia freti res magnas aggredimur. Vei um multo
magu diuinoconfilioconfili.NcctemetedidumeQfubrcopulorumuettice
zquota tuta li(ere. Nam appetitus duplid lumine illuftratus ab omni
feniper pemiiba tione liba cfi.C^uod autem defupafczna corrufeis filuis6t
atrum nemus horrenti umbra imminettnon caret rationeiNullo enim in homine
prudenti' am inueniasiqut earum rerum quas fua temeritate fortuna uafat
cuentus pem tus przuideaticum tortam^ diuerfis caiibus cxponamuriut
pcrfzpe Si quz nocitura (int fummis uotis expaamusi6C ea quzfieuenircnt
falutiufui ef fcntiueluti noxia omni indufltna fugiamus tOeni^ in aduafa
fronteaquz dulces depizbcnduntur.Nam cum procul a uatiaium cupiditatum
fludilMis Liber totius botiSftifflunezur^ buiufcctnodi uita:quz (ioo
beata omntae e quieta tamen 'tcanquiUa^ (it.H uiufcemodi igitur pottum
Tubcunt: qui fuprema diu fedati ac poRrrmo difficultate deteriti fe in
uitam focialc contccucnin qua ciuilibus uirtutibua exculticuinuerrentuc
laudem non medioaem reportanti longe ta« en ab ea diuinitate qua quairimus
abfunt. Quod aute feptem nauibus huc iubicritiquodi^ reliquos c (copulo
profpiciens requirerenquod detnu focioru inopiam raritu uinoij
rublenaunic buc pertinent ut intclligamus eu qui rc pu«
bJicamadminiflrandam fumat oes labores omnia incdmodafubire oportera ut
illoru quz fuz fidei cdmifTi funt falutem incolumitatcmi^ conrcruet. Qua riptopter
fit Acate$(^ea enim principis cura efl^ igneexcitabit/ id eft dcfides ad
tes agendasaccendetiutquz ad uidumncceffana funt minime defintifit
fcopulos Buendens abrentes requiretiquos (i tutari non poterit iis qui
afTunt confulitiillo tnm^ inopiam cu fublcuauerit etiam oratione
confolabituc:optimif(^ pcepds ita in^oet/ut admoneat non effe huiufcemodi
hoc uitz genus ut m eo fedes et gere
uelimusiSed effe omnes labores ac difFiculutes fuperandas /ut in italia
per ucniamusiubi demum fedes quietas muenietiubi etiam Troia reforgetiNam
cu uitauoluptuofaibiquzreretur eaaderat uoluptas iquza fenfibusprofeda
cor porca edet fit caduca: fit qua (latim poenitentia fequebatur.In
italia autem uolua ptasfuma prouenictadiuinaturaum fpeculatione.quz uera
fimplexcp fituo luptas quz perpetuaiquae ztema qua nullus moeror
fubfequac. Hzc enim opti tni principis adminidratio eft:na cu u ideat
ciuile adione humanz indigencizt non aute ei quz io nobis efl diuinicati
inferuiteiita in illa uerfabic :utcu quz ad mottaliu inopiineceflaria
funt uidetinfuotutame animos ad diuina etigatt iubebit^ eos
aduerfusfortunzcafus durare: fit fe rebus fecundisquas in latio inucniet
feruare.O diuinum ingeaiu.O uitu inter ratidimos uitos omnino ex
cellencemifit poetz nomine.uere dignumiqui non chridianus omnia tamc chri
dianopr ueridimz dodrinz fimi liima proKrat.lege apodolu Paulu. libet
enim unum hinc ex omnibus ucluti nodrz religionis caput nominareiqui
uitam hu manam ad huiufcemodi notmam dirigitiut ne corporis necedatia
fubtrahen da:flt uero inuedigando femper uacandu cenfeat.Q_uid enim ille
fufe late de Cmbinquod hic poeticis an gudiis non coardetiMiraprofedo
restut fingula pe ne uerba longidimas e platonicaiaridotelicac^ re publica:fentetias
ampledi ua IcantiSed nolo quod quidem hadenusnur quainfeci:itaexade hunc
IcKum profequi:ut reliqua deinceps aut omittenda:aut ea celeritate
przteruolanda fintiut idem nobis eueniatiquod longam piduram in
citatiiTimo curfu per« (piciennbus euenire folet.Ii enim in puado
teraporisicum id etiam magnope tecontendanticolorcs notare uix
poffuntiliniamenta autemifit corporu fimu Iaera fit quam grzci fjmettiam
nominant ne uix quidem. Q_uapropter relu quaadtnaiusocium
differantun^Oratio autem Venerisad iouemrurfuftp lo« uisad Venerem meram
textus (criem continere placet.lnferuiut enim omnia poetico f)gmento:ita
tamen:ut non nihil de mathematicis decerpat Maro: fit unde luboyt
familiam in primis autem AGUSTUM (OTTAVIANO) Augudu laudet.Nam quz ad
allegori am tcfcitc uoluffius iude folu accetfenda cefeo unde duc^.fiu
fpote fcquanf In. P. Virg.M. AIItgo. Sin 3utc ui ingenii
inuitamuntur/twtu de grauitateruaamittunttatridtada pene reddaqtuttluc^
omittamus anxias interprxtationes:ea(p folumaflim» tnus/quz non modo in
abdico non latentsfed ultro Tefe quxrehtibus offerant. Quod autem paulo ante
ad mathematica pertinere dixi pauds quidem fcd,uc temporu anguSiz ferebat
no oino obfcurz in principio expolitu clTe puto.Ita^ teuertor ad Acnea^lc
enim per node plurima mete repeti ftatuit ut prima illa ccfceret loco^t
natura diUgctius exploraretSt hoics ne an ferz teneit inucdigarc. Q_uibus untibus qualem
oporteat eife rei publicz adminiftratorem egregie, a {timit. At^ in primis
illud bomericd approbat. Q_uis enim cui tot mortalium cura c6mi£Qi
Iit uu' uerfam nodem fomno impendet. Id aurem fumma (apientia didum
omnes fatebuntunEft cnim’optimi principis uel praecipuum munus cum loca
inculta uideaciut homines ne an ferz inhabitent iibi exquirendum
proponat. Na qui uitam ciuilem diligenter
intueturmaria hominum ingenia;uaria fiudia uario^ q motes inueniet. Sunt
enim qui redo honefto^ r(mperincubant:ciuili con cordiz
faueancsLibertatem (aluam eflecupiantmeroinc plufqua leges intepui blia
ualete uelint.Iniuria oppreflbs fubleuent. Superbiam fcditiolorumciuid
deiedam cupiant. Maieftatem publicam pro uiribus augeant.Religionem de«
ni^iac iufticia omnibus rebus przferat.Hi igitur iure hoics appellari
polTunt: quoniam humanz naturz officia non deferunt.Contra autem plurimos
repeti as/quotum pctulantifTima libido nihil fandum/nihil pudicum
relinquat: pluri mos qui fuma auaritia acccli/omnia uenalia habeat:&
aut ueluti uulpeculz do lisiinftdiif^p incautos decipiat:auc uiribus
fuperiores cum iTnt opibus quo fit honoribus eos anteite uelint:quibus
fapientia ac uirtute longe fintintetioress buiufccmodi igitur uitiis
deprauati homines quauis effigiem mebra:^ humana retineant/tamen quoniam
mores ferinos induerunt/no amplius hominesifed immaniffimz ferz putandi funt.Q^uapropter
in humanis coetibus longe plura funt illa;quz uitiorum uepretis at<^
fenticetis unq inculu hortent: quam ea quz ingenuis artibus prxclarifd^
uirtutibus exculta nitefeant: progreditur igif Aeneas ut fingula
diligenter exploretinon temere tamen:fed Acacem tidiffima comitem fecum
ducit:8( armis inffrudusincedit:Nam quis unquam rede re publicam
admini(lrauit:cuius animus aut cura ac diligentia uacuus fit:aut for
tiCudinecareat. Iliis enim quz agenda funt multo antea przuidemus.bac au
tem nequid ex iis quz magna ac przclara puidimus ob moetu infedu relinqua
turtcfiffimusiCum igitur rciedo in aliud tempus contemplationis propoiito
adeiuilem uitam digrediatur Aeneas:Sit^& in ea multum elaboridd/opus
eft ut et duce matre ad illam perueniat.Nifi enim amote catum reru quz
age dz funt calefcat animus aduerfustantos:tam^uarios labores
obtorpeatnc.> ceffe eft.Fit ergo illi obuiam mater no tamen cofeffa
dea/qualif(^ uideri czlieo lis et quanta foletiEam enim fe tuc offendit
cu filium a uoluptate eo cdtilio ab ducebat/ut ad fumu tenderct:Q_uo
tempore oportebat ed inflamari amote di uinaru rerutqui et ipfe diuinus
ab omni materia 8C corpore jicul abfit. Hic adt catum reru amote
incendit" : quz corpotez Bi magna ex parte mataiademafz Liber lotiui
li io “!• lA ab ife «pg bb aS sua tsb mt
s'4U . utii at». ia? r i*f a O liii ga< 'fb fihhQuapro{iter
non deam confcf Taafed humana fotma di RiffluTata
fefe filio offcit:ftin (yiuaotueiiatriziIIi appartt. Quem quidem locu
planius uobis nf primamati pauca omnino necniu ea qux nrcriTaria funt
prius de fylua rxpofur^io. Omnium tetum qux funt redum quendam ordinem eiiflere
: Trifmegiftus Homerus ac PLATONE oftenderunt: Atm ut quot fentirent
dilucidius exprimeret au ream cathenama naturx fonte ad innmam ufep Fecem
demitti finxeruntiqua fa> is gradibus eunda connedanturteuius origo
cifentia dei cum (it eo ordiue proce ditut ut fecundo in loco
potentiaztertio fap'entia:at<p quarto uoluntas collocet t bxc fequitur
fatum attp illud anima munditdeinceps funt cxieltes demonest (iit
xtbnriifunt aereisfunt bumedeitfunt deni^ terreni. VItima autem omnium by
le^quam nos fyluamdidmus^in infimo refideti Poifem fingula non fine
fum< mo ufu atip voluptate oratione mea profequi. Sed quoniam
difputatidi noftrx neceflarianon funt brcuitaticonfuIam. Quamobrem
exteris obmiffis deu prin apium lyluam extremum in catbena ponemus.Nihil
igitur deo fuperius . Nihil fjlua interius.nibil hocprxftantius.nihil
illa uilius . Media uero inferiora fupe« nntta fupetioribusuincuntur. Eft
igitur deus et fyluathxc autem niatetia efttex qua omnia corpora funt .
Vt enim lignarius faber materiam ex qua eunda fadat luam habet . Continet
enim illa rude adhuc lignum s K informe: Sed quo tamen innata fibi facultate
formas omnes redpere ualeatifaber autem in quafcun^ uult formas illud
tradudt tcadem ratione ad deum materia eft.Deus enim for
masomncsabxtcmitate complexuseft. Materia uero fi illius naturam
infpicias formam nullam certam expreffam habet. Verum innata fibi
recipiendi faculta te t et ut ita loquar confufe omnes continere uidetur.
Materiam uero quia matet fit didtur. Ceus autem pater: forma uero
prole$.Deus enim dat.fylua redpit. *fotma nafeitur . Q^uapropter rede
Trifmegifhis patrem matremtp xtemos: pro lem uero mortalem didt . Mater
cfi materia quia finum prxfiat. Deus gignit : 8C oeat : ac fua quidem ui
. fila autem ex alterius immiztione condpit .Condpit au teminfufione
fpiritus diuinitquam animam mundi nominat Tnfmegiffus t Q_ux res eum
mouet: ut deo ofiidum patris tribuat : quoniam infundit: SyU ux uero
mattis t quia a deo condpiat: Animam denicp mundi uim feminis hsb>
bere dicit : quia a deo ipfa infpiretur in fylux gremium. Prxtereo plurima
nomi aatquibus uariasfyluxproprietatesexprimit:Illaenim nihil ad hxcqux
agi« mus: Sxpe umen totam materiam appellat malignitatem :ne«
iniuria.lpfa eni Iblacau Qefitutresmintentumcadant. Namquod a materia
feparatum efit id nunquam interit: Nunquam enim quod fibi contrarium fit
capiti fed illud fu« gitat femper at^ declinat: Quod vero fylux gremio
continetur: iccirco in la^ teritumiabitur: quoniam fylua/cum ad omnes quas
qualitates appellant xque lebabeatcuenittutuelutialtera Helenaintra teda
uocet Menelaum:ac limina pandat. Num dum foimas illis quas hadenus
receperat contrarias admittit: fc« cile fit ut cxtemx irrumpentes
domefticasextinguant.Q^uapropter quis illam malignam non dixerit t qux
familiares fotmas prodatiignotas admittat: K uelu ti fufiepri iam in fuam
fide m clientis caufam deferens : aduerfariiqi fufcipies per timtnam
perfidiam p eaoiaticeruf i Tardat etiam et perturbat noftras
mctesfyb k rn.P.Virg. M.AIIego « Ui t omae ab ea
uiHum nunat. Viaa enim mfcitia igaotatioa [«St At ignorationem
ipfam cz craflitudine caligine^ corporis prouenire et Plato S plaeri^ cz
iis qui grauiflimi habetur philofophi audorcs funt.Huiurcemedi igi tur
rationcmotus diuinus Maro cum rerum humaiurum:8;qua; corpore no a
rent:proptrrca^ in uariis erroribus uerrenmr:amore inflametui is qui in re pu>
blica princeps effe cupittuenerem Tub mortali forma inducit Sc in tpia
lylua:guo niam eunda quz agimus in materia demerla funt illam ponit.Nec
temere umv tricis habitu ezomat : Eas enim feras de quibus paulo ante
dizimus fibi infedai das proponiuquifuis cibus rcdcconrulturuseO.Acneas
tamen non nihil diuir nitatisin ea etiam iic diiTimulante cognofcit.nam
Si (i populorum temperatocai circa humanas adiones uerfenturuamen quoniam
honelhim redum^ tuentor eodem illo amoroquo hzc caduca appetimus originem
nollram diuinam eflie fcntimus.cum enim reIigioncm:cum luditiam: cum
animi magnitudinem atb amamus : uerfantur hzc profedo circa adiones .Sed
tamen quis non uideat illa a diuinitate proiteifei C Eft tamen oratio
uenetis non ut dcz : fcd ut hominb: K tamen nefeio quam diuinitatem
redolens : Nam cum Carthaginem proficiid lii adeat:argumentationibusab
humana prudentia profedis utitur: Nam K quz de hilioria Didonis eruit :
ea omnia falutis fpem afferunt : Si cum aliquid funp rum przdicitmon ut deaifcd
ut augut ex cygnorum uolatu przdicit . Illud aute fumma fapientia
czcogitauit poeta : ut in orationis fine fe deam manifeftatet Ve nus :
Nam cum in uita ciuili quz reda Si honefta funt diu coluerimus ez illotn
pulchritudine ad diuina quotum hzc ueluti (imulaaa funt erigimur.His
igitur rationibus a matre perfuafus Carthaginem tendit oblitus tamen
tenebris : ne illi us conatus aliquis impediret . Et profedo fic fe res
habet . Nam qui magna pru< dentia przditi funt uiri cztnam
multitudinem quam adminiftrandam fufeipi unt ita ad redum honefl um^ trahunt :
ut fua conlilia fzpilTime tegant:quz q dem fi palam facerent autzmulor uminuidia:
aut dulcorum infcicia impediti illa ad ezitum minime perducerent: Vtenim
prudentes medici zgrotos(^qucv tum libido nihil falubre ezpetit])perrzpe
fallunt : Sic optimi prinapes fimutan^ do aut dilTimulando fua conlilia
occulcant . Nam ut cztera obmittam nonne qui leges tuleruntiquo maior ei
audoritas inelfet/fua conlilia alicui deo actnbu^ erunt fCunda enim ez
Egerie nymphz przceptis Numa Pompilius facere finiu labatilusciuile Spatthanorumez
Apollinis fententia faiplifife iinzit Licurgust Quicquid Zautrades apud
Atimafpos conltituitid a bono numine accepilTedi cwt.Zamolzis autem
quzcuis Scythis tradiditiin Vedam reculitxNam q mul ta q difBdlia inter
tumultus militares rede ad ninidrauit.Q_. Sertorius cum fe ii la a Diana
per ceruam accepilfe diditarct tSed nimis multa dere przfertim ta tna
nifeda: Carthaginem ueto e loco fuperiore cernunt: quoniam ut nudius
quo^ tertius difputatum ed nuquam optimis indituris Si legibus temperata erit res pub.nili
qui illi przfunt eunda qu aut przcipiunt aut prohibent ad eotu qax per
rerum magnatum speculation emuideritu regulam ac normam sapiennllb tne diligant.
Cum autem Carthaginen lium operam indudriam circa urbem difiandam
dclaibit/nonnc pauciflimis ueifibug onuiia colligit: quae^iia9 c*\Ili «f m ii m ta ai l
U U Kl ii M ib gia \tt\ th ‘S ipn iii^ F! jpb (f ob 09 0* xb s 3 ib <1 Liber'tertiui edam
(apfari( Cine de re pub. latprerut)t:noa ni/i pluribus libris exprimuntur tamum enim ea
parant ibiis aduarus ho(tiles impetus tuti (t nt: uibus V^^fe contra
czliiniurias priuatisx difidisfedefenduntiHzcenim duoprx^ fiant ut duitas
efle pofiit.Poft bzc uero ad iura et magilhatus fe conuertunt : ut
nonmodoe/Te fed quod proprium hominis e/l i cede bonefte^ e/Teualeant:
Quoniam autem ad magnificentiam et ad liberaliutem &ad uim propulfan^dam
publicz opes in primis utiles funtipottus optimi/efiiciundi ratio habetur
t Poftrcmo autem (icznz ac theatri cura non negligitunubi et corpora ad
ualitudi nem &robur exetceri:& animi publicis priuatifi^ negodis
defatigatiihonefii/Ti* mis ludis relaxati pofiint: Qua autem mente et quo
confilio illos apibus com« paraucrit : quzfo diligentius animaduertite t
Si enim huius inferti naturam con fideretis nihil illo aut induflria ac
folertiaacuriusraut a/Tiduo labore indefe/Tius (eperietis Ouccm in primis
habent quem fequanturt cuius impenum nuquam contemnannlabores inter
fefumma zquitatediftribuuntiSummaconcordia 8C opera fua fadunt et boftes
arcent. Quicquid quzrituriid omne in comune qux iituri Quz quidem omnia
fi in rem pu.aliquam tranfferasiplatonicam ciuitate cxmfiitues. Erat
autem in media urbe templum lunoni facrumiut ofiendatur ni bil oportere
in re pub.antiquius religione eife • Et quoniam primx in uita cluili
przces funt/utimperium non folum conferueturifcd etiam augeaturmo fuit ab
re templum ipfum lunoniiqux imperiorum dea habeturiomni cultu confcaare
longior fim:at<p etiam minutior/q tantz rei conueniat fi fingula quz in
templo depida erantiquz a regina adminiftrabantur : quz ab opificibus
efiiciebanf idU fiindiusrefetamiMultactiara in Ilionei at Didonis
orationecontinentur:plu« ra in congtefTu zneziplurima in conuiuio Si in
coiimdione hofpitalitacis deprz hendasiquibus uita fiatufi^ ciuilis
expnmituriQ^uoniam uero nouerat fapictif fimus uatrs primordia rerum
pub.& imperiorum uirtutibus niti: Veriiep effe Sa« lufiianum illud fi
imperia iifdem artibus retineientur/quibus acquirunturind ef fe tot
mutationes habituras res humanastiedreo primum regis reginzq; congref fum
ateligione/a bberalitate/St abomni genere uirtutum profidfci uult.Srd ita
paulatim in deterius labantur/ut quz pudidflima fuerat mulier/K in re
pub.ad« minifiranda uigiIantiiTima:turpi amore uida in odum lafciuiamip
labat ui« bus omnibus oftenditur q fadle rebus fecundis humanz
mentis a labore in libi« dinem declinent.Quotiiam autem uirtutes tn uiu
fodali potius inchoatz q ab Iblutz funtiHic autem ita de uita duili
agituriut uelit exprimere quod paulo an te dicebam fundameta rerum.p.qux
ex paruis aefeunt/habere meliora initia / q exitus; iccirco reginam a
prindpio in omni re temperatam pofuit:paulo uero po fiea amote infutgente
paulatim ex temperantia in continentiam labitur: pofire» mouida amore
incontinens iu redditur:ut demum in fummam intemperaiui» aminddat, Moueturautemaprindpio
Dido/ut znramamet/non solum uittute quam urum in uita cotemplationi dedita
intuemur:Sed iis qux humanis cm tibus non folum bona uerum etiam fumma
bona babentunC^uis enim in ge« neris nobiliutemiquis formx dignitatemiat^
excellentiamrquis deni^ multo ornatu infignetn orationem inter fumma non
enumaetiCurn in foro/cum in fe t lo P. Virg.M. Allego oituhzc
BOB fapieBtum ftatcmfed populari trutina pondereBtarfX^uofliia utro ta
uica comuni pmulti hitcreii quibus cofulroribus utaris. Muiti cnitn aut
tnalo exrinplo motiiaut rorum quos caros habrnt non res fuationibus impui
n ad praua raoum^ snon fuit abfonum ut Didonrm fororis hortatu impudici
fadam inducat. Mifere enim amis mulier plurimu iam de eo animi robore rt*
mittens: quod inteperata hadenus apparueratcontinctem in primis uabis qux
ad fotorem facit fefe oftedit;Nam quis amore urgeaiT /atgre quidem fed
tameilli reftftitiSororis autem oratio ex uita comuni uniuerCi fumif i Non
enim ex philo fophia fumptis argumctationibusifrd aut uoluptate
ppoiitasaut ihcetu earu te* rum quxtantopeietimendxnon funtiniedoiaut fpc
nec firma necfolidapror pofita in fuam fentctiam adducere conaftut deniip
fpem det dubiz meri: foluat qi pudorem. Qua quidem re acciditi ut uidam
in incotinentiam probbertt:ln ea uero cum uerfaretunpaulatim impudica
confuetudine eo redada eftsut nulla amplius obflantr pudore furriuum
amorem minime mediteturifed impudenUi ma tffeda turpem libidinem honefto
nomine appellet: In qbus omnibus quid aliud teneat/quid conat' diuinius
poeta/nill ut Didonem grauifTimum nobis ex cmplar ^ponat/quatum
detrimetum iis qui fub imperio luiit j>ueniat/cum prin cipum mentes
pro induftria ac labore luxuria at<pignauiairrepai:lila enim qua:
paulo ante extetnos at<j peregrinos non nili breuiter ac demilTo uultu
alloqueba tut:Cuius religio fumma in deos/liberalitas in
hofpites/cofilium in urbis ex *dv ficmone/iuftitia in fuos ad czlum
ferebat ;qu* in publico nili aut diuiu* aut pu blicz rei caufa cofpici
nefariu facinus putabat. Cuius aius pudore munitus aboi pturbatione liber
pfcuerabatmuc eo furore agitat ut tota urbe ames uaget :aut li domi fine
amato fecorineat ucluti li fola fit/ar^ aboibusdeferta fummomaro*
letabefcat. Publica aut opa ita negligat/ut qu badenus fua curatfuifip
fupnbust quz fuoyt ciuium labore ac (ludio fumma cum celeritate erigebant
iniicimperfe da interruptatp pendeat; Aeneas aut cuius cdfilium italiam
fibi propofuerat/ue* tum difficultate rerum defatigatus Canhaginem no ut
illic fcdes ponereufed ut claffem reficeret digtefliis fuerat illecebris
Didonis illedus fipofuum ^fiafcmdi abiiat:Nec deefl I uno.Qu ne res
tomanz oriantur/ Aenez Didonifi^ coniugi um Carthagine facicdum curet.
Verum cum id fine uenais opera pfia nonpop (et: Venus aut filium non
Carthagine uerfari:(ed in Italiam enauigare cupetihac deam dolis aggtedif
lunoiut quz Catthaginen fiom caula faceret: eaoia Aenez beneficio fieri
uiderent. Quz cum dicit Maro diuina pene lapientia uitam foa
alrmdepingitiinquacumita quidam excelfoanimoucrfenfiut humana cotem
nentes ex hoc primo uirtutum genere paulo pofl in eas uenturi fmtiquas purgatorias
appellatiat^ inde ad illas tandem quz funt animi purgati puenire
conten dantitn illecebris rerum terrenaru ita molliunt" lutczlefhum
quas fibi folasppo fuetant/peneobliuifcanf. Libido enim imperadi ENEA
Didoni coniugete: id aut eft uiru excellete regno przficere cupit:Sed rem
pficere non ualct nifi alfeotv atur eius amor: Amor autem aiaduertit
huiuiccmodi coniudione no Aenez/ftd Didoni cofuli /no enim animis hotum
ad maiota natistfed ipfi impio condodt» ptzfiat Dobisad uctam fapicmiatn
^ ficild/quam in adioni^ uciDwfcd cetum sdtnitiiftratioa (apientibusii
deferatur adum iit de rebus hutnatirs opor trtifta quauis falia
e(recogoofcat:quae libido regnandi perfuadet tjmen ailin titur; iiuc iam
illa inetitusllt ifiueeorum quibus confulendum cft mifaicordia motus
sCcldiratur autem huiufcemodi matamonium in venatione: de qua quid
femiremptulo ante latis ut opinor uobisdiludde explicaui: Quodaute in
fpelunca loco fubtercaneo conuenerint:quidnam aliud indicare crediderim/
nifi cos qui honores/qui opes/qui imperia quzrunt intra corporeas
caducafc^ tesanimuminclufumgerererCuicdnubio prarter tellurem
&lunonem;prxtet nemorum bibitarrices nymphas uides numen nullum
afiFuilTe: Q^uz omnia iis quz de fpelunca diceba apte quadrare
uideotunirrentus igitur Didonis amo K Aeneas abeundi propolitum
abiidt:& hieme quam longa eft in fummo lu<» zu conterere non
pudet.Hoc uero quid libi aliud uult nili egregios quo<^ uiros interdum
a redo curfu ambitione aduerti:& honorum imperii^ uoluptate de«
linitos hiemis afperitatem& enauigandi in italiam dilhculcatcm
exhoirefcerc» Q^uapropter nili diuinitusfubuentum Iit excellentilfimzatc^
immortales bo^ mmumuirtutes tam pemiriofapefte pereunt; Id ingenii
at<^ beneiiciiin Circe fuilTe fcruntxut Vlyxis fodos in uana monllra
tranlFormaret: Illam tamen ica in luam potclhtem ttaduxifle Vlyxem
audimusiut Forma priftina fociis fit relhtu*' ta.Neccgoid admiratus
fuerim.Excello enim animo qui funt corporeas Iibidi^ ties fadle
contcnunt; Quin et cos qui illis dediti funt rede monendo a tanra fer
uitute in libertatem uendicant. At lu Donemfuperare ranOimi mortales
potuco tunt:Nam qui imperandi cupiditate non tangiturxeum omnem iam
humanitas tem ruperalfe &ad dioinitatem proxime accemfTe
crediderim:Q_^uapropter ena quos in fumma admiratione habemus: cos ita
frangi huiufcemodi cupiditate ui
demusxutrelidauerauictuteinligniaulrtutisueJuti umbram fedentut: Fadle
enim ell Sardanapalli aut Heliogabali molliflimas delitiasacluxum
cotenere: At^ adeo odilTctCum uero nobisaut Alexandrum
macedonemtautlulmcz larem proponimus eorum res geftas:in quibus utrum a
uero cedo^ difcedcre fzpe uidemustra glonz cupiditate admiramur:ut illud
ex Euryde impium oma nmo& dignum eo rege a quo profertur interdum
approbare non dubitemus; putem uf^ homini conducere li regnandi caufa iu$
uiolet: Quz quide res una mouit poctas/ut Herculem quem fapiente
ferunt:&; rebus a fe przclanl Time ge ftisczlumafile daircuoluntpriusomniamonllradomaire/
qua lunouis fzuitu amfuperal Telingeceac.Illa enim non mater fed
iniuftilTima nouerca magnord uiioium rede dicitur. Non enim mortaliuroCut
plzriq^ credunt } fed czleftiu rerum cupiditas eas uirtutes parit quibus
ad fummum bonum peruenire licet: (^uor^uide nili placata prius iunone id
autem intelligjmus aid fedara ambi dooeallcqui no potuit HercuIes. Quis igitur
hoc Aenz non condonaueritxac potius quis illius no comifercanli Dondu in
italiaexillensxtis eoimeft fumaru uirtutu habitus.fcd in ipfo curriculo
ut illhuc^Edfcai:’' adhuc coftitutusiu luno nis dolis apiat"' :uc
matnmoniu cu Didone initu fedibus libi a fatis cocel&s ppch»
nat;& colilio abeudi abiedo arces Carchag^s fudaretac teda nouare iftituac
t pur^ puea^ SC ento lapillis aon^umtquasqu impetti Uignia funt gelbrc gaudeat: In. P.Virg.M.AlIego
Non eft o LAVRENTI non inqui eft hutnan* itnbedllitatls.red
cmol damfacul»ti «qua tamen condmo
no Ora arduum-.tatntp «xcelfum tetum culmen ‘U»**®* BAPTl ST Ai K
(imul fuo ordine de reliqui* difpuututui uidaetut Mani^ hofpes nofter
fiuuilTimus tum ex diei fpatio in iis qu* hai^u* dida effcni civ
fum^oitum ex multitudine eorum qux adhuc dicenda quum lucis effet in ea
di fputatione abfuroptum in colligens non pertmtam in 3uitruauifl'. miuiri:utcontrac6modumual.
tudinem<jno (bam^qu.b^^?uidiuapudmeeriris: mibiomnid.ligentu«nfuJ endi^!^ difputatio
longius ptoducaturi Atquiegoitidm. nqmtLAVK£NW^ idem cenfebaraifed
ne tanti uiti oratione moleftii« intapell«em/pudore i^ diebar prxfenim cu
te o Manotte tuas partes fuo tepore equide mquit MariottusiK fimul fua
lolita feftiuitate BAPTISTAM manuap prehendem/nos ad cellulas ubi menfx
paratx erant reduxu. R URISrOPHORI L. FLORENTINI CAMALDVLENSIa vM
niivTASvM laVSTREMFEDERlCVM
VRBINA- jKSrJbER ^IaRIVS 1N.P. VIRGILIO
MARONIS allegorias incipit feliciter, S Eruenerat iam
fuperior libet Inclyte ac Inuii Si^me Fedence in quotundaro hominum
manus 1 qui cum dofli linti dry aiffimi quocp et haberi 8£ dici uolunti Qui
quidem quauis 'de Maronis Aeneide antehac longe aliter dC fenfiffent/8:
pri* 'dicahenticouiai tamen ut puto iis argumentanonibus : qux I
nobis in probamio illius libri expofitx fuerantimulta in eo F li
rnnfcrinta elTe necate non audentiSed ea huiufcemodi el fe
Jowmduntiut non ad ethicen ut nos longa oratione difputauimus s fed a J
IhvSferendafint:ptoferunt 5 ad id qued defendere cupiunt probandum
fcriptoresqui paulo antenoararoxtatcm fueiut minime illiiteratosiqui non J L/indel
Mos« acute et doaeinmpretati naturam tetum il is exponi conttn los
inde locos K ac „fpondendum ctnfemus/ut multa in eam qua diA SmriorisquoJdieifermonenosdixifl-ememiniyirgilm
nlura deorum genera inueniffet s confulto ita fcnpfifle fl£ A Fmmffeuteademilla
et aduitammottfip: 8 Caduimnaturas:Kad wriuruoluputtm f
eferantur.Verum cum confilium mettmij
tcstotafufceftacftnoircuolumusiidcenfco femper ipfo
hn«qu3nf.bie.ration. fcriptotpropomt: ^um fipttahuj omnuiniiri ludingttut»
ipfcqcquid narrat iqcqd tctninv 1 1 Ir £ I- 8- r K P B-t.-« .
Libet ii iuiatnr referat. Hoc oun ita fit quis non uideat ea quae
ille ttadiutamdegett» M damt& ad fununum bonum acquirendum
(^dantia fcripfit no iccirco fcripfiC' B Cuquo naturz uim ezprimeret.Sed
contra cum iugi:perpctua^ oratione ea pro (eqiutut m quibus et uitia
damnet<& uirtutis pulchritudinem eztoIlat.& ad ue I»
riinuefligationem perducat/ nonnullaadiunxifTe&omandi et deledandi
cao Ia b qua: fint ab ipfa phyfice repedta s Q_uz omnia cum non propter
fe t fed eoru li quae dixi caula confaipfetit equis non uidet id
fulcepti operis primum efle feu ^ malis ultimum dicere > quod nos
hefiemo fermone perpetuo quodam filo ita ia intezuimusrut
nibilineointerruptumquzn poiTis. Nam ad idquodaptinci Sh pio przpofituffi
cfl omnia deducuntur Si fcquentia iis quz antecmerunt/uebe menta
cobzTcnt:Q_uapropta quz ab iis quorum audoiitate nituntur/ad pby
fictnrclata funtminime damno. Nam quauisca ne multa fmtine^intafc haaliud
cz alio pendat > ut non potius membra quzdam diuulfaequam integrn
corpus uideantur t tamen non incommode traducuntur : ne<j fententiz
nofoz ccpognantiScd fac repugnare an plus apud me reda rado qua iliorum
audori^ tas ualebitrprzferdmcumfi audoriute certandum fit eos proferte
poifimus/ quorum fplendoteiiti uclud folis luce noduz hebetentur : Nam ut
omicta eos quos diligendilimus omnium grammadeorum Seruius fingulos
libros in fiogu los huius poctz locos commemorat: ut taceam quzaMacrobio
exceliend inta platonicos phiiofophotut nihil diam de iisquz&adiuo Hieronymo
et a di. uo Augufiino in hanc fententiam apud Maronem interpretantur :
nonne e noftris Oantbcm uirum omni dodnna excultum grauilTimum audorem
faabe« mus: qui eius idneris quo mundum omnem ab imis tartaris ad
fuprzmum ufi^ czhimpcragcatiine olibiillum ducem fingit/in quofummum
hominis bona paquitens/miro quodam ingenio uniam Aeneida imitandam
proponiciut cu paua omnino inde excerpae uideatur: nunquam tamen (i
diligentius infpicie . mus ab a difcedat : Nam nonne fiatim a principio
ea quz de medio ztatis tem ) 3ore:quz de fyluatquz de tribus
ferisrquz de montis fublimiiam folis radiis il uftntoconfa ipfit:binc
omnia funt. Mitto caetera: quz ita abdita in Oantfais poemate funt:ut non
nili a paucis iifdem^ dodiffimis
dcptzhendi pofiint. przponit igitur libi ducem Maronem in u re quz ad
fummum bonum.non au tcmadpbyiiccrpedetifeduideo me nimis cunofum in eo
fuilfe : quod paruo omnino nodo confutari poterat. Quapropter ego
inilitutum repetam. Tu autem indyte atip inuidilTime Fedence ut cztera
fuperiora fic Si ilh quz in ultima quaru diei duputationc
continentur/diligentillime leges . Multa enim illic inuenies propta quz
te cum dTc : qui Si nunc es Si fempet fuifti fummo» pae
lactahacict^norcef^ ex deo confilium tuum fuilfe : quos a primis annia
bpientiz amore flagrans ita te bonarum artium fludiisaddiafti: ut quanto
ta dic tua ztas grauior fitttanto ardentius illis incumbastnam quod
reliqui prin» dpes apprime regium ducunt:ut aut multo odo uanifip ludis
mircelcit:aut au cupiis ucnarionibuf^ oe tempus tcrant:tu ne libero quide
homine nili relaxan dimtaduai aula dignu efle duxiflitred oportac eum qui
aliis imperaturus fit nWB omni dodrina excultu itddaaquq no fibi folatfed
et iis qui fuz fidei co} In. P.Virg.M.AIIegflu mifll rantjK
dum «fit agit «emplo: «dum fapienter inontt pncepto maplo limum prodifft
po(Tit. Qui rigis munus clTe ducat non alieno labore ueluri fu cus
inter apes alisfed pro aliorum falute laborare uiinnoaio sabiniuriupro
hibtrr/fceleftorura<j petulantiam compnmeretoibuafe «quum prxbere
curcts Hrc autem sola philofophia nobis pracftat. A FILOSOFIA enim
habrmuatui pie uiuamus tui pietatem ocmabhominemuft« ab omni
fcelereabibneaniust b uapropter uere iliud ufurpabat Ariftoteles fe id a FILOSOFIA
afleculum efle/ Ut ea beneuolens/ cumuolupute
ficerettquzmaliuinlegumatufaccrectv I gunrurtbonis enimCut piato ait)lex
deus eatmalis autsm libido.huiufcctnodi Igitur fludia teita
exculturo/ita omni ex parte expolitum reddiderunt/ut cum a inultis quod
crimen fortunx eft imperiis finibus fupereristiis tamen uirtutibiisi
finequibus nemoun quam iedeimperauit/ omnesexcedas. Sed cartera omoa
quibus ex mortali humuculo te immotulem ducem reddidifli ad prxfw omit
to> Ptxcipuam autem in mnfaium ac philofophix cultores benignitate
tacinii prxterire nullo modo polTumtium animaduertam te ea in reiure
omnibus prx ferri poffe.Scimus in tata admiratione apud antiquos fuifle
Ptolomxu philadel phum ut ptxclariffimorum faiptorum laudibus etiam poft
tot fiecula florentit fima fama celebretur.Et profedo fingulatis fuit in
eo rege iuftina mitabilifip cie mentia.In te autem militarimec uirtus
illi/nec fortuna unquam drfuinSed nb bil in fuis omnibus
aaionibusmagisextolliturtqua quod regnum fuM libera liffimu oibus
litteratis hofpitiu efle uoluerit. Tantu autem iis qui aliquid fcripfif
(ent debere putauittut Demetrio phalereo no folum philofopbo
grauiflimotfed oratori copiofilTimo negocium dcdentsut fibi ad quin^
faltem milia librorum in fuam bibliothecam congerenda curaret. Q_ua
quidem io re quos furoptus fe cetitttunc optime conieiSati poterimustcum
uidetimus quantu in fola mofaya lege elaboraueriti ut illam interpretadam
ac in grxeam linguam conuenendam abhebrxisinterprctatetur. Primo
enimoesiudzos quifuperionbusbelliscapti in fuo regno fetuirent diligmter
inudligandosiat tingulos uicrnis drachmu redimendos/& in patriam
incolumes diraittedosmandauit: quorum numerus adeo ingens fuinut foluta
fint a rege fexcenta ulenu fupta fexaginta milia. Dtf inde legatos ad
Eleazatum iudxorum pontificem uitos sumx audori tatis mifit Arifteaside
quo paulo ante dixi et Andtea prxfcdumfuuiMifitptxterea men< hm
auteam/craterefej ac phialas donaria in hierofolymitano templo ponendi.
Mateiia uero hoium uaforum fuit auri quinquagintatargenti uetofeptuaginta
ulenuigemmatum autem atqj lapillotum quibus uafa omab dilUnctatp funt/ ad
quinm milia adhibuit/qui omnes mira elfentmagnitudine. Q_ux liberalit« adeo
accepta gratacp Eleazaro fuittut duos ac feptuaginu ftatim ad regem mi'
fent i non plxbeos illos quidem/fed ex principibus dodiflimis ita elrdos/ut
ex fingulis tribus fenos fumeret s qui legem dei in grxeam linguam
Ptolotnxo conuerterent. Q^uorfum igitur hxef Nempe ut intelligant qui
diligennus rem confiderauennt Magnificentiam tuam erga dodrinas noOra tempelb'
tt non minorem efle / quam oLm Ptolomxi fuerit s Hoc enim folis luce cla/
liua apparebit ; Si Imperium Imperio 1 Si Sumptus Sumptibus conferantur. Libtt
guattui nfeaumnonfdl amutiiuerrz xgyptiopulentiitiimum regnum
poHidebat/un^ dcaurt argenti^ inaedibilisuis proue Diretired Tyriz quo^
ac phcnictz tnaxi^ mam partem ucdigalem babcbat.Tuos autem bnes nemo
ignorat. Adde quod quo tempore Ptolomeus regnauit/plurimos A(ia at Europa
prineipes habuit • qui poetas t qui pbilofophos/qui oratores/qui hiftoricos
benore opibufi^ bone rent:ut et li fuo ingenito (hidio illa faceret magna
tamen cx parte emulatione quadam excitari uidereturme quos opibus
uinccoatxabiifdem huiufcemodi glo tix genere fuperaretur.Tua uero
benignitas in ea tempora ineidir/ur nili ardeUi* tilbmafittfacile czterorumprincipum
auaritia extinguaturxQ^uaproptcr nulla omnino eorum munerum quz in mulas
con fers/gratia noftro fzculo eft bahim' daxinquo neminem reperias ex iis
qui nunc imperat:cu*us exemplo excitari pof» lis.Sed quicqd estes
autemres omnino przcIarifTima/id omnetuo ingenio;'U3 innata humanitate cs.Nam
ab aliorum moribus procul dircedens/unieum te exemplar ofiFersrquem et ad
fummam liberaliutem czteraf<^ omnes redas adid aes/&ad ueri
inueftigarionem reliqui fcquantur.lta enim uirtuiem adamas: ut illam non
glona dudus/fed eius amore alledus ampledaris.Euenit rame ut qud admodum
umbra corpus (emper fequitur: etiam li id corpus non quzrarxHc < ua
pie iuHe/clementeti^/ac fortiter fada non adumbrata quzdam et inanisiTed
foli da cxprclTa^ gloria fcquatutx Scd res polhilatxutiam ad noftriim
heroa rrutrra^ murxin cuius adionibus tu mores tuos ac uitx inlliiutum
facile recognofces. Co ucneramus igitur eodem in loco bene mane quarta
huius difputationis dic. AN ^ cum miro deliderio BaptiHz fermonem
expetere uultu gcftucp fignificarcm^ illexurquz explicaturus eilet iis
quziamdida fuerant commodius annedrrrt: buiuiinodi difputatiotii fux
prindpium adhibuit. Vidimus badenus dodilTimi uiri qua piudmiia ac animi
magnitudine omnibus iis fotdibusxqux a corpore^ ueniunt fc explicauerit
zneasxNamne troiz periret: 8C corporeis uoluptanbus pe nitusobruerctucmon
dubitauit exui in altum ferri quis incertus quo fata ferret: pod hzc
thracenfes rapinas uc eas primum cognouit mira celeritate effugit. Ar«
mox in rebus dubiis a fapicnria conlilium coepir : deceptufi]^ Anchife
interprz tatione.Namquz a corpore funt facile corporea fequunuir.uitam
duilem in Oeta fibi propofuit * Sed nec piguit errore cognito uela uentis
iam tertio dare .Delatu!^ mlhropbadasaducrfusharpyarumauaritiam inuidus
pugnauit. Nec per medios hoftes ad Helenum enauigare foimidauit:
Prztereoqua prudentia qua animi przdantia iam ab hcleno dodior reddirus
immanitatem cyciopu de<< ciinauem : qua indudria ac celeritate
fcyllz charibdif^ mondra euirauenr : quo fiudio atramentis ardore defundo
iam in licilta parente nauigationem in lra.< liam rufeeperit. Verum cum
lunonis dolis :zoli<^ ac uentorumuiribus parcis fc non pollet:
celTicilIequidim conlilio ad ueri inucdigationemin aliud trm
pusreicdoinaphricam eo animo diuertit: ut quam primum per tnaris id
edap> petitus tempellarem liceret : in Italiam tenderet Verum in
ditione aduerlilTimz dezconditutus : et amore Didonis delinitus/Vide quid
pTolfit ambitio: quantu ad mentes maximorum etiam uirorum euertendas ual
eat / regnandi i nquam cupiditate dclmitus is qui reliquos iam
perturbationes ac uirufupctauerant di<« In.P. Virg.M.Allego. uinil
Tifflumcoafiliatnio Italiam enauigandiomiiTtttotum^rein eo dednatt ut
regnum carthaginmfium coSabiliret : perrcueraflctcp in errore ni(i
acczpifb a Mercurio non placere loui ur pulchram urbem uxorius extruat .
Regni autem et rerum Tuarum obliuifcatur : Prxcipitur enim homini a
fumrno deo ut ad fu« am originem rcuertiuelitrQ^ux praecepta nobis
dodrina quam litteratilTmKv rum uirorum uel Termonibus uel libris
accipimus i facile tradit . Rede igitur ar« guitur arncM/quod uxods urbis
t ea enim eft uita in adione polita adminifbatio nem TuTcepeiit .
Suiautem regni 8c totius contemplationis qua Tola mentes hu> manz
regnant Iit oblitus : Maximei^ hoc urgetur/ut Ii tantarum rerum gloria ip
fum non mouet i Afcanio Taltem tuerediTuccefloricp Tuo conTulat < cui
regnum lulia; t ac romana tellus debetur: quo in loco quidnam aliud ATcanium
intelligcmus nili futuram ztemami^ uitam: qua: huic breui Atmomentanea;
Tuccedit. Nam li dum intra bzccorpu Tculauer Tanturanimino lhitantisrerum
terrenarii illecebris demulcenturiut carleflium contemplationem de Terant/
memineriot 11 in futuram uitam uitiotum labe inquinati et nulla dodrina
exculti migraaerint foce ut nulla unquam ueritatis luce illuftren tur: Q
uapropter regnabit Aiani< us:nuIIuT<^Tuoimpecioiiniseritnilieoapatre
dmaudecur i futura enim uita ab hac quam uiuimus ea rationeiquam oftendi
iure gigni dicitur : ab eadem^ li focdida 6i uitiis tenebriTcj inuoluta
Iit: tanto bono denaudatur. Sin contra manebit fcelix at^ a:tcma :
Nam Hic domus xnez totis dominabitur oris. Et nati natorum et
qui nafcentur ab illo: Q_uzquidem mandata cum acczpilTetzneas: quid
mirum li uehementercom< motus Iit : Erat enim in eo animus qui excclTa
Temper TuTpiceret. Ita^ Te tandem excitas cupit qptimum abire: et terras quamuis dulces
relinquere. Alluetusenim poteftatibus at^ imperio uirfi£ dulcedine captus
non line dificultate diTcedit. Sed cum ucrum bonum ab eo quod falTa
opinione bonum putat" diTcetneteptv tueritiillud tamen anteponit: Cum
uero poli diuturnam conTuItationem inla« lutata inTcia^ Didone
diTcederedecemat. Nouerat enim no efle pal Turam illum diTcedete fi
IdlTct/egregie admonet cum ab huiuTcemodi rebus animum abduce re uolumus
non efle molliores animi partes confulendas: Ted clam illis uela in Ita
Itam facienda: Talia enim bzc Tunttut quanto blandius ea appellemus : quato familiarius
Talutemus/tanto maiori contumacia aduerTcntur . Sentit tamen d(v los
regina :&iniquo animo fert uita ciuilis a uiro excellenti deTeritpradcrtitn
li non fit alius Tapiens/qui Icxro illius Tuccedat.binc illz quzrelz
nulla libizx znca robolcmfuperciTe. Quamobrem ratio inferior quam
mulierem appellari diximus huiuTcemodi argumentationibus uirum egregium in uita
ciuili retinereitt a speculandi propofito auertete nititur i Primum enim
ita urget ut quzrat quo modo eam deiicrete Tublbncatia qua tam ardenter
ametur. Amat enim ucbementer virum excellentem vita duilis. lllius enim
cunfiliis imperia non modo paran tur/& parta con Teruanfuriuetum
etiam augentur. Sed nec illud retinet non Tet' uate illumlidcm quam
dederat. Suavitare enim imperandi iam totum Te adminiHtarioni dederat zneasi Quio
di Te moritiuam Tidc Teipture docet; Nccinub 1i I I I t t t P u 9 0 9 u n I» P“ ca nii da ttico: iKg da dd od R.! dia b&' ht loj on IBU' «nI 1« tii AV u tua 8“ liii Ml LlOfi Odi ns
ilii ntoi iU IIlBl' lO* loli
niii jA«< Dlli
tffll*' yb BD^ a<? J»!*Libo gimttu to alito
eucf UKloIcb Namdcflituta a uimite agendi facultas pereat necefle
cft: Dctcnetezdif&cukate hiemalis navigationis. (^uare (Tgnifiantut
labores ma^ jdmi t quos (i in Italiam uenite uolumus fubituri fumus.pofiremo
in hoc uche>< mentet mlifiit/li reuotetetur ad Ttinam Bl ad uitam
uoluptuol^ t non tamen illi efle concedendum: ut honores relinqueret t
multo autem minus cum loca fi bi incognita petat t nondum enim nouerat
Ipeculandi uitam. Dcmum ad
c6mi< fetarionemconuer{alachriinaseffundit.connubium, incoeptum ad
memoriam reducit . Q^uicquid fuaue oUm a fe acczpiflict exprobat:& ne
domum labent em dcioatobuftatur. Pofluntenim uchementercommoueri mitiora
ingcniaicuia parcntes/cum liberi aattiif (anguine coniundi/cum amici/cum
patM ne dcfci' ratrogantrne incoeptam fcxictatem relinquat przfertim cum
uer^umfitineim perium a bonis uiris defiitutum/aut Pigmaleonis
auaritiaiaut larbc tyram*de in« uadaf .Q^uodtunemagu ucnoemur cum alius
(apies qui (ibi fucceclat no telin quaf sQuz quidem omnia cum rerum
agedatum rado animis noSris obiidatr non pollumus non uebemeto
comoueriiSuccurnt enim platonicum illud quo quttum generi humano debramus
/grauifiimeadmonetiut humanitate eruere uideamur/fi humani focietatedeferamusiucru
cum aladuettatmagnus uir men tem fola eficiqua boies fumus; ea no agendo
fed cognoiicedo pcrhdrid^ louis pcaneptucfieimotusmanetiat obnixus curas
fub corde prraut.habet aut quo|> pofitu opnme tueri poiTittNon enim
inficiaf bene ^meriti ciTe reginam. Quis enim no uideat magna humanx
hnbecillitad adiumeta ab hcK uitx genere fue* nirc:(^um BC polliceffe
illius recordaturu dum fpintus hos reget attus: Nam eu derua abfoludflimu
appellabimus:qui iu in fpecmadone dum uiuit uetfef : ut uicifliW cum ccs
poftulat agat.Etgo no fugit a uita agedi < fed inde recedit: qa cu ea
no cotraxerat matriffioniu.Non enim nati fumus ut drea mortalia uerfemur:
illif{^ coniugamur.Sed neceiCtatis caufa efi illis in(iftcdum:ut tanta opere
impd damus:quantnad fodctatcconfcruandam fat fit:quaptopter (i Dido
Carthagine deledac :hoc autem efifi in adione inferior rado libenter
uerfaf liceat: fit fuperi^ ori Italia dclcdan poflem mulca ciufdcm
otadonis ad eadem fentendam trilTa^ ce. Sed fit aliquid ex mera hiftoda
didumiRcIiqua ueto qux ad plurimos uerfus dicunmt:eam uhn babet/ut
libidinofum K corruptum amorem detefienf :at^ tantxfceminx
grauifiimocxcmplo nosadmooeat:ut tam mrpem/tam pctnitio.« (am pefie
fugiamus:comode aut eunda qux a PauEmia in platonis fympofio de tutpi
amore dida funtiad bde locum ttan(Feremus:ex quibus pauca qux a nobis cum
de Paride uerba fcdmus dida funt : memoria (i repeteris intelligeris umSu
mum effe Ptoperrianum illudi Durius in terris nihil efi quod uiuat amate
.Q^d* autem magno pedore curas pcrCmfcrit xneas: fit tamen mens immota
man ferit/ oftendic uirum qui deorum prxeepris parete deacuerittiam ab
inconrinenria in quam Didonis illecebris ptol^fus fuerat/ad continendam
redi(rc:tt quis amore urgetetuntamen hone&umuoIuptariprxpofui(re.Oidonis
ueto interitus nobis pcrfpicue oflendit perire ncceffe c& eas res
publicas qux a fapientibua deferanf. Non tamen aberrabimus fi amandum at^
amentium furorem cxtrcmainij de f^aarionem huiulcemodi exde oilendi putemus.
Aeneas igitur deorum admi}« 1 ti In. P.Virg M. Allego»
nitu in Italiam enaiugat. Verum infurgente uentopt u! palinurus nauis
gubertia tor negat ea tcpeftate Italiam pe Q poiTc.anenticur zneasiut in
Sidliam in qua in fula extindus parens nondum debitis exequi is
oraatusiacebat/dcfledat. ^uo in loco quid fibi palinurusuelitline
ncgocioex iisquz de illo paulo fupra expt’ fi cogDolcerepotcttsicum enim
huiufcemodi appetitus facile pturbationib^ob tuar' inon modo a tedo cuifu
auertic' :fed znea( haec aut excelleris uiri mens eft} pctixpc infuam
femetiam trahiteut ad patre» hanc autem imbecillitatem quama corpore
cotrahit aius iam ciTe diximustbeet intelligere ad patrem inq/quis iam de
fundum redeat»(i uero ad memoriam ea teuocaueris qua: de ficilia lam
diximux non ab re cftipfistroianisiut in eam infulam redeaaundebreuifiima
(it in lulia nauigatio»Poeta tamen cuius cofiliumefi no folii ut
grauiffimas res j>ferat:fedil Iaauatiaiocudiutciuafpergat:uttcdiumtrifiitia«
pfundarum rerum comites penitus amoueat/uaria ludopt genera
interponit.Hzc igit' iu adminiriobantut abznea ut paulo poft oibus
ablolutisin Italiam elfct foluturus.luno uerocui^in troianos o^um/nec
ulla calamitas/ncc tpis diuturnitas explere poterat : qa quo illosltaliz
j>pinquiorcscerneret:eomagisaccenderet' oblatam occafionem non 5
rztermittit:Cum enim feorfum a uiris imbecille mulierum genus deliderio
ta< em quiefcedi mcedius cofpicare^ pa irim illis ut naucs incedat
pfuaden Quz qdem (ic accipiteirerum terrenarum cupiditas no uiros/nam
pars fupior rationis non facile his rebus frangit':fed ipfam inferiotenr
tonem a fupiori dUluudam p fuadetiut rerum magnatum ^poficotcicdo tedium
longioris nauigationisrefii giaud^ubieficonfidcaCiMuUetcsigit quibus
inglorium odumlongccarius (iu q honelius labor prijtiio ambiguz
miferuminter amorem pizfenris tertz fatifq| uocatia regni malignis mare
oculis ifpiciut.Namcum ratio tnfmocquzafupe* tiocipfuaU illam ad quxqj
xgregij Tequit' nuceaabfente paularimfenfuumiiiei cebris cncruac' idoncc
tadtm uidi fc iliupi potefiati pmittat.Naucs igi^ mulieres inwcn dioafrumei
caduriunt. Hoccumdicicportauolutatcquz ad res magnas, ferebatur
incendiocupidiutum perire o(lcdit:pen(rrtauttoticlanisnifi Eumci Ius
piculum (fatim ad zn eam reiuliffeciErat enim Eumelus uir ad mulierum cu
fiodiam telidusiNam huic parti inferioti metis acerrimus qdam cofeietiz
remoc fus/cui bonaceda^ cuiz fimp funt ftmp adcfiiHzcgtzce fynderelis
didturuis (.nobis ingenita qua animus Sc ad bonefta crigiturtK a turpibus
tefugit»Hacau lem nomen ipfum uii i ajpertc demondrat; enim boni cura
facir leinterptabimr»Hicigit^Iapfaiam in facinus muKere
temaduitutefcrt: Quo nuncio percepto primus Afeanius ad iiaues eripiendas
aduolat: ASCANIO autem celer robuduli^ magno animo prxditus
Aen»iiliuscft:quemiuceiatetptc tari licet uigotem quendam ex ip(j mente
natum: Hic autem nullo tenore pto liibemr qum contra pericula pnmus
feratur: Sequuntur reliqui t fed io primis zncas: At mulieres uiris
cogitis incoepti poenicet t A uiro enim feiunda muli* er aduerfus
appetitum minime repugnat <Q_uod (i tutfus uiro coniungattirt iam
robufbor fada/ SC ueluti e tenebris erepta tum demum acata iam cetatt/Sl
a lunonedcIuCam e(fe dolet pudet^: Non tamen incendium facile tolli^a
Nam optusalunoaeappeunuiacop^cueut ut uoluntatcmsquae, nobis ad
(uo»; tti «di r S 5 1? S B jr 3 .te e Liber quarttu inutn
bonum euehit/omnino perdat: fir^ mifera in bomine diftradio t eu atio
ratio dutat:aIio appetitus rapiat i Q^uo in loco cum mms noRra fe tanto
cer« tamini imparem cognofcattnititur illa quidem fuis uinbus/fed limul
etiam di uinum auxilium implorat id autem impetrare meretur. Nam qui ita
deu prae atur/utiaterimipfe quoad ualeat libi non delinis adeo minime
derenc. Nam quodaSaluRiofcribiturnecprzcibusnec fuppliciis mulieribus
auxilia deo« cum pararitrededidumell. Non enim inerti ac delidi/ K qui in fummam rr^
tum defperationem prolapfus nihil contra pericula parat auxiliatur deus.
At qui magno aduetfus difih^ltatea animo infurgit:qui nihil inaufum:
nihil in« tentatumrelinquitiquincc periculis terreturmec laboribus
torpelattis profodo fe dignum f^tcuius S dii d homines commirereantur. Quapropter
fapi« enter Aeneas ciun nec uires beroumtnec aquarum uis infufa
prodelTrt: ad prx* cesconucrtiturtauxilio impetratotcum iam quatuor
naufsai Tumpraeeirentt teliquz ab incendio feruantun Cum autem naurs ad
totam turbam tranfuehen dam deeflimt terat fenis nautz
conliliumutimbeallior turba in Sicilia reiin' quctctursutbfm illis
habitanda conderctur:hoc confilium oraculum paternum louis enim iulfu
locutus cR patens/ex ancipiti ratum hrmumt^ rcddidit:Q_ue iocum nili uos
aliter cenrcatis/itaintcrpreubimoi. Ad diuinarum rerum fpecuo lationem
fola mens omni uirtutum robore iam fuffulta acceditiReliquzenim animi
uires quz imbecilliores funt naues/illz enim fune uoluntas/quibus illuc
ucbantur incendio amifcrc: Q_uaproptcrreuocanda cR mens a frafibusihocau
tem confilium ab. eo uiroprohcifciturtcuimagi Rra Pallas fueritteR enim a
fapi entu dodus: Approbatur autem ab Anchife fed iam fcpulto; Nam qui a
ra« bonetamfubadiruntfcnrus/facilein eius dicionem conccdunr/ przfemm
lo> ue iu iubencct conuertutur^ in rationem hoc ordinc/ut ratio ipfa
etiam fupeno remlocumarcendensaf Ficiacurintellcdus: llleautem£(iprein
altiorem gradu cuadens intclligcntia redditur. AR intelligentia in deum
comutatur . Hmuic&> modi igitur cofilio at^ oraculo utimrAenas.Non
tamen prius e lidlia foluict qua lacta pie tite faaatinorat enim qua
laboriofitquiip periculis plena lic h\u iuCccmodi nauigaboiNoueratquancz
molis erat romanam condere gentetSed nec Venus quicqui interea
remittitiquinuehementer pro faluce hlii anxia oia drcufpiciat.ln primis
autem Neptunum rogattac mare tranquillum reddauNa amor quo ad fummum
bonum rapimur fupiemam in bomine rationem horta tur/ut appetitum m fua
poteRate cemtineat: N epcun us om nia benign illima pol bcctuciNihii enim
denegat ipfa mens amori ad redum eam excitanti : Neqi ell ptocula
ratione/quod oRendat Venerema fuo regnoottamtlTetEReaim Ne« ptuncu regnum
marciquod quidem ducn ab illo regitur/ctanquillu eR. In hoc czii uitilia
lada dum agitanturifpumam gignunt ex qua oritur Venus . Supte« ma ergo
ratio appetitum intra fe continens in quem uiriliaczliiiccirco decide»,
re didmus/quia in appetit um a ratione adminiihatum uls quzdam cziitus ca
dittquz in eo agitata diuinarum rerum amorem proaeat t uod autem oes prztcr
unum Pahnuru incol umes in italiam peruenturos promittit i no ne cz
oxtdia^ut aiunt gtaxi^philofopbia erutu cR: Nam clalli in Italiam
tendenti In. P.Vtrg.M.AIl(go. flurimeaductbtut appetitus /qiii a folofenAi
profedustulul altum (iifpic^ Quapropter rquadiu claiG prxfuitinunquam
ttaliam tangere potuerunt Tnv unuSedundema Tomno opptcfTus mari
cztinguitur.Nam poftquam rado acarime ad contemplationem
conuettitur:& caducorum curam reliquit: Nt< hil ex iis qux fenTum petmuicere
pofltnt/appetiturt Vnde uniuetfus Uleappcdi» tuspaulatimiapituctac
fopmisezdnguitur: Cial Csautcmcnamline fuoguber tutore tuta fcrtuc
Neptuni promiiTis donec ad fyrenum fcopuJos deueniretrlbi autem fluitate
ciuncarpiiTet Aeneas temonem capiens nauem in undis noAur« nistezitiNam
animus nofler cum iam fibiitaliam propofucrit fccurus fertur/ donec in
uoluptatumfcopulos incidattTuncetum temonem capiat oportet ap pedtus
tationalis Tquiaduerfantibus uoluptatibuscaiitra obflfism Eztmdoigw cur
Palinuro Aeneas tandem poli diuturnos enores euboids allabitur oris
.In iuliam enim ucntumcll ad quam gubernatore Palinuro nunquam
perueiuflet 1 ingrefli funt Jn quo non idem curnit quod in
cartbagine Aeneasslam portum ingrefli funt :In quo non idem curnit
quod in cartbagine a portu euenifleoflcndit poeta. Ulic enimnaues'ficli
procul a rabiat fluduum in tranquillo efle uideremurmulla tamc nant
anchora alligatx. Quapropter qua quam non omnino ucxabantuRin aliquo
tamen erant motu.1^ autem anebo ra fundabat naucs: quo oflenditur eas
ueluti fundamento nhex lint flabiles hx« rcrcoportere.Summum enim illud
bonum:quod in negociola et duiliuita a philoiophis ponitur: 8t
flinbuiufcemodireceflupofltumflt/utprocuia fotttu nx procellis uirtutum
benefido abflc:non tamen ita conflabilitum cfltquin la« bcfadan
poflit:Q_ui autem oi.'':} vum rerum libi contemplationem finem lU timum
propofuit/bic iu in tuto ac folido rationes fuascollocauit:ut nulla ui di
tnouere poirit.Nam aduentusin italiam oflendit habitum uirtutum um contradumiu:
utaptopoiitauita non fit difcefliirus Aeneas/non tame earum uit
tutumtquxfuntanimiiampurgatit Namnihil fibi diffidle iam proponeretur/
fed earum quas dicunt purgatorias. Quod quidem propolitum iam conflabis
litum fortitudo fit animi robur non deferitinec ipfe ardor rd
aggrediendx. Q^uam quidem rem tunc ezpnmit cum ait luuenum manus emicat
ardens Lic tus in befpcrium: Manus enim indicat omnes animi uires cocurreretqux
e me« dio iam fublato Palinuro fefe menti ultro fubieceranti quod autem
ardens fit concurfus uehemcntiamindicatiNe^ ab te efl quod fit manus
iuucnum.Ofle dit enim animi bene affedi uires nnllo fenio in quo tedium
torpor^ ficigna«. uia efle (olet unquam aflid: Quapropter non lento palTu
rem agit/fed emican Verum quia dum in corpore ezulat animus:quauis fe
totum fpecuiatioai dc^ dati non potefl tamen non curare neceflariat ea’
enumerat poeta quxnonuo luptatem fenfus: fed incolumitatem uitx rcfpiciant.
Nam quxnt parsfemi nafiamis ObfttuIainuenisfilicupatsdela feratu Teda
rapit filuasinucta^ flu mina moftratiinferiorcs igitur animi uires
bxcagut. ENEA aut quo nobis m& exprimit" i Arces quibus altus
Apollo prxfidctsHotridxip procul feaeta fybil» kc: Antru imane
petitt(^uod cu fadtad rea diutnas cdtcpladas erigit t Na qui aliquid figurarum
inuolucris fcribuntibuiufce modi rpeculatioes per excelfu loca aprimBt. yadc
illud e p(almoi(^uis afccdct ia mdee duif A et illud = b Sj K n n i»
la Ap OL ttl d bt ttn
lut % dt.QURI bii iO ni£ fid «w
Ots sed| iae N «I K Liber quartus Nam cum in ui^tum
in contemplatione pofitarum finis uerum fit/ quo fapi^ Clite
efficimurtreiSe omnino folem huic rpeculationi mopolicumeflediiitNa ut
nox tenebrz infcitiam arguunt :ita lucis dator fol ueriratcm fignificat: Cuius
exemplum fecutus ciuis noder Damhes cum ab ignorarione rerum ad ue- ri
cognitionem progrefiiim ponit fe ez node filua<]^egreflum montem cuius
iu ga foleilluilrata fint/afcendere reflatur. Addit pratterea antrum ibi
efle Sybii« be magnam cui mentem animum^ Delius infpitac uates aperitrp
futura. (^u£ quidem locum ut diluddius-ezpritnamus pauca prius de Sybilla
percurr^mt mox ad rem de qua agitur redibo. Conflat igimt Sybillasapud
grzcoseas mu» iieres urxitati folitas t qtiz furore diuinb afflatz futura
praedicerent t Eft autem Sybilla quafi id enim efl dei fentennatquoniam
dei conlilium fitn tuitura et enim aeoles deum dicunt : quem
reliqui graeci nomnantt Quanquam (iimtquiuelint fatidicam muiiaem apud Ociphos
bocno mine appellatamta qua demdereliquz futurorum confcia: cognommatz
linn faas exuariis regionibus' decem fuifle colligit. M. Vano :Q_uas ego
omnes fi quid ad rem pertinacatbitearertfuo ordine proiequi non
grauarenSed ut ui> ^.nihil ad hoc de quo nunc agitur iQ^uamobccm fatis
fuerit uidifle Sybil lam facile rerum diuinarumdoi^inam interprztari.hzc
autem nobis ca qux Apollini nota fumifine mendacio przdicitt Nam
fapientiam uericatcmtp ape» m.quodueto antium ponitiexprimic ucritatem m
obfcuto latete . Nrtpreme» tetriuiz lucos Apollini templo adiungit: luna
enim corpulenta uebementei cflifiC reliquis lyderibus inferior .
Q_uapropca rerum humanarum quz diuinis longe inferiores funt/figuram iutc
habdne : 1 lia enim lucis przpouitur: res au» tcmhumanzin fylua
obrutzfunt: non enim corpore carent:& utiuna afoie lumen recipit t
ita Si ipfz quiequid habent a diuinis habent . Collige ergo cu lapientia
non modo diuiturumterum/fcd etiam humanarum faentialit re» de Apollinis
templo Dianz lucum adiungi. Templum dtumatum rerum lo»cus efl. fylua
macenanotat.Templum laoius zdiheium deo (aaumiin quo res
fdlasdiuinasagimustab reliquis abftinemus t quoniam cum illud mgrcdi»
muria negoaisceflamustfiC foli contemplationi incumbimus.Trmplum aute a
Ozdalo conditum ponit t Q^uid igitui aliud efl zdilicare templum Apollini
nifi reddere fe idoneum ad fapientiam capiendam.Q_uod quidem tunc dcnii^
fadmusicum ab omni corporea labe purum animum ad contemplanda diuina
tranfferimus.hocautem Ozdalusuiromnibus optimisaitibusinflrudus fa»
cuepotefliin quo tantum ingenium fucriciut Si DzdaIaCitce& tellus
dzdala a poetis tunc maxime dicatuticum maximum ingenium
oflendercuolunt.Ve» tutantem non mariinontetrainec ad meridiem infimam
nobis mudi panemt fcd per fublimem acrem ad reptetrionemiNibil enim
humileinihil terrenum fit in camente/quz ad fpecuUtionem fertur I fed ad
fublimia czlefliai]p engaturt Efl autem primus fpeculandi ingteiTus a
uitiis. primam enim cogniuonem efie oportet circa mali naturam /ut
ualcamus ab eo abAinere. Nam nifi expiati a uitiis fuerimus i nunquam diuina
attingemus t Vt enim idem fiepu ut icfctam/ negat Dauid
quenquamalcendctepoflc in montem domini/nifi Ia.P. Virg-M.AlIfgo. cum
qui fit innoces ihanibus 8C mudo corde:(^uapp in foribus per qmt etat in
templum aditus homicidiu Androgei: Adulterium Pafipbzs& Icari faftus
i|>onic .Hzc ergo a principio fpeculatur Aeneas.In uitiorutn autem
cognitione 'non cft diutius imoradu.Nam Si (latim ea noile oportet: et ftatim
a noris dilco dere.Rede igitur^ fjrbillaquaiamprarmilTus
Acatesacceriieratadmonef Acne asine in tali fpedaculo Idgius tepus
cdterat:Nam excellentiores quoep uiri uad is uoluptatu illecebris alledi
labercnt :hi(i.eoru cura BC Ihidio eam elTent adrpd dodrinamtqua monemur
ut paululu illud uitae ac temporis:quod humanz ra dcoDccfrum eft non nili
magnis et excellis rebus conterendii ducamus.Hocau tem inter egregiu uiru
ac ftuliumintere&.Nam alter li femel labatur/non facile furiet Altet
liquonia corpore uac animuspauluquandotpeuia deflexerit/ flattm adeft ab
Achate accerlita fjbillatquzad redudeducattledmira profedo poetz
ingeniu:qui fapientiamipGm Tua fapientia nos edocettprima ita<^ dodri
na ea efl ut purgati mundicp templum ingrediamur : Deinde oflenditquiuis
mens nollra quzdam Tua SC a fummo deo fibi indiU ui cognofeere
poflit:eogai tionem tamen diuinarum retum huiufcemodi eflexut nili diuino
lumine extu .tusillulVremur:illamcondperenonpoirimus:Hoccum fit/quis non
uidetprz cibus et ficrificus rem efle a deo petendam: Elegit autem feptem
hoftiastquonii Teptenarium numerum multi pnilofophorum perfediflimum
putauenmttpro ptereatp fapientiz attribuitur:8t uirgo ac pallas
appellatur: Sacrificat igitur fepte qmrapientiioptat: Ne(p temere didum
efl quo late ducut aditus cctu:hoftiace tum:per aditas enim multiplicem
uariamt^ dodrinam expim!t:quaad fapien riam ducamuriHoQiiueroquz quidem
uenientibus:refe opponunt non pat uam in re difficultatem
oflenduntiHateautem non ante patebut : quam id prz dbus ab imo pedore
fufls impetrauerimus.Sumo enim animi ardore et mente illi penitus deuota
fapientia acquiritur: Vt aute Gpientiam aflequamuri promit tit le templu
Pbcebo et Dianz fadurum:fed de templo paulo fupra dixi:huc ue to quare
illud de folido mamiote Fadurum fe pollicetur / breuibus expediam: marmor
res dura ell:ac mirus in eo 6i candor et fplrndor apparet: Vnde ab eo
quod gratei fplendere dicunt nomen fumpflt: C^uz omnia in ea
mente/quz ad Ipcculationem erigitur infint nrcefle eft:Brit cn m folida
ut quemadmodum inunis fludibus fua duririz ita obfllHt feopu^ lusutipfe
integer maneat/illi ucto illidantur:difruprir<^/rclidant:ltcmens nui
lis perturbation bus frangaturifed illas frangat: dicimus przterea aliquid ez
fo lido marmore clTe.cumnon marmoreis cruftis externe exornatum fit ; fed
tota cx tnaimore conftet.O uapropter 8i buiurcemodi mentem efle
oportetiut no figna quzdam quibumpientiam exoptet przfeTat:rcd tota
exardefcensilli fetn per incumbanErit itidem fummo candore nitens: ut
nulla fit corporea labe polluta.Q_uo enim padofplendore carere poflit ea
meos cum fapimtiam na qua perceptura fit:nifi prius multis dodrinis
illuflrec%Teplu uero Pbcebo Dia nzip ponir:qa^ut mo diceba ^ et diuinayt
et buanape reru cognitio cft rapictia Dies aut fcftosfoli Apollini
illituit:qauenis cultus foKs diuinis debctur.polfi ctt et S jbilJz
penetndia: in qbus fuz fortes 8C arcana codanf : Na nifi alta totte I^bct
giMrtus. rcpofita maneant ea qax per dodnnam acquirimus 'ueluti rianai puelfa;
alHduo labonbimus:ne<p unquam pcrforarum uas adimplere
uaI(bimus:Q_uapr(v pter 6C uiri ledi fortibus przponendi funt t Nam
excellentes funt uires animi ad bbendx : quibusiqux didicerimus optime
mandentur : Curadum autem in pri Inis ne refponla frondibus (dipta tradantur:
Sed ore pronuntient ur:Non enim JibcUisfiCcommcnUrioIi SCT edmdafuntquzaddircimus:
fed menti: Ne^ ruro (iuleuium flultilium^ rerum eQ quaerenda dodrina
ueluti qui in dialedicorum fuperfluis apdunculis/ac uanis
amphibologiis/autlnanibus fabellis omne pen e tempusterunt: Vereautem
illud didumeftfybillam circa principiuih nondum pbcebi padentem eflie :
Ea enim principium nondum pheebi patientem effe: Ea enim quz cognitu
difficillima funt/fuidpete non ualent noftra ingeniola donec Apollonis
enim eff neritas nos componat : ea enim inffrudis omnia Facilia redo
•duntut : Sed audi quid dicat Ijbilla . O tandem magnis pelagi defunde
periclis: Sed toris grauiora manent : Nihil grauius nihil uerius: Qui
enim omiffa ciuili uitaad eam peruenitiquz in contemplandis
rebuspolitaeffiille relido pelago^ io contipentem fefe recepit : Vita
enim quz in adionibus uerfatur: fluduati ma ti fimiliima eff : Videmus
enim omnia quz in ea aguntur : fottunz procellis ezo polita effe:
Contemplatio autem cum ad ea uertatup : quz eodem femper fe mo do habent:
ne^ in intoitum cadunt in folido hzret: Magnis itacp pelagi pericuo
lisiadatus eft zneas prius quam longis erroribus circumadus diuerfa
horrendao ^ maris monffra uitare potuerit: Diffeile enim fuit ut troianum
incendium ino columis ruaderet : laborioTum ut audelitate atep auaritia
deterritus e tbracia abi ret : In commodum ut ambiguitate oraculi
deceptus in trinacenfem pedem incio deret . Q_uisautem barpyarum foedam
illuuiem non abhomineturr Q_uamuis iter ad Helenum per medios hofies non
formidet . Q_uh cyclopum immanitao tenonconffematurrMariaautemlicula ita
caute obire: utneue Ttyllam neue •baiybdim conrpidati^^ tempeftati a
lunone zolo^ ezeitatz ita refidere:ne nau &agium faciat non hominis
fed herois eff . prztereo quz in fodis in africano Kt« tore paffus eff :
quas ilh fraudes luno parauerit : quo amoris uinculo Dido illiga •erit :
prztereo quz in Sidlia ex incendio nauium damna acczperit: uz om«
nia gtauia ac tunc periculis plena cum perpeffus fuerit: quo nammodoin
Italia duriora paffurus eff : Non tamen procul a uero aberat fybilla :
Cum enim a com muniuitaac hominum coetu te in folitudinem ucndicaueris :
tunc acriores quaf dam uduti faces carum rcrum/quas rcliquiffi memoria
admouet : et illarum de Gdepo acenimi infurgunt morius : At^ cum
obliuioni iam eam mandaffe puta tnus : tum maxime illuum ingeminant curz
: rurfufip refurgens fzuit amor':ut nili firmiffimaancbotaiuuesfundauerit/uideatur
in Afncamrenaaigaturuve Non enim 6C li firmum fit propofitum minime inde
difccderc: tamen ceffat ccr« tamen cum aliud illecebrzolimadzuitz aliud
przfens confiliumfuadeat. Ve» tutin Italiam Aeneas:uenim eo
uimitumgcnerequipurgatoriz appellantur a quibus antea quam penitus expiau
fit mens necefle eff ut acerrimum beliu quc« adsetidum nofftt aiunt
fpiritus aduerfus carnem gerat : Nam quanto magis hzc l^ta humanam
imbedllitatem funt: tantnniainri pcriculoaggtcdimUC.Hu<i
tn la. P.Virg. M^Ahcg Of inaHani enim rodctitemcum
deferimus/aut in ferinam lutam per tninian U atram bilem degeneramuc/aut
heroico robore fupra hominem erigiimjt. Qua propter intenogatus quidam qui
in littore folusuagabaturquicum loquerctot rcrpondi(Tet<p mecuni
loquor* Atqui uide inquit ille ut cum bono homine 1» quaris/& rede
quidem t Non enhn facile SCIPIONE inueniaaqui nunquam mi nus folua elTet
quam cum folui • propter huiufccraodi igitur difficultates ah Sj>
bilJa fore/ut cum in Italiam uenerint dardanida;/ii enim uiri tegregii funt /
nolA uenilTc. Inuenientenimaliumin latio Achillem.inuenientK
lunonemaquV bus non mediocriter uezandi Hnt i Ambitio enim quz ut in
lunone ita ia bello cofo uiro etprimitur quemadmodum troia; et uoluptati
aduerfabatui i fic et fpc culationi quam fibi przfcrri egre patitur
aduerfabitur : Eft autem ex dea natui achillcs / quia diuiiu qux damgenerolitas
in animis noftnsiolita eft t qiuenctni ni parere i omnibus autem imperare
uclit > Hzc ft reda ratione excolatur/ueram fortitudinem parit i lin
autem contra rationem elata omnia in fuam libidinem coouertere
tenet/ambitionein creat t et regnandi cupiditatem t Q^uaproptet tt ft
uehementer degenerer a dea tamen id eft adiuina animi ui origiuem
du.itsNd autem eatolum t quz ucnturanntptzdicitSfbilla : uerum ftcaufain
tantorum malorum profert: Ait cnimuttroiamcuertuntnuptiz mulieris eatdnz:
lic ft in Italia lauinz coniugium bellum acerrimum concitabit t
coniungitur cztemz mulieri animus nofter cum omilla uirtute rebus caducis
deledatur . Q^uapio* pter uoluptas paridis troiam euertit . In Italia
uero cum nondum cupidiutem tc rum humanarum deponere ualeat animus bella
excitantur afpcta illa quidem / fed non in quibus ueluti apud troiam
ruocumbatt fed unde uidor triumphafiy parto regno redeat . Accommodate ut
mihi uidentur omnia hzc inquitAt illud quare didum fit : fed npn ueniiTc ualcnt
non intelligo.NI (i eum qui iam ad fpeculationem peruencrit firmo iam
propolito ce oportet cur illum peenitentia fequatur non uideo t Non enim
infiaot uirum etiam grauem in huiufermodi ftabili propoliro acri fzpe
morfu affici : non tamen ita magnoaf fici puto ut ad pmnitentiam
redigatur i nifi fortalTe hoc didum fu : ut multa per quandam hipctbolcm
t (icenim grzci rupcriationcin appellant / dici confueuere ut ex iis
unbis quibus peenitentia (ignificatur non peenitentiam fed fumma diC>
ficultatemoftcndcreti Ifthuc ipfum inquit BAPTi&TA : uerum uidramus
qd rerpondeat zneas : nempe id quod qui uera dodrina imbuti fuot femper
obfer^ uant : Ait enim fe ita ptzmeditaium uenifle : ut antea fecum animo
omnia euoi uerit . uz enim ante a nobis ptouifa funt ea id fpatium
przbenr/ut antea qui ucniant uel cuitari poflint uel faltem ne
tantum Izdant prouideri : Cum animus ipfefuasuires colligens
tobuftioraduerfus difficuitates reddatur: Nam queme admodum ii boftes
incautos ac nihil tale metuentes inuadamus quamuis 81 Itv co et numero auperiores
flnt facile illos fuperamus. Contra uero uel exiguz eo* piz ii fpatium ad
ea paranda affit: quz prziio conducant lulidii Timo ezcrcitiB pares fzpe
inueniunturific et nos finobifcum cogitauerimus/ quamuis multa per
corporis cogitationem accidere pofTint/ animos tamen czleM femine oetoa
atfi focotdi» ignauixy Ide dederint: aullis laboribus t nullis difticultatibiill ul iJi M Stl eu P ffli «I IV.N a id ni ifi m M k d Pf Liber
quartus nuDa foitunz iniutia modo uelintimpediri pofle quo minus in
originem fuam redeant inui<3i ab omni perturbationum prxiio euademus .
