Grice e Lia: la
memoria conversazionale – filosofia napoletana – scuola di Castrovillari –
filosofia cosenze – filosofia calabrese – filosofia italiana – Luigi Speranza,
pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Castrovillari). Filosofo . Filosofo italiano.
Castrovillari, Cosenza, Calabria. Frate minorita. Nato a Castrovillari da
Amostante L. e una Gesualdo, assunse il cognome materno in quanto di più antico
e nobile casato. Entrato ad appena dieci anni come oblato nel convento
cittadino di San Francesco, ret- to dai frati minoriti, fu ammesso al
noviziato. I Minoriti si presero cura della sua formazione, mandandolo a
studiare a Roma, Treviso e Padova. In quest’ultima città Gesualdo prese
gli ordini sacerdotali egli venne affidato un lettorato presso lo
studium. La sua attività didattica si protrasse per un ventennio in vari
collegi dell’ordine e il capitolo generale gli conferì il titolo di
Maestro. Venne eletto ministro generale dell’Ordine, di cui perseguì una
radicale riforma. Il generalato del Gesualdo è dunque volto al
rinnovamento dei voti di povertà e di vita comune, spesso disattesi dagli
stessi frati. Tra l’agosto e il settembre dello stesso anno, egli fissò i
Decreta de casuum reservatione, con i quali venivano abolite tutte le
deroghe ai voti, s’introduceva l’obbligo di rendicontazione e
conservazione dei documenti amministrativi e, infine, veniva isti- tuita
l’obbligatorietà dei seminari per i novizi. La carica a Generale venne
riconfermata per altre due volte, grazie all’appoggio di Clemente. E vescovo
di Cariati e Cerenzia. Muore a Cariati. Su di lui e la sua opera si veda
Busolini; Russo; Keller-Dall’Asta; Cipani 2017, pp. 89-95.Iofepbus Tamplorut.
PJJ >. PLVTOSOFIA di FILIPPO GESVALDO MINOR CON. Nella
quale, fi (piega l'Arte, della Memoria* con altre cole notabili
pertinenti, 24. ì> . 31.. ‘ ... i r, } /T'4 T"V
t'f - ì -A S. ^ v-« 'w->' X • i ' li A \h ' ’ -'• IJ
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J \ i-ì à • : * oliif ! oì)o:r*q A «Violai a: 7 * 4. a
Ai .XXXV.v^ *&$gij,x. \ . 41 ALLILLVSTRISS ET
REVERENDISS. SIGNOR arnolpho vchanskii, CONTE DI SLVZEVVO, »
. ’ .* I * j { *1 ABBATE DI SVLEOVIA. Signor mio
Colendisfimo. cn > o Diuotisfimo feruo r
: > 3 j 'Z\nii*r-Pi s Paolo Meietti. ALLA
GLORIOSISSIMA. H ABITATRICE DEL CIELO
CATERINA VERDINE* « '
ILLVMINATRICE, ET PROTETTRICE DI S^TlEJ^Tl&c.
I € H E gli antichi fapienti appende - nano in Sa c/e Colonnt le
compite Ope- re .loro, egli Moderni qlii nomi dì Fa mòfi et lllujlr
tifimi Trencipi cort e - crar le fogliano : però battendo io dato fine
hoggi all utilis fimo Compendio della memoria artificiale, quale
per esser tesoro e ricihc^a d'ogni bimana fapienza, mi parue intitolarlo
con parole greche plutosofia, hò no luto raccomandarlo alh MeJJaggieri
angelici, che co- lonne fono del Cielo, e confecrarlo al nome di te che
feiuna delle più care Spofe di Chrifìo, et una delle più fauorite
Tren cipejje del' Taradifo t Serenisftma per fangue, Illuflrisfima
per lapidila, purisftma per virginità, Santisfima per gratia t Con
- ftantisjima flantìsfìma per Martìrio,
felicìsfima per gloria . JE fe tate non è il dono, quale ric ercar
ebbe t importane del foggetto t e meritarebbe la dignità dello tuo fiato
; è perà tale quale fi può da me pre/entare, in qucHa fua prima
delineatura. Ideila quale t fe ui è co fa di lode, lariconofco dalle tue
gra- tic, col le quali ni impetra (li gratta apprefjo il tuo e mio
Signo re di formarla . E fe cofa ui è di biafimo ( coni io {limo di
certo ) ante s' attribuita, che tmperfettis/imo mi ricono fco. Spero che
accettando tu il dono, et aggradendo per tua pie- tà il Donatore ; ti
digneraì ancora ( di che uiuamente tiprie • go ) ottenere à me lume,
ch'io pojja col tempo illufìrarla di quella chiarella e perfettione, che
con la prima mano non Jho laputo e potuto darle ; et à quelli che la
leggeranno, gratia dinteUigen'^a,fi che poffano arricchirli felicemente
in quello foblime The loro di Memoria * Ex fi come io tenacemente
ten go fcolpito il tuo gran T^ome nella mia Memoria, E femprc uiuol
tuo culto fra gli diuotipcufieri della mia Mente ; coti ti fupplico che
mi tengbi uiuo, tra le tue uiuaci et efficaci Intercesso», inaila.
ghriofa prefen- T^a del Tadre delle mifericordte Dio, c •j diOieùi
tuo Spofo,& dilla M«drc ielle gratie Mar (adergine, 1 ' J XX .,
alli quali con profon- da fima humiltà 1, ’’** di CH&rt t
‘ C- a X-L - per me%p tuo faccio riueren^a.
Dì Palermo ÌV, ' . Tuo Diuotixfimo Sento
Fra Filippo Cefualdi Minor' Conuentoale. TAVOLA.
TAVOLA Delle colè notabili contenute nella Plutofofia.
Innumeri moftrano li fogli, la Intera a. moftra la prima et il b.
moftrala feconda facciata* :uu 1 I. .
1. ' Emoria è Teforo et Erario. Necessità dealermo
ÌV, '. Tuo Diuotixfimo Sento Fra Filippo Cefualdi
Minor' Conuentoale. TAVOLA. TAVOLA Delle colè notabili
contenute nella Plutofofia. Innumeri moftrano li fogli, la Intera a.
moftra la prima et il b. moftrala feconda facciata* :uu
1 I. . 1. ' Emoria è Teforo et Erario. Necessità della
Memoria. Titolo di qutft Opera, i^c 9. Guide allukezza delle
Mule* Encomij della Memoria • Memoria diumità Humana.
Memoria nona Sfera Cclcttc et angelica No«e ordini Angelici
nell’Huomo. Memoria perche nuda nell’Origine. Memoria come fi
uefte. Memoria prima parte dell'Oratore Memoria rara e difficile
. Pcrfonc illuftrisfime nella Memoria. Pci/onc infelici
di Memoria . LETTIGHE. Clgnificati della Memoria.
*^Se nell Huomo fia Memoria intellettiua. Se nella parte
lènfitiua ui fia Memoria. Se li Bruti hanno Memoria. In che
qualità confitte la Memoria. Tre forti d'ingegni. Caggione della
tenacità della Memoria. Co'i e fi caggionano li fimolacri perla
Memoria. Detti fimolacri imaginati . LETTIGHE. III. A Tto di Memoria
qual fia. Due atti di Memoria. Differenza tra Memoria e
Reminiscenza. Come posfiamo ricordarci di colà dimenticata •
Documenti per facilitar U Memoria. Muodi di facilitar la Memoria
• C me fi aiuta la Memoria otturale • Rimedi j per la
Memoria • ** ' J t.u i. b; a.a.
14 . a a. a. ai а. bu j.
a. j.b. j.b. 4 -*. 4 «a. 4
.b» a ff Accora /
Aceorgùncntrperaiutodella Memoria Dcirefftrrcitio. neceflario alla
Memoria. Nome Hebraico della Memoria mifteriofb • Dell’Arte della
Memoria. Inuentore dell’Arte della Memoria. Auttori c
Scrittori dell’Arte della M emoria» Muodo d’infegnar
queft'Arte. L ETT I 0 7^E. ITi C He colà fia Memoria
artificiale • Nomee titolo di queftfArtc. Soggetto di
qucft’Arte.. Parti tionc di qucft’Arte. Delli Luoghi
perla Memoria.’» Dclli luoghi imaginati (è fumo per l’Arte. Deili
luoghi Naturali fepofiono ulàrfi Delli luoghi Artificiali ottimi
Conditioni perla formatione di luoghi Del Doue, prima conditionc del
luogo Del Sen/àto, feconda conditone L E T T l V * A
D Ella formatione di luochi til Dell’ufo di luochi
ai . s ini jqt: E. V. iDb
uxa/ vM ti cruoiiE j CU
adì E VU l / . f.X Della 10.
a. 10. a.b. iò.a. xo.b. 11. a» 1
IUU x i.a» X i.b, ■ n.b. ri.bt
1 1.b» ia,b. a>.a. Ijb*
l£.b. ì^b. X 15. su
I/Jéb.. lòa. 16. b» 1 7.8»
J7.b. i8.a. 18. b. ip.b» ao.a. ao.b.
ao.b. ai. a. ai.b. 11. a. Detta
Perfona (labile neìluocM LETTfO'KE lEtti taoCirinmiTc
raTr Vili . a 6 . a. 26 ai » 7 »a* D
Lh* Detti lunchiperckittwiayaf Detti luochi alternati
Luochi (opra la perfona humana- Q T* E IX, L Voghi
perprogreflfo rigreffo et alternati a8. 29- 30, Luoghi perla
Circolatione limoli' jt. D Elle Imagini per
l’Arte Due muodi di collocar imagini- Del collocar mediato in
due muodi Del collocar Concetti Del collocar le parole Della
collocatone di uerbi Della collocatone delle cole L E T T 1 0
ìi É /^Ottocatione dette cofe figurate formabili Collocatone
delle cofe naturali eccedenti Collocat one delle perfone.
MetHt do dì collocar cofe no figurate» Collocar per limili
longilinea tio ne. L ETTI 0 ^ E X T T, C ^Oilocarper
Mmiimiùmeui vu^ A “ X
A tv lUHVf m Collocar per aggiungimento.
Cotto Collocar per il nuolgimento . rTT " r_rT 7 L h x — 1 — j u e X 1
71. C ollocare pei ta uaiiabonc Collocar per
bittitci Collo la com linone
Collocar perla diuilione Alfabeti per la diuiuon ^ E X J V. nocar pe ma di uppoin
^Collocar perii uolontario Mcto che quello fi può intendere da
tre cole, Complesfione, Età, et alteradone. quanto al primo, eh 'c
la Complcfììone,dico fecondo lifìlofofi, che dalle due quali- tà
humidità,etficcità,fi argomentano e concludono l’apprcn fiua,c la
retétiua-.poiche 1 numido è atto all’app renderceli fèc "co al
ritenere. Colsi fi uedel Acqua, che facilmente appréde, malamente
ritiene;il Salso difficilmente apprende, tenacisfi- mamente ritiene;
l’Acqua per l'humidità, il Salso per la licci* tà.Parimentc l’apprenfiua
in noi confille nella qualità humi* dada retentiua nella qualità lecca
del ceruello . £ fi trouano tre lord d’ingegni, alcuni nel predominio de?
lécco, c quelli difficilmente apprendono; ma tenacemente ritengono,
com’il Saffo. Altri nel predominio delThumido, e quelli prontilfi-
mamentc apprendono; ma puoco ritengono, à guila dell’Acqua. Altri confiflono in
una mediocre qualità d humido, et lecco,
e quelli mediocremente apprendono, e mediocremen te ritengono.La caggione
dunque della cattiua Memoria, è il flulftì, et il fouerchio humido del
ceruello . Quanto al fccó do dell'Età dico, che dall’Età fi
uedel'augmento et il manca- mento negli organi fènficiui; l’augmento
nclli Fanciulli nelli quali ui c l’alteratione del nutrimento che lèmpre
crelcc: fi co me nelli vecchi ui è il mancamerto; per la quale
alteratione, li fimolacri fenfibilifonoimpcdid,e periicono ; àguilà,
che la forma del uolto,che fi uede ftapataaiell’Acqua penice, per
l'alterationc, c mouimento dell' Acqua. Di piu dall’iflcfaEtà li uede,
cheli Fanciulli fon teneri et numidi ; li Vecchi duri c fecchi: per lo
che, quelli facilmente,nceueno li fimolacri ;et in quelli ; per la
durezza e ficcittàdc gli organi intcriori, difficilmentc .,7
film erteli Gmolacri trapassano: tome fi nedc,c'hel lume tra- pala
per l’Aria, thè ha del fottile è puro ; non però trapala pef il Marmo,
che ha del grò (so, duro,c, fecco. Quanto al ter 20 dico, che
l'alteratione può naScere, ò da pasfionc di timo re,ò d’infermità, ò
d’imbriachezza ; perle quali alterationi per turbati gli organi, non
riceuono ; ò Se riceuono, non ritengo noli fimolacri Sòmmiftillrati da
Senfi, E Semi dirai che li Fan ciulli hanno tenace Memoria; poiché creSciuti
in età fi ricor- dano delle prime co/è, che appre/èro : e parimente li
Vecchi fi ricordano di molte colè antiche. Rispondo quanto alli Fan
ciulli, che per due raggioni hanno quella tenace Memoria.La prima Secondo
Arinotele et Auerroe; perche alli fanciulli, le prime cole ch’apprendono sono
nuouec mirabile però con attentionc apprendendole, tenacemente le
ritengono. La onde li fanciulli meglio fi racordano d’una semplice favola,
che pargoletti intcScro dalla nutrice; che di cento altre ch’esfi
medesimi huomini fatti leggano ne i Poeti. Veggiamo eSfer ciò cònaturalc
à noi, che lecoSenuouc prime, e rare ci appor tano marauiglia;la
marauiglia porta Sèco gagliarda attentionc nellapprendente, ilqualc
inten/àmente attendendo, tenace- mente ritiene. L’ifteSlo ci rroftra
l’eSperienza, che più ci ricor damo d’vna Cometa apparta, che de mille
Stelle cadenti nel notturno Cielo; più d vn’Eccli/Te del Sole, che di
dieci della Luna; come che la Stella crinitica, ò il Sole Eccli Sfato
hanno men del frequente, c piu del nuouo e raro ; e per confequcn-
za piò marauiglia apportano. La feconda ragione è d'Auiccn na, ilquale
dice che li Fanciulli tenacemente ritengono quel che apprendono nella fanciullezza;
perche in quell’età Sono alieni da penfieri, cure, affanni, c trauagli :
perlochc, come fgombrati da ogni impedimento fbn’attisfimi à
riceuere,per ritener tenacemente le prim’apprenfioni . E quella
ragione d’Auicenna, è rifiutata dal Sig.Porta,nel fuo trattato della
Me moria nel capitolo vndecimo. Mà perche la ragione di AriSlo tele
mira I oggetto mouentc;e la ragione d‘ Auiccna mira il fo* getto
riccucntc : lolodola prima ragione mirante la dtfpofi- tione oggettiua; e
non rifiuto la lèconda ragione, laquale ma rala difpolìtione del
riceuenteipoiche la nouità dell’oggetto, Ja purità del Soggetto, fanno
ch’il Fanciullo tenacemente ritenga; rìtenga;oue per cagione
di qualità complesfionale non potrei be tenacemente ritenere. Al fecondo
dubbio delti vecchi fi ri Iponde, chè quella facilità di Memoria nafee,
per la moltiplf- catione delle meditationi, Se eflercitio, Se vfo
dell'intenderej Però dice Arillotele nel fecondo capo del fuo libretto
della Memoria, e Remini feenza, che Meditationes Mcmoriam confer
uant reminijeendo. E quello, perche l’Intelletto viene ad habi tuarfi
colla frequente meditatone; è queflhabito poi,viene à facilitare l'atto
del ricordare . £ quello balli quanto al primo lignificato della Memoria,chc
è la potentia memoratiua. E • paflfando al fecondo lignificato della
Memoria, che c il fimo- lacro dirò due cofe; prima, comcfi fà in noi
quella Memo- ria; fecondo fe oltre latro del Senio, fi polla in noi far
Memo ria. Al primo dico, che il fimolacro in noi fi caggiona prin
cipalmente da Senfi, li quali riceuono lifimolacri Icnfibili, e per
quelli Senfi, come per tante Finellre, e Porte, paflàno al le llanze interiori
Senio comune e Memoria, doue fi ftabili- Icono e fermano : li quali
fimolacri fono da le potenti muoue re la potentia cognitiua,per l’atto
del conofcere . E quelli fimolacri, idee, Se imagini fono da Filofofi chiamati
fantalmi, li quali depurati poi per l’intelletto agente diuentano
fimola- cri, e fpccie intelligibili. E quelli limolacri intelligibili fi
ri ceueno neU’Intelletto posfibile; poiché come diceuamo l’Ani- ma
lepacata, pure ritiene li fimolacri conofoibili ; il che non irebbe, fe
fidamente nella Memoria finfitiua li fimolacri fi ri ceucfTero.
Al fecondo dico, che la Memoria, non fidamente riceue li fimolacri,
li quali intieramente fumo nei Sentì; rnà ctiandio li fimolacri imaginati
formati dalla nofira Cogitatiua, la qua lehauendo li primi fimolacri
nella Memoria contemplando- li, puolc congiongcrc uno fimolacro con 1
altro;ò uero racco gliere dalTifiefio fimolacro nuoue imagini, e quelli
fimolacri et imagini poi fi riceuono nella Memoria. Per clcmpio
nella Memoria ui è il fimolacro del Sole, Se il fimolacro del verde
villi dal Senfo; prefentandofi quell» due fimolacri al a Cogi- tatiu ;li
congionge, è dice, il Sole verde, Se nidi la Memoria riceue quello fimolactodel
Sole verde. È parimente fi fa de gli altri imaginati fimolacrij come del
monte d’0.o,ckll’B*p ‘pocctuc. p© cerno, e della Chimera.
Forma ancora delle prime figure, et idée, ò arguitiuamente, ò per ragione
di fbmiglianza altri ** nuoui fimolacri; li quali fi chiameranno
imaginati; perche non comprcfìda fenfi. Liquali fimolacri imaginati fono
necef fari j all’Arte della Memoria: nella quale ci {bruiremo, non
fò- llmente de gli fimolacri hauuti da gli Senfi ; ma ancora degli
raccolti dalla Memoria,c Cogitatiua. E quello balli perla co- gnitione
del fecondo lignificato della Memoria,& anco per quella
Lettione. Douendo raggionare del Terzo lignificato delia Memo
ria,ch*è l'attoal recordatione, quando attoalmente ci ra cordamo, ( il
qual’atto propriamente fi chiama ricordare, fi ben’ anco li chiama con
nome generale, Memoria ) diremo tre colè. Prima, come fi fa
quelt'atto.Secondo in quanti muo di fi fa auefl'atto.Tcrzo in che modo fi
può facilitar quell- . atto, al
che mira l'Arte della Memoria, della quale noi trat- tando.
Quanto al primo dico, che quell’atto fi fa, quando la potè za
cognitiua fiumana drizzata al Tesoro della Memoria, fé li offerifeano
fpeditamente,e prefentano li fimolacri, con li quali ò contemplai
raggiona,ò infegna,ò predica, fecondo l’ufo delle forze
interpretatiue. Quanto al fecondo dico, che l’atto della Memoria
parago- nato all’impedimento antecedente, prende due nomi, l’uno
chiamato ripigliamento di memoria^’ altro Rcminifccnza. Il primo quando
fi frapone interrompimcnto di tempo.ll fèco do, quando fi framette
interrompi mento d’obliuione, e dime ticanza. E che quelli due atti fiano
differenti, appare per due ragioni Arifloteliche. La prima
dall’attitudine, La feconda i dai fòggetto.Quantoalla prima chi è pronto
ad apprendere^ capire, e ueloceadimpararc;è pronto, e uelocealla
reminifeenza.E chi è tardo ad imparare et apprendere; è pronto alla ri
membranza « Quanto alla feconda, la rimembranza o ricordarsi; è atto dt molti
Animali: mila reminileenza ddTHuotr» lolamente,comc dirò piu inanzi . £
per darui vn cflcmpio di quelli due atti, prendo qucll’auttorità,
Sapientiam fine fi filone* 0 didici, et fine inuidia communico,& bone
fìat era illitts nonabfcon do . Haueudo hoggi riporto nella Memoria quell
’auttorità, e domani volendo recitarle, le inticramctela Memoria me la
ra prefenrarà, quell’atto di Memoria li chiama ripigliamcnto di
Memoria: perche tra l’atto d'hieri, c quello d’hoggi fidamen- te ci ètrapollo
interromptmento di tempo. Mi fcdelvcrfb che hieri m’albergai in Memoria,
hoggi io mi ricordo la pri- ma, e la feconda parola, e non mi ficordcrò
la terza, ò quar- ta; e pcnlàndo, eripenlàfldo, dopò quella obliuione,è
dimen ticanza mi lòuiene la parola dimenticata; qncfl’atto di ricordarmi
colà /cordata, li chiama atto di reminileenza ; perche vi fi c trapolla
dimenticanza et obliuione.Sichela reminilceiT aa none ogni atto di
Memoria, dopo qual fi uoglia interrom pimento; mà lolamcntc l'atto di
Memoria dopò l'interrompi- mento di obliuione. £ quelli due atti fecondo
Ariflotile fono coli differenti, che >1 primo è communc à gli Huomini
et alti Giomenti; mà il fecondo, che di reminileenza conuiene lo-
lamcnte à gli Huomini: perche la reminileenza c vna reflesfio f ne
dell'Intelletto difcorrcnte, per ricordarli la colà dimenti- cata; fiche
la reminileenza è atto dell intelletto, ò della Cogita ciua
lènfitiua,congionta all'Intelletto. Quanto al terzo principale, in ch$
muodo fi può facilitar l’atto della Memoria, dico che ò pariamo dell’atto
della remi- nileenza, ò del repigliamento della Memoria. Se del primo
at- to, racoglicndo da quel che dice Arillotcienel libretto della
Me moria c reminileenza, dico che in tre muodi noi postiamo ri
cordarci di colà dimenticata. Primo hauendo l’occhio all'or- dine delle
colè; Secondo al tempo ; Terzo al luogo . Quanto al primo, dico che
dobbiamo mirare alle cole antecedenti, ò iòflequenti alla colà che noi ci
fiamo /cordati ; che coli ci Ib- uenirà la colà mezzana; ilche fi vede
per elperienza di quelli p che làpendo molti uerfi, e /cordandoti del
terzo, ò quarto; recitando il primo, e fecondo, li louiene il terzo, et il
quarto. Da quello nalcc dice il Filolofo, che alle volte ci ricordiamo d’vna
colà pafiàta d’?n gran tempo ; et una cola del riftcflfo gjornojA
d’vn’altro innanzi fatta, non «i G>uiene:per» che quella cofa
fouucnutaci nouamente,hà qualche collegaza et ordine có quella cofa, che
noi prefcntialmcnte penfàuamo. Et il procreilo in quella colliganza fi fa
in tre maniere, come dice Ariliotilc; dal limile; dal contrario : dal
propinquo. Dal Amile, come le mi ricorderò di Socrate; ricordandomi di
Pla- tone, ìlquale c limile à quello nella fapienza. Dal contrario,
come fe mi ricorderò di AchiIIc;facendo mentionedel fuo au uerfario
Hettore. Dal propinquo, fe mi ricorderò del Padre- mentre fò rimembranza
del Figlio. Il fecondo muodo è mira re al tempo;perche volendoci
ricordare d’vna colà paflàta,di- ftinguendoli tempi, e conAdcrando d’hora
in hora potremo ricordarci della colà dimenticata. Il terzo muodo, è
mirare al luogo: perche conAdcrando diparte, in parte, i luoghi
ne’qua li habbiamo fatto dimora et operato, potrà louuenirci il
fat- to che vogliamo . Quelli tre muodi di ageuolare la remini-
Icenza, lon fondate nell’ordine, ilqualc è ottima guida per la facilita
ancora del recordare. Indi A traggono d’Arillotilc a. documenti per
facilitar la Memoria, e la reminilcenza. Il primo, chele cofe da collocare in
Mcmoria, Aano ben ordinate, diftinte, e ridotte in capi : perlochelc colè
malamente ordi- nate, tardamente ci lbucngono.Il lècondo, che le gli
porga vna gagliarda attentione di mente: perlochc alle uolte ci ricordamo
piu d’vna cofa villa vna fol volta ; che un’altra villa piu, volte. Il
terzo che frequentemente Aano meditate, et repetite con ordine. 11 quarto
che nel volerli ricordare colà dimentica . ta, li Riabbia 1 occhio al
principio della colà, ilqualc è atto atra her a fe il nello, per la
colligaza et ordinejcome A tira vn luco filo, da chi prende il capo. Se
pariamo del ripigliamcnto del- la Memoria, et vmuerfalmentcd ogni atto di
Memoria dico chem tre muodi posAamo haucr faciltà in quell’atti;
primo per natura; fecondo per clfercitio; terzo per arte. Della
natu ra noi non posAamo farci maeftri; poiché c dono di Dio, il-
qualc dono l’habbiamo An da forigine; et cflendonenoi do- tati
eccellentemente, dobbiamo renderne lode a l’auttor del- la natura ; et eAèndonc
bifognoA, dobbiamo ricorrere a fua diurna MaeAa per aiuto: poiché ìnitium
omnù Sapienti, timor Domini e/t . E ben vero, che la Memoria naturale
puoi elfer C aiutata aiutata dalli Medicamenti,
dairE{Tcrcitio, e dall’Arte. Dell’Arte, e dell’Effcrcitio diremo poi. Quanto
alli Medicamenti, no reiterò di dire*, che per lo più fogliono riufcire
perigliofi, e par ticolarmcntc le vntioni, che li fogliono tare alla
poppa del cerucllo ( chiamata l’occiput ) per ingagliardire la
Memoria. Lequali vntioni fogliono effer di qualità calida,c fecca; e
per che il caldo accende li fpiritidel cerucllo, e quelli (piriti
aceli et infiammati alterano, muouono, perturbano, dilordinano li
fimolacri; ne fiegue che quelli liquali vfano imprudentemé te limili
vntioni bene fpelfo diuentano frenetici, e pazzi. E fè pure non
incorrcfiero in quello danno ; non polìono fuggire qucll’altro: perche fi
sa bene, che l’ingagliardimento d’vn cò- trario,rende debole la forza
dell’altro contrario; à guifà, che il calor che fubentra nell’Acqua,
quanto più prende forza, tan to più fi feema e, và mancando il freddo ; c
perche l’ingegno e l’acutezza dcllapprenfiua confitte nell humido; la
tenacità della Memoria confitte nel fccco ; però li Medicamenti
calidi, è fecchi; mentre ditteccano la Memoria, chiaro è che inga-
gliardendo la retentiua, debilitano l'apprenfiua . Laonde que- fti tali
mentre cercano d’hauer felice retentiua, diuentano roz' zi, (tolti, c
tardi, nell’apprenfiuaj intanto, che non fon’attimè da fe fare
inuentioni; nè ben faper’ imitar l’altrui; habili fola- mente à leggere
l’altrui fcritti, e quelli parolatamente riporli alla Memoria, Ne per
quello intendo negar affatto tali Medicamenti: mà concedo bene poter effer
vfati,col configlio d’vn efpertisfimo Medico, ilqualc conofccndo la
qualità e forza par ticolare del medicamento, la qualità, la
complesfione, l’età, il bifogno
delmcdicato,potràopportunamenteordinare,& indi con ficurczza vfarfi
l’ordinato medicamento. Fra gliremedij vniuerfali,fi recitano, Il moto,
Il lauare; La tenebra, e la mediocre attcntione. La onde fi formano quelli
quattro quefiti. Il primo perche caufa quelli, che fi vogliono ricordare
muo- uono il Capo. 11 fecondo, perche caufa il lauare del Capo gi.o
ua alla buona Memoria. Il Terzo, perche meglio ci ricordia- mo nella
tenebra, che nella luce.ll Quarto, perche fapendo noi recitar vna cefi,
udendo darci molta diligenza, et attcntione; ci feordiamo di quella. Al
primo rifpódo,che alle volte nell’organo della potéza Mcmoratiua,vi è qualche
oppilatione, laqua IO le impedifceil libero paflaggio dell» 1
(piriti fenfitiui: e mouédoì noi il capo, s’apre quell’impedimento, et aperto
pa/Tano li Spiriti, c ci ricordiamo. Al fecondo dico, che per tal
lauamen to s’aprono li pori della Tcfta, perii quali cleono fuora li
fu mi, che ingombrauano il ceruello, et impediuano illuogo co
fèruatiuo dclli fimolacri; la onde ufciti quelli fumi,reftando libero
l’organo, facilmente ci ricordatilo. Al terzo ri/pondo, . che ne.
la luce li moti de l’oggetti lenfibili efteriori, come piu gagliardi,
impediuano il moto delli fimolacri interiori, che fò no men gagliardi.
Per lo che fi da regola, che l’huomo per ri- cordai fi, e per collocar in
Memoria, li può feruire dellatene- bra,ò naturale, ò uolontariamaturalc
del luogo o/curo;uoloa taria, chiudendo gli occhi nella luce. Al quarto
dico, che la fi> uerchia diligenza^ attcntionc,preci/àmcntenclli
fimolacri bc ne habituati, perturba li /piriti, c muouc gagliardamente li
fi- molacri riporti nelforgani ; c quefta pcrturbatione ecommo
uimcnto alterando, dilfordinando, e confondendo li fimola- cri, impedi/ce
l’atto perfetto della Memoria- Ma ponendo me- diocre attentione,e
diligenza : non ne fiegue quefta perturba tionc,e di/ordinationeje però
li fimolacri meglio fi ripigliano. Quanto all c/sercitio dico, che
ottimo rimedio, per facilitar l’atto della Memoria, è l’clcrcitio
mentale, e uocalejpcr Io che fi riferilee di quel Filo/òfo lettore, il
quale più e più uolte ri chiefto da’Difcepoli,chc uoleflelor’infegnare
l’Arte della Me moria : dopò molte preghiere, all’vltimo con Metafore di
Me tonomia figurando l’e/èrcitio difse,chc fi riccucflc Scarpa fa
na,c Scanno confumato.Volendo inferire, che lo Scolaro, per far buona
Memoria, fuggendo li fuiamenti; debbe /edere, c uigilando /Indiar molti
Libri, E chi non sà,chc fedendo affai lo Sc-nno, ouc fi fiede fi confuma
;ele Scarpe, perii ripo/ò rimangono lanc.E qudfto forfè, uolfe dire il
Filo/ofo in quel fuo detto fedendo, e ejuiefcendo,Jinimns fit prudens.
Indi credo, che Adamo /àpientemente impor endo li nomi alle co/c,
chiama/Tc la Memoria con parola hebrea, Zecher. Il qual nome, c comporto di
trelettre; Zain,che c Interpretata oliua. Caph,chc interpretata,curuati
funt: Res, ch’e interpretata Caput. Volendo dire, chelaMemoria confifte
nel Capo cur- ilo^ per Io cheuolendoci noi ricordare d’una cosa
dimenticata, curuamo et inarcamo il Capo; perche ri fedendo la Memoria nella
parte deretana del ceruello, chinando noi il Capo al Petto, con quello
moto s’aprc l’organo, e fasfi più atto, e fa cile alla fua operatione. E
di più la Memoria dice Capocur- uo; perche dobbiamo curuar il Capo à
lludiar li libri ; e da qui nalce poi(come dice il filosofo)cheli
Studenti per lo più, hanno qualche poco di Gobba ; perche non piegano
pigri il Capo alle (palle fopral'otiofe piume; mà diligenti
I'incur- uano al petto, fopra gli aperti Libri . E di più il nome
della Memoria contiene l'Oliua, dalla quale fi fa foglio, udendoci
moftrare,che l'Huomo per acquillar buona Memoria, debbe uigilare, non
folamente con la luce diurna del Sole ; màcon la notturna
dcll’oglio.Oltra che il lume dell’oglio,è più atto di quello del Seuo,ò
graffo, il quale col noiofo fumo, e feto re appanna gli occhi, c difturba
affai il cerudlo. Auertendo per fine di ciò,che in quello capo curuo non fi
prenda fred do nell’occiputjmà fi mantenga col fuo calor naturale, non
ec ceduto, nè alterato da calor eitrinleco : acciò il calor’acciden
tale, non perturbi l’ordine de’fimolacri :& il freddo nonag
giacci,& induri l’humidojfi che fi rendano poi l’organi tardi, pigri,
e difficili all’operatfone.Disfi dell’efercitio uocale, inté dendo di
quelli li quali ripongono in Memoria, per recitare leggendo, predicando,
od orando; perche lappiamo, che non folamente l’Intelletto è habituabile;
mà ancora la Mano, eia Lingua; quella à fcriuere, quella al recitarejpcr
chchauendo noi imparato uinti,ò trenta uerfi,& affoefacendoci in
recitar li molti, è molti giorni, la Lingua uiene ad habituarfi,
intan- to, chefenza penlarci ò darci mente recita, e feorre diuerfo
in uerfo ottimamente.Dunque, perche la Lingua è cosfi ha- bituabile,e
porge aiuto alla Memoria in recitare;è molto ben fatto alloggando nella
Memoriale colè, e repetendoleper Ha bilirle in quella, fare che ancorla
Lingua le reciti, el’efplichi con uocc quanto più fi può intelligibile ;
e quello fi uederì con elperienza,'chc apporterà grandiflimo giouamento
alla Memoria. Quanto aTArte da facilitar l’atto della Memoria
; quella farà la parte, che s’ha da trattare diffufamentedanoi .
Della quale, come uoglionocommunementcli periti de quell’ Arte
e P 1 1 e precifàmente Cicerone, e Quintiliano, nc fu
primo inuento re Simonide Melico Poeta Lirico, il quale hauendo uifto
mol ti fedenti in unconuito,& efsendo poi caduta la ftanzadelcó
uiuio;& vccifi, c dislìpati li cóu tati di maniera, che nó poteua no
elTerconofciuti diflintamcte dalli parenti et amici, che vole uano farli
gli honori funerali, Simonidc Poeta fbp radette, hauS do per prima
riporti nella Memoria licóuitati, fecondo l’ordine de’luoghi oue fedeuano;
diftintamente vno p vno li rico?- - nobbe . Metrodoro feeptio fece
perfetta qucft’Arte, Cicer: adHercnnio ne trattò efquifìtamente, cort
Quintiliano, Sene c a, Petrarca, Rauenna ne fa un trattato ih titolato
la Fenice. Fra Lorenzo Guglielmo debordine minor conuentuale, pienamente
ne tratta nella fua Rhettorica. Fra Cofma Rortellio dell’ordine
dc’Predicatori, ne fà un libro in- titolato, Thesàurus memoria:
artificiose . E prima di lui ne trattò pienamente F.Gio. Romberch, Iacopo
Publitio, Ma- theolo Perugino, Francefco Monleo et altri nelle opre
della Retorica.il Sig.Dolce in forma di Dialogo, uolgarizò il Trac
tato del Romberch. E finalmente il Sig.Gio:Battifta la PORTA (vedasi), n’hà
fatto un bellissimo trattato, Io mi sforzerò, et imitando inuentando; ridur
queft’Arte, àquel compito Metodo, che fi potrà maggiorc.Notando, che due
colè iidefiderano in qucft’Arte; primo, Il ucro Methodo della Dottrina;
fecondo la Voce uiua di chi bene l’infègni.Per difetto del primo,
mol tireftanopriui di queft’Arte; per difetto del Secondo Tariffi
mi ne riefeono; perche queft’Arte, à mio giuditio,è limile al- la
Mathematica,c Notomia ; le quali, mentre fi fpiegano, bifo gna ch’il
Mathcmatico habbi la fua tauoletta ingefsata, fbprà la quale difegni, e moftri
le Figure Mathematiche: et il Noto mifta habbi dinanzi a gli occhi, e
/òtto le Mani, e tagli di Prat- tici, il Corpo humanojfòpra il quale
infegnando con la Lin- gua; moftri con il Dito di parte in parte, tutte
le membra hu manc.Cofiì il Lettore d» que/l'Arte,bifogna che feelga
uin- ti,ò trenta luoghi, e quelli uifti dalli Scolari, c ben polli in
Me moria, come preamboli; fiuadipoidi parte, in parte, efplican do
il contenuto dell’Arte. D Alle cofc fopradette raccolgo, c concludo quattro
colè; la diffinitionc della Memoria Artificiale, il titolo dell'Art, il
foggetto, la partitione. Del primo dico, che la Memoria Artificiale^ vna forza
ac- quiftatacon arteficio ingeniofo, perlaquale tenacemente li fimolacri
di cofe ò di parole fi ritengono, c viuacemcnte alla virtù contemplatiua,
cnarratiua fi rapprefentano. Dclfecon do dico, che queft’Arte fi chiama,
Arte di Memoria ; e chi la volcfle chiamare Arte di Memoria vdita, non
errarebbe ; poi- ché è vn’Artc, che conuienc,non folamentc efler
iftudiata nel li Libri; ma vdita ancora da voce viua ; nella guifà che
forfè Ariftotele (fecondo alcuni) intitulò li primi Libri della
Fdo- fòfia,de Phifico auditu . Indi credo, che tra gli Ieroglifichi,
l’Orecchia fi troua confccrataalla Memoria . E fi bene dottamente Porta,
intitulò queft’Arte, l’Arte del ricordare : poiché la Memoria Artificiale
mira, et attende à facilitar l’atto della Memoria, che è il ricordare; non però
ne ficgue, che il titolo antico, e communc diqueft’Arte debbia edere
rifiutato; poiché e da Filofofi, e daThcologi, tanto la potenza della
Memoria; quanto il fuo fimolacro, c l’atto, son chiamati memoria. E fe ben
affermo, che queft’Arte mira anco la reminifccnzajquando ne i
limola cri albergati, foccedeffe obliuione: nondimeno conueniente-
mcnte fù chiamata da gli antichi Rettorici, Arte di Memoria; non
fedamente dal fine, come dice il Sig. Porta: poiché il tutto fi fa per
accrefcere la Memoria; ma perche ogni atto di ricor dare, e chiamato
Memoria, com’io disfi. Del Terzo dico, che il foggetto di queft’Arte, c
il Luogo ideato per ricordarci;inté dendoper l’Idea il fimolacro,la
fimilitudine,I’imagine, la qua- le fi colloca nel Luogo ftabile: acciò
viuacemcnte ci raprefèn ti la co(à,ò parola della quale vogliamo
ricordarci.E da que» fto foggetto, io prendo la partitione dell'Arte,
laqualc è diui- fa,in Luoghi, et Imagini.E fèbene il Signor Porta
aggiongala Perfona,tra il Luogo, e l’Imaginc j nondimeno diremo al
fuo luogo,fe quefta Perfona, fi deue ammettere in queft’Arte .
Et ammettendofqla redurremoal Luogo, ò allTmaginctfi che re ftafofficientela
partitione,in Luoghi et Imagini.il luogo è come Materia; l'imagine come
Forma; Il Luogo ca guifa del la carta nella quale li fcriuc: L knaginec à
guifa della (cattu- ra che fi (tende (òpra la carta, e come dice
Quintiliano con CICERONE (si veda) il Luogo c come tauoletta incerata,
l'imagine, co- me lettera. Si che il Luogo, è quella parte materiale,
(labile, diftinta, e proportionata, laquale c bafe della Imagine,
Figura, è fimilitudme della cofa,ò parofa,come vn’Angolo d’vna Cel-
la. L’imagine c la Forma,!* Figura, la Similitudine, ó Segno di quella
cofa,ò parola, che noi vogliamo ricordarci, come la forma d’vn’Huomo, ò
d’vn Leone, quale con la noftra Men- te, noi collocamo nel Luogo.Del qual
Luogo, e poi dell’Ima- ginctrattarcmo. Delli Luoghi.
Dirò ordinatamente tre colè delli Luoghi, ’la Partitiotie, le
Conditioni, ò Regole, et il muodo da formarli nella Me- moria .
Quanto alla Paninone, ò diuifionede i Luoghi, dico che il Luogo c
di tre (orti ^ Imaginato. rti, il primo Reale, il j. imiginato. Il
pri roo e quello, che nel Luogo ucde il Senio,comc nel primo Luogo
ci troua la Porta, nel fecondo l’Angolo,nel terzo la Fi ncllra. Iinagmato
c quello, che ut formala Mente; per clfem- pio le da Angolo ad Angolo di
una danza ui foffe uno fpatio troppo grande per un luogo, ecapacedt due
Luoghi, c‘ che non ci foffe in tale fpatio niunodidintiuo ; io pollo
for- marcene uno, con la mente, collocandoci una Pcrlona, una Fi
gura, un colore, un’altro limile fegno ;ò pure le uoi hauede commodtcà,
farebbe bene farci un fegno reale, come làreb- beà dire prender un Banco
ò Caffa,ò altro artificiato, e por 10 in quello fpatio per fegno ;
ò pure appendere nel Muro qualche colà con un chiodo, come un Quadro, una
Figura, ò ergerui un’Altare, fè pure non uiuolede (bruire del Muro
per carta di pazzi, dipingendoci un legno col carbone, o altro co
lorante. Equedi fegnifian uidi, reuidi,e maneggiati; c poi fermati,e
repetiti nell.; Memoria. E fc bene fi rimouinoqucl 11 fegni da i
luoghi, fi ritengano però fempre nella Memoria, come la prima uolta ui fi
uiddcro.Auucrtendo (opra il tutto, che il fegno del didintiuo, non fia
troppo piccolo; perche nó darebbe quella uiuezza che fi dcfidcra .
Seftò, Del Numero. Il numero di Luoghi, mira il bilogno di chi li
forma; per- che chi uuole Luoghi per li Concetti, un mediocre nu-
mero li bada; chili uuole ufare anco per le parole di molto numero
n’ha-btfogno, fi come colui,che fcriucpoco, di poca carta hàbtfogno; mà
chi Icriue molto, di molta è bifrgnolbr J 6 Il Raaenna fi uanta
d’hauerne formati cento diece mila . Il Rolfellio ftima, che il gran
numero offende alla Memoria . Cicerone ftimò,che fidamente cento luochi
baftalfcro. S.To- mafTo con Teglia ad hauerne molti. Il Petrarca, il
Rauéna,Gio: di Michiele, Matheo Veronefèò Perugino, ìsibuto, e
Chirio, et con quelli il Romberch fi dilungano da Cicerone. Voi formatencne
prima cento, per rclfcrcitio j e poi di mano in ma- rno formatene
dell’altri, hor collocando vnaChiefa,hor un Palazzo, hor un’altra Chiclà,
finche haueretc la lèmma d’un mille luoghi. E le quelli non ui
baftalTero, potrete formarne, de gli altri; purché non pasfiatc à formar
li Luoghi della feconda Chiefa, ò Palaggio;fe prima non haurete molto bene
Ila biliti nella Memoria li luoghi formati nella prima Chiefà ò
Palazzo, ch’altrimente facendo, offendcrelle la Memoria, e con la confu
fione, e con la fatica. Settimo, Della Diuerfìtà. Non è colà
doue fi ricerca tanta uarietà,c diuerfità, quan toin queft’Artc; per lo
che l’uniformità, ò Gmilitudine delle colè, c diametralmente opposta alla
Memoria di Luoghi. Però in un Clauftro,doue fi ueggono Archi, e Colonne
tutte limili, non fi polTono formar Luoghi;!! come nc meno nelle
Celle di Dormitori; di Rcligiofi, parlo di quelle che tutte ha no le
porte, e diftanze fimili. Si ben’ alcuni uolcndofi feruire di tali Luoghi
fimili, diano Regola delli Diftintiui imaginati; come legnarcon la mente
le Colonne, una con una Croce, un’altra con una Mano, vna Cella con un
Santo, l’altra con un’altra Figura;non dimeno quello mi pare uano c
fuperfluo, si perla difficoltà, che s’aggiongealla Memoria, come per
ha ucr noi ampia commodità da poter cIegger’aItrfLuoghi,qua li per
la dilfomiglianza,c diftintiui reali fon più atti, e facili al la
Memoria, lènza lottomcttcrci Se à quella nuoua fatica, et à tal pericolo
di uacillarnclli fimili. E ben uero, che le noi nel formar di Luoghi,
doùesfimo palTar da Luogo Commune ad altro Luogo Commune, come palfarda
una Cielàad una Sacreftia; e per congiongcr quelli due Luoghi Communi,
ci conuenilfe palTar, per un Clauftro colonnato, e che le Colon
ne fu- nefuflero poche in numero, come tre,ò quattro ; non
nega- rei il palTat per quelle, e diftinguerle con qualche legno
reale pofto ad tempus^com’io disfi nel Capo quinto del Diftintiuo,
ò collocandoci perfone familiari, fecondo le regole che fi di ranno delle
perfone ftabili, ò almeno diftinguerle con fegni imaginati. Delle Celle
fimih di Dormitori, s’auerta,che ce ne potiamo lèruirc,ò palpando, ò
entrando; le palTando,e tut te le Porte, e le dirtanzc,tra Porta, e
Portalono uguali, e fimi li: è difficoltà a i oprarle, àchi non le li
fàprattiche,diltinguc dole per diftintiui efficaci, c particolarmente per
Peritane che ui habitano, quando lon molto ben conolciute dal
Formato . re. Se entrando è gran commodità ; perche col diftintiuo
ef ficace ritrouata la Cella, fi portono dentro di quella ordina-
tamente formare alcuni Luoghi, et ufeendo da una paflarc per lo fpatio
tra mezzo alla lequente Cella. Ocrauo Dell* Lumi,
DErche forniamo fi Luoghi,per collocarci l’Imagini, e talmé *•'
teli raprelentano alla Mente l’Imagini, quafi l’hauesfimo dinanzi à gli
occhi: però bilogna,che il Luoco fia illuminato; acciò Mangine fi
posfimortrareallofguardo. La onde il Luo go oleuro, non catto per queft’
Arte; perche fèpelifce, uela,& acceca Tlmagine.E fi come l’Imagine
porta in aperto Luogo, perii fouercnio lume fi rende all’occhio
fbuerchiamentefplc dente, d’occhio irtelso s'offulca in mirarla, ne può
diurna- mente, e commodamente contemplarla; cofi la Mente non ef
fìcacemente apprende, nè uiuacemente la Memoria csfibilce qucll'Imagine,
cheda foucrchto lumeè illuftrata . E però le Strade aperte; le Piazze, le
Muraglie, che fono dalla parte di fuori dell’Edificii, non fono troppo
atti per quert’Arte. E qua to aH’ofcurità,il Sauona dice,cheil Luogo
oleuro, fi può far luminolo: le fi confiderà, efi forma con un lume di
Lucerna, e Tempre fi mantenga nella Memoria cosfi illurtrato,come
fu uifto con il lume quella prima uolta.Ma quello io l'ammetto,
quando quel Luogo oleuro forte neccrtario all’ordine di Luo ghi, per non
interromperli; fi che per continuarli bilognaflc palfar per un Luogo
oleuro. Il limile dico dclli Luoghi aper ti, che per cotinuar
Luogo Còmfflune, al Luogo Comma ne, mi bi/bgnaffc pattar per vn'Andito, ò
per vna Strada,ò per vn Cortile': potrei in tali Luoghi aperti, formar i
Luoghi diftinti.E quando fodero /ouerchiamenie luminofi :fitor-
mino i Luoghi in tempo nuuololojò nell’hore, quando s’itn bruna il giorno
la /era, ò quando fi chiarifce la mattina. E nel modo che furo vidi la
prima volta che fi formaro ; così fiano Tempre ramcntatt. Et auertail
Formatore, di non eflcr troppo fcrupoloio intorno alli Luoghi aperti;
perche ctten- do aperti uerio il Cielo, e per il progretto, nondimeno
fono chiufi a faccia, con mura et habitationi non troppo dittanti»
come /bgliono ctter le ftrade per le Città;e s’ofl'crui quelche fi dirà
della folitudinc,e fic detto di lumi, di formar i luoghi in certe hofe
del giorno, quando e men frequentati, e men luminofi fi veggono; non c
dubbio che permisfibili fono alf- Artè. • Nono Della
Quantità. m P Erche ne gli Luoghi fi collocano l’Imagini corporali,
di- ftefe per larghezza, et altezza;però bifogna, che li Luoghi
habbino la loro debbita grandezza. Et perche il Luogo trop po piccolo,
non potrebbe capir l'Imaginc ; e fe fotte troppo grande fuiarebbe lo
/guardo, et confequentemente la Men- te # laquale ila attenta alla
Memoria, che è fondata nel fenfo: però fi attegna la larghezza di otto ò
noue palmi, òpiedi;per che in tanta larghezza, fi può à braccia aperte, e
fpiegatedi- ftender vn’Huomo.Nó meno, acciò nello fpiegar delle
brac ciad’vna perfona,noningombratteilLuogointanto: che nò reftatte
fpatio per l’altra Per/ona, quando per occorrenza del l'Imaginc
bifbgnatte fimilmcnte fpiegar le braccia.Non più» perche noi uogliamo feruirfi
delti Luoghi, non /blamente per li Concetti: ma anco per le Parole. E fi
come malamen- te leggiamo le parole, quando le lettre, fillabe, ò le
parole an Cora /on'troppo dittanti l’vna dall’altra: così tardamente
/om minittra la Memoria, quando li fimolacri non hanno tra loro vna
cofiueniente vicinità» come diremo nelfeguente Capo della Dittanza. E Decimo
Della Diftantia.' C icerone vuole, che un Luogo Ila dittante
dall’altro trenta Piedi, ilchc lìcgue ilMonlco. Il Rottcllio vuole, che
30 . Piedi, s’intenda del Luogo ampio; ma del particolare, quin-
dici ò vndici Piedi. Il Sig. Porta dice, che Cicerone vlàua i Luoghi per
li Concetti giudicali, douebifognaua hauer fpa tio grande, per depingcrci
gran fatto: ma per le noftre Regole batta la diftanzadi otto palmi . Alche
fottoferiuo io di ccndo y col detto Sig.Portarche le per calò ogni otto
palmi* non s’ihcontrafle Angolo^Porta^ Fineftra, ò dtftintiuo nel
Muro ; mà il dittintiuo fotte puoco amati, 11 che bifognal^ fc
dittender’il Luogo altri due palmi, non importa che la di- dimi Ila di
dieci palmi . Si come incontrando il dittintiuo nel lètti mo palmo, e
nelfottauo non ci fette ; non farebbe er rorc, il fermarfì nel
dittintiuo.E la dittanza s’intende, dal cé- tro,e dal mezzo del Luogo, al
centro dell’altro Luogo : lì che ne fìegue,che li Luoghi habbino ad etter
fbccesfiui, e conti- gui . Il Rauenna adegua la dittanza di cinque ò Tei
piedi : il che le ben potette pattare,nondimcno è più lìcuro darli la
Iar ghezza d'vn huomo,con le braccia (piegate e diftefejaccio
occorrendo farli Ipiegar le braccia non s’ingombrino le Per ione tra
loro.URomber eh oltre che (lima ottimala Regola dclRauenna,aflegna ancora
la dittanza di due piedi quando l’Angolo,ò altra cola
lègnalata,abbracciafle i luochi.Ilche le s’i mende da centro à cétro,
forfè pattarebbe, per la collocano ne immcdiata:ma non è congruo perla
cJlocatione media- ta, laquale ricerca Pcrlone Se Imagini,lequali
douendofi fpie gare per larghezza,non li ballano due piedi; le pure per
pie- di, non intendefle due moti, e pasfi. Ma s’egli intende della
di flanza,tra il fìne di vn Luogo, et il principio del feguente :
fe la necessitaci conftringe à far quello* c permetto com’io dif fi
con Porta. -, Icttioiic La soccessione di Luoghi, ò
s'intende tra Luogo Comma ne,e Commune:ò tra Particolare, è Particolare .
Quanto alla prima foccesfione, (irebbe bene in vna Città, hauendo
più Luochi Communi:chc il Formatore (ì sforza (Te ordinar li, conforme al
(ito ideilo che fi trouano;paflàndo da Luogo Comtnune al Luogo Commune
ordinatamente:cioc da un Luogo Commune, li pas(i all'altro Luogo Commune
più ui cinoje co(i poi al terzo, c poi al quartoje girando, ò
caminaa do per dritto ordinatamente, pauarall altri
foccesfìuamente. E non potendoli ciò fare di tutti; (i faccino in due ò
tre par* tite.Et perpaflar da vn Luogo Commune, ad vn’altro Com
mune, coinè da vna Chieli ad vn Palazzo, da quedo ad vn al- tra Chicli:
(irà ben’incatenar quedi Luoghi Communi, con alcuni Luoghi
Particolari;purche il uiaggio da brcue,cli Luo ghi fi posfino formare
commodamcnte, come disli nell’otta uo.capodelli Lumi, e nel (èttimo della
Diucrfità. E queda (òcceslìone tra Luoghi Communi c vtile: perche
collocando voi vna T*redica,od Oratione, e li Luoghi Particolari
d’vna Chieli, non ui badalsero, perlochc ui bilognalse paflar ad
vn’altro Luogo Commune:gioua il paflirci,per un mezo con
tiguatojaltrimente la Memoria fuariarcbbc.È notate, che que fio paflagio
li fà in due modi nel recitare, primo conpaulà, fecondo lenza paufa.Con
paula c poli, per elfempio hauen- do finito il Prohemio, il dicitore
prende fiato, epoi ripiglia la Narratiua:in queda polita, può il dicitore
far paesaggio da Luogo Scontiguato,ad un Luogo Dilcontiguato ; c
non (blamente da Luogo Commune, ad vn’altro Commune, che lia in
unaidefsa Città:tna ad un’altro Luogo Commune, che fia in vn’altra
Città.Pcr efempio, hauerò collocato il Prohe- mio, nclli Luoghi della
Chiefa di San Francefcodi Palermo; polso collocar la prima Parte della
Predica, nclli Luoghi di San Domenico di Palcrmojò nelli Luoghi della
Minerua di £ a Roma, e la feconda parte, in vn’altrà Chicli . E
così, non è inconucniente pattar da Luogo feontiguato,à Luogo feonti-
guato;& ctiamdio lontano, quando li prende fiato . Mal nel fecondo
muodo,tjuando bifogna farpaiTaggio lènza paulà, e fenzapofata: è
pericolofo,il pattar da Luogo Commune, à Luogo Commune, lènza qualche
mezo. Per eflempio,la prima parte d’vna Predicabile va fcguita lènza
pofata ; bilbr gna collocarla in un Luogo Commune. E fé un Luogo
Com munc non baftaflè ? Dico che collocandola tu ledeui darai-
tergo in un Luogo Commune, che fiacapace:e così fuggiti pericolo.E le per
mancamento di Luoghi, ò per inauertenza te la troui collocata in un Luogo
Commune, e poi fei forza- to pattar ad vn’altro Luogo Communc:dico
chedeui pattare advn’altro Commune vicino, quale però fia contiguato
per Luoghi Particola ri, co m’io diceua. E le quello non fofic có
modo difarfi? Dico che bifogna adoprarl’allutia, fingendo qualche coliche
ti dia tanto di Paulà; quanto commodamc te la Memoria, con la Mente
uoliiio al principio dell’altro Luogo Commune, e trouato il principio
lèguir la Narratiua. Per efsempio predicando, quando farògiutoal
finedelli Luo ghi Particolari d'vna Chiela,c douédo pafsar ad
vn’altraChie falontana;fingerò che mi venghi vnatofse, ò cheti
Compa- gno michiama;c mentre ltarò,ò à tosfire e purgarmi, ò uol-
tandomi parlar, ò attenderai Compagno; pafserò con la Me moria, e con la
Mente, al principio dell’altro Luogo Comma ne, e trouatolo e ben
polsedcndolo, ripiglio il ragionamento, e così con l’Arte, e con l’allutia
cuopro il difetto . E quello fia detto della lòccesfione de’ Luoghi
Communi, che della lòccesfione di Luoghi Particolari, non occorre dir
altro: poi che quella li conchiude dalle due Regole antecedenti,
Quanti •tà, e Dillanza, alle quali necefiariamente ficguc la
contigua- tionc,e lòccesfione. L’Ordine del Moto, s’intende
dell’ordine che li de tenere dilcorrcndo per li luochi : fe fi deue
cominciare da man delira, c campando finire nella man finillra; ò
difeorrere al v - -- contrario.il Raucnna parche cominci dalla
delira. Si bené il Rombcrch r duca il Rauenna al mot* perla deftra;ma
cominciaudo dalla liniftra.il Roffcllio vuole, che lì cominci da man
finiftraj (è bene non rifiuta il contrario.. Il Porta lodai’* rn’è
l’altro;purchc li fèguiti l'ordine, che cominciando dall- yna,fi Unifica
all’altra.Che dalla delira fi de cominciare, cc Io- perfuade il Filofofo
diccnte, ch'il moto comincia dalla parte delira. Che dalla liniftra lo
proua il Rofcelho: perche queft*- Arte,è poco differente dall Arte di
Icriuerc, come dice Cicero ne:e perche noi lcriuendo,e
leggcndo;fcriuemo,è lcggemo,Co minciaudo dalla f!niftra,e cammamoalla
dcftra;però li de ca minar. per i luoghi dalla Anidra alla delira. Alcuni
ftimano, che quelli che ucggono bene col l’occhio deliro, come
lon’- io; e poco e niente coll’occhio lìniftro, Icofrefsero dalla
de- lira alla finiftra; quelli che vgualmente ueggono, con ambe-
due gli occhi, pofsono indifferentemente di /correre dall’ vna, e
dall’altra parte. Nódimeno l’elperienza moftra, che èco- sì facile
cominciar da vna parte, e finir nell’altra : come co- minciar dall’altra,
e finir nell’vna.EIa raggione,non è, nè l’v- na,nèl’altra asfignata dal
Rofsellio : perche l’vna, efclude l’al- tra. Che fe fofse,pcr il moto
dello fcriuere: non farebbe faci- le vgualméte il leggerete i Luoghi al
rouerlo, come l’efpe- rienzaci moftra. Se fofseil mote, che comincia dal
deliro : ci farebbe difficile il cominciar da man manca,ilchenon c
vero: fi che ne l’vna nel altra raggione, elattamente,&
elquifitamé te ci quieta.La ondeùn quello fatto ftimo, che ò pariamo
de la collocatone dell’Imagini : ò della formatone di Luoghi. Quanto
alli Luoghi, vgualmente è facile rallentarli, per vn verlo;comc per
l'altro . Quanto airimagini,ò fono Imagini intere e Iole, di concetti, ò
di parole intiere i E così, perche o- gni Luogo hi la fua intiera
Imagine; parimente è così facile i difeorrere per un uerfo,come peri
altro.Mà fel'Imagini fof lerodi parole, et Imagini fpezzatc, cbilògni
leggerle, nel muo do è uerfo,che fi leggono le fìllabe al dritto non al
riucrlb : così è più facile difcorrer’à quel verfo,chc fon collocate.
Per elsempio,nel primo Luogo ci metto quelle parole, te Ibl’ado ro.
per T. ci metto vna pei fona chiamata Tiberio, alqualc dò in mano un
Tridente, colquale fora una fòlad’oro . e così da da Tiberio,
hòilT.dal Tridente l'E,e dalla fclàdioro,que* Ile due parole fol’adoro,e
tutte tre quelle figure fanno,te fol* adoro.Qucde tre figure le pofso
collocare in due muodi,pri mo all’vfo hebreo, che legge dalla delira alla
fmiftra, fecon- do all’ vfo greco, ò latino, che fcriue,e legge dalla fin
idra alla dedra.Se io le colloco al primo muodo, 'più facile farà
proce der poi, dalla dedra alla finidrarperchccon quclVordinc io
tengo albcrgatcncllaMcmoria.Se le colloco al fecondo muo do;più facilmente
procederò, dalla lìmdra alla dedra parte . Mà feillmagincc intiera d’vna
fola figura, come fe nel j^ri- ’ ino Luogo ci metterò queda parola
Geronimo, 1 eper quedft parola ci colloco l’Imagine di vn San Geronimo,
colpetto ignudo, e col fallo alla dedra mano : pollo ugualmente ben
ricordarmi queda parola, ò dalla dedra, ò dallj linidra par- te, ch’io
cominci.E la raggionc, perche la nodra Memoria, et al dedro,& all’oppodo muodo vgualmcntc
esfibifee, credo che fia: perche non mira l’ordine del moto di
nodripiedi;ma l'ordine che ritroua nelle colè uide dall’occhio. E perche
nel le cole uide, non /blamente ui c l'ordine dal primo al fecon-
do, e daquedo al terzo,ecofi loccesfiuamentc fin’ull’vltimo j ma vi è
parimente l’ordine dall’infimo focccsfiuamente fino al primo:pcrò
ordinati ncU’idelTò muodo li fimolacrì, puo- le la Memoria fondata nel
lenfo,&al dritto,& al rouerfo esfi birh fenza difficoltà
alcunaifi come l’occhio con l’ide/fa faci lità,che mira gli oggetti dalla
dedra alla finidraj puolc mirar li dalla finidra alla dedra. Della
Solitudine. Non parlo di quella solitudine, chefinfe Cicerone della Città
da formarsi da noi cò l’imaginationein vn De (èrto, per darli tutte le
conditionidi Luoghijperchc di queda ne raggionaiyquando disfi delli
Luoghi imaginati : ma inten- do dclìi Luoghi artificiali reali, liquali
fecondo 1 ide/To Cice fonedeuono efler eletti, in Luoghi folitarii, non
frequenta» da gcnte;pcrche la frequentia.il pa/feggio,lo drepito delle
gé ti,didurba, e debilita li fegni delFlm?gini, che all’incontro la sòlitudinc
conlerua integre llmagioìdi fimolacri.il Rauenni dima ftinuuana
ropinione della fblitudine, ciocche non fi elegga- no Luoghi,d >uec
frequenta di gente, come le piazze publi che, le ftradc della Città
frequentate: perche balla hauer uifti quelli Luoghi qualche uolta lolita
rii, e lènza gente. loftimo che quel che dice il Raucnna fia uero delle
Chielè,e Tempii, liquali in certe horelòn uacue,e lènza gente: et inqucll’bore
noi poslìamo formar li Luoghi;!! che balla la prima uol- t.i haucruilli
tali Luoghi uacui. Ma delle piazze, e llrade fre- quentate d’ognihoradiurna,
non so come le poslìamo ueder folitdrie,e uacuejeccétto che lèm’empilTe
l’orccchiedi bom- bacc,ò cottone,pcr non lèntir’il tumultojc con 1-occhi
facef fi un’eftàfe mctaphilìcale, e non attendere ad altro con gli
oc chi Cc non à ucdcr’e formar i Luoghi; ò pure formar iXuo- ghi,
nella prima hora del giorno, quando tali Luoghi foglio- no elfer quafi
igombri di gentc,com'io disfi nel cap.8. à pro- pofito di lumi. Et in
quella maniera, potresfimo ancora for- mar Luoghi in tali Luoghi frequentati;
Ma potendo hauer* altri Luoghi più com modi, io non mi metterei à quella
im« prelà faticofa, e periglio là. Dell’Altezza. I L
RauennauuoIe, che li Luoghi non fiano alti:ma coli iti lpofti,che
mettedoci l’Imagine dcll’Huomo, tocchi il Luo go dcfignato.& à mio
giudicio, poiché haueteintelo della Iar ghezza del Luogo, douete anco
hauer Regola dell’ Altezza, che mira la !ommità,ela baie del Luogo. La
lommità,e bafe, ftabilitcla con l'altezza d'una perlbna humaua:fiche il
piedcye balè del Luogo, fia il tcrreno,ò l’aftricatOjò il mattonato,
ò folaroda fommità fia. (òpra il capo, tanto quanto può gion- ger
col braccio dirtelo insù, e toccar conia fommità della ma no.E
quello,pcrche occorrerà alle uolte,dar gefto alla pérlo na di braccio
alzato uerlb il ciclo, ò darli qualche colà in ma- no, quale per fila
conditti one ricerca TAltezza;comelè tenef. fè una bandicra.Et il piede l
intendo in Luogo, che l'occhio poflà mirar tutta la perfona albergata . E
fe nel Luogo ui fia banco, poggio, ò grado, fi potrà ftabilir la perlbna,
con li pie- * di fopra di quellijsforzandofi però per quanto più fi
potrà. che li Luoghi fiano pari, e di fimile altezza, quando la
{labili tà di Luochi,non ricerchi far’altrimcnte, come nelle fcalc,
nel li afcenfi Src.Epcr la parità di Luoghi, che da cofc mobili fuf
fè impedita: fi potrebbe, o ad tenipus,o con 1 imaginatione fi muoucrc
quelle cofe,& formar nella Memoria li Luoghi pa Dei Sito. ; •
Z N On balla hauer il Luogo particolare : mabifogna co-
nofeer la parte del Luogo, douc s’ha da fituare rimagi ne;e quella parte
deuc cller’il mezzo del Luogo particolare. E (ebene il Roflcllio dubita,
e difputa fiele Figure fi debbo- no colle care ne gli Angoli, ò
nelTlnterflitii tra Angoli, Se Aa go!i; non dimeno noi hauendo asfignata
la quantità, e la di- ilanza de’ Luoghi particolari, con la mifiira della
larghezza . d’vn’Huomoj confequcntementc concludiamo la Figura, e
l’I- magine doucr effer fituate, nel centro; difendendole poi dal
l*vna, e l'ajtra banda, delira e finiftra, tanto quanto ricercherà la
grandezza et quantità delle Figure, et Itnagini. E fé in un Luogo
occorrerà collocar più Figure: fi potranno collocare proportionataipentc
compartendoli Luogo, fi che ciafcuna Figura habbi il filo didimo, e
conueniente Sito.il Romberch non loda gli Angolitperche la ftrettezza,che
farebbero le col locate Imagini,&l’ombra et ofeurità, impedirebbero
la didin tione,& chiara uifta. Nondimeno quello impedimento fi
to- glievo! giuditiodel collocante; mentre non ingombrerà fo- 4i
erchiatnente il Luogo; ma in tal mifura, che le Imagini fi modrino
all’occhio lueidee didime. Della Signatione Numerica. V Volc
Cicerone, che per ogni quinto Luogo particola re; fi ponga un fegno
numerale. Per efiempio, al quinto Luogo mettere una Mano d’oro, che con
le cinque dita moftra un cinque, e così (occcsfiuamente . Il Signor Porta
(lima quella Regola di CICERONE (si veda)
/uperflitiofà, e difiutile. Ermippo, come dice Iacopo
Supplitio,uuole che ciafcun Luoco è SEGNATO col numero. Alberto, che ogni
decimo Luoco habbi U j ~ ' fuo „ t ir Tuo
mimero, Qulntiliatio con CICERONE (si veda) .chc ogni quinto. Que
flinumeriòli pongono per dirtimiui, ò per recitartele per diftintiui fon fuperflui:
poiché cialcun Luoco hi il fuodt- (lintiuo, fenza far quella terza
fatica. Se per recitarli, il nu- mero è parte d lmagine,c pero mobile,
non immobile ; poi- ché nè à tutti li Luochi fcrue, ne in ogni occafione
. L per le occafioni, bada ad hauer li Luochi numerali dclli quali
dirò poi. E quella Regola Ciceroniana – CICERONE (si veda) -- fia da me
riferita, più torto, per non lafciar cofa intatta, per la intiera notitia
di que {l’Arte; che ci habbia* o à lèruir di quella. E perche molti
Scrittori quali Dilcepoli Pitagorici, feguendo chi prima fcrif fe c
dille, empiono le loroprc di dottrine fuperflue, mutili, et alle volte
nociue, con poco profitto di chi le Icgqe;laonde per auertirui rtn
conftrctto alle volte trattar di cofe à fuga, non a lèquela. Comc anco
firn sforzato dirui di quella rego ia'che dà il Roinberch, che li Luoghi
non liano circolari : perche il Circolo non hà principio, ne mezzo, ne
fine. Nul- la è quella Regola; perche parlando noi dclli Luoghi
perii quali li dilcorre; le ben c’incontramo in vna danza Circo-
lare, cffendoci la parte per la quale s’entra; bilogna, che ci fia la
faccia dcringrello, &. indi la parte delira, e limftra ; e dalle
parti dell’ingrediente, c caminante lòcccsliuamente, li formano li Luoghi
con li fuoidirtintiui. Della Proporcione' . I L RolTcllio affegna
quella condittione nelli Luoghi, che habbmo proportione con le cole
Iocate;perchc volendo ra contar Panni di Sacrcrtia,più colimene
collocarli in Sacre- ftia; clic in Cantina, ò in Cocina. Io rtiinarei
quella Regola efler bona, quando com meda mente fipotefle lare: perche
le racconterò molte cofe,c l’albergarò in vn Palazzo;c gtongcn dpal
mezzo, non conuiene, douendo idear colà Sacra, lenza paula lalcia r li
Luoghi locccsliui, per entrar* in Sacrertia ; ma fi deue continouar nelli
Luoghi cominciati ; perche col lalto ad altro Luogo communc, non
loccesliuo, fuariareb- be, e li perderebbe la Memoria . Oltra che la cola
in lolita, F apporta apporta con la nouità maggior
atttntione: Uche fuppli&e, » quel che manca della proportionc.
Letti one VII- P Ropofi la Partitione,e le Condittioni di
Luoghi, et an co laformationc di quelli} hauédo à baftanza detto
del primo c del fecondo ; reità che breuemente tratti del ter- zo,
e poi dica dcU’vfo di Luoghi, c delle Perfòne, coni io prumilì • • i
t >* i r .1 . > ;)} Della Formationo di Luoghi . H Auendovoi ben
iftudiateli foprapofti d ieci fette capi, an darete alli Luoghi
communi;& iui conforme alle Conditioni,e Regole aslignate, formarete i
Luoghi. Laqualfor- mationc, nura tre cole, IlDengnare,U Colli care, et il
Rcpc tere Primo, con l’occhio ben mirate, e rimirate il Luogo » col
foo diftintiuo; edifcgnato il primo Luogo particolare, defignate il
fecondo, e coli focccsfiuamente procedendo, finche giongerctc al fine del
Luogo communc. E fatto que Ito al dritto, ritornerete àriuedcrli
alrouerfo, e tante uolte ciò fate, finche habbiate perfettamente il
difegno di Luochi. Secondo, ben difegnatilt Luoghi, con le regole
fopradette in mano,cominciarcte a collocarli in Memoria, uno per
vnc; collocandone una uolta dieci, poi altri dicci, e così di uolta
in uolta in più giorni collocaretc tutti. Terzo li repctirete, più e più
uolte, dt à dritto, et à rouerfo; fin tanto, che fenza alcun’impedimento,
c difficoltà, da per uoi lontano dalli Luoghi, li fàprctc così ben
recitarejcome felhauefte attoal- mente dinanzi à gli occhi. E non ci
rincre(ca(dice il Signor Porta) recitarli trenta è cinquanta uolte il
giorno ; poiché quello c il fondamento dell opera. E come
diccilRauenna, quelli Luochi coli formati, li repetano,tre,o quattro
uolte il Mele: perche la repctitione di Luoghi, non è prezzo che Rimar la
nosft . che le dimoftrino, e faccino parere; dunquegran
facilità farà à tutti quefti bifogni, il ritrouar ne i Luoghi le Perfone
. La quarta perche con grande alle- grezza^ chiarezza li viene al
Luogo,oue fu una Persona, la- quale dii porga merauigl!a,ò II apporti
diletto. La onde le tn Muronud >ò altra Pcr(oua>nt, n così
circonlìantionata, ci fa ricordare vna fola parola; quella ci porgerà vn
veri© m tiero,come chfcfe ci preferita chiara» lumino!*,
desiderata, amata, diletteuole,"e : lrabilita.E le bene per vn
numero con ucnicnte e mediocre di Luoghi, comedi cento, ò ducano,
lì potrebbe far quella diligenza delle pecione inondimene in un
numero grande di cinqueccnt, e mille, e più Luoghi, lì tratta co fa molto
difficile il vler aggeauar la Memoria di quella doppia fatica. Gkrachc
farebbe vn’empir i Luoghi di perfbnc communi, lcquali non farebbono ni
una gagliar- da motionc, come le foprapolle,e però a colui, che ha
nume ro grande di Luoghi, ne li reftano molti nudi. Olirachc in
certe occafioni*fon più atti li nudi, che li pfònati;come in ro ler
recitare vinti, ò trenta Santi, ò eflemptgò Auttomà lóro* et effondo note
à noi lelor figure ; più facile ci farà albergar ne i Luoghi nudi, quelle
figure grandi proportionate,e quali Ttue,che il uolcr addattar la
perlòna,chc fìanel Lu' go,chc prenda figura di quel Santo: perche in
collocar quel Santo, nò lolo letica d: colVcarlo;mà far che la Pcrlona
del Luo- go, me lo rapprclcnti,hò due fatiche, la pr.ma di
fpogliar- mi della fila qualità, è pervadermi, che lia un’altro, e
poi datali quella figura, a llocarla nella Memoria; fi che con l’c-
Ipcricnza, riefee più facile il primo muodo . Il limile dico, in uolcr
recitare molti nomi di Pcrfoneconofciute;chepiù facile mi làrà,fubbito
nel Luogo nudo collocar la Pcrfòna cóno!ciuta,che m ler con
l'imaginationc, formar’ altra Ima gine,ò Figura nella Perfona (labile del
Luogo. li fimilc di- co di molte Imagini, che lì formano dalla
conuenicnza del la lcrittura,ò pronuntia, come diremo al fuoLuogo;lc
quali imagini, più fpeditamenre et cfijuifitamente fon raprefenta
te.ptfrle proprie imagini delle Pcrfonc, che dalle aliene. • InoItrc,fc
uorremo ufarc I Alfabeto perlonalc del Rauea. na, che ogni lettera hà la
fua Perfona,come A Antonio B Bifliano C Carlo ecc., fàrà un metter Perii
ma nella perfo-- na,fe il Luogo none ignudo da altra Perlòna.Oltra
cheuo- fendo noi effigiare la Pcrlona flante,non Icmpre conucrrà à
lei l’effigie dcliderata : che te uorrò l’effigie d’Androtnc- Ja,ò
di Lucrerò)» trouado nel Luogo un‘huomo uecchio,' molto ben da.mé coup
Aiuto, come lo fatò Donna, fenza «he gran repugnanza mi fi dia, e nel
Collocai la, e nel ramentarla-ln olircela Perfona,per la Aia friabilità, è
inetta à ro- llar Tempre col luoco; perche à quella Perlòna,che fi trou
collocata, puole Tuccedere alla giornata cafo di morte, e di morte
orwbde,ilcheal formatore, come amico, apporte- rà difgufto et borrorp,e
difturbo graude ogni uolta, che Te li tara incontro rimembrando, llqual
difturbo, quanta fu nociuo all’ufo della memoria; la elperienza
l’infegni. Per quefte caggioni dunque c per lelpericnza iftefla
conclu do, che non conuiene,haucr tutti li Luoghi perfonati.E le
d’alcuni lo concedo, non oftaranno leraggioni, che fi po£ fono addurre in
contrario, Non ofta primieramente eh? gli Antichi, non deflero quello
Mctodo:perche l’Arti col tf po fon crefciute, migliorate, augmenrate,c
fatte lèmprepii); perfette, con le nuoue raggioni, inuentioni,
Scelperienze, Nc olla fecondo, che il Metodi della Perfona, aggionge
fa ne;poiche l’efperienza, laquale r uerace maeftra delle cole c*
infegna,che quelle Perfone apportano all Arce merautgliofogiouamento, et inelphcabiJc
ageu dezza, c facilità alla Memoria, e chi noi crede, ne facci
lc(pcricnza,e poi parli. E quello balli delle Perfone. Per compimento
della coguitlone di Luoghi, voglio m quella Lcttionc raggionaredi alcuni
metbodi Angolari degni da saperli, il primo di Numeri, il fecondo dell»
Luoghi per dritto, e per riuerfo, il terzo 'per ogni verfo dal capo, dal
piede, dal mezzo, quinci, e quindi, il quarto Luogo per la circjlationc
color rettoria? -••(«li..; . Dclli Luoghi Numerali
- t ... .d -’-O* J • *>- ‘fj ... fi* * i Essempio. r,
-mi)! •un ijl *5 ESSEMPIO
.’*> Parole che s’han da collocare làran XX.
Videlicec. 0 *i L L ( 9, Morte. ’UI CliO'
io. Porta. li. Inferno. i2.Cie'o.
iflitfD •: 1 3. Sole. u sA iy -iì 14.
Luna. ; HHli'l « • if.Orizonte. ' o ( ina3i
iil j O .5 ip.Marc. • oq «fati
ao.Tempio. 1 &i>Oili 0. ./od i\ »OT 3
t 5 ;i ;, - >• b " • ’J • l«- i* /(. li 1.
1 L pftiarri (.1 f|o r j 0 i> ; .V . * : 1k
/.'Vc-mb ù Riti -sxapaiibnu tlkuaiaiip tlciSOlU T -il
3.1 . Modo di Collocarle. 1
11 1 1Tr'mo le finità e Decine, I.
Rota. io.Porta. ao.Tempio. Secondo per le
Cinquine, 5. Luce. ij.Orizonte. fi '* Terzo per li Tari . .... a.
Pena. 4 Pane 6 Vita 8 Verità 12 Cielo 14 Luna 16 Raggio 18 F»gho,
>1 t :« *e •‘ P tt 1
tO’j-Ó lì XtJDii starno? 1*1 noa oiu' xi « • t ' .
. ' •* . .u / ;>q ìm si sr »
* 4 £. Pietra. 7 -V^ 5. Morte. ^ >,oìtìi.
1 li. Interno. etnico >1 IJ.Solc.,. n,
jp.Marc. G Oltre « .1 Oltre di ciò nel collocarle parole,
bifogna collocarle im- mediatamente fenza imagincima folamente fiano
quelli nu- meri come la carta neHa quale Hanno ferine leproprieparo
le, fenza Imagini.E s’aucrra che collocando à memoriali nu n eri con le
parole, non fi fermino ò dabililcono in Luoghi ò nella carta:perche
v’apportarebbe confusone col ricorrere à duebande,& alli Luoghi imaginati,
et al luogo ou’cra fermo il numero, e la parola. Ma folamente prendete il
lem plice nome ò parola col fuo numero, e collocateli in memoria. Et di
più nel recitar bilogna non (blamente recitar le pa role, malinameri
congiouti con le paiole, perche hauendo noi familiari li numeri, dicendo
il numero lubito ci rappre- fenra la parola collocata nel numero, e con esplicar
il numero si prende tempo tra pareli, e parola, fiche lì può commodamente e pensare,
e pigliare la paro a fcguente.E per far quello bifogna al principio
proporre tutt’il numerò intiero dclli titoli, ò nomi,ò cofe da recitarle,
e cofi propofte poi condì numeri ordinali recitarti, per eflempio dirò.
SanMat theo che (criue la Genclogia di Chrido con. quarantadue
perlonaggi, il pnmo è Abramo, il fecondo Ilàac, il terzo la cob, il
quarto Giuda, il quinto Pharcs, e così Seguiterai fino al 42. e poi volendo dir
concetti, ò fpiegar vno per vno, ù coimnci dal 42. retrocèdendo linai
primo.E quello badi quanto alli Numeri, per Luoghi numerali, quali
àmerielco no facili per il cotid ano edcrcitio che ci ho latto.Ma
perche noi non lodainolt luoghi imaginati potendo haucr li reali;
però potrete fcruiruid’vn’altro modo numeralc,ilqualcèdi neceslità che fi
facci in queft'arte, cioè che lì habbi uno, ò due Luòghi communi,
chchabbino cento, ò ducente Luoghi, e quelli tutti lianb ordinatamente
fegnati con li numeri.1.2. $ .4. c così procedendo, c quelli Luoghi liano
podi in memo ru con li fuoi numeri, fiche lappiate recitarli al dritto,
et al riucr(o,e làppiatbàll'tmprouilopigliar qual lì uoglia nume-
ro contenuto ndccmo, o nclli ducento . Le note numerali £ di riino nel
trattato dcllìmagini.E quando vorrete recitar molte cole numerate,
collocarne le parole con l'imagini in detti Luoghi, e potretc-lermrui di
quelli ad ogni verlb. mio w Peni Dclli Luoghi per dritto, e
riucr fo . .* n. r.: • ... . ; :, . (} (r I L recitare al
dritto>& al riuerfo fi può Far in due modi, ò con le parole fole,ò
con le parole e numeri, del primo le io Uoglio recitar lènza numero, li
patri della Gcntlogu dirò, Mactheo racconta (antenati di Chrifto,ehe fon
quelli, Abra mo,I/aac, Giactb, Giuda, Fares,&c. quelli nomi li
collocale rò per-via d’Imagini nelli Luoghi ftabih nudi,ècon
l’ifteffa facilita li diro al dritto che al, riuerfo . Del foco n do le
io vo- glio non folamentc dir quelli nomi; ma h numeri ordinali
dicendo Abramo il primo,il fecondo Ifaac, il terzo Giacob» il quarto
Fares, Sic. per quello recitare io mi fornirò dclli Luoghi numerali,
quali fon neccllarij in quell’arte, e quelli lou di due forti come diifi
nel palfato capo, li Luoghi di nu meri foli,ò luoghi {labili fognati con
li numeri, l’vm, e l’al- tri poflono foruir à quello effetto, li ben li
fecondi fon mU ghori. Dclli Luoghi Alternati. '»L recitare
non fidamente à dritto, et al riuerfo, ma ancora f dal capo e dal fine
alternata méte, per effempiod1rel142.no mi della Genclogia di Chrilto
cominciando d’Àbramo fino a Chnllq,ficondo far regreffo cominciando da
Chrillo e ri tornando fino ad Abramo, Terzo prendere Abramo, e Chri
do, Ifaac eh e il focoudo,& il penultimo, e cosìalternatamé te
pigliando vno al dritto, Se vn’altroal riuerlb,uno dal pria cipio,
l'altro dal fine: fi può fare in tre modi, primo con li Luoghi d’vna
perfona humana, fecondo con li Luoghi da- bili fucceslìui, terzo co li
Luoghi dabtli che danno à faccia . Quanto al prun> della pcriòna humana
fi uede l'effehi pio apprefio, doue fono numerati 4 Luoghi . Il primo
alla punta del piede, tl ai calcagnoli £. al ptfoione della gam ba,il 4.
al «inocchio, e così il 5. alle cofoie, alla Centura il 6 . al fegato il
/.all’afoella 1 8. Al gomito il 9. alla giuntura della mano il x. al dito
auncularc l’i i* al duo anolarc il 1 a. al 4i- G x to to
mezzano il i $. al dito indice i! 14. al dito police il r y. allofTo tra
la mano, e’1 gomito il 16. nelloflo tra il gomito, C la fpalliil ^.nclla
altezza della fpalla il i8.nella gola il ijfc Yiell’orccebia il 20. nelli
capelli il 21.& altri tanti aU’aliro lato procedendo di maniera, che
li Luoghi liano fegnati l’vno di 1 impetro all’ altro nelli lati, come lì
vede, l’orecchio con 1 al tro orecchio. £ praticati nella voftra ifteifa
perlona quelli Luoghi, volendo collocare li nomi, partiteli per
metà,& Vna parte méttete da vn lato, e l’altra metà dall’altro lato,
comm ciaiido à cóllocar dal capo difendendo al ballo finche ui (a
ranno nomi, e poi prender 1 altri dall altro lato fin al capotac ciò il
primo nome li rincontri e llta di rimperto coll'vltimo, et il fecondo col
penultimo, et in quella guifa potrete reci tarli al dritto, al riucrfb, c
d'ambe 1? parti alternatamente. Notando che quelle parole si pongono lènza
Imagine, et im mediatamente à guifa che fanno le parole fritte fopra
la Carta. E di quella perfona cosi difpofla,vi potrete anco fr-
uire nelle parole con li numeri ordinali, udendoli recitare per ogni ucrfo,e
col proceflò alternato. •idsnflitn lt ^ ; ^*i:l>i 0 o r,. .
.1 .ili* 7*4} 'HO n taf 040! 7
Gratia 13 18 Piena 1 4 1 . Nel quale esscmpio
appare come è cofàfacilisfima far quelli progresli,e regredii, et alternati;
Te ben all auditii te appare gran cofa quel uaj-iare, come quello che non
sà l’Arte: che yòi dicendo al nucrfo, e prendendo in qua, et in li
le parole, tutte nondimeno le recitate per la drittura, è foccesfioue ord
nata di Luoghi. Anzi dico di più, che po« trete. far n iT medclimo; eoo
xij. Luoghi, che /ararono un ter- zp manco, e faranno èflfcttojdixviij.
Luoghi, c quello fi fi, collocando l’vlti ma parola njcl primo Luogo, e
nel fèllo ui', fia la prima, enelli figucriti vi. Luoghi collocateci le
parole alternate # e recitando cominciate dal fèllo Luogo i ritornando al
primo: poi ripigliate il primo Luogo, c fegu ite fia' al xij. e così
ha- ll. r "o : il uerctc
dette le 6. parole tre uolte, peti dritto, per riucrfo,&
af- ter^ natamente, eme appa- re inqueflo et
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io. DI n •a ' Fi i
r»-i r vi /Si, . - 1. _ . j> j
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-4 stv>n 1 «» ! I ; £,; * ° I 1 LVOCHI
x. lanieri di Luoghi, che in tutto fono XII.
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Gratta 3 tu rt II
Piena 4 H RegrefTo /?\ Vanto al muodo
delti Luoghi {labili,' che danno à fap eia. Dico che quello fi potrà
fare, quando il forma* tore potelfe incontrarle in vna corfia di Luoghi,
ò camere dentro Camere, che habbino quelle Conditioni. Siano i Luoghi
dalle Bande l’vn contra Palerò. I Luochi di quà, c di là, non funo troppo
dittante; e fe folfc* ro diftanti o'jò, ò diesci piedi, làrebbono ottimi.
Da no li Luoghi particolari àiuerfi, 6 che per la fimihtudìne, non
fu.irij la. Memoria. Perq le camere dentro camere, quando le porte danno nej
mezzo, e Tvna di rimpetto all'altra, fon atte, sì perla dmerlità J come
ancp perche fi Ipoflonq formar Luoghi l’f n contro l'altro, per 1 Angoli,
Se. i Interdici). Quar^oifiano dedgnàti li Lqo^ ghi particolari, t
che l’vri dia dirim- petto' all’altro; fiche dando tu in mezzo,
pof . . tr riveder li y j * . ' 8 Luoghi, fenza
troppo giro doc^ chi. Comcapparc nel te- r guentc edempio . „
[ tz «IjVÙ) CI 1 i -
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• c j - ' 1. : ni .‘.fi oj ait uno-ld^Jog ii> ;>
y s.ic I iì ‘-> *•> ' ’ - 11 >, * 3 (* i
*4, . :: . che è delle imagini . .. ob.'*; : l . Q S 1
orr.tiu !. CI v! a ù ut I O t Ill^> ; étagenus,Sul tri pi
iciter 1 intédo, dalle tre dita della ma Zioalzate.il fccódo muodo,
ponedo la prima parola fola, p laquale il recitate hi legno di tutte le
parole fequcti ( p elle po)p raccordarmi quella femeza. Specie» eft qu*
predica - tui,3ic. porrò nel Luogo fola mente la parola Ipec.e»,
dan- do in mano d'vna perfora un ncartocc-o, o un tacchetto di
fpetie,ò pure una piperà. Auertcndo per co p mcio di tut to
quefto,ci.equando nelle parole, li vainueft gaiidoffcUi fi troua attionc;
nò loio intendo 1 attuane immediata éte ftgnifì cata per la parola; ma
anco 1 anione, clic (i j otti, e med ata- mente rurarc dalla parola .
Dell’ Attiene immediata fu queflo esempio. Voglio metter quella fcntcnza,
Sede e cft verbum infinitum . La parola federe immediatamente può
cfTer’ideata,pcrvno che licda m vno Scanro: mà fe dirò, Aue giatia piena,
Se benedilla, quell Aneli può ridurre al- l'attione d’vno che faluu
vn'altro;e coli la parola bened Figurate, j p cr Volontà. Per
Ingegno. Le cofe figurate per Natura, ò sono uomini, ò altre co-
I i fc fotto fc fottocelefti . Per Arte lecolc materiali formate
dell’Arte. Per Volontà come gl’Angeli, e ii Demoni j, che in certe
oo cafioni piendono forma Humana; e le Diurne perfone che vna lì
vede d Humanità, che fù il Figlio che fi riè huomo in tempo, lo spirito
santo appare in forma di colomba, e il padre ancora ci vien dipinto in
forma Maieftofa d’un vecchio sedente nel trono reale. Per ingegno come fono le
£» magini figurate, e fìnte di tanti Dei, con li loro Pegni, et im>
prelè, Giquc con li fulmini, Saturno con la falce, MARTE con LA LANCIA, Venere
col fuo Cupido, Amore arcicro, Dia naia Fonte, Mercurio con l’Alce’!
Caduceo, Apolline col Parrò, e cofi de gli altri . Così anco le Imagini,
delle virtù Morali, e Theologali, delle fcicnze, et Art» hberali, delle
Mu- ie, della Morte, della Vita, e filmili. Delle figurale per ingegno, e
per volontà, dò unacoirmune Regola, chcoccorren dori fintili cofc, le
potiamo collocare con le loro Imagini, nel muodo, cheli formatore 1 ha
utile, depinte; e conforme a quel che bà letto, le fonnacon la
imaginatione talmente, quafi che rhaueffe dinanzi à gli occhi Delle colè
Artificia- li fi dice il medefimo, eccetto fe fodero eccedenti, che in
ta^ calò bifogna ricorrer’ al limile ritratto ; conte fi dirà poi
in altro propofito,che farà delle cofe Eccedenti, nel lèguen-
ie. Delle cofe Nariuali > et eccèdenti. Le cose naturai, o
son uomini, o no. Trattamo delle seconde, quali ò fon proportionate al
Luogo ; ò sono improportionate, ed eccedenti. Se nel primo modo,
quelle iftelfe colè fi poffono collocare. Se fuflcro eccedenti, bisogna ò
con la forza della mente invaginarle piccole c propor nottate; ò attender
alla foitanza della colà, lènza far troppo penficro della grandezza; ò
uero ( ilche meglio mi pare, e più fccuro) collocar nel luogo la imagine
di qualche figura artificiale dipinta, o scolpita di quella cola
Pcreflempio, mi bifogna collocar una Città, un monte una gran
torre, una naue, una Chicfa, un palaggio, una lèlua, una uigna, una
quer- qticrcia'& altre cote fimi!! naturali et artificiali.
11 collocar nel luogo cofe tali, è una improportione grande ;
peròbi» fógna ricorrer’ alle tre regole adegnate, cioè ò {limandole
piccole, ò non attendendo fé non alla fi>llanza,ò feruendo- fi delli
ritratti loro, Il che lèrue ancora, per le cote cclefticor forali; et per
qual fi uoglia alrra coti troppo eccedente, E te quello non bafta,ò non
piace; fi ricorra alle ^regole del le parole non figurate. Nel
collocar le persone ne 1 luoghi ; io miro à tre colè, al proprio,
aH'Imaginc,al limile. Chiamo proprio la j>erlona propria tale dame
mila, e conolciuta facialmente, E quello farà il primo muodo di
collocar Ieperlóne ; quan do ci metterò le proprie perfone,perloro diede.
Per eflem piouorrò dire il papa, il re, 1’mperadore; porrò nel luo
go l'i(let(ì, Papa Rè, &. Imperadore da me uilli ecopolèiutl 11
fecondo muodo è, quando la perfona io non l’ho uill* facialmente; ma fi
bene per ritratto, e pitturalo fcultura, c quello muodo lèrue, per
collocar li Santi, li Profeti, li Patr j archi, e tutte quelle perfone,
le quali ci fon note per piuu «,ò fcultura II terzo muodo è dal limile,
che mancando- mi 1 Imagini delle perlonc uilte facialmente, ò per
ritratto 1 di pittura, ò fcultura ; io ricorro al fimilc( per
elfempio) udendo dir Papa Sifta, collocherq.un papa da me uifio, che
per habito papale, mi rapprelenta il prefèntc Papa, i Coft uolendo metter
quelli tre nomi, Pietro, Martino e Francesco; io metterò alii luoghi tre
perfone, che hanno fimile nome, e fon da me conol’ciute. Le quali fc bene non
fono. Ti delle perfone, delle quali fi raggiona; fono nondimeno fi-
ntili di nome. Enel collocar delle perlóne bi fogna sforzar fi, per
quanto p ù fi potrà, collocar delle perfone più note, e conofciute;
perche più efficacemente mucuono.Nemi Icor. do delle perfone, quali
dieesfimo douer eflèr’ in alcuoàLuo- ghi ; non mobili, mà immobili ; che
eflèndoui tali perlo- ue immobili, bifjgnarcbbe dar à loro il tutto, e
trasformar ', ~ " l«>per D fc, per p«rcp.«rcl fi nomi
che noi uoghW * ben l «e rnre che nel particolare di nomi nefea piu
fac.Ie,& cfped» «b,il metter Ie P propne,d dipinte, à fintili
p(one,delchcinl rimetto all’efpertenza, e quello baRi per hora. Delle
Cofe non figurato. Jsfi abattanza delle parole di anioni, e delle
cofe fìgtl- -Jratc* refta trattar della difficd.siima parte delle
Im agirla qulle confitte intorno alle cose non figurate E pre- fupponco
una diftintione.chc le cofe non figurate lono in due modi.Le prime non figurate
dallocchio, le feconde no figurate da mun fenfo, Le prme fondi oggetti
dell. quac. tro fenfi, vd.to.gutto, odorato e tatto;come.l duro, A
gol le, il caldo, .1 freddo, l'amaro, il dolce, 1 odore, il
fuono.Q^c fte colereali, e perccpute dagl, alm leni», non pcio fon^
fte da gl. occhi, li chenepasfi Idea perla Memoria at tttic.a le. Come
dunque collocaremo no. .1 do ce, tamaro, 1 odo- re, il fuono, e limili
> R.fpondo che b. fogna ricorrere alle Caufe,airelfet. ice, alla
materiale, et all, getticeli,ftesl. fenfi. Primieramente b.fogna
uederc,dachi natte, e procede, “ fa; c così fi porrà l’efficiente F cr 1
effetto; cosi la can pana, per il fuono, li cantanti per la uoce. fecondo
mirateti og- getto, e la materia in cui f. troua quella colmici f
ggeto ponete, per la cofa Aggettata; e cosi porrete ^^co per.l
caldo, la neue per il freddo, .1 P ;,mo per 1 odore,.l fatto per ilduro,
l’acqua per il molle, il fauo per .1 dolce, I per l'amaro, e così d.
fimili, sforzandofi di Pender .l fogget to in cui eccesfiuamcntc fi troui
quella qual.tà fcnfibile.l er 20 mirate li getti di fenfi patienti, e
così il capo piegato coir Parecchie erfe, moftrail fuono; le nari
ritratte col pomo in, nanzi, moftrano 1 odore, &c. E fe mi d.ra. come
(. formerà Immagine del tuono Celefte, ò del Lampo ? R.fpondo dh .1
Tuono lo formo, con poner un Arteghana dinanzi a Gio-, ue, ilquale
con la Saetta llda fdocd je così hauerete Lan po; Fulgore, et fracalTo
del Tuono. Quello fi* detto delle co ft, che non hanno Irnagme
daU’occhio; fe bene dall altri tta fu Dell’altré co Teglie da neflun
fenfola Memoria Artific/a le prende le Tue Imagini,dirò eoa quella
.maggior facilità, c Mcthodo> che làrà posfibile. Quelle
Imagini fi formano io In Significa- i.In- a rei J tione. * » :
"4i il Si- i a.In Vo primo quando auuiene che la uqcc
tutta intiera lignifica cola, disfunilem colà, limile in noce • Per
cflempio, incontrandomi in quella parola auuerbiule. Àncora, metterò nel
Luogo l i nagincd'un’Ancora di Na- uc; poiché quello nomee quell auueib.o
han limile fcsétttt.* r i fa, Te ben son dissimili ih
SIGNIFICATO, e accento. Cosi ìncoii tran domi in quella parola “porrò”
(cf. Grice, ConTENT) : metterò nel Luogo in ma no d’yna persona vn
“porro” (cf. Grice, CONTent). E fe la parola tutta ioticra'non c Amile ad
un'altra parola, che SIGNIFICA cosa figurata; bisogna ricorrere al secondo
muodo della similitudine in voce, fecondo alcuna parte, e quello com'io
proposi si fa in varij muodi. DcU’Aggiongimento. Per ritrouar
rimagine in parola Amile in parte, conuicne alterarla con aggiungerli
qualche fillaba o lettera. Perciò fèmpio, uolcndo collocar quella parola
Per. ui aggiungo un'A. nel principio, e fi forma la parola Aper, laquale
figni fica colà Figurata, e cosi pongo nel luogo un Porco lèluag-
gio,e mi raprefenta il Per. E quello aggiungimcnto fifa in tre muodi, nel
principio, nel mezzo, e nel fine . Liquali tre muodi, fon le tre Figure
allignate da Grammatici, e Poeti, la Protefi, laquale aggiunge nel
principio . L'Epentefi, Che aggiunge nel mezzo. LaParagoge, che
aggiungenel fine. Si che hauendo parola di cofa Infigurata, fi dilcorra
perle lette re, e per le fiUabc, aggiungendo nel principio, poinel
mezzo, poi nel fine: è riufeendo parola che fignifìchi colà figurata,
quella fi collochi nel Luogho . Della prima figura alTegno quattro
elTempi,il primo elfempio del per, 3t Aper, detto dì /opra. 11 fecondo
elfempio del Che, alla quale parola aggiun gendo un’o,farà la parola
oche. Laonde mettendo in mano d’uua perfona due oche, mi rapprelènterà il
che. Il terzo e£ /èmpio di quella parola, Scire, ui metterò il Sarto col
fuo cufure; perche allo (ciré aggiungendo la fillaba cu, fà cuci-
re. 11 quarto elTempio di quella parola Amo, allaquale ag- giungendo la
lettera h, fà la parola hamo di pefeatore . Della feconda figura, che
aggiunge al mezzo, fia il primo ef /èmpio, quella parola, pena, allaquale
aggiungendo la lette ra n, fi fila parola penna di fcr;uerc,ò altra. Il
fecondo c£ fempio ila quella parola, Alium, allaquale aggiungendo
un 1, fi fa la parola Album, fiche dando una penna, ò Aglio in
K mano mano d’una perfòna, mi rapprefenterà la parola
pena,© ali u m. Interzo eflempio di quella parola, forme, aggiungen
do'oci linaio la Intera A, fila parola, foramejficbe la perfò na
inoltrante il forame dun muro, mi rapprcfenter4 quella pacala forme .
Della.terza Figura,cheaggiimgenel fine, fia. per eflempio quella parola,
ò articolo, uolgarejAH», à - cui aggiungo la lìHaba um, e farà album. II
fecondo eflèm- p : o diquetta parola Vcl, allaquale giungi un’o,e-farà
Velo. Il terzo di quella parola, Vdut,aggiungafi un’o,c
fifaràla parola Veluto . Mà bi fogna hauerla Regola della coltoca*
none delle parole, cosi figurate coll’aggiongimento, et è, •che fi ponga
legno aila.cofa, perequale fi conofca, clic bi- fogna tome qualche colà
dal principio,© dal mezzo, ò dal fi ne. £ lidie per lane fi farà, con la
nudità: nelle bcftié, con li fccwtitdtura, ò troncatura di membra ; nelle
piante, con la fcorticatura, ò inedionc; ncU’attioni, col mancamento
ncll- iilrumenti,ò coliègno nelle perfonej nelle cofc tenute dalle
perfone,con uelami,ò fógni nella perfona tenente. E quelli fegnidi
faccino ordinatamente ; fiche per la prima figura, xhc aggiunge al
principio, fi facci il legno al capo, ò princi pio della colà, per la
feconda al mezzo, et per la terza al fine? Per eflempio alfApcr, li
tronco, ò fcorticoilcapo, che mi moflra douerfi torre la prima Intera, e
fillaba; alloche pari mente le ‘faccio moflrare lenza Telta;al cufcire
fnudo il brac ciò al Sarto. Alla penna la'nigrcggio nel mezzo, all’Aglio
lo fò tenere e coprire Con la mano nel mezzo; e così la penna, dirà
pena; c l’allium, alium. Al uclo, farò che uno lo tagli dal piede, e co ì
dal uelo, haurò uel. Marni dirai, ieoccor- reficychc il nome hauefle
quattro, ò cinque fillabc: comefa rò à conofccr fc dal mezzo deuo lcuar
la terzi, ò la quarta Ti rifpondo, che quello fi può fare, con dillinguerla
perfò na in lette parti, capo, petto, Ucntre, uelo, colcie, gambe,
piedi, et in.quelle parti ordinar
le lillabe, la prima al capo, la fècóda al petto, la j. al neutre, la 4.
al uelo, la j.alle cofcie,la d.Jallc ga ’ be,la 7 .àib picdi;(ìcbe perla
prima fiaséprealcapo,el’ultinia fillaba all* piedi. (è la parola è di tre
fillabe,la fècóda al petto, le c di quattro, la terza al uentre. le è di
cinque la quarta al uel 0,' c coti lcguendo>L douc fi fàl’aggiuntione,
là fi pon- ^ il'lègno.E le quello fi FI nd T eBefliV, fi
“diifidalà bdH* •infette parti, in capo, pcttó con piedi
d’innanzMj-feen tre, groppa con piedi di dietro, Coda, Es’olferui!
iftéflò òfr- dinc,che della perlona. E quello dico ddle Bcftie di
debi- ta et atta grandezza; perche nelle Hdlie ò inette, ò ptecò-
lc;i legni li faranno nella perlona. 11 che fi oflèrui nellipt ante, tir
altre cole, che commodamente non pòflono ricelie 're tale dillintione.
PerelTempio uogliodiré fante, e prendo • un’elefante; lo trouo col capo
tronro,c collo (corticato* 8c ho légno, che leggendo lafcio le due prime
fillabe, e profè- rifeo fante; Se uorrò dire l’amaro, darò in mano della
pcr- fona,un caIamiro,c farò comparire la perlona,;con la tè- da e
barba ra(à,il che mi fegna,ché fi debbe tor la prima fil laba. Volendo
dir polue, pongo in mano della perlona un poluerino,e li fnudo il uentre
con tutto ilreftòin giu, e cò sì leggendo ; leggo le due prime fillabe, e
trouando Tallire parti nude,m’arrcfto . E (opra I tutto la facilità di
qneftì fe- gni,nafce dall’atcentione della mente deftgnatricc di eslr;
là quale hauendo dcfignaro,coH >cato nella Memoria, e ftabilf-
tò il tutto con la repetitione,fenza intoppo riefee nella con
templatione,ò narratone, precifamcnte «eirAggiurigimcn- to delle lettere.
Del Mancamento . C OrrilponJe il Mancamento al filo òppofto
aggiungimi? tò*fi che camina con l’iltclsc reg le ; perche
nòh’rìufcé da di ritrouar, parola figurata per raggiungi tódntóy
ricorre mo al mancamente), togliendo dal principio, ò dal mezzo, ò
dal fine. Indi le tre figuri dd'm'ahcànìcrtto,chramaté, Afe4‘ relì >
Sìneopa,& Apocope, la'prifrfa* che tòglie dal principiò,!! 1' feconda
dal mezzora terza del fine. Del primo hò da coi-, locar questa parola,
malignojtolgo uia la prima lìllaba,emì' reità hgno, et un legno colloco
in fpalia ad una perlona. CoìÌ di quella parola, doue; li tolgo la prima
lettera, creila oue. Coli di quella parola, dementa, li tolgo eie, e
rella mé ta; e da quella paioli contingi t,leuo uia il con, e rella
tin- K a gir, git, petli quali ponendo rimagm!, il
legno mi darà mali- gno, la menta dementa) un cedo d’oue il doue, un
tintore .che tinge il panno mi dara il contingit.E (èmi domandi, co
me li conoscerà che il legno uuol dire maligno, la menta e- IementaPci
rifpondo che lo conofccrai in tre modiche ti fèr ueranno per Regole, la
prima per la prefìssone della tua mente, che così ttabili, del che tu ti
ricordi . fecondo per quel clic manca, tu puoi collocar lettere, ò altre
figure ; on- de per dir maligno, ui colloco una pcrlona chiamata
Anto- nio, che mi rapprefental’A, per la Intera MJi dò nella man
delira un tridente, colquale percuote un legno che flà al la to iìniftro.
fé ben quello muodo partienc piu rollo alla di- uilìcne,che al
mancamento.terzo per quel che manca, li può dar un fegno alh luoghi
afsegnati già di fopra, nella perfo- na,ò corpi di beftie; come al
tintore dare in fronte un tu- more,© una gonfiagione. per le quali fi
conofce, che bilò- gna aggiungere. Della feconda figura y quando fi
toglie dal mezzo, per elfempio udendo dire caulà, ui metto una
cala, per conolcie cdcie;& il légno del mancamento fi può for-
mare conforme alle tre Regole, aflegnate di fopra nel manca mento dal
principio. Della terza Figura che toglie dal fine, uolcndo collocar principiti,
ui métterò principi, per fblemo Iole, pcrcanit due cani. E peraflegnar li
légni da conoféer il mancamento, e 1 aggiungimento, che fi de’ fare; fi
ofTeruino le tre Regole di fopra, uar>ando 1 ordine j perche nella
pri* ma figura, per la terza regola, li fegni fi danno nel capo,
nella feconda nel mezzo, e nella terza ideili piedi . 11 tintore hà'l
tumore nella fronte; chi indirà la cafa l'hà nel petto, h cani nelli
piedi, per liquali légni al tingit dico contingit, a cafa caulà, a cani
canit ; alli principi li darò le podagre Belli piedi, per li quali
intendo, che ci bilògna aggiunger qualche colà . E quello badi dell
aggiungimelo, e man- camento . Et fiano ben notate le Regole aflegnate,
per intrichi, aflegnati d'alcuni in quelli proponti. Del Riuolgimento . S
E bene ogni tralponimento irebbe al proposto; nondi- meno della fola
Riuolutione, hò fatta mcntione; Rimati do quella tra gli altri e flcr men
difficile. Io tre muodi fi può trafporre ma parola, ò riuolgendola dal
fine al principio» come Amor, Roma, fecondo cangiando fito delle
fillabe,co me core, reco. Tento variando fito delle lettere, come
alto, lato . Siche per il primo muodo,in luoco di Roma, porrò
Amore.pcr il fecondo per reco, porrò rn core.E cóforme al terzo.per alto,
porrò lato. La regola delriuolgimento è, che la colà fi ponga al riuerlò
; accio fi conofca che al riuerfo li proferifee la parola, cosi per Roma
ponendo Amore, por- rò Cupido col capo in giù, e con li piedi in sù.E
quella Re gola del riuoIg!tnento,non è trpppo familiare, nell'ufo
del- lArte. La variazione, è quando la parola lèrbando rifleflo
ordì ne delle parole, fe li caogia qualche lettcrajcomeper que Ila
parola, mente, cangiando 1 m. in u. dico uentre, et per mentre colloco
nel luogo un uentre. E quelle parole fi tro uano,col difeorfo delle
lettere dell’Alfabeto, rimouendo le confonanti, et in uece di quelle
ponendo dell’altre, ò nella r ima,ò nella feconda.ò in altra fillaba,
finche riefea paro- . che lignifichi cofa atta da poter cller
collocata. Per cficm pio dirò mentre, poi rimofso l’m. comincio à
decorrere per le lettere confonanti, bentre, centre> dentre, fentre,
gen- ttc, ientre, »entre, uentre, pentre, rentre, fentre, tentre,
uentrc. Ecco che fri tutte quefte paro le, non ritrouo altre, che
cen- ttc * CU£n trc, fiche ò ui pongo un uentre, ò molte Centre, fe
io intendo quello uocabolo di centre, per quelli chiodct- ti
piccoli chiamiti, «iure, A centrcBc.o tacce.o uccietw. E re timone,
>do la prima Confonante non, mi fufte nuli., ta parola lignificante,
haurci rimolfo I n. e fatto 1 iftcflo dl- tHHVu
L’agnominazioné, e Bifticcio,i!qnale è uno fchcrzo/di parole, per
uariationc di Lettcrejè regola molto al prò polito per formar l'imagini.
Li bifticci fono per elk mpio; ponnoj panno; benché, banca; palla, perla
; lagg'a» menica, manico; ora, ara; pena, pane; loco, luto, e limili.
Si- che, per pena, porro pane, per faggio icgg'a» P cr benché ba che,
per parla, perla, per ponnò, panno, o penna. Pcr liqua li Bifticci li
notino tre cofc, primo come li formino, fecon do 1 vfodi quelli, p la
memoria, terzo il fogno, che 'e li dà per nò cófoivkrf, nel ramétarli
Quanto al pruno, vedete, li mici Methodi di moltiplicar i Cócetti; doucio
a degno il n-.uo o db fori ar li B.fticci.E qùì balli fapere, che tale
formaturne,!» fa fcccrédo.ple 5 .vocali;p cficpio m’incótro in qiicfta
parp h>póno,difcorro per le quattro uocah, panno, penna, pinna,
puuuo;duedi quelli nomi fon' al propofito, cioè peqna, p panno; poiché
lignificano cole figurate, et atte pcr cfler fol locate. Quanto al
fecondo dico che in i qucft'A myion fola mente fi riceuono bifticci
regolati, ma anco di quelli che fon goffi; anzi piu goffi, e feonfer ati
fono, purché habbinòi la fomiglianza della uoce) maggiormente muouono
.come fece colui éhe per l’Ariosto pone un pezzo d'Arrofto. Quanto al
terzo dico, che nelle cofe collocate, ùi fi può tot mar fegno;còme fi
formang, nclli Age.pnglmènti «i df fa . prà, ponendo il lègBÒ ;
àl'lùógo-doiie e latta lùlictàtione, o nella primari nella lecouda
lillaba. La composizione congiunge le parole, che li douerebbo t no
diuidcre, e questo non folamente fi fà delle parole intiere;mà delle
litiabe. Per elTempio,quefte fon due parole, qui, es, componendole
faralfc la parola, quies, e coli per quelle due parole, metterò vn che fi
ripofa, E Erto rcifta. E fi,
U. ; ' r *1 ! F Fabro F Fondcchiero G
Gouernatore G Geometra H Hofle H Hisloriografia
I Imbiancatore P Poct*. 3 Q Quo «aio. (£
R JL-’. ;1 R Ricamatore S Spedale
S Sartore T Trombettiere T Tcslitorc V Vcfcouo
V Vaiato X X rrj'.-Arf J z
Zeccatore z Zoccolaro. M A à quelle perfonc,bi fogna darli vn
fcgno:acciò non fi prenda il nome della pcrfona, in vece del nome
dei- lane, dell'officio, ò della dignità . Quanto al Terzo Alfabetto
fia per elfempio K Aquila A Agnello B Bue. y B Bufalo C Cane
C Cerno D Drago D Delfino E Elefante.
E F Falcone. ' 'r F Fagiano G Gallo G Gatto
H Harpia H 1 Iftrice . I L Leone
L Lupo M Montone M Moietta N Nottola N Nibbio
O Oca O Orlò. PpjCO p Porco P
Pallone. CL, Quaglia. i R
Rinocerote, Ródmclla R Regolo s Simia
S Satiro T Tigre T Toro.
ì V Volpe. ‘ i V Vacca X X .i y yj
z, rii • z iof/.-. ibi.uirt s Idbntniii r
z * ' . . J * u E Perche le medefime co fir, fi
potrebbono prendere anco ra per Imagi ni: però bi(ogna chc’l
Formatore,dia uh (e gno à quella colà, che fi determina per lettera, come
il Leo ne con vn monticai collo, fia per Lettera; lenza monile, fia
per Imagine. Quanto al Quarto Alfabeto . Q Vefto Alfabeto,
non fi prende dalle Lettere delle paro ^ le, come li tre precedenti ; mà
dalla forma, e figura della cofa, laquale é limile alla figurac carattere
della lettera; per lochc ridee più facile di tutti li altri, come che
alla pri- ma occhiataci rapprefenta quella figura di lettera, quale
fia mo vii di veder con l’occhio legendo. Delquale Alfabeto no ftro
latino, fi reggono le figure nel Rombcrch, nel Dolce, e nei Rottdho, le
ben da altri anco lono ferirti. Et io nc fa rò qua vna feelta delti più
noti . • t/l Vn Archipendolo di Muratori . Vn comparto grande di
legno, con li ferri in terra, quale vlino i Legnai- uoli . B
Vn Liuto col manico verfo il Cielo, e conlecorde al- la finiftra. Vn
Acciaiuoleò focile da gittar fuoco. C Vna Comma di Pottighom. Vn
ferro di Cauallo.Vnà • Luna piccola, quale fi mira di fette giorni.
D Vna mezza Luna. Vna tetta di Toro, con vn còrno in terra, c col
mulo alta delira . Vna tetta di fanciullo, col nafi> alla delira». Vn
t$?zzo circolo, con l’arco alla L a dcftia. i delira. *
. . * M £ Vn pettine caualliiio di denti larghi dritto.Vna
metta rota, col rotto a man delira. Vna lega dritta, con li tre
legni alia man delira. F Vua falce di mòrte, col ferro in sù . Vna
fcfmitatra f con la. punta in terra, e col pendente del manico à
man delira. G Vnacornamufa, ò ciramella e Piua di pallore
.Vna falce col piede in terra, e col taglio à man delira. H
Due colonne larghe, e con un trauerlo che li lega f e llringenel
mezzo, come li uede l’Imprclàdel Plus 'ultra. J Vna Colonna,
Vna torre, Vn campanile, tali quali li ueggono dipinti. Vna uerga. Vna,
candela. I Vna accetta grande, col ferro in terra, e manico in
sù, Vna Zappa nel medefimo muodo . Vn capo fuo- co. '
Vn tre piedi di caldaia . Vn tridente di Nettuno. Vn paro di
forche, cól fuotrauerfo. Vn paro di mol lette di fuoco. Vn paro
diBilancic. 0 Vnallrolabio circolare. Vn cerch o di tauerna .
Vna Corona. Vna Girlanda. Vna medaglia. 2» Vn Palio rale di
Vefcoui. Vn uentagho.Vn manico di forbice di Cimbatore. Vn
pozonctto,ò padella col manico in giù,& alquan to pendente ; ò un ramaiolo
nel medefimo muodo. R Vn paro di Tenaglie. . S Vna
Tromba torta. T Vn Martello. Vn Succhiello,© triuclla grande di Le-
gnaiuoli. V Vn rafolo mezzo aperto in sù. Vn compaflo
aperto in sù. X Vnacroce. VnaSeggia. Z Vna Zappa
col ferro in sù uolto à man finiftra,&alqua to ripiegata.
Le figure di quello Alfabeto fi ueggono nel RolTclUo, c con
miglior intaglio nel Sopplitip, nel Romberch, et nel Dolce. Doler.
Se bene alcuni ih cambio di quelle figure,adoprst no l’iflesfi caratteri
di Lettere, invaginandoli grandi, come li capitoni ò maiufcole.E farebbe
anco bene formarli la pri ma uolta di cartone, e tali quali fi uiddero,
collocaro, c re* pctiro la prima uolta le invagini di quelli caratteri ;
tali ro- llino lempre nella memoria. Quelli quattro Alfabeti fatti
familiari dal formatore, le he fornirà nelle parole non figurate,
auertendo prima che è beneiluariar le lettere et Alfabeti, ordinandole
con giudi ciò, fi che habbino corrifpondenza infieme, e
particolarme te ordinandole con le perfòne . Per efiempio uorrò
dire. Anima, prendo dal terzo Alfabeto l’Agnello, dal fecondo il
Notaro,dal quarto una uerga. E per ordinarle infieme, pó go il Notaro,chc
con una fune tirai’ Agnello, nell’altra ma- no tien la uerga, c dinanzi à
lui ci fia Antonio, che con un tridente ribatte ilNotaro.Dall'AgnelIo hò
l'A. dal Notaro IN. dalla verga IT. d’Antonio, hòl’A.e dal tridente l’m.E
Umilmente fi faccino l’altrc figure da collocarli, per uia di Lettere.
Auertail formatore, che il primo et fecondo Alfabeto, fc li potrà formare
anco di nomi Latini, fecondo li ucrrà più commodo: purché fimoflri la
lettera, per cui flabilifce la perfona’. Il terzo Alfabeto Io può
formare, ò dell’ Animali podi per effempio da me, ò di altri qyali
più aggradiranno ad efTo; purché fiano noti,&atti fecondo l'ar
te. E parimente il quarto Alfabeto, fclo potrà formare ò delle figure
polle da noi, ò di altrcjpurche uiuamentc Iirap prefentano il defiderato
Carattere. E fè occorrerà fcriucre in greco, in hebreo, ò in altri
i- diomi,che uariafTero caratteri e figure, il formatore fi for- mi
le figure conforme all’Idioma. :iij
u 'ìojafti uy ovint**-f . D lfsi che fi formano l’imagini dalli
firodi, e dalli diflimi Iij se hauédo detto à ballaza delli limili, retta
che breuemente diciamo delli diliìmih,e primo dcUVppofiti. Non ftarò à
riferirui la molciplicita dell oppofiuonc : poiché mi pare fuperfluo in
quello luogo* non douendo noi adopra- re, (e non alcune cole in certe
uolte, quando ci mancatici perfetta notitia dello ppofiti. Et à mio
giudicio,ci posfia- no f ruire delli relatiui,come porre il feruo per il
patrone, quando quello mi fufè noe* »e quello m c ignoto ; porre il
Dtlcepolo peni Maftro, il Figho per il Padre, quando quel li mi fuJlero
noti,e quelli ignoti. Màbilogna darli legno, per ilquale s’intenda, che
non eslì per fc ftesfij mà per rapprefen Urei altri, in quel luogo lon
collocati . Del Volontario . Q Velia Regola fu molto
commendata dagli antichi Greci; fc ben CICERONE (si veda) par che la rifiuti.
Il modo uolon torio è far una leelta di cento, ò ducento parole, che più
lon frequentate nella profeslione del formatore, c parole che nò
hanno lignificato figurato, come le coniuntiorii, le disiuntio ni, h
fincatego remati, li articoli, aduerbij, e fintili, e pcrcia- feuna di
quelle parole a (legnarli vna cofa materiale, et oc- correndo poi la
parola, ripor fubito nel luogo quella cola . Per elTempto, quelle parole.
Et. Àn. Vel. In. Quia. Ad. Per A, pongo vn melone; per An, vna Zucca; per
Vel, un Cedro; per In, pongo un Granato; per Quia, vna Noce; per Ad, vn
Cocomero, c così de gli altri. Quello modo vfato nelle poo. parole
infigurate prendo ducento colè materiali, che ftanno fempre per
quel le parole, io diuento pouero dlmagini; perche le perla pa rola
vcl, tengo vn Cedro, e per vn’Et, vn Melone; fo m’oc- corrcllc fcruirmi
del Melo ne, e del Cedro per altra Imagine, che per le dae parole Et, e
Vel; io fon priuo di quelle colè à poterle collocare. E (è pur le uorrò
collocare, mi confonderò, mentre il Cedro nou (blamente è imagine del
Cedro; mà del Vcl Se ben per torre quella confulìone, potresfimo fegnar
la figura con vn fogno diftinguenre la parola dall’Imaginè; noivdimciio io à
quefto effetto mi forno delle per iòne, perche (bruendomi fempre di
cento, ò ducento perfo ne, (blamente i quefto effetto, io non
m'impoucrifto d’ima ' gim, non mancand-uni d'altre perfonc da ftru’nni in
altri btfogni.N.- miti genera confufione, poiché quelle pfone nò mi
(eruono ad altroché |> tal’effetto.Dunq; li olferuino que Ile Regole,
per riufeirehonoratamente in quefto modo uoló tar o. Pruno, fi cófideri,
in che arte, ò jpfesfione,ò eifercitio,vi uorrcte fornire del modo
uolontario,fo in latino fo inuolga re,fo in Logica, fo in Grammatica,
foin Filofofia,fo in Theo logia, fom predicare die: e da quella
profestione et eflerci- tio,(ì prendano le parole più ufitate e manco
figurate. Se- condo, quelle parole lì formano in un libretto
ordinatami te; c dirimpetto àciafouna parola,!! fcriua la perfona .
Ter- zo, fiano collocate con frequentato elfcrcnio nella memoria, in
tanto che indire ò incontrarli leggendo, ò in udir im- parando quella
parola, Tubilo ui fi raprefonn la perfona. Per cllempio nella
Grammatica, prendo quelle parole,dan dolile Tue Pcrfone
dirimpetto. Et Et Antonio. n;
• ?;i o/licp orto In Vincenzo. N. i» nifi
vilkitnoq Ad Tornado. N. un ti -di
Sur» Ab Piero. N. ì.litorali zìi: ni
:-5 Quia Paolo. N. ir. Jirioa t!
'lijj’.UI Cuna Francelco. N. •rmioil-i ìwi De
Sempronio ' N. .snclvjq ^tab Ex Natalitio.
N. -•conrjph clqrvq Propter Lorenzo.
-N. D Ol pioT. ql?! Per Filippo. N.,
E così dell’altre parole, facendo il'fimile in altra prorcslìo-* re
et eflercitio. Ne fi Igomcntila pcrlona al primo incon- tro, quafi il far
quello lìa fatica grande: poiché è cola mira bilisiimamcnte utile e
gioueuole, et una fatiga fola di otto giorni, in pratticar qucfte parole
e pcrfone, dura in eterno^ e con apportar mcrauigliofii facilità alla
ipemoria,iog le la fatiga grande, che fi ha informar l’imagini^ alle
parole infigu rate; poiché in fentirquclla parola, ò trouàdola, fubbito
col loco la perlona, quale mi rapprelenta uiuamente la parola.
Quello modo lerueacoljro,che udendo lettione, ò predi- ca, ò altro,
collocano con merauigliofa preftezza . Et quelli che fanno profesfione di
fcriucre ad uerbum, fotto lauiua uoce di Lettori, Oratori,ò predicatori;
li termino con 1 i- flelTo modo tre cento, ò cinque cento parole, ò più o
meno delle più ufitate in queUcflercitio ; et a quelle dianoli luoi
fègni, ecarattcriuolontarii,liquali fatti tamiliari allo fent- tore,làrà
men ueloce i' dicitore à recitare, che lo fermare à fcriuere. E chi
uolelfe far quella profesfione, olTerui l in- fra Icritte Rcgole.Pri no
fi fcriua in un libretto le parole piu ufitate in quella facoltà, et eflercitio
. Secondo, lormi li le- gni, ecaratteri dillinti per cialcuna
perlona.Tcrzo,licaratte rifiano breui,edi pochi tratti di penne; accio
nonuadi piu tempo a Icriucre il carattere, che la parola. Alle parrole
breui e piccole, si diano li caratteri più piccoli; alle parole più grandi, si
potranno dare li caratteri maggiori, man co grandi però, che fi potrà.
Laonde fc non faranno futficienti li caratteri d’vn Ibi tratto di penna,
bifognando ler- uirfi di Caratteri formati di più tratti di penna, quelli
lì dia no fio allupatole maggiori. Li caratteri
potranno clfe- re lettere di Alfabeti, latino, greco, ebraico; caratteri
di nutnèri, tratti Geometrici et altri legni volontarij ad arbi-
trio del formatore. Sello, potrà formar caratteri dalle prime lettere delle
parole; auertendo pecche vn carattere nq fia fimile all’altro. Settimo,
lipotran formar caratteri, per abbreuiaturc, Icquali lon familiari alli
Greci,& anco all» La tini, Logici, c Filoli-fi. Ilriufcirin quello
particola re è cofa diffìcile, per la gran fatica che bifogna à farli
fami Ilari li caratteri; nondimeno, perche è vna profesfione par-
ticolare, allaqualc alcuni totalmente lì dedic .no; pcròlcirer citio
grande li farà facile il tutto. E lederemo fi facci con pi gliar
(critturc, Latine, e Volgari, et quelle traferiuendo per Caratteri
elfercitarfi ; intendendo che li caratteri liano non di tutte le parole,
mà delle più frequentate comedislì. Con quello Methodo flimo fulìe notata tutta
la oratione, che hebbe Catone in Senato, contro i Congiurati di Catilina,
e contra il voto di Cesare, come racconta Plutarco . £ Tuo Vcfpafiano,
comeriferifce SVETONIO » raccoglieua velocisti*» mameute le altrui
parole. Del ConnefTo. I L terrò modo propollo delli disltmili» c il
ConnefTo»ilqtu ic riduco à fei capi. i, Ugello. > 1 i.
L’Etimologia . M j. Il legno. w; - l- ’ q.. L’inlegna, et imprelà.
* •• i >•' ( J j.L’inllromento. e quelli ter- uono
per formar 1 Imagini delle Arti,, et Ariette» di qual li soglia
forte; onde per il Zappatore fi ponga la «appi, perii Notaro la penna,
per il Soldato la Spata, e l’Elmo, per lAr* tore l’aratro con li buoi. Il
folito di dire c vn contingente, che mira qualche perfona, laqualc
frequentemente dice o una parola, o una sentenza [cf. UTTERER’S MEANING,
UTTERANCE-MEANING, SENTENCE-MEANING, WORD-MEANING]; laonde incon randomi poi
in quella parola ò fentenza da collocarvi metto quella perfo- oa,
laquale c lolita dir quella parola ò fentenza . Indi per- il Quamquam,
pongo una perfona, che lèmpre comincia il fuo parlare, con il Quamquam.
Per quella sententia, Auaritia «Il Idoloru n feruuus; pongo vna perfona,
che in tutti li prò pofitil'hà in bocca, ccofì li intenda dell* altre
Umili parole, o fèntcnze.É quello balli delti Conncsfi,3c inficine di
tutto il Methodo di formar l’Imagini, ilqualc con ellrema fatica, c
molte vigilie, e flato da me inucntato,e prolequito; fe bea quanto al
fatto, in qualche parte fi ritroui dottrina diciò ap predo h Scrittori di
quell’Arte. Retta mò,chepasfiamoaUc Regole deU’Imagini. Regola per
rimaglili. pRopofi di trature delle Regole dcll’itnagini, per compii
JL mento dell’Arte della memoria Artificialejlc quali Rcgo le io le
ridurrò ad alcuni capi, quali confiderà» c ponderati, daranno compiu notitia di
quanto fi defidera fopr» Ciò, in Collocar le persone, fi habbi
auertenza di dar li quelle attioni, che conuengono alla fua
qualitàjpcrchc no Corni iene ad un muritore darli atto di predicare, ne
ad un predicatore darli atto di murare, quando fi poffono haue* re
le perfine appropriate; e parlo dcUi luoghi nudi, lènza perfone
immob.li. li. L’imaginehabbia qualche moto, e (è fufTc cola immo
bile, fi ponghi nel luogo perfona, che la rapprefenti . E per colà
immobile s’inreude colà, che non è animale. Le imagini non filano odo fé;
perche non moucreb bono con uiuezza; pcrò,clTendoui nel luogo un
Cauallo» fate che con la zampa zappi il terreno, ò tiri di calci ; il
lupo, che dcuori pecora; il pallore, che minacci l'Agntllo .Et eflcndo
imagini congiunte con altre cofc; con qucllliftelTe facciano li atti c gedi.
Se la cola è animata, mà c piccola, comeFormica Mofca, zenzala,pulice;
bilogna metterai pcrfona, cheli mo dri. Mà come li farà, per uederlc?
Dico che lì ucdrà primo perla prefissone delia mente. Secondo perle
cofeannefi» le àtali animali; come, fe fbpra un piatto di mele la
pcrlo na (tenderà un paramediche, lì cnnolceranno le Molche; et come le formiche, nel mucchio di Grano. Terzo
perii ap- propriati di alcune perfone; come fece il Raucnna, che
ha- uendo uifto uno die ftropicciaua un puhee, lo chiamaua e
colloca ua per pulice. Così fi potrebbe far degli altri. Mà fe uorrò dire
Formica,e non Formiche; come farò, (e tan- te e non una fi mette nel
luogo? Rifpondo, che la perlona nuda,moltrail (ingoiare; 1; cpme ucllita,
il plurale, come fi dirà poi al fuo luòco. Se molte Imagini fi
collocano in uno delio luogo, ò pure perla continuationc della parola
didima in piuluo chi c ben fatto per quanto più fi può, darle
continuatone di attionefra loro. Per efiempio, udendo collocar per
lettere queda parola, Deus, pongo nel luogo Dominico, i! quale con un
pettine, pettina un uitello, tenuto da Siluia. Da Dominico hò il D. dal
peuine l’E dal vitello I V. da Silula l.S. L’Imagini liano proportionate
al luogo non ecce-denti; e c fodero eccedenti, già disfi che modo s’hà da
tene re. Il che s’hauede confiderato il Monlco, non harebbe
ri- prefo il Supphcio, il quale nell’Alfabeto d’artificiati, pofè
per 1. una torre, c per X. una naue; poiché le colè eccedenti, ò per
liinaginanone,ò per le figure, fi rendono propor- ticna:c,come
disfi. Vii. Le perlonc che fi collocano nclli luoghi habbino
del grande, del uiuo, dell efficace quanto più fi può ; perche più
efficacemente muouono. La Figura et imagine,non (la /olita à (tare in
quel luogo dòuè fi colloca; perche eflendoui /olita, non muoué
efficacemente ; attento che giungendo nel luogo, crederai che tal cofa
non fia indagine; mà parte ordinaria di quel lùo go, E per ouiarc à
quello inconueniente, olferua la regola di uariar quella cofa con
l’imaginatione, dandoli qualche ua riatione inlolita; per eflempio
giungendo ad un luogo do- ue fia una feggia,e uorrò in quello luogo porre
per indagi- ne una feggia, io metterò quella feggia trauerfatain
terra, per lo qual fegno efficacemente conofcerò,che la feggia nò
fi troua nel luogo, come cola ordinaria; ma come Cola for mata per
imagine. Nel collocar all'improuifo, bada metter una ima" gine
per luogo; ;icl collocar pofatamente le cofe che fi ftu diano à bel agio,
non è inconueniente, porre molte imagini in un luogojpurche fiano didime,
c commodamcnte fiucg ghinoc rapprefentino. Vogliono comunemente li
profclfori di qucft’Arte, che le imagini fiano collocate in atti fporchi,
laidi, c ridicelo fi ; perche quanto più fi uederanno goffe e fporche,
tanto maggiormente meucranno . Il che potendofi Tare lènza fcrupolo
di mouimento indegno nel formatore; nudereb- be molto utile all’Arte .
Per lo che non laudo la dishoneftà delle imagini. Dottamente
difeorre Cicerone intorno alla viuezza delle imagini ; perche quelle
cofe, che noi per efperiqhza co nolciamo, che ci muouono à conofccrle
attentamente fc à ucderle anfiamentc, quelle lon’al propofito di moucr
cffica cernente e uiuamcnte la noftra Memoria, in ricordarli. Però le
cofe nuoue,lc cofe merauigliofe,le cofe rare, le cofe di letteuoli,le
cofe brutte, fporche, e ridicolofe, le cod horri- bih e fpaucntcuolijlc
cod di gran uarictà, le cod eccesfiue in bellezze, eccesfiue in brutezze,
come una faccia tagliata, vn nafo grande, vna gobba monftruolà. Così le
cofe ecccl- fiuc in degniti, come vn Rè, vn Impcradorc,vn lommo Pon
tcfice; e limili; le colè eccesfiue mpouertà è mendicità, co- me un
pouerello ftracciato ccncioIofo,e fimili oggetti, (cm- attislìim alla
viuezza deil’Imagiai. Et à fimili accidenti deuc hauer » li
uadi (èmprè ri . perendo; per elfcmpio polla la prima figura fi pasfi
alla fe- conda, e poi fi ripigli la prima recitando, c contcplando,
c porta la terza fi ripeta di nuouo c la feconda, e la primate
portala quarta fi repctano l’antecedenti, e porta la x.fi repe tano le
antecedenti per folto, la prima, la fèptitna. lanona.la Tetta la quarta,
per le fpari per le pari, al dritto al riuerfo,chc cofi tenacemente fi
(colpirono le Imagini nella Memoria. Sehoggi hauete collocato per imaginc
una cofa ; auertite dimani, non collocarla per'Imagine d vii altra
cofa diuerfo. Come le hoggi per quefta parola Agnus, hauete porto
vn Agnello, dimani non porrete l’Agnello per l’inno cenza; perche vi
potrebbe apportar confuhonc, mentre ui rapprefenta due parole; le pur non
fufte dimenticati della prima fignificationc,ò pure forte variata 1
Imaginc con le- gni, ò bene rtabilità con li dirtintiui della mente, c
con la prefisfione della ripetitione. Quando fi ha da collocar à
memoria vna oratione, ò periodo,parolatamentc; prima fi legghi due e tre
volte pia namente,e diftintamente,come vuole Cicerone, ilchc appor
(a non poca vtilità. Collocando le parole, fi dia proportione al Genere col
fèllo; perche fe uoglio dir ricchezza, eh e di Genere feminino, meglio è
collocarci vna donna ricca, chevnhuo- mo ricco. Se vorrete collocar
periodi intieri ò parole, et oc- correndo di ritrouar otto, ò dieci, o
piu, ò meno parole, quali noi fiprece molto ben recitare, fcnz’akra
collocatio- he; non occorre far fatica d’Imagini interno alle parole
che voi fopetej mi balla collocarne una principale, quale ricor-
data u apporta cohfequcntcmente tutte l’altre. Et quello in- tendo, nelle
coltocationi delle panie, lcquali recitate, noa curamo chccì reftino à
memoriamo ne delle Orationi, Prc diche, Comedie, ecc. Le Figure, e
Imagini habbino proportionata al- tezza, fiche l’occhio. 'non habbi
fatica d alzarli troppo, pc® vederle; nè all'incontro abballarli
ioucrchiamcnte per contem- fuuer l'occhio il formator di quefl’Artè Nel
collocar le Figure, et Imagini lem piarle. Indi fiate cauti
nelTordirfàtione, che fa il Roi»: berch dellìmagroi l ena fopra l’altra,
peiche hauendo noi luoghi commodi da far progreffo per la.go, non
occorre aggrauarla memoria, laquale memorando procede con lo
ftabdimento del fenfo. Formando rimagini, non fiate prefittoli m
rubi- lo collocarle, quando agiatamente potete formarle e collo-
carle* pche occorrendoui poi vna Imagine piu atta,& elqui- fita della
prima ui irebbe difficile in collocar la feconda, ha uendo collocatala
prima; ò vi farebbe graue tralasciar la fe concia, elTcndo miglior
dcllaprima. Dunque peniate, e ri- pense prima, fe altra miglior u occorre,
e poi collocate le Imagini formate. Sopra il tutto fate, chele
Itnagmi fiano di cote ja *oi note, è notisfime;e però ui douete attenere
dalle imagi- ni finte, potendo hauer le reali » e dalle ignote hauendo
le note, e dalle men note haueodo le piu mahifcftc. Si come nuoce la fotniglianza
tra li luoghi, nella for mattone di luoghi; cosi la fomigltanza tra le
figure, nelp formationc delle imagini. Però ui sforzerete di farle,
quan- do più fi potrà diuerfe e di filmili; accio non u’ingannatc
ntf la fomigltanza di elle; perloche hauendo à dire tre Francc-
fchi, dtllingueteli perle Cicatrici, ò per gli atti,e gelti, un gobbo, un
monoculo, un fenzanafo,e cò altri limili accidcn ti Eccesfiui. # .
