Grice e Piana: la ragione conversazionale e l’implicature
conversazionali dei merli – la scuola di Casale Monferrato -- filosofia
piemontese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Casale Monferrato). Filosofo italiano. Casale
Monferrato, Alessandria, Piemonte. Grice: “I never cease to get moved when I
read Piana’s notes, “Il canto del merlo”! That’s the way to do philosophy of music – the
Italianate warmth so strange and contrasting to the coldness of Scruton!” Insegna filosofia a Milano e Pietrabianca di
Sangineto. Allievo di PACI, sotto il quale elabora la sua dissertazione sulle
opere inedite di Husserl. La sua posizione filosofica è caratterizzata dal
concetto di fenomenologia -- strutturalismo fenomenologico -- influenzato
particolarmente da Husserl, Wittgenstein, e Bachelard. Alcune indicazioni sullo
strutturalismo fenomenologico sono contenute in “L'idea di uno strutturalismo
fenomenologico”. La sua filosofia è orientata verso la conoscenza, la musica e
i campi della percezione e immaginazione. Allievi di P. sono Basso, Civita,
Costa, Franzini, Serra, e Spinicci. Uno dei più acuti e originali
filosofi italiani – L’Unità -- uno dei più interessanti interpreti e
prosecutori, in Italia, dell'indirizzo fenomenologico -- Paese Sera. Tra i
più lucidi, originali e fecondi fenomenologi italiani" -- "L'idea di
Europa e le responsabilità della filosofia". Vede l'esperienza della
fenomenologia di Husserl che costituì il centro d'interesse di un grande
maestro come Paci. Non è il caso qui di tracciare mappe di quelle vicende,
credo però che non sarebbe sbagliato sostenere che P., in quel gioco delle
parti, che è sempre l'apertura di un'esperienza plurale sul suggerimento di un
filosofo autentico, si è preso quella del fenomenologo più prossimo ai temi
duri di Husserl, agl’obbiettivi che stabiliscono la teoreticità della ricerca
fenomenologica come tratto distintivo ed essenziale rispetto ad altre figure di
pensiero -- L'Unità. Illustre filosofo della musica -- in "Il significato della
musica", relazione al convegno 'Approcci semiotico-testologici ai testi
multimediali', Macerata. In un intervento letto durante un convegno tenuto
all'Macerata. Franzini dichiara. P. è a mio parere uno dei filosofi maggiori
del dopoguerra italiano: mai prono alle mode, sempre originale e innovativo,
come dimostrano i suoi essenziali contributi alla metafisica della musica. In
sintesi, un maestro in cui si ritrovano sempre momenti di autentica filosofa. Il
più grande maestro della fenomenologia
italiana. Il suo stile filosofico rappresenta il centro di gravità attorno al
quale tendemo a condensare gran parte di quello che di eccellente la
fenomenologia italiana fa, convinti che i suoi meriti non sono ancora
adeguatamente riconosciuti. La vera filosofia tende all'elementare. E dunque
non ha fretta di correre oltre, indugia in quei punti rispetto ai quali si
potrebbe benissimo soprassedere. In certo senso, si fa custode del ricordo di
cose che si potrebbero facilmente dimenticare. La filosofia è un’arte del
ricordo. Ma vi è in ogni caso anche qualcosa di profondamente giusto nell’idea,
che si ripropone di continuo, di una scienza che deve in qualche modo liberarsi
dalla filosofia. È come liberarsi dai ricordie questo è spesso necessario per
procedere oltre. Altri saggi: “Filosofia dell’esperienza”; “L’idea di uno strutturalismo
fenomenologico”; “Il manifesto”; “La filosofia tende all’elementare e non ha fretta”;
“L’importanza filosofica di arrivare ultimi”; “Esistenza e storia” (Nigri,
Milano); “La fenomenologia” (Mondadori, Milano); “Elementi di una dottrina
dell'esperienza” (Saggiatore, Milano); “La notte dei lampi”; “La filosofia
dell'immaginazione” (Guerini, Milano); “Filosofia della musica” (Guerini, Milano);
Mondrian e la musica, Milano, Guerini); Teoria del sogno e dramma musicale. La
metafisica della musica” (Guerini, Milano); “Numero e figura: idee per una epistemologia
della ri-petizione” (Cuem, Milano); “Album per la teoria della musica”; “Frammenti
epistemologici”. I suoi saggi sono
racchiuse: “II strutturalismo fenomenologico e psicologia della forma”; “La
notte dei lampi”; “Le regole dell’immaginazione”; “Filosofia della musica”; “Intervallo
e cromatismo nella teoria della musica”; “Alle origini della teoria della
tonalità”; “Teoria del sogno e dramma musicale”; “La metafisica della musica”;
“Mondrian e la musica”; “Filosofia della musica”; “Estetica musicale”;
“Introduzione alla filosofia”; “Interpretazione del “Mondo come volontà e rappresentazione””;
“Immagini per Schopenhauer, “Interpretazione del “Tractatus” di Wittgenstein”;
“Commenti a Wittgenstein”; “Commenti a Hume”; “Prroblemi della fenomenologia”;
“Fenomenologia, esistenzialismo, marxismo”; “Fenomenologia”; “Stralci di vita”;
“Conversazioni sulla “Crisi delle scienze europee” di Husserl”; “Fenomenologia
delle sintesi passive; “Barlumi per una filosofia della musica”; “De Musica,
rivista fondata da lui. Spazio Filosofico, collana fondata da lui; "La
fenomenologia come metodo filosofico", “Linguaggio” Guerini, Milano); "Immaginazione
e poetica dello spazio", “Metafora Mimesi Morfogenesi Progetto” (Guerin,
Milano); "Considerazioni inattuali su Adorno",
"Musica/Realtà", "Figurazione e movimento nella
problematica musicale del continuo", “La percezione musicale, Guerini, Milano,
"Fenomenologia dei materiali e campo delle decisioni”; “Riflessioni
sull'arte del comporre", “Il canto di Seikilos” (Guerini, Milano); I
compiti di una filosofia della musica brevemente esposti”; De Musica, Elogio dell'immaginazione musicale, De Musica,
La serie delle seriedodecafoniche e il triangolo di Sarngadeva, De Musica; Immagini
per Schopenhauer, Il canto del merlo” –
i merli – il canto dell’uccello, funzione del canto dell’uccello maschio. “Occorre
riflettervi ancora”; “Considerazioni in margine a Fantasia e imagine”; “
Leggere i poeti. Note in margine a Pascoli”; La sociologia della letteratura
(Milano); Questioni di dettaglio (Milano), Storia e coscienza di classe (Milano)
Ricerche logiche (Milano); Storia critica delle idee (Milano); fenomenologica
italiana; Fenomenologia, coscienza del tempo e analisi musicale; Variazioni dei
significati” - Burnout e risorse; Musicoterapia, alle radici fenomenologiche
del Cosmo antico; Fondamenti della Matematica; La scienza della felicita; La
fenomenologia dell’esperienza. Scuola di Milano – scuola milanese -- Giovanni
Piana. Piana. Keywords: il linguaggio di Spinicci, merli, la serie
dodecafonica, il triangolo di Sarngadeva. Oltre il linguaggio, linguaggio e
comunicazione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Piana” – The Swimming-Pool
Library. Piana.
Grice e Piccolomini:
la ragione conversazionale, l’implicatura conversazionale, e le figure di
retorica – la scuola di Siena -- filosofia toscana -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Siena). Filosofo italiano. Siena,
Toscana. LA RETORICA.
Grice: “I became especially interested in rhetoric after Leech, an Englishman
who ended up teaching at Lancaster, argued that all I ever did was engage in
‘conversational rhetoric!” – LIZIO. Grice: “figure of rhetoric” – “rhetoric” versus “dialectic”
inference -- Alessandro Piccolomini Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
arcivescovo della Chiesa cattolica Incarichi ricoperti Arcivescovo di
Patrasso Nato a Siena Nominato arcivescovo Deceduto a Siena
Manuale Frontespizio della filosofia naturale (Siena, Siena. Filosofo, etterato, astronomo
e arcivescovo cattolico italiano. Stemma della famiglia Piccolomini
Blasonatura D'argento, alla croce d'azzurro, caricata di cinque crescenti
d'oro. Membro egl’intronati (‘Stordito’). Venne rappresentata la sua
commedia Amor Costante ed Alessandro, entrambe dall'intreccio macchinoso, ma
con vena psicologica e moralistica. Legato all'ambiente degl’intronati è il
Dialogo de la bella creanza de le donne più noto come Raffaella. Professore
a Padova per. Insegna filosofia e partecipa alle attività degl’infiammati. Scrive
ad Aretino, esponendogli il suo pensiero sul volgarizzamento della prosa
scientifica. Rientrato a Siena, lascia la città per trasferirsi a Roma. Qui vive
nell'ambiente del card. Francisco de Mendoza. Uomo di grande cultura,
traduce dal latino il sesto libro dell'Eneide (VIRGILIO) e il tredicesimo libro
delle Metamorfosi d’OVIDIO, dal greco in italiano l'Economico di Senofonte, la
RETORICA e la Poetica del LIZIO e in latino il commento di Alessandro di Afrodisia
ai Meteorologica di Aristotele e la Meccanica Aristotelica. Nominato
arcivescovo di Patrasso, rimase a Siena come coadiutore dell'arcivescovo
Francesco Bandini Piccolomini. E il primo, molti anni prima di Bayer, ad
aver contrassegnato le stelle in base alla loro luminosità con delle lettere
(alfabeto latino). Il libro dal titolo De le stelle fisse, è da molti
considerato il primo atlante celeste moderno. Le mappe contenute nell'opera
presentano tutte le costellazioni tolemaiche (ad eccezione di quella del
Puledro) e mostrano le stelle senza le corrispondenti figure mitologiche; per
la prima volta in un libro a stampa venivano quindi riportate le mappe
astronomiche complete con le costellazioni tolemaiche. Il De le stelle fisse e un altro libro, sempre di P., dal titolo
Della sfera del mondo vennero pubblicati
in un unico e rarissimo volume. In ricordo del famoso letterato senese,
sulla Luna c'è anche un cratere che porta il suo nome; il cratere P. è molto
profondo, ha un diametro di circa 88 km ed è ubicato (29,7°S / 32,2°E) a sud
del cratere Fracastoro. Opere di prosa e di teatro Amor costante, Dialogo
de la bella creanza de le donne (Venezia) Alessandro, De la nobiltà et eccellenza de le donne,
(Venezia) Trattati Libri ad scientiam de natura attinentes, Della sfera
del mondo, La economica di Senofonte tratta di lingua greca in toscana,
Venezia, Al segno del Pozzo, De la instituzione di tutta la vita de l'omo nato
nobile, e in città libera (Venezia) In quatuor libros meteorologicorum
Aristotelis, commentatio lucidissima (Venezia) Edizione Commentarium de
certitudine mathematicarum disciplinarum (Roma) Sfera del mondo, Venezia,
Cesano. Annotazione nel libro della Poetica di Aristotele; Della grandezza
della Terra et dell'Acqua (Venezia, Ziletti) Sfera del mondo, Venezia, Giovanni
Varisco; Speculationi de' pianeti, Venezia, Giovanni Varisco; De le stelle
fisse. Edizione del Il Libro della
Poetica LIZIO. Tradotto di greca lingua in volgare da P., Con una epistola ai
lettori del modo del tradurre (Siena, per L. Bonetti) Retorica LIZIO
amplissimamente tradotta e illustrata con dotte e utilissime digressioni da P.,
Venezia per Angelieri, Libri ad scientiam de natura attinentes, Venezia, eredi
Francesco De Franceschi (senese), Libri ad scientiam de natura attinentes,
Venezia, eredi Francesco De Franceschi (senese), Bibliografia Paparelli, P., Dizionario
Letterario Bompiani. Autori, Milano,
Bompiani; P. Un siennois à la croisée des genres et des savoirs. Atti del
colloquio internazionale (Parigi), cur. di Piéjus, Plaisance, Residori, Centre
interuniversitaire de recherche sur la Renaissance italienne), Università
Sorbonne Nouvelle – Paris. P., su Treccani.it –
Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata
Pelaez, Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Enciclopedia
Britannica, Cyclopædia of Biblical, Theological, and Ecclesiastical Literature,
Harper. Tomasi, P., Alessandro, in Dizionario biografico degli italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere
di MLOL, Horizons Unlimited. Open Library, Internet Archive, Catholic
Encyclopedia, Robert Appleton Company. Cheney, Alessandro
Piccolomini, in Catholic Hierarchy. Portale Astronomia Portale
Biografie Portale Letteratura Portale Teatro Categorie:
Letterati italiani Astronomi italiani Arcivescovi cattolici italiani Nati Nati
a Siena Morti a Siena Drammaturghi italiani Professori dell'Università degli
Studi di Padova Piccolomini Traduttori dal latino Traduttori dal greco
anticoTraduttori dal greco al latino[altre] A THEODETTO; TRADOTTI IN LINGUA. LIZIO,
5 s^rjòm TRADOTTI IN LINGVA VOLGARE, T^a AI. NVOVAMENTE DATI IN
LVCE. Con la tavola de' Sommarij. VENEZIA. Appalto Francesco deTranceichi
SanefL. tri e fetÀ A VÈJjaf: E ben'io fimpre ho fiimafà ( Genttlifiimi
lettori) esser tanta la differenti a trai cercar curiosamente occasìon di
calunniare morder, più toflo, che di riprender per o [curar Ì altrui
gloria, gli Jcr itti altrui 5 0 l'opporsi dall'altra parte sinceramete per
filo %elo dellà 'verita, a quelle co/e, che paian manco vere in e fi 5 che
fi come il far questo e cosa dignissima d'ogni libero purgato intelletto
cosi il far quello a maligna, e malvagia volontà s appartiene. Niente dimanco
io fino sìa to sempre cosi nemico d’offènder in quanto si voglia pi ce la
cosa, chi si sìa y e ffetialmente con mezo di queflo infamtfimo vizio
della mordacità j che per un non so che d'apparente somi- filanda che fra
lor tengon le due cofidette^ ; io voluto fiejfe volte non seguir fv nocche
fapfe ij rebbe jjj rebbe per fi lodeuóle per fuggir ogni pericolo
, JoSpition di biajmo-, che potessè recare l'altra. Da questo nasce che
potendo parer maraviglia ad alcuno che doppo tante tradott:onr y fatte fin
oggi della retorica a Teodetto 5 delle quali, quattro in lingua latina, e due
nella nostra volgare] ho fin hor vedute 5 io nondimeno mi sìa pofio parimente
a, tradurla non ho voluto ajsegnar per ragion di questo, imperfezione
alcuna ch'in qual si voglia delle dette traduzoni, abbia io giudicato che si
ritruovi. Ma mi contento sola, che mi bafli d'addurneal pr e finte questa
ragione è, chauend'io già fatto piena paragrafi in lingua nostra supra
tutti li tre ùbri di e fifa ^B^tp- ricay ed avendo quiui nella margine
accennato e cituto passo per passo i praprij luoghi del LIZIO cosi le
fiejfe parole latine secondo la traduzione di Trapezjzjun* ito $ accioche
1 Lettori della parafi aje con minor fatiga potefierri trouare e
parragonar ti te fio con la parafi aJL^ $ giudicai, che fufie ben
fatto di far le cimtioni deltefio del LIZIO nella lingua nostra ancora. £f
perche meglio si potèsse veder I 'veder fondata la correspondenza
della para- fi afe al te fio, secondo il fin/o, che più ho io
/li- mato ejfer vero, et legittimo, feci pensiero di far la presènte
tradottiones e maggiormente essendo par ufo così ben fatto a molti amici
miei, giuditiosi, amatori di Ietterei . 6t a queflo effètto, accio
che più ageuolmente si potejfer rincontraci luoghi della parafi afe
con uei delia lettera del LIZIO dame tradotta $ ò pojlo nella margine
di quella tradottioncj alcuni numeri, chabbian da rispondera i numeri, che
faran parimente poftì nella margin della parafi afi^j, che toflo vfcirà
fiora riìlam-* poto in tutti a tre i libri inferni . Ho coluto con
quefie poche parole farui capaci (benigni fimi lettori) della cagion, che ni ha moffo
a portar la Tietoriùa del LIZIO nella nostra lingua. Jnche
fare,Jeconofcerete, eh* io mi fa in buona parte appreJfatJ alla venta
legittima dei fenfì Juoi, & a fargli chiaramente apparir altrui (che
fon le due cofe, do in tradurre mi sfòrzo d'andar cercando) filmerò io,
che ciò a me fta piena ricompensa di quefia impresa : e con maggior animo
darò fine alla tradot- % tione tionc, eh e nella me de firn a noftra
lingua ,fo al prefente della Toetica del LIZIO^ fjf allaparafrafe
parimente ciò io le fo Jopra . lacjual nuo- ua tmprefa già farebbe
condotta al fne.fi più JfreJ/e, £f men breui triegue mi concedeffe
quefa lunga infermità-, che tanti anni già mi iteri op- preffo . Ada
fiero pur che la detta tmprefa farà condotta al fin fo per tutto Ì anno
feguente^j del fettanfnjno . Dio nofiro signore vi conceda ogni
prosperità. Da c ' g encr demoliranno 5 e delle co felodeir-> li,
e delle vituperabili 5 e dei luoghi da trovarle, e da provarle, del genere
giudicialc e prima dell'ingiurie e cause di quelle;e a quai capi si poflbn
ridurre, delle cose gioconde, o ver voi uttuofe, per cagion delle quali foglion
recarli a far'ingiuria gli’uomini e dei luoghi da ritrovarle, da conofccrle e
da mostrarle, quali fogli on'esser quelli che volontieri fan no
ingiuria e quelli contra de i quali si fanno, quali azioni si debbian dir
veramente giuste o ingiuste o ver guistamente o ingiustamente fatte, e dell'equità
donde la nafea, e in che differifea dal rigor delle leggi e alcuni luoghi
da conoscerla, dell'ingiurie pofte in paragone e comparationfradi loro; quali sien
maggior e quali minori e alcuni luoghi da conoscer questo, delle pruove e modi
di far fede inartificiali, o ver senz'artiheio, del bisogno c'hà l'oratore
della cognizione degl’affetti e passioni umane, dell'affetto dell'ira, della mansuetudine,
ò ver placabilità, dell'AMORE e dell'odio, del timore, e della confidenza, della
verecondia e dell’inuerccondia, della grazia, della Compassione, dell’indegnazione,
dell’invidia, dell’emulationc, della giovinezza, e conditioni di quella, della vecchiezza
e sue proprietà, della virilità e sue condizioni, della nobilità, Si proprietà
di quella, dei costumi e proprietà dei ricchi, dei costumi di coloro c'han
grande auttorità e potenza sopra degl’altri e dei bene fortunati, continuazione
delle cose dette, con quelle chc s'han da dire nel restante, della natura
del possibile e dell’essere stato e rlcll aver cad efTcrej e dei luoghi loro e
della gradczza e piccolezza, considerate in natura loro, dell'essempio, o
ver'induzione retorica e delle specie sue e lor condizioni e del modo d'usarle, se
collocarle nell’oratione, delle sentenze oratorie, se di tutte le spetie loro
e dell’uso ed utilità di quelle, degl’entimemi e dei precetti necessarij all'uso
di quelli e quali sieno gl’entimemi puri prò uatiui e quali gli
redarguitiui, o ver reprovativi, de i luoghi comuni e quali tra gl’entimemi sié
quelli che di nobiltà e di perfezione eccedono, che si truovino Enth. Appareri
e quali essi sieno, e de i luoghi comuni che posson lor servire, De i modi
d'opporlì all’avversario e di difirioglier le sue ragioni. E che cosa sia instanza,
o ver obbiezione oratoria, e in quanti modi si faccia, dell'amplificationc, in
ampliare, e in diminuire, over estenuare, della continuazione e del proponimento, o
ver propofuion di quello, che s'ha da trattare in esso.
E della TAVOLA della pronuntia oratoria e finalmente della distinzione
della locutione oratoria dalla poetica, della virtù della locuzione oratoria e
delle condizioni, che le convengono e quai forti di parole si ricerchino
per tai conditioni: & della Metafora, & de gli Epithcti, ouer
aggiunti; della freddezza, over inettezza, e difetto della locutione
oratoria; dell’imagine, over comparazione e della differenza e covenenenza ch'ella
tiene colla metafora; della struttura della locuzione oratoria e prima del
parlar grecamente e quante e quali condizioni si ricerchino a questo; dell'ampiezza,
magnificanza e grandezza della locuzione e quai cose poflbno o nuocere, o
gio- uare a qucfto. 234 Capo 7. Del Decoro della locutiò oratoria,
& quarc, & quali fiélecòditioni,&rauuertetie, che
perfuacagio fi ricercano.& qual fia la locutiò
proportionata,qualc la coftumata,&: quale la pathctica,o ver
afFcttuola.23 $ Capo 8. Del numero,& ritmo oratorio,& in che fia
dif- ferente dal metrico de i Poeti:Óc d'altre cofe apparte- nenti al
ritmo, & agli accenti . 238 Capo . 7(ilL fasi* Renella riga
c .del iegiflatore, bygi dal legatore. e.\o.canfagiÀ.cofagia\ f.tfiion
ejfendo.&nonejjendo. \.\6 efftndo.^ effendo. 9-*.& *£afide.& alle
fedi. 113 4.U dell altra pan*. Et dall'altra parte. 1 . Quefìe.
Quelle. tg*no.congiungam. DELLA RETORICA D'ARISTOTE
L.L::^ aTheodettc, TRADOTTA IN LINGVA VOLGARE Da P., dell'utilità
della Teorica : & delld Jò- mivltanz^a creila tien con la 'Dialettica
. a A retorica hà gran conucnien ria > & corrifpondentia
con la Dialettica; per- cioche coli l'vna, come l'altra per vna ccr ta
forte di vie procede, lequali fono in vn certo modo alla cognicione
commune- mente di tutti gli rinomini accommoda- re ; & non dentro
a termini d'alcuna par- ticolare fcientia, riftrette, &
determina- 3 te. 3c per quello lì vede, che tutti in vna certa maniera,
d'am- 4" bedue quelle facilità partecipano, & fon capaci :
vedendo noi, che niuno è, che fin'ad vn certo termine non fi metta a
impu- gnare le ragioni altrui, Se a foAener le fue;& parimente a
di- fenderli, & ad accufare, ogni volta, che gliene vien
bifogno. j & nella moltitudine di chi fa quello, alcuni fono, che
feonfi- deratamente, & inettamente lo fanno, & quafi àcafo, &
altfi A per 2 Della Storica d' Aristotele per il contrario lo
Tanno più ordinatamente, Se quali per habi- ( ro;dal'vfo, &
dall'edercitatione acquiftato. Vedendoli dun- que nell'vn modo , &
nell'altro far quello , chiara cofa è , che polli bil cofa
fiad'inuefligare,& veder come ciò con via, Se con ordin fi debba fare
: potendoli cercare, & trouar la cagione,on- dc fia, che confeguifean
parlando l'intento loro, cofi quelli, ch'in ftrutri dall'euercitation
procedono , come quelli, che pu- ramente a cafo . Se cofi fatta
inueftigatione, Se olTèruatione, no farà alcuno, che non confelTi efferc
opera, &offitio d'arte. 7 Di quell'arte del dire adunque,coloro, che
fin'a qui n'han trat- tato, Se comporto libri, vna picciola, Se breuc
parte n'han toc- S co . Conciofia cofa che clfendo il prouare, e 1 far
fede, l'cfien- tia& lafoilantiadi quell'arre, Se tutte l'altre cole, che
le ftan d attorno, accidenti, & aggiunti di quella ; eglino de gli
Enthi- memi, Se degli argomenti che fon'il corpo fodo della fede,
che s'hà da fare, non dican nulla : Se di quelli accidenti, che
fon fuora della foftantia, Se del negotio Hello, lungamente
parlino, 9 Se molte cofe trattino . L'affetto di calumniare , Se la
compaf- fione, & l ira , Se V altre* cofi fatte palfioni dell'anima,
non ri- guardan la caufa, che s'hà da trattare, ne toccan
propriamente la cofa ltclfa,ma folo han riguardo a commouer, lìorcere Se
in- 10 terellàrc il giudice . La onde fe in rutti i fori, &giudirij
auue- niile, fi come in alcune Città , fin'ancora in quello tempo
adi- uiene ; Se fpctialmente in quelle, che ben goucrnate,&:
ammi- nilìrate fono; certamente nulla harrebber, che dir quelli tali, 1
1 Conciolìacofa che nelfun fia, che non giudichicene farebbe co- fa
ragioneuolmente ratta ìlprouedere, Se prohibir con leggi, chenon s'vfcille
parlando maifuordei meriti della llelTà cau- fa. Et alcuni fono, che di
più, cotai leggi, non folo con l'opi- nione, ma con l'olleriiantia, Se con
l'vfo appruouano : come fra gli altri fan quelli, che rifeggono,&
giudicano nel configlio dell'Ariopago . Et tutto quello drittamente è
lìato confidcrato, li Se con gran ragione . Pofciache non comi iene
llorcere, o pie- gare dal dritto il giudice con tirarlo, Se inchinarlo ad
ira, oa inuidia, o a compadrone, non cllendo altro quali il far quello
, che s'alcuno, c'haueifea feruirfi perla drittezza, dell'opera
fua d'vna regola, o d vna fquadra, cercaiTe prima di dillorcerla,
ór x 5 d'incoruarla • Oltra di quello è cofa molto manifella nó
elfere altro 77 Primo libro . j altro l'offiriodi colui, che
litiga, Se agita in giuditio la caufa Tua, fc non prouarc, Se moftrar che
la cofa di cui fi tratta, & che cade in controuerfia, fia veramente, o
non fia, over che 1a fia 4 ftata fatta, o non (la (tata fatta . Ma ch'ella
fia o grande, o pic- cola, o giuda, o ingiufta, in tutto quello, che di
ciò non fia fla- to nella legge del Legiflatorcefplicato , & detcrminato
, appar- tiene al giudice ftclTo, di conofcere,& di difeernerper fc
mede- fimo, & non d'odirlo, o impararlo da gli Oratori , cheaj»itan
la j controucrfia,& la caufa loro. Si dee dunque (limare
cola molto vtilc, Se conucneuolc , che nelle ben porte, & prudente- mente
ftaruitc leggi , fi truoui refoluto , decifo, Se determinato quel più,che
fi può delle cofe, Sede i cafi, ch'occorrer poflbno: li che a coloro,c'han
poi da giudicare con le lor fententic, man- f co a determinar ne re(b,che
fia poflibilc. Et ciò primieramen- te, perche più facil cofa e di trouarc
vn folo,o pochi, che molti, li quali fieno di buon fentimento, Se di buon
giuditio, Se che fica atti a formar leggi, Se a difeerner la ragione, c i
giudo . 7 Di poi le formationi, Se le con ftitutioni delle leggi, con la
ma- tura confideratione,& pelato difeorfo di molto tempo fi
pollb- no , Se Ci foglion fare : doue che il giudicare, Se fenrentiar de
i giudici, fifa quali di fubito, Se ali 'improuifla . Onde
dimcil cofa è, che coloro , c handa fencentiare, Se da giudicare,
pof- fan per la breuità del tempo , il giudo, Se l'vtile drittamente
co- 8 gnofeere, Se difpenfare . Ma quel, ch'importa più di tutte
l'al- tre ragioni, è, ch'il giuditio del Lcgiflatorc nel formarle fue
leg- gi non riguarda le perfone in particolare,^ quelle, che fon
prc lenti nel tempo fuo ; ma le riguarda come lontane ne' tempi, che
deon venire , Se come in vniuerfale contenute ne* gener lo- 9 ro. Doue
ch'i Configlieri nelle lor confultc, &i giudici nelle lor fententic,
comedi perfone già prefenti, Se ne' lor panico* 0 lari determinate, ne
difeorrono , Se ne dan giuditio : Con le- quali afiài fpefib gli fuol
congiugnere, Se invìi certo modo in- tcrefiàre o amore , o odio , o vtil
proprio : in guiia che per tal cagione non pollo n con dritto, Se libero
occhio difeernerc, Se vedere il vero; ma rende lor l'intelletto offufeato,
ci giuditio ofeurato l'ombra , odcl proprio diletto, o della propria
molc- 1 ftialoro. Fa dibifogno adunque ( com'ho già detto) di
lafciar minor parte , che fia poflìbilc > dell'altre cofe in arbitrio ,
Se in A ij poter del giudice, & folu il carico di vedere, &
determinare fé la cola fia,o nó fia,c neceilàrio di lalciare alla
cognition de" giudi- ci:non ellendo pofTibile,che cofi fatte noti
tie,& coli fatte cofe, il il Lcgiflator tanto innanzi antiuegga.
Eifèndo adunque quan- t ho detto veriffirao , può da quello clfer
beniflimo manifefto, che cofe fuor de meriti della caula toccan nell'arte,
che danno 6c trattan coloro, li quali altre cofe fuor di quelle, che pur
ho- ra ho dette, infegnano, & difhnifcono ; umiliando (com a
di- re) & determinando che cola habbianccellariamcnte da
conte- nerli nel proemio, o nella narratone, de in ciafeheduna
dell'al- tre parti dell oratione. perciochc nient'altro in inoltrar
cotai cofe fanno, fe non cercar come polfano formare,
rralmutare,& 13 porre qualche qualità nel giudice. Di quelle cofe poi,
ch'alio artifìcio di prouarc, tk far fede appartengono , cioè donde
pof- fadiucnirl huomo Enihimematico, & bene inftrutto in argo- 14
menta re, non infegnan, ne moltran nulla. Et di qui parimen- te nafee, che
abbracciando, & contenendo quella ftellaarte, 6c via, coli le caufe
concionali» & con luh.u me , come lclirigiofc, & giudiciali, Se
ellendo oltraciòpiu nobile, traile Città più vtile, & neceilàrio il
negotio delle confili re, che quel delle par- ticolari con uent ioni, eh
in giudi tio vengono i di quello nondi- meno rutti coloro , che di queft
arte trattano, non dicon nulla ; Se del negotio giudiciale dicon molto
> & fanno ogni s forzo di ir -darne l'arte. Et quello non per altro
adiuiene, fe non perche -manco hà luogo, Se men vien à bifogno nelle
catife , & ne' ma- neqgi coniu] tati ui , overdelibcratitii, il parlar
fuor de' meri ri .della caula, che non auuien ne' giudiciali, ik di manco
corrot- tone cV inganno è capace il trattar caufe dinanzi
aConfiglieri, che nel foro dinanzi a' Giudici; come che il far quello fia
cofa più communc, toccando non Ibi chi parla , ma chi afcolta an- %6
cora. Polciache le cole, che quiui fi dicono fon daquei,ch'afc coltano
odire » ponderate, & giudicate come proprie loro. Onde nient'altro a
chi quiui conliglia con la tentenna fua fa di melìier di fare, fenon mo
Arare, & prouarc che la cofa verame- 28 te lia, qual intendcegli di
peiluaderla . Ma nelle controuerfie, & caule giudiciali non balta, ne
è lol'vtil quello, potendo haucr luogo & recar giouamento in ette il
cercar di poifedere, &ti- 29 rar dal fuo gli lìefli afcoltatori :
pofeiache di cole, non lor pro- prie, Jl Primo libro . prie, ma
ch'ad altri toccano , hanno cglinda far giudirio . La onde ponendo eglin
la loro attentione , & cófideratione à cofa, che non loro fteftì, ma i
litiganti tocca, &c in gratia,& diletto di eflì afcoltandogli ;
più tofto concedono alle lor domande, le 30 (Ielle fententiein dono, che
veramente giudichino. Perlaqual cofa in molti luoghi (com'hò già prima
detto) fi truoua prohi- bito per leggi l'vlcir punto parlando, fuoi dei
meriti della cau- 3 1 fa, di cui li tratta. Ma nelle caufe deliberatine
gli Aedi giudici di quelle, per lormedcfimi fenzvuopo d'altra legge, (on
ba- 31 ftantiflimi ad olleruarlo. Hor eflèndo caufagià manifefta,
che quefta ordinata, & (per dir così) methodica arte, di cui
ragio- niamo, intorno al prouare, & far fede principalmente còltile
; nó ellendo altro le fedi, 6c le pruoue,che
demoftrationi,ouero argomentationi; pofeiache alhor principalmente diam
fedcVid vna cofa, quando flimiamo, che la fin. con argomento ben
di' inoltrata-, elfendo oltra ciò l'enthimcma non altro, ch'vna
re- 33 torica demoftrationc, come quello, che (per dir'in vna
parola) di ogni altra pruoua, & fede retorica, è princi paliamo ; ne
fc- 34 gue da quello, ch'eficndo ancoragli fillogifmo, Se
appartenen- do alla Dialettica, o ad ellà tutta,o a parte d'elIà,d'ogni
fillogif- 3 j mo trattare, & confiderare; può elfcr per quello
manifclto , che colui, che grandemente farà habile,& inftrutto a faper
ben conofeerdi quai propofitioni, ÒVin che maniera fi componga, &
fabrichi il fillogifmo ; egli ancora grandemente enthime- matico, cioè
argomentator retorico, fi potrà (limare: Tea que- lla notitia saggi ugnerà
parimente il fapcre intorno a qual for- te di materie li fo: mino gli
enthimemi, & con quai dirlercntic fien dipinti, & diuerfida i
logicali , Se dialettici lìllogifmi, ^4 3 6 conciofiacofa che il
conofcer'il vero, Se il fimi l'ai vero, da vna 37 medefima forza, Se
potentia, Se virtù dependa, oltra ch'ai vera ftellb, & alla notitia
d'erto, par che gli huomini aliai foffitien- temente dalla natura formati,
ÓV inclinati nafeano; Se nel piò delle cofe la verità, fc punto lor fi
difeuopre, riconofeano, Óc aifeguifeano . Onde chiunque farà habilc, o pu
oro inftrutto z coniettu rare, &vcdcr'il vero; quel medefimofarà
fimilmente 38 tale verfodel probabile, & fomigliantcal vero . Già può
dun- que per quel, che fi è detto, clfer manjfefto come gli altri,
che han trattato di quell'arte» habbian tocco folo quelle cofe,
che fon f c De11a r R^tprica d ' j4riftotelc^j fon fuora della
foftantia, & della cofa fletta ; Se per qual cagìort fi fieno piegati,
& inclinati con li ferirti loro verfo l gencr delle 39 caule
giudiciali, più rofto ch'ad altro genere. Quanto all'vtilità 40 poi,
gioueuole, Se ville quefta arte della Retorica; primiera- mente perche
elTcndo le cofe vere, & le giufte molto più de- gne, & più
eligibili per lor natura, che le lor contrarie ; non è duhio, che le i
giuditij, & le determinationi delle caufe non fi facetter per il
mancar di queiVartc fecondo che conuenillcr di farli ; non fullc
necettario pericolo, ch'il vero, e 1 giufto non fufler conculcati, &
vinti da i lor cótrari): & ciò veraméte faria 41 degno di biafmo,
&di riprenfione . Oltra di quello appretto di alcuni, fe ben'haueffimo
efquifitillima feientia d'alcuna co- fa, non per quello ci faria facile di
perfuaderla,& farla creder 41 loro con vie, Se ragioni da quella
feientia prefe. per ciò che ef- fendo il parlare feientifìco accora
modato, Se proportionato a trattare, Se a infegnar dottrine, importi bil
cofa faria con elio il perfuadcr a quelli : ellendo necettario, che le
fedi, Se i parlari, che fi fan loro, procedano, non per vie lcicn litiche,
ma popola- ri^ comuni ; li come nella Topica habbiam detto, nel
inoltrar 43 come s'habbia con la moltitudin parlando à procedere.
Ap- pretto di quello fà di mefticri d cttcr'habilc à poter
perfuader l'vna cofa contraria, & l'altra ; fi come auuicn anche ne i
dialct- 44 tici fillogifmi. Se ciò non perche l'vna cofa Se l'altra fia
ben di fare, non douendofi perfuadcr già mai le cofe inique ; ma
per- che non ci fia nafeofto come quefto fi foglia, o fi potta fare :
Se accioche vfando altri fuora del gin ito coli fatti parlari contra
di noi, potiamo noi elfer'atti, Se inftrutti adifciorgli, Se a
oppor- 4 $ ci lor'incontra. Et di tutte l'altre arti, Se facultà, nettuna
e, che fia più potente ad argomentar, Se a concluder con (ìllogifmo 1
vn contrario, Se l'altro; fe non fole la Dialettica, Se la Retori- ca:
come quelle, ch'ambedue, quanto à loro, l'vn contrario, 46 Se l'altro
vgualmente riguardano, quantunque le Itelle cofe co- trarie, che come
materie, & foggetti s'offerifeon loro, non v- gualmente trattabili, Se
fillogizabili in lor natura fieno; ma icmprcle vere, Se le migliori fien
naturalmente nell'ettcr loro, più facilmente, & più ragioncuolmente
fillogizabili, & per la maggior parte maggiormente perfuafibili, Se habili
a trouar fe- 47 de. A quello s'aggiugne, che le gli è cofa ali huomo
vergogno- fa, Se Jl Primo libro . 7 fa, & brutta (come
veramente c) il non elTer potere ad aiurarfì, Se difenderà* con le forze
del corpo Aio, contra di chi fé gli op- pone j fuor di ragione è, che no
gli debba recar'ancor macchia f Se vergogna il non poterlo far con la
lingua, Se con la fauella ancora : & maggiormente elTendo l'vfo di
quella, molto a lui più proprio, che l'vfo della corporal gagliardia non
farà mai. 8 Et fc ben'importantiflìmi nocumenti può recar con queft
arte, &c con quelli facultà di dir, colui, ch'in fauor delle cofe
inique ingiuftamente fe ne fcrue,& la pone invfojquefto
pericolo nondimeno è comune, non folo a tutte le cofe, quantunque vtili,
Se buone, fuor ch'alia virtù ; ma aquellc maflìmamente, che di maggior
vtilità,& profitto fono, fi come fono la gagliar- 5? dia, la fanità,
le ricchezze, le dignità militari ; pofeia che col mezzo di sì fatte cofe
grandifllmi giouamenri potrà recar qua- lunque giuitamente, &
drittamente fenc fcrui, Se importane un'imi danni per il contrario,
chiunque in fauor dcll'ingiulti» 0 ria, contra di quel, che conuenga, le
ponga in vfo. Può già du» que per quel, che fi e detto, eiler manifefto ,
che la retorica non lì truoui obligata, Se riftretta ad alcun gcnerdi
materia li- mitato, Se determinato, Se che per confeguente in quello
ven- ga ad elTer limile alla Dialettica : Se che la fìa ancor' vtile, Se
di- 1 letteuole. Se parimente da quel, che fi è detto, lì può
dedurre, che l'opera, Se l'offitio fuo ha, non il perfuadcre, ma il
potere, Se faper trottare, Se vedere intorno à ciafehedun fu ggetto,
quel- le cofe, ch'effer pongono accomodare, Se vtili à pcrfuadcrlo : 1
fi come parimente in tutte le altri arti, & facilità cómunemen- 3
teaduicne. nercioche l'officio dell'arte della Medicina (per ef. fempio)
non e lintrodurre effettualmente la fanità; ma il faper tanto oltra à
punto curando, Se medicando procedere ; quanto conuicne, & ricerca 1
in firmità, Se la ragion dell'arre . potendo molto bcn'allc volte
accadere, che alcun non polla di qualche fua infirmi cà venir mai fano, ò
tornar mai libero : il qual non- dimeno beniflimo fecondo che richiede 1
arre, curare, & medi- 4 car fi polla. Oltra le dette cofepuò ancor da
quel, che li è detto dedurli per manifefto,che non lolo fia offitio di
quefta arte del- la retorica il faper veder le cofe veramente pcrfuaiìuc,
cioè atte a perfuadcre j ma alla medelìma appartenga di conoicerc
,Sedi confidcrarc ancora quelle, che le non veramente pcrfuafiue,
al men fono apparentemente tali : fi come parimente alla dialett
i- ca fi ricerca d hauer noti tia, non folo del vero fillogilmo>ma a
n- j j cor dell'apparente. Pcrciochcil Sofifta , non nell'arte, Se
nella habilità confide di fapcrconofcere,& vfareil fa ilo, ma più
tolto 56 ncll elettione»& nel volere viario, di maniera che in quello
dif- f I-i iicc dalla dialettica la re tori cacche in quelli coli colui
che dea la notitia , Se 1 arredi faper vfa re apparenti > Se non.
legittime ar- gomentationi , Se non le vuole vi. ne, fi domanda retore ,
come ancor qucll altro, ch'elegge, Se tien propofitodi volerlo
fare, doue che nella dialettica per il contrario s hanno diuifo i nomi
: pofeiache colui, ch'elegge di far quello, non dialettico, ma
fori- ila fi domanda; Se dialettico dall'altra parte fi chiama quello, eh
e 57 ha folo la facilità , la cognitione, c i poter di farlo»: Ma a
quella arte, di cui parliamo, venendo hormai,procuriamo,cV:
facciam forza di dimoftrare in qual maniera , Se con l'aiuto di quai
cole, fiam per poter confeguire, Se efeguire in elfa il fine , Se
l'offitio fuo,che lon le cofe,c habbiam propofte. Sarà ben fatto
adùque, che quafi nuouo principio facendo , aflegnata prima ladiffini- tion
di quell'arce, Se cfplicato, che cofa ella fia,quindi à dichia- rar
l'altre cofe, che feguiranno, di mano in man crapafllamo. (apo 2. Della
diffnition della r Rgtorica 3 de i modi di prouare, dell' Gnthirnema,
deWef /empio j de i Veri/imi li , de tftgrìu & di 'va- rie Jpecie
di Jègni, & d'Snthimemi . Oni am dunque per hora efier la Retorica vna
fa- cultà, mediante laquale fi pofià intorno a qual fi voglia
foggetto, che fe le proponga, trouarc, Se veder tutto quello , ch'occorrer
polla accom «io- dato , Se vtile àperfuaderlo , come che il far
que- llo di nefluna altra arre fia ofntio , Se opera, che di quella fola
. 1 impercioche ciafeheduna dell'altre facilità d intorno à
determi- nato foggetto, Se materia appropriata ad ellà, và
infegnando,3c facendo le pruoue , Se le fedi fue . come fi ( per elfcmpio
) l'arte della medicina intorno alla l'ani ti, de ali infermi tà de i
corpi ; Se la Geo- Jl Primo libro . ^ la Geometria intorno a i
propri j accideti della quantità, ©Gl'A- ritmetica intorno a i numeri,
& il fìmil difeorrendo per l'altre arti,& feientie tutte.Mala
retorica, qual fi voglia (ftò per dire) mareria,& foggctto,che le
fiapropofto innanzi, paiec'habbia a poteri nueftigai e, Se conofeer ciò
che polla pervaderlo, Se far ne fede. Se per quello è Irato da noi decto
non hauere ella la for- za, Se l'artefitto Tuo d intorno ad alcun proprio
gener limitato, Se detcrminato. Hor quanto alle perfualìoni, Se alla fede,
alcu- ne d'elle fon priued'artifirio, Se altre artifitiofe fono. Spogliate d'artificio
intendo io elfer tutttc quelle, chenó pernoftra ope- ra, Se difeorfo
ritrouiamo, Se ci procacciamo ; ma comcche'n elfer già prima fieno difuora
ci fon porte innanzi : come fono (per ellcmpio) i teftimoni, le torture,
le fcritturc, Se fimili. Ar- tifitiofe poi intendo io eller tutte quelle,
le quali con arte, & con ragione, ftà in poter noftro d'
inueftigare,& di procaccia- re. Onde l'vne fa di mcftieri,>non che
le immaginiamo di nuo- uo, Se crolliamo, ma che trouate, Se porteci
innanzi, le lappia- mo vfare; Se l'altre, cioè l'arti ficiofe han di
bifogno d'cflcr da noi cercare, Se formate. Hor di quefte arti ficiofe
perfualìoni, & fedi, che con arte, Se con via di ragione fi truouano,
Se lì gua- 0 dagnano, tre forti, onero fpetie fi truouano. alcune fono,
che cófifton nelcoftume, Se credito di colui, che parla : alcune
altre fon porte in difporre, muouerc, Se arfettionarc in vn certo
mo- do colui, chalcolta : Se altre finalmente fono ,chc
ncll'ora- tione, & nel parlare ftellb confiftono ; mentre che con la
forza di quelle, fi pruoua, ex fi mortra l'intéto ; ò almen fi fa
apparire, 1 che fi moftri. Per cagion del coftume adunque la
perfuafionc, & la fede, che da elfo depende, allhor shà da ftimar,
ch'ella ac- cafehi , quando in maniera farà formata , Se detta l'oratione, ch'ella
fia habileàfar'apparir il dicitor degno di fede, cVa dar 1 1 credito alle
fue parole, concio fia cofa che alle persone tenute da noi virtuose, Se da
bene, maggiormente, & più agcuolmente fogliamo credere, Se preftar
fede, & quefto generalmente in tutte le cofe : ma principalmcte,&
fenza alcun dubbio in quel- le, nelle quali nò appare in lor natura cofi
efatto, òvinanifertoil vero j Se per confeguente nell'vna, Se nell'altra
parte polfon ge- 13 nerar opinion di loro. Et cosi fatto coftume, &
buona opinio- ne, che s'habbia di buone qualità dell oratore, fa dj
merticri, B ch'acca- i o ch'accafchi , Se nafca Colo dalla
forza della ftefla oratione; Se Scnon perche giàs'habbia prima quefta
fama, & quefta opi- 4 niondilui. perciò che fi come fi vede in
alcuni,ch'hanno ; ci ir- to di quell'arte, non hanno in ella porto la
buona opinion, che a' riabbia da guadagnar con erta colui, che parla
squali che coli fatta opinione, Se cortame poco importi alla pcrluafione,
ma nel vero quali p ri nei pallili mo, Se propriiiTimo luogo
ricnil ir coftume in acquiftar'alle parole fede. Dalla parte poi de gli
a- fcoltatori la perfuafione, Se la fede, che per cagion d'erti ha
da nafeere, alhora s'hà da inrender che l adiuenga, quando
dalla forza dcli'oratione, a qualche paflìone & affetto d'animo fon itf
morti ,& tirati, conciofiacofa che, non nella medefima gitila logliam
noi giudicare, fentcn tiare, o fiumare le fteffe cofe, qua- do lipieni di
moleftia, & quando lieti fiamo,- ouer quando a- 17 inumo, & quando
odiamo. Et in quefta fola maniera di per- vadere hauiam detto difopra
haucr folamente me ilo ftudio,& tentato di trattar coloro, che fin
hoggidì di quell'arre hanno Tcricto • Ma di tutte quelle cofe, che quefta
maniera di pcrrfua- fion riguardano rratraremo, Se daremo didimamente
cniarez*- 1 8 za, quando delle paftioni dell anima ragioneremo. Per
cagion della ftefìa oration finalmente, Se delle fteftc ragioni, alhora
li trouerà, & s'acquifteià fede» quando in ciafehedun
fo^getto, che ci verrà dinanzi, da tutte quelle cofe, che poflon eller
per- fuafiue d'elio, o il vero ftcflb, o l'apparente vero
concludere- te mo,& dimonftreremo. Venendo adunque Tartificiofa
perfua- fione, Se la fede da quefte tre cagioni, c'hauiam dette,
manife- fta cofa e, che fa di melh'eri, di iapere, Se di polfedcr quefte
tre cofe, cioè habilità, Se notitia di lyllogizare , cognitione
intor- no ai coftumi, & alle virtù dell'Intorno, & nel terzo luogo
fi- nalmente noritia intorno a gli affetti humani, conofeendo
che cofi fia ciafehedun d'erti, Se qual proprietà egli habbia, Se
do- lo de fi cititi, Se fi produca, Se in qual maniera . Per la qual
colà par, che fi porta dire, che la retorica fia quafi vn germoglio
tn- iteme della Dialettica, & di quella faculrà,chc dei coftumi trat ta,la
quale non fenza ragione fi può politica, ouer ciuildoman- X 1 dare. Onde
auuiene, che la retorica, Se con ella quelli, che pre- fumon di
poffcdcrla, foglion per quefto vfurpare in vn certo modo, Se veftir
l'habito d'eflà /acuità ciuile ; parte per imperi- tu, Se Jl Primo libro
. 1 / tia, Se per ignorantia, parte per arroganza, Se parte per
altre 11 caufe> che poflbn far'errarcrhuomo. cliendo nódimen la
reto- rica vna particella della dialettica, Se (come fu dal principio
det- 15 to) quauvn ritratto fimilc, Se fipruoui, ouer fi faccia apparentia
di dimo- ftrare, Se prouare, l'vna è, fi com'ancor nella Dialettica,
l'in- duttione, Se l'altra il fillogifmo : chiamando io
l'enthimema, t$ retorico fillogifmo, Se retorica induttione, l'cflèmpio.
Se tutti color, che vogliono prouando, Se dimoftrando far fede,
ocf- fempi adducono, o Enthimemi,& fuordi queftedue, altra
co- lf» fa, ai cui in ciò fiferuin, non hanno. La ondeeflendo
general- mente vero, che volendo chi fi fia in qual fi voglia modo,
qual fi voglia cofà prouare, è neceflàrio, che vfàndo o fillogifmo,
o induttion lo faccia, come appar manifeflo per quello, che det- to
hauiamo ne i libri refolutorij, fa per quella ragion di meftie- ri, che
quelle due cofe, ciocl Enthimcma, &i*ciIèmpio,à que- ft'altredue, cioè
al fillogifmo, Se all'induttionc, rifpondino in modo, che l'vna, con
l'vna, Se l'altra con l'altra, fìcn quafi vna 17 ftefla cofa. Qual fia poi
la dirTcrcnria tra l'eUèmpio, Se l'enthi- mema, facilmente per quel, che
fi c dichiarato nella Topica, può cfTer chiaro : eifcndofi quiui del
fillogifmo, Se dell indut- 18 rione a pien ragionato, douefù detto, che
quando in più cofe irà di lor fimili fi moftra trouarfi il medefimo di
quello, che prouar intendiamo j allhor il far quefto fi dee quiui, cioè
nella dialettica, ftimar'induttione, Se ani, cioè nella retorica,
ellèra- 15 pio. Et dell'altra parte, quando fuppofto in eficr alcune
cole» fi moftra, che qualch'altra cofa diuerfa da quelle col mezzo
lo- ro, o comunemente, o per il più per lor cagione adiuenga, Se confegua
; alhora vncoli fatto progreflo, nella dialetti cachia- mar U dee
fillogifmo, Se in quell'arte del dire, enthimcma. Ed è cofa manifefta che
l'vno, & l'altro di qnefti comodi, Se di quelli aiati ; cioè l'vna,
& l'altra maniera d'argomentare, riab- bia in vn certo modo vna Aia
propria fpetic di retorica : pofeia- che fi come e detto ne i libri, doue
con ragione, ordine, & via fi e trattato di quefto, così in quelli al
prelente affermiamo au- 1 uenir' il medelimo : trouandofi tra le maniere
de i parlari oia- torij, alcune eflcmplificatiue, come che delfcmpi per la
mag- gior parte abbondino; Se altre enthimematiche, come che per il 1
più d enthimemi iìen piene. Se quanto alla perfuafibilicà non manco fon
habili a far fede quelle orationi, che eircmplificati- ue fono ; ma ben
fon più impetuofe, Se con maggior veheme- tia commuouono renthimematiche.
Ma qual di tutto quefto fia la cagione, Se in qual maniera l'vnc, Se
l'altre s'habbian da trattare, Se vfare, più oltra al proprio fuo luogo
dichiareremo. 3 & al prefente della natura, Se delVcfler loro alquanto
più al vi- llo penetrando, diftintamente ragioneremo, &
determinere- 4 mo. Dico adunque che elfendo necelìario, che la cofa
perfuafi- c bile, ad alcuno habbia da eifer nerfuafibilc,& frollandoli
qual- che perfuafibilc, che per fc ftcno fubito, che gli è odiro,cosi
fat to appare, Se altro, che ha bifogno per apparir tale, d
cllcrdi- 6 dotto da altri per loro ftclTì perfualibili, Se olerà ciò non
tro- uandofi alcuna arte, che tratti, Se habbia in confidcration
gli diuidui, e i particolari, o fingolari, che gli vogliam chiamare
: non confiderando l'arte (per eflempio) della medicina, che co- fa
polla render fano Socrate, o Calfia ; ma quello, ch'a vn tale, oa vn tale,
cosi, o così difpofto polla fanità recare : pofeiache che'n far quefto può
hauer luogo l'arte,douc che per eller'i fin- golari infiniti, cader non
pollon fott'arte, o feientia alcuna, 7 ne feguc da tutto quefto, che la
retorica parimente non habbia da riguardare, o in cófideratione hauere
quei perfuafibili, che aquefta, o a quella perfona (ingoiare, com a dir a
Socrate,oad Hippia, polTàn parer tali : ma fedamente quelli, che a quella,
o a quella forte di perfone cosi, o così difpofte, Se nel tale, o
nel 8 tal modo qualificate, poftàn recar fede, Se perfuafione ; come parimente
auuicn nella dialetica. percioche ancor ella non ac- coglie ne i fuoi
lìllogifmi tutto quello, che lenza lecita alcuna polla parer probabilea
chi fi voglia: pofeiache a gliftolti, Se 5 forfenaati pollon anche molte
cofe parer probabili . ma da quelle Jl Primo libro . 3l rj 3
nelle cofe guida ella i Tuoi argomenti, che da forza d'arte, Se a ragion
dependono, doue che la retorica da quelle, guida, Se diducei Tuoi, le
quali giafon'vfate cader fotto configlio h uma- no, percioche 1 vfo Tuo Uà
porto fpctialmente dattorno a quelle cofe, nelle quali vfiamo l'clcttione,
el configlio noftro, & di cui arte alcuna detetminata non hauiamo : Se
appretto d'vna certa forte d afcoltatori fi esercita, Se fi pone in vio,
liquali no fon' habili, ò in (brutti a poter pervia di molte cofe, Se di
lun- ghi difeorfi, Se ragioni comprendere, & capir le cofe, che
ficn 40 lor porte innanzi, ne a difcorrerle molto eia lontano. Et è
po- lla l clettione, e l configlio noftro intorno a quelle cofe,
ch'a 41 noi paia, che poltan auuenire, Se non auuenire.
pofeiachedi quelle, che fon'impoffibili oa farfi, oad eflerc, oad
accalcar* altrimenti di quel, che fieno, ninno farà già mai, che (e per
ta- li le Itima, Se le giudica, s'aftatighi in configliarfcne : non po- tendofenc
determinar niente più con configlio,ch'a quella ftef- fa parte, Se in
quello fteflb modo, chcneceflàriamentc adiuen- 41 gono. Hor'egli accade
nel fillogizarc, Se concluder che fi fan le cofe, ch'alle volte fi
fillogizino, Se Ci diducano da altre propo fitioni già fillogizate, Se
conclufe prima, Se alle volte da propo- fitioni non prouate, ne
fillogizate, & nondimeno per non ef- 43 fer in loro ftelfe probabili,
bifognufe di fiUogifmo. Diquefti due modi di procedere è neceflario in
quell'arte, ch'il primo no polla per cagion della fua lunghezza eflcr da
chi afcolta ben'in- tefo, Se feguito con l'apprenfionc j fupponendo noi
gli afcolta- tori non periti, Se più torto di femplice, che d acuto
intelletto. 44 Et l'altro modo c forza, che poca perfuafion porti fcco,non
na- feendo da propofitioni già co n celle, Se prouate, ne
parimente 45 probabili per fe medefime . Per la qual cofa fa di meitieri,
che coli l'cnthimema, come TelTempio contenga propofitionc per il più
contingenti, Se tali in fomma,che pollàn' ancor vcrificarfi dall'altra
parte, Se cflcr'altrimenti di quel, che fono . conue- nendo l'elfempio con
l'induttionc, Se col fillogifmo l'enthime- 46 ma. ilqual di poche
propofitioni fi contenta, Se fpefie volte di manco, Se di più raccolte,
che nell'intiero fuo fillogifmo non 47 conterrebbe. Imperciò che fe a
forte alcuna d'effe fi truoua efler a chi fi parla nota, non fa di bi
fogno, che vi s'efprima, poten- do colui, eh' afcolta fupplirla nel
concetto, Se nell'animo fuo, Se aggiu- / 4- Velia r R(torica d*
Jrìflotelc^ 4S &aggiugnerla per fc medefimo. come (per eflempio)
fcvolef-» fimo prouar, ch'il tale di narion Dorico ila flato quello,
chab- bia in publico, & folenne giuoco, & contefa, confeguico
vit- toria, a cui fi debba premio di corona, potrà ballar il dire, che fìa
flato vittoriofo nella pugna Olimpica: ne fa dibifogno ag- giugnerui, che
alla vittoria Olimpica iia douuto premio m coio 4P na, cflèndo ciò noto a
tutti. Hor perche tra le propofirionijdel- le quali fi compongono, &
fi formano i retorici fillo^ifmi, po- che fc ne truouan necellàric, come
ch'il più delie cofe, intorno alle quali confiftono i giuditij, & le
confiderationi, & confia- te humane fien tali, che variar potfono
l'eircr loro, & altrimen- ti eflex di quel, che fono : pofeiache di
quelle cofe accade a gli huomini giudicare, difeorrere, Se configliarfi,
nelle quali con- fifton le lor'attioni,nè d'altra forte fon lelor attioni
, che di auella,c'hauiameià detto; nefluna (per modo di dire)
cllcndo jo d elle , c'habbia (eco neceflltà : ne fegue da tutto quello ,
che non potendo quelle cofe, che per il più, & non
nccellàriamen- tc adiuengono, Se che contingenti fono, fyllogizarlì,&
conclu- derli, fe non per il mezzo di propofitioni limili a loro j ne
an- cor le propofitioni necelTarie, fc non per il mezzo d'altre
pari- mente necefiàri e, come può chiaramente apparir per quel,
che 51 fi è detto nei libri refolutori; ; può da tutto quello
eflèrmanife- flo, che le cofe, donde s'han da formar gli enthimemi,
alcune fon, checontengon necefiìtà, ma molte più fon quelle, che
fo- 51 lamente per il più fon vere, Se perla maggior parte .
Etperche gli enthimemi s'han da comporre di quelle due cofe, cioè di
fe- gni, & di verifimili, ne fegue che formandoli eglino (cora
llo detto) di cofe necellàric, Se molto più di contingenti, fia di
me- ftieri, che quelle due cofe, cioè i verifimili, e i fegni, a
quell'al- tre due, cioè alle contingenti, Se alle neccllìrie
rifpondanoin guifa, che l'vna di quelle contenga co fa, che fiavna della
con Fvna dell'altre, Se l'alrta parimente fia vna ftellà con l'altra,
Se 5$ cofi è veramente, pcrciochc vetifimile è quello, eh il più
delle ohe fuorauuenirc. ma non già vniuerfalmenre è vcro,ch'ogni cofa
tale, fi poflà chiamar verifimilc, come lo diflìnifeono al- 54 cuni : ma
fcgli ricerca ancor d'eifer' in quelle cofe fole, le qua- li efiendo
contingenti, polTon variar l'eiler loro, & altrimenti accalcare, de
elTcr di quel, che fono, Se hà di più, da riguardare la cofa di cui gli e
verifimile, come l'vniuerfale, cioè vna cofa* che lì truoua in più,
riguarda il particolare, & vna cola, che fi ff truoua in meno. Quanto
a i (egni poi,vna forte ve nc,chequel rirpetto, & riguardo tiene alla
cola, di cui fon legni, che tien' vna cofa indiuidua, oucr (ingoiare,
all'vniuerlale. Vn altra for- te ve n e poi, che per il contrario riguarda
la cofa di cui gli e le- gno, come l'vniuerfale il particolare, o vogliam
dire come la co (à,chcintieramcnte,& communementeaccafca, riguardaquel- j
6 la, ch'adiuiene in parte. & de i fegni pure vna fpetic fi truoua
, che portando fecondo neceflìtà, fi domanda Temmirio,o certo 57
inditio, che lo vogliam chiamare. & vn'altra ve n'è poi, laqual non
porta fcco neceflìtà, Se proprio nome, che dall'altre fpetic di fegni la
diiliagoa* non tiene, ritenendo il commun nome di j8 SEGNO. E per cole,
che portin feco neceflìtà intendo io quelle, f»cr virtù delle quali il sillogismo,
che se ne forma diuiene (labi- e, 6c fermo, 6c per quefto e domandato
Tcmmirio vn coli lat- to feeno. concioliacofa che quando (limiamo, che la
cofa, che noi diciamo, & prouiamo, non fi pofla difeiogliere, o
mandar* a terra, allhora ci penfiamod'hauer formato il
Temm;rio,quafi che ben fondato, Se ben terminato, Se fermato lia 1
argomento 60 nolìro. pofeiache teemar, donde vien teemirio, vna cofa
(leflà con peras, cioè con termine, & fine, lignifica nella greca
lingua 6 1 antica . Tra i SEGNI, adunque, quello, eh alla cofa, di cui gli
e fegno, ha quel rifpetto, che ha vn particolare, ouer (ingoiare
al fuo vniucr(ale,può eflèr (per eflempio) in quelli guiia,
come fariafe alcun volendo prouar, che gl huomini faggi fien giudi, aflegnalfe
per fegno di quello, che Socrate era li uomo (aggio 61 infiemcmente,&
giullo. cosi fatto allègnamento adunque fi può domandar fegno, madcbol
molto, Se facilmente folubile, quantunque fufle vera la cofa, che fi
pighafle per fegno, come 6 } che mala forma contenga di filloeifmo. ma fc
alcun (per eflem- pio) allègn a (Te per fegno dell'eder infermo, 1 haucr
febbre, o per fegno ch'alcuna hauefle partorito, 1 hauer ella latte,
cofi fatti aflìgnamenti portanan fcco ncccflìtà.& fol quefìo tra l'al- tre
fpetic di fegni, fi può domandar temmirio, come quello, che (egli è vera
la cofa, ch'ei reca per fegno, fi dee (limar in(b- 6jf tubile,
ficimpoflìbilca mandarli a terra, quella fpcric di fegno poi, laqual
riguarda la cofa, di cui l'è fegno, come rvniuerfal riguarda /
izarc, o far cnthimema non fi può dattorno alle naturali. Se il nmil
fi 7 8 può difeorrendo per tutte l'altre materie affermare. Et di
queflc due forti d'enthimemi , quelli , che pur' hof habbiara
detti,, cioè li retorici, e idialctici, non pofion far parer l huom
perito più in vn generdi cofè,ch'in vn altro, ne tirarlo detroa i
confi- C ni d'alcnna facilità particolare, non guardando eflì,
coméco* JS> -ranni che fono, foggetto, o maceria limitata alcuna. Ma in
quel- li di queft altra ione , cioè ch'appropriati ad altra facilità
fi truouano, quanto migliore, & più diligente lecita faremo
delle propofiaoni, tanto più verremo in vn certo modo ad accodar- ci
a i termini, & a i confini d'altra (cicncia, dincria dalla
dialet- tica, & dalla retorica, pcrcioche leai principij diquella
acca- fcarftidurfi, apparirà chiaramente che ne alla dialettica, ne
al- la retorica a p parremmo ; ma a quell'arte, o feientia di cui
faran- 80 quei principi). Son la maggior parte degli enthimemi
diquel- Jc forme, Se propolìtiom formati, le quali fono 1 penali, Se
pro- prie di qualch arte, ofrientia particolare : Se per il contrario
in aliai minor numero fon quelli, che da communi proporzioni , Si Se
a nell'una facultà appropriate dependono. Per laqual cola fa- rà ben fatto,
che lì come fatto fi e nei libri Topici, coli pari- mente in quelli,
andiam dilu'ngucndo tràdiloro le forme deli luoghi degli enthimemi, donde
cflì s'han da trarre, & da pren- ci dere. Se per forme intendo io
propoluioni a quello, o a quel determinato genere appropriare. Se per
luoghi intendo io poi quelli, ch'ad ogni genere, Se ad ogni materia,
communi vgual- 8j mente fi truouano. Primieramente adunque diremo delle
for- me: ma prima che ciò facciamo, è bene, chevcggiamo,óc
co- nofeiamo i generi di quelYarte della retorica, acciò
checonofeiu to, Se diftinto c haremo quanti chefieno, potiam poi
allegna- rc, & moftrarc in cialccduno d elìì appartatamente, quali
fieno i lor propri; elementi, Se lclor proprie forme, Se propolitionù C
a P° 3* Qjtanti fieno li Cj eneri delle caufe o~ ratorie $ quale fi a
etafehedun d'efìitf de i propri} fini, £f dei propri] tempi loro. R e
fono in numero i Generi, o vogliam dir le - fpetie della Rcttorica,
pofeiache d allietante forti, Se maniere ancora fono gli afcoltatori del I
orario- ni, c ha ella da fabricare, conciolìacola che da tre cofe
dependa, oucr tre cole riguardi Toratione, cioè colutene parla,la cola,di
cui fi parla,& colui,acui fi parla, &acoftui Jl Primo libro .
r 9 &• a coftui oltra di quefto, cioè ali afcol tato re, (là
totalmente in- 3 drizzato il fine, & l'intention della fteila oradonc.
Se è forza, che colui, c ha dafcoltare, o fia puro intenditore, Se
afcolrato- re, ouer'oltraciò habbia fopra lccofe,ch'afcolta da
fententiare, & da giudicare, Se douendo clfcr tale, fa di bifogno
ch'il giudi- tio, eh egli ha da dare, fia d intorno, o a cofe, che fieno
fiate, o 4 a cofe, che habbiano ad ellère Coloro che delle cofe future
han da giudicare, Se da determinare, fon com a dir,quelli,che s'adu mino
in confulte publiche. coloro ch'intorno alle patiate han da dargiudicio,
fon com a dir, quelli che propriamente giudi- ci nominiamo. Se color
finalmente, che folo prendon gufto di confiderare la forza, Se l'arte, c
habbia nel dire colui, che par- 5 la, puri afcoltatorì, cVconiìderaton
chiamar fipoiTono. Onde fa neceilàriamente di metti cri, che tee fieno i
generi dell'orario- ni retoriche, ouer oratorie, il coni ul tati uo, il
giudiciale, eldi- 6 moftratiuo. Il confultatiuo parte confile in efortarc,
Se parte in diltogliere, ovogliara dire parte in fuadere, Se parte in
dif- fuadcrc, peròche tutti coloro, che, o di cofe priuate dan con
fi- glio, o in publiche concioni a commun beneficio dicono il pa- 7
rer loro ; tempre o 1 vna, o l'altra delle dette cofe fanno. Il giu- dicai
parimente due parti ancor' egli abbraccia, cioè l'accuia- tionc, Se la
difcnlione: pofeiache l'vna di quelle cofe è forza, che facciali fempre
coloro, chelitigiofc controuerfie, & forenfi 8 caufe trattano , il
dimoftratiuo gcner finalmente ancor egli in 9 due partì e diuifo, che fono
il lodare, e'I vituperare. Ciafchedu- no medefimamente di quelli generi
attribuire a (c,Se quali s v- io furpa vna fina propria differentia di
tempo, pcrcioche a colui, che con ligi ia pare, che s'accommodi il tempo
futuro ; (olendo delle cofe, che Sconvenire configliar coli quello,
ch'eforta, Se 1 1 ("uade, come quello, che diftoglie, Se
chedifliiadc. A colui poi, che nel giudicial genere ha da parlare, par
ch'appartenga,& s'a- datti il tempo già pallato : po:uache
lecofegiàfattte riguarda- 1 1 no Tempre coloro,ch accufano,o che
difendono. Al gcner final- mente dimoitratiuo,appropriatifilrao più di
tutti gli altri tem- pie il prefente, come che per il più coloro, che
lodano, o biaf- mano habbian dinanzi per oggetto quelle cofe, che di
prelcnrc 1 3 fi truouano nella cola lodata, o vituperata, quantunque
fpeflè volte accalchi, che li tocchili le cofe pallate, mentre eh a
memoria fi riducono, & le future ancora, in far prefagio, 8c con- »4
icmira d'elfo . Parimente a ciafeun de i detti generi vienadef- fer
appropriato diuerfo, & diftinto fine ; & eflèndo elfi tre, tre 15
conlcgucntcmene fon'ancor i lor fini. Colui, chcconfiglia ha per fine
l'vtilc, e'1 danno : conciofiacofa che chi fuade riguardi Tempre come cofa
vtilc la cofa, ch'egli fuade, de chi la dilluade 16 per il contrario come
cola dannolà ladiHuada. & tutte 1 altre cofe^che in configliar s
adduce no, com'a dir' il ginftos Tingi u- fto, l'honefto, el biafmeuole,
fon prefe, & confiderete, come ch/alle dette due cole, cioè al danno,
& all'vtile fi riferivano . 17 Color poi, li eguali litigando
ingiuditio contendono, han per lor fine il gfufto,& l ijigi ulto :
& tutte 1 altre cofe, di cui acca- 18 fchi loro di feruirfi, a quelle
indiizzano, 6V referifeono . A color fi nal mente, che nel gencr ctiuioftratiuo
lodano, o biafma- no, lìà ptopofto per fine l'honcfto, el bruito, ouer
dishonefto : & a quelle due cole, qual li voglia altra cola,
ch'occorra loro di r toccare, o di riguardare, tien rifpetto, &
riferimento . Et ch'a ciafehedun de 1 detti generi lia appropriato, &
accomodato il fuo già detto fine, a quefto, com a chiaro legno fi può
conofee- rc, che di tutte 1 altre cofe fuor che de i detti fini, accade
alle voi 10 tedi non contendere, Se non contrariare, co m a dir
(percfiem- pio) che colui, che dice in giuditio la caufa ina, non
opponine contenderà alle volte di non haucr coiti m elio il fatto
imputato- gli dali'auuerfario, & di non hauer nociuto,o recato danno,
ma d hauer egli ingiuraro, o ratto mgiuftamente, non confetterà
e- gli mai : pofeiache fe quello con f diàrie harebbe fine la
contro- ri ucrfia, & diuenebbe contra di lui chiara la caufa.
Medefima- mente quelli, che danno con la lor'orarion configlio, l'altre cofe
Ipellc volte lalcieran palliar per vere, nè s'opporrano, o cc>- t
[adiranno, ma che dannofefien le cofe, che con figliando fua- dono, o che
vtili, & profitteuoh ficn quelle, che dilluadono, non confeiTcranno,nè
concederan già mai : ma fe come cofa in- giunca shabbi a {limare il cercar
di ìoggiogarc, Se ridurre in fer- uitio i popoli vicini, dai quali non lì
iìa ncenuto ingiuria, di zi quefto, o d'altre fimil cofe fpeile volte non
terran cura. Parimé- te coloro, che con la lor orationc lodano, o biafmano,
non ten- gon conto,nc hanno in confideratione fe colui, di cui
ragiona- no» habbia con le Aie attioni procacciato a fe vtilc, o danno:
ari* ziipcllè Jl Tr imo libro . 2t foclTc volte attribuifcono
altrui a lode l'hauerpofooilo fall proprio, & tenuto in poco conto cofa,
che gli hauene potuto • , rcJr^rilità.pcrfarqualch'opcrationehonefta. come
(perei, fero Pio) lodano Achille, che quantunque molto ben i
lapelìc, che vendicando la morte deliamico fuo Patroclo, fuffe
perfo- prauanzar poco in vita , non-s attenne per quello di farlo :
ei- Fendo nondimeno in fua potcftà di poter viuer più lungamente non
lo facendo, ne è dubio, chad elio il morir per li honorata caeione, non
fuilècofa fecondo l'honeftoj&i viuer farebbe 14 ftato fecondo 1 vtilc.
Può dunque per le cofe, che fi fon- dette, apparir manifclto dfcr cofa
necclfaria l hauere, ci poileder pri- mieramente propofitioni accommodate
a i tre generi, & a i lor zc trenni,chedemhauiamo:ncaltro fono le
retoriche propoli- tioni, che temili), vcrifimili.&fcgni. Le quali
propofitioni fa di meftieri (com ho detto) d. procacciare : peròche
componen- doli vnuicrfalmente ogni fillogifmo di propofitiom.l
enthtmc- ma, confegucntemcntceiTendo ancor egli lillogifmo, farà
co- pofto dipropofitioni,lequali han da elTer quelle, che pur ho- 16
iahauiam dette. Et perche fatte efTcr mai, ouero habiU a farfi non polion
cflTer quelle cofe, ch'impoflibili al tutto fono, ma folamcnte può
atuienir quefto delle polTibilt : ne parimente può elTer'in alcun modo,
che fieno ftatc fatte quelle cofe, che non fono ftatc mai, o c'habbian da
farfi quelle, che mai non fa- ranno, fa per quella cagion di meftieri, che
colui, che congna, & quel, che>n giudicio parla, Se quel
finalmentcch il gencr di- moftratiuo clfcrcita > habbian tutti ,&
pollcpino propofi- tioni, che riguardino il poftìbile, & Timpofiibile
; 1 edere faro,, ci non efTere ftato > Se 1 haucr ad elfere, e 1 non
hauer ad eflcre. 17 Appreiro di queftovperche tutti coloro,i i quali o
lodano,o biat- mano, o fuadono, o difluadono, o accufano,o difendono ;
non- folo tentano, & fan forza di prouare, Se moftrar le cofe già
da noi dette di fopra,ma tcntanancor oltra ciò di prouare,&
mo- ftrar, che grande, o piccola fia la cofa, che moftrar vogliono
, com adir l'vtile, o 1 danno, 1 honcfto,o 1 btafimeuolc, il g.ufto, oWneiufto,&
quefto cercan di fare, non folo confidiate per loro ftclfe le
cofeairolutamcntc, ma ancor ponendole in com- X S paranon l'vna
dcll'altra,nc fegue per manifefto da tu tto quefto, che faccia di bifogno
haucr procacciate ptopofitioni della grandezza, & della piccolezza, &
della maggiore, & minor gran- dezza: & ciò nonfolo con fiderà te
tai quantità in vniucriale , cioè in fé iteife, & non applicate a
materia alcuna, ma ancorap* plicate aciafcheduna delle qualità già dette
di fopra : com a dir qualità maggior', o minoratile, & bene, qual fia
maggiore, o minor ingiù ria, qual cofa con maggiore, o con minor
ragio- a$ ne, Se giù fiuti a fatta, c'1 iìmil difcorrendo nell'altre
cofcDi quai cofe faccia adunque di ne ce flit à meftieri di procacciare,
& ha- 30 ucrpropofirioni, hauiam fin qui detto abailanza. &
hauendo fatto quello, faràben'hora,che ciòfepararamente in
ciafehedun 31 de i detti generi fi diftingua, & sallegni : com'a dir
alìegnan- do prima quai cofe habbian da contenerfi nelle confultatìoni , Se
quindi quali nell orationi dimonltratiue j& finalmente nel terzo luogo
quali in quelle de i giuditij, Se del gener giudiciale. Quai cofe
principalmente cadano fit- to la deliberazione^; , & conjidtatione
del- l 'huomo : ^ di quat cofi fi figlia per il pm trattare ne i pub
liei gouerni , & configli communi delle Citta . Ri mi e r amente
adunque dobbiam vedere in- torno a qual forte di beni, o di mali cerchili
colo- ro, che confultano, di prendere, Se di dar conlì- glio.
conciofiacofa che non in tutte le cole, che fon buone, o ree polla 1 human
configlio hauer luogo* ma fola mente in torno a quelle, che fondabili
inlorna» tura a poter eflèr, © non clfcre, ouer'a poter farli, o non
farfi. quell'altre cofe poi, le quali di ncceiìità fono, o faranno,
oucr* impoflìbil cofa è, che le fieno, o c habbian' adelfcr mai,
così fatte cole fotto configlio cader non polTono. Ma ne anche
cader vi pollbn tutte quelle, eh clfendo di natura contingenti,
elFer* & non clFer polFono : polciache tra coli fatti contingenti
beni, alcuni dalla natura, & alcunidalla fortuna vengono : intorno
a i quali , quantunque polFan'auuenire, Se non auuenire,
vana nondimeno, Cv fenza bifogno, o giouamento alcuno
farebbe ogni Jl Primo libro . £ 2 3 3 ogni confultationc.
faràmanifcrto per quello adunque, chele cole, nelle quali polla haucr
luogo il conlìglio,faran iurte quel- le, che fon'inlor natura, acre a
depender dal volere, & dal po- ter nolrro,& di cui la caufa, c i
principio di farli, o non farli, ila 4 porto in noi lleili, & nel
nortro arbitrio. Et che ciò fia il vero, noi vediamo, che nei prender
conlìglio d'alcuna cola, tinto ol- tra a punto andiam con la
confiderationc, & col dilcorlo prò' cedendo, fin che trouiamo, Se
conosciamo fcanoi Ila polli bi- j le, ouer'impotiibile il farla . Hor l'a
(legnar' efquilìramentc, &c porre in numero tutte particolarmente
Iccofe, dellequali Co- gliam configliarci, & formar le
noltreopcrationi, & il diuider- le didimamente nelle (licci e loro,
& di quelle fecondo Tefatta veritàloro, quanto poiiìbil da trattare,
& determinare, nónp- panien di far'in quello prefente luogo : non
attenendo il far quello alla prefente arte della retorica ? ma a facultà
più nobi- le, &acui s'appartenga piùalviuo in ciò riguardare, &
pon- C d crarc il vero. Se nòdi meno fiarn molto più noi per
concedere al prefenteaquert'artc di quel, che ricercante fpeculationi,
che 7 fon fue proprie, peròchc vero fi dee rti mare eflTer
quello,chcgià di fopra hauiam detto, cioè che la retorica fia in vn certo
modo comporta della Icientia. refolutiua apparrencnreal
filIogilmo,&: 8 di quella facultà ciuile, eh intorno a i cortumi è
porta : Se par- te parimente conuicnc con l'argomentationi dialettiche, ce
par- te con le (bfiftiche, dando eli a luogo fi come a i veri argometi
, 5 cofi àgli apparai ancora. Onde s'aTcun farà,che o la
Dialettica, o quell'arte del dire tentarà d'cfplicare, & trattare, non
come facultà comuni, ma come efatte feien rie; egli mentre che farà q
u erto, verrà quali non s'accorgendo a corrompere, cV a ror via la natura
d'eile,trapairando con cfquifiramenre trattarne,i pro- prij lor confini,
Se enrrado dentro a quelli delle feicntie, chab- bian per lor foggetti
cole in lor natura determinate, Se non fo- Iamcnte ragioni, & modi
d'argomentare, com hanno querte. Có tutto quefto, noi tutte quelle cole,
che pollonoeiler vtili,&: recar lume al prefente propqfito noftro, non
lalcicremo di pré- derc di diftinguerc, & di trattare : lafciando
nondimeno la più efqutlita lor confideratione, alla Ci mie fcientia, di
cui fon pro- 11 prie. Dico adunque che cinque in numero li truouan
cflèr quafi tutte le cole più importanti, cV più principali,
dellequali foglion perii piùconfukare torti quelli, che trattati
concioni, Se configli public!. & quelle fono l'entrate, & foftantie
publi- che, la guerra, Se la pace, la fecurezza, Se guardia del paefe,
Se del territorio, il veder quai cofe per labboncrantia, &
commo- do della citta, s'habbian da far venir d'altronde, Se quali
s'hab- bian da portar fuora, &da mandar'alrroue, & finalmente il
for mar leggi, Se ftaniti, fecondo, chc'l bifogno, & l'occalion
ricer. li ca. Per laqual-cofa colui primieramente, c'ha da poter ben
có- (igliar'in torno all'entrate, & foftantie publiche, fa di me m
eri, che molto buona notitia habbia di tutte l'entrate, Se
rendite della Città, di che qualità fieno, quante le fieno, Se quanto
im- portino : accioches'alcune ve ne mancalTer, ch/ellcr
nódimen vjpotcflero, vis'aggiungan di nuouo, & fe d'alcune fi
cauafle manco frutto di quel, che cattar fe ne poteiTe, fi polla
accrefee- i $ re, Se augumentare. Oltra di quello gli fa bifogno di molto
ben fapere tutte l'vfcite, & fpefe della Città, acciòche s'alcuna ve
ne fuife dauanzo, Se fenza bifogno fatta, fi tolga via : Se
s'alcuna ve ne fuire maggior di quello, clic ragtoncuol mente
lapotreb- 14 beerTcre, fi corregga, Se fi diminuifea. pcrciòche non folo
po£ fon diuenfr più ricchi,& più opulenti gli huomini con 1 aggi
u* gner femprc nuoue ricchezze, Se nuoue entrate a quelle, che
fi pofTeggono j ma ancor con riftringer le fpefe,& tor via,o dimi- 1
j nuir l'vfcite. Se all'in ftrutione, & peritia di tutto quello,
non folo è vtilela notitia, che con la pratica, & con
l'efperientia s' habbia delle cofe della Città propria, Se del proprio
itato, ma fà dibifogno ancora a poter ben cófigliar'intorno a quel,
c'hab- biam detto delle rendite, Se foftantie publiche,l'hauer col
mez- zo dellhiftoria, piena cognitionc di quello, che d'intorno a
tal 1 6 materia habbian'altrc città vfatc, o vlìno . Della guerra poi,
Se della pace colui, c'harà da etìer'habile, a poter bendar
confi- glio, fa di meftier, c'habbia buona cognition delle forze,&
mi- ìitic della Città, quante le fieno al prefenre, Se quante
bifogna- do fuffer per poter* edere : -óedi che forte, Se qualità ficn
quel- le, che ordinariamente parate fi tniouano alhor in pronto ,
Se di che forte, Se qualità parimente potellero eiler quelle,
chebi- 17 fognando vi s'aggiugnelfero. E necelfario olrraciòdi faper
tur- te le guerre, c'habbia farro per l addietro quella Cirri, Se
in ^ual maniera, Se con che forze, Se con quai fuccefli li fica
trat- tate. Jfl Primo libro . ? 2 j 1 8 tate. Se non fol quelle
della propria città, ma vtil'c ancora l'ha- uet notitia di quelle, c han
fatto l'altre potentie, Se città conui- cine, Se quelle città fpetial
mente, con le quali iì polla più con- , o ftimardi porerageuolmentc
hauer'vn giorno guer- ra : accioche mediante quella notitia li polla,
ponderate ben le forze proprie, Se l'altrui, cercar di ftar in pace con le
Città piti potenti, Se perii contrario con le men potenti potiam cono/ce- re
di poter' a voglia nolìra confidentemente pigliar guerra, Ce 19 voglia ce
ne vcga,o occafion ci lì porga. Se a quello giona anco- ra il conofeer Ce
le forze, copi e, Se militie proprie,& l'altrui lieti tràdi lor
limili, ouerdillimili : pofeiachein quelli parte anco- ra polTòn con la
dinerfa lor qualità importar' aliai afarnediuc- ao nir luperiori, o
inferior ncll'eiito delle guerre. Medciimamé- te è n ecellàrio oltra
ledette cole, il porli dinanzi a gli occhi, non felo i maneggi, e i
fucccllì delle guerre, c'han fatto la città propria, & l'altre cirtà
conuicine, ma di quelle ancora, e han fatto altri popoli, Se altre nation
lontane : pofeiache dalle cole limili, foglion per natura ordinariamente
vcnire,& nafecre an- z 1 cora i fuccelTì, Se gli effetti limili.
Quanto poi alla culìodia, Se fecurezza della Città, Se del territorio, Se
paefe fuo ; non ha in modo alcuno a colui, ch'intorno a quello ha da con
figliare, da ellcr nafcoflo in qual guifa habbia daeflér potuto fecurarfì,
Se guardarli ogni parte di quello flato, Se di quel -dominio,
cono- lcendo molto bene, chequantità, Se numer di guardia faccia
di bifogno, &di che forre, & qualità più in quella, che in
quella parte ; Se quai terre, Se liti di luoghi fi debbian'clegger per
for- ti, Se habbian per confeguenteda ellcr tenuti, muniti, Se
guar- ii dati. La qual cognitionc non porrà chi configlia in alcun
modo ha nere, fenon làià molto ben J cfperto, Se pratico per ogni
par- te del fuo territorio & del Ino paefe cacciò che hauendo
dai £ioi occhi ftefli di ciò notitia-, li conofee, che n qualche
luogo iia minor copia di munitione, o di gente a guardia di
quello, che vi taccia di bifogno, polla dar configlio che vi s'accrefea
; Se per il contrario fi tolga via da qualch'altro luogo quella,
che dauanzo, Se inutil vi lòprabbondi, per poter conellà fupplir douc
lìa più neceilaria, in maniera ch'i luoghi più importanti, Se più
opportuni habbian con maggior fecurezza da faluarfi,& 13 dacuAodirfi.
Quanto appartxcn poi alla grandezza, Se abbon- D dantia 2 6 Delia
Tigtorica. d Aristotele datiti* di quello, ch'ai vitto, Se foftentamento
dell'humana vi- • ta faccia di bi fogno, donerà colui, c'ha da
dar'intornoa ciò co- • figlio, molto ben fapere il logro, e'I bifogno di
ciafeheduna co- la, & quanto fia per con fu mar rntta la città, Se
quanto afofH- 24 cientia badar le polla, & quali delle cole a. quello
necellariena- feono, Se procacciar lì pollono nel proprio terreno, &
dominio d'ella j & quali per il contrario non vi fi trouando, bifogni,
che xj d'altronde vengano, di maniera chcbenfippia egli fupputare, Se
conofeer, non foloquai forti di merci, Se quate, come ch'al- ia città
foprabbondanti,s'habbian da lafciar cauar fuoradel do- minio, Se portare
altroue : Se quai per il cótrario faccia di me- fticri di procuracene
d'altronde lìen procacciate & portare dé- tro. ma ancora a qual parte,
ouer' a qual luogo s'habbian da mandar le cofe, ch'auanzano , & da
qual parte s'habbian da 16 procacciar quelle, che mancano : accioche
fapendo quefto fi cerchi di tener con buone conuentioni, Se capitulationi
con quelli, che fon (ignori, & padroni di quelle parti, buona
con- 27 cordia, Se amicitia infiemc. pcrcioche due forti (penalmente
di genti ha da guardar' vna città di non irritar có ingiurie, Ardi non
prouocarfi con orTeic incontra, cioè quelle, che fon più po tenti, Se più
gagliarde di lei, Se quelle, chepercagion del com- mertio, in così fatti
trafportamenti, & conduciinenti di merci, 18 le pollon' ellcr' vtili.
Hor tutre le cofe, c'habbiam raccótare fin qui, fon per la conferuationc,
&: ben'efìcr della città, neceflarie d'etler fapute da colui, eh a
benefirio della ha da configliare, manó punto maco gli fa dibifogno
d'eller inftrutto, Se ben'in- telligcnte in quella, che retta del formare,
Se propor leggi, Se ftacuti : pofciache nelle ftclìe leggi ftà collocata
principalmcn- 257 re la fecura faluczza delle città. Perlaqual cofa
cfommamente necellàrio d'haucr cognirion di quante fpetie di
Republiche, Se ciuiligouerni, fi rirruouino, Se quai cofe a ciafeheduna
fpe- tie poilan'efTer'vrili ; Se quali perii contrario eflcr
poflan'atrea cftinguerla,diftruggcrla, Se farle danno,o appropriate, Se
fauo- 30 reuoli, o neinichc, & contrarie, che- rai cole le lìano.Et
quefto, ch'io dico dell'erti nguerfi, Se corromperli vna republica
dalle 3 1 cofe, che le fon fàuorcuoli, Se appropriare, dico io, perche
tut- re le fpetie, & forti di republiche, Scgouerni di città,
fuorché quella fpetie, eh e ottima, Se eccellerne lopra tutte l'altre,
pof- fon riceuer danno, Se corrottione, così per il troppo alien
rarfi, Se lafciarfi vfcir fuoradeilor proprij termini, com'ancor
per 31 troppo reftringerfi, & ritirarfi dentro di quelli, come (per
ef- fcrapio) adiuiene, che lo ftato popolare, non Iblo quando
trop- po s'allenta, vien'a indebolire, & a perder della Tua forza,
fino che finalmente nello ftato de i pochi fi cóuerte. ma ancor
qua- do troppo fi ftira, Se crefee, in fé ftclfo, gli adiuiene il
medeli- 33 mo. fi come fi vede auuenire dclnafo aquilino, Se del
(imo, cioè dell'incornato, Se dello fchiacciato. peròche non folo
con allentare, & partirfi da quella coruità,o da quella forma
Ghiac- ciata, vengon'a corromperli cosi fatte figure, & forme,
andan- do verfol mezo,~come verfo'l lor contrario, cioè verfo la
drit- tezza, Se profilatura, ma ancora fe troppo fi ftirailèro,&: li
ften- defiero, Se Ci hcefCc crefcerela propria figura loro, cioèfe
trop- po andaflc il nafo facendofi, o aquilino, o fimo, o vogliam
dire o corno, o fchiacciato, verreber tanto a corromperfi auella
ftef- facoruità, Se fimità, che non folo ne aquilino, ne fimo fi
po- trebbe più (limare il nafo 5 ma ne anche forma ili nafo vi
refta- 34 rebbe. Per quel, chnpparrien dunque alle leggi, o ftaniti,
che sliabbian di nuouo occorrendo a formare, o proporre, non
Ga- iamente ci lata vtile, il fapere, ci confiderare, perlecofe,
che fon'accadute, & liiccefte nei tempi addietro alla noftra
Cit- tà, quale fpetie di republica, de qual forte digouerno le fia
ftato più profitteuole, &e di maggior profperità,& maggior
faluezza. 35 mavtiliflìmo ancor farà 1 hauer informarione, & notitia d
al- tre ftraniere nationi, Se principati, & d'altre Città
foreftierc, quai forti, Se fpctiedi republiche, Se di gouerni, a quai
forti di Città, di popoli, Se di nationi, fiano fiate più
proportionatc,cV: 3 G per confeguente più profpcre, & più durabili .
Onde efier può manifcfto, clicgrand vtilità a così fatta peritia di
formare, Se di propor leggi pollòn recar le peregrinationi,e i viaggicene
fi fan- no in cercar nuoui, Se lontani paefi : pofeiache nel far qucfto
fi fjollonoauuertire, oficruare, Se imparar varie vfanze,
coftumi, eggi, Se ftatuti di diuerfe genti, Se nationi, da poterfene
acco- modar poi fecondo le occafioni, a vtile, Se beneficio della
pro- 37 pria republica. Puòmedefimamcnte (eruire, Se recar
gióuamc- to alle publiche ciuili cófultationi la cognitione, Se lcnion
del- l'In ftorie di coloro, channo nei lor libri tenuro memoria
del- D ij lanci- ^ lantiquità, òv'lafciato ferini i fotti, Se
lardoni degl'hiromini. 38 Ma di tutte quefte cofe lauuerti re, Se
difeorrer minutamente, eoffitio, Se opera della ciuil morale
Scienria,& non della facul- tà retorica. Tante dunque, quante fin qui
habbiam yedure, Se non piò, fon lecofe, Se li capi più importanti, &
pio principa- li, liquali fidi bifojgnohauer per noti, & làpuri a
colui, c ha da 40 poter ben dar conlìglio nelle conful te nubliche .
feguita hora, che noi di damo da quaicofe faccia di bi fogno di prender
ma- icria d'argomentare, o in fuadere,o in difluadere, con"
intorno ai già detti capi, com'in torno ad altre cole, che ven i fin
deli* berationc, Se confulta pofTono. (apo f. "Dell'ultimo ,
vniuerfalifiimo fine dell' aftiont^ conjultaf ioni humane, che è
la. felicita dell'huomo : delle parti di quella . 1 N ogni attion (fi
può dir) dell' rinomo» cofi a eia* fchedun priuatamcntcóc particolarmente,
come conimnncmcntc a tutti , Ila propoito tempre di- nanzi vno (topo,
Se Tn fine, alquale in tu rie le co- fe, chefeguono, o fchiuano gli
huomini tengon volto, e indrizzato l'animo, & 1 occhio dcll'intention
loro. 1 &quefto none altro (per parlar così in genere) fc non la
felici- 3 tà, Se le parti di quella . La onde (ara ben fatto, che
veggiamo per modo più torto d'effètti pio» che di methodo, & via
dottri- nale, d'efplicare, Se di poi lede re, checofa fia, invn certo
mo- do grolfamenre, Se non cfqnilìtamcnte parlando, la felicità,
& 4 quai cofe contengano le parti lue. concio! iacofa che intorno
ad ella, Se a quelle cofe, eh ad eflà guidare, Se condur ne poffòno
, Se intorno parimente a i contrari) loro, confinano, Se f\ rauuol- gano
tutte le fuafioni, & le dilfuafioni, che qual fi voglia huo- mo
faccia, pofeiache quelle cofe folamcnte opera, cerca, Se ab- braccia l
huomo, lequali procacciar gli poilono 1 intiera felici- tà, o alcune parti
almen di quella, o che di minori glielepoflo- no accrcfcere, Se far
maggiori» & perii contrario quelle fola» mente fchiua,
abhorrifce,& fugge a operare, le quali fono atte a impedire, &
corromperemo^ far minori la detta felicità, & le parti Jl Primo
libro . 29 f le parti Tue, Se a riuolgcrlc finalmente ne i lor contrari) .
