Powered By Blogger

Welcome to Villa Speranza.

Welcome to Villa Speranza.

Search This Blog

Translate

Wednesday, December 25, 2024

GRICE ITALO A-Z P PE

 

Grice e Peano: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – il deutero-esperanto di Grice -- la scuola di Spinetta di Cuneo -- filosofia piemontese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Spinetta di Cuneo). Filosofo italiano. Spinetta di Cuneo, Piemonte. Grice: “My type of philosopher; he quotes from Breal, Mueller – I wish I could!” Spinetta di Cuneo, Piemonte. Grice: “As I reduce “the” to “every,” I am of course following Peano, who predates Russell!” -- important Italian philosopher. Linceo. P. Fa la sua comparsa una delle proposte di lingua internazionale inventata d’italiani che conosce più risonanza, il latino sine flexione di Peano, presentato nella Revue de Mathématique -- La Revue de Mathématique è creata dallo stesso P. Egli, assieme a molti altri filosofi, vi pubblica  propri studi e ricerche sulla logica e sulla storia della matematica. Il suo creatore non è in realtà un linguista o un esperto di lettere - sebbene partecipa più volte a dei congressi dove vienneno discussi problemi, oltre che di matematica, anche di filosofia, didattica e linguistica - ma, come per altri filosofi, i suoi interessi principali sono la matematica e la geometria. Dopo frequentare il liceo classico a Torino, s’iscrive al corso di laurea di matematica e nello stesso anno in cui consegue la laurea comincia ad insegnare presso Torino alla cattedre di algebra, geometria analitica, e calcolo infinitesimale. Le sue scoperte in ambito scientifico gli valgeno importanti riconoscimenti, la partecipazione a numerose accademie, come quella dei Lincei, e gli permetteno di mantenere frequenti contatti con i massimi esponenti del  campo della ricerca matematica. Proprio per questo, egli intrattenne numerosi carteggi con gli altri filosofi, ed è perciò incentivato all'apprendimento delle lingue straniere. Nonostante la lingua latina avesse smesso d’essere la lingua internazionale delle scienze, P., che crede ancora fortemente nella sua internazionalità pubblica i suoi studi sui concetti primitivi di zero, numero e successore, intitolati “Arithmetices Principia”, proprio in latino – Grice: “Whereas the only Latin Whitehead and Russell had allowed them to play with PRINCIPIA in the title one – Moore was worse with his Principia ethica! -- . P. si dedica similmente alla stesura di una imponente enciclopedia di concetti e teorie matematiche, il FORMOLARIO, di cui furono stampate cinque edizioni, la prima delle quali in francese e l'ultima proprio nella lingua internazionale da lui  elaborata, il Latino sine flexione. Le informazioni biografiche sono tratte da treccani.it/enciclopedia Dizionario Biografico, cur. Roero.  Eco, La ricerca della lingua perfetta in Italia, Roma-Bari, Laterza. P., Vocabulario de latino Internationale comparato cum anglo, franco (o gallo), germano, italo, russo, Greaco et sanscrito, Torino, Cooperativa. L'esigenza di creare una lingua internazionale deve essere nata in P. proprio in risposta alla necessità di comunicare in maniera precisa e veloce con quanti più studiosi e colleghi di ogni nazione. Ma l’evento che da il via alla composizione pratica di questa lingua è probabilmente la pubblicazione, avvenuta qualche anno prima e curata da Couturat, di frammenti inediti di Leibniz, nei quali il filosofo tedesco discute intorno all'istituzione di una lingua universale. La scelta, ricadde sul latino, sul quale egli opera una minuziosa opera di semplificazione, su esempio anche della lingua immaginata prima da Leibniz, che prevede una drastica regolarizzazione e semplificazione della grammatica, con una sola declinazione e una sola coniugazione, l'abolizione dei generi e del numero, l'identificazione d’aggettivo e avverbio, la riduzione dei verbi a copula + aggettivo (“... is shaggy” – Grice), e come rivela nelle parole di apertura del vocabulario de latino inter-nationale, quando dice «In scriptio precedente "De latino sine flexione", me explica idea de Leibniz, que declinatione et conjugazione non es  necessario. L'uso della lingua inventata allora, evidentemente a posteriori, è indirizzata alla comunità scientifica - la quale si suppone avesse già delle discrete basi della lingua antica. Così P. ne parla in un altro articolo. La differenza fra questa nuova applicazione e le precedenti è che mentre in matematica le idee sono precise, e le uguaglianze esatte, qui invece le idee o parole su cui si opera sono un po’elastiche, e l’uguaglianze sono solo approssimate. Quindi sostituendo l'uno all'altro membro dell'eguaglianza, spesso si trascura il COLORE (implicatura, Farbung) della frase. Ma ciò è un vantaggio nel linguaggio  scientifico – formale: Grice: formalists ad informalists -- , che tende al massimo di semplicità. Vedasi l'articolo Il latino quale lingua ausiliare internazionale di P., wikisource.org/wiki/Il_latino-quale_lingua_ausiliare_internazionale. Sulla base di studi compiuti su altre lingue moderne, P. decide d’eliminare una buona parte del lessico latino dal vocabolario della sua lingua, così come avevano già fatto altre lingue romanze 9000 nomen, 1700 adjectivo, et 2500 verbo Latino es mortuo in Franco. Ergo lingua moderno ignora numero enorme de voce de latino classico.  P, Vocabulario de latino Internationale comparato cum Anglo, Franco, Germano, Hispano, Italo, Russo, Graeco et Sanscrito. I casi nel latino sine flexione si esprimono solamente mediante l'uso di preposizioni, così com'è al giorno d'oggi per le lingue romanze, e non solo. In particolare si indica. Il genitivo con la preposizione DE. Il dativo con AD. L’ablativo con AB, ex, ecc. L’accusativo si desume dalla sintassi, secondo l'ordine SVO (nominativo-verbo- accusativo – PARIDE AMA ELENA) o secondo la costruzione qui (accusativo)-nominativo-verbo. Il nominativo non prevede l'uso di preposizioni. I nomi si desumono talvolta dal nominativo, talvolta dal genitivo, applicando le seguenti regole. Mantenendo la forma del nominativo (per esempio nel caso di parole di terza declinazione come il lat. MATER > «mater», o il lat. NOMEN > «nomen»); dal nominativo mutando le desinenze -US, -UM, -U, -ES (per esempio il latino classico LUPUS, BELLUM, CORNU, DIES) in «-o, -o, -o, -e» (in latino sine flexione «lupO, bellO, cornO, diE»). Dal genitivo, cambiando la desinenza -i in -o e -is in -e (es. lat. URBS > Lat. s.fl. «urbe»). La conseguenza di questo tipo di semplificazione è la ri-unione di tutte le parole sotto un unico caso, l'ablativo. I pronomi personali sono: me, te, is (ea, id), nos, vos, iis (eae, eos). I pronomi dimostrativi sono isto e illo. Il pronome relativo è ‘que.’ I pronomi indefiniti sono: omni, ullo, nullo, alio, multo,  e pauco (cf. Grice on Altham pleonetetic – Geach). Come sostene Leibniz, la categoria del genere non ha senso in una lingua razionale, poiché i referenti inanimati di per sé non hanno genere. P. decide di indicare il genere, per i soli referenti animati, con le parole «mas» e «femina» (ad esempio al posto di lat. MATER EST BONA P. preferisce le forme indeclinabili «mater est femina bono. Ma poiché nell'idea di 'madre' è già contenuta l'idea del femminile, è sufficiente «mater est bono. Cf. Bachelor is bona – Grice/Strawson, In defense of a dogma. Il femminile si mantiene  poi nel caso dei pronomi personali «is, ea, id» (es. «ea est bono»). Come per il genere, anche il numero non è marcato morfologicamente. Per indicare il singolare e plurale è sufficiente apporre «uno» e «plure» (ad esempio la frase latina UNUM OS HABEMUS ET DUAS AURES [it. 'abbiamo una bocca e due orecchie'] in Latino sine flexione diviene «habemus uno uno ore et plure duo aure», che semplificato - visto che nell'idea di 'due' è già  contenuta quella di 'plurimo' - appare «habemus uno ore et duo aure». Ai verbi devono essere omesse le desinenze di persona, modo e quasi sempre del tempo. La forma del verbo deve essere scelta dalla sua forma all'imperativo (del tipo lat. EGO CURRO > Lat. s. fl.  «me curre»). Per comporre la forma dell'infinito è sufficiente aggiungere il suffisso -re alle forme dell'imperativo (del tipo «curre» > «currere») e allo stesso modo si formano anche le forme del passivo (es. sul verbo latino AMARE si ha la forma indeclinabile ama, il cui infinito e passivo sono “amare.” Così al presente attivo si ha «me AMA te – PARIDE AMA ELENA» e al presente PASSIVO «me AMARE te; ELENA AMARE PARIDE. Vi sono alcuni casi particolari. Solo nel caso dei verbi es, pote, vol, e fi, le forme INFINITE sono «esse, posse, volle, e fieri». I verbi deponenti vengono trasformati in attivi per limitare le irregolarità. Per esprimere i tempi si aggiungono locuzioni come «heri, jam, in passato, nunc, cras, in futuro, vol,  debe», ecc. Esempi:  lat. EGO SCRIBO > «me (nunc) scribe»; lat. VOS LEGITIS > «vos lege»; lat. NOS AUDIVERAMUS > «nos IN PASSATO aude». Per indicare la funzione del verbo (modo) si usano le particelle si, ut, quod, ecc. e alcune perifrasi.  Esempi:  lat. LAUDANDO > «dum lauda»; lat. LAUDATO > «qui aliquo lauda»; lat. LAUDATURO > «qui lauda IN FUTURO». P. spiega anche come si compone il vocabolario o LESSICO del Latino sine flexione. Ogni nome e verbo deve essere invariabile. Devono essere presenti anche i vocaboli internazionali - scientitici - come «dyne, metro» ecc. I vocaboli possono essere scelti non solo dal latino classico ma anche da quello che egli identifica come latino popolare, ovvero diremmo oggi le lingue romanze o i volgari, qualora questo esista in almeno due di questi (come ad esempio caballus. La derivazione e la composizione dei vocaboli devono essere ridotte al modo seguente. I diminutivi si ottengono preponendo la parola «parvo» [it. 'piccolo/minuto']. I sostantivi astratti derivati da aggettivi sono sostituiti dagli aggettivi. Così il lat. ALTITUDO > «alto», il lat. BONITAS > «bono.Gl’aggettivi che derivano da sostantivi sono sostituiti dal sostantivo al genitivo. Così il lat. AUREO > «DE oro», il lat. ROMANO > «DE Roma. I sostantivi astratti derivati da verbi sono sostituiti dai verbi. Così il lat. VIVERE EST COGITATIO > «vive es cogita»; e. i sostantivi che esprimono colui che fa l'azione sono sostituiti da perifrasi. Così il lat. LAUDATORE > «qui lauda», allo stesso modo degli aggettivi derivanti da verbi, così il lat. ERRABUNDO > «qui saepe erra». Gl’avverbi derivati d’aggettivi valgono tanto come aggettivi quanto come avverbi.  Così il lat. BREVI > «brevi», it. 'brevemente/breve.’ Per esprimere opposizione è sufficiente apporre il prefisso ne- (su analogia con le forme latine SCIO/NESCIO, FASTUM/NEFASTUM, ecc. Così il lat. DIFFICILE > «ne-facile», ABNORMALE > «ne-normale». In alcuni casi è possibile utilizzare  anche la preposizione «ab» Le informazioni sono tratte dalla trascrizione del saggio di P., De latino sine flexione. Lingua auxiliare internationale,gutenberg. Nonostante il latino sine flexione sia stato pensato come lingue di comunicazione scritta, l'autore dà anche qualche informazione sulla sua pronuncia, che è simile a quella dell'italiano,  ma non in tutti i casi: c  k t  t  th ph  f  ch  X  h  h  rh qu  ku  P. sul finire del suo saggio asserisce che l'adozione di una lingua storico naturale come lingua internazionale è improponibile per via dei suoi risvolti politici. Così si spiega la sceltadel latino, lingua antica e ormai lingua di nessuno stato particolare e, se vogliamo, perfetta  proprio perché senza esercito. A sostegno della sua tesi riporta gli studi di altri filosofi che nel tempo hanno avanzato proposte simili alle sue, tra i quali compaiono i lavori di Lullo, Kircher, Dalgarno, Wilkins, Leibniz e decisamente più recenti, quelli di ROSA (si veda), Zamenhof, Schleyer, Couturat e Leau (Histoire de la langue  universelle). P. da mostra di conoscere la storia delle proposte di lingua universale anche nel suo saggio  Il latino quale lingua ausiliare internazionale, Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino, dove elenca le tipologie di proposte che sono state avanzate per risolvere il problema della confusione linguistica, quasi babelica, e in particolare si sofferma sulle due principali correnti dei suoi tempi: chi propone una semplificazione del latino e chi propone la creazione di una lingua internazionale a partire dal lessico internazionale. Ma poiché le parole facenti parte del lessico internazionale sono quasi tutte di origine latina – cf. Hare: dictor/dictum, Grice, implicatura, Strawson: prae-positio, Austin, per-forma --, P. ritiene più sensato ricorrere alla prima tipologia proposta, quella a cui in effetti è da ricondursi  anche il progetto del latino sine flexione.Vedasi P.wikisource.org/wiki/11 latino-quale lingua ausiliare_ internazionale. A differenza del deutero-esperanto di Grice, non usato ma da Grice, il latino sine flexione è utilizzato anche da altri filosofi come VACCA (si veda), in Sphoera es solo corpore, qui nos pote vide ut circulo ab omne puncto externo, LAZZARINI (si veda), in Mensura de circulo iuxta Leonardo[VINCI (vedasi) Pisano, e PANEBIANCO (vedasi) che discute proprio della lingua internazionale nell'opuscolo “Adoptione de lingua internationale es signo que evanesce contentione de classe et bello” (Padova, Boscardini). Vedasi ALBANI, BUONARROTI. PANEBIANCO (vedasi) è anche un grande appassionato di Esperanto, tanto che è solito firmarsi "esperantista socialista". Quest'ultimo, come si evince anche dal titolo della sua opera, vede nella lingua internazionale un modo per mettere la parola fine ai contrasti internazionali, e in particolare al capitalismo spietato. Inter-linguista, quale que es suo opinione politico aut religioso es certo precursore de novo systema sociale. Isto novo systema, in que homines loque uno solo lingua magis facile, commune ad illos non pote es actuale systema de "homo homini lupus", sed es systema sociale in que toto homines fi socio. Per ben adempiere a un tale compito, la lingua perfetta di PANEBIANCO (si veda) deve seguire gli stessi principi di quella di P. Es evidente que essendo id sine grammatica, id es de maximo facilitate et simplicitate. Ergo, es per illo quasi impossibile ad fac ambiguitate, excepto ad praeposito [“As when the conversational maxim, ‘avoid ambiguity’ is FLOUTED for the purpose of bringining in a conversational implicature”]. Etiam es multo plus rapido compone et scribe in isto lingua que in proprio lingua nationale. Si capisce allora che egli auspica che il latino sine flexione assurga a lingua di comunicazione non solo internazionale, ma anche quotidiana, e forse i suoi auspici si spingono sì avanti che lo vorrebbe elevato a lingua naturale, lingua madre di tutti i popoli. Nonostante sia stata utilizzata in più occasioni e sia tra le lingue ausiliarie internazionali italiane che conosceno più fortuna, la lingua di P. non raggiunse mai la fama e la diffusione d'uso che in vari momenti raggiunsero altre LAI, come ad esempio l'esperanto – se non, tra i griciani, il deutero-esperanto.  Ad ogni modo, rimane indubbia la qualità del progetto di P.: un filosofo che vede nella parola un'unità semplice e combinabile, indeclinabile, capace di esprimere il mondo in maniera esatta, così come fanno i numeri. Sua è infatti la citazione, parecchie equazioni logiche sono nello stesso tempo equazioni etimologiche. wikisource.org/wiki/il_latino_quale_lingua_ausiliare_internazionale, la lingua di P. si limita a giustapporre, a comporre i suoi elementi invariabili secondo un ordine logico, eliminando gl’imbarazzi della grammatica latina classica. P. divenne presidente dell’Accademia internazionale di lingua universale, e la ri-nomina Academia pro Interlingua. L'accademia nasce sotto la presidenza di Kirchhoff con il nome d’accademia internazionale di VOLAPÜK. I suoi membri potevano utilizzare la lingua a loro più congeniale e intorno ad essa orbitarono esponenti dei più prestigiosi progetti di lingue ausiliarie internazionali. L'accademia pubblica la proposta di una nuova lingua universale di base latina con il nome, appunto, d’inter-lingua, sotto la quale si cela il latino sine flexione del suo presidente, con qualche leggera modifica (come ad esempio l'uso della desinenza -s per indicare  il plurale). P.’s postulates, also called P, axioms, a list of assumptions from which the integers can be defined from some initial integer, equality, and successorship, and usually seen as defining progressions. The P. postulates for arithmetic are produced by P. He takes the set N of integers with a first term 1 and an equality relation between them, and assumed these nine axioms: 1 belongs to N; N has more than one member; equality is reflexive, symmetric, and associative, and closed over N; the successor of any integer in N also belongs to N, and is unique; and a principle of mathematical induction applying across the members of N, in that if 1 belongs to some subset M of N and so does the successor of any of its members, then in fact M % N. In some ways P.’s formulation was not clear. He had no explicit rules of inference, nor any guarantee of the legitimacy of inductive definitions which Dedekind established shortly before him. Further, the four properties attached to equality were seen to belong to the underlying “logic” rather than to arithmetic itself; they are now detached. It was realized by P. himself that the postulates specified progressions rather than integers e.g., 1, ½, ¼, 1 /8,..., would satisfy them, with suitable interpretations of the properties. But his work was significant in the axiomatization of arithmetic; still deeper foundations would lead with Russell and others to a major role for general set theory in the foundations of mathematics. In addition, with Veblen, Skolem, and others, this insight led in the early twentieth century to “non-standard” models of the postulates being developed in set theory and mathematical analysis; one could go beyond the ‘...’ in the sequence above and admit “further” objects, to produce valuable alternative models of the postulates. These procedures were of great significance also to model theory, in highlighting the property of the non-categoricity of an axiom system. A notable case was the “non-standard analysis” of Robinson, where infinitesimals were defined as arithmetical inverses of transfinite numbers without incurring the usual perils of rigor associated with them. Fu l'ideatore del latino sine flexione, una lingua ausiliaria internazionale derivata dalla semplificazione del latino classico. Nacque in una modesta fattoria chiamata "Tetto Galant" presso la frazione di Spinetta di Cuneo. Fu il secondogenito di Bartolomeo P. e Rosa Cavallo; sette anni prima era nato il fratello maggiore Michele e successivamente nacquero Francesco, Bartolomeo e la sorella Rosa. Dopo un inizio estremamente difficile (doveva ogni mattina fare svariati chilometri prima di raggiungere la scuola), la famiglia si trasferì a Cuneo. Il fratello della madre, Giuseppe Michele Cavallo, accortosi delle sue notevoli capacità intellettive, lo invitò a raggiungerlo a Torino, dove continuò i suoi studi presso il Liceo classico Cavour. Assistente di Angelo Genocchi all'Torino, divenne professore di calcolo infinitesimale presso lo stesso ateneo a partire dal 1890.  Vittima della sua stessa eccentricità, che lo portava ad insegnare logica in un corso di calcolo infinitesimale, fu più volte allontanato dall'insegnamento a dispetto della sua fama internazionale, perché "più di una volta, perduto dietro ai suoi calcoli, [..] dimenticò di presentarsi alle sessioni di esame".  Ricordi del grande matematico (e non solo della vita familiare) sono raccontati con grazia e ammirazione nel romanzo biografico Una giovinezza inventata della pronipote Lalla Romano, scrittrice e poetessa. Aderì alla massoneria, iniziato nella loggia Alighieri di Torino guidata dal socialista  Lerda.  Morì nella sua casa di campagna a Cavoretto, presso Torino, per un attacco di cuore che lo colse nella notte.  Il matematico piemontese fu capostipite di una scuola di matematici italiani, tra i quali possiamo annoverare Vailati, Castellano, Burali-Forti, Padoa, Vacca, Pieri e Boggio. Peano precisa la definizione del limite superiore e fornì il primo esempio di una curva che riempie una superficie -- la cosiddetta "curva di Peano", uno dei primi esempi di frattale -- mettendo così in evidenza come la definizione di curva allora vigente non fosse conforme a quanto intuitivamente si intende per curva.  Da questo lavoro partì la revisione del concetto di curva, che fu ridefinito da Jordan (curva secondo Jordan).  Fu anche uno dei padri del calcolo vettoriale insieme a Levi-Civita. Dimostra importanti proprietà delle equazioni differenziali ordinarie e idea un metodo di integrazione per successive approssimazioni.  Sviluppa il Formulario mathematico, scritto dapprima in francese e nelle ultime versioni in interlingua, come chiama il suo latino sine flexione, contenente oltre 4000 tra teoremi e formule, per la maggior parte dimostrate. Da un eccezionale contributo alla logica delle classi, elaborando un simbolismo di grande chiarezza e semplicità. Da una definizione assiomatica dei numeri naturali, i famosi assiomi di P. che vennero poi ripresi da Russell e Whitehead nei loro Principia Mathematica per sviluppare la teoria dei tipi.  I contributi di Peano sulla logica furono osservati con molta attenzione da Russell, mentre i contributi di aritmetica e di teoria dei numeri furono osservati con molta attenzione da Vailati, il quale sintetizzava in Italia il passaggio tra l'esame delle questioni fondamentali e l'applicazione di metodiche di analisi del linguaggio scientifico, tipica degli studi logici e matematici, e anche specifica gli interessi di storia della scienza, allargando la prospettiva anche agli studi sociali. Per questo P. ha dei contatti molto stretti con il mondo degli studiosi di logica e di filosofia del linguaggio nonché gli studiosi di scienze sociali empiriche (Cfr. Rinzivillo, P., Vailati. Contributi invisibili in Rinzivillo, Una Epistemologia senza storia” (Roma Nuova Cultura). Ha ampi riconoscimenti negli ambienti filosofici più aperti alle esigenze e alle implicazioni critiche della nuova logica formale. E affascinato dall'ideale leibniziano della lingua universale e sviluppa il "latino sine flexione", lingua con la quale cercò di tenere i suoi interventi ai congressi internazionali di Londra e Toronto. Tale lingua e concepita per semplificazione della grammatica ed eliminazione delle forme irregolari, applicandola a un numero di vocaboli "minimo comune denominatore" tra quelli principalmente di origine latina rimasti in uso nell’italiano. Uno dei grandi meriti della sua opera sta nella ricerca della chiarezza e della semplicità. Contributo fondamentale che gli si riconosce è la definizione di notazioni matematiche entrate nell'uso corrente, come, per esempio, il simbolo di appartenenza (“x A”) e il quantificatore esistenziale "".  Tutta l'opera di P. verte sulla ricerca della semplificazione, dello sviluppo di una notazione sintetica, base del progetto del Formulario, fino alla definizione del latino sine flexione. La ricerca del rigore e della semplicità lo portano P. ad acquistare una macchina per la stampa, allo scopo di comporre e verificare di persona i tipi per la “Rivista di Matematica” da lui diretta e per le altre pubblicazioni. Raccolge una serie di note per le tipografie relative alla stampa di testi di matematica, uno per tutti il suo consiglio di stampare le formule su righe isolate, cosa che ora viene data per scontata, ma che non lo era ai suoi tempi. Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia Ufficiale della Corona Commendatore della corona L'asteroide  P. è stato battezzato così in suo onore.  Il dipartimento di Matematica di Torino è a lui dedicato. Molti licei in Italia portano il suo nome, come ad esempio a Roma, Cuneo, Tortona, Monterotondo, Cinisello Balsamo o Marsico Nuovo, così come la scuola di Tetto Canale, vicina alla sua città natale. Saggi: “Aritmetica”; “Algebra” (Torino, Paravia,); “Forma matematica” (Torino, Bocca); “Calcolo differenziale”; “Calcolo integrale” (Torino: Bocca); “Analisi infinitesimale” (Candeletti); “Calcolo infinitesimale e geometria” (Torino: Bocca), “Logica della geometria” (Torino: Bocca)”; “Principio dell’arimmetica” (Torino, Paravia); “Giochi di aritmetica e problemi interessanti” (Paravia, Torino). Provai una grande ammirazione per lui quando lo incontrai per la prima volta al Congresso di Filosofia, che e dominato dall'esattezza della sua mente. Russell. Amico, Storie della scuola italiana. Dalle origini (Zanichelli, Bologna); Celebrazione, Luciano e Roero Torino); “Storia di un matematico” (Boringhieri).  L. Romano, “Una giovinezza inventata” (Torino, Einaudi); Racconta episodi del rapporto con il prozio Giuseppe.  Assiomi di P., Glottoteta, Lingua artificiale, Matematica, Latino sine flexion, Cassina Calcolatori ternari M. Gramegna  Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. E P. stregò Russell. The third kind of term, things, are only the entities indicated by proper names, but they have no additional relation with other terms. This leads Russell to consider the sole denoting concept which presupposes uniqueness -- "the.” Russell admits the great importance of this term, recognizes the merit of P.'s notation, and attributes to P. the capacity to make possible genuine mathematical definitions defining terms which are not concepts, the meaning of a word with its indication-reference and the meaning of a denoting concept with its denotation. P. does something more than provide the standard notation. The pre-eminence of a description over other forms of denotation is definitive. The notation for a description is inspired in the Peanesque symbolism (i.e. "laeb"). Membership to a class is replaced by a propositional function (i.e. (l£)(<I>X)). A propositional function is explained as a certain denoting function of <l>x, which, if <1>£ is true for one and only one value ofx, denotes that value, but in any other case denotes (P).p. Perhaps most interestingly for us is the insistence on the indefinability of "the" – P.'s inverted iota is already used -- together with the notion of denotation. The article, as published, adds the expression of the main definition in terms of propositional functions together with the previous manuscript definition in P.'s terms of existence and uniqueness, albeit if not in symbolic form. The two essential definitions are Principia, * 14.01.02: . \jI(IX)(epX) • =.(3b) : epx •=~ .x=b : \jib E ! ( 7 X ) ( e p X ) • = . ( 3 b ) : 4 > x . =• . x = b. This expresses the conditions of existence and uniqueness essentially with P.’s resources, i.e., in terms of quantification and identity, although adding propositional functions. P. has different vresources to eliminate the definite article – his inverted iota -- from a proposition. P. actually recommends this line in cases where the required conditions of existence and uniqueness are doubtful, precisely through a sort of definition in use. The descriptor is by no means indefinable in his system.  Russell:  "I read Schrader on Relations and found his methods hopeless, but P. gave just what I wanted (Letter to Jourdain, in Grattan-Guinness). If, as Russell maintains in Principia, following P., that a definition is to be always nominal, the definienda is only an abbreviation. Russell formulates his principle to preserve the admissible part of Bradley’s analysis -- (his methodological and analytical resourses -- and almost the entire Moore, in so far as they were compatible with the requirements of Peano's logic. Some of the mostti mportant ideas and symbolic devices that made Russell's theory of descriptions possible are already present in essays Peano that Russell knows well. We may proceed by a detailed comparison between the relevant parts of Russells theory -- including manuscripts now published-and some of Frege and , . . ht as well as a discussion of numerous possible obJectlons that P.’s mSig s, . . fl db could be posed to the main claim. Even if Russell was not actually influenced by those insights, the parallelisma are close enough to be worth analyzig, especially in the case of P., whose writings are not very well known.  (r) can be clearly found in Frege and Peano, that (2) was almost admitted by Frege and was admitted explicitly-including the symbolic expression by P.. THE SYMBOLIC ELIMINATION OF "THE" IN P.. The source in P. of the symbols relevant to Russell's theory of descriptions have been noted and sometimes explained (see, .for instance, 1988a and 199Ia, Chap. 3). I will confine myself to recalling that they were the letter iota (i) for the unit class, and the same letter inverted (1), or denied ("fa), for the only member of thiS class, i. e., the definite article of ordinary language. P.'s ideas evolved in three stages towards greater precision in the treatment of a description. This last P. starts from the definition in terms of the unit class. He then adds a series of possible definitions (the ones allowing an alternative logic al order), one of which offers this equivalence. P. introduces his fundamental d~fimt~on ~f the u:l1t class as the class such that all of its members are identical. In P.’s symbols, tx =ye (y =x). Likewise, P. defines indirectly the.unique member of such a class: x = "fa • = • a = tx. However, concerning the definability of the definite article, P. adds the crucial idea that any proposition containing “the” can be reduced to. the for,? ta eb, and thiS, again, to the inclusion of the referr~d .um~ class in the oth~r class (a ~ b), which already supposes the elimination of the symbol t: Thus, P. says, we can avoid an identity whose first member contams thiS symbol. Here we find the assertion that the only individual belonging to a unit II As an anonymous referee pointed out to me, one ~aj~rdifferenc~between P. and Russell's treatment of classes in the context of descnption theolJ' is that, while, for Peano, a description combines a class abstract with the inverse of the umt class operator, for Russell the free use of class abstracts is not available due to the discovery of paradoxes. P. does not explicitly state that the mentioned expression would be meaningless, but rather "nous ne donnons pas de signification a ce symbole si la classe a est nulle, ou si elle contient plusieurs individus.” But this is equivalent in practice, given that if we do not meet the two mentioned conditions, the symbol cannot be used at all. There are, however, other ways of eliminating the same symbols according to P.. One which is very similar and depends on the same hypothesis: laE b. = : a = tx. :Jx • Xc b(ibid).   class (a) such that it belongs to another class (b) is equal to the existence of exactly one element such that this element is a member of that class (b). In other words: "the only member of a belongs to b" is to be the same as "there is at least one x such that (i) the unit class a is equal to the class constituted by x, and (ii) x belongs to b" (or "the class of x such that a is the class constituted by x, and that x belongs to b, is not an empty class"). This seems to be equivalent to Russell's definition. P., of course, speaks in terms of classes instead of a propositional function, i. e., in terms of the property or the predicate, which define a class – P. often read the membership symbol as "is" -- which expresses the same idea in a way where any reference to the letter iota has been eliminated. We can read now "the only member of a belongs to b" as the same as "there is at least one x such that (i) the unit class a is equal to all the y such that y =x, and (ii) x belongs to b" (or "the class of x such that they constitute the class ofy, and that they constitute the class a, and that in addition they belong to the class b, is not an empty class"). Thus, the full elimination underlies the definition, although P., in lacking a specifically explicit philosophical goals, shows no interest in making this point. Peano is totally aware of the importance of this device as a way to reduce the definite article to more primitive logical concepts, i.e. to eliminate it, as a result of which the symbol would cease to be primitive. That is why P. adds that the above definitions "expriment la P[proposition] 1a Eb sous une autre forme, OU ne figure plus Ie signe 1; puisque toute P contenant le signe 1a est reductible a la forme 1aEb,OU bestuneCIs, on pourra eliminer Ie signe 1 dans toute P.” Therefore, the general belief according to which the symbol "1" was necessarily primitive and indefinable for P. is wrong. By pointing out that in the "hypothesis" preceding the quoted definition it is clearly stated that the class "a" is defined as the unit class in terms of the existence and identity of all of their members (i.e. uniqueness): Before making more explicit the parallelism with Russell's theory, let us consider possible objections against this rather strong claim. All of these objections are either misconceptions or simply have no force with regard to P.’s main claim. This is why"a"is equal to the expression ''tx'' (in the second member). The objection could still be maintained by insisting that since"a" can be read as "the unit class", P. did not really achieve the elimination of the idea he was trying to define and eliminate, as it is shown through the occurrence of these words in some of the readings proposed above. However, as I will explain below, the hypothesis preceding the definition only states the meaning of the symbols which are used in the second member. Thus, "a" is stated as "an existing unit class", which has to be (1) It is true that the symbol "1" has disappeared, but in the definiens we still can see the symbol of the unit class, which would refer somehow to the idea that is symbolized by ''tx'', so the descriptor has not been really eliminated. The answer is very simple: for P. there were at least two forms ofdefining this symbol with no need for using the letter iota (in any of its forms). However, the actual substitution would lead us to rather complicated expressions,14 and given P.'s usual way of working (which can be First, by directly replacing tx by its value: y 3(y = x), as defined above. Making the replacement explicit, we have: 14 Starting from this idea, we can interpret the definition as stating that "la Eb" is only an abbreviation for the definiens and dispensing with the conditions stating exist- ence and uniqueness in the hypothesis, which have been incorporated to their new place. Thus, the new hypothesis would contain only the statement of"a" and"b" as being classes, and the final entire definition could be something like the following: la Eb • =:3x 3{a =y 3(y =x) • X Eb}, a, bECls.::J :. ME b. =:3XE([{3aE[w, zEa. ::Jw•z' w= z]} ={ye(y= x)}] •XEb), a E Cis. 3a: x, yEa. ~x.y.X = y: bE CIs •~ : ... (Ibid.) understood in this way: " 'a' stands for a non-empty class su~h that all of its members are identical." Therefore, we can replace "a", wherever it occurs, by its meaning, given that this interpretation works as only a purely nominal definition, i.e. a convenient abbreviation.  characterized as the constant search for shorter and more convenient formulas), it is quite understandable that he preferred to avoid it. In fact, the operation is by no means necessary, for the symbolic expression above was already enough to obtain the full elimination of the descriptor. We must not forget that the important thing is not the intu- itive and superficial similarity between the symbols "la" and ''tx'', caused simply by the appearance of the letter iota in both cases, or the intuitive meaning of the words "the unit class", but the conditions under which these expressions have been introduced in the system, which were completely clear and explicit in the first definition.IS "k e K" as "k is a class"; see also the hypothesis from above for another example). But this by no means involves confusion with i~clusion,as. it is shown by the fact that P. soon added four defimte properties precisely distinguishing both notions, which made it po~siblefor.hi~~.~ for Russell himself, to preserve the useful and convenient readmg is (2) The supposed elimination is a failure, for (i) it depends upon Peano's confusion of class membership and class inclusion, so that (ii) a singleton class (la) and its sole member (lX) are not clearly distinct notions; it follows that (iii) "a" is both a class and, according to the interpretation of the definition, an individual (iv), as is shown by joining the hypothesis preceding the definition and the definition itself This multiple objection is very interesting because it can be taken as proceed- ing from the received view on P., according to which his logic not only falls s~ort ofstrict logical standards, but also contains some import- ant confuSions here and there. However, the four points can easily be s~own t? be mistaken. (Incidentally, I think this could have been recog- mzed With pleasure by Russell himself, who always thought of P. and his school as being strangely free oflogical confusions and mistakes.) . Fir~t, it ~n hard~y be said that P. confused membership and mcluslOn, given that it was he himselfwho introduced the distinction through his symbol "e" (previously to, and therefore independently of, Frege). If the objection means (which is rather unlikely) that P. would admit the symbol for membership as taking place between two classes, it is true that this was the case when he used it to indicate the meaning of some symbols, but only through the reading "is" (e.g. full clarity that"1" (T) makes sense only before individuals, and ''t'' before classes, no matter which particular symbols we use for these notions. Thus, ''ta'', like "tx", both have to. be read as "the class consti- tuted by ...", and" la" as "the only member of a". Therefore, although P., to my knowledge, never used "lX" (probably because he always which could be read as " 'a and b being classes, "the only member of a belongs to b" is to be the same as "there is at least one x such that (i) 'there is at least one a such that for eve~,': and z belonging to a,.w = z' is equal to 't~ey such that y =. x' , and (ii) x belongs to b ,where both the letter Iota and the words the unit class" have disappeared from the definiens. aeCis.3a:x,yea.-::Jx,y. x=y:beCIs•~:. . l a e b . = : 3 x 3(a = t x . x e b), 15 There is a well-known similar example in the apparent vicious circle of Frege's famous definition ofnumber. the reply to objection (1). There are other, minor objections as well. Second, "la" does notstand for the singleton class. P. stated with thought in terms of classes), had he done so its meaning, of course, would have been exactly the same as "la", with no confusion at all. Third, "a" stands for a class because it is so stated in the hypothesis, although it can represent an individual when preceded by the descriptor, and together with it, i.e. when both constitute a new symb.ol as a w.hol~. Here P.'s habit could perhaps be better understood by mterpretmg it in terms of propositional functions, and then by seeing" la" as being somewhat similar to <!>x, no matter what reasons ofconvenience led him to prefer symbols generally used for classes ("a" instead of"x"). There is little doubt that this makes a difference with Russell. It could even be said that while, for Peano, the inverted iota is the symbol for an operator on classes, which leads us to a new term when it flanks a term, for Russell it was only a part of an "incomplete symbol". I am not sure about P.'s answer to this, but at any rate for him the descriptor could be eliminated only in conjunction with the rest of the full express- ion "la e b", so that the most relevant point of similarity again can be found in P.. Last, there is no problem when we join the original hypothesis and the definition: as I have pointed out in the interpretation contained in the last part of (3) If, as it seems, "a" is affected by the quantifier in the hypothesis, then it is a variable which occurs both free and bound in the formula (if it is a constant, no quantifier is needed). I am not sure about the possible reply by P. himself Perhaps he did not always distinguish with present standards o f clarity between the several senses o f "existence" (or related differences) involved in his various uses of quantifiers,r6 but in principle there is no p'roblem when a variable appears both bound and free in the same expression, although in different occurrences. At any rate, I cannot see how this could affect my main claim; the important thing here is to recognize the fundamental similarities between the elim- ination of the descriptor in P. and Russell. However, in the several readings I proposed I hope to have clarified a little the role of ".3" in P. . (5) P. could hardly have thought that he was capable of eliminat- ing the descriptor, for he continued to use the symbol and his whole system depended on it as a primitive idea.IS The only additional reply is that only reasons ofconvenience can explain the retaining ofa symbol in a system in cases where the symbol can be defined, i.e. eliminated. (After all, Russell- himself continued to use the descriptor after its elimination by means of his theory of descriptions.) But, as we have seen, there is no doubt P. thought that the descriptor could easily be eliminated from propositions. (4) Russell rejected definitions under hypothesis, therefore he would have rejected the Peanian definition of the descriptor. Of course, we must admit that Russell (like Frege) rejected this kind ofdefinition, but this took place especially in the context of the unrestricted variable of Principia.I ? Besides, he himself used this kind of definition for a long period once he mastered P.'s system. It was because he interpreted these definitions as P. did, i.e. merely as -a device for fixing the meaning of the letters used in the relevant symbolic expressions. Thus, when for instance one reads, after whatever symbolic definition, things like" 'x' being ..." or" 'y' being ...", this would really be a definition under hypothesis, but, of course, only because the meaning of the sym- bols used always has to be determined somehow. Anyway, there is no point in continuing the discussion ofthis objection, given that it is hard- ly relevant to my main claim. Even if P.'s original elimination of the descriptor does not work because of its taking place in the framework of a merely conditional definition, the force of his original insight could well have influenced Russell; at any rate, it is worth knowing in itself (6) The reduction mentioned, even if it really took place, was by no means followed by the philosophical framework which made Russell's theory of descriptions one of the most important logical successes of the century. Thus, P. did not realize the importance of the elimination. This last point can hardly be denied, but P.'s goals were very different from Russell's, so I think that to point out a "lack" like this makeslittle sense from a historical point ofview. 16 I would like to recall here that it was P. himselfwho discovered the distinction between bound and free variables (which he respectively called "apparent" and "real"), and probably-and independently of Frege-also the existential and universal quantification (see my I988a and I99Ia for a detailed account of both achievements). Quine wrote that "1" was a primitive and indefin- able idea in P. However, now that we have exchanged several letters concerning an earlier version ofthis article, I must say he has changed his mind. His letter to me ofII October 1990 contains the following passage: "I am happy to get straight on P. on descriptions. I checked your reference and I fully agree. P. deserves all the credit for it that has been heaped on Russell (except perhaps for Russell's elaboration of the philosophical lesson of contextual definition)". As for the sense in which the philosophical consequences of the elimination of the descriptor were not very important for P., I have faced the problem in my reply to an objection. And also in previous stages, through the (finally unsuccessful) attempt at a substitutional theory based upon propositions, with no classes and no propositional functions. . For according to him the descriptor cannot be defined in isolation, but only in the context of the class (a) from which it is the only member (la), and also in the context of the clas~ from which that class is a member, at least to the extent that the class a is included in the class b, although this supposes no confusion between membership and inclusion; see the second point of my reply to objection (2) above. I think this is just the right interpretation ofthe whole expression"1a Eb". In any case, I cannot help being convinced that none of these objec- tions seems to have any force against my main claim: that the elimin- ation of the descriptor was present in P. with essentially the same symbolic resources as in Russell. This is equivalent to the first two claims at the beginning of this paper: P. clearly stated the conditions of existence and uniqueness as providing the true significance of the descriptor; and (2) he had enough symbolic techniques for dispensing with it, including those required for constructinga definition in use. We have a few relevant passages, but the clearest one occurs. There we can read that" Ta" is meaningless if the conditions of existence and uniqueness are not ful- filled. Thus, even the third claim was made by P.. Perhaps under certain different interpretations of P.'s devices it could be shown that his elimination of the descriptor was not exactly equivalent (in the tech- nical sense) to Russell's. Yet even if so, I think that from the historical viewpoint, which means to do justice both to P. and Russell, it is important to know that P. had these resources at his disposal,' and that they may have influenced Russell. However, we can see the heritage from P. in a clearer way if we compare the definition with the version for classes in the same letter: . The parallelism is therefore complete, but before finishing this paper I want to insist on my main claims by resorting now to one of Russell's manuscripts, "On Fundamentals. First, we find there a definition stated in terms similar to P.'s, and with almost exactly the same symbolic resources: Finally, I am not accusing Russell of plagiarism. I only affirm that some ofthe ideas and devices which are important for the eliminative definition of the descriptor were already present in Frege and P., including the conceptual and symbolic resources, and that these works are ones that Russell had studied in detail before his own theory was formulated. Second, the later improvement of this definition is precisely in the sense of making clearer that, although the method of the propositional function was preferable to the one of class membership, the symbolic expression of the conditions of existence and uniqueness is preserved. Even the idea -- also coming from P. -- according to which we cannot define the expression “la" alone, but always in the context of a class (which in Russell became the form of a propositional function), appears here. Benacerraf, and Putnam, Philosophy of Mathematics  (Cambridge). The first appearance of Russell's definition, under the form which was adopted as final, took place, not in "On Denoting", but in a letter to Jourdain: According to that, all other influences must be regarded as secondary. Concerning Meinong's influence, for Russell the principle of subsistence disappears as a consequence of the eliminative construction of the definite article, which was a result of the new semantic monism. Russell's later attitude to Meinong as a "main enemy" was only a comfortable recourse (v. however, Griffin). As for Bacher, Russell himself admitted some influence from his nominalism.  In fact, Bacher describes mathematical objects as "mere symbols" and he advises Russell to follow this line of work in a letter (only two months before Russell's key idea): "the 'class as one' is merely a symbol or name which we choose at pleasure" (quoted by Lackey [Russell). Finally, for MacColl it is necessary to mention his essay where he spoke of "symbolic universes", which include things like round squares, and also spoke of "symbolic existence". Russell pub- lished his essay as a direct response to this author, and there we can see some conclusions from the unpublished manuscripts, although still by solving peculiar cases in a Fregean context. I agree with Grattan-Guinness that MacColl was an important part of the context of Russell's ideas on denoting (personal communication), but I have no room here to devote to the matter. There is, however, a previous occurrence of this definition in the,manuscript "On 'JI(lX)(<I>x)•=•(:3b):<j>x.=x.X =b:'JIb. (Grattan-Guinness  Substitution"  written with only slight symbolic differences. I am indebted to Landini for the historical point. 'JI(t'u)•=:(:3b):xEU.=x.X =b:'JIb. Peano, G., as. Opere Scelte, ed. U. Cassina, Roma: Cremonese, Studii di logica matematica". Repr. Logique mathematique. Repr. Analisi della teoria dei vettori, repr. Formules de logique mathematique. CONGRESSO INTERNAZIONALE DI FILOSOFIA   BOLOGNA. Una questione grammatica RAZIONALE, speculativa, filosofica – morfo-sintattica, semantica, prammatica. STftBILIMEMro iJOLICiKMNCO EMILIHMO BOLOarifì. Discorso. UNA QUESTIONE DI GRAMMATICA RAZIONALE. Leibniz, nel suo saggio “de grammatica rationali” pone  le basi di un nuovo campo di studi, che solo in questi ultimi tempi comincia ad essere coltivato. Il compianto VAILATI (si veda), rapito or sono due anni da immatura morte alla filosofìa, presenta al Congresso della Società Italiana pel progresso delle scienza, tenutosi a Firenze e pubblica un saggio, La grammatica dell’algebra, ove studia a che cosa corrispondano gl’elementi grammaticali – sintattica, semantica e prammatica – in una formula – logica o algebrica. P. tratta del valore logico – semantico -- delle categorie “grammaticali” – sintattica, semantica, prammatica.   La grammatica latina di DONATO (la prima, essecutata in eta volgare) classifica le espressioni in categorie o, meglio, parti del discorso, -- le otto parti dell’orazione -- chiamate I nome sostantivo, nome aggettivo,  pronome, verbo, avverbio, preposizione, intergezione, etc. Il loro numero è generalmente nove. Alcuni grammatici posteriori al Donato ne hanno meno. La grammatica  greca di Dioniso ne hanno dieci, compreso l’ articolo – soppresso nella lingua latina, ma represso nella lingua italiana e nella lingua francese. Questo numero  dieci è fìsso nella grammatica francese ispirata da DONATO. I italiani sono  più variabili, o volatili – la prima grammatica del volgare e di un filosofo che parla una forma molto primitiva del toscano! Peano si propone di esaminare se questa classificazione – di DONATO, basato nel VARRONE, o nella grammatica volgare del toscano – “grammatica sine authore – sia meramente formale o REALE, cioè se l’essere una espressione nome  sostantivo, nome aggettivo (Grice da un solo essempio, “shaggy”) o verbo, o avverbio (“non), o preposizione, o congiunzione (“e,” “o”, “se”) è una proprietà dell’ente che l’espressione indica, ovvero solo meramente della forma dell’espressione   La questione presenta un interesse di attualità, ora che  molti si occupano di lingue inter-nazionali, più o meno artificiali. Il Volapiik, in grande voga or sono venti anni,  termina ogni nome aggettivo colla desinenza indo-europea, aria, o indo-germanica “-ico”  del tipo latino “prosaico,” “publico,” “classico,” ed ellenistico “logico,” “geometrico,” “conico,” ecc. Questa idea, sotto forme diverse,  e adottata da alcuni filosofi di interlingue più recenti. Il Deutero-Esperanto di H. P. Grice, nelle varie forme, fa terminare ogni nome sostantivo in “-o” e ogni nome aggettivo in “-a.” (L’essempio di Grice: “shaggy-a”. Quindi i filosofi di queste lingue ritengono che la classificazione delle parti del discorso – parti dell’orazione -- e non meramente formale, ma reale.  Un esempio rischiarerà la differenza fra proprietà reale  e proprietà formale – use and mention – Grice, la parola ‘MOTHER’ used as a paper-wright. Le proposizioni, L’uomo è animale razionale,” “ “Uomo” consta di quattro lettere” esprimono rispettivamente una proprietà reale o materiale ed una formale di “uomo”. Si suol anche dire che la prima esprime  una *proprietà* dell 'ente uomo (linguaggio oggeto) e la seconda una proprietà  dell’espressione ‘uomo’ (meta-linguaggio).   Si tratta di vedere se la proposizione:  “uomo è sostantivo”  e del tipo formale o reale.  Un criterio che spesso permette di distinguere una proprietà reale da una formale o meramente verbale – o espressiva -- è la versione della proposizione in altra lingua, come nel francese. Cosi se al posto di uomo metto l’equivalente francese ‘homme’, la proprietà reale  rimane vera – French men are rational --,  la formale non è più verificata, perche “homme” consta di cinque lettere, non quattro, come nella lingua italiana. Questo criterio non  basta sempre. Per es. se sostituisco l’italiano “uomo” con, allora, il latino “homo,” tanto la proprietà reale  quanto la proprieta formale risultano verificate. La versione della  proposizione nelle lingue europee, non permette di riconoscere  chiaramente se sostantivo sia una proprietà meramente formale dell’espressione o reale del topico che si tratta, perchè la grammatiche della lingua italiana (‘sine autore’) adotta la nomenclatura della grammatica latina di DONATO che si  adatta loro abbastanza bene, perchè una lingua neo-latina come l’italiano o il francese sono tutte parenti prossime del latino.  Esse non sono che varie fisionomie di una stessa lingua. Qualche differenza già si intravvede. II latino “homo” è  certamente un nome sostantivo perché ha tutta la declinazione:  nominativo: homo, familiaris o genitivo: hominis , dativo: homini, causativo hominem, ablativo homini, locativo homine, vocativo, homine, etc. Invece l’inglese “man” è dato  nei vocabolari o come un sostantivo, = I. uomo , o come  un *verbo* attivo, nel senso di equipaggiare una nave, di  provvedere di soldati un forte, etc. La differenza si fa più evidente, confrontando lingue di  origine differente. La distinzione fra la proprietà reale e la proprieta formale si incontra pure in matematica o arimmetica (Austin, Frege). Il segno “=” indica  sempre l’eguaglianza fra i valori dei due membri (Clark Kent = Superman). Ma “Clark Kent e meno da Superman, x<y, o mai da Superman (x>y) e un assurdo. Da x~y,  segue che ogni proprietà *reale* di a: è pure una proprietà  reale di y. Le proprietà formali possono essere diverse. Delle  due proposizioni:   */, è frazione minore di 1.  s / 3 è frazione irreduttibile,   la prima esprime una proprietà reale, la seconda una formale di s / 3 . Essendo */ 3 = */, sostituendo alla prima forma la seconda, la prima proposizione rimane vera, la seconda  falsa. Bréal, nell’ Essai de  sémantique (Paris), dice: Il y a des langues qui ne distinguent pas les categories. La stessa osservazione è ripetuta più volte da Mùller. In “The science  of Thought, London, egli spiega che le dieci categorie del LIZIO – I SUBSTANTIA OvGlu , II QVALITAS stoGÓv, III QVANTITAS tcoióv, IV RELATIO xyóg ti, V tcov. •xot £, VI xbìó9'CU ì VII tytup sroiffr,  VIII nàd'ft IX X tv -- dopo essersi fuse, decomposte e trasformate, diedero luogo  alle dieci parti dell’orazione delle grammatica di DIONISO e DONATO (per la lingua latina).  Mùller osserva che il LIZIO trasse le dieci  categorie, non dalle grammatica greca di DIONISO (ancora da scriversi), ma dalla *lingua* greca. E che se il rettore del LIZIO (questo Aristottele)i, invece che un provinciale che adotta il greco volgare parlato a Stagira, fosse stato (o parlato) semita o cinese, avrebbe latto una differente classificazione in categorie. Ma possiamo osservare il carattere formale delle categorie *grammaticali* -- d’espressione --, nella lingua italiana nostra *senza* ricorrere a una lingua non europee.  Considero ad esempio la proposizione di Fedro [1, fij. Sic est locutus “leo,” ego primam tollo, nominor *quia* “leo” – Huxley: Rightly is a pig named ‘pig’. Qui, “ego = leo.” (Io sono un leone – tu sei la crema del mio caffe). Ma “leo” (o crema) è nome sostantivo secondo le grammatica senza autore – italiana --, ego è pronome, dunque:   pronome = sostantivo, cioò ogni pronome è un sostantivo ed ogni sostantivo può  essere rappresentato da un pronome – “questo,” “quello” – Bradley, thisness, thatness, Merton/Magdalen, Oxford.  La differenza fra nome sostantivo e pro-nome (cioe, quello che sta PRO nomine -- non e pertanto  reale; ma meramente formale o dell’espressione, e precisamente *morfologica* -- o lessica – la forma, morphe – morfologia morfo-sintassi. I pro-nomi nella lingua latina hanno una declinazione differente dalle cinque  dei nomi sostantivi *propriamente detti*, quindi conviene, come osserva l’autore della grammatica senza autore, di farne una categoria a parte.  L’identità fra pro-nome e nome sostantivo è indicata dalla  stessa espressione grammaticale – da Dioniso a Donato – “pro-nome,” che significa letteralmente: che *e  le veci* di un nome o nome sostantivo, ma che si deve intendere che ha il valore di un sostantivo.  Il valore di un pronome cambia con il contesto del discorso o della profferenza (the context of utterance, citato da Grice, tratto da FIRTH e GARDINER --, secondo la persona che parla – il proferente -- ed a cui si parla – il recipiente. Ma ciò non modifica l’eguaglianza fra pro-nome e nome sosntantivo. Anche in algebra le lettere “x” ed g hanno un valore *variabile* (non costante) colla questione. Ma se in una questione risulta x = 2,  segue che x è un intero, pari e primo al pari di 2, cosi si da “ego leo” segue che “ego” ha la proprietà di essere un  nome sostantivo, al pari di “leo” -- supposto che la proprietà di essere un nome sostantivo è reale. Anche l’*avverbio*, qua e là, ha un valore dipendente dalla persona che parla --- o del ‘profferente,’ come dicevano i dialettici delle scole. Pure l’avverbio “là” non si mette in una classe a parte, ma si mettono nella stessa classe degl’avverbi, con “bene,” “liberciliter” etc., che hanno un valore *costante* e non sensitivo al cotesto. E se ne fa una classe sola perchè tutti indeclinabili. Chi scrive in una lingua europea, come l’italiano, o il francese, può fare a meno di  risolvere il problema se il “pro-nome”  -- come Grice’s “I,” or “Someone” -- è un nome sostantivo.  La lingua dei Romani, come dice Varrone,  si ha sviluppata per secoli prima che ad  essa si applicasse la nomenclatura grammaticale – a Roma, i grammatici erano i schiavi. Chi  scrive in Deutero-Esperanto, sotto una delle sue varie forme, deve  cominciare a risolvere questo problema per sapere se ai  pronomi deve dare o no la caratteristica “-o.” E mentre  la maggioranza dei filosofi non considera il pro-nome quale nome sostantivo,  una minoranza, con a capo LEMAIRE lo considera *logicamente* -- o concettualmente, o in termini della grammatica filosofica o grammatica razionale o grammatica speculativa -- come un nome sostantivo e dà  loro la desinenza “-o.” Passo ora alla relazione fra il nome sostantivo (“leo”) ed il nome aggettivo (“shaggy”) – AD-IECTVM. Il  Larousse dà le definizioni seguenti. Un “nom substantif” e un “mot qui *dèsigne* une personue, ou une chose.” Un “nom adjectif” e un “mot qui seri à *qualifier* une personnem ou une chose.  Considero i due giudizi: Pietro è buono. Paolo e bravo. Pietro è poeta.  Paolo e filosofo. Essi hanno la stessa costruzione; “buono” (o “bravo”) e “poeta” (o “vago”) servono egualmente a, per usare la terminologia naif del Larousse, *designare* ma anche *qualificare* la persona Pietro (o Paolo). Cf. Grice on Pegasus pegasusises. Sono amendue nomi di classi di enti. Ma “buono” (o “bravo”) è nome *aggettivo*, “poeta” è nome *sostantivo*. Dunque:   aggettivo = sostantivo. ( fv ad -'iv ’ à. La differenza fondamentale fra il nome sostantivo e il nome aggettivo è  che, in generale, l’aggettivo è accompagnato da – si aggiunge a -- un sostantivo, con cui concorda in numero – singulare, duale, plurale -- , genere – maschio, epiceno, femina --,  e caso – retto o monimativo, o obliquo: genitivo, o familiare, accusativo o causativo, dativo, ablativo, locativo. Quindi la  necessità di un capitolo della grammatica (non razionale) che spiega queste flessioni nell’italiano del nome aggettivo nel grado positivo, e quelle dei comparativi (comparativo e superlativo), etc. Ma questa differenza evidentemente appartiene alla morfologia della lingua latina e della lingua italiana o la lingua francese. L’aggettivo può benissimo restar solo come in:  veruni dico, audaces fortuna juvat, miscuit utile  dulci. Cosi nella lingua italiana, “dico il vero” [dico vervm] = “dico cosa vera,” “dico la verità, onde risulta: “il vero” = “cosa vera” = “la verità”.   La concordanza nella lingua latina vive ancora nella linua italiana, limitata  al genere e numero. Il caso è morto – eccetto nelle forme pronominali, “ti amo”; ed è del tutto scomparso in una lingua agglutinativa come la lingua inglese. Quindi per esempio, nell’Enciclopedia  Britannica, nell’articolo sulla grammatica, leggiamo che la distinzione fra nome sostantivo ed nome aggettivo non è applicabile nella lingua inglese (Che idiota ha scritto questo articolo?). Questa distinzione fra nome sostantivo e nome aggetivo sta nella veste. Spogliata la parola – o l’espressione, come dice H. P. Grice -- della veste della concordanza latina, non c’è più criterio per  distinguere il nome sostantivo dal nome aggettivo. Dal fatto che nella lingua latina “bonus” concorda col  soggetto – essempio: Cesare --, chiamno “bonus” i schiavi grammatici nome aggettivo. La grammatica di DONATO, che è la prima grammatica importante,  è dell’era *volgare*. Varrone non necessita grammatica! Si commette un anacronismo e si scambia la causa coll’effetto quando, prima, si  definisce il nome aggettivo (“bonus”) e poi si enuncia la regola della sua  concordanza col nome sostantivo (“dictator bonus”). Come si parla la lingua latina per secoli, prima che nascessero i grammatici, cosi si può continuare a parlare in una lingua moderna come la lingua italiana o la lingua francese, lasciando ai schiavi grammatici la stupida cura di decidere se la differenza fra il nome sostantivo (“dictator”) e il nome aggettivo (“buono”) e meramente formale o reale. Ma chi scrive in una delle forme di Deutero-Esperanto è  costretto a dire dopo ogni parola: questo è un nome sostantivo, questo e un nome aggettivo e questo è un verbo. Ciò ha  senso nella forma latina, che e lingua che H. P. Grice chiama NATURALE, a questa, il Deutero-Esperanto, lingua artificiale,  o, come prefire H. P. Grice, ‘inventata’ -- avendo soppressa la forma latina, la distinzione non è più  possibile.   In conseguenza, i seguaci del Deutero-Esperanto, discutendo  di una cosa non esistente come se esistes, arrivano a  risultati fra loro contradditori. Per esempio, in un sistema  si ha l’eguaglianza:   Pietro è buono-aggettivo  = Pietro è buono-sostantivo. In altro sistema – il Deutero-Esperanto di Grice -- solo la prima forma è  lecita. Ivi, “buono-sostantivo” significa “bontà” e si riferisce a quello che Grice chiama ‘SECOND-order predicate calculus.”  Parimenti l’articolo che ossessiona Strawson è messo dalla maggioranza dei deutero-esperantisti fra i nomi aggettivi. Ma Lemaire osservando che l’articolo “il” deriva da un antico pronome demonstrativo nella lingua latina (“ille”), che è, per Lemaire, un  sostantivo, pone l’articolo definito fra i nomi sostantivi! (“Il presente re di Francia e calvo”).  Poche parole sul carattere formale del verbo. La proposizione latina, Ars longa, vita brevis, corrisponde all’Italiano, l’arte è lunga, la vita è breve. Nella lingua italiana, vi è il verbo “essere” – la copula -- che in latino non sta detto.   Il latino “brevis” corrisponde all'ialiano “è breve”. Ma  “è breve” è il PREDICATO TOTALE della proposizione o orazione, e quindi è un  verbo. Dunque, si conclude, anche la forma latina abbreviata “brevis” è un verbo. Ma questo  è un aggettivo, dunque l’aggettivo — verbo / i u C ttj. Alcuni filosofi della lingua dicono che, in vita brevis, il verbo, la copula,  è sottinteso – sous-entendue – IMPLICATED, implicito --, e che la frase o l’orazione è elittica e entimematica. Ciò significa che l’ “est” non sta DETTO (ma impiegato, implicato) ed è cosa evidente. Non bisogna intendere però che la parola “est” sia stata sottintesa (sous-entendue, empiegate, implicata) o soppressa, non espressa, ma so-pressa;  cioè, che essa parola “est” – o IZZING, come prefirisce Grice -- sia l’abbreviazione di una frase ipotetica più antica contenente l’ “est.” Man mano noi risaliamo nella storia, troviamo la mancanza (soppressione, implicatura, impliciture) della copula “est” sempre più frequente.   La incontriamo in greco ed è ancora frequente in russo.  Altri esempi da Max Muller – da non confendere con Max Miller, il comediante giudeo-inglese cockney --  nix alba = nix albet;  sarculum acutum = sarculum caedit. Quindi la forma originale della proposizione e soggetto (-aggettivo; l’ausiliario “essere” è posteriore. Pare che il suo significato primitivo dell’IZZING di Grice fosse di respirare. Dice Muller. An auxiliary verb is the shadow of a verb, which originally means ‘to grow,’ (become), to dwell, to turn, to breathe. L’identità nome aggettivo = verbo può parere una novità al pubblico moderno, benché nota ai filosofi della lingua. E evidente ai scolari del LIZIO,  chi affermano che “antropos,” “uomo,” è “onoma”, nome, mentre “levxóv” è “rhema,” verbo. Se nome sostantivo = nome aggettivo ed nome aggettivo =  verbo, segue che sostantivo — verbo. Eccone alcuni esempi  diretti. Nel greco tivò'Qanog ùv&Qcòxcp òca jióviov, homo homini deus, e nel pessimista latino, homo homini lupus,  il “deus” e “lupus” valgono come “si comporta come un amico (deus)”  e “si comporta come un nemico (lupus)”, e perciò sono verbi. VACCA (si veda) che visita gran parte  della Cina coll’occhiodel filosofo, mi  cita la frase cinese che risulta dalta triplice ripetizione del  simbolo di uomo, letteralmente tradotta diventa: uomo,  uomo, uomo» e significa: l’uomo tratta umanamente l’umanità. Nulla impedisce di dire che il primo simbolo  è un nominativo, il secondo un verbo, il terzo un accusativo, ma nessun segno indica questa proprietà. Cosi nella scrittura che noi deducemmo dagl’arabi  (non dai romani), “222,” possiamo dire che il primo ‘2’ rappresenta centinaia,  il secondo, decine, e il terzo unità, e cosi enunciamo varie  proprietà delle varie figure “2,” *non* del numero 2.  Le parole soggetto e predicato di una proposizione,  sono termini relativi alla proposizione. Si potrebbe studiare  se le parole ‘sostantivo’ ed ‘aggettivo’ possano avere  valore relativo. Ma mi basta l’aver provato che non hanno valore assoluto, e che una definizione di sostantivo è *impossibile* -- cf. Grice on ‘Fido is shaggy,’ – “It is impossible to expect the philosopher to provide meaning-specifications for all parts of speech, so I will restrict myself to the ‘predicate,’ “shaggy.””. Vedasi sullo stesso soggetto il saggio su «Discussione de  Academia prò Interlingua. Giuseppe Peano. Peano. Keywords: implicatura, l’operatore iota. Refs.: Luigi Speranza, “Peano e Grice sull’articolo definito,” -- Luigi Speranza, “Peano e Grice sull’operatore ‘iota’, Deutero-Esperanto, l’errore di Quine, il carattere non primitive dell’operatore iota. --  H. P. Grice, “Definite descriptions in Peano and in the vernacular,” Luigi Speranza, "Grice e Peano: semantica filosofica," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Peano.

 

Grice e  Pecoraro: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del conflitto – la scuola di Salerno -- filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Salerno). Filosofo italian. Salerno, Campania. Grice: “He must be the only philosopher who philosophised about ecstasis!” Grice: “Many don’t consider him an Italian philosopher seeing that he got his maximal degree without (not within) Italy!” – Filosofo e storico della filosofia italiano. Dopo studi giuridici presso la Facoltà di Scienze Politiche, si laurea in Filosofia presso l´Università di Salerno con una tesi sulla filosofia di Cioran. Collabora con il Corriere della Sera, Il Messaggero, Il Giornale di Napoli come cronista di nera e di giudiziaria. Si avvicina ad alcuni artisti contemporanei che gravitano intorno all´Accademia di belle arti di Brera organizzando due Mostre a Ravello e dedicandosi al coordinamento editoriale dei rispettivi cataloghi. Tra i partecipanti:Paladino, Pisani, Galliani, Knap, Montorsi, Melioli, Battaglia. Un'esperienza che è importante in seguito, quando i tratti metafisici e di rivolta dell´opera d´arte contemporanea verranno riscoperti in chiave nichilista.  Fonda "Quadranti" dedicato a Marotta dell´Istituto italiano per gli studi filosofici di Napoli.  È possibile dividere il percorso di studi e del suo pensiero in due momenti distinti.  Il primo, attivismo filosofico, comprende tutte le attività e le iniziative tese a vivacizzare e svecchiare il dibattito critico e filosofico; la divulgazione di temi e autori poco studiati --  tecnoscienza, Nichilismo, Filosofia del suicidio, Metafisica e Teatro, Vattimo, Esposito, Agamben. Contatto con Vattimo, Esposito, Givone, Volpi, Mattei, Ferraris. Studia nichilismo, suicidio e filosofia negative, politica e morale.  Una filosofia disperata e negativa, assolutamente slegata da prospettive etico-politiche. Si tratta di una filosofia fondata sul nichilismo e su una tradizione di filosofi maledetti. I voyeuristic "esteticamente salvificano di un datato phatos esistenzialista, del “tutto è vano” risultato ultimo della sua analisi filosofica del suicidio, della psicanalisi e dei lacci concettuali e storici tra nichilismo, nullae negazione.  Il risultato è una filosofia anti-fondazionale, che poggia le sue radici in una inter-soggettività pessimista e malincolica, che nega qualsiasi etica, sociale e politica estremizzando così l´accusa contro l´umano e tutte le sue costruzioni sociali, storiche e morali.  In questo orizzonte di assenza di senso, decadenza e corruzione metafisica, l´unica, eventuale, maniera di ribellarsi e resistere si concretizza, paradossalmente, nell´appello alla responsabilità e all´azione di un noi (Freud ego et nos) tragico-nichilista --  Ricerca un orizzonte di senso diverso e più profondo che lo porta, però, alla perdita quasi totale dei suoi precedenti fili conduttori.  Interessi, letture, pubblicazioni, ricerche si frammentano e perdono in intensità e chiarezza. Decisive, in questa fase, sono le questioni etico-politiche, la critica dell´umanismo sociale contemporaneo e l´impegno filosofico. In primo luogo devono essere segnalati, per l´importanza che rivestono, i due Seminari tenuti presso l´Istituto per gli studi Filosofici di Napoli dedicato al “Bio-potere" e la Bio-politica" Riformula il concetto di bio-potere usando come chiave interpretativa il "Bios" di Esposito. La bio-politica discute e mette alla prova la sua lettura radicalmente sistematica”della volontà di potenza, avvento dell´oltre-uomo e ultrapassamento del nichilismo. Oltre a questi due temi, il rigetto del relativimo, lo studio delle relazioni tra massa e potere; l´affermazione di una visione essenzialista dell´umano, la riscoperta della psicanalisi, del movimento Modernista. Elabora di un percorso teorico che, fondandosi sulla necessità di pensare il presente e non il future di una filosofia dell’attuale  e sulla convinzione che le categorie filosofiche sono obsolete e dannose per spiegare e trasformare il mondo, si concentra in due diversi ambiti di ricerca in una complessa e non risolta tensione tra aspirazioni pluriversalistiche e l´impegno filosofico nella realtà e nella cultura. Il primo etico-morale si occupa delle condizioni di possibilità di forme dell’inter-soggettivo nell´epoca dei "diritti di tutte le cose del mondo" e della reazione alla crisi di fondamenti, delineando quindi le basi di una filosofia del dovere di stampo post-illuminista.  Il secondo opolitico-sociale– attraverso la critica del politicamente corretto e della retorica democratica, la de-costruzione del concetto di democrazia attraverso la ripresa dell´idea di servitù volontaria, la lotta contro il fascismo tende a ripensare il concetto di democrazia e la pratica democratica" nei sistemi di potere e, più specificamente, si dedica all´esame delle possibilità di una trasformazione radicale del pensiero filosofico e di una concezione del “politico” in senso non tecnicista e non "sinistroide-reazionario". Saggi: “I voyeuristi” (Salerno, Sapere); “Metafisica e poesia” (Roma); “Cosa resta della Filosofia?”; “Dal sacro al Profano”; “Dall´Arcaico al Frammento” “Bio-potere, Bio-politica”. Rossano Pecoraro. Pecoraro. Keywords: fascismo, voyeuristic. Leopardi, I voyeuristi, conflitto e mediazione, voir, voyant/voyeur. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pecoraro” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Peisicrate: la ragione conversazionale della diaspora di Crotone – Roma – filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Taranto, Puglia. A Pythagorean, cited by Giamblico. Grice: “Cicerone spells this Pisicrate, since he finds that dipthongs are un-Roman!” -- Peisicrate.

