Grice e Machiavelli: l’implicatura conversazionale del
principe di Livio– Machiavelli at Oxford – la scuola di Firenze -- filosofia
toscana – filosofia fiorentina – scuola di Firenze -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Firenze).
Filosofo fiorentino. Filosofo italiano. Firenze, Toscana. Grice: “While
Strawson prefers ‘The Prince,’ my favourite Machiavelli is the dialogo,
discorso, ovvero dialogo intorno della lingua –“ Grice: “The full title makes
it sound slightly analytic – ‘whether it should be called ‘florentine, Italian,
or tooscana’ I mean, a stipulation!” -- Grice: “Like me, we can call
Machiavelli a philosopher of language – the trend being very Florentine between
Machiavelli and Varchi.” -- possibly Italy’s greateset philosopher – Noto come
il fondatore della scienza politica moderna, i cui principi base emergono dalla
sua opera più famosa, Il Principe, nella quale è esposto il concetto di ragion
di stato e la concezione ciclica della storia. Questa definizione, secondo
molti, descrive in maniera compiuta sia l'uomo sia il letterato più del termine
machiavellico, entrato peraltro nel linguaggio corrente ad indicare
un'intelligenza acuta e sottile, ma anche spregiudicata e, proprio per questa
connotazione negativa del termine, negli ambiti letterari viene preferito il
termine "machiavelliano". L'ortografia del cognome è,
purtroppo, ambigua: la versione "Macchiavelli", quella della statua a
lui dedicata agli Uffizi, in attesa di chiarimenti dell'Ufficio Culturale del
museo o dell'Accademia della Crusca, andrebbe considerata ugualmente corretta
in lingua italiana. L'analisi della firma del filosofo, riportata qui accanto,
farebbe propendere per la "c" singola[senza fonte]. «Nacqui
povero, ed imparai prima a stentare che a godere.» (N. Machiavelli,
Lettera a Francesco Vettori.) Niccolò Machiavelli (scritto anche Macchiavelli
sulla statua a lui dedicata all'ingresso degli Uffizi) nacque a Firenze, terzo
figlio, dopo le sorelle Primavera e Margherita e prima del fratello Totto; figlio
di Bernardo e di Bartolomea Nelli. Anticamente originari della Val di Pesa, i
Machiavelli sono attestati popolani guelfi residenti almeno dal XIII secolo a
Firenze, dove occuparono uffici pubblici ed esercitarono il commercio. Il padre
Bernardo era tuttavia di così poca fortuna da esser considerato, non si sa
quanto veritieramente, figlio illegittimo: dottore in legge, risparmiatore per
carattere o per necessità, ebbe interesse agli studi di umanità, come risulta
da un suo Libro di Ricordi che è anche la principale fonte di notizie
sull'infanzia di Niccolò. La madre, secondo un suo lontano pronipote, avrebbe
composto laude sacre, rimaste peraltro sconosciute, dedicate proprio al figlio
Niccolò. Cominciò a studiare latino con un certo Matteo, l'anno dopo si
dedicava allo studio della grammatica con Poppi, all'aritmetica e l'anno seguente affrontava le prove scritte
di componimento in latino. Opere in questa lingua esistevano nella biblioteca
paterna: la I Deca di Tito Livio e quelle di Flavio Biondo, opere di Cicerone,
Macrobio, Prisciano e Marco Giuniano Giustino. Adulto, maneggerà anche Lucrezio
e la Historia persecutionis vandalicae di Vittore Uticense. Non conobbe invece
il greco, ma poté leggere le traduzioni di alcuni degli storici più importanti,
soprattutto Tucidide, Polibio e Plutarco, da cui trasse importantissimi spunti
per la sua riflessione sulla Storia. S'interessò alla politica anche prima di
avere degli incarichi istituzionali, come dimostra una sua lettera, la seconda
che di lui ci è pervenutala prima è una richiesta al cardinale Giovanni Lopez, affinché
si adoperi a riconoscere alla sua famiglia un terreno contestato dalla famiglia
dei Pazziindirizzata probabilmente all'amico Ricciardo Becchi, ambasciatore
fiorentino a Roma, nella quale egli si esprime in modo critico contro Girolamo
Savonarola. Due sono le fasi che scandiscono la vita di Niccolò
Machiavelli: nella prima parte della sua esistenza egli è impegnato soprattutto
negli affari pubblici; nella successiva nella scrittura di testi di portata
teorica e speculativa. Si apre la seconda fase segnata dal forzato
allontanamento dello storico e filosofo toscano dalla politica
attiva. «Della persona fu ben proporzionato, di mezzana statura, di
corporatura magro, eretto nel portamento con piglio ardito. I capelli ebbe neri,
la carnagione bianca ma pendente all'ulivigno; piccolo il capo, il volto
ossuto, la fronte alta. Gli occhi vividissimi e la bocca sottile, serrata,
parevano sempre un poco ghignare. Di lui più ritratti ci rimangono, di buona
fattura, ma soltanto Leonardo, col quale ebbe pur che fare ai suoi prosperi
giorni, avrebbe potuto ritradurre in pensiero, col disegno e i colori, quel fine
ambiguo sorriso» (Roberto Ridolfi, Vita di Niccolò Machiavelli)
Caterina Sforza Riario, ritratta da Lorenzo di Credi. Niccolò aveva già
presentato al Consiglio dei Richiesti, la propria candidatura a segretario
della Seconda Cancelleria della Repubblica fiorentina, ma gli fu preferito un
candidato savonaroliano. Pochi giorni però dopo la fine dell'avventura politica
e religiosa del frate ferrarese, Machiavelli fu nuovamente designato ed eletto
il 15 giugno dal Consiglio degli Ottanta, elezione ratificata dal Consiglio
maggiore, probabilmente grazie all'autorevole raccomandazione del Primo
segretario della Repubblica, Marcello Virgilio Adriani, che il Giovio asserisce
essere stato suo maestro. Per quanto i compiti delle due Cancellerie
siano stati spesso confusi, generalmente alla prima si attribuivano gli affari
esterni, e alla seconda quelli interni e la guerra: ma i compiti della seconda
Cancelleria, presto unificati con quelli della Cancelleria dei Dieci di libertà
e pace, consistevano nel tenere i rapporti con gli ambasciatori della
Repubblica, cosicché, essendogli stata affidata, ianche questa ulteriore
responsabilità, Machiavelli finì per doversi occupare di una tale somma di
compiti da essere storicamente considerato, senza ulteriori distinzioni, il «Segretario
fiorentino». Era il tempo nel quale, conclusa l'avventura italiana di
Carlo VIII, la maggiore preoccupazione di Firenze era volta alla riconquista di
Pisaresasi indipendente dopo che Piero de' Medici l'aveva data in pegno al re
di Francia- e alleata di Venezia che, intendendo impedire l'espansione
fiorentina, aveva invaso il Casentino, occupandolo a nome dei Medici. Il
pericolo venne fronteggiato dal capitano di ventura Paolo Vitelli, e la
mediazione del duca di Ferrara Ercole I, iriconsegnò il Casentino a Firenze,
autorizzandola altresì a riprendersi Pisa. In marzo venne inviato a Pontedera,
dove erano acquartierate le milizie del signore di Piombino, Jacopo d'Appiano,
alleato di Firenze. In maggio scrisse il Discorso della guerra di Pisa
per il magistrato dei Dieci: poiché «Pisa bisogna averla o per assedio o per
fame o per espugnazione, con andare con artiglieria alle mura», esaminate
diverse soluzioni, si esprime favorevole a un assedio di «un quaranta o
cinquanta dì ed in questo mezzo trarne tutti gli uomini da guerra potete, e non
solamente cavarne chi vuole uscire, ma premiare chi non ne volesse uscire,
perché se ne esca. Dipoi, passato detto tempo, fare in un subito quanti fanti
si può; fare due batterie, e quanto altro è necessario per accostarsi alle
mura; dare libera licenza che se ne esca chiunque vuole, donne, fanciulli,
vecchi ed ognuno, perché ognuno a difenderla è buono; e così trovandosi i
Pisani voti di difensori dentro, battuti dai tre lati, a tre o quattro assalti
sarìa impossibile che reggessero». Il 16 luglio 1499 si presentò a Forlì
alla contessa Caterina Sforza Riario, nipote di Ludovico il Moro e madre di
Ottaviano Riario, che era stato al soldo dei fiorentini, per rinnovare
l'alleanza e ottenere uomini e munizioni per la guerra pisana. Ottenne solo
vaghe promesse dalla contessa che era già impegnata a sostenere lo zio nella
difficile difesa del Ducato milanese dalle mire di Luigi XII e dovette
ripartire senza aver nulla ottenuto. Era nuovamente a Firenze in agosto, quando
le artiglierie fiorentine, provocata una breccia nelle mura pisane, aprivano la
via alla conquista della città, ma il Vitelli non seppe sfruttare l'occasione e
temporeggiò finché la malaria non ebbe ragione delle sue truppe, costringendolo
a togliere l'assedio. Invano ritentò l'impresa: sospettato di tradimento,
quello che «era il più reputato capitano d'Italia» fu decapitato. Nessuna
prova vi era che il Vitelli fosse stato corrotto dai Pisani ma la
giustificazione di Machiavelli, a nome della Repubblica, in risposta alle
critiche di un cancelliere di Lucca, fu che «o per non havere voluto, sendo
corropto, o per non havere potuto, non avendo la compagnia, ne sono nati per