Inten- dali adunque deferitta, oucr diffinita per hora la felicità con
di- re, ch'ella non fia altro, ch'vn profper fucceilb delle attioni
hu- 6 inane,congiunto cól nonetto della virtù : ouer che la. fia vn
ab- bondantia, o vogliam dir'vn poiTetto, per fe (letto totalmente 7
baftante alla vita humana : o veramente vna vita diletteuoliflì- 8 ma, Se
piena di fccu rezza : oucr diciamo, ch'ella non confida in altro, che n vn
buon' elferc, Se in vn buono (tato, così delle poifeflìoni, Se foftantie
noftre, come de i.corpi noftri, con etter noi habili, Se potenti alla
conferuatione, al crefcimento, &al- £ lWfo loro. Queftc adunque
pottbno etter per hora quelle cofe, nelle quali confitte la deferittion
della felicità : pofeiache o vna fola dette, opiu congiunte in fieme,
confettano, &ftimano có- lo munementc quafi tutti glihuomini,
douer'etter la felicità, cf- fendo adunque la felicità, qual'hauiam detto,
verran necetta- riamente ad etter leparti fuc la nobiltà, Tamicitia, &
la grafia di molti jl haucr'vtili,& buoni amici, le ricchezze, la
buona, & numcrofa prole, la vecchiezza commoda, tarda, Se
facile, & oltra ciò le ben difpofte qualità, Se virtù della
pedona, come fono la fànità ,la bellezza, la gagliardia, la grandezza
del corpo, le forze habili, Se accommodateadogni forte di pugna, Se
ettcrcitation corporale, appretto di quefto ancora la buona fama, Se buona
reputatione, l'ctter'apprezzato, Se honorato , la buona fortuna, la virtù,
Se le parti, ouero fperie d ella, cioè 1 1 la prudentia, la fortezza, la
temperanza, Se la giuftitia. 1 m per- ei oche etièn do al hora Ih uomo
baftantiflìmo a femcdcfimo, quando e» pottìede i beni così interiori, come
gli citeriori, po- feiache altri beni, fuora di quefte due forti non fi
ritruouano, interiori sbanda (limar' etter quei dell'animo,& quei del
cor- po, polia- mo commodamente vfare, Se ellerctare corpi,
&1. membri , 6 noftri ,n tutti quelli oftirij, c ha la natura
aftegnat, >«^P^« ' molti fi ttuouano, che fonin vn cetto modo fan., no
hauendo Jl Primo libro . 3 3 infirmiti, clic gli moledi, fi come fi
dice, che fi trouaoaHcro-' dico : & nondimeno niun'c, che
ragioneuolmentegli poteflc (limar, per quel, eh 'appartienila fanita,
felici : facendo lorbi- fogno d adenerfi per conferuation di-quella, da
tutte le corpo- rali opcrationi, & dilettationi, o dalla maggior parte
. La bellezza poi, laqual'c vn'alrra virtù, & buona qualità del
corpo» non è vna (leda in ciafeuna età dell'huomo, ma diuerfa in
di- uerfe età . percioche la bellezza ne i gioueni s'ha da (limar,
che fia polla inhaucr'il corpo habile, accommodato 6c vtile à
lo- ftener lefatighc; & fpetialmenre quelle, doue fadibifogno
il corlo, & l'altre edèrcirationi, die ricercan forza; con
hauer'in. uolto vna cerca fiorirà dolcezza, ch'attragga glianimi altrui,
6c caufi in edì godimento, 6c dilettatone, & per quello i
Pen- tathii (cioè habilia tutte cinque le maniere di
eilcrcitationt corporali) fon communementc ili mari bellifimii, come
quelli* ch'a tar'aluui violenti*, ik forza, & infiememente alla
veloci- tà, nubili, & atri fona. Ma in coloro, che tornici Li già
matura età virile, confittela bellezza in hauer la pcrlòna atta,&
poten- te a poter ben fupportarlc fatighc della guerra, &:gli
incom- modi della militia : con hauer nel volto vna certa
apparente giocondità, congiunta con vn non so che di terribile, & di
fc- uero. Nei vecchi poi finalmente fi può (limar ritrouarfi
bel- lezza ogni volta, che tanto di forze fia rimado nei corpi loro
, che glicoli* render badanti a comportare, &fodener le
fin- gile, che uccella ri amen te fuo! portarla vita: con modrar
nel volto vna certa più todo lieta che amara grauità, priua di
rao- ledia, quali eh indino fia del non tremarli in e(Tì quelle
corpo- rali imperfettioni , &ende, come quali comporta d'enee ; che
fono la grandezza dcl- » per fona, lagaehardia, & la velocità :
potendoli dir veramente gagliardo quello, che di celerità, Se preftezza
corporea è do- 44 tato . pcrcioche colui che fi truoua ben'atto a potcrin
vn certo modo quali fcagliar le gambe, Se muouerle con celerità
alla lunga a quiftando fpatio, fi può domandar corridore,
oucr'at- toal corlo : lì comelottator li domanda quello, che può
nella lotta bene (tri nger', Se ben 'afferrare, & faldo tenere. &
buon giocatore, Se contenditor di pugna quell'altro, che in percuo- tere,
Se fpinger chi gli flà incontra preualc. ma chi inficine- mente nella
lotta, & nella contefa delle pugna habil fi truoua, Pancratialtico fi
domanda: & Pcntathlio li chiama quello, che 45 in tutte le forti di
cofi fatti giuochi, & contefe eccede. La buona vecchiezza fi dee diveller
quando ella e tarda a venire, Se fenz'incommodo, & moleftia viene,
percioche s'ella tolto ne alTale, ouer fc tardi venendo moleftie, dolori,
Se trauagli reca; 46 buona vecchiezza non la Itimarcm giamai . Onde
all'cflcntia della buona vecchiezza fon nccclfane alcune buone qualità
dei 47 corpo, che già raccontate riabbiamo, conciofia cofa che colui
, che non farà libero da infirmità, & non harà quella
robulìezza, che quell'età può comportare, non potrà ftar fenza
continue moleftie, Se dolori, & lenz'aftli trioni della nerfona fua;
ne farà capace di lunga vira . Se mancandogli dei fuoi beni la
fortuna, 48 non potrà con profferirà conferuarii. Et bene in verità fi
truo- ua altra ragione, & via da poter più lungamente viuerc, fenza che
l'huom fia robufto, Se fano : pofeia che molti fono, che vi- uon
lunghiflìma vita, quantunque priui fieno di cofi fatte vir- tù corporee,
ma cofi cfquifitedifpute, & minate confideratio- ni non pofion'al
prefen te recar punto al noftro propofito d'v- 49 tile, o di giovamento.
L'hauer'amicitia di molti, & buon ami- ci, che cofa importi,
ageuolraente non ci farà nafeofto fe noi difEnicndo Jl Primo libro .
jj diffinicndo che cofa fia amico, conofeeremo che l'amico, di cui $o
intendiamo al prefente, s'habbia da inrcnder'elTer colui, dona- le tutto
quello, ch'ei penfa potere efTer bene a chi egli ama, tutto cercadi
fareper fola cagion di quello. Colui dunque, c harà molti di quelli
tali,fi potrà di r, clic ei pofTegga quella par te della felicità, che
copia d'amici (ì chiama . Se fc quelli tali fa- ranno huomini virtuofi,
honorati, SC da bene, colui che gli ha- rà per amici, harà parimente qucll
altra parte di felicità, che 51 copia di buoni amici fi domanda. La prolpera
fortuna s'inten- de cller quando a uci beni, de iquali luolc-ller padrona,
&cà- gion la fortuna, Ci confeguifeono, Se duran di pollederfi, o
tut- ti, o la maggior parte, o almen quelli, che fon più
importanti, 51 & di maggior momento. Cagion è la fortuna alle volte d'alcu- ne
di quelle cofe, delle eguali può eller'ancor cagione, Se prin- cipio
l'arte, ma per il più cagione è di quelle, che dall'arte non pollon
nafcerc;come fon quelle, che dalla natura ordinaria- mente vengono, ma
pollbn'ancofalie volte riufeir fuor dell'or» din d'ella, come (per
clìcmpio) fuol della finità eflTer cagione l'arte,& della grandezza,
Se bellezza del corpo cagion fuol'cfTcr la natura ; Se d ambedue quelle
cofe, cagion vediam'efleralle 55 volte la fortuna. Ma communementc quella
forte di beni per il più fuol dependere, Se hauer'origin dalla fortuna,
intorno a i 54 quali fuole eccitarfi inuidia. Parimente alla fortuna, come
eh 'a lor cagione s'attribuifeon quelle forti di beni, liquali par,
che 55 fuor di ragione, Se fenza cagione accafehino . come (aria
(per elicili pio, le di più fratelli, tutti gli altri ellcndo eccelli
uamente }6 brutti, vn fol tra eflì fulle dotato di bellezza : ouero, fe
non cflendo flato da molti trouato vn theforo, che cercato
haueiTe- 57 ro, vn fufle, che fenza cercarlo lo ritroualTe : o veramente
fé vn dardo andàdo a ferire, & percuoter chi pili lontan gli fulle
; haueile nel palTar lafciato chi gli era più vicino, fenza
toccarlo j8 punto . ouerfe venendo alcuni la prima volta in qualche
luo- go, doue non fien foliti mai di venire, fieno a punto arriuati
in hora, che ila occorfo lor di riceucrui o morte, o qualche
fegna- lato danno; Se vn'altro, ilqual fulle foliro di frequetafad
ogni hor quel luogo, non vi fia nondimen venuto in quel tempo, Se per
confeguente habbia fchiuato quel pericolo, Se quel nocu- mento. Tutti
quelli adunque, Se altri coli fatti cali, Se acciden- £ i) tali (campi,
polio n parere, che buone f ortune fianb, cV da pf o- 5P (pera fortuna
vengano . Reftarebber tra le già propolle parti della felicità da
dichiarare, Se deferiuerii le virtù dell'animo: ma perche il far quello
par, c'habbia piò proprio, & più accò-. mo dato luoco nel trattar
delle lodi; differì remo, & riferhere- suo 1 allegrar le lor deferi
trioni, quando più di fotto del gcncr> che le lodi riguarda,
ragioneremo . (apo 6. Del fine del gener deliberatine r$ con la
defirittron dell'elle, ouer del bene : fcf de i luoghi, & propofittoni
appartenenti a quello. V a i fien dunque quellecofc, c'han daelTcr come lini
dinanzi a gli occhi, di coloro, che cercan consigliando fuadcr qualche
cofa, così pulente, come futura, già può per quel, che fi è detto
elfcr manifefto, & parimente qualicofe habbian'eglin da guardare
per diHuadere,comc ch'altre quelle non f uno che i le córrane di quelle.
Hor perche al gener deliberatiuo ita prò» polio, fecondo c'hauiam detto,
come proprio, &: peculiar Aio- li ne, 1 vtili u, non delibera, o
prende conilglio 1 huomogiàmai del hne, ma delle coff* che fon perii fine,
& chepolTon'a quel condurre ; Se quelle fon tutte quelle cole, che
nelle attioni del- * l'huorao pollòno v r ìli :à recare ; ne fegue da
quello, ch'effendo l'vrilc parimente bene, non (ara fc non ragioncuolmente
fatto; ch'aflegniamo clementi, Se propoiìtioni. appropriate al
bene, 4 &aU'viil communemente prelo. Poniamo adunque,
deferiuc- do per hora il bene, ch'egli fia quella cola, laquale per
cagion j difeitclfa lìa dicibile : ouer ch'egli lìa qucllo,pcr cagion
del o quale altre cofe eleggiamo, potiamdiie ancora, ch'ei lìa
quel- lo, che da tutte le cole èdefiderato, o da tutte almen quelle, c'han
lenti mento, oucr'intellerto,o chclodefidcrarebbcr fe in- telletto
haijelTcro & ulna ciò tutte quelle cofe, cha chi Ilvo- glia, il
proprio intelletto, & difcorfo nlfegnallè per buone, Se quelle
parimente, ch'intorno acìjfchcduna cofa follerdalui per tali in chi fi
voglia inoltrate, fi poflbn rifpetto a quel tale 7 ihmaf in luogo di beni.
Potiamo con altre delcritrioni mede- fi inamente due efler quello il
bene., il qual con la fua prefentia fa diuenir Jl Primo librò .
37 fa diuenir la cofa, do u e ci fi truona, fi fattamente ben
corrditio- S nata, che d'altro per il Tuo bene clTcr non ha bilbgno. oucr
fi- nalmente diremo eflcr quello il bene, che per fe Hello e
baftan- 55 re alla perfettion della cofa, che lopoilìede. Ellendo dunque tale
il bene, qual noi l'habbiam deferitto, debbiam dire, che tutte quelle
cofe, che faranno produttrici, o confcruatrici di quelle, e habbiam polle
nell'alfe^natedcfcritcioni del bene fa- io ran parimente beni, &
quelle medefimamente, che confegui- 1 1 ranno ad elTe. ne manco ancor
quelle, che delle contrarie fono 1 1 impeditiue,odiltruggitrici. Et in due
modi fi può mmar>ch'v- na cofa legna ad vn'altra,o feguitandola
inficine con cira,o lue* cedendole doppo. come (per esempio) diremo, che
all'impa- rar legni ti il laper la cofa imparata) non infieme ; ma doppo
: de ali elìcr fano confegua, non doppo, ma congiuntamente, & 1 3
infiememente il viuere. parimente in tre modi fi può dir, ch'v- na cofa
fia prodottiua, & effettricc d'vrf altra : in vn modo nel- la maniera,
che noi diciamo, cheTefler ben difpofto del corpo, & di buona
valetudine, fia effettiuo della fanitài in vn'altro mo- do fecondo che
diciamo li tali, Se tai cibi cfler produttiui della medefima fanità. de in
vn'altro modo finalmente nella manie- ra, che diciamo efler i'cllcrcitio
caufa ancorcgli efrettiua d ella fanità: pofciachcpcr il piùreflcrcitation
corporale luol réiler'il 1 4 corpo fano. SuppoAc adùque per vere le
deferittioni, & dilìm- tioni allignate, verran n eccita riamen te a
potere {limarli beni* così gli acquilti, & riceuimenti del bene, come
le liberano* ni, & li difeacciamenti del male : pofeiache a quelli
feguita convintamente concili ilnonhauer male, chi luogo di bene, 1 1
& a quelli feguita dopo, 1 hauer'il bene. Medefimamente il n- ceucr'vn
maggior bene in vece d vn minore, doucremo giudi- car, che fia bene, fi
com'ancor dee chiamarli tale il riceuer'vn minor male in luogo d vn
maggiore, cóciofiacofa che tutta quella parte, nella quale il
maggior'auanza il minore, li polla in quello domandar acqui (lo, oucr
riceuiméto,& in quello per 1 6 il contrario liberatione,ouer
difcacciaméto.Le virtù ancora ne- ceiiariarnente s'han da connumerar trai
beni, pofeiache me- diami quelle, color, che le pofleggono, ben
qualificati diuen- gono, & ben alia perfettion difpolti. olirà eh elle
fon di molti beni produttrici, & operatrici, di ciafcuaa delle quali
partico- larmente t j 8 T>eUa Teorica d %
'JriFtoteIc^ larmente che cofa lafia, & che qualità, & natura Ha
la Tua, ài 17 proprio fuo luogo dichiareremo. La voluttà parimente, o
pia- cer fenfual, che lo vogliam chiamare, farà ancor ella bene,
co- me quella,che da tutti gli animali è per natura cercata,
&ded- 18 dcrara. Laonde le cofcdiletteuoli, & le cofehonefte
verranno adedèrnecedariamentebeni. pcrcioche quelle fon
produttrici della voluttà, &c di quefte, alcune fon diletreuoli, &
altre dir 19 cibili per fc raedefimc. Et per venir* in quella afleenation
dei beni più al dipinto, de più al particolare, e di necedìtà, che
be- lo ni (limar fi debbiano quelle cole, che qui tratteremo . Et
pri- mamente la della felicità, come quella, che per cagion di
fc della è eligibile,& oltra ciò a fé mcdelìma è badante ; S: di
più, 11 molte cole eleggiamo per cagion d'ella. Doppo quella,bcni
an- cor fono la giuftitia, la fortezza,la remperantia, la
magnanimi- tà, la magni hcentia, & gli altri cofi fatti habiti,
elTendo eMì vir- ai tu dell'animo. Medelimamente beni fono la fanità, la
bellezza, òc altre così fatte qualità, pofeiache virtù del corpo fono
& ef- 1 3 feltrici & produttrici di molti beni : c(Tendo (per
ch'empio) la fanità produttrice della voluttà, & dello (ledo viuere.
Perla- q ual cofa ottima fuol parer'ella tra gli altri beni : come
quella, che di due cofe e cagione, le quali da molti fon'in grandi
Aimo pregio tenute, che ionia voluttà, & la vita. BeniTbn
parime- le le ricchezze, cioè l'vfo loro, clfendo veramente elle nó
al- tro, che virtù di faperle vfare, & di fapcr edèrne polfedbre,
& oltra ciò effetti uc,6v cagioni di molti beni, & di molti
còrno- x$ di. L'amico ancora, & 1 amicitia fon beni : edendo in vero
l'a- mico eligibil per fe mcdefimo, & operatiuo, ouefcffettiuo
di molti beni. L'honor medefimamente, & la gloria fi deono
co- numerar tra i beni, fi perche fon cole gioconde, 6c dilctteuoli, &
che panorifcon'altrui di molti beni, & fi ancora perche per il più
par,chc confegua congiuntamele ad eflì il poifeder quel- le cofe, per le
quali è fatto altrui qucH'honore, & data quella gloria. Leder nel parlar
efficace, & potente di lingua, Se l'cf- ier'habile, c\ potete in
trattar negotij,fon due cofe,che dcon* ef fer collocate tra i beni :
pofeiache di così fatta habilità molti 18 beni, 6e molte comodità
deriuano." Oltra di quefto l'indudria, Se la bontà dell'ingegno, la
tenacità della memoria, la facilità d'imparare la perspicacia, Se velocità
dell intelletto, Se tutte l'altre Jl Primo libro . J 9 l'altre
così fatte difpofitioni, fon daeilere (limate neceflTiria- niente beni :
ell'end'crte potenti mezzi a cagionare, & produr- 19 relacquifto di
molti beni. Perla medefìma, o limil ragion'an- 30 cora tintele feientie
fon beni, & tutte le arti parimente. Et il viuere ftelfo mcdeiimamentc
è bene: pofeiache dato bench'ai tro ben da elio non ne feguille, per
(efteflb nondimcn è co fa. 3 1 cligibile, & defidcrabile. Il giudo
ancora, & l'equità faran bc- 31 ni, perche comune, & publica
vtilità n'apportano. Etquelti, chabbiam fin qui allignati, fon, fi può
dir, quei beni, che da tutti concordeuolmente fon hauti, confeflì, &
(limati per tali. $3 Quelli altri poi, dei quali non s'hauendo la medelìma
cómu* ncopinion,chc fien beni, che foglion cader in cótrouerfia
d'ef- fcr', o non eilcr beni, fi pocrano come da proprij luoghi, in
compa- ration Tvn dell* altro . A perche fpeffe volre adiuicne, che
di due cofe, che ci fien propofteinnanzi,giudichercmo,&
có- fcllcremo, cialchcduna ellèr vtilc, & bene, ma qual di quelle
fia la migliore, & di maggior gioita- inen copercheremo, &
dubiteremo j larà ben ratto di seguitar di dir al preferire qualche cofa a
rarconòfeere il % maggior bene, e 1maggioratile. Prendafi adunque
prieramete per cofa nota, che la cola eccedente, ouer auanzante
s'intenda clfcr quella, che fia tanta,quata la cofa da ella ecced
uta,& qual- che cofa di più ;& l'ecceduta per il contrario quella,
che ilia 3 comprefa, Se inchiuianell eccedente. Oltra di quello la
cofa maggiore, in rifpetto d vna minore e forza che fia maggiore,
Se 4 il più parimente, in rifpetto del meno è detto più. ma nel
dir grande, 6c piccolo, fi com'ancor nel dir molto, Se poco, il
ri- fpetto fi confiderà di molte cofe; nelle quali quella,
ch'eccede l'altra fi dice eiTer grande, Se quella, ch e auanzata, Se
eccedu- ta fi dice eiTer piccola, Se il fimile adiuicn nel molto, Se nel
po- $ co. Hauendo noi adunque già detto ciTerben quello, che non per
cagion d altro, che di fe ìleiìb è eligibile : & quello parime- le,
ilqual tutti appetifeono : & quello, che tutte lecotè,
c'ha- ueller'intellctto, Se prudentia eleggerebbero : & quello
mede- fimamente, che de i già detti beni iìa effètti uo,&
conferimmo, olier a cui li già detti confeguono, Se vengon dietro : Se
elìen- do che quello, per cagion delquale fi elegge qualch'altra cola
, vicn'ad eller, come fin di quella, per eller quello il fine, per
ca- gion del quale fi eleggono altre cofe: Se oltra ciò cflendo
bene ad alcuno in particolare, non fol quello, ch'alibi utamente
con- tiene le già dette conditioni, maancor quello, che, fenon
allo- 6 lutamente, almen rifpetto aquel tale, lecótiene;
nefeguene- cclTariamente da tutto quello, che prefi inficine più di così
ratti deferitti beni* importeran maggior bene, che fc vn folo
d'elfi, oin minor numero fodero, purché queit vno, & quelli di
ma- co numero, fian dentro a quei tai comprefi. perciò che in
que- lla guifa, verranno quiui più ad ecceder , come che dentro
di lor coraprendan quelivno, oquei manco, i quali confcgucnrc 7
vengono a re ftar' ecceduti . Diremo ancora, che fe quella cofa , ch e
grandilfima nel gencr fuo, farà maggiore di quella, che fia grandi/lima in
vn'altro genere, faranno ancor maggiori vniuer- ialmcnte le cofe di quel
genere, che di quello. & ali incontra ancora, fe vniucrfalmctcle coied
vn genere fon perii più mag- giori di quelle dvn altro genere, farà ancor
la grandiflìma in quel genere, maggior di quella,chegrandi(Iìma farà in quell'ai 8
tro.com' a dir(pcr clTcmpio)che le il gràdillìmo di tutti gli huo- F ij
mini mini è maggior della grandiflìma di tutte le donne ; s'ha da
(li- mar ch'vniuerfalmente gli rinomini fien per il più
maggiori delle donne. & all'incontra Te gli riuomini generalmente
lon per il più maggiori delle Donne; vien parimente ad elfcrc
il grandiflìmo huomo, maggior della grandiflìma donna, con- ci
odacofh che con quella medefima proportione vengano a ri- guardarti tra di
loro gli eccedi tra gli ltefli generi, con laqual fi } riguardano i
grandiuìmi l'oggetti, che fono in quelli . Medcfi- mamente quàdo ad vno di
due beni feguitarà l'altro, & a quel- l'altro non feguitarà
quelPvno,diremo che maggior lia quel primo,ch'è feguitato,Cv fi tira dietro l'altro.
Se ilfcguitard'vna co- là ad vn'al tra, fi può intendere, o perche la
feguiti infamemen- te, cioè nel medefimo tempo con clfa, o perche le venga
dietro dapoi, oucr finalmente perche in virtù, & in potentia fi
truo- ui in quclla,per caufa, che l'vfo d'efla ftia pofto in vinù
ncll'vfo 11 di quella, a cui ella fegue. cV per aifegnar in tutti quefti
tre mo- di di confeguimento efiempi, diremo che infiememente, &
in vno fteifo tempo feguiti ali cller fano il viuere; ma non già
dire- mo, ch'alia vita, la finità confegm. Il fapere, & la feicntia
dire- mo, che feguiti ali im para re, non già infiememente con elio,
ma col tempo poi. In virtù, 6c in porentia finalmentedircnio,
ch'ai (àcrilegio, ch'c furio di cofe fagrc, feguiti il furto
femplieemen- te prem. peroche colui, che non s'afticne da commetter faci
ile- gio,ftà quanto a lui paratOjpotente, pronto, &difpofto a
furar 1 1 ancor le cofe,chenó fien (agre, fc Toccafion fegli porga.
Appref- fo di quclto tra quelle cofe, ch'vna medefima cofa eccedono, quella
farà maggiore, che 1 eccede con maggioi'auanzo, ellcn- do uccellano
ch'ella in tal calo 1 auanzi per quato trà gli eccedi 1 3 foprauanza il
maggior eccello, quelle cole ancor iaran maggior bcnijlcquali fono
cfifètciue,& prodottnei di maggior bene : pe- roche in qucfto con
lìfte la natura dcH'clIcrvna cofa effettiuadi 1 4 maggior bene, cioè in
cfTcr maggior bene. Et limilmcntc all'in- contra a n cora , q u el la cofa
farà maggior bene, che farà prodotta da vn ben maggiore. Onde eflendo
(pcrellempio) le cofe falu- bri, & che fon atte a render li corpo lano
più cligibili, & mag- gior bene, che non fon le gioconde, che non
caufan fenon di- letto, verrà parimente la lanitàad cAcr maggior ben della
vo- I ; luttà. Parimente la cofa,ch'c eligibile per fe ltefla maggior
bene fi dee Jl Primo libro . j-j fi dee {limar di quella, che
non per cagion di fe ftefTa,ma d'altra cofa s'elegge, come (per ellcmpio)
diremo, che la forza, & la ga gliardia corporale iìa maggior bene di
quelle cofe, che li fanno per acquetare la fanità : pofeiache quelle non
sappctifcon,nè fi cercan per cagion di fc ftefie, ma per cagion della
fanità : douc che quelle, quando ben non peraltro, lon nondimeno
defide- rabili per loro lleiFe m1 che propriamente alla natura del
bene 1 6 apparticne.Oltra di quelle le di due cofe farà 1 vna come fin
del- 1 altra, & l'altra non farà fin di quella ; maggior ben farà
quella prima,chc farà fine, pofeiache l'altra verrà ad eHer'cligibilc,
nó per cagion di fe ftella, maper cagion di quella, douc che quella per
cagion di fe medefima farà tale, come (per elfcmpio) vedia- mo che
l'ellercitio della pei fona fifa per cagion del ben eficrc , 17 Se della
fanità di quella. Medcfimamente quel di due beni larà maggiore, ilqual non
harà bilogno di quellalrro, ma ben quel- l'altro di lui , ouer di manco
cole harà di bifogno, che non harà quello. Et quello adiuiene perche il
non haucr bifogno nafee dall haucr foffitientia, & ballanza dafe
medelìmo, in che con- fitte la ragione, cVdiffinition del bene. &per
manco haucr bi- fogno inrendiamo 1 haucr mellieri o di manco cofe, o di
più fa- 18 cili. Apprelfo di quello quando di due cofe vna ve ne, che
non f>uò fenza l'altra (lare, o produrli in cllere, ma ben lo può
qucl- a fenza quella; fcnzalcun dubbio quella di quella farà
maggior bene.cóciofiacofa che per quello, vega ad haucr mcn
bifogno,& per confeguente maggior ballanza, & fofficientia a fc
medelì- 19 ma ; onde ragioncuolmcnte maggior bene appare. Quando
an- cor di due cofe l'vna farà principio, Se l'altra nó principio,quel- la,
che larà principio farà maggior bene . & medcfimamente fe l'vna farà
caufa, & l'altra non larà caufa, verrà ad eller maggior benquella, che
farà caufa, perla medefima ragione. &: quella è chefenza la fua caufa,
& fcnza'l fuo principio, impoflìbilc e, 10 ch'alcuna cofa fia,o fi
faccia, & fi produca mai. Oltra di quello fefaran due principij,
quella cola, che daquel principio farà f prodotta, ilqual farà
maggiorc,farà parimente maggiofanch'cl- a. &c finnlmcnte quella cofa,
che nafee da quella delle due caufe, che fia maggiore, farà ancora ella
maggiore di quella> 11 che nafeerà dall altra caufa. Et all'inaura
ancora, quello di due principij farà maggiore, ilqual di maggior cofa farà
principio. & quella ^ ^ ^ella Se quella dì due caufe maggior
farà, che di maggior cofa (ara cà- 1 1 gione. Per quel che fi c detto può
eflèr manifelto, che vna me- deiìma cofa potrà alle volte in rilpetto d
vn'altra parer maggio- re ndl'vno, & nell'altro modo, cioè cosi per
vna delle condi- tori già dette, come per la Tua contraria, perochc s'ella
farà principio, Se quell'altra nò, potrà ella parer maggiore: &
pari- mente fe la medefima non farà principio, ma più tofto fine,
& quell'altra farà principio, potrà nondimen'etfa parer
maggiore, ellendo maggior bene il fine, ilqual nondimen non è principio. xj
Si come può apparir per quello, ch'vsò di dire Leodamantc : ilqual
nclTaccul.i, che fece contra di Calliftraro, dille, che mag- gior colpa
haucua in quel delitto, delqualc era l'accula, colui, che configliato 1
haucua, che quello lteflo, elici haucua com- incilo : pofeiache commellb
non l'harebbe egli , fc non folle ! fiato chi rhauerfeaciò configliato :
douendofi ltiroar il conli- 14 elio, principio, & caufa del delitto.
Et in vn'altra accufa, ch'ei fece poi contra di Gabrìa, affermò maggior
colpa haucr chi ha>- ueua commctfb il delitto, che chi coniigliato
l'haueua : perche mai non fi confultarebbe vn delitto, fc non fulTc chi lo
com- rnetteflcjnon per altro come fine configliandolo chi lo
confi- glia, fc non accioche finalmente commciio, Se efeguiro fia :
di maniera che il commetterlo viene ad ellcr'il fine, per cagion
del X j quale vien configliato. Medefimamente di due cofe
diremo,che quella, ch'c più rara, & più di rado fi truoua, fia maggior
ben di quella,di cui più s'abbonda, (ì come (per ellèmpio fi
dirà) che Toro fia di maggior pregio, che il ferro, anchor che di
mi- nor vtilità fia di quello: pciciochela maggior difficultà nel
tro- uarfi, fa parimente, che di maggiore ltuna fia il pollederlo. 16
Et per altra ragion fi può incontra dire, che di due cofe quella , di cui
in maggior copia coromunemente s'abbonda, fia da an- teporre a quella, che
rara fi truoua : pofeia che nalcendodal .maggior vfo di quella,
maggior'ancor'vtilità, come che lo fpeilo vfarb auanzi il di rado vfaru;
vien per quella ragione a poterfi ftimar di maggior pregio, onde prefe
occafionc il prouerbio, 17 fecondo ilqual logham dire, ottima cofa efferc
l'acqua. Et in fomma da vna parte debbiam'dirc, chele cofe più difficili
deb- biano elTère antepofte alle più fatili» come quelle, che fon
più 18 rare, dando lor pregio la lor rarità : & doli altra parte le
più facili han danteporfi a le più difficili, come per quella facilità
più 9 accalchi la cofa. fecondo che noi vogliamo . Olerà di quello 0
quella cofa maggior farà, il cui contrario farà maggiore; Se maggior
parimente quella, di cui farà maggior la priuatione . 1 Se U virtù maggior
farà della difpofitione,che non è fatta ancor virtù. Se il vitio parimente
farà maggior della difpofitione» che ancor non è fatta vitio : pofeiache
quelle cofe, cioè la vir- tù, cil vitio fon fini; Se quelle, cioè le
difpofuioni non fatte 1 ancor nè virtù, ne vitij, non fon fini. Quelle
cofe ancora, le opere & gli erletti delle quali faranno o migliori, o
peggiori; eirc parimente, che gli producono, faranno o nel bene, o
nel j mal maggiori . Et medefi inamente di quelle cofe, di cui le
vir- tù e i viri; fon maggiori , maggior fono ancora gli effetti,
Se 1 opere, con ciofia colà che fecondo che fi ritruouano cfler
le caule, e i principi) ; fi truouano cllcr parimente gli effetti, Se
gli auueniraenri, che da elfi nafeono . & dall'altra parre ancora,
(e* condo che fon gli effetti, Se gli auucnimenti ; fon parimente
le 4 caufe, e i principi; loro. Oltra di quelto quelle cole fon
miglio- ri, Se più eligibili,nellc quali l eccedere fia più
eligibilc,& mag. gior bene, come (per ellèmpio) diremo, che ellendo
cofa più eli gibile l eccedefin vcdcr'acutamcncc, ch'in acutamente
odora- re; vien per quello a poterli anteporre il fentimcnto della villa a
quel dell'odorato . Se elTcndo più honclta colà 1 eccedere in eiler amator
d amici, eh in eifere amato r di danari ; farà ancor femplieemente più
honello l'amor, che fi porti a gli amici, che f quel, che fi porti a i
danari . Et parimente riuolgendo quello luogo in oppolla parte diremo, che
delle cofe migliori fian pari- mente migliori gli eccelli, che fiano in
elfe; &piu nonetti delle £ piuhonelle. Migliori ancora, Se più
lodatoli fon quelle cofe, delle quali fon migliori, Se più lodeuoli i
defiderij : pofeiache 7 delle cofe maggiori, i deliderij fon'ancor
maggiori. Onde all'in- contra faranno migliori, Se più lodeuoli i
deliderij, fe migliori , 8 Se di maggior lode faran le cofe,chc
s'appetifeono. Oltra di que fto quelle cofe fon più pregiate, Se di
maggiore fludio, Se dili- genza dcgne,lc feientie delle quali faranno
ancor/ette tali: però cheproportionatamcnterifpondon lefcientie alla
verirà,& na- 9 turadc lor foggetti : hauedo ciafeheduna d eife
riguardo a tlar fopra di quei ioggetti,chc fon fuoi proprij . Ond
all'incòtta per la me- sf. 8 'Della Tigtprica d'^riflotelc^ la
medcfima cagione di queAa proponionc, migliori, Sedi pia Audio, &
pregio fon quelle fcientie, lequali di cole fono, che 40 migliori, &
più pregiate fiano. Quello oltra ciò, che maggior bene giudicherieno, o
habbian altra volta giudicato le perlune prudenti, o tutte, o molte di
quelle, o la maggior parte d'elfo, O almen le più faggie, & di maggior
prudentia, quello li dee nc- cefiariamente per maggior ben tenere, o
Templi cernente, & af- folutamente j o almeno fecondo quelle qualità,
che riguardan la prudentia, & peritia di quelle tai pedone ; selle non
atfblu- 41 tamente in ogni cola fon tenute tali. Et quello c habbiam
detto del riferirli al giuditiode i periti, è commune non folo al
gui- dino, che fi faccia de i maggior beni, di che parliamo al
prelen- te y ma di tutte l'altre cofe ancora ; come a dir delle foftantic
del le cofe, delle quantità, & delle qualità : douendou" in tutre
que- Ae cofe per la determination loro riferirfi a quello, che le
pro- prie fcientie loro, & i periti di tali fcientie determinano co
'llor 41 giuditio . ma noi fpctialmcnte alla conlìdcrationc, &
determi- nation de i beni, habbiam così fatta regola, & luogo
applicato • ; t conciona cola che hauendo noi dirHnito il ben'efler quello,
che ciafeheduna co(a,s'haucilc intelletto eleggerebbe; vien per
que* Ao ad elTcr manifcfto, che maggior farà quel bene, che
maggior 43 da chi habbia prudentia fia giudicato. Quellr ancora faran
mag- gior beni, i quali in miglior (oggetti, & in più nobili porti-ilo
ri Il rirroueranno, o fempli cernente, o almen fecondo quella parte, in
che fon migliori, come (per elfcmpio) diremo, che la vn- 44 tù della
fortezza Ila maggior ben della gagliardia . Parimente maggior ben fi dee
111 mar quello, che da miglior perfona, o lem- pliccmente, &
ordinariamente, o almen in quanto ch'ella è mi gliorc, farebbe eletto. A
come (perch'empio) diremo ellcr me- glio il ricruere ingiuriarne il farla,
pofciachc più tolto quello, 45 -chequcfto eleggerebbe chi maggiormente
fuAcgiuAo. Appref- jb di quello fi potrà maggior bene Ai mar quella cofa,
che lia più xìilettcuole, & più gioconda, ouer più voluttuofa, di
quella,che fia manco tale, pcroche tutte le cole feguon voluntieri la
volut- tà ! & è ella oltra ciò feguita,& defidcrata perengion di
Ce nic- defima : cV già nel di frinir la natura del fine, 6c del bene,
l'vna, ficl altradi qucAeconditioni glie data ài fopra aflegnata .
Più gioconde poi, & più diletteuoli s'intendon'ellcrlecofe,
inelTer maggior- Jl Primo libro . 4 p maggiormente priuc di
dolore, & diraoleftia; Se ineflcr più lungo tempo durabile il diletto,
Se la giocondirà,checontengo- 46 no. Le cole medefimamente, c'hanno in fe
bellezza maggiore» fi pollono (limar maggior beni, che quelle, che 1 han
minore : conciofiacofa che la bellezza infefiacofa dilctteuole, Se
oltra 47 ciò, per Ce della eli gì bile. Oltra di queft.j quelle cofe
fideono (limar maggior beni, delle quali maggiormente vorrebber
gli huomini elfer cagione, o in (e (ledi, o negli amici loro. Se per
il contrario maggior mali faran quelle, di cui eglin manco vor- 48
rebbero in fé, o negli amici clfcr cagione . Medefimamente fra più beni,
li più durabili fi deono (limar maggiori di quelli, che 4P manco tempo fon
per durare in ellere. Se li più fermi, Se li più (labili ancora maggior
beni fono de i màco (labili : perochc ìv- fo, e l godimento di quelli,
viene ad ecceder fecondo la quan- tità del tempo; Se l'vfodi quelli eccede
nello dar maggior- mente nella volontà,&: ncll arbitrio noflro : pofeiache
quanto lacofacpiù ferma, Se più (Libile, tanto l'vfo Aio è
maggiore; 50 & p.ù fecuramenre parato ali arbitrio del voler noftro.
Apprcf fo di quello perche quelle Cofe, eh o congiugate, ò di (imil
cafo fi domandano, hanno quella proprietà, che quello, che fegui- ta
ali vna, feguita ancor all altra ; li come tal conditione ha luo- go in
elle nell altre qualità, cosi 1 ha parimente ncll'crter mag- 5 1 gior
bene. Onde le (per eflempio) quefto aduerbio,foncmente, porta feco maggior
bene, che 1 aduerbio, tcpcraramente.tal che l operar fortemente (la più
cligibil, che l operar teperatamenre ; la tortezza ancor farà più
cligibile, che la temperanza, Se 1 ellcr forte p:ù cligibil, che 1 ellcr
temperato. Le cofe, che tutti eleg- gono lon maggior beni di quelle, che
non tutti ; Se le cofe pari- mente, che da i più fono elette, fon maggior
beni di quelle, che da i meno, perciochc eflendo il ben quello, che tutti
delibera- no, nefegue, che maggior farà quello, che farà da i più
delìde- 53 rato. Può medefimamente elfer tenuto maggior bene in
noi quello, che tale è giudicato da gli auuerfarij, co i quali
conren- diam nella caufa, o dagli (ledi nemici noftri, o da quei, che
con giudici nella caufa. percioche quanto ai due primi,(ìpuò
(li- mar, come fc quel giudirio forte di tutti . Et quanto a i
giudici poi, fi fuppongono intelligenti in quella caufa Se periti ; Se
hà- 14 no autorità nella caufa. Oltra di quefto alle volte maggior
bene G accade, che fia da noi (limato quello, che in tutti gli altri,
come d'eflb partecipi fi ri truoua : recandoci noi in vn certo modo
a vergogna il non hauere ancor noi parte in quello, come hanno gli
altri, c i non poter confeguir quello, che gli altri hanconfe- j $ guito.
Se alle volte per il contrario maggior ci parrà quel bene, che in
niflunaltro, o almcn'in pochi fi ri truoui : parendoci per quello di
poflTeder cofa più rara, Se che per tal rarità preda pre- f6 gio. Le cofe
ancora, lequali appaion communementc degne di maggior lode, fi deono
ftimar maggior beni, come quelle, che per tal caufapoflbno efler giudicate
più honoratc,più nobili,& 57 più honefte. Nè maco deon'efler tenute
per maggior beni quel- le, lequali, come a cofe di maggior prezzo maggiori
honori fi foglionfàre : eflendo l'honorquafi vn prezzo, che mifura
l'ec- 58 ccllentia, & la degnità delle cofe. Maggiori ancora s'han da
fti- mar quei beni,dclla perdita de i quali più importante, Se
mag- J5> giornerefultaildanno . Oltra di quefto quelle cofe s'han
da ftimar maggiori,le quali con maggiofauanzo eccedono quelle, che
communementc da tutti fon tenute per grandi, o almeno 60 quanto ad eflc
poflbno apparir tali. Sogliono ancor lecofc diui- ic in più parti, parer
maggiori, che ftando in Ce ftefle vnite : po- feiache con quella
moltitudin di più parti, vicn'a farfi apparecia 61 di maggior' ccccflò. Se
per quefta ragion dice il buon Poeta ef- fcrc ftato eccitato, Se perfuafo
Mcleagro a difender la patria fua con tai parole, ò quanti mali, Se quante
miferie, portano a gli huomini l'cfpugnationi, & prefure delle città;
i Cittadini, & glihabitatori ibnooccifi,& mandati a fil di
ft>ada,la Città tutta dal fuoco è ridotta in cenere, fono i proprii
figli, Se le donne i- ftefle in habito fu ccinre menate via, &
ftrafeinate prigioni in Ci feruitù dei nemici loro \ Se quel che fegue. Se
per il contrario ancora può l'adunar.comporre, Se accumular infiememente
in vno, far parer la cofa maggiore, chefepartita fimoftralfe
nelle parti fue, come fi vedeoiferuatoda Epicharmo. Se quefto
acca- de fi per la medefima ragioncjchcpur'hora habbiamo allignata per
la diuifione,faccndo apparir eccello ancor la compofitione> Se fi
anchor perche tal compofitione fa nel comporto apparétia 65 di principio,
Se di caufadi cofe grandi. Appretto di quefto per- che maggiori habbiara
detto eller quelle cofe, che fon più diffi- cili, Se ancor quelle, che fon
più rare, di qui è, che loccafioni, l'età, Jl Primo libro .
jt reti» i luoghi, i tempi, & le forze, Se condiiionf aTrru?,
vengono a recar grandezza, Se crefeimenro alle cofe. pcrciochc fc le
at- tioni fi moftrano cller fatte da noi fopra le forze noftre,
fopra l*ctà , fopra gli altri nolìri pari,ouer nel tal modo, o nel
tal luogo, o nel tal tempo, vengon per quello a
riceuefapparente quantità,& crefcimento,non folo nelle cofchonefte,
ncll vtili , 64 Se nelle giù (le, ma parimente ne i lor contrarij : onde
da quello prefe forza, Se foggetto quello, che fi contiene in quello
Epi- gramma, che fu fatto per vno, ch'era rimafto vittoriofo ne i
gi- uochi Olimpici, quando ei dice; Sopra di quelle proprie
fpalle hauendo io la cella graue, foleua da Argo portar già il pefee
in 6$ Tegea. Se perla forza del medefimo luogo ancora vsò ificrate di
dir quelle parole, Ih mandole a lode fua ; O da quai principi;, CC a quai
iucceffi fon'io venuto. Mcdefimamentequci beni,chc
fo no,innati,natij,&per natura tali,maggiori fon di quelli,
chad- uentitij,& aggiunti di fuora vengono : folendofi quelli più
dif- ficilmente acquiftare, Se trouar' in altrui, che quelli, onde
non fenza ragione quel Poeta dice, Io quel, ch'io sò ho imparato
per 67 me medefimo. L'edere ancor p ri nei pai idi ni a. Se grandi di
ma parte d'vna cofa, chenelTeder (uo fia grande, aggi tigne
gran- dezza : fi come (per edèmpio) ben conobbe Pericle, quando
in quella oration funebre intitolata l Epicaffio, dille non
altrimen- ti edere (lata tolta via della Città quella gioii entò, ch'era
morti nel fatto d'arme, che fe di tutto Tanno fuilè tolta, Se rapita
la 6Z primauera. Quelle cofe ancora, lequali in maggior bifoeno,
Se in più vrgente necedità fono vtili; come faria (per eilempio) net
tépo della vecchiezza,& neH'infirmità,fi deono (rimar mag- 6 9 giori,
Se più eligibil beni . Medcfi mamente di due beni, quello 7 o li potrà
(limar maggiore, che più farà, vicino ai fine. Se a ciafche duno anchor
s'ha da (limar, che fia maggior ben quello, che fia maggiore fpetialmente
a lui, che quello,chc fia tale femplieeme 71 te,c m natura fua.Quel
parimele di due beni, che ci fia polli bil'a cófeguire, maggiore habbiam
da Mimar/che fia di quello, che ci fia impodi bile ; percioche quello
viene ad eller bene a noi,doue che que(lo,dato bc che fia in fua natura
bene, nódimeno a noì,a 71 cuinòèpodìbilc,nófipuòdirchefiabene. Oltra di
quello le cofe,chcs'inchiudono,& concorrono nel fin della vita noftra
, fon maggior beni, come quelle, che più fon vicine, Se cógiunte G ij
alfine, j 2 usua x^crorica a jirisioreic^ 7j al fine, che non fon
quelle, che fon mezi al fine. Quelle cofe ancora fogliamo (limar maggior
beni, nel! elcttion delle quali fogliam riguardar più torto la flcHa
verità, & l elfcrc ifìeflo del- la cofa, che il parerà gli altri .
& in quello iìà pofìo, & s ha da intender l'eucr le cofe ad
opinione, ÓV parer de gli altri, che le non fi eleggerebbero, fe fi
penfalle, che le itetiero ignote, & na- 74 feofte altrui. Onde per
quella ragione può ad alcun parer'ellèr più cligibil cofa il nccuer
bencnuo, cheil farlo : perochc il ri— ceuerlo e cofa, che quantunque la
fullèpcr elfere appretto de gli altti non nota, ne manifefta ; in ogni
modo per fe medeflma £ eleggerebbe, don e che il far benefitio non
clegercbbe ognun, che lo fi, fe ciò do u elle refìar afeofo al mondo,
& non mai fa- 7J puto. Medefimc mente quelle cofe poiìon parer maggior
beni, lequali Ci defìdera più folio, che veramente fiano, che
appaian d'efrerc : pofeiache in tal guifa vengono a riguardar più tofìo il vero,
che il parere, ÒV l'opinion de gli altri . èv da quelìo cercan di prouar
alcuni, che la giuftitia in rifpetto della fanità, .fi deb- ba fìimar
picciol bene; perche nella gin flit la par, che ila più .eligibile il
parer gi urto, che l'cller giurto;douc che nella fa- 76 nità tutro il
contrario adiuiene . Quei beni ncoia fi debbono ili mar maggiori, i quali
polTbno a molti beni eilcrc vtili, com'a -dir (per eflempio) a vincre,a
commodamente menarla vira, al- la voluttà, & ad operar cofe honefle.
Onde none marauiglia, che le ricchezze, & la buona valetudine appaiano
communeme te grandiUìmi, & importanti mi beni, pofeiache tutte le
dette 77 cofe, par che polTeggono, ÓV portin feco. Oltra di qucfto
quel bc diremo, che fia maggior, il qual lìa priuo di molefìia,&
hab bia olerà ciò feco voluttà congiunta, pofeiache più bene
viene egli in tal guifa ad hauere, hauendo feco la voluttà, la qual è
be- ne,fì com ancora ha luogo di bene la macanza, che vi lì
truoua» 78 del dolore, cV della molcflia. Et quella ancor di due cofe
farà maggiore, laqnalaggiunta advn'altra terza cofa, produrrà
vn tutto maggior, che non fi produrrebbe 5 alla medefima s'ag- 79 gì
ugnelle quell'altra. Quei beni oltra ciò,li quali, quando fon prefirn ti,
manco pollono fìarafeofi altrui, maggiori vengono ad clìere, che per il
contrario quelli alm,liquali prefenti fi frano a- fcofi : pofeiache quelli
più vengono ad hauer parte nella verità, che non fan quelli, onde per tal
ragione 1 cilcr veramente ric- co lì co fi potrà Rimar maggior bene,
ch'il parer d'edere. Mcdcfima- mence vna coCa, che fia da edere hauuta
fommamente cara, maggior ben farà in coloniche 1 haran (ola., che in
quelli, che 1 hauefleraccompagnata da altra cofa fimile, o vguale ad
eflà. Etdaquedo nafee, chenond vgualgadigo faria punito colui, che
caliate vn'occhio ad vn lufco, che non n hauefle fé non v- no, & chilo
cauairc ad vno, ch'hauendogli ambidue, redatte 51 con l'altro libero. Da
quai propofitioni adùque,& da quai mez- zi fi pollàn così nel
fuadere,comc nel dilluadercjtrar quali tutte le pruoue a far fede,habbum
fin qui detto, & mofhato, quan- to occorrcua. (apo 8. De gli
Stati, G ouerni delle Città 5 di quante Jorti fieno ; & de ifim loro
. R a tutte le cofe, ch'à bene in condrite pervade- re, &
ottimamente configliare, come importanti fi ricercano; grandifli ma, Se
potentiffima fi dee (rimar, che fia la notitia, che fi pofl'egga di tutte
le forti di republichc, & ciuili amminidtarioni ,* & il
conofeer ben di (tintamente le confuetudini, i collumi, eli in- 1 dittiti,
i fini , & le vtilità di ciafeheduna . conciofia co(a che tutti
vniuerfalmente fi muouauo, & perfuafi reftino dallo dello vtile ;
& quel (blamente s'ha da (limar'efler'vcilc, che può con- 3 fcruar lo
(lato, & gouerno della cittì. Olita di quello le detcr- minarioni, e i
decreti s'han da intendere elfcr quelli, che na- feon dall'arbitrio, &
dalla pronuntia di chi tenga la Comma po- tetti nel gouerno ; che tanto è
a dir, quanto, da chi fia principe 4 in elio. Lcquali Comme poteftà, &
principati Con tra di lor di- dimi fecondo le Cperie delle republichc :
poCcia che quede Con tali Cpetic, altrerante Corti vengon necefiariamente
ad efler le 5 Comme potedà . onde eflendo cinque le Tpetic delle
republichc, prio fine, fe non la cuftodia, & faluezza fua . Può
apparir dun- que • f/ Primo libro . f j ^ue manifefto cfler
neceflàriamente di mcftieri d'hauer ben no- te, & ben diftintc quali
confuetudini, quali inftituti, quai co- fiumi, & finalmente quali
vtilità in ciafcheduna fpetie di repu- blica appropriatamente, Se peculiarmente,
riguardino il pro- prio fin di quella . percioche nelldettion, che s'ha
quiui da far delle cofe, s'had hauer Tempre riguardo, che a quel tal fine
fi 20 poftan come vtili riferire . Ma perche le fedi, & le
perfuafioni fi fanno, non folo con l'orationc argomentati ua> &
fondata in pruoue y ma ancor col mezo dell'oration morata, ch'indi tio
dia de i coftumi, Se delle qualità di colui, che parla: pofeia che
il parer noi, 8e efler tenuti della tale, Se tal qualità, fuol
tirar quei, ch'afcoltano a creder alle parole noftre ; il che alhora
fpe- tialmenteadiuienc, quando per huom da bene, o per bencuol 1 1
loro ci facciam conofeere a l'vna cofa Se l'altra; fa di meftier
per quello, che noi beniflìmo potfediamo la notitia de i coftumi,
& qualità di ciafcheduna forte di republica : eflendo
neceflario, che in ciafcheduna di dette fpetie, fia principalmente
perfuafi- bile, & facihflìma ad elTcr creduta quella forte di coftumi,
che il ad efa fon proprij, & accommodati . Li quali coftumi
facil- mente ci potran venire in cognitione per quelle medelime
co- fe, che de i diuerfi fini d effe republichc, poco di fopra fi fon
di- chiarate, percioche tali i coftumi fi moftran fuora, quali
fon dentro l'elettioni, donde cflì nafeono; Se l'elecrioni nan fem- *3
prc riguardo, & riferimento ai fini. Habbiamo adunque fin qui, quanto
conuiene alla prefente occafione, & proponto, di- chiarato quai cofe
habbi in da riguardare, Se da proporli di- nanzi coloro, c'han da fuader
qualche cofa, o come futura, o 14 come prefente : & donde fien' per
poter trarfedi, Se pruoue a i J moftrar l'utile : Se parimente da quai
vie, Se in quai modo pof- fan diuenir copiofi nel dire intorno a quanto a
ciafcheduna fpe x6 ne di republica conuenir polla . Ma di tutto qucfto
habbiara ne i libri della Republica, come in luogo a cosi fatte materie
proprio, con più cV efquiuta dot- trina, & con maggior
dili- genza fcritto. T>el G enerDemoJlratiuo 5 & del- le
co/e lodeuolu & delle 'Vituperabili : & de i luoghi da trottarle,
£f da prosarle . g5/5 Ato nomai fine a quanto fi e dcrro fin qui,
regni- remo al prefente di ragionare della uircù, & del vaio,
&inliemcmcnrcdeirhonefto,& del brutto: eflendo quelli i fini,
& gli ("copi di coloro, che lo- dano, o biafmano . Ol tra che in
vn mcdefimo tc- po haremo dal far ciò quello di bene, che nel trattar di
tai cole, potrà fard ancor manifefto, da quai cofe potrem noi
procac- ciarci là via d'eller tenuti di quelle qualità, ch'ai buon
coftumc importano ; in che confitte il fecondo modo di far fede, con-
# ciofiacofa che da i medefimi luoghi, aiuti, & principi!
potrem far parer, cosi gli altri, come noi ftcflì tali per virtù, che ne
fac- 5 eia communemente tener degni di fede. Et perche in due
modi fuole fpeire volte accader d'hauere a lodar, non folamcntehuo- - mini,
o dì j, ma cofe ancor priue d'anima, & qualche fpetie, o indiuiduo
d'irrarionale animale ;& quelli modi fono,l'vno fenza che la neceffità
di qualche caufa Io ricerchi, fol per puro intertenimento , & diletto,
& quali per palla, tempo, &c per fcherzo j & l'altro perche
qualche ragioneuol caula n'inuiu , & ne tiri a farlo; farà ben fatto
per quella ragione, che feguen- dofi il medefimo modo, che fi è leguito
nel trattato precederei s afiegnino ptopofitioni, ch'a quel, che pur'hor
fi e propolìo, 4 pollano euer vtili. Noi dunque più toAo fcmplicemcnte ,
6c quafi per via d eifempio, che ùmilmente per via d 'efquilìte
ra- gioni: ci ingegneremo di dir, quanto ci parrà, che faccia a
pro- pofito inrorno a qucflo . L'honelìo dunque sintéde eflcr
quel- lo, che eirendo eligibilper fe medefimo, hà ancor di più,
che egli e parimente per fe ilcllb lodcuolc. potiam'ancor dir,
che egli fia quello, che elfendo in fe bene, e ancor diletteuole
in quanto che gli e bene. Hor'elTendo l'honctlo fccódo che 1
hab- biam deferitto, neceflariamente ne feguc, che la virtù fia
colk honelìa : pofcia eh elTendo ella bene, e ancor olrra ciò cofa
lo- dcuolc . & e la virtù per quel, che fuol communemente
pa- tere 9 i Jl Primo libro . " rere,vna parata, cV
pronra habilità, procaccia trice, Se confer* j uatrice di molti beni,
potiam'ancor dir la vinù efTer quella, che ne può render potenti, &
pronti a giouare, Se a beni fi care in molti commodi, e in molti
beni.& è in Comma tra i beni quella, che (com'in prouerbio fi luol
dire) è in tutte le cofe il 10 tutto. Parti, oucrofpcrie della virtù fon
la Giù ftitia, la Fortez- za! IaTempcrantia,la Magnificentiaja
Magnanimità,la Libera- 1 1 lira, la Manfuctudinc, la Prudentia,la
Sapicria. Tra lequali vir- tù fa necelfariamente di mefticri, che quelle
(ìano grandinarne reputate, lcquali fiano a benefitio altrui vtiliflime
fopra l'altre; hauendo noi già detto clfer la virtù diCpolìrione, Se
riabilita be- 1 1 neficariua per Tua natura. Se per quello i giufti, e i
forti, Cogliono cifer Copra tutti gli altri huomini communemenre
honorati, Se reputati : pcrochc la virtù di quelli ne i tempi di guerra,
Se la virtù di quelli in tempi di pace, reca grande vtile, Se
gioua- 1 j mento a gli huomini. La Liberalità doppo quefte è
ancor'clla grandemente honorata : peroche i liberali largamente
Cpendo- no, ne (Un mai altercando, Se contendendo per conto di
dana- ri, & d'hauere, di che per il più Con cupidi communemenre
gli 14 altri. La Giuftitia adunque s'hà da intender'eiler vna virtù,
me- diante la quale ciaCcun poffiede le proprie coCe Cue, fecondo ij
ch'ordinano, Se diCpongon le leggi. Se l'ingiuftitia per il contra- rio
induce, Se è mezo a far pofleder l'altrui contrai ordin delle 1 6 medefime
leggi. La fortezza poi è vna virtù, per la quale s'indu- co n gli huomini
a operar ne gli vrgenti pericoli,che ne CopraftU no, ateioni valoroCe, Se
congiunte con 1 nonetto : oc ciò (ccódo, clic lor comandano,cV diCpongon
le leggi: come quelli, cheper 17 ral vinù fi rendono ad clfc obedienti, Se
volonticr Copgetti . M a la Timidirà, o codardia, che la vogliam chiamare^
dì tiirto'I co- 18 trario a punto c mezo, Se cagione. La Tempera n ria ì
vna virtù* mediate la quale intorno alle CenCuali voluttà corp oreCjIn q
Ue |, la maniera fi edificano, Se fi diCpongono gli huomini, che
le dell'eleggi comandano. Se al contrario a pi^ro fi diCpongon
per 15) cauta, òc incitation dell'inrempcrantia. La Liberalità poi ci
ren- de dupoftì agiouarcon i danari, &Coirantie noftre, & a far
be- nefitio a molti . a cui fi com'è oppofta l'atiaritia, cosi ancor a
fa- lò re il contrario ci diCpone, Se ci guida. La Magnanimità è
virtù, che rende rhuomo parato, Se pronto a far'altrui benefitio in H
cofe 1 1 cofe grandi, Se clumportin molto. & la mngnihccntia poi è
vir- tù, ch'induce ancora ella, Se difpone a operar cofe grandi,ma
fol rifpetto alla larghezza delle fpeie, ch'occorron farti in operar
rai colc,(i che nello fpcnderc in cofe importanti, moftra fempre grandezza.
Li contranj poi di quelle due virtù fonala pu filladi mi tà, *$ cV la
Grettezza, & mefehinezza nella fpendere . La prudentia è virtù del
difcorfiuo intelletto, mediante laqualc diueniainoha- biJi, & potenti
a prcnderm noi conlìglio d'intorno a quelle co- le, ch'o buone, o cattine,
o vogliam dire, o cligi bili, o fchiuabi- li, habbiam raccontate, come
appartenenti alla felicità dell'huo- 14 mo. Ma della virtù, Se del vitio
in vniuerfale confiderà», & par ticolarmente poi delle parti, Se delle
fpetie loro, può, per quan- to ricerca ilprefcntc proposto, fumarti a
balìanza, quanro fin M qui ti e detto. Di quelle cofe, che in quella
materia reftan ancor 16 da ditti, non farà difficile il determinare .
pcrcioche primiera- mente può cller manifclìo, chequelle cofe, che faranno
prodot- tici, &c erTet trici della virtù, necetiariamentc per
riferirti all'ho- nefto della virtù,farano ancora etiehonefte,&
parimcte faran tali ancor quelle,chc fegtiirino, Se nafeerino dalla virtù:
come fono 17 gli inditij delle virtù, Se l'opere, Se Ieattioni di
quelle.Et perche gli inditi], Se tutte quelle forti di cofe, che fono o
arcioni, o paf- fioni di cofa honefla, fon confeguentemente cofe honefte,
ne lc- gue di neceffità, che tutte le cofe, che faranno opere, Se effetti
di fortezza, oueroinditij, & fegni di quella, o veramente cofe
fo- ftenute,& patite fortemente, haran congiunto 1 nonetto
feco. a.8 fi come l'haranno ancora le cofe, che faranno inditij di giù
fati a, 19 Se l'onere gin ftam ente fatte, ma non già fbroar fi doueràno
ho- nefte le cole, che ti lòftengono, & ti paton giuflamente.
concio- fiacofa che in quefta fola virtù della giù fu ria, trà tutte l'altre
vir- tù accalchi, che non fempre tia cofa honefla, & lodeuole il
pa- tir guittamente, anzi nel riccuer punitione, Se galìigo, più
brut- ta cofa, vergognosi, Se biafmeuol s'hà da fumar che ua il
ricc- io uerlo ciuflamcnte, che ingiu/hmence. ma in tutte l'altre
virtù,!! fomigìianreadiuiene, c'habbiam deno auuenir nella Fortezza
4 J 1 Appreflb di quello tutte quelle cofe, a cui e propoflo come
pre- mio l'honore, ti deono giudicar congiunte co l'hone/to.& quel- le
parimente,Iequali pia tolto con I honore flelTo, che con da- nari, o con
iofiantie, logliono efTer premiate, & ricompenfare. Honefte, Se
lodeuoli ancor fono a noi quelle cofc,ch euendo per fe fteile eligibili,
noi più torto per curai d'altri, che di noi me- 33 definii procuriamo.
& traquelle cofe, che fono in lor natura femplieemente beni, quelle,
hanno in fe molto deH'honefto, le quali porta da canto l vtilità, ck
l'intereUe proprio, (blamente 34 per benefitio, ck vtilità della patria
operiarno . Pamapan pari- mente dell'honefto quei beni, che fon beni in
lornatura,& dal- 35 la natura dati. ck quelli ancora, i quali l'vfo,
e'1 godimelo pro- prio di color, che gli polleggono, non riguardano :
pofeiache il riguardarlo farebbe inditio, che roller. per cagione, ck per
vtil de 36 gli ftclTì lor poiTclìori, tk non de gli altri. Lodeuoli
ancoFa, & nonerti s'han da ftimar, che Cittì più torto quei beni,
chefi fo- glion concedere, tk dare a gli huomini doppo la morte loro,
che non fon quelli, che fi concedon lormcnrre che fono in vira,
pe- roche le cofe, che fi danno, ck gli honori, che fi fanno a
color, che fono ancora in vira, può più ageuolmenre parer,chc fi
dieno, & fi facciano in gracia loro, & perfol piacer ad erti, ck
non per 37 caufa della fola lor virrù, come ai già morti adiuiene. Hanno
an- cor molto deH'honefto quelle opere, che fi fanno per caufa
d'v- tilc, tk commodo, che ne venga ad alrri : come quelle, che
in talguifa minorapparenria tengon d'efter farrc per fola caufa di 38
femedefimc. Mcdefimamcntc i nego ti j, le fatighe, cV le cure, ben maneggiate,
& diligentemente trattate, & condotte a fine , appartenenti ad
altri, più torto, ch'a fe Hello, non è dubio, ch'el- le non habbian
cogiunto molto del lodeuolc, tk deH'honefto fe- co : ck fpecialmcntcfe tai
negotij a perfonc appartengono, dalle quali shabbia riceuuto benefitij :
pcroche in tal calò la giuftitia 35 così ricerca, & s'opera
giuftamente in farlo, tkin fomma rutti li benefitij, che fi fanno altrui,
tengon fcco, inquanto rali, parte 40 non piccola deH'honefto. Quelle cofe
medefimamcnre,le cótra- rie delle quali foglion'indurrc alrrui adarroflìr
per vergogna, fi poflono ftimar honefte. percioche cofe brutte, &
biafmeuoli fon quelle, le quali quando diciamo,o facciamo,o già già
fiam'in ani mo parati, de pronti per dire, o per fare, ci foglion cagionar
ve- 41 «econdia. fi come bene ef^rciTc Saffo ne i fuoi verfi, quando
ha- ucndole detto Alceo, volontieri, o Saffo, ti dirci alcune
cole, ch'io hò nell'animo, fe la verecondia non mi ritcneffe, ella ri- spondendo
gli dine. Se ci foiTe caduto in animo, o Alceo, delì- H ij derio 6 o
% JJeua Jsetprica a yirmotti^ dcrio di cofc, c'haueflcr dellhonelto, &
del ragioocaolc, Se non furte acconcia, Se parata la tua lingua a dir cola
brutta, Se degna di nprenlionc, certamente la verecondia non uoccupatebbe,
ne t accenderebbe il volto, ma fecuramente parlerei, non hauen- 41 do
ad»r cola, che non fuOegiufta. Oltra di quello quellccolc, che loelion
tener gli huomini in angofeia, Se angonia di mente, fc congiunto con elTa
non è timor, o tcrror d'animo ; li poùono Aimar cofe pendenti
dahonorc,& dahoncftà, folcndo vn tale accidente accafcarc aglihuomini
percagion di quella forte di 4 j beni,che riguardan la rcputationc,&
la gloria. Appretto di que- fto quelle virtù, & lodeuoli operc,chcfon
proprie di (oggetti m lor natura più nobili, faran parimente ancora elle
più honeltc, Se più pregiate ; come fon (per esempio) quelle dell h 11 omo
n- 44 fpetto a quelle delle Donne. & meddimamentc più
congiunte con 1 nonetto fon quelle virtù, che fon più atte ad eller
godute. Se con diletto guftatc da gli altri, che da color, che le
poligo- no. Se per qudta ragione il giudo, & la giuftitia fon
giademen- 4 r te partecipi dell honefto. Maggiore fplendore ancora d
bonetti fi dee fornir, che fu nel prender vendetta de . fu 01 nemici,
che nel riconciliarfi pacificamente con efli.cooaoliacofa che da
giù- ftitia nafea il ricompenfar fecondo lcqUalità, Se .1 render pari
a pari, & quel, eh è giufto, fia parimente nonetto, oltra che
cofa da huom forte è il non cedere alle ingiuricnecome infenor
loc- *6 comberc alla forza d'altri. La vittoria ancora,* ilpremio,
che vincendo fi confeguifcc> fon cofc da elTcr connumcrate tra le
co- fe honeue, comcqucllc, che quantunque al tro vtile. o frutto
no portin feco, fon nondimeno eligibili per fc ^edefiroe, &
danno 47 infiemementeindino d ecceiro divina Olrra diqueitonguar- dan
1 nonetto quelle cofe, che foglion cófcruar viua 1 altrui me- moria : Se
quanto più fono atte a rarqucfto,tamo han maggior- mente dell nonetto : ne
è dubbio, che più non fiano atte a tarlo 48 quelle,chc (èguitao 1 huomo
doppo la morte ancora. I arirocn- te lodeuoli, & honefte fon quelle
cofc, alle quali vien dietro ho- 49 nore, Se reputazione. Se quelle
medefiinamentc fi fan tenere per 4^ «uiv, v + ^orpn.ate lcaua i eccedon 1
altre nel maegiormentchoneltc, Spregiate, ic qua» „ rtl r^, art
>«. nenVr loro, Se più ancora, te noi foli forno, che le
polliamo. Jofcnche per tal cagione vengon a ferii più -o«W.,^ P«
con- 50 Vegnente pili atte a reftar ncU aUrui memoria. Le pozioni ancora,
parche crcfcan di degnici, fe più torto amene, che frur- ruofe fono : come
quelle, che in quella guifa fan maggiore ap- 51 parentia di liberalità.
Apprcilo di ciaicheduna nanoneancora, quelle cole, eh ad effa fon proprie,
& peculiari, fi deono (limar' 51 nonorate, Se habili a recar lode. Se
parimente quelle, che poflb- no efier inditij di cofa, appretto di quefto,
o di quel popolo lo- data, honefta, Se peculiarmente tenuta in pregio,
come (per ef- (empio) era cofa honorata appreflb de i Lacedemoni il
nodrire, Se conferuar lunga capigliatura, eden do quefto vno inditio
del- la libertà, & ingenuità loro, come che 1 vlo del portar la
chioma lunga, non laici agcuolmcnte elfercitarealcuna operation
ferui- 5 j le. Cofa medefimamente, che porti honeftà feco,s ha da
ftimar, che fia il non clfercitare alcun arte medianica, Se illiberale,
con- ciolìacofa che conuenga ali rinomo libero, Se ingcnuamete
edu- /4 cato, il non foftcntarla vita ad arbitrio d altri . Recherà
gioua- mcnto ancora a poter commodamente lodare, o bial mare,
l'vfar di prender in luogo delle cofe delle, quelle, che per vicinanza,
Se fomighanza, che tengon con elle, poflbn parer quelle delie me- de
firn c. comcauuerrebbe (per ch'empio) le vn,chcfullè ne i pe- ricoli
cauto, Se auuertitamente animofo, futfc da noi chiama- to timido» &
inlidiofo: Se vno ftolido,& mezo matto, chia- maflìmo femphee, Se puro
: Se il nome di manfueto delfinio /; a vno infenfaco. Medefimamente in
ciafcheduna cofa s hàda procurar, che di tutte quelle cofe, che
fcguitano,& s'accom- pagnano, Se van dietro a quella, fi prendi no in
luogo d ella quelle, che più ci paia che tornin bene, comefe
(pereHem- pio) colui che fufle iracondo, & quafi furibondo;
nominaf- urno huomo femplice, Se li'oero : Se ad vn faftoib, Se fupcr- jf
bo delti mo il nome di magnifico, & grane . Et coloro oltra ciò , i
quali ne gli eccelli , & ne gli eftremi , tra i quali dan ri- pofte le
virtù , traboccatfèro , potremo cofi nominare, comefe nei mezi,cioé nelle
virtù fi trouallero : comauuerria nomi- 57 nando l'audace forte, & il
prodigo liberale. Perciochc oltra ch'a i più degli huomini,come impenti
foghon communemen re parer virtù cofi fatti eccedi ; ci s aggiugne quefto
di più, che ingannando in vn certo modo co fallace fillogifmo fe ftedi ; par loro,
che ragione, Se caula ci fia , per laqual fi pollano accettar j8
perhoncfti,& lodeuoli i già detti eccedi . Conciofiacofa che s
alcun'è* 6 2 Della Retorica d Arisxotelt^ s'alcun' c , che doue non
faccia dibifogno fi metta più di quel , che conuiene ardito in pericolo,-
può vcrifimilméte parere, che molto più farebbe egli quefto quando la
ragione,& lhoncfto lo ricercate . Se fefenza diftintione alcuna farà
largo in donare il fuo à chiunque gli venga innanzi ; fi può ftimar, che
molto più fia per far quefto co gli amici fuoi,di maniera che può parer
vno eccedere, Se vno eilcreabondanre nella virtù, tf fare vtile, &
be- neficio à tutti. Fà ben meflier d auuerrire, Se di confiderare
al- la prefentia di quai per Ione fi prenda à lodar la perfona, ò la
co- fa, che noi lodiamo : percioche fecondo che folcua dir Socra- te,
non è diflficil cofail lodar gli Atheniefi,apprciTb de gli Athc- 60 niefi.
Et fi dee parimente auuerrir, che quelle cofe, che fon te- nute
honcfte,& lodeuoli appretto di quelli, ò di quelli, dinanzi ài quali
parliamo ; fiano accertate, Se lodare da noi, come che veramente,& in
lor natura fien tali, Se non perche eglino cofi le (limino : comeauuerria
(per ellcmpio) s'appreflb de' Scithi,dc* Lacedemoni j,dc'Filofofi,ò
d'altre narioni, ò profeflìoni occor- rere hau ere à lodar qualche cofa.
doue (perbreuementedire ) bi fogna fempre cercar di tirare all honefto
timo quello, eh 'ap- prcifo di lor fia hauutoin cóto,8c tenuto in
pregio.il che non fa rà difficile, per la vicinanza, c ha l'cifer tenuto in
honor, co Thonetto. Oltra di quefto quelle cofe fi deono come honcfte,&
de- gne di lode fumarci le quali può parer, ch'alia cofa lodata
con- tengano, Se quafi come fuc appartengano . come faria (
peref- Tempio) fc le fu 1 *" cofe degne de i fuoi maggiori, ò a i
ratti di quelli proportionate ; &cfe\c corri fpódeirero ad altre fuco
lo- ro proprie honorate anioni :
perochel'aggiugncrej&accumui lare honor fopra honore, molto porta fcco
d'honeftà , Se di feli- ci cita. Ridonda ancor grandemente in lodeil
moftrar, che fuor di quello , ch'ordinariamente, Se vcriGmilmcntc fc ne
fune po- 6} tutoafpettare,habbia proceduto la cofa lodata in meglio,
come -auuerria (per elTcmpio) fc diceilìmo, che coftui nella buona,
Se profpera fortuna fua fi fece fempre conofeer per modefto,per hu mano,
& per moderato ; Se nell'acerba, & auucrfa, per magna- nimo, Se
per co ftan te. ò fcd'vno , che fufteda balla condì tion falito à
ricchezze, Se à degniti, diceflìmo, chei fempre fulfedi- uenuto in miglior
coftumt, cV: più fempre affabile, Se più tratta- ta bile . Se in quefto e
fondato il detto, che folcua vfare Ificratc di feme- Jl Primo libro .
f j Ce medefìmo dicendo; O da quai principi j à quai fu cecili fon
io 6} venuto . Se quell'epigramma medefimamente di colui , c haue-
* ua ottenuto vittoria nei giuochi Olirrìpici, doueei dice; Sopra di
quelle proprie fpalle hauendio la celta grauej Se quel chclc- 66 gue.
& quel detto parimente di Simonide, Il padre, il marito, 6j Se li
fratelli di cortei furon tiranni. Et perche la lode principal- - mente
alle operationi attribuir (idee; Se è proprio di color,che operano
virruofamentel operar con elcttione ; fa di meftierper quello di tentare,
Se di far forza Tempre di fare apparir, chele operationi di colui, che noi
lodiamo, iìano fiate fatte concon- 6% figlio, & con elettione. Et
vtile à farquefto farà il inoltrar, che 6? fpeflè volte habbia egli fatte
quelle lidie attioni . Onde fe ben vi fuircr di quelle , che rullerò
accadute fortuitamente, Se quafi lenza penfarui , fatte à cafo ; farà non
di mcn ben /atto, che con inoltrar, che fpeflo fiano auucnutc, fi faccia
apparir, che non à forte fiano accadute, ma con elcttione. concionacofa
che fc mol te,& tra di lor fomiglianti fi moftreran tali attioni,
chiaro indi- 7« rio farà,chc da virtù, & da elettion fian nate. Hor
non cllendo adunque altro la lode, che vna narratione, per laqual fi
moftra , Se fi fa conofeer la grandezza della virtù , fa di meftieri, che
le operationi fiano dimoftrate tali, che paia, chedalla virtù nate 7
1 fiano . ma la celebratione s'intende eller delle opre ftefle ; Se
le altre cofe, che di fuor fi prendono, Se fuor della ioltantia
dell'o- pre ; fi prendono in fede, Se in fegno della bontà delle opere;
co me fon ( per efiempio ) la nobiltà, & la buona educatone :
ed fendo verilimile,che da i buoni naicano,& deriuino i buoni;
Se che color, che con buona, Se honefta education nodriti , Se in- 72
(limiti fono ; buoni, Se honefti parimente fiano . Pcrlaqualco- ia
celebrar fogliamo altrui, hauendo principalmente rifpetro al- le opere, Se
alle attioni loro ; ellcndo le opere quelle, che dan- no inditio de gli
habiti, donde elle nafeono : perciochc lodi fi darebbeno ancora à quelli,
di cui non fi folTer vedute le opere, fi credette, Se s'haucilenotitia, che
in cfll fi troualfero habiti 7 3 da operarle. La beatifìcation poi, Scia
felicitatione, cioè il pre- dicare alcun per beato, Se il predicarlo per
felice, fono quanto à fe quali vna ftella cofa ; ma no già vna lleila cofa
con le già det- te, cioè con la lode,& con la celebrationt . ma nel
modo, che la felicità comprende, Se ricerca la virtù ; cofi la
felicitatione,ò ver predication del felice ricerca, & comptende
ambedue le già dec- 74 tecofe. Hanno il lodare , & il fuader
configliando , vna cena forma comune, nella quale in foftancia conuengono:
percioche quelle Ite Ile cofe, à cui fi cerca defortare, indurre, ò
ammonen- do fuader ne i configli ; le medefime, trafpofro alquanto
l'orditi 7J della locutionc,diuengonoairegnationi di lode. Per laqual
co- la hauendo noi già veduto quai cofe còuengon di fare a vo'huó da
bene, Se degno di lode, & qualmente diipofto,& qualificato debba
eilere ; tutto quello potremo mcdefimamente ammoné- do , Se iuadendo dire
; tralportando folo, in vn certo modo al- jC quanto le parole, Se
trafmutando l ordin della locutione. come ( per eirempio ) fe diremo , Non
conuenir gloriar/ì, ne fondar la reputatione nei beni della fortuna j ma
in quelli, che in poter di fe ftcilo fono, cV dall'in tri nfcca virtù
dependono ; verràque- flo concerto in cotal modo efplicato,ad elfer
vtile,& proportio- nato all'ammonitione , Se alla fuafione . Se il
medefimo diuerrà a lodare accomodato, fe murate alquanto le parole diremo,
che il tal non fi gloriatane da più fi repuraua punroper i beni eli
ci poilcdciia della fortuna ; ma folo per quelli , che
daii'intrinfcca 77 virtù fua depcndeuano . Per laqualcofa quando vorrai
lodare alcuno, andarai cólidcrando di che cofa l'ammoni redi , de
àche cofalo fuaderefti . Se all'incontro quando ammonire, ò fuader lo
vorrai, andarai vedendo che cola trouarfi porta degna di lo- de in chi fi
fia : folo il modo della locutioue, Se 1 ordin delle pa- role farà
contrario nelle due intentioni, Se efpreflìoni già dette; efprimendofi 1
vna per modo di prohibire,& altrafenza cofi fat 75 tomodo. Molti
ancora di quelli aiuti in lodar iarà ben di via- re, iquali han forza
d'amplificar le cofe. come le (per cileni pio) dicemmo, che colini nella
tale honorata attione, Se lodcuol fat- to, fu folo à operarlo, ò vero il
primo di tutti gli altri, òalmen pochi hebbein fu a compagnia; Se ch'egli
fuil principaliflìmo. Se quello in lomma, à chi principalmente fi debba
attribuirei! fatto . perochc cofi fatte conditioni, Se circoltantic portan
icco molto dell'honefto,cV alleattioni nó piccolo fplendoreaggiun- 75
gono. Tra le quai circoftantie quella del tempo, Se quella dcU Poccafione,
fon di gran momento in amplificare/ Se fpetialmcn te quando le portan cofa
fuora di quello, che vcrifimilmen te px lo rena, che fi po celle
afpcccare. Medcfiraaracncc amplificatione importa Jl Primo libro . 6
j imporra nella virtuofa operacion d alcuno, il moftrar,
ch'egli molte voice nel medefimo, ò nel fimil fatto , il medefimo
valor habbia moftrato : pofeiachein quefla maniera, oltra ch'apparirà più
nonetto, Se più grande il fatto; farà ancor giudicato , che . non à cafo,ò
per fortuna (la accaduto, ma per maturo configlio, 8 1 & deliberata
«lettion di lui ftctTo, che l'hà operato . Verrà pa- rimente ad
amplificarfi il fatto d'a!cuno,fe moltreremo,che per tal cagione fi lìa
per honorarlo trouaro, «Sé inftiruiro di nuouo alcun di quei premij,&
legni d'honore, che fogliono eccitar gli huomini à bene oprare , tic recar
lor gloria , & honorara fama . Si com'àdir, ch'egli lia flato il primo
ad eifer con oration publica celebrato; com auuennead Hippolocho: & fi
come Annodio, ÓVAriftogitone furono i primi, ài quali fu ifer drizzale fta
tue pu 83 bliche in honor loro . Et il medefimo fimilmentc s'hà da
mten / dere, & fi può confiderare, èV applicar nelle cofe, alle già
dette, 84 contrarie; cioè à quelle che recan biafmo. Ma fela perfona
ftef ' fa, di cui prenderemo à parlare , non ci potrà co i fatti fuoi
pro- prij abbondanrc materia fom mini (tra re; potremo in tal cafo
ri- durlecolein comparatione , ponendola in paragon con altri. fi
come foleua fare Socrate ; come quello, ch'era molto vfàto , &
alTuefatto nel gener giudiciale . Maja ben di metti eri di far la
comparation con perfone d ìlluttre virtù, di chiara fama : conciofiacoià
che amplificata, Se ingrandita vien la virtù di colui, il qual fia à quelli,
che vircnofi lono, ancepofto . Et in vero non fenza ragione in teruiene^fc
hà luogo l'amplificacion , nel laudare; come quella, che conulte in vn
certo eccello: Se già fàp- piamo, che l'eccedete hà in apparentia in fe
del lodeuole,& dell'honelto . Oride hafee chequando ben non fi pollon le
per- fone , che lodiamo , paragonare , & comparar con perlone *
egregie, &di gran virtù; li doueran nondimcn porre in con- paratione
con altre, quai fi voglian che fieno . pofciache pur che s'ecceda,parchc
il folo eccedere porti inditiodi vrrcù , & faccia 85? accrefeimento
alla lode . Hor per concludere, pare, che di tut- te le fpetie, &
forme d'argomentare, che fon cornimi ni à tutti i generi delle orarioni,
l'ampliflcation ita , piùaccominodara , 6c 90 proportionata alle
demoftratine. conciofiacofa clic color, c hàn da lodare, pccndan di fuora,
& come già manifefte fuppongan le arcioni, c'han da narrare : di
maniera che folo retta loro di far con amplificatone apparir la grandezza
d'effe, & Ihoneflà 51 che le portan feco . Gli elTempi poi fon molto
accommodati & appropriati alle orationi del gencr confultatiuo :
perciochc dalle cole già meccite per il Dallato , fogliamo decorrendo ,
Se 51 conictturando fargjuditio delle future. Et gli Emhiniemi
final mente pare, ch'allc gìudjciali orationi.4>ccomroodino, &
con- uengan principalmente: ( pofciache le Gftfe, che già fon pattate
, cVhan giàhauuto effetto, pollonpriocipalmctc tra tutte
l'altre* maggiormente dar luogo al ccrcarfene la cagione,& ad cifer
de- mottrate con fillogifmo, non elfendo elle manifcftc, poi che
ca- j$ dono in controuerlìa . Daquai cole adunque depcndano ,
& qua(ì nafeano tutte (lì può dir ) le lodi, & i biafmi : Se à
qtiai co- le parimente s'habbia da tener l'occhio volendo lodare, ò
biaf- mare : Se da quai propofitioni , come da luoghi , fi poifan
trar forme da celebrare, & innalzai lodando , ò da infamare , &
im- bruttir vituperando ; può effei mani fedo per le cofe , che fi
fon dette fin qui : potendo facilmente per fe medelìme , dalle cofe , che
dette fi fon della lode* apparir note quelle ancora, che lor fon
contrarie: pofciacjie dai contrari j dcllalode, Se dellhonc- fto, rcfulra,
Se d crina il hi*fmo . (apo io. T>el Gencr giudìciale : &
prima dell'ingiurie, tfcaujè di quelle 5 {fàquai capi fi poffon
ridurr^ . Egueal prefente, che palliamo fecondo I
ordin'in- cpminciato, à dir dell accufationc, & della difen- À '
(ione ; Se alfegniamoda quante cofe, Se da quali s habbian da formare,
& da concluder in quelle , le argomcnutioni. Fà dunque di meftieri in
quello propoli to di vedere, Se di potlcder tre cofe . L vna e, per
ca- cion di quali, Se di quante cole far fogliano ingiuria gli
huomi- ni . La feconda è poi, di che forte, Se come dilpoiti fien
quelli, chela fanno . Se la terza gli arTctti,& paflìon
dell'animo, piò di lotto al Tuo luogo dichia i j Jcremo . Reità al
preferite che noi veggiamo per cagion diquai \ cofe j Se in che maniera
qualificati, & difpofti , & contea di. che ò 16 forte di perfone,
loglian fare ingiuria ^li huomini. Primiera- mente adunque voglio , che
distinguiamo , & moftriamo per \ .quai cofe conseguire,. &
perquaifehiuarc, fogliam noi rentaic, Se indurre l'animo a fare ingiuria:
cirendo mani fe&o, ch'a col uf chacenfa, appartien di cercare, Se di
confiderarc quali, Se quan tedi quelle cofe fi truouino nell auuerfano,
lequali appetir fo- glion rutti coloro, ch'ingiurian chiunque fia .
&achi difende, perii contrario, Quante, óc quali. di quefte cofe
medefìru* non 17 yi fi trottino . Dico adunque ohe tutte le cofe, che
tutti gli huo *ni ni fanno, parte fanno eglino non da fc ftcflì , nè per
arbitrio proprio ; Se parte da fc fteiìì per lor proprio arbitrio. Se di
quel le, che non da fc ftefli fanno, alcune ne fan per fortuna,&
altre fpinti da ncceflìtà. Se parimente tra quelle, che fan
petneceflì- tà, alcu ne ne fan violentati da forza eilerna, & altre
ipinti, & in io dotti dalla natura. Onde ne fegue , chetarne' le cofe
y che gli huomini, non da fc ftcflì fanno, alcune da fortuna , altre da
natura, Se altre finalmente da violentia , Se da forza nafeono .
Di ueJlecofepoiJcqualicglindafe Itéflfì fanno, Se di cui elfi
me- efimi fon cagione,alcunc fan per confnetudine, & altre per
ap ai petito. & qucile ò per appetito rationale, ò per appetito non
ra rionale : eiTendo la volontà, rationale appetito di bene; po-
1 feiache nell'uno e, eh altra cola voglia, che quella, che già da
lui 13 (la giudicata, & accettata lotto ragtó di bene . L'appetirò
irrario nal poi fi truoua eiTcr di due maniere, quello dell ira, &
quello »4 della cupidità, over della concupifeentia. Per laqual cofa
ne- ceflàriamente da quel, che fi e detto fegue, che tutte le cofe,
che fanno gli huomini, da vna di quelle fette caufe per forza
nafea- no. cioè oda fortuna, òda violentia, ò da natura, oda confite- li
nuli ne-, ò da ragione, ò da ira, ò da cupidità . conciofiacofa che il
voler, con aggiugnere altre diuilìoni, diilingnerlcattioni dcl- l'huomo,
fecondo la ditlintion dell'età, de gli habiti, Se dell'al- tre códitioni,
Se qualità de gli huomini \ farebbe cofa fupcrHua, 16 Se fenza bifogno
fatta . Peroche fe a quelli, che fon ne gli anni giouenili pare, che fegua
quella proprietà d'eiferc iracondi , Se pieni Jl TrtmoTibro . 6
> pieni di cupidità ; non per quello dalla giouinezza fon
molli, Se indotti a far quel, che fanno: ma l'ira, & la cupidità fon
quel 17 le, che gli muouono . Ne parimente i ricchi, Se quelli,
chefo- no opprefli da poucrtà,fon dalle ricchczze,cV dalla pouertà
fpm ti alle loro attioni : ma per accidente accade, ch'i poueri per
ca- gion delbifogno, & mancanza loro, habbian cupidità di
dana- ri, dalia qual cupidità fon molli . &i ricchi per la confidenza
, c hanno di poter confegnir quel, che vogliono, appetifconole Cofe
più tolto voluttuofe, che necellarie. onde gli vni, &gli al- tri di
quelli vengono a operai e, non moflì, come da caufa , dal- le lor
ricchezze, ò dalla pouerrà, ma dalle lor cupidità folamcn- 18 te. Non
altrimenti ancorai giù iti, Se gli ingiulti, Se tutti gli altri,
ch'operano fecondo qualc'habito , ò difpofition , che ten- gono : operano quel,
che operano per alcuna di quelle cagiòn già dette: operando elfi, ò per
ragione ò per affetto dell'appeti- to : quantunque alcuni di loro per
collumi, Se per affetti buo- i ni, Se alcuni peri lor contrari j faccian
le loro attioni. E x beni vero ch'ad altre, Se altre forri d'habiti,
accufano,& confeguono parimente altre, Se altre delle già dette caufe
. conciofiacofa che l'ubico ch'vn fia temperato, gli confeguitin tal volta
per cagion di quella temperanza, intorno a i piaceri del fenfo opinioni,
Se appetiti honefti ; Se all'intemperato per il contrario intorno
à quelle {Ielle cofe, feguitano opinioni, Se cupidità contrarie. 3 o
La onde quelle così fatte diuifioni lì pollon ragioneuolmente la 3 1
feiarc indietro, Se Col balla quanto ad effe conlidcrare quali
del* ledette caufe, a quali conditioni, & qualità d'huomini,
feguiti- j i no Se vengan dietro . Però che fe ben per elTer Ih uomo ò
bian- co, ò negro, ò grande, ò piccolo, ò d'altro limile accidente ;
no per quello gli leguita più l'vna, che l'alerà delle dette caufe
delle attioni fue; nondimeno percller egli ògiouine,ò vecchio, ò
giù (lo, òingiulìo, ò limile, gran diuerlìtà li croucrà per quello
ncl- 3 3 le decce caufe, che lo feguiranno. Ec per dir breuemente in
tat- ti quelli accidenti , & in tutte quelle qualità , che fono habili
a variare, Se a far differenti i collumi nellhuomo , cometaria
lo (limarli ò ricco, ò pouero , ò in auucrfa, ò in profpera fortuna
, ò in fimil qualità ,• in tutte (dico) li troucrà dirTercn ria nelle
caii 3 4 fe deH'opcrare,che le feguiranno . Ma di quelle cole
ragionerc- 3 j ino poi nel proprio luogo loro . Se al preferire quel,che
celia per’ora di dire, anderem feguendo . Dalla forruna adunque fi di- con
farli, & venir quelle cole, le quali non han certa , &
deter- minata caufa, & non per cagion d'elle fon fatte, ne fempre, nè
ii più delle volte, ne ordinariamente adiuengono : le quali
tutte conditioni poiron perla diffìnition della fortuna venir
manife- $7 (le. Dalla natura poi vcngono,& lì fan quelle cofe,la caufa
del- le quali è in clic in trinfeca > & con ordin determinato le
produ- ce ; come quelle , che ò fempre, ò il più delle volte nel
medefi- 3 8 mo modo il veggon fatte, peroche quanto a quelle cole, che
nel la natura fuor della natura fi producono , non conuiene al
pre- lente noftro propofito fottilmente inueftigare, & moftrare,
fe da qualche potentia, òc forza della natura Iteflà, ò ver più
torto daqualch'altra cagion deriuino : folendo parer, chela
forruna 1$ ancora, cllcr ne polla (limata caufa. Da violcntiadircm poi
far- li quelle cofe, lequali da quelli ItelTì, che le fanno, fon fatte
có- 40 tra la lor cupidità, cV contra i volere, & configlio loro . Per
có- fuetudin fidicon poi farfi quelle, che per haucrle l'huomo
fpef- 41 fi (Time volte fatte, le fa poi quafi come arfu efatto in elle .