 

Grice e Peisirrodo: la ragione conversazionale della diaspora di Crotone – Roma – filosofia pugliese. filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Taranto, Puglia. A Pythagorean cited by Giamblico. Grice: “Cicerone spells this Pesirrodo, since he says that dipthongs are un-Roman!” -- Peisirrodo.

 

Grice e Pelacani: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Parma -- filosofia emiliana --  filosofia italiana – Luigi Speranza  (Parma). Filosofo italiano. Parma, Emilia-Romagna. Grice: “At Oxford, Strawson used to confuse Pelacani with Pelacani!”. Lettore (Grice: “reader or lecturer?”) a Bologna, divenne consigliere di Visconti.  In questa veste si trova più volte coinvolto in processi per eresia montati da Giovanni XXII per gettare nella polvere il Visconti. Grande commentatore di Avicenna e Galeno. Treccani Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia. Saggi: “Circa intellectum possibilem et agentem”; “De unitate intellectus”; Utrum primum principium sive deus ipse sit potentie infinite”; “De generatione et corruptione"; “Questiones super tre metheorum.” Antonio Pelacani. Pelacani. Keywords: passivo/attivo; non-agens/agens. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pelacani” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Pelacani: la ragione conversazionale, la dialettica, e l’implicatura conversazionale – filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Noceto). Filosofo italiano. Noceto, Parma, Emilia-Romagna. Grice: “Some like Pelacani, but Pelacani’s MY man.” Dottore diabolico. Grice: “I would call him a philosophical grammarian; he considers the topic of ‘meaning,’ ‘significatio,’ and agrees with me that ANYTHING can signify, a handwave, etc – hardly just ‘vox’! He is especially interested in ‘significatio naturaliter,’ which he explains, er, naturally. He deals with the concepts expressed by the different parts of speech – adverbs, etc. – and disapproves of the idea that the ‘arts’ of language are ’scientia.’ He saw himself, as I do, as a PHILOSOPHER, and would consider everything related to the language used by philosophers as PRO-PEDEUTIC --. Parente di Antonio P. Della sua medesima casata un altro filosofo. Frequenta la facoltà artium philosophie a Pavia, dove, come titolare della cattedra di magister philosophie et logice, delegato dal vescovo, diploma in arti un certo Bossi. Insegna a Bologna e Padova. Contesta molte regole della meccanica del LIZIO e sostenne l'applicazione di strumenti matematici per sostituire le regole obsolete. In particolare conduce studi sull'ottica nelle Quæstiones de perspectiva. Nel saggio De ponderibus si occupa di statica ed elabora in De proportionis una teoria del vuoto che si contrappone alle tesi del continuo dei fisici del Lizio. Si occupa anche del moto dei pianeti in Theorica planetarum e mette in discussione la cosmologia del Lizio negando che si puo sostenere l'incorruttibilità dei cieli e l'interpretazione teo-logica dell'esistenza di un primo motore immobile, vale a dire del divino. Nega quindi la possibilità delle dimostrazioni a posteriori dell'esistenza del divino e dell'immortalità dell'anima individuale. Concepisce la natura o l'universo come un ente ANIMATO -- ‘animismo – cf. Grice on ‘mean’ and ‘mean,’ ‘Smoke ‘means’ fire” --, un grande eterno animale in continuo movimento dove gl’esseri nascono per generazione spontanea e, quando gl’influssi astrali sono favorevoli, vengono alla luce anche l’anime intellettive umane. Riguardo alla morale, è convinto che gl’uomini deveno conformarsi alla virtù per sua libera scelta. Per il materialismo delle sue dottrine, il dottore diabolico, com'è soprannominato, è accusato d'eresia e condannato ma ciò non gl’impede d’essere apprezzato come un grande astrologo dai principi Carraresi di Padova e dalle corti dei sovrani tanto da ottenere di essere sepolto nel duomo di Parma. Gli si attribuiscono dei commenti a Witelo per una corretta interpretazione della prospettiva e a Bradwardine nell'opera questiones super tractatu "De proportionibus”. Beduerdini. Robolini, Notizie appartenenti alla storia della sua patria, Pavia. Memorie degli scrittori e letterati parmigiani raccolte da Affò (Stamperia reale, Bodoni), citato anche per la sua avarizia in Veratti, De' matematici italiani. Commentario storico, Majocchi, Codice diplomatico, Pavia,  Enciclopedia Garzanti di filosofia, Camerota, Nel segno di Masaccio: l'invenzione della prospettiva e la filosofia della percezione. Giunti, La scuola francescana di Oxford. Altri saggi: Quæstiones de anima, Firenze, Olschki; Super tractatus logice (Parigi, Vrin); Circa tractatum proportionum magistri Bradvardini (Parigi, Vrin); Super perspectiva communi (Parigi, Vrin); Quæstiones de anima: alle origini del libertinismo, Sorge, Napoli, Morano, Firenze, Sismel, Galluzzo. Scientia de ponderibus. Tractatus de ponderibus, Treccani Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia. Francesco P. is yet another of the P.. There are at least four of them: two Antonios, un Biagio, and one Francesco. QUÆSTIONES DIALECTICÆ; Quaestiones super tractatus logicales: quæstiones dialecticæ -- utrum dialectica sit scientia – arguitur quod non; VENEZIA, San Marco, Martanova, in Padova: hunc librum donavit eximius artium et medicinae doctor magister MARTANOVA (si veda) de Venetiis congregationi canonicorum regularium sancti Augustini ita ut tamen sit ad usum dictorum canonicorum in monte sancti Johannis in  Vicocis, torate pund nd Hai Cananci d an Astio dal convento di san Giovanni in Viridario; expliciunt regulæ questiones super tractatum compositæ per reverendum doctorem magistrum  Blaxium de Parma, Frater Johannes de Mediolano ordinis  Cruciterorum SCRIPSIT  hunc librum IN CARCERIBVS – “the best time to spend your time in jail” – H. P. Grice -- sancti Marci de VENEZIA; OXFORD, Bodleian Library, Canonici, miscellanco, explicit hic codex per Simonis eque manumque, leggere varianti formali: possiede in fine alla ultima questione, prima dell'explicit una raccolta di sophismata, diversamente dal ims di Venezia. (Su cio cfr. Le questioni dialetriche di P. da Parma, Medioevo, Padova, Quæstiones dialecticae, ms, Venezia, Mare, lat. De introductionibus de dialectica; Oxford, Bodleian Lib., utrum dialectica sit SCIENTIA et arguitur quod NON – ma un arte, cf. natura vs. Artifizio – ‘natural’ --; utrum dialectica sit scientia  [regina] scientiaram, arguitur quod NON; utrum in acquisitione scientiarum dialectica debeat esse prior et arguitur quod NON; utrum disputatio dialectica sit SERMO DVORVM, scilicet opponentis et respondentis -- et arguitur quod NON; utrum A SONO tamquam a priori  sit incoandum -- et arguitur quod NON; utrum hæe sit concedenda: SONVS est quicquid proprie auditu auris percipitur -- et arguitur quod NON; utrum vox SIGNIFICATIVA sit illa qua auditui ALIQVID REPRÆSENTAT et videtur quod NON; utrum vox SIGNIFICATIVA AD PLACITVM sit illa qua AD VOLVNTATEM INSTITVENDIS ALIQVID SIGNIFICAT -- et arguitur quod NON; utrum vox SIGNIFICATIVA NATVRALITER sit illa qua apud omnes idem segmticat;  utrum definitio data DE NOMINE sit bona cum dicitur nomen est vox etc.; utrum definitio data de VERBO sit bona et arguitur quod NON; utrum diffinitio data de ORATIONE sit sufficienter posita et arguitur statim quod NON; utrum PROPOSITIO sit ORATIO verum vel falsum significans -- et arguitur quod NON; utrum omnis propositio sit categorica vel ipotetica; utrum omnis propositio ipotetica sit quanta et arguo quod NON; utrum omnis propositio categorica sit aftirmativa vel negativa -- et arguitur quod NON; utrum quæcumque fuit contraria fuit universalis negativa eiusdem subieeti et eiusdem prædicati -- et arguitur quod NON; utrum omnis propositio sit necessaria, contingens, vel impossibilis et illa quæstio movetur super illum passum propositionum triplex est materia et statim probatur quod nulla sit  necessaria -- et arguo SIC; utrum contrariarum si una est vera et reliqua est falsa et statim -- arguitur quod NON; utrum possibile sit contradictoria simul esse vera vel falsa in aliqua materia -- et arguitur quod SIC; quia magister dicit quod lex subalternarum talis est quod si universalis est vera, particularis est vera et non e contra et ideo quæratur in quæstione utrum si universalis est vera particularis cius debeat esse vera et statim arguitur quod non; de conversionibus sit illa utrum omnis conversio sit bona consequentia -- et  arguitur quod NON; circa capitulum de ipoteticis sit prima quæstio; utrum definitio data de propositione ipotetica sit bona in qua dicit auctor propositio ipotetica est quae habet duas categoricas principales partes sui -- et arguitur quod NON; utrum omnis conditionalis vera sit necessaria, falsa, aut impossibilis, quia illa quæstio duo quacrit, ideo argumentum (arguo O) primo contra primum, secundo contra secundum; utrum ad veritatem copulativae requiratur utramque partem elus esse veram er hoc sufficiat et statim – et arguitur quod NON; utrum ad veritaten disiunative  requiratur alteram partem erus esse veram et hoc sufficit statim, patet quod NON; utrum ad veritatem causalis requiratur consequens sequi ex antecedente et hoc sufficit -- et arguitur quod NON. Non si trova nel testo di Pietro. Qui Biagio sviluppa un tema della logica di Occam sulle proposizioni causali. Scrive Biagio. Si consideras consequenter quæ sunt illæ de quibus non determinavit, ad hanc respondetu quaestio proposita quaerit de una illarum, scilicet de causali de qua nihil dixit; utrum si aliquis terminus. positus in propositione steterit ratione alicuius SIGNI confuse et distributive contingat illum stare determinate alio confundente et illa quæstio rationabiliter quæritur propter quaddam  dicta in quæstione praccedenti, arguitur in questione pro parte negativa – quod NON; utrum si alquis terminus positus in propositiones stererit ratione alicuius signi confuse et distributive contingat illum stare determinate alio confundente et illa quuaestio rationabiliter quaeritur propter quaddam dicta in quaestriones praecedenti — argutur in question pro parte negative – quod NON; utrum si aliquis TERMINVS positus in propositione steterit ratione alicuius signis confuse et distributive quaeritur propter quadam dicta in queaestrione praecedenti, arguitur in quauestione pro parte negative – quod NON; utrum omnes duæ propositiones  modales ex eisdem terminis constitutæ se mutuo inferant in bona consequentia  et statim -- arguitur quod NON. De prædicabilibus; utrum prædicabilia sint *quinque* et non plura et arguitur quod praedicabilia sunt *plura quam quinque* et deinde quod pauciora. Primum argumentum est hoc, De prædicamentis, sit prima quæstio de prædicamentis utrum quando alterum de altero prædicatur de prædicato prædicetur de subiceto  et statim -- arguitur quod NON; utrum SVBSTANTIA sit GENVS GENERALISSIMVM  in prædicamento substantiæ  prædicatione essemill de quelbe ponibili possibili Vin prædicamento  substantiæ, Ista questio aliqua qværit et aliqua præsupponit. Arguam de primo supposito, dende de quaeito; utrum substantiae sit aliquod contrarium et statim -- videtur quod NON; utrum ab eo quod res est vel non est, ORATIO dicatur esse VERA VEL FALSA, vel sic, utrum omnis propositio habens correspondentiam rei dicatur esse vera, non habens  aulem  correspondentiam ex parte rei dicatur esse falsa; vel sie, ut ex co quad ita est sicut propositio principaliter SIGNIFICAT, ipsa propositio sit vera, ex co quod non ita est sicut propositio SIGNIFICAT, propositio dicatur esse falsa, et statim arguitar contra partem affirmativam – quod NON; utrum substantia quanta distinguatur a quantitate eius vel idem sit quod sua quantitas et extensio, sive quæram sub his verbis utrum omnis quantitas sit substantia vel qualitas; utrum eadem quantitas possit esse et dici continua et discreta et statim -- arguitur quod SIC; utrum quantitas sit genus generalissimum de predicamento quantitatis et statim apparet quod sie per autoritatem et per LIZIO; utrum hace sit vera 'omne tempus est' et statim -- arguitur quod NON; utrum numerus sit res numerata vel distinguatur ab eis et statim probo qued numerus non sit ipsa res numerata, sed quod potius ab ipsis rebus distinguatur; argumentum; utrum puncta sint in linea et statim -- arguitur quod SIC; utrum quantitati sit aliquod contrarium et statim -- videtur quod SIC; utrum quicumbue duo TERMINI qui sunt praeradicabiles de se invicem in OLBLIQVO CASU sint possibiles in prædicamento ad aliquid et statim -- viderur quod SIC; utrum ab uno correlativorum ad aliud valeat consequentia; utrum RELATIO sit res distincta a rebus invicem relatis et importatis per terminos de prædicamento ad aliquid ut velim quarere in illa quæstione utrum paternitas sitilla res quæ est pater vel distincta a patre, dependentia sit res distincta a dependentia et statim arguo quod relatio sit res distincta a rebus invicem relatis [cf. H. P. Grice, ACTIONS AND EVENTS, PARIDE AMA ELENA); utrum quilibet terminus prædicabilis in quale si de prædicamento qualitatis -- et statim  arguo quod NON; utrum termini de predicamento qualitatis sint de se invicem prædicabiles de suis inferioribus cum his ADVERBIS 'magis et minus' -- et statim videtur quod NON; utrum proprium sit actionis ex se inferre passionem et est quærere utrum ab activo ad passivum valeat consequentia -- et statim arguitur quod NON.  DE CONSEQVENTIIS: utrum quaelibet consequentia sit bona – et arguitur quod NON; utrum ex duabus PREMISSIS in modo et figura dispositis de necessitare sequatur aliqua CONCLVSIO  -- et statim viderur quod SIC; utrum quilibet SYLLOGISMVS sit BONA CONSEQVENTIA -- et statim apparet quod NON; utrum licitum sit ex puris negativis sillogisare et statim per plura argumenta videtur quod sie; utrum negativa possit inferre affirmativam -- statim videtur quod SIC; utrum qualiber CONSEQUENTIA cuius ANTECEDENS est impossibile sit BONA et hoc est quærere illud quod communiter logici quærunt, scilicet utrum ad impossibile sequatur quodlibet vel sequi possit -- et statim arguo pluribus argumentis quod NON; utrum quælibet CONSEQVENTIA curus CONSEQVENS est necessarium sit BONA et hoc est quærere utrum necessarium sequatur ad quodlibet -- et arguitur quod NON; utrum possibile sit ex veris sequi falsum -- et arguitur quod SIC; utrum qualibet proposition SIGNIFICET sicut ad eam sequitur – et statim arguitur quod NON, per multa iconvenientia. De locis, circa locos sit prima questio utrum QVATVOR SINT SPECIES ARGVMENTATIONIS, scilicer SYLLOGISMUS, INDVCTIO, ENTIMEMA (H. P. Grice, “Implicit reasoning”) et EXEMPLVM; CONSEQVENTIA BONA -- et arguitur quod NON; utrum CONSEQUENTIÆ tenentes vel quæ vigorantur per locum a toto in quantitate ad cius partem sunt bonæ -- et statim arguitur quod NON; utrum consequentia qua arguitur a toto in modo ad eius partem sit bona -- et statim arguitur quod NON; utrum a toto in loco ad cius partem sit CONSEQUENTIA bona -- et statim arguitur quod NON; utrum a toto in tempore ad eius partem sit BONA CONSEQVENTIA -- et arguitur quod NON; utrum quæ libet talis consequentia valeat: generatio huius castri vel civitaris est BONA CONSEQVENTIA, igitur hoc castrum est bonum vel illa civitas. Similiter quaero de illa consequentia: corruptio istius hominis vel illius mulieris est bona, igiur ille homo fuit malus vel illa mulier, et hoc est quærere idem quod sequeretur utrum a generatione ad generatum, similiter a corruptione ad corruptum, sit bona equitare est bonum, igitur equus est bonus – arguitur quod NON; utrum a  disiuncta cum opposito unius partis ad aliam partem veleat consequentia, et hoc est quaerere utrum consequentia quae vigoratur per locum a contradictoriis fuerit bona – et statim videtur quod NON.CONCLUSIONES DE CONSEQUENTIS  VENEZLA, Marc, Bessarione, Valentinelli, quaestiones ordinatae per me Blasium de Parma, quaccumque CONSEQVENTIA posita nulla talis est mala, sed quaelibet bona.  Si tratta dell'elenco di petitiones di logica 'de consequentiis', seguite da conclusioni, non di Physica come ritenuto dal THORNDIKE (A History, GRANT (Blasius of Parma, in Dictionary of scientific Biography, ad vocem, New-York, et sie sit finis sententiae conclusivae totalis libri Ethicorum Aristotelis secundum  in domo filiorum quondam magistri Jofredi Ferrariae». Segue Elenchus quaestionum ordinatarum per me Blaxium de Parma e segue Tabula quaestionum Johannis Buridani super libris Ethicorum. QUESTIONES PERSPECTIVAE  Quaestiones perspectivae, incipit :«uaeritur utrum pro visione causanda necesse sit ponere species diffusas ab obiecto in oculum et arguítur primo quod non»; 1) FERRARA, Pavia, VENEZIA, San Marco, Valentinelli, expliciunt quaestiones super perspectiva scriptae anno domini 1399; 3) OXFORD, Bdl. Canonici, misc.quaestione super aliquibus propositionibus primac partis perspectivae (copia incompleta); OXFORD, Bdl. Canon, misc, FIRENZE, Laurenziana, Plut. in Firenze, cfr. I Studi sulla prospettia medtevale. Torno, Giappichelli, e per la edizione da questo ms. delle questiones I, qu. 14 € 16, e Ill qu. 3, de iride, cfr. Le questioni di  perspectival di P., "Rinascimento", FIRENZE, Laur. Ashburnham; MILANO, Ambrosiana, con figure seguito da Opus Prosdocimi super Jo. de Sacrobosco tractatum de sphaera, segue: Collectanca ex Thadeo de Parma super Theorica planetarum Gerardi Cremonensis; 8) MILANO, Ambrosiana, si arresta alla quaestio -- MILANO, Ambrosiana, in Pavia, Explicit opus eximii viri  artium et mediciac doctons magistri Blasi Parmensis super propositionibus et conclusionibus perspectivis scriptum per me magistrum Marinum sacrac theologiae doctorem de Castignano ordinis Minorum provinciae Marchae Anchonitanae dum Papiae studens essem discipulus magistri  Francisci de  P. film supradicti auctoris VATICANO, Vat. Barb., lat.; dopo la tabula quaestionum si legge: Explicit opus eximii viri artium et medicinae doctoris magistri Blaxii Parmensis super propositionibus et conclusionibus perspectivis scriptum per me Theodoricum Goth almanum, seguito probabilmente dalla perspectiva communis d iPeckham  (non menzionato da David Lindberg ed., PECKHAM, Perspectiva communis, Madison, VATICANO, Vat. lat., vet sic finitae sunt quaestiones perspectivae secundum Blaxium de Parma, deo gratias; expliciunt quaestiones super perspectivam communem secundum famosissimum artium monarcham et philosophum dominum magistrum Blasium de Parma». Si trova citata 'l'illusione ottica che gli capito a Busseto, che non si trova, ovviamente, nelle copie anteriori a quella data e che costituiscono un diverso gruppo di questioni di prospettiva; VIENNA, Nationalbibliothck, edizione delle questioni del primo libro da questo ms. a cura di ALISSIO, Rivista critica di storia della filosofia", VIENNA, Nationalbibliothek, LODI, Biblioteca, PARMA, Bibl. Palatina, fondo parmense codex, trascritto da Pasini dal codice della Biblioteca Marciana di Venezia con una dichiarazione del Valentinelli;  NEW YORK, Columbia, Plimpton (Boncompagni). SIVIGLIA, Colombina, EXPOSITIONES e QUAESTIONES DE CÆLO  EXPOSITIONES DE CAELO  Expositiones o summa de caelo, datata in Bologna, incipit: «obmissis  causis aliis  super libro decacloct mundo compilata per famosissimum artium doctorem  magistrum P. in Bononia: ROMA, Angelica, VIENNA, Nationalbibliothek, copiata, ma stesa a Bologna: Explicit summa super librum de caelo et mundo compilata per famosissimum artium doctorem magistrum P. in Bononia recollecta anno domini M COCEXXx in scolis reverendi doctoris.. scripta per manum  Nicolinum artium nune studentem M'OCCe LI die quarta Marti, amen, in felicissimo studio paduano». (efr, anche FRANz UNTERKRCHER, Die datierten  Handschriften der Oesterreicheschen Nationalbibliothel Vienna, QUESTIONES DE CÆLO  Questiones de caelo Alberti de Saxonia datae per magistrum Blasium de Parma: ROMA, Angelica: si tratta va del testo delle quaestiones de caelo di Alberto, seguite quindi da quelle di Biagio, Imapit e, quindi, delle quaestiones de caelo di Alberto: Prologo, scaelo et mundo Aristoteles considerat de totali mundo et detractatu primi libri partiali concludere et volo ergo circa illud tractare duas quaestiones quarum prima est ista (incipit): utrum cuilibet corpori simplici insit tamen unus motus simplex». Tale incipit corrisponde con quello del ms.  Monaco lat. del Vat. Palatino, lat. 980, ft. 88ra-117 ra, opera ristampata a Parigi, 1516 come questiones de caelo Alberti de Saxonta; altra copia è ms. Roma, Angelica, di questa copia si legge: «Expliciunt questiones super primo libro caeli et mundi Aristotelis secundum Albertum Novum de Saxonia per me Anthonium de Armannis de Regio tune Bononiae studentem in artibus 1368 dic 18 februarto (cir. Anche THORNIKE - KIRE, Catalogue of Incipits, Londra.  Dunque a f. 37va del ms. Angelica, 595 iniziano le questiones de caelo di Biagio probabilmente dalla 12- questione perche corrispondono con la questione 12' del primo libro contenute nel ms. Milano, Ambrosiana, sup-,  quacitur con sorenti in de nece ente e posit perpean parole:  vexpliciunt quaestiones primi libri de caelo et mundo secundum Blasium expliciunt questiones de caclo et mundo datae per magistrum Blasium de Parma doctorem reverendum ».Su ciò in particolare cfr. FEDERICE ViscoviNi, Note sur la circulation du commentatre d'Albert de Saxe an 'De cælo' d'Aristote en Italie, in Itéraire d'Albert de Saxe, a cura di J, Biard,  Paris, Ven, 1991.  ROMA, Biblioteca Angelica, quaestiones de cælo per Blasium de Parma (incompleto con ordine diverso delle quaestiones rispetto alla copia di Milano, Ambr.: incipit, «quacritur primo circa primum de caelo et mundo utrum omnis quantitas sit divisibilis in semper divisibilia». Si trovano Notae di Problemata: «Nota aliqua... problemata, primum quia causam agens in os sicut ignis prima sui actione... et per consequens nigrum et hacc est causa problemas huus, has veriticationes dixit magister ille Blasius in scolis suis -- Sic sint finitae istae quaestiones de caclo secundum Blaxium de Parma»: MILANO, Ambrosiana, quaestiones de caclo et mundo  scriptae pro magistro Antonio de Abruzio, expliciunt  Basi de Faih iphe pro hig to Atono de Ardetoris hagsri  Tabula questionum de caelo  VATICANO, ms. Var. lat. QUESTIO DISPUTATA DE TACTU CORPORUM DURORUM  1J OXFORD, Bdl. Canonici, mise. quaeriturutrum duo corpora dura possint se tangere Blaxii de Pelacanis de Parma famosi doctoris parisini, incipit, «quaeritur utrum duo corpora dura possini se tangere) VENEZIA, Bibl. Marciana, Valentinelli, Dabitatur utrum duo corpora dura vel plana possint se tangere;3) BOLOGNA, Bibl. Universitaria, Edizione, per Scoto, Venezia, UTRUM SPHÆRICUM TANGAT PLANUM IN PUNCTO  OXFORD, Bdi. Lib. Canonici, mise.utrum sphaercum tangat planum in puncto et posito super planum tangat  in cui dice espressamente che non è una questione che riguarda la filosofia naturale, quanto invece la geometria  QUÆSTIONES DE SPHÆRA  PARMA, Bibl. Palatina, fondo parmense, quaestiones super tractatum sphaerac Johannis de Sacrobosco per Blasium de Parma, doctorem excellentissimum mathematicum singularem circa tractatum de sphacra, primo quacritur utrum diffinitio de sphaera sit bona qua dicitur sphacra est transitus. Expletae sunt quaestiones de sphæra secundum venerabilem doctorem magistrum Blasium de Parma Parisiensem"-  QUÆSTIONES e TRACTATUS DE PONDERIBUS  Quaestiones de ponderibus: 1) MILANO, Biblioteca Ambrosiana, Et ideo ad instantiam amicorum ego Blaxius Lombardus de P. de P'armadum Parisius me visitabat (sic), volui aliqua dubia super tractatum de ponderibus inquirere et illa conclusionibus et corollariis posse meo declarare -- primo quaeritur utrum omnis ponderosi motus sit ad medium, arguitur quod non. Ad rationes potest patere solutio per ea quae dicta sunt. Expletae sunt quaestiones super tractatum de ponderibus compilatae et ordinatae per magistrum Blaxium de Pellacanis de Parma artium doctorem eminentissimum».  Tractatus de ponderibus. FIRENZE, Nazionale, Conventi Soppressi, San Marco, Tractatus de ponderibus magistri Blasit de Parma «Explicit tractatus de ponderibus ordinatus per magistrum Blasium de Parma tempore magnarum vacationame (codice appartenuto a Cosimo de' Medici, cfr. GARIN, Storia di Milano, Milano, PARIGL, Bibl. Nat., lat. ed. E. Moody-M.CLAGETT, The Medieval Science of Weights, Madison -- Napoli.  CONCLUSIONES DE GENERATIONE ET CORRUPTIONE  Conclusiones de generatione et corruptione: VATICANO, ms. Urb. lat. conclusiones Blasii de generatione et corruptione scriptae per me Antonium artium scolarem Bononiae studentem. De generatione iste est liber de generatione quem inter alios libros naturales volo in tertio loco situari ut sie dicam -- et sic finitur sententia primi libri de generatione edita ab eximio doctore artium magistro Blaxio de Parma.  (Dje mistione, iste est secundus liber. Expliciunt conclusiones primi et secundi de generatione et corruptione compilatae per eximium artium doctorem magistrum Blaxium de Parma scriptae per me Antonium artium scolarem Bononiae studentem, QUESTIONES DE GENERATIONE ET CORRUPTIONE  Questiones de generatione et corruptione: VATICANO, Vat. Chigi, scritte a Bologna dopo le qu. de caelo, Padi de Mar hode Vinisa 0, au sa Nel arigacura  in legno del codice si legge, infatti, «Blasius de Parma, Paduae doctor de generatione et corruptione, de meteororum, de anima prin et secundi physicorum collezit Marinus de Lagoussao, Incipit: «circa primum librum de generatione et corruptione quaeritur utrum sit nobis evidens aliquid posse simpliciter generare; f. 58vb: «expliciunt quaestiones primi libri et secundi degeneratione et corruptione secundum reverendum doctorem magistrum Blaxium de Parma scriptae per me Marinum de Lagonissa».  QUESTIONES METHEORORUM  VATICANO, Vat. Chigi. Primo quacritur circa primum librum metheororum utrum iste mundus generabilium et corruptibilium gubernetur a caclo»; f. 74va: «Expliciunt quaestiones primi libri metheororum factae per egregium virum magistrum  Blaxium de Parma omnium liberalium artium protessorem et incipiunt quaestiones secundi libri; tabula quaestionum pri-mi, secundi, tertii et quarti metheororum: ROMA, ms. Vat. lat. Expliciunt quaestiones super libris quattuor metheororum secundum magistrum Blasium de Parma»; FIRENZE, Laurenziana, Expliciunt quaestiones totius libri metheororum recollectae sub reverendo et excellenti artium doctore magistro Blaxio de Pelacanis de Parma et scriptae per me Barnabutium de Favero in monte Silice tempore quo pestis vigebat Paduac  CHICAGO, Universitaria,  copia non completa, alcune questioni de diversi libri mancanti: «Expliciunt questiones super libro methaurorum Aristotelis quas compilavit magister Blasius de Parma completae et scriptae per me magistrum Johannem de Medicis deyter (P)-  Tabula quaestionum methaurorum  VATICANO, ms. Vat. lat. Tabula delle prime 16 questioni del primo libro, CONCLUSIONES DE ANIMA. VATICANO, Urb, lat. [BJonorum honorabilium nottam... iste est primus tractatus hurus primi libri de anma habens unicum capitulum quod dividitur in tot partes quot sunt conclusiones in co... nobis necessario non insunt. Expliciunt conclusiones super tribus libris de anima compilatae per magistrum Blaxium de Parma. Amen PADOVA, mutilo dell'inizio,, ma carte in materia et hoe est philosophia. Expliciunt conclusiones super libris de anima secundum eximium doctorem magistrum Blasium de Parma per me fratrem Antonium ordinis Servorume.  Biagio segue fedelmente il testo della translatio antiqua del de anma come è pubblicato, con il commento di Averroé nella edizione giuntina.  Le due copie, una contenuta nel Var. Urb. lat. e l'altra a  Padova, Bibl. Univ., corrispondono tedelmente,  compilata da Bragio come risulta dall'expliat: expliciunt conclusiones super tribus hbris de anima compilatae per magistrum Blaxium de Parma, Amen Il ms. Padova, Bibl, Univ. ha alcune carte strappate, ma è identico al Vaticano. Differenza rilevante che abbiamo riscontrato da una collazione tra le due copie è l'introduzione nel ms. Urb. lat. delle opiniones antiquorum de anima, mancanti nel seguito del Padovano, Univ., e non perché la carta sia stata strappata. In questo ms. Urb. lat. a proposito dell'opiniones antiquorum. riferite per esteso e mancanti nel padovano: «errores antiquorum et hoc secundum Bridanm, quia hos Blaxius non recitavit de anima. Inoltre esistono alcune differenze tra le due copie, che sono, a nostro avviso, molto importanti. E sulla base di questa diversità che abbiamo supposto che la copia del manoscritto padovano sia un poco anteriore a quella del vaticano e da collocarsi, forse, in un periodo anteriore alla condanna del vescovo di Pavia per la forza di una espressione che si trova nelle prime carte e che viene por modilicata nella copia del manoscritto Urb. lat, compilata da Biagio, Biagio corregge in altri termini l'espressione materia regitiva totius universi quae est ipse deus», con natura regitiva totius universi quae est ipse deus. Diamo qui la collazione delle due copie da cui risulta la correzione. PADOVA Hic asculta quod licet in conclusione dicatur quod generare sit generalissimum seu naturalissimum  viventibus etc., non intelligitur tamen qued hace operatio quae est generare sit cateris perfectior et magis intenta a generante, quia non est dubium quad  unum quodque animatum principalius intendit conservare seipsum quam generare.  Sed tamen  verum est quodp er conservationem  specier  hacc operatio est maxime intenta ab agente particulari et materia regitiva  totins inversi quae est ipse dense. VATICANO,  Vat. Urb. lat, Hie asculta quod licet in conclusione dicatur quod  generare sit  generalissimumseu naturalissimums  viventibus ete., non intelligitur tamen quod hace operatio quæ est generare sit cacteris perfection et magis intenta a generante, quia non est dubium quod  uodque  animacum principa intendit conservare seipsum Sed tammen verum per conservationem speci  hace operatio est maxime intenta agente particulari et a matura regitiva totins  universi gide est ip  QUAESTIONES DE ANIMA  VATICANO, Vat. Chig, Circa primum librum de anima primo quacritur utrum aliqua notitia sit nobis possibilis. Expliciunt quaestiones primi, secundi et terti libri de anima datae per excellentem artium doctorem Blaxium de Parma, recollectae  Adsit principio Sancta Maria meo, amen, Utrum aliqua notitia sit nobis possibilis. Expliciunt quaestiones super libris tribus de anima, disputatae Paduæ per reverendissimum et egregium artium doctorem  Magistrum Blasium de Parma [.. Expletac Paduae, ma prima augusti die.  Tabula questionum de anima secundum magistrum Blasium de Parma, doctorem dyabolicum. Queste due copie corrispondono fedelmente. Vat. Chig. Circa primum librum de anima primo quaeritur utrum aliqua notitia sit nobis possibilis. Et arguitur quod non. Primum argumentum: staliqua  notitia esset nobis possibilis maxime.  Consequenter quaeritur secundo utrum de anima sit nobis  aliqua notitia possibilis. Consequenter quaeritur  utrum cognitiones distinctae distin-  guantur proporzionaliter secundum distinetionem suorum obiectorum Consequenter quaeritur quarto utrum diversae scientiae  proportionaliter se excedant  secundum excessum obiectorum. Consequenter quæritur utrum scientia de anima sit alfis  scientiis difficilion.  Consequenter quaeritur  utrum cognito unius rei possit causare cognitionem alterius rei. Consequenter quacritur  septimo utrum spericumpositum supri  planumtangatipsum praccisem puncto.  Utrum anima intellectiva possit a corpore separari.  Ms. Napoli, Bibl. Naz. Adsit principio Sancta Maria Utrum aliqua notitia sit nobis possibilis. Arguitur qued non. Si aliqua notitia esset nobis possibilis maxime esset ilia.  Consequenter  quacratur  utrum de anima sit nobis aliqua  notitia possibilis. Consequenter quæritur utrum cognitiones distinctae distinguantur  proportionaliter spundum distinctionem suorum obiectorum.  Consequenter quaeritur  utrum diversae scientiae proportionaliter se excedant secundum exces-  sum obiectorum. Consequenter quæritur utrum scientia de anima sit aliis scientiis difficilior. Consequenter quaeritur  utrum cognitio unius rei possit causare cognitionem alterius rei. Consequenter quaenturutram spericum positum supra planum tangat  ipsum precise in puncto.  Consequenter quaeritur utum  animaintellectiva possitacorporeseparan.Quaeritur primo circa secundum de anima et sit prima quaestio scilicet utrum omne vivens sit compositum ex duplici substantia, ut puta ex amma et corpore. Consequenter quacritur utrum diffinitio de anima sit sufficienter posita qua dicitur anima  est actus primus substantialis.   Consequenter quaertur utrum ex anima et corpore fiatunum.  Consequenter quaertur utrum in qualibet creatura rationali anima intellectiva sit distincta a  sensitiva et vegetativa crus. Consequenter quaeritur utrum in homine anima intellectiva sit tota in toto et in qualibet parte ipsius hominis, Quaeritur utrum in latitudine viventium sit essentialis perfectio penes accessum ad  summum attendenda.  Quacritur utrum naturalissimum sit unumquodque  generare sibi tale quale est.  Quacritur utrum qualitas in vigore proprio possit formam  substantialem producere.  Si combusebile non dehvat augeaturignis  quantum libet in infinitum.  Consequenter quaeritur  utrum animal possit nutriri ex  impiei de Comequente quaerinur  utrumomne animal dum vivie nutsarur. Consequenter  quaeritu  utrum exures sit appetitus calidi et sicci.  Conseguenter quaeritur utrum sensus sit virtus paxiva.  1HConscquenterquaenturtrum  species conserventur in organo sensus temporaliter in abisentia obicetorum.  Consequenter quaeritur  utrum omne quod apparet sit tale, Quaero istam quaestionem circa materiam secundi utrum omne vivens sit compositum ex duplici substantia, ut puta ex anima et corpore.  Quaero istam quaestionem utrum definitio de anima sit sufficienter posita, qua dicitur anima est actus primus substantialis.  Quaero istam quaestionem utrum ex anima et corpore fiat unum, Quacro istam quaestionem utrum in qualibet creatura rationali anima intellectiva sit distineta a sensitiva et vegetativa eiusdem.  Quaero istam quaestionem utrum in homine anima intellectiva sit tota in toto et in qualibet parte  ipsius hominis.  Quaero utrum in latitudine viventium sit essentialis perfectio penes accessum ad summum attendenda.  Quacritur utrum naturalissimum sit unumquodque  generare sibi tale quale ipsum est.  Quacritur utrum qualitas in vigore proprio possit tormam  substantialem producere.  Quaeritur utrumsi combustibile non deficiat augeatur ignis  quantumliber in infinitum.  Quacritur utrum animal possit nutriri ex simplici elemento.  Quacritur utrum omne  animal dum vivit nutriatur.  Quaeritur utrum esuries sit appetitus calidi et sicci,  Quacritur utrum sensus sit  virtus passiva.  Quaeritur utrum species conserventur in organo sensus temporaliter in absenta obrectorum.  Quaeritur utrum omne quod apparer sit tale tantum et ubitantum et ubi, quale et quantum et ubi apparet quae quaestio consucta est proponi sub hac forma, Consequenter quaeritur utrum lumen multiplicetur per medium subito et in istanti.  Consequenter quacritur utrum visio fiat in istanti.  Consequenter quaeritur utrum possibile sit aliquem sonum esse vel bert  Consequenter quaeritur utrum idem sonus possit a pluribus audiri. Consequenter queritur  utrum  odor multiplicetur  spiritualiter per medium.  Consequenter quenturutrum  sensus tactus sit inus ct non plures,  Consequenter quaenturutrum duo corpora dura possint se tangere. Consequenter quaeritur utrum ad  sentiendum tangibile  requiratur medium extrinsecum.  Conseguenter guaentur  utrum quinque sint sensus exteriores et non plures nec pauciores.  Consequenter quaeritur utrum sensibile positum supra sensum causet sensitionem. Consequenter quaeritur utrum evidenti ratione ostendi possit sensum communem esse ponendum.  Consequenter quac-  ntur urum oranum sensus communs  sit in cerebro vel in corde... Et hace hie sit finis questionum secundi libri de anima.  quale quantum et ubi apparet.  Quacritur utrum lumen multiplicetur per medium subito et in istanti.  Quaeritur utrum visio fiat in instanti.  Quacritur utrum possibi le sit aliquem sonum esse vel hier. Quaestio sit ista utrum idem sonus possit simul a pluribus audiri.   Quaeritur utrum odor multiplicetur spiritualiter per medium. Quaeritur utrum sensus tactus sit unus et non plures.  Quaeritur utrum duo corpora possint se tangere. Quaeritur utrum ad sentiendum tangibile requiratur medium extrinsecum. Quacriturutrum quinque sint sensus exteriores et non plures nec pauciores.  Queriturutrum sensibile positum supra sensum causet sensationem.  Quaeritur utrum evidenti ratione ostendi possit sensum communem esse ponendum.  Quacritur utrum  scnsuS commanis organum sit in  cerebro vel potius in corde... explicit secundus de anima.  Dubitatur circa tertium hbrum de anima et quaeritur primo utrum intellectus humanus pati possit ab aliquo agente.  Conseguenter guaeritar  utrum possit persuaderi quod intellectus humanus sit denudatus ab omni qualitate.  quaeritur utrum intellectus humanus pati  possit ab aliquo agente.  Quacritur utrum possit persuaderi  intellectus  numanus sit denudatus ab omni  qualitate.  Quacritur utrum omnis veritas possit ab intellectu cognosci.  Quaeritur utrum  intellectus humanus possit intelli-  gere quod non est. Consequenter quaeritur utrum intellectus possit simul plura intelligere. Consequenter quaeritur utrum per speciem lapidis intellectus  intelligat se ipsum. Consequenter quaentur utrum actus intelligendi et habitus et cum hoe species, sint idem quod anima actualiter vel habitualiter intelligens. Consequenter quacritur utrum voluntas sit praccisa causa activa suae volitionis et nolitionis.  Consequenter quaeritur utrum voluntas humana in utramgue partem contradictionis sit libera. Quacritur utrum principium motus localis in corporibus viventibus sit anima vegetativa vel sensitiva an magis intellectiva.  Ultimo quaeritur utrum natura in erus operibus deficiat in necessaris et habundet in superfluis;  Expliciunt  Guarde anima rima peredi leneri  artium doctorem Blaxium de Parma recollectae per me Marinum de  Leonissa in studio Paduano deo gratias ad cuius finem me perducat qui vivit per infinita saccula amen amen amen.  Incipit tabula praccedentium quaestionum super libro de anima.  Utrum omnis veritas possit  ab intellectu cognosci.  Quacritur utrum intellectus humanus possit intelligere quod non est.  Quacriturutrum intellectus  possit simul plura intelligere.  Quaeritur utrum per speciem lapidis intellectus intelligat  sespsum.  Quacritur utrum actus intelligendi et habitus et cum hoc species, sint idem quod ipsa anima actualiter vel habitualiter intelligens.  Utrum voluntas sit praecisa causa activa suae volitionis et nolitionis.  Utrum voluntas humana in utraque (partem] contradictionis sit libera. Quacritur utrum  principium  motus localis in  corporibus viventibus sir anima vegetativa vel sensitiva an magis intellectiva.  Quaeritur utrum natura ineius operibus deficiat in necessaris et habunder in supertluis, Expliciunt questiones super libris tribus de anima.  disputata Paduae per reverendissi-mum et egregium artium doctorem  Magistrum Blasium de Parma, deo  Me si nome sei en sicci  Expletae Paduae  prima augusti die. Tabula quaestionum de anima secundum magistrum Blasium de  Parma doctorem dvabolicum.  CONCLUSIONES e QUAESTIONES PHYSICORUM  CONCLUSIONES PHYSICORUM  TREVISO, Bibl. Comunale, raccolte da un discepolo l'ultima cifra è andata perduta nella rilegatura): *Glose per Blasium de Parma super librum physicorum utiles cumanima boni philosophi (Buridano secondoil ms.), Incipiunt recolecte (.)per  Blasium de Parma super libro physicorum»; t. 43vs «Explicit compendium recollectarum super 8 libros physicorum per dominum magistrum Blastum de Parma- (per Matheum de Tervixio): f. 13va: «Et finis questionum secundi libri physicorum que sunt recolecte per me Matheium de Tervixio philosophum minimum ex dictis valentium doctorum 138 (?)»,  QUESTIONES PHYSICORUM  VATICANO, Vat Chigi, O. IV, 41, sec. XIV, ff. 226r-280vb, prima redazione limitata al primo e secondo libro della física, questione settima del secondo libro. Incipit« Circa primum librum physicorum quaeritur primo et su prima questio in ordine, utrum nobis de rebus naturalibus sit possibile aliqua cognitio sensitiva vel intellectiva, expliciunt quaestiones primi libri physicorum recollectae per me Marinum sub reverendo doctore magistro Blaxio de Parma in studio paduano ordinane legente Padova  IUDICIUM  In quodam iudicio magistri Blasii de Parma, ms. VATICANO, Reg, lat., 1973, ff, 48rb-vb, incipit: «qui maxime se diligit»; cfr, la edizione,  Rinascimento Firenze  Pavia  QUESTIONES SUPER TRACTATUM DE PROPORTIONIBUS THOMÆ BRADWARDINI  Esistono due redazioni diverse di questa opera. Le seguenti tre corrispon-dono salvo lievi varianti formali sebbene una di esse sia stata corretta e rivista in parte da Biagio e in parte da Pietro de Raimundis de Cumis, contengono 12 questiom; una quarta copia non corrisponde e contiene salo 11 questioni.  VENEZIA, San Marco, lat. codice posseduto da Marcanova, le questioni di Biagio sono,  Bradvardin anglico sacrae paginae professore scriptae et completae per me Andream de Castello, questiones super eisdem proportionibus secundum magistrum Blasium artium venerabilem doctorem. Incipit: счастисит ситса proportones utrum conungar  omnem motum alteri in  velocitate et tarditate proportionar. Negative:  arguitur primos; t. 37ra:  «expliciant questiones super tractatum de proportionibus utrum contingat omnem motum alter in velocitate et proportionibus secundum venerabilem doctorem magistrum Blaxium de Parma scriptae per me Andream de Castel-lo Bononiae sub anno Domini 1391 19 die mensis iulii«: OXFORD, Bdl. Lib., Canonici, mise, expliciunt  questiones magistri Blaxii super tractatum proportionum Bardvardini, amen»; VATICANO, Var. lat.,  se-guito da carte bianche, testo rivisto in parte da Biagio e da Raimondo da Cuma: incipit: quaestiones super tractatum proportionum magistri Thomac  Berverdini ab eximio artium doctore monarchaque domino magistro Blaxio de Parma «utrum contingat ombem motum alteri in velocitate et tarditate proportionarie; si legge istas quæstiones super tractatum de proportonibus ego frater Petrus de Raymumdis de Cumis emi a magistro Jacobo de Panicalibus artium et medicinae doctore et ipsas pro parte correxit magister Blaxis de l'arma huius operis compilator, in residuo autem pars ego correxi».  Una redazione diversa, più breve che comprende solo 11 questioni si trova  AMILANO, Ambrosiana, Expletae suntquaestiones  super tractatum de proportionibus Tomae Bervardini compilate per magistrum Blaxium Pelacanum de Parma, incipit: «utrum intensio qualitatis attendatur penes accessum ad summum gradum vel penes recessum a non gradu-, la quaesto e mutta; segue la seconda, f, 6ra, «consequenter quacritur  proprianemi edit pre ioni, taranel dabi, si sandra:  ROMA, Angelica, Su cio cfr. in particolare il muo studio Due comment anonimi al Tractatus proportionum di Bradwardine, Rinascimento, QUESTIONES DE LATITUDINIBUS FORMARUM  Esistono tre redazioni diverse con particolare riguardo alla prima questio-ne. Primo gruppo: 1) OXFORD, Bdl. Lib., Canonici, misc.; esse seguono l'explicit delle crusdem tractatus de latitudimbus formarum quaeritur primo utrum alicurus formae set latitudo unforms quod non.., exphcunt questiones super tractatu de latitudinibus formarum datae per venerabilem artium doctorem magistrum Blaxium de Parma per me Donatum de Monte artium doctorêm et in medicina studentem, 1392 die 29 decembris regnante domino Francisco de Francia Paduae secunda vice Amen MILANO, Ambrosiana, circa tractatum de  -latitudinibus formarum quaero primo utrum cuiuslibet formae latitudo est  coitounde l difinis con litur quad die (quesa prima pratione, por  questa prima questione si avrebbero dunque, tre stesure diverse). F.  «Explicitae sunt questiones super tractatu de latitudinibus formarum editae et ordinatae per me Biaxium Pelacanum parmenseme, Un secondo gruppo di mss, contiene le questioni de latitudinibus formarum in una redazione quasi uguale, salvo licvi varianti formali, con le prime ediziom di questa opera, Padova, per Matteo Cerdone, Venezia,  per Scoto, La redazione della I questione è diversa da quella d ei 2 mss. sopra citati: FIRENZE, Laurenziana, Ashburnham, quaestiones de latitudinibusformarum, mapu  quaeritur  primoutrum  cuushbet formae latitudo sit uniformis vel dillormis et arguitur primo quad non de forma substantiali ut de anima intellectiva quae est indivisibilis»; expliciunt quaestiones super tractatum de latitudinibus formarum determinatae per venerandum doctorem magistrum Blasium de Palma (sic) scriptae per manum Roberti de sancto Petro» VATICANO, Vat.  lat, SIENA, Comunale, expliciunt quaestiones super tractatu de latitudinibus formarum edito a magistro Blasio subtilissimo viro de Parma Paduae vero scripto per me fratrem Johannem Angeli Senensem ordinis praedicatorum OXFORD, Bdl. Lib. Canonici, quaeritur primo utrum cuiuslibet tormae latitudo sit uniformis vel difformis et primo arguitur quod non de forma substantial ut de anima intellectiva quae, expliciunt questiones utiles super tractatum de latitudinibus magistri Blaxii de Parma per me Vendraninum scholarem artium 1404 die 19ª Man stante discordia non modica inter Venetos et dominum Pad.». Questa copia ha maggiori varianti rispetto alle altre tre.  QUÆSTIO DISPVTATA DE INTENSIONE  ET REMISSIONE FORMARUM  1) OXFORD, Bdi, Lab., Canonici, musc. sit aliqua qualitas posse intendi similiter et remitti, arguitur primo de supposito»; f. 39rb: «explicit questio de intensione formarum disputata per reverendum doctorem magistrum Blaium de Pelacanis de Parma»; VENEZIA, San Marco, classe codex  (Valentinelli), comprato da Marcanova, lasciato ai frat di San Giovanni in Verdario, contiene una redazione un pò diversa, fatta da Biagio per il figlio Francesco (con bella capitale miniata). Contiene dopo il terzo articolo e prima dell'inzio del quarto articolo, dubia di statica e di meccanica che non si trovano nella copia di Oxford sopra citata, ft. 13rb-tova: vantequam condescendam ad quartum articulum pro declaratione matori doctorum necnon dicendorum ego quaero adhue hane dubitationem utrum a proportione acqualitatis vel minoris inacqualitatis proveniat vel possit aliquis ellectus provenire» (con figure e note nel margine basso): f.  Lova: «et hace dicta sint pro toto isto dubio cum eis difficultatibus motis et etiam de isto tertio articulo principalis questionise; expliciunt ca quae sufficienter sub veritate dici possunt circa materiam de intensione et remissione formarum in hac notabilissima questione secundum excellentissimum artium monarcham necnon studiorum Italiae illustratorem magistrum Blasium de Pellachanis de Parma quae quidem quaestio est mei  Francisci fili cius. Il folo seguente porta la copia dell'epitaffio della tomba di Biagio posto sulla porta della cattedrale di Parma; OXFORD, Bdl. Lib., Canonici, misc. emutilo in fine); incipin cum sit evidens aliquam qualitatem posse intendi vel remitti. CONCLUSIONES e QUESTIONES PHYSICORUM  CONCLUSIONES PHYSICORUM  Seconda redazione: VATICANO, Vat. lat, expositio primi libri physicorum per conclusiones secundums serenissimum artium illustratorem magistrum Blaxium de Parma. Incipi: quoniam quidem intelligere et scire contingit circa omnes scientias quarum sunt principia»;t. 49va: set in hoc cum der laude finitum (sic) sententia actavi et ultimi libri physicorum secundum solemnissimum virum artium illustratorem preclarissimum Blasium de Parma, Expliciunt conclusiones octavi libri et ultimi physicorum secundum Blasium de Parma qui subtilis doctorappellatur  in studio papiensi scriptae per me Bernardum a Campanea de Verona hora tertia noctis»; (sui codici copiati e posseduti da Bernardo cfr. il mio studio A propos de la diffusion des oeuvres de Jean Buridan en Italie, The Logicof Buridan, ed. PinnoRG, Copenhagen) e Caror, I codici di CAMPAGNA (si veda), Roma, Manziana, QUESTIONES DISPUTATAE SUPER OCTO LIBROS PHYSICORUM Seconda redazione, in Pavia, VATICANO, Vat. lat. Gratia regis caelorum qui totius are elementalis summus est imperator in laudem et gloriam serenissimi ducis.  Incipit, utrum scientifiça notitia sit nobis a rebus naturalibus passibilis-,  Diamo qui di seguito i titoli di tutte le questioni da questa copia.  Questionum physicorum tituli:  Liber primus utrum scientifica notitia sit nobis de rebus naturalibus possibilis, arguitur quod non.  secundo quaeritur utrum cognita causa totalis alicurus rei cognoscatur statum illa res et non aliter, arguitur negative. tertio quaeritur utrumin nacuralibus ordine doctrinae ab universalibus in singularia sit processus, et arguitur primo negative. quarto quaeritur utrum asserentes omma esse unum possint probabiliter in hac opinione substentari, arguitur quod sie.  sexto quaeritur utrum asserentes omnem rem  cxtensam et suam extensionem non differre, possint probabiliter positionem  corum substentare, et statim arguitur quod sic.  quacritur et septimo utrum in materia quantum-cumque parva forma substantialis hora generationis producatur, primum  naturalium esse tantum tria possint potenter impugnari et arguitur quod sic. quaeritur et nono utrum per potentiam finitam vel infinitam possit aliquid fieri ex nichilo, arguitur quod sic.naturalie appela peranque rur de quadron Expibe ena estrale  primi libri physicorum secundum excellentissimum doctorem Blaxium de  quæstiones secundi libri physicorum secundum antedictum doctorem. Bernardus antedictas quaestiones Liber secundus  circa secundum librum physicorum primo quaeritur utrum domificator vel faciendo domum faciat aliquid rebus naturalibus  condistinctum et sie ista quaestio duo quaerit,  secundo quaeritur utrum quodlibet ens naturale habeat in se principium motus et quietis, arguitur quod non.  tertio quacritur utrum omnis forma in latitudine perfectionali entium sit perfectior quam sit materia.  quarto quaeritur utrum diversæ scientiae  perfectione essentiali secundum proportionem obiectorum proportionaliter  excedant se, et arguitur primo negative. sexto quaeritur utrum possit evidenter probari aliquid esse causa altenus, arguitur negative.  septimo quaeritur utrum ad cuiuscumque rei naturalis generationem practer agens particulare requiratur influxus causae universalis quae causa universalis dicitur sol quia secundo huius dicebatur quod homo generat hominem et sol et ita intelligitur de aliis planetis, arguitur octavo quaeritur utrum inter agentia particulani  supposita semper generali influentia superiorum possit qualitas una vel plures formam substantialem producere et arguitur primo affirmative. nono quaeritur utrum asserentes omnia de necessitate evenire et nhil a casu vel a fortuna, possit corum positionem substentare et arguitur primo affirmative:  Liber tertius circa tertium librum physicorum primo quaeritur utrum in aliquo casu necesse sit ignorare naturam, probatur quod non.  secundo quacritur utrum hacc propositio  'motus est' significans motum esse et precise sie et non aliter, sit vera et  arguitur primo negative.  tertio quaeritur utrum motus sit ipsum mobile,  arguitur primo quod non. quarto quaeriturutrum contradictionemincludat aliquam magnitudinem esse actu infinitam et arguitur quod non.  Liber quartus  quartur 1 i poss sto ci gequari ato, aria quad primo secundo quaeritur utrum entia naturalia distantia ab corum locis naturalibus moveantur ad illa, impedimentis subtractis, arguitur quod non.  tertio quacritur utrum corpora naturalia ab corum locis naturalibus distantia remoto impedimento moveantur ad illa per lineas rectas tamquam per lincas breviores, arguitur négative.  possiblis arguit pro quo guinto quacritur utrum in vacuo sit morus   sexto quaeritur utrum penetratio corporum sit possibilis et arguitur qued sic.  septimo quacritur utrum rarefactio sit possibilis, octavo quaeritur utrum hace propositio sit concedenda "nune est tempus', et arguitur quod non  nono quaeritur utrum aliquid sit praecise per instans, arguitur quod sic.  Liber quintus circa quintum librum physicorum quaeritur primo utrum agens naturale hom qua agit in passum agat in ipsum secundum  arguitur quod sic. tertio quaertur utrum alteratio sit motus, arguitur quod non. quarto quaertur utrum augmentatio sit motus  quintoguaritrucumcontadicionemindudat  motum localem esse et non esse motum, arguitur quod non.  sexto quaeritur utrum unitas motus sit principaliter attendenda penes unitatem temporis aut magis penes unitatem mobilis, etista quaestio quaeritur quia philosophus ad testum dicit quad ad unitatem numeralem motus requiritur unitas temporis et mobilis et dispositionis secundum quam est motus, primo arguo negative.  septimo quaeritur utrum aliqui motus differant specie arguitur qued non. octavo quaeritur utrum in motibus sit penes contrarietatem terminorum ad quos contrarieras attendenda, arguitur primo  negative.  nono quacritur utrum possibile sit contraria in codem simul complicari, affirmative arguitur.  decima quaestio quaeritur utrum qualitas sit intenlegi ego Bernardus a Campanea de Verona, in felici studio  papiensi, Explevi etiam ipsas vero recoligere die Mercurii XI' Juli hors XXI, Liber sextus  Incipiunt questiones sexti libri physicorum secundum praedictum doctorem quas incepi recoligere die Jovis XII' Julii in civitate Papiac, circa sextum librum physicorum primo quaeritur utrum per bonas rationes concludi possit continuum esse ex indivisibilibus compositum, arguitur quod sic. secundo quacritur utrum continuum sit in infinitum divisibile, et arguitur quod non. tertio quaeritur utrum mobile velox per idem tempus vel aequale plus pertranseat de spatio tardiori, arguitur primo  negative: quaeritur et quarto utrum indivisibile moveri localiter vel alio modo rationibus obviet philosophorum, arguitur quod non. quinto quaeritur utrum sit possibile motum velocitari in infinitum, et statim arguitur quod non.  sexto quaeritur utrum omne quod moverur prius movebatur et post hoc movebitur, et arguitur quod non.  seprimo quaeritur utrum possibile sit magnitudinem infinitam transiri tempore finito et finitam transiri tempore infinito, et arguitur primo ad primam partem quod sit possibile. octavo quaeritur utrum potenter possit improbari alquod moven localiter et arguitur primo affirmative. Expliciunt quaestiones sexti libri physicorum secundum Blasium de Parma.  Liber septimus  Incipiunt questiones super septimo libro physicorum secundum Blasium  praedictum, primo circa septimum librum physicorum quaeritur utrum omne qued movetur moveatur ab alio, arguitur primo.  negative. secundo quaeritur utrum in motibus et motis sit processus in infinitum aut potius sit venire ad primum motorem et arguitur  primo affirmative. tertio quaeritur utrum in omni motu movens et motum sint simul et quia ista terminus 'simul* potest dicere simultatem loci et temporis, ideo primo arguitur negative ex parte loci. quarto quacritur utrum morus rectus et circularis sint invicem comparabiles, et arguitur primo affirmative. quinto quaeritur utrum acqualiter gravia  moveri, et arguitur affirmative. sexto quacritur utrum in alteratione sit certa velocitas attendenda, arguitur quod non. septimo quaeritur utrum in motu locali sit certa velocitas attendenda, et arguitur quod non. octavo quacritur utrum in augmentatione sit certa velocitas attendenda, et arguitur quod non.nono quaeritur utrum in motibus proportio velocitatum sit sicut proportio causarum, et arguitar quod non.  ultimo quacritur utrum agens naturale sit limitatum et arguitur affirmative. Expliciunt quaestiones super septimo libro physicorum Aristotelis disputatae et in scriptis traditae per magistrum Blaxium de Parma doctorem famosissimum artium.  Liber octavus  Inepiunt quaestiones super octavo libro et ultimo physicorum Aristotelis secundum praedictum magistrum Blaxium de Parma, primo circa octavum librum physicorum quaertur utrum philosophicis rationibus patenter concludi possit matum fusse ab aeterno et arguitur affirmative: item dubitatur et secundum utrum 'deum non esse' contradictionem includat, arguitur primo negative. tertio quaeritur utrun contradictionem includat caclum fuisse acternaliter productum et arguitur quod sic.  quarto quaeritur utrum caclum moveri in instanti contradictionem includat et arguitur quod sic. quinto quaeritur utram possibile sit primum motorem caclum movere in instanti et arguitur quod sic,  sexto quaeritur utrum inanimata sive gravia sint sive levia ex se moverntur vel nata sint ex se mover et arguitur quod sici Vseptimo quacritur utrum motus localis sit primus motuum arguitur quod non. Ira: octavo quaeritur utrum asserentes motos contrarios quiete media interrumpi possint per rationes naturales improbari: nono quaeritur ut rum praecise motus circularis sit perpetuus, arguitur negative: decimo quacritur utrum per rationes naturales amar possit a quo protecta moveantur contra inclinationes naturales cumab impellente recesserunt, et arguitur quad non., undecimo quaeritur utrum per naturales rationes concludi possit primum motorem qui est ipse deus et vigore et duratione esse inhnitum, et arguitur attrmative: ultimo quacritur utrum primus motor st  -ubique, tamen magis in circumferentia quam in centro, arguitur negative sic.  Expliciunt quaestiones super primo, secundo, tertia, quarto, quinto, sexto, septimo et octavo libris physicorum Aristotelis disputatae et in scriptis traditae in civitate Papie per perspicuum doctorem Blaxium de Parma. Altra copia, stessa redazione, non completa, manca l'intero ottavo libro e alcune colonne degli altri nonché aleuni problemata: VATICANO, Vat. Lat. quaestiones physicarum. Cratia re favente qui totus... utrum scientitica noutia de rebus naturalibus sit nobis possibilis; consequenter circa septimum physicorum quacritur primo utrum omne quod movetur moveatur ab alio, quaeritur trum omne agens sit in cius actione limitatum et arguituraffirmative», si arresta al primo articolo; si legge: istae questiones Blaxii super libros physicorum sunt fratris Petri de Raymundis ordinis Prædicatorum quas scribi fecit et sub ipso magistro Blaxio audivit IN THEORICAM PLANETARVM ALPETRAGI In Theoricam planetarum Blasii demonstrationes et dubia. Si tratta di opera diversa dalle semplici Demonstrationes geometricæ in theoricam planetarum: Demonstrationes et dubia in theoricam planetarum Alpetragii, VATICANO, Vat. lat. Super theoricam planetarum aliquas demonstrationes et dubia circa materiam gratiarum largitor pulsando  occultare ne me quis invidum reputaret qui non papirum combustilem, sed pergamenum magis ignis extinctum gratus vobis cognovi lineandum, quia etc. omnibus licitum est ordinem servare doctrinalem, consequar quod promisi, videlicet primo orbes solis depingendo ut sic inde conclusius videat apparentas et nequaquam naturalibus principiis derogando et naturali obviat qui vacuum pont qui corporum penetrazionem admittit et minus qui orbes facere fluere et stationes cum praedictis, deinde propositiones demonstrationem parientes ut gloriosus deus concesserit discursu apodiacon demonstrabo et ultima demonstrata pro tabulistis quantum ad corum proposita sufficit, applicabo. Tres orbes mundo eccentricos et difformes per applicationem speram solis eccentricam fabricare, Istam conclusionem propositam non intendo demonstrare...; f. 60va: «patet quomodo respondetur ad demonstrationes contra istam et sie sit finis per me Petrum de Fita, Expletae sunt theoricae planetarum per magistrum Blasium de Pelacanis de Parma editace: FIRENZE, Laur., Plut, codex, sec. XV, ff. 8ra-14v, non completo, si arresta al commento della proposizione Dunam sex motibus moveri quibus datis, con le parole: set tertium ab eis distat vel illud tertium quod a duobus coniunctis distat est Sol vel epiciclus; BERLINO, Staatsbibliothek, ms. lat Demonstrationes et dubia theoricae Blasii de Pelacanis de Parma; VENEZIA, San Marco, Demonstrationes et dubia Blasii Parmensis super theoricam planetarum,  11. 175г-216v; FIRENZE, proprieta Olschki, Super theoricam planetarum aliquas demonstrationes et dubia secundum subiectam materiam gratiarum Tres orbes mundo eccentricos et difformes per applicationem speram solis fabricare, istam conclusionem propositam non intendo demonstrare», edito sotto l'attribuzione a Pietro da Modena da G. BoerTo E U, MAzzIA, D'un ignoto astronomo del secolo XIV, Pietro da Modena, da un ms. della collezione Olschki,  Bibliofilia; in realtà si tratta dell'opera di Biagio, cfr. anche L,  THORNDIKE, Notes upon some medieval latin astronomical astrological and mathematical manuscripts at the Vaticana,  Isis, PARMA, Bibl. Palatina, In theoricam planetarum demonstrationes geometricæ  VATICANO, Var. lat, Blas Parmensis demonstrationes geometricae in theoricam planetarum, mapit: « Centrumsolis acqualiter distat a centro eccentrici solis et a centro terrac existentis in duobus punctis terminantibus lineas existentes plus sex signis luna peragit cursum suum. Finis theorica lunae»; branco: f. Laurenti Bonincontri Miniatensis super Centiloquio Photomer. Nella prima carta del codice se legge Nicolai comitis patavini de motu octavae sphaerac, Tractatus sphaerae Johannis Sacrobosco, Demonstrationes Blasir parmensis, Comentum Albertum magnum super sphacram, Eiusdem Blasti demonstrationes mathematicae super theorica planetarum, Centiloquiam Ptolomei cum commento mei Laurentii Bonincontri»; nell'indice, dunque sono indicati i due testi di Biagio, ma noi ne avremmo individuato uno solo. VIENNA, Bibl. Nat., mapu, centrum solis acqualiter distat a centro eccentrici. Corrisponde salvo lievi varianti, fino a f. 66v (con la proposizione 22a), con il Vat, lat., VENEZIA, Museo Correr, Provenienza Cicogna; contiene solo l'explicit, evidentemente errato: finiant demonstrationes Blasii de Parma super theorica planetarum compilata per ipsum in gymnasio  mia edizione Il 'Lucidator' dubitabilm astronomiae di Pietro d'Abano SCHIAVONE, Padova, Editoriale Programma, Le Demonstrationes geometricæ sono pubblicate anomime nell'edizione per Scoto, Venezia, Sphaera mundi cum commentaris. Anche THORNDIKE, Notes upon some mediaeval latin astronomical astrological, JUDICIUM  ladicium revolutionis anni 1405, PARIGI, Bibl. Nat., lat., ludicium revolutionis anni  cum hors et fractionibus secundum magistrum Blasium de Parma, incipit: cantequam invadam pracsentem materiam pro mei informatione et alterius cuiuscumque priesupponam aliqua in modum propositionum iuxta formam et consuetudinem philosophantium, Su questa opera efr. il mio studio P. una storia astrologica, Abstracta. Biagio Pelacani. Pelacani. Keywords: implicature, prospettiva, filosofia della percezione, origini del libertinismo, commentario in detaglio sulla semiotica di Occam – dialettica – segno, nota, sermo. Refs.: Luigi Speranza, “Pelacani, Grice, e Shorpshire sull’immortalità dell’anima.” Luigi Speranza, “L’animismo di Pelacani e Grice, ‘smoke means fire, literally.’” Pelacani.