Ha»; fecum cu iam diumcditatus effetarneasnonpetitnuncdemumiila doceri. Verum
in limine contemplandarum rerum poAtus ad inferos deduci orat. Quo in
loco quid G* bi ueiit amez ad infaos dcfcenfus conabor paucis abfoluere i
Si pnus quid infer bus fit : Si quot modis ad eum deficendatur breuiter
demonfhaueto : Infemiim igitur plurimis ante chriQianum nomen fzculis no
folumhebrziuerum etiam cgyptii pofuerunt . Q_uz autem poft chtiftum natu
noftra religio fine ulla dubitatione de inferis de^ peenis t quas apud inferos
nocentutn animz luunt / af> firmat ea omnia ab hebrzis ni fallor
accaqrimus.Q^uz uero zgyptiorum monu mentis mandata funt ea primus ad
grzcos tranftulit Orpheus . Hzc deinde fu« is figmentis auxerut plaui^ ez
grzcorum poetis / quorum principes Homerum H^odumtEurypidem t Arifiophanemm
e(Tc uidemus . Q_uos deinde fecuti e nofirisfuntptzter Maronem / Ouidius
mlmonenfis/ biex bifpania Statius Pa» piniusacLucanus : &quem plzri^
florenrinum fuilfe putant Claudianus: At ii omnes inferomm ledes fubterraneas
elTe et ad cctrum ufip : qui locus in fpe ta infimus efi portendi
aedidetunt: Q_uapropter fpeluncas quafdam ac terrx hiatus przfemm fi
ignem fumum ue euomant ingrmum ad inferos n5 line mu liercularum ac
rotius uulgi fummo afTenfu fabulati funt . Nam et in laconica re<
gionc Tenanis mons eft circa finem malei promontorii / e cuius
profundiifimo antro quoniam fpiritu id agente fhepitus auditur: facile
fuit uulgo petfuadere inde ad inferos defcendi.Acberufia autem palus in
epiro no procul ab beraclea abargiuo ut fauntHerculedidafpccum habet per
quam cerberum tricipitem Plutonis canem ab Hercule edudum crediderit
antiquitas : Nam de auemo lz> cu nihil efi quod referam:
uulgataenimresefi&a pizrifi^ decantata. Ac de poe tishadmus . Plato uero
eadem difciplina : qua et Orpheus imbutus ita fingula ptofequicur/ut
nihil aliud inferorum locum animis noflris efle ueiit quam cor» pus
ipfiim quo ueluti carcere includuntur . Ipfe em'm animos a fummo deo ae*
atos ponit : Q^ui quidem fuapte natura dudi In deum parentem fuum conuer
tuntur. Nec mirum . Nihil enim eft quod in originem luam cum pollit non
re uetutur. Videmus enim(^ut loco exepli hoc ponam}ignem huc^ut ita
loquar^ tenenum/quia fuperiotis ui ac femine genitus efl fuz naturz
impulfu ad fuperi ora erigi . Conuerfi autem in deum animi eius radiis
ita illuflrantur ut ubi hade nus eorum efientia per fe ueluti informis
fuerat : nunc ilb fulgore conformet' : fit 9 miro quodam modo ut intra
animi eifentiam receptus fulgor no ueluti ez^ terna quzclam Si aduentitia
res in ea refideat : fed ad illius capacitatem tradus ob foinor quidem
reddatur : 8C a fe ipfe degeneret : mend autem proprius ac nattis talis
efiiciatur.Q^uaptopter hoc duce in fui ipfius at^ omnium quz infra fe ezi
ftunt: ea enim corpora funt: cognitionem animus uenit: Deum uero Si
aav> ra quz fupra fe apparent: hoc lumine non cernit. Qui enim fi
iamconnamra« le fibi fadum efl ea quz fupra naturam fuam funt/illo
continget : I d tamen men ti noftrz przfiat : Nam per primam hanc ueluti
fcintillam deo propinquior fz> da aliud accipit lumen et clarius
quidem/quo iam czlefiiumquo^ Si fuperna* m ii ~ f l Ia.
P. Virg.M. Allego. nim remm cognitionem accipiat . Sed hxc te
LAVRENTI latere mmitne puto: Sunt enim non folum dode ac diftinde/fcd
omnino dilucide a Marfilio noftro in iis dialogis explicata : quos ille
in Platonis rympolium confaiptos fub tuo no mine zdidit : Quos quidem cum
quia ad te funt t tum maxime quoniam pluri mis acfeledilTimis rebus
abundant familiariflimosribi elTe cupio t Sunt illi quidem inquit Verum
przcipue locus ifte menti noftrzhzretsin quo geminum in nobis lumen
elucere demofttat : naturale unum et ingenitum ut dicebas : diuinum
alterum et infufum/quibus limul iundis animi noftri uelu ti geminis
fulFulti alis/totum hunc ruperiorem mundum pcruoLue poiTunt: Ad dit^li
diuino illo femper utantur fore t ut frmpet diuinis bxreant. Infimus autem hic tctrz locus
animante in quo ratio fit canturus uideatur. Quod nefiat
efrediuinainflitutumprouidentiatutanimusfui omnino potens flt:ualeat<p
pro fiio arbitrio uel utro<p fimul lumine cum libuerit uti : uel altero
(bIo:propte rea<^ fieri ut natura duce ad natiuum lumen conuerfus fe s
uirefi^ fuas : quz ad fabricandum corpus fpedant/diuino lumine ad
przfensomiflblolum confide.' tet :
illafcp in corpore conflruendo exercere cupiat . Rede ac memoriter tenes inquit
Baptifla s confifHt igitur in czio ut Platoni quem poeta fequitur/placere
ui.< demus animus noder ipfius diuinz naturz contemplatione pcifiuens
: Verum il la quam dicebas cupiditate infedus et ipQi cogitationis mole
degrauatus in infe» ra defeendere indpit .Verum quoniam cum de inferni
finibus ex fententia Plato nisquzritur non fimpicx apud eius philofophi
fedatores opinio cdtnoscam boc tempote fequemur :quam et animorum rationi
magis congruam putamust et dodiotibus magis placere cernimus . Hi igitur
bipartitum mundum ponunt. Nam fupremum czium quod Aplanes uocitatur
dellis^ut cd apud poeta^ardetibus aptum fuperorum regionem ede uolu erunt
:eofq) campos elyfios ac beato Tum infulas nominarunt : Saturni uero
fpera ac fex reliquz quz fub illa funtrrut fufep quicquid fpatii inter
lunam terramc^interiacetripfami^ tenam inferis at^ tribuerunt : Altiffima
igitur pars illa qua uel fubdentatur diuina uel condant/ne dar uocatur i
di deorum potus ede ctedimr . Inferiorem uero Icthzum/ac horni num pomm
dicunt r in hunc enim cum a fupetiori czIo per cancrum ea enim ho minum
porta diciturrprolapfa fuerit anima in ipfius hyles quz elcmctorum ma^
terta ed tumultum incidit: quo in loco noui potus ebrietate degrauata&
ueluri temulenta effedadiuinorum obliuifcitur : terrenatum^ rerum
cupiditate ilie« da ita per fubiedas fperas dclabitur : ut ex lingulis
czlotum ordinibus aliquem cotum motuumtquibusufuradeincepsfitin
corporibus acquirat:Nam ab ea quam faturniamdellam nominant
ratioanandi& intelligendia loue agendi a marte audendi uim abducit :
fol uero ut fciat ut etiam opinetur illi cocedittMox a Venere excepta
defiderii motum mutuatur : Inde per mercurii ac lunz czlos de fcendens ab
illo pronunciandi interpretandii^ ab hac plantandi et augendi uires
acquirit : Ac podremo ad terram ueluti ad centrumtquo gtauia omnia
feruntur delata:6C corpus quafi carcerem uel potius fepulchmm ingreda
iurc apud inferos relegata didtur: Moritur enim in corpore anima uelut in
fepulchto demerfar non ita tamen t ut fauiufccmodi morte extinguatur :
licd ut ad tempus obtusturt Liber quartus quabdo quidem illius
diuinitarem noxia corpora tardatititertenishcbetaat artus moribunda^
metnbra.-habes^fed breuiter^quid Platonidinf^um pu tcnt:& quem
animatum ad ipfum defcenfum ponant» Nam^ de tartaris fabii^ lanturpoetzea
omnia animam in corpore pati manifeftum eft . In materiam enim protrada
nouam fyluz ebrietatem haurit cum illam ueluti flumine dema gaturtFIumen
autem ipfum non line exadarationeinquatuor flumina ac flj giam paludem
deducunt. Lethzu achaonta ftygem cocytum ac phegechotu> tenitMateriz
enim admixta anima eunda quz in czlis uidaat obliuifcitur. Quaproptaiure lethzum
nomen ab eo quod elt. ficenimobbuifei grzd dicunt potare finxerunt. Ex
hoc autem Achaon ma« nat: quzrcs gaudii priuationem denotat: quafi
Nam quod in dd contemplatione purus exiflens animus gaudium
aedpiebattidom ne ex obliuione amitdttquo quidem amiflbt flyx quamfadletriflitiam
intere pretaberis exonaturneccite efttftygisdemumpoflrema zfluaria coitum
e£fi.< dunb Quis enim ex triftitia in ludum non cadat: te autem non
fugit id grz cos dicere: quod latini lugae interpretantur. Ex
diu tumo autem ludu in furoris infaniz^ ardorem inddere roIemustquemphe. gethontem
nominant. Ex hyle igitur unico flumine mala hzcomnja eueniV unt: Quapropternon
fine fummadodrina ex letham reliqua fluenta deriua ci finxeruntrfed hzc
in Phzdone a Soaate latius explicantur : N obis autem de multis puea ad
bunclocumtranffnenda fuerunt :at(^ ea fola quibus defeen fus ad inferos
ex Platonis fententia perfpicuus redderetur: Noflri autem qui ita a deo
animas aeari redifljme fentiunt: ut eodem momento et creentur fi; fuis
corporibus infundanturrnon eas in hoc inferiori mundo uerfari uoluerut:
ut commifla purgarent: Quid enim fi ante corpus non fuerant : extra
corpus peccare potuaunnfedutfuisrcdis adionibus: quas omnino liberas
habent cz« Io aliquando frui mererentur . Conceflit enim nobis deus : ut
noflro arbitrio Ii' bere utaemur:non ut per nequitiam delinqueremus: fed
ut per religionem fi; iuflitiam nobis fummum bonum acquireremus: Verum
cum perfummam fiultiriam illud negligcntes corporeis tetrife^
uoluptatibus dciiniti maximis ua nilc fceleribus coinquinemur oportuit
efle locum ubi a corpore digreflx buiuf cemodi animz
fuorumfadnorumdebitiflimasposnaspcrderet.Himcautc lo cum arca terrz
centru maxime eflie uoluerut:Na cu fi; propheta eripuit deus ani ma mea
de iofernoinferiori dixerit fi; ipfc humani generis faluatorfe triduo in
corde terrxfuturuadmouerit facile couincitur centru eflctNihilenim
eflcctro infcrius:quin fi; ita in medio terrz confiflittut in medio
animante cor efle uide musiQ_ua in parte fi; tenebras exteriores/quonia a
luce remotiflimz fint:fi; de tiu flridorc quonia nulla folis uis illuc
defeendat efle nemo negauerit.Erit igitur in terrz cerro infernus:fed ita
erit ut etia ex iis quz fapietiflime a Gregorio colli gunc ad aere uflp
huc ex terrz fi; aquz caligine cralTioreptcdat^.Acrp deiferno hadenus ad
illu aut aias defcedere oe fere hominu genus dixit. Sed tn aliud alii
fentiut.Na przdpitatio illaaioru afuptcmoczloin hzc corpora ad inferos de
fccofuscdea Platone acdicuit Cbriflianiuaofczleflo^ animasc
fuiscoipotL In. P. Vtrg. M. Allego. busad inferos trahi admonent.
Dicimus itidem uiuentes homines cuminid tialabuntur/ad inferos rueret
Sunt quoc^ qui credant magicis artibus 6: cat minibus fieri uelutidefcenfus
quidam/ut inde euocarianimx poflint. Verum praeter bos
quatuordefccfusqnrus quicftnonuideir omittendus: Na £( ad in« feros
tendimus/cum lumen rationis noftrx ac induihiam in mali ac omnium
oitiorum naturam fpeculandamdeiidmus. Ego igitur libenter de te
feifeitoro Laurenti cum haec omnia perceperis quid putes hoc Aenezdetcenfu
Virgilu um exprimere uoIuifleTlamdudum quid agas uideo o Baprifta inquit
Laurcntius/ac pro eo maximas tibi gratias habeo: Quis enim non uideatuni.
Uetfamhanc difpuutionem nonfolum meisptzabusdatam/uerum etiam a me
fratremij meum erudiendum elaboratam : 'Nam fiCli caeteri t qui afTunt
omnes mirifice tua otatione deledcnturt tamen eft eorum ztas ac dodrina
huiufcemodi t ut etiam fine duceipfi per fe hzc omnia cognofeere ualeant.
Hos igitur duos erudiendos cum fuiceperis : propterea^ rede netan fecus
quz hadenus difputafii teneamus / nofie cupias fine ulla
cundationequaxd. rogaueris / cerpondebo: fic enim et errata facile
emendare poteris : 8i fiqd rede teneo id tuoiudicio confirmatum firmius
hzrebit. Petit igitur afybilla quam tu iam dodrinam interprztatus es/ut
ad inferos K ad parentem dedo.> cat: Q_uod cum petit oftendit mentem
przmonfitante ipfa dodtina in fem fualitatem defcendece . Vult enim nitia
quz ab ea funt penitus cognofeere: fed uide quantum tibi ex hac
difputatione debeam : nam non folum effeciftt ut hzc a Marone
diuinitusdida tenerem: fed fimilitudine rerum admonitus ia quidfibi
nofierquoi^ Oanthesuoluerit facile coniedor. fed de hoc alias: Tu ueto fi
placet ad reliqua perge: Rede tu quidem inquit Baptifiainterprztaris; Me
autem tuum ifiud ingenium ac iudicium fummopere deledant: Verum
audiquidilli auaterefpondeatut.ln primis enim defcenfum ad infetosnul'.
lius negocii eiTc demon(lrat:cum nodes diefc^ datis ianua pateat : Q^uod
pro fedo nimis etiam q utilem uerum efi: Naracum procliues ut fenexquo<^Te
rentianus conquzritur a labore ad libidinem fimus / facile in uitium
labimur. RcdilTime^ illud ab Hefiodo Redifiime quo^ 6i illud
uel claufis oculis illuc defeendi: Nam fiue delinquendo in uitia labimur ?
[uoniam id per llultitiam fit: llultitia autem rariflimi carent; quid
obfccrote acilius inuenies : fiue:fed t^iquos defcenfus nunc mifibs facio
: quorum pro cliuitas pcrfpicue apparet : Id autem de quo nunc agitur :
quis non uidet . Mentem ipfam ac rationem facile in cognitionem fcnfuum
dcfcendcre.Ma ximum autem fit periculum ne dum cicca lingulas corporis
uoluptates uer.> famur / ita illarum illecebris demulceamur / ut
irretiti hzreamus : Facile igi.> tur fenfus defeendit mens / non autem
facile a fenfibus rcuocatur.Id enim eftab inferis redite: pauci enim quos
zquus amauit lupiter: aut ardens euexitad ztheca uirtus diis geniti
pomere : Tria ut uides hominum gene<a ra ponit quibus liceat ad
fuperos reuerti: Sed nos prius de duobus pofirei> mis dicemus : cenfet
Plato quod paulo fupta explicatiur demonfirauimus animos nofitos rerum
terrenarum cupiditate degrauatos incorpora dcfixt> Liber
giiaituf Jcre : (Quapropter qui prius imbroda nedare<p
ueTccbantunid enim eft deo 'fiuebantur t atqi inde mirum gaudium Tumebat
t nunc letheum rpoti in re» lum omnium obliuione mnli Tunt.CQuod (i intra
corpus conftitutus ani^ musillius cogitatione ac fordibus
inquineturttamdeoiis tenebris obducitur/ utnulla deinceps fpes (it ad
Tuperiorem lucem redeundi: Sin autem TcipTuni infccoIKgms integre cafte^
degat: 6ecorporis quoad potedeonfotrium declinet ipauladmcz illa obliuione qua
ueluti crapubuino(p opprtlTus obdor» tniTccbat Teexatansualet libi
geminas illas quas iam totiens nomino alascom patate. Illis autem
fuffultus facile ex inferis reiilit: &ad Tuperos rediens iii re
gionemfuam reuolattper duas igitur alas totidem uittutum genera intclligi
mus /& eas quz uitx adiones emendant: quas uno nomine iuftitiam nun»
cupatt&eas quibus in ueri cognitionem ducimur: quas iure optimo
religio» nem nominat. Illud igitur pauci quos ardens cuexit ad aethera
uinus:alam primam exprimit : et uittutes qux de uita et motibus Tunt
intelligit: cumde indeaddit diis geniti potuere SIGNIFICAT alam secundam
:at<pipfam rrligionem quamexuirtutious iisquxad uerum ducunt conftare
uul: Placo : Hxc itaip auntopbilofopho mutuatur Maro cuius quidem dodrinx
non nihil ex ma» thematicorum fcntentia ita addidit : ut nei^ ius Tuum ac
libertatem animis adi merctmeip cxleftia corpora fuaui priuaret:Nam li
animis nolitis uimnecef» Utatcmqi f/dera afferre dicamus/non modo id in
religione noflra impium eiitr fed 6t a Tummorum FILOSOFI dodrina
abhorrens : Verum ut intelli» gas ntip hoc a Platonico dogmate alienum elfe
/ refert ille in Thimxo ratio» naiis animi effedionem nulli nili
deotribuendamiquoniam ipfe eiTentiam ac ^ rationem animorum
noftrorumcreat.Corpus autem ac exteras animi par» tcstuteaeffqux
concupifeit flC qux irafdCur nos ab animo mundi mutuarie Q_uapco{aer St
li mens ipTa nolha nullo fyderum imperio fubieda Iit : tamen quia nullam
adionrm ex iis unde uirtutes uitiam manant nili per fenTus ac ap» petitum
exercet: Illis autem quoniam a corpore funt uacias aut ad uirtutes affe»
dionesiauc in uitfa prcKliuitates inferunt fydera /permulti interelTe uidet ur
quo fydere nati fimus:Nr<^ solum ad bxcqux ad uicam et mores pertinere
diximusr ucrum d ad ea qux fpeculationem K ueri cognition cm refpiciunn
Nam li on» nes omnium animi eadem natura funtiunde nili a corpore
eritrquod alii inge» nioiudicio ac memoria excellentilTimir xillanttln
aliis hxcnulla appareanc: cu autem omnis nofira cognitio ab iis qux
efficiuntur ad cfficientiatn:& ab iis qux loco 8C tempore nrcufcribu Dtur
ad infinira initium fumatrmulta obiicinir dif» licultas animis noftristut
intelligentiamut feientiam ut fapientiam alTequanturt cumuircsillx:qux
paulo ante dicebama membrotum : quibus ueluti inftru» mentis utuntur
deprauatione bebercant : nei^ fe explicare poflint: cura igi» lurapud
Platonem ruumlegilfet Maro nili geminas illas alas recuperemus ad Superos
redite non poffe : Cum itidem illarum recuperationem a fyderibus caquam
oilendi ratione impediri aniroaduerterctiut a loue xquoamarrmur opus ciTe
ofiendit . Hoc autem nihil aliud eft / nili ut benignitate fydaun»ffcdionca ad
icdaa adiooa acdpctcmt^Natacum plancutum uuia uiafit,1 In.P. Virg- M.
Allego. Videmus iouis natura hulufcemodt elTc: ut quos ille in fuo
ortu benigfle a(^e dt illi ad iuftitiam ac religionem proni reddinturrita
ut ad eas quas diximus alas recuperandas impelbtr colligamusigiturnetnincmabinferis
rcmeate/nili al^s recuperet : id autem non clTe fadlc nili iis qui
benignitateiiderum adfupera eti guntur . Sed quid tu.L.Marfilium intuens
clanculum rubmurmuraftit Nempe id Tolum refpondit.L.quod paucis ante
diebus cum T imxum Platonis in maoi bus babetet:mibi de anima mundi
dixerat Marlilius > Cautius inquit.B. mihi progrediendum elTe
uideorcum res nobis non modo cum dodo : V erum etiam cum mcmoriolo
litifed quod de mundi anima dicis/id 6L uerum huic lo> co
apprime quadrat : cenfet enim PLATONE rationis fementem a deo
fadamianitnof ^ nodros ab ipfo aeatos/ac deinde mundi animz ueltiendos
corpore traditos: ut £2 corpore uedircntur:& eius pedilTequis uiribus
informarentur: Aequum enim fuit:ut quoniam concupiTcibilis irafcibilifi^
appetitus (alutis corporis gra na func:ii ab eodem nobis darenturtqui nos
corporibus inclulilfct: Vetumquia faz partes lubricz funtipat fuit: ut
qui nobis illasin deterius facile labeutcs dedif fet idem ipfe aliqua ex
parte aberrotibustueretur: labenter<jfubdetatct.Q_u3' propter iuflit
illi fummus pater/ut quando ipfetccirco animis nodris caufaffl
obiiuionisptzditiir<t: quoniam luteo corpore circundederit hominibus
fulgo, rcmueriutis infunderet. Huiufcemodi ita^ przccpbs obtemperans
mundi animus eos omnes quibus zquus ell/aut fomniis oraculis et portentis
autio. terao quodam motu Si ad futuri prouirionrm:6t ad diuinz legis
cognido. nem perducit : ut eo duce alas
recupctcmus.Huncautemmundianimumue tetes theologia qui illos fccuti funt
Platoiuci fzpe louem appellant. Hinc pbcus lupitet inquit pnmogenitus
eft: Iupiter nouiflimus; lupiter capui:Iupb ter mediu.Vniuctfa autem e
loue nata funtihinchinc illud lupitet eft quodeo. uides quodeun^ moueris i
Q_uin Si ipfe Maro A ioue principium mufz io. uis omnia plena. Sunt enim
omnia plena animo munducum ijle ita totus in to to mundo fl£ in qualibet
parte totus : ubi uigeantutnoftrianimiin fuison. pufculis : Hic deniip
czlumueluti citharam continens harmoniam cfificit ex di uerforum czlorum
fanis: quas cum mufas appcllentiute louisiiliz dicuntur eiremufz:Q_uantam
igitur dodrinamMato tribus uerfibusincluferit/ facili, tis mente concipio
: quamuerbis exprimam. Rede igitur pauci quos zquus amauitlupiter: aut
ardens euexit adzthera uictus. RedefiC illud tenent nia liluz: Ab hyle
enim(^ ut fupra dcmolhauimus ) eS omnis nodra duldtia et omnibus ahimisconugio:
quibus impediantur ne ad fuperos redeant. Ve tum de remeandi
difficultatibus badenus: Deinceps nero eas exponit rationa quibus ita
tuto defeendamus ut pateat reditus: Aures autem lamusfapientiam nobis
indicat dne quanonedfpcculado eligendarum agendarum^ rerum iu dex . Ne
mireris aurum fapientiz fymbolum apud hunc poetam obtinere cum plzii^
idem faiptotes fecerint: Vndeillud bpiens aurum et multitudo gfmmarum Si
uas pretiofum labia fdentiz: Aunim enim eft fapientiz uigor at(j fulgor. Ndium
cx metallis auro pretiofius eft. Nibl in rebus entia pluris facieadum. Fulget
maxime aunim. Nihil (apimciacll endi^ i (i 01 ik IXI BS XD u m uv mt Bd: od Nx m HC pn ioqi iHgg imcttdi di
dux BOC (jB) da. Bidi BUi liuBi
Btit imt « D! feuii Uni
OlC Wl D« Lib«r guartui £iu. Nulla eni^oe exeditur aurum:
Nulla rea imminuit fapietitiam t Nullis lordibu saurum coinquinatur t
Nullis maculis Tapicntia deturpatur t Sed latet arbore opaca: mulus cnim
ac uariisinfeitiz tenebris ita obruitur uerumft luco ca cnimcorpons^uc
ita ioquar^bebetudo eft ita tegitur t ut difficile omnino (it illud erueretScite
enim Si a Ocmocrito ufurpabatur natur^n in profundo ueri^ tatem
demer(i(fe : Non tamen prius in hanc contemplationem defeendere uaW mus :
quam aureum ramum deccrpfciimus . Proferpina enim ad fe ire quempi^ am
(ine huiuCcemodi munere uetat . Efi enim profeipina ipfa animi pars quz
ni bil przter lenfus contina : ad quam (i (ine fapientia accederemus
nullum przte» rearemediumdarcturiquomuiusdenobisadum ei Tet.llla enim
irretiti nulla unquam effet fpes redeundi . Rede Si illud piimo^ auulfo
non deficit alter au« reus I fe ip(a enim alitur (apientu : at<p
cuenit inueffigando/ut aliud uerum ali< ud aperiat: nec quicquam
percipiatur: quod ubi perceptum (it ad aliud percipi* endum non diKat :
Illud autem quis non uideat de uero uenifime didum elTe . Nam alte
inuefliganduse(l.diuina enim &czleffia(^(i ueru inuenire uolumus^ non
infima hzc at^ aduca infpicienda funt : omnis enim dodrina a frientia ex
iis efi: quz nullis terminis circunictipta funt&in interitum non
cadunt:lubet ptzterea iam repertum rite a nobis carpi : et iure quidem
ita iubet . Nam nili cer* so quodam otdine pergamus/nibil unquam
proficiemus; Addit enim poffremu illum facile te fecututum i (i a fatis
uoceris : fin autem non uoceris : nec uiribus tunc nec duro ferro
polfeconuelli.Virtutibus enim quz mores corrigunt Si quz tedum zquumij
relpiciunt ualct omnes ira animum a fordibus purgareiut mu di e corporis
migrent : Ad fupremam autem illam rerum cognitione uenire pau ds ommno
datur : at^ iis (blis qui a facis uocantur . (Quapropter rede (i te fata
uocant : Q^uod tamen ut planius exprimam /uolunt Platonici deum poft fe
ip* fum cognolcere . Deinde omnes reliquas res : Tertio autem loco ea
eunda effice lequz cognouit : Poftrema ergo hzea fecunda : Secunda rurfus
a prima dependet . Namomnes res ptodudt quia illas nouit : Nouit autem nulla
alia ratione : nili quia fe iplum in quo omnia funt contemplatur .
Huiufcemodi itaip ordine rria illa in deo ponunt iu ut pdmam fapientiam:
Secundam prouidentia: Tertium fatum nominent . Chnffiam autem cum haec eadem
(nt fallor^fentiant:Fa ti tamen nomen uiz ponere audent: non quia Platoni
irafcanturifed cum uidif fent clfe quafdam in pbilofophia familias : quz
eam fato necelTitatem imponat: ut nullam io adionibus nobis decernendi
libertatem relinquant fati nome odif fe uidentur. At nos eum quem paulo ante
dixi philofophum fecuti dicamus deum retum caufas id cft fe ipfum confiderare:
Ddnde ortum ordinem : ac deni gubematiunem rerum quas compleditur intueri
t (Quz ddneeps ita omnia excquitut ut nullo mexio ualeat impediri i (Quam
quidem rem fatum dicunt: Quod fi ita eff uon abeiiant qui dicunt rationem
ac ordinem rerum : quam ita mente dd prouidentiam dicunt in rebus
mobilibus ac loco Si tempore dteuioi* pds fatum did.Te itaip fi f^ta
concelTcriiu camus aureus uolens fadiifcp feque c Datur igitur pauos Si
id diuino quodam extra fortem munere ab ipfa dei proui
dendatcuiusconfilium ferutati nefas bomini efirReduscoim dotdnus et reda
Jn.P. Virg. M.AIIfgO* confiliacius t fed qux mortali ingenio
cotnprzhendi non poirint.Quis rniffl adeo temerarius: ut noiTe contendat
cur loanni: cur Pauioapoftolu caapcruc« rit dominus : quz multis
fandifrimisuirts& multa dodrina illuftratis detegere coluerit : Quod
exemplum late patet et ad omnes qui in aliquo dodrinz gene te
laborauerint ttanffetri poteft t ut cum multa eodem (ludio dagrauerint t
eatu dem^ operam ac laborem impenderint alii fummum in eaatte attigerint:
aliis autem uix in poftiemis confidere licuerit . Habes quid aureus ramus
meo iudb cio fibi uelit : Quod autrm ad miferi funus pertinet (ic accipe
. Mileri odiufa Ia us rede interpietatur . Q^u ipropter erit eadem inanis
quzdam gloria-Snt enim fummo odio digm qui uiitutrm negligunt : unde
folida exprrflai]^ manat glo> tia . Honores ueto ac reliqua
uirtutisiDfigniaredantur:Qu 'm qui in uita ct» Ulli res egregias
adoriuntur in primis captare cunfueueiunt. Hi cn<m non redi honedii^
amote : fed gloriz cupiditate laborant: quam dum aSequi cupitmuS rem
publicam fzpc perdunt x&infummumouium odium incidunt: Egregie igitur
luuenalis. Tanto maior famz (itis ed quam uirtutts. Huiurccmodiigb' tur
uiri animi excellentiam (iue a natura fibi in litam/(iue indudna/atcp
exetaca Cone comparatam penitus corrumpunt. Non enim uirtutera ammt.^cd
uita tutis infignia i qua; fzpius malis quam bonis exhibentur . inanis
igitur atip ad» umbrata gloria in rerum publicarum adminidrationc
exceliintioribus ferop ada hatret. Quaproptet Hedoris quotj comitem
mifernum fuille tingit . bi enim caritate patriz magis quam cupidine
gloriz moucretur huiufctmodi uiri beatifa (Ima; omnino ciTent ciuitates :
quibus illi przcfTcnti Qut igitur ad uitiorum fpe culationrm ea gratia
tendit: ut fe ab illis explicet: cum in primts hu.ufcimodi gloriam
abiiccre necciTe ed :Quaproptcr rede eo tempore roifcrnus extinguitut quo
zneas a fybilla prxeepta accipit . I nitium enim ueri inuedigandi a onlctni
m tcritu optime funiitiir : Ncc tamen fatis fuerat illum extingui :nift
etiam fepelu tur : ut nufq jam urdigium illius appareat : nec unquam
reuiuifcat: Quud au tem illum tubicine fuiiVc dicit : optime quadrat . Ed
cnira huiufccmudi hutni« num : ut rrs a fe gedas quam latilVimc diuulgmt
: Si fuo przconio ommbus ofle dant : Ed prztcrea zoii uentorum regis
filius:Nam nibil uentoltus ed illi qui ne gleda uirtute tc folida et cxprelfa
adumbratam quandam et penitus inanem glo riam aucupentur: unde et tumidi
et inflati Si uentoli dicuntur . Rede Si nlud quo non przdanrior alter
aere ciere uiros martemtp accendere cantu.Quid eni aut Ninum aut Cyrum
aut Xerfem ut hos folos de innumeris aflaticis regibus te feram : quid
qua;fo aliud impulit : ut non contenti patriis Enibus multis popu/ lis ac
nationibus beilum inferrent; Q_ uid apud grzcos fpartanos aut athenieo'
fescxcitauit ut magnam Aftx partem ruoimpetioadiungerent: QuidHvnni' bali
ruafit ut bifpaousgalliift^ fubadisromam orbis caput peteret: i^uidapud
njod(os.L. Syllam prius ac. C.Marium: Deinde luIiuro Czfartm.CD.^PompC''
ium ac podrcmo Odauium K.M. Antonium eo furore accendit ut
ciuiltfaogui occunt^ replerentur nili infanz quzdam famz cupiditas. Cum gloriam
miis rebus quzrerent: quz dolidil Timum uulgus dupefeere quidem cogant i
fapicn Us autem ad iuihfumam indignaiioncm fummum^ odium concuent t at Q C*1 Gi
d DCt BIB I» '1 ip» a» K*», tUH cnu
cpi)iii 100 ad siil itd
id* ^1 afi \0 «? |lP< <« Liber
guartui mo tnodo ipfe malus non Ct huiufnmodi uiros bonos dixerit. Sed
quid (i o{v dtni que^ m hominum Ibcictatc uiti : ac pro re publica emoti
ptomptiilimi prz ter id quod patriz caritate in manifedifTimam mortem
ruebant igloriz quoq; cu piditate extremum cafum zquiore animo ferebant :
uis enim ftbi perfuadeat aut Thcmifiocicm athenicnrcm in nauali prziio
apud Salamina gcflu t aut Epa« minundamin ea uidoria qua de Lacedzmoniis
potitus efiraut Spartanum Leo eidam in tbctmopylisuirilitcr pugnantem
nihil de gloria cogitaffe. Ego enim oet^ Brutum lingulari certamine
aduerfus regis exulis filium concurrentem : ne a Sczuolam tanti animi
confiantia dexteram exurentem: ne Decios illos in co jf^ifimos hoftes
iiruentes : ne^ innumerabiles alios qui patnz libertatem fuz nitz
prztulerunt famam quam de fe pofieritati teliduri elTent nihil unquam fe*
dlTe arbitror. Sed nos in re omnibus manifefla nimium fortaffe moramur.
Ita« redeo ad mifemum qui cum tritonem deum prouocare audeat : iute
demens appellari pofTittQ^uid enim fiultius quam (i inanis hzc gloria a
caducis ac cito perituris tebus ptofeda audeat fe illi : quz uera eft et a
diuinis rebus proficifeitur E fumtnam temeritatem
zquiperare.Q^uapropter facile ab ea obruitur. Sed cad rem noftiamtReliqua
autem quz circa funusdeferibuntur hidoriz attp aurium uoluptati
concedantur . Geminas autem
columbas geminas illas alas qs d o fupra diximus intellige . Illas
enim ducibus ad contemplandas res tendit : t autem uoluaes ucnetis: quia
oportet illas elTe ab ardenti amore : Nec iniu tia matrem inuocat : Nam
tantam difficultatem nili rapiat amor facile fugiut ho mines < Illz
autem non femel aut uno impetu/fed paulatim uolando ad locu du eunt : Non
enim hominis ell omnia momento uidete : fed ratiocinando gtada«
timacognitisad incognita uenire:Seduidcquidfequatur:inde ubiuenere ad fauces
graue olentis aueroi. Tollunt fe celeres liquidum^ per aera
lapfz: Sedibus oputis geminz fuper arbore fidunt: Nam
quz ad cantarum raum cognitionem duces fe przbent/eas rerum terrena^ tum
contagionem id enim ell auerni teter odor celerrimo uolatu effugere opor«
tet. Duplex igitur uirtutum genus nos ad ueritatem ducit: quam fine mora
ra.> pit zneas / ut eius luce ea quz per infernum obrcutiffima funt
cernere pofTit.De ioiprio ucro auerni naturalem lod litu demonftrat. Ne
efl quod faaa ab znea petada in feriem noflrz fentenriz digerere
laboremus . Inferuiens enim fuo ar.> gumento poeta eorum lacrorum quz
ad ncaomantiam adhibeant ueteres expli cat. Q_^um autem zneas nudo enfe
Iter aifumere lubeat 6C fi hoc in Ilfdem facris obferuare confucuerint :
tamen admonetur ipfe ut robuflo animo rem arduam acediatur . Aeneas ita^
ducem haud timidis uadentem pafltbus zquat.Nam quis non uideat : quod
dodrina aliqua nobis oftendit id quam celerrime quam oiligentillime effe
arripiendum. Erat autem iter per obfcura : uel quia ut dixi ue ritatem in
obfcuto ab&rufit natura : uel quia uitiorum fedes procul a luce funt:
Q_ui enim rationis lumine illuflratut : is et uerum cognofeit /dc rede agit:
illam autem qui amiferint fua natura ignorata in ultia Incidunt •
Appellat przterea do plutonis uacuas et inania regna . Q^uo quid ucrius dici poteftfEfi enim u
ii 1 1 I!’,! i;l I * i'i In. P.Vir g.M,
Allego. nudiuftertius manifeiHs rationibus ronuidum mala uitiatp
nihil omnino ef fe; quando quidem nihil afFcrant/fcd bonum pellant. Hoc
cum prudens ue hemenf^ uates Perfius intelligeTctrgrauilTime in eam
exclamationem proru/ pit/O curas hominum /O quantum eft in rebus inane
:Vt autem quale eflet ad uin'a initium expreflius poneret oftendit in
tantis tenebris non nihil tamen lucis apparuilTe.Nam 6C Amentis carcitate
in uitium labamur a tamen circa principia non omne penitus lumen
tollitur: Prius enim incontinentes cAicif mur quam intemperantiam
cadamns.Miro autem iudidoquz fequunturin inferorum ingreAii ponit: Si
enim exfententia eius quem fequitur Platonis deicenfum animorum in fua
corpora defaibit / manifcAum eA animum qui badenus omnium horum malorum
expers fuerat in ea nunc omnia corporis contagione incidere : Omnes enim
perturbationes inde fentit: Luduenimea riA^ angitur. Impendentia timet
imotbos laboreAp experitur : fame anp ege^ ftate urgetur : omnibus denitp
quas ille enumerat calamitatibus prxmitur : quas a corpore liber expertus
unquam fuerat. Sin autem prolapfum animor rum in uitia huiufcemodi
defcenfu interpretari uolumus non multum diuer fa ratio erit : Q_ua; enim
res tanta ucloatate commilTum facinus confequb tur quam fadi pernitentia
. Q_u.r autem pernitet is Ane ludu effe non po# teA . Adde quod
confeientix Aim ulis affiduo purgatur neceAe eA : Vrgent enim illum a Aidux
curx : qux ueluti ultrices furix poenas Aagiriorum feueriAune extinguunt:
uod quam dode quam eleganter quam expteAe pofuetit lu' urnalis quxfo
recordamini . Exemplo enim inquit ille quocunip malo cotn* mittitur ipA
difplicct autori prima hxc eA ultio: quod feiudicenemo nocens abfoluitur.
Ac paulo poA; Nam fcoclus intra fc quicun^ cogitat ullum fadt crimen
habet. cedo A conata peregi perpetua anxietas nec menfx tempore cef fat .
lure igitur ultrices curx funt in ucAibulo poAtx : Nec mirabimur A paU
lentes habitent morbi oim Aoicorum acutiflimas argumentationes intelli^^
mus. Aiunt enim quemadmodum temperantia fedeat appetitiones: &cmcit
ut illx redx rationi pareant iconfcruat^ conAderata iudida mentis : Ac
huic inimicam intemperantiam eiTcieamcp omnem animi Aatum inflammare
cd turbare ac incitare : eoq; pado omnes ex ea perturbationes gigni . Nam
ue» luti cum fanguis in corpore corruptus eA: aut pituitabilis uere
redundat morbi xgrotationcr(p nafeuntur: Ac prauarum perturbationum diAotunta
animum fanitate fpoliat : uehementerep petturbat : ex perturbationibus
ue» ro morbi conAciuntur qux illi uocant : deinde xgrotationes
qux appellantur. Quapropter perturbatio quia inconAanter turbide^ fe
iadant opiniones in motu femper cA . Verum cum iam huiufcemodi furor ac mentis
concitatio inueterauerit : &tan quam in uenis medullif^ infederit :
tum exiAit motbus at^ xgrotatio.Na cum ex falfa quadam opinione qux plus
tribuat diuitiis quam tribuendum At pecuniarum cupiditate inflammemur :
nec adhibeatur continuo Socrati» a quxdam medicina : qux cupiditatem
extinguat manat illa in uenas efficit» ^ cum morbum at^ atgrotationem
quam auaritiam nuncupamus. Rede to Liber quartus ^detn
demorbis ut mibi uideris inquit Laurentius &|ad locum eiplicandum appoiitet
Non enim philofophi folum / ut tu probe demondraui: Sed et oratores BC
poetx non corporis folum fed et animi fcpiflime morbos di« eunt . Ergo ut
morbos inquit Baptifta ad animum ita SC fene Autem reAe refe ternus. Nam
cum ipfe adcmrobur<p mentis ueluti iuuentutem admireritt& ignauia
ac torpore quodam ueluti fenio tabefeit/ facile in uitia: ha;c autem
motsanimotum eS/ eum adere uidemus . Mala autem fuada fames quidnam aliud
quaauaritiadefignat: qua homines ad omne facinus impelluntur.' Q_ua; nam
enim res alia nobis fuadet aut iniuftilfimts bellis innoxios populos
iacef (iere I aut caidesiK rapinas exercere: aut inlatroaniis
grafTati:aut uenena pa« rate: aut fidem fallne: aut patriam at^ dues
prodete:ni(i auri facta famesf Quod quidem fi ita cft eodem quo<^ in
loco erit ponenda turpis zgefias.Cii cnim homines paupertatem: quam nemo
fapiens turpem exifiimauit turpilTk mam putent :eam^ ueluti fummum malum
exhorreant /nihil repugnat: nui Ius pudor obftat quin quo illam fugiant/
omnia uenalia habeant /nec abfunt tembile suifuformzletum^ labof^:
Namquialuccexulcsinhistcncbrisuer fiintur: nihil praeter defidio fumooum
quaerunt: Nec meminerunt homines adagendum ati^ fpeculandum natos nullum
laborem/qui quidem honefta^ dadiunAusfitelfe fugiendum: De lato ucto fic
accipe. Philosophi qui dt« ca prudentis
acquifitioncmuerfanturanimaduettunt corpus fi fociumad rem agendam
afiumatut maximo fibi eflie impedimento: Sensus cnim qui a.cor< pore
funt nihil in feueritatis: nihil fincen/utrcAe dc his rebus iudiute uale«
ant in fe continent ; Ex quo fit ut animus fi illis ad inueftigandum
utatnrtfzpe dedpiatur:& illorum illecebris ebrius nihil ptofpiciat .
Quapropter mentem quam maxime pofliint a fenfibus: BC a corpore feuocant.
Aic cnim in eo qui phe don inferibitut Plato nos tum denii^ beatos
futuros fi a corporeis abfirahamur: ac deo fimiles reddamur. Hoc autem
quid aliud qua mori effe dicemusrQ^ua propter fijhuiufcemodi uiri dum
uiuunt mori medicantur: uenientem nemor tem illos trepidaturos
cenftbis.''Stulti autem qui nihil przter corpus nouerut: iniquifiimo
animo illud difiblui patientur.ReAe igitur is quem totiens nomi no Plato
[PLATONE] ut illos philosophos sic istos philosomatos appellat. Quz omnia
ca probe nofiet Maro non illas terribiles formas elfeifed uideri
terribiles dixit.Re fiquaueroquz enumerantur &fopor& mala mentis
gaudia ac poftremo bcU luni/funz BC difeordia ad eandem rationem quicun^
uel mediocri ingenio uir fuenc facile referet . Nam qui in uitio eft is
tanquun fomnolentus ad omnem honefiam rationem obtorpefeitrNe^ ullam
uoluptatem nifide rebus turpi.» bus capit . bellum autem ac difeordiam
non modo cum aliis : fed fecum geritt cum aliud libido aliud auatitia
fibi uelit.Oefidia illum ad odum: ambitio uero ad labores aduocet.Q_ua
animi difira Aide ueluti furiis exagitatur.in ultimi au tem deferiptione
idem quod BC paulo fupra ofienderac pulcherrimo nuc ac om nino poetico
figmeco depigit. Ipfa enim in medio polita magnu fpariu occupat:
fhiAaautnulluprzbctifedfola umbra nosdeleAattfic turpe facinus ea no«
bisonditiquz nihil folidi habcatifiCquzcu magna uideant /nihil finttut
phip Ia.P.Virg.M.Mlego. gii zfopi ncmplo telido
corpore umbram fedemur > Q^uod eo quo^ ezprcC> fius notat ciun addat
in Hngulis frondibus (Togula inlidere fomnia: at^ ea quidem uana: Nihil
leuius/nihil mutabilius eft frondibus: Ea autem in quibus fummum bonum reponunt
ftulti:& quorum gratia rapinas fraudesmul taipalia flagitia patrant:
ut honores diuitias ac reliqua alTequantur: in qua fot tunastemeriute
pofTta Ht/SCqua facile mutentur at^ defluant: nemo eft qui ignoret: Q_uz
etiamuanisfomniis uerilTime comparantur. Sunt eodem in loco plurima
monflra non temere polita: Nam (i ca monflra dicimus qux przternaturx
legem eueniunt/ eunda flagitia ueio nomine monflra appellax buntur / cum
pmer rationis legem qua lola homines fumus exoriantur.Me fito autem
Ixionis filii putantur centauri : nam ille contempta iuftitia abm« pto^
humanitatis uinculo populos libetos iugo tyrannidis oppre(Tu:Qua^ propter
eius cogitationes apnneipio aliquid humanitatis przferentes inim«
manitatemat^ eficriutemquandam tandem degenerant: Non infdte igitur
Plutarchus dimonflrat / huiufcemodi homines tanquam fimulachro uirtu» tis
adhzrentes/ nihil ITncerum/nihil tedum/fed mixta omnia at<p nota facere: Cum
fuam quif^ uoluptatem fequatur/fummis petturbationibus ad fu* os impetus
delatus: Prolixior limqua rerum multitudo poflulat: 11 utran^ fcyllam
profequar:in iift^ nimias cupiditates exprimi oftendam: nam Hy* dra ad
dolos fraudefi^ referti facile potcft.Fuit enim Hydra Platone tcllefo*
phiflaalidillimus: nam cuueri inuelligandi duplex modus fitpetuetas alter
alter pa fophiftiasrationeshydracauillofasatq} deceptricesargumentationes
ponimus: Cuius uno capite czfo plura renafeantur . Nam una confutata ratione
ille fuis argutiis plurimos fubiungit. Hanc autem Hercules igne idefl
ingenii feruore extinguit.Nei^ eft quod et hoc inter monftra enumerandum
negesi Namut uera dialedica ab omnibus dodiflimisfummoperefemperap
probata eft t lic hanc captiofam grauilTimi femper uiti abhominati fuot : Chi meram
aut ad iracundiam iGorgones ad uoluptatum illecebras/ quibus ftul* d in
faxum conuati iccirco dicuntur / quia nimis illas obftupefcunt.Prudca tes
uero et Palladis zgide 8i Mercurii gladio facile interimunt refetn quis
no uideat : Briarei autem ac reliquorum qui aduetfus deos bella gelferunt
/ fabu lamrcdilfime interpretatur CICERONE (vedasi) /cum id nihil aliud
lic qua bene monenti naturz repugnate: Gerion uero 11 grzcum nomen
interpreteris / terrz litem exprimet . Lis autem zterna eft terrz id eft
corporis aduerfus fpiritum.Ecitita ^ Gerion pars elfccminatior animi a
fenfibus ptofeda : quz in homine uitio fo uniuerfz animz imperat.
Q_uaproptet quoniam funt ttes animz par** tes / tribus illum infulis
impcralfe fabulantur : cuius canis iccirco biceps cfit quia cupidiute
llmul et timore laborat . His igitur monftris pettenefa* dus ENEA uim
parabat. At Sybilla hominem cotnmouefadens ea omnia fimulachrauanacfleoftendit:
llIa^ non ui fupcranda/fed radone cognolizn da: cognita^ fugienda iubet.
Poft huiufcemodi monftra ad Acherontem Si cocytum deuenitunde quibus
fluminibus Si 11 paulo fupta didum llt:ea tame alia quadi tone
ptofequamut.A cdcupilcentia nfa uelud a fonte manat aqua: que ttygnu
palude cffidt.Ne a concupifeentia primu j>uenit cogrtatio/drnide
adioquapeccamus: Achcronpo(lhzccoDatatiorfluuiusc(l:nain per cum tt*
ptimirur motusad dagitiarhic autem poft cogitationem excitatunNrqt prerer
rationem cft quod illum ingenti tumultu ferri Seneca dicat: Non entm
poteft animus Itnefirepitu reludantis confeientiz in facinus
ferti:Q^uoniam autem fauiufccmodi peccandi deliberatione uoluntas in
uitium traniitsiccirco in hoc flumine nauiculamnautamipponunt.Poftuero
buiufcemodi tranlltum id au tem cft poli peccatum/fequitur mceror/quem
refert ipfa flyx.pollrrmo maior ludus qui eft cocytus . Vt igitur ponatur
ante oculos illa ut ita loquar} gradatioi primo loco eliconfcientiz
motustfecundo deliberatio fu fapiendi flagitiit poft hanc maeror ac demum
maior ludus:primum ita^ ac tertium (lyx fignifi» cat/f ecundum
Acherontquattum cocytus. Sumopere me hzc deled.<nc inquit LAVRENTlVS. nerpme
offendit quod eofdem fluuios nonaduna/fed ad piares rationes ttanfFeras.
Videmus enim et grauiflimosin nollra theologia lo
cosuariismodisadodilTimisuiris intcrprctari. Habes igiturdrfluminibus in
quit BAPTlSTA:Nunc quid libi Charon uelit/confiderandu cenfeorNara
portitor has horrendas aquas: et flumina feruat terribili fqualote
charonicui plunma mento Canicies inculta iacet.uerum ut res fuo ordine
progrediatur/ non nautam folum: fed £Cniuem limul intcrprerabimurtSit
igitur nauis uolu> tas:licnautalibeteuoluntatisaibitriuni: Nauis
lurfus cocoinfuum cu fumdi ngitur.Hiceledionrm exprimittipra enim
eiedionc libetum aibitrium uolun tatem dirigit t Qoin U per uela eziefles
incliuadones non erit abfurdum incel Iigere: Nam quo czii inclinant/id
libenter eligimusmili illis fefe ratio opponat: cuius tanta uisell/ut
etiam fyderibusdominetur.Pergrata hzc funt quz dicis inquit LAVREntius.
Video enim te chrillianorum dogma retinere: ut tamen mathematicos oinonoirrideasiScdfequereobrecrotSenex
cll chaio inquit bA PTlSTA tqmaiali no tepore ut Platonici:quosfequic
poeta/uolut dignitate faltem et origine prior cil corpore. Adde
qdzternacfl:zcemitate aut nthil ana tiquius:Q_uaproptcr Si, arbitnu
libetu in illis zternu:Sed auda deo uiridili^ fc
ncdustqanuquamdeficit.Ellaut terribili fqualore &ex humeris
fordidustili amidusdepcndet.Q_uz omnia ad corpus tediflime ni fallor
referuncut : cor« pus enim ucluti ueltimemum ellanimz: quod alfiduo
mutatur ueterafeit: actz dem tabefcit.Addit duplicem oculis flimmam:quia
liberi cll arbitrii ad utmta ucliiflcdi/dC ad rationis fulgotem/8t ad
cupiditatum ardorem.non temere au tcmncc tine exadilTima quadam ratione
herebi nodifip flliusell Charon: Ce£ Iffcnim nox in nobis quz nihil aliud
ell nili ipiz ten(brz/quz abinfeinapro iieniut/nulla erit cofultatioe
opus:mens enim fumu bonu perfpicue nofccrcta &in illud line ulla
dubitatione ferret .nuquam enim eligimus nccelTatia/ac fub lata
dubitatide ois confultatio celTat :Quapropter qui iam in tertio uirtutu
gea &erefunt:quas purgati animi appellani/ii prudentia in repe deledu
no utunc' t led przter ea quz lut uera bona nihil nouetutiea^ fola mtuent
. Herebus igi tur.quud uerbu grzce ab obfcuritate originem ducit:ita lefc
rationi opponit Utopuslit cofuitatioci (^uoniauao Cutmdd Keba}acmodeacccllarii&cota la
.P.Virg.M.AIlego» fuUc:opottuit bancuim ea libertate donatam
clTerut aut de plutibua unum/aut de uno <tt ne agendum pro fuo
arbitrio deccrtut. Hoc (i itaefta gratia didtuc Charon«Nibil enim iibaius
cft gratia cum fua fponteproueniattnon autem a cuiufquam merito
debcatur.Q_uaproptei cogi nullo pado uultsat(^ ea de au« fa cum Aeneam
pet tacitum nemus ucnite uidetific prior alIoquitur:Q_uiiiquit cs armatus
qui noiha ad iimina tcdis/Fare age quid uenias idbinc et comprime
grclTum>Nam cum etiam rationem ad (c ucnire uideat liberum arbitri ums Non
ante illam admiaere uult-quam difcutiat diligentius quid fibi agendu fit.Qua»
ptopter addiuNcc uero aladcm me Tum laetatus euntem accepilte lacu > quu
ne ad uirtutem quidem trahi uult liberum arbitrium . Verum antea
confultat i Et pofi confultarionem deledum adhibet. Quam quidem rem
animaduettensff billa; (Luimrubiicin Nuilxbci Dndiznccuimtelaferunt;&:
ut appareat illum con cogi/fcd per confuitatiomm peifuaderi aureum ramum
oftcndittllleaute ad uifam fapientiam libenter conuetticur: fiC de natura
hadenus.Nauis uero a czruleo colore confiatilile autem ex albo nigrocp
conEcitur.Conteplator enim inter iofeitiam at^ cognitionem uerfatur.Non
enim mouetur quifpiam ad in» ueftigandum luli aliquid uideat: Rurfus cum
omnia in ea re uidcrit definit fpe culari. Eadem fere ranone futilis
hngitunperceptis enim percipienda adneditt Si autem futilis &,
timofa.Nam antea quam habeatur perfeda rerum cognitio/ non ctit ita
perpetua rerum fenes/ ut nullum intermedium relinquat: Animas uao quas ut
Aeneam recipiat e naui pellit:omnes animorum affedus qui ratio ni
aduerlantur interpretandas opinor. Sed uos fortafie nimis cutiofam
nimir(^ ineptam huiurccmodi interpretationem exifiimabitisicum ita minute
etiam tni nmiaptofcquar. An tute cutiofum aut ifia minuta appellas inquit
LAVRENTlVS: quxetiamli nimis ingeniofe elicienda el Tentidigna tamen funt io
qui» buscJaboresi Nuncuerocum fe ultro offerant/quis ea repudietr Q^uin
igitur ptofequetetfiC qyz difputationi noftrx quadrant ne przteri. At^ in
pnmis quid libi Cerberus uclit/nobis apeiiiNam &quod cymba
gemuetitifiC quo drimofa inultam paludem acceperit : ego nifi tu aliter
fentias fic accipio/ut in altero fpeca lationis diificultatemiin altero
terrenarum uolupratum illecebras : qux furtim dum uitia fpeculamut
interfluunt/exprimere uolueritiPromptum pa immortalem deum ingenium/^ ad omnia
uerfanle in te elTe uideo LA VTENTi in» quit bAPTlSTAtnei^ commodius ifia
meintapretari potuiflie fateor: Ad cer betu autem de quo audire cupis
/paulo poftucniam:Interim pauca qux omi(< fafunt/percutramus: Ad
nautam omnes confluunt animxtomant^ pnmx tranl Huuiumpottariitelt dunt^
manus tipz ulterioris amore: Hic iguur con» curfushocut puto
fignificatomnes natura fdre. cupimus: natura autem non omnes admittit:
quia liberum menns arbitrium non omnes ad.fpcculatiooe adtmttit : nam
quod in humatorum animx cenmm annos uagentutt de zgf* ptiorumconfuctudinc
tradum: 6c Seruius et Seneca affirmant i Q^uam rem deinde Orpheus^ad
inferos tranfiulit: Vehementer uero quadrat Palinurum a fybilla feuere
calbgari: nefas enim efi cum appetitum ad ueriinuefligatio» bem
ttaduccre/qui aducHiis rationem contumax fit r Sed redeo ad Aenca;^ at at 0
jlU, DI ii a a » 0 3 i i Liboguartuf
tat) jcm charon ad ahetam lipam iocolumetn traducit.Ipfd «tiim poft
diutumu catamen rationis Kappetttus in fpeculationtm tradudtur.Q_uo in
loroaio^ uutn adunfus fc bellum cxdtari Tentit, Cerberus enim ha;c ingens
latratu regna tnfaud petfoiutaduerforecubans immanis in antro.Scd
animaduerte qua par» 1)0 negodo omnia a Sybilla pacata reddanturrOffam
enim latranri cani porngit Qua uorata ille in fomnum inndit.Q_uaptoptet
occupat zneas aditum cufto« de (iepultotCerberum igitur ea fortalTe
ratione tridpitem poetae tradideruttguo* biam illum terram gux trifanam
diuiditur /interpretantur. dicuntcp grzce quali Omnia enim corpora
uoratterra:quado quidem io ea omnia reddunt.Si i^‘tut terra eft cerberus :
quis non uideat porta noflrum per cciberi latratus noftri corporis
indigentiam exprimere uoIuifTe . Cu enim ad rerum magnarum cognitionem
eriginiunhoc profedo agimustut men tem quoad dus fieri potefi a fenfibus
reucKemusremoritp dircamustnon tamen ex buiulcemodi mortis comentarione
intereat corpus neerfle putestred cft illius ratio babenda.Reclamat enim
ne fibi neceflaria fubnahastlnmrgit^ trifaud lar ttam.Tribus enim rebus
indiget dbo potu ac fomnotin quibus nifi fatis illi a no bis fiat adeo
obflrepct/ut nihil egregium meditari (inat. Cuamobrem nullo par
donegligenda e(l cura corporisrlimplicitcr tamen modelle ac omnino
fobrie/re fidendumtut cum laboribus ruperetTepoflit: nimio tamen luxu
contumax adr uerfus animum non reddaturtpaucis enim natura contenta eft :
at<p ea huiufcer modi funt/ut fine labore: fine fumptu facile
comparentur. Nam ne fortafte ad ea re me te reuocare ardas quibus Ginicus
cotctuscfti^oflincuicmdumolusnul 10 etiam lalecoditum fuauilTimas epulas
prxbere pofnttaudi ea quibus uolupta* tum patronus Epicurus acquiefdt
:Num ipfe minus uiliflimo panno:quam aut purpurea aut ccKdna ucfte a
frigore defendi rxiftimat.nu fitim nifi chio aut aete 11 uinoatinguitnum
famem nifi exquiritiflimisregiin^ dapibus fedari pofte pu tat: Epicurus
inquam qui in corporis uoluptatefummum bonum ponit nullu aliud pulmentum
in coenaptzta famem ac fitim quzfiuit : quem etiam legimP ad panem raro
quicquam prztn cafeum addere folitum.Ficedulas autem ac par
Uoncsreliqua(| ilb flagitia quz et Maaobius in pontificalibus Tuorum
tempope ccenisdeteiiaturt&nosno ftratempeftatein romanorum przfulum
dipibus fir nefumma indignatione ac gemitu meminifte non poflumus ueluti
pemitiofilTi mamonftra exhorrebat: Qua quidem in te ego terni LAVRENTI
ficut inc zr teris temperantiz partibus iumma laude dignum puto;Nam przter
id quod plu timos iamannos utiunfiurarum articulorum dolores efFugias:uinum
non bi bis nonne pro miraculo haberi poteft/ut tu in tanta mum omnium
affluentia: in tanto urbis noftrz luxutin frequentibus
lautiflimir^proptaalTiduashofpita liutcs BC aebra fodalitia tuz domus
conuiuiis nihil intuum uidum nifi fimplex ac populare fumas: Q_uzdum
cogito redeunt mihi ad memoriam ea quo quzdeFederico Vrbinatumprindpcnon
folum audiui:fed etiam propter antir quumhofpitiumfl Cueteremamidtia
fzpiflimeuidi:Inquoduce et fiplurimz aliz^ ea magnitudine uirtutes
elucefcant/ut ueluti folis radiis minora fydera Oiancfcunt t ita hzc
illatum fplendote obruatuntamen quis non obftupefcat ta Id.P. Virg.M.AlIego;
tiu Meorinaum acrobrirtitf modicamincaftrisubiuJrtrolrt Wtn
f*t« inopia nullu inter fumtnfi duce ac extremos lyxas et alones d.(c^«,
elTe patn tfed domi quocj ac in aulatin qua cu ota ornamenta pana fefe
offerantmec uiq aut liberalitas/autmagnificeoa defideret s tamc
difcubent* illo nulli aut palalaSo aut nometano/fed Bi philofopho et oraton
ocw relin^ tur.lpfe enim a primis annis uini prciflT.mus fuiticuius ufum
paulatim inteitendo eo progtelTus eft/ut iam diu illud omiferit/nemo eQ qm
communioni epulis/nerao qui fimplidoribus uefcatur/quibus dum
corpons U.TO r fiaui(rimisinterimd Wu«o™“‘l'fP»°"J'l?“perfipefii dum
lingulis annis ualitudinis oaanduj raufa romanos aumnmos Sfugiensadillum diuertor:uidearmihia
Sardanapall.c«rn.sm AIano.conu.- uium inddiffe/K ad aliquem
foaaticum hofpitem deueniftim quo pnfc* con. tinentix ueftigia tam
uehementer me deledat/quamm notoojir hominum qui rubris nigrifqj
galeris:ac niueis riciniis totius fanditatis doannam phtent luxm
lafciuiam exaritat.Pudet enim pudet mi Uurenti pigetip noftroju «orumm m
totius rei publicx chriftianx curiam in qua integra religione maximaij
dodnia nonnullos optimos patres K tanto fenatu dignos elTe non
negaueom/iis homu nibus aditum quotidie patere uideamiquos ego tunc demum
fenatorium ordi. nem romx iure obtinere cenferem/li Heliogabalus ib
inferis redudus rurfusim peraret. Verum cu hxcme alio in loco deploralTe
meminenm agamus quod iltat. AtcB naturam noftram minimis cotetam effe
intelligamus.Q_uod cu expnmere cupet Maro Sybillam quxueradodhinaeft
inducit offam in qua et andu 8Cb^ mefcens fimul alimetum
fit/Cerbero porrigetem/qua faale et fihm? I*' det:& in fomnu
inddat.Aureu pfedo prxceptu.Nam qui aut Uutiflimis epulis corpori
indulgetiaut uaria uina exqrit ipfa crapula at(j ebrietate « c^us contu
max fibi reddit/8J animi aciem ita hcbetat/ut nihil altu fufpicere poflit .
Upt^ quidem funt ifta qux dids inqt LAVRENTlVS. Verum de Cerberonon
idem TOCtas omnes fentire uideoiMaro enim eum canem ita latratem
inducit/ut non egredi fed ingredi cupientibus aduerfet":cuius qdem
rei rationem optime a te ex Mfitam effe intelligo. Nam huiufcemodi
corporis indigentia non iis allatrat qui corpus curadum redeutifed iis
qui illo negUao ad ueri cognitione £0“«“^ ItacK ut dixi ego qd Maro
fibiuelit plane tenere uideot; Veru cum apud Heli» dum poetam ut te non
fugit nobiliflimum legerim Cerberum uenieti busauda auribufm
blandiriiExire ucro nemine patiiln infidiis enim delitefcesjqucmcua extra
ianuam offendatiftatim morfu laniat s no intelligo quo nam modo hxcoi no
inter fe diuctfa non fint nifi fortaffe alium ad inferos defccfum um Maro
exprimere uoluerit.Ingeniofe tu quidem inquit ® dit enim ad infaos
xneasiqa in uitiopr cognitione tcdit:Q_uod fi ita eu ingit™ enti
aduerfabic Cerberusrodit enim hxc corpusiFac aut aliu no ut imU nan^
cognofcat inferos petereifed in ipfa uitia labi auribus 8i cauda bladiet
Cnbe^ qppe qui illu ingredi cupiatiNam qd aliud moliunt' iquid aliud
conant perd» boies nifi ut tridpitisbelluac non folii indigeti*
fatiffadatifed oes uoluptates plcanuQ^uod fi ide ifti nonunq pdita uita
reliqua «id enim eft infaos egteoi* - >4^».Liba guam»
tcnctit tuc latrat tunr mordtt canis.Rrde igtt'’ addubitaftt.Rrdt us aut
dubitatio orm fuluifii.brd ut ad Maronis cci bttutn rrdcam facile ille
(imp KnlTtnis rpuHs arquieuits Acneasautnn celer ripam cuaditsNon enim
lente K cum fegritie bacc adtunda funcfcd omni contentione at<]t
ardore captiTcnda. Qucniam autor do in rebus huiufccmodi cft ut primo uitia
cognolcanf. Cognita deinde effuga» lunut pofirtmo illis purgati rerum
diuinatum in quibus fummumbrnum con fidit idonei contemplatores
eifiriamur/erat illi totius bumanz uitz curfus mrn< te repetendus/ut
peripicuc intelligeret no folum quato fe fcelere adnngit qui no biliore
fui parte neglcda in uno corpore:& in iis qux a corpore fum
uoluptatib? fpem omnem reponunt. Veium etiam quata miferia opptimanf. Earo
enim uir tutum armis quibus folis uidenes euadne potuilTi nt penitus
exuti nudelilTimis fortunzidibus nudos fefe obticiunt/& ut ca»era
aduerfa/qux innumera quoti« die aeddunt omittam /mortem ipfara qux
lingulis borarum momentis impedet uelub lummum omnium maloium
rxlKHret.Q_ui quidem matus enam Ii nui la alia ptutbanone adiaans ipfe
unus nos nunq refpirare linit.Quaprnpter hac iirpeipfosmfantesin pnmo
uitz limine petere oftedit.Hac et in fontibus p uim mferri edocet. Hac et
libi iplis eos afferre demonfiratiqui adeo imbecillo animo fimt/ut
grauilTimis quibufdam ptutbationibus fe pares gerere nequeat. Qux q dem omnia
diUgenter intuens xneas decernit tadem hoc in primis fapienti prx«
fiandum elTe ut culpa uacet/mortem autem ipfam inter naturx munera eoumc
ret/cum cz ea no folum nihil mali nobis id eft animis noftris eueni» / fed
contra fummum bonum/quonia a tam tetro carcercfoluti in noftram nanira
rcdeam5. Qua qdem ratione faceti cogemur amice at<^ indulgentet cu
illis efle adum qui antea ad buUifcemodi miferiis erepti Itnt/quam in
casinciderint diuind omni nomunus illudincIcobim/ttbito Dcalunonecollatumtquipfofuma
in ipfam deam arqi in matrem pietate moetemcofecuti fint/Cxtenlt^ omnibus
natienb bus ac populis fapietiotescl Te traufosputabimus/ii enim populi
in thracia funt qui fuorum onum multis lachrimis ac lamentationibus
excipiunttquot mala il« hsin uica cucnmra line enumerares. Obitum uero
omni genere lattitix fcquua tur.Cogitant enim quot erunisq
uariisgrauibufip fortunx cafibus morte libera ti fint.Huiufcetoodi igitur
rationibus paulanm xneas moetum mortis deponit: Quin fi aur fe aut
quempiam bonum uiium fupplicio morte ue per fummaiiv iuiiam peti uidcbit
non duliilHme ur Xanthippe illa de (bcrate falrc merenti hoc
cucnitetdicet.Scd quod uetumefferapientes norunt Ihilti uero negant a nrmi ne
nifi a fe ipfo quenq Izdi polTc affirmabitmetp quicq quod turpitudine
careac in malis cuumerabiti^uin Kfoaatica argumentatione
couincctquicuipiniue fiecrudeliterip in aiiuiu «gerit non illum fed
fcipfum iniuria alficere.Eos autem omni odio infcdandosducct/qui animum
immortalem fiuptr natura itaro bulium/ut humana omnia contencre polTit adeo fua
ftulttria enenuuerittadeo £ taua confuetudinc imbecillum reddittut famineo
amore incefus in eum pau» tim furorem ptolapfus fittut fibi ipfc manus
atruleritiK morte q fummum tC> fetnalum putabatiid quo urgebatur malum
effugere tentauerit . Qua quidem in te pnmum ignauiam ai<f incttiam
cotum damnat:quia fua culp in eum Lbt o ii
In.P.V;rg.MtAIkgo. dinofum atnortin inciderint quem Plato ab humani»
morbis natum affirmat: quoniam illi eofoli afficiant qui uentri ac fomno
dediti: et diuinitate fua quam aroris denlis tenebris obrui pemuferut
penitus obliti nihil praeter caduca : et aut morbo aut aetate cito
perituram corporis fortnaih reTpidunn Quamobrem bis pcccant. Nam 8C a
principio Tuo deiidioro ocio ac libidinofa lafduia effedum e(l ut in rem
follidtudine plenam inciderint. Deinde cum morbum fua culpa cotn dum
diutius pati ncqueant:fumma fc impietate afttingunt qui a fummo deo in
coipus ueluti in cuftodiam mifii in iuflu ipiius illud deferunt.Specula^ poii
bax extremam eorum hominum inlaniam/qui cum perfummam iuffitiam
intrati/ quillo fccuro^ odo degere poflient/per fummara tame inturiam ac
impietate pa cem pcrturbare/ac omnia mifcere maluerut. Nam aut nulb
iniuria affedi ipfi ul tto auatitia ambitione ueimpulfi ferto igni fraude
nihil tale merentes laceiletut/ aut ipii lacelTiti nihil de iure quod
hominis pprium eft difeeptantes ad uim qux faamm ed fe contulerunt: Hinc
genus humanum cui pa edeordiam in fummo odo uiuere licuaat affiduo
mifccri uidcmusiHinc multarum regionum popula dones fiC infinito;:
mortalium catdes oriri aiaduertimusmt cum undi quzeu^ nobis calamitates
eueniut colligerimus:nulla homini q homo acerbior pedis in.> ueniat :
Vides igit q exada lapietia hasc oia poeticis ligmetis exponantur .
quidem quoniam huiufccmodi clVe animaduertit/ut et cum fcelae dant/ fit po£
fint etiam uido carere/placuit ut una ac limplid cdmunit^ uia irecur.Cum
autea Deipheebo iam difccirum fuerit/quonia eam iam fefc contcplanda
offerut / quz aut penitus flagitiofa (int/aut pcul ab omni fcelae folam
uittutem continet du plicem iam efle uiam oportetrut altera in itnidram
ad ui tia defledaturcAltera uf to indutt^tnaduirmtesdcueniat^Hociglt
inquit LAVRENTIVS fitPytba goram illum exprimac uoluiife acdiderimtqui
littaam yadinuenit. Quod no latuit Perfiuspoeta/cuius cdillud.Et uitz
nefeiusenor C5eduxit trepidas ramola incompita mentes» Ifrhuc ipfum
inquit BAPTlSTA.Sed uideamus quzfequa/tur. Æneas fub rupe (inidra mcenia iata
uidet triplid circudata muto, fetifica p/ fcdu tartarotum
defcriptio.Locus enim exprimendus iam edin quo uarialole/ ta puniantut. Hzc
grzci tartara ab eo quod ed tarattiiid enim cd pettutbatetex p
turbationibus enim uitia oriunc .‘cademi^ paturbatam femper peccatoris
meo» tem tencntilnduduntur autem triplici muroiquia non una ac fimplid
uia fcd tri plia peccamus.ptimo enim quodam folo animi motu ab deprauata
uoldtatc fce Ius condpimus.Secundo deinceps loco accedit adus.Qui
podtetno iteeum at/ iterum muItoticnf(^ repetitus habitum
obdudt.Q^uamobrcmhzctria in tat taris iure expreflit poaa quz procul a
uiro beato edic tedatur laaoruffl cartniiid uates.Ille enim fiatim a
principio dc ordif. Beatus uir/qui non abiit in condlio i
piotum.Videsiammotum primumanimi adrcclus.Ocindc fit in uia pacatora non
dctit. Quid enim aliud uia cd nid ipfa adioreitquz depius repaita nd am
piius in motu ed:fed iam fedcmdbi ponit fit redda in habitu iam
coadabilito. Rcde igit fit in cathedra pedilentiz non fcdit.Quod autem
flammifluo phlege thontbis flumine tartara ambiant" :minimc abfurde
dixit . Odendit enim aidp/ cem itacundiz: fit arumotum zdus quibus id
hominum genus alGduo torretuta Tantum fnim tH uittoruu odium/ut et qui
illis delcdati lutif tandftn pcraitoi tiamdcdudi
uitaniprattcTitan]datnncnt:urhcinrntn(^ oderim i fibi uno ipfia aetnime
iraiiantur . Nam tu donum cblTes tranfifTc dies luretn palufttttn:Ca
ptiui tamen unico habitus dnnui inuiti trahuntur at(^ ira furore^
exeduntur. Quapfciptcr tapidus
flammis ambit torrentibus omnis t Tartareus phlegethon. Nulla cnun
fomax/nulb fabrorum oflirina magis exxfluat quam feeleratorum mens» Nam
Taxa a flumine contorta oflendunt quam graues quam molefli flnt
buiufccmodi motus ati^ «agitationes. Addit ad ba;c portam munitifilma fit
foli do adamante columnas: quibus locum ita munitum redditiut
net^uirorumne ^ czluolarum ui efitingi poflit. Quid ergo flbi uult
dodiffimus uir: Nempe hoc ut puto uiros flagitiofos ac permtos cum in
tartara deuenerint. Id autem eft cutn longo habitu fcclaum mancipia
cfFcdi fint/nullis uirorum monitisi nullis diuinis ptxccptiss nulla deniipfyderum
clemmtiainde eripi pofleiQ^uaprcs' pter iute tales homines fit larini
perditos it grxd afotos appellant.Erit igitur in quit LAVRENTlVS amifliim
in illis liberum mentis arbitrium / ut fit fl uelint aduirtutem redire
nequeant. Video fit in hoc ingenii tui acumen inquit BAPTi bTA . Nam
breui interrogatiuncula illa omniaconcitafli: quz a grauiflimis phr
lofophis de uoluntario dem inuoluntario quzri folent . ua quidem in re no
folum ingenium laudo/ redconfilium quotp uehrmenter approbo .Nam
cum multa liefe tibi offerant tquzfloc cuiufquam auxilio ipfe tibi foluere
polTis/ea tamen ab alio dici mauis/ut fit raodeftizquod nihil tibi
arroges: fit igmiiquod prudenter interroges flmul laudem feras . Verum
facile ita huic loco occurretur li dicemus non uoluiife poetam
ineuitabilem neceflitatrm/red eam difficultate quz impoflibilitati
proxima (it demonflrare.Sed fac etiam(^(T placet)omnrtn ex cidendi
facultatem adimere . Non tamen dicemus flagitia quz committunt in^
uoluntariacffe.quando illorum principium uoluntaiium ruit . Nouitenimin#
continens peccate curo adulterium committit: potefl^abflinerefi uult.
Peccat igitur uolcDS donecafliduishuiufcemodi deprauatis adionibiTs eo
perueniat/ut contrada iam intemperantia etiam fi uelit abfhnerc non
poffit/non tamen inui.' tus dicetur peccaffe/quamuis tunc nolit quoniam
licuerat a principio/modo uo luiffet in firmum illum intemperantiz
habitum non deuenireK^ uaproprer no magis inuituspeccaffe dicetur/q qui
fua fponte in quempiam lapidem iaciat de^ inde
pOEnitcntiadudusteuocatetfipoffet lapidem : qui per aerem fertur quoni
amnoUer hominem ferire. Ferit igitur fi! bene uolens : quoniam initium a
fua uoluntatc fuit. Sed hzclatiusapud Ariflotelem in libro de moribus
difputata inuenies . Itatp redeo ad zneam : qui ut uides urbem ipfam non
ihgredit . Nam qui uitiafpeculanmrnon uniantur interuitia
.lllorumuerouimat^ naturam a S)rbilla(^nam eunda edocet dodrina^penitus
intelligit . Procul tamen in limi ne Tyfiphonem uidet.ponit igitur furias
in limine tartari/de quib^plzra<]p quz a poetis finguntur
uelutinotiffima omittam . Plane aurem conflat placuiffe pri (as
foiptonbus quicuni^ maiori flagidofeobflrinxetint a furiis uexari t ut in
Horcfhs Alcmconifi^ matricidio uidemus . Q^uo in loco quidnam aliud expri
tount furiz : nifi inquietudinem aepotius uexationem quandam turbulentif
In.P.Virg.M.AUego. Narorima hxttd uluo quod fe ludia
neroonoanaabfolmtur. VtminU cts/ut mdida/ ut d«d<cus/ ut infamiam
effugias ; nemo uident : nemo a^ienfc Q
uitcftisdtaripolTitadcfttamen Sp& confciennaiquxu “*8«* Sicium rapit .
|au.ff.mum tcftimonium dior i comnncjt ^am «jb cod,; U^uenaled.fc
ilU flacellai hi fcrpentum moifus quibus fun* nos «agitant. Habes de tun
t S aurem Ufcelera. at, V «auilf.ma«iftunt a principio enumexat .