sua colpa infiniti mali ad la nostra impresa, et merita l'uno o l'altro errore,
o tuct'a due insieme che possono stare, infinito castigo». Conquistato il
Ducato di Milano, in risposta alla richieste fiorentine Luigi XII mandò suoi
soldati a risolvere l'impresa di Pisa le cui mura furono bensì abbattute nel
luglio del 1500 ma né gli svizzeri né i francesi entrarono in città anzi,
lamentando che Firenze non li pagasse, levarono l'assedio e sequestrarono il
commissario fiorentino Luca degli Albizzi, che fu rilasciato solo dietro
riscatto. A Machiavelli, presente ai fatti, non restava che informare la
Repubblica, che decise di mandarlo in Francia, insieme con Francesco della
Casa, per cercare nuovi accordi che risolvessero finalmente la guerra di
Pisa. Il cardinale di Rouen Georges d'Amboise raggiunsero la corte
francese a Nevers, presentando al re e al ministro, cardinale di Rouen, le
rimostranze per il cattivo comportamento dei loro soldati; sapendo che Firenze
non aveva al momento denari sufficienti a finanziare l'impresa, invitarono
Luigi a intervenire direttamente nella guerra, al termine della quale la
Repubblica avrebbe ripagato la Francia di tutte le spese. Il rifiuto dei
francesiche richiedevano a Firenze il mantenimento degli svizzeri rimasti
accampati in Lunigiana e minacciavano la rottura dell'alleanzamise i legati
fiorentini, privi di istruzioni dalla Repubblica, in difficoltà, acuite dalla
ribellione di Pistoia e dalle iniziative che frattanto aveva preso in Romagna
Cesare Borgia, i cui ambiziosi e oscuri piani potevano anche indirizzarsi
contro gli interessi fiorentini. Occorreva, pagando, mantenere buoni
rapporti con la Franciascriveva da Tours il 21 novembree guardarsi dalle
macchinazioni del papa: così, ottenuto dalla Signoria il denaro richiesto dalla
Francia, Machiavelli poteva finalmente ritornare a Firenze. Quella lunga
permanenza nella corte francese verrà dislocata negli opuscoli De natura
Gallorum, dove i francesi verranno descritti come «humilissimi nella captiva
fortuna; nella buona insolenti più cupidi de' danari che del sangue vani et
leggieri più tosto tachagni che prudenti», con una bassa opinione degli
Italiani, e nel successivo Ritratto delle cose di Francia, dove, spostandosi su
un piano d'analisi prettamente politica, finisce col fare della Francia
l'esemplare dello stato moderno. Soprattutto egli insiste sul nesso fra la
prosperità della monarchia e il raggiunto processo di unificazione nazionale,
sentito come la lezione peculiare delle "cose di Francia".
Cesare Borgia «Questo signore è molto splendido e magnifico, e nelle armi
è tanto animoso che non è sì gran cosa che non gli paia piccola, e per gloria e
per acquistare Stato mai si riposa né conosce fatica o periculo: giugne prima
in un luogo che se ne possa intendere la partita donde si lieva; fassi ben
volere a' suoi soldati; ha cappati e' migliori uomini d'Italia: le quali cose
lo fanno vittorioso e formidabile, aggiunte con una perpetua fortuna»
(Machiavelli, Lettera ai Dieci) La minaccia del Borgia si fece presto concreta:
fermato dalle minacce della Francia quando tentava d'impadronirsi di Bologna,
si volse contro Piombino, entrando nel territorio della Repubblica e cercando
di imporle tributi, dai quali Firenze fu nuovamente fatta salva dall'intervento
di Luigi. Fra una missione a Pistoia e un'altra a Siena, Niccolò ebbe tempo di
sposare. Marietta Corsini, donna di modesta origine, dalla quale avrà sei
figli: Primerana, Bernardo, Lodovico, Guido, Piero e Baccina. Padrone di
Piombino il 3 settembre 1501, il Borgia, per mezzo del suo sodale Vitellozzo
Vitelli s'impadronì di Arezzo, dove si stabilì Piero de' Medici, poi delle
terre di Valdichiana, di Cortona, di Anghiari e di Borgo San Sepolcro e di lì
passò a investire Camerino e Urbino, chiedendo nel contempo di intavolare
trattative con Firenze che, nel frattempo, vistasi stretta dai due Borgia,
padre e figlio, aveva rinnovato gli accordi con la Francia. lo stesso
giorno della caduta della città nelle mani di Cesare, partirono per Urbino
Machiavelli e il vescovo di Volterra, Francesco Soderini, fratello di Piero:
ricevuti, si sentirono ordinare di cambiare il governo della Repubblica, pena
la sua inimicizia. La crisi fu superata grazie all'intervento delle armi
francesi: avvicinandosi queste ad Arezzo, la città fu sgomberata e restituita,
insieme con le altre terre, ai Fiorentini. Riferimento a questi casi è il breve
scritto dell'anno successivo, Del modo di trattare i popoli della Valdichiana
ribellati, nel quale, preso esempio dal comportamento tenuto dagli antichi
Romani in caso di ribellioni, rimprovera il governo fiorentino di non aver
trattato severamente la ribelle città di Arezzo. Pensa che come i Romani
«fecero giudizio differente per esser differente il peccato di quelli popoli,
così dovevi fare voi, trovando ancora nei vostri ribellati differenza di
peccati giudico ben giudicato che a Cortona, Castiglione, il Borgo, Foiano, si
siano mantenuti i capitoli, siano vezzeggiati e vi siate ingegnati riguadagnarli
con i beneficii ma io non approvo che gli Aretini, simili ai Veliterni ed
Anziani non siano stati trattati come loro. I Romani pensarono una volta che i
popoli ribellati si debbano o beneficare o spegnere e che ogni altra via sia
pericolosissima.» Di fronte a quelli che apparivano tempi nuovi e
tempestosi, nei quali occorreva che uomini capaci prendessero pronte risoluzioni,
come prima riforma nell'organizzazione dello Stato fiorentino fu resa vitalizia
la carica di gonfaloniere, affidata a Pier Soderini, che appariva uomo accetto
tanto agli ottimati che ai popolani. La prima missione che egli affidò a
Machiavelli fu quella di prendere nuovamente contatto col Borgia il quale,
formalmente capitano delle truppe pontificie e finanziato da quello Stato,
intendeva tuttavia agire nel proprio interesse e in quello della sua famiglia,
stringendo un nuovo patto col Luigi XII e ottenendone libertà d'azione nei suoi
piani di espansione, non solo nei confronti di signorotti quali gli Orsini, i
Baglioni e il Vitelli, già suoi alleati, ma anche contro lo stesso Bentivoglio
di Bologna. Seguendo la tradizionale politica di alleanza con la Francia,
Firenzepur diffidando del Valentinointendeva confermargli la sua amicizia, per
non essere investita dai suoi aggressivi disegni. Machiavelli giunse a
Imola dal Borgia il 7 ottobre, confidandogli che Firenze non aveva aderito
all'offerta di amicizia propostale dagli Orsini e dai Vitelli, congiurati a
Magione contro il duca Valentino, e ne ricevette in cambio un'offerta di
alleanza, alla quale Niccolò, affascinato dalla figura di Cesare Borgia,
guardava con favore più di quanto non facesse il governo fiorentino. Fu al
seguito del Valentino per tutta la durata di quei tre mesi di campagna militare
e, due ore dopo l'uccisione a tradimento di Vitellozzo e di Oliverotto da
Fermo, ne raccolse le parole «savie e affezionatissime» per i Fiorentini,
invitati nuovamente a unirsi a lui per avventarsi contro Perugia e Città di
Castello. Firenze, a questo punto, decise di mandare presso il Borgia un
ambasciatore accreditato, Jacopo Salviati, così che il nostro Segretario lasciò
il campo di Città della Pieve per fare ritorno a Firenze. Vitellozzo Vitelli,
ritratto da Luca Signorelli. «Vitellozo, Pagolo et duca di Gravina in su
muletti ne andorno incontro al duca, accompagnati da pochi cavagli; et
Vitellozo disarmato, con una cappa foderata di verde, tucto aflicto se fussi
conscio della sua futura morte, dava di sé, conosciuta la virtù dello huomo et
la passata sua fortuna, qualche ammirationeArrivati adunque questi tre davanti
al duca, et salutatolo humanamente, furno da quello ricevuti con buono volto Ma,
veduto il duca come Liverotto vi mancava adciennò con l'occhio a don Michele,
al quale lLeverotto era demandata, che provedessi in modo che Liverotto non
schapassi Liverotto havendo facto riverenza, si adcompagnò con gli altri; et
entrati in Senigagla, et scavalcati tutti ad lo alloggiamento del duca, et
entrati seco in una stanza secreta, furno dal duca fatti prigioni venuta la
nocte al duca parve di fare admazare
Vitellozzo e Liverotto; et conductogli in uno luogo insieme, gli fe'
strangolare Pagolo et el duca di Gravina Orsini furno lasciati vivi per infino
che il duca intese che a Roma el papa haveva preso el cardinale Orsino,
l'arcivescovo di Firenze et messer Jacopo da Santa Croce; dopo la quale nuova,
a dì 18 di giennaio, ad Castel della Pieve furno anchora loro nel medesimo modo
strangolati» (Machiavelli, Descrizione del modo tenuto dal duca Valentino
nello ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il signor Pagolo e il
duca di Gravina Orsini). La morte di Alessandro VI privò Cesare Borgia delle
risorse finanziarie e politiche che gli occorrevano per mantenere il ducato di