 

Grice e Pelagio: la ragione conversazionale - l’implicatura conversazionale – la scuola di Giulano – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Tutor of Celestio and Giulano di Eclano. Pelagio

 

Grice e Pellegrini: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’amore come affezione dell’animo – e la sua manifestazione nei maschi nobili – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Sonnino). Filosofo italiano. Sonnino, Latina, Lazio. Grice: “I like Pellegrini: he found Aristotle’s ‘obscure’ for the youth the manual Ethica Nichomaechaea is intended for!” È, secondo TIRABOSCHI, filosofo che da' suoi meriti e dalle promesse fattegli da più pontefici pareva destinato a' più grandi onori; ma che non giunse che ad ottenere alcuni beneficii ecclesiastici. Tenne la cattedra di filosofia a Roma. Pubblica il “De affectionibus animi noscendi et emendandis commentaries” e un'edizione della traduzione in latino di Lambin dell' Etica Nicomachea di Aristotele -- i “De moribus libri decem -- corredandola di un riassunto e di commenti, nei quali altera il testo di Aristotele di cui lamenta la difficoltà e l'oscurità. Benché Aristotele del Lizio sconsigli lo studio dell'etica ai giovani, ancora immaturi per una retta comprensione dei principi morali, al contrario, ritiene che lo studio dell'etica deve essere impartito prima ancora di quello della filosofia della natura, in modo che i giovani possano affrontare gli studi scientifici con animo libero dalle passioni. È più oratore che flosofo. Nn pensa ad inovar cosa alcuna, e segue costantemente insegnando i precetti del filosofo stagirita. Altri saggi: “Oratio habita in almo urbis gymnasio de utilitate moralis philosophiæ, cum ethicorum Aristotelis explicationem aggederetur” (Roma); “De Christi ad coelos ascensu” (Roma); “Oratio in obitum Torquati Tassi philosophi clarissimi” (Roma); Tiraboschi, “Storia della letteratura italiana” (Società tipografica  de’ classici italiani, Milano); Carella, “L'insegnamento della filosofia alla "Sapienza" di Roma: le cattedre e i maestri” (Olschki, Firenze); Renazzi, “Storia dell'università degli studj di Roma” (Pagliarini, Roma – rist. anast. Forni, Bologna). P. scrive II important commenti su Aristotele del LIZIO, uno in cui enumera gl’affezioni dell’anima – dall’amore all’ira – amore, speranza, ira, audacia, temore, dolore, animosità. Nell’introduzione, elabora un concetto generale di che cosa e un’affezione dell’anima – il corpo non è menzionato. Ma P. elabora sulla questione dell’anima e il corpo per l’affezione – chè è affetato nell’affezione? Il secondo è un commentario sull’onore e la nobilità. Due trattati sono menzionato dai storici della filosofia. Nel III trattato, P. elabora la questione di TASSO (si veda) ‘filosofo chiarissimo’. Finalmnte, nella sua funzione di censore papale, riceve un saggio sulla politica d’Aristotele da un filosofo tedesco. P. critica la toleranza del filosofo alla posibilità del fraudo – ma il filosofo no considera l’oggezioni di seria considerazione. P. è associato al ginnasio di Roma. Il ginnasio è una istituzione laica – “for I cannot imagine naked monks, playng around!” – Grice. Keywords: implicatura. H. P. Grice, “Il Tasso di Pellegrini”. DE AMORE £X didis antiquorum oHenditur, quanta fit eius vts ,  atque praeflantia .   ^S8S8©Ii RINCIPE M in hac difputatione fibi locum amor vendicat,  quod fons fit atfe&ionum, quae  bonum fpe&antjiuxta illud Parmenidis VELIA   Cundorumq, Deum primum quaefiuit amorem nec non vi atque potelVate ijs antecellat  ideo rerum dominus, ferorum cordium mollitor, alijsq.  honorarijs principatus nominibus appellatur •  quippe fera non eft adeo immanis , quae confpcfto foetu non mitefcat.antiquifsimi mortales, homines agreftes atque truces, liberorum illecebris,  & amore deiiniri coeperunt, vt cecinit LUCREZIO £f Fenus imminuit vires , pueriq. parentum  Blandicijs facile ingenium fregere fuperbum .   Plato in fympofio amorem dixit magnum dacmo  na, praefidentem rebus humanis ; quod eius du-  &uomnia gignantur . Orpheus eundem aiferuit   C' a claues    3»qKi    3 6 DE   claues habere fuperorum & inferorum, quod artis  & naturae opus quodeumque extrudat in lucem;  vnde inuentoris artium , atque magiftri appella-  tionem obtinuit, ferunt Poetae, solis amantibus a  Plutone reditum ad nos concedi ; cum in ceteros  exiftat implacabilis; 8r folollri&o iure, vt Sophocles ait , vtatqr. quid ni? cum fub tutela fint eius ,  quem claues tenere, atque inferna fuo arbitratu  referare fabulantur? Hefiodus mortalium & immortalium mentes amore domari cecinit. Home-  rus louemeiufdem mancipium fecit. Plutarco  in Amatorio amorem coparat Dictatori, quo crea  to cedant omnes magiftratus. Indices criminum, cpnfcij vehemccifsimae perturbationis delifta no  pauca vel impunita, vel leuifsitne caftigatadimife  runt, quod amoris impulfu admiffa conftaret; idq.  non femel hoc feculo fa&itatum teftanturij, qui de criminibus vindicandis confcribunt. Sclethum  Crotonia tamdepraehefum in adulterio fraternaq vxoris, cum se amore victum peccasse diceret, a ciuibus fuis exulare iuifum in lib. pro mercede condudis refert Lucianus, capitis poen. aremifefed  jllum,fcu pudore violatae germanitatis, Ceu legun  amore, quas nalletlabefa& atasjin ignem fponte i  infiluitfe,ac poenam fubiilfe, quam ipfe met fta-  tuerst in adulteros. Mundus» equeftris militiae  du&or fab Tyberio, paulinam Romanam deperibat;eam &uprauic in templo Ifidis ; facerdotibus  pecunia corruptis, facinore comperto ,Tyberius,  in crucem eg i :,iemplu m $uertir, fijup.  ftituam in Ty berim coniecir ; Mundum vero exilio punire faris habuit ; quod, amoris vehementia  fu peratus, peccalfet;Charmo,vim amoris edo&u$j  illi aram in Academiae ingreffuexcit.iuit. Athc-  hienfes Aatiiam dicarunt in tempk) Palladis , a-u  amico bonarum artium; remq. ei diuinam inOi-  tuerunt, Erotidia, ntincuparam: Samij in ciu/dem  honorem Eleutheria facra habuerunt. ANTEROTE quoque finxit,coluitq. mendax graecorum antiquitas, ex Venere et MARTE  natum;  vt eft apud CICERONE de natura Deorum. in  Themiftij fermonibus Themis Dea hortatur Ve-  nerem, vt Anterota gignat , fi amorem adolefce-  re,non perpetuo pufioriem elfe velit. Hinc OVIDIO Almafkue dixi geminorum mater amorum .£& Horae.   Mater faeua cupidinum . qtio loco haeret  Lambinusob ANTEROTE vel obliuionem,vel inco-  gitantiam : In Gymnafio Eleorum erant vtriufq.  icones; EROS palmaccum ramum tenebat, quem ANTEROTE nitebatur eripere, ‘amicitiae, vti reor,limii  lacrum.amici enim ita fe mutuo diligfit,vtin amo  re alter alteri praeire Audeat. Crefcit Eros Antero  tos ortu; quod reciproco amore amans animatur  & accenditur magis ad amandum.   EA autem haec de amore difputatio non parui-  facienda; quam Socrates auide cofe&atur; & cum  fe reliquorum omnium profiteatur ignarum, egte  gium tamen amatorem ia&at, & haberi Audet. Neque vero quis illu hic arguat impuritatis . adeO  enim eafte amauit,vtnec lycophantae acerbifsimi   C 3 AnirtiSi    I   $$ D E   tus, & Melitus impudicas ei obiccennt amores 5  nec Ariftophanes, eidem inimicifsimus,tali accu-  fatione hominem pupugerit ; & cum pauperem ,  loquacem, fophiftam appellairet in fcaena; impu-  rum certe amatorem dicere nec potuit , nec au r us  fuit . Phaedrus amorem maximorum bonorum  cauffam appellauit; quod ab eo {ludium in hone-  flis, verecudia in turpibus immittatur. Spartiatae  cum hoftibus congreffuri, facrificabant amori,  quafi ad fortia egregiaq.impulforijquem morem,  vtplerosq. alios,aCrerenfibus eos accepi{Te,arbi-  tror. eodem enim inftituto Cretenfes ex parte  vfos, Soficrates eft audior . Inde fa&um cenfeo, ve  /aera , quae appellabatur Thebanorum cohors ,  conflata ex amatoribus , fregerit Spartanos . nec  inutile fuerit in acie illos, qui fe mutuo diligunt,  flatuere vicinos; parentes, liberos, fratres,confan-  guineos, amicos ; exercitus enim eiufmodi aplerisq. cenferur infuperabilis . notum eft feftiuum  illud Pammenis didum a Plutarcho in Pelopida ,  relatum ; ignoralfe Homerum vd foret acies in-  (Iruenda, cum iubet,   Et tribui tribu* , & fua curia curiae rt ad fit ,   Cum amicus apud amicum potius locandus vi-  deatur. Scribit Xenophon Aflaticos in bello circum duxi (Te vxor es & natos, vt eos defendere coa-  di , fierent pugnaciores . Eorundem occurfure-ilitutas acies non paucas, & vidoriam confequuras, legimus, demum, cum Harmoniam Marte ac  Venere prognatam fabulae tradunt, eandem amo  risin re bellica vim defcribunt. Verum ad (oli*'  dam amoris commendationem nihil maius , vel  accommodatius afferri poteft, quam quod ma-  gnus Areopagita protulit ; amore fuperiora ad  inferiorum prouidentiam allici ; haec vero,qua(i  fomite igneo fuccenfa , refilire , atque ad fupei na  conuerti j fieriq* circulum a bono, per bonum, in  bonum perpetuo reuolutum . Proclus quoque  pulchrum amorisprotulit elogiumjefle illum cauf  fam conuerfionis rerum omnium in primam pul-  chritudinem ;quae de purifsimo fandifsimoq. in  Deum , ipfumq bonum amore dida ,ad morta-  les fluxasq. curas traduci accomodariq. non pof-  funt. Carolus Cardinalis vim amoris erga consanguineos perpetuo habuit fufpe&am/ eosq. ali*  quid populaturos libentius audiebat per inter-  nuncios; veritus, ne fangninis impulfu ad res ini*  quas concedendas imprudens adigeretur Explicantur Varia nomina huius affeftionis,   & quotuplex fit , declaratur.   E laboremus ambiguitate vocum, quae  varijs amoris nominibus fubie&a notio  fit , primo loco difpiciamus ; quid fcilicet inter amorem , dile&ionem , caritatem, pietatem, cultum, amicitiam, beneuoleti-  tiam interfit. Amor eftvt genus, & quid vniuer-  fum; locum enim habettumin homine, tum in  brutis dile &io eft amor cum ele&ione, vt nomen  indicat; nec repentur in ijs, quae non deliberant  caritas fertur in res pretiofasjdiftinguere veropre-  tiofa a vulgaribus vnius eft mentis, pietas eft in fu  periores , quod bruta vt plurimum non agno-  fcunt; hi funt Deus, patria, parentes, cultus eft  fignum pietatis.amicitia eft amor mutuus, hinc in  de perfpeftus , officijs confirmatus . beneuolcntia eft effedus amoris . alias pro leui amore  vfurpatur; vtlib.p. ad Nicom.^.ha&enusde  nomine. Amor duplicis generis exiftit; alter naturam fe  quitur, alter agnitionem. ille rebus omnibus ineft,  etiam inanimis; hic animantium proprius, de illo  Hefiodusintdligendus,cum in Theogonia, primo  loco fadum Caos cecinit, poft terram, & Tartaru;  tertio amorem, ex terra Caoq. ortum.quis non vi  deat hic accipi amorem pro vi rei cuilibet a natu-  ra indica, vt feipsa,quo ad poteft,expoliat,& tuea-  tur ? quod & Orpheus voluit, cum amorem irtmor  talitatis defiderium appellauit. fuit enim veterum  poetarum haec de rerum ortu fententia ; eundas  ; fpecies , in obfcura , & confufa deformitate impli-  catas, ab initio iacuifte; tu defiderio lucis, & quie-  tis, impellente amore fui, difiundas,ad fedes naturae conuenientes migraffe ; vnde rerum vniuer-  fitasjin ordinem difpofita, conftiterit. Empedoclea GIRGENTI (si veda) rerum principia, litem & amicitiam, non alio,  quam ad ift hæc poetarum commenta fpedafle  dixerim . Amor vero , qui agnitionem fequitur,  & aftedio eft animi ; fi ad henefta fertur, recinet appellationem ; fin ad impudicitiam , vel immdderatum appetitum delabitur, significantius LIBIDO vel cupido ab effedu nuncupatur. Poetae diim amorem appellant et defcribunt,  eam potifsime cupidinem accipiunt , quae in  Venerem fertur; & fub inuolucris fabularum  multa recondunt ad rei, de qua agitur, notitiam attinentia. Puerum igitur defcribunt, nudum,  alatum, cæcum , curarum plenum , arcu , &  fagittis inftrudum ; fatum Venere atque Vulcano . puerum conftituunt, ob infipientiam 5 nudum, propter infelicem condicionem ; feu  quod occultari facile nequit; alatum, quod cito aduenit, citius labitur; caecum, vel ob im-  pudentiam, (eft quippe pudor in oculis ,) vel  quod mortales plerumque amant fine deledu ,  fine iudicio, fine ratione ; & quafi oculis capti  fedantur deteriora , melioribus omifsis ; plenum curarum, quia eius arboris hi exiftuntfru-  dus; inftrudum arcu& fagittis ; feritenim cu-  ris aegritudine plenis; Venere demum & Vulcacano fatum, humore scilicet, & calore ; quod  ea temperatio cenfetur apprime libidinofa .  Hunc eundem Cupidinem ex node atque aethe- :  re natum voluit Acufilaus; hoc eft, ex tenebrofo  & lucido; amantes enim caeci finit, & vna viderit acutifsime. Simonides ex Venere, ac MARTE procreat ; quod viri bellicofi a Venere ple-  rumque non abhorrent. Alcaeus ex lite & Zephiro; diflenfione fcilicet, ac reditu in gratiam;   Olea    4 i -/ t> E   Olcn Lycius ex Ilythia, feu Iunone Lucina, quod  ea maxime amemus, quae a nobis prodeunt*  llythia enim partubus opitulari credebatur*  Sappho demum ex caelo & Venere»* quod amorem viftellarum & gratia oris conciliari multis  fuerit perfuafum . Pidores multos pingunt amores, paruulos, colludentes, curfitantes , (quos  Poetae faciunt Nympharum filios) quoniam mul  ta funt , quibus inaefcamur , & capimur; vt nota-  uit philollratus in imaginibus . Diotima mulier  faga ,fybillis a Socrate comparata, a qua amandi artem fe haufifte profitetur , amorem ex copia  procreat, tanquam ex patre ; & indigentia , tanquam matre . vt eft inopiae ac indigentiae filius ,  apparet aridus, macilentus, fquallidus, nudus  pedes , humilis , fine domicilio , fine ftramentis  ac tegmine vllo; perno&ans fub dio ; femper  egensidem qua copiae filius, virilis, ferox, callidus, infidiator, pulcher, fagax , venator, prudens,  facundus , per omnem vitam philofophans, potens fafcinator ,*vt non immerito bi&enrn ab Orpheo fit appellatus , vtrefert Paufanias apud Pla-  tonem;. Huius fabulae haec eft allegoria, vulgo  amari , quae nec omnino funt in poteftace noftra  (cito enim ea vilcfcunt, ) nec diffidimus aliquan-  ' do futura . ideo copiam & indigentiam amoris  vulgaris parentes ponit Diotima . quae vero inter  f e valde pugnantia eidem adferibit, affedus indicant eorum , qui re amata potiuntur, contrarios  ijs, qui infunt non potientibus . Ha&enus de fabulis ; in quibus illud magnopere damnandum»  quod cupidinem Deum faciunt , vt libidini patrocinenrur damnat hoc ipsum Phædrae nutrix  apud Senecam in Hyppol. Deum efie amorem , turpiter ritio Jauens  Finxit libido ; quoque liberior foret, Titulum furori nummis fklfi addidit. Cetera vero fabulis contenta non inutiles ad hanc  luem arcendam continent admonitiones. Admittit quoque amor, qui agnitionem fequitur , aliam partitionem . eft enim amor amicitiae  didus, atque beneuolentiae,qui rei amatae commodum intuetur; eft amor cupiditatis, qui proprium commodum refpicit.fibi enim multi amat;  eoq. amorem traducunt , vnde vtilitatis aliquid fe  percepturos confidunt ; amor ifte amicitiam pa-  ritvtili innixam; fuperior vero eam producit quae ab honefto J>romanat. Poftremo Amorem vnum facere, qui feratur in diuinam pulchritudinem , alium , qui fiftat in humana, non eft  praefentis inft ituti. agimus enim de affedionibuf  inferioris animae partis; etfi non pauca fint vtriq.  amori communia; & pleraq. vnius per analogiam»  & metaphoram ad alium transferantur. Quid fitt amor ACCADEMIA amorem dixit, defiieriwn pulchri LIZIO amare*ac beneuelle pro eodem accipitlib.i.de arte dicendi. id Rhetori fatis, qui  hlfe&us vti commoueantur, nofie ftudet; limatiorem cognitionem ad philofophum remittit  D. Auguftinus de Trin. cenfet efie  fturam duo copulantem*, in quam fententiam Leo  Hebraeus ait, efie -voluntarium ajfcffum qumcopulatijjime fi nendi ijs , quæ bona iudicamws . deferi-  ptiones hae funt , ab elfe&u petitae ; non quae  amoris explicent naturam , finitiones . nam defi-  derium , benetiolcntia , appetitus copulae cum  re amata fequutur amorem; vbi enim quem amoj  eidem bene efie cupio , eiusq. confuetudinem appeto. Thomas definit efie complacentiam ap-  petibilis . allubefcendam appellat Ludouicus Vi-  ues , qua amatum amanti allubefcic . hanc fententiam ita demum recipio, fi ailubefcenria, & quæ minus latine, significantius tamen, complacentia dicitur, pro motione illa fumatur, quam  appetens facultas elicit circa rem , quae illi allu-  befeit ; non pro illecebra appetibilis, qua excitat  mouetq. appetitum. atfe&iones namq. animi funt  abappetitu,vta mouente moto ; quod Ariftote-  les voluifie videtur tertio de anima Grego*»  tiu$ Nvfaenus eleganter id ipfum exprefsit hotnih  mil. 8. in Ecclefiaften, cum ait, amorem eflfe ha-  bitudinem animi intimam in id , quod animo eft  jucundum . feliciter quoque D. Auguftinus 2. de  ciu.. amorem ponderi corporum comparauit, inquiens, Animum ferri amore quocumque  fertur, vc corpus pondere. Neque vero exiftiman-  dum illam complacentiam efle cauffam amoris,  nam inter cauflfas rerum , & ipfarum primos effe-  rus daturneceftario medium; idq. vnum,& folu,  nempe res ipfae ; fed inter appetitionem potiundi  re amata, (haec prima eft amoris proles,adeoq.  illi affixa, vt faepe pro amore vfurpetur) & complacebam nihil omnino intercedit; igitur compla  centia non eft amoris caufTa,fed ipfeamor; quan-  doquidem primus amoris cffedus , eam illicofe-  quitur, adeoq. inuice haeret, vt ne tenuifsimo quidem cuneo praebeant aditum . præterea fi haec  AQUINO finitio excludatur, nihil remanet in quo amoris naturam conftituamus, praeterqua in defi  derio, feu cupiditate fruedi. id fi admittatur, amor  & deliderium confunduntur.at funt feparatae affedionesjre enim praefente ceflat dcfideriujamor  vero natura fua magis augefcit.na fi fatictas aman  tem capit, culpa eft humani ingenij,quod vel mutatione deledatur, vel voluptates impuras perfe-  quitur; fincera aute voluptas non parit faftidium,  deniq.defideriueire amoris effedii LIZIO docet li.o #  Et.c.^.vbi agens de beneuoletia,vt eft leuis amor  minimeq. adulta aftedio a.it, Beneucldtia no eflam a  fflttff 'SuLTxar babst ncq. o^iv^uaa^nati.Mg 4 6 DE confequuntur.o?i*tc defiderium eft ; feu vehemens  & acuta appetitio,quam Juuenalis cum rabie con  iunxit, inquiens, rabidam fatturus orexim . cum  igitur of t£/f confequatur amorem , ab eo necefla-  rio diftinguetur ; Quod autem fubiicit LIZIO  cum qui forma dele&atur non continuo amare»  fed tum demum, cum abfentem defiderat, & prae  fentem cupit , ita eft accipiendum ; vt amori defi-  derium comitetur neceifario , fitq. eius indicium,  leuis enim voluptas non arguit amorem, qui vero  cupit & defiderat , fc prodit amatorem . eft igitur  amor appetitus allubefcentia , feu complacen-  tia in eo , quod vti bonum pulchrumue fuerit  perceptum. De caujjis Umoris, ONVM integra est amoris cauisa, &  omnem eius exaequat ambitum, prae-  clare igitur Auguftinus de Trinit.  ait, non amatur nift bonum, huc pulchrum  reducitur & formofumjtum etiam vtile quodcum-  que, atque iucundum . pulchrum vero idem eft ,  quod bonum conceptum vti iucundu m ; vt Areopagita docet de Diu. nomin. Deus quippe immortalis , vt eft au&or atque feruator rerum,  Cunfta fouensy atque ipfe ferens fuper omnia [eft*  bonum dicitur; vt vero ad fe trahit, allicitq. omnia , pulchrum, inde qui pulchritudine minus capiuntur , minus amant 5 vt barbari, ruftici,& qui  duriore funt ingenio, & moribus afperis, Aliae funt amoris caudae, quae etfi boni ambitu continentur, feparatimnihilorciinus ponuntur,  quod aliquidbono addant ; & alia , atque alia ra-  tione ad amorem conciliandum concurrant.  Similitudo igitur morum, & ingcnij amorem pa-  rit firmum , atque conftantem. docuit hoc Areopagita; fuitq. Menandri didum,a comicis & ACCADEMIA vfurpatum , Deus femper fimilem ducit ad fitnilem, & quidem fimilitudine inter amantes con-  uenit, vtcuin amans diligit , fui ipfius fimilitudinem , ac proinde fe ipfum , in re amata diligat*,  hinc animantia omnia ducuntur ad limiles sibi  formas ; non ad fpecies al ienas. Canis cani videtur  pulcherrima , & boui bos , ait Epicharmus . & For-  mica grata ejl formicae ; cicada cicadae ; accipiter placet accipitri , Theocritus inquit in Idillijs . hoc in-  ftindu parentum amor in liberos augetur; funt  enim nati vjuentia fpirantiaq. parentum firnula-  cra.nec alia Crafsi erga Sulpitium volutatis cau£*  fa exiftir, quam quod intellexiffct, ftudere Sulpitium, vt ei dicendo fimilis euaderet, Euander apud VIRGILIO Pallanta filium ENEA ca  rii reddere nititur, quod illius fir imitator futurus.   Hunc tibi praeterea, (pes& folatianojlri ,   T allanta adiungam ; fltb te tolerare magiflro  Militiam graue MARTE opus , tua cernere faft a,   Mffucfiat; primis & te miretur ab annis.  Illud non fuerim infitiatus; ob paria vitae infliruta creari aliquando inuidiam , fieriq. aliquos adeo  inimicos , quam fune artificij conditione pares j  nam & figulo figulus , & fabro faber inuidet ; cuiuf-  modi genus pugnacium artificum in conuiuijs  Plutarco coniungi vetat.verum ex euentu id eft.  cum enim lucro faciendo impediant fe mutuo, in-  ter eos oritur contentio, eadem ceffatvbi cauetur,  ne alter alterius cauffa damnum -patiatur jeiusq.  loco amicitia fuboritur. CICERONE profelfuseft,  cum Hortenfio de eloquentiae palma ita fe  contendiffe , vt vnius ad laudem curiiis non effet  ab alio impeditus; ac proinde viuentem amaffe ,  dolereq. vita fundum . Saepe etiam qui ftudi js  diuerfis priuatimviuunt,fed in maioris momenti  rebus conueniunt , funtamicifsimi . Pelopidas et Epaminundas, etfi vita priuata efient difsimiles , quod hic ftudijs philofbphiae, ille venationi-  bus profufius incumberent , quod tamen afferenda patriæ libertate, incredibilem animorum con sensionem retinuerint, certa illis amicitia conflitit ab initio ad finem. Sunt etiam ingenia inter fedifsimilia,quaenihi  lomiuus coeunt facile ad vitæ societatejhoc enim  habent, vtfimul aptari, & componi pofsint, quemadmodum vox acuta iun&a grani certa proportione, harmoniam efficit s quod spedare licuit in  Socrate, et Alcibiade. Consuetudo quoque, atque conuidus amorem  gignit,:ei!dit enim homines moribus iifdem affue  tus, ac vnius mentis eaque vis efi confuctudims,  vt habitum nedum animi, fed corporis quoque  immutet ad rei amatae formam notauit id Piutarco in Alexandri amicis , quos leniter inflexa  ceruice, facie furfum verfus con uerfa folicos incedere, fcribit, quali Alexandro attentaturos; cum  nihilominus vi afluetudinis habitum illum impru  dentes contraxittent . Summopere igitur aduer-  tendum, quo cum vitae focietatem ineas ; praecipue vero monendi adolescentes meretricum cœnis, nodibus,omnique conuidu abftineant, qui-  bus illae magnopere ftudent ; cum norint confue-  tudine amoris vincula fieri tenaciora.   Parem amoris conciliandi vim focietas in hono  ribus, et rebus, tum fecundis, tum aduerfis habet , & quandoque maiorem . vt enim maximum  amoris vinculum ducitur, plurima & maxima beneficia accepitte, fic fimul accepiife, proximum  iudicari debet. Qui fimul fecere naufragium, vel  vna pertulere vincula, vel canfilij alicuius,coniurationisue focietate iunguntur, facile amant inuicem  tfnde adagium , Conciliant homines mala .  Brutum et Cassium invicem insesos Cæsariarius dominatus conciliauitjac fumma fide coniun  xit. M. EMILIO LEPIDO et GIULIO FLACCO cum  ettent inimicifsimi, Cenfcres renunciati, simultates illico depofuere. Tacitus, Latiaris arque  Sabini fermones, quibus vetita mifcuerant, ardae  amicitiae speciem fecifle, annotauic; speciem  dixit; nam vr plurimum participes fcelerum non  tam amore copulantur, quam metu, atque noxa   D conscientiæ. Sunt etiam qui exiftiment, vi qua-  dam occulta ne&i animos; vel difiungi quidam  enim primo afpe&u amantur ab omnibus; ali j  contra contemnuntur. inter aliquos ftatim conuenit; alios nulla beneficiorum,officiorumq. con-  fuetudo conciliat ; nec vnde voluntatum ifthaec  difcrepancia nafcatur, liquet, nulla enim hic mo-  rum fimilitudo, nullavitae communitas . Astronomi » vt nodum hunc foluant , ad Venerem , ceteraq. aflra, quae benigna vocanr, confugiunt;  quibus homines ad amandum inuitari volunt,  hæc, vti longe a nobis pofita , neque certam habent fidem, neque manifeftum errorem. ACCADEMIA schola dæmonibus ad'cribit, qui vitæ hominum praefunt.facit enim daemonum, hos quidem  confimilisingenij, hos diuerfi.qui difsident interfefe, d fienfionesad clientelas deducunt; qui  vna fentiunt, amorem iis immittunt, quorum gerunt procurationem, demum nonnulli gratia pol-‘  lent, & au&oritate; ali j odio habentur a collegis;  qui vtrifque fubfunt homines, eandem quoque  gratiam inuidiamq. apud nos nancifcurur.ifthaetf f ACCADEMIA commenta non aliter confutarim 9  quam quod tollunt funemum,ex euentu,peritUla immerite  alicui creata conciliant amorem iriperpetieritem Tacitus de Nerone Germanici filio . aderat \uutnH  modcfiia & forma principe piro digna j notis in eum  Seiani odiis , Stv, quod omnes ad fe vocet;  abiitq.in prouerbium , quo Plato vtiturin iyfide ;  quod pulchrum femper amicum ; cenfeturq. a Mufis  & gratiis primo vfurpatum, vbi ad nuptias Cad-  mi & Harmoniæ, puIchrirudinenouaf nupta? ore,  fi Deo placet , immortali cecinerunt ; vr in I heognidis epigrammate , cuius haec exiftit fententia;  Mttfae , et Gratiæ, filiæ Iouis, quæ olim Cadmi  jtl nuptias cum veoijlis, pulchrum xeciniflrs carme,  Quicquid pulchrum amicum e[l , non pulchrum au-  tem non eft amicum. Mimus dixit, formofam faciem effc mutam commendationem LIZIO vero; habere illam longe  maiorem vim ad commendandum , quam accurate feriptam epijiolam. Carneades appellauit  C E   hoc est , dulce amarum . eft enim mors voluntaria V  vc mors amarorem, vt fponte fufcepta , volupta-  tem aflrert . amorem vero effe liiorcem , inde ap-  paret maxime, quod amans de fenon cogirat,  fed de alio ; in fe igitur non operatur, fed in alioj  - qui in fe non operatur, in fe non eft ; qui in fe non  eft ,in fe non viuit; amans igitur in fe mortuus  eft .quare Plato in quendam, qui perdice ama-  bat , dixit ; h'ic in proprio corpore mortuus eft ; viuit  in alieno & Plautus in Ciftellar. Trullam mentem  animi habeo ; vbi fum , ibi non fum . vbi non fumi ibi  $1 1 animws « Cato fenior aiebat , animum effe potius  vbi amat , quam vbi animat . Quod fi amans vicit  Jim ametur , reuiuifcit in re amata j alias mortuus  cenfetur.has autem vicifsitudines atque mutatio-  nes quoad aflfe&um accipere oportet; non quo  ad ipfam eflentiam animorum . appetunt qui-  dem amates fieri re ipfa vnum , iuxra di&um Aristophanis ab Ariftotele 2 . polit, cap. 2 relatum ;  fed quia illorum inde corruptio fequeretnr , quærunt coniunctioriem , quae faluis corporibus obtiqeri pofsit. haec autem afFe&u confuetudineq*  habetur, animis interim quo ad cupiditates permiftis et in tertiam quandam temperaturam re-  da  mere contendit, quo conatu Lyfias Phaedro similis euafit; et Macedonum proceres colli flexura,  orisq.ere&ione Alexandro similes redditos ex Plutarco supra retulimus.   Pulchre vero 2. Rher. monet LIZIO, vereri  nos turpia committere apud illos,quos amamus; 1  vt inter amoris opera pofsitreuei entia numerari;  quod maxime declarat eius aifeitionis excellentiam. Crafsi illa funt;Equidem cuiri peterem ma-  gi ftratus,folebam in praehenfandodimitttre a me  Scaeuolam, cum ei ita dicerem, me velle efle ineptum .Nemo quippe curat probari ijs , ejuos negligit; Et quidem apud eos, qui ius haoent puniendi, veremur turpia facere ob metum legum ;  apud alios ob metum infamiae ; fedapud eos,  quos diligimus," obreuerendam & amorem .   Sed & fui, aliorumq. omnium, praeterquam'  rei amatae contemptum amor parit in amante  lacob, rarum amoris exemplum, quattuordecim  annos aeftu geluq. vexatur, in morem ferae, vt  pulchra Rachde potiatur; ac tria fereluftrama  gnis tradu&a laboribus, paucas exiftimatincom  modi tolerati horas t certe diuinus Moses paucos  ei dies prae amoris magnitudine vifos teftatur.  et ficaftifsimo amatori falaconem in exemplum  admngerdicet,r uiCM, Autonius incertum atque   preui- DE   pr jaifum exitium , vt Cleopatra; morem gerat, fic  fuidefertor, vt placeat concubina; falutem profundit, ne amati vultus turbet ferenitatem. Fugatur demum Veteranus Imperator ab adolefcente,  atque tyrone, quod prius fuiffet dementatus ab  aegyptia Syrene . his ftipendijs faeue cupido mu-  neras eos, qui nominibus datis, tua figna fequutur.   G:gnit quoque amor magnam voluptatem,vbi  re amata potimur, cum enim affequi finem fit om-  nium iucundifsimum, quilibet eo habito, quod  amat, contentus viuit , vt ACCADEMIA ait in Phaedro fæpe autem tanta voluptas adeptionem rei amatæ confequitur vt multi in complexu rerum carifsimarum exfpirarint • Ex oppofito amor vehemetior, fi quid afiequutionem propofiti moretur,  vel impediat , triftitiam , & moerorem affert , vo-  luptati, de qua diximus, aequalem, llafis medicus amore:n morbo melancholico proximum fa-  cit, euolant quippe fpiritus fubtiliores , & purior  fanguis per teouifsimos poros , excitati appetitio  nis impetu , erga rem amitam tendentis; fanguis  vero crafsior, quod exitus non pateat , remanet  conclufus; vnde in at-um humorem, atque bilem  facile concrefcit, cum fit meliore fanguinedeftitu  tus. inde vaporibus opplecur caput; animus tri-  ftitia premitur, ac faepe ad infaniamdeducitur LUCREZIO (si veda) amator primum effectus eftjtum demens; ad extremum fui ipfius parricida. Hæc sunt vehementioris amoris et frequentius impadici ; qui amittendi quoque timorem affert, atque trepidationem 5 tum etiam furorem in eum, qui  auferre conatur; fufpicioneS vehementes , zelum  amarum, aliaque animo lancinando , & excarnifi-  cando inftrumentacommodifsima.   In eodem ordine raptum mentis collocamus:  graecebts^; quem amori quoque diuino Areo-  pagita tribuitjquafiDeusob amorem e&afim paf  fus fuerit, emergit quippe foras knimo,qui amat ;  tum quod ad rem amatam commeare appetit; tu  quodafsiduode illacogitat, fuioblitus; accurritq.  aliquando fanguis tenuior ad cerebrum , vt iuuec  contemplationem ; aliquando praefente re amata  adeamconuolatjfedfiftitin externis corporis par  tibus , uehiculo deftitutus . vtrumque ftupor fequitur, opprefio cerebro vi nimij caloris ,vel par-  tibus vitalibus ab eodem derelidis.  Inde fequitur amantis valetudo et imbecillitas,  debilitatur enim alendi vis recedente calore; cor  etiam, atque cerebrum vicifsim conftringuntur!  ob copiam fanguiu is, vt opem ferat parti laborati,  ab vno ad aliud comeantis . id enim ei natura indidit, ut inferuiat vitae principijs. Et quidem cor,,  vbi feptum efi vi fanguinis ,& quafi vallo circumatum, quaerit aggerem per fufpiriaperrumpere ;  quaevel non emergunt, vel omnino emittuntur^ difficillime, ac plerumque. non integra, verum,  dimidiata , nec fine magno conatu, ab eadem con  ftridione ccrdis prodeunt cantiones interruptae,  a E"   &ftatim dimittit ; modo aliud quaerit, & propo-  fitum illico mutat ,pænitetq. caepti inftituti ; vt  prorfus ij faciunt , qui longo & acuto morbo de-  cumbunt . Huc maciem palloremq. amantum re-  fero ; corrupto enim calore , colorem quoque ob-  fcurari necefle eft . f OVIDIO de Amante Fugerat ore color , maciefj. obdukerat artus.  Opprefsionem vero cerebri lachrymae fequun-  tur . Sanguis enim fabrilior, cogente cerebri frigiditate, vertitur in lachrymas; quæ , vti graues,  defcedunt per oculos; natura quoque remmolestam, nulliufque vfus , foras propellente.   His adde oculorum tumorem, & inflationerii  labiorum . Suetonius de Tyberio . Sed & Agrippinam ab egi ftc pofi diuortium doluit ; & femel omni-  no ex occurfu vi[am,adeo contentis & tumentibus ocu -  Us profecjmtus e$t , vt cuftoditum fit , ne vnquam in  ciusconfpeftum veniret . eius fa&i caufla dft , quod  ad praefentiam , vel memoriam amatae rei fpiri-  tus petunt partes extimas, quali amatum ample-*  xaturi ; maxime vero feruntur ad oculos, qui fant  afnimi internuncij et conciliatores amoris, inde  fequitur tumor, & plerumque etiam ardor. Nec est prætereundum, ad praefentiam, vel recordationem rei amatae commoueri pulfumvena  rum, fiue arteriarum, fieriq. concitatiorem, &  inconftantem ; idque vel quia cor trepidat et pauet;  vel quia nititur quodammodo de loco fuo conuel-  li, & in amari pedus transferri; quo argumen-  to dcpraehen dic Galenus amici vxorem amore  Pyladae cuiufdam laborare .   Denique,vt etiam quae leuiora fu nt, attingam,  amor mutat mores ex taciturno garrulum facit,  ex garrulo taciturnum ; ex focorde induftrium;  ex afpero mitem & fiiauem. quae omnia ftngilla-  tim profequi,eifet immenfi laboris. Antiquitas  morum comitatem amori adfcripfit, quemadmodum Dionyfio mifterium , vaticinium Apollini,  Mufis poefim. Docet quoque muficen; quod ACCADEMIA a fpirituum vehementia deducit; qui dum magna vi erumpere conantur, impellunt ad cantio-  nem.Quid quod poetas facere non vno depraehe-  fiim eft experimento?Plato idipfum afsignat excitationi, agitationi, eleuationifpirituum.ij enim co  moti, agi tatiq. apt funt aliquid parere citra commune vfum; cuiufmodi eft oratio metro conftans,  minime vaga , vel foluta. Bion poeta in Bucolicis  fub perfona paftoris amorem facit fuorum carmi-  num au&orem veriibus a Stobaeo relatis,quos ad  verbum conuerfos ita legimus .   Mufae amorem non metuunt crudelem ,   Quin amant ex animo & veftigia fequuntur eius.   Quod fi quis ingenio praeditus inamabili ipfiti  comitetur ,   Illum refugiunt et docere nolunt  jit fi amore captum gerens animum fuauiter  cecinerit ,   o idipfum fimul omnes feflinae confluunt;   Quod autem hic fermo plxne verus fit , ego te-  flis ftim ,   )~ -v-i    E (am    06 DE   7^am fi hominum quempiam , aut immortalium &  , ' mine celebro   C efflat mea lingua; nec yt ante solebat , canit . At cum in Amorem rei in Lycidam aliquid molior.  Tunc mibi laetum ore carmen profluit.   • fli&um vecordis poetae fceleratum , quodq. fati$  indicet perditos hominis mores, ac nihil miraq-  dum iq o impudico amore ad verius fundendos  eum incitari folicum, qui meliorem non agnofcebat .agnouit autem Propheta Regius , iljoq. impetu, quae Deus didabat, fuaiiifsimis yerfibus effudit. Hanc de amoris effedibus tradationem  eleganti Caroli Cardinalis dido cocludam: Amore perfici fundiones humanas, quae enim abamg  fe prodeunt,, quam accuratifsime geruntur. De renfedijs amoris, REMEDIA non nifi morbis quaeruntur, quare de impuro nobis amorehic  fermo exiltit,   prrrium igitur amorem negofia > curae, honotu m cu p diras, labores, calamitates deterunt, et  corrodi unt;   Otia flt Ilus , periere cupidinis ignes .   Sed &egeitas eijvaide aduerfatur. na flue Cerere dr  Daccb-j fliget Vtnus^t ait Chremes Terentianus,  ia gr aecorum collectaneis verius legitur , qui LATINE  «e cxprcfTus > sic habet. Mortua res venus fine Cerere et Baccho.  Ariftophanes apud Athenaeum vinum lac  Veneris appellat , quod alat libidinem  Vinum bibenti fuaue lac Cypriae Deæ Apuleius in Metamorphofi ex Cerere , & Baccho  Veneris /ytarchiam confici fcribir. Sed & Menan-  dri hi exfiant Senarij .   Amorem [edat fames , aut aeris penuria ;   7\ {emo mortalium viftum mendicans amauit;   Sed in opulentis puber hic innafcitur .   Huc fpe&at antiquum epigramma graecum an  &oris incerti , in latinum (ic verfum .   Fames amorem fidat; id fi fit minus Tempus medetur ; fin nec i fla exttingucre  Flammam queant^ tum reflat , vt funem pares .  quod epigramma ex dido Cretetis Thebani Cy-  nici philofophi confedum ett . tria enim ab eo afferebantur amoris remedia , htftfe Cfiy?s ,   id eft , fames , tempus , laqueus . digna cynica immanitate fententia. porro paupertatem prodefle  amori pellendo  in confefToefi;tum etiam tem-  pus, & longam diem ; nam vt ait Ouid.   lente fiunt tempore curæ  7   & Martialis Quid non longa dies , quid non confutuitis armi ?  fedti haec duo minime pro finr, a^liafunc remedia,  præter laqueum ; a quo abftinendum natura docet, & humanæ diuinaeq. leges præcipifit. quan-  tum euim illud ad amorem eiiciendum valet, fi   E a quid 6Z t> E   quid vitij inre amata eft , faepc animo voluere, vfc  illa tandem apud nos vilefcat? inomnivero.hu-  mana pulchritudine aliquam deformitatem cor-  poris, vel faltim animi nancifci , facillimum vide-  turjmores fcilicet improbos, impotentiam animi  auaritiam , faeuitiam , inconftantiam & quando  haec defunt, foeces fub uenuftifsima forma latentes, fordesq. innumeras eo conceptaculo conci ufas. indignatio eti^mjquod a vili foemina, vel abie  6to mancipio quis contemnatur ; vel in feipfum,  quod adeo foedum toleret feruitium,cocepta iracundia tenacifsimos frangunt amores; quibus li-  beratum Heroem illum ab amore Indicae Regin^  Ludouicus Arioftus perbelle finxit; cum equitem  induxit armatum, quem indignationem poftea  nuncupauit, taedis ardentibus foedam & immanem belluam, quæ JReginaldum fub vnguibus,  praemebat, & moleftifsimeinfeftabat, fugantem & adtartarum detrudentem, quippe fera illa libidinem, & amorem impuru referebat. Medici cmif-  fionem fanguinis atque defoecationem ad idem Cenfent non inutilem; quod ea minuatur calor, &  ardor coeundi . Platonici idiptom probant ; quod sanguis morbida qualitate affectus eiicitur, ac fin-  cei^is de nouo gignitur quare medici amantibus  ebrietati cenfent aliquotenus indulgcndum ; tum  vt fpiritus recentes procreentur ab illa tabe inta- I  veteribus per sudorem vino excitatum, exhalatis; tum, vtindudaobliuione,paulatim curae  ; iuollefcant , & amatae rei memoria deleatur. Remedium vero illud, clauum clauo pellendum , nec  recipio , nec ferendum cenfeo ,fi clauus de nouo  adhibitus fit eiufdem cuni vetere materiei, nam  expellens, nifu tenaciore occupat expulsi locum quare amantem, si eo vtatur consilio, in peius dela  bi, non est ambigendum, fin alterius naturæ clavus affumitur et cado vel omnino philosophico et quod magis ampledendum, divino amore contra Venereum agitur, medicinam salutarem, nemini respuendam iudico. STRABONE scripit prope Lebcada promontorium cfie templum Apollinis, vbi faltus fit ad  fedandos amoris ædus; ex quo Deucalion ob Pyrrham, Cephalus ob Pterelam, Sappho item et Calicæ fœminæ fefe præcipites dedere, viri servati  funt incolumes, ab amore immunes fœminæ  interierunt; mifelfæ; quod scilicet faltus ille Leuchadius virilis edet, nec fœminis conveniret. Fabulofa hæc sunt. Sed si quid veri adumbrant  illud ed; vehementissimo timore amorem interii  re; quod et nos fatemur pericula enim ad meliorem sæpe mentem homines reddunt;   (io dat intellectum „ v . .r   &   ifp i yJh t ii; ;  OH ifttO   rjorr- r  hi   ibo:.» nlsr; ritBT&J' > 1 '« : fyy \ £§5*? :• r < b ftV; % i  IOC  CE' 'Vrn.    0 f <»! Vropommtur & diluuntur dubii non pauca id Amorem pertinentia P tl I M V M dubiam. An verum sit, quod Socrates ex Diotima retulit, amorem nasci  indigentia. ACCADEMIA in Lyfide affirmauit. CICERONE  autem censet istumesse miiiim. generosum amoris et amicitiæ ortum j alias lucri causa amaremus, et beneficia fœneraremur; quod fordiduol  videtur i Sed ACCADEMIA dictum de amore, qui cupiditatis dicitur, intelligencfeM, CICERONE autenii de amore amicitiæ, quæ nititur honesto sic inter mentes separatas amor intercedit, cum nihilo minus non egeant secundam. Qaibus maxime reperamentis inna scitur amor? Iis, quæ calore et humare abudant humidum enim facile concipit externas impressiones; calidum vero fouet amorem quod si calido sit admixtum aliqu id ficcitatis, cupiditares existunt acutæ et vehemente$, qu 2 fs celerrimelrelfec  expleri, nec retinent v^lde diu; quod sanguine sint tenui, atque raro et in cpntinua motione posito. Eiusmodi sunt adolescentes, quorum amores  levis flammæ vapori Seneca in Hyppoliro comparavit. Frigidioris vero naturæ, ac tristioris ingemj homines tard amorem admittunt, sed per se  u crint magis, 6b crafsitiem, atque pigritiam sanguinis   fi   gutm’s, et admixtionem atrae bilis, quæ diffidi iut  recipit, sed firmius reti net, quicquid imprimitur, Vt  argilla non adeo tenuisset liquida, inde lenes excipiendo amori duriores videntur jquem nihilo mi  hus semel imbibitum retinent lumina firmitudine. illos dixeris; quali ftipUlam quæ flammant  bcyfsimeconcipit, et dimittir; hos, quili ligna solidiora, quæ non adeo sunt ad exardescendum facilia; sed admotam, ac tandem tecepraui flammam diutius alunt;  Tertiui Qua potilsimum via cocipiatur amor;  Respondeo, venenum illud oculis maxime hauriri. vt LIZIO; docetlib. p.Eth. tdlaturq.illc  apud Poetaifi. Vt vidi d vt perij Ivt me maltis abstulit error d  sed et aures aliquando funt operis tanti admini-  Urie; qua ratione Medaæ lafonem ardere coepit  lenotiniuiri per quietem absolvente phantasia. cd  tadufi idipfurh præftat; vbi phantasia pulchram  tei conta&ae formam effingit; sed in hac concerttione palmam oculi libi vindicant, vt quibus eunt  re ipsa commercium intercedit; quod aures no hal  ber,Vt Phylo noratlit .de ludice iilaeenim occit fantur circa sonos; obtutiis in rem ipsani fertur aclimatissimum æque superbissimunide illa fert  iudicium; conta6his verb cralsior est, et aptior ad  fruitionem , quam ad iudiciumde re pulchra fasciendani allerunt ACCADEMIA amorem pulchritiidi  lie potissimum commbueri; quæ oculis maxitrid  feleipitur; contactui vero nullatenus subiieitur j  £ 4 Itita b E r   ideo amorem oculis potius excitari, quam tactu  amorem præterea fpiritibus adminiftris gigni vo  lunt, hosq.per oculos emitti , & immitti . ex quo  fic,vr qui oculorum venuftate possent, faci!ein alie  nis pedoribus benevolentiam sibi conficiant. Hanc ego spirituum per oculos eiaculationem negare non poffum , quod multis experimentis com  probetur.Scribit S.Bafilius lib.de Virginitate, nos  firmius ægrotos intuendo ccrrupijneque n.irrpu  ne peltifera spiramenta ocuiishauriutur. Teftatut  Lapndius de ALESSANDRO SEVERO, ad eius obtutu f^pe  opus fuifle oculos dimittere; id no eflet; nifi agens vis aliqua ab oculo in ocuju e£funderetur; qux illu  afficeret et subigeret. laeditur.n. fenfus a fenfili ve  henrienti,vt Arilbdocuit. Auguftus,referete Sueto-  n 10,0 cui os habuit daros,ac nitidos, quib. etia exi  flimari volebat ineflfe quidda diuini vigoris;gaude  batque,fi quis fibi acrius cotuenti, quafi ad fulgo  re fblis, vultu fubmitteretjqua porro leuitare Sile-  nus apud Iulianum trasfugam facetifsime derifit. Aspedu ne rei amatae magis,an ofcu  lo, complexuq. amantis expletur appetitus? Respondeo. Amantem quaerere coniun&ionem cum  te amata; id vero complexu magis obtinetur, qui  intuitu, quare mater film ad fe peregre reversum  hon fatis habet oculis ad fatietatem intueri ; nifi  etia amplexetur, osculodato et repetito, quiefcit.  maxima nihilominus voluptatem oculis pefcipi,  non eft negandum; elTcq. magis perennem, quod,  cum purior exiftat, minus amantem fatiget.. An amor iit erga bruta et inanima. Respondet LIZIO Eth.c. ideft ama   tione, in res quoque inanimas conferri, quod lata  acceptione LIZIO loquutum crediderim. na ina-  nima etia fi timemus, non odimus, vt fulme. ergo  nec amamus, cii contraria circa idecontingat.qua  re LIZIO Eth. magis proprie loquensait;  ridiculu effe illu,qui dicat, se vino bona euenireve!  le; sed vt qua liberalissime agamus, dabimus ei, vt  velit vinu faluu et incorruptum manere, vt ipse habeat.cu igitur amoris effedus fit bene velle, sequitur crga inanima no esse proprie amore; et multo minus amicitia. Aristippo cu perdite amaret Lai  de, nec ab ipfa amaretur, ab amico reprxhesus est,  quod eo amore traduxifiet, vnde par no acciperet.fed  cxcufabatfe Aristippo quod etia vino et cibo vteretur, pluri muque caperet inde voluptatis jetfi no igno  raret, se no amari ab illis.acute et appofite. neq.n.  cude vero amore fermo eflet, se cibu amare dixit  fedab eo multu capere iucuditatis. Quo ad animata rationis expertia, certu est cuijs non efie amicitia; qa comunia cu hominibus officia no obeur, nec  ferutur ad eunde fine, nec habet electione, nec honestua turpi diftinguunt. Sed an hominis amor ad illa excedatur, in dubio res eft diligimus enim canes et vicissim amamur ab illis et cum fint capaeia doloris et voluptatis, illis bene, vel male cupixnus. nonulli etiam ardentissimo amore fœda animalia sunt prosequuti. Glauca Cythariftria anferem, fcu anatem amauic Xenophontis filius in Cilicia canem et quidem obftinatifsfme; f^der  Spartiata monedulam habuere in delitijs; quid  quod adolescens bonae fortunæ statuam iri Fri  tanaeo ere&am deperi jtj eaq. pretio non obteri ti  sibi manus intulit quippe lapidem ilum qiiaii  anima præditum ob mentis perturbationem existitnavit, quod ex Xerxi vifutn tu ille crediderim; Curii infarto Flatani amote captus ad eam extrei tum illum immensuin cohfiftere atque choreas  ducere voluit; nec ante abscessit, quam armillis torquibusq. aureis amatum ornattet; curatore  quoque dato qui cuftbdiret; ac tueretur ab militia. Sed amorem proprie atque per fe&e ad ea tari  tu elfe dixerim, qux ratione polletit est enim amor Appetitus coniunctiohis, atque convictus; quis ve  to cani, vel anati, vel cuilibet manfuetifsimae belluæ iungi velit, vel vfia convivere? quod si qui de  formes adeo prætulere cupidi taces, eos irrationali  amote ductos di xerim, et feritati, i m mani tarique obnoxio; cuius perversæ appetitionis caullæ tre  ab LIZIO referuntur lib^'. £thicitap.$. Sed, (i  tationem sequimur et naturæ propensionen T  inanima cara habemus j bruta adhuc noftri cauC-  fa diligimus; vt equos nobiles, vt catulos feftiuos;  fed noti qrtaecumque cara nobis funt; continui  amamus; etfi quæ amamus, necessario etiam cara habemus et omnino catum elfe latius patet quam amari mieb Sex tu . An artiare præfiantius fit, quaniamdti hæc dubitatio accipienda est formaliter; fci- [AMORE] T licet, an amans vc amans nobilitate antecellat  amato, vt amatur de quo ACCADEMIA non dubitant, cum, vt FEDRO ait apud ACCADEMIA, amans divino furore rapiatur, videaturque particeps fadut  divini luminis. Equidem cæteris paribus flatum  amantis celfiorem existimo amate enim eftactu  Caritatis, quæ prædantissima est omnium virtutum et tum etiam quod amare cum fundtione virtutis existit; amari autem est prorfus Ociosum  illud vicem habet agentis, hoc patientis Septimum Cur amans amati vereatur aspectu} vt sæpe viri fortissimi ad præsentiam vilissimae fæminae trepidarint, et ad infimas preces obce-  ilationesque defcenderint. Respondent ACCADEMIA,  non eife quid humanum quod eos percellit, sed fui goremdiuinitacis emicantem in humana specie;  quo posito, consternationis eius cauflam fe tradidiflfe putanti et principium indicasse, quo per multæ difficultates de a^pore diluantur, nam ad ama  ti praefentiam sæpe honot, plerumque divitiæ  Contemnunturj quod fortunæ bona non fint cum  fummd bono, cuius radij pulchritudine correptus  est amans, conferenda. Et amans cupit vnum cum  amato fieri, deferet e condicionem propriam, e se  in amati perfonam transfefrej quia ex homine cupit fieri Deus, quis enim efl,qui humanam condi-  cionem cum divina non libentissime commutet?  Et amote capti vicifsim fufpiriapromunt et gaudent. dolent quippe quod se ipsos deferant ætan tur quod ad meliorem Ratum transferantur.  Calene  DE AMORE. Calent etiam atque frigent; deferuntur enim calore proprio; tum fuperni radij fulgore accenduntur. demum timent et audent, quod calor audaciam pariat, frigus metum. Ego vero LIZIO firmitate deledatus, pleraque ex his vti speciosa  quidem didu, are ipsa non admodum folida reiicio. alia etiam, vti ad velandam turpitudinem Veneris induda, damnare cogor; Amantem id cupere, vt per Metamorphofim fabulofam in alienam  mucetur naturam,plane fum antea inficiatus. effc  dus vero illos amoris varios,& multiplices ab  & ebullitione fanguinis, per vim phantafiae, deduco; vt diximus in i j$,quae de amoris eflFedibus at  tulimus; plura quoque in difpucatione de timore paulo poft fubiiciemus. v  2 S 8 & 268 &  pWC2ihii P*‘t Hi Lellio Pellgrini. Pellegrini. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Pellegrini e Grice sulla etica nicomachea,” The Swimming-Pool Library. Pellegrini.

 

Grice e Pempelo: la ragione conversazionale della diaspora di Crotone -- l’implicatura conversazionale – Roma – filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Turi). Filosofo italiano. Turi, Bari, Puglia. His name is attached to some surviving fragments of Pythagorean writings on parenthood, or fatherhood – ‘patria’. Pempelo.

 