Per difeorfo poi di ragione, cV per configlio fi fan quelle cofe,
dalle quali paia, che polla venir commodo, Se vtilità, & che
fondi quei beni, che già di fopra hauiamo allignati, ò come h ni,ò
co- me mezi indirizzati ai fini: & fi fanno ol tra ciò per cagione,
& 41 conintention di quel commodo, &di qucH'vtile. quello
dico, peroche alcune cofe parimente vtili, può accader, che
faccian gli intemperati; ma non già le fanno per cagione, &a fin
di auelivtile , ma per cagion più tolto di quella voluttà, & piacer 43
fen filale, che Ila congiunto con elle. Da animo accefo,& da ira 44
vengon fuor quelle attioni, che rieuardan vendetta : & è dipin- ta la
vendetta dal gaftigo,ò ver dalla puni rione, perciocheil ga- Itigo fi fa
per caufa, ÓV per vtil di colui che lo paté, & io riceue: doue che la
vendetta fi cerca di far per caufa, & fodisfattion di chi la fa,
accioche egli col mezzo di quella renda fatio il fuoani- 45 mo del danno
d'altri . Ma intorno a quai cofe confi Ila , & riab- bia forza l'ira,
potrà efler manifcfto per le cofe, che poi al luogo 46 fuo tratteremo
degli affetti, & paffion dell'animo . Per cupidi- tà finalmente fi fan
quelle cofe, che fon voluttuofe, gioconde : & tra cofi fatte cofe gioconde
, fi deon connumerar le co- fe fatte già confuete,& per il lungo vfo
diuenute quafi domeni- che, Jl Primo Itbro . 7 / che , Se
naturali : pofeiache molcc cofe fono, ch'in lor natii» ra non recan
piacere, ne fon gioconde, eV nondimeno per il lun- go vfo frequentate, con
diletto, Se con giocondità lì fanno. Per laqual cofa per raccogliere in
capf, quanto in quello propo- sto detto riabbiamo, tutte le cofe, che gli
huomini da loro Acuì fanno, o le fon buone, o vogliam dire vrili, o le
appaion tali, o uer fon gioconde, o gioconde appaiono. Et perche tutte le
cole, ch'eglino da loro flefli fanno, le fanno volontariamcnte,&
(pon- raneamente, Se non fpontaneamente fan quelle, che non fan
da loro fteilì, ne fegue da quello, che tutte le cofe, che
fpontanea- mente, Se volontariamente fanno, iianodi ncceilìtà buonc,o
vo gliam dire, vtili, o appaiilcon tali, ouer fian gioconde, o
gioco- eie appaiono. Et pongo io in numero frà i beni, Se fra gli vtili,
la libcratione, Se lo fchiuamento de i mali,& di
quclli,cnappaioa mali : Se parimente il riccuimento del manco malc,in
1uol;o del maggior male : emendo l vna, Se l'altra di quelle cofe in vn
certo modo, eligibilc. Et per la medefima ragione pógo in numero
fri lccofevoluttuofe, &c gioconde, la libcratione, & lo
fchiuamen- to delle cofe dolofe, Se molefte, Se di quelle, chappaton tali,
Se il riceuimento parimente del minor dolore, Se minor rooleflia » in
luogo della maggiore. Fa di mellieri adunque di cercar',& di veder
quante, & quali fiano le cofe vtili, & le gioconde. Et qua- to
alle cofe vtili, già di fopra nel trattar del gcner d ehb erati uo,fc- n'e
detto quantopuò ballare, onde refta, che delle gioconde, Se Yoluttuofcal
preien te ragioniamo. In che far' debbiamo (limar, poter lediffinitioni,
& deferittioni che daremo, fodisfàre a ba-» ftanza,fe tutte quelle
cofe, ch'occorreranno, faran non efatta- mente efquifite, ne con ofeurità
poco manifefle. Poniamo adun que per hora non elfere altro la voluttà,
ch'vn mouimen- to, Se titillamento dell'animo, Se vn fubito ritorno,
Se fcnfibilmcnte percettibile, a reftaurara natu- ra : Se il
contrario di quello s ha da in- tendere ellèr la molellia»'Del/a r
R^tprtca dlA^> (apo il. Ideile co/e gioconde , ouer voluttuoje \ .
per cagion delle quali ,Joglion recar fi a fa- re ingiuria gli huomim.
& de i luoghi da tro~ uarle, da conojcerle, £f da moHrarle^j
. Ssendo adunque la voluttà della forte, c'habbiam dichiarato, già
può per quello apparir manifefto, che giocondo, & voluttuofo fi debba
(limar tutto quello, chefiaerfettiuo, & prodottiuo di tal
crlet- to : & quello per il contrario, ch o di quello
(IciTo affetto faràdeftruggitiuo, o del contrario d eflb, eflettiuo,
dolo- ralo, & inolefto potrà giudicarli. Laonde nectllariamente ci fa
per il più,giocódo il lentire appro(lìmarcia quello, chcci paia, che
ricerchi in noi la natura. & ciò maggiormente quando fi fen ta,chc
quelle cofe, ch'appetite in noi dalla natura fono,fianoarri- uatea
confeguir la natura loro.Et le cófuetudini ancora>cV le co* fe per
lungo vfo confuere, ci fon gioconde : perochc quello, che per fiequcce
vfo,& lùga alUicfattion diuien cófueto, par che do- uenti colà quali
naturale,hauédo aliai fomiglianza la còfuctudi- ne có la natura.
cóciofiacofa che appartenevo alla natura ilfem- prc,& alla cófuetudin
lo lpclfo,c'l frequétameto, par che lo fpef- fo,& la
frequétia,sauuicini in vn certo modo al fempre.Oltra di quello giocóde fon
quelle cofc,che violctia alcuna nó hàno feco, clTendo la violentia, 6c la
forza, cornra la natura, & a quella op- ponga. 8c per quello
lenccelTìtà fon fempre noiofe, & molcltc, onde non fenza ragion fi
fuol dire, che tu tre le cofe, che h fanno impofte, &c violentate da
neceffità, han feco congiunra noia, de moleftia. Per la qual cofa le cure,
gli ftudij, lediligcntic, & gli sforzi, cV le anfictà dell animo, fon
tutte cofe moiette, come quelle, che fono in vn certo modo necellìtate, Se
violentate, fc ià per lungo codumc, & inuecchiata confuetudinc, non
fune huomo aliucfatto, & quali riabituato in clTe: percioche in
tal 4 cafo l'vfo, 6c la confuetudinc le farebbe parer gioconde. Ma li contrari;
d elle tengono in fe giocondità, & per confeguente la pigriria,
l'incrtia, lo fchiuamento della fatiga, la negligentia, il lolazzo del
giuoco, il npofo, il fonno, & limili, fon tutte cofe > che Jl
Primo libro . 7 3 che trà la gioconde connunierar fi pollbno, non eiTendo
in effe 7 forza di neceflìtà, che moleftclc polla rendere. Ogni cofa
anco* ra, di cui fi tenga cupidità, fi può (limar gioconda, non
ertendo altro la cupidità, ch'appetito di cofa gioconda, o (oaue, che
vo- I gliam dire. Delle quali cupidità, alcune fon'in noi difgmntc
da $ ragione, Se altre per il contrario congiunte con erta,
ditgiunte da ragion chiamo io quelle, che fenza difeorfo, ogiuditio di
ra- gione, Se fenza che laiiuerriamo, o confidcriamo, cadon nel
de- fidcrio,& appetito noftro. tali fon tutte quelle, che fon dette
in noi cupidità di natura, come eccitate» Se nate da quella : fi
co- me lon quelle, ch'ai corpo dello per fuo foftenta mento, Se
bifo- gno, (penalmente appartengono : come a dir la lete, & la
fame, 10 che (on defidenj di nutrimento :& finalmente tutte le altre
cu- fuditàjche riguardan ciafcunaalrra fpctic di nutrimento.eHa r B^tprìca
d 9 miriti otelz^ che gioconde furono, fc doppo quelle, nel tempo, che fia
fegui- 16 to poi, qualche cola o honefta o vtile fi fia cófeguita. onde
non fenza ragione fuorviarli quel detto. Dolce cola è il ricordarli
dei palla ti pericoli, a chi già laluo fé ne vede fuora.cV quell'altro
det- to. Doppo li (udori, &lcfatighe gran diletto fente
qualunque molti mali habbia già (offerto, & molte cofe habbia
fatigofamen- tc fatto. & la ragion di tutto quello nafee dall cfierc
ancor cofa 17 dolce, cV gioconda il non hauer'il male. Et quanto alla
lperanza poi, quelle cofe nello fperarle ci pollbn parer gioconde, le
quali ci paia, che prefenti ci fu/Ter grandemente o per dilettare, oper cflerc
vtili, o che almen con l vtilità che porraifero, non fullc có- giunta
moleflia alcuna. & per dir breuemcnte,tutte quelle cofe, che pofion
prefenti recar diletto, & giocondità, potranno per il iS più,& nel
ricordarfenc, & nello fpcrarfi, parer gioconde. Et per quella ragione
l'accenderli d'ira porta giocondità, ÓV diletto fe- 19 co. fi come
Homeronefà teftimoniaza poetizando dell'ira, qua- do dice, che l'ira
moltopiù dolce del mele, cade diftillando in- 20 noi. & quello auuienc
perche nelFun s'accende d'ira contra di chi polla egli (limar cofa
imponibile il far vendetta: & contra di quelli ancora, i quali potiamo
(limar, che molto d'autorità* & di poter ci auanzino, o non diueniamo
irati, o molto meno. Suole ancora alle ftellc cupidità, Se fpetialmentc fc
molto vehe- menti fono, feguitare, & cógiugneriì le voluttà rpercioche
dan- do cógiunto con fi fatte cupidirà,o la ricordanza d'haucr già
có- feguito, & goduto quelIo,di che fiam cupidi, ola fperanza d
ha- uerlo a conseguire, veniamo a fentir lieti vna certa voluttuofa
di- lettatane, come vediam (per elicili pio) aunenirca quelli,
ch'in- Marnati da potente fcbre,ardon di lete, peroche ricordandoti
di quando han ben uro, o fperando, & difegnado d'hauer pur qual- che
volta a bere, fentono in cosifatta imaginatione, piacere, Se diletto.
Parimente coloro, ch'ardentemente amano, ogni volta che ragionano, o ieri
nono della cofa amata, o altra cofa fanno , che riguardi, o habbia per
oggetto quella, fenton piacere, Se di- lettationc. conciofiacoia che tenendo
eflì in tutte quelle cofe l'imaginatione, & la memoria nella cofa,
ch'amano, paia loro 25 in clfcd hatierla allo (tciTblorfcnfo prefente.
& per quello il più certo principio d'inditio d'amore in tutti quelli,
ch'amano, (i può (limar, che fia, quando non lolo fenton diletto mentre
che la cofa Jl Primo libro. fa cofa amata ftàlor prefcnte, ma
ancor nell'adentia di quella» conferuandola nella memoria, l'amano, &
piacer fcnton nel ri- cordarli di quella : & per confeguenreallhor fi
può dir, chada- mar comincino, quando per non lhauer prefenrc
s'affliggono, 14 8c molema fcntono. Oltra di quello nel mczo dei pianti,
cV dei lamenti fteflì, fuol parimente vna certa voluttà mcfcolarfi:
per- ciochc il dolore, & la triftezza quiui nafcc per la mancanza
del- la cola, della cui perdita piangiamo, & ci lamentiamo,
cornea dir della morte d'alcuna perfonacara : & il piacer nafcc dal
ri- cordarci, & imaginarci la prefentia di quella, che ce la fa parer
quali hauer dinanzi a gli occhi, rapprefentàdocifi come pre- fenti le
tali, cV le tali cole, che ella già fatte haueua,& particolar- mente
ogni qualità fua, & tale in fomma a punto, quale era fat- ai ta. Onde
fu ragioncuolmcnte detto, Cosi parlato hauendo, fece 16 in tutti nafecre
vn defiderio di piangere . Medcfimamcnte il far vendetta contra de' fuoi
nemici, ha congiunto fcco piacere, & giocondità : peroche quelle cofe,
che in non confeguirfi recati moleftia, vengon, fele fi confeguifeono a
parer gioconde, onde eflTendo fuor di modo molefto a quelli, che fon prefi
dall'ira, il non vendicarti, vengon, non folo in far la vendetta a fentir
pia- 27 cere,ma ancor nello fperarla. Il vincer parimente è cofa
giocon- da, & non folo a quelli, che fon per propria condition loro,
có- tcntiofi, & auidi di vittoria, & di foprauanzarc, ma a tutti
gli huomini comunemente, conciofiacofa che nel vincerli venga
a generare in chi vince, vn certo concetto, & vna certa
imagi- natione, & opinion d'eccedere,di che tutti gli huomini,chi
più, & chi manco, fon vaghi, cV in vn certo modo per natura
cupidi. aS Etdaqueftoeirer cofa gioconda il vincere, nafee
confeguenre* mente di ncceflìtà, che tutte quelle forti di giuochi, rechin
di- letto, i quali han feco congiunta contcntiofa altercatione,
emù- latione, & gara, come a dir quelli, c'hanno in fe vna certa
fomi- glianza di contefa, & di pugna : & quelli parimente, ne i
quali con harmonia di muficali inftromenti fi gareggia, o con
difpu- 19 tatiue dubitationi, & queftiqni fi contende, peroche in cosi
fat- ti giuochi accade fpefle volte, che fi vinca, la fpcranza della
qual vittoria c gioconda, onde nel giuocho parimente de i dadi,
del- la palla, delle tauole, degli fcacchi, & umili, fi come vna
fpetie di contention vi fi truoua, così ancor piacere, & giocondità vi
fi K ij gufta. Se nei giuochi oltra.ciò più fatigofi,& ferij,& chchan
piò del graue,& cÌcH'ingcnuo,il medefimo parimele
adiuienc.perciò che alcuni di lor fi redon diletteuoli per 1' vfo,&
per 1 allucfattion, che fi faccia in elfi , & altri dal principio per
loro ideili lon gioco di ,comc fon le caccie có cani, & tutte l'altre
foni di cacciare, de porre infidie, & perfecutioni a fiere: pofciache
douuque fi truo- ua contcntionc, e con rialto , quiui è forza, che
parimente vi Ci 3 1 porta trouar vittoria. Et per quefto il trattar liti
in guidino, & le di fruì tat ioni piene di con n onci ha, portan feco
piacere, & gio- condità a quelli ch'ofonafiuefatti,& confueti in
eirc,o fi lenton 32 potenti, & habili a valere in quelle. Appn Ilo di
quefto 1 hono- rc, & la buona reputatone, che s'habbia di noi, li
dcono tra le cofe grandemente gioconde connumerare,per l'immaginai
ione* & opinion, che da quefto ne viene a ciafcuno d'efier virtuofo,
che gli impru* 5 j denti, & più tofto finalmente i molti, ch'i pochi :
ellcndo mol- to più verifimilc, che fien per giudicare, & dire il vero
qucfti ta- $6 li, che noi habbiam nominati, che i lor contrarij.
perciochedi coloro, che noi in niun conto, & in nell'una ftima
teniamo, co- me fon fanciulli, o fiere, o limili, poco fogliam curare, o
auuer- tir per le ftcftb honore alcun, che ci facciano,o qual li voglia
opi- nione, & rifpetto , chabbian di noi, dico per fe
fteifo,pcrciòche può accadere, che per cagion di qualche altro
interelTe,che vi fia 17 congiunto, fi tenga di tal cofa conto, &c
piacer fe ne prenda. Gli amici ancora fon da clTcr pofti in numero con le
cofe gioconde, effondo gioconda cofa in fe ftcftà l amare: pofeiache
neflun fi vede eller (per ch'empio) amator del vino, che nel vino non
lenta 3$ diletto. Dall'altra parte èancor cola gioconda l cHcr'amato:
per- cioche, quefto ancor vien'a generar in noi immaginatone,
& credenza, che in noi fia qualche virtù, & qualche bene,
ch'at- tragga afe queir araorc> della qual credenza comunemente
tutti gli huo- Jl V rimo libro . 77 gli huomini, che non fono
infenfati, fon cupidi. cVgià fi e det- ticene 1 ellèr'amato cófifte in
efTer'hauuro caro per loia cagion di 1 9 le ltello, Se non per cagion di
chi ama. Oltra di quello gioconda, cola è 1 cllere limi uro in n in mi rat
ione, re can do giocondi tà,& di- 40 letro 1 "e Ili-re honorato.
& ladulation parimente è dolce, & gio- conda cola, Se per
confeguentc gli adulatori ancora, conciolia- cofa che color, ch'adulano,
tengano apparentia d ammiratori, ò in vn altra iìcila qualità
congiun- te, pare , che in quella natura tra di lor con uengano ; di qui e*
, che tutte quelle cofe, che hanno in lor cofi fatto congiugnime- lo
di fomigliaza,fono l'vna all'altra per il più giocóde: com a dir 1 h uomo
ali h nomo, il cauallo al cauallo,i gioueni a i gioueni,& |4 limili.
Onde fon nati quei triti (fi mi prouerbij, il Coerano gode di dar col
Cocrano j il limile appctifee, & ama il fuo limile $ l'v- na fiera
fegue,& conofee l'altra ; La (la fempre con la et Cornacchia, &
altriprouerbij limili . Et perche à cia(cheduno fon gioconde quelle cofe,
c'han qualche congiuntone, (omi- glianza, & conformità con elTo ,*
& ciafeheduno ha cotali con- dirioni principalmente con fcco ftcflb ;
ne fegue neceilàriamen- te, che tutti gli huomini ò più, ò meno > fian
cari , 8c giocon- di a fc fteffi , & amatori di (emedefimi:
verificandoti, & ha- uendo luogo in ciTì tutte ledette conditioni,
& modi di con* ;6 giugnimento, principalmente in rifpetto di lor
medefimi. & da quello cfler tutti amatori di fc fteffi, nafee ncce(fariamentc,che a
tutti parimente paion gioconde le proprie cofe loro : cornea 57 dire
i propri) lor fatti, le proprie loro drationi , Se limili . Er da quefto
nafee, che per il più lògliono gli huomini elTer amatori degli adulatori,
& degli amanti, ò innamoracene vogliam di- j8 re; Se parimente auidi
d'etfère honorati; &vehcmenti ama- 5 9 tori de i lor figli ; ellcndo i
figli proprie opere loro. Medelìma- 60 mente gioconda cofa è il dar
perfezione, Se por l'vhima mano aimpreie, & cole incominciate da
altri, &poi lafciate imper- fette : parendo a quei che lo fanno , eh
in quella guifa vengano 61 a douentar quelle tai cofe, come opere lor
proprie. Oltra di quefto eflendo il regnare, ò vero il dominar , cofa
giocondilTì- ma per Aia natura, vien confeguentemente ad cilèr cofa
giocon dal clferhauuto per faggio, & per fapientc: pofciac'.e l
eifer dotato di fapientia, ha in Ce del regio, & ticn
grandapparcntia di principato: non e (fendo altro la fapientia,
chefeientia, Se co gnition di molte cofe egregie, nobili, Se piene d
arnmirationc. 61 Etpcrche gli nomini per il più fon cupidi d'honore; ne
fegue necellariamente, che nell ammonir, Se correggere gli altri , 6}
Se inoltrar loro i loro errori, fi fenta dilettatione . Appretto di quefto
porta aU'huomo giocondità l'occuparli, Se confu- mare il tempo in quelle attioni,
Se nello ftudio di quelle cofe, doue egli in fe ftellb fi perfuade
d'eccedere, & di valer molto ; li come dice Euripide con quefte
parore,Ciafcun fi vede elfer fre- quente, Se follecito, &la maggior
parte del giorno alfegna, & (pende in quelle cofe, nellequali fi Itima
eccellerne, & pare afe 64 ftellb di valere aliai . Medelimamente
perche il giuoco, ci fol- lazzo, & ogni forte di rjpofo, Se di
relallàtione, fon da porre in numero tra le cofe gioconde, &il rifo
parimente; ne feguedi neceflìtà, che gioconde faranno ancor tutte le cofe
fefteuoli, Se atte, Se accommodate a muouer rifo, ò huomini che le fi
fieno , o in detti, ò in fatti, che le confiftano . Ma de i ridicoli fi è
trat- tato, & detcrminato appartatamente come in p.opno luogo, *S
nei Libri della Poetica. Et tanto balli hauer-dìn qui detto delle cofe
gioconde, delle noiofe,dolorofe, Se moleftc poi, fi potrà 66 facilmente da
i contrarij di queftehauer notitia . Tali adunque quali habbiam dette, fon
le cofe, per cagion delle quali foghont gli huomini offendere , Se fare
ingiuria'. / o tDella r R(torica dlArì8otele^> (apo 12. Quali
Jogliono ejftr quelli , che vo- lentieri fanno ingiuria , quelli ,
cantra de i quali fi voglia farcs . Eguita al preferite , che noi
diciamo , qualmente iicn difpolli , & condmonati quelli , che
fanno ingiurie, Se conerà qual forte, Se condition d hiio mini fi
foghan fare . Quanto dunque a quei , che le fanno, allhor primieramente
s'inducono gli huomini a fare ingiuria , quando penfan, che la colà in
felia poffibile, & a loro (ledi , che la machinano , poiTibile a
tiu- icire. Se parimente s'eglino (limano, ò fperano, eh il
fatto rubbia da palla re occulto; ò quando pur venga a luce,
non n'habbian da eiTer puniti, Se da patir pena ; ò fe pur n habbian d'hauer
punitione , ila per ciTer nondimen la pena , e'1 galli go minor del
guadagno, Se del commodo, che dalla fatta ingiuria fiaper venirne, òa loro
fletti, òa perfone, che fian lor care. Se delle quali ad elTe lìnterelio,
Se la cura tocchi . Quai fian poi le cofe, che poflbno apparir poffi bili,
Se quali impolTib.li, li dirà, Se fi dichiarerà, & saflegneran di poi
al fuo proprio luo go, per ciTcr quella, vna delle cole communi a tutte le
parti, & generi di quell'arte della Retorica . Hor quanto a quelli,
che fian per confidare, Se (cimar di potere ingiuriando palTare ,
im- puniti , Se fchiuarei! gaftigo ; tali principalmente fon
quelli, che fon potenti nel dire , &cono(con di valer aliai con la
loro eloquenza. & quelli parimente, che fono atriui , &
piatichi nelle attioni del mondo, & elperimcntati nelle liti, Se
nelleagi- tationi delle caufe, Se delle controuerfie ellercirati . Et tali
an- cor faranno fe molti amici, & la grafia di molti haranno.& fc
fa- ranno abbondanti di ricchezze. Et quella confidenza auuerrà lor
principalmenrc, fe conofeerano , che le dette condiriom, fi truouino in
elfi proprij : Se quando in lor non fiano, almen che le fiano in amici
loro , ò in miniilri loro , ò in compagni nelle ingiurie, che fian per
fare. Tuttequellc condiriom adunque polTon recare a gli huomini
poflìbilirà di fare, Se di celar i ingiù jia, Se di fchiuar, quando la non
fi celi, il gaftigo, & la punì rio- ne. Se Jl Primo libro . &
i % ne. Se il medefimo potranno fperare ancora, fe faranno amici a gli
ftcflì ingiuriati, o a i giudici, dinanzi a i quali habbiadapen- 5 der la
cauta loro, percioche gli amici non fi guardando, Se non fofpettando, fi
rendon come men cauti, più facili ad effere ingin riati. Se oltra ciò fi
può fpcrar, che per clFeramici, fiano per vo- ler terminarla cauli dellla
ricciiuta ingiuria, più rollo per via di 10 riconciliatione, che per
viad'accufa, Se digiuditio. Se quanta a i giudici fi dee credere,
ch'eflendo lor amici, ccrchcran di gra- tificar fi loro in tutto quel,
chepoflono, Se per confcgucntc la- ranno, o totalmente per liberargli,
& lalciargli impuniti, o al- 1 1 men per dar piccolo, Se leggicr
gaftigo . Quanto poi al con- fidar di poter relhr'occulto, Se ignoto
l'auttor dell'ingiuria* quelli primicramcntcpollono ciò fperare, i quali
aquella for- te d'ingiuria, che fanno, pollbn parere inhabili , Se poco
proportionati, & tali, che da elfi afpcttar non fi douclic mai.
come faria (per ch'empio) ch vna pedona inferma, Se di dcbol forza,
fi fuflc pofta a dar delle battiture, o delle ferite ad vno, che
molto più gagliardo fufle : ouer eh' vno, chefuilc pouero di robba,
o brutto della perfona, hauelTc commetto adulterio con bella,
& il nobildonna. Pongono ancora Ilare occulte le ingiurie, & i
delit- ti, quando accafean farli intorno a cofe, che molto alla libera,
Se alla lcoperta efpofte dinanzi a gli occhi di tutti ftano .
perciòche per non crederli, ch'alcun mai ardilfe di por le mani in elTè,
fon 13 per quello con minor cura,& diligentia cuftodite. Et il
medefi- mo ancor lì può dire, quando le cole fulferdi tanta grandezza,
Se quantità, & di tal qualità, che non lì douelTefofpicar mai, che
in animo d'alcun cadclfe intention di commetter delitto in elle,
Se non fi fapelTe, ch'alcun l'haiieHe in fimtl cofa comincilo mai.
nel qual cafo non è dubio,che tai cofenon veniilero ad eller manco 14
guardate,^ molto alla fecurarcnute. conciofiacola che tutti gli huomini
comunemente, fi còme di quelle forti d'infirmità te- mono, Se da ciré fi
guardano, che foglion frequentemente acca- fcare,& di quelle perii
contrario non rengon cura,lequali non fi sà, ch'ad alcun fiano accadute,
così parimente da quelle forti d'ingiurie, Se d ofTefc, fi rcndon cauti,
& con diligentia procu- ran di cuftodirfi, che per il più fi foglion
fare,& più vfirate fono, Se a quelle, che nelfuno è c habbia commclfo
mai, non tengon i; l'occhio. Mcdcfimamente s inducon'a fare ingiuria con
la SPERANZA T>ella lirica d* Jlrtttotelz^j panna di rcftare occulti,
coloro,i quali non hanno alcun nemico, 16 & color parimene che molti
nemici tengono; percioche gli vniprendon confidentiadi pacare occulti,
come quelli, che nó temon d ellerc olTeruati, 6c in fofpetto hauuti :
& gli altri, cioè quelli, c'han molti nemici, (limano ancoreflì di re
Ita re afcod,& di non ditienir palelì : per nó parer verifimile, eh
clfendo lofpet- ti , & del continuo olleruati, fi mettano a far
Tintinna quali 17 eh alla feoperta. oltra chcpolfon difegnar d'hauer poi
quella di- fendone in dire, che tapédo d'elfere hauuti in fofpetto, &
che fa- cilmente li farebbe attribuita la cofa a loro, non lì farebber
mai 1 8 melTi a tentar vi! fatto tale. Tengono ancora, in vn certo
modo confidenza di non elfer difeopcrti autori dell'ingiuria coloro
, c hanno occadonc, & coramoduà d afconderil fatto, & a
cuinó i manca ccmpo,o luogo,o altro modo, óc via di reftar'occulti .
Si foghon mededmamente indurre a fare ingiuria coloro, li quali non
riufeendo loro di celarci delitto, pollòno al meno fperar di fchiuare, ck
di tor via da fe,che la cauta vada in giudicio, o vera- mente di poter
prolungarla, & inandarla molto tempo in lun- 10 go, ouer finalmente di
poter corromper i giudici. Etilmedcd- mo fi dee (cimar di quelli, i quali
fapendo, che fc punition farà pur data loro, quella harà da eder' in
danari, polforVconfidarc, o di liberarfcne, 6c redime alioluri, o di molto
differire, & roan^ dare il pagamento in lunga, o Veramente in tanta
pouertà (i veg- ai gono, che nulla da retato lor più, che perdere.
Difpodrion pa- rimente atta a ingiuriare, fi dee itimarc elfcre in coloro,
ai quali per Ungi uria che fanno, iìa per venire il guadagno, c'1
commo- do o certo, o grande, o propinquo» Óc il gaftigo per il
contrario,- o piccolo, o cìubiofo, & incerto, o lontano, cioè con
djlarion di. 11 tempo. & maggiormente aucrrà qucfto fela punitione, ci
ga*« (ìigo, tiicna mai per venitnev quanto (i voglia grande clic
liaja- rà (empre minor dcll'ttile, & del còmodo» che iìa per recar 1
in-. 13 giuria, come par chegli adiuenga nella Tirannide.
Soglion'aa-s cor'wdurlì a fare ingiuria quelli, a cui per 1 ingiuria, che
fian per fare, dd per venite vtile, & guadagno, & il galhgo, che
ne polla- no haucrc, altro non damper importare, che .infardi » oc* ignomu
, 24 ma fola; & quelli per il contrario ancora, i quali veggono,
che dall' ingiuria, che facciano» da lor per multar lode, honore, &. riputatone,
comcauucrria (per cecropio) le con l'ingiuria fuilc congiunto fi
Primo libro • 8 $ congiunto il vendicarli deH'orFcfe fatte al padre, o
alla madre, (i coro auuenne a Zenonc;& dall'altro canto la punitione, che fia
per fcguimc, habbia da cller o di danari, o d efilio , o d altra t$
colatale, percioche gli vni, & gli altri di coftoro , & nell'vno,
ffc òc nell'altro dei due detti contrari) modi difpofti, logliono
in- durli a fare ingiuria; ma non nelle m ed edm e pedone , &
nella medelìma forte d'huomini ; ma più torto in perfone di coftumi , cV
di qualità contrarie, haran luogo i due detti contrarij z6 effetti.
S'inducon parimente, & s'all'cairano a fare ingiuria co loro, che
hauendo molt altrcvolte ingiuriato, o non iono (lari difeoperti, ne
conolciuti mai, o non n hanno hauuto gartigo, ti 17 né punitione alcuna .
8c color medefimamenrc , i quali hauen- do molte volte tentato di
farl'ingiuria,non è mai luccelfà lor la cofa felicemente, percioche fi
trouano alcuni, ch'in querto fat- to dell ingiuriare , foglion far, come
farfi fuol nelle cofe della- guerra, doue (e ben più volte fi e riccuuto
danno nella batta- gliaci ritorna nondimcn con nuoua fperanza a tentare
altra voi 18 ta il fatto d'arme. Et coloro ancora agcuolmentc fi difpongo- no
a fare ingiuria, a cui dal farla il piacere , c i diletto ne
feguc alhorain fatto ; & la moleftia, chen'habbia loro a venire,
fia per fegu ir molto doppo: o veramente il guadagno fia per
eilèr pretto, Se prefente, & la punition neirauucnir molto tarda .
& coli fattamente difpoftì fono gli incontinenti: potendo
l'incon- tincntia hauer luogo intorno a tutte quelle cole, che fon
fotto- 19 pofte ali humano appetito . Et per il contrario dall'altra
parte poi, fogliono indurli a fare ingiuria coloro,a i quali la
moleftia, o la pena, che fia per feguirne loro, fia percllcr prefente ,
& per pall'ar tofto ; 6c il guadagno, e 1 diletto fian, per fucceder
dop- po, & per durare aliai, pcrochc li continenti, 6c i prudenti,
co- 30 li fatti, Se in quella guila difpofti appaiono. Quelli ancora
a ingiuriar volunricr li recano, i quali fi perfuadon di poter
parer poi d hauerlo fatto ò a cafo, o sforzati da ncceflità,ò pei
impe- to di natura, o per confuetudine, & d'hauerlo fatto in
lomma 3 1 più torto per errore, che per mahtia, Se per far ingiù ria . Et
quel li parimente , che confidan d'ottener , che la caula habbia ad
e(- fcre in giuditio trattata più tofto con difereta equità, che con ri31
gorofa gi urti ria . Et quelli medefimamentc, i quali fon bilo- 3 3 gnofi
. ma di due maniere bifognofi fi foglion rrouare gl’uomini , conciofiacofa che
portano efler bifognofì, ò delle cofe ftelTe neceilarie , come fono i
poueri, o mendici, chevogliam dire ,* o veramenre delle cofe fuperflue ,
Se foprabondanti , & 14 quefti fono i ricchi. Due altre forti ancora.dhuomini
tradilor contrarie, polTon facilmente difporfi a fare ingiuria : cioc
quel- li, che fon tenuti, communcmcntc in buoniflima opinione , Se di
chiara fama : Se quelli per il contrario, che fono in mal con- cetto d
ognvno ,& quali tenuti infami . gli vni per checonfi- don, che nelTun
fia mai per attribuir quel fatto a loro; & quefti altri perche non e
reftato lor punto di buona fama, o di buona }f opinion da perdere. Nella
maniera dunque, chabbiatn detto, fon difpofti,& qualificati quelli,
che foglion tentare, & met- terli a fare ingiuria . contra di color
poi la fmno , che tali fono , & tali qualità, & condition
ritengono, quali noi hora diremo. 1 6 Primieramente adunque fogliono
elfere ingiuriati quelli, c'han no,o pofleggon quelle cole , di cui han
defidcrio , & bifogno quei, che gli ingiuriano : o riguardi cotal
bilogno le cofe nc- certaricaUa vita, o le fuperflue, Se foprabbondanti, o
il godimc- |7 mento delle dclitiofe, Se voluttuofe . Faffi oltraquefto
ingiuria a quei, che fon di lontan paefe ; Se a qucHi, che ci fon
d'appref- fo . peroche le cofe di quefti fono in> pronto , & facili
ad ctter prettamente tolte, &ariceuere fpeditamentc offefa. &
quanto a quelli, fi può creder, che la vendetta, Se la punition, che ce
ne lia per venire , fia per efter tarda , & per andare in lunga :
come vediamo auuenirein coloro, che predando, fan danno ai Carta 3%
ginefi. Sono ancor efpofti alle ingiurie quelli, che non fon cau ti in
guardar/i, ne diligenti nel cuftodirfi ,• ma liberi,& femplici fono,
Se facili a creder ciò ch'è detto loro : perciochc cotal forte d'h uomini
facil cofa c d'offènder copertamente, Se celatamcnte. $9 Parimente vi fono
efpofti i pufillanimi, Se quei, che tono in vna certa vile, Se negligente
inertia inuolti. peroche eftendo cofa da folleciti, Se da diligenti il
chiamare, Se agitar caufe in giuditio ; non fi hà da temere, che coftoro,
com'amici dell'odo, lo faccia* 4° no . Son atti ancora ad erter offefe le
perfone di natura verecon- de, Se gelofe dell honor loro : perciochc di
coli fatta folte d huo mini, non foglion volontier volere eflcrvifti
contender in giudi- 41 tiopercontodiguadagnOjodirobba. Mede/Imamente fono
in pericol deflcre ingiuriati coloro, li quali hajiendo da molti
rice- uuta ; ; Sf unto altre Tolte ingiuria, non han mai per
alcuna via tentato di tifencirfene . onde vengon ad clter quelli tali,
(fecondo che (1 42 fuol dir inprouerbio) preda dei Mifij . Sogliono ancora
gli huoraini indurfi ageuolmentc a ingiuriar cofi quelli , à cui
non hanno mai altra volta fatta ingiuria, come ancor quelli, che
fo- 43 no flati da loro molte altre volte ingiuriati, conciofiacofa
che coli gli vni , come gli altri fiano incauti, Se negligenti nel
guar- dacene : gli vni per che non elfendo flati altra volta da
coloro ofte(i,fe ne ftan lecuri fcnzafofpctto alcuno : & gli altri per
che fumando lor fatij dell'altre ingiurie fatte, non temon, che
fian, 44 per farne più. In pericolo ancoi d'cllere ingiuriati fi
truouan quelli, che fon communemente in mala opinione, & in mala
fa- ma, & atti per la lor malavita ad elici lor facilmente trottate
cu 45 lumnie, o delitti addolìo . peraoche coli fatti huomini non
fi rcchcrebbcno a voler chiamare in giuditio alcuno, perla
tema c'harebber di rauuolgerfi d'intorno a Giudici . & quando
pur lo facclTero non pcrfuaderebber,nc farebbe datafede,ò
orecchio alle lor parole. Et il medefimo fi può fumare ancor di quelli
, 46 che ò odiati, o inuidiati communemente fono. Ci fogliamo
la- feiare ancor facilmente indurre a ingiuriar coloro, nei quali
ci fi porge occafionc di feufare, & colorire il fatto, per haucr
già o eglino fteflì, ò i loranteccffoti, o gli amici loto, offefo, o
ten- tato, & fatto opra d offendere o noi (tedi, o alcun de i noftri
prò genitori, o perfona in fomma,il cui interefTe,& la cui falutc ap- partenelle,
& toccaife a noi . perche ( come fi fuol di re inpro- 47 uerbio ) fola
la malitia ha mellier di feufa . Appretto di quello ci lafcian facilmente
tirare a offender coloro , che ci tengon per amici : & quei parimente
, che noi habbiam per nemici : con- ciofiacofa che contra quelli ci fi
renda l imprefa facile; & con- 48 tra quefti ci fi renda dolce , &
piena di diletto . Sono efpofti ancora alle ingiurie quelli , chefonpriui
damici in tutto; & quelli non manco ancora, i quali non han potentia,o
valo- re alcuno» ne in dir , ne in fare peroche quefti tali , o non
fi rifentono, ne accula, o querela in giuditio pongono o per via di
nconciliation la terminano; ofeguendo pur la cauta, 45 reità lor
finalmente imperfetta, cV rielce vana . Quelli an- cora par, che dieno
altrui animo di far loro ingiuria ; a i quali non è vtile,nè mette conto
di confumar tempo in afpettarjch'o in giuditio la caufa fi termini, o che
con I'efecution della giudi- cata pena, fia lor ricompenfato , & fodis
fatto il danno. & tali fon (per elfcmpio) i fore(tieri,& quelli,
che fi guadagnano il vit to di giorno in giorno con le lor mani . pcrochc
quefte tai (orti di pedone, per pocacofa, che (la data loro, rimetton
Tingi arie,: $o &c facili li rendono a comporre, o abbandonar le caule
. Soglia- mo ancor facilmente lafciarci indurre a ingiuriar coloro» c
han fatto ancora elfi molte ingiurie ad altri,o le non
molte,n'hanno fatte almen di quella (teda force, che da noi riccuono : p
o( el i- che quàdo alcun rimane orTelo di quella (tclla orTefa,ch'eeli
hab bia fatta ad altri, par che l'ingiuria, eli ci riceue,s appretti
quali a poter non elfer chiamata, o (limata ingiuria, vò dir (per
elTcm pio) come fe fu ile alcuno, che riceueitè fcherno,&
contumelia» 51 eflendo (olito di farne ad altri . Et il medclimo ci auuicn
con- traquelli, i quali in altro tempo han fatto danno, o mal t rat
ra- ta mento a noi, o l'hanno voluto fare; over lo voglian fare
ai prelente, o hanno in animo, & fi preparan di farlo ncll
auueni- re:perocheil nuocere , & l'offender loro , in tal cafo , ha
infc molto del giocondo, & deirhonefto ancora , & s a pprcll a
quafì 51 il non clìer veramente ingiuria. Sogliamo anche
noneilerc alieni da ingiuriar coloro, nell'ingiuria dei quali, vediamo di far
cofa grata, o ad amici no 11 ri , òa perfone da noi ammirate , &
tcnutein conto , ò a perfone, di cui lìamo innamorati, 6c d a more accefi
; o ad alcuni, che ci lìan padroni, & habbiano auto rità fopra di noi
j ò a perfone in fomiti a, da cui in qual fi voglia 53 modo dipendala vita
noftra . Et ci aifecuriam parimente a offen der quelli , la manfueta,
&: modella natura de 1 quali ci dia lpc-> 54 ranza, che lìan
facilmente per rimetter l'ingiuria . & quelli pa- rimente, i quali
habbiamo già prima calumniari di qualche de- litro,* & quelli ol tra
ciò, dalla cui ftrettaamicitia,fcopcrtamen« o non apparire -, Se co- ti
fatte lon quelle, che pre fta mente lilograno, & ti confumano ; come
fon (per cllempio) le cofe da mangiare; & quelle ancora , le quali fon
arre a facilmente vari u Ci , éc parer diuerfe per can* giamenro , o di
figura, o di forma , o di colore, o di miftura , $c 61 temperamento. 6V
quelle medehmamente, che con gran com> modità fi poflono in quella, o
in quel luogo afeondere, ofe fu Uè fatta vnalìmil bruttezza di
violcntia nella perfona di noi fteffi, o dei 64 figliuoli, ò d altra
perfona, che ci atten elle. Et da quella ma- niera d'ingiurie ancora
ageuolmente non ci atterremo, delle quali , fe colui, che le riceue lì
qucrelallè , & accula ne mouef. fein giuditio, filile per etTere in
ciò ltimato troppo litigiofo , Se troppo amico di conrefe , & di
controuerfìe . Et coli fatte in- giurie fon quelle, che come leggieri,
poco imporrano, & di po- co momento fono ; & quelle parimente,
cbeloglion perii più 6$ riceucrefcula, òc meritar perdono. Quelle dunque,
che noi habbiam dette, fon (lì può dir) r iute quelle cole,
clioccorreua di dire per far conofeer qualmente conditionati, &
difpofti, fo- gliano cfter quelli, che fanno ingiurie; & intorno a
quai cofe, & contra di quai perfone, & per quai cagioni finalmente
le fo- glian fare. (apo rj. Quali anioni fi debbiati dir
'vera- mente giufte, ò ingiu/le, o 'ver giuflamente, b ingiuftamente
fatte . £f delt Equità , don- de la nafia , ^ in che differì fca dal
rigor delle leggi . £tf alcuni luoghi da conojcerla . Egve al
prefente che di fti tigniamo, & dichiaria- mo quali fian le cole
giufte, & le in giù Ite, cioè le guittamente, & le ingiuftamente
fatte: & prende remo il principio primieramente di qui. Le co- le
giufte, & le ingiufte pendon nella lor di ftin- rione, 6c
determinatione da due forti di leggi, Se da due ma in c- | redi perfone
.& quanto alle leggi, alcune dico efter proprie, 4 &c altre
communi . Propria intendo efler quella, che ciafchcdu- na Città o nationca
fc ftelfà particolarmente appropria, & de- termina . & di quefte
leggi proprie , alcune fcrittc non fono, 6c 5 altre fono fciitte. Le leggi
communi poi fon quelle, cheion nfcll huomo impreflc dalla natura .
conciofiacofa che vna certa forte di giufto, & d'ingiufto fi truoui al
mondo, il quale, quan- tunque neiruna communicanza, òconlènlo dhuomini
habbia con alcun patto , o condition, conuenuto , o concorfo in elio
; nondimeno tutti gli huomini, con vn certo con(en(o di natura, 6
conuengono in conofcerlo , & in approuarlo : lì come molti a d
intendere Antigona appreflb di Sofocle ; quando arìcrroa ef- fer cofa
giuda il dare a Polinice fepoltura, ancor che dal Re prò lubita, &
vietata fufle : elTendo il far queftacofa, giufto per leg- ge, non d
huomo, ma di natura . dice ella dunque ; non è nata, nè introdotta quefta
fortedi giufto, ne oggi, nèhieri,ma (em- prc è egli flato, 6c ha vilìuto
femprc , & neflun potè mai faper 7 quando gli hauefle origine . Et di
qucfto mcdefimo giufto in- tende Jl Primo libro . S p tende
Empedocle, quando parlando del non elfcr ben fatto l'vc- cidere, &
priuar d'anima le cofe animate, dice, chetai cofa, non appretto d'alcuni è
giufta, Se appretto d'altri non giufta, ma c in- trodotta, & dettata
da vna legge, che a tutte le genti è commu- ne, & per l'immenfo cielo
fi diffonde, Se per l'acre ampio Se fpa- S tiofo u ftende. E Alcidamante
ancor, accenna, & adduce il me defirno nella fua oratione infcritta,
Se intitolata Meilcniaca. Quanto poi alla diftintione per caufa di perfone,
due parti Bàri* mente ha la determination dell cofe giuftamentc, o
ingiuftamen- tc fatte . percioche nelle cofe, che dee fare , o non dee
fare l'huo mo, o s'ha refpetto a tutta vna Città, o natione, o altra
commu- nicanza d'huomini, confidcrati in commun tutti infieme : ò
ver s'ha rifpetto a quella, o a quella perfona particolare di quella
có- 10 municanza . Se pcrconfeguente in due modi potton confiderarsi, Se
detcrminarfi le cofe, che dir fi pottono o giuftamente,o ingiuftamente fatte:
comequelle,che o riguardano alcuna deter- minata particolar perfona; over
tuttala Città communemente. percioche colui, che commette vn adulterio, o
percuote,& bat- te ingiuriofamentc alcuno ; vien folo, a fare ingiuria
, Se a com- metter cofa contra di determinata particolar perfona. ma s ei
re- cufa di prender le armi per (aluezza della Città fua, tutta la
città 11 conlcgucntementc riguarda cofi fatta offefa. Eflendo
dunque in due forti, Se in due maniere diftinre tutte le ingiurie, Se
tutte le cofe, che ingiuftamente fi fanno ; riguardando alcune d'ette
il communc interefTedi tutto'l corpo della republica; Scaltre il
pri nato di vna, odi più priuate perionein particolare; feguirem
di dir quei, che reità, fc prima diffiniremo ,Se dichiareremo che 1 1
cofa fia, Se in che confifta il riceuere, Se patire ingiuria . Il
pati- re, Se riceuer ingiuria adunque non e altro che patir cofe
ingiu- fte da perfone, che fpon rancamente, & volontariamente le
fac- ciano : hauendo noi già di fopradiffinitoefier cofa
fpontanea,& 13 volontaria il fare ingiuria. Et perche necettariamen te
colui, che paté, Se riceue ingiuria, viene a riceuer lefione, Se danno,
& ciò 1 4 cótra 1 voler fuo proprio ; potrà facilmente per le cofe,
che fi fop. dette di fopra etter manifcfto in che confifta il danno, &
quali co fe fi polTan domandar dannofe : hauendo noi già prima
diftinta mente attignatele cofe che fon beni , Se quelle, che fon mali .
Se parimente habbiam dichiarato quaifianle cofe fpontancamen- M te
fatte, p o 'Della 'Retorica d * Arili 1 ottica te farre, determinando
elTer quelle , che conofeentemente fi fan- i f no . Da tutto qucfto
adunque ncceiTariamente fegue, che tutte le colpe, & tu tei li
delitti, che fi fanno, ò riguardino tutta la rc- publica communemente,
over quella , & quella pedona priuatamentc: Se oltra di quello o fon fatte
non conofeendo, & non volendo, o ver per il contrario volendo, Se
conofeendo. & quello in due modi può auuemre , cioè o con demo- ne
deliberatamente over per impulfo di qualche affetto, Se paf- 17 fion
dell'anima . Ma quanto a coli fatti impilili, lì darà noti- 1 8 tia d elfi
quando poi de gli affetti tratteremo . Se quanto all'elee- tionc, già di
fopra habbiam noi dichiarato prima, quali fian le cofe, che con deliberata
elettion lì fanno; Se come fatti color, chele fanno, Se qualmenre difpofti
fiano. Ma perche molte voi te accade, che fi conceda, Se fi confeflfì il
fatto,ma non fi confen- ta, ne fi conuenga già nel nome del fatto,
fecondo'l fitolo,chegli da l'accufatore, o ver nel lignificato intefo da
chi are u fi, nel det- to titolo, Se nel detto nome : come le (per effètti
pio ) concede/li- mo hauer tolto, ma non già furato ; ellere dati i primi
ad haucr dato delle battiture, o delle ferite, ma non già hauer fatto
fopr'v- fo, o contumelia ; hatiere ha miro commertio venereo con la
tal donna, ma non hauer commtiTb adulterio ; hauer furato, ma
no commelfo facnlcgio , non eltèndo cola facra , Se che il culto
di- uin riguardi quello, che tolro habbiamo ,• hauer coltiuato
terre» che non fien nollrc, ma non Liner per quello fatta ingiuria al
pti blico ; elTere (lati a parlamento co 1 nemici, ma non hauer
fatta 10 tradimento : di qui è die fa di bilojmo di faper dirrinire , Se
di- ftmramenredplicartutre aderte co(è>& quel, ch'i mportino i
no- mi loro : com a dir che cola in furto , che cofa fia contumelia , che
cofa fia adulterio; accioche volendo noi inoltrar, eh e tai col* pc , Se
tai delitti fi truouino,o non fi truonino nella perfona di cui fi tratta ;
potiamo con la detta nonna hauer fàcultà di far ncllvna cofa , Se
nell'altra , fecondo che più ci piace, apparire il 11 guitto, percioche in
tutte le dette con rrouerfie, nei porri cfTèm- pwallegate, Se in tutte le
altre limili, conlifte il pnnro della que- ftione, Se della contronerfia,
in veder feil fatto fia ingiù (lo, Se li iniquo, o ver fc fia non ingìuflo
: efiendo ringiultitia,& l'iniqui 15 tà fondata nell'eledone.:
&" demone importano, Se dimoftrano tutti quelli già detti nomi ;
come adir la contumelia, il furto, & Jl Primo libro . p / i4 gli
altri . conciocofa che in hauer noi batruro,o percoffb alcuno, non per
quello fi può vn tal fatto veramente chiamar contume- lia , ma (blamente
fc à tal fine , ò con tal intention 1 habbiam fatto ; com'a dir fe habbiam
voluto in far quello far a lui contu- 1 c melia, o ver recar piacere,
& diletto a noi . ne parimente fi può in tutto dir, c habbia furato
colui, che di nafcoflo qualche cofa habbia tolto ; ma (olamente quando
habbia fatto qucfto , o con animo, & intention di far danno all'altro,
o d'appropriar la co- fa furata a fe fteflb. & il medcftmo fi può
parimente allegare, Se difeorrer nelle altre cofe c'habbiam difeorfe ,
& allegate di que- 16 ile. Horeifendo due forti, o ver due fpetie di
cofe giufte, Cv in- giufte, fecondo c'habbiam veduto, l'vnc feri tte,
&c l'ai tre non foriere ; quanto a qucllc,chefotto a fcritte, &
promulgate leggi fi ftan determinare, habbiam d'elle già detto, quanto
occorreua. ty Di quelle poi , che non fcritte fono, due parimente forti, ò
vero fpetie fi truouano. alcune fono,che fon porte in vn certo eccello, ouer
foprabbondantiadi virtù, odi vitio : de han luogo princi- palmente in
erti- i vituperi;, & lelodi, l'ignominia, cV gli hono- 1$ ri,
6cipremij ancora. & cosi fatte cofe fon, com'a dir (peref- fempio)
l'clfer d'animo grato de i beneficij, che fi riceuono, il ri- compenfare i
riccuuti, con altri beneficij ; l'eller pronto, difpo- ap ilo, cV parato
ad aiutar eli amici, & altre cofe cosi fatte. Alcune altre fon poi,
lequali altro non fono, eh vn certo fupplimcnto del difetto delle proprie
leggi fcritte : conciofiacofà che le cofe , 50 che fon d'equità,parimentegiuitemmar
fi debbiano: nóefiendo altro l'equità, fe non quella parte del giuflo, che
non e fiata comprefa dalla legge fcritta, ma è dita dal legiflator lafciata
fuora di j 1 quella. Et quello in due modi può, & fuole accafcarc.
percioche alle volte lo fanno i Legiflatori non volendo; & alle volte
volen- $ 1 do. non volendo accade quando eglino non fc n'accorgono,
ne 53 l'auuereifcono. ma volendo occorre quando elfi conofeon
non cflcrlor poflìbile di comprendere, & di determinar nella
lcg- 3 4 ge, che formano, ogni particolare occorribil cafo. & per
quello fi lafcian tirar dalla neceffitàapor la legge in vniuerfale,
quan- tunque nelle cofe da lei comprefe, non fempre quell
vniuerfàli- rà, ma per la maggior parte, & per il più, debba hauer
luogo. $j Accade ancora alle volte quello mcdehmo,non fol per
l'impoffi- bili tà,com' habbiam detto, ma ancor per la gran dimcultà, che
fi M ij rruoua p 2 'Della r Rgtprìca d'Arìttotelt^ truoua in
determinare nella legge tutti li poflìbil cali, cflendo e£ fi, ii può dire
infiniti : come (per eflempio) fc nel prohibìr'il fe- rir con ferro,
s'hauellè a determinar di che quantità, Se di che qualità shabbia da
intendere il detto ferro : percioche prima man carebbe l'età d'vn'huomo,
che egli potette tutte le varietà d'elfo ferro accogliete, Se numerare. Se
pcrquefto cflendo tal cofadifficiliffima a determinare, &douendon pur
farli legge, chela prohibifea, e forza che non determinatamente, ma
lem- fé pliccmente fi faccia, & in vniuerfale. Laonde fc cafo
auuerrà, ch'alcun'hauendo in dito vn'anello di ferro, & alzando con
im- peto la mano percuota chi fi Cìsl con quell'anello; in tal cafo
fe- condo la forza della legge fcritta, farà co Qui obligato alla pena
, che fi contiene in ella, come ch'ingiuria habbia ratto. &
nondi- meno fecondo la verità non hà fatta ingiuria, nè cofa
ingiufta. 57 & quello è quello, ch'equità fi domanda. Eifendo dunque
l'c- 38 quitàqueiìaj che noi habbiam detto, ageuolmcnte fi potrà
hor far manifeflo quali fian quelle cofe, che contengono, o non
cu- tengono equità, & quali fiano gli huomini,chc non la
poifeggo- no, Se dir per quello fi pofion non ragioncuoli. Percioche
quel- le cofe primieramente lì pollono (limar ricercar equità, le
quali» Ce ben par che in efle fi truoui fallo, & errore, meriran
nondime- 40 no fcula, Se perdono. Equità ancor fi douerà ltimare il n5
giu- dicar dvguale importantia, Se degni d'vgual gaftigo i falli, che
fi fan per errore, & quelli, chefi fanno con ingiulìitia, & per
fare ingiuria : Se il non por parimente in grado vguale quei, che
per error fi fanno, con gli infortunij, che carnalmente per
contraria 41 fortuna accalcano. & infortunij, ouer fortuiti falli
s'intendono efler quelli, che fuor d'intentionc,& di confideration di
chi gli 41 fi, fon fatti fenza vi tio, o malitia alcuna. Quei falli poi,
chefi fan per errore, Ce ben non adiuengono fenza intentione, o
con- fideration di chi gli fà, nondimeno ancora effi non davitio,
o 4J da malitia vengono, ma in quei, che veramente ingiurie fono, Se
Ceco ingiuftitia tengono, non fol concorre in tcn none, Se
con- fidcratione di chi gli fa, ma ancor da malitia, & da iniquità
de- riuano : peroche da vitio, Se da malitia procedono i falli, che
da 44 impeto di cupidità, o di fi mi l'affetto nafeono. Oltra di quello, equità
fi dee ftimar, che fia, l'hauer femprc confideratione ne gli errori, che
fa l'huomo, alla fragil natura h umana, Se a quelli dar 1 volon- jfl
Primo libro . $ 3 4j volontier perdono. & il non haucr principalmente
rifpetto, de 4 'Della r R^tprìca d % Arìttotel^J (apo 14.. 'Dell 1
ingiurie fotte in paragone , & comparation fra di loro ; quali fian
maggio- ri, rjuai minori : £f alcuni luoghi da co- nojcer quctto
. 1 Ngivrie maggior! s'han da (limare,e(Ter qucl- 2 h?j9 tsSI che da
maggiore ingnilliti.! procedono : per IrSki K?$J 4 UC ^° g r andiflìrnc
vengono ad eiler quelle , ch'in | t^jr y^J j P» cco ^^ ma cofa confiftono
. fi come Caliiftrato in accufarMelampo aggrauaua l'accufa con dire
, che della facra pecunia desinata alla fabrica dei Tempio, haucf- fe
egli di tre mezi oboli, fraudato color, che la cura dell'edificio 4
haueuano. Ma nella giù ftitia, &c nelle cofe,che fi fanno
fecondo quella, il contrario a punto adiuiene . Son dunque
grauiflìme così fatte piccoli (lime ingiurie per l'eccedo, de grandezza,
che tengon nella forza, virtù, 6c pollanzaloro : pofeiache colui,
che fi pone a furar tre mezi oboli al culro diuino confecrati,
molto più fi può (limar, choccorrcdo, ingiù Ilo farebbe in cofa di
mag- c gior momento. In quella maniera adunque chabbiam detto, li può
(limare, & ponderare alle volte la grandezza della maggior* l
ingiuria. In altra maniera (ì può itimarancora in ponderarla,^ 7
giudicarla fecondo la grandezza del danno, che ne rifui ti. Mag- giore è
ancora l'ingiuria quando non par, chepunirione, & ga- ftigo fe le
polla trouar vguale , ma ogni pena Ga minor di quello, 8 che fc le
conuenga. E parimente maggiore è quando il danno, che la reca, mal li può
medicare, o con remedio alcun rifarcirc : elTcndo cofa grandemente acerba,
& morella il mal'impofllbilca f rimediarli. Mcdefimamenre maggior fi
rende l'ingiuria quando a colui, che la riccuc, vicn tolta la poffibilità
di fodisfarlì , in ve- der che gaftigo, o vendetta ne venga all'autor di
quella, percio- che viene in quella maniera a rcflar l'ingiuria fenza
medicina, o rimedio : cflendo la vendctta,& la punition dell'ingiuria,
vn ccr lo to medicamento, 8c refarci mento di quella. Si dee (limare
an- cor l'ingiuria maggiore, quando colui, eh e ingiuriato, Se che
pa te, Se riceuc l'offcia, fente cofi infopportabilmente il danno, o
la vergogna, eh 'ci riceuc ; ch'impaciente a tollerarla , riuolge il
dolor còntra fc {teflb, & contra di fe proprio rliuien crudele .
nel qual cafo non è dubio che di molto maggior pena , &
punirion li non fia degno colui, che l'ingiuria fece; comallegaua
Sofocle, perciochc fauorendo egli in giuditio la caufa d Euttemone ,
il qual non hauendo potuto tollerar hgnominia della
riceuuta ingiuria, s'era da le Ite ilo vccifo ; dille non parergli punto
da ih- mar manco, & ili men gaitigo degna la contumelia di
quell'ingiuria, che colui proprio, che riceuuta 1 haueua,rhaueileapprez li
zata, & (limata conerà di le medefimo. Maggior parimente di- uien
l'ingiuria, le colui, che 1 hà fatta larà (lato lolo, oil primo,o 13 con
pochi a farla . Et l'hauerc oltra ciò più volte commeiro lo fteiro
delitto, Se la lidia ingiuria, le reca grandezza,& ampliano 14 non
piccola. Maggiori medclimamente il deono (limar quelle ingiurie, òcquei
delitti, percagion dei quali (1 (ìcn per rimediar gli, & vietargli,
inueftigatc, & trouatc nuouc forti di (uppluij, Se Ij di pene . fi
come vediamo, che in Argo hanno ordinato propria pena a punir colui, il
qual con fuo delitto dia cagione di trouar nuoua legge, o d cdificar'nuouo
carcere, o di trouar tormento 16 nuouo. Quei delitti ancora haran da
ellerc (limati maggiori, Se più graui, i quali più haran del ferino ,
& più s accolleranno alla 17 natura più torto delle belile, che
dell'huomo . Maggiori pari- mente fon I ingiurie, e i delitti, fc pcn
Guarnente, Se daconlide- 18 rato configlio premeditati nalcono . Più graue
oltra ciò fi dee (limar qucllingiuria, laquale nell animo di chi l ode è
arra ad ec- 19 citar più torto affetto di terrore , che di compaflìone.
Appretto di quello fono ancor picnedi retorica ampli heation per
ingran- dir l ingiurie, alcune allegationi di circollantie cofi fatte :
come a dir, che cortili con la tale ingiuria habbia in vno Hello
tempo in molte cofe, & in molti modi macchiata, & corrotta la
giufti- ria, & trapallàtooltra'ldouer ìlgiufto; hauendo egli infiememé- te
il facto giuramento, la data delira, la promelTa fede, & la
fteilà inuiolabil legge del matrimonio, violato . pcrcioche cofi
dicen- do non è dubio, che raccolte nella detta maniera in vno
molte cofe ingiù He, non faccian nell'ingiuria apparentia d'vn certo
ec- 10 cello. Aggiugnej ancor grauezM al delitto, lcller commetto
in quello Hello luogo , doue fogliono clTcr condennati, &
puniti i delinquenti -, fi come lo commerton coloro , che falla
teftimo- nUnza in publico giuditio fanno.perciochc douenon pcccareb- beco p
6 T>eBa Teorica d' Arìttotelt~> bcro eglino, Se in qual luogo
s'aftcrrcbber da far cofa ingiufta, Ce di peccar non s'aftengon nel
publico tribunale, & nella propria il corte della giumtia?Maggiore
ancora apparirà l'ingiuria le fi mo ftrarà ertere intorno a cole, che
recar foglian rolTbr grandiflì rao ti di verecundia fcco . Medefimamente
-più grauc (limata farà l'in- giuria, fé contra di colui farà fatta, dal
quale habbia colui, che la fa riccuuto benefitij : peroche in più cole
viene egli in tal fatto a peccare , Se a vfar contra di colui
l'ingiuftitia fua ; cioè in fargli nocumento, Se in non giouargli per
ricompenfa, Se gratitudin a 3 dei benefitij. Più grauemente ancor potiam
dir, che fi debba ftimar, che pecchi colui, che delitto cornette contra'l
giudo del- le leggi no lei i tte: impcrochc gli è cofa da h uomo di
maggior vir tù,& di maggior bontà il feguir la giù ititi.», &
operar colcgiuftc, nò forzato da nccciììtà: & le leggi lentie fon quel
le, che vengona fare in vn certo modo forza col terror della punitionc :
doue che le leggi non Icrittc liberamente muouono l'animo fenza
forza,o 24 violetta alcuna.Dalialtra parte per altra ragion
diuerfa,pare,che per il contrario maggior fia l'ingiuria, e'1 delitto,fc
contra le leg- gi fcrittc farà commetto . conciofiacofa che colui, che non
s a- ftien da vfare ingiù iti ria in quelle cole, che portano il terror
del- la fcritta legge feco, Se che punition minacciano; molto manco s
afterrà dall'ciTer ingiuftoin quei delitti, che fenza temenza di 2.5 gaftigo,
o terror di legge , vegga di poter commettere. Et tan- to badi fin qui
d'haucr detto delle ingiurie maggiori, Se del- le minori . (apo ij.
'Delle pruoue, £f modi di far fede m- art fidali , 0 'ver fenz^a artificio
. Ecvita alle cofe dette, che noi alprcfcnte trafeor- rendo diciam
qualche cofa di quelle pruoue, Se fe- di, che fi domandano in artificiali
, Se d'arteficio priue : eflendo eflc aflai proprie, Se domeftiche
al- le caufe giudiciali : Se fono a punto cinque in nu- mero, cioè le
leggi ; i teftimonij ; le fcritture, o ver i patti ; la tor tura ; Se il
giuramento . Et cominciando dalle leggi, anderem di chiarando in che
maniera nel fuadcre, Se nel difiuaderc, nell'ac- cufa- Jl Primo libro
. $ y cufare,& nel difendere, s'habbial'huomo a feruir dell'vfo
loro. 4 E cofa ramifcfta adunque che fé alcuno haràla legge feri tta
ce- traria alla caufa Tua, douerà rifuggire all'vfo della legge
commu- ne, & al giudo dell'equità, come che più ragioncuol fia, Se
più $ intrinfccamente congiunto con la giuftitia. Et douerà ancor
di- re, che il giudicar con fententia ottima, Se ragioneuoliflìma ,
no confifte principalmente in altro, ch'in non adherir puntualmen 4
te in ogni cofa alle leggi scritte . Se che l'equità femprc vna
ftef- fainuariabil dura, fi come parimente immutabil dura, Se fi
con- fcruala legge commune ancora ; come quella , che nella natura è
fondata, Se con la natura nafec. doue che le leggi fcritte fpeflc 7 volte
fi mutano,& a variation fon fortopofte . da die prende for- za quel
detto di Sofocle nella fua Antigona : pcrochc difenden- dofi Antigona con
dird'haucrfartoconrralaleggedi Creonte, ma non già contra la legge non
fcritta ; parlando di tal legge di- ce; None nata, ne introdotta quefta
forte di giurto nèo^gi, ne hieri, ma femprc è ella ftata': Se hauendo
quefto giufto dal mio , non temo, o curo di quel, ch'in contrario comandi
qualfi voglia" 5 huomo . Si potrà mede/imamente dire, ch'il giurto
fia cofa real- mente vera, 6Vvtilc, &noninvniuerfa!e, &quafi in
ombra, & in apparentia;cVchepcrquefto la legge fcritta, emendo più
ro- tto ombra, che corpo del gì urto, non fia vera mente legge
;pofcia «> che far non può ella offitio di vera legge . Et che li
ludici fon porti foprai gitiditi; a guifa di quelli artefici, che fon
porti a cono iccre, & a difcerncie il falfo dal vero argento ; acciò
ch'ancor ef- . fi conofeano, Se diftinguan bene il vero giufto dall
adombraro, I o Se adulterino. Potremo parimente aggiugner,che fia cofa da
huo mo di maggior bontà, & di miglior coftumi, l'vfar nelle
fueattio nilamifurapiù torto delle leggi non fcritte, che delle fcritte,
Se li inquellcftarc,& fecondo quelle viuere. Etdoueremo
auucrtic a " cora (c la ie gg c > ch e ci e addotta incontrala
contraria a qual- che altra legge tenuta communementeper buona, &
perappro- uata ; o ver s'ella fia contraria a Ce medefima: come a dir che
da vna parte commanda/Te, Se difponcne, che fufic valido,&
fermo tutto quello,inchcgli huomini per patto conuengono
inficme; &dallalrra parte prohibitfc, che patto, o conucntionc alcuna
fi I» laceilc contra le fteirc leggi. Doucrem parimente confederar,
fe Ja detta legge, che ci e addotta incontra, fi truoua ambiguamen- N
te feri t- y8 'Della ch'ai le volte non ben con l'intelletto
capitici o le paiole , o 1 fen cimento della legge, non habbian da cadete
in pencolo di fpetgiuto nel pat- 1 5 tirli da quella. Potterao anche dite
non ciler alcuno, ch'in eleg- gete, Se ceteate il benc,elegga, o cetchi
quello, che fia in vniuct lale,& Semplicemente bene; ma che
ciafcun'elcgge quello, che 16 (la bene a lui. Et aggiugnci potiemo non
eflct di ifc renna alcu- na trai non efletc otdinattf, Se ftatuite leggi
fetitte, Se il non vo- 17 Jet poi vfatle, & olletuatlc, fetitte, che
le lono . Douetemo ol- tra di quello dite, ch'in tutte l'altre aiti, Se
facilità, è cofa più to- rto perni tiofa,chc vtilc, il volet pattiti! dal
giuditio dei peliti in quella : coma dir nell'arte della medicina, dal
patere, Se giudi- tio del medico . conciofiacofa che non tanto nocumento
rechi l'crror, che fatà alle volte il medico, quanto dannofo fatia
l'af* fu c far fi a ttafgtediie il parer di colui, il qual come petito ha
da clTct guida, &capo, & fupcriote in fomma in quell'arte,
della I I qual fi tratta. Et a quello potremo aggi ugner, ch'il cercar
d'clTer più prudente, più petito, Se più faggio delle leggi lteilc,è
quello, che più ch'altta cofa principalmente dalle communementc
Io- li? date, òVappfouatc leggi, Ci prohibifee . Quanto alle leggi
adun- que , che fon la prima pruoua inartifìciale, lìa per hora
determi- io nato nella maniera, chabbiam veduto. Quanto poi a i Telamoni,
di due forti, o veto fpetie fi truouano elTcre . alcuni fon'anti- chi>
Se altri moderni o ver nuoui , Se di quelli alcuni fono , che ven- Jl
Primo libro l & S>9 ^fgon nel teftimoniare a partecipar del
pencolo; Se altri liberi li ne fon fuota. Antichi teftimonij chiamo io i
famofi Poeti, Se tutti gli altri huomini , chiari, &illuftri, dei
quali lìan rimarti nella memoria de gli huomini, giuditij, Se fentcntie
celebri , & mani- li feftc. ficomc gli Athcniefiadduilero la
teftimonianza d'Home- 15 ro nella caufa lor dclTlfola di Salamine. Se
quelli di Tcncdo po- co tempo fa allcgaron per teftimonio Pcriandro
Corinthiano 14 nella caufa lor contra de i Sigienfi: & Lcofronte
parimente nel- la caufa, eh ebbe ad agitar contra di Critia, lì valle
d'alcuni verfi elegi di Solone ; dicendo che la cala, Se fameglia di
Critia era art ticamente ftata macchiata d'effeminata lafciuia . percioche
fc n5 fufte ftato coli, non harebbe Solone ne i fuoi poetici verfi ,
par- lando d'vno di quella fimeglia, detto, Fammi grana di dir a
Cri- 1 j ria biondo , & crefpo , eh' a fuo padre obbedifea . Coli
fatti fon dunque i teftimoni antichi intorno alle cofe, che fon già
patiate. 16 Delle cofe future poi fono ancora antichi teftìmonii gli
oracoli, &gli interpretatori di quelli: come ( per eflempio)
interpretò Themiftocle, quando volendo perfuader, che fi combattere
coti pugna nauale, dille che quello lignificauanoi muri di legno,
che 17 nella rilpoftadell'oracol fi conteneuano. Mcdcfimamentei Pro 15
ueibii fon tetti monii della fteiTa forte, che noi habbiam det- to . come
fc ( per cflèmpio ) fuilc chi volelTe perfuaderc ad alcu- no , che non
cercafie di riceuer nella fuaamicitia la talperfona d'età fenile; potrebbe
in reftimonianza addurre quel prouerbio 19 trito, che dice non eflèr da
collocar beneficij in Vecchi. & chi volelTe perfuadere ad alcuno,
ch'egli douefle leuarfi dinanzi, Se far capitar male i figli di quei
padri, ch'egli hauefie già prima vecifi, potrebbe addurre in teftimonianza
il prouerbio, che di- ce, ftolto è colui, che lafcia in piedi i figli,
hauedo lor prima .mi- to in azzato i padri. 1 nuoui,ouer i moderni
teftimoni fon poi quel- li, i quali cllendo di celebre, Se chiara faina,
Se noti al mondb per faggi, hanno in alcuni cafi, ouer caufe datoinditio
del lor parere, Se dellor giuditio : percioche così fatti giuditij, Se
pareri polTon parimente elfcr'vti li a coloro, i quali hanno in altre
caufe ji fimihaquelle,vnamedefimaquaficontrouerfia. fi come
Eubo- loingiuditio contra di Charcte, fi feruì di quello, che poco
in- nanzi haueua Platone detto contra d'Archebio, cioè che per caufa,
Se colpa di lui haueua già nella Città prefo forza, & vigo- N ij re
il joo ^ ^Del/a ^R^torica djirìUotett^ re il non vergognarti p iù le
perfone di cónfellar defler vitiofe,& 51 inique. Nuoui, & moderni
teftimonij fono ancor quelli, i qua- li Tempre che fi trouaflcr fallì
nella teftimonianza loro, farebber tj partecipi nel pericol della
punitione. & così fatti teftimonij nó lon'addottia reftimoniar,fc nóquado
fi dubita del fatto, cioè /eia 34 cofa tìa ftara fatta, o no fiaftata
fatta, & sella iìa,onó fia. maquà- to alla qualità del fatto, no fono
eglino ammeifiper teftimonij,co m'a direa teftimoniar fc la cofa fia
giufta, o nó giufta, vtdc,o da- 1 5 nofa,& fimilc.Maquci teftimoni,che
nófon partecipi nel pcncol ma fono liberi, & lontani da quello, fono
intorno alle dette qua- lità del fatto,idonci, & legitimi teftimoni,
& grandemete di fede degni. Et fopra tutti, aurtorità» & fede
recan le teftimoniaze de i teftimoni antichi, come di quelli, che a
fofpetto alcuno di cor- rotrionenon fon fottopofti, & dall'autorità de
i teftimoni ha da jtf depender molto la fede delle pruoue. Se noi
dunque,non harem teftimonij, doueremo in tal cafo allegare, & dire,che
il giudicar habbia da cfTcr fondato principalmctc nei vcrifimili, &
negli ar- gomenti : & che quefto è propriamente giudicar con
fententia J7 ottima, 8c ragioncuolilTì ma, alla qual fon tenuti i giudici.
3c che 1 veri (imi li non fon fottopofti a pericol d'eller corrotti
con danari» ne pollo no eflcr giàmai conuenti di falfa
teftimonianza, 38 come i teftimonij. Dall'altra parte fc ci trotteremo
hauer tefti- monij vtili allacaufanoftra, potremo contra di colui, che
non gli hà, trà l'altre cofe dire, ch i verifimili, & gli argomenti
non fon fottopofti, & tenuti a pericolo di fupplitio alcuno. &
che nó faceuadi meftieri d'introdur ne i guiditi) 1 vfo de i
teftimonij, fclc ragioni, & gli argomenti fodero ftati baftati alla no
ri tia della verità. Sono li teftimonij,o intorno a noi ftc(Tì,& a
cofa,che toc- chi, & riguardi noi : ouero intorno a cofa, che tocchi
lauuerfa- rio noftro : & così ncllvno, come nell'altro modo, o
riguardano 41 il fatto fteilo, o la vita,& i coftumi. Per laqual cofa
è manifcfto, che mai farà per mancarci qualche forte di teftimonij,
chefler portano vtili alla parte noftra. pèrciòchc fe intorno allo nello
fat- to ci mancherà teftimonianza, la quale o confenta, &
conuenga in aiuto noftro con quello, che diciam noi, ouer fia contraria,
& difcrepantedaqucl, che dice l'auuerfario; almcn non
cidouerà mancar teftimonianza intorno alla qualità della vita, & de i
co- ftumi, laqual faccia fede della bontà, & dell equità noftra,
ouer dcll*ini- JL Trìmo libro \ iot 41 dell'iniquità, Se malitia
dcH'auucrfario • L'altre cofe poi, che polfono occorrer di ponderarli, Se
di conliderarlì intorno alle f erfone dei tcltimonij, com'adir fc
lon'amici, o nemici, o nè vn , ne l'altro ; fc fon pedone di buona fama, o
di mala fama, o tra l'vn, & l'altro, Se tnttelaltre in fomma così
fatte dirTcrentie di condirioni, & di qualità, da quelli fteffi luoghi
fipotran trar- re, & di inoltrare, da i quali lì poilbn gli Enthimcmi
intorno al- 43 le medcfimc qualità, trar fuora. Quanto alle fcritture poi,
doue lì contengon conuentioni, Se patri, intanto può hauer luogo
in eiYc 1 vfo deli'oratione,inquanto lì cerchi,o d'ingrandir il lor
va- lore, o di deprimerlo, & d'annullarlo : & oltra ciò di farlo
ap- Earire o credibile, Se di fede degno, o per il córrano di poca
credi ilità, Se di poca fede, peròche fe vedremo, che le pollano
cfle- r>evtili a fauor noftro, alhor c'ingegneremo di procacciar
loro autorità, Se credibilità* &c il contrario faremo fcle
conofeeremo 4J in aiuto dell'auuerlario . Et quanto prima all'aggiugnere,
o al toglier loro autorità, credito, Se fede, non e differente il far
que- llo, dal trattamento, che s'habbia da far'intorno ai
teftimonij. conciolìacofachc quali faranno i coltrimi, le conditioni, Se
qua- lità di coloro, c'habbian diftele, o fofcrittte ledette fcritture,
o lehabbiano apprelTo di lor cóferuate, Se faluate,talc ancora
riab- bia da effer la fede, l'autorità, Se la credibilità d'elfe
fcritture. Cafo adunque cheli truouino, o lì pruouino autentiche
corali fcritture, Se tali in fomma, che confclTar fi debbi, o negar non
Ci 47 polla, che le lìano fiate fatte; alhora fc i patti, che vi fi
contengo- no, conofeeremo, che facciano a proprio fauor noltro,
doueremo ingrandir 1 autorità, & la validezza, c'han da portar leco i
patti , & le prillate conuentioni humane: dicendo non cllere altro
il patto, che propria, & prillata legge, trai particolari in
priuato 48 fatta. Se che i patti, Se le fcritture, che gli contengono, non
da- no validezza, forza, Se corroboratone alle leggi, ma ben le leg- 4$
gi la danno a' loro. Et che in fomma la legge non e altro ancora ella,
ch'vn certo patto, di maniera che qualunque cerca di tor forza ai patti di
mandar'a terra il valor di quelli, viene a cercar jo parimente di
deltrugger le fteire leggi. Poucmo ancora oltra ciò dire, che per la
maggior parte i negotij, Se le facende, che trà di lor conuerfando, Se
contrahendo fanno fpontancamentc, Se vo- lontariamente gli huomini, fi
fanno col raezo di con tratti, patti; Se fcritture , / o j Della
Tintorìe* d 'driftotelcj Se fcritturc, Se in quelle fi contengono. La onde
tolta via, o fatta inualida la forza, Se i'vfo de' patti, & delle
fcritturc, verrebbe parimente a mancare, Se a cadere a terra ogni
cambieuol coiti- 5 1 mertio d huomo, Se ogni trattamento di negotij Immani
. Altre cole ancora fi potrebber dir* accommodatc a ingrandir l'vfo,
Se l auttorita de' patti : le quali aliai facilmente pollono clTer
com- f i prefe, Se confideratc per lor medefime. Ma fc dall'altra parte
ve- dremo, ch'i patti, Se le fcritturc fien contrarie alla caufa noftra
, Se in fauore, & commodo deirauuerfario, ci potrà primicrame- te
in lor deprelììon feruire, Se cfleraccommodato tutto quello, ch'allegare
alcun potesse per impugnare, & ofeurar lauttorità j j della legge,
quando gli fulfe contraria, perciochc molto fuor di ragion (aria le
ftimanflo noi non douerlì dar fede, ne preftar'ob- bedientia alle leggi,
ogni volta che iiano non drittamente porte, Se che il Lcgi/lator habbia
vfato inganno in porle jhaueiTero i priuati patti a ritener inuiolabil
neceflìtà nell'olTcruantia loro. 54 Potremo ancor dire non clTerc altro il
giudice, che difpcnfato- re, Se amminiftratordel giufto : Se per quello
non ha egli da te- ner confidcratione, Se cura di quel, che importin le
fcritture, Se li patti; ma fol di furto quel, che contenga maggior
giuftitia . 55 Potrcm parimente dire, ch'il giù ilo non può cflergià mai
piega- re, Se dillorro dalla fua drittezza : ne ita fottopoilo a inganno,
o a forza, Se violentia alcuna, hauendo egli l'cilcr fuo dalla
natura fteira. doue che i pani, Se le conuentioni, che fanno
glihuomi- ni, nafeer polTon da inganni, o da forza, che gli induca a farle
. t 6 Olrra di quello fi dee por cura fc le fcritturc, & li parti, che
il producono, fon contrari] ad alcuna delle leggi ferine, o ad
alcu- na delle communi, Se fes'oppongon a cofe comunemente renu- 57
tegiufte, Se honelìc. Si deeveder ancora, fe fon diucrlì, Se re- pugnanti
ad altre fcritturc, Se conuentioni, chedoppo,o innan- zi di quelli, fiano
nate fattcpcrciòche o le fcritture fatte poi fon valide, Se per
confegucntele precedenti han del falfo,o non han valore, oucr per il
contrario le fatte prima valide fi truouano, Se nelle fatte poi, fi
conticn fraude, o altro cosi fatto errore. Se di queiti duccafidouerem
cercar di far parer vero quello, che più 58 conofeeremo vtilc alla caufa
noftra. Potremo andar con la confi- deratione inueiligando ancora intorno
all'vtilità, feda qualche Cofa, che fi contenga in quei patti, che fi
producono, o fe dalla fede, che fi predi a i patti, può
feguir'occauone dcfidcrofi di vederle. Contcngon dunque le dette
righe que- lle parole. Ju 5 *iynv fri Cvk «WaM»0hW/ Caffdurot
•Tofà.oìyaf rtpoì, £ A/flo'- Jtpfjioh ù ttut 4^«T ( «vite ìuvajoì, "flua/ert
tyK rt rat t ivttyt&f* il j Jh A5Ì, ^ Ìu*MjC»7f ■vfo 70 v TctV
Àva.yxct.i /A7k etw^/ ' X«t7*0et/:/fei/Vir, ù'vAV&t ir/roV ìk
(Sardi'oif. Legnai parole m no firn lingua pò- trebberò effer
quefìe^j. Mala di meftier di dire, che le torture non cótengon fecura, Se
certa verità, conciofiacofa che molti fi truouino, li quali hauendo
le carni, & la pelle quafi di fallo, Se l'animo forte, Se a
Sopportar potente, vincon con lalor coftantia, Se con la
lor'oflinatione ogni neceflìtà, che porti la pena, ci dolore. Se altri per
il contra- rio fi truouano, che vili d'animo, Se delicati, Se molli del
corpo loro, prima che fi veggano a pena dinanzi a i tormenti, reftan
fu perati daquelli. Perla qualcola none da preftar fede a
quella tcllimonianza delle torture. Qnefie fon dunque, in fiftantia
le parole, che eorrejpondono alle gre- che già dette^j. tJHa ritorniamo
hormai al legittimo te- li fio nostro, fegue adunque ^sfrittotele così
. 6 $ Quanto apparrien poi al giuramento, in quattro modi può
oc- correr, ches'habbia da trattare, Se da confiderare. perrioche
t» noi lo concediamo, & concedutoci l'accettiam di fare,o noi non
facciamo ne l'vna, nè l'altra di quelle cofe,o noi ficciam Tv- na, &
non l'altra. Se quello in due modi, peroche o noi conce- diamo il
giuramento, ma non accettiam di farlo, oucro accet- 66 tiam di farlo,ma non
lo concediamo. Se tutto quello altrimenti s'ha da confiderai quando fi fi
a altra volta giurato, & altrimen- ti quando non fi fia giurato. Se
quando fi fia giurato, altra confidcration s'hà d'hauer fe harem fatto il
giuramento noi, & altra 6j Ce l'harà fatta l'auuerfario. Se offerire
adunque Se conceder non gliel vogliamo, douerem dire non voler metter'il
giuramento in man fua, perche conofciamo,che facilmente faria egli per
giura- 6% rcilfaliò. Se potrem foggiugner' jchcrauucrlario
rcftarebbcgiu rando afibluro dei danari, ch'egli ci dee, doue che s'egli
non giura, teniam certa confidentia, ch'egli habbia in giuditio da
cf- 6$ ier condennato a pagarccgli . Potrem parimente dire, c
hauen- do noi pura depcnder da pericol di giuramento, vogliam
più tolto; Se molto più ragioncuol cofa è, depender da quello de
gli Jl Primo libro . 1 oj fteffi giudici, pcrciòche nella bontà,
& rcligion loro tcniam fe- 0 de, Se non in quella ddl'auuerfario. Male
non ci verrà bene d'accettar Toner ta, che ci fa l'auuerfario di voler
egli ftarc al noftro giuramento ; doucrem dire, che per cagione di
danari, cagion così friuola, Se così leggiera, non ci par cola honefta
ii 1 giurare, foggiugnendo, che fé noi fulfimo impij, Se nemici
del giulto, non recuferemo di farlo : percioche lapedo noi, che
giu- rando ricupereremo, Se confeguiremo quello, che ci fi dee,
Se non giurando, nò, certa colà è, che meglio faria
1'efTer'ìniquo per cagion di qualch'vtilità, che per cagion di nulla. Ci
che per quello appare, che fol percaufa d'honeilà rccufiam di giurare, i
Se non per tema di cómetter fpergiuro in giurare il falfo . Et in quello
propolito potrà parimente quadrarci conuenir quello, che foleua dir
Senofane, non elìer pari la prouocatione,ch'a giu- rar faccia vn'impio, ad
vno altro che tema Dio : ma effer limile alla prouocation, che facente
vn'huom gagliardo, & robufto del- la perfona, in prouocarc a dare, Se
riceucr pcrcofle, Se pugna , 3 vn'altro, che debole, Se infermo fu Uè. In
calo poi, che ci venga commodo d accettar di giurare, ellendoci il
giuramento offerto dall'auiicrfario, potremo primieramente dire, che ciò
facciamo ; perche vogliam piutofto credere, alnoftro giuramento, &
ftar* alle fede di noi medefimi, cllendo in noi confapeuoli della
men- \ te noftra, ch'alia fede dell auuerfario. & potremo parimente ri» uolgerc,
&accómodar'amodo noftro ilmedelìmo detto diSe- nofane, diccdo,andar la
cofa vguale, ouer'cfler la cola pari, qua- do vno impio prouoca a
giurar'vn, che tema Dio, e egli accetta c l'offerta, Se giura.
Aggiugnereino ancora parerci cofa indegna, Se fuor d'ogni ragioneuolezza
il recufar noi di giurare in quella (Iella cauta, nellaquale
riccrchiamo,& afpcttiamo,ch 'i giudici fe- condo il giuramento da elfi
fatto, proferifean la fententia loro . C Mafe finalmente ci tornerà bene
d'offerire, Se concedere il giu- ramento all'aiiuerfario, potremo dire,
che ci paia cofa pia, Se rcligiofa il voler commetter tutta la caula in
man de gli Dij , Se 7 alla cura loro : Se che non vogliamo, che
all'auuerfario noftro faccia di bifogno di ricercarla decilìone di quella
caufa da altri giudici, che da fe nello, dandogli noi arbitrio, Se
autorità di deciderla, & giudicarla col luo giuramento da fe
medelimo. 8 cV che cofa aito rda, Se fuor di ragion farebbe egli,
s'eirecufaf- O fc di 7 o 6 Isella r R(torìca d*^4riBotelc^ fc di
giurare in quella (tciTz cofa , nella quale egli filini eflcr do- 7^ ucre,
che gli altri , cioè i giudici llcllì giurino. Hor'hauendo noi ad vn per
vno patitamente dichiarato , come fihabbian da trattar tutti li quatro
modi divfar' il giuraramento , potrà da quello effer raanifcfto ancora,
come s'habbian da trattare, & da vfare,fe più di vno di tai modi, fé
prcndon congiunti 80 infieme. com a dir fé noi accetteremo l'offerta del
giuramen- to, ma non già l offeriremo, o lo concederemo, ouer fc ci
pia- cerà di concederlo, & offerirlo, ma non d'accettarlo, o fe
vor- remo & accettarlo, 8c concederlo, oucro offerirlo infieme,
ofe finalmente non ci contenteremo di far nèlvnacofa, ncl'altia. 81
conciofiacofa chceflendo così fatti congiunti necelTàriamente comporti de
i già detti, & affegnati modi ; parimente farà necef- fario, cheli
trattamenti, & le ragioni di tai congiunti, fian compone de i trattamenti,
& delle ragioni, che già fi fon partitamé- Si te dichiarate, &c
inoltrate ad vn per vno ne i detti modi . Ma fe gli accafeherà, che già
riabbiamo per innanzi altra volta giu- rato cofa, che fia contraria a
quello, ch'ai prefente diciamo, & ci offeriamo, oucraccettiam di
giurare ; doneremo dire, che non dee per quefio il precedente giuramento
(limarti fpergiuro. Sj perciòchc cllendo lo fpergiurare vna fpetic di fare
ingiuria, & non potcndofi chiamate ingiuria quella, che nó fi fa
Ipontanca- menre, Se volontariamente, ne feguc, che non ellendo
fponta- nco, Se volontario quello, che l'huom fa, o neceflìtatoda forza
, 0 indotto da qualch'inganno, come e accaduto a noi nel giu- ramento
per innanzi fatto; non dee per confeguentc fpergiu- 84 ro nominarli. Et
qui farà ben di inoltrare in che la toltantia dello ("pergiuro
confida : affermando, che dalla mente dependa, 85 8c non dalla lingua, di
colui, che giura . E r fc dall'altra parte 1 auuerfarion olirò farà (lato
quello, che per innanzi altra volta riabbia giurato cofa, che ila
contraria a quello, ch'ai prefente di- ce; potremo in tal cafo dire, che
il voler* egli non tener valido, & non Ilare a quello, c'habbia vna
volta giurato, non è altro, ch'vn %6 confondere ogni cofa, &
fouuertere ogni ragione h umana, per- cioche non per altra cagione, fenon
per quella, cioè perhauer per fermo, & Ilare a quello, che fi fia
giurato, non ofano i giu- dici di fcruirfi delle llelTc leggi nelle
fententic loro, fe non fan giuramento prima. & riuolgendoci a i
medefimi giudici foggiugneremo. Noi dunque ricercherem da voi, Se flimaremo,
che vificonuenga di fhr collanti, & haucr per fermi i
giuramenti noftri, & noi tituberemo, & per validi non haremo i
noftri ì 88 Altre cofe ancor potremo aggiugnere, cioè tutte quelle,
che fiano habili ad amplificare ampliando la bruttezza delio
fpergiu- S 9 tradotta in lingua volgare da M. tsrfejfandro
Ticcolomini . DELLA RETORICA D’ARISTOTELE à Theodetto, TRADOTTA
IN LINGVA VOLGARE Da P. c Del bifògno> eba l'Oratore
della cognttton de gli affetti, (ef pafìoni humanc^. Qva 1 cofe
fàccia di bifogno d'haucre l'occhio in fuaderc, in di (Fu ad ere, in
biak mare, in lodare, in accufare,& in difende- re, & quali
opinioni, & propofitioni elTer pongano vtili a far fede i n tutte
quelle opc- rationi,può ellcr manifcfto per quello,che fin qui li e
detto, percioche di quelle cofe, & a quelle cofe, c'habbiam noi
allignate, deon dedurli, &deon hauer riguardo gliEuthimemi, che
(cpa- ratamente in ciafehedun gcncr d orationi , addurre, Se vlar
fi O ij deono. ioS ^Della Ttgtprìca d[c_j 5 cleono. Hor perche
qucft'arte della Retorica ha da terminar Tempre in qualche adcnlo, o giudi
tio, che ne faccia chi ode ; per cagion del qual giuditio fi pone in vfo,
pofeiache lcilcde con- fultationi ancora, nò padan Icnza'l giuditio di
color, ch'odono , Se il Tentennare dello nelle caufe forenfi, non è altro,
che giudi- 4 tio; è neceflano pcrqueito, che non folo fi procuri, che la
ora- uon fia tale, che pofla con pruoue, Se con argomcti far fede,
ma che s'ingegni ancor colui che parla, di far parer fé ftedo
della tale, Se della tal qualità formato, Se renda colui ch'ode, &
giu- dica, in qualche maniera qualificato a modo, & commodo
fuo. 5 conciofiacofa che alla perfuatìone, Se alla fede, che s'hà da fare
, grandemente importi, principalmente nelle confultc, &
dipoi nelle caufe giudiciali ancora, l'apparir più d'vna qualità,
che d'vn'altra qualificato, & difpolìo colui, che parla, Se
l'ederap- preflb di color, ch'odono in opinion d'affettionato, Se ben
verfo di lor difpofto, Se 1 edere oltra ciò più ad vna difpofition, che
ad 6 vn'altra inclinati, & volti color, ch'afcoltano. Et quanto primamente
all'apparir colui, eh e parla, della tale, o della tal qualità difpofto,
prcualc, Se e vtil quefta cofà principalmente nelle de- 7Iibcrationi, &cófultationi.
ficome dall'altra partel'cflernella tale, onella tal maniera inclinato,
comroodò, Se alterato l'afcoltatore; preuale fpetialmentc nelle caufe
giudiciali: pofeiache nonlemedcfime cofe paiono da edere approuateacolor,
chea- mano, Se a color, ch'odiano, ne le medefime a color, che fo- no
accelì d'ira, Se a quclli,chc d'animo mite,& placato fono : ma paion
loro o in fe diuerfe,o totalméte appofte, o almen'in quati- tà,cVgradezza
differcti aliai, imperciòcheacolui ch'ama,parrà
fa cilmcte,checolui,dcllacui caula hà egli da fai giuditio, o no
hab bia fatto ingiuria,oleggieriiÌjmarhabbia fatta: Se a colui,che
l'ha f in odio>tutto'l còtrario pare.Parimcte colui,che fuole
auidaméte defidcrare, Se cófidctemctc fperarc ; fe cola futura fe gli
offenfee l'ani nio,ch' egli pcfi,che lìa per recargli diletto,facilméte
s'indu-r rà a creder , che fia per fucccdcre , Se a ftimarla , per cofa
hone- fta. doue che tutto'l contrario farà per parer a colui, chela
di- io (pregi, o non l'appetifca, o la ftimi difficile a fucceder mai .