Impietatem in S in homincs.Nam et tianiam prolem flurni naulo
ante dicebam / confaentix cruciatum dodioreinterpretantu^ ?e enm ueluti
Ceuiffmus fcelcrum uindearqux flagitio obnoxujU^ i^ na affiduo nmarur :
et dum commilli in mentem dia corrodit /curafm afliduo excitat /nec
eefpirandi fpanum ueroK fxioncm tyrannidis exemplar effe uuir/quo Upfura
cadenti imminet affimiUs: Nunquam enim fine pe^ione uiuunt . (^uod et Dionyfius
ille iyracufanus Uamodi tamilun L illum beanffimum putanti probe oftendit
/ cum illam ita int« ^s epulas ac pretiofa unguenta coliocaflct /ur
umen metu fupta caput equina feta pendentis nulla poffet uoluptate
a la . mSlto rnelius\ofcunt h^ines quam detur modo impeni
acquirendi fa tasttuitate fciant.Ncc ueto diffiale eft intelligne quid
ftbi te ora paratx regifico luxu; cur furiatum maxima luxta
ptohil^t contmgae menfas ; Neq, emm uerius neq, «prelf.us Le
potuittqux in eam homines dementiam protrabit/ut cumpluniM^
geffeS/tum maxime fame per, re malint quam congefta fe et pulchre
Orarius Tantalo illos comptat / qui apud in miiima aquarum pomotumtp copia fm
fame^ torqueatur. Pulchre em am^ illud tCongefiis undiq, Ciccis
indormis inhians et tanq^uain SI coceti* j pidi» unquam gaudete
ubellis. Magna ptofedo nutn da qw non norunt harum rerum
poffelTioncm non propter fe ntef illatum ufum.6 uapropttrbonailia
nontede/uuliaautemtecteappmus. Sed nimis mulu quando multis iamin locis de
auanua diximus /i «deliqua uidcamu* : Saxum enim ingens ii uoluum i. Quotum
uiu per Itm mam mftriamin eo uerfaturiutCcmpcr ea prtantitamohn “ir
««/qux aut nativam aut fortunam suam confbtuu efficere nequeant i o^el^
eoii« conatus irtiti mefficacefij fint.Rourum uao udus dettndi pendere
nmw‘ Kdicuntur.quinibilranonefiiconfilM) ptzuidcnteiinihil P‘“^, deo
fe fortunx conimittilnt/ut eius cafibusuelun inter eutyp fludibus ucw
affiduo totentur. ne« uittutem ullam habent in quatn ueluu in tutum ttanq him potturo
W^tteapoepofli Bu Huiufcemodiigitutu Ut tactchqnaquxpItt r- Liber
guaitiu rimi uaria^ fuot edocet Aeneam Sybilla / dodum^ flattci ut feiUis
«pii> ct admonet : ut punis campos clyfios ingredi poflit . ms igitur
Matontm a Platonis dogmate difcedcrc diat. lllc enim cumfummum bonum in
di' uinarumtetum cognitione pofuiiretiproptetea^ ccnittctomniuuiuium
gr^ nete excellere cum opottae : qui cum Iit futurus beatus / tamen ab
iis in< dpiendum cITc oftcndit qua: Ant in uiu et moribus poliiz . Cum
enim dv uioa / quae puriflima 6i ab omni labe corporea impolluta lunt
impurus nr-< mo attingere ualeatt pcrhuiufccmodi uirtutes expiemur
neccire cU/ illis ctjita tL uitia cogDolicimust SC cognita abhominamunat
puiilliau ndiu i.xlo^ fiia ac immortalia egredi poAumusiHac igitur
ratione iinpuilus Maio cum ad tummum bonum perducae honunem uelitt ira
Acnram iiiflicuendum curati ut primo uitia omnia edoceat/ deinde illis
cum opiaium ad campos clyAos perducat. Cognita enim uitiorum turpitudine
totum odium Boa inepuiquz quidem prima omnino lapientia cft. Audirus cnim
ad il« km/cA,ut fiulritia careamus . Sed tu nefcioquid mirabundus tecum
animo ooluisiifibuc ipfnm inquit LAVRENT1VS. Stduide.quantum tibi
extua diTputationc debeam. Dum cnim mihi planum icddeie Maronem
ttnusi id^ efficis eodem tempore in noAri duis diuinum poema induds .
Nunc cnim demum pcrfpido quid Abi uclit Oanihcs / qui piimum ad inferos
de< (cendattat^ inde emergens, nullam aliam uiamniA pcrpurgato iialocaadca;
Ium inucniat : Made uiitutis adolcfccns inquit liAPTlSTAi qui non ea ib
lumquz dicam Si A diffidlia Ant facile acapias. Seu quadam Aaulitudiueou
dusinde ad alia accedas/ut cum ilk maximam laudem ex diiigcntiilin<a qua «
dam ingenii atrihd^ plena imitatione alVccutus At : tu quoqi
uuuciedio<> acm laudem mcrcaris.qui bzc omnia/quanquam uebemcutcr
dilliuiuJata lint in illo poeta rccognofcas. Ego uero inquit.L. quantum
cx huc merear ipfciu« dicabis tqtianquam ueriorne nimio in me amureiaplus
noAiutnlioc ingcnk um longe pluru facias/ qua oportet.iliud tamen Si A
alicnuni a ptopolito fcf<t mone uideatur/non omittam .Tu autem quod
dicam ea laiiunc amc dida aedas ueliin / non ut meum ueluti decretum in
tanta icponam / fed ut iudtci' iitntuum quod ego onmium reliquorum
ludicioaotcponomcu uerbis elici am • Ego a prima pene puetma cx uiaufqi
patentis m Aituio adeo famibate uni uctfum opusAorentim poecz mihi
reddidi / ut pauci omnino Ant in eu lod quos ego Aquando illi huiufecmudi
oblcdamcntt gciius rcquitcter.t/ non fa« cilc ad uubum exprimerem. Sed
quid poteram puer ex um dtumo uacc ptet maa uerba pcteipcre.Nunc autem
cum uniuetfum rci argurocniu mciice peu curro tumma admirauone cius uiii
ingenium ptofequor.Na oi lu upexe fuo te xendo pauca onuiino Ala de
uirgiliaiu teia mutuari uideac ttameii mde oia pe ne Ant.l uiobtcmnuncnd
demum inteiligo/quod nos cx Cict-roms peepto IzpenufflccoLidinus admonete
folct cc in aliquo imitadu diligctcm oino u* dooe adhibcnda.Nci^ enim id
agendum uri idem funus qui fuut miquos imi tamut.Scd cotum ita iimilcs :
ut ipla Amilitudo uix illa quidem neq oiA a do dia iatcUigauit.Sed tu A
uidetut ad inceptum tedi. Cum igitut inquit. et la.P .Virg. M. Allcgo. omnibus
iam uidis expiatum Aeneam ad eamm rerum cognitionem Mato deduAurus
elTettqua; in casiis funt noncxlum fed elyfios ampos nominat. Miro
profedo ingenio u3tes/& qui eodem tempore et figmento fu o Kuerita
tiin(eruiat:Nam& (i apud inferos poetarum more heroas relcgalTct i
tamen nt hzc omnia de czio ilium fentire animaduertamus largiorem ztherem
: ac fuum folem fua^ fydera illis tribuit / ut cum a figmento nufquam
difcedat philofophizumen ucritatem profequatur . Nos autem (i quos
uirosilleincz ios reponat diligentius confiderabimusiea omnia quz primo
difputationis die de utroi^uitz genere a nobis erporiiafunt acubflime
ilium elTe complexum animaduertemus / ut K qui in rerum cognitione
reIigiofe/8; qui in adionu bus ac uitaduiliiufte uafati Hnt digni omnino
exiftant: qui in czlumuelu« ti in originem fuam redeant i Q_uapropter BC
Orpheum Si Mufeum ac reli> quos qui cafti fuerunt facerdotes : qui
phoebo digna locuti uerum reliquis ape rite potueruntsqui uaharum aitiu
inuentioneuitam cxcultiorem reddiderunt tanquam fpeculatores cotnmemorat.
Nei^ tamen eosobmittit qui aut piisar< mis aut confilio opera
induftriaat^ audoritate rem publicam dcfendcruntiK in duiliacfocialiuita
ueifati funt.Huiufcemodi ita<^ animos ab omni cor« porea contagione
expiatos cum fimplidlfimz 8C omnino incorporez naturas fint : SC
maximarum rerum capaces exiftant mullis locorum anguftiis arcuferi ptos
nullis regionum terminis inclufos eum animaduettac / fcd liberrime per
omnes mundi oras uagareuideat: ita Mufeum loquentem indudt: ut often. dat
nulli e(fe certam domum Quin et cum ita fenoit quz gratia cunumiarmo
rum^uiuis fuit quz cura nitentes pafcere equus eadem fequitur tellure
repo* flos, demonfkat non clTe fcimroemoremeotu quz et divinus Plato t
placo, nicus CICERONE de animis noftrisfentit.Cenfent emm adminift
ratores terum.p. cum in czium recepti fuerint regendorum hominum curam non
deponere. Net^folumii quiiuflepieqt uixerunt eodem audore iifdcm (ludiis
detinen. tur corpore exuti t quibus dum uita manebat deledabantur: Verum
llagttio. forum quotp animi quoniam multum ex fordibus quibus intta
corpora fe fadauerunt/ fecum inde trahunt a prilhnis curis difcederc
nequeunt. Vidt« ftis ni fallor longum quidem iter ac difficultatibus erroribufi^
plenum: fed quo tandem uir uirtutis amator finem diu concupitum attigent.
Per uari. 05 enimcafus pertot
diferimina rerum initaliam tendam s OC in quietas f&. des deuenit
Aeneas. Quem quidem fi imitabimur nos corporeis pedibus liberati / SC
nitido uirtutum fonte irrigari eodem uitz genere SC dum intra hzc corpora
uerfabuntur animi nofiri gaudebimus /& cum inde uoiucrint innoftram
originem reuerfi zterno zuo fruemur. Q uz cum ita a BAPTi.STA dida fuilTcnt :
ut difputationi finem impofuiffe uideretur/nihil polfutn inquit
LAVRENTIVS in ram longo fetmone defiderare.Nam a principio ad hunc uf^
locum ita perpetuo tenore difputatio perduda edtut nihil aut inter*
niptu/aut diuulfum/aut ptzcipicatu t in quu inter mediu aliquod rclidn
omif fum ue fit qri poffu.Sut eni oia mirabili fetie colligata/& eo
ordiecotextaiut ni hil inde demi pofTintiquin quz tcliquutur manca fmt
futuraiK nihil addi qrf J M M S IJ i J i-S rg.§S l-l 1 t-i t 1 1^4"S
fi-lltt quidem 6 ab/it /multopere requlreudu uideat. Ignoscens tamen
nimiz cupidi tari no(trz/ri td nunc rcquiram:quod cu uehementer mihi
planum reddi cupii idne^badcnusateez porituintclligisnc locuinquo
deinceps exponi poflit teKdu uidei:Ezpefiabam enim non modo fufpenfo
uerum etiam anxio animo quid tu de iis fenrircsrquz furpiciens Anchifes
fuo ordine pandit. T u ueto dum rcbqua inter dirputandum fuis quz^ lods
difiribuis/illa no ueluti familiaria io iufteeiedarfcdtanqua aliena rine
ulla iniuria czclufa procul a tua difputatione amouifti . Qua propter
incertus fum quid agam:Nam ne audeo te longa ora rione defatigatum
quicquaprztercarogareme is quz fcire cupio zquo aiu^ mopoilu carere. Hic
arridens BAPTISTA meminiife inquit te oportet o Lau miri nos huiufcemodi
terminis aniuetram quzfiionem drcurcripiifre : ut quz ambagibus
quibufdam/atip allegoriz figmentis obfcurata effent aperienda pro
poncremusim autem ea tequins quz fuis uerbis fine ullo figmento enarramr. Ego
tamen non ita exada ratione tecum agam/utquodexpado debetur/id fo Ium
enumerem t Sed prauerid gratis aliquid in ea hbcraliiatc accedere uolo :
Id igitur quod Maro ut Principio czlum ac tenasicampofcp liquentes. Lucentenv
^globum lanzritania^a(ha:Spiritus intus alit : huiufcemodi eri utftoicora
de diis opinionem refetat:Longum effe fi nunc omnium antiquorum philofo«
photum de diis immortalibus fententias referam: Q^uz quidem tam diuetfx ta^
inter fe aduerfz funt/ut totidem pene reperiantur/quot funt eorum qui
feri pfciuntcapita: Nonenimfingulzfolumfamilizfingulas fmccrias
excogitari. Sed fzpe inter fe eiufdem fedz uiri uehementer de re ipfa
diffentiunt. Verum ut reliqua ad przfcnsmiffa faciam et ad ea quz
przfenti inquifitioni confentanca funt deucniam:plzri^ ffoicotum:fed
przfertim eorum princeps Zeno uniuer« fum mundi globum mentem et ratione
&fummafapientiaprzdita habere ae« didaunt /eam^ effe ignem quendam
purissimum ac tenuimmu . At ueluti ani mi noftri per fui corporis
particulas oes diffunduntur/ita illu per oia mundi me bta ueluti geniule
femen unde eunda procreantur penetrarciquippe qoi uigot fcmeni^ fit omniu
procreandorum. Virgilius igitur qua uis ui reliquis a Platone fuo nunqua
difcedat tamc cum uidiffet Chiylippu in eo quem de natura deope limpfic
libro Orphei mufd Hefiodi at^ Homeri fabellas ita interpretari ut ide
prifcosolim poetas fenliffeconeturoftendereiquod multis pofiea annis
(loici fenferuntifbtuithacinreneab iis poetis quorum fimilis effe
cupiebat diftiml> Iis putaretur ipse PORTICUM fulcire ac floicis
adhauere.Na Platonis longe alia fententia eff. Ponit enim deu penitus
incorporeum:at^ extia omnem materia omnem mundum inipfoczlidorfo exiflentem.
Qua propteeillu hypcrcof mlon appellatiquoniam eifentia sua supra cxli
uerricem mancaticum tamen ui ac providentia nufquam abfit.fed omnia
circufpiciens etiam minima curet.In phzdro enim ait. Magnus in czio
lupiter citans alatum curtum inccditJ^mua exoinanscunda.Eodem^ in libro
demonftrat locum illum neminem adhuc laudaiTe poetaiummec unquam pro
dignitate laudaturum.Q^uaroobrem cum Platonici deum eztta mundum
ponantiquibus etiam Ariflotelici alfentiuntutt Stoici aut illu per omne
ut dixi mundum diffundat, qs no uiderit Virgilium /i in. P. Virg.
W. AII fgo. cutn dcutn quctn in potticu uiderat dcfcriplii Tcnnimorip
noftros illius partica bs elfe a Chrjiippo acccpilTe.Cu autem prouidcntiam
dci multis in loas prafe quatutinufquara a Phtune difcedit.Non enim idem
omnes rendum.Quzras fottaUe quid de mundo sentiat PLATO [PLATONE]. Ccufet
quidem animam eu babcrc/a qua reliquorum animantium animz (int. bominum
autem animos abeo deo que paulo ante dixi creah:££ ratione exornari
uultiCorpus autem atip cacterasoes vires quas praner ratione mia bi seiTefamus
bomiiaiabanimo mundi elTe (ai bit.EQ enim lile dei uicatiusicuirjlua
uniuetla ueluti fua prouinda denudata Imltai illi uita moturai prxbet/non
fuaui autfacultate ledquicquidagitid uelun dei in(humentuagit.Oeclinat
igitur paululum de uia Matotat a Pia/ tonefuo discedit. Cum autem dei
prouidentiaplunmis locis profcquicuri illi totus adbzret.Non enim idem
omnesfentiunt.Sunten:minfortunz qui calt bus omnia ponantiK nullo credat
mundum rectore moueti.Q^ua in sententia Leucippum abdaitem/eiufe conduc
Oemoctimm: Protagoram quo^S Theodorum ac Epicurum repenasi^unt itidem qui
Andotelem fecuti non ita odofum deu ponauut nibil omnino curare dicant.
Illius tamen prouidentia Iu nz orbem dclcenderenoaeduntiSunt deni^K
tettiiqui fitliuniucifumper tingere illam uelint maxima tamen dutaxat
curatr/mininu ucro omnino negli gere opinent. At Piato ut eunda a deo
fada putat/ ftc eunda illum curare exifti mau Atipbzcdedeo.Otbeucto quo
uiallim animos nodtos ab inferis ad coc pustat inde rurfus ad inferos
tranfirefaibit ab academia cftc non negamus: Verum si latius de re
buiufccmodi dilTcrendum propofuilTcmusiextant multo diuiniota quz a tato
philosopho de aiope corpore difcclTu pferre poiTimustSed difficile oino
eff um breui tempore res arduas longa diligende otadone explicandas
bisanguftiis includere ltaij quod roluminffat idagamus lnuenies igitur
apud Platonicos cu mille annos apud inferos fuciint animi bominn ad
corpora illosredireiatijinde uidffim ad inferos remeate.ldi^ totiens facere
do nec duodedm anno^ milia tranliednt. Hunc enim orbe perfedu
extChmat.Na eo fpado penitus purgari aios CTcduti^ptcrea^ poffe illos tu
demu purgatos/in fuam origine et adezicifes fedes reduc: Q_uod iiquis
fuerit qui pbilofophiz fe dcdacibuic ta fadiis purgado obumit:ut aceat ei
poft tria annopt milia ad fupe ros euolate: Adduc ena fiqs teligiofc oino
uixeritieu ante mille annos H purga/ ti/S purgatu (fatim in fua origine
redire: Eff prztcrea quemagnu annu appcl/ ]at:quc cuc finiri aedunt cum
fol una cu luna ac quin^ reliquis enatilibusffel lis ad eade zodiaci
parte rcdieiint. Exado igitur boc tpis circmtu:quc et si vatta sit dodoru
de illo uiro ru sententia rex tamen ac triginta millibus annoruconfi ci
plzrii^ acdidere.ccafec Plotinus omniu bominu animas ad eunde uitz babi
tu rcditutas.Hzcigif'& qualia (int/& quid facicnda/fadleexco libro
perapi cs/que nodu expolitu in manibus hic noffet Matfilius habet: nec
adhuc edidit. Vciu ego cum apud ipfum inbgbinenffdiueniffcm/cafuin cu
incides aperui locof quofdam fuma cum
uoluptate percurri. Res omnino magna eff LA V/ tcd/fl( magnis
ingcniuinbus ttadata Sprotfus digna in qua labores. Poterit nitn no tolum
maxima ac pulcherrima et homini fe ipfum noffc cupiend per
quartus aeeelTariatedocercrcdmrummatn quo admirationem rapere.
Scnbit enim non phyticcCut plxri solent sed metaphyiicc de animoru
noftroru immorta litate/utplane poffit de ea re omnem dubitationem
amouere. Quem librum cu Icges/&ha;c quz deMaronereqiuris:&plzra^
alia quz nos paulo antediuinif fima cfle non rumusmentiti/facilec^nofces.
Qux quidem res facit ut in iis quzpo (hilafiibre uiorquelles /forta(»fuerim.l^hil
tamen eft quod breuitad ^cenfeas. Nam cum ea requireres/quz nullis eius
difputationis quam pepige camus cancellis includerentur/poteram illa meo
iurefilentio przterire. Itacpid facile fi forte obiidatur diluam. Apud vos
vero dodif Timi viri quomodome purgem non invenio.Video enim dum
pofiulanti LAVRENTIO nihil d&> ncgo/duplids errati culpam
inddifle.Nam quid me aut loquadus fingi poteft/ qui quarto iam die ea
eruditifiimis aunbus uefiris inculcare non delinam : quae quadodrina
efiis/uobisqua mihi notiora fint: aut aud adusex cogitari quiim
praemeditatus ad differendum de iis rebus accelferim quzado dilfiinis iifdci
diuprz meditads uids uix faris eleganter pro sua dignitate explicari folcant. Im
mo quid humanius/quid tua fadiitate dignius refpondit Alamanus effid potu
Itqua meanobisodofis dilferere quz tamen magnis vehementer cp urgentia bus
occupationibus przponere non dubitaremus.Nos autem inquit Petrus ac
daiolus uolo enim et pro fratre meo refpondecc ne optare quidem id aulielfe tnuss
quod ultro nobis arridens fortuna attulitiut tu tali przditusfapientia at ELOQUENTIA
VIR ea deduplid quzftione primis duobus diebus breuiter per. Ipicueiabfoluteip
in unum congereresrquz non nili per fummum laborem: (i> mam
indufiriamex multis ac uariis fcnptoribus cruipolfunt . Nam Maro nis
diligentifiima at^ multiplid dodrina referta interpretatio in qua tertio
ac quarto iam die uetfarisitum quia pulcherrima tum quia inaudita accidit
no mi nori Ihiporetqua deledationc nos alfecit. Non polfut fatis pro fua
dignitate lau dariquzatedidafunt inquit Antonius: Sed utinam Baptifia
quoniam reli quamztatem Romzcon fumpfilb hanc tandem fenedutem patriz uel
optao ticodonare uei illa tanquaafuociue exigenti corpore uelisutfzpius te
de magnis rebus difputantem audientes ciues tui dodiores indies meliorefc
reddantur. Verum has ego huius Marci partes ee ducoiTe enim pro ea quz illi
tecu intercedit nec clfitudine modo nitat facile in sua sententia tradudurum
confido. Quin ifihuc ia diu ago inquit Marcusinec prius defina qua aut
ronibus impc' travero aut praecibus ezotnaueto aut defatigando extorfero. Sed
ut confido muItum meineateiuuabit LAVRENTll acluliani ingeniu acftudiu. NI
cu inultu iam in litteris uter pfeccrit: fitr multatu tetu addifceda^
ardentiffima cupiditasrcu cztera illis et a natura 8C a fortuna adiumeta
ad re perficiendam abunde aifintind pariet'' ille diu adolescentibus quos
cariflimos habet operam sua desiderari. At q liceat md iqt BAPTIfta ego
talib5’adolescentibus ounq deerot Sed furgamus ii/SC qm primo mane uobis
e in urbe redeudu.intellexifti cni pau lo an uurcriu publicis Ifis
accctfiri quod reliquu diei eft ualimdini ipedamus. Quzftionu Canuldulefiu
Cbrifiophori Landini [LANDINO] florentini QuaitifiC ultimi libri Finis.
Cum Priuilegio. -Z.sisqfc "Moibc scof. Questo lavoro porta
nuovi elementi allo studio delle complesse vicende inerenti i RERVM GESTARVM
FRANCISCI SPHORTIAE commentarii di Giovanni Simonetta e il relativo
volgarizzamento, la sforziada di Cristoforo LANDINO. Nel saggio introduttivo si
indagano gli aspetti biografici, storici e filologici riguardanti le due opere,
partendo proprio da SIMONETTA, attivo nella cancelleria di SFORZA assieme al
piú noto fratello Cicco Simonetta, e ricostruendo la storia testuale dei
Commentarii dalle loro origini agli emendamenti eseguiti dall’umanista POZZO in
vista dell’editio princeps, senza trascurare le vicende editoriali e le prime
reazioni all’opera. Punto di forza dell’analisi è l’aver ritrovato e studiato
nel dettaglio il manoscritto originale, nonché esemplare di dedica, dei
Commentarii, già noto a SORANZO il secolo scorso quale codice Castelbarco.
L’attenzione si sposta quindi da Milano a Firenze, entrando nell’officina
testuale di Cristoforo LANDINO per sondare la sforziada dal punto di vista
metodologico e contenutistico, con un conseguente particolare riguardo per le
vicende successive all’invio del manoscritto di dedica (copiato da Tommaso
Baldinotti) a Milano, dove il testo viene sottoposto dal Simonetta a numerosi
interventi visibili ancora oggi. Chiude la parte introduttiva un capitolo che
vuole delineare la storia dello sviluppo dei commentarii come genere nel quadro
storiografico dalle origini alla fine del Quattrocento. A seguire il lettore
troverà l’edizione critica della sforziada in veste integrale, corredata di un
approfondito apparato comprensivo degli interventi che ne testimoniano la
ricezione a Milano. Grice: “Perhaps
more interesting than the fact that he loved the Achilleid, and commented on
the Eneide, is that he sold the sforzeide – sull’eroe Milanese, l’invitto
Francesco Sforza! Howell in I Medici. Cristoforo Landino. Cristoforo Landino. Grice:
“I love Landino; for one he wrote the first Italian philosophical dialogue,
“Disputationes” – for another, I love
the setting!” Landino. Keywords: dialettica fiorentina
– implicatura fiorentina – la Sforziada di Simonetta. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Landino” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Landucci: la ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale -- i misteri del delitto Gentile e le bestie
senza stato di Vespucci – la scuola di Sarzana -- filosofia ligure -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Sarzana).
Filosofo italiano. Sarzana, La Spezia, Liguria. Grice: “If I had in Hardie a wonderful mentor
to Aristotle, I missed Landucci’s mentoring me into Kant!” – Si laurea a Pisa
con Luporini. Insegna a Firenze. Altri saggi: “Cultura e ideologia in Sanctis”
(Milano, Feltrinelli); “I filosofi e i selvaggi” (Bari, Laterza); “L’origine
della scienza sociale” (Firenze, Sansoni); “La co-scienza e la storia”
(Firenze, Nuova Italia); “La contraddizione” (Firenze, Nuova Italia); “Teodicea”
(Napoli, Bibliopolis); “La Critica della ragion pratica” (Roma, NIS), Sull'etica di Kant, Milano, Guerini, La mente
in Cartesio, Milano, F. Angeli, I
filosofi e Dio, Roma-Bari, Laterza, La doppia verità: conflitti di ragione e
fede tra Medioevo e prima modernità, Milano, Feltrinelli, A. Gnoli, Intervista,
"Repubblica", Scheda biografica su Einaudi. Sergio Landucci. Grice:
“Basically, Landucci covers all the topics of my interests, including that of
the alleged ambiguity in Kant’s idea of a ‘reason’!” UCCI, UCCI SENTO ODOR DI L. – I MISTERI DEL DELITTO
GENTILE, IL LEGAME CON LUPORINI, IL '68 IN CATTEDRA ("FUMMO INVASI DAGLI
ANALFABETI") IL GRANDE FILOSOFO SI RACCONTA: “MI PIACEREBBE SCRIVERE UN saggio
SULLA DEMENZA SENILE CHE STA ATTANAGLIANDO L' OCCIDENTE. RICORDO UNA FRASE CHE
DICE: "GRANDEZZA È CIÒ CHE NOI NON SIAMO". HO LA SENSAZIONE CHE
L'ABBIAMO DIMENTICATA…” Gnoli per Robinson-la Repubblica landucci
LANDUCCI Per molto tempo il suo nome è rimasto associato a un grande
libro che quando apparve nei primi anni Settanta fu come una meteora, tanto
sembrò strano nel panorama delle cose che allora si pubblicavano. Sto parlando
de I filosofi e i selvaggi (uscì allora per l' editore Laterza ed è stato
ripubblicato, e aggiornato, qualche mese fa da Einaudi). La sua lettura mi
colpì allora e mi rimanda all' oggi con i "selvaggi", sempre meno
variopinti ed esotici, spinti dalla disperazione ad abbandonare le loro terre
martoriate. Il paragone turba L.. Seduto nello studiolo mi guarda con la sua
faccia triste. Sono venuto a Firenze per incontrarlo. Si stupisce e quasi si
scusa per il fastidio che mi avrebbe arrecato: è un uomo timido, deluso,
gentile ma altresì con un retrogusto di indefinita rabbia. Landucci è
stato allievo di Luporini, ha insegnato all' università di Firenze, subendone,
dice, tutti i contraccolpi politici: «Divenni ordinario. Quasi immediatamente
percepii un generale clima di ostilità e rassegnazione. Con una rapidità
incredibile la facoltà di filosofia adottò una selezione alla rovescia: vennero
avanti a passo di carica gli analfabeti, i carichi didattici furono
alleggeriti, i ruoli stravolti. Ho vissuto tremendamente male gli anni dell'
insegnamento e decisi per la pensione anticipate. È stato così frustrante il
lavoro universitario? «Lo è stato certamente per uno come me. Mi
consideravo, come si diceva allora, un "cane sciolto". Mi stupì
constatare che la facoltà si era ridotta a una grande cellula del Pci, su cui
si incistò dopo il '68 la contestazione studentesca». I punti di
riferimento furono però due grandi personalità di sinistra: Garin e
Luporini. «Maestri indiscussi. Mi chiedo tuttavia quanto sia stata
acuta la loro vista politica. Garin fu il grande interprete di una filosofia
come sapere storico, il suo storicismo era totalmente in sintonia con le
posizioni culturali del Pci. Quanto a Luporini c' era un inquietudine ben
maggiore che lo portò a misurarsi e a simpatizzare con le ragioni degli
studenti. Non stigmatizzo il loro magistero, cui peraltro devo moltissimo,
sostengo semplicemente che furono anni in cui la politica prese il sopravvento.
Era lo spirito del tempo. Ne facevo parte anch' io, ma senza tessere o
bandiere. Del resto non sono mai stato iscritto a nulla. Giunsi all' Università
di Firenze nel 1960, come libero assistente, chiamato da Luporini. Quali
erano i vostri rapporti? E mio professore a Pisa e con lui mi laureai. Mi
affascinava quest' uomo che andò in Germania a occuparsi di esistenzialismo e
seguì i corsi di Heidegger». Credo sia stato uno dei pochi italiani a
frequentarne i seminari. C' è un episodio rivelatore del rapporto con HEIDEGGER
Quando il filosofo tedesco pronuncial il famigerato discorso con cui si
insediava da Rettore a Friburgo, Luporini restò sconcertato da quell' adesione
al regime. Qualche giorno dopo incontrandolo gli comunicò che lascia Friburgo
per Berlino. Heidegger gli chiese perché. Lui rispose che era interessato ai
corsi di Hartmann. Il maestro lo liquida con un ironico "tanti
auguri"».A proposito di filosofi si è spesso detto che il vecchio lupo,
così era soprannominato Luporini, fosse rimasto l' ultimo a sapere i dettagli
dell' omicidio Gentile. Lei è a conoscenza di qualche particolare? « C' è
innanzitutto da ribadire il legame che Luporini ebbe con Gentile, il quale lo
chiamò come lettore di tedesco a Pisa, in sostituzione di Oscar Kristeller,
ebreo che dovette riparare negli Stati Uniti dopo le leggi razziali. GENTILE aiuta
Kristeller, come pure tanti antifascisti che si rifugiarono alla Treccani e
all' Università, fornendogli soldi e assistenza. Poi chiama Luporini alle due
di notte dicendogli di decidere in fretta perché altrimenti sarebbe venuto
qualcuno dalla Germania, quasi certamente un insegnante di fede nazista».Questo
è lo sfondo. Poi cosa accadde? Quando la situazione precipita. Luporini va
a casa di Gentile e lo scongiura di non entrare nella Repubblica Sociale. Gli
dice. Professore c' è gente che non aspetta altro per ucciderla. GENTILE
aderisce alla Rsi e viene ucciso in un attentato. Si è detto che Luporini conosce
i mandanti e gl’esecutori dell' omicidio. Credo che il vecchio lupo non sa
nulla, o almeno nulla di diretto. Ci e una sua dichiarazione radiofonica in tal
senso, ma credo e il frutto di un fraintendimento. La frase di L. e
questa: Cose che forse non si possono ancora dire. Cosa le fa supporre che e
frutto di equivoco? Il fatto che accreditasse la versione offerta da
Mattei, che sull' argomento cambia più volte opinione. Fino a sostenere che
dietro quell' omicidio ci e BANDINELLI. Mai uno straccio di prova. Credo si sia
perfino inventata che fu lei a indicare al commando gappista la figura di GENTILE,
che non ha mai conosciuto. Poi c' è la testimonianza della moglie di LUPORINI
Maria Bianca Gallinaro, la quale mi disse sconsolata che la storia che Luporini
sapesse era solo una leggenda, del tutto infondata». Possibile che non ci
fosse un grano di verità? « La sola cosa che riesco a pensare è che LUPORINI
e emotivamente coinvolto. Dopo l' attentato, GENTILE e trasportato moribondo
all' ospedale. Il fratello della signora, medico al Careggi, chiama LUPORINI dicendogli
se vuole vedere per l' ultima volta GENTILE. E lui anda e vede il filosofo in
fin di vita. Non credo sia stato un bello spettacolo. Questo è tutto. Dopo
quella dichiarazione radiofonica mi permisi di consigliare Luporini a non
pronunciare più quella frase».E lui? « Non so se fu una mia impressione
ma gli lessi negli occhi un certo imbarazzo». Negli anni di Pisa chi
frequentava? «Tra le persone che hanno avuto un peso: CANTIMORI e TIMPANARO.
Di quest' ultimo divenni grande amico». So che Cantimori incuteva una
certa paura per il modo di fare lezione e interrogare. «A me, che non
sono stato suo scolaro, suscitava tenerezza». Cosa pensa della sua vita
ideologica piuttosto travagliata? « Se allude al passaggio dal fascismo
al comunismo non saprei cosa pensare. Come ad altri intellettuali gli è mancato
il pensiero liberale. Era dominato dai fatti e dall' idea che la storia sia
guidata dal potere. Usce dal Pci. Non solo per i noti episodi di Ungheria ma
perché non ne poteva più del partito. Era un sopravvissuto a se stesso. Cosa
intende? Deluso. Era convinto che io fossi una specie di longa manus del
Pci, non gli ho mai dato la soddisfazione di smentirlo. A volte con ironia
diceva: "Landucci, è vero che non basta dire viva la bandiera rossa per
essere intelligenti?". Gli ultimi anni della sua vita li passò a insegnare
a Firenze, in un ambiente che non lo amava. Prima di morire andò a Princeton
per un ciclo di lezioni e quando tornò gli dissi: "Le ha fatto bene stare
lontano da Firenze". Sì, rispose, ho evitato la noia». Poi c' è TIMPANARO.
«Era stato allievo di PASQUALI, ma invece di inseguire la carriera
universitaria, divenne un outsider della cultura. Motiva la sua scelta con una
certa difficoltà a parlare in pubblico. Ma io so che aveva orrore della
professione accademica. Ebbe rapporti difficili con il mondo e bellissimi con
le persone che amava. Per lungo tempo mi considerò tra queste. Solo negli
ultimi anni scese tra noi il silenzio. Non digerì, non accettò o forse non
seppe accogliere il fatto che mi fossi separato da mia moglie. Ma la vita va
dove deve andare e a volte non ci possiamo fare niente. Da lui ho appreso il
rigore filologico. Fu grandissimo nelle questioni leopardiane e in tutta la
riflessione sul materialismo. Ma anche sorprendentemente originale nella
lettura di Freud. È strano, ma ogni volta che penso alla vita di chiunque, mi
chiedo quanta parte vi avrà avuta il caso. Le coincidenze prese o mancate, per
lo più senza rendersene conto». Per lei il caso è stato così
incisivo? Direi che il caso domina fin dalla famiglia di origine: un
ambiente che non scegliamo, e nel quale ci troviamo gettati». La sua
famiglia com' era? « Papà avvocato, ma frustrato perché ricopriva un
impiego modesto. Mia madre maestra. Vivevamo a Sarzana. Ricordo un padre
anziano e la mamma che gli proibì di venire a prenderci a scuola, me e mio
fratello, per paura che lo scambiassero per il nonno. Lo vivevo come un uomo di
altri tempi. Anche nel lessico ricordava la belle époque. Invece di autista
dice chauffeur, vis à vis a posto di specchio e quando chiedeva l'asciugamano
dice passami il Amava il melodramma italiano. Invece, melodrammatica di suo e
mia madre. Risultato: ho sempre detestato la musica lirica! Forse perfino più
di quanto non abbia detestato che mi chiamassero Sergio». ROUSSEAU
Dà l' impressione di un uomo provato dalla vita. Sono molto amareggiato
dalla mia vita professionale e privata. Non ho né la forza né la voglia di
entrare nei dettagli, ma ho l' impressione di essere stato irriso e torturato
dalla vita. Il lavoro nelle biblioteche di mezza Europa e negli archivi è stata
la mia droga, la mia unica grazia. Non ho avuto nessun successo ma almeno mi ha
consentito di vivere». Non è vero, il suo libro sui "
Filosofi e i selvaggi" è un grande libro. «Non diciamo sciocchezze,
troppo carico di note, di troppe citazioni in originale e, in fondo, di inutile
erudizione. La sola cosa che ricordo è una stroncatura di Diaz. Scriverlo, fu
un' idea casuale. Un libro nato senza nessun presupposto. Diciamo che mi
appassionava Montaigne». È il primo ad accorgersi della figura del
selvaggio e a prenderne le difese. « Non è il primo, ma in qualche modo
rovescia la posizione di Amerigo Vespucci che presenta i selvaggi simili alle
bestie. Diversamente da Colombo che sposa la tesi antica del mito del buon
selvaggio. Montaigne dice che il selvaggio non ha Stato, non ha costrizioni,
non ha religione, non ha falsità, è privo cioè di tutti quei caratteri che
soffocano la civiltà occidentale».È la scena che prevarrà? «È solo una
tesi che a Montaigne serve per screditare la chiesa e gli stati. Gli eccidi, la
violenza, il terrore che scuotono l' Europa delle guerre di religione e che
culminano nella notte di San Bartolomeo, sono messi in contrapposizione con la
mitezza del selvaggio ». È una tesi che riprenderà Rousseau. «Fino a
un certo punto, anche perché il suo selvaggio è un uomo felice ma violento. Non
conosce la corruzione né è posseduto dalla brama di potere, ma è
sostanzialmente un individuo aggressivo. Chi porterà alle estreme conseguenze
questa impostazione è Hobbes che rovescia la costruzione di
Montaigne Hobbes parla di uno "stato di natura". firenze FIRENZE Dove tutti si fanno la guerra e dove
la vita delle persone è permanentemente in pericolo. L' immagine di questa
condizione brutale Hobbes la ricava dalle descrizioni che vengono fatte dei
selvaggi di America. Si può dire che l' Occidente fin dall' antichità si sia
servito di questo mito con le peggiori intenzioni? « È passata l' idea,
con qualche eccezione, che fossero troppo diversi da noi per ogni ipotetica
assimilazione». Al punto che ancora oggi questa diversità è vissuta come
una minaccia di contagio e sostituzione? Qualcuno, come lei sa, ha perfino
parlato di "uomo bianco" in pericolo di estinzione. «Nelle fasi
di grave fibrillazione sociale, quando il discredito si abbatte su ogni aspetto
della vita politica, il delirio - come strumento patologico - rischia di trionfare.
Mi pare di poter dire che è quanto sta accadendo e che contribuisce ahimè ai
miei stati depressivi. Sono convinto che non ci sia nessuna giustificazione al
male né all' imbecillità. Ho scritto un libro contro la teodicea, mi piacerebbe
scriverne uno sulla demenza senile che sta attanagliando l'
Occidente. Ma non credo di averne più la forza. Mi resta questa
infelicità che è come un che sovrasta le mie parole che non so più maneggiare
con delicatezza. Ricordo una frase che Luporini aveva ripreso dal vecchio
Burckhardt, è bellissima. Dice: "Grandezza è ciò che noi non siamo".
Ho la sensazione che l' abbiamo troppo spesso ignorata o, peggio ancora,
dimenticata». Grice: “Landucci
has aptly explored the concept of the ‘barbarian’. It all starts with
Montaigne, an anarchist – he assumes a fake philosophical position just to
justify his anarchisms: savages are fun, happy, and they have no state!
Vespucci moe or less thought the same, but for different reasons. Just like an
ape doesn’t have a state, Vespucci says, so a savage!” -- Landucci. Keywords: i misteri del delitto Gentile. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Landucci” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Lalla: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale nella selezione sessuale di Nerone, il musicista – filosofia
friuliana – la scuola di Trieste -- filosofia triestina – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Trieste).
FIlosofo italiano. Trieste, Friulia Venezia Giulia -- Grice: “I have been
called a Darwinist, which offended de Lalla!” -- Figlio unico di Achille de
Lalla e Anna Millul. Il padre, nato a Napoli da famiglia
originaria di Tolve, aveva intrapreso la carrriera militare, giungendo a
ricoprire il grado di Tenente colonnello dell'esercito e congedandosi con il
grado di Generale dell'esercito. Prese parte alla Prima guerra mondiale nonché
alla Seconda guerra mondiale, dove rimase ferito alla spalla destra in Russia.
Fu in seguito Dirigente dell'Istituto per la Ricostruzione Industrial. Achille
de Lalla era figlio di Ludovico e di Maria Buonomo, figlia a sua volta di
Alfonso Buonomo, compositore e musicista napoletano di fama. La madre Anna Millul era nata a Roma in una
famiglia ebrea originaria di Livorno. Si laurea, allievo di Kalinowski di cui
traduce in italiano il saggio "Interpretazione giuridica e logica delle
proposizioni normative". Scappa a
Parigi, prendendo parte al Maggio. Tuttavia, fu tra i primi ad intuire che il
Partito Comunista francese non aveva alcuna seria intenzione politica di
sostenere la Contestazione e, in anticipo sul fallimento dell'iniziativa
giovanile, lascia la Francia rientrando in Italia deluso. Studioso di
Evoluzionismo e Politologia, e è proprio sulle sue teorie sull'Evoluzione umana
e sul pensiero di Darwin che scrive l'opera “La selezione sessuale”. Insegna a
Siena e Napoli. A testimonianza del grande successo che riscuotevano i suoi
corsi universitari, rimane la petizione indetta dagli studenti affinché il
Senato Accademico li prorogasse per un biennio.
Gl’ultimi anni Ritiratosi a vita privata, muore a Napoli nella tarda
serata del 25 settembre d'infarto mentre
attende alla redazione della sua ultima opera. Est Deus in nobis Contributo
alla Nuova Evangelizzazione e, nelle intenzioni dell'autore, avrebbe dovuto costituire
il completamento della trilogia iniziata con Evoluzione e proseguita con La
Comunità Democratica.Convinto assertore della superiorità del Diritto pubblico
rispetto a quello privato, si è sempre posto a tutela delle prerogative
statuali. Convinto assertore dei rischi
della dilagante esterofilia in campo politico e fondamentalmente euroscettico
negli ultimi anni di riavvicinamento al cattolicesimo, ideò un progetto di
edificazione di un nuovo partito politico che, nelle sue teorizzazioni avrebbe
assunto il nome di PARTITO CRISTIANO COMUNITARIO (DEMOCRATICO) ITALIANO
PCC(D)I. Saggi: “Il concetto legislativo
di azione penale” (Jovene, Napoli); “La scelta del rito istruttorio” ( Jovene,
Napoli); “Logica della prove penale” (Jovene Napoli); “La pena militare”
(Jovene, Napoli); “Topografia politica della repubblica” (Scientifiche,
Napoli); “Il completamento istruttorio del giudice nelle indagini preliminari
in "Riv. it. dir. e proc. pen."); “Evoluzione,” “Darwin e la
selezione sessuale” (Salerno, Roma); “ Selezione sessuale” (Scientifiche,
Napoli); “La comunità democratica: idee per una politica nuova” (Guida, Napoli)
– concetto di KRATOS --“Comunitarismo” (Guida, Napoli); “Nerone, o Musica nella
antica Roma” (Guida, Napoli);
“Composizioni musicali Per pianoforte Sonata n.° 1 Suite "italiana"
Sonata n.° 2 Sonata n.° 3 "napoletana" Musica da camera Sonata per
violino e violoncello Sonata per violino e pianoforte Sonata per violini, viola
e violoncello Note de Lalla F., Una
famiglia borghese, Ed. Ibiskos de Lalla
F., in "Il foro penale"
ilcambiamento,// ilcambiamento/ articoli/ evoluzione_2_ darwin_de_
lalla_millul. ateneapoli,// ateneapoli/news/ archivio-storico/
reintegro-del-prof-de-lalla-il-consiglio- di-facolta--si-esprime-
negativamente. petizioni.com/ petizione
_pro_prof_paolo de_lalla. Grice: “When I hear that a philosopher has written
yet another trattarello on the filosofia della musica, I always thought not of
Orpheus and his lute, but of NERO and his lyre!” -- Paolo de Lalla Millul. Paolo de Lalla. Lalla. Keywords: evolutionary, sexual
selection, Nerone, filosofia della musica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Lalla” – The Swimming-Pool Library.
Grice
e Latini: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- l’implicatura
rettorica di Publio e Cicerone -- implicatura – filosofia toscana – la scuola
di firenze – filosofia fiorentina – scuola fiorentina -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo italiano. Firenze, Toscana. Grice: “Latini reminds me of
Hardie; he was Aligheri’s mentor; Hardie mine!” -- Grice: “People say it all
starts with Alighieri; but the real ‘filosofo’ behind Alighieri surely is
Burnetto – he has chapters on ‘Platone,’ ‘Aristotele,’ and the rest of them.” «Poi si rivolse, e parve di coloro che
corrono a Verona il drappo verde per la campagna; e parve di costoro quelli che
vince, non colui che perde» (Divina Commedia). Figlio di Buonaccorso e
nipote di Latino Latini, appartenente ad una nobile famiglia. Le fonti storiche
e una serie di documenti autografi testimoniano la sua attiva partecipazione
alla vita politica di Firenze. Come egli stesso narra nel Tesoretto, fu inviato
dai suoi concittadini alla corte di Alfonso X per richiedere il suo aiuto in
favore dei guelfi. Tuttavia, la notizia della vittoria dei ghibellini a
Montaperti lo costrinse all'esilio in
Francia. I cambiamenti politici conseguenti alla vittoria di Carlo I da Benevento
sconsentirono il suo ritorno in Italia.
Fu risarcito del torto subito, con il titolo di Segretario del Consiglio della
repubblica, stimato ed onorato dai suoi concittadini. La sua influenza
divenne tale che a partire si trova a malapena nella storia di Firenze un
avvenimento pubblico importante al quale non abbia preso parte. Contribuì
notevolmente alla riconciliazione temporanea tra guelfi e ghibellini detta
"pace di Latino". PPresiedette il congresso dei sindaci in cui
fu decisa la rovina di Pisa. Elevato alla dignità di Priore. Questi magistrati,
in numero di dodici, erano stati previsti nella costituzione. La sua parola si
fa frequentemente sentire nei Consigli generali della repubblica. Era uno degli
arringatori, od oratori, più frequentemente designati. Nel Canto XV
dell'Inferno Dante lo incontra tra i sodomiti, violenti contro Dio nella
natura. Siamo nel terzo girone del settimo cerchio; Dante e Virgilio camminano
su un piano rialzato rispetto alla landa desolata in cui i dannati procedono.
Alighieri, che era stato allievo di Latini, è profondamente scosso, e non nasconde
verso il maestro una persistente ammirazione. Latini è il primo nella Commedia
a toccare fisicamente Alighieri, tirandolo per la veste. Altre opera:“Il
Tesoretto,” poema (incompiuto o mutilo) scritto in volgare fiorentino, in
settenari a rima baciata, narrato in prima persona. L'autore definisce l'opera Tesoro, ma il nome “Tesoretto”
è presente già nei manoscritti più antichi,
presumibilmente per distinguerla dalle traduzioni italiane del “Tresor”.
Il protagonista, sconfortato dalla notizia della disfatta di Montaperti, si
perde in una "selva diversa". Nella sua peregrinazione si imbatte
nelle personificazioni della Natura e delle Virtù, che gli illustrano la
composizione del Mondo e i modelli di comportamento cortesi. Il “Tesoretto” si
interrompe nel momento in cui il protagonista incontra Tolomeo, che sta per
spiegargli i fondamenti dell'astronomia. Influenzato da un lato dal
romanzo cortese, dall'altro dai poemi allegorici, realizza un'opera che da una
parte della critica è ritenuta tra i precursori diretti della Commedia (Venezia,
Melchiorre Sessa il Vecchio); “Li livres dou Tresor” e la più celebre, scritta
durante l'esilio in Francia, in lingua vernaculare, perche "è la parlata
più dilettevole e più comune tra tutte le lingue.” Consta di tre libri e
risulta la prima enciclopedia volgare in senso proprio. Altri testimoni sono
stati segnalati in seguito da Squillacioti, Divizia e Giola. Il primo
libro tratta dell’origine di tutto. Tra gl’argomenti affrontati vi sono
un'ampia storia universale, dalle vicende dell'Antico e del Nuovo Testamento
alla battaglia di Montaperti, elementi di medicina, fisica, astronomia,
geografia, e architettura, e un bestiario. Si trova, in questo primo libro, una
delle menzioni più antiche che conosciamo di una bussola e l'indicazione della
sfericità della terra. Nel secondo libro si tratta dei vizi e delle virtù,
attingendo sostanzialmente dall'Etica Nicomachea. Il terzo libro riguarda
principalmente la retorica. Utilizza come fonti Platone, Aristotele, Senofane, il
romano Publio Vegezio e Cicerone. Altre opera: è inoltre autore di un
altro breve poemetto, “il Favolello”, di una “Rettorica” volgarizzamento e
commento del De inventione di Cicerone, nonché dei volgarizzamenti di tre
orazioni ciceroniane (Pro Ligario, Pro Marcello, Pro rege Deiòtaro). Jauss,
Alterità e modernità della letteratura medievale, Boringhieri S. Sarteschi, Dal
"Tesoretto" alla "Commedia": considerazioni su alcune
riprese dantesche dal testo di Latini, in "Rassegna di letteratura
italiana", B. Latini, Tresor; G. Beltrami Squillacioti Torri e S. Vatteroni”
(Torino, Einaudi); A. D'Agostino, Itinerari e forme della prosa, in Storia
della letteratura italiana” (Roma, Salerno); Tresor. Beltrami, Squillacioti,
Torri, Plinio, Torino). Aggiunte (e una sottrazione) al censimento dei codici
delle versioni italiane del "Tresor”, Medioevo romanzo, La tradizione dei volgarizzamenti toscani del
Tresor con un'edizione critica della redazione alfa. Verona. Edizione del
volgarizzamento toscano. La colonna
posta dove è stata riscoperta la sua tomba, Santa Maria Maggiore; “Livres dou
Tresor” (Vineggia, per Gioan Antonio et fratelli da Sabbio, ad instanza di N.
Garanta et Francesco da Salo); Dizionario biografico degli italiani, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Tesoretto. In G. Contini, Poeti del
Duecento, Ricciardi, Milano. A scuola con ser Brunetto. Indagini sulla
ricezione dal Medioevo al Rinascimento. Atti del convegno di studi, Basilea, I.
Maffia Scariati, Firenze, Galluzzo, D'Arco Silvio Avalle, Ai luoghi di delizia
pieni, Ricciardi, Milano, A. Carrannante, "Implicazioni dantesche:
Brunetto Latini (Inf. XV)", "L'Alighieri", Enciclopedia
dantesca, ad vocem, Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani, Roma, P. Fornari,
Dante e Brunetto, Co-Op, Varese, Poi in: Pro Dantis virtute et honore, Co-Op
Varese, L. Frati, Brunetto Latini
speziale, "Il giornale dantesco", F. Maggini, La «Rettorica» Latini,
Firenze, Galletti e Cocci, U. Marchesini, Due studi biografici, Atti
dell'Istituto Veneto", "La posizione del Latini nel canto XV
dell'Inferno dantesco"). Merlo, E se Dante avesse collocato Brunetto
Latini tra gli uomini irreligiosi e non tra i sodomiti?, "La cultura",
Poi in: Saggi glottologici e letterari, Hoepli, Milano, Fausto Montanari, "Cultura
e scuola", Antonio Padula, Il Pataffio, Dante Alighieri, Milano, Roma e
Napoli, Manlio Pastore Stocchi, Delusione e giustizia nel canto XV
dell'Inferno, "Lettere italiane"(poi in: Letture classensi, Longo, Ravenna; "Representations", R.
Santangelo, "Tutti cherci e litterati grandi e di gran fama": "Il
sogno della farfalla. Rivista di psicoanalisi", M. Scherillo, Alcuni
capitoli della biografia di Dante, Loescher, Torino Thor Sundby, Della vita e
delle opera (Monnier, Firenze); Alighieri Storia di Firenze Divina Commedia, Il
Favolello Il Tesoretto. Treccan Enciclopedie
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, sRegesta Imperii, su opac.regesta-imperii.de. Portal,
su florin.ms. G. Orto, L.. Tommaso Giartosio, Dante e Brunetto Latini. Tratto
da: Perché non possiamo non dirci. Letteratura, omosessualità, mondo,
Feltrinelli, Milano, Concordanze del libro del Tesoretto, su classicis tranieri,
Li livres dou trésor, ed. par Polycarpe Chabaille, Paris M. Giacomelli. La
rettorica. Qui comincia lo 'usegnamento di rettorica, lo quale è
ritratto in vulgare de' libri di Tullio e di molti filosofi per ser
Burnetto Latino da Firenze. Là dove è la lettera grossa si è il testo di
Tullio, e la lettera sottile sono le parole de lo sponitore. Incomincia il
prologo. Sovente e molto ò io pensato in me medesimo se la copia del
DICERE e lo sommo studio dell’ELOQUENZA àe fatto più bene o più male agl’uomini
et alle città. Però che quando considero li dannaggii del nostro comune e
raccolgo nell' animo l’antiche aversitadi delle grandissime città, veggio
che non picciola parte di danni v’è messa per uomini molto parlanti sanza
sapienza. Qui parla lo sponitore. RETTORICA èe SCIENZA di due manière. Una
la quale insegna dire, e di questa tratta Tulio nel suo saggio. L’altra
insegna dittare, e di questa, perciò che esso non ne trattò cosi del tutto
apertamente, si nne tratterà lo sponitore nel processo del saggio, in suo
luogo e tempo come si converrà. Rettorica s' insegna in due modi, altressì
come l’altre scienzie, cioè di fuori e dentro.Verbigrazia: Di fuori
s'insegna dimostrando che è rettorica e di che generazione, e quale sua
materia e lo suo officio e le sue parti e lo suo propio strumento e la
fine e lo suo artifice. Ed in questo modo tratta BOEZIO nel quarto della
Topica. Dentro s'insegna questa arte quando si dimostra che sia da
fare sopra LA MATERIA DEL DIRE e del dittare, ciò viene a dire come
si debbia fare lo exordio e la narrazione e L’ALTRE PARTI DELLA DICIERIA o
della pistola, cioè d'una lettera dittata. Ed in ciascuno di questi due modi ne
tratta Tulio in questo suo saggio. Ma in perciò che Tulio non dimostra che
sia rettorica né quale è '1 suo artefice, sì vuole lo sponitore per
più chiarire l'opera dicere l'uno e l'altro. Ed èe rettorica una scienzia DI
BENE DIRE, ciò è rettorica quella scienzia per la quale noi saperne ORNATAMENTE
dire e dittare. Inn altra guisa è così diffinita. Rettorica è scienzia di
ben dire sopra la causa proposta, cioè per la quale noi sapemo ornatamente
dire sopra la quistione aposta. Anco àe una più piena difiìnizione in
questo modo. Rettorica è scienza d'usare piena e PERFETTA ELOQUENZA nelle
publiche cause e nelle private. Ciò viene a dire scienzia per la quale noi
sapemo parlare pienamente e perfettamente nelle publiche e nelle private
questioni. E certo quelli parla pienamente e perfettamente che nella sua
diceria mette parole adorne, piene di buone sentenzie. Publiche questioni
son quelle nelle quali si tratta il convenentre d'alcuna città o comunanza
di genti. Private sono quelle nelle quali si tratta il convenentre
d'alcuna spiciale persona. E ttutta volta è lo 'ntendimento dello sponitore
che queste parole sopra '1 dittare altressì come sopra '1
dire siano, advegna che tal puote sapere bene dittare che non àe
ardimento o scienzia di profiferere le sue parole davanti alle genti; ma
chi bene sa dire puote bene sapere dittare. Avemo detto che è rettorica,
or diremo chi è lo suo artifice. Dico che è doppio, uno è rector e
l'altro è orator. Verbigi-azia. Rector è quelli che 'nsegna questa
scienzia SECONDO LE REGOLE e comandamenti dell'arte. Orator è colui che
poi che elli àe bene appresa l'arte, sì l’usa in dire ed in dittare sopra
le questione apposte, sì come sono li buoni parlatori e dittatori, sì come
fue maestro Piero dalle Vigne, il quale perciò fue agozetto di Federigo II
imperadore di Roma e tutto sire di lui e dello 'mperio. Onde dice Vittorino che
orator, cioè lo parlatore, è uomo buono e bene insegnato di dire, lo quale
usa piena e perfetta eloquenza nelle cause publiche e private. Ora àe
detto lo sponitore che è rettorica, e del suo artifice, cioè di colui che la
mette in opera, l'uno insegnando l'altro dicendo. Ornai vuole dicere chi è
l'autore, cioè il trovatore di questo saggui, e che fue LA SUA INTENZIONE
in questo saggio, e di che tratta, e la cagione per che lo saggio è composto
e che utilitade e che tittolo à questo saggio. L' autore di questa opera è
doppio. Uno che di tutti i detti de' filosofi che fuoro davanti lui e
dalla viva fonte del suo ingegno fece suo libro di rettorica, ciò fue
Marco Tulio Cicerone, il più sapientissimo de' romani. Il secondo è
Brunetto de’ Latini, cittadino di Firenze, il quale mise tutto suo studio
e suo intendimento ad isponere e chiarire ciò che Tulio dice. Ed esso è
quella persona cui questo saggio appella sponitore, cioè ched ispone e fae
intendere, per lo suo propio detto e de' filosofi e maestri che sono passati,
il saggio di Tulio, e tanto più quanto all'arte bisogna di quel che fue
intralasciato nel saggio di Tulio, sì come il buono intenditore potràe
intendere avanti. La sua intenzione fue in questa opera dare insegnamento
a colui per cui amore e' si mette a fare questo trattato de parlare
ornatamente sopra ciascuna questione proposta. Et e' tratta secondo
la forma del saggio di CICERONE di tutte le parti generali di rettorica.
Verbigrazia. L’invenzione, cioè, il trovamento di ciò che bisogna sopradire
alla materia proposta; e dell'altre iiij° secondo che sono nel secondo saggio
che CICERONE fa ad Erennio suo amico, sopra le quali il conto dirà ciò che
ssi converrà. La cagione per che questo saggio è fatto si è
cotale, che Latini, per cagione della guerra la quale fue traile
parti di Firenze, fue isbandito della terra quando la sua parte guelfa, la
quale si tenea col papa e colla chiesa di Roma, fue cacciata e sbandita
della terra. E poi si n'anda in Francia per procurare le sue
vicende, e là trova uno suo amico della sua città e della sua
parte, molto ricco d'avere, ben costumato e pieno de grande
senno, che Ili fece molto onore e grande utilitade, e perciò l'apella suo
porto, sì come in molte parti di questo saggio pare apertamente; et era
parlatore molto buono naturalmente, e molto disidera di sapere ciò che' savi
aveano detto intorno alla rettorica; e per lo suo amore Latini, lo quale
era l)uono intenditore di lettera et era molto intento allo studio di
rettorica, si mette a fare questo saggio, nella quale mette innanzi il
testo di Tulio per maggiore fermezza, e poi mette e giugne di sua
scienzia e dell'altrui quello che fa mistieri. L' utilitade di
questo saggio è grandissima, però che ciascuno che sa bene ciò che
comanda lo libro e l'arte, sì sa dire interamente sopra la questione
apposta. E in questo punto si parte elli da questa materia e ritorna al
propio intendimento del testo. In questa parte dice lo sponitore che
CICERONE, vogliendo che rettorica fosse amata e tenuta cara, la quale al
suo tempo e avuta per neente, mise davanti suo prolago in guisa di bene savi,
nel quale purga quelle cose che pareano a lui gravose. Che si come dice BOEZIO
nel commento sopra la Topica, chiunque scrive d'alcuna materia dee prima
purgare ciò che pare a lui che sia grave; e così fa CICERONE, che purga
tre cose gravose. Primieramente i mali che veniano per copia di dire. Apresso
la sentenza di Platone, e poi la sentenza d'Aristotele. La sentenza di Platone e
che rettorica non è arte, ma è NATURA per ciò che vede MOLTI BUONI
DICITORI PER NATURA e non per insegnamento d'arte. La sentenza
d'Aristotile fa cotale, che rettorica è ARTE, ma REA, per ciò che per eloquenza
parca che fosse a venuto più male che bene a' comuni e a' divisi. Onde CICERONE
purgando questi tre gravi articoli procede in questo modo. Che in prima
dice che sovente e molto ae pensato che effetto proviene d'eloquenza.
Nella seconda parte pruova lo bene e '1 male chende venia e qual più.
Nella terza parte dice tre cose. In prima, dice che pare a lui di sapienzia; apresso
dice che pare a lui d' eloquenzia. E poi dice che pare a lui di sapienza ed
eloquenzia congiunte insieme. Nella quarta parte sì mette le pruove sopra
questi tre articoli che sono detti, e conclude che noi dovemo studiare in
rettorica, recando a ciò molti argomenti, li quali muovono d' onesto e d'
utile e lo possibile e necessario. Nella quinta parte mostra di che
e come egli tratta in questo saggio. E poi che nel suo cuminciamento dice come
molte fiate e lungo tempo pensa del bene e del male che fosse advenuto,
immantenente dice del male per accordarsi a' pensamenti delli uomini che si
ricordano più d'uno nuovo male che di molti beni antichi; e cosi
Tulio, mostrando di non ricordarsi delli antichi beni, s' infigne
di biasraare questa scienzia per potere più di sicuro lodare e
difendere. E per le sue propie parole che sono scritte nel testo di sopra
potemo intendere apertamente che in queste medesime parole ove dice che i
mali che per eloquenza sono advenuti e che non si possono celare, in
quelle medesime la difende abassando e menimando la malizia. Che là
dove dice dannaggi si suona che siano lievi danni de' quali poco cura la
gente. E là dove dice del nostro comune altressì abassa del male, acciò
che più cura l'uomo del propio danno che del comune; e dicendo NOSTRO comune intendo
ROMA, però che Cicerone e cittadino di Roma nuovo e di non grande altezza;
ma per lo suo senno fue in sì alto stato che TUTTA ROMA si tenea alla sua
parola, e fue al tempo di Catellina, di Pompeio e di Giulio Cesare, e per
lo bene della terra fue al tutto contrario a Catellina. Et poi nella
guerra di Pompeio e di Giulio Cesare si tenne con Pompeio, sicome tutti '
savi eh' amano lo stato di Roma. E forse l'appella nostro comune però che
ROMA èe capo del mondo e comune d'ogne uomo. Et là dove dice
l'antiche adversitadi altressì abassa il male, acciò che delli antichi
danni poco curiamo. Et là dove dice grandissime cittadi altressì abassa '1
male, però che, sì come dice il buono poeta LUCANO, non è conceduto
alle grandissime cose durare lungamente; e l'altro dice che le grandissime
cose rovinano. E così non pare che eloquenza sia la cagione (iel male che
viene alle grandissime città. E là dove dice che danni sono advenuti per
nomini molto parlanti 'sanza sapienza, manifestamente abassa '1 male e difende
rettorica, dicendo che '1 male è per cagione di molti parlanti ne'
quali non regna senno. E non dice che il male sia per eloquenza, che
dice Vittorino. Questa parola eloquenza suona bene. E del bene non puote male
nascere. Questo è bello colore rettorico, difendere quando mostra di biasmare ed
accusax'e quando pare che dica lode. E questo modo di parlare àe nome INSINUAZIONE,
O IMPLICATURA, del quale dice il saggio in suo luogo. Et qui si parte il
conto da quella prima parte del prologo nella quale CICERONE dice il suo
pensamento ed dice li mali avenuti, e ritorna alla seconda parte nella
quale dimostra de' beni che sono pervenuti per eloquenza. Sì come quando
ordino di ritrarre dell'anticiie scritte le cose che sono fatte lontane
dalla nostra ricordanza per loro antichezza, intendo che eloquenza
congiunta con ragione d'animo, cioè con sapienza, piìie agevolemente àe potuto
conquistare e mettere inn opera ad edifficare cittadi, a stutare molte
battaglie, fare fermissime compagnie et anovare santissime amicizie. Poi che Cicerone
divisa li mali che sono per eloquenza, sì divisa in questa parte li beni, e CONTA
PIU BENI CHE MALI perciò che più intende alle lode. E nota che dice son messe ordinatamente
acciò che prima si raunaro gli uomini in- sieme a vivere ad una ragione
et a buoni costumi et a multiplicare d' avere ; e poi che furo divenuti
ricchi montò tra lloro invidia e per la 'nvidia le guerre e le
battaglie. Poi li savi parladori astutaro le battaglie, et apresso gl’uomini
fecero compagnie usando e mercatando insieme; e di queste compagnie
cuminciaro a ffare ferme amicizie per eloquenzia e per sapienzia. 3. Ma
ssi come dice e signifficano queste parole, per più chiarire l'opera è
bene convenevole di dimostrare qui che è cittade e che è compagno e che
è 15. amico e che è sapienzia e che è eloquenzia, perciò che
Ilo sponitore non vuole lasciare un solo motto donde non dica tutto
lo 'ntendimento. Che è cittade. Cittade èe uno raunamento di gente
fatto per vivere a ragione; onde non sono detti cittadini 20. d'uno
medesimo comune perchè siano insieme accolti dentro ad uno muro, ma quelli che
insieme sono acolti a vivere ad una ragione. Che è compagno. Compagno
è quelli che per alcuno patto si congiugne con un altro ad alcuna cosa
fare; e di questi dice Vittorino che se sono fermi, per eloquenzia poi
divegnono fermissimi. Che è amico. Amico è quelli che per uso di
simile vita si congiugne con un altro per amore insto e
fedele. Verbigrazia: Acciò che alcuni siano amici conviene che siano
d'una vita e d'una costumanza, e però dice «per uso di simile vita » ; e
dice « giusto amore » perchè non sia a cagione di luxuria o d' altre
laide opere ; e dice « fedele i'-in compimento dell'altre
parole ecc. Jf' cioè hediDcar .»/ aslroppiarc, m a storpiare caunano,
corretto poi in raunarono — Af ad avere una ragione, m "al avere una
medesima ragione M l'uno, -If' fuor {cfr. Tesor., vii, 54) — il' montò
loro M-m parlando anno attutato - le guerre — il.' M forme amicitio, »»
forme d'amie— i^:mdichono— i^.- m dimostrare quello — io.- Af' 7 che
sapientla 7 che eloq. .»/' volle intralasciare de genti — V-m raccolti - SI: m
rachollì - 25: M son — S7 : M-m che è coiiipannia — M' si i> — 28 : .V
ad un altro — 3U' por- ciò 31 .
.tf ' conduco insto am. fcerlo per scambio dell'abbreviatura di et con quella
di con) U ad altre amore » perchè non sia per gnadagneria o solo per utilitade,
ma sia per constante vertude. Et cosi pare manife- mente che quella
amistade eh' è per utilitade e per dilet- tamento nonn è verace, ma
partesi da che '1 diletto e l'uttilitade menoma. Che è sajoiemia.
Sapienzia è comprendere la verità delle cose si come elle sono. Che
è eloquenzia. Eloquenzia è sapere dire addome parole guernite di buone sentenzie. 10.
TnUio. Et così me lungamente pensante la ragione stessa mi mena in
questa fermissima sentenza, che sapienzia sanza eloquenzia sia poco utile
a le cittadi, et eloquenzia sanza sapienza è spessamente molto dampnosa e
nulla fiata utile. Per la qual cosa, se alcuno in- l.ó. tralascia
li dirittissimi et onestissimi studii di ragione e d'officio e consuma
tutta sua opera in usare sola parladura, cert' elli èe citta- dino
inutile al sé e periglioso alla sua cittade et al paese. Ma quelli il quale
s' arma sie d'eloquenzia che non possa guerriere contra il bene del
paese, ma possa per esso pugnare, questo mi pare uomo e 20.
cittadino utilissimo et amicissimo alle sue (>) et alle publiche
ragioni. Lo sponitore. Poi che CICERONE ha dette le prime due
parti del suo prologo, si comincia la III parte, nella quale dice tre
cose. Imprima dico che pare a llui di sapienzia, infino là dove 25.
dice : « Per la qual cosa ». Et quivi comincia la seconda, nella quale
dice che pare a llui d'eloquenzia, infino là ove dice : « Ma quello il
quale s' arma ». Et quivi comincia la terza, ne la quale dice che pare a
llui dell'una e dell'altra giunte insieme. 3: M' om. e
— 4: M- pdesi — m diloclamento 7 l'util., .tf' l'utilitade 1 diloclo —
8-9: .»/ ad ongno parole, m ogni paroleM-m om. sia.... sapienza — i-J : M' om.
molto ^ i5: M-m lassa indireotissimi (m idireuissimi) — IG: M-m sola la
parlatura — 18: 3l-m sama — .)/ giuriare, m ingiuriare — Ì9-20.- .1/
luiomo cittadino, »i mi pare cittadino — .V-»i a' suoi — .?3 • .1/
conincìa — S4 : M insini, .)/' inlìn là ove (cfr. Tcsnr.. xi, 1074) — So:
yr-ìii dice jiarla — M-m qui - 26: M insino m là dove —M-m la (|ual dice. (1)
Questa lezione è oonfennata dal § 5 del coniuiento: « utile a ssè et al
suo paese. Onde dice Vittorino: Se noi volemo mettere avac- ciamente in
opera alcuna cosa nelle cittadi, sì ne conviene avere sapienzia giunta
con eloquenzia, però che sai)ienzia sempre è tarda. Et questo appare
manifestamente in alcuno V 5. savio che non sia parlatore, dal quale se
noi domandassimo uno consiglio certe noUo darebbe tosto cosìe come se
fosse bene parlante. Ma se fosse savio e parlante inmantenente ne
farebbe credibile di quel che volesse. 3. Et in ciò che dice Tulio di
coloro che 'ntralasciano li studii di ragione e d' officio, intendo là
dove dice « ragione » la sapienzia, e là dove dice « officio » intendo le
vertudi, ciò sono prodezza, giustizia e l'altre vertudi le quali anno
officio di mettere in opera che noi siamo discreti e giusti e bene
costumati. Et però chi ssi parte da sapienzia e da le vertudi e
studia 15. pure in dire le parole, di lui adviene cotale frutto che,
però che non sente quel medesimo che dice, conviene che di lui
avegna male e danno a ssè et al paese, però che non sa trattare le propie
utilitadi uè Ile (i) comuni in questo tempo e luogo et ordine che
conviene. 5. Adunque colui che ssi mette 1' arme d' eloquenzia è utile a
ssè et al suo paese. Per questa arme intendo la eloquenzia, e per
sapienzia intendo la forza; che sì come coli' arme ci difendiamo
da' nemici e colla forza sostenemo 1' arme, tutto altressì per eloquenzia
difendemo noi la nostra causa dall'aversario 2.5. e per sapienzia
ne sostenemo (2) di dire quello che a noi potesse tenere danno. Et in
questa parte è detta la terzia parte del prologo di Tulio. 6. Dunque vae
il conto alla quarta parte del prologo, per provare ciò eh' è detto
da- vanti et a conducere che noi dovemo studiare in rettorica
i : M Lande — M' avacciatamente, ma L avacciamente — S: m si cci
conv. — 0; m ODI. cosio, M e' noi darebb»; cos'i tosto M' credibile
quello, m di quello — .)/' disse — 10: .Vi om. il 2' et 12: .»/' et altro — 13: .»f' che non siano —
i4.- .V-m dall'altre ver- tufli — 15:m adiviene — 16 : jn a lini : solo L nelle ; (jli altri mss. e S nelli
(.)/' nel!) -- 19: M Adunque che colui — 22: M-m torma — M ne dil'ondono,
m noi ci difendiamo — 23: il l'armi - 23-24: Af difendo — m così altresì
la eloquenzia difendo noi dal nostro aversario la nostra cliausa — 25: m
om. ne; S non sostenemo — 26: m a noi potesse ave- jjire (li danno, .V
che noi potessimo tenere danno — 28-29: m dinanzi e; Jfi om. et.
(1) Cos'i richiede il senso; la lezione nelli ò nata certamente dall'aver
preso l'aggettivo comuni per un sostantivo. (2) Intendo ne
sostenemo = « ci tratteniamo, ci asteniamo », coni' è richiesto dal senso
e secondo gli esempii citati dal Vocabolario della Crusca. per avere
eloquenzia e sapienzia: e sopra ciò reca Tulio molti argomenti, li quali
debbono e possono così essere, e tali che conviene che sia pur così, e di
tali eh' è onesta cosa pur di cosi essere ; e sopra ciò ecco il testo di
Tulio CICERONE in lettera grossa, e poi seguisce la disposta in lettera
sot- tile secondo la forma del libro. Tullio CICERONE. Dunque
se noi volemo considerare il principio d'eloquenzia la quale sia
pervenuta in uomo per arte o per studio o per usanza lo. per forza
dì natura, noi troveremo che sia nato d'onestissime cagioni e che ssia
mosso d'ottima ragione, (e. li) Acciò che fue un tempo che in tutte parti
isvagavano gli uomini per li campi in guisa di bestie e conduceano lor
vita in modo di fiere, e facea ciascuno quasi tutte cose per forza di
corpo e non per ragione l.j. d'animo; et ancora in quello tempo la
divina religione né umano officio non erano avuti in reverenzia. Neuno
uomo avea veduto le- gittimo managio, nessuno avea connosciuti certi
figliuoli, né aveano pensato che utilitade fosse mantenere ragione et
agguallianza. E così per errore e per nescìtade la cieca e folle ardita
signorìa dell'animo, cioè la cupìditade, per mettere in opera sé medesima
misusava le forze del corpo con aiuto dì pessimi seguitatori. Lo
sponitore. In questa parte del prologo vogliendo Tulio CICERONE dimostrare
che ELOQUENZA nasce e muove jper cagione e 2.5. per ragione ottima
et onestissima, sì dice come in alcuno tempo erano gli uomini rozzi
e nessci come bestie; e del- 3: ìl-m tale — .1/' jdii' che
cosi sia - 4 : m pure ili dovere così essere-, .1/' de pur essere — .5 J/
' la spositione — 9-tO: .»/' o per l'orca di natura o per usanca — H: m
d'ottime chagioni 7 ragione — 12: il-m in tempo — 13: it^ lor vita per li
campi in modo de bestie 7 de fiere — 14: i/' om. e [non p. r.| —M
maritaggio — M iihylosofi, m lilo- safi — 18: M j gualianoa - 19: il^-L
ignoranza, m necessitade — .»A' la cieca la folle 7 ardita — 20: M-m per
mette — M-m (fuivi susavano, l. masusavano — 21:31' seguitori — 23: M-1U
nm. quarta — 24: m om. e per ragione — 26: il' nefa, m noscii. l'uomo
dicono li filosofi, e la santa scrittura il conferma, che egli è
fermamento di corpo e d' anima razionale, la quale anima per la ragione
eh' è in lei àe intero conoscimento delle cose. 2. Onde dice Vittorino:
Sì come menoma la forza 5. del vino per la propietade del vasello nel quale
è messo, cosie r anima muta la sua forza per la propietade di quello
corpo a cui ella si congiunge. Et però, se quel corpo è mal di-
sposto e compressionato di mali homori, la anima per gra- vezza del corpo
perde la conoscenza delle cose, sì che appena puote discernere bene da
male, sì come in tempo passato neir anime di molti le W quali erano
agravate de' pesi de' corpi, e però quelli uomini erano sì falsi et
indiscreti che non conosceano Dio né lloro medesimi. Onde misusavano le
forze del corpo uccidendo l'uno l'altro, tol- 15. liendo le cose
per forza e per furto, luxuriando malamente, non connoscendo i loi'o
proprii figliuoli né avendo legittime mogli. Ma tuttavolta la natura,
cioè la divina disposi- zione, non avea sparta quella bestialitade in
tutti gli uomini igualmente; ma fue alcuno savio e molto bello dici-
20. tore il quale, vedendo che gli uomini erano acconci a ragionare, usò
di parlare a lloro per recarli a divina conno- scenza, cioè ad amare Idio
e '1 proximo, sì come lo sponi- tore dicerà per innanzi in suo luogo; e
perciò dice Tulio nel testo di sopra che eloquenzia ebbe cominciamento
per 25. onestissime cagioni e dirittissime ragioni, cioè per
amare Idio e '1 proximo, che sanza ciò l' umana gente non arebbe
durato. 4. Et là dove dice il testo che gli uomini isvaga- vano per li
campi intendo che non aveano case né luogo, 1: M' i figluoli
(corretto poi lilosofi) — M' sucra — S : M' eh ehi ì\ l'ormato — 3: in-
tero è in M'-L; il lùlo (incerto?), m inerito — 4: M Ondee — 7 : m al (|uale —
8: M-m mali hiiomini — 9: m per la gravezza — .«' de corpo iO: M bone dal
mali', hi il bone dal male — il: M'-L animo — .V-m i quali erano
agravate, M'-L li quali orano aggravati — i2: W del peso de corpi, L de' pesi del
corpo V in lor medesimo — 14: lU-m Ivi susavano — 18: M-m nonn ào — M
bestilitade — 10: M' oiii. savio o — SI: W tralloro — 23: M' qa\ dinanzi
- S4: W e cornine, >S ha cornine. — 26-27: »l' non averla durata, L
non avrìa durato — i« K colà. (1) È lezione congetìurale, ma
l'unica possìbile : le quali si cambiò facilmente in li quali (o i quali)
per effetto del molti che precedeva, e da li quali, natural- mente, venne
in M'-L anche il maschile angraoati invece di aggravate. Che si tratti
solo delle animo risulta da tutto il periodo, e in particolare dallo
parole - la anima per gravezza del corpo ». ma andavano qua e
là come bestie. 5. Et là dove dice che viveano come fiere intendo che
mangiavano carne cruda, erbe crude et altri cibi come le fiere. 6. Et là
dove dice « tutte cose quasi faceauo per forza e non per ragione »
5. intendo che dice « quasi » che non faceano però tutte cose per forza,
ma alquante ne faceano per ragione e per senno, cioè favellare,
disidejare et altre cose che ssi muovono dall' animo. Et là dove dice che
divina religione non era reverita intendo che non sapeano che Dio (D
fosse. Et là dove dice dell' umano ofiìcio intendo che non sa- peano
vivere a buoni costumi e non conosceano prudenzia né giustizia né l'altre
virtudi. Et là dove dice che non mauteneano ragione intendo « ragione »
cioè giustizia, della quale dicono i libri della legge che giustizia è
perpetua e 15. ferma volontade d'animo che dae a ciascuno sua
ragione. Et là dove dice « aguaglianza » intendo quella ragione che
dae igual i)ena al grande et al piccolo sopra li eguali fatti. Et là doye
dice « cupiditade » intendo quel vizio eh' è contrario di temperanza; e
questo vizio ne -conduce 20. a disidei-are alcuna cosa la quale noi
non dovemo volere, et inforza nel nostro animo un mal signoraggio, il
quale noi permette rifrenare da' rei movimenti. 12. Et là dove dice
« nescitade » intendo eh' è nnone connoscere utile et inutile; e però
dice eh' è cupidità cieca per lo non sapere, 25. e che non conosce
il prode e '1 danno. 13. Et là dove dice « folle ardita » intendo che
folli arditi sono uomini matti e ratti a ffare cose che non sono da
ffare. 14. Et là dove dice « misusava le forze del corpo » intendo misusare
cioè i-2: M-m om. Et là.... come licre — 3 : M erbi ciiiili,
.1/' 7 erbe crude — 4-6: m l'a- ceano quasi per forza; poi, saltando al
2° forza, continua: ma al([uanle ecc. — 7: .i/'-L dice quasi perciò ke ne
faciano | tutte cose per forza 7 non per ragione intendo Ice dice quasi,
ma alquante ne faceano M' che muovono — 9: M-m chi idio — 11: .1/' ne
prudenza — 14: m' de legge — 14-15: m' ferma 7 perpetua voluntà — /": .1/
egual — 18: M' mìsfacti — M lae — .V quello e poi rasura su cui
altra mano scrisse apetito, t quello che contrario, S quello appetite V
om. noi - 22: M-m non permette M-m necessilade, .V ignoranza che non
conosce il prode ol danno ~ m intendo che non è — m dal danno — 27: .M-m
e tratti, L orati — 2é?: J/ emusavano, jiiemisusavano — .u misusere, .V'
misure, L misusare — m che misusare è usare. Cioè « che Dio esistesse ».