Grice e Pennisi: all’isola – la ragione conversazionale del blityri, o dello spirito nazionale – filosofia dell’isola – filosofia della sicilia – la scuola di Cataia -- filosofia siciliana – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Catania). Filosofo italiano. Grice: “I like Pennisi’s irreverent tone – typically Italian! – to evolution – and especially evolution of language. By obsessing with linguistic tokens, we have lost our capacity to mean otherwise than non-naturally!” Grice: “His metaphor of ‘the price of lingo’ is very apt – we win, we lose!” – Grice: “Pennisi is a Griceian at heart in that in his study of both schizo ad paranoic (both psychotic) systems of communication, he focus on what he and I call the ‘adequazione pragmatica,’ i.e. the ability or competence, to irritate Chomsky, to implicate!” Dirigge il Dipartimento di Scienze Cognitive, Psicologiche, Pedagoche e degli Studi Culturali a Messina, presso cui è titolare della cattedra di filosofia del linguaggio. I suoi interessi riguardano prevalentemente la psicopatologia del linguaggio e, più in generale, la relazione tra linguaggio, evoluzione e cognizione umana. Consegue la laurea in Lettere Moderne presso la Facoltà di Lettere e Filosofia a Catania  con una tesi dal titolo “I presupposti ideologici della teoria della storia linguistica di B. TERRACINI,” sotto la guida di  PIPARO. Vince il concorso libero per ricercatore e  svolge la carica presso l'Istituto di Filosofia della Facoltà di Magistero dell'Messina. Diventa professore associato di filosofia del linguaggio nella Facoltà di Magistero di Messina. Vince la procedura di valutazione per l'ordinariato--  è direttore del Dipartimento di Scienze cognitive e della formazione della Facoltà di Scienze della Formazione e preside presso la stessa Facoltà. -- è coordinatore del Collegio di Dottorato in Scienze cognitive dell'Messina.  Aree di ricerca Psicopatologia del linguaggio. L'ipotesi di base per l'analisi del linguaggio psicopatologico parte da un confronto sistematico tra il linguaggio psicotico nelle sue due declinazioni più significativequella schizofrenica e quella paranoica con il linguaggio tipico delle patologie cerebrali e con quello caratteristico dei soggetti normali. La tesi di P. è che i soggetti psicotici, a differenza di quelli con deficit cerebrali, non mostrino difficoltà visibili dal punto di vista dell’articolazione fonica, della proprietà lessicale o della capacità sintattica e semantica, ma che invece la cifra elettiva del loro linguaggio consista in un depauperamento della complessità dei significati. Questo impoverimento della dimensione della complessità si manifesta nella schizofrenia con un linguaggio privato e pragmaticamente inadeguato, e nella paranoia con un unico tema delirante che riassume e congela tutto il destino del soggetto. La psicopatologia del linguaggio rappresenta inoltre una delle sfide più difficili per le scienze cognitive, in quanto le psicosi, tra tutte la schizofrenia, sembrano a tutt’oggi resistere ad ogni tentativo di spiegazione neuroscientifica. Nella sua impostazionei, il linguaggio può essere considerato una forma di tecnologia corporea. Il linguaggio è, in particolare, la tecnologia specie-specifica di Homo sapiens che ne ha caratterizzato l'adattamento a tal punto da rischiare di minacciarne l'esistenza. La cognitività linguistica del Sapiens, infatti, modificando profondamente le regole stesse dell'evoluzione biologica se da un lato ci ha consentito di essere i dominatori naturali dell'intero pianeta, dall'altro è "ciò che beffardamente ci avvicina alla fine, il messaggero della nostra imminente estinzione. In continuità con le tesi sul linguaggio, propone un nuovo concetto di bio-politica, in antitesi con il concetto sviluppato da Foucault. In particolare, propone di investigare i fenomeni sociali e politici mediante la comprensione delle dinamiche naturali che li sottendono. L'errore di Platone è, nel sistema di idee proposto da P., l'idea di poter ingegnerizzare la società e di poterme controllare ogni possibile esito. Ancora una volta, tale illusione è data dal linguaggio e dalla razionalità linguistica che contraddistingue Homo sapiens. Accadimenti come le crisi economicheal pari di altri fenomeni socio-politicipossono essere compresi solo se si indagano i fenomeni naturali che ne stabiliscono le dinamiche, come ad esempio i flussi migratori e la riproduzione. Altre saggi: “L'errore di Platone – biopolitca, linguaggio, e diritti civile in tempo di crisi” (Bologna, Mulino); “Il prezzo del linguaggio” (Bologna, Mulino); “L’isola timida: Forme di vita nella Sicilia che cambia” (Roma, Squilibri); “Le scienze cognitive del linguaggio” (Bologna, Mulino); “Scienze cognitive e patologie del linguaggio” (Bologna, Mulino); “Segni di luce” (Mannelli, Rubbettino). “Psicopatologia del linguaggio: storia, analisi, filosofie della mente” (Roma, Carocci); “Le lingue utole: le patologie del linguaggio fra teoria e storia” (Roma, Nuova Italia Scientifica); "La tecnologia del linguaggio tra passato e presente, in Blityri, Pisa, ETS, Pievani, Linguaggio, proprio tu, ci tradirai. Eugeni, Per una biopolitica a-moderna. Il pensiero del potere in Kubrick oltre, in Le ragioni della natura” (Messina, Corisco, Piparo, Mauro, Eco. Dip. Scienze cognitive, psic., ped. su unime. Pennisi. Keywords: filosofia dell’isola, filosofia della sicilia, filosofia siciliana, cariddi, capo peloro, blityri. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pennisi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Pera: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale e il ragionere – la scuola di Lucca -- filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Lucca). Filosofo italiano. Lucca, Toscana. Important Italian philosopher. Si diploma in ragioneria all'istituto Carrara di Lucca. Studia a Pisa sotto BARONE. Insegna a Pisa. Convinto che le libertà civile si e riconduce alla dignità intrinseca della persona umana, che permane quale che sia la verità delle convinzioni di ciascuno, rileva come sia sbagliato fare del relativismo elitario il fondamento della società. Questa sorge grazie a quel terreno fertile rappresentato dal principio della tolleranza  Un saggio filosofico di rilievo riguarda il metodo scientifico e l'induzione. Dedicato nell’”Espresso” ai filosofi che avevano tentato di confutare Marx, il primo e Popper. Ulteriori studi furono dedicati alle teorie sui metodi di ricerca di Hume e ai metodi induttivi e scientifici. Saggi "Hume, Kant e l'induzione". Sviluppa ricerche sui primi studi di elettricità compiuti nel settecento da Volta e da Galvani. Analizza in dettaglio il rapporto tra scienza e filosofia, in particolare nel rinascimento volgare italiano -- GALILEI, TELESIO. La metafora delle palafitte (anche usata da Vitters): come le palafitte dell'uomo preistorico, la filosofia (in particolare la teoria della relatività e la fisica atomica) non si fonda su una base solida come la roccia, ma e soggetta a modifiche e revisioni, a seguito della scoperta di nuove particelle, di nuovi fenomeni, o di nuove leggi fisiche che in parte modificano quelle precedenti della fisica classica.  C’e progresso in filosofia. Non poggerebbe su un fondamento immutabile, ma su un principio che puo essere oggetto di ulteriori analisi ed approfondimenti.. La filosofia ha validità limitata a un determinato contesto – e. g. Oxford. Secondo questo orientamento il griceianismo e modificabile. Fra le revisioni di sistemi scientifici studiate da lui vi è la rivoluzione di TELESIO e GALILEI che reca obsoleto il geo-centrismo. Sono poi analizzate le teorie elettromagnetiche, a partire dalle prime formulazioni empiriche di VOLTA e GALVANI. Pera analizza il progresso della filosofia in relazione a quella del metodo, basato su procedimenti razionali ed induttivi.  Altri saggi: "Induzione, scandalo dell'empirismo", i "La scoperta scientifica: congetture selvagge o argomentazioni induttive?",  "È scientifico il marxismo?", “Il canone del razionale” Craxi. Lei mette in discussione i fondamenti stessi dello stato di diritto, la rivoluzione ha regole ferree e tempi stretti. Quei politici che, come Craxi, attaccano i magistrati di Milano, mostrano di non capire la sostanza grave, epocale, del fenomeno. Si occupa soprattutto dei problemi della Giustizia in Italia. La democrazia è quel regime di governo che permette a chi si oppone di sostituire pacificamente chi prende le decisioni a nome della maggioranza. Lo istrumento della democrazia non è soltanto il voto, ma l'argomentazione, il discorso, il confronto. Per sostituire chi governa, prima di votare occorre confutare e criticare. Allo stesso modo per governare occorre argomentare e convincere. Partecipa anche ad alcuni temi di politica locale, in particolare in Toscana e a Lucca. vivere “velut si Deus daretur”. "Se Dio esiste, ci sono limiti morali alle mie azioni, comportamenti, decisioni, progetti, leggi e così via. Il denominatore comune e il rinascimento e l’'illuminismo. Il concetto di eguaglianza fra gl’italiani e di solidarietà sociale, che sono oggi alla base della costituzione dellea nazione italiana. È lo stesso soffio del vento di Monaco. Defende nostra autonomia individuale, che è la condizione su cui dobbiamo sempre vigilare (da ciò il nostro liberalismo)”. Altre opere: “Apologia del metodo” (Pisa, Scientifica); “La scienza su palafitte” (Roma, Laterza); “Induzione” (Bologna, Mulino); “Il razionale e l’irrazionale nella scienza” (Milano, Saggiatore); “La rana ambigua. La controversia sull'elettricità animale tra Galvani e Volta” (Torino, Einaudi)’ “Scienza e retorica” (Roma, Laterza); “Persuasione” (Milano, Guerini); “Senza radici. Europa, relativismo, cristianesimo” (Milano, Mondadori); “Il libero e il laico” (Siena, Cantagalli); “Etica liberale” (Milano, Mondadori); “Il liberalismo di Pannunzio” (Torino, Centro Pannunzio). La scienza non poggia su un solido strato di roccia. L'ardita struttura delle sue teorie si eleva, per così dire sopra una palude. È come un edificio costruito su palafitte. Le palafitte vengono conficcate dall'alto giù nella palude: ma non in una base naturale o "data"; e il fatto che desistiamo dai nostri tentativi di conficcare le palafitte più a fondo non significa che abbiamo trovato un terreno solido. Semplicemente, ci fermiamo quando siamo soddisfatti e riteniamo che almeno per il momento i sostegni siano abbastanza stabili da sorreggere la struttura. “Il mio e un relativismo elitario” Marcello Pera. Pera. Keywords: implicature, relativismo elitario, implicatura elitaria, ragione, filosofo come ragionere, le radici romana del ragionere, ratio, ragionere, l’assenza del concetto di ratio nella lingua greca, la ‘ratio’ di Pitagora, la ‘ratio’ della scuola di Crotone. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Pera," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Peregalli: la ragione converazionale e l’implicatura conversazionale -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. I luoghi e la polvere Incipit All'inizio della Genesi il serpente convince Eva a mangiare con Adamo il frutto dell'albero della conoscenza. Così i loro occhi si apriranno e vedranno per la prima volta la loro nudità. Comincia in questo modo la storia della conoscenza e del desiderio. Vedere, desiderare e infine morire. Il tempo, il suo scorrere nelle nostre vene, diventa dominante. Lo splendore dell'attimo, la sua rivelazione abbagliante, ne sancisce la caducità. Il tempo corrode la vita e la esalta. Insieme alla conoscenza e al desiderio nasce anche l'amore per la fragilità dell'esistenza. Le cose si rovinano.  Citazioni Se si vuole vedere, o meglio, se nel destino è scritto che si veda a tutti i costi, se si vuole desiderare, se si vuole conoscere (così si capisce quanto poco la conoscenza abbia a che fare con principi puramente razionali), si deve diventare mortali. Gli dei sono indifferenti. Per gli uomini inizia così la differenza. Finché non conosci, finché non mangi il frutto dall'albero della conoscenza, sarai eterno. Non saprai cosa sono il bene e il male, il desiderio, l'attrazione dei corpi, la morte. Il tempo è la nostra carne. Siamo fatti di tempo. Siamo il tempo. È una curva inesorabile che condiziona ogni gesto della nostra vita, compresa la morte. La superficie di qualunque "cosa", sia essa un oggetto o un luogo, è intaccata dal tempo, riposa nel tempo. Viene corrosa, sporcata, impolverata in ogni istante. Sono la sua caducità e la sua fragilità che la fanno vivere nel trascorrere delle ore, dei giorni, degli anni. L'eternità è un miraggio, e non è la salvezza. Stare in casa significa poter assaporare il piacere di sapere che fuori c'è un paesaggio meraviglioso e, quando vuoi, apri la porta o la finestra e lo guardi. Deve esserci lo sforzo del gesto. Il desiderio va centellinato, perché sia più profondo. Il bianco è il profumo dei colori. Il bianco, ancora più del nero, laddove usato nella sua purezza, è uno dei colori più difficili che esistano, e meno imparziali. Usato in quantità massicce la sua forza ci si ritorce contro. Diventa indifferente solo in apparenza. In realtà l'indifferenza non esiste. Nulla è indifferente. È un abbaglio, un alibi. Equivale all'apatia. I vetri, il bianco sono materia, colore, carne, vita. L'ombra, come la polvere, è il nostro fondo nascosto. La si vuole cancellare. Deve essere un eterno meriggio. Così si elimina la "carnalità del luogo", il suo erotismo sottile, la sua terrestre caducità. Purtroppo in estetica la dittatura di un elemento è identica alla sua democratizzazione. Il livellamento dei luoghi conduce alla dittatura della luce e viceversa. Tutto diventa uguale nell'indifferenza. Di fronte all'ottusa sicumera che ci avvolge esiste un tempo altro che non possiamo controllare, dirigere, comandare e che può aprire nuove prospettive, trovando sentieri tortuosi, o spesso non tracciati. Nelle sacche dell'errore (che è un erramento) può ancora trovarsi un cammino. Il passato è stato messo in una teca, sigillato, perché non nuoccia. Lo si può venerare, ma lo si teme. E comunque non deve essere imitato. Gli antichi, invece, in ogni momento hanno sempre guardato indietro. Da lì traevano ispirazione. Cancellavano per ricreare. Credo che in quest'epoca falsamente luccicante e rassicurante, che vuole esorcizzare la morte e la fragilità della vita a ogni passo, e dove colori sgargianti, superfici nitide e sorde, luci accecanti circondano il nostro vivere, un sentiero possibile sia quello di cercare negli interstizi delle cose prodotte dall'uomo una crepa, una rovina che ne certifichi la fondatezza. In un mondo che teorizza le guerre "intelligenti" e gli obiettivi "mirati" la barbarie non è costituita dalle distruzioni, ma dalle costruzioni. Il decadimento fa parte dell'essere. Tutto decade, crolla, si disfa. Ma questo decadimento è un frammento di noi. Il concetto di incontaminato è fondamentalmente falso. Tutto è contaminato dal tempo e dall'uomo. Nell'attimo stesso in cui mettere le sue radici in un luogo lascia un segno e l'incanto si sbriciola. Esistono nelle città, nei paesi, nelle campagne, "rovine semplici"...Cascine abbandonate, un muro senza aperture, uno spiazzo solitario con una fabbrica dismessa, una vecchia ciminiera diroccata, una strada che non finisce, chiese, mausolei, tumuli lasciati al loro destino, attraversati dal tempo. Luoghi che apparentemente non dicono nulla di più della loro solitudine e del loro abbandono e in cui il motivo delle loro condizioni non si legge più tra le pieghe dell'architettura. Le ferite, se mai ci sono state, non mostrano la loro origine. Troviamo queste rovine dappertutto nel mondo, sparse tra le nuove costruzioni, o isolate e lontane. Quello che colpisce è la tranquillità, la pacatezza. Non servono più a nulla, non possono essere sfruttate, manipolate. Possono solo essere cancellate da una ruspa. Questa fragilità è la loro forza. Ci affascinano perché ci somigliano. Somigliano al nostro essere caduchi, alla nostra mortalità, alla sete dei nostri attimi di felicità. Nel mondo c'è un'ansia di eternità. L'idea che tutto debba tornare a risplendere com'era. È un'epoca, questa, in cui da una parte si desidera l'infinito e dall'altra ci si spaventa per la fragilità delle persone e dei luoghi. Pensare che un luogo possa cristallizzarsi in un'eternità senza tempo è una chimera che denota, mascherato di umiltà, un senso di presunzione infinito. La nostra vita è la nostra memoria. Attraverso il passato guardiamo il futuro. Se lo distruggiamo e lo ricostruiamo in modo fittizio non resterà più niente. La bellezza di un oggetto deriva in buona misura dalla sua patina. Più che la frattura tra antico e moderno, ciò che dà consistenza alla nostra vita e la rende accettabile è la patina del tempo. La certezza che le cose e i luoghi deperiscono serenamente. È questa una "decrescita" estetica, un principio che vede nella caducità la traccia della loro bellezza. Una volta le cose erano fatte per durare ed erano caduche. Quindi veniva calcolata la loro deperibilità per farle diventare sempre più belle. Oggi le cose si producono per essere effimere, e al tempo stesso si proteggono con vernici e altre sostanze, perché sembrino eterne. Una città per avere un'anima non deve essere perfettamente pulita. Devono rimanere le tracce di quello che accade. Così i resti della nostra vita possono affiorare, come i ricordi dagli angoli delle strade, dai cespugli, dai muri. La materia di cui sono fatte le cose deve plasmarsi sull'aria che si respira, deve ricevere l'ombra. La durata delle cose nel tempo non si può comperare. Il corpo va amato per quello che è. La sua fossilizzazione, invece, rischia di tradirne l'essenza, la cui forza è la caducità. Il motivo per cui ci attrae, ci eccita, ci tiene con il fiato sospeso in tutti i suoi anfratti più segreti, il suo odore, la sua superficie, il suo colore, è la sua consistenza che muta negli anni e si adatta a noi e al mondo. Parole come design e lifting hanno un suono sinistro. Dicono lo stesso. La plastificazione degli oggetti e dei corpi, il loro luccicare senza vita, come i pesci lasciati a morire sulla riva. Tracciamo un mondo che dovremmo indossare come una muta per aderirvi perfettamente e in cui però i nostri movimenti diventano falsi e rallentati, chiusi in un cofano che toglie il respiro. Corpi rimodellati che abitano e usano luoghi altrettanto rimodellati. Il museo deve introdurre la gente in un mondo speciale, in cui le opere dei morti dialogano con gli sguardi dei vivi, in un confronto duraturo e fecondo. I musei, che sorgono sempre più numerosi in quest'epoca, sono divenuti edifici-scultura. Vengono chiamati a progettarli gli architetti più accreditati del momento, che inventano dei mausolei per la loro gloria, prima ancora di sapere a cosa serviranno. In essi la gente non va tanto a vedere le esposizioni o le opere presentate quanto i monumenti stessi. Gli allestimenti museali sono un riassunto e uno specchio drammatico dell'epoca in cui viviamo. I vetri antiproiettile, l'illuminazione da stadio o catacombale, i colori sordi e luccicanti dei muri, il gigantismo insensato, le ricostruzioni senz'anima. Via la polvere, via la patina, via l'ombra, via la carne di cui siamo fatti. Tutto è asettico. Cancellando la mortalità della vita, il luogo diventa eternamente morto. L'arte è mimesi della natura. La mima, la reinventa, la accompagna fedelmente nel cammino del tempo. Non c'era contrasto e nemmeno violenza. L'abitare sulla terra era una convivenza armonica in cui l'uomo beneficiava della natura, e questa traeva profitto e bellezza dalla presenza dei disegni dell'uomo. Così nascevano i luoghi. L'occhio che guarda questi luoghi, luoghi diroccati e abbandonati, immagina il loro passato, sente attraverso la pelle consumata dal tempo l'anima che li avvolge. La patina, come la polvere, si deposita sulle cose. Dà loro vita. Le inserisce nel tempo. Un tavolo, una sedia, un bicchiere parlano del passato, delle mani che li hanno toccati, attraverso la pelle del tempo che li avvolge a poco a poco. Le tracce del passato si leggono tra le crepe dei muri, oltre l'umidità della pioggia e il calore riarso del sole.  Roberto Peregalli, “I luoghi e la polvere,” Bompiani. Roberto Peregalli. Peregalli. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Peregalli” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Perniola: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Asti -- filosofia piemontese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Asti). Filosofo italiano. Asti, Piemonte. Studia la filosofia del meta-romanzo a Torino sotto PAREYSON. Incontra VATTIMO ed ECO, che si è fatto tutti gli studiosi di spicco della scuola di Pareyson. Allegato alla all'avanguardia dei situazionisti. Insegna a Salerno e Roma.  Collabora a agaragar, Clinamen, Estetica Notizie. Fonda Agalma. Rivista di Studi Culturali e di Estetica. L'ampiezza, l'intuizione e molti-affrontato i contributi della sua filosofia gli fa guadagnare la reputazione di essere una delle figure più importanti del panorama filosofico. Pubblica “Miracoli e traumi della Comunicazione”. Le sue attività ad ampio raggio coinvolti formulare teorie filosofiche innovative, filosofare, l'estetica di insegnamento, e conferenze. Si concentra sulla filosofia del romanzo e la teoria della letteratura. Nel suo saggio “Il meta-romanzo:, sostiene che il romanzo da James a Beckett ha un carattere auto-referenziale. Inoltre, si afferma che il romanzo è soltanto su se stesso. Il suo obiettivo e quello di dimostrare la dignità filosofica del meta-romanzo e cercare di recuperare un grave espressione culturale. Montale gli loda per questa critica originale del romanzo come genere filosofico. Però, non solo hanno un'anima accademica ma anche una anima anti-accademica.. Quest'ultima è esemplificato dalla sua attenzione all’espressioni alternativa e trasgressiva. Un saggio importante appartenente a questa parte anti-accademico è “L'alienazione artistica”, in cui attinge la filosofia marxista. Sostiene che l'alienazione non è un fallimento di arte, ma piuttosto una condizione dell'esistenza stessa dell'arte come categoria distintiva dell'attività umana. I situazionisti (Castelvecchi, Roma) esemplifica il suo interesse per l'avanguardia. Dà conto dei situazionisti e post-situazionisti nel quale è stato personalmente coinvolto. Ha videnzia anche le caratteristiche contrastanti dei membri del movimento. In “Agaragar” continua la critica post-situazionista della società capitalistica e della borghesia. Saggio sul negativo” (Milano: Feltrinelli). – cf. Grice, “Negation and privation”. Il negativo qui è concepito come il motore della storia.  Post-strutturalismo. Offre alcuni dei suoi contributi più penetranti alla filosofia. In Dopo Heidegger. Filosofia e organizzazioni culturali sulla base di Heidegger e GRAMSCI, include un discorso teorico sulla organizzazione sociale. Sostiene la possibilità di stabilire un rapporto tra cultura e società nella civiltà. Come l'ex interrelazioni tra la metafisica e la chiesa, la dialettica e lo stato, la scienza e professione sono state decostruito, la filosofia e la cultura rappresentano un modo per superare il nichilismo e il populismo che caratterizzano la società. Pensare rituale. La sessualità, la morte, Mondo contiene sezioni sulla Società dei simulacri e Transiti. Venite si va Dallo Stesso allo Stesso (Transiti. Come andare dalla stessa per lo stesso). Teoria dei simulacri si occupa con la logica della seduzione. Anche se la seduzione è vuoto, è comunque radicata in un contesto storico concreto. Simulazione, tuttavia, fornisce immagini che sono valutati come tali indipendentemente da quello che effettivamente implicano riferiscono. Una immagine e una simulazione in che seducono e ancora fuori loro vuoto ha un effetto. Illustra il ruolo di tale immagine in una vasta gamma di contesti culturali, estetiche e sociali. La nozione di transito sembra essere più adatto per catturare l’aspetto culturali della tecnologia che altera la societa..Transit di oggivale a dire che vanno “dallo stesso allo stesso” evita di cadere nella contrapposizione della dialettica che avrebbe precipitare pensare nella mistificazione della metafisica”.  Postumano include altri territori nella sua ricerca filosofica. In Del Sentire -- indaga un modo di sentire che non ha nulla a che vedere con i precedenti che hanno caratterizzato l'estetica. Sostiene che sensologia ha assunto. Ciò richiede un universo emozionale im-personale, caratterizzato da un’esperienza anonima, in cui tutto si rende come già sentito. L'alternativa è quella di tornare indietro al mondo classico e, in particolare, all’antica Roma. In “Il sex appeal dell'inorganico”, riunisce la filosofia e la sessualità. La nostra sensibilità trasforma il rapporto tra una cosa e gl’esseri umani. Sex si estende oltre l'atto e i corpo. Un tipo organico di sessualità viene sostituita da una sessualità neutra, in-organica, arti-ficiale, indifferente alla bellezza o forma. Esplora il ruolo dell'eros, il desiderio e la sessualità nell’esperienza estetica e l'impatto della tecnologia. La sua è una linea che apre prospettive sulla nostra realtà contemporanea. La caratteristica più sorprendente è la sua di coniugare una rigorosa re-interpretazione della tradizione filosofica con una meditazione sul “sexy”. Si rivolge aspetti perturbanti come rapporto sessuale senza orgasmo, apice o qualsiasi rilascio della tensione. Si occupa dell’orifizio e l’organio, e la forma di auto-abbandono che vanno contro un modello comune di reciprocità erotica. Tuttavia, attingendo alla tradizione critica trascendentale, sostiene anche che ogni coniuge e una cosa, perché in costanza di matrimonio ogni affida il suo la sua intera persona all'altra al fine di acquisire un diritto pieno su tutta la persona dell'altro.  In “L'arte e la sua ombra” popone un'interpretazione alternativa dell'ombra che ha una lunga storia nella filosofia. Nell'analisi dell'arte e del cinema, esplora come l'artisti sopravviveno nonostante la comunicazione di massa e la riproduzione. Il senso dell'arte è da ricercarsi in ombra creato, che è stato lasciato fuori dallo  stabilimento arte, comunicazione di massa, mercato e mass media. La sua filosofia copre anche la storia di estetica e teoria estetica. Pubblica “Enigmi -- Il momento egizio nella Società e nell'arte” in cui analizza l’altra forma di sensibilità che si svolgono tra gl’uomini e le cose. La nostra società vivendo un “momento egizio”, caratterizzato da un processo di rei-ficazione. Come il prodotto di alta tecnologia assume sempre una proprietà organica, gl’uomini si trasformano in cosi, nel senso che si vedeno deliberatamente come oggetti sessuali. In L'estetica del Novecento fornisce un resoconto originale e la critica alle principali teorie estetiche caratterizzato il secolo precedente. Traccia le tendenze basate sulla vita, la forma, la conoscenza, l’azione, il sentimento e la cultura. In Del Sentire cattolico. La forma culturale di Una religione universale la sensazione di Cattolica. La forma culturale di una religione universale), sottolinea l'identità culturale del cattolico (kath’holou”), piuttosto che il suo uno moralistico e dogmatico. Propone il cattolico senza l'orto-dosso e una fede senza dogma che consente il cattolico ad essere percepito come un senso universale di sentimento culturale. “Strategie del bello: estetica italiana” analizza le principali teorie estetiche che ritraggono le trasformazioni avvenute in Italia. Mette in luce il rapporto tra i tratti storici, politici e antropologici radicati nella società italiana e il discorso critico sorto intorno a loro. La conoscenza e la cultura sono concessa una posizione privilegiata nella nostra società, e dovrebbero sfidare l'arroganza degli stabilimento, l'insolenza degli editore, la volgarità dei mass media, e il roguery plutocratico.  La filosofia dei media. La sua ampia gamma di interessi teorici  includono la filosofia dei media. In “Contro la Comunicazione” analizza l’origine, il meccanismo, la dinamica della comunicazione e suo effetto degenerative. “Miracoli e traumi della comunicazione” si occupa dell’effetto inquietante della comunicazione concentrandosi sull’evento generative: una rivolta degli studenti, la rivoluzione iraniana, la caduta del muro di Berlino, World Trade Center attacco. Ognuno di questi episodi sono tutti trattati con sullo sfondo dell’effetto miracoloso e traumatico in cui la comunicazione offusca la differenze tra il reale e impossibile, cultura alta e cultura di massa, il declino delle professione, il successo del populismo, il ruolo della dipendenza, le ripercussioni di internet sulla cultura di oggi e la società, e, ultimo ma non meno importante, il ruolo della valutazione in cui porno star sembrano aver raggiunto i più alti ranghi del chi è chi grafici. In finzione, e l'autore del romanzo Tiresia, che si ispira all'antico mito greco del profeta Tiresia, che è stato trasformato in una donna. Altra narrativa è del Terrorismo come una delle belle arti (al terrorismo come una delle Belle Arti.  Altri saggi:  “Il meta-romanzo” ( Milano, Silva); “Tiresia, Milano, Silva); “L'alienazione artistica” (Milano, Mursia); “Bataille e il negativo, Milano, Feltrinelli); “Philosophia sexualis” (Verona, Ombre Corte); “La Società dei simulacra” Bologna, Cappelli); “DOPO Heidegger. Filosofia e organizzazione della cultura” (Milano, Feltrinelli, Transiti. Venite si va Dallo Stesso allo Stesso” (Bologna, Cappelli); “Estetica e politica” (Venezia, Cluva); “Enigmi. Il momento Egizio Nella Società e nell'arte” (Genova, Costa & Nolan); “Del Sentire, Torino, Einaudi); “Più che sacro, Più che profane” (Milano, Mimesis); “Il sex appeal dell'inorganico” (Torino, Einaudi); “L'estetica del Novecento, Bologna, Il Mulino); “Disgusti. Nuove Tendenze estetiche” (Milano, Costa); “I situazionisti” (Roma, Castelvecchi); “L'arte e la SUA ombra” (Torino, Einaudi); “Del Sentire cattolico. La forma culturale di Una religione universale, Bologna, Mulino, “Contro la Comunicazione” – Grice: “This poses a stupid puzzle, alla Sextus Empiricus, how can you argue against communication without communicating? But Perniola is using ‘comunicazione’ the way Italian philosophers use it: pompously! And with that I agree! ” -- Torino, Einaudi, Miracoli e traumi della Comunicazione, Torino, Einaudi, "Strategie Del Bello. Quarant'anni di estetica italiana, Agalma. Rivista di studi culturali e di estetica, Strategie Del Bello: estetica italiana” (Milano, Mimesis); “Estetica: Una visione globale” (Bologna); La Società dei simulacra” (Milano, Mimesis, Berlusconi o il '68 Realizzato” (Milano, Mimesis); Estetica e politica (Milano, Mimesis); “Da Berlusconi a Monti. Imperfetti Disaccordi, Milano, Mimesis); “L'avventura situazionista. Storia critica dell'ultima avanguardia” (Milano, Mimesis); “L'arte espansa” (Torino, Einaudi); Del Terrorismo Come una delle belle arti, Milano, Mimesis, “Estetica Italiana Contemporanea, Milano, Bompiani,“Pensare rituale”; “La sessualità, la morte, Mondo, l'umanità “Estetica: Verso una teoria di sentimento”“Di volta in volta”,  “La differenza del filosofica Cultura italiana”,“Logica della Seduzione”, “Stili di post-politici”, differenziazione, “Venusiano Charme”, “decoro e abito da sera”. G. Borradori, ed., Ricodifica METAFISICA. La filosofia Nuova italiana.  “Tra abbigliamento e nudità”, Zona  “Al di là di postmodernità”, Differentia “La bellezza è come un fulmine”,  Moderna Museet, “Riflessioni critiche”, “Enigmi di temperamento italiano”, Differentia,. “Primordiale Graffiti”, Differentia, “Urban, più di urbana”, Topographie, ed in Strata, Helsinki, “Emozione”, Galleria d'Arte del Castello di Rivoli, Milano, Charta,  “Verso visiva filosofia”, la 6a Settimana; “Burri ed Estetica”, Burri” (Milano, Electa); “Stile, narrativa e post-storia” Tema celeste,  europea, “Un estetico del Grand Style: Debord”, Sostanza, Arte tra il parassitismo e l'ammirazione”, RES,  “Sentire la differenza, Estetica, Politica, Morte.  “La svolta culturale e sentimento” “il Ritual nel cattolicesimo”, Paragrana,  Ripubblicato come “La svolta culturale nel cattolicesimo”, il dialogo. Annuario della filosofica ermeneutica, Ragione, Strumenti di devozione. Le pratiche e gli oggetti di Religiois Pietà;  “Ricordando Derrida”, sostanza, “La giustapposizione”, Rivista Europea.”, Celant, e Dennison, L’arte, architettura, cinema, performance, fotografia e video, Milano, Skira, “Cultural Turns in Estetica e Anti-Estetica”, Guarda anche Estetica Anti-art Internazionale Situazionista simulacro cyberpunk fetish abbigliamento filosofia italiana; La filosofia del sesso; filosofia occidentale;  La sessualità, la morte, mondo --  è il più utile e punto di partenza per P., Fondazione desanctis Perniola Reading. Un introduzione". Pensare rituale. La sessualità, la morte, Mondo. E. Montale, “Entra in scena il metaromanzo”. Il Corriere della Sera, Verdicchio, “Leggere P. Reading. Un introduzione". Pensare rituale. La sessualità, la morte, Mondo. Bredin "L'alienazione artistica" di P., Inverno  Verdicchio, “Leggere P. Reading. Un introduzione". Pensare rituale. La sessualità, la morte, Mondo. Con  //notbored.org/ debord  a.html  I situazionisti, Roma, Castelvecchi, “ Pensare rituale. La sessualità, la morte, Mondo  “Pensare rituale. La sessualità, la morte” (Mondo). Verdicchio in, pensiero rituale. La sessualità, la morte, Mondo. Sulla influenza della nozione di simulacri vedere Robert Burch. “Il simulacro della Morte: P. al di là di Heidegger e la metafisica?” Sentire la differenza, Extreme Beauty. Estetica, Politica, Morte. Stati di emergenza. Le colture di Rivolta in Italia. Verso, Per ulteriori interpretazioni del concetto di transito vedere White, "la differenza italiana e la politica della cultura", Ricodifica. La filosofia Nuova italiana. Catalogo Einaudi di Francoforte Fiera del Libro, Verdicchio, Thinking Ritual. La sessualità, la morte, Mondo. catalogo IAPL, Siracusa.  La Teoria Pinocchio, P., il sex appeal del inorganica, Londra-New York, Continuum, Sulla ricezione della teoria di Perniola in inglese vedi Shaviro, “il sex appeal della inorganica”, La Teoria Pinocchio,//shaviro.com/Blog/ Farris Wahbeh,  Critica d'arte,  Filosofie del desiderio nel mondo contemporaneo”, in Filosofia Radical (Londra),  Anna Camaiti Hostert sexy cose,// altx.com/ ebr/ebr6/6cam; intervista tra Contardi e P. psychomedia /jep/number 3-4/ contpern  Prefazione di Per l'influenza di arte e la sua ombra v. Wahbeh, Recensione di “arte e la sua ombra” e “il sex appeal della inorganica”, The Journal of Aesthetics e Critica d'arte,  Sinnerbrink, “Cinema e la sua ombra: di P.  l’arte e la sua ombra”, Filosofia Film, film-philosophy /sinnerbrink Verdicchio, Thinking Ritual. La sessualità, la morte, Mondo. Con una prefazione di Silverman, tradotto da Massimo Verdicchio, Sulla ricezione di Enigmi. Il momento egiziana nella società e Arte vedere;  “Retorica postmoderno ed Estetica” in “Postmodernismo", la Stanford Encyclopedia of Philosophy, Zalta, post modernismo   “La svolta culturale del cattolicesimo”. Laugerud, Henning, Skinnebach, Katrine. Gli strumenti di devozione. Le pratiche e oggetti di pietà religiosa. Aarhus ulteriore lettura Giovanna Borradori, ricodifica METAFISICA. La filosofia Nuova italiana, il simulacro della Morte: P. al di là di Heidegger e la metafisica?, Nel sentire la differenza, Estetica, Politica, Morte, New York-London, Continuum, Carrera, revisione a Disgusti, in Canada Rassegna di letteratura comparata, Filosofie del desiderio nel mondo moderno, in stati di emergenza: Culture di rivolta in Italia,la differenza italiana e la politica della cultura, in Laurea Facoltà di Filosofia, Farris Wahbeh, Rassegna di Arte e la sua ombra e il sex appeal della Inorganica, in The Journal of Aesthetics e Critica d'arte, O' Brian, L'arte è sempre scivoloso, il valore dei valori sospensione, in Neohelicon,  Civiltà, Dell'Arti Giorgio, Parrini, “Catalogo dei viventi italiani” (Notevoli, Venezia); Roller, simulazione, una conversazione tra Contardi e P. psychomedia/ jep/ number3-4/ contpern Recensione di “La sessualità, la morte, World”  sirreadalot.org/religion/ religion/ ritualR.  Recensione di Sinnerbrink di “arte e la sua ombra” /film-philosophy il rilascio Il corpo dell'immagine / italiaoggi.com.br/ not12/ ital_ ed Estetica  (//agalmaweb./ ) Blog su “Feeling Thing” (in italiano) (//cosachesente. splinder). Mario Perniola. Perniola Keywords: ‘seduzione’ ‘le strategie del bello’ ‘altre il desiderio e il piacere’ sesso, sessuale, psychologia del sesso, Perniola’s misuse of ‘sesso’, eros. -– Luigi Speranza, “Grice e Perniola” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Perone: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Torino -- filosofia piemontese --  filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo italiano. Torino, Piemonte. Grice: “While Perone can be a pessimist, I think the party is NEVER over!” Grice: “I especially appreciate two things in the philosophy of Perone: his emphasis on the the intersection between modality and temporality: ‘the possible present’ – vis-à-vis memory – a theme in my “Personal identity” and also the implicature: what is actual is also possible” – AND his idea of an ‘interruption,’ which I take it to the rational flow of conversation!” Speranza, “The feast of conversational reason,” “The feast of reason and the bowl of soul” -- important Italian philosopher. Studia a Torino sotto PAREYSON (si veda). Studia la filosofia della liberta. Insegna a Roma e Torino. Si dedica alla filosofia ermeneutica. La politica è l’invenzione dell’ordine che con-tempera il “per me” e il “per tutti”. Studia la morale creativa, capace di forzare l’etica oltre se stessa, verso una normatività più inclusiva. la secolarizzazione;  Una metafora ha ispirato l'intero percorso di pensiero di Perone, quella della lotta di un uomo, Giacobbe, con il divino, l'Angelo (Genesi).  Nella notte del deserto, uno straniero interrompe la sua solitudine e combatte con lui in una battaglia che non ha vincitore. All’alba scopre di essere stato ferito dall'angelo.  La ferita significa anche la benedizione e un nuove nome: Giacobbe, che ha combattuto con Dio e non è stato ucciso, d'ora innanzi si chiama “Israele”.  Il racconto è la cifra dell'estrema tensione che sussiste tra il finito e l'infinito, tra il penultimo e l'ultimo, tra i singoli significati e il senso complessivo.  La filosofia ha un'obbligazione di fedeltà al finito che la conduce a non rinnegare mai le condizioni storiche del pensiero, ma anche a non rinunciare alla sua vocazione a trascenderle con l'ascolto del non immediato, il lavoro e la fatica.  Riconosciuto il moderno come condizione, il pensiero non può illudersi di potersi semplicemente installare nell'essere o nel senso, come se tra finito e infinito non si fosse consumata una cesura.  E tuttavia, ugualmente inopportuno e un appiattimento sui semplici significati storici, dimentico dell'appello dell'essere.  La necessaria protezione del finito (peiron) (protezione del finito anche nei confronti dell'essere, che in qualche modo va sfidato, perché è coi forti che è necessario essere forti)  non significare l'eliminazione di nessuno dei due contendenti. Sulla soglia  tra finite (peiron) e infinito (a-peiron), tra storia e ontologia, si realizza una mediazione, che non implica il superamento della distanza, ma la sua conservazione. Al fine di preservare la doppia eccedenza del finito (peiron) sull'infinito (a-peiron) e di questo su quello, è sbagliato cancellare la distanza tra essi, sia trasformandola in identità alla Velia, sia indebolendola fino a un punto d'in-differenza.  Così, è vero, per esempio, che la memoria non conserva che questo o quello frammento, né può pretendere di ricordare direttamente l'intero (la totalita – cf. Grice ‘total temporary state’).  Ma è altrettanto vero che questo o quello frammento non va abbandonato a una deriva nichilistica, perché nel frammento – che la memoria ricorda – non è un semplice istante, ma appunto l'essenziale (di una vita, di una storia…) a dover essere ricordato. La filosofia resta ossessionata dal tutto (cf. Grice’s ‘total temporary state’), ma questo tutto non ha l'estensione della totalità, ma l'intensione di un frammento in cui ne va dell'intero, il totto. Peiron ed apeiron, Modernità e memoria, Storia e ontologia: si tratta di *dire* sempre insieme due cose, due poli opposti, secondo una dialettica dell'et-et, dell'indugio e dell'anticipazione.  Il finito, la parte -- il soggetto, il presente, il sentimento -- e analizzato come una “soglia”, come un luogo che non puo nemmeno essere vissuto senza la memoria dell'altro polo. Come nel caso di Giacobbe/Israele, la ferita finite, parziale, e un luoo che porta la ferita inferta loro dall’altro polo -- l’infinito, il tutto -- come una benedizione. Elabora la filosofia ermeneuticamente, a partire da uno studio in profondità – spesso svolto contro-corrente, Parte integrante della sua ricerca filosofica è altresì un confronto continuo con Guardini. Altri saggi: Esperienza divina” (Mursia, Milano); “Storia e ontologia” (Studium, Roma); “La totalità interrotta”  (Mursia, Milano); “La memoria” (Sei, Torino); “La lotta dell’angelo e il demonio” (SEI, Torino); “Le passioni del finite” (EDB, Bologna); “Il gusto per l’antico” (Rosenberg, Torino);  “Nonostante i soggetti” (Rosenberg, Torino); “Il presente possible” (Guida, Napoli); “Sentimento vero” (Napoli, Guida); “Sentimento” (Cittadella, Assisi); ” “Umano e divino” (Queriniana, Brescia); “Il racconto della filosofia. Breve storia della filosofia, Queriniana, Brescia); Un tema che è diventato predominante nella produzione più recente è la riflessione etico-politica. Tra le sue pubblicazioni sul tema si ricordano:  “Lo sspazio pubblico” (Mulino, Bologna); “Identità, differenza, conflitto” (Mimesis, Milano); “Secolarizzare” (Mursia, Milano). Givone, I sentieri della filosofia, Torino. Una cospicua parte della sua produzione di si concentra sul finite e sul rapporto tra filosofia e narrazione. Anche il tempo e la memoria: “Il tempo della memoria” Mursia, Milano); “Memoria, tempo e storia; Il tempo della memoria, Marietti, Genova); “Il rischio del presente”; “L'acuto del presente: una poetica” (Orso, Alessandria); “Ateismo”; “Futuro”; “Memoria, Passato, Pensiero, Presente, Riflessione, Silenzio, Tempo.   Curato e introdotto presso Rosenberg la scuola di formazione filosofica: “Dialogo con l'amore”; “Metafisica”; “Dare ragioni”; “Coscienza, linguaggio, società” “Un'antropologia della modernità”; Volontà, destino, linguaggio. Filosofia e storia dell'Occidente,; Estraneo, straniero, straordinario. Saggi di fenomenologia responsive; “Valori, società, religione”. Vii fa esplicito riferimento, tra l'altro, in Modernità e Memoria, L'Angelo – cioè l'IN-finito, ma più in generale l'oggetto, il mondo – non è un limite che i soggetti poneno a se stessi, ma una barriera che loro è posta e che, dunque, non si lascia ultimamente inglobare dal soggetti, per quanto potente loro siano. Ai limiti estremi dell’estensione e la ptenza, i soggetti incontrano la resistenza testarda del mondo e misurano così la propria im-potenza di in-finito. Questa lotta scontro con la barriera lascia nei soggetti una ferita che appartiene per sempre all'identità delle sue coscienze. L'angelo può quindi essere definito quella misteriosa ulteriorità contro cui il finito urta Il tema della tensione tra cielo e terra è centrale. Come dimenticare che la teologia è forse l'unica rama della filosofia che osato vedere nella tensione tra l’uomo e il divino non una tentazione, ma un guadagno tanto per il cielo quanto per la terra?  E attiva un'originalissima interpretazione del rapporto tra il segnato e il senso. Con ‘segnato’ intendo una cristallizzazione storica di una scelta determinata, avente in sé una ragione sufficiente. Con ‘senso’ intendo una direzione capace di UNI-ficare una MOLTE-plicità in sé dispersa fra il segnato S1, il segnato S2, … il segnato Sn, in modo da costituir il segnato come un progetto e un'interpretazione della realtà. La definizione del gusto per l’antico come tempo della cesura risale in “La totalità interrotta”. Il tema è ripreso proprio in apertura di Modernità e Memoria, dove individua nella modernità l'epoca della cesura. Il moderno è dunque chiamato a essere il tempo della memoria. La memoria è sempre memoria della cesura. L’uso della categoria d’illuminismo non simpatizza per quella interpretazione del moderno, dimentiche della tensione. Semplicemente pone l'umano in luogo del divino come fonte di legittimazione -- puntando tutto sul continuio, anziché sul dis-continuo della storia. Per un approfondimento a tutto tondo del significato dell'ateismo, contro l'essere, ciò che è forte, è lecito essere forti, perché la minaccia non lo vince, ma lo lascia stagliarsi in tutta la sua maestà e incommensurabile grandezza. Per una trattazione sistematica del concetto di "soglia”, che svolge con particolare attenzione cfr. Il presente possibile -- il presente come soglia.  Se una totalità è interrotta, non possiamo ricordare se non frammenti, e quasi istantanee del tempo. Tuttavia, se la memoria afferra brandelli e frammenti, è perché in essi vi legge il tutto, perché li pensa capaci di dar *senso* e di riscattare, perché in essi vi scorge l'essenziale. La memoria sa che non tutto può essere salvato. Ma osiamo credere che nella memoria salvata vi possa essere un senso anche per ciò che è andato perduto. Nel rivalutare la funzione dell'indugio osserva che perlopiù la filosofia non ha seguito la strada dell'indugio e del rinvio, puntando invece sulla funzione anticipative. Particolare rilievo riveste a questo proposito la distinzione che traccia tra spazio pubblico e spazio comune.  Individua anzi come rischio immanente della democrazia» il ri-assorbimento dello spazio pubblico entro la semplice logica dello spazio comune. Lo spazio pubblico si espone al rischio di un inglobamento nello spazio comune. Guglielminetti, ed., Interruzioni. il melangolo, Genova. theologie. hu-berlin.de/de/ guardini/ mitarbeiter/ li, su theologie. hu-berlin.de.vips/ ugo.perone, su sdaff. lett.unipmn/ docenti/perone/, su lett.unipmn oportet idealismo su spazio filosofico. spazio filosofico/ numero-05//il-pudore/#more-2052, su spaziofilosofico. Ugo Perone. Perone. Keywords: implicature, peiron/apeiron, Velia, Grice on ‘other’; finito/ infinito, Velia, Elea, I veliani, Guardini. Total temporary state, Israele, etimologia, la ferita di Giaccobe dopo la lotta coll’angelo, nella Vulgata. Israele, la lotta di Giacobbe e il angelo, la ferita, Giacobbe zoppo, iconografia, controversia sull’etimologia di israele, ei combatte, la tradizione di VELIA, l’infinito di Velia – il continuo e il discontinuo, l’infinito della scuola di Crotone, Cicerone, l’infinito di Giordano Bruno. Infinitum, indefinititum, dal verbo, finire, finio in romano, -- I due rappresentanti della scuola di Velia, Melisso, peras, pars. Guardini, il sacro, il divino, I dei, uomo e dio, opposizione, -- la storia della filosofia di Perone, il presente possible, la totalita interrota, I soggeti, trascendentale e immanente. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Perone," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Persio: la ragione conversazionale e la filosofia nel principato di Nerone – TREASEA CONTRO LA TIRANNIA – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza  (Roma). He is best known as a satirical poet, but he studies philosophy under Luccio Anneo Cornuto, to whom he wrote a tribute and to whom he leaves his works on his death. A strong belief in the value of the ethics of the PORTICO lies beneath much of his satire. He is a friend of Trasea Peto (vide RENSI – TRASEA CONTRO LA TIRANNIA), and is related to him by marriage. Through this connection, Persio becomes associated with the PORTICO opposition to Nerone – but he dies before Nerone can take action against him. Ed. Broad, Loeb. Flacco Aulo Persio

 

Grice e Persio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale nella storia della dialettica – CICERONE – BOEZIO – TELESIO – la scuola di Matera -- filosofia basilicatese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Matera). Filosofo italiano. Matera, Basilicata -- Dei lincei. Studia a Napoli. Conosce TELESIO di cui diventa discepolo, e scrive diverse saggi a difesa e chiarimento: “De naturalibus rebus” (Venezia, Valgrisio). Pubblica il “Trattato dell'ingegno dell'uomo” (Venezia, Manuzio) in cui riprendeva la teoria di TELESIO di uno “spirito” come principio, movimento, vita, e intelligenza. A Roma conosce CAMPANELLA (si veda) e GALILEI (si veda) e pubblica “Del bever caldo costumato dagl’antichi romani” (Venezia, Ciotti) in cui riprende diverse idee già trattate in precedenza riguardo allo spirito e ai consigli per la sua conservazione. Altri saggi:  “Digestum vetus, seu Pandectarum iuris civilis: commentarijs Accursii praecipua autem philosophicae illustrates cum pandectis florentini” (Venezia, Franceschi);  “Novarum positionum in rethoricis dialecticis ethicis iure civili iure pontificio physicis  triduo habitae” (Venezia, Sambeni). “De ratione recte philosophandi et de natura ignis et caloris” (Roma, Mascardo). Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario di filosofia, Roma.  la dialettica di Telesio -- Campanella -- Gailei -- contro CICERONE (si veda) – contro BOEZIO (si veda) – LIZIO -- vitium itium dialecticum, point Aristoteles. PRO POSITIONES DIALECTICA FACVLTATE. I Dialectices artis magistros primos requiramus. Non Aristotelem profecto fuisse cenfendum est. Sed multò antea, quun plurimos ex stitiffe, mania i testantibus. Sed ne referas ad tam antiquos: neges etiam, Pythagora eos fuisse logicos quod tamen falsumn, inde deprehenditur, cum mathematicis artibus; quae sine logice tractari non possant. Itta accuratem sstuduerint Zeno tamen Eleates [Velia, velino], ex Platone et Laertio, inventor efficitur quod et ad Parmenidem nostrum I Dehip. Et Plar. plac.li. gularis fuit, non infophifticis de arte ipla contentionibus, sed in explicatione historiarum, incaricorum, Lucanum Galenus extendit. Clinomachus Thurius; noster coterraneus primus deaxio DIALECTICIS IN METAPHORAM enumerar Aristoteles intervitia dialectica. Grammaticum est et grammaticae syntaxeos vitium  festum est; uel cum Platone Prometheum, velim ci deorum interpretem existimabimus, quem in sacris litteris noeum docti existimant; vel cum aliquot doctis, Mofis sacrum illum sacerdotisor natum, et vestitum ex hodiex pressum. Itaque Logices exercitatio apud hebraeorum liberostin et epoëi natum compositione, inque aenigmatum enodatione, doctis viris at matis seu enunciatis conscripsit si Laërtio credimus quod si berum est, principi doctrine huiusci philosopho debeatur; qua odeindecranslarakc ab Aristotele. In libru “De interpretatione” Non ita que Democritum Dialectices inventionis dispositioni SIGNARUM ut nec Protagora n elenchorum jutex Platorum et Peripateticorum sectae manarunt. Dialecticen igitur, facultatem, seu virtutem bene differendi tenemus, hocest disputandi, disceptandi ratiocinandi. Quotiesita que ratione utimur, toties dialectico munere diendique ita Logicen hanc, esse facultatem, omnia disputandi, intelligendique Recte itaque Aristoteles, omnes IDIOTAS quod ammodo uti Dialectice, confirmauit. Duplex itaque; quin immo haec, uel utiilius magistra, cólatuitur; cum omnis disciplinae principium sit experientia, ob item  ne patet; principem negare possumus. Quinneque Platonem ipsum cum Socrate a dialectices perfectae cognitiones secludimus; de cuius schola academico fungimur. Naturalis ergo logice facultas. Utenim visus et auditus facultas est naturalis, videndi, au Standis, vel uti prudentia quaeda in communis omnibus artificibus, quicum differunt, non sua quadam et propria, sed communi dialecticorum facultate differunt. Si, ut ait Aristoteles, finisa discipline a habetur, quando prac statur quod attisuiribu s continetur, dialectices finis erit, be a ne differere. Subiecum uerum dialectices ponimus res omnes. Quod vel Aristotele teste confirinamus. Quid etiam fi. Non ens, subiectum dialectices ponamus et iudicium. Quas Adrastus Simplicii testimonio, peripateticus nobilissimus adprobauit, ad aures fuisse Aristotelis. A servatio et inductio dialectice itaque communis oinnibus rebus. Ratione tra: ut omnino quid libet seu verum seu falsum quid tractari, ac ratione disputari et explicari possit. Dialectices uerum partes duas esse tenemus, inventionem, licet, necessarium, verisimile, captiosum dari potest; non obid enunciate logice partim necessaria, partim verisimilis, partim capsiofa esse debet. Sed tota necessaria. “Genus” illud verem esse dicimus, totum partibus essentiale. Unde hominem genus esse Catonis et Ciceronis. Catonem verum et Ciceronem *speciem* esse hominis. Cum verum satius putemus; veri et propria sermonis usum aiuris consultis et rei publicae principibus, quam a scholis in ertium philosophorum petere; melius quae duo individua, vulgò dicunt et unam speciem n, ili duas species et unumge nus dixisse videri debent. Sed sideri debunt consultos, non ridebunt Platonem [ACCADEMIA] ne que Aristotelem [LIZIO], terse comparationes intelligi. Genus item et speciem ad locum de toto et partibus rectem ablegamus. Categorias etiani ad inventionem dialecticam sternere viam, melius est ut concludamus. Paronyma ad coniugatare verti debere aestimamus. Locum ad numeramus in subiectis et tempus in adiun rum referamus. Animi sensum, aet intelligentiam, rerum similitudine mer itemque Cicero [CICERONE] e Quinctilianus. Quam vis itaqueo pusali quod artis huius g enuntiatum scia. Differentiam, quam Porphyrius declarare ad grediebatur. Vel ad formam et causam vel ad comparatorum locum et ad inventionem rectius asscriberem. Accidentium nominee e rectius facta adiuncta et rerum in ctis. Quae verum cum aliquo conferantur, ad speciem opposito: seu oluit Aristoteles. Quae verum sint in voce, NOTAS ET SIGNA en forum mentis esse: utea, quae scribuntur, eorum, quae fintin  Puoc essensa ila apud omnes eadem esse, SYMBOLA a et  ligris non s cadem, deprehendamus. Quo sit ut dialectices et grammatices lata differentia nis mentionem, sed syllogismi genesin et  analysin, tribuster minis et  PROPOSITIONIBUS conclusit et  terminavit non enim AD EXTERNUM SERMONEM dirigi voluit, sed ad internum. “Aliquis homo currit”. “Aliquis homo non currit”, nullum cum sub-alternae dicuntur. Multum iustiore ratione collantur. Quiai: tem esse tenemus. Ex causis itaque necessariis futurum necessarium, ex liberis liberum, ex physicis physicum esse cue syllogismis maximem necessariam putamus. Quod et Graeci Aristotelis interpretes profitentur, inventionem illam Theophrasti et Eudemi propriam ess. Cui et BOETHIUS desu omulta addidisse etiam, testatur; sed utrum o m átio absolute vera; sit etiam necessaria, cami et si IN PARTIBUS SERMO consistere. Rectem igitur in analyticis nullam Aristoteles interpretatio sunt ambae affirmantes vel ambae negantes. Quales sunt antecedentes causae, talem eventus veritamur. Nos logicen compositorum enunciatorum et per se, et in 6. Nia rectem, alias dictum. Datur igitur enuntiatum, compositum, eeu CONIUNCTUM, praeter simplex. Quod multas sententias coniunctas habet. Cuius et sunt suae species, ar COPULTATUM difiunctum, con nexum et elatum et cetera. Accamen in DISIUNCTIONE illud tenemus, ut omnis disi un paratim nulla sit necessitasi. Nam difiunctionis necessitate penderee partium non ucie ritate, sed dissentione, palam est contineatur, cum illatota sit animi, eadémque apud omnes gea tes. Haectota SYMBOLICA in voce. Logice ita que sine SYMBOLIS INTERPRETATIONIS potest in ani tradictionis nomen meretur. “Homo albus est.” “Homo non albus est”, tantundem. “Omnis homo albus est”, s vidam homo albus et contra. Quae praenotionem duplicem esse dicimus, verborum alteram, dum concluderetur ab antecedente, Quid si hoc idein dixerit Aristoteles. Rerum autem praecognitiones, et anticipationes genera sit. Definitiones et partitiones este principia omnium ferèar, tium, uel in desumptas quasdam maximas. Principia uerum non tantum priùs nota, sed esse notiora, ait, Aristoteles; immo verò ita clara, ut contraria quoque in de  rerum verum alteram. Et verborum illam dicimus, quae in omnibus definitionis, requiritur. Rerum verum, quae debet esse in definitione ad explicanberent. Immo eandem de terminis mediis et  extremis ut consta hil explicaret. Itaque syllogismi maior et minor hanc praenotionen habes et universales esse, unde speciales illis comparatae ptotimus concipiantur et concludantur. At verum id praecipuè in INFORMATIONE artis integra cue rifli mum esse putamus, ut a generalibus ad specialia progresia unde modi per ee emanant. Et primum illum tenemus, quando attributum est in essen et definitis totius et partium. Demonstrationis et demonstratii omnisque Explicationis et eiuste rminorum vocabuli somnino dum quod definitur in distributione ad explieta dum quod distribuitur, in demonstratione et qua vis expositione ad demonstrandum et ad exponendum quod quaeritur. Alioquini ret essere sis SIGNIFICATAS. Conclusio ergo, et problema, quod concluderetur, hang duplicem haberet praecognitionem Non: acciperet aucem siant manifestissima. Cum autem quae in scientia sunt, per se finto portet, sit, cum quid alicui aderit vel simpliciter vel quod amodoerit: cia   tiasubie et i, et ineius definitione ad hibetur. mus definitioni: quod uel exempla Aristotelem .palàm faciunt. Accedit QUARTUS MODU. Per se in est quòd causa sit certa et non fortuita generalis ergo hic modus per se, quotiessci licet causa e de suis effectibus dicuntur. PROPRIORUM ACCIDENTIUM eritne ullus. Tertius hic enim modus affections et accidentia cognata quod ammovo sensu, Aristotelis contextum declaratum iri. Omnes itaque modos per se ab Aristotelem retinerit enemus nec ab iici duos reliquos. Unde fit, ut consequentes artes antecedentibus subalternae sint, ubi aliquid docent, superiorum decretis explitionis uel inueniendae, uel iudicandae. Omnem disciplinam fieri autper demonstrationem, aut firmauit. Ac per definitionem et distributionem, accuratiorem sci entiam confici, quam per demonstrationem, tenemus. Quare non sequitur, Scio ex causa, propter quam res est quonia milius est causa. Nec aliter habere potest. ergo, Scio steriorum, e Platone ferem sumpta es e qui v is animaduerterepoterit. Plato enim ad instituendas artes, definitionem et distributionem proposuit. Syllogistica e demonstrationis, qualem Aristoteles cominentus est, non meminit. Tunc enimartes bene disputare, docere, demonstrare po secundus modus per se est primo contrarius. Per se est quod est in essentia et definitione attribute qui inodus distribution generis in species, aut differentias conuenit, ut pri 17 cabile. Ergo sic dialectice omnes sub-alternaes intin genererat: per definitionem, concedimus quod et Aristoteles rectem con per syllogisticam demonstrationem. De definitione uerò tam multa, quae differuntur in lib. Po do complectitur. At quo pacto ex Aristotelis littera Ex diffentaneo. Ideoque no terit Son3   terit quis, cum logicam inventioneimn ipsarum natura, qua litateque tota, ex causis, effectis, subiectis, adiunctis, ceterisque. Quirendam, recte fortassis affirmet Aristototele, tamen illud falsum, quod ad percipiendam hanc disciplinam de moribus praecepit, ut paedia in auditore praecedat. Quod autem ne adolescentes quidem percipiendis moribus esse idoneos voluit Aristoteles. Falso. Certem pueros quos damui dimus divinitate quad ammen ti, confirmarunt. Quae non protinus quid rectum, prauúinque sit; discar. Quincum Chrysippo putarunt et ante trienniumil  tis praeditos, ut in quibusdam, multorum virorum iudicia ex E los 1 argumentis per videnda. Cum dispositionem, in eadem vel uel syllogistico conclusionis iudicio a e vortino enunciati tandem ordinanda, ab ini stimanda et iudicanda, universatio per media ad extrema exercuerit. Et hoc pacto NOSTER TELESIUS est progressus in sua philosophia conscribenda. Antonio Persio. Persio.  Keywords: implicature, dialecticis, Telesio, Campanella, spirito come vita, animo come aria, Cicerone, Catone, Boezio.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Persio,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria. Persio.

 