. VT . Siate cauti nelti sinonimi ed equivoci. Nell’equivoci, accio ponendo
il cane, per IL CAN CELESTE. Non diciate cane, che rode l’olio. E nelli
sinonomi, come pietra faflo^ accio una ftcflfa cosa hauendo piu nomi non li dichi 1 un nome per l’altro, il
che fi può diitingucre, per l’attentione della mente, nel collocarle e
ripeterle, piuiiolte; o pure co qualche altro diftintiuo, pollo neUa
cofa, o di lettera o d’- »le picolc,e quello per non ingombrar tanto il
luogo, e per (farlo più capace Onde ne fiegue, che minor numero
di luoghi farari neceflarn ; c li così picm. per la diversità, rie*
/cono più efficaci. Per cflempio per quella parola ffauentc, pongo nel luogo
un’uomo chiamato Nicola, il quale nella man delira tiene Un piatto di
faue, che lo porge ad un fuo Figliolino che li Uà alla delira, e nella
man finiflra tenga un Martelli, cól quale minacci e fcacci una
fanciulla chiamata Emilia . E così legerete dal piatto Fauc. Dalla
persona. Nicola, N. Dal Martello, T. Da Emilia, E. e da tutti l'intiera
parola faucnte. Laonde larà benfatto, tra gl’alfabeti di perlòne, hauerdue
Alfabeti, vno di Fanciulli, l'altro di Fanciulle, oltre li due di
Huomini, e di Donne. Nel collocare, prendendo le parole ò concetti dalla
carta,e riponendo nelli Luoghi, non fi facci memoria nel la carta e parti
fue; Mà (blamente nelli luoghi; perche làrebbe doppia fatica in ricordarti è
delti luoghi, e della carta. Oltra che apporta gran confusione, perche la
mente uedea do, e. nella carta, e nclli luoghi uacilla, e fi confonde ;
men- tre a due parti fuggelo (guardo,e quella Regola li noti molto
bene. Nel collocarc,e ripetere l’Imagini, fi auertifca, di non far’altri
geflr, chc quelli che fi ricercano opportunaméte fecondo l'Arte della
pronuntia nel Recitatore. E-fi guardi il Formatore dinonappKarfi, ò collocado,
ò ripetendo ; à qualche geflo intcnlàmcntc fuor dell’Arte, come il contar
con ledita^ener il capo faldo et erto, mirar in sù,piegar fi in giù; ma
indifferentemente redi libero d’ogni intenfa applìcatione di fi nifi atti;
perche alrrirrt^nte facendo, il Recitatore recitando farà poi l’iftcsfi gclli
inconuenicnti,c periglio li j inconucnicntijperche concro l’Arte;
pcriglioli, perche le in qualche accidente muta gesto li fuiarcbbela
Memoria, e fuariarebbe la mente. Per mancamento di quella Regola, hò uillo
alcuni Recitanti, Ila re come che hau elferoin giyctita una fpada,
inflasfibili Hi erti; c con gli occhi fitti al ìjjuro, che Ila lor
dirimpfctto, quali che fuiferò fiatar. la /quii Uò.fanon (blamente
difdicc aitili; ma fciiopre l’Arte, il- che èflifettuo(b,làpCndo elfer
principal dell'Arte, il làp'ec celar l'Arte, intanto che quel che l
'Intorno fi per Arte,coiU ’ libqrfa dd’li gclli, e' domiiniò de gli atti,
moliti che lo facci per •• i
f.TI I W M M per felicità di
natura. £ quello piace affai, e giuramento de piacere, e dilettare ; poiché
nell’Arte fi fcuopre l’inge- gno notro, e nelli doni della natura la
bontà influente del 1 Auttor della natura. E conuieneohe piu. ci aggradi
l'opra di Dio, chela notraje che la prima laude, honorc, e glo- ria
fia di Dio, non della creatura, laquals fc per Arte, ò per ingegno fa, ò
sà, ò può cofa, il tutto ultimamente de riferire à fua Diurna Maeftà.
R icerca queft’Arte della Memoria per fila compita perfettione,chc
hauendoui trattato delle fueprencipi par ti, Luogo, et Imaginc; tratti
alcune cole particolari, vtili, e neceflarie da làperlì. E tralalciando
l'altreal giudicio, ingc gno,e fatica del Formatore; tratterò
preedàmente, delmo- do di collocar li Libri, li Numeri, li Generi, li
Tempi, li Cali, li Punti, li Argomentale Quotationi. Dirò poi delle
Dittature, della Libraria,e dell vfo della Memoria, e fògilla- ro alla
fine il tutto, con l’Arte dcll'Oblmione Della Collocatione di
Libri. O ccorrendo collocar Libri di qual li voglia
profesfione, è di necesfijp haucr l’Imagini formate di cialcun di loro.
Laonde cftrtcuno fi potrà formar l'Imagini dclli Tuoi Li- bri, intorno a
quali vcrlà;comelo Scrtttorale formi immagini dclli Libri della Sacra Bibia, Il
Thcologo delti Scolatici, IL FILOSOFO DELLA FILOSOFIA, il Medico della Medicina,
Il Canonifta di Canoni, Il Giunta delle Leggi, il Logico della Logica,
ecoii faccino tutti gli altri. E nel formar l’Imagini olferui quete Regole .
Primo fi fcriua in vn foglio tutti li Libri, intorno a quali uerla il
Formatore . Secondo for- mi, l’Imagine da vn fatto principale di quel
Libro, ò dal ti- tolo, ò dall’agente, ò dalla prima parola del Libro, ò
di qual’ altro capo fi yoglia;purche Ila reprefentatiuo del nome
del N Libro* Libro.Terzo queft’Imagìnc ò la ponga
(opra vn Libro, ò la ponga nel luogo col Libro» ò vi metta la perfona che
rap prefènci il nome del Libro . Quarto nel collocar li Libri » può
il formatore. Icruirli dcirAuttore di quel Libro, come fe in citar Paolo,
vi metterò S. Paolo col Libro in mano, e per faper qual libro Ha, vi
metterò la fua Imagine,come le fard illibrodi Corinti, ui metterò vnCore
. Coli le uorrò collocar l’auttorità dell'Euangelio, vi porrò
l’Euangcltrta, col libro, e fua figura, Giouanni con l’Aquila, Mattheo
con FHuomo alato, Marco col Leone, Luca col Vitello . E le
vu’Auttorc hi comporto più labri, vi pongo i fegni per di ftingncrli, per
dTempio, Giouanni hàfcritto l’Euangclo, l’Epiftola» l'ApocahlIc; per l'Euangclo
lo pongo ledente, predicante, per l’Epiftola lo pongo Icriuente,
pcrl'ApocalilTe lo pongo con gli occhi merauigliofi alzati al Cielo, come in
atto d; ueder colèi aulita te e noue. San Luca che ha. fcritto rEuangcto,
egli atti Apoftolici ; per l’Euangelo lo pongo con Chrilio, per gli Atti
lo pongo con gli Aportoli. Mole che hà comporto, e le ritto il
Pentateuco, Geneti, Efo* do, Leuitìco, Numeri, Deutoronomio ;nel primo lo
pon- go con Adamo, Se Eua, nel fecondo con Faraone, nel terza col
Sacerdote, nel quarto con gl’Elìcrciti, nel quinto con le Tauole della
Legge. E pattando à gli altri Libri, li Libri di Reggi li formarctecon li
Reggi, il primo con Saul, et Da uid Fanciullo, iUècondo con altri; ò pure
balia hauer libro c Rè, e poi li numeri porli per caratteri nu.i erali,
come fi dirà poi. Coli il L bro di Giofuc con Gi^lue, di Giud ci
con Sanlbnc, di Ruth con Ruthapprcflb i mietatori, Efter col Rè Alfuero,
Giudit con Oloferne, li Profeti con loro medelimi, Efiua con la Slega,
Geremia ch’è porto nel Lago, Daniele fra Leoni, Ezechiele fra Rote,8c
animali alati, Gio- na nella bocca della Balena, e h libri di Machabei
con Giu- da Machabco, di Solomone con elfo in fedia Regale giudi
cante,& il. limile degli almLibri fi facci in qual li uogUafcic za e
profesiìone . Per numeri, altri adoprano caratteri formati da varij
inftromenti. Altri adoprano perfone, dando loro li nume ri. Altri.
adoprano cofe Materiali,allequali volontariamen- te attribuirono li
numeri, come che il Melone lia vno,il Ce druolo due, la Zucca tre, il
Cedro quattro. Quello modo l’hà.per mirabile il Monleo,il fecondo lo
fieguc il Rauennaj il primo mi pare piu atto di tutti. Oppone il Monleo
al primo modo dicendo, che li caratteri non fi muouono. Alche
Rilpondo,chc tali caratteri fi pongono in pcrlona morente, come fi dirà
poi: per loche Reità che fiano attisfimi tali ca ratteri. Il modo delle
perfone c bello; ma è alquanto diffici Ic,& intrigato. Il terzo mi
pare che apporta poucrtà c con-- fufione al formatore; poiché fc li
tolgono le cole materiali delle quali potrebbe liberamente fcruirli, per
imagini. Ne è il fimilcdelli caratteri noflfri ; poiché noi ci feruimo
loia- mente di noue cole, dou’egli nc prende cento. Il modo e
fecondo, c terzo lòn belli, e chi li vuol leguire ved i li lopra- detti
Auttori; à me balla darui le Regole, per lèruiruidcl primo modo. Si
prendono dunque noue colè materiali, c quelle lèruino per l’vnità, e per
gli otto'primi numeri, per cllcmpio I. Vn Spiedo, ò vn Pugnale a.
Vn paro di Forbici. 3. VnTriangolo. ' • 4. Vn
Quadrangolo, j. Vn Serpe ritorto. 6, Vna Lumaca, ò chiocciola
grande marina col ca- po fuor del gufeio . 7. Vna Squadra di
Muratori. 8. Vna Zucca a fialco, che ha due ventri lWn lo-
pra l’altro. 9. Vn’Alciadi Legnaiuolo. Quelle Figure noue, ò
altre noue che parranno al for- matore, lèruono per tutti numeri
occorrenti’, olTeruando l’infrafcrittc Regole. Primo per fuggirla confu
(ione di que- N a fte ite Soue co fé, perche potrebbonò eflcr
prefe tal uolta per Imagine; Ciano diftintc ; per elTempio Io Spiedo che
fta per cola fu con carne, quando (là per numero dia con vcello; il
pugnale quando c cola lia nudo, quando numero lia fodra to; li forbici
percola fiano con panno, per numero lènza; il triangolo per colà lia di
legno, per numero lia di ferro ; cofi il quatrangolo ; il lerpe per
numero lia nero, per colà fia pinto; la chiocciola per colà habbi il capo
ritirato, per numero lo Sporga in fuora;la Squadrali vari jjcon legno e
fer re; la Zucca fi vari; in figura, ^perche non mandano delle
Zucche, e tonde, e larghe da poter feruire per colà;l'A(cia fi vari} con
manico ligneo, e ferreo, e cofi fi friggerà la con- fusione. Secondo
perche li numeri altri (on d’vnità, altri di decine, altri di ccntenaia,
altri di migliaia; l'ifteftè figure icr uiranno per tutti li numeri, con
quell’ordine, che quando la figura, è nella man finiftra, dice vnità;
quando nella Spalla finiftra, dice decine; quando nella fpalla delira,
dice ccnte- naia; quando nella man delira f dice migliaia- Per
elf^mpio vorrò dire “1345,” “1.345” pongo alla delira mano della
pcrlonalo Spiedo, che infilzi il triangolo che Uà alla Ipalla delira, e
paf Ando per fiotto il mento infilza il quadrato, che Uà alla Ipal
la finiltra, e co la punta trapallà il Serpe che Ila alla man fini- flra.
Terzo quelle figure filano polle con la perlòna, laquale S uanto
più farà posfib ile, habbi e facci qualche attione,còle ette figure, come
ho mollrato có lo Spiedo, triàgolo quadra to, e lèrpe. Quarto le li
numeri limili fi moltiplicano, Ciano anco moltiplicate le figui e limili,
come fie uorrò dire “1551” porrò due pugnali; uno alla man delira, e
l'altro alla. man finiftra, e due Sèrpi uno alla fpalla delira, e l'altro
alla Spalla finiftra della perlòna, la quale con pugnali impugnati, e
co braccia curue ferole Sèrpi. Bisognando moltiplicar le migliaia
per decine, e centenaia; bisogna per le decine por le figure alla Centura
delira, per li centinaia allo Ginocchio deliro. Onde udendo dire
“182659”, “182.679”: “cento ottanta due mila sei cento cinquanta nove”; porrò
nella cintura delira d’un Eremita la fialchetta, et al Ginocchio un
Fanciullino, che con uq pugnale ò Spiedo, fora la fialca ; e nella man
delira della perfiona un paro di forbici colliquali tronca le corna
alla alla lumaca, quale ftl alla /paHa delira'; é con
l'A/cia dell» man Anidra percote il Serpe, che ila alla /palla fmiftra .
£ Infognando moltiplicar per migliaia, fi ponghino le figu. te alla
piedi; onde «olendo dire,518265 aggiungo fra li piedi dell’Eremita, che
portailfiafco, unferpe,chcuà amor der’il fanciullo il quale fora con lo
Ipiedo il fufco . E bisognando aggiungere altri numeri (i ponghino
ordinatamen- te nel poggio, c fcabello della per/ona del luogo ; ò uero
fi ponghino nel luogo antecedente, nell’altra pcrlòna. Eque ilo
badi quanto ahi Numeri aritmetica!!, che quanto alti numeri grammaticali
/ingoiare e plurale^ dira nel capo dell» Cafi. J J f * ' d * * • ili | . ‘ r ' - M
Dclli Generi. ; - - • • * • ! ‘ • » • - • * • J . • • k s poiché li
generi fi nominano con li nomi di/esfi, perii genere ma Tedino farete che
la perfòna fia mafchiaje per il genere feminino fia donna. E per
didinguer IL MASCOLINO e feminino dal neutro, quando occorreflc, per quelli
generi MASCOLINO e feminino, Alcuni fanno che le persone habbino fuelati
li uafi GENITALI; e perii neutro l'habbino uelatij/c ben io li
didinguerei col variar vela e, dando per l'unoe l’altro fedo le mutande ò
codiali, e perii neutro il velo aggroppato. Delli Tempi, habbiamo da fàpere il
modo di collocare l'Annijli Mefi, liGiorni, rHore, il prelente, spallato,
il futuro. Per l’anni si collochi un fcrpente, che fi morda la co da, al
modo che faceano gli Egitti; significando che l'Anno fi rincuruae ripiega
in le defiò, mentre fi congiunge il fine, al principio. Li Meli fi
podono figurare in tre modi . Primo per li fo- gni ò caratteri delti
dodici legni del Zodiaco, ponendole figure idede, un Montone per Marzo,
Toro per aprile, gemi su tu per Maggio, ò li Caratteri
ufati la man delira il Geniti no, la fimltra il Dattilo,]! petto
l’Acculàtiuo, il piede e gara ba delira il Vocatiuo,il fimftro
l’Ablatiuo.Si che, fc la pa- rola è in calo nominatiuo, fi ponga in
telta; le ablatiuo fi ponghi al piede fimftro.E per faper anco li numeri
s’ofler- ui,chc la parte nuda rnoftra il numero (ingoiare; la parte
ucllita mollra II numero plurate. Per esempio uorrò di- re, Ego fum
panis. Porrò un cello di pane in capo alla per fona, e che il capo lìa
(nudato ; il capo mi mollra il noinimtiuo, c la nudità mollra il numero
(ingoiare. E le l'ima gineè perlòna,li puòconolcereil cafo,ò per la parte,
ò per il Pegno, per la parte > Te Francclco hauendo tutto il
redo uellito, (blamente mi mollra la manfiniftra nuda, intendo il dativo.
per il legno, fètutta la perfona è nuda, che midi il (ingoiarmi rnoftra
la man finiftra ferita, al qual legno intendo il caso
dativo. Conuiene che le parole habbino i Ior PUNTI, per non ap
portar contusone al legente [JOYCE], come li punti finali, pcr fine del
periodo, li mezzi ponti per prender fiato; così conviencchc anco in quella
collocatione della scrittura della Memoria ui fiano le diftanze debite,
non (blamente tra leu tenza e Temenza, n.à anco tra parola c parola:
accio le lette- re duna,non paslìno alla compofitione dell’altra
parola E quello oltra che fila, da una certa diftanzache fi de da
realleimagini, nfulta ancora dalla repetitione del Formatore, il quale
collocando prefigge con la mente, douefi co- mincia, e doue fi fini Ice.
E fecondo, quello lì può Tare con alcuni geftì, per ellempio, nel PUNTO
FINALE [il clistico di R. M. Hare – H. P. Grice], fare che la perlo na
ultima del periodo dia di fianco, con la faccia rivolta al rocchio del legente.
Enel mezzo punto fare, che feafid con le spalle al luogo, riuolti
fidamente la faccia alla delira, yerfol’occbio dellegentp. Nella
diftintione delle parole fi può fare, che la perlona donde cominciala
parola, facci qualche gcflo, contro la perfona dell’ antecedente parola,
e quella perfona fi ririti in un certo modo, dandoli quella ò con un
pugno, ò con vn calcio, ò con altro fecondo che occorrerà, per
l'opportunità dell’magine, e dell’annesti* -!iJ L’argomenti, che si
fanno universalmcnte, si riducono alli sillogismi, e alle consequenze
d’entimeme, delli quali balla qui dire della formatione dell’imagini, e
del modo di collocarli. Quanto alla formatione si tenghi il methodo
universale, o formando immagini per li concetti, ò per le parole, e fi sforzi
il formatore formar 1 In aginc del mezzo termine. Quanto al modo di collocar
l’argomenti, o son syllogismi, o entimeme. Li Sillogismi, che hanno tre propositioni,
la maggiore si colloca alta man delira, la minore alla man siniftra, la
conclulìone al capo. Se bisogna provar la maggiore, le prove fiano collocate al
lato deliro ordinatamele. Seia minore, fiano collocate le prove nel lato
fini(lro,e feoc corre fare un prosìllogismo dalla conclufionc, che enei
ca-, pórli tiri la minore nel petto, la conclufione nel ventre. Se
l’argomento ha in confequcza; l’antecedentc llia nella ma de fera, il
cófequcte nella finiftra. E se bisogna provar consequenza, si collochino le
prove alla faccia, petto, e ventre. E felatcce détcs’ ha da ^puare, si
collochino le prove al lato suo deliro, e quelche bilògnafle per ile
conseguente, si collochi nel lato fi- ni(lro, haucndo memoria delti
luoghi, ch'io formai ordinatimente nell! lati della pedona fiumana, e quello
Modo balla per fiatelligenti, à quale fofficicnte in tal propofito
collocar Immediatamente, mà ehi uoleflfe collocar ogni colà mediatamente per
imaginipotrà (cruiriì dclli luoghi {labili ordinatamente. Per citationi
intendo quel riferire che si fà delli Libri, delli Numeri de Libri, ò di
capitoli, ò di titoli, e di limili. Lequali si uariano, secondo la uarietà
delle profeslìoni; onde il Theologo cota dift. par. ar. memb. Il Filosofo
tex. com. Il Lcgillaìeg. glof. tit. $. confil. Il Canonista quell,
can.&c. c tutte le Cotationi, io le riduco a tre capi, Libro,
Nome di Libro, et Aggiunto, dclli quali dirò didimamente. Della
Cotationc di Libri, c Nomi di libri, mi riferifeo à quel ch'io disfi,
nella Lctt. 1 5. della collocatone di Libri; aggiungendo, che li Nomi di
libri, ò titoli di libri, si pollono ideare con l’iflcsfi libri; quali noi
vlàmo gornalmcnte,c di quali damo polfcfibri. Laonde fc uorrò citare Ai
ili. nel- la Metafilica, io pongo nel luogo, in mano d'Arifiotcle
il mio libro della Mctafifica . E le vorrò citare il Macllro delle
fentenze, vi pongo l'iflcflo mio libro delle fentenze del Mae ftro. E
cosi fi può far de gli altri libri, in qual fi voglia prò fesfionc. E di
più, fe li nomi di libri d’vna profesfionc tufi, {èro pochi, come tre ò
quattro, fi potrebbono diftingucre con li colori, vn nero, vn bianco, vn
rollò, vn giallo, &c. co me San Giouanni che ha fcrittotre libri,
Evangelo, Apocalisse, et Epillola, diftinguerò quelli tre libri con tre
colori rofTo,ncro,uerde, per l'Euangelo colloco il libro rollo, in
mano di San Giouanni, per l’ApocalilTe il nero, per FIEpi- flolu il
verde. Con fimil muodo facci il Filosofo, il Legilla, c qual fi uoglia
profefiorc. Dclli Aggiunti della Cotationo. S ’Aggiunge al Libro, c
Nome del libro, il capitolo, il nu* meiOjò limili. Quello aggiunto alle
volte precede il nome del libro, alle volte fosfieguè ; precede quando
l’Autto rehà comporti molti libri in vn medefimo (oggetto, come fe
diccfte, Agoft. lib. 1 2. de ciuitate Dei, all'Auttore dò il Libro,
fieguc il numero, quale precede il nome dell’opera e libro. Alle volte
lòsliegue,& è di due (òrti, immediato, mediato. L'aggiunto immediato c la
particolar cotatione di ca pitoli, di dift. di terti,e limili, come s’io
dicelle, Aug. de Ciuitate Dei quella parola cap. è aggiunto im mediato,
fi come il numero 4. c l’aggiunto mediato. Eque rto aggiunto mediato,
alle uolte fi fa per numero; come nel J'addutto elfempio . Alle uolte fi
fà per parola, come vfa il Legifta,c Canonifta, che adduce la prima
parola della legge, Pan. in c.tua nos. e con l'ifteftb progrefi'o, ò di
numeri, ò di parole, fi fanno molce Cotationi mediate, fecondo
ladiuer fità delle profesfioni . Per le cotationi di numeri s’auer
a, primo, difarle ordinate, il numero del libro fi ponga alia parte
del libro, et il numero del capitolo ail’altra parte ; ac- cio il
formatore non fi confonda, per elfempio dicendo Au- { ;uft. Iibr.a.de
Ciuitate Dei cap.7. nella man delira li dò il ibro, e con fiftelTamano li
fò moftrare due dita fpiegate, che mi moftrano li due, e nell’altra mano
li dò lo sguadro » colquale tocca U capo; e coli hò dal capo il capitolo,
e dallo sguadro il 7. Si noti fecondo, che quelli numeri fi poP fono
formare, con l’irtelfe dita della perlina ; e quando il numero trapalfa
il cinque, fi pongano l’imagini di nume ri alle parti del corpo della
pcrlona, conforme alle Regoli date di numeri. La Cotatione della parola,
del capitolo, del titolo, ò della legge, tkc. fi formi con le Regole
deljlmagini delle parole figurate, ò non figurate. Laonde per la parola
de vfu ns, quel formatore poneua vn Hebreovfuraro. De gli aggiunti
di capitoli,.di tedi, com. gioii leg. $. e limili, fi pollino formare in
tre modi; primo, per Imagini, conforme al Methodo allignato della
formatione dell’Imagini. Secondo, dipingendo, ò (colpendo nel li-
bro, in lettere maiufcole quelle Cotationi; o ponendoli caratteri del
quarto Alfabeto nella perlina . Terzo, per via Notariaca dal nome, che
principia con la prima lettera della della Cotationè, fcruendol!
ùell’irteffa perfoha j Laonde! >er cap. coiti, can. conf. tocchi il
cappello, o’I capo, o’I col o, ol cigl o ; per tit. tex. tocchi la tempia
j Per dirti Dub, tocchi li denti; per legg. Iett. tocchi la lingua, ò le
labbia ; per Glof. la guancia; per num. tocchi il nafo. In fimil
mo- do fi formino laltre, con li nomi ò volgari, ò Latini della
perfona humana . Mi lì guardi ilfoamatore di non feruir- li d’vn’iftelfa
parte humana, per due Cotationi, quando nell'ufo l’occorra l’una, c
l'altra Cotatione;perche l’apportarebbe confu (ione, fe pure non la
dirtingueilecon qual- che legno, come fe il labbro corallino dica Legge,
il lmi- do c nero dica Lettione ; il capo biondo dica cap. il nero
com. il bianco confi e coli de gli altri. Delle Dittature.
Per dittature intendo lo rtupcndo dittare d'alcuni profeffori di
queft’Arte, hquali in vn medefìmo tempo han dittato à cinque, ò dieci e
più acrittori, con dire dieci parole di dieci (oggetti ordinatamente, e poi
fèguitare le tralafciate di mano in mano, fenza errar un iota dal propofito
foggetto di ciafcuno. Il far quello perdono sopra naturale (GRICE: NATURA) c sopra
nostro humano, non cade sotto le regole dell'arte (GRICE: ARTE). Mà il
farlo per arte, in quanto poslìamo noia- feendere, mi pare (i facci in
qucfto modo cioè . Che il dittatore formati h (oggetti diuerfi, ò di
Lettioni,òdi Predi- che, ò di lettere milione, ò di qual (ì voglia altro
(oggetto, e difpofte le parole in tanti fogli, quanti fon li soggetti ; prenda
ordinatamente le parole alternatiuamcnte da ciafcun fogl o, He le
alberghi nelli Luoghi. Per cflempio, la prima parola del primo loglio nel
primo Luogo, la prima del secondo foglio nel fecondo luogo, la prima del terzo
foglio nel terzo luogo, e coli di mano in mano finche faran collocate
tutte le prime parole delli dieci fogli. Poi fi ricominci, c la feconda
parola del primo foglio, (ìa collo- cata nel vndecimo luogo, la feconda
del fecondo foglio nel duodecimo luogo, e eoli feqnendo. E finite le
feconde, fia^ no con l'illcffo ordine collocate le terze, poi le quarte,
poi le quinte, finche fitran finite tutte le parole. E udendo dit
tare facci diftributione delli soggetti alli Scrittori, fecondo l’ordine
delli fogli fcritti, già collocati . E facendo fcriuere vna parcla per
vno ordinatamente, alla fine ciafcuno Scrit- tore ritroueràil fuo
(oggetto compito . E quell’ordine che fi tiene delle parole, fi può tare
ancora delli concetti, òdcl le fentenze ; fc bene il primo delle parole
pare più stupendo. E chi voleflc dittare per ogni uerfo, primo dal primo
all’vltimo, poi dairvlcimo al principio, potrà con fimil mo- do collocar
le parole, che giungendo all vltimo non fi rico- minci dal primo, ma
dall’vItimo.E chi di quello mo- do fi feru i (le per raggionare, farebbe
un mo- do di raggionare allo fpropofito ; fe ben’ordinate poi le
parole,cia- fcuna al fuo (oggetto, ri u- feirebbono al propo
fito li raggionamenti, come .j appare in quello effempio
diquattro dittata- E-tv, Per quello uerfo fi Collocano, e
dittano. 3 Ci i-i i Aue 2
Benedid* Ti Nunc 4 Magnificat 'o
pp 0 o ' 9 Gratia
IO Deus I 1 Scruum I 2 Mea
c 3 0 rp "-i 1
3 Piena 4 Ifrael s Tuum
I 6 DominCi u> n ciT c
• o •no 17 Dominus i
8 Quia 9 Donnine 20 Et £0 •*t 0
o 2 I Tecum 22 Vifitauit 3 Secudum 14 Exultauit
1, Li Numeri moftrano li luoghi iuccesfìui. •V*'.
i . Quello (la detto del dittare 1 molti
per Arte ; lafctamfo di qqcl che fi polla per felicità d ingegno, come
credo facef fc Giulio Cefare, Uguale dittaua à quat o, et egli per qutn
. to fcriuea altro figge to, come credo, anco lacelle Origene
Adamantio ( non però lenza fuperior dpno)il quale di continouo dittaua à lètte
Icrittori ; per lo che non e incredibi Icych'cgli componefle fei milia uolumi,
qluli tellifica hauct Midi San Geronimo. Della Libraria della
Memoria. E Tanta la forza di quello ricco tcfbro della Memoria,
chcdiuenca anco Biblioteca ò Libraria, e con maggior felicità e facilità
delle librarie, nelle quali fi gloriano communemente gli huornini (ludi oli.
Non attendendo che 1 ha ucr libraria, non c perfettioneperleità; ma
imperfetta, che (opplilce all’in perfetto de gli huornini. A Ili quali
mancan do la memoria fecónda piena et adorna, con la tenacità e e
permaoentia perpetua dell' fimoIacri,(bn conllretti tener copia dij'bri,
dalli quali. posfmo riccucr li primi concetti delle colè, e nuocar li
dimenticati . Per lo che Iddio ch’c 'perfettiifimo, non ha quella che da
noi è chiamata pcrlet- tiotiejpoichc neH’illeira effenza lua, come in
terlislimo fpcc chio uede e contempla ogni cola. Gli Angeli ancora,
non han bilògno di libraria ; poiché per la cognitione uefpcr-
tina, cheè delle creature nelli lor propri! generi, hanno la memòria
perfetta, fin da la lorcreatione, quadofu 'or data ogni pienezza di
fimolacri, così tenacemente impresfi, che tempo non può Scancellarli .
Simile dono lù fatto a primi noftri primi Progenitori; la onde non hauerebbono
hauuto bisigno di libraria, poiché nella lor memoria per dono gratuito
albergano tutti li limolacri. E perche il peccato, quali ladro ei lpoghò,
e tra gli altri beni ci lolle ancora què Ho dono, et introdulTc per
peggio noltro l’ignoranza. erim hebecillita; per l’Ignoranza
ciascuno nafce con la memoria no . da, come ingelfata parete; e per la
imbecillità alle fatiche' dell’acquillati fimolacri bene fpeito foccede
obliuione. In- 1 di per fouenir’ He all’ignoranza, et all’obliuione;
l’Arte hi. introdotto l’aiuto dclli libri. Li quali ancora
lopplifcono. à due imperfettioni, dillanza, e morte; perche non
elfendo prefente la uocc dell’Auttorc ò maftro, fopplifcela fcrittu
ra del fuo libro ; et eflendo egli morto, uiue nella fcrittura del libro,
per lo che li Rudenti mentre ftudiano (come fi di ce per
prouerbio)parlano con li morti.Se bene dunqueli li bri (ono utili,cneceirarii
al noftro (iato imperfetto; non dimeno (ludiati che fi fono una uolta,
meglio è hauer la Me moria per Libraria, che 14 Libraria di carte e
(critture; poi che la Libraria cfatta,per fopplimento della Memoria.
C fe così è, meglio è hauer la memoria, che c il principale) chela
Libraria che è il fopplimento; fi come meglio è hauer la gamba e piede di carne
e d’ossa, che di legno. In oh ire quella Libraria apporta fatica, fpcfa,
pcfo, travaglio; que (fa non è d'altra fatica, che di ufiria. Di più la
Libraria è in uno ò alcuni luoghi 1, non in tutti feuza grandisfima
in- corri modi ci; quella l’haucte doue ui trouate, e lènza pagar
altro nolo che della uoltra perfona la portate vofeo doue uo lete. Quella
conuiene (blamente à ricchi, et à chi abbonda in denari; quella c commune
anco à poueri. £ fe quella ui fa Huomini, quella ui fa fimili all’Angeli,
et à Dio, li quali ogni feientia hanno fempre feco. Echi non sà che le
cofe quanto piùs’auuicinano al perpetuo e necelfario, tanto più fon
perfette ? l'uniuerfile,come cheaftrahe da tempo e luo go c più
a(lratto,c confequentemente più perfetto del (in- goiare, il quale c
immerfo nel tempo e luogho; la memoria ha ptùdcll’adratto che la libraria
; poiché li libri con l’ufo e tempo s’inuecchiano e confumano, la memoria
con l’ulb e tempo fi perpetua; quelli perifcono, quella fempre refla;
nè (ì puole commodamcnte hauer per ogni luogo quella Si blioteca come
quella, che uiue e dimora lèmpre col forma- tore. L’Oracoli parlano à
voce prefentialmente, e Oracoli fono (limati quei làpienti, li quali
all'improuifo, senza girar l’occhio alh libri, rilpondono elquiiitamente ad
ogni proposto della lor profesfionc; Come fifa quello Te noti con
l’aiuto della libraria della memoria, la quale toglie quel rinconuemente,
chc dille una uolta UN FILOSOFO di quel Me dico equiuoco,ilquale refpexit
librum,& mortuuscft aigro tus.E fé ben’io ammiro l’induftrta di
Gordiano Jmperadore, il quale lìimaua camole lettere eie fcienze,che più
atte (èall’acquillo di Libri, che al teforo d’argenti, d’ori, e di
gemme. La onde li legge, che raccolte nella Tua Libraria tef tenta due india
uolumi. Lodo la diligenza di 1 irannione Grammatico, (che uilTeà tempi di
Pompeo magno) ilquale liebbe in fuo polle fio tre milia libri. Stupifco
delle Pergamene Librarie, le quali, come riferifee Plutarco, haucano
ducento milia volumi. Ofieruo grandemente Tolomeo Filadelfo, il quale per
compir la Tua Libraria, quale ordinaua in Alelfandria, ottenne dalli
Gerofolimitam tettanta dclli più teuii et clpcrti nelle l'acre lettere, c
pr «felibri dcllVn’e l’altro Idoma, acciò li traducelfero la Bibia (aera
da hebreo in greco. Mi più ammiro, lodo, celebro, et ofleruo la Libraria
della Memoria, che hvbbe Lsdra, ilquale come ri- feritee Eulèbio,hauendo
li Reggi Caldei prelì li libri tecri di Mofe, egli tutti ad Verbum h
recitò, e dal fuo recitare furnodittati in quella maniera, che poi la
Sinagoga 1 ado- praua. E perche non me chia&o, fc quella Libraria di
Ete dra, folte artificiale, mi balìa auteporui I’cltempio del Ra-
uenna, ilquale tanto fi gloria di quella Libraria delia Memoria che dice, Cum
patriam relinquo, ut peregrinus urbes Italia? uideam,dicerc polTum, Omnia mea
mecum porto. E perche non mancheranno di quell’che uoranno formarli
quella perfetta Libraria; pcrò allignerò alcuni Capi, dalli quali potrete
raccogliere il modo. È di neccsfità haucr m’gliarac migliara di Luoghi,
quali fi potranno formare alla giornata, fecondo che con 1’occasione dello
(India. re, creile il bisogno del formatore. Quel tanto ch’il formatore
alla giornata ordinatamente, fecondo l’ordine della Scicntiaò Artc,(ludia
della fua profesfione ; gtornalmente collochi il tutto nell 1 formati Luoghi,
non tralafcian do colà che Ila necelfaria Terzo, Quelli Luoghi pieni
firn pre rellano piente per hauer la fermezza c tenacità
della Memo- M€nàona, cbe 6 dcfidcra eotitrtl’óbliul olle > tH« e
il Urlo e. la poluè,che rode e dftirugge quella Libraria; bi fogna
rivederla con l’vfo della ripetitione. E quello fi può fare con pi gliar
vn giorno di vacanza della fertimana, c ripetere quel che nouamente fi è
collocato in quella lèttimana, 3c in un'al trhora ripetere vna parte
cominciando dal principio, s forzandoti che fia tal notate compartita la
ripetitiope, che per ciafeun Mefc fia npetita e rcuifta tutta la
Libraria. Per la qual ripetitione ancora fi potrà dare quell hora, eh il
forma torc fi troua difbccupato dall’efiercitij diurni, ne i giorni
fc ftiui. Sicomc nelle Librarie fogliono alcuni tener Qija dri
dipinti, con ritratti d’Auttori, di Sapienti, o potenti, di fe mcdefimi,ò
d’alcun'altre pitture bene fpeflo vane, e lafci ue; il formatore di
quella Libraria vi ponga Quadri di San» tif eleggendoti vn certo numero
di Prencipi del Paradilb, Angeli, et Huomini, c quelli fi conftituifca
per Protettori di quella bella imprela, raccomandando à cialcuno di loro
vn libro, ò vna fetenza, ò vna materia, fecondo che meglio pare al divoto
formatore, et à quei Santi il formatore oiicri Ica, voti, digiuni,
oratio.ni, fecondo la (uà diuotione,5cc. Quinto la Libraria come
scrive VITRUVIO (si veda) debbe cfler fat ta dirimpetto all’Oriente,
poiché l'vlo di libri ricerca il lume mannaie; c perche la Libraria della
Memoria adopra lume interno, però io aucrtilco il formatore, che li sforzi d
ha ucr r.Oricnte Spirituale che c Chrillo, chiamato oriente da vn
Profeta, Ecce vir Oricns nomcn eius. Anzi Chrillo c il Sole, come di ife
vn’altro Profeta, Orieturvobis timcntibus. nomen meum Sol iuftitiat. E1
Oriente diquello Sole,quan to alla deità è il Padre eterno, e l’Oriente
quanto alla temporale huinanità è Maria Vergine. Dirimpetto à quelli oric
ti c lumi debbe il formatore drizzai lafua Libraria; sforzan doli di
fuggirli peccati, e conferuarfi nella gratia di Dio, poi che, Imtium
Sapientia: eli timor Domini. Sello, ficome nelle Librarie li libri (on
polli con ordine, fiche in vna parte fon ripolli quelli della logica, in
vn’al- tra quelli della Eliofoba, in queiraltro canto quelli della
Geo mctna, &c. coti bifegna ordinarli luoghi communi, che trà
P loro i toro fiano di'ftintì . Per esemplo, neHI luoghi
tTvft* Ciftà -cojloco là Logica, et in quelli d’vo’aitraJi FilofoAa, in
quelli della terza la Theologia, et in un luogo comniune della feconda
Città ei colloco il primo della Fisica, nel secondo il secondo, e co fi
procedendo nell» fequenti libri della FILOSOFIA. Equeft’ordine èneceflfarioj,
per poter fubito ri tcoaara li libri, eli (oggetti, che A defidcrano . E
fc mi dirai, che quella Biblioteca hà del fa ti còlo affai . Secondo,
pare che la Memoria, nó porta (offrire tanto pefo.Terzo,parc vn
Chaos di confttAonfc» Ache l’Huomo non puole à Aia voglia ritrouare le
materie c (oggetti. Quarto, come A farà, in voler for mare vn
raggionamento da quefta Libraria . Quinto, fe oc- correre all» giornata
aggiungere alli foggetri albergatrnuo" ui concetti j' non A potrà
far quello lènza confusone dello prime imagini. Sedo, come A potrà
contemplare in quefta Libraria. Come porrà il formatore feruirft di
Iuq» ghi va coi. Ottano, fe conuienc à Padri di famiglia £ar che,
IL Figli ftudiofi Aano arricchiti di quefta Libraria. Rispondo
didimamente à quefti otto Capi, per compimento di quefta Libreria
Al primo, dico che A come il pefeatore non pup hauen pefei lenza
bagnarA, nè l'auido trouar The Airi senza romper Terra e làsli; coli non può
l’huomo far’acquiftodiquc-t ft'inclphcabile vtdità, fenza gran fatica.
Laquale pare gran- de, perch’è infolita e non polla in vfo;ma cominci il
forma torèconle dueguide, diligenza, e patienza,à farne dpcrien 2
a,e conofeeri che, mi dithcile volenti . Fingono li Poeti, che Giafone
con fatato di Medea acquifta il vello d’oro ; mi non però fenza vincer e
domar Tori, arar terra, feminar denti, armarfe contrafchierearmate, fupcrar
Draghi « Medea c 1 Arte della Memoria, Giafone il formatore, Tori
Draghi, dicroti fon le fatiche, li pudori, le vigilie, f impcdimenti, li
patimenti, che s’offerifeono alle frontiere di que_ fta imprefa, quali
peròdcuono efter foffriti, e vinti da colui, che alpira alia palina c
corona d’vna tanta felicità. Al fecondo, dico che la memoria,
quando con bel’agio, et à poco à poco uien' alla giornata ripiena, non
fentepelb edifturbo, anzi diletto e follcuamento; poiché col
riccuer nuoui nàoui tìmolacrl. Jr,che con
lelperienzartegionano-dr quella utilisfima e ne diària ptofesilonc.Nc
chiami inutile ingombro, e fatico» fo impacciò, il teloro
utilisfimo,elucidisiimo di fimolacrt. Poiché li Luoghi et Iinagini,fono
come penne ciuanni, che aggiungendo pelo all’ Vccllo, rapportano facilità
et agilità, inerauigliola al aolojcosi mentre s'accolla la Memoria
Luo ghi,8t imaginiycon qacfti come con due ali uola con facili- tà
itupenda^pcr l’altezza della contemplatione,& attione in terpetratiua
JE J fe quelli mezzi fon difficili; fegoo à che il fi N ie è di gran preggio-E
chi mira l’afprezza del mezzo follmente^ non l’agcuola con la dolcezza del
fine,c incauto et impcudenccvpoichcfauio,c prudente è colui, che
contrape’ findoiljialore&: il preggio del ficee dcll’acquifto,
difpo- necon prudenza, intende con fapicnzajabbraccia'cori' rorezza,
lìegue con patienzali debiti mezzi. E non peflo fi 1 non marauigliarmi
d’Ippoino, il quale biafima l’Arte della Memoria, e pur fenc fcrue ; perche fi
non è eie-- co, quand’egli collocai un’gratnone à Memoria, non fa egli- Memoria
IocaIc,nelli fogli delfi carta feri nailon de prende* le parole ò
concetti, elicgli colloca?e fibenequcflameriio ria locale, non cl’ Arte
fpicgata,è nondimeno Arte confa* magini, dclle tpia li diccsfm.o; ìSc
ii> parte hauerli pofiono, da quel che fìegue. Priipo, per utilisfimo
documento, hab >i il formatore qual- cheparticoiar diuotionc, per li
luoghi, per la collocatione- deHimagini,c per il recitare. Per li Luoghi
formandoli habi bia l’occhio fé ui troua figure di Santi, Altari,
Ctocififiò Jmagine di Maria Vergine, e per ogni luogo commufcc fi
a-, legga tre, quattro, ò cinque, più ò meno ( fecondo la copia di
luoghi, e fecondo la diuotionc del formatore ) di quelle finte Figure, et
alli lor figurati, con effetto pio raccoman- x di la tutela della
Memoria, sforzandoli che il primo»& ul-> timo luogo fiano figurati
. E quando ripetendo i lunghi ui- palla Culi la mente, "li facci il
formatore riuerenza,con qual chfcdiuota Oratione. Il limile facci prima
cbenelli Luoghi; collochi l’ImaginijC prima che recitile collocate; diodo
un S,ro 6i giro con ti mente, per quelle defignate
figure Sante, è eia-' leuna offerendo calda oratione,c mentale, e
uocàlc. Secondo, auerca il formatore di non effer fcru polo fo
intorno al veder lume prima chcegli uadi à recitare ; perche quantunq;
fia ben fatto dimorar in tenebre, et in luogo ri*c tirato, e (olitario,e
lontano da ogni ftrepito, mentre ripone le Imagini à memoria, e coli in
quel tempo che è immediato il recitare: Non dimeno ftar tempre cofi, e non
ueder mai lume, fenò quello ch'egli uede quando recita, è colà
perighofà; perche i’infolito apporta dirturbo e confusone. Però (limo
ch'il f amatore debba una uolta à luce aperta^ ripeter le Tue
cote. Terzo, ripeter fra ftrepiti e fragori gioua: perche asficu- ra
la Memoria intanto, che per qual fi “voglia ftrepito ò ca fo che auenghi
poi fra’l recitare, non fi (marritee il dicitore. Indi è da effer notato, et imitato
l'effcrcitio di Demoftinc, ilquale per telleuarfi d’alcuni difetti di natura,
come r.fe ri tee VALERIO MASSIMO (si veda), combattendo con la natura, la
uinfe con i'artificial effercitio. Imperochc effondo egli Bacco di
fianchi, e debole di lcna,& perciò impotente al dire, s’ingagltardì con la
fuica, et effercitio; auczzandofi à recitar mol ti ucrii ad un (iato, e
pronunciando mentre con ncloci paf fi (àliua per uiefaticolc, et erte.
Oraua dirimpetto alli fra* gori marini che pcrcoteuano li (coglie li
lidi; si per fortificar la lena, come anco, acciò afluefatte l’orccchie à
quel rumore e ftrepito del ripercotimento del mare, potettero
patientemente al rumore della ragunata moltitudine perfe- ucrarc, non
sgomentandoli nel (ènte, nè uacillando con la Memoria. E per hauer la
lingua piu fpedita e fciolta alla lo- quela, ulàua pariarea lungo, con te
pictruzze in bocca; accio uacoa folte poi più pronta, et efpedita.Et hauendo la
uo ce tettile e molto a fpra, e noiofa aU’audienti; col continuo ef
fermio, c grande induftria, la ridufse al maturo, graue, egra to fuono. E
perche nel principio della fua giouentù, quali fulinguato,non poteua
bcn'cfprimere la lettera che noi chia marno R. laqualo principia il nomò
dell' arte Retto ri ca, che egli imparbua ; usò tanta diligenza che muno
dipoi la proferiua meglio di lui. Quarto, bifogqa rifuegliar le
tepitc, e Ranche forze del- i i> Q^. te I le potenze,
quando fi ua 1 recitare, con raiutl /pirituali, e corporali; li primi di
orationi à Dio, et à Santi, li fecondi •con alcuni riftoratiui, come
nell’Estate rifrelcarfi il uolto,e mani, neirinuerno prender un’alito di
fuoco, odorar cole grate, purché non fiano dieccesfiua qualità; toccarfi
le narici e polli, con odorifero uino,e limili, fecondo il coniglio del
perito Medico. Quinto, habbi l’occhio il formatore di lenirli della
Me mona, non come fine ultimato ;-mà come fine ordinato ad altro
fine, cioè feruirfi di quella all’ultimo fine dell’orare, eh e il
perfuadere,e ricordili che non li troua la maggior per ucrfità, che
peruertir l’ordine, e lèruirfi del mezzo per fine; Ilche accenna Agostino
in quel detto, Summa pcruerfitas cft frui utendis. Le parti oratorie fon
fini, mà però ordina tiall’ultimo fine del persuaderc; però non conuiene
affettar tanto quelle parti, che all'ultimo l’audiente lòdi quella ò
qwe fi altra parte, fenza che relli uinto, prcfo,emoflo dalla per
fualionc intenta. Dedalo uola per mezzo,’ nè col gelo baffo soggiaccia,
nè colcalor loprano fi liqueface; mà Icaro incau to, ilquale inuaghito
delle nuoue, et inlohte penne, affetta con troppo alto eccelfo il uolo;
fapete che ruinofo cade nel 1 \ l’onde falle. Coli quelli che
allontanandoli dalla prudente mediocrità, pongono tutta la lor mira
nell’cccelfo di Memo ria; cadono per l'imprudenza, perche non mirano il
fine ^ che deu’elfer fine ultimato;e perche mirano il proprio hono
re,& una uana pompa, non l'honor e gloria di Dio, di qua li può ben
dire il falmeggiante Dauid. In fecuri,& Afciade iecerunt eam. Parla
il Profeta di quelli, che dislì pano la Chic fa, con ilparolarc,e
memorare, che fon parti di chiraggio- m - na. La fecure c la lingua ò
parola, per loche Dimolline fi> lea dire, che il fuo auer fario
oratore Fedone era vna fecur re; perche con breue, mà acuta oratione
molto li refifieua, e contradiceua. L’Afcia come fi dilfe mollra la
memoria, per lochenci Sepolcri gli antichi fcriueuano
quell’Elogio.Sub JVfciam dedi vetuit . Con quelle armi ;gli Eretici
cercano disfipar la Chiefa, c li vani Oratori poco frutto l'apporta-
no, mentre s’aggregano al numero di quei Maellri; di quali predille S. Paolo.
Ad fua defideria coaceruabunt magillros prurientcs auribus. Dilettano
l’orecchio, con puoco frutto J del 6 % détto rptrito:
vogliono parer ftupendi, còito felicità di Memoria,6t afFettatione di parole,
nè curano d’efFer fruttuosi à convertir gl’animi à Dio. Dunque conftituifcafi
l’oratore per fine quel che deeefler fine cioè, l’acquifto dell’audienté
S ual’è feopo, per cui è ordinato il Tuo officio; c per quello ne poi;
fenza affetiatione, farà lecito adopr.tr come mezzi le nobilislime parti
della Memoria. Serto, verte in dubbio tra gli formatori, (è è meglio
ripor à memoria le parole, ò li concetti nell’vfo dell orare, predi
care, craggionarc, in diverse profesfioni.Collocar parole c quando li
fcriuono cento ò ducento parole in vn loglio,e coli fcritte fi ripóngono
in memoria, c le iflefFe collocate c scrittc poi si recitano . Collocar
concetti è quando il forma tore fi forma il concetto, et cfphcandolo poi
con la lingua non s’obliga à premeditate parole ; m^ lo fpiega con
quella fauella, che all’irpprouifo la maftra natura gli fomminirtra. Chi
ha tempo da farlo, c fenza dubbio meglio ripor le parole: perche l’Oratore
humano ò Ecclefiaftico,non direbbe cofa e parola, (è non premeditata,
fecondo il detto dì Dauid, che dcfcritle le parole del Signore eflèr
premeditate cfà minate, et raffinate sette volte. Eloquia domini, eloquia
carta, argentum igneexaminatum, probatum terrac, purgati septuplum. E
come premeditate farebbero proprie, fcclte, ornate d’eloquenza, abbellite di
colori rcttorici ; non uaneggurebbe il ^dicitore fuor di termini
defignati, non difcorrcrebbe con digreslìoni lunghe, e noiofc,
ollcruarebbc l’amata breuità, aggiungerebbe di parte in parte al
dire futili gerti del corpo, e tuoni della ucce, che richiede
un'cfquilita pronuntia.Mà perche non tutti li foggetti ricerca- no
quert’obligo parolato; nè tempre à ciò fare il tempo è commodo c
(officiente ;t brache in alcune occafioni, fom- Kninirtrando lo fpirito celerte
nuoui penfieri e nuovi colori in premeditati, non deue il dicitore farli
reftrtenza, òporfi impedimento: però il collocar concetti ancora non è,
da eflcr biafmato. Nel collocare e prccifàmente i concetti, per facilitar
la memòria all’ufo del parlare,!! sforzi il dicitore d’m ftttitfef
efquifuamenre il concetto, e diffonderlo anco in car ta; c prima cheto
fpieghi in publico x 1 efplichi da fe folo, ì z uocc noce quanto più
li pud intelligibile: perche pofledendo be ne il fatto, con facilità e
habile à narrarlo. E fcriuendo, e re citando uien‘ada(Tuefarf), et habilitarfi
maggiormente; e affuefaccndofi, s’apre la firada alla chiarezza maggiore
del (oggetto, alla qual chiarezza fìegue poi prontezza c, uiuaci tà
maggiore neidire. Larto di fcordarfc/. \rA i‘ ;i:> .) i
il ii. t atti _>t SE bene, oppofitorum eadem difciplina, ir.
tanto che ha uendo noi detto a badanza della memoria, potrebbe eia
feuno da fé (ledo intender che cosa lia il suo opposto eh’ è l’obliuione;
non dimeno perche daU’obliuione lì prendono alcune utilità in qued’Àrte,
è bene à trattarne, non inquan to e didruttiua, mà in quanto per certa
consequenza accU dentale è perfettiua della rimembranza . Perche
hauendo fcoggi recitata un’oratione, e udendo din ani fcruirmi del
rdleslì luoghi, trouandoli in gorobrati dalle precedenti ima ginij come
me ne potrò io feruire, tènza grandiffima difficoltà e confufione ? Dirò tre
cofe, primo a che cofa ferue qued’obliuionc, fecondo a chi è facile per
natura, terzo fé per Arte si può far dimenticanza. Qiiant’al primo dico,
che noi collocamo Della memoria tre sorti di cose, le prime del le
quali uogliamo fempre ricordarci. Le feconde delle quali uorresfimo,fe
poteslìmo fempre ricordarci. Le terze delle quali uorre>fimo fubito
fcordarccne. Le prime sono i luoghi dabili, e quelle imagini di dottrina, quali
noi collocamo, acciò tèmpre diano uiue nella memoria, per la felicità
•del fapere, come fece il Raucnna che tutto quello che hauea dudiato, lo
colloca nelli luoghi intanto, che non har uea bifogno d’adoprar libri, e
per chiarezza di ciò, noi hab daino dato il modo di far la Libraria della
Memoria. E rifpctto a queda memorià, noi non uogliamo obhuionfc 9
dimenticanza ; e fe pur fe ne tratta, l’intento è di trattarne come fàil medico
de gli Vcneni, il Grammatico deH’inco» gtuo o, il Logico del
fallo, per fuggirli, non per feqnirli. Le ècondc colè fon quelle, delle
quali fe fu lfe posfibilc uorref fimo lempre ricordarci, come fono le
prediche ò le partì principali di quelle, le quali haueresfimo molto caro
che ci feftafleno Tempre nella memoria, mentre dura l elfercitio
del predicare; accio douendo farle, c recitarle altre uolte, lènza ugual
noua fatica di collocarle, ci reftalfero tenaci, e urne nella memoria. Mi
perche quello è difficile, però fat te e recitate una uolta,non curandoci
che fian fepolte nell’obliuione, defiderando li luoghi uacoi, defidcramo
Meto- do da poterci dimenticare di quelle, e a quello fcruel’Arte
dell’oblivione. Le terze cofe fon quelle, che le colloca- mo alla memoria
per fcruircenc una uolta fola, e poi dclide raresfimo chcfubitoct
ufciflcro di mente; come fono le Comedie, et altre cofe fimili collocate
da recitatori. A que (lo anco ferue l’Arte de l’obliuione ; fi che non e
inutile il trattarne, accio non habbiate a lamentarui, come
faceaTe- miftoclecon Simonide, che più torto dcfidcraua l’Arte di
dimenticarli, che del ricordarli. E lìa sempre lodato GIULIO (si veda) Cesare,
che così facilmente fifeorda dclfingiurie riceuute; oue nel reftantchauea
felieisfima memoria, la qual Arte è più torto christiana, che pagana; per lo
chedicca. Nulla Laudabile Obliuio, nisi Iniuriarum. Quanto al secondo,
dalle cose dette nelle prime lcttoni della memoria naturale, in qual
temperamento e qualità c fondata, lì trahe pep consequenza, che quelli
liquali fon felici nell’apprenfiua per l’humido, facilmente all’equifcono
l’effetto di queft’ Arte; ma con molta difficoltà quelli, che fono per la
complefr fione fccca tenaci et aridi. Quanto al Terzo dico, che l’Arte
gioua aliai, per farci feordare; fe bene nefee più difficile che il
ricordarci, e quello per mancamento del tempo, il quale e padre
dell’oblivione. La doue uòlendo noi in un fubito,e fenza lunghezza di
tempo dimenticarci, si tratta via estraordinaria, c potenza maggiore si
ricerca, per ottener l’intento. Oltra che effondo la memoria perfezione
dcllana tura, lobliuione imperfettionc; più inten fan ente è quelli
riccuuta,c più caraméte ritenuta. Ma quale lìa quello muo do di far
lobliuione, non e facile dimortrare. Li Poeti ci mandarebbero à ber
l’acqua di Lethe fiume dcU’Abifio, del s cui cui fiumare gufando fS
dimenticare tutte le colè paflàtcj onde e detto Lethe da lithis,che uuol
dire obliuìonc. LiCof mografi ci manderebbono ò nell’ilbla di
Zca,oapprelTo Cli 1 tone Città d’Arcadia,douc fon’acque delle quali
chiane bc- ucdiuenta (memorato; ò pure ui condurrebono inBoetia, ouc
fon due Fonti, l’un de quali fà buona memoria) e Tal tra fà fcordare ogni
colà. Il Rombercli dice, il profelforc di queft’Arte habbi molti luoghi :
accio polla uanargior-, nalmente,fi.che palTa col tempo la memoria
dellimagmi Mà quello fcordare,non c per Arte,elTendo per uia del tempo, il quale
per il corlo naturale apporta obliuione. Il Mó lco rifiutando molti
mod'jftimache balli il tralalciar il pea fiero delle imagini; perche così
vanno in oblivione. Mi, chi non s'accorge che quello eaiuto piu tolto di
natura, per via del tempo; che regola d'arte PIo tralafciando quelli
aiuti nali,che fono manifelli:farò raccolta d’alcuni aiuti
artificiali, li quali congiunti insieme, porgeràno facilità all’oblivione.
Li quali aiuti e modi, lon nftretti ncll ifralcritti Capiò
Regole, Primo, avendo recitate, e udendo mandar in oblivione le
imagini; òdi giorno con gli occhi chiufi, ò di notte fra le tenebre, lì uadicon
la mente girando per tutti li luoghi ideati con invaginarci vn’olcurisfuna
tenebra notturna,chccuopra tutti h luoghi, e cofi procedendo, e
retrocedendo piu uolte con la mente, e non vedendoci imagini facilmente
fuamfee ogni figura. Secondo, si vadi correndo per tutti li luoghi co
la méte, dritto, à roverso, c si contemplino uacoi e nudi, tali quali la
prima uolta senza alcuna imagine turno formati, c quello di? Icorlò fi
facci più volte. Terzo, se le peritine tacili luoghi sono llabili, si
riucggtó no con la mente per ogni verlò più volte, e si contemplino
nel modo come prima ui furo llabiIite, col capochino, con le braccia
pendenti, e senza imagini aggiunte. Quarto, si come il pittore ingclfa e
di di bianco alle pitture, per cancellarle; così noi con colori polli sopra le
imigini possiamo cancellarle. E quelli colori, o sia il bianco o’I ucrde,
o’l nero; imaginando sopra li luoghi, tende biantche, o lenzuoli verdi, o panni
neri, condiscorrer più uolc«, per li luoghi, con tal velo di colori. E lì
poflono ancora imaginare gtnare li fuòchi, pieni, che virtute u po
fu e re Dii fudore parandam. Alla qual arte le voi con patienza uigilia e timor
di Dio atttenderete; avendo per Metodo quello mio trattato, mi rendo certo, che
uoi nufciretc pierauigliofi nell’uso StclTercirto della memoria, col
favor del divino nostro signore, alli cui piedi, e della sua Clvefi santa
catholica e apostolica romana gitto me'ltellb, e lòttopongo ogni mio detco e
scritto, ora e sempre. Filippo Gesualdo di Lia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Lia.” Lia.
Grice e Libanio: la
ragione conversazionale e la setta di Giuliano -- Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Supports Giuliano in his attempt to
revive paganism (a charming letter survives) – “but he is also a friend and
teacher of many Christians, can you believe it?” – Loeb.
Grice e Liberale:
la ragione conversazionale al portico romano -- Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Not to be confused with Liberace,
he is staying at Lyons (Lugdunum) at the time it was destroyed by fire. A dear
friend of Seneca. He follows the Porch. In his eulogy, Seneca declaims: “While
he is accustomed to dealing with everyday difficulties, a catastrophe,
unexpected, and of such magnitude, is more
than he could handle.” Ebuzio Liberale.
Grice e Licenzio:
la ragione conversazionale e il filosofo poeta – Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. – A pupil of Agostino. He achieves
a reputation of a poet. Licenzio.
Grice e Limenanti
– filosofia italiana -- Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. La dialettica come
materia di studio trapassa DA ROMA a BOLOGNA nel Medio Evo. Gli scritti tratteggiati
di Marciano Capella, di BOEZIO (si veda), di Cassiodoro, e in parte anche di
Agostino e del Pseudo-Agostino, son le fonti esclusive che offrirono allora il
materiale per lo studio della logica a BOLOGNA, la prima scuola d’Europa. Li
tutt’i luoghi dove, in connessione con il (Rifondersi del Cristianesimo, o
sorsero numerosi centri di cultura del tutto nuovi, o anche fu talvolta
possibile riattaccarsi ad istituti antichi, troviamo co¬ munemente adottato il
corso di studi, più o meno compiuto, del TRIVIO – grammatica filosofica,
dialettica, e retorica -- e del Quadrivio – arimmetica, geometria, astronomia,
e musica. E sebbene il quadrivio non e coltivato dovunque alla stessa maniera,
regna tuttavia per lo più una certa uniformità nello studio del trivio, in
quanto che non c’e scuola dove queste tre arti mancano. Non è frase o
esagerazione il giudizio che pronunziamo relativamente alla dialettica, che
cioè l’intiera ITALIA, per tutta la estensione in cui in generale la filosofia nella
sua graduale diffusione è venuta a contatto con esso, è stato addottrinato
dalla tradizione dei filosofi, testé nominati, della tarda ROMANITÀ, che cioè
in ITALIA si venne effettivamente a conoscenza di un certo materiale di teorie
logiche, e anzi soltanto, in modo esclusivo, sul fondamento di quella
tradizione. Appunto per questo riguardo, tuttavia, sembra che la storia della dialettica
non deve già esorbitare dal campo che le spetta. Si dà cioè il caso che da
notizie isolate sopra istituzioni scolastiche, o da cataloghi di biblioteche, e
via dicendo, non risulti assolutamente nient’altro, se non che in questo o quel
luogo o era semplicemente conservato, o in una qualunque scuola claustrale era
anche soltanto letto uno saggio di dialettica, opera di Marciano Capella o di BOEZIO
(si veda) ecc., ovvero che c’ è stato chi si è coltivato la mente con questa
lettura, o l’ha raccomandata ad altri, e così via. Orbene, queste notizie, per
quanto preziose ci possano apparire, proprio a cagione della loro sporadicità,
noi dobbiamo lasciarle alla storia generale della filosofia o alla storia della
universita di BOLOGNA; poiché per la storia della dialettica basta in generale
il fatto di un diffuso esercizio delle sette così dette arti liberali, quale
generico fondamento per entrar a parlare del Medio Evo, e su questa base
dobbiamo poi andare qui in traccia di ciò che e prodotto da ima personale, per
quanto ristretta, attività, di singoli filosofi, e che perciò presenta
elementi, i quali hanno contribuito al progresso della filosofia nel corso
della sua storia. Inoltre, simili dati, anche se per essi non si oltrepassi la
cerchia del materiale apparentemente insignificante, conterranno poi bene in sè
a lor volta qualche elemento, che permetta di trarre induzioni relativamente a
ciò che dicevamo dianzi, che cioè accanto all’attività individuale isolata, ha
da esserci stata una operosità collettiva, rimasta attaccata semplicemente al
testo della tradizione dei libri scolastici. Si diffonde nelle scuole la dialettica
della tarda LATINITÀ. Ma ima osservazione sola, riguardo a questo materiale
scolastico, bisogna premetterla subito qui, in tutto il suo rigore e in tutta
la sua estensione. Dobbiamo cioè fin dal principio tener fisso lo sguardo sopra
l’assoluta esclusività del materiale stesso, cioè in primo luogo sopra il fatto
che questi prodotti filosofici LATINI sono incondizionatamente i soli che si
trovassero in circolazione, e che pertanto l’ITALIA non conosce nè poteva
adoperare in generale, per la dialettica, nessun’ altra fonte, all’ infuori da
Marciano Capella, BOEZIO (si veda), Cassiodoro e l’autentico o lo spurio
Agostino. A questo periodo del Medio Evo e possibile, intorno alle opere che
stanno a fondamento della dialettica, solamente quella conoscenza di seconda
mano, che puo esser attinta appunto a questi filosofi; e particolarmente gli
scritti del LIZIO (anzi in generale addirittura anche il nome soltanto di
Aristotele) sono conosciuti esclusivamente in quella sola forma, in cui li
aveva trasmessi BOEZIO. Quando in documenti si trovano menzionati saggi del
LIZIO, non si può pensare a nient’altro assolutamente, se non appunto a queste
traduzioni di BOEZIO. Così p. es., quando ') Per Tintento presente debbo
pertanto lasciar da parte un materiale di fonti, non scarso e che sono riuscito
a raccogliere non senza fatica, un materiale che o si gonfierebbe sino a
formare una storia di BOLOGNA, oppure, anche a volersi limitare (cosa del resto
non facile a farsi), a una scelta di passi, strappati dal contesto e solo
attinenti alla dialettica filosofica, comprenderebbe pur sempre soltanto la documentazione
di un fatto, anche senza di ciò universalmente noto, che cioè il contenuto
della scienza scolastica e formato da quelli filosofi nominati più sopra.] tra i libri della Biblioteca di York viene
nominato anche un « aoer ArisBobeles » 2 ), o quando troviamo ricordate a
Tegemsee le Categorie di Aristotele. Certamente, che simili passi sieno tutti
da spiegare soltanto a questa maniera, e perfettamente chiarito al lettore,
grazie, per così dire, alla sua personale esperienza, soltanto da ciò che si
dirà appresso, come pure dal trapasso a quel periodo, in cui venne a conoscenza
del Medio Evo il testo del LIZIO. Ma si è ritenuto non superfluo delimitare
esattamente fin da questo momento il campo visivo. Naturalmente una eccezione
soltanto apparente è data dalla tradizione di un Bulgaro, un certo Simone, che
avrebbe studiato a Costantinopoli la sillogistica di Aristotele. Poiché, che
nell’IMPERO ROMANO di Oriente i greci si occupassero di tale materia, si è ba- [La
biblioteca fondata a York da Alberto è descritta dallo scolaro di lui, Alcuino,
nel suo poema De Pontificibus et Sanctis ecclesiae Eborucensis, Aixuini Opera,
ed. Frobenius. Ivi si legge, [Fersus de Sanctis Euboricensis Ecclesiae: cfr.
MGH, Poetile latini nevi Carolini, ed. Dùmmler]: Qiute Victor inus script ere BOEZIO
alque, Historici velerei, Pompeius, PLINIO, ipse Acer Aristoteles, rhetor
quoque TuUius CICERONE ingens [P!L]) Un monaco di Tegernsee scrive in una
lettera (riferita dal Pez, Thesaurus Anecdotorum Novissimus, [Codex diplomatico- historico-epistolaris di
Pez e Hueber): stultam fecit Deus sapientiam mundi huius (queste son parole di
S. Paolo, ad Corinth.), poslquam exsiccayit fluvios Ethan. Prae dulcitudine
enim decem chordurum Davidis.... paene oblitus sum totidem culegoriarum Aristotelis.Posso
qui rinviare fino da ora per il momento al noto eccellente lavoro di Jourdain, Recherches
critiques sur Page et l’origine des traductions latines (TAristote, Parigi, sia
pure riservandomi di doverlo in più luoghi correggere e integrare. Liutprandi
Antapodosis Pertz, MGH: hunc etenim Simeonem emiargon, id est semigraecum, esse
idebunt, eo quod a puericiu Bizantii Demostenis rhetoricam Aristotelisque
silogismos didicerit [PL]. Ma c’ è una notizia isolata, e una soltanto, che
potrebbe sembrare in contraddizione con il giudizio da noi pronunziato. Cioè,
Papa Paolo I manda a Pipino il Breve, vari scritti, citando egli stesso tra
questi, nella lettera relativa, anche libri del LIZIO; tuttavia il documento,
se è genuino, e della sua autenticità non sembra esserci ragione di dubitare,
parla assai più a favore che non contro la nostra tesi, poiché manifestamente
questo esemplare, unico allora in quella regione, di mi testo del LIZIO, rimane
sepolto presso la corte di Francia, oppure anda perduto, non riscontrandosi
almeno in alcun luogo la minima traccia di uso che ne sia stato fatto. Inoltre,
per quei paesi, la prima sicura notizia di traduzioni dal LIZIO, cade anzi in
generale soltanto all epoca di Carlo Magno, e appresso verniero ancora i lavori
dello Scoto Eriugena (traduzione del Pseudo-Dionigi. La lettera è stampata da
Cajetanus Cenni, Monumenta dominationis pontificiae, si ve Codex Carolinus
(Roma), dove figura il passo. Direximus edam excellentiae vestrae et libros,
quantos reperire potuimus, id est, Antiphonale, et Responsale, in simul artem
grammaticam, Aristotelis, Dionysii Ariopagitae libros (nel Cenni si legge,
senza segno di divisione, artem Grammaticam Aristotelis), Geomelricam,
Orthographiam, Grammaticam, omnes Graeco eloquio scriptores. La frase “graeco
eloquio’, il cui significato nel linguaggio dell’epoca è fissato con piena
sicurezza, si rifere certo esclusivamente ai libri su nominati, soltanto a
incominciare da Aristotele, perchè 1’ Antiphonale e il Responsale sono
naturalmente in latino, e così pure probabilmente la prima grammatica, mentre
la seconda e in greco. Del resto non si trova questa notizia utilizzata in
Jourdain. P. es. nel Chronieon Saxoniae et vicini orbis Arcloj di David
Chttraeus (Lipsia [ed. di Rostock):
Instiluit autem Carolus Osnabrugae, ut in collegio [BOLOGNA] assidui lectores
Latinae linguae essent. Vidi enim cxerulli um literarum fundationis, ut vocant,
quas ecclesiae Osnabrugensi Carolus dedit. E così in molti luoghi, ma sempre
con riferimento alla nota ambasceria della Imperatrice Irene e alle relazioni
diplomatiche, che ne furono determinate. La tradizione della dialettica
scolastica, nei riguardi delle traduzioni di BOEZIO, è limitata e s’ignorano le
principali opere logiche di Aristotele. In secondo luogo, tuttavia, anche quel
materiale di fonti IN LATINO è, a sua volta, proprio nella parte essenziale,
limitato. Mentre cioè gli scritti del LIZIO avrebbero potuto esser letti tutti
quanti nelle traduzioni di BOEZIO, che sono per tale oggetto LA UNICA FONTE,
proprio qui si presenta ima rigorosa delimitazione; poiché della su citata
produzione letteraria di BOEZIO, si adoperano in modo esclusivo soltanto quelle
traduzioni, eli egli stesso illustra con commenti e apprestate per uso
scolastico A BOLOGNA, cioè, oltre alla doppia ri-elaborazione dell’ “Isagoge” di
Porfirio, soltanto la traduzione delle Categorie e le due edizioni del libro de
interpretatione [cf. “the only two things on which I lectured with J. L. Austin
at Oxford” – H. P. Grice], a cui si aggiungono poi a poco a poco ancora i
compendi che son opera dello stesso BOEZIO. All’ incontro, le versioni dei due
Analitici, come poire della Topica aristotelica e dei Sophistici elenchi, tutte
opere che BOEZIO lascia LATINIZZATA si senza commento, rimaneno, appunto per
questo motivo, escluse dalla considerazione, e si sottrassero pertanto alla
conoscenza, a tal punto che per lungo tempo non si sa in generale nemmeno più
che esistesno. Sicché, quando a poco a poco incominciarono a rendersi note
quelle opere principali del LIZIO, e questo un momento decisivo per lo sviluppo
della dialettica. E mentre L, ritene fallaci tutt’ i tentativi di dividere in
periodi, per motivi interni, la così detta « filosofia » medievale, mi sembra
resa possibile per 1 intiero Medio Evo una parti¬ zione in singoli periodi,
esclusivamente dal punto di vista della quantità del materiale, di volta in
volta esistente o novamente apportato. Così potrei anche nettamente qualificare
la differenza, rilevando elle prevale qui una conoscenza frammentaria di BOEZIO,
mentre nella Sezione prossima si manifesta un influsso chiaramente visibile,
così della conoscenza, che a poco a poco si acquista, DELL’INTIERO BOEZIO, come
pure dell’ apprestamento di traduzioni nuove delle opere non utilizzate finora;
a ciò si aggiungono in sèguito per le Sezioni successive analoghi arricchimenti
di materiale. La dimostrazione di queste 1 mie idee e presentata, come ben
s’intende, qui appresso. In poche parole, dunque — per ripetere la delimitazione
così recisamente e chiaramente quant’ è possibile —, il materiale tradizionale
della dialettica, per questa prima sezione del Medio Evo, è costituito
esclusivamente da quanto segue: Marciano Capella, Agostino, pseudo- Agostino.
Cassiodoro, e BOEZIO. E, precisamente, di BOEZIO: ad Porphyrium a VITTORINO
translatum, ad Porphy - rium a se translatum, ad Aristotelis Categorias, ad
Aristotelis DE INTERPRETATIONE, ad CICERONE Topica, Introductio ad categoricos
syllogismos, De syllogismo categorico, De syllogismo hypothetico. De divisione,
De defninone, De differentiis topicis. Manca invece in questo primo periodo la
conoscenza dei due Analitici, della Topica e dei Sophistici elenchi di
Aristotele. E limitandosi lo studio della filosofia in modo esclusivo alla DIALETTICA,
mentre altri rami, come ■s p. es. la PSCIOLOGIA RAZIONALE e l’ETICA, sono
sistematicamente intrecciati con la teologia morale, anche per la filosofia in
generale i suddetti filosofi formano il materiale quasi esclusivo; poiché vi si
aggiunge ancora solamente, riguardo alla COSMOLOGIA, la traduzione del Timeo
piatonico, opera di Calcidio: come pure, d’altra parte, per la così detta
questione della teodicea, un materiale spesso sfruttato era fornito dal De
consolatione philosophiae di Boezio. Ma duplice e l’attività personale,
esercitata da insegnanti o da filosofi di tutto questo periodo, sopra siffatto
materiale esclusivo della tradizione scolastica. Vale a dire, o si tratta di
aggiustare compendi, per lo più dominati da un affastellamento di svariate fonti,
accozzate a casaccio (in maniera del tutto simile a quel che abbiamo dovuto
rilevare particolarmente a proposito dello scritto di Cassiodoro [De artibus ac
disciplinis liberalium littcrarum ]), oppure ci si occupa di un più o meno
minuto COMMENTO dei libri già in uso, tra i quali si fanno avanti in prima
linea la Isagoge e le Categorie nella redazione (traduzione e commento) di BOEZIO.
Ma inoltre, alla discussione dei problemi della dialettica s’intrecciavano
questioni di teologia GIUDEO-CRITSTIANA – non romana --, come pure le
controversie della logica fanno risentire il loro possente influsso sopra le
contese della dommatica, e anzi in generale domina da principio, per questo
riguardo, una situazione molto caratteristica, che non si può lasciar esclusa
dalla nostra considerazione. Atteggiamento della ortodossia rispetto alla
logica. La dottrina GIUDEO-CRISTIANA, cioè, in se stessa — fatta del tutto
astrazione dal processo di formazione delle idee GIUDEO-CRISTIANE in generale —
e in verità, nel suo primo manifestarsi, informata ad assoluta semplicità e
immediatezza, e parla all’ animo suscettibile di emozione religiosa. Ma nello
stesso tempo si trova determinata, nel corso della sua ulteriore propagazione,
a operare su di una popolazione, la quale in parte possede una cultura, formata
per opera delle scuole che funzionavano nella tarda antichità, e che puo cosi
cougiungere al contenuto nuovo di dottrma giudeo-cristiana e di Anta cristiana,
un aspetto formale del mondo antico. Come da questa mescolanza d’immediatezza
religiosa e di addottrinata capacità didattica, si svolgesse rapidamente
l’antitesi fra LAICATO e clero, si formasse cioè una ecclesia docens, e come la
Chiesa, per il fatto eh era docens, affatto naturalmente ponesse le mani sopra
le istituzioni scolastiche, e così facendo si appoggiasse, formalmente, a quel
che già esiste, sou cose che non c’interessano punto qui, nè più nè meno che le
lotte, condotte con le armi della dialettica, e attraverso le quali si veniva
compiendo la formazione del dogma. Invece è di grande interesse per noi la
circostanza, che venne a manifestarsi da un lato una valutazione positiva, e
dall’altro lato un disdegno della logica, come già si è appunto veduto per due
eminenti rappresentanti della teologia giudeo-cristiana, cioè Girolamo e
Agostino, che abbiamo dovuti ricordare più sopra, e dei quali particolarmente
il secondo mostra molto chiaramente il presentarsi di quelle due tendenze, una
accanto all altra. Ma quanto più energicamente e accentuato in tale contrasto
il punto di vista specificamente giudeo-cristiano, tanto maggior importanza
dove essere riconosciuta a quella intima immediatezza, che Agostino denomina
lux interior: e non soltanto è cosa che si spiega facilmente, ma addirittura
risponde a una esigenza teorica, che proprio i più rigidi fra i primi teologi
giudeo-cristiani, mentre conduceno la polemica obbligatoria contro il contenuto
dell’antica filosofia, hanno un atteggiamento molto riservato anche verso le
forme di quella filosofia, da'l quale la fede non soltanto non può essere
sostituita, ma resta anche sovente turbata. Fatto sta che così si forma
anzitutto un’avversione sistematica contro la logica o dialettica, e se
riflettiamo che nelle lotte per la formazione dei dogmi, proprio gl’Ariani e i
Pelagiani hanno una effettiva superiorità per cultura e ABILITA DIALETTICA, ci
riesce facile spiegarci come quell’avversione si sia sviluppata sino a
diventare animosa ostilità. Non soltanto da Ireneo e Tertulliano, ma
particolarmente nell’epoca culminante della contesa intorno ai dogmi, da
Basilio il Grande, Gregorio Nazianzeno, Epifanio, Hieronymue Presbyter
[Stridonensis: S. Girolamo], Faustino, Mansueto, Eusebio, Socrate, Teodoreto e
altri, può citarsi una stragrande quantità di passi, nei quali LA DIALETTICA è
tacciata di superfluità, o è denominata un ozioso operare, che distrugge se
medesimo, e un’artificiosa filastrocca senza scopo, la quale per il suo
carattere mondanamente versipelle non può profittare alla semplice pura verità,
e in generale è ANTI-cri- [Basilo Magni adversus Eunomium (Opp ., ed. di
Parigi): ij xòrv \ApioxoxéXo'JS 5vxwj xal Xpoaduioo auXÀoY'.sp&v éìei rcpòp
xà |iaOetv Sxi 6 iYÉvvrjxo; où YSY^vrjxat ;
[PG « mira vere Aristotelis aut Chrysippi syllogismis opus nobis erat,
ut disccrcmus eum qui ingenitus est, (neque a seipso, neque ab altero) genitum
fuisse. Tertulliani de praescriptione haereticorum, Opp., ed. di Venezia):
Miserum Aristotelem! qui illis dialecticam instituit, artificem struendi et
destruendi, versipellem in sententiis, coaclam in coniecturis, duram in
argumentis, operariam contentionum, molestarli etiam sibi ipsi, omnia
relractantem, ne quid omnino tractaverit [PL], Grixohii Nazi.anzeni Oratio 26
(Opera, ed. di Colonia): oOx ol5s Xóy“ v o-potfà(, faas xe ooyibv xa l atviy|iaxa,
xal xà; nóppcovo? ivaxàosig, f; è:pééeij, f) àvxiO-éosif, xal xù>v
Xpualintou auXXoYiaptùv xàp éiaXùast?, ■?, xiòv 'ApioxoxéÀoog xsxvùv x^v
xaxoxexvlav. Oratio: yaipovxsg xalj pspVjXoi; xsvo^òiviatf, xal àvxtOéaect xfjg
(tsuìiovòpou Y v( ',aso) f’ xa i? eig oòSèv xpL ( at|iov cpepoùaaij XoY 0 l ia
X^ al » [PG: Oratio nec verborura flexus et captiones novit, nec sapientoni
dieta et aenigmata, nec Pyrrhonis instantias, aut assensus retentiones, aut
oppositiones, nec syllogismoruin Chrysippi solutiones, aut pravorn artium
Aristotelis artificiuin. PG Oratio quique inanibus verbis, et contentionibus
falso nominatae seientiae, ac disputationum pugnis, quae nullam utilitatcm
afferunt, obleetantur Epiphanii adversus haereses Opera, ed. Petavius,
Colonia): Ssivóxrjxt gàXXov iaoxoùg ÈxSsStiixaaiv, èvSuaà|ievot ’ApiaxoxsXrjv
xs xal xoòj SXXoog xoO xóo|iou StaXexxi- xoùs, iùv xal xo'jf xaprcoùg iiexlaat,
|n;8Éva xapnòv 8ixaiooóvi){ eiSóxsf. lbid.. Ili, praef. (p. 809): èx
ouXXoYiapffiv y àp xal ’Apiaxo-] -stiana. Epperò tutta la sillogistica, come
deve venir meno dinanzi alle semplici parole degli Apostoli, serve dal canto
suo ancor mia volta soltanto a contra- xsXixcòv xal Y Et0 ]iSTptxà>v xòv
S-sòv Ttaptoxàv jìoóXovxai- Ibid., Ili, 76, 20 (p. 964): xaòxa Ss dxpatpstxai
itàaav ooD xùv Xóyiov ouXXo- yumxijv nuÀoXoytav. Kal oì)x èv&èxt'tat ^{*^6
rcpoipé^aatf-ai jiath^ràs Yevéa&ai ’Apia'coxéXoos toD ao5 éicioxdtou»... Où
Y a «° * v Xif(p aoXXoYtaxixip r/ [ìaa'.Xs'.a xcòv o&pavù>v, xal èv
Xó^iji X 0 |iJta:mx, àXX" èv Suvct|isi xal àXYiO-stqc (v. nota 20). Ibid.,
76, 24 (p. 9il): xpooèXaps xò 0-stov, ibg xaxà xòv aiv Xoyov, si; xr ( v auxoO
xiaxiv xijv ouXXoYiaxtx^v xaùxnjv aou x^v xsxvoXoyiav. 1PG, calliditatem potius
amplexi sunt, seque et ad Aristotelem ac caeteros mundi huius DIALECTICOS accommodare
maluerunt: quorum fructus ita consectantur, nullam ut justitiae frugem
proferant. PCI, quippe syllogismis quibusdam Aristotelicis ac geometrici Dei
naturato explicare studeut. PG atque haec omnia tuam illam argumentorum fabulam
circumscribunt. Neque id hortatione ulla pcrficere potes, ut Aristotelis
praeceptoris lui discipuli esse velimus. Non enim in syllogismis argumentisve
regnum cadeste positura est, neque IN ARROGANTI INFLATOQUE SERMONE, sed in
virtute ac ventate ». PG, Deus, ut asse rere videris, tuum illud DIALECTICAE
SVBTILITATIS ARTIFICIVM, velut quandam lidei euae accessioncm adjecit. Inoltre
proprio in Epifanio si presenta con la massima frequenza affermazioni di questo
genere. Cfr. Hieronvmi de perpetua virginitale B. Mariae adversus Helvidium (i
Opp ed. di Parigi: Non campimi rhetorici desideramus eloquii, non dialecticorum
tendiculus nec Aristotelis spineto conquirimus: ipsa Scripturarum verbo ponendo
sunt [PL. Faustini de Trinitate adversus site de Fide contrai Arianos,
Bibliolheca Veterum Patrum, cura Andreae Gallando, Venezia, VIE. Noli injelix
adversus Christum Dominimi tolius creuturae, Aristotelis artificiosa argomenta
colligere, qui te Christiunum qualitercumque profileris, quasi ex disciplina
terrenae supputationis circumscriptor advenias [P.L. Theodoreti sermo de natura
hominis (Opp., ed. Sirmond, Parigi) [ed. Festa] : fjpslg 8è aòxffiv xf ( v
ipjtXrjgiav òXo^upò|isi>a 8xi 8»; ópùvxsg gapfapocpwvoog àvOpui- xoug xtjv
'EXXtjvtxTgv eÒYXtoxxlav vevixrjxóxag, xal xoòg xsxop'jis’Jiié- vo'Jg pùS-ODg
xavxÉX&g ijsXtjXapivous, xal xoùg àXiEuxixoog ooXoixp opob? xoùg ’Axxixoùg
xaxaXeXoxóxag E'jXXoyi3|ioù? [PG Graecarum affectionum curatio ): trad. Festa: Ma
noi compiangiamo la stupidità dei derisori. Vedono' pure che uomini di barbara
favella hanno vinta la facondia ellenica, hanno spazzato via. le loro ben
composte favole, vedono che i solecismi dei pescatori hanno dissolto i
sillogismi attici. Quest’allusione alla semplice parlata dei pescatori si trova
pure altrove ancora piuttosto di frequente.] stare e falsificare la fede, come
in particolare si vede nel caso degl’ariani, e così via dicendo. Ma se per tal
modo LA DIALETTICA, della quale per lo pj£i g]*£} latto responsabile
Aristotele, e precisamente in particolare a cagion della sofistica contenuta
nelle Categorie, era quasi diventata oggetto di orrore, insorge tuttavia in
pari tempo da se stesso il senso della necessità di potersi difendere ad armi
uguali contro i nemici della dottrina ortodossa, ed è naturale che finisce con
il prevalere questo motivo, che cioè LA DIALETTICA è UTILE per la lotta contro
gli eretici. Quel che ora importa, e dunque lo spirito e la intenzione, con cui
si coltiva lo studio della DIALETTICA, e a questa maniera si [Irenaei adversus
contro haereses, Opp., ed. di Venezia): minutiloquium miteni et sublimitatem
circa quaestiones, cum sit Aristotelicum, injerre fidei collant II r [cfr. PO,
— Eusf.bii historia ecclesiastica, Opp., ed. di Parigi: Christum ignorarli, sed
quaenam syllogismi figura ad suoni impietalem confimiaridaiti reperilur,
studiose indagarunt; quod si quisquam forte illis aliquod divini eloquii
testimonium pròjerat, quaerunt, ulriim CONIVNCTAM VN DISIVNCTAM syllogismi
figuram possit efficere sollerti impiorum astutia et subtilitate simplicem ac
sinceroni divinarum scripturarum fidem adulterant [cfr. PC, e Griechische
Chrisùiche Schriftsteller traduzione latina di Rufinus, Hieronymi. adversus
[Diulogus contrai Luciferianos, Ariana haeresis magis cum sapientiu seculi
facit, et argumentationum rivos de Arislotelis fontibus mutuatur [PL) Socratis
Historia ecclesiastica, ed. Valesii, Torino: siiOòc o&v èjjsvo?cóva:
(intendi Aezio) xoòg èvxUYXà- vovxag. ToOxo 8è Ijxoìei, ta:j
xaxrjYOpEcus’ApiaxoxéXoos zioxsóiov gt- jìXEov Ss oilxojf ixxlv èmYSYpa|i|isvov
a 5 x(j> - ig aòxàìv xs SiaXsYÓpsvog [xal] iauxijì allaga 7xotv
’ApioxoxéXoos.] puo persino menar vanto delle proprie conoscenze in materia di DIALETTICA
; ma con ciò puo benissimo rimaner legata la idea, che proprio soltanto per
ragioni estrinseche la teologia dommatica ha, servendosi della dialettica,
messo il piede nel campo di un verbalismo affatto esteriore, e pertanto non ci
fa meraviglia trovare più oltre ripetutamente un’aperta ostilità contro
qualunque dialettica in generale. La Isagoge di Porfirio. Ma in ogni caso, come
si è detto, la ecclesia docens e per questa via, pervenuta ad accogliere
nell’ambito della propria attività una certa somma di teorie logiche, e una
volta che, per uso dei chierici, sono adottati compendi quali si vogliano, — se
pure con le debite riserve per quel che riguardava lo spirito informatore e la
intenzione —-, puo e dove bene presentarsi inevita- ouXÀoytO|ix é>S
àXy,9-eiav èxrtaiSeùovxa, àXX’oif; gjtXa x-ij« àXr^slaj xaxà xoù 4>eó8oo£
Y‘T vé l 1 ® va 82 > 1189 ‘ Aristotelis syllogismos, et Platonis facundiam
aurium adjumentis e cieco didicit Didymus, non quasi veritatem ista doceant,
sed quod arma sin! veritatis contra mendacium. Cyrilli Alexandrini Thesaurus de
Trinitate, 11 ( Opp, ed. Auberl, Parigi: Ex pa8-vjpàxtov r,|nv xiòv'Apiaxoxé-
Xoug ipiuópevot, xal xj Seivóxr ( xt xi)£ Ev x6o|i(p aotplag àTioxsxpxinivoi,
xxóxoug èystpcuat ^'rjp.àxtov XEVtòv, oòx e18óxs£ 8 xi xal tipEg xaóxtjv
àpaiHB? 8/ovxej èXsYX s ' 1 Ì 30VTal ' S-aupiaai 5 vxwj àxiXooS-ov. 6 xi 8V)
xàv iispl xoa |isi^ovo£ xal xoO EXàxxovog Esexàsovxsf Xéyov, i-l xòv Ttspl xoO
6|ic£o’J xal àvopolou |iexar:sTCX(óxaotv, oOx eISóxe; 6 xt, xaxà xr/V
’ApiaxoxéXouj xiyyrp, 4 tp* % pàXiaxa |iEYaXo:ppovEtv Etónlaaiv aòxol, oùx et;
xaùxòv xaxaxàxxExat. Y* V °S 33 1:5 6 l i0l0v xal xè àvópoiov. ó)( xal xò
pst^ov xal xò IXaxxov [PG. Ea Aristotelica disciplina nobis insultantes, et
mundanae sapientiae fastu turgidi, inanes verborum crepitus excitant, parum
sibi persuadente se Aristotelicae disciplinae ignaros ostendi posse. Miran- dum
enim est quod, rum rationeni majoris et minoris excutiant, ad sermonem de
simili et dissimili prolabantur, nescientes, juxta Aristotelis placita quo ipsi
plurimum sese jactitant, simile et dissimile non in eodem genere collocari, in
quo maius et minus.] bilmente anche il caso di filosofi isolati, i quali, di
quel materiale che dove altrimenti servire quale mezzo ordinato al fine, fanno
oggetto speciale e indipendente del loro studio. E furono, per questo riguardo,
prima di tutto le Categorie, che, in dipendenza dalla tradizione scolastica
della tarda età classica, trovarono largo impiego nelle fondamentali questioni
teologiche non pagane ma giudeo-cristiane, e soprattutto, precisamente, proprio
in Agostino (relativamente alla Trinità e ai così detti attributi del divino. Anzi
è persino possibile che già abbastanza anticamente si ritene autentico lo
scritto pseudo-agostiniano sopra le Categorie, e ci si sente così
francheggiati, nello studio di quest’oggetto, dall’AUTORITA dello stesso
Agostino. Ma se le Categorie avevano in ogni caso un valore rilevante per la
teologia pagana o romana e giudeo-cristiana, si ha in verità nello scritto di
Porfirio, cioè nelle Quinque voces – genus, species, proprium, accidens,
differentia -- una introduzione alle Categorie, ritenuta indispensabile nella
scuola, e ben e’ intende come, sia per l’insegnamento sia per lo studio, si
prende sempre principio dall’ “Isagoge”, che da uno dei commentatori e stata
anzi persino indicata come condizione preliminare della beatitudine eterna. Ma
tutti due, sia cioè il libro delle Categorie sia anche lo scrittarello di
Porfirio, sono accessibili, per la Chiesa latina, nella traduzione di BOEZIO, e
inoltre corredati anche di note illustrative, e così diventarono i principali
testi scolastici medievali di dialettica. [Miseria del pensiero medievale]. Il
corso della storia ci mostra come, esclusivamente dallo stu- [L’argomentazione
e di questo tenore. Chi non studia l’ “Isagoge”, non intende le Categorie, e
chi non intende le Categorie, non intende il resto dell’Organon. Ma chi non
intende l’Organon, non sa pensare rettamente, e chi non pensa rettamente, non
sa AGIRE rettamente. Ma a un tale uomo non può toccare la beatitudine eterna.]
-dio ininterrotto di Porfirio e di BOEZIO prende origine quella contesa intorno
al valore dei così detti ‘universali’, che, secondo si è finora comunemente
ammesso, si presenta come antitesi di
due termini soltanto, realismo e NOMINALISMO, ma in verità fa venire in luce
una variopinta moltitudine di opinioni, caratteristiche di altrettanti
numerosissimi indirizzi. Queste battaglie sul terreno della dialettica non sono
già suscitate da una filosofia personale, segnato della impronta di una
individualità autonoma, di mi uomo eminente. E bensì una materia tradizionale, sono
pensieri ereditariamente trasmessi per via scolastica dall’antichità, e ora non
si fa che prenderli a poco a poco in considerazione alquanto più rigorosamente,
nè altra che questa e la occasione al formarsi di determinati atteggiamenti,
caratteristici delle varie tendenze, e le cui radici sono di già riposte nella
tradizione stessa. Di creazione, intimamente indipendente, di un motivo nuovo,
non è il caso di parlare, nemmeno nello Scoto Eriugena, e neanche in Abelardo.
E im’epoca che sta ancora attaccata tutta quanta nel modo più assoluto alla
pura tradizione, e così puo tutt’al più, con uno studio assiduo, pieno di
abnegazione, forse anche minuzioso, appesantirsi più ostinatamente, entro gl’angusti
limiti che le sono dati, sopra singoli punti, ma non mai dominare liberamente
la materia. Giustamente colpisce gli scolastici non la taccia di confidente
avventatezza o di tumida vacuità, che li porta forse a scaraventare nel mondo
sistemi belli e fatti, nè ci fan rabbia con la loro verbosità. Ma ben piuttosto
ci prende un senso di compassione, quando vediamo, con un campo visivo
estremamente ristretto, sfruttate fedelissimamente sino all’esaurimento, con
una solerzia senz’ombra di genialità, le vedute unilaterali possibili entro
quel campo 6 tesso, o quando a questa maniera si sprecano secoli intieri nel
vano sforzo d’introdurre metodo nella insensatezza. Simili pensieri malinconici
sopra tanto tempo perduto, si destano in noi per lo più proprio là dove con
maggior violenza si fan guerra, relativamente agl’universali, le diverse
opinioni, svolte sino alle ultime conseguenze, mentre il primo sorgere della
contesa ci può pur sempre apparire in parte come principio di un’azione
fecondatrice e stimolatrice. Per il progresso di quella scienza che si denomina
propriamente filosofia, bisogna considerare questo periodo come un millennio
assolutamente perduto, poiché ci si dove, per mezzo del Rinascimento,
riattaccare proprio a quel punto, a cui ci si e trovati. [La questione degli
universali determina un CONTRASTO DI TENDENZE NEL CAMPO DELLA DIALETTICA:
PREVALENZA DI UN REALISMO platonico]. Se riflettiamo che la “Isagoge” di
Porfirio e il testo scolastico più universalmente diffuso, il quale e ritenuto
condizione preliminare per aver adito allo studio della dialettica, certamente
si riesce a spiegare che in tutte le scuole il filosofo della materia,
nell’interesse suo e de’ suoi scolari, dovesse indugiarsi alquanto più a lungo
sovra UN PASSO d’importanza decisiva, che si trova subito in principio del
libriccino (si sa bene che da principio si va avanti volentieri più
minuziosamente e più lentamente), cioè sopra quel passo, che nella traduzione
di BOEZIO è di questo tenore: essere cioè prima quaestio se gl’universali hnno realtà obbiettiva come
esseri IN-CORPOREI, o sieno solamente finzioni nella sfera dell’intelletto
umano. E se ora la risposta più precisa a questa domanda, che riguarda nel modo
più chiaro l’antitesi di platonismo e aristotelismo, viene evitata da Porfirio-BOEZIO,
perchè altioris ne gotti, proprio da ciò i filosofi piu provetti sono
determinati a decidersi per uno o l'altro dei due indirizzi. Vero è ora che il
neo-platonico Porfirio dice espressamente in quel luogo, che egli si attene
alla tesi della natura obbiettiva degl’universali. Ma in pari tempo ha aggiunto
eh’ egli ha svolto la propria
trattazione, per lo più secondo l’indirizzo del LIZIO anche BOEZIO, dal canto
suo, dichiara, nella forma più sbrigativa, che gl’universali esistono in
verità, e vengono appresi consideratione animi. Cosi da questo passo, di
decisiva importanza, del testo di scuola, e bensì reso possibile che molti con
tutta ingenuità credreno fosse loro dato di seguire insieme un modo di pensare
platonico dell’ACCADEMIA e uno aristotelico del LIZIO. Cf. H. P. Grice, A. Dodd,
IZZING and Hazzing, platonism. Ma
proprio per quelli che vuole pensarci su con alquanto maggior precisione, si
tratta di un aut aut, e rispetto a quest’ alternativa, dal punto di vista
teologico romano e giudeo-cristiano, la risoluzione e propriamente presa di già
in antecipo a favore di un realismo platonico. Poiché, quando la dialettica e
considerata tutta quanta un vuoto formale strimpellamento verbale, quei che si
occupano purtuttavia di questa materia, doveno necessariamente industriarsi di
dare a tutto il complesso un fondamento reale, e precisamente, come ben
s’intende, non puo in ciò esercitare decisivo influsso alcun’altra realtà,
all’infuori da quella che si trova nelle idee giudeo-cristiane. Ed è pur anche
possibile che, come per altri riguardi, così anche relativa- [V. Col'SIN, Ouvrages
inédits d'Abélard, Parigi: riprodotto con alcune correzioni e aggiunte nei
Fragnients de philosophie du moyen-àge, Parigi, ha il grande merito di essere
stato il primo a mostrare questa vera fonte del nominalismo e del realismo, e in
base alle indicazioni di lui, Havréau, De la philosophie scolastique, Parigi, Hist.
de la phil. scol., Parigi, ha tratto dai manoscritti ancora vario materiale
prezioso.] -mente alla dialettica, hanno cooperato qual autorità perentoria,
sentenze che si trovano nell’epistole paoline. Per lo meno vediamo enunciata da
Teodoro Raitliuensis, con riferimento diretto a Paolo, la opinione che si trovi
in contraddizione con l’apostolo chi designi lo studio delle Categorie come un
eminentissimo pregio del teologo, e così porta la pia disposizione d’animo del giudeo-cristiano
a non consister d’altro che di parole o suoni [FLATVS] di parole. E sebbene non
vogliamo citare questo passo addirittura come la prima e più antica
manifestazione dell’anti-tesi fra nominalismo e realismo, è comunque tanto
chiaro tuttavia, che, dalla parte della teologia romana e giudeo-cristiana,
dev’esserci, in dialettica, una corrente prevalente, nel senso del platonismo
dell’ACCADEMIA, e non del nominalismo o concettualismo del LIZIO. La sostanza
indi- [Per es.: ud Corinth., I, 1, 17 : s'ia-;~;s'/JX!i^ba.'. oòx èv ao?!a
[evangelizare: non in sapientia verbi]: xal 6 Xóyos poo xal xò xV/pUYPà poi»
oòx Iv nsiOotc aocflaj Xifo i?, àXX' èv àjtoSelgs'. nvsùpaxos xal Suvà|isioj,
iva Jtlaxif 6p(3v pf/ ^ èv aotplqt àvOptóittov 4XX' èv Sovàpei O-soO [et sermo
meus, et praedicatio mea non in persuasibilibus humanae sapientiae verbis, sed
in ostensione spiritns, et virtutis: ut fides vestra non sit in sapientia
hominuni, sed in virtute Dei] ; ad ThessaL. I, 1, 5: xó «flaYYèXiov ^ptòv oOx
è^sv^a-ig 5tpò? 5pàs èv Xóyip póvov, àXXà xai èv Sovdpei xal èv nveùpaxi Stylqt
Evangelium nostrum non fuit ad vos in sermone tantum, sed et in virtute, et in
Spiritu sancto »] ; ad Timoth., I, 6, 3-4: et xtj éxspoSi- SaaxaXsì...,
xsxù?(oxai, pr|5èv émaxàpevog, àXXà voacòv itspi ^TjxVjasts xal Xoyopaxiap Si
quis aliter docet superbus est, nihil sciens, sed languens circa quaestiones,
et pugnas verborum. Theodori Presbìteri Raithuensis Praeparatio de incarnatione
( Bibl. Patr. Galland.): i-ziiy, 5è 4 Heuijpog cJiiXat; jtpoxaOé^Exai
cpfflvalj. èv fr/paoi xs póvotp xal ij/oip T1 ì v sùaéjistav 0noxi8-exaf
xalxoiYE xoD àrcoaxóXou XéYOvxop „oò Y“P èv Xiyip ij ga- oiXeta xoS 6so0, dcXX’
èv 5ovàps: xal àXvjOsl:?,, (ad Corinth., I, 4, 20). o5xos 5è xap* a&x(j>
Seotjptp xpolxiaxog S-sÌXoyos y vwpijsxat. tì)g àv xàf xaxrjYopiaj
'AptoxoxéXooj. xal xà Xouxà xiòv S?o) cpiXoaó;pci>v xoptjià Jjaxrjpévop
toyX ) Orig. II, 23 (p. 29a) [Lindsay]. In
his quippe tribù» generibus Philosophiue etium eloquio divina consistunt. Nam
aut de natura disputare solent, ut in Genesi et in Ecclesiaste: aut de moribus,
ut in Proverbiis et in omnibus sparsim libris: AVT DE LOGICA [DIALETTICA], prò
qua nostri Theoreticam [ma Prantl legge tlteolo- giorni sibi vindicant, ut in
Cantico canlicorum, et Evangeliis [PL. Per
lo meno, quanto al senso, la distinzione coincide perfettamente con quel che si
legge nella introduzione allo saggio di VITTORINO da noi conservato, Expositio
in CICERONE Rhetoricam (ed. Capperonicr ed. Halm, RHETORES LATINI Minores: Q.
Faro Laurentii VITTORINO Explaruitionum in Rhet. M. T. CICERONE, Orig.: Inter
arlem et disciplimim Plato non soltanto e possibile tenere staccati come due
rami separati il dominio della retorica e quello della speculazione, ma era
anche consentito a quest’ultimo di trovare, dal suo lato estrinseco e tecnico,
una particolare maniera di trattazione. Compendio di dialettica nelle Origines.
Così Isidoro divide tutta la sfera della logica o dialettica, anche tenuto
conto della dictio e del sermo, in grammatica, dialettica, e retorica – il
trivio, e a quel modo che, rispetto alla distinzione adottata nelle scuole tra
questa e quella, si attiene parola per parola a Cassiodoro, così in generale
proprio il mostruoso compendio di quest’ ultimo, già da noi più sopra
tratteggiato, è quel che Isidoro trasmette, con al¬ cune varianti o aggiunte.
Dopo avere cioè compiuto il passaggio dalla PARTIZIONE DELLA FILOSOFIA –
psicologia razionale, grammatica razionale -- alla Isagoge in et Aristoteles
hanc difjerentiam esse tolueruiit, dicetiles artem esse in his quae se et
aliler habere possunt. Disciplina vero est, quae de liis agii quae uliter
evenire non possunt. Nam quando veris disputationibus aliquid disseritur,
disciplina erit. Quando uliquid verisimile atque opinabile tractatur, nomen
artis habebit [PL], e differ. spir. Nunc partes logices exsequamur. Constai autem ex
dialectica et rhetorica. DIALECTICA est ratio sive regala disputatali,
intellectum mentis acuens, veraque a falsis distinguens. Rhetorica est RATIO
DICENDI, jurisperitorum scientia [cf. Grice, the devil of scientism], quam
oratores sequuntur. Hac, ut quidam ait, sicut jerrum veneno, sententia armalur
eloquio [PL — Orig.]: Logicam, quae rationalis vocatur, Plato subiimxitdividens
eam in DIALECTICAM et Rlictoricam. Dieta
autem Logica, i. e. RATIONALIS Aóyoj cnim apud Graecos et SERMONEM significai
et rationem [PL — Logici quia in natura et in moribus rationem adiungunt. RATIO enim Graece Xifog dicitur [PL. Dialectica est
disciplina ad disserendas rerum causas inventa. Ipsa est FILOSOFIA species,
quae Logica dicitur, i. e. rationalis definiendi, quaerendi et disserendi
potens. Aristoteles ad regidas quusdam huius doclrinae argumenta perduxit, et
Dialecticam nuncupavit, prò eo quod in ea de dictis disputatile. I\'um Xextdv
dictio dicitur Ideo autem post Rheloricam disciplinam DIALETTICA sequitur, quia
in multis utraque communio existunt [PL] quella «tessa maniera secca, che
abbiamo veduta iu Cassiodoro), egli presenta una enumerazione e illustrazione
delle quinque voces – genus, species, differentia, proprium, accidens -- dove prende occasione di far risaltare i
meriti di Porfirio, di fronte ad Aristotele e CICERONE), e manifestamente non
ha fatto che attingere alla traduzione di VITTORINO, commentata da BOEZIO, al
quale VITTORINO anzi rinvia egli medesimo). Particolare a lui è, a tal
proposito, la pensata sommamente scolastica, di esprimere a mo' d’esempio le
cinque voci – genus, species, differentia, proprium, contingents -- in una
proposizione. Appresso viene, relativamente alle categorie, una notizia che in
principio e in chiusa è ricavata letteralmente da Cassiodoro), ma nella parte
centrale è più estesa, e particolarmente più ricca di esempi. Dopo di ciò viene
naturalmente de interpr., una Sezione che qui per la prima volta incontriamo
con la barbarica – NON-LATINA -- intestazione De Perihermeniis [ Aristoteli s] Le
parole introduttive e il nu- [Orig. Cuius disciplinae definitionem plenum
existimaverunt Aristoteles et Tulliiis CICERONE ex genere et differentiis
consistere. Quidam postea pleniores in docendo eius perfectam substantialem
definitionem in quinque V partihus. veluti membris suis, dividerunt [PL]. Boezio,
ad Porph. [a Vict. fransi., ed. Brandt [Opp.], ed. di Basilea [PL]: Isagogas aulem ex
Crucco in Latinum transtulil VITTORINO orator, commentumque eius quinque libris
BOEZIO edidit [PL]: et est ex omnibus his quinque partihus oratio plenae
sententiae, ita, “Homo est animai ralionale, mortale, risibile, boni malique
capax” [PL.]. Anche le parole della chiusa del testo d’Isidoro, eh’è guasta,
son da leggere secondo il tenore del luogo corrispondente di Cassiodoro. Si
ravvisava cioè in Perihermeneias inspi ip |iv)vsia?!. SCRITTO IN UNA SOLA
PAROLA, un accusativo plurale, e s’imaginava un corripondente nominativo, “Perihermeneiue”.
Invero troviamo nella Storia di S. Gallo di Ii-defons v. Arx, I, p. 262, “die
Periemerien » di Aristotele”.] eleo centrale vero e proprio -- la definizione
di nomen, verbum, ORATIO (indicativa o enunciativa, imperativa), nuwtiatù,
affirmatio, negatio, contradictio) sono copiate parola per parola da
Cassiodoro, ma in mezzo ci sono alcune osservazioni più generali, che son prese
da BOEZIO, e che, concernendo la relazione tra linguaggio e la psicologia
RAZIONALE, vennero ad assumere grande importanza; ma le parole di chiusa
segnano il passaggio alla SILLOGISTICA in ima maniera più tollerabile che non
sia quella tenuta da Cassiodoro. Segue ora LA SILLOGISTICA stessa, che, dopo un monito introduttivo a
guardarsi dall’abuso sofistico, è presa con la più letterale fedeltà da
Cassiodoro. Appresso viene la teoria della definizione, che Isidoro copia da VITTORINO,
ragion per cui abbiamo dovuto riferirne il contenuto. Ma dalla definizione si
passa alla TOPICA con le stesse parole di Cassiodoro, e anche nella
enumerazione dei loci è utilizzato solamente quest’ultimo. Ma anzitutto
rimangono qui affatto escluse quelle interpola¬ [[Isidoro riproducel anche il
motto su Aristotele: Omnis quippc res, quae una est et uno si^nìficiitur
sermone, aut per nomen significatur, aut per verbum: quae dune partes orutionis
interpretanlur totum, quidquid conceperit mens ad loquendum. Omnis enim
elocutio CONCEPTAE rei mentis interpres est [PL], Particolarmente dobbiamo a
questo proposito mettere in rilievo la locuzione concipere, concepito. \Utililas~\
Perihermeniarum haec est, quod ex his INTERPRETAMENTIS syllogismi fumi. Vnde et
analytica pertructantur: plurimum lectorem adiuvat ad veritatem investigandam
tantum, ut absit ille error decipiendi adversarium per sophismata falsarum
conclusionum [PL).] -zioni estranee), e inoltre, omessi i loci retorici,
vengono, di quelli dialettici, accolti integralmente soltanto di CICERONE, e
tre inoltre di quelli di Temistio. Finalmente la chiusa è data da ima speciale
Sezione De opposilis, che senza dubbio qui non sta nella solita connessione con
la teoria delle categorie, ma si riattacca ancora al materiale della topica,
coni’ è anche di fatto estratta dal commento di BOEZIO alla Topica di CICERONE.
Altri spunti di teorie logiche. Ma, oltre a questo compendio di dialettica, c’
è in Isidoro qualche cos’ altro ancora, che, grazie all’ autorità da lui goduta
esercita influsso sopra la storia. Da un lato cioè si trovano frammenti isolati
di teorie logiche in altre sezioni della sua opera enciclopedica. Così, p. es.,
oltre a ripetere la solita definizione degli omonimi ecc. (nella Sezione
intorno alle categorie), Isidoro viene anche nella Grammatica razionale a
parlare di quest’oggetto, ma qui egli fa uso delle forme verbali greche. Inoltre,
della retorica, è da ri- [fra i loci ivi riferiti di Temistio, troviamo qui
soltanto: a loto, a partibiis [PL Invece, in altra forma: Primum genita est
contrariorum, quod iuxta CICERONE diversum (leggi AD-versum) vocutur. Secundum
genita est relalivorum. Tertium genus est oppositorum -- si osservi la
terminologia inesatta -- habitus vel orbatio. Quod genus Cicero privationem
vocat. Quartum vero genus
ex confirmutione et negatione opponilur. Quod genus quartum apud Dialecticos
multimi liabet conflictum, et appellatur ab eis calde oppositum [PL. La fonte di questo vedila in BOEZIO, ad. CICERONE Top. [PL]; il luogo relativo di Cicerone e citato.
Orig. : Synonyma, hoc est PLVRINOMIA. Homonyma [AEQUI-VOX]. hoc est VNINOMIA PL]]
- cordare in particolare la Sezione De syLlogismis, perchè, da un lato, fa
riconoscere, per l’argomentazioue, un’alto valore all’entimema O IMPLICATURA o
raggionamento implicito --, e perchè, dall’altro lato, contiene una, per quanto
meschina, notizia della esistenza della IN-duzione. II contenuto di questa
teoria del sillogismo non offre, coni’ è naturale, assolutamente NULLA DI NUOVO,
bensì è preso da VITTORINO, e attraverso VITTORINO rinvia «ino a CICERONE e ivi
par¬ ticolarmente il passo relativo, concernente 1 ’ cnthymemd. D’ altra parte,
infine, con alquanti semplici accenni a punti particolari, che in se stessi
stanno FUORI DAL CAMPO DELLA LOGICA – ma la prammatica di Grice -- Isidoro —
quasi direi senza volere — da occasione a quelli che son venuti dopo, di
sollevare questioni, delle quali noi dovremo citare appresso le soluzioni, come
elementi del corso della storia. Una delle cose sopra le quali a tal proposito
fermiamo l’occhio, è la determinazione di mia DIFFERENZA TRA RAZIONALE E
RAGIONABILE [cf. GRICE], che, evidentemente fondata sopra un passo del commento
di BOEZIO alla Isagoge, può aver [ Orig.: Syllogismus Graece, Latine ARGVMENTATIO
– RATIONAMENTVM -- appellatur. Syllogismorum apud rhetores principulia genera
duo sunt: inductio et RATIOCINATIO [PL. Sebbene dunque possa far maraviglia al
lettore che di tali cose io faccia menzione qui, risulteranno più sotto sufficentemente
i motivi, per cui è bisognato che, dello straricco tesoro di scienza scolastica
isidorea, io facessi risaltare proprio questi, e anzi esclusivamente questi due
elementi particolari. Si tratta in generale di rendersi conto dell’assoluta
intima MANCANZA D’INDEPENDENZA dei ‘filosofi’ di questo periodo. De difjer. spirit., [PL] GRICE: INTER RATIONABILE ET RATIONALE hoc
interesse sapiens quidam [Agostino, De ordine, PL, dixit RATIONALE est, quod
rationis utitur intellectu – ut: “homo.” RATIONABILE
vero, quod ratione dicium vel factum est. Lo stesso, quasi alla lettera,’
Differ. PL. Porfirio aveva cioè, nell’indicare quel eh’è comune al yivoc e alla
Staqsopà, adoperato come esempio il Xoy ixóv, in un passo che nella traduzione
di BOEZIO (p. 95 [In Porph. a se avuto per conseguenza che in seguito si
facessero oggetto di ancor più accurata ponderazione le parole del passo. Invece
l’altra cosa consiste nell’ affermazione, connessa alla creazione dal nulla,
che LE TENEBRE *NON* sono sostanza, e di ciò non tarderemo a trovare appresso
ima conseguenza ulteriore. Alcuino: sua compilazione di un compendio di
dialettica. Lo stesso punto di vista d’Isidoro, così riguardo al valore della
dialettica, come anche nella bislacca compilazione di un compendio, prevale
pure in Alcuino: coni’è noto, dell’insegnamento, da lui impartito, della logica
allora in voga, profitta lo stesso Carlo Magno. Non soltanto troviamo in
Alcuino la partizione delle scienze secondo transl.: ed. Brandt, suona cosi:
Cumque sit differentia RATIONALIS praedicatur de ea ut differentia id quod est
ratione ufi, non solum aulem de eo quod est RATIONALE, sed etiam de his qttae
sunt sub rationali speciebus praedicabitur ratione uti [PL]. Ora nel commento
di queste parole BOEZIO dice (p. 96 [ ittici ., ed. Brandt): de RATIONALI duae
differentiae dicuntur. Quod enini RATIONALE est, utitur ratione nel habet
rationem. Aliud est aulem. uti ratione, aliud habere rationem.... ergo ipsius
RATIONABILITATIS quaedam differentia est ratione uti, sed sub RATIONABILITATE homo
positus est [PL, Sentent. : Materia ex qua coelum terraque formata est, ideo
informis vocata est, quia nondum ea formata erant, quae formari restabant,
verum ipsa materia ex nihilo facta erat: Non ex hoc substantiam habere credetulae
sunt TENEBRAE, quia dicit dominus per prophetam. Ego Dominus formans lucem, et
creans tenebras [Eisa.] ; sed quia angelica natura, quae non est praevaricata,
lux dicitur. Illa autern quae praevaricata est, tenebrarum nomine nuncupatur
[PL) Einhahdi Vita Karoli lmperatoris [Pertz, MOH: audivit in discendis
caeteris disciplinis Albinum cognomento Alcoinum apud quem et rethoricae et
dialecticae ediscendae plurimum et temporis et laboris impertivit [PL. Poeta
Saxo, Annalium de gestis Caroli Magni Imperatoris, nel Pertz, MGIT, I, p. 271:
Artis rethoricae, seu cui diulectica nomen. Sumpsit ab Alquini dogmute noticium
[PL]] uno schema che si conforma a quello d’Isidoro, ma egli inoltre ripete
letteralmente, attingendo a quest’ultimo, la su riferita concezione teologica
romana o giudeo-cristiana della logica. Nello svolgere questi pensieri, mostra
dappertutto di apprezzare altamente LA FILOSOFIA, non la TEOLOGIA, e mentre
spesso a tale apprezzamento associa lamentele per la ignoranza largamente
diffusa, si leva a sentenziare che le arti liberali son le sette colonne della
sapienza, e così, nelle principali questioni teologiche romane e
giudeo-cristiane sopra il concetto del divino fa largo uso, rimandando ad
Agostino, della tradizionale filosofìa scolastica, cioè della teoria delle
categorie. Ma che lo stesso Alcuino scrive intorno a tutte sette le arti, è ima
credenza già da gran tempo confutata, essendo stato dimostrato che passa per
essere opera di Alcuino mi compendio del De artibus di Cassiodoro, molto letto.
È bensì vero invece eh’ egli coltivò la grammatica, la retorica e la
dialettica, e che inoltre accompagnò 1’ invio a Carlo Magno del libro
pseudo-agostiniano sopra le Categorie con mi prologo metrico dove nel modo
d’in- [Ai.cuini Operu, ed. Frobenius, Ratisbona PL e Dialectìca, P. cs., E
pisi. Epist. 68 (p. 94), E piu. ed. Diinimler, MGH, Epist. Grammatica PL:
Sapicntia liberalium litlerurum septem columnis confirmatur; nec alitar ad
perfectam quemlibet deducit scienliarn, itisi bis septem columnis vel etiam
grndibus exaltetur. De Fide S. Trinitatis ed Epistola nun- eupatorio: ed.
Diinimler, Epist.], Quaestiones de Trin., Epist., Epist. ed. Dummler, Epist.
Dal Frobenius, nella Praef., PL Tale prologo è del seguente tenore ed. Dummler,
MGH Continet iste decem naturile verbo libellus, Quae iam verbo tenenl remm
ratìone stupenda Omne quod in nostrum poterit decurrere sensum. Qui legit
ingenium veterum mirabile laudet, Atque suum studeat tali exercere labore,
Exomans titulis vitae data tempora honestis. Rune Augustino placuit transferre
matender le categorie è implicito il punto di vista di BOEZIO. Lo stesso
compendio di dialettica, che reca parimente in cima mi simile INSIGNIFICANTE prologo,
è scritto in forma dialogica. LE DOMANDE SONO SEMPRE FATTE DA CARLO MAGNO. Ma Alcuino dà le risposte. In questo
compendio, da principio TUTTO E LETTERALMENTE preso da Isidoro, anche la
divisione della logica in retorica e dialettica. Ma al contenuto vero e proprio
si passa con una partizione, in sommo grado scolastica, della dialettica in
cinque specie, La prima Sezione, cioè, coni’ è naturale, la Isagoge, è COPIATA
PAROLA PER PAROLA da Isidoro, e neanche manca quell’unica proposizione
esemplificativa. Fa seguito una minuziosa notizia, intorno alle categorie, che
è interamente estratta dal compendio pseudo-agostiniano, con trascrizione BARBARICA
delle parole greche che vi s’incontrano. Di nuovo c’è aggiunta una cosa
soltanto, che cioè anche per le categorie viene ora formala qui una frase
unica, presentata come esempio [Ma mentre nel pseudo-Agoslino dopo la decima
categoria dell’habere viene la solita trattazione degli op- gislro De veterum
guzis Graecorum clave latino. Quem libi rex, magnus sophiae sectator, umator,
Munere qui tali gaudes, modo mitto legendum [PL, K. Quot sunt species
dilecticae? A. Quinque principales; isagoge, categoriae, syllogismorum.
formulae, diffinitiones, topica, periermeniae. In veri là una disposizione
mostruosa, che mal si accorda inoltre con il numero di cinque, che si chiude
con le seguenti parole: tlaec commentario sermone de isagogis Porphyrii dieta
sufficiant. Pinne ardo postulat ad Aristotelis categorias nos transire. K. Ex
his omnibus decerti praedicamentis unam mihi conjunge orationem. A. Piena enim
oratio de his ita conjungi potesti Augustinus magnus orator, filius illius,
stans in tempio, hodie infulatus, disputando fatigatur.] posti, per tale
argomento Alcuino disdegna questa fonte, limitandosi a COPIARE ORA PAROLA PER
PAROLA, con la intestazione De contrariis vel oppositis, la Sezione corrispondente
in Isidoro. Invece immediatamente dopo, per i così detti Postpraedicamenta
(prius e simul), fa ancora un salto per ritornare al Pseudo-Agostino, omettendo
tuttavia affatto, di quest’ultimo testo, il cap. sull’immutatio. Viene poi, con
la intestazione De argumentis, prima di tutto un riassunto estremamente
sommario di quell’ estratto della teoria del giudizio, che BOEZIO incorpora al
suo scritto De differentiis topicis, e poi, in quanto che proprio lì si viene a
parlare anche dell’argomentazione, ima meschina scelta di alcuni esempi di
sillogismi ipotetici, svolti da BOEZIO in quello stesso scritto. Ma a ciò si
attaccano ancora subito i quattro primi modi dei sillogismi categorici, che son
tratti da Isidoro. La teoria della [Con la sola differenza che negl’esempi i
nomi propri o il contenuto degli esempi stessi sono trasportati ■iella sfera
morale-teologica romana e giudeo-cristiana. Nè al principio di questi
postpraedicamenta nè in chiusa, è stato segnato un qualsiasi trapasso, che li
riconnettesse alle trattazioni precedenti. Dopo ch ! è stato determinato che
cosa sia urgumentum (rei dubiae affirmatio) e che cosa sia oralio (veruni Dial. Particolarmente si trova anche fatta
qui novamente menzione di concetti imaginari, p. es.: HIRCOCERVVS quod graece
trngelaphus dicitur. PL. K. Num et Ulne aline species quatuor (non enunciativa,
ma, cioè interrogativa, imperativa, deprecativa, e vocativa) ad dialecticos non
pertinenl? — A. Non pertinenl ad dialecticos sed ad grammaticos.] zione, ma
adduce inoltre alquanti esempi attinenti alla sfera delle fallacie sofistiche,
servendogli qui da fonte Aulo GELLIO (si veda)[ Fredegiso da Tours]. Se questi
due compendi che abbiamo sinora considerati, ci presentano esclusivamente la
forma di opere a centone, nella compilazione delle quali non si fa neanche
sentire più il bisogno astrattamente logico di un qualsiasi ordine di successione
che tenesse unito il complesso, certamente, al paragone di tali prodotti
scolastici, ravvisiamo già un progresso, quando vediamo questo o quello
filosofo sentirsi per lo meno stimolato, dal materiale divenuto tradizionale, a
proporre questioni, alle quali tenta di dar tale o talaltra risposta. Ma non
possiamo pretendere gran che da siffatti primi tentativi: e nient’ altro che un
documento di assoluta mancanza di chiarezza, in quelle questioni che non
tarderanno a determinare dissidi di tendenze, ci è dato dalla maniera in cui
Fredegiso, scolaro di Alcuino, abate di Tours, in una Epistola de nihilo et
tenebris, indirizzata ai teologi della corte di Carlo Magno, viene alle prese
con i concetti di « nulla » e di « tenebre », dei Dialogus de Rhetorica et
Virtutibus PL: Si dicis, non idem ego et tu; et ego homo, consequens est, ut tu
homo non sis. Sed quot syllabas
habet homo? — Duas. — Nunquid tu dune itine syllubae es? Ne- quaquam. Sed quorsum ista? Ut sophislicam
intelligas versutiam. Cfr. La [Stampata nella Steph. Baluzii Miscellanea, ed.
Dom. Mansi, Lucca, e di là riprodotta nella PL: ma la edizione migliore,
fondata sopra una nuova comparazione dei manoscritti, si trova curata da Ahner,
Fredegis von fours, Lipsia. Le parole introduttive son di questo tenore. Omnibus
fidelibus et domini nostri serenissimi principis mjt ' J acro eius F tdntio
consistentibus Fredegysus Diaconus [IL, quali, secoudo la maniera usata, vuol
parlare così ratione, cioè logicamente, come anche auctoritate, cioè conforme
alla teologia ortodossa, romana e giudeo-cristiana. La occasione a tutto il
dibattito è data certamente, in generale, dal passo già citato di Isidoro, ma
il modo d’intendere le questioni, a prescindere dal generale punto di vista
teologico romano e giudeo-cristiano, è, per riguardo alla dialettica, cosi
rozzo o così ingenuo, che di fatto non troviamo un termine per qualificarlo. Poiché,
dove non si presenta neanche la più tenue traccia di riflessione sopra i così
detti ‘universali’, ci è impossibile parlare di realismo o di nominalismo.
Insomma si tratta di ima mostruosità tale, da non potersi neanche designarla
come un primo passo verso idee venute fuori in epoca più tarda. Non soltanto
cioè si afferma, in termini secchi, che, insieme con l’ESPRESSIONE
(EXPLICATVRA) verbale, noi intendiamo immediatamente la cosa, ma vengono
inoltre assunte senz’altro come identiche la signi- [Chl j. m,ue Studichi senza
prevenzione, consentirà che questo dualismo di ratio e auctoritas. il quale si
manifesta dappertutto rondo li • nd,e de ' le Par ° 1 ! '' * Fredegiso. Queste,
sei rondo la piu antica lezione riportata dal Baluze i suonano come segue: huic
responsioni oblia,uhm est primari'. Ubet’ sedrZT ‘‘"'T' rfe,We betoniate,
non q ua- ., ’ r "',0 ’,r ‘ dumtaxat, quae sola auctoritas est salame
immola " f 7 urd / NeS6Uno infaUi si Presterà ad accreditare derZi^ ). Ma
poi, anche nello scritto De institutione clericorum, Hrabano viene a parlare
delle sette arti liberali: e dopo che ivi egli lia già in generale ammonito i
teologi a guardarsi dall’abuso dell’arte di disputare, questo atteggiamento
circospetto è quel che predomina in lui, anche là dove, seguendo l’ordine
solito di successione, viene propriamente a trattare de DIALETTICA dopo avere
parlato della grammatica filosofica e della retorica. Ripete cioè, per prima
cosa. Opera, ed. Colvener, Colonia) Hrabani Mauri) De universo: Logica autem
dividitur in duus species, hoc est DIALECTICAM et Rhetoricam. De instit. cler.:
Sed disputationis disciplina ad omnia genera quaestionum. quae in litteris
sanciis sant penetranda et dissolvendo, plurimum valet; tantum ibi colenda est
Pl 'ioTTo I ^ PUenl ' S e I’815 "or
10 fra r887 « r890) abbia esercitato in . en era e Ti r r ” rì,,i “ ) ’ “,,ra «
t:: 1,: è noto; ma può darsi che a noi ~z:: e t abbia T imes ° qn6to s. decisiv
° -*• - °° ICa > ^iche, relativamente al punto il 122» voT ddla Patralógii
TeWiomtP-"-,«/; F, t0SS ’ e toTm * ferisco qui nelle citazioni. Ma a
nurlli J"*' 18j ? ’ al qua,e n,i ri ‘ opera dell’ Hauréau il Commentairede
le % 3ggl £ n . t0 '"Cora,,, r lionus Cupella (nelle Nolices et Extraitì T
^ Ér,gène sur Mar. 2, Parigi 1862 [p. 1 ss.]) Extraits dea Manuscrits, non
r’imér^no r qui*'ì!’a 1 nno ' ^ròv^to un rifl'’ 8 *" 0 C °" lo Soot °
letteratura, avendo Nicola Mofli ™T,nten f° anche "ella und seme
Irrthiimer OC S F,• tLEB preso posizione (J. S. E tro Fr. Am. Staudr™*™ U sT
1844) con Ze« 1«G. S. E. e la sci. nl,,,1 1 . • dle Wissenschuft seiner te
1834), e contro il Saint-Rtné TaiTi.andifr I>1, Gotha 1860), nè da V Kin. '
m"” C dottrina System des J. S E r« TI Jl. » Naulicm (Dos speculatil e,
negli Atti 3,'ll ó è ™ s Peeulativo di G. S. E » IP™!), nè da Gio v. Hubeh (/.
slVf ili vista logico, che lo Scoto si
trova ad avere assunto, non sembra comunque essersi pronunziato ancora un
giudizio esauriente, quando ci si limita a qualificarlo come realismo, o magari
anche come realismo stravagante. Vero è invece che con l’atteggiamento
realistico, che in generale è fondato sopra la concezione biblico-teologica
romana e giudeo-cristiana, e che naturalmente a nessuno può passare per il capo
di negare allo Scoto, si unisce qui, in maniera sommamente caratteristica, un
motivo dialettico, al quale ci sembra di dover attribuire somma importanza,
perchè in esso ravvisiamo i primi lineamenti del nominalismo scolastico. La
prima cosa che certo si manifesta con la massima evidenza a qualsiasi lettore
dello Scoto, è la forma rigorosamente sillogistica, nella quale si volge questo
filosofo, mettendo con ciò in mostra nello stesso tempo, per così dire, le sue
conoscenze scolastiche di logica. È questa ima cosa, della quale per se stessa
non faremmo già particolare menzione, non essendo qui compito nostro di
registrare per avventura tutti quanti gli scritti di tutti quanti i Padri della
Chiesa o filosofi medievali, nei quali si riveli un addestramento logico. Tuttavia
nel caso presente sussiste, a quanto ci pare, una stretta connessione fra tale
cultura scolastica estrinseca e l’intima struttura dell’ordine d’idee
professato dal filosofo. Lo Scoto Eriugena manifestamente, nella persuasione
che la sillogistica, proprio nella sua forma rigorosamente scolastica, abbia un
valore filosofico, trae partito da tutte le cose consimili. Così ne’ suoi
scritti, — a prescindere dalla frequente larga trattazione delle categorie in
senso teologico romano o giudeo-cristiano, si presenta, p. es., della teoria
del giudizio, la divi- [Des ]. E. Stellung zur mittelalterlichen Scholastik und
Mystik f« La posizione di G. E. rispetto alla scolastica e alla mistica
medievale], Rostock), nè da Lod. Noack (Weber Leben und Schriften des ] J. S.
E.: [die Wissenschaft und Bildung seiner Zeit, Della vita e degli scritti di G.
S. E.: la scienza c la cultura del tempo suo »), Lipsia.] aione in giudizi
affermativi e giudizi negativi, e anzi con fa terminologia affirmativus e
abdicativus, o la indicazione delle varie specie di opposti, tra i quali inol-
tre viene sovente messo in particolare rilievo il cosi detto opposto CONTRADITTORIO:
come pure viene fatta menzione delle relazioni anti-tetiche sussistenti fra il
possibile e 1 impossibile. Si trova anche presa in considevolia ilio Scoto (de
dlctóone a^°I'^ 1 p una Cap. delle Categorie pseudo-azostini»,,» - r W3j 111 C0
P‘ are *1 10° sario, -“j! ch è neces '
de div. nat., I, 14, p. 462: Et hoc Ir i • i’ ^“ 8nto a * giudizio, v. p. es.
^soXoyla iKo^onix-rj del Pseudo Dioniei ° r£ “ ; xaxcreaTtxrj e la damus
exempio. Essentia tZaZf A reopag,ta) brevi conci,,. coda : « supe’ressetZTLT **
^ terminologia che ricorre ancor più volte nelIoVom 6 * 0 ''""' alla
confusione che abbiamo trovata di eb n r ’ Va r / 1 f 0n ® chiaro dalla
spieoare Pian, ad duplum... ; am per negat’ionZ Z Z SÌnt ’ ut s, ' m ‘ propter)
qualitates naturales per abZntiam’m°h “*\ °“*^ (, leggi AVT SECVNDVM
PRIVATIONEM, ut mors etvUa- L n tenebrae sanitas et imbecillitas. Su questo
numi „ s, u contrarl “m, ut desuma fonte che Isidoro (v. sopri la „mwn? aU ' n,
° alla, ne ' cavato malamente dalle parole di 11 *.. : s °hanto che ha ri- e
absentia. 1 ' BOEZIO ° una distinzione tra PRIVATIO [De praedestinatione, 5, 8
n ì"». i,„,, i oluntate posset simul dici « libera est iihe quomodo de
eadem CONTRADICTORIE dicuna,r, quia simul fieri n “ l>; haec enim nat.:
comradictoZnJZ r p0ssunt - ~ De divis. erit veruni, alterimi falsimi Non !«'
9'"a fient, et necessario unum ”r l htsa calidario ZloaZ 7e sZZ versahter
sint, sive particulariter fi, : subjecto eodem, sive unidelia terminologia di BOEZIO
(clntradZ ** Vede ’ C è '"escolanza nota 113) con quella di M^ianoTl n ).