Così mi par preferibile per il senso; e la lezione di M-m è facilmente
spiegabile da un che Mio diventato eh' idio, chi dio; è vero però che le
ragioni paleografiche varrebbero anche per il caso inverso. usare in mala
parte ; che dice Vittorino che forza di corpo ci è data da Dio per usarla
in fare cose utili et oneste, ma coloro faceano tutto il contrario. Ora à
detto lo sponi- tore sopra '1 testo di Tulio le cagioni per le quali
eloquenzia cominciò a parere. Omai dicerae in che modo appario e come si
trasse innanzi. Nel quale tempo lue uno uomo grande e savio, il quale
cognobbe che materia e quanto aconciamento avea nelli animi delli uomini a
grandissime cose chi Ili potesse dirizzare e megliorare per comandamenti.
Donde costrinse e raunò in uno luogo quelli uomini che allora erano
sparti per le campora e partiti per le nascosaglie silvestre ; et
inducendo loro a ssapere le cose utili et oneste, tutto che alla prima
paresse loro gravi per loro disusanza, poi T udirò 15.
studiosamente per la ragione e per bel dire; e ssì Ili arecò umili e
mansueti dalla fierezza e dalla crudeltà che aveano. Lo
sjaonitore. 1. In questa i)arte vuole Tulio dimostrare da cui e
come cominciò eloquenzia et in che cose ; et è la tema cotale
20. In quel tempo che Ila gente vivea così malamente, fue un uomo
grande per eloquenzia e savio per sapienzia, il quale cognobbe che
materia, cioè la ragione che l' uomo àe in sé naturalmente per la quale
puote l' uomo intendere e ragio nare, e l'acconciamento a fare
grandissime cose, cioè a ttenere i)ace et amare Idio e '1 proximo, a
ffai-e cittadi, castella e magioni e bel costume, et a ttenere iustitia
et a vivere ordinatamente se fosse chi Ili potesse dirizzare, cioè
ritrarre da bestiale vita, e mellioi-are per comanda- menti, cioè per
insegnamenti e per leggi e statuti che Ili 2: M' om. ci —
3-4: M-iii Or o della la sposilione — 5: M-m loninciò (hi coro). 7 pare —
M' oggimai — 6: M-m apparve — 8: il' uno buono — iO: 31' adrinure 12:
M-m per campora — 12-13: M-w le nascose selve 13: M-m et facciendo loro
as- sapere — 14: M' grave - L'i: M' si Hi recò — 16: M' crudelilà — 23:
M-m nm. l'uomo — 24 : M-m el lo ncomincianiento, L el chominciamenlo —
25: M'el ad amare ~ 26: M' 7datener — 27: M' chi le polesse adrifrure - m
om. potesse — 28: M' enirare da b. v. afrenasse (1). 2. Et qui cade
una quistione, che potrebbe alcuno dicere: « Come si potieno melliorare,
da che non erano buoni? >. A cciò rispondo che naturalmente era
la ragione dell'anima buona; adunque si potea migliorare nel 5.
modo eh' è detto. 3. Donde questo savio costrinse - e dice che i «
costrinse » però che non si voleano raunare - e raunò - e dice « raunò »
poi che elli vollero. Che '1 savio uomo fece tanto per senno e per
eloquenzia, mostrando belle ragioni, assegnando utilitade e metendo del
suo in 10. dare mangiare e belle cene e belli desinari et altri
piaceri, che ssi raunaro e patiero d'udire le sue parole. Et elli
in- segnava loro le cose utili dicendo: « State bene insieme, aiuti
l'uno l'altro, e sarete sicuri e forti; fate cittadi e ville *. Et
insegnava loro le cose oneste dicendo : « Il pic- 15. colo onori il
grande, il figliuolo tema il suo padre » etc. Et tutto che, dalla prima, a
questi che viveano bestial- mente paresser gravi amonimenti di vivere a
ragione et ad ordine, acciò eh' elli erano liberi e franchi naturalmente
e non si voleano mettere a signoraggio, poi, udendo il bel dire 20.
del savio uomo e considerando per ragione che larga e li- bera licenzia
di mal fare ritornava in lor gi"ave destruzione et in periglio de
l'umana generazione, udirò e miser cura a intendere lui. Et in questa
maniera il savio uomo li ri- trasse di loro fierezza e di loro crudeltade
- e dice « fierezza » perciò che viveano come fiere; e dice « crudeltade
» perciò che '1 padre e '1 figliuolo non si conosceano, anzi
uccidea l'uno l'altro - e feceli umili e mansueti, cioè vo- lontarosi di
ragioni e di virtudi e partitori (2) dal male. 1 : m rafrenasse,
S affrenassono — J/ " Et acade, L e ecci una (\. — 2 : il poneno
(cerio per falsa lettura di potieno; cfr. Wiese in Zeilsch. f. Rom.
Pini., VII, 330, g i33), m il' poteano — 4: m dunque — 6: it-iii om. che
i — 9: W l'utilitade — i^l' metendo '1 suo - 10: m mangiare cene e
desinari 19: il sottomettere — 20-23: it-m om. e considerando.... il
savio uomo — 23-24: m si ritrassono — 24: il lore fier., M' lor fior, — me
dalloro crud. — 24-25: H-m om. e dice.... crudeltade — 26: il' e li
figluoli (ma L el figliuolo) - 28: il' partito, l. e'dipirtironsi, s
partiti. (1) Parrebbe preferibile la lezióne di &'; ma è
significativo il fatto che tutti i mss. abbiano il singolare. Invece di
condannarlo come corruzione comune, basta pensare che sostantivi astratti
come « insegnamenti, leggi e statuti » siano con- siderati formanti un
complesso unico, sì da farli equivalere al singolare (p.es. «ciò»); e
quest'uso del verbo è attestato da un altro passo di Brunetto, IO, 3, e dal
Varchi, Ercolano, ediz. Bottari (Firenze Senza ricorrere ai facili
accomodamenti, conservo la lezione di M inten- dendo « partitore » in
senso riflessivo : « colui che si parte, che si allontana ». Cfr. Manuzzi.
Or à detto CICERONE chi cominciò eloquenzia et intra cui e come; or
dicerà per che ragione, eanza la quale non potea ciò fare.
Tullio. Per la qual cosa pare a me che Ha sapienzia tacita e
povera di parole non arebbe potuto fare tanto, che così subitamente
fossero quelli uomini dipartiti dall'antica e lunga usanza et informati
in diverse ragioni di vita. Lo sponitore. In questa parte dice
Tulio la ragione sanza la quale non si potea fare ciò che fece '1
savio uomo; e dice sapienzia tacita quella di coloro che non danno insegnamento
per parole ma per opera, come fanno ' romiti. Et dice « povera di parole
» per coloro che '1 lor senno non sanno addornar di parole belle e piene
di sentenze a ffar credere ad altri il suo parere. Et per questo potemo
intendere che picciola forza è quella di sapienzia s'ella nonn è congiunta
con eloquenzia, e potemo connoscere che sopra tutte cose è grande
sapienzia congiunta con eloquenzia. Et là dove dice « così subitamente »
intendo che quello savio uomo arebbe bene potuto fare queste cose per
sapien- zia, ma non cosi avaccio né così subitamente come fece
abiendo eloquenzia e sapienzia. Et là dove dice « in di- verse ragioni di
vita » intendo che uno fece cavalieri, un 25. altro fece cherico, e
così fece d'altri mistieri. Tullio. 7. Et così, poi che
Ile cittadi e le ville fuoron fatte, impreser gli uomini aver fede, tener
giustizia et usarsi ad obedire l'uno l'altro per propia volontarie et a
sofferire pena et affanno non solamente 2 : M-m om. e come —
sanza (luale — 5: M-m Per ((ualcosa - 7 : M' luioniiiii quelli — 13: M' i
romiti, m li romiti — 14: M-m alloro senno, L in loro senno — i7: M-m om.
che — i9: M' giunta 22: Af' si avaccio —
23: M-m om. e sapienzia — 28: m ad avere lede 7 tenere.... adusarsi — M
l'uno a l'altro. A qualcuno e sapienzia potrà sembrare un'aggiunta
arbitraria; ma siccome non è inutile, preferisco mantenerlo. per la
comune utilitade, ma voler morire per essa mantenere. La qual cosa non
s'arebbe potuta fare d) se gli uomini non avessor po- tuto dimostrare e
fare credere per parole, cioè per eloquenzia, ciò che trovavano e
pensavano per sapienzia. 8. Et certo chi avea forza e 5. podere sopra
altri molti non averla patito divenire pare di coloro ch'elli potea
segnoreggiare, se non l'avesse mosso sennata e soave parladura; tanto era
loro allegra la primiera usanza, la quale era tanto durata lungamente che
parea et era in loro convertita in natura. Donde pare a me che così
anticamente e da prima nasceo e mosse eloquenzia, e poi s'innalzò in
altissime utilitadi delli uo- mini nelle vicende di pace e di
guerra. Lo sponitore. I. In questa parte dice Tulio che
cciò che sapienzia non avrebbe messo in compimento per sé sola, ella
fece 15. avendo in compagnia eloquenzia; e però la tema èe
cotale: Si come detto è davanti, fuoro gli uomini raunati et inse-
gnati di ben fare e d'amarsi insieme, e però fecero cittadi e ville; poi
che Ile cittadi fuor fatte impresero ad avere fede. Di questa parola
intendo che coloro anno fede che 20. non ingannano altrui e che non
vogliono che lite né di- scordia sia nelle cittadi, e se vi fosse sì la mettono
in pace. Et fede, sì come dice un savio, è Ila speranza della cosa
promessa; e dice la legge che fede è quella che promette l'uno e l'altro
l'attende. Ma Tulio medesimo dice in un altro libro delli offici che fede
è fondamento di giiistizia, veritade in parlare e fermezza delle
promesse; e questa ée quella virtude eh' é appellata lealtade. E così
sommata- mente loda Tulio eloquenzia con sapienzia congiunta, che
2: ilf'-£ potuto - M' om. non — 4: Jlf> Certo — 5: M-m vinavea
charebbono potuto divenire paii — 6: M-m chelli poteano, M^-L cui potea M-m santa 7: M^-L allegrezza 8-9 : M era converita la loro natura, m era
convertila in loro natura 9 : m onde
— 14-15: M^ il fece in compagnia d'eloquentia.... si ò cotale —M-m detto
oe dinanci 19: 3/' fede, 7 di q. p. — PO : M^ om. e o discordia — 21-22:
M-m in pace et in fede — m om. è - 23: M^ quello, ma L quella — 26: M-m
et intermezza — M' de- lenpromesse — 27: M legheltade (?«a cfr. Texor.,
XVII, 15) — M somatamente, m asommatam. congiunta con sapienzia.
(1) Sarà certo da legger così, e non sarebbe si sarebbe, poiché di
quest'uso dell' ausiliare avere presso gli antichi non mancano esempli
sicuri : cfr. la nota di M. Barbi nella sua ediz. della Vita Nuova, 2, e
ciò che aggiunse il Parodi in Bullett. della Soc. Bant. Lo stesso si dica
per s'areb- hono del commento, sanza ciò le grandissime cose non
s'arebbono potute met- tere in compimento, e dice che poi àe molto de ben
fatto in guerra et in pace. Et per questa parola intendo che tutti
i convenenti de' comuni e delle speciali persone corrono per due stati o
di pace o di guerra, e nell' uno e nell'altro bi- sogna la nostra
rettorica sì al postutto, che sanza lei non si potrebbono
mantenere. Tullio. Ma poi che Ili uomini, malamente seguendo
la vìrtude sanza 10. ragione d'officio, apresero copia di parlare, usaro
et inforzaro tutto loro ingegno in malizia, per che convenne che ile
cittadi sine gua- stassero e li uomini si comprendessero di quella
ruggine, (e. Ili) Et poi che detto avemo la cumincianza del bene,
contiamo come cuminciò questo male. Poi che CICERONE avea detto
davanti i beni che sono advenuti per eloquenzia, in questa parte dice i
mali che sono advenuti per lei sola sanza sapienzia; ma perciò che
Ila sua intentione è più in laudarla, sì appone elli il male a coloro che
Ila misusano e non a Ilei. 2. Et sopra ciò la tema è cotale: Furono
uomini folli sanza discrezione, li quali, vegga ndo che alquanti erano in
grande onoranza e montati in alto stato per lo bell.o parlare ch'usavano
se- condo li comandamenti di questa arte, sì studiaroO solo
in parlare e tralasciare lo studio di sapienzia, e divennero sì
copiosi in dire che, per l'abondanza del molto parlare sanza condimento
di senno, che (2) cumìnciaro a mettere cioè — 2: M-in che
poi {ni, om. poi) a molli a Dio ben facto — -J: M om. duri stali — i 1 : M
conviene, M' conveiiia — IS: M-m om. e li uomini si compren- dessero —
13: M \a cunincianza (e cluininciò)3/' il cuminciamento — 16: m ave...
dinanzi — 18: M^ dopo advenuti ripete per eloquenlia in quesUi
parte (ma ri son trticiie di etpun- zione) — 19: m om. elli — 20: M El
perciii — 24: M' il comandamento.... studiavano — 25 : ilf
intralassai-o, m e lasciaro - 20: M' de molto — m om. elio. (1)
Invece di si studiavo credo preferibile studiavo in senso assoluto, come
già si è trovato, 3, § e studia puro in dire le parole. Sintatticamente
questo che ò pleonastico; ma ò attestato da ambedue le famiglie di codici
e non costituisce una rarità per il nostro volgare antico (anzi, per
Brunetto stesso, cfr. IO, 1: avegna che ma tutta volta). sedizione
e distruggi mento nelle cittadi e ne' comuni et a corrompere la vita
degli uomini; e questo divenia però ch'ellino aveano sembianza e vista di
sapienzia, della quale erano tutti nudi e vani. 3. Et dice Vittorino che
eloquenzia 5. sola èe appellata « la vista », perciò che ella fae parere
che sapienzia sia in coloro ne' quali ella non fae dimoro. Et
queste sono quelle persone che per avere li onori e F utti- litadi delle
comunanze parlano sanza sentimento di bene; così turbano le cittadi et
usano la gente a perversi costumi. Et poi dice Tulio: Da che noi avemo
contato '1 principio del bene, cioè de' beni che avenuti erano per
eloquenzia, si è convenevole di mettere in conto la 'ncumincianza
del male chende seguitò. Et dice in questo modo nel testo:
Tullio tratta della comincianza del male 15. adveniito per
eloquenzia. Et certo molto mi pare verisimile: in alcuno tempo gli
uomini che non erano parlatori et uomini meno che savi non usa- vano
tramettersi delle publiche vicende, e che W gli uomini grandi e savi
parlieri non si trametteano delle cause private. E con ciò 20.
fosse cosa che sovrani uomini regessero le grandissime cose, io mi penso
che furo altri uomini callidi e vezzati i quali avennero a trattare le
picciole controversie delle private persone; nelle quali controversie
adusandosi gli uomini spessamente a stare fermi nella bugia incon- tra la
verità, imperseveramento di parlare nutricò arditanza 25. 11. Sì
che per le 'ngiurie de' cittadini convenne per necessitade che'
maggiori si contraparassono agli arditi e che ciascuno atoriasse le sue
bisogne; e così, parendo molte fiate che quello eh' avea impresa sola eloquenzia
sanza sapienzia fosse pare o talora più innanzi che quello che avea
eloquenzia congiunta con sapienzia, i-2: m nelle loro
ciltadi — M' om. et a corr.... uomini — 2: m avenia — 3 kelli aveano
sombianca de giusta sap. — 4: m om. Et — 6: M' li quali — 7: M' questi — 10: m
om. Et — 11: M' bone kavenuto era - 12: 1/' il cominciamento — i3: Jlf
chende seguita, j/i che ne seguita - 16: M et certo mo, la Certo modo M
meno di savi, m ch'erano meno che savi — 17-18: M-m non sapeano, L non
osavano — M-m om. e — 19: Jlf sin- trametteano dele cose 21: M-m om. uomini — M verrali — 3f' vennero 22: M' om. delle pr.... controversie —
23: M-m om. spessamente — 24: M' il persev. - 26: M' aiutasse m adornasse
— 29: M' giunta. Un costrutto più regolare si avrebbe sopprimendo il che o
inserendone un altro dopo verisimile; appunto. per questo conservo' il
che, non sembrando proba- bile che un copista volesse complicare di suo.
Questa maggiore libertà sintattica non è nuova. aveni'a che, per
giudicio di moltitudine di gente e di sé medesimo paresse essere degno di
reggiere le publiche cose. E certo non ingiustamente, poi che' folli
arditi impronti pervennero ad avere reggimenti delle comunanze,
grandissime e miserissime tempestanze adveniano molto sovente; per la qual
cosa cadde eloquenzia in tanto odio et invidia che gli uomini
d'altissimo ingegno, quasi per scampare di torbida tempestade in sicuro
porto, così fuggiendo la discordiosa e tumultuosa vita si ritrassero ad
al- cuno altro queto studio. Per la qual cosa pare che per la loro
posa li altri dritti et onesti studii molto perseverati vennero in
onore. Ma questo studio di rettorica fue abandonato quasi da tutti
loro, e perciò tornò a neente, in tal tempo quando più inforzatamente
si dovea mantenere e più studiosamente crescere; perciò che quando
più indegnamente la presumptione e l'ardire de' folli impronti manimettea e
guastava la cosa onestissima e dirittissima con troppo gravoso danno dei
comune, allora era più degna cosa contrastare e consigliare la cosa
publica. Della qual cosa non fugìo il nostro Catone né Lelius né, al ver
dire, il loro discepolo Àffricano, né i Gracchi nepoti d' Àffricano, ne'
quali uomini era sovrana virtude et altoritade acresciuta per la loro
sovrana virtude; sì che la loro eloquenzia era grande adornamento di loro
et aiuto e mantenimento della comunanza. Lo
sponitore. In questa parte divisa Tulio come divennero quelli due
mali, cioè turbare il buono stato delle cittadi e corrompere la buona vita e
costumanza delli uomini; et avegna che '1 suo testo sia recato in sie
piane parole che molto fae da intendere tutti, ma tutta volta lo
sponitore dirae alcune parole per più chiarezza. 2. Et è la tema cotale:
La elo- 1 : M-m avogiia — 2: M per essoi-o degno d'essere 7
di reggiere, M' paresse degno de reggere — 3: M' poi ke fuor iaiditi in
pronti, m enpronti — 4-5 : M' pervennero i reggìm. — 7 de miserissime
tempeste — spessamente — 7 : M' lempcstande — * : M-m la discordia (m
echontumulosa) — 9 : Tutti i mss. questo, S posato - M-m possa — i i : itf '
do tutto loro " i4: M dì [olii — 18-19: M ne nelilio - M-m om. nò i
G. n. d'AII'ricano — Jlf' erano sovrane vertudi — 26: M' la vita 7 la
buona costumanca - 27: M< suo stato — m in se — 28: itf' om. tutti, ma
— M' alcuna parola — S9: Af' Et la tema 6 cotale. De la el. ecc. È
possibile tanto la lezione di Af quanto quella di m; ma proferisco questa
perchè corrisponde alle parole del commento, § 6: « pareano essere degni». Il
testo latino ha studium aliquod quieUtm. Lo scambio di queto por questo
era facilissimo, e forse risalo r.llo iirimo copio. quenzia mise in sì
alto stato i parladori savi e guerniti di senno, che per loro si reggeano
le cittadi e le comunanze e le cose publiche, avendo le signorie e li
officii e li onori e le grandi cose, e non si trametteano delle cause
private, cioè 5. delle vicende delli uomini speciali, né di fare
lavoriere né altre picciole cose. Ma erano altri uomini di due maniere: l'una
che non erano parlatori, l'autra che non aveano sa- pienzia, ma erano
gridatori e favellatori molto grandi; e questi non si trametteano delle
cose publiche, cioè delle signorie e delli officii e delle grandi cose del
comune, ma impigliavansi a trattare le picciole cose delle private
per- sone, cioè delli speciali uomini. 3. Intra' quali furono
alcuni calidi e vezzati - cioè per la fraude e per la malizia che
in loro regnava parea ch'avesse in loro sapienzia-; e questi s'
ausarono tanto a parlare che, per molta usanza di dire parole e di
gridare sopra le vicende delle speciali persone, montare in ardimento e
presero audacia di favellare in guisa d'eloquenzia tanto e sì malamente
che teneano la menzogna e la fallacia ferma contra la veritade.
Onde, per li grandi mali che di ciò adveniano, convenne che' grandi,
ciò sono i savi parladori che reggeano le grandi cose, venissero et
abassassero a trattare le picciole vicende di speciali persone, per
difendere i loro amici e per conta- stare a quelli arditi. Et nota che
arditi sono di due ma- 25. niere : l' una che pigliano a fifare di
grandi cose con prove- dimento di ragione, e questi sono savi; li altri
che pigliano a ffare le grandi cose sanza provedenza di ragione, e
questi sono folli arditi. 5. Donde in questo contrastare i buoni e
savi parlavano giustamente, ma i folli arditi, che non aveano 30.
studiato in sapienzia ma pure in eloquenzia, gridavano e garriano a
grandi boci e non si vergognavano di mentire e di dire torto palese;
sicché spessamente pareano pari di senno e di parlare e talvolta
migliori. Sì che per sentenza 4 : M' om. e non s. t. d.
cause — 5: M-m ont.aò — 6: m odaltre p. o. — 7
M< parliei-i — iO: M' de comuni dele piccole cose cioè che jier
la lYaude ecc. parean (/^ parea) cavassero sapienlia— lo.- 3f< pei' la
molta — 17: M^ presero baldanza — 19: M' con- tro alla verità — 20: A/'
ohi. che d. e. adveniano — m avenia savi e parladori — m le cittadi — 23:
M' appilgliano a taro le g. e. — 26: M^ om. di ragione — L l'altra — 27:
L provedimento — 31-32: Me dire,moHi. mentire e di — 33:M' talocta m. visi che
p.s Cosi leggo con M, piuttosto che lavogarie di ilf' o lavorìi di m:
oltre a lavareria, il Manuzzi registra esempii di lavoriera.
del popolo, la quale è sentenzia vana perciò che non muove da ragione, e
per sentenza di sé medesimo, la quale è per neente, pareano essere degni
di covernare le publiche e le grandi cose, e così furo messi a reggere le
cittadi et alli 5. officii et onori delle comunanze. Et poi che cciò
avenne, non fue meraviglia se nelle cittadi veniano grandissime e
miserissime tempestadi. Et nota che dice « grandissime » per la quantità
e che duraro lungamente, e dice « mise- rissime » per la qualitade, ch'erano
aspre e perilliose chende 10. moriano le persone ; e dice «
tempestanza » per similitudine, che sì come la nave dimora in fortuna di
mare e talvolta crescono (i) in tanto che perisce, così dimora la cittade
per le discordie, et alla fiata montano sicché periscono in sé
medesime e patono distruzione. « Per la qual cosa eloquenzia cadde in tanto
odio et invidia »... Et nota che odio non é altro se nno ira invecchiata;
e così i buoni savi erano stati lungamente irosi, veggiendo i folli
arditi segnoreggiare le cittadi. Et invidia è aflizione che omo àe per
altrui bene; donde i buoni savi aveano molta aflizione per coloro
ch'erano segnori delle grandi cose et erano in onore. 8. Et perciò
li buoni d'altissimo ingegno si ritrassero di quelle cose ad altri
queti studii per scampare della tumultuosa vita in sicuro porto. Et nota:
là dove dice « altissimo ingegno » dimostra bene eh' arebboro potuto e
saputo contrastare a' folli arditi, e perciò che no '1 fecero furo bene da
riprendere. Et in ciò che dice « queti studi » intendo l' altre scienze
di filosofia, sì come trattare le nature delle divine cose e delle
terrene, e sì come l'etica, che tratta le virtudi e le costumanze; et
appellali « queti studii » che non trattano di parlare in comune, e perciò che
ssi stavano partiti dal remore delle genti. Et appella « vita tumultuosa
» che 2: Jl/i per ragione ~ 4: M furoro, M^ fuoro 7 : M-m ismisuratissime ~ 8: SI durano,
m duravano quantitade.... s\ elione moriano - 10: M' tempestade — 14: M'
medesimo ~ 15: m om. Et — 16: m buoni e savi — 18: m om. Et — m i'uomo...
l'al- trui — SO: M> et in lionore erano — m ad altre — M-m questi, M'
certi —om. Et noia la dove — 25 : M-m non fecero — 26 : Tutti i mss questi — 27
: M de trattare — 28: M-m sicome dice che l. — 29: M^ appellasi, L
appellansi — mss. questi Cosi hanno tutti i codici; ma forse dopo crescono è
andato perduto un sog- getto, richiesto dal senso o dalla sintassi, come
i venti o l'onde (abbiamo anche altrove la prova che le due famiglie di
codici risalgono a un capostipite già corrotto). Pure non sarebbe
impossibile sottintendere dal precedente fortuna un soggetto le
fortune. spessamente l'iiuo uomo assaliva l'altro in cittade
coll'arme e talvolta l'uccideva. 9. Et poi che' savi intralassar lo
studio d'eloquenzia, ella tornò ad neente e non fue curata uè pre-
giata. Ma l'altre scienzie di filosofia, nelle quali studiaro, montaro in
grande onore. Et ora riprende Tulio questi savi e dice che fecior questo
a quel tempo che eloquenzia avea più grande bisogno per lo male che
faceano i folli arditi nelle cittadi, e perchè guastavano la cosa
onestis- sima e dirittissima, cioè eloquenzia che ssi pertiene
alle cose oneste e diritte. U. Dalla qual cosa non fugio il nostro
Catone né quelli altri savi ch'amavano drittamente il co- mune et aveano
senno e parlatura; ma dimoraro fermi a consigliare et a difendere il
comune da'garritori folli ar- diti; e però montaro in onore et in istato
sì grande che le loro dicerie erano tenute sentenze, e perciò dice che
in loro era autoritade, che autoritade èe una dignitade degna d'
onore e di temenza. Ma da questo si muove il conto e ritorna a
conchiudere per ragioni utili et oneste e pos- sibili e necessare che
dovemo studiare in eloquenzia, lodala in molte guise. CICERONE conclude
che sia da studiare in rettorica. Per la qual cosa, al mio animo, non
perciò meno è da mettere studio in eloquenzia s' alquanti la misusano in
publiclie et in private cose; ma tanto più clie ' malvagi non abbiano
troppo di podere con grave danno de' buoni e con generale distruzione di
tutti. Maximamente cun ciò sia la verità che rettorica è una cosa la
quale molto s'appartiene a tutte cose, è publiche e private, e per essa
diviene la vita sicura, onesta, inlustre e iocunda; e per essa medesima
molte utilitadi avengono in comune se fia presta la modonatrice di tutte
cose, cioè sapienzia; e per lei medesima abonda a coloro che H'acqui-
stano lode, onore, dignitade; e per essa medesima anno li amici
certissimo e sicurissimo aiutorio. 1: M-m spesse volte — 2: m tralassaro —
8: m le chose honestissime — 10: M (Iride, m diritte — 3f' Dela q. e. —
11: M' dirittamente, m om. — 12: M' dimorato y f.: M 7 folli arditi, £ e
da f. a. — 14: M^ J montaro perciò — 18: m e torna, M 7 condoura tornerà
per ragioni, L e mosterrà per rag. — Jlf-;» honesti ~ 19: M -m necessarie— 20:
m lodarla — ^3: M* misuna, corretto poi misusa — 27: M' molto pertièno
devegna — 28: M> y hon. 7 illustra 7 gioconia, m illustra — 29: M sia — 31:
M^-m 7 honore 7 dignitade. La tema di questo testo è cotale, (H che
dice Tulio: Se alquanti di mala maniera usano malamente eloquenzia,
non rimane pertanto che 11' uomo non debbia studiare in 5. eloquenzia, al
mio animo (cioè per mia sentenza), acciò che ' rei uomini non abbiano
podere di malfare a' buoni né di fare generale distruzione di tutti. Et
nota che di- strutti sono coloro che soleano essere in alto stato et
in ricchezza e poi divennero in tanta miseria che vanno men-
10. dicando. 2. Et poi dice le lode di rettorica, come tocca al
comune et al diviso, e come per lei diviene l'uomo sicuro, cioè che
sicuramente puote gire a trattare le cause, et ap- pena troverai (2) chi
'1 sappia contradiare ; e dice chende diviene la vita « onesta », cioè
laudato intra coloro che '1 15. cognoscono; e dice «illustre», cioè
laudato intra li strani; e dice « ioconda », cioè vita piacevole, però
che ' savi par- lieri molto piacciono ad sé et altrui. 3. Et altressi
molto bene n'aviene alle comunanze jier eloquenzia, a questa con-
dizione : se sapienzia sia presta, cioè se ella sia adiunta
con eloquenzia. Et dice che sapienzia è amodenatrice di tutte cose
però che ella sae antivedere e porre a tutte cose certo modo e certo
fine. 4. Et poi dice che questi che anno elo- quenzia giunta con
sapienzia sono laudati, temuti et amati; e dice che Ili amici loro
possono di loro avere aiutorio sicurissimo, però che appena fie chi Ili sappia
contrastare, poiché sanno parlare a compimento di senno. Et dice «
cer- tissimo » però che '1 buono e '1 savio uomo non si lascia M-m
Lo testo èe cotale, M'-L La tema de questo è cotale — 3: M' aliijuanti —
6: M' de fare male — 7: m om. nota — 9: il' divegnono — 11: M huomo siguro
— 13: M' troverà 14: M-m
laudata.... che cognoscono 15: M'
illustra, L illustro 17: A/' ad altri — M-m nm. Et altressi e n— 19: Hin
presta — M' giunta — 21 :M siae ad intivedere, m a ad antivedere — 22: m
om. Et — 23: M^ 7 temuti — 25: m Tia chelli sappia, M' fie chelli il
sappia — 37: M non so lascia. Anche la lezione di ilf è possibile, ma
forse nacque da un accomodamento arbitrario del testo già corrotto.
Invece quella di M' è spiegabilissima collomissione della parola testo (la
somiglianza con questo rese più facile l' errore) e riceve conforma dal
principio del capitolo seguente, con quell'uniformità di espressione che
è caratteristica di tutto il commento. (2) Troverai è preferibile
come « lectio difflcillor ». Del resto anche in M' po- trebbe trattarsi
non di troverà, ma troverà'. corrompere per amore ne per prezzo né per
altra simile cosa. Et qui si parte il conto e fae nn' ultima
conclusione in questo modo: Tullio conclude in somma. Et però
pare a me che gli uomini, i quali in molte cose sono minori e più fievoli
che Ile bestie, in questa una cosa l'avanzano, che possono parlare ; e donque
pare che colui conquista cosa nobile et altissima il quale sormonta li
altri uomini in quella me- desima cosa per la quale gli uomini avanzano
le bestie. La tema in questo testo è cotale : La veritade è che gli
uomini in molte cose sono minori che Ile bestie e più fievoli, acciò che
sanza fallo il leofante e molti altri animali sono più grandi del corpo che
nonn è l'uomo; e certo il leone e molte altre bestie sono più forti della
persona che ir uomo; e più ancora che in tutti e cinque ' sensi
sono certi animali che avanzano lo senso dell'uomo. Che sanza fallo
lo porco salvatico avanza l'uomo d'udire e '1 lupo cerviere del vedere e
la scimmia del saporare, e l'avóltore 20. dell' anasare ad odorare,
e '1 ragnol del toccare. Ma in questa una cosa avanza 1' uomo tutte le
bestie et animali, che elli sa parlare. Donque quello uomo acquista bene
la sovrana cosa di tutte le buone, che di ben parlare soprastae
alli altri uomini. 25. Tullio dice di che elli tratterà-
16. Et questa altissima cosa, cioè eloquenzia, non si acquista
solamente per natura né solamente per usanza, ma per insegnamento d'arte
altressi. Donque non è disavenante di vedere ciò che dicono coloro i
quali sopra ciò ne lasciaro alquanti comandamenti. Ma anzi
S: il-m un'altra condictione — 7 : M' costui — il-m conquesta — 8: M-m la
quale; om. li — 9 : )» om. cosa e gli uomini — 11: il' de questo t. M'
molti huomini.... minori 7 più fievoli chelle bestie — 15: U-m om. altre
— 16: M' che tucti — 19-20: M-m 7 l'avóltore dell'odore, M']j lavoltoio
delanasare adodorare, L del savorare e odorare, S et l'avoltoio del
nasare et d'odorare — M-M' 7 rangnol, m il rangnolo (ohi. tulli gli e), L a
ra- gnolo — M'-L ne! toccare — 22: M' chelli sanno - 25: M dico che {ma
cfr. ^ \) — 27 : M' per la natura — 2S: M-m nm. d'arte — 29: m
certi. che noi diciamo ciò che ssi comanda in rettorica, pare che sia
a trattare del genere d' essa arte e del suo officio e della fine e
della materia e delle sue parti; imperochè sapute e cognosciute
queste cose, più di legieri e più isbrigatamente potrà l'animo di
ciascuno 5. considerare la ragione e ia via dell'arte. Lo
sponitore. 1. Poi che Tulio avea lodata Rettorica et era
soprastato alle sue commendazioni in molte maniere, sì ricomincia
nel suo testo per dire di che cose elli tratterà nel suo libro. 10.
Ma prima dice alcuni belli dimostramenti, perchè l'animo di ciascuno sia
più intendente di quello che seguirà, e così pone fine al suo prolago e
viene al fatto in questo modo: Tullio ae fiìiito il prolago, e
comincia a dire di eloquenzia. Una ragione è delle cittadi la quale
richiede et è 15. di molte cose e di grandi, intra Ile quali è una grande
et ampia parte l' artificiosa eloquenzia, la quale è appellata Rettorica.
Che al ver dire né cci acordiamo con quelli che non credono che Ila
scienzia delle cittadi abbia bisogno d'eloquenzia, e molto ne discordiamo
da coloro che pensano ch'ella del tutto si tegna in forza et in arte
del 20. parladore. Per la qual cosa questa arte di rettorica porremo in
quel genere che noi diciamo ch'ella sia parte della civile scienzia,
cioè della scienzia delle cittadi. Lo sponitore.
I. In questa parte del testo procede Tulio a dimosti-are ordinatamente
ciò che elli avea promesso nella fine del pro- lago. Et primamente
comincia a dicere il genere di questa arte. Ma anzi che Ho sponitore vada
innanzi sì vuole fare intendere che è genere, perchè l' altre parole
siano meglio intese. Ogne cosa quasi o è generale, sicché comprende
molte altre cose, o è parte di quella generale. Onde questa
1-2: M' (la tratto, poi corr. da trattar.; — 3: M-m generalmente della
decta- arte — 3: m però che - 4: M-m più diligente, M' nm. più — 8: M A
rinconincia — 11 : M' (luelle, ma L quello — 14-13: M'-L richiede molte
cose grandi — 16: M-m cai ver diro — 18: M-m abbiano — 30: M-m [lorromo
quel genero — SG: m quella — S8: M-m y perchè — 29: M ìì quasi generale,
m è quasi geu. — 30: M onde jvirte quella gen. parola, cioè « uomo
», è generale, per ciò che comprende molti, cioè Piero e Joanni etc, ma
questa parola, cioè « Piero, » è una parte- A questa somiglianza, per
dire più in volgare, si puote intendere genere cioè la schiatta;
che 5. chi dice « i Tosinghi » comprende tutti coloro di quella
schiatta, ma chi dice « Davizzo » non comprende se no una parte, cioè un
uomo di quella schiatta. 3. Onde Tulio dice di rettorica sotto quale
genere si comprende, per meglio mostrare il fondamento e Ila natura sua.
Et dice così che Ila 10. ragione delle cittadi, cioè il reggimento
e Ila vita del co- mune e delle speciali persone, richiede molte e grandi
cose, in questo modo: che è in fatti e 'n detti. 4. In fatti è la
ra- gione delle cittadi sì come l'arte W de' fabbri, de' sartori,
de' pannar! e l' altre arti che si fanno con mani e con piedi. In
detti è la rettorica e l'altre scienze che sono in parlare. Adonque la
scienza del governamento delle cittadi è cosa generale sotto la quale si
comprende rettorica, cioè l'arte del bene parlare. Ma anzi che Ilo
sponitore vada più innanzi, pensando che Ha scienza delle cittadi è parte d'
un altro generale che muove di filosofia, sì vuole elli dire un poco
che è filosofia, per provare la nobilitade e l'altezza della scienzia di
covernare le cittadi. Et provedendo ciò ssi pruova l'altezza di
rettorica. 6. Filosofia è quella sovrana cosa la quale
comprende sotto sé tutte le scienze; et è questo uno nome composto
di due nomi greci : il primo nome si è phylos, e vale tanto a
dire quanto « amore », il secondo nome è sophya, e vale - tanto a
dire quanto « sapienzia ». Onde FILOSOFIA tanto vale a dire come «
amore della sapienzia » ; per la qual cosa neuno 30. puote essere
filosofo se non ama la sapienzia tanto eh' elli intralasci tutte altre
cose e dia ogne studio et opera ad avere intera sapienzia. Onde dice uno
savio cotale difiì- / M-m cioè che comprende — 2: Af' nm. o J cioè
Piero — 5: M' ovi. chi — 4-6: m om. tutto il passo da che « quella
schiatla — 8: m om. per — 9: M^ demostrare — 10: jU' i reggimenti — 12:
M-m om. che b — 13: Af ' l'arti (ma anche L l'arto) — m e de'pan- nali,
.)/ 7 de sartori de panni — 16-17: m o parte d'un altro generale — 1M' de
ben p. 20: M in podio — 22: m om. della
scienzia, 3/' niii. della scienzia l'al- tezza — 25: M sotto di sé — 26:
m fue fdos, .W filis — 27 : m om. nome — 29: M^ de la scienza — 31: M-m
tuote l'altre — J/' 7 da ~ 32: M-m. ad amare —' M' Donde. (1) Anche
arte potrebbe essere qui un plurale, come in Tesar., X, 39-40; però lo
ronde poco probabile la forma arti che subito segue. La lezione amare di
M-m fu certo suggerita dai precedenti amore e ama, e basterebbe a farla
rifiutare la ripetizione di concetto a cui si riduce. nizione di filosofia
: ch'ella è inquisizione delle naturali cose e connoscimento delle divine
et umane cose, quanto a uomo è possibile d' interpetrare. Un altro savio
dice che filosofia è onestade di vita, studio di ben vivere, rimembranza
della morte e spregio del secolo. Et sappie che diflfinizione d'una
cosa è dicere ciò che quella cosa è, per tali parole che non si
convegnano ad un' altra cosa, e che se tu le rivolvi tuttavia
signiffichino quella cosa. Per bene chiarire sia questo l'exemplo nella
diffinizione dell'uomo, la quale 10. è questa: « L'uomo è animale
razionale mortale ». Certo queste parole si convegnono sì all'uomo che
non si puote intendere d'altro, né di bestia, né d'uccello, né di
pescie, però che in essi nonn à ragione; onde se tue rivolvi le
parole e di' cosi : « (/he è animale razionale e mortale ? certo non si puote
d' altro intendere se non dell' uomo. Or è vero che anticamente per
nescietà delli uomini furon mosse tre quistioni delle quali dubitavano, e
uon senza cagione, però che sopr'esse tre questioni si girano tutte
le scienzie. La p-rima quistione era che dovesse l'uomo 20. fare e
che lasciare. La seconda quistione era per che ra- gione dovesse quel
fare e quell'altro lasciare. La terza quistione era di sapere le nature
di tutte cose che sono. Et perciò che le questioni fuoro tre, sì convenne
che' savi filosofi (2) partissero filosofia in tre scienzie, cioè
Teorica, 25. Pratica e Logica, si come dimostra questo
arbore. i: M inquistione, m inquestione, L inqulslione — 2:
M^ quando — 3: M enpossib'ile — (5: Mss. quella cosa 7 per t. p. — 8:
if-M' le rivuoli, L le rivolgi — il' el per bene — .9-/0: if' lo quale
questo, L la i[ualo questo — 16: m necessità, M' neccssiladc — 16-17: .¥'
luiomini in esse (L messe) — 18: sospeso, cnrr. sopresse — 19: .1/' liuomo —
20: m la seconda che lasciare — 20-21: lU-m om. la 2" quistione —
22.: M-m om. quistione — M-iii la natura — m tutte le oliose - 23: M-m Et
però quelle quistioni furono tre — 23-24 : M si convenne i savi
phylosoi)hy che partissero — jf > si conviene -^ 23: M mn. e.
(1) Si potrebbe anche leggere (con una costruzione più regolare ma con
una coordinazione poco opportuna) ciò eh' è quella cosa, e per tali
parole ecc. (2) Questa lezione ò comune a codici di ambedue le
famiglie, e perciò la pre- ferisco a quella di M, che pure si può
difendere facendo transitivo conreìtne e intendendo i -savi filosofi come
complem. oggetto. Et la prima di queste scienze, cioè pratica, è per
dimostrare la prima questione, cioè che debbia uomo fare e che lasciai'e.
La seconda scienzia, cioè logica, è per di- mostrare la seconda
quistione, cioè per che ragione dovesse quel fare e quello altro
lasciare. 10. Et questa scienza, cioè logica, sì ae tre parti, cioè
dialetica, efidica, soffistica. La prima tratta di questionare e
disputare l'uno coli' altro, e questa è dialetica; la seconda insegna
provare il detto del- l' uno (1) dell' altro per veraci argomenti, e questa
èe efi- dica; la terza insegna provare il detto dell'uno e
dell'altro per argomenti frodosi o per infinte provanze, e questa è
sofistica. Et questa divisione pare in questo arbore. La tex'za scienzia,
cioè teorica, si è per dimostrare le nature di tutte cose che sono, le
quali nature sono tre; 15. e però conviene che questa una scienza, cioè
teorica, sia pai'tita in tre scienzie, ciò sono Teologia, Fisica e
Mate- matica, sì come dimostra questo arbore. 4: m
cioè la ragione — 6: m sollislicha, epidicha, M' eflidica (un'altra mano
aggiunse sotìslicha) — 7: i/' tractare.... contra l'altro - 9:m, ìt', l e
dell'altro i 1 : if infinite — M'
argomenti frodolenti 7 jier infinita pruova — 12: m apare. (1)
Conservo invece di e, comune a quasi tutti i codici, appunto per la sua
singolarità e perchè sembra indicare una differenza tra l'efldica e la
sofistica- la prima dimostra la verità di una delle due parti, la seconda
pretende dimo- strare l'una e l'altra parte. Onde la prima di
queste tre scienze, cioè teologia, la quale è appellata divinitade, si
tratta la natura delle cose incorporali le quali non conversano in traile
corpora, sì come Dio e le divine cose. La seconda scienzia, cioè 5.
fisica, sì tratta le nature delle cose corporali, si come sono animali e
He cose che anno corpo; e di questa scienzia fue ritratta l'.arte di
medicina, che, poi che fue connosciuta la natura dell'uomo e delli
animali e de' loro cibi e dell'erbe e delle cose, assai bene poteano li
savi argomentare la sa- io, nezza e curare la malizia. La terza scienzia,
cioè matematica, sì tratta le nature de le cose incorporali le quali sono
intorno le corpora; e queste nature sono quattro, e perciò conviene che
matematica sia partita in quattro scienze, ciò sono arismetrica, musica,
geometria et astronomia, sì come 15. appare in questo arbore: La
prima scienzia, cioè arismetrica, tratta de' conti e de'nomeri, sì come
l'abaco e più fondatamente. La seconda scienza, cioè musica, tratta di
concordare voci e suoni. La terza, cioè geometria, tratta delle misure e
delle proporzioni. La IV scienza, cioè astronomia, tratta della
disposizione del cielo e delle stelle. Or si torna il conto dello
sponitore di questo libro alla prima parte di filosofia, della quale è
lungamente ta- ciuto, e dicerà tanto d'essa prima parte, cioè di
pratica, 25. che pervegna a dire della gloriosa Rettorica. E sì
come fue detto già indietro, questa pratica è quella scienza che
dimostra che ssia da ffare e che da lasciare, e questo è di
3:m traile corpora — 7: #' dela mudicina — 9: M' assai poteo bone argomentare
isani 10-13 : M-m mltnno da matematica di l. 10 a l. 13 sia partita (m
si e) — 16: m om. scien- 7.ia 17:
M' noveri — 18: M [a musica — SO: M astorlomia — M' tracta Io sponilore —
22: Af' si ritorna (L ritorna), m Ora torna lo spoiiiloro alla prima p. — 33: m
ae, Jtf' oo — 24: m della prima parte — 25: m perverrà.
tre maniere: i>erciò conviene che di questa una siano tre
scienze, cioè sono Etica, Iconoiiiica e Politica, sì come mostra la
figura di questo arbore : La prima di queste, cioè etica, sì è
insegnamento di 5. bene vivere e costumatamente, e dà connoscimento
delle cose oneste e dell'utili e del lor contrario; e questo fa per
assennamento di quatro vertudi, ciò sono prndenzia, iusti- zia, fortitudo
e temperanza, e per divieto de' vizi, ciò sono superbia, invidia, ira,
avarizia, gula e luxuria; e così dimoio, stra etica clie sia da tenere e che da
lasciai-e jier vivere virtuosamente. 16. La seconda scienza, cioè
iconomica, sì 'nsegna che ssia da ffare e che da lasciare per
covernare e reggere il propio avere e la propia famiglia. La terza
scienza, cioè politica, sì 'nsegna fare e mantenere e reggere 15. le
cittadi e le comunanze, e questa, sì come davanti è pro- vato, è in due
guise, cioè in fatti et in detti, sì come si vede in questo arbore:
18. Quella maniera eh' è in fatti sì sono l'arti e' magi-
sterii che in cittadi si fanno, (i) come fabbri e drappieri e li 1 : M-m
però clic convion(3 — 3.m am. la ligura — ;>: Af' accostumatamente M' om.
ira — 10: M^ da necnto — 1 1: m virtmliosamonte — 13: m avere, la patria
e la famiglia 14: m fare,
mantenere 7 r. — 16: M-M' 7 in due guise — M' in detti. 18: m om. tutto
il g 18 — M' 7 mestieri — 19 : M che cittadini fanno (lì Si rimane
incerti fra le due lezioni, perchè il senso è il medesimo e anclie
paleograficamente la differenza è lieve: forse ì citladisi oxìgìno (i)
cittadini'! Adot- tiamo la lezione un po' più diffìcile.
altri artieri, sanza i quali la cittade non potrebbe durare. Quella
eh' è in detti è quella scien^ia che ss' adopera colla lingua solamente;
et in questa si contiene tre scienze, ciò sono Grramatica, Dialettica,
Rettorica, si come dimostra 5. questo altro albore: Et che ciò sia
la verità dice lo sponitore che gra- matica è intrata e fondamento di
tutte le liberali arti et insegna drittamente parlare e drittamente
scrivere, cioè per parole propie sanza barbarismo e sanza sologismo. Adunque
sanza gramatica non potrebbe alcuno bene dire né bene dittare. La seconda
scienza, cioè dialetica, sì pruova le sue parole per argomenti che danno
fede alle sue parole; e certo chi vuole bene dire e bene dittare conviene
che mo- stri ragioni per che, sicché le sue parole abbiano provanza
Ib. in tal guisa che Ili uditori le credano e diano fede a cciò che
dice. La terza S(!Ìenza ciò è Rettorica, la quale truova et adorna le
parole avenanti alla materia, per le quali l'udi- tore s'accheta e crede
e sta contento e muovesi a volere ciò eh' è detto. Adonque le tre scienze
sono bisogno a 20. parlare et al dittare, che sanza loro sarebbe
neente, acciò che '1 buono dicitore e dittatore de' sì dire e scrivere
a diritto e per sì propie parole che sia inteso, e questo fae gra-
matica; e dee le sue parole provare e mostrare ragioni (2),
1 : Af ' artefici sanza quali le cittadi non potrebbero durare — 3: M^ ]
questa si con- tiene — 6: m Et choncio sia la v., L Et cliome ciò sia 7: M' l'arti liberali — 9: M- m om. e
sanza sologismo; t-S silogismo 10: M'
om. alcuno — I-i: M ragione si che le s. p. — pruova — i7 : M-m advoncnti
— 18-19 : M' per bisogno al parliere et al dicta- tore — S3: M-m mostrare
con ragiono, L mostrare por ragione Non credo necessario, data l'
impossibilità di distinguer la grafia dei copisti da quella dell' autore,
ristabilire la forma esatta solecismo; la stranezza della pa- rola spiega
pure l'omissione di M-m e lo sproposito di L-S. (2) Che questa sia
la giusta lezione è confermato dal § precedente, 1.16 («ra- gioni per che
») ; e si noti che mostrare con ragione o per ragione equivarrebbe a
provare. e questo fae dialetica; e dee sì mettere et addornare il
suo dire che, i)oi che 11' uditore crede, che stia contento e
faccia quello eh' e' vuole, e questo fa Rettorica. Or dice lo sponitore
che Ha civile scienza, cioè la covernatrice delle cit- 5. tadi, la quale
èe in detti si divide in due: che ll'una è co llite e l'altra sanza lite.
Quella co llite si è quella che sisi fa do- mandando e rispondendo, si
come dialetica, rettoi'ica e lege; quella eh' è sanza lite si fa
domandando e rispondendo, ma non per lite, ma per dare alla gente
insegnamento e via di 10; ben fare, sì come sono i detti de' poeti
che anno messo inii iscritta l'antiche storie, le grandi battaglie e
l'altre vicende che muovono li animi a ben fare. Altressì quella
civile scienzia eh' è con lite è di due maniere, eh' è ll'una
artifi- ciosa, l'altra non artificiosa. Artificiosa è quella nella quale
il parliere che connosce bene la natura e Ilo stato della materia, vi
reca suso argomenti secondo che ssi conviene, e questo è in dialetica et
in rettorica. Quella che non è artificiale è quella nella quale si recano
argomenti pur per altoritade, si come legge, sopra la quale non si reca
neuna 2'^ pruova né ragione per che, se non tanto l' altoritade
dello 'mperadore che Ila fece. Et di questa che non è artificiale
dice BOEZIO nella Topica eh' è sanza arte e sanza parte di ragione. Alla
fine conclude Tulio e dice che Rettorica è parte della civile scienzia.
Ma Vittorino sponendo quella 25. parola dice che rettorica è la
maggiore parte della civile scienzia; e dice « maggiore » per lo grande
effetto di lei, che certo per rettorica potemo noi muovere tutto '1
popolo, tutto '1 consiglio, il padre contra '1 figliuolo, l'amico
centra l'amico, e poi li rega(i) in pace e a benevoglienza. Or è
detto 30. del genere; omai dicerà Tulio dello oflfizio di rettorica
e del fine. 1: M ordinare, m e iliraeltero e ordinare
lo siidire — 3: M^ cliolll stea — 5: M-m si vede in due — 7: M' y
reclorica — 9: M' a. lo genti — i 1 : m-M in iscripto — M' 7 le g. b. 7
altro vicende IS : M-m alla (certo da
((Ila), M' (|UOSta civ. — 13-14: mchS l'ima e art. 7 l'altro non art.,
3f' l'unaarl. l'altra none art. (X non art.) — 16: m su argomenti che
crede ohe si chenvieno, S secóndo la cosa — 19: M sopralla quale — 21 : J/' di
que- sta non artificiosa — S6: m e M' alFecto, ma L el'ctto — S8 : m M'
contro al f. — wchontro all'amico, M' contra amico. — 29: m li reca, Af'
recalgli a pace 7 benev., L-S recarli a p. Q n h. — 80 : m M'
oggimai. (1) Con libertà non nuova alla nostra ling'.ia antica, si
può sottintendere il soggetto, « rettorica », dalle parole « per
rettorica » che precedono. La lezione ? ecarli, appunto perchè piii
semplice e chiara, mi par da scartare : non si vedrebbe CICERONE dice che
è l'ufficio di questa arte. 18. Officio di questa arte pare che sia
dicere appostatamente per fare credere, fine è far credere per lo dire.
Intra 11' ufficio e Ila fine èe cotale divisamente : che nell'officio si
considera quello che 5. conviene alla fine e nella fine si considera quello
che conviene al- l'officio. Come noi dicemo l'ufficio del medico curare
apostatamente per sanare, il suo fine dicemo sanare per le medicine, e
così quello che noi dicemo officio di rettorica e quello che noi dicemo
fine in- tenderemo dicendo che officio sia quello che dee fare il
parliere, e dicendo che Ila fine sia quello per cui cagione eili
dice. In questa parte àe detto Tulio che è l'officio di que- sta
arte e che è lo suo fine; e perciò che '1 testo è molto aperto, sì sine
passerà lo spouitore brevemente. Et dice 15. cotale diffinizione :
officio è dicere appostatamente per fare credere. Et nota che dice «
appostatamente », cioè ornare parole di buone sentenze dette secondo che
comanda que- st'arte; e questo dice per divisare il parlare di questo
di- citore dal parlare de' gramatici, che non curanq d'ornare
20. parole. E dice « per far credere », cioè dicere sì composta-
mente che ir uditore creda ciò che ssi dice. Et questo dice per divisare
il detto de' poeti, che curano più di dire belle pai-ole che di fare
credere. 2. L' altra diffinizione è del fine. Et dice che fine è far
credere per lo dire. Et certo chi 25. considera la verità In questa
arte e' troverà che tutto lo 'ntendimento del parliere è di far credere
le sue parole all'uditore. Donque questo è la fine, cioè far credere;
che 2: M* om. ilk'Oi'O — 3: M-M' 7 lar — M-m per 1 udire - 3-4: M' om.
Inlra 11' udicio e ripete è cotale ilivisumento che no l'ollicio — M 7 è
colalo — 0: m il' e curare — 9: t in- tenderemo cli6 olicio è quello ecc.
— m om. e — JO: il ella, mi e la — i3 : .tf' et che il lino — 15: il
apostamonle — M-m saltano dal l'ai ^ apposlatanicnto. 10: .tf-m-.l/' or- nate — 20: m diro si
ornatamente et cliom))ost. — 21 : M-m mn. Kl c|uesto dice - 23: M-m che
farle credere - 24: M-m per 1 udire — 23: M 7 troverà - 26: M' del
parlare la ragione per cui fu mutata negli altri codici, mentre ò
facile ammettere che sia derivata da recahjli di M '. Quoista poi, a sua
volta, non è che una variante di ìi reca, con una estensione del pronome
enclitico a cui contraddice la cosiddetta legge del Mussafla (cfr., anche
per Dante, in Bull. d. Soc. Dani., N. S., XIV, 90-91)
'mmantenenle che l'uomo crede ciò eli' è detto si rivolve (1)
lo suo animo a volere et a ffare ciò che '1 dicitore intende. 3. Ma dice
Boezio nel quarto della Topica che '1 fine di que- sta arte è doppio, uno
nel parladore et un altro nell'uditore. 5. Il parladore sempre desidera
questo fine in sé: che dica bene e che sia tenuto d' aver bene detto.
Neil' uditore è questo fine: che '1 dicitore a questo intende, che
nell'udi- tore sia cotale fine che creda quello che dice; e questo fine
non desidera sempre IL PARLATORE sì come quello di sopra. 10. 4. Et
per mostrare bene che è l' officio e che è il fine e che divisamento àe
dall'uno all'altro, sì dice Tulio che officio è quello che '1 parliere
de' fare nel suo parlamento secondo lo 'nsegnamento di questa arte. Ma
fine è quello per cui cagione il parlieri dice compostamente; e certo
questa cagione e questo fine nonn è altro se non fare credere ciò che
dice. Et di ciò pone exemplo del medico, e dice che Ilo officio del
medico è medicare compostamente per guerire r amalato; la fine del
medico èe sanare lo 'nfermo per lo suo medicare. Già è detto
sofficientemente dell' officio e della fine di rettorica; omai procederàe
il conto a dire della materia. Materia di questa arte dicemo che
ssia quella nella quale tutta l'arte e Ilo savere che dell'arte
s'apprende dimora. Come se noi dicemo che Ile malizie e le fedite sono
materia del medico, perciò che 'ntorno quelle è ogne medicina, altressì
dicemo che quelle cose sopra le quali s'adopera questa arte et il savere
eh' è appreso dell'arte sono materia di rettorica; le quali cose alcuni pensaro
che 1 : M sinvolve, m si involve, M^-L si muove — S : M'
quello olio. — 9 : M-m considera — 10: M' om. l)ene — 15: M-m non
ae altro — m se none a faro — 16: Af ' in ciò — 17-18 : M Olii, è
medicare.... del medico — 19: M-m Già ae d. s. (mi s. d.) — 20: M' del
fine — ogimai procederà Tulio a dire — S,4: m e tutta l'arte — Jlf
' e sapere — S3: M-m le malizie, cioè le malattie (glossa) — 87: M e
savere — tulli i inss, apresso Questa è senza dubbio la lezione richiesta
dal senso e giustificabile con ragioni paleografiche: un siriuolue in cui
ri è parso un n ha originato il sinvolve di M; da questo, per correzione
arbitraria, è nato si muore di Mi L. Invece di si rivolve lo suo
animo (soggetto) si può anche intendere
« (l'uomo) si rivolve lo suo animo », ma forse l'espressione riesce meno
naturale. (2) La correzione è suggerita dalle parole precedenti : «
lo savere che dell'arte s'apprende». Il testo latino ha facuUas
oratoria. fossero piusori et altri meno. Che GORGIA DI LEONZIO, che fue
quasi il più antichissimo rettorico, e in oppinione che IL PARLATORE puo
molto bene dire di tutte cose. Et questi pare che dea a questa arte
grandissima materia sanza fine. Ma Aristotile, il quale diede a questa 5.
arte molti aiuti et adornamenti, extimò che II' officio del PARLATORE sia sopra
tre generazioni di cose, ciò sono dimostrativo, diliberativo e
giudiciale. Lo sponitore. 1. In questa parte dice Tulio che
materia di rettorica 10. è quella cosa per cui cagione furo pensati
e trovati li co- mandamenti di questa arte, e per cui cagione
s'adoperala scienzia clie 11' uomo apprende per quelli
comandamenti. Così fuoro trovati li comandamenti di medicina e gli ado-
peramenti per le infertadi e per le ferute; et insomma 15. quella è
Ila materia sopr' alla quale conviene dicere. Et sopra ciò fue trovata
questa arte per dare insegnamento di ben dire secondo che Ila materia
richiede e per fare che ir uditore creda. Et di questo è stata
diiferenzia tra' savi : che molti furo che diceano che materia
puote 20. essere ogne cosa sopr' alla quale convenisse parlare. Et
se questo fosse vero, donque sarebbe questa arte sanza fine, che
non puote essere; e di questi fue uno savio, GORGIA DI LEONZIO, antichissimo
rettorico; et in ciò che Tulio l'appella antichissimo sì dimostra che non sia
da credere. Ma Aristotile, a cui è molto da credere, perciò che
diede molti aiuti et adornamenti a questa arte in perciò che fece uno
libro d' invenzione et un altro della parladura, dice che rettorica èe
sopra tre maniere di cose, e catuua maniera èe genei'ale delle sue parti;
e queste sono dimo- 30. strativo, diliberativo e iudiciale, come in
questi cercoletti apiiare : 2: m cliel parlaro — 3:
M-m che (loggia (w dohbia) aiiiiistare — 6: M' generi — 7: M-m
giiulicalivo - IS: M-m et per (incili comamlamenti. Af' aiiiirondo per qua
com., S per qiialnni|ue com. (t bene) -- 13-14: M-m et por lo
adoperamenlo et por lo inf. — M' fedito — 15: m. M'-L sopra la quale —
19: M' dissero — ?0: m sopra la ipiale l'uomo chonviene parlare, M' sopra
la (pialo — SS: M-m di questo — S3-S4: M' 1 aix.'l- lava — S6: M-m (lice
molti aiuti — M' in ciò che, m però che — S7: Mdinvctione, hi d'in- votione
- S8: M-m materie — M' de cosa {ma L S di cose) — M^ ciasouna — 30-31:
M-m om. come ecc. e la figura. Et a questa sentenzia s'accorda Tulio, e
sopra queste tre maniere è tutta l'arte di rettorica. 4. Ma ben puote
essere oh' e' maestri in questo punto fanno divisamente intra dire
e dittare; che pare che Ila materia di dittare sia si generale che quasi
sopra ogne cosa si possa fare pistola, cioè man- dare lettera. Ma dire
non si puote per modo di rettorica se non delle dette tre maniere, perciò
che Tulio CICERONE reca tutta la rettorica in quistione di parole. Et
intendo che quistione è una diceria nella quale àe molte parole sie
impigliate che ssine puote sostenere l'una parte e l'altra, cioè
provare si e no' per atrebuti, cioè per propietadi del fatto o
della persona. Et ecco l' exemplo in questa diceria che fie proposta in
questo modo: È da sbandire in exilio Marco Tulio Cicero no, che davanti
(i) al popolo di ROMA fece anegare molti ROMANI a tempo che '1 comune era
in dubbio? In questa proposta à due parti, una del sì et un'altra del
no. Quella del sì è cotale : « Cicero è da sbandire, perciò che à
fatta la cotale cosa *. Quella del no è cotale: « Non è da sbandire, che
ricordando pure lo nome signififica buona cosa 20. et isbandire et
exìlio (2) sìgnifBca mala cosa, e non è da cre- dere che buono uomo
faccia quello che ssia da sbandire degno né de exìlio ». 6. Grià è detto
che è la materia di quest'arte, et afferma Tulio la sentenza
d'Aristotile. Et però che elli l' àe confermata, sì dicerà di catuna dì
quelle 25. tre maniere sì compiutamente che per lui e per lo
sponì- 1 : m sachosta — 2: Mi tucta — 3:m tra dire od. —
4:mL del dittare ~ 5 : M' si puote — 6: M' lectoro — 7 : 3f ' se non le
docte — om. perciò — m tutta rettorica — 9: M' ov'a — il: M-m et por
atrebuti, M' per ai trebuti — m cioè i)roiiietadi — 12: M sie o fie, m
Ila, M'-L fu - 14: m om. Cicero — M^ Cicerone che davanti il p. — 15: M'
al tempo — 16: M imposta — 19: M' il suo nome ò buona cosa — 20: M' in
exilio — 21-22: m dongno da sb., M' dengno di sbandire in oxilio — 24:
J/' la conferma Non e' è dubbio
sul testo, in cui la tradizione manoscritta è concorde; quanto
all'interpretazione cfr. Maggini, La Rettorica italiana di B. L.
Che et e non in sia la lezione originaria è comprovato dal seguente
né de exilio (cambiato da M< in exilio per analogia colla prima
alterazione). tore potrà quelli per cui è fatto questo libro
intendere la materia, lo movimento e la natura di rettorica. Ma ben
guardi d'intendere ciò che dice questo trattato e di Connoscere ciò che in esso
si contiene, che altrimenti non po- trebbe intendere quello che viene
innanzi; e dicerà prima del dimostrativo. Del dimostr amento. Dimostrativo
è quello che ssi reca in laude o in vituperio d'una certa personale. In
questa parte dice CICERONE che, con ciò sia cosa che Ile cause e Ile
quistioni sopr' alcuna vicenda indella quale l'uno afferma e l'altro
niega siano di tre maniere, sì inse- gna Tulio avanti quale causa è
dimostrativa. Ma lo sponi- 15. tore non lascerà intanto che non
dica la natura e Ila radice di tutte e tre, oltx'e che dice il testo di
Tulio; et in ciò dicerà chi è la persona del parliere che dice sopra la
causa, e dicerà che è il fatto della causa. La persona del par-
liere è quella che viene in causa per lo suo detto o per lo 20. suo
fatto: et intendo « suo detto » quello ch'elli disse o che ssi crede
ragionevolemente ch'elli abbia detto, avegna che detto noll'abbia;
altressì intendo «fatto» quello che fece o che ssi crede ragionevolemente
che elli abbia fatto, avegna che fatto non sia. 3. Il fatto della causa è
quel detto o quel fatto per lo quale alcuno viene in causa e questione; et
in ciò sia cotale exemplo: Dice Pompeio a Catellina: « Tu fai tra-
1: in poUà collii —è: M' c\ inovini. ~ 5: .W Jioooia, L ilice ora
— 6: i/del dimoslratio, m (Iella dimostrationo — 8: S si moslra — 13-14:
il' sia in ti-o maniero.... tulio avanti, m Tulio inprima — M-m cosa —
il' sia doni. — 13: m oni. e la radice - lS-19: il-m Persona del ]). 7
quella — 19-20: il' per lo suo facto o per lo suo dello, m per lo s. d. e per
lo s. f. intondo suo detto e latto (pielli (nni-he il (iiielli) - SS:
il-m e così intondo quello — S4 : il' ijucl detto — SS- il' et in
ipiest., m. ohi. — L siae -- 41 - dimento nel
comune di Roma». Et Catellina risponde: « Non fo ». In questo convenente
Pompeio e Catellina sono le persone de'parlieri; e la causa è questa: «Tu
fai tradi- mento » — « Non fo »; e chiamasi causa però che 11' uno
ap- 5. pone e dice parole contra l'altro e mettelo in lite. 4. Et
per maggiore chiarezza dicerà lo sponitore che èe dimostra- mento e
che deliberazione e che iudicamento, e così sopra che è ciascuna maniera
di rettorica. Dimostramento. Dimostramento è una maniera
di cause tale che per sua propietade il parliere dimostra ch'al-
cuna cosa sia onesta o disonèsta, e per questo mostra che è da laudare e
che da vituperare; e questa causa dimostrativa è doppia: una speciale et
un'altra che non si puote partire. La speciale dimostrativa è quella nella
quale i parlieri si sforzano di provare una cosa essere onesta o
disonesta, non nominando alcuna certa persona; et intendo certa
per- sona a dire delli uomini e delle cittadi e delle battaglie e
di cotali certe cose e determinate tra Ile genti, non intendo
dell'altezza del cielo né della grandezza del sole o della 20.
luna, che questa quistione non pertiene a rettorica. Et di questa causa
speciale dimostrativa sia cotale exemplo : « Il forte uomo è da laudare
Dice l'altro: Non è, anzi è da vituperare. E di questo nasce quistione,
se '1 forte è degno di lode o di vituperio, e perciò èe dimostrativa,
ma 25. non nomina certa persona, e perciò è speciale. 8. La
causa dimostrativa che non si puote partire è quella nella quale i
parlieri vogliono mostrare alcuna cosa sia onesta o diso- nesta nominando
certa persona, in questo modo. CICERONE è degno di lode. Dice l’altro. Non è. E
di questo nasce quistione, se sia da lodare o da vituperare. Et
questa quistione comprende due tempi : presente e pre- terito. Che al ver
dire di ciò che 11' uomo fae presentemente è lodato biasmato, et altressì
di ciò che fece ne' tempi pas- sati. 9. Et sopra ciò dicono 1' antiche
storie di Roma che 35. questa causa dimostrativa si solca trattare
in Campo Marzio, 5: 3/' perciò maggioro — 7 : ìlt' cheo...
cheo (ma L clie... che) - saprà che è 10: M' per sue propietadi il
parladore — 14: M' i parladori — m spellale o dimostrativa — 16: M' nm.
et intendo certa persona, vi om. et — 17: M' et dele ciltadi — 18: m
cliase diterminate — 19: M-m et della gr. — 20: m non apartiene — ^i :?» om.
speciale — M-m dimostrata — M k cotale lessemplo - So: M-m om. è — 27: M'
alcuna persona essere M-m di tre
tempi — m pres., preter. e luturo — 32: M-m Et al ver dire — 33 : M-m om.
di - 42 - nel quale s'asemblava la comunanza a
llodare alcuna per- sona ch'era degna d'avere dignitade e signoria et a
bia- smare quella che non era degna. E già è ben detto della causa
dimostrativa; sì dicerà il maestro della causa deli- 5. berativa.
Del diliber amento. 21. Diiiberativo è quello il quale, messo
(^' a contendere et a dimandare tra' cittadini, riceve detto per
sentenzia. In questa parte dice Tulio che causa diliberativa è quella
eh' è messa e detta a' cittadini a contendere il lor pareri et a
domandare a lloro quello che nne sentono; e sopra ciò si dicono molte et
isvai'iate sentenze, perchè alla fine si possa prendere la migliore (2).
2. Et questo modo di 15. causare è quello che fanno tutto die i
signori e le podestà delle genti, che raunano li consillieri per
diliberare che ssia da fFare sopra alcuna vicenda e che da non fare;
e quasi ciascuno dice la sua sentenza, sicché alla fine si prende
quella che pare migliore. 3. Et in ciò sia questo 20. exemplo che
propone il senatore: « E da mandare oste in Macedonia? » Dice l'uno sì e
l'altro no. Et così diliberano qual sia lo meglio, e prendesi 1' una
sentenza. Et questa quistione si considera pure nel tempo futuro, che al
ver dire sopra le cose future prende l'uomo consiglio e dili-
25. bera che ssia da fare e che noe. 4. Et questa causa dilibe-
rativa è doppia: una speciale et un'altra che non si puote partire. 5.
Speciale è quella nella quale si considera d'ai cuna cosa s' ella è utile
o s' eli' è dannosa, non nominando 1-3: M alcuno cli'era
dengno — om. e signoria.... degna — 6: Tutti i mss. omesso, S è messo — H
: M-m che in essa - m M' i loro pareri, L illoro pareri — 12: M' da loro
- 13: M-m dicono — 14: M-m lo migliore — 15: M-m cassare (M 7 quello)
— 16: M-m raunavano — 17: M-m non daffare — 20: M' ressom])ro — M-m
che pone -22: M' il migliore — 24: m nel tempo futuro — ilf ' iirendo
huomo(»nn L S l'uomo) M-m Questa ì; causa, cioè cosa, diliberativa 7
doppia,. L e delib. e doppia — m una e spetiale — M-m om. che — 27: M-m
alcuna cosa — 28: M-m om. sellò (1) Il testo latino non lascia
alcun dubbio. La stessa corruzione, comune a tutti i codici, è nel
successivo § 22 (e posto), e il costrutto insolito la rendeva facile.
(2) Anche la lezione lo migliore è buona, ma preferisco quella di M'
perchè corrisponde esattamente alla fino del § 2.
alcuna certa persona. Et ecco l'essempio: Dice uno: “Pace è
da tenere intra cristiani.”. Dice l'altro: « Non è ». Et di ciò nasce
causa diliberativa speciale, se Ila pace è da tenere o no. L'altra che
non si può partire è quella nella quale 5. i dicitori studiano di provare
e' alcuna cosa sia utile o dan- nosa, nominando certe persone, in questo
modo: Dice l'uno: « Pace è da tenere intra Melanesi e Cremonesi. Dice
l'altro: «Non è». Et già è detto della causa diliberativa; omai dicerae
il maestro del iudiciale. Ma questo sia conto a ciascuno, che Ila
propietade della diliberazione èe mostrare che ssia utile e che dannoso in
alcuno convenentre. Et questa diliberativa si solca trattare nel senato,
e prima diliberavano li savi privatamente che era utile e che no e
poi si recava il loro consiglio in parlamento e quivi si fermava la loro
sentenza, e talvolta si ne prendea un'altra migliore. Judiciale è
quello il quale, posto In iudicio, à in sé accu- sazione e difensione o
petizione e recusazione. La natura di iudicamento si è una forma la quale
si conviene al parladore per cagione di mostrare la iustizia e la
'niustizia d'alcuna cosa, cioè per mostrare d'una cosa s' ella è insta o
centra iustizia, in cotal modo : che uno ac-cusa un altro e l’accusato si
difende elli medesimo o un altro per lui; overo che uno fa sua petizione
e domanda guidardone per alcuna cosa eh' elli abbia ben fatta, et
un altro recusa e dice che non è da guidardonare, e talvolta dice. Anzi
è degno di pena. Et questa causa si pone in iudicio, cioè in corte
davante a' indici, acciò eh' elli indichino tra Ile parti quale àe iustizia; e
questo si fae in corte palese in saputa delle genti, acciò che Ila pena
del S. in Iva — 3: M-m e so la p. — 4: M' L'altra la quale —
7 : Ai da melanesi, m tra mei. - Af ' e li crem. — M-m l'altro dice — *:
J/ E già detto — U-m cosa — 9 : M ' oggi- mai dicera del giudioiale - 10:
;»/' om. a ciascuno — m e damostrare — 12: m ohe prima 14: m om. e — m M'
in loro consiglio (ma L illoro cons.) — 14-15: A/' in loro sententia si
fermava — 18: Tuttiimss. e [tosto — i9: m accnsatione, difensione, pctitiono —
Tutta mas. recusatione {ma cfr. testo latino) — 24: m chontro a iust. — m
om. che — V e medesimo, L elli med. — 27: m fatta bene — 28: m om. e dice — 32:
m traile genti. malfattore dia exemplo di non malfare, e '1
guidardone de' benfattori sia exemplo agli altri di ben fare. Et
sopra questa materia dice uno savio: « I buoni si guardano di
peccare per amore della vertude, i malvagi si guardano 5. per paura della
pena ». 3. Et è questa causa iudiciale doppia: una speciale et un' altra che
non si puote partire. Speciale è quella nella quale il pai'lierc si
sforza di mostrare alcuna cosa che ssia insta o iniusta, non nominando
certa persona; in questo modo: « Il ladro èe da 'mpendere, 10.
perchè commette furto ». Dice l'altro: « Non è ». 4. Quella che non si
puote partire è quella nella quale il parliere si sforza di mostrare una
cosa essere iusta o no, nominando certa persona; in questo modo: « È da
impendere Guido eh' à fatto furto, o no? » Od « E da guidardonare GIULIO Cesare
eh' à conquistata Francia, o no? Et tutte que ste cause iudiciali si
considerano sopra'1 tempo preterito perciò che di ciò che l’uomo à fatto in
arrietro è guidardonato o punito. CICERONE dice la sua sentenzia della
materia di rettorica riprende quella d' Ermagoras. Et sì come porta la
nostra oppinione, l'arte del parliere (0 e la sua sctenzia è di questa
materia partita in tre. (cai). VI) Che certo non pare che Ermagoras
attenda quello che dice ne attenda C^) ciò che promette, acciò che
dovide la materia di questa arte in causa 25. et in
questione. 1 : VI exempro allo genti — -V far malo — M il
guidardone — S: M' tini benfacloro — m om. VA — 4: M' o li malvagi seno
guardano — 6: U' et una che — 7: il' il dicitore - 9: M-m om. modo — m è
da mpichare — 10: M' un altro — 12-15: M-m om. ila nominando alla fine
del paragrafo — i6: il-m om. si — i7: m per adietro — i8:m pulito SI :
M-m parlare, M' parladore, L parlatore —M Amagoras Che sia da
legger cosi dimostra non tanto la variante di M' quanto, specialmente, il
trovare nel § 1 del commento lo stesso errore di Mm di fronte a parliere
di M'. Conservo, coi codici, i due attenda, quantunque il tosto latino
abbia nel primo caso attendere e nel secondo intellUjere: qui ci
aspetteremmo dunque in- tenda, e l'alterazione, per analogia col primo
verbo, sarebbe spiegabilissima. Ma anello con attenda il senso va bene; e
forse una prova della somiglianza sostan- ziale per l'autore fra
attendere e intendere si ha nel § 7 del commento, dove, riferendosi a
questo passo, i due verbi sono invertiti di posto: «non pare che
Ermagoras intendesse quello che dicea, nò che considerasse (= attendesse) quello
che promettea. Poi elle Tulio àe detto davanti le tre partite della
materia di rettorica sì come fue oppiuione d'Aristotile, in questa parte
conferma Tulio la sentej^izia d'Aristotile; e 5. dice che pare a llui
quel medesimo, e riprende la sentenzia d'Ermagoras, il quale diceva che Ila
materia del par- liere è di due partite, cioè causa e quistione. Ma
certo e' dovea così riprendere coloro che giungeano alla materia di
quest'arte confortameuto e disconfortamento e consola- lo, mento; e lui riprende
Tulio nominatamente perciò ch'elli era più novello e però dovea elli
essere più sottile, e ri- prendelo ancora però che ssi traea più innanzi
dell'arte; e riprendendo lui pare che riprenda li altri. Ma però
che Tulio CICERONE non disfina (D lo riprendimento delli altri, si
vuole lo sponitore chiarire il loro fallimento, e dice così: 3. Vero
è che, si come mostrato è qua in adietro, l' officio del parliere si è parlare
appostatamente per fare credere, e questo far credere è sopra quelle cose
che sono in lite, e' ancora non sono pervenute all' anima ; ma chi vuole
considerai e il vero, e' troverà che confortameuto e
disconfortamento sono solamente sopra quelle cose che già sono
pervenute all' anima. Verbigrazia: Lo sponitore avea propensato di
fare questo libro, ma per negligenzia lo intralasciava; onde da questa
negligenzia il potea bene alcuno ritrattare per confortameuto, e questo
conforto viene sopra cosa la quale era già pervenuta all'anima, cioè la
negli- genzia.Et se alcuno disconforta un altro che avea pro- posto
di malfare, tanto che ssinde rimane, altressi viene lo sconforto in cosa
la quale era già pervenuta all' anima. Adunque è provato che conforto né
disconforto non pos- 1 : m dinanzi — 3: L dico e conferma —
4: M-m la sciencia — 6-7 : M-m parlaro — 10: M'-L non mattamente —li: M-m
om. elli — 14: m diffina (o anche disfina), ilf'-/y non examina delli
altri — m om. si — 16: M^ in qua dietro — m del parlare — 17: M-m om. si
— 18: M' et che ancora, m e anchora — SO: M' et trovare — 21: m om. già -
S3 : L pensato, S per pensato — 23: M lo tralassava, m lo lasciava — 24: M'
bene ritrarre alcuno, w lo potea alchuno ritrarre - 27 : vi sconforta 30: M-m sconforto Manuzzi registra
disfinire per « compiere » e anclie por « dichiarare », che mi sembra qui
il senso piìi adatto. (2) Non mancano esempii (cfr. Manuzzi, s. v.)
che permettono di mantenm-e questa parola in senso di «ritrarre», come
appunto sostituirono gh altri mss. altì- sono essere materia di
questa arte. 5. Ma consolamento puote anzi essere materia del parliere,
perciò che puote venire sopra cosa e' ancora non sia pervenuta all'
anima. Verbigrazia: Uno uomo ferma nel suo cuore di menare dolorosa
vita per la morte d' una persona cui elli ama sopra tutte cose. Ma un
savio lo consola, tanto elle propone d'avere allegrezza, la quale non era
ancora pervenuta all'anima. Ma perciò che in questo consolamento
non ha lite, perciò che '1 consolato non si difende né non allega ragioni
contra il consolatore, non puote essere ma- teria di questa arte. 6. Or è
ben vero che altri dissen che dimostrazione non era materia di questa
arte, anzi era materia di poete, però eh' a' poete s' apartiene di lodare e
di vituperare altrui. Et avegna che CICERONE no Ili riprenda
nominatamente, assai si puote intendere la riprensione di loro in ciò eh'
e' conferma la sentenza d'Aristotile che disse che dimostrazione e
deliberazione e iudicazione sono materia di questa arte. Et sopra ciò
nota che dimostrazione per- tiene a' poeti et a' parlieri, ma in diversi
modi : che ' poeti lodano e biasmano sanza lite, che non è chi dica
contra, e '1 parlieri loda e vitupera con lite, che è chi dice
contra il suo dire. Et perciò dice Tulio che non pare che Erma-
goras intendesse quello che dicea, né che considerasse quello che
prometea, dicendo che tutte cause e questioni 25. proverebbe per
rettorica. Or dicerà Tulio le rii)rensioni d' Ermagora sopra causa e
sopra questione. Tullio seguita Ermagoras della causa, etc. Causa
dice che ssìa quella cosa nella quale abbia contro- versia posta in
dicere con interposizione di certe persone; le quali 30. noi medesimo
dicemo che è materia dell' arte e, sì come detto avemo dinanzi, che sono
tre parti : iudiciale, dimostrativo e deliberativo. 2: M'
innanzi — del parlatore — 3: m non 6 jiervenuta — 5-6: M ellamava — 6-7 :
III lo chonsolò, M' il consola tutto sì clid iiropone — 8: M-m che questo cons.