Hor quanto all'cffer tenuti degnidi fede color, che parlano, Se
al- l'cfler lor creduto ; tre cofe poflbno efTcr di ciò cagione ,
pofaa- chc ultre turile fon le cofe, mediami le quali, ultra le
pruo- ue, Se Jl ne, &r gli argomenti, ci induciamo a dar
credenza all'altrui paro- 11 le. & quefte fono la prudentia> la
bontà, & la beneuolentia, che 11 s'habbia in opinion trouarlì in
colui, che parla, cócioliacofa che per caufa della mancanza di quefte tre
cofe dette, o d'alcuna d'ef- fe, polli accader, che s'ingannino, Se quel,
che non conuenga di- I) cano color che parlano, o dan configlio . peroche
o per impru- dentia,& poco faper, non bene (limano, o intendon la
cofa, dclla qual parlano, o le pur non s'ingannan nella Iti ma, & nell
opi- nion che n'hanno; nondimeno per malitia, Se per iniquità
non voglion dire , o far manifefto quello, che veramente conofeono. 0
ver finalmente fé prudenti , Se non iniqui Tono , fon nicntedi- manco poco
amici, o beneuoli, Se per tal cagion s'aftengon da'l dir nei configli loro
quello, che veramente conofeono , cirereil meglio, Se potere ellcrc vti le.
Quelle tre dunque fon lecaufe, Se non altra fuor di quefte, per vna, o più
delle quali,può chi par la non dir quel, che conuenga. Onde è necelTario
che colui, che farà ftimato hauere inlìemcmenre tutte quefte cofe
habbiada trouar'apprellb di chi l'afcolta, credito, & fede alle fue
parole. Hor donde, cV: in quii modo lìen per poter fare appari re
altrui color, che parlano, d eller prudenti, Se virtuoil ; fi può
facilmcn te trar da qucllo,chintorno alle virtù diltinto,& dichiarato
riab- biamo : pofeiachei medelìmi luoghi ci polfon feruirea fare,
Se 1 8 gli altri, Se noi apparir per honefti, Se per virtuofi . Della
bene- uolentia, & dell'amici tia poi, potrà quanto appartenga a
quella, renderli manifefto in quello, che verremo al prefentc a dire
de 15 gli affetti, Se palli oni humane . Et quelli intendo io efler gli
Im- mani affetti, liquali commouendo , & alterando
l'huomo,fon potenti a variare,& diuerlìficare in lui li pareri, Se i
giuditij fuoi. a i quali affetti, due di lor feguon dietro, cioè la moleftia
, e'1 pia- cere . Et gli affetti fono , come a dir, 1 ira, la compalfione
, i l ri— 10 more, Se tutti gli altri coli fatti, Se li lor contrarij.
Inciafchcdun de i quali fa di bifogno, ch'in tre parti andiamo nel trattar
d'effi diftinguendo le cofe, che s'hanno in quelli da confidcrare.
com'a dir(per efTcmpio)ncirira, in che maniera (ìan dilpofti quelli,
che fi fogliono accender d ira ; & con tra di qual forte di perfonc
fo- glia Thuomo adirarfì j Se per cagion di qnai cofe foglia finalmente
quello auucnire. conciolìacofa chefenoi harem notitia d'v- na di quefte
cofe, o di due, Se non di tutte a tre , impoflìbil ci fia dimuouc- no
*DelU ^Retorica d* Aristotele di muouere, o eccitar ad ira . Et il
medefimo s'ha da intender negli altri affetti. Nella maniera adunque,che
nelle già di fopra trattate materie habbiam fatto in diltinguere, &
allignare appro priate propofitioni ; parimente in trattar di quefri
affetti fare- mo diltmguendo, Se allegrando in ciafeheduno affetto
fpetiali propofitioni fecondo 1 già detto modo. Dell' affètto dell 'Jra
. Ntendasi per hora adunque effer l ira vn pungi- tiuo, Se
atfliggiriuo defiderio di vendetta, che fu a chi la riceuc manifcfla ;
nato in noi da apparente vilipendio, che ci paia fatto fuor del douerc
con- traili noi, o di pedona a noi congiunta, & apparte x nente.
Hor elfendo tale l ira, quale l'habbiam deferitta ; ne fc- gue di
ncceflità, che colui, che s'adira; s'adiri fempre contradi perfona
particolare, o ver fingolarc, o indiuidua, che la vcgliam dire, com a dir
coatta di Cleone, Se non contra dell huomoin genere : Se che colui contra
del qual'ci s'adira , habbia o contra di lui, o contra d'alcun dei fuoi
fatto qualche cola di maleo mo- a Itrato euiden temente animo preparato a
volerla fare. Etèpari- mentc neccflàrio, che ad ogni ira fempre fi
congiunga , Se fegua vn certo piacere, & vna certa voluttà , che nafee
dalla fperaza del vendicarli : elfendo cofafoauc, & gioconda il
penfarc,& hauere opinion di confeguir le cofe, che ìì dclìderano ; ne
alcun e , che defideri quelle cole,ch'cgli Itimi cllere a lui imponibile
il confe- guirlc : Se colui, che è prefo dal'ira ; defidcra cofe, ch'egli
lutila 4 clfcra lui polli bili . Onde accommodatamente, & con gran
ra- gione fu in proposto dell ira detto, che l'ira più dolce del
ben } purgato mele, cade ltillando ne i perti de gli huomin forti .
Seguita dunque, Se Ci congiugne vn cofi fatto piacere, Se diletto
al- Fira, olerà la ragion detta, per quelì altra ragion'ancora ,•
perche ftàdi continuo l'irato in vna certa forte immaginatone, Se cogi- tatione,&
difeorfo d'animo intorno alla vendetta , ch'ei penla € fare, laqual
vehemente, Se gagliarda immaginationc , &: rumi- natone viene a caular
voluttà nel modo , che la cagionan quelle immaginationi di cofa, che
piaccia, lequali dormendo ne i fogni 7 accafeano . Hor perche il
vilipendio non e altro, eh' vna certa eC pprefl!one,& attuale inditio
d'opinion, che s'habbia d'alcuna cofa 8 come fe di nefliin conto,& di
ni un pregio fia : pcrciochc le cote, che fon da noi giudicate o buone o rce,o
almen tali, che a cofi fac te conducano, Óc rifpetto tengano, fon
parimenieda noi tenute, in qualche confidcrationcodi bene, odi male,* doue
che quella, che noi giudichiamo, come fé niente fulIero,o almen come
che o nel bene, o nel male di piccolifllmo momento fiano , vilipen- diamo,
& non ne facciamo ftima,n£ le tcniam degne di coniide- } tarli in
elle; nefegue che habbia per quefto da (apere,che tre for- ti, o vero
fpctic fi truouan di vilipendio ; chef«no il puro dilpre gio , il difpctto
, & la contumelia , o ver oltraggio, o onta che le 10 vogliamdire.
Percioche quanto primieramente al puro difpre- gio> colui che
difpregia, non e dubio, che non vilipenda : pofeia che difpregiando noi
quelle cofe, che di ncllun conto degne te- niamo ; 6c {'olendoli
vilipender cofi fatte cole, ch'in nitìna ili ma fi tengono; ne fegue, che
il difpregio fiafpetie di vilipendio, i x Parimente colui, che fa
dispetto, moftra anche egli di vilipende- re : conciofiacofa che il
di/petto non fia altro, ch'vn cercar d im- pedire, interrompere, & d
opporfi in fomma a t voleri, & a i di- legni altrui : non perche a noi
di ciò qualche commodo, o vtil 11 venga; ma perche noni habbian gli altri.
Facendo noi dunque quello, non a fine> che cofa alcuna ce ne venga,
veniamo confc- guentemente a farlo per vilipendio quali che coli a vile
tcniam quel tale, che vilipendiamo, come s'ei non valellè nulla , ne
in 1 5 ben, nè in male: ellèndo chiara colà, che noi miniamo, eh egli
in cola alcuna non ci polfa nuocere : pofeia che quando ciò non
illi mallimo, temeremo del danno, ch'ei ci potette fare , ik per
con- feguentenon lo vilipenderemo . parimente (limiamo, che in co* fa
alcuna, eh importi nulla, giouar non ci polla : pofciachequani do cofi ili
ma filmo, procurammo, &c porremo fiudio di farlo be- 14 ncuolo, cV
amico noflro. Medcfimamenre colui, che fa onta, o ver contumelia, vicn
ancora egli a vilipendere; confiftendo la contumelia in cagionare in chi
fi fia qualche nocumento , o mo- leftia in cofe ch'imporrino
ignominia,& vergogna in chi le riceue. & ciò non per che colui, che lo
fa, penfi che habbia a refill- targli per quello altra cofa, che quello
Hello fatto, o perche altra fimil cofa na Hata fatta alni ; ma Coi per
cagione di quel piacere, j j & diletto, che gli ha di farlo .
percioche di coloniche ccrcan di render il male, a chi male habbia fatto a loto, non
diremo , che in ciò contumelia facciano, ma vendetta . Et la camion del
piacere, & del diletto di coloro, che fan contumelia conliftc nel
parer lo- riche con fare oltraggio, & mal trattamento ad altri , ne
rifiliti maggiorracrc ad cflì vna certa fuperiorità d'eccedere - y Se per
que Ao auuicn, ch'i gioueni, 5c i ricchi lìan per natura
oltraggiofi,& contumcliofi : come quelii,che con far contumelia
prendono in 1 8 loro fteffi opinion d'eccedere. Vilipende dunque chi fa
contu- melia per eilcr proprio della contumelia il non tenere in
alcun pregio, & in alcana ftima, cV chi non (urna, ne tien in
pregio,nó e dubio, che non vilipenda; pofeiache la cofa eh e tenuta a
vile,o per dir meglio, e tenuta in nulla, neilun pregio, o ftima
ritiene, ne in mal, ne in bene. La onde Achille tutto adirato
dice,Non ha gli fatto conto,o ftima di me: perochc hauendolo a me
tolto, gode egli, & poflìede quello, ch'i Greci tutti in han dato in
do- no . & altroue dice, Egli non altrimenti mi tien in cóto,che
s'vn vii difeacciato ribello io fulfe . Le quai cofe dice Achille ,
come 20 chequefte fu (Ter folo le cagioni, che l infiammauan d'ira . Et
ci pare , ch'a color mafllmamente conuenga il far grande ftima
di noi, liquali ci fiano inferiori di nobiltà, di potcntia , di virtù ,
& di quelle cofe in fomma,nelle quali di gran lunga ftimiam
d'eccc % 1 dcrgli, & auanzargli ; come nelle ricchezze(per clfcmpio)
dal rie co è ecceduto il pouero : nella facilità del dire , dal facundo è
fu- ti 3 perato colui, che non può a pena la lingua feiogliere ;
nell'autori tàdal principe è fuperato il fiiddito 9 & da chi fia degno
di co- madare,& di dominarc,colui che fi a degno d'obbedirc,cV d
eller 13 dominato.Etperò fu ben detto,potcntiflìma è l'ira de i Rè,
quali che nutriti dal fommo Gioue . &c quell'altro detto ancora :
EeH ferba per doppo l'ira, per fatiarfi co lavendctta.& qucfto
accade, perche grandiftimofdegno concepifeono i potenti per il
lorocc- 14 cedere. Color'ancora ftimiam noi, che conuenga, &ragioncuol (ìa,
che ci habbiam d'hauer rifpetto, & da tenere in conto, da i quali ci
pardi poter con ragione afpettar di riceucr bene. & tali fon quelli, a
cui noihabbiam già altra volta fatto benefitio, o fac ciamo al prefente, o
noi fteflì, o alcun noftro congiunto, o perfo na, che ci appartenga, o
altra perfona perordin noliro : o vero 16 habbiam pronta volontà di
farlo,* o Ihabbiamo hauuta. Da que- lle cofe adunque, che fi fon dette fin
qui, potrà hora agcuolmcn- tc ren- Jl Secondo libro • / ; j te
render fi manifcfto,in che maniera difpofti , & qualificati
fiati quelli, che adirar fi fogliono: Se conerà di quali, & per cagion
di quai cofiòs'acccndon di tararTetto.Perciochequanto primierame te a
quelli,chc s'adirano , facilmente a ciò s'inducon le pedone, quado in
qualche molcma, o dolor fi truouano . cóciofiacofa che tempre in color,
che fon punti, & afflitti da dolorc,bifogna che fi 1 8 truoui
desiderio di qualche cofa.onde qualuquc,o direttaméte al confeguimento di
qualche defiderio loro fi contraponc, come faria (e ardendo effi di fete,
non gli lafcialfc bere, o ver te non di- rettamente, al meno in quaì fi
voglia modo non adherifca loro, mafia loro di ri tardati za,o
d'impedimento ; nel mcdelìmo modo tp para loro di Tettarne oftclì .
Ers'alcun s'adopra incontra per im- pedirgli , o s'alcun'altro non
s'adopra per compiacergli, & per louuenirgli, o ver Te in qual fi
voglia altra cofa, mentre che (tan- no in qucll eiTere ; alcun fia, che
punto dia lor diiturbo ; contra tutti quelli s'accendon d'ira . Laonde quelli,
che fon molcftati da innrmità,quelli,che fono opprelTì da pouertà ;
quelli, che fon grandemente innamorati; quelli, che (cntono ardente fete,
&c tutti in fomma quelli, che gran cupidità tengon d'alcuna
co(a,£\: quella non confeguifeono ; fon'iracondi, ella %lortca
dXriftotck^ fecondo ch'egli dclìdera, maggior piacere, Se diletto fente,
Ce 3 € quella fuor d'opinion Tua, & da lui non afpcttata,adiuienc.
Onde può da quefto apparir manifefto quali occalìoni, quai tempi, quai
difpohtiom, quali età Han più facili, & più accommodar a dar cau(a,&
fomento all'ira ; Se quando, doue ciò più aeeuol 3S teaccaichi: Se che
quate più di cosifatte condì rioni, & circon- ftantic accommodatc
all'ira, in chi lì Zìa concorreranno; lanto più verrà egli atto &
facile, ad cflèr con ci tato, Se mollo da questo 09 77*2; f «n dunque,*
nella manicra,chc detto habbiam, dilpoitifoglionoeircr coloro, che fon
facilmente mobili all'ita! 40 condia. Contra quei poi fuolqucft'ah Whauerluoeo,
li quali o prendono a rifo, o beffeggiano, o fchernifcono,o có acuti
mot- ti pungono : concionacela che tutti quelli tali vcgan'in fir q
uc- 41 Ito a dar fegno di cÓtumelia. Parimen te contra di quelli
s'accen- de 1 huomo in ira, i quali nuocono, o Ci moftran Contratti in
co- le, chcilcr pollano inditij, Se legni di contumelia, Se di
vilipen- 41 dio. Se così fatte par, che necetfanamete lì pollano ftimar
quel- V? i ncI,CqU 11 nuoce, non perche filia nccuuta qualche pitela,
Se nocumcto prima, ne perchcqualch'vtile, o comodo di ciò ne venga: &
per quefto può parer, che ciò Ci faccia per fola contumelia. Contra di
color ancora fuole l'huomo aeeuolraétc adirargli quali lo biafmano, Se con
parole fegli oppongono, Se moftran di no tener di lui ftima intorno a
quelle cole, ncllcqua- 44 liei [faccia pnncipalmcic profcflioncor ftudio.
come (pcrellem- pio) le cercando alcun d'eùer tenutoin pregio nella
filofofla,fuf- 4/ le chi moftrairc di rcneilo in ella in pochiftìma ftima
. o fc fti- mandofi egli dotato di bellezza, Se di quella s inuaghilfc,
fune chi come poco bello moftraife di giudicarlo, c i lìmil fi dee
dir 4* difeorrcndo nell altre cole. Et molto più ci Cuoi quefto
ancor auucmr quado detro in noi folpichiamo,o opinione habbiamo, cnc
quelle cofc,ncllequaii ci gloriamo Se reputation cerchiamo, o totalmcte
non fiano in noi,o almcn non ci nano in quella per- fettone, che vogliara
che le fian tenute, o che fe pur v. fono, fo- 47 lpichiamo,che non paia
nondimen agii altroché le vi fiano. ma iemoltolalda, & certa farà l'opinione,
Se la certezza no ftra, che tai cofe fcnzaalcun dubio veramete fiano in
noi, nò ci farà tato a cuorc,nc terrem molto in cótoil bialmo, o il
difpregio, eli alcun 4» ne faccia. Appretto di quefto cótra di coloro, che
noi reportagi P amici, molto più,fc ci ofFendono,ci accediamo in ira che
cótra Jl Secondo libto . / rj di quei, che no ci fon amici: peroche
da eli] ftimiam concnir più torto d'haiicrc a riceucr bene,c'hauer p il
córrano a rice uer male. Mcdefimamcte color, che fon (oliti d'honorarci,
Se d ilanerei m còro, Se in cófideracioiiCjfcgli accafea poi, che non fegu
in di far più qucfto, ci cóciran facilmente ad ira. cóciofiacofa clic
agcuol- nicrc potiam da qucfto cóicrtnrare, che ci deprezzino, Ov a vii
ci tégano.pofciache fe quello no fulTe, fegiiircbber di far quel, che faccuan
pi ima . Color parimcte eccitar foglion córra di le 1 nano ftra,i quali
hauédo nceuuto benefitio da noi,nódimeno nelle no ftre oc coi rene nó ne
fanno a noi, ne fi curan di renderne il córracablo. Se quelli ancora, i quali
nelle lor'arrioni (on conrrari] alle ji noftre,eirendo etì] nódimen
inferiori a noi. Se quello ciauuicn perche tutti queftì, cioè gli virimi,
c'habbiamdcrri, &li precedétedino indino di poco apprezzarci, Se di nó
renerei in còro, que 111 come ch'inferiori loi lìamo,& quelli, come
che da inferiori be 54 netìrio riccuuio riabbiano. Oltra di quello
maggiormente ancor prouocan conrradi (e 1 ira nolrra quelli, eh eilcndo
huomini di niun .òro, Se di niun valore.cV: tenuti in nulla, moftran
nódime- nodi deprezzarci, Se di vilipéderci.pofciachegià habbiam
deferi uédo l ira luppolto nafeere ella,c\: cagionarli dal viIipcdio,chc
có 55 tra di chi nó cóucnga, fuor di ragione, & del douer li faccia :
ne è dubio,ch'a gli inferiori nó cóucga nó vilipedcr i lor
fupeiiori,ma 56 più torto honorargli,& tenergli in cóto. Color
parimctc,chc noi teniam per amici, le non dico ben di noi,&: có
parolc,o con opre non lì moltrano in fauore, &: in aiuto nollro,
(oglion facilmente 57 prouocarci ad ira: & molro ancor p.ù fe il
cótrario fanno. Et an- cor fe cadendo noi in mamfelto biiogno d'alcuna
cola, eglino nó 58 rauuerti(cono,& nó vi volgo l'animo. lì come da
Antifonte è in- trodotto Pleirippo, che per tal cauia s'adira còntradi
Melcagro. rp Se quello auuicne perche quel nó auucrtire Se nó por cura, è
ma- nifeltofegno di ditprczzamcto,& di tenere altri in nulla : potei
a che le cole,che premono, èv lon'a cuore, nó (oglion
pallar'ignote 60 Se nó atterrite, òentiam medelimamcte inliamarci d ira
córra di quellljchene noftri infortuni) gioi(cono,& fi rallegra no. Se
córra di quelli 1 foni ma, che p quali li voghan noftre mi(cric,cel/a
^Retorica d y jérìttotelt^ 6} moleftia, o difpiacer ne venga. Et di qui è,
clic facilmente ci a- diriamo contra di quelli, che ci portan qualche mala
nouclla,ella Storica d'Arinotela mieramentc adunque altro non etter la
placabilirà , clic vn cer- | co quieramento, pofamenro , & ccllàtion
dall'ira . Hora cl- fendo , che gli huomini ( come già Ci e detto )
s'adiran prin- cipalmente contra di coloro , che gli difpreggiano , &
vilipen- dono; &: ellendo il difprezzamcnto , ci vilipendio cola
(pon- tanea, o ver volontaria ; è mani fedo per quello , che verfo di
co- loro > 1 quali o non faran cola, eh cllcr polla a dilptegio , o
vili- pendio nollro ; o contra del lor voler la faranno , o almen ci
par- ia, che coli la facciano; manfueti, cV placati ci renderemo. 4
Et verfo di quelli ancora, i quali vorrebber volontieri haucre 5 fatto il
contrario di quello, che conerà di noi han fatto. Ver- fo di quei
parimente dineniam manfueti , & placati , i q tu- li quello dello
c'han fatto contra di noi, han fatto parimente vcrlo di loro fleffi : non
parendo vcrilimil , che alcuno vii di- fprezzamcnto » vilipendio ,&
Icherno verfo di le medefimo. E quello dello ci auuien verfo di quelli
altri ancora , i qua- li confcllano il fatto, & infiememente modran
pentimento di quanto contra di noi riabbiano operato, percioche accettando
noi quel lor dolerli, & pentirti, in luogo quali di lor ga- digo,
& di lor punitionc ; viene in vn cerco modo a fatiar- f\ , óc per
confeguente a mitigarli 1 ira già conerà di lor concepura. di che ci può clfere
inditio quel, che li vede tu freni- re nelgalbgare, & punirci ferii i
: pofeiache quanto più opina- ti danno in negare il fallo, & in
opporli contradicendo ; tan- to più feueramentc , & con più irato
animo gli gattigliamo, doue che per il contrario le confettando cflì
Perrorloru. «Se di efler per tal'errorc a ragion galligati , feniiamo in
noi (ubilo in gran parte mitigarli 1 ira. Et la ragion di quedo li dee
dimar , che fu, che il negare odinaramente le cofe apertamente
mani- fede, fa inditio, & argomento di sfacciata impudentia, &
di mancanza di verecondia : tk l'impudcntia, &
l'inuerecondia, par che liano vna forre di difprezzamcnto, & di
vilipendio . Se che ciò da il vero, alla prefenna di coloro, che noi nulla
fil- miamo, & reniam grandemente a vile; verecondia giamai
aleu- to na non fogliamo hauere. Manfueti , & placati ci lodiamo
ren- dere ancora verfo di quelli» i quali ci li modran o humili ,
fegue che noi moftria- mo : difHniendo prima,chc cola Iia l'amici
tia,& fa t£ mare ftclTo . Intendali dunque per hora, altro
non cfler l'amare, ch'il delìdera re all'amato cofe, che noi (limiamo
ellèrgli beni : Se ciò non percaufa nollra propria, ma per caufa
dell'amato (ietto : con procurar con ogni diligenti* 3 fecondo le forze
noftre, ch'egli le conleguifca. L'Amico poi s'hà 4 da fumare elfcr quello,
il quale amando lìa ancor riamato. Onde color fi Iti meranno,&
reputeranno d'elfer tra di loro amici,i qua liharanno opinione, &
credenza d'elfer cambicuolmcntc l vn verfol altro nella maniera, c'habbiam
diftìniro l'amare, Se l'ami- 5 co. Siippoiìodunqucpcr vero tutto quello c
habbiam detto,ne fegue nccclfariaraentc, che amico d vno farà quello, il
quale in- fiemeancora elfo lì rallegrarà delle prol perita di quello,
& li con dolcrà delle cofcauuerfc , Se delle infelici , Se non ad
altro fine, 6 ne per altra cagione, che per cagion di lui . percioche
rallegran- doli, Se fentendo diletto tutti gli huomini generalmente in
vede re effettuar le cofe fecondo ! volere, Se defidcrio loro , Se
rattrilìadoli, Se fèntcndo dolore quando per il contrario accafeano; ne
fc gue, chele tnftczze>ò\: fc voluttà lìen grandinami inditi) delle
vo 8 lontà de eli huomini. Color mcdclìmamentc fon tra di loro amici
, a i quali le medcfime cofe fono, o ver paion buon e, &
le mededmecattiue. & quelli parimente, ch'alle mededme perfo- nc
fono amici, Sfalle medeìime fon nemici : percioche in cai cad vengon
nccedàriamente a rincontrar con le volontà nelle medefimecofe : onde
volendo, Se delìderando ciafchcdtin de (fi » le cofe mededme a Ce dello,
chei vuole, Se dclìdera ali altro, vien 1 1 per quello a potere elfergli
(limato amico . Quanto a color.che Sogliono edere amati, fon primieramente
da noi amati quelli, da i quali habbiam riceuuto benefiti;, o noi ftedì, o
alcun di quelli, che ci fon (ommamente cati, o che fon lotto la
protettionc > & cu ra nodra : & madì inamente fé grandi fono
dati li benefìrij , o fé prontamente fatti, o fe nella tale,& nella
tale occa(lone,& oppor tunità di tempo, o fe non ad altro tìnc,chc per
fola cagion di noi. ti Et parimente lon da noi amati, fe quantunque non
habbian fat- to per il pallato benefici j, com'habbiam detto, conofeiamo
non.dimeno, c'han difpofta, Se pronta volontà di farne. Sogliamo mcdefimamcnte
amare gli amici degli amici nodri,& coloro' che amano quelli iteflì , che
(on da noi amati : ne manco quegli ij altri , che fono amati da quei, che
noi amiamo. Et ol tra ciò fo- gliamo amar coloro, che fon nemici di quei m
edelì mi, de i q ualt damo nemici noi ; Se color parimente, che portano
odio a quelli (ledi, che fon da noi odiati ; ne manco ancor quegli altri,
che fo- 16 no odiati da quelli, che noi parimente odiamo, percioche a
rut- ti quefti, c'habbiam raccontati, vengono a parer beni quelle
def- fc cofe, che paiono a noi ; Se per confeguente veniamo a volere
, Se desiderar cod fatti beni in loro : il chegià habbiam detto
eder 17 proprio degli amici . Amiamo medefimamen te coloro,che
fon foli ti, Se atti abenificarc, tk giouare altrui, Se madìmameute
in danari, Se in cofe, ch'importano alla faluezza della vita , Se
della 18 fallite noftra. Onde auuien, ch'i liberali, e forti fian ben
voluti, & honorati generalmente da tutti. Amate fon patimcntc da
noi le pedone amiche del giù Ilo, 6e tali (limiamo eder quelli, che
nò afpiran, ne cercan di viuer di quel de gli altri , o con
pregiuditio 10 di chi Ci voglia . Se cod fatti fon quelli, che ftan
contenti in pro- curar di foftentard con le propriefodantic,& fatighc
loro:quali fi dcono dimare eder mammamentc quei, che fono amarori
del- l'agricoltura , &: dalla cultiuation della terra viuono : Se
quelli mededmarnente, che con 1 induftria, Se opera delle proprie
ma. 11 ni, pi oueggono alla vita loro. Appredo di quello fogliamo ama r Q_
ij quelle perfone, che in tutte le loro arcioni foglion inoltrar
t'em* perantia Se moderna : conciofiacola che da coli fatte
perfonc,co- 11 me da non ingiufte, non fi foglia temei • d'ingiultitia
alcuna. Et per la mcdefima ragione amiamo ancoi coloro, i quali non
cu- riofi > & tra negotij , & liti Tempre inquieti ; ma
tranquilli nella *3 lor quiete viuono . Son da noi parimente amati coloro,
a i qua- li defideriamo di diuenireamici , feconolciamo, cheflì il
mede- 2^ fimo defiderio tengano. &: tali fon quei, ch'in qualche nobil
vir- tù preuagliono, & rifplendonotcv quelli parimente,chc fono
in gran reputatone, & ltima, o appreHo communementedi tutti
, oapprellbdci migliori, oappreilbdi quei,chcnoi
habbiaraoin ammiratione, o appretto finalmente di quelli, che (limano,
& t$ ammiran noi. Sogliamo oltra di quello amar coloro, che
fon per natura dolci, & giocondi nella conuerfatione,& tali, che
con diletto fi foglia con cflì confumare il tempo. Se cofi fatti lon
quel U> che di benigna, & fàcil natura fono,& non de eli errori
alttui curiofi oflfcruatori, o minuti riprenfori ; ne fono altercatiui,o
có- 16 tcntiofi, o amatori di liti . pofeiache tutte quefte perfone cofi
fat te fono amiche di contrariare, di pugnare, & d opporli fempre in
ogni cofaagli altri : nèèdubio, che quei, che fan queft,o,non moltrino in
ciò di non conuenir nella volontà , ma di volere il 17 contrario, che gli
altri vogliono . Soglion renderli amabili an- cor coloro, li quali fon
molto deftri, Se atti, cofi nel mordere , Se punger giocofamentc, &
fcheizcuolmcnte, come ancor nel fop-, fumare, Se riceuer con patiente, «Se
amorcuolc animo i morii, Se e punture, che fian date loro, conciolìacofa
che gli vni, Se gli al* tri, cioè quei, che pungono,&: quei, che puti
fono, vn medefimo fin della càbietiol dilettation riguardino;métre che co
lieta patié tia riceuono in fc fteflì i morfi,8c co accomodata deprezza
inor- ai dono. Amiamo medefimaméte quelli, da i quali fentii lodar
quel la forte di beni, che fono in noi : Se tra quelli beni,
ptincipalmc te quelli, del portello dei quali, noi non ben fecuri,
fofpichiamo alquanto, che veramente non fiano in noi . Ci fi rendon
pa- rimente amabili quei, che moftran fempre alla viltà altrui
vna certa delicata nettezza, Se politezza, così nella faccia, Se nell’aspetto,
come ne i vcftimenti, Se in tutta finalmente la vita loro . 5 x Non fiamo
alieni ancor da amar quella fortedi perfone, che no han per coflumc di
rammemorare, Se gittarc al vifo altrui, o gli errori Jl Secondo libro
. / isj* errori da altri commeflTi , e i benefitij da lor già fatti :
pofeiache l'vna , Se l'altra di quelle cofe , fa argomento, & inditio,
che limoni fia auido,& diletto prenda d'eller reprenfiuo,&
redarguì 31 tiuo. Se quell'ai tra forte d huomini ancora amiamo, i quali
non foglion tenere imprende molto nella memoria 1 ingiurie, e i
dan- ni, che fon lor farti: nècurioli indagatori, oofleruatori fon
del- le colpe, Se dell'ortelc altrui ; ma fon facilmente riconciliatiui,
Se 3 3 amici del pacificarli, pcrciòche quali noi gli filmiamo eller vcr- fo
degli altri, tali ancora ci diamo a credere c'habbian da eller 3 4 verfo
di noi. Ci li rendono amabili ancor coloro, che non li di* lettan di dire,
o di penfar mal d'altrui, ne cercano, o braman di faper gli altrui o i
noftri falli,ma folo il bene ; cilendo il far que- 3j fio veramente ofHtio
dell'huom da bene. Soglion parimente ef- fere amati quelli, li quali non
fi dilettan, ne han percoftumc di contrapporli, o d'attraucrfarlì a color,
che lì truouano accefi d'i- ra; o a quelli, che con grande atrentione fono
fedamente, & fui graue occupati in qualche cofa: perciochc quelli, che
fan quello 3 6 non pollono eller, fe non perfone altercati u e, Se
contcntiofc.Fa- cilmente ancora ci induciamo ad amar quelli, che tali ci
lì mo- ftran verfo di noi difpolti, come chi ci riabbiano in
ammirano- ne, Se ci repurin virtuofi, Se da bene, & della conuerfation
no- 37 ftra diletto prendine Se malli mamen te le cosi fatte lor di
mo- Arationi, Se opinioni c'habbian di noi, fono intorno a quelle
co- fe, ncllcquali principalmente delideriamo d'ellerc ammirati,
Se di parere altrui virtuofi, Se habili a dar diletto có la noftra
cóuer 3 8 fatione. Sogliamo olrra di quello amare gli vguali , Se i limili
a noi,&: quei, che fan la medeiìma profelfion di noi; Se ne i
mede- fimi Itndij, &arti,elTcrcitio, & diligentia pongono : fegia
no ac cadclTe, che per tal caufa l'vn fulTe d'impedimcto all'altro ; o
che tutti hau eller dafoflentar la vira da vna arte, ouer
profeflione 3£ ftefla . perochein tal cafo fi verificherebbe il prouerbio,
chedice, IlVafaro odia il vafaro. Etmedefimamcnte ci fi rendono' amabili
quelle, che delle mcdefime cofe ci fi moftran defiderofi, che noi
parimente defideriamo : quando le cofe fon tali, che pof fono iniiememcnte
eflerda loro,& danoiconfeguite,eV pollèdute . altrimenti quando quello
accader non poteilejharcbbe luogo il medefimo prouerbio pur'hora addotto .
Olirà di quello color parimente amiamo, co i quali così fatta difpofition
teniamo, cFic ci fa non vergognarci apprclfo di loro di quelle cofe* che
più rodo in apparenti*, & in opinionc > che in verità tengo- no in
fe bruttezza : fegià qucfto non vergognarcene non na(ccf- 45 feda poca, o
nulla rama, che noi di lor faceflìmo. Eramiamo ancor quelli dall'altra
parte, appretto dei quali teniamo rofloc di vergogna di quelle cofe, che
più torto fecondo la verità, che 44 fecondo l'opinione, habbiano in fe del
brutro . Son parimente da noi amati quelli, dai quali habbiam caro d'efler
tenuti in 45 buon concetto & in conto d honorc, & di (lima. Et
quelli me- dclimamcte o amiamo, o defideriamo haucr per amici, da i
qua- li delìderiamo eflcr tolti, & fcelti per oggetti dcmnlatfonc,
Se 46 d'imitatione, ma non d inuidia . Siamo ancor pronti ad
amar quelli, inficmc, co i quali per acquifto, & confeguimcto di
qual che bene, ci fiamo operati : fe già per quello non fi vedeile poi
, che fulle per venirne a noi mcnteamati. Et in fomma l'elìer grandemente
amator de Ria- mici, & il non abbandonagli, & reftar d'amargli per
qual iì vo- jo glia cafo> è cofa, che rende molto amabile I h uomo .
peroche fe ogni forte di bontà, cV di virtù, far fuol le perfonc amabili,
maf- fimamence lo fa l'haucr bontà, & virtù nell'amare.
Sogliamo oltradi quello amar quelli, che nel lor conuerfar non
procedon con elTb noi con fintioni, & diflìmulationi de gli animi
loro, & tali fon coloro, i quali i falli loro non fi vergognan di
confeilarc, cVmanifeftare; hauendo noi già detto, che con gli amici non
ci vergogniamo di far lor palefi quelle cole, che fon più fecódo
l'o- %\ pinione, che fecódo la verità colpabile. Onde fe colui, che
di ciò lì vergogna, non ama,vcrrà confeguentementc colui, che no j4
prendcdi ciò vergogna a moftrar d amare. Siamo ancor pronti ad amar
coloro, che formidabili, o tremendi non ci fi moftrano, & ne i quali
fecurezza, & confidentia habbiamo, percioche nef- funo è ch'arai chi
fia da lui temuto. Spctie dell'amici tia fono, lamicitia trà i compagni,
ofotictà chclavogliam chiamare, la- micitia trà i domeftici, &
familiari ; l amicitia trà i propinqui,©* f€ congiunti in (àngue, &
altre fpctic parimente così fatte . Trà le Jfi [Secondo libro.
Ì27 cofe poi) che producano, &: generano l'amici tia fon
primierame* te li benefìci), Se il fargli iponcaneamence fenza afpeccar la
forza dei prieghi. Se olerà di quello il no predicargli colui, che gli
fì; conciofiacofa che nel predicargli, & nell'often targli farebbe
egli parer d'haucrgli facci per caufa fua propria, Se non per cauta
del" J7 l'alero,chegli riccuc. Quan co apparti en poi
airinimiciua,& aU Thaucr in odio, è co fa manifefla che da i luoghi
con era ri j a quel- li, che noi riabbiamo adeguaci dell'amicicia, Se
dcll'amare,pocrà tS chi fi voglia per le ileiTo difcorrere Se cófiderare.
Prodocc.ici,óc generatici cagioni dell'inimicicia fono l'ira ; il
concrapporfi, o jS> conrrapponimenco, chevogliam dire, Se la
maladicencia. Ma l'ira non fi fuolc
ccciccarc in noi, fe non per cofe» che riguardici noi tlellì : doue che
l'inimicicia può in noi nafeer conerà d alcu- no, fenza c habbia egli
facco cofa, che cocchi, o riguardi noi.pcr- ciochc fc della rale,&
calcodiofa quali cà lo fumeremo, fenza dubio alcuno, fenza altra caufa gli
porremo odio. Apprcilb di que- fio no s'eccita, ne ha luogo lira mai,
fenon conerà di pedono parcicolari, come a dir con era di Callia, o di
Socrace. ma l'odio può hauer luogo conerà d'alcuna force d'huomini in
vniucr- Tale, confideraca nel gencr fuo : conciofiacoia che nciTun
fia, chenonhabbia inodio il ladro, & il calunniatore in genere» A
quello s'aggiugne, che l'ira lì vede elìcr mecficabilcol cépo, ma l'odio non
riceue medicina da quello» L'ira olerà ciò fpinge a dcfiderare di cagionar
dolore, & molellia ncirauueriario : do- i ue che l'odio hà fol la mira
al male, &al dàno delia perfona odia ca. pcroche l'iraeo vorrebbe,
che fullè da chi lo riceue fencico, & fapuco donde gli viene il male,
ÒV a colui» cheodia, purché t l'odiaco habbia il male, poco alerà cofa
importa . Ec fono i mali , che doglia, Se molellia apporcano, in namralor
fenfibili,&: dal- lo ilciTo fenfo percettibili . ma quei maliche
principalmente fil- mar fideono, manco di cucci fi ftnfencire: &
quelli fono l'In- giufìicia, Se Mmprudeneia, o ScoIticia,chela vogliam
dire, po- feiache neiTun dolore, o molellia la prefentia del vicione
fafen- *4 eirc . Olerà di quello l'vno dei decer affecti ila icmpre
accompa- gnato con afTlicrionc, Se molellia di animo : doue che l'altro
ne» hà fempre fcco cotal molellia: conciofiacoia che l huomo
nell'ef fere irato (enea fempre dolore , Se nel portare odio non
fempre 6 r il fenca . S'aggiugne ancora a quello, che l'irato nel veder
grandemente moltiplicare infortunij, & calamità nel fuo
auuerfario, fuol finalmente muouerli a compaflìone: ma chi odia, non
ferire pietà già mai . Et la ragion di quello e, che 1 irato altro non
cer- ca, Se non defidera, fé non che colui, contra del quale ha ira, fen tacon
dolore,& moleUiaellcr fatta contra di lui ricompera del la comincila
orfefa . ma colui, che odia , brama, & vorrebbe
l'vl- timaannullanonc,& deftruttionc, Se lo Hello non cller della
pcr- 46 fona odiata. Hor per le cofe, che li lon dette, può eifer
manife- fto come lì polla fare altrui, conolccre cllere amici , o
nemici cuci, che veramente (bno : Se come quando tali non fieno, lì
pof- ùn fax diuenir tali : Se come parimente q uando per amici, o per nemici
fon porti innanzi ; fi polla difcioglier quella apparcntia , 4y Se far
conoicer , clic tai non fiano : & oltra di quedo in che ma- niera ,
venendo in controuerfia s alcuna cola lìa fatta o per ira, o per inimici
tia,s riabbiada far parere, o 1 vna cofa,o l'ai tra, lecon i 8 do che ci
verrà ben d'eleggere . Quali fiano hor quelle cofe , per cagion delle
quali nafee timor ne gli huomini : Se quai (orti di perfone fogliano cfTer
temute , Se qualmente difpofti ficn [liei , che temono, per quel , ch'ai
prefente diremo , potrà ci- ti manifcfto, / (apo j. *Del Timor e,
& della Conjìdentia . ?3TH Ohi amo adunque per hora, ch'altro non fia
il Ti- more, ch'vn con tri /lamento, Se vna pcrtnrbation dell'animo,
nata da imninginatione, Se opinione Kì . di detlrueeitiuo, oafìlittiuo
futuro male, concio- r — 32 ha cola che non tutti ì mali han tcrauu.comc a
die | ledere in giù Ilo, o tardo di mente, o fi mi le. ma folamen te
quelli» i quali o intentinomi dolori, Se molcftic, o l 'ideilo
dellruggimc- 4 to, Se la (Iella morte, recar ne polfono . Et quelli ancor
non tem- pre fon temuti, ma folamentealhota, che non per molto
fpatio di tempo, lungi da noi fi moftrano, ma come vicini, cV quali
che adhora inhora fian per venire, già già pendenti appaiono :
po- (ciache i mali, che molto tempo flimiamo, che fian per tardare j
a venire, temer non fi fogliono. Se che ciò fia il vero, nell'uno è , che
non fappiaper cofa certa d'hauerca morire, Se nondimeno perche c
immaginiam la morte molto da lunga, non par,che pensiero, o timor ci mettale
vicina non la vediamo. Effondo adun- que il nmor tale, quale habbiam
delcritto, è uccellano che tut- te quelle cole ci liano da clfcr temute,
le quali ci paia, che hab- bian gran forza, Se facilità di recar la
dcitruttiohc, Se. la perdi- tione, o almen così graui danni, che molto
acerbo dolorcóY pù- > i 7 gente arili ttione ne partorì fcano. La onde
li legni ancoia,& gl'in- di rij di cosi-fatti mali fon da clfcr
temuti; come quelli,che ci fan- no apparire, 6c Itamar, ch'i mali, di cui
fon legni, ci llcn già vicH ni : ne altro che quello è il pencolo : cioè
apprellamento di graue, & tremendo male. Et così fatti legni fon
primieramente l'i- numana, & l'ira di quelli, c'han potere, Se
facilità di nuocerci , Se di firci qualche importante male: perochceilcndo
per quello manifefto, eh elfi polìbno, & voglion farlo, ne fegue che
molto 9 vicino, Se propinquo (la, che lo facciano. Da temere ancor
come indino di propinquo male lì dee ftimar, che fia l'ingiuftitia
in man di color, che potendo affai, han facultà d'eseguirla :
con- ciofiacota che liacon ella congiunto ancora il volere ; non
eden- dò ingiufto colui eh e ingiufto, fc non perche clfcr vuole, Se
Te- lo legge, il valore ancora, & la virtù dell'huoino, s'ella vicn
di- fp rezza t i, & fchemita, Se fe forza, & poter non le manca;
dee Teri(imilmcnte clfcr temuta: clfendo inanifefto, ch'ogni
volta che la Ila dilprezzara, quel difprezzamcnto fa, ch'ella elegga,
Se voglia nuocere, Se la forza,e'l poter che poi le le aggiugne,fa
che 1 1 la polla farlo. La paura medelìruamcre, che fia di noi hauuta da pedone
potenti, & habili a farci male, dee eller da noi temuta : perche
clfendo elle tali, nccellàriamenre laran fempre difpofle, li & pirite
a offenderci pcrfecurarlì . Oltra di queltu perche gli huomini per la
maggior parte fon più tolto cattiui, che buoni, Se non potenti a refìlterc
ali auara cupidità d hauere, Se timidi ol- tra cuS, Se vili ne 1 pericoli
; di qui è, ch'il più delle volte e cola da temer come pericolofa il por
la propria (ahi re io potcre,& in arbitrio d'altri . Onde vengono a douerc
elfer temuti da noi colo- ro, li quali fon confapeuoli di qualche nollro
importate delitto, o (celeraro fatto , o fon compagni in elio : potendo
elìì agcuol- mcreo palefar quel, che fanno, o inqual lì voglia altro modo
tra 14 dirci. Medclìmamente tutti color, che lon potenti, Se habili
a fare ingiuria, deono elfer femprc temuti da quelli, che tono nobili, Òe
facilmente cfpofli àdellcrc ingiuriati : po.ci.iche perii R p.ù^li ij
più gli huomini, quando polfono, fan volonticri ingiuria. Do» ucranno
aacora elici da noi lemuri quelli, i quali o han riceuu- to da noi qualche
offcla, o almen fi credon d haucrJa riceuuta : conciofiacola che femore
quefti rali ftieno olferuado leoccalìo- il ni, ci rempo per vendicarli.
Dall'altra parre fondaeflcr tenuti ancora coloro, c han fatto ingiuria, fe
forza,& poter fi tritona in erti, come quelli, che temono,che non
fialorrenduto con la ve- detta il cambio, hauendo noi già pofto quello tri
le cofe, che temerli deono. Apprclfo di quefto quelli, che per lacquifto,
fc poifelfo d'vna ftefla. cofa quau a gara tra di lorcontendono-,
dcon temerli gli vni gli altri, ogni volta che la cofa fia talc,chil luo
ac- quifto non polla negli vni , & negli altri hauere
iniiemenicnre luogo: pcrochegli auuien fempre che quelli tali fi
oppongano, &c li nemichino inlìeme per impedirli in tutto quel, che
pollono. I 8 Coloro ancora, i quali fono atti a dar timore a quei, che lon
più. poteri ti di noi, dcon parimente elfer da noi remuti ; come
quel- li, che più atti, & potenti farebbero a fare offefa, & nocumento 15?
a noi, eh aquelli . Et per la mcdelima ragione temer debbiam quelli, che
noi vediamo ellcre effettualmente temuti da alcuni , che fian di maggior
potere, & valor di noi. Et quelli parimcn- re, c hanno orlclo, o vecifo
perfona più potente, & più atta a di- II fenderli, che non fata noi.
& non manco ancor quelli,c hanno airalito, & fatto fopr'vfo a
pcrfone,ancor che di minor forze, Se 11 di minor conto di noi. perochc
eglino, o fon già habili a tentar quello ftelìb contradi noi, c\r
perconleguente da elfer da noi te- muti ; o fon per pigliar da quel fitto
accrefeimenro di forze, 6c 15 d'animo da doucrc elfer da noi lemuri .
Oltra di quefto trà tutti quelli, che pcrelfcrc ilari ingiuriati da.noi, o
per elfer nemici , èc auuerfahj no il ri, ci dan caufa di temer di loro,
fon principal- mente da elfer remuti, non quelli, eh à curi, & i ubici
nell'ira fo- no, & molto nel parlar liberi ,• ma quelli per il
contrario, che co di Hi mula rione, aftu ria, cV calidità, placati di
fuora appaiono. 14 conciofiacofa che di quefti tali non ci polla mai elfer
manifefto, ic il male, e il pericolo ci lia dapprclfo ; &c
perconleguente non ci potiamo aliccurar, ch'il mal, c habbiamda temer,lia
lontano. if Hor tutte le cofe, che ci polfbn cagionar timore, alhor di
mag- gior* fpauento, òVpiù da elfer temutefono, quando al
difordine, & al danno, che con erte venga, mal li può dar medicina, o
re- car remedio, ma o in tutto correggere, Se rimediar non fi
può, over (e remedio alcun ci fia, non e egli in min noftra, Se in
po- ter noftro, ma in man più rollo degli auuerfanj, & nemici
no- tò ftri. Et medeiìmamen terrà le cofe, cheli deon
tcmcre,qucllefon maggiormente da temere, per la cui ncompenfa, &
reltauro, o non da da trouarfi da alcuna parte aiuto, oaìmen molto
difficile »7 fiail trouarlo . Et per dire in lomma in vna parola, fon da
elfer temute tutte quelle cofe, le quali vedendoli accadute
inalrn,o già già pendenti per accadere, fono atte a generare affetto di
có- 18 paflione. Queftc, che noi habbiam dette adunque, fon ((i
può dir) tutte quelle cole, che fon da elTcr temute, Se che per il
più, foglion temere gli huomini. fegue hora che noi diciamo,
qual forre d'huomini, & in che maniera difpofti, Se qualificati
lien quelli, che temer fogliono. Ellendo dunque il timor
cógiunto femprecon immaginationc, Se quafi afpettanon d'hauerea
rice- ucr qualche lefione, o patimento corrottiuo, Se dcltruggitiuo
; chiara cofa è, che timor non farà per cadere in coloro, i
quali habbiano opinione, & credenza di non hauere a patir male
al- io cuno, oalmen temenza non haran di quelle cofe, le quali eflì
nò 3 1 minino, ch'accafcarlor debbiano, ne di quelle perfone pan
me- re, dalle quali non habbiano opinione, che mal ne debba lor
ve- 51 nire: oalmen non ne temerannoin quel tempo, nel quale male alcun
non n'afpcttino. Onde neceffariamenre fegue, che in quelli farà timore, i
quali haran credenza, Se opinione di potere elfer da qualchegraue
malcaflaliti, Se in quelli parimente, che da quefte, o da quelle perfone,
Se da quefte, o da quelle cofe, Se in quefto, o in quel tempo,
(ofpicheranno, Se (limeranno, ch'il male, & il pcricol venga. Tra
quelli, che non ftiman d hauere ad eflerc aflali ti da grane male alcuno,
fon primieramente colo- ro, che fi truouan pofti in gran profperità di
fortuna : Se per ouefto vengon quefti tali ad ellcr contumcliofi,
infoienti, Se di- spregiatori d'ognuno, Se ripieni, 6V gonfiati fempre d
audacia, $$ Se di confidentia. & così fatti gli foglion render le
ricchezze, }6 la gagliardia,la copia degli amia, l'autorità, Se Ja potcntia.
Co- loro ancora non penfàn, che graue male habbia da venir loro,
li quali fumandoli, che già fien venuti loro addofTo tutti i più
gra- ui, Se più atroci mali ; fenrono agghiacciara, & quali cilinta
in elfi ogni fpcranza, ch'il futuro riguardar polla: come auuiert R
ij (per cileni- / Ideila lirica dj4rìttotc(z^> (per clTcmpioJin
quelli, che all' vi rimo ftippìitio condénari, all'èlecution di quello menaci
(ono . mailumoic ha Infogno itm- pre per l'elferè, Óc mantenimento (no di
qualche Iperanza di fa- llite, 3c di (campo in quel pericolo, & in
quel m u, clic u u me, 3S o pare. Di che chiaro indiiio ci può ellere il
veder, eh il rimor reo del huomo conlulratiuo, & nellunoc, che
coniiglio cerchi in quelle cole, in cui non lì in nmafte reliquie di
fperanza alcu- 35? na. Pier laqual cofa quando noi corniceremo, o
ltunercmo ciìcr comodo alla caufa noftra, che qualche timor ha negli alcol
tarorij farà di mcftieri, che procuriamo di preparargli in modo con la noftra
orationc, che li dicno a creder d'clfer tali, ch 'ancora erti polHin
patire, 6c riceucr male, come faria dicendo, che patito 40 habbiano altri
maggiori, & più potenti di loro: 3c facendo lor vedere, ch'alrri
limili, òc pari loro habbiano il medetimo patito, o patano,& da tali,
che mai (limato nò l'harebbero; & cai cofe,& 41 in tal tcpo,che
non harebber creduto, calettato mai. Hor per- che già intorno al timor
dichiarato habbiamo,chc cofa egli ha, genera parimente confidentia . Oltra di
quello contìdentia fentirem venire in noi, fe, o in più numero , o
di maggior valore,o in maggior nu mero, Se valore infieme,fari
quel li , a cui tocchi il medeiimo interellc noltro, che non faran
dalla parte di quelli, da cui ci fia per venire il male. Le
perfonepoi, nel le quali ha d'hauer luogo la confidenti!, nella gin la,
che fiora diremo, difpofte fogliono eflerc. Se primieramente fon'cllc
tali, quando par loro, che la maggior parte de i fatti & delle ini
prete loro, lìan lor (uccedute profperamente:& che ninna cofa attucr- jo
fa, o pericolo fia lor venuto addotto . Et quelli d uTaltra parte
fo gliono eirer confidenti ancora, i quali fpelle voltein graui
peri- coli fi fon trouati, Se fempre nondimeno ne fon riufciti liberi,
Se fcampati falui. conciofiacofa che in due modi, o ver perduceau- fe
fogliano gli rinomini non fentire, o temere i pericolilo per che prouati
altre volte non gli hanno , ovcramenre perche ltimano di potere hauercin
pronto aiuti da liberartene, come fi vede (per eirempio) auuenir ne i
pericoli del mare : doue coloro,chccomc inefperti del nauigare,non han
prouaro alerà volta le tempere marittime, ci ftan con animo confidente, Se
fecirro di qucllo,chc ila pendente per accafeare. ma color parimente
liberi , da timor quiui fi ti u ouano. ì n aiuto de i quali ila polla, Se
parata l cfpericntia,che tengono in tai pericoli. Soglion medelimamente in
qual- che pericolo elTcr conridenti gli huomini , quando conofeon
no haucr dato coli fatti pericoli terrore a perfone fimili , o vguali
a loro, o a manco potenti, eli cili non lono, o a tali, di cui eliì
più potenti, Se maggiori fi {ramino . Et alhora filmiamo d clTer
più potenti d'alcuni altri, quando o quelli Iteflì, o altri maggiori,
Se più potenti di loro, o almcn fimili, Se vguali ad elTì ,* vinti,
f pcrati riabbiamo. Diuengono ancor cófidenti gli huomini qua- do
ilimano, Se fi perfuadon di polTcderein maggior numero, Se in maggior
perfezione quelle cole, nelle quali color , ch'ecccdono foglion dare di fe
timore. Se cofi fitte cole (ono copia di ric- chezze, gagliardia della
pcrfona,larghezza di dominio, Se di pof- fcffionij / 'Della r
B^torica d % Aristotele fclììoni, abbondamia d amici, copia d in
ftromenti, &mtinition da guerra, o d ogni torce, o almcn delie
maggiori, & delle più importanti . Co nhden eia ancor fi fuol trouarein
coloro , i quali no han mai orfeio, o ingiuriato alcuno, o almcn non
molti, ÓV fpc- tialmcntc nelfun di quelli, chetali fieno, che debbiano
elfere a j8 ragion temuti . Et topra tutto grandemente diuengon le
perfo- ne confidenti, quando par loro, che quelle co fé, dalle quali fi
pof fa conietturar la mente, c'1 voler di Dio, fi inoltrino in lor
fauore, come frà più altre cole fon gl'indi ti) degli aulpicij, le
rifpofte de gli oracoli & limili : conciofiacofa che l'ira fia pe r
Tua natura at- ta a recar confidenza. Ondefolendo, non dal fare ingiuria,
ma dal riceuerlanafcere, & generarli l ira : & douendofi
ftimar,che Dio habbia da elfere in aiuto de gli ingiuriati, viene a poter
con- ictturarfidai fegni del fauor diuino, d'hauer riceuuto ingiuria» éo
onde l ira nafee, che rende I h uom confidente. Suol parimente diuenir
confidente l'huomo, quando egli elfcndo quel, che pri- mo aliale, viene a
preuenir nel pericolo. perochc andandoui in vn certo modo già preparato,
Òc non improuifto,ii da a credere,chc la cola habbia da nule ire a modo
Tuo, o che le pur non riefee, no habbia egli ne nel fatto ne doppo'l fatto
da lenti rne lelione,o dan il no . Et tanto baiti hauer detto delle cofe ,
che fono habih a dar timorc>& di quelle parimente, che confidenza
recar nepofTono. Della Verecondia, £f del- • l Jnuerecondia
. rSJpSTSa Vali fieno hor quelle cofe, intorno alle quali fo- glion
diuenir verecondi, o Inucrecondi gli rinomi- ni, o vero sfacciati, 6c al
conlpetto di quai pedone foglia quello auucnire , & qualmente difpolti
lìen quelli , che facilmente fon tocchi da quelli affetti , a da
quello , c hora diremo , potrà renderfi manifcfto . Poniamo adunque che la
verecondia fia vna certa mitezza, & perturbatoti dcll animo per cagion
di quella forte di mali, che dishonore , & infamia riguardano, o
prclcnti, o paffati , o futuri , che li dimo- I ftrino . & 1
Inucrecondia per il conttario viene ad elfere vn certo difprezzamento, óc
vn non curarfi,& quali vn non fentir cofi fai ti maH, che ( come ho
detto ) ignominia importano. ElTendo dunque la verecondia tale nella Tua
divininone, quale cfplicata 1 riabbiamo ; per quella forte di mali verrà
neceflanamentc a cau farli in noi vcreco ndia, li quali ci pofla parer ,
che redondino in bruttezza, & macchia di biafmo, o di noi (tedi, o di
perfone,che ci lì.mo a cuore, Se ch'alia noltra cura appartengano . Et
coli far- ti mah fon tutte quelle opere, & quelle actioni, che dal
vitio de / riuano : come farebbe (per ciicmpio ) nella maggior caldezza
di vn fatto d'arme, ilgittarea terrai armi, o il fuggire, &abbandonar
la pugna, il che dal vitio della timidità derma: o il negar di rendere, o
ver d'hauer riceuuto vn depofito, il che dal vitio dcll'ingiufhtia nafee : o il
mefcolarlì in commertio venereo con per fone, che non conuengano, o ver in
luogo, o in tempo, che non 8 ila lecito ; il che dcriua dal vitio dcH
intcmpcrantia : o il cercare ingordamenrc di guadagnar d'ogni minutezza,
over da cole no lccitc,cV poco honefte,o da cofe finalraente,onde fi a
quali impof libile il cauar nulla, come fon le perfone molto poucre,&
gli liel- f li morti . come fi (noi dire in piouerbio, fin da i morti
voler ri- portar guadagno, il che rutto nafee dal brutto vitio del
fordido i o guadagno, & dell'anal i eia . Medelimamcnte e cofa da
poter ge- nerarein noi verecódiail non fouuenir di danari ne i
bifogni,ha- u e ndo il potere, & la commodità di farlo: o fouuenir
molto ma zi co di quel , che il polla , & che faccia di mcllicri . Et
parimente l'eflèr noi fouucnuti da chi habbia manco il modo,chc no n
hab- ix biam noi. Et il cercar di tor danari in preftanza , cV con
vfura ancora, quando ftimiam ch'alcun ne voglia domandare a noi. E il
domandar di nuouo in pretto da colui,che noi penlìam,che voglia domandai
ci, che gli relhtuiamo quel che ci habbia già pre (iato prima. Et il
domandar ch'egli ci redituifea quello , che gli habbiam prelbro innanzi,
preuedendo noi, che ci voglia in prefto domandar di nuouo . Et il metterci
oltraquefto a lodar qual che cola in vna certa coral maniera, che polla
apertamente pa- rer, che il far quello Ha più tolto vn domandar, che la ci
fiaonerta in dono. Et il tornar di nuouo a domandar da coloro, dai quali
hauendo domandati dell'altre volte, habbiam femprcre- pulfahaumo. Tutte quelle
cole, dico, fono atte a cagionarci rof- for di verecondia, per clfer tutte
induij del vitio dellauaritia : 18 come ancor cagionar ce la fuolc il
lodar molto alla feoperta al- cuno ij cimo in prefentia fua :
elfcndo il far quello vno indino del virio 19 dell'adii Licione .
Medefimamente il roiierchiamente lodare, & fino al Cielo innalzare in
alcuno quelle qualità, che punto,in pu to buone lì truouano in lui, &
(cancellar con le parole,& far co me incognite difparir quelle, che
grandemente degne fono in lui di bialmo : & il inoltrargli, fc punto
lo vediamo afflino, di fen- tir molto maggior dolor del mal Tuo, che non
lente egli ftelfo , 3c altre cole in lumina lomiglianti a quelle , fon
tutte habili a cagio nar verecondia in noi, come quelle, che lono inditi),
& fegnidel li vitiodclladiilatione. Può parimente caufare in noi
rolTor di ve- recondia il non potere, o non voler loltcner quelle fatighc,
che foltener vediamo a perfone più vecchie, o educate , ck
ailuefatte in maggior delitic di noi , o vero a pcrfone,che fiano in
maggior licentia, de habilità di comandare, che noi non fiamo , o che fie- no
in lomma, men potenti,& men'atte a folìencr fatighe,che nó fiam noi :
percioche tutti quelli fon legni d'effeminata molline . 1 1 Pare olirà
quello, che ila caufa di verecondia 1 elìcr lempre quel, che riceua
benditi) , & cortelie : & il ricorrer molte volte a vn medelimo
per aiuto , Se per benefitio : & il rinfacciare , & rimprouerare i
fauori, i benetitij,& gli aiuti fatti ; pofeiache tut- te quelle cole
fono inditi), & legni di pulillanimita , ded animo 23 abbietto,&
vile . Reca medelimamenre verecondia ri parlare in lode di fc
medelimo,& il predicarci promerrcr di fc gran cole, cV l'artnbuirea fe
ftelfo, & quali vfurparli iclodcuoli opere de- gli altri : elfendo
rutti quelli non altro, ch'inditi) di quella Ione 14 di vino, che
vantamenro li domanda . Et cofi decorrendo nella mcdelima guifa per
ciafeheduno de gli altri vitij, limili a 1 lor vi. ti) debbiam dite elTef
l'opre, de glinditij loro, & per confeguen- te pieni di bruttezza,
& atti a cagionar verecondia, Iti mar fi deo- tj no. Oltra di quello
ci luol recar verecondia il vederci mancare alcuna di quelle cole, delle
quali non han mancanza o gli altri tutti, o almen tutti, o la maggior
parte di quelli, che lon ùmili a 16 noi, overovguali, & pari noltri .
Et per limili, o vguali unendo io coloro, che fono od'vna ItclTa
nationc,od vna lidia citrà>o dk vna Itella età, o d'vno lìclfo fangue,
o vogliam dir d vna parente- la, èV fameglia llclTa, o in qualcun fomma,
fi voglia conditione,; X7 &r piopinqmtà fon limili, o vero vgn ali .
& quello, chchodcc~ io, auuien per parer cofa indegna, Se che porci
imperferuone,& macchia il non vederli partecipe di quello, in che
tutti gli altri noftri vguali hano partc.come laria(per cflèmpio)s'alcu li
vedefle priuodi tanta alracn parte d cruditionc,& difciplina>quanta
comunemente fogliono imparare, Se apprender ruttigli altri della 18 città
Tua . & il medefimo li dee dire dell'altre cofe . Et alhor tue co
quello fuol maggiormente dar caufadi vergognarli , quando quella mancanza
delle dette cole, che ogià già fi fia villa, o al prefence fi vegga, o lìa
per vederli in noi ; nafea per no lira colpa, di maniera che noi la
propria cagion ne damo . Apprettò di que fto il forieri re, &: patire,
o l'hauer fonerto,Sc patito, o il vedere di hauerc a forferirc, &
patire cofe, che portin feco infamia, & brut- ta dishonoranza, Se
vitupcrofo obbrobrio, fon veramétecaufadi no piccola verecondia, Se coli
fatte cofe fon principalmcnre quel le, nelle quali lì (ottoponela propria
perfonaa brutto vfo,& a foz zo leruitio,o ad opre Se attioni in
fomma,chc cótumcIia,eV brut 3 o ta- macchia d'ignominia imporrano . Et di
coli fatte cofe, quelle ch'importano ofeena, Se lalciua intemperantia,o
volontariamen te, o inuolontatiamente,che fe li fonerifcano,& fi
riccuano,bruc tezza, Se verecondia recano . doue che l'altre orfefe , che
folo da violentia, Se da forza nalcono, alhor folamente dishonorano,
Se ignominia portano, qnando fuor del proprio volere ,
violente- mente fi riceuono, & lì fofferilcono: pcrochc da vile
ignauia , Se timidità par, che nafcail parire,& fopportar tali
ingiurie, & non 3 1 cercare di fcancellarle con la vendetta. Quelle
dunque c'habbia- moairegnatc, Se tutte 1 altre coli fatte, fon quelle
cofe, per lequa 31 li fogliondiuenir verecódi gli huomini. Hor perche la
verecon- dia importa in fua natura immaginationc, Se fofpition di
mala opinion, che fia hauutadi noi> Se ciò folamente per cagione,
Se tema di tale opinione , Se non per qual fi voglia altra caufa ,
che 3 3 da quella accidentalmente feguir ne polla ; Se nell'uno è, che del- l'altrui
opinione tenga conto, fenon in quanto ticn conto di co- loro, nell'animo
de i quali,quclla opinion fi truoui , ne fegue ne ccflariaméte da tutto
quello che folo appretto di quelle perfone, lcquali Himiamo J &
teniamo in conto, lentiremo toccarci da ve- 34 recondia. Et ltima,&
conto fogliam tener primieramente di co lor»da i quali llimiamo d eilerc
hauuti in ammiratione,& di quel li parimente, che noi ammiriamo, o che
defideriamo, ch'ammirino,& Himin noi; Se di quelli altri non manco ancora,
co i quali S in emulation d'honore contendiamo , & di tutti coloro in somma,
l'opinione, & il giuditio de i quali non difprczziamo, nè re- 5 niamo
in nulla. Et quanto all'ammiratione, da coloro foglramo delìderar d'elTere
ammirati, Se color parimente fogliamo noi am mirare, i quali fon dotati
d'alcun di quei beni , che foglion ren- der reputati, cV: rifpettati gli
huomini, o veramente qualche cola pofleggono, della quale bifognolì, Se
grandemente deli«ècroÌj, ci ritrouiamo, come fi vede( per cflcmpio)
accadere a gli amanti. 6 Quanto poi alla contentiofa cmulation d honore,
tra color com- munemente ha ella luogo, trà i quali fi truoua parità,
& equalità. 7 Quelli poi finalmente, lacui opinion e, óc giuditio, che
di noi fac ciano non deprezziamo, ma teniamo in còro, fon
principalmé- te coloro,che ellcndo da noi giudicati prudcti,lì può lìimar,
che veraci,& degni di fedc.lìeno ne i lor giuditii, Se ne i lor
pareri.& cofi fatti fono quelli,che già lì truouano d'età fenile,&
maturi di anni: «Se quelli parimétcche fon bene educati, & di
ragioneuolc 8 eruditionc ornati . Le cofe mcdelìmamctc,che fon habili a
dar ve recondia, Se le perlone parimente, ver lo delle quali diueniam
ve recondi , maggiormére ci meneranno a quello, fe in pai ci e, o ver fu
gli occhi, & in prcicntiafi troueranno. Onde è nato il pro- p uerbio,
che dice»che la verecondia ne gli occhi alloggia . Et da quello nafee, che
molto più diueniamo verecondi apprcllb di co 0 loro, che fempre ci hanno
da llar prefenti: Se appretto di quelli , che atten tamen te pongono alle
cofe,che facciamo,o diciamo di- ligente auuertcntia, Se cura :
pofeiachecofi gli vni, come gli al- 1 tri di quelli, par che ci ilien iu
gli occhi . Ci genera parimente/ verecondia il ri ! petto, Se la prelentia
di coloro, che non fon roac chiati di quel ma! e (imo errore, del qua] ci
accafea di vergognar- ci in qualche no lira attionctcflèndo per qu cito
cofa man ì fella do ucre ad elfi parere in torno a tale anione, il
contrario» che pare a i noi . A pprello di coloro ancora ci accade di di ucnir
verecondi , i quali poco inclinati fono a feufare, Se a perdonar gii
errori di quei, che peccano . peroche fi fuoi dire, che l'huom
facilmente quel, ch'egli Hello fa non riprende, ncavirio attribuifee in
altri. Onde può per il contrario elfcr chiaro,ch'ei lìa agevolmente
per riprendere, Se ftimar vitio in altri, quel, che conofee di non
fare egli . Diueniamo oltra quello verecondi apprelfo di quelli,
che fon volótieri diuulgatori,& diirorainatori di tutto quel, che
fan- no - Jl Secondo lìhro . / $p 4f no. Concioflacofa che
niente importi , & diffèrentia aterina non fia tra'l non apparire ad
alcun l crror noftro, Se il non e/Icrgli re- 46 ferito. Et coli fatti
diuulgatori, & diffamatori fogliono efTer due forti di perfbne; cioè quclli,che
hanno da noi riceuuto ingiuria> & per quefto foglion Tempre
ollcruar tutti li nomi errori per palefargli ; & quelli, che Con
maligni, & malcdi ci per natura: co me quelli, che (olendo per la lor
malcdiccntia infamar quci,che non errano, 8e attribuirlor quegli errori,
che non fanno,* molto più fi dee credere, chefaran quefto con tra di
quelli, che verame- 47 te peccano. Medeiimamenre apprcllo di color
fogliamo eller ve recondi, i quali foglion , come per lor profeffionc
confumare il tempo in riprender, notare, Se mordere i difetti, Se gli
errori al- trui: come fono i Poeti Comici, & quella forre d'htiomini,
che pare, che profeflìon facciano di muouerc, Se cattar
motteggian- do, & pungcndo,rifo co i deferti d'altri : pofeiache cofi
gli vni co megli nitri fi pollbn connumerar tra i maledici, 8cdiuulgatori;
, l 48 Oltra di qucfto rifpetta di quelli,! quali cofa alcuna, che mai
do mandato habbiam loroidincgato non ci hanno mai, ci fuol vere condi
rendere : potendofìper qucfto parere, che cofi fatte perfo- 49 ne ci
habbiano in conro,& in aramirarione. Etpcr la medefima ragione
diueniam verecondi con quelli, i quali per la prima vol- ta domandan con
prieghi da noi qualche cofa . pcroche non efc fendo ftara fino alhor punto
macchiata la buona opinione,cV co- fldcnza c'hanno in noi j andiam con
rifpetto per non macchiarla 50 in'quclla prima volta . Et tali s'han da
ftimare cflcr primamen- te quelli, che da principio cercan d'hauer l'amici
tia no/tra: pero- che danno inquefta guifainditiodinon hauer conofeiutoin
noi 51 fe non quelle qualità che migliori habbiamo. Ondea ragione
e giudicata buona la rifpofta, che fece Euripide a i Siracufani. 52
Et quelli parrimentc fon tali, i quali cflendo antichi domeftici nofrri,
non han per anco mai conofeiuto in noi cofa , che come degna di biafmo habbia
diminuito in lor la ftima,che di noi fan- J3 no. Sogliono ancora gli
huomini, non folo hauer verecondia delle cole già dette di fopra, ma ancor
degl'inditij, Se fegni di quelle : come a dir ( per elfempio) non fol
delPvfo venereo nello ftefTo fatto, ma di tutte quelle cofe ancora, che
dar poflbno inditio di cofi fatta inconrinentia, Se lafciuia noftra . ne
(blamente prendiam vergogna nel far quelle cose, che cagionar la
pollono, S ij ma ijLfiy "Della Teorica d'Arinotela SS
maancornon manco nel dirle. Similmente ancora non folo ap- preso delle già
di (opra aHegnatc Torti d'riuamini, ci iiiol verecón- dia artàlire, ma
ancora apprelfo di chi polla facilmente riferire, òcdarraguaglio a quelli,
come fono i lenii loro, cV gli amici loro. Quanto poi a quelli, la prefenria,
e'irifperto deiquali non ci cagiona verecondia, cofi fatti totalmente lon
quelli, il parere , e'1 giuditio dei quali (limiamo cfler communemente
difprezzato, ne eflcre habilcadarpunto di momento alla perfualion del vero
: peroche nell'uno è, che perla prefen ria d'animali irratio- nali,o di
piccioli fanciulli fenta accenderli il volto di vereco
ndia. Oltradiqucftonon per vna medcfima ragione, né intorno
alle raedclìmc cofe rende verecondi la prefentia di quelli, che fon fa- miliarmente
conofeiuti da noi,& di quelli, che ci fono ftranierr, & dalla
noftra familiarità remoti, conciofiacofa che appre/Io di quelli, che
domeftici,& noti ci fono, fentiam verecondia di quel le cofe, ch'il
vero fteflb fcuopran delle noftrc attioni.douc che ap predo di quei, che
lontani, & flranieri ci fono , ci fa verecondi quello, che la fteilà
legge,& per confeguente folo l opinion , che shabbia di noi, riguarda
. Ma quelli , ch ailaliti fogliono cifer da verecondia, fatti, &c
difpofti fogliono erter nella maniera , che noi diremo. Et primieramente
tali fogli on diucnir le perfone auando fi truouano appretto haucrc alcuni
di quelli, il lifpctto 60 de iqualihabbiam già detto folcr caufar
verecondia. Et quefti fono ( comeveduto habbiamo) tutti quelli, i quali, o
fon da noi ammirati, oammiran noi, o dcfideriamo,checi riabbiano in
co to,& in ammiratione ; & quelli parimente del cui aiuto
bifogno riabbiamo in cofa,chc noi no fperafllmo di confeguire,
feperdef- €1 fimo appreflb d'elfi di ftima, & di opinione. Il nfpctro
eli que- lli adunque fuol render verecondo l'huomo : & ciò fpetial
men- te in due cafi. L vno è fe quefti tali con gli occhi loro
itcflì,prc- lenti la cofa (certa veggono, fi come ben difleCidia in quel- la
oraoone ch'ei fece fopra ladiftribution, che fi trattaua di fare in
Athcne,de 1 campi,& delle poflcflloni dei Samij . peroche pre gauagh
Athcniefi,che volcfler nell'animo immaginarli, eh e tutti 1 popoli della
Grecia fuflèrquiui prefenti in corona, loro intor- no : di maniera che non
folo hauefler per relation d'altri a faper quello, chequiui con fuffragij
, cV decretili determinane; ma 9) eglino ftcflìlo vedetìcr co ilorproprij
occhi. L'altra cofa è fe quefti fi Jl Secondo libro
. quelli tali, quando pur non fian per veder prefenti cflì ftcffi,
fon nondimeno cofi propinqui, che facilmente, &
commodamentc polla elfernc fatta lor relatione, & venirne notitia ali
orecchie Io f 4 ro . Et da quello che fi e detto nafce, che quelli, che fi
truouan caduti in milcro , & calamitofo (lato, non vorrebbero in
modo alcuno edere in tale (lato veduti da coloro, ch'in altro tempo
già cmulatione hauuta verfo di loro haucllero : emendo proprio 6f
dell'emulare lhauereinammiratione, el tenere in conto. Oltra di quclìo ad
cller verecondi faremo difpofti ancora , quando co- nolceremohaucr cola,
ch'argomentar polla qualche anione, o fatto , che fia habilc a caufar
verecondia, o commcllb che Ila da noi fteflìjO da i nollri progenitori, o
da altri, che ci fiano in qual fi voglia propinquità congiunti,
odaperfonain fomma,lacui infamia polla in noi ridondare, & farci
partecipi di verecondia. 66 Et tali fono, oltra quelli, che pur hora
habbiam detti , quelli al- tri ancora, i quali nelle loro attioni, paia
che da noi dependano, & origin prendano, per efler noi o precettori,©
ver configlicri lo 6j ro . Sogliono elTerc ancor verecondi quelli , che
hanno altri lor limili, overo vguali, coi quali tengono honeftecontefe,
cVemu- lation d'honore . concioliacofa che molte cofe per fola caufa
de gli emuli, Ila tirato dalla verecondia a fare, o non fare l'huomo
. Suole ancor crefeer la verecondia in quelli, i quali veggon d'avere ad
elfer fempre fu gli occhi, & a ri crollarli fpelTo prefenti in 69
nanzi a coloro, a cui già fian noti, & palcfi i falli loro . La
onde Antifonte il poeta,cflendo per comandamento di Dionifio mena to
all' vltimo fupplitio ; 6c vcdcndo,che gli altri fuoi compagni
, chedoueuan parimente, morir con lui; nell'vfcir della porta
del carcere , s'haueuan, quali che fi vcrgognallcro , co l lembo
della verte coperto il capo , dille, A che cercate , o
compagni,d'afcon dere, òc coprirei! volto ? fc domane nellun di quelli,
che fon 70 qui prefenti, vi potran vedere. Della verecondia adunque fia
a ba llanza quanto fin qui fi è detto, dell Inucrecondia poi, o
sfacciataggine , o impudentia, che la vogliam chiamare; è cola mani
fella, che dalle cofe , alle già dette contrarie, fi potrà
com- modamentc no- titia haucrc. . Capo 14.2 fDeSa Teorica
d' (apo 7. 'Della gratta . Erso diquai perfonc, Se inquai cofe
foglionoef- fcreratificatiuigli huomini, Se qualmente difpo- fti
(ogliono eiTer tali; potrà facilmente farli mani- fefto, ciiffinita prima,
che fi farà la Giada . Ponia- mo dunque la Gratia eflerquclla, per laqual
fo- gliarti dire, ch'alcuno, ch'habbia facultà di farla, faccia gratia
a perfona, che ne fia bifognoia : & ciò non per render
ricompenfa di qualche cofa riccuuta prima; ne perche ad elfo, che la fi
ila per venirne giouamcnto,o rilieuo alcuno ; ma folo perche chi la \
riceue l'habbia. Grande poi fi dirà la gratia,quando,o colui che la riceue
ne farà grandemente bifognofo ; o la confiderà in cofe di grande
imporrantia, Se difficili molto, o farà fatta nelle tali , Se tali
opportune occalìoni, Se tempi, o colui che la fa, farà da- to o folo, o il
ptimo a farla, ofe al tri faranno frati ancorargli ha- 4 rà nel farla
maggior diligen ria, & fariga de gli altri vfato. Et per bifogni
debbiamo intender noi principalmente i defiderij, che fon quelli, che
mifurano li bifogni : & maiTìmamente quei defì- dcrij, coi quali ftà
congiunto dolore, & molellia in non confc- j guir|c cofe, die fi
defiderano. Et così fatti fon quelli ch'inchiu dono in fe qualche
vehemente cupidità : comeauuien nell ardé- te amor de gl'innamorati; Se
nelle intenfe nftlitrioni, & dolor corporei, Se ne i graui pericoli,
che ne fopraitino : pofeiache in coloro, che fon polii in pericolo,
cupidità fi rnioua ; lì come parjmentein quelli, che fon da corporeo dolore
afflitti . La onde a color, che da poucrtà oppreiTì fono, o in
mifero*filio fcacciati ^ ritruouano, ogni quantunque minimo fooaenimento,
che ri- «jcuono, tari la grandezza del lor bifogno, Se la grande
opporrà- nità dell'occafion parere, che noa piccola gratia fi fia fotta
loro , 7 fi comeauucnne a quel, chediede con vnacefta aiuro a colui , 8
ch'era in LICEO LIZIO. Fidi meftieri adunque che i benefi tij, & le
gra- ne, che fi fanno, a voler chegrandi appaiano, ficn
principalmc- tefattc con tali, quali habbiara dette, occafioni, Se
circonftan- tic : & fele medcfimeapunto non occorrono, fieno almen simili,
o ancor maggiori. Per laqual cofà cffendolì già per quel, che fi e detto
fatto chiaro, quando, Se a chi fi debba intender la grada fàrfi , Jl
Secondo libro. %fi, S: qualmente fien difpofti colof, che le Tanno, porrà
da quello farli manifefto, che volendo noi moftrar che lì ila
fatta grada, fa di mcftieri,che con quelle auu erteti e, &
luoghi,c'hab- Siamo allignaci, fi faccia veder, che coloro, che la
riceuono, o l'hanno riceutita, fi truouino, o fi trouaifero in quella
forte di bifogno, o in quella forte d'afHitdonc, & di dolore, che
detto habbi amo, Se coloro, che l'hanno fatta, habbian fouucnuto
in quella opportunità, iSc n cecili tà, &: di quella forte di
fouuenimé co, c'habbiam inoltrato, cVdifegnato di fopra. Etparimétepuò eirer
da quel, che fi e detto manifefto, come 11polla ofeurare, Se far quafi
difparir quella grada, che 11 fulle fatta ad alcuno, Se far si, ch'il
fatto non parclle grada ; nc.gradficatiui, ogratìofi coloro, chel'haueller
fatto, percioche dir potremo o ch'eglino Io fouuengano, o Thabbian fouuenuto
per cagion (blamente di le 1 1 llclfi , il che già fi c veduto, che non
conuienc alla gratia,o che quello, c'han tatto, fia venuto lor fatto
acafo, o che concia lor voglia fiano (iati quali forzati alarlo, o che
finalrncntejhauendo eglino altra volta riccuuto benefido,fia (lato quefto
più tofto vn ricompenfarlo, Se pagarlo, ch'vn far veramentegratia, o noto,
o non noto,che fufle loro, l'efier debitori di ricompenfa.
peroche nell'vno, & nell'altro modo llvien veramente a
ricompenfare vnacofa per l'altra, Se per confeguentc non può, ne ancora
in 1 r quello modo fti mar fi grada. Doucrcmo medefimamente voien do
ofeurar , Se annullar la grada, che ci habbia fatto alcuno, an- dar
difeorrendofotto a tutti quei fommi generi, Se capi vniucr- fali delle
cofe, che predicamend fi domandano, cóciouacola che gratiala cofa dir fi
debba, quando lafia della tal foftan da, della tal quantità, della tal
qualità, nel tal tempo, Se nel tal luogo fat- ta j dellequali conditioni,
Ce alcuna gliene manca, viene a no ef- 6 fer grada. Et indino oltra ciò,
ch'il tal fatto, Se il tal fouueni- mento ftimar non fi debba grada, fi
dee (limar, che fia, fc coloro, c'han fatto quefto a noi»clTendo loro
occorfo altra volta di fouucnirci in vn fimil bifogno con fouuenimento
aflai minor di 7 quefto, non l'hanno voluto fare. Se Ce a i nemici loro
ftctTi hano dato altra volta vn medefimo, o vero vgual fouuenimento, o
an- cor maggiore, perciòche elTcndo quefto, chiara cofa c, che non 8
l'han per cagione, Se rifpctto noftro dato quella volta a noi. Se Ce
finalmente il fouuenimento, che cihan dato>é fiato di cofa vile, &
di nulla ftima, tk di niun rilicuo, & per tale erti parimé- If te lo
ftimauano,& lo conofccuano. Et tanto baftt haucr detto della eratia, così
per far parer, che la fia fatta,comc che la non fia 2 o fatta. Quai fieno
hot quelle cocche generiti compattone, & verfo di quai perfone generar
fi foglia ; & come dilpoftì, & Qualificati fian quelli, eh a
compafllon h muouano, fegue al pre- lente, che noi diciamo . (apo S.
T>ella compapont^ . iIciamo adunque, chela compafllon fia vn
pungitiuo dolore, che fentiamo di qualche apparente gran ma e, ch'o
dcftruttion della vita,o grande affli mone,*: cala- mità fia per recare in
perfonadi talcofa indegna, a cui fia eia tal male, o prefente, o appaia
già già vicino ; & fia da noi ftimatotalcchc poiraanoi parimente
accafcare,o almeno a per- a fona, che ci appartenga, peroche gli è
manifcfto erter neceflario, che colui,chc s'ha da muouere a copafllone fia
tale, eh egli b iti- mi, & fi conofea atto,& fottopofto a poter
patire, o egli itello, o altra perfona delle fuc, che gli fono a cuore, vn
cosi fatto male, quale habbiamo nella detta diffinitionc efpofto,o almen
fimile,o 3 propinquo ad elfo. Et per quella ragione nó fogliono efler
tocchi da cópafllonc,nc quelli,chc in eftrema mifcria iono,corae che
pa 4 ialoro,ch'altro mal nórcfti lorda patire; nè quelli parimente
1 quali fi reputan di ritrouarfi in ccceflluo grado di felicità, tk
per qucfto più tofto contnmcliofi, che cornpaflloneuoli lono : et- fendo
manifcfto, che parendo loro di pofleder tutto quello, che fi puòtrouar di
bene, parimente par loro, che male alcuno ve- nir non porta loro addotto :
pofciac he ancor quefta fecurezzafi 5 dee connumcrar trai beni.
Horquelli,chc ftimar fogliono d ef- fer tali, che patire, & incorrer
portano gl'infortuni) , & i mah , che in altri veggono ; fon
primieramente quelli, i quali han per innanzi altra volta foffeni, tk
prouati i mali, tk ne lon poi fcara- 4 pati, tk rimafti liberi, de quelli
parimente, che fon già peruc- nuti all'età fenile ; fi perla prudentia, ch
e conucrKuole a quella età i tk fi ancor per lifpcrientia, che porta la
vecchiezza fcco . I deboli ancora di forze, & d'animo, fon
medefimamente tali : &c & molto più fc fon per natura timidi,&
vili, nè maco ancor quelli, * che di dottrina, & dcrudirion fon
ripieni ; come quelli, che le 5 cofe con ragion difeorrono . Della
medefima difpoiìtion di Ar- mar di poter ne i mali incorrere, fon coloro
ancora, i quali han- no o genitori, o figliuoli, o mogli : conciofiacofa
che quelle forti di pedone, iìan come cofe loro, Se membri loro, Se atte,
Se (ot- topode tutte per le ragion già dette, a incorrer ne i già detti
mali. Soglion medcfimamente (limar d efferc habili a patire, Se ri- ceuer
mal coloro, i quali non fi truouano in affetto d animo, che riguardi la
virtù della fortezza,comc fon l'affetto dell'ira, Se del- t la confidenza
: pofeiache così fatte paflìoni non lafcian difeor- rerc, Se confiderai,
che cofa habbia da fuccedere, Se da venire. 1 1 & color parimente, ne
i quali non fi truoua natura, o difpofitio- ne, che gli faccia
contumcliofi : folendocosi fatte perfonc contumcliolenon penfar, ne cò ragion
difeorrcred'hauer mai a fof- ii ferire, o a patir male alcuno : ma color
perii contrario lo fanno clic nel mezo tra cofloro fi truouano, come
remoti dalla difpoii- ij tiondcgli vni, Se degli altri. Oltra di queflo
poco foglion fen- tir compafllon coloro, che per qualche lor gran pericolo
fi rruo- uan da ri more op predi, come quelli, che modi dallo fpauento del
mal proprio, mal poifono efler commoflì dal mal'altrui, dan- do occupati
con tutto l'animo nel male, che fon per patire elfi . Ma ben fogliano ad
haucr compaflìonc efferc inclinati quelli, che non han per opinione, che
neffun fi truoui,che fia giufto, Se da bene; ma ftiman pur, che ne fieno
alcuni : perciòchc colui , che nclfun ne flimafle tale, llimarcbbe per
confcguctc elfcr tutti ij degni d'haucre il male. Et perbreuemenredire,
alhoi finalmctc fuoldar luogo 1 huomo alla compaflìonc, quando tal lìritruo- ua,
che ricordar fi poira,che tali accidenti di mali, che in altri ve- de,
fieno in altri tempi accaduti,o a lui (ledo, o ad alcun de i fuoi 1 6 o
veramente teme, ch'accader poflan nellauucnire . Habbiamo dichiarato
adunque qualmente dilpofti fien quelli, che fono atti 17 a muouerfi a
compaflìonc. Quali fien poi quelle cofe, per cagion delle quali foglia nafeerc
in noi quello affetto, può facilmc- tc apparir manifefto dalla
diffinition, che fi e data della compaffione. conciofiacofa che trà le cofe
afHittiue, Se dolorofc, tutte quelle, fi deono fumar mifcrabili, Se arte a
generar pietà,le qua- li fono habili a recar corrottione ; Se quelle
parimente che fon 1$ dcflruggi triti della vita (leda: & tutti quei
mali ancora, de T i quali j^. 6 T>ella lìgtprica d* Ariti otclt-j jquali
la fortuna è cagione ; quando molto in gradezza, Se gra- io uczza fi
vedrano eccedere. 1 mali, che dir fi poìlbn doloroii, Se corrotriui,
oucrdcftruggitiui fon, le morti, le battiture, le afHit- tioni del corpo,
l'aggrauata vecchiezza, le infirmiti, la mancanza del ncceflario vitto . I mali
poi, di cui la fortuna e cagione, 12 fono la total mancanza d amici, &
il rimaner con pochi : onde auuien, che il fc parar lì, Se quali per
dipartenza luellcrfi dagli amici, Se da gli altri cogitimi cari,ha molto
del miferabile Se del t j degno di cópaflìone. fono ancor tai mali,la
móltruofa bruttezza, la debilitatone delle corporee forzc,lo
ftroppiamento, ouer tró- 14 camentodi qualche membro. E v cola ancor degna
di compaf- fionc il veder, che donde fi fperaua, &: s'afpettaua, che
douelle venir qualche bene, quindi perii contrario fia qualche
danno,o %j qualche calamità venuta. Fa nafeer ne gli animi altrui
compaf- fione ancora l'ellcre fpelTc volte da quello ftellb male allalito,
Se z6 ilfrequenteincorrcrein cafiauuetlì . E' cola parimele
compaf- fioncuole il veder, che qualche aiuto, o fcampo > oucr
qualche cofa di bene venga a punto alhora, quando non ci fia più
reme- dio, cllcndofi già partito, Se riccuuto il male, ne più a tempo
lì rrnouaquei benea fàrgiouamento alcuno- come (per
ellerapio) accadde a Diopitho ; ilquale, eilendogli mandato dal I no Re
a* iuto, Se fouuenimento, fù trouaro, che già poco prima era morto.