Romagna, che si dissolse tornando a frammentarsi nelle vecchie signorie, mentre
Venezia s'impadronì di Imola e di Rimini. Dopo il brevissimo pontificato di Pio
III, Machiavelli fu inviato a Roma per il conclave che il 1º novembre elesse
Giulio II. Raccolse le ultime confidenze del Valentino, del quale pronosticò la
rovina imminente, e cercò di comprendere le intenzioni politiche del nuovo
papa, che egli sperava s'impegnasse contro i Veneziani, le cui mire espansionistiche
erano temute da Firenze. O la sarà una porta che aprirà loro tutta Italia, o
fia la rovina loro. A Roma gli giunse la notizia della nascita del
secondogenito Bernardo: «Somiglia voi, è bianco come la neve, ma gli ha il capo
che pare velluto nero, et è peloso come voi, e da che somiglia voi parmi
bello», gli scrive la moglie Marietta. E M., che lungamente in questo scorcio
di tempo aveva frequentato la casa del cardinal Soderini, al quale forse
prospettò già il suo progetto di costituire una milizia nazionale che
sostituisse l'infida soldatesca mercenaria, s'avvia per Firenze. In
Francia Ingresso a Genova di Luigi XII, Le fortune della Francia in
Italia sembrarono declinare dopo la cacciata dal Napoletano ad opera
dell'armata spagnola di Gonzalo Fernández de Córdoba. Firenze, alleata di Luigi
XII, e timorosa delle prossime iniziative della Spagna, del papa e della nemica
tradizionale, la Siena di Pandolfo Petrucci, era interessata a conoscere i
progetti del re e a questo scopo alla sua corte mandò M. «a vedere in viso le
provvisioni che si fanno e scrivercene immediate, e aggiungervi la coniettura e
iudizio tuo». Machiavelli e a Milano per conferire con il luogotenente Charles
II d'Amboise, che non credeva in un attacco spagnolo in Lombardia e rassicurò
Niccolò sull'amicizia francese per Firenze. Raggiunse la corte e
l'ambasciatore Niccolò Valori a Lione, ricevendo uguali rassicurazioni dal
cardinale di Rouen e da Luigi stesso. In marzo ripartiva per Firenze e di qui
si recava per pochi giorni a Piombino da Jacopo d'Appiano, per sondare la
posizione di quel signorotto. È di questo tempo la stesura del suo primo
Decennale, una storia dei fatti notevoli occorsi degli ultimi dieci anni volta
in terzine: Machiavelli non è poeta, anche se invoca Apollo nell'esordio del
poemetto, ma a noi interessa il suo giudizio sull'attualità della vicenda
politica italiana e su quel che attende Firenze: «L'imperador, con
l'unica sua prole vuol presentarsi al successor di Pietro al Gallo il colpo
ricevuto duole; e Spagna che di Puglia tien lo scetro va tendendo a' vicin
laccioli e rete, per non tornar con le sue imprese a retro; Marco, pien di
paura e pien di sete, fra la pace e la guerra tutto pende; e voi di Pisa troppa
voglia avete. Onde l'animo mio tutto s'infiamma or di speranza, or di timor si
carca tanto che si consuma a dramma a dramma, perché saper vorrebbe dove, carca
di tanti incarchi debbe, o in qual porto, con questi venti, andar la vostra
barca. Pur si confida nel nocchier accorto ne' remi, nelle vele e nelle sarte;
ma sarebbe il cammin facile e corto se voi el tempio riapriste a Marte»
(Decennale primo) I tentativi d'impadronirsi di Pisa fallirono ancora: battuta
a Ponte a Cappellese il 27 marzo 1505, Firenze doveva anche guardarsi dalle
manovre dei signori ai loro confini. Machiavelli andò a Perugia l'11 aprile per
conferire col Baglioni, ora alleato con gli Orsini, con Lucca e con Siena, poi
a Mantova, per cercare invano accordi con il marchese Giovan Francesco Gonzaga
e il 17 luglio a Siena. In settembre, fallì un nuovo assalto a Pisa e
Machiavelli ne trasse spunto per presentare la proposta della creazione di un
esercito cittadino. Rimasti diffidenti i maggiorenti della cittàche temevano
che un esercito popolare potesse costituire una minaccia per i loro interessima
appoggiato dal Soderini, M. si mosse per mesi nei borghi toscani a far leva di
soldati, istruiti «alla tedesca», e finalmente, Firenze puo vedere la prima
parata di una milizia «nazionale» che peraltro non avrà nessun ruolo nella
successiva conquista di Pisa e si rivelerà di scarso affidamento nella difesa
di Prato. Con la pace concordata con la Francia, la Spagna, con Ferdinando
II d'Aragona, aveva preso definitivamente possesso del Regno di Napoli. I
piccoli stati della penisola attendevano ora le mosse di Giulio II, deciso a
imporre la sua egemonia nell'Italia centrale: nel luglio, il papa chiese a Firenze
di partecipare alla guerra che egli intendeva muovere al signore di Bologna, Bentivoglio,
che era alleato, come Firenze, dei francesi, e perciò teoricamente amico, oltre
che confinante, dei Fiorentini. Si trattava di temporeggiare, osservando gli
sviluppi dell'impresa del papa al quale fu mandato Machiavelli, che lo incontrò
a Nepi. Giulio II gli dimostrò di godere dell'appoggio della Francia, che aveva
promesso di inviare truppe in suo aiuto, cosicché fu agevole a Machiavelli
promettere aiuti a sua voltadopo però che fossero arrivati quelli di re Luigie
seguì papa Giulio che, con la sua corte curiale e pochi armati se n'andava a
Perugia, ottenendo, il 13 settembre, la resa senza combattimento di Giampaolo
Baglioni che, con stupore e rimprovero del Machiavelli e, un giorno, anche del
Guicciardini, non ebbe il coraggio di opporsi alle poche forze allora a
disposizione del Papa. La corte papale, dopo aver atteso a Cesena fino a
ottobre l'arrivo dei francesi e, dopo questi, dei Fiorentini di Marcantonio
Colonna, entrò trionfante a Bologna l'11 novembre. Machiavelli, tornato a
Firenze già alla fine d'ottobre, s'occupò ancora dell'istituzione delle milizie
fiorentine: il 6 dicembre furono creati i Nove ufficiali dell'Ordinanza e
Milizia fiorentina, eletti dal popolo, responsabili militari della
Repubblica. In Germania Massimiliano I d'Asburgo Il nuovo anno si
apre con le minacce del passaggio in Italia del «Re dei Romani» Massimiliano,
intenzionato a ribadire le proprie pretese di dominio sulla penisola, a
espellere i francesi e a farsi incoronare a Roma «imperatore del Sacro Romano
Impero». Si valutò a Firenze la possibilità di finanziargli l'impresa in cambio
della sua amicizia e del riconoscimento dell'indipendenza della Repubblica: fu
inviato a questo scopo l'ambasciatore Francesco Vettori e lo stesso
Machiavelli. Giunse a Bolzano, dove Massimiliano teneva corte, e le lunghe trattative sull'esborso preteso da
Massimiliano s'interruppero quando i Veneziani, sconfiggendolo più volte, gli
fecero comprendere la velleità dei suoi sogni di gloria. Da questa
esperienza Machiavelli trasse tre scritti, il Rapporto delle cose della Magna,
compost il giorno dopo il suo rientro a Firenze, il Discorso sopra le cose
della Magna e sopra l'Imperatore, del settembre 1509, e il più tardo Ritratto
delle cose della Magna, una rielaborazione del primo Rapporto. Rileva la grande
potenza della Germania, che «abunda di uomini, di ricchezze e d'arme»; le
popolazioni hanno «da mangiare e bere e ardere per uno anno: e così da lavorare
le industrie loro, per potere in una obsidione [assedio] pascere la plebe e
quelli che vivono delle braccia, per uno anno intero sanza perdita. In soldati
non spendono perché tengono li uomini loro armati ed esercitati; e li giorni
delle feste tali uomini, in cambio delli giuochi, chi si esercita collo
scoppietto, chi colla picca e chi con una arme e chi con un'altra, giocando tra
loro onori et similia, e quali tra loro poi si godono. In salari e in altre
cose spendono poco: talmente che ogni comunità si truova ricca in
publico». Importano e consumano poco perché «le loro necessità sono assai
minori delle nostre», ma esportano molte merci «di che quasi condiscono tutta
la Italia [...] e così si godono questa loro rozza vita e libertà e per questa
causa non vogliono ire alla guerra se non sono soprappagati e questo anche non
basterebbe loro, se non fussino comandati dalle loro comunità. E però bisogna a
uno imperadore molti più denari che a uno altro principe». Tanta forza
potenziale, che potrebbe fare la grandezza politica e militare dell'Imperatore,
è limitata dalle divisioni delle comunità governate dai singoli principi, una
realtà simile a quella italiana: nessun principe tedesco vuole favorire
l'imperatore, «perché, qualunque volta in proprietà lui avessi stati o fussi
potente, è domerebbe e abbasserebbe e principi e ridurrebbeli a una obedienzia
di sorte da potersene valere a posta sua e non quando pare a loro: come fa oggi
il re di Francia, e come fece già il re Luigi, quale con l'arme e ammazzarne
qualcuno li ridusse a quella obedienzia che ancora oggi si vede». La
conquista di Pisa Decisa a concludere le operazioni militari contro Pisa,
Firenze mandò Machiavelli a far leve di soldati: in agosto condusse soldati
prelevati da San Miniato e da Pescia all'assedio della città irriducibile.