— .9: in e non allega — i3: m di poota.... a poeti, M' de poeti... ali
poeti — M' o di vit. — i-i: M nelle, m non le, M' non gli — i6: M'
elicgli conferma — 17: m dim., dilib. et iiivochationo — 19: M' ali poeti
et ali pailadori— 5i : M II parlieri, »i 11 parlieri?, 3/« E! parladore —
m pero che è chi dicha chontro al suo dire — S-1: A/' chelgli prom. — 26:
m e questione, M' sopra questioni — 30: m nm. medesimo itf' nm. o Sponitore.
1. Poi che Tulio avea detto che Ei-magoras non intese se stesso
dicendo che causa e questione sono materia di questa scienzia, sì dice in
questa parte che Ermagoras 5. dicea che fosse causa. 2. Et causa appella
una cosa della quale molti sono in controversia, perciò che 11' uno
ne sente uno intendimento e l'altro ne trae un'altra diversa
intenzione; sicché sopr' a cciò contendono di parole met- tendo e
nominando alcuna certa persona, che non si possa 10. partire e che propiamente
e determinatamente si partenga alle civili questioni. 3. Et di questo
dice Tulio che ss' ac- corda co llui, che ciò àe elli detto davanti per
sé e per Aristotile; ma dicerà omai com' elli errò in questione. Qtd
rijivende Tullio Ermagoì as- Questione apella quella
che àe in se controversia posta in dicere sanza interposizione di
certe persone, a questo modo: Che èe bene fuori d'onestade? Sono li senni
(i) veri? Chente è la forma del mondo? Chente è la grandezza del sole? Le
quali questioni inten- demo tutti leggiermente essere lontane
dall'officio del parliere; 20. che molto n' è grande mattezza e
forseneria somettere al parliere in guisa di picciole cose quelle nelle
quali noi troviamo essere con- sumata la somma dello 'ngegno de' filosofi
con grandissima fatica. Sponitore. 1. Ora dice Tulio
che Ermagoras appellava questione 25. quella cosa sopra la quale
era controversia intra molti, sicché contendeano di parole l'uno
contra l'altro non no- 5 M diceva - m ch'era chausa — 7: M^
e un altro ne trae altra d. i., M na {sic) trae, m ne atrae — 8: M-m
contendemo — 10: M' nominatamente — m sautenga — 13: Jf' oggimai — 15: M'
la quale ae — 16-17: M' che ben — M-iii li senni vari M' om. h — M-m la
l'ama — 19: M-m del parlare — 20: M-m oiii. raaltozza, ilf ' om. e for-
seneria — JZ-w parlare, M' parladore — SI: l/Tiusta,//i in vista— 24 ^/-w
appella- lo: M' era questione — m tra molti — 26: M ne contendeano
(1) Traduce il latino sensus con una forma che ritorna anche nel
commento; è la stessa fusione, o confusione, cho troviamo nel
francese. minando certa persona la quale propiamente s'apartenesse
alle civili questioni. 2. Et in ciò pone cotale exemplo: «Che è bene
fuori d'onestade?» Grande contraversia fue intra' fi- losofi qual fosse
il sovrano bene in vita: et erano molti 5. che diceano d'onestade, e
questi fuoro i parepatetici; altri erano che diceano di volontade, e
questi sono epicurii. 3. Altressì fue questione se ' senni sono veri,
perciò che alcuna fiata s'ingannano, che se noi credemo che ricalco
sia oro sanza fallo s' inganna il nostro senno. Altressì fue questione
della forma del mondo, però eh' alcuni filosofi provavano che '1 mondo è
tondo, altri dicono eh' è lungo, o otangolo(l\ o quadrato. 5. Altressì
era questione della grandezza del sole, che alcuni dicono che’l sole è otto
tanti che Ila terra, altri più et altri meno. Et questa misura si
sforzalo, vano di cogliere i maestri di geometria misurando la terra, e
per essa misura ritraeano quella del sole. Et perciò mostra Tulio che
Ermagora non intese quello che dicea, ch'assai legiei'mente s'intende che
queste cotali questioni non toccano l'ufficio del parliere. Et nota che
dice officio però che ben potrebbe essere che '1 parliere fosse FILOSOFO,
e così toccherebbe bene a lini trattare di quelle questioni, ma ciò non
arebbe per officio di rettorica ma di FILOSOFIAf. Donque ben è fuori della
mente e vano di senno quelli che dice che'1 parliere possa o debbia
trattare di queste questioni, nelle quali tutto tempo si consumano et
affaticano I FILOSOFI. Or à provato Tulio che Ermagoras non intese
quello che disse. Ornai proverà come non attese quello che promise, in
ciò che promettea di trattare per rettorica ogne causa et ogne questione.
8. Et ciò fae a guisa de' savi, i 1 : 3/' sì plenesse - 3:
M-m fuori con lioneslade, M'-l di l'iiuri 7 lioii. 4' ili l'uori d'hon. —
.W grande (juostione — mi traili lilosali — -I : m «m. et — 5 : .V diceano hon.
— M-m OHI. questi fuoro — il pai'ei)atoiici, .W parclieiialetici — 6: il'
diceano volontade (S ugg. cioè piacere) — 7: M-m se songni - 8: M' chel
ricalco — 9: S il nostro senti- mento iO: il perciò — id: il' diceano — IS: il
Hangolo ('/), "i troangholo, .W'-i triangolo, S otangolo — m quadro
— i3: il' cotanti che terra, i cotanti chella terj-a —16: m ritraevano la
misura d. s. — 17: il' che elgli diceva. Kt assai ecc. — S3: M' Dunque
ben — M' chi dice 24: M' debbia parlare
— 25: M' et faticano — S7: il-m non inteso — 28: M-m perche (>
rectorica — 29: M-m di savi (1) La lezione di M ò incerta, ma
sembra spiegata e confermata da quella di S che risalo all'altra famiglia
di codici ; un segno male interpretato come abbre- viatura di ri può aver
suggerito la lezione triangolo. Il commento di Vittorino a questo passo
non parla nò di triangolo né di ottangolo. (2) Il latino Ila in
ca. - 49 — quali vogliendo mostrare la loro
sapienzia sì 11' apongono ad alcuna arte per la quale non si puote
provare; come s' alcuno volesse trattare d' una questione di dialetica
et aponessela a gramatica, per la quale non si pruova né ssi 5.
potrebbe provare, e ciò mosterrebbe usando per argomenti la sua
sapienzia; e sopr'a cciò ecco '1 testo di Tulio. Tullio dice in
somma ciò ch'elli avea detto davanti. Che se Ermagoras avesse in queste
cose avuto gran savere acquistato per istudio e per insegnamento,
parrebbe ch'elli, usando la sua scienzia, avesse ordinata una falsa cosa
dell'arte del parliere, e non avesse sposto quello che puote l'arte ma
quello che potea elli. Ma ora è quella forza nell'uomo ch'alcuno li tolga
più tosto retto- rica che no-lli concedesse filosofia. Ma perciò l' arte
che fece non mi pare del tutto malmendosa, ch'assai pare ch'elli abbia in
essad) locate cose elette ingegnosamente e diligentemente ritratte delle
antiche arti, et alcuna v'àe messo di nuovo; ma molto è piccola cosa dire
del- l'arte sì come fece elli, e molto è grandissima parlare per l'arte,
la qual cosa noi vedemo ch'esso non poteo fare. Per la qual cosa
pare a noi che materia di rettorica è quella che disse Aristotile,
della 20. quale noi avemo detto qua indietro. In questa parte dice CICERONE
che se Ermagoras fosse stato bene savio, sicché potesse trattare le
quistioni e le cause, parrebbe eh' avesse detto falso, cioè che avesse
dato al parliere quello officio che nonn é suo; e così non avrebbe
mostrata la forza dell'arte, ma averebbe mostrata la sua. Ma ora è quella
forza nell'uomo, cioè tal fue questo Ermagoras, che neuno che dicesse eh'
e' non sappia rettorica nolli concederae che sia FILOSOFO. Ma perciò
l'arte 1 : 3f siila pongono — 3: m trattare una q. — 4-5: M'
per la quale non si porla provare — M' om. per argomenti — 9: M^ o \)ev
insegnamento parendo— 10: »i ordinato — M-m del parlare — 11 : M-m non
avesse posto (»m in et n.) — M' ([nello puote — 13: M' che fece nolli
cono. — 14-15: M-m messe, A/' in esse — M-m ^ locate le cose («4 nm. le
cose) 7 lecte — 17: M dell'arti, in delle urti — itf' grandissimo — 18: Jl/
potea, M' ]jotero — 19: ni sia quella. M' qua in adietro — S4: M-m ciò —
M' cavesse detto 25: Af a parliere
— 28: M' ch'olii — 28-29: S che non lu veruno che dicesse ch'elli non
sappia retorica non dirà giù che egli sia philosopho (1) Il testo
latino ha in ea. che fece non pare in tutto rea ». In questa
parola il cuo- pre (1) Tulio e dimostra eh' elli avrebbe bene ijotuto
dire X^egio. Et dice « non è del tutto rea » perciò eh' elli àe
messo nel suo libro con molta diligenzia e con ingegno li 5. comandamenti
delli altri maestri di questa arte, et alcuna cosa nuova v' agiunse. Et
qui pare che Tulio lo lodi là ove il vitupera, dicendo che fosse furo in
perciò che delle scritte d' altri maestri fece il suo libro. Ma molto è
picciola cosa dire dell' arte, ciò viene a dire eh' al parliere
non s'apartiene dare insegnamenti dell'arte, sì come fece Ermagora, ma
apartiensi a llui in tutte guise parlare secondo li 'nsegnamenti e
comandamenti dell" arte, la qual cosa non seppe fare esso. 5.
Adonque è da tenere la sentenzia d'Ari- stotile, che dice che materia di
questa arte è dimostrativo, deliberativo e iudiciale. Et ornai è detto
sofficientemente e diligentemente del genere, cioè generalmente, dell'
officio e della fine di rettorica; or sì dicerà il conto delle sue
parti, sì come Tulio promise nel suo testo qua indietro.Tullio CICERONE dice le
parti di rettorica. 20. 27. Le parti sono queste, sì come i più
dicono: Inventio, di- spositio, elocutio, memoria e
pronuntiatio. Lo sponitore. Cinque parti dice Tulio che
sono et assegna ragione per che, e quella ragione metterà lo sponitore
in suo luogo. 25. Ma prima dicerà le ragioni che nne mostra BOEZIO
nel quarto della Topica, che dice che se alcuna di queste
cin- 1-2: S scuopre — 4: M' con non molto.... ingegni i com.
— 6: J/' vi giiingnesse — i>f-»i la dove — 7:M* fosse ladro — m poro
che dello dette scritte - 8-9: M' delli altri — om. Ma... arte — m cosa a
dire — 10: M-m a dire — 12 : m egli noi seppe fare — 14 : m dice materia
— 15-17 : M' Et oggimai ae solTicientemento detto del genere, dell' officio
et del (ine dì rectorica. Si dicerà l'autore déle sue parti — M
sulficientemcnte dilig. — m ora dirà — 20;mLLQ parti di rettoriclia — M'
inveutione, dispositione, ccc — 24: S questa — M-m che dico se
alcuna Cioè «lo difonde». La lezione scuopre di S sarà nata da un
ilcuopre letto iscuopre; come senso si ridurrebbe a una ripetizione di
dimostra. que ijarti falla nella diceria, non è mai compiuta; e se
queste parti sono in una diceria o inn una lettera, certo l'arte di
rettorica vi fie altressì. 2. Un'altra ragione n'ase- giia BOEZIO: che
però sono sue parti perchè esse la 'INFORMANO E ORDINANO e la fanno tutta
essere, altressì come '1 fondamento, la i)ai'ete e '1 tetto sono parti
d'una casa sì che la fanno essere, e s' alcuna ne fallisse non sarebbe
la casa compiuta. Et dice Tulio che queste sono le parti di
rettorica sì come i più dicono, i)erò che furo alcuni che diceano che
memoria non è parte di rettorica perciò che non è scienzia, et altri
diceano che dispositio non è parte d' essa arte. Et così va oltre Cicerone
e dicerà di ciascuna parte perse, e primieramente dicerà della
'uvenzione, sì come di piti degna; e veramente è più degna, però
15. ch'ella puote essere e stare sanza l'altre, ma l'altre non
possono essere sanza lei. Tullio dice della invenzione. Inventio è
apensamento a trovare cose vere o verisimili le quali facciano la causa
acconcia a provare. Dice CICERONE che invenzione è quella scienzia per la
quale noi sapemo trovare cose vere, cioè argomenti necessarii - e
nota « necessarii », cioè a dire che conviene che pure cosi sia - e
sapemo trovare cose VERISIMILI, cioè argomenti ac- 25. conci a
provare che così sia, per li quali argomenti veri e verisimili si possa
provare e fare credere il detto o '1 fatto d'alcuna persona, la quale si
difenda o che dica in- contro ad un' altra. 2. E questo puote così
intendere il porto dello sponitore. Verbigrazia: Aviene una materia
30. sopra la quale conviene dire parole, o difendendo 1' una
i: .W manca — 3: m vi (ia, M' vi l'u - 3-4: M' dice Boelius, che poroiù —
5: m fannola tutta essere, Af' li fanno essere tutto alti-essi ecc. — 6:
M' son parte — 8 : m om. Et — 10: m non era ~ 11: M^ dispositlone — 12:
M-m dell'arte — 13: m primamente - 16: m essere o stare — 18: M' invontione
(e coù semiire) — m pensamento — il' overo simili — 19: il-m la cosa —
S3: SI' om. a dire — 23-24: m pure che cos'i sia. E sap- piano — M' nm.
acconci ~ 26: M-m el facto - 27-28: m chontro ad un altra -
52 - parte o dicendo centra l'altra; o per aventura sia materia
sopra la quale si conviene dittare in lettera. Non sia don- que la lingua
pronta a parlare né la mano presta alla penna, ma consideri che '1 savio
mette alla bilancia le sue parole 5. tutto avanti clie Ile metta in dire
né inn iscritta. 3. Con- sideri ancora che '1 buono difficiatore e
maestro poi che propone di fare una casa, primieramente et anzi che
metta le mani a farla, sì pensa nella sua mente il modo della casa
e truova nel suo extimare come la casa sia migliore; e poi 10. eh'
elli àe tutto questo trovato per lo suo pensamento, sì comincia lo suo
lavorio. Tutto altressi dee fare il buono rettorico: pensare
diligentemente la natura della sua ma- teria, e sopra essa trovare
argomenti veri o verisimili sì che possa provare e fare credere ciò che
dice. 4. Et già 15. é detto quello che è inventio. Ora procederà il
conto a dire quello che è dispositio. Dice Tullio de
dispositio. Dispositio èe assettamento delle cose trovate per
ordine. Perciò che trovare argomenti per provare e FAR CREDERE il suo dire
non vale neente chi no Ili sae asettare per ordine, cioè mettere ciascuno
argomento in quella parte e luogo che ssi conviene, per più affermamento
della sua parte, sì dice Tulio che è dispositio. 2. E dice eh' è
quella 25. scienzia per la quale noi sapemo ordinare li
argomenti trovati in luogo convenevole, cioè i fermi argomenti nel
principio, i deboli nel mezzo, i fermissimi, co' quali non si possa
contrastare lievemente, nella fine. Cosi fae il difficatore della casa,
che poi eh' elli àe trovato il modo 1 : m chontro all'altra
- 2 .• M sopralla ([ualo - M' oiii. don(|uo - 3: in o la mano alla penna
- 5: m tutto prima, S tutto - m o in iscritta, M' o in iscriptura — 6-S:.il
diliciatore prima che metta lo mani a lare — mr=.)/, ma o maestro - 9: m
Poi - 10: M' U suo la- voro — i3: M-m si veri che possa - 14-16: M E già
liecto, mi Ora e detto - M' om- quello - M-m Ora procederà il conto
quello che è spositio, .«' Si procederà il conto a dire che k
dispositione - SO: m diro il suo criMloro - Sfì: M trovai -,W-»i ohi. i, m om.
argo- pienti — 27: M' ali (piali nella sua mente, elli
ordina il fondamento in quel luogo che ssi conviene, e ila parete e '1
tetto, e poi 1' uscia e camere e caminate, et a ciascuna dà il suo luogo.
4. Già è detto che è dispositio; or diceva il conto che è elocutio.
5. Tullio dice della locuzione. 30. Elocutio è
aconciamento di parole e di sentenzie avenanti alla invenzione.
Sponitore. I. Perciò che neente vale trovare od ordinare chi
non sae ornare lo suo dire e mettere parole piacevoli e piene di
buone sentenze secondo che ssi conviene alla materia trovata, sì dice
Tulio che è elocutio. Et dice che è quella scienzia per la quale noi
sapemo giungere ornamento di parole e di sentenze a quello che noi avemo
trovato et ordinato. E nota che ornamento di parole èe una dignitade la
quale proviene per alcuna delle parole della diceria, per la quale tutta
la diceria risplende. Verbigrazia. Il grande valore che in voi regna mi
dà grande SPERANZA del vostro aiuto. Certo questa parola, cioè “regna”,
fa tutte risplendere l'altre parole che ivi sono. Altressì nota che
ornamento di sentenze è una dignitade la quale proviene di ciò che in una
diceria si giugne una sentenza con un'altra con piacevole dilettamente.
Verbigrazia. In queste parole di Salamene. Melliori sono le ferite dell'amico
che frodosi basci del nemico. Et già è detto che è elocutio, cioè
apparecchiamento di parole e di sentenzie che facciano la diceria piacevole et
ordinata di parole e di sentenzie. Omai procederà il conto alla quarta parte di
rettorica, cioè memoria. i-2: m in quello che si chonvienc
et il luogo.... l'ascia, charaere3: M^ cam- minate, ciascuna in suo
luogo. Et già ecc. — 0-7: M-m avenonti alla ntentione (anche S
intenliono) — 9: M om. od — 10: M' sa adornare il suo dire — 15: m om. E
- 16: M dignità della quale, m M' dignità la quale pervieneSO: M' vi sono
— SI m,»f' perviene — 22 .- M-m om. Ai — M un'altra seutenfa con un altro, m in
un'altra diceria si giungne un'altra sententia chon un altro piacevole
dil. — 23: M-m dice Salamene — 25: M' li frodolenli basci — m om. Et —
26-27: M om. e di sentenzie, m om. piacevole el; M om. che....
parole Ambedue le lezioni sono possibili; ma con quella di M si spiega
meglio una pretesa correzione in dice (chi avrebbe pensato, invece, a
cambiare dice indi?), mentre poi il verbo dice renderebbe superflua
l'espressione in queste parole. Dice Tulio della memoria. Memoria è
fermo ricevimento nell'animo delle cose e delle parole e dell'ordinamento
d'esse. Et perciò che neente vale trovare, ordinare o acon-
ciare le parole, se noi nolle ritenemo nella memoria sicché ci'nde
ricordi quando volemo dire o dittare, sì dice Tulio che è memoria. Onde
nota che memoria èe di due maniere: una naturale et un'altra artificiale.
La naturale è quella forza dell'anima per la quale noi sapemo ritenere a memoria
QUELLO CHE NO APRENDEMO PER ALCUNO SENNO SEL CORPO. Artificiale è quella
scienzia la quale s'acquista per insegnamenti delli FILOSOFI, per li quali bene
impresi noi possiamo ritenere a memoria le cose che avemo udite o trovate
o APRESE PER ALCUNO DE’ SENNI DEL CORPO e di questa memoria artificiale dice
Tulio eh' è parte di rettorica. Et dice che memoria è quella scienzia per
la quale noi fermiamo nell'animo le cose e le parole eh' avemo trovate et
ordinate, sicché noi ci 'nde ricordiamo quando siemo a dire. Et già
é detto che è memoria; si dicerà il conto la quinta et ultima parte
di rettorica, cioè pronuntiatio. Dice CICERONE della
pronunziagione. Pronuntiatio è avenimento della persona e della voce
secondo la dignitade delle cose e delle parole. Et al ver dire poco vale
trovare, ordinare, ornare parole et avere memoria chi non sae profFerere
e dicere le sue parole con avenimento. Et perciò alla fine dice
Tulio Però che niente ot
acconciai-e — 7: w» cene, Af' cine — M volere — 9:mom, et — il: M' senso
— IS: M' quella memoria i-i: J»/' udito
— i5: 4f' sensi — 16-, m nnu Et — i8 : m olle parole — i9: M' noi vegnamo
a dire — SO- « ultra parte, hi ora dirà il conto la quinta jiarte,
.W" il maestro - S6 : m o ornare — 27: in a chi non sae prollbrere o
diro -òs- che è pronuntiatio; e dice eh' è quella
scienzia per la quale noi sapemo profferere le nostre parole et amisurare
et accordare la voce e '1 portamento della persona e delle membra secondo la
qualitade del fatto e secondo la condizione della diceria. Che chi vuole
considerare il vero, altro modo vuole nelle voci e nel corpo parlando di
dolore che di letizia, et altro di pace che di guerra, ('he '1
parliere che vuole somuovere il populo a guerra dee parlare ad alta
voce per franche parole e vittoriose, et avere argoglioso advenimento di
persona e niquitosa ciera contra ' nemici. Et se Ila condizione richiede che
debbia parlamentare a cavallo, si dee elli avere cavallo di grande
rigoglio, sì che quando il segnore parla il suo cavallo gridi et
anatrisca e razzi la terra col piede e levi la polvere e soffi per e nari
e faccia tutta romire la piazza, sicché paia che coninci lo stormo e sia
nella battaglia. Et in questo punto non pare che ssi disvegna a la fiata
levare la mano o per mostrare abondante animo o quasi per minaccia de'
nemici. Tutto altrimenti dee in fatto di pace avere umile advenimento del
corpo, la ciera amorevole, LA VOCE SOAVE, la parola paceffica, le mani
chete; e’1 suo cavallo dee essere chetissimo e pieno di tanta posa e' sì
guernito di soavitade che sopr'a llui NON SI UMOVA UN SOL PELO, ma elli
medesimo paia factore della pace. Et così in letizia de' 1
parlatore tenere LA TESTA LEVATA, il viso allegro e tutte sue parole
e viste SIGNIFICHINO allegrezza. Ma parlando in dolore sia LA TESTA
INCHINATA, il viso triste e li occhi pieni di lagrime e tutte sue parole
e viste dolorose, sicché ciascuno sembiante per sé e ciascuno motto per sé
muova l'animo dell’uditore a piangere et a dolore. Et già é detto delle V
parti sustanziali di rettorica interamente secondo l'oppinione di Tulio,
e sì come lo sponitore le puote fare meglio intendere al suo porto; sì
ritorna Tulio a scusare sé medesimo di ciò che non àe mostrato ragione
perché 2: m e misurare ~ 5: M' che a chi vuole — 0: M' noia
boce — 7 : M' parlare, m Il parliere — 8: m smuovere — i/' om. il populo
— 11 : M parlantare, m p-are — 12: m mn. elli — 14-15: M' delle nari, vi
sozzi le anari — 16: il' incominci — 17: M-m om. per — 19-20: M' humili
avenimenti — m nel chorpo — 21 : M' le parole pacefiche — 22 : L di tanta
jwssa — 24 : M' om. Et — mss. del parlatore — 25 : M-m levata in suso -
il' le sue parole — 26: il-m e signilichino — 27: m chinata, il' inchina, L
inchinata — 28 : M-m parole iuste e dolorose — 29: il' muove — 30: m
piangerò a dolore. Ora è detto — 31 : il' sustanziali parti — 32: M' il
puote — 56 — quello sia genere et ofifìcio e
fine di rettorica sì com' elli àe fatto della materia e delle parti, e
dice in questo modo. Tullio dice che tratterà della materia e delle
parti. Oramai dette brievemente queste cose, atermineremo in 5 altro
tempo le ragioni per le quali noi potessimo dimostrare il genere e
IPofficio e Ila fine di quest'arte, però che bisognano di molte parole e
non sono di tanta opera a mostrare la propietade e Ile comandamenta
dell'arte. Ma colui che scrive l'arte rettorica pare a noi che 'I
convenga scrivere dell'altre due, cioè della maio teria e delle parti. E io
perciò voglio trattare della materia e delle parti congiuntamente.
Adunque si dee considerare più intentivamente chente in tutti generi
delle cause debbia essere inventio, la quale è principessa di tutte le
parti. In questa parte dice Tulio che non vuole ora provare perchè quello
sia genere di rettorica che detto è davante, né Ilo officio né Ila fine,
però che vorrebbe lunglie parole e non sono di molto frutto, e però l'
atermina nel- r altro libro nel quale tratta sopr' a cciò; et in
questo presente libro tratta della materia, cioè dimostrazione,
deliberazione e iudicazione, et altressì tratta delle pai'ti, cioè
inventio, dispositio, elocutio, memoria e pronuntiatio. Et di tutte queste
tratterà insieme e comunemente. Ma però che inventio è la più degna
parte, sì dicerà CICERONE chente ella dee essere in ciascuno genere di
rettorica, cioè come noi dovemo trovare quando la materia sia di
causa dimostrativa, e quando sia deliberativa, e quando sia iudiciale; e
tratterà si comunemente che mosterrà come sia da trovare in catuna di
queste cause, e come 30. ordinare e come ornare la diceria, e come
tenere a me- moria e come profferere le sue parole. 1
: M-m quella — 4 : M' Ogimai — 7 : M admostrare, ni a dimostrare — M' le
pro- picladi — 9: M-m che convenga - iO-H : M-m om. K io....
congiuntamente — IS: M-m chente e — i3: Af' do tutte l'arti — 16: M-m
quella, M -L quel — M' detto davanti — 18: M' lo termina — 20: M-m
dimostrative — 23: M' congiuntamente; m om. e — 24: M-m om. SI dicerà
Tulio — i'S : M' om. sia — congiuntamente — S9: Af' come iu e. d. q. e.
sa da trovare — 30: iii nm. e come ornare Lo sponitore parla all' amico
suo. Perciò lo sponitore priega '1 suo porto, poi ch'elli àe impresa altezza
di tanta opera come questa èe, che a llui piaccia di si dare
l'animo a cciò eh' è detto davanti, spezialmente in connoscere il dimostrativo
e '1 deliberativo e '1 iudiciale che sono il fondamento di tutta l'arte, e poi
a quel che siegue per innanzi, eh' elli intenda tutto '1 libro di tal
guisa che, per lo buono aprendimento e per lo bel dire che farà secondo
lo 'nsegnamento dell' arte, il libro e lo sponitore ne riceve- JO. ranno
perpetua laude. Della constitnzione e delle quattro sue parti.
34. (e. Vili) Ogne cosa la quale àe alcuna controversia in diceria
o in questione contiene in se questione di fatto o di nome di genere o
d'azione; e noi quella questione delia quale nasce la causa apelliamo
constituzione. E constitnzione è quella eh' è prima pugna delle cause, la
quale muove dal contastamento della intenzione in questo modo. Facesti. Non
feci, o Feci per ragione. Poi che CICERONE àe detto di mostrare e
trattare della invenzione e della materia insieme, sì mostra lo
sponitore in che ordine trattò de l'inventio; ma per maggiore chiarezza
dicerà tutto avanti in che significazione si prendono queste parole, cioè
causa, controversia, constituzione e stato. Causa vale tanto a dire quanto
il detto o '1 fatto d' alcuno, per lo quale è messo in lite, ed è appellato
causa tutto '1 processo dell' una e dell' altra parte. Et appellasi
causa tutta la diceria e la contenzione cominciando al prolago e tìniendo
alla conclusione; donde dice uomo: 3: M-m di darli l'animo —
7-10: M^ chel baono — ben dire — per tua laude, M-m dello sponitore, M ne
rlcevemo, m ne riceva - 13: m o questione, ilf ' om. contiene in se
questione 14 : M-m di quella — 15: M^
constitutione ò la prima pugna — 21 : M' om. insieme — M' mosterra, ma L
mostra — SS : M delinventia, m della inventia, M^ della inventione — 23:
m tutto innanzi — Af' mi. si prendono — S7 : M' dell'una parte 7 del-
l'altra — 28: M-m la 'nlentione — M' dal prol. La mia causa è
giusta, cioè, la mia parte è giusta. Controversia vale a dire tanto come causa,
e viene a dire “controversare” cioè usare l'uno coli' altro di diverse
ragioni e contrarie. Questione tant' è a dire come '1primo detto di
colui che comincia contra un altro e '1 secondo detto di colui che ssi
difende. Et appellasi quistione una diceria nella quale àe due parti
messe in guisa di dubitazione, et appellasi questione per l'una e per l'altra
parte della questione. Constituzione si prende et intende in quelle medesime
significazioni che sono dette davanti. Stato è appellato il detto e '1 fatto'l)
dell'aversario, però che' parliere stanno a provare quel detto o quel
fatto; e questo medesimo è appellato constituzione perciò che '1 parliere
constituisce et ordina la sua ragione e la sua parte di quel detto o
di quel fatto. Et per ciò è appellato “CONTRO-VERSIA” che diversi
diversamente sentono di quel detto o di quel fatto. Qui dice lo sponitore
come Tullio tratterà della Invenzione. Et poi che Ilo sponitore àe dette
le significazioni di queste parole, dicerà in chente ordine Tulio tratta della
'nvenzione. Et certo primieramente insegna invenire e trovare quelle
questioni le quale trattano i parlieri, et appellale constituzioni e dice
la proprietade di constituzione e dividela in parti. Nel secondo luogo mostra
qual causa sia simpla, cioè di due divisioni, e qual sia composta, cioè
di quattro o di più. Nel terzo luogo mostra qual contraversia sia in
scritta e quale in dicere. Nel quarto luogo mostra quelle cose che nascono
di constituzione, cioè la diceria nella quale àe due divisioni e ragioni,
e Ila giudicazione e '1 fermamento. Nel quinto luogo mostra in che guisa
si debbono trattare le parti della diceria secondo rettorica. Nel VI
luogo mostra quante sono esse parti e quali e che sia da ffare in
ciascuna. Et disponesi cosi 2 : Af' vale quasi tanto — 3: M'
controversia — centra l'altro diverse ragioni — 4:M' k tanto a dire — M-m
come primo — 5: m e secondo — 7: M-m parti in essere — M dn- bitatione
sanfa dubitatione — 9: M' i s'intende — 10: m dinanzi — J8: m om. VA- IO:
M' sì dicerà oggimai — 20: L a trovare — 23: m In quattro parti — M-m
dimostra - M qual cosa, m ciualo luogho — 26 : M-m sia scripta - 28 :
M'-L e la ragiono el iu- dicamento el fermamente — 29: m dimostra — 31: M
luorao (tic) .— 32: M' ciascuno M Kt diponesi, m ('dispensi, M'-L Et
dispone Ci aspetteremmo o 'l fatto, anche per uniformità colle
frasi seguenti ; ma la concordia dei codici per e lascia incerti sulla
conesiione, che non è neppure indispensabile per il senso.
— 59 — il testo di Tulio per fare intendere onde procedono le
qui- stioni che toccano al parliere di questa ai'te. Ogne cosa la
quale àe in sé CONTRO-VERSIA, cioè della quale i diversi diversamente
sentono sicché alcuna cosa dicono sopr' a cciò con inquisizione, cioè per
sapere se alcuna delle parti è vera o falsa, sì à' in sé que- stione di
fatto, cioè questione la quale muove di ciò che alcun fatto è apposto
altrui. Verbigrazia : Dice l'uno contra l'altro. Tu mettesti fuoco nel
Campidoglio. Et esso risponde. Non misi. Di questo nasce una cotale
questione, se elli fece questo fatto o no, et è appellata questione di fatto
per quello fatto che a llui è apposto, etc. Od è questione di nome, cioè
che l’una parte appone un nome a un fatto (D e l'altra parte n'appone un
altro. Verbigrazia: Alcuno à furato d'una chiesa uno cavallo o altra
cosa che non sia sagrata. Dice l’una parte contra lui. Tu ài commesso
sacrilegio. Dice l'altro. Non sacrilegio, ma furto. Et nota che sacrilegio è
molto peggiore che furto, perciò che colui commette sacrilegio che
fura cosa sacrata di luogo sacrato. Donde di questo nasce una
questione del nome di quel fatto, cioè se dee avere nome furto
sacrilegio, e però è appellata QUESTIONE DEL NOME. Od è questione del genere,
cioè della qualitade d'alcuno fatto, in ciò che l’una parte appone a quel
fatto una qualitade e l' altra un' altra. Verbigrazia : Dice F uno. Questi
uccise la madre iustamente perciò ch'ella avea morto il suo padre. Dice
l'altro. Non è vero, ma iniustamente l'à fatt; e di ciò nasce cotal
questione di questa qualitade. Se l'à fatto iustamente o iniustamente, e perciò
è appellata questione di genere, cioè della qualità d'un fatto e di
che maniera sia. Od è questione d'azione, cioè viene a dire che
contiene questione la quale procede di ciò, e' alcuna azione si muta d' un luogo ad altro
e d'un tempo ad altro. Verbigrazia : Dice uno contra un altro. Tu
m' ài M' diversi — 6: M' se l'una parte — 8: 3f' un facto — 8-9:
M' uno contra un altro — M' Elgli, mie— 12-13: m che 6 allui aposto, il/'
perche il facto che allui e e apposto da questione ecc. — M-m Onde
questione — i4 : M-m in nome o in facto, M' ialla dal 1° al 2° appone —
18: m M' oin. Et — M' peggio — 20: m Onde — 21: M' del nome del facto —
22: m di nome — 23: M-m Onde — m di genere — 25: M-m l'altro — 28: iW'
OHI. e — 29: M-m om. se l'à fatto — 30: M' o di che m. - 31 : M-m Onde
mcioò che viene — 32-34: M' dico calcuna ad un altro — om. e.... ad altro — uno
a un altro È lezione congetturale,
ma sicura, come dimostra l'espressione analoga del § 16. furato un
cavallo »; et esso risponde: « Vero è, ma non tine rispondo in questo
tempo, perciò che ttu se' mio servo, o perciò eh' è tempo feriato, o
perciò eh' io non debbo rispon- derti in questa corte, ma in quella della
mia terra. Onde di questo procede una questione, la quale Tulio dice
che è d'azione, cioè se colui dee rispondere o no. Et dice Tulio
che tutte le quistioni che sono dette davanti sono appellate
constituzioni, cioè c'anno questo nome. Et dice che constituzione è la
prima pugna delle cause, cioè quello sopra che da prima contendono i parlieri,
cioè il detto dell'uno e '1 detto dell'altro, e questo sopra che de
prima contendono i parlieri si è il nascimento, cioè che muove del
contrastamento della intenzione, cioè del detto di colui che ssi difende
contra le parole dell'accusatore. Onde contastamento è appellato el primo
detto del difensore e intentione è appellata il primo detto dello accusatore.
Et pare che il nascimento della constituzione vegna della difensione ch'è
della accusa, non che nasca della difensione, ma perciò che del detto del
difenditore si puote cognoscere se Ila causa o Ila questione è di fatto o
di genere o di nome o d'azione, sì come appare nelli exempli che sono
messi davanti. Et omai dicerà Tulio le
nomora e Ile divisioni e Ile proprietadi e He cagioni di tutte le
dette questioni. Del fatto, et è detto congettìirale. Quando
la controversia è di fatto, perciò che Ila causa si ferma per congetture,
sì à nome constituzione congetturale. In questa parte dice Tulio che
quando la contenzione è per alcuno fatto che sia apposto ad altrui, sì
come davanti si dice, sì conviene eh' ella sia provata per
con- 1 : M' 0(1 cigli, VI et e — 3: m e però ch'io — M'
rispondere — 6 : M' se quelli — m OHI. Et — 10: M i parliero, vi quello
dello quale contendono da prima — 14: M di- fontu — 15: m M' il primo 16: M' appellato - 17: M-m che nascimento —
19: M' owi. del — 23-24: M' om. e Ilo cagioni, mn scrive le detto |
cagioni I (piestioni — SS: Moni. è — 26-27: M-vi om. è — per cometlere —
30: M' apposto altrui gettare, cioè per suspezioni e per presunzioni.
Verbigrazia: Dice uno contra un altro. Veramente tu uccidesti
Aiaces, ch'io ti trovai e VIDI TRAIERE IL COLTELLO DEL SUO CORPO. Et
questa è faticosa questione, ciò dice Vittorino, perciò 5. che a provarla
si faticano molto i parlieri, perciò ch'al- tressì ferme ragioni si
possono inducere per l’una parte come per 1' altra. E poi eh' è detto
della constituzione di fatto, sì dicerà Tulio di quella eh' è di
nome. Del nome, et è appellata ilifjìnitiva. Quando è la
controversia del nome, perciò che Ila forza della parola si
conviene diffinire per parole, sì è nominata diffi- nitiva. In
questa parte dice Tulio che quando la conten- 15 zione è del nome
del fatto, cioè come quel fatto eh' è apposto altrui abbia nome, quella
questione si è diffinitiva perciò che Ila forza, cioè la significazione
di quella parola e di quel nome si conviene diffinire, cioè aprire e
rispia- nare che viene a dire e che significa, non per exempli
ma per parole brevi e chiare et intendevole.Verbigrazia. Un uomo è
accusato che tolse uno calice d' uno luogo sacrato et è Ili apposto che sia
sacrilegio, et esso si difende dicendo che non è sacrilegio ma furto. Or
sopra questa controversia si è tutta la questione per lo nome di questo
fatto: è sacrilegio o furto? Onde per sapere la veritade si conviene
diffinire l'uno nome e l’altro, cioè dire la signifficazione e Ilo 'ntendimento
di ciascuno nome, e poi che fie chiarito per le parole quello che '1 nome
significa, assai bene si potrà intendere e provai e qual nome si XJonga
a 30. quel fatto. Et poi eh' è detto del nome, sì dicerà
Tulio del genere. 3: m e viJili trarre, M' ol ti vidi
trarre — 5-6: M'-L acciò che altress'i (L altre si) f. r. se ne possono —
7: in ora. E — *: m om. sì — W: M' la controversia è — ii: M'-L appellata
— 13: M-m om. è — 3f ' 7 ilei facto — 16: M' om sì — 17:M' che ella
airorca — M-m a quella parola - 21-22: M' del luogo sacro — 23: M' ma e
furto — 24-25: AT» se questo facto è sacrilegio furto — 26: m l'altro —
M-m dare - 28: M-m che nome — 30: m om. Ei e si Dice Tullio
del genere, et è appellato generale. Quando è quistione della cosa qual
sia, perciò clie Ila. controversia è della forza e del genere del fatto,
sì è vocata constituzione generale. In questa parte dice Tulio che quando
è questione della cosa quale ella sia, perciò che Ila controversia è
della forza del fatto, cioè della quantitade, e della comparazione
et altressì del genere, cioè della qualitade d'esso fatto, si è 10.
vocata constituzione generale. Verbigrazia. La quantitade del fatto si è cotale
questione : se uno à fatto tanto quanto un altro, si come fue questione SE
CICERONE AVEA TANTO SERVITO AL COMUNE ROMA QUANTO CATONE. La comparazione del
fatbo si è cotale: di due partiti qual sia migliore, si come fue questione
quando i ROMANI presono Cartagine QUAL ERA MEGLIO TRA DISFARLA O
LASCIARLA. Il genere del fatto si è questione della qualità del fatto sì
come davanti fue messo F exemplo, cioè se colui che fece il fatto
fece iustamente o iniustamente. Dice Tullio dell'azione, et è
appellata translativa. Ma quando la causa pende di ciò che non pare che
quella persona che ssi conviene muova la questione, o non la muove
contra cui si conviene, o non appo coloro che ssi conviene.d) o non in
tempo che ssi conviene, o non di quella lege o di quel peccato o di
quella pena che ssi conviene, quella constituzione à nome translativa,
però che ir azione bisogna d' avere translazione e tramutamento.
8: M-m o decta forfa — 9: M-m sia — M' aiiiiellala — H : M-m senno - 14.
m do fatto — i7: M-m qualità — 2'1: A/' l'accusa — 24: M convenne, M-m
nm. o non (1) La frase o non appo coloro che ssi conviene manca in
tutti i codici, ma si ricava dal latino aid non apud qiios e dal § 4 dol
commento. In questa parte dice CICERONE della controversia dell'azione,
che quando sopr'acciò è Ila questione e' si conviene che l’azione si
tramuti in tutto o in parte, e perciò à nome translativa, cioè
trarautativa. Et questo è o puote essere Ijer sette maniere, le quali
sono nominate nel testo, cioè: 2. Quando non muove la questione quella
persona a cui la conviene di muovere. Verbigrazia: Dice uno scoiaio
contra ad un altro. Tu se' venuto troppo tardi a scuola. Et esso
dice. A te no'nde rispondo, che non ti si conviene muovermi questione di
ciò, ma conviensi al nostro maestro. O non muove la questione contra quella
persona che ssi conviene. Verbigrazia. Fue trovato che in ROMA si
trattava tradimento e fue alcuno che ll'aponea contra GIULIO Cesare, et
esso dicea. Contra me non si conviene muovere di ciò questione, ma contra
CATELLINA CATILLINA che l’ àe fatto e fa tutta fiata ». non muove la
questione appo coloro che ssi conviene, cioè davanti a quelle persone
che dee. Verbigrazia : Fue accusato il vescovo di simonia davanti al re
di Navarra. Il vescovo dice. Tu non m'accusi davante a giudice eh' io
debbia rispondere, ma io son bene tenuto di ciò e d'altro davante
l'appostolico. O non muove la quistione in quel tempo che ssi conviene.
Verbigrazia. Uno fue accusato il giorno di Pasqua. Esso dicea. Non rispondo ora
di questo, perciò che oggi non è tempo d' attendere a cotali convenenti» non
muove questione a quella lege che ssi conviene. Verbigrazia : Uno
cittadino di ROMA era in Parigi e volea piatire contra uno francesco
secondo la legge di Roma; ma quel francesco dice 3: Jtf -HI
7 si conviene, 3/' om. — 5: Af 7 puote, m e questo puole essere M' in sette m. — 7-8: m si conviene — M'
in contro a un altro — 9-iO: M' Ed elgli, m et elli — M-m om. ti 12: M-m muovere, M' muove questione — i4: Af
alcuna —16: m questione di ciò, M' di ciò non si conv. m. q. — ' 17: m
tuttavia — M-m contra coloro — 18-19: M' che si dee.... Il vescovo fu
acc. — 21: M davante a giudici, m /> davanti a giudici, M' davanti
giudice - 24: m della Pasqua — egli — 25: M' non ti rispondo ora di ciò 26: m M' da rispondere — 29: M' la legge
romana — m il Francesco (1) Questa è la lezione miglioro per il
senso, né si trova una valida ragione per considerarla arbitraria,
quantunque dalle due famiglie di codici sembri risultare un da rispondere: sarà
stato determinato dal rispondo con cui comincia la frase che non dee rispondere
a quella legge ma a quella di Francia. O non muove la questione di quel
peccato che ssi conviene. Verbigrazia. Fue accusato uno, che non
avea il membro masculino, ch'avesse corrotta una vergine; esso dice.
Io non risponderò di questo peccato -- non muove questione di quella pena
che ssi conviene. Verbigrazia. Fue uno accusato ch'avea morto uno gallo et
erali apposto che perciò dovea perdere la testa; esso dicea: Non
rispondo a questa pena, perciò che non tocca a questo peccato. Donde tutte
queste questioni sono translative, cioè che ssi tramutano in altro fatto
e stato, tal fiata in tutto e tal fiata in parte, si come appare nelli
exempli di sopra. Dice Tullio se l'una delle dette quattro cose non
fosse non sarebbe causa. E così conviene che ssia l' una di queste
inn ogne maniera di cause, perciò che in qual causa no 'nde fosse alcuna,
certo in quella non porrebbe avere contraversia, e perciò conviene che
non sia tenuta causa. Poi che CICERONE àe divisate le parti della
constituzione et àe detto che e come è ciascuna di quelle parti e
le loro nomerà, sì vuole Tulio provare che quando l'una di queste
questioni, che sono del fatto o del nome o della qualità del tramutare l'azione,
non è intra parlieri, certo intra loro non puote essere controversia ; e
poi che 'ntra loro non à controversia, certo il fatto sopra il quale
dicessero parole non sarebbe causa, e così non sarebbe materia di
questa arte, cioè che non sarebbe dimostrativo né diliberativo né iudiciale. 2.
Et provando questo sì dimostra Tulio i: i non si dee — 4-5:
m M' Klgli dico -- 7: M' Fue accusalo uno — 8: M' nm_ perciò - m egli
dice — M' non li lispondo — 9: M' non tocclia (piosto peccato — ti: M' in
altro slato, m om. e stalo - J2:M' paro — 16: M' luna de ipicste sia - 17: M
tn i|ualcosa, m in quale chosa - SS : M-M^ 7 ciascuna - S3: m provare
Tulio - S3-S6: M-m om. ^ — m tralloro - 30: m quando ([U'-sto
che Ile predette cose in questa arte sono si congiunte in- sieme
che qualuuiiue causa è dimostrativa o deliberativa o iudiciale sì
conviene che sia constituzione o del fatto o del nome o della qualitade o
dell' azione, et e converso che 5. qualunque constituzione è del fatto o
del nome o della qualità o dell'azione sì conviene che sia dimostrativa
o deliberativa o iudiciale. Et omai perseverra Tulio sua ma- teria
per dicere di ciascuna parte per sé. Del fatto. La contraversia del
fatto si puote distribuire in tutti tempi: che ssi puote fare quistione
che è essuto fatto, in questo modo. Ulisse uccise Aiace o no ? Et puotesi fare
questione che ssi fa ora, in questo modo Sono i Fregelliani in buono
animo verso lo comune o no ? Et puotesi fare questione che ssi farà, in
questo 15. modo : Se noi lasciamo Cartagine intera, everranne bene
al comune no? In questa pai'te dice CICERONE che Ila CONTRO-VERSIA la
quale è di fatto che ssia apposto ad altrui, la quale àe nome
constituzione congetturale sì come fue detto in adietro e messo in
exempli, sì puote essere in tutti tempi, cioè preterito, presente e
futuro. Nel PRETERITO pone Tulio r exemplo della MORTE D’AIACE, che fue
cotale. Stando l'assedio di Troia sì fue morto il buon Achille, et
apresso la sua morte fue grande questione delle sue armi intra Ulisse et
Aiace. Et certo Ulisse fue, secondo che contano le storie, il più savio
uomo de' Greci e '1 milìor parliere, sicché per lo grande senno che
i-llui regnava e per lo bene dire niettea in compimento le grandi
vicende, alle quali altre non sapea pervenire, e perciò adoperò e'
più di male contra' Troiani per lo suo senno che non fecero M
dimoslraliva — 3: M' constitutione del facto — 4-6: M-m om. ot e
conweiso.... dell'azione — 7 : M' Et oggimai perseguita 10: M' in dui tempi — 11: m clie exututo
— 13: M* de buono animo — 14: m om. che ssi farà — 15: M-m, L in terra —
ikf' aver- ranne, m e veramente bene — S3 : M' Tulio la morto — 24: M* a
Troia — 26-27: M' secondo che recitano le storie, fue M-m et niilior —
29: M* per .ben dire — 30: Mie quali, m le quali oltre non sapeano — M
adopio 7, m adoppio più, M' adopero elgli
M' in contro a — la non fé, L non fece quasi tutta
l'oste per arme, et alla fine si parve uianifestameute, eh' elli fue trovatore
del cavallo per lo quale fue Troia perduta e tradita; ma veramente in
guerra non si 5. fatigava molto con arme e non era di gran prodezza,
ma tuttavolta dimandava che Ili fossono CONCEDUTTE L’ARMI D'ACHILLE, e
dicea che nn'era degno e ch'avea in quella guerra ben fatta l'opera
perchè etc Et dall' altra parte Aiaces era uno cavaliere franco e prode
all'arme, di gran guisa, ma non era pieno di grande senno e sanza molto**
(D francamente avea portate l'armi in quella guerra, e perciò
domandava l'armi d'Achille e dicea che non si conveniano ad ULISSE. Onde
alla fine l'armi furono concedute ad Ulisse, per la qual cosa montò tra
lloro TANTA INVIDIA che divennero nemici mortali ; et in questo mezzo
tempo e morto Aiaces e fue della sua morte ACCUSATO Ulixes, et esso
si difendea e negava ; e di questo sì era QUESTIONE DI FATTO in preterito, cioè
che già era fatto in tempo passato. Inol presente tempo mette Tulio l'
exemplo de' Fragellani, che furo una gente i quali fui'ono accusati in ROMA eh'
elli aveano male animo contra il comune. Et elli si difendeano e diceano che
11' aveano buono e dritto ; e di ciò si era QUESTIONE DI FATTO PRESENTE,
cioè se sono ora presentemente di buono animo o no. Nel FUTURO mette CICERONE l’exemplo
di CARTAGINE, la quale fue una delle più nobili cittadi e delle più
poderose del mondo, e tenne guerra contro a ROMA, sì eh' alla fine I
ROMANI vinsero e presero la terra ; e furo alcuni che voleano che Ila
cittade si disfacesse per lo bene di Roma, ET ALTRI CONSIGLIARO DEL NO perciò
che '1 meglio ne potrebbe advenire s' ella rimanesse intera, e di ciò è QUESTIONE
DEL TEMPO FUTURO, cioè se bene o male n'averrà se Cartagine rimanesse
intera o s'ella si disfacesse. Ma poi che Tulio à detto della
controversia del fatto, sì dicerà di quella del nome in questo
modo. i: M' ne non era. — 6: M' ben dengno — 7 : M' ben
l'opera perchè, L bene adope- rato perchè — 9: m orti, e sanza molto —
10: M-m provale — 14: m iim. mezzo — 15 : m 7 dela sua morte fue aco. —
16-17 : M-m onde di questo era già (piestione... in perciò che già ecc.
(vi om. in perciò) — 18: M' Fregiani — 19: M' che fuoro accusati — SO:
SI' comune de Roma — 22 : m om. si — S6: M incontra — S7 : m om. e — M'
vollero (ma L voleano) — 28: m om. et — M' di no m pero che meglo ne potrebbe loro
intervenire M-m, L in terra — Af' e
questo nel tempo futuro — M-m che bene — 31: M, L'in terra (1) Così
hanno i mss. e perfino la stampa, ma evidentemente manca qualche parola
(anzi itf " dopo molto lascia uno spazio bianco), come dire o parlare.
Basti averlo notato, senza pretendere d' indovinare. Del nome. Controversia
del nome è quando lo fatto è conceduto, ma è questione di quello eh' è
fatto in che nome sia appellato; et in questo conviene che sia
controversia del nome, perciò che non s'accordano della cosa; non che del
fatto non sia bene certo, ma che quello ch'è fatto non pare all'uno
quello eh' all' altro, e perciò l'uno l'appella d'un nome e l'altro d'un
altro. Per la qual cosa in questa maniera la cosa dee essere diffinita
per parole e breve- mente discritta, come se alcuno à tolta una cosa
sacrata d'uno luogo privato, se dee essere giudicato furo o sacrilego,
che certo in essa questione conviene difinire l'uno e l'altro, che sia
furo e che sacrilego, e mostrare per sua discrezione che Ila cosa
conviene avere altro nome che quello che dicono li aversarii. In
questa parte dice CICERONE della controversia del nome ; e perciò
che di questo è molto detto davanti, sì siue trapassa lo sponitore
brevemente, dicendo solamente la tema del testo, sopra '1 quale il caso è
cotale: Roberto accusa Gualtieri ch'elli àe malamente tolta una cosa
sacrata, si come UNO CALICE o altra simile cosa la quale sia diputata a'
divini mistieri, e dice che Ila tolse d'uno luogo privato, cioè d'una
casa o d'altro luogo non sacrato. Viene l'accusato e confessa il fatto.
Dice l'accusatore. Tu ài fatto sacrilegio. Dice l'accusato. Non ò fatto
sacrilegio, ma furto. Et così sono in concordia del fatto, ma
non della cosa, cioè della proprietade per la quale si possa sapere che
nome abbia questo fatto, perciò eh' all' accusatore pare una, che dice
ch'è SACRILEGIO, et all'accusato pare un' altra, che dice eh' è FURTO.
Onde in questa maniera di CONTROVERSIA si conviene che '1 PARLIERE che
dice sopra questa materia dififinisca e faccia conto IN BREVI PAROLE
3 : it 7 (li questo — 9 : M-m distrecta —10: M- sacrato — M-m per
furto o per sacrilegio, L furto sacrilegio —11: M-m con l'altro — m furto — 12:
M-m che sacrilegio, A/' che sia sacrilego — il/' scriptione — 16:Mom.
detto — M' nm. si — 18: m sopralla quale - J/' Uberto : M' tolto — 19 : m
cosa simile — SI: M-m ad veruno mistieri (m mistiere) — 23-24: M il
l'atto. Et dice laccusato — m Non o, ma furto — 27-28: m però
chellachusatorc... una diosa — 2H-29: M-m om. sacrilegio.... cli'ò — 30:
jV' jjarladore — 3t: M' didinita - G8 - che cosa
è SACRILEGIO e che è FURTO; e così dee mostrare come questo fatto non à
quel nome che dice l'aversario. Ed è detto della CONTROVERSIA del nome;
omai dicerà Tulio CICERONE di quella del genere, in questo modo :
5. Del genere. ^Z. (e. IX) Controversia del genere è
quando il fatto è conceduto e sono certi del nome d' esso fatto, ma
è questione della quantitade del fatto o del modo o della
qualitade, in questo modo : giusto ingiusto - utile o inutile - e
tutte cose nelle quali è questione chente sia quel fatto. In questa parte
dice Tulio CICERONE della questione del genere, e di questa è tanto detto
dinanzi che 'n poche parole di- morerà lo sponitore ; e dice che quella
controversia è del genere nella quale Y accusato confessa il fatto et è in
con- cordia coir accusatore del nome d' esso fatto, ma sono in
discordia della quantitade del fatto, cioè se grande o pic- colo o molto
o poco. Verbigrazia. Un gran romano quando dovea cacciare i nemici del
suo comune si fuge. E accusato eh' ha fatto danno e male alla inaestà di Roma;
l'accusato confessa il fatto e '1 nome del facto. Dice l'accusatore. Questo
è grande DANNO. Dice l'accusato :
« Non è grande, ma PICCOLO. Ed è la discordia tra loro della quantità,
cioè se quel male è grande o piccolo. O sono in discordia del modo, cioè della
comparazione del fatto, sì come fue detto qua indietro nell'exemplo di
Cartagine, qual fosse la migliore parte tra disfare o lasciare. O sono in
discordia della qualitade del fatto, sì comepare in exemplo d'ORESTE che
uccide la sua madre, ed e accusato che l’ha morta ingiustamente. Ed ORESTE
si difende e dice che l'à morta giustamente, ma bene con-
OM, 8: M'in modo della qualitndo — 9: m o non giusto —
12: M' tracia — i3: M-m detto — VI di questo — M die poclie p. — m
dimora, Af' <limorra - 16-17: M' ohi. ma sono.... del fatto — 20: M-m
t>m. e male — S3: M-m nm. Ed — So: >/' Or sono, M-m OHI. - 26: M'
nm. si - 27 : M' o disfare - 2S : M-m quantitade - 29 : M' nelexemplo di
((uestl, M-vi dotesles — 30-.il : m nm. ot esso... GIUSTAMENTE giustamente, M'
nm. si - M-m cliellavea - 69 — fessa il fatto e
1 nome del fatto; ma sono in discordia della qualità, cioè se 11' àe
fatto GIUSTAMENTE O INGIUSTAMENTE. Ben è vero che Tulio CICERONE non
mette in exemplo della quàntitade nel testo, né della comparazione, se
non solamente della 5. qualitade ; e questo fae perciò che più sovente ne
vien tra Ile mani che non fanno l'altre, e perciò dice che tutte
cose nelle quali si confessa il fatto e '1 nome del fatto, ma è
questione della qualità d'esso fatto, sì è controversia del genere. E poi
che Tullio CICERONE à detto di questa questione del genere secondo il suo
parimento, sì procede immantenente a riprendere Ermagoras dell'errore suo in
questa controversia del genere. A questo genere Ermagoras sottopuose IV parti,
ciò sono DELIBERATIVO, DEMONSTRATIVO, IUDICIALE, E NEGOZIALE. Il quale
suo fallimento non mezanamente pare che ssia da riprendere, ma in
breve, perciò che sse noi ci ne passiamo così tacendo fosse pensato che
noi lo seguissimo sanza cagione; o se lungamente soprastessimo in ciò,
paia che noi facessimo dimoro et impedimento agli altri insegnamenti. Se
deliberamento e dimostramento sono generi delle cause, non possono essere
diritte parti d'alcuno genere di causa, perciò che una medesima cosa
puote bene essere genere d'una e parte d'un' altra, ma non puote essere
parte e genere d'una me- desima. Et certo deliberamento e dimostramento
sono genera delle cause. Ma o non è alcuno genere di cause, o è pur
iudiciale sola- mente, è iudiciale e dimostrativo e deliberativo. Dicere
che non sia alcun genere di cause, con ciò sia cosa eh' e' medesimo dice
che Ile cause sono molte e sopra esse dà insegnamento, è grande
forseneria. Un genere, cioè pur iudiciale solamente, non puote
essere, acciò che diliberamento e dimostramento non sono simili intra
lloro e molto si discordano dal genere iudiciale, e ciascuno à suo
fine al quale si dee ritornare. Adunque è certo che tutti e tre son
ge- neri delle cause, e così deliberamento e dimostramento non
possono 4: M> nel testo exemiilo - 5: M' in tra le mani —
iO: m om. secondo il suo pari- mente — M mantenente — 13: M-m II (juale
lue — i7 : 3/' nm. i)erciò — cene passas- simo — 18: m stessomo - 19: M'
dimora, m imped. 7 dimoro — 20: M-m dim. — 22 : m M' causa — M-m genere 7
parte d' una medesima - 23 : M' Ma none, vi Ma anno ale. — 26: M-m om. e
deliberativo — 27: M' ch'elli - 28: M' essi... inseffnamenti — 28-29 : M
7 grandi; fors (?), m 7 grande forma, M' 7 grandi mattezze. Genere ere. — .12
: M 7 certo — 3:i : M' de cause... dimost. 7 del. essere a
diritto tenute parti d'alcuno genere dì causa. Dunque ma- lamente disse
ch'elli fossero parte della constituzione del genere. 46. (e. X) Et
s'elle non possono essere tenute diritte parti della causa del genere,
molto meno fien tenute parti della diritta parte della causa; e parte
della causa è ogne constituzione; donde no la causa alla constituzione,
ma la constituzione s'acconcia alla causa. Ma dimostramento e
diliberamento non possono essere tenute diritte parti della causa del
genere, perciò che sono generi: donque molto meno debbono essere tenuti
parte di quello ch'esso dice. Appresso ciò, se Ila constituzione et essa e
ciascuna parte della con- stituzione è difensione contra quello eh' è
apposto, conviene che quella che no è difensione non sia constituzione ne
parte di constituzione. Et certo deliberamento e dimostramento non sono
constituzione. Dunque se constituzione et ella e la sua parte è
difensione contra quello eh' è apposto, il dimostramento e '1
diliberamento non è constituzione ne parte di constituzione. Ma piace a
Itui che ssia difensione. Dunque conviene che Ili piaccia che non sia
constituzione, né parte di constituzione. Et in altrettale isconvenevile
fie condotto, se esso dica che constituzione sia la prima confermazione
dell' accusatore o Ila prima preghiera del difenditore ; e così
seguiranno lui tutti questi sconvenevoli. Appresso ciò, la causa
congettu- rale, cioè di fatto, non puote d'una medesima parte inn un
medesimo genere essere congetturale e diffinitiva ; et altressì la
diffinitiva causa non puote essere d'una medesima parte inn uno
medesimo genere diffinitiva e translativa. Et al postutto neuna
constituzione ne parte di constituzione puote avere e tenere la sua forza
et altrui; perciò che ciascuna è considerata semplicemente per sua natura
; se l'altra si prende, il nomerò delle constituzioni si radoppia, non
si cresce la forza della constituzione. Veramente la causa
deliberativa insieme d'una medesima parte in un medesimo genere suole
avere la constituzione congetturale e generale e diffinitiva e
translativa, et alla fiata una e talvolta piusori. Adunque, essa non è
constituzione né parte di constituzione. Et questo medesimo suole
usatamente advenire della causa dimostrativa. Adunque sì come noi avemo
detto 3,5. davanti, questi, cioè deliberamento e dimostramento,
sono generi delle cause e non parti d'alcuna constituzione.
1 : M' a diricto essere tenute parte — 5: M-tn om. parto delln causa ì- —
vi om. no - 7: JV' tenuti 9 : m
tenute parti, il/' im. tenuti M-m
cliossi dice — iO: M-m chella const. — 11: M-m ? difensione — M' (piella
- IS: M-m non sia la constitutione — 13: m om. Et — 14: M 1 dunque le
const., m Dunque la const. — 15: M' nm. e '1 dilibera- mento — 16-18: m
om. i due periodi — ^0 : m seguiteranno - l' 1 : M-m si convenevoli - 23:
M'^ diffinitiva, m chon dilf. 25 : M-m
om. e translativa - 26: M-m om. nk - M' ne te- nere — 2S: m il novero —
il/ sic radoppia — 31: m coniotturalc generale — 32: i wim. illusori
— (i Lo sponitore. I. In questa
parte dice Tulio che Ermagoras dicea che Ila controversia del genere avea
quattro parti sotto sé, ciò sono deliberativo, demostrativo, iudiciale e
negoziale; della 5. qual cosa Tulio lo riprende in tutte guise, e mostra
molte ragioni come Ermagoras errava malamente, e questo pruova
manifestamente per argomenti dialetici: che dimostramento e deliberamento
sono generi delle cause si che Ile cause sono parti di loro; e poiché
sono generi, cioè il tutto delle 10. cause, non possono essere
parte delle cause, acciò ch'una cosa non puote essere tutto d'una cosa e
parte di quella medesima. 2. Et così per molte ragioni o vuoli
argomenti conclude Tulio che Ermagoras avea mal detto, e poi se-
guentemente dice la sua sentenza : quali sono le parti della constituzione
del genere, cioè della quantitade e del modo e della qualitade del fatto,
sì come qui dinanzi fue detto. Et in ciò incomincia la sentenzia di
Tullio in questo modo : Le parti della constituzione
generale. 20. ^S. (e. XI) Questa constituzione del genere pare a
noi ch'ab- bia due parti : Iudiciale e negoziale. Lo
sponitore. 1. Poi che Tullio àe ripresa l' oppinione d'
Ermagoras delle quattro parti, si dice la sua sentenza e dice che
sono 25. pur due parti, cioè quelle altre due che dicea Ermagoras:
iudiciale e negoziale ; et immantenente detta la sua sen- tenza, la quale
vince quella d' Ermagoras e d'ogn' altro, sì dice e dimostra che è
iudiciale e che è negoziale, in questo modo 4: M' dimostrativo,
deliberativo ecc. — 6: M-m provava — 9: m genero — 10: M el acciò — 11 :
M-m tiicta — 13:M^ conchiude Tulio Ermagoras avere — 17 : il/' comincia —
23 : m ripreso — 28: M' che e iuridiciale {e cosi sempre), M-m che iudiciale 7
che {ni om. che) negotiale ludiciale è quella nella quale si
questiona la natura dì dritto e d' iguaglianza e la ragione di guiderdone
o di pena. Sponitore. 5. 1. La iudiciale coustituzioue
è quella nella quale per diritto, cioè per ragione provenuta per
usanza e per igual- lianza, cioè per ragione naturale o per ragione
scritta, si questiona sopra la quantitade o sopra la comparazione o
sopra la qualitade d'un fatto, per sapere se quel fatto è giusto o
ingiusto o buono o reo. Altressì è iudiciale quella nella quale è
questione d'alcuno per sapere s'egli è degno di pena o di merito.
Verbigrazia. Alobroges è degno d'avere merito di ciò che manifestò la
congiurazione di Catenina? e questionasi del sì o del no. Et anche
questo exemplo. È Giraldo degno di pena di ciò che commise furto ? e
questionasi del si o del no. Et poi che à detto Tulio del iudiciale, si
dicerà dell'altra parte, cioè della negoziale. Negoziale è quella
nella quale si considera chente ragione sìa per usanza civile o per
equitade, sopra alla quale diligenzia sono messi i savi di
ragione. Dice CICERONE che quella constituzione è appellata negoziale
nella quale si considera per usanza civile, cioè per quella ragione
la quale i cittadini o paesani sono usati di tenere i-lloro uso o
in loi'o costuduti, o per equitade, cioè per legi scritte, chente
ragioni debbiano essere sopra quella 2: m quello nel (juale
— 3: M'-L ella ragione di diritlo, S di merito — 6: m perve- nuta — 8.me
sopra la comp. — 9: m se questo giusto —il: M^ si questiona d'alcuno
selglie ecc. — 12-14: m o di morte — M-m o alabroges di Catenina et questionisi
del si et del no (m di si o di no), L e questo exemplo —16: m
quistionìsi... om. Et — A/ 7 del no — 16-17: M' Tulio a detto dela
giuridicialo — 20: M' Di negotiale — 26: M' om. paesani — 27 : M' i loro
costuduti m illoro chostuduli, M' in loro constituti — M-m equalitade —
S8 : M' cliente ragione debbia constituzione. 2. Et intra la
iudiciale e la negoziale àe co- tale differenzia : che Ila iudiciale
tratta sopra le cose pas- sate et intorno le leggi scritte e trovate ; ma
la negoziale intende intorno le presenti e future (1) et intorno le legi
et 5. usanze che saranno scritte e trovate.Et questa è di molta
fatica, perciò che' parlieri s'affaticano di grande guisa a provarla et a
formare nuove ragioni et usanze allegando in ciò ragioni da simile o da
contrario. Et questa questione si tratta davante a' savi di legge e di
ragione, ma in provare la iudiciale basta dicere pur quello che Ila
ragione ne dice. 4. Et poi che Tulio à detto che è la iudiciale e
che è la negoziale, sì dicerà delle parti della iudiciale per meglio
dimostrare lo 'ntendimento di ciascuno capitolo dell' Arte. Di due
parti di Iudiciale. La iudiciale dividesi in due parti, ciò sono assoluta
et assuntiva. In questa parte dice Tulio che quella questione la quale
è iudiciale, sì come davanti è mostrato, sì à due parti. Una eh' è
appellata assoluta e l'altra la quale è appellata assuntiva ; e dicerà di
catuna per sé. 3 : M interno — 4: i mss. futuro — M' il
presente — 8 : m in se ragioni — 9 : M assaivi, m si tratta da savi — 10:
M pur di quello — 16: M' si divido — 21 : M' luna la quale è appellata -
M-m e assunptiva Per quanto la lezione di -Jf' (il presente e futuro)
sembri ottima, prefe- risco ricorrere alla lieve correzione di futuro in
future.: M* ha tendenza a cam- biare, e quindi non è improbabile che,
trovando già l'errato futuro, abbia voluto accordare con esso l'aggettivo
precedente, le presenti. Non saprei invece come spiegare un cambiamento
inutile in M-m. Assoluta è quella che in sé stessa contiene questione
o di ragione o d' ingiuria. Dice CICERONE che quella questione
iudiciale del genere èe appellata assoluta la quale in sé medesima
è disciolta e dilibera, sì che sanza niuna giunta di fuori contiene
in sé questione sopra la qualitade o sopra la quantitade o sopra la
comparazione del fatto, il qual fatto si cognosce s'egli é di ragione o
d'ingiuria, cioè se quel fatto é giusto o ingiusto o buono o' reo, sì
come in questo exemplo donde fue cotale questione. Verbigrazia : Fecero
quelli da Teba giusto o ingiusto quando per segnale della loro vittoria
fe- cero un trofeo di metallo? Et certo questo fatto, cioè fare un
trofeo di metallo per segnale di vittoria, piace per sé sanza neuna
giunta et in sé contiene forza della pruova, perciò ch'era cotale
usanza. Assuntiva è quella che per sé non dà alcuna ferma cosa a
difendere, ma di fuori prende alcuna difensione ; e le sue parti
sono quattro : concedere, rimuovere lo peccato, riferire lo peccato
e comparazione. S:M-m slesso — 7: M-m nm. ai — fi:
M-m «m. o sopra la (luantilude — 7 invece ili 0—9: M' in f|uel facto —
12: M-m Ino - »« di Teba — 14-13: m et cerio questo trofeo fatto faro per
sengnale della loro Victoria jiiuce per so medesimo — 16: M' la forfa 1
9 : M-m ohi. olio per sé non dà alcuna CICERONE dice che quella
constituzione è appellata assuntiva della quale nasce questione, la quale in sé
non à fermezza per difendersi da quello peccato eli' è allui appo-
5. sto, ma d'un altro fatto di fuori da quello prende argomento da difendersi;
si come nella questione d'Orestes, che fue accusato eh' avea morta la sua
madre, et elli dicea che ll'avea morta giustamente. Et certo il suo dire
parca crudel fatto, sì che queste parole per sé non anno difensione
com'elli l'abbia fatto giustamente, ma prende sua difen- sione d'un altro
fatto di fuori e dice: « Io l'uccisi giusta- mente, perciò ch'ella uccise
il mio padre ». Et così pare che con questa giunta piaccia la sua
ragione. Efc questa co- tale questione assuntìva à quattro parti, delle
quali il testo 15. dicerà di catuna perfettamente per sé.
Concedere e concessione è quando l'accusato non difende quello eh'
è fatto ma addomanda che ssia perdonato ; e questa si divide in due
parti, ciò sono purgazione e preghiera. 20. Sponitore.
I. Poi che Tulio avea detto che è e quale la questione assuntìva e
com' ella si divide in quattro parti, sì vuole di- cere di ciascuna per
sé divisatamente perchè '1 convenentre sia più aperto. 2. Et
primieramente dice che é concedere, e dice che quella constituzione é
appellata concessione quando l'accusato concede il peccato e confessa
d'averlo fatto, ma domanda che ssia perdonato ; e questo puote es-
sere in due maniere: o per purgazione o jjer preghiera, e di ciascuna di
queste dirà Tulio partitamente, e prima 30. della purgazione.