Parimente a pietà d'alcuno fuol muoucre il non haucre c- gli quali
conofeiuto mai profperità, ne hauutobcncj Se fe pur cofa di buono qualche
volta gli fia venuta innanzi, non hauer t$ potuto goderla mai. Quelle
dunque, & al rre così fatte cofe fon quelle, che ageuol méte
pofionorhuomo muoucre a compaflìone. Vcrfo quelli li fuolc egli muouer poi,
chegli fon d'amore, Se di famigliarità, o cófanguinità cógiunti, fegià
molto nó fia la concimi non propinqua : pcròche in tal calo viene egli
adeller vedo di loro intere ila to, òv il il pollo, come verfodi fe
medefimo. Et per quella cagione A mafe vedendo vn fuo figlio elfèr
menato alla money nomando (per quel, che s'intede) lagrima alcuna
da gli occhi fuora t Se venédogli innanzi vnoamico fuo, per pouer- tà
a mendicar condotto ; non potè ritener le lagrime, il che d'al- tronde non
nacque, fenon perche il calo dell amico gli cracópaf fioneuole, Se il calò
del figlio gli era più tolto atroce, grane, Se 3 r acerbo, che miferabile
: cllcndo l'atrocitàcofa diuerfa dalla mi- icrabiltà> Jl Secondo
librò . 14.7 fcrabiltà, Se atta a fcacciarc, 6V a fuperar la itefTà compaflìone,&
vtile fpeirc volte aindurrc il contrario di quella. E' ben vero che
coloro, che così fatti mali atroci, Se terribili non hanno an- cor
prefenti, ma in pericolo fon d hauergli, diucngon perque-
ftoattiadarcompalIìondi loro. Soglion medelìmaméce muouer cerei, ne ilor
mali a compadionefpctialmente quelli, che fimi- li, Se pari ci fono, o
d'età, o di coftumi, o d habiti d'animo, o di 3 c grado di degniti, o di
nobiltà, o fi in i 1 i : conciofiacofa che per tutte quelle parità, Se
cqualità maggiormente ci venga a parer d edere efpofti ancor noi a i
medclimi mali, Se ch'a noi ancora }6 polTan parimente accalcare, peroche
come vna verità vniuerfale lì dee tener per certo, che tutte quelle cofe, che
nel dubitar, che lìan per cadere in noi, cagionano in noi timore,
vedendole J7 noi accalcare in altri, fono atte amuouerci a cópaflìone. Et
per- che le aftlittioni, e i mali alhor muouer fogliono a pietà,
quando già propinqui fono; di maniera che quelli, che fono (lati molti anni
prima, o fon per tardare ad eder molti anni poi ; dato ben, che lì
lufpichi, che vcnii debbbiano, o che memoria s'habbia, che lìcn venuti,
nondimeno o totalmente non ci muouono a có- paflìonc, o non in quella
maniera, che farebbero, fé prefenti fo(- fero; nefegue da tutto quello
necellariamen te, che Impiglian- do aiuto dall attione, Se dalla
pronuntia, rapprefenreremo, Se efprclfion faremo d alcuno, co i getti, con
la voce, co i veltimen- ti> Se con altre in fomma rapprelentatiue
attioni, più milcrabili, & degni di maggior pietà gli renderemo , peroche
veniamo in quella guilaa far più vicina, Se propinqua apparir la
cofa,po- nendoaltrui il mal quali dinanzi a gli occhi, come che o
poco doppo debba accafeare, o poco prima accaduto fia . Per la
me- dclima ragione ancora, i mali, Se gl'infortunij,ch o di frefeo poco
innanzi fono auuenuti,o molto in breue fono per accafeare, più mifcrabili
appaiono, & maggior pietà muouono . Grancó- paflìone ancora aggiungon
gl'inditij, e i fatti, Se 1 opere, che ri- mangono : com a dir (per
euempio) gli (ledi vellimenti di colo- ro, ch'hanno i mali, & le
calamità forterto, Se altri cosi fatti inditij, legni, Se memorie d edì ; Se le
parole delle da loro, mentre che patinano il male,vfate : come a dir
mentre, ch'erano in ellremo per finir la vita loro. Se madìmamentc ancora
vien'aaccrefeer la compadrone l'haucrc ed) nel tempo, che nell'acerbità
del T ìj mal fi / 4- & ^Della c R^tprica d*~> mal Ci
trouauano, dimoftrato animo forte, & cortame nel fop- 44 portarla,
pcrcioche quelle cofe, che mentre che vengono a far parer più propinquo,
Se a moitrar quafi prcfcntetl male, vcngon per conleguente a renderlo più
compalfioneuolc : ó> inlicmc- mente a fu- parer più indegni di quello,
color, che fofferto l'hab- biano : & lì viene infieme a inoltrar quali
dinanzi a gli occhi . (apo 9. \Deli 1 Jndegnationz^ . Ll'hàver
compaflione soppone principalmcn- te come contrario quell'effetto , che
domandano Inde^nationc : conciofiacola chea! dolerli, Se
al fcntirdifpiacer delle cole infelici, che indegname- tc in alcun (i
veggono, ltia oppoito in vn certo mo- do, Se da vna medelima qualità dt
collii me nafea, 1 hauer difpia- cerc, Se dolor dell'altrui profpcrità, le
indegnamente, accada- no. Et fono ambidue quelli affetti congiunti
colcolìumc ho- } nelìo, Se con difpofition lodeuolc : elfendo cofa
all'hiiom con- ueneuolcil conciolerfi, Se fentir difpiacere del mal di
quelli, che indegni ne fono, Se contrai meriti lorlopatono : & l'elfcr
pun- to da indegnation della profpcrità di coloro, eh indegni nefo- 4
no: peroche alla giuftitia s'oppone ciò che indegnamente, Se f fuor de i
fuoi meriti accafcaali'huomo. Et per quello a gli fteffi Dij ancora
fogliam noi attribuir l'elfcr tocchi da indegnationc . f Ma può forfè
parer, che l'Inuidia ancora s'opponga nel mede- fimo modo alla
compaflione, come che molto propinqua fia, Se 7 quali vna cofa ftefla con
l indegnatione. Ma molto c ella da quella diuerfa: pcrcioche fe ben
l'inuidia è ancora ella vn do- lore, che conturba, Se affligge l'anima per
1 altrui cofe pro- fpere ; tuttavia non è ella tale, ne fà ella quello,
per clfer colui che le profpcrità polfiede, di quelle indegno, ma per
elfer'cgli t pari, fimilc, o vero vgualc. Bene è vero che il rattriftarli
del be- ne altrui, non a fin, che da quel bene, non n'habbiaa venirqual- chedannoa
noi, ma percaufa, & rcfpctto fol di colui, c ha quel bene, s'hà da
Ihmar conditione, Se proprietà commune a tutti } due qucfti affetti ,
cioè* all'inuidia,& alrindegnatronc : cócio- liacola che fe ad altro
fine non tendelfc così fatto dolore, Se di- fpiaccre,fc non perche a
colui, che s'attuila del ben d'alcuno fuf- fcper Jl Secondo libro .
I fe per venir facilmente qualche nocumento, o miferia per i
felici auuenimenti di quello, non farebbe quello alhora affetto d
in- degnationc, nè ancor d'inni dia ; ma farebbe paflìon di
timore. 10 Appreflb di quefto, manifcfta cofa è, ch'aquefti due affetti
fc- guono, Se vengon dietro paffioni,& affetti contrari) frà di loro
. pcrcioche colui, ch e prclo da indignationc, fe fi rattrifta
dei profperi fucccfTì di color ch'indegnamente gli poflcggono ; fi
ral- legrerà parimente, o almcn non (enrirà dolore, odifpiacer
degli infortuni;, Se calamità delle perfone contrarie a quelle,
cioèdi 1 1 quclle,che fon degne di cotai mali . come a dir (per
eflempio) che nell'uno huomo giufto, Se da bene fi rattriftarebbe in
veder menare all'vltimo fupplicio,& punire vn parricida, o vn
fangui- nario aflTaiìino : elfendo verametecofa conueneuoleil fentir
pia il cere di cosi fatte punitioni : fi come ancora conuicn fentir
dilet- to della felicità di coloro, che ne fon degni, perochecofi
que- ftc,comc quelle, fon cofe ragioneuoli, &giuftc, Se che deono
a i 3 vn'huom da bene allegrezza portare : potédo egli
necclfariamé- tc fperarejch'ad effo pari mete pollàn venir quei beni, ch'ei
vede nei buonifìmilialui. Nafcon dunque tutti quelli già detri affetti da
vna ftefTa forte di cofìumc,cioc da buon coflumc ; fi come 1 6 gli afletti
lor contrarij , da contrario coftume nafeono . pcrcio- che quella ftefTa
perfona , che fi rallegra del mal de gli altri , non pct altra cagionc,fe
non perche gli hanno male, quella della hà ancora inuidia, cioè fi
rattrifta del ben de gli altri , non per altra cagionc,fc non per che eli
hanno bene : pofeiache colui, che fen te noia, & dolore dell'eli
ftcntia, Se prefentia d'alcuna cofa, verrà neceirariamcnte a fentir
diletto della priuatione,&:deftruttion di quella. La onde cofì fatte
paflìoni fon tutte impeditiue,& auucr urie della compaffione : Se fc
ben trà di loro differifeono, per le ragioni, che habbiam dette;
tuttauiafon tutte vgualmente vtili \$ a far, che le cofe non appaiano
miferabili, Se di pietà degne . Pri- mieramente adunque diremo dell'haucre
indegnatione : moftra do verfo di quai perfone, Se per cagion di quai cofe
fi foglia haue re : Se come fatti , & difpofti fian coloro, che
l'hanno. & detto c'harem di quella, diremo di quegli altri afferri,
che le vanno ap- preso . Hor per quel che lì è detto, potrà facilmente
quel, che fe 10 guc farli raanifefto . percioche confiftendo
l'indegnatione in do- lerli Se fentir raoleftia, ch'ad. alcuno accafcjiin
cofe profperc> il qual non ne paia degno ; può primieramente per quello
efìcr chiaro che non intorno a tutte le forti de i beni , e poflìbil ,
che l'indcgnationc habbia luogo, non effondo alcun, che d'indegna- tion
s'accenda in veder, che alcun fia giu/ìo, o forte, o altra virtù i 1
poiregga: pofciache i contrarij di quelle viriù,nó fono atti a muo 1 3
nere affetto di cópaflìonc . ma intorno alle ricchezze ha ella luo- go,
& intorno alla potcntia , & ad altri cofi fatti beni, de i
quali (per dir lìnccramcntc il vero) fon (blamente degne le perfonc
vir 14 tnofe, cVda bene . Et parimente fono attiamuoucre
indegna- tion color , che pofleggono beni di natura ; come a dir nobiltà
, ì y bellezza, altri beni cofi fatti . Et perche quelle cofe , che
fono antiche danno apparcntia d'effer propinque, &: fimili all'eller
na turali, nefegue necellà ria mente, che fra coloro,
chepolTeggono vno llcflb, o vero vn fimil bene, colui, che nuouamente l'habbia di
frefeo acqui flato, & per tal caufa felice fi (timi ,* fia maggiormente per
muouerc in altri ftoraaco , & indegnationc . concio- fiacofa che
maggior dilpiacere, cV conturbamento d'animo die- no altrui coloro, che di
nuouo , & quafi di fubito fon diuenuti ricchi, che non fan quelli, che
antiche ricchezze pofleggono, & 17 da i lor maggiori per fucccfllon
venute . Et il fimil dir fi dee di quelli, che nei mngiftrati, de nelle
degnità fi truouano, o diue- nuti potenti fono , o l amicitia , & la
gratia di molti tengono , o di molti, & ben qualificati figli dotati
fono, o altre cofi fatte prò 18 fperità pofleggono. Et il medefimo
parimenteadiuienc,fcad cf- fì per il mezo di quelli raccontati beni,
qualche altro bene acca- ip fchi di confeguirc. concioliacofache in q
netti beni ancora adi- uienCj che maggiormente ci rattrillinoA' ci
offendan l'animo co loro, che per il mezo di ricchezze nuouamente
acquiftate, fon faliti a qualche magiflrato,o principato,che fea tai
degnità venu *i foiTer con eflerc anticamente ricchi. & quel , ch'io
dico delle degnità, & dei principati, parimente fi dee ne gli altri
profpcri 30 fucceflì intendere . Et la cagion di qucfto è, che gli vni,
cioè gli antichi poflèflori pare in vn certo modo, che pofleggano
quello, che veramente fia loro . doue chcgli altri, cioè Ji nuoui
pofTcflb ri, par per il contrario, che non il loro, ma l'altrui pofleggano
: polciache le cofe, che mottran di flar fempre in vna guifa
mede* iima,&: in vno flato (letto, par,che vero, giudo, & naturale
hab- bianoreflerloro,& per cófeguentc in quegli altri la lor
nouitàfa parer , Jl Secondo libro . t y t 3 i parer: che non
potfeggan veramente il loro . Oltra di quefto per- che qual fi voglia bene
non può attamente conuenire a qual li vo glia perfbnaind (tintamente ; ma
vna certa proportionc,& con- uenientia fi dee trouar trà i potfeduti ,
&c color che gli poligo- no: comcadir(perellempio) vnafecura, 3c ben
temperata arma dura no propriamente conuiene,^ s'adatta all'huomgiulto,
ma ji fi bene al Ih uo m forte j & vn nobilillìmo, ik eccellenti (lìmo
par- tito di futura moglie, nona perfoni di nuouo arricchita»
conuic 15 ne , mi a perfona molto nobdc, ite d'illultre l'angle nata . di
qui è, che quando fi vedc.ch'vna pcrlon.i,quamunque virruola polfegga,
& riabbia qualche forte di beni, a lei non propornon ita- mente
conuenicnti ; genera per qucflo negli altrui animi inde- 34 gnatione.
Parimente la genera ancor colui, che ellendo ad vno altro inferiore» 8c di
minor valore, fi mette nondimeno a con r cu dere, & a voler controuerlìacon
elib, quanrunque fuperiorc , de miglior di lui: & madlmamente auuerrà
l'indegnatione, le l'inferiorità, & la fupcriorità loro fàran fondate in
vno dello (Indio, 3 j & in vna ftelìa cola. Onde non fenza ragione e
detto, egli s'afteneua, Se fchiuaua di venire in pugna a fronte con Aiace
figlio di Telamone; però che Gioucera prefo da indegnarione contra
di lui, ch'egli haueflè da venire in con tefa, 6c parragon di
duello $6 con huom più forte, & più valorofo di lui » Ma le
l'inferiorità , 6c la fupcriorità non faran fondate in vna ftellà cola,
& in vno ftcllb ftudio , in ogni modo, come Ci voglia che l inferior
fi met- ta a contendere, & ad hauer controuerfia con chi fia di
maggior valor di lui , viene a procacciar contra di fc l'indegnatione :
co- me auuerrebbe (per elfempio) Ce vn, che valclle in ma fica,
fipo- nelfe a controuedare, Se contender con vpo, che poiredelìe a
pie no l habito della giullitia: non cucendo ak .in dubio, chela
giuftitianon ecceda di preggio, 8c di degnità la mufica : Già può ef. Ter
dunque manifcfto verfo di qual forte d'huomini fi foglia ecci- tare
indegnatione,cV per cagion ancor di quai cofe fi ecciti, eltèn Sc di
manco valor di loro . Et per dire in breuc, tutti coloro, che ftiman fc
ftcflì degni di quei beni, de i quali (limano altre perfo- ne indegne ,
daran luogo contra di quelle, Se per cagion di quei tai beni,
alPindcgnationc . Et da qucfto nafee, clic quelli che fon di coftuine, Se
d'animo feruile, o perfone di viiiofa, Se poco ho- nclta vita, o tali, che
l'honor tengano in poco conto, non foglio no etfer punto indegnatiui :
pofeiache neiìuna cofa di pregio ap- prellbdi loro è tale, cheiTi fc ne
ftimin degni . Et per quel , che fi e detto dell'indcgnatione, potrà
ancora apparir manifefto di quai perfone conuenga rallegrarli, o al men
non fentir dolore, chabbian la fortuna auuerfa, Se infelicemente trattin
le cofe loro, & cofa alcuna, che defiderino, non confeguifeano :
perochc dalle cofe dette, potran parimente diuenir noti li contrari;
loro. Perla qinlcofafc l'oration noftradifporrà , Se farà diuenir
tali i giudici, quali habbiam detto elfer quelli, che fon molli
dainde- gnarione : Se dall'altra parte moftraremo, che quelli, che
doman dano, che fia hauuta lor compaflìone ; Se quei mali elpongono onde
confeguir la debbiano , non fiano indegni di quei mali> Se per
confeguentc degni fian di non confeguir la compalfion , che cercano ;
impodìbil cofa farà che compallìone fia hauuta loro . (apo io. c Dell y
Jnuìdìa . Otra' elTere ancora ageuolmente manifefto intor- no aquai
cofe fi foglia nell'huomo eccitar l'inui- dia , Se verfo di quai perfone,
Se qualmente difpo- fti fien quelli, che facilmente dan luogo a quefto
af fetto : ellèndofi già veduto eiTèr l'inuidia vn
certo contriftamento del profperarc, che incucila forte di
bcnj,c"hab- biam Jl Secondo libro . / j j biam raccontati
di Copra, ci paia, che faccia alcun di coloro , die fono in qualche parità
limili , & vguali a noi, & ciò non perche ne venga qualche vtile,
o cOmmodo a noi, ma folo perche ci di- t fptacc,chc gli habbian bene.
Quelli dunque a inuidia fi foglion muouerc , liquali hanno , o par lor
d'haucre perfone in qualche | parità fimili a loro, per fimili , & pan
intendo io di natione, di (angue, d'età, di profeflìone, di reputatione, o
ver'auroiirà , di 4 ricchezze, Se beni di fortuna . Medefimamente
inuidiofi loglio- no cflerquclli, a cui pare d'haucr confeguito poco meno
«Fottìi | forte di bene, tal che pochi ne manchin loro . Onde nafee
che coloro, che grandi imprefe trattano, & in clic fi nuouano h.iuer la
fortunaamica,fon molto dediti a inuidiarealtrui:come quelli, acuì par, che
ciò, che tutti gli altri han di bene , l'vfurpino, Se 0 tolganoad efli .
Sono iuuidioli parimente quelli, ch'in qualche cola fon fopra gli altri
ecceflìuamctc honorari, & (limati ; 8c maf /imamente fequefto loro
accafea per ca ti fa di gran fapientia, o di somma felicità, che fi
credano elfer di lor creduta. Gliambitiofi ancora, &auidi d'honore,più
habili fono a cócepire inuidia, che 5 quelli,che tal ambinone, Scauidità
non hanno. Et quelli pari- mcnte,che fono, o fi credon deflcre in opinion
difaggi : perochc vegono in queftaguifa ad efler cupidi d honore
pcrc^to-di qucl- ? lafapientia: & tutti color finalmente , i
qualiintornoa qual fi voglia cofa fon'auidi deflcr tenuti in grande
opinione, fono ancora habili intorno alla medefima a conciperc inuidia.
Color medefimamentc , i quali pufillanimi fono, de non punto alti
di penfieri, 6c di fpirito, fogliono efler facilmente inuidiofi :
come 1 1 quelli, a cui tutte le cofe paion grandi. Di quai forti di beni
fien poi quelli , che foglion pungere altrui d'inuidia, viene ad
cflèrfi 1 1 parimente detto, percioche tutri quei fatti, quelle opcrc,cV
quel leattioni, intorno alle quali, auidi di confeguirc gloria, &
repu- tatione , Se nell'animo noftro ambitiofi, Se cupidi in fomma
di gloria,& di nome fiamo,& tutte ancorquelle profferirà, Se
quei beni, che da buona fortuna vengono, tutti (fi può dir) fon materie e
oggetti dell'inuidia. Et maflimamentcquelli,i quali noi fommamentc
defideriamo, o ver pretendiamo, Se (limiamo ch'a 1 4 noi ftia bene ; &
apparrenga di confeguirgli ; o veramente tali , che nella pofleflìon di
quelli, odi poco eccediamo, o di poco I j manchiamo, Se diminuti fiamo .
Può medefimamentc etfergià V manifcfto /JY T>ella r R^torica
d'Arinotele^ manifelìo verfo di quali perfonc fogliano elTere in u idioti
gli huorainiiciTendoii in quel, che fi e dctto,accennato
inlìememcn \6 te di queiìoancora. conciofiacofa che color primieramente
ci fogliano eccitare inuidia, i quali propinqui ci fono, o per
fpatio di tempo, o per diflantia di luogo, o per età, o per reputatone
, 17 Se gloria, onde quali in prouerbio li fuol dirc,Trà quei,
che fon d'apprctTo cade l'inuidia fpclfo. Ci foglion prouocarc
an- cora a inuidia quelli, co i quali teniamo competenza d ho- nore :
pofeiache così fatta competentia, de contefa fogliamo hauer co 1 limili, de
pari a noi. percioche con quelli, che già mil- le anni fono (lati, o doppo
mille anni fon per elTere , o con quelli, che già priuidi vita fono; nelmno è,
chedhonor contenda, né parimente con quelli, che habitano alle Colonne
d'Hercole . 1 1 nè con coloro ancora d'honor contendiamo , a i quali
(limiamo d'elfcre fecondo ! parer noftro, o ver fecondo'l giuditio
d'altri, o di gran lunga inferiori, odi gran lunga fupcriori. Et quel, che delle
pedone quanto all'eccedere, de mancare habbiam detto, Ci t$ dee fimilmcntc
intender delle cofe ancora. Et perche con quel- li, che nell'acquido di
qualche cofa, auuerfari], o duali ci fono » cV con tutti quelli in fomma,
che le medefime cofe defiderano , & cercanil poiTederc,chc cerchiarli
noi; par,c'habbianio fempre vna certa contefa, de compctCntia, de quali
gareggiamento; è ne- celTario per quello, che verfo di tutti quelli tali,
foglia eccitarli 14 hi noi ma(fi inamente inuidia . Onde è nato il prouerbio
, Il Va- ij laro porta inuidia al Vafaro » Apprcllb di quello tutti
quelli,chc con gran fatiga hanno a pena confeguito qualche cofa
defidcrata da loro, over confeguir finalmente non 1 han potuta;
fogliano portare inuidia a chi fenza fatiga alcuna con facilità conleguita *f
l'habbia » Parimente fe conofeeremo , che fe riefee ad alcuno
il confeguire & felicemente mandare a fin qualche cofa, o
qual- che imprefa, fia ciò per tornare in obbrobrio , de ignominia
no- ftra,non e dubio che ageuol mente non riamo per portar loro inuidia .
percioche ancor quelli vengono ad clfer con qualche parità rimili a noi : de
per confeguente può parer cofa chiara, che il non confeguir noi quello,
che ilan per confeguire effi, non pof- fa da altro procedere, che da
notìra colpa . Onde veniamo a fen- tir di ciò di (piacere , & con ti i
(lamento ; il quale inuidia final- mente douenca. Medcfiraaraentc foglion
cifer da noi inuidiati quelli , Jl Secondo libro
. quelli,liquali confeguifcono, ogiàpolfeggono quelle cofelequa li a
noi paia che per ragion conuengano, o che già prima , come 50 noflre
polfcdute riabbiamo. Et per quella ragione i Vecchi foglion portare inuidia a
igioueni. Color parimente, i quali han confumaro, Se fpefogran fomma di
danari per madare a fin qual che cofa, fenton pungerli d'inuidia conrra di
quelli, che c5 mot to maggior vantaggio dì fpefa, la medesima, o lìmil
cofa hanno ji mandato a fine. Può ancor da quel, c'habbiam detto renderli
ma nifcflo verfo di quali perfone, Se in che forte di cofe Tentano
alle grezza, Se piacer quelli tali inuidiofi, di cui ragioniamo :&
qual méte fian qualificati, &difpoiri per dar luogo alla detta
allegrez- za, cóciofiacofa che nella contraria maniera di quella, nella
qual trouandofi satrrillano, vengono a trouarfi, quando fi rallegrano
delle cofe contrarie a quelle di cui fi dolgono. Per la qual cofa ic tali
prepareremo, Se difporremo coloro, nelle cui mani Uà po Ila l'autorità del
giudicare,quali habbiam detto eller coloro,che inuidiano ; Se tali
dall'altra parte, quali fono flati da noi difegna ti color,che inuidiati
fono,moftreremo efièr quelli,chc (limano, Se cercan, che fia hauuto lor
compaflìonc, o che qualche cofa di bene ila lor conceduta; certa cofa e,
chenècompafIìonc,nèqucl bene, ch'ottener defidcrano, faran per confeguir giamai fopo
ir. T^eWSmulattonc^ . I qual maniera fian color poi, i quali atti fi t
molla- no ad emulare, Se in quai cofe, Se verfo di quai per fone
foglia hauer forza Pemulatione,da quello che al prefen te diremo, potrà
farfi manifcllo . perciochc efiendo l'emulatione vn con tri (lamento ,
che nafeein noi dal parerci, ch'in perfone limili, Se pari a noi, fi
truo ui prelente qualche forte di bene, ch'importi honore, Se polla
in noi parimente cadere; il qual contrilìamcnto non è , perche
in quelle perfone fi truoui quel bene,ma folamcnte perche ne fiam j
priui noi: ne fegue da quello, che l'emulatione fia affetto honc- flo,
eclodeuole, Se a perfone della virtù, Se dcll'honelìo amiche, non
difdiceuole . Si come per il contrario 1 hauere inuidia è aA fetto brutto,
Se biafmeuole, Se a perfone amiche de i vitij pro- 4 portionato .
pcrciochc con l'emulatione ci eccitiamo a preparar V ij noi ijó
Isella ^Rgtprìca dj4riBotelc~> noi fceflì a confcguir quei beni , che
vediamo in altri : douc che Ti nuiiiia ad altro non ci muoue, oci prepara
, fé non a defidera- 5 re, Se cercare, che eli alcriquei beni non
habbiano. E' necclla- rio adunque, chad emulare fian
primieramcnreinclinaci quelli, liqualidi quei beni, ch'in effi
nonhanno,& in altri veggono, fti- 6 man fc ftellì degni :pcroche
nell'uno è, che fi itimi degno di cofa, 7 che gli paiaimpollibildi
confegune. Et di qui è > ch'i gioueni,. S & li magnanimi fogliono
effere inclinati ad emulare . Sono emù latori ancor coloro, che poifeggon
quella forte di beni , che par che propriamente ftien bene, Se
conuenganoagli huomini ho- norati, Se di valore . Se cofi fatti beni fono
le ricchezze » la copia degli amici , o ver la graria dimoici, li
magiftrati,o ver principa- li ti, Se tutti gli altri beni cofi fatti .
pcrciochc conofeendo eflì con ucnirfi, Se dòucrfi cotai beni a color, che
fon virtuofi, Se meriteuoli, vengono ad ertere emulatori per cofi fatti beni ,
come cheper ch'ere ancora erti virtuofi, a lor parimente conuengano, Se
co ro ragion fi debbiano-Sogliono elferc ancora indotti a emulatió
co- i i loro,chefon dagli altri (limati degni de i detti beni.& color
pari mctc,i quali hanno hauuto i lor progenitori,© quei del fanguc
lo ro, o i domeftici loro, o quei della lor natione, o quei della
iceila patria,in qualche forte di beni, repucaci, & honorati; fogliono
in turno a tai beni ellcrecmularoriicome quelli, che par
loro,checo me cofa lor propria, meri camere lor cóucngano, Se appartegano
• n Oltradiqucfto elìendoacca maceria deH emulacionc quella force di
benijch imporcano honore,& repucacione, verrà perqueftoad 13 efler le
virtù ancora eiTe materie, Se caufe di cale affecco. Ec cucce quelle cofe
parimcnce, che polfono ellèrc vcili>& recar commodo, Se bendi rio*
altrui ; folendo cilcr da cucci apprezza cc,& hono race le perfonc
benefiche^ agiouare arte, & parimele levirtuo T4 fe. Et tutti quei
beni finalmente eccitar pollono emulatione,! v- fo, il godimento, &
lafruirionedciquali, olcracolui,chegli pof iiede, negli altri redundar
fuole : come fon (per eiTcmpio) le ric- xj chezze, & la bellezza più
che lafanità. Potrà cllcrc ancor per quel, che fi e detto, facilmente
manifeilo quai forti di perfone fogliano altrui prouocaread' emulatione.
concrodacofache tali ftimar Ci debbian quelli, ch i beni,c habbiam già
decco,oalcri fo- if miglian ti poiTeggono . & cofi facci beni fono la
fortezza, la fapic ua x 1 magjftrati, 0 vero i principati : potendo quei,
ch'in tal gra- do di JL Secondo libro . / j ? do di principato
fono, giouarc, Se far bcncfitio a molti. Se oltr* di queito gl Imperatori
degli eUcrciti, gli Oratori eloquenti , Se tutti quelli iu (omnia, c han
potere, & autorità di quel , clic pu- 17 rchor fi e detto, del
fargiouamenro altrui . Son medefi mani en- te atti ad efTerc emulati
quelli, i quali han molti, che detiderano,. 1 8 cV cerca d'alTbmigliarfi
loro . Se quelli ancora,c'han molti, 1 qua li fon defiderofi d'cllcr da
lor famitiar. mciuexonofciuti,o cTefirre 1 9 amici loro, Se quelli
parimente, che ibn da molti ammirati : fi co me quelli ancora, i quali
ammirati fon da quei , che s'inducono 10 ad emulargli . Prouocaxe ad
emulation fogliono ancor coloro , in lode, Se celcbration de i quali hanno
o Poeti, o Oratori, o al- tri fcrittori fcritro% Coli fatti lonoadunque
gli oggetti dcll'emu- x x latione. Se i contrari) lor fon quelli,chc non
emulare, ma più io ilo difprczzar fogliamo^ elTendo all'emula tion
contrario il di- 11 fprezzamento, Se l'emulare al difprezzare>&:
tenere in nulla. Per- laqualcofa c neccfIario-,che coloro, i quali nella
maniera già det- ta difpoiti, 8c atti fi truouano ad emulale alcuno, o
vero ad eflc- ic emulati, fian confeguerrtcmcntc difprczzatori di coloro,
nei quali fi truoui quella fottedi mali, che iìan contrarij a quella
for 13 tedi beni, che fono atti a generare emulatione. Onde fpefic
vol- te foglion diftfregiarc, Se tenere a vii coloro, che fortunati
fono, quando fenza alcun di quei beni , c honore, & reputatione
im- 14 portano, fi truoua quella buona fortuna loro. Habóiam
duribitte fin qui di quelle cole , Se di quei modi detto , onde eccitare ,
Se ammorzar fi poflbno quelli affetti, &paflìoni humane, e han. 1
y da. feruire a perfuadere, Se far fede . Segue che doppo qucfto diciamo
al prefentequai cornami fo- glion fecondo gli affetti, Se fecondo gli
habiti dell'animo , Se fecon- do lediuerfeetà, & fortu- ne de gli
huomini di- uer fa mente ac- calcare Capo /// 1 *DeHa
'Retorica d % (apo 12. 'Della Giouinezza , & condì- fiorii di
quella . Ntendo io per paflìoni, Se alfcrti dell'animo l'ira f la
cupidità, ìk gli altri limili a qucfti, de i quali già di (opra ragionato
riabbiamo . Per habiti incendo poi le virtù, Se li viti; ; Se di cotali
habiri fi è pari- 3 r"^ i iT^ 'i mente trattato prima, 6c
iniieracmcnte fi è dichia- rato quai cofe fecondo cialchcdun di detti
habiti, fogliano gli 4 huomini eleggere operare. L'età poi s in tencion
principale $ mcn te eflcr la giovinezza, la Virilità, Se la vecchiezza.
Fortu« ne chiamo io poi la nobiltà, le ricchezze, lapotcntia,& i lor
con crarij : Se la profpcrità finalmente della fortuna, Se l'auuerfirà
di 4 quella. Son dunque i Gioueni, quanto ai cottumi
appartiene, molto vehementi nelle lor cupidità, Se come che paia lor d'eli
e- 7 re a ciò potenti, fi mettono a fare ogni opra per confeguirle .
Et irà tinte le cupidità corporee, o ver leniuali , di quelle malli
ina- mente fon volontier feguaci, che son compagne di lafciua venc- 5
re , nelle quali fon fuor di modo incontinenti . Son parimente nelle lor
voglie, & cupidità facilmente fottopofti alla mutano- ne* Se torto
diuengon fatij, Se faftidiofi di quel,che prima apperiuano. Sono i lor
defiderij molto intenfi, ma poco durabili, Se i o pretto partano : eflèndo
i lor voleri, Se li loro appetiti , acuti ma non tenaci, o potenti, nella
guifa che fi veggono eflèr ne gli infec li mi la ietc,& la fame . Sono
oltra di qucfto i gioueni iracondi per natura, & acuta, sfottile e
Tiraloro, &fenza molto penfarui fopra, fon pronti a seguir l'impeto di
quella : come quelli , che ftar non potendo incontra all'ira, vinti lempre
da quella rimangono . conciofiacofa che per la grande (lima , che fanno
deiTer reputati, Se dellhonor loro, non pollano in modo alcun
foppor tar d'erter difprczzati,o tenuti a vile ; ma grandemente fi
fdegna- no ogni volta, che punto s'accorpano, che fia fatta loro
ingiuria. 13 Sono ancor per querto arabitiofi, &auidi d'honorei
gioueni, o vogliam dir più torto contcntiofi, Se auidi di vincere : emendo
la giouinczza molto cupida d eccedere, ne altro e il vincer, ch'vn 1
4 certo eccedere • Onde d'ambedue quefte cofe, cioè dell honore, &dcl Jl
Secondo lìhro . Q? / / > \ & del vinccrc,fono eglino molto più
amatorijchc non fono ama tori de i danari , dal dcfiderio de i quali molto
poco fon mol dia- ti, per non hauere ancor prouato,6V efpcrimeniato la
potiertà,e'I i j bilogno: fi come ben mollra Se accennala breue, &
acuta rifpofta 16 diPutacoad Amfiarao. Sono oltra di quello i gioueni non
ma» litiofi,doppij, o maligni, ma più torto fcmpljcj, aperti, cV liberi
> come q,uclli, che non hanno ancor conofciute,& prouate le fraudi,
& l'aftiuicdcl mondo. Et parimente Tacili fono a credere, & a dar
fedea quello, che lui detto loro ; non elTcndo flati per la lor xS breue
età molte volte ingannati. Sogliono appretto di quello i gioueni clfer
facili a fpcrar bene . pcrciochc non altrimenti eglin fon caldi per caufa
della natura loro (Iella, che fi licn caldi cola- li ro, che s'empion di
fouerchio vino . Oltra ch'aiuta ancor la lo- ro fperanza il non hauere
ancora in molte cofe prouato,& vedu- to to riufeir lor vani i
difcgni,& Jc fpcranze loro , Etoltra ciò i gio- ueni per il più viuono
a fperanza, Se dietro a quella menano i lor anni : conciofiacpfa che la
fperanza riguardi il futuro , fi come la memoria il pallàto :& ne i
gioueni il tempo, c hàda venìre,c lu- go aliai, & quel, ch e in lor
già panato è breue,- potendo nel prin eipio della fua età l huomo
ricordarfi quafi di nulla,&: fpcrarqua ai fi il tutto. Et quello ancor
parimentec caufa, ch'i gioueni han fempre efpoflia facilmente eflere
ingannati, per clfer (com'hò detto) a pigliare fperanza facili . Più forti
ancora, cV più animo- li fono gli huomini nella giouinezza, che nell'altre
età : come quelli, ch'ageuolmentc s acccndon d ira , 8c fempre bene
fpera- no : delle quai due cofe la prima fa non temere, & l'alrra
confida re: conciofiacofache niun, chefiaaflalito dall'ira, tema; &
Io aj fpcrar qualche cofa di bene, generi confidentia. Sono medefimamentc
i gioveni dediti naturalmente alla verecondia . 8c quello nafcedal non avere
eglino ancora hanuto cognition d'altra forte di cose honeste e lodeuoli,
che di quelle solamente, di cui A4 fon dalle leggi inftrutti. Sono oltra
di quello li gioveni, magnanimi, come quelli, che non fono ftati ancora
abballati, de humiliati d'animo dalle miserie, e necdfirà, che porta la vita
umana.01tra che la magnanimità fa,chc l'huomo fi (limi degno di
co fegrandijil che è* proprio di coloro, che pieni di fperaze fono, co 16
me fono i gioueni. Anrepor fogliono appretto di quello nelle
lor attionirhoncftoaU'vule, come quelli, che viuó più fecondo
l'in- iìitution ftfo \ € DeUa r Retorica d * (litution ne i
collii mi fatta, che fecondo'l calcili o della fuppurt- tione: ne è
dubio,che il difcorrere,& fupputar non riguardi 1 vti *7 le,&
linflitution della virtù non riguardi l honefto. Mcdefìmamentc fo^lion
ghhuomini in quella più, thcinqual fi voglia altra età,elfer vaghi
d'haiierc amici, & compagni : come quelli , che molto godono, &
diletto predono del cómun cóuitto, &del la conuerfarione . Oltraehe
non hauendo cominciato a«coraa mifurar le cole con l 'inrereifo dcll'viile,
parimente non mifuran iS con quello gli amici , ma col diletto (olo .
Sogliono ancora in tutti gli errori, ch'occorra lor mai di fare, errar più
tolto nel pjù, che nel meno, Se più nel molto , che nel poco : Se contra
la len tenda di Chilone ogni cofa fan col troppo : come quelli,che
ami troppo , odian troppo , Se fomigliantc in tutte l'altre cole .
Ol tra che fi perfuadono in vn certotnodo di fapere ogni cofa, Se
c6 vna cerca refoluta certezza affermano, Se afTerifcono rutto quel
, che dicono, il che anchora e caufa, che gli aiuta a traboccar nel troppo.
Le ingiurie, Se 1 offefe, che fanno i g{rìucni,fon più pre (lo in
contumelia, & di 1 pregio, che con iniquità, Se malitia far-* £X te.
Sono oltra quello i gioueni inclinati ad hauere altrui corti-' patti on e;
pcroche tutte le perfonc (limano eglino virtnofe , Se migliori di quel ,
che le fono , come quelli , che con h lor fem- plicità , Se poca malitia
mifurano i coftumi , 6c le attion de gli gli altri : cVper confeguentc gli
(limano indegni dei mali, che 31 yeggan lor patire . Scnton per natura diletto
ancor di (lare in ri- foj Se per quello fon faceti , vrbani , &
fcflcuoli , Se amici del motteggiare : emendo l'vrbanità vna certa
delira, honefta, Se ben moderata fpetie di contumelia . Coli
fatti adunque (come habbiam detto) fono i coftumi, che porta
feco la giouinezza- **4| Capo \ Jl Secondo libro . j 6
1 fi*po ij. Della VecchieXzL,a y & delle prò- prieta dt quella
. Vecchi poi, Se gli hormai grani, Se carchi danni, han quali per la
maggior parcc cortami, a i già dee-! ci contrariamente opporli, perciochc
hauendo vif il peggio . pcrciochc fon di contraria di fpofition di fangue,
che non fono i gioucni, clTcndo eflì agghiacciati, & quelli caldi :
on- de par, che la vecchiezza venga in vn certo modo a dare adito,
& a far quali la ftrada alla timidità; non ellcndo altro il
timore,chc vn certo agghiacciamento . Delideroli ancor grandemente,
Se auidi della vitafono x Se maflìmamente quando s'apprettano a
i giorni e ftremi: (olendo elTere il dcfidcrio propriamente delle
co- le, che mancano , Se fono allenti ; Se di quello ,di che
l'huomo- maggionnente edefettuofo, Se hàbifogno, maggiormcntc ancora è
defidcrofa . Coltume è ancor de i Vecchi i cilèr Tempre que- ruli, Se
lamenteuoli, & Tempre et ogni cola rammaricarli , quali che non polFan
contentarli mai. il che naTce dall'clìer quella vna l$ lpetiedi
pufillanimità. Viuono olerà di quello più fecondo l'v- tile, che fecondo l
honefto> molto più che non conuiene, per ef- 16 Ter molto amatori di Te
medefimi: nè e dubio, che l'vtil non fia bene in refpctto di fe Hello, Se
l honeftonon lìa bene in Tua natu- 17 ra, & allblutamente.
Coftumcmedefimamcntecdiquci, che fon nell'età fenile, l'eller più prefto
inuerecondi, che verecondi, concioliacofa che non tenendo effi il medefimo
conto dell'hone ito, che dell vtile,tengon per conTcguenre poca (Urna
dell'opimo 1 8 che s'habbiadi loro Poca Tperanza Togliono ancor nelle coTe
ha uere ; parte per reTperientia, che gli hanno, rrouandofi per il
più nelle coTe Tempre più il mal, eli il bene ; Se accadendo per
confc- i$ gucntcgliauuenimcnri dell'humaneattioni in peggio : Se
parte ancor per causa della timidità, c'habbiam detto elfer lor
familia- xo re . Danno mcdeilmamentc maggior parte della vita Ioroalla
me moria, ch allafperanzarconcioliacoiachc riguardando la fperà- za
il fu turo,. & la memoria il pallàto, picciola parte della lor vita %
1 è quella» che Ila futura, &: grande quella v eh è già palla ta.Ec
que- llo parimente e la caufa, che gli rende loquaci, & gli fa fenza
mi- Cura pigliar diletto di raggionare . peroche nonrellan mai di
rac- contare, &c rirare in lungo le cofencllor tempo accadute, o
ch'e- glino habbian perii pallato fatte : come quelli, che nel
rinnouel Xt larfel e nella memoria, gran diletto,. & gran gu Ito
prendono. Gli Tdegni, i crucci» & l'ire dei vecchi fono acute, Se
fubite,mafner «5 uate, &: fiacche. Se li defiderij, Se le cupidità lot
o, parte fon man care, Se diuenutevanein tutto ; & parte fon fatte
languide Se de M biluatcLa onde non fon molto moleitati dalle fcnfualità
delle cu pidità Jl Secondo libro. pldità,nc indirizzan le loro
attioni,o guidano la lor vira dietro i tj quelle, ma più tofto dietro ali
vtilc, & al guadagno. Onde ven- gon lcpcrfoncdi quella grauc età a
dare apparentia di Temperate : pofeiache lecupidità non fi veggon più in loro
dominarcela ucndoeflì totalmente l'animo applicato, & comeferuo
fottopo- x6 fto ali vtile, & all'affetto del danaro. Et da quefto
nafce, chegui danlalor vita più torto con calculato , Se fupputatiuo
difcorlo, ch'à modo dhabito, & di coltume : cllcndo vn cofi fatto
fuppu- tare, & difeorrerc appartenente aU'vtile , & l'operar come
per coftumc, più alla virtù propornonato. Onde le ingiurie, cV:
Tof fefe loro, portan (eco più prcfto ingiù ftitia, & mahtia, che
con*. 28 tumelia . Son pari mente i vecchi inclinati ancora etti alla
compaf (ione ; ma non già perla caufamedeuma, che fono i
gioueni.pcr ciochenei gioueni nafee quefto da vna certa Immanità , o
voglia dir benigno affetto verfo gli huomini : doue che nei vecchi
na- fcc da imbecillità , facendo ella lot patete , & in vn certo
modo dubitare, che tutti i mali poifono ellcr loro cofi vicini , che
age- uolmente poftonlor ventre addoifo : ti che giàhabbiam detto 2
cócorrerealle caufe della cópaffione. Et da quefto ancor viene, -che li
vecchi fian queruli, & duri, & amari nel conuerfare,&:
no punto atti alla vrbanità,& poco amici del follazzo,&: del rifo:
ef- fendo cofetrà di lor contrarie l'elfer fefteuolc, & 1 elfcr
lamenteuole. Cofi fatti adunque fono i coftumi, & dei gioueni, &
dei 3 1 vecchi . Perlaqual cola folendo communemente tutti
volentie- ri abbracciare, & hauerc accette quelle otationi, che
conofeono accommodate, & conformi ai coftumi loro, &
affettionar- fi a coloro , da cui le vengono, come che a lor firn
ih; non potrà per quel, che fi è detto, efler nafeofto, in che
maniera pollan color, che parlano, ^ parlare in modo , che & elfi ,
& l'o- rationi,& parlamenti loro, pof- fan parer cofi fatti,
cioè li- mili a color, che gli alcol tano. t x ij fa /
Della llgtprica d % l^j /^Oi Virilità , ^ condttioni di quella
. Vahto poi a color, che fon nell'età virile, & vigoro fa, può
ellèr manifelìo, ch i lor coftumi lìan pofH nel mezo trà quelli (ielle due
età già dette: tollendo via da quei deli'vna, & da quei dell'altra
l'eccedo , de la ioprabbondantia . Non fon dunque effi tali , che
troppo trabocchin nella confidenza, il che è proprio dcll'au dacia , ne
troppo parimente temino : ma neH'vna,& nell'altra di | quelle cofe,
fon difpofti fecondo che fi conuienc . Non fon cre- duli, & facili a
preftare ad ogn'vno vgualmcntc fede : ne dall'altra parte han coli fofpetta la
veracità d ogn'vno, che cofa alcuna non credan veTa: ma dalla verità delle
cole ftclfe pendono , & fo- 4 no i guiditi), & gli allenii loro .
Medelìmamcnte quelli di que- lla età non fon ferui dell auaiitia ; ne
ancor fon prodighi , &c dif- fipatori : ma tra quel mezo caminano,
feconefo che le cofe ricer- $ cano. Et nella medefi ma maniera parimente
con mediocrità difpofli incorno all'ira, & intorno alle cupidità fi
truouano. Son tcmperati, fcnza che manchi lor la fortezza, Se fono forti senza
che lor manchi la temperanza . Le quali due virtù, i gioueni , &
i vecchi s hanno l vna dall'altra separatamentc trà di lor partite, cf /èndoi
gioveni forti, ma intemperati, ed i vecchi per il contrario temperati e
timidi. Et per raccogliere il rotto in poche parole, tutte quelle cole, che di
buono , & d'vtilc s hanno lagiouinezza, & la vecchiezza trà di lor
fcparatarnente dillribuitc, tutte 5 fi truouano infieme nella virilità
congiunte. Et tutte quelle al- tre cofe poi, leqiraii per fouerchio
eccello , o defetto traboccan nel troppo, o nel poco nelle due ellreme età
già-dettc,tuttc ridot te al mediocre, & al comieneuole, lì truouano in
quella età di 5 mezo . Ritien le fue forze nel Ino vigore quella età
virile, & le fi confidcrano in quanto al corpo,• daU anno uigefimo
fino al trige fimo quinto : ma confidcratcquanro al vigor dell'animo ,
intor- lo no al quadragclìmo nont>,maflimamctcnorifcono.Et tonto
badi hauer detto de i coflumi,& conditioni del la giouinczza,&
della vecchiezza, & dell'età vigorofa, che nel ruezo di quelle è poda
. Jl Secondo libro . ì6j fapo if. Della nobiltà, condizioni
, proprietà di quella . V^ug^ Ecve al prefente, che noi diciamo
intorno aTij^È^!^^ della fortuna, quali, & quanti di quelli fiano atti
a variare i coltami de gli huomini, Se quali cofi
fatti coilumiaccafchino . Etcominciandodalla nobil- tà, coitumc
primieramente è di quella l eder chi la poifiede dedito molto ali
ambinone, Se a tenere in ogni cola c&- S | to dellhonore . pcrciochc
pare, che ordinariamente tutte le perfone » quando conofeono di polXeder
qualche cofa, che piac- cia loro, fogliari tempre porre ftudio
d'accrefcerla , & d'accumu- larle fopra : ne altro e in chi 11 lìa la
nobiltà , che honoranza , Se c 4 fplcndor d'honore de i fuoi maggiori .
Sogliono i nobili ellcr di- Iprczzatori d'ogn'vno; Se maiTì inamente di
quei, che fon fimi li a i lor maggiori . conciofiacofa che li medefimi
honori fogliano apparir più fplendidi, Se più gloriofì, quando Ci truouan
per lun- go fpatio di tépo già fatti da noi lontani, che fe vicini in
tempo, o 5 prefenti fono.Cófilte l'elfcr nobile nella virtù principalmente
del 6 la (tirpe, Se della fameglia : ma la generofità condite in non
vfei- 7 re, o tralignar dalla natura, & virtù dei fuoi maggiori, il
che il 5 più delle volte non fi vcdeaccafcar ne i nobili ; tremandoli
fpeflb S mol ti di loro vili, h umili, Se abbietti d'ani mo . Et pare in
vero» che eli adiuega nelle ftirpi, & fameglic dc'gli huomini vna certa fertilità
, Se abbondanza di ricolto per qualche tempo, fi come fuole auuenirca i
lauoratiui campi della terra alle volte ne i frut ti loro . perche fe la
ftirpe & fchiattad'vna fameglia farà buona, fi vedran per qualche
campo vfeir di lei perfone in virtù eccellenti. & di poi all'incontro
parrà , che come (tanca , Se quali sfruttata 5 di tai perfone, rem"
per qualche tempo di parturirne. Et in coti fatti tralignamcnti di fangui,
Se di ftirpi, loglion le fa m eglie d'acuto intelletto, Se di fottile
fpiriro,& fottile ingegno, degenera- re, Se tralignare in perfone di
coftumi adulti, melancholici> Se fu riofi-, come fi vede elTer quelli,
che fon difeefi da Alcibiade; & io quei parimente, che dal primo
Dioniùo per fangue deriuano . Et le fameghe dall'altra parte, che fon di
quieti, manfucti, Se graui co (lumi « / ^Detta r R^torica d*Arittotek^> co
ftu mi, tralignar foglion finalmente in perfone inerti, digrof- fo
intelletto, & quali ftolide, Se infenfate, come fi veggono
elfer quelli, chedaCimonc, da Pericle, & da Socrate difeeh
fono, (aj?o 16. De i cofiumi , & proprietà de i 'Ricchi
. Vai maniere poi di cottumi foglian feguitare, Se ac compagnar le
ricchezze ftando etti, aperto può cia- fchedun facilmente conolcere.
pcrochc foglion pri mieramentc 1 ricchi elfer contumeliofi , Se
oltrag- giofi, & oltra ciò fattoli, & fupetbi : facendo in
effi coli fatte difpofitioni, il polfelfo , & l abbondantia delle lor
ric- 3 chezze . conciofiacofa che clfendo le ricchezze la ricompenfa,
Se quafi il prezzo della ttima,& del valore di tutte l'altre cole, in
mo do, che chi polTìcde le ricchezze , pare che tutte le cofe
compran- do cófcgnir polla -, vengon per quello i ricchi a difporfi
d'animo, 4 non altrimenti, che fe tuttel'altre cofe polTèdano.
Sonopari- mentei ricchi macchiati d'vna certa effeminata molline, &
delicatuta, & molto fattoli ,& arroganti di fe medefimi. molli
de delicati fono per l educationc delicata nata da i commodi,
che portan le ricchezze . arroganti, Se faftofi oftentatori fono,
fi perche foglionocommunementegli huomini volontieri occuparli, Se
confumarc il tempo intorno a quello, ch'elfi amano, Se che ammirano, &
fi ancora per che lì danno a credere, che tutti gli altri tengano altrui
felice per cagion di quelle ftclfc cofe , che 8 tengonloro. Nè forfè di
ragion par, che in lor nafcaqueftapre- funtione, vedendo elfi, che molti
fono, che di coloro,che polleg gon ricchezze hanno di bi fogno. Il che fu
efprclTo daSimonide Poeta in quel detto, eh egli in proposto de i iapicnti
, «Sedei ric- chi vsòrvipondendo alla domanda fattagli dalla tnogliedi Hiero ne
. concioliacofa che domandato da lei qual delle due cofe fi do- uelfe come
migliore anreporre o l'elfcrricco, o l'clTer fapiente; rifpofe, cheei
vedeua 1 lapiditi raggirarli tutto'1 giorno, Se (lare 10 allettando alle
porte dei ricchi . S aggiugncancoraa confermar Tarrogantia de i ricchi ,
il parer loro , che lor fi debba , Se quafi per ragione appartenga vna
certa maggioranza, Se imperio (opta degli Dig Jl Secondo libro
. degli altri : {limando lord'hauer quelle cofc,Ie quali chi poflìede, (la
degno di dominare,& di comandare a gli altri . Er per dir breuemete
fono le maniere, Se li coitami de i ricchi quei medesi- mi, che farebber
d'vno, chefuflefortunatOjCV infiemementc ftolto.E^ ben vero,che no poca
difFeren ria fi truoua tra i coftumi, che feguon le ricchezze di nuouo
acquillate, Se quelli , chaccompa- gnan Ieanticamcntc poffedute. peroche
tutte le cattiue,c\: biaf. mcuoli conditioni, Se proprietà, che ne i
ricchi fi truouano,mol to peggiori fi fan conolccre in coloro, che fon
fatti di nuouo riechi . conciofiacofa chela nouità delle ricchezze fia quali
vna ini- 14 peritia del poflederle, & vna ignorantia dell' vfo loro.
Apprello di quello le ingiurie, Se le orlefe, che £mno i ricchi, non
(ò{;lion nafeer da pura ingiuftitia,& malignità, mapiù tolta o da
Scher- no, Se da contumelia, o vero da inconrinentia, Se da
inrempera- tia : come faria (per eflempio) il dar delle battiture, Se il
far for- za con violentati adulterij . fapo. De i coftumi di coloro,
che h ari gran- de autt onta > £f potentia Jopra de gli altri* de
i ben fortunati * Edesimamente li coftumi, che feguon la poten- tia,
l'autorità, Se grandezza di flato fon quah per la maggior parte man ifelli
. conciofiacofa che parte d'efli fian quei medefimi ne i potenti , che fon
ne i ricchi ; Se parte fian migliori, Se più comportabili, perciochc
le pedone potenti, Se di grande (laro tengon ne i coftu milorpiù conto
dell honor, & han più del virile, Se del grande, che non auuicn nei
ricchi . perche dando lor la potentia che gli hanno facilità di poter far
cofe preclare, applicano a quelle l'ani- mo, & fon cupidi di condurle
a fine. Sono ancor più diligenti , & manco otiofi , pofeiache il
pender di conferuar faluo il loro fta to, gli sforza a dar vigilanti, Se a
tener cura Se ftudio intorno alle cofe, che appartengono alla potentia
loro. Mcdefimamentc quel la grauità, che fi truoua in loro, ha più tofto
del venerabile, che del molcfto, Se fempliceracntc graue peroche
tendendogli quel la de- \ T>eHa Ttgtoried d'
sfrittotele^ la degnità, & autorità loro riguardcuoli , vengon per
quello a j moderare, & a temperare i modi, Se le maniere loro : non
eflen- do altro in vero quella venerabili tà, ch'vna mitigata , & ben
comporta grauità. Et fc pure eglino inclinano alle volte a fare
ingiu- ria, fon leoffelc, Se le ingiurie loro, non di cofe leggieri ,
& di 7 poca importanza, ma di cofe grandi, Se d'aliai mométo.
Quan to alla profperità poi della fortuna, ritiene ella inlieme quei
co- S (lumi, che noi leparatamente riabbiamo clplicati. peroche
tutte quelle, che fon communemente giudicate felicità di fortuna,
pa re, che tendano, Se inclinino, cornea puncipaliflìme parti loro ,
a quelli tre (lati d'huomini,ch" vi timamen te habbiam
detti.quan tunque a colmar coli fatta felicità concorrer foglia ancor l
hauer buon numero di ben qualificati figli, Se 1 hauer la pedona
dota- 10 ta di quei beni, che beni dei corpo fi domandano.Sogliono
adun que i ben fortunati più che tutti gli altri, traboccare ecce Ili
uame 11 te in fuperbia ; Se elfcr molto feonlìderati, Se poco configliatiui> o
difcoriìui nelle loro anioni : colpa della confidenza, che recali lor la
profperità della lor fortuna. In vna proprietà nondime- no, Se in vn
coftumc degno di lode , che feguc alla buona fortu- na a canto, vengono ad
eccedere i fortunati , Se qucfto è, che.fon pij, Se deuori cultori, Se
veneratori di Dio, & ripieni di ben co- pollo affetto verfo la bontà
di quello . conciollacofa che veggen- dofi cfll profperar ne i beni, che
dalla fortuna fon dati loro, facil- mente lì danno a credere, Se fi perfuadono,
che ciò adiuenga lo- ij ro per hauere Dio amico, & bcneuolo. Et fin
qui badi naucr detto de i coftumi, Se proprietà, che feguono alle diuerfe
età del i'huomo ; Se di quelli, che portan feco i varij tlati della
fortuna . 1 \ peroche i coflumi, che feguono a quelli itati , che fon
con- traria quelli , c'habbiamo elpofti , cornea dire al- la poucrtà
, all'auuerfa fortuna , Se ali impo- tenza, Se poca autorità, potranno
ren- derli manifefti con volger ne i y.r;i.»..* f contrari; loro i
luoghi, Se le conditioni , che alfegnate riab- biamo
• C*po jfl Secondo libro . / 6 p (apo ìS. Continitafion delle
cofe dette con quel- le, che shan da dtre nel rejlante di quejìo
fe- condo Libro . Erta co /c e, che l' vfo d'ogni perfuafiuo parlare
riguar g Ha finalmente qualche giuditio, o parer, che nalca in B
colui che ode. peroche per cagion di quelle cofc, che alcun fappia eiTcr
da noi conoiciute, & giudicare fecondo l'animo Tuo, non fa di bifogno,
ch'egli ce ne parli . & qucfto C'habbiam detto auuicne parimente fc
alcuno apprettò d'vn fo- lo,o fuadendo, o diifiiademlo via le fue parole;
come auuicne in color,ch'ammonifcono, o ccrcan di fare ad alcun fede di
qual- che cola : non douendo punto manco (li mar fi colui, a chi fi
par- 4 la, giudice di tai parole per eiTere vno . perche colui in
fiam- ma li può conucneuolmenre (limar giudice dell'altrui
parlare, nel qual fi cerca di far parlando nafeere perfuafionc, o
aiìcnfo, j o vno o più, che cofi fatti fiano. Il medefimo auuicne ancora, così
ncll'opporfi, col parlar nortroa chio litigando,o in altro modo ci fia
auuerfario ; come ancora in parlar fopra qualche 6 prò polla carila,
conciofiacofa che ancora in far quello facciadi Difogno d'vfar la forza
delle noftrc parole, & cercar di difeio- ^lier le cofc, che ci ficn
contra, òc contra quelle, come qua- 7 li contri d va© auuerfario, opporci
col parlar noftro. Similmente fi può quello medefimo dire, ch'adiuenga
neli'orationi dimofrratiuc venendo noi in quel genere ancora a
contìituir, come quafi giudici coloro, cha modo di fpcttarori , fi pongono
ad ascoltarci. Ma pigliando al tutto quella parola giudice femplicemente,
fi dee per giudice propriamente intender quel- lo, che nelle controuerfie,
& caule ciuili, le cofe che fi dubitano , & fi propongono , determina
con la fua (èli tenda . concio- fiacofa che de nelle caufc,che fi trattan
nel foro giudicialc, Se in quelle, che fi maneggian nelle confulte, fi
cerca in che ma- io nicra le (licno,& qual detcrmination fi conuenga
loro. Ma de i collumr a ciafeheduna forte di republica accommodari, habbiam
già a ballanza detto pr ima, nel trattar del ncncr dclibc- ratiuo : di
maniera che può parer c homai fia fatto chiaro in che Y maniera, Se
con L'aiuto di quai cofe, damo per poter far le noftre orationi coturnate. E t
perche trouandou in ciafehedun gencr d'oraiioni difhnto, Se appropriato fine,
riabbiamo per tutti i generi,. Se per tutti i finiailegnato loro, proprie,
Se accomoda- te opinioni, propofitioni, Se luoghi, onde fi polla
perfuadere,& *3 ^ ar fede confultando, demoftrando. Se litigando:
&: habbia- mo oltra ciò inoltrato de detcrminato donde, & come
formar fi debbian le orationi, & li parlari coftumati ; reità ch'ai
prefen te diciamo di quelle cofe, che communi fono a tutti li generi
di *S caufe, Se tutti i modi di far fede abbracciano. Commune
adun- que a tutti cnecclfario, chefiail feruirfi del poflì bile, &deH
im- poflìbilc, Se il tentar di mofhar nell'oratione tal'lior che la
cofa 1 6 habbia ad elfere, Se tal hor che la (la fiata t Se oltra di
quefto comune è ancora a tutti i generi, delPoratione, il confìderare,
Se moftrar la grandezza della cofa : conciolìacofa che tutti
fuaden- do, o difTuadcndo nelle confultationi, Se lodando» o
vituperan- do, Se acculando, o defendendo^vfino, Se tentino di cftenuarco d'ampliar
le cofe, o vogliam dir d'impicciolirle, o ingrandirle. tS Determinato
charem poi quefte cofe, faremo pruoua di dirqual che cofa degli Enthimemi,
Se de gli eflempi confederati ancora 1$ effi come communi a tutti i
generi, accioche-aggiugnendo poi doppo quefto fé cofa alcuna ne renerà da
dirli, poriam por final- io mente fine a quanto da principio fu da noi
propoiìo. Et è da fa- pere, che delle cofe, c'habbiara già propone come
communi, I amplificar, ch'appartiene alla grandezza, è alquanto più dome- nica,
Se accommodata alle orationi demoftratiuc, come già in al- ir tro luogo fi
è detto prima. La nn tura poi dell' elTer fiato, allegiudiciali è*
alquanto più familiare: riguardando lcfententie dei giudici , maflìmamente
le cofe fatte. Il poflìbil poi, & l haueread elic- le, alle
confultatiue caufe princi- palmente s'accommodano,. Se fi fan
domeftici . Jl Secondo Ulto. ìyj {apo t p. 'Della natura del
pofòbile, dell' ejjère fiato, & dell' hauere ad ejfere, & de i
luoghi loro£t della grandeX^a,^ piccolél^a con- fiderate m natura
loro . I ry»MK?| Omi sciando adunque dal potàbile, òV dall'impof- 1
y2^gS£I fibile diremo primieramente, che fé l'vn de' contra- èo^Sjtì rij
farà poffibile ad e il ere, o a farli, parimente l'altro contrario potrà
parer poffibile. cornea dir (per cileni pio) che fé gli è poffibile all
huom farfi fano, gli farà ancor poffi- | bilcildiuenhe infermo:
conciolìacofa che vna medeiìma for- za, & potentia fia quella di due
contrarij, confiderà» come con- 4 trarij. Parimente fe l vna di più cofe
trà di lor fimili faràpoffibi- 5 le,faranno ancor poffi bili quelle altre
fimili. Etfc poffibil farà vna cofa, che fia più difficile, farà poffibil
quella, che farà più fa- 4 cile. Et ancora teglie poffibile a fard una-cofa
in modo,chc la fia ornata, bella, & perfetta ; potràmedefimamente
farli femplicc» mente fenza quelle conditioni : perochepiù difficile (per
essempio) a farfi, e vna caia ornata, & bella, eh* vna cafa, che fia
femplieemente cafa. Oltra di qucfto di quella cofa, il cui principio fia
poffibile a farfi, farà poffibile il fine ancora : pofeiache ninna cofa di
quelle, che fono imponìbili, può mai farfi, o cominciare 5 a farfi : come
(per essempio) diremo, che mai non potrà farfi, ne cominciarti a fare il
diametro del quadrato al lato, ouero a la cofta di quello, con vna fteifamifura
commenfurabilc. Dall'altra parte ancora di quella cofa il cui fine fia
poffibile, farà poffibile il principio ancora : hauendo tutte le cofe, che
fi fanno , origine dal principio loro. Oltradi qucfto fc di due cofe,
quella che in foftantia, & in natura fua, oucr per via di gencrationc
fia pofte- riore, farà poffibile ad efler fatta, poffibil parimente farà
quella , che e anteriore, & preceder dee. come a dir (per ellempio)
che potendo venire alcuno all'età virile, puòancor venire alla fan- 1
1 ciullezza; douendo per natura quefta età preceder quella.Et
me» defimamentc per il contrario, fc gli e poffibil diuenir
fanciullo, poffibile ancor farà venire all'età matura, elTcndo quella età
prin 15 cipio di quefta. Quelle cofe ancora fi deono ftimar
poffibili» Y ij delle ìyf, *Della c Retorica d
'drìftotele^ delle quali fi truoua per natura amore, Se cupidità ncH'huomo
: peroche perii più nó e chi nmi, o appetilca le cofe, che fono impotàbili.
Appretto di quello quelle cofe, pollbno & cllere, Se I j farli, delle
quali fi truouano in piedi le feien tic, & le arti, quel- le cofe
medclìmamente pollon da noi ellcr fatte, il principio del cui edere, &
del cui nafeimento dà porto in cole, che o con forza, o con permasone in poter
noftro (ia di valercene. Se tali fo- no fc o più potenti d'elle, oucr
padroni,o amici di quelle damo. 17 Parimente le le parti d alcune cole
laran potàbili, faranno ancor potàbili li tutti loro. Se all'incontta fevn
tutto farà potàbile, faranno ancor per il più potàbili le parti fue.
concioliacofa che fe far (per esempio) lì pollon le fuola, Se le tomara,
parimente Ci pollon far Te (carpe : Se all'incontra fe lefcarpe far lì
polfono, faranno ancor pombilt a farfi le tomara, & le luola. Mede/ima- mente
fe tutto infamemente il gencr farà cofa podi bile, farà poflibile ancora qual
lì voglia delle fise fpctic. Se all'incontra fe pof- II lìbil farà la
fpetie, farà ancor potàbile il gcner tuo. come adir (per cileni pio) che
fe potran farli legni da naiiigafrc, potrà f.irfi la galera ancora j Se
potendoli far la g ilcra, potrà ancor farli vn le- zi gno da nauigare.Ohra
di quello le di due cofe, c riabbiano in lor natura relatione, Se rifpetto
di riferimento 1 vna all'airi a, farà pof libile l'vna,potàbil farà
parimente l'altra, come a dir (pcrcliean- pio) ctiesVna cofa porrà eller,
che fia il doppio d vn'altra, porrà ancor quella eirer la metà, oucroil
mezo di quella. 6c all'incon- tra porendo ciTer quefta la metà di quella ;
potrà ancor quella cC *5 fer di quella il doppio. Parimente fepotàbil farà
di farfi vna co- fa fenza aiuto d'arte, Se lenza diligano*, o preparatione
alcuna, maggiormenre farà potàbile a farli fe vi s aggiugne
l'induftria dclfarte, Se la oMigentia. Onde ben fu detto da Agathone, che moire
cofe li fanno alle voi te a calo; male medefimc facciam noi a j con
l'arte, e con l'induftria, che la nccetàtà ne mollra . Mcdefi- mamente
s'vna cofa può cfl'cr fatta da quei, che fono di mcn va- lore, & di
forza, o di potentia inferiori; mageiormen re potrà x6 eiler fatta da
perfone contrarie alle già dette, li come dille lfo- crate, parergli cofa
graue, fc quello, c haucua imparato Euthi- mo, non fulle egli badante a
poter trouare, Se a poter fapere. Quanto poi alle cofe impotàbili, chiara
cofa è, che da i contrari j luoghi di quelli chabbiarao adeguaci lì potran
comprendere. Per Jl Secondo libro . i ?j Per conofeer poi fc le
cofe fiano fiate fatte, o non fiano fia- te tacce, potiam difcorrere,
& eonfiderare, nel modo, eh al prc- fente diremo. Pnmieramence adunque
(e quella cola , che man- co in Tua natura è atta a farfi> nondimeno è
fiata fatta, farà an- cora Itara fatta quella, che maggiormente in fua
natura afarfi è habile. Et Ce quello, fi vede fatto, che fuol farli
doppo, viene ad elfere ancor fatto quello, che far fi fuol prima,
cornea dir(perellèmpio) che Ce alcun lì làrà (cordato di qualche
cola, 30 l'harà ancora in qualche tempo imparata, ouer faputa .
Medefi- mamentc s alcuno è,chabbia potuto, & voluto fate vnacofà, flimar
lì dee, chei habbia fatta : conciohacofachc tutti quando potendo fare
qualche cofa, voglion parimente farla, lenza alcun dubio la fanno, per non
hauere in tal cafo cofa, che gli impedifca. Il medefimo fi dee dire ancora di
chi habbia hauuto la volo tà di farla, 6c nelfuna cofa eftrinfcca dalla
partedi fuora impedi- 31 tol'habbia. Parimente s*alcuno harà potuto far
qualche cofa,5c in quello Hello tempo farà flato accelo d'ira, ch a farla
incitato l'habbia ; fi può affermare, che l'habbia fatta . Et il medefimo s'ha
da dire di chi habbia potuto far qualche Cofa, & habbia in- fiememéte
hauuto qualche cupidi ù, di in fligato velhabbia. perciochc per il più
coloro, c 'han poter di far cofa,della qual fiano defiderofi, & cupidi, la
foglion fare, a ciò induccndogli,fe cattiui, &vitiofi fono, la loro
incontinentia, & le fon virtuofi» J5 l honcllà, & bontà dei
defiderij loro. Oltra di quello s alcuno era in vltima preparatone
totalmente in punto, 8c in ordin per fare alcuna cofa, fi dee filmare, che
l'habbia finalmente fatta: 36 efTendo verifimil, che colui, che Ila già
del tutto parato a fare v- na cofa, in modo, che nulla gli manchi per
efeguirla, laefeguifca, 3c la faccia per ogni modo . Mcdcfimamctefe fi veggon
fat- te tutte quelle cofe, che foglion per natura precedere, &c andare innanzi
a qualch'alrra cofa, ouer per caufa di quella fono, fi può 3 8 (limar, che
quella tal cofa fia fatta ancora, com a dire, che Ce farà balenato, fi
potrà dir parimente, che fia tonato. cVs'alcunoha- ràaifalito, o fatto
forza, o attentato di far la cofa, potremo ereder, che l'habbia fatta. 8c
dall'altra parte ancora Ce lì veggon fat- te tutte quelle cofe, che
foglion per natura feguire, &c andar die- tro a qualch altra cofa, o
per caufa delle quali quella tal cofa fia; fi dee (limar, che fia ancor
fatta quella tal cofa, che di natura và loro innanzi, o per caufadi quelle
ha l'elfcrfuo. come a dir, che 41 fc gli e tonato, bifogna, che ha
balenato : Se s'alcu no harà dato effetto al tal delitto, o alla tale
ingiuria; fi potrà ancor credere c'habbia prima attentato, alTalito, Se
fatto forza di farla. Et di tutti quelli, che come luoghi habbiamo
allignati , alcuni fon ncceilarij, Se ch'infcrifeono, &"
concludono di neceflìtà ; Se al- cuni fon più rollo verifimiii; Se han la
forza loro per il più,cVper la maggior parte. Quanto poi al poter
inoltrar non effer la cola Hata fatta, potrà ciò clfer noto dai luoghi
contrari; a quelli, ch'a moftrar chelafia Hata fatta, alfcgnati habbiamo . Et
da quelli medefimamente potrà diuenir manifefto quanto occorre
intor- 46 no al moftrar, c'habbia la cofa ad clTère. percioche quelle
cofe, che fono in poter di chi voglia farle, fi douerà ftimar,
c'habbiam 47 da ellerc in ogni modo. Mcdelìmamente fe con ira,o con in
ten- ia cupidità, o con rifoluco difeorfo di ragione, ch'in ftighi a
fare vna cofa, farà congiunto il potere ancora ; fi douerà
crcder,ch'el- 48 lafia per elici e, ouer per farli. Et perla medefima
quali ragione, le vedremo, ch'vna cofa ftiagiàgià in procinto, &
inordin per fai fi, o per clfcre, potiamo affermar ch'ella fia per haucre
effetto : pofeiache per il più fogliono effettuar/i più tolto quelle
cofe,che fon parate, & polle in punto, Se inordin perfarfi, che
quelle, che co tal preparation non hanno. Olerà di quello fe fi veggon già
in cf fer quelle cofe, che foglion per natura precedere, & venire
in- nanzi a qualch'altra cola, debbimi credetene quella ancora
hab biada cllcre. come a dir, che fe il Cielo farà coperto di
nuuole, 51 potrà verilìmilmenteafpettarlì, che la pioggia venga. Parimente
fe fatta farà quella cola,laqual per cagion d'vnaltra fi fuole
or- dinariamente fare, vcrilìmil ria, che quell'altra ancora habbia
da effettuarli come a dir, che fe fatti fatano i fondamenti d'vna
ca- j 1 fa, verifimilmc te ancor fi fat à la cala. Quan to poi alla
grandez- za, Se alla piccolezza dellccofc, Se aU'efler quelle, o maggiori,
o minori, o finalmente grandi ,0 picciolc, può quello renderli 53
manifcfto per le cofe, che già habbiam dette innanzi . peroche nel trattar
noi dilopra delle cofe appartenenti alle confufte, Se al gencr dcliberatiuo,
fu da noi trartaro della grandezza dei beni; Se infienie dcll'cirer
maggiore, Se dell'efièr minore, fcmpliccmc- 54 te in fe confiderati. Per
laqual cofa elfendo in ciafehedun gencr di caule propoli o per fin qualche
bene, come a dir l' vtile, 1 bonetto, e'1 Jl Secondo libro . / 7 j $
$ do, c'1 giudo, può efTer manifedo, ch'a tutti li detti generi,
per l'araplincatione, che lor bifogni fare, pollon fcruir lccofe,
che j6 quiuida noi furori dctte.Onde tutto quello, choltra a
quel,ch'ap partiene a i detti generi, di più fi confideradc, 6c diceflè
della gra dezza, de dell'eccedere, confiderati in fefempliccmente,
fareb- 57 befouerchiamente, & fenza bilògno detto . conciolìacofa
che nelle facultà,chan da eder porte ncll'vfb,& nell'attioni,più
prò- prie fieno le confiderationi applicate alle cofe particolari,
che quelle, che fi fanno fernpliccrnentc intorno alla natura
dcll'vni- |S ucrfalc. Quanto apparticneadunque a veder, fe le cofe fon
po£ fibili, o imponìbili, & fc le fon fatte, o non fatte, Se le l'hanno da
edere, o non han da edere, Se quanto parimente appartiene alla grandezza,
& piccolezza delle cole, può badar, quanto ha qui li è detto
* (apo 20* Dell' Jffimpio, 0 vero Induritoti reto- rica> &
delle Jpetie Jue, lor condit ioni, & del modo dyjarle^ collocarle
nell'oratione. Està che diciamo di quelle pruouc, Se vie di far fede,
che fon communi a tutti li generi di caufe; pofeiache già detto habbiam di
quelle, che fono, o all'vno, o all'altro genere appropriate. Sono
le communi pruouc* & vie di far fede, generalmente due,
l'edcmpio, &r Entimema. percioche quanto alla fenten- 4
tias'hadadimar, che la fia parte dell'Enthimema. Direm dun- que
primieramente dcirElIempio : edendo l'edcmpio fimilc al- j l'induttionc,
la quale ha ragion di principio,. & di precedentia 6 nell'argomentare*
Di due fpetie adunque fi foglion trouar gli 7 edempi. l'vna fpetie
s'intende elfer,quando fi predono, &c sad- ducon neli'edèmpio cofe,
che veramente fonafbtc, 8c li domanda propriamente edempio. L'alrra fpetie
s'intende poi eller quando noi dedì fìngiamo, Se neHimmaginauon trouiamo
le 9 cofe, che neiredempio addur vegliarne* Et cotale fpetie hà
due parti, o vero è di due maniere, l'vna fi domanda parabola,
oucr 10 Similitudine : & l'altra fi chiama Apologo, ovogliam noi
dir fauola : come fon (per edempio) quelle d Efopo, & quelle,
che fi foglion, / ? DelIa Tlgtortca d' Àrìftotelc^> li fi
foglion chiamar le fauolc AtFricane. L elfcmpioadunqucche propriamente fi
domanda esempio, farebbe vn cosi fatto, co- me te noi diceflUmo eller ben
di far prouifionc, & apparato per opporfi contra'l Rè de i Pcrfi,
& non lafciare in modo alcuno, il ch'egli occupi, de Ci faccia padron
dell Egitto, percioche Dario non prima limette apalTar con reilercito in
Grecia, ch'egli hauclTe occupato 1 Egitto ; il che fatto, fi motte fubito ad
ailàlir la Grecia, parimente di nuouo Serfe non prima fece il
medefimo palleggio, che quella fìeilà Prouincia hauefl'e foggiogato, &
fog- giogara che l'hebbe pafsò ancora egli con le fue forze in
Grecia onde al prefente ancora fe a quclìo Rè vien fatto
aimpadronirfi dell Egitto, fubito poi artalirà la Grecia: & per quello
non fi dee 14 permettere , eh* egli fenimpadronifea. Le fimilitudini poi,
le quali per la frequentia, che tencua Socrate neH'vfod'cfie, So- lò
cratichc fi foglion dire, farebber, come fe (per efiempio) alcun dicefle
non eilcr ben fatto l'clcggere,o crearci magi (Irati a
forte. conciofiacofa che il far quello farebbe limile a punto, come
fe alcun volendo elegger giocatori di pugna, o di lotta, non
pren- deilc quelli, che più robufti, & più atti, & potenti fusero
a tai 18 contefc,ma quelli, che ne delTe la pura forte : ofe tra tutti
quei, che fi trouaflcro in vna nane, fi ponetfc in forte l elcttion
del Nocchiero, o Gouernator di quella : come ch'a gouernar
Pha- ueiTe, non chi meglio hauefiè di ciò la peritia, Se l'arte, ma
chi dalla cafual forte prò pollo fulle. Apologo, & fauolapoi s'hà
da inrendere elTer qual fu quella, ch'vsò già Stcfichoro con tra
di Falare, & quella parimente, di cui fi fcruì Efopo nella difenlìon xo
il' vn concitai or del popolo. Stefichoro adunque vedendo che gl'Imerenlì
haucuano eletto Falare per Capitan generale con fu- jjtcraa potcftà, 8c
confultauano oltra ciò, di concedergli guardia di foldari per la fua
pedona, fra l'altre cole, ch'egli a diilliadcr qucfto dille, vsò ancora il
prefenre apologo, o ver fauola, dicendoloro, eli 'vnCauallo fi trouaua già in
vno ampio prato, de io? 10 tutto lo godcua,& lo polledeua.mil
foprauenendo vn Ceruio, & cu 1 aneto, difhirbando, & imbruttando
tutto quel pafcolo , 11 Cai ilio defidcrofo di vendicarti contra del
ceruio, domandò configli o da vn huomo, s'egli ordine con ofccllc alcuno
da pote- re egli con lui infieme galligarc, & punir quel ceruio. A che
ri- fpoic l'huomo, ch'a ciò gli baftarebbe ianimo, quando elio ca- Jl
Secondo libro. 777 «allo prendclTe nella bocca vn freno, o vero vn morfo,
Se egli fopra di lui falilfe, de con nafta, over lancia in mano, conerà
del ccruio andante. Piacque il difegno al cauallo, Se accettato
ilmor- fo,& fotopoftofi al caualcar deirhuomo,in cambio di vendicarli
: contradel ccruio, rimafe foctopofto, Se in potere Se fcruitù dcl- *
2.1 rhuomo. Così voi Imerenlì (dicea Stclìchoro) guardate , che mentre che
volete, Se cercate di vendicarui contra dei voftri nemici, non veniate a
patire, Se a prouar quel, che patì quel Ca- uallo.concioliacofachegia vi r
toniate hauereil morfo in bocca, hauendo fatto Palare con tanta autorità
Capitano, Se Imperator voltro : onde fe concedendogli ancor la guardia
della fua perfo- na, ve lolafciarete in quella guifa falire addollb,
nonèdubio»' che perduta la libertà volìra, da recargli lerui, óc l'oggetti
non i. riabbiate. Efopo parimente hauendo prefo a difendere in
Samo vn potente Cittadino, vfurpator delle loftantie publiche, Se per
t tal caul'a acculato, Se polio in pcricol d'cllcr condonato a
morte; 14 dirte trai altre cole in difenfion di lui, che vna Volpe
gia,volcn« do paflare vn fiume, era caduta in vn follo, Se non potendo
per la cupezza di quello vfeirne, era (lata quiui tutta afflitta
affai buon tempo con grande incomodo, & difàgio fuo. Se trà gli
al- tri mali fc le eran col morfo appiccati addollb molti tafanelli,
o \cfpe canine, che glivogliam chiamare. Eceflcndo ftata acafo villa
da vn Riccio, o ver da vno Hiftrice, che quiui errando an- daua j com
mollo a pietà di lei, la domandò s'ella lì contentaua , ch'egli le
leiiallc da dolio quei tafanelli, il che elTendogli da lei negato,&
domandandola egli per qual cagione la non lene con- i£ tentalTe, ella così
gli nfpofc. Quelli animaletti hormai fon quali pieni, & fatij
dellanguc mio, Se poco più horamai nefugono. Qfr doue che fe tu
cacciandogli mi libererai da quelli, verran (libito degli altri tutti
affamati, Se finiran di fucchiar tutto lauanzo del 15 fanguechc mi
èrimafto. In quello raedefimo modo o Cittadi- ni di Samo (diceua Efopo)
collusene voi cercate di gal^gar', fro- llandoli già fatto ricco, non vi
fa quafipiù danno alcuno, ina fe voi condennandolo a morte, ve lo leuaretc
via dinanzi, non ma- chcran di fucceder de gli altri in luogo fuo,poueri,
Se bifognoli, li quali vfurpando, Se furando, non refteran di confumar
quel , t6 ch'ancora reità delle follantie publiche. Mora così farri
apologi, ouerfauolc, fon molto accommodatc aquella forte d'orationi
, Z che jyg 'Della Teorica d 'ÀrìUotelt^ che fi Tanno alla
moltitudine. & han quello di bene, chedoue chegliè cola difficile il
trouar cali, & fatti veramente accaduti, clic fien limili a quello,
che inoltrar vogliamo j il trouar così far- 28 te fauole, non c difficile
: eiTendo in poter noftro il fingerle, & formarle ad immaginatiooe, fi
come le parabole, ouer lefimilitudini ancora : purchel'huomo fiahabile a
fapercauuertire, & conofeer la fomiglianza, che fi truoua tra le cofe.
Il che potrà rendere in gran parte facile, l'aiuto della Filologìa. Son
dunque affai facili a poterne diuenir copiofe, le fauole. ma nelle
con- fulte fon più vtili gli eflempi, che proecdon conlecofc
dette, 32 veramente accadute: pofeiache per il più lecofe, che
vengon poi, fon fimili a quelle, che nel paflato fono auucnute prima
Quantoallvlo dcircifempio poi,a!hor farà bifogno all Orarore d vfargli clTcmpi
in luogo di demoftrationi,& d'Enthimemi, quado nó harà Enthimemi. ma
quado nó gli raacarano Enthi- memi douerà vfar gli efTcmpi,quafi in luogo
di tcmmonij,ponc« dogli peraggiuta,& cófermationedoppo gli Enthimemi.
Percio- chegli elfcmpi porti innanzi a gli Enthimemi diuengon fimili
a vna induttione: ne è dubio, che linduttione all'orati oni oratorie non
fia punto propria, & vrile fenon molto dr rado, ma fe fi pofpongono,
vengono a renderli fimili a temmonij, li qua- li inoqni luoj;o,che fi
truouino , fono vtili, & badanti a far fede. Et per quello
ènecellàrio a colui, eh antepone gli clldn- pi agli Enthimemi , il porne,
& 1 acidume molti : douc che a chi gli pofpone, & pon doppo,
balla, fenon più, daddur- 3 ne,& di porne vn folo : pcrochc vn fol te
(limonio- degno di fede è badante, 6V vrile a prouare* 40 Quante
fperic adunque d'eikmpi lic- no,& in che maniera Se
quando s'habbian da trat ta r e, & da porre in vfo,
riabbia- mo a ba danza fin qui ve- duto. Jl Secondo libro.
j 2)^& Sententie oratorie , f^*// ///tf* / & per falute della
propria patria : over s'vno altro volen- do dare animo di combattere a
quelli, eh in minornumero dei 45 nemici fulleio> dicefle, che Marrec
cpmmune. o fe parimente qualch'aluo fulTe, che volendoci efortarca cor la
vita a i figl^chc iien reftati d vno, che fia (lato vccifo da noi ; per
inoltrai ci , che tal cola non fia per eilereingiuflamente fatta ,
dicelle> lìolco,& lenza intelletto e colui, c'hauendo vccifo il
padre, lafcia i figli re- 44 ftareinvita. Appretto di quelìo alcuni
prouerbij (ono, che fen- ten tic (limar fi deono ,* cornee quel trito
prouerbio, Foreftiero 45 in Athenc. Conuieneancora alle volte, Se e lecito
dir 'fen. lentie pppofte, & contrarie a quelle, che già per innanzi
diuulgate, & fa mofe fieno. & per famofe, & diuulgate le
intendo io, come è (pei efìempio) quella, Cognolcc teflello> &
quell'altra, Nell'una 46 cola vuole eller troppa. Étalhora (penalmente fi
dee, & Ci pup far quefto, quando (i vien con quefto a porcr dare
apparcntia di maggior virtù, & di miglior coftumc, o ver quando
trouandofi colui, che parla grandemente conturbato, manda fuor le
parole 48 concitare da qualche grauc affetto . In calo di pertuibation
d'af- fetto farebbe (per eifempio) s alcuno frollandoli tutto
infiamma to d'ira, dicelle cfler fallò, & non ragioneuolmcntc detto ,
che biibgni conofeer fe medefimo : percioche fccoftui hauclfc ben conofeiuto
fe Hello, non fi farebbe giambi llimato degno d'efler 49 Conduttiero,
& Imperaror di quello cirprcuo. In cafo poi di dareapparentia di
miglior collume, farebbe ( per eifempio) s al- cun diccire, che non con ui
erre aruar, fecondo che dicono, come fes'hauefle doppo ad odiare ; ma più
rollo per il contralio con- uicne odiare,come fe a qualche terupo dappoi s
haiieUe ad ama che in neiftina cola (ha bene il trop- po, Jl Secondo
libro . ifj po,cociofiacofachegli fruomini federati fi dcbbian fuor di
mo- J5 eia odiare, Recan veramente le fenreniic molte vii] tra non
pic- $6 ciolc all'oratione . L'vna prende occafionc, & fomento
dali'mi- J7 petfettione, Se \ anità de gli afcoltatori . percioche quando
fen- con, ch'alcuno in dir cjualchecofa in vniuerfale,li rincontri
apu to con la (leda opinione, ch'elfi n haueuan prima in
particolare, jS godono, & guftano in ciòdilctto. ma meglio quel, eh io
dico potrà capirli, Se renderli manifefto, quclto modo : & io fieni
eme- te potrà farli chiaro in che maniera s'habbian da crollare, &
da }9 procacciar le fententic Già fu da noi neldimnir di (opra la
(crf- tentia detto, eller quella vn proferimento,© alic i i mento, o cn
m ciationc, chela vogliam chiamare, fatta di qualche cofi in gene- ro
rale r ondccoloro, che hanno prima generato nell'animoopi- nion di qualche
cofa in particolare, quando poi Icnton confor- marli con quella tale loro
opinione, quel, cheli proferi fcc in vniuersale ; prendono in ciò piacere,
cornea dir (pei elìèmpio) che salcun farà, c habbia incomporrabiIi,&
pcllìmi Vicini appretto; o vero fcelerari , Se viriofi figli ; accerrerà,
& approuerà per ra- gioneuolmente detto, s'ad alain fentirà dire in
vniuerfale, non eltcr la più moietta, & noiofa cofa, chel'haiier
vicini : o ver che non può 1 huom far cofa più (tolta , che cercar d hauer
figliuoli . 61 La onde fa di meitieri di procurar di conofecre, Se far
conicttura prima, &: fàper in fornma, quali fieno i pareri , & le
opinion de gli afcoltatori, & di poi con la fentenria adherire a
quelle, com- 6$ prendendolcin vniuerlale. Et quella» c'habbiam detta è vna
del- 6+ Letalità, che reca l'vfo delle fen renne. Vnalrraven'è' poi , Se
di maggior momento, & è, chele feruono a firl oration coltnnn- 6$
ta. tic alhor fi dee dire, chel oratione habbia collii mc,quando in> 66
elfi appari elettione , c'1 voler di colui, che parla, il
chetimele fenrentic fnno ; comequelle nellequali, colui,chcrvfa Se le
prò ferifee, altèrifcein vniuerfale quel, ch'egli ftima intorno
aqual- 6j che cofa theibile. Laondefe buone, Se honeftefiiran le
fentcn- ciefaran confeguenremente buono, & virtuofo apparir colui
, *S chele proferifee Della fententia adunque per conofeer che cola
ella fia, Se quante fpeiie di quella fiano, Se in quale occalione , Se
tempo fi debbiano vfare, Se quali vulirà finalmente rechino, può ba- llar
quanto fin qui fi è detto / S 4. TteRa 'Retorica d* Arìttotdc^ (apo
22. TV gli Gnthimemiì & de i precetti necejfarij all'vfi di quelli .
Et quali fi ano gli ènthimemi puri prouatiui , £f quali gli
re- darguitimi & reprobami . I - leieciie loro . concionacela che
queite due conli- 3 derationi fiano tra di lor diuerfe. Che l'entimema
adunque fia vna certa forte di ullogifmo, già habbiam noi detto prima, de
pa 4 rimente di che maniera fiafillogifmo, & in che cola dai
iiliogif- 5 mi dialettici differifea. Pcrcioche in quefto da eflì è
diuerfo, che non bifogna nell Enthimema raccoglier le conclusioni da
premei fc molto con la lor vniuerfalità remote : nè manco bifogna
prcn- 6 der tutte le cofe, a raccoglier con concluiìonc. pofeiache la
pri- ma di quefte due cofe con la troppa diftantia renderebbe la
pruo 7 ua ofeura : & l'altra darebbe apparentia di fuperrìuità, &
di gar- rulità , raccogliendo, & fillogizando cofe totalmente
manifelte» 8 ¬e. Et quefta fi dee iti mare cAcr la cagione, che con
mag- gior facilità, perfuadono alla moltitudine coloro, che fon
poco periti , & di pocaerudirione ; che non fan gli eruditi, c i
periti . $ come ben moftran di conofeere i Poeti, facendo appreflb la
mol- titudine parlare gl'imperiti, & poco eruditi, più gratiofamentc, 10
& più attrahibilracntc. concioiìacofa che i dotti , & gli
erudiri nelle pruoue loro procedano con caufe communi, & per
vniuer- I I falità remore : douechc gl'imperiti procedon con le cole,
ch'in particolar fon lor note, &c che più propinque, Seal fenfo
(kclTo 11 più pronte fono . Per laqual cofa non li deon formare,
«Scdedur gli Enrhimemi da tutte le propolìtioni , ch'in qual fi voglia
mo- do pollono a qualunque fi lia parer vere •> ma da quelle , che
pof- 1 * fono a determinate perfone parer tali ; come a dire a gli
afcoltatori , c hanno da giudicare , o vero a tutti , o alla maggior parte
di quelli, il giuditio dei quali fiaapprouato, &c (limato da gli
ftefli , } giudici^ Ji Secondo lihró . igy l $ giudici, o dalla
maggior parte d'elfi . Parimente non fi dee rac- cogliere, 3c concluderne
gli Enthimcmi (blamente da premefle necclFane, ma ancor da quelle, che fon
vere per il più, over per : la maggior parte. Horquanto alle communi
auuertcntic , che s'han d'hauere intorno aìl'cnthimema vniucrlàlmentc
confideràto, primieramente s'hadauuertire, che di qual fi voglia colà, di
cui s'habbia da dire, de da fillogizare, o con lillogifmo di ma- teria
ciuilc, o con qual fi voglia altro, fa neccllariamenre di me- ftieri,chc
fi pofl'eggan per note, o tutte, o almeno alcune di quel x 8 le cofe,
ch'in efiTa li truoiiino, & d'cllà ii verifichino . pcroche fé nota
alcuna di quelle cofe non ti tìa, non barai confeguentemert te donde tu
polla di quella tal cola raccogliere, Oc dedurre con* 19 clulioneaLuna .
Voglio dir (per eficmpio) come potrem noi dar confìglioagli A theniefi fc
dcbbiam pigliare ,0 non pigliare a far la tal guerra , non hauendo noi
prima notitia delle forze loro , 6c delle militie loro ? come a dir (e le
fon marittime, o ver fcrreftri, ol'vno, & l'altro, & quante fiano
in numero, quai fian l'entra-ic, quanti i danari, & quali, & quanti
fiano o gli amici , o i nemici loro. Et oltr.i di quello quali fiano fiate per
l adierro le guerre, che gli hanno hauute, & in che manicra,& con
quai fuc a 1 celli le habbian maneggiate, & altre cofe tali .