Copella (proloquium) De divis. nat., II, 29 n 597- Pn*.n,ir in numero rerum
computi impossibile dicet.... De quibus quisquis alene T . pl,lloso P lum tium
conira- Owi-E, hi JZ’Z,u,‘Z,ZZ": hoc p Z£L~ illt razione la solita
enumerazione delle varie specie di definizione. Ma principalmente sono messe in
rilievo dallo Scoto, tanto frequentemente, proprio dal punto di vista formale,
le forme dell’argomentazione: e non soltanto troviamo in lui, in molti luoghi,
intrecciati nel testo, sillogismi formulati assolutamente secondo la regola
delle scuole, bensì ancora egli molto si compiace di menzionare, con i loro
nomi tecnici, sillogismi appartenenti alla topica. Ma appunto per quest’ ultimo
riguardo ha grande im¬ portanza per noi, che lo Scoto accuratamente distingua
il procedimento dialettico propriamente detto, cioè il sillo¬ gismo in
generale, dalla rimanente sfera puramente retorica, e per la dimostrazione dia
importanza decisiva alla sopito dispulutum est. È ben facile capire cbe questo
è tutto preso da BOEZIO. Quamvisque multae definitionum species quibusdam esse
videuntur, sola ac vera ipsa dicenda est definitio, quae a Graecis oòaubSr jj,
a nostris vero essentialis rocari consuevit. Aline siquidem aut
connumerationes intelligibilium partium oùatag, ai il argumentationes quaedam
extrinsecus per accidentiu, aut qua- liscunque sententiarum species sunt. Sola vero oòauóSrjs id solum recipit ad definiendum,
quod perjectionem nuturue, quam definit, complet ac perjicit. Questo può essere
ricavato da Alcuino o da Isidoro (v. sopra le note 38 s.) o da BOEZIO. Tali
passi non si discostano da quella terminologia ch’è usuale in Boezio; così, p.
es., affirmativus, negativus, termini, diulectica proposito, jormula syllogismi
condilionulis, e così pure connexio (v. la Sez. XII, nota 141), e persino
tropus; inoltre troviamo ancora collectio e reflexio, che son termini propri di
Apuleio (v. la Sez. X, note 15 e 19). 81 ) Così, p. es., de praedest., 14, 3,
p. 410; ibid., 16, 4, p. 420. — De div. nat., I, 49, p. 491 ; v. anche qui
appresso le note 94 ss. 92 ) P. es., de div. nat., I, 27, p. 474: sunt loci
diidectici u genere, a specie, a nomine, ab antecedenlibus, u consequeiuibus, a
contrariis, ceterique hujusmodi, de quibus nunc disserere longum est. De
praedest.: argumentum, quod ub effectibus ad causam sumitur, locus a contrario
e locus a similitudine, e similmente più volte. Anche nel Comment. ad Muri.
Gap. tres purles syllogismorum, i. e. ab antecedentibusi, a consequentibus, a
repugnantibus. Ma la conoscenza di tutti questi loci lo Scoto la poteva
ricavare esclusivamente de Cassiodoro. 'orma logica soltanto. Anzitutto cioè
viene da lui attribuito già il più eminente valore a quèlla formulazione del
sillogismo disgiuntivo, che, da CICERONE in poi, si e conservata nella
tradizione come enthymema, e che per tal via aveva avuto accoglimento anche
nella Enciclopedia d Isidoro (e ripetuta la stessa cosa, a proposito di Alenino:
ed effettivamente Scoto in questa forma del sillogismo ravvisa il punto culminante
di tutti gl’argomenta, i quali invero sono ancora pur sempre considerati
congiuntamente ai signa i r ra in: anzi la forma dell’entimema ha potere d’in-
•'«rio a qualificare l’entimema stesso senz’altro come syllogismus: e in verità
in un altro passo, dove dice espressamente di volersi servire deIl’*ico8«i*Tix*
le dimostrazioni che seguono, sono appunto presentate esclusivamente in quella
forma disgiuntiva; ma nello stesso tempo egli assegna tuttavia decisamente alle
forme del cosidetto sillogismo categorico un posto ancor più eie- vato, appun
to perchè queste non appartengono al mecca- sumuntur. Qribm tanta ’rii inll [ R
- Stu " t contrarietatis loco excellcntwe suae merito a
('rimri^'è'h""'' qt ‘° (ìam privilegio conceptiones rLZ sicJZZ
e,,lhymemnt “ dicantur. hoc est, munì est illud, nuoci sumitur * '‘ rsu . met },orum
omnium forlissi- calium aptissimum est. quo d ducitur "ab end" °
mnU,m . si S"°rum vo- lhid.. m, 1 n 193 . „ \ tU, et >dem conlranetatts
loco. — Diulècticisac RhètorZiseZnt"” ^ediyimus. a xaTavTC'fpaat .5 IW
4vtt*p«oi ^ TestZmTi’uZ grnmmaticis ver ° gnorumque verbalium nobilissima v
loT^T ar ^ n -n'orum st¬ iri fine, e cfr. poi la nota 189 * qm appresso la nota
96 > concluditur, quodsemperesTn coni nulo °c" "" '',,r *
umento (ora segue un sillogismo della l'orma Non eZnVn'B* 4 ° “** ergo B non
est: v. la Se? Vili t.n i l 1 „ et
A est. Idem quoque syllogismiis hnr 'm 1 ' p a • XII, note 13 e 69 )....
cibici. 4 3 n T?J w connectitur (id. c. *.). àitoS.txxtx^ utamur,
primufnfadversus ZT"e uTl^’ * C *f" r sillogismi della forma
ricordata or ,U f ann,° S, '* U1| ° due parole, da uomo consapevole della
vitro* P °A S ‘ con queste Via igitur regia gradiZdtm, r, ?''' C ° ncIllsum est igitur.... vcrtendum, etc. ’ °
" d d^ternm, nec ad sinislram di- nismo dell’argomentazione retorica,
apparentemente più efficace Bli ). Ma che questa preponderanza della forma
sillogistica sia stata anche subito sentita come tale dai lettori dello Scoto,
ci è confermato dalla ineccepibile testimonianza di un anonimo del IX secolo,
il quale dice che Scoto fa consistere la dialettica in un continuo incalzarsi e
cacciarsi (fuga et insecutio) delle proposizioni. Scoto, del resto, la
conoscenza delle forme sillogistiche da lui usate, la poteva ricavare
esclusivamente da 8l! ) Vale a dire, in occasione di una dimostrazione
piuttosto lunga, relativa alla immaterialità della sostanza ( de div. nat., I,
47 ss.), troviamo anzitutto, dopo le parole introduttive hus inique paucas de
pluribus dialecticas collectiones considera, due sillogi¬ smi categorici
secondo il primo modo della prima figura, c appresso segue un'argomentazione in
forma dilemmatica; ma dopo questa si trova la seguente transizione: l’t uulem
piane cognoscus,... hunc argumentalionis accipe speciem. [Discipulus] Acci
piani ; sed prius quondam formulalii praedictae argumentationis fieri
necessarium video. Nam praedicta ratiocinatio plus argumentum u contrario
videtur esse, quam dialectici syllogismi imago. [Ma¬ gisteri Fiat igilur maxima
propositio sic: e ora seguono quattro sil¬ logismi secondo il modo 2° della 1*
figura, con le parole conchiusive: huec formula idonea est; ma immediatamente
appresso: [D.] Hoc etiam certa dialettica formula imaginari volo. | M. | Fiat
itaque for- nuda syllogismi conditionalis ; il che si verifica nella forma : Si
A est, lì est, A vero est; e dopo tutto questo si trova, per chiudere in
maniera energica, ancora un entimema: Si autem èvtì-upijiiaTOf. hoc est,
conceptionis communis animi syllogismum, qui omnium conclu- sionum principatum
oblinet, quia ex his, quae simili esse non pos¬ simi, assumitur, audire
desideras, accipe hujusmodi formulam. Riferita da V. Cousin, Ouvr. inéd.
d’Abél: Secundum vero Joannem Scottum, est dyalectica quaedam fuga et
insecutio, ut cum quis dicit « omnis honestus est », et insequitur alius
dicendo omnis honestus non est, talis haec disputatio fugae et insecutioni
videtur esse consimilis. Se del resto già l’abate Benedetto da Aniane [Francia
Merid.], si lamenta di un syllogismus deltisionis iipud modernos scholasticos,
maxime apiid Scotos (Baluzii Misceli., ed. Mansi), non è leeito già inferire da
ciò, che lo Scoto abbia potuto ricavare la propria abilità dialettica da studi
di logica che fossero con larga diffusione coltivati nelle scuole della Scozia:
bensì quel lamento si riferisce esclusivamente a un singolo contrasto dommatico
(riguardo alla Trinità), il quale può esser de¬ nominato syllogismus nella sua
formulazione, nè più nè meno che cento altri simili Isidoro o da Marciano
Capella, e non c’èun solo passo che ci costringa ad ammettere eh egli abbia mai
conosciuto anche gli Analitici di Aristotele, nella traduzione di BOEZIO os ).
[b) posizione dello Scoto, rispetto alla dialettica Ma proprio questi elementi,
che per così dire apparten- gono alla prassi logica dello Scoto, ci apron la
via per passar a considerare anche la posizione teoretica di lui, nei rispetti
della dialettica. Nelle arti liberali in gene- rale, egli ravvisa i prodotti di
una naturale attitudine dell amma umana, e pertanto un suo ornamento B8a ), in
quanto che esse sono le compagne e le investigatrici della sapienza "); ma
nello stesso tempo riconosce che quel che importa qui è la disposizione di
spirito, trovando hi par¬ ticolare la dialettica, della quale è facile abusare,
il proprio compito essenziale nella lotta contro gli eretici 10 °). ) 1 oicliè
questo punto avrà ancora più volte importanza ner noi ho dovuto di proposito
fin qua richiamare còsi n inutàumnte rat’ten- zione sopra le fonti della logica
dello Scoto. )G ommenl. ad Mari. Cup.
[Artes libe- :tZ ] n, 0la iPSa amma P erci P' umur ’ nec uliunde
assi,n,untar sed nalurahier in anima mieli,gannir ; p. 30: Liberales
disciplinar ’natu r ali ter insunl in anima, ut aliunde venire non
intelligunUir ■ et ideo TCTTìI ~, Cfr - q,,i appresso la noia l78 - (cioè ri.-’
fi • ’’ ’• P- 430: ^ rrorem - saevissimum eorum (cioè de suoi avversari
dommaUci) ....e* utilium discinlinarum alias, psa sapienti a suas comites
investigatricesque fie^voluTTdr S ira la notai 50), ignorantia credtdenm
sumpsisse primordio In un A ìSi " 4 "'“ — » aZerS denTk 77™
Gotes Uerum- Sez. XII note 84 J ST: Tt
^zrZiiri uctìones ’ sensui subjacet: cirro nnnm ... . • P nr, ‘ l ' s _>'st,
nulhque corporeo versuntur. Al si illa incorporea est^nuTtìb' Ziter'vìd t
omnia, quae ani ei adhaerent, au, in P « subsistoZ, ' non possimi, incorporea
sint 9 ‘slum, et sine ea esse se immutabiles puro mentis contuitn „ t f r ! ale
- f* Q h*er res per ' rontl ‘“" perspiaenlur in sua simplicisce anche il
concetto di genere in maniera del tutto rea¬ listica 115a ), anzi ripete
minutamente la dimostrazione, ricavata dal Pseudo-Dionigi, che essentia e
corpus sono totalmente diversi e non possono essere mai scambia¬ lino. In una
parola, è un avversario sistematico della sostanza individuale (del xóSe ti) di
Aristotele. [e) ontologia e dialettica], Ma dobbiamo riflettere che, per lo
Scoto, tutta quanta la sfera del molteplice (dimque infine anche la pluralità
delle categorie stesse) viene a cadere in quello stadio in cui la sussistenza
concreta è propriamente qualche cosa che non de- v’ essere, perchè la pluralità
è provenuta per via di divisione dalla unità, e ha essenzialmente per funzione
di essere di nuovo risolta nella unità, e in tale processo proprio il punto
mediano dev’ essere quello di massima lontananza, sia dalla unità originaria
sia dalla unità finale. Così la formazione delle cose infinitamente molteplici
del mondo sensibile è la prima parte del processo, come dire una scissione
della Divinità: e Scoto spiega, in accordo con Gregorio da Nissa, il
manifestarsi concreto delle cose sensibili e in tute, aliler senati corporeo in
ali quii materia ex concursu earum facto compositae. Omnia erìim, quae
intellec- tus in rulione universaliter considerai, particulariter per sensum in
rerum omnium discretas cognitiones definitionesque partilur (dun¬ que
rSpiattxóv delle definizioni speciali viene già a esser più perti¬ nente alla
sfera sensibile. Il passo di BOEZIO).,ls ‘) Comm. ad Alari. Cap„ Genus est
multarum formarum substantialis unitas.... Est enim quaedam essentia quae
comprehen- dit omnem naturam, cujus participatione consistit omne quod est. Substantia generalis est multorum individuorum
substantialis unitas. De div. nat. Sed adversus eoa, qui non aliud esse corpus,
et aliud corporis essentiam putant, in tantum seducli, ut ipsam substantiam
corpoream esse, visibilemque et traclabilem non dubilent, quaedam breviter
dicendo esse arbitrar: f t autem firmius cognoscas, oòalav id est essentiam,
incorruptibi- lem esse, lege librum sancti Dionysii Areopagilae de divinis
Nomi- nibus eie.: e a ciò fa seguito la dimostrazione estesa. generale la
origine della materia, con il fatto che alcune categorie vengono a trovarsi
insieme, per modo da poter essere apprese dai sensi) : e nello stesso tempo, in
questo generarsi, analogamente che per i filosofi precristiani, opera poi il
fuoco, come quello che dà la forma alle cose sensibili. Ma poiché ora, secondo
lo Scoto, non in altro che in questa molteplicità del mondo deve, per opera
della filosofia, essere scomposta (5iaipruxVj) la unità divina, e da quella
deve da capo partire la via da percorrere per il ritorno alla unità (àvaXtmxrj),
quel grado intermedio della pluralità acquista una speciale importanza anche
per la dialettica, poiché proprio in quella stessa pluralità del sensibile si
viene a contessere la favella umana, come mezzo di espressione. A quel modo
perciò che nelle cose sensibili le categorie, incor¬ poree in se stesse, sono
alla fine diventate corporee (per quanto m maniera enimmatica e mistica), così
anche il linguaggio, in quanto è sensibile, afferrerà le categorie soltanto
nella forma verbale sensibile-corporea (per quan¬ to parimente con un intrecciarsi
di motivi mistici), e appunto lo stadio intermedio della dialettica, vale a
dire **? rh ' d ' 34 ’ Quantitàs vero, qualitasque. situs, et habi- fT \ nte \r
COeu ’ ltes mater iem.... jungunt, corporeo sensu per - Wcl nU alluTT
GregoriusN y s ^-- orti* raHonibu, ita esse ahud dicens matenam esse, nisi
aecidentium quondam compositi 0, nem ex mvis.lnlibus causi® ad visibile®
materica, prò- cedentem [Lo Scoto cita il Sermo « De Imagine» del NiTsen” ma
forse parafrasa I cap^XXHHV del libro « De hominis opificio *] interni 2 ’ 5'
494 S : - Formarum al,l ‘e in oùoia. aline in qualitate uVc" r; j ^
'"°' iOÌa « "‘bstantùdes speciel generis ti^ 'seu mLtn* 8 ’ °,
‘"T- atque P° XÌ,Ì onem naturali um par - “7 " Ì r r r «d quahtatem
referri, formatnque proprie vo- membra e [ l ",T dl ? ìtt . am 1 en ‘ e «
forma, bensì all’armonia delle membra e bellezza del colorito] ex qualitate
ignea, quae est color FXfrDe i rr tur - Et h r n vocatur a form °’ h ° r - si
rai ' d (v! 1 estus [De I erborimi
significata ed. Lindsay, p. 73] s v forma) Udum Sa rii diffinitione non dissential.... (PL 9
lj,y oj. ): Aristoteli genus, speciem, difjerentiam. pro- pnum et accidens,
subsistere denegava (se. Minerva), quae Platani subsistentia persuasa. Aristoteli an Plotoni magis
credendum pu- latis. Magna est utriusque aucloritas, quatenus rix audeat quis
al- lerum alteri dignitate praeferre [PL]. Cui rei Aristoteles in libro Peri Ermenias congrua
bis verbis: Sunt ergo ea quae sunt in voce, earum quae sunt. Altre notizie
ancora, appartenenti alla seconda metà o alla fine del secolo X, possiamo
citarle soltanto come documento del perpetuarsi della tradizione scolastica;
tal è il caso, quando vien riferito che il vescovo \ ol¬ ia n g o a Ratisbona
in una disputa teologica trovò maniera di applicare le varie specie in cui può
esser diviso Yaccidens (a tal proposito c degno tuttavia di nota, che il metodo
dialettico viene denominato carnali^ antidotus), o quando vengono menzionati
gli studi di logica, di lAbbone da Orléans, che studia a Fleury e ivi
successivamente insegna, e del vescovo Bernward a Hil- in anima passionimi
nolae [cfr. BOEZIO, p. 216 e 297; Prima cditio, I 1 ed. Meiser, Pars Prior, p.
36; Secunda edilio, I, 1, ed. Meiser, Pars Posi.; PL, 64, 297 e 410], Omnis
nota aUcujus rei nota est. Prius ergo res est quam nota. Res ergo prius
ponderando est, quum nota».... Boetius tir eruditissimus in libro Peri Ermenias
se- cundae editionis [p. 450; VI, 13, ed. Meiser, Pars Post., p. 4a), Spira
pret.. Analitici e Topica, e a proposito di quest’ ultima, d’accordo con BOEZIO
(de diff. top.), riconosca che i due campi, dialettico e retorico, sono a contatto
uno con l’altro, per accennare da ultimo a Cicerone, rappresentante della
retorica vera e propria, in quanto questa non venga a ricadere nella sfera
dialettica 206 ). [§ 22. — Gerberto, figura ASSOLUTAMENTE INSIGNIFICANTE: a)
materiale degli studi di logica al tempo suo]. J "*) Il 1° Libro (ibid.,
p. 35) s'intitola: Primus libeUus de studiopoetae, qui et scholasticus, e dopo
aver trattato della poesia, fa seguire la filosofìa: Inde ubi maiorum tetigit
nos cura cibo- rum, Porphyrius claras nobis reseravit Athenas, Qua multi
indige¬ nte librabunt verba sophistae. Cernere erat quondam vidtu pallente
puellam. Pructica cui limbum pinxitque theorica peplum, Et licet effigiem
macularet parva (leggi: prava) vetustas, Ipsa tamen ternas suspendit ab ubere
natas (v. ibid. la tri- partizione della sfera teoretica). Praeslitit haec
nobis summi sub- sellia ledi. Et postquam strato licuit discumbere cocco.
Proceduta senae turba comitante SORORES (cioè dialettica, retorica, ritmica,
matematica, musica, astronomia). Ingenui vultus non absque grave- dine gestus
Adducit famulas praestanti corpore quinas (cioè le cinque parti che vengono
subito appresso) Omnia sub gemino clau- dens Dialectica puncto (il duplice
punto di vista è invenlio e io di¬ cium, v. la Sez. XII, ibid.). Prima quidem
(la Isagoge) miles generali nomine pollens Insignita tribus (cioè genus,
species, difjerentia) unum selegit amictum. Hanc vice continua sequitur gradiente
se- cunda (le Categorie). Tertia (la teoria del giudizio) discredi quid- quid
primaeva coegit, Dans operam sane cirros crispare secundae, Quos quartae
(sillogistica, cioè Analitici) solido collegit fibula nodo. Inslabilem fucum
lulit ultima (la Topica) quinque sororum Dodo quibus geminas decernens Graecia
jormas (cioè loci dialettici e retorici) Pinxit « quale » tribus, « quid sit »
reperendo duabus (cioè il Quale consiste in persona, tempus, circumstanliae —,
e invece il Quid in definitio e descriptio), Ut reboant nobis deliramentu
Platonis (questo non riesco a spiegarlo). Inde suam stipai comilem pressura
sodalem Rhetoricam du- plicis vestitam flore coloris, Quuc iaciens varias nervo
pulsante sagit- tas Monstrat hypothetici nobis spedaicula ludi. Et ioni cornuta
sur- gens ad sidera fronte Causarum rivos putido profudit ab ore. Sed postquam
illatas pepulit conclusilo lites Ipsaque gravigenas conipe- git pace sophistas.
Omnibus asseculum veniente porismate laetis Sub pedibus Eogicae recubabat nexa
coaevae, Commissura tibi reliquie rum munia, Tulli. A ciò fanno seguito la
ritmica e le altre disci¬ pline nominate più sopra. Anche del famoso Gerberto
(Papa Silvestro II) dobbiamo anzi affermare la stessa cosa, che cioè egli,
senza originalità, rimase assoluta- mente irretito nella tradizione scolastica:
purtuttavia c’è d’ uopo bitrattenerci sopra di lui alquanto più a lungo,
appunto perchè a lui e al suo comparire si riconnettono notizie preziosissime
riguardo ai limiti ristretti, entro i quali era contenuta in quell’epoca la
trattazione della logica). Ci racconta cioè anzitutto un contemporaneo di
Gerberto, come questi in gioventù fosse iniziato alla logica da un chierico
eminente (probabilmente Giselberto) a Reims, dove poi incominciò subito la sua
ope¬ rosità di maestro delle solite discipline scolastiche). Ma, come colui che
riferisce la notizia enumera a tal proposito distesamente e compiutamente anche
tutto m ) Per notizie sul conto di lui in generale, v. M. Buedincer, Gerbert’s
U’issenschaftliche und politische Stellung («Posizione scientifica e politica
di G. »), Cassel, e K. Werner, Gerbert !’• Aurillac, die Kirche und
Wissenscfiaft seiner Zeit (« G. da A., la Chiesa c la scienza del tempo suo»),
Vienna [2* ed.,J. a ®) Richeri Historiarum
(Pertz, :MGH, V, p. 617): luvenis igitur apud pupam relictus, ab eo regi
(cioè Ottoni) oblatus est. Qui (vale a dire Gerberto) de urte, sua
interrogatus, in mathesi se satis posse, logicae vero scientiam se addiscere
velie respondit.... Quo tempore G. Remensium archidiaconus in logica
clarissimus ha- bebalur. Qui etium a I.othario Francoricm rege eadem tempestate
Ottoni regi Italiae legatus directus est (un arcidiacono di Reims in quel
tempo, con il nome incominciante per G, sarebbe Giselberto, presente al
Concilio d’ingelhcim: v. Marlot, Metro- polis Remensis historia. Lilla; il
Buedincer e 1 Olleris; v. [per la precisa citaz. delPoperg;, ai quali si unisce
il Werner, pensano a Garamnus, menzionato [dal Mabillon] negli Acta Sanctorum
Ordinis S. Benedicti : Saec. [dove precisamente trovo ricordato il « Signum....
Geranni Archidiaconii »]. Cuius adventu iuvenis exhila- ralus, regem adiit,
atque ut G.... o committeretur obtinuit. E G.—o per aliquot tempora haesit,
Remosque ab eo deductus est. A quo etiam logicae scientiam accipiens, in brevi
admodum profecit, G....S vero cum mathesi operam daret, artis difficultate
iictus, a musica reiectus est. Gerbertus interea studiorum nobilitate praedicto
metro¬ politano commendatus, eius gratium prue omnibus promeruit. linde et ab
eo rogatus, discipidorum turmas artibus instruendas et adhi- buiI [PL il
repertorio di scritti di logica, di cui si serviva Gerberto nell’ insegnamento,
così veniamo in possesso di un do¬ cumento tanto importante quanto decisivo,
per provare che pur alla fine del secolo X restava ancora sempre sco¬ nosciuta
la traduzione, dovuta a Boezio, degli Analitici e della Topica di Aristotele:
perchè proprio di questi man¬ ca la menzione, mentre vengono citate in fila
tutte le altre traduzioni e i lavori originali di Boezio (v. la Sez. XII, note
72 s.); ed è altresi degno di nota che Gerberto facesse venire l’insegnamento
della retorica soltanto di seguito a quello della dialettica, come pure che il
cro¬ nista nel suo racconto assegnasse ancora la retorica alla logica, trovandosi
pertanto a considerarle da quel punto di vista, che abbiamo veduto proprio
d’Isidoro, Alcuiuo e Hrabano (note 27, 54 e 79 di questa Sezione) 209 ). Ma ci
viene riferito inoltre che Gerberto si occupava di de¬ lineare una figura,
nella quale fosse rappresentata in una Tabula logica la distribuzione di tutte
le cose; venne tuttavia su questo punto a contesa con Otrico, e con ciò va
messa in relazione una disputa filosofica che si svolse =l *l Ibill, (in
continuazione) L4-6-8J : Dialecticum ergo ordine librorum percurrens, dilucidis
senlentiarum verbis enodavit. In primis enim l’orphyrii ysagogas id est
introductiones secunduin Pictorini rhethoris trunslationem, inde etinm easdem
secunduin Mani inni explanavit, Cathegoriarum id est pruedieamenlorum librino
Aristotelis consequenter enucleans. Periermenius vero, id est de
interpretatione librimi, cuius luboris sit, aplissime monstravit. Inde edam
topica, id est argumentorum sedes, a Tullio de Graeco in Latinum translata et u
Manlio constile sex commenlariorum libris dilucidala, suis auditoribus
intimavi!. Necnon et quatuor de
topicis differentiis libros, de sillogismis cathegoricis duos, de ypotheticis
tres, diffinitionumque librum unum, divisionum aeque unum, utililer legil et
expressit. Post quorum laborem cum ad rhethoricam suos provehere velici, id
sibi suspectum erat, quoti sine locutiontim mo- dis, qui in poelis discendi
sunt, ad oratoriam arlem ante perveniri non queat. Poelas igitur adhibuit
quibus ussuefactos, locutioniun- que niodis composilos, ad rhethoricam
trunsduxit. Qua instructis sophistum adhibuit: apud quem in controversiis
exercerentur, ac sic ex urte agerent, ut praeter arlem agere viderentur, quod
oratoris maximum videtur. Sed
haec de logica. In mathesi vero. etc. [PL a Ravenna, al cospetto di Ottone II,
allora quin¬ dicenne 21 °). Un’ altra più minuziosa narrazione concernente
questo colloquio, ci fa chiaramente riconoscere, che sopra l’argomento i
contendenti sapevano semplicemente a memoria quel che aveva detto Boezio (nel
commento alla Isagoge), e su tal fondamento dibattevano la controversia, se
cioè il concetto di RAZIONALE sia più ristretto che quello di Mortale, o non
piuttosto, viceversa, si dimostri più ristretto quest’ ultimo Z11 ). Huconis
monachi Virdunensis, abballa Flaviniacensis, Chro- nicon (P'ertz, MGH) : Quo
tempore Otrieus apud Saxones insigni* habebatur.... Adalbero Romam cum Gerberto
petebat, et Ticini Augustum (cioè Ottonem) cum Ottico reperit, a quo.... duo
tus.... Ravennani, et quia anno superiore Otrieus Gerberti se vepre- hensorem
in quudam figura cum mulliplici diversarum rerum distri¬ buitone (presa da
Boezio, p. 25 (in l’orph. a Vict. transl.: ed. Brandt; PL) monstraverut, iussu
Augusti omnes pnlatii sapientes intra pululium colletti sunt, tirchie piscopus
quoque cum Adsone abbate Dervensi et scolastico- rum numerus non parvus; et
coeptu disputatone, cum iam pitene lotum diem consumpsissent. Augusti nulu
finis impositus est. È in¬ concepibile che il Werner, abbia potuto, con accento
di biasimo, rinfacciarmi di aver antccipato la data della disputa, riportandola
all'anno 870, perchè nella prima ediz. di questo vo¬ lume (pag. 54) si poteva
pur leggere chiaramente il numero 970; senza poi contare che non è lecno
ritenermi capace di far parte¬ cipare a un dibattito nell' 870, un uomo che io
stesso dò come morto nel 1003. "“) Richerj op. cit., e. 60 e 65, p. 620
s.: Otrieus.... a il: «Quo- niam pliilosophiae partes uliquol hreviter
uttigisti, ad plenum oportet ut et dividas, et divisionem enodes...... Tunc
quoque Gerbertus: 4 ....secundum Vitruvii (leggi Victorini ) atque Boctii
divisionem dicere non pigebit. Est enim philosophia genus; cuius species sunt.
predice, et theorelice: praclices vero species dico, dispensativam, di-
stribulivam, civilem. Sub theoretice vero non incongrue intelligun- lur,
phisica naturalis, mathematica intelligibilis, or theologia intvl- lectbilis. La
fonte è BOEZIO. Tunc ve- hementius Otrieus admirans I versa circa la
distinzione tra l’octu.s necessaria, l'actus non neces- sanus, il quale ultimo
ha origine a palesiate ovvero a subsistendo. e analmente la pura e semplice
potenzialità. Gerberto mette questa partizione in forma di tabella: ma in ciò
può ben ravvisarsi sol¬ tanto un modesto titolo di merito, poiché, ch’egli non
abbia nean¬ che un solo pensiero suo personale. Io dimostriamo, qui come ap- P
m?’/ IC ? 1 no\emotiva di Monaco (C.od. lui. 14272), contiene questa lettera.
tuisce l’oggetto di giocherelli sillogistici: dopo averla rap¬ presentata cioè
in modo assoluto come una disutilaccia, a Adalberone viene in mente di saggiare
logicamente la validità universale di questo giudizio riprovativo, e pro¬ cede
ora a una disquisizione in forma dialogica, per so¬ stenere che il giudizio è
singolare, che c’è un opposto contraddittorio del giudizio stesso, e via
dicendo: viene appresso l’invito a fornire a regola d’ arte la dimostra¬ zione
della inutilità di quell’animale 2S0 ) ; ciò si fa per¬ correndo nel dialogo,
in forma antitetica, l’intiero elenco dei giudizi ipotetici 233 ), e a ciò si
trovano anche fram-, hc riempie una pagina e mezzo in folio (fol. 182 tO. Pare
elle il titolo riferito più sopra sia stato semplicemente combinato dal Pez.
FUilco). Denique haec mula.... non esset universaliter, seri polius aut
particulariler aut indefinite, quae paene unum suiti, inu- tilis proponendo....
Igitur quae particulariter quoquo modo utilis est, omnimodis universaliter
inutilis non est. — A(dalbero). Si hanc iauliiem atque inhonestam indefinite
vituperarem, veruni a falso non diseernerem, nam huius mulae inutilitas, si
universaliter esset dedi¬ catila. particulariler esset abdicatila (cioè
sarebbero allora predi¬ cati nello stesso tempo concetti contraddittori). Sed
haec viluperatio ncque universaliter ncque particulariter est determinata....
igitur quia singularis est, neutrum horum est. — F. Singulare dedicativum nonne
suum hubet abdicativum?... Putasne, universale propositio universali,
purticularis particolari, indefinita indefinitae sicut siagli- lares contrudictorie
opponuntur? A. Piane opponuntur: si sub- stantia fuerit, erit praedicativa,
sive sit sive non sit. F. Putasne. si accidens? A. Eodem modo opponuntur, si
illud fuit inseparabile. F. Omne inseparabile contrudictorie opponitur? A. Non.
_F. Illud tanlummodo cui aliquid possit uccidere, et illud dicitur
substuntiale. Sed nunc ex arte, non de arte, nostris affirmalionibus cum luis
repugnantiis hanc mulani esse inulilem atque inhonestam onci nei profiteberis. Qui sono mescolate
insieme la teoria di Boe¬ zio (fin Ar. de interpr.. ed. seconda, II, 7 e III,
10: ed. Meiser, p. 117 ss. e 255 ss.; PL, e la terminologia di Alareiano
Capella (ibid.. nota 66). 31 ) A. Mula haec si claudicai, male ambulai; atqui
claudicai : igitur male ambulai. F. Mula haec si claudicai, mule ambulai:
utqiii non claudicai; igitur non male ambulai . A. Mula haec non. si claudicai,
male non ambulai; atqui claudicat: igitur male ambulai. F. Mula haec non. si
non male ambidat, claudicai : atqui non male ambulai; igitur non claudicat. A.
Si valida non est. debilis est; atqui valida non est; igitur debilis est, e via
dicendo. 106 mischiate enunciazioni di regole logiche) ma l’insieme, clf è preso tutto quanto da BOEZIO,
si chiude con l’accenno a lma causalità demoniaca della inutilità della mula,
una spiegazione, questa, che dovrebbe, a quel che sembra, sodisfare ambedue le
parti contendenti. Scolaro di Gerberto e pa- nmente Fulberto, vescovo di
Chartres (dove nel 990 aveva aperto una scuola, e vi resse la sede vescovile
dal 100/ [o 1006] sino alla morte,che godette di grande reputazione come
conoscitore della dialettica 234 ), sì che persino gli f u conferito il sopran¬
nome di Socrate dei Franchi). Ma, mentre assoluta- mente nulla di preciso ci è
noto, in ordine alla sua teoria F e' A ' et negalio semper est in pruediculis —
nota 119) adhibetur, vind/cat sibi vini contradictionis et modus in- 1 A Hon et
eodZTn em P °"" P, r “ cA ' c ""' s Sminati» subiectis. 4
7>liL f'i nominali appresso da Trite-
nuo, sono d. contenuto puramente teologico). erio iì““S . Ji Bereii- m’SLST
logica 23B ), dobbiamo in ogni caso tenerlo in gran conto quale maestro di
Berengario da Tours, sebbene sia lecito argomentare che da Fulberto le conoscenze
e l'abilità, relative alla dialettica, erano ancora tenute del tutto lon¬ tane
dal campo teologieo-dogmatico, poiché per quest’ul¬ timo riguardo egli esortava
i suoi scolari alla più rigo¬ rosa ortodossia 237 ). Ma possiamo, in generale,
scorgere un segno di più intensa operosità, relativamente alle condizioni di
quel¬ l’epoca, già nel fatto che di nuovo si procedeva ad ap¬ prestare compendi
o si elaborava con commenti conti¬ nuativi il materiale esistente a uso delle
scuole, poiché, quantunque in ciò non donimi ancora una energia crea¬ tiva
ùltimamente personale, purtuttavia si torna a ravvi¬ sare nella conservazione o
nell’ incremento del sapere logico il vero e proprio fine: l’attività si volge
cioè alla teoria come tale, sebbene senza originalità. [Anonimo rifacimento
metrico della Isa¬ goge e delle Categorie: colorito nominalistico]. Cosi un A
il o n i ni o Ila ri¬ fuso in esametri
la Isagoge e le Categorie), per impri¬ mersi nella memoria, con questo primo suo
lavoro, come dice egli stesso nella introduzione in prosa, indirizzata a un
certo Belinone, il contenuto di quei libri 239 ). Inco- 3, l La notizia, che
Fulberto abbia mandato la Isagoge allo « scholaslicus » di un chiostro (v.
Fui.berti Opera, ed. Villiers, Pa¬ rigi 1608, Ep. 79, fol. 76 b [PL: Ep.) è
priva d'im¬ portanza. I Adelmanno, loc. cit., p. 3 [§ 6-8): obtestans per
secreta ilio.... [colloquiai..., et obsecrans per lacrymas,... ut illue omni
studio properemus, viam regioni directim gradientes, sunctorum Patrum vestigiis
obsenantissime inhaerentes, ut nullum prorsus in diverti- culum. milioni in
novam et fallacem semitoni desiliamus etc. f PL. loc. cit. or ora, nella nota
2351. Il lavoro è riprodotto a stampa, di su un codice di St. Ger- main (n.
1095), dal Cousin, Ouvr. inéd. d’Abél., p. 657-669. ) Chi sia stato o dove sia
vissuto quel tal Bennone, non può mincia con il prendere da Boezio la divisione
(Sex. XII, nota 77) dell’ Organon aristotelico, e pensa a tal proposito che la
faccenda sia andata cosi: che cioè Aristotele abbia incominciato con lo
scrivere i primi Analitici, e poi, siccome questi erano riusciti incomprensibili,
abbia scritto appresso gli Analitici secondi, ai quali per lo stesso motivo ha
dovuto far seguito la Topica, come pure poscia il De interpr., e quindi ancora
le Categorie; ma non avendo voluto Aristotele scendere, per farsi capire, a un
livello ancor più basso, e avendo perciò passato sotto silenzio le quinque
voces, è intervenuta qui per for¬ tuna, a compier V opera, l’attività di
Porfirio. II contenuto della Isagoge viene poi spicciato molto somma¬ riamente
con la semplice indicazione della definizione delle quinque voces 241 ), e indi
fanno seguito le Catego- ricavarsi dalla introduzione, che si tiene affatto
sulle generali. Del no stesso lavoro dice ivi l'Autore: Quoniam complurium mci
ordinis scholusticorum, praesul venerande, oblatus tibi litteras omni gradarum
idacritate saepius te audio suscepisse,... tuue con- fisus.... pietati uliqua
et ego offerre litterarum jocularia praesumo tliae maiestati. Feri animus, Dei
aspirante grada, quum puueissimis oratione metrica absolvere, quod Porphyrii
Isagoge et Aristotelis Calegoriae videntur in se continere. Quod batic ob
causam maxime decreta agere, ut, quae illi latius difjudere, breviter collecta
per me tenaci diligentius crederem memoriae. Nomina quoque grueca quae- doni
interposui, ubi lege metri constrictus latina non potili.... Id mihi ne duculur
litio, primum abs te, pater piissime, cui hoc litterarum munere ingenii mei
primitias immolo, deinde ab omnibus veniam /tostalo. ) lbid„ p. 658: Doctor
Aristoliles, cui nomen ipsa dedit res, Ingenio pollens miro praecelluit omnes. Hic, natis post se diulectica ne
latuisset, Primos componens Analilicos studiose. De syllogismis ratio perpenditur
in quis, Credidit ut sapiens hos planos omnibus esse. Sed cum nullus eis
intellectu capiendis Sufficeret, rursus tentai prof erre secundos : Quos ncque
posse capi cum sensit. Topica scripsit ; Hinc Perihermenias, postremo
Cathegorias : Post quas finitas. descen¬ dere noluit infra. Hic genus ac
speciem, proprium, distantia, striti- gens, Simbebicos edam quid sint omnino
tacebat. Porphyrius tan¬ dem cernens, nisi cognita quinque Haec sint, bis
quinus nesciri ca¬ thegorias, Cuique smini finem signavit convenientem. (Cfr. anche Bokzio, p. 113 rio Ar. prued.. I; PL, 64,
160 s.] ; Sez. XII, nota 841. t Jbid. Dopo la definizione delle cinque voces,
si legge: Ni nimis est longutn. communio dicier horuni (vale a dire ciò di cui
rie. Dice espressamente l’autore, a proposito di queste, sin dal principio, che
si tratta lì non già delle cose per se stesse, ma soltanto delle voces
signativae delle cose 242 1, si che troviamo qui una ripetizione di quel punto
di vista nominalistico, considerato più sopra (note 149 ss. e 159); ma hi ciò
consiste anche tutto quel che di più importante dobbiamo rilevare in questo
compendio; poi¬ ché nel rimanente esso si tiene cosi strettamente attaccato
allo scritto pseudo-agostiniano intorno alle categorie (Sez. Xll, note 43-50),
che di l'atto lo si può denominare, in una parola, una versificazione dello
scritto stesso; tut- fai più si può osservare inoltre, che i numerosi termini
greci, i quali vi figurano barbaramente trascritti, deri¬ vano ugualmente da
quella medesima fonte, dove pure si trovano abbastanza spesso intercalati,
restando con ciò molto semplicemente eliminata ogni ipotesi che even¬ tualmente
sorgesse, relativamente a studi che fin d’al- lora si facessero sopra
l’originale greco 243 ). appreso viene a trattare Porfirio: v. la Sez. XI, note
49 ss.), Non nos barrerei : sed malumus ergo lucere. Ne generelur in his libi
nausea discutiendis. :l: ) lbid., p. 658 s. : Post haec, bis quinus pandamus
cuthegorias. In quis rir doclus
non ex ipsis quasi rebus, Sed signativis de rerum vocibus orans. SuiniI ab omonymis tractandi synonymisque Prin-
cipium eie. ***) Poiché tutto questo scrino è semplicemente una ripetizione
metrica di quello del Pseudo-Agostino, appare superfluo fare cita¬ zioni
particolari. Ma per quel che riguarda i termini greci, spiegati per lo più in
latino con glosse interlineari, può ricordarsi: usya, sim- bebicos e
simbebicota, enarithnui (àvdpiitpa : Sez. XII, nota 43), epi- phania (a
proposito della quantità) T6601, poi, a proposito delia re¬ lazione, Pesametro
1662): Thesin, diuthesin, episthemin, estesili, exin (cioè èiuaxrjprjv,
aloDijoiv, IJ'.v e similmente [ il). | Dicilum ornile quod est, rei eneria
dinamite (cioè évspysJa e Suvàpzi), come pure, a proposito della qualità 16631:
Exis, diathesis, phisices di¬ ttamis poelesque (rcoiÓTrjg Passibilis, potius
seu pathos, scemala morphue (axtipaTa popcff,c), nella Sezione che tratta degli
opposti 1667 \habitus sleresisque atépr,oi;, e, a proposito del postpraedi-
camentum del moto [668-9] : Auxesis, megesis, genesis, florus, aliu- sis. Et
Itala ton joras, metabeles associato (cioè aB(;l}Olg, |ia£o)atg, YÉvEatg,
àXÀoùasig, xatà xòv tónov, pexagoXtJ). no
[§26. — Intensa attività della Scuola di S. Gallo. Notker Labeo: a) un
Tractatus insignificante ].Ma principalmente a S. Gallo noi troviamo, intorno a
quell’epoca, una più estesa rielaborazione del materiale logico in uso nelle
scuole, e per tale riguardo spetta in ogni caso al famoso NotkerLabeo il merito
di aver dato P impulso e diretto la esecuzione, sebbene non tutt’ i lavori dei
quali qui si tratta, sieno venuti fuori proprio dalle sue mani 24 *). Non c’è
dubbio che qui pure il fondamento è dato solamente dal materiale tradizionale,
e non c’ è da aspettarsi propriamente novità 245 ): ma questo materiale
tradizionalmente tra¬ smesso è in parte trattato tuttavia in maniera più
libera, mostrandosi in ogni caso un interesse, che si volge con abbandono all’
oggetto della trattazione per se medesimo. J4 *) Mentre cioè J. Gbimm («Gott.
Gel. Anz. », 1835, N. 921 è (li opinionr che Notker sia l'autore unico di tutti
quegli scritti, e a questa opinione aderisce incondizionatamente anche H.
Hattemer iDenkmiiler des Mitteltdters « Monumenti del M. Evo », III [S. Gallo,
p. 3 ss.), ci sembra invece più giusto, tenuto conto della diversità intrinseca
di quei lavori, ammettere con W. Wacker- NACEL I Orse il ichte dir deulschen
Lilteralur «Storia della letteratura tedesca », p. 80 s. 12* ed., Basilea 18791
: v. di lui anche la orazione accademica sopra le benemerenze degli Svizzeri verso
la lettera¬ tura tedesca, Basilea 1833) che le opere recanti il nome di Notker
sieno state composte da vari autori, semplicemente sotto la dire¬ zione di lui:
rfr. inoltre appresso la nota 262. FI1 Franti non cita Die Schriften Natkers
und seiner Scinde (« (ili scritti di Notker e della sua scuola») editi da P.
Piper, Voi. I (Scritti di argomento filosofico). Frihurgo-Tubinga, 1882], ' 45
l Cose straordinarie si posson leggere invero nella Geschiehte Din St. Gallai
(«Storia di S. Gallo») di Ild. v. Arx. Nella Dialettica, ch’essi dividevano in
Logica, Peripatetica, Stoica e Sofica [sic/l, furono loro maestri Aristotele,
Platone, Porfirio e BOEZIO: eran loro ben note le dieci categorie e le
Periemerie del primo tra essi, le cinque Isagogi di Porfirio e il metodo
d’insegnamento di Socrate. Ma nientr’ è facile scorgere subito che tutta questa
notizia può fondarsi solamente sopra la più crassa ignoranza dell'autore, si
dovrebbe supporre tuttavia ch’esso abbia ricavato da mi qualche manoscritto la
informazione che dà, relativamente alla partizione della dialettica; tuttavia
anche su questo punto sono -tato messo tranquillo dal mio amico e collega
Hofmann, il (piale, in occasione di sue ricerche personali, fece a S. Gallo Tra
questi scritti il più insignificante è un « Tractatus inter magistrum et
discipulum de artìbus »: l’autore in¬ fatti si è limitato qui a riassumere il
Compendio di Al¬ enino (v. sopra le note 48 ss.), conservandone la forma
dialogica, e ha inoltre utilizzato in compendio anche BOEZIO, ma epiest ultimo
soltanto da principio, cioè a proposito della Isagoge e della categoria della
quantità 24 °). [§ b) rifacimento delle Categorie]. — Invece un più diligente
studio delle opere di BOEZIO e una rielaborazione alquanto più libera del
materiale che vi si trova, sono manifesti in altri due scritti, notoriamente di
som¬ ma importanza anche per la storia della lingua tedesca, cioè nel
rifacimento delle KaTTjyopi'at, e nel rifacimento del libro IlepUppTjvelas 247
). Il primo di questi scritti si attiene in complesso rigorosamente, quanto al
testo, alla anche nel mio interesse una verifica relativamente alle opere di
logica, ma non potè trovare assolutamente nient’altro, all’ infuori da quali
t’è stato di già pubblicato, o per lo meno accennato dal (iraff. dal
Wackernagel e dallo Hattemer; v. anche appresso nota 271. ’ / bsisle
manoscritto alla Biblioteca Governativa di Monaco (Coti. lat..), di dove lo
Hattemer ( Denkm. d. Mitlelalt.. [già Cil.l, III, p. 532 ss.) trasse per
pubblicarle le sole intestazioni dei capitoli. La partizione della filosofia e
della logica è quasi letteral¬ mente presa da Alcuino, ma dove si tratta delle
quinque voces, la ' numerazione delle diverse loro sottospecie e gli esempi
illustrativi -ono ricavali da Boezio; la Sezione che tratta delle categorie è
da principio un riassunto da Alcuino, con omissione degli homony- ni"
ecc.; e dopo che di nuovo è stato utilizzato Boezio, solamente riguardo alla
categoria della quantità, si viene in seguito a parlari- delie rimanenti
categorie, attingendo parola per parola ad Alenino, ma soltanto fino alla
categoria dell’/iufiere: e da quell" unica pro¬ posizione esemplificativa
(v. qui sopra la nota 57) si passa subito, con la intestazione Quid su,il
formulile syllogismorum, alle notizie !" -Alcuino intorno all
argomentazione, le quali sono altrettanto '"eraunente riassunte, quanto le
seguenti che riguardano Biffi niil( *\ topica e Periermertine. .. 1 F ;^ P 7 Ìo
24S ). ma frammezzo al testo, periodo traduzione di Boezio t n te per periodo,
vi è intrecciata una spiegazione, contendi, S ua volta la parte più importante
del commento dello «Z Boezio, e a BOEZIO una volta Fautore espressa- niente si
richiama: molto spesso la dimostrazione queste spiegazioni viene articolata ne
suoi e 1 maniera perspicua, mediante cenni sommari del conte unto o altre
intestazioni, anzi anche con la indicazione Propositi io, Asmmptio, Conclusi
o«): e gh esempi espli¬ cativi sono in alcuni luoghi personalmente escogitati
da Notker; si può osservare ancora che Fautore, con ma¬ nifesta predilezione
per la geometria, s indugia piu a lungo e con maggiore originalità su quei
passi, che con- tengono un accenno a tale disciplina • re) rifacimento del De
mlerpretalione). - Il rif"'" menlo del II.pt nlliene «—« 1»"- •
a 1 ™r«n «tesso della storia della logica, lo ho pre- alcun influsso nel torso,
- zwe i altesten Compendien srwfttiSX* gj d r p,l l8™“,b ‘ di logica in
tedesco»), Monaco,, ^ aria ’ zion ;. ta,l V olta sono ab- brevT.zSi od Soni ^ -
— * — dere, e via dicendo. a pedo mule [el disposino ist PÌP -; €o S t 4 p. lC
eTaT4 a n9 le s Quesfulti.na terminologia è presa da Hoizio. de syll. hyp.\ v.
la nota a • intu itiva «) A questa maniera non soltanto lp. WZ ss. « u5
mediante disegni "jò^l'^niTesaurita la trattazione della *- „ .... diseano
diverso che in Roezio. to al testo, parola per parola alla traduzione di BOEZIO,
e i commenti che si trovano alla stessa maniera intrec¬ ciati anche qui, si
fondano parimente sopra il commento di Boezio, del quale l’autore, come accenna
egli stesso, ha utilizzato ambedue l’edizioni ***). Ma ha importanza la
introduzione, eh’ è premessa all’ insieme, in quanto che novamente c’
imbattiamo qui pure nel punto di vista nominalistico, che ravvisa nel
significato delle parole l'oggetto delle Categorie; ivi inoltre, notizie, ed
espres¬ sioni tecniche, tratte da Marciano Capella, vengono intrecciate in
maniera caratteristica con quelle osservazioni die riguardano l’ordine ili
successione dei libri dell’ Organon, e che sono ricavate da BOEZIO: e appunto
rispetto a queste ultime notizie, ci è consentito ancora di ricavare dagl’
ingenui equivoci dell’autore la conchiusione sicura eh’ egli conosceva gli
Analitici e la Topica di Aristotele, proprio soltanto per sentito dire, da quel
passo di BOEZIO, Hattemer, p. 474 a [ ed. Piper, p. 511: rifacimento del De
interpr., Lili. I, 111: Est hoc \tractare 1 nlterius negotii. Taz isl anders
uuur zelerenne, samoso er chade, lis mine metaphisicu (v. BOEZIO, p. 230 [ in
de interpr., Prima editio: ediz. Meiser, I, 5, p. 74; PL, 64, 3151), dar lero
ili tih iz. Ahere boetius saget iz fure in, in secunda editione etc. (cioè
Boezio, p. 326 I ih., Seeunda edi¬ tio: ediz. Meiser, II, 5, p. 101; PL. [Est
hoc alterius nego- lii. Ciò dev’essere insegnato in altro luogo; così disse
egli: «leggi la mia Metafisica; li te lo insegno». Ma BOEZIO lo dice
apertamente in secunda editione ete. (Della traduzione, di questo, come dei
segg. passi di N. L., debbo esser grato alla dottrina, tanto cortese quanto
sicura, del rh.mo collega BATTISTI (si veda). Neanche mancano qui quelle
figure, con le quali BOEZIO rende intuitiva la teorica del giudizio, e anzi per
esse l’autore rinunzia a servirsi del tedesco. “’) ìhid.. p. 465: Aristotiles
sreib cathegorias, chunl zcluenne, uutiz einluzziu uuori pezeichenen (cfr. più
sopra le. note 149 ss., 159 c 242, e subito appresso la nota 256); nu lutile er
samo chunt ketuon in periermeniis, uuaz zesumine gelogitiu bezeichenen, an dien
veruni linde falsum fernomen uuirdet; tiu latine heizent proloquia; an dien
aher neuueder uernomen neuuirdet, tilt eloquio heizent (la fonte di questa
terminologia, vedila in Marciano Capella, Sez. XII, nota 51, e in Agostino,
ibid., nota 33); tero uersuiget er an disamo buoclie. I nandù ouh proloquia
geskeiden sint, unde einiu heizent 8. il «De parlibue loicae»; nominalismo]. Un
altro scrittarello, intitolato « D e partibus loicae»™) si presenta come una
compilazione compendiosa per uso delle scuole, essendovi anzitutto enumerate le
sei parti* della logica, compresa la prima, che fu aggiunta da Porfi¬ rio alle
cinque aristoteliche) : alla enumerazione fa poi Simplicio, dar eia uerbum ist,
ut homo uiuit, andenu duplicia, dar zuei ucrba sint, ut homo si uiuit spirat,
so leret er hier simplicia, in topicis leret er duplicia. Fone simplicibus
uuerdent predicatoli syllogismi, jone duplicibus uuerdent conditionules
syllogismi (la fonte di questa distinzione, in BOEZIO: A ah periermeniis sol
man lesen prima analitica, tur er beidero syllogi- smorum kemeina regida
syllogislicam heizet: taranah sol man leseti secunda analitica, lar er sull
Arrigo leret predicutinos syllo- gismos, tie er heizet upodiclicam (anche chi
avesse dato appena una occhiata superficiale agli Analitici stessi, non si potrebb
espri¬ mere a questa maniera); zc iungisl sol man lesen topica, un diener oidi
sunderigo leret conditionales, tie er heizet dialecticam. Jiu purtes heizenl
samenl logica. Nu uernim uuio er dih ielle zuo dien proloquiis (anche nel
commento stesso, accanto alla terminologia di BOEZIO, vediamo sovente figurare
proloquium). [Aristotele scrive le Categorie, per indicare che cosa
significhino le parole isolate. Invece nelle Periermeniae egli stesso
dichiarerà quello che signifi¬ cano le combinazioni di parole, con cui viene
enunciato il verum e il falsimi, e che in latino soli dette proloquia ; se
invece non viene enunciata nessuna delle due cose, «on dette eloquio. Ala su
ciò egli tace in questo libro. Inoltre anche nei proloquia si può fare una
distinzione, e taluni, p. es. « homo viviti, in cui c è un verbo solo, vengon
detti « simplicia », altri, in cui ci sono due verbi, p. es. « homo si vivit
spirat», vengon detti « duplicia». Dei simplicia egli ragiona qui, dei duplicia
nei Topica. Dai proloquia semplici si fanno i predicativi syllogismi. dai
duplici i conditiona- les syllogismi. Dopo le Periermeniae, si leggeranno i
primi Anali¬ tici, dove si chiama sillogistica la regola comune agli uni e agli
altri sillogismi; dopo di che si leggeranno i secondi Analitici, dov’egli
insegna separatamente i sillogismi predicativi, la cui regola chiama
apodittica; per ultimo si leggeranno i Topica, dove insegna sepa¬ ratamente i
sillogismi condizionali, la cui regola egli chiama dia¬ lettica. Queste parti
complessivamente portano il nome di logica. Ed ora apprendi coni’ egli ti guida
ai proloquia (ed. Piper, p. 499, op. ull. cit., « Praefatiuncula »)]. 251 )
Edito, di su un manoscritto zurighese, dal XX ackernacel negli Altdeiilsche
Bliitter (« Fogli Altotedeschi ») di FIaupt e Hoffmann, II, p. 133 ss., e dallo
Hattemer, op. cit., p. 537-540. *“) Hattemer, p. 537: Quot sunt partes logicue?
Quinque secun- dum Aristolelem, sextum partem addidit aristotelicus Porphirius;
quae sunt: isagoge, calhegoriae, periermeniae, prima analitica, se¬ cunda
analitica, topica. seguito una più o meno lunga indicazione del contenuto delle
parti stesse. Dopo che cioè della Isagoge sono state citate soltanto, nella
traduzione di Boezio, le definizioni delle quinque voces, viene brevemente
illustrata mia sola delle categorie, la sostanza, senza che sieno neanche no¬
minate le altre nove, ma in tale occasione viene enun¬ ciata 2o6 ) la
concezione nominalistica, ancor più netta¬ mente di quel che s’è veduto or ora,
alla nota 253; segue poi, riguardo ai giudizi, la semplice enumerazione delle
quattro specie (universale affermativo, universale nega¬ tivo, particolare
affermativo, particolare negativo), tratta da Marciano Capella e con la
terminologia di lui 2r ‘ 7 ). Ma ciò che viene detto poi intorno agli Analitici
primi e secondi, ha ugualmente per fondamento quello stesso passo di Boezio,
dove questi espone 1’ ordine delle parti dell’ Organon, e certo neanche qui è
fatto uso della tra¬ duzione da lui curata degli Analitici 23S ). Infine si
tratta minutamente della Topica, e anzi in piena conformità con Isidoro (v.
sopra la nota 39), aggiungendo qui 1* au¬ tore proverbi tedeschi come esempi
dei singoli loci 259 ). fe) scritto De syllogismis, e sua importanza ]. Ma il
più importante fra tutti questi scritti, provenuti da : “ 8 ) Ibid., p. 538 a:
Quid tractutiir in cathegoriis? Prima rerum significano et quid singulae
dictiones significent, utrum substantiam an accidens etc. sn )Ibid.: Quid
narratile in periermeniis ? Quid consideratile in primis analiticis?
SILLOGISTICA quae est communis regula omnium sillogismorum, necessariorum et
probabilium, cathegoricorum et ippolhelicorum, item praedicativo- rum et
condilionalium (raddoppiamento insulso, risultante daH’aver tirato dentro la
terminologia di Marciano Capella. Quid traclatur in secundis analiticis?
Apodictica id est demonslraliva quae demonstral veritatem, id est necessarios
siilo- gismos. w ) È parimente copiato da Isidoro (nota 27) quanto lo Hattemer
(ibid., p. 530 s.) riporta, da un altro luogo dello stesso manoscritto, intorno
alla differenza tra dialettica e retorica. S. Gallo, è la monografia De
syllogismis 2G0 ) ; poiché, sebbene si fondi parimente ancli’essa sopra una
compilazione di materiale svariato, il suo autore, con un maggior corredo di
letture, mette mano qui anche sopra cose, per cui non bastava una conoscenza
puramente superficiale dei compendi scolastici d’Isidoro o di Alcuino; inoltre
egli conserva una notevole indipendenza, in quanto che mostra la tendenza verso
una interna, uni¬ taria finalità della logica: con la esposizione di tale fina¬
lità si chiude la monografia. Prima viene enunciata ) la definizione del SILLOGISMO,
presa da Marciano Capella, con l’aggiunta di alcune parole della Retorica d
Isidoro, — e qui già un considerevole numero di esempi in tedesco serve a chia¬
rire la trattazione: poscia 1 autore, facendo uso di una terminologia mista,
presa sia da Marciano sia da Boe¬ zio, adduce la divisione dei sillogismi in
categorici e ipotetici 2 ' 12 ); presenta quindi, attingendo a Marciano (Sez.
XII, note 63 e 67), le parti costitutive del sillo¬ gismo categorico e del
giudizio categorico), per far poi seguire a ciò la esposizione integrale dei
diciannove modi del sillogismo, la quale è tratta da Apuleio (Sez. X, 1
Integralmente riprodotto a stampa nello IIattf.mer; in forma di estratti, nel
Deutsches Lesebuch [« Anto¬ logia tedesca»] di Gucl. Wackfrnacel, I, p. Ili ss.
) C. 1, ibid., p. 541 a: Quid sii syllogismus. Syllogismus graece, lutine
dicitur ratiocinatio.... quuedam indissolubilis oralio .... quae~ dam orutionis
catena et inficia ratio. Et ex iis videntur quidam esse qui latine dicuntur
praedicativi, alii autem qui dicuntur conditionales.... (p. >12 b) Constai
autem omnis syllogismus proloquiis i. e. propo- silionibus. Dalle parole che vengono appresso — proloquia dicumus
cruezeda, similiter proposiliones cruezeda [ incroci, combinazioni di voci CI,
itera proposiliones pietunga O Bietungen », offerte, trad. lett. di
proposiliones 3, alii diami pemeinunga [« Bemeinungen », enun¬ ciazioni)
risulta altresì che in ogni caso erano in parecchi a occuparsi di simili
rifacimenti della logica Od. Piper: r r hti minori, attinenti a Boezio, lì :
«/le Syllogismis », 1], Cioè sumpta, illatio, subiectivum, declaralivum.n-ote
18 ss.), e chiarita con esempi tedeschi, che son opera dello stesso compilatore
2M ). Si passa quindi ai sillogismi ipotetici, e anzi per prima cosa viene
presentato, alquanto liberamente elaborato e con intercalati termini di Boezio,
quel che su tale argo¬ mento si ritrova in Marciano: solamente appresso trova
posto la indicazione compiuta dei sette modi sillogistici enumerati da Cicerone
(Sez. Vili, nota 60), e illustrati qui con una minuta spiegazione, che l’autore
trae dal commento di BOEZIO alla Topica di CICERONE, e correda parimente di
esempi in tedesco 20 °). Ma ora c’ era pur iuoltre in Isidoro un syllogismus
rhelo- rum (v. sopra la nota 43), e in connessione con quanto da lui era stato
detto, viene colta qui la occasione di passar a considerare più minutamente la
teoria retorica, il¬ lustrandosi, con esplicito rinvio a CICERONE (de Inventione,
v. la Sez. Vili, nota 59), l’argomentazione retorica, e facendosi uso perciò di
un esempio che si trova in Cicerone stesso 2B7 ). Ma subito 1’ autore s’in¬
dustria di ricondurre al sillogismo categorico tale specie di sillogismo, in
quanto che questo è adeguato all’ esi¬ genze formali della riprova della
verità, — accennando di nuovo sulle orme di Boezio agli elementi semplici dei
sillogismi in generale 2B8 ), e a ciò unendo spiegazioni re- C. 3-8, p. 543-47.
) C. 9—12, p. 548 s. L’espressioni usate «la Marciano vengono qui intese come
specifica terminologia, cioè: pro/Htsitio, assumptio, conclusio. **) C. 13, p.
55(4—553. Qui LA FONTE è BOEZIO, ad CICERONE Top., V, p. 831 [PL, 64, 1142] ss.
I C. 14, p. 553 a:
Transeunt vero syllogismi et nd rlietores iam latiores et diffusiores factì....
Ilorum esempla sunt upud Ciceronem in
libri* Rhetoricorum. L’esempio ciceroniano del governo del- I universo (de
Invcntione, I, 34, 59), elle del resto figura anche in BOEZIO, de cons. phil.,
I, p. 958 [PL,, viene poi svolto parimente in tedesco. l Ibid., p. 554 a:
Praedicntivus est ille syllogismus nut condi lative al giudizio 269 ). E dopo
che a ciò hanno fatto se¬ guito disquisizioni etimologiche sopra alcuni
concetti, affini per significato al syllogismus — disquisizioni che sono tratte
o direttamente da Isidoro, o dal così detto Glossario di Salomone (v. sopra la
nota 185), e in parte anche da BOEZIO 27 °) — vien approfondita, in base alla
Topica ciceroniana, la differenza tra dialettica e apodit¬ tica 2T1 ) ; tale
differenza coincide con quella tra sillogismi ipotetici e categorici, ma
proprio per questo, nel fine unico della scoperta del vero, si risolve in ima
superiore unità, poiché con il magistero del ragionare si apprende ogni verità
umana, mentre il divino trascendente s’in¬ tende senza tale arte 272 ).
tionulis?.... Piane ergo praedicativus est.... nam et omnes purtes
syllogismorum, sire propositio sive approbalio sive sumptum sive illatio sive
conclusio sive ut alii dìcunt complexio (v. la Sez. Vili, nota 59) aut
confectio, communi nomine enuntialio vocantur (v. ibid. la nota 45). La fonte
di questa riduzione alla proposizione semplice è Boezio, ad Cic. Top., V, p.
823 [PL, 64, 1129]: cfr. anche la Sez. XII, note 131 e 140. "’) lbid.: Est
autem enuntialio oratio verum aut falsum signi- ficans.... huius species sunl
affirmatio et negatio (Sez. XII, nota 111): successivamente si vien a trattare,
in lingua tedesca, di assumptio, illatio, conclusio. OT ) C. 15, p. 555 a: Cioè
sopra ratiocinari, disputare, iudicare, experimentum ; e inoltre: argumentum
dicitur, ut BOEZIO (ad CICERONE Top., I, p. 763 [PL, 64, 1048]) placet, quod
rem arguii i. e. probat. '”) C. 16, p. 556 a: Quuerendum autem magnopere est,
quare CICERONE dialecticam in ypolhelicis tantum conslituerit syllogismis....
Est enim medius inter Arislolelem et Stoicos (forse che quella tale notizia,
accennata più sopra, nota 245, I. v. Arx l’ha attinta di qua?).... Proplerea
Boetius Arislolilem in thopicis dialecticam et in secundis analiticis
apodicticam docuisse testalur, cioè il complesso è preso da BOEZIO, ad Cic.
Top., I, p. 760 LPL, 64, 1045] g., dove si trova uno svolgimento ulteriore del
punto di vista ricordato. De potentia disputandi, i. e. Fone dero muhte des
uuissprachonis. Si ergo satis intellectum est, omnem apodicticam constare in
decem et novem modis syllogismorum et dialecticam in septem modis
syllogismorum, non sit dubitandum, totam earum utilitatem esse in invenienda
veritate. Ube niunzen sloz apodicticae unde sibeitiii dialccticae muda gelirnet
sin, so uuizin man dormite, duz sie nuzze sint, alla uuarheit mit in
zeeruarenne [Quando si sono bene appresi i 19 sillogismi apodittici e i 7
dialettici, con ciò Così l’autore, la cui concezione già con questo ci
rammenta, in maniera tanto chiara quanto consolante, 10 Scoto Eriugena (note
111-120), può, per la sfera della umana aspirazione alla verità nel mondo di
qua, enun¬ ciare una definizione unitaria della logica, nella quale ha la
propria essenza la dialettica «ovvero» apodittica: e quel ch’egli trovava detto
già da Boezio (Sez. XII, nota 76), prende da lui mia espressione più precisa ed
energica, là dove dice, analogamente allo Scoto, che la logica è la scienza del
giudicare o disputare 273 ) : perchè 11 potere della forma, che si manifesta
nei sillogismi di qualunque specie, è per lui quel che decide, è il termi¬ ne,
nel quale vengono a confluire tutte le differenze che si manifestano entro la
sfera della logica 274 ); la reto- stesso apprendiamo che essi giovano a
riconoscere ogni sorta di veritàl. Omnia enim his Constant, quae in humanam cadunt ratio-
nem. Al daz menniskin irratin mugin, taz
uuirdit hinnan guuissot [Quanto gli uomini arrivano a intendere, tutto viene
saputo con questo mezzo]. Divina excedunt humanam rationem, intcllectu enim
capiunlur. Tiu gotelichin ding uuerdent keistlicho uernomen ane disa meistrrskaft
ILe cose divine vengono apprese con l’intelletto, senza questa maestria (nel
ragionare) (ed. Piper. Quid sit dialectica vel apodictica. Ergo diffinienda est
dialectica sire apodictica, possunt enim unam et eandem suscipere diffinitionem
in hunc modum.. Dialectica est sive apodictica iudicandi peritia vel ut olii
dicunt disputandi scientia (proprio questo già si trova anche nello Scoto, v.
sopra la nota 112). Meisterskafl chiesennes linde rachonnis, taz ist
dialectica, taz ist ouh apodictica [La maestria nel giudicare e nel disputare,
è la dialettica o l'apodittica (ed. Piper, ed. Piper, ibid.] : l'rius diximus. quia ratio est
quae ostendit rem. Reda skeinit uuaz iz ist. Pi dero redo sol man chiesen. ube iz uusen
nuige.... Taranah mag er [Il discorso dimo¬ stra
quel che una cosa è; con questo discorso si ricercherà se una cossa possa
sussistere. In seguito egli potrà] rachon i. disputare, ioh [e anche]
uuarrachon. i. ratiocinari.... Ter uuarrachot. ter mit redo sterchit. linde ze
uuare bringel. taz er chosot. Reda errihtet unsih allis tes man stritet. Ter
dia chan uinden. (p. 621) der ist [Ragiona colui che con il suo discorso
rafforza e dimostra quanto ha ricer¬ cato.... Il discorso c’istruisce in tutto
ciò su cui si viene a contesa. Chi può trovare questo, è un] index, ter ist
raliocinator. ter ist disputator. Ter ist argumentator. ter ist dialecticus.
der ist apodicti- cus et sillogisticus. rica invece, la quale serve soltanto
alla verisimigliauza ma non già alla verità, è perciò situata su di un altro
campo, mentre quel che c’è di comune e di più vera¬ mente omnicomprensivo è la
espressione verbale (ver- bum), nella quale deve spaziare così il sermo
filosofico come anche la diclio retorica. Ma proprio per que¬ sta ragione il
punto di vista che è per l’autore assoluta- mente ovvio e naturale, è quel
punto di vista nominali¬ stico, che abbiamo trovato nello Scoto, poiché la
diffe¬ renza tra vero e falso, cioè l’oggetto di ogni atto giudi¬ cativo o di
ogni disputa nella sfera della logica, può manifestarsi solamente nella forma
di giudizi umani, e anche i praedicamenta non sono appunto nient’altro che
enunciazioni 276 ). Comunque, è una cosa che ci fa veramente piacere, esserci
qui imbattuti in un autore, che sa quel che si vuole, e per noi questo scritto
è infinitamente superiore ai giocherelli pedanteschi e senza costrutto di un
Ger- berto o di un Anseimo; è anche ben difficile imaginare che si sarebbe
venuti a presentar le « prove della esi- ) C. 19, p. 558 b [ed. Piper]: Nec
panini hoc alten- dendum est. quantum intellectu quaedam distata, quae simili
modo solent interpretati, ut sunti verbum, sermo, dictio.... Qiuie si unum
significatela, nequaquam sermo daretur philosophis, dictio vero rhe- toribus;
ut auctores docenl (cioè Isidoro: v. sopra la nota 27); nani et Aristotiles
dialecticum, quae interprelatur de dictione, ad rhetores traxil et voluit eam
esse in argumentìs rhetoricis, i. probabilibus, quae ille iudicavit esse (nel
manoscritto: rum esse) discernenda a necessariis argumentìs, de quibus fiunt
ypothetici syllogismi et tota dialecticu, ut Cicero docuit (v. Boezio, cit.
nella prered. nota 271).... Dignior est namque sermo et gravior, ut sapientes decet,
dictio humilior est et plus communis data rheloribus. Verbutn autem om¬ nium
est. ■ ''> IbidEt in interpretando proprie sermo (cfr. la nota 321[?]) saga
diritur. sic et enuntinlio, quae similiter philosophis tradita est. et
disputantibus necessaria est. quia inest ei semper veruni aut fcdsum.... Praedicare autem est, inquit Doetius To non forse
124? ad Ar. pracd., I; PL, 64, 1761), aliquid de aliquo dicere, i. eteuuaz
sagen fone etcuuiu. linde et praedicnmenlum dicitur et praedicatio, einis
tingis kesprocheni fone demo undermo [Tesser una rosa detta di un’altra cosa].
stenza di Dio », se in generale si fosse conservata quel¬ l’avvedutezza, di
esercitare cioè belisi in tutte le dire¬ zioni la maestria deH’argoinentare,
iiell’ànibito della realtà da noi percettibile, ma di lasciare invece al pio
sentimento dei credenti la rivelazione del Divino nella sua immediatezza. Del
resto, dobbiamo pure qui far ugualmente rile¬ vare che l’autore di questa
monografia non può aver conosciuto la traduzione degl’analitici curata da
BOEZIO, perchè altrimenti, se gli fosse stata accessibile la sillogistica
stessa di Aristotele, egli, che pur mostra in generale un corredo di letture
maggiore di quello degli altri, non sarebbe certamente andato già a prendere i
diciannove modi da Apuleio, nè, con la sua aspirazione alla unità interiore
della logica, si sarebbe riattaccato esclusivamente a quegli stessi passi, che
a ciascuno erano noti, dalle traduzioni e dai commenti più diffusi di BOEZIO. Ma
in quello studio esteso della logica, quale ci si presenta a quest’epoca in S.
Gallo, potremmo ben anche ravvisare un fenomeno piuttosto isolato, sempre che
non sia determinato solamente da mancanza di notizie il giudizio che
pronunciamo, quando diciamo che nella prima metà del secolo XI in generale ha
prevalso una mancanza di attività, per quel che con¬ cerne il dibattito delle
questioni di logica, o persino la *") In siffatti casi sembra che
l'argumentum ex silentio sia asso¬ lutamente calzante, e elle pertanto si
aggiunga, come una convali¬ dazione mollo precisa, alla circostanza generale,
vale a dire non esserci, in tutta questa letteratura, un solo indizio positivo
che sia stato fatto uso di quegli scritti aristotelici. TSoggiugerò qui che lo
scritto del Prantl. da lui citato più sopra, comparso negli Atti della Regia
Accademia Bavarese delle Scienze (Clas¬ se I, voi. "Vili, Scz. I),
riguarda non gli scritti logici di Notker L., bensì due compendi dovuti uno a
Ortholph Fuchsperger, l’altro a Volfango Biitner, e rispettivamente stampati ad
Augusta e a Lipsia. compilazione di compendi. Nel corso della nostra inda¬
gine, dobbiamo invero a ogni passo tener presente la pos¬ sibilità clic una
parte del materiale die esisteva, sia stata sottratta totalmente alla nostra
conoscenza, sebbene si sia portati ad ammettere che difficilmente le manifesta¬
zioni di una certa importanza sarebbero dileguate senza lasciar alcuna traccia,
e che un silenzio assoluto di tutte le fonti non sarebbe pensabile, se
realmente lo studio della logica fosse stato più largamente diffuso. [Altri
documenti relativi allo studio DELLA LOGICA NEL SECOLO XI: FrANCONE A LlEGI,
OtLOH a Ratisbona, Pier Damiani], Dalla metà circa del secolo XI ci giunge la
notizia che un tal Francone, scholasticus a Liegi (intorno al 1047), compose,
sopra la quadratura del circolo (v. le note 191 e 251 di questa Sezione), ima
monografia che si riattacca al relativo passo di Boezio 278 ) : e forse della
stessa epoca possiamo citare almeno l’espressioni, con le quali un monaco di
St. Emmeram, Otloh, morto a Ratisbona [dove appunto sorgeva il chiostro di St.
Emmeram], vien a ri¬ conoscere che ci sono alcuni dialectici ita simplices, che
applicano il canone dialettico a tutte le parole della Sa¬ cra Scrittura, e
credono a Boezio più che alla Bibbia stessa 278 ). Ma da quest’ultima doglianza
bisogna con- *") Sicebekti Gemblancensis Chronica ad unnum 1047 (Pertz,
MiGH, : Franco scolaslicus Leodicensium et scìentia litterarum et morum
probitate claret; qui ad Herimannum archie- piscopum scripsit librum de
quadratura circuii, de qua re Arislolelcs (com’è riferito da Boezio I in Ar.
praed., II; PL, 64, 230], p. 165) ait: Circuii quadratura, si est scibile,
scìentia quidem non est, illud vero scibile est |PL, 160, 209]. ”°) Oti.ohni
Dialogus de tribus Quaestionibus (riprodotto dal Pez, Thesaur. Anecdot., HI, 2,
p. 143 ss.), p. 144-5: Peritos autem dico magis illos, qui in Sacra Scriptura,
quarti qui in Dialectica sunt instructi. Nani dialecticos quosdam ita simplices
inveni, ut chiudere che il su riferito monito di Fulberto (nota 237) non fu
disdegnato solamente da un Berengario, ma che da varie parti fu designata la
dialettica come pietra di paragone in questioni teoretico-dommatiche ). La
maggioranza invece, com’è ben facile intendere, rima¬ neva fedele al punto di
vista originario del Medio Evo cristiano, e può perciò, poiché stiamo ormai per
entrare in un’epoca di contese, ricordarsi soltanto a mo’ d’esempio come Pier
Damiani, assegnasse alla dialettica il compito di starsene quale pia ancella al
servizio della Chiesa, e di tener dietro umilmente pedisequa alla sua padrona
2S1 ), senza che in verità la divota anima del Damiani abbia ancora il minimo
presentimento che anche questa do¬ mestica possa licenziarsi e fondarsi un
proprio foco¬ lare. omnia Sacrae Scriplurue dieta juxta dialecticae
auctoritatem con- stringendo esse decernerent: mugisque Boèlio quam Sanctis
Scrip- toribus in plurimis dictis crederent. Linde et eundern Boètium secuti,
me reprehendebant, quod personae nomen, (dicui, nisi sub- stimtiae rationali,
adscriberem etc. [PL], W. Scheber, Leben VTilliram’s Ables von Ebersberg [«
Vita «li Williram, abate di Ebers- berg »] (nei Rendiconti dell’Accademia
imperiale, Classe filosofico- storica, voi. 53, Vienna, 1866), p. 289,
riferisce queste allusioni a scolari di Lanfranco; cfr. appresso la nota 299.
'*') Poiché, a prescindere dal fatto che nei vari scritti teologici di Otloli
non si parla in maniera particolare della questione della Santa Cena, e
pertanto è difficile che la sua polemica contro i dia¬ lettici si riferisca a
Berengario, nel passo sopra citato si tratta pro¬ prio di casi personali, che
Otloh designa come conseguenza di un indirizzo generale dell’epoca. *“) Petri
Damiani Opera, ed. Cajetano, Parigi,De. divina omnipolentia, V; PL, 145, 603]:
Haec piane, quae ex dialecticorum vel rhetorum prodeunt argumentis, non fa¬
cile divinai- virtutis sunl optando mysteriis; et quae ad hoc inventa sunt, ut
in syllogismorum instrumenta proficiant, vel clausulas dictionum, absit ut
sacris legibus se pertinaciter inferant et divinae virluti conclusiotiis suae
necessitates opponant. Quae tamen artis humanae peritia, si quando tractandis
sacris eloquiis adhibetur, non debet jus magisterii sibimet arroganler
arripere; sed velut ancilla dominue quodam famulatus obsequio subservire, ne,
si praecedit, oberrel eie. Movimento più vivace nella seconda metà del SECOLO
XI: la scienza giuridica. — Ma proprio nella seconda metà del secolo XI si
manifestò nella sto¬ ria della cultura l’azione di fattori, i quali portarono,
entro la tradizione della logica delle scuole che si con¬ servava uguale a se
medesima, un movimento più vivace, e anche un violento rinnovarsi di vecchi
contrasti fra le varie tendenze. Da due lati diversi si risente un influsso
sopra la logica, ma in varia maniera e in molto vario grado, perchè di questi
lati uno possiamo scorgerlo qui dapprima soltanto in tenui inizi, per poi novamente
riattaccarci a questo punto, quando lo stesso fattore si manifesterà più tardi
con maggiore intensità, mentre l'altro lato sùbito si leva su con tutta la sua
forza, e per molto tempo determina le condizioni in cui la evoluzione compie il
suo corso. Ma questi due lati cor¬ rispondono alla giurisprudenza e alla
teologia dominatica. Se cioè l’amministrazione della giustizia già per se
stessa in generale implica un richiamo alla prassi dialettico-retorica, è
facile spiegare come, in un’epoca in cui in Italia s’iniziava un rinnovamento
della scienza giuridica e incominciavano a sorgere scuole di diritto), si desse
ora maggior peso alla logica pratica, cioè a ima logica, la quale veramente mal
si distingue dalla retorica, ma nella teorica dell’argomentazione e nella
topica rimane pure conforme al solito materiale ch’era in uso nelle scuole di
logica. Come noi stessi per il no¬ stro presente intento abbiamo potuto già da
prima (Sez. Vili, note 52 e 68) trovare la nostra fonte in passi che prendevamo
dalle Pandette, così sembra d’altra parte fL ) Vedi Savigny, GESCHICHTE DER
ROMISCHEN RECHTS IN MITTELALTER Geschichte dea Ròmischen Rcchts im MiUel- alter
[Storia del diritto romano nel Medio Evo],. [trad. it., Torino, J, e Giesebrecht, De lìti, attui, ap.
Itiilos, Berlino, 1845, in -4° [ir. it. Pascal, già cit.]. che IN ITALIA lo
studio della grammatica filosofica e della retorica abbia conservato una
connessione ininterrotta con le materie giuridiche del DIRITTO ROMANO ) : e
sebbene noi preferiamo lasciar da parte l’aneddoto letterario, secondo il quale
tutto quanto lo studio del DIRITTO ROMANO a BOLOGNA avrebbe preso principio da
una spiegazione grammaticale della parola « As » 2S ) Ibid., Aristotelica
didicimus disciplina duarurn spe- cierum commistione lertiam gigni minime.
Rerum etiam naturam puli nomino non posse, duo contraria simili in eodem esse
vel, quod trovava nel commento (li Hoezio alle C-utegorioo. Ma questa medesima
questione fu anche oggetto di una disputa che Anseimo sostenne a Magonza, e
della quale diede minuta relazione in una lettera al suo maestro Droone. Ecco
il nòcciolo della questione: Quando sussiste un’alternativa (p. es. tra lode e
bia¬ simo), si può creder di cogliere il giusto mezzo, non facendo nè una cosa
nè l’altra; ma si obbietta in contrario, die il giusto mezzo è la unione degli
opposti (come p. es. il rosso è la unione di nero e bianco), dunque bi¬ sogna
pure scegliere per conseguenza una delle due cose, qualora non si voglia farle
tutte due al tempo stesso. Ma a ciò da capo si obbietta che il mezzo è propria¬
mente la negazione dei due opposti (dunque p. es. è impossibilius, eandem
essentium procreare. Quod veruni sit necne, quaerimus f Hbetorim., iib. I]. M °
c ) Laudare enim vel vituperare necesse est. «Non lau- dabo, inquid, nec
vituperabo, cuoi medium faciam, quod nec laus est nec viluperatio. Est igilur
possibile utrum non lucere, ubi ali- quod neutrum est invenire. Si medium, inquam, ut dicitis,
fece- rilis, lune et utrumque. Constai enim medium ex utrisque, ut ex albo et
nigro rubrum, et ideo medium. Sicque
in faciendo neutrum facietis utrumque. Utrum ergo facere necesse est, quoniam
in utro vel ulroque utrum non lacere possibile non est». « Medium, inquid, ut
dicitis, non ex utrisque, sed ex nega!ione confìcitur utrorumque, ut non quod
et album et nigrum illud rubrum, set quod est neu¬ trum, illud dicimus rubrum,
sicque omne medium. Utrum ergo lacere necesse non est, quia in meo neutro utrum
vel utrumque possibile non est ». « Si ex negatione utrorumque. medium con-
fectum est, quod, ut dicitis, neutrum est, non magis utrorumque quarti omnium
rerum neutrum est. Quod bene perspectum nichil est. Non enim magis ex albi et
nigri negatione confìcitur rubrum, quam cucii et lerrae ceterarumque rerum.
Quia sicut est veritas ut, quod nec album nec nigrum est, illud rubrum existat,
sic quod nec caelum nec terra nec celerà, illud esse rubrum a veritale non [58]
discrepat, Quod aulem omnibus rebus negatis nichil illarum est, illud res
praedicari inpossibile est. Rcs vero, quod non est illud, nichil esse
necessario consequens est. Sicque in faciendo (diquid facietis nichil. Utrum
ergo facere necesse est, utrumque enim vel neutrum impossibile vel nichil est. Epistola
Anseimi ad Droconem (sic) mugistrum et condiscipulos de logica disputatione in
Gallia habitat. rosso, quel che non è nè bianco nè nero); ma questa obiezione
viene respinta, perchè una tale negazione va di là dall’alternativa data
(perchè allora si potrebbe dire altrettanto bene, che è rosso, quel che non è
nè cielo nè terra), e metterebbe capo infine a una nega¬ zione di tutti gli
opposti, cioè dunque a un nulla. Il risultato è, per conseguenza, che nella
presente alterna¬ tiva bisogna pure scegliere proprio un solo dei due termini.
Abbiamo una prova ulteriore di come la scienza del diritto entrasse in giuoco nello
sviluppo della logica, quando in due uommi eminenti di quell’epoca, Lan¬ franco
e Irnerio, vediamo presentarcisi, per così dire, ima unione personale di quei
domìni. È infatti incontestabile che Lanfranco dedica ampiamente e con buon
successo la prima metà della sua operosità, prima che scoppiasse la contesa
intorno alla Santa Cena, princi¬ palmente allo studio del diritto 291 ),
sebbene non si possa, per ragioni cronologiche, pensare a una relazione diret¬
ta, quale persino gli è stata attribuita con lo stesso Imerio); ma in ogni
modo, come risulta dalle testimo- "9 Milonis Crispini Vita Beati
Lanfranci, c. 11, riprodotta dal Mabillon, Acia Bened. [Sacc. VI, P. II], Tom.
IX, p. 639 [PL, Ab annis puerilibus eruditus est in scholis libe- ralium
nrtium, et legum saecidarium ad siate morern patriae. Ado- lescens orulor
veteranos adversantes in uctionibus causarum frequentar revicit, torrente
facundine accurate dicendo. In ipsa aetale sententias depromere sapuit, quas
gratnnter Jurisperiti aul Judices vel Praetores civitatis acceptabanl. Meminit
horum Papiu (cioè PAVIA sua patria). At cum in exsilio philosopharetur,
accendit ani- mum ejus divinai ignis, et illuxit cordi ejus amor venie
sapientiae. Notizie varie, specificamente giuridiche, vedile nel Merkel, op.
cit., p. 14 e 46 s. [12 s. e 35 ss. della cit. trad. it.??J. 5 ") Roderti
De Monte Auctarium ad chronicam Sigeberti Gem- blacensis ad anntan 1032 (Pertz,
MGII): Lanfrancai Papiensis et Garnerius socius eius, repertis upud APVD
BONONIAM LEGIBVS ROMANIS quas Iustinianus.... emendaverat, Itis, inquarn,
repertis, 9. — C. Prantl, Storia della logica in Occidente, II, manze, quella
medesima abilità dialettica, della quale fanno fede le battaglie da lui più
tardi sostenute con¬ tro i suoi avversari teologici, lo ha assistito di già fin
d’allora. Ma Imerio, e cbe con la sua comparsa segnò, com’è noto, per LA SCUOLA
O LO STUDIO DI BOLOGNA, il passaggio dal pruno’ periodo embrionale a una più
ricca espansione, viene, nelle glosse di Odofredo, designato espressamente come
«logico»; e la circostanza ch’egli sia stato antecedentemente maestro delle
arti liberali, spiega quella esagerata sottigliezza cb’è venuta a trovarsi
nelle sue glosse-’ Avendo d'altra parte lrnerio composto anche un Formularium,
a questo fatto dobbiamo connettere una osservazione preliminare, essersi cioè
venuta a creare una particolare ed estesa letteratura, la quale serviva
all’arte e alla prassi del notariato, e che valse a mante- ner viva per
l’avvenire la relazione tra la retorica in uso nelle scuole, e la materia del
diritto. Questi « F o r m u - operam dederant eas legere et aliis exponere; sed
Garncrius in hoc « vero disciplinas liberales et litteras divi, tuis m Galli,s
multo* edoccns, tandem Beccum verni, et ibi mona, ehm facili* est [PL], Forse
tuttavia la obiezione croTolo- gira sollevata dal Savigny [p. 25-6 della trad.
it |) e m generale fuor di luogo, se, dove si dice « socius », non pen¬ siamo a
relazione personale, ma piuttosto a un comune atteggia- spirituale nei riguardi
della concezione del diritto. minorameli Uge 1 ldtima de in "tegrum
resti,utione "l", . 2, 22); Or, segnar,, plura non essent dicendo
super lege ista Dom.nus lumen } rnenus, quia loicus fui,, et mogister fui. In c
rifate istu in arti bus, antequum docerel in legibm, fecit imam g ssam
sopitisticun ?, quae est obscurior, quam sii textus. — E (Co- Ìi% l, n /r^
miCa M,and. Urstis, Francoforte, 1585, p.
433 [Pebtz, >MGH, XX, 376]): l’etrus iste (se. Abailardus).... habuit....
primo praeceptorem Rozelinum quondam, qui
primus noslris temporibus in logica sen- tenti am vocum instiluil, et
post ad gravissimos viros Anshelmum Laudunenscm, GwUhelmum Campellensem
Catalauni episcopum migrans, ipsorumque dictorum pondus, tanquam sublilitatis
acu- mine vacuum iudieans, non diu sustinuit. Inde magistrum induens Furisius venit (v. la Sez.
seguente, nota 258). "') [Johannes Turmair detto] Aventinus, Atinales
Ducum Boia- riae, VI, 3 (ed. Riezler. Hisee quoque temporibus fuisse reperto
Rucelinum Brilanum, magistrum Petri A belar di, novi lycaei conditorem, qui
primus scienliam (leggi sententinm) vocum sive dictionum insliluit, novam
philosophandi ciani invertii. Eo namque authore duo Arislolelicorum,
Peripateticorumque genera esse coeperunt, unum illud vetus, locuples in rebus
procreandis, quod scientiam rerum sibi vendicai, qttamobrem reales vocantur,
allerum noviim, quod eam distrahit, nominales ideo nuncupali, quod avari rerum,
prodigi nominum atque notionum, verborum vi- dentar esse adsertores.
"") Joannis Saresbehiensis Metalogicon, (Opera, ed. Gi¬ lè?, V, p. 00
[ed. Webh. Naturata lamen tmiversalium hic omnes expediunt, et allissimum
negotium et maioris inquisitio-[Le notizie sul conto di Roscelino rivelano
Vastio degli avversari]. — Ma poiché Anselmo 31B ), che nella sua
ortodossomania, inventò la squisita espressione di « eretici della dialettica »
e la usò a carico di Roscelino, dice, per cieca passionalità o maligna
esagerazione, che secondo quella opinione le sostanze universali non sono
nient’altro che un flatus vocis, — sarà bene che noi acco¬ gliamo non senza
cautela anche le altre notizie comuni¬ cate da quello zelatore del realismo, —
tanto più che, come vedremo, se si sta ai prodotti originali della sua dia¬
lettica, non si può ritener che fosse capace di giudicare sopra questioni di
logica; così pure egli non fa invero che dar espressione al più intransigente
odio partigiano, quando rampogna i seguaci di Roscelino, perchè danno nis
contro menlern auctoris esplicare nituntur. Alius ergo consistit in vocibus;
licei haec opinio curii Rocelino suo fere omnino iam evanuerit. Alius sermones
(v. sotto la noia 324) inluetur et ad illos detorquet quicquid alicubi de
universalibus meminit scriptum; in bue autem opinione deprehensus est
Peripateticus Palalinus Abae- lardus noster, qui multos reliquit et adhuc
quidem aliquos habet professioni huius sectatores.... [iPL, 199, 874], — Così
anche nel Polycruticus (Opp., IV, p. 127 [ed. Webb, U, p. 142; PL, 199, 6651):
Fuerunt et qui voces ipsus genera dicerenl esse et spe- cies ; sed eorum inni
explosa sententia est et facile cum auclore suo evanuil (v. la nota 325).
"*) Ansfxmi de fide Trin., c. 2 (ed. Gerberon, p. 42 s. [PL, 158, 265J):
llli utique nostri tempori dialeclici (imo dialeclicae haeretici, qui non nii
flatum voci putant esse universales sub- stantias, et qui colorem non aliud
queunt inielligere quam corpus, nec sapienliam hominis aliud quam animami
prorsus a spiritualium quaestionum disputatione sunt exsufflandi. In eorum
quippe ani- mabus ratio, quae et princeps et judex omnium debel esse quae sunt
in /tornine, sic est in imaginationibus corporulibus obvoluta, ut ex eis se non
possit evolvere, nec ab ipsis ea, quae ipsa sola et pura contemplari debel,
valcat discernere. Qui enim nondum intei - ligit, quomodo plures homines in specie
sint uniis homo, qualiter in illa secretissima et altissima natura
comprehendet, quomodo plures personae.... sint uiius Deus? Et cujus meris
obscura est ad discemendum inter equum sinim et colorem ejus, qualiter
discernet inter unum Deum et plures relationes ejus? Denique qui non potest
intelligere aliquid esse hominem, nisi individuum, nullalenus in- telliget hominem,
nisi humanam personam. Omnis enim individuus homo, persona est. Quomodo ergo iste intelliget hominem assumptum esse a
Verbo eie. la ragione in balia corporalibus imaginationibus : e in verità è
lecito sperare, tutt’al contrario, che proprio nulla ci faccia assurgere così
alto al disopra dell accidentalità sensibile, come il penetrare a fondo nell
uni¬ versale contenuto concettuale delle parole, e che soltanto a questa
maniera ci sia aperta la via a un sapere effettivo, conquistato da noi stessi,
mentre a una onto¬ logia soprannaturalistica è spesso indispensabile ima ima¬
ginazione irretita nella sensibilità. E possiamo lasciar stare il rimprovero
ridicolo, mosso a Roscelino, ossia di non intendere come la pluralità
degl’individui nel con¬ cetto della specie sia una unità poiché anzi proprio
questo è riuscito invece a intendere Roscelino, che cioè la unità risiede nella
parola enimciatrice del concetto. Do¬ vremo ora piuttosto rimettere, come si
conviene, le que¬ stioni nei loro veri termini, per quanto concerne le altre
osservazioni mosse contro Roscelino: vale a dire ch’e¬ gli fa confusione tra il
colore di una cosa e la cosa stessa, e tra le proprietà e i loro substrati, e
parimente ch’egli non si rende conto, come altro sia « Uomo », e altro il
singolo uomo. Infatti la prima osservazione può significare solamente che,
secondo la opinione di Ro¬ scelino, il concetto di una qualità, in quanto concetto,
contiene altrettanta universalità quanta ne contiene il concetto di una
sostanza, in quanto concetto. L’altra os¬ servazione poi comprende, se la
sfrondiamo di quella in- terpetrazione odiosa che le dà il relatore, il
semplice prin¬ cipio fondamentale del nominalismo, che cioè obbietti¬ vamente,
nell’essere concreto, esiste dappertutto soltanto l’individuale, mentre i
concetti della specie e del genere si trovano soltanto subbiettivamente nelle
parole del¬ l’uomo, che insomma obbiettivamente gli universali non hanno
esistenza separata dall’individuale. Che per con¬ seguenza la Trinità, come
obbiettiva essenza di Dio, debba parimente consistere di tre individui), è
implicito in una tale veduta logica, coerentemente svolta: e così fu che,
analogamente a quanto era accaduto con Berengario, la teologia venne a essere
coinvolta nella lotta fra le tendenze che si dividevano il campo della logica.
Ma sembra che Roscelino in generale abbia molto conseguentemente svolto sino in
fondo da tutt i lati il suo punto di vista, perchè altrimenti sarebbe difficile
spiegare, come mai nelle scarse informazioni che ci sono pervenute sul conto di
lui, ci sia ancora una volta un certo punto isolato, che ci rhuanda in pieno a
quel medesimo principio: si tratta cioè del concetto di parte, che Boezio aveva
preso a considerare in vari luoghi, e riguardo al quale, così per Roscelino
come per l’Anonimo già ricordato (nota 171 g), il momento subbiettivo è
ugualmente il momento decisivo; poiché la notizia, relativa al punto in questione
321 ), va intesa nel senso seguente: Se p. es. il tetto dev’essere considerato
come parte della casa, si ha da riflettere che obbiettivamente, in “>)
Ibid., Epist. n, 41, p. 357 [PL quia Roscelinus clericus dicil, in Deo tres
personas esse tres ab invicem separatns, sicut sunt tres angeli, ita tamen ut
una sit voluntas et poteslas: aut Pulrem et Spiritum sanctum esse incarnatum,
et tres deos vere posse dici, si usus admilteret. *») Abaelardi [Dialectica, P.
V*. liber] divisionum et defin., p. 471 (ed. Cousin): Fuit aulem, memini,
magislri nostri Roscellim tam insana sentenlia, ut nullam rem purtibus constare
velici, sed sicut solis vocibus species, ila et partes adscribebat. Si quis
aulem rem illam, quae domus est, rebus aliis, pariele scilicet et fonda¬ mento,
constare diceret (è questo il solito esempio di divisione del tutto in parti,
usato da Boezio, p. es. a p. 52 s. [in Porph. a se trami., I, 8; ed. Brandt, p.
154, 156; PL, 64, 80 s.] e a p. 646 [de divisione ; PL, 64, 888]), tali ipsum
urgumentatione impugnabili: si res illa quae est puries, rei illius quae domus
est, pars sit, cum ipsa domus nihil aliud sit quam ipse paries et tectum et
funda- mentum, profecto paries sui ipsius et caeterorum pars erit. At vero
quomodo sui ipsius pars fuerit? Amplius, omnis [pars] naturaliter prior est
loto suo : quomodo aulem paries prior se et aliis dicelur, cum se nullo modo
prior sit? quanto è una cosa, il tetto è una entità perfettamente indipendente,
poiché, nel riguardo della obbiettività o dell’essere reale, quel che ci può
essere, è appunto sol¬ tanto un tetto di ca6a, e parimente soltanto una casa
fornita di tetto (dato cioè che debba essere realmente una casa); perciò, se il
tetto fosse oggettivamente una parte della casa, verrebbe a essere ima parte di
quella che è ima totalità obbiettivamente indivisibile, e pertanto, in seguito
a tale indivisibilità, finirebbe con l’essere anche una parte di se stesso:
vale a dire che il con¬ cetto di parte, dal punto di vista obbiettivo o
dell’essere reale, conduce a contraddizioni, e la couchiusione giusta è che il
tetto viene caratterizzato come parte esclusivamente dalle nostre parole,
racchiudenti in sé i con¬ cetti, sicché dunque il concetto di parte, come tale,
si trova essere di spettanza della espressione verbale sub- biettiva. Lo stesso
può ripetersi, anche relativamente alla priorità della parte di fronte al
tutto, poiché dal punto di vista obbiettivo, in quanto è cosa, non è pos¬
sibile che il tetto sia antecedente alla unione obbietti¬ vamente inscindibile
di se stesso con qualche cos’altro, poiché allora alla stessa maniera, a
cagione della inscin¬ dibilità, risulterebbe che il tetto sarebbe prima di se
medesimo : sicché bisogna conchiudere che anche la prio¬ rità del concetto di
parte ha luogo solamente nel pen¬ siero subbiettivo. Ma, come anche questa idea
di Ro- scelino fu malignamente deformata da’ suoi avversari), così egli stesso
l’applicò spiritosamente contro il ra ) Abaelardi Epist. (Opera, ed. Amboes.
[ed. Cousin; PL (Epist., Hic sicut pseudo-Dialecticus, ita et pseudo-Christianus,
cum in Dialeclica sua nullam rem, sed solam vocem partes habere astruat, ita
divinam paginam impudenter perverlit, ut eo loco quo dicitur Dominus parlem
piscis assi comedisse, partem huius vocis, quae est piscis assi, non purtem rei
intelligere cogatur. Che questa lettera [indirizzata a Gilberto vescovo di
Parigi] sia stata scritta da Abelardo, o, com’è opinione del Du Boulay, da un
altro intorno al 1095, è, per quel che ri-mutilato Abelardo, da ciò prendendo
occasione per assegnare, coerentemente, all’atto intellettuale subiettivo anche
il concetto di totalità, poiché, modificandosi la consistenza obbiettiva di una
unione inscindibile, deve essere subito sostituita con una denominazione
diversa la denominazione che si conformava al suo concetto, e che allora non è
più in grado di tener saldo il pen¬ siero soggettivo di una totalità" ')-
[c) conchiusione sopra Roscelino ]. — Che del resto il punto di vista di
Roscelino non fosse, in sostanza, affatto nuovo, risulta manifesto dal
confronto con quel che siamo venuti dicendo più sopra; soltanto che, dopo la
com¬ parsa di Berengario, la idea che, nella questione degli universali e della
formazion dei concetti, si tratti sola¬ mente di parole, e dell’uso che ne fa
l’uomo, aveva prò- vocato ima maggiore circospezione e una più aspra osti¬ lità
per parte della ortodossia. C è invece un punto solamente, e forse anzi il più
importante, che, in seguito alla mancanza di fonti, ci rimane assolutamente
oscuro; nel passo sopraccitato di Giovanni da Salisbury, è fatta cioè una netta
distinzione tra coloro che riponevano gli universali nella « vox », e quelli
che li riferivano ai « sermones », e si soggiunge che Abelardo era di questi
ultimi. Ora, tenuto conto del valore gram- guarda questo passo, indifferente;
del resto quanto è stato detto più sopra, nota 314, sembra avvalorarne
l’attribuzione [oggi infatti non contestata] ad Abelardo). [Il passo citato, in
Lue., XXIV, 421. ra ) Roscelini Epist. [ed. Remerà, p. ol I. S,,J forte Petrum
te appellavi posse ex consuetudine mentiens. Cer- tus sum aulem, quod masculini
generis nomea, si a suo genere deciderit, rem solitam significare recusabit -
Solent emm nomina propriam signìficationem ami tte r e, cum eorum signi¬ ficata
contigerit a sua perfeclione recedere. /Veglie emm ablalo tecto vel pariete
domus, sed imperfecla domus vocabilur. Sublata igitur parte quae hominem facit,
non Petrus, sed imperfectus Petrus appellandus es. maticale delle parole vox e
serrno, e antecipatamente riferendoci a quel che prenderemo a considerare più
sotto (Sez. seguente, note 308 ss.) a proposito di Abelardo, dobbiamo
senz’alcun dubbio congetturare che Ro- scelino, con veduta unilaterale, abbia
tenuto presente soltanto il concetto isolato, e pertanto, senz’avere ri¬ guardo
alla connessione della proposizione, abbia consi¬ derato le parole come
concetti compiuti 324 ); ma non sappiamo invece determinare se la teoria del
giudizio sia stata da lui semplicemente trascurala, o se forse egli non abbia
contestato anche direttamente il valore del giudizio, o quale procedimento
abbia seguito, nel portare così il nominalismo alle ultime sue conseguenze).
Raimberto a Lilla, e la logica « vecchia » di Ottone da CambraiJ. Ma proprio
per l’epoca, nella quale aveva fatto la sua comparsa Roscelino, pos¬ sediamo
una notizia sommamente caratteristica, relati¬ vamente alla lotta delle
tendenze sul terreno della lo- ***) [Cfr., su questo punto, Ueberwec-Gf.yer].
Tra i più vecchi nominalisti potrebbero pertanto essere riawicinati a
Roscelino, per aver dato un più unilaterale rilievo alla vox, quel tale
Pseudo-Hrabano, Jcpa, l’Anonimo, l’Anonimo del Cousin (nota 242), e l’Anonimo
di S. Gallo, che ha rifuso il libro De in- terpr., come pure in parte anche lo
Scoto Eriugena; sarebbero invece più affini ad Abelardo, per aver tenuto eonto
del serrno e del rapporto predicativo, Erico, l’Anonimo di S. Gallo, autore
della monografia De syllogismis, e Berengario. Sarebbe possibile, qualora
Roseclino avesse re alm ente av¬ valorato con argomenti questa orientazione
unilaterale del nomi¬ nalismo, prender alla lettera la succitata espressione di
Ottone (primus.... sententiam vocum instituit ); ma risulta comunque da
Giovanni da Salisbury, che i seguaci del nomi¬ nalismo non tardarono ad
abbandonare questo punto di vista an¬ gusto; soltanto non ci si può, come ha
pur fatto già qualcheduno, esprimer nel senso che Giovanni da Salisbury abbia
dichiarato il nominalismo in generale ormai spento; v. la Sez. seguente, note
76 ss. 150 gica 326 ). C’era cioè a
Lilla un certo Raiinberto, che insegnava la dialettica, al pari di « moltissimi
altri », se- **) Hekmajvni Narratio Heslaurulionis Abbuliae Sancii Martini
Tornacensis, riferita dal D’Acheby, Spicilegium, ed. De la Barre, PL, 180, 41
ss.; MGH, XTV, p. 274-5]: Iam vero, si scolae appropiares, cernercs magistrum
Odonem nunc quidem Feripulelicorum more cura discipulis dovendo deambulan- lem,
nunc vero Stoicorum instar residentem, et diversus quaestio- nes solventem....
Sed cum omnium septem libcruliurn artium esset peritus, praecipue tamen in
dialeclicu eminebat, et prò ipsa maxime clericorum frequenlia eum expetebat.
Scripsit etiam de ea duos libellos, quorum priorem, ad cognoscendu devitandaque
sophismala valde utilem, inlitulavit « Sopliistem », alterum vero appellavit
li- bruiti « Complexionum »; tcrcium quoque «De re et ente » com- posuit; in
quo sol vii, si unum idemque sit res et ens. In his tribus libellis.... non se
Odonem, sed, sicut lune ab omnibus vocabatur, nominubat Odardum. Sciendum tamen
de eodem magistro, quod eandem dialecticam non juxta quondam modernos (è
questo, qua¬ lora non si vogliano per caso invocare le parole citate il testo
più antico dove si trovano designati i nomi¬ nalisti come moderni) in voce, sed
more Boetii antiquorumque doctorum in re discipulis legebat (dunque, in
opposizione alla pretesa innovazione, Boezio e Por¬ firio, in quanto realisti,
vengon chiamati antiqui. Unde et magister Baimbertus, qui eodem tempore in
oppido Insulensi dialecticam clericis suis in voce legebat, sed et alii quam
plures magistri ei non parum invidebant, et delrahebanl, suasque lectiones
ipsius meliores esse dicebant; quam ob rem non¬ nulli. ex clericis conturbali,
cui magis crederent, haesitabant, quo- niam et magistrum Odardum ub antiquorum
doctrina non discre¬ pare videbant, et tamen aliqui ex eis, more Alheniensium
aut discere aut audire aliquid novi semper humana curiositate studentes, alios
potius laudabant, maxime quia eorum lectiones ad exercilium di- sputandi, vel
eloquentiae, immo loquacilatis et facundiae, plus va¬ lere dicebant (Alcuni
dunque desideravano di poter congiungere tuttavia all’ortodosso realismo il
virtuosismo formale dei loici propriamente detti, cioè dei nominalisti). Unus
itaque ex eiusdem ecclesiae canonicis, nomine Gualberlus.... tanta sentenliarum
erran- tiumque clericorum varietate permolus, quendam pbitonicum (cioè un
indovino rpyt/ion/cum]), surdum et mutum, sed in eadem urbe divinandi
famosissimum, secreto adiit, et, cui magistrorum magis esset credendum,
digilorum signis et nutibus inquirere coepit. Protinus ille (mirabile dictu!)
quaestionem illius intellexit, dexteram- que manum per sinistrae pulmam instar
aratri terram scindentis perlrahens, digitumque versus magistri Odonis scholam
protendens, signifkabat, doctrinam eius esse rectissimam ; rursus vero digìlum
contro Insulense oppidum protendens, manuque ori admota exsuf- flans, innuebat,
magistri Raimberti lectionem nonnisi ventosam esse loquacitatem. Haec dixerim,
non quo pbitonicos consulendos.... arbitrer..., sed ad redarguendum quorundam
superborum nimiam coudo le « moderne » idee nominalistiche (in voce), e
costoro, insieme con i loro seguaci, apertamente si at¬ teggiavano ad accanita
rivalità contro Oddone, vescovo di Camhrai, il quale aveva ricostituito il
chiostro di S. Martino a i ournai, e ivi insegnava logica secondo lo stile «
vecchio », cioè secondo l’indirizzo realistico (in re). Ora, poiché ci sono
diversi che dal fascino della novità si sentivano attratti verso Raimberto, ma
poiché nello stesso tempo, bilanciando tra loro i pregi delle due scuole, non
sem¬ brava si potesse ottenere im risultato ben determinato, uno dei canonici
di Touruai si rivolse a un indovino che godeva allora di gran fama. Questi, SEBBENE
SORDOMUTO, intese subito la questione che gli era rivolta, e con il linguaggio
dei gesti si pronunciò incondizionatamente — nè altro ci si poteva aspettare —
nel senso di riconoscere come giusta ed eccellente la tendenza rappresentata
dalla scuola realistica di Oddone. Se del resto chi ci riferisce questa storia
(l’abate Ermanno, vivente a Tournai nella prima metà del secolo XII), il quale
del pari, da buon ortodosso, si professa natural¬ mente nemico della ventosa
loquacità del nominalismo, ricorda nello stesso tempo scritti di logica,
composti da Oddone, dobbiam certo deplorare ch’essi sieno andati perduti;
puramente si può congetturare che forse il « Liber complexionum » fosse
semplicemente tolto di peso da Boezio (de syll. categ.: v. la Sez. XII, note
131 ss.), e così pure che il « Sophistes » sia stato puta¬ caso in relazione
più stretta con le polemiche teologi¬ che, o che, com’è possibile, si limitasse
anche a ripetere le nozioni esposte da Cassiodoro (Sez. XII, nota 182);
praesumptionem, qui nihil aliud quarentes nisi ut dicantur sapien- tes, in
1‘orphirii Aristolelisque libris magis volimi legi suarn adin- ventitiam
novitatem, quam Boetii caetcrorumque antiquorum expo- silionem. maggiore
importanza può invece aver avuta lo ecritto « De re et ente », poiché la
questione, se res ed ens sien lo stesso, era ivi risolta certamente in senso
realistico, quantunque sia da presumere — come la cosa più veri¬ simile — che
tutto il complesso semplicemente si limi¬ tasse a richiamarsi a un passo
isolato di Boezio (Sez. XII, note 89 s.). — Comunque, si potrebbe ammettere tut¬
tavia che il nominalismo rosceliniano di allora sia stato rappresentato in un
numero di scritti, più considere¬ vole di quel che le nostre fonti non ci diano
a divedere; poiché, per siffatte notizie letterarie occasionali, siamo invero
quasi esclusivamente rimandati ad autori teolo¬ gici, mal disposti sin da
principio, quali avversari di una minoranza ch’era loro sospetta, a parlare
lunga¬ mente di questa, e invece più propensi ad accordarsi con un Fulberto
(nota 237) o un Lanfranco (nota 309) nella condanna della dialettica in
generale. Anselmo d’AOSTA (si veda): a) Vargomento ontologico Se pertanto ci
volgiamo a considerare) F inventore del concetto di haerelicus dialecticae e
dunque il rappresentante attendibile di una logica corret¬ tamente ortodossa,
cioè Anseimo [d’AOSTA, arcivescovo] di Canterbury, per prima cosa c’interessa
soprattutto quel così detto argomento ontologico, al quale egli deve la sua
•") Così dice p. es. Ildeberto da Lavardin, arcivescovo di Tours, Sermo
(Opera, ed. Beaugendre [PL Quidum enim in philosophi- cis jacultatibus qiumulam
subtilitalem inutilem vel inutilitatem subtilem quaerentes, quibusdam minutiis
verborum in cavillatione respondenles utunlur, quibus in disputatione uli, ossa
Christi est incinerare.... Ktsi enim deus convertii nos, arlium liberalium
phanlusmatibus uli, si in hac Scriptum voluerimus similiter sophi- stice
incedere, odibiles Deo erimus, strepitum ranarum Aegypti in terram Gessen
traducere molientes. ra ) Quel che nella prima edizione costituiva il contenuto
delle note 328-333, è stato qui soppresso. pretesa gloria imperitura 33i ), e
che, quanto al suo con¬ tenuto teologico o speculativo, viene a cader fuori dai
limiti che qui ci sono imposti, dovendo fermarsi la nostra attenzione puramente
sopra il suo aspetto formale. Che in generale l’assunto di voler dimostrare la
esistenza obbiettiva di Dio, sia tutto quanto una pazzia (perciò anche lo
Hegel, proprio solamente nella sua qualità di neoplatonico ha ripreso per suo
conto l’ar¬ gomento ontologico), è cosa ammessa da chiunque non sia
filosoficamente già prevenuto, a quel modo stesso che sicuramente si riterrebbe
un controsenso l’assunto di dimostrare per sillogismi la esistenza di un mondo
obbiettivo; ma che in quell’epoca antifilosofica e senza idee chiare potesse
venir fuori un tale tentativo, si spiega benissimo, soprattutto perchè c’era
allora, come sostitutivo della filosofia, solamente ima sfera culturale,
limitata alla teologia dommatica e ad un’abilità tradizio¬ nale nella logica
delle scuole; tostochè, per effetto delle controversie teologiche, ci si era
dunque fatta l’abitudine di unire tra loro questi due elementi, in tal ma¬
niera che si tentava di dare un fondamento logico anche a singole frammentarie
parti del domma (v. sopra la nota 303), era semplicemente questione di
coerenza, che a tale formulazione si procedesse, incominciando su¬ bito da
quello che, nella professione di fede obbiettivamente dommatica, è il punto
supremo. Ma era perciò naturalmente da porre, quale condizione essenziale, che
la posizione dell’Autore si presentasse come un realismo logico, poiché a un
nominalista, che avesse informato il [La esposizione esaurientemente
particolareggiata che del pensiero di Anselmo è stata pubblicata da Hasse (
Anselm von Canterbury, Lipsia), è informata a una costante sopravvalutazione
della importanza di lui. Cfr. del resto anche G. Runze, Der ontologische
Gottesbeweis, kritische Darstel- lung seiner Geschichte [« La prova ontologica
della esistenza di Dio: esposizione critica della 6ua storia»]. Halle. proprio pensiero a una certa coerenza, non
sarebbe ve¬ nuto mai in niente di dimostrare con parole subbicttiva- mente
umane la esistenza obbiettiva di Dio (abbiamo veduto più sopra, nota 272, per
questo rispetto, un esem¬ pio molto onorevole di circospezione); e questa
connes¬ sione con il modo di vedere realistico, è anche il solo motivo, che
c’induce a menzionare questi tentativi di dimostrazione, al loro primo
comparire (cfr. anche la Sez. seguente, nota 94 a); perciò siamo anche ben con¬
tenti di rinunziare — per tutt’i successivi sviluppi, nei quali vien meno il
punto di vista della logica formale, con la relativa distinzione di
contrastanti tendenze — a ricordar le diverse trasformazioni, per le quali è
pas¬ sato l’argomento ontologico (p. es. nella filosofìa di Car¬ tesio,
Leibniz, Wolff, Mendelssolm, ilaumgarten, Kant). Anseimo si atteneva, nè altro
c’è da aspettarsi da un discepolo di Lanfranco, al punto di vista, secondo il
quale il sapere ha, nella fede cristiana, la propria con¬ dizione e il proprio
limite) ; per conseguenza, egli trova, di fronte al pensiero, una realtà
incondizionata¬ mente obbiettiva, nel riguardo intellettuale già bell’e
compiuta, sì che a questa realtà obbiettiva il pensiero può semplicemente o
partecipare o non partecipare: Anseimo, cioè, com’è di per sè chiaro, in logica
è un rea¬ lista. E il singolare desiderio di costringere irrevoca¬ bilmente il
nostro pensiero a questa partecipazione in senso obbiettivo, cioè d’imporre per
forza di dimostrazione il punto di vista realistico al pensiero umano, è il
motivo fondamentale dell’argomento ontologico 336 ) : ar- ’“) Epist., Il, 41
(Opera, cd. Gcrberon, Parigi, 1675), p. 357: Chrisliunus per fidem debet ad
intellectum proficere, non per in- telleclum ad fulem accedere, aul, si
intelligere non valel, a fide recedere. Sed cum ad intellectum valel
perlingere, deleclalur, cum vero nequit, quod capere non potest, veneralur
[PL], ”*) Broslogion, c. 2, p. 30 [te6to curato dal Daniels: Beitrage del
Baumker, voi. "Vili, fase. I-IIJ : Convincitur ergo etiam insipiens
gomento clie ci offre lo spettacolo della massima con¬ traddittorietà, dovendo
invero per esso 1 obbietlivismo sistematico più rigoroso, ricevere, come tale,
proprio un fondamento subbiettivo. il controsenso di questa intra¬ presa
consiste dunque nel proposito stesso del realista, il quale, mentre a priori
riconosce l'ideale solamente come obbiettivo, vuole dimostrarne la esistenza
obbiet¬ tiva ancor soltanto con mezzi subbiettivi; ora un tale controsenso fu
scorto cou perfetta esattezza da G a u- nilone (monaco nell’abbazia di
Marmoutier [Tours]), come dimostra la sua aff ermazione che l’argomento var¬
rebbe altrettanto bene anche per provare la esistenza di un’isola
incondizionatamente perfetta 337 ), poiché, di fatto, con la medesima formula
il realismo avrebbe po¬ esie vel in inlellectu aliquid quo nihil maius cogitari
palesi, quia hoc, cum audii, intelligil; et quicquid inlelligitur, in
inlellectu est. Et certe id quo maius cogitari nequit non palesi esse in solo
intei- leclu. Si enim vel in solo
inlellectu est, potest cogitari esse et in re, quod maius est. Si ergo id quo
maius cogitari non potest est in solo inlelleclu, id ipsum quo maius cogitari
non potest est quo maius cogitari potest. Sed certe hoc esse non potest. Existit
ergo procul dubio aliquid, quo maius cogitari non valet, et in intellectu et in
re [PL, 158, 228J. — Liber apologeticus contro Gaunilonem [testo c. s.J : Ego
dico: si vel cogitari potest esse, necesse est illud esse. Nani quo maius
cogitari nequit, non potest cogitari esse nisi sine initio. Quicquid uutem
potest cogitari esse et non est, per initium potest cogitari esse. Non ergo quo
maius cogitari nequit, cogitari potest esse et non est. Si ergo cogitari potest esse, ex necessitate est, e
via dicendo, con grossolana continua confu¬ sione tra cogitari ed esse [PL,
158, 2491. U! ) Liber prò insipiente, c. 6 (Anselmi Opp., p. 36 [testo c. s.]):
aiunt quidam ulicubi oceani esse insulam, quam ex difficultale vel potius
impossibilitate inveniendi quod non est cognominanl aliqui perditam, quamquam
jabulanlur.... universis aliis.... usquequaque praestare. Hoc ita esse dicat
mihi quispiam.... At si lune vel ut con- sequenter adiungat ac dicat: non potes
ultra dubitare insulam illam lerris omnibus praestantiorem vere esse alicubì in
re, quam et in intellectu tuo non ambigis esse, et quia praestantius est, non
in intellectu solo sed eliarn esse in re, ideo sic eam necesse est esse, quia
nisi fuerit, quaecunque alia in re est terra, praeslantior illa erit; ac sic
ipsa iam a le praestantior intellecta praestantior non erit —, si inquam per
hacc ille mihi velil astruere de insula illa, quod vere sit, etc, etc. [PL]. —
Più minute notizie sopra Gaunilone son date da B. Hauréau, Singularités
historiques et lit- téraires, Parigi tuto dimostrare anche la esistenza reale
di tutte quante le idee platoniche. Ma quando a ciò Anseimo replica ch’egli non
ha parlato già della esistenza del concreto, bensì ha parlato proprio soltanto
dell’ Incondiziona¬ to 338 ), si lascia necessariamente prendere al suo stesso
laccio; poiché si trova costretto a ricorrer ora tuttavia a un’ascesa per gradi
successivi, onde soltanto a poco a poco ci eleviamo dal minore condizionato,
mentalmente, sino al pensiero del superlativo incondizionato 339 ) ; per
conseguenza, come essere reale, questo Incondizionato non può naturalmente
avere se non una realtà che sia posta dal pensiero; ma, da capo, con questa
conchiu- sione molto male si armonizza invece quel che dice d’al¬ tra parte lo
stesso Anseimo, quando in ciascun pensiero, e anzi espressamente anche nel
pensiero drizzato verso cose concrete, distingue mi aspetto puramente nomi¬
nale (vox signìfìcans) e un intendere reale (id ipsiirn quod res est), in
maniera tale, che in quest’ultimo sia già implicita la esistenza, ma nel primo
sia possibile ogni assurdità 340 ); e infatti, stando così le cose, non c’è *“)
Apoi. c. Gaun., c. 3, p. 38: Sed tale est, inquis, ac si aliquis insulam oceani
etc . Fidens loquor; quia si quis invenerit mihi [ aliquid] aut re ipsa aut
sola cogitatione existens praeter quo[d] maius cogitari non possit, cui optare
valeat connexionem huius meae argumenlationis, inveniam et dabo illi perditam
insulam amplius non perdendam [PL]. “*) Ibid., c. 8, p. 39: Quoniam namque omne
minus bonum in tantum est simile maiori bono in quantum est bonum, patel
cuilibel rationabili menti quia de bonis minoribus ad maiora conscendendo ex
bis quibus aliquid maius cogitari potest multum possumus coni- cere illud quo
nihil potest maius cogituri,... Est igitur linde possit conici quo maius cogitari nequeat
| PL. M0 ) Prosi., c. 4, p. 31: Aliter enim cogitatur res cum vox eam
significans cogitatur, aliter cum id ipsum quod res est intelligitur. Ilio ilaque modo potest cogitari Deus non esse, isto
vero minime. [Nella ed. Gerberon: Nullus quippe intelligens id quod sunt ignis
et aqua palesi cogitare ignem esse aquam secundum rem ; licet hoc possit
secundum voces, ita igitur nemo intelligens id quod Deus est....] IS'ullus
quippe intelligens id quod Deus est potest cogitare quia Deus non est, licet
haec verbo dicat in corde aut sine ulta aut cum aliqun estranea significatione
[PL bisogno, in generale, nè di ima prova della esistenza, nè di un’ascesa
all’Incondizionato, bensì non c è allora nient’altro da fare, che pensare
appunto ciascuna cosa dal suo lato obbiettivo reale. Con molta accortezza
perciò Anseimo non si adden¬ tra con una sola parola neanche nella più calzante
obiezione di Gaunilone; quest’ultimo rappresenta un no¬ minalismo molto
ragionevole, quando dice eh è bensì vero che la vox da sola, come semplice vox,
cioè pura¬ mente come suono di lettere (dell’alfabeto), non con¬ tiene verità
di sorta, ma che nella Bfera della esperienza, dove il significato
intelligibile della parola viene con¬ nesso con cose note e commisurato a
queste, si pensa ef¬ fettivamente nelle parole l’essere obbiettivamente reale,
dovendosi dunque, per quella sfera che trascende ogni esperienza, star contenti
alla significano perccptae vocis, che non implica in sè la esistenza
obbiettivamente reale della cosa significata 341 ). Dice cioè Gaunilone: nelle
no- *“) L. prò insip., c. 4, p. 36[testo c. s.] : Neque enim aut rem ipsam
[girne deus est] novi aut ex alia possum conicere simili, quandoquidem et tu
talcm asseris illam ut esse non possil simile quicquam. Nam si de homine aliquo
mihi prorsus ignoto, quem etiam esse nescirem, dici lamen aliquid audirem, per
illam specia- lem generalemve notiliam, qua quid sit homo vel homines novi, de
ilio quoque secundum rem ipsam quae est homo cogitare pos- sem. Et tamen fieri
posset ut, mentiente ilio qui diccret, ipse quem cogitarem homo non esset; cum
tamen ego de ilio secundum veram nihilominus rem, non quae esset ille homo sed
quae est homo qui- libet, cogitarem. Nec sic igitur ut haberem fulsum istud in
cogi- tatione vel in intellectu, habere possum istud, cum audio dici « Deus »
aut « aliquid omnibus maius », cum, quando illud (cioè quell'uomo) secundum rem
veram mihique notum cogitare possem, istud (cioè Dio) omnino nequeam nisi
tantum secundum vocem, secundum quam solam aut vix aut nunquam potesl ullum
cogitaci verum. Siquidem cum ila cogitatur, non tam vox ipsa quae res est
utique vera, hoc est litterarum sonus vel syllabarum, quam vocis auditae
significatio cogilelur, sed non ita ut ab ilio qui novit quid ea soleat voce
significavi, a quo scilicet cogitatur secundum rem vel in sola cogilatione
veram : verum ut ab eo qui illud non novit et solummodo cogitat secundum animi
molum illius auditu vocis effeclum significationemque perceptae vocis conanlem
effin- gere sibi. Quod miruin est si unquam rei peritate potuerit. Ita ergo.
stre parole abbiamo la esperienza concreta convertita in concetti, e nelle
parole possediamo anche la forza di trascender la immediata realtà; ma tostochè
questo accada, ci troviamo esclusivamente nella sfera del pen¬ siero, ed è
fatica sprecata voler fare venir fuori da que¬ sto, in quanto puramente
subbiettivo, la esistenza ob¬ biettiva del pensato, perchè, proprio quando ci
si volge al cogitavi, si rende manifesto che esse e non esse ap¬ partengono
alla sfera obbiettiva, sicché la prova onto¬ logica non prova niente, perchè va
di là dal proprio campo, e così prova troppo. [b) realismo anselmino, privo di
fondamento scien¬ tifico, nel Dialogus de veritate]. — Se dunque l’argo¬ mento
ontologico è nato solamente perchè Anseimo non era riuscito a venire
logicamente in chiaro neanche del suo proprio punto di vista realistico, questa
medesima debolezza si mostra anche in quella professione di fede realistica,
cli’è contenuta nel « Dialogus de veritale s >. Già più sopra (nota 319),
nel passo indirizzato contro Roscelino, abbiamo veduto la espressione
schiettamente realistica «substantiae universales » ; ma proprio un tal modo
d’intendere impedisce naturalmente ad Anseimo qualsiasi comprensione di quel
che significhi la forma del giudizio logico: poiché, potendo egli sin dal prin¬
cipio considerare la enuntiatio solamente come ricalcata sopra l’essere o il
non-essere obbiettivo, nemmeno in tale forma assegna alla enuntiatio stessa la
verità, ma questa trasferisce in modo esclusivo nella sfera obbiet¬ tiva, la
quale, lungi dall’esser vera nel suo presentarsi come oggetto del giudizio,
contiene invece solamente la nec prorsus al iter. adirne in intellectu nuo
constai illud haberi, cum audio intelligoque dicentem esse aliquid maius
omnibus quae valeanl cogitari. — Haec de eo quod somma illa natura iam esse
dicitur in intellectu meo [PL]. causa della verità del giudizio 342 ) ; Anselmo
auzi espres¬ samente irride alla forma del giudizio: questo infatti — com'egli
si esprime — anche quando è in contraddi¬ zione con lo stato di fatto
oggettivo, continua pur sem¬ pre a essere un giudizio giusto, per quanto si
attiene puramente all’enunciare e al significare, mentre la vera giustezza,
cioè la stessa verità, risiede appimto solamente in quella obbiettività, a
raggiunger la quale, in senso obbiettivo, s’ha da tender con uno sforzo, ch’è
designato quasi come dovere morale 343 ) : poiché, dato che tutte le cose
ricevono Tesser loro solamente dalla suprema Verità 344 ), Tessere stesso
prende infine la forma di un *°) Dialogus de ventate, Magister. Quando est numi
intuì vera? — Discipulus. Quando est, quod enuntiat si ve affermando sive
negando; dico enim esse quod enuntiat, eliam quando negai esse quod tuta est;
quia sic enuntiat, quemadmodum res est. An ergo libi videtur, quod res
enunliata sit veritas enunlialionis? Non. Quare? Quia nihil est veruni, itisi
participando verilatem: et ideo veri veritas in ipso vero est; res vero
enunliata non est in enuntialione vera, unde non ejus ve¬ ritas, sed causa
veritatis ejus dicendo est [PL. "*’) Ibid., p. 110: XI. Ergo non est illi
[se. enuntiationi\ aliud veritas [?], quam reclitudo. Video quod dicis: sed doce me,
quid respotulere possim, si quis dicat, quod ctiam cum [ojratio significai esse
quod non est, significai quod dehet: ttariler namque accepit significare esse
et quod est et quod non est. Nam
si non accepisset significare esse eliam quod non est, non id significarci.
Quare eliam cum significai esse quod non est, significai quod debet. Al si,
quod debet significando, recto et vera est, sicut ostendisti, vera est oralio,
edam cum enuntiat esse quod non est. — XI. Vera quidem non solet dici, cum
significai esse quod non est; veritatem tamen et rectitudinem habet, quia jacil
quod debet. Sed cum si¬ gnificai
esse quod est, dupliciter jacil quod debet: quoniam signi¬ ficai et quod
accepit significare, et [adì quod facta est. Sed secun- dum hanc rectitudinem
et veritatem, qua significai esse quod est, usu recto et vera dicitur
enuntiatio, non secundum illam, qua signi¬ ficai esse eliam quod non est....
Alia igitur est rectitudo et veritas enuntiationis, quia significai ad quod
significandurn facta est: alia vero quia significai quod accepit significare.
Quippe ista immuta- bilis est ipsi oralioni: illa vero, mutabilis [ PL, p.
111-2: An putas aliquid esse aliquando, autalicubi, quod non sit in stimma
ventate, et quod inde non accepcril quod est inquantum est: aut quod possil
aliud esse, quam quod ibi est? [PL],
Dovere S4B ). Per conseguenza risulta sì un fondamento unitario, semplicemente
obbiettivo, della verità 346 ), ma con quanto maggior energia vien dato rilievo
all’ ap¬ prendimento esclusivamente spiritualistico di quello), tanto meno si
riesce a capire, come mai rimanga an¬ cora una qualsiasi funzione di principio
alla forma lo¬ gica del giudizio. [c) punto di vista compassionevolmente basso,
nel Dialogus de grammatico]. Ma quanto poco accurata¬ mente elaborata sia stata
in generale nell’opera di An¬ seimo la concezione della logica, appare
manifesto con la massima chiarezza dallo scritto intitolato « Dialogus de
grammatico » 34S ). È vero che si tratta semplicemente *“) : In rerum quoque
exislemia, est simililer vera vel falsa significano ; quoniam eo ipso quia est,
dicil se debere esse [PL], Con quest’affermazione è connessa anche la totale
identilicazione che Anseimo stabilisce tra il Non-essere reale, ovvero il Nulla
che è, da una parte, e, dall’altra, il Male ( Epist., II, 8, p. 343 s. [PL),
onde, confrontato con lo Scoto Eriugena (note 133 ss.), egli fa una più
risoluta professione di rea¬ lismo platonico. '“) Ibid., c. 13, p. 115: Si
recliludo non est in rebus illis, quae debent rectiludinem, nisi cum sunt
secundum quod debenl, et hoc solum est illis rectas esse, manifestum est, earum
omnium unam solam esse rectiludinem.... Quoniam illa (se. veritasj non in ipsis
rebus, aut ex ipsis, aul per ipsas, in quibus esse dicitur, habet suum esse;
sed cum res ipsae secundum illam sunt, quae semper praesto est his, quae sunt
sicut debent, tunc dicitur hujus vel illius rei veritas IPL,Nempe nec plus nec
minus continet isla diffinitio veritatis, quam expediat, quoniam nomen reclitudinis
di¬ vidii eam ab ornili re, quae rectitudo non vocatur. Quod vero sola mente
percipi dicitur, sepurat eam a reclitudine visibili [PL]. **) Dice lo stesso
Anseimo (Prologus ad dial. de ver., p. 109 [PL): [edidi tractatum ] non
inulilem, ut puto, inlrodu- cendis ad dialecticam, cujus initium est « De
grammatico»: e da un passo di SiciBKftTO da Gsmbloux (de scriptoribus
ecclesiaslicis, c. 168), dov’è ripetuta questa notizia (vedilo riprodotto dal
Fabri- cius nella Dibl. eccl., p. 114 [PL, 160, 586] : scripsit.... alium li-
brum inlroducendis ad dialecticam admodum utilem, cujus initium est « De
grammatico »), ha avuto origine la opinione erronea, ch’egli abbia scritto una
particolare « Introducilo in dialecticam ».di un esercizio scolastico, composto
da Anseimo, come dice egli stesso, soltanto in considerazione delle solite
numerose trattazioni analoghe 3 '* 9 ) ; ma mentre ci è ignoto se quegli altri
scritti consimili sieno mai stati migliori, scorgiamo in ogni caso che questo
di Anseimo si tiene a un punto di vista compassionevolmente basso. Poiché è un
continuo insulso giocare con proposizioni ricavate da Boezio, e apprese
macchinalmente, senza trarsi fuori dalla tediosa fatica di scovare in un primo
tempo difficoltà, là dove un uomo ragionevole non ne saprebbe trovare, e poi da
capo presentarne la soluzione adeguata; — insomma è il prodotto di una
erudizione scolastica estremamente limitata, tanto meschino quanto lo scritto
ricordato più sopra di Gerberto; e di un qual¬ che impulso che sia da esso derivato
allo studio della dialettica, si può tanto meno parlare, in quanto che, persino
relativamente alla questione che divideva il campo della logica in contrarie
tendenze, si presenta estremamente ottuso e scolorito. Tutta la trattazione si
volge intorno alla questione, se « grammaticus » sia sostanza o sia qualità,
dato che ima e l’altra alternativa debbano entrambe esser ammesse, ma non sia
possibile che sieno in pari tempo tutt’e due vere 35 °). Ma alla risposta
ragionevole, che **) Diulogus de grammatico, Tamen quoniam scis, quantum
noslris temporibus diulectici certent de quaestione a te proposila, nolo le sic
his quae diximus inhaerere, ut ea perlinaciter teneas, si quis validioribus
argumentis haec destruere et diversa valuerit astruere: quod si conti gerii,
saltem ad exercitationem di- sputandi nobis haec profecisse non negabis [PL, .
B °) lbid., c. 1, p. 143: De grammatico peto ut me cerlum jacias, utrum sit
substantia an qualitas, ut, hoc cognito, quid de aliis quae similiier
denominative dicuntur, sentire debeam, agnoscam. La questione ha la propria
fonte in Boezio (p. 121 [in Ar. praed., I; PL, 64, 171-2]), il quale, dove
nelle Categorie vien citato gramma¬ ticus come denominalivum da grammatica,
nomina nel commento Aristarco quale esempio di grammaticus, — e inoltre, nel
trattare della categoria della sostanza (p 134 [ibid.; PL, 64, 189]), espres¬
samente riconduce grammaticus su su ad animai, mentre è da ag¬ li. cioè son pur
vere tutte due le alternative, ci si arriva per via indiretta nel modo più
artificioso 351 ). Alla opi¬ nione di chi ammette che « grammaticus » è
sostanza, perchè invero il grammatico è un uomo, ma l’uomo è sostanza, si
contrappone cioè anzitutto un sillogismo de¬ forme, il quale ha per
conchiusione che nessun gram¬ matico è uomo 352 ) : conchiusione, che per prima
cosa viene confutata con l’argomento, che alla stessa maniera potrebbe anche
dimostrarsi che nessun uomo è un es¬ sere vivente 353 ) ; ora soltanto a tale
argomento vien dis¬ giungere che (p. 185 s. [i6., HI; PL, 64, 256-7J) per la
categoria delia qualità, grammuticus era diventato l’esempio stereotipato.