3: M> non àe in se — 5: M' di quello — 7 : M' Pt elli rispondea
— 8-iO: M-m om. Kt certo.... giustamente i4: M' nm. assuntìva — 15: M' per se
perfectamente — 17: M' o concessione - 18 : 3f ' domanda chelgli sia p. —
m. 7 questo — 21 : m che e quale, M' che 7 quale 6 — 23: m di chatuna —
24: M-m concede — 26: m confessa il pechato d'averlo facto
Purgazione è quando il fatto si concede ma la colpa si ri- muove, e
questa sì à tre parti : imprudenzia, caso e necessitade. Dice CICERONE che
quella maniera di concedere la quale è per purgazione sì è et
aviene quando l'accusato confessa, ma lievasi la colpa e dice che quel
fatto non fue sua colpa ; e questo puote fare in tre maniere, delle quali
è prima Imprudenzia, cioè non sapere. 2. Verbigrazia : Mercatanti
10. fiorentini passavano in nave per andare oltramare. Sorvenne
loro crudel fortuna di tempo che Ili mise in pericolosa paura, per la
quale si botaro che s' elli scampassero e per- venissero a porto che elli
offerrebboro delle loro cose a quello deo che là fosse, et e' medesimi F
adorrebbero. Alla fine arrivaro ad uno porto nel quale era adorato Malcometto
ed era tenuto deo. Questi mercatanti l' adoraro come idio e feciorli
grande offerta. Or furono accusati ch'aveano fatto contra la legge ; la
qual cosa bene confessavano, ma allegavano imprudenzia, cioè che non
sapeano, e perciò 20. diceano che fosse perdonato. Et di ciò era
questione, se doveano essere puniti o no. 3. La seconda maniera è
caso, cioè impedimento eh' adiviene, sì che non si puote fare
quello che ssi dee fare. Verbigrazia : Un mercatante caur- sino avea
inprontato da uno francesco una quantità di pe- 25. cunia a pagare
in Parigi a certo termine et a certa pena. 6: M-m om. b — 7
: M-m imi. non — 8: M' Kl puotesi l'art! — o In prima — tO: M per mare
oltramare, di passavano per maro in nave — Jf sopravenne — li: mi miseli,
JV/' om. che 14: M' edelgli medesimi —
15: M' Macliometlo, m Maometto — 17: M' fecero grande oHerta. Fiioro
ecc., m mii. Or — 19: M' noi sapeano — 21: m puliti — S4 : m inprontato
moneta da uno franeesclio Avenne che '1 debitore, portando
la moneta, trovò il fiume di Rodano si malamente cresciuto che non poteo
passare né essere al termine che era ordinato. Colui che dovea
avere domandava la pena, l' altro confessava bene eh' avea 5. fallito del
termine, ma non per sua colpa, se non che '1 caso era advenuto ch'avea
impedimentitotU la sua venuta, e però dicea che Ila pena non dovea
pagare; e di ciò è questione, se Ila dovea pagare o no. La III maniera è
necessitade, cioè che conviene che ssia così et altro non potea
fare. Verbigrazia : Statuto era in Costantinopoli che qualunque nave
viniziana arrivasse nel porto loro, la nave e ciò che entro vi fosse si
publicasse al segnore. Avenne che merca- tanti genovesi allogare una nave
di Vinegia e passaro con grande carico d'avere. Convenne che per impeto
di tempo per forza di venti, centra' quali non si poteano pa- rare,
pervennero nel porto e fue presa la nave e le cose per lo segnore. Ben
confessavano li mercatanti che Ila nave era veniziana, ma per necessitade
erano venuti in esso porto, e però diceano che non doveano perdere le
cose ; e di ciò era questione, se Ile doveano perdere o no. Tutto
altressì i Veniziani, cui fue la nave, raddomandavano la nave o la
valenza; i mercatanti diceano che l'amenda non dovea es- sere domandata,
perciò che per necessitade e non per volontade erano iti in quel porto. Et poi'
che Tullio àe detto della purgazione e delle sue parti, si dicerà della
preghiera. Preghiera è quando l'accusato confessa ch'elli àe
commesso quel peccato e confessa che 11' àe fatto pensatamente, ma sì
domanda che Ili sia perdonato, la qual cosa molte rade fiate puote
advenire. 1 : M-m avieno — S : M-m polea — 3: M' a. termine
ordinato — 5 : M' al termine - 5-6: M impedimento, M* ma nel caso era
avennlo 7 avea impedimentita — il: M' nel loro porto — 13: m una nave
viniziana, 3/' una nave de Viniziani 7 passavano — 14-15: M per un tempo
per impetto 7 per f., if ' per impedimento, m di vento — 18: M^ in quel
porlo — SO: M' ora la questione — m dovea — 22: M' che por lamenda — 24 :m
om. Et — 28-29: m domandasi — M' om. molto (1) Questa lezione
di w è confermata da impedimentita di Jf*, cioè dall'altra fami- glia di
codici. Lo scambio, avvenuto in M, con impedimento era facilissimo e lo
favoriva il fatto che il senso restava quasi il medesimo : « la sua
venuta avea avuto impedi- mento ^>. Così leggo con w, poiché in
if e ilf ' il passo è manifestamente guasto (impedimento è correzione
arbitraria), mentre l'espressione impeto di tempo, ana- loga, a quella
del § 2 fortuna di tempo, può bene corrispondere alla magna tempestas di
cui parla l'esempio ciceroniano {De Inv., II, 98) sul quale è modellato il
nostro CICERONE dimostra in questa picciola parte del testo che cosa è
appellata preghiera in questa arte. Et dice che allotta è questione di
preghiera quando l'accusato confessa 5. e dice che fece quel peccato che
gli è aposto e ricognosce che ir à fatto pensatamente, ma tutta volta
domanda per- dono. 2. Onde nota che questa preghiera puote essere
in due maniere, o aperta o ascosa. Verbigrazia : In questo modo è
la preghiera aperta : Dice l' accusato. Io confesso bene ch'io feci questo
fatto, ma prego vi per amore e per reverenza di Dio che voi mi perdoniate
». La preghiera ascosa è in questo modo : « Io confesso eh' io feci
questo fatto e non domando che voi mi perdoniate ; ma se voi
ripensaste quanto bene e come grande onore i' òe fatto al comune, ben
sarebbe degna cosa che mi fosse perdonato ». 3. Ma ssì dice Tullio che
queste preghiere possono adve- nire rade volte, (l) spezialmente davante
a' giudici che sono giurati a lege sie che non anno podere di perdonare.
Ben puote alcuna fiata lo 'mperadore e '1 sanato avere prove-
20. denza in perdonare gravi misfatti, sì come poteano li anziani del
popolo di Firenze ch'aveano podere di gravare e di disgravale secondo lo
loro parimento. Et poi che Tullio àe detto della prima parte della
constituzione as- suntiva, cioè della concessione e che cosa è concedere,
et à delle due maniere di concedere detto, cioè di purgazione e di
preghiera, sì dicerà della seconda parte, cioè rimuo- vere lo
peccato. Rimuovere lo peccato è quando l'accusato si sforza di
rimuovere quel peccato da se e da sua colpa e metterlo sopra un
S : M' mostra — 5 : M' elicigli lece — 6' : M' nppensatainentc — 8 : M'
nascosa — 14: M' om. bene — 17 : M^ fiato (ma L volte) — li ([uali sono —
18: M noniianno — 19: m prudenzia — SS: m eclisgravare, M> 7
disgravare — ni lo loro parere, L illoro pa- rere, S il loro piacimento —
m om. Et — So: M' m e a detto delle duo maniere ecc. - 30 : M' mettelo
(ma L metterlo) (1) Conservo volte appunto perchè questa parola in
itf è meno frequente di fiate Q non si può considerare correzione
arbitraria; invece fiate sarà stato sosti- tuito per uniformità col testo
tradotto (v. pag. preced., 1. 29). altro per forza e per podestà di lui ;
la qual cosa si puote fare in due guise: o mettere la colpa o mettere lo
fatto sopr'altrui. Et certo la colpa e la cagione si mette sopra altrui
dicendo che quel sia fatto per sua forza e per sua podestade. Il fatto si
mette sopr'altrui 5. dicendo che dovea un altro e potea fare quel
fatto. In questo luogo dice CICERONE eh' è rimuovere lo peccato e come si
puote fare, et è cotale il caso : Uno è accu- sato d'uno malificio, et
elli vegnendo a sua defensione si leva da ssè quel maleficio e mettelo
sopra un altro, o dice bene che 11' à fatto, ma un altro cli'avea in lui
forza e si- gnoria il costrinse a ffare quel male ; e questo
rimovimento del peccato dice Tullio che ssi puote fare in due guise
: l'una si mette la colpa e la cagione sopra un altro, l'altra
15. si mette il fatto sopra altrui. Et certo la colpa e la cagione si
mette sopì'' altrui quando l'accusato dice che elli à fatto quel male per
colpa d'alcuno il quale à sopra lui forza e signoria. Verbigrazia. Il
comune di Firenze elesse ambasciadori e fue loro comandato che
prendessero la paga 20. dal camarlingo per loro dispensa et
immantenente andas- sero alla presenzia di messer lo papa per contradiare
il passamento de' cavalieri che veniano di Cicilia in Toscana
contra Firenze. Questi ambasciadori domandare il paga- mento e '1 signore
no '1 fece dare, e'I camarlingo medesimo negò la pecunia, sicché li
ambasciadori non andaro e' ca- valieri vennero. Della qual cosa questi
ambasciadori fuorono accusati, ma elli si levaro la colpa e la cagione e
3: m la chosa — 7: Af' die e rimuovere — 9: M' do malilicio - i4 :
m luna mette, M' l'una si e mettere — ^5: M' si e mettere — m om. Kt -
20: Af inmanlenenente, it/' incontanente — 21 : m cliontradire - 23: M-m
domandano — 24: M m il segnore — m e il chamarlengo — 25: m il nego di
dare la pecliunia — 26:m li anbasciadori — 27 :M' si levano miseria
sopra '1 signore e sopra '1 camarlingo, i quali aveano la forza e la
seguoria e non fecero lo pagamento. 3. Mettere il fatto sopr' altrui è
quando l'accusato dice ch'egli quel fatto non fece e non ebbe colpa né
cagione 5. del fare, ma dice che alcuno altro l'à fatto et ebbevi
colpa e cagione, mostrando che quell'altro sopra cui elli il mette
dovea e potea fare quel male. Verbigrazia : Catone e Catenina andavano da ROMA
a Kieti, et incontrarono uno parente di Catone, a cui Catellina portava
grande maialo, voglienza per cagione della coniurazione di Roma, e perciò
in mezzo della via l'uccise. Né Catone non avea podere di difenderlo,
perciò eh' era malato di suo corpo, ma rimase intorno al morto per
ordinare sua sopultura. Et Catellina si n'andò inn altra parte molto
avaccio e celatamente. In questo mezzo genti che passavano [per la via] per lo
camino trovaro il morto di novello, e Catone intorno lui, sì PENSARO CERTAMENTE
CHE CATONE AVESSE FATTO IL MALIFICIO, e perciò fue esso ACCUSATO di
quella morte; ond'elli in sua defensione levava da ssè quel fatto dicendo
che fatto noll'avea e che no'l dovea fare, perciò ch'ERA SUO PARENTE, e
dicea che noU'arebbe potuto fare, perciò eh' elli era malato di sua persona. Et
così recava il fatto e LA COLPA SOPRA CATELLINA, perciò che '1 dovea fare come
di suo nemico e poteal fare, eh' era sano e forte e di reo animo. Et
poi che Tulio àe insegnato rimuovere lo peccato, sì insegnerà in
questa altra partita riferire il peccato. Ttillio dice che è
riferire il peccato. 58. Riferire il peccato è quando si dice che
ssia fatto per ragione, in perciò che alcuno avea tutto avanti fatto a
liuì 30. ingiuria. i : m 7 al chamai-lingo — 4-ò: M om. ch'egli...
ma dice — m nel fare — 5 : Af ' che un altro — 9: VI om. grande — 12 : m
di suo corpo malato — 15: M^ gente — J/' m om. per la via - 16: m il
novello morto — 18 : M' tn fu elgli - 1!) : M' chelgli facto — 20-Sl : m
avea nel dovea fare — o?n. e dicea che — Jlf ' ohe noi potea fare ~ ohi. elli —
23: m pero chelli dovea fare — 25: M-m om. si — M' insegna — 26: M'
jxirte — M-m refre- nare (sempre) — : vi pero che — da\anti Le
parole per la via sono con tutta probabilità una glossa o una variante di
per lo camino; infatti mancano in codici delle due famiglie.
81 Lo sponitore. I. Dice Tullio che
riferire il peccato è allora quando l'accusato dice ch'elli àe fatto a
ragione quello di che elli é accusato, perciò e' a Uui fue prima fatta
tale ingiuria che dovea a rragione prendere tale vengianza, sì come
apare neir exemplo d' Orestes, che fue accusato della morte di sua
madre, et esso dicea che ll'avea morta a ragione, perciò che
primieramente avea ella fatta a llui ingiuria, cioè ch'avea morto il
padre d' Oreste; e di questo nasce cotale questione se Oreste fece quel fatto a
ragione o no. Et poi che Tullio àe insegnato riferire lo peccato, sì
insegnerà ornai che è comparazione. CICERONE dice che è comparazione.
Comparazione è quando alcuno altro fatto si contende cfie fue diritto et
utile, e dicesi che quello del quale è fatta la ripren- sione fue
commesso perchè quell'altro si potesse fare. In questo luogo dice CICERONE
che quella questione è appellata comparazione nella quale l'accusato dice ch'à
fatto quello eh' è a llui apposto, i^er cagione di poter fare un
altro fatto utile e diritto. Verbigrazia : Marco Tullio, stando nel
più alto officio di ROMA, sentìo che coniurazione si facea per lo male
del comune, ma non potea sapere chi né come. Alla fine diede dell'avere
del comune in grande quantitade 25. ad una donna la qiiale avea
nome Fulvia, et era amica per amore di Quinto Curio, il quale era
sapitore del tradimento ; e per lei trovò e seppe dinanzi tutte le cose
in tale ma- niera eh' elli difese la cittade e '1 comune della
molt'alta tradigione. Ma alla fine fue ripreso ch'elli avea troppo
ma- 2 : M' allocta — 4 : M' facla prima — 5 : M' prenderne (ma L
prendere) tale vendctla — pare — 6: M' dela sua madre — 8: m prima — J/'
facto, m aliai fatto - iO: m om. El — 14: M-m quanto un altro — 16: M'
per quell'altro - 18: JW in questa parte — 19: M-m che facto — 26: M^ ora
parteDce — 28: M' dela mortalo lamente dispeso l'avere di
Roma. Et elli in defensione di sé dicea che quelle spese avea fatte per
fare un altro fatto utile e diritto, cioè per scampare la terra di tanta
distruzione, e quello scampamento non potea fare sanza 5. quella dispesa;
e cosi mostra che '1 fatto del quale elli è ripreso fue fatto per bene.
Et poi che Tullio àe detto delle quattro parti della constituzione
assùntiva, la quale è parte della iudiciale sì come pare davanti nel
trattato della con- stituzione del genere, sì ridicerà elli brevemente
sopra la questione traslativa, della quale fue assai detto in
adietro, per dire alcuna cosa che là fue intralasciata. Come Ermagoras
fue trovatore della questione translativa. Nella IV questione, la quale
noi appelliamo translativa, certo la controversia d'essa questione è
quando si tenciona a cui convegna fare la questione, o con cui od in che
modo, o davante a cui, per quale ragione, o in che tempo ; e sanza fallo
tuttora è controversia o per mutare o per indebolire l'azione. Et credesi
che Ermagoras fue trovatore di questa constituzione; non che molti
antichi parlieri non l' usassero spessamente, ma perciò che Ili scrittori
20. dell'arte non pensaro che fosse delle capitane e non la misero
in conto delle constituzioni. Ma poi che da llui fue trovata, molti
l'anno biasimata, i quali noi pensamo e' anno fallito non pur in
pru- denzia;(i) che certo manifesta cosa è che sono impediti per
invidia e per maltrattamento. Questo testo di Tullio è assai aperto
in sé medesimo, e spezialmente perciò che della questione o
constituzione translativa è assai sufficientemente trattato indietro
in i : M' l'avere del comune — 3:3/' diiicto 7 utile - 4: M'
non si pelea fare — 7: M< om. assiintiva - 8: M' iuridiciale — //: M-m
che ella l'uo translassala — lS:M-m emargonis — 13: M Uela quarta q. (e
punto ilnpn translativa) — 15-1 (!: M' davanti cui — M-m sanfa follia —
19: M' parladori — 23: M' cambiano - S4 : M' per mal. (1) La
traduzione non è esatta, poicliè il testo latino dice: quos non tamim-
prudentia falli indamus (res enim perspìcua est) quam invidia atque
óbtrectatione quadam inipediri. Si potrebbe proporre per congettura non
per imprudenzia ; ma non sembra contraddirvi il 8 -3 del commento
parlando di '' alquanti che non erano bene savi,, ? altra
parte di questo libro, e là sono divisati molti exempli per dimostrare
come si tramuta 1' azione quando non muove la questione quelli che dee, o
centra cui dee, o in- nanzi cui dee, o per la ragione che dee, o nel
tempo che . 5. dee. Z.Sicchè al postutto in(i) questa translativa
conviene che sempre sia : o per tramutare l' azione in tutto, come
ap- pare indietro nell'exemplo di colui che risponde all'aver-
sario suo: « Io non ti risponderò di questo fatto né ora né giamai »; e
così in tutto tramuta l'azione dell'aversario etc. O é per indebolire
l'azione in parte ma non del tutto, si come appare nell' exemplo di colui
che risponde all' aver- sario suo : « Io ti risponderò di questo fatto,
ma non in questo tempo» o «non davante a queste persone». Et dice
Tullio che Ermagora fue trovatore della translativa constituzione, cioè che Ha
mise nel conto delle quatro constituzioni sì come detto fue inn adietro. Et di
ciò fue ripreso da alquanti che non erano bene savi e che aveano
invidia e maltrattamento contra lui. Nota che invidia è dolore
dell'altrui bene, e maltrattamento è dicere male d'altrui. Tullio dice che
davanti diceva exempli in ciascuna maniera di constituzioni. Già
avemo disposte le constituzioni e le loro parti; ma li axempli di
ciascuna maniera parrà che noi possiamo meglio divisare quando noi
daremo copia di ciascuno de' loro argomenti; perciò 25. ch'allotta
sarà più chiara la ragione d'argomentare, quando l'exemplo si potrà
a mano a mano aconciare al genere della causa. Vogliendo Tullio passare al
processo del suo libro, brievemente ripete ciò eh' à detto avanti,
dicendo che dimo- 2: M-m si traclava — 3: M^ che dee conLra cui dee ~ 6:
M come pare — 8: M' non ti rispondo — iO: M-m Oo, M' Onde — M imparte — m
non in tutto — H : M' pare — 13 : Mi dinanzi a ([. — 14: M translatore, m
traslatotore — 15: M^ìa conto —17: 3f dal- quanti — 18 : M-m male
tractamento con altrui — 21: M-m construclioni — 22: M exposte le e. 7
loro parti — 24: Mi di loro argomenti — 25: M' de l'argomentare — 26:m della
cosa — 29: M ke detto, m che detto — Jlf ' dinanzi (1)
L'essere attestato in da tutti i codici rende esitanti a toglierlo, come
la sintassi e il senso sembrano richiedere. Forse si può sottintendere
dal periodo pre- cedente la parola questione : " conviene che sia
questione in questa transla- tiva „ ecc. strato à che sono le
constituzioni e le loro parti, ma in altra parte porrà certi exempli in
ciascuno genere delle cause, cioè nel deliberativo e nel dimostrativo e
nel iudiciale, quando ti'atterà il libro di ciascuno in suo stato. E da cciò
si parte il conto e torna a trattare secondo che ssi con- viene all'
ordine del libro per insegnamento dell' arte. Qual cai/sa sia simpla e
quale congitmta. Poi eh' è trovata la constituzìone della causa,
ìmmantenente ne piace di considerare se Ila causa è simpla o congiunta.
Et s'ella è congiunta, si conviene considerare se ella è congiunta di
piusori questioni o d'alcuna comparazione. Apresso al trattato nel quale
Tullio àe insegnato tro- vare le constituzioni e le sue parti, si vuole
insegnare qual causa sia simpla, cioè pur d'uno fatto e qiiale sia con-
giunta, cioè di due o di più fatti, e quale sia congiunta d'alcuna
comparazione, e di ciascuna dice exemplo in questo modo :
Della causa simpla. Simpla è quella la quale contiene In sé una
questione assoluta in questo modo: « Stanzieremo noi battaglia
contra coloro di Corinto o non ? ». Dice CICERONE che quella causa è
simpla la quale è pur d'uno fatto e che non è se non d'una questione
solamente. Verbigrazia : La città di Corinto non stava ubidiente
a Roma, onde i consoli di Roma misero a consiglio se paresse
2 : M-m om. parte — m delle cose — 4-5 : J/' Et di ciò si diparte
l'autore, m 7 accio — 8: M mantenente, m inmantanento — 9: m simplice
(sempre cos'i) M' sedella — li: M-m compi^ratione — 13: M' il tractato —
15: M (|ualcosa, «i quale chosa — /*: M< l'exeni- plo — 21: M' m
(pielli — 25 : vi iliinn chosa — SO : M-m <m. stava — A/' ali Romani
loi-o di mandare oste a fai"e la battaglia centra loro, o no.
Et così vedi che causa simpla è pur d'una questione del sì o del no.
Della causa congiunta. 5. 64. Congiunta di piusori questioni
è quella nella quale sì dimanda di piusori cose in questo modo: « È
Cartagine da disfare da renderla a' Cartagiartesi, o è da menare inn
altra parte loro abitamento ? Poi che Tullio à detto della causa simpla,
sì dice della congiunta, dicendo che quella causa è congiunta nella
quale àe due o tre o quattro o più questioni. Verbigrazia : I Romani
vinsero a forza d'arme la città di CARTAGINE, et erano alcuni che diceano
che al postutto si disfacesse; altri diceano che Ila cittade fosse renduta
agli uomini della terra, altri diceano che Ila cittade si dovesse mutare
di quel luogo et abitare in altra parte. E così vedi che questa
causa è congiunta di tre questioni che sono dette. Della causa
congiunta di comparazione. Dì comparazione è quella nella quale
contendendo si que- stiona qual sia il meglio o qual sia finissimo,
in questo modo : « È da mandare oste in Macedonia contra Filippo inn
aiuto a' com- pagni, è da tenere in Italia per avere grandissima copia di
genti contra Anibal ? Poi che Tullio avea detto della causa la quale è
con- giunta di piusori questioni, sì dice di quella causa eh' è
congiunta di comparazione di due o di tre o di quattro o i :
M-m o fare — 2 : M^ om. Et — Jlf om. b — 5 : M' om. questioni — 6 : m di
più sore — 7 : M' da. rendere a Cartaginesi — 12 : m due tre o quattro
questioni — J3: m per forza — om. la cittade di — J4: M' elio a! postutto
diceano cliella si disfacesse — 17: M-m om. che — 18: m essere coniunta
di tre (luestioni dette — 21: 3/' o quale finis- simo — 22: M' incontro a
Filippo — 28: M-m di due, di tre — m om. o di quattro (1)
Certamente il traduttore ha frainteso il latino an eo colonia deducatur.
di più cose, nella quale si considera qual partito sia il mi-
gliore de' due o di tre o di più, e se tutti sono buoni e l'uno migliore
che 11' altro, per sape];e qual sia finissimo, cioè il sovrano di tutti.
Verbigrazia : I Romani aveano mandata oste in Macedonia contrà Filippo re
di quello paese, et in quello medesimo tempo attendeano alla guerra
d'Anibal, che venia contra loro ad oste. Onde alcuni savi di Roma diceano
che '1 migliore consiglio era mandare gente in Macedonia, per attare
l'altra loro oste la quale 10. era in questa contrada; altri diceano che
maggior senno era di ritenere la gente in Italia, per adunare
grandissima oste contra Anibal ; e così contendeano qual fosse il
mi- gliore o '1 finissimo partito : o tenere o mandare la gente.
Della contraversia inn iscritto et in ragionamento. 15. 66.
Poi è da pensare se Ila controversia è in scritta o è in
ragionamento. Lo sponitore. 1. Apresso ciò che
Tulio à dimostrato qual causa è sim- pla e quale è congiunta e quale di
comf)arazione, sì vuole 20. fare intendere quale contraversia nasce
et aviene di cose e di parole scritte, e qual nasce pur di ragionamento,
cioè di dire parole e di cose che non sono scritte ; e cosi vuole CICERONE
aj)ertamente insegnare per rettorica ciò e' altre de' dire a ciascun ponto
di tutte le cause che possano inter- 25, venire ; e perciò dicerà
della scritta per sé e del ragiona- mento per sé, e di ciascuno
partitamente in questo modo : Della contraversia che nasce di cose
scritte. 67. Contraversia inn iscritta è quella che nasce d'alcuna
qua- litade di scrittura Ce. XIII). Et certo le maniere di questa
che 30. sono partite delle constituzioni sono cinque : Che talvolta
pare che Ile i-2: m sia ihigloru ili lUie ecc. — il/' o Ire
o iiifi — •/: iV/' ohi. cion il sovrano — 5: M'-L (li i|iielli del
paoso, S di c|iielli paesi 7: m om. ad oste — * : hi elio mogio — iO: m
J/i in ipiella contrada — il : M' om. di — m a rilenore gente — 12 : M
contra nibal, i» contro ad Anibal — 15: M-m e scripla, If' e in scriplo o
in ragionamento — /*' : M-m i|ual cosa — 19: m quale e — 22: M-m om. dire
e che non sono scritte — 23: M' mo- strare - 24: m possono — 25: M'E cosi
— 29: M da. questa — 30:M' dale constilutioni parole medesimo iU siano
discordanti dalla sentenzia dello scrittore ; e talvolta pare che due
legi o più discordino intra sé stesse; e talvolta pare che quello eh' è
scritto signiffichi due cose o più ; e talvolta pare che di quello ch'è
scritto si truovi altro che non è 5. scritto ; e talvolta pare che ssi
questioni in che sia la forza della parola, quasi come in diffinitiva
constituzione. Per la qual cosa noi nominiamo la prima di queste maniere
di scritto e di sentenzia; il secondo appelliamo di legi contrarie, la
terza apelliamo dubiosa, la quarta appelliamo dì ragionevole, la quinta
apelliamo diffinitiva. Poi che CICERONE à dimostrato qual causa sia pur d' un
fatto o di più, immantenente vuole dimostrare qual con- traversia è in
scritta e quale in ragionamento; et in questo dice primieramente di
quella ch'è inn iscritto, cioè che 15. nasce d'alcuna scrittura. Et
questo puote essere in cinque modi. Il primo modo è appellato di scritto
e di sentenza, pei'ciò che Ile parole che sono scritte non pare che
suonino come fue lo 'ntendimento di colui che Ile scrisse. Verbi-
grazia: Una lege era nella cittade di Lucca, nella quale erano scritte
queste parole: « Chiunque aprirà la porta della cittade di notte, in
tempo di guerra, sia punito nella testa ». Avenne che uno cavaliere
l'aperse per mettere dentro cavalieri e genti che veniano inn aiuto a
Lucca, e perciò fue accusato che dovea perdere la testa secondo la
legge scritta. L'accusato si difendea dicendo che Ila sentenzia e lo
'ntendimento di colui che scrisse e fece la legge fue che chi aprisse la
porta per male fosse punito ; e cosi pare che Ile parole scritte non
siano accordanti alla sentenzia dello scrittore, e di ciò nasce
controversia intra loro, se si debbia tenere la scritta o la sentenza.
La seconda maniera è apiiellata di contrarie leggi, perciò che
1 : M' m medesime — m dalle sententie — 2: me téilora -- M' si
discordino — 3: M' significa — 4: M-m o talvolta — M' che nono che
scripto — 6: M-m nm. in — A/' mdilTì- nitiva ([uestione — 11: M-m qual
cosa — 13: M-m e Sbripta - m e in ragionamento — 14 : m primamente — 18 :
M om. fue — 20: M ai)iira, m apira — 21 : M-m om. in tempo di guerra — M'
si sia punito della testa — 23: M' si difende — 30: m se si dee — M' lo
scritto — 31 : M' om. maniera (1) Cfr. p. 46, 1. 30: nai
medesimo. pare che due leggi o più discordino intra sé stesse. Ver-
bigrazia : Una legge era cotale, che chiunque uccidesse il tiranno
prendesse del senato cheunque merito volesse. Et nota che tiranno è detto
quelli che per forza di suo 5. corpo o d'avere o di gente sottomette
altrui al suo podere. Un'altra legge dice che, morto il tiranno, dovessero
essere uccisi cinque de' pili prossimani parenti. Or avenne che una
femina uccide il suo marito, il quale era tiranno, e domanda al senato
per guidardone e per nierito un suo figlio. LA PRIMA LEGGE concede che
ssia dato, l'altra comanda CHE SIA MORTO. E così sono due leggi contrarie,
e perciò nasce questione se alla femina debbia essere renduto il suo
figliuolo o se debbia essere morto. La terza maniera è apellata DUBBIOSA,
perciò che pare che quel eh' è scritto SIGNIFICHI DUE COSE O PIU. Verbigrazia. Alessandro fa testamento
nel quale fa scrivere così. Io comando che colui eh' è mia reda dia a
Cassandro C vaselli d'oro e quali esso vorrà. Api^esso la morte d'Alessandro
venne Cassandro e domanda C vaselli al suo volere e che a llui
piacessero. Dice la reda. Io ti debbo dare que'ch'io vorrò. Et cosi di
quella parola scritta nel testamento, cioè, i quali esso vorrà, si è dubbiosa a intendere
del cui volere ALESSANDRO DICE; e di ciò nasce questione intra
loro. La quarta maniera è appellata RAGIONEVOLE, perciò che di quello eh'
è discritto si truova e se ne ritrae altro CHE NON E SCRITTO O DETTO. Verbigrazia
: Marcello entra nella chiesa di Santo Petro di Roma e ruppe il
crocifixo, e taglia le imagini di là entro. E accusato, ma non si
truova neuna legge scritta sopra così fatto malificio, né convenevole non
era che nne scampasse sanza pena. E perciò il suo adversario ritraeva
d'altre leggi scritte quella pena che ssi convenia a Marcello
ragionevolemente. La quinta maniera é appellata DIFFINITIVA, perciò che
pare che ssi questioni LA FORZA D’UNA PAROLA scritta, sicché conviene i
: M' si discordino - M stesso — m tralloro - 5 : M^ di genti - 6-7: m L
essere morti - Jl/' om. de' — 7 : M'-L una femina il suo marito....
uccise — 9 : m e merito — 10: M' che le sia dato, l'altra leggie — iS: m
nasce controversia — Mm sella femina — 13: m se dee — 14-15: M' che lo
scritto — i6: Jtf' cos'i scrivere — 1 7 : M-m om. coUii eh' è — 18: M' i
quali — 19: M' cento vaselli d'oro — 20: J/' la rede. [o ti voglio dare -
m om. dare - S3: M' 7 cosi - S5: M' che scripto - S6 : M-m Martello - S7 :
M' San Piero — 38 : M-m om. Fue accusato - /. trovava — 29-30 : m alcuna
legge.... colalo maliflcio, e convenevole non era che scampasse — 32 :M'
che si conviene — Mm Martello che quella parola sia diffinita e dicasi il
proprio intendi- mento di quella parola. Verbigrazia : Dice una legge. Se
'1 signore della nave n'abandona per fortuna di tempo ed un altro va a
governarla e scampa la nave, sia sua. Avenne che una nave di Pisa venne in
Tunisi e presso al porto sorvenne sì forte tempesta nel mare, che '1
signore usce della nave et entra inn una picciola barca. Un altro
ch'era malato rimase nella nave e tennesi tanto là entro che '1 mare torna
in bonaccia, e la nave campa in terra. E perciò dicea che la nave e sua
secondo la legge, perciò che '1 segnore l'abandona et esso l'avea difesa.
Il segnore dicea che perch'elli entra nella picciola barca non
abandona perciò la nave ; e cosi era questione intra loro sopra questa
PAROLA dell'ABBANDONO della nave ; e per 15. sapere LA FORZA d'essa
parola conviene che ssi difinisca e dicasi il proprio intendimento. 6.
Già à detto Tullio di quella contraversia la quale è in iscritta e delle
sue cinque parti. Omai dicerà di quella contraversia eh' è in
ragio- namento. 20. Della contraversia la quale nasce di
ragionamento. 68. Ragionamento è quando tutta la questione è inn
alcuno argomento e non inn ìscrittura. Quella è contraversia in
ragionamento nella quale non si considera alcuna cosa che ssia per
scrittura, ma prendesi argomento e pruova per parole FUORI DI SCRITTA a
dimostrare che dee essere sopra quella questione. Verbigrazia : Dice Anibaldo
che Italia è migliore paese che Frància. Dice Lodoigo che no. E di ciò
era questione ti'a lloro, e perciò conviene recare argomenti in
ragionando per mostrare che nne dee essere, e questo senza scritta
acciò che sopra questo no è legge né scrittura. 3: m om.
della nave — M' labandona — S : M' de Pisani — M-m di Tunisi — 6 : M
sovenne, m venne, L sopravenne — M^ di mare — 7-8 : M' usci di fuori — un altro
corse a governare la nave — 9: m campo intera —11: m et egli — 12: m
pichola nave — 13: 3f' non avoa abbandonata perciò 1. n., m non pero elli
abandonava la grande — 14: M' di questa parola, m sopra questo abandono —
15: M-m la forma — m ripete conviene — 16: m dicha — 22: m e none — 24 :
M' Qurlla controversia 6 in rag. — 28: M' Anibal — 29 : m lodovico, M'-L
loodico, S dice l'altro, dico che no — 31 : m 7 questo e senza scritta
Delle IV parti della causa. Adunque, poi che considerato è il
genere della causa e cognosciuta la constituzione et inteso quale è
simpla e quale è con- giunta, e veduto quale contraversia è di scritto e
di ragionamento, 5. ornai fie da vedere quale è la quistione e quale è la
ragione e quale è il giudicamento e quale è il fermamento della causa ;
le quali cose tutte convengono muovere della constituzione. In
questa parte dice CICERONE che poi ch'elli à insa- lo, gnato che è lo
genere delle cause, cioè dimostrativo e diliberativo e giudiciale, et à fatto
cognoscere che è la constituzione, cioè e qual sia congetturale e quale
diffinitiva e quale translativa e quale negoziale, et à fatto
intendere quale è simpla e quale congiunta, cioè qual contiene in sé
una questione o più, et à fatto vedere qual contraversia è inn iscritto e
quale in ragionamento, sì come tutti questi insegnamenti paionsi adietro
là dove lo sponitore l'à messo inn iscritto e trattato di ciascuno
sufficientemente, ornai vuole CICERONE procedere e dimostrare apertamente
qual sia 20. la questione e la ragione e '1 giudicamento e '1
fermamento della causa ; le quali cose tutte muovono e nascono
della constituzione, ciò viene a dire che la constituzione è il
cominciamento di queste cose. Questione è quella contraversia la quale
s'ingenera del contastamento delle cause in questo modo : « Non
facesti a ragione - Io feci a ragione». Questo è contastamento delle
cause nella quaied) 2: m om. 6—3: m om. cognosciuta — M
intesto — Af' qual congiunta — 4: M-m quale conti'aversia <ii scripto
— m o di ragionamento — 5: A/' oggimai sarà — 5-6: M' ha sulo il primn b
— M-m il confermamento — 6-7: M-m 7 tucte i|UOSte cose le quali conv. -
9: M chelle, m chebbe asengnato, M' che elgli 10: M' diliberativo,
ilimostrativo — i2: in cioè qual sia — 13: M-m a facto cognoscere — 14: m
quale simplice - 17: M' amaeslra- menti — M paio sàdietro, Mi-L jiaiono
in adiotro — 18: M 7 tracio — 22: M-m um. ciò V. a d. e. la constituzione
— 25 : M -L Di (|uistione — m si genera — 26-27 : M' de cause — M-m om. a
— M' il contrastamento ~ L nele quali, S nel quale (1)
Evidentemente dovrebbe dire nel quale; ma appunto per questo non saprei
spiegare come alterazione volontaria né come svista il nella quale (dato tanto
da M quanto da ikf'), e lo crederei piuttosto dovuto a una distratta
traduzione del latino Causarum haec est conflictio, in qua constitiUio
constai. è la constituzìone, e di questa nasce contraversia la quale noi
ap- pelliamo questione, in questo modo: se fatto l'à a ragione o
no. Lo sponitore. 1. Nel testo il quale è detto davanti
insegna Tullio 5. cognoscere e sapere che è la questione; et in ciò dice
che questione è quella che ssi conviene considerare sopr' a cciò di
che le parti tencionano, e così s'ingenera del contasta- mento delle
parti, cioè di quello che 11' uno appone e l'altro difende. Verbigrazia :
Dice la parte che appone all'altra . 10. « Tu non ài fatta
i-agione, che tu prendesti il mio cavallo »; e la parte che ssi difende
risponde e dice : « Si, feci ra- gione Or è la causa ordinata, cioè che
ciascuna parte à detto, l'una accusando e l'altra difendendo, e questa è
ap- pellata constituzione. Sopra questo si conviene sapere se
15. n'accusato à fatta ragione o no. Questo è quello che Tullio
appella questione. Dunque potemo intendere che quando le parti anno detto
e quando l'accusatore àe apposto in. contra l'aversario suo e l'accusato
àe risposto o negando o confessando, sì è la causa cominciata et ordinata
; e però 20. infine a questo punto èe appellata constituzione, cioè
viene a dire che Ila causa è cominciata et ordinata ; da quinci
innanzi, se l'accusato niega e diféndesi, si conviene che ssi connosca se
Ila sua defensione è dritta o no, cioè quando dice : « Io feci ragione »
conviensi trovare s' elli à fatto 25. ragione o no, e questa è
appellata questione. 3. Et perciò che la scusa dell'accusato, a dire pur
così semplicemente: « Io feci ragione », non vale neente se non ne mostra
ra- gione per che e come, insegnerà Tullio immantenente che ragione
sia. 30. Di ragione. 71. Ragione è quella che contiene
la causa, la quale se ne fosse tolta non rimarrebbe alcuna cosa in
contraversia. In questo modo mo sterremo, per cagione d'insegnare, un
leggieri e manifesto 4: M-m nel quale - 6: M' 6 quella — m
sopra quello — 10: M' facto ragione — i5: M dopo ragione ripete che tu
prendesti il mio cavallo 13: m luna luna
— M' {(uesto — 15: M^ m facto — 15-16: M' Et questo.... comune questione
— 17: M-m posto — 19: M S l'accusa - SO: M' m ciò viene a dire — SS: M-m
om. sì — S4: M' facta — S5: M' e facta questione — S6: M-m om. Et -
l'accusa — S7 : M' m se non mostra — S8 : M' si insegnerà — 31 : m se non
fosse — 3S : M' non vi rim. — 33: M-m d'insegnare leg- gere manifesto
exemplo exemplo. Se Orestres fosse accusato di matricidio et elli
non dicesse: « Io il feci a ragione, perciò eli' ella avea morto il mio
padre », non avrebbe difensione; e se non l'avesse non sarebbe
contraversia. Dunque la ragione dì questa causa è eh' ella uccise
Agamenon. 5. Lo sponitore. 1. Si come appare nel testo
di Tulio, ragione è quella clie sostiene la causa in tal modo che, chi
non assegna e mostra la ragione della sua causa, certo non sarà
contro- versia, cioè non à difensione; e cosi la causa
dell'aversario IO. rimane ferma e non à contastamento. 2. Verbigrazia:
Vero fue che Ila madre d'Orestres uccise Agamenon suo marito e
padre d'Orestres ; per la qual cosa Orestres, per movi- mento di dolore,
fece matricidio, cioè che uccise la madre. Fue accusato di matricidio, et
elli confessa, ma dice che '1 15. fece a ragione; se non dice
perchè e come, la sua difen- sione non vale neente, e se la difensione
non vale neente non è contraversia né questione. 3. Ma se dice cosi : «
Io lo feci a ragione perciò ch'ella uccise il mio padre », sì
mantiene la sua causa e vale la sua difensa, mostrando la 20.
ragione e la cagione perch'elli fece il matricidio. Et poi che CICERONE à
dimostrato che è questione e che ragione, sì dimosterrà che è
giudicamento. Giudicamento è quella contraversia la quale nasce de lo
'nde- 25. bolire e del confirmare la ragione. Et in ciò sia quel
medesimo exemplo della ragione che noi aven detta poco davanti : « Ella
avea morto il mio padre ». Dice il savio: « Sanza te figliuolo
convenia eh' essa madre fosse uccisa ; perciò che 'I suo fatto si potea
bene punire sanza tuo perverso adoperamento ». (e. XIV) Di questo
30. mostramento della ragione nasce quella somma controversia la quale
noi appelliamo giudicamento, la quale è cotale: se fosse diritta cosa che
Orestres uccidesse la madre, perciò ch'ella avea morto il suo padre. i
: m di martecidio — 2 : M-m om. ella — 4 : M-ni chelluccise a ragione — 7-8 :
M' mostra 7 assegna ragione — 10: M' m 0111. Vero — 13: M' om. cioè....
di matricidio — 16: M-m om. e so la difensione non vale neente (A/'
ef))unge neente) —19: m difesa — 20: m om. El — 22: M-m dimostra — 24: M'
om. quella — M-m ohi. nasce 25:
M-m in ciò a quel med. — 26: M' aveino dello — 27 : M' Dice l'avversario
— 2S: M-m si potrà — 29 : M' sanila il tuo p. — — 31 : M' se fu
Cicerone dice e insegna che è ragione; et perciò che della ragione
nasce il giudicamento, sì tratta egli del giudicamento per dimostrare
come e quando et in che 5. luogo sia. Verbigrazia : L'accusato assegna
ragione perchè fece quel fatto e conferma la sua difensa per quella
ra- gione. L'accusatore dice contra questa difensa et indebo- lisce
la ragione dell'accusato, linde di ciò che conferma l'uno et inforza la
sua difensione e l'altro la infievolisce 10. e falla debole, sì ne
nasce una questione la quale è appel- lata giudicamento, perciò che
quando ella è provata si puote giudicare. 2. Et in ciò sia quel medesimo
exemplo di sopra : Orestres assegna la ragione per la quale elli
uccise Clitemesta sua madre: perciò ch'ella avea morto 15. Agamenon
; e così conferma la sua defensione. Ma contra lui dice l'aversario. Tu
non la dovei punire né non con- venia ad te punirla di ciò, ma altre la
dovea e potea pu- nire sanza tua perversità, e sanza tua così crudele
opera, come del figliuolo uccidere sua madre ». Et così indebolia la
ragione d' ORESTE e mettealo in vituperoso abominio, e sopra questo, cioè
sopra '1 confermamento e sopra lo 'nde- bolimento della ragione, nasce
questione la quale è appel- lata giudicamento perciò che ssi puote
giudicare. 3. Et omai à detto Tullio che è questione e che è ragione e
che è 25. giudicamento ; sì dicerà che è fermamento.
Del fermamento. 73. Fermamento è il firmissimo et
appostissimo argomento al giudicamento, come se Orestres volesse dire che
ll'animo il quale la madre avea contra il suo padre, quel medesimo avea
contra lui 30. e contra le sue sorelle e contra il reame e contra l'alto
pregio della sua ingenerazione e della sua familia, sicché in tutte
guise doveano i suoi figliuoli prendere in lei la pena.
2: M-m om. è — 3-4: M-m che deliboragione nasce del iuilicamento por
dimostrare ecc. — 5: M' om. sia — M' assegno —7:3/' quella — 3/ difesa —
8-10: M' che rimo con- ferma 7 inforfa la sua ragione.... fa debole — M-m
isforca — m la indebolisce — IS : m a quello med. — 13: M' assegna
ragione — 16: M 7 non convenia, m e non si convenia — 17: m 7 convenia
punirla — 18-19: M' om. tua e del — m la sua madre 21-22: M< sopra confermamento dela
ragione 23: m om. Et — 24: M i ohe
ragione, m nm. — 27: M-m om. è — 30: M' \n serocchie.... l'altro
pregio Poi che Tullio aè dimostrato che è questione e ra-
gione e giudicamento, sì dice in questa parte che è fer- mamento. E certo
lo 'nsegnamento suo è molto ordinata- 5., mente : che primieramente
è questione intra Ile parti sopr'alcuna cosa la qual'è aposta ad uno e
detto sopra lui che non à fatto bene o ragione, et elli in sua difesa
dice ch'à fatto bene o ragione, e di questo nasce la questione, cioè
se esso à fatto ragione o no. Apresso dice l'accusato 10. la cagione per
la quale elli avea ragione di fare ciò, e questa è appellata ragione. Et
quando l'accusato à detta la ragione, il suo adversario dice contra
quella ragione et indebolisce quello dove l'accusato ferma la ragione,
e questa è appellata giudicamento. 15 Fermamento. Poi che Ila
questione del giudicamento è nata, si conviene che ll'accusato tragga
innanzi i fermissimi argo- menti bene apposti contra il giudicamento.
Verbigrazia : Orestres à detto che uccise la madre perciò ch'ella
avea morto il padre, e così assegna la ragione perch'elli l'uccise;
il suo adversario mettendolo in questione di giudicamento dice c'a llui
non si convenia ma ad altrui, e così indebo- lisce la sua ragione. 3. Or
conviene che Orestres dica ma- nifesti argomenti, e dice così. Tutto
altressì coni' ella 25. uccise il suo marito mio padre, così avea
ella conceputo d'uccidere me e le mie sorelle, cui ella avea
ingenerate di suo corpo, e mettere il nostro regno a distruzione et
abassare l'altezza del nostro sangue, e mettere in periglio la nostra
famiglia ». Ed in questi argomenti accoglie fermissima defensione della sua
ragione contra il giudicamento, e dice: « Perciò ch'ella fece così
disperato maleficio et 2: M-m ragione 7 ((iiestione (m nm.
7) — 3: M' s\ dicerà (mn S dico) — 5: M-m que- stioni — 6: M' sopralcuna
causa la qua'.e appella ad uno 7 detto contra lui — 8: Mhii om. ch'à
fatto bene ragione — 9: M' se elgli, m selli — M' a l'acto a ragione — H : M\
m* detto — i3;Jf fermava i4: m
questo e apellato - 17:,AV nelaccusalo trarre — 18: M» appostati - i9: M'
clielgli uccise.... chella uccise — SI: A/ niente dolo - S3: M' om. sua —
JW i fermissimi argomenti — 29: M 7 dinquesti, »i 7 in <juesti, 3/' 7 di
questi La rubrica di M (clie di regola seguo) ha qui ludicamento, certo
per effetto della parola precedente. avea pensato di fare
cotanta crudelitade, sì fue al postutto convenevole che Ili suoi propii
figliuoli ne le dessero pena e non altri >. Et questi sono fermissimi
argomenti ne' quali dice che '1 fatto della madre fue crudele, superbo e
mali- 5. zioso. 4. Et nota che quel fatto è appellato superbo il
quale alcuno adopera centra' maggiori, sì come quella fece ucci-
dendo il re Agamenon. Et quello è crudele fatto il quale alcuno adopera
contra' suoi, sì come quella fece contra la sua famiglia. Et quello è
malizioso fatto il quale è molto 10. fuori d'uso, sì com'è contra
naturale usanza ch'alcuna fe- mina uccida il suo marito e figliuoli e
distrugga un alto reame. 5. Onde questi fermissimi argomenti e' quali
l'ac- cusato mette davanti per confermare le sue ragioni et
incontra lo 'ndebolimento che facea l'aversario, sì è ap- 15.
pellato fei'mamento. In quale constiti izione non à gindicamento. Et
certo neil'altre constituzioni si truovano giudicamenti a questo medesimo
modo ; ma nella congetturale constituzione, perciò che in essa non
s'asegna ragione (acciò che '1 fatto non si concede) 20. non puote giudicamento
nascere per dimostranza di ragione; e però conviene che questione sia
quel medesimo che giudicamento: « fatto è, nonn è fatto, sé fatto o no ».
Che al vero dire, quante consti- tuzioni lor parti sono nella causa,
conviene che vi si truovino altrettante questioni, ragioni, giudicamenti
e fermamenti. 25. Lo sponitore. 1. In questa parte del
testo dice Tullio che, sì come per lui è stato detto davanti, così si
possono trovare giu- dicamenti inn ogne constituzione; salvo che nella
consti- tuzione congetturale, della quale è molto trattato inn 30.
adietro, perciò che in essa l'accusato nonn asegna (i) neuna 1 : Af' avea
pensala cotanta crudeltade — 2: M nelle, ÌU-L lene dessero — 3 : Mi lor-
lissimi argomenti — 5: m nel quale — 7 : M Tde agnzenò {sic), m i ro Agamenon —
m ohi. è — 8: M' luomo adopera — 9: m om. è ambedue le volte — il : A/ un
altro — IS-i^-.M' om. et, 7» e contro allo — i7 : M' ì giudicamenti — 22:
Mi se facto e. no ~ quante questioni — 26 : m om. che — 28 : vi nella
questione (1) Si potrebbe anche leggere non n' asegna; ma in M' è
scritto qui e qual- che riga più sotto non assegna, mentre la grafia col
doppio n 6 frequente in M (cfr. pag. seg., 1. 6, nonn abisogna).
ragione, anzi niega, al postutto non ne puote nascere giu-
dicamento. 2. Verbigrazia : Uno accusò Ulixes ch'elli avea morto Aiaces.
Dice Ulixes : « Non feci » et cosi nega quel fatto che gli è apposto. Et
perciò non conviene che sopra '1 5. suo negare assegni alcuna ragione. Et
poi che nonn asegna ragione, il suo adversario nonn abisogna d'
indebolire la ragione dell'accusato. Dunque nonde puote nascere
giudi- camento ; e perciò conviene che in queste constituzioni
congetturali la questione e lo giudicamento siano ad una 10. cosa: che là
ove dice l'accusatore « Tu uccidesti » et Ulixes dice « Non uccisi », la
questione e '1 giudicamento fie sopi-a questo, cioè se ll'uccise o no. 3,
Poi dice CICERONE che quante constituzioni à una causa, altrettante v'à
questioni e ra- gioni e giudicamenti e fermamenti. Dell'altre parti della
causa. 75. Trovate nella causa tutte queste cose, son poi da
consi- derare ciascuna parte della causa ; eh' al ver dire non si dee
pur pensare prima ciò che ssi dee dicere in prima ; perciò che se
le parole che sono da dire in prima tu vuoli inforzatamente congiungere
20. et adunare colla causa, conviene che d'esse medesime traghe quelle
che sono da dire poi. Sponitore. 1. Or dice
Tullio : Dacché '1 parliere connosce la causa et àe inteso ciò eh' elli
n' àe insegnato per tutto il libro 25. insine a questo luogo, quando
alcuna causa viene sopra la quale convegna che dica, sì dee il buono
parliere pensare con molta diligenzia e considerare nella sua mente,
anzi che cominci a dire, tutte le parti della sua causa insieme e
non divise. Che s'elli pensasse in prima pur quella che 4: m
chelli fu aposto - 6: M' non a bisogno, m non a ragione — 8: M-m om. e —
9: M-m la constituzione — i 1 : M' sie sopra q., m fla — i3: M-m otn. v'à — 17:
M-m e al ver dire — 18: M' in prima quello — M-m om. dicere — S che è da
dire inprlma — 19: M-m om. in prima — M' tu le vuoigli — M
isforcatamonte, m sforfatamenie congiun- gnerle — 20: M' i raunaro — M-m
elio esse medesime — S4: M'-L tutto il titolo, i' tutto il telo (tic) —
S8: i/' causa sua — S9: M' pur quello che sia da dire (Z. aggiunge in
prima) prima sia da dire e non pensasse ch'elli dovesse dire poi,
senza fallo il suo cominciamento si discorderebbe dal mezzo et il mezzo
dalla fine. 2. Ma chi accorda bene le sue parole colla natura della causa
et in innanzi pensa che ssi con- venga dire davanti e che poi, certo la
comincianza fie tale che nne nascerà ordinatamente il mezzo e la fine.
Tutto altressì fae il buono drappiere, che non pensa prima pur
della lana, ma considera tutto il drappo insieme anzi che Ilo cominci, e
de' aver (D la lana e '1 coloi*e e la grandezza del drappo, e provedesi
di tutte cose che sono mistieri, e poi comincia e fae il drappo. Di VI
parti della diceria. Per la qual cosa, quando il giudicamento e quelli
argo- menti che bisognano di trovare al giudicamento saranno
diligente- 15. mente trovati secondo l'arte e trattati con cura e con
cogitatione, ancora sono da ordinare l'altre parti della diceria, le
quali pare a nnoi ai tutto che siano sei : Exordio, narrazione, partigione,
confer- mamento, riprensione e conclusione.
Sjtoììitore. 20 _ I. Poi che Tullio sufficientemente à
dimostrato la chiarezza delle cause et àe comandato che '1 buono parliere
innanzi pensi tutte le parti della causa per accordare il mezzo e la fine
colla comincianza del suo dire, si che sia l'una parola nata dell'altra,
sì dice esso medesimo che poi 25. che tutto questo eh' è fatto,(3)
e trovato il giudicamento della 1 : M' che sia da dire poi
—4: M' m om. in — 5 : M' la incomincianca, m il comin- ciamento — 6: M'
che nostera (corr. moslera), L mosterra, S mostra — 7: if ' in prima —
9-10: M' anzi che cominci.... accio mestieri — m sono mestiere — 11: M^ i\ suo
drappo ordinatamente, L affare il s. d. ordinatamente — 14 : M^ che si
bisognano -17: M' che sono sei.... petitione invece di partigione — 20 :
M^ a sofficientemente dem. — S3: M' el Dne con la incomincianpa — M-m om.
sì — 24: M om. nata — 25: M^-L questo e facto (1) Tutti i codici
hanno 7 daver 7 davere, che può esser nato facilmente dall'aver preso il
de' per la preposizione di. Tanto il senso quanto la sintassi sa- rebbero
poco chiari leggendo e d'aver. (2) Preferisco la lezione di M
perchè non è probabile che la parola ordinata- mente, che si trovava in
evidenza in fine al discorso, sia sfuggita al copista. Forse l'aggiunta
If' (L) fu determinata AaW ordinatamente di poche righe prima. (3)
Cioè " dopo che tutto questo è fatto „ . Per il che pleonastico cfr. p.
20, n. 2, p. 21, n. 1 e qui dopo p. 99, 1. 18. Le lezioni di M^ e di L si
spiegano con quelle di M-m, ma non viceversa. causa e ciò che vi
bisogna secondo i comandamenti di ret- torica (i quali si convengono
trattare con molto studio e con grande deliberazione) ; anco sopra tutto
questo si con- vengojio pensare l'altre parti della diceria, delle quali
non 5. è detto neente, e sono sei ; e di ciascuna per sé tratterà
il libro interamente. Lo sponitore chiarisce tutto ciò eh' è detto
inn adietro. Et sopra questo punto, anzi che '1 conto vada più
innanzi, piace allo sponitore di pregare il suo porto, per cui amere è
composto il presente libro non sanza grande afanno di spirito, che '1 suo
intendimento sia chiaro e lo 'ngegno aprenditore, e la memoria ritenente
a intendere le parole che son dette inn adietro e quelle che seguitano
per innanzi, sì che sia, come desidera, dittatore perfetto e 15.
nobile parladore, della quale scienzia questo libro è lu- miera e
fontana. 3. Et avegna che '1 libro tratti pur sopra controversie et
insegni parlare sopra le cose che sono in tendone, et insegna cognoscere
le cause e Ile questioni, e per mettere exempli dice sovente
dell'accusato e dell' ac- 20. cusatore, penserebbe per aventura un
grosso intenditore che Tullio parlasse delle piatora che sono in corte, e
non d'altro. 4. Ma ben conosce lo sponitore che '1 suo amico è
guernito di tanto conoscimento ch'elli intende e vede la propria
intenzione del libro, e che Ile piatora s'aparten- 25. gono a
trattare ai segnori legisti ; e che rettorica insegna dire appostatamente
sopra la causa proposta, la qual causa no è pur di piatora né pur tra
accusato et accusatore, ma é sopra l'altre vicende, sì coinè di sapere
dire inn amba- sciarie et in consigli de' signori e delle comunanze et in
30. sapere componere una lettera bene dittata. 5. Et se Tullio dice
che nelle dicerie intra le parti sono le constituzioni e questioni e
ragioni e giudicamento e fermamento, ben si dee pensare un buono
intenditore che tuttodie ragionano le 1: M' Olii, vi — S: vi
làlluro — 3: M liberalione - M ancora, m aiicir — 4 : m le IKirli — 5:
M-m oiii. per sé — 8-9: Mi cliel maestro.... più avanti — iO: m questo libro
— i3: m mii. clie son — M' seguiranno — i4: in per lo innanzi — i8: vi
insegni — o»n. o dinanzi a per — i9:m exenpro — 20: M-vi 7 penserebbe —
.?;: if' trattasse — S2:m ha bene — 24-2.^: Af si pertegnono - m 7 a
singnorì — M-m le giustitio — 26- M' ap- postamento — M' in sapere — 2M 7
nele comunanze, (L e dello), mi delle co- munanze — 31 : m trailo parti -
32: M-m im. e ragioni, e l'ermamento — m ohi. si — 99
- genti insieme di diverse materie, nelle quali adiviene sovente
che ir uno ne dice il suo parere e dicelo in un suo modo e l'altro dice
il contrario, sì che sono in tencione ; e r uno appone e l'altro difende,
e perciò quelli che appone 5. contra l'alti-o è appellato accusatore e
quelli che difende èe appellato accusato, e quello sopra che contendono è
ap- pellata causa. Onde se l’uno appone e l'altro niega, al
postutto di questo non puote nascere questione se non di sapere se quella
cosa che niega elli l'à fatta o detta o no. Ma quando l'uno appone e
l'altro difende, sì è la causa incominciata et ordinata tra lloro. Et
questo è la constituzione della quale nasce la questione, cioè se Ila sua
difesa è a ragione o no; e poi ciascuno contende come pare a llui
per confermare le sue parole e per indebolire quelle del'altro, sì come appare
per adietro nel trattato della questione e della ragione e del giudicamento e
del fermamento. Onde non sia credenza d'alcuno che, sì come dicono
li exempli messi inn adietro, che ORESTE e accusato in corte della
morte di sua madre ; ma le genti ne contendeano intra loro, che 11' uno dicea
che non avea fatto né bene né ragione, e questo è appellato accusatore,
un altro dicea in defensione d'Orestes ch'elli avea fatto bene e ragione,
e questo è appellato nel libro accusato. De consiglieri. Così aviene
intra' consiglieiù de' signori e delle comunanze, che poi che sono aserablati
per consigliare sopra alcuna vicenda, cioè sopra alcuna causa la quale è
messa e proposta davanti loro, all'uno pare una cosa et all'altro
pare un'altra; e cosi è già fatta la constituzione della causa, 30.
cioè eh' è cominciata la tencione tra lloro, e di ciò nasce questione s'
elli à ben consigliato o no. Et questo è quello che Tullio appella
questione. 9. Et perciò l' uno, poi ch'elli àe detto e consigliato quello
che llui ne pare, immante- 2 : M ndicc — M' di.cela — m in
suo modo ~ 3 : M' in contentione ~ 4: M n lalti-o appone, m laltio appone
— M-m quel — 6: M quello che, m quello di che 7-9: m om. al postutto.... che nioga — M
che quella cosa — M' selgli la facta — il : m cominciata — M' intra loro
7 questa — 13: M-m è ragione - 16: M om. il 1" e 3° e, hì il 1" e S°
- 20 : m tralloro — dicea chelli — 21 : m o ragione — 22: m ave fatto —
25: M' adiviene - mi tra cons. — 27: M-m. e in essa — 28: m davanti a
loro — M-m om. cosa et — 30: M' lantentione — 31 : M-m selli alta
consigliato — m che allui
nente assegna la ragione per la quale il suo consiglio èe buono e
diritto. Et questo è quello che Tullio appella ragione. 10. Et poi
ch'elli àe assegnata la cagione e la ra- gione per che, si sforza di
mostrare perchè s'alcuno consigliasse o facesse il contrario come sarebbe male
e non diritto ; e così infievolisce la partita che è contra il suo
consiglio; e questo è quello che CICERONE lappella GIUDICAMENTO. Et poi ch'elli
àe indebolita la contraria parte, sì raccoglie tutti i fermissimi
argomenti e le forti ragioni 10. che puote trovare per più
indebolire l'altra parte e per confermare la sua ragione ; e questo è
quello che Tullio appella fermamente. 12. Et certo queste quattro parti,
cioè questione, ragione, giudicamento e fermamento, possono essere
tutte nella diceria dell'uno de' parlatori, sì come appare in ciò eh' è
detto di sopra. Et puote bene essere la sua diceria pur dell'una, cioè
pur infine alla questione, dicendo il suo parere e non assegnando sopra
ciò altra ragione. Et puote bene essere pur di due, cioè dicendo il
suo parere et assegnando ragione per che. Et puote bene essere pur di tre,
cioè dicendo il suo parere et assegnando ragione per che et indebolendo
la contraria parte. Et puote essere di tutte e quattro sì come fue
dimostrato di sopra. 13. Quest' è la diceria del primo parliere. E poi
ch'elli à consigliato e posto fine al suo dire, immantenente si
leva 25. un altro consigliere e dice tutto il contrario che àe
detto colui davanti ; e così è fatta la constituzione, cioè la
causa ordinata, e cominciata la tenciouB ; e sopra i loro detti,
che sono varii e diversi, nasce questione, se colui avea bene consigliato
o no. Poi dimostra la ragione perchè il suo 30. consiglio è
migliore. Apresso indebolisce il detto e '1 con- siglio di colui ch'avea
detto dinanzi da llui ; e poi ricon- ferma il consiglio suo per tutti i
più fermi argomenti che può trovare. Adunque le predette quattro cose o
parti possono essere nel detto del primo parliere e nel detto
35. del secondo e di ciascuno parlamentare. 14. Cosie usata-
3-4: M' la ragione 7 la cagione.... clie s'olciin — 6: M' a diriclo — m
la parie — 8:m om Et - i5: M-m cagione, ragione ecc. — i4: 3f' d'uno —
y5:3f'pare— i 6 : 3f-m om. cioè pur — 17: m pero — M' altre ragioni 18-19: M-m ohi. pur ~ M-m in suo parere
as- sengnanJo perche — SO: M' il suo pare — 21 : M^ la contraria partita
- SS: m di tulli e q. — 25-26: Jlf' tutto il contrario di colui ca detto
davanti — 27 : M' lunlcntione — m la tencionc sopra — S8: M' om. sono --
M 7 se colui — 31-32: in rilennu — 3/' il suo consiglio — 33: M' ([uattro
jiarti — 33: M' ciascuno che vuole parlamentare mente adviene che
due persone si tramettono lettere l' uno all'altro o in latino o in proxa
o in rima o in volgare o inn altro, nelle quali contendono d'alcuna cosa,
e così fanno tencione. Altressi uno amante chiamando merzè alla sua
donna dice parole e ragioni molte, et ella si difende in suo dire et
inforza le sue ragioni et indebolisce quelle del pregatore. In questi et
in molti altri exempli si puote assai bene intendere che Ha rettorica di
Tullio non è pure ad insegnare piategiare alle corti di ragione, avegna
che neuno possa buono advocato essere né perfetto (2) se non favella
secondo l'arte di rettorica. 15. Et ben è vero ohe Ilo 'nsegnamento
ch'è scritto inn adietro pare che ssia molto intorno quelle vicende
che sono in tencione et in contraversia tra alcune persone, le 15.
quali contendano insieme 1' uno incontra l'altro; e potrebbe alcuno
dicere che molte fiate uno manda lettera ad altro nela quale non pare che
tendoni centra lui (altressi come uno ama per amore e fa canzoni e versi
della sua donna, nella quale non à tencione alcuna intra llui e la
donna), é di ciò riprenderebbe il libro e biasmerebbe Tullio e lo
sponitore medesimo di ciò che non dessero insegnamento sopra ciò,
maximamente a dittare lettere, le quali si co- stumano e bisognano più
sovente et a più genti, che non fanno l'aringhiere e parlare intra genti.
16. Ma chi volesse bene considerare la propietà d'una lettera o d'una
can- zone, ben potrebbe apertamente vedere che colui che Ila fa o
che Ila manda intende ad alcuna cosa che vuole che 1: m adiviene -
3: M^ om. o inn altro ~ 6: m slorza — 7 : m i molti — 9: m in insegnare -
M' piatire — 10: M-m neuno buono advocato possa essere perfetto— 11: M
della rectorica — 13 : «i intorno a (pielle — 15 : m chontendono — M'
conlra.... 7 parebbo — 16: Mi molte volte manda Inno lectere alaltro, m
molto volte uno manda lettere a un altro (ma ambedue nela (piale) — 17 :
M che contenda tencioni — 18: 1/' per amore, fa e, L uno che ama per
amore fa e. 19: m tra lui — 23: M-m om.
et — 24: m traile genti (1) Le parole inn altro, che
sembrano inutili, non possono essere un'ag- giunta di copisti, ai quali
invece doveva venir fatto di ometterle, come in M* e in i.Dando a volgare
il senso limitato di volgare italico, si intende l'altro per gli altri
linguaggi, specialmente il provenzale e il francese. Brunetto vuol dire
che la rettorica di CICERONE non serve solo ai legisti, quantunque nessuno
possa divenire valente avvocato, e tanto meno perfetto, senza averla
studiata. Questa è l'idea espressa dalla lezione di ilf • ; con quella di
M-m, più semplice a prima vista, non si spiega la relazione fra buono e perfetto
sia fatta per colui a cui e' la manda. Et questo i)uote essere o pregando
o domandando o comandando o minac- ciando o confortando o consigliando ;
e in ciascuno di questi modi puote quelli a cui vae la lettera o la canzone
5. o negare o difendersi per alcuna scusa. Ma quelli che manda la sua
lettera guernisce di parole ornate e piene di sentenzia e di fermi
argomenti, sì come crede poter muovere l'animo di colui a non negare, e,
s'elli avesse alcuna scusa, come la possa indebolire o instornare
in tutto. Dunque è una tendone tacita intra loro, e così sono quasi
tutte le lettere e canzoni d'amore in modo di ten- done o tacita o
espressa ; e se cosi no è, Tullio dice manifestamente, intorno '1 principio di
questo libro, che non sarebbe di rettorica. Ma tuttavolta, o tencione o
no tencione che sia, CICERONE medesimo, luogo innanzi, isforza i suoi
insegnamenti in parlare et in dittare secondo la rettorica ; e là dove
Tullio sine pasasse o paresse che dica pur insegnamenti sopra dire
tencionando, lo sponitore isforzerà lo suo poco ingegno in dire tanto e
sì intende- 20. volemente che '1 suo amico potrà bene intendere l'
una materia e l'altra. 18. Et ecco Tullio che incomincia a dire di
quelle partite della diceria o d'una lettera dittata, delle quali non
avea detto neente in adietro: e queste parti sono sei, sì come apare in
questo arbore. I e. 2 ^'Olii'
/^M/ 25. Queste sono le sei parti che Tullio mostra
certamente che sono nella diceria o nella pistola, specialmente
in i: m per cholui che la manda — 2: M' essere pregando — 3:
M-m o in — 6: Jf' manda guernisce la sua lederà d'ornati^ parole — il : M
tucto lelcrre, m tutte lettere o clianzoni, M' o lo cannoni - iS: M-m o e
tacita (mi o e sjirexa) - 13: m inloruo al pr. - 14-15: M' o di tenciono
o di non tencione — da quello luogo innanci inforfa — 16: M' IH secondo
rothorica ~ 18: M^ insegnauiento - 19: M' islbiva - intendevole - 21: M'
m comincia — 22 : M' ohi. o duna lettera dittala - 23: M indietro - 24: il'
pare in ipiesto albero - Nello gchetna M' ha l" l>roomio, 3»
Divisione, ó" Uisjwnsionc - SO: M-m 7 nella pistola (ma c/r. l.
22) quelle che sono tencionando, sì come appare nel detto
dello sponitore qui adietro ; e, sì come detto fue in altra parte di
questo libro, Tullio reca tutta la rettorica alle cause le quali sono in
contraversia et in tencione. Et ben . dice tutto a certo che Ile parole
che non si dicono per tencione d'una parte incontra un'altra non sono per
forma né per arte di rettorica. 19. Ma perciò che Ila pistola, cioè
la lettera dettata, spessamente non è per modo di tencionare né di contendere,
anzi è uno presente che uno manda ad un altro, nel quale la mente favella
et é udito colui che tace e di lontana terra dimanda et acquista la
grazia, la grazia ne 'nforza e l'amore ne fiorisce, e molte cose
mette inn iscritta le quali si temerebbe e non saprebbe dire a lingua in
presenzia; sì dirae lo sponitore un poco dell'oppinione de' savi e della
sua medesima in quella parte di rettorica ch'apartene a dittare, si come
promise al co- minciamento di questo libro. 20. Et dice che dittare é
un dritto et ornato trattamento di ciascuna cosa, convene volemente
aconcio a quella cosa. Questa è la diffinizione del dittare, e perciò
conviene intendere ciascuna parola d'essa diffinizione. Unde nota che dice
« dritto trattamento » perciò che Ile parole che ssi mettono inn una
lettera dit- tata debbono essere messe a dritto, sicché s'accordi il
nome col verbo, e '1 MASCUNINO [sic MASCHILE -- MASCULINO] e '1 feminino,
e lo singulare e '1 plurale, e la prima persona e la seconda e la terza, e
l'altre cose che ssi 'nsegnano in gramatica, delle quali lo
sponitore dirà un poco in quella parte del libro che fie i)iù
avenente; e questo dritto trattamento si richiede in tutte le parti
di rettorica dicendo e dittando. 21. Et dice « ornato trat- 30.
tamento » perciò che tutta la pistola dee essere guernita di parole
avenanti e piacevoli e piene di buone sentenze; et anche questo ornato si
richiede in tutte le i)arti di ret- torica, sì come fue detto inn adietro
sopra '1 testo di Tullio. 22. Et dice « trattamento di ciascuna cosa »
perciò che, 35. si come dice Boezio, ogne cosa proposta a dire
puote 1:M' pare — 4:M oin. sono — m le quali e In contr. e
tencione. Et dico — 5-6: M' non sodono — m om. per te.ncione — a un altro
— 8 : M'de tencione — iO : M' 7 ae udito —il: M' om. la grazia — 12-13: M
la gra — M' sinlorca — m/ molte cose — M' m in iscriptura — Mi non, ma L
e non — 14: m lo sponitore dira uno pocho — 16: M' om. di relto- rica —
19: M-m aconcia a quella cosa, !/'-/> a quella cosa aconcia — 23: M-m
adietro, M' a diricto — 24-25: M' m el mascolino (m il maschulino)col
leminino — 3/' el plurale el singulare — M-m pulare 27 : m fia M' in tutte parti — 33 : M-m nel
lesto — 34 : m om. Et — 35 : m si puote essere materia del
dittatore ; et in questo si divisa dalla sentenzia di CICERONE, che dice
che Ila materia del parliere non è se non in tre cose, ciò sono
dimostrativo, deliberativo e iudiciale. Et dice « convenevolemente
aconcio a quella cosa » perciò che conviene al dittatore asettare le
parole sue alla sua materia. Et ben potrebbe il dittatore dicere
parole diritte et ornate, ma non varrebbero neente s'elle non fossero
aconcie alla materia. 23. Così è divisato il dit- tatore da cciò che dice
Tullio; e perciò di queste due 10. materie, cioè del dire e del
dittare, e dello 'nsegnamento dell'uno e dell'altro potrà l'amico dello
sponitore prendere la dritta via. Et per questo divisamento conviene che
Ile parti della pistola si divisino da queste della diceria che
Tullio à detto che sono sei, ciò sono : exordio, narrazione, partizione,
conferm amento, riprensione e conclusione. 24. 1. E oppinione di Tullio
che exordio sia la prima parte della diceria, il quale apparecchia
l'animo dell' uditore a l'altre parole che rimagnono a dire, e questo è
appellato prologo della gente. //. Et dice che narrazione è quella
20. parte della diceria nella quale si dicono le cose che sono
essute o che non sono essute, come se essute fossoro ; e questo è quando
uomo dice il fatto sopra '1 quale esso ferma la forma della sua diceria.
E dice che è partigione quando IL PARILERE à narrato e contato il fatto
et 25. e' si viene partiendo la sua, ragione e quella
dell'aversario e dice : « Questo fue cosi, e quest'altro così » ; et in
questo modo acoglie quelle partite che sono a lini più utili e pivi
contrarie all'aversario, et afficcale all'animo dell' uditore ; et allora
pare ch'ai tutto abbia detto tutto '1 fatto. IV. Et 30. dice che
confermamento è quella parte della diceria nella quale il parlieri reca
argomenti et assegna ragioni per le quali agiugne fede et altoritade alla
sua causa. F. Et dice che riprensione (1) è quella parte della diceria
nella quale il 5: Mi agoisare — 6: m om. Et — 7 : M' non
varrebbe — 8: M' j cosi e divisato da ciò — 10: Jf maniere — i3: M^ da
quelle — i6: M' Et oppinione di Tulio e, m Op- pinione di Tulio e — M
exordìa — 18: M rimagnono udite, m om. a dire — 21 : M is- sate — 22: M 1
quando — M^ m l'uomo om. esso 23 M' forma la sua diceria 25 : M' edesso
viene partendo, m e viene ripetendo.... del chonpagno — 28 -. M7 nfììcale
(?), m e ficliale, M' 7 afficcalle — 29: M' paro cabbia detto — m detto
il fatto - 30 : M' con- fermagione — 33: i mss. responsione — M-m 7
quella (1) Non esito a scostarmi dai codici per la concorde lezione
degli altri luoghi, che corrisponde al latino reprehensio. Il passaggio
da reprensione a responsione è facilissimo attraverso un
repensione. I)arliere reca cagioni e ragioni et argomenti
per li quali attuta e menoma et indebolisce il confermamento
dell'aver- sario. VI. Et dice che conclusione è Ila fine e '1
termine di tutta la diceria. 25. Queste sono le sei parti che dice
5. Tullio che sono e debbono essere nella diceria; e di cia- scuna
tratterà qua innanzi il libro sofficientemente. Ma in questo eh' è detto
puote uomo bene intendere che queste sei medesime possono convenire inn
una pistola, di tal ma- teria puote ella essere. Ma tuttavolta, di
qualunque materia 10. sia, nelle tre di queste sei parti s'accorda
bene la pistola colla diceria, cioè nello exordio, narrazione e nella
con- clusione; ma ll'altre tre, cioè partigione, confermamento e
reprensione, possono più lievemente rimanere e non avere luogo nella
pistola. Tutto altressì la pistola àe V parti, delle quali l'una può bene
rimanere e non avere luogo nella diceria, cioè «salutatio»; l'autra, cioè
«petitio», avegnachè Tulio no Ila nominasse in tra Ile parti della
diceria, sì vi puote e dee avere luogo in tal maniera ch'ap- pena pare
che diceria possa essere sanza petizione. Dunque 20. le parti della
pistola sono cinque, ciò sono salutazione, exordio, narrazione, petizione
e conclusione, sì come ap- pare in questo arbore :
26. Et se alcuno domandasse per qual cagione Tullio in- tralasciò la
salutazione e non ne trattò nel suo libro, certo 25. lo sponitore ne
renderà bene ragione in questo modo. Certa cosa è che Tullio nel suo
libro tratta delle dicerie che ssi l-S: m ragioni 7 cagioni
— Jlf' l'aiingatore — wn. cagioni e — per li ifiiali allassa - M-m il
fermamente — 3 : 3/' il line — 4-5 : m Questo.... che Tulio dico che debbono
essere — 6 : M' m illibro qua innanzi — 7 : jn luomo -- Af ' om. bone — m
che tutte 7 queste sei — 8-9 : M tal maniera — M-m da qualunque, M^ de
([ualunque — li : 3f' in exordio — M' m 7 conclusione —12: M' om. tre e
soitiiuisce di\hione rt partigione M salta dal lo al 2" aver luogo —
22: M' pare 'in questo albero — 24: ilf intrallassò, m lasciò — 25: Af'
ne renda, L ne rende - 26: M^ cliellibro di Tulio tracia —
106 - fanno in presenzia, nelle quali non bisogna di contare'!)
il nome del parlieri né dell' uditore. Ma nella pistola bisogna di
mettere le nomora del mandante e del ricevente, c'altri- mente non si
puote sapere a certo né l'uno né l'altro. Apresso ciò, la salutazione
pare che sia dell'exordio ; che sanza fallo chi saluta altrui 'per
lettera già pare che co- minci suo exordio. Et Tullio trattòe dello
exordio com- piutamente, non curò di divisare della salutazione né
distendere il suo conto intorno le saluti, maximamente perciò che pare che
rechi tutta la rettorica a parlare et in controversia tencionando. Et in perciò
furo alcuni che diceano che Ila salutazione non era parte della pistolaj
ma era un titolo fuor del fatto. Et io dico che la salu- tazione è porta
della pistola, la quale ordinatamente chiarisce le nomora e' meriti delle
persone e l'affezione del mandante. Et nota che dice « porta, cioè
entrata della pistola, e che chiarisce le nomora, cioè del mandante
e del ricevente; e dice i meriti delle persone, cioè il grado e
l'ordine suo, sì come a dire: Innocenzio papa, Federigo Imperadore, Acchilles
cavaliere, Oddofredi Judice, e cosi dell'altre gradora. Et dice « ordinata-
mente », cioè che mette il nome e '1 grado di ciascuno come s'a viene; e
dice «l'affezione del mandante», cioè com'elli manda al ricevente salute
o altra parola di bene, o per 25. aventura di male, secondo la sua
affezione, cioè secondo la sua volontade. 28. Adunque pare manifestamente
che Ila salutazione è così parte della pistola come l' occhio del-
l' uomo. Et se l'occhio è nobile membro del corpo dell'uomo, dunque la
salutazione é nobile parte della pistola, c'altressi 30. allumina
tutta la lettera come l'occhio allumina l'uomo. Et al ver dire, la
pistola nella quale non à salutazione è altrettale come la casa che non à
porta né entrata e come '1 1 : M-m bisogna contare — S-3 :
M' nome del dicitore — M-m bisogna mettere - M 7 dell' uditore 7 del ricevente,
m om. 7 del ricevente — M-m 7 altrimente — 4: M' non si porrebbe — 7-9:
M-m om. dello exordio — non curo divisare salutalione 7 distemdere - ìli
intorno alle salutationi — 10: M' om. et — 11-12: M' Et jìerciò funro ciie saluta- lione — 15: m e mèli — 16:
m om. Et -17: M-m om. 1° e, hi 01». cioè — S3 : M' om. di — 24 : M' 7
altra — 2,5 : M eirectione — m om. secondo la sua afTezione cioè — 26: M'
parte (ma t espunto) — 28 : M 3/' om. dell'uomo, m om. del corpo (A
completo) — 29: iW' e la salutatione n. p. m e altres'i — 32 : il/' ne jiorta
(1) La lezione bisogna contare darebbe piuttosto il senso di « conviene
dire », mentre qui si richiede un «c'è bisogno di dire».