Riunite altre milizie, si incaricò di tagliare i rifornimenti bloccando l'Arno;
poi, il 4 marzo del 1509, andò prima a Lucca a intimare a quella Repubblica di
cessare ogni aiuto ai Pisani e, il 14, si recò a Piombino, incontrando gli
ambasciatori di Pisa per cercare invano un accordo di resa. Raccolte nuove
truppe, in maggio era presente all'assedio: Pisa, ormai stremata, trattava
finalmente la pace. Machiavelli accompagnò i legati pisani a Firenze dove fu
firmata la resa e l'8 giugno poté entrare in Pisa con i commissari Niccolò
Capponi, Antonio Filicaia e Alamanno Salviati. Un ben più vasto incendio
era intanto divampato nell'Italia settentrionale: stipulata un'alleanza a
Cambrai, Francia, Spagna, Impero e papato si avventavano contro la Repubblica
veneziana che a maggio cedeva i suoi possedimenti lombardi e romagnoli e, in
giugno, anche Verona, Vicenza e Padova, consegnate a Massimiliano. Firenze, da
parte sua, doveva finanziare la nuova impresa imperiale: consegnato un primo
acconto in ottobre, M. era a Verona per consegnare il saldo a Massimiliano, che
era stato però costretto alla ritirata dalla controffensiva veneziana, resa
possibile dalla rivolta popolare contro i nuovi padroni. E Machiavelli
commentava dei «due re, che l'uno può fare la guerra e non vuol farla, l'altro
ben vorrebbe farla e non può», riferendosi a Luigi e a Massimiliano che se
n'era tornato in Germania a chiedere soldati e denari ai principi
tedeschi. Atteso inutilmente il ritorno dell'Imperatore, se ne tornò a
Firenze. Venezia si salvò soprattutto grazie alle divisioni degli alleati:
mentre Luigi XII aveva tutto l'interesse di ridurre all'impotenza Venezia per
avere le mani libere nella pianura padana, Giulio II la voleva abbastanza forte
da opporsi alla Francia senza averne contrasto alle proprie ambizioni di
espansione. Per Firenze, amica della Francia ma non nemica del papa, era
necessario spiegarsi con il re francese, e Machiavelli fu mandato a Blois, dove
Luigi teneva la corte, incontrandolo. Machiavelli confermò l'amicizia con
la Francia ma disse di dubitare che la Repubblica potesse impegnarsi in una
guerra contro Giulio II, in grado di volgere contro Firenze forze troppo
superiori: meglio sarebbe stata una mediazione che evitasse il conflitto e
sottraesse, oltre tutto, Firenze dalla responsabilità di un impegno nel quale
era difficile trarre un guadagno. Dovette tornare a Firenze il 19 ottobre,
convinto che la guerra fosse ineluttabile. Le vittorie militari non furono
sfruttate da Luigi XII e la sua indizione di un concilio a Pisa, che
condannasse il papa, provocò l'interdetto di Giulio II contro Firenze. Il 22
settembre 1511 M. era ancora in Francia, ottenendo dal re soltanto un breve
rinvio del concilio: dalla Francia andò a Pisa e riuscì a ottenere il
trasferimento del concilio a Milano. Il ritorno dei Medici a Firenze Le
fortune di Luigi XII volgevano al tramonto: sconfitto dalla nuova coalizione
guidata dal papa, era costretto ad abbandonare la Lombardia, lasciando Firenze
politicamente isolata e incapace di resistere alle armi spagnole. Pier Soderini
fuggì a Siena, i Medici rientrarono a Firenze: disfatto il vecchio governo, anche
M. venne rimosso dal suo incarico, il successivo 10 novembre fu confinato e
multato della grande somma di mille fiorini e il 17 gli fu interdetto
l'ingresso a Palazzo Vecchio. Giuliano de' Medici duca di Nemours
Il nuovo regime processò Pietro Paolo Boscoli e Agostino Capponi, accusati di
aver complottato contro Giuliano de' Medici, condannandoli a morte. Anche
Machiavelli è sospettato: arrestato il 12 febbraio 1513, è anche torturato (gli
fu somministrata la corda o, com'era chiamata allora a Firenze, la
"colla"). Scrisse allora a Giuliano di Lorenzo de' Medici duca di
Nemours due sonetti, per ricordargli, ma senza averne l'aria e in forma
scherzosa, la sua condizione di carcerato: «Io ho, Giuliano, in gamba un
paio di geti e sei tratti di fune in sulle spalle; l'altre miserie mie non vo'
contalle, poiché così si trattano i poeti Menon pidocchi queste parieti
grossi e paffuti che paion farfalle, né mai fu tanto puzzo in Roncisvalle o in
Sardigna fra quegli arboreti quanto nel mio sì delicato ostello» Giulio
II moriva intanto proprio in quei giorni e dal conclave uscì eletto l'11 marzo
il cardinale de' Medici con il nome di Leone X: era la fine dei pericoli di guerra
per Firenze e anche il tempo dell'amnistia. Uscito dal carcere, M. cercò di
ottenere favori dai Medici attraverso l'ambasciatore Francesco Vettori e lo
stesso Giuliano, ma invano. Si ritirò allora nel suo podere dell'Albergaccio, a
Sant'Andrea in Percussina, tra Firenze e San Casciano in Val di Pesa.
L'esilio dalla politica. «Il Principe» Qui, tra le giornate rese lunghe
dall'ozio forzato, comincia a scrivere i Discorsi sopra la prima Deca di Tito
Livio che, forse nel luglio 1513, interrompe per metter mano al suo libro più
famoso, il De Principatibus, dal solenne titolo latino ma scritto in volgare e
perciò divenuto ben più noto come Il Principe. Lo dedica dapprima a Giuliano di
Lorenzo de' Medici e, dopo la morte di questi nel 1516, a Lorenzo de' Medici,
figlio di Piero "fatuo"; ma il libro uscì solo postumo, nel 1532.
Certo, non doveva farsi illusioni che un Medici potesse mai essere quel
«redentore» atteso dall'Italia contro «questo barbaro dominio», ma da un Medici
si attendeva almeno la sua propria «redenzione» dall'inattività cui era stato
relegato dal ritorno a Firenze di quella famiglia. Sperava che l'amico
Vettori, ambasciatore a Roma, si facesse interprete del suo desiderio che
questi signori Medici mi cominciasseino adoperare», dal momento «che io sono
stato a studio all'arte dello stato e doverrebbe ciascheduno aver caro servirsi
d'uno che alle spese d'altri fussi pieno d'esperienza. E della fede mia non si
doverrebbe dubitare, perché, avendo sempre osservato la fede, io non debbo
imparare ora a romperla; e chi è stato fedele e buono quarantatré anni che io
ho, non debbe potere mutare natura; e della fede e bontà mia ne è testimonio la
povertà mia». Delle ombre della sua povertà, ma anche delle sue luci,
Machiavelli scrive al Vettori in quella che è la più famosa lettera della
nostra letteratura: L'Albergaccio di Machiavelli a Sant'Andrea in
Percussina «Venuta la sera, mi ritorno in casa ed entro nel mio scrittoio; e in
su l'uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi
metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique
corti delli antiqui uomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di
quel cibo che solum è mio e che io nacqui per lui; dove io non mi vergogno
parlare con loro e domandargli della ragione delle loro azioni; e quelli per
loro umanità mi rispondono; e non sento per quattro ore di tempo alcuna noia;
sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte;
tutto mi trasferisco in loro. E perché Dante dice che non fa scienza sanza lo
ritenere lo avere inteso, io ho notato quello di che per la loro conversazione
ho fatto capitale, e composto uno opuscolo de Principatibus» (Lettera a
Francesco Vettori) Ritornato il 3 febbraio 1514 a Firenze, continuò a sperare a
lungo che il Vettori, al quale spedì il manoscritto del Principe, lo facesse
introdurre in qualche incarico nell'amministrazione cittadina, ma invano. Tutto
dipendeva dalla volontà del papa, e Leone non era affatto intenzionato a
favorire chi non si era mostrato, a suo tempo, favorevole agli interessi di
Casa Medici. M., da parte sua, scriveva al Vettori di aver «lasciato i pensieri
delle cose grandi e gravi» e di non dilettarsi più di «leggere le cose antiche,
né ragionare delle moderne: tutte si sono converse in ragionamenti dolci». Si
era infatti innamorato di una «creatura tanto gentile, tanto delicata, tanto
nobile e per natura e per accidente, che io non potrei né tanto laudarla né
tanto amarla che la non meritasse più». La guerra, ripresa in Italia
dalla discesa del nuovo re di Francia Francesco I, si concluse nel settembre
1515 con la sua grande vittoria a Marignano (oggi Melegnano) contro la vecchia
«Lega santa»: Leone X dovette accettare il dominio francese in Lombardia e la
stipula a Bologna di un concordato che riconosceva il controllo reale sul clero
francese. Si rifece impossessandosi, per conto del nipote Lorenzo, capitano
generale dei Fiorentini, del Ducato di Urbino. A quest'ultimo invano dedicava M.