Perciò Anselmo pone ora una accanto all'altra come reciprocamente
contraddittorie le seguenti espressioni: Ut quidem grammaticus prò - betur esse
substantia, sufficit quia omnis grammaticus homo, et om- nis homo substantia
(cfr. Boezio [ad Porph. a se fransi.], p. 63 s. [probabilmente si deve leggere
36 6.: lib. H, c. 11; ed. Brandt, p. 103-4; PL, 64, 57]).... Quod vero
grammaticus sit qualitas, aperte jatentur philosophi, qui de hoc re
tructaverunt, quorum auclorita- lem de his rebus est impudenlia improbare. Item quoniam necesse est, ut
grammaticus sit aut substantia aul qualitas.... Cum ergo alte- rum horum verum
sit, alterum jalsum, rogo ut julsìtatem detegens, aperius mihi veritatem [PL,
158, 561]. K1 ) Ibid„ c. 2: Argumenla, quae ex utraque parte posuisti, ne¬
cessaria sunt; nisi quod dicis, si alterum est, alterum esse non posse. Quare non debes a me exigere, ut alteram partem esse
falsam osten- dam, quod ab ulto fieri non potesti sed quomodo sibi invicem non
repugnent, aperiam, si a me fieri polest. Sed vellem ego prius a te ipso
audire, quid his probalionibus tuis oblici posse opineris \ib., 561-2]. K ‘)
Ibid.: Ulani quidem propositionem quae dicit, grammaticum esse hominem, hoc
modo repelli existimo : quia nullus grommati• cus potest intelligi sine
grammatica, et omnis homo polest intelligi sine grammatica. Item, omnis
grammaticus suscipit magis et minus (questo è ricavato da BOEZIO, p. 186 [in
Ar. Praed., Ili; PL, 64,
257]), et nullus homo suscipit magis et minus: ex qua utraque con- textione
binarum propositionum conficitur una conclusio, id est, nullus grammaticus est
homo [PL, 158, 562]. * sl ) C- 3, p. 143 s. : Non sequitur.... Contexe igitur tu
ipse qua- tuor.... propositiones.... in duos syllogismos:... « Orane animai
polest intelligi praeler rationalitatem; nullus vero homo potest intelligi
praeter rationalitatem>. Item: que multipliciter appellatur.... Et communis
est multiplex appellatio, edam in his nominibus, quae veluti genera de
speciebus dicuntur;e (p. 183 [ibid., PL): Grammatici enim a Grammatica
nomìnantur, atque hoc est in pluribus, ut posilo nomine, si quid secundum ipsas
qualitales, quale dicilur, ex his ipsis qualilatibus appellatio derivetur. Etc . distinctis qualitatum vocabulis appellantur....
Così neanche Anseimo oltrepassa dunque assolutamente la limitata sfera delle
fonti sin qui note, e se si fosse già fin d’allora conosciuta la traduzione
degli Analitici, è da credere che in generale tali disquisizioni sarebbero
state impossibili. Anseimo tuttavia non ci consente ancora di gustare su¬ bito
la sua concezione realistica, bensì ancora per qual¬ che tempo ci mena
strascicando attraverso uno sciocco gingillar con le parole. Se cioè si obietta
che « gram¬ matico » e « uomo » vengono per conseguenza a essere ugualmente
predicati significativi, e che pertanto il pri¬ mo abbraccia del pari in una
unità reale il concetto di uomo e il concetto di grammatica — tale obiezione
dev’essere ora confutata con la considerazione, che al¬ lora « grammatica » non
sarebbe accidente, ma diffe¬ renza sostanziale, il che dovrebb’essere
altrettanto vero di tutte le qualità simili: e così pure ne risulterebbe la
illazione che un non-uomo, il quale fosse grammatico, dovrebbe allora proprio
perciò essere nello stesso tempo uomo 364 ) ; inoltre bisogna ben riflettere
appunto sopra la forma di aggettivo che ha la parola gramma- ticus, poiché se «
uomo » fosse già per sè contenuto in « grammatico », potrebbe darsi che, con la
sostituzione, si dovesse continuar a ripetere all’infinito la parola « uomo »,
e in generale si sconvolgerebbe il punto di vista proprio degli appellativi
derivati, perchè allora p. es. anche hodiemus dovrebb’essere un verbo 363 ). J
C. 13, p. 14 ì: Sicut enim homo constai ex ammali et rationa- litate et
morlalitale, et idcirco homo significai liaec trio, ila gram¬ matici^ constai
ex homine et grammatica; et ideo nomen hoc signi¬ ficai utrumque.... — M. Si
ergo itti est, ut tu dicis, diffinitio et esse grammatici est « homo sciens
grammalicam ».... Non est igitur gram¬
matica accidens, sed substantialis differentia; et homo est genus, et
grammaticus species: nec dissimilis est ratio de albedine, et simi- libus
accidentibus: quod falsum esse totius artis traclatus ostendit ((BOEZIO fin
Porph. a se transl., IV, 1: ed. Brandi, p. 239 ss.; PL, 64, 115 ss.], p. 79
ss.).... Ponamus, quod sit animai aliquod rationale, non tamen homo, quod ita
sciai grammalicam sicut homo ... Est igitur aliquis non homo sciens
grammaticam.... At omne sciens gram¬ malicam est grammaticum.... Est igitur quidam non homo gramma¬ ticus.... Sed tu
dicis in grammatico intelligi hominem.... Quidam ergo non homo est homo quod
falsum est [PL, 158, 571-2], ) Jbid. : Si homo est in grammatico, non
praedicatur cum eo simul de aliquo...; non enim apte dicitur, quod Socrates est
homo animai (Boezio [loc. ult. cit., II, 6: ed. Brandt, p. 192; PL Dopo che si
dà così per dimostrato che grammatica* non chiude in sè unitariamente la
sostanzialità dell’uo¬ mo, bensì vale soltanto quale significazione adeguata
della grammatica, deve adesso chiarirsi ancora tuttavia in qual modo
grammaticus sia puramente un appella¬ tivo mediato dell’uomo; e ciò si fa, con
il più balordo scambio di concetti attributivi, mediante questo esem¬ pio, che
cioè, se ci sono, uno accanto all’altro, un ca¬ vallo bianco e un bove nero,
dicendosi senz’altro S, qUoJ 7. homo
solus, i. e. sine grammatica, est gromma - auinno f b ‘ m °' l,S,ntell W
POtest: uno vero, altero falso. Homo quippe (questo e il verni modus) solus, i.
e. absque grammatica est qiTnecToh Ter habe ^ ^ m maticam: grammatica nam- que,
nec sola nec cum honune. habet grammaticum. Sed homo so - irammn ' grammat,ca -
««* grammatici; quia, absente grammatica, nullus esse grammatici potest (il
falsus modus consi alerebbe cioè ne 1 intender quella proposizione nel senso
che non per^ r „a n n e ted a n> ^amniotica alla sostanza 7 ». stante dell
uomo): sicut qui praecedendo ducit alium, et so - . 1 praevius, quia qui
sequitur non est praevius,... et solus non lvL pr i5T l 5m l, !cr n T f qui T‘
evius esse non P° test la prima delle due alternative viene utilizzata per la
pro¬ fessione di fede realistica, e qui Anselmo aderisce, con l’accento di chi
si rassegna di mala voglia, alle idee dei dialettici aristotelici, per salvare
almeno quel che po¬ teva essere salvato, poiché, visto che le Categorie gode-
van pure di ima così grande autorità, da non poter es¬ sere del tutto
rigettate, bisognava far il tentativo d’inter- petrarle in senso realistico.
Dice Anselmo cioè, che de¬ signare il grammatico esclusivamente come qualità, è
giusto soltanto dal punto di vista delle Categorie ari¬ stoteliche, poiché in
quest’opera si tratta in verità non dell’essere reale delle cose stesse, e neanche
della desi¬ gnazione puramente appellativa mediante parole, bensì delle voces
significativae (v. sopra la nota 363), in quanto che queste significano
immediatamente l’essere sostan¬ ziale in se stesso: e perciò è giusto che tra i
dialettici sia rimasto in uso di tenersi puramente nell’orbita di questa
significazione sostanziale, cioè di servirsi del grammatico, soltanto
com’esempio di qualità 3T0 ) ; peroc- ”“) C. 16: Cum vero dicitur, quod
grammaticus est qualilas, non recte, nisi secundum tractatum Aristotelis de
categoriis, dicitur. C. 17: D. An aliud habet ille tractatus quam « omne quod est, aut est
substantia, aut quantitas, aut qualilas, etc. » (BOEZIO [in Ar. Praed., I;
PL).... — M. Non tamen fuit princi- palis intentio Aristotelis, hoc in ilio
libro ostendere, sed quoniam omne nomen vel verbum atiquid horum significai;
non enim inten- debal ostendere, quid sint singulae res, nec qiiarum rerum sint
ap- pellalivae singulae voces, sed quorum significativae sint. Sed quo¬ niam
roces non significant nisi res, dicendo quid sit quod voces significant,
necesse fuit dicere quid sint res.... De qua significatione videtur libi
dicere, de illa qua per se significant ipsae voces, et quae illis est
subslantiulis, an de altera, quae per aliud est, et acciden- talis? — D. Non
nisi de ipsa, quam idem ipse eisdem vocibus esse, diffiniendo nomen et verbum
(Boezio [in de interpr., ed. Becunda,
I, 1: rdiz. Meiser, Pare Post., p. 13 ss. ; PL, 64, 398-9], p. 293 s.),
assignuvil, quae per se significant. — M. An pulas.... aliquem eorum, qui eum
sequentes de dialectica scripserunt, aliter sentire voluisse de hac re, quam
sentii ipse? — D. Nullo modo eorum scripta hoc aliquem opinari permilliinl:
quia nusquam invenitur aliquis eorum posuisse aliquam vocem ad ostendendum
aliquid quod significet per aliud, sed semper ad hoc quod per se signifi¬ cai
[PL, chè, in questo senso realistico, il grammatico, per ri¬ spetto alle
categorie, è, parimente dal punto di vista del linguaggio come nella realtà,
una qualità — laddove, fatta astrazione da questa considerazione dialettica, la
quale tuttavia deve pertanto contenere Tessere essenzialmente sostanziale, ciò
che rimane è solamente il campo della comune maniera di parlare appellativa,
nella quale il grammatico è chiamato «uomo»: non diversamente p. es., nel
considerare le forme grammaticali, è giusto chiamare maschile il sasso, mentre,
nell’uso comune del linguaggio, non c’è nessuno che designi il sasso come mi
essere mascolino 3n ). Dunque Anseimo scorge bensì nelle categorie un pò- tere
formale, ma lo riferisce esclusivamente alla Tabula logica, già obbiettivamente
data, dell’Essere sostanziale. Ma quanto rozzamente ciò da lui sia stato
inteso, ap- pare manifesto dalla concliiusione dello scritto, dove si discute
ancora la questione, se una sola cosa possa ca¬ dere sotto più categorie;
poiché, quando p. es. si dice c ìe armatus può anche rientrare nella categoria
della sostanza, perchè l’armato ha in sè una sostanza, vale a In C ' 18, U s .-
: Si crgo proposila divisione oraefata (cioè L!X n 7 e ;' leCÌ categorie),
quaero a te, q uid sii grammaticm secundum hanc divisionem, et secundum eos.
qui illuni scribendo D P™lT2Z qUUn,Ur t: qU,d QUaer0 ’ ° Ut QUÌd mihi
rospondebi? - _ -A " ÌUC P ° test quaeri ’ nisi de voce aut de re quam
significati quare, qu ia constai grammaticum non significare respondebo^i
'"'“'"'T hominem sed grammaticum, Incuneiamo Tve^oauàerlde de - V °
Ce ' quu ) vox significans quali totem, si vero quaens de re, q uia est q
ualitas.... Quare si ve quaeralur de yZZlil Ve J e,lf’ CUm quuer,tur quid sit
gr animai-ras secundum A ri- stoici s tractatum et secundum sequaces ejus.
recte respóndZr -Mila' "t t * men s f cundum oppellationem vere est
subslanliu. scribuntd emm V Vere " OS debet ' quod d ulectici ahler utùmur
InLc J bUt S0C ‘,ndum quod sunt significativae,,diter eis dèi Idi //T '"
secun dum qiwd sunt appellativae: si et gromma- tic ahud dietim secundum formam
vocum. aliud secundum reium naturam. Dicunt quippe lapidem esse mascolini
generis.... cum tu rno dicat lapidem esse masculum [PL, dire le armi, cou ciò
si tocca veramente il colmo della incomprensione della logica; e a noi piace
chiudere con la sentenza che Anselmo pronuncia su tale argomento, essere
difficile cioè (— poiché non vuole affermare nean¬ che questo con assoluta
certezza —) che una cosa, la quale eia un tutto uno, possa cadere sotto più
categorie, laddove invece una parola, includente più significati, può ben
essere considerata, come non unitaria, dal punto di vista di più categorie: tal
è p. es. il caso di albus, ch’e di pertinenza così della categoria della qua¬
lità, come anche di quella dell’avere. Cosi quest’ottuso realismo
s’inviluppava, per la sua propria impotenza, in difficoltà, che in generale,
per chi consideri le questioni secondo un criterio realmente lo¬ gico, sono
inesistenti, e tutto l’atteggiamento di Anseimo ci appare soltanto come un
documento di una congenita disgraziata disposizione, dalla quale è affetto, in
ordine alle questioni di logica, l’oggettivismo realistico. [§ 35. — Grado
ancor basso di sviluppo del con¬ trasto FRA LE TENDENZE. ONORIO DA AUTUN. Ma
ili generale sembra in quel tempo, cioè al limite fra l’XI e il XII secolo,
essersi manifestato, quale risultato di più Nam, si grammaticus est qualilus,
quia significai qualitatem, non video cur armalus non sit substantia,... quia
significai habentem substantiam, i. e. arma:... sic grammaticus signi¬ ficai
habere, quia significai habentem disciplinam. — M. Nullale- nus.... negare
possum, aut armatum esse substantiam aut gromma- ticum [esse] habere.... Rem
quidem unam et eamdem non puto sub diversis apiari posse praedicamentis, licet
in quibusdam dubitari possit: quod majori et altiori disputationi indigere
existimo (sa¬ remmo stati in verità smaniosi (li leggerla, questa altior
disputatio).... Unam aulem vocem plura significamela non ut unum, non video
quid prohibeat pluribus uliqucndo supponi praedicamentis, ut si albus dicitur
qualitas, et habere [PL], Successivamente si prende ancor in esame il concetto
di albus, per sostenere ch’esso non è unitario, ma risulta appunto da qualitas
e habere appiccicati insieme. e meno recenti controversie logiche e teologiche,
un contrasto, ancora dichiaratosi in maniera anzichenò gros¬ solana, tra
nominalisti e realisti: si era cioè incapaci, all’infuori da questi due punti
di vista, di prenderne in’ considerazione alcun altro, come pure si enunciava
cia¬ scuno di quei due unilateralmente, ancora in forma estrema e per così dire
grezza. Uno svolgimento di gran lunga più ricco e meglio disciplinato, ce lo
presente¬ ranno di già subito i prossimi decenni, e più che mai 1 epoca
ulteriore, che per il momento preferiamo tuttavia passar del tutto sotto
silenzio. La usata logica delle scuole poteva anzi esser al¬ lora intesa da
alcuni singoli scrittori in maniera tale, che rimanesse ancor affatto immune da
qualsiasi in¬ flusso del contrasto fra le tendenze, e qual esempio di assoluta
ingenuità, così per questo rispetto come relativamente alla logica in generale,
possiamo, per chiudere questa Sezione, citare ancora, del principio del secolo
XII, alcune amene osservazioni di Onorio da Autun, il quale rappresenta le
sette arti liberali come altrettante sedi dell’anima: ed ecco tutto ciò che, a
tal proposito, egli sa metter avanti, relativamente alla dialettica: per cin¬
que porte (le quinquc voces) si entra nella vera e pro¬ pria fortezza (cioè le
dieci categorie), dove stan pronti due campioni, vale a dire il sillogismo
categorico © quello ipotetico, che Aristotele ha armati nella Topica e ha
portati poi, nel libro de interpr., sul campo di bat- taglia, sicché ci si può
qui metodicamente addestrare nella lotta contro gli eretici S7S ). TO ) Honorii
Aucustodunensis de Animae Exsilio et Patria, c. 4, riprod. dal Pez, Thesaur. Tenia
civilus est Dialet¬ tica, multis quaestionum propugnando munita.... Uaec per
quinque portas adventantes recipit, scilicet per genus, per species, per diffe-
rens, per proprium, per accidens; unde et Isagogae introductiones dicuntur,
quia per has repatriantes introducuntur. Arx hujus urbis est substantia; turres
circumslantes novem sunt accidentia. In hoc duo pugiles sunt et litigantes certa
ratione dirimunt: Calhegorico et hypothetico Syllogismo quasi praeclaris armis
viantes muniunt. Quos Aristoteles
in Topica recipit, argumenlis instruit, in Periher- meniis ad lalum campum
syllogismorum educit. In hac urbe
docen- tur itineranles haereticis, et aliis hostibus armis rationis resistere
eie. [PL PROGRESSO GRADUALE VERSO LA CONOSCENZA COMPIUTA DELLA LOGICA
ARISTOTELICA Si colmano le lacune del materiale degli STUDI DI LOGICA, CON LA
CONOSCENZA DEI DUE ANALITICI e della Topica, oltre che degli Elenchi
Sofistici]. Dopo aver detto più sopra che c’è un solo motivo di dividere in
periodi la storia della logica me¬ dievale, motivo che consiste per me nella
misura estrin¬ seca della conoscenza, più limitata o più estesa, che si aveva
degli scritti aristotelici, e che la differenza di contenuto fra la precedente
e la presente Sezione si ri¬ duce in ultima analisi al fatto che sino al principio
del sec. XII non erano noti nè utilizzati i due Analitici e la Topica, insieme
con gli Elenchi Sofistici, mentre in se¬ guito, a poco a poco, anche questi
libri furon tratti entro la sfera dei dibattiti sopra le questioni di logica, —
m’incombe ora qui per prima cosa il dovere di fissare anzitutto precisamente
quei dati di storia letteraria, che stanno a fondamento della separazione. Per
tutta que¬ sta Sezione, con la quale entriamo nell’agitata epoca di Abelardo e
procediamo sino al termine del XII se¬ colo, bisogna cioè in primo luogo metter
sott’occliio l’àmbito del materiale di cui disponevano gli studiosi di logica,
e dal quale scaturirono le numerose controversie di questo periodo, vale a dire
bisogna mostrare che, e in qual modo, a poco a poco, per un verso si pervenne
alla conoscenza di tutta quanta la produzione letteraria di Boezio, che aveva
appunto tradotto l’Organon per intiero, e per l’altro verso si apprestarono
traduzioni nuove dei libri suddetti: perchè, solamente dopo fatto ciò, potremo
riferire quale attività si sia svolta nel frat¬ tempo sopra questo terreno
gradatamente ampliato. Che quella suindicata limitazione sia effettivamente
sussistita fino al principio del secolo XII, si può forse darlo ora per
dimostrato, sia dalle notizie positive, ad¬ dotte nella Sezione precedente, sia
anche dall’asso¬ luta mancanza di qualsiasi accenno in contrario. Ma ap¬ punto,
quanto più per questo periodo antecedente invo¬ chiamo in nostro favore la
forza dell 'argumentum ex silentio ’), tanto più diligentemente abbiamo preso
in considerazione anche le tracce isolate e per così dire cancellate, di
manifestazioni, dalle quali quel silenzio viene rotto, a partire da un dato
momento. Il punto critico si ha cioè, quando viene presa conoscenza degli
Analitici e della Topica, oltre che degli Elenchi Sofi¬ stici*), e per quanto
ciò sia accaduto soltanto insensi- Certo non deve perciò negarsi la possibilità
di nuove sco¬ perte in qualche Biblioteca, dalle quali vengano messe in luce
notizie, contrastanti con questa nostra veduta; ma tuttavia si tratte¬ rebbe
sempre soltanto di casi isolati, senz’alcun indosso sopra lo svolgimento
generale della logica in quel tempo, perchè a ricono¬ scere l’andamento della
logica in generale, sembrano sufficienti le fonti sinora accessibili, ")
Jourdain nelle sue Rechcrches critiques si era invero pro¬ posto solamente il
compito di ricercare le traduzioni nuove, venute fuori nel Medio Evo, e poteva
escludere dunque dalla propria con¬ siderazione questa rivoluzione, in quanto essa
concerne la cono¬ scenza di Boezio: ma gli sono sfuggiti testi d'importanza
decisiva anche per quel suo intento particolare bilmente e a poco a poco, ci si
può bene aspettare che una conoscenza, sia pur ancora frammentaria, di queste
principali opere aristoteliche non sarà senza connes¬ sione con lo studio della
logica, fattosi ora più ricco e variato. Giacomo da VENEZIA (si veda). Già una
notizia che c del seguente tenore: un tale Giacomo da Venezia [SI VEDA]
tradusse dal greco i due Analitici, la Topica e gli Elenchi Sofistici, e nello
stesso tempo li corredò di un commento, sebbene degli stessi libri ci sia stata
una traduzione più antica » *), — riguar¬ da, come si vede, proprio quelle
opere, che il periodo precedente non aveva nè conosciute nè utilizzate: e,
com’è da rilevare da un lato, che l’informatore, appartenente egli pure al
secolo XII, era edotto della esistenza della traduzione, curata da BOEZIO, di
quei libri, — poiché dove si parla di una traduzione « più antica », non può
alludersi se non a quella —, è parimente chiaro, d’altra parte, che quel tale
Giacomo di VENEZIA (si veda) ignorava che la traduzione stessa esistesse, e
proprio da ciò era stato indotto a curar egli stesso la sua propria versione di
quei libri. Ma il paese, al quale siffatte circostanze vanno ambe¬ due
riferite, è L’ITALIA. Prima ancora che si disponga del testo DEI LIBRI
ARISTOTELICI SU RICORDATI, TRAPELANO D’ALTRA FONTE NOTIZIE SPORADICHE. Si
DIMOSTRA CIÒ CON ARGO- *) In nota a un passo di Roberto da Mont-St.-Michel
(Roberti de Monte Cronica, riprod. dal Pertz, MGH, Vili, p. 489), un
continuatore (cioè « alia manus », ma, come afferma il Pertz [rectiiu: L. C.
Bethmann]) osserva quanto segue: Iacobus Clericus de VENEZIA (si veda) transtulit
de Graeco in Latinum quosdam libros Aristolilis, et commen¬ tatili est;
scilicet Topica, Anal. priores et posteriores, et Elencos; quamvis anliquior
translatio super eosdem libros haberetur fPIL MENTI TRATTI dagli scritti di
AbelardoJ. Questa im- portante notizia, la quale contiene dunque elementi re¬
lativi alla conoscenza di quelle opere, e inoltre nello stesso tempo elementi
relativi alla non-conoscenza delle opere stesse, non sta tuttavia così isolata,
come si ere- deva 4). Una conoscenza di quei libri sembrerebbe cioè, ben è
vero, rimaner esclusa a prima vista da dichiara- zioni di Abelardo, affatto
categoriche e di amplissima portata. Fatta astrazione dal lamento ch’egli leva,
e che qui non c’interessa, per la mancanza di una traduzione della Fisica e
della Metafisica di Aristotele 5 ) — Abelardo c’indica egli stesso
espressamente le fonti della sua lo¬ gica, e dice che la letteratura in lingua
latina, riguar¬ dante la logica, ha per fondamento sette scritti, ripartiti fra
tre autori: di Aristotele cioè si conoscono soltanto le Categorie e il de
interpr., di Porfirio la Isagoge, ma di BOEZIO sono in uso i trattati de
divisione, de differenti™ topicis, de syllogismo categ., de syllogismo hy-
poth. b ); inoltre, anche una osservazione, tratta dagli, ora ’ ®“P ra Giacomo
da V., anche Ueberwec-Geyer, p. 146] .11I Cousin (Ouvr. inédits d’Abélard, p. L
ss, e anche Fragni. de pini, du moyen àge Parigi) è assolutamente in errore, e
dai passi di Abelardo che dovremo citare subito appresso, trae conchiusioni,
solamente in base al tenore delle parole, estrinse¬ camente considerate, senza
por mente al contenuto delle dispute intorno ai problemi della logica. . “I
Abaelardi Dialectica, negli Ouvr. inéd. (ed. Cousin), p. 200: in l hysicis
[et].... in his libris, quos Metaphysica vocat, exequitur (se. Aristoteles).
Quae quidem opera ipsius nullus adhuc translator latinae linguue aptavit.
Confido.... non pauciora vel minora me praesti- turum cloquentiae peripateticae
munimenta, quam illi praestiterunt, quos latinorum celebrat studiosa
doclrina.... Sunt autem tres, quo¬ rum septem codicibus omnis in hac arte
eloquenza latina armalur. Aristotelis enim duos tantum, Praedicamentorum
scilicel et l J eri ermenias libros usus adhuc latinorum cognovil; Porphyrii
vero unum, qui videlicet de Quinque vocibus conscriptus, genere scilicet,
specie, differentia, proprio et accidente, introductionem ad ipsa praeparal
praedicamenta; BOEZIO autem qualuor in consuetudinem duximus libros, videlicet
Divisionum et [2291 Topicorum cum Syllogismis tam Categoricis quam
Hypotheticis. Quorum omnium summam no- Elenchi Sofistici, Abelardo la cita una
volta, soltanto di seconda mano, espressamente riferendosi a BOEZIO, come a
propria fonte 7 ). Mentre dunque Abelardo, com’è di per sè chiaro, da quei
passi di BOEZIO già più volte menzionati, do¬ veva aver appreso esattamente
quali sieno i libri scritti da Aristotele, si direbbe ch’egli riconosca con le
parole ora riferite, in modo assolutamente inequivocabile, che non gli era
possibile far "uso delle traduzioni degli Ana¬ litici, della Topica e
degli Elenchi Sofistici. Ma tutto quel che ci è lecito conchiudere anche da
questo ricono¬ scimento, si è che Abelardo non aveva a disposizione quelle
opere principali di Aristotele, perchè queste in generale non si trovavano tra
gli scritti entrati nell’uso (si ponga mente all’espressioni « usus....
cognovit » e «in consuetudinem duximus »); vediamo cioè che allora in Francia,
in tutti quei luoghi, per i quali Abelardo si andò aggirando o dove in generale
ci si occupava di lo¬ gica, non si possedeva un esemplare del testo genuino di
quei libri; poiché 6e se ne fosse posseduti, con l’ar¬ dore per gli studi di
logica, caratteristico di quell’e¬ strae dialecticae textus pienissime
concludet etc. Che per Topica qui non sia da intendere nient’altro che lo scritto
de diff. top., è dimostrato, oltre che dalla esposizione che di questo ramo
della dialettica si trova nello stesso Abelardo, anche da una quantità di
passi, dov’egli cita punti singoli 'del de di/}, top. come « Topica» di BOEZIO,
tout court: così, p. es., lntrod. ad thcol. [ed. Amboes.], II, 12, p. 1078 [ed.
Cousin, II, 93; PL, 178, 1065] (si riferisce al de diff. top., I, p. 858 s.
[corrisponde a PL), Theol. Christ. [ed. Martène], IU, p. 1281 [ed. Cousin, II,
p. 488: PL] (si riferisce c. s.). Sic et Non, c. 9, p. 41 della ediz. Henke e
LindenkohI [PL (de diff. top., II, p. 866 [PL, ]), ibid., c. 43, p. 105 [PL,
178, 1405] (de diff. top., III, p. 873 [PL, 64, 1197]), ibid.. c. 144, p. 397
[PL] (de diff. top., II, p. 867 [PL]). ') Dialect., ed. Cousin, p. 258: Sex
autem sophismatum genera Aristotelem in Sophisticis Elenchis suis posuisse,
Boethius in se¬ cando editione Peri ermenias commemorai (BOEZIO, p. 337 s. [in
de inlerpr., Secunda editio, II, 6: ed. Meiser, Pars Post., p. 133-4; PL, 64,
460 s.]). poca, li si sarebbe certamente messi in piena luce. Non rimane invece
esclusa in tali circostanze la possibilità che qualche elemento di quegli
scritti sia tuttavia ve¬ nuto altrimenti a conoscenza del pubblico dei dotti: e
sol che si trovasse anche una unica notizia soltanto, della quale si riuscisse
a dimostrare che non possa essere stata ricavata da uessun’altra fonte se non
da uno di quei libri, sarebbe fornita la prova che in qualche maniera, da
qualche altra parte, dati isolati ricavati dagli Analitici e dalla Topica sono
filtrati nell’atmosfera degli studiosi francesi di logica. Ma dimostrare per
opera di quali uomini e in quale maniera ciò sia accaduto, non è com¬ pito da
assegnare a noi; è impossibile fornir tale prova, anzi nemmeno possiamo
designare la fonte locale. Che cioè al tempo di Abelardo si fosse venuti a co¬
noscenza di elementi staccati, tratti da quegli scritti ari¬ stotelici che fin
allora non erano ancora stati messi a profitto, è cosa della quale possiamo
trarre le prove precisamente da Abelardo stesso, e anzi riferendoci non a un
pimto soltanto, ma a parecchi. Abelardo osserva una volta, a proposito della
definizione del genus 8 ), che in determinate circostanze anche l’individuo può
fare da predicato, come p. es. nella proposizione « hoc al¬ bum est Socrates»,
oppure «/tic veniens est Socrates » : — una considerazione questa, che sarebbe
vano ricercare in tutta la serie dei commenti di BOEZIO, ma che si trova bensì
negli Analitici Primi, con letterale coinci¬ denza di quelle proposizioni esemplificative;
e proprio di là questa notizia dev’essere venuta anche a cono- [Glossae in
Porph., ibid., p. 560: videtur esse falsum, quod individua de uno solo
praedicenlur, cum hoc individuum Socrates de pluribus habeat praedicari, ut «
hoc album est Socrates », « hic veniens est Socrates». Il luogo aristotelico
corrispondente si trova negli Anal. pr., I, 27 (nella traduzione di BOEZIO PL. scenza
di vari altri cultori della logica 9 ). Abelardo rife¬ risce inoltre che ci son
« molti » che traspongono la es¬ senza della definizione esclusivamente nella
indicazione delle qualità 10 ) : e non sarebbe il caso di dire che que¬ sta
opinione è soltanto una conseguenza estrema rica¬ vata da un passo [delle
Categorie] già da gran tempo conosciuto [nella traduzione di Boezio] ll ),
perchè un contemporaneo di Abelardo formula quella opinione stessa in termini
tali da ricondurci alla vera sua fonte, che troviamo soltanto nella Topica di
Aristotele 12 ). Abelardo poi, a proposito della controversia intorno agli universali,
usa inoltre una maniera di esprimersi (cioè universalia « appellant in se »),
spiegabile soltanto ove si ammetta che la idea fondamentale di quei passi degli
Analitici secondi, dove Aristotele tratta di xaxà •) Che la cosa abbia dato
occasione a una controversia di moda nelle scuole, ai desume da Joh. Saresb.,
Metalog., II, 20 (p. 110, ed. Giles d. Webb; PL]) : Hoc enim ex opinione
quoTundam sensisse visus est Aristotiles in Ancdeticis dicens (segue quel passo
medesimo [cit. nella nota precedente]). ’”) Dialect., p. 492: Unde multi, cum
significationem substantiae hitjus nominis quod est « homo » agnoscant, nec
qualitates ipsius satis ex ipso percipiant, tantum propter qualitatum
demonstrationem diffinitionem requirunt. “) Abistotele, Cut., 5 ; in BOEZIO, PL.
L’autore dello scritto De generibus et speciebus, dal Cousin attribuito a torto
ad Abelardo (v. sotto le note 49 e 148), dice a p. 541 9.: Concedunt omnes,
species ex differentiis constare.... Dicunl, omnes differentias esse in
qualitate etc. In tale forma accentuata, quest’ultima affermazione poteva esser
ricavata solamente da Ari- stotele. Top. (cioè dalla trattazione, che ivi si
trova, della definizione, con la quale si accordano poi altri passi), e ha
dovuto in tal maniera appartenere al novero di quelle notizie spo¬ radiche, che
ora contribuivano a moltiplicare, le controversie scola¬ stiche; l’autore del
De gen. et spec. fa poi sforzatamente risalire la idea ora citata a un altro
passo di BOEZIO, p. 62 (ad Porph. [a se transl., II, 5: cd. Brandt, p. 186; PL,
64, 93-4]), e dunque è certo che possedeva come fonti solamente i testi
universalmente diffusi. Invece Joh. Saresb., loc. cit., p. 100 [edL Webb, p.
103; PL, 199, 880] mette già in connessione con tale questione anche Sopii.
El., 22, 178 b 36. 7tavTÓ£ e di xn pr,ma
d °° Magalo! bi >]U,S cairn istas concedei ; « nllLl, Secunda figura
coni,agii m > oni oe justum possibile est ! lum Possibile est esse bo -
zs‘?r, • *» : ìt . ’z *• vZ’-£z iz"tr;«,ur Zssrzzzr 6 “ *5 (ibid., nota
5721 _ E-.-, . 41 jnstani esse». Sic et ..._ 6u veraciter componi. ÉZpus enT n Td
Syllog,smi Ibid., c. 27, p. 183 [ed.
Webb, p. 193; PL]: Cete- rum conira eos qui veterum favore potiores AristotiUs
libros exclu- dunt Boetio fere solo contenti, possent plurima allcgari. ed. Webb, p. 170-1; PL, 199, 919-20]: rosteriorum vero
Analeticorum subtilis quidem scientia est et paucis Ma come da questa
lamentanza risulta naturalmente manifesto che quei libri eran conosciuti, così
d’altra parte viene riferito ancora che la Topica aristotelica, da gran tempo
trascurata, proprio allora è stata, per così dire, richiamata da morte a vita
2S ) : e alla infor¬ mazione, secondo la quale questa idea di tirar fuori la
Topica ha anche trovato a sua volta i suoi oppositori, si collega anche l’altra
notizia, concernente un certo D r o g o n e, che non ci è ulteriormente noto, e
che a Troyes manifestamente lavorò attorno alla topica, se¬ condo il modello di
quella di Aristotele 2B ). [| 7. — Nuove traduzioni dell’Organon, nella Bassa
Italia e nell’Impero Bizantino]. — Ma per quanto concerne ora in particolare il
venire in luce di traduzioni nuove, si ricava in verità assai poco da una
lettera di Giovanni, che da Costanza richiede copie ingeniis pervia.... Deinde
huec ulenlium raritate iam fere in desue- tudinem abiil, eo quod
demonstralionis usus vix apud solos malhe- malicos est.... Ad haec, liber quo
demonslrativa trudilur disciplina (cfr. la nota 25), ceteris longe lurbutior
est, et transposilione sermo- num, traiectione litterarum, desuetudine exemplorum,
quae a di- versis disciplinìs mutuata sunt, et postremo, quod non conlingil
auctorem, adeo scriplorum depravatiti est vitio, ut fere quot capita, tot
obstacula hubeul. Et bene quidem ubi
non sunt obstacula capi- tibus pluru. Unde
a plerisque in interpretem difficultalis culpa re- junditur, asserenti bus
librum ad nos non vede translulum | perve¬ nisse]. A qual traduttore si fa qui
allusione, a Boezio o a un altro? B ) Ibid., Ili, 5, p. 135 [ed. Webb, p. 140]
: Cum itaque tam evidens sii utilitas Topicorum, miror quare cum aliis a
maioribus tam diu intermissus sit Aristotilis liber, ut omnino aul fere in
desue- tudinem abierit, quando aetate nostra, diligentis ingenii pulsante
studio, quasi a morte vel a somno excitalus est, ut revocarvi er¬ rante* et i
iam veritalis quaerenlibus aperiret [PL]. “) Ibid., IV, 24, p. 181 [ed. Webb,
p. 191: e v. ivi la nota]: Salis ergo mirari non possum quid mentis habeant (si
quid tamen hubent) qui haec Aristotilis opera carpunt.... Magisler Theodoricus,
ut memini. Topica non Aristotilis, sed Trecasini Drogonis irridebat; eadem
tamen quandoque docuil. Quidam auditores magistri Rodberti de Meliduno (v.
appresso le note 453 e.) librum hunc fere inutilem esse calumnianlur [PL I di
Jibn aristotelici in generale, e prega inoltre che ven¬ gano anche aggiunte
annotazioni, data la possibilità che non ci sia da fidarsi del traduttore 3 °).
È invece di grande importanza veder da lui citato un medesimo passo, sia nella
traduzione di Boezio, sia anche, e contemporanea- mente, nella versione « nuova
>«); e come quest’ultima si distingue per essere più letterale, così in
generale Gio- vanni si era fatta una opinione abbastanza precisa in latto di
traduzioni (soltanto cioè quando queste aderì- scono, quanto strettamente è
possibile, secondo una re- gola rigorosa, all’originale, è dato ottenere una
con,- prensione, garentita contro qualsiasi pericolo di unila- teralna da una «
ratio indifferentiae »); egli dice che una tale opinione ha trovato allora
conferma e appog¬ gio in un Greco da Severinum (cioè da Szoreny in Un- gliena),
versato in entrambe le lingue 32 ). Ora quella I Epist. 211 (II, p. 54 s ed.
Giles 1PL 19Q oacn ri. > stotehs, quos habelis, mihi facialis exscribi ) \.
M,ro . s Ar " supplicatione, quatinus in operibus Aristoteìis ubiZitr 'T
"7"“ haaonetn: cicadàtionès enimJùntJ -IL ^ rPL 199 io A m ct ' 11 .’
Sl sunt > menu ad rutionem Sei HI° IT ^ ÌPÌat ° n T dÌ ArÌS, °, •
A’sitcaftratio indifferentiae per se stessa non c’interessa per il momento qui,
bensì la si vedrà intrecciarsi alla nostra esposizione della logica di Giovanni
da Salisbury (note 574 ss.); ma è ben cosa che c’interessa lino da ora, che, in
connessione con quella, egli ricordi inoltre anche un secondo traduttore
(parimente, è vero, senza riferirne il nome), del quale aveva l'atto la
conoscenza nelle Pu¬ glie 33 ). Ma se, coni’ è attestato da questi importanti
passi, il comparire di traduzioni nuove, ebbe impulso nell’ Impero tuzantino,
e, per opera di Greci, nell’ Ita¬ lia meridionale, e se di ciò ebbero notizia
gli studiosi di logica a Parigi o in Inghilterra, si avrebbe qui una prima
traccia, sebbene passeggierà, di un influsso del¬ l’epoca di Anna Comncna (v.
qui appresso le note 219 e 370, come pure altre notizie nella prossima Sezione,
note 1-5 ss.). — Finalmente può ricordarsi ancora, per così dire ad
abundantiam, che negli scritti di Giovanni, accanto a citazioni coincidenti in
modo assolutamente letterale con la traduzione di Boezio, se ne trovano anche
di quelle, che bisogna chiamare per lo meno inesatte, semprechè non sieno state
originariamente attinte ad altra fonte 34 ). manga, aU’infuori da quel
Severinum che si trova in Ungheria [Webb: / orsan e civitate Sanctae Severinae
in Calabria (Santa Se- verina, prov. di Catanzaro)]. ") Ibid., I, 15, p.
40 [ed. Webb, p. 37; PL, 199, 843] : non pigebit re/erre, nec forte audire
displicebit quod a Graeco interprete et qui Latinum linguam commode noverai,
durn in Apulia morarer, ac- cepi eie. M ) Tra le prime vanno annoverate:
Metal., II, 15, p. 86 [ed. Webb, p. 88; PL, 199, 872] (Top., I, 11: nella
traduzione di Boezio, p. 667 [I, 9: PL, 64, 916]) — e II, 20, p. 110 [ed. Webb.
p. 113; PL, 199, 887] (Anal. pr., I, 27: p. 490 della traduzione di Boezio [I,
28: PL, 64, 669]). — Tra le seconde vanno annoverate: Metal., II, 9, p. 76 [ed.
Webb, p. 75-6; PL, 199, 866] (Top., I, 11: p. 667 della traduzione di Boezio
|I, 9; PL, 64, 917]) -— II, 20, p. 100 [ed. Webb, p. 103; PL, 199, 880] (De
sophisticis Elenchis, cap. 22: nella traduzione di Boezio, p. 750 [II, 3; PL,
64, 1032]) — III, 3, p. 126 [ed. Webb, p. 131; PL, 199, 897] (Top., I, 9: p.
666 della traduzione di Boezio [I, 7; PL, 64, 915. Invece lo Webb rinvia a
Cat., 4, 1 b 25 ss.]). CARLO PRANTL f§ - S’iIVTENSIFlCA LO STimm np,, . —A
LOGICA C„„ la " tT Cm ' BEL Pseudo-BoezioJ. — Ora ch’è f, Tr filate strato
a sufficienza come antece 1, C °“ C1 ° dÌmo " letteraria di Abelardo ^ “ f
1 ^ 6 aI1 ’ atti vità studio della logica fos’se stataT^à arrfccWt^ T ^ sovra
punti particolari e „ P arricchita, abneno piersi a poco a dopo 1, ^ Ve “ Uta P
OÌ a c °®- Jisbury (di questo sr T°i 3 temP ° ^ Giovanni da Sa- ranno ancora “
ale « ; 0m P Ìme «‘o « si presente- - ci è reso noto cosìVfattor T’- * ?8 ’ 219
allora derivare un birre T t™™: ^ qUale doveva nell’attività svolti 1 •
"V™ ° ' lntensità e di estensione si SDie^a t rapporto scambievole die ben
SJ spiega, una forza cooperante era do, . . . dalla teologia donunatica: e ciò
nere! ' “ a f Uardo ' die Sia di fronte allo Scoto EringLt a ortodossia,,„„l le
ta Materi, * * " ' “ «“'»«. ’• stata all’erta così • . q e tloni mgJche,
era resse, ora che la diale1 1 ^'^ ViSta dtd n,e(lesin '° inte- si» «.loro.
z:::~ * r**r « lotte, si tiraron fuori a Ài * propria vita d intime incularlo
teologico affinclo" ordeea> dall’arma- eon,tastanti J '*— Sci. era 'L
SS ““ •“'« 1o»n« eliic’ mischiati anche elementi di ^ ^,rapassassero fra m- fera
dogmatica p ri » L :,tr;i%r P a a'rr;“ ì r te: - valere, ma ora inZiT' . T *°' P Ur fatta mettersi in più inten ^ d " C
^ pOSltlvamente a nitro- logica messa in condizioTeTdot ““ !" 8t ° rÌa
deUa ~ no'opera di grazie a una certa formulazione di principii logico-onto¬
logici, potè esercitare azione cooperatrice nelle contro¬ versie dei
dialettici. Si tratta del de Trinitene del Peeu- do • B o e z i o, e a tal
proposito non mancò natural¬ mente di manifestar il proprio influsso il fatto
che fosse ritenuto suo autore proprio Boezio, il rappresentante di tutta la
logica S5 ). Appunto in quell’epoca cioè, ossia a K ) Da Fr. Nitzsch (Dos
System des Boethius und die ihm zu- geschriebenen theologischen Schrijten [«Il
sistema di Boezio, e gli scritti teologici a lui attribuiti »]), Berlino, 1860,
furono svolte le più valide ragioni elle si oppongono alla tesi [oggi invece
generalmente accettata] che sia Boezio l’autore dei trattati teologici a lui
attri¬ buiti. E se poi Hermann Usener, Anecdoton Holderi [ : ein Bei- Irug zur
Geschichte Roms in Ostgotischer Zeit (« Testo inedito co¬ municato all’Usener
da Alfred Holder: contributo alla storia di Roma nel periodo ostrogotico »).
Festschrift zur Begriissung dcr XXXII. Versammlung deutscher Philologen und
Schulmiinner in Wiesbaden], Lipsia [rectius : Bonn] ha pubblicato di su un
manoscritto di Reichenau del secolo X un passo di un sunto di uno scritto di
Cassiodoro finora sconosciuto (— il passo Tp. 4] suona così: « Boethius
dignitatibus summit excelluit. ulraque lingua peritissima orator fuit....
scripsit librimi de sanciti trinitate et capita quaedam dogmatica et librum
contro Nestorium. condidit et carmen bucali- cum. sed in opere artis logicae id
est dialecticae transferendo ac mathematicis disciplinis talis fuit ut antiquos
auctores aut uequi- peraret aut vinceret » —) e a ciò è unito un tentativo di
dimostra¬ zione dell’autenticità di quei trattati, — non direi che gli sia riu¬
scitoconciòdiconfutareffettivamente la opinione, rappresentata dal Nitzsch e
ripetutamente suffragata dai competenti specialisti. Poiché rimane senza
soluzione la contraddizione innegabile, che cioè un uomo, il quale si mantiene
assolutamente entro la sfera della filosofia della tarda antichità e non fa mai
il nome di Cristo, nè dice mai una parola intorno alla consolazione della idea
cristiana dell’opera di redenzione, si sia occupato minutamente di sottili
questioni di doinmatica cristiana. Se l’Usener (p. 50) dice che si devono
appunto tener separate le due personalità, dell’uomo e dello scrittore
appartenente alla storia della letteratura, questa è cosa che non sembra possibile
in tal maniera per l’autore della Consolatio philosophiae, il quale anzi si
trova direttamente in presenza della questione della teodicea, questione
appartenente all’orbita della religione. Ma poiché in quel manoscritto di
Reichenau neanrhe abbiamo un testo che sia dovuto allo stesso Cassiodoro, bensì
sola¬ mente l’opera di un epitomatore, che, come ammette l’Usener (p. 28),
riassume tutto il lavoro originale frettolosamente, e attri¬ buisce a Boezio
fra l’altro anche un Carmen bucolicurn, rimane co¬ munque possibile che
l’epitomatore stesso, stando sul terreno della tradizione ch'era in
circolazione dal tempo di Alcuino, abbia fatto partir da Abelardo 36 ), si
accumulano le citazioni tratte da quei quattro libri intorno alla Trinità, e
Gilbert de la Porrée li accompagnò con un ampio commento, sì che non era più
possibile lasciarli da parte, nel trattar delle questioni relative.,. Ma ’ 111
ordine a un influsso esercitato sopra la logica, c interessano qui
essenzialmente quegli assiomi, che l’Au¬ tore in principio del 3» Libro [cioè
del libro «Quo- modo substantia, in eo quod sint, bonae sint, cum non sint
smistanti alia bona »] mette in testa a tutto, per poi ri arsi da essi, quando
costruisce nel corso ulteriore dei- opera l’edifizio delle sue prove. Premessa
una defini¬ zione della communis conceptio, gli assiomi stessi”) si riferiscono
alla differenza, invalsa nella teologia, tra es¬ senza Oòcfa) ed esistenza
(òrtóaraai?), in quanto che a quest ultima deve ancora aggiungersi la forma
dell’Es- sere, e per essa lia pertanto luogo una partecipazione, come pure
risulta la possibilità di un avere-in-sc, il che poi conduce alla distinzione
di sostanza e accidente, e serve di fondamento a distinguere due modi di essere
di quella partecipazione; ma, a tale proposito, viene ato rilievo anche alla
unità, in cui sono congiunte negli esseri semplici, a differenza dai composti,
la essenza e la es.stenza, e da ultimo viene messa in vista mia na- turale
affinità di essenza in seno alla diversità esplicata. “Tp* * di Parigi, traua
r]af uth ’ ’ !•’ P ' ? 039 ’ Amho ™- [ed. di d’Anjboisel W.Co^II.mTpI.iS 10Mr,Ser,,ti
^ Fra " S ° ÌS ZtaontZb no,a tìSu/ti£'Za rÌ39Ue etiam d “ ci,jlinis:Pr °
pOSUÌ «EQuesti prineipii, dei quali non ci concerne qui 1 uso che se ne faccia
nel campo teologieo-dommatico, non tar¬ darono a essere citati, anche da
cultori della dialettica, come « regulae », insieme con altre « auctoritates »,
e e da ritenere che vari studiosi di logica sin da principio, su questioni
ontologiche, si guardassero daH’andar con¬ tro questi assiomi, perchè poteva
inoltre esserci la mi¬ naccia di conseguenze pericolose, relativamente alla
Tri¬ nità. Così ne venne, che si ebbe qui non già soltanto una più larga
applicazione della logica alla teologia, ma an¬ che un diretto influsso di
elementi dominatici sopra il movimento di elaborazione della logica nel suo
aspetto ontologico. [§ 9. — Contrasto fra logica e dogma]. — Senza dubbio, con
questa mescolanza viene a verificarsi una situazione caratteristica, ed è cosa
notevole che in quel¬ l’epoca, naturalmente incapace di una chiara e medi¬ tata
separazione dei due campi (nel senso in cui 1 hanno intesa p. es. Cristiano
Thomasius o Pietro Bayle), venga enunciata tuttavia la incommensurabilità delle
due ve¬ rità, teologica e logica, mentre si continuava a svol¬ gere nello
stesso tempo i due punti di vista inconcilia¬ bili. Anzi proprio Abelardo
stesso, il Peripateticus Pw- latinus, ne dà la più eloquente testimonianza,
quando 2) Diversum est esse, et id quod est. Ipsum enim esse nondum est. At
vero quod est, accepta essendi forma, est alque consistit. 3) Quod est, participare aliquo potest. Sed ipsum
esse nullo modo aliquo participat.... 4) Id quod est. Iutiere aliquid
praeterquam quod ipsum est, potest, ipsum vero esse nihil aliud praeler se,
habet admistum. 5) Diversum est....
esse aliquid, et esse aliquid in eo quod est: illic enim uccidens, hic
substantia significalur. 6) Omne quod est, parlicipat eo quo est esse, ut sit,
ulio vero participat, ut aliquid sit.... 7) Omne simplex esse suum, et id quod
est. unum habet. 8) Omni composito aliud est esse, aliud
ipsum est. 9) Omnis diversitas est discors, similitudo vero quaedam appetendo
est. Et quod appetii aliud, tale ipsum esse naluraliter ostenditur, quale est
illud ipsum, quod appetit fFL, dice che ai cultori della logica, ovvero
Peripatetici, Dio rimane ignoto, perchè da quelli tutto viene sussunto a una o
l’altra delle dieci categorie, laddove Dio non può cadere sotto alcuna di
queste 38 ) : e mentre ciò potreb- b’eseere ancora interpetrato come il punto
di vista ge¬ nerale, venuto in uso fra i teologi da Agosthio in poi (efr. lo
Scoto Eriugena, Sez. precedente, note 120 s.), Abelardo, proprio relativamente
alla dottrina della Tri¬ nità, si pronuncia con la massima chiarezza, nel senso
che quella ha i suoi nemici più pericolosi nei dialettici o peripatetici 39 ),
argomentando costoro, dal punto di vista della logica, la unità individuale dalla
unità di essenza delle tre Persone, e, viceversa, dalla diversità delle tre
Persone la diversità della loro essenza 40 ). E non ténTI D B nRANn D VP e0/ '
Chrht " V- 1271 (ne,la di Mar- tene e Uuram) Thesaurus novus Anccdotorum,
Parigi, 1717, voi V) ed- t-ousin, II, p. 478]: Quod autem illi quoque doctore's
nostri UT intendimi Logieae. ill„ m summam majestatem, quam in n . L eUm eSSe ',rofì
"; nt ", r - omnino ausi non sunt attingere, aut Cum e Z oZ ? COm P
rehender *’ ex ipsorum scriptis liquidum est. Cum erum omnem rem aut
substantiae aut alieni aliorum genera- lissimorum sub],ciani: inique et Deum,
si inter res ipsum eom- dZnnZT ’ aut ? ubstantiis ’ quanti tali bus, aut
ceterorum prue- dicamentorum rebus connumerarent, quod nihil omnino esse ex
ipsis convmcitur (p. 1273) [480].... qui tamen omnem rem aut siibstantiae aut
alieni aliorum praedicamenlorum applicanti palei leni 1’ ruCU,lu h
.enpalelicorum illuni summam [481] majesla- tem omnino esse exclusam [PL], '
Christi'^tion / C 1 ’, P ‘ 1242 C44, 8] j S " Pr " univers °> s
autem inimicos sani-lue TriniZZZ*’ J,,daeo \ sive Oenliles, subtilius fide,,,
essores d el Perquuunt. e, ucutius arguendo contendimi prò- fessores
dialecticae, seu import,mitas sophistarum. quos verborum agrume atque sermoni,m
inundatione bentos esse Plato irridendo apZtzl mm T dem ’ ° ^ nane dZeZeos
[PL^l 78, ]2 lT™ UUaS ^ maXlmM haere *es.... esse repressas eie. eillinl
"'Z'f 'I' P ' 1266 r472,: in loco Kravissimae et diffi¬ cili,mae
Dialecticorum quaestiones occurrunt. Hi quippe ex unitale duZsTtn, n ",tuU
' m Pecsonarum impugnanti ac cursus ex [473] rìnZn, Pf ‘ rSO " an,m
ldentlt !' u ‘ m essentiae oppugnare laborant. rPL T?8 A C, TH Z'T"r P
onamus ' r>°'« a dissolvamus di A . r '° A, "dfd fa ora seguire una
enumerazione, ' f P t nl, . tre *, ‘•«""•o 'a Trinità, ricavate dalla
logica, per confutarle poi teologicamente. 1
è facile (lifatti metter d’accordo il concetto aristotelico della
sostanza individuale con il domina della Trinità, sicché a rigore tutt’i
cultori della logica, che seguivano Aristotele, si trovavano inevitabilmente
esposti alla tac¬ cia di eresia. [ § io. — Pietro Lombardo. Bernardo da
Ciiiara- valle]. — Così si riesce a spiegare come Pietro Lombardo (morto nel
1164 [1160.'']), mentre sta ad attestare la connessione tra la controversia
intorno alla Trinità, e la scissione delle tendenze sul terreno della logica,
respinga nello stesso tempo qualsiasi applica¬ zione della logica a quella
fondamentale questione della teologia 41 ). Anzi egli stesso è esclusivamente
puro teo¬ logo in così alto grado, che per lui la questione degli universali in
generale non è neanche oggetto di con¬ tesa; e mentre più tardi
(particolarmente nella Sez. XIX) avremo a sazietà occasione di ravvisare nei
nume¬ rosi commenti ai « Sententiarum libri quatuor » del Lom¬ bardo (ch’eran
divenuti, com’è noto, il fondamento di tutta quanta la letteratura teologica)
un principale tea¬ tro della guerra intorno agli universali, il Lombardo “)
Petri Lomhardi Sententiarum 1, 19, 9 (/. 27, ed. dl Ira, 1516 fdi Quaracclii:
S. Bonaventurae Opera omnia l,p. ifUj): Videlur tamen mihi ita posse accipi.
Cum alt (se- AugustinusJ « substantia est commune, et hypostasis est
particulare » ; non ita haec accepit, cum de Pro dicantur, ut aecipiuntur m
phtlosophtca disciplina, sed per similitudinem eorum quae a philosophis dicun-
tur. locutus est; ut sicu/ ibi commune vel universale dicitur quod praedicatur
de pluribus. particulare vero vel individuimi quod d uno solo; ita hic essentia
divina dieta est universale, quia de omni¬ bus personis simili et de singulis
separutim dicitur, particulare vero singula quaelibet personarum, quia nec de
alus hoc de aliqua aliarum singulariler praedicatur. I ropter similitudinem
ergo pruedicalionis substantiam Pei dixit universale, et P^ s °nas particularia
vel individua.... (e. 101 Dicuntur enim ^ d^erre numero, quando ita difjerunt.
ut hoc non sit tUud.... dl b ferunt Socrates et Pialo et huiusmodi, quae apud
philosophos di- cuntur individua vel particularia; iuxta quemi modum non
possunt dici tres personae differre numero. Etc. [PI-, 192, 57 1 (I, 1, 14 e 1
)]. non si è in alcun luogo immischiato egli medesimo in questa controversia,
bensì solamente, con l’uso di de¬ terminate innocenti parole, ha offerto a’
suoi conunen- tatori motivo occasionale di dare, nella lotta già divani- pata,
libero corso al loro infiammato zelo. E come ciò si è verificato nella più
larga misura per le parole testé mentovate del Lombardo, così il lettore delle
« Sente*- tiae » non può, a proposito di moltissimi luoghi, avere neanche il
piu lontano sentore della caterva di discus- «oni, attinenti a, problemi
logici, che vi si sarebbe più tardi riattaccata la). De] resto ^ p.^
riproducono anche le sofistiche quistioni, più sopra (Sez. precedente, nota
303) citate, dibattute dalla teolo¬ gia medievale « ■»). Nello stesso senso può
ricordarsi che anche un altro celebre contemporaneo, cioè Bernardo da Chi ara
valle (nato nel 1091, morto nel 53) apertamente si professa nemico della
dialettica «). simplex, i. e.'indivisibìlh et inmateliaÙs^pluna’ Es " cn,
j a restie! f r ia ’ te r de •h 1-2)1. O similmente L^L^ T-'T^ Qua «u,r'rÌ’ V
49 ’ r 61 ‘ 5 f?) ’ n, 17, i m ; ’ 19 ’ 1 fed ' logia trovò e aÌche°i dd in —
-Ha teo- tenga esclusivamente alla letteratura tcXrir° 0013 478) ’ appar "
libro di Fr. Protois Pierri* tomi ì .° 0f!ter m veniendam neces- cst logica
causa elLuenZZ N P™ Slma «»'*•» omnium inventa disciplinas investigarmi et
’unireM Tert'’ ^ prn ! !tl ' ct, as Principales tractare, et disserro de UlZc
Zà veracl ™’ honestius dlas cius per dialecticum, honestius ner rhoZ ** ^
(,mmati c«m, vera- cundiae rectitudinem veritatem heU, rtcam. Logica namque fa-
^asi testualmente nel mZZ’X"‘TZ ad ^ nitt ^ U s,esso - 809]); cfr. ibid..
I r „ ) ì 2 Vn 7 m’ TI ; P - 39 fPL > 17 6, 745, 752, 765], P ' ’ 2 (l >-
7); III, 1 (p . i 5) tPL> 176 . 1 Lhdasc., I, 12 (Opp., HI, p . fj) mj j 7fi
7 . q| . repertae fuerant; sed necesse luitloZ ’ * . ' • Ceterae pnus nemo de
rebus con veniente J PljZ quoque invemn ; quoniam quandi rationem agnoverii. —
/ 6,u"vi TmÓ' iqf IpZZZm ^ Istae tres usu prirnae lucrimi to/ i * * 176,
8091: venta est logica Ouae cum dt i p ? stca P r °Pter eloquentiam in- debet
in doctrina - Fr, J ‘, -''"'T' Ul " ma ' prima tamen Excerpt. pnor.,
loc. ciL, c. 23: In designa la logica come « sermocionalis », perché tratta «
de vocibus » 47 ), e la divide ora in una maniera che ci ricorda molto da
vicino lo Scoto Eriugena (Sez. prece¬ dente, nota 105), dimodoché, appartenendo
alla logica, secondo la più vasta accezione della parola Àóyoc, ogni
manifestazione della facoltà di parlare, la logica stessa si divide così in
grammatica e logica rarìonalis: que- st’ultima, corrispondente all’accezione
più ristretta della parola Àóyo;, viene poi ulteriormente suddivisa nella
maniera ordinaria, tenuti presenti i passi ovunque divulgati di BOEZIO. Movimento
più intenso: grande estensio¬ ne, E IN PARI TEMPO CARATTERE UNILATERALE, DELLA
LETTERATURA ATTINENTE ALLA LOGICA]. — Ben è vero che sa¬ rebbe stato certo più
comodo lasciare sin da principio legendis urtibus talis est orda servandus.
Prima omnium compa¬ rando est eloquentia, et ideo expetenda logica, deinde etc.
[PL], ) Didasc., II, 2 (p. 7) [PL Philosophia dividitur in theoricam,
practicam, mechanicam, et logicum. Hae quatuor omnem continenl scientiam....
Logica sennotionalis, quia de vocibus tractat.... Hanc divisionem Boetius fucit
uliis verbis.... (segue il passo citato più sopra, Sez. XII, nota 76). *)
Ibid., I, 12 (p. 6): Logica dicitur a Graeco vocabulo Àóyog, quod nomen geminam
habet interpretationem. Dicitur enim Xiyog sermo sive ratio (v. Isidoro, Sez.
precedente, nota 27): et inde logica sermotionalis sive rationalis scientia
dici polesl. Logica ralionalis, quae discretiva dicitur, continet dialecticam et
rhetoricam. Logica sermotionulis genus est ad grammaticum, dialecticam atque
rheto¬ ricam: et continet sub se disertivam. Et haec est logica sermotionalis,
quam quartam post theoricam, practicam et mechanicam annume¬ rami^ [PL, 176,
749-501. — Excerpt. prior. TI1, c. 22 (p. 339): Logica dividitur in
grammaticum, et rationem disserendi. Ratio disserendi dividitur in probabilem,
necessariam. et sophisticam. Pro- babilis dividitur in dialecticam et
rhetoricam. Necessaria pertinet ad philosophos, sophistica ad sophistas (v. BOEZIO).
Grammatica filosofica est scientia RECTO loquendi. Dialeclica dispulalio acuta,
verum a falso distinguens. Rhelorica est disciplina ad persuudendum quaeque
idonea [PL, 177, 201-21. — Didasc., Il, 29 (p. 14): Logica dividitur in
grammaticam. et in rationem disserendi. Grammatica razionale,... est litteralis
scientia.... Ratio disserendi agii de vocibus secundum intellectus fPL, 176,
7631. — Ibid-, 31 (p. 15): Ratio disserendi esaurirsi tutta quauta la logica in
un simile cliché tradi¬ zionale, e a questo modo anche le idee
platonico-cristiane, del pari che la dommatica teologica, avrebbero po¬ tuto
continuare, senz’essere turbate nella loro ingenuità, la innaturale loro
alleanza con avanzi di aristotelismo atrofici e contorti. Tuttavia l’intimo
impulso ch’è peculiare alla dialettica, era pur anche rimasto vivo, già fino a
questo momento, in seno alla stessa ecclesia docens, e poiché ora, come s’è
visto, da due lati si faceva strada una più energica spinta (da due lati: vale
a dire, da un lato, proprio per effetto della controversia dommatica intorno
alla Trinità, e dall’altro, per effetto della cono¬ scenza sporadica, la quale
gradualmente veniva com¬ piendosi, dei libri aristotelici fin allora ignoti),
si levò ora, nel tempo stesso, sul terreno della logica, accanto alla scuola di
S. Vittore, con tutto il suo misticismo, un ricco movimento, diviso in
molteplici diramazioni : e qui la stona della logica, dovendosi stare alle
fonti esistenti, entra in un periodo di difficoltà estrema. La difficoltà
consiste cioè per prima cosa in questa circostanza, che le informazioni a noi
accessibili discendono bensì con abbondanza di notizie sino al minuto
particolare, ma intanto, con la loro forma semplicemente frammentaria, ci
lasciano all’oscuro, riguardo a tutt’i fili di collegamento: a ciò si aggiunge
ancora il carattere indeterminato della usuale espressione « quidam » ch’era in
uso [per designare i rappresentanti di una data tendenza], o della integrale partes
habet, inventionem et judicium (v. più sopra Boe- : divisivas vero
demonstrationem, probabilem, sopluslicam. Demonstratio est in necessariis
argnmentis, et pertinet ail philosophos. Probubilis pertinet ad dialecticos et
ad rhetores. Sophistica ad sopliistas et caviliutores. Probubilis dividitur in
dia- lecticam et rhetoricam, quorum utraque integrales partes habet in-
venhonem et judicium [PL, 176, 764], Parimente ibid.. Ili, 1 • i i * k’ 176, 765], Le stesse notizie
ritornano in una € Epitome iti philosophiam » «li Ugo, edita dall’ Hauréau
(Hugues de Saint-Vi- ctor: nouvel examen de l’èdition de ses oeuvres, Parigi indicazione
del nome di im cultore della logica, con la semplice lettera iniziale; e così
in generale (particolarmente p. es. riguardo a quel frammento, al quale il
Cousin diede il titolo « De generibus et speciebus ») 4 "), la ricerca,
che comunque sarebbe di già malagevole, viene attraversata inoltre da
molteplici difficoltà lette¬ rarie; per di più fra i relatori ce n’è parecchi
che in se medesimi son poco degni di fede, e c’imbattiamo in contraddizioni,
che non possiamo, per mancanza di al¬ tre fonti, risolvere in maniera adeguata.
Ma se poi si domanda ancora come questo materiale slegato e lacunoso debba
venir elaborato per la pre¬ sente esposizione, ecco quel che debbo limitarmi a
ri¬ spondere: data la impossibilità di svolgere il pensiero dei singoli autori
(per la maggior parte non meglio conosciuti) secondo Cordine della successione
storica, io sono riuscito a trovare, dopo molta riflessione, soltanto
l’espediente di presentare l’epoca di Abelardo in blocco, e precisamente in tal
modo che, analogamente a quel che ho fatto nella Sezione XI, vengano messe
sott’oc- cbio le numerose controversie, secondo l’ordine di suc¬ cessione di
quei gruppi che, negli studi di logica di quel¬ l’epoca, prevalgono per
importanza, quanto al conte¬ nuto; a tal riguardo è da notare che le varie
opinioni intorno alla Isagoge, cioè la disputa intorno agli Uni- «) Non poteva
non esser «ausa di grave confusione, l’errore degli eruditi francesi, i quali
con il Cousin hanno ritenuto che questo frammento sia opera di Abelardo; sopra
tale punto ha più rettamente giudicato H. Ritter (sebbene non sia per noi
accetta» bile la sua congettura, riguardo l’autore di quello scritto: v. ap¬
presso la nota 146); invece — a prescindere dal Rousselot, che non poteva
ancora avere sott* occhio, quando compose la sua opera [Études sur la
philosophie dans le Moyen a Parigi, 1840-21, il VII 0 volume del Ritter — anche
il RÉMUSAT e persino I’Haureau han fatto le. viste di non conoscer affatto la
opinione del Ritter,. e, aderendo al Cousin, si sono fondati sopra quello
scritto per costruire argomentazioni, che dovevano nuocere alla esatta
esposizione della controversia intorno agli universali. CABLO PRANTL versali,
offrono un materiale più vasto che non i dibat¬ titi sopra le rimanenti parti
della logica. Ma mentre degli autori più eminenti e meglio conosciuti si viene
così a parlare, in connessione con questi motivi atti¬ nenti al contenuto,
bisognava senza dubbio che io facessi una eccezione, proprio per Abelardo: le
vedute di lui intorno agli universali potranno pine a loro volta esser fatte
oggetto di sufficiente disamina solamente più tardi, quando si tratterà di
esporre la caratteristica di tutta quanta la sua Dialettica, poiché egli è
invero il solo, del quale possediamo uno scritto, che abbracci quasi in¬ tiera
la sfera della logica. Tuttavia mi è sembrato che un tale smembramento della
esposizione delle contro¬ versie, per quanto si riferiscono agli universali,
fosse qui proprio il minore degl’inevitabili inconvenienti. Ad Abelardo potremo
poi far seguire, allo stesso modo, principalmente Gilbert de la Porrée e
Giovanni da Sa- lisbury. Per effetto delle ragioni suindicate, lo studio della
logica, a prescinder dalla sua universale diffusione in tutt’i paesi,
decisamente progredì, quanto alla inten¬ sità, in rigore e precisione, e per
quanta era la esten¬ sione del materiale allora accessibile ai cultori della
logica, ci si abituò, con la maggior esattezza possibile, a ponderar e
lumeggiare da vari lati tutte le particolari tesi o controversie: certo con
questo lavoro, mancando in modo assoluto una base propriamente filosofica, po¬
teva venir fuori soltanto una sottigliezza contraddistinta da unilaterale
formalismo, e die per un verso doveva condurre al massimo sminuzzamento nella
formazione di contrastanti indirizzi, mentre per l’altro verso fu, a sua volta,
parimente alimentata e rafforzata da quello: e il numero dei magiatri, che in
tal maniera, per lo più risolvendo polemicamente i contrasti di opinioni,
esplo¬ rarono con cura tutto il campo della logica, non può forse, nella sola
Francia, essere rimasto molto al di sotto del centinaio. Non farà meraviglia
che in un tale movi¬ mento quelli che non avevano a priori, per ragioni teo¬
logiche, un sacro orrore della logica, si trovassero spesso imbrogliati, al
primo momento che ne intraprendevano lo studio 50 ) ; anche a noi vengon pure
quasi le verti¬ gini, quando dai particolari frammentari risaliamo a una
conchiusione concernente quella totalità, alla quale essi avevano appartenuto.
È una grande illusione, a pro¬ posito del movimento di quell’epoca nel campo
della logica, creder di potersela cavare con i due termini di « nominalismo » e
« realismo », tutt’al più aggiungen¬ done ancora un terzo, cioè «
concettualismo », poiché in primo luogo, come apparirà manifesto, la divisione
in tendenze contrastanti è ben più molteplice, e questa, in secondo luogo,
costituisce soltanto una parte dell’at¬ tività complessiva spiegata nello
studio della logica. Le vicende dello
studio della logica, NEL RACCONTO CIIE NE FA GIOVANNI DA SALISBURY. Se ci
possiamo interamente fidare di Giovanni da Sali-sbury, il quale spesso in
verità si è limitato a metter giù impressioni generiche, e in buona parte
puramente a memoria (v. appresso la nota 536), in quei decenni il corso seguito
dalla logica nel suo svolgimento, in quanto essa fu rielaborata in compendi
(artes) o in com¬ menti o semplicemente in glosse 51 ), sarebbe 6tato in
complesso il seguente. Giovanni parla cioè di un awer- M ) Abael. Dialect.,
ediz. Cousin, p. 436: Sed quia labor hujus doclrinae diuturna*.... jatigat
Icctores, et multorum studia et aelates sublilitas nimia inaniter consumit,
multi.... de ea diffidentes, ad ejus angustissimas fores non audenl accedere;
plurimi vero ejus subtili- tate confusi, ab ipso aditu pedem referunt. 51 )
Joh. Sakesb. Metal., ITI, Prol., p. 113 (ed. Giles, voi. V [ed. Wclib, p. 117;
PL): Nec in transitu vel semel dialecti- corum attigi scripta, quae vel in
arlibus vel in commentariis aul glosematibus scienliam pariunt aut retinent aut
reformanl. II sario della sua concezione della logica, da lui simboli¬ camente
denominato Cornificio (v. appresso le note 528 se.), e in tale occasione dice
52 ) che quel modo di fare, venuto in voga, di chi, senza uno studio metodico e
faticoso, vuol diventare filosofo, ma riesce in realtà a diventare solamente un
sofista e a addestrare gli altri nella pura sofistica, proviene da quella
scuola, nella quale ) Ibid., I, 1, p. 13 [ed. Webb, p. 8]: Cornificius non ter,
stu- diorum eloquenliae imperilus et improbus impugnatoti. (2, p. 14 [ed. Webb,
p. 9]): populum qui sibi credat habet; et.... ei.... turba insipientiurn
adquiescit. lllorum tnmen maxime, qui.... videri quam esse appelunt
sapientes.... 3, p. 15 ss. 110J: sine arlis beneficio.... faciet eloquentes et
tramite compendioso sine labore philosophos.... Eo autem tempore ista
Cornificius didicit quae nunc docenda re- servut,... quando in liberalibus
disciplinis Intera nichil erat et ubique spiritus quuerebutur, qui (ut aiunt)
latet in littera. Ylum esse ab Hercule, validum scilicel argurncnlum a forti et
robusto argumen- tutore..., et in hunc modum docere omnia, sludium illius
aetatis erat. Insolubilis in illa philosophantiurn scola lune temporis quae¬
stio habebatur, an porcus, qui ad renalicium agilur, ab homine an a funiculo
teneatur. Item, an capucium
emerit qui cuppam integram comparava. Inconveniens prorsus erat oratio, in qua
haec verbo, «conveniens » et « inconveniens », « argumentum » et « ratio» non
perslrepebant, multiplicatis particulis negativis, et traiectis per « esse » et
« non esse », ita ut calculo opus esset, quotiens fuerat di- sputandum. Sufficiebat
ad victorium verbosus clamor; et qui undecumque aliquid inferebat, ad propositi
perveniebat metam. Eoe- tae, liisloriographi habebanliir infames, et si quis
incumbebat labo¬ ri bus anliquorum (cioè degli autori dell’antichità, Porfirio,
Boezio), .... omnibus erat in risum. Suis enirn atit magistri sui quisque
incum- bebat inventis. l\ec hoc tamen diu licitum, curn ipsi auditores....
urgerentur, ut et ipsi, spretis bis quae a doctoribus suis audierant, cuderent
et conderent novas scctas. Fiebant ergo summi repente phi- losophi; nani qui
illiteratus accesserat, fere non morabatur in scolis ulterius quam eo curriculo
temporis, quo avium pulii plumescunl. Jtaque recentes magistri e scholis ...
pari tempore.... avolabanl. Bcce nova fiebant omnia; innovabatur gramalica,
immutabatur dialectica, contemnebatur rethorica; et novas totius quadruvii
vias, evacuatis priorum regulis, de ipsis philosophiae aditis proferebant.
Solam « convenientiam » sive « rationem » loquebantur, « argumen¬ tum » sonabat
in ore omnium, et.... nominare.... aliquid opertim naturar instar criminis erat
aut ineptum nimis aut rude et a phi- losopho alienum. Impossibile credebatur «
convenienter » et ad rationis » normam dicere quicquam, aut facere, nisi «
convenien- tis» et « rationist mentio cxpressim esset inserta. Sed nec argu¬ mentum fieri licitum, nisi praemisso
nomine argumenti [PL ci si voleva mostrar geniali di suo, con l’occuparsi, sen¬
z’altro fondamento che l’attitudine logica innata, di con¬ troversie del genere
più balordo (p. es., se un maiale, portato al mercato, è tenuto dalla fune o
dall’uomo, e simili), sempre tuttavia sputando con arrogante alba¬ gìa alquanti
termini tecnici della logica, — un indirizzo, questo, tanto intollerante nei
riguardi di qualsiasi altra scienza e studio, quanto destinato, con la sua
mania del nuovo e il rapido trapasso dall’apprendere all’insegnare, a
frantumarsi subito nella più confusa varietà di vedute individuali. Questo
anfanare senza ima direzione, ha avuto ora per conseguenza 53 ), che ialini,
persuasi della vanità di siffatte cose, in preda a un pessimismo uni¬ versale,
si son rifugiati nei monasteri, altri han posto mano, a Salerno e a
Montpellier, allo studio della me¬ dicina, per coltivare ora questa scienza con
lo stesso spirito cavilloso che prima mettevano nello studio della logica : ma
altri a lor volta cercavano di campare alle corti dei ricchi e dei potenti, e
altri infine, a nulla pensando fuorché a guadagnare quattrini, si son dedi¬
cati alle sfere più basse di attività (v. appresso la nota 530): insomma, con
tutta questa genia, la logica e la scienza in generale son cadute nel massimo
dispregio. In seguito tuttavia — continua Giovanni ) — per opera ") Ibid.,
c. 4, p. 18 ss. [ini. Webb, p. 12; PL,
Alii namque monuchorum aul clericorum claustrum ingressi sunt.... de- prehendentes in se et aliis
praedicantes quia quicquid didicerant vanitus vanitatum est. Alii autem....
Salernum vel ad Montem Pessulanum projecli, facti sunt clientuli medicorum, et
repente, quales fuerant pliilosophi, tales in momento medici
eruperunt...Alii.... se nugis curiulibus mancipaverunt ut, magnorum virorum
patrocinio jreli, possent ad divitias aspirare.... Alii autem.... ad vulgi
profession.es easque profanas relapsi sunt; parum curante* quid philosophia
doceat.... dummodo rem faciant f 11 » 6
> P- 138 [ed. Webb, p. 143; PL, 199, 904]: Non... inanem reputem operam
modernorum, qui equidem nascentes et convalescentes ab Aristotile, inventis
eius nudlas adiciunt rationes et regalas prioribus aeque firmas..Habemus
graliam.... Peri¬ patetico Palatino, et alus
praeceptoribus nostris, qui nobis proficere studuerunt vel in explanatìone
veterum vel in inventione novorum. ) Epist. 181 (voi. I, p. 298, ed. Giles)
[PL, 199, 179]: Sludiis tuis cangratulor, quem agnosco ex signis perspicuis in
urbe garrula et ventosa, ut pace scholarium dictum sit, non tam inutilium argu-
mentationum locos inquirere, quam virlutum. Tuttavia è anche pos¬ sibile,
poiché non sappiamo nient’allro sul conto del Maestro Ra- «E*» N,CER '
destinatario dt questa lettera, che per urbs ventosa debba intendersi Avignone,
essendo passato in proverbio: « Avenio ventosa, stne vento venenosa, cum vento
fastidiosa » fluiva col non sapere nemmeno più quale fosse la opi¬ nione sua
propria S8 ) : e intanto poi, per amor di gloria personale, si disprezzavano
anche gli autori antichi, e si metteva da parte quell’ordine, al quale la logica
sco¬ lastica si soleva attenere 5B ). E infine vien fatta ora inol¬ tre
espressamente la osservazione, che questo enorme e stupido dispendio di tempo e
di energie aveva per suo principale obbietto la Isagoge, e che questa veniva
com¬ mentata, assumendosi a compito esclusivo e supremo la contesa intorno agli
universali 60 ), sicché da ultimo nella *') Melai., II, 6, p. 72 [od. Webb, p. 71]: Indignantur....
puri philosophi et qui omnia praeter logicam dedignantur, aeque gram- maticae
ut phisicae experles et ethicae.... c. 7, p. 73 [72] : qui da- mant in compilis
et in triviis docent, et in ea, quam solam profi- tentUT, non decennium aut
vicennium, sed lolam consumpserunt aelatem.... Fiunt itaque in pile rili bus
Achadcmici senes, omnem dictorum aut scriplorum excutiunt sillabam, immo et
litleram; dubi- lanles ad omnia, quaerentes semper, sed numquam ad scientiam
pervenientes; et tandem convertuntur ad [73] vaniloquium, nescien¬ te* quid
loquantur aut de quibus asserant, errores condunt novos, et antiquorum (cioè
degli autori dell’antichità, come più sopra, nota 52) aut nesciunt aut
dedignantur sententias imitari. Compilant omnium opiniones, et ea quae eliam a
vilissimis dieta vel scripta sunt, ab inopia iudicii scribunt et referunl....
Tanta est opinionum oppositionumque congeries, ut vix suo nota esse possit
auctori [PL], — lbid-, c. 18, p. 93 [96; PL] : De magistris ani nullus aut
rarus est qui doctoris sui velit inhaerere vesligiis. Ut sibi faeiat nomea,
quisque proprium cudit errorem. — Polycr., VII, 12, p. 126 [cd. Webb, li, p.
141] : Veterem.... quaestionem in qua lobo- rans mundus iam senuit, in qua plus
temporis consumptum est quam in adquirendo et regendo orbis imperio
consumpserit Coesa- rea domus.... Haec enim tam diu multos tenuit ut, cum hoc
unum in tota vita quaererent, tandem nec istud nec aliud invenirent [PL, 199,
664]. V. inoltre appresso, nota 540. “1 Enthetìcus, v. 41 ss.: Si sapis
auctores, veterum si scripta recenses, Ut staluas, si quid forte probare velis,
Undique clamabunt « i ctus hic quo tendit asellus? Cur veterum nobis dieta vel acta
refert? A nobis sapimus, docuit se nostra juventus, Non recipit ve¬ terum
dogmata nostra cohors. Non onus accipimus, ut eorum verbo sequamur, Quos habet
auctores Graecia, ROMA colit.... » (v.
59) « Temporibus pioniere suis veterum bene dieta. Temporibus nostris jam nova
sola placent ».... Haec schola non curat, quid sit modus, ordove quid sit, Quam
teneanl doctor discipulusque viam [PL Metal., II, 16, p. 89 [ed Webb, p. 901:
Sed quia ad hunc elementarem librum (cioè le Categorie) magis elementarem
quodam- STORIA DELLA LOGICA IN OCCIDENTE disamina dello scritto di Porfirio si
finiva con il cac¬ ciar dentro tutta la filosofia, offrendosi in tal modo un
campo alla sodisfazione della vanità personale, e ugual¬ mente recandosi danno
all’insegnamento La polemica intorno agli universali: si PUÒ DIMOSTRARE CHE
ALMENO TREDICI ERANO LE CORRENTI, NELLE QUALI SI DIVIDEVANO LE OPINIONI SU
QUESTO PROBLEMA. Così le notizie, di carattere più generale, trasmesseci da
Giovanni da Salisbury, ci portano natu¬ ralmente a prender in esame le
controversie intorno agli universali, e da quel che abbiamo veduto sinora, ci è
lecito concliiudere legittimamente, che la contesa di¬ vampò, in quella maniera
unilaterale e sofistica, nei primi decenni del secolo XII, sicché qui si
presenta ma¬ nifesta la connessione storica con la comparsa di Ro- scelino e
con le lotte insorgenti in quell’epoca (v. la Sez. precedente, note 312 ss., e
particolarmente 326). Ci sono anzi ragioni interne, militanti a favore della
opi- modo scripsit Porphirius, eum ante Aristotilem esse credidit anti- quilas
praelegendum. Recte quidem, si
recte doceatur; id est ut tenebras non inducat [91] erudiendis nec consumat
aetatem.... c. 17, p. 90: Naturam tamen universtdium hic omnes expediunt, et
altissi- munì negotium et maioris ìnquisitionis contro menlem auctoris expli-
care [92] nituntur. — Ibid., Ili, 5, p. 136 [141]: qui in Porphirio aut
Categoria explanandis singuli volumina multa et magna con- scribunt [PL, 199:
873-4, 903]. Ciò trova conferma in una espres¬ sione
di Abelardo: v. appresso la nota 104. I Ibid., I], 20, p. 113 [ed. Webb] : Nec
fideliter cum / or ph trio nec utiliter cum introducendis versantur qui omnium
de generibus et speciebus recensent opiniones, omnibus obviant, ut tan¬ dem
suae inientionis erigant titulum. — Ibid., Ili, 1, p. 117 [ c d. Webb, p. 121]:
Austerus nimis et durus magister cst'lollens quod positura non est et metens
quod non est seminatum, qui Porphirium cogit solvere quod omnes pbilosophi
acceperunt; cui salisjactum non est, nisi libellus [122] doceat quicquid
alicubi scriptum inve- nitur. — Polycr., VII, 12, p. 129 [ed. Webb, II, p.
144]: Qui ergo Porpniriolum omnibus philosophiae partibus replent,
introducendo- rum obtundunt ingenia, memoriam lurbant | PL, 199: 888, 891,
666], Vedi inoltre il passo di Guglielmo da Conches, che si tro¬ verà citato
appresso, ne, secondo la quale, a partir da quel momento, nelle controversie
concernenti gli universali, sarebbe stata piuttosto prevalente, in un primo
tempo, la concezione nominalistica : non soltanto infatti è indizio di una tale
prevalenza la circostanza, che quei cultori della logica, a quanto riferisce
Giovanni, assumevano un contegno esclusivistico e intollerante contro qualsiasi
scienza reale (note 52 e 58), ma riesce anche facile argomen¬ tare che gli
scrittori citati da Giovanni, come beneme¬ riti del risveglio degli studi di
logica, tutti quanti alieni da un nominalismo estremo, o anche in parte
avanzati sino ai limiti estremi del realismo, hanno provocato o promosso in
ogni caso una rivoluzione, la quale deter¬ minò il passaggio dai principii
nominalistici verso dif¬ ferenti cammini. Ma da una più esatta e approfondita
ispezione delle fonti a noi accessibili, risulta chiaro che, per tale ri¬
guardo, come abbiamo già detto, il dissidio delle opi¬ nioni non si aggirava
soltanto entro i limiti di un con¬ trasto dicotomico o tricotomico, bensì si
manifestava di¬ stinto in una serie di graduazioni più numerose. La più precisa
notizia ce la dà ancor una volta Giovanni da Salisbury, e, stando a quella, la
diversità di opinioni relativamente agli universali, ha preso la forma
seguente: 1) la opinione di Roscelino, che gli universali sieno voces 6J ) : —
v. le note 76 ss. di questa Sezione; 2) quella di Abelardo e de’ suoi seguaci,
che cioè gli universali vadano ridotti a sermones, non potendo K ) Metal., Il,
17, p. 90 [ed. Webb, p. 92; PL, 199, 874], dove alle parole testé citate (nota
60) fa seguito immediatamente quel passo intorno a Roscelino, che abbiamo
veduto alla nota 318 della Sezione precedente. mai il predicato di una cosa
esser esso stesso una cosa 03 ): — v. appresso le note 283 ss.; 3) la tesi, che
intellectus o nono, nel senso attri¬ buito a questi termini da Cicerone (cioè
dagli Stoici), sia ciò che si chiama « universale » M ) : — v. appresso le note
581 se. Da costoro Giovanni distingue poi quelli che si ten¬ gono attaccati
alle cose ( « rebus inhaerent »), ma a lor volta si scindono in varie tendenze,
e dunque: 4) la opinione che fu poi subito ancora abbando¬ nata, di Gualtiero
da Mortagne, secondo la quale gli uni- e! ) lbid.: Alius sermones intuetur et
ad illos detorquel quicquid alicubi de universalibus meminil scriptum ; in hoc
attieni opinione deprehensus est Peripateticus Palatinus Abaelardus nosler, qui
mul- tos reliquit et adhuc quidem aliquos habet professionis huius seda- tores
et testes. Amici mei sunt ; licet ita plerumque captivatam de- torqueant
litleram ut vel durior animus miseratione illius movetur. Rem de re praedicari monslrum
dicunt; licet Aristotiles monstruo- sitatis huius auctor sit, et rem de re
saepissime asseral praedicari; quod palam est, nisi dissimulent, familiaribus
eius. **) lbid. (in continuazione): Alius versatur in intellectibus, et eos
dumtaxat genera dicit esse et species. Sumunt enim occasionem a Cicerone et
Boetio, qui Aristotilem laudani auclorem, quod haec credi et dici dcbeant
noliones. « Est autem », ut aiunt, « notio ex ante
perceplu forma cuiusque rei cognitio enodatione indigens » (cosi effettivamente
Cicerone, nel passo citato alla nota 37 della Sez. Vili, passo che mostra
tuttavia nello stesso tempo com’egli si riferisse non già ad Aristotele, bensì
a « Graeci », cioè agli Stoici). Et alibi; « Nodo est quidam intellectus et
simplex animi concepito » (così Boezio, ad Cic. top. [Ili], p. 805 [PL, 64,
1106], dove si com¬ menta quel passo di Cicerone: solo [che in Boezio si legge
r, " ltUr - ea in Versoi r "“°" e singularibus specialissima
gene- lerce 1 aque ™nstuml. Sunt qui more mathematicorum « fornuis » 142]
rifinì AW'/ 1 lddquid de univLalibus
lert.l.,,1 referunl. Alu discutiunt « tntellectus » (3) et eos uni- iZ “ U uomimbus censeri
confirmanl. Fuerunt et qui «voces» (lt ìm*h. UùJZ U L S "'“ *•-»» «M,,c
qui r l JVella ediz. Cousin degli Outr. inéd. d’Abélard p 513- n P genertbus et
speciebus diversi diversa sentiunt. Alii namqul voces rebus Zo a n?hil P ho PS
«dngularcs esse affirmant, in rebus vero mìni horum assignant. Alti vero res generales et spe- ciales universales et
singulares esse dicunt; sed et ipsi interne cieTe» 0 *, ' ntlUnt P'"d« m
enim dicunt singularia individua esse spe- cies et genera subalterna et
generalissima, alio et alio modo alterna mento la distinzione tra coloro che
qualificano gli uni¬ versali come vox [voces], e quelli che li considerano come
res, ma della posizione di questi ultimi vengono nominate soltanto due
sottospecie, cioè 10) la così detta ratio indifferentiae (v. appresso le note
132 ss.) e 11) il punto di vista di Guglielmo da Champeaux, — v. le note 102
ss. Di queste varietà di opinioni parla inoltre una volta anche Abelardo 7S ),
ricordando, in seno al realismo, pri- (lo stesso autore indica questa opinione
come « sentendo de indif- ferendo »: v. appresso la nota 133). Atti vero
quasdam essendas universales fingimi, quas in singulis individuis totas
essentialiter esse credunt (che qucst'ultima sia la opinione di Guglielmo,
risulterà chiaramente appresso). ™) iE cioè nelle Glossulae super Porphyrium,
già più sopra (nota 13) ricordate, e riferite dal Rémusat, op. cit., p. 96
(neanche qui purtroppo ci vicn fatto conoscere il testo originale): La grande
queslion que PorphyTe indique en débutant.... arrète Abélard, et il est
presque obligé de la traiter seulement pour la poser. Toules les opinions sur
les universaux se prévalent, diuil, de grundes auto- rités [testo originale,
ed. Geyer: «De generibus et s pe¬ ci eh us quaestiones enodarc compeUiinur,
quas (nec ipse Por- pkyrius ausus est solvere, cum cas tamen tangendo ad earum
inquisitionem accenda! lectorem ». E,
dopo aver accennato alla va¬ rietà delle soluzioni proposte : «tamen
unusquisque lue- tur se aurtorilate i u d i c e » (p. 512)] (già qui la
traduzione del Rémusat è sbagliata, poiché nella nota egli riproduce le parole
dell'originale, « unus quisque se tuetur auctoritale iudice », e queste voglion
dire che ciascuno avvalora la propria opinione con l’auto¬ rità tradizionale,
cioè Aristotele).... p. 97 : Le premier syslème est celiti de l’existence des
choses universelles. lì est plusieurs manie- res de Vétablir. Suivant l’une eie. [Geyer, p.
515: .... primam (se. sententiam de universalihus) quae de rebus est, primi-
tus exequamur. De qua etiam sunt plurcs opiniones, cum alii aliter res
universales esse affirmant. Nominili
cnim....] (ora viene la opinione di Guglielmo da Champeaux: v. appresso la nota
105)... p. 99: «La seconde manière» ecc. [Geyer, ma di tutto le due tesi dottrinali anche
testé ricordate, ma poi 12) una concezione, secondo la quale la differenza ra
genere e individuo risiede soltanto in un modo par- ticolare (propalasi) di
esistere, in quanto che 1W versale può presentarsi così in parecchie cose
insieme come anche in esseri singoli. Invece nel De intellectibus del
Pseudo-Ahelardo (v appresso le note 416 ss.) si trova soltanto espressa, in
amerà ^determinata e generica, la distinzione tra rea- sii, nominalisti, e
opinione di Abelardo u ). l'ZL'mZp mTtó, appreso pou r soutenir que les
universali sonldesdoses VoulZT "T^ la communauté, l’on dii ai,'entri- l„
Voulant expliquer singtdière est une diffide TlrtruTl et l * cho.se a etre
universelle, la proprietà ani Inni' ",> . ropne, ' i ( l ul consiste
mal, le corps est nniZZl et Zel " ? ^ • bt ****- L'ani- et quelque corps ;
mais dire un étre qui aliter re,
universales esse videninV affi “ " n® r, u m a 1 i i, nitatem assignnntes
dicunt rem .,t;„ • ®,rniare * Hj re bns comrmi- id est alterins proprietatis
(il C uru . ver . 6a ^ em > aliam singularem, inéd., p. 522 IDe Zen et s Jc
\ « V “ CoVSIN ’ Ou.tr esse ex hoc quod est onivTsai et ^ V ” EAV ’ V, 313)
Iaris. Ut animai est
universale et mm!!""* h ° C q ” od est sin SB- vel aliquod corpus.
Tale est enini ^ ’ j CC t ? men al| quod animai mal esse universale, ne si
dieatnr- ni. Undum,lanc sen tentiam ani- animal est, et tale est hoc animai
" a s “ nl quorum unumquodque dieatnr: una sola rea«J°hoc d T, 8ol °» ac -
espressa in forma indeterminata la r „ n l . na]ment ^ (P- 106) segue, voces
[cfr. Geyer, p. 522 - 31 . ’
oncezione degli universali come ^à-VtoZ^ 63 : Philosophie sco - Quidam enim
volimi omnZloZ f * diversa -^ntiunt. dam nullas ^ro folti snnt (mane. Il lo,.,
”ha "“(til T :zh r p- * T„,-irr rato vel albo Zane cana l VOCabul °'
!" ^pus ipsum a colo-altri invece, e certamente i più sconsiderati e più
radi¬ cali, come p. es. un tal magister « \ . si appigliavano unicamente al «
significare », sì che per e6si in ciascuno dei predicati assegnati a una cosa
qualunque, si trova insieme già significata la cosa stessa: e degno di nota è
che costoro si appoggino per tal riguardo alla gram¬ matica, secondo la quale
ogni nome significa così una sostanza, come anche, al tempo stesso, una qualità
83 ). Dovevan essere nominalisti di quest’ultima specie anche coloro che, forse
seguendo in maniera unilaterale le vedute di Rosceliuo (Sez. precedente, nota
321), si spin¬ sero sino ad affermare che la semplice dictio (vale a dire la
parola singola, in opposizione con il giudizio) non porta in generale affatto
in sè parti dell’atto intel¬ lettivo, vale a dire neanche parti simultanee,
bensì come un punto, comprende in uniLà indifferenziata tutto quel che cade
entro l’accezione della parola 84 ). — Alcune particolari conseguenze del
nominalismo, in ordme alla teoria delle categorie, vedile appresso, alle note
196 s. e 199. M J lbid.: ....Hi vero, qui onirtem vocum impositionem in signi-
ficutionem deducunt, auctorilatem protendimi, ut eu quoque signi¬ ficati dicant
a voce, quibuscumque ipsa est imposila, ut ipsum quo¬ que hominem ab animali, t
ei Socratem ab homine, vel subjectum corpus ab albo vel colorato; nec solum ex
arte, verum edam ex auctoritate grammalicae id
conantur ostendere. Cum enim tradat grammatica, omne nomen substantium
cum qualitate signi¬ ficare, album quoque, quod subjcctam nominat substantium,
et qua- litqlem determinai circa eam, utrumque dicitur significare (dunque,
secondo il Cousin, questo dovrebb’essere il modo di vedere proprio del realista
Guglielmo da Cbampeaux!). M ) Pseudo-Auael. de ititeli-, loc. cit-, p. 472:
Sunt iluque intei- lectus conjunctarum ve! divisatimi rerum, dictionum tantum;
coti- jungentes vero vel dividentes intellectus, oralionum tantum sunt. liti
quippp simplices sunt, isti compositi (Tale la opinione del- 1 Autore). Sunt
plerique fortassis (cioè nominalisti), qui intellectus simplices nullas ninnino
purtes habere concedant, ncque scilicet per sticcessionem nequc simili (vale a
dire parti non-simultanee, o suc¬ cessive, ne ba in generale soltanto il
giudizio, ma non mai la parola singola). Qui enim, inquilini, plura simul
intelligit, una simplici actione omnia simul attendit [Arali.. Opera, ed.
Cousin, La teoria che gli universali sono « ma- neries » : Ucuccione]. — Ma era
certo una ramifica- zione del nominalismo la tesi sostenuta relativamente alla
« manerics » (v. sopra la nota 69); poiché è vero che Giovanni da Salisbury
l’annovera tra le opinioni realistiche; ma, d’altra parte, non soltanto suscita
in noi gravi dubbi quel passo di lui, riferito più sopra (nota 70), dov’egli
già finisce con il qualificare tutto quanto come realismo, bensì dobbiamo anche
tener conto di un’altra fonte d’informazioni: infatti, secondo quel che viene
altrove perentoriamente riferito, erano i nominalisti che, a sostegno della
loro opinione, se- condo la quale generi e specie sono soltanto le parole, piu
universali o più particolari, enunciate nel soggetto o nel predicato,
senz’altro denominavano, nei rispettivi passi di Boezio e di Aristotele, la «
res » « vox » e il « ge¬ misi « maneries » *>). La parola « maneries » per
"se stessa non e, parimente, nè così mostruosa nè così rara, come Giovanni
mostra di ritenere nella notizia più sopra’ riferita: non soltanto infatti la
s’incontra, con accezione generica, in Bernardo da Cliiaravalle 8S ), ma,
addirittura in senso specificamente logico, in un altro au- ) De gen et spec.,
loc. cit., p. 522: Ntmc illam sementiam quue toces solas genera et species
unìversales et partici,lares prae- subjectas asserii et non res, insistamus....
( p 523 ) Boe- thius, ira commentano super Categorias ([L. I], p . 114 rp[, 64
162n dici « quoniam rerum decem genera sunt prima, necessefuUdSem suhilrH i eSS
\ S,m f. llces voces > dune de simplicibus fin Boezio- subtectis J rebus
d,perenti,r ». Hi tamen exponunt: « genera id est Z"Z1* S L r : 0 r dam ™
Aerili 1 S f 7 Jm - rme p aS,raduzi0ne di BOEZIO [Prima Ldino, 1, 7. ed.
Meiser, Pars Pnor, p. 82; PL, 64, 318], p 233)- «rerum alme sani unìversales,
aline sunt singulares». Hi tamen rUatibic Lo r onTì;,d T ° C " m HU
"“ tem tnm «PertM aucto- mentili aut e n‘ l ir"* ",lentes ’ aut
di ™nt «udori,a,es TncTdunt. P labor «utes, quia excoriare nesciunt, pellem .
Epi y- 402 S° pera ’, d - Martène, Venezia, 1765, 1, p. 156)- m"614] 1 wn
' s pro *,f!lll ° sU - dilla ad mommi non erat [PL, tore dei primi del
Duecento, cioè nel canonista Uguc- cione (morto nel 1212), il quale nel suo
scritto lessi¬ cale definisce « species » come « rerum maneries » 87 ). E a
quel modo che questa parola (il francese « manière »), se stiamo alla sua
precisa etimologia, ci riporla da ul¬ timo al significato di « maneggio » o «
modo di trat¬ tare » [« Behandlungsweise » da « Hand », come «ma¬ neries » da «
manus »] S8 ), cosi, nel suo uso logico, ha do¬ vuto anzitutto significare il
modo d’intendere subbiet- tivo, e pertanto raccostarsi alla concezione
nominali¬ stica, o a quel tale « colligere » che abbiamo veduto alla nota 68;
invece, soltanto allorché «maneries» dall’ac¬ cezione « maniera, guisa », a
poco a poco fu volta a si¬ gnificare una « sorta », fu possibile prenderla,
come ter¬ mine della logica, in senso oggettivo, per tal modo che potè entrare
in giuoco la questione dello « status » (nota 65), sebbene, anche trattandosi
di « sorta », venisse an¬ cor fatto abbastanza facilmente di pensare all’ «
assor¬tire » (cioè colligere). I
Platonici: a) Bernardo da Cliartres Gli avversari unilaterali degli unilaterali
nominalisti fu¬ rono comunque i veri e propri platonici, tra i quali ci si
presenta per primo, come principale rappre¬ sentante, Bernardo da Cbartres,
soprannomi- *0 Uguccione, autore di una Stimma Decrelorum e di altri scritti
canonistici (sul conto di lui, notizie più precise nel Sarti, de claris- simis
Arcbigymnasii tìononiensis projessoribus, I, p. 296 ss., c nella Prefazione del
Du Cange al suo Glossario,Ugutionis vocabularium »]), aveva scritto un vocabolario
(liber derivationum), ricavato in parte da quello su ricordato (Sez.
precedente, note 286 ss.) di Papias, e conservatoci in numerosi manoscritti. Da
esso il Du Cange j. v . «Maneries » riferisce le seguenti parole: Species
dicitur rerum Maneries, secundum quod dicitur « Herba huius speciei, id est,
Maneriei, crescit in borio meo ». “) Vedi Diez, Etymtdogisches Wórlerbuch der
romanischen Sprachen, p. 216 [s. v. «Maniero», p. 203 della 5" ediz.j.
Parola del tutto diversa è maneria, derivante da maneo e affine a mansio, con
il significato di « soggiorno » (v. il Du Cance, s. v. « Maneria »).nato
Sìlvester (viveva intorno al 1160). [Oggi dai P,U . 81 r,t, ° '' dell, pera
idea platonica, laddove il “tLÀTSH”' fica iniziarsi della mescolanza co „
"*”>la olitolo l’aggettivo {album) è ritenuto e, •’ m °“ lre
contaminazione insanabile della idea coó 1 T"' '* orna Pertanto ci didicUe
del".;.7b ‘ “"T sieno state rese ne.» . «eptorare che non ci * —i
.™.,r,:;LT H ~ ri,e nere)], _ PmtaLtt',2ri tu’in 893hVr"“ a o f C 2;;.™* idem 120 [ed i
Wcbb ’ 124; PL AÌebai a R et q “ Ìbus
dominamtur den °- a ~r, 2 ?»SSS. tn ffi emm il/ud, ‘ x culiàs^ l qùod^vJ r b 1
ui^ l lg > ',t ^ nem,/ >v. nelle Opere del Venerabile Beda (ediz. di
Colonia, 1688, li. p. 206 ss. [PL, 90, 1127 ss.]). Ma proprio questa medesima
parte della Phi¬ losophia detta minor la si ritrova da capo, non soltanto
ristampata nella Maxima Bibliotheca Patrum [di Lione], voi. XX, p. 995 [PL,
172, 40 ss.], dov’è indicato come suo autore Onorio da Autun (Sez. precedente,
nota 373) [Honorii Augustodunensis De Philo¬ sophia Mundi 11 IVI. bensì ancora
in un libro che sta a sè, con il titolo: Philosophicarum et astronomicarum
institutionum Gui- lei mi, Hirsaugiensis olim abbatis, libri tres, Basilea,
1531, in -4°. (Questo abate Guglielmo da Hirschau, nato nel 1026, morì nel
1091: v. Pertz, MGH, VII, p. 281; XII, p. 54 e p. 64 ss.; XIV, p. 209 ss.). Se
ora 1’ Hauréau ( Singularilés hist. et litlér., p. 240) a favore dell’attribuzione
di quello scritto a Guglielmo da Conches può richiamarsi a un manoscritto di
Parigi, e nello stesso tempo allega la testimonianza di Guglielmo da S.
Thierry, un avversario contemporanco, io ritengo senza dubbio questi argomenti
conte de¬ cisivi, ma è da richiamare in ogni caso l’attenzione sopra il fatto
che nella stampa nominata per ultima (fatta astrazione da frequenti piccole
modificazioni della espressione letterale) è menzionato in più luoghi per nome
l’autore arabo Costantino Cartaginese, e del pari è nominato una volta anche
Johannitius, cioè Hunain Ibn Tshàk, mentre nelle altre edizioni a stampa, in
luogo di questi nomi figurano soltanto le espressioni indeterminate «
philosophus » o « philosophì », sicché questa variante richiede forse ancora
una ri¬ cerca più approfondita. Le glosse di Guglielmo da Conche* al De consol.
phil. di Boezio ei sono state fatte conoscere da Ch. Jour- DAIN (nelle Notices et
Extraìls des manose., voi. XX, p. 21. Ma
se, come vuole 1’ Hauréau ( op. ull. cit ., p. 242 s.ì sia da attribuirai al
nostro Guglielmo anche il commento al Timeo, che il Cousin (Ouvr. inéd.
d’Abél., p. 644 ss. r648-157]) ha pubblicato in estratti, attribuendolo a
Onorio da Autun, sarebbe cosa da lasciar in dubbio. Senza contestazione sono
invece di Guglielmo quei frammenti [della secunda e tertia philosophia
(Antropologia e Cosmologia)], che il Cousin ha pubblicati ibid.. p. 669 ss.
r670-7. — 1,’Ott AVMNO ha curato la pubblieaz. di Un brano inedito della «
Philosophia » di G. di C., Napoli, 1935, illustrando nella Prefazione lo stato
attuale delle questioni relative]. glielmo »^) svolge, secondo I ‘ P l8tIca ~
che G u . grafìa, psicologia e fisica 9 ‘ c ). ben sì ^p 21 ™ 16 di co »nio- f,
oens! ci limiteremo a quel Bcda, p. 207 r (PL. e 9o" 112820l per mundi ère,,iohoc foctus est aLmT ** °
ngel,,s “-/"'deus \ f To nnifice ; (irlif(, x mundutn creanti )T°’ r,i ^ v„i. 75 ( 'i873! R ;.1;rs. dc,rArcatlt
' mi; d 'Vie.;: poco clic c’è ila
rammentare, in ordine alle questioni di logica vere e proprie. Guglielmo, che
sul terreno della gnoseologia si pone dal punto di vista platonico, di un
idealismo che pro¬ cede verso l’alto er ’), e anche espressamente sentenzia che
tra i filosofi pagani egli dà la palma a Platone " 6 ), di¬ stingue si una
quadruplice maniera di considerare tutte quante le cose, cioè dialettica,
sofìstica, retorica, filoso¬ fica 87 ), ma relativamente alle prime due (quanto
alle due ultime, è per lui cosa che già s’intende da sè) si schiera
risolutamente dalla parte dei realisti, combat¬ tendo coloro che volevano
escludere qualsiasi realtà, o infine da ultimo neanche volevano ammettere più i
nomi delle cose, bensì, in generale, alquante parole solamente (che sarebbero
poi le quinque voces) 9S ). Ma, analoga¬ mente allo Scoto Eriugena, egli almeno
riconosce tut¬ tavia, richiamandosi a Boezio, che appartiene allo spi¬ rito
umano la funzione d’imporre alle cose che hanno “) V. i frammenti riprodotti
dal Cousin, op. cit., c special- mente p. 673 s. M ) Nella edizione già
ricordata del Gratarolus, p. 13: Si gen¬ tili* adducenda est opinio, malo
Plalonis quam alterius inducalur; plus numque cum nostra fide concordai. ”) Ibid., p. 4: De eodem numque
dialectice, sophistice, rhelo- rìce, vel philosophice disserere possumus.
Considerare numque de ali quo, an sit singultire un universale, est
dialeclicum; probare, ip- sum esse quod non est vel non esse quoti est,
sophisticum est: pro¬ bure, ipsum esse dignum proemio vel poena, rhetoricum:
sed de natura ipsiusque moribus et officiis disserere, est pbilosophicum.
Dialecticus ergo, sophistn, oralor, philosophus, de eudem re diversa
considerunles et intendentes disputare possimi. ”) Ibid., p. 5: Quod
intelligentes quidam res omnes a dialec- lica et sophisticu di sputulione exter
minar erunt, nomina lamen ea- rum receperunt, eaque sola esse universalia vel
singulttria prae- dicaverunt; deinde supervenit stultior aetas, quue et res et
earum nomina exclusit alque omnium disputationem ad qualuor fere no¬ mina
reduxit; ulraqiie tamen seda, quia non erat ex deo, per se defecit. Quei qualuor nomina non posson essere altro elle le
quinque voces, escluso forse il proprium : in antitesi ron una siffatta ridu¬
zione di numero, incontreremo in compenso anche sex voces: v. la nota 278. mulo
franti. ^r^roi 1 zj,,on'» - Se Be 'ZlTcZ, “‘“T* O—»»]. 8rao platonico, princiml
mamfe8tava J ano reali- lenm affermazioni idealistiche"' 6 . e8prÌBlendo8Ì
con so- ficanti, era in ogni caso imn ° 3 am P lificazi om edi- t0ria *”**• d i
prender oranti JT ° ^ meri * relazione debba pensarsi che L,]i “ 8lderare “
quale esistenti, stiano con gl’individuf.- U1 "r erSah> come eose c7° C
° nSÌ8te Ia ^portanza 2*^J, * ten * C h ani P e a ux (morto nel 119 !) ; U ^
llel «o da ! ma lo 8Ìeo, nel realismo di hii n ’ U pnnto * Imea, rispetto al
pimto di ’ P “” ancora m seconda varsi tuttavia, fin da principio i ^ De ™
rile- Guglielmo da Champeaux siàm^l "‘T" 0 * Ue idee di C081
minutamente informati, ^,lmgi dall’essere 8in ; di ahri,. pe re h è rir; r r^
ioj,e dei c - assolutamente andar oltre il n na non Possiamo notizie, a noi
accessibili, che,mnT° * ^ ghw - ono le a equivoci «»*). “ lascino per nulla
adito w ) Ibid., p. 29 - o, • i Hit 12’un°A OCUlÌS muìlT 1 constituto tr :~«4
^.rr »" stolrfe in prìmam T? “‘T"' sub °P™£ dicati?’s "’ m istn
Stendi . aliai,,,,,,} * secun dam dividitur ali,, ‘H*’ un et e "b Ari - \
T ° P° S! "*sio. ’ allf P‘»ndo ... actus b . 199, 8321 ’ SARESB - I, s, p
. 2, S li r . led - ^cbl», p. 16-7; PL Della produzione letteraria di
Guglielmo, non ab¬ biamo sotto mano nulla, cbe riguardi oggetti di perti¬ nenza
della logica 103 ) : siamo così ridotti a servirci prin¬ cipalmente di una
notizia di Abelardo, il quale mena vanto di avere combattuto con felice
successo le idee di Guglielmo intorno agli universali, di guisa che quest’ul¬
timo le modificò in misura notevole: ma con questo il suo insegnamento ci
scapitò, per autorità e per concorso di uditori, a tal punto che finirono con
il passare for- glielmo da Champeaux tutte quante quelle abbreviazioni (« magi-
ster V. », « magister noster V. ») che si trovano nel manoscritto, nè più nè
meno che quei passi, dove si trova « If illelmus » ; anzi ha persino fatto lo
stesso in un certo luogo, dove (de gerì, et spec., p. 509) con le parole « Vel
uliter secundum magistrum G. », è indi¬ cata in modo abbastanza chiaro una posizione
antitetica a quella del mngister Willclmus antecedentemente (p. 507) nominalo,
E co¬ me ora è francamente segno di leggerezza trovare ugualmente in quel
magister G. un'allusione al nostro Guglielmo, cosi non è detto cbe in compenso
abbiamo un punto di appoggio nell’abbreviatura € V. », tanto più che questa
lettera stessa parla in senso contrario. Poiché Abelardo, prima di recarsi
presso Guglielmo da Cliam- peaux, aveva cercato d’istruirsi presso tutti i
dialettici eminenti ( Epist ., I, c. I, p. 4, Amboes. Ted. Quercetanus di
Parigi 16161, [ed. Cousin, I, p. 4; PL, 178, 115]: Proinde diversas disputando
perambulans provincias, ubicunque huius arlis vigere studium au- dieram,
peripaielicorum uemulalor fuctus sum), come « magister no¬ ster » egli può indicare
una quantità di uomini, dei quali ci è ignoto il nome, c dobbiamo guardarci
daU’argomentare, senza suf¬ ficiente ponderazione, che si alluda a persone
determinate, per evitar di andare fuor di strada (v. per es. più sopra la nota
82 ). Ma alle deduzioni del Cousin aderirono il Rousselot, l’Hauréau, e anche
H. Rittcr. lra ) L’Hauréau (De la phil. scoi., I, p. 223 [cfr. Ili ut. de la
phil. scol^, I, 322]) riferisce che il Ravaisson ha trovato, nella Biblioteca
di Troyes, 42 frammenti di Guglielmo; e con la pubblicazione di questi
frammenti, E. Michaud, nel suo scritto Guillaume de Cham- peaux et les écoles
de Paris au Xll.e siede (2’ ediz., Parigi, 1868), si sarebbe potuto acquistare
una benemerenza. In base a quel ch’è stato detto più sopra (nota precedente),
non si può argomentare che Guglielmo da Champeaux abbia scritto «Glossulae
super Pe- riermeneias », perchè il passo relativo nella Dialectica di Abelardo
(p. 225) attribuisce uno scritto così intitolato semplicemente a un « magister
noster V. ». [Ma ora son da vedere i 47 frammenti « Guillelmi Campellensis
Sententiae vel Quaestiones XLVII » puhbl. da G. Lefèvrk. Les variations de Guillaume de
Champeaux et la question des Universaux, Lilla, 1898, pp. 19 ss.]. malmente tutti alla opinione di Abelardo 104 ).
Guglielmo cioè avrebbe affermato ili primo luogo che gli univer¬ sali, in
quanto sono, nella loro unità, cose uguali, ineri¬ scono nello stesso tempo
essentialiter, in indivisa tota¬ lità, a tutti cpianti gl’individui che cadono
nella loro estensione, e pertanto fra gl’individui non sussiste dif¬ ferenza di
essenza, bensì le differenze hanno fondamento soltanto nella molteplicità di
determinazioni acciden¬ tali. E come ciò trova letterale conferma nel passo del
De gen. et spec., citato più sopra (nota 72), ivi appunto ci viene data una
spiegazione più precisa-la quale persino ci riporta a un passo, affatto
isolato, di Boezio, e ci dà così maniera di veder bene addentro come il daf¬
fare che si davano a quel tempo con le controversie tra opposti indirizzi,
avesse fondamento in minuzzaglie di erudizione scolastica, piuttosto che in
contrasti intimi fra modi di vedere teoretici. IM ) Abaf.l. Epist., 1, c. 2, p.
4 [ed. Consinl : Perveni tandem ransius, uh, jam maxime disciplina liaec
florere consueverat, ad \rUiUclmum scilicet Campellensem praeceptorem meum in
hoc lune magisleno re et fama pruecipuum: cum quo aliquanlulum moratus primo et
acceptus, poslmodum gravissimiis extiti, cum nonnuttas scuicet ejus sententias
refellere conarer, et ratiocinari conira eum sae- pius aggrederer, et
nonnunquam superior in disputando viderer tp. a) lum ego ad eum reversus, ut ab
ipso rhetoricam audirem. mler caetera disputationum nostrarum conamina,
antiquam ejus de uni versali bus sententiam patentissimis argiimentorum dispulationi-
hus ipstim commutare, imo destruere compiili. Erat autem in ea senlenlia de
commentiate universalium, ut eamdem essentialiter rem imam simul smgulis suis
inesse astenerci individuisi quorum quidem nulla esset m essenti!, diversitas,
sed sola multitudine accidentium va- netas. ile autem tstam lune suam correxil
sententiam, ut deinceps rem eamdem non essentialiter. sed individualiter (la
variante « indil- ferenter » [accolta dal Comuni, che la ed. d’Ambois segna in
mar- gme Si trovava anche in vari manoscritti; vedi I’Hauréau, op. cit, 1, p.
236 ( H,st. de la ph. scoi., I. p. 3381), dicere,. Et.... quum hanc "le
correxisset, imo coactus dimisisset sententiam, in tanlam lectio ejus devoluta
est negligentiam, ut jam ad dialecticae lectionem vix admitteretur: quasi in
huc scilicet de universalibus senlenlia tota hiijiis artis consisterei summit
(cfr. la nota 60). Ilinc tantum roboris et auctontatis nostra suscepit
disciplina, ut ii, qui antea vehemen- j nogutro tilt nostro adhaerebant. et
maxime nostram infestabant aoctnnam. ad nostras convolarent scholas fPL Affermava
cioè Guglielmo che in quel quid di acci¬ dentalmente superaddito (adveniens)
son da ravvisare le forme individuali, le quali improntano la materia,
consistente nel concetto del genere (malcriam infor¬ marli), in tal maniera,
che con ciò la essenza univer¬ sale ne risente una individualizzazione secundum
totam sitarti quanlitatem : e lo stesso può ripetersi poi, a que¬ sta maniera,
per tutta quanta la scala, dal genere, attra¬ verso la specie, sin giù giù
airindividuo 103 ). Inoltre, co¬ me riferisce altrove Ahelardo, Guglielmo,
incomin¬ ciando dalle dieci categorie, svolgeva a fondo questo pro¬ cesso
d'informazione giù giù sino agl’individui, e poteva allora, poiché quelle
stesse forme più individuali diffe- renzianti rimandano da capo agli
universali, spiegare la predicahilità degli universali con il fatto che questi
spet¬ tano agl'individui, o essenzialmente o adiettivamente iadjacenter) 10 °).
Ma proprio in ciò consiste decisamente Ite gen. et sper., p. 513 s. : Uomo
quaedam species est, res una essenti ali ter, cui adveniunt forntae quaedam et
efficiunt Socra- lem: Ulani eamdetn essentiuliter eodem modo informata formae
fa- cientes Platonern et caetera indiridua hominis ; nec aliquìd est in So¬
crate, praeler illas jormas informanles il latti malcriam ad fuciendum
Socratem, quia iìlud idem eodem tempore in Platone informatimi sit formis
Plalonis. Et hoc intelligunt
de singulis spcciebus ad individua et de generi bus ad species.... Ubi enim Socrates est, et homo univer- salis ibi est,
secundum totani suoni quantitatem informatus Socratitate (riguardo al concetto
di Socratitas, v. la concezione corrispondente di I orfirio e Boezio: Sez. XI,
nota 43). Quicquid enim res universalis suscipit, tota sui quantitate
retinet.... Quicquid suscipit, tota sui quoti- filale suscipit. Ma anche
questo' è proprio ricavato da Boezio, che dice, a proposito della differenza
{ad Porph. a se transl., p. 87 tEd. Brandt, IV, 9, p. 263; PL, 64, 1261): Aeque
enim sicnt in corpore so¬ ler. esse alia pars alba, alia nigra, ita fieri in
genere potcst; getius enim per se consideratimi partes non habet, itisi ad
species referalur. Quicquid igitur habet, non purtibus, sed tota sui
magnitudine reti- nebit. Cosi, dove si tratta di storia della filosofia
medievale, spesso 1 apparenza [della originalità, o della novità! viene a
ridursi | grazie alla indicazione delle fonti antiche] a quella ch’è la vera
sua portata: “ r - H U ' a PP r re riprod. XTTe": dÌ ( ?* differentiam et secundum IdZtiZ^eZd^^' ^
Secundum intUfferentiam l>, e J ll *dem prorsus essentiae. — - n hZ£ s :
adem -=£t2; nrtlSTò ifhix Sfe isrF"’ SS ff *7 rs s »;s£*Atas pure
appartiene infine alla tradizione la notizia isolata, che, riguardo alla
topica, egli portava la essenza della inventio a consistere nella scoperta di
un termine me¬ dio 110 ). [§ 21. — Le difficoltà e i gradi del realismo]. — È
probabile che proprio le difficoltà, alle quali si trova esposta la opinione di
Guglielmo da Champeaux, ab¬ biano dato ai realisti — mentre in generale essi
pote¬ vano approvare il punto di vista di lui — motivo di scindersi essi
medesimi a lor volta fra loro, a forza di tentativi di correggere quella
opinione, o di darle nuovo fondamento: si è così formata una quantità
d’indirizzi divergenti, ai quali — anche passando affatto sotto si¬ lenzio il
nome dei loro rappresentanti — non ci è più possibile tener dietro,
considerando minutamente il de¬ terminarsi delle loro particolari differenze. A
parte le difficoltà teologiche die si sollevavano, sia che si assumessero gli
universali quali prodotti di una creazione, sia che li si assumesse quali
entità eterne, tanto più che alcuni effettivamente designavano per tal modo
come « cose » tutt’i singoli attributi di Dio nl ), — positìonem ejusdem parti*
sequatur pars illius. Sequitur enim bi-
punctalem lineam pars ejus, i. e. punclum., non tamen ad punctum pars ejus
sequitur, quia indiani habet. u ") Joh. Saresb. Metal. Ili, 9, p. 115 [ed.
Webb, p. 152] : Versa- tur in his (se. in Topici*) incentionis muteria, quam
hilaris memoriae fVillelmus de Cam pelli*.... diffinivil, etsi non perfecte,
esse scienliam reperiendi medium terminimi et inde eliciendi argumentum [PL,
199, 9091. m ) De gen. et spec., p. 517 : Genera et species aut creator sunt
aut creatura. Si creatura sunt, ante juit suus creator quam ipsa crea¬ tura.
Ila ante juit Deus quam justitia et jortitudo.... Itaque ante juit Deus quam
esset justus vel fortis. Sunt auleta qui.... illam divisio- nem.... sic jaciendam
esse dicunt: quicquid est, aut genitum est aut ingenitum. Universalia autem
ingenita dicuntur et ideo coaeterna, et sic secundum eos qui hoc dicunt,...
[noni Deus aliquorum jactor est. — Abael. Inlrod. ud theol., II, 8, p. 1067 ( Amboes. [ed.
Cousin, II, p. 85; PL, 178, 1057]): Terlius vero praediclorum (se. magistro-
rum divinae paginae, cioè un magister in pago Andegavensi ) non so- ciò che dal
punto di vista ontologico si voleva evitare era proprio quel vicendevole
invilupparsi di tutti eli universali. 6 Perciò alcuni si appigliarono
all’espediente, certo grossolano di assumere quel «sovraggiungersi» (che
abbiamo veduto piu sopra, alla nota 105) delle diffe¬ renze specifiche, come
qualche cosa di puramente pas¬ seggierò, per salvare così la indipendenza del
genere »*) Altri invece tiraron fuori un modo di vedere, ch’era proprio di
Aristotele, considerando il genere come la materia che nella sua essenza rimane
identica, e che viene diversamente formata nelle specie: ma, proprio per quella
identità di essenza, vennero a trovarsi in con- lutto con la teoria degli
opposti 11S ). Onde a ccadde, da un lato, che, relativamente a questo «i™
isssrwtsar ir-" -s™ ~~~ hujusmodi, quae iuxta fiumani * erlcor( i‘,im,
tram et caelera gnificantur, res quasdam et amil i lonls, c ? nsuetu di nem in
Deo si- t ig jfer res diversas conslituat. ' aicumur, tot in Deo dicunt quidam,
quia differentiÌe "quldmn m "J° rU . slm P l icitatis, quod genere
non fondanti* U%kVt generi ’ sed in subjectum. per se d,c,tur e- sia inasprita,
e ahL ia n* 1 « a anZ * C ^ C c * uesta diffìcile controversia si « gran somaro
», non essendo C cT alu U " C " t0 ^ r Z ° sco,astico del passo del
De gen. et spec u ( man,era . dl comprendere il quod scilicet incoteMens eduttl
„ ° PPOSlta - «*• in codem, sententiam tenenl perchè non *" • n { >oss
n nt > qui grandis asini :±,rr"° év-J quale n.n fl 1ZS processo, con il quale alla materia si dà la
forma, venne fuori da capo la questione, se cioè la differenza speci¬ fica sia
solamente il mezzo per formare le specie, o se essa invece, insieme con il
genere, trapassi nello stesso tempo nella essenza della specie medesima, — e
alcuni (evidentemente tenendosi più vicini a Guglielmo da Champeaux) si son
pure effettivamente decisi a favore della seconda soluzione 114 ) —: e così,
d’altra parte, per i concetti di genere e di specie, veniva in luce una diffi¬
coltà, anche per il fatto degli opposti che (almeno nella loro esistenza
individualizzata) si trovano in imo e me¬ desimo soggetto: ciò ha per
conseguenza che, qualora un uomo sia bensì casto ma in pari tempo sia avaro,
dovrebbe in lui coincidere l’universale del bene con quello del male; ora,
taluni se la cavavano con una di¬ stinzione tra i generi superiori da un lato,
e dall’altro lato le specie degli opposti, nella loro specializzazione,
escludendo almeno queste ultime dalla possibilità d’in¬ contrarsi [in un
medesimo soggetto], laddove altri esten¬ devano persino ad esse la pericolosa
concessione 115 ). 1H ) Abael. Dial., p. 477 : RATIONALITAS enim et mortalitas,
adve- niente* subtantiae animulis, eam in speciem creunt. quae est homo. Nec
cum ipsae generis substuntium in speciem reddunt, ipsae quoque in essentiam
speciei simul transeunt, sed sola genera vel subjecta specificantur.... non
quidem cum differentiis, sed per differentias.... Si enim differentiae in
speciem transferrentur cum genere,.... sicul quorumdam sententia tenet,...
profecto cogeremur jateri, et dijjeren- tias ipsas cum genere aeque in essentia
speciei convenire ; linde et ipsas de substanlia rei esse, et in partem
maleriae venire contingcrel. m ) Ihid.. p. 390: Sunt uutem quidam qui contraria
genera in eodem esse non abhorrent, sed contrarias species in eodem esse im¬
possibile confitentur. Dicunt enim quod cum omnia accidenlia per individua in
subjecta veniant, et ipsa contraria genera per individua sua subjeclis
contingunt . ut virtus et vitium, quae in hoc homine per hanc castitatem et
hanc avaritiam recipiunliir, quae individua sunt caslitatis et avaritiae, quae
invicem species non sunt contrarine.... Verum species contrarias esse in eodem
per aliquu sua individua, illud prohibet, quod nec ipsarum individua in eodem
possunt esse, quorum sunt tota substantia ea quae sunt contraria, utpote
species.... Sunt autem et qui species contrarias in eodem posse consistere non
denegant. adol e, T ^ C1 " aUrÌ 3UCOra « indotti a adottare 1 esperte
radicale, di affermare cioè che la .uizmne della differenza specifica in
generale ha luogo tu ta quanta solamente nella categoria della sostanza
laddove, quando si tratta delle qualità, le così dette sue’ eie o sottospecie
son propriamente da considerare sen z altro come formazione d’individui, sicché
n es h' e nero sarebbero due essenze diverse a cuci 1 h che son tali due
individui umani ”)’ " ^ 816880 farina, non c’è nane », . 3,10n c e * c e
pane », dovendo prima la ~7 n p, *“’ ” c,,e - “ cb - '»a»c»„r;.jr,o " awo
cì **•£ [§ 22. Controversie intorno alla definizione- INTORNO al CONCETTO DI PARTE
| E cakie»j. — M a controversie ) De gerì, et spec. d ?4i. c tmnsubnantiae
differentiis haberTdilZTe?™ Solum P^edicamen- tn duas proximas species. dicunt
illaT'nn l cllm . J ff uaht ^ dividati,r aliquas
differenti,: »ed et in micas converti tur linde nèn • sc, i,c el furinam esse
deserit non sit, panis desit. Eie. equicquam concedila ut, si farina di questo
genere, che venivano per lo più agitate, con grande sfoggio di passi di Boezio,
sfiorando già, come si vede, il confine della stupidità, venivano altresì
dibat¬ tute, secondo il modello della logica in uso nelle scuole, anche nell
arringo affine della teoria della divisione (v. sopra la nota 75) e della
definizione. Ben è vero che i realisti si trovavano tutti d’accordo nel
preferire, in ar¬ monia con il modo di pensare di Boezio (Sez. XII, nota 98), o
piuttosto di Porfirio (Sez. XI, note 41 ss.: cfr. la Sez. Ili, note 78 ss.), il
procedimento platonico di ima continua dicotomia 118 ); ma subito a proposito
della di¬ visione del genere, necessaria per la definizione, doveva già
ripresentarsi la questione del come vadan le cose con le parti della essenza,
distinguibili nel concetto del ge¬ nere: e mentre da taluni si affermava che
tali parti sono unite per mescolanza, press’a poco a quel modo che an¬ che
dalla mescolanza di bianco e nero si genera un terzo colore differente 119 ),
altri facevano osservare che tutte le parti della essenza del genere posson
pure, anche singolarmente, esser enunciate come predicati de¬ gl’individui,
appartenenti al genere stesso 120 ); per con- ) Ibid., p. 458: Si aulem genus
seni per nel in proximas species t ei in proximas differenlias dìvideretur,
omnis divisio generis, sicut Boethio (de divis p. 643 [PL, 64, 8831) placuit,
bimembris essel.,.. Hoc autem ad eam philosophicam sententiam respicil, girne
res ipsus, non tantum voces, genera et species esse confitetur. ) Oilberti 1
orretae in l. 1 . Boethii de S . Trinitele commenta • ria_ (Bokth. Opera, eri.
[costantemente cit. dal Franti] di Basilea, 1570), p. 1144 [PL, 64, 12721 :
Butani quidam imperiti.... quod non sit vera dictio. si quis dical « homo est corpus
», non addens et ani¬ ma »: uut si dicat « homo est anima », non addens c et
corpus ». Opi - nantes quod, ex quo diversa, ut unum componant, conjuncta sunt.
esse utriusque adeo sit ex illa conjunctione confusimi, ut sicut cum album et
nigrum permìscentur, quod ex illis fit, nec album nec ni- grum dicilur, sed
ciijusdam alterius coloris ex illa permixtione pro¬ venienti».... 1 Ibid., p. 1143:.... corporalitàs, non modo de
hominis illa parte I qua e corpus e.st], verum etiarn de homine praedicetur. Et.... ratio- nalitas.... non
modo de hominis illa parte, quae spiritus est, sed etiam de homine
praedicatur.... (p. 1144).... quicquid de parte
nuturaliter, idem et de composito affirmandum [PL, 64, 1272-3]. irò, anche
questo fu da capo contestato da alcuni, per- che quelle parti della essenza
sono predicati, soltanto in quanto sono concetti più generali, fatta cioè
astrazione dalla loro connessione con altre note essenziali; dellW mo, p. es„
viene affermata cioè, come predicato, non -dà la corporeità specificamente
umana, ma proprio in gè- neraie la corporeità nella sua accezione universale, e
tosi parimente anche la spiritualità 121 ). Un’altra controversia
manifestamente comiessa con quel che precede, concerneva la seguente questione
se ' fr J “ dMÌ *"• ^ il 7o,Z f dilTereuza -pacifica si riferisca «oltau.o
alla .peci. O anche, nello stesso tempo, al genere che st r, ’ mento della
specie 122 ! Y, 3 fonda - ia specie ). Via via che si separava più net. amente
a t ìlferenza dal genere (note 112, 114) g j po z::i re p t n r pit ° lbid., p . H44 f PL 6,,, 'illuni
rationalitatem guani Uhm quuè est A,"” al ‘ qU ‘ d ‘ cere 8esti unl, d‘ci.
et simUiter scienti,, a liam et alUmr ‘ T™"*' de homine human, corporis
est. ’ 1 sparai,totem quam quae notila. PaSS °
re,atÌV ° è ri P r « d »« integralmente più sopra> • ^ Abael. Dialect. n 402
• \f 1 * * noe hujus nominis quod est « homo » 'nen™ s,gn, fi cat ‘t»iem
substan- s, at ±' f* x P so percipiant, tantum nronlèr nT 7?’ nec ^ ualitat ^
ipsius diffinitionem requirunt. P P r qualitatum demonstrntionem il suo
significalo concettuale, fosse stata accolta, in sen¬ so realistico,
quest’ultima soluzione, sicché la proprietà sarebbe definita come un quid,
formato da un universale (p. es. [il «bianco» è un] formatum albedine), si
poteva da capo domandare se questa sia la definizione della proprietà stessa (
albedo ), o del sostrato qualifi¬ cato (album); e se poi ci si atteneva alla
seconda alter¬ nativa, dato che la prima conduce a mia reduplicazione priva di
senso, sorgeva il dubbio, se con ciò sia definito ciascun singolo di siffatti
sostrati, o non forse invece tutti quanti insieme: e necessariamente ambedue le
ipo¬ tesi si mostravan da capo insostenibili, poiché da un lato non si tratta
di definire le cose stesse, bensì soltanto ima proprietà, nè d’altra parte le
cose, per una sola proprietà che abbian comune, sono identiche nella loro
essenza 121 ). Ma a quel modo che tutta questa discussione si at- Ibid., p.
495: Ai vero in fiis diffinitionibus quae sumplorum (con questo termine
Abelardo suole indicar gli aggettivi: v. appresso la nota 321) sunl
vocabulorum, magna, memini, quaestio solet esse ub his, qui in rebus
universalia primo loco ponunt....; duplex enim ho- rum nominum quae sumpta
sunt, significatio dicitur, altera.... prin- cipalis, quae est de forma, altera
vero secundaria, quae est de for¬ malo. Sic enim « album », et albedinem, quam
circa corpus subjec¬ tum determinai, primo loco significare dicitur, et secundo
ipsius subjectum, quod nominai. Cum ilaque album hoc modo diffinimus « formatum
albedine », quueri solet. ulrum haec diffinitio sii tantum hujus vocis, quae
est « album », an alicujus siine significationis. Al vero cum vocem non
secundum essenliam suam, sed significulionem diffiniamus, videlur haec diffinitio
recte ac primo loco illius esse. Restat ergo quaerere, sive illius
significationis sit, quae prima est, i. e. albedinis, sit e cjus, quae seconda
est. quae est « subjectum idbe- dinis ». At vero si haec diffinitio albedinis
sit, praedicalur de ipsa, et de quocumque albedo dicitur, et ipsa diffinitio
prucdicatur. At vero quis vel albedinem vel hanc albedinem formuri albedine
conce¬ dei?... Si vero diffinitio supraposita ejus rei, quam « album » nomi-
nani, esse dicatur,... quaerilur, utrum uniuscujusque sit per se, quod
albedinem susci pi unt.... | il Cousin corregge: suscipiat], sive omnium simul
acceptorum. Quod si uniuscujusque sit illa diffinitio, utique et margaritae.