- Itì7 - corpo vivo che non à occhi. Et perciò falla chi dice
che salutazione è un titolo fuor del fatto; anzi si scrive e s' in-
chiude W e sugella dentro ; ma '1 titolo della pistola è la soprascritta
di fuori, la quale dice a cui sia data la lettera. Ben dico c'alcuna
volta il mandante non scrive la salu- tazione, o per celare le persone se
Ila lettera pervenisse ad altrui o per alcun' altra cosa o cagione. (2)
Né non dico che tutta fiata convenga salutare, ma o per desiderio
d'amore, o per solazzo, talora (3) si mandano altre parole che 10.
portano più incarnamento e giuoco che non fa a dire pur salute. Et a'
maggiori non dee uomo mandare salute, ma altre parole che significhino
reverenzia e devozione; e tal- volta no scrivemo a' nemici altro che Ile
nomora e tacemo la salute, o per aventura mettemo alcuna altra parola che
15. significa indegnamento o conforto di ben fare o altra cosa; sì
come fa il papa che scrivendo a' giudei o ad altri uomini che non sono
della nostra catholica fede o a' nemici della Santa Chiesa tace la
salute, e talvolta mette in quel luogo spirito di più sano consiglio o
connoscere la via della veritade o ahundare inn opera di pietade et altre
simili cose. Adunque provedere dee il buono dittatore che, si-
milemente come saluta l'uno uomo l'antro trovandolo in persona, così il
dee salutare in lettera mettendo et ador- nando parole secondo che la
condizione del ricevente richiede. Che quando uomo va davante a messer lo papa
o davante ad imperadore o a alti-o segnore ecclesiastico o
seculare, certo elli va con molta reverenzia et inchina la testa, et alla
fiata si mette in terra ginocchioni per basciare 2-3: M'
anche — M-ìn si richiude — M' ma titolo — M 7 \a. s. — 5 •m iscrive salu-
tatione — 6-7: M' venisse ilata altrui per alcuna cagione — Mo per cagione
dalcunaltra cosa cagione ; m id., ma oiii. cagione — 8-9 : M^-L ma ora
per d. d'a. or (ina L 0) per s. si man- dano, M-m per solazzo di loro si
mandano — il: M' a maggiore — M-m non debbono - 12: M* che significanza
abbiano di revercntia 7 dev. — 13-14: M' a nomici non scrivemo — M-m 7
per aventura —16: M-m il papa scrivendo... om. altri —19: M-m di
chonnoscere — M' conoscere via de veritade— 20: M' opere (mai opera) om. altre — 21
il/' dee prevedere — 22 M'
un huomo un altro— ^ó:ni Quando luomo — 26:M' davanti imperadore od
altro, >« davante a lom- j)eradore — 27 : Jf certo e va - ^S: in M una
macchia cunpre in — M' ginocohione in terra (1) S'inchiude è
più esatto di si richiude. Lo scambio fra n e l'i occorre altre volte:
cfr. p. 37, n. 1. (2) In 3f e' è qualcosa di troppo. Non importa
dire che m ha accomodato di suo, perchè la parola cagione come finale è
confermata da M'; forse 1' errore nacque dall'avere scritto subito pei-
cagione e voler poi rimediare. (3) Scrivo così per avere un senso,
ma non presumo davvero di avere indo- vinato; potrebbe anche mancare
qualche parola. il piede al papa o allo 'mperadore. Tutto altressì dee
lo dettatore nominare lo ricevente e la sua dignitade coij parole
di sua onoranza e metterlo dinanzi ; apresso dee nominare sé medesimo e
la sua dignitade, e poi dee scri- 5. vere la sua affezione, cioè quello
che desidera che venga a colui che riceve la lettera, sì come salute o
altro che sia avenante, tuttavolta guardando che questa affezione sia
di quella guisa e di quelle parole che ssi convegnono al man- dante
et al ricevente. 31. Che quando noi scrivemo a' magio, giori di noi o di nostro
paraggio o di minore grado, noi dovemo mandare tali parole che ssiano
accordanti alle persone et allo stato loro. Et non pertanto eh' io
abbia detto che '1 nome del maggiore si de' mettere dinanzi e del
pare altressì, io oe ben veduto alcuna fiata che grandi 15. principi e
signori scrivendo a mercatanti o ad altri minori, mettono dinanzi il nome di
colui a cui mandano, e questo è contra l'arte ; ma fannolo per conseguire
alcuna utilitade. Perciò sia il dittatore accorto et adveduto in fare la
saluta- zione avenante e convenevole d'ogne canto, sicché in essa
me- 20. desima conquisti la grazia e la benivoglienza del
ricevente, sì come noi dimostramo avanti secondo la rettorica di CICERONE. Et
bene è questa materia sopr'alla quale lo sponitore po- trebbe lungamente
dire e non sanza grande utilitade. Ma considerando che Ila subtilitade
perché '1 verbo non si mette 25. nella salutazione, e che "1 nome
del mandante si mette in terza persona per significamento di maggiore
umilitade, e che tal fiata si scrive pur la primiera lettera del
nome, par che tocchi più a' dittatori IN LATINO che’n VOLGARE, sene
passex'à lo sponitore brevemente e seguirà la materia di Tullio per dicere
dell'altre parti della diceria e di quelle della pistola, sì come porta
l'ordine. Et in questo luogo si parte il conto della salutazione, e dirà
dell' exordio in due guise. L’una secondo ciò che nne dice Tullio e
che i : M' y allomperudoi'o — S-3: M-m dignilailo corporale
di — m aggiunge di reve- renza 7 ^ 4: M^ nm. S" e — 3: M-m
oirectione — ([nella — 7 : m tuttavia — M' guani ino clic l'airectione —
9-10: M' ali maggiori — M-m ili nostro .grado — i2: M' alloro slato — M-m
om. ch'io abbia dolio — i3: in il nome — M' si debbia — 13-16: m sengnori
— M-m scrivono -- m e mellone — M' elgli mandano — 17: Af-w por sognile —
18: mom. et adveduto — 19: M' dongiii jìarle — 20: M-mnm.ìa grazia e —
21-SS: il/' dimoslor- remo, m dimostraiiio davanti — Af' m Et bene
cpiesta — 24: JZ-m uhella subtitade, A/' che sotti! itude — 23: M<- in
salutalione 7 perche! nome — 26: M-m utilitade — 27: M' 7 per- che....
pur una lederà — m la prima — 28: m om. in Ialino — 31-32: L Et in questa
parte — ilf' dala salutalione — 33: M' om. ci6 — 109 -
pare che ss'apartegna a diceria, l'altra secondo che ssi con- viene
ad una lettera dittata et ad una medesima diceria, oltre quello che porta
il testo di Tullio. Exordio. 5. 77. Et perciò che
exordio dee essere principe di tutti, e noi primieramente daremo
insegnamenti in fare exordio. Vogliendo CICERONE trattare dell' exordio
prima che dell'altre parti della diceria, sì ll'apella principe
dell'altre 10. parti tutte ; e certo è de ragione (i) : l' una perciò che
ssi mette e si dice tuttora davanti a l'autre, l'altra perciò che
nel exordio pare che noi aconciamo et apparecchiamo r animo dell' uditore
ad intendere tutto ciò che noi vo- lemo dire di poi. 15.
Dell' exordio. 78. (e. XV) Exordio è un detto el quale acquista
convene- volemente 1' animo dell' uditore all' altre parole che sono a
dire ; la qual cosa averrà se farà l' uditore benivolo, intento e
docile. Per la qual cosa chi vorrà bene exordire la sua causa, ad
lui 20. conviene diligentemente procedere e conoscere davanti la
qualitade della causa. Lo sponitore. 1. Poi che
Tullio avea contate le parti della diceria, sì vuole in questa
parte trattare di ciascuna per se divi- 25. satamente, e prima
dello exordio, del quale tratta in questo 2 : Af' e la
diceria medesima — 3: m oltre a quello — 5 : M-mom.e — 6: M' oxordii —
iO: m nm. tutte — M-m certo e (m a) ragione, L e certo eglie ragione — 10-li M'
luna pei che, m luna che — M-m 7 davanti si dice — 13-14 : m quello die
noi poi volerne diro — M' dire poi — 18: m dolce (cosi sempre in seguito)
M' converrà om. procedere e 24 :
M' divisamente, ma L divisatamente Questa lezione è quella che
spiega meglio le altre: soppresso il de, nacque è ragione di M, che m,
colla pretesa di accomodare,' peggiorò in a ragione; la variante di L
deriva certo dal non aver inteso il significato di de ragione (= se-
condo ragione). - no - modo: Primieramente dice
che è exordio, mostrando che tre cose dovemo noi lare nell'exordio, cioè
fare che 11' udi- tore davanti cui noi dicemo sia inver noi benivolente
et intento e docile a cciò che noi volemo dire. Et perciò ne 5.
conviene connoscere la qualitade del convenente sopra '1 quale noi dovemo
dire o dittare. 2. Nel secondo luogo divide l'exordio in due parti, cioè
principio et « insinuatio », e mo- strane in qual convenentre noi dovemo
usare principio et in quale « insinuatio ». 3. Nel terzo luogo ne fa
intendere 10. donde noi potemo trarre le ragioni per acquistare
beni- voglienza et intenzione e docilitade, e come noi dovemo queste
tre usare in quello exordio eh' è appellato principio e come in quello
eh' è appellato « insinuatio ». 4. Nel quarto luogo pone le virtù e' vizi
dell'exordio. Et perciò dice 15. che exordio è uno adornamento di
parole le quali il par- lieri e '1 dittatore propone davanti nel
cominciamento del suo dire in maniera di prolago, per lo quale si sforza
di dire e di fare sì che l'uditore sia benivolo verso lui, cioè che
Ili piaccia esso e '1 suo parlamento, e procacciasi di dire e di fare sì
che l'uditore sia intento a llui et al suo detto; similemente si studia
di dire e di fai'e sì che l’uditore sia docile, cioè che pi'enda et intenda la
forza delle parole. 6. Et perciò dico che immantenente che 11'
uditore è docile sicché voglia intendere e connoscere la natura
25. del fatto e la forza delle parole, sì è elli intento ; ma
perchè l' uditore sia intento a udire, puote bene essere che non
sia docile ad intendere. Et di ciascuno di questi tre dirà il conto
quando verrà il suo luogo. 7. Ma perciò che '1 par- liere che non conosce
dinanzi di che maniera e di cliente 30. ingenerazione sia la sua
causa non puote bene advenire alle tre cose che sono dette inn adietro,
cioè che 11' uditore sia benivolo, intento e docile, si dicei'à Tullio
quante e quali sono le generazioni delle cause, in questo modo:
1 : m Prima — MM' nm. è — 2-3 : m liiditore sia inverso noi
benivolo intonlo 7 dolco a quello ecc. — 4-5: m ci conviene — 7-8: m nm.
et — e mostra — 9: M' nensegna, L insegna dove — JO: M' potremo — ii: M',allenlione
- 13: M nm. in — 15: m i parlieri, M' il parladore —17: M' perla (piai
cosa — 19: ni jiiaoci il suo p. — procliac- cisi — 20 : M-m 7 fare sicché
— m attento — 21 : M' 7 fare — 22 : il/' ciò che imprenda — «1 le parole
— ^.5: hi nm. e la l'orza delle i>arole - 26: m che non 0—27: M' ohi. tre
— 28-29: M' vorrà suo luogo — chel dicitore — 7 di che ìnjj.
- Ili - Qualitadi delle cause. 79. Le qualitadi
delle cause sono cinque: onesto, mirabile vile, dubitoso et oscuro.
Sponitore. 5. I. In questa picciola parte nomina Tullio le
qualitadi delle cause, cioè di quante generazioni sono le
dicerie. Et s' alcuno m' aponesse che Tullio dice contra ciò che
esso medesimo avea detto in adietro, cioè che le generazioni e le
qualitadi sono tre, deliberativo, dimostrativo e iudiciale, 10. et
or dice che sono cinque, cioè onesto, mirabile, vile, du- bitoso et
oscuro, io risponderei che Ile primiere tre sono qualitadi substanziali
sie incarnate alhi causa che non si possono variare. Onde quella causa
eh' è deliberativa non puote essere non deliberativa, e quella eh' è
dimostrativa 15. non puote essere non dimostrativa ; altressì dico
della iudi- ciale. 2. Ma quella causa eh' è onesta puote bene essere
non onesta, e quella eh' è mirabile puote essere non mirabile, e
così dico della vile e della dubbiosa e della oscura. Adunque sono queste
qualitadi accidentali che possono 20. essere e non essere; ma le
prime tre sono substanziali che non si possono mutare. Dell'onesta.
80. Onesta qualitade di causa è quella la quale incontanente, sanza
nostro exordio, piace all'animo dell'uditore. 25. Lo
sponitore. I. Quella causa è onesta sopr'alla quale dicendo
parole, immantenente, sanza fare prolago, l' animo dell' uditore si
muove a credere et a piacere le parole che '1 parliere dice sopra '1
convenente ; et in questo non fa bisogno usare pa- 3: M'
dubbioso — 7 : M' m cholgli medesimo — 8: M-m om. elio - M^ li generi
10: M' dubbioso — 1 1: m io rispondo che le prime tre — 13 -.M' puole — 13-14:
M-m ml- lann dal lo al S° deliberativa — 15 : M-m essere dimostrativa —
17 : L bone essere bene non mir. — 19: M-m om. queste — 23: M
incontenenlo — 27: M-m mantenente iole per acquistare la
benivoglienza dell'uditore, perciò che ll'onestade della causa l'à già
acquistata per sua di- gnitade, sì come nella causa di colui che accusa
il furo o che difende il padre o l'orfano o le vedove o le
chiese. Mirabile è quello dal quale è straniato l'animo di colui che
de' audìre. Quella causa è appellata mirabile la quale è di tale 10.
convenente che dispiace all'uditore, perciò eh' è di sozza e di crudele
operazione. Et perciò l'animo dell'uditore è centra noi et è straniato
dalla nostra parte; et in questo abisogna d'acquistare benivolenzia sì
che l'uditore intenda, sì come nella causa di colui c'avesse morto il suo
padre 15. o fatto furto o incendio. 2. Dunque potemo intendere che
una medesima causa puote essere onesta e mirabile : onesta dall'una
parte, cioè di colui che difende il suo padre, mi- rabile dall'altra
parte, cioè di colui medesimo che è coutra la sua madre propia. E di
questo uno exemplo si puote 20. intendere tutti i somiglianti. Vile
è quello del quale non cura l'uditore e non pare che sia da mettere
grande opera a intendere. Lo sponitore. 25. 1. Quella
causa è appellata vile la quale è di picciolo convenente, sì che
non pare che ne sia molto da curare e l'uditore non sine travaglia molto
ad intendere, sì come la causa d' una gallina o d'altra cosa che sia di
poco valere. Et in questa causa dovemo noi procacciare di fare sì
che 30. ir uditore sia intento alle nostre parole.
1: M' om. la — id: M' o l'uiiiino - i2: vi e straniato — i3: M' bisogna —
14: M-m om. nella oanaa di colui c'avcsso morto — 15: M a facto, m a
l'atto — 19: M\a sua iiropria madre — 26: M-m om. ne — 27 : M' non si
maraviglia — 28: hi di jioclio valoro, Jt/' de piccolo valoro — 89: Mi
nm. di l'are si Dubitoso è quello nel quale o la sentenzia è dubia
o la causa è In parte onesta et In parte è sozza e disonesta,
sicché Ingenera benlvolenzla e offenslone. Quella causa è appellata
dubitosa nella quale l'uditore non è certo a che la cosa debbia pervenire o a
che sentenzia alla fine torni, sì come nella causa d'Orestes che
dicea ch'avea morta la sua madi e giustamente per due 10. ragioni :
1' una perciò ch'ella avea morto il suo padre, l'altra perciò che '1 deo
APOLLO glile comandò. Onde l'uditore non è certo la quale di queste due
cagioni cagia in sentenzia. Altressì è dubitosa quella causa nella quale
àe parte d'onestade e perciò piace all'uditore, et àe parte di
diso- 15 nestade e perciò dispiace all' uditore, si come nella
causa de filio: O d'un furo che fue accusato d'un furto e '1 suo
figliuolo si sforzava (ii difenderlo in tutte guise. Certo la causa era
onesta quanto in difender lo padre, ma era diso- nesta quanto in
difendere lo furo. 20. Dell'oscuro. 84. Oscuro è quello
nel quale l' uditore è tardo, o per aventura la causa è Iv^plgllata di
convenentl troppo malagevoli a conoscere. Dice CICERONE che quella causa
è appellata oscura nella 25. quale l'uditore è tardo, cioè che non
intende ciò che portano le parole del dicitore sì bene ne sì tosto
come si conviene, perciò che non è forse ben savio o forse eh' è fatigato
per 2: M-m eia sentenzia — 3: M' in parte socca 4: M-m o offensione — 7-8: M' o in clie
sententia torni ala fino 10: m il suo marito — li: M chel deo apellollil, m
chello lio appello il, M^-L che dio appello glile comando — 13: M' quella
parte dove parte — 16: M do fili?, *i demi?, Mi-L dun figluolo dun ladro
- do furto, el figUiolo ~ 17 : m s\ sforza — 19: M' lo furto — 24: ino
oschura apellata — 23-26: 3f-»i portava — del dicta- tore - M' om. nò, L
e si tosto, m o si tosto ~ 27:M' om. il 1" forse — M-m 7 forse -
faligata (1) L'abbreviatura insolita ài M e m porta a supporre una
formula giuridica latina, quantunque tale abbreviatura non sembri
equivalere proprio a un de filio (la lezione di M'-L è certamente
secondaria). forse nella sigla si nasconde qualche nome proprio? li
detti d'altri parlieri che aveano detto innanzi; o per aventura la causa
è impigliata di cose e di ragioni che sono oscure e malagevoli ad
intendere. Della divisione dell' exordio. 5. 85. Et
perciò che Ile qualitadi delle cause sono tanto diverse, sì convene
che li exordii siano diversi e dispari e non simili in ciascuna qualitade
di cause; per la qua! cosa exordio si divide in due parti, ciò sono
principio et « insinuatio ». Lo sponitore. 10. I.
Perciò - dice Tullio - che le generazioni e le quali- tadi delle
cause sono tanto diverse, cioè che sono in cinque modi sì come detto è
qui di sopra, e l'uno modo non è accordante all'altro, sì conviene che in
ciascuna qualità di cause et in catuno de' detti cinque modi abbia suo
modo 15. di fare exordio, tale che ssi convegna alla qualitade
so- pr'alla quale noi dovemo parlamentare o dittare. 2, Et
vogliendo Tullio insegnare ciò apertamente, sì dice che exordio è di due
maniere : una eh' è appellata principio et un'altra ch'jè appellata «
insinuatio » ; e di ciascuna dirà elli 20. interamente. E così
dovemo e potemo sapere che le cause sopra le quali dice alcuno parlieri o
sopra le quali scrive alcuno dittatore sono cinque, cioè sono: onesto,
mirabile, vile, dubitoso et oscuro, sì come apare in adietro. Et
sopra tutte qualitadi sono due modi de exordio e non più, cioè
25. principio et « insinuatio ». Principio è un detto il quale
apertamente et in poche parole fa l'uditore benivolo o docile o
intento. Quella maniera de exordio è appellata principio
quando il parlieri o '1 dittatore quasi incontanente alla
1 : M^ parladori — 3: M' mn. oscuro o — fi: m diversi, dispari 7:m di cose — 8:M' cioè principio 7
insiniiatione (sempre) / i : m dolio
cose — M' dele qualitadi sono tante divei-se -- Melo che sono— 13: M'
coU'altro — i4-i5: M' si abbia s. m. in fare — A/' «hi.cìò — 18-19: m una
che apjinllala ins. 7 una che ajiiiollata pr., M' uno che sajiplla pr. 7 un
altro che apellnlo ins.,7 di ciascuno 21 : vi .ilchimo parlinre dice — M-m 7 sopra —
M' dice alcuno dictalon» — 22: M-m honesta - 23: M* jiare — 31 : M' il
dicitore ol dictatore — M-m incontenonte comincianza del suo
dire, sanza molte parole e sanza neuno infingimento ma parlando tutto
fuori et apertamente, fa l'animo dell'uditore benvolente a llui et alla
sua causa, o talora il fa docile o intento, si come fece Pompeio
par- 5. landò a' Romani sopra '1 convenente della guerra con Julio
Cesare, che fece tale exordio : « Perciò che noi avemo il diritto dalla
ifostra parte e combattemo per difendere la nostra ragione e del nostro
comune, si dovemo noi avere sicura spei'anza che li dii saranno in nostro
adiuto ». Dell' insinuatio. Insinuatio è un detto il quale, con
infingimento parlando dintorno, covertamente entra nell’animo
dell'uditore. CICERONE dice che quella maniera de exordio è apellata
« insinuatio » quando il parlieri o '1 dittatore fa dinanzi un lungo
prolago di parole coverte, infingendo di volere ciò che non vuole, o di
non volere quello che dee volere, e così va dintorno con molte parole per
sorprendere l'animo dell'uditore sì che sia benevolo o docile o intento;
sì come disse Sino parlando a coloro che riteneano la sua persona
in gravosi tormenti: « Insin a oi"a v'ò io pregato che mi traeste di
tante pene ; oimai non dimando se non la morte, ma grandissimi tesauri
avrei dato a chi m' avesse scam- pato ». Et in questo modo covertamente
s'infingea di non 25. volere quello che volea, per venire in animo
di loro che Ilo scampassero per avere, da che mercè non valea. 2. Et
cosie à divisato il conto che è principio e che è «insinuatio»;
omai dicerà quale di questi due modi de exordio dovemo usare in
ciascuno de' cinque modi delle cause, cioè nell'onesto, 30. nel
vile, nel mirabile, nel dubitoso e nell' oscuro. i: M'
alancomincianza — m sanza alcliuno - 2-- M' om. et — 3: M' benivolente, m
benivolo — M^ o ala sua causa : m come fé — 5-6: M' a Romani parlando del
convenente, — cotale — 9: M diede saranno — IS: m intorno — 15: M-m i
parlieri, M' il parliere — M o dictatore — 17 : m quello che non vuole —
iW' in (juello che vuole — 20-21 : L Sitio m teneano... gravi tormenti — 2S: M' oggimai
non domando io — 23: M' dati — wi dato chi — 26: m merco domandare — 27:
M' a divisatoli maestro — 28 : M-m (|uali M' noi dovemo — 29: M' de cause, M in ciascuno
di delle causo, m in ciascheduna delle chause (1) Per tutte
le citazioni di autori classici, che da questo punto alla fine son molto
frequenti, rimando al mio studio su La «Rettorica» italiana di Brunetto
Latini pp. 35-50; ivi son ricercate e discusse le fonti di questi
esempii, e così riesce anche piti facile rendersi conto della
costituzione del testo. Della mirabile. 88. Nella
mirabile generazione di causa, se il'uditore non fosse al tutto turbato
contra noi, ben potemo acquistare benivoglienza per principio. Ma s'ei
troppo malamente fosse straniato ver noi, allora 5. ne conviene
rifuggire a « insinuatio », in però che volere così isbri- gatamente pace
e benivoglienza dalle persone adirate non solamente non si truova, ma
cresce et infiamasi l'odio. Lo sponitore. 1. Inn
adietro è bene detto che quella causa è appel- lo, lata mirabile la quale
è di rea operazione, sicché pare che dispiaccia all'uditore. Et perciò
dice Tullio CICERONE che quando la nostra causa è mirabile puote bene
essere alcuna fiata che Il'uditore non sia del tutto coruccioso contra
noi. Et allora potemo noi acquistare la sua benivolenza per quel
modo 15. de exordio eh' è appellato principio, cioè dicendo un
breve prologo in parole aperte e poche. 2. Ma se 11' uditore fosse
adiroso e curicciato contra noi malamente, certo in quel caso ne conviene
ritornare ad altro modo de exordio, cioè « insi- nuatio », e fare un bel
prologo di parole infinte e coverte, 20. sicché noi possiamo mitigare l'
animo suo et acquistare la sua benivolenza e ritornare in suo piacere.
Ch'ai ver dire, quando l' uditore èe adirato e curiccioso, chi volesse
acqui- stare da llui pace così subitamente per poche et aperte
parole dicendo il fatto tutto fuori, certo non la troverebbe, 25. ma
crescerebbe l' ira et infiamerebbe l' odio ; e perciò dee andare dintorno
et entrarli sotto covertamente. Della causa vile. 89.
Nella causa la quale è di vile convenente, per cagione di trarrela di vilanza
e di dispetto, ne conviene fare l'uditore intento. S : M-m Della mirabile
— ?» e solluditoro — 3 : M^ del tutto — 4 : 3/' se — m se troppo fosse
crucciato — 5: Mi fuggire — m ci conviene.... chosi di presente - 7: m crescesi
9: M-m ubiamo detto — i2: M^ alcuna volta — 13: m crucciato — 14: M'
potremo (ma L lìotemo) — 15: M-m in breve — 17 : M' iroso 7 crucciato
verso noi, m adirato contra noi molto, — 18: m tornarne — M alaltro modo
—19: M-m nni. fare — converte — M iulì- nito — 20: M' otii. la — SS: M^
cruccioso, m crucciato S3: in per
i)Oclie )iaroIo 7 aperte — S6: M-m darò dintorno — M entrali, M'
intrarli, wi rilrarlo sottilmente sotto coverta — S8 : M e diviene
convenente m udiviene e. — S9 : M' trarla de viltanca 7 de
dispregio Quando la nostra causa ella è vile, cioè di piccolo
convenente sicché l' uditore poco cura d' intendere, allora ne conviene
usare principio et in esso fare che 11' uditore 5. sia intento alle
nostre parole; e questo potenio ben fare traendola di viltanza e
facciendola grande et innalzandola, sì come fece Virgilio volendo
trattare de l'api: «Io dicerò cose molto meravigliose e grandi delle
picciole api ». Della dubbiosa qualità. Nella dubbiosa qualità
di causa, se Ila sentenza è dubbia si conviene incominciare
l'exordio dalla sentenzia medesima. Ma se Ila causa è in parte onesta e
in parte disonesta si conviene acqui- stare benivolenzia, sicché paia che
tutta la causa ritorni in onesta qualitade. La causa dubitosa, si
come fue detto in adietro, èe in due maniere: 1' una che Ila sentenzia è
dubbia, sì come apare nelF exemplo d' Orestes, che per due ragioni e
cagioni dicea ch'avea ben fatto d'uccidere la madre. Et in quel
caso 20. dovea elli incuninciare il suo exordio da quella
ragione dalla quale (0 elli più ferma nel suo animo di voler pro-
vare, e per la quale crede avere la sentenzia inn aiuto. 2. Ma se '1
convenente è dubitoso perciò che sia in parte onesto et in parte
disonesto, in quello caso dee il buono parlieri neir exordio acquistare la benivolenzia dell'
uditore per principio, sicché tutta la causa paia che sia onesta. 2:
M' m om. ella — m cioè di vile convenente 7 di picciolo —,9: 3f' -Ldelontendere
4-5 : M 7 mezzo, m e mezzo a fare... atento — 6: m vilanza, >/'
vllezza 7 inalr. et f. g. — 7 : m tràre — 8: M' om. molto — iO: M' Dela
dubitosa — li: m cominciare — i2 : M-in om. è in parte onesta M' parte lionesla 7 parlo dis. — i7 : M-m
cliella causa — hi dub- biosa — i8: M> om. apare — cagioni 7 ragioni —
m om. 7 cagioni — 19-20 : m in questo dovea elli com. — 21 : M' la (juale
22: M-m 7 per qua! (?;i om. 7) — M'
sigli crede davere — 23: m om. sia — M'-L honesta.... disonesta — 25: M'
acquistare nelexordio benivolenca daluditore — M libenivolentia — 26 :
M-m om. che sia (1) Cioè « fondandof3i sulla quale egli si propone
di dimostrare la sua causa. L'oscurità della frase ha determinato la falsa
correzione in ilf'. La causa onesta. Quando la causa fie
onesta, o potemo intralasciare lo prin- cipio, 0, se ne pare convenevole,
comincieremo alla narrazione o dalla legge, o d' alcuna fermissima
ragione della nostra diceria. 5. A\a se ne piace usare principio, dovemo
usare le parti di benivo- glienza per accrescere quella che
è. Quando il conveniente sopra '1 quale ne conviene dire è onesto,
certo per la natura del fatto propia avemo noi la benivoglienza
dell'uditore sanza altro adornamento di parole. Perciò quando noi venimo a dire
noi potemo bene intralasciare lo principio e non fare neuno exordio
né prolago di parole, e cominciare la nostra diceria alla nar-
razione, cioè pur dire lo fatto; e bene potemo cominciare da quella legge
che tocca alla nostra materia o da quella ragione che sia più fermo
argomento e più certo. Ma se nne piace usare ijrincipio e fare alcuno
prologo, certo noi lo potemo bene, non per acquistare benivolenza ma
per crescere quella che v' è. Et perciò in detto caso il nostro
20. principio dee essere in parole apropiate a benivolenza.
Della causa ohscura. (e.
XVI) Nella causa la quale è oscura conviene che nel nostro principio noi
facciamo che ir uditore sia docile. Lo sponitore. 25.
1. In adietro fue dimostrato qual causa e quando sia oscura. Et
perciò dice Tullio che nella causa la quale sia 2 : M' m tia
— 3 : i« / Se ci paro — -i : M-m o alla legge, J/' o data leggo — M o
alcuna, )/i adalcluina, Mi o dalcuna — 5: Miw paro, m non paro — 6 : il/i
om. che h - 9: M-m nm. certo - facto pro])io — iO: M-m sanja molto
ailorn. — i i : Mi j perciò — M noi doviamo a dire, m noi doviamo diro —
i2: m alchuno oxordio — 13-15: M-m no comin- ciare ~ M' 1 cominciare do
quella legge - M-m o a ([uolla ragione — 16: M' la (jualo sia — 18: M'
ben faro — 19: M-m il docto, M' in (juesto caso — 25: M' mostrato (|ualo
causa e 7 (juando sia (ma L ([uando sia) — 26: M' la quale e (Cioè
«quando cominciamo a parlare». L'accordo di Jlf e JVf ' ronde sicuro a
dire, e con questo si escludo la lezione, buona in apparenza, di m {doviamo
dire) come evidente accomodamento di M. oscura all' uditore a
intendere noi dovemo usare quella parte de exoi'dio la quale è appellata
principio, et in quello dovemo noi si dire che 11' uditore sia docile,
cioè ch'elli intenda e ch'elli senta la natura del fatto, in que-
5. sto modo: che noi diremo in poche parole sommatamente la sustanzia del
fatto dell' una parte e dell' altra. Et poi che noi vedremo che U'
uditore sia apparecchiato in via d' intendere (1) il fatto, noi andremo
innanzi a dire la nostra ragione sì come si conviene al fatto.
10. Le ragioni delle cose. 93. Et perciò che infìn ad ora noi
avemo detto che ssi con- viene fare nell' exordio, oimai rimane a
dimostrare per quali ra- gioni ciascuna cosa si possa fare.
Sponito7-e. Infino a questo luogo à insegnato Tullio tutto
ciò che ssi conviene dire o fare nello exordio; e perciò ch'elli
àe detto in quale exordio ed in qual causa ne conviene usare parole
per acquistare benivolenza, sì vuole elli da qui in- nanzi mostrare le
ragioni come si puote ciò fare ; e questo 20. insegnamento fa bene
di sapere. De' quattro luoghi della temperanza. 94.
Benivolenza s' acquista di quatro luogora : dalla nostra persona, da
quella de' nostri adversarii, da quella dell! giudici e dalla
causa. Lo sponitore. In questa parte insegna CICERONE acquistare
benivo- lenza, e perciò ch'ella non si puote avere se non per
quello che ss' apartiene alle persone et al fatto, sì dice che
quattro luogora sono dalle quali muove benivolenza. Il primo luogp
i: if-»» om. all'uditore a intendere 2.M^As lexordio — 4: Af' chela intenda et
senta - 5: m dopo diremo r(pe(e in ([uesto modo — 6:m la natura — om. Et
— 7-8: 3f' apparecchiato intendere, m-L
appareccliiato a intendere — 12: m a mostrare — 15: M-m In ipiosto luogo
— om. tutto - 17: M-m 7 di qual causa, M' iu quale causa, i e in quale
causa — M-m luoghi, della nostra p. — 27-28: M' da quello... alla persona
(1) L' espressione certamente è ridondante {in via sembra quasi una
variante di apparecchiato), e perciò quasi tutti i testi l' hanno ridotta
alla forma pili sem- plice e comune. Il segno 7 di M' deriva da una
errata lettura di a, che anche in quel codice ha una forma simile alla
nota tironiana. si è la nostra persona e di coloro per cui noi
dicemo. Il secondo luogo si è la persona de' nostri adversarii e di
coloro contra cui noi dicemo. Il terzo luogo si è la persona de' giudici,
cioè la persona (l) di coloro davanti da cui noi 5. dicemo. Il quarto
luogo si è la causa e '1 fatto e '1 conve- nente sopra '1 quale noi
dicemo. E di ciascuno di questi dicerà il conto ordinatamente e
sofficientemente. Tallio sopra lo lìvolago. Dalla nostra
persona se noi dicemo sanza superbia de' 10. nostri fatti e de' nostri
officii; e se noi ne leviamo le colpe che nne sono apposte e le disoneste
sospeccioni; e se noi contiamo i mali che nne sono advenuti et li
'ncrescimenti che nne sono pre- senti; e se noi usiamo preghiera o
scongiuramento umile et inclino. Sponitore. 1.
Conquistare benivolenza dalla nostra persona si è dicere della
persona nostra, o di coloro per cui noi dicemo, quelle pertenenze perle
quali l' uditore sia benivolo verso noi. Et sappie che certe cose s'
apartengono alle persone e certe alla causa; e di queste pertinenze
tratterà il conto 20. sofficientemente, e fie molto bella et utile
materia ad impren- dere. Et qui pone Tullio quattro modi d'acquistare
benivo- lenza dalla nostra persona. 2. Il i)rimo modo si è se noi
di- cemo sanza soperbia, dolcemente e cortesemente, de' no- stri
fatti e de' nostri officii. Et intendi (2) che dice « fatti » 25
quelli che noi facemo non per distretta di leggo o per forza, ma per
movimento di natura. Et così dicendo Dido 1 : m Olii, si —
2: M-m om. luogo — m ohi. si — 5 : m om. si — J : M-in om. la jiersoiia —
Afiia coloro — m davanti a chui, il/' davanti cui 5: M^ il facto — m om. ól convonento — 6-7
: M' om. di questi — dioera lautore — m om. e soBìcientemento — 9-10: M-m
Alla nostra p. — di nostri faoti — Ai' lo nostre colpo — 12: il/' che
sono presenti — M' i scongiura-
mento — 16: M^ dola nostra persona 7 di coloro — 17: m aparlenentle — 20: m
om. suflicientementc M-mom.
materia — 22: m om. moiio 2-i:M-m
intende, L intendo 25: m diciamo per distretta — 26: M-m dicendo
didio (1) Le parole la persona sono superflue, e perciò a prima
vista si preferirebbe la lozione di M-m; ma è molto più probabile
l'omissione di parole inutili che la loro aggiunta in Af'.
(2) Scrivo cosi per analogia col § 4; ma anche la lezione di Mm,
intende, potrebbe conservarsi come una forma di 2" persona dell'
imperativo (per la desi- nenza e non mancano esempii). d' Eneas
acquistò la benivolenza degli uditori: « Io » dice ella, « accolsi e ricevetti
in sicura magione colui eh' era cacciato iu periglio di mare, et quasi
anzi eh' io udisse il nome suo li diedi il mio reame ». Et cosi dice che
ella 5. si mosse a pietade sopra Eneas quando elli fugia dalla
distruzione di Troia. 3. Et al ver dire noi avemo merzè e pietade delle
strane genti per natura, non per distretta. Ma offici sono quelle cose le
quali noi facemo per distretta, non per movimento di natura. Onde dice
Tullio che dell'uno 10. e dell'altro dovemo dire temperatamente
sanza superbia. 4. Il secondo modo si è se noi ne leviamo da dosso a
noi et a' nostri le colpe e le disoneste sospeccioni che cci sono
messe et apposte sopra; et intendi che colpe sono appellati que' peccati
che sono apposti altrui apertamente davanti al viso, sì come fue apposto
a Boezio eh' elli avea composte lettere del tradimento dello 'mperadore.
Il quale pec- cato removeo elli per una pertenenza di sua persona,
cioè per sapienza, dicendo cosi. Delle lettere composte falsamente che
convien dire ? la froda delle quali sarebbe mani- 20. festamente
paruta se noi fossimo essuti alla confessione dell' accusatore ». 5. Le
disoneste sospeccioni sono le colpe eh' altre pensa in centra ad un
altro, ma nolle pone davante al viso, sì come molti pensavano che Boezio
adorasse i do- moni per desiderio d'avere le dignitadi; e questa
sospeccione 25. si levò elli parlando alla Filosofìa, che disse: «
Mentirò che pensaro ch'io sozzasse la mia coscienza per sacrilegio (o
per parlamento de' mali spiriti). Ma tu, filosofìa, commessa in me
cacciavi del mio animo ogne desiderio delle mortali cose ».• Et così
parve che volesse dire: « Poi che in me avea sapien- 30. zìa, non
era da credere che in me fosse così laido fallimento ». Tutto altressì
Elena, voglìendosi levare la sospeccione che '1 suo marito avea dì lei,
disse: «Elli che ssi fida in me della vita, dubita per la mia biltade; ma
cui assicura pro- dezza non dovrebbe impaurire l'altrui bellezza ». 6. Il
terzo 1 : M' deluditore — 2: S m sicuro porto 4: M' il suo nomo — Mìi dica — m il
roame mio — 5: A/' dela — 7: m M' 7 non — 0: m L ^ non por m. — 13-14: m
ci sono aposto (om. sopra) — M' appellate.... apjioste — 16: M \e lectoro
— 17: M' elgli rimovca — ciò fu — 18: M' falsamente composte — 20-21 :
M-m jiartita ....stati.... dellaccusato — 22: m centra un altro — ^f'
appone — 25: m parlando olii — 25-27: M-m Mentita chi solcasse — om. per
sacrilegio.... spiriti — 28: cacciavi (il latino ha pellebas) è solo in
L; M-m chaccia, Jf' cacciava con un i aggiunto tra v e a, s caccia via —
29: M-m paro — 31 : m schusare 7 levare — 33: m della biltade mia
modo è se noi contiamo i mali elie sono advenuti e li 'ncre-
scimenti che sono presenti. Così Boezio, contando ciò ch'ave- nuto era,
acquistò la benivolenza dell'uditore dicendo: « Per guidardone della
verace vertude sofferò pene di falso incol- 5. pamento ». Et Dido,
dicendo i suoi mali dopo il dipartimento d'Eneas, acquistò la benivolenza
per la sua misa ventura, e disse : « Io sono cacciata et abandono il mio
paese e Ila casa del mio marito e vo fuggendo i)er gravosi cammini in
caccia de' nemici». Altressì Julio Cesare, vedendosi in perillio di
10. guerra, contò i mali c'a llui poteano advenire, per confortare
i suoi a battaglia, e disse: «Ponete mente alle pene di Ce- sare,
guardate le catene e pensate che questa testa è presta a' ferri e' membri
a spezzamento». Altro modo è se noi usiamo preghiera o scongiuramento
umile et inclino, 15. cioè devotamente e con reverenza chiamare
merzede con grande umilitade. Et intendi che preghiera è appellata
sanza congiuramento. Verbigrazia : Pompeio, vegiendosi alla pugna della
mortai guerra di Cesare, confortando i suoi di battaglia disse: «Io vi
priego de' miei ultimi fatti 20. e delli anni della mia fine,
perchè non mi convenga essere servo in vecchiezza, il quale sono usato di
segnoreggiare in giovane etade » (0. Et queste pi'eghiere talfiata
sono aperte, sì come quelle di Pompeio, talfiata sono ascose, sì
come quelle di Dido in queste parole ch'ella mandò ad 25. Eneas:
«Io » disse ella « non dico queste parole perch'io ti creda potere
muovere; ma poi ch'io ao perduto il buon 4 : M-m fossero
peno — 5 : M-m Et dicio dicondo — 6-7: m dicendo — M-m chaccialo — 8: M
el mio marito, m om. - 9: M Tullio Cosarn, m Tulio corr. in .Tulio — 12-13 :
itf' epresso — li membri — M 7 membri, m 7 i membri — La sprezzamento —
14: M-m 7 scongiura- mento — Mi panclino, m e parlino, M'-L o incliino -
13: m om. cioè chiamando 19: m
abattagla — 20: M delli anni ilelli amici lino, m delli anni /siche — 21: M
servo in vilezza la (piale, m servo 7 in vilczza il quale — 22-23: M-m
om. sono aperte, m anlhe il 2° talfiata — 24: M di diedi — 26: M' o
perduto, m chio perduto (l) Il testo di Lucano (Fars., VII, 380),
da cui è tradotto questo esempio, ha ultima fata deprecar, tutti i codici
della Eettorica portano ultimi fatti. Non credo che si possa pensare a
uno sbaglio dei copisti, perchè un latinismo come fati (che del resto qui
non sarebbe traduzione esatta) manca di ogni probabilità in quel tempo;
sarà dunque da risalire a un'alterazione facilissima del latino, ultima
facta, che certo riusciva più intelligibile della frase poetica
originale. Quanto al servo in vecchiezza (che corrisponde a ne discam
servire senex), se po- tesse supporsi una forma vegliezza {eelUczza) si
spiegherebbe meglio come sia nato l'erroneo vilezza; ma è chiaro che la
parola servo risvegliò l'idea di «condizione vile, meschina».
pregio e la castitade del corpo e dell' animo, non è gran cosa a
perdere le parole e le cose vili ». 8. Ma scongiura- mento è quando noi
preghiamo alcuna persona per Dio o per anima o per avere o per parenti o
per altro modo di 5. scongiurare, sì come DIDONE fece ad Eneas: Io ti
priego, dice ella, per tuo padre, per le lance e per le saette de' tuoi
fratelli e per li compagnoni che teco fuggirò, per li dei o per l'altezza
di Troia, etc. Or à detto il conto
del primo luogo donde muove la BENEVOLENZA, cioè 10. della nostra persona
e di coloro che sono a noi ; ornai dirà il secondo luogo, cioè della
persona delli adversarii e di coloro contra cui noi dicemo. Dalla persona
delli aversarìi se no! li mettemo inn odio 15. invidia o in
dispetto. Lo sponitore. 1. Acquistai'e benivolenza
dalla persona de' nostri ad- versarii si è dire delle loro persone quelle
pertenenze per le quali l' uditore sia a noi benivolo et contra 1'
aversario 20. malivolo; et a cciò fare pone Tulio tre modi: Il
primo modo è dicere le pertenenze delle loro persone per le quali
siano inn odio dell'uditori; il secondo che siano in loro invidia; il
terzo che siano in loro dispetto; e di cia- scuno di questi tre modi dirà
il testo bene et interamente. 25. Tullio. 97. Inn odio
saranno messi dicendo com' ellino anno fatta alcuna cosa isnaturatamente
o superbiamente o crudelmente o ma- liziosamente. M om. a — 711 lo
chose vili 7 le i»arole — 4: M' o per parenti por avere — m oin. rli
scongiurare — 6-7 : M' per lo tuo padre 7 per le 1. 7 [jor le s. de tuoi f.,
per li compagniper saette di tuoi I"., m per le saette de tuoi parianti 7
per li compagni - 8-0 : M' om. etc. — Et ora a detto il maestro — om. la Ì0:m dalla nostra parte — YS: 3i'
odindispregio — 19: M-m om. a noi M' deluditore.... in invidia. Et il
ter^^o che sia — m loro in invidia.... loro in dispetto — 26-27: M'
comelgli anno alcuna cosa facta — vi 0»». isnatur. e o
maliziosamente Noi potemo i nostri adversarii mettere ina
odio del- l' uditore se noi dicemo eh' elli anno alcuna cosa fatta
isna- turalmeute, contra l'ordine di natura, si come mangiare 5.
.calane umana et altre simili cose delle quali lo sponitore si tace
presentemente. O se noi dicemo eh' elli abian fatto superbiamente, cioè
non temendo né curando de' signori né de' maggiori, avendoli per neente.
O se noi dicemo ch'elli abbiano fatto crudelmente, cioè non avendo pietà
né mise- 10. ricordia de' suoi minori né di persone povere, inferme
o mi- sere. se noi dicemo ch'elli abbiano fatto maliziosamente,
cioè cosa falsa e rea, disleale, disusata e contra buono uso. 2. Et di
tutto questo avemo exemplo nelle parole che BOEZIO dice contra NERONE imperadore.
Ben sapemo quante ruine fece ARDENDO ROMA, tagliando i parenti et
uccidendo il fratello e sparando la madre. Altressì fue malizioso
fatto il qual racconta Euripide di Medea, che sta scapigliata tra'
monimenti e ricogliea ossa di morti. 3. Omai à detto lo sponitore sopra
'1 testo di Tullio come noi potemo met- 20. tere il nostro
adversario in odio et in malavoglienza del- l' uditore. Da quinci innanzi
dicerà come noi li potemo mettere in loro invidia.
Tullio. In invidia dicendo la loro forza, la potenza, le
ricchezze, 2.5. il parentado e le pecunie, e la loro fiera maniera da non
sofferire, e come più si confidano in queste cose che nella loro
causa. Sponitore. 1. Noi potemo conducere i nostri
adversarii in invidia et in disdegno dell' uditore se noi contiamo la
foi'za del 3-4: M' chaWi ahh'ia. {poi aggiunto no dalla
stessa maria) — isnaluratamente contra online M' tace ora presentemente — m al
])rosonte — M-m 7 se noi dicemo che labian — 7-8: M tenendo M^ 7 non
venerando de sig,... 7 avendoli, m curando.... do maggiori — M-m 3/' che-
labbiano — 9-10: m misericordia.... di persone M' 7 misero — M-m Et se
dicemo cliollabbiano — 12: Af' cosa rea falsa et disleale 7 disusata
contra b. u., m om. cosa — o disleale 7 contro a b. u. — 13: M' exemplo
avemo — lo : M' uccidendo i parenti, talgllaiido il fratello M-m i fratelli 17 : S Euripide — M-m di medici — IS: M
corresse moni- menti in moUimenti — 20: m om. in odio et - Af' in
malavoglienca — 21-22: M Da ipii - 3f' diceremo.... li potremo mettere
loro in invidia — 24 : M-m om. In —26: M' si lidano — 28-29: Af' i nostri
avorsari conducere ....degliuditori Cfr. Magoini, La ReUorica
italiana di B. L., pp. Bl-52. corpo e dell' animo loro ad arme e
senza arme, et la po- tenza, cioè le dignitadi e le signorie, e le
ricchezze, cioè servi, ancille e posessioni, e '1 parentado, cioè
schiatta, lignaggio e parenti e seguito di genti, e le pecunie,
cioè 5. denari, auro et argento, in cotal modo che noi diremo come
' nostri adversarii usano queste cose malamente et increscevolemente con
male e con superbia, tanto che sof- ferire non si puote. 2. Cosi disse
Salustio a' Romani : « Ben dico che Catenina è estratto d'alto lignaggio
et à grande IO. forza di cuore e di corpo, ma tutto suo podere usa
in tra- dimenti e distruzioni di terre e di genti ». Così disse Ca-
tenina centra ' Romani : « Appo loro sono li onori e le potenzie, ma a
nnoi anno lasciati i pericoli e le povertadi >. 3. Et ora è detto
della invidia contra i nostri adversarii; sì dicerà il conto come noi li
potemo mettere in dispetto. Tullio. In dispetto degli uditori
saranno messi dicendo che siano sanza arte, neghettosì, lenti, e clie
studiano in cose disusate e sono oziosi in iuxuria. 20.
Sponitore. I. Noi potemo mettere i nostri adversarii in
dispetto degli uditori, cioè farli tenei'e a vile et a neente, se
noi diremo che sono uomini nescii sanza arte e sanza senno, da
neuno uopo e da neuna cosa; o che sono neghettosì, 25. che tuttora
si stanno e dormono e non sì muovono se non come per sonno; o diremo che
sono lenti e tardi a tutte cose; o diremo che studiano in cose che non
sono da neuno uso né d'alcuna utilitade; o diremo che sono oziosi in
Iu- xuria dando forza et opera in troppo mangiare, in nebriare,
30. in meretrici, in giuoco et in taverne. 2. Et ora à detto il
2-5: Af' om. e le signorie, poi continua: E le pecunie, ciò sono i
danari e seni 7 an- celle 7 possessioni. ¥A parentado... di genti, in
cotal modo ecc. — 6: M' come i nostri aversarii — 11 : M^ in tradimento 7
distructione de terra 7 <le gente, m in tradimenti distructioni — 12:
M-in a Romani — 13 : m lasciato — 14: M iì detta — L'i : M' o»i noi — in
dispregio (l. 17 idem) 17: M' om. degli uditori — 18: M disulate — 19: M
octosi, m ottosi 22: M' om. degli uditori — 23: 3f' siano, m sieno — M'
sanza sonno? sanza arte di neuno huopo - 24: m om. da neuno uopo e — 25 :
m si stanno, dormono - 26: M' per sonno/ 7 diceremo, L per sogno 27-28 : m alclumo uso — M ' 7 dicoremo 29-30: M' de troppo mangiare .T ebriare.
in puttane — m 7 in bere — M in cliaverne M' a decto luditore come — )?t
om. Et - 126 — conto come noi potemo acqnistare
la benivolienza dell'udi- tore dalla persona de' nostri adversarii
mettendoli inn odio et in invidia et in dispetto, et à insegnato come si
puote ciò fare. Ornai tornerà alla materia per dire come s' acqui-
5. sta benivolenzia dalla persona dell' uditore, e questo è il terzo
luogo. La benivolenza dell'uditore. lOO. Dalla persona
dell'uditori s'acquista benivolenza dicendo che tutte cose sono usati di
fare fortemente e saviamente e man- 10. suetamente, e dicendo quanto sia
di coloro onesta credenza e quanto sia attesa la sentenza e l'autoritade
loro. Lo sponitore, (i) ' 1. Noi potemo acquistare la
benivolenza delli uditori dicendo le buone pertenenze delle loro persone
e lodando 15. le loro opere per fortezza e per franchezza e per
prodezza, per senno e per mansuetudine, cioè per misurata
umilitade, é dicendo come la gente crede di loro tutto bene et one-
stade, e come la gente aspetta la loro sentenza sopra que- sto fatto,
credendo fermamente che fie si giusta e di tanta 20. autoritade che
in perpetuo si debbia così oservare nei si- mili convenenti. Di forte
fatto Tulio lodò Cesare dicendo: « Tu ài domate le genti barbare e vinte
molte terre e sot- toposti ricchi paesi per tua fortezza». 3. Di senno il
lodò e' medesimo parlando di Marco Marcello: «Tu nell'ira, 25.
la quale è molto nemica di consellio, ti ritenesti a consel- lio ». Di
mansueto fatto il lodò Tulio dicendo: « Tu nella vittoria, la quale
naturalmente adduce superbia, ritenesti mansuetudine ». 5. D' onesta
credenza il lodò Tallio in 2-3: M' in odio deluditore, M innodio
7 invidia, m in odio, in invidia — M-m om. si — 8: Jf' m delludilore {ma
il testo auditorum) ~ 9: M' sono usi — M-m 7 suavomento {m nm. 7) 10 : i
mss., ambedue le volte, quando M' di
loro — li: M-m intesa — 13: M-m om. delli uditori — M^ deluditore — 14:
M' dicendo che buone M-m om. e per
fran- chezza — M' 7 per senno — 17: m M' om. e — 19: Jtf' credendo che la
loro sententia sia si giusta — m che sia — SO: M-m ne in simili, M'-L ne
simili 23-84: m e lodo, M' il
lodano 7 medesimo parlano m marche
metcllo M-m om. molto — Af tu ritenesti a consellio, m tu ritenesti
consiglio — 26: M ilio Tullio tu ecc., m di mansueto fatto /7 nella
vittoria — 27 : M adato, m adato, L odduce — 28: m om. credenza il lodò
Tullio (1) In tutti 1 codici l'interpunzione di questo passo è
variamente errata, né metterebbe conto darne notizia. questo
modo: Cesare volle alcuna fiata male a Tullio, ma tutta volta lo ritenne
in sua corte; e non pertanto Tullio CICERONE era sì turbato in sé medesimo
che non potea intendere a rettorica si come solea, insin a tanto che GIULIO
CESARE non li 5. rendeo sua grazia. Et in ciò disse Tullio. Tu ài
renduto a me et alla mia primiera vita l’usanza che tolta m' era,
ma in tutto ciò m'avevi lasciata alcuna insegna per bene sperare »; e
questo dicea perchè l'avea ritenuto in corte, sicché tuttora avea buona
credenza. 6. D' attendere la sua 10. buona sentenza lodò Tullio
Cesare parlando di Marco Mar- cello: «La sentenza eh' é ora attesa da te
sopra questo con- venente non tocca pure ad una cosa, ma à ad convenire
(D a tutte le somiglianti, perciò che quello che voi giudicarete di
lui atterranno tutti li altri per loro ». 7. Or é detto come 15.
s'acquista benivolenzia dalle persone delli uditori; sì dirà Tullio coni'
ella s'acquista dalle cose. La benivolenza delle cose. Da
esse cose se noi per lode innalzeremo la nostra causa, per dispetto
abasseretno quella delii adversarii. 20. Sponitore. 1.
Noi potemo avere la benivolenza dell'uditori da esse cose, cioè da quelle
sopra le quali sono le dicerie, dicendo le pertenenze di quelle cose in
loda della nostra parte et in dispetto et in abassamento dell' altra; sì
come disse 25. Pompeio confortando la sua gente alla guerra di Cesare
: « La nostra causa piena di diritto e di giustizia, perciò eh'
ella è migliore che quella de' nemici, ne dà ferma spe- 4 :
M' om. non — 6: M-m la causa dm t. — i a me la mia primiera vila e liisanza
— 7: tutti, eccetto L, m'avea — M-m la sua insegna — 8 : M' 7 in questo
(?«re i et ((uesto) — 9: M' buona speranna — 10: M-m lodo Cesare di
Tullio - IS: M-m ma ad {m a) con- venire, M-L ma dee convenire - 14: Mt
per lui — i5: 3f' dele persone — i8:M-mom. so — L sar|uista bonivoglienza
se noi ecc. (ma nel latino manca) —19: M' m 7 per disp. 21 : M'
deluditofo, m delli uditori — 24 : m nm. in dispetto — M-m om. idi 25: M confer- mando la sua gente 26: m M'-L e piena — Lo pero chella — 27 : m
forma speranza (1) Aggiungo un' a, che nella scrittura del
codice può considerarsi fusa (come avviene nella pronunzia) con quella
precedente di ma con quella seguente di ad. Bel resto basterebbe anche «
convenire, quasi come un futuro (« converrà ») scomposto nei suoi
elementi. -ranza d'avere Dio in nostro adiuto(i)». 2, Et ornai à
divisato il conto le quattro luogora delle quali si coglie et
acquista la benivoglienza, molto apertamente et a compimento; sì
ritornerà a dire come noi potemo fare l'uditore intento. Di fare V uditore
intento. 102. Intenti li faremo dimostrando che in ciò che noi
diremo siano cose grandi o nuove o non credevoli, o che quelle cose
toc- cano a tutti a coloro che 11' odono o ad alquanti uomini illustri,
ai dei immortali, a grandissimo stato del comune, o se noi prof- 10.
terremo di contare brevemente la nostra causa, o se noi propor- remo la
giudicazione, o le giudicazioni se sono piusori. Avendo Tullio dato intero
insegnamento d'acquistare la benivolenza di quelle persone davante cui
noi 15. proponemo le nostre parole, sì che l' animo s'
adirizzi et invìi in piacere di noi e della nostra causa e che
siano contrarii e malevoglienti a'nostri adversarìi, sì vuole
Tullio medesimo in questa parte del suo testo insegnare come noi
I)otemo del nostro exordio, cioè nel prologo e nel cominciamento del nostro
dire, fare intenti coloro che noi odono, sì che vogliano achetare i loro
animi e stare a udire la nostra diceria; e di questo potemo noi fare in
molti modi de' quali sono specificati nel testo dinanti, et in altri simili
casi. 2. Et posso ben dire manifestamente che ciascuna per- 25.
sona sarà intenta e starà ad intendere se io nel mio comin- 1: m nm. Et —
3 : 3f' nm. la — hi odi. molto — 4: m alento — 8-9: A/' o aliquanlì.... o
ali iilii imm. o a — M |)iQrRremo, vi protreremo {lat. pollicebimur) — iO: M-m
owi. bre- vemente — VI proiroromo la giuil. — i3 •M-m Quamlo Tullio a
dato — 14: — J/tlavento — — 7/1 (lavante a cimi — 13-16: 3/' loro siiivii
7 dlrirvi — 17: vi malagevoli — 19: M' nel nostro exorilio — vi nm. nel
coniiiiciamento — 21 : 3f' si che noi vogliamo — 32-23: 3f ' Et
questo.... i (jua'.i.... davanti — vi om. el 25: M-m sono noi mio com. (1) Cfr. Lucano, Phars., VII, 349: " Causa iubet melior superos
sperare secun- dos „. Solo la lezione di M corrisponde anche per
la forma sintattica. (2) Si rimano alquanto in dubbio sulla lezione
da preferire, perchè tra un Avendo e un Quando la differenza grafica ò
lieve, data la somiglianza di una forma di A con Q. Ma il gerundio
Avendo, con una costruzione meno comune, più difficilmente può esser
dovuto a un copista; d'altra parte il quando in senso di " dopo che
„ non è dell'uso di Brunetto, clie adopra continuamente la formula "
Poi che Tullio ha detto ha insegnato (S’intende clie l'inserzione di a
davanti a dato diveniva necessaria leggendo Quando). -ciamento dico
eli' io voglia trattare di cose grandi e d'alta materia, sì come fece il
buono autore recitando la storia d'Alexandro, che disse nel suo
cominciamento : « Io diviserò e conterò così alto convenente come di
colui che conquistò ó. il mondo tutto e miselo in sua signoria ».
3. Altressì fie inteso s' io dico eh' io voglia trattare di cose nuove e
con- tare novelle e dire eh' è avenuto o puote advenire per le
novitadi che fatte sono, sì come disse Catellina : « Poi che Ila forza
del comune è divenuta alle mani della minuta 10. gente et in podere
del populo grasso, noi nobili, noi (i) potenti a cui si convengono li
onori, siemo divenuti vile populo sanza onore e sanza grazia e sanza
autoritade. Altressì fie intento s' io dico eh' io voglia trattare
di cose non credevoli, sì come '1 santo che disse : « Il mio
15. dire sarà della benedetta donna la quale ingenerò e par- turio
figliuolo essendo tuttavolta intera vergine davanti e poi »; la quale è
cosa non credevole, i^erciò che pare es- sere centra natura. Et si come
diceano i Greci: « Non era cosa da credere che Paris avesse tanto folle
ardimento che 20. venisse 'n essa terra (2) a rapire Elena ». 5.
Altressì fie intento s'io dico che '1 convenente sopra '1 quale dee
essere il mio parlamento a tutti tocca od a coloro che 11' odono, sì
come disse Gate parlando della congiurazione di Catellina: « Con-
giurato anno i nobilissimi cittadini incendere e distruggere 1 : M
traclai-e cose, m cliio voglia di trattare chosa grande — 2 : M actoro, m
attor.j — 4-5: M' recontcro.... conquise.... 7 mise — 5-6: M' fia inlento
sic dica.... 7 contrario no- velle - 7: M' 7 puote 9: M storca m e venuta.... gente minuta 10: m M'-L non potenti iy : J>f' noi a cui — 13: M Altre si 14-15:
M'-L sicome disse il santo che disse - i II mio dotto — 16: M' partorie
il figluplo — M^ -j di. poi — M-m om. la quale.... natura 19: M-m oni. folle m om. che venisse SO: M nessa terra, m
in essa terra, M'-L nela nostra terra M arape 22: M' tocclia a tutti
coloro -- 24: M' anno nob. citt. dincendore [Nonostante l'accordo di
tutti gli altri codici, mi attengo a M, la cui lezione è confermata dal
testo di Sallustio: " omnes, strenui, boni, nobiles atque igno-
biles „ ecc. Brunetto non traduce esattamente, ma vuol mettere in rilievo la
dignità delle persone, e perciò ripete il noi; forse questa parola in qualcuno
dei primi apografi fu scritta no (no') e quindi scambiata colla
negazione: non potenti. Favoriva l'errore anche il tono insolito della
frase " noi nobili, noi potenti,., mentre le parole " in podere
del populo grasso „ inducevano a considerare " non potenti „ i
nobili. (•2) Intendo in essa terra (come scrive m), cioè "
nella patria stessa „, in ipsa terra. Leggendo con 21f » nella nostra
terra si avrebbe lo stesso senso in forma più chiara; ma non saprei
allora spiegare la variante di M-m. È possibile che, omesso il nostra, un
nella sia stato letto nessa, che a prima vista non dà senso ? Invece
nulla di più facile del caso inverso, e.ssendo l's di forma allungata cosi
simile a l.— iso- la patria nostra, e '1 lor capitano ne sta sopra capo.
Adun- que dovete compensare clie voi dovete sentenziare de' cru-
delissimi cittadini che sono presi dentro nella cittade » Altressì fie intento
s' io dico clie Ila mia diceria tocca 5. ad alquanti uomini illustri,
cioè uomini di grande pregio e d'alta nominanza in traile genti sì
come disse Pompeio parlando della battaglia civile: « Sappiate che l'arme
de' ne- mici sono appostate per abbattere l'alto e glorioso sanato
». Altressì fie inteso s'io dico che Ile mie parole toccano a'dei,
10. si come fue detto di Catellina poi ch'elli ebbe conceputo di
fare cotanta iniquità: «Ma elli gridava ch'appena i dei di sopra
potrebbero ornai trarre il populo delle sue mani. Altressì fie intento s'
io dico nel principio di dire la mia causa brevemente et in poche parole,
sì come disse il poeta 15. per contare la storia di Troia: «Io dirò
la somma, come Elena fue rapita per solo inganno e come Troia per
solo inganno fue presa et abattuta ». 9. Altressì fie intento s'io
nel mio exordio propongo la giudicazione una o più, cioè quella sopra che
io voglio fondare il mio dire e fermerò 20. la mia provanza, sì
come fece Orestes dicendo: « Io pro- verò che giustamente uccisi la mia
madre, imperciò che dio Apollo il mi à comandato, perciò che uccise il
mio padre». IO. Et di tutti modi per fare l'uditore intento potemo
noi coUiere exempli in queste parole che disse Tullio a Cesare parlando
per Marco Marcello: « Tanta 1 : M-m 7 lor — M' ne sopra capo — 2-3 : m
dovete pensare, Mi pensale M-m
esmarn {m esimare) de nobilissimi citi. M' ohe sono dentro ala cittade (anche m dentro
alla) M fue, m (la 5-6: M' cioè de gr. M-m 7 da tale nominanca 7 : M-m
che latine —M-m sano, M' senato M' fia intonto O-ll: M-m poi chelll
anno conceputo di faie tanti iniipii mali gridava (m om. gridava) M apena
ornai —3f' nel cominciamento 14: Jf' o
in jioclie parole M' om. Io dirò.... e come Troia, M om. Troia [spazio
bianco) m diclio 7 propongo nel mio exordio Mi sopra che infomliiro il mio dire
e fondata m sopralla quale M-m che
io ajmllo il mio comandato, 3f' chol dio Appello lo ma com. (/.. lo
mavea), 7 perciò cliella m atento M' exemiilo M-m om. a M' parlando a lui Questo periodo è
d'incerta lezione, male varianti registrate in nota sono palesi
accomodamenti, specialmente il pensate di Jtf ' per evitare la
ripetizione di dovete; co.si esmare esimare può esser nato da una sigla
di sentenziare (0 si tratterà di fmare, fermare?). Glie sia poi da
leggere crudelissimi cittadini ò con- fermato, oltre che dal senso, dalla
parola hostibiis che vi corrisponde i\el tosto di Sallustio ; nobilissimi
ò derivato dalla frase del periodo precedente. La lezione di M., che è tutta
accettabile, dà ragione degli errori di Mm: il primo elli parve plurale,
e quindi si fece elli anno; il ma unito con Mi divenne mali e portò con
sé altri cambiamenti. Ma non giurerei che tutto sia genuino"
mansuetudine e cosi inaudita e non usata pietade e cosi incredebile e
quasi divina sapienzia in nessuno modo mi posso io(l) tacere nò sofferire
ch'io non dica». Et poi che Tullio à pienamente insegnato come per le
nostre parole 5. noi potemo fare intento l'uditore, si dirà come noi il
po- terne fare docile. Come l'uditore sia docile.
Docili faremo li uditori se noi proporremo apertamente e brevemente
la somma della causa, cioè in che sia la contraversia. E certo quando tu
il vuoti fare docile conviene che tu insieme lo facci attento, in
però che quelli è di grande guisa docile il quale è
intentissimamente apparecchiato d'udire. Quelle persone davanti cui io
debbo parlare posso io fare docili, cioè intenditori, da tal fatto: se io
nel mio exordio, alla 'ncviminciata della mia aringhiera, tocco un poco
d^l fatto sopra '1 quale io dicerò, cioè brevemente et aper- tamente
dicendo la somma della causa, cioè quel punto nel quale è la forza della
contenzione e della controversia. Cosi fece Saiustio docile Tulio
dicendo: « Con ciò sia cosa ch'io in te non truovi modo né misura,
brevemente risponderò, che se tu ài presa alcuna volontade in mal dire,
che tu la perda in mal udire ». 2. Questo et altri molti exempli potrei
io mettere per fare l'uditore docile, si come buono intenditore puote
vedere e sapere in ciò eh' è detto davanti. Et perciò che '1 conto à
trattato inn adietro di due maniere exordii, cioè di principio e
d'insinuazione, et àe divisato M consuetudine, m sollicituiline, L
inmansuetudine L nm. lo e cosi. M man- dila. M-m mi possono, M-L io posso
m om. Et. M' luditore intento, M
nm. l'uditore. 8: M' Docile l'aremo luditore M-m proi)onemo — iO: Af' Et credo
quando tu vuoli. m nm. è attentissimamente. m davanti a chui docile cioè intenditori de tutto il
facto M-m sarò nel mio ex. M'
incomincianza. M arrincliiera, M' aringheria m cominciamo 7 toccho Af' om. dicendo
nel quale e la contentione. M' om. cosa (ma non L). m o misura. M' ti
li- spondo M' om. Io. m om. e sapere. M' doxordio [È chiaro che
posso io fu dall'archetipo di M-m trasformato in possono perchè tutti i
sostantivi che precedono parvero soggetti e non complementi og- getti ; e
vi dovè contribuire una falsa lettura (cfr. un caso simile in 128, 23,
seno per se io). La lezione di M'-L è solo un facile accomodamento.
ciò che ssi conviene fare e dire nel principio per fare l'uditore
benivolo, docile et intento, sì dirà lo 'nsegnamento della INSINUAZIONE in
questo modo. Oramai pare che sia a dire come si conviene trattare
le insinuazioni. INSINUAZIONE è da usare quando la qualitade della causa
è mirabile, cioè, sì come detto avemo inn adietro, quando l'animo
dell'uditore è contrario a noi. E questo adiviene massimamente per tre cagioni:
o che nella causa è alcuna ladiezza, o coloro 10. e' anno detto davanti
pare ch'abbiano alcuna cosa fatta credere al- l'uditore, se in quel tempo
si dà luogo alle parole, perciò che quelli cui conviene udire sono già
udendo fatigati; acciò che di questa una cosa, non meno che per le due
primiere, sovente s'of- fende l'animo dell'uditore. In adietro è
detto sofficientemente come noi potemo acquistare la benivolenza
dell" uditore e farlo docile et in- tento in quella maniera de
exordio la quale è appellata principio. Oramai è convenevole d' insegnare
queste mede- 20. sime cose nell'autra maniera de exordio la quale è
appellata « insinuatio ». 2. Et ben è detto qua indietro che « insinuatio
» è uno modo di dicere parole coverte e infinte in luogo di
prologo. Et perciò dice Tullio che questo tal prologo in- daurato dovemo
noi usare quando la nostra causa è laida 25. e disonesta inn alcuna
guisa, la qual causa è appellata mi- rabile, sì come pare in adietro là
dove fue detto che sono cinque qualità U) di cause, cioè onesta,
mirabile, vile, du- biosa et oscura. 3. E buonamente nelle quattro ne
potemo noi passare per principio; ma in questa una, cioè mirabile, 1
: M cioè M' om. fare e S : M-m om. s\ 6: 3f ' della ìnsinualiono 7: m ohi. s'i — 8 • M-m 7 di questo
diviene iS: L Kt di questa Iti: M-m a detto 20: W nella maniera 2i : m Bono dotto S3: M-m cai prologo (m prolago danrato), 3/'
cotale prolagoS6: M-m nm. in adiotro M modi ([ualità (hi qui è corroso,
vin lo spazio fa supporre lo slesso), M'-L qualitadi dolio cause M' cioè nollamirabile Conservo la
parola qualità attestata da ambedue le tradizioni, tanto più Clio anche
prima Brunetto usa lo stesso vocabolo. In M abbiamo modi qualità. Probabilmente
si tratta di una sostituziono o variante, che venne poi introdotta nel
testo (a mono clie non si voglia supporre un modi o qualità). ne conviene
usare INSINUAZIONE [IMPLICATURA – “He hasn’t been to prison yet” – “He has
beautiful handwriting”] per sotrarre l’animo dell’uditore e tornare in piacere
di lui ed in grazia quel che pare essere in suo odio. Adunque ne conviene
vedere in quanti e quali casi la nostra causa puote essere
mirabile, e poi vedere come noi potemo contraparare a ciascuno. E
sono tre casi. Primo caso si è quando sie nella causa alcuna ladiezza per
cagione di mala persona o di mala cosa. Che al vero dire molto si turba l'animo
dell'uditore contra il reo uomo e per una malvagia cosa. Il secondo caso
è quando il parlieri ch'à detto davanti à sie et in tal
guisa proposta la sua causa, eh' è INTRATA NELL’ANIMO dell'uditore e
pare già che Ha creda sì come cosa vera; per la quale cosa r uditore, poi
che comincia a credere alle parole che ir una parte propone et extima che
Ila sua causa sia vera, apena si puote riducere a credere la causa dell'altra
parte, anzi sine strana et allunga. Il terzo caso è d'altra maniera che
sovente aviene che quelle persone davanti cui noi dovemo proporre la
nostra causa e dire i nostri convenenti anno lungamente udito e stati A
INTENDERE ALTRI e' anno detto assai e molto, prima di noi, DONDE L’ANIMO dell'
uditore è fatigato sì che non vuole né agrada lui d'intendere le nostre
parole; e questa è una cagione che offende l'animo dell'uditore non meno
che 11' altre due Et perciò conviene a buon parliere mettere rimedi di
parole incontra ciascuno caso contrario, secondo lo 'nsegnamento di
Tulio. Della laidezza della causa. Se la laidezza della causa mette
l'offensione, conviene mettere per colui da cui nasce l'offensione un
altro uomo che sia amato, o per la cosa nella quale s'offende un'altra
cosa che sia provata, o per la cosa uomo o per l'uomo cosa, sicché L'ANIMO
dell'uditore si ritragga da quello che 'nnodia in quello ch'elli ama. Et
infingerti di non difendere quello che pensano che tu voglie difendere, e
così, poi che l’uditore sie più allenito, entrare in difendere a poco a poco e
dicere che quelle cose, le quali indegnano L’AVERSARII, a noi medesimi
paiono non degne. Et poi che tu avrai allenito colui che ode, dei
dimostrare che quelle cose non pertiene atte neente, e negare che tu non
dirai alcuna cosa dell' aversarii, ne questo ne quello, sì eh' apertamente
tu non danneggi coloro che sono amati, ma oscuramente facciendolo allunghi
quanto puoi da lloro la volontade dell'uditore; e proferere la sentenzia
d'altri in somiglianti cose, o altoritade che sia degna d'essere seguita;
et apresso dimostrare che presentemente si tratta simile cosa, o maggiore
minore. In questa parte dice Tullio CICERONE che, SE l’uditore è turbato
contra noi per cagione della causa nostra che sia o che paia laida per
cagione di mala persona o di mala cosa, ALLORA DOVEMO NOI USARE
INSINUAZIONE NELLE NOSTRE PAROLE in tal maniera che in luogo della persona
contra cui pare CORUCCIATO L’ANIMO dell'uditore noi dovemo recare
un'altra persona amata e piacevole all'uditore, sì che per cagione
e per coverta della persona amata e buona noi appaghiamo L’ANIMO dell'uditore
e ritraiallo del coruccio ch'avea contra la persona che lui semblava rea.
Si come fece AIACE nella causa della tendone che fue intra lui et ULISSE
per l'arme eh' erano state d'Achille. Et tutto fosse AIACE un valente
uomo dell'arme, non era molto amato dalla gente né tenuto di buona
maniera. Ma ULISSE, per lo grande senno che in lui regna, e molto amato.
Onde AIACE, volendosi contraparare, nel suo dicere ricorda com' elli era NATO
DI TELAMONE, il quale altra fiata prese Troia al tempo del forte ERCOLE. E
così mette la persona avanti amata e graziosa in luogo di sé ed in suo
aiuto, per piacerne alla gente e per avere buona causa. E quando la causa
è laida per cagione di mala cosa, si dovemo noi recare NEL NOSTRO
PARLAMENTO un’altra cosa buona e piacevole. Si come fa CATILLINA scusandosi
della congiurazione che fa in ROMA, che mise una giusta cosa per coprire
quella rea, dicendo. Elli è stata mia usanza di prendere ad atare li
miseri nelle loro cause. Brunetto Latini. Latini. Keywords: rettorica, le
fonte della retorica di Latini: Cicerone e Publio Vegezio, insinuazione,
parlari, parlatore, controversia, auditore, animo dell’auditore, modo, essempio
di Roma antica, Giulio Cesare – rettorica oratoria togata – sacrilegio o furto
--. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Latini” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Laurino: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale dei longobardi – filosofia campanese -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Laurino).
Filosofo italiano. Laurino, Salerno, Campania. Duca di Aquara e di Laurino, appartenente
alla nobile famiglia napoletana degli Spinelli. Allievo di VICO, si forma al
Clementino a Roma e poi all'Accademia di Loreto. Ritornato a Napoli, divenne
amico di vari illuministi napoletani, quali FILANGIERI (si veda) e
Galiani. Autore di vari saggi di stampo illuministico. Le “Riflessioni filosfiche”
rappresenta un tentativo di metodo geometrico. Si oppone alle teorie di
Broggia. Fa attivamente parte della massoneria napoletana, all'epoca diretta
dal principe di Sansevero, Raimondo di Sangro. Cavalerie del Real Ordine
di San Gennaro. A Napoli, fa ristrutturare il palazzo di famiglia, il
palazzo Spinelli di Laurino, trasformandolo in una suggestiva realizzazione. Muore
a Napoli e venne sepolto nella cappella di famiglia nella chiesa di Santa
Caterina a Formiello. Altri saggi: “Degl’affetti degl’uomini”, Napoli, Muzio;
“Della moneta” (Napoli); “Cronologia dei re di Napoli,” Napoli, Bisogni; “Del
nobile”, Porsile; “Lettera nella quale si dimostra non esser nota di falsità,
che nel diploma di fondazione della chiesa di Bagnara si ritrovi l'anno 1085
segnato coll'indizione sesta correndo l'ottava del computo volgare; Treccani Enciclopedie,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. -- ria che forma la materia
del presente saggio: E metodo col quale questa siè composto. I tutte le città e
popoli dell'Italia ciascuno ha la sua particular forma di governo prima che sussestato
vinto da’ ROMANI. Ed anche dopo ciò, molte delle città medesime, quantunque al
popolo di ROMA veramente ubbedissero. Pure così fatti nomi, e tale forma aveano
di domestica polizia, che libere in certo modo facevanle apparire. Ma essendo
stata dalla legge giulia a ciascuna di quelle LA ROMANA CITTADINANZA conceduta che
non da tutte senza con Trans 1 AN 1x IN line ill SAGGIO TAVOLA CRONOLOGICA
compongono DI NAPOLI. Dalla venuta de LONGOBARDI in Italia fino che quelle terre
sono da NORMANNI della Puglia conquistate. PROΟEMIO trasto è accettata, e la quale
da Marco Aurelio ANTONINO Antonino Caracalla è all'intiero orbe romano distesa,
col vanto di esser parte del capo, a Roma, ed a coloro, che la ressero, sono
tutte senza alcuna dubitazione, anche nell'aspetto, sottoposte. [tem Civitati
ante ferret CICERONE pro Bal CICERONE PRO BALBAM, Edit.Ve. bon. Edit.Venet. L. inorbeff.
de Stat. hom. L., Roma. Sigon. de Antiquo Jur. Ital. Ad bomnib. Rutil. Numan. itinerar.
In quo magna contention Heracliensium, Aloja Ins: DE’ PRINCIPI E PIÙ RAGUARDEVO
LI UFFICIALI, che anno signoreggiato, e retto le PROVINCIE, ch’ora: Ι Mich. Fiaschino
Inven. e C.I. REGNO DI, Strabon. Geograph. Edit. Parifienf. Parsin Civitatibus fæderisfui
liberta e Neapolitanorum fuit, cum magna I LL ]. Transferita però la sede del ROMANO IMPERATORE in Costantinopoli, varie BARBARE
NAZIONI con più fortuna di quello, che aveano fattosotto LA ROMANA REPUBLICA, invadero
l'Italia molte volte, e distrusfero. Radagasio Re de’ GOTI con MM armati,
cagiona danni gravissimi all'Italia. Ma in Toscana da Stilicone resta con tutto
il suo esercito vinto e sconfitto. Alarico ed Ataulfo re di que' medesimi BARBARI
che ove Alarico dimora circa II anni, ed ove muore, avidamente sacchegiarono. Attila
re degl’UNNI in così fatta maniera quella parte dell'Italia av'egliera entrato,
devasta, che IL FLAGELLO DI DIO è nominato. Genserico re de’ vandali chiamato
dall'Africa d’Eudossia moglie di Valentiniano III imperatore, per vendicarsi di
Massimo, che avea costui ucciso, e lei ignara in prima dell'infame
assassinamento, sposata, ed occupato d’Occidente l'Impero; viene in Italia, ne
scorre molte provincie, DEVASTA LA NOSTRA CAMPANIA e molte città di essa avendo
distrutte, in Cartagine carico di preda se ne ritorna. E finalmente Odoacre co’suoi
Eruli, e Turcilingi, INVADE TUTTA L’ITALIA e Re de Goti, che nella PANNONIA,
ove egli no dimora, aveano cominciato a tumultuare, gli concede l'Italia,
acciocchè ne avesse Odoacre discacciato. Ovvero, come altri vogliono, lo stesso
TEODORICO senza la concessione dell'imperadore
in vase quella provincia, ne discaccia Odoacre, che poscia uccise, e re se ne fa
nominare -- Histor, Miscell. est cod. Ambrosiin. in Philostorg, hist.
Ecclesiast. Ma Prosper. Aquitan. Chron.; Augut. De Civit. Dei, Marcellin. Chron.
In Sirmond. Philostorg. hist. Eccl. In Vauclid. Chron. Idatius in Chron. Isidor. Chron.
Goth. in rebo Got., Langobard. Jornand. de reb. Get. Agnel. Pontific. Raven. in
S. Joan . Evagr. Schol. hist., Valef Ital. Murat, Cassiod. in Conf. Boet. Conf.] per essersi
fermati poi nell'Occidente si dillero VESTRO-GOTI. A modo di locuste Roma II
volte, ed una gran parte delle nostre Provincie -- Histor. Miscell. ex cod. Ambro.