Medefimamcnre come potrem noi parlare in lode,& gloria loro, fe non ci
farà mi fintamente nota la battaglia nauale fatta appretto di Salamina ,
o il fatto d'arme di Marathone, o l'opre egregie fatte per la
faluez- zadc idefeen denti dHcrcole, oaltre lor cofi fatte gloriofe
im- ai prefe? pcroche tu ti i coloro, che han da dar lode ad alcuno,
Ihan da cauarc dalle cole lodeuoli, che o fiano, o appaia che fiano iti
\ elfo . Et perla medefima cagione dalle contrarie han da dedurre il
bial mo : confiderando (e alcuna di quelle fi truoui veramente in colui,
che biafmar vogltofro, o almeno appaia , che vi fi truo- «i . coroefe in
biaùnar ( perch'empio ) gli A theniefi fidiccfle, che eglino Aggiogarono ,
cVa fc fcccr fuddita, ck fcrtu tuttala preda: & che clfcndo Itati gli
Egincti, & li Potideatiin aiuto, 8c ki cópagnialoro contra 1 barbari
lor nemici ;-6c ellendofi in cjò portati cgregiaméte,& có gran valore,
erano Ilari nódimcn da lo- ro in fcruitù ridottile*: fe finalmcntein altre
coli ratte co/e, hauef Icr cómelTo gli A theniefi errore; onde venir loro
ne porcile biaf- i; rao.Nó altrimcci ancora coloro, clic nelle
caufegitidiciali accufa- A a no,o / 8 slla r R^6rtca d
'Jrìftotelzj no,o difendono,altróde nó traggon le nccufationi,&
ledifenfio- ni, che dalle cofc,che fi truouano,o fi verificano nella cola,
del la 16 quale eflì trattano . Ne importa punto, o fa dirferentia alcuna
, per far quanto habbiam detto chela caufa di cui fi tratta,
riguar di gli Athenicfi, oi Laccdemonij, oqualchc huomo, o
qualche Dio,oqual fi voglia cofa. pcrciochc le (per ellcmpio)
voleffimo dar qualche conliglioad Achille, o veramete voleilìmo
lodarlo, o bialiraarlo, o accufarlo, o difenderlo, farebbe bifogno,
che procacciaci mo, Se come note pofiedeflìmo le cofe, che in
Achil le fi truouano, Se che di lui verificar fi poflbno, o ch'almcn fi
eie &S dc,chc vi fi truouino, Se fc ne verifichino : acciochc tra
quelle prcndclltmo in lodarlo,o in biafimario fe alcune ve ne fufler dell’onefte,
o delle brutte, Se in accufarlo, odi fenderlo, fc alcune jo vi fu (Ter
delle gi urte, o dell'i ngi urte :Se in dargli finalmente con- figlio,
prendemmo quelle, che vi lì trouafleroodannofe,ovtili. 51 Ilfimil
parimente in tutte l'altre cofe intender fi dee, fecondo c'habbiamoin quella
d'Achille detto : come a dir, chefes'hada trattare, Se cercar fe la
giuftitia fia bene, o non bene, dalle cofe, chc # nella giuftitia, o nel
ben fi truouano, o di lor fi verificano , 31 harem da prender le parole,
& le pruoue noftre. pofeiache in qucftaguilafi vede, che procedon
nelle loro argométationi tutti coloro, che fillogizano, o più
efquifitamente, o più grollàmcn- tc, che qucfto facciano, peroche non
tutte le cofe,che vengon lo ro innanzi, fen za di ftintione alcuna prendon
per dedurne le lo- ro argo mentati oni, ma quelle (penalmente cleggono,c
han qual- che ìnherentia. Se verifica tion nella cofa,chc particolarméte
han da provare. Et che così fi debba fàrcoltra rcfperiétia(come
hab- biam detto) ci s'aggi tigne la ragione ancora: per erter
manifefto, ch'impofllbil cofa fia di provare, Se di moftrarc altrimenti,
che nel modo, Se con 1 auucrtenria detta. Onde è mani fcfto, che
fi come fi dice nella topica, auuenir ne i fillogifmi dialettici,
è uccell ino d'hauer prima, che s'argomenti, la fcelta di quelle cose,
ch'intorno a qual fi voglia foggetto, pollbn d ello verificarti , 0 per
qual fi voglia occafion venir per caufa di quello in vfo. Et in quelle
cofe medefimamenre, le quali di prefente, Se quali al- limprouiftaci fon
pofte innanzi, fa di mcfticr di farla medefima preparation e, Se viaria
medefima auuertentia, d'hauer l'occhio a elegger, non tutt c quelle cofe,
che come indifUnce, Se communi di- Jl Secondo libro. j oi dinanzi
vengono; ma quelle, chadherenti fiano, &habbia« no in fomma a far con
quelle, di cui s'han da diffonder le pruoue, & le argomentationi :
procurando nnalmcnted haucrne in maggior numero, che fi polla, Se quanto
più fi polla vicine Se appropriate alla cofa (Iella, concioiìacofa che quanto
maggior nu- mero haremo di cole c*'habbiano inhercntia, & verifìcation
ne i (oggetti, ch'a trattar s'habbiano, tanto più facil fia per elfere
il trattargli, Se il far fopra quelli le pruouc noftrc. & quanto
dal- l'altra parte più faran vicine, Se congiunte con quei tai foggerei
, tanto più appropriate, & mcn communi, verranno ad ellcre. per
comuni intendo io,comc farebbe fé per lodare Achille lì di- cefie, ch'egli
era huomo, ch'egli era heroe, ofemideo, che vo- gliam dire j Se ch'egli
militò prefente nella guerra di Troia, tut- te quelle cofefi poflbn dir
communi ; come quelle, che in molti altri ancora conuengono, Se fi
verificano : Se per confeguente chi in quella gitila lodalfè Achille,
niente più verrebbe a lodar lui, che Diomede ancora. Per appropriate poi
intendo io quel- le cole, che in nell'uno altro (oggetto fi truouano, Se
fi veriricano, che in qucllodi cui trattiamo, comeadire in Achille
l'ha- uer lui data la morte a Hettorc fortiflìmo fopra tutti gli altri
Tro iani ; l'hauere vcciCo Cigno, ilquale, hauendo da i fatti di
non potere ellcr ferito, impediua ai Greci lvfcir delle nani peraccàparfi
in tcrra^'elfere andato all'imprefadi Troia di più renerà e- tà, ch'alcun
degli altri principi della Grecia, Se l'cllèrui andato di fua volontà
lpontanca,fcnza elfere a quello a(lrctto,come tuc- 43 ti gli altri, da
giuramene & altre cofe così fatte. Qucfta, c'hab- biam detta, c dunque
vna auuertentia, ch'intorno agli Enthi- memi s'ha d'hauere, Se confitte
nell'elettione, & fcelta delle co- fe verificabili Se inherenti a
quel, che s'ha da trattare,come hab- biam veduto, Se è in così fatte
auucrtentie, come primo luogo . Segueal prefente, che noi diciamo degli
elementi degli Enthi- memi, Se per elemento intendo io il medefimo, che
luogo del- 4; l'Enthimcma. Ma prima che facciam quefto, e ben fatto di dir 46
quello, che neceflariamente fi dee dire innanzi , Se quello c,chc due fono
le fpctie degli Enthimemi : alcuni fono, che fi doma- dano aucrtiui,o ver
prouatiui, che direttamente molliano,& pruouan la cofa edere, o non
elfere. & alcuni altri fi domandano redarguitiui, o vero reprouatiui.
Se differifeon quelle due fpe- A a ij tic i 8 8 T>ella ^tprìca
d'Aritiotele^> tic frà di loro nella maniera, che dillet ilcono
appreflo de i diale> tiri l'Elcncho, & il (illogilmo. Lcnthimema
adunque allerti- uo, & puro pi (iii.it ; no è cj nello, che conclude
di rettamente col mezo di premcllc confette, & conce iute per vere.
& il redar- gmtiuo è quello, che conclude cola repugnanre alle già
concedo dute. Hor noi già riabbiamo intornoa cialchedun gener di cau- (e
allignati tutti lì può di*,quafi i luoghi, ch'ad elfi generi polfa- 51 no
eilere vtili, cV necellatij : hauendo con diligente (celta alli- gnato a
ciafehedun di loro, appropriate propolitioni, dalle qua* li, comedaptopnj
luoghi portoti dedurli , (k formarli cnthime- mi dell'vtile, 6c del
nociuo, dell nonetto, & del brutro, del giu- ji fto, & dell ingiù
fto . Parimente intorno a 1 coftumi , cV intorno agl’affetti , Se a gli habiti
Immani, lì truouano eletti, &de- / j terminati da noi già prima
appropriati luoghi. Onde al prefen- tc refta, che con altro nuouo modo, di
tutti i luoghi in commu- ne, & non più d vn genere, che d vno altro ,
tra vniucilalmentc J4 confederati , ragioniamo, & didimamente in far
quello auucr- tiamo, & inoltriamo, quali feruir debbiano a gli
enthimemi rc- prouaciui , o ver redarguirmi, & quali a gli
a(1èrtiui,& pioua- e j uni . & medefimamente quali fieno vtili a
quelli enthimemi, che apparenti, & non veri enthimemi lono, come
quelli , che né an- j6 cor veri fillogiimi (limar li deono . Et dichiarate
c'harcrno turre quelle cole, difeorreremo, cV determinai emo delle
folunoni ,0 verdifcioglimenn,& dell'inllantico vero obbicrioni ,
ch'occor- ron farli contra de gli enthimemi, per annullargli, &
mandar- gli a terra. (apo 23. T^e i luoghi communi, & quali
tra gli Enthimemi fien quelli , che di nobiltà , £f di perfezione
eccedino . N luogo dunque appartenente a gli Enthimemi af- fcrtiui, o
ver prouatnu, dircmo,chc (iaquello,che dai contrari) li domanda .
perochefì deeeon elfo confiderà re, s vn contrario (ì verifica d'vno
altro contrario, o negatiuamente, fevorrem deftrugge- tc, &
concluder con necatione, oaficrmatiuameote le coniti iu- te,
& m Jl Secondo Ithro . iSjr f rr, Ce concluder con arici
mation vorremo . comc(pcr eflempio) diremo eli eccola ville il vuier
temperatamente, perche il viucre 4 jnrcmpcratamentc.ccata.dannofa,. ,comc
fc ne tede «(Tempio nell orationMetTcniaca, douedicc, Sclagucrraè caufadi
que- fti prelcnii mal», con la pace fi porri por remedio, & trouare
cine j daadcllì. vno altio cirempio può eller quello ; Senon è cofa
ra- gioneuole accenderli d ira conerà di quelli, di i quali lì fia.
con- erà lor voglia riccuuto male, parimente non lì dee co ragione
ha- uerc obligo, o render gratieachi contra fua voglia lia llaco
nccef 6 fttato a far giouamenco alcuno . Et in quello, altro ch'empio
an- cora, Se lì vede (peno accader fra gli huominì , che molte cole
fi rcndon credibili, lequali fon veramente falle, lì dee
parimente perii contrario Iti mar moire cofe folercauuenircagli
huomini 7 ch'eirendo vere, incredibili appaian loro . Vno altro luogo è r
che fi domanda da i cali o ver cadimenti limili . conciofiacola che
fi-, mi I mente faccia di mc(tieri,che tai cali o ver cadimenti fi
truoui- no cllerc, ononcifere. come (per cucio pio) diremo, che
non tigni cofigiuftafia bene, o ver cofa buona : pcroche fc
quello fuile farebbe ancor ben rutto quello, che nauuicn guidamente
. & nondimeno non e cofa, come bene ad alcuno cligibile 1 ellèe 5
tolto di vita «nuftamente. Vn altro luogo è poi, ilqual confitte in quelle
cofe, che l vnc all'altre fi riferirono, & vn certo cam- • bicnol
rifpet:o tengono, perciochc fc (perch'empio) il farla tal , cola,c
honclto,ò\:giulìoa colutene la fa,farà ancora aira!tro,che la riceuc.cV la
pate,honefto,& giudo il patirla, e'I riceuerla . & fc farà giù Ito
^ll'vno il comandare, che la tal cofa fi faccia, firà ancoc 10 guitto ali
altro l'obbedire in farla » come parlando de i Public.™ i, ( cioè di
coloro,checóprauano,& negotiaua fopral entrate publi che) foleua dir
Diomcdon te, ch'era vnodi quelli, diceua adùque, fea voi non e cofa
brutta,o infame il vender le publichc entrare» 11 ne ancoi dee eflcreanoi
cola brutra.il comprarle. puoflìdire ancora, che fc ad vno farà cofa
honefta,& gioita il riceuere,& pa tire il tal danno,farà ancora
all'altro Cofa guitta, & honefta il far- lo . & all'incontra fc
farà nonetto il farlo, farà parimente honc- nello il panilo . Ma e
d'auucnire, che ncll vfo del prefente luo- go può alle volte accader fallacia
, & fallo lillogifmo: pofeiache s'aleno meritando la morte, perdette
guittamente la vita , none dubio, che guittamente non patine, &
riceucttc tal danno, ma non / p o T>eHa Storica
eUdrìHotelcj non per quello forfc patc egli tal danno giullamenrc da te ,
pollo 13 che giurtamentc non habbia ta fatto ad vcqdcrlo. Et per
quello fa di mellieri di conliderar teparatamentc colui, che patc,s ci
me ritamente, & guittamente pare, & colui, che fa, fc
meritamente, & grullamente fi , & fatto quello , feruirfi dellvna,
& dell'altra delle dette cofe , fecondo che più vedremo accommodarfi
alla cofa $ che moftrar vogliamo, concipfiacofa che alle volte fia
quan toal giullo, Se nongiulìo, tra'l patire,^: fare,qualchc
difcrepan- xj ria ; ne ci e caufa, che prohibifea, che la non vi fia .
come lì vede ( perch'empio) apprcilb diTheodettc nella Tragedia
intitolata Alcmeonc . dice dunque Alfcfibca ad Alcmeone ; Chi è quel
trà rutti gli huoraini,chc nó odiane tua madre? a che egli
rifpondc- dodilfc,chcfaccadi mellieri, che quelle cofe,(cioc la mortc,cY
li demeriti della madre) fi cótideralfcro feparatamcrc, &
diftintame te.cV domàdandolo Alfefibcn, in che modo, foggiunfeegli, degna veramente
di morte quei giudici la giudicauano -, ma non giaap partenerfi
giuftamentea me lvcciderla. Ma tornando agli ellcm del prefente luogo, vn
tale è quello,che fu vfato nella caufa,& giuditiodi Dcmofthene, &
di coloro, c’aveuano vecifo Nicanore . percioche hauendo i giudici fententiato
hauer grullamen- te fatto coloro in vccidcrlo> fu parimente (limato da
ratti cflerfi implicitamente giudicato in quella fenrentia , hauer lui
giutta- 18 mente riceuuta quella morte. Mcdelìmamentc cflèndo
ftaro ammazzato vno in Thcbe, nel trattarfi in giuditio quella caula
, tutta la forza detta pofero i giudici in difeutere fe l'vccifo era
(la- to degno di quella morte : quali che per quello moftralTcr di
(li- mare i giudici, non edèr cola ingiuda IVccider chi fia degno ,
Se ts> guittamente meriti d'etfere veci lo . Vn altro luogo è
chiamato ao dal maggiore, & dal minore, come adir (per eliempio)chc fe
gli Dij no fan tutte le cole, non le fapranno in modo alcuno gli
huo mi . percioche quello modo di dire imporra quello, che s'vna
co fa non li ritruoua, nò fi verifica in quella, doue più trouare ,
& verificar 11 douerebbe, è cofa chiara, che manco fi rroucrà,
olì a i verificherà in quella, doue manco douerebbe . Ma il dir, che
co- lui,che batte il padre,batterà ancora li vicini, &c congiunti
fuoi, prede forza da quello, cioè che s'vna cofa e vera in quello ,
doue manco douerebbe, farà ancor vera in quel, doue più donerebbe. a
i di maniera che può cflerc vtil quello luogo all'vna cofa, & all'altra econdo
libro . i f / tra : cioè a moftrar , che la cofa fia , & a montar ,
clic la non ila , tj Parimente può feruirea inoltrar , clic non più, ne
ancor mene vna cofa, che l'altra , ma vgualmente , Se parimente ambedue li verifichino
de i lor foggeti . Onde ha forza quel detto, Tuo pa- dre dùque dir lì dee
milerabile per hauergli tolto la morte i (noi figli, & Oeneo non lì
donerà due anch'egli infelice,hauendo per tj dutoil fuo figlio, ch'era lo
fplendor di tuttala Grecia? Et ancor fé lì dicelle, che feThefco non fece
cola ingiù Ita in rapire Elena, ne ancor l'ha fitta Alell'andro. Et fc il fatto
dei figli di Tindaro, non fùingiulto, ne quel d Alessandro dee eller tenuto
ta- »7 le . Et fc Hettore in vccidei Patroclo, non macchiò la giuftitia
, 15 ne Paride ancor la macchiò in ammazzare Achille . Et fc gli
al- tri artefici, &. periti d altre facultà rton fon degni di
bialmo,li Ft- ij> lofofì parimente non ne dcono cller degni. Et fc a 1
Capitani de gli filerei ti, non dee recar biafmo,o macchia, alla lor repu
ratto- ne il reftarealle volte vinti, Se fuperati,mcdelìmameute non
dee 30 queltorccarbiafmo ai Sofifti. Parimente s vlarebbe il
medefì- mo luogo, fc in Senato coli (ì dicelle, Se gli è conucncuole,
che ciafehedun priuato procuri, & habbia a cuore la publica
reputa- tione, & la publica gloria voltra, e cofa ancor con uencuole,
che 51 voi a cuore habbiate quella di tucta la Gre eia . Vn'altro
luogo 3 1 Ci truoua,óc che n'auucrnfcc, cheli cófiderino li tempi . del
qual li feruìlfìcrate nclL'oration , eh ei fece in fauor d Harmodio.q
nar- do dice ; Certamente fc egli prima, ch'ei fitccilH opera, c'ha.
far- lo, vi hauefle domandaro, che quando ei faccllè.vn tal latro ,
voi gli concedente l'crertion della lhttua, non è dubioalcuno.che voi promelTb,&
conceduto non glie l'haueltc , hora hauendo egli tfeguico il farro , non
glielo concederere ? non vogliarc dunque comportare, che quel premio, che
gli barelle promelfo nel tem- po, che voi hauellcafpetrato il beneririo
come futuro, hora in te po, che nceuuto l'hauetc, gli fìa da voi quafi
ritolto. Fu parimé- te porto in vfo quello luogo da chi perfuadcr volena a
i Thebani chedouendo paffar Filippo per il dominio loro a i danni de
gli jj Athenicfì,gU co needellero il palio , eh' ei domandaua. dkeua adunque,
che fe prima che Filippo delfe loro aiuto con tra i Fo- ccnlijhauellc egli
domandato quclto paltò cglir» certamente glie i'harebber promelfo. onde è
cofa fuora d ogni comtencuolezza» c'hauendo lui in aiutargli proceduto con
elfi con tanta gencrofi- U, lenza / Ttella Teorica cT
ArìftotciLj tà, fenza domandar conditionc alcuna , per la confidenza ,
ch'in elfi teneua, non gli concedino al prefente il palio.
Vn'altro luogo e ancora, la forza del qual confitte in ritorcer le ftefle
cole dette, contra di chi le dice. & fi può trouar qualche
differcntia nel modod'vfailo : fi come in vn modo fi vede vlato nella
Tragedia di Teucro . & parimente l'vsò 1 liei .ne conerà d'
Ariftofon- tc. pcrochc elFcndo domandato A ri fio fonte da I fiera te,
s'egli per danari li fu Ile indotto a tradir lenaui, & hauendo
rifpofto , che non ,* foggiunfc Ificrate, Tu dunque edèndo Ariftofontc non
le $2 tradire Iti , Se le harò tradite io ellendo Ificrate ? Ma in
quello modo d vfar quello luogo, fa di bifogno,chc colui, cótta del
qua le s'ha da vlare,fia communcmcnrc tcnuro più di(pofio,&
incli- nato a far cofe ingiufte, che colui, che 1 vfa: alrriroeoti chi 1 v
fas- ica ppanrebbe ridicolo,comc auuerrebbe a chi acculato da Ai
i- Aide, nella detta maniera gli nfpondefle. In vno altro modo fi può
viar e] licito luogo con cercar di tor fede all'acculato re, mo- Orandolo
lottopofto al medeiìmo delitto . percioche ordinariamente pare, che fi
ricerchi, Se sai petti, che color , ch'acculano , -& riprendono,
fieno migliori degli accufaci, Se de i riprefi. Può eflcr dunque vtiliflìmo
quello luogo vniuerfalmente a contradi- re a qualunque fi mette a ri
prenci ere altri di quello ch'egli itefiò fa, o farebbe, o veramente ii
mette ad eforrar,che fi Ceciati quelle cofe, ch'egli non fa , o non farebbe
mai. Vn'alrro luogo li truoua chiamato luogo dalla dimni:ionc:come le
diccflìmo,i De moni non elfere altro, che o>gli ftcflì Di
j,oopcre>& fatture de (fi dij . onde qualunque (limai a cllcr 1
opra de gli Di j> verrà uccella riamente a fti mar, elicgli Di) lìano .
Se come parimente d' vno» ches'infuperbiua pcreiferdel
fangued'Harmodio,.& d'Ari ftogi ione, difie Ificrate, genero filli mo
eflcr colui, che ila ottimo , & valorofiflìmo: conciofiacofa che in
Harmodio» & in Ariftogito- nenon ha 11 elle luogo cofagcnerofa alcuna,
prima ch'operaro no haticlTcr quel gcncrofo farto . & che più
congiunto , & prollìmp era egli loro, percioche le mie anioni (diceua
egli) & li mici gc- 4ti» fon più propinqui, &: più congiunti a
quelli d Harmodio, Se d A"(logitonc,che non fono i tuoi . Parimente
in quella orazione, che/u fatta in fauord'Aleflàndro , fi legge folci li da
tutti có- /cilarc, eh i lafciui, Se poco in amare nonetti fon queili, che
non fi contentano, ne filàtiandi fruire, & godere vn corpo
lolo. Socrate Jl Secondo librò . Si i $3 Socrate ancora
rendendo la ragione perch' egli non voleua anda- re a crouarc
Archclao,diceua douerfì ftimare efler contumelia , Se vergogna il non
poter rare in vn certo modo vendetta , & ri- compcnià, cofmci benefitij,
che lì riccuono ,corac nciroffefe. Tutti quelli adunque ne i già porti
cifcmpi , hanno primamente con difrinir la cofa, che vogliono, moftrato
quel, ch'ella fia,& di poi con la forza di tal diflinitione, han
proceduto a prouarc l'in- fo tento loro . Vnaltro luogo e ancora, il qual
prende vigore dalla moltiplicata fignificatione dvna medefima parola, fi
come nei libri della Topica fen'c addotto eilcmpio dell'aiiuerbiogrcco
hor thos, (che lignifica appreso di noi, rettamente , & appretto de
i 5 1 Greci è parola moltiplice, cioè di più lignificati) Vnaltro
luogo fi truoua poi fondato nella diuifionc : come fc noi diceflìmo ,
le tutt» quelli, che fanno ingiuria, per vna delle tre caufe la fanno
, o per quella , o per quella , o per quell'altra ,* per le prime
due chiaramente è imponìbile, che coftui l'habbia fatta ; Se
quanto alla terza, gli accufatori (tedi non l'adducono, né 1 han per
vera, 51 Vnaltro luogo è poi, chedepcnde dall'indù ttionc ; come fc
ne 5$ ycdecirempioin quella lite, ch'accadde ncll'Ifola di Peparethia
. douc cercando vnodi prouarc, eh al giuditio delle ftefle madri
in ogni luogo fi fuol rimetter la detetminationc di chi fieno i
Égli 54 loro ,* diceua che in Athene dubitando Manthia oratore , fe
vno era veramente fu o figliuolo, fu decifa la caufa fecondo la
de- 55 termination , che ne lece la propria madre, quclìo
medefimo auucne in Thebe: douc efiendo controuerfìa tri Ifmcnia,&
Stil- bone di chi loro filile figliuolo ThcfiTalifco , Dodone fua
madre fu quella, che col fuo parer dichiarò, che gli era figlio
dlfmcnia; Se per quello fù poi fempre minato, Se chiamato Thefialifco
d'If $6 menia. Theoclcttc ancora vsò quello luogo in quella fua
oratió 57 della legge, douc dice,fe a coloro, che trafeurati, eUa
T{etprica d* Ariti otelz^ quando per prouar , clic eia nitri fono honorati
gli huomini fa- 61 pienti, come lì voglia che nel relìo fiano, dice clic
quelli dell'I- tala di Parohebber grandemente in honore Archilocho, nò
ofta re che fu Ile mordaciflìmo mnldiccnrc. quei dell'Itala di
Chio, hebbero in honorc, & in venerationc Homero, quantunque Cic tadin
lor non fufTe . Saffo ancora, non olìante che Tulle Donna , fu fopramodo
celebrata, Se tenuta cara da quei dell'Itala di Mi- €1 tilenc. I
Lacedemonij parimente , ben che per l'ordinario non fian molto amatori de
gli ftudij delle buone lettere > per honorar tfj nondimcnChilone,
l'accettaron nel lor Senato. In Italia ancora fu Pithagora tammamentc
reputato, ancora ch'egli forclìicro in ^4 auclla prouincia fulVc. fi come
forelticro, & peregrino era Anaf (agora a i Lamfaceni,& non di
manco lhonorarono d'ornatillì- hio fepolcro, Se aheora hoggi duran di
celebrarlo , Se d'hauerlo in pregio. V farebbe ancor quello ftelfo luogo
dell'induttione chi volendo prouar, che le Città, che lì goucrnan col con
figlio di huomini fàpienti, viuon taliccinenic, dicefie, che gli
Athcnicfi mentre che vfarona, Se olìerwaron le leggi di Solonc, furon
Tem- pre felici : de il medefimo fi puòd'irde gli Spartani, mentre,
che vifTer con le leggi di Licurgo: Sé in Thebe parimente, come
pri^ ma in man d huomini fapieriti , pieni di hlofoha , venne la
po> renria,& l'autorità, cominciò quella Città a poter parer
felice. 66 Vn'ahroluogo fi truoua ancora, ilqual depende dal
giuditio,che altra volta lilla fatto, o della fìeUa cofa,o d Vna-fimUeo
d'vnftOó traria . Se miiflìmamente fc diluii iti^^fcroprè farà flato
cengia dicato: Se tatton da tutti gli huomini , almen dalla aggior
par- te, o ver da tutti li fapicnti, o almen da ì;più, o da i migliori
. & parimente fe farà (tato fatto altra volta tal giuditio da
quelli Aedi giudici, dinanzi a i quali è la cauta ; o ver da pcrlonc, i
cui pareri fian da loro apprezzati , o da perlonc finalmente,al cui
giù ditionon fia lor lecito opporli , come lana fe lor (ignorilo
padro ni tallero, o vertali , che non fu ile cola honctìa d efler lor
con- trari) nel giudicare , quali ( per ellèmpio) fon gli Dij , i padri ,
li precettori, Se fimili . fi come Autocle vundo il prefentc
luogo ditfc, contradi Miflìdemidc, le l'Eumenide , che fon Dee no
re- cufarono, ma fi compiacquero d agitare, Se tartopor la caula
lo- ro fieli Ariopago,recufcràMiiIìdemide,o non fi contenterà di
farlo? over come diflè Sarto eirere infelice, & mala cofa il
morire, Jl fecondo libro. j pj rire, poi che gli Di; coli giudicano :
perche fe con" non haueficro ilimato.non edubio ch'ancora em* nó
haueiler voluto poter morire. Arithppo ancor lì valfc di quello luogo centra di
Platone: concioiìacofachchauendo detto Platone non io che
alquanto troppo azeramente, & ouinatamente per quello, eh ad
Ariftip- po pareua , fc gli oppofe con dire, eh vna coli fatta cofa non
ap- 74 prouaua l amico loro, intendendo egli di Sociarc.
Hegelippo parimente nel domandar con àglio dalloracol d Apollo in
Delti, li feruì della ri (polk fattagli daiYOracol di Giouc in Oiimpo ;
do- mandando Apollo, fcil medefimo pareua ad elfo, che era al padre fuo
paruto: come che lì itimilfoch ad Apollo haueueda parer poco bonetto l'oppor li
al padre, liberate ancora per confer- mar che Helena full!- virtuola
fiata, dille che coli l'haueua «iu- 76 dicataThefeo. Se per confermare il
valor d Alcllàndro , allegò che per tale le ftellc Dee giudicato Ihauetiano. Il
medelimo llo- cratc ancora per mourar,ch'Euagora fuiìc huom d egregia
virtù, addulTe il parere, cV giudi tio di Cononc : il qtial nt gli auuerfi
, & calamitoii cali fuoi, pofpofti turti gli altri potenti
Principi, cjcucdi rifuggirli ad Euagora, Se di confidare alla v irt ù , Se
alla 7* feded elio la ialine fua. Vn altro luogo c poi , il qual li può
do- mandar luogo dalle parti, fi come nella Topica 11 è porto in
cf- lempio, qual ione di mouimcntofia quello dell anima: perche «ella
fi muouc , bifogna che o di quello, o di quel moui mento li 7) muoua . Se
ne vede ancora edèmpio nella difen/ionc, che di So- crate fece Th codette,
quando egli dice, Qual Tempio , o altra t* cofa facramottrò mai Socrate di
non hauere in honore, odi dt- fprczzarc? qual di tutti quelli, che la
Città fua appruoua.cc ticn • So per Iddij, non ri ueiK Se venerò egli
tempre > Vn'altro luogo fi truouapoi, che fi può chiamar da i
confcgucnti,ilquale, perche nella maggior patte delle cole accade, che
fegua , & vada dietro lor qualche cola di bene , Se qualche cofa di
male ; c infegna , Se c inrtruifcc a confiderai quella cofa , che fegue,
Se col mezo di quella fuadere, o dilTuadere, acenfare, o difendere , &
lodare , o *i vituperare, lecondocheci torna bene. come(percircmpio)all
e- nuluionc, Se di(ciplina delle buone lettcre.feguc di male
l'Ulcrc inuidiato, 7 54 cafchi : come fc ne vede effe m pio in
vna argomentation di fi- orare . percioche hauendo egli vn figlio d'era
molto renero, «5c quafi fanciullo, ilqual per erfer di flaturadi corpo,
alto adii più, che l'età non comportaua, era ricerco dal magiilratoa
fopporta- re i carichi, Se le fatighe publiche ; dille in difcnlìon di Un
Ifìcra te, clic fc llimauano, che i fanciulli alti ,& lunghi della
perfona fuilèro huomini maturi, doueuano ancor ragioneuolmentc
fti- m.irc, Se giudicare, che gli huomini maturi piccioli, & bafli
dcl- $6 la perfona, fu itero fanciulli. Theodettc parimente fi feruì
dique fio luogo nella fua oration, che fece delle leggi, dicendo , Se
voi hauetc donata la città dinanzi a quelli de i nollri loldati
mcrcen- narii, ch'egregiamente fono fati vtili a quella Città , fi come
ha- uetc fatto a Strabace,& a Charideno, non faretevoi efuli,&
fcac darete dalla Città quelli, che le fono Itati con la loro infolcntia
, 57 & infame viltà dannofi ì Vn altro luogo è quello, che confitte
in voler, che fc vn mede fimo accidente nafee da più cofe, fian
pari- j8 mente vna ftelTa cofa quelle cofe, donde egli nafec. come (per
ef- fempio) argomcntaua Senofane, dicendo, che nonaltrimenti fi
dimoftrano impii , Se poco religiofi coloro , che pongon la na- fcitadcgli
Dii, che quelli, ch'affermano, e riabbiano ancora elfi a morire :
conciofiacofa che all' vna, &: ali altra di quelle pofitio # ni fegua,
ch'in qualche tempo gli Dii non lìano. Et fi può in fom ma vfar quello
luogo in pigliar nella conclulìone quelle cole vna per l'altra , come
s'vna (Iella cofa fiano, dalle quali vno Hello ac- xoe cidentenafec. come
faria (per essempio) dicendo, Ilgiuditio, chefete per fare in quella
caufa, & la fentenria, che fetc per da- re, non riguardarà veramente
Socrate, ma lo (Indio, cheshab- bia a porre intorno a la filosofia, fe fi
debba più lìlofofarc, onò. & in quello altro elfempio, ch'il dare
acqua, Se rerra, non lìa altro, che darfi in feruitù . Se in quello altro, che
il volere accetta- re, Se entrare in quella pace commune, non fia altro,ch
obligarlì 103 d'obbedire alle volontà de gli altri . Sidee dunque con la
virtù di quello luogo, delle due cofe, dalle quali vnollelTb
accidente nafee , pigliar l'vna per l'altra , fecondo che ci larà più
vtile . 104 Vn'altro luogo prende forza poi dal diuerfo volere , c hanno
in ti inerii tempi gli huomini, in non clcggcrco volere vna ftellà
co- fa in vn tempo prima, o in vn tempo poi, ma IpeiTc volteil contrario .
come ne può eilete elfempio qucll Endnmcma; Se quan per il quale
deb biamo auuertir, fencl fatto sinchiudon cole, ch'in elio f acciari
contradittionc , o repugnantia alcuna . fi come l'vsòScnofanc re fpondendo
a 1 Cittadini Eleati ; li quali domandato haueuan da lui conliglio
s'eglino doueuano vfar di pianger quando facufìca uano a Lcucothea, (o
Matura, che la vogliam chiamare ) rilpofe lord unqiie Senofane, che
s'eglino haueuano opinione, ch'ella fu ile veramente immortale Dea, non
doueuan piangere : óc fe per Donna mortale la reputauano , non le doueuan
facrifìcarc, 14 j Vn'altro luogo riabbiamo ancora, la cui forza è porta in
confide- rai qnalch'crror di difauuertentia, &con laconfcflion di
quello accufatc, o difenderli, come ( per elTèmpio ) nella Medea di Cai ci
no, gli accufatori di Medea le imputauano, de l'incolpaua- no , ch'ella
hauclle vccilì i figli, poi che elfi in alcun luogo non compariuano .
Laqual accula haucua prelo occafione dall'crror, c'haueua fatto Medea
d'hauer fegrctamente fatto allontanarci figli per faluargli . ÓVellainfua
difenfion diceua, c hauendo da fare vecifione, non i figli, ma Io fttlTb
Iafone harebbe vecifo. Ór che quello era flato veramente l'error fuo, il
non hauerlo vecifo: & ch'in vero harebbe ella peccato a non far tal
cofa , fe quella al- 149 tra haueilc fatto . Da quefto luogo, & da
quello modo , & for- ma di dedurre Enthimcmi, è comprefa tutta la
prima parte, o ve i/o ro il primo Libro dell arre di Theodoro. Vn'aUro
luogo è anco- ra, ilqual prende forza da 1 nome della colà, o ver dall’etimologià: ^ i
J i già : qual luojjo vsò Sofocle, quando parlando d'vna Donna
cru dele.chiamara Sidira,chc ridotta in lingua noitra lì può
chiamar Ferreria , dille , che conuenctiolmcntc portati^ ella quel nome
. i Ji vfato ancor lì vede nell'Odi, Se ne i Canti, che lì fanno in lode
de 1 Si g M Dei . Conone ancora folcita dir,chcThtalibulo,cra
veramé- tcThrafibulo (cioè remcrario,&: precipitofo ne i configli fuoi
. ) i J4 Medcfimamentc Herodico diceua , a Thralìmacho , che
femprc farebbe Thralìmacho (nome chea noi luona litigiofo, cV
audace i/f in contender femprc.) Et a Polo foleua dire il medefimo
Hero- dico, che femprc era Polo (nome, cha noi importa, di fanciullc- \$6
fca lafciuia macchiato. ) Di Dracone legiflarorc ancora era det- to, che
le leggi fuc, non cran d'ini omo , ma di dracone , cllèndo i $7 in vero
molto afpre, rigorofe, 6V difficili ad ollèruaru" .
Appretto d'Euripide ancora dice Hccuba conrra di Venere , Non lenza
ra- gione ri domandi tu Afrodi te,elfendo tu la Dea della ftoltitia,
Se il rifugio de gli (tolti (che cofi fuona nppreflo de i Greci quel
no- i j8 me.) Chcrcmon parimente dille, che Pcnthco fu cofi
chiamato, quali che con quel nome s'indouinallcr le future calamitofc
mi- ferie fue. Trà gl’entimemi poi li redarguitiui, o ver
reproua- tiui eccedon di gratta, Se di forza gli allertili : , & puri,
Se diretta- lo mente prouatiui . perochc raccogliendoti in vn ccrro modo
in 161 riftretto i contrari; infiemencll Enthimema redarguitiuo ,
ven- gon porti in quello modo in parragonc a farfi più nianifcfti a
gli 161 afcoltatori . Ma di tutti poi gli Enthimcmi, & liilogi imi,
coli re- darguitiui, comcaHertiui,quclli maflimamcnte fono atti a
commoucrc,&: a fare imprcifion ne gli animi degli auditori, Se
con maggior quali applanfo fono acccttarì , liquali non ptima a
pro- ferirti fon cominciati, che chi gli ode, coniettura, Se
comprende i *3 il resto pcrfemcdelìmo. Se ciò,non perche caufa ne fia la
troppo 164 fu per fi ci al facilità, Se chiarezza loro ; ma perche fon
formati in modo, che gli auditori poflbn con 1 ingegno loro preuenire
l'in- 16 f tclligentia d'elfi, Se fentir di ciò gran diletto . Son
doppo quelli Eni h irne mi in fecondo grado d'cccellentia quel li, a
i quali tanto oltra a punto feguon dietro con l'apprcnnon quei, che gli
odono, quanto che Cubito , che fon finiti di proferirli , fon da
quelli fenza fatiga imeli . ìf C a P° Jl Secondo libro. 2 o
j 24.. Che fitruouino Snthimemi apparen ti, & quali epftano
h&dei luoghi commu- ni, che pojfon lor Jerutrc^j . Onciosi acosa
che poflìbil Ha, che fi rruoui vna for. tcdilillogifrai, che veramente fon
fjllogifmi, Se vna fortedaltri, chefillogifmi veramente non fono,
mano paion dellere; nè feeue necctfariamente.ch'eircndo afi entimemi
ancora etti lillogilm., Ciccia di mcfhcri, che di loro ancora alcuni lian
veramenteenthimemi, & alrn non cllendo ve i ri enthimcmi , habbian
nondimeno apparentia d'effi . I luoghi adunque degli Enthimcmi, che non
veri, maapparenti fono! faran quelli, che qui feguono. Et vno primieramente è
quello, / che pende dalla locutione , più che dalla cofa . nel quale
com- prendendoci più parti , vna di quelle shà da intendere efler , c (
fi comeauuicncancor nella Dialettica , ) quando non ellendofi
ve- ramente ullogizato , fi proferire nondimeno nel finc,& fi termina
a conclufione con tal modo, &con talcallèucratione, co me fillogizato,
& veramente conclufo fi fufie. come farebbe a dire , adunque non è la
tale, & la tal cofa, ncceirariamen- € te e adunque la tal cofa, Se la
tale. Et tanto più fi può faro ucfto ne gl, enthimcmi , che nei
fillogifmi, auanto,chc negli entimemi .1 dir, che fi fa implicato , Se inuolto,
Se ripieno d'oppofi- tioni, può facilmente parere enthimema : poi che vn colf
fatto proceder non dillefamcnte ordinato, come nel fillocifmo, elfo 10 dee
la regione, & il fito dell’entimema. Et puòqucllo modo , ? 1 ? a ? n
°' C ! a biam derro ' P"er fimile a quella fallacia, chap - prello de
1 Dialettici prende il nome dalla figura della locuzione. E a quefto modo di
dir fillog.iìicamente più tolto per virtù di lo cutione che di cofe è
vtile ancora il raccoglimelo d, più capi conclufi con altrifillogifmi .
ilqual raccoglimento fatto con ari 11 de efficacia,^ apparentia di nuouo
argomento, come fe (per ef- le ™P»o) diceffimo, A molti ha egli recato
falute, ha vendicatole U voftre ingiurie ha ridotto nella fu a libertà la
Greca. Gafcun aunquedi quelli capi con altro appartato argomento è flato
con cjulo: ma raccolti, & porti tutti iniìcmefanno apparentia,
clic Ce ij da lo- 2 o *Della 'Retorica d'j4riHotelc_j doloro,
quafida nuouo argomento, fi cócluda qualchal tra colà. 1 4 Quella dunque,
c'habbiam dcrta, è vna parre del primo iopradet to luogo. L'altra parte
poi Uà polla ncli'equiuocatione, ovo- 15 gliam dire ambiguità, & varia
lignification dclleparole; come auuerrebbe in dire, che mis, (cioè il
Sorcio) fulle molto Ignora- bile, 6c degno di lodceflendo da quello
denuato il nome di cola tra tutte le cofe facre, degni (Ti ma, «Se
venerabiliflìma. pcroche quelle cofe facrc,che fi domanda milleria, tutte
1 altre di degnirà, 16 de di venerationc auanzano. Il medesìmo auuerrebbe
ancora , s'alcun volendo con lodi innalzare, & celebrare il Cane,
com- prendere in tai lodi quelledellc llelle del cane in Ciclo, &
quelle del Dio Pane ,clfcndo egli da Pindaro chiamato cane,quando
di ce, O veramente beato, poi che da gli Dij immortali lei chiama- 1
8 to vago, & delitiofo c ine della gran Madre, & grande Dea. o
ver fe periodar parimente il cane, li di cefle, che rcltando prillato
di molte cofe degne di lode, chi non ila in alcun modo cane, nefe- 1
s> gue, ch'ornamento, & pregio rechi lcller cane . Mcdefima mente
vfarebbe il prefente luogo dell’equivoco, chi periodar Mercu rio, diceire,
ch'egli fulle, cenonico , ( cioè cornili unicati 110 di bendi tij, o benefico,
che vogliam dire) più che turti gli altri Dij , pofeiache Colo egli frà
tutti gli altri fi chiama, cenos, ( cioè coni- lo mune). Parimente
Ivfarebbe, chi diccllè, che logos, (cioè il parlare, o veri oratione) Alile
cofafopra tutte 1 altre pregiati (lì ma, pcroche gli huomini di gran virtù
, non fogliamo per ingrandir- gli dire, che lian degni di ricchezze, ma
che fian degni di logos , (cioè di Ai ma, e di pregio) di maniera che
quello, eh e di eia nm , affion logu, (o ver degno di logos) contiene non
vn folo fignificaro, ma più, (cioè degno d oratione, & degno di pregio).
Vn'al tro luogo per gli E ut hi memi apparenti fi truoua ancora, la
cut virtù conulte in prendere, & dir per modo di cópofitione,
quel- lo, che diuifo intendere, & prender fi dee , o ver per il
contrario per modo di diuifione quel , che lolamente compollo li
truoua ti vero, pevoche potendo fpeilc volrc parer, ch'il medefimo impor ti,
6V la mcdefima verità contenga il dir la cola ncll' vno , & nell’altro de i
detti modi, quello d'elfi fi donerà pigliare, che tome». 13 rà
maggiormente a commodo. Et in cofi fatto luogo è fondata quella
argomctatione vfata da Euthidcmo a prouaread vno, che fapelTe egli in
Pireo efler 1 armata, o ver le galere : pcrcioche l'v- Jl Secondo libro .
2 of na, Se l'altra delle dette due cofe fcparatamentc fapeua , cioè fa-
pcuaeircnn Pireo, & fapeua le galere. Il fimile auuerrcbbe sai enn
volefVe prouare, che alcun (aperte il tal verfo, per che egli hà notitia
delle lettere, & charatteri di cui gli e comporto nò cllcndo ij altro
quel verfo, che quelle lettere, che Iorio in elfo. Medclima- mente può
ch'ere elfcmpio del detto luogo il dire, che (e il dop- pio della tal cola
e nociua ad vno infermo, non gli potrà etfer ta- na, & gioueuolc Li
metà di qucllajcrtendo cola all'orda , Se fuora di ragione, cheduc cole
buone, Se gioueuoli , facciano, Se com- 1.6 pongano vna cola dannofa,&
mala. Se in querta maniera vicn de dotto quefto argomento per modo
redarguiti uo,& reprobatiuo. 17 douechepcr modo d argomento prouatiuo,
Se moftratiuo, fi de duria fe dicefìimo, nó potere eflerc vtile, &
fanala metàdi quel, eh e dannofo,pcrchc due cofe male, non po don
congiunte inlìe- mc fare vna buona. Se come fi voglia in (omma, che fi
deduca, iS riman per vigor di quefto luogo fallace l'argomento, fi come
pa- rimente e fallace quello, ch'vsò Policrate , quando volca
proua- re,cheThrafibulo haueuaeftinro trenta Tiranni. Nel qual'argomento
peccaua egli per via di compolìtione, volendo, che fi veri 19 ficafie
comporto, quello, cheli venficaua fcparato , & diuifo . fi come per il
contrario per via di diuifione pecca quello , ch'vfa 30 Theoderte nella
Tragedia fuad Orcftc: doue dice, Giufta cofa è, che qualunque Donna vecide
il marito, fia priuata di vita . cofa honeftaancorè, ch'il figlio
vendichila morte del padre fuo,il fat to dunque d'Orcfte fi dee ftimar
giurto, Se honefto, conrenendo- 31 fi in elio ambedue le dettegiufte cofe.
nel quale argomento rtà porto inganno , perche nei comporli, Se
congiugnerli infieme le dette due cofe diuifamentegiufte , non confcruan
più forfè il giù 31 fto, c'haueuan prima. Può ancor la fallacia di quefta
medefima difefad Oreftc depcnderda vn'altro luogo, che li chiama luogo dal
difetto, o ver mancanza : pcroche nell'argomento viene a lafciarfi
indietro, da chi doueua elì'er p mira, de priuata colei di | 3 vita .
Vn'altro luogo condite poi in vna vehememe, Se di caldez- za, Se
d'efficacia piena efaggeratione, che o conferii! imlo,o con- futando li
faccia a ingrandir la bruttezza,& 1 enormità del fatto . j4 Et quello
accade quando lenza haucr dimoftraro,o prouaro.chc la cofa fia ftata
fatta, o non fia ftua fatta, s'ingrandi 'ce con vchc- mcnua, Se con
rtomaco Tingiurtitia, Se lindegnuà di quella, pc- roche 2 o 6 ^eUa
Tintorìe* d^rtttotelcs joche cotale ampli fi catione , &
ingrandimento, fa fenza altro,pa rcr,ch'il reo non l'habbia fatta 'eghèquchcncrcfaggera,
©^ 1 in grandifee, o ver ch'egli l'habbia fatta, fc l'amplificatore, &
lcfag- $ r getatorcè colui, ch'accula. Quello modo dunque di
procede- re, non è veramente enthimema : concioiìacofachc vengan
per elio a cader da fé (ledi ne i lacciuoli dell'inganno gli afcoltatori
, con lafciarfi in quella guifa tirare a creder, che la cofa (la fatta ,
o 3 6 non da fatta, fenza che ciò fia veramente prouato loro .
Vn'altro luogo è poi , chiamato luogo dal fegno : Se egli ancor non
conticn concludente ragione, Se forma di lillogifmo . come(pcref- lempio)
farebbe, s alcun diceile, che nelle Città fullcro vrili gli amori lafciui,
o ver gl'innamoramenti trà vn'huomo , Se l'altro ; perche vn cofi fatto
amore, che fu trà Harmodio , & Ariltogirone, fù cagione, che fi mandalìc a
terra la tirannide d'Hipparcho . veramente s 'alcun volelfc dall'elici Dionifio
huom vi nolo, in- ferire, Se prouar, ch'ei fulTe ladro . ilqual modo
d'argomentare ancora egli non conclude nulla, per nó elfere ogni vitiofo
ladro, ma più torto per il contrario ogni ladro vitiofo . Vn'altro
luogq è ancora, domandato luogo dall'accidente •> come, per ch'empio, è
quello, ch'vsò Policrate, quando parlando de i Sorci, diede lor lode,
c'hauellèro anch'elfi recato aiuto all'efferato amiepj hauc- 41 do rolo,
Se mangiato lechordede gli archi dei nemici . vn limi- le elTempio farebbe
ancora s'alcun di celle elTercofadi grande honore, &da tenere in grande
llima, 1 elfere inuitato, o chiamato a cena : conciolìacofa che Achille
per non eflcrc ftaro chiamato a cena in Tenedo li (degnali grandemerc
conrradc i Gtcci, Se s'ac cendclle d'ira . ma l'ira , Se lo fdegno fu , ch'egli
per quello indino di non elfer chiamato con gli altri a quella cena , fece
coniettura, ch'eglino lo tencllero in poco còro: il che rifpetto ali
ellere inuitato a cena era cofa congiunta per accidente. Vn'altro
lungo 44 parimente fi cruoua,chiamato luogo dal confeguente: come s
verebbe, per edempio, quando volclTe alcun inoltrar, eh Aief- fa miro fu
ile flato magnanimo, perche di fp rezza co il commertio, &;
laconucrfation di molti, fi rinrò nella fohrudin del monte Ida ballandogli
di conuerlar con fe fh-ffo. lì quale argomento daque, Ho prende
apparcntia, che per folcrc cllerc i magnanimi coli fat- ti, può in
apparcntia parere , eh egli ancora per elfer coli fatto , fuflè magnanimo
. Il mcdclìnioauucrrcbbcin dire, ch'il tal fia adul- Jl Secondo libro
. adultero, perche egli fi diletta d'andare tutto della perdona
orna- to, & culto di delicata attillatura, folendo gli adulteri andare
in queftaguifa. Il fimile accaderebbe ancora in dir, ch'i poucrcrri mendicanti
, che logliono (lare alle porte de i Tempi) a doman- 4S dare clcmofina, fi
debbiano (limar felici , & parimente coloro, che (banditi dalla lor
patria , efulando per il mondo vanno . pofeiache quelli fi veggon fempre ftar
cantando, & ballando,^: que (li pollono vfare vna certa libertà d'habi
tare , Se goder che parte del mondo vogliono, conciofiacola che vedendo
noi, ch'in quei, che moftran di menar felice vi ta,fi foglion tronar coli
fatti acci- denti di voluntier ballare, & cantare, Se di potei e a libera
voglia loro viuer, douc più lor per il mondo piace , viene all'incontra
a parer,chequclli,in cui tali accidenti il truouano,fi debbian
con- 4P feguenremente ancora cflì (limar felici .
nicntcdimancodirTcrif- con trà di lor nel modo,& nella caufa di
trouarfi tali accidenti in 50 elfi . Onde viene a poter conuenire in vn
certo modo la fallacia di quello luogo , con quella del difetto , o ver
della mancanza • ji Vn'altroluogoc poi, il quale con fide in aflegnar la
non caufa in j t vece di caufa : come auuien quando come caufa d'vna cofa,
s'ad- duce, quello, che o inficine con eflà, o feguendo doppo elfo,
ac- cafea , prendendo il doppo quello, in luogo del , percagiondi f 5
quello . & maflimamente foglion quello far coloro, che maneg- gian Io
flato e'1 goucrno della Città, & trattan le cofe publiche . J4 fi come
folcua dire Demade, che il reggimento , & l'amminiitration della Republica,
che tenne Dcmofthenc nel fuo magiftrato, 55 era fiata la cagione di tutti
quei prefenti mali, della Cittàrpofcia- che doppo'l fuo goucrno, era
fubito nata, & feguita quella rerribil guerra . Vn'altro luogo fi truoua
ancora, ilquale e pollo in far l'argomento defettuofo per la mancanza del
quando , & del come. fi comeaccafchcrebbe , perellempio, quando a
prouar,chc AleiTandro giù riamente tolta hauefiè Hclena , s'alIcgafTe per
ra- gion di quello, ch'il padre di lei le haucua data libertà d cleggerfi
quel marito, che più le fulTe piaciuto . nel quale argomento
fi commetterebbe fallacia per cagió di defetto del tempo non le
ha uendo fuo padre dato forfè quella libertà da vfarfi fempre, &
per ogni tempo, ma lolamcnrc da vfarfi prima , che mai irata
fullè: 55? polciachcfol fino a quel tempo era ella in poteftà del padrc.ll
me defimo auucrrebbc, fe airolutamentediccillmo , che nel
battere vna 2 o 8 Della 'Retorica d ' Arìttotclt\j Tna perfona
libera, fi commettefle ingiuria,o contumelia: perciò che non Tempre e il
far quello, allblutamemc ingiulto , ma fola- mente quando altri fia il
primo a battere , & a prouocar l'ingiu- éo ria. A pptclTb di quello fi
come nelle contcntiofe difputationi occorre ili farfi fpclfb
apparcnre,& fallace lillogifmo percaufadi prender le cofe, o come
femplieemente tali, o come cofi taIi,o 6 1 vogliam dir, per aggiùta tali;
nel modo che fra i Dialettici iì fuol tentar di prouar, che la cofa che
non c, fia per eflcr vero , che la Ci cofa che non è, fia la cola che non
è , Se che feientia fi pota hauer delle cofe, che faper non fi polTbno,pcr
etfer vero, che faper 6} lì polla, non li poter faper la cola, che faper
non iì può, cofi pari- mente nelle cole retoricali, & caufe oratorie
fi può trouare appa rentc,&: non vero euthimema per caufadi prender
per veramen- te, Se femplieemente verifimil quello , clic fia
condirionatamente, o vogliam dir con aggiunta limitato verifimilc. Il qual coli fatto
verilimile non è puramente, Se vniuerfalmente verifimile , ma limitato,
conditionato, Se rilìrctto . quale c quello, ch'inten- de Agathone, quando
dice, che non fi pattirebbe forfè dal ver co lui , ch'arTermalTè cflTer
verifimilc, che mohe cofe accalchino in quella humana vita, fuora del
verifimilc . Nè fi parte egli dal ve- ro in quello, accadendo fenza dubio
alle volte cofe lungi dal veri fimilc : & per confeguentc farà
verifimilc ancor quello, ch'è fuora del verilimile . & elTendo cofi, par
che fi polla concluderete 6% quel, che non è verifimile, fia verifimilc .
ma in vero gliè verifi- milc, non femplieemente, ma limitato, o vero in
qualche patte . 6p perciochc fi come nelle altercatine difputationi dal
mancare, o ver dal lafciar d'aggiugner, fecondo qual parte, o vero , in
rifpct- to di qual parte, in che luogo, & limili, fi viene a
commettere in 70 ganno,& fallacia nell'argomcntare; cofi parimente in
quella ar- te della Retorica auuicn, che commetter fi polla fallacia in
pren- derfi per verifimilc, quello, che non c legittimamente, Se
fcmpli cernente verifimilc, ma è verifimil limitato, Se riftretto da'
qiul- 71 che aggi unta. Et di quello prefen te luogo del difetro,
ècorapo- Ha, Se depcndel arte, che feri lìc Cora ce. Impeiciochc feil
ieo non firà lofpetto, nè parrà habile al delitto oppollogli ,
come auuertia fe alcun di deboli, Se inferme forze fulfe acculato
d'ha- ucr battuto vn più di lui gagliardo, in tal cafo potrà difenderlo
> Se fargli fchiuar la colpa il non clfcr veramente vn tal fatto verisimile
Jl S econdo libro . r 2 finite • ma Ce il reo porrà parer fofpcrto, 8c riabile
a! delirro , co- me auuerrebbe s'egli nel calo dcrro, robulto, cV
gagliardo fiì iTc porrà fchiuar la colpa con dire efe veri limi I, ch'egli
non riabbia fiuto quello, che hilìe domito veramente parer verilimi le.
óVil 74 fimi! li può dir negli altri cali, & delitti importi .
concioliacofa che in qual li voglia caufa lia forzaglie il rco,o fia
fottopoflo alla 75 on del delitto importagli, over fortopofto non le
fia • & ali'vno,* all'altro di quelli cai] può ferirne il
verilnmlc,apparcn do venlimili ambedue le forti del verHÌmile, clfendo
nondimcn l vno (emplicemente, Se legittimamente venlimile, & I alno no
semplicemcnte tale, ma nel modo, che detto riabbiamo. Eg- ramente altro in
foftantia, che la fallacia di quello luogo non è quella arrogante offerta
, eh alcuni fuperbamentc fanno di voler con le lor parole qual Ci voglia
caufa render 1 upcriorc , & fòr vittoriosa rcrtar di fopra. Laonde non
fenzagiufta ragione con era de indegnarione , & ftomaco era abborrita
dalle pedone l arro 7S gantepromella.&profertlondi Protagora, conciò
fu Uè cofa,chc fai acc Alliccerai proraclfa, &in fclfità fondata,
& da non vero & legittimo venlimile, ma da apparente, & poco
folido, depen- 79 e i modi d'opporfi ali 'Auuerfario* (f di dife
toglier le Jue ragioni . £f che cofa fia Jnfiantia, o -vero Obbiezione
oratoria* & in quanti modi fi faccia . jN due modi può occorrer,
che d.fcioglier Ci poflan leargomcntationi : cioè o con fare argomento,
& lillogifmo incontra, o con addurre obbiezioni, 5c opporre
inlranrie. Quanro al proceder con fare op- delimi luoghi che fono vali a
filJog.zare impugnando , feruir D d pollbno ,2/0 Teorica d %
Ariftotelc^> "J poflbno ad argomentar difciogliendo, o
verconfutando. Peroche componendoli 1 lillogifmi oratorij di propolìtioni
probabili non è dubio che probabili non fogliano Ipeifo parer molte
cofe, quantunque contrarie fian fra di loro . Quanto alle
obbicttioni, éc alle in lime poi, fi pollbn porrare,o vero addurre, lì
come anco ra appreflb de i Dialettici nella Topica, in quatro modi, o ver
da quatro luoghi, cioè o dai medefimo,o dal limile, o dal contrario o
da cofe giudicate . Dal medefimo intendo io elfer l'in Itanria , come (per
clfcmpio) fc fi fufle con cnthimema cóclufo ch'Amor fuire cola buona, in
due maniere fi potrebbe a degnare inftantia. impcrcioche fi potrebbe, o
vniuerlalmente dire, ch'ogni bifogno , o ver mancanza fia cofa mala ; o
particolarmente allegar che non fi vfarebbe di dire, il tale amore eller ottimo,
& il tale ef fcr peUimo, fi come fu quel di Cauno, fe non fi
trouafiero ancor 9 dei non buoni amori. Dal contrario poi fi portan le
obbietioni & lcinftautie,come fc (per cllempio ) contcnendofi
neil'enthi- mema, che limoni virtuofo a tutti gli amici fabenefino, &gio- uaméto,
s'allcgalle, che l'huom cattiuo,o ver vitiofo non fa danno, 6c male a tutti gli
amici . Nel limile s'adducon le indinne, come (e (pcrcflèmpio),ftando
cóprefo neU'enrhiraema, che quei v C han riccu u tu of$clà,odÌ in Tempre
col oro, clic l'han loi fatta,s al lcgallc, che q udii, c li .in ri
cernito bendino, non tempre amano 11 chi l*hà fatto loro. Quanto alle
inftantic poi .% lcquali, fi porta- no, cos'adducono da cofe giudicate,
over da giuditij fatti , s'in- tendono dfer quelle, che dal giuditio,&
parer dependon di per- fone d illu lire nome, & di chiara rama . come
fe ( per eflempio ) contcnendofi in vnoenthimema, ch agl imbriachi fi deon
perdo narei loro errori, come aqueHi> che per ignorantiapeccano,
fi può recare in ftantia cucendo, che fc quello iulTe,
nondoucrebbe ellèr commendato Pittaco>hauendo egli poflo trà
lefueleggi,ef- fer di maggior pena degno colui, che commollb , Se
fpintoda IX imbriachezza pecca. Horquattro fon le cofe, nelle qualififon- dano,&
hanno luogo le retoriche argomentarioni : & quelle fono il vcrifimile,
l'ellcmpio, il Tcmmirio,(o vero inditio certo) i 5 ci legno . delle quali
argomcntationi, quelle, che fi compongo- no di cofe, che perii più, o ver
per la maggior parte fono , o appaiond ellere, fono argomentarioni fondate nei
vèrinmili . & quelle poi pei via d esempio procedono > lcquali
raccogliendo per Jl Secondo libro . j/g per via dinduttione da
vna, o da più cofe rrà di Ior rimili, alcuna cofaìn vniuerfalc,da quella
poi fillogizando concludon qualche t $ cofain particolare. Et quelle
argomen radon i poi, lcquali da co i£ Ce necellàric nafeono, fon fondate
in Tcmmirij . Etquellefinal- menteinfegnifondate fono, lcquali proecdon
dacofa, che,o co- me pul vniuei fale, o come (ingoiare, o ha ella in
etfere , o nó fia, viene ad eflerfegno della coliche fi conclude. Hora
ftando la cofain qacfto modo,in tutte le già dette forti
dargomentationi, fi pollano addurre in ftantic. Se prima quanto a quelle ,
che fon fondate nel verifimile, -perche il verifmiile non c fempre,&
vni- 1 8 .uerfahncnte vero, ma per il più, o ver per la maggior parte; è
co- fa manifeita, che a coli fatti enthimemi, & argomentano ni
fon- datene i vcrifìmili,fcmprc fi porrà recar difcioglimento con addurre
ìnftantie. Bene è vero, che cotal difcioglimento ri 11 feirà Ipcilc volte
apparente, Se non tempre vero', conciofiacofa che colai, che centra del
verifmiile adduce inftantia , non difciolga feropfcla verifomigliarrza, ma
la neceflìràdellacofa , inoltrando non cllcre ella necellària, ma non già
inoltra cller non verisimile . La onde per cagion di quello apparente, Se non
vero difcio- glimento dcrverifimilc, colui, che nelle caufe tien luogo di
difen forc, harà fempre nel fuo prouar, più vantaggio, che non
harà colui, che tien luogo daccufatorc. perciochedouedo colui,
che accufa proceder con legittimi verifimili,& non clfcndo vna
fletta cofail moitrarnel difcioglimento, ch'vna cofa non fia
verifimile, & il inoltrar, che la non fia ncceflariamente vera, Se
oltra ciò nó mancando mai inftantia contta di quello, che non fempre,
ma fol per il più c vero , pofeiache fe inftantia non haucllè , non
fa- rebbe vcrifimileA- vero perla maggior parte, ma fempre, &
ne- 11 ceijariameme vero; ne fegne da tutto queftojCh'i giùdici nel
fen tire addurre qual fi vogliamitantia conrra'd vna propofition
ve- rifimile, il dienoa credere, © che la propofition verifmiile
prima addotta, totalmente non fia verifimile, oche fe pur qualche
par te di verilomiglianza le reità, non fia tale, ch'eglino polìàn
fècon 13 doquclla giudicarci dar la fententia loro. In che
vengonocfll 14 ( c o«ie hò già detto) a ingannarfi quali per Ior medefimr:
come quelli, che non ben cólideiano , che non folo è Ior lecito ci
fon- darle lorfentcnne, & il giuditio loro nella nccclTìtà delle cofe, ma
nella verilomiglianza ancorasse che que-aoc veramente gi»»- . Ce ij
dicar 2 1 2, T>ella r B^torica d'Jriflotelella Ustorie* d'
JrìBotelc^ nalmenre paia loro, che (Tori ragioni, con argomenti fi fia
pro- 7 nato, Se lì lìa moftrato il vero . Habbiamo
medclimaracnteaire- gnato donde, come da luoghi poflfa l'oratordiuenire
abbondate, & copiofo denthimemi. dei quai luoghi alcuni fi
domandano fpctie,& forme d'enrhimemi, & altri, come communi,
propria- S mente fon detti luoghi. Refta al pi d'ente, che feguendo
l'ordi- ne incomincialo diciamo, & trattiamo della locutione :
concio- fiacofache non bafti l'h;iuer trouato,& tener nel concetto
leco- 9 fé, ches han da dire, ma e ncccilano ancora d'cfpnmcrlc
fuor 10 con paiole, nel modo che fi ricerca, Se che lor conuienc . il
che feca importante giouamento a far parer l'oratione nel rale,&
nel 11 ul modo qualificata. Primieramente adunque fu fecondo
la natura cercato, Se inueftigato quello, che fecódo lordin di
quel la fi conueniua,cioHe colerteli, donde trarre, & canaria
credi- li bilità, & la pcrlìiafibilità fi potciVe. Secondariamente fu
cer- cato , Se trattato poi in qual maniera le già ritrouatc , &
con- cepute cofe, s'hauelfeioad efplicarc, Se a difporfe con
l'aiuto i 3 della locutione . Nel terzo luogo poi doppo le due cole dette
re fta vna altra confidcratione, che l'opra tinte 1 altre hà forza, &
pof fanza, la quale all'anione, Se alla pronuntia appartiene : nè è
fta- 1 4 ta per anco dachiunque fia, rcnraia, o trattata . perei oche
ancor nella fletta tragica, Se epica poefia affai tardi fu ritrouata , tx
vi I j ottenne luogo : concionile cola che li Poeti mcdefimi da
prima, 1 6 le Tragedie, Se le fauole lor recitaiìcro, &
rapprefenraflero. E' co fa mamfefta adunque, che nell'arte della retorica
ancora può ha- uer luogo qualcheartifìtio, all'anione^ alla
pronuntilapparte 17 nente, Yimilc a quello, che nell'arte della poclia fi
ritruona ; del quale alcuni han diligentemente franato, & fra gli
altri Glauco 15 Tcio. Horcofi fatta anione,& pronuntiatione oratoria,
Ibpriu cipalmcte collocata nella ftctfa voce, in veder, come s habbia
da fare, Se da reggere neircfprcflìone di ciafeheduno arTetto,ò\: concctto
d'animo, come adir quando habbia da vfarfi grandc,quan- do piccola ,
Acquando mediocre. Et intorno pan min re .ti tuono^ ver fuonodi quella, comes
habbian da vfar coli fatti tuoni, cornea dir lacuto, il graue, & quel,
che partecipa di quelli due. &-medefimamentc con qual rithmo, o ver
numero s habbia dcJU ao l cfprelTion di ciafeheduno affetto, o concetto a
procedere, con- cionacela che tre cole confiderar logliano intorno alla
voce nel i Jl TirZiO libro . pronuncia coloro , che ne trattano, cioè fa grandezza,
l’armonia, e'irithmo, over numero. Le quai cofe coloro, che fan ben nella
pronuntia reggere, Se moderare, fon quelli, che Tempre ( Ci può dire)
ottengono i premi/, Se la palina nelle lorcontrouerlìe, Se contefe
oratorie. Et lì come nella poelia par, che nei tempi d'oggi più vagliano,
& maggior forza tengan coloro,chc con ar- tione hiftrionica recitano,
Se rapprefentano, ch'i poeti detti ; coli parimente il medefimoauuienc
nelle ciuili contentioni, Se caufe oratorie : colpa dei già corrotti,
&deprauati coftumi delle Republiche. Ma non c fiata per anco ridotta, Se
comporta in arte coli fatta attione, &ptonunciatione oratoria, ne
raarauiglia è di ciò: pofeia che intorno alla ftellà oratoria locutione
ancora, alfai tardi fu inueftigato, & trouato rartifitio,«5c lo
ftudiod'adornarla, Se di coltiuarla . Et in vero,(e noi vogliamo ben dentro
al vino confidcrare, potrà veramente parer quella cofa della locuzione, Se
pronuntiatione, cola più tofto poco honefta, che punici to conucneuole .
nientedimanco douendo ogni trattamento, Se Audio di quella arte della
retorica hauere vn certo riguardo d'ac commodarfì alla communc opinion di
tutti, fa di meitieri di porre parimente in tal cofa , Ce non come in veramente
honefta , aU mcn come in neceflaria, qualche ftudio , Se qualche
diligcntia . conciofìacofa che fecondo la veri tà,gi urta, Se ragioneuol
cofa fa- rebbe, che cola alcuna non Ci doucllecon più Audio cercare
in- corno all'oratoria orat ione, che non far nalcerc o tri ftezza, o
diletto in color, che odono : eflendo cofa conucneuole , Se giuda di
contender folo nelle caufe oratorie con le cofe ftelìc , cioè con le
ftelTe pruoue: di maniera che tutte le altre cofe, laluo che l'argomentare, Se
prouare, s'han da (limar fuperflue; come che fuor della caufa fìano . Ma
elle nondimeno fon di gran forza, & di gran momento, percagion (come
habbiam detto) dellimperfcrtionc, & corrottion di coftumi de gli alcol
tatori . Bene è vcro,& negar noli può, che la forza,& l'efficacia
della locutione in ogni dottrina, Se feientia, ches'habbiaa infegnare, o
trattare, non 31 tenga in Ce qualche poca d vtilità neceflaria : clìendo
fenza alcun dubioqualche dirfercntia, quanto aH'efpreffione, Se
dimoftration de i concetti, tra 1 parlare in vn modo, Se in vn'altro.
ma non però ne tiencaltroue tanta , quanta in cjucrta arte del
dire: douc tutte le cofe, che fi cercano > Se Ci trattano,
all'opinione» E e «Se im- zi Si &c immaginatione
altrui, &allo ftcilbafcoltatorcin fomma, han 3 j rifpctro . Et però
vediamo, che nella Geometria , o in altra coi! fatta feicntia, ninno c,
che con anifitio di locutione infegni . É Quando dunque atiuerrà,
chequeftaattione , 6c pronunciatio- ne oratoria apparifea fuora ridotta
fotto arti fi rio, il medefimo ef- fetto farà ella in quella aite della
retorica , che far veggiamo l'ar- 37 tifitiodella rapprefenratione
hiftrionica nella poefia. Et hanno " cominciato già alcuni a tentar
di dir qualche cofa d'ella , ma po- chi flì mi han proceduto innanzi, come
fra gli altri hà fitto Thra- fimacho ne i libri , ch'egli hà Icritto delle
cole compaflìoneuoli. |S Et e quella hiftrionica anione l'oratoria molto
congiunta con la natura, 6V per confeguentc poco depcndenre dall'arre. Ma
la forza dell'oratoria locutione e capace più d'arteficio,
cVallaftef. 39 fa arte concede luogo . Onde nafee, che quelli Oratori,
che nell'arti fi rio di qucftilocution fon potenti, riportan
facilmente ipremij, & la palma delle lor contentioni oratorie ; fi
come fan parimente quelli, che molto nell'attione, & nella pronuntia
vagliono. Perciochcgià vediamo, clic quelle orationi , che com- por fi
foglion , perche habbian da rimanere fcrittc , più vaglion per cagion
della locutione, che per cagion della fen tenda, & del 41 foggetto
dello. Et il dee ftimar, ch'i poeti follerò i primi ainuc- ftigare, &
à porre innanzi lo ftudio,& l'artefitio della locutione per quel, che
pare, chela natura voglia : conciofiacofachcli no 43 mi, & le parole
altro non fiano , ch'imitationi : ne parte alcuna trà tutte le parti del
noftro corpo humano è più atta,& più habi- 44 le ad imitare,
chelaftella voce, da che vennero a comporli, & a nafeere, & haucre
1 clic re, più fpctie dell'arre della poefia , come 4j adirei Epica, le
Rapprcfcntatiuc, Se altre. Et perche quantun- quei poeti molte volte
diceuercofe, quanto alla fentenria, infi- pide,inette, Se di ncilun fucco,
nondimeno per caufa dell artifi- tiofa, & ornata lor locutione,
parcua, che reputationc, & gloria ne riporraflero . da quello nacque,
che quella poetica locutione cominciale ad efler da prima accettata, &
raccolta da gli Orato- 46 ri : fi come trà l'altre era quella di Gorgia.
Et fino ad oggi an- cora non mancan molti imperiti, & poco
gìadiriofi,iqualiap- pruouano cofi fatta locutione, & fon
d'opinione,che quelli oratori , che l'vfano, ottimamente parlino. Il che
nondimeno no c cofi, ne per vero approuar fi dee > eflendo in natura
loro molto diverse la locuzione oratoria, & la poetica locutione . Et
ci con- ferma quefto l'efito della cofa, & 1 auucni mento fteflb , che
n'è feguito . conciofiacofa che li Poeti medefimi nel compor
delle lor Tragedie, non feguano d'vfar più quello fteflb modo di
locu 4$ tionc, cn'vfaron prima : ma fi come qnanco alla mifura dei
vcr- fi, hanno lafciato i vcrfi di quatro mi fu re, o ver d otto piedi,
che Tetrametri fi domandano, Se in vece d'elfi han riccuuto i
Iambi ci , per eflcrqucfta forte di vcrfi più di tutte le altre forti,
accom modata, Se limile al commune,cV ordinano parlare fciolto; jo
cofi parimente han difmellb, Se tralafciato tutte quelle parole, &
modi di locutione,chepofian parer fuora del cófucto parlare, ji che
communementc fi molcvfare. Et tutti quelli efquifiti ri- pulimenti di
dire, han ributtato, Se ricufato , co i quali (bieuano eglin prima
adornare le lor Tragedie, Se co i quali adornano an- j 1 cora oggi gli
Epici Poeti gli diametri verfi loro . La onde è cofa ftolta ,& degna
di rifo il volere in quella maniera di locutionc imitar coloro, i quali
non Tvfan più , ma abbandonata, Se tra- j$lafciatal'hanno. Pcrlaqual cofa
può ciìcr manifefto, ch'ànoi in trattar di queftarte, non fa di bifogno
d'andar con minuta,^ efquifitadiligentia ritrouando. cV trattando tutte
quelle cofe, ch'intorno all'artificio della locutione fi potrebber dire,
ma quel le cofe fole, ch'à quefto retorico negotio,c'habbiam per le mani
, /4 poflàno appartenere, eirendofi, per quel , che alla locution
dei Poeti appartiene, detto a baftanza nei libri, c'habbiamo fcritti della
Poetica. Suppongali adunque al prefente per manifefto quanto quiui fi e
fpeculato , Se detcrminato . (apo 2. T^ella virtù della locutione oratoria
5 & delle condizioni, che le conuengono : ^ quai forti di parole
fi ricerchino per tuli con- dizioni . della Metafora, & de gli
6t>ithe- ti, 0 vero aggiunti . I i^V Vanto allanoftra retorica
locutione, intendali diffiniio al y 'prfffrrtr^ che la perfettione, &
la virtù di quella, confi- 1 ftain dlèr primieramente lucida, o vero
aperta, di che quefto ci E e ij può eder buono indino, che fc Toratione
non mariifcfla, Se non rende chiari li concetti noftri, non viene a fare l
ottino, &. I effet- 3 to Tuo. Se di poi confitte in eder non troppo
luimile, abbietta , &vilc,nè troppo ancora alta, & gonfiata : ma
di conueneuol 4 mediocrità tra l bado, Se l alto . concioliacofà che la
poetica lo- cucione fi polla forfè (limar non humile; ma alla fciolta, Se
dtde- j fa noftra oratione non è ella cóucncuole,o accommodata.
Quan- to dunque a far la locution chiara, & aperta, quei uomi,&
quei verbi fono atti, Se vtili principalmente a quefto, li quali proprij, o
vero appropriati fi domandano. Quanto poi al renderla, no hu mile, &
bada, ma ornata, Se magnifica, quelle altre forti di paro le, lo podbn
fare, lequali fi fono aifcgnarc^cV: dichiarate ne i libri € della poetica
: perciochc il difcoftarli dal trito, Se commune vfo 7 del parlare, fa
parere il parlar più grande , Se più grane . perche quel medefimo par,
ch'in vn certo modo accalcar foglia a gli huo mini intorno alla
locutione,o ornata, o comune , ch'auemr luoL loro verfo di quei, che
forefticri, Se nuoui vengon nella lor città, t Se de i lor Cittadini
fteflì . Et per quello fi di bifogno di fare ap- parire il no (Irò
parlare, con vna certa nouità foreilicro : polcia- che lccofe,chc dal
commune vfoappaion lonrane,maggiore am miratione apportano; Se
dilctteuolc, Se giocondo par quel , che f s'ammira. Ne i verfi de i poeti
adunque a molte cole luogo, Se ricetto fi concede, le quali poflon
cagionar la detta ammiratio- i o ne, & diletto ; Se ad elfi parer
podbno accommodate,come che le cofe, Se le perfonc, intorno allcquali , la
metrica orarion fi ra- i x uuolge,eccedino,cV rrapaffinol'vlirato,c l
cómunc.ma nelle prò fc,& ne i parlari fciolri,nó fi da luogo a gran
pezza a tante ; eden Il do qui ui i foggetti di minor grauità,& di
minor grandezza . Im- percioche quiui ancora, appredo de i poeti (ledi ,
fe dalla bocca d'vn feruo,o d'vna perfona di molto tenera età, fi fenti
ranno vfeir parolc,& locutioni.c'habbianoadai dell ornato,& del
grade; par ràfenza dubio cofa molto difdiceuolc,& fproportionata,&
il me defimo ancora auuerrà , s'alcun farà da loro introdotto a
parlar con la medefìmapolitezza,& fplendordicofcfriuole, balìe, &
vi 1 1 li.Ma in quefto (ledo parlare fciolto ancora,non (là fempre
den- tro ai medefi mi termini, immutabilc,& fermo vno dello
decoro; ma può ancora egli có maggiore,& có minore ornanicto,&
gra- dezza riftringerc,& dilatare fecondo le occafioni, i confini (uoi
. Ma fa Jl Ter&o libro. Ma fa di mefticri , che ciò fi faccia in
modo , che non appaia , Se alcollo rale artifìcio (fra; di maniera «ehe il
parlar paia nó hnro,nè da Itudio, Se da diligcntia nato, ma paia per il
contrario fcmplt- cc,& puro,& fecondo che la natura lo forma,&
Io manda fuora. percioche in quella guifa credibil diuiene,& fede
truoua : doue che in quella al tra maniera adiuien tutto'l contrario,
conciolia- cofa che coloro,che d'vn cofi facto parlar saccorgono,fubico
co- me inlìdiarore, & come che mefehiando il falfo col vero ingànargli
voglin,rabborrilcon nó altrimenti, ch'abborrir fi fogliano i vi ni có
altro liquor mcfchiaii > & falfificati.Ec auuic crà quelli,
ch'o nell'vno,o nell altro de i detri modi parlano,quel
medelìmo,chc fi vede auucnir tra la voce,& pronùcia di Thcodoro,&
quella degl’ltri hiftrioni, percioche la pronuciatió di Theodoro, pare,no d'Iiiftrionc,o
di perlona,che rapprcfencijma della propria perfo- na Iccifa rapprclencara
doucchcle voci, Se le pronutie de gli al- tri hillrioni,comed
hiicrioni,cioè di perfone aliene, Se rappresentati, fi fan conofeere. Etalhora
potrà venir comodamente facto il già detto nafcódimenro,quado il parlarli
formi, «Se fi cóponga co la fcelca,che dallo (ielTo parlar cómun fi faccia
di quello , che mi- 11 gliorcinelfolicruoui.il che bene olferua di fare
Euripide, Se è li egli llaco il primo,chà quello auuercico,&
moftraco.Efscdoadu que i nomi,& li verbi quelli,di cui 1
oracione,& il parlar lì cópo- ne,& rrouadofi càce fpeciedi
nomi,quà^c fi fono afferriate, & co- fideracc ne i Libri della
Poecica.di quelle fpecie,& oornijli ilranie • ri, i doppij,& li di
nuouo fatci,molco di rado, Se in pochi luoghi vfar fi deono.in quai
luoghi, ÓVin quali occalìoni ciò fi polfafare, »3 dire più di focco.&
la ragió di quello già di (opra toccato habbia mo;& e che có l'vfo di
cai nomi , vien croppo vedo la parce della gràdezza a trapalTàre il
parlare i termini del comune, Se dcll'vlìta 24 to.Ma li nomi e le parole
proprie, le appropriate e le
mecafori che, o ver crafporcace, fon folamccc quelle,chc fono rtili,&
accomodate alla locució del parlar sciolto. Et di quello ci puòelTer
in dirio il vcdcr,chc quelle forci fole di parole fon da tucci nel lor co mun
parlar frequaate,& polle 1 vfo: pofeiache alcu nó c,chc par Udo nó vii
le metafore, & le parole appropriatele le jppncanco- x6 ra.Pcrlaqual
cofa può clfer manifefto che s'alcù laprà bc fare, qua toauuertico
habbiamo.in vn medefimo ccpoil parlar fuo,col ino ftrarfi alquanto
forellic/o, fchiueràl humil baiTczza, nafcódcrà l’artifìtio della Tua
grandezza, Se farà finalmente lucido , &aperco : nelle quali condicioni già
habbiam detto confifter la virtù a 8 della retorica locutione. Sono trà le
parole, quelle, ch'equiuo- che fi domandano, a iSofifti vtili, Se
accommodate, come a quel li, che grandemente fi feruon d'elle nelle lor
fallacie, Se ne i loro inganni. A i Poeti poi vtili, Se domeftichefono
quelle,ch'vgualmente lignificando vna ftcflà cofa , finonime fi domandano.
Se intendo io parole proprie, Se finonime, come farebber ( per
cf- fempio) andare, & caminare, eflendo ambidue quelli verbi proprij,
Se finonimi fràdiloro. Hor che cofa s'habbia da intende- re oflcr ciafeheduna
delle dette forti di parole , Se quante fperic di trafportamcnti, o verdi
metafore li ritruouino ; Se che effe metafore fiano di fom ma efficacia,
& forza,& ne i poemi,& nel- le orationi,fi e dichiarato (come
già di fopra habbiam dctto)nc i 51 Libri dell'arte poetica. Et tanto
maggior fa di meftier che fia nell'oratore la diligentia, Se lo ftudio
intorno all'vfo delle metafore, quanto che di minor copia d'aiuti, Se rimedij
da ili u (trarli ha l'oratione, e'1 parlar fuo, chcnonhàlalocution metrica
dei Poeti. Oltra che la metafora mafllmamente ha in fe del lucido, o
ver'aperto,hà del giocondo, Se hà del forcm'cro, Se del nuouo, Se è tale
in natura fua, ch'vfata elfer non dee, come tolta da altri, }) ma come
nata dall'ingegno rtcfio di colui , che l'vfa. Horci fa di bifogno che gli
Epitheti, o ver'aggiunti, Se le metafore fi prcn ' dano, Se fi dicano in
modo, che quadrino , Se conuenientia tcngano. Se quello auuerrà facilmente
alhora,chc da proportion dependano. Il che quando altrimenti fufle,vcrrcbbe
maggiormc- te adifcopritfi ladifconueneuolezza , Se ladifcrepantia,
pofeia- chc le cofe, c'han qualche oppofition trà di loro,alhora fi
fan maflimamente conofeerc, quando l'vna appretto l'altra fi pongo no
in parragone. Bifogna dunqueauucrtire,& confiderar,chc fi come a vn
giouinctto , Se fanciullo ftà bene il veftir di color di 3 j porpora j
cofi a chi fi truoua nell'età fenile, conuiene,& quadra qualch'altro
colore, non eflendo ali vna, & all'altra età diceuole, Se
conueneuoleil vcftir d'vn colore (tettò. Medcfimamente fi dee notare, che
s alcun vorrà dar lode, Se recare ornamento coi parlar fuo, douerà
prendere, Se trar le metafore da quelle cofe, che (otto di qualche genere
, faran le migliori, Se le più nobili, che in quel fi comprendano : Se
dalle peggiori per il contrario , Jl Terzj) libro. Se più vili,
s'egli infamia, & biafmo vorrà recare • vogliodir (per
eflcmpio)ch'cflcndocomprefe folto d vno ftedu genere, come cofe in maggiore, o
minore honcltà oppofte, il dir, che co- lui, che và mendicando fi
raccomandi, Se il dir, chc colui, che fi raccomanda, vada
mcndicandojeilendo cofi il mendicare, come il raccomandarfi, fpetie
contenute fotto'l chiedere* o ver doma- dare, fi potrà col pigliar l'vna
per l'altra, fare agcuolmente quanto habbiam detto. Si come fece Ificratc in chiamar
Callia Metra girte (ch'importa appretta di noi, mendicante, o ver
Limofina- rio) in vece di Daducho ( cioè ceroferario, o vogliam dir,
porta- 45 tor di face, o verdi torchio) . Madicca
Callia,ch'Ificratecofidi cendo, moftraua di non ch'ere inftrutto nelle
cerimonie di quei (aeriti ri; : perche fe inftruto ne futfe, non lo
chiamarebbe Metra girte, ma Daducho , emendo ambidue qucfti nomi
contenuti ìotto'l nome d ofiitio, Se di minifterio nel sacrificio della
gran madre Dea , ma 1 vno honorato, Se honefto, Se 1 altro vile, Se
in- 45 fame. Mcdcfimamcnte coloro, che da gli altri cran
chiamati adulatori di Dionifio, chiaraauan fe ftcflì per ricoprir la
bruttcz zadell'adulationc, artefìci,o ver macftri di quello .li quali
nomi fon ambidue metaforici, ma l'vn trafportato da cofa fordida ,
& brutta, Se l'altro per il contrario da cofa honefta . I Ladroni
an- cora, Se predatori, per ricoprire in parte l'ignominia del
lorocf- fercitio, foglion nominar fe ftcìE bufeatorùo per dir meglio,
prò 47 cacciatori, oguadagnatori, che vogliam dire . La onde per U
medefima ragione fi può chiamare il peccato per malitia , peccato 4.2 per
errore, Se il peccato per errore, peccato per malitia . Et di colui,
c'habbia veramente furato, fi può dire, Se c'habbia prefo, 4^ Se c'habbia
rapito. Ma quello, che Tclcfo apprciìo d'Euripide dice di coloro, i quali
remauano, o ver vogauano, ch'efiì figno- reggiauano,& imperauano a i
remi, per delccndcr torto nella Mi ila, ha del difdiceuole, Se dello
fproportionaro, pofeia ch'il do- minare, Se vfar regio imperio, eccede di
troppo più, che non có- uiene, il vile ellcrcitio del remare, o vogare,
che vogliam dire, 0 Onde non può pallàr nafeo fio l'arti fi tio di tal
metaforica locuzione. Può ancor cadere oltra di quefto nelle metafore
errore intorno alle ftclfe (illabe^uando nelle parole, douefi
truouano, l non dieno inditio di dolce, Se di foauc voce, nel quale error
cad de (per ch'empio ) Dionifio , per cognome Chalcco ,
chiamando nei 2 24- tDel/a Hgtortca d* Arìttotelcj ne i fuoi
clcgi verfi la poefia, ftridor di Calliope , cflendo ambe- due quelle cofe
voci, come che comprefe dalla voce fiano , come 5$ da genere. Laqual
metafora fi vede eller di ferrilo la, non contenendo ledetreduc voci, cioè la
pocfia, e lo ftridore, ne i lor significati, fomigl»anza,o con uenientia
alcuna. Appretto di quello nd conuicn nelle metafore trasportar le parole
molto da tòtano, ma da cose, c’abbian congiugnimene, Se quali parentela
con la cosa che significar vogliamo, Se fian quafi d'vno (letto genere, o
di vna ftella fpctie con quella, nominando le cose in modo chefubi to,
che la cosa vien proferita, appaia a chi ode manifesta la sua conuenietia e
fomiglianza come fe ne vede ettempioin quel famoso, & tanto approuato
Enigma, che dice , Io hò veduto huomo, il qual con fuoco incollaua fopra
d'vn'altro huomo il rame, nel quale enigma s'efprimel appiccamene, che fi
fa delle venrofe, iI qual non ha proprio nome, chiama dunque incollamento
lappiccamene delle ventole, ettendo coli l'vna, come l'altra di quefte cofe,
accodamene. Ec in fomma dai ben formati enigmi fi polTbnp rendei e, Se
trarre eccellenti, Se lodate metafore: pofeia- che cflendo le metafore
quelle, donde fi forman quelle oleine proposte, ch'enigmi si domàdano,
appar manifetto, che ne i buo io ni enigmi con lodate metafore fi fia
tralportato. Oltra di q netto fa di meftieri, che le metafore fi prendano,
cV fi portino da cofe , che habbianoin fedeli bonetto, Se non contengano
in fc bruttez fi za. Et la bellezza, Se bontà delle parole, fi come ancor
la bruttezza, confitte primieramente nelle due cofe, ch'aflegna loro
Li- Ci cimo, cioè nel ! non della voce , Se nel significato . ma vna
terza cosa di più è loro ancor necessaria a questo, con la quale si può
di feioghere, & render nulla quella argomentarion fallace , che
fogliono i Sofifti fare, conciofiacofa che vero, & ben cóclufo
non fia, secondo che Brifon voleua , che bruttezza nò fia nelle parole, uè
fia alcuno, eh e fozzam ente parli, lignificandoti, Se dinota- dofi o con
quefta, o con quella parola vno ttcflb foggetro, & vna 64 fletta cofa.