il suo Principe: la sua esclusione dalla gestione degli affari di Firenze
continuava. Si diede a frequentare gli «Orti Oricellari», latineggiamento che
indica i giardini del Palazzo di Cosimo Rucellai, dove si riunivano letterati,
giuristi ed eruditi come Luigi Alamanni, Jacopo da Diacceto, Jacopo Nardi,
Zanobi Buondelmonti, Antonfrancesco degli Albizi, Filippo de' Nerli e Battista
della Palla. Qui vi lesse probabilmente qualche capitolo di quell'Asino,
poemetto in terzine che voleva essere una contaminazione fra l'Asino d'oro di
Apuleio e la Divina Commedia dantesca, ma che lasciò presto interrotto: e al
Rucellai e al Buondelmonti dedicò i Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio.
M. si era già cimentato, quando ricopriva l'incarico di segretario della
Repubblica, in composizioni teatrali: una imitazione dell'Aulularia di Plauto e
una commedia, Le maschere, ispirata a Nebulae di Aristofane, sono tuttavia
perdute. Al 1518 risale il suo capolavoro letterario, la commedia Mandragola,
nel cui prologo egli inserisce un accenno autobiografico «scusatelo con
questo, che s'ingegna con questi van pensieri fare el suo tristo tempo più
suave, perch'altrove non have dove voltare el viso; ché gli è stato interciso
mostrar con altre imprese altra virtue, non sendo premio alle fatiche
sue.» Intorno a quest'anno vanno collocate la traduzione dell'Andria di
Terenzio e stesura della novella di Belfagor arcidiavolo o Novella del demonio
che pigliò moglieil suo titolo preciso è attualmente stabilito in Favolail cui
tema di fondo è la visione pessimistica dei rapporti che legano gli esseri
umani, tutti intesi al proprio interesse a danno, se necessario, di quello di
ciascun altro. Il ritorno alla vita politica Lorenzo de' Medici morì,
lasciando il governo di Firenze al cardinale Giulio. Costui, favorevole a
Machiavelli, lo incaricò della stesura di una storia della città sotto lauta
retribuzione. M., galvanizzato dall'incarico, diede alle stampe l’Arte della
guerra, dedicandola allo stesso cardinal Giulio. Nello stesso anno fu inviato
in missione diplomatica a Carpi presso il governatore Francesco Guicciardini di
cui, pur avendo opposte visioni della Storia, divenne buon amico. Nel 1525
cercò di guadagnare il favore di papa Clemente VII offrendogli le Istorie
fiorentine. Nel frattempo giunsero la revoca ufficiale dell'interdizione dalla
vita pubblica e l'affidamento di missioni militari in Romagna in collaborazione
col Guicciardini. I Medici furono
cacciati da Firenze e venne instaurata nuovamente la repubblica. Machiavelli si
propose come candidato alla carica di segretario della repubblica, ma venne
respinto in quanto ritenuto colluso coi Medici e soprattutto con papa Clemente
VII. La delusione per Machiavelli fu insopportabile. Ammalatosi repentinamente,
cominciò a peggiorare vistosamente fino alla morte. Abbandonato da tutti, fu
sepolto nel corso di una modesta cerimonia funebre nella tomba di famiglia
nella basilica di Santa Croce. La città di Firenze fece costruire un monumento
nella basilica stessa; esso raffigura la Diplomazia assisa su un sarcofago
marmoreo. Sulla lastra frontale sono incise le parole Tanto nomini nullum par
elogium (Nessun elogio sarà mai degno di tanto nome). Pensiero M. e il
Rinascimento Con il termine machiavellico si è spesso indicato un atteggiamento
spregiudicato e disinvolto nell'uso del potere: un buon principe deve essere
astuto per evitare le trappole tese dagli avversari, capace di usare la forza
se ciò si rivela necessario, abile manovratore negli interessi propri e del suo
popolo. Ciò si accompagna a un travaglio personale che Machiavelli sentiva
nella sua attività quotidiana e di teorico, secondo una tradizione politica che
già in Cicerone affermava: "un buon politico deve avere le giuste
conoscenze, stringere mani, vestire in modo elegante, tessere amicizie
clientelari per avere un'adeguata scorta di voti". Con Machiavelli
l'Italia ha conosciuto il più grande teorico della politica. Secondo Machiavelli
la politica è il campo nel quale l'uomo può mostrare nel modo più evidente la
propria capacità di iniziativa, il proprio ardimento, la capacità di costruire
il proprio destino secondo il classico modello del faber fortunae suae. Nel suo
pensiero si risolve il conflitto fra regole morali e ragion di Stato che impone
talvolta di sacrificare i propri princìpi in nome del superiore interesse di un
popolo. La politica deve essere autonoma da teologia e morale e non ammette
ideali, è un gioco di forze finalizzate al bene della collettività e dello
stato. La politica, svincolata da dogmatismi e princìpi teorici, guarda alla
realtà effettuale, ai "fatti": "Mi è parso più conveniente
andare dietro alla verità effettuale della cosa piuttosto che alla immaginazione
di essa". Si tratta di una visione antropocentrica che si richiama
all'Umanesimo quattrocentesco ed esprime gli ideali del Rinascimento. Nel “Dialogo
intorno alla nostra lingua” dà un giudizio severo su Alighieri. Alighieri è
rimproverato di negare la matrice fiorentina della lingua della Commedia. Il
passo assume i caratteri dell'invettiva contro Aligheri, accusato di aver
infangato la reputazione di Firenze: «Alighieri il quale in ogni parte
mostrò d'esser per ingegno, per dottrina et per giuditio huomo eccellente,
eccetto che dove egli hebbe a ragionare della patria sua, la quale, fuori
d'ogni humanità et filosofico instituto, perseguitò con ogni spetie d'ingiuria.