Vnde de quocumque illa diffinitio dicitur, et margarita praedicatur, quod
omnino falsum est. Si vero omnium simul accep¬ torum esse concedatur, oporlebit
ut, de quocumque diffinitio illa enuntiatur, omnia simid praedicenlur. quod
iterum falsum est. tiene ancora di regola a quello stesso basso punto di vi-
sta, che abbiamo trovato più sopra (Se*, precedente, note 350 ss.), dove si
trattava del realista Anseimo, cosi anche le dispute sopra il secondo metodo di
divisione, cioè sopra la partizione della o alita ne suoi elementi, recano in
sè una ben grave uni- lateraLta. I oiche la questione di stabilire che cosa
s’in- tenda per parte originaria (pars principalis), fu forzata a prendere la
forma di un’alternativa, in quanto che cioè gli uni denonimavano originarie
quelle parti le quali, mentre costituiscono la essenza della totalità, non sono
piu a lor volta parti di una parte (p. es„ nell’uomo, anima e corpo), e invece
gli altri consideravano come ori- gmane quelle parti costitutive ultime,
distrutte le quali viene distrutto il tutto (p. es. la testa o il cuore) -»)•
ma a questa maniera, in seguito al realismo ontologico, adot- andosi la prima
soluzione, tutto questo punto di vista della divisione rimaneva falsato, e
surrettiziamente scam¬ biato con il terreno proprio della definizione, laddove,
se »! adottava la seconda soluzione, sconsideratamente « trasponeva la funzione
subiettiva dell’intelletto urna- “’ !• q S ° la . Crea ÌJ COncetto di P«le,
nella realtà ZTl ì C0MCeZ1One "«usa, della quale già si era li- noi ^ 9 !
“T m ° r ° 8CelÌniauo (Sez. precedente, note 321 s.). Mentre gli uni intendevano
la divisione ab «finito come obbiettivamente materiale, ed esclude- no cosi
dalla considerazione l’attività formale [die gè- cundarias'^àrtès
ZocaH^TnTat^alf 0 ’ o- crates. destructa ungula, remanet Socrates et ila quod
prius non erat Socrates, fìt Socrates. O, similmente, ibid., p. 512: Haec....
sen-La teoria dello « status », come tentativo di conciliazione: Gualtiero da
Mortacne]. — Se a questa maniera il realismo offriva in realtà molteplici
documenti di quella cattiva sorte, che nelle questioni di logica propriamente
dette, deve rimanere insepara. . Je da esso ’ non fa maraviglia che da vari
lati si sieno battute vie nuove per rendersi conto degli universali, r
csidcrandosi co 8I di sfuggire alle difficoltà del reali- amo non meno che alla
unilateralità del nominalismo. mbra doversi interpetrare quale forma di
passaggio prima di tutto quella concezione, che potrebbe, dal suo termine
tecnico caratteristico, denominarsi «teoria e lo status »: e parimente sembra
(cfr. la nota “ e *f a 813 8tata originata dalle obiezioni sorte contro le
affermazioni di Guglielmo da Champeaux. Se cioè la essenza universale del
genere deve, per tutta quanta la sua estensione, venire specializzata mediante
lorme individuali (v. sopra la nota 105), è difficile veder bene addentro, come
stiano le cose, riguardo a quelle «proprietà superaddite » (advenicntia), che,
in seno a IimiT’ ° T Ìan ° ° 80U0 S ° lamente P asse ggiere. Ora alctmi si
appigliarmi qui all’espediente di ammettere che ! universale e bensì modificato
da siffatte qualità, ma non tuttavia proprio in quanto è un universale: e una
faeffe 1 ir e - a arriVatÌ dn ° 3 qUeSt ° P unto ’ 8i rendeva acile la
effettiva trasformazione degli miiversali, i quali dai realisti erano stati
tenuti b, conto di cose (res) in daT >: i CÌOè ° ra ne »a serie graduale che
va dal genere all individuo, non fu più tenuto conto del- 1 Universale, bensì
dello .status universali*»: ima con- cezione questa, che era così abbastanza
facilmente sug- gerita dal motivo usuale di ma Tabula logica, come an- lentia
medium digiti naturam unam esse nonni, creaturam esse merito dubitat. Aut er J
Zò, 'che poteva, dal canto suo, trovare parimente appoggio in un passo di
Boezio 129 ). Un rappresentante di questo modo di vedere fu Gualtiero da
Mortagne [de Mauretania] (inse¬ gnante a Parigi al tempo di Abelardo, e morto,
vescovo di Laon, nel 1174) : egli dedicò, è vero, con preponde¬ rante ardore,
la propria attività alle controversie dom- maticlie ), ma fece sentire, per
incidenza, il suo in¬ flusso anche nel campo della dialettica. Cercò cioè di
conciliare la unità numerale deH’universale con la con¬ nessione essenziale, in
cui esso sta con le cose singole. > Ibid., p. 514 s.: Amplius sanitas et
lunguor in corpore ani- mahs fundalur; albedo et nigredo simpliciter in
corpore. (Juod si animai totum existens in Socrate languore afficilur, et
totum, quia quicquid suscipit. Iota sui quantitale suscipit, eodem et momento
nusquam est sine lang[u)ore; est autem in Platone totum illud idem; ergo edam
ibi languerel; sed ibi non languet. Idem de albe¬ dine et nigredine circa
corpus. Ad haec enim non rejugiant, ut di- cani etc.... Addurli: animai
universale languet, sed non in quantum est universale. L tinum se videant !...
Si ad status se transfer ani, di - centes I animai in quantum est universale
non languet in univer¬ sali statu », respondcant, de quo velint agere per has
voces $ in stata universali ». Ma di questo concetto di « status universalis »
scorgeremo a buon diritto la fonte in Boezio, là dov’egli dice, a pro¬ posito
della qualità (ad Ar. praed. [I. 11IJ, p. 180 |PL, 64. 250J): Nihil impedit,
secundum aliam scilicet ulque aliam causam, unam eamdemque rem gemino generi
spedai suae supponere, ut Socrates in eo quod pater est, ad aliquid dicitur, in
eo quod homo, substan¬ tia est, sic in calore atque frigore, in eo quod quis secundum
ea videtur esse dispositus, in disposinone numerula sunt, perchè quel rhc qui
deride, è lu espressione « in eo quod » : e rosi pure in un al¬ tro passo ancor
più chiaro (ibid., p. 189 [PL, 64, 2611): Si secun¬ dum aliam atque aliam rem
duobus generibus eadem res.... supponu- tur, nihil inconveniens cadit. Ita
quoque et habitudines, in eo quod alicuius rei habitudines sunt, in relutione
ponuntur, in eo quod secundum eas quales aliqui dicuntur, in quotitele
numerantur. Quare nihil est inconveniens, unam atque eamdem rem, secundum
dnersas naturae suae potenlias (proprio questo son gli univer¬ sali),...
pluribus adnumerare generibus. Le euc lettere (stampate nello Spicil. del
D’Achery, ed. De la Barre, Parigi, 1723, III, p. 520 ss.) sono soltanto di contenuto
dommatico, e non hanno menomamente rhe fare con la storia della filosofia. [Ora
è da vedere il trattato sopra la teoria della indifferenza, attribuito a
Gualtiero da Mortagne e pubblicato dall’Hau- rcau (1892), poi dal Willner
procedendo a questa maniera, vale a dire con il distin¬ guere nell’individuo,
uno per uno, come status diffe¬ renti, la individualità, e il concetto della
specie, e così pure il concetto del genere, fino su su al sommo gene¬ re 1SI ).
Comunque, sebbene ci manchino del tutto notizie più precise sopra un tal modo
di vedere, c’è questo di notevole in esso, che cioè da un lato l’universale è
rac¬ costato alle cose singole, e dall’altro lato, per quel te¬ nere distinti i
diversi « stati », la operazione intellet¬ tuale subbiettiva si fa più avanti
nel primo piano. Per¬ ciò neanche appare indegna di fede quella notizia (v.
sopra la nota 69), secondo la quale sembra che taluni, dalla tesi nominalistica
della « maneries » sieno passati alla questione dello status (v. la nota 88).
[§ 24. — La teoria dell’iindifferenza. Ma la evoluzione interna degli studi di
logica ci conduce con ciò spontaneamente alla teoria della indiffe¬ renza, la
quale in particolare occupa ima posizione di mediatrice tra le varie tendenze.
A suo fondamento sta il principio, che una medesima cosa è, nello stesso tempo,
universale e singolare, nel senso non già che si dia un universale
essenzialmente inerente alle cose, bensì semplicemente che in queste, in quanto
sieno più cose e simili per natura, si presenti alcunché, che esse hanno
indifferenziatamente ( indiff&renter ) in comune; per con¬ seguenza, ciò
che più cose hanno d’indifferente o intrin¬ secamente simile (indifferens o
consimile), è dunque indicato nella definizione come « genere », e, per l’uni¬
versale così inteso, è salva la possibilità della predica¬ zione (praedicari de
pluribus ), laddove il realismo ha sempre corso pericolo di dover, di una cosa,
predicare ima cosa (v. appr. la nota 287): e quest’ultimo aspetto
suhbiettivamente logico poteva ora caso mai venir pure M1 ) Il passo in appoggio,
vedilo più sopra, alla noia unilo anche
con il concetto di status, di modo die cia¬ scuna cosa avrebbe in sè uno «
stato » d’individualità e nello stesso tempo uno « stato » di universalità 132
); ma si tratta nonpertanto di un punto di vista, tutto diverso da quello di
Gualtiero. Mentre là, cioè, si tiene ancor ferma la esistenza del- u ‘) Abael. Glossulae sup. l’orph., riferite
dal Rémusat (v. le note 13 e 73), p. 99 s. : La seconde manière de soutenir
l’universalilé des choses, c’est de prétendre que la ménte chose est
universelle et particulière; ce n’est plus essentiellement, mais indifféremment
que la chose commune est en divers.... Ce qui est dans Platon et dans Socrate,
c’est un indifférent, un semblablc, « indifferens vel consi¬ mile ». Il est de
certaines choses qui conviennenl ou s’accordent entre elles, c esl-à-dire qui
sont scmblables en nature, par exemple en tanl que corps, en lant qu’animaux ;
elles sont aitisi universelles et particulières, universelles en ce qu’elles
sont plusieurs en coni- munaulé d attributs essenliels, particulières, en ce
que chacune est disimele des autres. La définition du genre (« praedicari de
piu- ribus »....) ne s’applique alors aux choses qu’elle concerne qu’en tanl
qu’elles sont semblables, et non pus en lant qu’elles sont indi- viduelles.
Ainsi les mèmes choses ont deux états, leur étal de genre, leur état
d’individus, et, suivant leur étal, elles comportenl ou ne comportenl pas une
définition differente. [Vedasi ora il
testo ori¬ ginale, ediz. Geyer, p. 518: Sunt a lii in rebus unii-er salitatela
assignantes, qui eandem rem universalem et parlicularem esse astruunl. Hi
namque eandem rem in diversis in differente r, non essentialiter inferioribus
affirmunt. Veluti cum dicunt idem esse in Socrate et Plutone, « idem » prò
indifferenti, idest consimili, intelligunt. Et cum dicunt idem de pluribus
praedicari vel inesse aliquibus, tale est, ac si aperte diceretur: quaedam in
aliqua con¬ venire natura, idest similiu esse, ut in eo quod corpora sunt vel
ammalia. Et iuxta hanc.... senlentium eandem rem universalem et parti- cularem
esse concedunt, diversis tamen respeclibus; universalem quidem in eo quod cum
pluribus communitutem habet, particularem secundum hoc quod a ceteris rebus
diversa est. Dicunt enim singu- las substunlius ita in propriae suae essentiae
discretione diversas esse, ut nullo modo haec substantia sii eadem cum illa,
etiamsi substantiae materia penitus formis carerei, quod tale secundum illos
praedicari de pluribus, ac si dicatur: aliquis status est, participatione
ctiius multae sunt convenientes, praedicari de uno solo, uc si dicatur: aliquis
status est, parlici patione cuius mul¬ tae sunt non convenientes 1 . Se il
Rémusat abbia effettivamente trovato qui [come (v. s.) effettivamente ha
trovato] nel manoscritto il termine « status » — cosi almeno sembra che sia — o
se si tratti di un’aggiunta, fondata solamente sopra il suo personale modo di
vedere, io non lo so. l’universale, e proprio a quest’ultimo vengono atmbu
«stati» differenti, per i sostenitori della tesi della indif¬ ferenza viene
avanti in prima linea, con tutto il suo ri¬ gore, la idea, appartenente al
nominalismo (note 77 ».), vale a dire che in generale null’altro esiste, all
infuori dai soli individui, e apprendendosi il pensiero a questi, come a’ suoi
propri oggetti, gli universali si generano soltanto per la diversità
dell’apprendimento (aliter et aliter attentum), sicché status o natura
dell’essere indi¬ viduo o dell’essere specie e via dicendo, sono da consi¬
derare soltanto come modi di vedere soggettivi: e a tal proposito è prima di
tutto da considerare il carattere, per così dire, negativo del procedimento che
conduce dall’individuo all’universale, in quanto che Ymtellectus gradualmente
lascia da parte (non concipit), intenzio¬ nalmente dimentica ( oblitus ),
posterga e abbandona ( postponit, relinquit) le differenze individuali, per
prò- gredire nell’apprendimento dell’indifferenziato, sino al grado supremo,
cioè alla sostanza 1 ). Pertanto anche questo modo di vedere, analogamente «*)
De geli, et spec., p. 518: Nane itaque >Uam, quae de indif- ferentia est.
sententi,im perquiramus Cujus *«£«**£**£ JJJJ ninnino est nraeter individuimi;
sed et illud aliter et aliter atten tum specie* et genus et genertdissimum est
(ugualmente nel pas.o ' ùo già opra! nota 72). Itaque Sacrate* in ea natura (m
ponga mente al termine « natura », in luogo del quale subno dopo « de Socrate,
quod nota, idemj homo » -^CmfPponat Zio- aagsH’S z zzi: zzi::‘oli.. „ . .» —«—»
bocr “ m quod notul « substantia », generulissimttm est. agli altri, può
richiamarsi a passi isolati di Boezio, quando si tratta di affermare che
l’individuo, conside¬ rato come individuo, non reca in sè nulla d indifferen¬
ziato, ch’egli abbia in comune con altri individui, bensì, per così dire, egli
è la differenza stessa, laddove, quanto più si considera questo medesimo
individuo come specie o come genere, tanto in maggior numero si sco¬ prono in
lui momenti indifferenziati comuni, e allora si abbraccia, come concetto del
genere o della specie, tutto quel che c’è di elemento comune 134 ) : cosicché
con ciò, poiché infine ogni manifestarsi d’individui si può pren¬ derlo anche
dal lato (status) del suo genere più univer¬ sale, ci sono in verità tanti
generi universalissimi, quanti sono gl’individui: ora questi generi supremi si
raggrup¬ pano a lor volta in dieci classi (categorie), soltanto me¬ diante la
considerazione di quel che d’indifferenziato hanno in comune, ma d’altra parte
tutt’insieme vengono a formare da capo una unità universalissima, consistente m
) Ibid. : Socrates, in quantum est Socrutes, nidlum prorsus indifferens habet,
quod in alio inveniatur; sed in quantum est homo, plura habet indifferentia,
quae in Platone et in aliis inve- niuntur. Nam et Plato similiter homo est,
ut Socrates, quamvis non sit idem homo essentialiter, qui est Socrates. Idem de animali et substantia. Ma per ricondurre
questo testo alla sua fonte, bastano i seguenti passi di Boezio, ad Porph. a se
trunsl., I, 11, p. 56 [ed. Brandt, p. 166; PL, 61, 85J : Cogitantur vero
univcrsalia, nihilque aliud species esse putanda est, nisi cogilatio collecta
ex individuo- rum, dissimilium numero, substantiali similitudine: genus vero
co¬ gitano collecta ex spoderimi similitudine. Sed haec similitudo cum in
singularibus est, fit sensibilis: cum in universalibus, fit intelli- gibilis ;
inoltre ibid.. Ili, 9, p. 76 [ed. Brandt, p. 228; PL, 64, 111]: Individuorurn
quidem simililudinem species colligunl, spe- cierum vero genera. Similitudo
autem nihil est aliud, nisi quaedam unitas qual itati s ; c ibid., TU, 11, p.
78 [ed. Brandt, p. 235; PL, 64, 114]: ea enim sola dividuntur, quae pluribus
communio sunt; his enim unum quodque dividitur, quorum est commune, quorum- que
naturam ac simililudinem continel. llla vero, in quibus com¬ mune dividitur,
communi natura parteciparti, proprietasque com- munis rei his, quibus communis
est, convenit. Al vero individuorurn proprietas nulli communis est. Qui cioè è
abbastanza chiaramente preannunriato così il simile o commune, come anche il colligere
(nota 136). 17. — C. Pbantl, Storia della logica in Occidente, II.CARCO prantl
ili ciò che son proprio essi 1 elemento comune e indif¬ ferenziato 135 ). Nella
stessa maniera si configura poi anche la rela¬ zione predicativa, poiché,
mentre l'individuo è sempre soltanto il suo proprio predicato, quell’aspetto
suo, che viene inteso come specie o come genere, può recare con sè un
riferimento reciproco ad altri individui: cioè, p. es., Tesser uomo, di
Socrate, è predicato (inhaeret) anche per Platone, e viceversa: e questo esser
genere, dell’in- dividuo, è concetto collettivo (colligitur), cosi per que¬ sto
stesso individuo come anche per gli altri della me¬ desima specie 13 °) insomma
il rapporto dell’universale e del singolare si riduce a un « in quntum », e,
non es¬ sendoci nè un puro universale nè un puro individuale, dipende dalla
diversità del punto di vista (diversus re- spectus), che l’universale venga
considerato come singp- lare, e il singolare come universale 13T ). [Adelardo
da Bath: intonazione platonica DA LUI DATA ALLA TEORIA DELLA INDIFFERENZA]. -
Ora U5 ) Jbid., p. 519: Solvunt.... illi dicentes: generalissima quidem
infinita esse essenlialiter, sed per indifferentiam decem tantum ; quot enim
individua substanliae, tot et sunt generulissimae substantiae. Omnia lamen illa
generalissima generalissimum unum dicuntur, quia indifferentia sunt. Socrates
enim in eo quod est substantia, in- difjerens est cum qualibel substantia in eo
statu, quod substantia est. ”“) Ibid.: Sed et hi dicunt: Socrates in nullo
slatti aliati inhae¬ ret nisi sibi essenlialiter; sed in statu hominis pluribus
dicitur in- haerere, quia olii sibi indifferentes inhaerent; eodem modo in
statu animalis.... (p. 520) Dicunt ita: Socrates, in quantum est homo, de se
colligitur (si ponga mente a questa espressione) et de Platone caelerisque;
unumquodque individuimi, in quantum est homo, de se colligitur. ls, > Ibid.,
p. 521: Itti tamen non quiescunt, sed dicunt: nullum singulare, in quantum est
singulare, est universale, et e converso; et cum universale est, singulare est
universale, et e converso. — Ibid., p. 520: Negant hanc consequenliam € si est
universale, non est singulare». Nam imposilione suae sententiae habelur: omne
universale est singulare, et omne singulare est universale diversis
respcctibus. questa dottrina dell’ indifferenza viene tuttavia a sua volta ad
armonizzare infine con il principio « Singultire senti tur, universale
intelligitur », sicché le era dato di trovare un appoggio anche in Boezio (Sez.
XII, nota 91), e comunque si poteva ammettere che per noi quaggiù, in questa
valle di lacrime, gli universali soltanto come individui hanno una esistenza
percettibile, mentre va riconosciuta a essi in verità una realtà intelligibile:
stando così le cose, anche i Platonici, particolarmente per via di quella
tendenza dell’ individuale a deviare all’insù, « lasciando » [relinquere] le
sue caratteristiche singolarità, potevano prender gusto alla teoria della
indifferenza, mentre nello stesso tempo gli Aristo¬ telici erano inclini a por
mente in essa alla relazione scambievole tra universale e particolare, come
anche al conto in cui quella tiene la operazione suhbiettiva dell’intelletto
(di quest’ultimo modo di vedere trove¬ remo un esempio appresso, note 432 s.,
in imo scolaro di Abelardo). S’intende pertanto come Adelardo da Bat li, il
quale compose intorno al 1115 [tra il 1105 e il 1116] imo scritto De eodem et
diverso, che aveva per fondamento il platonismo 138 ), credesse di potere,
proprio con la dottrina della indifferenza, com¬ porre il contrasto fra Platone
e Aristotele. Si lamenta Adelardo dell’aspro contrasto fra opposte tendenze,
nel campo della logica, come pure della mania d’innova¬ zioni dominante al
tempo suo 13,) ), ma è d’opinione che, lss ) V. sul conto suo maggiori
particolari nelle Recherches cri- tiques dello Jourdain (2* ed. 1843, p. 26-7,
97-9 e 258-277), dove si riproducono tradotti, di su un manoscritto parigino,
notevoli fram¬ menti di questo libro. [Ma ora del trattato di Adelardo è stato
pubblicato integralmente il testo originale, a cura di H. Willner, nei
Beitriige del Baunikcr, IV, 1, Miinster, 1903, p. 3-34]. “”) Ibid., p. 262: L'un prétend
qu’on doit partir dcs choses sen- sibles, l'autre commence par les choses non
sensibles. Celui-là soutient que la Science n'est que dans les premières,
cclui-ci qu’elle est. hors des dernières; ils s’inquiètent aitisi mutuellement,
à fin qu’aucun d’eux ne s’altire la confiunce.... (p. 263) A qui donc faul-il con il venir bene in
chiaro di quel che concerne gli universali, si potrebbe appianare la contesa
140 ). Intorno ai concetti di specie e di genere, egli si esprime qui in
perfetto accordo con la teoria della indifferenza, anzi facendo pereino uso
quasi degli stessi termini (p. es. diversus respectus, oblivisci, non attendere
ecc.), sicché può ritenersi che il nostro informatore su ci¬ tato [v. s. la
nota 133] avesse sottocchio lo scritto di Adelardo, non essendoci altra
variante, se non che qui non è messo in campo il concetto di status, ed è forse
dato un certo maggior peso alla denominazione 141 ). Ma croire d'entre ceux qui
tourmenle.nl nos oreilles de leurs innova- tions journalières, qui cheque jour
naisscnt pour nous, nouveaux Aristotes et nouveaux Piatomi, qui prometterà
également et les choses qu’ils savent, et celles qu’ils ignorent? Ili testo originale, ediz. Willner, p. 6, suona così:
« Alius enim a sensibilibus inve- sligundas (se. res) esse censuil, alter ab
insensibilibus incepit; alius eus in sensibilibus tantum esse arguii, alter
praeter sensibilia etiam. esse divinavit. Sic dum uterque alterum inquietat,
neuter fidem adipiscitur.... (p. 7) Cui tandem eorum credendum est, qui
cotidia- nis novitatibus aures vexant.” Et assidue quidem etiam nunc cotidie
Platones, Aristoleles novi nobis nascuntur, qui aeque ea, quae nc sciant, ut et
ea, quae scianl, sine frontis iacluru promittant.... » |. M “> Ibid., p. 267: L’un
d’eux (cioè Platone e Aristotele), tran- sporté par l’élévation de son esprit
et les uiles qu’il semble s’ètre créés par ses efforts, a entrepris de
connuilre les choses par les principes eux-mémes ; a esprime ce qu’ils élaient
avant qu’ils ne se reproduisissent dans les corps, et a definì les formes
archétypes des choses. L’autre, au conlraire, a commencè par les choses
sensibles et composées ; et puisqu’ils se rencontrent dans leur route, doit-on
les dire opposés? Si l’un a dit que la Science étuit hors des choses sen¬
sibles, et l’autre, qu'elle était dans ces mémes choses, voici coni¬ mela il
jaul les interpréter. [Ed. Willner, p. 11: « Unus eorum meri- lis altitudine
clatus pennisque, quas sibi indui obnixe nisus, ab ipsis iniliis res cognoscere
aggressus est, et quid essent, antequam in corpora prodirent, expressit,
archelypas rerum formas, dum sihi loquilur, definiens. Alter autem.... a
sensibilibus et compositis orsus est. Dumque sibi eodem in itinere obviant,
contrarii dicendi non sunt.... Quod autem unus ea extra sensibilia, alter in
sensibilibus tantum existere dixit, sic accipiendum est. »1. «*) Delle parole ohe ora fanno immediatamente seguito
(p. 267-8 del Jourdain), FHauréau (De la philos. scol., I, p. 255 IHistoire de
la phil. scol.) riproduce il testo latino origi¬ nale [che qui si riferisce
secondo la ediz. Willner] : Genus et species — de his enim senno est — etiam
rerum subiectarum nomina sunt. fan poi seguito, secondo lo spirito del
platonismo, espres¬ sioni di lamento, perchè agli uomini runiversale si pre¬
senta oscurato dalla indispensabile percezione sensibile, mentre gli
universali, nella loro pura semplicità, esi¬ stevano originariamente soltanto
nel No0{ divino 11- ); e*a questo si connette subito la strana affermazione,
che proprio perciò hanno ragione tutti due, così Aristotele, il quale ha
trasportato gli universali in quella sfera, cli’è la sola dove sieno a noi
accessibili, come anche Pla¬ tone, che li confina là dov’essi hanno la vera
loro realtà, che insomma entrambi, mentre nella maniera di esprimersi sembra si
contraddicano, nel merito si trovan d’accordo 143 ). Per arrivare a questa
conciliazione, Ade- Nam si res consideres, eidem essentiae et generis et
speciei et indi¬ vidui nomina imposita sunt, sed respectu diverso. V olcntes
etenim philosophi de rebus agere secundurn Itoc quod sensibus subiectae sunt,
secundurn quod a vocibus singularibus notantur et numeraliter diversae sunt,
individua vocarunt, se. Socratem, Platonem et celeros. Eosdem autem altius
intuente s, videlicet non secundurn quod sen- sualiter diversi sunt, sed in eo
quod notantur ab liac voce « homo », speciem vocavertuti. Eosdem item in hoc
tantum, quod ab hac voce « animai » notantur, considerantes genus vocaverunt.
Nec tamen in consideratione speciali jormas individuales tollunt, sed
obliviscuntur, cum a speciali nomine non ponantur, nec in generali speciales
oblatas inielligunt, sed incsse non attendunt, vocis genendis significatione
contenti. Vox enim haec « animai » in re illa notai substantiam cum animatione
et sensibililate ; haec autem « homo » totum illud et in¬ super cum
ralionulitale et mortalitate: « Socrates » vero illud idem addila insuper
numerali accidentium discrelione [ed. Willner, : Assueti enim rebus . cum
speciem in- tueri nituntur, eisdem quodammodo caliginibus implicantur nec ipsam
simplicem notam.... contemplari nec [350] ad simplicem spe- cialis vocis
positionem ascendere queunl. Inde quidam, cum de universalibus ageretur, sursum
inhians « Quis locum earum [se. vocimi] mihi ostendet? », inquit. Adeo rationem
imaginatio pertur¬ bai.... Sed id apud mortales. Divinae enim menti.... praesto
est muteriam sine formis et jormas sine aliis, immo et omnia cum aliis.... distincte cognoscere. Nani et antequam coniuncta
essent, universa quae vide?in ipsa noy simplicia erant [ed. Willner, p. 12].
lbid.: Nunc autem ad propositum redeamus. Quonium igitur illud idem, quod
vides, et genus et species et individuimi sit, merito ea Aristoteles non nisi
in sensibilibus esse proposuit. Sunt etenim ipsa sensibilia, quamvis acutius
considerata. Quoniam vero ea, in- lardo non deve davvero essersi molto stillato
il cer¬ vello 144 ). [§ 26. — Gauslenus o Joscellinus da Soissons: sua idea del
colligere ]. — Un modo di vedere analogo al principio della teoria della
indifferenza, sebbene il metodo seguito fo9«e alquanto diverso, potrebbe ravvi¬
sarsi nella opinione di Gauslenus o Joscelli¬ nus da Soissons (dove fu vescovo
dal 1125 [1122] al 1151), il quale ritiene cioè che gli universali non si
trovano già negl’individui presi per se stessi, bensì com¬ petono a questi,
solamente in quanto l’individuale viene raccolto in una unità (in unum
collectis ) 145 ) ; poiché questa è ima tesi che sarebbe perfettamente in armo¬
nia con il principio su riferito (nota 133), vale a dire che esistono
esclusivamente individui; soltanto che il formarsi degli universali nel
pensiero umano sarebbe ottenuto qui non già con mi lasciar da parte [(re/in-
quere ) le differenze individuali], bensì fin da principio con un metter
assieme ( colligere ), del quale infine non poteva pur fare a meno neanche la
teoria della indiffe¬ renza (nota 136). Ma sopra la opinione di Gauslenus non
sappiamo assolutamente nulla di più preciso 14e ) : quantum dicuntur genera et
species, nemo sine imaginatione presse pureque intuetur (qua pertanto troviamo
veramente «li già la « ignota cosa in sé»), Plato extra sensibilia, scilicet in
niente divina, et con- cipi et existere dixit. Sic viri illi, licet verbis
contrarii videantur, re lamen idem senserunt [ed. Willner, p. 12], Tanto più
che poteva ben essergli accessibile, almeno attra¬ verso Agostino (de civ. Dei,
Vili, 6 f?j), il noto passo ciceroniano dello stesso tenore ( Acad. Prior., I,
6 Tv. anche ih., 41, relativa¬ mente ad Antioco [d'Ascalonal). Abbiamo veduto
più sopra (nota 66) come anche Bernardo da Chartres si sforzasse di conciliare
Pla¬ tone e Aristotele. ’“) Vedi la fonte più sopra, nota 68. “*) Poiché, se H.
Bitter, che sopra Gualtiero da Mortagne, Adelardo da Balli ecc. ci dà notizie,
in parte prive della necessaria precisione, in parte addirittura erronee, vuole
senz’altro riven¬ dicare a Gauslenus lo scritto De generibus et speciebas, per
indurci e mentre da un lato già molto
avanti abbiamo veduto (Sez. prec., nota 175) cbe anche il realista Ottone da
Cluny si serviva di una espressione analoga, e anzi an¬ che Giovanni da
Salisbury sembra riconoscere in Gau- eleno un realista (il che tuttavia non ha
forse grande importanza: v. sopra le note 70 e 85), d’altro lato può darsi che
soltanto la separazione degli universali da¬ gl’individui singoli sia per noi
il principale motivo che c’induce a raccostare la tesi di Gausleno alla teoria
della indifferenza: e a conferma di ciò potrebbe fors’anche valere il fatto,
ch’egli ha promosso il passaggio alla teo¬ ria nominalistica della « mancries »
(v. sopra la nota 68). Allora avremmo qui una ripetizione di quel che fu già
affermato, a proposito dei primi inizi di una formazione di contrastanti
tendenze dalla parte dell’indirizzo nomi¬ nalistico liT )Lo scritto anonimo de generibus
et specie- bus: punto di vista del suo autore: a) critiche ad al¬ tre soluzioni
del problema degli universali], — Ma se, relativamente agli universali,
l’ordine al quale dobbia¬ mo dar la preferenza (v. sopra la p. 208), ci porta a
prender in esame le vedute di AEelardo, come pure di Gilbert de la Porrée e di
Giovanni da Salisbury, sola¬ mente qui appresso, in connessione cioè con la
totalità della loro dottrina, — per il momento ci rimane da con¬ ati ammettere
quest’attribuzione non basterebbero le poche parole di quel l'unica fonte che
possediamo intorno a Gauslenus, neanche qualora esse fossero in armonia con le
vedute dell’autore dello scritto Do gen. et spec. Ma che un tale accordo sia
molto dubbio, può risultare da quanto dovremo ora subito dire, a proposito di
quello scritto anonimo [che invece oggi si tende ad attribuire ap¬ punto a
Gauslenus o a un discepolo di lui. Del Ritter v. la 3“ parte della già cit. St.
d. fil. cristiana, p. 381-6 (Allei, da Bath) e 397401 (Gualt. da Mortagne)].
Cioè il Pseudo-Rabano (Sez. precedente, nota 153) e quel co,i detto Jepa
(ibid., nota 170) si sono espressi, intorno al con¬ cetto di genere, in maniera
affatto simile. CABLO PRANTL siderare un unico scrittore ancora, e questi è
l’autore sco¬ nosciuto dello scritto «De generibus et specie- bus» liS ), il
quale ci mostrerà taluni punti di contatto o di affinità con parecchie delle
opinioni menzionate «in¬ ora. In origine il lavoro, nel suo complesso, si
presen¬ tava certo come ima monografia «De divisione » (cfr. le note 118-128),
assolutamente alla stessa maniera dello scritto omonimo di Abelardo (v.
appresso le note 277 e 353 ss.), e, come in principio del testo da noi con¬
servato si tratta ancora della questione delle parti ori¬ ginarie di ima
totalità, così anche qui l’Autore, altret¬ tanto colto quanto acuto, ha poi
preso occasione, dalla discussione intorno alla divisione del genere, per
inter¬ venire nella disputa intorno agli universali, e lumeggiando criticamente
le opinioni degli altri, e ancora esponendo le ragioni delle sue proprie vedute
149 ). Per prima cosa combatte alla spiccia il nominalismo, con l’argomento che
le parole in generale non hanno un essere, poiché ciò che si genera soltanto
per suc¬ cessione temporale, non può costituire un tutto unita¬ rio: ima
osservazione, questa, che è volta appunto, per 14 “) Del libro, edito dal
Cousin ( Ouvrages inédits d'Abélard, p. 507-550) di su un manoscritto di St.
Gerniain, manca il principio; e il titolo, che è invenzione dello «tesso
Cousin, si può forse con¬ tinuare a adottarlo, ma certamente fatta eccezione
per l’aggiunta «Petti Abelardi » ; poiché, che nel suo complesso non sia
un’opera di Abelardo (v. sopra la nota 49), se ne sarebbe dovuto accorgere
anche il Cousin; la cosa appare manifesta non soltanto da parti¬ colarità
stilistiche (p. es. Fespressioni « Attende » o « Solutio », intercalate dove si
tratta di risolvere obiezioni, o ancora, il carat¬ teristico termine «
rationabile ingenium », clic l’Autore mostra di prediligere, ecc.), ma anche da
intrinseche divergenze che modi¬ ficano la teoria stessa, e si acuiscono
persino in forma polemica. Sopra questo punto, a scanso di ripetizioni, mi
limito a rinviare alle note seguenti, 150, 167, 168, e particolarmente 171,
dove si vedrà addirittura designata come « ridicola » una opinione che è di
Abelardo. ’*) Con lo studio accurato di questo scritto, potrebbero forse venir
meno del tutto le censure enunciate a suo carico da H. Rrr- ter (VII, p. 363),
che lo giudica malcostrutto e oscuro. quanto in essa si attiene alla funzione
del pensiero nel giudizio, anche contro le idee di Abelardo (v. appresso la
nota 315) 15 °); ma poi la relazione tra materia e for¬ ma, dominante nel
passaggio dal genere alla specie, neanche sarebbe già assolutamente possibile
esprimerla con parole, poiché mai ima parola è materia di un altra parola 151
). D’altra parte, l’Autore combatte anche il realismo di Guglielmo da
Champeaux, poiché se l’universale, in tutto quanto il suo contenuto, viene
individualizzato nell’individuo (nota 105), non soltanto questo mede¬ simo
contenuto dovrebbe pur trovarsi da capo nello stesso tempo tutto quanto in un
altro individuo 152 ), ma dovrebbero altresì spettare a tutti gl’individui
anche le proprietà varianti o transitorie 153 ), e nioltre nel concetto del
genere si troverebbero poi simultaneamente anche gli opposti 154 ). E
ugualmente egli assume più oltre un atteggiamento m ) Cousin, loc. cit., p.
523: ltem voces nec genera sunt nec species nec universales nec singulares nec
praedicatae nec subjectae, quia omnino non sunt. Nani ex his, quae per
successionem fiunt, nullum omnino totum constare, ipsi qui hanc sententiam
tenent, nobiscum credunt. Quemadmodum statua constai ex aere ma¬ teria, forma
autem figura, sic species ex genere materia, forma au- tem differentia (v. la
nota 160 s.), quod assignare in vocibus im¬ possibile est. Nam cum animul genus
sit hominis, vox vocis nullo modo est altera alterius materia. m ) p. 514: Quod
si ita est, quis polest solvere, quin Socrates eodem tempore Romae sii et Athenis?
Ubi enim Socrates
est, et homo universalis ibi est, secundum totani suam quantitatem infor- matus
Socratitate.... Si ergo res universalis, tota Socratitate affecta, eodem
tempore et Romae est in Plutone tota, impossibile est, quin ibi etiam eodem
tempore sii Socratitas, quae totani Ulani essentiam conlinebat. Ubicumque autem
Socratitas est in homine, ibi Socrates est: Socrates enim homo Socraticus est. Ibid. Il passo si trova citato già più sopra, n. 129.
”*) p. 515: Quam statim enim rationalitas illam naluram tangit, se. animai, tam
statim species efficitur, et in ea rationalitas funda- tur. llla ergo totum
informat animai.... Sed eodem modo irrationa- lilas totum animai informat eodem
tempore. Ita duo opposita sunt in eodem secundum idem. polemico contro la
teoria della indifferenza, cosi attac¬ candola nel suo principio, cioè in quel
tale concetto del « comune » (nota 134) 155 ), come anche contraddicendo sia la
opinione, che i sostenitori di quella teoria profes¬ sano, relativamente al
concetto collettivo (collidere, nota 136) 15 “), sia del pari la conseguenza,
che si ricava, e che consiste nelTobliterarsi della differenza tra univer¬ sale
e particolare 157 ). [b) soluzione da lui stesso proposta ]. — La sua pro¬ pria
opinione traspare già, in primo luogo, dov’egli tratta della divisione
all’infinito (note 126 s.), e rico¬ nosce che una totalità può ancora continuar
a sussistere, quand’anche una sua parte perda la propria forma e subisca,
quanto alla materia, ima diminuzione 158 ), — e cosi pure particolarmente, in
secondo luogo, dov’egli esprime la idea, che due punti non vengono ancora a
formare una linea, se non c’è la cooperazione di una energia creatrice unitaria
(una creatura ) 15B ). Anche nella p. 519: Ncque enim Socrnles aliquam
naturarti, quarti ha- beat, fiatoni communicut, quia neque homo qui Socrales
est neque animai, in aliquo extra Socratem est. !M ) p. 520: Socrates.... lumen
nullo modo de pluribus colligitur, quia in pluribus non est. Già questo dovrebbe renderci circospetti, nell attribuzione
di tale scritto a Gausleno: ma v. appresso la nota 162. 15t ) P- 521: Al vero nec
particuluritas nec universalitas in se transenni. Namque universalitas potest
praedicari de particularitate, ut animai de Socrate vel Platone, et
particularitas suscipit praedi- calionem universalitatis ; sed non ut
universalitas sit particularitas, nec quod particolare est, universalitas fiat.
[Queste parole fan parte di una eitaz. da
Boezio, ad Ar. Praed., I, p. 120; PL, 64, 170]. P- 510: Non sequitur « si hic
asser est, et medietas hujus asseris est»; posset enim destrui medietas,....
non quanlum ad to¬ tani ejus massam, sed quanlum ad formam, et tamen
remanentibus ejus aliquibus particulis non destrueretur hic asser, quoniam me-
dietatis ejus materia, forma tantum pereunte, tota non periret. P- 511 : Si
quuelibet duo puncta proxime juncla faciunt bìpunctalem lineam, quue sit una
creatura, tunc habebit unum fundamentum; sed una atomits non erit ejus
fundamentum; jam polemica contro un
emendamento [proposto per sfuggire alle difficoltà] del realismo, egli
risolutamente si attiene alla similitudine derivata da Porfirio (Sez. XI, nota
44), e indi passata nelle teorie di Boezio (Sez. xn, nota 97) : la
similitudine, cioè, dell’opera d’arte, sic¬ ché per lui il genere è la materia
e la differenza è la forma, ma il prodotto stesso, cioè la specie, nella quale
la materia è il sostrato della forma (formarti sustinet ), viene considerato
come una unione permanente, e desi¬ gnato anche con il termine « materiatum »
160 ) ; in luogo di questo termine, d’altro canto, trovasi pure, ferma re¬
stando rigorosamente la idea di parte, la caratteristica espressione «
diffinitivum totum » J01 ). Ma un più preciso fondamento a questa sua opi¬
nione egli lo dà nella maniera seguente: Nell’individuo una certa «essentia»,
cli’è la materia, porta in sè ( su¬ stinet ) la forma della individualità, ed è
composta con essa, dal che appunto si genera la diversità degl’indi¬ vidui
singoli; ora, proprio questa essenza, in quanto la si trova non soltanto in uno
o nell’altro individuo, ma nello stesso tempo anche, come materia, in tutti
quanti insieme, è la specie, la quale pertanto, per molte che sieno le essenze
singole ( essenrìaliter multa), viene tutta¬ via designata come concetto
collettivo ( collectio) con le enim esset bipunctaliter linentum.... p. 513 : postarlius dicere
quod ipsa bipunctaìis linea fundutur in illis duabus alomis ut in sub- jeclis,
non in subjecto. ’*’) p. 516: Sed dico: facta est species ex genere et
substanliali differentia, et sicut in statua aes est materia, forma autem
figura, similiter genus est materia speciei, forma autem differentia. Materia est, quae suscipit formam. Ita genus in ipsa
specie constituta for¬ mimi sustinet. Nani et postquum constituta est, ex
materia et forma constai, i. e. ex genere et differentia.... p. 517: ontne
materiatum sufficienter constituitur ex sua materia et forma. ’") p. 522:
Speciem ex genere et substanliali differentia con¬ stare, ut statua ex aere et
figura, alidore Porphyrio (in Boezio, ad Porph. a se trinisi., IV, 11, p. 88
fed. Brandt, p. 268; PL]),
constat. Itaque pars est speciei materia et similiter differentia. Ipsa vero species est totum diffinitivum eorum.
parole « un universale », ovvero « una natura », press a poco come anche il
concetto di «popolo» abbraccia molti individui 162 ); non già viene cioè
individualizzata in ciascun individuo singolo la specie tutta quanta, bensì
solamente una sua parte, cioè appunto una sola siffatta essenza, la quale non è
già identica alla totalità che co¬ stituisce la specie (concollectio), ma ha
con essa in co¬ mune soltanto la simile composizione o la simile ener¬ gia
creatrice (similis compositio, similis creatio ): onde neanche la similitudine
con il popolo o con un eserci- cito calza perfettamente, sussistendo tra
l’essenze smgole e la loro totalità, data quella somiglianza nella produ-
zione, una maggiore identità di essenza che non tra un soldato e l’esercito;
tutta questa relazione si presta in¬ vece meglio a esser paragonata con il caso
di una massa di metallo piuttosto grande, la quale in una delle sue parti può
esser lavorata in forma di coltello, e nello stesso tempo, in un’altra sua
parte, in forma di stile. Quid nobis polius lenendum rideatur de his, Deo
annuente, amodo ostendemus. Unumquodque individuimi . ex materia et forma
compositum est, ut Socrates ex homine materia et Socra- titate forma; sic Plato
ex simili materia, se. homine, et forma di¬ versa, se. Platonitale, componitur;
sic et singuli homines. Et sicut Socratilas, quae formaliler constituit
Socratem, nusquam est extra Socralem, sic illa hominis essentia, quae
Socralitatem sustinet in Socrate, nusquam est nisi in Socrate. Ita de singulis.
Speciem igitur dico esse non illam esscntiam hominis solum, quae est in
Socrate, vel quae est in aliquo alio individuorum, sed tolam illam collectio-
nem ex singulis tdiis [5251 hujus naturae conjunc.tam. Quae tota colleclio,
quamvis essentialiter multa sit, ab auctoritatibus (cioè da Porfirio e Boezio)
tamen una species, unum universale, una natura appellarne, sicut populus (v. la
Sez. precedente, nota 153), quamvis ex multis personis collectus sit, unus
dicitur. Speciem esse dicimus multitudinem essentiarum in- ter se similium. ut
hominem.... lllud tantum
humanitatis informatur Socratitate. quod in Socrate est. Ipsum autem species
non est, sed illud quod ex ipsa et caeteris similibus essentns conficttur. Attende. Materia est omnis species sui individui et
ejus formam suscipit, non ita scilicet, quod singulae essentiae illius speciei
informentur illa forma sed una tantum, quae tamen.... similis est compositioms,
prorsùs cum omnibus aliis ejusdem naturae essenliis.... Neque.... diversum judicaverunt [se. auctores] unam
essenJiam illius con- [Ora questa medesima relazioue si ripete per il con¬
cetto di genere, essendo ciascuna delle esscntiae, appar¬ tenenti alla totalità
di una specie, composta a sua volta di una materia e di una forma, con questa
sola diffe¬ renza, che cioè la forma qui non è più esclusivamente quella sola
della individualità, ma involge essa mede¬ sima in sè la pluralità delle
differenze specifiche, cioè sostanziali; ma quella materia come tale appare
indif¬ ferenziata ( indifferens ) in quelle essenze singole, che, come materia,
stanno a fondamento della formazione della specie, e si chiama ora genere la
multitudo dell’es- senze, che possono far da sostrato (sustinere, recipere)
alle differenze specifiche 164 ). E lo stesso può infine ripetersi anche
relativamenteal « primo principio », perchè le essentiae appartenenti a un
genere, consistono a lor volta di materia e forma, e sono, quanto alla materia,
parimente indifferenziate colleclionis a tota collectione, sed idem, non quod
hoc esset illud, sed quia similis creationis in materia et forma hoc eral cum
ilio.... Massam aliquam ferream, de qua fuciendi suiti cultellus et Stylus,
videntes, dicimus: hoc fulurum materia cultelli et styli, cum tàmen nunquam
tota suscipiut formam alterulrius, sed pars styli, pars cultelli.... (p. 527)
Major.... identitas alicujus essentiae illius collec- tionis ad totum, quarti
alicujus personue ad cxercitum; illud enim idem est cum suo tato, hoc vero
diversum. — Inoltre p. 535: Hoc enim habet nostra sententia, quod animai illud
genus in parte sui suscipit rationalilalem et in parte irrationalitalem. 1M ) p. 525 : Item unaquaeque
essentia hujus collectionis, quae humanitas appellalur, ex muteria et forma
constai, se. ex animali materia, forma autem non una, sed pluribus,
rationalitate et mor- talitate et bipedalitate, et si quae sunt ei aliue
substantiales. Et sicut de homine dictum est, se. quod illud hominis, quod
sustinet Socru- titalem, illud essentialiter non sustinet Platonitatem, ita de
animali. Nam illud animai, quod formas [Cousin corregge: formami huma. nilatis,
quae in me est, sustinet, illud essentialiter alibi non est, sed illi
indifferens est in singulis materiis singulorum individuorum animalis. Hanc
itaque mullitudincm essentiarum animalis, quae singularum specierum animalis
formas sustinet, genus appellandum esse dico: quae in hoc diversa est ab illa
multitudine, quae speciem facit. Illa enim ex solis illis essentiis, quae
individuorum formas sustinent, collecta est; ista vero, quae genus est, ex his,
[quae] diversurum specierum substantiales differentias recipiunt. C (indiff erentes ), mentre recano in sè, come loro
forma, le differenze del genere, e così ancor una volta si ar¬ riva a una
multiludo di essenze, come al generalissi- mum, del quale infine può ancora
dirsi soltanto, che la sua materia è la « mera essentia » o la sostanza stessa,
mentre la sua forma è la susceptibilitas contrario- rum 165 ). Così l’Autore,
con il suo caratteristico potenziamento o incastramenti della essenza, si
accosta tuttavia ancora molto dappresso a Guglielmo da Cliampeaux; pertanto non
si può in verità dire di lui che, come Gauelenus, abbia staccato l’universale
dalPiudividilo (v. le note 145 s.), ma nello stesso tempo, mediante i concetti
di collectio e d’indifferens, egli viene a contatto con la teoria della
indifferenza, mentre quei concetti stessi, hanno certa¬ mente per lui, in grado
di gran lunga maggiore, una va¬ lidità obbiettiva. [c) dottrina del giudizio ].
Ma tanto più caratte¬ ristica è perciò la forma che deve qui assumere la con¬
cezione della funzione logica subbiettiva, cioè del giudi¬ care, nei riguardi
degli universali, mentre d’altra parte, soltanto con la enunciazione del modo
di vedere dell’Au- ’*) Ibid.: Item, ut usque ad primum principium perducalur,
sciendum est, quod singulae essentiae illius multitudinis, quue ani¬ mai genus
dicitur, ex materia aliqua essendo corporis et formis substantialibus,
animatione et sensibililale, constat, quae, sicut de animali diclum est,
nusquam alibi essentialiler sunt; sed illae in¬ differentes jormas susdnent
omnium specierum corporis. Et haec taliurn corporis essentiarum multiludo genus
dicitur illius naturae, quam ex moltitudine essentiarum animalis confectam
diximus. Et singulae
corporis, quod genus est, essentiae ex materia, se. aliqua essentia substandae,
et forma, corporeitate Constant. Quibus
indif- ferentes essentiae incorporeitalem, quae forma est, species, susti- nent
; et illa taliurn essentiarum multiludo substantia generalissimum dicitur, quae
tamen nondum est simplex, sed ex materia mera es¬ sentia, ut ita [526] dicam,
et susceptìbilitate contrariorum forma constattore sopra questo punto, le idee
di lui trovano la loro esplicazione compiuta. Egli si lamenta della mancanza di
una definizione della relazione predicativa; poiché intenderla senz’altro come
inerenza obbiettiva, è un uso non giustificato, a prescinder dal fatto che la
inerenza stessa la si può prendere soltanto nel senso sumdicato di divisione: e
come ci si deve guardare dalle con¬ seguenze della teoria della indifferenza, è
in generale da respingere la identificazione di praedicari e di esse, dal punto
di vista del contenuto definitorio della specie: mia osservazione, questa, che
certamente è rivolta con¬ tro Abelardo (v. appresso la nota 318), e più che mai
assume il carattere di una espressione specificamente polemica, allorquando,
prendendosi posizione, come non si può disconoscere, contro una teoria di
Abelardo (relativamente ai « sumpta»: v. appresso la nota 321), si afferma che
tutte quante le denominazioni universali, sieno aggettivi eieno sostantivi, si
riferiscono indiret¬ tamente a forme obbiettive 166 ). Insomma, il giudizio )
p. 526: Audi et attende; praedicari quidem inhaerere di¬ clini. Usus quidem hoc
habet; sed ex auctoritate non imeni con - cedo tamen; inhaerere autem dico
humanitatem Socrati, non quod tota consumatili- in Socrate, sed una tantum ejus
pars Socratitate mformatur (v. la nota 163). - p. 531: Nasse debes quod
nusquam, quid sii praedicari, piane dicit auctoritas. Nani quod solet dici quod
praedicari est inhaerere, usus est ex nulla auctoritate procedens., p ; 21 '
ltem «pec'es in quid praedicatur de individuo (que¬ st abbreviazione
«praedicari in quid» la incontriamo qui per la prima volta - efr. la nota 282:
cioè nella traduzione di Boezio [in p.
527 8.: Sed, dicuril^.. « ralionale » alterius nomen est, prò impositione
scilicet animalis, et aliud est quod principaliter significai, se.
rationalitas, quam praedicat et subjicit; t homo non asserisce mai che quel
dato soggetto e quel dato pre¬ dicato, bensì asserisce solamente che il
soggetto va anno¬ verato fra quell’ essenze, che o son costituite da una de¬
terminata materia, o sottostanno a una determinata forma 168 )! pertanto (e ad
avvalorar le sue parole 1 Au¬ tore può persino richiamarsi qui a un passo
isolato di Boezio) il nome che significa una specie, viene dato appunto
soltanto ai rispettivi individui singoli, ma non mai alla specie stessa 170 );
e per tal riguardo si distin¬ guono i sostantivi e gli aggettivi, in quanto che
quelli si riferiscono alla materia e questi alla forma, sicché chi parlasse di
un accidentale, cioè di un « adiacens » — ma è proprio ancora Abelardo che fa
così : v. ap¬ presso le note 283 s. —, commetterebbe il più grande degli errori
m ) ; ma se così stanno le cose per quel che concerne il significato originario
dei termini, modi di dire, come p. es. « Uomo è un concetto di specie », sono
soltanto espressioni traslate, imposte dalla necessità 17 ). vero nihil aliud
vel nominai vel significai, quam illam speciem. Absit hoc; imo, sicut «
Tallonale » et « homo», sic et quodlibet aliud universale substantivum alterius
nomen est, per impositionem quidem ejus, quod principaliter significai. V. g.:
rationale vel al¬ bum imposi timi luit Socrati vel alicui sensilium ad nommundum
propler formas, i. e. rationalitalem et albedmem, quas principali- ter significant.
. . . ’*) p. 528 : Itaque cimi dicitur « Socrates est homo », lue est sensus
«Socrates est unus de materialiter constitulis ab homine».... Sicut cum dicitur
« Socrates est ralionalis », non iste est sensus « res subjecta est res
praedicata », seti « Socrates est unus de sub- jectis huic jormae, qvae est
rationalitas ». ... "») Ibid.: Quod aulem « homo » impositum sit lus, quae
ma¬ terialiter consliluiinlur ab homine, i. e. individuis, et non speciei,
dicit Boethius, in commentario super Calegonas, his verbis etc. (v. BOEZIO liti
ir. praed.. II. p. 129); cfr. la Se-/., precedente, nota 121. m ) Ibid.: Nomina
illa tantum dicunlur substantiva, quae im- ponuntur ad nominandum aliquem
propter ejus malenam.... vel....
expressam essentiam .; adjectiva vero Ma dicuntur, quae,mpo- nuntur alicui
propler formam, quam principaliter significai.... I\a quod dici solet, adjectivum
esse, quod significai accidens, secun- dum quod adjacet, et substantivum, quod
significai essentiam, ut essentiam, ridiculum est vel sine inlellectu. '”) p. 529: Sciendum est ergo: vocabula, quae
imposita sunl [d) propensione al
platonismo ]. — Già da ciò è ma¬ nifesto che l’Autore (in antitesi con
Abelardo) discono¬ sce il valore effettivo della sintesi che ha luogo nel giu¬
dizio, e, secondo lo spirito del platonismo, isola le pa¬ role tutte quante,
come imagini subbiettive di esem¬ plari obbiettivi: pensiero che non
potrebb’enunciarsi con maggior chiarezza di quel ch’egli stesso fa, quando p.
es. dice : « razionale » non è il nome di ciò che, come soggetto, sottostà al
predicato della razionalità, bensi è il nome di una entità, che vien costituita
dalla « razio¬ nalità » 17S ) ; anzi, a questa maniera, bisogna ch’egli con¬
cepisca il rapporto predicativo in guisa così indetermi¬ natamente generica,
ch’esso si trovi in generale a coin¬ cidere con il prodursi del termine «
significante », ed es¬ sendo quest’ultimo momento, per il soggetto e per il
predicato, il medesimo, la differenza tra uno e l’altro si riduce a essere
puramente esteriore e accidentale; ma, a tal proposito, l’Autore si appoggia a
un passo di Pri- sciano, dove, in base alla terminologia generalmente adot¬
tata dagli Stoici (v. la Sez. VI, note 112 ss.), le parti- celle vengono
denominate « syncategoreumata », dal che si può argomentare che allora tutte le
altre parole sono appunto categoreumata, cioè predicati 174 ). rebus propter
aliud significandum principaliter circa eas, quando- que transjerunlUT ad
agendum de principali signi ficatione ; ut cum.... translative .... dicilur «
rationale est differentia » et « album est spe- cies coloris i, nihil aliud
intclligo quam « ralionalitas » et « al- bedo ». Sic.... cum dicilur « homo est species »....
Concedimus ita- que, hanc translationem necessitate fieri. *”) p. 547:
Rationale enim non est nomen subjecti rationalitatis, sed rei quae a
rulionalitale constiluitur, quae non est ipsum animai. m ) p. 531: Mihi autem
videlur, quod praedicari est principa¬ liter signi ficari per vocem
praedicatam; subjici vero, significavi principaliter per vocem subjectam, et hoc
quodammodo videor ha- bere a Prisciano, quod in tractatu orulionis, unte nomen
(cioè nel capitolo che precede la trattazione del Nomen), dicit praepositiones
et conjunetiones « syncategoreumata », i. e. consignificantia. Scimus autem «
syn » apud graecos « cum » praepositionem [532] signifi¬ care, « categorare »
autem « praedicuri » ; unde « categoriae » « prne- 1S. — Questi
syncategoreumaia die, presi dalla grainma. tica, son qui messi in campo di
passata, e che noi in questa Sezione incontreremo ancora qualche volta,
esercitarono più tardi, a partire da Psello (Sez. seguente, note 9 e 92) e da
Pietro Ispano (Sez. XVII, nota 256), un influsso estremamente esteso: ma questo
è im argomento che, com’è ben naturale, dob¬ biamo riserbare al seguito della
presente esposizione. Invece la conseguenza che da ciò ricava qui il nostro
anonimo Autore, conduce a un platonismo, che deve farci ricordare da vicino lo
Scoto Eriugena. Se cioè « praedicari », a questa maniera, è la stessa cosa che
« significari principaliter », la funzione dell’in¬ telletto umano trapassa in
quelle forme e maniere di essere obbiettive, che stanno a fondamento degl’indi¬
vidui, poiché il concetto si genera (intellectus consti - tuitur, generante)
per mezzo della parola, in vista del- l’universale obbiettivo 1 ”), e anche la
inerenza, se con essa si vuole, secondo l’abitudme tradizionale, identi- beare
la relazione predicativa, ha tuttavia appunto esclusivamente mi valore
obbiettivo nel processo del divenire delle cose ”•). Insomma si tratta soltanto
delle irifcantLl d,"" ur - S .' td . em est «eategoreumata» quoti
«si- fótér» Til n d0m p « praedicari » quoti « significar, principa- vol i, S41
s „,n SCUN ',°> II, 15 [ed. Hertz, voi I p. 54] suona così: Partes ignur
orationis sunt secundum dudecticos dune, uomo,, et verbum, quia hae solae eliam
per Te coniunctae plenum facium ortUionem, alias attieni partes « syncate-
goremata », hoc est consignificantia, appellabant). WiJJV i" 1 erl * «
praedicari. » quoti « si.gnificari princi¬ pali ’ q i SO r‘ m s, Z m J ìc ationem
recepit Aristoteles, juxta iUud albani mi significai, msi qualilatem (Cai., 5:
v. la Sezione IV nota 476; cosi si storceva qualsiasi testo a favore del
proprio perso’ " • m °'!° dl V e dere) : n Cu m enim album «subjectum
albedinis » nominando significa, illuni solam significationem notaviI.
Aristole- les m qua mtellectus constituitur per vocem.... Sicut ensis et g/a-
diuseumdem generant mlcllcelum, ita ilio duo nomina jacerent. ) p. 53.1: Quod
si «praedicari» quidem prò « inhaerere » ac- liPl ì q “° d ?* c ° ncedl ™us,
ncque enim bonum usimi abo- e lolumus sic dicendum est: omms natura, quae
pluribus in¬ olierei indivulins materuiliter, species est. nature » unitarie,
che stanno a fondamento delle cose: e, quando il concetto di natura viene
ridotto alla similis creatio (v. sopra la nota 163) o rispettiva¬ mente, per
mantener la separazione da altre formazioni, alla dissimilis creatio m ), a ciò
si connette una teoria platonico-mistica della Creazione, la quale qui non
c’in¬ teressa 17S ). Ma è da considerare, a questo proposito, che, da un lato,
secondo è stato detto più sopra, vien a essere posta massimamente in rilievo,
per la predicazione, la distinzione tra essentia materialis ed essendo forma-
lis 17 °), come pure, dall’altro lato, che nel rispetto onto¬ logico viene
attribuita una efficienza alla forma soltan¬ to 1S0 ) ; per tali ragioni va
combattuta quella opinione — la quale del resto appartiene del pari ad Abelardo
(v. appresso la nota 306) — secondo la quale il sommo genere ( genus generalissimom)
sarebbe la materia stessa, e pertanto le forme sarebbero le sue specie prossime
181 ); OT ) 1 Ititi. : Hic aulem tantum agitur de naturis. Si uutem quae- ras,
quid appellem naturimi, exaudi: naturam dico, quicquid dissi¬ milis crealionis
est ab omnibus, quae non sunt vel illud vel de ilio, sive una essentia sii sive
plures, ut Socrutes dissimilis crea- tionis ab omnibus, quae non sunt Socrates.
Similiter et homo
spe- cies est dissimilis creationis ab omnibus rebus, quae non sunt illa
species vel aliqua essentia illius speciei. Anche la obiezione relativa alla f enice, la quale
esiste soltanto in esemplare unico (v. la Sez. XII, nota 87), viene presa in
ronsiderazionc, ma la si rimuove, con la osservazione che la opposizione tra
materia e materiatum (v. sopra la nota 160) dev’essere tuttavia mantenuta nella
sua uni¬ versalità. ™> p. 538-540. *'") P- 548 s. : Concedo,
rationulilatem praedicari de homine in substantia, ut animai, sed illud ut
formalem essenliam, aliud [Cou- sin corregge: animali vero ut materialem. Vere
attieni assero, imi- Inni simpUcem jormam de alio praedicari substanlialiter,
quam de his, quae formaliter constiluit. P- 549: Non est diversus effectus
materiarum, imo forma- rum.... Apparvi, quod ille effectus sequitur formas, et non
maleriam. m ) p. 546: .... ne concedere cogamur, et muteriam substantiae
generalissimum esse genus, et susceptibilitatem contrariorum, et quaslibet
simpliccs formas esse species.... Respondendum
est, quod in diffinitione generis intelligcndum est, id quod genus est debere
276 e questo perchè, come s’è veduto (nota 165), già nel sommo genere stesso
l’Autore ravvisa un prodotto di ma¬ teria e forma, e perciò per queU’ultima
materia su¬ prema, cioè per la « mera essenza », altro predicato non gli rimane
all’infuori dal puro essere, vale a dire « est » 182 ) ; precisamente alla
stessa maniera che anche (v. la nota 170) quella essenza, la quale, come
materia, sta a fondamento degl’individui, non ha di già essa stessa un nome che
sia dato a lei quale predicalo, per¬ chè invece mi tale nome collettivo viene
predicato sola¬ mente dei rispettivi individui 183 ). Ma quest’ultima
considerazione viene ora estesa an¬ che alle forme, cioè alle differenze
specifiche; in un lungo dibattito, d’intonazione polemica estremamente
accentuata, contro la tesi usuale (Sez. XI, nota 44, e Sez. XII, nota 87), si
dimostra cioè la impossibilità che la differenza specifica venga a cadere sotto
la categoria della qualità, perchè allora la qualità dovrebbe scom¬ porsi in
due specie supreme, ciò sono la differenza e la qualità residua, ma ciascuna di
esse a sua volta potreb- b’essere costituita solamente mediante mia differenza
specifica, e quest’ultima d’altra parte dovrebbe pure ve¬ nir a cadere
parimenti sotto la categoria delle qualità, il che non le è possibile in
nessuna maniera, cioè nè come genere nè come specie o sottospecie; e così
anche, nemmeno in un’altra categoria ci può essere poi ima dif- praedicari de
pluribus speciebus proxime sibi supposids, quod, quia deest illi maleriae
[Cousin corregge: materia], idcirco non est genus. *) Ibid.: Possumus edam
dicere, quia illa mera essendo ad interrogadonem factum per quid convenienler
non respondetur.... Si ergo quaeritur «quid est [547] substantia »,
respondeamus «est». Neque enirn potest responderi per nomen « sub stantia »;
namque non est nomen nisi materialorum a substantia, vel ipsiits substan- dae.
Per transladonem supervacue responderi manifestum est. “’) p- 534: Opponetur:
illa essendo hominis, quae in me est, aliquid est aut nihil.... Respondemus,
tali essentiae nullum nomen esse dalum, nec per imposidonem nec per
transladonem.ferenza specifica, poiché ciascuna specie della qualità (e a
queste la differenza stessa dovrebbe ben appartenere) potrebb’essere soltanto
una differenza specifica nell’àm¬ bito della qualità stessa 18, II, p. 98; PL,
199, 640]: Sunt autem dubitubilia sapienti quae.... suis m ulramque parlem
nituntur firmamenti. Talia.... sunt, quae quaerunlur.... de materia et motu et
principiis corporum. de progressu multttudims et magnitudini sectione an
terminos omnino non habeanl (v. sopra le noie 125 ss.). de tempore et loco de
numero et mattone, de codoni et diverso, in quo plurima attrilio est, de
dividilo et individuo, de substanlia et forma vocis, de statu universalium, de
usu et fine orluque virlulum eie. logica, la tendenza propria di quell’epoca;
con ciò di¬ remmo di poter in pari tempo rendere compiuta la co¬ noscenza del
terreno, sul quale si esercita la operosità tal proposito, anzitutto le
Categorie, di fronte alle quali alcuni che ne hanno trattato, hanno assunto
invero di Abelardo. [a) sopra le Categorie]. — Per quel che riguarda, a un
atteggiamento svalutativo 18 “), già quei concetti pre¬ liminari di aequivocum,
univocum e denominativum (v. sopra la nota 93) hanno dato motivo a discrepanze
™°). Ma poi la contrapposizione di sostanza e accidente (Sez. XII, nota 90) fu
da taluni contestata, da altri invece o giustificata, limitatamente alle cose
naturali concrete, o riferita alla mera relazione predicativa (cfr. la nota
186), o anche, con uno scambio tra forma e accidente, tra¬ sportata nel
concetto di totalità costituita da parti m ). *'"l Lo stesso, Metal., IV,
2-1 ( Opp ., V), p. 181 [ed. Velili, p. 191J: Alti detrattimi Catliegoriis IPL,
199, 930J. *) lbid-, III, 2, p. 120 [ed. Wehb, p. 124; PL, 199, 893]: Ex
opinione plurima idem principtditer significala denominativa et ca a quibus
denominuntur (un’affermazione come questa, può es¬ sere stata fatta
esclusivamente da segnaci dell'indirizzo realistico). — Arali. . Dialecl., p.
481 : Alee aequivoca ex sola debent praedU catione judicari ; sed nec unìvoca
propler eamdem communionis causarti.... Sani autem nonnulli, qui.... non ad ca,
quibus est impo- siturn vocabulum acquivocum et de quibus enuntiatur,
respiciunt; imo ad ea, ex quibus est imposilum ; ut « amplector », cum ad
eamdem personam, amplectenlem simul et umplexam. acquivocum dicatur, secundum
diversarum proprietatum diffinitioncs, uclionis scilicet et passionis, non ad
personam commune dicatur, sed ad prò- prietales, quas aeque designat. M
Pseudo-Abael. De inlell. (riferito dal CousiN, Fragments piti- losophiques,
Parigi, 1840, p. 493 [Abael. Opera, II, p. 753]): Quae- ritur, un linee
divisin, leonini qttae sunt, aliud est substantia, uUud est accidens », sit
sufficicns. Quod si concedatur,
tunc, cum Tulionuli- tas sit, opnrtet esse substantiam vel accidens. Si autem
accidens fuerit, potesl adesse et abesse....; quod falsum est.... Quidam
dicunt, quod de quocumque veruni est dicere « istud est una res», de eodem ve¬
runi est dicere, esse substantiam vel accidens. Hi tamen non conce¬ duti/, rem imam debere dici, quod
per opus hominum liabet exi- slentium, ut domus, nec quod habet pnrtcs
disgregalas, sicut popu- Anche la disamina delle singole categorie diede pa¬
recchia materia a controversie, le quali non varcarono tuttavia il limite di
quel che si trovava negli scritti di Boezio. Così, per quel che riguarda la
relazione, la di- vergenza, che già si era manifestata fra Platone e Ari¬
stotele, rispetto al modo d’intendere questa categoria, si era trasmessa,
attraverso i commentatori (Sez. Ili, nota 49; IX, nota 31; XI, nota 71), sino a
farsi sentire anche nella discussione che s’incontra in Boezio (Sez. XII, nota
93), e pertanto questo punto controverso torna a com¬ parire anche qui I92 ).
Si disputava altresì, se i concetti di somiglianza o di uguaglianza non sieno
da ascrivere alla qualità, piuttosto che alla relazione, a quel modo che
studiosi isolati assegnavano alla qualità persino la categoria della situazione
( situs) 193 ). Ovvero si metteva hi dubbio che fosse giusto considerare ubi e
quando come categorie, dato che son ricavati dai concetti di spazio e di tempo,
i quali appartengono alla quantità, e lus.... Alti vero duobus modis dicunl
[754] divisionem sufficiente ni esse: praedicatione scilicet, et continentia
secundum naluram. Pre¬ dicanone quidem.... v. g.: animalium aliud est
rationale, aliud irra- ttonale ; haec divisto est sufficiens praedicatione,
quia de quocum- que poterit dici: «istud est animai», de eodem statim
consequelur, esse vel rationale vel irrutionale. Continentia.... ut tale sit
exem- plum: « domus alia pars paries, alia tectum, alia fundamentum Accidens
tamen ibi large accipitur prò forma. ) Abael, Dialect., p. 201 s.: Quae quidem
[ diffinitio ] ab alia in eo maxime diversa creditur, quod itane Aristoteles
secundum re¬ rumnaluram protulil, illam vero Plato secundum conslruclionein
nominum dedit.... Sunt autem qui quemadmodum Platonicam diffi- nilionem nirnis
laxum vituperata, ila et Aristolelicam nimis strictam uppellant. ' (kid., p.
204: Sunt tamen, qui « acqualis et inaequalis, simi- hs et dissimilis » inter
qualitates contrarias recipianl. — p. 208: Hi vero, qui similitudinem potius
inter qualitates enumerant, ut Ma- gislro nostro V. (v. la nota 102) piacili t.
(La fonte di questa con¬ troversia è Boezio, messa a confronto con p. 187 \in
Ar Praed., II e III: PL, 64, 219 e 259]). — Ibid., p. 201: Unus, memini,
Magisler noster erat, qui positionis nomea ad qualitates quasdam aequivoce
detorqueret. sono pertanto in perfetto parallelismo, p. es., con l’av¬ verbio
interrogativo « qualiter » 104 ). O, ancor una volta, si domandava quale fosse
la corretta subordinazione dei concetti di « morte », o di « sonno », e simili
1B5 ). Op¬ pure si discuteva sul come vada inteso il magis vel mi- nus che
compare sovente nelle Categorie, se cioè la gra¬ duazione concerna puramente il
sostrato, o puramente la proprietà, o uno e l’altra al tempo stesso 106 ). Li
tali occa¬ sioni poteva anche venir fuori la distinzione tra i diversi
indirizzi sopra la questione di principio, in quanto che i nominalisti, p. es.,
designavano il concetto di « ieri » come un Non-essere 1B7 ), o facevan valere
il proprio lw ) Ibid., p. 199: Videntur autem nec generalissima esse « Ubi »
vel « Quando », eo quod prima principia non videantur. Quae enim ex alio
nascuntur, prima non videntur principia, sed ipsa quoque principia habenl; Ubi
autem ex loco. Quando autem ex tempore..,, originem ducimi.... Solel autem a
multis in admiratione[m] ac quae- si ione [ ni ! deduci, cur magis ex loci vel
temporis udjaccntia praedi- camenta innascantur, quum ex adhaerenlia aliarum
specierum sire generum. Tarn enim bene « Qualiter » unius nomiti generalissimi
videtur, sicut « Ubi » vel « Quando », cujus quidem species bene vel male
dicerentur [Cousin: bona vel mala dicereturl, sicut « Quando » heri vel
nudiustertius, vel « Ubi » Romae vel Antiochiae [200] esse. La fonte di questa
controversia, — oltre che la Sezione riguardante la quantità, e nella quale
anzi locus e tempus hanno avuto una speciale trattazione (Bof.zio, p. 146 [in
Ar. praed.. Il: PL, 64, 205]), — è in particolare il commento dello stesso
Boezio, p. 190: « quando» et «ubi» esse non polesl, nisi locus ac tempus fuerit
[in Ar. praed.. Ili: PL, 64, 262], ”“) Ibid., p. 402: Solel autem de morte et
vita quaeri, utrum in privalionem et habilum, un potius in contraria
recipiuntur. — p. 406: Si.... f in dormiente ], inquiunt, visio esset...,
ridere eum oporleret. Si vero caecitas inesset, nunqunm amplius ipsum ridere
contingeret. “*) Gilb. Porret. de sex princ., 8 (puhhl. nella ediz. lat. delle
Opere di Aristotele, Venezia, 1552, I, f.34) : Dicitur autem « magis et minus
suscipere » tripliciter. Aiunt enim quidam secundum ere- mentum vel
diminutionem eorum, quae suscipiunt, subiectorum. Aliter autem et olii, ipsa
quidem, quae suscipiuntur, in suscipiente diminuì et crescere, annuntiant. Alii
autem secundum ulrumque, am- borum diminutionem et augmentationem [cfr. PL,
188, 1268. e la nota 21 di questa Sez.]. w ) Abael. Dinlect., p. 196: Cum.... «
Iteri » rei existentis de- signativum non videatur.... Sed fortasse hi, qui
magis in speciebus 282 CABLO PRANTL punto di vista, anche in ordine alla
relazione e agli op. posti, mentre allo stesso modo operava, dal canto suo, la
corrente realistica 19S ). Ma sembra che, più spesso di tutto, si sia parlato
della categoria della quantità, già per il fatto che questa of¬ friva la
opportunità di passare di nuovo alle questioni concernenti il concetto di parte
(note 125 ss.). Mentre i nominalisti intendevano i concetti numerali in modo
perfettamente analogo a tutto il resto [ intendi : dei con¬ cetti], e perciò
designavano i singoli numeri come spe¬ cie, il cui genere è il concetto stesso
di Numero I99 ), ciò era negato dai loro avversari; secondo costoro infatti,
mancava nei numeri quella essenziale unità di natura, eh e necessaria per il
concetto di specie o di genere, e per conseguenza i numeri vanno semplicemente
qualifi¬ cati come espressioni aggettivali di un procedimento collettivo;
quest’ultimo poi si applicava altresì a tutti quanti i momenti della quantità,
in quanto che a ima realtà sostanziale posson pretendere soltanto i fonda¬
menti semplici della quantità, vale a dire i concetti di rerum naturimi quarn
vocabulorum impositionem attendimi, per * ^ Qunmduiji praesentem (idjacenliam
designari volunt. ) lbid., p. 392: Quod qitidem multos in hanc sententiam in-
duxtt, ut contrarium nomen tantum universalium, non eliam sitigli- larium
confiterentur, albedinis quidem et nigredinis, non hujus albedmis vel hujus
nigredinis. Sic quoque et
relutivum et « priva- lio et habitus » nomina tantum universalium diclini.
Relativa qui¬ dem.... tantum universalìa dicebanl ex relatione construclionis.
« Ha¬ bitus» quoque et « prie alio » universalium tantum nomina diclini, eo
quod in individuis non possimi servaci. — lbid.. p. 398: Quidam talem eum (se. Boethium ) divisionali
invilisse dicunl, quod contra¬ ria alia siint genera, alia specialissima.
Specialissima vero sic subdi- viduniur, ut cornili alia sub eodem genere, alia
sub diversis con- trariis ponantur. ' ') lbid., p. 190: Hi vero, quibus
videtur. in speciulibus uut generalibus vocabulis non solimi ea contineri, quae
una sunt natu- raliter, sed magis ea, quae substantialiter ab ipsis nominantur,
pos¬ simi forlasse et istu (rior i singoli ronrrtli numerali) species appel¬
lare, quum videlicel magis logicum in impositione vocimi sequuntur, quam
physicam in natura rerum investigando.
punto, unità, istante, lettera [dell’alfabeto, come suono elementare],
luogo, ma tutto il resto si riduce a pure espressioni collettive 200 ); fu
altresì da alcuni fatto cenno della differenza che sussiste, rispetto alla
divisibilità, fra il concetto di tempo e quant’altre quantità ci sono, di¬
visibili e continue 201 ). [b) sopra la teoria del giudizio in generale]. —
Nella teoria del giudizio sembra essere stato spesso com¬ pendiato tutto quanto
il contenuto essenziale della lo¬ gica, entro i limiti in cui di questo si
faceva uso, sempli¬ cemente per la istruzione degli scolari più giovani; im¬
perocché si riduceva il libro De interpretatione in forma di compendi, di «
Introductiones » o di « sumrna artis », ”») Ibid., p. 188 Numentm autem
colleclionem unilatum de¬ terminimi....’ I ndo maxime Magistri nostri
sementiti, membri, con- firmabut, binarium, ternarium, caeterosque numeros
spectes numeri non esse, nec numerimi genus oorum, cujus videlicet res una
natu- r,diter non esset. Hae namquc dime unitates in hoc homine liomae
habitante, et in ilio qui est Antiochiae consistimi, atque lume bina- riunì
componimi. Quomodo una res in natura diceretur, aut quomodo ipsae spatio tanto
disluntes imam simili specialem seti generalem na- turam reci pieni? Linde
potius numeri nomen et binarli et ternani et caeterorum a collectionibus
imitatimi sumpta dicebant [così il codice: ma il C. legge « (Magister noster)
dicebal»]. — Ibid., p. 179 s.: Ilarum autem (se. qu.mtilalum) aline sunl
simplices, alme compositae. Simplices vero quinque dicunt: punctum scilicet. uni-
totem, instans quod est indivisibile lemporis momentam, dementimi quoti est vox
individua, simplicem locum.... Ilas
autem tantum, quae simplices sunt, Magistri nostri sementili speciales
appellabili natu- ras, eo videlicet quod sint unite nuturaliter, quae partibus
careni, quae vero e* bis sunt compositae, composita individua dicebat, nec una
naturaliter esse....; mugisque eurum nomina.... sumpta esse a collectionibus
quibusdam.... ™) Ibid., p. 186: Cimi autem res singulae sua habeant tempora in
se ipsis jundata, sua scilicet momento, suas horus, silos dies, rei menses, vel
annos, omnes lumen dies simul existentes, vel menses, vel anni prò uno
accipiuntur.... (p. 187) In ttliis.... lotis, lotum po- situm ponil partem, et
pars desimela perimit totum.... In tempore vero e converso est, velati in die.
Si enim prima est, dies esse dicitur, sed non convertitur.... Al vero si dies
non est, prima non est. sed non convertitur.... In his itaque totis, quae per
unum tantum partem semper existunt, iUud, quod de inferenlia totius et partis
Boethms (de difj. top.. TI, p. 867 [PL, 64, 1188]) docet, non admittunt. e si mettevano assieme regole sopra le parti
e le forme del giudizio, la quantità, qualità ed equipollenza, il con- trano e
il contraddittorio, la verità e la falsità, la con versione e la modalità dei
giudizi ecc., cercandosi a que - sta maniera di meglio conformare, per così
dire, il li. bro aristotelico all’uso scolastico, e di apportarvi in vari mod!
compimenti o ampliamenti 202 ). Ma, per quest’ul¬ timo riguardo, nessuna più
precisa notizia ci è stata tra¬ mandata: che a tale lavoro si collegassero da
capo altre controversie sovra punti particolari, ci risulta invece an- i le t a
e ristrette fonti, a noi accessibili. Furon così sol- evale subito difficoltà,
già riguardo al concetto di vox significativa (Se*. XII, nota 109), e tali
difficoltà, relati¬ vamente alla propagazione del suono, arrivarono a un tale
colmo di astruseria, che alcuni finirono con il de- «ignare addirittura l’aria,
come ciò che ha la funzione di « significare » *). Non vale molto di più la
questione, QuiZ^n 135]: manifestiti* poteril nuilihet, mterpr.), compendiosius
et excepla reverenti vZborZL fn ZT’ T° d " quas Introduciiones foconi Vix
est Jn," l ‘ b "r rudintentìs > non doceat, adirai* aUis non
mtnTn^LlrS^a qmd nomea, ql,id verbum, quid oratio none Urrunt,taque quae vires
enuntiationom 1 orano, qU ae spectes eius, tate, q U ae determinate verae sunt
auUahà^ SOrtÌant “ T aut ( i,lnlU team, quae consentiant sibi quae dissentine? 11 ™ qu,bus, l ?qu>pol
visim, coniunctim praedicenlur alt con? " ’ 9 “ ae P raed,ca ‘“ dU quae
sii natura modalium et auae si et quae non >' il em n ni 11171 . /> • *
Quae smgularium contradìctio _ Pcriermeniis docet?"o'uis^'liimd? *** quae
vel Aristotile* in cairn totius artìs sumZm Zfc, C ° nq “ lslta l « dicit? Omnes Cfr - ! qUÌaPP^’la noU 366. /aC ‘ 7,7 "“
fra, „ b „ n j~ sollevata a proposito della unità della significano, se cioè
una parola possa « significare » anche le lettere da cui è costituita 204 ).
Poteva invece esercitare più profondo influsso, — sebbene non ci sia stata
tramandata notizia di ulteriori conseguenze —, la netta delimitazione che si
segnò, a pro¬ posito del nomea, tra significare e nominare, in quanto che di
quello è oggetto la universalità, e di questo il singolare 205 ). E così pure,
prima di tutto, — in occa¬ sione della controversia, se le preposizioni e le
congiun¬ zioni sieno parimente parole « significanti », o non pos¬ sano invece
assolutamente esser annoverate tra le parti del discorso — grande importanza
potè avere il contatto che si venne a determinare tra i dialettici e i gramma¬
tici: di questi ultimi, taluni si decisero, da un punto di vista unilaterale,
per la seconda alternativa, ma altri tennero conto anche degl’interessi della
logica, rendendo con ciò effettuabile una conciliazione, in base alla quale si
potè almeno preparare a quelle parti del discorso aeres..., ipsis etiam, quos
reverberat, consimilem soni formam attri¬ buita illeque fortasse aliis, qui ad
aures diversorum perveniunt. Nostri tamen, mcmini, sententia Magislri ipsum
tantum aè- rem proprie audiri ac sonare ac significare volebat. Cfr. qui ap¬
presso la nota 499. ) lbid., p. 488: Totum constai ex suis parli bus, vox ex
suis non conslituitur significationibus. Et fil quìdem divisio totius in
partes, vocis vero [non] in significationes. Nam etsi hoc in quibus- dam
vocibus contingat, ut scilicet ex suis jungantur significationi- bus. ut hoc
vocabulum quod est xens» ex littcris suis, quas etiam significai, non tamen id
ad naturam vocis, sed totius referendum est; in eo enim quod ex eis constai,
totum est earum, non eas signi- ficans. Est etiam et alia quorumdam solutio, ut
scilicet concedant, nullam vocem conjungi ex signi ficationibus diversis, ad
quas videli- cet diversas impositiones secundum aequivocationem habeal. Ncque
enim « eris » ad quaelibet plora dicunt aequivocum, sed tantum ad divcrsorum
subslantias praedicamenlorum. linde de lilleris, quae in eodem clauduntur
praedicamento. aequivoce non dicilur. *“> J°«- Saresb. Metal., II, 20, p.
100 [ed. Webb, p. 104; PL, 199, 881] : Quod fere in omnium ore celebre est,
aliud scilicet esse quod appellativa significant et aliud esse quod nominant.
Nominan¬ te singularia, sed universalia significantur. (analogamente, si
direbbe, al modo tenuto dall’autore del De gen. et spec.: v. «opra la nota 174)
il successivo loro ingresso nella logica 20 °). Può essere ugualmente at¬
tribuita a im influsso della grammatica (ed è possi¬ bile sia stato per opera
di Bernardo da Cliartres: v. la preced. nota d9) la introduzione di una
terminologia, per la quale giudizi, come ad es. «Uomo è un sostantivo», furon
denominati « materialiter im posila», ovvero giu¬ dizi « de significante et
significato» 207 ). Ma nei dibat¬ titi sopra la questione della essenza
deiraffermazione e della negazione, poteva ricomparire il contrasto fra opposti
indirizzi, attenendosi alcuni alla forma gramma¬ ticale, altri ai concetti,
altri ancora alla realtà obbiet¬ tiva 208 ). ) Abael. Dialect., p. 216:
Praepositiones et conjunctiones de rebus corion, quibus apponuntur, quosdum
inlellectus facere viden- tur, alque in hoc impericela canon significalo
dicilur, quod... ipsu quoque res, de qua inlellectus habetur, in hujusmodi
dictionibus non tenelur stetti in nominibus et eerbis, qtute simul et res de-
monstrant ac..... I nde certu apud grammaticos de praepositionibus sementili
exlitit, ut res quoque eorum, quorum vocabulis apponun- tur, ipsae
destgnarent.... Vnde illa quorumdam dialecticorum seti- tentia potior yidetur,
qttam grammaticorum opinio, quae omnino a parlibus orationis hujusmodi voces,
quas signifieativas esse per se non judicavit, divisti, uc magis ea quucdarn
supplemento ac colli- gamenta (v. la Sezione XII, note 43, 60 e 111) partirne
orationis esse aicit.... (p. 217) soni etiam nominili, qui omnino a
significativi hujusmodi dictiones remorisse diulecticos adstruant. Cfr.
appresso le note 349 Reggi: 348] e 620. 1Q0 1J?"- 1 S . AK T B - MetaL ’
jfl,. 5, P- 137 [ed. Webb, p. 142; PL, JU4J. Interdum tamen dictionem rem esse
contingit, cimi idem sermo ad agendum de se assumitur, ut in his quae
jtraecepto- res nostri materialiter dicebant imposi la et dicibilia; quale est:
«Uomo est nomea », «CurriI est verbum ». — Abael. Dial... p 248- IJitidam tamen
trnnsitivam grummaticam in quibusdam propositio- m US esse volimi; qui quidem
propositionum alias de consignifi- cantibus vocibus ulias vero de significante
et significato fieri diclini, ut soni dlae, quae de ipsis vocibus nomina sua
enunciant hoc modo « homo est nomea vcl vox vel disyUabum ». Cfr. la nota 618.
) Abaei.. Dialect., p. 404: Quidam aiitem per « jacere sub af- firmatioae et
negatione » finitum et infinitum vocabulum accipiunl.[c) sopra questioni
particolari, attinenti alla teoria del giudizio]. — Anche a proposito di vari
punti parti¬ colari, che si trovavano dibattuti nel commento di Boe¬ zio, ci si
decise senz’altro iu senso contrario all’autorità di lui: così, p. os.,
riguardo alla unità del giudizio 2UB ), o relativamente alla scomposizione del
verbo in due ele¬ menti, la copula e un participio 210 ), o a proposito di
cpiei giudizi, nei quali 1 « est » non implica la esistenza effettiva del
soggetto 211 ), o a proposito della questione del rapporto quantitativo tra
soggetto e predicato 212 ), ut « sedet, non sedetti quidam vero intellectus ab
affirmalione et negatione generalos (v. la nota 175): sed nos polius va, quae
ab af- firmatione et negatione dicunlur, aceipimus, essentias scilicel rerum,
de quibus per affirmulionem et negationem agitar. Ma non si riesce a intender
bene Joh. Saie Metal., 11, 11, p. 81 Led. Webb, p. 83; IL, 199, 869]: expedit [
dialeclicu J quaestiones...; quale est: An affirmare sit enuntiare (viceversa,
se si potesse leggere « an titilli- tiare sit affirmare », ci sarebbe qualche
maggiore possibilità di con- getturare un significato), et: An simili exture
possit contradictio. •“) Abael. L)ial., p. 298: Sunt aulem, qui udslruanl,
diversa ac- cidentia unam enuntiationem lucere, cum tulio sumuntur, quae ad
diversa referuntur, veluti si dicatur : «/ionio citliaroedus bonus» (v. Boezio,
p. 419 [in de interpr., ed. secunda, V, 11; cdiz. Meiser, Pars Post., p. 363: PL,
64, 573J). '") lbid., p. 219: Idem dicit « homo ambulata, quunlum prò-
ponit «homo est ambulatisi) (Boezio [ ib., V, 12; p. 390: PL, 64, 586], p.
429). Sed ad hoc, memini, magister nosler V. opponete so' let: si, inquit,
verbum proprium significationem inhuerere dicit, ve¬ runi autem sii, cam
inhuerere, projeclo ipsum verum dicit, ac sen- sum propositionis perfidi. ‘ )
Ibidem, p. 223 s.: Unde quidem, cum dicitur, Homero quo¬ que defuncto, «Homerus
est poiitu » (Boezio [//>., V, il; p. 3734: PL, 64, 578], p. 423).... «esse»
quoque, quoil inlerponilur, in desi- gnatione non existentium vqlunt accipi....
Nostri vero sementili Ma- Bistri non secundum verbum accidentalem dicebat
praedicationem, sed secundum tolius construclionis significaturam, atque impro-
priam loculionem.... Sed quaero in
ilJu significativa locutione, « Ho¬ merus est poeta», cujus nomea « Homerus»
aul « poeta» acci- piatur. At vero, si hominis, falsa est enunciutio, co
defuncto ', si vero poemutis.... est.... nova vocis aequivocalio. ' ) lbid., p.
247: In liis autem quae secundum accidens praedi- cunlur nec totani subjecti
substantium continent, sed in parte tan¬ tum subjectum attingunt (Boezio [in de
interpr., ed. prima, II, 11; ed. Meiser, Pars Prior, p. 159: PL, 64, 358], p.
263).... non est necesse, praedicatum vel majits esse subjecto vel aequale,
veluti cum dicitur « animai est homo », vel « quiddam animai est homo alla quale
questione potevan riattaccarsi pure sotti¬ gliezze grammaticali 213 ). Anzi le
opinioni furono divise, anche in ordine a quei cenni intorno al « giudizio in¬
definito », con i quali Boezio aveva dato il compimento che ci voleva allo
scritto aristotelico De interpretatione (Sez. XII, nota 115), essendo stato
tale compimento da taluni giustificato, ma da altri respinto, — e fra que¬ sti
ultimi ci vien fatta menzione di un Magister « V. », autore di « Glossulae
super Periermenias » 214 ). Riguardo ai giudizi modali — v. la Sez. XII, nota
119: il termine tecnico « modalis » appare ora piena¬ mente invalso —•, si deve
ravvisare veramente un modo di vedere individuale nell’ atteggiamento di
alcuni, i quali deducevano i giudizi stessi dai giudizi non-modali, in tal
maniera che dalle parole « possibilmente » o « ne¬ cessariamente » rimanesse
modificato non il contenuto di fatto, ma il senso della enunciazione, — ovvero
nel¬ l’atteggiamento di altri, i quali dicevano che in tali giu- (cfr. Boezio (
iniroiì. ad cuthegoricos Syll.: PL, 64, 768], p. 562). Quamvis tamen et hic quidam
concedunt, animai quod subjicitur non esse majus homine. Diclini cnim, quia
animai, quod homo est, ibi subjicitur, quod non est majus homine. “> J° H -
Saresb. Metal., n, 20, p. 101 [ed. Webb, p. 105; PL, 199, 881]:.... quia «
omnis homo diligit se». Quod si ex relativae dictionis proprietate discutias,
incongrue dictum forte causabaris et falsum; siquidem.... sive collcclive sire
distributive accipialur quod dicium est « omnis », pronomen relativum « se »,
quod subiun- gitur, nec universitati singulorum nec alicui omnium veraciter el
necesse est, So- cralem non esse equum, possibile est vel necesse esse non equum....
In.... universali bus.... non ita
concedunt, ut videlicet tantumdem va- leat « non » ad «esse» praepositum,
quantum id [Cousin: ei], quod « esse » copulai compositum. "i Ibid., p.
442: Sunt lamen quidam, qui nec discretionem ul- lam inler categoricam et
hypotheticam in disjunclione compositas habenl. sed idem dicunt proponi, cum
dicitur « Socrates est vel sa¬ nile vel aeger », et cum dicitur « aut Socrates
est sanus aut aeger »; ut scilicet omnis enunliatio, quae disjunctas recipit
conjunctiones, hypothetica credatur. Volunt itaque semper in hujus modi catego¬
rici s. quae disjuncliones recipiunl, hypotheticae sensurn intelligi.— veduti
cum dicitur «Socrales est sanus vel aeger », tale est ac si dicatur « aut
Socrates est sanus aut Socrates est aeger. [d) sopra difficoltà inerenti alla
teoria del sillogi¬ smo ]. — Dalla sfera della sillogistica non pos¬ siamo a
tutta prima aspettarci ima così fatta letteratura sovra punti controversi,
perchè, mentre da un lato i relativi compendi di Boezio, essendo, per così dire,
puri formulari scolastici, non porgono occasione a diver¬ genze di opinioni,
dall’altro lato, come abbiamo veduto (qui sopra, note 8-34), solamente a poco a
poco si venne, appunto in quell’epoca, a conoscenza degli Analitici ari¬
stotelici, i quali inoltre mancavano anche allora di mi apparato esegetico,
quale da gran tempo erasi avuto per le rimanenti parti della Logica. Si trova
tuttavia, al¬ meno in Giovanni da Salisbury, una notizia, dalla quale sembra
potersi argomentare che sia stato preso parti¬ colarmente in considerazione
quel tal passo estrema- mente difficile degli Analitici Primi, concernente la
con¬ versione dei giudizi modali (Sez. IV, nota 546), in quanto che si trovò
necessaria una particolare termino¬ logia ( materia naturalis, contingens,
remota), per signi¬ ficare i concetti, che ivi s’incontrano, di quel eh’ è
naturalmente determinato [tte^’jxcs], del possibile, e del non-aver-luogo 219
). Dalla medesima fonte appren¬ diamo altresì, che dei sillogismi, già noti ad
Abelardo ") Joh. Sar. Metal., IV, 4, p. 160 [ed. Webb, p. 168; PL, 199,
918], dove in un sommario del contenuto degli Analitici Primi si legge anche
quanto segue: quid in loto esse aul non esse, quas prò - positiones ad usum
sillogisandi converti contingat et quas non; quidve optinent in his quae
modcrnorum (v. la nota 55) usti dicun- tur esse de naturali materia aut
contingenti aul remota. Quibtis praemissis, trium figurarum subneclit rationes
etc. La eennata tri- partizione poteva essere ricavata da Boezio (Sez. XII,
nota 119), il quale dal canto suo aveva attinto ad Ammonio (Sez. XI, nota 157);
la terminologia di quest’ultimo passò nel Compendio di Psello (Sez. XV, nota
14), dove il passo corrispondente presenta, nelle tra¬ duzioni latine, le tre
espressioni testé ricordate (Sez. XVII, note 38 e 155). Ci troviamo pertanto,
anche qui, dinanzi alla possibilità che verso la fine delI’XI secolo si sieno
fatti strada nell’Occidente latino sparsi frammenti della letteratura
scolastica bizantina. (nota 17), formati
da giudizi modali, fu ora fatto uso frequente, così per parte dei teologi, come
pure nelle scuole di dialettica 220 ). Un’argomentazione insidiosa, oc¬
casionalmente menzionata ima volta, e relativa alla pos¬ sibilità del futuro, è
d’imitazione ciceroniana 221 ). [e) sopra questioni di Topica ]. — Invece la
To¬ pica ebbe a godere ancor una volta di una più vasta e varia attività di
studiosi; e ciò risulta già in generale dal¬ l’opera di Abelardo, il quale, a
proposito dei singoli loci, si esprime in tal modo da indurci a ritenere
ch’egli abbia trovato dappertutto già pronto un numero determinato di « regole
» formulate, le quali rappresentavano la reda¬ zione, fatta nelle scuole, delle
notizie riferite da Boezio nel suo scritto De diff. top. 222 ); inoltre, a
partire dal tempo in cui fu tratta fuori novamente la Topica aristotelica (v.
sopra le note 28 s.), ci furono effettivamente alcuni, che tentarono di
arricchire questo ramo della dialettica con la invenzione di nuovi loci e di
nuove « regole » 223 ), Ibid. : Deinde habila modalium rutione transit ad
commix- tiones qitae de necessario sunt aut contingenti rum bis quae sunt de
inesse.... Expositores vero divinar paginae rationem modornm pernecessariam
esse diclini.... [169] Est enim modus, ut aiunt, quasi quidam medius habitus
terminorum (ofr. la Sez. XII, nota 150). Et prafecto, licei nullus modos omnes,
linde modales dicuntur, singu¬ ltitivi enumerare sufficiat, quod quidem nec ars
exigit (v. ibid., noia 163), lumen mugistri scolarum inde commodissime
disputant, Cfr. appresso la nota 623. Lo stesso, Polvcr.. II, 23. p. 125 [ed.
Webb. I, p. 132; PL, 199. 455] : Restai libi illius Stoici lui quaestio....
Quaerebat.... enim.... an posses aliquid facete eorum quae minime faclurus es
etc. Cfr. la Sez. VI, note 136 e 164. '“) Abael. Dialect., p. es. p. 334 (sunt
igitur quatuor hujus in- ferentiae regnine), p. 353 (regulae antecedentis et
consequentis), p. 375 (regidae ab interpretatìone), p. 376 (tres autem regidas
a ge¬ nere in usum duximus), e cosi via pereorrendo tutta la Topica. ’l Joh.
Sar. Metal., Ili, 9, p. 145 [152]: Non omnes tamen locos buie operi (cioè BOEZIO,
de diff. top.) insertos arbitror, quia nec po- tuerunt, cum et a modernis,
huiiis praeeunte benefìcio, aeque necessa- rios evidentius cotidie docerì
conspiciam. — lbid., 6, p. 138 [1431: ma potè nello stesso tempo diffondersi
altresì una idea giusta del posto e della importanza della dialettica ). Trasparivano tuttavia anche qui le differenze di
ordine generale tra punti di vista, quando da taluni erano posti unilateralmente
in maggior rilievo i concetti isolati, fatta astrazione dalla espressione
verbale 225 ), da altri in¬ vece s’insisteva solamente sopra la necessità
interna del¬ l’ordine di successione nell’argomentazione 22 “), mentre altri
ancora, al contrario, ci tenevano a veder presa in considerazione proprio la
probabilità subbiettiva. Ma c’erano poi varie controversie, che si collegavano
anche a singoli loci o a regole particolari 22S ). Non tamen huic operi (cioè
alla Topica aristotelica) tantum tribuo, ut inanem reputem operam modernorum,
qui equidem nascentes et convnlescentes ab Aristotile, inventis eius multas
adiciunt rationes et regulas prioribus aeque jirmus | PL, 199, 909 e 9011. V.
appresso la nota 413 a. “) Ibid., 5, p. 134 [ed. Webb, p. 139; PL, 199,
9021:... scienti Topicorum.... ex opinione multorum dialeclico et oratori principu-
liter faciat. ™) Abael. Dialect., p. 426: Dieunlur in argumentis ea, quae a
propositionibus ipsis significanti^, ipsi quidem intellectus, ut qui- busdam
plucet, quorum conceptio, sine eliam vocis prolulione, ad concessionem alterius
ipsum cogit dubitanlem. **•) Ibid-, p- 427: Sunt autem, meniini, qui, verbis
auctoritatis nimis adhaerentes, ornile necessarium argumentum in se ipso ne-
cessarium dici velini. **) Ibid., p. 335: Sunt autem quidam, qui non solum
necessa- rias consecutiones, sed quaslibel quoque probabiles verus esse fa-
teanlur. Dicunl enirn, verilatem hypotheticue proposilionis modo in
necessitale, modo in sola probabilitale consistere; in qua quidem sentenliu
Magistrum etiam nostrum deprehensum dolco.... (p. 336) Dicunl tamen, quia omne
quod probabile est, verum est, saltem secundum eum, cui est probabile. *“) Così
taluni volevano che tra le maximae propositiones (Sez. XII, nota 165) fossero
annoverate anche le regole principali del giu¬ dizio categorico (Abael. Dial.,
p. 339 s.), e c’eran altri che vole¬ vano estenderle anche di più (ibid., p.
366): oppure si trasferi¬ vano l 'antecedere e il consequens nei [intendi: «si
allargava l'ap¬ plicazione delle regulae antecedenti et conseguenti, fino a
com¬ prendere anche le relazioni tra i »] singoli termini del sillogismo
(ibid., p. 353 s.), o si restringeva il locus a praedicalo puramente a giudizi
categorico-ipotetici (p. 381), mentre da altri lo si faceva valere soltanto
come principio di prova del locus a genere (p. 384); 293 U 29 . Negli studi di logica, la qualità
continua A RIMANER MOLTO AL DISOTTO DELLA QUANTITÀ]. - Ma riflettiamo ora come
quasi tutta la materia, che ave¬ vamo da presentar sino a questo punto, si sia
dovuto ricavarla da due scrittori soltanto, vale a dire Abelardo e Giovanni da
Salisbury, dei quali per caso ci sono con¬ servate opere di più lunga lena,
cosicché ci sarebbe co¬ munque da imparar ancora ben di più, qualora si dispo¬
nesse di fonti più abbondanti: e riflettiamo così pure, inoltre, che ciascuna
delle opinioni sopra citate, relative a punti particolari, ci permette di
argomentare, per parte dello scrittore che se ne fa sostenitore, un’opero¬ sità
di studioso, estesa a tutta quanta la sfera della lo¬ gica di quell’epoca; se
terremo presenti queste conside¬ razioni, ci sarà difficile andar tropp’oltre,
nell’ imagi- narei la estensione dell’attività, svolta in quel tempo, so¬
prattutto in Francia, nel campo della logica. Ben è vero che, ad avvalorare,
per così dire, una impressione gene¬ rale ben nota, può darsi che, quanto a
intensità, le cose andassero diversamente, perchè in nessuna parte ab¬ biamo
trovato, non che una concezione filosofica, nean¬ che segni di effettiva
originalità. Come in generale il Medio Evo era e rimase dipendente dal
materiale di una tradizione, imposto dal difuori, così anche le nu¬ merose
controversie attinenti alla logica, non prende¬ vano principio da un intimo
impulso, bensì si fondano sopra uno stimolo esterno, dato dal materiale della
tra¬ dizione scolastica, e bisognava, a così dire, che aspettas¬ sero questo stimolo,
per avere in generale occasione di inoltre, anche sopra questo stesso ultimo
/ocus, si dibatteron da rapo varie controversie, disputandosi cioè se esso
abbia validità incondizionata (p. 378), o sia da intendere soltanto in senso
cau¬ sale (p. 386): e controversie analoghe concernevano il locus ab ef¬
ficiente. con partecipazione anche di motivi teologici (p. 413), o il locus ab
interpretatione, trattandosi di decidere fino a qual punto coincida con la
etymologia. manifestarci. Così anche i
rappresentanti delle più im¬ portanti opinioni, caratteristiche dei vari
indirizzi, ab¬ biamo pur dovuto spogliarli della gloria di essersi aperti da sè
la loro strada; poiché certi passi isolati di Boezio, strappali dal contesto, e
che sono stati appunto oggetto di studio appassionato, ci si sono rivelati
(note 105, 129, 134, 170) come i punti di partenza, in base ai quali, a forza
di stiracchiare, è stato poi messo insieme il resto, E se in mani nostre
neanche Abelardo si sottrae forse a un simile destino (nota 286), non ne
abbiamo colpa noi, ma la ragione ne va rintracciata nella verità storica come
tale. [§ 30 . — Abei.ardo : a) suo ingegno: caratteristica ge¬ nerale], Proprio
la considerazione ora esposta, che cioè in quell’epoca, da un lato, una grande
moltitudine di maestri si occupavano, discendendo sino ai più mi¬ nuti
particolari, del materiale di studi di logica, quale veniva tramandato, e che,
dall’altro lato, per l’appunto nella letteratura tradizionale tutto questo
genere di pro¬ duzione veniva a trovare le proprie condizioni, derivan¬ done il
suo proprio indirizzo — ci doveva già da prin¬ cipio indurre a procedere con
circospezione nel nostro giudizio sul conto di Abelardo (nato nel 1079, morto
nel 1142): e di fatto, a prender in esame più da presso l’opera sua in
connessione con quella dei contem¬ poranei, ci troveremo anche messi in guardia
contro ogni esagerazione nell’apprezzamento di lui 22B ). Mentre “) In
particolare gli studiosi francesi sembrano propensi a so¬ pravvalutare il loro
connazionale, e in ciò, fra i tedeschi, va per lo meno a pari con loro
[Federico Cristoforo] Schlossf.r [in un libro del 1807, su Ab. e fra Dolcino].
La vasta opera di Charles de Rémusat, Abélard, Parigi, 1845, in due voli., è,
per la parte bio¬ grafica, quanto di meglio possediamo, nella letteratura
moderna, sul conto di Abelardo: aH’inoontro, nella esposizione della dottrina,
i presupposti storici, consistenti nei movimenti spirituali generali, propri di
quell’epoca, son forse lasciati troppo nell’ombra, in con- cioè, riguardo
all’etica, ci compiacciamo di ravvisare e riconoscere in Abelardo un eretico
del tempo suo, e delle sue benemerenze di teologo 22Ba ) dobbiamo lasciare in-
vece che si occupi la storia della teologia, ci apparirà chiaro come, nel campo
della logica, egli non abbia esplicato un’attività più originale di forse cento
altri suoi contemporanei 23 °). È innegabile la sua grande vi¬ vacità
d’intelletto, e prima di tutto la sua straordinaria abilità nella forma
retorica di esposizione: anche alla dialettica, come a tutto ciò su cui metteva
le mani, si slanciò sopra con appassionato fervore, e si manifestò subito come
maestro estremamente suggestivo; la sua attenzione era qui essenzialmente volta
all’intento di fronto con le benemerenze personali di Abelardo : a ciò si ag¬
giunge ancora, riguardo alla dialettica, l’inconveniente già più sopra (nota
49, e cfr. la nota 148) rilevato con espressioni di bia¬ simo. w ‘) Su questo
argomento, v. la vasta opera di S. Maht. Deutsch, Peter Abàlard: ein kritischer
Theologe des 12. Jahrhunderts [P. A.: un teologo critico del XII secolo],
Lipsia, 1883. a ") Non s’insisterà mai abbastanza nel ricordare che la
nostra indagine si svolge tutta quanta entro i limili segnati esclusivamente
dal quantitativo del nostro materiale di fonti. E tra Abelardo c gli altri
dialettici dell’epoca sua sussiste qui una differenza sol¬ tanto, che cioè di
quello ci sono conservati casualmente moltissimi scritti, si che di lui, per
conseguenza, siamo in grado di ricono¬ scere e pienamente svolgere le idee
fondamentali, più largamente ricostruite nel loro ordine sistematico, mentre
per gli altri non ci è possibile fare altrettanto. Ma dobbiamo guardarci dal
convertire in una obbiettiva superiorità di Abelardo, questa circostanza favo¬
revole, che torna a vantaggio della nostra esposizione. m ) Ch’egli sia stato
scolaro di Roscelino, ma anche di Gu¬ glielmo da Champeaux, e che inoltre abbia
cercato e trovato ispi¬ razione in tutti gli altri eminenti maestri, si vede
dalla nota 314 della Sezione precedente, c dalle note 102 e 104 di questa. Del
suo presentarsi come maestro fa il racconto egli stesso, Epist., I, c. 2, p. 4
(Amboes.) [ed. Cousin, I, p. 4 c 6] : Perverti tandem Parisius... Factum tandem
est ut supra vires aetatis meae de ingenio meo prae- sumens, ad scholarum
regimen adolescentulus aspirarem, et locum, in quo id agerem, providerem ;
insigne videlicet tunc temporis Me- liduni castrum, et sedem regiurn.... (p. 5)
Ab hoc autern scholarum noslrarum lyrocinio [Amboes .: exordio] ita in arte
dialeclica no¬ mea meum dilatori coepit, ut non solum condiscipulorum meorum,
verum etiam ipsius magistri (cioè Guilelmi Campellensis) fama farsi capire
facilmente, adattandosi egli, anche nella scelta del materiale, all’esigenze
della scolaresca ), ed è naturale che fosse perciò invitato sovente a
esercitare a profitto di altri il suo talento di maestro di logica **). Ma il
nomignolo di « Peripateticus Palatimis » [nativo di Palet o Palais] egli lo
deve soltanto a questo suo vir¬ tuosismo formale, perchè, da un lato, per i
suoi contem¬ poranei « peripatetico » e « cullor della logica » eran
espressioni sinonime, nulla conoscendosi in generale di Aristotele aH’infuori
dall’Organon, e con quella espres¬ sione volevasi soltanto significare uno che
si occupasse molto estesamente o con particolar efficacia di questi scritti
aristotelici 2S4 ), senza che con ciò si pensasse già a un pieno esauriente
svolgimento del principio aristote¬ lico; ma, d’altro lato, lo stesso Abelardo
ha avuto pure contrada paulatim extinguerelur.... (p. 6) [6] 1 unc ego Melidunum
reversus, scholas ibi nostras, sicut antea, constitui.... Meliduno l'ari- sius redii . extra civilatem in monte
S. Genovejae, scholarum no- slrarum castra positi [PL) Joh. Saresb. Metal.,
Ili, 1, p. 116 (ed. Giles [cd. Webb, p. 120]): Sic omnem librimi legi oportet,
ut quam facillime potasi eorum quae scribuntur hubeatur cognitio. Non enim
occasio quae- renda est ingerendue difficultatis, sed ubiqiie facilitas generando.
Qttem morem secutum recolo Peripateticum Palatinum. Inde est, ut opinor, quod
se ad puerilem de generibus et spedebus, ut pace suorum loquar, inclinavit
opinionem: malens instruere et promo¬ vere suos in puerilibus quam in gravitate
philosophorum esse obscu- rior. Faciebat enim studiosissime quod in omnibus
praecipit fieri Augustinus, i. e., rerum intellecltii serviebut I PL, 199,
890-1J. at ) Abael. Introd. ad llteol., I, Pro!., p. 974 (Amboes. [ed. Con¬
fiti, II, 31): Ad has itaque dissolvendas controversias cum me suf- ficere
arbitrarentur, quem quasi ab ipsis eunubitlis [Cousin: inai- nabulis] in
Philosophiae studiis ac praecipue Dialecticue, quae om¬ nium mugislra ralionum
videtur, conversatimi sciant, atque experi¬ mento, ut aiunt, didicerint, unanimiter
postulane, ne talenlum miht a Domino commissum multiplicare differam. — Ep. 1,
c. 2, p. 5 [51 : Non multo aiitem interjecto tempore, ex immoderata studii
afflic- lione correptus infirmitate, coactus sum repatriare, et per unnos
atiquot a Francia quasi remolus. quaerebar ardentius ab iis, quos dialectica
sollicitabat doctrina [PL]. =“) Joh. Saresb., loc. cit., I, 5, p. 21 [171 :
Peripateticus Pula- tinus, qui logicue opinionem praeripuit omnibus coetuneis
suis, adeo ut solus Aristotilis crederetur usits colloquio [PL una felice idea,
a tenor della quale poteva, rifacendosi da un unico passo che si trova in
Boezio [v. appr. nota 2861, «connettere ad esso il riconoscimento della giu-
"tozza della teoria aristotelica del giudizio; ma invece e;>/., p. 226,
Abelardo dice, nel passare da questa prima parte principale alla seconda:
Hactenus quidem, Dagoberte frater, de partibus orationis, quas dictiones
appeUamus, sermonem texuimus. Quorum tractatum tribus vóluminibus
comprehendimus. Primarn nam- que partcm libri Partium ante Praedicamenta
posuimus ; dehinc autem Praedicamenta submisimus, denique vero
Postpraedicamenta novis¬ sime adjecimus, in quibus Partium textum complevimus.
Come ven¬ gano intesi gli Antepraedicamenta, apparirà chiaro appresso; ma
intanto nel procedere dai Praedicamenta ai Postpraedicamenta, si dice (p. 209):
Evolutus superius textus ad discretionem significano- nis nominum et rerum
natura s, quae vocibus designantur, diligenter secundum distinctionem decem
praedicamentorum aperuit. Nunc autem ad voces significativas recurrenles, quae
solae doctrinae deserviunt, quol sint modi significanti studiose perquiramus (
similmente alla p. 245: Non itaque propositiones res aliquas designant
simpliciter quemadmodum nomina): e pertanto, alle p. 209—226, segue non già,
come fa ritenere il titolo, arbitrariamente imposto dal Cousin, la Sezione de
intcrpretationc, bensì solamente una trattazione delle parti della
proposizione. Con questa denominazione e suddivisione della prima parte
principale si accordano poi anche le citazioni che Abelardo fa di se stesso,
sia che rinvìi alla Sezione complessiva, denominandola Liber partium (p. 377 :
sicut in libro Partium do- cuimus, e p. 477: sicut in libro Partium, tractatu
speciei, disseruimus ), sia che ricorra proprio a quella denominazione nel
menzionar pure le suddivisioni (p. 174: sicut secundus anle-praedicamentorum de
differentia continet; — p. 249: Nam« homo mortuus» ....compositura nomen
est.... sicut in primo Posl-praedicamentorum ostendimus : e questa citazione,
al pari delle due altre dello stesso tenore, alle pa¬ gine 296 e 299, si riferisce
alla p. 214; negli altri due rinvìi—p. 204: sicut in Libro Partium ostendimus,
e p. 205: in Libro Partium requi - rantur — va certamente letto primo, anziché
libro). Dei resto, con tutto questo sistematico rilievo dato alle « parti del
discorso », riu¬ sciamo ora a spiegarci come Abelardo potesse effettivamente
deno¬ minare « Grammatica » un rifacimento delle Categorie (v. qui sopra la
nota 241). 273 ) p. 227: Susta et debita serie textus exigente, post tractatum
singularum dictionum occurrit comparano orationum .... Non autem quarumlibet
orationum construclionem (anche questa e una esptes- questa Sezione Abelardo
diede il nome di « Libcr cale- goricorum » 274 )- Ma quando ha poi da far
sèguito la teo¬ ria del giudizio ipotetico, Abelardo, anche a ciò deter¬ minato
da Boezio (de diff. top.: v. la Sez. XII, nota 167), fa che la validità di
queste forme di giudizio sia con¬ dizionata dai loci (v. la nota 269), e
pertanto premette il « Liber topicorum », così che soltanto dopo di esso ven¬
gono lo stesso giudizio ipotetico e i sillogismi fondati so¬ pra di questo 275
) : a quest'ultima Sezione dà il nome di « Liber hypotheticorum » 27e ). Così
Abelardo, secondo il suo modo d’ intendere, ha compiutamente svolto la teoria
deirargomentazione, pro¬ cedendo dal semplice, cioè dagli elementi, al
complesso: quanto al « Liber divisionum », designato dal Cousin come quinta
parte della dialettica, non ha alcun nesso sione di Prisciano; v. sopra la noia
263) exequimur, sed in his tantum opera consumenda est, quae verilatem seu
falsitatem continent, in quo¬ rum inquisitione dialecticam maxime desudare
meminimus. Undc cum inter propositiones quaedam earum simplices sinl et natura
priores, ut categoricae, quaedam vero compositae ac posteriores, ut quae ex ca¬
tegorici jungunlur hypotheticae, has quidem quae simplices sunt prius esse
tractandas...., unaque earum syllogismos ex ipsis componendos esse apparet. 274
) È vero che il manoscritto reca qui il titolo (p. 227) « Abae- lardi....
Analyticorum priorum primus», ma non soltanto si cor¬ regge da se stesso nella
seconda suddivisione di questa Sezione, dove a p. 253 si legge questo titolo: «
Explicit primus; incipit se- cundus eorundem, hoc est categoricorum », bensì
ancora dallo stesso Abelardo questa Sezione è citata come Liber categoricorum
(p. 395: Sed de hoc quidem uberius in libro Categoricorum egirnus). 275 ) p.
437 : Congruo.... ordine, post categoricorum syllogismorum traditionem,
hypotheticorum quoque, tradamus constitulionem. Sed sicut ante ipsorum
categoricorum complexiones categoricas propositiones opor- tuit tractari, ex
quibus ipsi materiam pariter et nomea ceperunt, sic et hypotheticorum tractatus
prius est in hypotheticis proposìtionibus eadem causa consumendus, de quorum
quidem locis ac veritate infe- rentiae, quia in Topicis satis, ut arbitror,
disseruimus, non est hic in eisdem immorandum. Sed satis earum divisiones
exequi. 27e ) Anche qui si verifica la medesima singolare circostanza, che cioè
il manoscritto reca da prima (p. 434) il titolo « Abaelardi.... Analyticorum
posteriorum primus », ma poi nel passaggio dalla prima alla seconda
suddivisione, la indicazione esatta (p. 446): Explicit primus hypotheticorum,
incipit secundus. con quel che precede 2 "), ma è ima monografia che sta a
sé, concernendo lo stesso oggetto che lo scritto De getter, et spec.; in questa
monografia Abelardo unì immediata¬ mente uno all’altro gli scritti di Boezio,
de divisione e de definitione, cosicché, a chi consideri 1’ intima diver¬ sità
fra questi due (Sez. XII, nota 103), appare con tutta chiarezza, come in
Abelardo l’interesse per la logica si converta in interesse per la retorica.
Seguendo noi ora perciò, per la nostra esposizione, il suindicato motivo, do¬
minante nella divisione della materia secondo Abelardo, ci atterremo
interamente all’ordine già tenuto per Boe¬ zio, e inseriremo, ancor prima della
teoria del giudizio, quel che sarà necessario dire della Sezione de divisione,
la quale si riattacca alla teoria del concetto. [li) esposizione della Isagoge
(Antepraedicamenta), quale risulta dalle Glossae, e soprattutto dalle
Glossulae, super Porphyrium: atteggiamenti polemici sopra la que¬ stione degli
universali]. — Quanto alla prima Sezione della prima parte principale, cioè la
Isagoge o i così detti Antepraedicamenta, la grave lacuna già ricor¬ data
dobbiamo cercar di colmarla attingendo ad altra fonte, e precisamente, in
special modo, ai testi riferiti dal Rémusat (nota 238) : ma inoltre ricorreremo
anche a tutti quegli altri luoghi, che possano aiutarci a compren¬ dere, con
maggior vigore o maggior ampiezza, la posi¬ zione di Abelardo nel contrasto fra
i diversi indirizzi, sicché già qui si ha da chiarire, quante possibile com¬
piutamente, le questioni essenziali e di principio, e da ot¬ tenere mia
conoscenza esatta e approfondita della logica di Abelardo in generale: resterà
poi, relativamente alle altre parti della dialettica, da addurre ancora, su
tale ) Neanche si trova, in alcun punto del libro, fatto cenno a un
ricollegamento con altre parti della dialettica. fondamento, soltanto i testi
relativi a punti più parti¬ colari. Ha in sè qualche cosa di sorprendente il
fatto che Abelardo, nelle glosse alla Isagoge, non soltanto parla di « sei
parole », aggiungendo alle solite cinque anche « in- dividuum », ma osserva
altresì che si tratta, oltre che di queste parole stesse, anche di ciò ch’esse
significano — significala eorum — 27S ); tuttavia la prima circostanza si
spiega in parte con quel passo di Boezio ch’è la fonte, a cui Abelardo attinge
2T9 ), e in parte con la espressa os¬ servazione [fatta dallo stesso Abelardo],
che cioè Por¬ firio non ha avuto bisogno di comprendere, subito da principio,
nel novero delle voces il concetto d’individuo, perchè già 1’ individuo vien
comunque a rientrare sotto le altre cinque parole, e in se stesso è una
denomina¬ zione predicativa di un oggetto, nè più nè meno che i ge¬ neri e le
specie 28 °). Ma se ora proprio questo rilievo che 27s ) Glossae in Porph.,
riferite dal Cousin, p. 553: Intendo Por- phyrii est in hoc opere tractare de
sex vocibus, i. e. de genere, e! de specie, et de dijjerentia, el de proprio,
et de accidenti, et de individuo et de signijìcatis eorum.... Considerare,
nullas voces magis esse necessarias ad Categorias quam istas sex voces, quoniam
ex istis sex vocibus con - stituunlur praedicamenta, ideo perelegit tractare de
istis sex vocibus. Hujus operis sunt materia istae sex voces el earum
significata, finis ipse catcgoriae (il Cousin. con le sue modificazioni e con
la interpun¬ zione, ha guastato il giusto significato del manoscritto).
Scicntiae inveniendi supponitur iste traclatus ([passo già più sopra cit.,]
nota 268), quia hic docemur invenire rationcs sufficienles ad probandas quaslibet
quaestiones Jactas de istis sex vocibus et de signijìcatis earum. Cfr. appresso
la nota 603. 27 *) Questo numero di sei non ha cioè niente che fare, come si
capisce da sè, con quel passo, che si è avuto da citare, ricavandolo dai
commentatori greci (Sez. XI, nota 134). ma ha per fondamento il contenuto di
quelle notizie, date da Porfirio (ibid., nota 43), che son riferite come segue
da Boezio, p. 15 [ad Porph. a Vict. transl. I, 16; ed. Brandt, p. 44: PL, 64,
28]: Eorum, quae. dicuntur, alia ad unitatem dicuntur, sicut sunt omnia
individua, ut est Socrates et hic et illud, alia quae ad mulliludinem, ut sunt
genera (et) species et differentiae et propria et accidentia. 280 ) p. 553: Et cum intendat
tractare de istis sex vocibus et omne (leggi omnes) tractat, lamen non proponit
nisi [Cousin: vocibus, et omne tractare tamen non proponit, nisi....] de quibusdam tantum ; ideo Abelardo dà alla relazione predicativa, torna
a coincider pure con il secondo punto, cioè con la presa in conside¬ razione
anche di « quel ck’è significato dalle sei parole », d’altra parte Abelardo
sopra tale questione fondamentale non presenta qui spiegazioni più precise:
bensì, — per¬ sino a proposito di quel passo di essenziale importanza (prima
quaestio), al quale da gran tempo abbiamo ve¬ duto riattaccarsi tutta la
questione, che dividea tra loro le tendenze contrastanti — egli presenta
esclusivamente una sottile distinzione, insignificante nei riguardi degli
universali, tra solus intellectus, nudus intellectus e pu- rus intellectus 2S1
) : e anche nel rimanente della esposi¬ zione, si tiene aderente al testo della
Isagoge, prevalen¬ temente limitandosi a dare spiegazione delle parole 282 ).
Invece proprio sopra questo punto che ci rimane qui ancora oscuro, gettano la
più vivida luce le altre così dette glosse minori alla Isagoge. Ivi cioè
Abelardo, alle notizie che dà sopra le opinioni altrui (e per questo ci è
servito più sopra egli stesso quale fonte) collega in primo luogo osservazioni
polemiche, per poi svolgere la sua personale concezione degli universali.
Contro Gu- non ponit de individuo, quia individuum continetur sub unoquoque, et
in significatione et in praedicamentali ordine : nam quemadmodum genera et
species proprie ponuntur in praedicamento, eodem modo in¬ dividua ipsorum.
Anche questo si trovava nel commento di Boezio al passo citato — dove (p. 16 s.
[loc. ult. cit., p. 49: PL, 64, 30]) si legge: Ita individua, quae ad unitatem
dicunlur, cunctis superio- ribus (cioè quinque vocibus) supposita sunt....
Individua vero.... ad nihil aliud praedicantur nisi ad se ipsa, quae singula
atque una sunt. Atque.... « ad unitatem dicunlur». Abelardo cioè ne ricavò che
le de¬ nominazioni individuali vengono purtuttavia predicate — dicunlur,
praedicantur. 2S1 ) p. 555: Illa dicimus poni in solis intellectibus, quae
tantum in- telliguntur et non sunt.... Illa dicimus poni in nudis
intellectibus. quae, cum sint, aliter intelliguntur esse, quam sirtt.... Illa
dicimus poni in puris inlelleclibus, quae intelliguntur simpliciler ut sunt. a82
) Si può osservare che anche qui la locuzione abbreviata, ri¬ cordata già più
sopra (nota 167) „praedicari in quid “ o ., praedicari in quale “ è comunemente
adottata nel senso di „ praedicari in eo quod quid “ o,, praedicari in eo quod
quale". glielmo da Champeaux osserva (v. sopra la noia 106) che, se si
ammette una così poco stretta connessione tra le forme individualizzanti e le
sostanze universali, tutte le sostanze _non eccettuata neanche la Fenice, che
esiste esclusivamente mia volta sola — appunto come sostanze, dehhon finir con
l’essere uguali e identiche fra loro, e neanche possono per conseguenza
distinguersi dalla so¬ stanza di Dio : e parimente osserva che questa identità
di essenza di tutte le sostanze, o la loro indifferenza ri¬ spetto a qualsiasi
forma individuale che vengan a pren¬ dere, conduce a dover ammettere anche la
coincidenza degli opposti in ima stessa sostanza Glossulae s. l’orph .,
riferite dal Rémusat, toc. cit., II, p. 97-99: Ce SYStème exige que les jormes
aient si peu de rapport avec la malière qui leur seri de sujet, que dès
qu'elles disparaissenl, la malière ne diffère plus d'une aulre malière sous
aucun rapport, et que tous les sùjets individuels se réduisent n l'unité et à
l'identité. Une grave hérésie
est au bout de cotte doctrine ; car avec elle, la substance divine, qui est
reconnue pour n'admettre aucune forme, est nécessairement identique à toute
substance quelconque ou à la substance en generai.... Et non - seulement la
substance de Dieu, mais la substance du Phénix (v. la Sez. XII, nota 87), qui
est unique, n'est dans ce système que la sub- stance pure et simple, sans
accident, sans propriélé, qui, partoul la méme, est ainsi la substance
universelle. C'est la mème substance qui est raisonnable et sans raison,
absolumenl camme la mème substance est à la Jois bianche et assise ; car étre
blanc et ótre assis ne soni que des jormes opposées, comme la rationnalité et
son contraire, et puisque les deux premières Jormes peuvent notoirement se
trouver dans le méme sujet, pourquoi Ics deux secondes ne s'y
trouveraient-elles pas égale- menl ? Est-ce parce que la rationnalité et
Virrationnalité soni contrai- res ? Ellcs ne le sont point par l'essence, car
elles sont toutes deux de Vessence de qualité ; elles ne le sont.... per
adjacentia, car elles sont, par la supposilion, adjacentes à un sujet
identique. Du moment que la mème substance convient à toutes les Jormes, la
contradiction peut se réaliser dans un seul et mème ótre [ed. Geycr del testo
originale, p. 515:... « Quibus hoc obicimus: quod si hanc sententiain concedi
convenit, quippe si formas contingeret a subiecta materia discedere, ita
scilicct quod subiecta bis penitus rarerent, in nullo pcnitus hir et ille
differrent, sed iste et ille omnino idem efiicerentur. Ex quo scilicet
pessimain haeresim incurrunt, si hoc ponatur, clini scilicet divinam
substantiam, quae ab omnibus formis aliena estidem prorsus oporteat esse cum
substantia. Nec (propter) deum solum verum est, sed
etiam propter alias substantias fortasse, ut est phoenix. — Oportet igilur
secundum praedictam Contro la dottrina della indifferenza, egli oppone (v. la
nota 132) per prima cosa la definizione del con¬ cetto di genere ( genus est,
quod praedicatur de pluri- bus ), dalla quale rimane escluso che ima e medesima
cosa possa essere mai al tempo stesso genere e individuo: e poi le oppone anche
la relazione predicativa in gene¬ rale, stando alla quale bisogna mantenere la
distinzione tra individui e concetti specifici, e deH’universale stesso è
impossibile predicare la individualità, — laddove, se si prende l’individuo già
nello stesso tempo come specie o come genere, il concetto di genere, in quanto
vieu pre¬ dicato, resta privato del proprio soggetto, o, quando si tratta di
qualità (cioè di adiacentia ), non può appunto essere più un predicato, valido
per diversi soggetti [cfr. il testo originale, ed. Geyer, p. 520: « .... non
omni generi convenit, eum omne genus non habeat praedicari in adiacentia »] 2Si
). sententiam substantiam divinam idem esse cubi qualibet substantia, quam
constat esse veram et simplicem et ab ni nni proprietate irn- muncm. Praeterea
si cadem substantia essentialiter sit in omnibus, ita scilicet (ut) ea quae
informata est ralionalitate, sit irrationalitate occupata, quomodo negari
potest, quin substantia rationalis sit sub¬ stantia irrationalis ? Quibus
obiectis nidlatenus refragari queunt, cum eadem substantia penitus omnibus
f'ormis informari ostendatur. Quis enim cum eandem substantiam albedine et
nigredine et sessione occupatam viderit, ncgabit substantiam albani esse
sedentem ? — Si quis vero dicat insistens rationale esse irrationale, veluti
substantia alba est substantia sedens, cum hae oppositae formac contrarrne
sint, illae vero non, fallitur, quia nec in essentia magis sunt oppositae istae
quam illae, cum eadem essentia qualitatis sit penitus, nec in adiacentia, cum
eidem substantiae penitus adiaceant. Sed si quis di- cit formas istas oppositionem
habere ex oppositis formis quibus in- formantur, fallitur, cum eadem ratione
non possit assignare, onde illae oppositionem trahant »]. 2S1 ) Ibid., p. 100: Muis c’est
là ce qui n'esl pus soutenable. La défi- rtition qui veul que le gerire soit ce
qui est attribuable à plusieurs, a été donnée à l'exclusion de Vindividu. Ce
qu’elle définit ne peut en soi étre à aucun titre, en aucun état, individu.
Dire qu'une méme chose tour à tour comporle et ne comporte pas la définition du
genre, c'est dire que cette chose est, comme genre, attribuable à plusieurs,
mais que, comme genre aussi, elle ne Vest pas, car un individu qui serait
attri¬ buable ò plusieurs serait un genre ; par conséquent Vassertion est con- [Finalmente,
anche contro quella tesi, a noi non meglio nota, che concerne una proprietas
delle cose (v nota 73), rivolge ripetutamente la stessa obiezione tratta dalla
definizione del concetto di genere, e denota in generale come la cosa più
pericolosa e insostenibile. tradicloire, ou plutòt elle n’a aucun gens. Les auteurs disent que celle nroposition : L’homme se
promène, vraie dans le particulier, est fausse de l’espèce (qui tuttavia il
Réniusat deve o aver avuto sottocchio un testo scorretto, o aver inteso
scorrettamente il testo corretto, poiché lu dottrina ripetutamente enunciata da
BOEZIO, a p. 15 [in Porph. a Vici, transl., I, 16: ed. Brandt, p. 45; PL, 64,
27], p. 36 [i6.. II, 10 (Cicero sedet, homo sedei): cd. Brandt, p. 103; PL, 64,
57], ecc., facendo uso dello stesso esempio Cicero ambulai, homo ambulai è espressa naturalmente nel senso, che
l’accidente è predicato, primitivamente dell’ individuo e derivativamente della
specie, ma non che questa seconda predicazione sia falsa). Commenl maintenir cotte
dislinction, si une ménte chose est espèce et individu ? (p. 101) V individuai
ile résultant de formes accidentelles ne saurait èlre l'attribut essentiel
d’une substance susceptible d'universalité ; cc- pendant certe substance, en
tant que particulière, distincte de ses som- blables, est esscntiellement individueUe,
violation manifeste de la règie de logique qui porte que „dans un mème,
Vaffirmalion de l'opposé exclut Vaffirmation de l’autre oppose’'’. Lorsqu'on
dit que le genre est atlribuable à plusieurs, on parie ou d'attribution
essentielle (praedicari in quid), ou de toute autre ; s’il s’agit d'attribution
essentielle, camme on le nie aprìs Vavoir affirmé, elle cesse d’ètre
essentielle, ou elle em- porte avec elle son sujet ; s'il s’agit d’attribution
accidentelle (in adja- ceutia), la définition n’est plus exacte, elle ne
convient plus à tout genre [ed. Geyer Huic autem sentcntiae o p p o na¬ ni u s . . . . In
primis inquirendum iudico, quomodo Porphyrius dicit praedicari de pluribus ad
cxclusioncm individuorum, cum illa scilicet praedicentur de pluribus secundum
illos. Sed dicunt mihi,
quod cum dicitur genus de pluribus praedicari, tale est, ac si dica- tur: genus
in quantum est genus, praedicatur de pluribus. quod con¬ stare non potest. Amplius
cum diffinitio generis sit, quod praedicatur etc., oportet eum concedere quod
individuimi ex stalli individui sit genus, quia ex ilio quod praedicatur de
pluribus, [quod] est animai. Propterea quomodo dicunt « praedicari de pluribus
», quod generi convenit, genus ab individuo removcrc, cum idem pror- sus
individuo conveniat ?... Amplius quomodo dicit B o e t h iu s super Peri
ermenias [Boezio, in libr. de interprete ed. se¬ conda, L. II, c. 6 (ed.