Grice e Pessina: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Napoli -- filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Napoli, Campania. Studia a Napoli sotto GALLUPPI. Cura la sua storia della filosofia. Di idee liberali, prende parte ai moti. Pubblica un saggio sulla costituzione italiana che gli procura la persecuzione della polizia e il carcere. Recluso nell’isola di S. Stefano, sposa la figlia di Settembrini. Fugge dal regno, insegna a Bologna. Fonda “Il Filangieri”. Dei Lincei.  Muore nella suo palazzo in via del Museo, strada che prese in seguito il suo nome: Anche il palazzo dove visse. Aula a lui intitolata.  A lui è dedicato un busto alla passeggiata del Pincio. Saggi “Che cosa e il diritto private?” (Napoli: Poligrafico); “Procedura del diritto (Napoli, Jovene); “Il naturale e il giuridico – alla regia di Napoli” (Napoli, Accademia Reale delle Scienze); Il piu privati dei diritti (Napoli, Marghieri, Diritto e privacita (Napoli, Marghieri); Il privato del diritto (Napoli, Marghieri); Che e private nel diritto privato? (Napoli: Marghieri); “Il diritto privato” (Napoli: Priore); “Storia della filosofia” (Milano: Silvestri); Treccani Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia. La scuola italica venne fondata da Pitagora che crea una filosofia matematica a CROTONE e TARANTO. L’anima, secondo Pitagora, è un numero che si muove. L'armonia dell'anima, o la sua rassomiglianza col divino costituisce la virtù; e la giustizia è l'equa retribuzione. La scuola di VELIA svolge pienamente l'idealismo dei Crotonesi; e la varietà, non negata da Pitagora, esclusivamente affermata dalla scuola gionica, venne assorbita dell'unità da Senofane, trascurata interamente da Parmenide – VELINO (si veda) -- , e negata da Zenone – VELIA (si veda) --, il velino. Empedocle di GIRGENTI (si veda) ed Anassagora seguirono l'eclettismo, ma il primo fu più proclive alla setta dei crotonesi, ed il secondo alla scuola gionica. La scessi ha a fautori i sofisti I quali sorgeano da tutte le scuole. GORGIA di di Lontino o LIONZO (si veda), discepolo di Empedocle di GIRGENTI (si veda), è sofista, e tale era benanche Protagora, discepolo di Democrito. Ma questi non pensano che a sedurre il popolo colle loro vane disputazioni e colla loro effeminata eloquenza. Nulla possiamo dire della filosofia appo i romani perocchè essi, rivolgendo il pensiero alle cose pubbliche, non poteano ri-concentrarsi nella severa meditazione filosofica. Epperò, anche quando la filosofia del dritto e la giurisprudenza fiorirono del romano impero, i giureconsulti non fanno che freddamente seguire ora la filosofia dell’orto o del portico. E se alcuno ci obbiettasse le opere di CICERONE, di Senеса, o di PLINIO, risponderemmo che questi filosofi saranno sempre degni di venerazione de’ filosofi, ma che non fondarono alcun sistema NUOVO. Neander, origine e sviluppamento de’ principali sistemi gnostici. Walsch de gnosticorum systematis fonte Lewald de doctrina gnosticorum. Olearii, De philos. eclectica.  stitui. D. Italia. Anco in Italia ebbe il sensualismo degl’adetti. Ma in alcuni è originale, in altri una imitazione di Locke, di Gassendi, e di Condillac. Fra’primi possiamo annoverare ZANOLLI, MURATORI, BIANCHI, e VERRI.  Il primo di questi,  7 2 be spazio è la relazione di due 'corpi di stanti l'uno dall'altro , che il tempo è la successione o consistenza per gli es seri creati , e che la felicità rattrovasi la scessi, tenta formare i principii più stabili dell'umana credenza, assegna la sola probabilità alle idee morali, e riconosce che i sensi ci fanno aperti i fenomeni esteroi ed il loro ordine successivo, ma non la natura della causa. Kirwan sostenne che non possono aver luogo gl’esseri senza una causa, che lo nello stato di piacere assoluto non-misto a veruna pena. Da ultimo, Young, dettando un trattato sulla forza della testimonianza, la rinchiuse ne’ confini della probabilità, e sostenne che essa è capace di un convincimento superiore ad ogni altra esperienza, tentando la spiegazione di molti fenomeni intellettuali colla dottrina sulla forza attrattiva delle idee, dimostra che tutte le umane azioni si rifondono in semplici probabilità. MURATORI, che è il solo curato fra’ filosofi ed il solo filosofo fra’ curati, indagando le forze dell'umano intendimento, confuta la scessi mediante una morale poggiata su’ principii della ragione e dell'amor proprio – cf. Grice, SELF-LOVE, OTHER-LOVE. BIANCHI fa dipendere il piacere dalla cessazione del dolore.VERRI vuole che si fosse a’ suoi tempi effettuata la dottrina del sentimento o del senso morale. Fra’ secondi, BALDINOTTI nega che si puo discoprire le essenze delle cose co’sensi o colla riflessione ed ammise il principio che ogni nostra cognizione debb'esser di fatto. Lo studio di Locke, dopo l'opera di BALDINOTTI attira in Italia molti proseliti, fra'quali possiam nominare a cagion di onore SARTI, PAVESI, TETTONI, CAPOCASALE, e BRIGANTI. Iovano molti filosofi, arversi per fede a’principii del Lockianismo, cercarono bandirlo; egli vi avea radicato i suoi profondi germi che si estesero insino all’aurora del secolo presente. Fra suoi seguaci si distinsero SOAVE, TOMASO, e VALDASTRI. SOAVE, seguendo il sistema di Locke sulle idee acquisite, riguarda l'idea come l'immagine degl’obbietti e fonda la certezza sulle tre evidenze di Condillac. VALDASTRI fa derivare dalla sensibilità tutte le nostre idee, trasse il criterio del vero dal senso intimo e sostenne nulla esservi di vero in meta-fisica se non fondato sulla economia del nostro essere. An co Rezzonico, Corniani e Prandi danno opera alla propagazione del condillachismo. Ma gl’italiani, benchè sensualisti, non si nabissano nelle funeste conseguenze del materialismo francese, perocchè risenteno ancora l'influenza della vera e sapa filosofia, la quale mai è, che si scompagni dalle verità che crediamo DIVINA. C. Italia. Giovenale, Magneni, Rufini, e Miceli segueno l'idealismo ed hanno a scopo comune quello di determinare l'ideale principio costitutivo delle cose. Ma Pino da a luce la sua proto-logia che, quantunque tenuta in dispregio da’ sensualisti, pure non lascia di onorare l'autore e la patria di lui. Questo saggio venne diretto ad indagare il primo della verità de' principii e delle scienze, l'uno che in se racchiude il principio delle scienze tutte. Egli con prove ingegnose e con sottili ragionamenti dimostra che le parole non ànno il primo senso nelle umane convenzioni, che esiste un primo, causa ed origine dell'umana intelligenza, che il primo principio della ragione è divino.  Law e Hutton sono i suoi più forti sostenitori – Law negando ogni realtà obbiettiva alle idee di spazio e di tempo; Hutton inclinando alle opinioni del celebre Berkeley. è strato all'uomo, che le parole non sono [Borovshi, Notizia sulla vita e sul carattere di Kant; Jachman, Lettere ad un amico in torno Kant - Wasianki, Emmanuele Kant negli ultimi anni della sua vita.- Biografia di Emmanuele Kant. - Rink , Tratti della vita di Kant. Bouterweck, Em. Kant. Rimembranze. Grohman, Alla memoria di Kant. Cousin, Lezioni sulla filosofia di Kant -- versione italiana di F. Triochera con note del BENEMERITO [B.] Galluppi -- Kant, Idee sulla maniera di apprezzare le forze vive Principiorum metaphysicorum nova dilucidatio. Considerazioni sull'ottimismo. Sogni di un uomo che vede gli spiriti] SEGNI DELL’IDEE, nè le idee segni delle parole, che il primo pensiero dell'uomo è il mistero nel senso dell'uno o primo, ovvero del divino; che l'analisi è la distinzione della pluralità costituita dall'uno; e da ultimo che non già la dimostrazione matematica, sibbene la scienza del primo è la ragione primitiva della scienza. Dietro l'impulso di Premoli, dietro gli sforzi di qualche altra e università che cerca difenderlo, il misticismo ha in Italia parecchi coltivatori, fra'quali si distinsero FERRARI e LETI. FERRARI fa derivare la filosofia dalla rivelazione del divino, dalla esperienza, e dalla ragione, ed assevera che il filosofo dove seguir laprima in preferenza dell’altre. LETI, attenendosi ad un principio rivelato o positivo, tenta fondare un sistema cosmologico sul “Genesi.” Epperò, secondo lui, tutte le cose han principio dal divino, lapima si congiunge con uno spirito materiale costituito come la vera forma delle cose materiali, e contenente la luce, l'acqua, la terra, che sono volatili o fissi, e formano gl’altr’obbietti. Ma la riforma  conoscendo la propria fallacia ed illusione, De ti intese della massime a divinità determinare derivare di S. ,edi le idee Tomuniaso gli Secco che immediatamente attribu, segue facendo da, le però il divino [Rousseau, Discorso sulla quistione se il risorgimento delle scienze e delle arti hanno contribuito a depurare i costumi. Discorso sull'origine e su’ fondamenti della ineguaglianza tra gl’uomini Lettere scritte dalla montagna; Del contratto sociale o principii del dritto Politico; Emilio o dell’educazione; Jacobi, L'idealismo ed il realismo Lettera a Fichte Alcune lettere contro Schelling Delle cose divine, Romanzi filosofici - Introduzione alla filosofia. Koeppen Della rivelazione considerata per rispetto alla filosofia di Kant e di Fichte Trattati sull'arte di vivere; La dottrina di Schelling Sul fine della filosofia. Guida per la logica. Saggio del Diritto naturale. Esposizione della natura della filosofia. Filosofia del Cristianesimo. Politica secondo i principii dell’Accademia. Teoria del Dritto secondo i principii di l’Accademia. Lettere ad un amico su'] C C filosofica sperimentale preoccupa gli spiriti per lo studio degl’obbietti sensibili; ed è questa appunto la ragione per cui le speculazioni del misticismo non ven nero accolte e ridotte ad una dottrina generale. tori. L'eclettismo ha de’ forti e valenti sostenitori. Ceva confuta Gassendi e Cartesio; la celebre Agnesi, prevenendo il Cousin, dice non doversi aderire a setta alcuna, ma scegliere tra le sentenze dei filosofi quelle che rispondono alla esperienza ed alla ragione. Corsini insegna non doversi seguitare ne i Cartesiani, nè il Lizio, ma le migliori opinioni di tutte le sette con una specie d’eclettismo. S. 7. venne sostenuto da molti 'Glo [L'Empirismo – Razionalismo] sofi, tra' quali si distinsero Luini, Gorini, Scarella, Ansaldi,Vico Stellini, e Genovesi. LUINI si oppone all'armonia prestabilita di Leibnitz accostandosi al pensiero della forma sostanziale [viene le categorie di Kant, ammettendo nello spirito certe idee prime, e discer de la percezione della convenienza o discrepanza di due idee dall'assenso dissenso a tale percezione. Secondo lui, la mente umana non può comprendere come convenienti due cose che re dell'anima, distingue nell'anima la sostanza 'le potenze i modi, afferma che nel percepire un oggetto noi ci distinguiamo dall'atto della percezione, che le potenze s'argomentano col ragionamento, che le forze sono una certa condizionata esigenza delle sostanze, che colla filosofia è dato di scoprire nell'anima una certa sovra-esistenza, e che il razionale non debbe superare il fatto. Gorini, elevando la dottrina dell'associazione, considera l'idea come semplice rappresentazione dell'oggetto, e sostenne il principio logico che la cognizione intuitiva è composta di due idee e la dimostrativa di tre. Scarella concilia il principio di contraddizione e quello della ragion sufficiente, prepugnano fra loro, il principio della cognizione stà nel predicato che chiaramente si vede convenire o disconvenire dal soggetto. Infine egli distingue gl’errori secondo le facoltà dello spirito, divide la psicologia in fenomenale e PSICOLOGIA RAZIONALE, classifica le facoltà, spiega i sogni con certe continue commozioni cerebrali, distinguel'anima umana da quella de’ bruti, indica due specie d'appetito, l'una sensitiva, l'altra razionale; ed ammette l'anticipazione in noi di qualche cosa innata, che dicesi idea. Ansaldi dimostra che il portico non è atto a diminuire i momenti di infelicità, confuta l'uomo macchina di Mettrie, il principio dell'associazione di Hartley, distingue il sentimento dalla sensazione; e provando che è impossibile dedurre il fisico dal morale, che le facoltà dell'anima sono indipendenti da’principii dell organismo, fonda il principio morale sopra una virtù costitutiva dell'ordine invariabile delle cose, lontanandosi dall’Utcheson e dalla dottrina dell’amor proprio – Grice: SELF-LOVE, OTHER-LOVE. Gerdil divide l’idee in idee di modi, di sostanze, e di relazioni, pone il criterio del vero nell’osservazione e nella esperienza regolate dalla ragione, dichiara l'idea dell'ente un idea di formazione, pone il criterio morale in un naturale criterio diapprovazione, che indipendentemente dalla considerazione e del proprio utile determina il giudizio o dettame pratico in virtù di una certa e conosciuta legge di convenienza – il principio di co-operazione -- di che l'uomo si compiace per natura; fa consistere l'ordine nel rapporto comune fra molti oggetti, deduce l'immaterialità dell'anima dalla diversità tra la sostanza pensante e qualunque sostanza corporea,  dall'impossibilità che la materia contenga la prima origine del moto di sostanza e di modo; deduce l'esistenza del divino dalla necessaria esistenza di qualchecosa ab eterno; pone per principio che le regole della morale per condurre al buon fine dove trarsi dalla natura umana, e colloca il fine o la e dalle nozioni. Egli si eleva ad un sistema empirico razionale fondato sulla storia e sulla ragione, e getta le fondamenti della scienza dell'umanità. Il suo metodo è ricavato dalla psicologia, dalla natura della scienza, e dal la geometria, ed in esso la facoltà inventrice, o la facoltà certa del sapere è preposta a quella dell'ordinare o comporre. Esso è l'analisi geometrica ben diversa da quella di Condillac. VICO venne a ridurre la filologia ad una vera forma di scienza e da ritrarre dalla mitolo  [Il nostro celebre concittadino VICO, conosciuto più a’ tempi nostri che a'suoi, più dagli stranieri che dalla sua patria, scrive la scienza nuova, monumento di gloria italiana, in cui egli avea indagato i principii filosofici della storia, precedendo di un secolo le teorie di Hegel, e Cousin . per а gia starei felicità nel bene sommo, o nell'amore divino. dire una vera storia; ei pose il   meta-fisica, che in sostanza è una vera teo-logia, si è di stabilire un vero appoggiato al senso comune ed all'ordine eterno delle cose, qual è il divino. Da questo priocipio VICO deduce che tutte le scienze emanano dal divino, rimangono comude  3 una na velle; che e criterio del vero: nel senso cerca surrogare il principio dell'autorità universale a quello della ragione individuale. Questo senso comune di Vico è un giudizio senz’alcuna riflessione, comunemente sentito da tutto un ordine, da tutto un popolo, da tutta nazione, o da tutto il genere umano. Secondo VICO, il vero è diverso dal CERTO, inquantocchè quello è riposto nella conformità della mente coll'ordine delle cose, e questo nella coscienza sicura dal dubbio, quello fondasi sulla ragione, e questo sull'autorità. La meta-fisica è quella che stabilisce l'ente e il vero, ed è legata necessariamente alla religione romana cattolica. Lo scopo della sua , nel divino, e tornano al divino solo; che il divino è l'infinito posse, nosse ,   velle > ; corpo, contiene una virtù infinita di estensione che va all'infinito, e che dipende dallo sforzo dell'universo; e che il conoscere chiaro in meta-fisica è vizio, cosicchè approfitta in meta-fisica colui che si è perduto nella meditazione di questa scienza. Nella sua Psicologia VICO distingue la sostanza intelligente dalla corporea. Indi sostiene che quella è l'anima ed ha la sua  sede nel cuore, che in essa esistono le facoltà della memoria, della fantasia, dell'umano arbitrio; che la mente umana l'uomo è il posse, posse, nito, che tende all'infinito; che l’Ea te è Dio, e le creature esistono per partecipazione; che la causa unica è quella che per produrre l'effetto non abbi sogna d'altra; che l'essenza consiste ia una indefinita virtù; che l'anima è diversa dal corpo e dalla materia;che il 4 > 2 pe'pervi, che si danno gl’universali, o l’idee come forme delle cose che queste sono create dal divino, e che l'anima distingue l'uomo dalle bestie. Il non intende [VICO considera l'uomo come ente fioito procedente dal divino, superiore agl’altri animeli per la ragione, e in cui distinguesi la natura innocente dalla corrotta. L’uomo è naturalmente socievole, onde in lui un LINGUAGGIO. La sua vita propria è quella che è consentanea alla natura. A lui appartengono l'umanità o l'altrui commiserazione, il desiderio dell'utile, il carattere d'una comune cognazione di natura, l'istinto alla fede, il pudore, e infine la brama dell'onore. L'uomo insomma è un essere costituito d'intelletto e di volontà, corrotto in entrambi dagl’errori e dalle passioni, ma capace dello sforzo della mente al vero che come equo bene è il giusto, conformità della mente all'ordine è l'onesto. La giustizia, secondo VICO è la virtù universale. La virtù è la stessa ragione, e distinguesi in prudenza, come, temperanza e fortezza; e causa della società è l'onestà. Noi abbiamo verso il divino de’ doveri a soddisfare col culto, senza onestà non può darsi società civile, la giustizia dev'essere universale o architettonica, perchè uno è il divino. VICO nella sua Scienza nuova parte dall'idea o cognizione del divino che illumina gl’uomini e tutto dispone co'suoi ordini prestabiliti. A questa idea principale si rannodano le seguenti. Questo mondo è diretto dalla provvidenza divina. Questo mondo civile fatto dagl’uomini non è molto antico. In esso tutte le nazioni convengono sulla religione, sul matrimonio solenne, e sulla sepoltura. Su questi surgeno le nazioni più barbare. Tutte le nazioni percorrono III età: I età degli dei – GIOVE, MARTE, QUIRINO --, II età degl’eroi – ENEA, ASCANIO, ROMOLO --, III età degl’uomini – BRUTO, CICERONE, OTTAVIANO; III diverse lingue: I geroglifica, II simbolica, III volgare – il latino. Le nazioni furo prima di natura cruda, indi severa, quin di benigna, e poscia dilicala; la forma di governo è o teo-cratica o è delle repubbliche democratiche o aristocratiche, o finalmente è quella delle monarchie; formate le città nasco BO.le tras-migrazioni de’ popoli, ed il dritto naturale delle genti. Cresciute le nazioni, l'equità civile rafforza il dritto naturale. Tutto ciò dura finchè non sopravvengono delle grandi crisi per mutare il mondo civile. Queste vicissitudini umane formano il corso e il ricorso della nazione italiana nel quale si ravvisano III età, degli dei – GIOVE, MARTE, QUIRINO – II degl’eroi – ENEA, ASCANAIO – ROMOLO; III degl’uomini – BRUTO, GIULIO CESARE, OTTAVIANO; tre specie di natura: fantastica, eroica, e intelligente; tre specie di costumi: religiosi, colerici, e officiosi; tre specie di dritto naturale: divino, eroico, umano; tre specie di governo: I teocratico, II aristocratico o III democratico, e monarchici; tre specie di lingue, I mentale, II eroica e III di parlari articolati; tre specie di caratteri, geroglificii, eroici e volgari,  aleo VICO idea gli dini lesi doè nesto nė joni atri pri -in SUI are ; elit 10 specie di giurisprudenza, divina, eroica, ed umana; tre specie di autorità: divina, eroica ed umana; tre specie di giudizi: divini, eroici, umani; tre specie di tempi: religiosi, eroici, e civili. Tutte queste cose hanno apco un ricorso. Il corso e ricorso è fondato sul fatto. La storia ideale non è propria de Romani , tre Tor oé Iri. del co ed ute   ma di tutto il mondo. La Scienza nuova si offre sotto gli aspetti di Te-ologia ragionata, di filosofia, di storia delle umane idee, di critica filosofica, di storia ideale eterna, di sistema del dritto. naturale e delle geộti, di scienza de’ principii di storia universale. Questo grande uomo ha delle lodi e delle accuse, ma sarebbe lungo e difficile il giudicarle per vedere se le une o le altre preponderano. Epperò altro non facciamo che rimapere stupiti come intempi tantomeno civilizzati de' nostri che si addimandano civilissimi l’Italia abbia dato alla luce un ingegno sì 'straordinario e maraviglioso. La filosofia del VICO rimane ignota per lungo tempo all'Europa. Ma ha anco ra de continuatori fra’ quali vennero ad altissima rinomanza STELLINI e GENOVESI. STELLINI analizza le facoltà umane, affermando che il bene o l'ottimo stato dell'anima dipende dalla proporzione o dall'equilibrio di tutte, e fecede rivare la virtù dall'equilibrio tra le facoltà e le affezioni umane. Nella sua opera sull'originee su’ progressi de’costumi dimostra esservi tre epoche della natura umana, cioè quella de’ sensi che servono all'animo, quella dell'animo che serve a’sensi, e quella del mutuo commercio tra l'anima e i sensi. STELLINI integra, per dir così, la filosofia vichiana , in quantocchè Vico cerca nella storia la morale delle nazioni con quella degl’individui, e STELLINI fa la storia de costumi degl’individui colla morale delle nazioni, comprendendo l'assoluta necessità di dedurre i principii morali dalla natura delle cose che si offre spontanea alla nostra contemplazione, dando una unità sistematica alla scienza della morale, e riducendo la dottrina della virtù alla sola grandezza. FILANGIERI, PAGANO, ed IEROCADES proseguino quasi in silenzio la via luminosamente segnata da VICO e STELLINI, ma colui che si fa chiaro, e fra' Vichisti e tra gli’empirici razionali, è GENOVESI, nostro concittadino. Egli nella sua meta-fisica sostiene che non possiamo avere idee distinte intorno alla sostanza, che l'essenza consiste in varie proprietà, e che si distingue in reale, nozionale e nominale. L'anima secondo lui, è lo stesso subbietto pensante ed intelligente, ed è dotata d'intelletto e di ragione della percezione, del giudizio e del raziocinio; per ben filosofare è mestiere che si faccia uso di quelle idee che possiamo avere, che la verità sia chiara ed evidente, mai il filosofo non  il principio dell’autorità e dell'arte critica, cità della mente umana e della estensione della conoscenza. Secondo lui, la > 1 1 debbe scostarsi dalle dimostrazioni stabilite se non quándo ci si presentano dell’obbiezioni. Egli dichiara imperfetta la scienza teo-sofica e conchiude che ascendiamo al Verbo per via della ragione. Segue il principio che rion sidapno nemmeno l’idee intellettuali senza; un moto corrispondente nel cervello> ammette il principio del vero e del falso il cui criterio è l'evidenza intelligibile sensuale e storica > > . della capa   ra umana morale è mossa dal conoscere la natu in che trovansi due forze, l'una concentrica e l'altra diffusiva che entrambe dalla morale devono esser di rette alla felicità. Scopo della morale è quello di regolare e non distruggere l'uomo. La legge naturale è risposta de dae precetti di attribuire i proprii diritti al divino a te ed agli altri, e di fare tutto che conviene alla felicità del genere umano. Egli ripone la legge morale nella ragione e distingue questa come facoltà calcolatrice dalla regola che la governa e che consiste nel tenore dell'essenze e dei rapporti essenziali delle cose ordinate, e per la quale v’ba un'obbligazione perfetta che è della forza e della giustizia, ed un obbligazione imperfetta che è la legge dell'umanità. Egli dimostra ancora che l'utile è il più bello indizio di una legge generale che punisca o premii talune azioni, e che tutti i doveri si riducono si a rispettare le palu rali proprietà di ciascuno che ad acquistar le proprietà, perchè non s'invadano le proprietà di coloro i quali sono al medesimo piano dell'universo con noi. GENOVESI non è un filosofo originale, ma è originale pel suo metodo, per la sua chiarezza, per la sua critica; e se talvolta si desidera in lui maggior ordine, maggior precisione, ciò nasce appunto dalla difficoltà di riunire in un sol corpo l'intera filosofia italiana.  S all'immaginazione- De 2 Antropologia di Gorini-Luini, Meditazione Ansaldi, Riflessioni sui mezzi di perfezionare la filosofia morale. Saggio in torno traditione principiorum legisnaturalis- Elementa Logicae, Psychologiae, ac Theologiae naturalis, auctore Scarella Gerd il., Anti Emilio o Riflessioni sulla teoria e la pratica dell'educazione contro Rousseau. Piano degli Studii Logicae Institutiones Storia delle sette de’ filosofi. Principii della morale cristiana. Origine del senso morale. Memoria dell'ordine del divino e della immaterialità delle nature intelligenti. Philosophicae Institutiones quibus Ethica seu Philosophia practica continetur VICO: De nostri temporis studiorum ratione- Dell'esistenza De antiquissima italorum sapientia. De uno uni versi juris principio et fine uno liber unus. De Constantia jurisprudentis liberalter- Principii di scienza nuova STELLINI: Ethices Opera omnia PAGANO, Saggi politici Discorso sull'origine e natura della poesia. GENOVESI: Elementa metaphysicae. Elementorum artis logico criticae. La Logica. Istituzioni di meta-fisica pe’ principianti. Diceosina o sia Filosofia del giusto e dell'onesto. Per dar compimento alla esposizione dell'attuale filosofia italiana e insieme allo svolgimento storico de'si stemi filosofici non rimane che esporre lo stato della filosofia in Italia al secolo presente. I filosofi italiani oggdì si dividono nelle V classi dei sensualisti, degl’idealisti, de’ mistici, degl’eclettici e degl’empiristi razionalisti. La tendenza della filosofia italiana al dì d'oggi è l'Empirismo Razionalismo benchè si ravvisi qualche avanzo di sensismo, e som   qualche imitazione dell'idealismo alemanno non che del misticismo francese e del eclettismo scozzese. È il chiarissimo Barone GALLUPI che, colla potenza della sua dialettica, e colla severità del metodo analitico, rappresenta eminentememente la filosofia in Italia, movendo guerra sì all'idealismo di Kant che al sensualismo del Condillac. Noi per seguire l'ordine ideo-logico dei diversi sistemi di filosofia esporremo pri mamente le dottrine degl'empirici. Po scia verremo agl’idealisti, a’ mistici, ed agl’eclettici; e da ultimo agl’empiristi-Razionalisti.  POLI: Supplimenti al Manuale della Storia della filosofia di Tenneman. Gioberti: Del Primato morale e civile degl'Italiani. I capi del sensualismo italiano nel secolo presente sono Gioia, Romagnosi, e Lallebasque. GIOIA (si veda), fondando la sua filosofia sul la ricerca de’fatti, non fa che mirare aduna scienza popolare. Procedendo in tal modo egli trova tre facoltà fondamentali: la sensazione, l'attenzione ed il raziocinio. Indaga l'origine delle sensazioni e dell'istinto, ammise l’organizzazione e gli stimoli esterni come cause dell'istinto, e spiega l'anomalia delle sensazioni, e le loro leggi, por gendo un cenno storico sulle norme materiali che furono falsamente riguar date come norme misuratrici della in telligenza. Riguardo a'prodotti intellet tuali e morali , egli inclinò ad una i deologia fisiologica , che egli conchiude con una teoria del piaceree del dolore, in cui considera il dolore come n o n sempre proveniente da lesioni organiche, e il piacere come non sempre effetto della cessazione del dolore , e stabilisce l'azione reale del piacere e del dolore, e le loro sorgenti come inoti maggiori o minori del moto ordinario delle fi bre. Poscia dimostra che essi influisco  no sulla felicità, sulle facoltà intellet tuali,sulle affezioni sociali, e sulle passioni ; e rettificando le nozioni false sulla vita , mostra che le sensazioni u- nite alla forza intellettuale cisvelano l'e sistenza del me e del fuor dime epro ducono certe operazioni diverse dalle semplici sensazioni ; cpperò distingue la sensazione dalla idea e dal giudizio. Nella filosofia morale, GIOIA dove soggiacerealleconseguenzedelsuo si stema empirico ; ed infatti il suo prin cipio è che la morale è la scienza della felicità, riponendo egli la felicità dell'a vanzo delle sensazioni gradevoli su’mali; e che la virtù è una somma di atti uti li disinteressati. Il sistema di GIOIA è erroneo e difettoso , perchè tende a generalizzare il sensualismo, favorisce il sistema del piacere, approssima l'ideologia alla fisica, analizza superficialmente ed inesattamente i fenomeni psicologici, e deduce da un fatto incerto una teori ca o un principio. Ma la comunicazio ne della scienza al popolo , una filoso fia pratica e sociale, una mente vasta e perspieace, un giudizio avvalorato dalla induzione ,una ammirabile chiarezza d'idee e di ragionamenti;ed una scelta erudizione, sono le doti che se fossero andate disgiun tedanonpochierroriavrebbero formato di Gioia un pensatore non mediocre. ROMAGNOSI (si veda) segue, nel suo metodo, ne'suoi principii, e nelle suededuzioni, l'empirismo, ma un'empirismo psicologico, da lui manifestato, cercando il principio del dritto nale nelle relazioni appoggiate Pe all'es senza ed alle reali connessioni delle co se, dimostrando che l'arte di governar la società deve riuscire l'ordine morale di fatto perfezionato, e che nella spo sizione dell'ordine teoretico e pratico debbe aver luogo la storia della natura umana e delle sue relazioni 3 nendosi la ricerca de'fenomeni e propo psicolo gici sperimentali , lasciando le astruse indagini della metafisica psicologica. E gli definendo la psicologia , la dinamica dell'uomo interiore; stabilisce le tre funzioni psicologiche del conoscere, del volere, e dell'eseguire , dichiara l'esi stenza del me e degli altri corpi il cui carattere esclusivo è la pluralità di so stanze compresa in un sol concetto ; e dimostra che le sensazioni sono i segni reali e naturali cui in natura corrispon dono le cose e i modi di esseri reali che il sentire è diverso dall'intendere che stà nel percepire l'essere e il fare delle cose ; che il senso intimo è una facoltà occulta che unisce all'uno il moltiplice , al semplice il complesso, che perciò è suo ufficio il conformare gliatti psicologici che qualificano l'in tendere, il dettare un sentimento in ogni giudizio , l'attrarre ciò che è ana logo e respingere ciò che ripugna ; che laleggedell'umana intelligenzaè funzione in cui il senso dell'azione ri cevuta e quello della reazione corrispo sta concorrono a produrre la percezio ne dell'essere e del fare ideabile delle cose. Nulla,secondo lui,avvi d'innato o a priori riguardo alle idee che tutte  e una   derivano dalla sensazione combinata col la reazione o dalla competenza dell'Io combinata con quella degli obbietti e sterni. Egli ripone il criterio del vero nel principio di contraddizione , consi dera la causa come un non so che rac chiudente il concetto d'una potenza pro duttrice di un atto o di un fatto; ne ga le idee iunate pel principio che l'Io vedendo tutto in sè stesso non può di stinguere dall'acquisito ciò che vi si rattrova d'innato; considera il valore della prova nella certezza , e nel dubbio , e conchiude che lo stato esterno e sensibile degli ele menti delle prove è fondamento univer sale e primitivo del loro impero. La morale, secondo lui, stànel proporzionare la natura de' mezzi secondo la speciale considerazione del fine. Il principio generale della sua morale è l'ordine della perfezione , cheper leg ge di fatto reagisce su quello della conservazione tanto coll'insegnare quan to col somministrareimezzi delmiglior  bilità , e nel dubbio nella proba Lallebasque congiunge alla scienza del pensiere la filosofia naturale. Secondo [È comune opinione che sot to il nome di Lallebasque tenga celato quello del caraliere BORRELLI:  essere umano; e che mira al benesse re all'utilità fisica o morale ed alla umana felicità che costituiscono l'uomo attuale e le leggi naturali per cui l'uo > mo , com 'essere perfettibile è tenuto a seguire l'ordine morale di natura. E gli distinse l'incivilimento dalla civil ne pose le basi nella natura nella religione, nell'agricoltura, nel governo, nella concorrenza; ed il prin cipio nell'incivilimento sempre dativo. Una mente vasta, un ingegno acuto e profondo ed una dialettica rigorosa formano tutti i suoi pregi; ma è in e qualche modo oscuro e confuso , né fu tanto innovatore quanto lo predica rono i suoi proseliti, e per l'empirismo da lui professato, e per le diffi coltà della scienza, là; g  lui,lasensazioneèprimitiva, conti nuata, riprodotta ed aumentata; ed è lo stesso che l'idea , tranne che questa si adopera più di frequente a signifi care le funzionidell'intelletto. In quan to al giudizio, egli distingue quello di occupazione da quello di attenzione;e riduce ogni giudizio a quello di diver sità; considera il raziocinio come l'atto onde due idee producono un giudizio per via d'una terza. Riguardo alla vo lontà egli sostiene che il calcolo voli tivo e l'atto prelativo si risolvono in un giudizio di preferenza pel quale la volontà sisviluppa come un'azionecon cui l'animo eccita i nostri organi a pro cacciarci ciò che abbiam prescelto. In trattando della scienza etimologica, egli ripartisce le lingue in radicali e produttive. Indaga l'origine delle parole e le loro cause, che sono l'imitazione, il bisogno, il comodo, l'arbitrio. Riconosce due mezzi per trovare le lingue radicali: la ricerca de'popoli che han comunicato con quello per la cui lingua han luogo le indagini etimologiche, e l'attignere dalla lingua derivata la noti zia di quelle che àn concorso a formarla. Un luogo stuolo di empiristi tenne dietro a questi Àtre pensatori. Gigli de finisce la filosofia la scienza di ciò che può conoscersi con esatte osservazioni e con esperienze bene istituite. SAVIOLI è seguace di Locke e di SOAVE. Troisi riconosce ne'sensi gli strumenti delle po stre prime idee. MAZZARELLAriconosce l'attività e la sensibilità come proprietà costitutive dell'essere semplice ;Bini dichiaratutte le idee provvenire all'ani ma col mezzo de'sensi. PEZZI nega l'e sistenza delle appercezioni e delle idee astratte. Accordino fadipendere tutte le facoltà dell'anima dalla sensibilità, e riguarda l'uomo neiprimi momenti della sua esistenza come una tavola .rasa ove non è impresso alcun carattere; MARA no distingue la percezione dall'idea e preferiscel'analisi. ABBÀ fa dipendere le idee dal senso e dall'azione dell'anima. ZELLI afferma che l'uomo riceve le losofico sulla coscienza. TESTA afferma che il sentimento non può fallire al ve e che l'osservare la natura e fi -prime idee per mezzo de'nervi ; Alberii dichiara pescibile tutto che esce dalla sfera del mondo sensibile. PASSERI riconosce l'influenza del fisico sulla rettitu dine delle nostre azionispirituali. SANCHEZ niega alla ragione la conoscenza dell'assoluto e trae tutte le idee da' sensi. GATTI dichiara esser la sensazione il risultamento di una conformazione spe ciale vivente. BONFADINI riconosce il metodo induttivo come mezzo logico della verità, e spiega l'origine delle idee coll'analisi e coll'astrazione. REGULEAS pretende nell'anima altro non esservi che il sentire. BRUSCHELLI trae l'esistenza del mondo e del divino dall'osservazione de' fatti che ne circondano. GRONES dichiara la metafisica la scienza delle cose astratte conoscibili per mezzo dell'osservazione costante e delle esperienze accurate. PIZZOLATO forma della filosofia una scienza fenomenical. BUTLURA poggia il sapere ro, studiarne i fatti sono i soli mezzi sicuri d'ammaestramento. BRADI riduce la certezza alla diretta cognizione del modo di essere speciale degl’obbietti. FAGNANI fonda il suo sistema gloso-fico sul dinamismo e sulla sensibilità. BRAGAZZI propone per facoltà d'apprendere l'osservazione de'fenomeni dello spirito e per criterio del vero la verificazione. COSTA sostiene la memoria e le altre facoltà a simiglianza della sensazione, ed ammette l'origine delle idee generali e normali dall'idea individuale. FERRARI segue il principio dell'associabilità interna e FELLETTI quello dell'utile umanitario. L'empirismo venne applicato alla pedagogia da PASETTI, FONTANA, TOMMASEO, e RENZI, alla storia da ROSSI, alla estetica da CICOGNARA e DELFICO, e dalla genealogia delle scienze da PAMPHILIS, ROSSELLI, e FERRARESE, che riunisce tutti i rami delle scienze a quella dell'uomo, seguendo il principio che in esse tutto è relativo a noi. [e Gioia : Il nuovo Galateo ca Tavole Statistiche sofia ad uso delle scuole Logica Statisti Elementi di filo Ideologia. Esercizio logico. Nuovo prospetto delle scienze economiche. Del merito e delle ricompensa. Dell'ingiuria, de'danni, e del soddisfacimento. Indole, estensione, e vantaggi della Statistica ROMAGNOSI: Che cosa è mente sana? Indovinello massimo. Della suprema economia dell'umano sapere. Vedute fondamentali sull'arte logica. Dell'insegnamento primitivo delle matematiche. Assunto primo della scienza del dritto naturale. Introduzione allo studio del dritto pubblico universale. Dell'indole e de'fattori dello incivilimento. Biblicteca italiana. Vari articoli di filosofia. L'antica filosofia morale. Genesi del dritto penale. Progetto del codice e della procedura penale. LALLEBASQUE: Introduzio De alla filosofia naturale del pensiero  la - - - cu mo Fa il - - - cato su! si dal per Ista OS ette mali Fel en -ia oi. Eila, alla . ea dal Fer àa cipii della Genealogia del pensiero. BORRELLI: Gia Troisi: L'arte di ragionare. Istituzioni metafisiche. Mazzarel Intorno a'principii dell'arte etimologica gli. Analisi delle idee la. Corso d'ideologia elementare. BINI: Lezioni logico-metafisico-morali. PEZZI: Lezioni di filosofia della mente e del cuore, riformata e dedotta dall'analisi dell'uomo. ACCORDINO: Elementi di filosofia. Regole dell'arte logica. Marano ABBÀ: Elementa Lo Pringices et Metaphysices. ZELLI: Elementi di metafisica. PUNGILEONI: Dell'udito vista. Alberic: Del nescibile. Passeri: - e della Della natura umana socievole. Sanchez: Influenza delle passioni sullo scibile umano. GATTI (si veda): Principii d'ideologia. BERTOLLI: Idee sulla filosofia delle scienze morali e politiche. GERMANI: Dell'umana perfezione. SCARAMUZZI: Esame analitico della facoltà di sentire. BONFADINI: Sulle categorie di Kant. REGULEAS: Nuovo piano d'istruzione ideo-logica elementare. BRUSCHELLI: Praelectiones elementares logico-metaphisicae. BUTTURA: La coscienza logica. TESTA: Introduzio ne alla filosofia dell'affetto. Filosofia dell’affetto. BRAVI: Teorica e Pratica del Probabile. FAGNANI: Storia naturale della potenza umana. Elementi dell'arte logica. BALDINI: Cenni sopra un corso di filosofia. RAMELLI: Prospetto degli studii filosofici nelle scuole comunali. NESSI: Schizzo intorno i principii di ogni filosofia. OCHEDA: Filosofia degl’antichi. GRONES: Ricerche metafisico-matematiche sulla lingua del calcolo. PIZZOLATO: Introduzione allo studio della filosofia dello spirito umano. SAVIOLI: Institutiones metaphysicae in Epitome redactae. ZANDONELLA: Elogio di Bacone. COSTA:Del modo di comporre le idee. FERRARI: La mente di Romagnosi. FELLETTI: In torno ad una nuova sintesi delle scienze. PASETTI: Sull'educazione fisico-morale. FONTANA: Manuale per l'educazione umana. TOMMASEO: Scritti varii sull'educazione. RENZI: Sull'indole de'ciechi. ROSSI: Studii storici. CICOGNARA: Ragionamenti su bello. DELFICO: Pensieri sulla storia e sulla incertezza ed inutilità della medesima. ricerche sul bello. PAMPHILIS: Genografia dello scibile considerato nella sua unità d’utile e di fine. ROSSETTI: Dello scibile e del suo insegnamento. FERRARESE: Saggio di una classificazione sopra le scienze del l'uomo fisico e morale. Delle diverse specie di follte. Ricerche intorno all'origine dell'istinto. Trattato della mòno-mania suicidia. Esame dello stato morale ed imputabile de'solli mono-maniaci.  Elementi di ito e dela. PASERI Paseri: Sanchez:In - - umano Bertolli: 1 orali epolis perfezione- a facoltà di orie di Kant uzione Praelectiones - Buttura : -latroduzio ilosofia tiia delPro e delap e logica- del ideo orso dinilo spetto del ali- NESSI filosofia – e sula oduzione a GRONES : lin - ee umano – in Epitome Bacone elletti . For :lo S 3. Non ostante il gran numero di fautori che si procaccia l'empirismo, pure si avverte ilbisogno di spiegare la natura umana non dall'esperienza, ma dalla subbiettività dell'uomo. Epperò sorgeno i razionalisti a combat, il secondo affermando l'assoluta necessità delle idee innate, o de principii apriori, ed il terzo annunziando esser la filosofia una scienza degl’enti di ragione. LUSVERLI considera le facoltà come COLUI il quale da una forma siste  ! un potere di produrre qualche effetto, dipendente dalla forza spirituale. DEFENDI riconosce ne'sordo muti l'idea dell'ente in universale, e PARMA nel fondo di ogni esistenza rattrova l'essere. CERESA afferma essersi im battuti nel vero coloro i quali riposero il principio del conoscere nella pura subbiettività che è sola infinita, spontanea, positiva, e tale che l'uomo per suo mezzo elabora la sua obbiettività. o tere le tendenze empiriche; ed aspira rodo a spiegare i problemi più difficili della filosofia; ma non si elevarono alle chimere ed alle astrazioni del trascendentalismo alemanno. Maggi, Bianchetti, e Receveur coltivarono il razionalismo pel suo lato obbiettivo. MAGGI cerca un sommo archetipo logico e supremo, P   1aspira 1 dificili ronoale Trascen ilBian: tempo , di spazio , di iriposero 0 ilha etiro, RECEVEUR  an na scienza considera che tipolos afermando ionate, 0 prodare Jalla fora nesont ersale; eld stenza rat essersi im pura possibilità dell'essere medesimo. Secondo RECEVEUR, quest'idea è è innata, poichè non proviene nè da'sensi nè dal sentimento dell'io, nè dalla riflessione; e da essa derivado tutte le idee acquisite diforma e di materia , di sostanza. Egli si propone di ricondurre la filosofia dell'intelletto sulla giusta via, combattendo i sistemi che hanno perturbate le menti e disonorata la filosofia, e stabilire un criterio saldo e irremovibile alla verità ed alla certezza. SERBATI segue ilprincipio che l'idea unica ed innata si è quella dell'ente nell'universale. Egli preferi che riducesi a’ due sce il suo metodo assiomi di non assumere nella spiegazio ne de'fatti dello spirito umano, nè meno nè più di quel che è necessario a spiegarli. Egli parte dal principio che l'uomo pulla può pensare senza l'idea dell'ente; che quindi la qualità più generale delle cose è l'esistenza nella pura suk 7 spontana I suo mez matica al razionalismo si e SERBATI. Egli si di di essenza, di causa , rma siste  moto, e di estensione. sso è il senti mento intellettuale, l'intelletto medesimo. Ecco i punti principali della sua teoria. L’anima ha due potenze originali: l'intelletto, che ha per obbietto essenziale la forma e la sensibilità che è esterna se ha per obbietto un corpo, interna se ha per obbietto l’io. La coscienza upisce la sensibilità all'intelletto con una sintesi primitiva, il cui effetto è la ragione scorgendo i rapporti generali, ed è la facoltà di giudicare congiungendo l'attributo al subbietto la sensibilità esterna è tratta ad operare colla materia prima, e la ragione produce le percezioni intellettive; donde la facoltà di generalizzare e la libertà all'indefinito svolgimento delle facoltà dell'uomo. Egli distingue la sensazione dalla percezione sensitiva, l'idea di una cosa dal giudizio sulla sua sussistenza, la percezione sensitiva dalla intellettiva, un atto dello spirito dall'avvertenza dell'atto. Finalmente dimostra che è impossibile che l'uomo percepisca una cosa diversa da sè;  I   che lo spirito comunica le sue proprie forze alle cose percepite; che l'idea del l'essere è fonte e criterio del vero e genera la cognizione de'corpi, di noi; del divino, ed anco la legge morale. Per tal modo l'idea dell'ente è, secondo lui, il primo principio innato nella psicologia e nell'ontologia, il criterio del vero e del certo nella logica, il principio supremo del bene e del dovere nella m o rale.  senti nedesi lasua Itoeso chee le quattro idee di spazio , di tempo , rigio io огро, lacr eleto to| gene CON Terce adal 0;he :cold acele Non rimane che dirqualche cosa in torno al nostro concittadino COLECCHI, seguace in qualche modo della filosofia di Kant. COLECCHI pone di sostanza , e di causa efficiente , colle quali espone le leggi della ragione che egli dichiara comuni ad ogni sistema fi losofico.Il principio del suo sistema è questo: l’io non potrebbe determinare la sua esistenza nel tempo senza una esi stenza interna, dal quale deriva che la cagione movente la sensibilità non può riponersi nello stesso me, cioè che il cel indef. uomo berce 7atto atto. eche   vario delle rappresentazioni nasce all'occasione del di fuori che modifica il sen so; che la riunione del vario nello spazio e nel tempo è opera della fantasia,  è e quindi chel'unità sintetica dell'oggetto nell'esperienza è un prodotto della fantasia di accordo con l'intelligenza. Secondo lui, l'induzione fisica è diversa dall'induzione matematica inquantocchè quella mena allo scetticismo e questa a cono scenze necessarie ed universali; se il rap porto tra le idee è neeessario, le idee e i termini di questo rapporto son tali anch'esse ; ogni nostra conoscenza in comincia da'sensi , e passa da questi al la intelligenza. Riguardo alle leggi della ragione egti sostiene che la ragione esi ge inogni esperienza come data la to talità delle parti dello spazio e degli arti colideltempo non confondendo quello che è con quello che appare,. lità delle parti del tutio dato nella divisione, la totalità delle condizioni nella catena delle cause e degli effetti, pro nunziando l'accordo delle due causalità la tota-  della natura e della libertà , il necessa rio nella serie de contingenti ed infine un ente assoluto, dotato di tutte le possibili realtà, il divino. Nella morale, egli sostiene che il principio della propria felicità non può elevarsi alla dignità di legge morale, che le due idee del giusto e dell'ingiusto sono originarie e non fattizie, e che le regole etiche, le quali dirigono l'uomo interno sopo essenzialmente diverse dalle giuridiche che dirigono l'uomo esterno. Colecchi non è solamente seguace del Kant; ma egli cerca armonizzare colla morale i pensamenti del Vico sulla filosofia e sulla legislazione; anzi poichè le verità del Kantismo eran sepolte nella scienza ila lica, Colecchi ha saputo raccogliere un seme da'principii di questa per produrre novelli frutti e contribuire allo a vanzamento delle filosofiche discipline. Receveur: Institutionum philosophicarum elementa Maggi: Critica sistematico-univerle e guida alla rigenerazione della filosofia. Bianchelti: Studii filosofici tuzioni logico metafisiche. Lusverli: Isti Defendi: Sul dolore estetico e sull'entusiasmo, ragionamento. Parma: Supplimenti sul sansimonismo. Serbati: Saggio sulla felicità. Saggio sulla unità dell'educazione. Opuscoli filosofici. Saggio sull'origine delle idee. Principii della scienza morale. Frammento di una storia dell'empietà pii e leggi generali di medicina e filosofia speculativa, Colecchi: Quistioni filosofiche. Ceresa: Princi.] Il sensualismo venne anco combattuto da taluni che, seguendo l'esempio della scuola teologica Francese, si elevarono al misticismo e fondarono la scuola de’ soprannaturalisti, che fanno prevalere la fede ed il sentimento sulla riflessione e sulla ragione. Primo fra questi, Palmieri attacca di fronte l'empirismo, mette in campo le idee innate come impressioni permanenti e modifcazioni dello spirito, afferma che sonovi nello spirito delle idee e delle impressioni non avvertite  e  la teologia hanno lo stesso scopo, cercano un solo vero discutono gli stessi principii, esse non ponuo essere due scienze. Mastrofini si vapta autore di una meta-fisica subli- .attualmente che la ragione per giudi care debbe seguire certe basi e regole impresse nell'anima; e ri-vendicando l'autorità de'libri sacri, confutando il Kantismo e negando alla filosofia la facoltà di spiegare lo stato èdell'uomo sostiene che tutti i suoi sistemi sono contraddizioni manifeste, e che il solo vero è il soprannaturalismo che è l'unico, e non contraddittorio, quando anche la ragione non potesse sentirne chiaramente l'evidenza. Manzoni stimando incompiata la filosofia che anno gli uomini sul giusto e sull'ingiusto indipendentemente dalla religione, e la distinzione tra la filosofa e la religione come una imperfezione, si accosta al soprannaturalismo, sostenendo che la filosofia morale va congiunta alla teologia, che la ragione naturale è imperfetta, e che se la filosofia e. Il nome di Licinio Ventebranz è anagrammatico ed é celato in esso quello di Albertini  me in cui applica la filosofia alla teologia; Ventenbranz predica una filosofia eclettico-cristiana; Perolari Malmignati sostiene che la sola filosofia verissima è la morale cristiana. Olivieri e Pasio sostengono una morale dedotta dalla ri-velazione. Cesare Cantử dimostra che, dovendosi basare la giustizia positiva sull'assoluta, non puo giammai mepare ad effetto questa sua condizione se non colla religione positiva; che l'umanità è regolata dal divino, che il linguaggio della parola è dato dal divino all'uomo e con esso tutte le idee primitive di giustizia e di rettitudine morale. Parma pretende che ogni sistema filosofico debba dipartirsi da un dato primitivo anteriore alla dimostrazione, e che sola la filosofia religiosa assume tutti gl’elementi del materialismo, dell'idealismo e dello scet  Riccardi fa consistere il difetto di ogni filosofia del vizio logico e morale di sostituire la parola natura al divino; e pretende la scienza essere essenzialmente religione, non potersi dar conto di alcuna cosa che risalendo al divino, la filosofia non dover concludere contro i fatti della ri-velazione, la stessa fisica esser falsa se a questa è opposta. Ventura cerca identificare la filosofia alla ri-velazione. Secondo lui, la filosofia statutta nel metodo, il fondamento della certezza è riposto nel senso comune, l'intelletto e la verità costituiscono un tutto indissolvibile, l'uomo si rapporta al divino, la convenienza dell'ente coll'intelletto forma ad un tempo il sommo vero ed il sommo bene, l'uomo debbe conosce  ticismo, epperò, secondo lui, la teologia è un ingrandimento dell'umana ragione, o la scienza dell'umanità illustrata da'più alti intelletti, la filosofia non è che la religione, essa comprende la teo-logia, 1'etica, la logica e la fisica e debbe re Dio mos  [Gioberti è un sostenitore del misticismo. Egli cerca surrogare l'ontologia al ta psicologia, e il metodo sintetico all'analitico; segue il dommatismo, cercando dedurre ogni cosa con logica stretta e severa; unisce la filosofia alla teo-logia, subordinando la prima alla seconda; e distinguendo la parte razionale da quella che è superiore alla ragione, incomincia dal primo ente, in relazione alla mente umana; e, dopo aver presentata una dottrina dell'assoluto si intrattiene a mostrarne lo svolgimento in tutte le forme delle scienze umane e divine. Secondo lui, la  un tutte le sue parti decidere coll'autorità generale. Intorno a Gioberti e mestiere leggere la nota di ROVERE (si veda) SULĽ ONTOLOGIA E SUL METODO ed un articolo di Massari cui è titolo: CONSIDERAZIONI SULL’INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA FILOSOFIA propo DI GIOBERTI (Progresso). V. de e combinati con essa formapo tre realtà indipendenti dallo spirito, cioè una sostanza ed una causa prima moltiplicità di essenze e di sostanze, ed un atto col quale l'ente si collega alle esistenze; il nostro pensiero intuisce questa realtà con un atto semplice e simultaneo che precede ogni intuizione particolare, e per cui mezzo l'intelletto percepisce leproprietà essenziali dell’ente mercè la ri-velazione; l'idea non può addivenire obbietto di riflessione senza la parola interna, quindi è necessario l'intervento del linguaggio per opera della ragione; vi è gran differenza fra l'intuizione e la riflessione, fra il metodo ontologico e il metodo psicologico, e d'accanto alle facoltà che a p > > sizione. L’ente crea le esistenze è la formola ideale che comprende tutte le nozioni dello spirito umano; ogni suo membro esprime una realtà obbiettiva assoluta e necessaria nell'Ente, relativa e contingente delle esistenze; questi due membri son legati dalla creazio una > e   non ha lasciato di cadere in molti gravi errori, specialmente quando egli prendono l'intelligibile, avvidell'uomo un istinto che mira al sopra intelligibile senza poterlo giammai conoscere. L'ente si offre al nostro pensiero come lecido e tenebroso; e da ciò sorge il legame e strettissimo tra la filosofia e la teologia tra’dogmi ri-velati e i razionali. Egli applica la sua formola ideale a molti problemi di logica, d'ideologia, e di meta-fisica; prova la sua fecondità e larghezza in lei rattrovando la ragione e la fonte del sapere; imprende a delinear nela storia attraverso le opinioni, le credenze, e le rivoluzioni de'popoli, ed a mostrare che dessa abbraccia la ragione di tutti sistemi potevoli di filosofia. La sua filosofia offre il primo esempio di una meta-fisica ortodossa, ma ardita ed originale; sicchè può dirsi aver egli tentato di mostrare i legami tra la filosofia e la ri-velazione cattolica estimando il progresso delle scienze sperimentali e lo svolgimento della civiltà ma attaccando il metodo psicologico, afferma che esso e  la cagione del mate  e quando sostituisce al metodo analitico il sintetico. È principio riconociuto da ogni sana mente che l'analisi di per sè sola non può menare allo scoprimento della verità; ma è falso che la sola sintesi si adatta a darci la nozione del vero. L'unico metodo è quello di conciliare l'analisi alla sintesi; perocchè vi sono delle idee che conoscia mo per mezzo della sola analisi, e delle altre che conosciamo per mezzo della sola sintesi. E poi l'accagionare Cartesio di tutte le dottrine materialiste palesa una immoderata avversione al psicologismo che da alcuni si vuole esser l'ultimatum della filosofia, ma dal quale noi stimiamo doversi partire per giungere al l'ontologia, alla conoscenza della legge che regge il mondo sensibile ed il mondo soprassensibile. Del resto Gioberti evitando ed il pan-teismo ed il " rialismo che nel secolo scorso ebbe lao go,   · rolar [Malmignati : Lezioni filosofiche. Parma: Sulle opere di Gerbet. Supplimento sul Sansimonismo. Cantù: Notizia di Romagnosi.  Riccardi: Lapratica de'buoni studi. Discorso sulla filosofia. Ventura: De methodo philosophandi. Gioberti: Introduzione allo studio della filosofia. Errori filosofici di Serbati. Teorica del sovrannaturale filosofia estetica. Saggio sul bello e Principii di Del Primato Morale e civile Lettera sulle dottrine filosofi degl’italiani co-politiche di Lamenoais.  parallogismo nel dedurre con ragionamenti a priori la scienza de' Gniti da quella dell'infinito, non fa altro che proclamare la verità della ri-velazione cattolica. Palmieri: Analisi ragionata de'sistemi e de' fondamenti dell'ateismo e della incredulità. Manzoni: Osservazioni sulla morale cattolica. Mastrofini: Le usure Olivieri: La filosofia morale. Pasio: Elementa philosophiae moralis cum notis. Albertini: Discorso critico intorno a’ pregiudizii ed errori ed a'tanto disputati due metodi d'insegnare le scienze astratte. Lo Spirito della Dialettica. Pe C C -  osserva che i sensualisti hanno preso una strada erronea occupandosi della quistione sull'origine delle idee e mischiandola con quella sulla realtà dell'umano sapere che essi non han conosciuto l'uomo che per le sole sensazioui tralasciando l'analisi dell'essere interno, che non hanno avanzato la scienza, non potendovi essere scienza Glosofica filosofica senza la cognizione dell'uomo intelligente e morale; epperò cadde in errore coloro i quali lo annoverarono tra'sensualisti. Il suo metodo è di ricercare tutto che i filosofi italiani hanno scritto intorno ad esso  .1  ida e de ta scien emo 1 oried -A Pour tosul Ro studi ala ra : tro 2 cibi do, iïdi osofi civile che zione della scuola scozzese. Oltre Sebastiani e Corradini, dobbiamo poverare S 5. Sonovi in Italia alcuni filosofi che si addano a coltivare l'eclettismo tra questi ROVERE (si veda) e WINSPEARE (si veda) Winspeare. Rovere, comparando, sceglien e fondendo i loro trattati, ecco l'ecletismo. Il principio che egli accoglie è di esaminare non solo i fenomeni sensibili, ma gl’interni, cioè i fatti e rigettare tutte le idee non comprovate dall'esperienza come fatti esteroi, o incompiute per aver trascurato una di queste serie; e, secondo lui, le ultime conclusioni della filosofia razionale debbono combaciare con le opinioni del senso comune, quindi pos sono tacciarsi di false quelle teorie che credono mostrare che il genere umano sia caduto in errore. Ora se tali sono i principii e tale è il metodo degl’eclettici e degli scozzesi, e se la scuola cui appartiene un autore debbesi rilevare dal metodo e dai principii, possia modire che l'autore si approssima all'eclettismo della scuola scozzese. Veniamo ora al le sue principali opinioni. La filoso > venne dagl’uomini cercata; ma questi hanno mancato di buon metodo non serbando proporzioni tra’ diversi elementi che costituiscono la natura; ne’ filosofi italiani ben meditati e specialmente nel Galilei vi è il vero metodo sperimentale. ROVERE lo riduce ad un mezzo che ha per fia esiste, della coscienza materia  lo scibile, per fine il vero e lo fa consistere nelle V arti: preparatoria, inventiva, induttiva, dimostrativa, distributiva. Egli pone il criterio di certezza nell'intuizione immediata, o meglio nell'identificazione dell'oggetto con noi, distingue nella conoscenza l'atto di giudicare dall'oggetto giudicato, e cercando un legame tral'oggetto el'idea, lo colloca ove l'ente si converte col vero ed il conoscitore si identifica col cogoito; ammette l'intuizione immediata o l'atto di nostra mente il quale conosce le proprie idee e le loro vicende voli attinenze, nonchè l'intuizione mediata o l'atto di nostra mente, il quale per la certezza assoluta dell'intuizione immediata prova in un modo assoluto l'esistenza delle realtà estrinseche o i loro rapporti con lo spazio e col tempo; fonda la certezza sulla duplice intuizione sul senso intimo e sul senso comune, nega che i principii apodittici e gl’assiomi siano atti a dimostrazione o aspiegazione, fa derivar la causa dalla' > SCO unde 1. Sofia che me èil ile to eria pos Bano di 001 clet cer cu Idee Cati dal dire 2 SIDO 080 LIO SCO  successione delle esistenze e ripone il criterio del vero nella conversione del fatto operata dalla intuizione creatrice la quale è un prodotto della nostra spontaneità e mette capo al senso comune. L'ultimo che sia venuto in campo a sostenere l'eclettismo scozzese è Winspeare in suoi Saggi di filosofia intellettuale. Dalla prefazione ove egli fa manifesto il piano del lavoro si rileva che egli è parteggiano della scuola scozzese, pero chè la difende dalle accuse promosse contro di essa, e sostiene che seguirla svolgendo la è il solo mezzo per far progredire la scienza filosofica. Winspeare vuole ristaurare un sistema che egli stima più atto a far progredire quelle verità necessarie al progresso dell'intelligenza ed alla osservanza della morale. Un simile tentativo gli apporta sommo onore , perocchè lo à immaginato ed eseguito con molto studio e coscienza. Nul l'altro possiam dire intorno a lui poichè è una rapida rassegna delle dottrine filosofiche da’ Greci infino al XVIII se. colo , non si può dedurre un sistema formolato ne’ principii e delle sue conseguenze . - che dal solo primo volume dell'opera , Corradini: Utilità della filosofia Prospetto delle Lezioni di filosofia razionale Sebastiani: Novum Systema Ethices- ROVERE: Del Rionovamento dell'antica filosofia in Italia. Lettere a SERBATI. Dell'Ontologia e del metodo Lettere a Mancini intorno alla filosofia del Dritto ed all'origine singolarmente del Dritto di punire. Winspeare: Saggi di filosofia intellettuale. Blanch: Articoli due sul Winspeare nel Museo di Scienze e Lettere. Per dar compimento alla filosofia italiana non rimane che esporre le opinioni di coloro che si diedero all'Empirismo-Razionalismo. Tamburini confuta Holbach, Condillac, e Kant; ri l' pose l'obbligazione morale del bisogno l'altra su’limmiti di essa. Riguardo alla prima, abbattendo la scessi, egli prova essere in noi reale la cognizione, esistere le facoltà intellettuali come cause delle  della perfezione che si appoggia all'umana natura, al senso universale ed all'ordine naturale, si oppose alle dottrine dell'amor proprio e dello interes combatte le opinioni di Condorcet sul progresso o meglio sull'umana perfettibilità da lui circoscritta al reale, al possile, alla storia, e considerata non come infinita, sibbene come progressiva; stazionarla, e retrograda. 1 se, per opera di Galluppi che combattendo le opposte dottrine di Condillac e di Kant , ne viene salutato a buon diritto il fondatore ed il sostenitore. Egli incomincia dal proponersi lo scioglimento di due importanti quistioni, l'una sulla realtà dell'umana conoscenza Pa. Gli sforzi del Tamburini prepararono la nuova era della filosofia italiana, la quale sorse insieme coll’Empirismo-Razionalismo per opera 2   305 US idee , e lo spirito giungere al vero al lorchè dietro la testimonianza del senso intimo afferma ciò che è e piega ciò che non è. Ecco perchè Galluppi appar tiene alla filosofia moderna, alla scuola psicologica di Cartesio. Nell'analisi dei fenomeni intellettuali egli ammette le verità primitive di esperienza interna contenenti principii a priori ed a posteriori riconosce il principio dell'oggettività della sensazione e della intuizione inmediata in quella; dimostra il passaggio dalla regione del pensiero a quella dell'esistenza per mezzo del punto di comunicazione tra la conoscenza intellettuale e la reale, pel quale egli ammette l’idea universale come legge dello spirito derivante dalla sua soggettività, la quale forma il giudizio analitico e si risolve in due ordini di conoscenze: le une di esistenza e le altre di ragione, queste servendo di base alle verità de dotte, e quelle supponendo l'applicazione delle verità razionali a’ dati dell'esperienza. Secondo lui, benchè tutti i giudizii puri sieco identici, pure lo spirito allarga la sfera delle sue conoscenze, ed il raziocinio ci istruisce, perchè ordina e classifica le nostre conoscenze, e perchè ci mena a conoscenze che 1 1 pon potremno avere senza di esso. Per mezzo della causalità da una esistenza sperimentale ci eleviamo ad esistenze che tali non sono; la sensibilità è esterna ed interna, questa percepisce il me e le sue modificazioni, quella ci rivela l'esistenza del fuor di me e delle sue modificazioni. Riguardo a’limiti delle nostre conoscenze egli cerca determinarli dimostrando esserci ignote l'essenze delle cose, e la natura divina, ed ignoto il modo onde le cause effettrici agiscono non che quello onde gl’esseri producono in sè o in altri quelle date modificazioni. Il sistema delle facoltà dello spirito introdotto da Galluppi ha per iscopo la ricerca delle facoltà elementari; e queste sono la coscienza e la sensibilità che presentano allo spirito gl’obbietti, l'analisi che li sepa  la sintesi che li riunisce, il desiderio, e la volontà che mossa da questo dirige le operazioni dell'analisi della sintesi. L'illustre filosofo di Tropea professa le medesime teorie in tutti i suoi saggi filosofici; se non che degl’elementi e nelle lezioni di filosofia, poggiate sull'empirismo-razionalismo , segue il metodo analitico procedendo dal noto all'ignoto. Egli divide la logica in pura o scienza delle idee e mista o scienza di fatti seguendo il principio dell'identità progressiva ed istruttiva, considerando come ufficio del ragionamento il rapnodare e subordinare le nostre idee, dichiarando il sillogismo un'analisi del discorso, e stimando molto importante l'entimema. Secondo lui, la religione naturale è l'insieme delle verità che si possono provare per mezzo della ragione, che ci svelano come dobbiamo pensare del divino, e de'suoi rapporti cogl’esseri creati. La ragione ne insegna che il divino è eterno immutabile uno iqboito; la sua eternità, non ha  ra, e }   successione fisica nè meta-fisica. La relazione fra il divino e le creature è quello di causalità cioè tutte le creature sono state create dal divino. L’esistenza di due principii eterni dell'universo è assurda. Il male non ripugna alla bontà divina. L’esistenza de'doveri ne vien manifestata dalla coscienza ed è una verità primitiva. Il dovere non può definirsi per e, chè è una nozione semplice, un’azione soggettiva che deriva dalla natura umana. Le verità morali sono necessarie ma sintetiche. Il principio del dovere è distinto da quello dell'utile che gli è subordinat. La massima: si giusto è primitiva. Il principio di BENEFICENZA non basta a mostrarci i nostri doveri verso gl’altri. Noi abbiamo de'doveri non solo verso gl’altri, ma verso il divino e *verso noi stessi* (amore proprio) , la filosofia ci manifesta l'immortalità dell'anima umana, il congiungimento della felicità colla virtù, verità che vengono dimostrate dal premio della virtùe della pena del vizio, verità provate dalla naturale indistruttibilità dell'anima e dal desiderio costante negl’uomini di un bene supremo, rità enunciate dalla ragione non solo ma anche dalla ri-velazione che è un'azione immediata del divino sullo spirito umano con che il divino produce nello spirito le conoscenze che vuol produrre, e la cui possibilità deriva dalla semplice nozione dell'onnipotenza. Egli riponendo la legge morale nella retta ragione che dirige la nostra volontà al nostro benessere seguendo il sistema del dovere indipendente dall'utile, introducendo qualche cosa d'innato nella morale ed ammettendo il dovere come un principio sintetico a priori, si eleva dall'empirismo psicologico ad un ragionevole idealismo nella morale. Ecco le principali opinioni professate dall'immortale Galluppi, cui va tanto debitrice l'attuale filosofia italiana de’ suoi progressi, ed in cui non sappiamo se sia maggiore l'elevatezza e l'acume d'ingegno o la forza e la potenza del ragionamento. Molti altri filosofi dietro l'esempio del ve GALLUPPI pure si addissero all’empirismo-Razionalismo. Tedeschi la forza dell'anima come unica ed divisa, sostiene le idee assolute ed immutabili, distingue le idee io riflesse o prodotte dall'astrazione, e spontanee o prodotte d’un intimo impulso che de mena dal sensibile all'intelligibile sino alla cognizione della sostanza. Zantedeschi presenta un sistema di facoltà de dotto dal percepire dal sentire, e dal l'appetire intellettivo, sensuale, e razionale, considerando la logica come quella scienza che dirigela facoltà conoscitiva a perfezionarsi, stabilisce il metodo induttivo sulla causalità e l'analogia. La sua melafisica è la dottrina dell'ente che s'accosta alla teoria del VICO e degl’antichi italiani. Nella filosofia morale egli racchiude i principii delle azioni, come la coscienza, la libera volontà, e la legge morale, ed il precetto comune. Quod tibi non vis alio ne feceris. Mancino concepisce la filosofia come scienza dello spirito uma considera in sul > /  311 S corpo ; la filosofia è la scienza dello spirito umano in sè ed in tutte le sue relazioni. Per conoscere l'anima è me stiere l'analisi che scompone il partico lare per ridurlo a principii generali; la vila dell'anima stà nella cognizione-azio pe  no, e ne deduce uoa filosofia eclettica cioè equitativa e completa che accoglie il vero da per ogni dove; epperò divide la filosofia in soggettiva cioè diretta a disaminare le forze dell'iplendimento . ed oggettiva o diretta a disaminare gli obbietti della conoscenza; rionega l’Empirismo ed il Razionalismo ; e conside ra le iee come prodotte dalle sensazio ni, dalla coscienza, e dall'attività dello spirito e POLI è uno de'più for ti propugnatori dell'Empirismo-Razionalismo. Secondo lui, l'uomo consta di due elementi, anima che si riduce all'atto del giudizio o idea-volizione-coscienza; conoscere pon è che giudicare e giudicare non è che conoscere, ma il giudicare è il modo del conoscere e il conoscere è l'effetto del giudicare, il giudizio non è una sintesi tra l'attributo ed il subbietto perchè l'anima non ha forza sintetica potendo solo percepire e vedere, il giudizio ha le sue applicazioni come il bello, il buono, il vero, le sue perfezioni, che sono il buon senso, lo spirito, il gusto, l'ingegno, il carattere l'istinto e le sue relazioni che sono i rapporti dell'anima coll'età col sesso, coll'indole, colla fisonomia, col clima, col vitto, col sodoo, colle malattie o colle altre circostanze. Il giudizio è un tutto composto ed un effetto che non può sussistere senza parti componenti e senza facoltà generatrici, che sono due: volontà-intelletto ed intelletto-volontà fondate sul principio di simultanea in divisibilità; tutte le altre facoltà son modi empirici di queste due facoltà primitive che colle loro leggi sono attributi dell'anima. Il giudizio e le rispettive facoltà dell'intelletto e della volontà hanno per fattori supremi l'oggettivo ed il soggettivo messi tra loro in rap    donde il commercio del fisico col morale nell'uomo; la filosofia si Altri Empiristi-Razionalisti non hanno pubblicate delle opere; ma il loro sistema traspare da vari articoli di giornali e ragionamenti disparati. RICCI è amante del metodo empirico-speculativo; porto, rannoda alla religione ed alla teo-logia perocchè questi fattori dipendono dal divino; la vita dell'anima e il giudizio sono oggetti limitati perfettibili; questo perfezionamento è dato come legge di natura e come scopo all'anima ed alle sue facoltà, esso è riposto nel maggior aumento ed equilibrio possibile delle facoltà dell'anima congiunto al maggior grado possibile di scienza e di felicità, esso può ottenersi avendosi de’ mezzi facili e corrispondenti che si riducono all'uso reiterato e frequente degli stessi atti o delle stesse funzioni; quindi l'uomo perrendersi perfetto al maggior grado deve operare e usare per quanto può delle proprie facoltà, secondo la loro natura e la loro destinazione. Rivato limita il sapere filosofico   e e cioè il pro filosofico, sostenendo che l'uomo dee tutto studiare e nel mondo esterno e nello interno tutto riferire alla coscienza, Riccobelli si accinge a combattere il Trascendentalismo di Kant sullo spazio e sul tempo; Devincenzi pone per primo fondamento dell'ecletismo la cognizione perfetta di tutte le filosofie e scegliere il vero da tutte; e per lui l'eclettismo è quella modesta filosofia che nulla sprezzando esamina tutte le dottrine e segue il vero ovunque il rinviene. Cusani sostiene che lo spirito umano ha due sole vie nella ricerca del vero, cedimento empirico ed il razionale, che i principii assoluti sono anteriori nel loro stato fenomenale, ma contempora nei nella loro essenza alle idee necessarie, che la tendenza filosofica dev'essere l'Ontologia, e che dovrebbesi elevare una metafisica sul fondamento psicologico degli eclettici francesi e sul fondamento ontologico dei filosofi alemanni. Molti altri recenti filo C Supplimenti al Manuale della Storia della filosofia di Tennemann Ricci: Articoli sul Cousinismo (Antologia di Firenze), Rivato e sul + sofi han coltivate le scienze filosofiche pel lato d'un tal sistema ma i limiti di brevità che abbiamo imposti a poi stessi ci vietapo di noverarli. Tamburini: Introduzione allo studio della filosofia morale. Elementa Juris Naturae Cenni sulla perfettibilità dell'umana famiglia. Galluppi: Saggio sulla critica della conoscenza. Filosofia della volontà. Lezioni di Logica e Metafisica. Elementi di Filosofia. Lettere filosofiche sulle vicende della filosofia relativamente a’ principii delle umane conoscenze da Cartesio insino a Kant Introduzione allo studio della Filosofia. Memoria sul sistema di Fichte o sul Razionalismo assoluto l'idealismo Trascendentale di Kant Tedeschi: Sulla filosofia. Zantedeschi: Elementi di Psicologia empirica, di Logica e Metafisica, e di Filosofia morale. Mancino. Elementi di filosofia. Poli: Saggio filosofico sopra la scuola de’ moderni filosofi naturalisti.  Saggio di un corso di filosofia. Primi elementi di filosofia. Intorno al vero e giusto spirito filosofico. Riassum to sempre, identico stesso nell'India, nella Grecia nel cadere del medio-evo, nella filosofia moderna, e nel l'attuale filosofia. del Progresso. Gall è que gli che rappresenta eminentemente in Francia la filosofia empirica spingendola sino al materialismo. Il razionalismo ha pochi adetti, fra'quali la Baronessa de Stael; il misticismo ha de’seguaci; ma quegli che più di tutti imprese a difenderlo si e Lamennais. L'eclettismo comprende gl’eclettici propriamente detti o Cousinisti, gl’eclettici scozzesi, tra’ quali Jouffroy, e i filosofi Storici che muovono tutti dal Guizot; cosicchè tre sono i grandi campioni dell'ecletismo Cousin, Jouf ' In Francia la filosofia superando i limiti dell'ideologia e della psicologia empirica , a malgrado alcuni avanzi di sensualismo, ha cangiato la sua direzio ne; ed ha dato luogo alle cinque scuo le degli Empiristi, de'Razionalisti, dei Mistici, degli Ecletici, e de Filosofi   profondità dell'Alemagna , si presenta una lotta di varii sistemi.Qualche avanzo del sensualismo invalso nel secolo scorso as sume l'originalità italiana; ma l'Idea lismo ben presto gli fa guerra benchè numeri pochi seguai; il misticismo non ha'che pochissimi coltivatori,e l'eclet tissimo scozzese comincia ad introdur sinelleopere de'Filosofi italiani; ma  froy e Guizot. Il sansimonismo inva se i dominii delle scienze morali e sociali ; ed a malgrado le sue stranezze attirò de'fautori, frà quali alcuni sco standosene alquanto fondarono la filoso fia del progresso continuo, che è addi venuta la filosofiapredominante in Fran cia ma che debbe esser posta in accor do colla Religione Cristiana. Il fondatore del Sapsimonismo è Saint-Simon; e Leroux è quegli che lo ha tra mutato nella filosofia del progresso con tinuo. Nell'Italia , che è chiamata a tenere il giusto mezzo tra la eccessiva superfi cialità della Francia e l'eccessiva 9   l'empirismo-razionalismo combatte tutti questi sistemi e viene a fondarsi sulla ragione e sull'esperienza. Ogni sistema in Italia ha un grande ingegno che lo difende. Romagnosi segue ilsensualismo Rosmini l'idealismo, Gioberti il misticismo, Mamiani l'eclettismo scozzese e Galluppi l'Empirismo-Razionalismo. Questo sistema, proprio de’filosofiitaliani, che è l'ultima espressione dello svolgi mento della filosofia , debbe mirare ad una nuova formola più compiuta , e ten tare lo scioglimento de'più ardui pro blemi per mezzo dell'esperienza combi nata colla ragione; esso abbisogna di un metodo e diun prịåcipio che spie ghi il commercio de sensi colle idee del mondo esterno col mondo interno ; ed al suo ampliamento contribuiscono non solo leversioni delle operestraniere, ma anche altri lavori filosofici degli italiani che preparano una restaurazione definiti va delle scienze filosofiche. Noi di que sto sistema abbiamo lodevolmente par lato al cominciamento del nostro lavoro; e facciam voti perchè tutti gli Italiani pensatori presenti ed avvenire di unanime consentimento siraccolgado sotto una sola e medesima bandiera, sotto le inse goe dell'Empirismo-Razionalismo, ricono scendo per  loro capo e maestro l'immortale filosofo di 'Tropea Pasquale GALLUPPI. Enrico Pessina. Pessina. Keywords: storiografia filosofica in Italia, la storia della filosofia romana, Galluppi, diritto private. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pessina” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Petrarca: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale di Cicerone – la scuola d’Arezzo -- filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Arezzo). Filosofo italiano. Arezzo, Toscana. Grice: “There are a few studies on Petrarca and ‘filosofia’: “Petrarca platonico,” etc. – but his most important contribution is via implicatura, as when I deal with Blake or Shakespeare.” Considerato il filosofo precursore dell'umanesimo e uno dei fondamenti della filosofia italiana, soprattutto grazie alla sua opera più celebre, il “Canzoniere”, patrocinato quale modello di eccellenza stilistica da BEMPO. Filosofo moderno, slegato ormai dalla concezione della patria come mater e divenuto cittadino del mondo, Petrarca rilancia, in ambito filosofico, l'agostinismo in contrapposizione alla scolastica e opera una rivalutazione storico-filologica dei classici latini. Fautore dunque di una ripresa degli studia humanitatis in senso antropo-centrico -- e non più in chiave assolutamente teo-centrica – P. -- che ottenne la laurea poetica a Roma – gode la sua vita nella riproposta culturale della poetica e la filosofia antica e patristica attraverso l'imitazione dei classici, offrendo un'immagine di sé quale campione di virtù e della lotta contro i vizi. La storia medesima del Canzoniere, infatti, è più un percorso di riscatto dall'amore travolgente per Laura che una storia d'amore, e in quest’ottica si deve valutare anche l'opera latina del Secretum. Le tematiche e la proposta culturale petrarchesca, oltre ad aver fondato il movimento culturale umanistico, danno avvio al fenomeno del petrarchismo, teso ad imitare stilemi, lessico e generi poetici propri della produzione lirica volgare dell'aretino. Il padre appartene alla fazione dei guelfi bianchi ed è amico d’ALIGHIERI, esiliato da Firenze per l'arrivo di Valois, apparentemente entrato nella città toscana quale paciere di Bonifacio VIII, ma in realtà inviato per sostenere i guelfi neri contro quelli bianchi. La sentenza emanata da Gubbio, podestà di Firenze, esilia tutti i guelfi bianchi, compreso il padre di P. che, oltre all'oltraggio dell'esilio, e condannato al TAGLIO DELLA MANO DESTRA. A causa dell'esilio del padre, P. trascorre l'infanzia in diversi luoghi della Toscana. Prima ad Arezzo, poi Incisa e Pisa, dove il padre è solito spostarsi per ragioni politico-economiche. A Pisa, il padre, che non perde la speranza di rientrare in patria, si riune ai guelfi bianchi e ai ghibellini per accogliere Arrigo VII. Secondo quanto affermato dallo stesso P. nella Familiares, indirizzata a Boccaccio, a Pisa avvenne, probabilmente, il suo unico e fugace incontro con l'amico del padre, ALIGHIERI. La famiglia si trasfere a Carpentras, vicino Avignone, dove il padre ottenne incarichi presso la corte pontificia grazie all'intercessione di Prato. Nel frattempo, P. studia a Carpentras sotto la guida di Prato, amico del padre che è ricordato dal P. con toni d'affetto nella Seniles. A questa scuola, presso la quale studia, conosce uno dei suoi più cari amici, Sette, al quale P. indirizza la Seniles. Anonimo, Laura e il Poeta, Arquà Petrarca (Padova). L'affresco fa parte di un ciclo pittorico realizzato mentre è proprietario Valdezocco. L'idillio di Carpentras dura fino ad allorché lui, il fratello Gherardo e l'amico Sette sono inviati dalle rispettive famiglie a studiare diritto a Montpellier, città della Linguadoca, ricordata anch'essa come luogo pieno di pace e di gioia. Nonostante ciò, oltre al disinteresse e al fastidio provati nei confronti della giurisprudenza, il soggiorno a Montpellier è funestato dal primo dei vari lutti che P. affrontare: la morte della madre. Il figlio, ancora adolescente, compone il Pangerycum defuncte matris -- poi rielaborato nell'epistola metrica -- in cui vengono sottolineate le virtù della madre scomparsa, riassunte nella parola latina electa. Il padre, poco dopo la scomparsa della moglie, decide di cambiare sede per gli studi dei figli inviandoli nella ben più prestigiosa BOLOGNA, anche questa volta accompagnati da Sette e DA UN PRECETTORE che segue la vita quotidiana dei figli. In questi anni P., sempre più insofferente verso gli studi di diritto, si lega ai circoli letterari felsinei, divenendo studente e amico dei latinisti Virgilio e BENINCASA (si veda), coltivando così i studi filosofici e la biblio-filia. Gl’anni bolognesi, al contrario di quelli trascorsi in Provenza, non sono tranquilli. Scoppiarono violenti tumulti in seno allo studio in seguito a LA DECAPITAZIONE DI UN STUDENTE, fatto che spinge P., con il fratello e SETTE a ritornare ad Avignone. I tre ri-entrarono a Bologna per riprendervi gli studi fino all’anno in cui P. ritornò ad Avignone per prendere a prestito una grossa somma di denaro, vale a dire 200 lire bolognesi spese presso Zambeccari. Ser Petracco muore permettendo a Petrarca di LASCIARE FINALMENTE LA FACOLTÀ DI DIRITTO A BOLOGNA e di dedicarsi agli studi filosofici che lo appassionavano. Per dedicarsi a tempo pieno a quest'occupazione dove trovare una fonte di sostentamento che gli permette di ottenere un qualche guadagno remunerativo. Lo trova quale membro del seguito di Colonna. L'essere entrato a far parte della famiglia, tra le più influenti e potenti dell'aristocrazia romana, permise a P. di ottenere non soltanto quella sicurezza di cui ha bisogno per iniziare i studi, ma anche di estendere le sue conoscenze in seno all'élite filosofica romana.  Difatti, in veste di rappresentante degl’interessi dei Colonna, P. compì un lungo viaggio nell'Europa del Nord, spinto dall'irrequieto e risorgente desiderio di conoscenza umana e culturale che contrassegna l'intera sua agitata biografia. È a Parigi, Gand, Liegi, Aquisgrana, Colonia, e Lione. Particolarmente importante è allorché, nella città di Lombez, P. conosce Tosetti e Kempen, il Socrate cui vede dedicata la raccolta epistolare delle Familiares.  