E non potendo altro fare che infamarla, accusò quella d'ogni vitio, dannò gli
uomini, biasimò il sito, disse male de' costumi et delle legge di lei; et
questo fece non solo in una parte de la sua cantica, ma in tutta, et
diversamente et in diversi modi: tanto l'offese l'ingiuria dell'exilio, tanta
vendetta ne desiderava. Ma la Fortuna, per farlo mendace et per ricoprire con
la gloria sua la calunnia falsa di quello, l'ha continuamente prosperata et
fatta celebre per tutte le province, et condotta al presente in tanta felicità
et sì tranquillo stato, che se Alighieri la vedessi, o egli accuserebbe sé
stesso, o ripercosso dai colpi di quella sua innata invidia, vorrebbe essendo
risuscitato di nuovo morire. Poi, durante un altro scambio immaginario
con Aligheri, M.i rimprovera il carattere "goffo",
"osceno", addirittura "porco" del registro utilizzato
nell'Inferno: «Aligheri mio, io voglio che tu t'emendi, et che tu
consideri meglio il “parlare” fiorentino et la tua opera; et vedrai che, se
alcuno s'harà da vergognare, sarà più tosto Firenze che tu: perché, se
considererai bene a quel che tu hai detto, tu vedrai come ne' tuoi versi non
hai fuggito il goffo, come è quello: "Poi ci partimmo et n'andavamo
introcque"; non hai fuggito il porco, com'è quello: "che
merda fa di quel che si trangugia"; non hai fuggito l'osceno,
com'è: "le mani alzò con ambedue le fiche"; e non avendo
fuggito questo, che disonora tutta l'opera tua, tu non puoi haver fuggito
infiniti vocaboli patrii che non s'usano altrove che in quella» Autografo
delle Historiae Fiorentinae Per Machiavelli la storia è il punto di riferimento
verso il quale il politico deve sempre orientare la propria azione. La storia
fornisce i dati oggettivi su cui basarsi, i modelli da imitare, ma indica anche
le strade da non ripercorrere. Machiavelli si basa su una concezione ciclica
della storia: "Tutti li tempi tornano, li uomini sono sempre li
medesimi". Ma ciò che allontana Machiavelli da una visione deterministica
della storia è l'importanza che egli attribuisce alla virtù, ovvero alla
capacità dell'uomo di dominare il corso degli eventi utilizzando opportunamente
le esperienze degli errori compiuti nel passato, nonché servendosi di tutti i
mezzi e di tutte le occasioni per la più alta finalità dello stato, facendo
anche violenza, se necessario, alla legge morale. Non a caso il Principe,
nella conclusione, abbandona il suo taglio cinico e pragmatico per esortare i
sovrani italiani, con una scrittura più solenne e venata di un certo idealismo,
a riconquistare la sovranità perduta e a cacciare l'invasore straniero. Non c'è
rassegnazione nel Principe, né tanto meno sfiducia nei confronti dell'uomo. La
storia è il prodotto dell'attività politica dell'uomo per finalità terrene
esclusivamente pratiche. Lo stato, oggetto di tale attività, nella situazione
politica e nel pensiero del tempo si identifica con la persona del
principe. Di conseguenza l'attività politica è riservata solo ai grandi
protagonisti, ai pochi capaci di agire, non al "vulgo" incapace di
decisione e di coraggio. L'obiettivo è creare o conservare lo stato, una
creazione individuale legata alle qualità e alla sorte del suo fondatore: la
fine del principe può determinare la fine del suo stato, come capitò ad esempio
a Cesare Borgia. Il Machiavelli ha dunque un'importanza fondamentale per la
scoperta che la politica è una forma particolare autonoma di attività umana, il
cui studio rende possibile la comprensione delle leggi da cui è perennemente
retta la storia; da quella scoperta discende, come suo naturale fondamento, una
vigorosa concezione della vita, incentrata unicamente sulla volontà e sulla
responsabilità dell'uomo. Una errata interpretazione del Novecento fece
del Machiavelli un precursore del movimento unitario italiano, ma la parola
nazione ha assunto l'attuale significato solo a partire dalla seconda metà del
Settecento, mentre il Machiavelli la usò in senso particolaristico e cittadino
(es. nazione fiorentina o, nel senso più generico di popolo, moltitudine). Tuttavia,
Machiavelli propugna un principato in grado di reggersi sull'unità etnica dell'Italia;
così facendo, e denunciando in tal modo una chiara coscienza dell'esistenza di
una civiltà italiana, Machiavelli predica la liberazione dell'Italia sotto il
patrocinio di un principe, criticando il dominio temporale dei Papi che
spezzava in due la penisola. Ma l'unità d'Italia resta in M. un problema
solo intuito. Non si può dubitare che avesse concepito l'idea dell'unità
italiana, ma tale idea restò indeterminata, poiché non trovò appigli concreti
nella realtà, restando perciò a livello di utopia, cui solo dava forma la
figura ideale del principe nuovo. Machiavelli dunque intraprese un viaggio che
identificò come spirituale in giro per il mondo. In seguito, tornato in patria,
ebbe una nuova visione sia del "popolo" che della "nazione"
(di qui quello che oggi definiamo rinnovamento culturale). Il principe o
De Principatibus. Niccolò Machiavelli nello studio, Stefano Ussi, Emblematico è
il modo di trattare argomenti delicati, quali le mosse necessarie al Principe
per organizzare uno stato ed ottenerne uno stabile e duraturo consenso. Per
esempio vi troviamo indicazioni programmatiche, quali l'utilità nello
"spegnere" gli stati abituati a vivere liberi di modo da averli sotto
il proprio diretto controllo (metodo preferito al creare un'amministrazione
locale "filo-principesca" o al recarvisi e stabilirvisi
personalmente, metodo però sempre tenuto da conto in modo da avere un occhio
sempre presente sulle proprie terre, e stabilire una figura rispettata e
conosciuta in loco). Altro elemento caratteristico del trattato sta nella
scelta dell'atteggiamento da tenere nei confronti dei sudditi, culminante
nell'annosa questione del "s'elli è meglio essere amato che temuto o e
converso" La risposta corretta si concretizzerebbe in un ipotetico
principe amato e temuto, ma essendo difficile o quasi impossibile per una
persona umana l'essere ambedue le cose, si conclude decretando che la posizione
più utile viene ad essere quella del Principe temuto (pur ricordando che mai e
poi mai il Principe dovrà rendersi odioso nei confronti del popolo, fatto che
porrebbe i prodromi della propria caduta). Qua appare indubbiamente la
concezione realistica e la concretezza del Machiavelli, il quale non viene a
proporre un ipotetico Principe perfetto, ma irrealizzabile nel concreto, bensì
una figura effettivamente possibile e soprattutto "umana".
Ulteriore atteggiamento principesco dovrà l'essere metaforicamente sia
"volpe" che "leone", in modo da potersi difendere dalle
avversità sia tramite l'astuzia (volpe) che tramite la violenza (leone).
Mantenendo un solo atteggiamento dei due non ci si potrà difendere da una
minaccia violenta o di astuzia. Spesso alla figura evocata dal Principe di
Machiavelli viene associata la figura di un uomo privo di scrupoli, di un
cinismo estremo, nemico della libertà. Inoltre gli viene erroneamente associata
la frase "il fine giustifica i mezzi", che invece mai enunciò. Questo
perché la parola "giustifica" evoca sempre un criterio morale, mentre
Machiavelli non vuole "giustificare" nulla, vuole solo valutare, in base
ad un altro metro di misura, se i mezzi utilizzati sono adatti a conseguire il
fine politico, l'unico fine da perseguire è il mantenimento dello Stato.
Machiavelli nella stesura del Principe si rifà alla reale situazione che gli si
presentava attorno, una situazione che necessitava essere risolta con un atto
deciso, forte, violento. Machiavelli non vuole proporre dei mezzi giustificati
da un fine, egli pone un programma politico che qualunque Principe che voglia
portare alla liberazione dell'Italia, da troppo tempo schiava, dovrà seguire.
Fuori dai suoi intenti una giustificazione morale dei punti suggeriti: egli
stende un vademecum necessariamente utile a quel Principe che finalmente vorrà
impugnare le armi. Alle accuse di sola illiberalità od autoritarismo, si può
dare una risposta leggendo il capitolo IX, "De Principatu Civili",
ritratto di un principe nascente dal e col consenso del popolo, figura ben più
solida del Principe nato dal consesso dei "grandi", cioè dei grandi
proprietari feudali. Non esiste un unico tipo di principato, ma per ognuno
troviamo un'ampia trattazione di pregi e dei difetti. Controversie sul
Principe «Quel grande / che temprando lo scettro a' regnatori gli allor ne
sfronda, ed alle genti svela / di che lagrime grondi e di che sangue»
(Ugo Foscolo, Dei sepolcri) La gelida obiettività e un certo cinismo con cui
Machiavelli descriveva il comportamento freddo, razionale ed eventualmente
spietato che un capo di Stato deve mettere in atto, colpì i critici. Così, da
una parte vi è la linea di pensiero tradizionale, secondo la quale "Il
Principe" è un trattato di scienza politica destinato al governante, che
tramite esso saprà come affrontare i problemi, spesso drammatici, posti dal suo
ruolo di garante della stabilità dello stato. Dall'altra, troviamo un'interpretazione
secondo cui il trattato di Machiavelli, che era originariamente un
repubblicano, ha come vero scopo quello di mettere a nudo, e quindi chiarire,
le atrocità compiute dai principi dell'epoca, a vantaggio del popolo, che di
conseguenza avrebbe le dovute conoscenze per attuare le precauzioni al fine di
stare in guardia e difendersi quando si dimostra necessario. Il principe è
visto anche come figura assai drammatica, la quale, per il bene dello stato
stesso, non si può permettere di lasciare spazio al proprio carattere,
diventando così quasi un uomo-macchina. Secondo alcuni, Machiavelli venne in
realtà accusato da subito di nicodemismo, e: «...di non aver mirato ad
altro, in quel libro, che a condurre il tiranno a precipitosa rovina,
allettandolo con precetti a lui graditi...» (Attribuita a Niccolò Machiavelli[28]).