Ma quella ragione ha infedcl fallo: pcrciocherrà due parole lignificanti
vn fogge te ftcttb, l'vna più appropriata farà, Se più fomigliantea quel
foggetto,che l'altra nó c,& più ac cómodara, Se habile a
rapprefentarlo , & a porlo quafi dinanzi a gli occhi. Oltra che fe ben
lignificano , Se dinotano vn medeii- rao foggetto, nicntedimanco nó cofi
l'vna parola, come l'altra Io fieni fica significa nel medcfimo, o
ver fomiglianre modo, di maniera che perquefta cagione ancora l'vna parola
più honesta, o più brutta, che 1 altra li può (rimare . peroche qualunque
amhedue le parole (lenifichino vna ftellacofa honclh, o vna (Iella cofa
brutta; tutta- uia nó ambedue la lignificano in quanto honcfta,o in qtuto
bruc 68 ta,ofepur tal bruttezza , o tale honeftà denotano , non fan
ciò 6p vgualmentc, ma l'vna lo fa più , & 1 altra manco . Le
metafore adunque han da elfer picfe, o ver dedotte da cole, c'habbian
del- 70 l'honeftojdel vago , & del bello ; o quanto al fuon della voce
, o quanto alla virtù , cV potcntia loro , o quanto al fenfo del
vede- 71 re, o ad alrro qual lì voglia fenfo : concioliacofa che non
piccola ditfciéiia li a dal didurla più nell'vno, che nell'altro de i
detti mo- di, come, perellempio, meglio fi dirà, l'Aurora rododattila, (cioè
che ticn le dita di rofe) che non fi dirà, l'Aurora Fenicodac- tila,'cioè
che tien le dita di porpora) &c peggio ancor fi direbbe, 71 l'Aurora
erithrodattila (cioè,che tiene le dita rotte) . Negli Epi- theti ancora, o
vero aggiunti , fi può trafportar quello aggmgni- 7 5 mento, nó folo da
cole poco honefte, & da cofe fozze ; come fa- ri 1 (perellempio )
l'epithetodi matricida; ma ancor da cofe mi- 74 gliori; come (aria
l'epirheto di vendicator del padre.Et Simoni de parimente, mentre che
vidde, che colui, c'haueua conlcguito con le fue mule vittoria, gli
offeriuanon degna merccde,ncequi- ualenre prezzo , non volfc co i verfi
fuoi celebrarle : allegando , ch'indegna cofa gli faria paruro di fare, in
fpcnder fuoi vedi in lo 75 de di quelle mezalìnc. ma come prima gli
parue,che colui gli of- fertile conueneuol prczzo,poetizò in lode di
quelle, comincian- do in quella guifa. j6 'Ben trattate* &
pafeiutes Siate molti , & molti anni , Di veloci Caualli inclite
fi$lic_j; Ec non dimeno eran figlie 78 parimente d'aline. Puom" ancor
fare ilmedefimo effetto d hone- liare,& imbruttir le cofe, col
diminuir de i nomi, qual diminu- itone è quella , cheftenua , 6c fa parer
minore il male, e l bene; come mordendo, &cauillando via di fare
Ariltofane in quella Coinedia, eh egli domanda li Babilonij : quando in
vece d oro, dice, oretto, o vero oruccio ; in vece di ve Ite, verticali
ola ; in ve- ce di reprenfione , reprenlìoncella ; in vece di malattia,
malat- 80 tiuccia. Bene e vero che fa di meilierid'auuercire, & d
haucr F f diligente 22 6 'Della ^Retorica
d'^friftotelcj diligente cura, che nell'vfo d'ambedue quefte cofe,cioc
cofi dcU le parole aggiunte, come delle diminutiiic , conuencuol
medio- crità s'offerui. £aj?o 3. c Della fredderà, ,
overoìnetteT^a* & defetto della locutione oratoria : &
quan- te* &. quali fìan le oc cafoni, onde e Ha najea. I UyJ=^Q
Vatro fon principalmente le cofe , che poflbn come cau fc render fredda
& inetta, lalocutione Vna caufa conlifte nelle parole doppie, o per
me- glio dir, compofte; fi come fc ne veggono cilempi in Licofrone,
quando dice il molti/òrme, o ve- ro il moltiuolto Ciclo; la grandimon te
terra langufticallc, 4 o vero ftretticalle litto . Gorgia LEONZIO (si
veda) ancora chiamauajmendicimufi, gli adulatori , & vfaua quefte
parole falfigiurante , & vcrigiu- 5 rante. Se Alcidamantc dice, egli
con l'animo colmo d'ira, & con la faccia colorifuoca . dice ancora, ei
fi penfaua , che quel- la ior così gran prontezza d'animo hauclie da elTer
fruttipor- tante. medclimamente la permasone dell oratorie
orationi,fo- leuacgli chiamar rerminifera, ovogliamdir finifera: &la
pia- nura del mare, coloricerula. Tutte le addotte parole
adunque fono- accommadare alla poefia, perlacópofitione, &
doppiez- za, che fi truouain elle. Et quella e la prima caufa della freddez- 6
za della lodinone. Vnaltra caufa e poi, laqual confitte nell'vfo 7 delle
parole ltranierc, ouer peregrine, fi come l'vsò Licofrone chiamando Serie,
huom pelorio (parola, che ftraniera in Athc- ne figniricaua huom di 1 midi
rata gtadezza) Scironc ancora chia- mò egli,huoma finmo, (cioè adognvn
molefto, parola pur quiui lira mera.) A lcidaman te parimente chiamò la
poefi*,athirma (cioè giocofa,) dille ancota I Arallhaliadclla natura
(riocil pec- cato della, natura) &c volendo dire d'vn, c'haucua l'animo
da vn mero furor d*ira punto, per efprimeret il participio, punto,
vsò la parola, tethegmenon (parola, lì come 1 altre due
precedenti ftraniera in Attiene). Laterza caula della fopradetta
freddeza ftà porta ne gli Epitheti, quando, o come troppo lunghi, &
trop- po da lunga piefi, o come fuor di tempo, & (enza bifogno porti
, o final. i 3 Jl Tcrzj) libro . finalmen re come troppo
frà di lor frequenti, Se inculcati, s'v- 10 fano. conciofiacofa che
apprcllb de i Poeti nò difeiica il dir (per crfempio (il biàco latte, ma
nelle oratorie orationi,alcuni di così 11 fatti epitheti fon, come vani,
difdiccuoli , & alcuni fe confa- tieuol foprabbondantia
s'inculcherano, diucrran rcprenfibili, come che troppo fcuoprano,&
manifcftino, ch'alia poefia cóuc gano. Perciòche fe ben conuiene all
orationc l'vfo deflì epithe- ti (pofeiache vengono a dare vna certa
apparenria cTafpctto forc- ftiero alla locutione,& a trarla alquàto
fuora del cómune,& dcll'vfitaco.) nientedimeno biiogna tentar di fir quefto
co medio- 1 4 crità, 6c mifura. conciolìacoia che maggiore error fi
farebbe in traboccare in ciò fuor della douuta mifura, che non Ci
farebbe, fe (conlìderatamentc fidicclfe quel, che prima a cafo veni ile
in bocca: perche la cafual locutione non ha il bene,che le conuiene, ma la
troppo ornata ha il male, che le difeonuicne . Et per qnefta ragion gli
ferirti d'Alcidamanteappaion freddi, & inetri» pofeiache ci non lì
feruede gli Epitheti, ouer'aggiunri, come dì condimento delle folidc viuande
; ma gli vfa come viuande ftef- fe, così frequenti, & inculcati, così
lunghi, & così aperti, & per confeguente vani, gli pone in vfo.
Perciòche (per ciìempio) no dice egli,i 1 fudore, ma l'humido, o vero il
molle (udore; nedice, agi 1 ! fth mij, ma alla pompa, &folennità de gl'I
fthmij; ne di- io ce le legej, ma le leggi regine delle Città, parimente
non dice, li il corfo dell'animo, ma il corrente impeto dell'animo, ne
man- co dice fera pi i cernente, ilMufeo(per fignificare quel luogo in Athene
dedicato alle Mu(e,& alle lcicntie)madiceilMufcodel- 11 lanatura.
medefimamentc non dice, le cure dell'animo, ma le pungenti, & trifte
cure dell'animo, nè dice il largitor delle gratic, ma il d'ogni gcncr di gratie
vniuerial largitore, diccancora 15 ildifpenfator del diletto degli
afcoltatoii. de in vece di dtrc,l a- 16 feofe trai rami, dice Tafcofe tra
i rami della lelua. e in cambio di dire,gli coperfe il corpo, dice, eli
coperfe le vergogne del corpo. & in vece di dir, la concupifeentia, dice la
contrarintiua, o uer la contra imitatrice dell'animo concupifeentia, in
che con- corre infieme, l'elfer parola doppia, con 1 ellerc epiteto,
oucr iS parola aggiunta, onde poetica locution diuiene. Inqucita
ma- niera adunque c'habbiam veduta, veniuan coloro a trouare, o- uer
cagionare eccello di vitio nell'orationc. Onde pai Lindo più % Ff ij
tolto torto comodo poetico, venerper mancanza di decoro, & di
con- 11 cneuolczza, a render ridicola, & fredda la locutione, & in
vno lì elfo tempo a cagionar con quel moltiplicar di ciancic,& di
pa- ip rolevane, oicurczza prù torto, che lucidezza., perche intefa
che gli hà la cola ch'ode, colui, eh alcol ta, ciò che per più
manife- llarglielaglis'aggiugne, deftruggc ofctiiando,& ditóni ba in
erto 30 quel, che già prima, di manifelto, & dinoto vi truoua.
Ne/i dee negar,che gli huomini nel lor parlare ordinario nò vrtno
al- le volte le parole doppie, ouer comporte, ma ciò fanno, quando la
cola, che voglion lignificare, non habbia nome fempliccjche fia fuo,
&oltraciò le parole, eh iniieme Ci congiungono, fiano atte a far facile,&
comoda compofitionc : come adiuien (per essempio) in quella parola,
chronotribin, che significa, coniumare il tempo, ma è ben vero, che fe ciò
troppo frequentemente li facelle, farebbe al tutto diuenir la locuione
poetica. Et da que- llo nafee che le parole doppie, &: compoftelono
vtiliflìme ai poc ti Dithirambici, com'a quelli, a cui non difdicc di
procedere alti, & gonfiati ne i verlì loro. Le parole ftranierc poi
quadrano , & fono vtili principalmente a i Poeti heroici, feguaci
dell'Epica poesia, per haucr tai verfi in fe del grande,& del
magnifico. La metafora finalmente fi vede clfer più, eh ad altri verfi, a
i Iambici accomodata: cllendo nei tempi nolìri quella forte di verli
accettata,cV porta in vfo, come di lopra fi e detto. La quarta causa
dell'inettezza e freddezza della locutione, depende dall'uso delle
metafore: polciache ancor tra erte fogliono alle volte trovarsi di quelle, che senza
conucneuol decoro fono, alcune per cagion d'vn non sò che di ridicolo,
& di vile, che le contengo- no ; folendo i Cornici poeti leni irli
aneli erti delle metafore nelle lor comedie. & alcune per il contrario per
cagion d'vna certa gon fiat» altezza, & grau ita tragica.
Pollonoancora elfcr defet- tuofe,& cagionar freddezza le metafore, per
troppa o (cu rezza :& 3$ alhora adiuien, quando troppo da lontan
liprendooo. come (per ertempio) la prefe Gorgia, chiamando alle volte li
negorij pallidi, Se alle volte fanguinolcnri : & altra volta dicendo,
Tu bruttamente feminafti quelli tuoi negotij, & bruttamente
gli gli hai poi mietuti. Le quai metafore non è dubbio, che troppo 41
del poetico in fe non ritengano, li come auuiene ancora in quel- le, eh'
via Alcidamante, quando chiama la Filolbfia, propugna- colo, Jl
lerZjO libro. 22 941 co!o,&: baftion delle leggi ; e l'Odilsea lucido
fpecchio dell'hu 4$ mana vira. Se quando dice, Nellun coli fatto giuoco
apporta al- 44 la poefia; nominando giuoco il diletto . Tutte quelle
metafo re adunque fono atte a render la locution poco habile a
perfuadc- 4 j re, per le ragioni, diedi fopra alìegnatc riabbiamo . La
metafora ancora, laq itale vsò Gorgia conerà d'vna Rondine, che nel
volar gli haueua fopra la tetta iafciaro cadere ilerco ; farebbe ftata
ec- cellcntiilìma per vn Poeta tragico, perciochc le dille, ah
Filome- na, quelto è ftato vno atto a te poco nonetto, il quale atto
ctten- do fatto da vno vccello, non li può domandar brutto,o poco
bo- netto ; ma farro da vna Vergine, poco nonetto fenza dubio fi
dee (limare. Buona adunque, & ragioneuol diuenne la riprenfion
di Gorgia LEONZIO (si veda), nominando quello vccello per quello, ch'era
già ftato, &non per quel, ch'eraalhora. (apo 4.. 'Dell'immagine,
0 'ver Comparata- ne : (f della dtffèr enfia j & conuenientia
, ciò ella tiene con la Metafora . 'Immagine, o ver comparatone , è
ancora ella non altro in fottantia fua, che metafora ; poco ef- fendo
differente da quella. Imperciochc quando alcun parlando d'Achille
diccflcegli impetuofo veniua comevn Leone, farebbe vn coli fatto
di- re, Immagine : 6c fc fi dicette, impetuofo venia quel Leone,
faria metafora . peroche ellcndo coli in Achille, come nel Leone ,
fu- rore, 6c iraconda forrezza,fì vien trafportando a chiamar col
no- me di Leone Achille.PolTbn le immagini accommodarfi,&
ef- ferc vtili al parlare oratorio ancora : maalquanro più di
radeco- me quelle, c hanno aliai del poerico . & nella medefìma
maniera s'hannoda trafportare, & dedurre, chele fteiìe metafore;
non ellcndo elle altro in vero , che metafore 1 , differenti da quelle
nel modo detto . Sono adunquele immagini ( per ch'empio )
come quella, ch'vsò Androtione contra d'Idrico, dicendo ch'egli era
li milea quei cani, ch'elìcndo ftati buon tempo in catena, fciolti
fi nalmcnte ne fono, percioche fi comcquelli, fciolti che fono
mor don qualunque perfona venga loro innanzi , cofi Idrico vlcito
di carcere,2 30 Della Hgtorica d!Arittotelcj 7 carcere, e diuenuto
infoiente, & molcfto a tutti. Et come quel- la ancora, laqualc vsò
Theodamantc alìomigliando Archidamo 8 a Eulfcno, ignudo, &c privo di
Geometria. Et fi può parimente con cambieuol proportione vfare, chiamando
Euifcno Archida- £ moin Geometria perito . Coli fatte metafore ancora fi
veggono nella Republica di Platone: douc egli aifomiglia coloro, che
fpo gliono i corpi morti, a quei cani, che mordono i laflì,chc/on
ri- to rati loro,& a color, che gli tirano non fan danno alcuno . Vn
al- tra vene, douc parlando egli della popolar moltitudine, dice
ef- fer quella fi mile advn gouernaroroi naue, chefiarobufto di
for il ze, ma mezo fordo .& quella altra ancor,quando in
propofito de i verfi de i Poeti, dice, che fon fimili a quei
giouinetti,che fen za hauerfolida, & foftantial bellezza hanno
folamente , vn nò fo che di fiorita vaghezza, che porta quella età .
percioche come pri ma perdon qucfti quel primo fiore, «Se quelli reftano
dalla lo- ro harmonia , & mifura fciolti , nonappaion più ne gli vni,
ne il gli altri, i medefimi, chappariuan prima . Mcdelìmamcnte
Pe- ricle parlando de gli habitatoii detllfola diSamo,gli alTomigiiauaai
bambini, ì quali non ricufan di prendere il cibo, eh è i 3 porto loro in
bocca, &: mentre che lo prendon piangono, diceua ancora eflere i
Beotij limili a i Lem : conciofiacofa che i Leui da fe tteflì co i rami
loro fi perqtiotano, & fpezzino ; & i popoli di Beotia nó celli n
di contrattare , & combattere 1 vn con tra l'altro 14 fempre .
Demofthene parimente- aifomiglia il popolo , o ver la moltitudine della
Città a coloro, che nauigando paton continua naufta. Et Dcmocrate diceua
eflcrfimih gli Oratori alle nutri- ci, lequali fucchiano,&
inghiottifeon per compagnia con elio mi parti), nelle quai parole fi
vede, che più particelle s'interpongono prima, ch'ai fin fi renda quello,
che vi safpetta. 2 $2 'D> s'afpctra. & Te cofi fatra i
nrcrpofitione fi ftcndclfc molto in lungo, prima che fi rendefle il verbo (mi
par ri;)fcnza alcun dubio 11 ofeura ncdiucrrcbbc. Quello è dunque lapri ma
cofa nccellària alla purità della locutionc, polla nelle particelle congiuntiue,
o li congiuntioni, che le voglia in dire. La feconda conlille poi
in nominare, & lignificar lecofe con gli fteflì fcroplici, Se
ignudi nomi loro, & non per modo di circonfcrittioni, & di
delcnttioni. La terza ricerca apprendo, che nella locuiozne fi fugga l'ambiguità.
& le dettecole han da ellèr fempre oflèruate ; fe già le co- lf trarie
di quelle con detcrminato conligho non fi eleegelfero. il che far fogliono
alcuni, quando non J unendo cofa che dire, voglion pur parere, & inoltrar
di dir qualche cofa. Et co fioro in far ciò vengono a far parer la lor
locu non poetica : &c tra 1 poeti fa quello malli inamente Empedocle,
conciolìacofa che quel cir- cuito, & giro di parole, che troppo
abbraccia, agevolmente inganni : accafeando in quello a gli afcoltatori quel,
che fuole ac- calcare a molti, quado in odiie gl'Involtini, &
pronofticatoti del futuro,fenton dir le cofe ambigue,& dubbio(e,&
in anfibologia raccolte: che fc bc nó le intédono,dàno nondimen loro
alfenlo. j 9 vna così fatta locution fu quella, Ci clo pallàio il fiume
Hai 1, a vn 20 regno opulcnriflìmo da ri fine. & acciochc manco polli
apparir l'errore,& la falfità delle lor predizioni, per quella ragione
han per co fin me quelli, che predicono, & pronolticano ilfuturo,di 2
1 dir le cofe fempre più in genere,& in vniuerfal,che pollone
po- fciachencl giocare al paro, & imparo, o verdilparo, o caffo
che vogliam dire, puòfacilmente pi 11 indouinar colui, che
pronun- tia paro, oche pronuntia imparo, chequell altro,che più al
par- li ticolar venendo, a fpecifico numero voglia determinarli. 6c
più farà parimente per indouinar colui, che dirà la tal colà
hauere ad ellère, che chi fpecificando il tempo,dirà quando la fia per
ef (ère. & di qui è, che gli oracoli, & gli indonnii, non
determina* 13 no nelle lor predittioni il quando. Tutte querce
locuhoniadun 14 que vna fomigliantc ambiguità coregono , & per quella
cau la (chinar li dcono, fc già per qualche fine a iòmmo ftudio non
lì 2j eleggcllcro. La quarta cofa vtilc alla purità della locutione
ftà pofta in dillinguere i generi de i nomi, fi come Protagora gli 1
i- ibn^ucua in mafcolini,feminini,& neutri: pofciache cobi lacti
ge %6 Ben ancora, fa di bilogno, che quella conucncuolczza nel
par- lar lar fi rendano, Sz s'allignino, che fi dee loro : come (per
essempio) dicendo, ella venuta chetò, Se fatia di confabular, lì par- 1$
ti. La quinta cola finalmente (là collocata in bene efpnmere nelle
paro!e,la pluiitàja pochezza (cioè la dualità) & la (ingoia- mi, o per
meglio dire vnità delle cofe. come (per ch'empio) dicendo, eflì amuati,
dicderdclle battiture. Hora vniucrlaimente parlando q uelle cofe, che fi
dicono^o lì fcriuono,fa di mcllie- ri, che fiano ben legibili, Se ben
proferibili, che l'vna di quelle 3 t cofe, non puòftar lenza l'altra, &
mal potrà quello auuenire in quella locutione, doue molte congiuntioni, o
vogliam dir congiuntine particelle, implicate e moltiplicate (i troueranno: 5 1 ne ancora
in quelle, doue diffidimele lì potran conolcerc le ÌQr tcrpuntioni, Se
dillintioni trà parole, Se parole, per meglio intender' li (entimemi, li come
fi vede auucnir nelle co(c,che fcrif Ce Eraclito: concioliacofa che fatica
lia di puntare, A: diftingue re gli feri tri fuoi, per non li poter chiaro
vedere in clTì con qual parte, o con quella che fegue, o con quella, che
precede, fi deb» 34 ha comporre, o adattare qual fi voglia parte, come
(perclTèm- pio) li vede nello Hello principio dell'opera, doue ci dice,
Della diuina mente,chc nel fuoeficr li con ferii a e li lìen te (empre
inca- paci, & incomprenfiui fono gli rinomini. Nellequai parole
non li vede ben chiaro con qual parola s'habbia nel puntare a
congiu gnere la particella femprc, cioè ocon efiftente, o con
incapaci. 35 Olrra di quello fi cornette nella location foleci Imo, o
vogliam dire, incongrua, & imperfetra politura di parole,ogni volta eh
a due, opiù cole, che rcfpondentia d altre cofe ricercano, non
(ì rende aciafeheduna la(ua correfpon dente : le già non Ce
n'an- dalle loro vna, ch'ad ambedue comunemente s accomoda Ile, Se $6
quadralle. come per elfempical mono, Se al colore 1 cllcr vedu ti non
cconimune, ma l'eller lentiti, ad ambedue cómunemente quadra. Apprcllo di
quelìo ofeura, Se poco manifclladiuicn Ja locutione, quando occorrendo d
hauere a congiugner molte parole pervn fentimento principale, non fi pon
verlo l princi- pio la parte , c ha da chiuder quel fenrimento, ma tutte quelle 38
parole s'interpongono nel mezo tra'l principio, eh abbia io. Ce del
brutto, Se dellabomineuo- le, fcciò farà pcrapparir maggiormente con fa
divininone, farà bendvfareil nome Se fc per il conciario farà per apparir
pio 6 la bruttezza col nome, doucrà prenderli la diffinitione .
Vtileè ancora all'ampiezza della locutione, il rcderla lucida, Se
manife- llacon le mcrafore, &con gli aggiunti, pur che s'auuertifca,
& fi guardi di non entrare in hi quello dentro ai confini della
poeila. Giona parimente alla medehma ampiezza, & grandezza,
il nominare vna cofa, come fé la fulfe non vna,ina mo!te,come fo- 8
gliono fpefloi poeti fare; dicendo per cflcmp!o y gli' Achaici ? porti,
intendendo nondimcnovn porto folo. Et quell'altro Poeta dice, in tendendo d vna
fola lei ttra, ot;cro epi (loia, quelìc Ict- 10 tcre piene di lamenti, Se
di pianto . Reca oltra quefto alla già detta ampiezza giouamento ancoraci
feparare alle volte co qual che particella vn nome da vn'altro nome Tuo
aggiunto: come 1 1 auuerria dicendo,la conforte la no (tra. dotte che fc
vorremo ha- tier più alla brcuità,ch'all'ampiezza rifpctto, diremo, la
confer- ii te noftra.. Giona oltra ciò alla detta grandezza il ligare alle
vol- te le parole con la particella copulatiua: li come per il
contra- rio rio alla breuità e vtilc il dir fcnza così fatte
eopulationi, pur che i j non redi la locution dilciolta, Se dilfoluta in
tutto, diremo a- dunque per ch'empio, a ingrandirla, Se vi andai, &
t>arlai con elfo. Se pcrcagion di breuità diremo, Andatoui parlai
conef. 14 fo. Vtihilìmo ancora alla medefima ampiezza della
locutione, fi dee ftimare l artifitio, ch'vfaua Antimacho inalTegnare
alle cofe, per mancanza ch'elle habbian d'accidenti, le priuationi
di quelli, che le non hanno, il che fa egli quando parla del colle 1;
Tcumelfo in quei verfi, che cosi cominciano, S ergequiuivn itf certo
picciol ventofo colle, Se quel, chefegue. Et fi può con quello artifitio
ingrandir la locutione, quali ch'in infinito. Se ciò non folo nelle cofe
buone, Se che lodar fi vogliono ; ma an- cor nelle cattiue, che a biafmar
s'habbiano : alfegnando loro , cofi alPvne, come ali altre, le priuationi
delle qualità, che non fono in elle, fecondo ch'il far più l'vna cofa, che
l'altra ci farà 15 vtile. Et daquefta maniera d'aitifitio hanno prefo
occafionc i Poeti di dedurre, Se formar di nuouo parole priuatiuc:
come pcrelfcmpio, chiamando il canto vocale, con cento accordo,cioc lenza
corde, Se aliro, cioè fenza lira, formando le parole col mezzo della privazione.
Et è atta quella cofa a portar lode, & vaghezza a quella forte di metafore,
che diproportion fidoman» dano: come farebbe in dire, che il fuon della
TróbafuiTe vn fuo* no, o vero vn canto aliro, ciò fcnza lira • (apo
7. Del deecoro della locuzione oratoria , & quante, £tf quali fiano le
conditioni, le avvertenzie che per Jua cagione fi ricercano . qual fìa la
locution proport tonata > quale la cottumafa 5 & qual la Pathetica
, 0 vero affettuofa . » ] m»L 1 S*j^^3EcoRO fi potrà dire, c habbia
la locutione oratoria, j j^ )quana 0 la farà pathetica, (o voglia
dire,bcne efprcfliua gj^^B d'affetti) quando la farà coltumata, Se quando
alle cofe 1 loggette, delle quai li tratti, farà cóformc,&:
proportionata. Pro- G g ij portionata 2$f- T>eIIa r Retorka
d'Arttlotelz^ portionara primicrameic farà ella,quando delle cofe
ampie,gran di> & magnifiche, non fi parlaràcon Itile, Se maniera
humile, àc vile : riè delle balTe, picciolc,& vili, co maniera graue,
fplcdida, | cVgrade. Et quando parimele ad vna parola d'abbietto,
humil fignificato, non fi darà ornamento, Se compagnia di parola,
che maieltà habbia, Se grandezza . peroche quando quello fi
facefie, 4 verrebbe ad apparir comica locutionej come era folitodi
far Cleofone,il qual moire cofe diceua fimili a chi dicerie li
vencran- $ di fichi . Pathctica, o vero cfprelTìua d'affetti la locution
farà, fe hauendo ella a moftrar,chc fi lìa riceuuta contumeIia,farà
efpref 4 fina, &e piena d'iracondia : Se fe hauendofi a far mcniion di
cofe, c'habbian dell'impio, Se del brutto, lì diranno con vna certa
indegnationc, stomaco e nausea e qua(ì sforzatamente, Se có ve recondia.
Scper il contrario con vna certa apparente lctiria d a- 8 nimo, fe di cofe
honorate, Se lodcuoli fi donerà parlare . Se le co femiferabili, Se
calamitofc, con vna cena liumiltà, Se iommiflìó d'animo fi proferiranno.
Se il medeiimo intender fi dee dilcorré- 9 do per gli altri affetti . Et
ha in vero gran forza vna cofi propria- mente efpreflìualocutionc a
procacciar pcrfuafibilità, credenza,óc fede alle cofe. peroche elfendo notoagli
afcoltatori , che per il più le perfonc, che ii ritruouano nel tale
affetto, foglio parlare in quella maniera, che fenton parlar roratore,concludon
có falfo fillogifmo nell'animo loro,chc tale affetto lìacò verità
parimente in lui . di maniera che fe ben non è veramente la cola nel modo,
the l'orator la moltra, o la dice, cglin nondimeno fi dan- ii no a
credere, che cofi fia . Et pare che foglia fempre chi ode fen- tirfi in vn
certo modo commuouerc, implicarli , Se diuenir par- tecipe di quello
ftelfo affètto, ch'egli (limi elitre in colui , che pa- theticamenre
parla, ancor che veramente non vi fia,& non fia ve 13 ro quel, ch'egli
dice. Onde molti oratori foglion cofi commuo- ucre, Se perturbar d'affetti
color , che gli odono , che ftupidi , Se 14 quafifuordi fe fpauen tati gli
fan reftare. Coftumata locution domanderem poi quella, la qual come con
inditio, Se con fègno i coftumi moftra, folendo feguire a ciafenn genere,
òv a ciafeuno ij habito, locutione ad elfo appropriata , Se accommodata.
Et per genere intendo io, fecondo l'età, come a dir fanciullo, d'età
viri- le,5c vccchio-,fccondo'l fedo, come a dire donna, o h 11 omo;
fecó- do la nationc, come a dire Laccdcmonio, o Thcllalo . Per habiti
intendo io poi quelli, Hai quali può chi fi Ha denominarti nel cale, onel
tal modo qualificato nel viuer Tuo : pofeiache nò tutti gli habiti pollbn
la vita dell huomo da qualche qualità denomi- 17 nate, & determinare.
Ogni volta adunque che le parole s'acco- moderanno, & s'approprieranno
a quello , o a quello habito , fi troucrà coftumc nella locutionc :
conciofiacofa che non le mede lime cofe, & nel medefimo modo dette
farà per vlare vn'huomo rozo, & nutrito in villa, che Tfcrcbbc vnohuom
perito, &: cl- ip uilmcntcdiiciplinato . Suol fai e ancora impresone ,
Se effetto nell'animo de gliafcolratori quel, che fuole eiler da coloro,
che cópongono orationi principalmente per lafciarle fcrittc, con
fa- lò tieuolfrequcntia, & abbondantia vfato : quando dicono, Chi
e quello, che quello non fappia? a tutti è nota quella cola .
perciò- che colui, che ode dir coli, ancora egli nell'animo Tuo vi
allenti fcc,comc quello,ch'in vn certo modo fi vergogna di no elTer
par- li tecipe di quello, che tutti gli altri fanno. Ma l'vlare
vn'artifitio tcmpeltiuamentc, o intempefliuamenre è commune, non folo
a quella auuertcntia detta, ma a tutte l'altre, ch'appartengono
al decoro. Bene e vero, ch'ad ogni trabocco, che nuoca al detto
de coro , può recare alquanto di remedio, de di medicina quel , che
{ 14 fuoleeifer trito, & commune in bocca d'ognuno.
Etèchcfàdi mellteri, chel huom nel dir l'errore riprenda, 6c corregga fe
ilcf* ij fo? perciochc vedendoli, cha colui, che parla , non iia nafeo- flo
quel, ch'egli fa, poi che egli con la correttion lo dimoftra; vie per
quelto ad edere (limato vero quel, ch'egli dice . Oltra di que- llo e ben
fatto di non vfare inficme, &in vno lidio tempo tutte quelle cofe, che
poflon giouare a far la locution proportionata : Ferciochc con quella
auuertcntia verrà meglio a natconderfi al- afcoltator l'artificio . voglio
dir , per elle m pio , che fe le parole faran dure, afpre, &
terribili, farà bene, che terrore , Se durezza non appaia ancor nella
voce, & nel volto,& in altre cofe, che pa rimente fian conformi .
altrimenti fi verranno a difeoprire , & a paleiar cucii gli
artifirij, come gli Hanno. Ma fe delle cofe pro- poitionatc le vnc fi
prenderanno, & l'altre nò, fi nafeonderà l'ar- 30 tifino, vfandofi
nondimen maggiormente quello. Bcncèvcro chele le cofe piaccuoli, &
priuedi durezza, éc di turbulenria.là- ran dette có parlare , alpro ,
horrido, & duro, o ver per il córra- li© co parlar mice, &
quietone dure, noiofe, & afpcre j priua di- ucrrà . Della c
R(tprica d'Ariti otelts 1 1 ucrra la locutione di pcrfuafibilità, Se di
fede . Frà le parole poi, Ieaggiunte,o ver gli cpitheti, le doppie di più
compoite,& le (ha niere, a colui maffimamentc quadrano , clic
pathecicamcntc , 8c 3 1 có efprcflìon d'affetti parla, percioche ad vn
grandemente irato , farà dato perdono, fé tirato dal furor dell'ira , per
ingrandire vn male, lo chiamerà con parola doppia , Empiecielo, o con
parola ftranicra, pclorio , cioè vailo, 3c immenfo , ch'c parola
(tramerà in Athcne . Polfon quadrar coli fatte parole in vn'altro caio
an» cora, 6c e quando colui, che parla conofeerà di po(Tedcrc,&
d'ha uer già tirati a le gli animi degli afcoltatori,& d hauergli in
Com- ma qua(i rapiti fuora di loro ftefll , o con lodi, o con biafmi,o
có ira, o con amore, o con quafaltro mezo fi voglia : fi come fa
Ifo- cratenel fuo Panegirico verfo'i flne,& {penalmente in quella
par te, che comincia, La fama,& la memoria. & in quell'altra
parte, 3 5 Quelli che loftennero,6c quel che fegue . percioche coli fatte
im- pctuole, & vehementi parole foglion mandar fuora coloro,
che cómoflì, & alienati quafi di mente per qualche potente affetto
fo no : & per queflo non è raarauiglia le coloro, che
odono,cómo£- fi ancora elfi da vna limile alienacion di fc ftelfi , le
accettan per vere, & le appruouan col loro aifenfo . Onde corali locu
tioni al- la poefia grandemente cóucngono, hauendo in fe la poefia vn
no 17 fòchedi fpirito, & furordiuino . Incofi fatti cafi adunque
può hauer luogo appreflb dell'oratore vna cotal maniera di
loamone & in altri nò : fegiànó facellcegli ciò códiflimularione, tk
con ironia, nel modo, che Gorgia foleua fare, &c come li vede nel
Fe- dro parimente vfato. {apo S. Del numero, & ritmo oratorio :
& in che fia differente dal metrico de i Poeti : & d'altre
co/e appartenenti al ritmo a gli Accenti . [SS A forma, Se la figura
del parlare oratorio ricerca de (fe- re , nè cofi miiuratamentc numerofa,
come fefullc metrica,nèfenza numero, & ritmo in tutto.
percioche l'elTcr metrica tolle Yialaperfuafibilità, & la fede ,
apparendo in tal Jl Terz^o libro . 2 5 tal guila finta, &
piena d'arrifitio. Er inficine olrra ciò viene a diftrarre,& a diftoglicr
gli auditori daU'atrcnrió delie co fe,che fi di- cono; mentre che falor
por l'animo ad attederete afpettar,che ù, 4 mil mifura di nuouo torni. di
maniera che in preuedcrc&afpct- tarquel fine, auuicn Ioro,quel, che fi
vede accalcare a i fanciulli, quàdo nelle parole del bàditore,
antiueggono, & preoccupano il nome di colui, eh e eletto per aduocato
da chi fia alla libertà dona . $ to,come a dir,per effèrapio,il nome di
Cleonc-L'elfer poi la loca tionepriua,& lcioltain tutto di rituio,cV:
numero, porta fcco vna ; certa infinità fenza termine ; il che a coi!
fatto parlar difcóuiene, douédo egli per ragione haucre i fuoi fini,*&
i iuoi termini, ma no giàmctrici:pofciachepoco foaue,&
pocomanifeito,& noto è l'in 6 finito ; ne con altra cofa prendon fine,
de termin le cofe, che con lo Hello numero ; ne altra cola è il numero
della figura della lo- ttinone oratoria, che ritmo, di cui li metri
ancora, & li verfi Con 7 parti . Dee dunque l'oratione hauer ritmo ;
ma nó già quella fpe rie di ritmo, che fi domanda metro : pofeiache quando
quella ha neire, diticrrta poema. & il ritmo, ch'ella hà d haucre, fa
di me- ftier, che fia, nó grandemente cfquifito, & efatto , ma fino ad
vn 8 certo ragioneuol termine. Hor frà i rithmi 1 heroico primicramente hà
in fc del grande , & no molto è atto al parlar , che fia fcioltoda
metro, & pare, c'harmonia in fua compagnia ricerchi. i o 11 Iambo poi
è tanro domelrico all'vlitato parlar della moltitudi- ne, eh e quafi vna
ItelTa colà con cito . Et da quello nafee, che irà tutte le forti, &
fpetiedi verfi , maflfìmamente più d'ogni altra , fuol cader frequente nel
trito parlar comune, quella de i verfi ia- II bici. Dal qual parlar comune
della raoltitudine,dec l'oratoria lo- cutionedifcoftarfialquàto : douendo
hauerein fe qualche gran- ii dezza, cVgrauità più, che nó hà quello . Il trocheo
poi par, che per la fua celerità fia più atto, & accomodato
adaccompagnarfi ij con le laltationr, che alla locutione, della qual
parliamo. &di ciò nefainditio l'elTere ilverfo tetrametro fopra tutti
gli altri . ritmi per natura fua fai ta torio ; ilqual di trochei
principalmcn- 14 te abbonda. Retta dunque il Peane, ilqual molti, fenza
auucr- tirlo, ne dargli nome, han feguitod'vfare* cominciando a far
ciò daThialìmncho, che fu il primo : quantunque co chaobiam detti,
continuato concili nel terzo luogo 10 li 240 "Della
Ugo/tea d'Jrittotek 1 6 luoeo, come quel, che contiene in fc la
proportione, o per me- c l,o dir la ragione di tre a due. conciofiacolachc
1 vno di quelli di l'opra dctti,cioc l'heroico, contenga la ragion, che
tiene vno ad vno, Se l'altro cioè il Iambo, o 1 Trocheo (eh vguali nella
mifura fono) contenga la ragione di due ad vno . alle quali due ra- Cioni
feguea canto per ordine, come terza la (cfquialtera, & que ,8
ftantlPeane fi contiene. Gli altri ritmi, & m. Iure dette adun- que,
repudiar da noi, Se laiciar li dcono,fi per le cagioni di (opra io aWate,
Se fi ancora per ciVer metrici, Se atti al vedo. Et il Peane dcbbiam
riccuerc ; come quello, elicalo fra tutti 1 ri tmi, c hab- biam
nominati,non fuolc entrar nel vcrfo:&: per conlcgucntc po trà
inaflimamente nafeonderu loueruantia d'elfo . Hor nell vlo, eh al prefentc
fi fadcl Peane , non è pofta in vfo , fc non vna (ola fpetie. Se quella
folamente nel principio del periodo : douendo nondimeno elTer differente
il fin dal principio . S. miouan dun- que due fpctic di Peancoppolte in vn
certo modo fra di orotdcl le quali 1 vna conuiene, Se quadraa i principi),
u come al prelcn- x 1 te l'vfano: Se è quella, la cui prima f.llaba è
lunga , Se le tre altre, che (V R uon breui . come fi vede, per elTempio ,
in quelle greche parole, Dalogenes ite Licic, (ch'in noftra lingua (uonan
, nato m Delo, over di Licia) & inquefte altre, Chrifeocoma e caete
pc dios ( eh in lincrna noftra fuonano , Ornato di chiome d oro ,
ri- al eliuoldiGioue). L'altra fpetie di Peane è quella , per il
contra- rio di cui le tre prime lillabc fon breui, £v 1 vltima lunga j
come, per eirempio,in quelle greche parole, Meta de gan h.data t
ocea- non iphanife nix , ch'in noftr, lingua importano , (opra la terra
, & l'acqua, bloccano precipitò la notte. Et col» fatta (pene di Peane
quadra accommodatamente a chiudere, Se terminare. * c concofiacofa che non
cllcndo la (ìllaba breue d integra,* perfee tam.fura, venga in vn certo
modo a render tronca >*C mutilala % 6 la locutionc,felaf.poncìn fine.
Se per quello fa di b.logno di . 7 farla pofarc,* terminare con lafillaba
lunga,accioch* l'altra raccolta , £5* in fi ritorta , & periodica .
£cf che co fa Jia periodo , £c? de i membri , che fin parti • di
quello . & di più maniere qualità di periodi . I tO^tttì ttf tX't
t ' ' i 1 IO Zi lì Itili * 'Ij'ùtlltlf * Uìl»f»f'««J} ? tìyM 'Vna di due
forti è neceflariamente forza , che fi rruoui la locutione : cioè o
pendente , Se dirtela, in guifa che con l'aiuto delle congiuntine
particel- le habbia la continuità, & l'vnitàTua , nella manie- ra
che fi veggono cller le Anabale tra le dithirambi che Cantilene : o
veramente in fe ritorta, &l quali raccolta in gi- ro, a quell'altra
forte di dithirambiche cantilene fomigliante , le x quali Antiftrofe fi
domandano • Di quelle due locutioni, la pen- dente è molto più antica, e d’Erodoto
Thurio vlata , come fi vede, quando dice , Quella farà 1 efplicatxó
dell'hirtoria, & quel, 3 chefeguc. Et da tutti in quei tempi erada
prima approuara, Se porta in vfo . ma ne i tempi d'oggi non molti fon
rettati più, che 4 l'vfino. Hor quella diftefa, & pendente locutione
intendo io etVer quella,che termine,o fine alcuno per fe (Iella non reca
mai, fin che la cofa, che fi cfplica,& che s'efpone non termini nel
fen- j timentoCuo. Et è veramente poco per fe gioconda, per
l'infini- tà) & intcrmination , che tiene: defiderando per natura
tutti 6 di conofeere, & preueder dalla lunga il fin delle cofe. Et
da quello nafte, che coloro, che per arriuarea qualche termine
> & a qualche meta corrono, Cubito, ch'arriuano alle Cuoltc del- le
ftrade, fi fenton rifoluer gli fpiriii, &quafi auuiliti lafcian
di ritener più il fiato: come quelli, a cui prima parendo loro
di vedere il fine, c i tei min del corfo, non parca per conCcguente
di 7 Cernir fatiga* Tale adunquequale habbiam detto s'hà da Iti
mar, 8 che fia la locution pendente. La in le ritorta, & raccolta poi
è $ quella, che in periodi Uà collocata, & di periodi fi compone,
tic per periodo intédo io vna locutione, che in fe rtclla raccolta,
pof H h legga 2^-2 ^ez^> 10 feggavn fuo proprio principio, Se
vn fuo proprio fine, &fiadt grandezza tale, che facilmente tutta
inficmc comprender con 1 1 Fintelleteo, Se con l'apprénfion fi porta.
Quella periodica locu- tionc adunque ha in le del foaue, Se del giocondo,
Se è infierae- 11 mente bene apprenfibile, o percettibil, che vogliam dire
. Soa- uc, Se gioconda è ella primieramente, fi perche elfcndo ella in
Ce finita, viene ad effer contraria al non finito, Se non
detcrmina- 1 3 to, ch'è per fé noiofo;& fi ancora perche airafcohator'
odendola^ par fempre>di pofTeder di nuouo con l'appenfion qualche cofa
, per caula che Tempre periodo per periodo viene a (coprirti
qual- che termine : doue che perii contrario il non preuedere
inditio di fine alcuno, Se il non terminarti, Se fpcdirfi nulla,hà in
fedel- 14 l'infoaue, Se del difpiaceuolc Beneapprcnfibile,cv ben
percet- tibile e ella poi, per poterfi fino al fin luo con facilità
ritener nel- la memoria. Et quello le adiuicne per haucr ne i tuoi periodi
mi fura, Se numero, ch e la cofa, che fra tutte l'altre e atta a dar
bc- 1$ ne imprefla nella memoria. E da quello viene,che
ciafehedun molto meglio conlerua nella memoria i verfi, che la profa, Se
il parlare fciolto, per haucr' i verfi più efatto numcro,chegli mifura.
Hor'ei fa di bifogno, che il periodo fi diffonda. Se s incorpo ri con la
fentcntia in modo,chc con ella proceda faluo,& fini Ica infieme, ne in
modo alcun la fpczzi, o la rompa , o la laici len- za feguirla, andare:
come fi vede auuenir ne i Iambici verfi 17 di Sofocle, Calidonia
certamente la terra che già fu habitata daPclope. perciòchc può per la
diuilion fofpicai fi il contrario di quel, che fi drcan, come a dir nel
detto eifempio, chcCalido- I j nia fia terra del Peloponneflo. De i
periodi poi, alcuni fon com- porti di membri, Se alcuni altri fon
femplici, o vgnoli, che vo- lo gliam dirgli, di membri cópollo s intede
cfler quello periodo il quale elfcndo perfetto, Se finito in fc fldfo, Se
dilli nto nelle par- ti fue, viene ad elfcr con commodo, Se nonratigofo o
impedito fpirito proferibile. & ciò. nelle diuife, Se inrenotte parti
fue, fi come adiuien nel periodo pure hora per eifempio addotto, ma
nell'intiero giro fuo . Et di cofi fatto periodo le parti Con quelle> che fi
domandan membri. Semplice, & vgnol periodo intc- do io poi erter
quello, che Ila raccolto in vn membro folo. Qua- to alla grandezza poi,
deono clfer i membri, Se li periodi non cosi corti, che parer pollali
monchi, Se troncati, ne troppo pa rimente Jl 7crzL,o Ithro . .
3 if rimente lunghi, conciofiacofa che i troppo corti, fogliari fare
in li vn certo modo virare, Se inciampato 1 ascoltatore in odirgli.
per cioche quando procedendo, Se difeorredo egli con l
apprenfion dell'animo in lungo, verfo la mi fura di quel termine, alqual
già nella mente, s'haconceputo, che debba feguir colui, che parla , fe
in tal cafo dà d'intoppo nella cedanone & «ci finir di quello, prima
ch'ei non s'afpctta, e uccellino, che come ributtato da ta le odacolo, in
vn certo modo quali inciampi, Se arredi. Dall'al- tra parte i periodi
troppo lunghi vengono a lafciare,& a far rima nere l'auditore a
dietro, nella maniera che tra q uei, che infieme paleggiano Se fpatij
finno trapalando alle volte l'vno d'elfi più olrra del rcrmin (olito,
prima che in dierro torni, vienea Ialciar, & abbandonar quali gli
altri, che palleggiano, Se fanno fpatijfcco. Mcdelimamente hanno i periodi
troppo lunghi, quello d imperfcttione,chc finno apparentia più tolto di
fermoni inte- ri, che di periodi, che fon pam d'elfi, Se iì polìbn
perquedo assomigliarc a quella forte di poema, che fi chiama Ànabole.
on- de fi può a coli Tatti periodi accommodar quel mordace
detto, ch'vsò Democriro Chio contra di Melanippide; il quale in
vece d'Antiftrofi s'affarigaua in comporre AnabolcdilfcdunqucCo- ftui,
che noia , & fatica fabrica ad altri ; fariga, Se noia fabricaa fe
medefimo . Se in vero le lunghe anabolepeflìme fono al Poeta, che le fa. Qitcdo
medefimo può co ragione ancora adattarli, de dirli contra di quelli, che
troppo lunghi membri dicendo fanno. Dall'altra parte i periodi, che troppo
brcui i Ior mem- bri tengono, non meritan d'elTer domandati veramente
perio- di, cioè giri, &circuiri, mandando pertrauerfo precipiti gl’ascoltatori.
Hor di così fatte locutioni, che fon compofte di mc- bri, Se per quello fi
podbn membruti periodi domandare, alcu- ne fono fcioltejibcre, Se
difobligatej Se altre fottopofte a oppo- 3 3 da contrapolìtione. Sciolte,
Se libere farien, come a dir (per ef. fempio) queda, Spelte volte hò io
hauuto in ammirarione colo- ro, Che quede ibléni adunanzepanagiriche hanno
ordinato, Secolor parimente, che quedi eiTercitanui giuochi, Se conrefe han no
inftimito. D'oppodapoi contrapofmon fon quelle, negli v- ni, Se ne gli
altri membri de le quali, o fi fan corrifpondef gli v- ni contrari] a gli
altri, o vna delia cola fi fa corrifpondere ad am- 3 5 biduc i contrarij.
come (per elfempio) l'aria dicendo, A gli vni,effa borica d'Arinotela Capo
io. DeltVrbanita della locutione orato- ria, che co/a la fia^tn che
confijla ; quante coje pojfon concorrere a rendere il parlare orbano
. Avendo noi già detcrminato di quelle cofea bastanza, fegue, che
inoltriamo al prefente, onde procacciar quelle fi poffanoje quali fono
atte a rc- dereil parlare vrbano,& a farlo apparir
vago,&gra tiofo, perciochel yfare, &porreinarto I
vrbanità del dire, e cofa dahuomo, che fia, o dalla natura bene
inftrutto, Se accommodato a quejlo,o dalla lunga confuetudine aciò
artue fatto, cVerterci tato, mail inoltrare li precetti , & le vie,
che fi han da tenere in farlo, a quella prefente arte, & methodica
via J appartiene. Direm dunque di quello al prefente, &
affinere- mo, & raccoglieremo quelle colè, che poffono a ciò effere
vtili, 4 pigliando alquanto da alto il principio in quella maniera. E co- la
per natura a tutti gli h uomini grata, de gioconda il
facilmen- teimpararc: & e/Tendo le parole inditij fignificatiui di
qualche cofa ; ne fegue, che giocódiflìme ci fatan tutte quelle parole,
che * cauferan lo imparare, cioè nuouanotitia in noi. Kor le
parole uranierc mal polìon far quelìo, come quelle, che ci fono
ignote: 7 & le proprie ci fon già prima note . ma le parole
metaforiche , o 8 ver trafponate, fopra tutte l'altre lopoffon fare,
peroche s'alcun ( per cllempio^ chiama la vecchiezza ftoppia, o ver biadegià
fcc che, viene a fare, a chi ode,imparare, & gullar nuoua
notitiaper cagion di quella cofa comune, che comè genere Ila lor di
fopra: efrendoambeducxio ècofila vecchiezza^comc la ftoppia,o ver tal
biade, cofefattearidc, &giasfioritc. Fannoancorqucfto me defimo
effetto Jc immagini, o ver comparationi de i Poeti,: per quella cagion ,
quando fon ben formate, po/Tbn fare apparire il parlare vi bano; come
quelle, che fecondo c'nabbiam già det- to prima ; fono in foftantia
metafore , differenti folo da elle, per 11 quella poca d'aggiunta, che le
ricercano. Onde viene a parer l'immagine manco gioconda, per la
Iunghezza,nella qual lì (ren- de j Jl Terzj) libro . iz de; n è
dice breuemenre quella cofa eller quella: onde non ha 1 3 occalìon
l'incelicelo di chi ode di cercare, & apprenderci quafi guadagnarli la cofa
egli ftellb . Neceflàriamentc adunque quei modi di locurioni, & quelli
Enthimemi fi deono Itimare vrba- ni, i quali co facil prefiezza ci pollon
fare imparare, &c qualche 1 j nuoua notitia acquilìarc.Et per quella
ragione nè quelli enthime mi, che fon troppo fuperficiali, & patemi,
polFono vrbani,cV'gra tiofi apparire: ( òe per iupcrliciali intendo io
l'elferea tutti aper- tamente noti, Se leder di cola , che nó punto
importi il faperla, o l'inucltigarla ) ne parimente quelli, 1 quali
proferiti che lono , 1 6 ofeuri nondimeno,& non manifefti reftano : ma
folamentequel li, li quali mentre che fi proferifeono Tono infiememente
appre- fi, quantunque prima non le nhaueirc notitia alcuna:
oalmen poco doppo, che proferiti lìano, fon dall'intelletto di chi ode,
Se 17 có l'apprcnfion gli fegue, arriuati. Da qucfti enthimemi
adun- que li viene a guadagnare, o inficme, o poco doppo,qualche notizia
di cosa, che prima non fi fappia . doue che da quegli altri , che poco fa
diceuamo, nè nell'vno, nè nell'altro modo li può tal 18 guadagnofarc.
Quanto dunque appartiene alla fentcntia,& feti timento della
locutione, quelli c habbiam detti fono gli cnthi- 12 memi, che fi pollbno
(limare vrbani. Quanto poi allaltellalo- cutione, rifpetto prima alla
figura, Se forma di quella ; alhora vr- banità vi fi trouerà, quando vi
faràinfcrta cótrapofition di con- io trarij : come , per ch'empio ,
dicendo, Quella, che da tutti in pu blico è (limata per pace, da colloro
in prillato e giudicata per guerra : doue fi vede la cótentione, o ver
còtrapofitione,cirendo 2 1 la guerra cetraria alla pace. Rispetto alle
parole vi fi tremerà primieramente, fe vi fi conterrà metafora , & tal
metafora , che la nonhabbia, nè dell alieno, Se del remoto , pofeiache
cofi verrebbe ad elfer quando la fi profenfee , difficilmente intefa :
nè parimente habbia troppo dell'aperto, Se del luperficiale ;
pofeia che cofi non darebbe ella occafion di diletto alcuno a chi
l'ode, a 3 Et vi fi trouerà ancora, fe fi porrà la cofa in vn certo modo
di- nanzi a gli occhi , come ch'in atto quali operante : peroche
per l'impreiììon , c habbian le cofe a far nell'animo di chi ode, fa
di mefticri, che più torto li mollrino, o vero appaiano, come inatto
prefente operanti, che come quiete, & atte a operare in 14 futuro.Fà
di bifogno adunque,ch'a quelle tre cofe,fi tenga l'occhio, alla metafora, alla
contcntione,ouerc6trapofirion dei con- trariaci all'efficace euidenria nel
por la cofa dinanzi a gli occhi, i f & emendo le metafore di quattro
fpctie, quelle di degniti, & di grada fopra tutte le altre ccccdonoje
quali confiftono in propor i6 tione: ficomc (per eilempio) fu quella, eh
vsò Pericle, quando parlàdo di quei gioueni, cheran morti nella guerra
diccua, che costerà (tata quella giouentù, dalla città tolta via,
comes'alcun 27 togliclìe via dall'anno la primaucra. & Letine parlando
dei La- cedemoni) di ire, non douerh* cóportare, &c tener poca cura,
che la Grecia hauefle da reftar priua d'vno de duoi occhi fuoi.Cefifo doto
ancora,vedédo,chc Charcte ccrcaua,& facca diligétia di re der delle
cole publichc da lui amminiftratc, conto, & ragione a punto in quel
tempo, che la Città ftaua occupata nella guerra Òlinthiaca,indegnato di
quefto fatto, dille cheCharcre aJhor, che gli pareua d hauer quel popolo
in vn forno,tentaua,& facc- ia ua forza di rendere i conti,& le
ragioni fue . & il medefimoCe- fìfodoto ellbrtando già gli Atheniclì a
mandar gente nell lfola d'Euboca,per trar di lì frumento, per maggiormente
infumargli diire loro,e(Tèrdi bifogno,ch a quella imprela vfcille fuorail
de 50 creto di Milciade. Ificrate ancora, trattando, Se confutando
gli Atheniclì di far pace,& amicitia con quei di £pidauro,& di
tue ta quella riuiera,hauendo egli quefto a male,perditHiadergli
dif fe loro,ch'cglin cercauan di priuarfi del viatico delle lor
guerre. Pitholao parimente foleua chiamar li (ola di Salamine,la
fruita, 3 2 ouer la sferza del popolo Atheniefe. & la città di Scilo
foleua e- 3 3 gli chiamar l'arca, o vogliam dire il granaro di Pireo.
Pericle me defimamentecfortando,che fi rogliclTc via la città d Egina,
dicc- ua che gli era da tot via quel fiocco da gli occhi dal porto di
Pireo. Mirocle ancora elfendo con non so chi venuto in mentio- ned'vnatal
pedona, tenuta giufta, & da bene, dille non parerli elfer punto
peggiore huom di quello : perochc quello (diceua egli) pone in atto la fua
malitia con terzi tochi (cioè con vfure, ch imporran quatro per ccnto,che
fon maggiori delle decimali , eh importan manco di due per cento) & io
la pongo in atro con decimali tochi (cioè con dicci figli, lignificando
appretto de i greci, la parola, tocos, co si rvfura,come i figliuoli.)
Alclfandro pa- rimente in vn de i fuoi verfi Iambici, parlàdo delle
figliuole fue, chaucuan già trapalfato l'età conuencuole a maritarli,
dille, Le mievergini hanlafciato fpi rare il tempo di coparirein
giuditio $6 dinazi al tribunale delle Nozze. MedelimamcntcPolicuto
cétra di Speufippo, il qual'cra grandemente molcltato d apoplcflìa,
di ccua,che quello nó potcua trouar mai fermezza, ancor chela
for tuna l'hauefle raccluufo in quella infirmiti penteiiringa (cioè
li- mile a quello inltromcnto da carcere, che in cinque parti
tcneiu 57 la pedona ftretta, Se perciò pctelìringi li domàdaua.)
Ccfifodoto |8 ancora foleua chiamar le galere, o ver le naui, molini
ornati . Il Cinico chiamaua le tauernein Athene,le Fiditiede gli
Athcnie- fi ; (elfendo le fiditic quelle femplici, Se modelle publiche
cene 39 de i Laccdemonij.) Elione parimece dille, che gli Athcniell
ha- 40 ucuan verfata la Città lopra la Sicilia. Se in quelle parolc,nó
lo-, lo lì cótica metafora, ma fi pone ancora in ella la cola dinàzi a
gli occhi. come li pone ancora in quella, Onde la Grecia
cfclaroaua, Se vocifcraua. doue fi vede in vn certo modo la mtafora, &:
il poni meco della cofa dinazi a gli occhi, come lì vede ancora in querelle già
dille Cefifodoto,douerfi hauer cura,che le publichc adu- naze,nó parelfer
più torto incurlioni militari, che ciuili raccogliraéti.óc il mcdclimo modo di
dire vsò Kocratc cótra di quelli, che a modo di tutbuléte,& inordinate
incorfioni,in quelle cómunif 44 fune adunaze panagiriche lì raccoglie u a
no. Et ancora in quella funebre oratione domàdata rEpitafHo,fi legge, che
gi ulta cofa fa rebbe,che fopraa quei fepulchro,doueeran fepolti quelli,
ch'e- ran morti nel fatto d'arme appretto di Salaminc,lileualTe i
capc- gli la Grecia, poi ch'infiemc có la virtù loro, era fepolta la
libertà 45 di quella, doue fc fi fulfe detto, chegiufta cofa farebbe, che
la Grecia piangere, Se facelfe fopraquel lepolcro lamenti per
elTer quiui lepolta la virtù di coloro, farebbe Hata metafora, Se
inliememente ponimcto della cola dinazi a gli occhi, ma 1 hauere ag- giùto
elici có la virtù fepolta inlieme la libertà, vi ha fitto elici e ancor di
più la contentione, Se contrapolition de i contranj. lu- crate ancora
dille, il camino della mia orationeattrauerlerà perii mezo de i fatti,
& delle attioni di Charete.doue li vede primiera- méte la metafora di
proportione,& in quel dir poi, per il mezo, 48 fi viene a por la cofa
dinazi agli occhi. Se parimente in dire, do- uerlì chiamare alle volte i
pericoli in aiutodc i pericoli, li cótien 4 tal metafora,chc dinazi a gli
occhi la cofa pone. Licoleone anco- ra difendedo Chabrio dille, Nó haretc
voi alquàto di rtfpetto (o ^ li giudici). Se di verecundia a quella ftatua
di bronzo, che fupplica a 50 voi per lui. Le quai parole,nó Tempre, ma per
quel répo, cV per quella occalionealhor prefente, contengono in le
metafora, ma ben fonoattea por Tempre la cofa dinanzi agli occhi, perochc
in quello flato di pericolo,in che Ti trouaua alhor
Chabria,puòqua drar,che la (tatua Tupplichi,dàdo(ì alle coTe
inanimate,qucl, che conuiene all'animate,come ch'altro non fiano e(Ic
fiatile, che có- 5 i menrarij,& memonedelle coTe,che Ti fanno per la
republica.Co fìmil metafora di proportion Ti dircbbe,crTalcuni co ogni
manie ra di diligctia (Indiano, Se s'affatigano per Taper poco, Se per
hauer l'animo vile.cóciolìacoTa che l'attribuir cura,ÓVdiligctia, propriamente
s'accomodi al cercar d'accreTcere,& di migliorare, Se 51 nodi palfàr
nel male. Simile ancor METAFORA Taria diccdo.haue- ic Iddio nel darci 1
intelletto, acccTo nell'anima noftra vn lume, poTcil&i e aro beatole
qu erte co(e,intelletto, & lumc, conuengono 5$ in queftacótmwvc anione
di far manifefto,& recar chiarezza. Si- mile ancora è quella, con
quefta pace non difciogliamo la guer- 54 ra, mala proroghiamo : peroche
ambedue quefrecofe, (cioè la prorogarione,& vna così fatta pace)
conuengono in guardar co- 55 fa, c'hahbiaa venire . Simile ancora èquclla
altra, che dice, Le paci vantaggiofe elìer più egregij Trofei* che non fon
quelli, che j6 ti rizzano nelle battaglie, & ne i fatti d'arme .
conciofiacofa che quelli lì Togliono Tpeìlb Tir percoli*,
ch'all'importantia di tutta la guerra non Ton di molto momento, doue che
quelle Ti pógoi» 57 per il felice fine,che Ga porto a tutta la guerra .
ambedue que- ftecofe adunque (cioè corali paci,& li Trofei) conuengon
nel- 58 ladetta metafora, in elFcr fegni, & indi ti j, di vittoria. Se
cosi fatta metafora è quella ancora, Le città fono ancora elle
grande- mente fottopofteàcondciiation di pagar la pena degli error
lo- ro,laqual pena è il vitupcrio,nel quale apprello de gli huo- mini
errando incorrono : non eilendo altro il pagar la pena, che lettone, Se
danno guidamente rice- uuto. Habbiamo già veduto adunque, che la
metafora, & il ponimento della co- fa dinanzi a gli occhi, Terne ,
Se gioitamenro reca alla cotn- pofition del parlar vrbano.
aji (ajtoir. *Di quella locuzione } che pon la cofa di- nanXi^ a gli
occhi : come le metafore* & le immagini pojfon fruire a rendere il
par- lare : priue d'anima,per virtù delle metafore. In tutti i
quai lucghi, quell attribuiteli ei fa energia d'atto, Se
dopcrationeal- le cofe>reca gratia,& dilcuo,come(per eiTcmpio) in
quel luogo. Di nuouo il fallo sfacciato, & lenza volto di vergogna,daua
voi ta in dietro, Se rotolando tornaua al piano. Si in quell'altro
luo- li ij go. Il 2 j 2 *Del/a r B^torlca come nell liola di
Carpatilo, il Jl Terzj) libro . e già detto incom modo é Quai cofc adunque
rechin fo r za allalo- curionc vrbana ,* & onde lìa che talcffecro
facciano, già pienamé S 6 te ( :i può dire) la cagione allegata riabbiamo
. Frale hiperboli ancora, quelle che (on più lodate, 6V ingegnofe, fono
ancora clic 87 metafore; co me (per elfcmpio)quelta,chc fu vfara conerà
d'vno, c haueua la faccia tutta punta, Kk Capo 2jS '
T>effa c B^tortca d % Àrittotek_j (apo 12. ^Deìla diuerjìtà delle
locutioni orato- rie, fecondo la dtHintion de t tre generi
di cau/e$£f fecondo che differenti fino le Ora- zioni, che han da
rnoHrar la firz^a nel r e ci- tar fi h da quelle , che principalmente,
accio- che habbtano da effer lette , £f da reflarcj (critte , fi
compongono . A di meftieri di fnpere, Se che nó ad ogni gcner co- uicne,
Se quadra vna ftc Ila forre di locutione, ma cialcun defli ne ricerca vna,
che (ia propria Tua. conciofiacola che altra locutione habbia da
efler quella, che hà da poter leggerli, Se reftarc fcrirta , &
altra quella, e hà da vfar principalmente la forza fua nella
con- tenderne, Se recitationc : fi come parimente diuerfa ha da elfer
la 1 locution dclibcratiua dalla giudiciale . Et ambedue nondimeno 3
fa di meftieri di conofeere, & di fiipcrc . Pcrcioche la prima ,
ri- cerca, clic fi fappia puramente, Se lenza errore parlar nella legir- 4
cima lingua greca, Se di quello Ci contentarci 1 altra è ncceifario di
fapere,acciochc 1 huomo non habbia da cfler forzaro di tacer con la penna,
ogniuolta che defiderio gli venga di far partecipi gli altri dei concetti
fuoi: il che fuole auuenirea color, che fcri- 5 ucr non fanno. Hor la
locutione, c'hà da poter rimanere feri t- ta , Se per quello fctittibil fi
può domandare > ha da ellere cfqui- fmfllma : Se la contentiofa
grandemente, anione, &rpronunv 6 tia ricerca* Della quale due fpetie
li rruouano , 1 vna pathciica , Se cfpreulua d'affetti , & l'altra
coturnata , Se di cofhime efprcf- 7 (ìua . Et da quello nafee che gli
Hillnom van dietro volun- tieri a rappxcfentar quelle fauole, che fon
nella delta guifa di 8 affetti , & di coflumi cfpreflute . Se li Poeri
dall'altra pai te vo - luniicri dan ricetto a cosi fatta forte
d'hiftrioni, che ben lìano 5 atti a tale efprelfionc. Sogliono ancor de i
poeti elfer lodati quelli > che nei lor poemi non tanto l'attione,
quanto la lct- ùon riguardano* de i quali (per elfempio) è vno Chcremone :
co me quello, che non altrimenti è efquifito,& diligente in
quello, ch'egli fcriue, che fé orationi, che feritre hauelTer da reftare
com ponellc. Se il medemo fi può dir di Licinnio trà i poeti
dithirabi 10 bici, o lirici, che gli vogliam dire . Et Ce Ci pógono in
compara- cionc, Se paragone l'vna, Se l'altra forte di orationi, fi vede
chia- ro, che quellcchc perche habbian da efler lette fi fanno, pofte
in atto di recitarfi nelle contefe delle concioni ; fneruate, riftrette , Se
angurie appaiono.òV quelle dall'altra parte,lcquali nel recitar- fi, Se
contenderfi, fon parure efficaci, Se potenti, venute poi in mano, Se
lcrtc; languide, & roze, Se (per dir cofi) plebee Con riti 11 feitc.
Di che altra cola non e cagione, Ce non ch'a quelle at doni, il Se
contentioni, accommodate, & proportionare fono . Perla qua! cola
quelle orationi, che ali amone, c\: alla pronuntia fon deftinatc-, feda
loro fi tollc via quella atrionc,c\: quella pronun- tia, non potendo poi
far lvfficio,& l'effetto loro, in fi pide, fred- de, Se inette
appaiono: come (per eflempioj accaderebbe nel proferir quelle
parole,chedifgiunrealle volte fi pògono, Se fciol 13 tcdaligatura,& da
copula. Mcdefimamentc il repcter più volte in foftantia vna fteilà cofa ;
nelle orationi fcrittibili (per dir cofi,) che fi fanno acciò fian lette ;
non fenza caufa è reprouato, & po- co lodato : douc che nelle
contentiofe, Se pronuntiabili oratio- 14 ni, fi vede a^ai dagl’oratori
vfato : eflendo così fatte repetite locutioni, molto bifognofe,di
pronuntia,ó\r dattionc. Maène- ceiTario che in così fatte
rcpetitioni,faccia colui, che le proferifee qualche agitatone Se mutatione
nel proferirle,pcr inoltrar di di- re con vna cofa,diuerfe cofe. la qual
mutatione dàadito, Se ("pia- na in vn certo modo la via
all'hiftrionica attionc oratoria : come 16 fper ellcmpioj dicendo, Coftui
e quello, c hi vfurpato, Se fu- rato le cofe vofìre, coftui e quello, che
vi hà ingannati, cortili è quello, c'hà finalmente tentato di tradirui. fi
come Filemone hi- ftrionc parimente faceua nel rapprefen tare, Se recitar
la fattola d'AnalIandridc, nominata la Gerontomania, o pazzia dei
vec- chi, che la vogliam dire, Se fpetialmente doue parlano
inficine 18 Radaraantho, Se Palimede. &nelprologo ancor di
quell'altra fauola, che i Religiofi, ouero i Pij n domanda, Se fpenalmétc
in quel luogo, doue più volte fi repctifee, Se Ci replica la
parolaio. Quelle forti di locutioni adunque a chi non le aiuralfe con
l'at- tionc,Óc conlapronuntiajdiuerrebbero^om'in prouerbio fi di- Kk
ij ce,^ 10 ce, colui, che la trine porrà. Se il medesimo fi dee
fouerchie,c\: inutili fono, Se più torto imperferrione, cheper- Ji
fettione apportano. Ma lcgiudiciali orationi han di memeri di maggior
politezza, & di piuefquifno Audio ; Se maggiormente fc dinanzi ad vn
giudice folo accalca, ches'habbia da narrar la causa , eiTendo quella la
minima dillantia, che nell'arte del dire 3 3 accafehi trà chi odc>&
chi parla, pofeiache in elfo vien maggior- mente JlTerzjo libro.
261 mente veduto, & auuértiro quello, che fia proprio, 6V
apparte- nere alla cau fa; & quello, che fiaalicno, &c remoto da
quella, nò ha luogo quiui laconcenrio(a,& cócitata attione : & per
có- fegucuee reità in chi ode ilgiuditio fchietto, ite
incontaminato. 14 Perlaqual cola non tutti gl’oratori, ch'eccellono in vn
di que- lli generi di locutione, eccellon parimente in tutti,
percioche donerà matfìmamente ditneftien dell anione^ fa manco
perii 3; contrario d'cfquilita diligenti.! bi fogno. & quefto accade
douc è neccllària la voce, de mallimamcnte douegrande,alra, ÒV
refo- }6 nantc fi ricerca. La locutione dimollratiua adunque viene ad cf » fcr
la più habile a tettare feruta, & la più fcrittibil (per dir
coti) eflendo quello quali l'viUcio fuo, periiqual principalmcnre
Ci compone. Nel fecondo luogo poi larà attaaquelk> la giudicia- 37
le. Il voler poi aggi ngner nuouc dioilioni della locutione, con dire, che
biiogna>ch'eiia (la foaue, &gioconda,& che la fia ma- 3 8
gnifica, c cofa vana,& fupcrtìua. perochc perche più torto ha ci la da
ellercosì, che non ha da clfcr temperata, ex: liberale,!?»: d al 35? tra
virtù, & coftumc tale ? Quanto adunque alla foauità,lc con- ditioni,
che fin qui fi fono alla locutione allignate, la faranno ^ tale, feda noi
è fiata rettamente determinata, de diffìnira la virtù diquella. percioche
a che fine s'hà da credere, che ha flato det- to clìer necelìatio, che la
lìa aperta, Se lucida, Se non haimia del vile, Se dcll'humile, ma fia
conucneuolmente temperata in quel 41 naczo ? pofeiache così dal troppo
ella abbondare nel fupertiuo delle parole; come dalla troppo fuccinta
brcuità, puòdiuenirc ofeura, Se poco mani fella : & per confeguentc nó
può eller du- 41 bio, che mediocrità in tal cofa non le conuenga. Et alla
giocon dita, & dolcezza d'ella, le conditioni & qualità già dette
potran feruire bafìantemente, Ce ben tcmpcrate,Cv mifchiate, (arano
in- ficine quelle parole,che nó fon lungi dal parlare vfirato; &
quel- le, che tengono alquanto del nuouo,6V del forefticro : & le
con- ueneuole oratorio ritmo, o numero, che vogliam dire, non
le mancarà ; ne parimente il decoro,in modo,che credibile, cv per- 43
fuafibile, la poflà rendere. Della locuzione aduque habbiamo
a baflanzadctto,sì per quel, che tocca a tutti li generi di caufe
co- munemente; & sì per quello, eh a ciafehedun d'eflj era
lac- ualmente ncccllano. Rellachc dellordin delle parti
integrali dell Oiation ragioniamo . (apofj. 'Delle farti
integrali dell'orazione ì del numero-, & Jufficientia di quelle . Et
co- me diuerfamente errajfer diuerfi altri Scrit- tori della
Retorica, nella diutjìone dell'orazione, (f nel numero delle farti d'ejfa
. Ve fon le parti dell'oratione oratoria . percioche gli e
ncccilàrio, che Ci proponga la cofa, che s hà da prouare, & che fi
proui la cofa, che ila propo- nga. Onde il non prouare, & non dimoftrarclaco- 1IW
fa ,che fi efpone, & propon nella caufa, o il voler duiiofìrarc,&
prosare, (e cola alcuna non lì fia cfpofta,&: propo 4 ila prima, fon
cofc in natura lor non potàbili : polciachc cohri , diepruoua, &
dimoitra, e forza che qualche cofa dimoftri : &c all'incontra colui,
che propone qualche cofa, percagion d ha- j uerla poi a prouare, &
inoltrar la propone. Delle quai due co- fe quella vi ti ma non e altro,
che Propo fi ti on e, o proponimento o propofta che vogliam dire, 6c
quella non e altro, che pruoua a 6 far fede : nella maniera, che s'alcun
diuideflc le fciennc in pròblemi, o ver propofti quefiti,&: in
dimoftrationi. Ma a i tempi noitri hoggi vanaméte, & quafi
ridicolofamentcdiuidono:con- ciofucofa che la Narratione, folamentc nel
gcner giudicialealle $ volte habbia luogo, ma nel dimoftratiuo , &c
neldeliberatiuo, come eflerpuò chcfitruoui narratione, &c fpctialmente
tale, quale eglino la intendono? o come vi fi può parimente tro- ttar
quella parte, nella quale fi procede contra dell auuerfario ì ol Epilogo
ancora delle cofe già prima dimonrate ? Mcdefimamente il proemio, e il porre in
parragone, 6c comparatone le proprie ragioni con quelle deU'auuerfario ,
& il recapitularcj alhor nelle delibciationi,cx: nelle codoni truouan
folamctc luo- go;qufulo tra i cófiglieri, che dicon la lor fenrentia, cade
per ca- io qualche oppugnatione, & qualche controuerfia -, folcdo
nel ocncr deliberati uo accafcarc ancor molte volte accufationc,
&; difenlìone ; ma non in quanto è egli delibcratiuo, ouer
conful- 14 tatiuo. Ma ne ancor l'Epilogo e tempre necellario ad ogni giùdiciale orationc;
come a dir quando, o ella molro breue ila ; o le cofe, ch'ella contiene,
fiano per loro fterte atre a reftar faciimé* \6 te nella memoria, di
maniera che quando vi Ci truova, accadeciò per la lunghezza dell'orarione, che
Io comporta. Son dun- que neceflaric la Propostone, o proponimento che
vogliam di. re, &la pruoua a far fede : & quelle due fon veramente
effentiali, 5c proprie parti dell'oratione. Qyellcpoi le quali al più
ac- cader può, che trouar vi Ci pollano, Con quattro, il Proemio,
la 19 Propolìtionc,la pruoua a far fcdc,& l'Epilogo-condoila
cofàche l'opporiì, & il contradire alle volte ali auucrfario, altro
verame- xo te non riguardi fé non lo ftelio prouarc, Se procacciar fede.
Il porre ancora in comparatone, & parragone le proprie
ragioni con quelle dcll'attucriano, (chccollationc da alcuni è detta)
non e altro in ibftantia, eh 'ampliflcation delle proprie ragioni ;
Se per conferente vien tal cofa a inchiuderfi , & ad hauer
parte nella fterfo far fede, perche colui, che con quello
parragonarc amplifica, qualche cofa di più vicnecgli adimoftrare,
cVapro- I I ilare in far quello . Ma non già quello medefimo auuiene
del proemio, & deli Epilogo; eflendo l vno, & l'altro indrizzato
a imprimer meglio nella memoria le cofe, che fi fon dette, o che 11
s'handadirc. Mas'alcun vorrà far la diuilìon di tarparti nel mo do,
chcfolcuan fare li feguaci di Theodoro ; altra parte farà la narratone,
altra lafopranarratione, altra l'antenarratione, altra laredarguirionc, &
la fopra redarguì don e. Ma alhor fa di bisogno di trouarc, 6c impor nuoui
nomi,quado s'han da cfprime- renuoue parimente nature, & differente
nnouc. al- trimenti il volere imporre, & formar nuoui no- 14 mi,
è cofa vana,fuperrlua,cVnugaforia : fi ^ come fece Licinnio nei libri che
fcrif fc di queft arre; nominando al* cune parti Corrobot
ationi, altre digreflìoni, Se al tre chiamando, rami* è 64.
T>eUa ^Retorcia d* ArìHotele^j (apolli T)i quella parte dell'orazione
> ch'i chiamata Proemio 5 & quali auuer tentici y , £g
precetti sfacciati di b [fogno per la buona fir maison di quello in
ciafihedun gener di caufe ; £f de gli "vfficij^ che conuengono a
co- tal parler L Proemio oratorio adunque non e a!rro,che
prin cipiotieirorarione; fi come nei Poemi il prologo, & appreflb
de i fonatori di tibie, o di Hauti, quel- la prima lonata, che fanno di
fantafia . conciofia- cola che tutti quelli fianoin vn certo modo
princi P»j,c habbian quali come a {pianar la ftrada a quelli, chan da
paf 3 iar per cita. Bene c vero, che così fatta prepara rione, che
dal principia fanno li fonatori, s'aflòmiglia Ire rial mente al proemio i
i 4 Jicl gener dimoftranuo. perochc i detti fonatori, (è in
qualche forte di fonata fi fenton particolarmente valere, quella
prendon per lor principio, & in quella vagando vanno ; &
finalmente có t x buon congiugnimcnto l adattano con la fonata,che principalmc j
te incedono. Questo medefimo nelle dimolìratiue orationi cie- cito, 6c
s'appariico di fare, percioche pigliando lorator da prin cipioadir di
quella cofa,& di quel ioggerto,che più gli aggrada, èv in quello
eiUndo proceduto alquanto, dee dappoi con deliro, & ingegnofo
appiccamene congiugnerlo con fa cauti fua ; co- 7 ine fi vede* che molti
fanno. & n riabbiamo i c Ikmpio dlfo#ra- ^ x te neirorationcjch'ci
fece in lode d Helcna. cócioliacofa che nef- funa conuenientiapaia, che fi
tritoni tra l'i rigane noi e, cV conren- S tiofa profefllon dei boli ih A
I ' v lena, oc inficine ne viene ancor quello di bene, ch'injcosi fatto
digredirei allontanarli dal fog- gerto parincipale, pare, che il corpo di
turca l'orarionenediucn- p ga vario, & nó tutto d'vna ftefla forma.
Hora i proemi) delle di- moilratiue orarioni fi poiIono,comeda lor luoghi
trarre dalla lo 10 deprimieramcce, o dal vituperio: come fece Gorgia nella
Tua ora rione Olimpiaca co quello principio,DigniiTìmi di
amniiratione (Nobilitimi Greci) fon giudicati da molti coloro,& quel
fegue. t perciò- fi TerZjO Uro . 2 eSa 'Retorica d'LIZIO ti
ditirambici , o lirici, che gli vogliam dire , fon limili a quei 14
delgener di inoltra ti uo . come (per eflempio) quello, Per cagió tua,
& delle cofe tue, & de i tuoi doni , & gran benefitij , &
per 1 $ cagion de i tuoi trofei, vengo io a te , o (acro Baccho . Nelle
fa- ttole adunque de i poeti, & parimente ne gli Epici poemi loro , hà
d'apparir dal principio vno indino, Se vna inoltra di tutta 1 o- 16 pera,
che feguir dee : acciochc fi polla preuedere in vn certo mo do innazi
quello, che nel poema, & nell'opera fi contenga,^: no habbiachiodeda
ftarcin tutto fofpcfo, & pendente d'ani mo,co- 17 me dubiofo di
qucllo,che s'habbia a dire : ellcndo la indetcrmi- qation delle cole atta
per fu a natura a fare errando , & vagando aS andare. Se fi darà
dunque a chi ode, vn principio , come che quali in mano, fi farà in quella
gui fa, ch'egli a quello attenendo- fi, polla andar feguendo con
Tapprenfion le cofe, che fi diranno . Et per quella ragione fù fatto quel
principio . (anta Dea l ira : Se que Ilo . Di (jHcU'buom dimmi 0
Afufa : Se quell'altro. 3 o Siami Duce a narrar con nuouo carme , • j
La guerra , che d'Europa in Afta fiefej, 3 I I Tragici poeti ancora danno
da principio qualche indino, Se lu- me di quello, che nella fauola fi
contenga : fe non (ubico da prin 31 cipio, come fà Euripide, almcn nó
mancan di farlo in qualche parte dentro allo Hello prologo, come fa
Sofocle, quando dice , 3 3 Polibo fu il mio padre. & quel che fegue .
Et nella Comedia pi 34 rimentefifa il medefimo. L'importantiflìmo, &
necellàrifu- mo adunque orrido, c hà da fare il proemio,& che
ptopriamen- te gli fi con ni cnc, s'hà da (limar, che fia l'indicare, &
aprire i'in- 3J tentione, e'1 fine, per cagion del quale fia fatta
l'oratione. con- ciofiacofa che correndo, che la caufa, & la cofa
Itelfa , di cui s'hà da trattare, fia all'ai chiaramente nota , o di
brcuiflìma oratione j 6 Labbia bifogoo, fi può in tal calo foprafeder dal
proemio. Tut- ti gli altri effetti, & offitij poi, eh e loglio no vfar
di farei proemi;» fon quaficome medicamenti, cV remedij : ne fon propri;
fuoi , 37 ma communi all'altre parti dclloratione . Erquem fi pollon
prc derc, o dalla perfona di colui, clic parln,o da quella
dellafcolta- tore, o dalla ìtetfà cofa, doue Uà la caufa, o ver dalla
perfona del- 38 l'auuerfario. Da colui, che parla , Se cWlaunerfario , fi
polfon prender tutte quelle cofe , ch'appartenere, Se leruii poilbnoadi fciogtiere,&a
impor calnmnic : ma non già nella medefima ma- niera, Se nello rtellb
luogo . pcrciochc l'auuerfario, che fi difen- de, fe calumnia gli è rtara
importa, hi da cercar la prima cofa da principio di purgarfene, Se di
liberarfcne. doue che l'accu fa rorc 40 volendo impor calumnia,
nell'epilogo hà ciò da fare . Et la ca- 41 gion di querto non è ofeura, ma
Ila quafi in pronto, pcrcioche colui, che s'hà da difendere, fe vuol farli
adito, Se rtrada ad ede- re odito, actefo, Se creduto, fi di meftieri , eh
egli cerchi di i i- muouerc,&: tor via ogni impedimento : Se per
confeguenre hà da procurar di difeioglierfi, Se liberarli prima dalle
calamuie. 41 Ma colui dall'altra parte, chàintcntion di riprenderci di ca- lumniarc,
hà da far ciò nell'epilogo, a fin, che gli afcolratori rac- 45 glio ciò
riferbin nella memoria . Quanto poi a quel, che riguar- da la perfona
deH'afcoltatorc,ftà primieramente ciò porto in cer- car di renderlo amico,
Se bcneuolo a noi, Se irato , Se male ant- 44 mato verfo deU\iuucrfario .
Et alle volte ci hà luògo il procurar di renderlo attento, o ver per il
contrario dirtorlo dall attentio- 4j ne: conciofiacofa che non fempre fia
vtile, Se profltteuole alla causa, l'haucrlo attento . Onde molti per tal
ragione s'ingegna- no, Se pongono ftudio di prouocardertramentea rifogli
afcoltatori. A render poi l'auditor docile, Se habile a intender quel, che
s'hà da dire, pollono eflTer vtili , Se condurne tutte l'altre cofe dette fc
ciò ci piace, Se torna ben di fare : Se oltra ciò il procu- rar colui che
parla , d'apparire huom da bene , Se della giurtitia amico : pofeiache a
coli fatti huomini fi fuole ageuolmentc prertare attcntione, Se credito. Attcntionc
foglion predare gli afeoi- tatori allccofe grandi, Se di gran momento,
alle cofe lor proprie, &ch'a loro particolarmente tocchino, Se a
cofe,chc rechino am- miratione, Se a cofe finalmente gioconde,& atte a
portar diletto. Se per quefto fa di meftieri d'accennare, Se prometter d
haucrea ji dir cofe tali.& per il c5trario,fe verrà commodo,&
vtilealla cau fa, che gli afcolratori poco attenti fiano, bifognerà
dcftramcnrc far credere, che le cofe, ches han da dire, fiano di poco
momen- to , che le fiano poco, o nulla attinenti, Se toccanti ad erti, Se
che ci finalmente noiofe, Se odiofe fiano. Ma dee ben non ci etfer
na- feofto , che querte coli fitte cofe, fon tutte fa ora de i meriti
del- la caufa, Se della foftantia dell'oratione : come quelle, c'han loia mente
luogo apprelTo d'afcoltatori non incorroui,0 non finccii, L l ij Separati
in fommaa dar volonticri orecchio , tk ricetto ancora alle cofe, che fuor
della caufa lono. peroche s'eglino coG farti non fuilèto, non farebbe
vtilc , o necelfario il proemio , fe non quanto con elfo saccennallero ,
«Se s'aprirò i capi , tk la fom- madell'oratione ,& della cofa, eh à
trattar s'haucllc: accioche a guifa di ben formato corpo, haueli'e ancor
ella il fuo capo, tk non rcftalTc come corpo tronco . Apprcllb di quello
il cercar di procacciare attentione e cofa commune a tutte le parti
dellora- tione,quando ve ne bifogno. concioliacola che in ogni altro
luo go dell'oratione può più ageuolmentc accalcare , che gli
animi degli afcolta tori iiano fianchi, & rimeflì, che nel principio
di f6 quella. Onde par, che fia cofa fuor di ragione, tk degna
quali di rifo il volere, ch'alhora lì procacci attentione, quando
foglion J7 tutti mafiìmamente con attentione odirc. Per laqual cofa
ogni volta che loccafion fi porga, o 1 bifogno lo ricerchi, farà ben
di 58 dire, Attendete di gratis, & volgete la mente alle mie
paiole: peroche la cofa di cui vi parlo, non apparrien niente più a
me, 59 che s'appartenga a voi . Io fon per dirui cola tale,chc mai nò
hauere ventala più atroce, & la p.ù marauigliofa . Et quello
era quello>chc intcndeua Prodico , quando diccua, che come
egli vedeua fare a color, chcl'odiuano, fegno d addormcn tarlagli
ec- citaua con dir loro, che direbbe , & proporrebbe loro innanzi
, €1 cofa, che valeua cinquanta dramme. Non e dubio alcuno adun- que
che li proemi) non riguardino gli alcoltatori, non in quanto 61
afcoltatori, tk propofii folo ad afcolrar la caufa . percioche
tutti quelli, che gli via no, cercano, o di dare in elfi qualche caluronia altrui,
o con difcolpar fe ftcflì, liberarli con feguen rem ente dal ti- mor, che
pollano hauer di chi gli debba odi re. come fece colui ; che dille» Io dirò,o
(acro Rè, non come, ne con quanto Audio» 64 cV quel, che fegue. &
quel! altro dille, A che cerchi tu d vlar proemio? a che vai tu
proemizando 2 Color parimente, che li truouano hauere il peggio nella
cola, che voglion dire, o nella caufa, che trattar vogliono, o almeno
firmano, tk dubitan , che coli li creda, fogliono vfar proemio :
conciolìacofa che in ogni al tra cofa, che nella caufa ftctfa, ftimao,chc
(ia lorpiù vantaggio 66 di far dimora. Onde vediamo, eh 1 noftri ferui ,
non nlpondo- no alle cofe, chclor fon domandate, ma van diucrtendo , tk
cir- cuendo d'ogn 'intorno con le lor parole, tk lunghi proemij
fan- noJl Ter&o librò. 2 6$ 67 ho. Onde, & come, scabbia poi
da cercar di render l'auditore amico , & bencuolo, Se di tatti gli
altri cofi fatti atFctti,già di fo- 68 praal luogo Tuo a baftanza fi è
trattato. Et perche molto a ra- gione, & con buon giuditio dilfe Ho
mero -, Goncedemi benigna Dea, chedouendo ioarriuarca i Feaci, vi venga
creduto da loro, 69 o per lor'amico, o per degno di compatitone ; ci vien
con tali pa rolcainfegnarc, eh à queftiduc affetti bifogna
principalmente hauer l occhio , per cercare, & cattar dall'auditor
bcneuolentia. Et nel prœmio del gcnc-F demoftratiuo fa di bifogno per
cagione della detta bcneuolentia di procurar , che gli afcoltatori fi
Itimi- no, che con le lodi, che a chi* hàda lodare fi danno, fian
con- giunte in vn certo modo le lodi parimente, o d'\ loro fteili , o
del- la ftirpc , & fameglia loro, o de i loro ftudij , o delle lor
profefc 7 1 fioni , o in qual li voglia altro modo riguardin loro .
Perciochc quello , che nel Dialogo intitolato l'Epitaffio dille Socrate,
non elTer cosa difficile il lodar perfone Athpnicfi , dinanzi ad
afcol- tatori Athcniciì, ina lì bene alla prefentia de i Lacedemoni , s'hà
da ftrmar per giudiriofamente, & veramente detto. Quan- to a i Prœmij
poi del gcner deliberanno , fa di mcftien,che quando bifogno ne viene,
egli dal gcner giudicial gli tolga , co- me quello, che per natura fua
manco di tutti glialtii generi ha neceffità di proemio, conciolìacofa
chegià prima fiano in- formati gli afcoltatori di che cofa s'habbia a
trattare, & parlare, &c nó habbia nel retto la caufa bifogno alcun
di proemio, fegià non accadente coral bifogno per cofa, che guardante o la
perfona di chi parla, o quella dcll'auucrfario : ouer quando l'orator
ve* delle, che gli afcoltatori non ftimallcr la cofa di quella grandezza,
ch'egli vorrebbe,mao maggiore, o minore. Per laqual cofa gli fj di
meftieri in tai cali, o di calunniar', & riprendere, o di 76 purgarli,
& liberarli dalle calunnie impofte, od'amplificar la cofa con
ampliarla, o con eftenuarla, & diminuirla. Per cagion di quelle cofe
adunque può occorrere alle deliberatine orationi bifogno di premio, o per
cagion finalmente d'vn certo ornamé- to, òc compimento dell'oratione :
acciochc non habbiaella, re- ftandone fenza, da parere in vn certo modo tronca,
e quasi senza capo: come così fatta pare quella oratione, che fece Gorgia LEONZIO
(si veda) in lode de gli Elicnfi : pcrciòchc fenza altra prepararionc,^
feri za induio alcuno d incominciamento, entrando fubito nella materia, 0DellaHgtprìcad!driftotelcj teria,quafi
ali'improuifta dice, Elide è vna Città felice, Se quel che
firguc. £af?o ij. Del d'tfi'toglimento delle Calunnie^ , le quali
Juole alle volte imporre l >e vna par- te auuerfaria alt altra : &
de t luoghi njtilia far cosi fatto dtfeioglìmento . i l^^-^i^J Ntorno
alle Calunnie adunque vn luogo dadi- NVJ| tHB . | L , ci • 10 fri 1
nt 3Fi«« r*i\ i» 1 ^ , iv «ìLj'i j» , & dell' aff&ttuofo>
che può occorrer di far fi in ejfa . ?5?25| A narratione nell’orazioni
demostrative dee fàr- fi , non tutta inficine diilefamente
continuata: ma dee parte per parte cfler djlcontinuamenic pofta N
£prciòche fa di mcftieri di dimoftrare, & fare apparire, che fi
racconci la lode, o il biafmo , che Ci truoui in tuuc quelle anioni, &
quei Tatti, che fi con- M m tengono 2 ?4 T>eSa 'Retorica d y LIZIOl^j 3
tengo n ncll'orarione . conciofia cofa che di due cofcl'orarion fia
cópofta. lvna non ha bifogno d'arre, nó cllendo altro, che le 4 ftelFc
attioni, che fi narrano , delle quali colui , che parla non è $ caula,
& dallo Hello fattole prende. L'altra poi darti tino hà bifogno : Se
quella altro non c, ch'il moftrare, & far conofeerc, o che la cola
veramente Ha , quando la fi conofea incredibile , o difficile a crederi! ,
o che la lia della tale , o della tal q uali ù , o ver che Ha di tanta , o
di tanta quantità , Se grandezza ; o final- 8 mente tutte quefte cole
inficine. Per quella ragione adunque è ben fatto , che tutre le cofe, che
s'han da narrarc,non fi narrin fempre continuatamente l'vna doppo l'altra:
concionacene dif- fidi fi renda il ricordarli della pruoua, Se
conflrmatione, che cófi fatta continuationc fi faccia poi : come farebbe
dicendo, Da quefte cofe adunque, che lì fon dette,!! può conofccr,chc
coltili fia forte , da quefte , ch'egli fia prudente , Se da quefte ,
ch'egli Ila guitto. Et in vero con vn coli fatto modo di narrare,
diuien l oration più fempliee, Se vniforme . doue che l'altro modo
dif continuato, la rende più varia , Se più vaga, Se per
confeguente 1 1 manco humilc, & manco vile. Quelle attioni, Se quelle
cofe poi, lequali fon molto note, Se dalla fama aliai diuolgate, fa
di meftieri fol di toccare alquanto, Se con poche parole
accennare, il tanto a punto, che baftia ridurle in memoria altrui. Et
per quefto fon molti, che non han bifogno, che nel trattar con orazione i
Ior futi , s'vlì la narratione : come auuerrebbe ( per essempio) a chi voledc
lodare Achille, pofeia che i fuoi fatti , Se le fuc attioni nori Ili me fono a
tutti . Ondcfolofadi bifogno di prenderle come note, Se fcruirfene, Se
porle in vfo nella confcr- I $ matione.doue che fedi Criria,& de i
farri fuoi s'hà da parlare,fa rà neccllaria la narratione : nó ellèndo i
fuoi fatti, & le fueattioni molto note. Quanto a la duration della
narratione parmi, che facciano oggi cofa degna di rifo coloro , che dicon
douer la 17 narratione elTer breuc. A i quali fi potria rifpondere nel
modo chevno rifpofead vn fcruo fuo; il quale nel rimenar Ja parta per
fare il pane, lo domandaua le o dina, o tenera hauclTè egli da far quella
palla, rifpofcegli dunque, hor non fi può ella far, che ftia bene , Se
nella fua perfettione ? Et il medelìmo lì potria x 8 dire nel calo noftro
a coftoro: conciofiacofa che non bifogni nel narrare elTer lungo, fi come
nel proemio ancora > ne parimente nei Jl Ter zj> libro. 27
j f rie! prouare, Si far fede con la conferminone, perciochein
coli fatta lunghezza non confitte il bene edere, Se la perfettion di
rai cofe , fi come ancor non confitte ncllefter breue, Se
concifo,ma 0 foloin vna mediocrità conuencuole. quefta, quanto alla
narra- tione, in altro non è pofta, ch'in dite, Se narrare a punto
tutte quelle cofe, che poftbno etter baftanti a inoltrare , & aprir
bene 1 la caufa (Iella, Se la cofa, che s'hà da trattare , che poiron far
na- fccrc in chi ode opinione, o che la cofa fia ftata fatta, o che fi
fia nociuto, o fotta ingiuria con etta,o che il dano , & l'ingiuria
fia di quella importantia, Se grandezza, che noi vogliamo , che fi 1
creda . & all'auuerlario poflbn per il contrario ballare a moftrate tutto
il contrario di quanto è detto . Appretto di qucfto ti fa di biibgno
d'interporre, Seinferir nella narratione tutto quello, che polla importare
a dare opinione, Se coniatura della bontà tua . come faria (per ettempio)
dicendo, Io non mancai di con- figliarlo, Se cfortarlo fempre a quello ,
che ricercaua il douerc, c'igiufto per pervadergli, che non volefte
abbandonare, ÓVtra- 1 j dire li proprij figli . O ver tutto quello , che
polla, fare apparir l'iniquità, Se malignità deH'auucriario, come faria
dicendo , Et egli tempre mi rifpondeua, ch'in qualunque luogo fi
ritrouaftè, 16 nonfarienper mancargli de gli altri figli. La qual rifpofta
fu parimente fatta, fecondo che fcriue Hcrodoto , già da gli
Egitti) 17 al lor Rè, cirendo da lui liberati, oucr finalmente tutto
quello vi bifogna inferire, che polla piacere, Se parer giocondo
all'orecchic dei giudici, Se eie glialcoltatori. Oltra di quefto di
mi- nor narratione ha di bi fogno il difenfore, o vero il reo,
chel'ac- ip cufatorcnon hà : Se li punti delle controuerfie, ch'a lui di
far narrando apparire appartengono, fon qucfti, cioè la negation del
fatro, o vogliam dire, che la cofa non fia ftata fatta, o che no habbia
recato danno, oche la non fia cofa ingiutta, oche l'in- giuftitia, e'1
danno non fia così grande, come l'accufatorc afferma. La onde intorno a quelle
cofe, che come note non può c- gli negare, o non confcfTare, non ha da
confumar con parole il 31 tempo: faluo quando tirar le potette agiouamento
d'alcuna delle controuerfie dette, come faria confettando d'hauer fatta
la cofa, over commetto il fatto, ma non già d hauere per qucfto 31
fatto cofa ingiufta. Dee parimente il difenfore olrra dùbbia- mente
confettar d haucr fatto quelle cofe, le quali operandoli M m ij non
fono 2 7 6 T>eUa Hgtorica d J AriBotelc^> non fono atte a
muoucrc, o compalììone, o indegnatione nell'animo di chi l alcolca. diche
cipuòellerc eifcilfpio l'apolo- go, & ragionamento facto in
commendation di (e da Villi e ad Alcinoo, cheabbreuiato, Se nltrcrto
l'elilinea vedi, fìj poi da lui fatto a Penelope. Ce ne può ellere ancora
elìcmpio qucllo,chc diceFaillo in quel fuo Poema, eh egli domanda Circolo.