Meiser, Pars Post., p. 133: PL, 64, 461), p. 337] quod haec propositio « homo
ambulat » de speciali falsa est, de particolari vero vera est ? Numquid et de
universali similiter vera est, cum idem sit universale et particulare ? Sed
fortassis inquies, quod ab hoc universali ambulatio prorsus removeri potest, a
particulari vero non, hoc modo: nullum universale ex statu universali ambulat. Sed similiter dici potest, quod nullum particulare ex
statu particu- qualsiasi scambio o confusione tra individuo e universale. [i)
soluzione proposta da Abelardo : il senno praedi- cabilis]. — Ma secondo il suo
personale modo di vedere, egli credeva di aver trovato la via giusta per poter
al¬ fine comporre, com’è sua opinione, il contrasto fra Pla¬ tone e Aristotele,
vale a dire appigliandosi a quell’unico passo del libro De interpr., dove
l’universale è designato come ciò, ch’è « naturalmente fatto per essere
predicato laris anilnilationcm habeat. Haec quippe enuntiatio: « in co quod est
universale, non ambulata, duobus modÌ9 potest intelligi, sive interpositum sive
praepositum. Interpoeituin sic: in eo quod univer¬ sale, non ambulat, ac si
diceretur: proprictas universalis non patitur ambulationem, quod omnino falsum
est, eum eidem subiecto uni- versalitas et particularitas et ambulatio
adiaceant. Quod si praepo- nilur, intelligitur boc modo: non in eo quod est
universale, ambu¬ lat, sicut est illud: non in eo quod animai est, habet caput,
hoc est: non exigit proprietas universalis, ut ambulet, sicut non exigit natura
animalis, quod habeat caput. Sed eodem modo verum crii de particulari, orai proprietas
particularis non exigat ambulatio¬ nem ». Ecc. ecc., sino alla p. 521], 286 )
Ibid., p. 102: La difficulté est toujours de faire cadrer ce système avec la
définition du genre. Il faut que la propriété d'ètre attribuable à plusieurs
séparé Vuniversel de l'individuel ; or, on vieni de dire que de plusieurs
choses chacune est individuellement animai ; le nom indiriduel d'animal
serait—il donc le nom de plusieurs ? V indie Uhi se- rait-il attribuable à
plusieurs ? Cela ne se peut. Mais comme animai ne peut plus se dire de
plusieurs, mais de chacun, il n’y a plus de genre, ou plutòt tout est renversé,
c'est l’individu ou le non-universel qui prend la place de Vuniversel, c'est ce
qui ne peut s'ajfirmer de plusieurs qui s'affirme de plusieurs. et c'est une
pluralité où chacun s'affirme de plusieurs que l'on appelle Vindividu [ed.
Geyer, p. 521-22 : « Pri- mum quaerendum est.... quomodo secundum hanc
sententiam in¬ dividuimi ab universali differat per praedicari de pluribus, cum
indi¬ viduimi habeat praedicari de pluribus, id est plura sunt, quorum
unumquodque est individuimi. Sed fortasse inquies, quod recte prae¬ dicari de
pluribus in diffinitione universalis ponitur ad exclusionem individuorum, cum
omne universale praedicari de pluribus habeat, nullum autem individuimi de
pluribus praedicetur. Sed eodem modo inter universale et animai differentia
potcrit assignari, cum omne universale de pluribus et nullum animai de
pluribus... Praeterea secundum banc sententiam concedere oportet, quod
non-universale sit universale et res quae non praedicatur de pluribus,
praedicetur de pluribus et multos quorum unumquodque de pluribus praedi¬ catur,
concedat individuimi appellali»]. di più cose» (quod natura est de pluribus praedicari
); poteva Abelardo con questo, nella maniera già più sopra ricordata (nota 254
1, far procedere insieme la genesi delle cose qual è data obbiettivamente in
natura, e quella pro¬ duzione subbiettivamente umana che è la denominazione, e
anzi esprimere questa relazione, persino ricorrendo alla similitudine della
statua, la quale è costituita dalla pie¬ tra, che lia esistenza obbiettiva, e
dalla forma, ch’è ag¬ giunta dalla mano dell’uomo 286 ). Ma su ciò si fonda ora
il vero e proprio sciboleth, che contraddistingue la posizione di Abelardo nel
con- 2BC ) liuti., p. 104 s. : Aristote, au dire d'Abélard, parati l'insinuer
clairement, qunnd il définit l'universel ce qui est né altribuable à plu~
sieurs, quod de pluribus natum est praedicari. Cest une propriété uree
laqtielle il est né, qu’il a d’origine, a nativitate sua. Ór, quelle est la
nativité, l'origine des discours ou des noms ? Vinstitution humaine, tandis que
l’origine des choses est la création de leurs natures. Celle différence d’origine
peut se rencontrer là méme où il s’agit d’une mème essence. Ainsi dans cel
exemple : cette pierre et cette statue ne font qu’un, l'étal de pierre ne peut
ótre donné à la pierre que par la puissance divine, l’état de statue lui peut
ótre donné par la main des hommes. [ed. Geycr, p. 522: «Est alia de
universalibus sententi a rationi vieinior, quae nec rebus nec vocibus communi-
tatem attribuit; sed serinones sivc singulares sive universales esse disserunt.
Quod etiain Aristoteles ... . aperte insinuat, cuin ait: « Universale est, quod
est natum praedicari de pluribus », idest a nativitate sua hoc contrahit, ex
insti- tutione scilicet.... Hoc enim quod est n o m e u sive s c r m o, ex
hominum institutione eontrahit. Vocis vero sive rei nativitas quid aliud est,
quam naturar creatio, e uni proprium esse rei sive vocis sola operatione
nalurae consistat ? — Itaquc nativitas vocis et sennonis diversitas, etsi
penitus in essentia identitas. Quod diligen- tius exemplo declarari potest. Cum
idem penitus sit hic lapis et haec imago, alterius tamen opus est iste lapis et
a[terius haec imago. Constat enim a
divina substantia statura lapidis solummodo posse conferri, statum vero
imaginis hominum comparatione posse for- mari»]. Nella traduzione di Boezio, p.
338 [ed. secunda, II, 7: ediz. Meiser. Pars Post., p. 135; PL, 64, 462], il
passo aristotelico citato nella Sez. IV. nota 197, è cioè del seguente tenore:
Quoniam autem sani haec quidem rerum universalia, illa vero singillatim ; dico
autem universale, quod in pluribus natum est praedicari, gingillare vero, quod
non, etc. Qui dunque Abelardo poteva appoggiarsi, per la tesi reali¬ stica,
alla parola « natum », e al tempo stesso, per la tesi nominali¬ stica, alla
parola « praedicari ». Così in quell’epoca, ch’era incapace di assurgere alla visione
dei principii, ma si limitava allo studio
« tra ' Van mdirizzi; ««Perocché, una volta che il predicato venga r,
conosciuto come naturalmente determi nato, ne consegue che nè le cose come
tali, nè le paroJ ' come tali sono 1 universale, bensì la universalità è ri
posta soltanto nello stesso praedicari, e dunque in' quella maniera di
esprimersi ch’è il giudizio, insomma el « sermo » : con questo si evita ora la
opinione sba ghata e insostenibile, che cioè di una cosa possa ori carsi una
cosa, sì che, a questa maniera, mia co a f ugual r e in più - e una cm., ma «
per r.ppnnto „„ preJica | 0 ' E, mettendo „ ra Abelardo in eo„„e„i„„ e eon '
conseguenza 1, definizione già riferita del genere ne ‘ espressamente che nega mo) sia di • universale il predicato
(ser- ” 3 3ll ° ra ‘“tersale anche la parola in quanto paro a poiché alla
stessa maniera si potrebbe d mLT U Cl,e è “• «. 'ce dell alfabet o; „ deve
rnvece, in,„eli„ definir .. tener rizzi sano statesenz^tmcozUuIt^o^^* 1 !, 0 he
dei J ' vcra ' 'odi- lati diversi da uno all’altro scrittore 77'l f°? dame ? to
di passi iso¬ lai/ Ctteratura in uso nelle scuole Cfr -Y* !u testi e l‘e
formavano ^)Ibid aPPre - S .° k DOta 293 -‘ P1U S ° Pra n ° tC I05 ’ 129 ’
buatte à plufieurs, ni ìefchòses'n'i fet* 1 umversel Pst d'origine altri - c p
n est paste mot. la voix. mais le dilriu, T" Car stori du mot, qui est
attribuable à divers C e ? t ~ d ~ dire l ' p *prcs- dis mots, ce ne sont pas
les mots mais Ù . 9 lw, g “ P ' Ù S ° Pra (nota 63 > "tato, di
GiovauTda Salisb^ “ PaSS °’ fisso l’occhio sopra l’oggetto da essa definito,
cioè sopra lo stesso genere, e con ciò si rende manifesto che nella parola
singola non è già contenuto il genere stesso nella sua totalità, bensì invece
la parola ch’esprime il genere, viene, in un giudizio, predicata di diverse
cose, insomma che proprio il giudizio è predicabile, — « sermo est prue -
dicabilis » —, perchè il pensiero dispone per ordine le pa¬ role, in vista
della descrizione delle cose 2SS ). Se per con¬ seguenza la parola è predicata,
non secondo la esterio¬ rità del suo effettivo suono, bensì secondo il suo
intimo significato, e è dunque il suo significato che ne fa un uni- - ) Ibid.,
p. 107 s.: Mais Abelard se faii des objeclions. Comment l oraison peni-elle elre
un,vergelle, et non pas la voix, quand la des- criplion du genre convieni aussi
bien à l’une qu'à Vautre ? Le genre est ce qui se dii de plusieurs qui
diffèrent par Vespèce ; ainsi le décrit PorphyTe. Or, la descnption et le
décrit doivenl convenir à tout suiel quelconque ; c est une règie de logique,
la règie De quocumque, et camme le discours et Ics mots ont le ménte sujet, ce
qui est dit du discours est dii des mots. Vane, comme le discours, la voix est
le genre. Celle prò- posti,on est incongrue, non congruit; car la lettre étant
dans le mot et par consequent s attribuant à plusieurs comme lui, il
s'ensuivrait que la lettre est le genre. Cesi que, pour que la description ou
définition du genre so,t appi,cable il faut qu'on Vapplique à quelque ckose qui
uit en so, la realite du défim, rem definiti; c'est la condilion de l'appli-
catwn de la regie De quocumque, et ici catte condition n'existe pus Le mot ne
contieni pas tout le défini, il n'en a pas laute la compréhen- s,on et,1 n est
atlnbue a plusieurs, affirmé de plusieurs, pracdicatum de pluniras. qU e parce
que le discours est prédicable. est sermo prac- dicabibs, c est-a-d,re parce
que la pensée dispose des [si direbbe che Franti intenda come « fosse scritto «
Ics »] mots pour décrire toutes choses [ed. Geyer. p. 522-23: «Cui sementine opponi- tur. 1
rimimi enun quaeritur, cur sermones et non voces esse uni- versale? astmant cum
descriptio generis tam vocibus quam sermo- mbus conveniate De quocumque enim
praedicatur descriptio, et de- scriptum; sed descriptio generis praedicatur de
voce, cum vox sit ifiud quod praedicatur de pluribus differentibus specie etc.;
vox «ri- tur est genus. — Quod sic s o 1 v i t u r: Huic argumentationi; Cst ',
., '',j US ' ^ mUd q "° d praedicatur ' ( iuia est sermo PaANTL, Storia
detta logia, in Occidente, II.versale 289 ), ben può dirsi a questa maniera che
il genere e la specie sono una parola (vox), ma non già, viceversa, che la
parola è la specie o il genere, perchè la essenza individuale, che è la parola,
non può essere predicata di più cose, mentre si può, con una tale concezione,
ammettere invece, senza difficoltà, un essere obbiettivamente reale,
corrispondente ai generi e alle specie 2D0 ). Generi e 2#s ) Ibid.. p. 108: On
peut dotte dire que le discours étanl un gente, et le discours étant un mot, un
mot est le genre. Seulement il faul ajouter que c'est ce mot uvee le sens qu’on
a entendu lui donner. Ce n'est pus l essence du mot, en tant que mot, qui peut
ètre attribuée à plusieurs ; le son vocal qui constitue le mot est toujours
actuel et particulier à chaque fois qu’on le prononce, et non pas universel ;
mais c'est la si- gnification qu'on y attaché qui est générale [cd. Geyer, p.
523-4:« Cum haec vox sit hic sermo et hic sermo sit genus, quomodo ratiouab
ili- ter negari poterit, quin haec vox sit genus ? Quod sic solvitur: Cum
dicimus « hic sermo est genus», tale est ac si dicamus: sermo huius
institutionis est genus. Sed cum dicimus « haec vox est genus », tale est ac si
dicamus: haec essentia vocis est praedicabilis ctc., quod falsum est.... —
Concedimus itaque has esse veras: Hoc nomen est genus, hoc nomen est
universale. Similiter: Hic sermo « animai» est genus, hoc vocalndum « animai »
est genus et universale, et si¬ militer omnes in quihus subicitur vox innuens
institi! tionem, non simpliciter essentiam vel prolationem, sed signifìcationem
et praedicans eommunitatem, sicut est: genus, universale, sermo, vo- cabulum,
dictio, oratio.... »]. *®°) Ibid., p. 108-9: Abélard.... permei qu'on dise que
le genre ou l'esp'ece est un mot, est vox, et il rejette les propositions converses
; car si l on disait que le mot est genre, espèce, universel, on attribue- rait
une essence individuelle, celle du mot, à plusieurs, ce qui ne se peut. C'est
de mème qu'on peul dire: cet animai ( hic status animai) est cette matière, la
socratité est Socrate, l’un et l’aulre de ces deux est quelque chose, quoique
ces propositions ne puissent ètre renversées [ed. Geyer, p. 524: « Nota tamen,
quod haec propositio vera est: genus est vox et species est vox. Tale est enim
ac si dicatur: generale vocabulum est vox vel speciale. Convcrsae harum,
scilieet: vox est genus vel vox est species, non sunt concedendae, cum per
illas com- munitas essentiae ostendatur, quae similiter in omnibus reperitur.
Concedimus exiirn propositiones: hic status animai est, haec materia Socratis
est Socrates, utrumque istorum est aliquid; conversas vero istarum negamus
omnino, scilieet: homo est hic status animai, Socrates est materia Socratis,
aliquid ast utrumque istorum»), — Dialect., p. 480: in significationibus suis
vocabula saepe nominantur, ut cum ea quoque vel genera vel species vel
universalia vel singularia rei substantias vel accidentia nominamus. Nomen autem.... hoc loco accipiendum est quaelibet
vox significativa simplex, qua rebus prae- posita vocabula praedicamus. specie,
cioè, in quanto sono da noi pensati, si riferiscono bensì a qualche cosa che
esiste, e questa cosa afferrano, ina soltanto in senso figurato poteva dirsi
che essi esistono quali universali pensati da noi, poiché il senso proprio di
tale espressione è solanieute questo, che esiste cioè qual¬ che cosa che dà
luogo a questi universali 291 ). 2tfl ) Ibid., p. 109 10: Il décide que. bien
que ces concepts (ma chi sa se nell’originale latino ri leggerà in questo punto
« conceptus » ? io eongetturo piuttosto che vi si dica « intellectus » : v.
appresso le note 313 ss.) ne donneiti pas les choses camme discrètes, L, 64,
121-2], p. 84: rfr. la Sez XI, nota 44), secundum quas ipsa genera, quae ab
ipsis divisa sii nt. specificantur.... Nec cum ipsae generis subslantiam in
spe¬ derà reildunt, ipsae quoque in essentiam speciei simul transcunt, sed sola
"enera vel subjecta specificantur, non qmdem separata a difie- rentiis.
sed, nisi ei differentiae adveniunt, ipsa sola non etiam differentiae species
efficitur, non quidem cum differentiis, sed per differentias, sicut in libro
Partium, tractatu speciei, disseruimus (v la nota 272). Si enim differentiae in
speciem transferrentur cum lenere . ipsas de substantia rei esse, et in partem
malenae venire rontineeret.... (p. 478) Nihil.... aliud materia jam fannie
aclual,ter contunda quam ipsum materiatum, ut nihil aliud est hic annulus
aureus quam aurum in rotundilalem duetum.... Stalline.... compostilo, quem
Boethius (p. 88) ponit . species non riddar, cum nec materia sit unum, sed
operatione hominum, nec substantiae nomen, sed acci- dentis cum statua videtur
et a quadam compositione sumptum. z»«) Introd. ad t/no/.. II, 13, p. 1083 [98]:
Cum autem species ex genere creaci seti gigni dicantur, non lanieri ideo ri
eresse est,genus speries suas tempore, vel per existentiam precedere, ut
videlicet ipsum prius esse contigeril quam Mas. Numquam eternai genus nifi per
aliquam speciem suam esse contingit, vel ullatenus animai juit, antequam
calumale vel irrationale fuerit : et ita quaedam species cum suis generibus
simul naturaliter existunt, ut dMlatenus genus sino illis, sicut nec ipsae sine
genere esse‘pomerint [PI., 178, lOtuj. praedicatio, la quale può riferirsi ora
alla forma, ora alla cosa formata da questa, e via dicendo 29? ). Ma dovendosi,
a proposito di questo generarsi delle specie dai generi, toglier di mezzo
quella più difficile que- stione riguardante gli opposti (v. sopra le note 113
e ilo s.), ecco qual è su questo punto il modo di vedere di Abelardo: La
diversità delle specie può essere determi¬ nata soltanto dal fatto che sussiste
ima diversità delle so¬ stanze; ma questa è un prodotto della differenza
specifica la quale si chiama sostanziale, proprio perchè realizza entro la
sostanza ima separazione di gruppi, e con ciò, al tempo stesso, una unità dei gruppi
così separati, eia- scuno dei quali ha una comune natura 888 ); e a quel modo
che, per conseguenza, la materia, ch’è il genere, non si presenta più, hi
identità di essenza, in tutte quante le specie, cosi dalla differenza specifica
vengono esclusiva- mente prodotte soltanto le specie della sostanza stessa; se
perciò tutte le altre specie, che non procedono dalla so¬ stanza, si debbono
generare senza l’azione esercitata da una differenza sostanziale e debbono
pertanto aver il prò- pno fondamento nella sola materia, la unità di quest’ul-
tnna va intesa come somiglianza di essenza (consimili- tudo), dalla quale per
es„ nonostante la comune essenza ipslls^nriti^t ^ P> 1277 f183]: ^oprie,as
ilaque n,aterine ZZ, v/,, secundum quam ex ea materialitcr al,quid fieri habe'.
Materiati vero proprietàs est ipsa e converso postcrioritas Pro prietates
itaque ipsae impermixtae sunt per praedicMionem licei iosa proprietà....
permixtim de eodem praedicentur. Aliud quippe est prue Ì7{/~\^]. f ° rma,Um
ÌPSUm ' h - e - iP sam Jormae subjec- “ ) Dialect., p. 418: Diversitas itaque
subslantiae diversitatem quae natura substantiae divina univit operatio. (lell'esser colori, non rimane esclusa la
opposizione con¬ traria del bianco e del nero 2 "). Così Abelardo tiene
distinte, da un lato, quelle forme, che son, esse medesime, essenze, e che
bisogna pur che entrino nella materia, la quale sta a loro fondamento (
subiectum ), per far di questa qualche cosa, che senza quelle non sarebbe, — e,
dall’altro lato, quelle forme, che per se stesse non sono essenze, ma son di
già contenute nella materia del genere 300 ) ; naturahnente nelle prime c’è la
differenza specifica vera e propria, a quel modo che nelle seconde c’è la così
detta nota casuale di differenze accidentali, cioè queU’adiacerma (nota 284),
cli’è oggetto della predicazione non-sostanziale 301 ). Ma, con ciò, gli
opposti, nelle forme sostanziali, sono derivati soltanto ! ") Uh/., p.
400, dove al passo citato più sopra (nota 113) fa sèguito: Si enim omnium
specierum est eadem in essentia materia, tunc albedinis et nigredinis et
caeterorum contrariorum, quae omnia.... ejus- dem generis species esse necesse
est.... Nostra quoque sententi a te net, solas substantiae species differentiis
confici, caeterasque species per solam subsistere materiam, sicut in libro
Partium ostendimus. Si ergo eadem prorsus est materia, quae est in ipsis
diversitas ? Sed eadem (cioè diversitas in ipsis est), quae est in
consimilitudine substantiae, non indeterminatae essentine. Ncque enim ea
qualitas, quae est essentia albedinis, essentia est nigredinis, essel enim
albedo nigredo, sed con¬ similis in natura generis superioris. Consimilitudo
autcm vel sub- stantiae vel jormae contrarietatem non impedit. Riguardo alla
consi¬ militudo, e£r. qui appresso la nota 307. 30 °) Pseudo-Abael. de intell.,
edito dal Cousin, Fragm. phil. (1840), p. 495 s. [Opera, II, p. 755]: Alii
autem, qui quasdam formas essentias esse, quasdam minime, perìiibenl. sicut
Abaelardus et sui, qui artem dialecticam non obfuscando sed diligentissime
perscrutando dilucidante nullas formas essentias esse approbant, nisi quasdam
qua- litates, quae sic insunt in subjecto, quod subjectum ad esse earum non
sufficit, sicut ad esse quantitatum ipsum subjectum sufficit... et ad esse
sessionis necessaria est dispositio partium... Nullam enim for- mam essentiam
esse asserunt, cui... poterit assignari... subjectum ad esse illius sujfficere.
Theol. Christ., Ili, p. 1280 [487]: sire illa forma sii com- munis differentia,
h. e. separabile accidens. ut nasi curvitas, si ve magis propria differentia,
i. e. substantialis, sicut est rationalitas, quae sci - licet substantialis
differentia non solum facit alterum, i. e. quoquo modo diversum, verum etiam
aliud, h. e. substanlialiter atque specie diversum [PL, 178, 1251]. Qui la
fonte è Porfirio (Sez. XI, nota 44), cioè Boezio [ad Porph. a se transl., lib.
IV], p. 79 ss. dall'attività della differenza specifica e sono senz'altro
separati, mentre, trattandosi delle forme non-sostanziali, ci si presentano
nella materia del genere, quali possibi¬ lità’' 2 ): e Abelardo, dato che per
lui a base di tutte quante le opposizioni puramente qualitative non c’era un
substratum sostanziale, mentre un tale substratum andava riconosciuto
esclusivamente per quelle opposi¬ zioni che vengono a costituir delle specie,
poteva molto facilmente, con il mantenere la non-unificabilità degli opposti,
sottrarsi a quella difficoltà che più sopra (nota 115) abbiamo veduta 303 ). '
Ma mentre a questo modo quel processo di creazione, nel quale la differenza
specifica opera separando, e le spe¬ cie cosi separate si raccolgono in
raggruppamenti unitari (nota 298), si estende, in progrediente graduazione,
sino all individuo singolo, il quale è, come tale, essentialiter o entialitcr
(non tuttavia secondo la sua sostanza) sepa- rato dal suo simile 3 °fre (B0tZI0
’ P- ™ nox7Lì h -md ÌS lil l P Ì80 3 r487F-T ^ già, più s °P ra ' aUa mero sun,
difierenlia. q uae loia JL,.,L. Z^ZTentt disTctsum sire solo numero ab inviami
disteni, ut Socrate* e, i>LT ’ mente come im nome generale equivoco 305 ),
ma invece la « subsiantia », in quanto è questo il concetto del genus
generalissimum, dev'essere consideratacome quella su¬ prema ultima materia,
sulla quale incomincia a eserci¬ tarsi Fattività della differenza specifica 308
). Così Abelardo, in quanto è platonico, insegna mia ontologia obbiettiva degli
universali, la quale da un lato vantaggiosamente si distingue, per la maggior
cura con cui si giova di Boezio, dal più grossolano realismo di Guglielmo da
Cbampeaux, ma al tempo stesso, mediante il concetto già sopra menzionato (nota
299) di consimili- tulio, viene, d’altra parte, in certo modo, a mettersi in
contatto con l’autore dello scritto De gen. et spec. (no¬ te 163 e 177) o con
la teoria (nota 132) della indiffe¬ renza 807 ). [mi ma dallo stesso principio
Abelardo trae insieme partito secondo il punto di vista aristotelico ]. — Ma
ora, quanto a quell’altro modo di vedere di Abelardo, die si 305 ) Glossae ad
Porph. (riferite dal Cousin), p. 568: Ens est aequi- vocimi.... [569] videlicet
illam definilionem, quam habel ens in prae- dicamento substantiae, nunquam
habebit in praedicamento quantità- tis.... Ens non habet unam substantialem
diffinitionem, cum qua prae- dicalur de omnibus generalissimis, cum hac
diffinitione praedi- catur ens de substantia : substantia est ens, quod ncque
est qualitas nec quantitas etc. — V. la Sez. XII, nota 89. 30li ) Ibid.. p.
565: Substantia est generalissimum, quia est solum genus.... — (p. 566)
quemadmodum substantia est genus generalis¬ simum, cum suprema sii, eo quod
nullum genus supra eam sit, etc. — Inoltre il passo citato più sopra, nota 298,
e Dialect., p. 485: Genus omne naturaliter prius est suis speciebus.... genus [est materia] spe- cierum. 307 ) In una maniera
consimile, che ricorda quelle teorie, si espri¬ me Abelardo, Theol. Christ.,
Ili, p. 1261 [468]: Sed nec Socrates, cum sit a Platone numero diversus, li. e.
ex discretione propriae essen- tiae ab ipso alius, litio modo ideo ab ipso
aliud dicitur. h. e. substantia- liier differens, cum ambo sinl ejus[dem ]
naturae secundum ejusdem speciei convenientiam, in eo scilicet [1262] quod
uterque ipsorum homo est. — Ibid., p. 1279 [486]: Idem vero similitudine
dicuntur quaelibet discreta essentialiler, quae in aliquo invicem similia sunl,
ut specics idem sunt in genere vel individua idem in specie [PL]. accorda con
il punto di vista logico di Aristotele, bisogna che tentiamo di metter in
chiaro, in qual maniera do¬ vesse, secondo lui, intendersi il concetto già
ricordato (note 286 ss.) di « sermo », e com’egli ne determinasse minutamente
il fondamento: e qui fin da principio sem¬ bra esser degno di nota ch’egli,
rimanendo assolutamente fedele al punto di partenza da cui lì aveva preso le
mosse, si attiene a passi contenuti nel libroDe interpr. Se cioè deve tenersi
fermo il principio dianzi enun¬ ciato, vale a dire che il praedicari è degli
universali, quali sono naturalmente determinati, si ha anzi tutto una sem¬
plice parafrasi dello stesso principio, quando si afferma che la predicazione
(sermo) è in rapporto di originaria affinità con le cose 308 ) : tuttavia,
com’è naturale, ciò va inteso nel senso che la denominazione (vocum impositio
), venendo dopo, è condizionata e dipendente dalle cose ob¬ biettive che essa
significa ( res significala) 30S ), anzi che, in questo senso, anche la
significano della parola è ancora quel primum, dal quale soltanto dipende la
parola come parola 310 ). Vero è poi che a questa maniera i generi e le specie
non sono nient’altro che ciò che da queste parole è significato 3n ), ma quel
che da esse è significato. 3 " 8 ) Introd. ad theol., II, 10, p. 1074
[90]: Conslat quìppe, juxta Boethium ac Platonem, cognatos de quibus loquuntur
rebus oportere [91] esse semiortes [PL, 178, 1062]. — V. Boezio, ad Ar. de
interpr. [ed. seconda, II, 4: ediz. Meiser, Pars Post., p. 93; PL, 64, 440-11,
p. 323. J 30 °) Dialect., p. 487: vocem secundum imposilionis suae originem re
significata posteriorem liquet esse. — Ibid., p. 350: Si nòminis hujus. quod
est « homo », propriam impositionem tenueril, secundum id scilicet, quod
substantiae hominis ut existenti ex animali etrationa- litote et mortalitate
datum est, ratam omnino conseculionem viderit. — Inoltre il passo ricordato più
sopra, nota 255. 31 °) Dialect ., p.
345: neque enim nomina ncque verbo sunt, suis non existentibus
significationibus. — Ibid.. p.
482: [propria signifi- catio. illa ] scilicet. de qua inlelleclum proprie vox
queal generare. 3iI ) Glossae in Porph.. p. 567: genera et species. id est ipsa
signi¬ ficata harum vocum, come pure nel passo riferito più sopra (nota 278) si
dice sempre: sex voces et significata eorum. in altro non può consistere, a sua
volta, se non nei pro¬ dotti (li quel processo di creazione, onde dal genere si
scende giù giù sino all’individuo: e avendo i generi e le specie una esistenza
concreta soltanto negl’individui, nella proposizione « Socrate è un uomo » noi
parliamo per esempio soltanto di quel che significato da queste pa¬ role, ina
non già delle parole stesse, in quanto parole 312 ). Ma proprio poiché i generi
e le specie non sono ciò ch’esiste concretamente, l’antico motto « singultire
senti- lur, universale intelligitur » conserva il proprio valore: ed essendo,
dal concetto intellettivo ( intellectus ), affer¬ rato ciò che non cade sotto i
sensi 3113 ), bisogna che — poiché quell’universale che non cade sotto i sensi,
è ciò ch'è destinato a esser predicato — 1 esso concetto necessa¬riamente
contenga in sé il principio onde si genera la predicazione, e venga alla
coscienza, attraverso qualsiasi predicato, come principio del generarsi di
questo, ovve- rossia: sermo generalur ab intellectu et generar infelice- tum
314 ). Così il « predicare » (sermo) è il terreno degli 312) Diale et., p. 204:
Neque enim substantia specierum diversa est ab essentia individuorum, sicul in
Libro (leggi primo: v. la nota 272) rartium ostendimus, nec res ita sicut
vocabolo diversas esse con- tingit. Sunt namque diversae vocabulorum in se
essentiae specialium et singularium, ut « homo » et « Socrates sed non ita
rerum diver¬ sae sunt essentiae. Unde Ulani rem, quae est Socrates. Ulani rem.
quae homo est, esse dicimus ; sed non illud vocabulum, quod est « Socrates »,
illud, quod est « homo», linde quod in re speciali contingit, et in ipsius
individuis necesse est contingere, cum videlicet nec ipsae species ha- beanl
nisi per individua subsislere, nec in ea, quae informant et ad invicem jaciunt
respicere, nisi per individua, venire (cfr. la nota 296). 313) Introd. ad
theol., li, 3, p. 1061: Proprie.... de invisibilibus intellectus dicitur,
secundum quod quidem intellectuales et risibiles naturar dislinguuntur [PL,
178. 1052: e cfr. PL, 76, 1202], 3U ) Theol. Christ.. I, 4, p. 1162 a. [365]:
Licei etiam ipsum no- strae mentis conceptum ipsius sermonis lan i effemini
quam causam ponere, in proferente quidem causam. in audiente effeclum, quia et
sermo ipse loquenlis ab ejus intellectu proficiscens generalur, ut cum - (leni
rursus in auditore generel intellectum. Pro hac itaque maxima sermonum et
intellectuum cognatione non indecenler in eorum nominibus mutuas fieri licei
translationes : quod in rebus quoque et nominibus pro- pter adjunctionem
significationis frequenter contingit [PL, 178, 1130]. alcunché di predicato),
bensì soltanto nel fn) ispirazione aristote/im al giudizio (praedicari) I _ jù
a m dato ce- intellettivo lin e" ^ 1“' “n- non cade,,1,,,; e "p *» »“»
lenivo. Con Jè U 00 “ en “ U Intel- povalità (cfv. la nota 252) Tv '7 ’ m mon,e
n‘o di tem. M»v enunciato, richiede „„ cèrio i'.'mm,!!" per "'ente
significante, * non dopo che tnt.e k,T ' '“'i .teno successi va mente fatte
innanzi- e r, ' r„ alicujus exist.it.... fìuod intei cativam dicere, quod unum
P de hU*eó"""l ."™‘ 9u, ' ml,bel ’ta signifi-,V U !,a
f,,nte è Boezio (ad Ar de ituern l ? tellectus ooncipiatur. Meiser p ars Post ^ ss • PI T, P
‘ Ynf 1 ' 1 seeu “ da - I. 1; ed. Sez.
XII, nota 110. - 64 ’ 402 S -L P- 296 s.; V. Ja
siste nella unità di quel pensiero, che esso fa nasce- -re sl8 )- Ma
proprio perciò il giudizio, al pari della parola, in quanto
questaèelementodelgiudiziostesso, ha essen¬ zialmente due lati a un tempo, uno
dei quali consiste nelle cose, delle («de») quali il giudizio tratta {signi¬
ficai io reali*), mentre l’altro riguarda il pensiero, che esso giudizio
contiene e genera, ma del quale non tratta (significatio intellectualis ): e
c’è pertanto parallelismo tra essere e non-essere, nella realtà obbiettiva, ed
esser vero e falso, rispetto al giudizio 317 ). Ben è vero, cioè, 316 ) Ibid.,
p. 297: ....ut multiplìcem illam dictionem dicamus, quae pluribus imposila est,
ex quibus non fit unum, li. e. plura in sentenlia tenet non secundum id, quod
ex eis unus procedal intellectus. Sic autem e converso omnis illa una est
diclio, quae plurium signi¬ ficativa est. secundum id, quod ex eis unus
intellectus procedal. V. Boe¬ zio, p. 335 [o non forse 328? Loc. ult. cit. II.
6. p. 106 ss.: PL, 64, 447-8] (cioè Aristotele: v. la Scz. IV, note 185 ss.).
317 ) Ibid., p. 238: Sunt igitur veruni ac falsum nomina intel- lectuum, voluti
cum dicimus „intellectus verus et falsus “, h. e. habi¬ tus de eo, quod in re
est vel non est, quos quulem intellectus in animo audientis prolata propositio
generai.... Sunt cursus vertim ac falsum no¬ mina proposti 1 onum, ut cum
dicimus,,propositio vera vel falsa" i. e. veruni vel falsum intellectum
generane. Significant
propositiones idem, quod in re est, vel quod in re non est. Sicut enim nominum
et verborum duplex ad rem et ad intellectum significatio. ita etiam
propositiones, quae ex ipsis componuntur, duplicem ex ipsis significationem
contrahunt, unam quidem de intelleclibus, aliam vero de rebus.... Patet insuper
adco, per propositiones de rebus ipsis. non de intellectibus nos agere. — p.
240 s.: Restat itaque, ut de solis rebus, ut dictum est, propositiones agant,
sive idem de rebus, quod in re est, enuncient, ut „homo est ani¬ mai, homo non
est lapis “, sive id, quod in re non est, proponant, ut „homo non est animai,
homo est lapis “, ut etiam de significatione reali propositionis, non tantum de
intellectuali, suprapositae [Prautl cor¬ regge: supraposita] propositionis
diffinitio (Boezio, p. 291 [? Corri¬ sponde a loc. ult. cit., Prooem., p. 7
ss.: PL, 64, 395-6]) possit exponi sic significane veruni vel falsum, i. e.
dicens illud, quod est in re vel quod non est in re“, et in hac quidem
significatione veruni et fal¬ sum nomina sunt earum exislentiarum rerum, quas ipsae
propositio¬ nes loquuntur. Cum autem eamdem dijfinilionem et de intellectibus
ipsis hoc modo exponimus „significanles [Prantl: significane] verum vel falsum,
h. e. generane secundum inventionem suam de rebus, de quibus agitur. verum vel
falsum intellectum “, lune quidem ipsos nomi- nani [Prantl: nominai]
intellectus. Nota autem, sive de intellectibus sive de
rerum existentiis exponamus, orationis praemissionem necce-che la parola «
praedicari » ha tre significati: vale a dire,ni primo luogo la si usa, in modo
affatto estrinseco, per significare la semplice collocazione di un soggetto e
di un predicato, imo di seguito all’altro, fatta astrazione da qualsiasi
contenuto reale; ma poi quella stessa parola concerne, in doppio senso, la
relazione, qual è data effet¬ tivamente nella realtà obbiettiva, in quanto che,
riguardo a quel tale processo di creazione (note 294 ss. e 312), il praedicari
mette in rapporto con la materia del genere o il formato ( materiatum ) o la
forma ; tuttavia, com’è naturale, soltanto tale relazione, espressa dal termine
praedicari in queste due ultime sue accezioni, è ciò di cui («de quo») tratta
il giudizio: e in tale significalo praedicari vai quanto esse, sicché, — in
quanto non pos¬ siamo enunciare giudizi, se non con parole — che im giudizio
sia affermativo, o un altro negativo, e via di¬ cendo, queste son distinzioni
che ricadon nell’orbita della modalità della espressione 318 ). Inoltre c’è pur
coinci¬ denza tra quel duplice riferimento che può esser con¬ tenuto nei
giudizi, e l’antica distinzione tra « de subie- soriani esse. Qui la fonte si
trova in Boezio, p. 321 [corrisponde a tm iM ' V/ 7 64 ’ 437 ~ 8] -~ Cf "-
anche la 347 - ) Unii., p. 366-7 : Tnbus autem modis „praedicari “ sumilur :
uno quidem secundum enuntiationem vocabulorum ad se invicem in conslructione ;
duobus vero secundum rerum ad se inhaerentiam, aut cum videlicel in essentia
cohaeret sicut materia materiato, aut cum alterum alteri secundum adjacentiam
adhaeret, ut forma materiae. Ac secundum quidemenuntiationem omnis enunliatio....
praedicatum et sub- jectum li a bere dicitur.... Sed non de his in propositione aeitur. sed de
predicanone tantum rerum, illa scilicet solum. quae in essentia, quae verbo
subs,antico expnmitur. consista!.... Tantum itaque ..praedi- can illud
accipimus, quantum si „hoc Mud esse 1 * diceremus. tantum per,,removeri'\
quantum per,,non esse 1 *.... Cum itaque per ..praedi- cari, „esse accipiamus,
superflue rei „rere“ vel .. affermative “ appo- nitur: Quod emm est aliquid,
vere est illud, affirmative autem enun- tiatioms est determinano, quia tantum
in vocibus consisti/ affirmatio sicul et modi vel determinationis oppositio
[leggi con il Pronti appo- sitio). Modus emm vel determinano (v. la Sez. XII,
nota 119) tantum vocum sunt designatila, quae solae moderanmr vel determinata
[Prantl: determinantur] in enuntiatione positae. c/o» e « in subiccto » (v. la Sez. XII, nota
92), e la h>x praedicamenti ha la propria sfera d’influenza proprio in
quelle due accezioni reali del giudizio 31 °). Con ciò ci è resa ora soltanto
interamente perspicua la su riferita partizione della dialettica (note 272 ss.)
secondo Abelardo. Tutto sta nel sermo, cioè nel giudi¬ zio. Ma è anche vero che
gli universali sono i predicati che son nati, che sono stati generati nel
processo della creazione, e il pensiero li aff erra, secondo la dottrina di
Platone, e, secondo la logica di Aristotele, li enuncia, come universali, nel
giudizio: e anzi perciò Abelardo, accanto alle solite quinque voces, ne
annoverò ancora mia sesta, cioè anche l’individuo (note 278 ss.), poiché
l’individuo, quale prima substantia (Sez. XII, nota 91), ovvero, come qui anche
lo si denomina, quale princi- palis substantia, viene designato appunto con
quella pa¬ rola (vox), che corrisponde all’ultimo grado del processo della
creazione 3l2 °). Ma poi, giacché Abelardo con¬ siderava la differenza
specifica esclusivamente come forza efficiente, e non come tale che passi essa
medesima nella materia del genere (nota 295), egli si trovava a dover prendere
qui il nome della differenza non quale sostantivo, come aveva fatto Guglielmo
da Champeaux) Glossae in Categ . omnia.... aut dicuntur de princi ’-
palibus substantiis sibi subjectis.... servata lege praedicamenti.... aut sani in eis subjectis. Un diverso modo di
esprimersi, in luogo di questo, si ha (ibid ., p. 585 s.) nella distinzione tra
praedicari sub - stantialiter e praedicari accidentaliter (Boezio, p. 131 \i.n
4r Praed I; PL, 64, 189]): cfr. la nota 322. m> ) Ibid., p. 584: species, in
quibus conlinentur principales sub- slamine.... genera et species ordinata post
principales substantias sola.... dicuntur secundac substantiae (e ripetutamente
a questa stessa ma- mera). p. 591 : Vere primae substantiae significanl aliquid
hoc indi¬ viduale, quia illud, qund significatur a prima substnnlia, scilicet
quae tox est sicut et consimilia (così si deve leggere secondo il mano¬
scritto, con una piccola modificazione; la lezione del Cousin dà un
controsenso), est individuum et unum numero, i. e. parificalum nu¬ merali
descriptione, i. e. significatur ab hac voce, quae est individuum et unum
numero., bensì alle obiezioni che su questo punto furono sollevate anche da
altri (nota 122), poteva sot¬ trarsi con l’interpetrare la parola che designa
la diffe¬ renza, come un aggettivo derivato da questa (sump-, um » —,) ss)). Ma
a quei predicati nati seguono poi nelle Categorie le cose stesse, in quanto
vengono desi¬ gnate con parole — « naturae, quae vocibus designati- tur » — e
per conseguenza le categorie contengono le cose a22 ), mentre appresso vengono
prima di tutto con¬ siderate le parole, in quanto esse sono ciò che designa, e
costituiscono il passaggio al giudizio (sermo) stesso, che è composto da
quelle. [o) anche il preteso intellettualismo di Abelardo de¬ riva dal suo
aristotelismo]. — Ma allora il giudizio non contiene già le cose, bensì
contiene il pensiero ( in- telleetus), e invece tratta intorno alle cose, ma
non 321) Dialect., p. 456 : De nominibus dififerentiarum sciendum est, ut non
quidem substantiva, sed sumpta a dififierentiis sumantur, posita lumen loco
specierum. Oportet eitim in eadem significai ione vocabula dijjerentiarum sumi
in divisione generis, in qua significatione ipsa in dijfinitione speciei
ponuntur, cum scilicel nomini generali adjacent.... (p. 457) sicut in nostra
fixum est senlentia, nullo modo inter accidentia dififerentias admiltamus (v.
sopra le note 300 s.). Quod autem Porphyrius per dififerentias genus in species
dividi dixit, secundum eam dictum est sentenliam. qua naturam generalem in
species redigi atque distri¬ buì per susceptionem dififereniiarum realiter
voluit ; aut potius per difi¬ ferentias genus in species dividi voluit, cum
earum vocabula adjuncla nomini generis speciem designant, atque diffinìtionem
speciei compo- nunt. hoc modo „animai aliud ralionale, aliud irrationale animai
.‘ — Ihid, p. 189: In sumplis enim non ea, quae ab ipsis nominantur, com-
parantur, sed tantum fiormae, quae per iosa circa subjccta determinane tur ;
alioquin et subslantias ipsas comparaci contingeret, quae saepe a sumptis
nominibus nominantur, ut ab eo quod est album.... 322 ) lbid.. p. 209 e 245,
cioè due passi, che sono stati citati di già più sopra, nota 272. Ma vedi
inoltre a p. 220: Subiectarum vero rerum diversitas secundum decem
Praedicamentorum discretionem su- perius est ostensa, qua [Cousin: quae] principale
ac quasi substan- tialis nomini significano detur. Caeterae vero
significationes, quae se¬ cundum modos significando accipiuntur, quaedam
posteriores atque ac¬ cidentale* dicuntur. già ili quanto le significhi, bensì
in quanto contiene la connessione, afferrata dal pensiero, tra le cose e il
pro¬ cesso di creazione. Laddove per conseguenza il predi¬ care Tessere (nel
giudizio) non è esso medesimo un es¬ sere, nel predicare si tratta di uno stato
di cose reale, cioè della connessione obbiettivamente reale tra ciò ch’è
significato dal soggetto, e ciò cli'è significato dal predi¬ calo 323 ). Questa
distmzione fra « contenere » e « trat¬ tare » forma l’intimo nòcciolo della
concezione del giu¬ dizio secondo Abelardo 324 ). È ben vero, cioè, che il
predi¬ cato ha un suo aspetto grammaticale, e che, designando noi nel giudizio
una sola e medesima cosa con varie de¬ nominazioni (come per esempio quando
chiamiamo So¬ crate ora uomo, ora corpo, ora sostanza), appunto in ciò consiste
una differenza tra la espressione verbale e la realtà (efr. la nota 312); ma
mentre la praedicatio per eè sola, avulsa dalla obbiettiva rerum inhaerentia,
non è assolutamente nulla, precisamente la logica ha il compito di studiare il
giudizio, in questo senso, dal lato della espressione verbale S2S ). Anzi quel
che più importa è pro- 32S ) lbid., p. 241: Digrumi miteni inquisitione
censemus, utrum Mae existentiae rerum. quas propositiones loquiintur, sint
aliquae de rebus existentibus. Clanim ilaqiie ex suprapositis arbi¬ trar esse,
res aliquas non esse ea, quae a propositionibus dicuniur.... Palei insuper, ea
quae propositiones dieunt nullas res esse, cum vi- delicet nulli rei
praedicatio eorum apiari possit ; de quibus enim dici putest, quod ipsa sint
..Socrates est lapis “ vel ..Socrates non est lapis"?. ...Esse autem
rernaliquam vel non esse, nulla est omnino rerum essentia. Non itaque propositiones res
aliquas designant simpliciter quemadmo- dum nomina. Imo qualiter sese ad
invicem habeant, utrum scilicel sibi conveniant annon, proponunt ; quae idcirco
verae sunt, cum ita est in re sicut enunciant, lune autem falsae, cum non est
in re ita. Et est projecto ita in re, sicut dicit
vera propositio, sed non est res aliqua, quod dicit. linde quasi quidam rerum
modus habendi se per proposi- liones exprimitur, non res aliquae designantur.
s24 ) Soltanto dall’avere disconosciuto questa differenza è derivato, che il
Cousin, e con lui l’Hauréau e il Rémusat, abbiano ravvisato nella dottrina di
Abelardo un intellettualismo o concettualismo. 3 “) Dialecl., p. 247 s.: Si
quis itaque secundum rerum inhaeren - tiam rcalem acceperit praedicationem ac
subjectionem, secundum id prio ciò, di cui il giudizio « tratta »; ma ciò non è
nè la parola nè il pensiero (intellectus), poiché non può dirsi che dalla
esistenza di tuia data parola venga posta la esigenza che esista un’altra
parola, e neanche sussiste, tra i pensieri, che i giudizi « contengono », una
reci¬ proca affinità che li leghi a forza: poiché in ciascun giudizio abbiamo
pure un unico pensiero soltanto, e ad ammettere che ne abbiamo parecchi
insieme, si arriverebbe alla conseguenza che avremmo al tempo stesso un numero
infinito di pensieri, essendo obbiettivamente, di fatto, contenuti in ciascuno
stato elementi infiniti in serie continua: invece solamente in ciò, di cui il
giu¬ dizio « tratta », deve trovarsi o fissarsi la connessione reale, ovvero
quell’obbiettiva relazione reciproca: e perciò anche la modalità della
espressione, sia cioè affermazione o negazione o via dicendo (v. la scilicet,
quod unaquaeque res in se recipit ac subsistit, sicut nihil esse eam viderel
praeter ipsam, ita eam nihil esse per se ipsam invenerit. Al vero magis
praedicationem secundum verbo proposiiionis, quam se¬ di ndum rei exislenliam,
nostrum est attendere, qui logicae deservimus, secundum quod quidem de eodem
diversas facimus enuntialiones hoc modo Socrates est Socrates vel homo vel
corpus vel substantia. Aliud enim in nomine Sacratis quam in nomine hominis vel
caeteris intelli- gitur ; sed non est alia res unius nominis, quod Socrati
inhaeret, quam altcrius. V. inoltre il passo citato più sopra, nota 255. 328 )
lbid., p. 352 s.: Neque enim veram Itane consequenliam „si est homo, est animai
“ de vocibus agentem possumus accipere, sive diclionibus sive propositionibus. Falsum est enim, ut, si haec vox
..homo" existat, haec quoque sit quae est,.animai “ ; ac similiter de
cnuntiationibus sive earum intellectibus. Ncque enim necesse est, ut qui
intellectum praecedenti propositione generatum habet, habeal quoque in-
tellectum ex consequenti conceptum. Nulli enim diversi intellectus ita sunt
affines, ut ulterum cum altero necesse sit haberi, imo nullos simul intellectus
diversos animam retinere, ex propria quisque discretione convicerit, sed totani
singulis intellectibus, dum eos habet. vacare in¬ venerit. Quod si quis
essentiam intellecluum ad se sequi sicut essentiam rerum, ex quibus habentur
intellectus, concesserit, profecto quemlibet intelligentem infinilos
intellectus habere concederei, secundum id sci- licei, quod quaelibet
propositìo innumerabilia consequentia habet.... Ut igitur verilatem consecutionis teneamus, de rebus
tantum eam agere concedamus, et in rerum natura regulas anteccdentis ac
consequentis accipiamus. nota 318), non risiede nè nelle parole nè nei
pensieri, bensì è da ricondurre soltanto al loro fondamento ob¬ biettivamente
reale 32r ). [p) ma in Abelardo, vero spirito aristotelico non c’è: il suo
interesse centrale è volto, sotto l’impulso di Boezio e dello stoicismo, alla
teoria retorica dell'argomentazio¬ ne}. — Ma se a questa maniera, secondo
Abelardo, nel giudizio si ha clic fare non con il pensiero ( intellectus ), ma
con la inerenza di fatto nella sfera della oggettività, si capisce ora altresì
perchè egli (e il motivo al quale in ciò si conforma, è dato dal giuoco di
combinare assieme elementi stoici con elementi boeziani) tratti il giudizio
categorico solamente come un grado preparatorio al giu¬ dizio ipotetico, nel
quale ultimo s’inserisce la topica, come base della sua validità. Il giudizio
ipotetico, in quanto è complesso, ha anzi la funzione di servire come
espressione adeguata della connessione, e questa viene resa manifesta nel
procedimento dell'argomentazione, mediante ragionamenti, nella ipotesi che le
premesse abbiano, per chi ascolta, un valore di enunciazione espressiva. Quel,
cioè, che l’uomo pensante afferra con la mente, nella maniera rivelata da
Platone, ed enuncia con il giudizio, nella maniera fissata da Aristotele, deve
ora esser utilizzato per l’argomentazione, nella maniera propria della
tradizione retorico-ciceroni alia. Vale a dire che anche neH’argomentazione —
come viene osservato con tono polemico contro altri studiosi: v. la nota 225 —
non si tratta già dei pensieri ( intellectus ), bensì di quel medesimo oggetto
del quale trattano i giudizi, che costituiscono rargomentazione stessa, con
questa sola differen¬ za, che cioè qui la necessaria connessione (necessitas)
che ci si presenta nello stato di fatto obbiettivo, è nel RAGIONARE espressa
precisamente dalla sussunzione (inferentia): ne ad Abelardo sembra d’insistere
mai abbastan¬ za nel rilevare che la relazione di dipendenza tra antecedens e CONSEQUENS
non è data nel pensiero, ma, come esclusivamente obbiettiva, sussiste già da se
stessa nella natura creata, e nel fonda¬ mento reale di tutt i giudizi 329 ). L
perciò, anche a quel- 1 altro modo di vedere unilaterale, che abbiamo incon¬
trato più sopra (nota 215), egli nettamente contrappone la idea, che alla
modalità dei giudizi, anche relativa¬ mente ai concetti di possibile e di
necessario (del pari che più sopra, nota 327), sia da metter a fondamento una
modificazione obbiettiva dell’essere. Dicunlur in argumentis ea. quae a
propositionibus ipsis significantur. ipsi quidem inlcllectus, ut quibusdam
placet, quorum conceptio, SINE ETIAM VOCIS PROLATIONE, ad concessionem al-
terius ipsum cogit dubitantem. XJnde et bene rationis nomea in prae- missa
diffinitione (cioè in quella di Cicerone [intendi la definizione di CICERONE di
ARGVMENTVM ; Top., cap. 2, § 8]: vedila, riprodotta in BOEZIO, neljla Sez. XII,
nota 165) dicunt apponi ; ratio enim no- men est intcllcclus. qui in anima est.
Sed, si divisioni verbo altendamus, potius argumentum accipiendum erit in
designatane eorum, quae a propositionibus dicunlur, quam eorum intellecluum,
qui ab ipsis " e- nerantur.... Neque enim in propositione quidquam de
intellectu dicilur. sed, cum de rebus agitur, per ipsam intcllectus generatur,
qui neque in sua essentia necessilatem tenet, neque in/erentiam ad alterum ...
linde potius de bis, quae propositiones ipsae dicunt, supraposita diffinitio
....est accipienda. 3 “ 9 ) Introd. ad theól III. 7, p. 1134 [141] : Ex quo
apparet, quarti veruni sit,... in illa.... philosophorum regula, cujus
possibile est ante - cedens, et consequens, eos ad creaturarum tantum nomea
accommodare [IL. 178, 1112]. — Dialect. Ex his itaque manife- slum est, in
consequentiis per propositiones de earum inlelleclibus agen- dum non esse, sed
magis de essentia rerum.... Et in hoc quidem signifi- calione eorum, quae
propositiones loquuntur, una tamen exponitur re¬ gula, quae ait, posito
antecedenti, poni quodlibet consequens ejus ipsitts, h. e.: existente aliqua
antecedenti rerum essentia, necesse est existere quamlibet rerum existentiam
consequentem ad ipsam. — Ibid., p. 351: Si quis itaque vocum impositionem recte
pensaverit, enunliationum quarumlibet veritatem facilius deliberaverit, et
rerum consecutionis ne¬ cessitatali velocius animadverterit. — Parimente alle
p. 343 s. e 382. 33 °) Dialect. Unde oportet, ut rcctae sint modales, ut etiam
de rebus, sicut simplices. agant ; et tunc quidem de possibili et impos¬ sibili
et necessario ; quod quidem tam in his, quae singultire subjectum hdbenl, quam
in his, quae universale, licei inspicere. Con quel che siamo venuti dicendo
intorno alla es¬ senza, al principio e allo svolgimento della dialettica di
Abelardo, crediamo di esser giunti a farcene ima idea giusta e approfondita,
che, ove ce ne fosse bisogno, po¬ tremmo noi stessi avvalorare con un documento
estrin¬ seco, servendoci di un epitafio) composto in onore di Abelardo, da un
suo contemporaneo. In questa dialet¬ tica, non è certamente spirito
aristotelico quel che ci alita in fronte, bensì di gran lunga più manifesto vi
risentiamo l’influsso ammorbante dello stoicismo (v. la Sez. VI, note 47-56),
che s’era fatto strada negli scritti di Boezio; poiché quell’associazione di mi
rozzo empi¬ rismo con un motivo formale, dato dal progresso verso mia sempre
più complessa composizione, e con l’inte¬ resse retorico delFargomentazione,
prende — proprio là, dove Abelardo sacrifica dappertutto i motivi logici, per
considerare lo stato di fatto obbiettivo — il posto di una sillogistica che
torni veramente a profitto del sapere definitorio: e a chi tenga presente la
logica di Abelardo nel suo nucleo centrale, egli appare come un retore che fa
la teoria dell’argomentazione, piuttosto che come un platonico o un
aristotelico. Tuttavia egli è ampiamente giustificabile, perchè delle opere
principali di Aristo¬ tele, conosceva, semplicemente per sentito dire, soltanto
alcuni particolari frammentari (note 8-18), e in special modo perchè, dato, per
un verso, 1 ordine irrazionale in cui erano disposte le parti dell’Organon,
come pure date, 881) Citato, attingendo al Rawlinson, dal Rémusat, II. p. 101:
Hic docuit voces cum rebus significare, Et docuit voces res significando
notare; Errores gencrum correxit, ita specierum. Hic genus et species in sola
voce locavit, Et genus et species sermones esse notavit . Sigili* ficativum quid sit (questo, cioè, è il
giudizio: v. la nota 315), quid significatami Significans quid sit (questa è la
parola singola), pru- dens diversificar il. Hic quid res essenti quid voces
significar enti Luci - dius reliquis palefiecit in arte perilis. Sic animai
nullumque animai genus esse probalur. Sic et homo et \sed?] nullus homo species
vo- citatur [PL, 178, 104], per 1 altro verso, le idee che Boezio aveva prese
da Por¬ firio, era inevitabile che traesse origine da ciò mia con¬ cezione
contorta e contraddittoria. In Abelardo, e forse in tutti i suoi contemporanei,
si compie la vendetta del fatto che, da un lato la Isagoge e le Categorie
[delle quali, come sappiamo, il Franti contesta l’autenticità: v. la Sez. IV,
nota 5] si tengono più vicine al platoni¬ smo, e che d’altro canto, al tempo
stesso, nei libri suc¬ cessivi si trova contenuto l’aristotelismo; e inoltre
può darsi che Abelardo dal suo medesimo personale talento fosse portato a non
curarsi d’intendere più profonda¬ mente queste antitesi, e trascinato ad
assumere Patteg¬ giamento del retore. Si direbbe ch’egli, se fosse vissuto in
quei secoli più vicini a noi, sarebbe stato certamente un seguace di Pietro
Ramo. [ql continua l'analisi del contenuto della Dialettica: le Categorie]. —
Ma adesso ci rimane il compito di se¬ guire, anche attraverso le singole parti
della dialettica. Io svolgimento che questa ha avuto da Abelardo, il quale ci
si presenta sulla stessa linea degli altri autori di cui sopra, che hanno
promosso le particolari controversie già ricordate, e dei quali ci è ignoto il
nome. Seguendo la partizione dello stesso Abelardo (no¬ te 2,2 ss.), dobbiamo
supporre colmata la lacuna del testo qual è a noi giunto, dovuta alla mancanza
degli Antepraedicarnenta, e pensar di essere già stati condotti così a trattare
le questioni più generali, e che più pro¬ priamente si posson dire questioni di
principio. Agli An¬ te praedicament a tien ora dietro la seconda Sezione della
prima parte principale, cioè i Praedicamenta, do¬ ve, come ben s’intende, è
preso a fondamento Boezio, che viene ormeggiato a passo a passo. I concetti di
uni- vocum, e simili, conforme a quanto abbiamo detto più sopra, sono
naturalmente di spettanza dell [a teoria della predicazione, in quanto
quest’ultima ha anche un] aspet¬ to grammaticale 332 ). La categoria della
substantia, che altrove, d’accordo con il de Trin. del Pseudo-Boezio, viene
intesa anche come subsistentia 333 ), è l’atta qui og¬ getto di una
trattazione, che in tutto e per tutto si man¬ tiene nel più pieno accordo con
Boezio 334 ). Più minutamente è presa in esame la quantità, seb¬ bene qui
Abelardo si dovesse appoggiare a quel che n’era stato detto da altri, perchè,
com’egli medesimo confessa, era ignorante di aritmetica M5 ) ; egli consente
con coloro Icfr. le note 109 e 127), i quali eran di opi¬ nione che la linea
consista di punti 33 °), e, riguardo al concetto di numero, si attiene al
principio della unità naturale, condizionata dal processo della creazione (no¬
ta 304) : per conseguenza, in contrasto con le su riferite opinioni di altri
(note 199 s.), qui il fondamento reali¬ stico è formato dal singolo, in quanto
è particolare, co¬ sicché da un lato il « numero in generale » include già la
pluralità e ha lo stesso significato che « [le] unità », e d’altra parte i
diversi numeri determinati sono, come sostantivi, le denominazioni di diverse
unità collettive su¬ periori, in maniera comparabile con il procedimento col¬
lettivo, onde, secondo diversi punti di vista, raccogliamo 332 ) Così,
occasionalmente, Dialect., p. 480: Hoc ituque nomea, quoti est aequivocum sive
univocum, ex vocabulis tantum in rebus con- tingit. 333 ) Introd. ad theol., II, 10.
p. 1071 [88]: Unde et subslanliae quasi subsistentiae esse dictae sunt, et
cactcris rebus, quae ei assistunt, [ci] non per se subsistunt. naturaliter
priores sunt [PL, 178, 1060], 334 ) Dialect., p. 173—178. (Il testo del manoscritto incomincia pro¬ priamente
soltanto a mezzo della categoria substantia, cioè in corri¬ spondenza con
Boezio [in Ar. praed., I: PL, 64, 187-8], p. 133). 333 ) Ibid., p. 182: Etsi
multas ab arithmeticis solutiones audie- rim, nullam tamen a me praeferendam
judico, quia ejus artis ignarum omnino me cognosco. 336 ) Ibid. : Talem autem,
memini, rationem Magistri nostri senten- tia praetendebat, ut ex punctis lineam
constare convinccretur.... — (p. 183) Alioquin supraposita Magistri sententia,
cui et nostra con¬ sentii, etc. le cose ili specie, o sottospecie, o altrimente
ili gruppi 337 ). In quanto che nello stesso luogo si deve trattare anche del
discorso umano inteso come alcunché di quantita¬ tivo, Abelardo combatte il
modo di vedere unilaterale, che abbiamo trovato più sopra, onde si ritenne che
fosse l’aria a adempiere l’ufficio di «significante»: e, asse¬ gnando egli
invece al suono questa funzione di « signifi¬ care », va in cerca di autorità
che suffraghino tale sua opinione 338 ). Ma, immediatamente dopo la quantità,
fa posto alle categorie ubi e quando, come a quelle che per natura sono
collegate, nella loro origine, con i concetti di luogo e di tempo, presi hi
esame nella trattazione della quan¬ tità 339 ), e mentre così intende quelle
due categorie in 337 ) P- 186: [numerus] semper.... in natura discretionem
habct, qui solam unitatis parlicularilatem requiril.... cum nomea numeri
plurale simpliciter videatur atque idem cum co, quod est unitates. Unde
opportunius nobis videtur, ut, sicut supra tetigimus, numeri no¬ mea
substantivum tantum sii ac particulare unitatis, atque idem in significai ione
quod unitates. Binarius vero vel ternarius cacteraque nu - merorum nomina
in/eriora sunt ipsius pluralis, sicut homines vel equi ad animalia, aut albi
homines et nigri, vel tres vel quinque homines ad homines. Et fonasse quoniam
omnia substantiva numerorum no- mina in unitalibus ipsis pluraliter
accipiuntur, omnia ejusdem singu- laris pluralia poterunt dici, secundum hoc
scilicet, quod diversas uni- tatum collecliones demonstranl (c£r. la nota 307).
Numerus quidem simplex metialur plurale, alia vero secundum certas collectiones
determinala. A ciò fa poi seguito il passo citato più sopra, nota 199. Cfr. anche alla p. 421: Haec
enim unitas hominis Parisiis habitanlis et illa hominis Romae manentis, lume f
aduni binarium. Unde sola uni- latum pluralitas numerimi
perfidi. — Così pure a p. 486. ) P* 190: Nos autem ipsum proprie sonum audiri
ae significare concedimus: unde et Priscianus ( Inst. gramm., I, 1 [ed. Hertz,
p. 5]) ait, voccm ipsam tangere aurem, dum auditur, ac cursus ipse Boethius
(deMusica [cap. XIV: PL,63, 1177], p. 1071 [della ediz. delle Opere di Boezio,
Basilea 1546, cit. dal Cousin: p. 1379 della ediz. di Basilea 1570, alla quale,
come s’è visto, suol riferirsi il Prantl]) totam vocem.... ad aures diversorum
simul venire perhibet, dopo di che ci si richiama ancora, con le seguenti
espressioni, di forma singolare, ad Agostino e a Boezio (p. 193): Ipsum etiam
Augusti- num in Categoriis suis asserunt dixisse..., e etiam Boethius dicitur
in libro musicae artis.... [194] adhibuisse. 33 °) P- 195: Hactenus de
quantitale disputationem habuimus. Nunc ad tractalum pracdicamentorum
reliquorum operam transferamus, eaqtie geuso realistico, includendovi anche p.
es. il concetto di « ieri » * * 3 '* 0 ), arriva, per via dell’« essere nel
luogo » e del- T« essere nel tempo », a considerare i vari significati di «
messe » 341 ), ma cerca, in contrasto con obiezioni di al¬ tri, riferite più
sopra (nota 194), le quali mettevano in campo l’analogia con l’avverbio
interrogativo qualiter, di assegnare quell’espressioni concernenti l’inesse,
all’uso del linguaggio secondo la grammatica 342 ), e di giustifi¬ car invece
quelle due categorie, come tali, con la consi¬ derazione che in quelle è
possibile una comparazione, e che pertanto non è il caso di ricondurle alla
quantità, la quale esclude ima comparazione 343 ) : a ciò del resto si lega
ancora il lamento che Aristotele sia stato in ge¬ nerale così parsimonioso
nella trattazione delle ultime sei categorie 344 ). posi quantitatem exequamur,
quae ei naturalitcr adjuncta videntur ac quodam modo ex ea originem ducere ac
nasci. Ilaec aulem ., quando *" ei ..ubi." nominibus Aristoteles
designai. Quorum quidem alterum ex tempore, alterum ex loco duxit exordium.
***) p. 196: v. sopra la nota 196 [reclius 197J. 3)l ) p. 197 : Quum aulem et
..quando" in tempore esse et ..ubi" in loco esse determinamus, non
incommodo hoc loco demonstrabimus, quot modis ..esse in aliquo" accipimus
; Boelliius autem in edilione prima [198] super Categorias novem computai (dei
quali modi segue qui la enumerazione, ricavata da Boezio [in Ar. praed., I; PL,
64. 172], p. 121: v. Sez. XII, nota 92; Cousin si scandalizza, per non aver
trovato questo passo di Boezio!). 3 «) p. 200: Si quis autem „qualità “ dica!
nihil aliud quam quali- tatem demonstrare, et ..ubi"' dicemus nihil aliud
quam locurn designare, vel „ quando “ nihil aliud quam lempus. Unde et carlini
definitiones recte vel „in loco esse “ vel „in tempore [esse]" dicimus,
quae, si gram- maticae proprietatem insistamus, nihil aliud a loco vel tempore
diver- sum ostendunt.... Videntur itaque magis prò nominibus accipienda esse
..esse in loco “ vel ..esse in tempore", quam prò definitionibus. M3 )
Ibid .: Haec autem generalissima ipsa, ut arbitror, compara- tionis necessitas
meditari compulit. Cum enim quantitates non comparaci constarci (Boezio [in Ar.
praed.. II; PL, 64, 215], p. 154), non po- teramus comparalionem,,diu “ vel
„diuturni “ vel ..extra" ad tempus vel locum reducere: indeque maxime
inveniri pracdicamentu arbitror, ad quae illa reducantur. 3M ) Ibid. : Ac de
his quidern praedicamenlis difficile est pertractare, quorum doctrinam ex
auctoritate non habemus, sed numerum tantum. Ipse enim Aristoteles, in tota
praedìcamentorum serie, sui studii operam Nella controversia intorno alla
categoria della rela¬ zione (v. sopra la nota 192), Abelardo finisce con il de¬
cidersi a favore dell’autorità della definizione aristote¬ lica 3, * n ), e
così pure la questione del posto da assegnare ai concetti di simile e di uguale
(nota 193) è da lui ri¬ solta nel senso che essi appartengano alla qualità 346
). [r) i PostpraedicamentaJ. — I Postpracdica- menta poi, che costituiscono la
terza Sezione del Liber partium, contengono, come si è veduto (nota 272), la
trattazione del nome e del verbo, in quanto questi so¬ no i modi di significare
le cose, e vengono considerati quali parti, da cui il giudizio, come totalità,
è costituito. La opinione di Abelardo, riguardo al concetto di significavi o SIGNIFICATIO
(cf. Grice, “Meaning”), da noi precedentemente messa in chiaro, lo porta qui a
dichiararsi d’accordo con quel Garinondo (nota 82), ch’era un nominalista
moderato, e ìwn nisi qualuor praedicamerUis ndhibuit, Substanliae scilicct.
Quan¬ titali, ad Aliquid, Qualitati ; de Facere autem vel Pati nihil aliud
docuit, nisi quod contrarietatem ac comparalionem susciperent.... De reliquis
autem qualuor. Quando scilicet. Ubi, Situ, Ilabere, eo quod ma¬ nifesta sunt,
nihil praeter exempla posuit.... De Ubi quidem ac Quando, ipso quoque attestante
Boethio (p. 190 [in .-Ir. praed., HI; PL. 64, 262 s.].), in Physicis, de
omnibusque altius subtiliusque in his libris, quos Metaphysica vocat,
exequilur. Quae quidem opera ipsius nullus adirne translator lalinac linguae
aplavit ; ideoque minus natura horum nobis est cognita. Cfr. più sopra la nota
18, dove abbiamo dovuto accennare di già alla integrazione, portata più tardi
da Gilbert de la Porrée: v. appresso le note 488 ss. Ms ) p. 204: Aristoteles
de imperfcelione restrictionis sicut Plato de acceptatione nimiae largilatis
culpabilis videlur ; uterque enim modum excesserit, alque hic quasi prodigus,
ille tanquam avarus redarguendus. Sed et si Aristotelem Peripateticorum
principem culpare praesumamus, quem amplius in hac arte recipiemus ? Dicamus itaque,
omni ac soli relationi ejus diffìnitionem convenire eie. 346 ) p. 208: At vero,
cum similitudo relationibus aggregetur (Boe¬ zio [in Ar. praed., II; PL, 64.
219], p. 157),.... non videtur secundum solas qualitates simile dici.... His
autem. qui simile ac dissimile inter qualitatcs computant (Boezio [in Ar.
praed., Ili; PL, 64, 259], p. 187), monstrari potcst, res quaslibct in eo, quod
dissimiles sunt, esse similes.... At fortasse non impedit, si in eo, quod
dissimilitudinem participanl, similes inveniantur (si attiene cioè al passo
ult. cit. di BOEZIO. pertanto scorgeva la essenza della significazione non
nella parola come tale, bensì nel contenuto concettuale della parola stessa: un
modo di vedere, questo, che Abe¬ lardo trova confermato da passi di Boezio,7 ).
Nella di¬ sputa intorno alla questione, se le preposizioni e le con¬ giunzioni
sieno da considerarsi come parti del discorso ( nota 206), cerca di conciliare
i punti di vista imilate¬ rali dei grammatici e dei dialettici, attribuendo
bensì a quelle parti del discorso la capacità di significare, ma ri¬ conducendo
questa capacità, alla stessa maniera che la modalità della predicazione (note
327 e 330), a una mo¬ dificazione obbiettiva 348 ); onde, come si vede, anche
se¬ condo la opinione di Abelardo, i così detti byncatego- reumata (cfr. le
note 174 e 206) dovrebbero coerente¬ mente trovar posto in una o nell’altra
parte della lo¬ gica- . . Ma in tutto il resto egli si tiene strettamente
vicino a Boezio, e cerca di confutare obiezioni, sollevate da al¬ tri 349 ),
cogliendo la occasione che di ciò gli era offerta. sn\ 210, dove alle parole
già citate (nota 82) fa seguito im¬ mediatamente: linde manifestimi est, eos
velie vocabula non omnia illa significare, quae nominimi (che p. es. animai non
« significhi » •ria senz’altro homo), sed ea tantum, quae definite designata,
ut animai se, Hat animai sensibile, aut album albedinem, quae semper m ipsis
denotanlur. Quorum scntentiam ipse commendare Boethius (p. bij ['«' divisione:
PL, 64, 877]) videlur, cum ait in divisione vocis „vocis attieni in proprias
significationes divisto fit etc .(p. ZÌI) Oiiamen sanificare" proprie ac
secundum rectam et propnam ejus dijjinilio- nen, signamus, non alias res
significare dicemus, msi quae per vocem concipiuntur. — Cfr. la nota 317. 348 )
p. 217: llla ergo mihi sententia praelucere videtur, ut gram¬ matici
consentientes, qui eliam logicae deserviunt, has quoque per se sisnificativas
esse confiteamur, sed in eo significatwnem earum esse dicamus, quoti quasdam
proprietates circa res forum vocabulorum, qui- bus apponi,ntur praepositiones,
quodam modo determinerà.... t.onjunc- tiones quoque, dum quidem rerum
demonstrantconjiinctionem, quamdam circa eas determinant proprietatem. — Cfr.
la nota 620. ;n ») p eg- 219, dove di fronte alla obiezione ricordata piu sopra
(nòta 210), si osserva: Veruni ipse verbo deceptus erat, ac prave id ceperat,
verbum dicere rem suam inhaerere. così relativamente a quei giudizi (nota 211)
che non im¬ plicano la esistenza effettiva del proprio soggetto 35 ), e questo
nesso, che consiste in quella ri¬ spondenza, onde i due concetti son riferiti
uno all’altro, è ciò per cui si distingue esso giudizio dal giudizio ca¬
tegorico: questo cioè enuncia la semplice esistenza, men¬ tre l’ipotetico c
valido con assoluta necessità, fatta astra¬ zione dalla esistenza delle cose,
ma appunto per questo ricorre all'aiuto dei loci, relativamente a ciò che non
può desumersi dalla semplice realtà 396 ). In questo senso ex loco firmitalcm
halent. Cujus quidem loci proprietas hacc est : vim inferentiae ex habiludine,
quarti habet ad terminum illatum, conferre consequentiae, ut ibi tantum, ubi
imperjecta est inferentia, locum va¬ lere confiteamur.... Hoc ergo, quod ad
per]eclionem inferentiae deest, loci supplet assignatio. La deno mutazione « inferentia » è derivata dal
termine boeziano « inferre » : e così parimente anche la idea che la
consecuzione abbia a fondamento il nesso della necessità, è presa da Boezio: v.
la Sez. XII, note 153 s. 301 ) p. 330 s.: Quae enim in ea ponuntur vocabula,
essentiae tan¬ tum, non habitudinis, sunt designativa, ut « homo » et « animai
» et « lapis». Qui itaque dicuut «
si est homo, est animai, si est homo, non est lapis», nullo modo de
habitudinibus rerum, sed de essentiis agunt, ila.... ut, si aliquid sit
essentia hominis, et essenlia animalis esse con- cedatur, et lapidis subslanlia
esse denegelur. 39S ) p. 336: Quod autem veritas
hypotheticae propositionis in ne¬ cessitate consistat, tam ex auctoritate quam
ex ralione tenemus. Questa maniera d’intendere il giudizio ipotetico sembra
essere stata, in modo speciale, peculiare di Abelardo. (Jon. Saresb. Polycr.
II, 22, p. 122 [ed. Webb, I, p. 129]): Solebai nostri temporis Peripateticus
Palalinus omnibus his conditionibus obviare, ubi non sequentis intei- leclum
anlecedentis conceptio claudit, aut non antecedentis contrarium conseqitentis
destructoria ponit, eo quod omnes necessariam tenere consequentiam velint. —
Dello stesso, Metalog.: Miror tamen quare Peripateticus Palatinus in
ipoteticarum iudicio tam artam praescripseril legem.... Siquidem.... ipotelicas
respuebat, nisi manifesta necessitate urgente [PL, 199, 453 e 904]). 39 °) p.
343: Categoricarum autem propositionum veritas, quae re¬ rum aclum circa earum
existentiam proponil, simul cum illis incipit et desinit. Hypotheticarum vero
sententia nec finem novit nec princi-
pertanto, nelle discussioni dialettiche la concessione fatta daH’mterlocutore
va intesa, fatta astrazione dalla sua esatta corrispondenza alla realtà, come
una tale neces¬ sità 3B7 ), e nel giudizio ipotetico non si tratta già, come
taluni ritengono (nota 228), de’ suoi singoli membri, bensì proprio di tutto
quanto il nesso tra antecedens e consequens 3BS ) ; inoltre, per la medesima
ragione, nel giudizio disgiuntivo, come già è stato mostrato da Boezio (v. la
Sezione XII, nota 141), è semplicemente da rav¬ visarsi un’altra forma di
enunciazione del giudizio ipo¬ tetico 3BB ). Li base a tale fondamento si parla
poi, d’ac¬ cordo con Boezio, delle cosi dette « maxitnae proposi - tiones » (v.
ibid., nota 165), le quali, in polemica con le idee di altri (v. sopra la nota
228), vengono ristrette alla forma del giudizio ipotetico 1B0 ). Indi fan
seguito pium. Ulule el antequam homo et animai creata Juerint, vel postquam
cliam omnino perierint, aeque in veritate consisti! id, qupd haec conse-
quentia proponit « si est homo animai ralionale mortale, est animai. Quia vero
calegoricae enuntiationes actum rerum proponunt quuntum ad enuntiationes
inhaerentiae praedicati. actus vero rerum ex ipsarum rerum praesentia
manifestila est, necessitas autem infe- rentiae ex aclu rerum perpendi non
potest, quae acque, ut dictum est, et rebus existcntibus et non existentibus.
permanet, arbitror. hinc. lo- cum tantum in hypotheticis propositionibus
requiri ; cum de vi infe- rentiae rerum earum dubitatur, quae ex actu rerum
convinci non possimi. 3BT ) p. 342: Ncque mirri dialecticus curai, sive vera
sit sive falsa inferentia proposilae consequenliae, ilummodo prò vera eam
recipiat ille, cum quo sermo conseritur.,.. Seti liaec.... concessio vcrae
inferen- tiae in necessitate recipienda est. >W) p. 353: Quidam lamen has
regulas non solum in tota antecc- ilenlis et consequcntis enuntiatione, veruni
ctiam in terminis eorum assignaiUes.... Sed.... regulae sunt accipiendae in
his, quae tota pro- positionum enuntiatione dicuntur. Quoti autem antecedens et
consequens in disjunctis quoque lloethius accipit, non ad renna essentias, sed
ad enuntiatio- num constitutionem respexit ....Quod ex resolutione disjunctae
di e no- sci tur ; ex qua etiam resolutione. hypothelicae, i. e. condilionales,
dis- junctivae quoque sunt appellatae. 40 °) p. 359 s.: Maximarum....
proposilionum proprielales inspi- ciamiis, quibus quitlem singularum veritas
consequenliarum expri- mitur, quaeque ultimam et perfeclam omnium consecutionum
proba- tionem tcnent.... Cum itaque diximus, eas conseculionis sensum habere,
categoricas enuntiationes exclusimus. i singoli loci, e qui Abelardo, esclusi
quelli retorici, vuole metter in campo solamente i dialettici 401 ); l’or¬ dine
di successione in cui son disposti, trova fondamento in Boezio, che, trattando
di questo argomento, cerca (de dijf. top . : v. la Sez. XII, nota 168) di
accordare i loci di Temistio (Sez. XI, nota 96) con quelli cicero¬ niani
‘"'); ma la conchiusione è costituita da osservazioni sopra ^argomentazione
in generale, e sopra la impor¬ tanza che han per la retorica la induzione e
l’enti- mema 40S ). Come già più sopra (nota 222) è stato rile¬ vato, la
dichiarazione dei singoli loci consiste nella indi¬ cazione ed enumerazione di
« regole », fissate secondo l’uso delle scuole: e anche nella esposizione dello
stesso Abelardo si fa manifesto, hi connessione con quel che 401 ) p. 334 :
Illud praesciendum est, nos, qui haec ad doctrinam artìs dialecticae scribimus,
eos solum laens exsequi, quibus ars ista consuevit uti. 102 ) In confronto con
quell’ordine di successione [seguito da Cas- siodoro], del quale abbiamo dato
notizia nel 1° voi. (Sez. XII, nota 184), la materia si dispone qui nella forma
seguente: Anche qui (p. 368) si presentan da principio i loci tratti dalia
sostanza stessa, cioè a diffinitionc, a descriptione, a nominis inter pretal
ione ; ma ap¬ presso vengono, in una scelta risultante da una combinazione di
elementi derivali da Temistio c da Cicerone, i loci che son tratti dalle
conseguenze della sostanza (p. 375), cioè a genere, a toto, a par- tibus
divisivis, a partibus constilulivis, a pari, a praedicato, ab ante¬ cedenti, a
consequenli ; a questi fan seguito (p. 386), come loci presi extrinsecus,
solamente le sottospecie del locus ab oppositis, cioè a relatione (inclusi
simul e prius), a contrariis, a privatione et habitu, ab ajfirmatione et
negatione (in questa trattazione delle quattro spe¬ cie di opposizione vien
tirata dentro quasi per intiero la corrispon¬ dente Sezione delle Categorie); poi,
come loci medii, seguono a re¬ lativi^, a divisione et parlitione, a
conlingenlibiis, e sono quindi indi¬ cati inoltre a compimento — come quelli
che vengono raramente in uso (p. 409 : sunt autem alii, quibus diabetici raro
ac nunquam fere utuntur, quos tameri Boethius.,.. non praetermisit) — tra i «
loci» ex consequentibus substantiam, quelli a causa, a materie, a forma, a
fine, a motu. Del resto in tutta questa Sezione il Cousin si è spesso limitato
ad accennare con intestazioni di titoli l’ordine della succes¬ sione, senza
pubblicare il contenuto stesso. 4 " 3 ) p. 430 ss. I passi ai quali
attinge qui Abelardo, son presi da Boezio, de dijf. top., su cui si fondano
queste notizie: v. la Sez. XII, note 82 e 137. »i è visto più sopra (nota 228),
a quanto muneroso con- Lvorsic generale abbi. 1. ..pi» tonato nelle svuole
l’argomento e la occasione 404 )- r z) i sillogismi ipotetici. Giudizio
conclusivo sopra l'opera di Abelardo]. - Infine nel Liber hypo, h e ticorum,
cioè nella teoria dei gtudtzi e 8 dlo gismi ipotetici, viene ora riprodotto per
urti ero d con tenuto dello scritto di Boezio de syll. hypoth Attui trendo a
tale scritto, Abelardo incomincia con lo syol aere per prima cosa 406 ) la
partizione del gmdmo ipo tetico (v. la Sez. XII, note 139 ss.), e,
relativamente ai giudizi che s’iniziano con la congiunzione « cum » n( . h,, intorno alla causa efficiente e a
motu (p. 41.5 ss.) si e g . 376 8B .) causalità divina del creatore de mondo H
locas « ge ^ Crca . porla a prender in coimderazione il processo Stendere il
locus a ..one e così comdde cernii m iUimit;, ta,nenie universale praedicato
(p. 484), i fi incontriamo qui la ter- (p. 381). A proposito del Incus
°*>opP - 4fl7 . comp lexa autem miuologia « complexa » c « in P ^ ^ cod em
contraria cnun- contraria eas dicimus proposilionc, 7 acgerrt). e così pure
tiant hoc SS* immediata inferra- « constantia » (p. 408 [nassunto ue ' imme
diMa smt ; qiiam linai habeant, adjietendumesse..ag»J p hrdus]) _ Abelardo
ìss'ù.w ù. >. (v. le note 18 e 344). 405) p. 437-439. tici 406 ); inoltre combatte la opinione già
ricordala (nota 218) di altri, relativamente alla posizione del « vel.... vel »
nei giudizi disgiuntivi 407 ). Ma è poi notevole quel che vien detto appresso,
circa la conversione dei giudizi ipotetici; questi cioè, quando sono in forma
disgiuntiva, potrebbero esser convertiti simpliciter (scambiandosi di posto i
termini della disgiunzione!), e lo stesso potrebbe pure ripetersi del giudizio,
che contenga [la enuncia¬ zione di] una [relazione di] contemporaneità, e che
inco¬ minci con «cum»; invece, quando si tratti del giudizio propriamente
ipotetico, fondato sopra il nesso della ne¬ cessità naturale, il principio
fondamentale, a tutti noto, della consequenlia (vedilo in Boezio, Sez. XII,
nota 145) sarebbe da prendere [cfr. ibid., nota 130] nel senso che qui si dia
un caso di conversiti per contrapositionem 40S ). Ma se questo preteso
compimento della teoria tradizio- sed ad conceptus tummodo leritatem Aeque
cairn unus est intellectus ..lapis ratio,la- multos intellectus '
*“"iplicem l’ero intellrctum dicimus muuos intellectus ab invicem
dissolutos, ut si dicam animai" pauluhim quiescens, addam „rationale'\ ’
Cfr iuvece ' 4 ?» C " Abc,:!r US Wmim P erso ' lalem discreti,m,m attendimi, h. e.
simpliciter hominem excogilo,,n eo scilicel tantum, quod homo est i e animai
rat tonale mortale, non edam in co, quod esVhic ho moti file ri!!ru rSale h “ J
iu ‘ c ", s “hslraho individui s. SU itaque abstractio supe¬ rna r‘ l
"- feTtor, lbus : «“ scilicet universalium ab individui per praedicationem
subjecds, sme Jarmari,m a materiis per fundationem no/, Subtrac "° f ero e
con, rario dici potest,... cum alìquis subjeclae naturam essenti,,,- absque
omn, forma nidtur speculari. Uterque autem mtellectus, tam abstrahens scilicel quam
subtrahens, aliter quam res se habet concipere V, detur.... p. 482: Nusquam
enim ita pure subsistit S smt“- Pl T C ° n rP llUr '- E *. m,ìla esl na •) a:
Non vidctur ergo transferenda conversatio dialeclicorum ad huiusmodi propter
inconvenientia.... — 33, p. 91 b: Quod ergo dica Johannes Damasceni is (v. la
Scz. XI. nota 170), non ita accipiendum, ut universalia et individua ita
accipiantur sicut in philosophicis di- sciplinis.... Si quaeratur, an hoc praedicabile,.deus“ sii
universale rei CARLO PRANTL tavia in molte delle sue trattazioni al De
Trinitate del Pseudo-Boezio (v. le note 35 ss.), e anzi con la comica
osservazione che quello scritto è fdosofico (!) più che teologico, e che perciò
non si deve lasciarsene sviare 451 ) ; inoltre la distinzione della sostanza
come soggetto e della sostanza come forma, del pari che la distinzione della
forma sostanziale come produttrice dell’individuo e come suscitatrice delle
specie e dei generi, ci fan soltanto ve¬ dere il realismo platonico-teologico
nella sua forma più rozza 452 ). Parimente nel suo contemporaneo Roberto da M e
1 u n [m. 1167], molto celebrato per la sua superfi- ciale abilità nella
dialettica 453 ), si trova nient'altro che il solito realismo ontologico, il
quale teoreticamente è tanto ottuso da non poter in generale interessarsi ai
momenti individuimi, neutrum hic admittendum [PI,, 211 922 e 921], E tutta¬ via
fu anche lui accusato di eresia : v. lu nota 478. 451 ) Ibid., I, 4, p. 8 b:
Ideo imponitur Boelio, quod illam diffmi- tionem (cioèfdi persona ) magis
posuit ut philosophus, quam ut thcolo- P" s - — 32, p. 93 b. : Sed nostri
thcologi plerique non habent illam diffinitionem prò aulhentica, quia magis
Juit philosophus quam theo- ^^923 I {t mag * S
“) Ibid,, 1,6, p. 12 a: Subslantia a subslando dicitur ipsum sub-
jectum, quod substat Jormis, sive sit corpus sive alia res. Substantia a subsistendo dicitur
forma, quae adveniens subjecto illud subsistit, i. e. sub se et aliis Jormis
sistit, i. e. substare sibi et aliis Jacit, sìcut imago sigilli ceram.... Sed
substantialis forma duplex est, vel quae facit „quis“, et lalis est omnis
individualis proprielas, i, e. individuo et proprio nomine, ut Platonitas,
cujus parlicipatione Plato est quis ; vel quae facit „quid“. ut speciale vel
generale, i. e. quae speciali vel gene¬ rali nomine significatur, ut humanitas,
animalitas, cujus participa- tione Plato est ..quid", non vero „quis“
[806-7], 4M ) Joh. Saresb. Metal.. II, 10, p. 78 s. (ed. Giles [e Webb]): Sic
ferme loto biennio conversatus in monte (cioè Sanctae Genovefae), artis huius
praeceploribus usus sum Alberico (v. sotto la nota 521) et magistro Rodberto
Meludensi (ut cognomine designetur quod meruil in scolarum regimine, natione
siquidem Angligena est); quorum al¬ ter.... Alter aulem (cioè Roberto), in
responsione promptissimus, sub- terfugii causa propositum numquam declinavit
articulum, quia alteram contradictionis partem eligeret ani determinata
multiplicitate sermonis doceret unam non esse responsionem.... In responsis perspicax, brovis et commodus [PL logici,
oppure, dove s’interessa, si mostra appunto in tutta la sua debolezza, come p.
es. quando si polemizza contro chi riconosce carattere unitario al significato
che è racchiuso in « est », e a quello ch’è racchiuso in « ens » 154 ). Ma per
conseguenza non fa maraviglia che gli scolari di questo Roberto vilipendessero
la Topica aristotelica, giudicandola un libro inutile (v. sopra la nota 29). [§
35. — Gilbert de la porrée: a) il commento al De Trinitate del Pseudo-Boezio :
posizione teoretica inge¬ nua e contraddittoria]. — Invece LnGilbert de la
Porrée (nato a Poitiers, e perciò detto anche Pietà- viensis, morto nel 1154)
l’alterco dei teologi intorno alla Trinità ha dato occasione a una concezione
logica, net¬ tamente determinata, riguardo agli universali, e bisogna pertanto
che ci teniamo presente più da vicino, oltre allo scritto De sex principila,
reputato di grande importanza nei secoli successivi, anche il commento dello
stesso Gil¬ berto al De Trinitate del Pseudo-Boezio 45 °). Che Gilberto
conoscesse di già gli Analitici di Aristotele, è stato ricor¬ dato già più
sopra (nota 21); tuttavia, fatta astrazione da quella citazione, egli in realtà
non trae ulteriormente 1M ) Oltre alle notizie che si trovano nel De Bollai',
Hist. Uni- versitatis Paris., II. p. 264 [ivi, p. 585—628, testi di R. da M.],
I’IIauréaU, de la phil. scolasi., I, p. 333 ss. [Hist. de la ph. scol., I, p.
491ss.], ha riprodotto ancora vari tratti da manoscritti ; di quel ch’egli
riferisce, poiché tutto il resto non ha che fare con il nostro presente
intento, può citarsi, riguardo a un punto di logica, il passo seguente (p. 333
[492]): Has verovoces „esl“ et „ens** ejusdem esse significa- tionis, omnes
philosophicae clamitanl scriplurae. In istis ergo locutio- tlibus,,tiiundiis
est ens**, ..mundus esf”, terminis oppositis idem signi¬ ficatile; sed nullus
tanta amentia ignorantiac excaecatus est, qui aliquam harum vocum „essentia,
est, ens** in illa significalione retenta, in qua creaturis convenit, Deuni vcl
essenliam divinam significati praesumut, e via dicendo [Su Rob. da Melun, v.
ora Uebervveg-Geyer, p. 272 e 276-8], «*) Riprodotto a stampa nel voi. delle
Opere di Boezio, ed. di BasUea 1570, p. 1128-1273 [PL, partito da una
conoscenza intrinseca dei principii ivi con¬ tenuti, bensì si limita ad
aggirarsi entro l’orbita, più ri¬ stretta, della logica scolastica generalmente
in uso 4S0 ). Mentre anch’egli ci mostra il singolare spettacolo della
contraddizione, onde da un lato si fa sfoggio di tutto l’acume logico nella
discussione sopra la Trinità (v. tut¬ tavia la nota 478), e intanto, dall’altro
lato, si mantiene ima separazione assoluta di Dio e del mondo della na¬ tura, —
semiira in verità che, sul compito e la posizione della logica, egli non sia
stato in se stesso del tutto chiaro. Nè si può in Gilberto, neanche allo stesso
modo che in Abelardo, distinguere le sfere della ontologia e della logica, ma,
a mal grado di tutto il suo fondamentale tono realistico, egli accetta con
piena ingenuità e senza incertezze il principio della funzione della
espressione lin¬ guistica umana; poiché l’eccitazione della intelligenza egli
la fa dipendere affatto ugualmente, ripetendo un detto di Boezio, dalla
proprietà delle cose, altrettanto che dal significato costituito delle parole
45 . 7 ): e se alla stessa ma¬ niera trova la qualità del giudizio nella
successione delle cose e delle parole, o nella modalità della espressione, —
ciò che potrebbe rammentarci Abelardo : v. le note 318, 327, 330 —, e con
questo richiama energicamente l’at¬ tenzione sopra la forma verbale 458 ), —
egli torna da capo 156 ) Così p. es. a p. 1185 [1315] egli ricorda la
differenza tra sil¬ logismo ed entiinena, a p. 1187 [1317] la« dialecticorum
omnibus nota topica generalis, », a p. 1225 [1361] la «regula dialeclicorum [de
conversione] », ap. 1187 [1317] la «concepito communis », a p. 122 1 [1360] il
« conceptus non entis [rectius : ejus quod non esl] » (p. es. i Centauri), a p.
1226 [1362] il nihil come nomea infinitum. e via di¬ cendo: c anche la menzione
che fa de’ sei sofismi (p. 1130 [1258]) può averla attinta alla stessa fonte
che Abelardo (v. sopra la nota 7). 457 ) Cum in aliis inlelligenliam excilel
rei certa proprietas, aul certa vocis positio, ctc. Trio quippe sunt. res, et
intellectus, et sermo. Res intellectu concipitur, sermone significatur (Boezio,
p. 296 [toc. tilt. cit. (alla nota 436),
p.20:PL, 64, 402]: v. la Sez. XII, nota 110). 45s ) p. 1130 [1258]: Qualitas
autem orandi vel in rerum atque die- tionum consequentia. vel in earumdem
tropis attenditur. logica in occidente a collocare il contenuto filosofico, che
6 considerazione approfondita della proprietàs rerum, immediatamente ac¬ canto
alle loqttendi rationes, che son di competenza della logica, e in pari tempo
accanto a, momenti gram¬ maticali, e a quelli sofistici, e a quelli retorici •
). fb) concetto di sostanza. Teoria delle formae nativae]. - Pertanto Gilberto,
nelle questioni riguardanti la relazione della obbiettività ontologica con la
subbie»,vita logica, è persino ancor più ingenuo che non fosse stato lo Scoto
Eringena: ma invece, dal primo di tal, punti d, vista, cioè dal lato
obbiettivo-ontologico, il concetto, ond eg i prende posizione tra gl’indirizzi
che si contrastavano nella contesa intorno agli universali, è il concetto d,
sostanza; e se la sua posizione ci mostra punti d, contatto essenziali con altre
correnti, questa è appunto una prova novella dell’incrociarsi delle opposte
tendenze in vari punti nodali. . Nel concetto di sostanza che, in maniera
omnicom¬ prensiva, va considerato come genere supremo d, tutti gli esseri, così
corporei come incorporei, Gilberto distingue cioè, conforme al punto di vista
della terminologia teologica (ossia dtel Pseudo-Boezio), due aspetti, onde m un
essere viene designata quale g ua sostanza così que ch’esso è (quod est -
subsistens), come anche ciò, per cui esso è quel che è {quo est - subsistenUa)
). Ma ora, m # [1406]: Quia omnis dictio diversa significa,, quid e, de quo
diligens “ u,U X 1246 113831: Ne ergo lectorem decipere possit aliqua dictio,
«Hfndat ; ^ locis am siderans, de tot signifi- irSX’lSto pertinet,
convenientium illi rationum admt- nÌC ‘t i'X 2 [1281]: Hoc nomea, quod est
..substa,aia“ non a pe- _-\ d. 1145 112741: Subsistentia causa est, ut id, quod
per eam est aliquid, suis propriis sit subjectum. — p. 1175 [1305]: Quoties
enim subsistens ex subsistentibus conjunctum est. necesse est, ejus totum esse,
i. e. Ulani qua ipsum perfectum est subsistentiam, ex om¬ nium parlium suarum
omnibus subsistenlus esse conjunctam. concetti ili genere e di specie hanno un
altro essere da quel delle cose stesse; poiché i primi hanno appunto so¬
lamente l’essere della sussistenza, e invece le seconde hanno l’essere, come
soggetti e sostrati degli attributi uni¬ ficati nella sussistenza 4 ' 0 ). E
così il pensiero intende i concetti generici e specifici, come gli universali
di fronte alle cose particolari, argomentando, con un atto di met¬ ter assieme
(colligere), dagli oggetti particolari concreta¬ mente esistenti, ai quali
ineriscono gli attributi, l’es¬ sere della sussistenza 471 ); e da tale punto
di vista poi le cose naturali, rispetto alla sussistenza del genere e della
specie, alla quale [sussistenza] partecipano, come le cose singole partecipano
all’essere sostanziale, vengono significate con i nomi di specie e di genere,
del pari che gli attributi vengono enunciati come predicati, e, anche
denominativamente, la sussistenza stessa viene chiamata soggetto 472 ). Ma,
come il concetto del metter assieme ( collectio ), for- 47,) ) Genera et
species, i. e. generales et speciales subsistentiae, subsistunt tantum, non
substanl vere.Ncque enim acci- denlia generibus speciebusve contingunt. Ut quod
sunt, accidentibus debea ni (il concetto di accidens, qui come dappertutto, è
preso in tal senso da comprendere, di fronte alla sostanza, tutte nove le altre
categorie).... Individua vero subsistunt quidem vere.... Informata enim sunt
jam propriis et specificis differentiis, per quas subsistunt. Non modo autem
subsistunt, veruni etiam substanl individua, quoniam et accidentibus, ut esse
possitit, ministrant : dum sunt scilicel subjecta.... accidentibus. 471 ) p.
1238 [ 1371—5] : Essentiae in universalibus sunt, in partimi- laribus substant
. Subsistentiae [così il Prantl, ma nelle ediz. cit. : substantiae] in
universalibus sunt, in parlicularibus capiunt substan- tiam, i. e. substant....
Universalia, quae intellectus ex parlicularibus colligit, sunt, quoniam
particularium illud esse dicuntur, quo ipsa particularia aliquid sunt.
Particularia vero non modo sunt, quod utique ex hujusmodi suo esse sunt, veruni
etiam substant. 472 ) p. 1137 [1265]: Ad generales quoque et speciales
subsistcn - tias, quae subsistentium, in quibus sunt. esse dicuntur, eo
quodeis, ut sint aliquid, conferunt, ejusdem nominis, i. e. matcriae, alia fil
denominatio. — p. 1140 [1269]: Essentia est illa res, quae est ipsum esse, i.
e. quae non ab alio lume mutuai dictionem, et ex qua est esse, i. e. quae
caeteris omnibus eamdem quadam extrinseca partici- patione communicat .... Namque
et in naturalibus omne subsislen- maluiente usato da Gilberto per dar una
definizione del genere 473 ), lo abbiamo di già incontrato più sopra nella
teoria della indifferenza (nota 136), in Gausleno (nota 146) e nell’autore
dello scritto De gen. et spec. (nota 162), — così Gilberto associa a questo
concetto, ispirandosi a ve¬ dute realistiche, una concezione, da lui designata
con le espressioni « substantialis similitudo » o « conjormantes subsistentiae
», ma di preferenza con il termine, che ri¬ corre in lui così frequentemente,
di« conjortnilas», anche esteso ai nomi delle cose 471 ); nè può qui
disconoscersi tinnì esse ex forma est, i. e. de quocunque subsistcnte dicitur «
est », formar, quam in se habet, participatione dicitur. — p. 1141 [ 1270J :
Omnia de subsistente dicuntur : ut de aliquo homi/ie tota forma substanliae,
qua ipse est perfectus homo, et omne genus omnisque dif- fercntia, ex quibus
est ipsa composita, ut corporalitas et animatio, ...et denique omnia, quae vel
loti illi formae adsunt, ut humanitati risi- bilitas, vel aliquibus partibus
ejus. — p. 1145 [1274]: Quoniam... subsistentia causa est, ut id quod per eam
est aliquid, suis propriis sit subjectum, ipsa quoque per denomi nalionem
eisdcm subjecta dici¬ tur, et eorunUkm materia.... (p. 1146 [rectius : 1142
(1270)]): et ideo gerteraliter cum qualitalibus qualitas ....dicitur, et cum
solis albedini- bus specialiter albedo. Atque adeo multa sunt. quae de. istis
dicuntur : ut saepe etiam efficiendi ralione a coaccidentibus ad ea, quibus
coacci- dunt, denominativa transsumptio fiat. Ut « linea est longa, albedo est
clara». — p. 1199 [1329]: Hoc igitur, quod* habet a sua substantia, nomea, ad
ea, quae ex ipso [il Pranll legge: ipsa] fluxerunt, denomi¬ native transsumptum
est. 473 ) p. 1252 [1389]: Genus vero nihil alimi putandum est, nisi
subsistentiarum secundum totam eorum proprietatem, ex rebus secun¬ dum species
suas differentibus, similitudine comparata collectio. 174 ) p. 1135 [1263] :,l)iversae,...
subsistentiae, ex quartini aliis homines, et ex aliis equi, sunt ammalia, non
imitationis vel imaginaria, sed substantiali similitudine ipsos, qui secundum
eas subsistunt, fa¬ cilini esse conformes. — p. 1136 [1263 s.] : Dicuntur etiam
multa sub¬ sistentia unum et idem, non naturar unius singularilate, sed multa-
rum, quae ralione similitudinis fit, unione ....Ilio, quae divcrsarum nnlurarum
adunai conformitas, genere vel specie unum dicuntur .... Tres homines.... neque
genere ncque specie, i. e. nulla subsistentia¬ rum dissimilitudine, sed suis
accidenlibus dissimilitudinis distant . Sunt conformantium ipsos
subsistentiarum numero plures. — p. 1175 [1305]: Conformitate aliqua.... plures
homines dicuntur unus homo. — p. 1192 [1322]: Secundum proposìtae naturar
plenitudinem.... di¬ citur substantialis similitudo : qualiter album albo
simile est, et homo homini. — p. 1194 [1324]: Tales sunt omnes differentiae
illae, quae- [cunque] rei huic generalissimo proxime cum ipso quaedam
contrae-l’affinità con la« similia creatio» del libro De gen. et spec. (nota
163), e particolarmente con la « consimilitudo » di Abelardo (nota 299) ; ma è
degno di nota che il termine « indìfierentia », che pur doveva offrirglisi
affatto sponta¬ neamente, Gilberto lo usi esclusivamente a proposito di
discussioni teologiche intorno alla Trinità « 5 ), e che pur si serva invece,
così per sostanze come per attributi, del termine « identitas» 47B ). In
generale egli intende questa virtù formativa degli universali in senso
realistico, a tal punto, che, p. es., non solamente la bianchezza, ma anche la
unità appare a lui come una tale forma, la quale deve, qualunque sia il
predicato, cooperare per far del soggetto di esso una cosa 477 ): e, mentre con
ciò si trova esposto alla obiezione sopra citata (nota 438) : ed è possibile che
fosse diretta proprio contro Gilberto), arriva qui a sta¬ bilire una
distinzione, utilizzabile per la questione della Trinità, ma poi da capo
violentemente combattuta da altri, fra la unità e 1’ Uno, o in generale tra gli
aggettivi numerali e le forme ideali che stanno loro a fondamento — in quanto
che quelli posson essere predicati soltanto delle fiorii similitudinis
consumimi genera, quae a logica.... subalterna vo- canlur ■ vel subalterna
similiter adhaerentes, quamlibet siib ipsa Sub- sistentiam specialem componunt-
p. 1231 [Ì370]: ffomo subsistentia spedala, quae est hujus nomina qualità» una
uulan conformilate, sed plures essenliae singulantate, de singola honuni-
bus.... Parimente p. 1251 [?}» 1262 [1399], ecc. |9Q0) in ) Così, p. es., p.
1134, 1152 e 1169 [1262, 1280 e 1-99]. 4tg\ p H 69 [1299]: Identitate
unionis.... homo idem quod nomo est. Nam'piato et Cicero unione speciei sunt
idem homo. .. auae ex proprietate est unitatis |Prantl legge: propnetata est
unitale ], q “ra,ion P ale P idem quod rationate est, eduli anima hommu, et,pse
homo, non unione speciei, sed unitale propnetata, sunt unum ra donale. [ 1309
]: Vnilas omnium.... praedicamentorum Comes est. Narri de quocunque aliquid
praedicatur, idpraticato ?“**'” «* hoc, quod nomine ab eodem sibi indilo, et
verbi iubifonm'i compos.- tione ... esse significata, sed unitale,psi
cooccidenfe esf um m ul album albedine quiden, album est, sed un,late
cocce,dente albedim, unum, et simul albedine et ejus comite annate est album
unum. cose concrete, che appunto sottostanno all’azione forma¬ tiva degli
universali ideali 478 ). Ma poi al concetto di conjormitas si associa inoltre
an¬ che un modo d’ intendere, secondo il quale nell’ individuo tutte le
determinazioni possibili sono unificate per tal maniera, che esso, nella
totalità della sua sussistenza (cfr. la nota 462), non è conforme a nessun
altro essere, e per¬ tanto la individualità consiste in questa dissimiglianza
di essenza, mentre all’ incontro tutto quel che c’è di non¬ individuale si
fonda sopra una somiglianza, e può per¬ tanto venire compartito ne’ suoi modi
di manifestarsi, individuali e concreti, che in esso sono simili, ma tra loro
son dissimili: concezione questa, che Gilberto carat- 47S ) p. 1148 [1277]:
Quod est unum, res est unitali subjecta, cui scilicet vel ipsa unilas inest, ut
albo : rei adest, ut albedini. Unitas vero est id, quo ipsum, cui inest, et
ipsum, cui adest, dicimus unum: ut album unum, albedo una. liursus ea, quae
dicimus esse duo, in re¬ bus sunt, i. e. res sunt dualitati similiter
subjcctae, quae dune sunl.... ldeoque non unitas ipsa, sed quod ei subjeclum
est, unum est ; nec dua- litas ipsa, sed quod ei subjectum est, recle dicitur
duo . Nani vere omnis numerus non numeri ipsius, sed rerum sibi suppositarum
est numeriti. Ma che in generale persino questo sforzo, ispirato alla più
stretta ortodossia, abbia raccolto poca gratitudine dalla parte di vari altri
teologi, lo desumiamo dal fatto che, come riferisce il Du Houlay, Il istoria
Universitatis Parisiensis, I, p. 404 [rectius : p. 402 ss.: y. inoltri ibid. p.
741, e particolarmente p. 200], il Priore Gualtiero di S. V ittore compose egli
stesso uno scritto contro i« quat¬ tro labirinti di trancia» [Contro qualtuor
labyrinthos Franciae : lo scritto si suol citare appunto con questo titolo],
cioè contro Pietro Lombardo (v. sopra le note 41 ss.), Abelardo, Pietro da
Poitiers e Gilberto; da manoscritti di tale opera (conservati nella Biblioteca
di S. Vittore) il Launoi, de varia Aristot. in Acad. Paris. Jori., c. 3. p. 29
[p. 189 della ediz. di Vittemberga, 1720], comunica il passo seguente: Quisquis
hoc legerit, non dubitabit, qualuor Labyrinthos Franciae, i. e. Abaelardum et
Lombardum, Pelrum. Pictavinum et Gilbertum Porretanum. uno spiritu Aristotelico
afflalos, dum ineffa- bilia Trinitatis et Incarnationis scholastica levitate
tractarent, mul- tas haereses olim vomuisse, et adhuc errores pullulare [Cfr.
UEBERtYEG— Geyer, p. 271]. Maggiori particolari sopra questo alterco fra teo¬
logi sono stati riferiti dall’UsENER nei Jahrbiicher fiir protestanti- sche
rheologie, voi. V (1879), p. 183 ss. [« Gislcbert de la Porrée» è il titolo
della nota, riprodotta nel IV voi. della raccolta delle Kleine Schriflen
dell’Usener, Lipsia terizza scegliendo, per i così detti nomina appellativa, il
termine « dividila », che troviamo qui per la prima volta, e, per i così detti
nomina propria, il termine « indivi¬ dua » 479 )- Per la logica, una maniera di
trarre partito da questo realismo ontologico consiste nell’andar su e giù per
la Tabula logica, come si fa, secondo il procedimento di Boezio, nella
definizione e nella divisione 48 °) : consiste per¬ tanto nella funzione
predicativa, inquantochè quel che dal predicato si predica, relativamente alle
cose concrete, non è mai l’essere concreto per se stesso, ma solamente la
essenza, cioè la sussistenza e gli attributi essenziali 481 ): vale a dire che
il realismo di Gilberto trova la propria espressione in ciò, ch’egli considera
tutte le categorie come le causalità reali del loro manifestarsi nelle cose concrete,
e le designa pertanto come sommi generi non dei 47 9\ y 1164* 112941: Si enim
dividuum facit similitudo, consequens est ut individuimi dissimilando. - p.
1236 11372]: Homo et sol a Grammatici appellativa nomina, a Dialeclicis vero
dividila vocantiir Plato vero et eius singularis albedo, ab eisdem Grammatica
propria, a Dia lecticis vero individua. Sed horum homo tam aclu quam natura
appella tivum vel dividuum est; sol vero natura tantum, non aclu. Multi nam que non modo natura,
verum etiam actu, et fuerunt, et sunt, et sant, subslanliali similitudine
similes hommes. Pestai igitur, ut illa tantum sint individua, quae ex omnibus
compo¬ sita. nullis aliis in loto possimi esse conformia, ut ex omnibus, quae
et actu et natura fuerunt vel sunt vel futura sunt, Platoms collecta Ha-
tomtas. 112g jj 255 j. Sia* in diffinitiva
demonstratione specie» aenere, sic in divisiva genus specie declaratur. Nulla
species de suo genere praedicatur» in diffimtionum genere verum est; itero «
orarti* species de suo genere praedicatur » in divisto- num genere verum est.,
48 i\ p. 1244 [1381]: Nunquam enim id, quod est, praedicatut % sea. esse et
quod illi adest, praedicabile est, et sine tropo, non msi de eo, quod est. (Se
Gilberto con queste parole designava ì giudizi pura¬ mente esistenziali come
inconcludenti, si metteva con ciò da capo in contrasto con certi teologi: v.
Otto Frisino, de gest. Fnd.. I, 52 n. 437, ed. Urstis [MGH, XX, p. 379-80]:
Erat quippe quorun- da'm in logica sententia, [quod.] cum quis diceret,
Socratem esse, nihil diceret. Quos praefatus episcopus [intendi appunto 1
episcopus (i tc- taviensis) Gisilbertus ] seclans, talem dicti usuro haud
premeditate „d theologiam verterà!).
predicati ma degli oggetti, si che per conseguenza la ja- cultas logica
contiene semplicemente un ricalco della realtà 482 ). Ma, su questo punto, non
si limita a distin¬ guere le categorie, alla solita maniera, onde quella della
sostanza si contrappone a tutte le altre nove, bensì que¬ ste ultime si
dividono a lor volta, secondo che appar¬ tengono all’ intima essenza, o han per
contenuto sola¬ mente una relazione estrinseca 483 ) ; cioè, qualità e quan¬
tità, che appartengono alla « natura» (nota 461) o alla sussistenza, servono
perciò ancora a predicare il vere esse, laddove le altre sette categorie, —
inclusa dunque pur quella della relazione —, esclusivamente ricadono nella
sfera degli status e delle loro esterne mutevoli circostanze (status : cfr.
circumstantia in Boezio, Sez. XII, nota 166) «“). 4S2 ) p. 1173 [1303]: Ilorum
nominum illa significata, quae diver- sis rationibus Grammatici qualilates,
Dialectici cathegorias, i. e. prae- dicamenla, vocant, praedicantur
substantialiter, — p. 1153 11281-2]: Qualilas ....omnium qualitatum
gcneralissimum est, et quantilas om¬ nium quantilatum.... Ideoque qualitas est
qualitas genere cujuslibet qualitatis, quale vero est quale qualitate
cujuslibet generis.... Sirni- liter nullum, quod est ad aliquid, relatio est.
et nulla relatio est ad ali- quid. Sed.... id, de quo ijJsa dicilur, est ad
aliquid.... Ubi quoque, et quando, et habere, et situm esse, et Jacere, et
pati, rwmina sunt gene¬ ralissima, non eorum quae praedicantur, sed eorum de
quibus prae¬ dicantur.... Ilaec igitur praedicamenta talia sunt relationibus
logicae jacullatis, qualia illa subjecta, de quibus ea convenit dici,
permiserint. — p. 1146 [1274]: Caeteras, quae in corporibus sunt, vocantes
formas, hoc nomine abutimur, dum non ideae, sed idcarum sint eìxóveq, i. e.
imagines, quod ulique nomen eis melius convenit. Assimilantur enim.... quadam
extra substantiam imitatione his formìs, quae non sunt in materia constitutae,
sinceris) p. 1153 [1282]: Quidquid hoc est subsistentium esse; eorundcm
substantia dicilur. Quod ulique sunt omnium subsistentium speciales
subsistentiae, et omnes ex quibus hae compositac sunt, scilicet, eorum- dem
subsistentium, per quas ipsa sibi conformia sunt, generales, et omnes, per quas
ipsa dissimilia sunt, dijjerentiales.... Accidenlia vero de illis quidem
substantiis, quae ex esse sunt, aliquid dicuntur, sive in eis creata, sive
extrinsecus affixa sint, sed eis tantum, quae esse sunt, accidunt. 484 ) p. 1156
[1285]: Ilare quidem, i. e. subslantiae, qualitates, quantitates, sunt talia,
quibus vere sunt, quaecunque his esse propo- nuntur, ideoque recte de ipsis
praedicari dicuntur. Reliqua vero sep- [d) lo scritto De sex principiis:
un'abborracciatura]. — Ma proprio quest’ultimo argomento ci porta a prender in
esame lo scritto di Gilberto De sex principiis, un pasticcio veramente pietoso,
che fu già commentato da Lamberto da Auxerre (v. la Sez. XVII, nota 116), e
poi, in conse¬ guenza dell’autorità goduta da Alberto Magno (ibid., note 439
s.), venne a essere tenuto in così grande conto da essere formalmente
incorporato aH’Organon 485 ). ivi c’ imbattiamo novamente (cfr. la nota 461)
nel concetto di essere sostanziale, nel quale risiede la forma di un in¬ trecciarsi
degli elementi della essenza 486 ) : e a tale pro¬ posito si fa la
osservazione, la quale, come più sopra (nota 464), resta senza motivazione, che
cioè dalla sin¬ golarità delle cose concrete il pensiero trae fuori e in¬ tende
quell’elemento, cb’è, nella sua unità, commune e universale 487 ). Ma poi si
passa a considerar le categorie. lem generai» accidentia.... [non] vera essendi
rationc praedicantur. Narri.... extrinsecis scilicet eircumfusus et
determinatili minime prae- dicaretur, si non prius suis esset per se propri
elalibus informatili. — p. 1160 [1290]: Sic ergo praedicatio alia est, qua vere
inhaerens inhaerere praedicatur ; alia, quae quamvis forma inhaerentium fiat,
tamen ila exterioribus datur, ut ea nihil alieni inhaerere inlelligatur. Caetera
vero (cfr. la nota 461). quae de ipso no- turaliter dicuntur, quidam ejus
status vocantur, eo quod nunc sic, nunc vero aliler, rctinens has. quibus
aliquid est, mensuras et qualitalcs et ma¬ xime subsistentias, statuatur....
Situ, vel loco, vel Inibita, vel relatione, vel tempore, vel actione, vel
passione slatuitur. Cori, quanto alla cate¬ goria della relazione, vien detto
inoltre, nella forma più esplicita, a a p. 1163: relativa praedicatio
....consislil.... non in eo, quod est esse. 485 ) In conseguenza del suo
accoglimento neH’Organon, è stato stampato in quasi tutte le più antiche
traduzioni latine di Aristo¬ tele; io cito dal voi. I delle Opere di Aristotele
in versione latina, Venezia 1552, in fnl. [Qui s’includono tra parentesi quadre
i riferi¬ menti al testo accolto nella PL: cfr. più sopra la nota 21]. 4S “)
Cap. 1, f. 31, v. A: Forma est compositioni contingens, sim- plici et
invariabili essentia consistens.... Substanliale vero est, quod conferì esse ex
quadam composilione compositioni, ut in pluribus, quod impossibile est deesse
ei [PL, 188, 1258—9]. 487 ) f. 31, v. B: Sicut ex plurium partium coniunclionc
constitutio quaedam primorum excedens quantitatem ejfìcilur, sic ex singularium
discretione unum quoddam intelligilur. eorum excedens praedicatio- nem. — Così
anche [Cap. 2], f. 32, r. B: omnes quidem homines eius hominis. qui communis
est, et universale con quella stessa dicotomia (note 483 ss.) di categorie in¬
trinseche ed estrinseche, ma con questa differenza tutta¬ via, che cioè qui la
categoria della relazione non viene ora più annoverata fra le categorie
estrinseche, bensì questo gruppo viene a esser costituito dalle ultime sei
categorie soltanto (actio, passio, ubi, quando, situs, ha- bere) : e poiché
delle prime quattro categorie ha di già parlato a sufficienza Aristotele,
Gilberto vuole trattare ora più compiutamente appunto di queste altre sei 488
). Sodisfa cosi un bisogno, che abbiamo veduto di già mani¬ festato piu sopra
(note 18 e 344): e qualificando Gil¬ berto, con la sua mania realistica, anche
queste categorie come « principia» (cfr. le note 477 e 482), tale suo scritto,
privo di senso comune, venne ad assumere più tardi, an¬ che in considerazione
del suo titolo, una cosi grande im¬ portanza, da esser accolto per cosi dire
nelFOrganon come sua parte integrante. [e) i sei « principii»: actio, passio,
quando, ubi, si¬ tus, habitus]. — Per prima cosa vien definita l 'actio, e, con
il più netto dualismo tra azione corporea e azione psichica, la si qualifica
come legata da relazione di reci¬ procità con il concetto di movimento 489 ) :
a ciò fa seguito la osservazione che la particolarità delazione ha per 4#8 )
[Cap. 2], f. 32, r. A: Eorum vero, quae contingunt exislenti, singultirli aul
extrinsecus advenit, aul intra subslanliam consideratur simpliciler : ut linea,
superficics, corpus. Ea vero, quae extrinsecus contingunt, aut actus, aut pati,
aul dispositio, aut esse alicubi, aul in mora, aut habere necessario erutti.
Sed de his, quae subsistunt, et quae non solum in quo existunt exigunl, in eo
qui « de Categoriis» libro inscribilur, disputatimi est: de reliquis vero
continuo aeamus [1260], * 4S “) Cap. 2, ibid. : Actio vero est, secundum quam
in id, quoti sub- iicitur, agere dicimur.... Differunt autem, quoniam ea, quae
corpo- ris est, rnovens est necessario illud, in quo est,.... actio autem
animae non id movet, in quo est, sed coniunclum : anima enim, dum agii, im¬
mobile est.... Omnis ergo actio in mota est : omnisque motus in actione
firmabitur sua proprietà (li produrre la passio, e che pertanto l'actio è il «
principio » primordiale 49 °): a questo punto il concetto di « jacere » viene
applicato anche a tutte le rimanenti categorie in ima serie di affermazioni che
son delle più aride e peggio fondate 491 ) : e secondo il modello delle quattro
prime categorie si fa vedere, anche nel jacere e nel pati, il rapporto di
contrarietà e la gradua¬ zione di più o meno 492 ). Ma poi viene,
ciononostante, in secondo luogo la pas¬ sio, dandosi per essa rilievo alla
varietà di accezioni di questo termine 493 ). Viene appresso presentata, in
terzo luogo, la catego¬ ria del quando, la quale è bensì afline al tempus, ma
pur se ne distingue, in quanto che i tre tempi, passato e pre¬ sente e futuro,
non son già un quando, ma sono solamente un effetto e una proprietà, conforme a
cui qualche cosa viene denominata come passata e via dicendo (v. alcun¬ ché di
simile alla precedente nota 194); inoltre nulla può misurarsi secondo il
quando, ma secondo il tempo sì 494 ). 49 °) f. 32, r. B: Naturqlis vero actionis propnetas est,
passionem ex se in id, quod subiicitur, inferre : omnis enim aclio passionis
est effectiva.... Et sic actus quidem est primordiale principiata [1261]. 491 )
Ibid.: Facere vero id, quod quale est, ex se gignit.... Quanti- tatum vero
particularium positio effectrix est, et qunlilatum uni¬ versa enim liaec a situ
substantiam et generalionem kabent.... Situs
autem, agere et pati : in dispositionis nonuple compositione quaedam generalio
simplicium fil, quam in motiva actione consistere necesse est. Quando vero
tempus. Ubi vero locus. Habere autem corpus : ea enim, quae circa corpus sunt,
habere dicuntur [1261], 492 ) Ibid.: Recipit autem facere et pati
contrarielalem, et magis et minus : secare enim ad plantare contrarium est....:
et calefieri magis et minus dicilur [1261-2]. 493 ) C. 3, f. 32, v. A: Passio
est effectus illatioque actionis.... Est autem pati eorum, quae multipliciter
dicuntur : animae enim actio- num unaquaeque passio dicitur.... Dicilur quoque passio, quod in naturam agii : ut
morbus.... Ea vero, quae nunc relinquuntur, in eo qui est « de Generatione»
libro tractanlur (questa citazione è presa da Boezio [in Ar. praed.. Ili: PL,
64, 262], p. 190). 494 ) C. 4, ibid. : Quando vero est, quod ex adiacentia
(cfr. la nota 504) temporis reliquitur. Tempus vero quando non est, utriusque
autem ratio coniuncta est, ut tempus quidem praeteritum quando non est, A ciò
fa seguito, come il colmo della stupidità, la indica¬ zione di una differenza
tra quando e ubi, in quanto che il quando del presente, in pari tempo che
l’istante stesso, è in eodem, ciò che non si verifica per Vubi 49S ), e cosi
pure ima divisione del quando e del tempus in semplici e in composti 496 ), e
infine la notizia che la relazione di contrarietà, e di più o meno, non ha
luogo nel quando 497 ). Quarto viene ora ubi, e qui si presenta la distinzione
analoga tra ubi e locus 498 ): e alla impossibilità che due cose sieno in uno
stesso luogo o una stessa cosa in diversi luoghi, si collega anche la
controversia sopraccennata (nota 203) circa la propagazione del suono); anche
Vubi vien distinto in semplice e in complesso, e si esclude che, rispetto ad
esso, abbia luogo la relazione di più efeclus autemcius, et affectio, secundum
quarti dicilur aliquid fuisse, quando est. Instans autem quando non est, sed
secundum quod ali- quid aequale, tei inacquale est: eius autem affectio,
secundum quam aliquid dicilur in instanti esse, quando est. Futurum similiter tempus quando
non est. — f. 32, v. B: Distai autem et tempus ab eo, quod quando: quoniarn
secundum tempus aliquid est mensurabile : ut mo- tus animus.... Al vero secundum quando ri ih il mensuratur, sed ali-
quando dicilur esse [1262]. 4 96 ) f. 32, V. B : Differì enim quando ab eo,
quod est ubi : quoniarn in quocunque, tempus est vel fuitvcl erit, in eo quidem
quando, est vel fuit vel erit, quod secundum idem tempus dicilur: quando enim,
quod exislenti est, curn ipso instanti est, et simili in eodern sunt.... Ubi
vero et locus, a quo est, vel fit, nunquam simili in eodem : ubi enim in
circumscriptione est: locus autem in compicciente [1263], 19a ) Ibid. : Quando
....sicut autem et tempus, aliud quidem compo- situm est, aliud vero simplex.
Est autem compositum, quod in compo¬ sita anione consista: simplex vero, quod
cum simplici procedit [1263], 497 ) Ibid.: Inest autem quando, non suscipere
magis et minus.... Amplius quando nihil est contrarium) C. 5, f. 33, r. A: Ubi
vero est circumscriptio corporis, a circum¬ scriptione loci proveniens. Locus
autem in eo, quod capii, est, et cir- cumscribit.... Non est autem in eodem
locus et ubi: locus enim in eo, quod capii, ubi vero in eo, quod
circumscribitur et complectitur [1264]. 4 ") Ibid, : Nequaquam igitur duo in eodem loco
esse simul pos- sunt, nec idem unum in diversis.... Movet autem quis quaestionem f
orlasse, idem in diversis et pluribus concludens ; etenim vox in auri- bus
diversorum est.... Confiteli oportel
omnino, urtarti particulam aeris ad aures diversorum pervenire.... Relinquitur
igitur, diversum sensum esse imaginabiliter se generanlium, et similiter
[1264-5]. o ili meno, e così pure quella di contrarietà, a proposito della
quale l’Autore persino espressamente si riferisce ai concetti di sopra e di
sotto 50 °). Quinto segue situs, ovvero la categoria, come la chia¬ ma
Gilberto, della positio, intesa secondo il realismo più rozzo possibile, sicché
tutte le particolari manifestazioni di questa categoria, nel cui novero vengono
compresi, p. es., anche lo scabro e il levigato (cfr. la nota 193), sono
considerate soltanto come espressioni derivate 501 ); si contesta che questa
categoria comporti opposizione contraria, e ciò perchè i contrari appartengono
soltanto a un medesimo genere, e invece lo star seduti e il gia¬ cere vanno
assegnati a generi differenti, in quanto che soltanto esseri ragionevoli
possono star seduti, laddove gli altri stanno a giacere 502 ); e mentre qui è
inammissibile an¬ che la relazione di più o di meno, questa categoria va messa
nella più stretta connessione con quella della sostanza, pro¬ prio in essa
trovando le sostanze il loro ordinamento 503 ). Ml °) f. 33. r. B: Ubi autem.
aliud quidem simplex, aliud vero com- posilum. Simplex quidem, quod a simplici
loco procedit : composilum autem, quod ex composito.... C.arct autem libi
inlenlione et remissione : non enim dicitur alterum altero magis in loco esse
vel minus.... Inesl autem ubi,
nihil esse contrarium.... Sursuni enim et deorsum esse contraria pluribus
videntur.... Conlingit autem contraria in eodem esse.... Si enim sursum esse et
inferius esse contraria sunt, cum idem sursum et deorsum sit, colligitur, idem
sibimet contrarium fieri [1265]. 601 )
C. 6, f. 33, v. A: Positio est quidam parlium situs, et genera¬ ti onis
ordinatio, secundum quam dicuntur stantia vel sedentia.... Se¬ dere autem et lacere
positiones non sunt, sed denominative ab his dieta sunt. Solet autem quaestio
induci de curvo et recto, aspero et leni.... Non sunt autem positiones ea, quae dieta sunt omnia,
sed qualia circa situm existentia [1265-6]. 60S ) Ibid. : Suscipere autem
videtur situs contrarietates : nam sedere ad id quod stare contrarium esse
videtur.... Ponentibus autem nobis, haec contraria esse, inconvenientia
recipere cogimur, hoc, quod unum sit contrarium plurium.... Amplius autem
conlrariorum quidem ratio est, circa idem natura existere. : sedere enim et
iacere non circa idem natura sunt seiuncta : est enim sedere proprie circa
ralionalia, iacere vero et accumbere circa diversa) f. 3, V. B.: Proprium autem
positionis, ncque magis neque mi¬ nus dici.... Magis autem proprium videtur
esse positionis, substantiae Riinane poi ancora in sesto luogo Vhabitus,
categoria identificata con il concetto di adiacentia, già familiare a noi, che
conosciamo Abelardo (nota 284) 504 ); quando poi si legge che per habere la
relazione di più o di meno è, di regola, ammissibile, ma talora, come, p. es.,
nel caso dell’« esser vestito », è inammissibile, e che in questa categoria non
sussiste contrarietà, perchè esser armato ed esser calzalo non sono opposti 505
), — anche ciò rende sufficiente testimonianza del talento logico dell’Autore;
come particolarità di questa categoria, viene indicato il fatto che essa
rimanda sempre a una pluralità, il che può, soltanto per certi rispetti,
ripetersi anche per le categorie della quantità e della relazione 508 );
finalmente vengono citate ancora cinque accezioni differenti del ter¬ mine
habere 507 ). [f) la controversia intorno al magis e al minus]. — Ma venuta poi
a una conchiusione questa disamina dei « prin¬ cipi » 508 ), fa ancor seguito
una trattazione speciale del proxime assistere, omnibus qiiidem aliis/ormis
suppositis. Posilio autem nihil aliati est. quatti naturalis ipsius subslantiae
ordinatio [1260]. S04 ) C. 7, f. 33, v. B: Habitus est corporum, et eorum quae
circa corpus suoi, adiacentia : secundum quam hoc quidem habere, illa vero
dicunlur halteri. Haec autem non
secundum totum dicunlur, sed se¬ canti uni particularem divisionem, ut armatum
esse [1267], s01i ) f. 34, r. A: Suscipit autem habitus magis et minus :
armatior enim est eques pedite.... In quibusdam autem non videtur, quoti rum
magis et minuspraedicentur : ut vestitum esse, et similia. IIabitui quoque
nihil est conlrarium : elenim armatio calceationi non est contraria [1267], 60
°) Ibid. : Proprium quidem habitus est, in pluribus existere.... In paucis
autem aliis principiis huiusmodi invenies : in quantilate enim solum, et in his
quae ad aliquid sunt, similia reperies.... Habitus autem omnis in pluribus
necessario existit, ut in corpore. et in his quae circa corpus sunl) Ibid. :
Dicilur autem habere multis modis : habere enim dicitur alterationem.... Dicilur etiam ras aliquid habere.... Habere quoque in
membro dicimur,... Dicitui vir uxorem habere, et recipere uxor virum.... Quare
modi habendi, qui dici consueverunt, quinario numero terminan- lur [1267-8],
50s ) Ibid. : Et quidem de principiis haec dieta sufficiant : reliqua vero in
eo, quod de Analylicis est. quaerantur volumine magis et minus ; e qui Gilberto
taglia il nodo della contro¬ versia ricordata più sopra (nota 196), non potendo
l’or- dine delle graduazioni risieder già nella sostanza stessa, poiché questo
urta contro il concetto di sostanza, ma d’altra parte nemmeno negli accidenti,
perchè allora il grado superiore, p. es., di bianchezza dovrebbe consi¬ stere
nell’ampiezza della superficie (!) : donde consegue che il più o il meno
neanche ha la propria sede nell’ima e negli altri insieme, cioè nella sostanza
e ne’ suoi acci¬ denti 509 ). Ma la soluzione positiva, che dà ora Gilberto, ha
questo fondamento, che cioè il magis vel minus con¬ siste nel grado in cui lo
stato di fatto reale sta più vicino o più lontano dall’accezione del termine
che designa la qualità, una graduazione questa che non si manifesta, dove si
tratta di sostanze, per la ragione che la denomina¬ zione delle sostanze stesse
rimane compresa entro saldi confini (in terminis) : tuttavia a tal proposito
viene a confes¬ sare egli stesso quali assurdità sieno queste che presenta,
quando deve aggiungere che una tale saldezza si ritrova tut¬ tavia anche nella
denominazione di talune qualità 51 °). In- 60 “) C. 8, f. 34, r. B: Non ergo
secundum suscipicntium ipsorum Crementum vel decremenlum, cum „magis vel minus
“ aliqua dicuntur. Nulla cnim ratio obviarel dicenti, hominem et animai et
substantiam et caetcra consimilia cum „magis et minus" dici.... Mons eliam
alio monte maior dicitur, cum neuler crescat vel decrescat.... Amplius autem
ncque secundum ea, quae inficiunt. Si enim, secundum magnitudinem albedinis vel
alicuius caelerorum, dicitur aliquid albius aliquo, vel, se¬ cundum parvitatem,
minus album, vel quomodolihet aliter, utique et magis albus equus vel homo, vel
quodlibet aliud albius margarita di- cetur : etenim maior albedinis quantitas
equo accidit quam marga- ritae.... f. 34, v. A: l’atet itaque, nihil secundum,.magis
et minus“ praedicari, ncque secundum suhiecti solum augmentum vel diminutio-
nem, neque secundum accidentis ; quare ncque secundum utrunaue [1268-9], ^ 61
°) 6 34, v. A: Oportet igilur ab alio ea invenire, quae cum „magis et
minus" dicantur. Huiusmodi vero sunt ea, quae. sunt in voce eorum, quae
adveniunt, et non secundum subiecti vel mobilis cremenlum vel diminutionem, sed
quoniam eorum, quae sunt in voce, impositioni pro- pinquiora sunt, sive ab
eadem remotiora sunt : de his etenim cum „ magis" dicuntur, quae
proximiora sunt ei, quae in ipsa voce est, impositioni, cum „minus" autem
de his, quae remotiora consistunt.... Quanto igitur tìne la faccenda mette pur
capo anche alla tesi essenziale, che cioè nella pluralità della realtà materiale
in gene¬ rale, hanno loro proprio luogo il divenire e la relatività 511 ), e F
illogico realista assume poi a criterio per questo campo la espressione
verbale, mentre, per Forbita del vero es¬ sere, possiede nella parola solamente
il ricalco di una idea. Così lo scritto di Gilberto intorno alle categorie ci
porge un documento veramente miserevole, per provare come quell’epoca non fosse
per nulla meno goffa e inetta dei secoli precorsi, tostochè sol si tentasse
mai, senza le dande della tradizione, di muover un passo indipen¬ dente, anche
senza uscir dall’ambito delle cose più sem¬ plici. [§ 36. — Ottone da Freising,
seguace di Gilberto. Lo scritto pseudo—boeziano De imitate et uno]. — Ma quale
seguace di Gilberto, riguardo alla concezione degli universali, ci si presenta
Ottone da Frei- 8 i'n g (nato nel 1109 [rectius : nel 1114 o 1115], morto nel
1158), che alle sue opere storiche intreccia talvolta disgressioni formali di
contenuto filosofico, manifestando in esse, con i modi consueti di espressione,
il suo rispetto di teologo verso Platone, e in pari tempo il conto in cui ad
vocis impositionem accedens puriori inficitur alitarne, tanto et can- didior
assignabitur.... Dubitabit autcni aliquis, quarc haec quidem cum ..magis et
minus LL dicantur, substantiae vero minime : hoc autem con- tingit. quoniam
subslantiarum impositio quidem in termino est, ultra quem transgredi
impossibile est. Additur autem et de accidenlibus qui- busdam, quae sine
..magis et minus “ dicuntur : ut quadrangulus, et triangulus, et similia
[1269], 6U ) f. 34, v. B: In subiecto enim duo sunt. quorum haec quidem
estjorma secundum rationem, haec autem secundum materiam ; quando igitur in his
duobus est transmutatio, generatio et corruptio crii sim- pliciter secundum
veritatem.... Est autem materia
maxime quidem subiec- lum gencrationis et corruptionis proprie susccptibile....