Olympiod. In Photii Biblioth. Jian, in Murat. Rer. Ital., Sigebert. Chrona Jornand.
de reb.Goth. Histor. Miscell. ex cod.
Ambros. Axon.Valesian. Sigebert, Procop. De bella Gotb. -- Re, e circa anni
pacificamente la possiede. quista, se ne titola colle proprie forze da quella
l'imperatore Zenone vedendo di non poterlo Teodorico. Perchè discacciare,
evolendosi render benevolo bella parie del suo impero la con Regi non. -- Chron.
Histor. Miscell. Paul, Disc, de Gest. Langob. ex cod. Ambrosian., i Reginou. Chron.
Socrat. hist. Ecclesiasi., Jornand.de reb.Goth. de re- Anon. Cuspiniana
Eusippiusin vita S. Severini. znor. success. Anon Valesian. rer. Ital. Munic. Marcellin.
Chron. in Sirmond. L. de Tironib. C. Theodos. Z fimus Jornand. de reb. Goth. e
Idat. Chron .in Du-chesn. de regnur, success., Prosper. Aquitan. Chron. Procop.de belio
Goth. Marcellin. Coron. in Sirmonds. Casiodor. Chron. Edit. Spicil. Ravenn. histor.Ven.,
Isidor, Chron. Goth. Aimon. de Gest. Francor. Sozomen. histor. Ecclesiast. Sigebert.
Chron.in an.Vales. la to Marii Aventic. Chron. in Duchesne, Evagr. Scholast. hist.
Eccl. Histor. Miscell. ex cod. Ambros. in Valef. Histor. Miscell. ex cod. Ambros.
In rer. Sigebert. Chron. Prosper. Aquit. Chron, in Du-Chefne Marii Aventicenf. Chron.in
Du-Chesne, pa I Anon. Cuspin. --. Ma
dopo di avere e codesto principe, ed alcuni suoi successori in tal regno per
molti anni signoreggiato; circa l'anno della salutifera divina incarnazione l'imperadore
GIUSTINIANO delibera di toglierlo a codėsti barbari, col pretesto, che Teodato re
di essi non avea vendicata la morte daia ad Amalasunta già loro Reina; perchè
vi manda Belisario, che in breve tempo occupa conquistato. n cosi fatia
espedizione furono in ajuto de' Greci i Longobardi nazione che nella Pannonia
dimorava: i quali dopo, che fu l'Italia pacificata, ivi, e d in casa degli
Amici più difordini commettevano, che contro gl'inimici farenon avrebbono
potuto, perchè Narsete caricandoli di doni, contenti nel loro paese oltre a
ciòavea discacciato dall'Italia i francesi, che sotto il lur Duca Bucelino
tutta, o quasi tutta, presa, e devasiata l'aveano; perchè egli era rimastoin
nome dell'Iinperadore, Supremo Governadore di quella Provincia, che avea all'
Impero restituita: quando perque'nembi, che da'più vili, e fecciəsiluoghi
alzandosi nelle Corri, oscurano gli astri più luminosi, e più chiari, ad
istanza de’ Romani fu datal Governo da Giustino che è succeduto a Giustiniano Imperatore,
rimosso: e dall'ingiuria unendo il disprezzo perchè egli era Eu. le se vissuto,
non avrebbe potuto distrigare. Ed alla minaccia segue l'effetto, dappoichè
ritiratosi in Napoli, stimola co’ [Melli Comorimurtom Marcellini Chronic. Aimon, de Gest.
Francor. Joan. Diac. Chron. Jornand. de regnor.
Success. Landul. Sagac.
additam. Ad Miscell. Procop. DE BELL. GOTH. De bell. Goth. Aimon. de Gestis Franccr.
Agath. de bell. Goth. Gregor. Mag. Dial. Excerpt. ex Agat. hist. Aiuion. De Gesti Francor.
Anast. Biblioth. Invita Joan. III.
Paul. Disco de Gest. Langobard.] eunuco
l'imperatrice Sofia gli scrive che fosse andato in Costantinopoli a dispensar
la lana alle fanciulle; alla qual cosa si dice, che Narfete sdegnato risposto
avesse, che tal tela egli lo avrebbe ordita, ch’ella mentre avesse vis i longobardi a conquistare l'Italia copiosa di
tutte le naturali ricchezze, la sterile Pannonia abbandonando. Il quale in vito
allegri que’ BARBARI sotto il loro re Albuino vennero abbracciando in Italia. Nello
spazio di VII anni la maggior parte colla [ut citm puellis in Gynaceo. Gregor. Turon.
histor. lanarum faceret pensa dividere. Anast. Biblioth. in Benedict. I.
Landul. Sagac. additam. ad Miscellap. Aimon. de Gest. Francor.] delle armi ne conquistarono.
Forza è fama Ed indi sì inanzi estesero leloro, che Autariuno de loro Re fino
conquiste, che in Regio fusse pervenuto, e che avendo e dindi parte dell'Italia,
éd iessa il rimanente dall'Eunuco Narsete, che a Belisario succede, dopo xvini,
anni di asprissima guerra è interamente [Aimon. de Gest. Francorum] la Sicilia
rimandolli. Avea Narsete vinto i Goti, ed eziandio gl’unni [Histor. Miscell. Aimon . de Gest.
Francor. Isidor. Hispal. Marius Aventic. Aimon. de Gestis Franc. Procop. de bell. Gotb. Paul. Diac.
Paul. Diac. Gregor. Turon. hist. Histor. Miscell. Paul. Diac. Joan. Diac.
Chron. excerpt. Cron. per Fredeg. Scholaft. Landul. Sagac. additam. ad Miscell.
pa hist. Miscell. Aimon.de Gest. Franc.
Paul. Diac. Sigebertus, alii. Joan. Diaz. Chron.] ivi ivi tra le onde del mare una
colonna ritrovato l'avesse collasta per cossa, ed avesse detto, fin qui saranno
de’ Longobardi i confini. Delle terre occupate da Longobardi in Italia se ne
forma un Regno il quale poscia ha alcuni re francesi, e dopo essi altri di
diverse nazioni. È l'Italia in tempo de’ Re Longobardi in II Principati
solamente divisa, in quello dei longobardi, ed in quello de Greci. Ma passato il
Regno a Carlo Magno, surse in quella bella parte del mondo il principato di
Benevento, da cui non molti anni dopo nacque quello di Salerno, e finalmente
quello di Capua. Nel tempo de’ quali Principati per le guerre, che arsero fra
di loro furono in trodotti nelle nostre parti i saraceni, i quali non però,
comeche molte terre avessero conquistate, a varii capitani ubbedirono, almeno
pressodi noi non mai e uno stato formarono. Ed i medesimi Principati di
Benevento e di Salerno e di Capua durarono finchè sono da Normanni che nella
Puglia sonsi stabiliti, interamente conquistati. Imperochè alcuni pellegrini di
codesta nazione ritornando dopo da terra Santa ov'erano andati per la fede a guerreggiare,
ajutarono il Principe di Salerno da’ saraceni assediato; e rimandati da costui
a casa con grandissimi doni, allettarono a venire nelle nostre Parti i Paesani
loro, i quali discesivi, ed ora al soldo del uno de’ nostri Principi, ora a
quello dell'altro rimanendo, alla fine s’istabilirono nel luogo che diceasi in
Octaba, e la Città d'Aversa ivi edificarono. Uno di loro, chiamato Rainolfo per
capo, conte, o sia console stabilendovi. Impresero i Greci in quel tempo di
liberare la Sicilia da saraceni che la tenea no per quasi II secoli sottoposta,
ed è capo dell'esercito greco Maniaco, il quale chiama a’ suoi soldi una parte
de Normanni, che sono in Aversa fermati, e costorovi andarono. Mi dopo qualche
tempo disgustati della sua avarizia, abbandonandolo se ne ritornarono a casa.
La qual cosa avendo conosciuto un certo Auduino a’ Gieci ribelle, propose a
Rainulfo di mandare una parte della sua gente in Puglia a torla al Greco Imperatore,
che vi signoreggiava ed a cosi fattari chiesta Rainulfo acconsentendo, un buon numero
de’ suoi capitani e i mandovvi, i quali avendo di repente occupata Melfi città
di quella provincia, ed indi altre terre; fissarono in Melfi la sede loro e
diedero principi o ad un altro Principato, che continuoffi sotto i figliuoli di
Tancredi, Conte d’Altavilla, Gentil-uomo anche egli Normanno -- i quali in varii
tempi nelle no il suo Principato. Ma I Normanni, ch'eransi stabiliti in Melfiforto
i Figliuoli di Tancredi, di ben altre conquiste saziarono la loro ambizione.
Conquistarono tutte le terre, che i Greci aveano in quele nostre Parti. Tolsero
a’Saraceni la Sicilia ed a’ longobardi il Principato di Benevento e di Salerno,
e fino a'lo ro medesimi nazionali il Principato di Capua, siccome finalmente da
una gran parte del ducato di Spoleti i Re d'Italia discacciarono e di tutti
così fatti principati un regno essendosi formato in sul principio Regno di
Sicilia del Ducato di Puglia in didi Sicilia, e l'altro di Napoli è nominato.
Di tutte le cose qui sopra sommariamente esposte, la parte più intrigata ed
oscura è quella che vien compresa dalla SECONDA VENUTA de’ Longobardi in
ltalia, finchèle nostre Provincie da’ Normanni, stabiliti nella Puglia, inun solcor
po forono ridotte .xii )1 e stre parti poi vennero . In tanto I Successori di Rainulfo
aveano tolto a’Longobardi la Città di Capua, ed Puglia, e di Calabria, e del
Principato di Capua fi diske, ed in di in II Regni diviso, uno fu detto di Trinacria
alcuna volta ed pl, è detto, ed il quale per anni è de LONGOBARDI, o fia d'Italia
discese Carlo Signoreggiato. Ma verso da re di quella nazione il re Desiderio
ultimo re Longo in quella Provincia, ed avendo preso Magno, senza mutarne la
natura il Regno bardo, trasfere nella sua persona sopradetto che Regno I va. [Paul.
Diac. Paul Diacon. Supplem. Longobar.
varj Principati, i quali in così fatto spazio di tempo, siccome si è veduto, te
la natural forma diesse fide e a gran fatica, e molto dubbio sa mente
indovinare. De’ Principati che sursero nelle Provincie le quali ora compongono
il Regno di Napoli, in tempi così dubbiosi ed oscuri, io ho deliberato di scrivere
in una Tavola Cronologica i Principi, ed i più ragguardevoli Officiali, gl’anni
de loro Regni ed ufficii, e delle loro morti, i loro matrimonii; e
sommariamente i fatti, che quelli o sovrani od in alcuna maniera dipendenti o tributarii
posso dimostrare ei diritti delle loro signorie anno stabilito. Ed oltre a 7
ciò dellistesi Principati una, per quanto io ho potuto esatta e particolare
Geografia. E nella Tavola Cronologica io hor accolto tutto ciò che da' varii
filosofi, o Sincroni, o quasi Sincroni, o molto antichi nella proposta materia
si legge scritto, e narrato, come che discordie gli no siano tra loro ramente
appariscano. Senza volerli corregere, ove avesli potuto, o concordare; di
esaminare ne’ loro cetti il vero, o a me medesimo in altro tempo, o a d’altrui,
che mi voglia in ciò precedere, riserbando. Contentandomi per orà di fornire
solamente secondi semi di un’esatta e diffusa storia delle nostra li cose me
Geografia non va ancora sotto il Torchio, in un foglio quella parte di essa
ch'è necessaria alla presente opera, esponere, e dimostrare ho voluto e dalla
Tavola dame scritta il titolo di SAGGIO ho apposto, conoscendo che in essa
moltissime altre cose essere potrebbono a diritta ragione, o d’altri, o da me
stesso pervenisse a' principi l'Impero in ciaseuno de' detti Principati; e
quale fuffe la natura degl’ufficii, a cui in essi il reggimento di Terre cra
affidato, presso il Popolo, o presso una parte di esso, o presso un solo uomo.
Dice Cicerone. “Respublica res est populi.” Cum bene, ac juste geritur, sive ab
uno rege. La seconda perchè suole essere degl’optimati: ARISTOCRAZIA. E
l'ultima si chiama “MONARCHIA,” osia REGNO, il qual nome non perde quantunque
eomi, due, o tre. Principi regnino in essa collegati, com'è avvenuta sovente
tra Romani Imperadori e quasi sempre tra Principi Longobardi, de quali noi descriviamo
la Serie; imperocchè una tal forma di stato essendo molto più distante dall'aristocrazia
che dalla monarchia dalla più vicina piuttosto che dalla più lontana, dee prender
esenza alcun fallo il suo nome. Ed oltre aciò quello ch'è stra-ordinario non dee
caggionar nell’arti divisione regolare. Nè codesti pochi principi costituiscono
un collegio legittimo, in cui ciascuno la sentenza della maggior parte dee seguitare.
Ma ognuno riguardo alla sua amministrazione libero senza alcun fallo rimane.
Scrive Ubero. Monarchiam esse Io note, e più oscure. Ed acciocchè il tutto con
chiarezza si abbia ad intendere, dappoichè la promessa. Quali siano le varie
forme di governo, ed i varj modi di acquistare i regni -- fursero in quella
felice parte del mondo, ora si aggrandirono, ora si diminuiropo, ora dalle potenze
maggiori furono interamente absorti, e quasi distrutti. Tal volta in essi si
viddero eliggersi i principi, tal volta si viddero in essi succedere a’ padri i
figliuoli nella signoria. Quei, che vi regnavano, furono soventi sia te uccisi,
ed i privati il loro luogo occupando, trasmisero a’ loro Posteri l'iniquamente acquistato
Impero. I BARBARI chiamati per difesa di alcuni sistabilirono per ruina di
tutti -- e desolazione. In fine la faccia dell'Italia divenne in que tempi assai
diversa da quello ch'è prima, e che è poi, e la sua Geografia non mai stabile osservossi,
e costante. Nè di tutti così varii, e moltiplici accidenti vi fu chi la storia distintamente
scrivesse. Ma da pochi e quali a frammenti quelli, e BARBARAMENTE sono esposti,
o piuttosto accennati. E le opere de’ filosofi di quei tempi da sin egli genti Copistifurono traseritte, che
spesse fia, > ) 9 > no . in un'altra Edizione, che sene facesse, aggiunte.
Ma prima di ogni altra cosa io ho reputato di far manifesto per quali ragioni di
codeste forme di regimenti con voci greche. La prima si dice “DEMO-CRAZIA”,
feve a paucis optimatibes, sive ab universo populo CICERONE, DE REPUBBLICA. Edit.
Venoye. Se unius imperium solo satis vocabuli argumento constat. Qicod tamen
ita præci Je captari nolim, rat quasi escumque plures in uno regno romini esostitere,
toties Reipublicæ formam mutaris tatuamus. Neque enim recte existimaturus videtur
qui in Romano imperia si quando plures OTTAVIANO fuere, PRINCIPATVM defiisse
contenderet. Cum enim longius ila societas imperantium ab ARISTO-CRATIA, quam a
monarchia distet, confentaneum est, ut ab ea specie, cui proxima est,
appellatio petatur. Ita Lacedemoniis II Reges fuerunt – DIA-ARCHIA --, id que
Regnum vocabatur nec non verum fuisset Regnum,fi potestas vere summa fuisset. Præter
quod extra ordinarius, atque ut ita loquar, accidentalis ile plurium concursus plerumque
habetur. Unde formas peculiares DYARCHIAS out TRI-ARCHIAS in Artem introducere nec congrueret,
neque expediret; tamet si fatendum monarchiæ vocabulum tunc elleminus commodum.
Accedit, quod isti Condomini, ut hivelbis similes a Germanis Jurisconfultis
appellantur, non constituant collegium, adeoque nec mus plurium sententiam
sequi compellatur. Nam ut hocjuris fit, opus est. parto, Condomini autem
Imperium Civitatis habent eodem jure, quo plures eandem remi fine tractatus Societatis
pro indiviso tenent. Quo casu notum est; quemque liberum Juc partis arbitrium,
nec reliqucrum consensui obnoxium, retinere la 28. ff. c o m m .divid. Altri
poi vi aggiungono IV altre forti d’imperi, cioè i III sopra-detti, quando sono corrotii,
ovvero ingiusti, ed il IV da’ due oda III già esposti insieme uniti. Ma
CICERONE stesso con diritta ragione afferma che ne’corrotti imperi la repubblica
non più esiste. Onde di ella non possono essere così fatti imperi. Cum vero in iustus
est Rex, quem tyrannum voca:aut injufti optimates, quorum consensus factio est.
Aut in justus ipse Populus cui nomen usitatum mullum reperio nisi ut etiam ipsum
“tyrannum” appellem. Non jam vitiosa, rola, dappoiche essa nulla alla mia
intenzione può giovare. Or, nella monarchia, o sia nel regno, abbia avuto egli
il suo principio dalla FORZA, o dal volere de cittadini, o dall'utile, o dalla paura
stimolari, abbiano questi la facoltà di stabilire solamente i regnanti, o di conferirle
anche l'impero. Aliter, dice Ubero, ediam etro instituunt, qui imperium
immediate a deo esse volunt. Hi negant, imperium ullo modo a voluntate populi
perdere, nec a civibus quicquam juris ad imperantes manare nec adeo causam monarchie,
aut ullius in civitate potestatis esse populum, quos inter Ziegle rus ad Grotium
Ethidictum P. Apostoliano bisali quoties adduetum, quod imperium sit humanæ
creationis, interpretantur, quod sit hominibus proprium, vel ratione cause
instrumentalis, quia per homines exercetur utuntur argumentis e sacris, de potestate
solvendi ligandi sacramenta administrandi, quce ministro ecclefice competit. Quem
ad modum igirur populus eligen dopaftorem non confert potestate millam nec conferre
potest, quia non habet eam ipse, nihil que agit, quamut personam eleectam potestatia
deo immediati proficiscenti applicet. Sic etiam populu, quando eligit regem, non confert
pote [Huber. de Jur. Civit. Gudling. De Jur. Nat. ac Gent.] omnino nulla respublica
est, quoniam non est res populi sed cum tyrannus eam factiove capesat. Nec ipse
populus iam opulus est, si sit in justus, quoniam nonest multitude juris consensu
et utilitatis communione sociata. E
Bodino egregiamente dimostra che il composto di alcuno o di tutte le suddette III
forme d'impero non può una città, o sia republica che tale sia secondo il fine che
si è proposto, cio è la pace ed il giusto, costituire. Onde Gudlingio ebbea
dire. Talem rei publice speciem qui appellant “mixtam”, ferendi quadantenus sunt.
Si mixtum idem fonet atque irregulare, della qual cosa io non faccio più pa. [Edit. Ven. C. edit.
Francf. an. Hobbes de CICERONE fragm. DE REPUBLICA. Bodino de Republ.] fta Cive. Bodino de
Republ. Hobbes de Civ. Huber. Edit. Francf.] statem imperandi, sed personam
electam producit eamque abhibet exercitio potestatis illia deo immediate conferendse
ego qualis, quanta in ordinee juse fe debeat. Necquo minus populus imperium
retineat, si id expedire judicet, deus intercesit. Multo minus quo parte mali quam
imperii reservaret, umquam prohibuit; quodde ministerio ecclesiæ institutoque
matrimonii nullo moda affirmare licet. Nel regno dico, a sia nella monarchia i principi anno II sorti di
diritti. L’una, che ne costituisce l'impero in mezzo a' Popoli loro. L’altra,
che determina il modo di averlo -- o sia per la quale il principe regna, o l’impero
pofliede che modo di acquistarlo si può anche direttamente chiamare. Altera
cautio est, dice Grozio, aliud efede requærere aliud ese modo habendi, quod non
in corporalibus tantum sed et in in corporalibus procedit (2) Ed. Ubero:Poft
Species Monarchie fequuntur modi,quibus. Regna acquiruntur. Hi funt velordi
narii, vel extra-ordinarii. Priores duo sunt electio, do successio Extra-ordinarii
per inde duo, matrimonium O jus belli. De jure belli o matrimonio dié tum quod satis
sit, in superioribus. De forte nihil quidem, sed nec rarisime i nu fu est, aut
pro electione fungitur; ut olim apud Per fasin Dario H. Staspide. E Gudlingio. Id
queri dignum, an per duret vita O anima civitatis una, etiam fi vel electio obtineat,
vel successio. Et
putem id contingentibus ad numerandum que unitatem nec efficient pror sus, nec tollunt.
Scilicet electio et successio per Jonas tangit, non autem modum regnandi definit,
nec illum impedit imperanti dominica in subjectos, tamquam in servos proprios
potestas competit. Appellatur etiam
Dominatus. La qual forma di Regno se giudico, che mai si possa ritrovare fra gl’uonini,
salvo la teo-crazia, bene del suo popolo, e non già di lui, dee ordinare le cose.
Scrive Bodino. Rex est, qui summa potestate constitutus naturæ legibus non minus
obsequentem se præbet, quam sibi subditos, quorum libertatem, ac rerum domini ac
eque ac fucetuctur, fore confilit. Subditorum libertatem, ac rerum
dominationem. adjecimus -- ut Jus Soc., Gent. Huber. De Jur. Civit. Gudling. de
Jur. Nat. ac. Gent. Guiling, pergo Nat. Ac Gent. c. vel collate. Nec sequitur,
cedunt e populi elientis voluntate. Primeva succedere videntur. Riguardando la
prima di codeile II sorti di diritti ne procedono III forme di reggimento, osiano:
di monarchie una in cui il regnante de’ Corpi, Beni de’ Cittadini dispoticamente
dispone, e che perciò Erile o, o lia “barbarica” vien nominata, scrivendo Ubero.
Dominatus finitur, quod sit imperium, quo princeps sibi subjectis ut pater familias
servis imperat, omnium quetam quod ad o civilium naturam maxime ab effectibus vesti
mandammo, rerum moralium, cuius limites excedere non licet imperii formam, et
tenorem Si Deuscertam, electionem persone fatemur ejus juris vim in fringerenon
populis, præscripserit potest auferre jus ligandi e Solvendi suispa pole, quam
cætus fidelium invito adimere potest. Sed hoc de magis uxor viro principatum domus
storibus aut non legimus esse determinatum. Hatenus quidem de imperio civitatis
a deo, cui omnis anima debeat bere aliquem ese ordinem imperandi, atque parendi
ef ita ex cestise subiecto non tamen res quam corpora dominus existens,
actiones publicas ad suam præcipue utilitatem dirigit. Ed Arrigo Koehlero: Imperium
dominicum seu despoticum dicitur osia governo di dio. E l’altra delle suddette
forme di monarchia è quella, nella quale il Principe pel [Grot. De Jur. bell. Ac pac. Huber.
de Jur. Civit.] tum promover. Imo successi opere nec mul ab antecedente electione
pendet. Unde qui luc o de' in quo nec sequitur, ita pergit Zieglerus, homines
ab initio Sponte adanéti in s ocietatem civilem coierunt ex hoc ortum habet potestas
civilis. Ergo talis potestas origine est humana. Sic enim per indeliceret argumentari.
Adam et Evas ponte adducticcierunt in matrimonium. Ergo matrimonium
institutione NON est divinum. Huber.
De Jur. Civit. Heinr. Toebl. Jus Soc., ut Regis, ac Domini distinctionem certam
adhiberemus. Ed essa dicesi civile – leggendosi
in Ubero. Nobis igitur plures monarchie species non sunt considerande, quam
hee duce, Regnum, et Dominatus, five Imperium, ut ARISTOTELE DAL LIZIO
loquitier, außacidendo, aut Baplaponèv. Regnum verum et plenum est, ubi princeps
habet summam, liberam potestatem faciendi in civitate quod ere a petita., qui ed appresso. Ex his tertia
resultat differentia, a fine diverso ristabiliti, est utilitas regnantis. Quae nec
ipsa tamen absque commodo subjectorum potest custodiri. Ex his relique differentie,
inter dominum, &. Reczorem, servos ac cives, de quibus Claudius ad Meherdatem
apud Tacitum [TACITO (si veda) Annal. quæque similia per se intelliguntur. Ed
anche comune; Scrive Kochlero: Imperium civile est jus præscribendi ea, quæ ad
commune civitatis bonum promovendum faciunt. Eiusmodi imperium civile dicitur commune
ad amplificationem boni civitatis communis tendat. E la terza delle II sopra-dette
forme composta che mista vien detta. Scrivendo Grozio. Quisibi singulos subjicere
potest servitute personali, nihil mirum est f li i d o universos sive ili Civitas
fuerunt, sive Civitatis pars, subjicere sibi potest subjectione sive mere
civili, sive mere herili, suve MIXTA. Riguardando poi la seconda forte degl’esposti
diritti sorgono III altre forme di nellaquale il principe regna per elezione
del suo popolo forma dicesi ELETTIVA. La II, in cui il principe riceve l’impero
per legge generale dello stesso suo popolo o per CONSUETUDINE da questo
ricevuta, per trasmetterlo poi a colui, che dalla medesima legge, viene
stabilito; sia egli il primogenito del preterito regnante, o calui, che
glinacque nel regno. Sia egli il FIGLIUOLO LEGITTIMO del PRINCIPE; ossia, il
NATURALE, maschio, della stessa sua famiglia o dell'altrui; favorisca
finalmente quella legge ipiù vecchi della Prosapia, o la linea del primo nato,
la qual forma di regno da tutti sichia ma SUCCESSIVA, ed a molti una specie
della prima, cio è una diversa sorte d’ELEZIONE essere si crede. Dappoichè scrive
Ubero: Plane, origine cujufqueci vitatis inspecta, nullum non regnum ex voluntate
populiortum, fuit electivum. Sed diversitas est in Regno Civili ordinaliter
utilitas subjectorum. Quamquam illa fine commodo imperantium obtineri non potest.
In Dominatu originalis Scopus Impe una parte di esso ma pel tempo della sua vita
solamente. Venga co tale ELEZIONE, fatta o espressamente, o per via di sorte, o
di deputati. E codesta electionis et successionis deincep sorta est, cum quædam
ex imperiis ita funt delata principibus, ut identidem fedes vacua per electionem
repleretur. Quædam it aut successio secundum ordinem certum propinqui sanguinis
ab uno in alium devolveretur, ex prescripto Legis. Hanc quidem vocant electionis
speciem. Quo modo Althusius in Polit. qui negant, ullum dari imperiumjure
familie hereditarium, sed totum a populo dependens, quod G' in Anglia multi
opinantur. Si dicerent, successione mele nihil, quamele &tionis primevæ continuationem,
nihil errarent. Atfijus Imperiinum quam a populis alienari velint, resreditad STATUM
[STATO] disputationis supra aliquotie speractze. Qua per electionem, ipsum jus Imperii
independenter alienari posse probavimus, ad vitam, vel etiam pro heredi bus. Quie
tunc est successio, non amplius a primis eligentibus dependens, sed familie
propria, per actum alienationis. Gudlingio: Id quæri dignum, an perduret vita
in anima civitatis una, etiam sive lelečžic obtineat, vel successio. Bodin. De Republ. Grot. De jur. bell. ac. pac. Regni. La prima,
3 Huber. De jur. Civit., Koehler, de Jur. Soc. Gent.Spe-o sia di princ: de jur.
Nat. ac Gent. Huber. de jur. Civit. Gudlingio, communi videbitur, Salva tamen civium
libertate, proprietate rerum cim.V. de Imp. Civ. cum Et xvii et putem id
contingentibus ad numerandunt, quæ unitatem nec efficiunt prorsus, nectollunt. Scilicet eleftin, o luccelio personas tangit
non autem modum regnandi definit, nec illum impedit, nec multum promovet ; imo
fuccessio pene ab suo. Antecessore, ed ha l’arbitrio di lasciarlo a chi più gli
piaccia, come della sua eredità privata fare ei potrebbe. E così fatti Regni
diconfi EREDITARII. In tutte codeste cinque forme di regni sono comprese, siccome
sarebbe agevole il dimostrare, tutte le differenze, che de' supremi Imperi
delle monarchie si sogliono fare. Ele quali Ubero per modo di quistioni
propone: Junt qui ex alisquo querebus differentiam fu m m e potestatis
colligunt. Primo enim sotto posti. Ma quando vennero in Italia vi fondarono il regno,
che è detto de Longobardi, osia dell'ITALIA e dil quale, e sotto i re loro, e sotto
i re francesi, edi altre nazioni finchè dura è sempre ELETTIVO. Che EREDITARIO è il Principato
di Benevento. Che fimile a lui è il Principato di Salerno. Che non diverso da essi
in tal cosa il Principato di Capua esser si vidde. Ma da poichè il più delle volte
difficil cosa è il determinare daloro principii espo fie forme de sopradetti principati.
Quindi è, che ne conviene sovente immitare
i più saggi investigatori del vero nelle produzioni della natura : iquali non
potendo vedere le occulte caggioni di essa, da’ continui, e costanti effetti
loro, quando esterna violenza non li disturbi, sicuramente le deducono. Scrive Newton
tra quelli filosofi senza alcunfallo il più famoso. Ideo que EFFECTUUM NATURALIUM EIUSDEM
GENERIS E ÆDEM SUNT CAUSÆ. Uti
respirationis in homine doo in bestia. Descensus Lapidum in Europa in qualitates
corporum, que intendi o remitti o nequeunt, queque corporibus omnibres
competunt, in quibus experimenta instituere Ticet nun, a sibi semper consona.
Extensio corporum non nisi per sensus innotescit, nec in omnibus sentitur. Sed quia
sensibilibus omnibus competit, de universis affirmatur. Corpora plura dura este
experimur; Oritur autem durities totius a duritie par tium, et in de non horum tantum
corporum quæ fentiuntur, sed aliorum etiam omnium particulas indivisas es se
duras merito concludimus. Corpora omnia impe netrabilia es se non ratione; sed sensu
colligimus. Que tractamus impenetrabilia; Lucis in igne culinari do in sole;
reflexionis lucis in ter America ra in Planetis inveniuntur, in deo oncliedimus
IMPENETRABILITATEM efe proprietatem corporum universorum. Corpora omniam obilia
efle et viribus quibusdam, quas viresiner tiæ vocamus, perseverare inmotu, velquiete,
ex hifce corporum visorum proprietatibus colligimus. Extenso, Durities, IMPENETRABILITAS,
Mobilitas,& Vis [Gudling., de jur.Nat., ac Gent.; Huber. De jur. Civit. antecedente electione pendet; unde qui succedunt,
e populi eligentis voluntatepri meva succedere videntur. E finalmente la terza
nella quale il principe possiede il regno per volere del git [Or dichiarari nella
maniera sopradetta l'esposte cose io dico che i lombardi sono inprima nella Pannonia
ad un Regno EREDITARIO vel plu, pro qualitatibus corporum universorum habende sunt
TES CORPORUM NONNISI. Nam QUALIT A PER EXPERIMENT AINNOTESCUNT OQUE GENERALES
STATUENDÆ, IDE MENTIS GENERALITER SUNT QUOTQUOT CUMEXPERI. possunt QUADRANT. De
quemimi non possunt auferri. Certe contra experimentorum tenorem fomnia non
funt, nec a Nature analogia recedendum temere confingendo est, cum ea simplex esse
soleato, qua forma Reipublice Civitas gubernetur, Monarchia tant plurium
dispoticum, an Civile regnum Patrimorium imperio. Et in Monarchia, sit ne Populo
volente an invitofit conftitutum . Eligantur, niale, anquasi fructuarium, an
perpetua sit potestas. Non an successionegaudeant imperantes.Temporalis Imperii
variarivi parvitate vel magnitudine civitatum jus jummi nullis quoque Species
hominum judicia sæpe perstrin fum. Denique, nominum titulorumque interesse pu
iner inertie totius, oritur ab extensione, duritie, impenetrabilitate viribus inertice
partium: inde concludimus omnes omnium corporumpartes minimas extendi, et
durasele, o impenetrabiles et mobiles viribus inertice præditas. E nella festa maniera
scrive Ubero, che s'abbiada giudicare nelle cose morali, e civili. Sed ego ita existi
morerum moralinm, civilium NATURAM maxime ab effectibus cefti mandam. Perchè
quando non ne è conceduto di avere documento dell'istituzione delle repubbliche,
osia de'Principati, di cui ragioniamo. Da quello, che si è veduto sempre
accadere in essi, quando estraneecaggioni l'ordine naturale non abbiano
sconvolto, l'istituzioni suddette possiamo dirittamente argomentare. Egli è
vero non però, che non di leggieri gl' Imperi Ereditari da Successori con
regola cosi fatta si possono distinguere, imperocchè io alcuna forte di regni successivi
all' ultimo Regnante succedono i figliuoli, od i più stretti Congionti ; E lo
stesso avvienene Regni Ereditarjquandocoluisenza Testamento, o senza nomina real.
cuno Estraneo Erede lascia di vivere la vita. Più folto bujo quellume fidee prendere,
che si può, comechè picciolo, ed incerto egli e. Il Regno de’ Longobardi fu
prima Successivo, a Ereditario, ed che, usciti dalla Scandinavia, provincia detta
VAGINA GENTIUM, abitarono di qua dal Danubio ed I quali WINILI erano chiamati furono
poscia detti LOMBARDI, o dalle finte o dalle vere LUNGHE loro BARBE, ovvero,
secondo scrive Guntero, che altri affermino da’ popoli della Sassonia detti
Bardi. Furono costoro inprimada Duchi eposcia da Refignoreggiati; ed il regno
loro finchè rimasero nel loro paese, e sempre ereditario, ovvero successivo. Newton, Philus. Natur.princ.Ma Gregor.
Turon. Excerp. Chron. ex Reg Fredeg. Schol. hist. Miscell. Paul. Diac. de Gefie Langob.. Gunt. mobilitate, 9 appreso elettivo non potendosi
che LA NATURALE INCHINAZIONE DEL SANGUE a figliuoli ed a Cogionti, gli Estran gli
abbia permesso diante porre. Scrivendo GROZIO: Succeflio ab intefiato, de qua agimus,
nihil aliud est, quam tacitum testamentum ex voluntatis conjectura. Quintilianus
pater in declamatione: Proximum locum a testamentis habent propinqui: et ita, si
intestatus qui sacfine liberis decefferit. Non quoniam utique jufium fit, ad hos
per venire bona de functorum. Sed quoniam reliéta et velutin medio posita nulli
propius videntur contingere. Quod de bonis noviter quæsitis diximusex NATURALITER
proximis deferri, idem locum habebit in bonis paternis avitisque, finecipsiaquibusvenerunt,
nec eorum liberi extent ita ut gratie Philuf. edit. Ami. Paulo Diac. De Gest. Langob.,
istelod. Huber., de jur. Civ., Reginon. Chron. inprinc. de RegnoWi., Grot. De jur.
bell. Ac pac. nilorum. Constant. Porphyrog. De Themat. Gregor.Turon.Excerp.Chron.exc
Otto Frifingens. De Geft. Friderici
Impe credere De Popoli Q. Agle
relatiólocum noninveniat. Ondeda Equali essettinonsi possono argomentare diverse
cagioni. Ma nel. Grice: “This conceptual analysis of the noble is complicated –
noble is the male who merits recognition from his community.” Nono duca di Laurino. Troiano Spinelli, duca di
Aquara e di Laurino. Troiano Spinelli di Laurino. Spinelli di Laurino. Laurino.
Keywords: implicatura, analisi geometrico della’economia razionale, Broggio,
lombardia, lombarda, lunga barba. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Laurino” – The Swimming-Pool Library. Laurino.
Grice e Lavagnini: il deutero-esperanto – la
scuola di Siena – filosofia toscana -- filosofia italiana –Luigi Speranza (Siena). Filosofo italiano. Siena, Toscana. L. progetta
una lingua inter-nazionale su base latina che chiama “neo-latino” e ci
prova con l'uni-lingue (o inter-lingue) pubblicato nel Corso pro Corrispondenza
d'inte-rlingue od uni-lingue, Roma, e con il Monario, dato alle stampe nel
Corso de Monario prima e in “Interlexico Monario: Italiano français English
deutsch kum introduxion rammatal appendo, fonetal regios, Casa Editrice
Elettica (Casella Postale 331), Roma.. Persona informo Naskiĝo en provinco
Sieno Morto en Meksiko Lingvojitala ŜtatanecoItalio Reĝlando Italio Redakti la
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r Okultisto, naskiĝis en Italio, mortis en Meksikurbo, Magistro de
framasonismo, ano de ACADEMIA PRO INTERLINGUA, fondinto de la Asociación
Biosófica Universal kreinto de la planlingvoj "Monario" kaj
"Mondi Lingua", esperantidoj kaj "Unilingue", modifita
latina. La projektoj de L., laŭ oni pensas, estis tre influita de ideoj de
aŭtoro pri la "perfekteco" de sanskrito kaj kelta lingvo, ĉefe laŭ
verba aspekto. Pro tio, la verbaj formoj estas tre malsimplaj, kiel en Volapuko. Li estis
framasonisto ano de la Martinismo en Italio. En lia tekstoj framasonaj oni
vidas influojn de Teozofio, astrologio kaj jogo, ankaŭ rimarkindaj en la
teorioj de la Asociación Biosófica, kion li fondis en Ameriko. Verkoj
Colección de manuales masónicos Grammatica dell' Unilingue od Interlingue, Rom.
Corso di Monario, Rom. Interlexiko
Monario: italiano, francais, english, deutsche, Rom. Kurso astrologis, Short
lessons on Mondi Linguo, Mexiko. Hacia una lengua internacional, Mexiko. Origin astronomic
del Alfabeto (s.j.). Bibliotekoj PeEnEo:
Kategorioj: Mortintoj en MeksikoNaskiĝintoj Mortintoj VirojNaskiĝintoj
Mortintoj InterlingvaoLingvokreinto. j. Interlingue Con questo nome si
conoscono una serie di progetti di lingua internazionale (- AUSILIARIA
INTER-NAZIONALE, LINGUA) fra cui: l'I. di Triola (- TRIOLA), più conosciuto con
il nome di «Italico» (ITALICO): l'I. di L. (- L.) sinonimo del progetto
denominato Uni-lingue elaborato nel corso pro Corrispondenza d'inter-lingue od unilingue,
pubblicato a Roma (Drezen), di cui ecco un esempio: L’uni-lingue deve esser ante omnicos un
lingue vivent, germinat ex principies fundamental, nascent naturalmen del leyes
general, vegetant quam un plante, segun li lineas, in queles es cultivac,
absorpente circum se e assimilance li materies de su vive. (Duticenko)
Infine esiste l'I. di Wahl (WAHL) che, per motivi politici. ribattezza
il suo precedente progetto chiamato «Occidental» (OCCIDENTAL) con il nome di I.
(Monneror-Dumaine; Silfer). Aldo Lavagnini. Lavagnini Keywords: monario, il
deuteuro-esperanto di Grice. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Lavagnini.” Lavagnini.
Grice e Lazzarelli: la ragione conversazionale
e l’implicatura conversazionale -- ermetico-esoterica – filosofia marchese – la
scuola di San Severino Marche -- filosofia italiana – Luigi Speranza (San Severino Marche). Filosofo italiano. San Severino
Marche, Marche. Grice: “I would call Lazzarelli a Pythagorean; most Italian
philosophers are, as most English philosophers are Lockean!” -- Grice: “I would
call Lazzarelli what Italians call ‘un filosofo ermetico.’ He certainly flouts all my desiderata for
conversational clarity!” Il documento più importante per ricostruire la vita di
L. è “Vita L.” scritta da Filippo L. e indirizzato all'umanista Colocci. L. e
educato e vive a Campli, in Abruzzo, dove frequenta la biblioteca del Convento
di San Bernardino da Siena, che egli cita nella sua opera i Fasti Christianae
Religionis. Riceve da Sforza un premio per un poema sulla battaglia di San
Flaviano. Ha contatti con i più importanti filosofi dell'epoca ed e seguace
dell'ermetismo. Raccolse il Pimander di FICINO, l'Asclepio e tre trattati
sull'ermetismo realizzando una versione che amplia il corpus testi ermetici. Autore
di saggi a carattere ermetico come il “Crater Hermetis,” in sintonia con il
sincretismo religioso dei suoi tempi e in anticipo sulla filosofia di PICO (si
veda), con la fusione del cabalistico e il cristiano, ma anche di poemetti a
carattere allegorico come l'”Inno a Prometeo” o didascalico-allegorici come il “Bombyx”.
Altri saggi: “De apparatu Patavini hastiludii, Padova; “De gentilium deorum
imaginibus”, dedicato a Borso d'Este e a Federico da Montefeltro; “Fasti christianae
religionis” dedicato a Sisto IV, Ferdinando
I d'Aragona e Carlo VIII, Bertolini, Napoli; Epistola Enoch, Brini, in Testi
umanistici sull'ermetico”, Roma; “Diffinitiones Asclepii”; De bombyce, Lancellotti, Aesii; “Crater
Hermetis edito in Pimander Mercurii Trismegisti liber de sapientia et potestate
Dei; “Asclepius eiusdem Mercurii liber de voluntate divina”; “ Item Crater
Hermetis a Lazarelo Septempedano” (Parigi); Vademecum ( Brini, in Testi
umanistici sull'ermetico”, Roma); “Un carme per la morte della duchessa d'Atri,
Biblioteca del Seminario di Padova; “Carmen bucolicum” (Biblioteca
universitaria di Breslavia, Milich Collection); carmi di occasione -- tra cui i
versi che gli valsero l'incoronazione) (Biblioteca nazionale di Napoli);
epigrammi sullo Pseudo Dionigi l'Areopagita. Il testo dell'opera può essere
letto in M. Meloni,"Lodovico Lazzarelli umanista settempedano e il “De
Gentilium deorum imaginibus”, in Studia picena, pubblicato in appendice a C.
Vasoli, Temi e fonti della tradizione ermetica in S. Champier, in Umanesimo e
esoterismo, l’esoterico E. Castelli, Padova, pG. Roellenbleck, Opusculum de
Bombyce, anche in edizione moderna integrale in C. Moreschini,
Dall'"Asclepius" al "Crater Hermetis" -- studi
sull'ermetismo latino tardo-antico e rinascimentale, Pisa, Dizionario Biografico
degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Filosofia ermetica, Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Opere, L.. rivista
Campli Nostra Notizie. L. Nacque di nobile famiglia di Campli. La tradizionale
data di nascita è stata recentemente corretta da Tenerelli sulla base di
un'annotazione manoscritta che si legge nella biografia del L. composta dal
fratello Filippo (meglio trascritta da Meloni) e della notizia d'archivio
riferita da Aleandri, secondo cui il padre risulta già morto. L. stesso ama definirsi
"Septempedanus", dal nome dell'antica colonia romana che sorgeva nei
pressi dell'odierna San Severino Marche. Alla morte del padre, L. si
trasfere a Campli, presso Teramo, dove riceve la prima educazione e - stando
alla citata biografia, non immune da toni agiografici, scritta subito dopo la
morte - egli dimostra precocemente inclinazioni filosofiche, tanto da comporre un
carme sulla battaglia di San Flaviano che gli merita le lodi di Sforza, signore
di Pesaro, oltre che l'appellativo di "antiquorum poetarum
simia". L'episodio è il primo di una serie di testimonianze che
permettono di ricostruire alcune tappe, peraltro dalla cronologia, della vita
fitta di spostamenti condotta dal L. E dapprima ad Atri, con l'ufficio di
istitutore del figlio del signore della città, Capuano, dove compose un carme
esametrico per la morte della duchessa Balzo, indirizzato con un'epistola
accompagnatoria al fratello Filippo, allora studente di diritto a Padova, che,
nella sua biografia, la define "sententiis quidem refertam quam optimis
ultra eius aetatem". E a Teramo presso Campano, "ut eiusdem Campani
fratrem amoenioribus artibus inficeret simulque ut ipse viri familiaritate
doctior fieret" (Lancellotti), dove si applica allo studio della filosofia.
Il fratello riferisce di essere stato testimone a Teramo di una sua disputa con
un tal Vitale ebreo, che nega la Trinità, e che sarebbe stato vinto anche
grazie all'allegazione da parte del L. di autorità talmudiche. Di qui passa a
Venezia, dove perfeziona lo studio del latino alla scuola di Merula. Il
componimento esametrico De apparatu Patavini hastiludii, scritto in occasione
dei giochi e nel quale i componenti dell'Accademia padovana dei giuristi sono
comparati a personaggi mitici, rivela una buona dimestichezza con l'ambiente
accademico patavino. Forse su suggerimento di Merula compose un Carmen
bucolicum, costituito da X egloghe dedicate ai principali misteri della vita di
Cristo: l'avvento preannunciato dai profeti, la natività della Vergine,
l'incarnazione del Verbo, la nascita, la passione e la morte, la discesa agli
inferi, la resurrezione, l'ascesa al cielo, la discesa dello Spirito Santo,
l'assunzione di Maria Vergine. Al soggiorno in Veneto è inoltre legato il più
importante riconoscimento pubblico dell'attività poetica del L.,
l'incoronazione per mano dell'imperatore Federico III, nella chiesa di S. Marco
a Pordenone. Secondo il racconto del fratello, L. si reca presso
l'imperatore, di passaggio nel suo viaggio verso Roma, e, colta un'occasione
propizia, gli avrebbe declamato un suo carme esametrico, accolto con plauso
dall'imperatore che spontaneamente gli avrebbe conferito l'alloro poetico. L.
stesso celebra poco più tardi l'evento nell'egloga Laurea. Una serie di
stampe, del tipo dei tarocchi del Mantegna, acquistata in una bottega di
Venezia, fornì al L. lo stimolo per la composizione dei due libri De gentilium
deorum imaginibus, poemetto di carattere mitologico-astrologico. I più
rilevanti testimoni dell'opera sono due manoscritti della Biblioteca apostolica
Vaticana (Urb. lat.), entrambi di elegante fattura e corredati da una serie di
sontuose miniature (che ricordano, appunto, la tipologia mantegnesca dei
tarocchi). I due codici sono dedicati a Federico di Montefeltro, ma la dedica
del ms. 716 è vergata in modo evidente su una dedica precedente abrasa, che Campana
è riuscito a leggere parzialmente, quanto basta però per riconoscervi il nome
di Borso d'Este. È così possibile datare il manufatto, e quindi l'ultimazione
dell'opera, al lasso di tempo dall’assunzione del titolo ducale di Ferrara da
parte di Borso alla sua morte. Anche all'interno del testo il nome di Borso
è sistematicamente sostituito con quello di Federico e i passi relativi
sono adattati al nuovo dedicatario. Il ms. è portatore di una seconda
redazione, fin dall'inizio dedicata a Federico già insignito del titolo ducale
di Urbino, quindi posteriore. Meloni ipotizza che si possa riconoscere in
quest'ultimo il codice originariamente pervenuto a Urbino e che il ms. vi sia
giunto più tardi, non solo riconfezionato come si è detto, ma anche corredato
di un ulteriore carme finale di congratulazioni per la guarigione di Federico
da una grave malattia, attribuibile alle conseguenze dell'incidente occorso al
duca. L'originaria dedica a Borso d'Este è perfettamente congruente con
la cultura astrologica praticata a Ferrara, ma non estranea neppure alla corte
urbinate. L'opera amplifica la consuetudine di "appropriare", nel
gioco praticato a corte, dei versi alle carte, secondo il modello dei tarocchi
boiardeschi. Ma iL. intende riscattare dall'uso ludico le antiche immagini
delle carte, diffuse anche presso il volgo, che "triumphos / appellat
tactu commaculatque rudi / priscorum formas et simulachra deorum", per restituirle
alla loro funzione astrologica e sapienziale di rivelare il vero "obliquis
figuris", poiché "invenere suis corrispondentia rebus / signa olim
vates et simulachra deum, / quae nunc pro nihilo reputant, gens indiga sensus,
/ sacrilegi et ludis asseruere suis.. Nel primo libro sono presentate e
descritte, in successione, le sfere celesti, dalla Prima causa alla Luna, con
l'aggiunta di un carme conclusivo dedicato alla Musica come prodotto delle
sfere celesti. Dei pianeti, identificati con gli dei antichi, sono descritte le
immagini, indicate le rispettive domus (i segni zodiacali), sinteticamente
narrati i principali miti che hanno come protagonista il dio eponimo, fornite
essenziali notizie astronomiche e illustrati gli influssi astrologici. Il secondo
libro presenta le immagini della Poesia, di Apollo e delle nove Muse, di
Pallade, Giunone, Nettuno, Plutone e, infine, della Vittoria (alla quale è
dedicato un carme in versi eroici, mentre tutti gli altri sono in distici
elegiaci). Nei due codici urbinati, come si è detto, la descrizione verbale
trova riscontro e integrazione nel ricco apparato iconografico che, a sua
volta, può aver ispirato elementi decorativi del palazzo ducale di
Urbino. La vicenda compositiva del poemetto probabilmente si compì
durante il soggiorno di L. a Camerino, dove era stato chiamato da Giulio Cesare
da Varano per attendere all'educazione del nipote Fabrizio. L. intraprese
quindi la stesura di un nuovo ambizioso poema, i Fasti Christianae religionis,
che portò a compimento in una prima redazione a Roma, dove si recò al seguito
di Lorenzo Zane, patriarca di Antiochia, presso il quale approfondì gli studi
astronomici e astrologici. La composizione del poema è dai biografi (e,
in primis, dal fratello) addotta a documento dell'ortodossia religiosa del L.,
contro i sospetti di esercitare arti magiche: "Quidam, livore atque
invidia perfusi, et palam et in occulto Lodovicum criminari coeperunt, dicentes
ipsum negromanticis magicisque artibus, sive praecantationibus, operari"
(Vita Lodovici). L. avrebbe, in effetti, compiuti alcuni esorcismi, vaticini e
guarigioni, ma sempre attraverso il segno della Croce e la mediazione
dell'assistenza divina. Bertolini ha ricostruito la complessa vicenda
compositiva dei Fasti sulla base delle testimonianze manoscritte superstiti
(tra cui il ms. Vat. lat., autografo, nel quale si depositano varie fasi
redazionali) e delle indicazioni cronologiche interne, che permettono di
riconoscere tre redazioni: una prima, dedicata al pontefice Sisto IV, compiuta
entro il 1480; una seconda dedicata al re di Napoli Ferdinando d'Aragona e a
suo figlio Alfonso duca di Calabria, compiuta immediatamente dopo, entro il
1482; una terza più tarda, dedicata al re di Francia Carlo VIII, probabilmente
abbandonata dopo il fallimento dell'impresa italiana del sovrano. Si tratta di
un vasto poema in sedici libri, costruito secondo il modello del Fastiovidiani.
Sono descritte e celebrate le ricorrenze liturgiche cristiane secondo la loro
successione nel calendario; vengono inoltre introdotte osservazioni di
carattere astronomico e saltuarie indicazioni relative alle attività agricole.
I primi tre libri celebrano le feste mobili del calendario liturgico, i dodici
successivi sono dedicati ai singoli mesi, cominciando da marzo, l'ultimo tratta
del Giudizio finale. Il poema ricevette onorata accoglienza da
parte dell'ambiente romano, come dimostrano i due epigrammi del Platina e di
Paolo Marsi riferiti dal fratello Filippo e pubblicati dal Lancellotti, nei
quali il poeta è celebrato come una sorta di OVIDIO (si veda) reincarnato. Al
Platina sono anche indirizzati un paio di epigrammi del L., il secondo dei
quali in morte. Secondo Foà, al 1481 daterebbe la conoscenza con
Correggio, alla quale lo stesso L. attribuisce un ruolo fondamentale per la
propria conversione alle dottrine ermetiche. L'episodio più noto relativo al
rapporto fra i due e al quale il L. stesso fa emblematicamente riferimento
risale però all'11 apr. 1484, domenica delle palme, sotto il pontificato di
Sisto IV, quando assistette all'apparizione romana di Giovanni da Correggio
che, a cavallo e coronato di spine, attraversò la città e, pur privo di
qualsiasi istruzione grammaticale e retorica, predicò al popolo compiendo atti
e riti simbolici e manifestando una sapienza teologica dovuta a una sorta di
mistica ispirazione che gli valse anche incontri con il pontefice e vari
prelati. Gli studi di Kristeller hanno infatti dimostrato l'appartenenza
al L. dell'Epistola Enoch de admiranda ac portendenti apparitione novi atque
divini prophetae ad omne humanum genus, dove è diffusamente narrato il viaggio
romano di Giovanni da Correggio seguito da una dichiarazione dell'autore di
piena adesione e di conversione: "quod novae ac tantae rei sacramentale
mysterium ego attonitis aspiciens oculis, mecumque ipse attente et ex totis
animi viribus tunc revolvens, ne diuturnior obesset mora, relictis Parnasi
collibus ceterisque omnibus, ad montem Syon primus eum sum protinus
insequutus" (ed. Brini). Con lo stesso pseudonimo di Enoch il L.
firmò anche alcuni epigrammi dedicati agli scritti dello Pseudo Dionigi
l'Areopagita e, soprattutto, le prefazioni ai testi contenuti nel ms. II.D.I.4
della Biblioteca comunale degli Ardenti di Viterbo, una raccolta completa del
corpus ermetico nella traduzione di Marsilio Ficino, integrato dall'Asclepius
attribuito ad Apuleio e dalle Definitiones Asclepii (ignote a Ficino perché
mancanti nel suo codice), tradotte per la prima volta dallo stesso Lazzarelli.
Nelle tre prefazioni, una delle quali in versi, il L. indirizza la sua opera di
raccoglitore e traduttore a Giovanni da Correggio, nel tono solenne e sacrale
dell'iniziato, affermando il sincretismo tra teologia cristiana e teologia
ermetica, sostenendo, contro Ficino, la maggiore antichità di Ermete Trismegisto
rispetto a Mosè e presentando la propria conversione dalla poesia agli studi
sacri come una vera e propria rigenerazione: "quondam poeta nunc autem per
novam regenerationem verae sapientiae filius" (Kristeller). L. entra
quindi in rapporto con Colocci quando
questi, avendo con sé il nipote Angelo, si trovava nel Regno di Napoli come
governatore di Ascoli Satriano. Secondo Fanelli, i Colocci passarono nel Regno
di Napoli: poco prima andrebbero dunque collocate la composizione e la stampa
del poemetto del L. De bombyce, dedicato "ad Angelum Colotium honestae
indolis puerum". La datazione dell'opera è controversa e il più
recente editore, Roellenbleck, ne propone una molto più alta, che peraltro non
si concilia con la tematica ermetica del poemetto né con l'anno di nascita di
Colocci, che pare dovesse avere un'età idonea a essere prescelto come lettore
esemplare ("lege sollicito mea carmina visu"), vero e proprio filius
da rigenerare (l'appellativo di puer può avere un'estensione molto ampia). Il
Bombyx si presenta, infatti, come un poemetto didascalico dedicato
all'allevamento del baco da seta, ma teso a svelarne, sulla traccia di analogie
già suggerite da s. Basilio, la simbologia cristologica e a farne il simbolo di
una rigenerazione alla quale tutti gli esseri umani sono chiamati, compiuta la
quale potranno a loro volta generare una prole divina: "Surgite,
terrigenae, bombycum exempla sequuti. Linquite corporeos sensus, mens candida
regnet Sancta palingenesis vos complectatur et orti / rursus humo coelum
penitus penetrate relicta Gignite divinam repetito semine prolem. Quo pacto id
fieri possit, mox forte docebo, hic
gradus aethereo primus statuatur Olympo. L'ulteriore opera dedicata al tema
della generazione divina, annunciata in chiusura del Bombyx, può forse essere
riconosciuta nel De summa hominis dignitate dialogus qui inscribitur Crater
Hermetis. Si tratta di un dialogo nel quale sono inseriti alcuni componimenti
poetici, di vario metro, nei momenti di maggiore intensità d'ispirazione e di
proclamata esaltazione mistica. Gli interlocutori sono lo stesso L., che ha
ruolo di maestro, e il re di Napoli Ferdinando d'Aragona, dopo che, ormai
vecchio, ha ceduto il governo dello stato al primogenito Alfonso II. Queste
indicazioni permettono di collocare l'azione, e anche la composizione, tra il
1492 e la morte del re. Il recente editore, Moreschini, ha anche
riconosciuto due redazioni dell'opera, la più antica testimoniata dal ms. della
Biblioteca nazionale di Napoli, la seriore dalla stampa procurata da Lefèvre d'Étaples a Parigi. La differenza
più evidente tra le due redazioni consiste nella presenza, nella prima, di un
terzo interlocutore, PONTANO, con il ruolo, secondario ma non indifferente, di
affiancare il re, discepolo entusiasta e convinto, come poeta desideroso di
approfondire anche verità filosofiche e teologiche. L'origine del titolo è in
un passo del Corpus Hermeticum in cui si parla di un crater inviato d’Ermete
sulla terra affinché in esso gli uomini possano battezzarsi e ricevere così
l'intelletto che li rende capaci di partecipare alla gnosi. A conclusione
dell'opera il L. si autorappresenta come colto da una sublime ispirazione che
lo rende capace di rivelare il mistero della generazione di anime divine da
parte del vero uomo, che ha raggiunto la pienezza della conoscenza e che si
rende così simile a un dio. Moreschini osserva come nella seconda redazione il
L. eviti di rendere troppo espliciti i rapporti tra ermetismo e cristianesimo
(lo stesso titolo, nella prima redazione, recitava: … qui inscribitur via
Christi et crater Hermetis), attenuando, per esempio, le argomentazioni che
tendevano ad attribuire all'ermetismo priorità cronologica (e anche genetica)
nei confronti di ebraismo e cristianesimo. Lo scritto manifesta inoltre ampie
conoscenze cabalistiche e talmudiche, che tradizionalmente si ritenevano
patrimonio, in quegli anni, del solo PICO (vedasi). Ultima opera del L.
sembrano essere i De mathesi et astrologia libri, segnalati da LANCELLOTTI, che
invano ne cerca copia presso gl’eredi del filosofo. Brini ne propone, ma senza
indizi veramente probanti, l'identificazione con un trattato di alchimia,
conservato nel ms. 984 della Biblioteca Riccardiana di Firenze: una raccolta di
preparazioni alchimistiche tratte daLullo e da altri, presentate da L. con un
breve testo introduttivo che si apre con un epigramma di sei distici. Il L.
stesso, definendo questo suo libro vademecum, ne indica il contenuto:
"agemus in hoc libro Vade mecum de alchimia que est naturalis magia et vocatur
astrologia terrestris. In questa scienza dichiara di essere stato istruito
"a Joane Ricardi de Branchis de Belgica provincia […] qui in hoc fuit
magister meus currente ab incarnatione verbi" (ed. Brini). Nella sua
biografia il fratello attribuisce al L. capacità divinatorie attraverso il
sogno -- habebat somnia, quae potius visiones, sive oracula dici
potuissent" (Vita Lodovici) - e in sogno il L. avrebbe anche antiveduta la
propria morte, intervenuta a San Severino a pochi giorni di distanza da quella
del fratello Girolamo. Delle opere del L. sono a stampa: De apparatu
Patavini hastiludii, Patavii; De gentilium deorum imaginibus, a cura di O'Neal,
Lewiston, NY; Fasti Christianae religionis, a cura di M. Bertolini, Napoli;
Epistola Enoch, Venezia, cfr. Indice generale degli incunaboli [IGI]), ora a
cura di Brini, in Testi umanistici sull'ermetismo, Roma; la traduzione delle
Diffinitiones Asclepii in appendice a Vasoli, Temi e fonti della tradizione
ermetica in uno scritto di Symphorien Champier, in Umanesimo e esoterismo, a
cura di E. Castelli, Padova; le prefazioni del ms. II.D.I.4 della Biblioteca
comunale degli Ardenti di Viterbo in appendice a P.O. Kristeller, Ficino e L..
Contributo alla diffusione delle idee ermetiche nel Rinascimento, Annali della
R. Scuola superiore di Pisa, quindi in Id., Studies in Renaissance thought and
letters, Roma; De bombyce [Roma, Eucharius Silber, s.d.] (IGI) quindi in
Bombix. Accesserunt ipsius aliorumque poetarum carmina, a cura di Lancellotti,
Aesii, e ora in G. Roellenbleck, Ludovico Lazzarelli Opusculum de Bombyce, in
Literatur und Spiritualität. Hans Sckommodau zum siebzigsten Geburtstag, a cura
di Rheinfelder, Christophorov, Müller-Bochat, München; Crater Hermetis nel
corpus di testi ermetici raccolti da J. Lefèvre d'Étaples: Pimander Mercurii
Trismegisti liber de sapientia et potestate Dei. Asclepius eiusdem Mercurii
liber de voluntate divina. Item Crater Hermetis a Lazarelo Septempedano,
Parisiis, in officina Henrici Stephani, quindi, in edizione moderna,
parzialmente, a cura di Brini in Testi umanistici sull'ermetismo, e,
integralmente, in C. Moreschini, Il Crater Hermetis di L., in Id.,
Dall'"Asclepius" al "Crater Hermetis". Studi sull'ermetismo
latino tardo-antico e rinascimentale, Pisa, Vademecum, a cura di Brini, in
Testi umanistici sull'ermetismo. Ampie sillogi di scritti del L., frutto di
compilazioni sette-sono contenute nei mss. della Biblioteca comunale di San
Severino Marche; il carme per la morte della duchessa d'Atri è conservato nel
ms. della Biblioteca del Seminario di Padova (cfr. A. Tissoni Benvenuti, Uno
sconosciuto testimone delle egloghe di Calpurnio e Nemesiano, in ITALIA
medioevale e umanistica. Il codice unico del Carmenbucolicum si trova nella
Biblioteca universitaria di Breslavia, Milich Collection; una silloge di carmi
di occasione (tra cui i versi che gli valsero l'incoronazione) è nel ms. V. E.
della Biblioteca nazionale di Napoli. Gli epigrammi sullo Pseudo Dionigi
l'Areopagita si leggono nel ms. della Walters Art Gallery di Baltimora.
Fonti e Bibl.: San Severino Marche, Biblioteca comunale, Mss.; due copie di
Lazzarelli, Vita L. Septempedani poetae laureati per Philippum fratrem ad
Angelum Colotium, da cui deriva in gran parte la biografia premessa da Lancellotti
al poemetto del L. Bombix…, cit., Aesii; Vecchietti - Moro, Biblioteca picena,
V, Osimo, Lancetti, Memorie intorno ai poeti laureati d'ogni tempo e d'ogni
nazione, Milano, Aleandri, La famiglia L. di Sanseverino (Marche), in Giorn.
araldico genealogico diplomatico italiano, Ohly, Ioannes Mercurius Corrigiensis,
in Beiträge zur Inkunabelkunde, Thorndike, A history of magic and experimental
science, V, New York, Donati, Le fonti iconografiche di alcuni manoscritti
urbinati della Biblioteca Vaticana, in La Bibliofilia, vi è riferita la lettura
di Campana della dedica del ms. Urb. lat. Kristeller, Lodovico L. e Giovanni da
Correggio, due ermetici del Quattrocento, e il manoscritto II.D.I.4 della
Biblioteca comunale degli Ardenti di Viterbo, in Biblioteca degli Ardenti della
città di Viterbo. Studi e ricerche, a cura di Pepponi, Viterbo, Delz, Ein
unbekannter Brief von Pomponius Laetus, in Italia medioevale e umanistica, Ubaldini,
Vita di Colocci, a cura di Fanelli, Città del Vaticano, Moreschini, Il
"Crater Hermetis" di L., in Res publica litterarum, Sosti, Il
"Crater Hermetis" di L. L., in Quaderni dell'Istituto sul
Rinascimento meridionale, Tenerelli, L. ed il rinascimento filosofico italiano,
Bari, Saci, L. L. da Elicona a Sion, Roma; Foà, Giovanni da Correggio, in Diz.
biogr. degli Italiani, LV, Roma, Walker, Magia spirituale e magia demoniaca da
Ficino a Campanella, Torino, Meloni, L. L. umanista settempedano e il "De
gentilium deorum imaginibus", in Studia picena; Kristeller, Iter Italicum,
ad indices; Rep. fontium hist. Medii Aevi. Luigi Lazzarelli. Lodovico
Lazzarelli. Ludovico Lazzarelli. Lazarelli. Keyword: implicatura ermetica,
mascolinita romana, religione officiale romana, campo marzio, marte, dio della
guerra, marte come pianeta, il simbolismo di marte nell’arte e la filosofia,
marte e apollo, marte e Nietzsche --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Lazzarelli” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Lazzarini:
il deutero-esperanto – filosofia ialiana -- Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Roma, Lazio. A differenza
del deutero-esperanto di Grice, non usato mai da Grice, il latino sine flexione
è utilizzato anche da altri filosofi come VACCA (si veda), in Sphoera es solo
corpore, qui nos pote vide ut circulo ab omne puncto externo, LAZZARINI (si
veda), in Mensura de circulo iuxta Leonardo [VINCI (vedasi) Pisano, e PANEBIANCO
(vedasi) che discute proprio della lingua internazionale nell'opuscolo “Adoptione
de lingua internationale es signo que evanesce contentione de classe et bello”
(Padova, Boscardini). Vedasi ALBANI, BUONARROTI. PANEBIANCO (vedasi) è anche un
grande appassionato di Esperanto, tanto che è solito firmarsi "esperantista
socialista". Quest'ultimo, come si evince anche dal titolo della sua
opera, vede nella lingua internazionale un modo per mettere la parola fine ai
contrasti internazionali, e in particolare al capitalismo spietato. Inter-linguista,
quale que es suo opinione politico aut religioso es certo precursore de novo
systema sociale. Isto novo systema, in que homines loque uno solo lingua magis
facile, commune ad illos non pote es actuale systema de "homo homini
lupus", sed es systema sociale in que toto homines fi socio. Per ben
adempiere a un tale compito, la lingua perfetta di PANEBIANCO (si veda) deve
seguire gli stessi principi di quella di P. Es evidente que essendo id sine
grammatica, id es de maximo facilitate et simplicitate. Ergo, es per illo quasi
impossibile ad fac ambiguitate, excepto ad praeposito [“As when the
conversational maxim, ‘avoid ambiguity’ is FLOUTED for the purpose of
bringining in a conversational implicature”]. Etiam es multo plus rapido compone et scribe in isto
lingua que in proprio lingua nationale. Si capisce allora che egli auspica che
il latino sine flexione assurga a lingua di comunicazione non solo
internazionale, ma anche quotidiana, e forse i suoi auspici si spingono sì
avanti che lo vorrebbe elevato a lingua naturale, lingua madre di tutti i
popoli. Si potrebbe continuare a lungo, ma a questo punto è già ben
chiaro al lettore da dove provenga quel testo riprodotto nel riquadro di
qualche paragrafo fa: da un saggio presente nel volumen ritrovato. Riportarne
il titolo integrale equivale anche a dare le risposte alle due domande proposte
(del refuso non vale la pena parlare). Infatti, troneggia il titolo "Il latino
sine flexione" di PEANO (si veda), memora a firma di L.. Che PEANO
(vedasi), che quasi con certezza è il maggiore matematico prodotto dall'Italia
negli ultimi due secoli, ha profuso gran parte del suo tempo nel tentativo di
creare una lingua che è a un tempo precisa e semplice, insomma perfetta sia per
la matematica che per tutti gli altri scopi a cui una lingua è deputata, è cosa
che si ritrova anche nelle note biografiche più frettolose sul genio cuneese. È
però assai più raro, a meno che lo si ricerchi esplicitamente, imbattersi in
qualche esempio scritto nel suo latino sine flexione L. invece ne riporta un
lungo brano, dopo aver ricordato, tra le altre cose, che quello di PEANO
(vedasi), recentissimo ai tempi della pubblicazione del volume del periodico, non
è stato un tentativo particolarmente originale, visto che di lingue universali
precedenti al latino sine flexione ne sono già comparse almeno altre sette, tra
cui l'Esperanto. Spiega poi come il problema di una lingua universale ben
strutturata se lo fosse posto già Leibniz, il quale elencava dei principi da
seguire per chi si fosse voluto impegnare nell'impresa di crearla; e si vede
che Peano a quei principi leibniziani si attiene diligentemente: applica
l'eliminazione delle desinenze nei casi e impiega in sostituzione delle
particelle specifiche. Elimina le coniugazioni dei verbi, usando solo
l'infinito del verbo senza il "-re" finale (dicere→dice→dire;
mensurare→mensura→misurare; scire-sci→sapere, etc.), e attua
l'eliminazione della specificazione del genere nei nomi. In questo modo, armati
di un vocabolarietto di latino in grado di ricordarci il significato di alcune
parole dimenticate (oporte→ occorre; igitur→ allora, etc.) il saggio dove
diventare ragionevolmente leggibile, una volta appreso che nella Pisa l'unità
di lunghezza è la pertica e quella di superficie il panoro, e che un panoro
equivale a 5,5 pertiche quadrate, come ricorda PEANO (vedasi). PEANO (vedasi) dimostra
con pochi calcoli elementari che il fatto che FIBONACCI (vedasi) asserisca che
per trovare l'area di un cerchio basta dividere per 7 il quadrato del diametro
implica che per il pisano valeva l'uguaglianza n = 2. È divertente vedere PEANO
(vedasi) destreggiarsi senza timore tra pertiche e panori, ed è curioso anche
l'uso spregiudicato che fa dei "numeri misti", ormai passati quasi
del tutto nel dimenticatoio, 2 "Discrimen generis nihil pertinet ad
grammaticam rationalem", sancisce Leibniz, e chissà cosa avrebbe pensato
oggi che le discussioni su quale sia il modo più corretto per trattare al
meglio il genere delle persone sono molto divisive e cariche di significati che
trascendono la mera razionalizzazione della lingua. Con numeri misti si
intende quella grafia che consente di scrivere ad esempio "5½" - come
fa PEANO (vedasi) nella citazione - semplicemente accostando un numero intero e
una frazione, senza esplicitare il sottinteso segno "+". È un metodo
di scrittura di numeri frazionari abbastanza naturale, ma poiché di solito
l'assenza di segno è caratteristica delle moltiplicazioni, la grafia può
generare confusione, ed è caduta in disuso. Nei paesi di lingua inglese è però
ancora abbastanza diffusa, al punto che la maggior parte delle scuole dedicano
qualche lezione all'aritmetica dei numeri misti. Atkinson, noto appassionato di
matematica ricreativa e dell'Italia ha condotto una ricerca sulla sopravvivenza
dell'uso dei numeri misti nella nostra nazione, con risultati curiosi e
piacevolmente piasmentmathssesantat/ divulgazione/matematica-il
linguagiortini Versa pubblicato su MaddMaths!: forse con le sole
eccezioni dei voti sui compiti in classe e dei tabelloni di alcune
metropolitane che segnalano l'arrivo dei treni con una precisione fino al mezzo
minuto. L'escursione in quel dimenticato volumen si è rivelata già
ampiamente sufficiente a dimostrare quanto possa essere gratificante il
"viaggio nella libreria", anche quando si riduce solo a
una gitarella di un paio d'ore. E si potrebbe chiudere qui anche questo
articolo, una volta pagato un minimo pegno di riconoscenza all'autore del sagio
saccheggiato. Ma tutti i viaggi che si rispettino presentano almeno un paio di
imprevisti, e nel nostro caso è proprio L. a fornircene uno. Come recita
il suo frontespizio, il "Periodico di Matematica per l'Insegnamento
Secondario" non è una rivista accademica destinata ad ospitare memorie di
ricercatori professionisti, ma un giornale che perseguiva la missione di
facilitare il lavoro di chi si occupa di insegnamento. Per quanto nel celebrato
indice rifulgano tra gli autori nomi di matematici di prima grandezza, è assai
probabile che tra i collaboratori più o meno abituali comparissero anche coloro
che più di altri conoscevano i dettagli della didattica, cioè proprio i
professori, ed è quasi certamente tra questi che occorre collocare il nostro L..
Pur essendo assente dai maggiori siti specializzati in biografie dei matematici
più importanti, una ricerca un po’più generale intercetta facilmente un saggio
che lo riguarda. L'autore è Hans van Maanen, direttore di
"Skepter", la rivista dell'associazione di
"scettici", e perciò in qualche modo consorella della corrispondente
associazione italiana, il CICAP fondato d’Angela. Naturalmente, la maniera di
gran lunga migliore per godersi il saggio è quello di leggerlo direttamente. Ma
per chi si accontenta di un riassunto veloce giusto per capire come L. scrive qualcosa
che quasi un secolo dopo ha molto irritato un pezzo grosso di Nature, ne
riporteremo i punti salienti. Vista la lunga estensione temporale della
storia, forse vale la pena di procedere cronologicamente. Premessa:
Buffon, osserva che il valore di n è determinabile per via sperimentale con il
metodo che resta famoso nella storia proprio con il nome d’ago di Buffon. Immaginando
un pavimento diviso in sezioni trasversali di larghezza s, lanciando a caso un
ago di lunghezza a e registrando le volte m che l'ago intercetta una delle
linee del pavimento, presupponendo un numero di lanci n tendente a infinito, si
può risalire al valore di a utilizzando i rapporti s/a e m/n. Il nostro L.
pubblica, sempre sul Periodico di Matematica per l'Insegnamento,
(ma volume XVII, non il XIX ritrovato nel
"viaggio in libreria"), un sagio in cui afferma di aver
applicato il metodo di Buffon e di aver ottenuto un valore
sperimentale di n esatto fino alla sesta cifra decimale, 3,141529, con una
serie di 3408 lanci di cui 1808 positivi, e con valore di a pari a 2,5 e s pari
a 3,0. Nell saggio afferma anche di aver raggiunto il risultato grazie a una
sua [Ho avuto invece approssimazione maggiore col disporre la retina
traversalmente, vale a dire coll'utire tra loro i lati maggiori del rettangolo.
Qui le espurienze vanno divise in doe serie, ginechi. Mentro ho mantenuto
sempro costante la lunglezza della sbarretta. ho fatto invece variare
l'altezza della striscia compresa fra le parallele: ed ecco i rimaltati
ottenuti: 1• Seme I1 SREI 100 300 13000 9000 4000 611 1200 1600 2148
3,101 3,152 3,147 8,125 8,185 100 200 10? 1000 1,115
3,180 8,1446 1142 3.1415129 3,1416 3 Estratto
dell'articolo di L. Grazie alla traduzione di Garlaschelli lo si può leggere in
italiano, o direttamente su Query, la rivista del Comitato Italiano per il
Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze] macchina, descritta in
dettaglio, che consente di meccanizzare i "lanci casuali di un ago sul
pavimento piastrellato come richiesto dall'idea di Buffon. Il risultato
viene accolto inizialmente con grande entusiasmo, diventa noto a livello
internazionale e non sono pochi i grandi nomi della matematica che lo accolgono
con sperticate parole di elogio. Il nome di L. diventa abbastanza famoso. A
parte la sua, le migliori approssimazioni sperimentali arrivano, e a fatica, a
una precisione di un paio di decimali. Compaiono però i primi saggi che
esprimono dubbi sulla correttezza dell'esperimento. Badger scrive il
saggio, "L.'s lucky approximation of t" in cui analizza in dettaglio
tutte le fragilità della memoria di L. Parte dalla strana coincidenza - già
notata del rapporto 3408/1808, cruciale nel testo di L., che è identico alla
nota frazione 355/113, scoperta già nel V secolo da Chongzhi come
approssimazione di p; prosegue notando la stranezza di quei "3408
lanci", poi passa a calcolare la probabilità d’ottenere per via randomica
quel risultato, giungendo alla conclusione che è una probabilità talmente bassa,
circa tre parti su un milione, da ritenere che quella stima fosse il frutto o
di un colpo di fortuna davvero eccezionale o di un "hoax" termine che
si può tradurre come qualcosa a mezza via tra uno "scherzo" e una
"beffa". Badger, grazie a quello saggio, vince un premio
istituito dalla Mathematical Association of America, e ovviamente il saggio
viene letto anche da Maddox, redattore capo di Nature. È naturale che un
redattore capo di una prestigiosissima rivista scientifica vede la manomissione
dei dati sperimentali più o meno come il proverbiale diavolo guarda l'acqua
santa, e la sua ira funesta colpisce Lazzarini: titola il suo articolo come
"Falsa misura sperimentale di n", usa senza mezzi termini la parola
"fraud" ovvero "frode" al posto del più morbido
"hoax", e lancia perfino una specie di anatema: "
...l'articolo di Badger dovrebbe restare come un ammonimento, a tutti
coloro che inquinano la letteratura, che i loro misfatti li seguiranno
fin nella tomba. D'altro canto, il saggio di Maanen che ci ha consentito
di scoprire questo affascinante giallo matematico sembra più orientato a
smorzare lo scandalo. La descrizione accurata della macchina per i lanci che fa
L., a ben vedere non sembra poi così efficiente da meritarsi d'essere costruita.
L’aver posto in bella vista il numero 3408 nella tabella che riporta i suoi
tentativi quando i valori intermedi esposti vanno per blocchi interi di
centinaia o migliaia. Insomma tutto lo spirito del saggio di L. sembra più uno
scherzo che la rivendicazione di una scoperta. È anche possibile che, da
insegnante, cerca e suggerisse ai colleghi qualche metodo scherzoso per
affascinare gli studenti, come quella complicata macchina lancia-aghi o la
meraviglia di una costante matematica trovata sbattendo oggetti per terra. A
voler cercare una morale da tutta la storia, non c'è che l'imbarazzo della
scelta. Dall'opportunità o meno di scherzare con la scienza alla troppo diffusa
propensione agli entusiasmi, o alla rissa, anche tra i più autorevoli critici.
O anche sulla necessità di ricordare sempre che anche gli scienziati sono donne
e uomini, con tutte le caratteristiche e le debolezze degli esseri umani. E
poi, a dire la verità, la morale più evidente e ovvia che ci sembra emergere è
semplicemente quella che ricorda alle riviste scientifiche prestigiose e
autorevoli di non concedere i loro spazi ad arruffoni incompetenti fin troppo
disposti a scherzare su qualsiasi cosa pur di vedere stampate le loro
sciocchezze: ma uno strano e persistente brivido lungo la schiena ci suggerisce
di non evidenziare troppo questo aspetto, chissà perché. Cortesia:
Alembert, Riddle, e Silverbrahms. Mario Lazzarini. Lazzarini.
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