Poco dopo essere entrato a far parte del seguito di Colonna, prende gli ordini sacri, divenendo canonico, col fine di ottenere i benefici connessi all'ente ecclesiastico di cui è investito. Nonostante la sua condizione di religioso -- è attestato che P. è nella condizione di chierico – ha comunque un figlio nato con una donna ignote, figlio tra cui spiccano per importanza, nella successiva vita del poeta. Secondo quanto afferma nel Secretum, P. incontra per la prima volta, nella chiesa di Santa Chiara ad Avignone, 7, che cadde di lunedì, la donna che è l'amore della sua vita e che è immortalata nel Canzoniere. La figura di Laura suscita, da parte dei critici letterari, le opinioni più diverse. Identificata da alcuni con una Laura de Noves coniugata de Sade -- morta a causa della peste. Altri invece tendono a vedere in tale figura un senhal dietro cui nascondere la figura dell'ALLORO filosofico -- pianta che, per gioco etimologico, si associa al nome femminile -- suprema ambizione del filosofo P.. P. manifesta già durante il soggiorno bolognese una spiccata sensibilità filosofica, professando una grandissima ammirazione per l'antichità romana. Oltre agli incontri con Virgilio e Pistoia, importante per la nascita della sensibilità filosofica di P. è il padre stesso, fervente ammiratore di CICERONE e di tutta la giurisprudenza latina. Difatti ser Petracco, come racconta P. nella Seniles dona al figlio un manoscritto contenente le opere di VIRGILIO e la Rethorica di CICERONE e un codice delle Etymologiae di Isidoro e uno contenente le lettere di s. Paolo. In quello stesso anno, dimostrando la passione sempre crescente per la Patristica, P. compra un codice del De Civitate Dei di Agostino e conosce e comincia a frequentare Sepolcro, professore di teologia alla Sorbona. Il professore regala a P. un codice tascabile delle Confessiones, lettura che aumenta ancor di più la passione del Nostro per la spiritualità patristica agostiniana. Dopo la morte del padre e l'essere entrato a servizio dei Colonna, P. si buttò a capofitto nella ricerca di nuovi classici, cominciando a visionare i codici della biblioteca apostolica -- ove scoprì la Naturalis Historia di PLINIO il Vecchio -- e, nel corso del viaggio nel Nord Europa, P. scopre e ri-copia il codice del Pro Archia poeta di CICERONE e dell'apocrifa “Ad equites romanos”, conservati nella Biblioteca Capitolare di Liegi. Oltre alla dimensione di explorator, comincia a sviluppare le basi per la nascita del metodo filologico moderno, basato sul metodo della collatio, sull'analisi delle varianti e quindi sulla tradizione manoscritta dei classici, depurandoli dagl’errori dei monaci amanuensi con la loro emendatio oppure completando i passi mancanti per congettura. Sulla base di queste premesse metodologiche, lavora alla ricostruzione, da un lato, dell' “Ab Urbe condita” di LIVIO. Dall'altro, della composizione del grande codice contenente le opere di VIRGILIO e che, per la sua attuale locazione, è chiamato Virgilio ambrosiano. Da Roma a Valchiusa: l'Africa e il “De viris illustribus”; Marie Alexandre Valentin Sellier, “La farandola di Petrarca”, olio su tela, Sullo sfondo si può notare il Castello di Noves, nella località di Valchiusa, il luogo ameno in cui trascorse gran parte della sua vita fino all’anno in cui lasciò la Provenza per l'Italia. Mentre porta avanti questi progetti filosofici, P. intrattene con  Benedetto XII, un rapporto epistolare -- Epistolae metricae -- con cui esorta il pontefice a ritornare a Roma e continua il suo servizio presso Colonna, su concessione del quale poté intraprendere un viaggio a Roma, dietro richiesta di Colonna che desidera averlo con sé. Giuntovi nella città eterna P. puo toccare con mano i monumenti e le antiche glorie dell'antica capitale dell'impero romano, rimanendone estasiato. Rientrato in Provenza, P. compra una casa a Valchiusa, appartata località sita nella valle della Sorgue nel tentativo di sfuggire all'attività frenetica avignonese, ambiente che lentamente comincia a detestare in quanto simbolo della corruzione morale in cui è caduto il Papato. Valchiusa -- che durante le assenze di P. è affidata al fattore Chermont -- è anche il luogo ove P. puo concentrarsi nella sua attività filosofica e accogliere quel piccolo cenacolo di amici eletti -- a cui si aggiunse il vescovo di Cavaillon, Philippe de Cabassolle -- con cui trascorrere giornate all'insegna del dialogo filosofico colto – “un gruppo di gioco”. Più o meno in quello stesso periodo, illustrando a Colonna la vita condotta a Valchiusa nel primo anno della sua dimora lì, P. delinea uno di quegl’autoritratti manierati che diventeranno un luogo comune della sua corrispondenza: passeggiate campestri, amicizie scelte, letture intense, nessuna ambizione se non quella del quieto vivere. È in questo periodo appartato che, forte della sua esperienza filosofica, incomincia a stendere i due saggi che sarebbero dovute diventare il simbolo della rinascenza classica: l'Africa e il De viris illustribus. Il primo saggio, in versi intesa a ricalcare le orme virgiliane, narra dell'impresa militare romana della seconda guerra punica, incentrata sulle figure di SCIPIONE l'Africano, modello etico insuperabile della virtù civile della repubblica romana. Il secondo saggio e un medaglione di XXXVI vite di uomini illustri improntata sul modello liviano e quello floriano. La scelta di comporre un'opera in versi e un'opera in prosa, ricalcanti i modelli sommi dell'antichità nei due rispettivi generi e intesi a recuperare, oltre alla veste stilistica, anche quella spirituale degl’antichi, diffusero presto il nome di P. al di là dei confini provenzali, giungendo in Italia. L'ALLORO con cui P. è incoronato ri-vitalizza il mito del filosofo laureato, figura che diventerà un'istituzione pubblica in paesi quali il Regno Unito.  Il nome di P. quale uomo eccezionalmente colto e grande filosofo è diffuso grazie all'influenza della famiglia Colonna e SEPOLCRO. Se i primi hanno influenza presso gl’ambienti ecclesiastici e gl’enti a essi collegati -- quali le Università europee, tra le quali spiccava la Sorbona -- SEPOLCRO fa conoscere il nome dell'Aretino presso la corte del re di Napoli Roberto d'Angiò, presso il quale è chiamato in virtù della sua erudizione. Approfittando della rete di conoscenze e di protettori di cui disponeva, pensa di ottenere un riconoscimento ufficiale per la sua attività filosofica “innovatrice” a favore dell'antichità, patrocinando così la sua incoronazione filosofica. Difatti, nella Familiares, confide a SEPOLCRO la sua speranza di ricevere l'aiuto del sovrano angioino per realizzare questo suo sogno, intessendone le lodi. La Sorbona fa sapere al Nostro l'offerta di una incoronazione filosofica a Parigi. Proposta che, nel pomeriggio dello stesso giorno, giunge analoga dal senato di Roma. Su consiglio di Colonna, P., che desidera essere incoronato nell'antica capitale dell'impero romano, accetta la seconda offerta, accogliendo poi l'invito di re Roberto di essere esaminato da lui stesso a Napoli prima di arrivare a Roma per ottenere la sospirata incoronazione.  Le fasi di preparazione per il fatidico incontro con il sovrano angioino durarono, P., accompagnato dal signore di Parma Azzo da Correggio, si mise in viaggio per Napoli col fine di ottenere l'approvazione del colto sovrano angioino. Giunto nella città partenopea è esaminato per III giorni da re Roberto che, dopo averne constatato la cultura e la preparazione filosofica, acconsentì all'incoronazione a filosofo in Campidoglio per mano del senatore Anguillara. Se conosciamo da un  lato sia il contenuto del discorso di P. – la collatio laureationis --sia la certificazione dell'attestato di LAUREA da parte del senato romano – il privilegium lauree domini Francisci Petrarche, che gli conferiva anche l'autorità per insegnare filosofia e la cittadinanza romana -- la data dell'incoronazione è incerta. Tra quanto affermato da P. e quanto poi testimoniato da BOCCACCIO (si veda), la cerimonia d'incoronazione avvenne in un arco temporale. In seguito all'incoronazione incomincia a comporre l'Africa e il De viris illustribus. Gli anni successivi all'incoronazione filosofica sono contrassegnati da un perenne stato d'inquietudine morale, dovuta sia a eventi traumatici della vita privata, sia all'inesorabile disgusto verso la corruzione Avignonese. Subito dopo l'incoronazione filosofica, mentre P. sosta a Parma, sa della scomparsa dell'amico Colonna, notizia che lo turba profondamente. Gl’anni successivi non recarono conforto al filosofo laureato. Da un lato le morti prima di SEPOLCRO e, poi, di re Roberto ne accentuarono lo stato di sconforto. Dall'altro, la scelta da parte del fratello di abbandonare la vita mondana per diventare monaco nella Certosa di Montreaux, spinsero P. a riflettere sulla caducità del mondo. Mentre soggiorna ad Avignone, conosce Cola di Rienzo -- giunto in Provenza quale ambasciatore del regime repubblicano instauratosi a Roma -- col quale condivide la necessità di ridare a Roma l'antico status di grandezza politica che, come capitale dell'antica Roma le spetta di diritto. È nominato canonico del Capitolo della cattedrale di Parma, mentre è nominato arcidiacono. La caduta politica di RIENZO, favorita specialmente dalla famiglia Colonna, è la spinta decisiva da parte di P. per abbandonare i suoi protettori. Lascia ufficialmente, l'entourage di Colonna.  A fianco di queste esperienze private, il cammino del filosofo Petrarca è invece caratterizzato da una scoperta importantissima. Dopo essersi rifugiato a Verona in seguito all'assedio di Parma e la caduta in disgrazia dell'amico Correggio, P. scopre nella biblioteca capitolare le epistole ciceroniane “ad Brutum”, “ad Atticum” e “ad Quintum fratrem.” L'importanza della scoperta consistette nel modello epistolografico che esse trasmettevano: i colloquia a distanza con gl’amici, l'uso del tu al posto del voi proprio dell'epistolografia medievale ed, infine, lo stile fluido e ipotattico indussero l'aretino a comporre anch'egli delle raccolte di lettere sul modello ciceroniano e senecano, determinando la nascita delle Familiares prima, e delle Seniles poi. A questo periodo di tempo risalgono anche i Rerum memorandarum libri, l'avvio del De otio religioso e del De vita solitaria. Sempre a Verona, P. ha modo di conoscere Alighieri, figlio d’ALIGHIERI, con cui intrattenne rapporti cordiali. La vita, come suol dirsi, ci sfugge dalle mani. Le nostre speranze furon sepolte cogli amici nostri. Ci rese miseri e soli. Delle cose familiari, prefazione, A Socrate. Dopo essersi slegato dai Colonna, P. comincia a cercare altro patrone presso cui ottenere protezione. Pertanto, lascia Avignone, col figlio, giunge a Verona, località dove si è rifugiato l'amico Correggio dopo essere stato scacciato dai suoi domini, per poi giungere a Parma, dove stringe legami con il signore della città,  Luchino Visconti (si veda: “Morte a Venezia”). È, però, in questo periodo che inizia a diffondersi per l'Europa la terribile peste nera, morbo che causa la morte di molti amici del P.: i fiorentini BENE (si veda), Casini, e Albizzi; Colonna e il padre, anche Colonna; e quella dell'amato ALLORO, di cui ha la notizia. Nonostante il dilagare del contagio e la prostrazione psicologica in cui cadde a causa della morte di molti suoi amici, P. continua le sue peregrinazioni, alla ricerca di un protettore. Lo trova in Carrara, suo estimatore che lo nomina canonico del duomo di Padova. Il signore di Padova intese in tal modo trattenere in città il filosofo il quale, oltre alla confortevole casa, in virtù del canonicato ottenne una rendita annua di 200 ducati d'oro, ma P. utilizza questa abitazione solo occasionalmente. Difatti, costantemente in preda al desiderio di viaggiare, è a Mantova, a Ferrara e a Venezia, dove conosce Dandolo. Prende la decisione di recarsi a Roma per lucrare l'indulgenza dell'Anno giubilare. Durante il viaggio accondiscese alle richieste dei suoi ammiratori fiorentini e decide di incontrarsi con loro. L’occasione è di fondamentale importanza non tanto per P., quanto per colui che diventerà il suo interlocutoreL Boccaccio. Il filosofo e novelliere, sotto la sua guida, incomincia una lenta e progressiva conversione verso una mentalità ed un approccio più umanistico alla filosofia, collaborando spesso con il suo venerato praeceptor in progetti culturali di ampio respiro. Tra questi ricordiamo la la scoperta di antichi codici classici romani. P. risiedette prevalentemente a Padova, presso Carrara. Qui, oltre a portare avanti i progetti letterari delle Familiares e le opere spirituali riceve anche la visita di BOCCACCIO in veste di ambasciatore del comune fiorentino perché accetta un posto di docente presso il nuovo studio fiorentino – meno prestigioso dall’antichissimo di Bologna -- Poco dopo, e spinto a rientrare ad Avignone in seguito all'incontro con Talleyrand e Boulogne, latori della volontà di papa Clemente VI che intende affidargli l'incarico di segretario apostolico. Nonostante l'allettante offerta del pontefice, l'antico disprezzo verso Avignone e gli scontri con gli ambienti della corte pontificia -- i medici del pontefice e, dopo la morte di Clemente, l'antipatia d’Innocenzo VI -- gl’indussero a lasciare Avignone per Valchiusa, dove prende la decisione definitiva di stabilirsi IN ITALIA. Targa commemorativa del soggiorno meneghino di P. situata agli inizi di Via Lanzone a Milano, davanti alla basilica di S. Ambrogio. P. inizia il viaggio verso la patria,  accogliendo l'ospitale offerta di Visconti, arcivescovo e signore della città, di risiedere a Milano. Malgrado le critiche degl’amici fiorentini -- tra le quali si ricorda quella risentita del Boccaccio -- che gli rimproveravano la scelta di essersi messo al servizio dell'ACERRIMO NEMICO DI FIRENZE. P. collabora con missioni e ambascerie -- a Parigi e a Venezia; l'incontro con l'imperatore Carlo IV a Mantova e a Praga -- all'intraprendente politica viscontea.  Sulla scelta di risiedere a Milano piuttosto che nella natia Firenze, bisogna ricordare l'animo cosmopolita proprio di P.. Cresciuto ramingo e lontano dalla sua patria, P. non risente più dell'attaccamento medievale verso la propria patria d'origine, ma valuta gl’inviti fattigli in base alle convenienze economiche e politiche. Meglio, infatti, avere la protezione un signore potente e ricco come Visconti e Galeazzo II, che si rallegrerebbero di avere a corte un filosofo celebre come P.. Nonostante tale scelta discutibile agl’occhi degl’amici fiorentini, i rapporti tra il praeceptor e i suoi discipuli si ricucino. A ripresa del rapporto epistolare tra P. e Boccaccio prima, e la visita di quest'ultimo a Milano nella casa di P. situata nei pressi di S. Ambrogio sono le prove della concordia ristabilita.  Nonostante le incombenze diplomatiche, nel capoluogo lombardo elabora la sua filosofia, dalla ricerca erudita e filologica alla produzione di una filosofia fondata da un lato sull'insoddisfazione per la cultura contemporanea, dall'altra sulla necessità di una produzione che puo guidare l'umanità verso i principi etico-morali filtrati attraverso l’accademia e il portico. Con questa convinzione, P. porta avanti gli scritti iniziati nel periodo della peste: il Secretum e il De otio religioso; la composizione di opere volte a fissare presso i posteri l'immagine di un uomo virtuoso i cui principi sono praticati anche nella vita quotidiana -- le raccolte delle Familiares e, l'avviamento delle Seniles -- le raccolte poetiche latine -- Epistolae Metricae -- e quelle volgari -- i Triumphi e i Rerum Vulgarium Fragmenta, alias il Canzoniere. Durante il soggiorno meneghino P. inizia soltanto il dialogo “De remediis utriusque fortune” in cui si affrontano problematiche morali concernenti il denaro, la politica, le relazioni sociali e tutto ciò che è legato al quotidiano. Per sfuggire alla peste, P. abbandona Milano  per Padova, città da cui  fugge per lo stesso motivo. Nonostante la fuga da Milano, i rapporti con Visconti rimanono sempre molto buoni, tanto che trascorse tempo nel castello visconteo di Pavia in occasione di trattative diplomatiche. A Pavia seppelle il piccolo nipote di due anni, figlio della figlia, nella chiesa di S. Zeno e per lui compose un'epigrafe ancor oggi conservata nei Musei Civici. Si reca a Venezia, città dove si trovava il caro amico Albanzani e dove la Repubblica gli concesse in uso Palazzo Molin delle due Torri sulla Riva degli Schiavoni in cambio della promessa di donazione della sua biblioteca, che era allora certamente la più grande biblioteca privata d'Italia. Si tratta della prima testimonianza di un progetto di bibliotheca publica. La casa veneziana è molto amata da P., che ne parla indirettamente nella Seniles, quando descrive, al destinatario Bologna, le sue abitudini quotidiane. Vi risiede stabilmente -- tranne alcuni periodi a Pavia e Padova -- e vi ospita Boccaccio e Pilato. Durante il soggiorno veneziano, trascorso in compagnia degli amici più intimi, della figlia sposatasi con Brossano, decide di affidare a Malpaghini la trascrizione in bella copia delle Familiares e del Canzoniere. La tranquillità di quegli anni è turbata dall'attacco maldestro e violento mosso alla cultura, all'opera e alla figura sua da IV filosofi averroisti che lo accusarono di ignoranza.  L'episodio è l'occasione per la stesura del saggio “De sui ipsius et multorum ignorantia”, in cui P. difende la propria "ignoranza" in campo del LIZIO a favore della filosofia dell’ACCADEMIA, più incentrata sui problemi della natura umana rispetto alla prima, intesa a indagare la natura sulla base dei dogmi del filosofo di Stagira. Amareggiato per l'indifferenza dei veneziani davanti all’accuse rivoltegli, P. decide di abbandonare la città lagunare e annullare così la donazione della sua biblioteca alla Serenissima.  La casa di Petrarca ad Arquà Petrarca, località sita sui colli Euganei nei pressi di Padova, dove vive il filosofo.  Della dimora P. parla nella Seniles. Dopo alcuni brevi viaggi, accolge l'invito dell'amico ed estimatore Carrara di stabilirsi a Padova, in Via Dietro Duomo a Padova, la casa canonicale di P., assegnata a lui in seguito al conferimento del canonicato. Il signore di Padova dona poi una casa situata nella località di Arquà, un tranquillo paese sui colli Euganei, dove poter vivere. Lo stato della casa, però, a abbastanza dissestato e ci vollero alcuni mesi prima che potesse avvenire il definitivo trasferimento nella nuova dimora. La vita di P., che è raggiunto dalla famiglia della figlia, si alterna prevalentemente tra il soggiorno nella sua amata casa di Arquà e quella vicina al duomo di Padova,  allietato spesso dalle visite dei suoi amici ed estimatori, oltre a quelli conosciuti nella città veneta, tra cui si ricorda Seta, che daveva sostituito Malpaghini quale copista e segretario del filosofo laureato. Si mosse dal padovano soltanto una volta quando e a Venezia quale paciere per il trattato di pace tra i veneziani e Carrara. Per il resto del tempo si dedica alla revisione delle sue opere e, in special modo, del Canzoniere. Colpito da una sincope, muore ad Arquà mentre esaminava un testo di VIRGILIO (o CICERONE), come auspicato in una lettera al Boccaccio. Peraga è scelto per tenere l'orazione nel funerale, che si svolge nella chiesa di S. Maria Assunta alla presenza di Carrara e di molte altre personalità laiche ed ecclesiastiche. Per volontà testamentaria le spoglie di P. sono sepolte nella chiesa parrocchiale del paese, per poi essere collocate dal genero in un'arca marmorea accanto alla chiesa. Le vicende dei resti del P., come quelli di ALIGHIERI, non sono tranquille. La sua tomba espezzata all'angolo di mezzodì e vennero rapite alcune OSSA DEL BRACCIO DESTRO. Autore del furto e Martinelli, un frate da Portogruaro, il quale, a quanto dice una pergamena dell'archivio comunale di Arquà, venne spedito in quel luogo dai fiorentini, con ordine di riportare seco qualche parte del suo scheletro. La veneta repubblica fa riattare l'urna, suggellando con arpioni le fenditure del marmo, e ponendovi lo stemma di Padova e l'epoca del misfatto. I resti trafugati NON SONO MAI RECUPERATI. La tomba, che versa in stato pessimo, venne sottoposta a restauro dato lo stato pessimo in cui il sepolcro versa. Il restauro però, a seguito di complicazioni burocratiche e di conflitti di competenza e questioni anche politiche, e addirittura processato con l'accusa di violata sepoltura. Avennero resi noti i risultati dell'analisi dei resti conservati nella sua tomba ad Arquà P.. Il TESCHIO, peraltro ridotto in frammenti, una volta ricostruito, è riconosciuto come femminile e quindi non pertinente a P.. Un frammento di pochi grammi del cranio esaminato con il metodo del radiocarbonio, consente di accertare che il cranio ritrovato nel sepolcro è femminile. A chi sia appartenuto e perché si trovasse nella sua tomba è ancora un mistero, come un mistero è dove sia finito il suo proprio cranio. Il resto dello scheletro è  invece riconosciuto come autentico. Riporta alcune costole fratturate. Ferito da una cavalla con un calcio al costato. Nello studio, affresco murale, Reggia Carrarese, Sala dei Giganti, Padova. P. manifesta sempre un'insofferenza innata nei confronti della cultura a lui coeva. La sua passione per i classici latini liberate dalle interpretazioni allegoriche lo pone pongono come l'iniziatore dell'umanesimo italiano. In “De remediis utriusque fortune”, ciò che interessa maggiormente a P. è l'”humanitas”, cioè l'insieme delle qualità che danno fondamento ai valori più umani della vita, con un'ansia di meditazione e di ricerca tra erudita ed esistenziale intesa ad indagare l'anima in tutte le sue sfaccettature. Di conseguenza, pone al centro della sua riflessione filosofica l'essere umano, spostando l'attenzione dall'assoluto teo-centrismo all'antropo-centrismo moderno.  Fondamentale nella sua filosofia è la riscoperta dei classici, sopra totto di CICERONE – E LIVIO (“Ab urbe condita”) e PLINIO (“Historia naturalis”). Già conosciuti, sono ati oggetto però di una rivisitazione che non tene quindi conto del contesto storico-culturale in cui le opere erano state scritte. Per esempio, la figura di VIRGILIO è vista come quella di un mago/profeta, capace di adombrare, nell'Ecloga IV delle Bucoliche, la nascita di Cristo, anziché quella d’Asinio Gallo, figlio del politico romano Asinio Pollione: un'ottica che ALIGHIERI accolse pienamente nel Virgilio della Commedia. P., rispetto ai suoi contemporanei, rifiuta il travisamento dei classici operato fino a quel momento, ridando loro quella patina di storicità e di inquadramento culturale necessaria per stabilire con essi un colloquio costante, come fa nel libro delle Familiares. Scrivere a CICERONE o a Seneca, celebrandone l'opera o magari deplorandone con benevolenza mancanze e contraddizioni, è per lui un modo filosoficamente tangibile -- e per noi assai significativo simbolicamente -- di mostrare quanto a loro dovesse, quanto li sentisse, appunto, idealmente suoi contemporanei. Oltre alle epistole, all'Africa e al De viris illustribus, opera tale riscoperta attraverso il metodo filologico da lui ideato  e la ricostruzione dell'opera liviana – LIVIO (si veda) -- e la composizione del Virgilio ambrosiano. Altro aspetto da cui traspare questo innovativo approccio alle fonti e alle testimonianze storico-letterarie si avverte, anche, nell'ambito della numismatica, della quale P. è ritenuto il precursore. Per quanto riguarda la prima opera, P. decise di riunire le varie decadi (cioè i libri di cui l'opera è composta) allora conosciute in un unico codice, l'attuale codice oggi detto l’Harleiano.  P. si dedica a quest'opera di collazione, grazie ad un lavoro di ricerca e di enorme pazienza. Prende la III decade, correggendola e integrandola ora con un manoscritto veronese vergato da Raterio, ora con una lezione conservata nella Biblioteca Capitolare della Cattedrale di Chartres, il Parigino Latino acquistato da Colonna, contenente anche la IV decade. Quest'ultima è poi corretta su di un codice appartenuto al preumanista padovano Lovati. Infine, dopo aver raccolto anche la I decade, P. puo procedere a riunire gli sparsi lavori di recupero. L'impresa riguardante la costruzione del Virgilio ambrosiano è invece molto più complessa. Iniziato già quand'era in vita il padre, il lavoro di collazione porta alla nascita di un codice composto di fogli manoscritti che contene l'omnia virgiliana (Bucoliche, Georgiche ed Eneide commentati dal grammatico Servio), al quale sono aggiunte quattro Odi di Orazio e l'Achilleide di Stazio. Le vicende di tale manoscritto sono assai travagliate. Sottrattogli dagli esecutori testamentari del padre, il Virgilio ambrosiano si recupera solo quando P. commissiona a Martini una serie di miniature che lo abbellirono esteticamente. Il manoscritto finisce nella biblioteca dei Carraresi a Padova, tuttavia, Visconti conquista Padova ed il codice è inviato, insieme ad altri manoscritti di P., a Pavia, nella Biblioteca Visconteo-Sforzesca situata nel castello di Pavia. Sforza ordina al castellano di Pavia di prestare il manoscritto allo zio Alessandro signore di Pesaro, poi il Virgilio Ambrosiano torna a Pavia. Luigi XII conquista il Ducato di Milano e la biblioteca Visconteo-Sforzesca si trasfere in Francia, dove si conserva nella Bibliothèque nationale de France, circa CCCC manoscritti provenienti da Pavia. Tuttavia il Virgilio Ambrosiano  è sottratto al SACCHEGGIO FRANCESE da Pirro. Sappiamo che si trova a Roma, di proprietà di Cusani, poi acquistato da Borromeo per l'Ambrosiana. Il messaggio petrarchesco, nonostante la sua presa di posizione a favore della natura umana, non si dislega dalla dimensione religiosa. Difatti, il legame con l'agostinismo e la tensione verso una sempre più ricercata perfezione morale sono chiavi costanti all'interno della sua produzione letteraria e filosofica. Rispetto, però, alla tradizione medievale, la religiosità petrarchesca è caratterizzata da tre nuove accezioni prima mai manifestate: la prima, il rapporto intimo tra l'anima e Dio, un rapporto basato sull'autocoscienza personale alla luce della verità divina. La seconda, la rivalutazione della tradizione morale e filosofica classica, vista in un rapporto di continuità con il cristianesimo e non più in chiave di contrasto o di mera subordinazione; infine, il rapporto "esclusivo" tra P. e il divino, che rifiuta la concezione collettiva propria della Commedia dantesca. Comunanza tra valori classici e cristiani La lezione morale degli antichi è universale e valida per ogni epoca. L’umanita di CICERONE non è diversa da quella di Agostino, in quanto esprimono gli stessi valori, quali l'onestà, il rispetto, la fedeltà nell'amicizia e il culto della conoscenza. Sul legame degl’antichi è significativo il celebre passo della morte di Magone, fratello di Annibale che, nell'Africa  ormai morente, pronuncia un discorso sulla vanità delle cose umane e sul valore liberatorio della morte dalle fatiche terrene che in nessun modo si discosta dal pensiero cristiano, anche se tale discorso fu criticato da molti ambienti che ritenevano una scelta infelice porre in bocca ad un pagano un pensiero così Cristiano. Ecco un passo del lamento di Magone:   Edizione dell'Africa stampata a Venezia, nella stamperia di Manuzio. Nel particolare, l'Incipit del poema. Heu qualis fortunae terminus alte est! Quam laetis mens caeca bonis! furor ecce potentum  praecipiti gaudere loco; status iste procellis subjacet innumeris, et finis ad alta levatis est ruere. Heu tremulum magnorum culmen honorum, Spesque hominum fallax, et inanis gloria fictis illita blanditiis! Heu vita incerta labori dedita perpetuo, semperque heu certa, nec unquam Stat morti praevisa dies! Heu sortis iniquae natus homo in terris! Vista del Mont Ventoux dalla località di Mirabel-aux-Baronnies. Infine, per il suo carattere fortemente personale, l'umanesimo cristiano petrarchesco trova nel pensiero di sant'Agostino il proprio modello etico-spirituale, contrario al sistema filosofico tolemaico-aristotelico allora imperante nella cultura teologica, visto come alieno dalla cura dell'anima umana. A tal proposito, REALE (si veda) delinea lucidamente la posizione di P. verso la cultura contemporanea. La diffusione dell'averroismo, col crescente interesse che suscitava per l'indagine naturalistica, sembra a P. che distragga pericolosamente da quelle arti liberali, che sole possono dare la sapienza necessaria per conseguire la pace spirituale in questa vita e la beatitudine eterna nell'altra. La sapienza classica e cristiana, che P. contrappone alla scienza averroistica, è quella fondata sulla meditazione interiore attraverso alla quale si chiarisce a sé stessa e si forma la personalità del singolo uomo. L'importanza che Agostino ebbe per l'uomo P. è evidente in due celebri testi letterari del Nostro: il Secretum da un lato, in cui il vescovo d'Ippona interloquisce con lui spingendolo ad un'acuta quanto forte analisi interiore dei propri peccati; dall'altro, il celebre episodio dell'ascesa al Monte Ventoso, narrato nella Familiares, IV, 1, inviata seppur in modo fittizio a DSepolcro. La forte vena morale che percorre tutte le opere petrarchesche volgare tende a trasmettere un messaggio di perfezione morale: il Secretum, il De remediis, le raccolte epistolari e lo stesso Canzoniere sono impregnati di questa tensione etica volta a risanare le deviazioni dell'anima attraverso la via della virtù. Tale applicazione etica negli scritti (l'oratio), però, deve corrispondere alla vita quotidiana  se l'umanista vuole trasmettere un'etica credibile ai destinatari. Prova di questo binomio essenziale è, per esempio, “Delle cosa familiar”, indirizzata a CICERONE. Esprime, in un tono di amarezza e di rabbia al contempo, la sua scelta di essersi allontanato dall'otium letterario di TUSCOLO per addentrarsi nuovamente nell'agone politico dopo la morte di GIULIO CESARE e schierarsi a fianco d’OTTAVIANO contro MARC’ANTONIO, tradendo così i principi etici esposti nei suoi trattati filosofici. Ma qual furore a danno di MARC’ANTONIO ti mosse? Risponderai per avventura l'amore alla repubblica, che dicevi caduta in fondo. Ma se codesta fede, se amore di libertà ti sprone come di sì grand'uomo stimare si converrebbe, ond'è che tanto fosti amico di OTTAVIANO? Io ti compiango, amico, e di sì grandi tuoi falli sento vergogna. Oh, quanto era meglio ad un filosofo tuo pari nel silenzio dei campi, pensoso, come tu dici, non della breve e caduca presente vita, ma della eterna, passar tranquilla vecchiezza. La declinazione dell'impegno morale nella vita attiva delinea la sua vocazione civile. Tale attributo, prima ancora di intendersi come impegno nella vita politica del tempo, dev'essere compreso nella sua declinazione prettamente sociale, quale suo impegno nell'aiutare gl'uomini contemporanei a migliorarsi costantemente attraverso il dialogo e il senso di carità nei confronti del prossimo. Oltre ai trattati morali si deve però anche registrare che cosa significa per lui nella sua stessa vita, l'impegno civile. Il servizio presso i potenti di turno – Colonna, Correggio, Visconti, e Carrara -- spinse i suoi amici ad avvertirlo della minaccia che tali regnanti avrebbero potuto costituire per la sua indipendenza intellettuale. Però, nella “Epistola ai posteri” ribadì la sua proclamata indipendenza dagli intrighi di corte. I più grandi monarchi dell'età mia m'ebbero in grazia, e fecero a gara per trarmi a loro, né so perché. Questo so che alcuni di loro parevan piuttosto essere favoriti della mia, che non favorirmi della loro dimestichezza: sì che dall'alto loro grado io molti vantaggi, ma nessun fastidio giammai ebbi ritratto. Tanto peraltro in me fu forte l'amore della mia libertà, che da chiunque di loro avesse nome di avversarla mi tenni studiosamente lontano. Nonostante l'intento autocelebrativo proprio dell'epistola, P. rimarca il fatto che i potenti vollero averlo di fianco a sé per questioni di prestigio, facendo sì che il poeta finisse «per non identificarsi mai fino in fondo con le loro prese di posizioni». Il legame con le corti signorili, scelte per motivazioni economiche e di protezione, getta pertanto le basi per la figura del cortigiano. Se ALIGHIERI, costretto a vagare per le corti dell'Italia soffre sempre per la lontananza da Firenze, fonda, con la sua scelta di vita, il modello del cosmopolita, segnando così il tramonto dell'ideologia comunale fondamento della sensibilità d’Alighieri prima, e che in parte è propria di BOCCACCIO. La sua caratteristica è l'otium, vale a dire il riposo. Parola latina indicante, in generale, il riposo dei patrizi romani dalle attività proprie del negotium, la riprende rivestendola però di un significato diverso: non più riposo assoluto, ma attività intellettuale nella tranquillità di un rifugio appartato, solitario ove potersi concentrare e portare, poi, agli uomini il messaggio morale nato da questo ritiro. Questo ritiro, come è esposto nei trattati ascetici del De vita solitaria e del De otio religioso, è vicino, per sensibilità del P., ai ritiri ascetico-spirituali dei Padri della Chiesa, dimostrando quindi come l'attività letteraria sia, nel contempo, fortemente intrisa di carica religiosa. Petrarca, con l'eccezione di due sole opere poetiche, i Triumphi e il Canzoniere, scrisse esclusivamente in latino, la lingua di quegli antichi romani di cui voleva riproporre la virtus nel mondo a lui contemporaneo. Egli credeva di raggiungere il successo con le opere in latino, ma di fatto la sua fama è legata alle opere in volgare. Al contrario d’ALIGHIERI, che aveva voluto affidare la sua memoria ai posteri con la Commedia, P. decise di eternare il suo nome riallacciandosi ai grandi dell'antichità. P. -- a parte una letterina in volgare -- scrive sempre in latino quando deve comunicare, anche privatamente, anche per le annotazioni AI MARGINI dei libri. Questa scelta del latino come lingua esclusiva della prosa e della normale comunicazione scritta, inserendosi nel più ampio progetto culturale che ispira P., si carica di valori ideali (Guglielmino-Grosser). P. preferì usare il volgare nei momenti di pausa dall'elaborazione delle grandi opere latine. Difatti, come più volte definì le liriche che confluiranno nel Canzoniere, esse valgono quali nugae, cioè quale elegante divertimento dello scrittore, a cui dedicò senza dubbio molte cure, ma a cui non avrebbe mai pensato di affidare quasi per intero la propria immortalità letteraria. Il suo volgare, al contrario di quello d’Aligheri, è caratterizzato però da un'accurata selezione di termini, cui il poeta continuò a lavorare, limando le sue poesie -- da qui la limatio petrarchesca -- per la definizione di una poesia aristocratica, lemento che spingerà il critico Contini a parlare di monolinguismo petrarchesco, in contrapposizione al pluristilismo dantesco. ALIGHIERI e P.. Dalle considerazioni fatte, emerge chiaramente la profonda differenza esistente tra P. ed ALIGHIERI: se il primo è un uomo che supera il teocentrismo medievale incentrato sulla Scolastica in nome del recupero agostiniano e dei classici depurati dall'interpretazione allegorica cristiana indebitamente appostavi dai commentatori medievali, ALIGHIERI mostra invece di essere un uomo totalmente medievale. Oltre alle considerazioni filosofiche, i due uomini sono antitetici anche per la scelta linguistica cui legare la propria fama, per la concezione dell'amore, per l'attaccamento alla patria. Illuminante sul sentimento che P. nutrì per l'Alighieri è la Familiares, scritta in risposta all'amico Boccaccio, incredulo delle dicerie secondo cui lui odia Alighieri. Afferma che non può odiare qualcuno che conosce appena e che affronta con onore e sopportazione l'esilio. Prende le distanze dall'ideologia, esprimendo il timore di essere influenzato da un così grande esempio se avesse deciso di scrivere liriche in volgare, liriche che sono facilmente sottoposte allo storpiamento da parte del volgo. L“Africa” è un poema epico che tratta della seconda guerra punica e in particolare delle gesta di SCIPIONE. Costituito da dodici egloghe, gli argomenti del “Bucolicum carmen” spaziano fra amore, politica e morale. Anche in questo caso, l'ascendenza virgiliana è evidente dal titolo, che richiama fortemente lo stile e gli argomenti delle Bucoliche. Attualmente, la lezione del Bucolicum petrarchesco è riportata dal codice Vaticano lat. Dedicate all'amico Sulmona, le Epistolae metricae sono lettere in esametri, di cui alcune trattano d'amore, mentre per la maggior parte si occupano di politica, morale o di materie letterarie. I Psalmi penitentiales ne accenna nella Seniles, a Sagremor de Pommiers. Sono una raccolta di sette preghiere basate sul modello stilistico-linguistico dei salmi davidici della Bibbia, in cui chiede perdono per i suoi peccati e aspira al perdono della Misericordia divina. Il “De viris illustribus” è una raccolta di biografie di uomini illustri dedicata a Carrara signore di Padova. Nell'intenzione originale dell'autore l'opera doveva trattare la vita di personaggi della storia di Roma da ROMOLO a Tito, ma arriva solo fino a Nerone. In seguito P. aggiunse personaggi di tutti i tempi, cominciando da Adamo e arrivando a Ercole. L'opera rimase incompiuta ed è continuata dall'amico e discepolo padovano di Petrarca, Seta, fino a Traiano. I Rerum memorandarum libri sono una raccolta di esempi storici e aneddoti a scopo d'educazione morale in prosa latina, basati sui Factorum et dictorum memorabilium libri del filosofo latino VALERIO MASSIMO (si veda). Iniziati in Provenza, furono continuati allorché P. scoprì le orazioni ciceroniane a Verona, e ne fu indotto al progetto delle Familiares. Difatti, furono lasciati incompiuti dall'autore, che ne scrisse soltanto i primi 4 libri e alcuni frammenti del quinto libro. Il “De secreto conflictu curarum mearum” è una delle sue opere più celebri  e fu composta, anche se in seguito fu riveduta. Articolato come un dialogo tra lui stesso e un santo alla presenza di una donna muta che simboleggia la Verità, consiste in una sorta di esame di coscienza personale nel quale si affrontano temi intimi del poeta, da cui il titolo dell'opera. Come emerge però nel corso della trattazione, Francesco non si mostra mai del tutto contrito dei suoi peccati (l'accidia e l'amore carnale per Laura): al termine dell'esame egli non risulterà guarito o pentito, dando così forma a quell'irrequietezza d'animo che contraddistinse la sua vita. "La vita solitaria” è un trattato di carattere religioso e morale.  L'autore vi esalta la solitudine, tema caro anche all'ascetismo medioevale, ma il punto di vista con cui la osserva non è strettamente religioso: al rigore della vita monastica Petrarca contrappone l'isolamento operoso dell'intellettuale, dedito alle letture e alla scrittura in luoghi appartati e sereni, in compagnia di amici e di altri intellettuali. L'isolamento dello studioso in una cornice naturale che favorisce la concentrazione è l'unica forma di solitudine e di distacco dal mondo che Petrarca riuscì a conseguire, non considerandola in contrasto con i valori spirituali cristiani, in quanto riteneva che la saggezza contenuta nei libri, soprattutto nei testi classici, fosse in perfetta sintonia con quelli. Da questa sua posizione è derivata l'espressione di "umanesimo cristiano" di P. . Il “De otio religioso” è un'esaltazione della vita monastica, dedicata al fratello Gherardo. Simile al “De vita solitaria”, esalta però soprattutto la solitudine legata alle regole degli ordini religiosi, definita come la migliore condizione di vita possibile. Il “De remediis utriusque fortunae” è una raccolta di brevi dialoghi scritti in prosa latina. Basata sul modello del De remediis fortuitorum, trattato pseudo-senechiano composto nel Medioevo, l'opera è composta da scambi di battute tra entità allegoriche: prima il "Gaudio" e la "Ragione", poi il "Dolore" e la "Ragione". Simile ai precedenti Rerum memorandarum libri, questi dialoghi hanno scopi educativi e moralistici, proponendosi di rafforzare l'individuo contro i colpi della fortuna sia buona che avversa. Il De remediis riporta anche una delle più esplicite condanne della cultura trecentensca da parte di P., vista come sciocca e superflua. Ut ad plenum auctorum constet integritas, quis scriptorum inscitie inertieque medebitur corrumpenti omnia miscentique? Cuius metu multa iam, ut auguror, a magnis operibus clara ingenia refrixerunt meritoque id patitur ignavissima etas hec, culine sollicita, literarum negligens et coquos examinans, non scriptores. Perché persista pienamente l'integrità degli scrittori antichi, chi tra i copisti guarirà ogni cosa dall'ignoranza, dall'inerzia, dalla rovina e dal caos? Per il timore di ciò si indebolirono, come prevedo, molti celebri ingegni dalle grandi opere, e quest'epoca indolentissima permette ciò, dedita alla culinaria, ignorante delle lettere e che valuta i cuochi, e non i copisti.  L’occasione per la sua “Invectivarum contra medicum quendam libri IV,” una serie di accuse nei confronti dei medici e la malattia che colpe Clemente VI. Nella Familiares gli consiglia di non fidarsi dei suoi archiatri, accusati di essere dei ciarlatani dalle idee contrastanti fra di loro. Davanti alle forti rimostranze dei medici pontifici nei confronti di Petrarca, questi scrisse quattro libri di accuse, una copia dei quali fu inviata poi al Boccaccio. Il “De sui ipsius et multorum ignorantia” e composta in seguito alle accuse di ignoranza che quattro lizij gli rivolgeno, in quanto alieno dalla terminologia e dalle questioni delle scienze naturali. In quest'apologia dell’umanismo risponde come lui e interessato alle scienze che interessassero il benessere dell'anima umana, e non alle discussioni tecniche e dogmatiche proprie del nominalismo. Invectiva contra cuiusdam anonimi Galli calumnia -- di carattere politico, e una nvettiva rivolta ad Hesdin, sostenitore della necessità che la sede del viscovo di Roma e Avignone. Per tutta risposta sostenne la necessità che il viscovo di Roma appartiene a Roma, sua sede diocesana e simbolo dell'antica gloria romana. Di grande importanza sono le epistole latine in prosa, in quanto contribuiscono a costruire l'immagine autobiografica idealizzata che offre di sé e quindi la sua eternizzazione. Basate sul modello di Cicerone, ricavato dalla scoperta delle “Epistulae ad Atticum” compiuta da lui a Verona, le lettere sono aggruppate in quattro raccolte epistolari: le Familiares (o Familiarum rerum libri o De rebus familiaribus libri), epistole dedicate a Socrate; le Seniles, epistole dedicate a Nelli; le “Sine nominee” -- epistole politiche in un libro; e le epistole “Variae”. È rimasta intenzionalmente esclusa dalle raccolte l'epistola “Ai posteri”. Le lettere spaziano dagli anni bolognesi sino alla fine della sua vita e sono indirizzate a vari personaggi suoi contemporanei, ma, nel caso d’un libro delle Familiares, sono rivolte fittiziamente a personaggi dell'antichità. Sempre delle Familiares è celebre l'epistola incentrata sull'ascesa al Monte Ventoso. Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono / di quei sospiri ond’io nudriva ’l core in sul mio primo giovenile errore quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono. Petrarca, Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono, prima quartina della lirica d'apertura del Canzoniere). Il “Canzoniere” è la storia poetica della sua vita interiore vicina, per introspezione e tematiche, al Secretum. La raccolta comprende 366 componimenti (365 più uno introduttivo. Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono: sonetti, canzoni, sestine, ballate e madrigali, divisi tra rime in vita e rime in morte di Laura, celebrata quale donna superiore, senza però raggiungere il livello della donna angelo della Beatrice d’Alighieri. Difatti, Laura invecchia, subisce il corso del tempo, e non è portatrice di alcun attributo divino nel senso teologico stilnovista-dantesco. Anzi, la storia del “Canzoniere,” più che la celebrazione di un amore, è il percorso di una progressiva conversione della sua anima. Si passa, infatti, dal giovanil errore (l'amore terreno) ricordato nel sonetto introduttivo Voi ch'ascoltate in rime sparse, alla canzone Vergine bella, che di sol vestita in cui affida la sua anima alla protezione di dio perché trovi finalmente pietà e riposo. L'opera, che gli richiese anni di continue rivisitazioni stilistiche -- da qui la cosiddetta limatio petrarchesca -- prima di trovare la forma definitiva sube ben varie fasi di redazioni. I "Trionfi" e un poemetto allegorico in volgare toscano, in terzine dantesche, compost a Milano -- è ambientato in una dimensione onirica e irreale (strettissimo, per scelta metrica e tematica, è il legame con la Comedia). Viene visitato d’Amore, che gli mostra tutti gl’uomini che cedeno alle passioni del cuore. Annoverato tra questi ultimi, P. verrà poi liberato da Laura, simboleggiante la Pudicizia (Triumphus Pudicitie), che cadrà poi per mano della Morte (Triumphus Mortis). P. scoprirà dalla stessa Laura, apparsagli in sogno, che ella si trova nella beatitudine celeste, e che egli stesso potrà contemplarla nella gloria divina soltanto dopo che la morte lo avrà liberato dal corpo caduco in cui si ritrova.  La Fama poi sconfigge la morte (Triumphus Fame) e celebra il proprio trionfo, accompagnata da Laura e da tutti i più celebri personaggi della storia antica e recente. Il moto rapido del sole suggerisce al poeta alcune riflessioni sulla vanità della fama terrena, cui fa seguito una vera e propria visione, nella quale al poeta appare il Tempo trionfante (Triumphus Temporis). Infine il poeta, sbigottito per la precedente visione, è confortato dal suo stesso cuore, che gli dice di confidare in Dio: gli appare allora l'ultima visione, un «mondo novo, in etate immobile ed eterna, un mondo al di fuori del tempo dove trionferanno i beati e dove un giorno Laura gli riapparirà, questa volta per sempre (Triumphus Eternitatis).  Già quand'era in vita fu riconosciuto immediatamente quale maestro e guida per tutti coloro che volevano intraprendere lo studio delle discipline umanistiche. Grazie ai suoi numerosi viaggi in tutta Italia, gettò il seme del suo messaggio presso i principali centri della Penisola, in particolar modo a Firenze. Qui, oltre ad aver conquistato alla causa dell'umanesimo Boccaccio (autore, tra l'altro, di un De vita et moribus domini Francisci Petracchi de Florentia), trasmise la sua passione a C. Salutati,  cancelliere della Repubblica di Firenze e vero trait d'union nella generazione petrarchesco-boccacciana. Coluccio, infatti, fu il maestro di due dei principali umanisti: Bracciolini, il più grande scopritore di codici latini del secolo ed esportatore dell'umanesimo a Roma; e Bruni, il più notevole rappresentante dell'umanesimo civile insieme al maestro Salutati. È Bruni a consolidare la fama di P., allorché redasse una Vita di P., seguita da quelle di Villani, Manetti, Sicco Polenton e Vergerio. Oltre a Firenze, i soggiorni del poeta in Lombardia e a Venezia favorirono la nascita di movimenti culturali locali desti declinare i princìpi umanistici a seconda delle esigenze della classe politica locale: a Milano, dove operarono letterati del calibro di Decembrio e Filelfo, nacque un umanesimo cortigiano destinato a diventare il prototipo per tutte le corti principesche italiane; a Venezia si diffuse, invece, un umanesimo educativo destinato a formare la nuova classe dirigente della Serenissima, grazie all'attività di Giustinian, di Barbaro, e di Barbaro. Bembo e il petrarchismo Magnifying glass icon mgx2. svg Pietro Bembo e Petrarchismo. Se P. è visto soprattutto come capostipite della rinascita delle lettere antiche, grazie al letterato e cardinale veneziano Bembo divenne anche il modello del cosiddetto classicismo volgare, definendo una tendenza che si stava progressivamente già delineando nella lirica italiana. Difatti Bembo, nel dialogo Prose della volgar lingua, sostenne la necessità di prendere come modelli stilistici e linguistici P. per la lirica, Boccaccio invece per la prosa, scartando Dante per il suo plurilinguismo che lo rendeva difficilmente accessibile: «Requisito necessario per la nobilitazione del volgare era dunque un totale rifiuto della popolarità. Ecco perché Bembo non accettava integralmente il modello della Commedia di Dante, di cui non apprezzava le discese verso il basso nelle quali noi moderni riconosciamo un accattivante mistilinguismo. Da questo punto di vista, il modello del Canzoniere di Petrarca non presentava difetti, per la sua assoluta selezione linguistico-lessicale.»  (Marazzini)  Contini, grande estimatore di P. e suo commentatore. La proposta bembiana risultò, nelle diatribe relative alla questione della lingua, quella vincente. Già negli anni immediatamente successivi alla pubblicazione delle Prose, si diffuse presso i circoli poetici italiani una passione per le tematiche e lo stile della poesia petrarchesca (stimolata anche dal commento al Canzoniere di Vellutello), chiamata poi petrarchismo, favorita anche dalla diffusione dei petrarchini, cioè edizioni tascabili del Canzoniere. A fianco del petrarchismo, però, si sviluppò anche un movimento avverso alla canonizzazione poetica operata dal Bembo: allorché letterati come Berni ed Aretino svilupparono polemicamente il fenomeno dell'antipetrarchismo; poi, nel corso del Seicento, la temperie barocca, ostile all'idea di classicismo in nome della libertà formale, declassò il valore dell'opera petrarchesca. Riabilitato parzialmente da Muratori, P. ritorna pienamente in auge in seno alla temperie romantica, quando Foscolo prima e Sanctis poi, nelle loro lezioni tenute dal primo a Pavia, e dal secondo a Napoli e a Zurigo, furono in grado di operare un'analisi complessiva della produzione petrarchesca e ritrovarne l'originalità. Dopo gli studi compiuti da Carducci e dagli altri membri della Scuola storica, il secolo scorso vide, per l'area italiana, Contini e Billanovich tra i maggiori studiosi del P..  P. e la scienza diplomatica Magnifying glass icon mgx2.svg Diplomatica. Benché la diplomatica, ovvero la scienza che studia i documenti prodotti da una cancelleria o da un notaio e le loro caratteristiche estrinseche ed intrinseche, sia nata consapevolmente con Mabillon, nella storia di tale disciplina sono stati individuati dei precursori che, inconsapevolmente, nella loro attività filologica, hanno analizzato e dichiarato l'autenticità o meno anche di documenti oggetto di studio da parte della diplomatica. Tra questi, infatti, vi furono molti umanisti e anche il loro precursore e fondatore, P. Ifatti, l'imperatore Carlo IV chiese al celebre filologo di analizzare dei documenti imperiali in possesso di suo genero, Rodolfo IV d'Asburgo, che sarebbero stati stilati da Giulio Cesare e da Nerone a favore dell'Austria che dichiaravano tali terre indipendenti dall'Impero. Petrarca rispose con la Seniles in cui, evidenziando lo stile, gli errori storici e geografici e il tono (il tenore) della lettera (tra cui la mancanza della data topica e della data cronologica propria dei diplomi), negò la validità di questo diploma.  Onorificenze Laurea poeticanastrino per uniforme ordinario. Laurea poetica — Roma. A P. è intitolato il cratere P. su Mercurio. L'epistola, scritta in risposta a una missiva in cui l'amico Boccaccio gli chiedeva se fosse vera l'invidia che P. nutriva per Dante, contiene l'accenno all'incontro, in età giovanile, con il più maturo poeta: «E primieramente si noti com'io mai non ebbi ragione alcuna d'odiare cotal uomo, che solo una volta negli anni della mia fanciullezza mi venne veduto.»  (Delle cose familiari). La critica, se l'incontro sia da attribuirsi a Pisa o ad altre località, è divisa: Ariani e Ferroni, nota 6 propendono per la città toscana, mentre Rico-Marcozzi pensano a un incontro avvenuto a Genova  quando la famiglia di ser Petracco si stava dirigendo in Francia. Pacca4 opera un'interpretazione intermedia tra le due città, benché ritenga che sia più probabile Pisa come luogo effettivo dell'incontro. Dello stesso parere, infine, anche Dotti. Si legga il brano dell'epistola, in cui Petrarca ricorda il loro primo incontro e il piacevolissimo periodo trascorso nella località francese: «e noi fanciulli ancora impuberi partimmo in un cogli altri, ma fummo con speciale destinazione per imparare grammatica mandati a scuola a Carpentrasso, piccola città, ma di piccola provincia città capitale. Ricordi tu que' quattro anni? Quanta gioia, quanta sicurezza, qual pace in casa, qual libertà in pubblico, quale quiete, qual silenzio ne' campi! (Lettere Senili). P. mostrò, nei confronti di tale scienza, sempre un'avversione innata, come è esposto nella Familiares, in cui P. scrive a Genovese che a Montpellier prima e a Bologna poi «ben altro in quegli anni fare io poteva o in se stesso più nobile o alla natura mia meglio conveniente: né sempre nella elezione dello stato quello ch'è più splendido, ma quello che a chi lo sceglie è più acconcio preferire si deve.»  (Delle cose familiari). Come però ricorda Wilkins, la scelta di P. di entrare a far parte della Chiesa non fu soltanto dettata dalla cinica necessità di ottenere i proventi necessari per vivere. Nonostante non avesse mai avuto la vocazione per la cura delle anime, P. ebbe sempre una profonda fede religiosa.  A sviluppare la tesi dell'identificazione di Laura con tale Laura de Sade è la stessa testimonianza di P. nella Familiares, II, 9 a Giacomo Colonna, il quale cominciò a mostrarsi dubbioso sull'esistenza di questa donna (si veda Delle cose familiari, Più precisamente, nella Nota, Fracassetti fa riemergere la vita della presunta amata del Petrarca: «Da Odiberto e da Ermessenda di Noves nobile famiglia di Avignone nacque una fanciulla, cui fu dato il nome di Laura. Fa fatta per man di notaio la scritta nuziale fra Laura ed Ugo De Sade gentiluomo Avignonese. Due anni più tardi nella chiesa di S. Chiara di questa città, a quell'ora del giorno che chiamavano prima, P. allora di poco più che ventidue anni la vide»   Si legga l'episodio di come fossero stati dati alle fiamme dei libri di VIRGILIO e CICERONE, cosa che suscita il pianto in P.. Al che il padre, vedendolo così affranto «d'una mano porgendo Virgilio, dall'altra i rettorici di Cicerone: "tieni, sorridendo mi disse, abbiti questo per ricrearti qualche rara volta la mente, e quest'altro a conforto e ad aiuto nello studio delle leggi".»  (Lettere Senili Il codice, dopo la morte di P. passa nelle mani di Francesco Novello da Carrara, nuovo signore di Padova. Quando questa città verrà conquistata da Visconti, anche il patrimonio bibliotecario petrarchesco passò nelle mani dei duchi milanesi, che lo conservarono nella loro biblioteca di Pavia. Fu poi sistemato nella Pinacoteca Ambrosiana, grazie all'intervento del suo fondatore, il cardinale Federigo Borromeo arcivescovo di Milano. Si veda: Cappelli. Da questo momento in avanti, Petrarca non esitò a chiamare Avignone la novella Babilonia di apocalittica memoria, come testimoniato dai celebri sonetti avignonesi facenti parte del Canzoniere. Oltre a motivazioni di carattere morale, ci fu anche la profonda delusione che suscitò la decisione di Benedetto XII di non recarsi a prendere possesso ufficialmente della sua sede vescovile e ristabilire così pace in Italia (Ariani). Petrarca scrisse, riguardo alla morte del vecchio amico e protettore, due lettere commoventi: la prima, al fratello di Giacomo, il cardinale Giovanni (Delle cose familiari; la seconda, all'amico Tosetti, soprannominato Lelio (Delle cose familiari, traduzione di Fracassetti). Nella Nota alla prima Fracassetti ricorda come Petrarca, nella Familiares, avesse avuto, in sogno, il presagio della morte del Vescovo di Lombez venticinque giorni prima della sua effettiva scomparsa.  Cappelli 55. Significativa la ricostruzione storico-letteraria compiuta da Amaturo,  ove si rievocano le figure di intellettuali che si legarono alla biblioteca capitolare veronese (Matociis, Dante e Pietro Alighieri, Benzo d'Alessandria, Vincenzo Bellovacense) e le rarità che essa conteneva (codici contenenti le lettere di PLINIO il Giovane; parte dell'Ab Urbe condita liviana che P. utilizzò per la ricostruzione filologica del codice Harleiano; le orazioni ciceroniane citate; il Liber catulliano).  Boccaccio esprimerà la sua indignatio nell'Epistola X  indirizzata a lui, ove, grazie alla tecnica retorica dello sdoppiamento e a topoi letterari, Boccaccio si lamenta col magister di come Silvano (il nome letterario usato nella cerchia petrarchesca per indicare il poeta laureato) avesse osato recarsi presso il tiranno Visconti (identificato in Egonis):«Audivi, dilecte michi, quod in auribus meis mirabile est, solivagum Silvanum nostrum, transalpino Elicone relicto, Egonis antra subisse, et muneribus sumptis ex pastore castalio ligustinum devenisse subulcum, et secum pariter Danem peneiam et pierias carcerasse sorores». Inoltre, bisogna ricordare che la scelta di risiedere a Milano era anche uno schiaffo alla proposta delle autorità fiorentine di occupare un posto come docente nello Studium, occupazione che gli avrebbe concesso di rientrare in possesso dei beni paterni sequestrati. L'arcivescovo Giovanni II Visconti, difatti, proseguì la politica espansionistica dei suoi predecessori a danno delle altre potenze dell'Italia centro-settentrionale, tra le quali spiccava Firenze. Le ostilità tra Milano e Firenze perdureranno fino a quando salì al potere come duca dello Stato lombardo Francesco Sforza, che intraprese una politica di alleanza con Firenze grazie all'amicizia personale che lo legava a Cosimo de' Medici.  Durante l'epidemia di peste milanese, morì il figlio Giovanni (Pacca), nato da una relazione extraconiugale. I rapporti con il figlio, al contrario di quanto avvenne con la secondogenita Francesca, furono assai burrascosi a causa della condotta ribelle di Giovanni (Dotti) accenna all'odio che Giovanni provava verso i libri, «quasi fossero serpenti»). Come ricordato nella Familiares. Si separa dal figlio Giovanni, che tornò ad Avignone in seguito a non precisati dissapori (Familiares); tre anni dopo sarebbe tornato a Milano. (Rico-Marcozzi)  Il ravennate Malpaghini fu presentato  da Donato degli Albanzani a Petrarca che, rimasto colpito dalle sue qualità letterarie e dalla sua pronta intelligenza, lo prese al suo servizio quale copista. La collaborazione tra i due uomini, durata appunto si interruppe il 21 aprile di quell'anno, quando il Malpaghini decise di lasciare l'incarico presso l'Aretino. Per maggiori informazioni biografiche, si veda la biografia di Signorini.  Petrarca, nella Seniles informa il fratello Gherardo, tra le altre cose, anche della sua nuova dimora sui colli Euganei, dandone un quadro piacevole e ameno: «E per non dilungarmi di troppo della mia chiesa, qui fra i colli Euganei, non più lontano che dieci miglia da Padova mi fabbricai una piccola ma graziosa casina, cinta da un oliveto e da una vigna che dan quanto basta a una non numerosa e modesta famiglia. E qui, sebbene infermo del corpo, io vivo dell'animo pienamente tranquillo lungi dai tumulti, dai rumori, dalle cure, leggendo sempre e scrivendo. Lettere Senili.  La lettera non può essere considerata "reale", ma piuttosto una rielaborazione voluta dal Petrarca. Difatti, a quell'altezza, il giovane Petrarca non era ancora entrato in contatto con il padre agostiniano, e la scelta della data (corrispondente al Venerdì Santo) e del luogo (la salita al monte rievoca l'immagine della Passione di Gesù sul Calvario) rendono ancora più "mitica" l'ambientazione. Si veda, per quanto riguarda la ricostruzione filologica e cronologica dell'epistola, il saggio di Giuseppe Billanovich, P. e il Ventoso, in Italia medioevale e umanistica,  Roma, Antenore,  Il ventiquattresimo libro delle Familiares è composto da lettere indirizzate a vari personaggi dell'antichità classica. Per P., infatti, gli antichi non sono lontani e irraggiungibili: la costante lettura delle loro opere fa sì che CICERONE, ORAZIO, Seneca, VIRGILIO vivano attraverso queste ultime, rendendo i rapporti tra P. e i suoi ammirati scrittori classici vicini per la comunanza di sentimento.  L'Otium degli antichi romani non consisteva unicamente nel riposo dagli impegni quotidiani, indicati sotto il sostantivo di negotium. Per CICERONE, l'otium non era soltanto il riposo dalle attività forensi e politiche, ma soprattutto il ritiro nella propria intimità domestica col fine di dedicarsi alla letteratura (De officiis). In questo caso, il modello petrarchesco è affine a quello stoicheggiante dell'oratore romano. Si veda il riassunto operato da Laidlaw, che ripercorre la concezione all'interno della letteratura latina. Per CICERONE, nello specifico si vedano le pagine Laidlaw, Termine di origine catulliana, P. lo prende in prestito per descrivere le liriche come diversivo, passatempo. La questione delle nugae volgari e, più in generale, delle opere latine, è esposta nella Familiares (Delle cose familiari) Guglielmino-Grosser I  testi sono raccolti nel codice Vaticano Latino come ricordato da Santagata,  Bisogna ricordare che Il Canzoniere non raccoglie tutti i componimenti poetici del Petrarca, ma solo quelli che il poeta scelse con grande cura: altre rime (dette extravagantes) andarono perdute o furono incluse in altri manoscritti (cfr. Ferroni).  L'inquietudine petrarchesca nasce, quindi, dal contrasto tra l'attrazione verso i beni terreni (tra cui l'amore per Laura) e l'aspirazione all'assoluto divino, propria della cultura medievale e della religione cristiana, come ricordato da Guglielmino-Grosser. P. mantenne, nell'ambito della lirica volgare, quell'aristocraticismo stilistico-lessicale prima accennato, in cui si rifiutano molti usi lemmatici presenti nella tradizione poetica italiana e che P. rifiuterà, accogliendone un preciso gruppo ristretto ed elitario. Come ricorda Marazzini, Si delinea una tendenza del linguaggio lirico al 'vago', inteso nel senso di una genericità antirealistica (al contrario di quanto accade nel corposo realismo della Commedia), testimoniato anche dalla polivalenza di certi termini, i quali, come l'aggettivo dolce, entrano in un numero molto grande di combinazioni diverse. Eppure la lingua di P., selezionata e ridotta nelle scelte lessicali, accoglie un buon numero di varianti canonizzando un polimorfismo...in cui si allineano la forma toscana, quella latineggiante, quella siciliana o provenzale...»   Di Benedetto170. Si ricorda anche che, seppur in forma minore, era presente nel mondo letterario italiano del '400 anche un'ammirazione verso il P. volgare, come testimoniato dalle edizioni a stampa del Canzoniere e dei Trionfi uscite dalla bottega dei padovani Bartolomeo Valdezocco e Martino de Septem Arboribus (cfr. Ente Nazionale P., Culto petrarchesco a Padova.). Riferimenti bibliografici  la notte  Casa Petrarca Arezzo, Regione Toscana Wilkins Ariani21. Più specificamente Bettarini. Dopo essere stato accusato di aver falsificato un istrumento notarile è così condannato al pagamento di 1000 lire e al taglio della mano destra. Dotti  Bettarini e Pacca Per informazioni biografiche, si veda la voce Pasquini.  Il ricordo di P. al riguardo è riportato in Lettere Senili, Pasquini. Quanto a P., il magistero di Convenevole si colloca indubbiamente. La Casa di P., su arqua petrarca.com. Pacca Si legga il brano della Lettere Senili, Il brano è ricordato anche da Wilkins Ariani Wilkins Rico-Marcozzi. Si recò a studiare a Bologna, seguito da un maestro privato; e Wilkins in cui si ritiene che questo maestro avesse «l'incarico, almeno per Francesco e Gherardo, di fungere in loco parentis.  Ariani Ariani,  Wilkins, Dotti Bettarini.  Cappelli  Pacca Rico-Marcozzi; Ferroni Wilkins, Wilkins,  Rico-Marcozzi. Colonna reclutò Petrarca per la sua corte vescovile di Lombez, in Guascogna: ne avrebbero fatto parte il cantore fiammingo Ludovico Santo di Beringen e l'uomo d'armi romano Lello di Pietro Stefano dei Tosetti, che P. battezza in seguito, rispettivamente, Socrate e Lelio. Ferroni Pacca Alinari, su alinariarchives La distinzione tra le due scuole di pensiero emerge in Ferroni,  Ariani ricorda che il primo sostenitore del filone allegorico-letterario fu il giovane Giovanni Boccaccio nel suo De vita et moribus domini P..  Ariani. Dotti, specifica che questo san Paolo è acquistato per procura a Roma e che il volume proveniva da Napoli.  Ariani.  Per maggiori approfondimenti biografici, si veda la biografia di Moschella.  Moschella, Suggello ideale dell'amicizia tra i due fu il dono, da parte di Dionigi, di una copia delle Confessiones di s. Agostino.Billanovich,  Wilkins  e Pacca  Wilkins; Wilkins Rico-Marcozzi. Nel frattempo aveva raggiunto Roma accolto da fra Giovanni Colonna al termine di un avventuroso viaggio, e dove nella sua prima lettera contemplando dal Campidoglio le rovine dell’Urbe, manifestò la meraviglia per la loro grandezza e maestosità, dando forma a quella riscoperta dell’antichità classica e al rimpianto per la sua decadenza che divennero i cardini etici, estetici e politici dell’Umanesimo. Pacca Dotti,  Dotti Mauro Sarnelli, P. e gli uomini illustri, Treccani). Ariani Certo il privilegio toccava, del tutto straordinariamente, a un poeta che ancora non aveva pubblicato molto per meritarselo: ma la protezione dei potenti Colonna e la rete di estimatori che aveva saputo intessere per tempo sono evidentemente bastate a valorizzare al massimo le epistole metriche, la fama dell'Africa. e del De viris, le rime volgari già note...»  Dello stesso avviso anche Pacca e Santagata.  Moschella. Dionigi fa ritorno in Italia; dopo un breve soggiorno a Firenze, giunse a Napoli (cfr. P., Familiares), dove l'aveva voluto il re Roberto d'Angiò, che per l'agostiniano nutriva una profonda stima, oltre a condividerne gli interessi per l'astrologia giudiziaria e per i classici latini. Wilkins. La conoscenza dell'antica tradizione e delle due o tre incoronazioni celebrate da singole città in tempi moderni, insieme all'aspirazione a diventare famoso, accese inevitabilmente in Petrarca il desiderio di ricevere a sua voglia quell'onore. Egli confidò dapprima il suo pensiero a Dionigi da Borgo San Sepolcro e a Giacomo Colonna, e ne venne a conoscenza anche qualche persona che aveva legami con l'Parigi. Si legga il brano della lettera dove inizia la decantazione delle lodi nei confronti del re napoletano: «E chi dico io, e lo dico con pieno convincimento, in Italia, anzi in Europa più grande di re Roberto Delle cose familiari, traduzione di Fracassetti)  Wilkins; Rico-Marcozzi. Sulla base dei contraddittori racconti di Petrarca si dovrebbe dedurre che nello stesso giorno questi avesse ricevuto l’invito a cingere la corona sia dal Senato di Roma sia da Parigi e avesse chiesto consiglio al cardinal Colonna decidendo di scegliere Roma (IV 5, 6), per ricevere la laurea "sulle ceneri degli alti poeti che ivi dimorano".»  Difatti Petrarca riteneva che l'ultima incoronazione a Roma fosse stata quella di Stazio e che quindi, se vi fosse stato incoronato, sarebbe stato direttamente un successore degli antichi poeti classici da lui tanto amati (Pacca).  Cfr., ad esempio, Rico-Marcozzi; Wilkins,  Ariani, Pacca74.  Rico-Marcozzi. Sono le date fornite da P. ([Familiares]), e la più probabile sembra essere la seconda; tuttavia Boccaccio situa l'evento il 17 e il documento ufficiale, il Privilegium laureationis, almeno in parte redatto dallo stesso Petrarca, reca la data. Lacultur, biografia di P., su lacultur.altervista.org.  Wilkins; Dotti. «In Avignone egli vedeva simbolicamente la corruzione della Chiesa di Cristo e l'intollerabile esilio di Pietro.»  Paravicini Bagliani.  Moschella.  Petrucci.  Wilkins,  Così Ariani, Wilkins sostiene invece che Cola sia giunto ad Avignone a Wilkins4 «Cola si intrattenne parecchi mesi e in quel periodo strinse amicizia con Petrarca. Cola era ancor giovane e poco noto; ma i due uomini avevano in comune un grande entusiasmo per la Roma antica e cristiana, una grande preoccupazione per lo stato presente della città e una grande speranza per la restaurazione dell'antica potenza e dell'antico splendore.»   Il Mondo di P. Ariani,  il quale ricorda, a testimonianza della rottura coi Colonna, Bucolicum carmen, VIII, intitolato Divortium (cfr. Bucolicum carmen. Santagata ricorda inoltre come i legami tra Petrarca e il cardinale Giovanni non fossero mai stati buoni come con il fratello di lui Giacomo. A differenza di Giacomo, il cardinale resta sempre il dominus. Rico-Marcozzi.  Pacca e Cappelli. Dotti, Wilkins, Ariani.  Troncarelli.  Waley.  Pacca, Padova, sRico-Marcozzi: «Giacomo II da Carrara, signore di Padova, che  gli fece ottenere un ulteriore e ricco canonicato da 200 ducati d'oro l'anno e una casa nei pressi della cattedrale».  Ariani.  Una prospettiva generale del rapporto tra P. e Boccaccio è esposto in Rico,  Branca87.  Rico-Marcozzi. Solo in autunno si trasferì ad Avignone, per scoprire (almeno secondo quanto affermato in Familiares) che gli si offriva la segreteria apostolica, già a suo tempo rifiutata, e un vescovado».  Ariani, Ferroni; D. Ferraro, P. a Milano. Le ragioni di una scelta, Rinascimento; Firenze: Olschki, Viscónti, Galeazzo II, su treccani. Pacca, Amaturo. Ma è fuor di dubbio che tra il poeta e i suoi nuovi signori si istituiva come un patto di mutuo interesse: da un lato egli si avvantaggiava della posizione di prestigio che gli offriva l'amicizia dei Visconti; d'altro lato acconsentiva tacitamente a essere adoperato in missioni diplomatiche, non numerose invero, né discordanti con i suoi ideali civili. Ariani Cappelli La riflessione petrarchesca si indirizza sempre più ad hominem e ad vitam, all'uomo concreto nella sua circostanza concreta, si nutre di meditazione interiore, progetta un'opera capace di delineare una parabola esemplare in cui lo scrittore propone se stesso e la cultura di cui è portatore come modello capace di confrontarsi su tutti i terreni.»   Rico-Marcozzi: «il Secretum...composto in tre fasi successive. Ferroni Ariani Cappelli Wilkins Vicini Retore originario di Pratovecchio, Donato degli Albanzani fu intimo amico sia di P. che di Boccaccio. Per quanto riguarda i rapporti con il primo si ricordano, oltre le missive indirizzategli dall'Aretino, anche alcune egloghe del Bucolicum Carmen, in cui è chiamato con il senhal di Appenninigena. Si veda la voce biografica Martellotti.  U. Dotti, P. civile: alle origini dell'intellettuale moderno, Donzelli Editore, Wilkins,  espone dettagliatamente le trattative tra Petrarca e la Serenissima, citando anche il verbale del Maggior Consiglio con cui si procedette all'approvazione della proposta petrarchesca. Per ulteriori informazioni, si veda Gargan,  Lettere Senili, traduzione di G. Fracassetti, Si ricordi la visita dell'amico Boccaccio, quando però P. si era recato momentaneamente a Pavia su richiesta di Galeazzo II. Nonostante l'assenza dell'amico, Bocca ccio trovò una calorosa accoglienza da parte di Francescuolo e di Francesca, trascorrendo giorni piacevoli nella città lagunare (Cfr. Wilkins,  Rico-Marcozzi -- fece ritorno a Venezia dove fu raggiunto dalla figlia Francesca maritata al milanese Francescuolo da Brossano. Pacca,  Ma...bisogna dire che il vero valore del De ignorantia consiste nella vigorosa affermazione della filosofia morale sulla scienza naturale. Ed è questo il motivo della sua inferiorità rispetto a scrittori come Platone, CICERONE e Seneca; perché per P. la cultura "è subordinata alla vita morale dell'uomo. Casa del Petrarca, Arquà.  Wilkins Ariani Wilkins, Billanovich. Petrarca designacon indicazioni esplicite anche per noi remoti quale loro custode un letterato padovano, Lombardo della Seta, mediocre per ingegno e per dottrina, ma cliente premuroso del maestro, di cui in una intima familiarità negli ultimi anni aveva lentamente conosciuto le abitudini e filialmente soddisfatto i desideri. Così...era promosso subito a buon segretario. Ariani  Baldi, Razetti, Zaccaria, Dal testo alla storia, dalla storia al testo, Paravia Wilkins La tomba di P.. Canestrini e Dotti,  Millocca, Francesco, Leoni, Pier Carlo, in Dizionario biografico degli italiani,  Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Si veda Analisi Genetica dei resti scheletrici attribuiti a Petrarca.  Si veda inoltre Petrarcail poeta che perse la testain The Guardian sulla riesumazione dei resti di Petrarca.  Ricchissima la  al proposito: si ricordino i libri citati in, tra cui Cappelli, L'umanesimo italiano da Petrarca a Valla; i saggi curati da Billanovich (tra cui l'opera sua più importante, Billanovich, P. letterato, uno dei maggiori studiosi di P.; i libri di Pacca, Ariani e Wilkins.  Pacca e Cappelli,  Garin. Si veda il lungo articolo di Lamendola al riguardo, in cui si espone anche la chiave di lettura dei classici latini nel corso dell'età medioevale.  Dotti, Nassar, Numismatica e Petrarca: una nuova idea di collezionismo, Il collezionismo numismatico italiano. Una storica e illuminata tradizione. Un patrimonio culturale del nostro Paese., Milano, Numismatici Italiani Professionisti, Billanovich Per la datazione cronologica, cfr. Billanovich. Il Petrarca formò tra i venti e i venticinque anni il Livio Harleiano»; Le scoperte e i restauri degli Ab Urbe condita eseguiti dal Petrarca sul palcoscenico europeo di Avignone; Cappelli, Billanovich, Billanovich, Un riassunto veloce è esposto anche da Ariani63.  Cappelli42 e Ariani62.  Cappelli,  Albertini Ottolenghi,  Albertini Ottolenghi. Significativo il titolo del settimo capitolo di Ariani. Lo scavo introspettivo.  Ferroni10.  Ferroni,  Ferroni e Guglielmino-Grosser.  P., Africa,  Cappelli  e Guglielmino-Grosser Dotti,: I versi vennero infatti riconosciuti bellissimi, ma tali da non convenirsi alla persona cui erano posti in bocca, in quanto degni piuttosto di un personaggio cristiano che di uno pagano.»   Santagata. Il gesto di fastidio con il quale si liberò quasi sùbito delle superfetazioni scolastiche ha il suo esatto corrispettivo nel rifiuto dell'imponente edificio logico e scientifico della filosofia Scolastica a favore di una ricerca morale orientata, con la guida determinante dell'agostinismo, verso il soggetto e l'interiorità della coscienza. Delle cose familiari, Guglielmino-Grosser, confrontando Dante, il quale non ha trasmesso ai posteri dati biografici della propria vita, e P,, afferma che quest'ultimo «fornendoci una grande quantità di informazioni dettagliate sulla sua vita quotidiana, vere o false che siano, mira a trasmettere di sé un'immagine concreta.  Dotti, sulla base della Familiares delinea il senso del messaggio umanistico lanciato da P.: parlare con il proprio animo non serve. Bisogna affaticarsi ad ceterorum utilitatem quibuscum vivimus, per l'utilità di coloro con i quali viviamo in questa terrena società, ed è certo che con le nostre parole possiamo giovare: quorum animos nostris collucutionibus plurimum adiuvari posse non ambigitur (Familiares). Il colloquio umano è dunque lo strumento dell'autentico processo umanistico. Sua mercé si saldano e si congiungono gli spazi più lontani...I comuni principi morali, dunque, e l'indagine costante e irreversibile sono la molla di un processo che non può aver fine se non con la morte dell'umanità medesima, e il discorso, il colloquio e la cultura ne sono il filo conduttore. Viaggi nel TestoAutori della letteratura Italiana, su internetculturale. Si ricordino i celebri versi di Pd in cui l'avo Cacciaguida gli profetizza la durezza dell'esilio: Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e 'l salir per l'altrui scale Guglielmino-Grosser Guglielmino-Grosser Marazzini Santagata. La riforma di P. consiste nell'introdurre entro l'universo senza regole della rimeria coeva la disciplina, l'ordine, la pulizia formale, lo stesso aristocraticismo propri delle più compatte 'scuole' duecentesche. Luperini, Il plurilinguismo di Dante e il monolinguismo di P. secondo Contini.  Delle cose familiari, traduzione di G. Fracassetti, Pulsoni  Pizzimentig Opera: Altichiero, San Giorgio battezza Servio re di Cirene; Si veda, per maggiori informazioni, Pacca,  Per maggior informazioni, si veda il saggio di Fenzi. Si veda il saggio di Dotti sulle Epistolae metricae.  Pacca,  Pacca,  Ferroni.  Amaturo,  Cappelli Ferroni,  Pacca; Santagata; Amaturo,   Le epistolae retrodatate furono, secondo Santagata, probabilmente scritte ex novo perché fossero aderenti al progetto culturale-esistenziale idealizzato da P..  Guglielmino-Grosser; Ferroni; Ariani; Dionisotti. Salutati e dopo la morte del P. e del Boccaccio, il più autorevole umanista italiano, unico erede di quei grandi.»  Dionisotti. Dopo lungo intervallo, Boccaccio compose in volgare una succinta vita di Alighieri cui fece seguire un'assai più succinta vita del Petrarca e un conclusivo paragone fra i due poeti. Cappelli,  Di Benedetto. Si veda la voce enciclopedica curata da Praz e Benedetto Ariani Pacca, Petrarca e Bresslau,  Lettere Senili, traduzione di G. Fracassetti, M. Albertini Ottolenghi, Note sulla biblioteca dei Visconti e degli Sforza nel Castello di Pavia, in Bollettino della Società Pavese di Storia Patria,  Raffaele Amaturo, Petrarca, con due capitoli introduttivi al Trecento di Carlo Muscetta e Francesco Tateo” (Roma, Laterza); M. Ariani, Petrarca, Roma, Salerno), Bettarini, Petrarca, Francesco, in Dizionario biografico degli italiani,   Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, G. Billanovich, Petrarca letterato. Lo scrittoio del P,,  Roma, Storia e Letteratura, Billanovich, Gli inizi della fortuna di P., Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, G. Billanovich, Il Boccaccio, il P. e le più antiche traduzioni in italiano delle Decadi di Tito Livio, in Giornale Storico della Letteratura Italiana,  Vittore Branca, Giovanni Boccaccio: profilo biografico, Firenze, Sansoni, H. Bresslau, Manuale di diplomatica per la Germania e per l'Italia, Annamaria Voci-Roth, Roma, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali-Ufficio Centrale per i Beni Archivistici, Giovanni Canestrini, Le ossa di Francesco Petrarca: studio antropologico, Padova, Reale Stab. di Prosperini, Cappelli, L'Umanesimo italiano da Petrarca a Valla, Roma, Carocci); G. Contini, Letteratura italiana delle origini, Firenze, Sansonie, A. Benedetto, Un'introduzione al petrarchismo cinquecentesco, in Italica, Dionisotti, Bruni, Leonardo, in U. Bosco, Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,  Dionisotti, Salutati, Coluccio, in Umberto Bosco, Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, U. Dotti, La formazione dell'umanesimo nel Petrarca (Le "Epistole metriche"), in Belfagor,  Firenze, Leo Olschki, U. Dotti, Vita del P., Roma-Bari, Laterza,  E.  Fenzi, Sull’ordine di tempi e vicende nel Bucolicum carmen di Petrarca, I generi della lettura, Firenze, Pensa Multimedia Editore, Giulio Ferroni,Cortellessa e Pantani, L'alba dell'umanesimo: Petrarca e Boccaccio, in G.  Ferroni, Storia della letteratura italiana, Milano, Mondadori, Gargan, Gli umanisti e la biblioteca pubblica, in Cavallo, Le biblioteche nel mondo antico e medievale, Roma-Bari, Laterza, Guglielmino e Grosser, Il sistema letterario, Storia, Milano, Principato);  Marazzini, La lingua italiana. Profilo storico” (Bologna, Mulino); Martellotti, Albanzani, Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, M. Moschella, Dionigi da Borgo San Sepolcro, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Pacca, P., Roma-Bari, Laterza, Agostino Paravicini Bagliani, Colonna, in Dizionario Biografico degli Italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Emilio Pasquini, Convenevole da Prato, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Rime (Bari, Laterza); Lettere: Delle cose familiari libri ventiquattro, Giuseppe Fracassetti, Firenze, Le Monnier, P., Lettere: Delle cose familiari libri ventiquattro,  Fracassetti,  Firenze, Monnier, Lettere: Delle cose familiari libri ventiquattro, Fracassetti,  Firenze, Le Monnier, Lettere: Delle cose familiari libri ventiquattro, Fracassetti,  Firenze, Monnier, P., Lettere: Delle cose familiari libri ventiquattro; Lettere varie libro unico, Fracassetti,  Firenze, Monnier, Lettere Senili, Fracassetti, Firenze, Le Monnier, Lettere Senili, Fracassetti (Firenze, Monnier); Il Bucolicum carmen e i suoi commenti inediti, Avena, Padova, Società Cooperativa Tipografica, P., Africa, Léonce Pinguad, Parigi, Thorin,  Petrucci, Angio, in Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, M. Praz, Petrarchismo, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Pulsoni, L’ALIGHIERI (si veda) di Petrarca: Vaticano latino in Studi petrarcheschi, Padova, Antenore, Rico e Marcozzi, Dizionario Biografico degli Italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Rico, La conversione del Boccaccio, in Luzzato e Pedullà, Atlante della letteratura italiana” (Torino, Einaudi); R. Sabbadini, Le scoperte dei codici latini” Firenze, Sansoni, M.Santagata, I frammenti dell'anima. Storia e racconto nel Canzoniere, Bologna, Mulino,  M.  Signorini, Malpaghini, Giovanni, in Dizionario Biografico degli Italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Troncarelli, Casini, Bruno, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Waley, Colonna, Stefano, il Vecchio, in Dizionario biografico degli italiani Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Wilkins, Vita, Rossi e Ceserani (Milano, Feltrinelli); Donata Vicini, Musei civici di Pavia, Milano, Skira,  Petrarchismo; Pre-umanesimo Umanesimo Canzoniere Petrarchino; Biblioteca di Petrarca Incoronazione poetica Casa del P.. Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. P., Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Ente ufficiale per gli studi petrarcheschi in Italia, Boccaccio, Epistole e lettere, Biblioteca Italiana, F. Lamendola, Il culto di VIRGILIO nel medioevo, Centro Studi La Runa. Romano Luperini, Il plurilinguismo di ALIGHIERI e il monolinguismo di P. secondo Contini, Pacca. Catalogo dei Compositori e delle opere Musicali sulle rime di su Artemida. Le tre corone fiorentine della lingua italiana. Francesco Petrarca. Petrarca. Keywords: implicature, cicerone, I lizij, lucrezio, filosofia Latina, filosofia romana.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Petrarca.” Luigi Speranza, “Il dialogo filosofico – Platone, Cicerone, Petrarca e Grice.”