Haec autem hoc aliquid significant et substantiam, haec autem quale, haec autem
quantum. Quaecunque igitur non substantiam
significant, non dicuntur simpliciter, sed secundum aliquid generari tiene la
logica aristotelica 512 ). Come Ottone occasional¬ mente aderisce una volta
alla tesi, che gli esseri concre¬ tamente esistenti formano il contenuto e
l’oggetto dei predicati dichiarativi, laddove i concetti di specie e di genere
vengono predicati, avuto riguardo alla causalità delle cose che ha in essi
fondamento 513 ), — così un’altra volta egli si pronunzia più distesamente
sopra questa relazione, in tutto e per tutto ripetendo la opinione di Gilberto,
con il quale si accorda anche nella espressione letterale ( nativum, natura,
Jorma, con.jorm.is, coadunatio, — « omne esse ex Jorma est» —) 514 ). Nello
stesso senso, 612 ) Chron. II, 8, p. 27, cri. Urstis [MGH, XX, p. 147]:
Sacrale*.... educaviI Platonem et Aristotilem, quorum alter de potentia.
sapientia, bonilate creatoris ac genitura mundi creationevc hominis tam
luculenter, lam sapienter, tam vicine verilati disputai.... alter vero
dialecticae [li- bros] arti* vel primus edidisse, tei in melius correxisse,
aculissimeque ac disertissime iride disputasse invenilur [cfr. il testo della
ediz. Wil- mans (M G II), e ivi l’apparato critico], 61a ) De gest. Frid.
Prolog., p. 405, cd. Urstis [MGH, XX, p. 352]: Sicut enim iuxta quorundam in
logica nolorum positionem, cum non formarum, sed subsistentium proprium sii
praedicari seu declarari. ge¬ nera tamen et species praedicamento transsumpto
ad causam praedi¬ cari dicuntur. Vel, ut communiori utar exemplo, sicut albedo
clara, mors pullida, eo quod claritatis altera, palloris altera causa sit,
appel- latur, etc. (La espressione transsumptio, come pure lo stesso esempio
albedo clara, si trovano in Gilberto, p. 1142 [1270] : v. la nota 472). M4 ) De
gest. Frid. I, 5, p. 408 [354]: Nativum velut natimi aut gemtum, descendens a genuino
(v. la nota 464).... In nalivis igitur omnem naturata seu formam, quac
integrata esse subsistentis sii, vel adii et natura, vel natura sallem
conformem habere necesse est.... Partes aulem hic vaco eas formas (nota 468),
quae ad componendarn speciem aut in capite ponuntur, ut generales, aut
aggregante, ut differentiales, aut eas comitantur, ut accidentales.... [355]
Potei.... humanitatem So- cratis secundum omnes partes et omnimodum effectum
humanitali Plu¬ toni* conformem esse, ac secundum hoc Socratem et Platonem
eundem et unum in universali dici solere (nota 474),... Concretìo etiam in
naturaiibus non solum coadunatione formae et subsistentis. sed ex mol¬ titudine
accidentium, quae substanliale esse comilantur, consideravi po- test (note 464
e 471).... Sunl aliae formae subiectum integrum infor¬ mante*, quae naluram
tantum conformem habenl. Esse quippe soli*, etsi non aclu, natura conformem
habere noscitur. Quare, quamvis plu-
res soles non sint, sine repugnanlia tamen naturae plures esse possunt (nota
479).... (p. 410) Omne namque esse ex forma est.... Tantum de co, quae a
philosophis genitura, a nobis faclura seu creatura dici solet, disputai inumi
inslituimus. Sed notandum, quod compositio alia for-
ébìin altro luogo (con. intonazione polemica contro Gu¬ glielmo da Champeaux)
qualifica l’universale come« quasi in unum versale», e a ciò unisce una
giustificazione eti¬ mologica dei termini e dei concetti di dividuum e indivi-
diium 515 )', inoltre condivide con Gilberto l’ingenuo rac- costamento delle
cose e delle parole 516 ), come pure ri¬ corda altresì ima volta
quell’esercizio ginnastico, che vien fatto nello studio della logica,
sull’albero di cuccagna della Tabula logica 517 ). Appartiene allo stesso
gruppo anche uno scrittarello anonimo [oggi è riconosciuto esser opera di
Domenico Gundissalino] «De unitate et uno», che mani¬ festamente è una
produzione determinata dalle polemi¬ che di quel tempo intorno alla Trinità, ma
che, al pari di quella più antica opera De Trinitate [oggi, come ab¬ biamo veduto,
attribuita appunto a Boezio], fu ritenuta marum, alia est
subsistentium.formarum ex formis, subsistenlium ex sub- sistentibus..,. [356]
Formarum autem aliae compositae, aline simplices ; simplices, ut albedo,
compositae, ut humanitas.... Ulule Boetius in oclava rcgula libri llebdomade
„omni composito aliud est esse, aliud ipsum est“ (v. la noia 37). 61S ) Ibid.,
53, p. 437 [380] : Universalem..., dico, non ex eo, quod una in plurilius sii,
quod est impossibile (noia 105), sed ex Iwc, quod plura in similitudine vivendo
[rectius : uniendo] ab assimilamii unione univcrsalis. quasi in unum versalis
dicalur.... Ex quo palei . quare.... singularem, individualem vel parlicularem
dixerim proprietatem, eam nimirum, qttae suum subiectum non assimilai aliis. ut
humanitas, sed ab aliis dividii, discernit, partitur. ut ea, quam fido nomine
solemus dicere,,Platonitas “, a dividendo individua, a parliendo particularis,
a dissimilando singularis dieta. Nec opponas, quod potius a dividendo dividuam,
quam individuam dici oporteat. Nam cum suum subiectum non solum ab aliis
dividat vel dissimilet. sed etiam in sua individua¬ litale et dissimilitudine
tam firmiter manere faciat, ut nec sii nec fuerit neo futurum sit aliud
subiectum, quod secundum eiusmodi proprieta- lem illi assimUari queat, melme
individuum privando, quam dividuum ponendo vocalur, eiusque oppositum, quod
dividendo pluribus com- munical, et communicando dividii, rectius dividuum dici
debet (noia 479). “ 1G ) Ibid., p. 438 [ifc.] : Cum enim omne esse ex forma sii,
quodlibet sub- sistens rem et nomea a sua capit forma (note 458, 174, 482). s17
) Ibid.. 60, p. 444 [386] : iuxta logicorum enim regulam methodus a genere ad
destruendum, a specie valet ad aslruendum (nota 480). fattura di Boezio (v.
sopra la nota 35) «»). Domina nella questione della unità, che anche Gilherto
era stato tratto a discutere (note 477 s.), quello stesso realismo di Gil¬
berto o di Ottone 519 ), e forse possiamo tutt’al più ri¬ cordare che qui si
trova una singolare enumerazione di accezioni varie del termine « unum» Alberico
(da Reims ?), a Parigi. Willi- RAM DA SoiSSONS. VARI ALTRI AUTORI, MENZIONATI
DA Mapes]. Ma nello stesso tempo, cioè press’a poco tra il 1140 e il 1170,
viene a cadere anche la com¬ parsa di alcuni altri autori, dei quali conosciamo
quasi esclusivamente i nomi, e a ogni passo della nostra in- dagme torna a
imporsi la considerazione, che cioè le fonti a noi accessibili ci consentono
pur sempre soltanto una conoscenza frammentaria. Si dovrà anzi designare come
casuale la notizia dataci da Giovanni da Salisbury, quando, raccontando il
corso de’ suoi studi, fa il nome di un certo Alberico, che, morto Abelardo,
insegnò aS.te Geneviève in Parigi, e imprese energicamente la „ Q M^n. tampata
°P cre di Boezio, ediz. di Basilea 1570, p. 1274 l'òleslpaTJTwTìMiT l * 3
bibli0thè 1 ue * *.s dipar,ements de . ’ 1 ungi 1841, p. 169) trovo m un
manoscritto di St -Michel Hd/nf t0 an0nmM p rh e T nd ° aUe righe “ iziali d “
lui citate, c identico a questo Pseudo-Boezio. ".*> p -.,. 1274 t PL ’
„ 63 - 1075]: Omne enim esse ex forma est, in unita* r f ' S> ' " ullum
eSSC ex f° rma nini cum forma maleriae unita est. Esse xgitur est nonnisi ex
eoniunctione formae cum materia j.m autem forma matenae unitur, ex eoniunctione
utriusque necessario al,quid unum consti,ni,ur.... Uni,io autcm non fi, nisi
un.tatZ Z- mam autcm non tene, uni,am cum materia nisi unitasi ideo materia
egei untiate ad umendum se.... et de natura sua habet multiplicari Uni,as vero
retine,, umt e, colligi,. Ac per hoc ne materia divida,ur et spargami -,
necesse est, ut ab unitale retineatur ecc. [testo cit. se- 0nd ° a ed £- C r ™
(Beitràge del Baumker, I, 1, p. 3 - 5 )]. ) p. 12/6 fPL, 63, 1077-8]: Unum enim
aliud est essentiae Simpl,Citate.... Ahud simplicium eoniunctione.... Aliud....
continui- tate.... Ahud... compositione.... Alia dicuntur unum aggrega,ione
Alta.... proportione.... Alia.... accidente.... Alia.... numerai Alia
ZZI'"' Al,a ":;. natura . unum ’ ut participatione speciei plures
hommes unus. Alia.... natwne.... Alia.... more [testo c. s„ p. 9-10]. STORIA
DELLA LOCICA IN OCCIDENTE lotta contro i nominalisti, nella quale pare lo abbia
so¬ stenuto un considerevole talento per le distinzioni 521 ). Riferisce
inoltre Giovanni, ch’egli stesso ha impartito 1’ in¬ segnamento della logica a
tale W i 1 1 i r a m [Gugliel¬ mo ?] da Soissons, il quale, da lui presentato
poscia a Adamo dal Petit-Pont (note 440 ss.), ha ideato in seguito una speciale
machina contro i seguaci della vecchia logica (antiqui, logicae vetustas: v.
sopra le note 55 ss.) 522 ). Giovanni menziona poi un’altra volta, oltre 621 )
Jou. Saresb. Metal., II, 10, p. 78 s. (ed. Giles [e Wcbbj): Contali me ad
Peripateticum Palatinum qui. Iurte in monte Sanctae Genoue/ae clarus doclor et
admirabilis omnibus praesidebat. Ibi ad pedes eius prima artis huius rudimento
accepi.... Deinde post discessum eius, qui michi praeproperus visus est, adhaesi
magistro Alberico, qui inter ceteros opinalissimus dialeclicus enitebal et erat
revera norninalis sectae acerrimus impugnator. Sic ferme tota biennio
conversatus in monte, artis huius praeceptoribus usus sum Alberico et magistro
Rodberto Me- ludensi (v. sopra la nota 453)....; quorum alter (cioè Alberico),
ad omnia scrupulosus, locum quaestionis inveniebal ubique, ut quamvis polita
planilies ojjvndiculo non carerei et, ut aiunl, ei [sjcirpus non esset enodis.
Nam et ibi monstrahat quid oporleal enodari ....Apud hos, toto exercilatus
biennio, sic locis assignandis assuevi et regulis et aliis rudimentorum
elementis, quibus pueriles animi imbitumar, et in qui- bus praejati doctores
potentissimi crani et expeditissimi, ut etc. [PL, 199, 867-8). Menzione di
questo Alberico si trova fatta da Giovanni anche nell’ Enthelicus, v. 55 s. :
Iste loquax dicaxque parum redolel Melidunum, Creditur Albrico doctior iste suo
[PL, 199. 966). Ma di quale Alberico si trattasse, fra i parecchi con questo
nome, menzio¬ nati in quell’epoca, non è possibile determinare con sicurezza;
la indicazione cronologica su riferita rende probabile che fosse Albe¬ rico da
Reims, soprannominato de Porta Veneris, il quale fece più tardi accoglienza
ospitale a Giovanni da Salibury e all’arcivescovo Tommaso [Becket], quando
furon esuli in Italia. V. Du Boulay, Hist. Univ. Par.. II, p. 724. e la Ilistoire littér. de la
France, XII, p. [72-6, e particolarmente] 75. 522 ) Ibid., p. 80 [81]: linde ad
magistrum Adam.... familiarilalem contraxi ulteriorem.... Interim Willelmiim
Suessionensem, qui ad expu- gnandam, ut aiunt sui, logicae vetustatem et
consequentias inopinabi- les construendas et antiquorum sentcntias diruendas
rnachinam post- modum fedi, prima logices docili dementa et tandem iam dieta prae-
ceplori appositi. Ibi forte didicit idem esse ex contradictione, cum Ari-
stotiles obloquatur, quia « idem cum sit et non sit, non necesse est idem esse
» (queste parole si trovano negli Anni, pr., II, 4, 57 b 3: v. la Sez. TV, nota
614), et item, cum aliquid sit, non necesse est idem esse et non esse. Nichil
enim ex contradictione [82] evenit et conlradictio- nem impossibile est ex
aliquo evenire. Unde nec amici machina im- a quel suo
avversario, denominato da lui Cornificio (v. subito appresso), il rappresentante
di un altro indirizzo, a quanto sembra, esagerato e astruso, nello studio della
logica, e lo designa con il nome imaginario di Serto- r i u s 523 ). Ma a ciò
si aggiunge, oltre a notizie mal verificate circa un tal Davide, a ITirschau, e
un Giovanni Serio, a A ork r ’ 24 ), un’altra informazione ancora, che dobbiamo
a un autore della fine del secolo XII», cioè a Walter M a p e s, il quale nelle
sue poesie occasio¬ nalmente dimostra conoscenza delle personalità e delle
tendenze dominanti nelle scuole; costui menziona (con la osservazione, che il maggior
numero di seguaci lo ha Abelardo), oltre a Bernardo da Chartres, Pietro da Poi-
tiers e Adamo dal Petit—Pont, anche un certo Regi¬ na I d o, uno straordinario
sbraitone, che criticava tutti pellente urgeri potili ut credam ex uno
impossibili omnia impossi- bitia provenire [PI,, 199, 868], Anche a prescindere
dalla questione di determinare in che cosa inai potesse consistere questa
misteriosa machina, tutto il passo, del quale può anche ben darsi che il testo
sia guasto, mi è rimasto assolutamente incomprensibile; tutto quel che risulta
da un altro passo (v. appresso la nota 624), è che si ten- tav f di riattaccare
a quelle parole di Aristotele i sillogismi ipotetici. ) Enthet.,\. 116 ss. |PL,
199, 967-8]: Si i/uis credatur logicus, hoc satis est ; Insanire putes potius.
quam philosophari, Seria sani etemm cuncta molesta nimis. Dulcescunt nugae,
vultum sapientis abhor- rent, lormenti geritts est saepe videre librum.
Ablactans nimium te- ncros Sertorius olim Discipulos Jerlur sic docuissc suos ;
Doctor mini juvrnum prelio compulsila et aere Pro magno docuit munere scire
nihil. tuo ), 1THKMI1 Ann ? liì Uirsaugienses, ann. 1137 (ediz. di S. Gallo.
1690, I, p. 403): David.... monachicum habitum suscepil.... Scripsil quaedam
non spernendae lectionis opuscolo.... de grammatica L. 1, in Perihermenias
Aristotelis libros duos. Che tuttavia le notizie di Tritemio abbiano scarso
valore, lo sanno tutt’ i competenti; d’al¬ tra parte è noto che le cose vanno
di gran lunga anche peggio per il 1 ITSEUS [John Pits, 1560-1616], il quale
spesso, quando non co¬ piava il Lei and [John Leland (Leyland, Laylonde),
antiquario in¬ glese m. 1552], inventava semplicemente menzogne, sicché forse
neanche vai la pena di ricordare quel ch’egli dice. De illustribus Anghae
scriptoribus. p. 223 s. (ad ann. 1160): Joannes Serio dictus magister Serio....
ex Eboracensi canonico Jactus est.... Fontanus Abbas.... Scripsit.... de
aequivocis diclionibus librum unum, de univocis dictio- nibus librum unum. e
appiccò Porfirio alla l'orca (laqueo suspendit), sicché potremmo forse
ravvisare in lui quel Comifìcio di cui parla Giovanni da Salisbury [e da altri
diversamente identificato; cfr. la nota del Webb alla p. 8 della sua ediz. del
Metalogicus] ; menziona inoltre, insieme con Ro- bertus Pullus, un Manerius,
estremamente sottile, mi arguto Bartolomeo e un Roberto Ami¬ ci a s 525 ). Si
può anche ricordare che la poesia finisce con la cacciata dei monaci dalle
scuole dei filosofi 528 ): e c’è del pari un’altra poesia, che appartiene
press’a poco alla stessa epoca, e rappresenta con molto spirito il con¬ trasto
fra il pretume, dedito ai piaceri del senso, e la fine cultura logica 527 ). 5
“) The latin poems commonty attributcd to Walter Mapes, col- lected and edited
by TnOMAS Wrigiit (Londra, 1841-4), dove uella Introduzione è anche esposto
quel che di più preciso risulta sul conto di Walter Mapes. In una delle poesie,
Metamorph. Goliae, v. 189 ss. (p. 28), si trova il passo seguente: Ibi doctor
cernitur ille Carnotensis, Cujus lingua vehemens truncat vclut ensis ; Et hic
praesul praesulum stai Pictaviensis, Prius et nubenlium [studenlium ?] miles et
castrensis (seguono i versi cit. più sopra, nota 442).... [v. 199 ss.)
....Celebrem theologum vidimus Lumbardum ; Cum Yvone, Helyam Petrum (entrambi
grammatici), el Bernardino [p. 29], Quo¬ rum opobalsamum, spiralo*, el
riardimi. Et professi plurimi
sunt Abaie- lardimi. Reginaldus monachus dumose contendit. Et obliqui s singu-
los verbi s comprehendit ; Hos et hos redarguii, nec in se descendit. Qui
nostrum Porphyrium laqueo suspendit. Roberlus theologus corde vivens mando
Adest, el Manerius quem nullis secando ; Alto loquens spiritii el ore profundo.
Quo quidem subtilior nullus est in rnundo. Hinc et Bartholomaeus faciem acutus.
Retar, dialecticus. sermone astu- tus, Et Robertus Amiclas simile secutus, Cum
hiis quos praetereo, populus minutus. 5 -’) Ibid., v. 233 (p. 30): Quidquid
tantae curiae sanctione datur. Non
ceda t in irritum, ratuni habealur ; Cucullatus igitur grex vilE pendatur. Et a
philosophicis scolis expellatur. — Amen. 5 “') De presbytero et logico
(parimente edito dal Wrigiit, op. cit., p. 251 ss.) in 216 versi, dove a dire
il vero non si trova alcun con¬ tributo d’ informazione storica per il nostro
intento. Il contrasto degl indirizzi ha p. es. la sua espressione nei versi 29
ss.: Logicus: «Fallis. fallis, presbvter, coelum Christianum, Abusive loqueris.
laedis Priscianum; Te probo falsidicum, te probo vesanum»; ....Presbyter. «
Tace, tace, logice ; tace, tir fallator; Tace, (lux insaniae, legis vanne lator
;....» Log. — « Peccasti, sed gravius adjicis peccare. Le- gem hanc adjiciens
vanam nominare; Sanum est, dissercre nel gram- C. Prantl, »S 'torio, della
logica in Occidente, H. [§ 38. — Il così
detto Cornificio, oggetto della polemica di Giov. da Salisbury]. — Ai già
nominati si unisce finalmente ancora tutto quell’ indirizzo, che Gio¬ vanni da
Salisbury, volendo combattere non contro la persona, ma esclusivamente contro
la cosa, qualifica con il nome simbolico di Cornificio 528 ). I numerosi passi
dov’egli rammenta questo suo avversario o i seguaci di lui, coincidono in un
punto, che è questo: c’erano cioè parecchi, i quali a priori respingevano come
inutile ogni tecnica della parola nudrita di pensiero (eloquentia o lo¬ gica),
perchè tutto ha fondamento nella disposizione na¬ turale, e pertanto, chi
possieda questa, senza punta tec¬ nica, tocca da se medesimo il segno, e invece
chi non ha talento, non fa progressi neanche in grazia della teo¬ ria 629 ). E
quando si soggiunge che questi « filosofi di mutilare, — Si insanum reputai,
velim dicas quare». Prcsb. — « Dco est udibile vestrum argumentum ; Ibi nulla
veritas, toturn estfigmentum ;», o p. es. ai versi 129 ss.: Log. —« Audi, inter
phialas quid philoso- pharis ; follus, non philosophus, bine esse probaris ;
Stulto sunt si- milia singola quac faris, [parte tua caream quarti ibi lucraris
]. Epi- cure lubrice,
dux ingluviei, Cujus Deus venter est, dum sic servis ei etc. ». 62S ) J OH.
Saresb. Metal., I, 2, p. 14 [ed. Webb, p. 8|: Utique par est sine derogatione
personae sententiam impugnari ; nichilque lurpius quam cum sententia displicet
aut opinio, rodere nomea auclo- ris.... [9] Celerum opinioni reluclor, quae
multos perdidit, eo quod populum qui sibi credat habet ; et licei antiquo novus
Cornificius inep- tior sii, ei tamen turba i nsipienlium adquiescit. — Polycr.,
I, Prol., p. 15 [16]: Aemulus non quiescit, quonium et ego meum Cornificium
habeo.... Quis ipse sit, nisi ab iniuriis temperet,
dicam.... Procedat tamen et publicet, arguat meum ralione vel auctoritate
mendacium [PL, 199, 828 e 388], Dal modo di esprimersi dello scrittore in
questi due ultimi passi, risulta come Giovanni non abbia fatto che traspor¬
tare simbolicamente il nome di Cornificius da un personaggio del- 1 antichità
al suo proprio nemico, e può ammettersi con certezza che a ciò gli abbiano dato
occasione le notizie di Donato (Pila Vir- gilii, c. 17 s. : vedi le Opere di VIRGILIO,
ed. Wagner, I, p. XCIX s.), riguardo a un tale Cornificio, avversario di
Virgilio « ob perversam naturami> [cfr., nella ediz. Brummcr delle Vitae
Vergilianae, il « Ple- nus apparatus ad vitam Vergilii Donatianam», p. 31], 529
) Ib., Metal., I, 1, p. 12 [ed. Webb, p. 6]: Miror ilaque.... quid sibi vull,
qui eloquentiae negat esse studendum.... p. 13 [8[: Cornifi¬ cius noster,
studiorum eloquentiae imperitus et improbus impugnalor. — C. 3, p. 15 [10]:
Fabellis tamen et nugis suos pascit interim audi- testa propria », avendo a
disdegno F intiero trivio e qua¬ drivio. si son gettati sopra forme di attività
pratica e sovra profitti pecuniari ;>3 °), sarebbe in ciò da riscontrare un
indizio significativo, in quanto si direbbe che tale corrente, non prendendo
ispirazione da vedute clericali o dommatiche bensì per effetto di un impulso
pratico, si sarebbe mostrata avversa al farraginoso viluppo della scienza
scolastica, e avrebbe richiamato l’attenzione so¬ pra il valore immediato del
talento individuale. Così po¬ tremmo intendere tali manifestazioni come un
preludio di tendenze svoltesi più tardi. Qualora ci fosse lecito riferire al
così detto Cornificio anche la notizia, che ta¬ luni rigettarono le Categorie e
la Isagoge come inutili libri elementari 531 ), potremmo forse ritenere che il
già tores quos sine artis beneficio, si vera sunt quae promittit, fa ci et elo-
quentes et tramite compendioso sine labore philosophos. — C. 5-6, p. 23 [20]:
Neque erti rii. ut Cornificius, meipsum docui.... Non est ergo ex eius
sententia.... sludendum praeceplis eloquentiae ; quoniam eam cunctis natura
ministrai aut negai. Si ultra ministrai aut spante, opera superflua et
diligentia ; si vero negai, inefficax est et inanis. — C. 9, p. 29 [26]: Eo
itaque opinionis vergit intentio, ut non omnes mutos faciat. quod nec fieri
potcst nec expedit, sed ut de medio logicam tollal. — Ibid.. II, Praef., p. 62
[60]: Logica, quam. etsi mutilus sit et amplius mutUandus, Cornificius,
parielem solidum eccoti more pal- pans, impudenter attemptat et impudenlius
criminatur. — Ibid., IV, 25, p. 181 [192]: Sed Cornificius nosler, logicar
criminator, phi- losophantium scorra, non immerito contemnetur. — Enthel., v.
61 ss. « Quum sit ab ingenio totum, non sit libi curae. Quid prius addiscas
posteriusve legas ». Ilare schola non curai, quid sit modus ordove quid sit.
Quam teneant doctor discipulusve viam [l’L, 199: 827, 828, 833 837, 857, 931,
966], 530) j \Jctal. I, 4, p. 20 [15]: Alii autem Cornificio similes ad vulgi
professiones easque prophanas relapsi sunt; parum curantes quid phi- losophia
doceat, quid appetendum fugiendumve denuntiet ; dummodo rem faciant, si
possunt, recte ; si non, quocumque modo rem (Hor. Ep. 1, 1,
65[-6])....Evadebant illi repentini philosophi et cum Corni¬ ficio non modo
trivii nostri sed totius quadruvii contemptores IPL, 199. 831], 531 ) Ibid.,
III, 3, p. 123 [128]: Sunt qui librum islurn (cioè le Ca- tegoriae), quoniam
elementarius est, inutilem fere dicunt, et satis esse putant ad persuadendum se
in diabetica disciplina et apodictica esse perfectos, si contempserinl vel
ignoraverint illa, quae in primo com¬ mento super Porphirium anlequam artis
aliquid attingatur docel Boe- lius praelegenda [PL nominato Reginaldo fosse per
lo meno un rappresentante di questa tendenza 532 ), se non apparisse inutile,
con tante lacune nella conoscenza delle fonti, presentare semplici congetture.
Ma quale idea si fosse fatta lo stesso Giovanni della origine di siffatta
opposizione alla logica sco¬ lastica, è stato già più sopra indicato, alle note
52 s. [§ 39. — Giovanni da Salisbury: a) i suoi studi: il « Metalogicus»]. — Ma
così è venuto il momento di occuparci proprio di quello stesso autore, che già
tante volte abbiamo finora dovuto usare quale fonte, cioè di Giovanni da
Salisbury). Costui (morto nel 1180) aveva intrapreso lo studio della logica
alla scuola di Abelardo, lo aveva proseguito presso il già ricordato Alberico,
Roberto da Melun e Guglielmo da Conches, M2 ) È possibile che nella espressione
sopra citala « laquco su- spendi!» (nota 525) si celi anche un’altra volta un
giuoco di pa¬ role con Cornificius e carni/ex. V. upprcsso, nota 545, un altro
giuoco di parole con cornicari. 693 ) Approfondite ricerche sopra Giovanni da
Salisbury, dal punto di vista della storia letteraria, sono state presentate da
Cristiano I’ETERSEN nella sua edizione dell’Uref/ietieus (Amburgo, 1843). La
monografia, nella quale Ermanno Reuter (Johann von Salisbury : Zur Geschichte
der christlichen Wissenschaft im 12. Jnhrhundcrl [G. da S. : Per la storia
della scienza cristiana nel 12° Secolo], Berlino, 18 12) ha tentato di svolgere
la dottrina di Giovanni, generalmente si risente dell’orientamento proprio
dell’Autore, e che è tanto sbagliato quanto estremamente insufficiente. Una
ricca esposizione della dot¬ trina stessa la dobbiamo a C. ScHAARSCHMIDT, Joh.
Saresberiensis nach Leben und Studiai, Schriften und Philosophie [G. da S. ueda
vitu e negli studi, negli scritti e nella filosofia] (Lipsia, 1862): ma le
osserva¬ zioni ch’egli muove in questo suo libro (p. 303 ss.) contro il mio
modo di vedere, non in’ inducono per nulla a modificare la mia opinione, che
trova appoggio nelle fonti. — Le citazioni son fatte sulla base della edizione
complessiva di A. Giles (Oxford 1848, in 8°, 5 voli., dei quali il 3° e il 4°
comprendono il Policraticus, mentre il Metalo¬ gicus si trova nel 5°), sebbene
tale edizione non sia adatto compiuta con diligenza, e sia particolarmente da
rilevare conte essa, con la più assurda interpunzione, renda spesso difficile
l’intelligenza del testo (le necessarie modificazioni ce le introduco
tacitamente). [Qui sono aggiunti, per il Policraticus e per il Melalogicon, i
rinvii alle più recenti ediz., curate dal Webb. e seguite in massima nella
riprodu¬ zione dei testi]. poi entrò in relazioni scientifiche con Adamo' dal
Petit- Pont, ascoltò di nuovo lezioni di dialettica presso Gil- lierto de la
Porrée, di teologia presso Roberto Pulleyn [e Simon Pexiacensis], indi ritornò
agli Abelardiani, che nel corso di quei vent’anni nulla avevano appreso e nulla
dimenticato 534 ), e compose intorno al 1160 535 ) il suo Me- talogicus, dove
principalmente espose le sue vedute rela¬ tivamente alla logica. Giovanni ha
scritto, come dice egli medesimo, quest’opera sua soltanto a memoria, fretto¬
losamente e in breve tempo, dopo che da molti anni aveva interrotto i suoi
studi di logica, e fu suo intento non già di comporre un commento che servisse
a inse¬ gnare o a imparare, bensì essenzialmente di dimostrare la utilità della
logica, contro gli attacchi che le erano stati mossi, e così difenderla 636 ).
534 ) Metal., II, 10, dove al passo citato più sopra (n. 521) fa se¬ guito (p.
79) [79]: Deinde.... [80] me ad gramaticum de Concilia trans- tuli, ipsumque
triennio docentem audivi. Viene appresso il conte¬ nuto della precedente nota
522, e poi [82]: Reversus itaque.... repperi magistrum Gileberlum. ipsumque audivi in logicis
et divinis ; sed nimis cito subtractus est. Successa Rodbertus Pullus, quem
vita pariter et scienlia commendabanl. Deinde
me excepit Simon Pexia¬ censis [J’issiacensis. Pisciacensis, cioè da Poissy: è
lecito congettu¬ rare eon lo Wcbb che si tratti dello stesso Simone, di cui v.
qui so¬ pra. nota 54].... Sed hos duos in solis theologicis habui
praeceptores.... locundum itaque visum est veteres quos reliqueram et quos
adhuc dia¬ betica detinebat in monte recisero socios, conferve cum eis super
ambi- guilatibus pristinis, ut nostrum invicem ex collatione mutua commeli-
remur profectum. Inventi suiti qui fuerant et ubi ; neque enim ad pal- mam visi
sunt processisse. Ad quaesliones pristinas dirimendas neque propositiunculam
unam adiecerant. — Ibid., Ili, 3, p. 129 [134]: Habui enim hominem (cioè Adamo
dal Petit — Pont: v. la nota 441) familiarem assiduitate colloquii et
communicatione librorum et coti- diano fere exercitio super emergentibus
articulis conferendi ; sed nec una die discipulus eius fui. Et lamen Italico
gratias, quod eo docente plura cognovi, plura ipsius.... ipso arbitro reprobavi
[PL, 199, 868-9 e 899]. Cfr. inoltre la nota 54. 53ó) V. Petersen, loc. cit.,
p. VI e 73 ss. 63B ) Metal.. Prol., p. 8 [2]: Siquidem cum opera logicorum
vehe- mentius tanquam inulilis rideretur, et me indignanlem et renitenlem
aemulus cotidianis fere iurgiis provocare!, tandem litem excepi et ad....
cnlumnias.... studiti responderc.... [3] Placiti! itaque sociis ut hoc ip- sum
tumultuario sermone dictarem ; cum nec ad sententias subtiliter . [b) punto di
vista utilitaristico, alla maniera di Cice¬ rone. La divisione del sapere ]. —
Per lui il punto di vista decisivo è quello della utilità, e per conseguenza
dob¬ biamo già aspettarci di trovar in lui un eclettico, che procede
assolutamente senza scorta di principii 537 ). Do¬ minato com’è anche lui dalla
pratica tendenza utilitaria, si distingue dal suo avversario Cornifichi,
soltanto per¬ chè non rigetta, come costui, la dottrina delle scuole, bensì
vuole render pratica questa dottrina stessa; ma egli è filosofo tanto poco
quanto Cicerone, con il quale si trova in intimo accordo. Anzi fa anche
espressamente professione di aderire alla dottrina probabilistica di quella
setta degli Accademici, ch’era caldeggiata da Cicerone 63S ), e per conseguenza
trova nella utilità pratica il fine unico di ogni scienza 539 ). In tal senso
si esprime circa il pe- examinandas nec ad verbo expolienda studium supcresset
aut otium.... (p. 9) Nam ingenium hebes est et memoria infidelior quarti ut
anti¬ quorum (v. le note 55 ss.) subtilitates percipere aut quae aliquando
percepta sunt diutius valeam retinere.... Et quìa logicae suscepì patro -
cinium. Metalogicon inscriptus est liber. Praef. p. 113 [117]: Anni fere vigilili elapsi sunt
ex quo me ah officiai» et palaestra eorum qui logicam profitrntur rei
jamiliaris avulsit angustia.... Unde me excusaliorem habendum pillo in bis quae
obtusius et incultius a me dieta leclor internet. Ergo procedat oratio. et quae
anliquatae occurrent memoriae de adolescentiae sludiis, quoniam io- cunda aetas
ad menlem reducilur ctc. — III, 10, p. 156 [164]: ....prò- positura est ;
scilicet, ut potius aemulo occurratur, quarti ut in artes, quits omnes docenl
aut discunt, commentarli scribantur a nobis TP!, 199: 824, 889-90, 916], 1 ’
537 ) Reuter s’inganna a partito, quando parla di un « superiore punto di vista
filosofico», che Giovanni avrebbe assunto, elevandosi al disopra degl’
indirizzi allora contrastanti. ) I olycr., I, Pro!., p. 15 [1. 17] :
[cum]....in phitosophicis academice disputane prò ralionis modulo quae
occurrebant probabilia sectatus sim. Nec Academicorum erubesco professionem.
qui in bis quae sunt dubilahilia sapienti, ab eorum vestigiis non recedo. Licei
enim seda haec tenebras rebus omnibus videalur inducere, nulla ventati exami-
nandae jidelior et, auctore Cicerone qui ad eam in senectute divertii, nulla
profectui familiarior est. — Metal., II, 20, p. 102 [106]: qui me in bis, quae
sunt dubitabilia sapienti, Academicum esse pridem pro/cssus sum [PL, 199: 388 e
882|. 63 ") Metal., Eroi., p. 9 [4]: De moribus vero nonnulla scienter
inserui ; ratus omnia quae legiintur aut scribunlur inutilia esse, nisi
dantesco verbalismo e la sottigliezza dei dialettici, fa¬ cendo uso di termini
così energici, che il più sistematico nemico della logica in generale, non
potrebbe pronun¬ ziarsi con maggiore veemenza 54 °); anzi persino in quelle
discettazioni sopra le Categorie, alle quali il suo maestro Gilberto s’era
dedicato, egli trova, pur essendo per molti lati d’accordo con lui (v. appresso
le note 582 ss., 593 ss. e 606 ss.), da criticare tuttavia qualche cosa, che
possa cioè scapitarne la conoscenza morale di noi stessi 5U ) : e trascinato
dal suo zelo per la teologia morale, qualifica la logica aristotelica, che pur
vuole difender contro chi l’attacchi, con il termine aslutiae, che siamo
abituati a veder usato dai nemici fanatici della filosofìa 542 ). quatenus
afferunl nliquod adminiculum vilae. Est enirn quaelibet pro¬ fessi
philosophandi inutili et falsa, quae se ipsam in cultu virlulis et vitae
exhibitione non aperit [PL, 199, 825]. MO) Polycr., VII, 9, p. 110 [II, 123]:
Suspice ad moderatores phi- losophoruni temporis nostri....; in regula una aut
duobus aut pauculis verbis invenies occupalos. aut ut mullum pauculas
quaesliones aplas iurgiis elegerunt, in quibus ingenium sutim exerceant et
consumatit aetatem. Eas tamen non sufficiunt etwdare, sed nodum et tolam ambi-
guitatem cum ititricntione sua per auditores suos transmittunt posteris
dissolvendum.... Latebras quacrunt, variant faciem, nerba distor- quenl,... si
in eo perstiteris, ut quocumque verbo defluant et volvan- tur. quid velit,
intelligas et quid sentiat [II, 124] in tanta varietale varborum, et tandem
vincietur sensu suo et capielur in verbo oris sui, si substantiam eorum quae
dicunlur attigeris firmiterque tenueris. — lbid., 12, p. 122 [II, 136]: Erranl
ulique et impudenler errant qui philosophiam in solis verbis consistere
opinantur ; erranl qui virtutem verbo putant.... Qui verbis inhaerent, malunt
videri quam esse sapien- tes.... [II, 137] quaestiuneulas movent, intricala
verbo ut suum et alie- num obducant sensum, paratiores ventilare quam examinare
si quid difficultalis emersit [PL, 199, 654 e 662]. Inoltre, la precedente nota
58. 511 ) Jbid., Ili, 2, p. 164 [I, 174]: Inde est forte quod illi, qui prima
totius philosophiae elemento posteris tradcre curaverunt, substantiam
singulorum arbitrati sunl intuendam, quantilatem, ad aliquid. quali- totem,
situai esse, ubi, quando, habere, facete, et pati, et suas in omnibus his
proprietates, ari intcnsionem admittant, et susceptibilia sint con- trariorum,
et ari eis ipsis aliquid invenialur adversum (queste ultime son tutte questioni
discusse appunto da Gilberto: v. le note 489-509 [507]). Provide quidem haec et
diligenter, etsi in eo negligentiores exsti- terint. quod sui ipsius notitiam
in tanta rerum luce non asseculi sunt etc. [PL, 199, 479]. 5! -) Jbid., IV, 3,
p. 227 [I, 243]: Astutias Aristolilis, Crisippi acu- Ma se cerchiamo quindi di
scoprire quale sia la posi¬ zione che Giovanni assegna alla logica, dal punto
di vista di un ordinamento sistematico, vediamo una volta, relativamente alla
divisione delle scienze, accennato da lui un tono fondamentale, che ci ricorda
molto da vi¬ cino Ugo da S. Vittore (note 45 s.), designandosi come forze
ancillari, sotto la sovranità della divina pagina, le discipline meccaniche,
teoriche e pratiche, e con esse la filosofia che erige il saldo baluardo 543 )
: e a tal propo¬ sito è degno di nota che anche da Ugo il compito della logica
è trasferito nel perfezionamento della espressione verbale. E quando un altra
volta, tenendosi attaccato, nella maniera più lampante, a Gilberto (nota 465),
Gio¬ vanni distingue ima triplice funzione della ratio, — in quanto che l’uso
concreto di questa (modus concretivus) è rivolto alla natura sensibilmente
percettibile, Tatti- vita astrattamente analitica ( resolvere ) conduce alla
mate¬ matica, e la comparazione riferente (conjerre et rejerre) è compito della
logica 544 ), — già da ciò desumiamo l’at¬ titudine di Giovanni ad afferrare a
capriccio opinioni varie di altri, e a metterle ancora, ecletticamente, una
accanto all’altra. mina, omniumque philosophorum lendiculas resurgens mortuus
con- futabat. - Metal., Ili, 8, p. 141 [147]: Pithagoras naluram exculit,
Socrates morurn praescribit normam, Plato de omnibus persuader, Ari¬ stotile*
argutias procurai [PL, 199. 518 e 906], Cfr. la nota 560.,,J3 ) Enthet., v. 441
ss.: Ilaec scripturarum regina vocalur, eandem Divinam dicunt.... Haec caput
agnoscil Philosophia suum ; Huic omnes artes famulae ; medianica quaeque
Dogmala, quac variis usibus apio videi, Quae jus non reprobai, sed publicus
approbat usus, Iluic operas debent militiamque suam ; Practicus buie servii
servitque theoricus; arcem Imperli sacri Philosophia dedii [PL, 199, 971-5].
Riguardò a Ugo, cfr. più oltre la nota 555. 64 ‘) Ibid., v. 659 ss.: Res
triplici spedare modo ratio perhibetur, Nec quartum poluit meni reperire modani
; Concretivus hic est, alius concreta resolyit, Res rebus confert tertius atque
refert ; Naluram pri- mus, mathesim medius comilatur, Vindical extremum logica
sola sibi [c) punto di vista retorico,
come in Cicerone. Gramma¬ tica e dialettica ]. — Ma invero per la logica il
punto di vista propriamente eclettico è il punto di vista retorico, perchè
questo si libera di tutte le difficoltà che si possono presentare nelle
questioni filosofiche fondamentali: e così anche Giovanni è esonerato dalla
fatica di decidersi per ima data concezione filosofica, a preferenza delle
altre. Senza determinare più precisamente il posto della logica nel campo delle
scienze, nè discutere in base a una qual¬ siasi veduta, pur che fosse una e ben
definita, la relazione del pensiero subbiettivo con la obbiettività o con la
for¬ ma della espressione verbale, egli può qui accontentarsi di opporre ai
nemici della logica, sfoggiando una ricca colorita varietà di frasario, e
traendo partito dalla so¬ lita tradizione scolastica, il concetto e il valore
della « eloquentia» 64S ). La maniera in cui il pensiero si atteggia rispetto
alla espressione verbale, è qualificata mercè un fioretto retorico, parlandosi
di un « dolce e fecondo con¬ nubio» della ragione e dell’eloquio 546 ), nè
diverso va¬ lore ha l’altra frase, che cioè le proprietà delle cose « ri¬
dondano» nelle parole: e data l’affinità che sussiste fra le cose e ciò che di
queste si dice [.sermones] (lo stesso 5Ji ) Melai.. I, 7, p. 24 [21]: Cornicatur
haec domus insulsa (suis tamen verbis ) et quarti constai totius eloquii
contempsisse praecepta.... [22] Ait cairn : Superflua sunl praecepta
eloquentia, quoniam ea na- turaliler adest aut abest (nota 529). Quid,
inquarti, falsius ? Est enim. eloquentia facullas dicendi commode quod sibi
cult animus expediri.... (p. 25) Ergo cui facilitas adest commode exprimendi
verbo quidem quod sentii, eloquens est. Et hoc faciendi jacultas rectissime
eloquentia no- minatur. Qua quid esse praeslantius possit ad usum,
compendiosius ad opes. fidelius ad gratinai, commodius ad gloriam, non facile
video [PL. 199. 834]. M6) lbid., I, 1, p. 13 [7]: Ratio, sciattine virlutumque
parens..., quae de verbo frequentius concipil et per verbum numerosius et
fructuo- sius parit, aut omtrino sterilis permanerei aut quidem infecunda, si
non conceptionis eius fructum, in lucem ederet usus eloquii; et invicem quod
sentii prudens agitano mentis hominibus publicaret. Haec autem est illa dulcis
et fructuosa coniugatio rationis et verbi, quae etc. [PL si legge in Abelardo — cfr. la nota 308 —, e
qual¬ che cosa di simile in Gilberto — cfr. la nota 457), si tratterebbe
semplicemente di possedere in mente una quantità di cose, e in bocca una
quantità di parole 547 ). Insomma per Giovanni il punto di vista più essenziale
è rappresentato dalla consistenza dei mezzi, che s’ab- biano una volta a
disposizione, appropriati per la manife¬ stazione del pensiero con il discorso,
e pertanto la « lo¬ gica nel significato più esteso» della parola, è da lui
defi¬ nita in termini ciceroniani come ratio loquendi vel disse- rendi, onde è
di sua competenza l’addestramento all’uso del discorso (magisterimn sermonum):
e qui essa, mentre da un lato rivela la propria utilità, dall’altro lato tiene
anche il primo posto fra le arti liberali, poiché in quella più vasta accezione
comprende anche la sfera della gram¬ matica 548 ). Ma mentre con ciò si
renderebbe tuttavia manife¬ sta la esigenza di una più rigorosa determinazione,
in ordine a questa estesa definizione, della relazione reci¬ proca tra
grammatica e logica (cfr. subito appresso la ) Ibid., 16, p. 42 [39]: Natura
enìm copiosa est et ubertatis suae pratiam Immotine mdigentiae facit. Inde ergo
est, quod [401 prò- pnetas rerum redundat in voces, dum ratio offertat sermone,
rebus de quibus loquUur esse cognatos. — Polycr., VII, 12, p. 124 fll. 1391 - A
telili cairn utilius, nichil ad gloriam aut rcs adquirendas com'modius
inventati quam eloquenza quae ex eo plurimum comparatile si rerum ln r re copia
sit ver,l ° rum fPL, 199, 845 e 6631. etuTrìJ, 1 ': 10 ’ P ‘ w 8 - [ 2 J ]: Est
ita ^ e lo * ica ' ). Ma poiché
ciascun’argomentazione o disputa consiste di espressioni verbali, si la ora la
distinzione — in maniera simile che in Abelardo (nota 271), e tenuto conto di
que¬ sta definizione più ristretta (cfr. invece la nota 548) — fra la
grammatica, che tratta soltanto della dictio, e la dialettica, che ha per
oggetto e contenuto i dieta : ma a tal proposito, con atteggiamento di puro
indifferenti¬ smo, si qualifica come irrilevante la questione se si tratti qui
del profferire, o di quello che vien profferito 556 ). E mentre Giovanni a ciò
novamente ricollega la parci- secundo super Porphirium asserii (p. 47 [PL, 64,
73; ed. Brandt, 140]), est orlus logicai disciplinae. Oporluit enim esse
scientiam quae veruni a falso discerncret. et doceret quae ratiocinatio veram
te- neat similari i disputarteli, quae verisimibm, et quae fida sit, et quae
debeat esse suspecta ; alioquin veritas per ratiocinantis operam non po¬ terai
diveniri. — I, 15, p. 41 [39]: Diabetica autem id dumtaxalac¬ centai. quoti
verum est aut verisimile, et quicquid ab his longius dissi- det ducil absurdum
[PL. 199: 857, 858 e 844]. 5M) ihid.. II, 3. p. 65 [64]: Profecta igitur hinc
est et sic perfecta scientia disserendi ; quae disputandi modos et rationes
probationiim aperit...; aliis philosophicis disciplinis posterior tempore, seti
ordine prima (parimente Ugo da S. Vittore, nota 46: e cfr. la nota 543). Inchoanlibus enim philosophiam
praelegenda est, eo quod vocum et intellectuum inlerpres est. sine quibus
nullus philosophiac articulus recte procedil in lucern [PL, 199, 859]. 5M )
lbid., 4. p. 67 [65] : Est autem diabetica, ut Angustino placet (v. la Sez. XII, nota 30), bene disputandi scientia.... Est autem
dis¬ putare, aliquid eorum, quae dubia sunt aut in [66] contradictione po¬ sila
aut quae sic rei sic proponunlur catione supposita probare rei irn- probare ;
quod quidem quisquis ex arte probabiliter facit, ad dialectici pertingil
metani. Hoc autem ei nomea Aristotiles auctor suus impostili, eo quod in ipsa
et per ipsam de diclis disputatile : ut enim grama- tica de diclionibus et in
dictionibus. teste Ilemigio (Sez. precedente, nota 172), sic ista de dictis et
in diclis est. Ilio verbo sensuum P rln ~ cipaliter : sed linee examinat sensus
verborum ; nani lecton [aev. .ov] graeco eloquio (sicut ait Isidorus) (Sez. precedente,
nota 27) dietum appellalur. Sire autem dicatur a Graeco lexis [>.£''.;],
quod locutio interpretalur.... site a lecton [)£Xt6v], quod dietum nuncupatur.
non multum refert ; cum ex aminare loculionis vim et eius quod dicitur ve-
ritalem et sensum. idem aut fere idem sit ; vis enim verbi sensus est. — III,
5, p. 137 [142]: Est autem res de quo aliquid, dicibile quod de aliquo, dictio
quo dicitur hoc de ilio : e a ciò fan seguito le parole sopra citate, alla nota
207 [PL. zione delia logica, venuta in voga nella scuola, da Boe¬ zio in poi
537 ), la conoscenza ch’egli ha di Aristotele, lo porta in pari tempo a
distinguere tra apodittica e dia¬ lettica: in tale distinzione tuttavia,
neanche la prima delle due reca in se stessa una propria interna finalità,
bensì rimane pur sempre come cosa essenziale la utilità della logica, così
divisa, nella sua totalità 558 ). [d) conoscenza compiuta . 66 [64]: Pro co
namquc logica dieta est. quod rationalis, i. e. rationum ministraloria et
examinalrix est. Divisti eam Plato in dialeclicam et rethoricam ; sed qui
efficaci am eius altius me- tiuntur, et pitica attribuunt. Siquidem ci
demonstrativa. probabilis et sopii'stira subicmntur, ecc., in piena conformità
con Boezio (v. in Sez. XH, nota 82). Così pure 5, p. 68 [67]: Demonstrativa.
pro- babilis, et sophistica, omnes quidcm consistimi in inventione et iudicio,
et itidem dividentes, diffinientes, et colligentes, domestici rationibus
utuntur : v. ibid. la nota 76 [PL, 199, 859 e 861], yotq Uiid.. II, 14, p. 85
[87]: Principia inique dialecticae proba- bilia sunt ; sicut demonstralivae
necessaria . — III, IO, p. 152 [160]: Sophisma est sillogismus litigatorius ;
philosofimn vero, demonstrativus ; argumentum aulem. sillogismus dialecticus ;
sed aporisma (v. la Scz. IV, nota 33), sillogismus dialecticus contradictionis.
Horum omnium necessaria estcognitio, et in facultatibus singulis perutilis est
exercilalio. — p. 154 [162]: Sic simrum instrumentorum necessc est logicum
expe- dilam habere faciillatem, ut scilicet principia noverii. probabilibus
habun- too et inducendi omnes ad manum habeat rationcs [PL iiosce più gli
scritti logici parzialmente, e soltanto per sen¬ tito dire, è da lui
qualificato come vero duce (campiduc- tor) di tutti gli studiosi di logica, e
in ogni caso, sebbene con le riserve dovute all’autorità della fede cristiana e
della teologia morale, come maestro dell’arte di dispu¬ tare 559 ): al
ciceroniano Giovanni, cioè, manca natural¬ mente il senso dell’ intimo valore
filosofico della logica aristotelica, nella quale scorge invece soltanto una
tecnica estrinseca: e perciò è anche sua opinione — questo ci fa ricordare la
espressione su ricordata (nota 542) « astu- tiae» — che Aristotele mostri
maggior vigore nella po¬ lemica contro altri, che non nella costruzione
positiva della sua propria dottrina 58 °). Prese le mosse dalla tesi che la
logica, come tecnica dei discorsi ( sermones ), comprendendo inventio e iudicium
(Sez. XII, nota 76), è lo strumento di tutte le discipline, per la quale
ragione appunto Aristotele si è meritato di essere soprannominato « il Filosofo
» 581 ), Giovanni con- 559 ) Ihid., Ili, 10, p. 147 [154]: Rei rationalis
opifex et campi- doctor (Giles legge campi doctor [PrantJ, campiductor ]) eorum
qui lo- gicam profitentur. Campidoctor (come sopru) itaque Peripateticae
disciplinae, quae prae ceteris in veritatis indaga- lione laboret, infelicem
summam operis dedignatus, taluni compqnil (allusione a Hor. Ars poet., v. 34);
cerlus quoti cuiusque operis per- fectio gloriam sui praeconalur aucloris. —
IV, 23, p. 180 [190] : Sicul optimus campidoctor (qui anche il Giles dà la
lezione corretta [ campiductor ]) hunc ad infcrendam pugnimi, illum inslruit ad
cau- telam. — 27, p. 183 [193]: Nec tamen Aristotilem ubique bene aut sensissc
aut dixisse protestar, ut sacrosanctum sit quicquid scripsit. Nam in pluribus
[194], optinente ratione et auctoritatc fidei, con- vincitur errasse . linde
sic accipiendus est, ut ad promovendos iu- vrnes ad gravioris philosophiae
instituta doctor sit, non morum sed disceptaiionum [PL, 199: 910, 915-6, 930,
932], 5 ““) Ibid., III, 8, p. 141 [147]: Aristotilem prue ceteris omnibus tam
aliae disserendi ratiocinationes quam diffiniendi titulus (cioè il contenuto
del 6° Libro della Topica) illustrarci, si tam patenter astrarrei propria quam
potenter destruxil aliena [PL, 199, 906], M1 ) Enlhel., v. 821 ss.: Magnus
Arisloleles sermonum possidet artes Et de virtutum culmine nomen habvt. Judicii
libros componil et inve- niendi Vera, facultales tres famulantur ei; Physicus
est moresque docet, sed logica servii Alidori semper officiosa suo ; Haec illi
nomen proprium Jacit esse, quod olim Donai amatori sacra Sophia suo ; Nam qui
prae - sidera l’intiero Organon in una maniera che perfetta¬ mente si accorda
con il modo di pensare di Abelardo (note 271 ss.); Aristotele cioè avrebbe
ricevuto dalle mani dei grammatici la semplice vox significativa, della quale
avrebbe preso a trattare nelle Categorie, in tal guisa che essa possa poi (De
Interpretatione) venire considerata come elemento della complessa struttura del
giudizio, e a ciò possa far seguito Io svolgimento di quanto si attiene alla
inventio e al iudicium ; la Isagoge compilata da Porfirio [per introdurre] alla
prima di queste parti principali, ap¬ partiene al tutto, proprio soltanto quale
introduzione, e non si deve, come si suole da molti (note 56 ss.), farne per
così dire la cosa principale 562 ). Così però si opera nell’Organon anche una
nuova di¬ visione in due gruppi principali, in quanto che la Isa¬ goge, le Categorie
e il De interpr. posson valere solamente da gradi preparatorii (praeparaticia
artis), essendo tali libri ad artem, piuttosto che de arte, laddove la tecnica
vera e propria, nella quale la inventio e il iudicium tro¬ vano la loro piena
esplicazione, si presenta nelle tre opere celiò, liluli communis honorem
Vindicat. — Metal., II, 16. p. 88 [90]: fìrnnes se Aristotilis adorare vestigio
gloriantur ; adeo quidem, ut communi' omnium philosophorum nomea praeminentia
quadam sihi proprium fecerit. Nam et antonomasice, i. e. excellenter. Philo-
sophus appellatile [PL, 199: 983 c 873], 562) jVf e (a/., II, 16. p. 89 [90]:
Ilic ergo (cioè Aristotele) proba- bilium rationes redegit in artem et, quasi
ab dementis incipiens, usque ad propositi perfectionem evexit. Hoc autem pianura est his qui
scru- tantur et diseutiunt opera cius. Voces enim primo significativas. i. e.
sermones incomplexos, de gramolici menu accipiens, differentias et vires eorum
diligenler exposuit, ut ad complexionem enuntiationum et inveniendi
iudicandique scientiam facilius qccedant. Sed quia ad lume elementarem librum
magis elementarem quodammodo scripsit Por- phirius, eum ante Aristotilem esse
credidii antiquitas praelegendum. Recte quidem, si recte doceatur ; i, e. ut
tenebras non inducal [91] eru- diendis nec consumai aetatem,,.. linde quoniam
ad aliu introduclo- rius est, nomine Ysagogarum inscribitur. Itaque
inscriptioni dero- gant qui sic versantur in hoc, ut locum principalibus non
relinquant [PL, principali: Topica, Analitici e Soph. Elenchi 563 ). Ma pro¬ prio per rispetto alla
inventio e al iudicium, risulta di nuovo un altro punto di vista da adottar
quale princi¬ pio della partizione, in quanto che la Topica, insieme con i
libri precedenti, riguarda prevalentemente e fon¬ damentalmente la inventio,
laddove alla stessa maniera Analitici e Soph. El. debbono servire al iudicium ;
tut¬ tavia neanche si potrebbe daccapo mantenere rigorosa¬ mente questa
partizione (della quale poi non sappiamo davvero perchè in generale sia stata
assunta come fon¬ damentale), perchè alla inventio contribuiscon pure gli
Analitici e i Soph. El., e viceversa anche la Topica giova al iudicium 564 ).
D’altra parte, oltre a tutto ciò, troviamo che Giovanni, per far intendere che
cos’è l’Organon, uti- M3 ) Dopo che cioè nel lib. Ili, cap. I, del Metal, si è
trattato della Isagoge, nei cap. 2 e 3, delle Categorie, c nel cap. 4, del De
in- terpr., al principio del c. 5, p. 134 [139] si legge: Artis praeparalitia
praecesserunl, ad quam suus opifex et quasi legislator rudem omnino tironem
irreverenter el, ul dici- solet, illotis manibus non censuit ad- mittendum....
Utilissima quidem sunt et, si non satis proprie dican- tur esse de arte, satis
vere dicuntur esse ad artem : parum autem refert, si magis dicatur ari sic. Ipsum itaque quodammodo corpus
artis, de- ditctis praeparatiliis, principaliter consistit in tribus ; scilicet
Topi- corum. Analeticorum. Elenchorumquc notitia; his enim perfecte co- gnitis,
et habitu eorum per usum et exercilium roboratis, inventionis et iudicii copia
suffragabitur in omni facultate tam demonstratori quam dialectico et sophistae
[PL, 199, 902]. M4 ) Ibid., IV. 1, p. 157 [165]: Unde cum inventionis
instrumenta procurasset et usum. quasi in conflatorio setlens, examinatorium
quod- dam studuit cadere, quo diligentissima fieret examinatio rationum. Ilic
autem est Analeticorum liber, qui ad iudicium principaliter spe¬ cial, et
lanieri ad inventionem aliquatcnus proficit. Nani [166] disci- plinarum omnium
connexae sunt rationes, et qucelibel sui perfectio- nem ah aliis mutuatur. —
III. 5, p. 134 [139]: Scientia Topicorum. quae, etsi inventionem principaliter
instruat, iudiciis tamen non me- diocriler sujjragatur.... Siquidem sibi invicem universa contribuunt. coque in
[140] proposito facultate quisque expeditior est, quo in vicina el cohaerente
instructior fueril. Ergo et tam Analetice quam Sophistica conferunt inventori,
et Topice itidem conducit indicanti ; facile tamen adquieverim singulas in suo
proposito dominari et accessorium esse beneficium cohaerentis. — IV, 8, p. 164
[173]: Licei ad iudicium ma¬ xime dicatur hacc scientia (se. demonstrativa)
pcrtinere, invenlioni tamen plurimum conferì [PL izza una similitudine, e
compiutamente la svolge, fa¬ cendo corrispondere alle lettere dell’alfabeto le
Categorie, e alle sillabe il libro De interpr. 56S ); fa poi seguito la To¬
pica, che rappresenta la parola (dictio) e v’incliiude la col- leclio degli
elementi 566 ) : e ciò anzi in tal guisa, che, pro¬ cedendo lo sviluppo nel
senso di una costante ascesa, a fondamento di tutta quanta la logica stia il
primo libro della Topica 567 ), e cosi poi il libro ottavo corrisponda alla
connessione della proposizione ( constructio, espressione di Prisciano — cfr.
la nota 273), ond’è proprio questo il libro, in cui si dà la scalata al punto
culminante della logica, ed esso, al paragone di tutta la letteratura mo¬ derna
(dei moderni : v. le note 55 ss.), dev’essere quali¬ ficato come lo scritto di
gran lunga più utile 588 ). Gli Ana- 5C5) Jbid., Ili, 4, p. 130 [135]: Libcr
Pcriermeniarum, vel potius Periermenias (v. la Sez. precedente, nota 33),
ratione proporlionis sillabicus est, sicul Praedicamenlorum elementarius ; nam
dementa ralionum, quae singulatim tradii in sermonibus incomplexis. iste col-
ligil, et in modum sillabae comprehensa producit ad veri falsiquc si-
gnijlattionern. Tantae quidem subtilitatis est habitus ab antiquis, ut in
praeconium eius celebralum ferat Isidorus (v. ibid. la nota 34), quia
Aristotiles, quando Periermenias scriplilabat, calamum in mente tinguebat [PL,
199, 899]. _ 66r >) Ibid.. 6, p. 137 s. [143]: Sicul autem elementarius est
Praedi- camentorum, Pcriermeniarum vero sillabicus, ila et Topicorum liber
quodammodo dictionalis est. Licei enim in Periermeniis agatur de simplici
enunliatione, quae ulique veri falsine dictio est, nondum to¬ rnea ad vim
colligendi pertingit, nec illud assequilur. in quo dialecll- ces praecipua
opera versalur. Ilic vero prirnus
est in rationtbus ex pii- candis, doctrinamquc facit localium argumentationum,
et sequcntium complexionum pandit initia ]PL, 199, 904]. _ 567 ) Ibid., 5, p. 135 [140]: Odo quidem
voluminibus clauditur, fiuntquc semper novissima eius potiora prioribus. Primus
autem quasi materiam praeiacit omnium reliquorum [141] et lolius logicae quae-
dam conslituit fundamenta [PL, 199, 903]. 56S ) Ibid., 10, p. 147 [154]: Arma
lironum siiorum locami m arena, dum sermonum simplicium significationem
evolverei et ilem cnunlia- tionum locorumque naturam aperiret.... Ut autem
praemissae simili- tudinis sequamur proporlionem, quemadmodum Categoriarurn
clcmen- tarius, Pcriermeniarum syllabicus, proemiasi Topici dictwnnles libri
sunt ; sic Topicorum octavus constructorius est ralionum, quorum eie- menta vel
loca in praecedentibus monstrala sunt. Solus itaque versatur in praeceptis, ex
quibus ars compaginatur, et plus confort ad scientiam litici Primi, che si riattaccano a quel libro
stesso, ven¬ gono, con l’aggiunta di una barbarica interpretazione
[etimologica] del titolo (cfr. la nota 23 e la Sez. prece¬ dente, n. 288),
lodati bensì parimente per la loro utilità, ma nello stesso tempo criticati
tuttavia per la sterile loro forma, poiché non soltanto si trova lo stesso
contenuto svolto altrove (cioè evidentemente in Boezio, de syll. cat. e Introd.
ad syll. cat.) in forma molto più facile e pene¬ trante, ma ancora perchè
quell’opera, in generale, con il suo stile conjusus e inintelligibile, è poco
meno che inser¬ vibile per dare all’argomentazione il suo apparato este¬ riore
(ad phrasim instruendam) : e però ci si doveva limi¬ tare a imparar a memoria
le regole in essa contenute (dunque press’a poco alla stessa maniera che
troviamo in Boezio, loc. cit. [direi che si riferisca alla nota 77 della Sez.
XII, richiamata nella nota — o, più precisa¬ mente, al seguito del testo
corrispondente, dove si parla di Boezio, come del primo autore di una logica,
indiriz¬ zata all’unico intento di far entrare un certo numero di regole nelle
teste dei più stupidi]), ma il rimanente si poteva lasciarlo da parte, come
loppa o foglie secche 589 ). disserendi, si memoriter habeatur in corde...
.quam omnes fere libri dialecticae, quos moderni patres nostri in scnlis legere
consueverant ; nani sine eo non disputatile arte., sed casu [PI]. 60 °) Jbid.. IV, 2, p. 158 [166]:
Analeticorum quidem perutilis est scienlia, et sine qua quisquis logicam
profitetur, ridiculus est. Ut
vero ratio nominis exponatur, quam Graeci Analeticen diclini, nos possumus
Rcsolutoriam appellare (questo è un pensiero che Giovanni ha preso da Boezio :
v. la Sez. XII, nota 77), familiarius tamen assi- gnabimus. si dixerimus aequam
locutionem; nam illi anu « acquale », lexim « locutionem » dicunl. Frequens
autem est, cum sermo parum est inlellectus, et eum in notiorem resolvi desideremus
aequivalenter ; unde et interpres meus (probabilmente uno o l’altro di que’ due
tradut¬ tori, che abbiamo trovati più sopra, note 32 s.), cum verbum audi¬ rei
ignotum, et maxime in compositi », dicebat « Analetiza hoc » quod volebat
aequivalenter exponi . Ceterum, licei necessaria sit dottrina, liber non
eatenus necessarius est ; quicquid enim continet, alibi faci - lius et fidelius
traditur, sed certe verius aut forlius nusquam. Siquidem et ab invito fidem
extorquel.... Porro exemplorum confusione et tra- iectione litterarum quas tuoi
de industria, tum causa brevilatis, tum E se è opinione di Giovanni che questa
incomprensibi¬ lità si manifesti per es. particolarmente neU’ultimo capitolo
degli Analitici Primi (Sez. IV, note 649 s.) 57 °), lo stesso biasimo è da lui
rivolto anche contro tutti quanti gli Analitici Secondi, soltanto con
raggiunta, che una parte di colpa ce l’ha forse la traduzione 571 ). Invece il
ciceroniano Giovanni si trova ora di nuov o, da buon retore, nel suo elemento,
con i Soph. Elenchi, che pertanto, staccati dalla Topica, egli colloca alla
fine del- l’Organon; dice che nessun altro libro è più utile di que¬ sto per la
gioventù, e com’esso porge il più grande ausilio per la retorica (ad phrasin),
così va preferito anche ai due Analitici, perchè promuove, in maniera più
facil¬ mente intelligibile, la eloquentia, cioè la espressione del pensiero
mediante la parola). Ma dalla Topica ne falsitas alicubi cxemplorum argueretur,
interseruit, coleo confusus est, ut cum magno labore co perveniatur, quoti
faciliime tradì potest. Sicut autem regulae utiles sunt et necessariae ad
scientìam, sic liber fere inutilis est ad frasim instruendam, quam nos verbi
supellectilem possumus appellare.... Ergo scientia memoriter est firmando, et verbo pleraque
excerpenda sunt ; ....quac alio commode transferunlur et quorum potest esse
frequentior usus. Reliquae coae- quantur foliis sine fructu, et oh hoc aut
calcantur aul sua relinquuntur in arbore. (Qui fa seguito il passo citato più
sopra, nota 20). — Ibid., HI, 4, p. 132 [137]: Sunt autem pleraque quae, si a
suis avellas sedi- bus, aut nichil aul minimum sapiunt auditori; qualia fere
sunt omnia Analelicorum exempla, ubi litterae ponunlur prò terminisi quae,
sicut ad doclrinam profìciunt.. sic tracia alias inutilia sunt. Regulae quo¬
que ipsae, sicut plurimum vigorie habent a veritate doclrinae, sic in commercio
verbi minimum possunt [PL, 199, 916-7 e 900-11. 67 °) Ibid., IV, 5, p. 162
[170]: Postremo agii de cognitione natu- rarum. Grande quidem capitulum et
quod, licei aliqualenus propo¬ sito conferai, fidem tamen prom issi nequaquam
irnpìet. Unum scio, me huius capituli beneficio
neminem in cognitione nalurarum vidisse perfectum [PL, 199, 919], Il passo è
stato citato di già più sopra (nota 27). E72 ) Metal., IV. 22, p. 178 s. [188]:
Sophisticam esse dicium est, quae falsa imagine tam dialecticam quam
demonslralìvam acmulatur, et speciem quam virtulem sapientiae magis
affettai.... Opus quidem dignum Aristotile et quo aliud magis expedire
diventati non facile dixerim .... Frustra sine hac se quisquam [189]
gloriabitur esse philo- sophum; cum nequeat cavere mendacium aut alium
deprehendere men- lientem.... Unde et ad frasim eoncilìandum et totius philosophiae
in- [di Aristotele], che contiene proprio il fondamento della logica, sono
scaturiti i rispettivi scritti di Cicerone e di Boezio, come pure il libro di
quest’ultimo De divi¬ sione (su questo punto non c’è dubbio che Giovanni ha
perfettamente ragione), il quale tra le opere di Boezio occupa un posto
particolarmente eminente 573 ). [e) la « ratio indijjerentiae » come
indifferentismo scien¬ tifico]. — Con questo ci siamo ora perfettamente orien¬
tati riguardo al punto di vista di Giovanni, e in esso ravvisiamo certo con
buon fondamento un’accentuazione di quella, che Abelardo aveva chiamata (nota
267) elo- quentia Peripatetica ; e se nel rispetto filosofico già in Abelardo
aveva prevalso una conciliazione inorganica di opinioni opposte, anche questo
può ripetersi in più alto grado per Giovanni. È in verità un atteggiamento coe¬
rente il suo, quand’egli, stando con l’attenzione rivolta in modo esclusivo
alla eloquenza dell’argomentazione, va in cerca persino di una formula
determinata, con cui elevarsi a tutta prima al disopra di quante difficoltà po¬
trebbero esser riposte in una salda posizione filosofica, che fosse assunta nel
contrasto fra le tendenze. Questa formula è la sua« ratio indijjerentiae »,
vale a dire il pro¬ cedimento del perfetto indifferentismo. Egli cioè
anzitutto, trattandosi della conoscenza delle cose che posson essere oggetto
dei discorsi (rerum praedicamenlalium : v. appresso vesligationes sophisticae
exercitatio plurimum prodest ; ita tamen ut veritas, non verbositas, sit huitis
excrcilii fructus. — 24, p. ] 81 [191]: In eo autem michi videntur (se. Elenchi
) Analelicis praejerendi, quod non minus ad exercitium conferunt et faciliori
intellectu eloquenliam promovent [PL, 199, 929-30], 57a ) Ibid.. Ili, 9, p. 145
[152]: Qui vero librum hunc (cioè la To¬ pica aristotelica) diligentius
perscrutatur, non modo Ciceronis et Boetii Topieos ab his septem voluminibus
(cioè dai primi sette libri) erulos deprehendet. sed librum Divisionum, qui
compendio verborum et eleganlia sensuum inter opera Boetii, quae ad logicam
spectant, singularcm gratiam nactus est [PL, e dei discorsi stessi (sermonum),
richiama l’attenzione sopra la molteplicità di significato a cui i discorsi si
prestano, e osserva che questi all’epoca di Ari¬ stotele potevano avere un significato
diverso, perchè in¬ vero, secondo la sentenza oraziana, le parole van via scor¬
rendo in continuo mutamento, e solamente 1’ uso le fissa a questo o quel modo
574 ). E sebbene ora si conceda che, a parità di significato, la terminologia
degli antichi sia più degna di reverenza, che non quella dei moderni 57S ), in
linea di principio tuttavia l’uso è più potente che non sia lo stesso
Aristotele: e perciò, in quanto venga in que¬ stione la verità di fatto nella
sua obbiettività, e con essa il senso reale delle parole, ben possono anche
sacrificarsi l’espressioni verbali, mentre d’altra parte, fin che la cosa sia
soltanto ammissibile, si può conservar insieme, del- 1 antica dottrina, e la
lettera e l’intimo significato 576 ). S71 ) Ibid., 3, p. 128 [133]: Profecto
rerum praedicamentalium et sermonum pcrulilis est notitia.... Et quia
multiplicitas sermonum ple- rumque inlelligentiam claudit, quoliens dicatur
unumquodque docci (se. Aristotiles) esse quaerendum.... Conlingit autem tractu
temporis, et adquiescente utentium voluntate, multipticitalem sermonum nasci
itemque extingui.... (p. 129) [134: Esse in aliquo] multiplicius dici- tur quam
Aristotelis tempore diceretur ; et quae lune verbo aliquam. nunc forte nullam
habenl significalionem ; siquidem « Multa rena- scentur quae iam recidere,
cadentque Quae nunc sunt in honore voca- buia, si volet usus, Quem penes
arbitrium est et ius et norma loquendi » (Hor. Ars poet., v. 70 ss.) [PL, 199,
898-9J. “"') Ibid., 4, p. 131 [136]: Praeterea reverentia exhibenda est
verbis auctorum, cum culla et assiduitale utendi ; tum quia quondam a ma - gnis
nominibus antiquitatis praeferunt maiestalem, tum quia dispen- diosius
ignorantur, cum ad urgendum aut resistendum potentissima sint.... Licei itaque modernorum et veterum
sii sensus idem, venera- bilior est velustas [PL, 199, 900]. 6,r ') Patet
itaque quod usus Aristotile poten- tior est in derogando verbis vel abrogando
verbo ; sed veritatem rerum. quoniam eam homo non statuii, nec voluntas Humana
convellit. Itaque. si fieri polest, artium verba teneantur et sensus. Sin autem
mi- nus, dum sensus maneat, excidant verbo ; quoniam artes scirc non est
scriptorum verbo revolvero, sed nasse vini earum atque senlentias. Enthel., v. 27 ss.: Qui sequitur sine mente sonum,
qui verbo capessit. Non sensum, judex integer esse nequit : Quum vim verborum
dicendi causa minislrel, Ilaec si nescilur, quid nisi ventus erunl? [PL Già di
qua si desume che tale principio deve condurre a una maniera estremamente
comoda di fare sparir tutte le difficoltà che vengono a galla, perchè in tutti
questi casi basterà dire che la espressione verbale nel corso del tempo è
venuta ad assumere un significato diverso, op¬ pure che in generale essa non ha
importanza. Cosi dice appunto Giovanni stesso (a proposito di una opinione di
Bernardo da Cliartres) che non è per lui di nessun mo¬ mento il prender una
parola alla lettera, e che non c’è punta necessità di metter in armonia con un
singolo passo, in tal senso, anche tutti gli altri passi). E di fatto a questa
maniera la ratio indijjerentiae, ch’egli ri¬ tiene il punto di vista giusto
anche ai fini del tradurre (nota 32), prende forma, dov’egli si richiama a
essa, di esplicito metodo di negazione dello spirito scientifico. Poi¬ ché
certamente è somma leggerezza non soltanto il con¬ siderare, com’egli fa, «
significare-» e « praedicare » quali perfetti sinonimi, mentre Abelardo si era
pure sforzato di arrivare a una rigorosa definizione (nota 318), — ma anche il
denotare, a tal proposito, come cosa assoluta- mente indifferente che p. es.
con gli aggettivi si voglia intendere la qualità, ovvero l’oggetto che n’è
qualificato; e rimettendosi egli su questo punto per ciascun singolo caso a una
benigna interpretatio, fa valere le Categorie come un fondamento essenziale ad
avvalorare il suo pro¬ cedimento, proprio perchè in esse si tratta, ora delle
pa¬ role significanti, ora delle cose significate 578 ). Similmente 677 )
Metal., dove al passo che abbiamo già citato qui sopra (nota 93) fa seguito:
Habet haec opinio sicut impu- gnatores, sic defensores suos. Michi prò minimo
est ad nomea in ta- libus disputare, cum intelligentiam dictorum sumendam
noverim ex causis dicendi. Nec sic memoratam Arislotilis aliorumve auctoritates
in- terprelandas arbitrar, ut trahalur istuc quicquid alicubi dictum re-
peritur [PL, 199, 893]. 57S ) Ibid., p. 122 [126]: Ex quo liquel quoniam «
significare », sicut et « praedicare », multipliciler dicitur ; sed quis modus
familia- rissimus sit, discernere palam est. Inde est, quod iustus et similia
si comporta Giovanni, a proposito di un passo aristote¬ lico, e viene su questo
punto, conforme alla sua indiffe- rentia o ratio licentiae, al risultato, che 1’
individuo sin¬ golo, percettibile per mezzo dei sensi, può essere tauto
predicato quanto soggetto”»). E se nella trattazione di tali questioni siamo
con Giovanni al punto dove la lo¬ gica finisce, prima di esser in generale
neanche incomin¬ ciata, non può farci maraviglia che, presentandosi difficoltà
un poco più riposte, egli enunci subito con tutta disin- passim apudauctores
rame dicuntur iustum, nunc iustitiam signifi¬ care vel predicare.... [127J Tale
est iUud Aristntilis : Qualitalem si- gnificant, ut album; quantilatem, ut
bicubitum (Cai., 4: v. la Sez. IV. nota 303 [dove la citaz. si arresta avanti
le esemplifieaz. : Sinr/u Xsuxiv...]; in Boezio [ad Ar. praed., I; PL, 64,
180], p. 127) .Sic ulique quia dantur a quahtale vel quanlitate, ila et qualitalem
praedi- cant, quam apposita demonstrant inesse subieclis ; inlerdum dicuntur
significare quatta, quomam apposilione sua declarant quali,i sint su- biecta.
Sed haec a se, si sit benignus inlerpres, non multum distaili, etsi andito
albusintelhgatur in quo albedo ; cum autem albedo (licitar, non mteUigiturin
quo talis color ; sed polius color jaciens tale. Illud vero quod nudità voce
concipit iniellectus, ipsius familiarissima si- gnificalio est. 3, p. 122 s.:
Quia ergo aut acquivoce aul univoco aut denominative, ut sequmtur
indifferentiae rationem, singula praedi- canlur, ipsaque praedicatio quaedam
ratiocinandi materia est. praedi- camenlorum praemissa sunt instrumenta....
Rationem vero indifferen- tuie, LI—“J quarti semper approbamus, liber iste
commendai prue cetens ; etsi ubique dilìgenter inspicienti manifesta sit. Agii
enim nunc de sigmficantibus, nunc de significati, aliorumque doctrinam J acU n
nomuitbus aliorum [PL, 199, 894-5], « Ih>d " 2 ;?‘ P'., 110 Mine forte
est illud in Analeticis Aristomenes intclligibihs semper est; Aristomenes autem
non sem- per .'"\ >> ( Ar l al - pr .,, I, 33; in Boezio [PL], p.
445). Et hoc quidem est singulariter individuum, quod salum qui¬ dam munì posse
de al,quo praedicari.... Ego quidem opinionem hanc vehementernec impugno, nec
propugno; nec enim multum referre arbitror, ob hoc quod illam amplector
indifferentiam in vicissitudine sermonum, sino qua non credo quempiam ad mentem
auctorum fide- hter pervenire. Itaque hic. sicut et alibi, executus est quod decet
libertdium artium pracceptorem, ugens, ut dici solet. Minerva pinguion [Cic. de
Amie., V, 19] ut intelligeretur.... Quid ergo prohihcl,uxta hanc licentiae
rationem ea quae sunt sensibilia vel praedicari vel subici? Nec opinor auctores
hanc vim imposuisse sermoni, ut alligatus sit ad imam in iuncturis omnibus
signìficatio- nem, sed doctnnaliter sic esse locutos, ut ubique servianl inlelleclui
Ino c ° n ‘™ n f!' !i '! mus est el
Q upm ‘bi haberi prue ceteris ratio exigit [PL. 149, 886-/]. V. inoltre
appresso [il seguito, nella] voltura il suo punto di vista, come p. es. quando,
ri¬ guardo al giudizio universale, prende per equivalenti la inerenza
obbiettiva e la predicazione subbiettiva, e tut- t’al più ravvisa qui ima
modificazione di terminologia, presentatasi nel corso del tempo 580 ). [f) la
Isagoge. Concezione deglia universalia in re»]. — Se dopo di ciò seguiamo nei
loro particolari l’espressioni di Giovanni relativamente alla sfera propria
della logica, tenendo dietro al filo della partizione da lui stesso as¬ sunta
come fondamentale per l'Organon, — incontriamo in lui anzitutto, come ben
s’intende, nell analisi della Isagoge, cioè nella questione degli universali, 1
estremo sincretismo o eclettismo, cbe sfocia da ultimo in una con¬ cezione
stoico-ciceroniana. Non già al punto di vista di un filosofo cbe stia al
disopra della unilaterale contesa tra i contrastanti indirizzi, bensì a
mancanza di acume filosofico o a faciloneria da retore praticone, s’informa
l’atteggiamento di Giovanni, quando qualifica come in¬ fantile tutta la disputa
sui concetti di genere e di specie : e invero, a tal proposito, egli si limita
a tirarsi indietro, riferendosi a quella molteplicità di significati delle
parole, di cui più sopra (note 574 s.) abbiamo fatto cenno : im¬ perocché
genere e specie possono significare cosi il prin¬ cipio della generazione, cioè
la base ontologica delle cose, come anche il predicabile, cioè il valore logico
dei con¬ cetti universali 58 ^). E a quel modo cbe su questo punto m°) JHd„ IH,
4, p. 132 [137]: Quod dicitur „in loto esse allerum alteri “ vel .. 'in loto
non esse ", et „universaliler aliquid de aliquo prae - dicari '“ vel „ab
aliquo removeriidem est (cfr. la nota 16); frequens tamen usus est alterius
verbi, et alterius fere inlercidit, nisi quatenus ex condicto inlerdum
admittitur. Fuit /orlasse tempore Aristotilisutrius- que usus celebrior, sed
nunc prae altero viget alterum, quoniam ita vu lt usus. Sic et in co quod
dicitur contingens. aliquatenus derogatimi est ei quod apud Aristotilem
optinebat [PL, 199, 901] (cfr.la nota 216). 581 ) lbid., 1, p. 116 s. [120]:...
sed ad puerilem de genenbus et speciebus.... inclinavit opinionem (s’intende
Abelardo); malens in- Giovanni si
appoggia al commento boeziano della Isagoge di Porfirio, così insomma è ancor
una volta, come ve¬ dremo (nota 602), in un passo isolato di Boezio che ci si
offre concentrata la opinione di lui, sicché anche in lui ritroviamo di nuovo
un argomento per provare quanto strettamente tutto il movimento degli studi di
logica in quell’epoca si tenesse attaccato a sentenze frammen¬ tarie degli
autori tradizionalmente più autorevoli. Perfettamente analogo all’atteggiamento
di Abelardo, che si riattaccava a un solo unico passo [della versione boeziana
del De inlerpr.] per avvalorare la duplicità del suo modo di vedere [nella
questione degli universali] (nota 286), è l’atteggiamento complessivo anche di
Gio¬ vanni, in quanto ch’egli presta agli universali un valore ontologico, e
logico al tempo stesso; con la sola differenza, che in lui la confusione dei
punti di vista è non soltanto più complessa e stravagante, ma anche ben più
contraddit¬ toria che non in Abelardo. Giovanni, cioè, non soltanto parla
occasionalmente, quale teologo, intorno ai concetti di sostanza e di essenza,
alla stessa maniera che si tro¬ vano trattati questi argomenti nel
Pseudo-Boezio de Trin. e in Gilberto 582 ), ma anche in quello scritto ch’è
dedi- slruere et promovere suos in puerilibus quam in gravitate philosopho- rum
esse obscurwr.... Itaque sic
Porphirius legendus est, ut sermonum de quibus agitar, significatici teneatur,
et ex ipsa superficie habeatur sensus verborum.... Sufficiai ergo introducendo nosse quia nomen ge¬
neris multiplex est et a prima instilutione significai generationis prìn-
cipium.... Deinde hinc translatum est ad significandum id, quod de
differentibus specie in quid pratdicatur (sopra questa terminologia ab¬
breviata, v. la nota 282). Item et species multipliciter dicilur ; nam ab
instilutione formam significai.... Hin autem sumptum est ad significationem
eius quod in quid de differentibus numero praedicalur. (lutto ciò ha fondamento
in Boezio [ad Porph. a Vict tranci I 22: ed. Brandt, p. 66; PL, 64. 38], p. 22,
e [od Porph. a se fransi, lì, 2: ed. Brandt, p 171 ss.; PL, 64, 87-8] 57
s.).... Quid ergo sibi volunt [Webb: voi in qui.... quicquid aliud exeogitari
potest, adiciunt ?.... Vo- cabulorum simpliciter aperiantur significai ioncs,
apprehendatur illa quae proposito congruit per descriptiones certissimas etc.
[PL]. oS ") Epici. Quicquid autem subsistit, sine dubìo in genere vel in
natura vel in substantia manet. Quum ergo essentiam cato alla logica,
espressamente manifesta il suo accordo con Platone e con il suo realismo
ontologico, secondo il quale il vero essere appartiene all’ intelligibile,
mentre le cose concrete neanche son degne del verbo «esse» 083 ). E com’egli
all’erma quale base reale dell’essere la natura non peritura della sostanza e
la persistente efficienza della forma, attenendosi in ciò pedissequamente al
motto, tra¬ smesso per antica tradizione « singultire sentitur, univer¬ sale
intelligitur » 6M ), così a lui Gilberto è guida, anche relativamente alla
definizione della natura, e alla forza plastica- della differenza specifica 686
): Giovanni anzi si serve persino del termine « jorma nativa » (cfr. la nota
467); nè parimente manca in lui, come non manca in alcuno tra i realisti, il
concetto di partecipazione 586 ) ; infine la dicimus significare naturam, vel
genus rei suhstantiam. intelligimus ejus rei, qua e in his omnibus semper esse
subsistat.... Quod si apud Graecos expressam habent dififerenliam lutee, quae
Ilio totics inculcata sunt, essendo, natura, genus, substantia, cam expediri
omnium arbitror interesse quamplurimum [PL, 199. 162-3]. i > 83 ) Metal.,
IV, 35, p. 193 [204]: Plato quoque eorurn quae vere sunt et eorum quae non sunl
sed esse videntur, dififerenliam docens, intelligibilia vere esse asseruit....
Unde et eis post essenliam primam reale competei esse; i. e. firmus certusque
status, quem verbum, si proprie, ponilur, [205] cxprirnil substantivum ;
temporalia vero videntur quidem esse, co quod intelligibilium praetendunt
imaginem. Sed appel- latione verbi substanlivi non satis digna sunt quae rum
tempore trans- eunt, ut nunquam in eodem statu permansavi, sed ut fumus evane -
scant ; fugiunt enim, ut idem ail in Thimaeo (p. 49 E), noe expeetant
uppellutionem .... p. 195 [206]: Ideam vero.... sicut aelernam audebat dicere,
sic coaeternam esse negabal [PI., 199, 938-9]. 6M) Enthet. Nulla perire potasi
substantia, formaque jormae Succedens prohihet, quod movet, esse nihil. Solis
corporeis sensus carnalis inhaeret, Res incorporcae sub ratione jacent [PL.
199. 987 e 992]. m ) Metal., I, 8, p. 26 [23]: Est autem natura, ut quibusdam
placet (evidente allusione a Gilberto: v. la nota 461), ( licei eam sit
dijfinire difiìcile,) vis quaedam genitiva, rebus omnibus insita, ex qua /arare
vel [24] pati pnssunt. Genitiva autem dicitur, eo quod ipsam res quaeque
controllai, a causa suae generalionis, et ab eo quod cuique est princi- pium
existendi.... (p. 27) Sed et unamquamque rem injormans spe¬ cifica differenza,
aut ab eo est, per quem facta sunt omnia. aut omnino nichil est. Esto ergo ;
sit potens et ejficax vis illa genitiva, indita rebus originaliter [PL, 199,
835—6]. 686 ) Énthet.. v. 395 ss.: Est idea potens veri substantia, quae rem
stessa concezione della individualità assume una forma tale, che vi
riconosciamo la distinzione di Gilberto tra dividila e individua 587 ). [g)
grossolano eclettismo, nella questione degli univer¬ sali]. Ma, dopo avere
udito Giovanni pronunziarsi in tal maniera, che non lascia adito a equivoco,
abbiamo ragione di maravigliarci che egli, per il fatto che l’in¬ telligibile
non può esser universale, ma può soltanto es¬ ser concepito universalmente,
dichiari che quella intorno agli universali è una disputa priva di oggetto,
nella quale si cerca di acchiappare la sostanzialità di un’ombra o di una nube
fuggevole 688 ). Vien ora anche, per quel che riguarda la logica, dato
formalmente congedo a Platone, oltre che ad Agostino e a tutt’ i Platonici, per
far posto ad Aristotele, sia pure con l’aggiunta, a mo’ di conso¬ lazione, che
la dottrina di quest’ultimo può ben darsi Quamlibet informat ut Jacit esse,
quod est ; Omne quoti est vcrum, con¬ vinci! forma vel actus, Necfalsum
clubites, si quid utroque caret. Forma suo generi quaevis addirla tcnelur Et
peragil semper, quicquid origo jubet; Ergo quod informa nativa constai agilve,
Quod natura mancns in ratione rnonet Esse sui generis, veruni quid dicilur
idque Indicai effectus aut sua forma probat. — Polycr.. Ini- plet autem
haecvita omnem creaturam, quia sine ea nulla est substantia creaturae. Omne
enim quod est, eius participatione est id quod est [PL, 199: 973-4 e 478], S8
‘) Metal.Ergo si genera et species a Deo non sunt, omnino nichil sunt. Quod si unumquodque eorum ab
ipso est, unum piane et idem bonum est. Sì autem quid unum numero est, protinus
et singulare est. Nam quod quidam unum aliquid dicunt, non quod unum in se. sed
quod multa unial expressa plurium conformitate, articulo praesenti non
derogant.... Omnis namque substantia acciden - tium pluralitate numero subest.
Accidens autem omne et forma quae- libet itidem numero subiacet, sed non
accidentium aut formarum par- ticipatione, sed singularitate subiecti [PL, 199,
884], Polycr., VII, 12, p. 127 [II, 141]: Sicut in umbra cuiuslibel carpari,
frustra solidilatis substantia quaeritur, sic in his quae intelli- gibilia sunt
dumtaxat et universaliter concipi nec tamen univcrsaliler esse queunt,
solidioris existentiae substantia nequaquam invenitur. In his aetatem terere nichil agentis et frustra
laborantis est ; nebulae si- quidem sunt rerum fugacium et, cum quaeruntur
avidius, citius da¬ nese uni [PL che non sia per nulla più vera, ma è comunque
his di- sciplinis magis accommoda [tale (v. la nota 589) è la espres¬ sione di
Giovanni, resa dal Prantl con le parole « fiir die logischen Partien passender
»] sa9 ). Vengon ora per¬ tanto criticati tutti coloro, che nella Isagoge
voglion metterci dentro un modo di vedere ispirato al platoni¬ smo, o che in
altra maniera si scostano da Aristotele: e, richiamandosi nel modo più risoluto
alla sentenza ari¬ stotelica, che cioè gli universali non hanno per se stessi
esistenza separata, Giovanni respinge a priori qualsiasi teoria che parli di un
essere degli universali stessi 590 ), combattendo così in particolare, da
questo punto di vi¬ sta, anche la teoria dello status 591 ). Ma se siamo ora
effettivamente curiosi di vedere come si risolva cjuesta contraddizione con le
tesi prima enun¬ ciate, il nostro stupore crescerà forse ancora di passo in
passo. Giovanni cioè anzitutto mette pur in prima linea P intellectus, in tal
maniera che, accordandosi quasi 58 B ) Metal., II, 20, p. 112 [115]: Licei Plato
cetum philosophorum grandetti et lam Augustinum quatti alios plures nostrorum
in statuen- dis ideis habeat assertores, ipsius lanieri dogma in scrutinio
univer- salium nequaquam sequimur ; eo quoti hic Peripateticorum principem
Aristotilem dogmatis huius principem prafilemur.... [116] Ei qui Pe¬ ri palei
ieorutn libros aggredilur, magis Aristotilis sentendo sequenda est ; forte non
quia verior, sed piane quia his disciplinis magis accommoda 'est [PL, 199,
888], 60 °) Ihitl.. 19, p. 94 [97] : Quasi ab adverso pectentes (cioè i commentatori
della Isagoge), veniunt contro menlem auctoris et, ut Aristo- liles planior
sit, Platonis sententiam docent aut erroneam opinionem, quae aequo errore
deviai a sententia. Aristotilis et Platonis; siquidem omnes Aristotilem
profilentur. 20, p. 94: Porro hic genera et species non esse, sed intelligi
tantum asseruit (Anni, post., I, 22 e 11: v. la Sez. Ili, nota 66, e la Sez.
IV, nota 373) ....(p. 95) Ergo si Aristo- tiles verus est. qui eis esse tollit.
inanis est opera praecedentis inve- stigationis.... [98] Quare [oul] ab
Aristotele recedendum est, concedendo ut universalia sint [oul....] [PL], e via
dicendo. B91 ) Ibid., 20, p. 102 s. [106]: Sed esto ut statimi aliquem
generalem appellativa significent,... status ille quid sit, in quo singola
uniuntur, et nichil singulorum est, etsi aliquo modo somniare possim ; lamen
quotando sententiae Aristotilis coaptetur. qui universalia non esse con-
lendit, non perspicuum habeo [PL, parola per parola con l’autore dello scritto
De intellec- tibus, non soltanto dà rilievo all’ intellectus coniungens et
disiungens (v. la nota 427), e in priino luogo principal¬ mente alla forza
dell’astrazione ( intellectus absirahens: v. la nota 432), — ma, respingendo
anche la obiezione che 1 intellectus abstrahcus sia illegittimo ( cassus : v.
la nota 429), rivendica all’ intellectus la facoltà di conside¬ rar le cose,
altrimenti da quel che sono in concreto (v. le note 432 s.): e con ciò designa
l’astrazione, quale con¬ dizione fondamentale di tutta la tecnica
dell’intelletto : a tal proposito, mentre si trova d’accordo con Gilberto
(abstractim attendere: v. la nota 464), va facendo uso altresì di espressioni
che abbiamo trovate adottate dai rappresentanti della teoria della indifferenza
( generaliter intueri, diverso modo attendere: v. [per una terminologia
analoga] le note 133 e 13/), e nello stesso tempo viene a trovarsi ancora d’accordo,
nel concetto del raccogliere le somiglianze (v. le note 162 s.), con l’autore
dello scritto De genenbus et speciebus: anzi, con la risèrva che si tratta qui
soltanto della facoltà intellettiva subbiettiva, e che obbiettivamente nella
natura gli universali non esistono, si serve persino di quello, ch’era il ter
min e in- valso nella teoria, da lui combattuta, dello status (v la nota 132)
S92 ). ’*-) limi., 20, p. 95 [98]: Nec verendum ut cassus sii intellectus, qui
ea percepent scorsimi a singularibus, cum lumen a singularibus seorsum esse non
possint. Intellectus enim quandoque rem simpliciter tntuetur, velut si hominem
per se intucatur...; quandoque gradalim suis inceda passibus, ut si hominem
albore.... contemplelur. Et hic quidem dicitur esse compositus. Porro simplex
rem interdum inspicit ut est, ut si Platonem attendai, interdum alio modo ;
nunc enim componendo quae non sunt composita, nunc abstrahendo quae non possunt
esse distancta.... p. 96 [99] Ceterum componens, qui disiuncta coniungit (1
esempio è hircocervus [oltre che centaurus]), inanis est ; abstra - hens vero
fidelis, et quasi quaedam officina omnium artium. Et qui- ocm rebus existendi unus
est modus, quem scilicel natura conlulil, sed easdem intelligendi aut
significatali non unus est modus. Licet
enim esse nequeat homo qui non sit iste vel alias homo, intelligi tamen potest
et significari.... Ergo ad significationem incomplexorum per abstra -Se così,
in una variata scelta di motivi, ricavati dalle opinioni di altri autori, si
vedon convergere diversi fili, a formar la concezione della operazione
subbiettiva del- T intelletto, deve ora riuscirci inaspettato che a ciò si
ricolleghi da capo il realismo di Gilberto: la dottrina, cioè, secondo la quale
la incorporeità qualifica gli uni¬ versali soltanto negativamente, — laddove,
rispetto al loro fondamento positivo, questi debbono, come in ge¬ nerale tutte
le cose, esser messi in relazione di dipen¬ denza da Dio; ma Dio ha creato la
materia formata, vale a dire che tutte quante le forme, sicno sostanziali sieno
accidentali (v. questo punto in Gilberto, alle pre¬ cedenti note 461 s.), hanno
da Dio il loro essere e la loro efficienza, e così nell'atto onde sono state
espresse le cose, ha predominato un riguardo ai concetti delle spe¬ cie, concetti
che pertanto il cultore della logica non può tener separati da Dio, ma in virtù
dei quali « le cose son venute fuori [ma Prantl rende « prodierunt » con «
eingiengen»] dapprima nella loro propria essenza, e ap¬ presso nell’intelletto
umano» 593 ). In seguito a tale cau- hentem inteUectum genera concipianlur el
species ; qaae tamen, si quis in rerum natura dùigentius a sensibilibus remota
quaerat, nichil aget et frustra laborabil; nichil cnim tale natura peperit.
Ratio autem ea deprehendil, substantialem simililudinem rerum differentium
perirne- tans apud se. — Polycr., II, 18, p. 96 [I, 103]: InteUectus.... nunc
quidem res ut sunt, nunc aliter imudar, nunc simpliciter, nunc com¬ posite,
mine disiuncta coniungit, nunc coniuncta distroihil et disiun- gii.... p. 97
[104] Si abstrahentem tuleris inteUectum, liberalium arliurn officina
peribit.... Sic hominem intellectus attingit, ut ad neminem hominem aspectus
illius descendat, generaliter intuens, quod non nisi singulariter esse potest. Dum
itaque rerum similitudines et dissimi- litudines colligit, dum differentium
convenientias el convenientium dijfcrentias altius perscrutata, multos apud se
rerum invenit status, alios quidem universales, alias singulares [PL, 199,
877-8 c 437-8]. 5#3) Metal., II, 20, p. 103 [106]: Sed et nomina, quae
proemisi,,.incorporeum“ et insensibile “, universalibus convenire, privativa in
eis dumtaxat sunt, nec proprietates aliquas, quibus natura universa- lium
discernatur, illis attribuunt ; siquidem nichil incorporeum aut insensibile
universale est.... Quid est autem incorporeum quod non sit substantia creata a
Deo vel ipsi concretum ?... Valeanl autem, immo salita mistica di quella clic
Gilberto aveva chiamata for¬ ma sostanziale, Giovanni ora può dire che la
sostanzia¬ lità degli universali è vera, soltanto riguardo alla causa
cognitionis, e in pari tempo riguardo al generarsi delle cose (natura), perchè
ciascun ente, secondo ch’è situato a un grado più basso nella Tabula logica, ha
bisogno, per il suo proprio essere ed essere pensato, di un altro ente, che si
trovi rispettivamente a un grado più alto; ma d’altra parte gli universali non
hanno un essere, nè come corpi, nè come spiriti, nè come individui). Cosi
dunque Giovanni, mentre segue Gilberto, crede di poter in pari tempo essere un
aristotelico, e come ritiene di sfuggire a quella non necessaria duplicazione
di sostanze (v. la Sez. Ili, nota 64), ch’è una conseguenza della concezione
platonica 5 95 ), cosi dice nella maniera dispereant univcrsalia, si ei obnoxia
non sunt. Omnia per ipsum farla sunl, inique lam subiecta formarum quam formae
subiectorum.... For- mae quoque, tam substantiales quam accidentales, habenl ab
ipso ut sinl et ut suos subiectis operentur effectus. Quod itaque ei obnoxium
non est, omnino nichil [107] est (v. inoltre appresso la nota 613)_ p. 104: Ut
enim ait Auguslinus, formatam creavit Deus materinm.... Eo spectat illud
fìoetii in primo de Trinitate,.omne esse ex forma esl“ (nota 37).... [108]
CuiUbet ergo esse quod est, aul quale aut quan- tum est, a forma est. fundamenta
iecit Deus; et in ipsa expressione rerum habita est mentio specierum. Non
illarum dico, quas logici fìngunt non obnoxias creatori ; sed formarum in
quibus res prò- dierunl primo in essentiam suam, et in liumanum deinde
intelleclum. Nam hoc ipsum quod aliquid coelum aut terra dicitur, formae. effe¬
ctus est [PL, 199, 882-4], 6M ) ìbid., p. 97 [100]: Quod autern univcrsalia
dicuntur esse sub- stantialia singularibus, ad causam cognitionis referendum
est singu- lariumque naturam (analogamente lo Scoto Eriugcna aveva, rife¬
rendosi agli universali, fatto uso dell’espressioni causaliter ed effec-
tualiler : Sez. XIII. nota 129); hoc enim in singulis patet. siquidem inferiora
sine superioribus nec esse nec intelligi possunt.... Quia ergo tale exigit
tale, et non exigitur a tali, tam ad essentiam quam ad noti- tiam, ideo hoc
illi substantiale dicitur esse. Idem est in individuis, quae exigunt species et
genera, sed nequaquam exiguntur ab eis.... Uni- versalia tamen et res dicuntur
esse, et plerumque simpliciter esse ; sed non ob hoc aut moles corporum aut
subtilitas spirituum aut singula- rium discreta essentia in eis attendendo est
[PL, 199, 878-9]. 695 ) Ibid., p. 98 [101]: Itaque detur ut sint univcrsalia,
aut etiam ut res sint, si hoc pertinacibus placet ; non tamen ob hoc rerum erit
più esplicita che gli universali — i quali stanno a fon¬ damento delle cose, non
diversamente dal modo in cui il piano detrazione, che è incorporeo, sta a
fondamento delle azioni, che sono invece sensibilmente percettibili, — li
troviamo appunto, esclusivamente, soltanto nelle cose singole, le quali ultime
si presentano visibilmente come ex empia, in cui gli stessi universali si fanno
manifesti: Giovanni cioè risolutamente rappresenta — e su questo punto è il
primo, ad assumere tale atteggiamento — la concezione degli « universalia in
re», e persino combatte la dottrina platonica degli « universalia ante rem »,
per¬ chè fuori dal singolo non c’è universale 596 ). Ma poiché, in questa sua
posizione, gli sta sempre dinanzi il concetto che ha Gilberto della forma
sostan¬ ziale, è naturale che si attenga a quei passi di Aristotele, dove il concetto
di genere e il concetto di specie ven¬ gono designati come qualche cosa di
qualitativo 597 ). rerum numerum aligeri vel minai prò eo, quoti iuta non sunl
in nu¬ mero' rerum [PL, 199, 879], C ' J6 ) Ihid. : Nirli il au tem universale
est, nisi quoti in singularibus invenitur.... Nec moveat quoti singularia et
corporea exempla sunl uni- versalium et incorporalium ; cttm omnis ratio
gerendi... incorporea sit et insensibile, illud tamen quoti geritur, et actus
quo geritur, plerum- qite sensibilis sit (anche ciò fa tornare a mente il
significato che lo Scolo Eriugena ripone nel termine,,agcre“: v. la Sez. XIII,
nota 131). — p. 108 [111]: Habita tamen ratione aequivocationis. qua ens vel
esse distinguitur prò diversilate subiectorum, species et genera utrum- qite
non sine ratione esse dicuntur. Persuadet enitn ratio ut ea dicantur esse,
quorum exempla conspiciuntur in singularibus, quae nullus am¬ bigli esse. Non
autem sic dicuntur genera et species exemplaria sitigli - lorttm, ut. iuxta
Platonici [112] dogmalis sensum, formae sint exem- plares, quae in mente divina
intelligibiliter constiterint, antequam pro- dirent in corporei (questo è il
passo di Prisciano. già cit. nella nota 263); sed quotiiam, si quis eius quod
communiter concipitur, audito hoc no¬ mine ..homo", aut quod dijjinitur,
cttm dicitur ..homo esse animai ra- tionale mortale l % quaerat exemplum,
slalim ei Plato aliusve hominum singulorum oslenditur. ut communiter
significantis aut dìffinientis ratio solidelur [l’L, 199, 879 e 885-6]. ia, )
Ihid.. p. 100 [103]: /lem Aristotiles : Genera, inquit, et species circa
substantiam qualitatem determinanl (Cai., 5: v. Sez. IV. nota 476).... Item in
Elenchis (c. 22: in Boezio [II, 3: PL, 64. 1032], p. 750, con una traduzione
che alquanto si scosta dal testo: v. so- In queste forme qualificanti scorge la
« mano [dell’Arte¬ fice] della natura», che ha dato alle cose la veste delle
forme, perchè l’uomo le possa più facilmente compren¬ dere: e perciò si
presenta ora con il più spiccato rilievo la prima substantia di Aristotele,
cioè l’individuo, mo¬ vendo dal quale l’intelletto da sè solo si eleva, in
linea ascendente — per mezzo della uguaglianza di forma che accomuna i singoli
( conjormitas : v. questo concetto in Gilberto, alla precedente nota 474) —
sino alla univer¬ salità dei concetti di specie e di genere 598 ): e come Gio¬
vanni si ritrova su questo punto ancora in accordo con la teoria della
indifferenza, così adopera anche a tal ri¬ guardo persino la espressione»
conjormis status» 599 ). A pra la nota 34):,,/Jomo et omne commune non hoc
aliquid, sed quale quid, (rei) ad aliquid vel aliquo modo vel huiusmodi quid
significai". Et post paura : „Manifestum quoniam non dandum hoc aliquid
esse quod communiter praedicalur de omnibus, sed aut quale aut ad aliquid aut
quantum aut talium quid significare". Profecto [104] quod non est hoc
aliquid, significatione espressa non potest explanari quid sii [PL, 199, 880].
69S ) Polycr., II, 18, p. 98 [I, 105]: Et primo substantiam, quae omnibus
subest, acutius intuetur (se. intellectus), in qua manus naturae probalur
artificis, dum cam variis proprietatibus et formis quasi suis quibusdam
vestibus induit et suis sensuum perceplibilibus informat, quo possit aptius
humano ingenio comprehendi. Quod igitur sensus percipit, formisque subiectum est,
singularis et prima substantia est. Id vero sine quo illa nec esse nec
inlclligi potest, ei substantiale est, et plerumque secunda substantia
nominatur.... Universale, si, licei non natura, conformitate tamen sii commune
multorum. Quod forte faci- lius in intellectu quam in natura rerum poterit
inveniri, in quo genera et species, dijferenlias, propria et accidentia, quae
universaliter dicun- tur, planum est invenire, cum in actu rerum subsistentiam
universa- lium quaerere exiguus fructus sii et labor infinitus, in mente vero
Mi¬ litar et faciliime reperiuntur. Si
cnim rerum solo numero differen'.ium substantialem similitudinem quis mente
pertractet, speciem tenel; si vero etiam specie differentium convenientia menti
occurrat, generis lalitudo mente diffunditur. Denique dum rerum, quas natura
substan- lialiter vel accidenlaliter assimilavit, conformitatem percipit
intellectus, in universalium comprehensionc movetur.... p. 99 [106] Numquid ab-
strahens intellectus, dum haec agit, otiosus est aut inutilis, per quem animus
honestarum artium gradibus ad thronum consummatae philo- sophiae consccndit?
[PL, 199, 438-9]. 69e ) Enthet. Est individuum, quicquid natura creavit,
Conformisque status est ralionis opus : Si quis Arislotelem primum questo modo
la uguaglianza delle cose tra loro, riguardo alla forma, viene messa in
connessione immediata con la inlellectus communitas (communiter intelligi) ),
ma gli universali stessi vengono, come tali, trasferiti pura¬ mente nel modus
intelligendi (e ciò è in armonia anche con la teoria della maneries : v. la
nota 88), sì ch’essi vengono denominati parole « figurali», e appartenenti
esclusivamente alla « dottrina » (di figura locutionis ave¬ vano parlato anche
i nominalisti: v. la nota), o, in una parola, « jigmenta », che, con le cose
singole, si tro¬ vano nella relazione scambievole di mostrare e di essere
mostrati, e però han potuto da Aristotele esser accon¬ ciamente denominati «
monstra » (— monstrare —) 601 ). [h) concetto indeterminato di notio. Ma questo
modo di considerare gli universali è ora in verità così elastico, che nel
concetto di« figmentum» Giovanni ci può tra¬ sportare anche l’apprendimento,
per parte dell’ intelletto, non censet liabendum, Non reddit merilis proemia
digita sttis [PL, 199. 983], 6°°) Melai., II, 20, p. 98 [101]: Ergo quod mcns
communiter inteìligil et od qingularia multa aeque perlinet, quod vox communiter
significai et acque de mullis ve rum est, indubitanter universale est. — p. 107
[110] Secundum intellectum illuni [111] deliberari pa¬ lesi de re subiecta, i.
e. actualiter exemplificari, ob inlellectus commu- nitatem ; res, quae sic
intelligi potest, etsi a nullo intclligalur, dicitur esse communis ; res enim
conjormes sibi sunt, ipsamque conjormi- latem deducta rerum cogitatione
perpendit inlellectus [PL, 199, 879 e 885], ® 01 ) Ergo dumlaxat intelligunlur,
secundum Aristotilem, universalia ; sed in actu rerum nichil est quod sii uni¬
versale. A modo enim intelligendi figuralia haec, licenter quidem et
doctrinaliter. nomina indila sunt. Ergo ex sententia Ari- stotilis genera et
spccies non omnino quid sunt sed quale quid quodam- modo concipiuntur ; et
quasi quaedam sunt figmenla rationis, seipsnm in rerum inquisilione et doctrina
suhtilius exercentis.... [112] Possunt et monstra dici (si riferisce al noto
passo antiplatonico di Aristotele: vedilo qui più sopra, nota 31), quoniam
invicem res singulas mon- .siranf, et monstrantur ab eis. Ea vero quae
intelligunlur a singularibus abstracta,.... animi figmenla sunt.... quae ex
conformitale singularium intellectu non casso concipiuntur [PL.. 199: 885-6 e
897]. 452 CARLO PRANTL dei modelli originari (exempiano), che misticamente
eser¬ citano il loro influsso, dalle cose (exempla), sopra l’anima: a tal
proposito enuncia con sufficiente chiarezza il suo sincretismo eclettico,
qualificando, — oltre che far uso di quell’espressioni d’intonazione
nominalistica —, gli universali come prodotti psicologici (phantasiae, termine
che ricorda lo Scoto Eriugena: v. appresso la nota 613 [per altre reminiscenze
delle dottrine doU’Eriugena]), ma a ciò collegando nel medesimo tempo la
concezione stoico¬ ciceroniana, secondo la quale gli universali stessi sono concetti
subbiettivi (svvoiou, notiones: v. il luogo ci¬ tato più sopra alla nota 64); e
inoltre egli passa ancora, in modo molto manifesto, rasente al platonismo, o
per lo meno va d’accordo con Gilberto, in quanto che anche da lui gli
universali son tenuti in conto d’ imagini di una originaria purezza ideale,
tralucenti dalle somiglianze delle cose singole: con ciò si trova infine ancora
commisto l’aristotelismo, poiché queste figurazioni fantastiche non possiedono
già una esistenza separata dalle cose singole, bensì, quando si volesse così
afferrarle, si dileguano come ombre o come imagini di sogno 602 ). Se ora
sembra che non sia effettivamente possibile accumulare, una sull’altra. 602)
lbid.. II, 20, p. 96 [99]: Sunt itaque genera et species nor. qui- dem res a
singularibus aclu et naturaliter alienae, sei! quaedam notti- ralium et
aclualium phantasiae (anche questo termine si trova pa¬ rimente — cfr. [per la
concezione di Giovanni degli universalia in re, nella sua relazione con quella
dello Scoto Eriugena] le note 594 c 596 — nello Scoto.Eriugena: v. la Sez.
XIII, nota 125) renitentes in intellectum, de similitudine aclualium. tamquam
in speculo, nativae puritatis ipsius animar, quas Gracci ennoyas [evvoia;] sire
yconay- fanas [elxovo22 ) Policr., VII, 7, p. 103 [II, 115]: Sic et geometrae
primo peti- nones quasdam quasi totius artis iaciunt fondamento, deinde comma-
nes animi conceptiones adiciunl et sic quasi acie ordinala ad ea quae stb, sunt
demonstranda procedunt [PL ch’è stata colmata dagli studiosi venuti più tardi
(Sez. XII, nota 136), ma anche riguardo ai sillogismi consistenti in
combinazioni di giudizi categorici con giudizi di ne¬ cessità e di possibilità
(Sez. IV, note 558 ss.), dice che essi non sono esposti da Aristotele in
maniera esauriente: e pertanto rimane qui ancora aperto ad altri il campo a
un’attività, la quale tuttavia, sussistendo il bisogno pratico di così fatte
forme di ragionamento, dovrà for¬ nire. per sodisfarlo, mezzi che sieno, dal
punto di vista pratico, più convenienti) e queste sono ehiaccbieie, per le
quali, anche dal canto suo, egli stesso sembra do¬ ver pretendere quella
benigna interpretatio, di cui s’è fatto cenno più sopra. Similmente Giovanni si
pronunzia circa i sillogismi ipotetici, da Aristotele lasciati forse intenzio¬
nalmente da parte, a causa della loro difficoltà; tuttavia, oltre a un accenno
a questi sillogismi, che si trova già nella Topica, è stato in particolare un
certo passo degli Ana¬ litici. che ha determinato Boezio e altri a colmare la
lacuna, sebbene neanche per opera loro sia stata ancora raggiunta la vera
compiutezza 624 ). Che Giovanni anche 623) Metnl.. IV, 4, p. 160 [168]: Trium
figurarum subnectil rationes (se. Aristotiles) et qui modi in singulis figuri*
ex complexione extre- mitatum provenirmi docci : data quidem semente rationis
eorum quos, sicul Boetius asserii (il passo è stato citato più sopra, Sez. V,
nota 46), Theofrastus et Eudcmus addiderunt. Deinde habita modalium ratione
transil ad commixtiones quae de necessario sunl aul contingenti cum his quae
sunl de inesse.... A ec tamen dico ipsum Aristotilem alicubi, quod legerim,
nisi forte quod ad propositum, de modalibus sujficienler egisse ; sed
procedendi de omnibus fidelissimam scientiam trudidit. Expo- silores vero
divinae paghine rationem modorum pernecessariam esse dicunt.... [169] Et prof
celo licei nullus modos omnes, unde modale s dicuntur, singulatim enumerare
sufficiat. quod quidem ncc ars exigit, tamen magistri scolarum inde
commodissime disputali t. et, ut pace mul- titudinis loquar, Aristotile ipso
commodius [PL, 199, 918j. Cfr. la nota 220. : Dialecticam et apodicticam....
prue - cedentia docent ; in his tamen de ipoteticis syllogismis nichil aut
parum est actitatum, Seminarium tamen datum est ab Aristotile, ut et istuc per
industriam aliorum possit esse processus. Cum cairn tam proba- bilium quam
necessariorum loci monstrati siili, ostensum est quid ex quo sequilur
probabiliter aut necessario. Quod quidem ad vpoteticarum negli Analitici avesse
dinanzi agli ocelli soltanto lo scopo pratico dell’argomentazione, è manifesto
dove fa men¬ zione così della pelino principii B2S ), come pure di alcuni altri
momenti della tecnica, tra cui il procedimento della controprova, per il quale
sceglie il termine « catasyllo- gismus » «»). Dagli Analitici secondi lia
potuto attin¬ gere la conoscenza dei così detti quattro principii ari¬
stotelici 6 “'), e aneli egli è stato inoltre portato a entrare nelle questioni
di teoria della conoscenza, che tuttavia discute assai peggio che non l’autore
dello scritto De intellectibus (note 418 ss.), perchè a un esordio, d’into¬
nazione ancora abbastanza aristotelica, concernente la percezione sensibile, la
fantasia e la opinione, fa se- imUcinm maxime special.... Praeterea Boetius (De
syll. hypothetico ( 1. IL, 01 . 836], p. 609) hoc prò seminio inveniendorum
dicit acceptum quod Aristotile$ ait in Analeticis (v. sopra la nota 522):
..Idem cum su et non SI', non neresse est idem esse." Ergo ipse et olii
(v. la Sez. XII nota 139) aliquatenus suppleverunt imperfectum Aristotilis in
line . parte; seti quidem, ut michi visum est, imperjecte (sino a qual punto
‘,‘Zn r:r oss I er ': azione sia v. Md., note 155 e imi [188],Sea forte ab
Aristotile de industria relictus est hic lahor. co quòd plus difficultatis quam
utilUatis videtur habere libcr illius qui dilLen- ttssime scnpsit. Prof ceto si
hunc Aristotiles more suo exequerelur, ve- nsimile est tantae difficultatis
fare librum ut praeter Sibillam inlelli- gat nomo. Nec tamen hic de ypotelicis
satis arbitrar expeditum, sud- P ien ^ nia vero scolorimi perutilia et
necessaria sunt [PI,. 199 928-01 nota 62BW 5 ' P | 161 t 1 . 7 ?] 1, Adicit
(-inai. pr.. II, 16: v. la Sez. IV\ nota 628) et regulampetitwnis principii,
quae speculatio tam demon- straton quam diabetico satis accommodata est ; licei
hic probabilitale gaiiaeat* tue verUatem aumtaxat amplectatur fPL 199 9191 e )
md.; p. 162 [170]: Segui tur de causa falsae conclusioni, et catasillogismi
(cosi è anche intitolato effettivamente nella traduzione di Boezio, p. 516
[cap. XX „De falsa ratiocinalione. catasyllogismo iZlZTu l Z l '° ne ì e l e '
en rt° : PL - 64 ’ 7 ° 51 ’ 11 ri8 P««ivo capitolo AnaL pr II, 19. v. la Sez.
IV, nota 631) et elenchi (ibid. ; nota 632) et de fallacia secundum opinionem
(ibid. : nota 634 s.) et de conver sione medi! et extremerum (ibid., nota 636
s.), cuius tamen tota utili tas longe commodius tradi potest [PL, 199, 919], w
') Enthct., v. 375 ss. [PL. 199, 973]: Quatuor ista solerei laudem praeslare
creatis : Subjectum, species, artificisque manus. Finis item cunclis qui nomina
rebus adaptat. Arist. Anal. post., II, 11: v la’ Sez. IV, nota 696. Era
pertanto affatto inutile che si mettesse in librila SS U " a COnOSCenZa ’
P" ài Giovanni, dei guito subito il concetto ciceroniano di prudenza
pratica, al quale viene appresso la concezione platonica della ra¬ do i, per
metter capo infine alla sapientia, intesa in senso teologico, come ultima meta
628 ). Parimente, come tratto dalla conoscenza dei Sopii. Elenchi, posti da
Giovanni a conchiusione dell’Organon aristotelico, potrebbe tutt’al più essere
degno di ricordo il termine « reluclatorius [eluctatorius : v. la nota] syllo-
gismus » 629 ), e così pure, come ricavata dairàmbito degli scritti di Boezio,
la menzione delle quindici specie di definizione (v. la Sez. XII, nota 107); e
qui la lettura superficiale del libro di Boezio ha indotto Giovanni a ritenere
che Cicerone abbia composto anche lui uno scritto De definidone 63 °). 6as ) Melai., IV, 9, p. 165
[174]: Cum sensus secundum Aristo- tilem ( Anal. post., II, 19: Scz. IV, nota
51) sit naturalis potenlia indicativa rerum, aut omnino non est aut vix est
cognitio, deficiente sensu.... p. 166: Aristotiles autem sensum potius vim
animae asserii quarti corporis passioncm. 10, p. 167 [175]: Imaginatio itaque a ra¬ dice
sensi!um per memoria’ fomitem oritur. Primum enim iudicium viget in sensu....
Secundum vero imaginationis est; ut cum aliquid perceptorum. relenta imagine,
tale vel tale asserii, de fiu- turo iudicans vel remoto. Hoc autem alterutrius
iudicium opinio ap- pellalur (così in Boezio si trova tradotto il termine Só^a:
v. sopra la nota 19; invece per existimatio v. la nota 423). — 12, p. 169: Pru-
dentia autem pst, ut ait Cicero, virtus animae, quae in inquisitione et
perspicientia sollertiaque veri versatur. Inde est quod maiores prudentiam vel
scientiam ad temporalium et sensibilium noti- liam retulerint : ad spiritualium
vero, intellectum vel sapienliam. Nam de humanis scientia, de divinis sapienlia dici solet.
Ergo et potenlia et potentine motus ratio appellatur. Ilunc autem mo- tum asserii Plato in Politia vim esse
deliberativam animae ctc. Sapendo vero sequitur intellectum, co quod divina de
his rebus quas ratio discutit, intellectus excerpsit, suavem habenl gu¬ sta ni
et in amorem suum animas intelligentes accendunt [PL, 199: 921-3, 925, 927],
629 ) Ibid., IV, 23, p. 180 [ed. Webb, p. 189]: Sicut enim dialec- ticus
elencho, quem nos eluctalorium dicimus sillogismum, eo quod con- tradiclionis
est,.... utitur ctc. [PL, 199, 930]. — Cfr. Polycr., II, 27, p. 145 [ed. Webb,
I, p. 153; PL, 199, 467], dove, sotto il nome [di syllogismus] „cornutus“,
viene messo in opera un dilemma. oso) Vietai., Ili, 8, p. 141 [147]: Sumpserunt
hinc (cioè da Arist., Top. VI) doctrinae suae primardio Marius Victorinus et
Boelius cum Cicerone, qui singuli libros dififinitionum cdiderunt. Illi quidem
difi- [§ 40. — Alano da Lilla], — Mostra
qualche affi¬ nità con Giovanni da Salisbury, nei riguardi della onto¬ logia
teologica. Alano da Lilla [ab Insulis], scrit¬ tore tanto scipito quanto
affettato (morto intorno al 1200 [circa nel 1203]), a entrambi servendo da
comune punto di partenza, circa tali questioni, la concezione di Gilbert de la
Porrée. Alano tuttavia non ba trovato che valesse la pena di prender in
considerazione, neanche a quella maniera che ci si fa manifesta in Gilberto o
magari an¬ che in Giovanni, il valore di questa ontologia dal punto di vista
della logica, dovendo, in ordine a quella, rima¬ nere riservato ai teologi il compito
di giudicare o apprez¬ zare: bensì ba assunto, nell’ampolloso suo poema « A/i-
ticlaiidianus », rispetto alla logica, il punto di vista della dottrina
scolastica piu volgarmente ordinaria, che an- cb egli ha in buon conto,
solamente come mezzo di ar¬ gomentazione per la battaglia contro gli eretici
631 ). Fa¬ cendo comparire, analogamente a Marciano Capella, le sette arti
quali figure simboliche, egli, dopo che per pri¬ ma è stata introdotta la
grammatica, rappresenta, in secondo luogo, la logica come una vergine
estremamente industriosa e solerte, nel cui volto scolorito si scorgono
solamente pelle e ossa, sicché vi si riconoscono le con¬ seguenze delle veglie
trascorse nell’applicazione allo stu¬ dio 63 -); enumera poi i suoi doni,
ch’essa reca con sé finicndi nomen usque ad quindecim species dilataverunl,
describcndi modns dijfinitionis vocabulo subponentes ; hiiic vero de
substanliali prae- cipue cura est fPL, 199, 906] (v. la fonte di questo errore
alla Sez. XII. note 103 c 106). ' 1 ) Anticlaud ., V II, 6 (Alani Opp., ed. C.
de Visch, Anversa 1654, fol., p. 394 [PL, 210, 554]): Succedit Logicae virlus
arguta,... Haec docet argutum JMartem ralionis mire, Adversae parti concludere,
fran¬ gere vires Oppositas, parlenupie su ani ratione Uteri : Eestigare fugarti
veri, falsumque fugare, Schismaticos logicce, falsosque retundere fratres. Et
pseudologicos et denudare sophislas [testo cit. secondo la ediz Wright, 11, p.
391: Dist. VII, eap. VI, 1 ss.]. 6 ‘-) Ibid., III, 1, p. 345 [PL]: Latius
inquirens, sollers, studiosa, laborans. Virgo secando starlet, intrat
penetralia mentis, Sol- licitatque manum, mentem manus excitat, urget
Ingenium.... Et decor nella battaglia per la verità, e tra essi precisamente
no¬ mina anzitutto la topica, con le sue maximae proposi- tiones, a questa
intrecciando la sillogistica, come pure la induzione e Vexemplum: seguono poi
la definizione, con inclusa la descrizione (cfr. la Sez. XII, nota 9), e la
divisione del genere nelle specie, come pure del lutto nelle parti, e inoltre
il ricostituirsi della connessione tra i membri così differenziati: tutte
funzioni, queste, con le quali la logica agisce quale strumento o chiave della
verità, come pure quale arma per tutte le altre arti 633 ). Finalmente Alano, enumerando
gli scrittori di logica, esalta Porfirio come un secondo Edipo, critica Aristo¬
tele, per la confusione di parole che ha introdotta, onde la logica è stata
novamente oscurata e velata : ma dopo di lui è venuto Boezio a riportare nel
tutto, luce e or¬ dine 634 ). e t species afilasset virginia arlus, Sicul
praesignis membrorum disseril orda. Ni facies quadam macie, respersa iacerel. Vallai eam
macies, macie vallata profunde Su lisi del. et nudis culis ossibus arida nubit.
Ilaec habitu . gesta, macie, pallore, figurai Insomnes animi motus, vi-
gilemque Minervam Praedicat, et secum vigiles vigilasse lucernas [p. 310 :
Dist. Ili, cap. I, 1 ss.]. 633 ) Ibid., p. 345 f. [PL, 210, 509-10]: Monslrat
elenchorum pugnas, logicaeque duellum : Qualiter ancipiti gladii mucrone
coruscans Vis lo- gicae veri facie tunicata recidit Falsa, negane falsum veri
latitare sub umbra.... Quid locus in logica dicalur quidve localis Congruitas,
quid causa loci, quid maxima, quid sitVis argumenli, mattana a fonte locali,
C.ur argumentum firmeI locus, armet elenchum Maxima, quae vires proprias
largitur elencho.... Cur ligel extremos medius mediator eorum Terminus, et
firmo confibulel omnia nexu...., Qualiter usurpans vires et robur elenchi
Singula percurrit inductio, colligit omne.... Qualiter excmplum de se paril....
Quomodo diffinit, parlitur, colligit, unii Sin¬ gula, quaegremio complectitur
illa capaci. Quomodo res pingens descriptio claudit easdem, Nec sinit in varios
descriptio currere vultus. Quid genus in species divisum separai, aut quid
Dividit in partes totum, rursusque renodal, Quae sunt sparsa prius, divisaque
cogil in unum. Qualiter urs logicae tanquam via, janua,
clavis, Ostendil, reserat, aperii secreta sophiae. Qualiter arma gerii, et in
omni militai arte.... [p. 311: c. s.. 34 ss.]. B34 ) Ibid., p. 347 [PL, 210,
511]: Auctores logicae, quos donai fama perenni Vita,... recole.ns defu nctos
suscitai orbi. [Illic Porphyrius directo tramite pontem Dirigit, et monstrat
callem quo lector abyssum latrai Aristotilis, penetrane penetralia libri.]
Illic Porphyrius arcana Passaggio alla letteratura del se¬ colo XIII 0 ].
Eccoci giunti così al limite del XII 0 e del XIII° secolo, limite
caratterizzato anche dal fatto, che proprio in quel momento da varie parti è
stato recato al¬ l’Occidente latino materiale nuovo : la considerazione di
questo deve formare l'oggetto delle due prossime Sezioni, perchè sia poi
possibile distesamente illustrare i vasti ef¬ fetti di questo materiale nuovo
che ha da sopraggiungere. Per quanto si attiene al progresso della storia della
ci¬ viltà, è un fatto che la nostra ricerca, sino al punto a cui Pabbiamo
condotta, non ci ha davvero presentato punti di vista, i quali ci dian motivo a
rallegrarci. Ci siamo sì fatti passare dinanzi multa, ma certamente non multum.
Anzi, persino la conoscenza che un poco per volta si ridesta, delle principali
opere aristoteliche, non è stata feconda di frutti che meritino di essere
ricordati: e al posto di un modo veramente filosofico d’ intendere la logica,
quale avrebbe potuto essere determinato dallo studio di Aristotele, sembrò
infine volersi ancora far va¬ lere, più che mai di gusto, P impulso alla
retorica pratica. E anche le Sezioni che seguiranno più tardi, ci faranno, pure
in un’epoca in cui uno spirito nuovo spezza le catene della tradizione e
dell’autorità esteriore, assistere, nel campo della logica, solamente a una
ripe¬ tizione intensificata di questo giuoco della storia, onde la logica,
frammezzo a molte diverse concezioni, con¬ tinua sempre a esser di nuovo
cacciata via da una base intimamente filosofica. resolvit, ut alter Aedipodes
nostri solvens aenigmata sphingos, Verborum turbator adest, et turbine multos
Turbai Aristotiles noster gaudelque In¬ tere. Sic logica tractat, ut non
tractasse videtur ; Non quod oberret in hoc, scd quod velamine verbi Omnia sic
velai, Quod vix labor ista re- velet.... In lucem tenebrosa rejert, nova ducit
in usum, Exusalque 1 ra¬ po s, in normam schema reducit, Exerit ambiguum
Severinus ; quo duce linquens Natalem linguam nostri, peregrinai in usum
Sermonis logicar virlus, ditatque Latinum [c. s., 107 ss.]. ELENCO DEI NOMI E
DELLE COSE PIO NOTEVOLI Abbone da Orléans Abelardo abstractio Adalberone Adamo
dal Petit-Pont Adelardo da Balli udjticcnler, adjacentia aequi pollentia Alano
da Lilla Alberico Alberico da Monle Cassino Alcuino Anonimo, De gener. et
specieb. De intellectibus De
interprete De unii, et uno San gali. De p<irt. Loicae SangaU. De syllog., 115 Anselmo d’AOSTA (si veda) Anseimo il
Peripatetico Anlepraedicamenta antiqui antiqui e moderni Aristotele (nuove
traduzioni di) Arnolfo da Laon Asino (Prova dell’) Bartolomeo Berengario Questo
Elenco è mantenuto ei eli'erano stati segnati dai Franti (N. Bernardo da
Chartres Bernardo da Chiaravalle Bernhard da Hildesbeim, 93. Borgognone da PISA
(si veda) calasyllogismus Categorie colligere concepito conceptus communes conformilas
consimilitudo contingens c possibile copida Cornifieio Costantino Cartaginese [note]
Damiani Davide da Hirsebau Definizione Differenza, v. Porfirio Diritto (Scienza
del), v. Giurisprudenza dividenlia dividuum Drogone da Troyes eloquentiu eloquentia
peripatetica Erico da Auxerre forma subslantialis formae nativae Formularii ìtro
gli stessi limiti, molto ristretti (I. J'.) Francone da Liegi Fredegiso Fulberto
da Charlrcs Gannendo Caunilone Gauslenus da Soissons Genere (Concetto di), v.
Universali Gerberto Giacomo da Venezia Gilbert de la Porrée Giovanili da Gorze Giovanni
da Saiisbury Giovanni Scoto Eriugena Giovanni Serio Giselberto da Reims Giudizio
Giurisprudenza Gualtiero Mapes, v. Mapes Gualtiero da Mortagne Gualtiero da S.
Vittore [nota] Gualtiero da Spira Guglielmo da Champeaux Guglielmo da Conches Guglielmo
da llirscliau Gunzone ITALO (si veda) Uraliano Mauro identitas Jepa
indifferentia Indifferenza (Dottrina della) individualiter inesse informare Intellettualismo
inlelleclus intellcclus conceptus intellectus coniungens e dividens Josccllinus
da Soissons, v. Gauslcnus Irnerio Isidoro da Siviglia Lanfranco Logica, vecchia
e nuova, v. antiqui c moderni maneries Manerius Mapes malerialite.r imposila materialum
modulis moderni moderni e antiqui, v. antiqui e moderni monstra, Nominalismo Nominalismo
e realismo nominaliter notio Notker Labeone Oddone do Candirai Onorio da Autun Otloli
da Ratisbona Ottone da Cluny Ottone da Freising Papia Parte (Concetto di) perihermeniae
Pietro LOMBARDO (si veda) Pietro da Poitiers Plutonici Poppone Porfirio
(Isagoge di) possibile e conlingens, v. contingens e possibile postpraedicamenta
praedicamentalis praedicari praedicari in quid [nota] proprium, v. Universali Pscudo-Abclardo
Pseudo-Boczio, De Trin. Pseudo-Boezio, De unii, et uno Pseudo-Erico Pseudo-Hrabano
Rainibcrto da Lilla rntionale Realismo Realismo e nominalismo, v. Nominalismo e
realismo Reginaldo Reinhard da Wiirzburg Remigio da Auxerre res de re non
praedicalur Rhahano Mauro, v. Hrahano Roberto Amiclas Roberto da Melun Roberto
da Parigi Roberto Pulleyn Roscelino Salomone (Glossario di) S. Gallo Scoto
Eriugcna, v. Giovanni S. E. Sensismo aerino sermocinalis Sertoriu9 sex
principia significatimi Sillogismi' (Teoria dei) Sillogismi ipotetici Silvestro
li, v. Gerberto Simeone speries, v. Universali status sumplum syllogismi
imperfccti syncalegoreumata Tendenze contrastanti Teologia Topica Ugo di S.