Machiavellismo § L'antimachiavellismo e il repubblicanesimo. Gli esponenti di
questa seconda interpretazione (la cosiddetta "interpretazione
obliqua", diffusa dal XVII secolo, e avanzata per la prima volta da
Alberico Gentili spirandosi a Reginald Pole, poi ripresa da Traiano Boccalini e
in seguito Baruch Spinoza)[31], furono numerosi soprattutto in ambito
illuminista (anche se venne rifiutata da Voltaire), che vedeva in Machiavelli
un precursore della politica laica e del repubblicanesimo: la sostennero, dal
Settecento, Jean-Jacques Rousseau[33], Vittorio Alfieri[34], Baretti, Galanti,
gli enciclopedisti (in primis Diderot[3 Opere: Discorso 8] edAlembert),
Foscolo e Parini[, e ha avuto diffusione soprattutto nell'Ottocento, prima e
durante il Risorgimento; ne è un esempio quello che Foscolo scrive nei
"Sepolcri": «Io quando il monumento / vidi ove posa il corpo di quel
grande / che temprando lo scettro a' regnatori / gli allor ne sfronda, ed alle
genti svela / di che lagrime grondi e di che sangue». Forse alcuni di essiad
esempio, per quanto riguarda Foscolo, è un'ipotesi alternativa di Spongano e
riportata anche da Mario Pazzagliaritenevano anche che, pur essendo Il principe
un'opera fatta per i tiranni e i governanti, fosse utile lo stesso per svelare
al popolo gli intrighi del potere, ritenendo valida l'interpretazione obliqua,
qualunque fossero le intenzioni di Machiavelli. In generale, per i sostenitori di questa
lettura, Il principe avrebbe, come le satire (ad esempio Una modesta proposta
di Swift), uno scopo opposto a quello apparente, come avverrà anche per alcuni
scritti di epoca romantica (Lettera semiseria di Grisostomo di Berchet o alcune
Operette Morali di Giacomo Leopardi). In epoca più recente, tuttavia,
nella maggioranza dei critici è prevalsa la prima interpretazione, quella
tradizionale, dal quale risalta la libertà e concretezza, anche spregiudicata,
del pensiero di M., che non descrive mondi utopici, ma il mondo reale della
politica dei suoi tempi,e la sua concezione anticipatrice del realismo politico
e della cosiddetta realpolitik. L'interpretazione obliqua è stata riproposta in
modo minoritario, ad esempio in alcuni monologhi del drammaturgo e attore Dario
Fo. Il modello linguistico prescelto da M. è fondato sull'uso vivo più che sui
modelli letterari; lo scopo, esplicito soprattutto nel Principe, di
scrivere qualcosa di utile e chiaramente espressivo lo induce a scegliere
spesso modi di dire proverbiali di immediata evidenza. Il lessico impiegato
dall'autore si rifà a quello boccacciano, è ricco di parole comuni e i
latinismi, seppure abbondanti, provengono per lo più dal gergo cancelleresco.
Nelle sue opere ricoprono un ruolo assai rilevante anche le metafore, i
paragoni e le immagini. La concretezza è una delle caratteristiche salienti,
l'esempio concreto ed essenziale, tratto dalla storia sia antica che recente, è
sempre preferito al concetto astratto. In generale si parla di uno stile
"fresco", come lo ebbe a definire il filosofo Nietzsche in Al di là
del bene e del male, con un riferimento particolare all'uso della paratassi, a
una certa sentenziosità delle frasi, costruite secondo un criterio di chiarezza
a scapito di un maggior rigore logico-sintattico. Machiavelli rende evidenti
concetti che, se espressi con un linguaggio più elaborato, sarebbero molto
difficili da decifrare, e riesce a esprimere le sue tesi con originale capacità
espositiva. Opere Discorso fatto al magistrato de' Dieci sopra le cose di
Pisa, Parole da dirle sopra la provvisione del danaio, Descrizione del modo
tenuto dal Duca Valentino nello ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da
Fermo, il Signor Pagolo e il duca di Gravina Orsini, De natura Gallorum, Ritratto
delle cose di Francia, Ritratto delle cose della Magna, Il Principe, Discorsi
sopra la prima deca di Tito Livio, Dell'arte della guerra, La vita di
Castruccio Castracani da Lucca, Istorie fiorentine, )Riedizione Istorie
fiorentine, Venezia, Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua, Decennali
Mandragola, commedia teatrale Belfagor arcidiavolo, Epistolario, L'asino, Edizioni
critiche in pubblico dominio: Legazioni, commissarie, scritti di governo.
Chiappelli. Laterza, Roma-Bari. Drammaturgie minori Clizia, Andria,
traduzione-rifacimento dell'Andria di Terenzio. Alitalia gli ha dedicato uno
dei suoi Airbus Nella cultura di massa Il suo nome, modificato in
"Makaveli", venne usato dal rapper statunitense Tupac Shakur tper
firmare molte sue canzoni e un album uscito postumo. Niccolò M. viene proposto
anche nel videogioco Assassin's Creed 2 e il seguito Assassin's Creed:
Brotherhood, in veste di Assassino. Proprio in quest'ultimo assume un ruolo
particolarmente importante, insieme ad altri personaggi dell'Italia
rinascimentale. Niccolò Machiavelli è, assieme a John Dee, il principale
antagonista della serie di romanzi fantasy I segreti di Nicholas Flamel,
l'immortale (come capo dei servizi segreti francesi), scritta da Michael Scott.
Nella mostra "Il Principe di M. e il suo tempo" (Roma, Complesso del
Vittoriano, Salone Centrale, promossa dall'Istituto dell'Enciclopedia Italiana
e dalla sezione italiana di Aspen Institute, la sezione "Machiavelli e il
nostro tempo: usi e abusi" presenta, tra altre "opere", Figurine
Liebig, pacchetti di sigarette, schede telefoniche, trading card, cartoline,
francobolli, giochi da tavolo e videogiochi dedicati a Machiavelli. Nella serie
I Borgia di Neil Jordan è interpretato da Julian Bleach. Machiavel è una band
belga, catalogabile sotto il genere progressive rock. Il nome della band è un
chiaro omaggio a Niccolò M. Nella serie I Medici è interpretato da Vincenzo
Crea, Edizione nazionale delle opere Edizione Nazionale delle Opere di Niccolò
Machiavelli, Salerno Editrice di Roma: Il principe, Mario Martelli,
corredo filologico Marcelli, Discorsi
sopra la prima Deca di Tito Livio, Francesco Bausi, L'arte della guerra.
Scritti politici minori, Masi, Marchand, Fachard, Opere storiche, Alessandro Montevecchi, Carlo
Varotti, ITeatro. Andria-Mandragola-Clizia,
Pasquale Stoppelli, Scritti in poesia e
in prosa, Antonio Corsaro, Paola Cosentino, Rèndina, Grazzini, Marcelli,
coordinam. di Bausi, ILegazioni,
Commissarie, Scritti di governo, Jean-Jacques Marchand, Legazioni. Commissarie.
Scritti di governo, Legazioni. Commissarie. Scritti di governo, Jean-Jacques
Marchand, Matteo Melera-Morettini, Legazioni. Commissarie. Scritti di governo Denis
Fachard, Emanuele Cutinelli-Rèndina, Legazioni. Commissarie. Scritti di
governo, Marchand, Guidi, Morettini, Legazioni.
Commissarie. Scritti di governo. Denis Fachard, Emanuele
Cutinelli-Rèndina, Legazioni. Commissarie.
Scritti di governo, Jean-Jacques Marchand, Andrea Guidi, Matteo
Melera-Morettini. La famosa frase
"Il fine giustifica il mezzo" (o "i mezzi"), usata spesso
come esempio di machiavellismo, è del critico letterario Francesco de Sanctis,
con riferimento ad interpretazioni fuorvianti del pensiero di Machiavelli
espresso nel Principe. Il passo di De Sanctis, dal capitolo XV della sua Storia
della letteratura italiana, dedicato a M., recita: "Ci è un piccolo libro
del Machiavelli, tradotto in tutte le lingue, il Principe, che ha gittato
nell'ombra le altre sue opere. L'autore è stato giudicato da questo libro, e
questo libro è stato giudicato non nel suo valore logico e scientifico, ma nel
suo valore morale. E hanno trovato che questo libro è un codice di tirannia,
fondato sulla turpe massima che il fine giustifica i mezzi, e il successo loda
l'opera. E hanno chiamato machiavellismo questa dottrina. Molte difese sonosi
fatte di questo libro ingegnosissime, attribuendosi all'autore questa o quella
intenzione più o meno lodevole. Così n'è uscita una discussione limitata e un
Machiavelli rimpiccinito".
Celebrazioni per il V centenario del Principe di Machiavelli, Accademia
della Crusca, Opera di Santa Maria del Fiore, Libri dei battesimi: Niccolò
Piero e Michele di m. Bernardo Machiavellidi Santa Trinita, nacque a dì 3 a
hore 4, battezzato a dì 4 Dal Villani,
nella sua Cronica. In Discorsi di Architettura del senatore Giovan Battista Nelli,La
sua trascrizione del De rerum natura è nel manoscritto Vaticano Rossiano L. Canfora, Noi e gli antichi, Milano Giovio,
Elogia clarorum virorum, 1546, 55v: «Constat a Marcello Virgilio graecae atque
latinae linguae flores accepisse» R.