 

Grice e Petrone: la ragione conversazionale dei sanniti e la setta d’Imera  – il megliore dei mundi attuali – CLXXXIII, LX LX LX I -- Roma – la scuola d’Imera -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Imera). Filosofo italiano. A Pythagorean, who claims that the number of worlds is CLXXXIII -- arranged in the form of a triangle: LX on each side and one at each angle. Petrone.

 

Grice e Petrone: la ragione conversazionale del determinismo dei sanniti e dei liguri – il fato o il caso? – l’implicatura conversazionale – la scuola di Limosano -- filosofia molisana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Limosano). Filosofo italiano. Limosano, Campobasso, Molise -- Grice: “I like some phrases by Petrone: ‘il mondo del spirito,’ ‘idealista’, etc.’” Grice: “Some of his philosophese is totally untranslatable to Oxonian, such as ‘la nostra guerra’.”  Insegna a Modena e Napoli. Cerca di conciliare l'oggettivismo dei lizij con il soggettivismo critico. Dei lincei. Collabora a “Cultura Sociale politica e letteraria”. In “Il Rinnovamento” si espressa criticamente sulla condenna del modernismo da Pio X. Altre saggi: “Filosofia come analisi” (Pisa, Spoerri); “Psico-Genesi” (Roma, Balbi) – cfr. psico-genesi nella teoria della comunicazione di Grice --;  “I limiti del determinismo” (Modena, Vincenzi);  “Idee morali del tempo” (Napoli, Pierro); “Uno stato mercantile”;  “La premessa del comunismo” (Napoli, Tessitore); “Confessioni d’un idealista” (Milano, Sandron) – cf. MAMIANI ROVERE – Confessione d’un meta-fisico – AGOSTINO – “Confessioni” -- ; “Lo spirito” (Milano, Milanese); “A proposito della guerra nostra” (Napoli, Ricciardi); “Etica” (Palermo, Sandron); “Ascetica” (Palermo, Sandron); “La vita nova” (Cecchini, Roma, Storia e letteratura); “Filosofia politica”; “La terra nell’economia capitalistica”; “Il latifondo siciliano”; “La legge aggraria”; “Il diritto al lume dell’idealismo critico”; “La conezione materialistica della storia” spirito”; “L’etica come intuizione” -- – contro LABRIOLA (si veda) --. “La storia interna” “Il valore della vita”, “L’inerzia della volonta”; “La’energia profonda dello spirito”; “La fase della filosofia del diritto”; “I caratteri differenziati del diritto” --  Cf. Tyrrell. (cf. A. M. G. – “Tyrrell e Tyrrell”). Avevamo già corretto le stampe di questo articolo, quando ci giunse l'ultimo numero del rinnovamento di Milano -- pieno di tutto fiele contro l'enciclica. Nella sostanza si accorda pienamente col programma dei modernisti, ma nella violenza della forma e nella irriverenza del linguaggio lo passa di molto; e trascende con  P. -- L'Enciclica di Pio X -- a stravolgimenti indegni dello spirito e del senso dell'enciclica. Ed ancora sullo stesso periodico. Ma peggio ancora spropositò su questo punto nel Rinnovamento mostrando di aver ben poco compreso e del modernismo e dell'enciclica che lo condanna. Dizionario di filosofia, Treccani Dizionario biografico degl’italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia. Per saggiare a fondo il valore del realismo giuridico dell’antico DIRITTO ROMANO, è uopo, anzitutto, indagare, se e fino a che  punto esso risolva o dia sicurtà di risolvere quei  problemi che ogni ricerca del diritto, la quale  aspiri al titolo di FILOSOFICA – alla Hegel --, si propone e che non sono del tutto ignoti alla filosofìa del dritto romano tradizionale. Tre sono i problemi che ricorrono tuttora nella filosofia o che segnano l’intervento della scesi filosofica bene intesa. Il primo concerne l’origine, .la portata, i limiti del conoscere. Il secondo concerne la natura dell’ essere che è l’oggetto del conoscere. Il terzo il valore e le leggi  dell’operare. Il primo è il problema gnoseologico e,  nella filosofìa del dritto romano, può formularsi così: quali  atti e funzioni ‘psicologiche’ si richieggono perchè si formi, rigorosamente parlando, una nozione del dritto – quale il diritto romano?  Quale ne è il criterio, il principium cognoscendi? La  ricerca induttiva dei fenomeni del dritto presuppone o no una nozione del dritto, una serie di abiti  o (li funzioni psicologiche, che valgano come premesse  e come leggi del processo induttivo ? II secondo è  il problema ontologico ed è espresso da queste domande: in che si sustauzia il diritto romano? Quale è il  la natura che subest , che sottosta immutabile alle  sue evoluzioni fenomeniche? e, nell’ipotesi che la  ricerca dell’ essere e della sostanza sia illegittima,  nella ipotesi cioè fenomenistica, quale è e donde il  nascimento del fenomeno giuridico? Il terzo è il problema etico e la maniera onde può venir risolto corrisponde esattamente alla maniera onde si formula e si  dibatte il problema ontologico: esso si domanda, quali sono le norme della condotta giuridica doverosa;  se le disposizioni del potere POSITIVO del Hegel sullo stato prussiano siano, semplicemente perchè tali, dotate di valore etico-imperativo; se, invece, non vi sia un criterio normativo,  superiore ad esse e giudice di esse , ottenuto altronde; se ci si debba limitare alla semplice accettazione delle disposizioni autoritative ossia del DRITTO POSITIVO o se, invece, non sia legittimo e corretto  domandare il titolo RAZIONALE di esse o IL DRITTO DI QUEL DRITTO: è insomma, a dir breve, il problema  del dritto NATURALE. Il realismo giuridico non può evidentemente sottrarsi a questi problemi che ogni uomo, conoscendo,  non che filosofando, si propone e che, per quanto  egli premediti di sviare o eludere, non si lasciano  rintuzzare in verun modo. Ed in un modo o nell’altro, di dritto o per traverso, se li propone e li  agita lo stesso realismo giuridico. Il quesito conoscitivo non è per esso un problema, in quanto ue  presuppone la soluzione che è, come tante volte si  è visto, volgarmente empirica. Gli altri due quesiti,  poi, quello ontologico e quello etico, sono (la esso  piegati alle esigenze del suo empirismo conoscitivo: il  primo di essi è snaturato da problema di essere  in problema di origine ed al secondo si oppone un  diniego esplicito. Il clie per altro, non toglie che  cosi quella forma speciale onde si pone e s’ inter-  petra uno dei problemi, come quella esclusione o  soluzione a priori che si ritorce all’altro non sieno  la conseguenza d' una scepsi critica, sottintesa se  non espressa, ed implicita nell’ assunto fondamentale  dell’empirismo, quand’ anche non condotta di pro-  posito deliberato da questo o quello interpetre dell’assunto stesso.   Resta solo a vedere, se il problema vada posto  come vuole l’empirismo o come vuole la filosofia, o,  dove l’uno e 1’ altra lo pongono ad uno stesso modo,  se vada risolto nell’ una forma o nell’ altra. E dico a  bella posta — LA FILOSOFIA— senza vermi predicato che  la determini in un senso più che in un altro e che la  limiti ad una scuola più che ad un’ altra. L’ empirismo  si annunzia in antitesi non a questa o quella filosofia,  ma alla filosofia in generale, o, se si vuole, è una for-  ma di filosofia che si oppone a quella che fin qui  era tenuta per tale, alla metafisica, e non a questo  ed a quel sistema, ma al criterio comune a tutti  i sistemi, al yenus proximum di essi. Termine di  contrapposizione all’empirismo sarà, adunque, per  noi l’assunto impersonale della filosofia, senza che  le varietà individuali di essa ci occupino punto.  Il che va inteso in senso relativo e limitato a quel  possibile consenso che, traverso le lotte dottrinali,  è dato ravvisare, nella tradizione storica della filo-  sofia, a chiunque la interpetri con intelletto d’amore . Il criterio della esperienza ed il problema gnoseologico   della filosofia del dritto.Adunque l’esperienza, ossia la osservazione e la  comparazione dei dati fenomenici, è il criterio conoscitivo universale del realismo giuridico, di guisa che  la critica di esso si traduce iu una critica della esperienza. Questa critica non data veramente da  oggi: essa è vecchia, nè comincia dal Kant, come si  peusa comunemente, ma risale a Platone, che primo  rivendicò le ragioni della scienza e della filosofìa  contro la doxa e 1’ empirismo dei sofisti. Per quanto  vecchia, essa non ha perduto, tuttavia, la freschezza  della novità, e va rievocata oggi che il positivismo,  nella forma più matura della teoria delfassociazione  e di quella dell’ evoluzione, ha risollevato i fasti  dell' empirismo. Diremo, adunque, anche a costo di apparire noiosi ripetitori, che 1’ esperienza non è in grado, da  per sè sola, di scovrire il momento universale e necessario del dritto, nè il nesso causale dei fenomeni  .giuridici, più di quello che essa noi sia di scoprire  il momento necessario ed il nesso causale di altri ordini di fenomeni. L’esperienza ci dice che una  cosa è fotta così e non altrimenti, ma non che la  cosa non possa essere altrimenti che così. L’esperienza ci dà la coesistenza e la successione dei fenomeni e può darci anche la legge empirica (la cosi  detta legge di conformità che impropriamente si chiama legge) di tale coesistenza e successione, ma non  ci dà nè può darci mai la legge di necessità. Essa  ci dà la ripetizione delle coesistenze e delle successioni di dati fenomeni, ma non la legge di tale ripetizione: essa ci dice che una cosa si ripete cento, mille,  diecimila volte, ma non che si debba ripetere .neces-  sariamente. L’ultimo dei termini della serie progressiva e faticosa delle esperienze non ci dice niente di  più e di meglio di quanto ci dica o ci abbia detto il primo, e l’ultima ripetizione vale le altre. L’accrescimento del materiale della esperienza è un processo  quantitativo, dal quale nessuna alchimia trarrà una  qualità nuova. Noi chiediamo il quia, ed il quid,  doveccliè i progressi della esperienza non ci promettono che una cognizione sempre più vasta del quale. La teoria dell’associazione, che data da Hume, si  avvisa di eludere il problema, con l 7 apporre a questa  legge di necessità una portata puramente psicologica.  La necessità oggettiva, essa dice, è un inganno; la ne-  cessità è puramente soggettiva ed è la coazione inte-  riore verso un dato nesso o una data serie di nessi  logici delle nostre rappresentazioni. La categoria della  necessità è una oggettivazione illusoria, una proie-  zione al di fuori dell’abitudine interna di un dato  nesso ideale. Ma, checché si deponga in favore di  tale tesi, non si scema l l’equivoco che la vizia. La  coazione interiore può ben nascere dall’abitudine, ma  la necessità logica della ragione è ben’altra dalla coazione psicologica del sentimento. Questa ultima, non  che necessaria, è accidentale di sua natura, perchè  il dominio psicologico è il dominio del variabile, del  contingente, del casuale. Del pari l’esperienza non può colpire il momento universale delle cose. La universalità alla quale essa può pervenire è,  tutt’alpiù, universalità sui generis, universalità relativa  e provvisoria, il che è tutt' uno che negazione della  universalità scientifica. Il maximum dello sforzo cogitativo al quale possa pervenire l’esperienza, secondo  un noto principio del Kant, è il seguente per quello  che abbiamo appreso fin qui, non si trova veruna eccezione di questa o quella regola data » non già quest’altro questa è regola universale e non ha veruna eccezione. E ciò, perchè le conclusioni dell'esperienza  sono limitate e condizionate quanto la esperienza, la  quale è eminentemente analitica e non assicura e non  garentisce che il suo responso immediato. L’esperienza ci dice che date coesistenze e date successioni di  fenomeni si sono ripetute fin qui, ma non ci assicura  che si ripeteranno in avvenire. È vero bensì che noi  » oggettiviamo ed universaleggiamo ogni giorno le ri-   sultanze di quella esigua e ristretta esperienza per-  [Vedi la bella illustrazione che di questi pensieri della  critica kantiana fa il Volkelt. Erfahrung und Denken. Kritische  Grundlegung der Erkenntnisstheorie. (Hamburg Volkelt] sonale che ne è consentito di fare e le atteggiamo  sub specie aeternitatis , ma, con ciò stesso, noi superiamo i termini della pura esperienza, noi invochiamo  ed applichiamo per la nostra cognizione un altro criterio che quello sperimentale. In ogni giudizio che  formuliamo v’ò un tacito sottinteso che precede l’esperienza e la integra : ed il sottinteso è questo: che  quella ripetizione delle coesistenze o delle successio-  ni, la qual ripetizione non abbiamo osservato ancora o non potremo osservare in avvenire, è conforme  alle ripetizioni o alla serie di ripetizioni già osser-  vate. Il processo induttivo presuppone 1’ habitus, la  funzione mentale che si formula nel principio d ’ iden-  tità : dal quale segue che quanto si predica di una  cosa o di un rapporto già esperito va predicato, altresì, di tutte le cose e di tutti i rapporti esperibili,  le quali o i quali sieuo della stessa natura sostanziale della prima o del primo. Ne l’esperienza è più atta a conoscere il perchè  delle cose, il cur , di quello che noi sia a conoscerne  la universalità. La successione dei fenomeni, sia pure  conforme a regola, non è causalità: e dall’esservi fra   1 fenomeni di una serie un rapporto di prima e di  poi non segue, per altro, che la mente dell’osservatore, la quale nel supposto è tabula rasa , argomenti  dal semplice rapporto empirico di antecedente e conseguente la possibilità di quello ideale di causa e  di effetto. L’esperienza ripetuta delle stesse sequele  di un dato fenomeno e di un altro non può creare  ex nihilo sui quel rapporto di causalità che ai primi  [VERA A. Melanges philosophiques] gradi ed ai primi passi di quella esperienza era in-  concepibile. Senza dubbio, il rapporto di causalità è  nelle cose (lo scetticismo di Hume non ha chiuso il  problema) ma non è una specie impressa sulle cose,  visibile e palpabile a nudo, esperibile iusomma. La  nozione di quel rapporto è, direi quasi, un’anticipa-  zione dell’ intelletto sulla esperienza e sulla stessa  natura. Ogni nesso causale che noi formuliamo presuppone 1’ habitus , la funzione mentale del nesso  causale in quanto tale. Noi diciamo « questa cosa è  effetto di quell’ altra » solo perchè sapevamo che,  risalendo la serie regressiva dei fenomeni, ciascuno  dei termini di questa serie è un effetto, ossia è un  prodotto da una causa, finché si perviene al termine  primo che non è più effetto, ma causa sui. In vero,  senza questa funzione mentale, noi avremmo uu bel  discernere delle affinità e delle conformità logiche  tra l’operare di una cosa e la natura di fatto d’una  altra cosa che la segue: tra Luna e l’altra cosa noi  non vedremmo mai un rapporto causale, se a quel  nesso di conformità non si associasse spontaneamente,  nel nostro pensiero, quella funzione mentale, che io  chiamerei il sottinteso della causalità. Chi analizzasse questa serie di sottintesi e questa prescienza  e vedesse quanto è facile e seducente, ad un metafisico che sia artista ad un tempo, atteggiare quella  prescienza a forma di ricordo di una vita psichica  oltremondana, vedrebbe forse che la dottrina platonica sapere è ricordare è più presto una deformazione poetica di un sano principio filosofico, che  un principio falso di sua natura. La nostra scienza,  e non è prescienza, ha per sottinteso un certo grado di prescienza. A Corate enunciò lo stesso principio  in altra forma, quando disse « sapere è prevedere.  La previsione di un fenomeno esperibile ma non  esperito è, evidentemente, prescienza intellettiva. Un logico recentissimo della scuola critico-positivista, il Masaryk, ci porge una indiretta conferma,  che qui ò opportuno ricordare, di questi supremi  principi della critica della conoscenza.   I fenomeni particolari sono tuttora (così VA del  Saggio fri logica concreta) gli elementi costitutivi del  l’universo, come l’oggetto proprio della conoscenza  umana: ma noi sono immediatamente. Il nostro intelletto non può cogliere ed intuire di un lampo l’unità delle  cose : il suo processo è, per di tetti vità connaturata,  eminentemente astrattivo. Epperò esso conosce le  cose non per intuito diretto, ma mediante le leggi  e le proprietà essenziali che a quelle cose ineriscono.  Queste leggi e proprietà sono il prins, non il posterius della conoscenza. V’ha due generi di scienze:  scienze astratte e scienze concrete: le prime conoscono le leggi delle cose e le seconde l’essere di  fatto delle cose. Or bene le scienze astratte sono  il fondamento, il presupposto delle concrete, appunto  perchè le cose non si conoscono che per le loro  leggi e proprietà essenziali. La biologia, che è scienza  astratta, perchè ha per oggetto le leggi della vita  precede ad es. la zoologia, che studia gli animali viventi, ed è la confritio sine qua non della sua esistenza.  So le scienze concrete presuppongono le scienze astrat-  te, è assurdo supporre che le prime forniscano la  base delle seconde. Ciò sarebbe una inversione di  termini. Precisamente l’opposto è vero. Le cose non- si intuiscono o esperimentano di un tratto solo nel  loro essere, ma si conoscono in funzione di una legge  e di una proprietà essenziale che precede e rende possibile l’esperienza. Gli è questo che ci spiega come e  perchè le scienze astratte abbiano fatto progressi di  gran lunga maggiori che le concrete. Gli è che queste sono posteriori a quelle, onde la loro maturità  segue, in ragion di tempo, il progresso di quelle [Questi principi del Masaryk sono fondati sul vero,  benché il modo ond’egli si esprime sia tutt’altro  che proprio. La sua terminologia è mutuata dall’empirismo per formulare una nozione sovra-empirica. Quello che egli chiama processo astrattivo va chiamato processo di sintesi spontanea ed originaria,  perchè l’astrazione presuppone la conoscenza del  concreto onde si astrae, il che contraddirebbe al  supposto. Prescindendo da ciò, resta, intanto, stabilito che  non solo la filosofìa, ma lo stesso positivismo critico ed illuminato insegnano d’ accordo che alla  conoscenza analitica delle cose particolari deve precedere la conoscenza della specie universale, che è  come una sintesi, una deduzione spontanea ed ori-  ginaria, un’ anticipazione mentale dell’ osservazione.  L’ esperienza affidata alle sue forze sole è così lun-  gi dal fornirci un concetto scientifico delle cose, che  anzi essa, senza 1’ ausilio di una virtù intellettiva che  è prima e sovra di lei, non potrebbe neanche venire  alla luce e legittimarsi come esperienza. Versucli eiiier coucreten Logik (Wien). Or bene, ripeto quanto lio detto più su, questa  difetti vità dell’ esperienza sussiste nell’ ordine delle  conoscenze giuridiche, come iu ogni altro ordine di  conoscenze. Anche ivi la nozione universale deve precedere 1’ esperienza particolare: la scienza sintetica  delle proprietà essenziali del diritto deve precedere la  scienza analitica dei fenomeni giuridici particolari e  non seguire da essa. Anche ivi una estensione, un im-  pinguamento del materiale di fatto può accrescere la  notizia delle cose, non la scienza , come bene afferma Hartmann. Il materiale dei fatti é il sottosuolo,  non l’oggetto della scienza. La osservazione empirica di un fatto giuridico non ci dice nulla sul momento universale e necessario del dritto, nulla sui  nessi causali di quei fatti ed è, però, inetta ad  adempiere, non che una sintesi filosofica, ma una  semplice sintesi scientifica: di guisa che, sulla scorta  di essa, neanche la fenomenologia perverrà ad ottenere quel principio sintetico e quell’ universale lo-  gico del dritto che, come tante volte si è visto,  rappresenta il suo termine ideale. Per dirla più [(lì Die Bereicherung an Blossem Stoff des Wissens vermehrt  uur die Kuncle , aber nicht imraittelbar die Wissenschaft. In dem aber die Wissenschaft erst da anfiingt, wo in den Beziehuugen des Stoffs und den allgenieinen in ihm wirkenden  Kràften oder Momenten das Gesetzmiissige, Ordnungsmiissige  oder Planmàssige, logiseh oder sachlich Nothwendige aufge-  suclit wird, zeigt sich eben, dass 'der Stoff als solcher nicht  don Gegenstand selbst der Wissenschaft bildet, sondern nur  die Unterlage derselben, dass aber der eigentliche Gegenstand  der Wissenschaft dasjenige ist, was an den Beziehungen des  Stofìes allgcmein und verniinftig ist — Gesammette Studien u.  Aufsiitzc] esplicitamente, quella osservazione empirica, ammesso pure che la si estenda il più che sia possibile,  non ci darà, di per se sola, non che una filosofia,  neanche una scienza del dritto. Perchè egli è fuori dubbio che la scienza abbia  per soggetto l’universale ed il necessario delle cose. L’ACCADEMIA, il LIZIO, e fra noi, CICERONE, hanno del pari messo fuori  disamina, che oggetto della scienza é la vóyjaig nepi  òoatav e che l’esperienza, che apprende il particolare, non va confusa con la scienza che apprende  l’ universale. Gli stessi principi sintetici della  fenomenologia che siamo venuti divisando non pro-  vengono dall’ esperienza, ma dalla speculazione del  pensatore. La storia consegna al v. Ihering il fatto  della lotta e del fine interessato , ma, quando egli  generalizza P esperienza di quel fatto a momento  universale del dritto, eccede i termini della espe-  rienza, per soddisfare ad una vocazione speculativa  che è anteriore all’ esperienza. La ragione di Dahn  ed il giusto del Lasson sono cosi poco creature del-  P esperienza, che quella è un ricordo della opinio  necessitati della metafisica , ovvero una forni ola  logica della razionalità della Volhsbewusstsein (la qua-  le, a sua volta, è una ipotesi demo-psicologica che  trascende ogni esperienza) e questo è P applicazione  al dritto di quel logos Hegeliano, che è P ultimo  residuo di una notomia degli atti conoscitivi, la  quale ha il suo punto di partenza nell’ esagerazione  dell’ a priori. Il principio del rispetto verso la forza [Rep. Vedi pure: Fed. ; Mat.; Mag. Mor.] imperante (Achtung) e quello della pre volizione del-  la norma (Anerlcennung) sono non fatti di esperienza  0o - o'0£,ti va, ma impostasi intellettive di alcuni fatti acci-  dentali di esperienza psicologica. Il realismo giuridico si avvisa di conoscere le  proprietà essenziali e le leggi del dritto col mero  processo della induzione e della comparazioue. Noi  abbiamo visto testò il Post, nell’ analisi comparativa dei fotti particolari della vita dei popoli, fermare il segreto del substrato universale di quei  fotti e di quella vita. Ma, l’osservazione e la comparazione non sono possibili senza una teoria pre-  esistente, la quale ci faccia discernere quello die  va osservato da quello che non va osservato, e che,  nel materiale disordinato dei fotti, ci consenta di  sceverare quel momento che concerne e preoccupa  la nostra scienza da quegli altri momenti che non  ci concernono punto e che le altre scienze differenziano dalla nostra. Senza il filo d’Arianna della speculazione, l’osservazione e la comparazione dei  dati di fatto diventano un labirinto inestricabile e  dal quale non v’è più uscita. Se non sappiamo  prima, per un’ anticipazione intellettiva, che cosa è dritto, nè possiamo discernere i fenomeni giuridici  da quelli che non sono tali, uè negli stessi fenomeni  giuridici possiamo sceverare quello che in essi è  proprietà essenziale da quello che non lo è. Anche nell’ordine delle conoscenze giuridiche è vero che l’intuizione è cieca senza la categoria. Vi debbono  essere, nella moltitudine dei materiali storici messi  a profitto dall' indagine e e dalla comparazione, delle quantità conosciute ehe permettano all’osservatore di orientarsi nei suo cammino. Il che è riflesso, nel-  F ordine del pensiero, di quello che, come vedre-  mo, ha luogo nell’ ordine delle cose. Perchè, evidentemente, nel suo processo evolutivo l’umanità deve pure avere avuto delle soste, deve pure aver segnato delle fermate e dei punti di riposo, nei quali momenti si è venuto deponendo, consolidando,  sarei per dire cristallizzando, il presunto fluttuare  dei fenomeni. La pressura della logica e quella che  lo Schopenhauer chiamava die List der Idee domina, del resto, gli stessi induttivisti della giurispru-  denza e li trae a smentire coi fatti quanto lian  professato a parole. Dopo aver respinto 1’ a priori ,  essi sono ben lungi dal farne a meno: e di presup-  posti a priori tolti in prestito alle nostre odierne  intuizioni giuridiche o alla nostra speculazione filo-  sofica le loro ricerche sono piene. Tanto egli è arduo, impossibile anzi, nel rifare a rovescio il processo della evoluzione giuridica, fare a meno di un  contrassegno ideale di quello che è dritto o di un  criterio intellettivo che ci aiuti a discernerlo dagli  altri fenomeni del cosmo! Il metodo comparativo, adunque, che si avvisa  d’inferire dal semplice raffronto dei fatti la nozione  del momento giuridico di essi, è una vera petitio  prineipii. Un’ anticipazione ideale di quello che si  cerca bisogna averla per forza, se no quello che  si cerca non si trova. È una cosa molto elemen fare codesta: chi non sa quello che vuole non trarrà  mai un ragno dal buco. Ottima la ricerca delle for-  me storiche della proprietà immobiliare nel mondo orientale, a mo’ d’esempio, o il raffronto tra esse e quelle dei popoli occidentali, ma, se voi non avete  prima una nozione quale die sia della proprietà immobiliare, quella ricerca e quella comparazione non  la farete mai. La storia è pur sempre storia di  qualche cosa. L’ordinamento seriale dei fenomeni sotto il genere dritto e sotto le specie famiglia, proprietà ec.  (scelgo a bella posta l’ordinamento seriale più facile ed elementare) e tutta la serie dei principi e  delle rubriche e delle classificazioni della giurisprudenza storica e comparativa sono, per necessità di  cose, un presupposto e non un risultato della comparazione e della storia. Nò si opponga che il com  cetto del dritto emerge dal fondo stesso della osservazione e della comparazione ed è ottenibile  mettendo a raffronto un gran numero dato di og-  getti affini tra loro, astraendo dalle differenze indi-[fi) Schuppe. Die Metkoden der rechtsphilosophie. Man kommt nickt von der gesckicktlickèn Betrachtung  zu dem Gewordenen, sondern gerade umgekehrt: man suckt, von diesein ausgekend , seine Erfahrung nack ruckwarts in der Zeit zu erweitern Der Versuck, aus der Gesckichte herauszusammenfugend zu ersckaffen, kame auf ein Mlsslingen oder  eine Selbsttausckung kinaus: es giebt nur Gesckiehte von Etwas. Wenn die sogenannte genetiscke Metkode die vollkomneren  Gestaltungen aus den unvollkomneren sick erzeugen, so solite  nie iiberseken werden, dass im Nackweise dos Keimes das  Wozu er sick entwickeln, Wessen Keiui er sein soli, sehon vor-  sckwebt; nur vom vollendeten Erzeugniss fragen wir zuriick  nack den keimartigen Anflingen. Stammler. Die Metkoden der geschicktlicken Rechtstheorie] vicinali di ciascuno e ferrnaudo quel genere, quella  nota universale e comune, in che convengono tutti  ad un tempo. Imperocché, appunto perché abbia  luogo quel raffronto, si richiede un’ anticipazione  sintetica della natura sostanziale del dritto. Per di-  scernere in che gli oggetti sono affini, occorro che  vi sia, anzi tempo, un contenuto ideale, in rapporto  al quale 1’ affinità o la dissomiglianza è concepibile.  La osservazione e la comparazione vi darà il fatto  della convenienza, solo quando voi preconoscete di  avanzo, sarei per dire presentite, per una cotale  anticipazione irriftessa dello spirito , quello in che  si conviene e la ragion formale della convenienza.  La nota comune è una premessa del processo astrattivo. Bisogna degradare il fenomeno della conoscenza  alla più volgare materialità per convincersi che gli  elementi, i quali in ipotesi sono conformi, si lascino  connettere in un rapporto di conformità per una  percezione immediata del loro essere di fatto. Perchè gli elementi b. c. d. lascino vedere un elemento  comune con a. e si vadano sussumendo in un rapporto comune A. occorre almeno che a, ossia il  termine di raffronto, abbia colpito il pensatore e  gli appaia come un momento di cosiffatta natura,  da servire di regolo agli altri, come a dire un equivalente ideologico preesistente del contenuto che si  ottiene poi formulato nel rapporto A. Se l’intelletto  dell’osservatore è una tabula rasa, egli non vede  nè differenze nè somiglianze nei fenomeni, nè dritto  nè torto nella storia: le differenze sono percepibili,  solo quando si sa quello da cui si differisce e. del  pari, le somiglianze, solo quando si sa quello cui l ‘ì   si somiglia: in altri termini i rapporti sono percepibili solo in finizione del loro oggetto ò della loro  ragione formale. Egli, adunque, l’osservatore, non  vede che una serie di fotti indifferenti che non  sono nè il diritto, nè il suo rovescio : di cui noi,  messi al punto, non potremmo nè anche assicurare  che cosa sieno: perchè ci difetta la virtù astrattiva  che sarebbe necessaria per vedere come andrebbero  le cose della nostra intelligenza nella ipotesi di un  processo anormale di questa.   Alla induzione ed alla comparazione deve, adunque, precedere un intuito speculativo del dritto.  ]Sel campo della giurisprudenza, come in quello  delle altre discipline, il processo conoscitivo s’inizia  da una sintesi primitiva e spontanea, si svolge e  dirama e differenzia per l’esperienza, l’analisi, la riflessione e va a metter capo alla sintesi riflessa della  deduzione. La storia del processo fenomenico ed inventivo  è un compito meramente analitico che si esercita  sopra una sintesi scientifica preesistente. Per descrivere le fasi evolutive di una cosa bisogna già  possedere il concetto dell’ essere della cosa, ossia  della sua forma definita ed evoluta e della sua configurazione stabile e consolidata. Es ist vor Alleni unumgiinglich, class der Entwiokluiigahistoriker das genaueste und deutlichste Verstiindniss  von der reiteri Gestalt besitze und bekunde, von welcber er  die Entwickeluug verfolgt. Die Eutwickelungsgeschichte ist  steta und lediglieli eiue analytischo Aufgabe. Scheinbar naives Aufsuchen der Verbindungsstiicke und gliickliches Probiren, ob sie passen, ist ein ganz eitles Unterfangen. Die Ent-  [La filosofìa speculativa del dritto aveva adunque  ragione. Di che una preziosa riprova ci forniscono  gli stessi empirici della giurisprudenza, la mente dei  quali è munita, anzi tempo, non che di un intuito  o di un presentimento del dritto, di tutto un corredo di conoscenze speculati ve, più o meno deformate,  tolte in prestito precisamente a quella filosofia. E  senza il suo ausilio 1’ esperienza si sarta trovata a  mal partito. Ciascun fatto o ciascuna serie di fatti  non malleva che se stessa: ed il filosofo dell’ esperienza non avrebbe mai visto il lume dell’ idea.  L’induzione è sempre limitata ad un dato numero  di fatti, il qual numero, lo si moltiplichi a talento,  dista pur sempre infinitamente dalla universalità  -che si estende a tutto il possibile. Gli stessi principi generali non vi sarebbero più : 1’ allgemeine  Reclitslelire è un generale die, viceversa, è un particolare. A causare tali perigli, resta che, in difetto di  speculazione propria, si usurpi l’ altrui. Ed ecco,  allora, che la premessa maggiore del realismo e  della fenomenologia è una premessa metafìsica. Que-  sti declamatori dell’ esperienza e dell’induzione sono in fondo dedutti visti. La filosofia ha trovate alcune  verità con un procedimento misto d’ intuizione di  rapporti ideali e di esperienza psicologica. Essi riprovano queste verità con l’allegazione di fatti spe- [wickelungsgeschichte des Organismus setzt ein hohes Stadium  der Anatomie voraus, das sie alsdann erhohen kann. Aber die  Entwickelungsgeschichte kann der descriptiven Anatomie nicht voraufgeben. Cohen. Kant’ s Theorie der Erfahrung Zw.] rimentali, quando noi facciano con nn tessuto di  raziocini. Il loro metodo è analitico e regressivo:  onde quando essi rimproverano di deduzione la vecchia filosofia, questa potrebbe dir loro che essa  della deduzione, accanto ai difetti, aveva benanche  i pregi, dovechè ad essi non restano che i difet-  ti soli. Il criterio storico-evolutivo ed il problema  ontologico della filosofia del diritto. Si è detto innanzi come la maniera, onde l’empirismo concepisce il problema dell’essere del dritto, equivale esattamente alla maniera ond’ esso concepisce il problema del conoscere. Dopo aver detto  die criterio unico della scienza è l’esperienza, logica  vuole che l’empirismo dica che l’oggetto della scienza  è tale, quale bisogna che sia perchè rientri nei limiti della esperienza, e che, quindi, il dritto non  abbia altro essere che l’essere mutabile, contingente  e fenomenico, o, per dir breve, non altro essere che  il divenire. Come in tanti ordini di cose, così nel  dritto, il criterio scientifico si è venuto snaturando  nel criterio storico e, conseguentemente, il problema  ontologico nel problema genetico. Del dritto, come  di altri oggetti, si studia non più la sostanza ma la  genesi, non più l’essenza ma l’evoluzione, non più  il substratum ma il processo; nè solo si studia l’una  cosa e non 1’ altra, ma si afferma come inesistente  quella che non si studia, o si presume di non studiarla, appunto perchè la si dà per inesistente. È  il criterio storico-evolutivo , che riassume il genio scientifico (lei secolo e che pervade scienza e filosofia.  Se ne volete 1’origine, dovete far capo all’ aspetto dogmatico del fenomenismo kantiano e, più lungi  ancora, alla critica Lochi aria, alla teoria, cioè, della  inconoscibilità della sostanza. Tolta, invero, la ricerca della sostanza, non rimane che il fenomeno soletto al lievi, al divenire, alla storia. Se questo criterio lo si proseguisse nella sua  forma logica e coerente, esso non porgerebbe ai suoi  settatori un saldo sostegno. Così coni’ è, esso è viziato dalla radice, perchè poggia sopra una inversione del problema filosofico e perchè confonde volgarmente due termini che vanno distinti, scienza e  storia. I fenomeni particolari che registra la storia  sono non solo inesausti, ma inesauribili nel loro nu-  mero: la umanità ha invocato sempre l’ausilio delle  idee per dominare l’universalità dei possibili, senza  di che non si sarebbe mai svincolata dalle strettoie  di una perpetua ignoranza. La storia ha per oggetto  il nudo individuale; quello che sta a sè e non può  predicarsi degli altri; quello che può essere cono-  sciuto solo per un atto di esperienza ex professo e  discontinua, e che, per essere singolo, si consuma  in un singolo atto mentale e consuma l’atto stesso;  quello che non ha nesso con altri e non può nè subordinarsi ad essi nè subordinarli a sè, e che è incomunicabile: quello che dà luogo non ad un concetto, ma ad una moltitudine di percezioni saltuarie,   sempre esposte alla sorpresa del nuovo, dell’imprevisto, dell’azzardo.  Schopenhauer — Die Welt u. 8 . w. — Ergiinz: L’empirismo, messo allo stremo, li a studiato, pertanto, di sfuggire alla logica del suo criterio.  Invece di escludere la speculazione, esso fa atto di  riconoscerla, ma piegandola alle esigenze del suo  criterio; nò nega la sostanza, ma la traduce nel circolo  del suo sistema, llesta, per esso, oggetto della scienza  l’essere, ma l’essere appunto sta, o si presume che  stia, nel divenire. Il suo intento non è, in fondo,  negativo, ma dialettico. L’ esse della filosofia morale  e giuridica è appunto il fieri della evoluzione del  costume e degl’ istituti giuridici.   Quella serie di proprietà sostanziali, quella es-  senza specifica della natura e della coscienza umana  non sono negate o rimosse, adunque; sono semplicemente interpetrate in un modo diverso. Esse non  sono più un a priori — della' storia, un termine che  è fuori del processo storico e che rende possibile  lo stesso processo; ma si rappresentano come un a  posteriori primitivo, come un prodotto dell’esperienza  collettiva e della razza, un prodotto che si solleva,  a sua volta, a causa di nuove formazioni, di nuovi  fenomeni, ma è ab initio una formazione, un fenomeno esso stesso. Messo da banda il flusso eracliteo i settatori del criterio storico-evolutivo si credono licenziati ad ammettere delle proprietà speci-  fiche della natura etica umana, quando s’ intenda  che queste proprietà sieno non un essere, ma un  divenire o, per meglio dire, un divenuto; quando si  intenda che esse sono forse un a priori a petto alla  esperienza individuale dell’ uomo che si trova in  uno dei momenti derivati, della evoluzione, ma sono  certo un a posteriori della esperienza delle g enei azioni preesistenti. Nella serie dei momenti evolutivi, ciascuno di essi è un posterius delle esperienze  sociali trasmesse dal momento anteriore; solo clie  queste esperienze diventano generative di altre posteriori, a petto alle quali esse sono un termine  primitivo. L’esperienza collettiva che supera la dispersione e la difettività dell’esperienza individuale, l’abi-  tudine (latamente intesa) e 1’ eredità che la trasmette  e la consolida, la tradizione storica che ne raccoglie  le risultanze : ecco i supremi presidi, con l’aiuto dei  quali 1’ empirismo moderno si avvisa di superare le  difficoltà dell’antico, di trascinare l 1 essere della  scienza e della filosofia nel flusso del divenire e di  evitare, ad un tempo, le ritorsioni di quella logica  inesorabile, che lo forza a dibattersi sterilmente  nell’ assurda impresa di logizzare la storia o di sto-  rizzare la logica, di formulare e dogmatizzare il  mutevole, l’evanescente, l’ individuale e di travolgere, ad un tempo, nella rapida scorrevolezza dei  fenomeni transeunti quello che è e che sta, l’eterno, l’immutabile, l’assoluto. Se. non che, anche in questo contenuto più ricco di valore ideale che assume il criterio storico-evolutivo, esso è ben lontano dal sottrarsi a quella  logica di sistema, . che, volente o nolente, lo rimena  all’ assurdo d’ invertire i termini del problema filosofico e di scambiare la scienza con la storia, la  sostanza col fenomeno, le facoltà e le attitudini  connaturate con le esperienze e gli abiti acquisiti.  Finché, in omaggio al paradosso, si riconosce l’ammissibilità di un processo all’ infinito e, rifacendo  la serie regressiva delle esperienze, il primo termine  di quella serie si rappresenta come una esperienza a sua volta, il vizio radicale dell'empirismo rimano  sostanzialmente lo stesso. Finché la razza è una  moltitudine d’individui, la quale moltitudine non  può fornire un elemento nuovo ehe non sia orini-  nari amente contenuto in ciascuno degl 'individui che  la compongono, finche l’abitudine e l’eredità sono  forze trasmissive e non creative, le quali, quindi,  presuppongono un quid che si ripeta o consolidi o  trasmetta, la contraddizione implicita nell’ assunto  empirico rimane tal quale. L’ empirismo allontana,  risospinge indietro il problema nella storia, ma non  lo risolve. Nella serie delle fasi evolutive v’ è sempre un priuSy un termine primitivo, che, come esso  c’ insegna, non è un essere ma un divenire, non è  una sostanza ma un fenomeno, non è attitudine  all’ esperienza ma esperienza senza attitudine. Ed  in questo termine primitivo rinasce il problema  elie si credeva composto: il divenire è possibile senza l’essere? ed i fenomeni giuridici sono possibili  senza l’essere giuridico"? senza una coscienza giuridica già data, senza una facoltà connaturata del  dritto, sono possibili le esperienze giuridiche? Ogni  momento individuale dell’ evoluzione giuridica, lo  si derivi pure da una serie inferiore preesistente,  non ha forse bisogno d’ un ciliquid che lo determini  e lo differenzi come tale dal momento anteriore ? e  questo aliquid non è un essere che precede e rende  possibile il divenire? Nella continuità dei fenomeni  deve pure esservi, non foss’altro, l’infinitamente piccolo di Leibnitz, che prima non era ed ora è, ed è quindi la radice, il substratum di quello che v’ è  di nuovo nel rapporto reciproco dei termini suc-  cessivi della serie, di quello cioè che differenzia i  singoli momenti della continuità. Questo infinitamente piccolo non può essere prodotto dalla prima  esperienza, se questa, per logica di cose, lo presuppone. Come mai quelle esperienze giuridiche o quella  serie di esperienze, che saremmo impotenti a far  noi ex novo, se fossimo dello tabulae rasae , e che  noi possiamo Aire, secondo il criterio storico-evolu-  tivo, solo perchè l’eredità e la tradizione storica  ha deposto e trasmesso nei nostri poteri psichici  tutto un contenuto ideale che tesoreggiamo di con-  tinuo, come mai, dico, quelle esperienze sarebbero  esse state possibili, senza verini possesso anteriore  di una facoltà connaturale, a quegli uomini primitivi, i quali, a quanto insegnano gli evoluzionisti, uscivano a mala pena dalla specie inferiore dell’animalità? Perchè, senza dubbio, proseguendo a rovescio il corso dell’evoluzione giuridica, vi sarà seni  pre un assolutamente prius die non è più specie ma  individuo, che non è più esperienza collettiva e storica ma nuda esperienza individuale. Il criterio storico-evolutivo che, per aver riconosciuto la legittimità dei processo all’ infinito, ha  posto, come termine primitivo delle esperienze, la  esperienza stessa e, come causa degli effetti, l’effetto o la serie degli effètti stessi, deve raccogliere  i frutti del suo inconsulto procedere e deve togliere  sopra di sè la contraddizione di un termine derivato  che si postula come termine primitivo. La filosofia tradizionale, la teoria nativistica come  per dileggio la chiama l’ Jliering, aveva adunque  ragione quando poneva a sostrato primitivo e causale la natura deir uomo e non il processo della  storia, la coscienza giuridica e non le esperienze  edonistiche ed utilitarie. Il fenomeno della evoluzione presuppone il noumeno della creazione, nella  filosofia del dritto come nella cosmologia : il divenire presuppone l’essere che diviene e che sussiste  lo stesso attraverso e non ostante il divenire. Senza  una coscienza giuridica bella e data, l’esperienze  giuridiche non sarebbero nate, perchè è la facoltà  che crea le esperienze e non le esperienze la facoltà. Ed invero, senza una coscienza giuridica universale connaturata in ciascun membro della razza  o della specie, l’intimo consenso in certe verità giuridiche fondamentali, attestato dalla stessa osservazione serena dei fatti, non sarebbe mai venuto alla  luce. L’esperienza, la quale procede a furia di esperimenti, di correzioni, di prove rudimentali, incerte,  provvisorie e che è sempre varia da soggetto a sog-  getto, da caso a caso, non può aver potuto determinare, per la contraddizion che noi consente l’universalità e 1’ unità della ragion normativa e della  coscienza. Si riduca questa unità e questa univer-  salità alle semplici proporzioni di una funzione for-  malo e vuota di contenuto, ebbene non sarà mai  concepibile come quella unità della forma della coscienza inorale possa essere uscita dal fondo di  esperienze soggettive, senza un fondo comune di  attitudini preesistenti, senza un addentellato di sor-  ta. 1/ antropologia dell’ evoluzione può aver pro-  vato, si conceda per un momento, che il contenuto  della morale e della giustizia varia da popolo a popolo, da tempo a tempo, ma non può aver provato  che ne varii altrettanto la forma. Essa, anzi, ri-  prova indirettamente che la materia infinitamente  diversa del dritto reca in sè V impronta di una co-  stante unità di leggi e di funzioni, le quali sono, alla coscienza morale dell’umanità, quello che al  pensiero le leggi e le funzioni a priori della conoscenza; e che muta il contenuto dell’ atto morale,  ma immutabile ne è la ragion formale; ossia le con-  dizioni necessarie all’atto morale come tale sono immutabilmente concepite e, sarei per dire, plasmate  nella forma assoluta d 7 un imperativo incondizionale,  d’un dovere. Si assuma il più semplice degl’istituti  giuridici del più semplice dei Natur-Viilker, ebbene l’analisi vi scopre sempre questa proprietà ideale :  il convincimento di una legge estra-soggettiva, che  è fuori e sopra l’arbitrio individuale ed alla quale  è doveroso prestare obbedienza. La pretensione giuridica del selvaggio contiene un elemento spirituale  che è condizione comune a tutte le pretensioni giuridiche di tutti i popoli più culti. Quella pretensione è appresa come una legge impersonale, non  solo rispetto ai soggetti presenti sui quali si esercita, ma altresì rispetto a tutti gli altri soggetti,  che sieno per trovarsi nella stessa condizione dei  primi, e, quindi, rispetto allo stesso soggetto pretensore, ove egli in tale condizione venga a trovarsi.  Motivo etico della pretensione o del comando, quel  motivo, cioè, per cui l’una o l’altro è appreso come  autorevole e fonte di obbligazione doverosa, è sempre  la conformità presunta di quella pretensione o di  quel comando ad una legge. Che la conformità presunta non sia conformità reale importa poco: resta  sempre stabilito ohe condizione necessaria dell' atta  giuridico, condizione universale e comune a tutti i  popoli della terra, è l'intuito dell'atto stesso sotto la  ragion formale del giusto. Ohe questa proprietà ideale  non si trovi così nettamente distinta e differenziata  nella coscienza morale del selvaggio, importa ancor  meno. L’analisi è creatura della riflessione scientifica,  laddove l’idea del bene e del giusto è un intuito sin-  tetico della coscienza: 1’ assenza del l'un a è ben lungi  dal provare quella dell’altra. L’analisi rende molteplice e successivo rispetto a noi quello che è uno e  simultaneo rispetto alla natura: confondere questi due  aspetti è convertire in ipostasi reale un fenomeno  della nostra difettività conoscitiva. Senza dubbio, l’unità e la comunanza della semplice-ragion formale del bene e del giusto non basta  a fondare una morale, nò una filosofìa del dritto.  Un’etica senza contenuto è una logica del bene e del  giusto, non una nomologia. Quella unità della coscienza si traduce in piena iudifferenza e la percezione  della ragion formale del giusto in un mero momento  psicologico. Ma, se questa unità formale della coscienza morale è poca cosa rispetto alle esigenze ed agli  uffici dell’ etica positiva (e però noi non ci ristiamo  a lei, ma ammettiamo un contenuto morale, quale  quello che ci detta la filosofìa teleologico-cristiana, e  sulle orme della scuola di Max Mailer vediamo, nelle  tristi condizioni morali dei Natur- Volker il prodotto  di un pervertimento derivato) è molto rispetto alla  critica della sociogenesi della evoluzione. La quale si  chiarisce così contraddire apertamente non solo alla teleologia inorale, ma benanche alla critica, più negativa e più «pregiudicata, della ragion pratica. Come per avventura, le incerte esperienze dei soggetti sub-umani abbiano potuto determinare l’unità  della ragione e dell’intuito formale del giusto, vale  a dire quell’ unità che è il residuo non eliminabile  di un’analisi corrosiva della moralità umana: ecco un  enigma che il criterio storico-evolutivo non riuscirà a  decifrare mai. Gli è che la presunzione della tabula rasa non  è meno infondata nella sociogenesi, di quello che  lo sia nella ideologia : anzi nell’ una è più insoste-  nibile che nell’altra, perchè il dritto è una idea cosi  complessa che anche delle scuole filosòfiche, le quali, nella serie regressiva dei fenomeni della conoscenza, pongono come termine primo la esperienza,  hanno sentito il bisogno di concepirne l’idea e la vocazione come connaturata nell’ uomo, come un habitus  della natura. L’ atto giuridico e 1’ atto morale non  nascerebbero mai, ove nella volontà dei soggetti non  vi fosse una cotal disposizione naturale al bene e al  giusto, la qual vocazione, a sua volta, difetterebbe  ove non vi fosse un intuito originario del bene e  del giusto. Ignoti (chi noi sa?) nulla cupido. La volontà non è, da per sè, una legge, come volle il RAZIONALISMO CRITICO di Kant, ma nemmeno è indifferente a qualsiasi legge,  come vorrebbe il plasticismo degli evoluzionisti. Kon  è autonoma di fronte alla Legge Suprema ed al  supremo legislatore, ma è tale di fronte al resto,  à o’ dire che nella volontà umana v’ è una vocazione primitiva verso quello che è buono e che è  giusto, vocazione indipendente dalle condizioni dell’esperienza e della storia. Dicendo ciò, non si oltrepassano i limiti della lìlosolìa per entrare nell’orbita della teologia (benché un rimprovero siffatto,  ci affrettiamo a dirlo, sarebbe per noi un titolo di  onore). Principio conoscitivo del bene e del giusto  rimane, con tutto ciò, l’analisi della coscienza, come principio ontologico dell’uno e dell’ altro, la NATURA UMANA. Noi siamo i veri positivisti, noi, die  ci reggiamo sul saldo sostegno della physis, ma della pliysis non deformata dalle preoccupazioni materialistiche. Rifacendo la serie regressiva delle cause, la filosofìa pone una causa prima che muove  la natura senza esserne mossa: intenta a discoprire  V origine prima di tutte le cose che sono nel tempo,  la logica la costringe ad uscir fuori del tempo. L’evoluzionismo può deridere questa logica, ma non  rintuzzarla. L’ esclusione di un assolutamente prius  è impossibile. E ad esso, dico al positivismo, non  rimane che o attestare, con tacito assenso, la presen-  za del soprannaturale, ovvero rimaneggiare con  ostentazione di novità e di maturità quella povera teoria mitologica della spontaneità creatrice degli  uomini primitivi. Quell’ assolutamente prius, quel  termine primitivo delle esperienze, se non è una  creazione del SOPRANNATURALE, deve essere una ge-  neratio aequivoca della natura primitiva : una genialità eroica, un salto mortale degli esseri sub-umani.   Per. sfuggire alle ritorte della logica, il criterio  storico-evolutivo non ha altro spediente che quello di adagiarsi in esse, di accettarle deliberatamente,  di sistemarle anzi: quello, cioè, di bandire addirittura il problema delle origini, facendo sorgere la  risoluzione di un problema insolubile dalla disperazione professata di risolverlo. Questa esclusione del  problema delle origini, come di cosa inconcepibile in  sé, è postulata dalla logica del divenire. La conti-  nuità evolutiva dei fenomeni dell’ universo esclude,  per logica di cose, ogni nozione di principio o di  fine. Questi due termini estremi rappresentano  il discontinuo, il vacuo, il salto per eccellenza, onde sono fuori della evoluzione. L’ evoluzione è pan-  teistica: è 1’ eternità trasferita da Dio al mondo: ora  non va dimenticato che 1’ eternità esclude cosi l’origine come la fine. Gl’evoluzionisti odierni lian  poco compreso la portata del criterio evolutivo, perchè ad essi ha fatto difetto quella penetrazione,  metafisica che la fece comprendere cosi egregiamente al Leibnitz: ond’ essi, pur professando la teoria dell’evoluzione, seguono ciò non pertanto a cinci-  schiare il problema delle origini! Ma ciò non toglie che la loro dottrina si dibatta tra le strette di  questo dilemma: o accettare la logica dell’ evoluzio-  ne e quindi cessare di essere positivisti e confessar-  si per animali metafisici di una specie alquanto di-  versa dagli avversari: o deviare da quella logica e    fi) b as Princip dor Continuitlit verbot in der Reihe der  Erschein angeli alien Unsprung. Kant. Kr. d. r. Vera. (Ed. di  Ilarteustein). E lo aveva ben compreso il v. Savigny.] zwisclien Gesclilechter und Zeitalter nur Entwickluug  aber nicht absolutes Ende uud absoluter Anfang gedacht werden kann. Vom Beruf unsero/ Zeit u. s. w. Ili Aufl. cadere nelle contraddizioni di un primitivo che è  derivato o di un a posteriori che è primitivo. La ritorsione del secondo corno del dilemma è stata analizzata parecchio fin Qui. Giova solo aggiungere  qualche- cosa su quella del primo. Ed anzitutto, che  i positivisti, accettando la logica del criterio evo-  lutivo, diventino di punto in hello metafisici non è chi noi vegga. L’ esperienza è limitata alla condizione  del tempo; l’evoluzione è, invece, fuori del tempo, è,  ripeto, la eternità trasferita dal mondo di là al mondo di qua e, nello stesso mondo di qua, dalla sostanza ai fenomeni. Confessi, adunque, il positivismo  che il criterio storico-evolutivo è un criterio sovra-  em pirico; che esso non abolisce la metafìsica ma  ne fa una per suo conto; che non elimina il SOPRANNATURALE ma converte invece ih naturale in sopran-  naturale. Confessi altresì, che, quando promette di  darci il nascimento ed il processo fenomenico delle  cose, esso mentisce sapendo di mentire. Il criterio  dell’ esperienza e della storia, strettamente considerato, ci dà i termini disparati e sconnessi e non il  vincolo di quei termini, i fatti compiuti e non la  legge del loro divenire. Il continuo sfugge alla storia: essa non ci dà che una moltitudine di vacui e  di discreti, tra i quali la mente umana riconosce un  ordine che reca la impronta della metafisica che  v’ è in lei, ossia di quella somma di concetti che  essa ha di già sulla natura degli esseri soggetti al  divenire storico. Ed ecco così che il realismo giuridico, la filosofia del dritto genetica e fenomenolo-  gica vien meno del tutto al suo programma : non  solo l’essere dei fenomeni giuridici, ma e il nascimento e il divenire di questi esseri esso ignora. Re-  siduo positivo della critica mossa alla filosofia è la  scepsi pura nel campo del dritto; una scepsi dog-  matica più cbe quella filosofia e elie non soddisfa  nò al criterio filosofico, nè alla esperienza.  li positivismo giuridico ed il problema etico   della filosofia del dritto — Il dritto NATURALE. Il dritto non è soltanto una idea ed una sostanza,  ma, altresì e soprattutto, una norma. Esso è idea  umana e, quindi, non è idea quiescente, ma forza,  nè solo anticipa l’essere, ma detta il dover essere.  È una idea imperativa per eccellenza ed, appunto  perchè tale, essa, ripeto, è forza: forza ideale e virtù  morale, s’intende, e non coercizione fisiologica o psi-  cologica.   La filosofia che attingeva lume da questi sovrani  criteri riconosceva, in correlazione al dritto positivo,  un dritto ideale: questo era per lei una legge e  quello un fatto; un fatto che desume il suo valore  dal rapporto che ha a quella legge, dall’essere esso  una forma di attuazione, d’ individuazione di quella  legge. Questo fatto poteva adequare, se non in tutto,  in buona parte quella legge, ma non l’adequava necessariamente: ed, in tutti i casi, il suo valore era  misurato dal limite di approssimazione al dettato di  quella legge. Astraendo il dritto positivo da quel  parziale contenuto ideale che vi sta dentro, da quello die fa sì die esso sia non solo positivo ma dritto^  di quel diritto positivo non rimane, per la fìlosoiìa r  die il fatto bruto, indifferente, sfornito di significa-  zione. Così per la filosofia seguiva un doppio processo: il dritto naturale conduceva al dritto positivo-  pel bisogno della sua effettuazione empirica ed il  dritto 'positivo rimenava al dritto NATURALE pel bisogno di un titulus jitris e di un sostrato razionale.  L’un termine non era 1’ altro, ma aveva rapporto  air altro. Erano due correlata , non due contrari.  Perchè non erano tutt’ uno, legittima era la ragion  d’ essere dell’ uno e dell’altro ad un tempo, e, perchè erano tutt’ uno in qualche cosa, in qualche ri-  spetto, Fano dei dite non negava, non contraddiceva  assolutamente l’altro. L’ideale non era del tutto inaccessibile al reale e, perciò stesso, intrinsecamente difettivo ed erroneo: il reale non era del  tutto contrario all’ ideale e, quindi, assolutamente  ingiusto e condannevole. Questo rapporto che era  concepito tra i due termini faceva sì che Puno conferisse all’ autorevolezza dell’altro. Il dritto positivo  attingeva la sua virtù imperativa dal dritto natu-  rale, ossia dall’esserne esso una varietà fenomenica,,  ed il dritto NATURALE desumeva da quello la possibilità di trasferirsi, d’individuarsi nei limiti del relativo e del condizionato, nella storia. Così la filosofìa  era tanto più vicina alla dialettica sapiente della  vita, quanto più era lontana dalla dialettica fanta-  siosa della logica; e come, nell’ ordine delle idee r  essa segnava la via di mezzo tra Pottimisino ed il  pessimismo, così, nell’ordine dei fatti, tra l’umore  conservativo e l’umore rivoluzionario. Il positivismo si atteggia anche qui, anzi soprattutto qui, ad avversario reciso della filosofia. Come  nell’ ordine teoretico esso predica l’esclusione sistematica dell’ a priori e l’ apoteosi dell’ esperienza ut  sic, così nell’ ordine pratico esso dogmatizza l’esclusione della norma doverosa e 1’ apoteosi del fatto.  Ed è giusto. L’ esperienza gl’ insegna l’ essere o  l’essere stato, non il dover essere: la storia non gli  dà che fatti o, tutt’al più, che leggi empiriche di  fatti. L’evoluzione gli fornisce una legge di causalità naturale che è la negazione recisa della legge  morale: nessuno dei criteri, ai quali esso fa ricorso,  gli suggerisce la nozione del dovere. Tuttavia, poiché la necessità morale è un rapporto che è più facile escludere tacitamente, per  esigenza di sistema, che negare di professo, e poiché  il positivismo moderno é abbastanza raffinato per lu singarsi di fare a meno dei rapporti ideali della metafisica (benché noi sia quanto é necessario per persuadersi della loro verità), esso si tiene ben lungi dal  rassegnarsi al puro fatto del dritto positivo ; bensì  non resiste alla tentazione di interpetrare questo fatto  in funzione di una legge che gli conferisca a priori  valore ideale ed assoluto. È dritto quello che é imposto dai poteri coattivi ed é dritto in quanto e perchè è imposto ; ma, quest’ autorevolezza giuridica, se  coincide col fatto stesso del comando, non coincide  tuttavia col fatto del comando attuale , ed è conse-  guenza o espressione di una virtù presupposta nel  fatto del comando abituale , del comando in quanto comando. Il principio — EST IVS QVIA IVSSVM  ed  è la formula del positivismo e noi f abbiamo veduta assentita implicitamente e per ragion di contrasto  dal v. Jheriug e dal Daliu, professata espressamente dal Lasson e dal v. Kirchmann, idealeggi ata, in  omaggio allo psichismo , dal Bierling.   Quella forinola, per quanto positiva, implica un  sottinteso razionale. Ed il sottinteso è il seguente : il  fatto del comando è la sorgente appunto del dritto: o  altrimenti: l’essenza del dritto consiste nel comando.  Il positivismo lia, pertanto, anch’esso la spa massima: l’attitudine che esso assume di fronte al fatto non è  puramente passiva, o, se è tale, lo è o si avvisa di  esserlo coscientemente e razionalmente. Non v’è bisogno di analisi minute per vedere quale e quanta  conferma indiretta, (conferma formale, s’intende) rechi questa massima del positivismo alla metafìsica  del dritto naturale. Il compito razionale del dritto  naturale non è propriamente escluso, ma applicato  ed atteggiato in modo diverso che prima; è una materia, nuova che si contrappone al contenuto antico  di quel dritto, non una nuova forma. La filosofìa  aveva per criterio conoscitivo del dritto NATURALE la ragione indagatrice dei tini dell’ universo e della  natura morale dell’ uomo: il positivismo ha per suo  criterio l’esperienza immediata dei precetti del potere positivo. La filosofìa aveva per principio ontologico del  dritto l’ordine morale della stessa natura dell’uomo e degli stessi fini delle cose : il positivismo, invece,  il fatto stesso della coercizione potestativa, in quanto  tale : nell’ una come nell’ altro, le disposizioni positive sono un fatto che in tanto ha valore in quanto  gliel conferisce il rapporto vero o presunto di conformità di detto fatto ad una data legge o ad una data massima. Varia solo il contenuto della massima  e della legge, che nella filosofìa è sintetico, dovechè  nel positivismo è analitico : perchè nell? una è attinto altronde e nell’ altro è spremuto dal fatto stesso  delle disposizioni positive o, che è lo stesso, pre-implicato, con dialettica a priori, nel fondo di esso  fatto.   E che la massima del positivismo si traduca in  un’ analisi vuota, in una petizione di principio, non  v’ è dubbio alcuno. La forza coattiva del comando è  criterio del dritto, solo perchè il dritto si è preconcepito come forza e forza fisiologica; solo perchè la  nozione di una potenza spirituale del dritto in quanto  dritto, ossia in quanto norma di ragione, si è anti-  cipatamente esclusa, come nozione che trascende l’esperienza, solo perchè si è posto o postulato, anzi  tempo, il principio che la forza, che noi intendiamo  morale , degl’ imperativi giuridici non si differenzia  dall’ attuazione materiale e dal successo di fatto;  solo perchè si è stabilito antecedentemente che la  condotta dell’uomo non può essere determinata che  dai motivi empirici e psicologici della sanzione po-  sitiva ; solo perchè si è presupposto che il dritto  non è una idea, ma un fatto e che l’assenza dell’attuazione del dritto è sempre ed in tutti i casi  assenza del contenuto e della virtù imperativa del  dritto stesso. Ed invero, se la coincidenza della forza,  etica con la forza fisica, del dritto col fatto, non  fosse un presupposto, onde e come il positivista si  farebbe a provarla ? Con l’esperienza ? Ma l’esperienza gli consegna il fatto semplice e nudo, la nuda  e semplice forza fìsica ; se e fino a che punto 1 uno e l’altra sieno dritto o forza morale, 1’ esperienza  non lo dice e non lo può dire, perchè ignora che è  dritto e che è forza morale. ]STè lo suffraga la storia, la quale può provare concludentemente la presenza o meno dell’attuazione di fatto del dritto, non la  presenza o meno deila necessità di tale attuazione. Il  positivismo deve, per necessita di cose, far capo alla  speculazione, per dimostrare il suo assunto; se non  che, è appunto la speculazione che ne denunzia l’illegittimità, perchè, se il dritto positivo ed il dritto NATURALE sono termini semplicemente correlativi, il fatto  ed il dritto, la forza bruta e la forza morale sono  termini addirittura contradditori, tra i quali non vi  è presunzione di coincidenza o di accordo che tenga. Portando poi la questione in altro campo, è bene  por mente che, per tacciare di sterilità la idea ed  il dritto e per predicare come sola forza viva delle  cose il potere coattivo e materiale (ed il convincimento radicato di quella sterilità è il motivo psicologico che persuade al positivismo il culto del potere coattivo) occorre aver dimenticato, o non aver conosciuto e compreso giammai, quanto la forza spirituale di talune idee universali, di alcune esigenze morali, di alcuni canoni giuridici sia stata superiore, nel corso della storia, alla forza materiale dei poteri  dominanti e quanti trionfi sulla tenacità di resistenza  dei tatti abbia ri portato tuttora la forza ideale del dritto. Le quali conferme di fatto la filosofia le accetta e le  oppone  sorte di agli avversari, senza, per altro, vincolare alla  esse la sua, perchè (è bene ripeterlo) la forza ideale, la virtù imperativa del dritto è, per essa, indipendente dal successo di fatto o dall* osservanza   <ìgì soggetti. Il (lovorG g dovere, clie lo si adoni pia  « no; e la violazione è un mero fatto che opera si  elie 1’ idea non divenga un fatto, ma non sì che  l’ idea cessi di essere idea. Doveehè il positivismo  da questa confusione tra idea e fatto prende le mosse  e questa confusione solleva a sistema. Suo assunto è  il seguente: 1’ idea non è idea perchè non è un fatto: o  altrimenti: l’ idea non esiste in quanto idea, perchè  non esiste in quanto fatto. Il qual paradosso non può  essere legittimato che da un sottinteso non meno  paradossale: l’idea non esiste come idea, se non in  quanto non è più idea. Se, adunque, il secreto tentativo di conferire a  priori alla nuda forza materiale valore e contenuto  ideale cade nell’ insuccesso, vien meno altresì quel1’ apparenza di legittimità, onde il positivismo si face bello. La logica delle cose rimuove quella pretesa dialettica del dritto con la forza, denudando  quest’ ultima di quell’ involucro spirituale nel quale  si veniva dissimulando. Ed allora ai positivisti si  pone un dilemma dal quale non vi è via di uscita:  o riconoscere la legittimità della nozione del dovere  e, quindi, rientrare nei termini della filosofìa del  dritto naturale, o professare apertamente l’immoralismo della forza. Perchè tra l’una cosa e 1’ altra [ Ist clas Recht nur Recht, uutorschieden von Willkiihr  mici Gewa.lt, wenn and soweit es eine dea Willen vcrjìjlichtcnde  Kraft in sich triigt, so Htellt sichjeder; der von Recht spricht  nnd Weiss was er sagt, auf dem ethischcn Stand]) nuli, aut doni  Boden des Scimollenden. Alle naturalistischen nnd miterialisti-  ficlien Doctrinen kdiìnen daher nur durch Iuconsequenz, dureli  Urklarheit und Confusion oder durch sophistische Rrsclileichun-,  gen vor der Identifìcirung von Recht und Gewalt siedi scliiitze n — Vìvici — Natur recht non v’è via di mezzo che tenga; il contrapposto tra  la physis ed il nomos, tra la necessità fìsica e la  necessità morale, è irriducibile: chi non voglia assentire alla logica della seconda non può, ov’egl’abbia mediocremente a cuore la coerenza filosòfica,  rinunziare alla logica della prima. E, quando si confessi apertamente che il titolo che fonda la legittimità esclusiva del diritto storico e positivo è laforza  materiale dei poteri governanti, allora noi non avre-  mo più alcunché da opporre e ci terremo paghi di  darci per vinti. Il problema, allora, non è più da  dibattere, nè da risolvere, perchè difetta quel consentimento in un prius della ricerca, che pure è necessario  per sostenere una polemica qualsiasi. Il positivismo  potrà, a buon dritto, millantare il privilegio che godono tutte le forme di scepsi assoluta, tutti i sistemi  negativi, tutte le demolizioni dottrinali della verità  e della natura: il privilegio di esser fuori della critica, perchè si è fuori della coscienza umana. Se non che, di questa logica di sistema non tutti  sono accorti; ne sono, anzi, ignari pressoché tutti.  Ed è forse questa ignoranza il motivo della loro te-  nacità. Essi usurpano, senza volerlo deliberatamente,  le esigenze ed anche un po’ le soluzioni del dritto  naturale, lieti che una materia presa d’altronde risparmi ad essi la fatica ed il dolore di saggiare a  londo la insostenibilità del loro assunto originario.  Del resto questa apoteosi del dritto di fatto e della forza non è il sèguito di un proposito meditato e rigorosamente positivo, ma di una esigenza tutta/  negativa che domina i nostri positivisti. La esclusività che essi appongono al dritto positivo, è la conseguenza della esclusione clic essi Inni fatto dianzi di alcune forme storiche del dritto naturale; for-  me storiche che essi hanno scambiato sul serio con  la sostanza stessa del dritto NATURALE, in orna ir-  gio a quel vecchio espediente solistico di fare  un fascio della scienza e degli scienziati, della  idea e delle applicazioni, dell’uso e dell’ abuso, del-  la realtà oggettiva e della percezione soggettiva. E  di sistemi o di concepimenti individuali o collettivi  di dritto naturale ve ne ha parecchi e di diversa  natura; onde la impresa d’ insinuare i propri criteri  positivisti tra una critica e l’altra di questo o quel  sistema sbagliato di dritto naturale sembra larga  prò metti tri ce di successi. Se non che, alla prima  analisi cui si sottoponga (e parlo di un’ analisi elementarissima e superficiale) quel termine polisenso  che è il diritto NATURALE, i successi del positivismo, come di ogni cosa che poggia sovra un equivoco,  si dissipano d’un tratto.V’ha anzitutto una forma di dritto NATURALE, la quale, benché prenda le mosse dallo schematismo  universale della NATURA UMANA e dalla premessa dello STATO DI NATURA, ha tuttavia carattere e tendenze  originariamente empiriche e si presenta non già  come una dottrina creativa di dritti o di esigenze morali in contrapposto al dritto positivo, ma  piuttosto come una semplice astrazione ed elaborazione concettuale del dritto storico vigente. V’ ha, indi, una [Ciò è messo discretamente in luce da Bergòohm  risprudenz u Rechtsphilosophie.  Ju-] altra forma di dritto NATURALE, quella ohe, per abusata terminologia si chiama diritto NATURALE (NATURRECHT) per antonomasia, ed è il diritto NATURALE dell’AuJhUirung e DELLA RAGIONE, di cui è conosciuta la  storia assai più, forse, che il carattere e l’indole  vera, che è razionalista nel metodo, subiettivi sta nei criteri, anti-storico nelle esigenze, umanitario nel contenuto; che e la scuola in cui il diritto nou è pi 11  astrazione o generalizzazione dell’esperienza storica,  ma un lofjo della ragione creativa, e nel quale lo  STATO DI NATURA è (almeno in quanto ha di meglio) meno una premessa di fatto storico, che un mito (H. P. GRICE), una ipotesi razionale postulata a legittimare una data serie  di obbligazioni giuridiche o la possibilità stessa di  una obbligazione giuridica: che ha nel suo attivo e  nel suo passivo, ad un tempo, la dottrina (atteggiata in modo particolare) dei dritti dell’uomo e la  grande rivoluzione. V’ha, poi, il dritto NATURALE  della filosofia perenne; che non è forma ma sostanza delle forme; che è anteriore, per ordine di tempo, così al NATUR-RECHT empirico come al NATUR-RECHT RAZIONALISTICO e che non è nè l’uno nè l’altro, benché l’uno e l’altro nella lor parte migliore si approssimino ad esso; che emerge dalle profondità  della coscienza umana iu qualsiasi luogo ed in  qualsiasi tempo e che la cultura romana antica (CICERONE) specula non  meno che la cultura moderna; che non è patrimonio di questa o quella filosofìa personale, ma della  tradizione storica ed impersonale della filosofia;  che non è contrario sistematicamente al criterio storico, ma non lo è nemmeno al criterio speculativo;  che rifiuta la ragione, come virtù creativa delle cose, ma la tieu salda come potenza conoscitiva dei rapporti ideali e delle norme mperative; che supera  il subiettivismo assoluto dell’AujMarung , ma non  ne trae argomento a rinnegare le esigenze oggettive della coscienza umana come tale ; che è illuminato da una concezione teleologica dell’universo e della vita, ma non profana per questo il suo finalismo nelle aberrazioni del panteismo ottimista e  del pietismo storico; che si rappresenta i dritti dell’uomo circoscritti dalla funzione correspettiva del  dovere, ma non sconosce la sostanza ed il valore imperativo dei dritti attinenti all’uomo come tale, anzi  questi diritti rivendica tuttora e consacra. Ora è *questo* dritto NATURALE che, in nome della  filosofia, si oppone oggi al positivismo, perchè è esso  che segna il sostrato permanente delle forme storiche particolari; e questo dritto NATURALE è così lungi  dall’ essere posto a mal partito dalla critica che i  positivisti oppongono a questa o a quella forma  onde questo o quel filosofo, ovvero questa o quella  scuola di filosofi lo ha concepito: che anzi taluna  di quelle critiche se la potrebbe appropriare esso  stesso, senza infirmare per questo il suo contenuto  sostanziale. E dico a bella posta: taluna: perchè parecchie, la maggior parte, di quelle critiche, sono  del tutto infondate. Quelle, in specie, che si dirigo-  no al dritto naturale razionalisti co, ossia al dritto NATURALE, sono sì arbitrarie e, ad un tempo, sì pretensiose che si rende urgente il bisogno di rintuzzarle in nome della sana e serena filosofìa. Di già  quel dritto naturale non ha avuto ancora, nella lotta  delle dottrine, quella piena giustizia, della quale i torti innegabili, ina pur sempre largamente compensati non gli scemano la legittima aspettazione. Dagl’avversari, che lo fraintendono o lo giudicano  con criteri unilaterali, agl’amici (cito tra questi Spencer del The nxan versus thè stette e della Jnstice)  che ne appropriano quello che esso ha di men buono, è tutta una gara ad abbuiarlo, a rimpicciolirlo,  a deformarlo: alla quale non poca parte confermai suoi tempi, lo Stalli, per aver voluto, in omaggio  alla sua dialettica possente, predicare della sostanza  del dritto naturale le note e le categorie applicabili  al solo panlogismo hegeliano, che si traduce, a sua  volta, in un sistema intrinsecamente realista e positivista. È di moda, ad es., tacciarlo di astrazione concettuale, abusando del doppio senso della parola  astrazione , e non si pensa che esso rappresenta precisamente il contrapposto di ogni astrazione con-  cettuale della realtà empirica, differenziandosi, ap-  punto per questo , da quel dritto naturale che  immediatamente lo precede. L’ astrazione non è  punto un procedimento trascendentale e sovra-empirico, come si crede comunemente: essa è, anzi,  una delle tappe del processo induttivo. L’astrazione  è, propriamente, un processo di semplificazione  logica dei dati empirici, non un criterio conoscitivo  che trascenda i dati stessi. Assumere la parola   Parrebbe averlo egli stesso confessato, là dove (Geschichte der Rechtsphilosophie) illustra lo aspetto empirico del natur-recht dichiarando apertamente che solo con  1 Hegel può dirsi “der ununterbrochene Faden logischer  Forderung durchgefuhrt. Aastrazione nel senso di una intuizione sovra-empirica è assurdo. Bisogna aver dimenticato così l’etimologia del vocabolo, abstrahere, come fi analisi del processo conoscitivo. L astrazione è la via traverso la quale si perviene all’universale logico: il quale universale logico è l’unico sforzo cogitativo che si possa consentire  l’induttivismo e l’empirismo Se, adunque, astrazione non significa che questo, non è arduo vedere  quanto arbitraria sia la censura mossa al diritto  NATURALE. La ragione del NATURRECHT è così poco ragione astratta da una serie di concreti preconosciuti, che anzi essa è una creazione, una conoscenza ex  novo ed intuitiva. Il diritto NATURALE è, nel fondo,  ont elogistico: ond’esso ha per suo criterio l’intuito  creativo della ragione, anziché l’esperienza del reale,  fi analisi, la riflessione, l’astrazione. Il genus proximum dell’ uomo, ossia del soggetto  dei dritti connaturati, è, ivi, meno un residuo dell’astrazione dalle differenze specifiche, ossia dalle  varietà contiagibili e storiche, che una speculazione  a priori e so vraem pirica delfi università reale della  natura umana. E dico che è tale nella sua esigenza  e nel suo interesse filosofico, senza punto giudicare  se quella esigenza o quell’ interesse siano stati sempre e coerentemente soddisfatti. Ed è appunto dall’essere fi intuizione, l’Anschauung, il suo processo  ed il suo criterio, che segue la sua virtualità, sarei  per dire la sua impulsività etica. L’ astrazione è  puramente logica; è negazione esplicita della vita,  della forza, delfi attività, delfi ethos. Carattere del  dritto NATURALE è, invece, la sua potenza attiva, la sua forza suggestiva di riforme e creativa di rivolgimenti: suo prodotto immediato è quella obsessione  spirituale che investi l’umanita, tiascinandola in  quel salto dal pensiero all’azione, dalFideale al reale,  dalla natura alla storia, vero salto nel buio, che fu  la rivoluzione. V’ lia bensì l’astrazione concettuale  anche nel dritto naturale: ma questa astrazione, anziché essere il prodotto d’ una esigenza sovra-empirica come si crede dai piu, è più presto la conse-  guenza naturale di quella iuiìltrazioue empirica che  vi si venne formando, allorché i suoi cultori, non contenti di aver annunziato una serie di principi e  di averli speculati a priori , il che, metodicamente  parlando, era perfettamente giusto, vollero fare un  passo più oltre e costruire, per via di un'analisi  concettuale di quei principi, la serie degli atteggiamenti concreti della vita giuridica. Per una simile  costruzione logica miglior presidio non si offeriva ad  essi che 1’ astrazione, ossia la semplificazione logica  dei concreti ottenuti dall’ esperienza. L’intuizione  non poteva servire alla bisogna, perche è proprio-  dell’intuizione cogliere i rapporti ideali e 1’ univer-  sale delle cose o, più brevemente, le idee, non i  concreti od i fenomeni. Essi, adunque, travagliati  da una esigenza empirica, fecero capo all’astrazione; e  dal mondo reale e dalle condizioni sociali ed economico-politiche del tempo loro astrassero tutto un contenuto storico e particolare, il qual contenuto essi  hanno predicato dell’ umanità intiera, jiervertendo,.  così, in universale logico, l’universale reale e, nella  indifferenza dialettica, 1’ unità della natura umana.  E qui che la critica dello Stali! e degli altri acerbi rampognatoli coglie, senza dubbio, nel segno, ina non  già perchè il dritto naturale sia caduto nelle speculazioni a priori della ragione, bensì perchè esso  è caduto nel circuito dell’analisi e dell’empirismo,  o, se l’astrazione si voglia assumere, per un momen-  to, nel senso che le conferiscono i nostri avversari,  non perchè essi abbiano astratto troppo, ma perchè  anzi hanno astratto troppo poco. La natura traccia  le linee fondamentali. I dettagli dell’ esecuzione li  lascia alla stòria ed alla volontà positiva. Il vero  dritto NATURALE ci dà una serie di criteri o di principi del dritto, i quali sono, bensì, un dritto, ma  un dritto ideale e potenziale. Essi, quei criteri o  quei principi, sono un prerequisito del dritto feno-  menico, ma non sono ancora, propriamente parlando,  un dritto fenomenico bello e dato; il qual dritto è  la risultante complessa di condizioni empiriche, nelle quali quei principi e quei criteri s’individuano  ma non si consumano. Questo principio è eflicacemente illustrato, uon senza  per altro un po’ di formalismo, da Feuerbach, Das  Reclitsgesetz, obgleìch durch sich selbst aUc/emcinf/ultig. kanu  dennoch als blosses Vernini ftgesetz nicht allgemeingeltend werden. Soli es wirklioh herrsclien, so muss dieses Reehtsgesetz aus dem Reicke des Vernunft in das Reich der Erfahrung,  aus der intelligiblen Welfc in die Welt der Sinne hiniibergetra-  geu werdeu. In dem Gesetze des Reehts erkenne idi nodi  nicht dio Reclite selbst, in ihm habe ich nur das Princip und  das Criterium ihrer Erkenntniss; dio Frage ; worin besteht das  rechtliche uberhaupt; nicht aber die Frage: was Rechtens sei  uuter diesel oder jener Bedingung, in diesem odor jenem Vorhiiltnisse. Ueber Philosophie und Empirie in ihrem Verliiiltnisse zur positiven Rechtsvnssenschaft=Landshut. L’ esigenza empirica che deforma il dritto NATURALE sta appunto in questo, nel serbarsi infedele al  suo assunto, nel sottoporre quello che dovrebbe es-  sere una speculazione del dritto naturale a quella  serie di condizioni alle quali è sottoposta la cono-  scenza del dritto fenomenico, nel trasferire alla no-  zione di quello le note che sono pertinenti alla no-  zione di questo; di guisa che essi muovano come  da un sottinteso: il presunto dritto naturale va trattato alla stregua del dritto fenomenico. Ad essi è mancata quella potenza o, forse meglio,  quella tenacità di tensione intellettiva che era necessaria per comprendere che il dritto naturale deve anzi  tutto rimanere dritto naturale, e che il giudizio sulla  esistenza di esso non deve essere sottoposto al regolo o al criterio moderatore dei giudizi sull’esistenza del dritto positivo. Anche qui, adunque, essi  sono in colpa non già per aver voluto far troppo di  dritto NATURALE, ma per averne fatto troppo poco; e  chi ha meno dritto di rampognarli di ciò è il positi-  vista. Ai principi del dritto NATURALE si potrebbe,  a buon dritto, torcere quel rimprovero che fa il LIZIO alle idee di dell’ACCADEMIA: essi, quei principi, sono  ipostasi intellettive delle realità fenomeniche individuali. Di qui 1’ aspetto malsano del dritto naturale :  la realtà della storia contorta in un falso schematismo logico: quello che sarebbe dovuto essere storico  relativo provvisorio, rifuso in una forma logica universale e rappresentato come eterno, assoluto, immutabile: la storia, insomma, negata come storia e  riaffermata come speculazione logica. Così, quel subiettivismo, che era la realtà di fatto del tempo dell’ AujUiirung si predica come natura dell’ uomo  in tutti i tempi. Alla proprietà ed al contratto si  conferisce quel contenuto rigidamente individualistico  che corrisponde alle mire secrete del sistema economico che si veniva affermando in quell’ ambiente storico, del sistema capitalista. La nozione dei  dritti connaturati alterata e deformata dalla miscela  inconsulta di elementi positivi e di pretensioni e di  attribuzioni acquisite.  Gli si appone a colpa, altresì, la nozione dello  stato di natura. Ma, se lo assumere uno stato primitivo della umanità governato da una legge spontanea  di natura e non da una legge o da un sistema di  leggi umane positive, se, dico, assumere questo stato  di natura a rigore di fatto storico può essere ed è  un abuso della mitologia, assumerlo, invece, come  una ipotesi lìlosohca, è, fuori dubbio, un processo  rigorosamente scientifico e fors’ anco metodicamente  necessario. Ogni pensatore che voglia differenziare  mediocremente il contenuto della vita sociale, che  voglia sceverare quello che è permanente da quello  che è transitorio, il substratum dai fenomeni, che  voglia discernere nettamente quello che in una data  associazione di persone va attribuito alla natura originaria di ciascuno dei membri da quello che vi si è  venuto soprapponendo per la reciprocità d’ influsso  dei membri tra* loro e per tutto il tessuto dell’ azione  sociale, ogni pensatore, dico, che voglia fare tutto  questo, deve porre lo stato di natura e contrapporgli  [Cfr. il nostro saggio ‘La terra nell’ odierna economia  capitalistica’ (Roma) lo stato sociale sopra v vegnente, deve distinguere limpidamente l’uomo della natura dall’uomo della storia.  È superfluo qui ricordare Spencer, il quale a  questa astrazione dell’ uomo della natura dall’ uomo  della storia (che per lui, naturalista reciso, si converte in un’astrazione dell’ unità biologica dall’unità  sociale) ha reso omaggio non solo nelle opere ultime  nelle quali egli restaura di professo il dritto NATURALE, ma anche nelle opere anteriori, le quali segnano il  climax del suo pensiero filosòfico. Il convincimento,  anzi, della legittimità di una contrapposizione dell’unità biologica alla unità storica, o, che per noi è  lo stesso, della legittimità di una ipotesi dello stato  di natura, è, forse, l’anello di congiunzione del suo  novissimo dritto naturale con la sua sociologia ed in  genere con tutta la sua filosofia sintetica, 1’ addentellato dell’ uno nell’ altra. Ricordo, poi, un illustre  positivista, come Kirchmann, il quale ha esplicitamente riconosciuto la necessità che le scienze morali,  prive come sono del sussidio dell’esperimento, invochino 1’ ausilio di ipotesi scientifiche per sopperire a  quel difetto, e, tra queste ipotesi, rivendica, di proposito deliberato, quella dello STATO DI NATURA). Non [Es ist die Wissenschaft der Sittlichen genothigt, nicht  bloss aut die sifctlichen Zustande der rohen und attesten Volker  mit besouderer Sorgfalt einzngehen, sondern sie muss noch  hinter die àltesten gesehiclitliclien Zustande zuriiekgehen und  durcli Hypothesen die einfachsten Zustande zu ermitteln suchen.  Diese Hypothesen kdnuen in ein phautastisches und fur die  Wissenschaft nutzloses Spiel ausarten. Allein mit Vorsicht  geiibt, ersetzen sie das Hulfsmittel der Experimente in der  Naturwissenschatt und sind nicht zu entbehren. Daher erklart es  8ich, das8 8chon LIZIO und spdter die Begriinder des Natur. ] L’uso di questa ipotesi va, adunque, rimproverato al  dritto naturale, ma l’abuso : ossia non la ipotesi  come ipotesi, ma la maniera particolare onde la si  atteggia. Quanto poi all’altra nozione del contratto sociale, che è quella che più si rimprovera al dritto NATURALE (e, tenuto conto delle conseguenze logiche  di essa, a buon dritto) va notato che nei più gran-  di cultori di quel dritto (cito ad es. il Kant) il con-  tratto sociale non è già un fatto storico, ma una  ipotesi RAZIONALE evocata a legittimare l’ordine giuridico dei rapporti umani, anziché a scuoterlo e  corroderlo. La teoria del contratto sociale è la ri-  sultante di due fattori : del sottinteso o presupposto  contrattuale, secondo il quale unica fonte legittima  di obbligazione autorevole è il consenso dello stes-  so obbligato; e della esigenza, che animava i cultori del dritto NATURALE, a legittimare il vincolo o  la serie dei vincoli sociali, anche quelli che non  lasciavano trapelare o supporre la presenza di un  consenso preesistente. Il CONTRATTO sociale è quel di  là dell’esperienza attuale, quell’ assolutamente prius  della storia, che sopperisce al difetto del consenso  attuale , con l’allegare una specie di consenso abi-  tuale , una Anerkenmmg , direbbe il Bierling, una mas- [rechts nùt TJrzmtanden des Memchen beginnen , welche uber die  Geschichte hinausreicheii. Der oft dagegen erhobene Tadel trifffc  nicht das Verfahren an sich, sondern nur den damit getriebenen Missbrauch. Es karrn desshalb auch hier dieses Mittel  nicht uiibeimtzt bleiben: aber die Vorsieht gebietet, es auf das  Nothwendige und Gewissere zu beschriinken. Grimdbegrifte  sima dell’assenso. Il contratto sociale esprime quindi  la dialettica che il pensiero dei cultori del dritto  naturale ebbe tentato tra la premessa logica del  contrattualismo e le esigenze della conservazione  sociale, tra la invincolabilità assoluta della libertà  naturale, postulata come principio, ed il complesso-  dei vincoli sociali, riconosciuti come fatto. Il che  si deve al fatto, riconosciuto dallo stesso Stalli, che essi, se per la logica, sarei per dire per la  consequenziarità, del loro principio erano, o meglio  avrebbero dovuto essere, rivoluzionari, nel fondo  del loro pensiero e della tendenza loro erano, invece, conservatori: senza dubbio degl’ingenui conservatori. Ohe se si voglia porre a carico loro  appunto il non aver compreso che il vero STATO NATURALE dell’ uomo è lo STATO SOCIALE, che non v’ ha bisogno di una ipotesi razionale quale che sia per  legittimare vincoli sociali i quali si legittimano da  sè, che si pensi, almeno, che il torto innegabile [Das NATURRECHT ist nachgiebig, wo es die Wirklichkeit gegen sich hat, es liisst sich jeden Zustand gefallen und  sucht ihu dnrcli IJnterlegung einer stillschweigenden Einwilligung zu rechtfertigen, uni sein theoretisches Interesse zu befriedigcn : die Revolution, dagegen, will die Macht der Wirklichkeit brechen, sie vernichtet jede Einrichtung , die uicht  aus ihreu reineu Vernunftbegriifen folgt. Ienes erdichtet fiir  jede Verfassung, die Mensehen liiitten sie gewollt, darait es sich  als frei denken kdnne, diese duldet keine Verfassung, die sie  niclit gewollt, dainit sie wirklich frei seyen. — Gesch. d. R.  phil. Quest’ antitesi del dritto naturale alla rivoluzione  è licondotta dallo Stalli ad una causa diversa che da noi. Ma  ciò non conta: importa che quell’ antitesi sia stata riconosciuto da quel profondo intelletto.] del dritto naturale va dovuto, in buona parte, alla  difficoltà di discernere i vincoli sociali, che sono  davvero conformi alle leggi della natura umana,  da quegli altri vincoli clic non sono tali. L’errore  loro, sarei per dire, è, in parte , un errore delle  cose. Niente più naturale all’ uomo dello stato sociale e pure niente, ad un tempo, più violento di  esso (antitesi questa che deve essere stata colta  da MANZONI, non ricordo più in qual punto delle  sue opere): perchè lo stato sociale, accanto ad una  serie di obbligazioni perfettamente legittime, perchè  perfettamente naturali, reca pure con sè (è il suo  lato debole come di ogui cosa di questo mondo) un  cumulo di coercizioni arbitrarie, giacobine , irrazionali che la natura convellono, incatenano, deformano. Che meraviglia, dopo ciò, che il dritto naturale  abbia colto questo secondo aspetto delle cose soltanto e niun conto abbia tenuto del primo, di guisa che si sia reputato in dovere di legittimare  quello che non sembrava legittimo a prima giunta  e di costruire con la volontà quello che non forniva la natura °ì Nei fenomeni di questo nostro mondo,  che non adempie in sè la perfezione e l’ideale, ma  della perfezione del di là è soltanto un baleno, v’è  tante e così aspre antitesi! ed è così facile invertire  un solo dei termini dell’antitesi nella realtà tutta  intiera!  Il dritto NATURALE può avere molti torti, ma que-  sti sono compensati ad usura dal molto di buono  che vi è dentro: da quella nozione di un dritto in-  dipendente dalla sanzione positiva e superiore ad  essa, che si attiene all’uomo in quanto uomo, che è patrimonio ind6Ì6bil6 della sna natura, quello appunto die costituisce il suo essere di uomo, la sua  umanità. E l’umanità-, ecco l’aspetto sano del di-  ritto naturale; che in esso è, fórse un universale  logico e formale, una formula del razionalismo dell’Aujklàrung, ma (die si deve ad esso se sia potuto  divenire nella mente dei contemporanei e dei posteri un universale reale. Prima che esso ravvivasse il  culto della personalità individuale, si vedeva questo  o quelV uomo, in questo o quel ceto, in questa o  quella condizione economica e sociale: grazie ad esso  si vide Tuo ino. Esagerò il suo assunto e cadde nello  individualismo: ma 1’ umanità gli deve saper grado  di questo individualismo, se da esso ha potuto spri-  gionarsi, con un processo di auto-correzione, la sana  individualità, ossia la dignità umana. In questo il  dritto naturale razionalistico si confonde col dritto  naturale assoluto della filosofia tradizionale; ed è la  espressione di quel dritto che ogni uomo possiede  come la parte più sacra di se stesso, che l’uomo sente pria di conoscere ed aspira nell’atto stesso di  conoscerlo, che non si sa se sia più un sentimento  od un intuito, una idea od una volizione. Il dritto  naturale rientra, allora, nei termini della dottrina  cristiana, perchè il dritto dell’uomo è l’espressione  della preziosità inestimabile dell’ umana persona redenta da Cristo; e, come tale, è inoppugnabile, e rimane tale senza fallo, finche non declini la coscien-  za morale dell’ umanità.   ^è io saprei per qual modo il positivismo, il  quale si è travagliato e si travaglia nella critica del  dritto naturale, possa col labile sostegno dei suoi angusti criteri oppugnarlo davvero. Un sistema die  predica V esperienza, come criterio scientifico esclusivo, non lia altro argomento da opporci clic Questo:  il vostro preteso dritto naturale 1’ esperienza non  ce lo attesta; nessuno ci lia fatto toccar con mano  la sua esistenza nel passato, o nel presente; si può  metter pegno che nessuno ce ne farà toccar con  mano V esistenza nel futuro: il vostro dritto NATURALE, adunque, non esiste. Orbene questo argomento  è cosi innocuo che esso non tocca nemmeno il dritto NATURALE, nè i suoi cultori. I quali potranno ben  rispondervi: sapevamcelo ! ma il nostro dritto NATURALE è quello che è, appunto perchè noìi è fenomenico, ossia oggetto di esperienza. Koi siamo  si poco scossi dal vostro raziocinio che lo abbiamo  prevenuto: il dritto NATURALE è, per noi, una idea e  non necessariamente un fatto, un dover essere e  non un essere, una necessità morale e non una cosa  empiricamente esistente. Ohe il dritto naturale sia esistito o meno nelle  condizioni dell’ esperienza e della storia, che sia  stato attuato o individuato da 'questo o quel dritto  positivo, a noi importa, a rigor di termini, poco;  perchè il nostro quesito non è se esso esista o sia  esistito davvero, ma se debba esistere: onde l’inesistenza di fatto di esso non è argomento contrario  alla nostra teoria, come non le sarebbe argomento  favorevole la sua esistenza. Quando, in nome del  criterio sperimentale, si esclude la nozione del diitto NATURALE, si cade in una petizione di principio. Si dà per provato quello che si doveva appunto  provare: che unico criterio conoscitivo della esistenza  delle cose sia l’esperienza, o, meglio ancora, che non  vi sia altra forma di esistenza che la esistenza empirica.  Ed in questa petizione di principio si risolve tutta la  critica esercitata dal positivismo sul dritto naturale.  Gli studi di filosofìa del dritto di Wallaschek e più  di tutto il saggio di Bergbolim, nel  quale è condotto un esame molto accurato del dritto NATURALE, sono piene di argomentazioni suppergiù del contenuto e del valore della seguente,  tormolata dal primo di quegli scrittori: Ausser dem  bestehenden Rechi gìebt es Icein anderes Recht , demi  es ist ein Widerspnich, anzunelimen, dass, ausser  dem bestehenden Recht, nodi ein Rcclit bestelit, das  nicht bestelit. É chiaro che un simile modo di  ragionare è il portato logico della ideologia positivista, come è chiaro che ivi si confondono malaccortamente duo cose, che vanno divise o distinte, o,  almeno, sulla diversità o pluralità delle quali volgeva appuntò il quesito. L’ esistenza empirica delle  cose va distinta dalla esistenza metafìsica delle cose  stesse. Ora è appunto a questa esistenza metafisica che  fanno accenno i rivendicatori del dritto NATURALE. Ai quali inopportunamente si fa rimprovero di assurdo paradossale, con una proposizione sofìstica diquel genere, dove il verbo essere vien preso in un  membro in un senso e nell’altro in un altro.  Line andere ivichtige Frage bleibt ja immer , ob  das Recht, das bestelit , aneli bestehen solite , aber  der Begriff des Rechtes, das sein soli, darf nicht verwechselt werden mit dem , das thatsàchlich vorhanden  ist, und nur dieses letztere ist Recht , das erstere soli  es sein. Ma, di grazia, quando mai il dritto NATURALE ha preteso di affermare la sua esistenza empirica di fatto, ossia la sua esistenza di diritto  positivo? Esso ha sempre preteso di essere quello  che è, e quando ha detto: io sono: intendeva dire,  non già: io esisto davvero: ma: io debbo esistere.  L’essere del dritto NATURALE è precisamente il dover  essere: il dritto NATURALE è una norma ed è come  norma, cioè a dire come dover essere. Che non sia  punto un fatto, il primo ad esserne persuaso è esso  stesso. Appunto perchè non esiste necessariamente  nelle leggi positive, esso rivendica il suo dritto di  esistere. Ed in questo dritto ad esistere, non già  nell’esistere davvero è riposto il suo essere. È veramente deplorabile che questi principi così elementari debbano essere ribaditi quando pareva che nessuno potesse dubitarne!  L’empirismo è così scarso di prove contro il  dritto NATURALE, ch’esso non può neanche fermare  assolutamente che quel dritto non sia possibile  nelle stesse condizioni future dell’ esperienza. Vale  a dire, esso non solo non ha autorità di asserire che  il dritto NATURALE non sia ovvero non debba esistere,  ma non ne ha nemmeno per assicurare che esso non  possa esistere. Perchè il possibile ed il futuro eccede il potere dell’ esperienza, la quale è limitata al  passato ed al presente; il poter essere o il sarà sono  quasi così lungi dal poter essere affermati e negati  dal positivismo che aspiri ad essere logico, quanto lo è il dover essere. Esclusa, così, la possibilità di uno di quei richiami al futuro che sono tra i  ripieghi prediletti dell’ empirismo, toltogli il modo  di dettar legge alla storia, ad esso non resta che  contenere le sue negazioni nella sfera del presente.  Allora la scepsi che esso esercita sul dritto NATURALE va formolata nella tesi seguente: il dritto NATURALE non esiste come dritto NATURALE, perchè non  esiste come dritto positivo: una tesi sbalordi toia  che presuppone, in chi la . sostiene, il difetto assoluto della più elementare analisi ideologica e che  segna, mi si lasci dire la parola, la vera bancarotta  del positivismo giuridico. Stammler. Igino Petrone. Petrone. Keywords: determinismo, l’eroe, Ennea, eroe stoico, l’eroe sannita, il sannio, la lega sannitica, spirito, inerza della volonta, due direzioni dell’inerzia della volonta, contro Gentile, contro Nietzsche, umano, non sovrumano, filosofia del diritto, lo spirito, liberta dello spirito, il limite della pscogenesi della morale, il principio dell’amore proprio, il principio della benevolenza, amore proprio conversazionale, benevolenza conversazionale, il sentimento morale, filosofia del diritto, communismo giuridico, la simplificazione di labriola, contro labriola, criticismo, idealism critico, meditazioni di un idealista, GENTILE contro Petrone., Croce contro Petrone; l’identita sannia, psicologia del sannita, i romani contro i sannita, la prima guerra sannita, la seconda guerra sannita, la terza guerra sannita; la repubblica romana, l’espansionismo dei romani nell’Italia, I romani contro i sanniti; bassorilievo dei sanniti, i liguri e i sanniti, le popolazione italiche, economia e psicologia del Molise, il sannio, la complessità dello spirito della filosofia italiana; il linguaggio sannita; il linguaggio umbro, il linguaggio osco; il linguaggio falisco, limosano, musanum, limosanum; un stato mercantile chiuse, Fichte contro Marx, Nietzsche, il valore della vita, il problema morale, la filosofia del diritto, diritto positivo, diritto naturale, la filosofia politica nel criticismo, azione, l’etica e l’ascetica, l’etica dell’eroe come azione, l’energia dello spirito contro l’inerza della volonta – l’inerza della volonta nell’elezione dei fini; l’inerza della volonta nell’elezione dei mezzi; il spirito contro la volonta, i limiti dei determinismo, l’indeterminismo dello spirito, la causa dello spirito, causa spirituale dell’agire umano, lo spirito umano. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Petrone” – The Swimming-Pool Library. Petrone.