Vittore Ugucrione universale intelligitur, singultire sentitur Universali
(Disputa intorno agli), v. Tendenze contrastanti Universali in re vcrbaliter,
v. nominaliter vocalis voce» signativae vocis flatus vocum impositìo Volfango
da Ratisbona Williram da Soissons Finito di stampare, in 1500 esemplari
numerati, nella Tipografia Fratelli Stianti in Sancasclano Fai di Pesa Esemplare
N. * " IL PENSIERO STORICO „ SOTTO GLI AUSPICI DELL’ENTE NAZIONALE DI
CULTURA. CONOSCENZA INCOMPIUTA DELLA LOGICA LIZIO Delimitazione dell’oggetto e
dell’intento della presente ricerca . Si diffonde nelle scuole lu logica della
lorda latinità .La tradizione della logica scolastica, nei riguardi delle
traduzioni di Boezio, è limitata: e s’igno- rutto le principali opere logiche
di Aristotele. . » 6 § 4. - Atteggiamento della ortodossiarispettoallalogica La
« Isagoge » di Porfirio Miseria del pensiero medievale. La questione degli
universali determina un con¬ trasto di tendenze nel campo della logica: pre¬
valenza di un realismo platonico .Pensiero e linguaggio . Isidoro da Siviglia:
а) Logica e Teologia Compendio di dialettica nelle « Origine» » . . > 24 c) Altri
spunti di teorie logiche . Alenino: sua compilazione di un compendio di
dialettica INDICE DELIE MATERIE Fredegiso da Tours . Pag. 35 Hrabuno Mauro:
suoi scritti di sicura autenticità. Il « De TrinUate » del Pseudo-Boezio .» 37
Giovanni Scoto Eriugenu: a) Sua abilità nella logicu formale .Posizione dello
Scoto, rispetto alla dialettica » 46 c) Realismo teologico dello Scoto, il
quale tut¬ tavia fu unche mollo conto della
84 Sterilità del secolo X : tenui tracce di studio della logica: Poppone
a Fulda, Reinhard a W'iirzburg, Giovanni da Garze, Canzone Italo ( prende co¬
sci mitemente posizione nel contrasto delle ten¬ denze), Wol fungo a Ratisbona,
Abbone du Orléans, Bernward a llildesheim, Gualtiero da Spira. . . » 88
Gerberto, figura assolutamente insignificante: a) Materiale degli studi di
storia di logica altemposuo. Lo scritto
«De rationale et ratione uti Adalberone di Laon . Fulberto di Chartres . » 106
Anonimo rifacimento metrico della Isagoge e INDICE DELLE MATERIE XV delle
Categorie, del secolo XI: colorito nomina¬ listico .Intensa attività della
scuola di Sun Gallo. Notker Labeo: Un trattato insignificante Rifacimento delle
Categorie . Rifacimento del «De interpretatione Il «De partibus loicae»:
nominalismo. Scritto anonimo « De syllogismis », e sua im¬ portanza . »
Conclusione . Altri documrnti relativi allo studio della logica nel secolo XI:
Francane u Liegi, Otloh a Rati- sbona, Pier Damiani .Movimento più vivace, la
scienza giuridica l’apia. Anseimo il Peripatetico, Lanfranco, Irne- rio; i
Formulari . Movimento più vivace nella seconda metà del se¬ colo XI: 2) la
teologia. Nominalismo di Berengario nella questione della Santa Cena, e atteg¬
giamento Movimento più intenso: grande
estensione, e in pari tempo carattere imilaterale, della lette¬ ratura
attinente alla logica. Le vicende dello studio della logica, nel rac¬ conto che
ne fece Giovanni da Salisbury Contrasto caratteristico
fra logica «vecchia» e «nuova» . La polemica intorno agli tuiiversuli : si può
di¬ mostrare che almeno tredici erano le correnti. xvn nelle quali si
dividevano le opinioni su questo problema . Nominalismo che rasenta il sensismo
Grudi vari di questo nominalismo (Garmondo) La teoria che gli universali sono «
maneries »: Uguccione / Platonici: . a)
Bernardo da Chartres . Guglielmo da Conches (e Costantino Cartaginese. Il
realismo di Guglielmo da Champeaux .Le difficoltà e i gradi del realismo
Controversie intorno alla definizione e intorno al concetto di « parte La
teoria dello «status», come tentativo di conciliazione. Gualtiero da Mortagne La
teoria della « indifferenza Adelardo da Balli : intonazione platonica da lui
data alla teoria della « indifferenza Gauslenus o Joscellinus da Soissons: sua
idea del colligere. Lo scritto anonimo « de generibus et specie- bus »: punto
di vista del suo autore: а) Critiche ad altre soluzioni del problema de- gli
universali. Soluzione da lui stesso proposta . Dottrina del giudizio . Propensione
al platonismo . Controversie sovra punti speciali. Sopra le « Categorie Sopra
la teoria del giudizio in generale Sopra cpiestioni particolari, attinenti alla
teoria del giudizio. d) Sopra difficoltà inerenti alla teoria del sillogismo .
e) Sopra questioni di Topica .Negli studi di logica, la qualità continua a ri¬
maner molto al disotto della quantità Abelardo : a) Suo ingegno: caratteristica
generale Scritti di logica . Dialettica e teologia: intimo dissidio della
dottrina di Abelardo . I ag. 299 d) Abelardo aristotelico . » 302 e) Ma il «
Peripatetieus Palalinus » è al tempo stesso anche platonico . » 304 j) Nè
aristotelico, nè platonico, infine: bensì, retore . » 306 g) La « Dialettica »
è la principale tra le. opere logiche di Abelardo: disposizione della materia .
Esposizione della « Isagoge » o « Anleprae- dicamenta », quale risulta dalle «
Glossae », e soprattutto dalle « Glossulae », « super Por- phyrium»:
atteggiamenti polemici sopra la questione degli universali . » 312 i) Soluzione
proposta da Ahelardo: il « sermo praedicabilis) L’universale inteso come «
quoti natum est de pluribus praedicari »: uso di questo princi¬ pio, secondo lo
spirito del platonismo ...» 325 m) Ma dallo stesso principio Ahelardo trae in¬
sieme partito, secondo il punto di vista ari¬ stotelico . » 331 n) Ispirazione
aristotelica, nel maggior rilievo dato al giudizio (« praedicari »)) Anche il
preteso intellettuulismo di Abelurdo deriva dal suo aristotelismo) Ma in
Abelardo, vero spirito aristotelico non c’è: il suo interesse centrale è volto,
sotto l’impulso di Boezio e dello stoicismo, alla teoria retorica
dell’argomentazione .... » 341 q) Continua l’analisi del contenuto della « Dia¬
lettica»: le « Categorie La topica . zi
l sillogismi ipotetici. Giudizio conclusivo so¬ pra l’opera di Ahelardo Accentuazione
dell’ aspetto aristotelico della «Dialettica» di Abelardo: .l Ja B- 371 a) In
un commento anonimo del « De interpre- tatione Nell’acuto untore dello scritto
pseiulo-abelur- diano «De intelleclibus »: 1) Punto di vista aristotelico . 2)
Dottrina del « sermo In Adamo dal Petit-Ponl prevale la teoriu del giudizio Scetticismo
logico di Roberto Pulleyn: e reazione teologica di Pietro da Poitiers e di Ro¬
berto da Melun Gilberto de tu Porrée: . Il commento al « De Trinitate » del
Pseudo- Boezio: posizione teoretica ingenua e con¬ traddittoria . » b) Concetto
di sostanza. Teoria delle « formae nativae ». Realismo di Gilberto .I.o scritto
« De sex principiis * : un’abborrac¬ ciatura . > e) I sei « principii » : «
actio, passio, quando, ubi, situs, habitus » » /) La controversia intorno al «
magi» » e al « minus Ottone da Freising, seguuce di Gilberto. Lo scritto
pseudo-boeziano « De unilate et uno Alberico (da Reims?), a Parigi. WUliram de
Soissons. Vari altri autori, menzionati da Walter Mapes . Il cosi detto
Cornijìcius, oggetto della polemica di Giovanni da Salisbury . » 391 § 39. -
Giovanni da Salisbury: a) I suoi studi: il « Metalogicus Punto di vista
utilitaristico, alla muniera di Cicerone. La divisione del sapere. Punto di vista retorico, come in Cicerone.
Grammatica e dialettica. Conoscenza compilila dell « Organon ». Punti di
contatto con Abelardo, soprattutto nel modo di intendere e giudicare l’opera
logica di Aristotele . Pag. 430 e) La « ratio indifferentiae » come
indifferenti¬ smo antiscientifico . » 437 f) La « Isagoge ». Concezione degli «
universalia in re » . » 441 g) Grossolano eclettismo, nella questione degli
universali .» h) Concetto indeterminato di « notio »... » i) Le Categorie .» /)
Teoria del. Giudizio . » m ) Topica, sillogistica, teoria dei sofismi Uno
scritto insignificante di Alano da Lilla . . » § 41. - Passaggio al XIII
secolo. » Elenco dei nomi e delle cose più notevoli LA LOGICA MEDIEVALE CONOSCENZA
INCOMPIUTA DELLA LOGICA ARISTOTELICA NEL PRIMO MEDIO EVO Delimitazione
dell’oggetto e dell’intento della presente ricerca]. Saggio su PRANTL, STORIA
DELLA LOGICA IN OCCIDENTE NELL’ETÀ MEDIEVALE. LA NUOVA ITALIA FIRENZE. La «
Geschichte der Logik ini Abendlande » di Prantl, curata da Fock a Lipsia, è
divisa in parti. La prima ha por oggetto lo svolgimento della Logica
nell’Antichità. Gli fecero sèguito una seconda parte dedicata alla Logica nel
Medio Evo. In una Collezione, che ha per suo programma di rendere largamente
accessibili ai filosofi italiani quello grande saggio di esplorazione e
ricostruzione della storia della filosofia, che sono imperitura gloria della
cultura, doveva esser fatto luogo a un classico trattato qual è questo del
Prantl. Per ragioni editoriali l’ordine di apparizione dei volumi della
traduzione italiana non corrisponde all’ordine di successione del saggio originale:
e si è dovuto dare la precedenza al Medio Evo, la quale forma un tutto unico e
continuo, dotato di una certa autonomia. Alla traduzione del primo volume che
vedrà successivamente la luce, diviso in due o tre tomi, sarà premesso un
discorso introduttivo intorno all’Autore, e alla importanza e. vitalità della
sua opera: bastino qui brevi cenni, a giustificare il lavoro e a render ragione
dei criteri adot¬ tati dal Traduttore. Il disegno di Storia della Logica
Medievale presen¬ tato dal Franti non è stato sostituito da opere più re¬
centi: il suo intento, di risparmiare, almeno per lungo volger (Tanni, agli
studiosi venturi, la immane fatica di riprender ex novo l'argomento,
rifacendosi diretta¬ mente dalle fonti, è stato raggiunto: e il trattato è an¬
cor oggi cosa viva, sì che nessuno studioso, mettendosi, con un suo particolare
obbietta, a lavorar attorno a que¬ sta materia, può far a meno di ricorrere e
di ricollegarsi a quello: è, a giudizio di CROCE, il solo, tra i libri spe¬
cial, recanti il titolo di Storia della Logica, che, fondato sopra lunghe
ricerche, sia veramente insigne per dot¬ trina e per lucida e animata
esposizione. Animata, vor¬ rei soggiungere, ancor più che lucida: non di rado,
in venta, la espressione è negletta e contorta, e la perspi¬ cuità e
sacrificata alla rapidità e alla efficacia: lettura dunque, non tutta agevole,
ma tale da far desiderare una versione che, se non sembri troppo ambizioso il
propo¬ sito, elimini almeno in parte, pur attenendosi con scru¬ polosa cura di
fedeltà all'originale, quelle cause che non possono non render ostica a noi
Italiani la greve prosa * f-CXC SC Q, Dei progressi che gli studi son venuti
facendo in que¬ sti cinquant anni si doveva naturalmente tener conto, ma senz
alcuna intenzione di metter assieme un Prantl nuovo, in luogo di ri presentare
nella sua integrità il I rantl vecchio: e la questione era soltanto del modo
piu opportuno di far posto a quel pochissimo ch'è del traduttore, nella
poderosa costruzione innalzata dal- l Autore. i\on era dunque il caso di
contrapporre all'atteggia¬ mento che il Pronti assunse, con icastiche
espressioni di disprezzo, di fronte al pensiero medievale, un giudizio
valutativo diverso o per lo meno più temperato: anche se nessuno si sentirebbe
disposto a ripetere senza riserve che una filosofia medievale non c'è stata,
intensificandosi anzi da molte parti lo sforzo di rintracciare nel Medio hyo
anticipazioni e presagi del pensiero moderno, il giudizio del Prantl va
conservato in tutta la sua cru¬ dezza, per lo meno quale documento
significativo di un momento importante nella storia della cultura: d'altra
parte, in antitesi con la corrente che, sempre tenden¬ ziosamente talvolta
nostalgicamente, porterebbe ad abo- hre la differenza tra Medio Evo ed età
moderna, o a sopravvalutare quello, a tutto danno di questa, può avere virtù
correttiva, od operare come reazione salutare, la ricomparsa dell'opera di un
eminente ricercatore., il quale, proprio studiando lo sviluppo di quella
disciplina filosofica che fu più largamente e appassionatamente coltivata nella
età di mezzo, ne trasse occasiime a rive¬ lare lo spirito medievale nel suo
aspetto deteriore: quasi si direbbe ch’egli si fosse accinto all’ardua impresa
di esporre classificare giudicare i cultori illustri e oscuri della logica nel
Medio Evo, con la persuasione di ve¬ dersi dispiegare dinanzi agli occhi un
panorama tanto interessante quanto poco conosciuto, e tale comunque da
compensare il travaglio della indagine: e nei giudizi re¬ cisamente svalutativi
da lui pronuziati nei riguardi di quasi tutti gli autori che ha studiati,
diresti di sentire la eco di un’amara delusione o un movimento di di¬ spetto,
se non addirittura l’accento scorato di chi è tratto ad esclamare: «et oleum et
operata perdi di » ! Rimaneggiare l'opera ‘del Pronti, conservando immu¬ tate
quelle sole parti che han conservato oggi tutto il loro valore, e sostituendo
integrando rifacendo quelle che appaiono antiquate o inadeguate, sarebbe stato
in contrasto con l’indirizzo al quale, come s’è accennato, la Collezione si
attiene: il rispetto dovuto alle opere in essa incluse, ne esige la
riproduzione compiuta, senza modificazioni o mutilazioni, che han sempre l’aria
di manomissioni arbitrarie. Primo dovere era quello di rivedere l’ingente mate¬
riale accumulato nelle numerosissime note, che preval¬ gono per ampiezza sopra
il testo del Pronti: poderosa raccolta di testi accortamente scelti, della
quale ricono¬ scono l'incomparabile valore anche i meno disposti a seguire.
l’Autore ne’ suoi apprezzamenti e nelle sue in- terpetrazioni. Era il Pronti
uno studioso di esemplare diligenza, e fa veramente, maraviglia che, con lina
smi¬ surata mole di lavoro, egli sia soltanto eccezionalmente incorso in errori
di trascrizione, sviste nella correzione delle bozze, inesattezze nelle
citazioni e nei rimandi. Ma alcune mende s’è pur dovuto rilevare, che, com’era
ine¬ vitabile. sono state naturalmente travasate tutte quante nel « Manuldruck.
In una traduzione, invece, bisognava procurare di eliminarle, e riscontrar le
cita¬ zioni, una per una, con i testi, per ottener la massima possibile
correttezza, evitando altresì che, come pure in alcuni luoghi è accaduto all
Autore, la trascrizione frammentaria possa alterare o non render intiero il
pensiero dello scrittore: si direbbe che il Franti qualche volta prendesse
frettolosamente le sue note dai testi da citare, e poi le trascrivesse per la
stampa, senza più darsi pen¬ siero di collazionarle con l originale. Inoltre,
era suo costume di servirsi a caso di una o al¬ tra edizione che trovava, per
ciascun autore, consert ata nelle Biblioteche di Monaco, rendendo così a noi,
molto spesso, difficile il riscontro delle sue citazioni con i testi originali
da lui usati: era dunque necessario non sola¬ mente emendare e aggiornare le
citazioni, ricorrendo, ogni qual volta fosse possibile, a edizioni moderne
criti¬ camente condotte, ma inoltre sodisfare una esigenza di uniformità e di
unificazione, aggiungendo a ciascun passo il riferimento al luogo
corrispondente di un grande re¬ pertorio, largamente diffuso e facilmente
accessibile, qual è la Patrologia, Greca e Latina, del Migne (desi¬ gnata nelle
note, tra parentesi quadre, con la sigla PC o PL, seguita in cifre arabiche
dalla indicazione del vo¬ lume, poi della colonna o delle colonne
corrispondenti). Testi che il Franti aveva potuto conoscere solamente di
seconda mano, riferendoli secondo le parafrasi di benemeriti studiosi francesi,
son oggi editi, e dovevano naturalmente venir citati anche nella forma
originale, così rendendosi manifesti i progressirealizzatinella conoscenza di
scrittori, quali Adelardo e Abelardo. Successivamente alla comparsa del secondo
volume (seconda edizione) della Storia del Pronti, la letteratura concernente
gli Autori da lui studiati si è venuta accre¬ scendo in misura molto rilevante:
e non c’è forse un solo scrittore o argomento, per il quale non si rendano
necessarie allo studioso informazioni bibliografiche supplementari: ma si è
voluto evitar di gonfiare la mole della traduzione, introducendovi dati che
ciascuno può facilmente trovare raccolti in opere di uso comune, uni¬
versalmente apprezzale per ricchezza ed esattezza d’indi¬ cazioni, qual è, per
citare la più nota, il Manuale del- V Ueberweg (voi. II), nelle più recenti
edizioni curate dal Paumgartner e dal Geyer. Questioni che si giudicano
definitivamente risolte, in senso contrario alle tesi soste¬ nute dal Pronti —
quelle, per esempio, che riguardano l’autenticità degli scritti teologici di
Boezio, o le rela¬ zioni tra le « Sumniulae » di Pietro Ispano e la « Si¬ nossi
» di Psello — non potevano venir qui dibattute: e al lettore basterà veder
accennato il presente stato delle questioni stesse. I volumi del Pronti son
tipici esemplari dell arte tipografica tedesca, intorno alla metà del secolo
scorso: pagine massicce, caratteri minuti, scarsità di capoversi: tutto
quelchecivuole,perdisvogliaredalla lettura, o per renderla più che mai
fastidiosa. Ben diverso è l’aspetto delle pagine della traduzione: la necessità
di conformarla al tipo prescelto per i. volumi precedenti della Collezione,
portava di necessità a un considerevole aumento di mole, in confronto con
l’originale: e s è dovuto ripartire in tre volumi la materia compresa dal
Pronti nel secondo e nel terzo volume: effettivamente le due ultime Sezioni del
secondo volume del testo, la XV a («Influsso dei Bizantini») e la XVI a
(«Influsso degli Arabi»), trovano il loro posto più adatto, meglio che nel presente
volume, in quello che gli farà sèguito: non servono di conchiusione. alla
Storia della Logica, ma d’introduzione alla Storia della Logica nel XIII 0
secolo: e formeranno dunque opportunamente, insieme con l’amplissima Sezione
XVIP, il contenuto del prossimo successivo volume. Ho avuto cura di render
sensibile al lettore come si compartisca e articoli la trattazione del Prantl,
moltiplicando i « da capo », e soprattutto dividendo e suddividendo in para¬
grafi le varie Sezioni, ciascuna delle quali forma nel testo un tutto compatto:
una modificazione, questa, che osiamo sperare sarà apprezzata segnatamente
dagli stu¬ diosi, quando ricorreranno al libro per consultazioni e ricerche
particolari. I titoli dei paragrafi e sottopara¬ grafi corrispondono inpartealleindicazioni
che il Prantl ha raccolte nell’ Indice delle Materie, e anche riprodotte in
capo alle pagine, in parte sono state ag¬ giunte dal Traduttore, il quale ha
cercato di tener di¬ stinta, compilando l’Indice stesso, una dall’altra parte,
mediante l’uso di tipi differenti. Di regola, e nel corso dell’intiero lavoro,
ha incluso tra parentesi quadre tutto ciò ch’è aggiunta sua, dichiarativa o
emendativa o inte¬ grativa, evitando tuttavia di esporsi alla taccia di
pedanteria con una frappo minuta registrazione delle va¬ rianti: solamente il
raffronto fra i testi quali sono rife¬ riti nell'originale e nella versione
potrebbe, a chi volesse, fornire la misura della pazienza che ha richiesta la
revi¬ sione dell’estesissimo prezioso materiale. Il Traduttore non s’illude di
esser riuscito a evitare errori e sviste nel lavoro di versione, trascrizione,
retti¬ ficazione: ma ha coscienza di aver fatto tutto quello che stava in lui,
per ridurli al minimo: è grato a quanti gli hanno agevolato le ricerche, condotte
per lungo pe¬ riodo di tempo, presso Biblioteche italiane e straniere: in
particolare ringrazia l'insigne collega Mons. Geyer della Università di Bonn,
che gli ha liberalmente offerto ospitalità nella sede dell’Albertus Magnus -
Institut di Colonia. Nell’attendereaquestanuova edizione riveduta, era mio
primo dovere, come ben s*intende, di adeguarla alla presente condizione degli
studi: e sebbene non sieno stati molto nume¬ rosi i contributi, recati negli
ultimi ventiquattr’anni allu storia della logica medievale, bisognava
certamente trarne profitto con la massiina accuratezza. Ma la nostra conoscenza
attuale della letteratura logica di quell’epoca presentando pur sempre, sovra
punti particolari, varie lacune, sarei lieto di dare rinnovellato impulso alla
pubblicazione di testi supplementari, quali appaion desiderabili, tratti dai
preziosi fondi manoscritti delle Biblio¬ teche. Questo augurio vale ancor oggi
segnatamente nei riguardi della questione pselliana [sopra la quale son da
vedere le Se¬ zioni XV e XVII, nel volume successivo di questa versione], clic
io sono bensì convinto di avere oramai risolta in linea di principio, ma che
debbo tuttavia qualificare come una questione aperta, in quanto che
presentemente ci manca tuttora la cono¬ scenza degli anelli intermedi, che si
erano avuti antecedente- mente su terreno bizantino. Pbantl. Monaco di Baviera.Relativamente
al Medio Evo si trattava ancora di studiare criticamente tutto quanto il'
materiale accessibile, come pure di rintracciare la linea effettivamente
seguita dal corso della storia. E, per quest’ultimo rispetto, si rese subito
manifesto che proprio la storia della logica può aver il compito di correggere
o di compiere la conoscenza della così detta filosofia del Medio Evo. A quel
modo cioè che, in ordine alla controversia intorno agli universali, è venuta in
luce una varietà di tendenze con¬ trastanti. della quale finora non si aveva la
idea, — così si .è potuto in compenso non soltanto delimitare esattamente, in
quale misura fosse, in quei secoli, conosciuta la letteratura logica, ma anche
fornire la dimostrazione incontestabile, che nell’intiero Medio Evo, senza
eccezione di sorta, non c’è stato un solo autore che abbia cavalo fuori dalla
propria testa un pensiero che fosse suo: bensì la letteratura di quell’epoca
era tutta dipendente e condizionata dalla estensione di un mate¬ riale
preesistente, trasmesso per tradizione. Soltanto sobbarcan¬ domi alla fatica
indicibile di sollevare e di risolvere, quasi direi frase per frase, la
questione della fonte dalla quale la frase! fosse stata ricavata, sono riuscito
a esporre in maniera obbiettivamente esatta il corso della evoluzione; e anche
quella sola volta che (cioè a proposito di Escilo) non sono stalo più in grado
di dar una risposta a quella domanda « Di dove? », non è già che su questo
punto resti da ciò alterata la giustezza della mia tesi generale, ma in quel
caso speciale semplicemente manca alla ricerca il materiale necessario. Se del
resto io per principio mi sono limitata a quella produzione letteraria, che
abbiamo a nostra disposizione in pubblicazioni a stampa, sono tuttavia contento
di ammettere la possibilità che da varie Biblioteche, utilizzandosi materiale
manoscritto, vengano tratti alla luce elementi per rettificare o integrare la
mia ricerca, e anzi in più luoghi ho espressamente formulato l’augurio che ciò
awengà. Purtuttavia in un caso soltanto ho derogato a quel mio principio: da
manoscritti pari¬ gini, additati dall’ Hauréau, ho potuto cioè desumere con
gioia ch’era mio dovere addurre il materiale che ivi si trova; poiché n’è
derivata luce, non meno nuova che interessante, sopra la relazione di Psello
con Pietro Ispano, o piuttosto con i pre¬ decessori e contemporanei di
quest’ultimo: un risultato, al quale non si sarebbe mai potuti pervenire, con
la letteratura a stampa. | Il l J rantl allude qui munì lestamente a scritti
inediti di Gu¬ glielmo da Shyreswood e di Lamberto da Auxerre, dei quali
tuttavia egli si è giocato non per il 2”, ma per il 3" volume di questa
sua Storia. Si veda, nel volume successivo della pre¬ sente traduzione
italiana, la Sezione XVII J. Se i passi delle fonti, copiosamente riportati
nelle Note, sembrano spesso (particolarmente nella Sezione [la XVI': vedi il
voi. successivo della traduzione ] che tratta degli Arabi) con¬ tenere più
ancora di quel che ho esposto nel testo, il lettore vorrà scusarmene,
considerando che io mi sono sempre sforzalo di attenermi alla massima possibile
brevità, e che pertanto mi son provato a presentare nel testo non una semplice
traduzione e neanche un riassunto, bensì la intima essenza dei passi origi¬
nali. Al medesimo intento di brevità servono anche i numerosi reciproci rinvii,
nei quali il lettore vorrà ravvisare non un ozioso abbellimento, o
imbruttimento, ma un mezzo compendioso di tener dinanzi agli occhi in molti
casi una più ampia connes¬ sione. Monaco di Baviera. Le difficoltà che
s’incontrano in una rassegna del ‘positivismo’ italiano dipendono, in primo
luogo, dall’incerto significato del nome stesso, onde puo essere ugualmente
designate come POSITIVA, filosofia -- della quale sembra più interessante
mettere in luce le caratteristiche differenziali che non i tratti comuni. I
positivisti non si definiscono come tali per la concorde adesione a una rigida
dottrina, o per la collaborazione consapevole alla costruzione di un sistema
ben determinato: si tratta piuttosto di un indirizzo metodico, di una forma
mentale che impronta di sè non solamente la ricerca filosofica propriamente
detta, ma l’intiero mondo della cultura. Il positivismo ripone e ricerca la
verità nel fatto, intende la conoscenza come relativa, la esperienza come unica
fonte del sapere e ultimo criterio della certezza, ritiene che la cognizione
filosofica non sia diversa per natura dalla scientifica, e anche non possa se
non prepararla e integrarla, assume di fronte ai problemi della metafisica un
atteggiamento agnostico o semplicemente negativo, concepisce la natura come
universale meccanismo, escludendone la teleologia e, pure affermando la
irreducibile diversità della materia dallo spi¬ rito, non crede che da ciò
rimanga spezzata la unità e interrotta la continuità del reale, interpetra il
mondo dei valori come prodotto della evoluzione psicologica, e dei valori
stessi domanda la spiegazione e la giustificazione alle leggi della psicologia.
Ma l’accordo — che può anche essere parziale — sopra questi principii non
esclude la possibilità di svolgimenti molteplici e autonomi, perchè i principii
stessi valgon piuttosto a dirigere nella selezione e nella discussione dei
problemi, che non ad anteciparne in concreto la soluzione: onde, chi voglia
essere cronista esatto del vasto e vario movimento, si trova di necessità a ravvicinare
pen¬ satori che si sono reciprocamente ignorati e che proverebbero senza dubbio
grande maraviglia di trovarsi messi insieme: particolarmente in Italia il
positivismo è affermazione perenne della libertà filosofica, sì che sembra vano
ogni tentativo di esprimerlo con una formula, e si manifesta la necessità di
determinarne la fisionomia, conside¬ rando in modo distinto la operosità de’
suoi seguaci. E tale neces¬ sità risulta ancora dal fatto che nella maggior
parte dei positivisti italiani, sopra il gusto delle costruzioni sistematiche,
ha prevalso la tendenza a esplorare determinati campi della indagine: e però
limitarsi a registrare le concezioni generali del mondo e della vita,
trascurando i contributi recati da più modesti studiosi alle scienze
filosofiche speciali, equivarrebbe a dare del movimento una idea affatto
inadeguata. Inoltre, appunto perchè in alcune almeno tra le fondamentali
assunzioni del positivismo possono, senza chiaro intendimento del loro più
profondo significato, consentire anche quegli scienziati che sono affatto
estranei agl’interessi speculativi, avvenne che si de¬ corasse del nome di
positivismo anche la loro afilosofia, che fu qualche volta, per dirla con
Bruno, la loro filasofia, cioè una me¬ tafisica grossolana, ingenua sino alla
inconsapevolezza, e di gran lunga peggiore di quella metafisica contro la quale
il positivismo era sceso in campo: positivismo non può infatti essere ignoranza
della tradizione metafisica e incapacità d’intenderne le ragioni, bensì
dev’esspre revisione critica dei postulati assunti e dei metodi tenuti dalla
metafisica stessa. Eppure in un quadro sommario che aspiri a riuscire completo,
anche queste manifestazioni di pensiero più povere di critica hanno il loro
significato e debbono trovare il loro posto. D’altra parte, in Italia, in
questi ultimi anni, le fortune della filosofia idealistica, soprattutto nella
sua forma attualistica, indus¬ sero i dissenzienti a costituire una fronte
unica contro una dottrina che romanticamente presentava la filosofia, piuttosto
come opera di fantasia e prodotto di subbiettiva ispirazione, che non come
siste¬ mazione di conoscenze vere: e il comune, se pur tutt’altro che uguale,
atteggiamento di opposizione e di reazione, ebbe come conse¬ guenza che
tendessero a obliterarsi i caratteri differenziali del po¬ sitivismo da altri
indirizzi. A far la rassegna dei filosofi che pròfessano oggi di essere
positivisti, si sarebbe indotti a conchitidere che i « quadri » non sono stati
mai poveri come adesso : eppure mai come in questo momento è apparsa chiara la
influenza del positivismo sopra la educazione mentale e la posizione dottrinale
di quei pensatori che non si sono ralliés alla filosofia di moda. Il periodo
storico che qui si considera, coincide con il cinquantennio dell’attività
filosofica di R. Ardigò; questi, nato a Casteldidone, pubblica La psicologia
come scienza positiva », segnandovi le linee fondamentali della sua dottrina,
già preannunziata l’anno precedente, quand’egli era ancora prete, nella
commemorazione di Pomponazzi — e morì a Mantova, avendo atteso fin quasi
all’ultimo giorno, all’opera sua di scrittore. Ma alla costruzione del sistema
ardighiano erano precorse in Italia altre manifestazioni di pensiero
positivistico. Il sorgere e vigoreggiare della filosofia del fatto si lega in
Italia come all’estero, a ragioni complesse, fra le quali prevalgono i mara-
vigliosi progressi della scienza, nell’ordine cosi delle invenzioni come delle
scoperte, il fervore degli studi storici, la reazione contro le intemperanze
del pensiero metafisico, il disgusto dei sistemi do¬ gmatici. Le origini
prossime del movimento positivista sono da ri¬ cercare nella scuola di Romagnosi,
dalla quale uscirono Ferrari e Cattaneo. Ma Ferrari, rappresentante di un
fenomenismo estremo che reca le tracce d’influenze discordi e tende a sboccar
nello scetticismo, non orientò il suo pensiero verso il positivismo così
decisamente come il Cattaneo: questi è comu¬ nemente riconosciuto come l’iniziatore
del movimento e il più ef. ficace banditore della dottrina. Nel Cattaneo,
patriotta insigne, cittadino intemerato, scrittore magnifico, mente poliedrica,
si manifesta l’interesse per la glottologia, la storia e la politica, la
demografia, la economia e la organizzazione tecnica della industria e
dell’agricoltura: ne’suoi scritti filosofici, non ammette conoscenza che non
sia di fatti, e at¬ tribuisce alla filosofia una funzione sintetica rispetto
alle altre scien¬ ze: raccogliendo la eredità del Vico, pone come fondamentale
il pro-^ bleina deH’incivilimento: la civiltà è opera dell’uomo; ma l’Uomo dei
metafisici è una finzione mentale, che non può adeguarsi alla varietà e alla
concretezza del mondo umano; la psicologia indivi¬ duale deve integrarsi nella
psicologia sociale, o psicologia delle menti associate; mente non si dà, nè
funziona e si forma se non in un giuoco di azioni e reazioni, che, poiché i
conviventi operano uno sopra l’altro e ogni generazione scomparsa sopra le
successive.] è a un tempo il fondamento della unità sociale e della continuità
storica. La dottrina del Cattaneo s'intona al positivismo del Comte e
all’umanismo del Feuerbach, sebbene si sia costituita in perfetta indipendenza
dall'uno e dall’altro, e contiene germi che dovranno maturare nella filosofia
dell’Ardigò (« Opere edite e inedite di Cattaneo). Maestro acclamato e
autorevolissimo nelle scienze storiche, Villari, che aveva mostrato, nel «
Saggio sull’o¬ rigine e sul progresso della Filosofia della Storia, di risentir
la influenza di Comte e Mill, illustrò e favori («La Filosofia positiva e il
metodo storico) l’indirizzo storico già preva¬ lente nelle scienze morali,
sostenendo che queste non avrebbero potuto fiorire come le scienze naturali, se
non ne avessero fatto proprio il metodo, positivo o sperimentale. La influenza
esercitata dalla divulgazione della dottrina darwi¬ niana, che apriva nuovi
orizzonti agli studi biologici ed ebbe fra noi il suo apostolo più fervido in
Giovanni Canestrini ( « Antropo¬ logia » La teoria dell’evoluzione esposta ne’ suoi
fondamenti La teoria di Darwin), è manifesta negli scritti di Tommasi, medico
insigne che promosse il progresso delle scienze biologiche dallo stato
metafisico allo stato positivo, e ammoniva i discepoli a porsi dinanzi ai
problemi della natura, con l’animo sgombro da ogni apriorismo dottrinale e
meto¬ dico. Il suo naturalismo è concezione della filosofia come organa¬ mento
del sapere scientifico, è realismo rigoroso, che tende a iden¬ tificarsi con il
materialismo, e non meno rigoroso empirismo: è evoluzionismo che esclude da sè
ogni teleologia («Il naturalismo moderno» 1866 «Il rinnovamento della medicina
in Italia). Positivista fu pure Cantani, collega del Tommasi e suo successore
nella clinica di Napoli. 3. — Il positivismo italiano non è tutto nella
dottrina delI’Ardigò e della sua scuola: ma l’Ardigò ne è, per concorde
giudizio, la figura più rappresentativa. Di lui gli undici volumi delle Opere
Filo¬ sofiche rispecchiano il genio speculativo e l’animo candido e generoso,
la fede inconcussa nel Vero e il culto operoso dell’ideale etico, ce¬ lebrato
nella esemplare austerità della vita. Il positivismo del Comte era stato
giudicato impari, se pur non affatto insensibile, alla esi genza gnoseologica:
nè questa era sodisfatta, in modo positivo, dalITnconoscibiie spenceriano, che
rappresenta ancora una entità ontologica, onde si mantiene l’antitesi di
sostanza e di fenomeno, e il fenomeno è un relativo che postula un Assoluto e
trova alla soglia di questo il proprio limite: il sistema dell'A. si forma
fuori da ogni diretta influenza di queste dottrine, per la rivoluzione che lo
studio delle scienze naturali opera nella sua mente, resa, da lunga
consuetudine, familiare con i classici della teologia e della metafi¬ sica: il
distacco dalle vecchie credenze non è definitivo, fin ch’egli non ha trovato la
soluzione del problema gnoseologico, e non ha inteso come si possa spiegare la
origine delle idee, senza ricorrere alla trascendente facoltà dell’intelletto.
La posizione centrale asse¬ gnata alla teoria della conoscenza è la
caratteristica più significa¬ tiva del sistema dell’A. « Non è senza
significato che il positivismo assuma in Italia, quasi al suo apparire coll’A.,
fisonomia spiccata di naturalismo sistematico affrontando subito il problema
dell’infi¬ nito cosmico e traducendone la visione in una concezione organica
dell’universo, e che in questa, come unicamente esteriore ed obiet¬ tiva non si
acqueti, ma la integri subito colla ricostruzione sin¬ tetica dell’uiiità della
coscienza, e invece che tener separata la que¬ stione gnoseologica dalla
cosmologica trasfonda l’una nell’altra creando un nuovo concetto si della natura,
sì dell’esperienza, tale che l’uria dall’altra non si separano se non per
distinzione sopravveniente; questo non è il positivismo di Comte, nè quello di
Spencer, è il positivismo di un popolo ove è indigeno il naturalismo del Rina¬
scimento» (Tarozzi). Il fatto è divino, i principii sono umani: ma il fatto
primo e as¬ solutamente certo, per la consapevolezza immediata che ne abbiamo,
è il fatto di coscienza, la sensazione: la esperienza che sta a fon¬ damento di
ogni verità e che non si può tentar di trascendere senza trascorrere dal reale
nel chimerico, è esperienza psicologica. Il mo¬ nismo dell’A. che elimina ogni
residuo di trascendenza, esclude come fantastica così la contrapposizione
dell’oggetto al soggetto, come l’annichilazione dell’oggetto nel soggetto; e
sfugge al pregiu¬ dizio del realismo ingenuo senza incorrere nei sofismi del
soggetti¬ vismo radicale. La contrapposizione è fra termini di pensiero, fra
gruppi di sensazioni: la sensazione afferma se stessa assolutamente, il
conoscere non si deve che alla sua virtualità; ma la sensazione, e l’attività
psichica in generale, ponendosi, si sdoppia in due mondi, per il doppio sguardo
(diblemma psicologico) onde si compie da un lato la sintesi delle sensazioni
interne (Autosintesi, Me), dall’al¬ tro, la sintesi delle sensazioni esterne
(F.terosintesi, Non-Me): le sensazioni non sono per se stesse nè interne nè
esterne, ma il dif¬ ferenziamento si opera, per la specificazione degli organi
di senso e per il contrastare di attività stabili e costanti, ad altre
accidentali e intermittenti. La sensazione, in quanto tale, è solo quello che è
essa stessa in se medesima; ma la reciproca integrazione delle sen¬ sazioni
pertinenti a sensi diversi (le quali son tutte fra loro incom¬ mensurabili o
reciprocamente trascendenti), converte la sensazione in percezione, aggiunge
alla osservazione l’esperimento («Il fatto psicologico della percezione» 188?).
Ed è un imperativo logico la sensazione, non soltanto in se stessa, in quanto
conoscenza asso¬ luta o posizione di se medesima, ma anche come percezione, o
co¬ noscenza relativa e posizione della propria causa: si definisce cosi la
oggettività del sapere, mentre si evita l’errore di risolvere il soggetto
nell’oggetto. La conoscenza è relativa, ma non perchè abbia il suo termine
antitetico in un Assoluto che trascenda la esperienza e figuri come possibile
oggetto di una Mente sovrumana, bensì per quel rapporto d’irreducibilità che il
pensiero stesso pone fra i propri termini sen¬ sibili, e che, come tale, è noto
(«L’Inconoscibile di Spencer e il positivismo» 1883). La materia non farà mai
conoscere lo spirito, nè lo spirito la materia: ma la trascendenza così intesa,
in senso affatto diverso dal tradizionale, non esclude la fondamentale unità,
che è l ’indistinto sottostante ai distinti (Me e Non-Me) che vi si co¬
stituiscono, collegandosi in un organismo logico unico. «L’unità
dell’indistinto sottostante alla molteplicità dei distinti, e la continuità del
processo della duplice distinzione ('spaziale e temporale) caratterizzano la
concezione naturalistica del cosmo » (Marchesini). È una formazione naturale la
psiche, e la legge della distinzione, che ne spiega l’essere e ne domina lo
sviluppo, è legge di tutte le formazioni nelle quali si specifica la realtà: la
preminenza e la priorità del problema gnoseologico rispetto a tutti gli altri
problemi filosofici si esprimono nel fatto che appunto dallo studio del
fenomeno cogitativo induttivamente si ricava il con¬ cetto della natura come
indistinto, matrice onnigena inesauribile, infinita virtualità di successivi
che si realizza nella infinità dei coe¬ sistenti. Il processo dall’indistinto
al distinto è governato dalla legge del ritmo, la quale spiega come ogni
formazione naturale debba sempre essere un ordine, malgrado le accidentalità
proprie di ogni ordine dato, che è sempre l’effettuazione di uno tra infiniti
altri possibili. Per la universale ritmicità si ha infatti nella natura non il
caso, ma la cosa e il fatto, il tipo e la legge, l’impero, dunque, della cau¬
salità; ma causalità non è forma a priori dello spirito, nè semplice
successione che generi per abitudine l’attesa del riprodursi del passato;
l’idea di causa è una formazione naturale endogenetica per l’esperienza subita
dal mondo esterno, onde avvertendo costante- mente una determinata successione,
siamo costretti ad ammettere che il fatto precedente ha in sè una condizione e
ragione di causare: ogni fatto, dunque, emerge in modo necessario
dall’indistinto che lo determina. Ma, d’altra parte, la necessità non esclude
il caso, perchè l’ordine si attua in seno all’universo che è infinito: onde il
fatto può a un tempo dirsi, per la sua intrinseca necessità, equazione del
determinato, e, per la imprevedibilità della sua determinazione necessaria,
equazione dell’infinito: poiché l’indistinto non è un si¬ stema chiuso, il
distinguersi di uno o dell’altro ordine è casuale. Il determinismo non elimina
dunque la casualità, nè semplicemente l’ammette come espressione della nostra
ignoranza: ma la riconduce alla varietà infinita che è un positivo aspetto
della realtà, non meno che la causalità: il caso è l’effetto prodotto per
necessità naturale da una causa imprevedibile, assolutamente parlando, e quindi
non assegnabile, o non fissata nella stessa natura, a motivo dell’infinità del
suo principio, non solo nei momenti del tempo, che è senza limiti, ma anche
negli elementi costitutivi, eccedenti ogni confine di spazio (« La formazione
naturale nel fatto del sistema solare; la trilogia: « Il Vero» «La Ragione» L’Unità della Coscienza). E’ una
formazione naturale anche la filosofia, che non soltanto ha funzione
coordinatrice e sintetica rispetto alle scienze, ma è la matrice perennemente
feconda del sapere scientifico e dei problemi che alla scienza appartiene di
risolvere. Come l’indistinto si specifica, per un processo di ascendenza
dinamica, nei sistemi ritmici, corrispondenti a gradi sempre più alti di
autonomia, cosi la filo¬ sofia si viene differenziando nelle discipline
speciali che in essa si unificano e di essa risentono l’azione propulsiva (« Lo
studio della Storia della filosofia Il compito della filosofia e la sua perennità).
Sopra i contributi recati dall’A. alle distinte scienze filosofiche non posso
intrattenermi qui: basti ricordare come il suo realismo psicofisico e il
prevalente interesse gnoseoiogico lo abbiano portato alla costruzione di un
sistema di psicologia, dove la unità della coscienza figura come idea
direttrice, e la critica del vecchio associazionismo prepara la teoria della
confluenza mentale — come inoltre sovra basi fisiopsicologiche si eriga una
concezione della vita mo¬ rale, nella quale la impulsività della sensazione è
assunta a spiegare la imperatività della idealità sociale antiegoistica (« La
Morale dei positivisti) — come, ancora, la morale s’integri in una sociologia
che è piuttosto una filosofia del diritto, o lo studio della formazione
naturale della Giustizia, intesa come forza specifica della società
(«Sociologia» 1886) — come infine le dottrine fondamen¬ tali si coordinino e
sbocchino in ima pedagogia, che pone l’esercizio a fondamento cosi della
educazione intellettuale come della educa¬ zione morale (La Scienza
dell’educazione). Ardigo, prof, di storia della fil. a Padova, fu un
caposcuola, e fra i suoi discepoli vogliono essere ricordati in primo luogo Marchesini,
Dandolo, Tarozzi, Ranzoli, Troilo. Marchesini (n. 1868), prof, di ped. a
Padova, fondatore e direttore della « Rivista di Filosofia, pedagogia e scienze
affini, illustrò la figura del Maestro e ne propagò la dottrina, elevandosi
dalla esposizione acuta e fedele alla originale ricostruzione e rielaborazione
(« La vita e il pensiero di Ardigo; Ardigo, L’uomo e l’umanista. Il M. ha
definito il positivismo d’Ardigò come naturalismo umanistico e questa
denominazione designa la duplice direzione nella quale egli stesso ha svolto la
propria attività di scrittore, integrando felicemente il sistema, che rivela
così nella varietà e la novità degli sviluppi la propria feconda vitalità. Il
naturalismo del M. si fonda sopratutto sul principio dell’unità come sintesi
universale: egli concepisce la unità come continuità dinamica dei fatti fisico,
biologico, psichico, postulando il « fatto minimo », come idea-limite, in armonia
con lo stesso concetto della continuità nella eterogeneità, e spiegando con la
impossibilità di depotenziarci la presunta inintelligibilità del trapasso, alla
quale si devono le due estreme concezioni, idealistica e materialistica. La
conoscenza, in quanto è determinata dal reale, in ordine al principio della
continuità stessa ha un valore assoluto ed obbiettivo, non già puramente
simbolico (« La crisi del positivismo e il problema filosofico» 1893 «Il
simbolismo nella conoscenza e nella morale» 1901). Umanistico è detto dal
Marchesini il naturalismo dell’Ardigò, principalmente perchè riesce alla
celebrazione della persona uma¬ na e dà fondamento razionale e positivo
all’idealismo etico e alla dottrina dell’autonomia; negli ultimi libri del M.,
e non soltanto in quelli che hanno più diretta attinenza con la pedagogia («
L’edu¬ cazione morale» I probi, fond. dell’ed. » 1923 «Disegno stor. delle
dottr. ped. 7), si manifesta più che mai spiccata la sua eminente vocazione di
educatore. Anche per il M. la continuità non esclude, ma comprova l’auto¬ nomia
del soggetto umano, come formazione naturale e pedagogica superiore, sulla
quale si fonda il diritto a un orgoglio umano ra¬ zionale come vera e propria
virtù etica (« Il dominio dello spirito, ossia il problema della personalità
eildiritto all’orgoglio » 1902). Sulla stessa autonomia si fonda il principio
della tolleranza come rispetto della personalità nella sua costituzione
specifica (« L’intol¬ leranza e i suoi presupposti). L’ideale è relativo alla
personalità, ma pensato come assoluto acquista da ciò uha particolare potenza
utilizzabile pedagogicamente («Le finzioni dell’anima » 1905). In esso, e nelle
sue singole specie, si reintegrano le inclinazioni umane fondamentali,
all’infuori d’ogni trascendenza metafisica, ch’è puramente simbolica («La
dottrina positiva delle idealità). Nella teoria del M. si ravvisa ante- cipata
in alcuni de’ suoi elementi più caratteristici e significativi la filosofia del
« come se », che ha avuto in questi ultimi anni singolare fortuna e grande
diffusione. Giovanni Dandolo (1861-1908), prof, di fil. teor. a Messina, concepì
il problema gnoseologico come problema psicologico, e lo fece oggetto
d’indagine accurata e penetrante, rivelando rare attitudini all’analisi e alla
rappresentazione della vita mentale. Tra fatti psi¬ chici e fatti fisiologici
corre un rapporto unitario di correlazione: il fatto psichico non è il
riverbero di un evento fisiologico, ma ha la sua specie caratteristica nella
coscienza, che è autonoma, è un distinto che si pone assolutamente e del quale
è artificioso e vano ricercare il perchè. I limiti dell’esperienza
edelconoscerecoinci¬ dono; e continuo è il processo dal senso all’intelletto,
se pur non sia possibile risolvere senza residuo la conoscenza nella
sensazione; ciò che è necessità di origine si conserva come necessità di
sviluppo: la pura sensazione, unità indistinta, s’integra nella percezione,
come l’appetito s’integra mercè la conoscenza nel desiderio, e mercè la ragione
nella volontà. Contro il realismo ingenuo e l’idealismo do¬ gmatico il D.
afferma la relatività reciproca di soggetto e oggetto; il conoscere in
generale, mentre si pone come fatto di coscienza, accenna alla necessità di un
eterogeneo, d’un termine correlativo esteriore, distinto e in pari tempo
inseparabile dal pensiero. Questo incontra nella esperienza un limite alla propria
libertà: nella ogget¬ tività della percezione ha fondamento la oggettività
della causa, della legge, della scienza. Contro la dottrina della scienza
sostenuta dal Mach, il D., mentre riconosce la incommensurabilità della spie¬
gazione scientifica con i fenomeni naturali, sostiene che fra questi e quella
intercede un vincolo, che è un adattamento speciale della intelligenza alle
cose: il vero è adattamento conquistato dal pen¬ siero sulla realtà naturale («
Le integrazioni psichiche e la percezione esterna» 1898 « Le integrazioni
psichiche e la volontà» 1900 «La causa e la legge nell’interpretazione
dell’universo» 1901 «Intorno al valore della scienza» 1907 «Studi di psicologia
gnoseologica» 1905-7, oltre a numerosi altri saggi, soprattutto di psic. e di
st. della psic.). Tarozzi, prof, di fii. a Bologna, occupa in Italia, rispetto
alla tradizione storica del positivismo sistematico, una posizione
spiccatamente personale: è stato, e si è professato sempre, discepolo
delI’Ardigò: e del positivismo infatti accetta il metodo e alcuni fondamentali
postulati: la filosofia è anche ricerca, perennemente promossa dai risultati
della scienza e dallo svi¬ luppo dei pensiero comune; scienza e filosofia si
differenziano non per il metodo bensì per l’oggetto, e insieme tendono a un
fine co¬ mune cioè alla obbiettività, la quale può essere raggiunta dallo spi¬
rito umano solo entro l'ambito della categoria quantitativa, onde ha grande
valore filosofico lo sforzo di esprimere il qualitativo in termini
quantitativi; la esperienza non è di atti ma di fatti; non è concreto se non
ciò che è sicuramente determinabile nel tempo e nello spazio. Ma la originalità
del T. si è rivelata anzitutto nelle critiche alle quali egli sottopose il
determinismo, ravvisando in questo un residuo metafisico e un elemento estraneo
allo spirito del positi¬ vismo. il suo indeterminismo, diverso da quelli del
Boutroux, del Bergson, del Mach, congiunge le due concezioni del divenire e
della spontaneità del fatto singolo, senza lasciarsi sedurre dal Xóyo; àgy ò?
del finalismo (« Della necessità nel fatto naturale e umano). Con
l’indeterminismo si collega il realismo gnoseologico, li principio che « la
realtà è il fatto della esperienza » consente una soluzione esauriente della
questione relativa alla determinazione qualitativa e quantitativa della realtà;
ma non basta a dar fonda¬ mento alla persuasione della esistenza della realtà:
la conoscenza è contingente, e però presuppone il reale come altro da se
stessa, e implica l’idea della esistenza come incondizionalità dell’essere
rispetto alla conoscenza; da ciò s’inferisce un reale, di cui tutte le
determinazioni appartengono alla esperienza, tranne una, cioè la esistenza, che
le si sottrae. Il reale così inteso sfugge a quella determinazione del finito
che è propria della conoscenza razionale : e però è l’infinita varietà, che
come tale non può essere se non dinamica: infinito dev’essere dunque il
principio dinamico dell’in- finitamente vario in ciascun essere che
l’esperienza ci presenta come determinato e finito. La contingenza della
conoscenza, da un lato, giustifica la distinzione della conoscenza pura dalla
conoscenza em¬ pirica e quindi il riconoscimento di leggi proprie del pensiero,
dal¬ l’altro, ha in tale distinzione e nella esistenza di queste leggi la
propria riprova. Nella conoscenza pura, intesa come conoscenza deH’autonomia
dello spirito, consiste il fondamento gnoseologico e logico, dell’idealismo
etico. Caratteri dell’idealismo etico sono la coscienza della libertà dello
spirito, la responsabilità, l’impero effet¬ tivo dell’ideale. La libertà dello
spirito, come rivelazione dell’in¬ finito nella coscienza, e capacità che ha
l’uomo di creare il regno della sua umanità morale, non esclude ma implica la
obbligazione, l’impero dell’universale: l’antitesi che sussiste fra necessario
e infi¬ nito, in quanto quello pone un limite che questo esclude, vien meno,
infatti, nella necessità morale, e in essa soltanto, perchè in essa l’infinito
si limita non negandosi, ma rivelandosi. La responsabilità, in quanto è
correlativa alla obbligazione, è responsabilità non soltanto del male, ma anche
del bene, in quanto è indipendente dalla obbliga¬ zione, trascende i limiti
dell’attività del soggetto, onde questi tende ad assumere sopra di sè il carico
del male della umanità intiera. Effettivo è l’impero dell’ideale, perchè esso
come autonomia dello spirito, è, per natura sua, un fine: ma non può essere
fine a se stesso, bensì presup¬ pone un reale ateleologico che si offre come
oggetto e materia al teleo- logismo in cui esso ideale si esplica; presuppone
dunque, nell’ordine degli oggetti, la natura indifferente, nell’ordine dei
valori, l’utile, il regno dell’interesse egoistico, in cui l’uomo a questa
natura indif¬ ferente obbedisce. Moralità è spiritualità, e spiritualità è
successiva trascendenza di fini gli uni rispetto agli altri. Con il sentimento
dell’infinito ha affinità profonda il sentimento estetico: l’estetica non
determina una distinta regione dello spirito, ma si afferma sovrana, come
espressione sintetica della humanitas. La pedagogia idealistica che risolve la
educazione nell’autoeduca¬ zione, ripugna al senso comune: la educazione
dev’essere spiritua¬ listica, perchè promuovere negli educandi il loro valore
propria¬ mente umano, significa avviarli a pensare come vera vita la loro vita
interiore. Nonostante le ragioni profonde di dissenso, la dottrina del T.
appartiene alla storia del positivismo italiano: il suo spirito fervido, aperto
a interessi molteplici, non si ferma appagato sulle posizioni raggiunte, bensì
è portato a rispondere con sintesi sempre più alte e più vaste e logicamente
meglio coerenti, all’esigenze poste dalla fede generosa e sincera nei valori
umani; ma egli non ha mai du¬ bitato che quella rivendicazione morale
dell’energia dello spirito, che è nello spirito suo il bisogno fondamentale
(Gentile), non sia appunto il programma che il positivismo propone a se stesso
e ha virtù di realizzare (Del T„ che finora non ha divulgato in modo
sistematico tutte le idee qui accennate, vedi: « La coltura intellet¬ tuale
contemporanea » 1897 « Ricerche intorno ai fond. della cer¬ tezza raz. » Menti
e caratteri » «La virtù contemporanea» 1900 « Idee di una scienza del bene Il
contenuto mor. della libertà del n. Tempo L’educazione e la scuola Note di
estetica sul Par. di Dante. Anche Troilo, prof, di fil. a Padova, operoso
cultore della st. della fil. (« La dottrina della conoscenza nei mod.
precursori di Kant» 1904» B. Telesio » La fil. di G. Bruno Figure e studii di
st. della fil.» 1918), manifesta, nella esposizione delle sue vedute
teoretiche, il travaglio perenne di uno spirito che si cerca: tutta la sua
feconda attività di scrittore è in¬ fusa di pathos profondo. Egli riferisce a
un’antitetica che si rivela fondamentale nell’attività dello spirito, il
perenne avvicendarsi dei due indirizzi, positivistico e idealistico: e tende a
uscirne con una dottrina, che superando la unilateralità delle contrastanti
vedute, in¬ tegri il positivismo con una sua propria costruzione teoretica («
Idee e ideali del Pos. » 1909 «Il Pos. e i diritti dello spirito). Il suo
atteggiamento di calda simpatia per il sistema dell’Ardigò non gli vieta di
criticarne il concetto dell’Indistinto psicofisico, nel quale ravvisa una
pericolosa concessione al dualismo; d’altra parte, il fenomenismo puro riesce a
una finale identificazione con il sog¬ gettivismo idealistico: a questi
indirizzi egli oppone lo schietto Monismo ontologico, la necessità dell’Essere
come Dato primo as¬ soluto, assolutamente autonomo. Monismo ontologico, ma,
d’altra parte, dualismo gnoseologico: nell'Essere, includente in sè quel¬ la
forma della Realtà ch’è lo Spirito, la legge è l’Unità: nel Co¬ noscere, il
quale altro non è che funzione, la legge è la Dualità: cosi organicamente si
compongono Immanenza e Trascendenza, spoglie di ogni residuo metafisico. Ogni
filosofia, come espressio¬ ne integrale teoretica e pratica dello spirito, è
filosofia morale, pe¬ dagogia dello spirito umano: Philosophia sire Vita : la
filosofia che non deve limitarsi a interpetrare il mondo e deve mutarlo,
trapassa in storia (« Filosofia, vita, modernità » 1906 « La conflagrazione). Il
positivismo del Trailo si determina come Realismo Assoluto : e un Realismo
assoluto è anche la dottrina di Ranzoli, prof, di SI. teor. a Genova. L’oggetto
della conoscenza non è nè una ima- gine dell’oggetto esterno, nè una creazione
del soggetto, bensi lo stesso oggetto che conosce se stesso, e, conoscendosi,
.si pone come identico a sè e come diverso da sè, come conoscente e conosciuto,
come spirito e come natura (L’idealismo e la fil.). Porsi come natura si¬
gnifica rappresentarsi e « distendersi » in quei rapporti spaziali e temporali
che risultando dalla mutua irreducibilità degli elementi della conoscenza, e
quindi del reale, si possono definire come la visione panoramica che il reale
ha di se stesso («Teoria del tempo e dello spazio). Lo spirito costituisce il
ritmo supremo del¬ l’esistenza, ossia il limite di quel processo
d’individuazione che rappresenta la legge fondamentale della realtà : legge che
non ha nulla in sè di finalistico, ma esprime al contrario la fusione del caso
con la causalità (« Il caso nel pensiero e nella vita). Queste idee sono
espresse dal R. in una prosa ch’è sovente un modello di stile filosofico: anche
di lui può dirsi, come del Dandolo, che la natura sobria dell'ingegno si
riflette nella composizione nitida e organica delle dottrine, ma non vieta di
avvivarne efficacemente la espressione con imagini colorite e vaghe. Ranzoli,
in un pregevole saggio sopra « La fortuna di E. Spencer in Italia» (1904), ha
dimostrato che il positivismo no¬ stro mosse i suoi primi passi sotto la sola
guida del Comte e del Littré, ma se n’è staccato ben presto, attratto dalle
ampie formule della filosofia spenceriana, che meglio si accordavano con la
natura del nostro ingegno e delle nostre tradizioni filosofiche, rappresentate
non soltanto dal naturalismo del Rinascimento, ma anche da quel filone
solitario di filosofia sperimentale che si continua ininterrotto attraverso il
Sette e l’Ottocento: il positivismo dello Spencer, me¬ glio di quello del
Comte, aiutò l’ingegno italiano a ritrovare se stesso: l’Italia di platonica
che era, divenne spenceriana, passando per lo hegelismo: fra questo e il
positivismo è l’abisso, ma la scuola hegeliana, dalla quale uscirono alcuni fra
i primi positivisti (Marselli, Villari, Angiulli) annovera anche pensatori
(basti ricordare il Fiorentino) che, rimanendo sul terreno dello hegelismo,
riconob¬ bero, nei limiti della filosofia della natura, il valore del principio
della evoluzione. E il positivismo italiano fu, per molta parte, evoluzionistico:
il fascino esercitato sopra le menti dalla idea di evo¬ luzione trae il
sacerdote giobertiano Trezza, bene a ciò preparato dagli studi storici
filosofici religiosi, a convertirsi a una intuizione naturalistica, della quale
egli fu il poeta piuttosto che il filosofo: le sue idee si organizzarono (La
critica moderna) intorno ai due concetti, della relatività di tutti i fenomeni,
onde natura e storia gli appaiono come una serie di trasformazioni perenni — e.
della immanenza delle leggi cosmiche che sottrae la natura e la storia
all’intervento e all’arbitrio delle volontà trascendenti (Melli). La sintesi
spenceriana trovò largo consenso fra gli scienziati: minor favore incontrò la
dottrina dell’Inconoscibile, combattuta, per opposte ragioni, da hegeliani e da
neo-criticisti, da spiritualisti e da positivisti; ma è manifesta la influenza
dello Spencer sopra quel movimento di pensiero che ebbe per organo la « Rivista
di filosofia scientifica), fondata e diretta da Morselli, prof, di psichiatria
a Genova. L’opera di lui è soprattutto notevole per lo sforzo assiduo di
richiamare i filosofi alla scienza e gli scienziati alla filosofia, combattendo
la metafisica an- tiintellettualistica, e reagendo contro io spirito
antifilosofico, mani¬ festato o anche ostentato da molti scienziati puri. Il M.
rappresentò autorevolmente una filosofia monistica ed evoluzionistica, consapevole
della propria funzione sintetica e non ignara delle proprie in¬ time
difficoltà, ma da ciò indotta non a cedervi bensì a superarle - e una
psicologia che si rende conto dei limiti, ma anche del valore del metodo
introspettivo («La fil. mon. in Italia» Id. id.» L’evoluz. monistico nella
conosc. e nella realtà» 1889 «Il darwinismo e l’evoluzionismo La psic. scient.
o pos. e la reaz. neo-ideal. » ecc.).
Classiche sono le ricerche biopsicoso- ciologiche del M. sul suicidio. Anche a
dire del M. («C. L. e la fil. scient.» 1906), Cesare Lombroso (1836-1910),
prof, di antrop. crim. a Torino, non fu un filosofo: la sua Weltanschauung è
schiettamente materialistica, la sua psicologia è puro somatisino; ma se si
pensa quanta luce è derivata dalle indagini ch’egli compì o promosse, alla
cono¬ scenza delle manifestazioni psicologiche anormali o supernormali; se si
considera quante idee, accolte, quand'egli le mise in circo¬ lazione, come
scandalose o ridicole, sono diventate, quasi insen¬ sibilmente, elementi vitali
della comune cultura e hanno agito sopra la costituzione deila nostra coscienza
morale: se infine si pensa alla influenza che la sua antropologia criminale,
ispirata a un rigoroso determinismo bio sociologico, ha esercitato in tutto il
mondo sopra la legislazione penale è debito di giustizia ricordare l’attinenza
dell’opera di lui e de’ suoi discepoli, con il movimento della filosofia scientifica («L’uomo
delinquente» L’anthrop. crim. L’uomo di genio» 1888 «Nuovi studi sul genio).
Alla negazione del libero arbitrio e alla fondazione .di una dottrina della
imputabilità penale non costituita sopra la responsa¬ bilità morale, diede
opera, con altri, Enrico Ferri (n. 1856), fon¬ dando quella scuola del diritto
penale, o piuttosto della criminologia, che fu detta positiva, e che propugnò
lo studio e la conside¬ razione non del delitto, ma del delinquente. Il
Lombroso diffuse in Italia, La circolazione della vita » di Moleschott. Questo saggio,
nel Moleschott, prof, a Torino, sostenne le proprie vedute materialistiche,
ebbe parte notevole nella ispirazione della dottrina lombrosiana. Al
materialismo aderirono o per lo meno inclinarono molti fra i cul¬ tori delle
scienze biologiche : e un tale indirizzo è manifesto nelle ricerche
psico-fisiologiche di Schiff, prof, di fisiologia a Firenze («Sulla misura
della sensaz. e del mo¬ vimento» 1869 «La fisica nella filosofia» 1875), del
suo discepolo, Herzen (Fisiol. e psicol., La condizione fisica della coscienza
» « Della nat. dell’atti¬ vità psich. » «Il moto psich. e la coscienza) che
nell’« Analisi fisiologica del libero arbitrio umano illustrò il doppio
determinismo, organico e sociologico, delle azioni umane; e dell’antropologo Sergi,
già prof, a Roma (« Elem. di psic. L’origine dei fenomeni psichici), studioso
anche di problemi pedagogici (« Per l’educazione del carattere » Educazione e
istruzione» 1892). Le vedute del Sergi furono impugnate da Regalia, sostenitore
della tesi che il dolore è l’antecedente costante e immediato di ogni azione
(saggi vari, cinque raccolti nel voi. « Dolore e azione » 1916). Un altro
antropologo, Vignoli, coltivò la psicologia comparata (animale e etnografica) e
genetica (« Peregri¬ nazioni psicologiche » 1895). L’esclusivismo psicologico
nella spiegazione delle malattie men¬ tali e le ragioni filosofiche che sono
poste a suo fondamento furono combattuti dal grande clinico Murri (Nosologia e
psicologia. Non si staccò dall’indirizzo materialistico Gabriele Buccola, il
quale a Reggio Emilia — dpve sotto la direzione di Augusto Tamburini, e più
recentemente di Giuseppe Guiceiardi, ebbero grande impulso la psicopatologia e
la freniatria — avviò ricerche psico¬ metriche che ebbero larga eco anche
all’estero («La legge del tempo nei fenomeni del pensiero). Ma scarso è il
contributo diret¬ tamente recato dai filosofi positivisti alla psicologia con
ricerche sperimentali, alle quali attesero prevalentemente seguaci di altri
indirizzi o studiosi estranei alla milizia filosofica. Allo studio spe¬
rimentale delle emozioni contribuì poderosamente Angelo Mosso, prof, di
fisiologia a Torino (La paura, La fatica), studioso anche di problemi
educativi, il quale aderì alla teoria Lange-James: a lui e alla sua scuoia
(particolarmente al lombrosiano Mariano Luigi Patrizi, prof, di fisiologia a
Modena) è dovuto il primo impulso alle ricerche di psicologia applicata ai
problemi sociali e del lavoro (psicotecnica). Il nome del Patrizi è legato
anche a tentativi d’interpretazione delle opere d’arte con il sussidio della
psicologia positiva («Saggio psico antropol. su 0. Leopardi» 1895 «Il
Caravaggio e la nuova crit. d’arte. Treves, scolaro del Mosso, contribuì alle
stesse ricerche (per es. con studi sopra le relazioni fra emozioni e lavoro
muscolare) e particolarmente coltivò le applicazioni della psicologia alla
pedagogia e alia tecnica scolastica, portando modificazioni alla scala metrica
del Binet. Al problema della valutazione della intelligenza, e inoltre agli
studi di psicologia e pedagogia dei deficienti («Edu¬ cazione dei
deficienti»1915)si dedicò Sanctis, prof, di psicol. a Roma), autore anche di
apprezzate ricerche sopra i sogni. Benemerito della pedagogia correttiva è Ferrari,
direttore dal 1905 della Rivista di Psicologia. Brofferio, prof, di st. della
fil. a Milano («La filosofia delle Upanishadas », postumo), esercitò la propria
attività nella sistemazione della psicologia e, sopra saldo fondamento psi¬
cologico, della gnoseologia positivistica : si propose il problema della classificazione
delle specie della cognizione, come propedeutico rispetto al problema
dell’origine, razionale o sperimentale, della cognizione, e ridusse le
intuizioni, per le quali la esperienza è resa possibile, alla intuizione
fondamentale del numero (unità e molte¬ plicità), la quale s’integra in quelle
della quantità (intensità) e della qualità; ma di quella intuizione egli
illustrò la natura sperimentale. Scarso è il contributo recato dai positivisti,
alla estetica. Oltre a Mantegazza, professore a Firenze (Epicuro), autore anche
di molto fortunati studi sulle emozioni, si può appena ricordare Pilo
(«Estetica Psicologia musicale» 1904) e Adelchi Baratono («Sociol. estetica»
1899): quest’ultimo, autore anche di lodati «Fondamenti di psicologia
sperimentale» (1906) ha coltivato poi di preferenza la pedagogia, con indirizzo
criticistico. il preteso a priori non è se non la esperienza accumulata della
razza. Il positivismo affermando, in contrasto con il materialismo degli
scienziati, la relatività della cognizione e precludendosi la via alla ricerca
della realtà assoluta, lascia la possibilità di fondare sovra prove morali la
credenza nella esistenza di Dio e di appagare la invincibile aspirazione alla
immortalità. Il B. ravvisò poi nelle espe¬ rienze spiritiche la verificazione
sperimentale di quelle ipotesi che aveva da prima accolte per volontà di
credere («Le specie del¬ l’esperienza » Man. di psic. » 1889 « Per lo
spiritismo). Anche Ettore Galli, lib. doc. a Padova, pone a fondamento della
filosofia la psicologia, analitica e genetica: origine del conoscere è il
sentire, che è fatto biologico. Le leggi della ragione sono le leggi
dell’apprendere; e si apprende quando un fatto di sentire - secondo una legge
dinamica universale - si fonde, in ciò che ha di comune, con virtualità di
sensazioni anteriori: tale processo si ripete in tutte le operazioni del
pensiero. La realtà è tutta relativa al conoscere, e quindi al sentire: dal sentire
nascono così l’io come il nonio. E il sentire è anche base della morale. La
vita, la quale per con¬ servarsi e integrarsi suggerisce agli uomini la
collaborazione e la divisione del lavoro, ha nel dovere un mezzo che poi agli
effetti pratici vien postulato come fine delle azioni. E al dovere s’informa
anche la educazione, in quanto è mossa dall’esigenze della vita (Nel regno del
conoscere e del ragionare» «Alle radici della morale» «Nel dominio dell’io, Alle
soglie della metafisica. Dell’attività esplicata dall’Ardigò, dal Marchesini,
dal Ta¬ rozzi come pedagogisti, già si è fatto cenno. L’indirizzo positivistico
ebbe, in generale, grande influenza sopra la scienza della educazione: e si
onora anzitutto del nome di Gabelli, che professò un positivismo agnostico,
combattendo le degenerazioni materialistiche; ma più che ai problemi
speculativi, volse la mente ai problemi della pratica: propugnò l’applicazione
del metodo spe¬ rimentale alle scienze morali, e delineò un’etica utilitaria,
fondata sopra l’amor di sè, distinto daH’amor proprio (« L’uomo e le scienze
morali » 1869). Esplicò la sua missione socratica (Credaro) con la diagnosi
severa — condotta da un punto di vista rigidamente con¬ servatore — dei mali
morali del popolo italiano e con la indica¬ zione del rimedio, che doveva
consistere in una educazione diretta a formare le teste, a bandire l’artifizio,
il verbalismo, la retorica, ad assumere come elementi integranti del carattere
idee chiare verificate al paragone della esperienza: il miglioramento morale è
indissolu¬ bilmente legato al progresso intellettuale: non sussiste contraddizione
tra il fine umanistico e l’indirizzo realistico della educazione («Il metodo
d’insegnamento nelle scuole elementari d'Italia Riordinamento dell’istruzione
elementare. Relazione, Istruzioni e programmi» L’istruzione in Italia). Angiulli,
prof, di ped. a Napoli, reagisce contro l’imperante hegelismo con un sistema,
ispirato alla fede nel valore teoretico e sociale della scienza positiva, .che
è legata con la filo¬ sofia da un vincolo d’interdipendenza: ripudia
l’Inconoscibile e am¬ mette la possibilità, per la virtualità dell’astrazione,
di una metafi¬ sica critica e scientifica, evoluzionistica e relativistica. La
dottrina della evoluzione cosmica informa di sè anche la morale scientifica
progressiva (migliorismo), la quale s’integra con la cosmologia in una
religione nuova: l’A., determinista, ammette negl’individui an¬ che il
determinismo dell’ideale. Ma l’ideale non si realizza se non nella e per la
educazione, intesa non come sempiice adattamento alle condizioni esistenti, ma
come preparazione a nuove conquiste. Tutti i problemi sociali s’incontrano nel
problema pedagogico, che dev’essere risolto teoricamente con la costituzione
della pedagogia sopra fondamento scientifico e filosofico, praticamente con
l’attua¬ zione sua negli ordini della scuola e della vita. Liberale in
politica, l’A. rivendica allo Stato il diritto, che è dovere, d’impartire la
edu¬ cazione nazionale e la istruzione obbligatoria e laica. L’incremento della
cultura femminile deve render possibile che si armonizzino, nella scienza, la
educazione domestica e la pubblica. La istruzione scientifica deve in tutti i
suoi gradi essere animata da spirito filosofico («La Filosofia e la ricerca
positiva » 1868 «La Ped., lo Stato e la Famiglia» 1876 «La Fil. e la Scuola). Siciliani,
prof, di ped. a Bologna, aspirò a una sistemazione del positivismo italiano,
sulla traccia di Galileo e del Vico e in armonia con l’evoluzionismo («Sul
Rinnovamento della Fil. pos. in Italia). La sua pedagogia ha a fondamento la
storia della educazione e ne ricava i due principii della dignità in¬ trinseca
della «santa» personalità umana, e dell’autodidattica (La Scienza nell’Educ. Rivoluzione
e Ped. moderna). Fornelli, prof, di ped. a Napoli, contribuì a diffondere in
Italia la dottrina herbartiana (« Studi herbartiani » 1913), la quale tuttavia
dovette la sua maggiore fortuna fra noi all’opera di Luigi Credaro (« La Ped.
di G. F. Herbart): ebbe vivo il senso della importanza del problema pedagogico
nello Stato liberale e propugnò la laicità della scuola che deve trovare nella
scienza il proprio centro. La misura dell’esigenze che si pongono sopra il
fanciullo dev’essere ricavata dalla considerazione non della sua costituzione
psicologica, ma della finalità civile della educazione. La volontà è
determinata, ma tra i fattori che la determi¬ nano è compresa anche la
individualità: e in ciò la responsabilità trova il proprio fondamento. Fu
sostenitore, nella istruzione secon¬ daria, di un temperato classicismo
(«Educazione moderna» 1884 «L’Insegnamento pubblico ai tempi nostri» 1881
«L'adattamento nell’educazione» 1891). Dominicis, già prof, dì ped. a Pavia, si
è ispirato ai principii dell’evoluzionismo e del darwinismo («La dottrina
dell’evoluzione); ha determinato, in base alla esperienza naturalistica e
storica, i fattori, le leggi, i fini della educazione, il fondamento e i limiti
della sua efficacia, acutamente analizzando la vita interna della scuola («
Scienza comparata della Educ.), e ha esercitato grande influenza («Linee di
Ped. elem. » 1896) sopra la formazione dei maestri. Colozza, prof, di ped. a
Palermo, concepisce non diversamente dal suo maestro Angiulli la scienza della
educazione nel sistema della filosofia scientifica ed evoluzio¬ nistica
(«Saggio di Ped. comparata» La Ped. nei suoi rapporti con la Psic. e le Se.
Soc.): ma ha temprato il forte e indipendente ingegno nell’analisi psicologica,
nella ricerca del fon¬ damento psicologico della pedagogia, nello studio di
problemi edu¬ cativi e didattici, nella revisione di concetti comunemente
accolti senza discernimento critico: dal ripensamento originale della dottrina
del Rousseau ha tratto conforto alla fede nella virtù del me¬ todo attivo; ha
risposto negativamente al quesito se esista la edu¬ cazione dei sensi («Il
giuoco nella psic. e nella ped.» 1895 «Del potere d’inibizione» 1898 «La
meditazione» 1903 «Questioni di Ped.» 1911 «Il metodo attivo nell 'Emilio.
Ripensando l ’Emilio » La matematica nell’opera educativa). Valle, prof, di
ped. a Napoli, studiò la formazione dell’autocoscienza, nel riguardo della
forma e del contenuto (« La Psicogenesi della coscienza): ma prevale nell’opera
sua il gusto delle vaste costruzioni. La vita umana dà materia alla indagine
sperimentale del lavoro mentale (che è sempre un mezzo), e alla indagine
speculativa del Valore (che è sempre un fine,): donde due dottrine pure (Psicoenergetica,
Axiologia) e due dottrine applicate (Psicotecnica, Teleologia). Il D. V. può
dirsi positivista, quando ricava « Le Leggi del lavoro mentale » per induzione
da espe¬ rienze, anche originali, e ravvisa nella pedagogia sperimentale un capitolo
della psicotecnica (come la ped. fil. è un capitolo della teleologia). Ma la
sua axiologia realistica lo allontana dal positivismo. I Valori (esistenziali,
logici, estetici, morali, economici) sono rive¬ lati ma non contenuti dalla
coscienza: sono il prodotto di una sin¬ tesi a priori ; possono esser creduti,
ma non dimostrati; sono assoluti, trascendenti, cioè indipendenti da ogni
singola mente e validi potenzialmente, anche se non intuiti empiricamente da
alcuno. Si unificano oggettivamente nella Realtà assoluta trascendente (Dio),
soggettivamente nella coscienza generica assoluta. L’educazione con¬ siste
nella creazione e acquisizione delle varie classi di valore (« Teoria Gen. e
Formale del Valore, come fondamento di una ped. fil.: Le premesse dell’Axiol.
pura»).Montessori ha coltivato l’« Antropologia pedago¬ gica, ma il suo nome è
soprattutto legato alle Case dei bam¬ bini, che hanno avuto ampia diffusione
anche all’estero e nelle quali il principio di spontaneità è portato alle sue
estreme applicazioni («Il met. della ped. scient. applicato all’educ. inf.
nelle Case dei bambini» 1910 « L’autoeduc. nelle se. elem. » 1916 «Manuale di
ped. scient.). Tauro, lib. doc. a Roma, autore di un lodato profilo del
Pestalozzi, ha propugnato il metodo positivo ed evoluzionistico nella ped.,
scient. e filosofica, della quale ha delineato un piano sistematico (« Introd.
alla ped. gen.): ha studiato « Il probi, delia coltura nelle sue attinenze con
la scienza e con la scuola, ha affrontato questioni di ped. applicata, relative
alla educaz. intellettuale (« L’unità mentale e la concentraz. della istruz.) e
alla formazione del maestro (« La preparaz. degl’in¬ segnanti elem. e lo studio
della ped.), ha, infine, assunto il silenzio a oggetto di analisi psicologiche
e di ricerche storiche accurate, fermandosi a considerare il silenzio interiore
come mezzo e processo dell’autoeducazione («Il Silenzio e l’Educazione dello
Spirito). Per Resta, lib. doc. a Roma, realtà propria del vivere umanno è non
l’errare a caso in balia delle contingenze (attualità,ed eterogenesi dei fini),
ma la conformità dei risultati com¬ plessivi a un piano di svolgimenti
progressivi (persistenza, e omo- genesi dei fini). Occorre perciò (ed è
tendenza dell’uomo) una forma o norma di vita, per la progressiva riduzione
dell’ordine naturale e attuale dello sviluppo umano, secondo l’ordine ideale o
finale della vita. Una tale forma o legge delle realizzazioni umane è la educazione:
e questa è, da un lato, inerente al vivere umano, ma si rivela anche,
dall’altro lato, specifica cioè distinta e originale, in quanto si definisce
come legge di maestria, cioè come il farsi mae¬ stro e far da maestro, mediante
una progressiva azione di corri¬ spondenza delle potenzialità ed inclinazioni
del soggetto (ordine attuale) alle finalità della vita (ordine finale). La
educazione è dunque attività di sforzi perfettivi possibili (legge di
convenienza progressiva) che si trasformano in abilità o autonomia (legge di
maestria) del soggetto nei fini della vita: suo modello dev’essere la
personalità più saldamente autarchica (l’autonomia) nella miglio¬ re
realizzazione dell’ordine ideale (Peunomia) « L’anima del fanciullo e la ped. »
1908 «I probi, fond. della ped. » Trattato di Ped. 1 » L’educaz. del geografo. 11
carattere umanistico della morale dei positivisti è stato già rilevato. Troiano,
prof, di fil. mor. a Torino, studioso benemerito dell’etica greca, defini come
umanismo la sua filosofia : umanismo critico e integrale, distinto dall’uma¬
nismo pragmatistico, perchè tien separate le categorie gnoseologiche e quelle
pratiche. L’uomo è il centro teoretico e appreziativo del mon¬ do: tutto da lui
prende luce e si predica, tutto da lui prende senso e si avvalora. Fondamento
di ogni valutazione è uno spirito individuale, che è l’unico reale: lo spirito
assoluto è impensabile, lo spirito colletti¬ vo una metafora. Ma nell’individuo
esistono pure tendenze collettive e storiche, e tendenze universali:
individualismo e universalismo sono aspetti inseparabili deH’umanesimo
concreto. Ogni etica metafisica è essenzialmente eteronoma e dogmatica: la
concezione subbiettivi- stica dei valori porta a costruire la morale sopra
fondamento psi¬ cologico. Centro della vita psichica, organo dei valori finali,
rego¬ latore supremo della vita è il sentimento, che è il Iato subbiettivo e
vissuto d’ogni fenomeno psichico, e però espressione immediata dello stato del
soggetto: fondamento di una morale autonoma è il sentimento non come dolore
(tendenza) o piacere (fruizione), bensì come sentimento di calma che rivela lo
stato di tregua per la so- disfazione avvenuta e l’armonia di tutte le
tendenze: all’edonismo va sostituito l’alipismo: il senso di tutto il mondo
dello spirito umano è spirito, sospiro o conato di pace, di liberazione dal do¬
lore. L’umanismo pedagogico assume a fine della educazione la perfetta
formazione degli organi individuali dei valori umani, infor¬ mandoli al sistema
storico della coltura: la educazione deve tendere a sostituire i valori
religiosi con valori spirituali più alti, vincendo la superstizione del divino
con la celebrazione divina dell’umano (« Etilica. I » « Ricerche sistematiche
per una fil. del costume. I » «La fi!, mor. e i suoi probi, fond. » 1902 « Le
basi dell’uma¬ nismo » 1907 «L’umanismo ped. » 1908»). L’umanismo etico di Cesca,
prof, di st. della fil. e di ped. a Messina, è fondato sul fenomenismo gnoseo¬
logico ed esclude da sè il trascendentalismo, ma culmina nella concezione di
una religione morale e umanitaria (« La religione morale dell’umanità» La Fil.
della vita» La Fil. del- l’az. » 1908). La religione identificata con la forza
della idealità continuamente aspirante al meglio, viene anche a identificarsi
con la educazione moderna che, distinguendosi dall’addestramento, deve
rivolgersi all’Io profondo dell’educando («Religiosità e ped. mod.). Il C.
costruisce la pedagogia generale sopra fonda¬ mento evoluzionistico: il suo
pluralismo critico tende a superare « Le antinomie psicologiche e sociali della
educazione» (1896) nella concezione della educazione stessa come processo
unitario, realiz- zantesi nella concordia di discordi molteplici fattori. In Juvalta,
prof, di fil. mor. a Torino, è particolarmente viva la consapevolezza della
esigenza critica. Non ha scritto molto: ma gli scritti suoi (« Prolegomeni a
una morale distinta dalla metafisica » 1901 « Su la possibilità e i limiti
della morale come scienza» 1907 «II vecchio e il nuovo problema della morale » I limiti del razionalismo etico) son tutti il
frutto di meditazione severa, promossa da un irresistibile bisogno di chiarezza
che lo trae a rivedere assiduamente non soltanto le soluzioni dei problemi
etici che sono state proposte nel corso della storia, ma anche i ter¬ mini e la
posizione dei problemi stessi. Le esigenze di ordine morale sono fondamentali e
decisive nella posizione e nella soluzione dei problemi di ordine metafisico; e
direttamente o indirettamente ne dipendono anche le questioni filosofiche, che
a primo aspetto si presentano come d’interesse prevalentemente teoretico. È
dunque, nonché opportuno, necessario affrontare i problemi morali indipen¬
dentemente da presupposti di qualsiasi indirizzo filosofico, implicanti una
particolare soluzione dei problemi della realtà e della conoscenza. Nella
scelta fra le diverse intuizioni religiose, o fra i diversi sistemi filosofici,
prevale l’atteggiamento personale della coscienza morale. Lo J. crede alla
possibilità di una scienza normativa etica, ma la fa consistere in un sistema
di relazioni e di leggi, le quali non hanno valore di norme da seguire, se non
nella ipotesi che sia as¬ sunto come fine quell’effetto o quell’ordine di
effetti, del quale esse leggi esprimono le condizioni e i fattori. Una tale
scienza differisce dalle altre scienze precettive soltanto perchè suppone che
al fine suo sia riconosciuto un valore di universale preferibilità e prece¬
denza sopra ogni altro fine. Perchè la determinazione delle norme etiche possa
dirsi scientifica, si richiede che il fine sia umana¬ mente possibile, cioè in
relazione di dipendenza da una certa forma di condotta collettiva o individuale
(e particolarmente per questa maniera d’intendere il carattere scientifico
della morale, il punto di vista dello J. si differenzia da quello che ha
prevalso tra i positi¬ visti). Perchè le norme sieno norme etiche, si richiede
che sia am¬ messo come postulato che il riconoscere al fine assunto valore di
universale preferibilità e precedenza rispetto a qualsiasi altro fine
umanamente possibile, è una esigenza morale. L’esigenza caratteri¬ stica di una
norma morale (esigenza giustificativa, diversa dalla esigenza esecutiva, che è
relativa ai mezzi di assicurare la osservanza della norma stessa) è quella di
una universale giustizia; e il fine che sodisfa a questa esigenza è una forma
di società umana tale, che tutti i socii trovino nelle sue stesse condizioni di
esistenza la medesima o equivalente possibilità esteriore di rivolgere la loro
attività alla ricerca di qualsivoglia dei beni ai quali la convivenza e
cooperazione sociale è mezzo. Allo studio del conflitto fra i criteri
fondamentali di valutazione morale, lo J. ha recato, e ancora promette,
notevoli contributi. Orestano, prof, di st. della fil. a Palermo, ha coltivato
la storia della filosofia e della pedagogia («Der Tu- gendbegriff bei Kant»
1901 «Le idee fondam. di F. Nietzsche» «L’originalità di Kant» Comenio » Angiulli » Rosmini»
L. da Vinci) e la filosofia morale (« I Valori umani» 1907 «La scienza del bene
e del male» Gravia Levia» Prolegomeni alla scienza del bene e del male » Pensieri’).
Meglio che fra i positivisti, va anno¬ verato fra i seguaci dell’indirizzo
critico. Egli ritiene che il positivismo coerente non possa uscire dalla
descrizione della vita morale: ma la scienza si rivela insufficiente di fronte
alle questioni più essen¬ ziali che la mente umana può proporsi di fronte alla
realtà, e delle quali nell’operare umano è implicita una soluzione : la
esperienza morale, forse tutta la esperienza umana, non rivela al pensiero la
totalità delle condizioni sue: non tutta la realtà è nell’esperienza. 11
progresso dello spirito è segnato dall’accrescimento dei problemi. D’altra
parte l’O. ha finora soprattutto inteso a costruire sul terreno della
esperienza una scienza del bene e del male, che si limita alla descrizione più
economica, cioè più semplice e più completa, dei rapporti funzionali elementari
(espressi possibilmente nella forma del calcolo) dei fenomeni morali; e ha
portato nn ricco geniale con¬ tributo al problema del valore e della
valutazione, considerato cosi in generale come dal punto di vista etico. Ogni
sistema di vita morale consiste infatti in un complesso di valutazioni,
tendenti a obicttivarsi mediante azioni e a svilupparsi in un sistema di prin-
cipii e di leggi. Ammessa la subbiettività del valore, non per questo se ne
assume come sufficiente la spiegazione psicologica: la coscienza non è che una
piccola sezione della personalità: e quest’ul- tima è coestensiva col sistema
della vita, il quale presenta, nel¬ l’aspetto organico psicologico sociale, una
composizione multipla e pluricentrica. L’unità trascendentale dell’io è un mito
che non spiega nulla. La valutazione è una funzione dell’interesse (che è reazione
totale dell'io): è la coscienza riflessa di uno stato d’interesse riferito al
suo oggetto. Il concetto ontologico del valore non può essere fondamento della
scienza morale, la quale deve adoperare il concetto del valore come un
principio formale di sintesi del¬ l’esperienza morale senza obbedire ad alcuna
intuizione concreta; caratteristico della reazione morale è pertanto il
riferimento di un oggetto particolare d’interesse al concetto fondamentale che
si ha della vita nella totalità de’ suoi scopi: questo concetto è il vero
fondamento di tutt’i giudizi etici: fondamento relativo, ma che una volta
fissato, agisce come principio assoluto. Tale definizione s’integra nella
definizione del fatto morale come impiego effettivo, cosciente e volontario
della vita in funzione di un tale concetto uni¬ tario, esplicito o implicito,
di essa: è la vita che pensa e vuole se stessa, che sceglie da sè i suoi propri
modi di essere: il mondo morale è una teleologia in azione. Ma la vita non può
pensarsi nè volersi che socialmente: la personalità sociale è il soggetto della
esperienza etica, la quale presenta cosi due aspetti, sociale e personale. L’O.
riconduce tutte le valutazioni a un comune denominatore, la vita, che è la
massima misura umana della realtà e del valore: il valore della vita, poi, è
una funzione dipendente del valqre supremo idealmente concepito: per Valli,
lib. doc. a Roma, Il Valore Supremo s’identifica con la vita stessa. La sua
teoria generale del valore come simbolo di una corrente d’impulsi o di volontà
concordi in una direzione, mette in luce la legge di proiezione dei valori, per
la quale la coscienza crea ai valori stessi una meta fittizia, considerando
come valore proprio l’ujtima parte consapevole di ogni processo vitale, e con
ciò crea i falsi assoluti della morale, che devono via via decadere. Valore
proprio, rispetto al quale tutti gli altri sono valori relativi, è soltanto la
vita, unico valore vero e perciò supremo, nel quale e per il quale esistono gli
altri valori, compresi i valori conoscitivi che sono anch’essi valori
strumentali della vita. In questa stessa Rivista, il V. ha presentato
modificata in senso antiintellettualistico, la teoria della religione sostenuta
nel libro « Il fondamento psicol. della religione). Zini, lib. doc. a Torino, aderisce, sul
terreno della gnoseologia, al realismo critico: afferma l’intima unità o mutua
compenetrazione dello spazio e del tempo, e svolge una teoria dinamica dello
spazio, concepito come emanazione del tempo: la nostra sensibilità, cioè ia
nostra vera vita spirituale in quanto è formata di rappresentazioni e di
sentimenti, d’intuizione e di volontà, è soggetta alla legge fondamentale del
tempo e delio spazio; ma le condizioni per cui nella realtà soggettiva sorgono
queste forme fonda- mentali, esistono nella realtà oggettiva, nella natura («
La doppia maschera dell’universo). Nel campo della morale, Z. haprofessato
sempre la insufficienza dell’empirismo e si è venuto sem¬ pre più accostando («
La morale al bivio» 1914) alla posizione cri- ticistica, in antitesi con il
naturalismo etico e il determinismo: ma può essere annoverato qui per l’opera
data alla costruzione di una morale logica, la quale sia l’applicazione alla
condotta dei sistemi di cognizioni formulati dalla scienza. Lo Z. ha
vigorosamente criticato la morale religiosa, emotiva ed eteronoma, tutta volta
alla espia¬ zione del passato e alla redenzione dai peccato, e, svelandone il
meccanismo psicologico, l’ha presentata come impedimento alla formazione della
personalità libera e responsabile (« Il pentimento e la morale ascetica): egli
ha ricostruito la storia psicologica del sentimento e della idea di « Giustizia
» (1907), e studiato il pro¬ blema sociale come problema che è anche morale e
che trova la sua soluzione non nella socializzazione della proprietà, ma nella
partecipazione di tutti alle condizioni di una civiltà superiore (« Proprietà
individuale o proprietà collettiva?). Scolaro dell’Ardigò e del Marchesini, L.,
prof, di fil. inor. a Firenze, ha sostenuto che un’etica indi- pendente dalla
metafisica deve abbandonare ogni pretesa normativa o deontologica: il valore
morale si specifica come rapporto formale fra la coscienza del dovere la quale si spiega con la costituzione
pluralistica della personalità e della società e la condotta effettivamente praticata: misura
del valore morale è lo sforzo, ed è però competente a giudicarne, in più
eminente grado, lo stesso soggetto agente. Dalla valutazione morale strido
sensu vanno distinte come « quasi morali » altre valutazioni, fra le quali
caratteristiche son quelle dipendenti dalla relazione fra la condotta del
soggetto e le aspettazioni dei socii (« I presupposti formali della indagine
etica » «La morale della simpatia
«Moralità e normalità» «L’onore e la vita morale). Salvadori, lib. doc. a Roma,
contribuì effica¬ cemente alla diffusione della dottrina evoluzionistica, con
traduzioni di opere dello Spencer e monografie illustrative (« H. S. e l’opera
sua» «La scienza economica e la teoria
dell’evoluzione. Sag¬ gio sulle teorie econ.-soc. di H. S.» «L’etica
evoluzionista. Studio sulla fil. mor. di H. S.»); combattè gli errori del tra¬
sformismo meccanico («Natura, evoluzione e moralità) ed ebbe a guida
l’evoluzionismo così nel sostituire una spiegazione razionale dei sentimenti
morali alle spiegazioni metafisica e pura¬ mente empirica, rivelatesi
insufficienti ( « Determinaz., classificaz. e spiegaz. dei sent. mor.), come
nel fondare sopra la conci¬ liazione dell’antitesi essere-divenire, un concetto
positivo del diritto naturale («Das Naturrecht und der Entwicklungsgedanke. Il
positivismo italiano già nel suo fondatore, CATTANEO (vedasi), è, sulle orme
del Vico, storicismo: Marselli, scolaro di Sanctis, dopo avere, ne’ primi suoi
lavori di fil. della st. e di estetica, ormeggiato lo Hegel, provò poi il
disgusto dello abuso che gli hegeliani avevano fatto della Idea astratta e
della scienza a priori, e concepì la storia come la più alta tra le scienze di
osservazione, che con lo stesso metodo adottato dalle scienze naturali, deve
rivelarci le manifestazioni della natura umana e le sue leggi. Il positivismo
del M. è una metafisica monistica, che non oppone lo spirito alla natura, nè
risolve questa in quello, ma spiega con la legge di evoluzione il progresso da
una all’altro («La scienza dellastoria» Le leggi storiche dell’incivilimento»,
postumo). P. R. Troiano diede opera alla costituzione de La storia come scienza
sociale, combattendo il concetto dellastoria come opera d’arte. Da apprezzate
ricerche d’etnologia preistorica e protostorica (L’origine degli Indoeuropei),
condotte sulla traccia luminosa d’intuizioni del Cattaneo, Michelis procedette
ad appro¬ fondire il problema della conoscenza storica. Le scienze di leggi dalla
matematica alla sociologia e la storia
lato sensu, rispondono a due distinte esigenze del pensiero: le prime hanno per
oggetto quei rapporti condizionalmente necessari delle cose e dei fenomeni che
costituiscono la «Natura»: la seconda riesce invece alla costruzione e
rappresentazione del reale a titolo di « mondo » o «universo». Hanno torto quei
positivisti che vorrebbero sostituire la storia con le scienze di leggi,
estendendo a quella il contenuto logico e il tipo epistematico di queste; ma è
anche infondata (o fondata soltanto sopra un’analisi insufficiente delle
categorie sotto le quali viene pensato il reale come natura, e sovra
persistenti vedute astrattistiche e sostanzialistiche) la svalutazione del
conoscere matematico-naturalistico. Se la costruzione della storia è il termine
d’arrivo di tutto il conoscere, ogni progresso della conoscenza storica ha per
condizione il progredire delle scienze di leggi; e se queste avessero un valore
puramente convenzionale, neanche la storia potrebbe aspirare a un valore
filosofico («II problema delle scienze storiche). Bertazzi, prof, di st. della
fil. a Catania, fecondo studioso del pensiero antico, medievale e moderno, ha
avviato ampie ricerche sovra «I presupposti fondamentali della storia della
filosofia. Asturaro, prof, di fil. mor. a Genova, considerò i problemi morali
dal punto di vista dell’evoluzionismo, che, meglio del semplice
associazionismo, offre il modo di conciliare il naturale egoismo con l’ideale
del disinteresse («Saggi di fil. mor.): si adoperò sopratutto a sistemare la
sociologia me¬ diante la classificazione e seriazione dei fatti sociali :
approfondì la dottrina del metodo delle scienze morali e la dottrina della classificazione
delle scienze ( « La sociologia, i suoi metodi e le sue scoperte). Ma della
vastissima letteratura sociologica che dilagò per l’Italia sul finire dello
scorso secolo e nel primo decennio del presente, non è il caso di far parola:
sopra quella emergono per l’austera serietà degli intendimenti e la rigorosa
fe¬ deltà al metodo positivo gli « Elementi di scienza politica» di Mosca,
prof, di diritto costituzionale a Roma, e il «Trattato di sociologia generale di
Pareto: questi scrittori, se pure non fecero professione di filosofia, con il
loro pensiero robusto e originale esercitarono grandissima influenza sopra la
formazione delle giovani generazioni. Scolaro dell’Ardìgò, Loria, prof, di
economia politica a Torino, sociologo ed economista dei più eminenti, ricercò
un principio che lo guidasse alla spiegazione organica della vita sociale: non
si propose la soluzione di problemi speculativi, ma intese il materialismo
storico come un ferreo determinismo economico e ne trasse nel modo più
intransigente estreme illazioni («Le basi economiche della costituzione sociale).
Diffuse con parola lucida colorita efficace la conoscenza del movimento sociologico
contemporaneo («La sociologia, il suo compito, le sue scuole, i suoi recenti
progressi» «Verso la giustizia sociale). La concezione della storia come
divenire automatico e fatale dei processi economici, e la interpretazione del
materialismo storico come applicazione della filosofia materialistica alla
storia, sono state vigorosamente combattute da Mondolfo, prof, di st. della
fi!, a Bologna. Labriola, prof, di fil. mor. a Roma, aveva sostenuto che il
materialismo storico deve fon¬ darsi sopra una dottrina di attività, sopra la
marxista filosofia della praxis: l’uomo non è un essere passivo e inerte,
docile all’azione delle condizioni esistenti: queste, mentre limitano e
ostacolano la sua azione, lo stimolano a volgersi contro di esse per reagirvi e
trasformarle: le condizioni stesse che l’uomo ha create sono da lui, nel
processo della lotta fra le classi, superate e trasformate. Il mar- ximo del L.,
contro ogni teoria dei fattori storici, artificiosamente separati ed
entificati, rivendica il principio della unità della vita e della storia
(«Saggi intorno alla concez. mater. della st. » ). Anche Mondolfo, autore di
pregevoli saggi di psicologia (* Studi sui tipi rappresentativi» 1909) e di
storia della filosofia (« E. B. de Condillac » 1902 « La morale di Hobbes » Le
teorie mor. e poi. di Helvétius » 1904 «Il dubbio metodico e la st. della fil.»
Il pensiero di Ardigò» «La fil. di Bruno nella interpretaz. di F. Tocco» Rousseau
nella formaz. della cose, mod. » Acri e il suo pensiero» 1914) e studioso di
pro¬ blemi pedagogici e culturali («Libertà della scuola), interpreta il
materialismo storico come intuizione volontaristica della vita e concezione
critico-pratica della storia (« 11 materialismo stor. di F. Engels» 1912 «Sulle
orme di Marx). A fondamento della ricostruzione della dottrina sta lo stesso
criterio, per cui la dialettica reale del Marx si opponeva alla dialettica
hegeliana della idea, ossia il principio, derivato dall’umanismo del Feuerbach,
che restituisce all’uomo la sua concreta realtà ed azione nella vita, affermando
di fronte alla realtà dello spirito la realtà della natura. La conoscenza e la
storia umana si sviluppano in un rapporto dia¬ lettico fra soggetto (bisogni,
aspirazioni, volontà degli uomini) e oggetto (condizioni naturali e storiche):
questo si pone come limite, ostacolo e perciò stimolo progressivo all’attività
umana e alle conquiste e creazioni, ch’essa compie nella diuturna sua lotta, e
che si convertono nelle condizioni nuove, alle quali nuovamente spetterà la
funzione di limite e perciò d’impulso a nuovi sforzi di supera¬ mento. In
questo volontarismo concreto, che riconosce fra i bisogni umani la preminente
impellenza del bisogno economico, è l’essenza del processo storico e, insieme,
la direttiva di ogni azione aspirante a inserirsi efficacemente nella storia.
Alla conoscenza della dottrina e dell’attività politica degli estremi partiti
rivoluzionari ha contribuito validamente ZOCCOLI (vedasi) (« L’anarchia - Gii
agitatori - Le idee - I fatti), autore anche di saggi sopra la filosofia dello
Schopenhauer e del Nietzsche e già prof, di fil. mor. a Catania. 11 - Largo
contributo recarono i positivisti agli studi di filosofia giuridica, nei quali
aveva già stampato un’orma profonda Roberto Ardigò con la sua Sociologia. Uno
sforzo di conciliazione fra le dottrine positivistiche e il criticismo si
ravvisa nei tre volumi delle Opere (1908) di Vanni, prof, di f. d. d.° a Roma,
che assegnò alla fil. del dir. il triplice problema gnoseologico,
fenomenologico, deonto¬ logico: mise in luce la esigenza gnoseologica implicita
nello stesso positivismo conitiano e illustrò la dottrina etico-giuridica dello
Spencer: segnò le linee fondamentali di un programma critico di sociologia,
riconoscendo la caratteristica della vita sociale nella «storicità-. Le sue
Lezioni ebbero grande efficacia sulla educazione mentale di parecchi giuristi.
Piuttosto eclettica che propriamente positivistica è la dottrina di Carle,
prof, di f. d. d.° a Torino (« La vita del diritto nei suoi rapporti colla vita
soc.» «La F. d. d°. nello Stato mod.),
ispirata ai principii dello storicismo. La necessità di una larga concezione
sociologica e storicistica del diritto fu sostenuta da Biagio Brugi, prof,
d’istituz. di d° civ. a Pisa ( Introduzione enciclopedica alle Se. giur. e soc.
4 , seguace e propugnatore dei principii della scuola storica, il quale accolse
e illustrò la dottrina dell’Ardigò ; da Dallari (La esigenza del posit. crit.
per lo studio fil. del dir. » Il pensiero fil. di Spencer, Il nuovo
contrattualismo nella fil. soc. e giur.. F. d. d.° e scienza storica dell’inci¬
vilimento); e da Solari (La scuola del di¬ ritto naturale nelle dottrine
etico-giuridiche, «La idea individ. e la idea soc. nel d°. privato» li probi,
mor.), professori di f. d. d°. a Pavia e Torino. Rigoroso positivista fu Fragapane,
prof, di f. d. d°. a Bologna, che sostenne contro il contrattualismo l’unità
dell’individuo e del gruppo, dell’idea e del fatto, della coscienza e della
società («Contrattualismo e sociol. contemp.), applicò al campo della filosofia
giuridica il metodo genetico evolutivo (« Il probi, delle origini del dir.) e
combattè l’eclettismo del Vanni, negando il compito deontologico della f. d.
d.° (« Obbiettò e limiti della f. d. d.° ). Scolaro del Fragapane e
illustratore dell’opera del Vanni è Falchi, prof, di f. d. d.° a Parma
(«L’opera di I. Vanni» Sulla differenziaz. del diritto dalla mor. » 1904 «Le
mod. dottrine teocratiche» I fini dello Stato e la funz. del Potere 1914»), che
negò la legittimità della esigenza metafisica nella f. d. d.° Particolare
attenzione all’aspetto psicologico della fenomenologia giuridica prestò
Vincenzo Miceli, prof, di f. d. d.° a Pisa, che sostenne la riduzione della f.
d. d.° per la parte speculativa alla filosofia morale, e per la parte tecnica
alla dottrina generale del diritto (« Le fonti del d.° dal p. d. v.
psichico-soc. » Prin- cipii di F. d. d.° »). Considerarono la vita del diritto
da un punto di vista evoluzio¬ nistico e antropologico Schiattarella, Aguanno e
Papale, prof, di f. d. d.° rispettivamente a Palermo, Messina, Catania. Dalla
scuola dell’Ardigò sono usciti Alessandro Grappali e Ales¬ sandro Levi: il
primo (n. 1874), prof, di f. d. d.° a Modena, contri¬ buì alla critica della
Sociologia del Maestro dal punto di vista del materialismo storico (« La genesi
soc. del fenomeno scientifico» 1899), fece conoscere in Italia le principali
correnti del pensiero sociologico straniero (« Saggi di sociologia » I
fondamenti giu.el solidarismo) e assegnò alla sociologia la triplice funzione
critica, sintetica e teleologica («Sociologia e psicologia). Levi, prof, di f.
d. d.°a Catania, assegna alla filosofia il compito di discutere il problema
gnoseologico, e conse¬ guentemente intende la f. d. d.°come logica o
gnoseologia del di¬ ritto, differenziato dalla economia e dall’etica come una
distinta forma logica o «guisa» dello spirito umano; assume come concetto
fondamentale dell’ordinamento giuridico, quello di rapporto giuridico,
individuazione della forma logica del diritto, che è l’apprezzamento delle
attività nel loro profilo intersoggettivo: «ubi societas, ibi ius».
(«Contributi ad una teoria fil. dell’ordine giur.» F. d. d.°e tecnicismo
giuridico» 1920 «Saggi di teoria del d.° » « La Fil. poi. di Mazzini). Bartolomei, prof,
di f. d. d.° a Napoli, in un saggio giovanile discusse, alla stregua di una
metafisica monistica e apprezzò con equanimità e acume « I principii fondam.
dell’etica di Ardigò e le dottrine della fi], scientifica, ma il suo ul¬
teriore pensiero si svolse in direzione piuttosto criticistica che non
positivistica. Donati, prof, di f. d. d.° a Macerata, ha portato contributi
allo studio del diritto come fenomeno, e si è poi rivolto specialmente alle
ricerche storiche, rendendosi benemerito degli studi vichiani («Interesse e
attività giuridica» 11 socialismo giur. e la riforma del d.° » Il rispetto
della legge dinanzi al principio di autorità. Critica alla Fil. civ. di Hobbes
» «Autografi e documenti vichiani
inediti o dispersi » Es¬ senza e finalità della scienza del d° » 1924). Roberto
Vacca ha tracciato le linee di un programma di f. d. d.° sulla base del metodo
sperimentale («Il d.° sperimentale. Il positivismo fu portato naturalmente a
contribuire a quel movimento che può definirsi di filosofia della scienza.
Positivistico è l'atteggiamento assunto nel suo libro «Scienza e opinioni» da Varisco,
prof, di fil. a Roma, il quale non potrebbe esser annoverato oggi più tra i
positivisti, dopo la revi¬ sione e le integrazioni alle quali è stato indotto
dal suo indomito spirito di ricerca. Il V. distingue assolutamente pensiero e
realtà. Questa si compone d’infiniti corpuscoli, estesi ma fisicamente in¬
divisibili, dotati di proprietà psico-fisiche. Fisicamente, i corpuscoli si
muovono e all’occasione si urtano; e, quantunque duri, negli urti si comportano
come se fossero elastici. La fisica del V. si riduce integralmente a una
meccanica, sul genere di quella del P. Secchi: l’accadere fisico è quello che
ha luogo tra i corpuscoli, mentre l’accadere psichico è provocato, In ogni
corpuscolo, degli urli a cui va soggetto. Non esistono mentalità indipendenti
dal fatto del nostro pensare (il V. mantiene anche oggi questo suo concetto,
che per altro ha reso più coerente). L’esigenza del nostro pensiero non è se
non l’esigenza causale dei fatti psichici che lo costituiscono, Ciascun fatto
psichico (separatamente preso) è insieme una forza, e un conoscere affatto
embrionale, ma certo assolutamente. Quello che è vero va distinto da quello che
consta. P. es.: consta che C è conseguenza necessaria di P; consta che il remo
nell’acqua si vede spezzato. Ma C non è vera che sotto condizione; e che il
remo sia spezzato, non è punto- vero. Quello che consta non è dunque vero, in
generale, che relativamente; peraltro è un vero noto e certo. Al di là di
quello che consta c’è un vero assoluto (p. es., la dipendenza necessaria di C
da P è assolutamente vera), che può essere in parte ignoto, o non conosciuto
con certezza. Per giungere alla cognizione del vero assoluto, è necessario che
ci fondiamo su quello che consta. E a ciò si riduce quello, che dal V. fu
chiamato il suo positivismo: constano soltanto le conclusioni delle scienze
positive (dimostrative, secondo Galileo, il quale riteneva opinabili tutte le
altre dottrine). Fine della filosofia,secondoilV.,ilqualeinpropositononmutò
molto le sue opinioni, è la discussione del problema, se oltre alla natura
psico-fisica ci sia o non ci sia un soprannaturale, cioè se la religione sia o
non sia giustificata. Ed egli rispondeva allora che alla riflessione il
soprannaturale non può constare; il sentimento del soprannaturale, qualunque ne
sia il valore oggettivo, non può essere tradotto in cognizione distinta, non
può servire di fondamento alla costruzione del sapere. 1 nomi di Enriques e di Rignano
si trovano associati nell’impresa di promuovere con la rivista Scientia (fondata
e tuttora fiorente sotto la direzione del R.) la coordinazione del lavoro
scientifico, la critica dei metodi e delle teo¬ rie, e di affermare un
apprezzamento più largo dei problemi della scienza. «Problemi della scienza»
s’intitola il saggio con il quale l’E. , matematico di fama già mondiale, si
annunziò come rappresentante di un positivismo che può dirsi critico, domi¬
nato come tale, dalla consapevolezza della esigenza gnoseologica. La teoria
della conoscenza, sostenuta dall’E., deriva dall’esame della scienza, non
accettata dogmaticamente ma investigata nelle sue origini e nel suo
significato: ed è ben giustificata la definizione della sua costruzione come
positivismo critico: l’E. infatti elimina il dua¬ lismo di assoluto e relativo,
sostanza e fenomeno rappresenta il lavoro scientifico come un progresso senza
fine, perchè sono senza fine i rapporti che legano fra loro le cose, e il
concatena¬ mento delle cause naturali: e questo progresso concepisce come
procedimento di approssimazioni successive, dove dalle deduzioni parzialmente
verificate e dalle contraddizioni eliminanti l’errore delle ipotesi implicite,
sorgono nuove induzioni più precise, più probabili, più estese ricerca la
origine empirica delle concezioni metafisiche, alle quali può attribuirsi
soltanto il valore d’ipotesi, capaci talora di preparare scoperte e teorie
scientifiche fa oggetto di studio il fondamento psicologico e il contenuto
sperimentale delle supreme categorie logiche opera una revisione delle stesse
dottrine posi¬ tivistiche, con il fine di escluderne i residui metafisici
assume come criterio della verità la esperienza, la quale dimostra se sussista
o meno l’accordo fra l’elemento subiettivo della previsione e l’elemento
obbiettivo della realtà riconosce come dati immediati della realtà non le
sensazioni pure, ma piuttosto i rapporti fra sensazioni e volizioni che
condizionano le nostre aspettative, e ne esprimono gl’invarianti elementari
riconosce pertanto che la nostra credenza a qualcosa di reale suppone un
insieme di sensazioni che invaria¬ bilmente susseguono a certe condizioni
volontariamente disposte riesce con la definizione del reale come invariante
della corrispondenza fra volizioni e sensazioni a unificare, contro le teorie
della scienza, nominalistiche e convenzionalistiche, la comprensione del «fatto
bruto» e quella del «fatto scientifico». Tutta l’opera dell’E. è ispirata alla
fede razionale nel valore della scienza e al principio della continuità e
interdipendenza di scienza e filosofia. Nella valutazione del contrasto razionalismo-storicismo
il pen¬ siero dell’E. va sempre più evolvendosi nel senso del razionalismo,
ch’egli cerca tuttavia di comporre con l’empirismo da un lato e con lo
storicismo dall’altro («Scienza è razionalismo» «Per la storia della logica). Rignano, lib.
doc. a Pavia, ha coltivato gli studi sociologici biologici psicologici: ha
esposto criticamente la sociologia comtiana, soprattutto dal punto di vista
metodologico («Là sociol. nel Corso di Fil. pos. di A. C. ): ha spiegato il
meccanismo di trasmissione ereditaria dei caratteri acquisiti con una ipotesi
ontogenetica, che rende conto dei fatti recati a favore così del preforniismo
come della epigenesi. L’altra ipotesi sussidiaria suH’accutnulazione specifica,
che sarebbe la proprietà fondamentale ed esclusiva della energia nervosa, base
della vita, spiega i fenomeni mnemonici propriamente detti e la proprietà
mnemonica della sostanza vivente in generale. Così la ipotesi centroepigenetica
rientra fra le teorie delio sviluppo, ed è fornito un modello energetico, ca¬
pace di dare una idea della natura intima della vita (Sulla trasmissibilità dei
caratteri acquisiti). Hanno origine e natura mnemonica anche le tendenze
affettive (« Essais de synthèse scien- tifique). L’analisi del ragionamento,
cioè del più complesso tra i fatti psichici, porta a studiare gli altri fatti,
sempre meno complessi, che lo costituiscono, fino ai due più elementari, che
dànno luogo a tutti gli altri: da un lato, cioè, sensazioni ed evocazioni
sensoriali, dall’altro, tendenze affettive (« Psicologia del ragionamento).
Così la sola proprietà mnemonica spiega e unifica tutte le manifestazioni
finalistiche della vita, dalla ontogenesi e dal preadattamento
anatomo-fisiologico ali’ambiente, fino agl’istinti più complessi e alle più
alte manifestazioni del pensiero (« La memoria biologica). I nomi di Varisco, d’Enriques
e di Rignano mostrano come il pensiero italiano abbia preso parte attiva a quel
movimento di revisione critica della scienza, che è una delle caratteristiche
più notevoli del pensiero contemporaneo. Ma non debbo dimenticare pur vedendomi costretto, per non esorbitare
dai limiti del mio tema, a un accenno sommario e pur troppo insufficiente l’opera di Peano (Calcolo geometrico, 1
principii di Geometria logicamente esposti) e de’ suoi discepoli Pieri, Padoa, Forti,
la quale tanto ha contri¬ buito a dare alla matematica una rigorosa
sistemazione logico-deduttiva, con tendenza nominalistica, escludendo qualsiasi
appello all'intuizione. E vuol essere anche ricordato il valore logico e filosofico
che, partendo dagl’insegnamenti di Peano e di Garbasso (« Fisica d’oggi.
Filosofia di domani), Pastore, prof, di fil. teor. a Torino, ha dato alla
logica-matematica e alla teoria dei modelli meccanici (Sopra una teoria della
scienza Logica formale dedotta dalla consideraz. di modelli meccanici » «Del nuovo aspetto della scienza e della fil.»
«Sillogismo e proporzione» «Il pensiero puro» «Il problema della causalità). Il calcolo
logico, secondo il P., non è che uno degl’infiniti modelli con cui si può
rappresentare l’ordine dei fenomeni e prevederli; e tutti sono immagini o
simboli equivalenti dell’infinita verità. Ma nelle sue ultime opere il P.,
superando la posizione di questo suo iniziale nominalismo, accenna ad
orientarsi verso unaforma di panlogismo. Al positivismo anzi al positivismo più
rigoroso ed estremo va pure ascritta la « filosofia scettica » di Rensi, prof,
di fil. mor. a Genova, pensatore fervido, scritore suggestivo, polemista
animoso. Egli muove in tutt’i suoi libri principali una vivace battaglia contro
l’idealismo assoluto, negando radicalmente ogni assolutezza delle forme o
attività spirituali, e sostenendo che nell’ambito della sfera della pura
ragione (in quanto cioè la pura ragione, o lo spirito, costruisca cavando
esclusivamente dal proprio fondo, a priori, e si concepisca non come
determinata dal fatto, dal dato, ma come generante essa l’oggetto) impera sovrana
e invincibile l’antinomica ossia lo scetticismo. Ma, quindi, certezza v’è solo
nella constatazione sensibile del fenomeno come tale, e a questa certezza è
parallelo l’accordo universale, in ciò, delle menti. Comincia il regno
dell’incertezza, della mera opinione, e quindi della fantasia (e perciò in un
certo senso dell’arte) quando si vuole salire oltre la constatazione del
fenomeno per interpretarlo. Dunque, o la filosofia è la constatazione del fenomeno,
ed è positivismo e scienza; o è l'interpretazione di esso, ed è mera espres¬
sione d'impressioni, cioè arte, e, dal punto di vista del sapere, scetticismo
(« Lineamenti di Fil. scettica » ). Di conseguenza, anche nel campo pratico,
morale e diritto non sono costruzioni razio¬ nali che lo spirito cavi con
apodittica assolutezza dal proprio fondo, ma sono determinati, qua e là
variamente, dalla «Autorità» del fatto esteriore, come il positivismo sofistico
e quello hobbesiano avevano scorto («Il diritto», ib. «Filosofia dell’Autorità»
«Introduzione alla scepsi etica). Anche
l’estetica è, come forma a priori dello spirito, nient’altro che scepsi
estetica (« La scepsi estetica) e come «bello» non può valere se non la
valutazione di fatto che pronuncia il gruppo sociale o la specie. Negli ultimi
suoi scritti («L'irrazionale, il lavoro, l’amore» « Interiora Rerum » « Realismo) il R. accentua
i caratteri rea¬ listici e nello stesso tempo pessimistici del suo scetticismo.
Non come positivista, ma come scettico, vuol essere qui ricordato Levi, prof,
di st. d. fil. a Pavia e operoso cultore della st. d. fil. ant. (« Il concetto
del tempo nei suoi rap¬ porti coi probi, dell’essere e del divenire nella fil.
gr. sino a Platone» « Id. nella fil. di
Platone» «Sulle interpretaz. immanentistiche della fil. di PI.»), mod. («La
fil. di Berkeley) e conteinp. (« L’indeterminismo nella fil. frane, contemp. » ecc.). Il L. («Sceptiea) rappresenta un
radicale scettici¬ smo che eliminando da sè ogni elemento dommatico, sfugge
alla consueta accusa d’intima contraddizione. Tutte le metafisiche, com¬ preso
l’idealismo assoluto, si fondano sopra una concezione realistica, che, in
quanto voglia rispondere a esigenze non pratiche ma puramente teoretiche, è
senza giustificazione, anzi in contrasto con il presupposto fondamentale del
conoscere (costituito dal mio io pensante): tutte - dico — fuorché una, il
solipsismo, che da que¬ sto presupposto direttamente deriva, e che, sebbene
criticabile perchè includente innegabili irrazionalità, è fra tutte la più
plausibile. Contro il positivismo, il solipsismo sostiene che il dato dell’esperienza
esige una interpretazione del pensiero, e però non ha valore per sè. L’estetica
del L. («La fantasia estetica) si riassume nella tesi che « l’opera d’arte
nasce dal mistero, ha caratteri non determinabili completamente ed
esaurientemente e suscita in chi la con¬ templa uno stato particolarissimo,
irreducibile e non del tutto definibile ». In Sicilia il positivismo si
presenta con aspetti caratteri¬ stici nella filosofia dell’identità di Corleo,
prof, di fil. mor. a Palermo, e nel radicale empirismo di Guastella, prof, di
fil. teor. a Palermo. Nel C., positivistico è il metodo, o il punto di
partenza: ma egli con la pura osservazione dei fatti e senza nulla presupporre
vuol giungere alla metafisica e a conclusioni eminentemente razionali¬ stiche.
Non vi è qualità la quale non si riduca a quantità, e questa riduzione che è il
compito della scienza, rende possibile la costruzione di una filosofia che
adegui la esattezza della matematica. Il C. ha una concezione atomistica della
vita psicologica: dalle percezioni che sono gli atti primordiali del pensiero,
e, presentandosi come in parte identiche, in parte non identiche fra loro, sono
tutte complessi, identici con la somma delle parti risultano l’analisi e la
sintesi spontanee, che operano sopra le percezioni stesse, onde i punti simili
di queste si presentano similmente, e i punti per cui si differenziano si
separano naturalmente: così si spiegano le formazioni mentali superiori. Lo
stesso fondamentale assioma della identità non è dunque che un dato della
esperienza, emer¬ gente dalla osservazione del fatto del pensiero: ma è un tale
dato che consente di trovare nell’empirico l’assoluto, perchè assoluto è che
identicamente apparisca ciò che identicamente apparisce. La noologia del C. è
per un verso psicologia empirica: ma per l’altro verso è, in quanto la sua
psicologia è piuttosto una schematizza¬ zione matematica di esperienze
psicologiche, anche logica e gnoseo¬ logia. La esperienza si eleva al grado di
concetto per virtù della legge di priorizzazione, onde gli elementi costanti
della rappresentazione di un oggetto «prendono il davanti», diventando tipo e
norma de¬ gli altri, e quel che vieti dopo, o si assimila a ciò che precedette
e riproduce quegli elementi costanti, o non si assimila e non li riproduce: qui
è la fonte della universalità e della necessità: ma i giudizi si fondano tutti
sull’analisi del fatto o del concetto e sul riconoscimento d’un’identità
parziale o totale: non esistono giudizi sintetici a priori. Alla stregua del
principio d’identità il C. esamina e critica le idee madri (categorie) e
procede a rettificare e giustificare, contro i positivisti, le idee della
metafisica, da quella di atomo a quella di Dio, mostrando che esse hanno pure
fondamento positivo e valore obiettivo, perchè sono composte con elementi presi
dalla esperienza mediante l’astrazione e la sintesi degli astratti (« Fil.
univ. Il sistema della fil. univ. ovvero la fil. dell’identità). Guastella
procede sulle orme del Mill, sforzandosi di ridurre il pensiero di lui a
maggior coerenza, e professa un assoluto no¬ minalismo. Il suo sistema
nell’aspetto ontologico, è un fenomenismo radicale (esse est percipi) e,
nell’aspetto logico, psicologico e gnoseologico, un non meno radicale
empirismo. Fenomenismo, perchè questa dottrina non afferma niente, nè come
conosciuto nè come inconoscibile, ai di là del mondo empirico, intendendosi per
mondo empirico l’insieme dei fatti di cui si ha esperienza o che s’inferiscono
da questi in virtù della generalizzazione dei rapporti costanti osservati fra
di essi, ed essendo esso null’altro che la stessa esperienza. Empirismo, cioè
una dottrina sul criterio della verità, che tra i motivi delle nostre
affermazioni di quelle che non sono semplici atti di memoria o comparazione non
ammette come legittimo che la induzione, e respinge come illegittimi l’evidenza
intrin¬ seca (non confermata dall’induzione) e l’influenza della passione e
della volontà. Il pensiero ha natura sensibile, e non è costituito se non da
imagini concrete e particolari: non esistono giudizi a priori : tutte le nostre
proposizioni sono affermazione o negazione della esistenza di certi fatti
particolari. Anche le nozioni di causa (notevole la critica dissolvente del
concetto di causa efficiente) e di sostanza derivano daglielementi del senso.
Non si può affermare altra esistenza che quella dei fenomeni: fenomeni interni
o subbiettivi nei quali si risolve il Me, fenomeni della natura esteriore, che
si risolvono in sensazioni reali o possibili: non vi è altra scienza pos¬
sibile che quella delle uniformità di successione, coesistenza, somiglianza tra
i fenomeni. E il fenomeno è il fatto dell’esperienza, e non esiste se non in
quanto se ne ha esperienza: ma questa conoscenza fenomenica è completa e
assoluta. Anche la credenza nella esistenza degli altri soggetti ha fondamento
nella esperienza, che dà cosi la via di sfuggire al solipsismo. Il postulato
della corrispondenza tra spirito e realtà deve essere ammesso come obbiet¬
tivamente valido, senza uopo di prova, perchè esso è anzi impli¬ cito in ogni
prova, e non si potrebbe contestarlo senza rinunziare all’uso del pensiero:
rientra, in sostanza, nel postulato universale, che noi dobbiamo aver fiducia
nelle nostre facoltà. La parte più originale della dottrina dei G. è la
Filosofia della Metafisica, cioè la ricerca del fondamento psicologico delle
costruzioni metafisiche e la dimostrazione del loro carattere illusorio. Quel fatto
che è la metafisica, richiede di essere spiegato: come nasce la tendenza
irresistibile a trascendere la esperienza, e come si determinano le varie forme
sotto cui ci apparisce questo preteso al di là dei fenomeni? Tale tendenza è
tutt’uno con quella che porta ad assimilare tutti i fenomeni e tutte le idee
che ci formiamo su di essi ai fenomeni, e alle idee sui fenomeni, che ci sono
più familiari: particolarmente ai fenomeni dell’azione della volontà sul nostro
corpo donde la filosofia volizionale — e del movimento per urto — donde la
filosofia meccanica o impulsionistica («Saggi sulla teoria della con. I. Sui
limiti e l’ogg. della con. a priori. II. Fil. della Metafisica» «Le ragioni del
fenomenism). Non e il compito di L. considerare le relazioni del positivismo
italiano con le filosofie ch’esso trova già vigoreggianti al suo primo
manifestarsi, e con le altre correnti che successivamente, in antitesi o in
continuità con esso, hanno avuto o'ritrovato fortuna tra noi. La precedente
rassegna analitica basta a dimostrare la profondità, l’ampiezza, la fecondità
di un movimento che scaturisce da una necessità, immanente allo spirito umano.
Fin dal suo ap¬ parire il positivismo fu accompagnato in Malia con i segni
aperti di una ostilità che non ha disarmato mai : è leggenda tanto più
insistentemente ripetuta quanto più esaurientemente sfatata ch’esso abbia mai
ottenuto il predominio nell’insegnamento superiore o aspirato a esercitarvi una
tirannica dittatura. Ha tenacemente resi¬ stito all’imperversare di polemiche,
le quali hanno sovente trasceso i limiti segnati alla critica onesta e serena,
mossa unicamente da zelo di verità. Seguendo la traccia di Ardigò, e trovando
in sè la virtù di reagire contro la tendenza al semplicismo e al rozzo
empirismo, è venuto progressivamente interiorizzandosi e affinando in sè il
senso della esigenza storica e critica: inflessi- bile nel rivendicare alla
filosofia la stffi autonomia e la sua distinta funzione, ha tenuto fede al
patto di alleanza con la scienza, stretto sul fondamento della unità di metodo
: e non è certamente questa la sua minore benemerenza verso la cultura
nazionale. Firenze, R. Università.Ludovico Limentani. Luigi Speranza, “Grice e Limentani”. Limentani.
Grice e Livi: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale del consenso sociale – la scuola di Prato -- filosofia toscana
-- filosofia italiana – l’aporia: se cristiano, non filosofo. Luigi Speranza (Prato). Filosofo
italiano. Prato, Toscana. Grice: “Livi is one of the few Italian philosophers
who have taken Moore’s ‘common-sense’ seriously!” – Grice: “The way Livi justifies
common-sense, not unlike Moore, is via a principle of ‘coherence’” Allievo di Gilson,
collabora con Fabro, Noce edAgazzi. Inizia
la scuola filosofica del senso comune, rappresentata dalla Common-Sense
Association, che ha come organo ufficiale la rivista "SENSVS COMMVNIS” –
cf. Grice on Malcolm, Moore -- . Alethic Logic". Tra i suoi numerosi
discepoli o estimatori vi sono Renzi, autore di importanti saggi di Storia
della Metafisica, Bettetini, Arecchi, Spatola, Covino ed Arzillo. Fondatore di Vinci, membro associato della
Accademia d’AQUINO, decano e professore emerito della Facoltà di Filosofia
della Pontificia Università Lateranense. Firma con Giovanni Paolo II alcune
parti dell'enciclica Fides et ratio. «Senso comune» è il termine
utilizzato da Livi – apres Malcolm, Moore e Grice -- in chiave anti-cartesiana
per individuare le certezze naturali e incontrovertibili possedute da ogni
uomo. Non si tratta di una facoltà o di strutture cognitive a priori, ma di un
sistema organico di certezze universali e necessarie che derivano dall'esperienza
immediata e sono la condizione di possibilità di ogni ulteriore certezza. – cf.
Grice, “Common Sense” --. Grice, “Common
Sense and Ordinary Language,” “Common Sense and Scepticism” --. Ha per primo precisato quali siano queste certezze e
ha provato con il metodo della presupposizione che esse sono in effetti il
fondamento della conoscenza umana. Il senso comune comprende dunque l'evidenza
dell'esistenza del mondo come insieme di enti in movimento; l'evidenza dell'io,
come soggetto che si coglie nell'atto di conoscere il mondo; l'evidenza di
altri come propri simili; l'evidenza di una legge morale che regola i rapporti
di libertà e responsabilità tra i soggetti; l'evidenza di Dio come fondamento
razionale della realtà, prima causa e ultimo fine, conosciuto nella sua
esistenza indubitabile grazie a una inferenza immediata e spontanea, la quale
lascia però inattingibile il mistero della sua essenza, che è la Trascendenza
in senso proprio. Queste certezze sono a fondamento di un sistema di logica
aletica su base olistica. Tra gli studi recenti sul sistema della logica
aletica elaborato da lui vanno ricordati i saggi di AGAZZI, "Valori e
limiti del senso comune" (Angeli, Milano), Ottonello ("L.", in
"Profili", Marsilio, Venezia ), Vassallo ("La riabilitazione del
SENSO COMUNE", in "Memoria e progresso", Fede et Cultura,
Verona), di Arzillo, “Il fondamento del giudizio -- una proposta teoretica a
partire dalla filosofia del SENSO COMUNE (Vinci, Roma ); Renzi, La logica
aletica e la sua funzione critica -- analisi della proposta di L. (Vinci,
Roma). Hanno scritto su L. anche Andolfo, storico della filosofia antica,
Sacchi, Cottier, Fisichella, Galeazzi, Pangallo e Possenti. Da Gilson, Fabro ed
Agazzi ha appreso ad affrontare i problemi essenziali della speculazione
metafisica in dialogo con grandi filosofi antichi (Platone, Aristotele, la
Scesi, Agostino), del Medioevo (Anselmo, Aquino, Scoto) e dell'età moderna (VICO,
Kierkegaard, Rosmini-Serbati). Convinto assertore del metodo realistico di
interpretazione dell'esperienza, ne ha difeso le ragioni utilizzando
sistematicamente gli strumenti dialettici offerti dai filosofi della scuola
analitica. Suoi critici più intransigenti sono stati, da una parte, l’idealista
Severino, e dall'altra il caposcuola del pensiero debole, Vattimo. Altri saggi:
“Cistiano e filosofo -- il problema (L'Aquila: Japadre); “Cristiano e comunista” (Torre del
Benaco: Colibrì); “Filosofia del SENSO COMUNE -- Logica della scienza (Milano:
Ares); “IL SENSO COMUNE tra razionalismo e la scesi in VICO” (Milano: Massimo);
“Lessico filosofico latino” (Milano: Ares); “Il principio di coerenza – SENSO
COMUNE e logica epistemica” (Roma: Armando); “Aquino: filosofo” (Milano:
Mondadori); “La filosofia in eta antica” (Roma: Alighieri); “Dizionario storico
della filosofia, Roma: Alighieri); “La ricerca della verità” (Roma, Vinci, Verità
del pensiero (Fondamenti di logica aletica) Roma: Laterano); “Razionalità della
fede nella Rivelazione -- Un'analisi filosofica alla luce della logica aletica”
(Roma: Vinci); “La ricerca della verità -- Dal SENSO COMUNE alla dialettica” (Roma:
Vinci); L'epistemologia d’AQUINO e le sue fonti” (Napoli: Comunicazioni ); “SENSO
COMUNE e logica aletica” (Roma: Vinci); “Perché interessa la filosofia e perché
se ne studia la storia” (Roma: Vinci); “Storia sociale della filosofia in eta
antica: aspetti sociali”, La filosofia antica e medioevale; moderna;
contemporanea, L'Ottocento; Il Novecento, Roma: Alighieri); “Logica
della testimonianza - quando credere è ragionevole” (Roma: Lateran); “SENSO
COMUNE e metafisica -- sullo statuto epistemologico della filosofia prima” (Roma:
Vinci); “Nuovo Dizionario storico della filosofia” (Roma, Alighieri); “Premesse
razionali della fede. Filosofi e teologi a confronto sui praeambula fidei” (Roma:
Lateran); “Etica dell'imprenditore. Le decisioni aziendali, i criteri di
valutazione e la dottirna sociale della chiesa” (Roma: Vinci); Dizionario
critico della filosofia, Roma: Alighieri); “Teologia come braccio della
metafisica speziale” (Bologna: Edizioni Studio Domenicano); “IL SENSO COMUNE al
vaglio della critica” (Roma: Vinci); “Filosofia del SENSO COMUNE. Logica della
scienza e della fede” (Roma: Vinci); “Vera e falsa teologia. Come distinguere
l'autentica scienza della fede da un'equivoca "filosofia religiosa" (Roma:
Vinci); “L'istanza critica, Roma: Vinci); “La certezza della verità. Il sistema
della logica aletica e il procedimento della giustificazione epistemica” (Roma:
Vinci); “Dogma e pastorale. L'ermeneutica del Magistero, dal Vaticano II al
Sinodo sulla famiglia, Roma:Vinci,. Le leggi del pensiero. Come la verità viene
al soggetto” (Roma: Vinci,. Teologia e Magistero” (Roma: Vinci); “Vera e falsa
teologia. Come distinguere l'autentica scienza della fede da un'equivoca
"filosofia religiosa", su Gli
equivoci della teologia morale dopo l’amoris Laetitia” (Roma: Vinci); “Aquino filosofo” in Piolanti, AQUINO nella
storia della filosofia” (Roma: Vaticana); “La filosofia di Gilson",
in Piolanti, Gilson, filosofo, Roma: Vaticana,
"L'unità dell'ESPERIENZA nella
gnoseologia in AQUINO", in Piolanti "Noetica, critica e metafisica in
chiave tomistica", Roma: Vaticana); “SENSO COMUNE e unità delle
scienze"[cf. Grice, Einhiet Wissenschaft] in Martinez "Unità e autonomia del
sapere: il dibattito", Rome: Armando, Ledda, In memoriam: Corrispondenza
Romana, antoniolivi.Vinci, su editriceleonardo ISCA Commonsense Association ca-news; fidesetratio.
Ilgiudiziocattolico.
Antonio Livi. Keywords: ‘il senso commune in Vico” – Grice develops a sceptical
defence in his early “Common sense and scepticism,” “mainly motivated by what
he sees as a ‘cavalier attitude’ to the sceptic by, of all people, Malcolm.” –
Grice: “I’m not sure Livi would agree with my idea, but I think he would –
certainly Vico took the sceptic challenge possibly most seriously than anyone
and Livi is an expert on Vico. Vico’s line of defense lies on the connection,
conceptual he thinks, between ‘common sense’ and ‘consenso’: therefore, Malcolm
and I have to reach a consensus that we are going to use ‘know’ for things like
‘I know that s is p,’ say, there is cheese on the table, there is a mermaid on
the table. Etc. And that “if I’m not dreaming” may not always be a
conversationally appropriate defeater!” – Livi. Keywords: consenso sociale, amoris laetitia, Letizia
dell’amore -- Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Livi” – The Swimming-Pool Library.
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