Ridolfi, Lettera Riccardo Bruscagli, "Machiavelli". Il Senato romano
fece distruggere Velletri e indebolì Anzio sottraendole la flotta: cfr. Livio, "La
sua vicinanza a Pier Soderini, vexillifer perpetuus, si accentua
progressivamente in uno sforzo di sottrarre Firenze a un immobilismo indotto
dal timore di un potere esecutivo più forte e irrispettoso di una lunga
tradizione di libertà repubblicano-oligarchica": Grazzini, Filippo, Ante
res perdita, post res perditas: dalle dediche del Decennale primo a quella del
Principe, Interpres: rivista di studi quattrocenteschi:Roma: Salerno,. Lettera. È un'ipotesi del Ridolfi, cDiscorsi
sopra la prima Deca di Tito Livio, «Giovanpagolo, il quale non stimava essere
incesto e publico parricida, non seppe, o, a dir meglio, non ardì, avendone
giusta occasione, fare una impresa, dove ciascuno avesse ammirato l'animo suo,
e avesse di sé lasciato memoria eterna, sendo il primo che avesse dimostro a'
prelati quanto sia poco uno che vive e regna come loro. Ed avessi fatto una
cosa, la cui grandezza avesse superato ogni infamia, ogni pericolo, che da
quella potesse dependere» Nella sua
Storia d'Italia, il Guicciardini esprime lo stesso giudizio di Machiavelli Ritratto delle cose della Magna, in «Tutte le
opere storiche, politiche e letterarie. Lettera ai Dieci, Il carcere, la
tortura e il ritiro all'Albergaccio, su viv-it.org. Ottenendo un giudizio
evasivo: cfr. la lettera del Vettori Lettera a Francesco Vettori, David Quint, Armi e nobiltà: Machiavelli,
Guicciardini e le aristocrazie cittadine, Cadmo, Studi italiani. De credulitate
et pietate; et an sit melius amari quam timeri, vel e contra. Il
machiavellismo, su dizionariostoria.wordpress.com. Machiavellismo, Treccani, 2Citata
in Niccolò Machiavelli, Periodici Mondadori, A. Gentili, De legationibus. R. POLE,
Apologia ad Carolum V Caesarem de Unitate Ecclesiae che talvolta elogiarono però anche alcuni
consigli pragmatici dati al principe, come quello della religione come
instrumentum regnii; ad esempio Voltaire, nel capitolo Se sia utile mantenere
il popolo nella superstizione, del trattato sulla tolleranza, afferma
l'utilità, entro certi limiti, di una forma di religione razionale per il
popolo La fortuna di Machiavelli nei
secoli, su windoweb «Machiavelli era un uomo giusto e un buon cittadino; ma,
essendo legato alla corte dei Medici, non poteva velare il proprio amore per la
libertà nell'oppressione che imperava nel suo paese. La scelta di Cesare Borgia
come proprio eroe, ben evidenziò il suo intento segreto; e la contraddizione
insita negli insegnamenti del Principe e in quelli dei Discorsi e delle Istorie
fiorentine ben dimostra quanto questo profondo pensatore politico è stata
finora studiato solo dai lettori superficiali o corrotti. La Corte pontificia
vietò severamente la diffusione di quest'opera. Ci credo... in fondo, quanto
scritto la ritrae fedelmente. il libro dei repubblicani fingendo di dare
lezioni ai re, ne ha date di grandi ai popoli. Rousseau, Il contratto sociale. Dal
solo suo libro Del Principe si potrebbero qua e là ricavare alcune massime
immorali e tiranniche, e queste dall'autore son messe in luce (a chi ben
riflette) molto più per disvelare ai popoli le ambiziose ed avvedute crudeltà
dei principi che non certamente per insegnare ai principi a praticarne...
all'incontro, il M. nelle Storie, e nei Discorsi sopra Tito Livio, ad ogni sua
parola e pensiero, respira libertà, giustizia, acume, verità, ed altezza
d'animo somma, onde chiunque ben legge, e molto sente, e nell'autore
s'immedesima, non può riuscire se non un fuocoso entusiasta di libertà, e un
illuminatissimo amatore d'ogni politica virtù» (Del principe e delle lettere,) «Con quel libro, se la sapessimo tutta, egli
si pensò forse di pigliare, come si suol dire, due colombi ad una fava:
presentando dall'un lato a' suoi Fiorentini come schietta e naturale una
caricata e mostruosa immagine d'un sovrano assoluto, affinché si risolvessero a
non averne mai alcuno; e cercando dall'altro di tirare insidiosamente i Medici
a governarsi in guisa che s'avessero poi a snodolare il collo, seguendo i
fraudolenti precetti da lui con molta adornezza sciorinati in quella sua
dannata opera.» G. Galanti, Elogio di N.
Machiavelli cittadino e segretario fiorentino
Alessandro Arienzo, BORRELLI, Anglo-American Faces of M., Voce
"Machiavellismo" dell'Encyclopedie
Franco Ferrucci, Il teatro della fortuna: potere e destino in
Machiavelli e Shakespeare, Fazi Editore, Mario Pazzaglia, Note ai Sepolcri, in
Antologia della letteratura italiana, cfr. l'inizio del Dialogo di Tristano e
di un amico. Introduzione a: ORIANI, M.
//repubblica/rubriche/la-parola news/realpolitik Realpolitik Video di Fo che parla di M. (trasmissione tv
Vieni via con me, su youtube.com. Il Principe di M. e il suo tempo. Catalogo
della mostra, Roma Istituto dell'Enciclopedia Italiana, La su M. è sterminata. Tentativi di redigerla
sono stati realizzati da Achille Norsa, Il principio della forza nel pensiero
politico di M., seguito da un contributo bibliografico, Milano Silvia Ruffo
Fiore, M.: an annotated bibliography of modern criticism and scholarship, New
York‑Westport‑London; Daria Perocco, Rassegna di studi sulle opere letterarie
del Machiavelli, in "Lettere italiane", Cutinelli‑Rendina, Rassegna
di studi sulle opere politiche e storiche di M., in "Lettere italiane",
Nell'Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani ha pubblicato in 3 volumi
l'opera Machiavelli: enciclopedia machiavelliana. Di seguito una selezione di
studi. Gilbert, M. e la vita culturale del suo tempo, Bologna, Il mulino, LEFORT,
Le travail de l'oeuvre M., Paris, Gallimard, Marchand, M.: I primi scritti politici
Nascita di un pensiero e di uno stile, Padova, Antenore, Riccardo Bruscagli,
Niccolò Machiavelli, Firenze, La Nuova Italia editrice, Roberto Ridolfi, Vita
di M., Firenze, Sansoni, CHABOD, Scritti su M., Torino, Einaudi, John Greville
Agard Pocock, Il momento machiavelliano: il pensiero politico fiorentino e la
tradizione repubblicana anglosassone, Bologna, Il mulino, Dionisotti, MACHIAVELLERIE,
Torino, Einaudi, SASSO, M.: Il pensiero politico; La storiografia, Bologna, Il mulino (Napoli);
Procacci, Machiavelli nella cultura europea dell'età moderna, Roma-Bari,
Laterza, Gennaro Sasso, Machiavelli e gli antichi e altri saggi, I-IV, Milano-Napoli,
Ricciardi, Viroli, Il sorriso di Niccolò, storia di M., Roma-Bari, Laterza, Cutinelli-Rendina,
Chiesa e religione in Machiavelli, Pisa, Istituti editoriali e poligrafici
internazionali, Dotti, M. rivoluzionario: vita e opere, Roma, Carocci, Bausi, M.,
Roma, Salerno editrice, INGLESE, Per M.: l'arte dello stato, la cognizione delle
storie, Roma, Carocci, Corrado Vivanti, Niccolò Machiavelli: i tempi della
politica, Roma, Donzelli, Andrea Guidi, Un segretario militante. Politica,
diplomazia e armi nel Cancelliere M., Bologna, il Mulino, Pedullà, M. in
tumulto. Conquista, cittadinanza e conflitto nei 'Discorsi sopra la prima deca
di Tito Livio', Roma, Bulzoni,. William J. Connell, Machiavelli nel
Rinascimento italiano, Milano, FrancoAngeli,
Attilio Scuderi, Il libertino in fuga. M. e la genealogia di un modello
culturale, Roma, Donzelli, Ciliberto, Niccolò M.. Ragione e pazzia, Roma-Bari,
Laterza,. Altri contributi A. Montevecchi, Machiavelli, la vita, il pensiero, i
testi esemplari, Milano E. Janni, Machiavelli, Milano S. Zen, Veritas
ecclesiastica e M., in Monarchia della verità. Modelli culturali e pedagogia
della Controriforma, Napoli, Vivarium (La Ricerca Umanistica, Cosimo Scarcella,
M., Tacito, Grozio: un nesso "ideale" tra libertinismo e previchismo,
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Roma, Bulzoni, Figorilli, M. moralista. Ricerche su fonti, lessico e fortuna.
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that he once asked for the MS of The Prince at his college – and they told him:
‘We cannot find it!’ --. Niccolò
di Bernardo dei Machiavelli. Niccolò Machiavelli. Marchiavelli. Keywords: Livio,
storia romana – H. P. Grice on the history of England – Livio, storia romana
–la storia romana come fonte d’essempi nella filosofia romana --il principe,
Macchiavelli fascista – l’ossessione dal duce per Machiavelli, la dottrina
fascista dello stato machiavellico, impiegatura Machiavelli. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Machiavelli," per
il club anglo-italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria,
Italia. Machiavelli.
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