 

Grice e Pezzarossa: la ragione conversazionale della fisica, la geografia e l'astronomia, sposate insieme, fanno sì che un italiano discopra il nuovo continente, ed un altro italiano gl’imponga il nome -- l’eloquenza lombarda – l’implicature conversazionali – la scuola di Mantova – filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Mantova). Filosofo italiano. Mantova, Lombardia. Grice: “He wrote a LOT! Including a study (or ‘ragionamento,’ as the Italians call it) on the spirit (spirito) of Italian philosophy, which reminded me of Warnock, the irishman, and his search for the soul of English philosophy!” -- Giuseppe Pezzarossa (o Pezza-Rossa – Grice: “In which case, he is in the “R”s”). Studia a Mantova. Insegna a Mantova. Co-involto nella repressione che porta al martirio di Belfiore. D’idee tendenzialmente liberali e  preoccupato sulle condizioni sociali disagiate create dalla sorgente rivoluzione industriale che pure ai suoi occhi rappresenta un'occasione di progresso. La pubblicazione del suo saggio di filosofia gli procura guai con la congregazione dell'indice. Partecipa attivamente ai moti. Condanato al carcere. Pezza-Rossa e uno dei XX che partecipano alla riunione costitutiva del comitato rivoluzionario. Saggi: “Critica della filosofia morale” (Milano, Stamperia Reale); “Lo spirito della nazione italiana” (Mantova, Elmucci); “Saggi di filosofia” (Mantova, Caranenti). C. Cipolla, Belfiore I comitati insurrezionali del Lombardo-Veneto ed il loro processo a Mantova” (Milano, Angeli); Pavesi, Il confronto fra don Tazzoli e don Pezza-Rossa in una prospettiva filosofica, in Tazzoli e il socialismo Lombardo” (Milano, Angeli). La prova sull’esistenza esteriore. Confutazione dello scessi. ALIGHIERI e la filosofia. Lo spirito della filosofia italiana. Sistema di psicologia empirica. Il fondamento, il processo e il sistema della umana esistenza. Il sistema politico e sociale della nazione italiana; il sucidio, il sacrifizio della vita e il duello, supra il suicidio; “La grammatica ideo-logica; ossia, la legge comune d’ogni parlare dedotta da quella del pensare” (Milano); la Facolta inventrice. I romani vinti dai longobardi conservano la proppia legge. La filosofia dell’esperienza. Il metodo sperimentale. Lo Spirito della filosofia italiana. Ragionamento. Mantova. L'Autore non pretende io questo Ragionamento a novità di principii, nè a confutazione di scuole, ma lo vien cercando le varie fasi della italiana filosofia e lo spirito, che la condusse al grande rinnovamento opera tosi nel secolo di GALILEI. Da Pitagora a Leone X , durante la fortuna romana, nelle tenebre della barbarie, esotto il giogo della scolastica, gli parve discontrare, quando più, quando meno, sempre conosciute e conservate le tracce del metodo vero e positivo, ed intorno a questo espone le proprie impressioni, così semplicemente come le ha a sentire.  dome che dimostra la modestia dei padri nostri, i quali, non del Pezza-Rossa, Prof. Giuseppe. Parlando dell'antichità della filosofia italiana, osserva come l'Italia è la prima che da a questa scienza un sistema, e le impose un nome. Acume e   vero conoscitori, ma piuttosto amici del vero s'intitolarono. Le basi principalidelloro metodo consiste nell'esperienza e nella osservazione. Fanno quindi un altro passo onde meglio procedere nella investigazione delle verità, ed è quello di riconoscere l'ufficio che la ragione esercita sopra i fatti, sì nel mondo esteriore che nell'interiore, sendochè, non al senso, ma alla sola ragione è dato il giudicare. Di questo modo l'antica nostra filosofia seppe dare ai sensi, si sentimenti ed alla ragione ciò che loro compete, e impede che i primi si levano al di sopra della seconda, e questa rifiuta l'autorità e la potenza di quelli. Così dei secoli anteriori al dominio romano. Ma la prevalenza delle scuole straniere non tarda molto a comprimere la scuola nazionale, e la sopravveguente barbarie la fa quasi dimenticare, sebbene del tutto non la spegna. Senonche, colla conquista del mondo sube le influenze filosofiche dei popoli conquistati, accetta dottrine d'ogni maniera, egizie, asiatiche, druidiche, ma greche sopra tutto; e de fe' tale un amalgama che a stento potrebbe chiamarsi “filosofia”; o a meglio dire, ciascuno appigliossi a quella scuola, che meglio sffacevasi alle sue tendenze. Pare strano, ma è pur vero, Roma corrotta, e degenerata nei costumi, affaticossi particolarmente a rialzar la morale, non tanto forse per rilevarla daddovero, quanto per palliar meglio col suo manto la nutrita liceoza, testimonio Sede ca. La scuola pitagorica, odiata, ma temuta e ammirata, appalesavasi quindi di tratto in tratto nelle manifestazioni di alcune anime forti. E CATONE, il censore, va me a capo della nobile schiera. Il nome di pitagorico non mai cessa dal significare uomo virtuoso e incorrotto. La qual indole morale e severa, dice il Pezza Rossa, sotto cui presentossi la filosofia italiana, fa si ch'essa non venisse dal nascente Cristianesimo tanto combattuta, quanto lo furono tutte le altre. Il Cristianesimo infatti sorgea potente e divino, non figlio del l'umano pensiero, ma avvolto nel manto dei flosofi, ma rivelatore della semplice verità. Al suo mostrarsi, tutte le scuole cadute erano in basso, e le poche verità, alle quali eran gionte, rimanevano dalle violenti polemiche siffattamente svisate, che impossibile omai tornava l’osceverare con certezza il vero dal falso. Ami carle fra loro, no concedevan le gare e i particolari interessi; ricondurle alla pristina semplicità, è impresa da nemmeno tentarsi. Che fa dunque il Cristianesimo? Egli indisse guerra a tutte più o meno le speculative dottrine, mostra che fallacierano, disutilieper piciose, e colla santità della propria morale fonda la prima di tutte le filosofie: quest'è la filosofia delle azioni. Scaduta la parte speculativa, non rimaneva all' italiana filosofia che la parte pratica, la parte da lei coltivata sempre con severa costanza e che meglio poteva rispondere agl'insegnamenti cristiani. Apollonio infatti, di cui Girolamo dice ch'è un prodigio inudito, degno di esser conosciuto in tutt’i secoli, avuto dal popolo in concetto di mago, ma filosofo reputato dalla gente di senno, Apollonio chiede a sè medesimo che cosa vogliasi in un filosofo per essere veramente pitagorico? E quindi risponde. Richiedersi elevazione d’animo, gravità, costanza, buona fama, sincera amicizia, frugalità, pace, e virtù. Fregiato di così belli ornamenti, il pitagorismo si propone in morale un lodevole fine, il perfezionamento della umana natura, risultante dallo speciale perfezionamento di ciascun individuo. Nessun'altra filosofia poteva meglio consonare al vangelo. I primi sapienti del Cristianesimo, prima di edificare, trovarono però di dover distruggere il vecchio edifizio fin dalle fondamenta, e gridarono contro ogni filosofia. Tertulliano ed Origene vogliono che, dopo il vangelo, non  più mhaestieri di ricerche, nè di curiosità dopo Cristo. Nessuna scuola è da principio ri. Se non che, distrutta colla dialettica l'arte del ragionare, e affidati gl’uomini al solo senso comune, in mezzo all'incipiente barbarie, nulla presentavasi tanto naturale quanto la scessi: e questa infatti mostrossi. È noto che sotto il nome della scessi, spesso è insegnato a sprezzare vergognosi pregiudizii. Non devesi scordare che il dubbio è il padre della civiltà; e che, se il secolo di Cartesio è di GALILEI avesse ardito dubitare, le scienze e le arti non sarebbero per anche ripste. Foperò una scessi di sola teoria, doo di pratica; stette del pensiero, non nelle azioni: e perciò, s'egli da l'ultimo crollo alla filosofia speculativa, non porta alla morale un grave nocumento. Ed è appunto nella morale che la italiana filosofia sopravvive. Il grande BOEZIO vide l'estrema bassezza, in cui la sapienza era caduta, e saggiamente pensa a raccorre in un sol corpo le positive cognizioni, che dal gusto generale si sono salvate, e qual breve enciclopedia de’ suoi tempi le presertò sotto l'smabile nome: De interpretatione e Consolazione della filosofia. Nomeche in sè solo abbraccia il carattere di tutta up'êra. Cbi cerca le cagioni, in forza delle quali stelte viva, anche nei secoli detti barbari, la pratica filo  sparmiata: l'acqua di Talete, l'infinito di Anassimaddro, il fuoco d'Eraclito, l'omeomeria di Anassagora, l'etere infinito di Archelao, i numeri di Pitagora, gl’atomi di Epicuro, gl’elementi di Empedocle -- tutte in somma le antiche speculazioni furono guerreggiate. I santi padri non lemono chiamar sogoi molti pensieri di Aristotile, del Lizio, molti di Platone delirii dell’Accademia. Ma in quello che gl’ecclesiastici scrittori studiano le scuole per combatterle, non poteano a meno di scontrarsi qua e colà in principii verissimi, ai quali non si poteva niegare adesione, e questi raccogliendo insieme e collocandoli sotto il patrocinio del vangelo, se ne giovarono a comprovare l'armonia del vero filosofico col religioso. leo non  sofia, le troverebbe in parte della politica stessa de' barbari invasori. Semplici e rozzi, cupidi solo di bottino, occupano solo il territorio, lasciando ai XX eleggi, e costumi, e religione, mutando l'aspetto materiale, non quello degli spiriti; sia che l'ignoranza li rendesse inetti a far mutamenti, o sia che li movesse rispetto per genti tanto più umane, sebbene meno forti di loro. Oode che procede codesta loro maniera di conquista, o da calcolo, o da impotenza, egli è certo che recarono desolazione senza recare alcuna propria filosofia: a tal che la italiana , accompagnata da toote altre in epoca di prosperità, ma sola rimasta in quella della sventura, anzichè cedere e prostrarsi, potè parificarsi, alla guisa dell'oro sul crogiuolo, e spogliarsi di quelle macchie, che la fortuna le ha apportate. Passa quindi la dimostrare come la buona filosofia pratica comincia a fruttare anche ottima teoria, sebbene il risorgimento fosse ritardato dalla scolastica, ed impedito dall’accademia. Or ecco le vie, egli ripiglia, per le quali gradatamente lo spirito filosofico avanza, guadagnando sempre terreno. Il Leoni coavea, pel primo, portato allo stu dio padovano la cognizione di Aristotile genuino del Lizio, e mostra to come inscientemente lo siavea contorto e dinon sue dottrine fatto maestro. Quando sorge quel potente ingegno di Pomponaccio [POMPONAZZI (si veda)] che si dove riguardare siccome il quinto anello della gran catena filosotica italiana, dopo Pitagora, CATONE, BOEZIO ed ALIGHIERI. Pigmeo di corpo, ma di spirito gigante, penetra meglio che altri nello spirito della patria filosofia, e siccome, a farla rinascere, convene, prim ad’ogni altra cosa, abbattere il colosso peripatetico del LIZIO, egli coraggiosamente sostende che, secondo Aristotile nel Lizio, voluto sostegno della morale e della religione, potevasi dimostrare l'anima non essere immortale, miracoli non potersi dare, non vi essere provvidenza, ma in ogni cosa dominare il destino. Strabiliarono tutti a conclusioni di tanta conseguenza, e  pretesero che da lui solo derivassero tali dottrine, dal peripato del LIZIO non mai. Accagionarono di empietà il gran mantovano, che ha senza dubbio incontrata lama la ventura, se il cielo non avesse posto a capo della chiesa on Leone X , e datogli un BEMPO per consigliere. La sapienza e la tolleranza medicea permisero al POMPONACCIO quello che prima non è stato permesso, separare dalla teologia la filosofia, conduce una linea di confine tra gl’obbietti della fede e quelli della ragione. L'esempio del gran maestro fa seguito da numerosi discepoli, tra quali hanno fama Scaligero, Sepulveda, Porzio, Benamico, Giovio, e da Cardinali, Contarini, cioè, e Gonzaga. È imitato con isforzi contemporanei da Cesalpino, da Cremonino, da Zabarella, e forse da quel Vanini, che, mal comprendendo Pomponaccio, spinge lo sfrenato ingegno allo stremo, e corge la miseranda fioe che tutti sanno. Imper ciocche, gli è pur mestieri confessarlo, la fortuna del primo e la sinistra interpretazione de'suoi principii, non solo a tutti ispira coraggio, ma ad alcuni fio an che baldanza. Tale si fa CARDANO, a cui la fecondità del genio troppe più idee somministra di quelle che il suo giudizio puo ordinare. Ma dice: loslu dio della natura doversi ridurre all'arte ed alla fatica, e però venne salutato come l'uomo delle invensioni. Tale BRUNO, che proclama sfrenatamente la filosofia del dubbio, filosofia che ovunque dissemina, viaggiando Italia, Francia, Alemagna , e che fu poscia da Cartesio abbracciata e sviluppata con tanta gloria, com’ha a confessare lo giudice non sospetto, Leibnizio. Si ridestarono allora i principali pensieri de’ pitagorici, e meravigliando si conosce che la flosofia italiana, in tutte le sue fasi da CATONE IL CENSORE ad oggi, e io tatte le sue manifestazioni, non ha all'ultimo che un fondo solo, il metodo esperitivo e naturale. A questo metodo avvia l’Italia VALLA, e NIZZOLIO, ed ACONZIO, e POLIZIANO, e finalmente CAMPANELLA, che, vent’appi, sale in bigoncia, e disputa con tanta forza contro le fallacie scolastiche, che i vecchi sclamarono maravigliati: essere in lui passato lo spirito di TELESIO. Egli sostende che il senso è un fondamento della scienza, che dalla dimostrazione positiva e sensibile vasce la intellettiva, perciocchè sentire è sapere. La ragione tanto essere più certa, quanto più al senso vicina. Non però doversi andare cogli empirici che pretendono ragionare per le sole apparenze variabili, accidentali, sfuggevolissime, ma sìanche dietro verità costanti, che badoo principio nell'anteriore sentimento, e del testimonio di tutti gl’uomini. Con longbe e perigliose fatiche giunse quindi f palmente l’Italia a ridur in principii quello, che in pratica ha sempre tenuto. Scaddero allora i sillogismi, le formole, le categorie, le ipotesi, gl’a priori, con totti gl’altri vincoli della ragione, e sostenuto dall' analisi e dall'esperienza, il nuovo metodo spiega il volo alle più eccelse scoperie. Alla scuola italiana attiose Copernico il suo sistema astronomico, da Galilei poscia rivendicato. Da GALILEI che mostra immobile e improntato di macchie il sole, e Giove di satelliti circondato. Da Galileo, che, per mezzo di nuove lenti, interroga l'armonia misteriosa dei cieli, e con esperimenti sorprende la patora nei segreti delle arcane sue leggi. RUBERTI TORRICELLI, colla invenzione de’ barometri e de’ microscopii, apporta alla fisica novella vita. Cavalieri, Maurolico e Tartaglia rendano fruttuose le matematiche colle applicazioni. VINCI (si veda) dà buona legge all'estetica. Buonarotti, l'uomo delle IV anime, fisa il buon gusto nelle arti. MACHIAVELLI scopre ai sudditi ei ai regnanti i segreti della politica. L’accademia del cimento affatica senza posa delle esperienze, le dabbie verità rischiara, e le certe diffonde. La fisica, la geografia e l'astronomia, sposate insieme, fanno sì che un italiano discopra il nuovo continente, ed un altro italiano gl’imponga il nome. Ogoi arte insomma, ogni scienza, ogni di sciplina quasi per incanto risorge. Ed è cosa per verità sorprendente il vedere nei dettati di quell'epoca gloriosa tanta copiosità di filosofie, da contenere, quasi in germe, tutte le altre scoperte verificate dappoi. Conserviamo adunque, conclude l'autore, il prezioso retaggio, che da’ nostri maggiori ci è tramandato e, che più è, adoperiamo di renderlo fruttuoso. Accioc chè, dopo aver portata agl’altri la scienza, non venghiamo giustamente paragonati alle nubi, le quali si disfanno in quel medesimo che d'amica pioggia fecondano le campagne. Esponendo i proprii pensamenti, il Pezza-Rossa, con singolare modestia, non si erige a filosofo, ma stimola ed invoglia gl’altri a frugare in questa materia, pago di poter dimostrare che noi siamo ricchi di tanta domestica dottrina da non invidiare la forestiera. Che il buon metodo non l'abbiamo a cercare lontano. E che sarebbe ingratitudine il disconoscere l’antica sapienza di CATONE IL CENSORE, da cui tutto surge, per seguire alcune splendide fantasie oltra-montane. Giuseppe Pezza-Rossa. Giuseppe Pezzarossa. Pezzarossa. Keywords: il martirio di Belfiore; lo spirito della nazione italiana; eloquenza lombarda. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pezzarossa” – The Swimming-Pool Library. Pezzarossa.

 

Grice e Pezzella: la ragione conversazionale -- Cesare deve morire – l’implicatura conversazionale – la scuola di Napoli -- filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Napoli, Campania. Grice: “I like Pezzella – His “La memoria del possibile” would make Benjamin think twice! – and I do not mean HIS Benjamin, but mine!” Si laurea a Pisa con una tesi su Benjamin. Presso la Scuola Normale Superiore diviene ricercatore di ruolo. Collabora a un seminario con Derrida. Consegue sotto la tutela di Marin il doctorat a Parigi (Grice: “the reason why which few consider him Italian!”) e il DEA in Réalisation cinématographique seguendo i corsi diretti dal documentarista Rouch a Nanterre. Insegna estetica ed estetica del cinema. Tenne un seminario a Parigi in collaborazione con Michaud. È redattore della rivista Altra-parola e collabora col centro per la riforma dello stato a Firenze. La filosofia di Benjamin e quella di Debord sono punti di riferimento della sua propria. Studia la persistenza delle forme del mito all’interno della modernità -- e in tal senso si occupa di Bachofen, introducendo Il simbolismo funerario degl’antichi, col sostegno del Warburg Institut di Londra. L’intersezione tra mondo mitico e modernità estrema lo porta a interessarsi della poesia e del pensiero di Hölderlin e della scuola di Francoforte. Vicino alla tradizione della filosofia dialettica, apprezza soprattutto la versione esistenziale che ne viene data nella filosofia dopo i seminari di Kojève su Hegel. Di Benjamin considera soprattutto la polarità tra immagine di sogno e immagine dialettica, che utilizza come strumento interpretativo di opere cinematografiche e letterarie (cfr. La memoria del possibile e Insorgenze). Per P., lo spettacolo –nella formulazione teorica che ne da Debord -- è la forma di vita dominante del capitalismo, in particolare della sua industria culturale e del cinema. Secondo la terminologia usata nel saggio su estetica del cinema, distingue lo stereotipo spettacolare dalla forma critico-espressive. Si è interessato all’intersezione fra tematiche politiche e psicoanalitiche: la dialettica del riconoscimento, la formazione della soggettività nel capitalismo, l’incidenza dei traumi storici collettivi sulla psiche individuale -- cfr. il saggio sulla voce minima. Esplora la filosofia politica d’Abensour, con cui condivide la rivalutazione del pensiero utopico e la rivalutazione del socialismo come prospettiva politica alternativa al populismo. Collabora alla redazione e all’edizione dei volumi di Altro Novecento. Comunismo eretico e pensiero critico, per conto della Fondazione Micheletti di Brescia. Altri saggi: “L'immagine dialettica” (ETS, Pisa); “Il tragico” (Il Mulino, Bologna); “Conversazione di Narcisso con Narcisso – Conversazione con me”  (Manifesto, Roma); “Il volto di Marilyn” (Manifesto, Roma); “La memoria del possibile” (Jaca, Milano); “Estetica del cinema” (Mulino, Bologna); “Insorgenza” (Jaca, Milano, “Le nubi di Bor” (Zona, Arezzo); “La voce minima. Trauma e memoria storica” (Manifesto, Roma); “Altrenapoli” (Rosemberg, Torino”; “I fantasmi” (Cattedrale, Ancona); “Il volto dell’altro”; “L’ospite ingrate” (Quodlibet, Macerata); “I corpi del potere” (Jaca, Milano);  “Repubblica”; “Il bene comune” (Il Ponte); “Gli spettri del capitale” (Il Ponte); “Il tempo del possible”; “Attualità della Comune di Parigi” (Il Ponte); Utopia e insorgenza. Per Abensour”; “Altraparola, Micheletti, Brescia); Alle frontiere del capitale. Comunismo eretico e pensiero critico, Jaca, Milano. Pezzella. Keywords: Cesare deve morire, Narcisso, “conversations with myself”, Antonino, nubi di Bor, Freud, Narcissismus -- Refs.: Luigi Speranza: “Grice, Pezzella, Benjamin and Benjamin: la memoria del possibile,” Villa Grice – The Swimming-Pool Library. Pezzella.

 

No comments:

Post a Comment