Se il prologo parimente della Tragedia, intitolata Ocneo. Dee medegnamente
lanarratione ell'er collumara: Se quello non ci farà difficile di
confeguire, fc non ci farà nafco{lo,che cofa faccianafecre, Se apparir coftumc
nel parlar no Uro. Et vna del- le cofe, che polfbn far quello, conlilìe
nel dar parlando inditio, Se (ìgmfìcacion della noftra elcttione :
pigliando il coftume co- dinone, Se qtialicàdaqucfta, lì come quella
prende qualità dal fine , che nell'action s'attende. Et da quello nafee , che
le ragioni, Se li difcorfi machemacicali non han coftume,pcroche
e- lettionc alcuna non lignificano, ne manifeitano : come quelli,
fine, percagion delqual s'operi, non contengono . Ma ben lo contengono,
& per confeguentc coilumaci chiamar li pollb- no li ragionamenti, Se
difcorfi, cheli leggon di Socrate : come quelli, ch'intorno fono a così
fatte cofe, ch'clctcion dernoflra- 40 no. Verrà no parimente a far la
narration coftumaca quelle co- fe, che per il più feguono, Se van dietro
aciafehedun collumc. come (per ch'empio) fe noi d'alcun diremo» coftui,
menti e che rifpondeua, in vn medefimo tempo feguiua di caminarc ;
ver- remo a moilrare vna cerca al fierezza, Se rullichezza del fuo
ani- 41 mo,Sc del fuo coflume. Parimente rende lanarratione
co- lìumata il narrare, Se parlar, non fecondo l'cfprcflìon
folamen- te del concecto, come vun quelli , che parlano hoggi ; ma
più torto conindicio d'intcntion dell'animo, Se d'elemonc. come 42
(ària dicendo, Io veramente voleua far quello : perche quan- tunque ciò
non fulle per giouarmi punto ; tuttauia elcggeua di farlo, come che più
honclìo fufle : pofeiache l vna di quelle cofe e cofa da huom diligente
conferuator del fuo, & 1 altra e cofa da huom da bene, conciona che
ali huom lagace, ÓV: prudente conferuator del fuo, foglia ellcr proprio il
feguir 1 vti- le,& dell'huomo amico della virtù > fu proprio 1
abbracciar 4J l'honello. Ma fel'elcttione, che nel narrar li difcuoprc, Se
Ci moftra, fufle di cosa, che parer potelTe incredibile;in tal
cafo (idi Jl fa di mcltierid'airegnarfcnefubito la cagione: fi come
cilcm- pio lene vede nell'Antigona di Sofocle, la qual nel fuo
parlar molti*.! di tener più cura, Se maggior penfiero del fratello,
che del marito, Se de i figli, allega adunque ella di ciò la cagion
dicendo, che morti i figli, c'1 marito era pollimi di nuouo procacciar degl’altri:
ma elllndole già eltinti di vita la madre, e'I padre,& menando la vita
lor nell inferno; non era più pollìbil, eh altri fratelli hauclfe. Ma le
in pronto cagione alcuna d'alle- gnar non hai, dei confeilare, Se dire in
tal calo, che ben non ti è nafcolta la incredibilità di tal cola -, madie
non hai potuto far di non feguire in quello la natura tua. & quello
dei dire, per- che non lì fuol communemente credere, ch'alcuno di fua
fpon- tanea volontà cerchi di far altro mai, checofa, che gli fia
vri- 48 le. Deefioltra di quello formar la narratione in modo,
ch'af- 49 fertuofa.o vero el'prelliua d'affetti appaia. Se perche meglio
appaia tale, lì deono cipri mere per inditi) d'affetti quelli acciden- ti,
chefeguon loro: Se non folamcnte quelli, il cui confeguimento al tutto
èmanifclto; ma quelli ancora , che propriamente, Se peculiarmente, o a quel,
che narra, o all'auuerfario , o vero a quella, o a quell altra perfona
feguono. come auuerria51 dicendo , coltui nel partirfi di là, doue io era, non
reflò per gran pezza di volgerli in dietro, per pormi gli occhi
addotto. fi Eccome ancor córra di Cratilo dille Elchinc, ch'egli daua
altrui có bocca il fifehio, o (per dir così) la filchiara,& battedo
vna ma J3 con 1 altra, faccua Itrepito . Son dunque quelli modi di
parlare molto atti a rendere a gli afcoltatori credibile, Se perfualibil
la narratione: pcrcioche quelle cotai cofe,ch'cglin fanno foler
fe- guire a i tali,& a i tali affetti; vegonoadar loro inditio, che
tali affetti (iano,doucelfi nó fapeuano,o nó credeuano che fu
itero. 54 Et molte di così fatte narrationi, Se locutioni fi pollon
prender da Homero : come (per eflempio) quando dice, CosìdilTe
ella aduque,& la vecchia Nutrice li mellefubito le mani a gli
occhi. 55 percioche coloro, che cominciano a fentit venir fuor lclagrime,
fogliono a gli occhi por le mani. Có li fatte narrationi adu- quecfpieHiue
di coftumi, Se d'affetti, dei procurar fubito dal fmnei pio del tuo
narrare,di fàreapparir te ftcllb d'honelte qua- ità dorato, Se di
contrarie lauuerlario, acciochegli afcoltatori có fi fatta imprelGonc,&
cócctto di tc,& di lui, t afcoltin poi in fattoi 2? S Della
Retorica d!AriBotelt*j tucto'I corto ctela tua orationc. Ma bene auueritr
dei di far quefto occultamente, in modo che non fia conofeiuto
taleartiritio. Et che non (la ciò diffìcile a fare, fi può comprender da
quel, che vediam fare a coloro, che qualche ambaiciata ci fanno , o qualche
nuoua ci danno . percioche quantunque di loro notitia prima non habbiamo
alcuna , nientedimeno l'ubi- to che cominciano a parlare , veniamo a
formare vn certo con- cetto, &vna certa opinion nell'animo noftro
della qualità loro, e del coftume, & natura loro • Fà oltra quefto di
bifogno d'vfar lanarrationc, noninvn luogo folo determinato, ma in 6
1 molti ancora , & alle volte non è ben di narrar nel principio
. Quanto al gencr deliberatiuo, manco, che in altro genere e
ne- ccllario in eflo il narrare : cóciofiacofa che nellun foglia far
nar- 61 ratione, & ragguaglio delle cofe future, chedeon venire.
Effe pure occorre nelle confulte bifogno alcun di narrare, tal
nar- ratone farà di cofe paifate, per cagion, che con la ricordanza
, & con la notitia di quelle, fi venga meglio a poter prender
con- icttura, & cófiglio nelle cofe, che han da farli, ÒV da feguir
poi. 6j over per cagion di lodarle, o di biafimarle a giouamento
di 64 quello, che s ha da rifoluer nelle coi u 1 te . di maniera che il
far quefto in così fatti cafi, non è propriamente vfficio, & opera
di 6 j chi delibera, o di chi confuka, ma per accidente. Et
s'occorre alle volte, che la cofii, che fi narra, polla parere a color,
che 1 a- fcoltano, molto difficile ad efTer creduta j fa di meftieri di
pro- metter loro, che fubito fi farà lor conofeere, & toccar con
ma- no la cagion di quella: offerendo di volerlcne in ciò ftare al giuditio,
& al parere fteifo di chi più piaccia loro : fi come nella Tragedia di
Carcino intitolata Edipode, falocafta , in prometter femprc di fodisfare alla
do- manda di colui,chc quel,che fullè del fuo figliuolo la
domandaua.il medefimo parimente appreifo di Sofo- cle fà Emone. Jl
Terzjo libro \ J7/ Qipo 77. 2)/ quella parte dell'orattorie, che
Jl domanda Pruoua a far fede 5 laqual parte abbraccia la Confer
mattone, & la Confuta tionc_j. ^ come tal parte sh abbia da firmare :
& quali auncrtentie in ejfa fi debbia no bauere in ciajcbedun gener di
caufLj . E pruouc, che s'han da far per far fede, fa di
medie ^/J>CL£*5| ri j che nafeanoda dimoftrarione, &
argomenta- li tione. Et perche quatrro fogliono cller nelle caufe 5 p
IgkgM giudiciali le controuerfie, douc conliftono i punti ' " * delle
caule, fa di bi fogno d'indirizzar le pruoue, & le argomentationi a
quella controuerfia, nella quale farà po- rto il punto della caufa .
cornea dir che fe lo ftato della contro- uerfia farà del fatto,in negar cioè,
che la cofa fia ftata fatta,fi do- uerà nel trattar la caufa in giudi tio,
indirizzar principalmente a quefto punto gli argomenti, e le pruoue. &
il medclimo fi dee fare, fe la controuerfia confiderà in negar d haucr con
tal fatto nociuto, e recaro danno : o vero in moftrar, ch'il nocumento
, e'1 danno non lìa ftato di tanta importanza, di quanta l'acculatore
afferma: o veramente che la cofa fia ftata giudeamente fatta. Et nella
medefima maniera fi dee procedere per la parte afferma tiua della
controuerfia , in affermar , che la cosa da stata fatta. Ne efTer ci dee
nafeofto, che in quefta fola controucrfia,che con fìftc nel fatto, è
neceflario, che 1 vno de gli auucrfarij,o l'accufatore,o il reo, fia veramente
mentitore, o iniquo . conciofiacofa che non pofla in ciò eflerTignorantia
caufa della contentione e diferepantia loro,in modo, che feu far gli polla,
come potreb- be auuenire nell'altre controuet lìe : come faria s alcuni
d'elfere il fatto giufto non giufto contendellero, & diferepanti
foftero . La onde nel punto di quella fola controuerfia, in cui condite
la caufa, fa di bi fogno d'in lì iterc, & di confumar nelle puiouc
il tempo: & non nell'altre controuerfie, Se ftati di caule, doue
el- la non confiile . Nelle caule dimoftratiuc poi la lomma del
prò uare 2 S o ^Della 'Retorica d' Arinotelo aare hà da eflcr
l'amplificar rhoneflà,& l'vtilità dei fatti, &: del- io le amoni ,
che fi narrano, percioche quanto all'eller loro , già i i per vere fi deon
prendcre,& fi deon credere: come che rare voi te accafehi, che
ricerchinpruona, & dimolìratione del lor'elic- ii re : come a di re in
cafo, che le fulfer per parere increbili , o che 13 fufl'c opinione, che
fi doueflero attribuire ad altri . Nellecaufc deliberatine final mete
potrà la cótrouerfia accalcare, o in negar fi, che la cola dairauuerfario
conictturata , habbia da ellèrc, o ver fc confettando, che fi a per
elfere, fi niega, che la fia gl'urta, o vrile, o di tanta vtihtà, &
giuftitia, quanta l'auuerfano arfer- ij ma. Deefi parimente auuertirc, fe
1 auuerfario fuor del punto della controuerfia , Se fuor della cola
lìclla, che fi nella caufa, diccllc qualche cofa euidentemente falfa.
percioche quando quello ila, cofi fatte cole falfamcntc dette, verrebbeno
ad etfèr chiari inditij, ch'egli nell'altre cofe ancora, che fan nella
cauli, non fulle veridico . Debbiamo appretto di quello
fapcrc,che trà lepruoue, & modi d'argomentare, gli Eilempi fon molto
ac commodati, Se proportionati al gencr deliberatalo: li come
gli Enthimemi fi van più accommodando, Se conuenendo al gener gindiciale,
ch a gli altri generi . conciolìacofa che riguardando il deliberanno il
tempo auuenirc, faccia di bifogno, che dalle cofegià panate s'alleghino,
& sadduchino eflempi per inrtrut- tione, Se conlìglio dellcfuturc.
doue che ilgiudicial genere le cofe riguarda, cheo già pallate, o già
prefenti fono:lequali por tando feco necellìtà ( non potendo ellcr, che
quello, eh è già Ila to, o prefente è, non fia ) vengono a ftar
fottopoftealle deduttio 20 ni necellarie de gli enthimemi, Se delle
demollrarioni . Nó deo no oltraquefto gli enthimemi, che $ han d addurre,
ellcr 1 vn doppo l'altro fenza interpofition d'altra cofa,
continuatamente porti : ma fa di incineri d'interporre , Se tramezare tra
cllì o^uaU che altra colà, altrimenti con inculcarli , Se quali premerli
in- ai fieme, verranno a impedirli , Se a dannificarhTvno 1 altro :
po- feiache ancor nello Hello numero, Se nella della quanrirà
delle cole, fi dee trouar conucncuol termine, Se fcruar modo» Se mifura
come bene accenna Homero, quando dice, Poi che nel ruo parlar (caro amico)
tante cofe a piito hai dettequanteogni huomo faggio, Se prudente harebbe
detto , Se quel che leguc. dice dunque tante, Se non tali . Appretto di quello
non lì deon cercare fi ler&o li ho . 2 g 1 ij cercare. &
formare enthimemi a prouar qual fi voglia cola : altrimenti fata pericolo
, che tu non incorra in quel raedefimo inconucnicntc, nel quale incorrer
fogliono alcuni di coloro, che fan profeffion di tìlofofirc. liquali
(illogizano alle volte, Se concludono alcune cofe, che fon più note, Se
più atte ad cf- fcr credute di quelle, dalle quali, comeda premette le
deducono,& le concludono. Et oltra ciò quando tu vorrai muouer qualche
arTetto,o paflìone,nó dei inficmemente vfar l'cnthime ma.pcrochc quando
quefto fi facctte, faria pericolo , cheol'en thimema non (cacciatte,&:
fa.cc(Tc quafi difparir l'affetto ; o che l'addotto cnthimema,comcnó
attefo, & nóauuertito, reftaù fc vano , & formato indarno:
pofeiachei diuerfi mouimenti dell'animo, quando fi fanno inheme, vengono a
ributtarli, Se impcdiifil'vno l'altro, in maniera cheo totalmente tutti
fpa- rifeono, Se diuengon vani, o almeno indeboliti, 6cfneruati,cV: i
fenza quafi alcuna forza Tettano . Nè parimente quando vogliam rendere il
nottro parlare coturnato , debbiam cercar di vfar Ten thimema in quello fletto
tempo: conciofiacofa che le argomentationi non dicno per lor natura
inditio di coftume,o di elettione alcuna . Quanto alle Sententie poi, fi p
jtfbno vfa- re, Se nella narratione, Se nel pruouare,& far fede, come
quel- le, ch'in efprimere i cottumi grandemente vagliono. fi
come auuerrian dicendo , Io veramente confidai quelle cofe in man di
cottili, quantunque io fapcttc molto bene, che l'huom non 3 3 doueria
credere, Se hauer fede in alcuno a cafo . Et fc cfpref- fion d'affetto,
& commouimento d'animo vorrem dimoftrare, potremo aggiugner cosi , Et
non ho d'haucr fatto quefto, pen- timento alcuno, quantunque ottefo, Se
ingiuriato ne fia rima- llo : peroche a lui Tetterà il guadagno , Se
l'vtile, & a me il giufto, Se I nonetto. Sono oltra di quefto le caufe
deliberatine più difficili a trattare, che quelle del gener giudiciale. Se
ciò non fenza conuenienti ragioni . peroche primieramente le
có- fulte riguardano il tempo auuenirc, & delle cofe future
fono: 37 0cli.giudi:.ij delle già pattate: Lcquali a quelli fteffi, che
fan profeflìonc d'indouinare, Se palefar le cofe occulte, fon più
fa- 38 cilia diuenir note, come affi, ima ua Epimenidc Cretcnlc .
Pe- roche egli ucll'indouuiare, aprire, Se palefar le cofe occulte, N
n non 2 $2 'Della 'Retorica d LIZIO^> non
s'intrometteua nelle cofe, che deon venire, ma in quelle fole, ch'elfendo
già pafiate, cran nondimeno occulte, ignote & d'ofeurezza piene A quefto
s'aggiugne , che nelle caufe, & controuerfic giudiciali, han da
fuupor,lc leggi come fonda- 40 menti (labili , & principi) ferrai : ne
èdubio, che coloro, che nelle loro argomcntationi, han fermi , & noti
principi) , non poflan piùagcuolmcte rrouarc, &
formarcargomenti,&: prno 41 ue. Et ci s'aggiugne ancora, che il
gcncrdeliDeratiuo non hà molti refugij diuerticuli, doue 1 orator porta l
oration ri- uolgcre: come a dir volgerfi contrala perfona dcH'aiuicrfario
, o ver dir cofe, che tocchino la fua propria perfona ftelìajO
vera mente cercar di muouere affetti nella perfona dclTafcolrato- 4$
re. ma meno d'ogni altro genere hà egli cotai refugii , ^: co ta- li
ftradc, fe già non vfciflfcinfar quefto dei confini propri; ma quefto dee far
Porator folamente quando mancandogli gli aiuti proprij di quel genere, fi
vedeneceffitato a ricorrer per aiuto altroue : come fon foli ti di fare
gli Oratori Atheniefi, &Ifocrate fpctialmente, il quale mentre che con
le fuc deli- beratine orationi configlia, fi diftende nell'accufarione ,
& riprenfion di qualchuno : fi come fa nelloration fua
panegirica riprendendo i Lacedemonij : Se nell oration, Sociale domandata,
incolpando >& mordendo Charete. Nelle orationi, èc caufe del gcner
dcmoftiatiuo poi , per non lafciarfi mancar ma tcria,fa di bifogno di
fupplirc accumulando,& riempiendo l'o ratione a gui(a d'Epifodij,
delle lodi di quefta cofa, o di qnel- 4 S la t fi come via di fare
liberare . pcrciochcfempre nelle fue de- moftratiue orationi prende, de
introduce di fuora qualche altra perfona. nèin altroché in quefto confi Itcua
in foftantia quello, di che Gorgia fi vantaua : cioè che mai non gli
farebbe mancara materia da diftender, quanto egli haueffe
volutola fua oratione. percioche s'egli haueflè (per essempio) tolto
a celebrare Achille, harebbe lodaro Pclco, 8c di poi Eaco, Se quindi
Gione. Er nella medefima man cia prendendo egli a lodar lavinù della
fortezza, liarchbc racconterò & cfalrarole atrioni forti di quefto, o
di quello . il c\it far non c alno , che ji quello, che pur'hora derro
habbiamo. Quando ti trouarai adunque non defcttuolo di pruouc,& di
demoftrationi per far fede nella caufa tua, alhora harai da vfare, non folo
l'ora- tion coftumata , ma lcdimoltrationi , Se argomcntationi an- 55
cora, interponendo trà clfe il coftumc. ma fe mancar ti ve- drai gli
enthimemi , & le dimofhationi , alhora harai da riuol- gerti
maggiorméte, & con ogni ftudio all'aiuto del parlar co- ftumato :
percioche a coloro, che fono ftimati huomin da be- ne, pare che più quadri
, &: ftia bene, òVgioui a far fede, l'apparenza , Se l'opinion della bontà
loro, cheì la forza cfquuica 54 delle lor ragioni . Tri gli enthimemi poi
li redarguinui,o ver conuincitiui , o reprouatiui, elicgli vogliamdire,
par che fiati di maggiore ftima, & maggiormente approuati , che non
fo- no gli aiterei ni ( per dir coli) Se puri moftratiui , Se
prouariui conciofiacofii che douc fi truoua
redargui rione, Se refurano- nc, maggiormente fi rendcaltrui manifefta la
forza della con- cisione dell'argomento : pofeia che li contrari) porti
l'v- no appreso all'altro, quali ch'in parragone, più euidente- $6
mente fi fan conofecre . Quanto a quelle cole poi , lequali shabbian
d'addurre in confutatione delle ragioni , Se delle pruouc dell auuerfario,
non fi deono (cimare altra fpetiedi- uerfa da quella della confermatione,
che cófifte nello Hello far fede: il che fa ancor colui, che confuta;
parte con difeioglier con inftantia, Se parte con addurre , Se formare in
contrario fuoi proprij, Se nuoui fillogifmi . ApprelTbdi quello dee colui,
che è il primo a parlare, così nel gener deliberatalo, co- me nel
giudiciale,efporrc,& addurda prima gli argomenti , Se le pruoue, che
fan per lui , cV di poi opporli, Se con tradire a quelle cofe, che pollbno
elTergli in contrario, difciogliendolc, jS Se con nuoui argomenti
cftenuandole , & confutandole . Ma le fi vedrà, che molte, Se varie
cofe fian quelle , che in contra- rio fi polfon dire , douerà in tal cafo
da prima opporre, & contradire a quelle: fi come fece Calligrafo in quella
oratione, ch ei fece al popol Meffeniaco , in gran frequentia
adunato, perciochc hauendo egli da prima ripruouato, Se
confutato tutte quelle cofe, ch'egli fapcua, che incontra fi diccuano , o
li faricn potute dire di poi fatto quello , lefuc proprie pruoue, fo
Se ragioni adduiTe , Ma quando l'orator lari il fecondo a par- lare ,
douerà da prima rilpondere alle ragioni , ck alle obbict- N n ij
doni 2 S y Tfella Ttgprkd d'Arinotela rioni fatte dall'ali ucrfarioj
cercando di difeiogliere i detti Tuoi, Q\ & d'argomentare ; &
fillogizare incontra: Òc mafll inamente fc le cole da quel dette , poflbn
parer di momento , óc habili a fi fàrcimpreflìone , & fede, pcrcioche
fi come vn'huomo hauu- to per infame, & granato di delitti , non fuolc
ellcr nò caro, nè accetto all'animo noftro , cofi parimente non farà
accetta , & con buono animo riceuuta la noftra oratione , fe partito
farà, c'habbia ben detto, & ben prouato rauuerfario noftro. £3 Fidi
meftieri adunque di far dar luogo, & procacciar nell'a- 64 nimo
dell'afcoltatorc adito, & palio alla futura oratione. Et quefto
ageuolmentc ti auuerrà di fare, fc da prima le cofe, che 6f ti fon
contrarie, confutarai, & annullami. Ter la qual cofa. fc prima harai
fatto ftudio , & diligentia d impugnarle, o tut- te , o le più
importanti , o quelle, che polTbn più parere atte ad clferc appruouate
dagli afcoltatori, o quelle finalmente, che almen fon più habili ad clTer
confutate , 6c mandate a ter- 66 ra; potrai in quella guifa poi più
fecuramente produrre, fic credibili render le proprie tue ragioni . come
fa colei, che di- 47 ce, Prima m'opporrò f 8c prenderò la pugna in fàuor
de gli Dei, Iofempre nò tenuto in gran veneration Giunone, 6c C% quel
, che fegue . nelle quai parole fi vede che nel far rifpo- fta,
&oppolitione, fa principio da quella cofa, ch'era più fà- 60 cile a
confurarfi. Et tanto può baftared'hauerne detto delle pruove , che s'han
da far per far fede . Quanto all'vfar l'ora- tion morata poi, perche il
parlare , & predicare apertamen- te lodi di fe ftellb , pare , che
facilmente polla, o prouocare inuidia, o parer cofa lunga, Se tediofa,o
trouar facilmen- te obbiettione, & contradittione, 8c il parlare in
poca lode d'altri hà in fe, o deicontumcliolb , o dell agrefte , &
del rozo , fa di meftieri per quefto, ch'à far ciò s'introduca
qual- che altra perfona, come che da lei tai cofe fi dicano, come vfa di
fare Ifocratc ncll'orarione chiamata Filippo , & in quella, che
Antidofc fi domanda : Et come parimente fuole Archilocho biafraare, &
mordere . pcrochc introduce, 8c fìnge che il padre ftcflb parli contra
della propria figlia, 7j in quei Iambici verfi , the cominciano, Neftuna
cofa im- maginar fi può, che non fi polfa afpettare, & credere,
che per danari habbiad'hauere effetto, c* che giurar {ipoteche non
fia mai per eflèrc . Et il medefirao Archilocho introduce parimente
Charonte fabro, & lo fa parlare in quei Iambici verfi, che cominciano,
Non lo farei, fc ben le ricchezze di Giec , Se quel che feguc . Sofocle
medefimamente fa, che Emone nel parlare a Tuo padre, in fauor d'Antigona dica quel
ch'ei dice, non come da (e , ma come ch'odito da altrilhabbia. là di bisogno
parimente di trasmutare e trasformare alle volte gli Ènthimemiin forma di sentenze;
come fat ia dicendo per esempio Dcono color, che fon di prudente intelletto
fargli accordi e le paci loro coi nemici, quando veggon, come superiori
andar le cose profperc, pofeiache in quefta guifa le fanno con miglior
conditioni e con più vantaggiofi patti, la qual sentcntia raccolta in
forma d'Enthimcma farebbe in quello modo, Perche le paci, i patti,
& le conuentioni alhor s'haa da far coi nemici, quando fi potlbn
fare vtihflìme, & vantaggiofiflìme, per qucfto adunque alhora
maf (imamente far fi deono> quando le cofe paflàn
feli- cernen- •!**^f * "* l te. :: ...Della ^tprìca del
LIZIO (apo Del modo di domandarti > di rifondere yche occorre alle
'volte di farà a gli Orafort nel prouara, £tf argomen- tar, che
fanno. & quante fiano le opportu- ne occajioni di far fai domanda ,
ri- JJtofie 5 £f quali le auuertentie , che shan d'hauere tn ejfa .
& alcune cofe de i C R^ dtcoiiy £f dell'Ironia, £f della Scurrilità
. Vanto appartiene alle domande, che cogliono occorrer di fard trà gl’oatori,
buoniflima oc- chione alhor malli inamente, & primieramen- te,
harem noi di domandare, quando di due cole, che ci farien di bifogno per
concluder con- tra dcll auuerfariOihaucndoncegli per fc iteiTb detta vna,
do- mandandolo noi dell'altra, potiamo con ella condurlo a qual- che
alTordo, Se inconuemcncc : li come auuenne nella domanda, che fece Pericle a
Lampone, peroche hauendol ricerco, che gli manifeiìafle la qualità dei
legreti mifterij dei sacrificij, che li faceuano a Cerer falutarc Dea, Se
elicendogli da Lampon ciò negato, con dire, che non conveniva saper tai cose
a chi non fulfe a cai sacrifitij già confagraco ; lo domandò
Pericle, s'egli le (aperta, Se riipondendo Lampone, che sì ; fubito
fog- gimi fé Pericle, Se come gli fai tu dunque, non clTcndo ancor iù
confagraco? Vn'alcra opporcuna occaiion di doman- dare fccondariamenre
farà, quando di due propoficioni, che ci fan di bisogno, 1" vna farà
cuidencemence manifefta, Se dcl- 1 alerà non haremo dubio,che l'auuerfario
non ila per con- cederla, (e gliela domanderemo, fichauuto c'haremo la
do- mandata detta propofirionc , non è ben di domandarlo dell'altra, che è
manifefta ; ma fnbico fa di meftieri d inferirla conci ufione, Se chiudere
il fillogifmo: fi come fece Socrace peroche incolpando! Mclito, ch'egli, non
crccfcfle, che fuficr gli Di), lo domandò Socrate s'ei ftimaua, ch'egli
hauellc opi- nionc, che fufic falche diurno (pino, che Demone lì
do- mandale, il die ojfcrmando Melito, lo domandò Socrate, s'e- gli
ftimaua, chei Demoni fussero, o figli degli Dij, o partecipi della lordiuinirà.
e confeirandogh ciò Melito, foggiunlc, Se concluse Socrate, Adunque fi
truoua a!cuno,che crcda,che fiano li figliuoli degli Dij, e no lìen gli
Dij ? Walrraoccalìon di domandare, s'hà da ftimar, chefia parimente quando
fi può far coniettura di poter moltra re, che ì'auucrfario dica, o
cofe contrarie a fé ftcuo, o fuor dell'opinion comunemente
d'ogni vno. Vn'altra opportuna occafione (Se quella lari la
quarta) fi dee ftimar, che fia quando l auuet Cario altrimenti non
può fodisfare alla domanda noftra,fenon rifpondendo fofiftica- mente.
percioche s'egli in quefta maniera lifpondcrà dicen- do, che la colli (ìa,
Se che la non fia, o che parte fia, Se parre non fia, o veramente che in
vn certo modo fia, Se in vn certo modo non (latenza dubio gli afcoltatori
verranno a reftar nella loro apprenfion confuta, Se dubiofi per tai
rifpofte. Fuor delle dette opportunità , Se occafioni adunque non
è cofafecura il tentat I auuedario con cotai domande, con- ciofiacofa
che s egli con la Tua rifpolta facclfe reftare abbattuta,c^ fopita, Se
finalmente vana la domanda nostra, parrebbe agcuolmente, che fulTemo remarti
vinti, perciochenó fi può riparar quello con domandar di nuouo più altre
cofe : non comportando ciò la debolezza, Se la poca capacità
degli afcoltatori. Se per quefta ragione e ancor benfatto, che gli
cu thimemi fi raccolgano in forma più ftretta, che fia
poHibile. Quanto al rifponderc alle domande poi, fa primieramente
di meftieri , cheallcdomandc fatte con doppiezza , & con ambiguità, si
risponda con diftmtionc, Se allegation di ragioni, Se non conciìamente, Se
con breue , Se (empiite affirmazione o negazione. Et a quelle domande, che
poflòn conceden- doli parer contrarie, Se dannole a noi, fi di bilogno
(libi- to , che rifpondendo lì concedono, alfegnar nella (iella rilposta
il difeioghmento di quella apparente contrarietà, prima chel'auuerfario
fegua di domandar quel , the gli reità d ha- ute 2 88 Della Retorica
£ frittotelo 1 6 ucr bisogno , & cerchi di chiudere il fillogifmo ;
peroche dif: ficil cofa non c di vedere > &c di conictturare douc
fticn porte lefue infidie, & la ragione, e il punto, eh' ci vuol
concludere. Ma ci ti poilon render tai co fé manifcfte, fi quanto a
cofi fatte domande, cV sì quanto alle folutioni ancora, pcrquello, che fi
e detto nella Topica. Oltra di quefto,fc potendo già per le rifporte noùre
concluder con tra di noi l'auucrfario, ci farà nondimcn domanda della
ftefla conclufionc, che vuol fare, laqual già più non potiam non concedere
, ci fà di me- ftieri d'aflegnar lubito nella rifpofta, la cagion , che ci
muo- ip ue a quella: come accadde trà Sofocle , & Pifandro.
pcròche domandato Sofocle da Pifandro, s'egli haueua concorfocon gli
altri configlicri , fuoi Colleglli reformatori dello ftato a dare , &
a rtabilire col fuo fuffragio, & con la fua fententia , in mano di
quei quattrocento Cittadini l'integro, & allofu- to goucrno della
Città: 8c affermando che sì, feguì Pifandro, Hor non giudicarti tu cifere
vn tal fitto cofa iniqua, & per- nitiofa ? a che rispose Sofocle che
sì, e foggiugnendo Pifandro, con domandar la conclusione Non faccfti ancor tu
dunque cola federata e ingiusta? La feci certamente, rispose egli, e: foggiunfc
subito la cagion, dicendo, perche non fu pofao fibil di fare altra cosa, che
miglior fulfc. Nella medefima maniera un cittadino spartano, essendo stato del
magistrato degl’efori e dovendo rendere anch'egli ragion di non so
che decreto fatto in quel magistrato, è domandato fc gli patcua, che
gli altri suoi colleghi fufter guittamente stati puniti e condennati a morte e
rispondendo egli che sì, seguì colui che lo domanda, Hor non concorrerti
tu ancor có essì a quel medesimo ingiusto decreto? a che parimente rispofe
egli che sì e foggiugnendo colui con domandar la conclusione,
No meriti tu adunque defletè ancor tu condennato alla medesima pena? No,
rispose egli, tic foggiunfc fu biro la cagion di ceialo, perche gli altri
mici colleghi feccr tai cofe, indotti e corrotti da i danari, dove ch'io non da
questo sono mosso, ma dal parermi che così ricercane, èll’ comportane il giuii
rto. Per laqual cosa non fi dee mai far domanda, doppo la conclusione e doppo
che si è concluso - t ne la conclusione stessa domandar fi dee, Te
già non conosciamo esser molto aper il tamenre, Se fccur.imcnte la verità
dalla banda nostra. Quanto appartien poi a i ridicoli, e a quelle cose in
fomma ch'esser pollbnoactca muover nfo, perche pare, che portano
conueneuolmente avere luogo, Se vfo irà gl’oratori, Se spetialmcn 15 te
nelle contese loro, Se Gorgia da LEONZIO (si veda) stetsso dice, se
certamente con ragione, che le cose che su'l serio e fui grave dice l'aver
, fario { debbiarti cercar d'ofeu rare, Se far difparirecol rifo :
6c il riso di lui perii contrario, con la gravità delle cose serie
: 14 per quello si è di tal materia trattato nella Poetica : dove si son
inoltrate , Se dipinte, quante specie, Se forti fìa t; no di ridicoli .
Dei quali alcuni sono che convengono se stan bene a perfonc libere,
ingenue, de ben nate. Se alcuni altri sono che non fhn lor bene. Onde
ciafehedun dee procurar di fare elettion di quelli che più gli quadrino, Se
gli 16 convengano. Se ("penalmente l’ironia, o dissìmul.iuon ,
chela vogliam dire, più pare che ma bene a uomo ingenuo, e ho-
nclhmcnre educato, che non fa la scurrilità, conciofia cosa che chi
dillìoiula, e usa ironia, ha per fine il diletto di se stesso, se per
cagion di fe (te fio fc ne fcrue dove che lo Scurra, o buffone, che lo vogliam
chiamare, ha nell"uso della Scurrilità per fine il diletto, se il piacer
degl’altri . (apo ip. Della parte dell’orazione, chiamata epilogo 5 e
quanti siano gl’ufìcij, o 'ver le parti di quello e quali avvertentìe
in ciajcheduna d'ejfe si debbiano avere £c? penalmente quanti modi di
replicare, o recapi t filarlo rammemorare, che vogliam dire, pojfano avere
luogo in eJJL^ . Della parte dell’orazione, eh' epilogo si domanda, è
composta di IV parti, le quali con- fìttone, in bene animare, Se bene
edificare verso di noi stessi coloro , ch'odono e male ver- O o fo
del- 2$ o i 'Della Tintorìe* d ' LIZIO ^j 3 (b dcli'autieriano ; In
ampliare e in eftenuare, o ver etimi- 4 nuir le cole; in commuoucte e
eccitare arìetti passioni dell’anima nelle menti tic gli alcol cuori, e
rinalmen- xe in ridurre compcndiofunente in memoria di chi ode, le 6
cose dette. Conciolìacola che paia, che l'ordin della natura mostri che
primieramente, doppo c harem provato , de inoltrato elfer la ragione e la
verità dalla parte nostra e il falso, el torto dalia parte dell avversario,
iia alhora il tempo di poter dir qualche cosa in lode nostra, e in biaimo
dcl- 7 lauueilario, de di potere in fomma dar qualche perfettior r 8
ne alla caufa ,& qualche ripolimento alle cofe dette. Etv- na di due
cose per conseguir quanto è detto, ci fa di raemeri di riguardare, de di
procurare cioè che gl’ascoltatori ci reputino, o per persone giùste, de amabili
aloro, o per persone giuitc e amabili ailblutamcnte, de medesimamente reputino
l'avverfario nostro, o per pei Iona iniqua, de odiabile a lo- } ro, o
iniqua, de odiabile aholutamcnte . Hor le cose che poilon scrvire a fare
apparir le persone tali, quali habbiam detto, si podono avere da quei
luoghi, che già di sopra riabbiamo allignati a poter da ed! trarre, quanto
faccia di bisogno per poter formare, de far parer le persone, o virtuose, 10
o dei vitij amiche. Fatto questo, pare che poi sia tempo di amplificare
con ampliatione, p con eftenuatione le cose , che 11 già si son provate,
de dimostrate perciochc a voler, che il pofTa mostrar l’importanza, de
grandezza delle cose, fa di mestieri che prima si conofea, de si conceda
che le fiano , o 1 2 che le fiano stare: si come si vede, che l'augumento
che fi fa ne i corpi si fà in eflr doppo, che già fono in eflere . Donde
poi s 'riabbia d’avere aiuto per ampliare, o per efrenuare, già sono stati
prima da noi posti di sopra, de affegnati i 14 luoghi. Doppo questo ,
fatto che si farà hormai manifesto non solo la qualità, ma la quantità, de
grandezza ancor delle cose, che Ci son trattare; alhor pare che sia tempo di
commuoucrc con afTcìti gl’animi de gl’ascoltatori . Et tali affètti
maiTìmamentc sono, la compadrone, lo sdegno, l'ira , 1 16 l'odio, l’invidia,
l’emulazione, Tinimicitia. de di corali affetri e passioni , già si son prima
alsegnati di sopra i luoghi. Per la qual cosa nieme altro resta, se non l’ultima
patte de|- lepù Jl Terz^o librò. 2$i •l'epilogo, che confitte in
ricapitul.ire, de ridurre nella memoria degl’ascoltatori le cose dette nell’orarzone.
Il modo di far questo fi dee stimare aliai accommodato eifer quelli lo che
alcuni infunano per collocarlo nel prœmio. E tal luogo in vero gli danno
fuor di ragione; come quelli, i quali , accioche le cose fian meglio apprese,
de ritenute dagl’ascoltatori, vogliono, de dan precetto che non vna falò la
volta y ma molte, si replichino nell’orazione. Ma in verità nel proemio basta solamcncc,
e si riccoca di toccare e accennare alquanto la cosa di cui s'ha da trattare,
acciochc poira a gl’auditori non eilerc nafeotto in fortantia
quello, li ("opra di che han da allentire e da giudicare, dove
chcncl- L’epilogo si deon rcpetere, de replicare brevementc per capi le cose,
donde le pruove, de gli argomenti si sono formari. Il principio di cosi fatta
replicatone, de ramracmoratione, potrà conveneuolmcnte farsi con dire, che già si fia
eseguito, de mandato ad effetto tutto quello si è prometto. De subito si dee
repcter quai fian le cose, che il fon 13 dette, de con quai ragioni si
fian provate. PuofTì ancor far la detta recapitulazione e reperitone, con
fare ali incontra parragone delle ragioni proprie, con quelle dell'avversario.
E questa comparatone , de parragonc fi può fare in più modi, o ponendo, de
rcpetendo semplicemente le cose Tterrcda noi, - de le dette dall'avversario,
come che porte a ij fronte l'une incontra dell'altre, come faria dicendo,
Hor colmi intorno alla tal cofa, de fopra del tal Cupo ha detto le tai
co ' Cede noi habbiam detto le tali, e n'habbiamo alsegnato le
tali, 16 Scie tai ragioni: o ver repetendole con dissìmulazione, e
con ironia, come faria dicendo, Cottui certamente hà detto e provaro le
tai cose, de noi le tali de ancor dicendo, Che fa egli Ce le tali, e le tai
cofe hauette dimostrato, e non le 18 tali, fiele tali ? over per mo Ho di
domanda, de dintcrrogatione; come faria dicendo, che cosa è reftata , che provata,
de dimostrata non fi lìa da noi ? e che cosa hà finalmente dimostrato e
prouaro cottui ? Nelle dette maniere adunque fi può far la reperitone,
ponendo a fronte in comparazone, de in parragone le proprie ragioni, e quelle
dell’avversario. Ed ancor si può far con via, e ha più del NATURALE, de men
dell'art- 2 p 2 'Della Retorica del LIZIO. l'artifizioso, ripigliando
e repetendo Iccofc semplicemente 3 i con quel modo, e con quell'ordine,
che si sono dette . E di poi fatto quefto, se ti parrà, potrai, da altro
quafi capo facendoti , feparatamcnte, Se appartatamente repetcr le cole
dette $x dall auucrlario. Nell’ultima estremità finalmente dell’epilogo, e
per conseguente dell’orazione, quadra, e conuiene aliai quella forte di
locuzione, che senza aiuto divnitiuc particelle, che la coniungano, difeongiunta
si proferifee e quello acciò che epilogo appaia in quello estremo de non
orarion dirtela. come faria dicendo, Ho detto, haucte vdito, già pollcdctc
la cofa, giudicate, detcrminate . ]l fine del Terreo & vltimo Véro
della 1{etorica d x slr'iHotclcs a Tbcodetrzs : tradotta in LINGUA VOLGARE,
da P.. VENEZIA oAppreJfi Francefco de Franceschi SancfL. Piccolomini
Grice e Piccolomini: la ragione conversazionale dell’implicatura
conversazionale del Lizio – filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Siena). Filosofo italiano. Siena, Toscana. Grice: “What
Piccolomini is trying to do, but knowing, is providing what I do in from the
bizarre to the banal – a good functionalist interpretation of the rather poor
functionalist explanation by Aristotle of what the Italians call the ‘anima,’
because it ‘animates’ the body (corpore). Insegna
a Macerata, Perugia, e Padova. Analizza il III libro del “Sull’anima” di
Aristotele del Lizio. Saggio: “Peripateticarum de anima disputationum”; “Academicarum
contemplationum”. Tutore di TASSO (si vieda), ricordato in “Il Costante; overo,
dela clemenza”. Formula una teoria
sincretica tra l’accademia e il lizio. ‘Unico’
dei Filomati. Altre saggi: “Universa philosophia de moribus” (Venezia,
Franceschi); “Comes politicus, pro recta ordinis ratione propugnator” (Venezia,
Franceschi); “Libri ad scientiam de natura attinentes” (Venezia, Franceschi); “Librorum
Aristotelis de ortu et interitu lucidissima exposition” (Venezia, Franceschi);
“In III libros de anima lucidissima expositione” (Venezia, Franceschi); “Instituzione
del principe”; “Compendio della scienza civile”; “VIII libri naturalium
auscultationum perspicua interpretatione” (Venezia, Franceschi); “In libros de
coelo lucidissima expositio” (Venezia, Franceschi). Treccani Dizionario Biografico
degl’italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia. Garin, “Storia della filosofia”
(Torino, Einaudi); Malmignati, “Tasso a Padova” (Firenze, Riccardiana); Roma, Pieralisi
(Firenze, Biblioteca nazionale, Conv. Soppr. (S. Maria degli Angeli, Roma, Pieralisi,
P., Cavalli, La scienza politica in Italia (Venezia). Francesco Piccolomini.
Piccolomini. Keywords: apollo lizio, lizio, licio, liceo, lizeo, statua di
apollo lizio, in riposo dopo la palestra, il lizio, Aristotele lizio, i lizij,
i lizii, gl’aristotelici, i peripatetici – gl’accademici e i lizii,
gl’accademicij e i lizij. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Piccolomini” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Pico: la ragione conversazionale di Beniveni,
o l’implicatura dell’accademia di Cicerone -- io priego Dio Girolamo che’n pace così in ciel sia il tuo Pico
congiunto come’n terra eri, et come’l tuo defunto corpo hor con le sacr’ossa
sue qui iace – filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Mirandola). Filosofo italiano. Mirandola, Modena, Emilia Romagna. Grice:
“I liked to say: some like Pico, but Pico’s my man! Since I always preferred
his cousin to the uncle!” – Cf. clavis universalis – Rossi, cita P. -- philosopher
who wrote a series of 900 theses which he hoped to dispute publicly in Rome.
Thirteen of these theses are criticized by a papal commission. When Pico
defends himself in his “Apologia,” the pope condemns all CM theses. P. flees to
France, but is imprisoned. On his escape, he returns to Florence and devotes
himself to private study at the swimming-pool at his villa. He hoped to write a
Concord of Plato and Aristotle, but the only part he was able to complete was “On
Being and the One,”“Blame it on the Toscana!” -- in which he uses Aquinas and
Christianity to reconcile Plato’s and Aristotle’s views about God’s being and
unity. Mirandola is often described as a syncretist, but in fact he made it
clear that the truth of Christianity has priority over the prisca theologia or
ancient wisdom found in the hermetic corpus and the cabala. Though he was
interested in magic and astrology, Mirandola adopts a guarded attitude toward
them in his “Heptaplus,” which contains a mystical interpretation of Genesis;
and in his Disputations Against Astrology, he rejects them both. The treatise
is largely technical, and the question of human freedom is set aside as not
directly relevant. This fact casts some doubt on the popular thesis that Pico’s
philosophy is a celebration of man’s freedom and dignity. Great weight has been
placed on Pico’s “On the Dignity of Man.” This is a short oration intended as
an introduction to the disputation of his 900 thesesall condemned by the evil
pope --, and the title was suggested by his wife (“She actually suggested, “On
the dignity of woman,” but I found that otiose.””). Mirandola has been
interpreted as saying that man (or woman) is set apart from the rest of
creation, and is completely free to form his (or her) own nature. In fact, as
The Heptaplus shows, P. sees man as a microcosm containing elements of the
angelic, celestial, and elemental worlds. Man (if not woman) is thus firmly
within the hierarchy of nature, and is a bond and link between the worlds. In
the oration, the emphasis on freedom is a moral one: man is free to choose
between good and evil. Grice: “This irritated Nietzsche so much that he wrote
‘beyond good and evil.’ Refs.: H. P. Grice, “Goodwill and illwillmust we have
both?” L'esponente più conosciuto della dinastia dei Pico, signori
di Mirandola. L'infanzia di P., di Delaroche, Museo delle belle arti di
Nantes (Francia). Nacque a Mirandola, presso Modena, il figlio più giovane di
Gianfrancesco I, signore di Mirandola e conte della Concordia e sua moglie Giulia, figlia di Boiardo, conte
di Scandiano. La famiglia ha a lungo abitato il castello di Mirandola, città
che si era resa indipendente e riceve da Sigismondo il feudo di Concordia. Pur
essendo Mirandola uno stato molto piccolo, i Pico governano come sovrani
indipendenti piuttosto che come nobili vassalli. I Pico della Mirandola sono
strettamente imparentati agli Sforza, ai Gonzaga e agli Este, e i fratelli di
Giovanni sposarono gli eredi al trono di Corsica, Ferrara, Bologna e Forlì. Soggiorna
in molte dimore. Tra queste, quando vive a Ferrara, il palazzo in via del Turco
gli permette di essere vicino agli Strozzi ed ai Boiardo. P. compì i suoi
studi fra Bologna, Pavia, Ferrara, Padova e Firenze. Mostra grandi doti nel
campo della matematica e impara molte lingue, tra cui perfettamente il latino,
il greco, l'ebraico, l'aramaico, l'arabo e il francese. Ha anche modo di
stringere rapporti di amicizia con numerose personalità dell'epoca come
Savonarola, Ficino, Lorenzo il Magnifico, Poliziano, Egidio, Benivieni, Balbi,
Alemanno, ed Elia. Entra a far parte dei Idealisti Fiorentini. Si reca a
Parigi, ospite della Sorbona, allora centro di studii, dove conosce alcuni
uomini di cultura come Étaples, Gaguin e Hermonyme. Ben presto divenne celebre
e si dice che ha una memoria talmente fuori dal comune che conosce l'intera
Divina Commedia a memoria. e a Roma dove prepara CM tesi in vista di un
congresso filosofico -- per la cui apertura compose il “De hominis dignitate”
-- che tuttavia non ha mai luogo. Sube infatti alcune accuse di eresia, in
seguito alle quali fugge in Francia dove venne anche arrestato da Filippo II
presso Grenoble e condotto a Vincennes, per essere tuttavia subito scarcerato.
Con l'assoluzione d’Alessandro VI, il quale vede di buon occhio la sua volontà
di dimostrare la divinità attraverso la magia e la cabala, nonché godendo della
rete di protezioni dei Medici, dei Gonzaga e degli Sforza, si stabile quindi
definitivamente a Firenze, continuando a frequentare l'Accademia di
Ficino. MUORE PER AVVELENAMENTO D’ARSENICO mentre Firenze è occupata dalle
truppe francesi di Carlo VIII. Sepolto nel cimitero dei domenicani dentro il
convento di S. Marco. Le sue ossa saranno rinvenute da Chiaroni accanto a quelle di Poliziano e dell'amico
Benivieni. Siamo vissuti celebri, o Ermolao, e tali vivremo in futuro,
non nella scuola dei grammatici, non là dove si insegna ai ragazzi, ma nelle
accolte dei filosofi e nei circoli dei sapienti, dove non si tratta né si
discute sulla madre di Andromaca, sui figli di Niobe e su fatuità del genere,
ma sui principî delle cose umane e divine. Uno studio coordinato del
dipartimento di Biologia dell'Pisa, del Reparto Investigazioni Scientifiche
dell'Arma dei Carabinieri di Parma dimostra che e avvelenato con l'arsenico. Il
volto di P. ricostruito con le moderne tecniche forensi Di P. è rimasta
letteralmente proverbiale la prodigiosa memoria. Si dice conosce a mente
numerose opere su cui si fonda la sua vasta cultura enciclopedica, e che
sapesse recitare la “Divina Commedia” *al contrario*, partendo dall'ultimo
verso, impresa che pare gli riuscisse con qualunque poema appena terminato di
leggere. Tutt'oggi è ancora in uso attribuire l'appellativo “P” a
chiunque sia dotato di ottima memoria. Secondo una popolare diceria, ha
una amante o una concubina segreta. Tuttavia ha un rapporto amoroso con
l'umanista Benivieni, sulla base di alcuni scritti, tra cui sonetti, che
quest'ultimo dedica a Pico, e di alcune allusioni poco chiare di Savonarola. E comunque
un seguace dell'ideale dell'amor platonico, privo cioè di contenuti erotici e
passionali. Anche la figura femminile ricorrente nei suoi versi viene celebrata
su un piano prevalentemente filosofico. La sua filosofia si riallaccia all’idealismo
di Ficino, senza però occuparsi della polemica anti-aristotelica. Al contrario,
cerca di riconciliare aristotelismo e platonismo in una sintesi superiore,
fondendovi anche altri elementi culturali, come per esempio la tradizione
misterica di Ermete Trismegisto e della cabala. All'interno del testo
delle Conclusiones si scaglia duramente contro Ficino, considerando inefficace
la sua magia naturale perché carente di un legame con le forze superiori nonché
di un'adeguata conoscenza cabalistica. Il suo proposito, esplicitamente
dichiarato ad esempio nel “De ente et uno”, consiste infatti nel ricostruire i
lineamenti di una filosofia universale, che nasca dalla concordia fra tutte le
diverse correnti di pensiero sorte sin dagl’antichi, accomunate
dall'aspirazione al divino e alla Sapienza. In questo suo ecumenismo filosofico
vengono accolti non solo i filosofi esoterici insieme all’accademia e il lizio,
e tutta la filosofia gnostica ed ermetica, anche mistica. Il congresso da lui
organizzato a Roma in vista di una tale pace filosofica inserirsi proprio in
questo progetto culturale basato su una concezione della verità come princìpio
eterno ed universale, al quale ogni epoca della storia ha saputo attingere in
misura in più o meno diversa. In seguito tuttavia ai vari contrasti che gli si
presentarono, sorti a causa della difficoltà di una tale conciliazione. Si
accorse che il suo ideale e difficilmente perseguibile. Ad esso, a poco a poco,
si sostitusce nella sua mente il proposito riformatore di Savonarola, rivolto al
rinnovamento morale, più che culturale, della città di Firenze. L'armonia
universale da lui ricercata in ambito filosofico si trasforma così
nell'aspirazione ad una moralità meno
generica. A differenza di Ficino, emerge un maggiore senso di irrequietezza e
una visione più cupa ed esistenziale della vita. Al centro del suo ideale
di concordia universale risalta fortemente il tema della dignità e della
libertà umana. L'uomo infatti è l'unica creatura che non ha una natura predeterminata,
poiché. Già il Sommo Padre, Dio Creatore, ha foggiato, questa dimora del mondo quale ci appare. Ma,
ultimata l'opera, l'artefice desidera che ci fosse qualcuno capace di afferrare
la ragione di un'opera così grande, di amarne la bellezza, di ammirarne la
vastità. Ma degli archetipi non ne restava alcuno su cui foggiare la nuova
creatura, né dei tesori né dei posti di tutto il mondo. Tutti erano ormai
pieni, tutti erano stati distribuiti nei sommi, nei medi, negli infimi gradi. Dunque
l'uomo non ha affatto una natura determinata in un qualche grado (alto o
basso), bensì. Stabilì finalmente l'Ottimo Artefice che a colui cui nulla
poteva dare di proprio fosse comune tutto ciò che aveva singolarmente assegnato
agli altri. Perciò accolse l'uomo come opera di natura indefinita e, postolo
nel cuore del mondo, così gli parla. Nn ti ho dato, o Adamo, né un posto
determinato, né un aspetto proprio, né alcuna prerogativa tua, perché tutto
secondo il tuo desiderio e il tuo consiglio ottenga e conservi. La natura
limitata degli altri è contenuta entro leggi da me prescritte. Tu te la
determinerai senza essere costretto da nessuna barriera, secondo il tuo
arbitrio, alla cui potestà ti consegnai. Afferma, in sostanza, che Dio ha posto
nell'uomo non una natura determinata, ma una indeterminatezza che è dunque la
sua propria natura, e che si regola in base alla volontà, cioè all'arbitrio
dell'uomo, che conduce tale indeterminatezza dove vuole. Non ti ho fatto
né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché di te stesso quasi
libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti
prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori che sono i bruti. Tu
potrai, secondo il tuo volere, rigenerarti nelle cose superiori che sono
divine. Nell'uomo nascente il Padre ripose semi d'ogni specie e germi d'ogni
vita. E a seconda di come ciascuno li avrà coltivati, quelli cresceranno e daranno
in lui i loro frutti. se sensibili, sarà bruto, se razionali, diventerà anima
celeste, se intellettuali, sarà angelo, e si raccoglierà nel centro della sua
unità, fatto uno spirito solo con Dio.Quindi, sostiene che è l'uomo a forgiare
il proprio destino secondo la propria volontà, e la sua libertà è massima,
poiché non è né animale né angelo, ma può essere l'uno o l'altro secondo la coltivazione
di alcuni tra i semi d'ogni sorta che vi sono in lui. L'uomo non è né «angelo
né bestia. La sua propria posizione nel mondo è un punto mediano tra questi due
estremi; tale punto mediano, però, non è
una mediocrità (in parte angelo e in parte bruto) ma è la volontà (o
l'arbitrio) che ci consente di scegliere la nostra posizione. Dunque l'uomo è
la più dignitosa fra tutte le creature, anche più degli angeli, poiché può
scegliere che creatura essere. Il suo secondo grande interesse è rivolto
alla cabala, che viene da lui spiegata come una fonte di sapienza a cui
attingere per decifrare il mistero del mondo, e nella quale Dio appare oscuro,
in quanto apparentemente irraggiungibile dalla ragione; ma l'uomo può ricavare
la massima luce da tale oscurità. Non esiste alcuna scienza che possa attestare
meglio la divinità che la magia. Connessa alla sapienza cabbalistica è la magia.
In fatti, il mago opera attraverso simboli e metafore di una realtà assoluta e dunque, partendo dalla natura, può giungere
a conoscere tale sfera metafisica attraverso la conoscenza della struttura
matematica che è il fondamento simbolico-metaforico della natura stessa.
Se la magia è giudicata positivamente per quanto riguarda invece l'astrologia
egli ebbe un atteggiamento diverso, che lo porta a distinguere nettamente tra
astrologia matematica o speculativa, cioè l'astronomia, e l'astrologia
giudiziale o divinatrice. Mentre la astrologica speculative ci consente di
conoscere la realtà armonica dell'universo, e dunque è giusta, la astrologia
prattica crede di poter sottomettere l'avvenire degli uomini alle congiunture
astrali. Partendo dall'affermazione della piena dignità e libertà dell'uomo,
che può scegliere cosa essere, muove una forte critica a questo secondo tipo di
credenze e di pratiche astrologiche, che costituirebbero una negazione proprio
della dignità e della libertà umane. L’astrologica prattica (o giudiziale)
attribuisce erroneamente a un corpo celeste il potere di influire sulla una vicenda
umana (fisiche e spirituali), sottraendo tale potere alla Provvidenza divina e
togliendo agl’uomini la libertà di scegliere. Non nega che un certo influsso vi
possa essere, ma mette in guardia contro il pericolo insito nell'astrologia giudiziale
di subordinare il superiore (cioè l'uomo) all'inferiore (ossia la forza
astrale). La vicenda dell'esistenza umana e tanto intrecciata e complessa che
non se ne può spiegare la ragione se non attraverso la piena libertà d'arbitrio
dell'uomo. Tuttavia, alcuni concetti base furono ripresi e rielaborati da Savonarola nel suo Trattato contra li
astrologi. Altri saggi: “Lettera a Barbaro sul modo di parlare dei filosofi”
– cf. Grice: “Full of implicatures – of the worst misleading type!” ; “Commento
sopra una canzone d'amore di BENIVIENI” – amore accademico -- “Discorso sulla
dignità dell'uomo”; “Tesi su tutte le cose conoscibili”; “CM conclusioni
filosofiche”; “cabalistiche e teologiche in ogni genere di scienze”; “Apologia”;
“Heptaplus: della settemplice interpretazione dei VI giorni della Genesi”; “Expositiones
in Psalmos, “L'essere e l'uno”; “Dispute
contro l'astrologia divinatrice”; “Carmi”; Auree Epistole. Sonetti, “Le XII
regole”; “Le XII armi della battaglia spirituale”; “Le XII condizioni d’un amante”
“Preghiera a Dio”; “Tutte le cose e alcune alter”. A lui si attribusce anche la
paternità dell’ “Amoroso combattimento onirico di Polifilo”. Sebbene egli
preferisse farsi chiamare Conte della Concordia. È in particolare Grazias, dopo
essere intervenuto presso i reali Isabella e Ferdinando, ad essere incaricato
da Innocenzo VIII di confutarne l'Apologia.
Avvelenato -- caso risolto, in Gazzetta di Modena, Gallello et al. Già
all'epoca della sua morte si vociferò che e avvelenato (cfr. S. Critchley, Il
libro dei filosofi morti, Garzanti).
Recenti indagini condotte a Ravenna dall'équipe di Gruppioni di Bologna riscontra elevati livelli di arsenico nei
campioni di tessuti e di ossa pre-levati dalle spoglie del filosofo, che
avvalorerebbero la tesi dell'avvelenamento per la sua morte (cfr. Delitti e
misteri del passato, Garofano, Vinceti, Gruppioni (Rizzoli, Milano). L’avvelenamento,
la cui morte finora si ritene fosse stata causata dalla sifilide, e ad opera
della stessa mano che due mesi prima avrebbe uccide Poliziano, legato a P. da
grande amicizia. Risolto il giallo della sua morte, Pisa, La sua memoria straordinaria.
enivieni fa porre anche una lapide sulle spoglie tumulate nella chiesa di S. Marco
a Firenze. Sul fronte della tomba è tuttora inciso. Qui giace Giovanni
Mirandola, il resto lo sanno anche il Tago e il Gange e forse perfino gli
Antipodi. BENIVIENI, affinché dopo la
morte la separazione di luoghi non disgiunga le ossa di coloro i cui animi in
vita congiunse Amore, dispone d'essere sepolto nella terra qui sotto. Sul retro
invece, in posizione poco visibile, è riportato l'epitaffio, “Girolamo BENIVIENI
per lui e se stesso pose nell'anno. Io priego Dio Girolamo che 'n pace così in
ciel sia il tuo Pico congiunto come 'n terra eri, et come 'l tuo defunto corpo
hor con le sacr'ossa sue qui iace”. GARIN, Vita e dottrina (Monnier); Zeller, L’aristolelismo
del LIIO rinascimentale, Luria, Yates, BRUNO e la tradizione ermetica Laterza; Perone,
Ciancio, Storia del pensiero filosofico,
SEI, Torino, Garin, Vallecchi, Sul richiamo di Pascal a P., cfr. B. Pascal,
Colloquio con il Signore di Saci su Epitteto e Montagne in Pascal, Pensieri,
Serini, Einaudi, Torino, Secret, I cabbalisti, Roma, Conclusiones nongentae. Le
CM tesi. Biondi, Studi pichiani (Firenze Olschki). Conclusiones Magicae numero
XXVI, secundum opinione propria”. Fra le tesi redatte in vista del congresso
filosofico di Roma, Non vi è scienza che ci dia maggiori certezze sulla
divinità della magia (cit. da Secret,
ibidem, e in Zenit studi. P. e la cabala). La natura è una correlazione
misteriosa di forze occulte che l'uomo può conoscere tramite l'astrologia speculative
e controllare tramite la magia. Distingue due tipi di astrologia: matematica e
divinatrice. Nega il valore della seconda (Granata, Filosofia, Alpha Test,
Milano). Lo stesso Savonarola sostenne di aver scritto il suo trattato in
corroborazione delle refutazione astrologice di P. -- cit. in Romeo De Maio,
Riforme e miti (Guida, Napoli). Indizi e prove: e Alberto Pio da Carpi nella
genesi dell’Hypnerotomachia Poliphili.
Questo testo proviene in parte dalla relativa voce del progetto La scienza
in Italia, opera del Museo GALILEI. Istituto Museo di Storia della Scienza di
Firenze, pubblicata sotto licenza Creative Commone, Mazzali, Basileae, per Sebastianum
Henricpetri, Basileae, per Sebastianum Henricpetri, Doctissimi Viri P.,
Concordiae comitis, Exactissima expositio in orationem dominicam, Bernardini, Apologia.
L'autodifesa di P. di fronte al tribunale dell'inquisizione, Fornaciari,
Società per lo studio del medio-evo, Galluzzo, Firenze); Barone, Antologia, Virgilio,
Milano, Studi Dario Bellini, La profezia, Oltre la C porta, Sometti, Busi, Vera
relazione sulla vita e i fatti, P., Aragno; Cassirer, “Individuo e cosmo nella
filosofia del rinascimento” (Nuova Italia, Firenze); Lubac, L'alba incompiuta
del rinascimento” (Jaca, Milano); Giovanni, La filosofia (Palermo, Boccone del
Povero); Frigerio, "Il commento alla Canzona d'Amore di BENIVIENI; Conoscenza
Religiosa, Firenze, Fumagalli Beonio Brocchieri, Casale Monferrato, Piemme, Garin,
L'Umanesimo (Laterza, Bari); Puledda, Interpretazioni dell'Umanesimo,
Associazione Multimage, Quaquarelli, Zanardi, Pichiana. delle edizioni e degli
studi, in "Studi pichiani" (Olschki, Firenze); Sartori,Filosofia,
teologia, concordia, Messaggero Padova, Zambelli,
L’APPRENDISTA STREGONE SODOMITA DELL’ACCADEMIA Astrologia, cabala e arte
lulliana in P. e seguaci” (Marsilio, Venezia); “Le fonti cabalistiche”; Busi,
"Chi non ammirerà il nostro camaleonte?" La bibliotica cabbalistica, Busi,
L'enigma dell'ebraico nel Rinascimento, Aragno Torino Campanini, Moncada -- Mitridate -- traduttore di opere
cabbalistiche, Perani, Moncada alias Mitridate: un ebreo converso siciliano,
Officina di studi medievali, Palermo, Jurgan e Campanini, con un testo di Busi,
Nino Aragno, Torino Saverio Campanini Fondazione Palazzo Bondoni Pastorio,
Castiglione delle Stiviere; cabala; Ficino Filosofia rinascimentale Mirandola
Umanesimo Prisca theologia.Treccani Dizionario biografico degl’italiani,
Istituto dell'Enciclopedia; Il Centro P., L’Umanesimo, la cabala cristiana,
Discorso sulla dignità dell'uomo, P., Orazione sulla dignità dell'essere umano,
prima parte, su panarchy.org. I
"Carmina" e l'"Oratio de hominis dignitate", su the latin library
The Kabbalistic Library of P., su pico-kabbalah.eu. Giovanni Pico, dei conti
della Mirandola e della Concordia. Giovanni Pico, conte della Mirandola e della
Concordia. Giovanni Pico della Mirandola. Pico. Keywords: amore platonico,
amore socratico, Pico e Girolamo – l’epitafio – amore platonico Ficino – la
dignita dell’uomo, la concordia degl’antichi, la magia, il platonismo di Pico.
Pico e Pico, i apprendisti stragoni sodomiti, o dell’amore accademico. Refs.: Luigi
Speranza, "Grice e Pico: the dignity of man," per Il Club
Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Grice e Pico: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale dello stregone sodomita – filosofia
emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Mirandola). Filosofo italiano. Mirandola, Modena, Emilia Romagna. Grice:
“It is very likely that Cartesio took the idea of the malignant daemon from
Pico, who was obsessed with him – with the daemon, I mean! “Demonio!”” Grice:
“I like Pico. Ackrill suggested that I should translate happiness as taking
‘daemon’ seriously. Pico does: He allows Alberti’s use of ‘demonio’ as a direct
translation of Roman ‘daemone,’ which is Grecian in nature.”Grice: “A daemon is
always ‘maschile,’ succubus, or incubus – and stregus is gender-neutral, too,
as Pico was very well aware when he allowed the burning of a few male witches
at Mirandola. On the other hand, he uses Sextus Empiricus and Phyrro against
Aristotle!” Grice: “Like Gentile, and Rosselli, two other Italian philosophers,
he was murdered – by his successor to the county!” “A very sad thing is that he
was murdered along with his son Alberto.” Grice: “The murderer, a Pico,
succeeded him without much of a revolt – That’s the Renaissance forya!” --- Important if unjustly neglected, murdered,
Italian philosopher. Italian nobile e
filosofo, nipote di Pico. Grice: “He was murdered by his ‘successore
definitivo’ – along with his ultragenito figlio – Descendants of NERONE would
be surprised to learn that his primogenito did not seek revenge – perhaps he
couldn’t care less – MIRANDOLA ain’t ROMA!” Figlio di Galeotto I Pico, signore
di Mirandola. Come lo zio, Pico, P. si dedica principalmente alla filosofia, ma
ha reso soggetto alla bibbia, anche se nei suoi trattati, De monolocale divinae
et humanæ sapientiæ e in particolare nei VI libri intitolati examen doctrinæ vanitatis
gentium, si deprezza l'autorità dei filosofi, al di sopra tutti l’Aristotele
del LIZIO. Scrive una biografia dettagliata di suo zio (“Ioannis Pici
Mirandulae Vita”) e un altro di SAVONAROLA (si veda), di cui è un seguace. Avendo
osservato i pericoli a cui la società è esposta, lancia un avvertimento in
occasione del concilio lateranense: Oratio ad Leonem X et concilium Lateranense
de reformandis Ecclesiæ Moribus (Hagenau, dedicato a Pirckheimer). Muore a
Mirandola, assassinato dal nipote Galeotto, insieme a suo figlio. Mentre spesso
sostene che la filosofia raggiunta una parte della verità, dice in effetti, che
la filosofia da soli è una semplice raccolta di falsità confusi e internamente
incoerenti. In possesso di un tale punto di vista, si schiera non solo con SAVONAROLA,
ma con alcuni dei padri e con i riformatori pure. Su questo punto, è
insistente. Il cristianesimo è una realtà auto-sussistente e che ha poco o
nulla da guadagnare dalla filosofia, le scienze o le arti. Questa tesi centrale
si diffonde attraverso quasi la sua intera produzione filosofica. Scrive di non
lodare o estendere il regno della filosofia, ma di demolirlo. Saggi: “De
studio di divinae et humanae philosophiae,” “De imaginatione” – Grice: “This is
interesting. Pico starts by noting how Cicero mistranslated imaginatio from
‘phantasma.’ Vitters would not have agreed!” – “De pro-videntia dei,” “De rerum
prae-notione,” “Quaestio de falsitate astrologiae,” “Examen vanitatis gentium
doctrinae et veritatis Christianae
disciplinae, “”Strix, sive de ludificatione daemonum”; Libro detto strega o delle
illusioni del demonio,” – Grice: Pico is using ‘demonio’ literally; Descartes
isn’t!” – “Opera Omnia,” – C. Herbermann. Burke, "Stregoneria e magia: P.
e il suo stragone," di SAnglod, The
Damned Art: Saggi in letteratura di Magia, Londra. Herzig, "La reazione dei demoni
alla sodomia: magia e omosessualità nel stregone di P." Kors e Peters. La stregoneria in Europa, Una storia
Documentario. Estratti dal P. Lo stregone, Schmitt, P. e la sua critica al
Lizio (The Hague, Nijhoff); Pappalardo, “Fede, immaginazione e la scessi"
(Nutrix), Turnhout: Brepols. Centro di Cultura; Springer. Nobile, filosofo e
letterato italiano. Signore di Mirandola e conte di Concordia. Assassinato dal
nipote Galeotto II Pico, suo successore. Succede al padre nel governo dei
feudi, ricevendo conferma dell'investitura dall'imperatore Massimiliano I
d'Asburgo. I fratelli, non contenti, assediano e bombardano la Mirandola e gli imprigionano.
Rilasciato solo con la promessa di cessione dei domini. Si ritira a Roma. Critica
il paganismo classico. Scrive una biografia dello zio Pico, intitolata Vita, anteposta a un volume
che ne raccoglieva l'Opera omnia, e riprese alcune sue dottrine, come la lotta
contro l'astrologia. Seguace di SAVONAROLA, si batte inutilmente per la sua
assoluzione, e ne scrive una bio-grafia e tanato-grafia: la vita e morte di
SAVONAROLA. Sostenne da un lato la necessità di un rinnovamento della
disciplina ecclesiastica e dall'altro i problemi della filosofia. Scrive il “De
reformandis moribus,” che invia a Leone X, l'”Examen vanitatis doctrinae
gentium et veritatis christianae disciplinae,” nel quale attacca la filosofia
arcaica; e, non ultimo, “Libro detto strega o delle illusioni del demonio,” sulle
possessioni demoniache. L'”Examen” non
attacca soltanto la filosofia arcaica, ma si scaglia ugualmente contro
Aristotele del Lizio ed AQUINO. Dei due filosofi, contesta la fiducia nella
conoscenza e nella ragione, che permetterebbero con la forza dell'intelletto di
intuire la verità ultima. Al contrario, al pari della dottrina esposta dal Cusano
nel De docta ignorantia, nutre una profonda sfiducia nelle capacità umane,
riconoscendo alla ragione solo la possibilità di giungere a una conclusioni
arbitraria. Riprendendo alcune tesi tipiche della SCESSI di Pirrone e Sesto
Empirico, nega la validità dei sillogismi e dell'induttivismo, svaluta l'idea
della causalità. Nulla è conoscibile, mentre la fede può fondarsi solo su una
rivelazione. Muore assassinato dal nipote Galeotto II assieme a suo figlio. Altri
saggi: “De studio divinae et humanae philosophiae”; “Dialogus de adoratione”; “Quaestio de falsitate astrologiae”. Pompeo, Famiglie
celebri di Italia. Torino, Delumeau, “Il
peccato e la paura” (Bologna, Mulino); Pappalardo, "Fede, immaginazione e la
scessi" (Turnhout: Brepols). Assedio della Mirandola, Assedio della
Mirandola di Giulio II, Caccia alle streghe nella Signoria della Mirandola, Sovrani
di Mirandola e Concordia. Schizzo biografico a cura de Il Centro P.. Treccani
Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia. Giovanni Francesco
Pico della Mirandola. Giovanni Francesco II Pico della Mirandola. Gianfrancesco
Pico della Mirandola. Gianfranco Pico della Mirandola. Pico. Keywords. Refs: Luigi
Speranza: Pico. Keywords: demonio, demonologia – read excerpts of Stryx in the
Italian volgare under entry for translator. Refs.: “Grice, Acrkill, Pico and Alberti, on ‘demonio’,” Luigi
Speranza, "Grice e Pico," per Il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia -- Gianfranco Pico della
Mirandola.
Grice e Pieralisi: la ragione
conversazionale o la teoria del segno – la scuola di Jesi -- filosofia marchese
-- filosofia italiana – Luigi Speranza (Jesi). Filosofo italiano. Jesi, Ancona,
Marche. Esalta il valore della pace fra i romani e fra tutte le creature. L’anima
è presente non solo negl’esseri umani, ma anche negl’altri animali, ai quali
appunto l'anima conferisce come agl’uomini un'esistenza eterna al di là della
morte. Per tali motivi sottolinea la necessità etica di trattare gl’animali con
rispetto ed amore. De anima belluarum: sopravvivenza? Una domanda, Rocco,
Venezia. “Della filosofia razionale speculativa parte soggettiva ossia la
logica” (Pace, Roma); “La filosofia razionale pratica; ovvero, dei doveri
naturali” (Pace, Roma); “Sui vizi capitali dell'insegnamento scientifico:
riflessioni” (Pesar). Segno chiamo una cosa qualunque che colla manifestazione
di se indica una qualche altre cosa. Col vedere che e quell oche dico “segno”
si viene a sapere che sia anche l’altro di cui e segno. Segno ARBITRARIO chiamo
quell oche per libera disposizione degl’uomini e stato destinato ad indicar la
cosa che significa. Nel segno naturale
l’eistenza sua coll’esistenza di quell ova naturalmente congiunta. Il segno è rappresentativo
si sta in lugo della cosa che significa, la rappresenta, ne tiene le veci. Come
l’immagine de un uomo si pone in lugo dell’uomo. Ci sono V massime della
conversazione. I la parola si adopre ad esprimere ci oche l’uso stablito vi
esprime. II si deve evitare la ambiguità: una parola che e equivoca non si
adopria almeno nei contribuzioni alla stessa conversazione, ora cosi, or cosa. Ora
nell’uno ora nell’altro dei suo significanti – o signati. Seppure la diversità
loro non è tale che togliesse ogni pericolo di equivocare. III Adoprando un
vocabolo oscuro, che non è di uso e non e di quell’uso che se nuo vuol fare, si
fefnisca il senso nel quale se adopra, onde far nota che s’intende signare con
esso. IV nell’esporre le cosa o dimostrare la verità, la parola è usata nel
senso suo priprio, evitando tropi, figure, ed altre eleganze, che, se giovano
al bello, pregiudicano spesso al vero; essendoche eccitano l’immaginazione a
figurarise le cosa, anziche chiamo l’attenzione a vederle nell’esser loro ad a
conoscerle quali son. V se per la scrazesa dei termini è necessario usare una
stessa parola in un senso alquanto diverso, non si tracuri, per amore di brevità,
di aggiugere ad essa quant’altre parole sieno necessario perche il senso che si
vuole che abbia, riesca caro e preciso. Sezioni: ‘Sopra-sezione: il segno
dell’idea. Segno. Segno naturale, segno arbitrario. Segno manifestativo e
suppositivo o rappresentativo. Segno dell’idea, segno del pensiero. Il gesto –
segno del pensiero. Parola è un segno articolato. La parola ha un aspetto
fisico e un aspetto logico. Quanto considerate semplicemente nell’esere materialmente
è un segno fisico. Se viene considerate in quate e segno di un’idea od esprime
un pensiero, è presa formalmente – logicamente. Le parole sono comune o propri,
di uno o piu eseri, la parola ‘pietro’ e semplice, un termine complesso e ‘uomo
eminentemente virtuoso’, o semplicemente, un santo. Termine categorematico e
sincategorematico. Una parola che DA SE SOLA NULLA SIGNIFICA (“He implies that
and”), ma solamente se si aggiune ad altra, della quale modifica la
significazione specialemente in qualte all’estensione dell’idea de cui e segno.
Essempli de segno sincategorematico sono ‘ogni’ e ‘qualche’. ‘Leone’ permette
una figura. Si usa ad indicare una spezie di animale, una costellazione in
forma di leone, o un uomo che si comporta come un leone. Un termino analogo e
‘saludabile’ che si applica al cibo, al scremento, ed al stilo di vita. Quando
il segno è segno manfestativo d’una idea o segno suppositivo della cosa
rappresentata da esse. Il segno dunque tiene nella conversazione il luogo della
cosa della quali si parla, falle le loro veci, la rappresentato. Questo loro
officio chiamo la loro supposizione, lo stare cio per le cose, il sustituirise,
o, meglio, l’essere sostituiti ad essa. La supposizione è materiale se il segno
sta per se stesso materialmente preso. La supposizone è formale se il segno e
adoprato secondo il suo esser logico, se sta per quello che chi parla ha
destignato a segnare. ‘uomo’, dotato di ragione. La supposizione formale puo
essere semplice o logica reale. La supposizione formale è logica si il segno
sta per l’idea di cui è segno, e ch’è la cosa da lui immediatamene espresso. ‘L’uomo
e una specie’. La supposizione e reale quando sta per la cosa stessa esistente nella
natura sotto quella forma, in cui l’essere è rappresentato dall’idea, di cui il
segno è segno – L’uomo vive. La supposizione puo esser reale, colletiva e
distributiva. La supposizione formale reale d’una parola puo essere colletiva o
distributive. È colletiva se la parola sta nel discorso per TUTTI e ciasccuno
CUPULATIVAmente gl’individuo di quell nome, ossia gl’essere che sonno
nell’estensione dell’idea dal segno espresso. Come se si dicesse, le parti
equagliano il tutto. La supposizione e distributiva se il termine sta per tutti
e ciascuno DISGIUNTIVAmente gl’esseri prappresentati dall’idea, di cui e segno,
sta per uno di esso, o queso o quell oche sia, e cosi sta per ognuno, ossia
vale per ognuno chi o che è detto delle cose rappresentate dalla idea
significate al segno. Le parti sono inferiori al tutto. Gl’uomini hanno forza
minore di quella d’un cavallo. C’è la possibilità intriseca dell’origine
naturale dei segni. Non pottrebe mai dimostrare dell’impossibilità in cui gl’uomini
si arebero trovati di costituirse un linguaggio per comuniare fra loro e
manifestare recipricamente i proppi pensiere. Sebeene molto e rilento e non senza
gravi difficoltà hanno tuttavia posti nella necessità di farlo putoto elevera a
segni delle cosa e costituirli cosi termini logici. Quelle che per una
combinazione o relazione e coll’aiuto d’un gesto hanno puotuo associare alle
idea della cosa. Nessuna ripugnanza in cio si vede, e finche ripugnanza non si
vede, la possibilità d’una cosa non puo essere a buon diritto negata. La parola
serve all’uomo mirabilmente per TRASFONDERE negl’altri le sue conosence, per
mostrare le ragione nelle quali egli ha scoperto l’essere di tante cosa, che
immediatamente non apparisicono e non si possoni in loro stesse vedere e perceptire,
per guidare in somma per sentiteri gia battuti alla conoscenza di cose alle
quali tutte ciascune da se solo sensa l’aiuto dell’altrui intelligenza I cui
acquisti gl imanifesta la praola non avvrebe trovato la via di pervenire. Per
intedere il discorso si tiene in cota tre fattori. I al senso che colla
definizione il parlante ha dichiarato di voler dare alla sua parola. II a
quello que aparisce DAL CONTESTO avvervi volute significare. III al CONCETTO
che si sa ch’egli puo avere delle cose di cui parla, perche nessuno puo volere
esprimere quell che non sa. Pieralisi. Keywords: segnare, segnato, segnante.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pieralisi.”
Grice
e Pieri: ragione convversazionale ed implicatura convversazionale – filosofia
lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Roma,
Lazio. or — Lan più profondo, e ben più atto a dissipare ogni cattiva opinione
delle matematiche, il pensiero del nostro (+. Leopardi, che qui ripeto con le
sue stesse parole. LEOPARDI (si veda) dice. È certo che il grande poeta può
essere anche gran matematico, e viceversa. Se non è, se il suo spirito si
determina ad un solo genere (che non sempre accade) ciò è puro effetto delle
circostanze. Ed altrove. Si può dir che da una stessa sorgente, da una stessa
qualità dell’animo, diversamente applicata e diversamente modificata e
determinata da diverse circostanze e abitudini, vennero i poemi di ALIGHIERI e
i Principi matematici della filosofia naturale di Newton. Si o Signori; anche la
matematica è in non piccola parte poesia! Anche il matematico guarda dall’ alto
la realtà delle cose. E, astraendo da ciò che hanno di greggio e di mutabile o
caduco, ne ravvisa le parti perfette e immanenti, ne rileva le mutue relazioni
con linguaggio espressivo ed universale. Anche il matematico trasforma certe
impressioni da pochi avvertite in mirabili edifizi speculativi, come per sola
virtù di fantasia. Al matematico tocca similmente il travaglio di costringer l’idea
nella formula, di cimentare il pensiero alla stregua di lunghi e penosissimi
calcoli ! E (dico con Exkico D’ Ovipio) il sentimento dell’eleganza nel
concetto e della venustà nella forma non spiccano forse nei veri matematici
come nei poeti. Così che spesso una dimostrazione è bella quasi allo stesso
modo di un so- [Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura ’ INT, . 10
TT CRM ne ezzo dei cerchi attribuiti ad Zulero; e già segnalata ]a m falda i
FAIR transitività di certe ca simili — oltre quelle significate comune-
relazioni — come l’esser legato insieme con », © anne mente per le frasi è
contenuto IN ,, “è maggiore di”; “è uguale a”, eco. Ma non di meno resta sempre
a Leibniz il merito di aver visto prima d’ogni altro la possibilità d’una
logica matematica, come oggi 8’ inten- de. e di averne tentato la costruzione.
Sentio — Egli _ dior — Logicam quæ habetur in scholis tantum abesse a Logica
illa utili in dirigenda mente circa veritatum
variarum inquisitionem, quantum differt arithmetica puerilis ab algebra
praestantis mathematici. Con tutto ciò nulla Ei dette alle stampe di queste Sue
profonde ricerche: i cui mirabili frutti vengono oggi alla luce per la
pubblicazione dei Suoi manoscritti inediti della Biblioteca Reale di Hannover.
I successori, sopra tutti lo svizzero LAMBERT; ed el’ inglesi Boole, De Morgan
e MacColl, l’americano Peirce e i tedeschi Scimoner e Frege, sapendo che
Leibniz è giunto comporre un algoritmo logico fondato sulle proprietà dei segni
d’inclusione (si p, q), di congiunzione (p e q) e disgiunzione (p o q), di negazione
(non p), di eguaglianza e di assurdo, riuscirono per vie n Verse ricostituirlo
in un tutto organico e a svolgerlo sistematicamente Der altro senz’aggiungervi
gran che di nuovo, come di poi 8'è visto. — Ka è importante [L. Coutunat,
Opusenles x dar st 20 Paro DE i = Uh ba , >. dr La (3 © a 5 = Mu i al 4 n Se
I P #. +9 è i facfiacua di A eredi indamenti delle varie disciplino
matomatiche, tn codesto ricerche, dove l’errore si cla spesso in malintesi o in
particolari di poca o niuna apparenza. molto giova uno strumento per osservare
le minime dit ferenze ideali (differenze che, tra le frange e le piezte del COMUNE
LINGUAGGIO [H. P. GRICE, The informalist’s and the neo-traditionalist’s
language] e senza una Jente che le ineraadisca, passano troppo sovente
inavvertite); uno strumento che ci costringa a pesare e vagliare
scrupolosamente ogni idee; che notomizzi ogni ragionamento, e ne palesi l’intima
struttura e lo scheletro. Non è forse eccessiso pa ragonare la logica
matematica ad una microscopia del pensiero. E tutto l’indirizzo logistico ad
una spere di positivismo della ragion deduttiva. Chi non sente, ad es., il
pregio di aver sott'occhio in brevissimo spazio, così da poterle abbracciar con
lo sguardo, tutte quante l’ipotesi che è d'uopo non perder di vista nel corso
d’ una dimostrazione un po’ complicat. Come l’occhio umano è in sè tutt'altro
che un docile e sicuro strumento degli atti a cui si direbbe ordinato, così la
parola, non sorretta dal metodo, è bene spesso argomento di gravi ‘llusioni ed
errori. E però, l'andare coi piè di piombo è savio proposito in chi muove per
gli ardui sentieri. dell’induzione sperimentale o storica, non ia! consiglio
meno opportuno a chi voglia percorrere con | —’sicurezza Je vie della deduzione
logica, în apparenza tanto - *® N tica circonda una dimostrazione rigorosa,
sembrano n «| più facili e piane. Le cautele, di cui la logica matema- messa
Inavvertita: e che hanno bene un volgersi a cose di poco è niun alle inezie. Se
non che la c SPesso appar Conto, e dj a e AR) LA Uura anche delle I piccole e
delle mezie si Potrebbe, Ml di 8811 1 SELE siii sh ) "4 VCCOrrenz; ben
contortare e giustificare OSBervando, con ( L na siate vi. enza di dar COrpo
(TOSCO TOPARDI, € Non altrimenti il filosofo AFTIVa alle “ rità che
sviluppando, indagando, svelando ; (10 « do, notando le menome cose;grandi ve-
consideran- ‘ grandi nelle loro menome ME piloni E mi soccorre qui un fatto
narrato da Maurizio Cax- ror nella sua Storia delle Matematiche. Prima dell’invenzione
del calcolo infinitesimale -- dovuta principalmente al genio di Leibniz --
sopperivano in parte agli uffici di questo i varî metodi così detti d’
esaustione, degli indi- visibili, delle tangenti, dei massimi e minimi, ecc:
tutti, per altro, così artifiziosi e manchevoli, che a bene usarli richiedevasi
poco meno che il genio dei loro grandi scopritori. Un illustre matematico
olandese, l’ Hurcess, che tutti Ji dominava nella vastità del suo ingegno,
mosse all’ incirca quest’ objezione al Leibniz: Dove Voi giungete col vostro
algoritmo degli infinitamente piooali, 20 giungo del pari co” miei artifizì
geometrici; © non © * problema da Vtrattato, ch’ io non sappia risatvei “A gli
altri processi a me noti. Rispose I Laine Li 5 milmente per designare la
potenza mo di @ nol "i \ono ancora A 400 dl m Volte di seguito, ISS (*)
Loc. cit., III, 79. PIE = ut ste lo studio delle relazioni d’inelusione è di
pri * . licazione fra concetti generali ed astratti | i è, non ostante i
tentativi ignorati DS fortunati) di Jungins 6 Leibniz, e dei I i @ ; loro
discepoli, nulla poteva far presagire una sua rina- scenza, 0 um suo sviluppo
ulteriore. Dal canto loro le matematiche formavano una collezione di scienze
speciali d’ indole tecnica — scienza del numero, della quantità. dell’
estensione, del moto — collegate fra Joro sopra tutto dalla comunanza del
metodo. Ma come Pascal secnalava a’ suoi tempi (e molti di noi constatammo, non
senza stupore, all’ inizio dei nostri studî) codesto metodo deduttivo proprio
delle matematiche era quasi straniero alla Logica formale, che nondimeno
presumeva studiare ogni foggia di raziocinio. Esisteva dunque implicitamente,
sino ab antiquo, una logica matematica al tutto indipen- ente e remota dalla
Logica classica 0 sillogistica, pale- satasi da gran tempo incapace di render
conto dei razio- cinii matematici: e i filosofi non sapevano altrimenti spie-
gare codesta dualità, che appellandosi ad una cotal di- stinzione fra Jogica di
qualità ‘e logica di quantità ; ma senza troppo indagare il come © il perchè
d'un così deplorevole contrasto. Siffatta condizione di cose cambiò sostanzi A
1850 in poi. Da un Jato | matematici furon
DreSt sa scrupoli logici ignoti fino £ quel tempo i * Re e Ve ee
sostanzialmente dal 7 [Couturat, Les principes des mathémaliques, PAIS o (i.
Cixror ed altre menti di eletta indole critica, essi si dettero ad analizzare i
loro processi dimostrativi, a rive- der la catena dei loro teoremi, a indagare
e notare tutte le ipotesi che s’ eran di nascosto insinuate nei loro ra-
ziocini: in somma a scalcinar le pareti e a scoprire i fon- damenti dei loro
edifizî speculativi, per costatarne la mag- ciore o minor solidità e
resistenza. L'analisi infinitesimale, i cui principî serbavano ancora qualcosa
di misterioso e di paradossale, fu definitivamente stabilita sulla dottrina
ricorosa dei limiti; la teoria delle funzioni fu approfon- dita e liberata da
molti pregiudizi d’ origine intuitiva : onde il maraviglioso e proteiforme sistema
dell’ analisi matematica astratta si palesò capace di reggersi tutto sul
concetto di numero intero e sugli assiomi aritme- tici; e potè constatarsi in
modo non dubbio la in- sufficienza dell’ intuizione, come principio e fonte
delle nostre conoscenze intorno al numero e alla quantità. La (ieometria e la
Dinamica, spogliate a poco per volta d'o- eni elemento intuitivo, divennero
infine veri sistemi 2p0- tetico-deduttivi: dove — premesso un certo numero
d’as- siomi e postulati (che possono anche dissimularsi, sotto veste di
definizioni) — tutto il resto procede per sola virtù del DISCORSO RAZIONALE.
Nacquero e si organizzarono la geometria di posizione, la dottrina degli
aggregati e dei gruppi di trasformazio- ni (tre colonne della odierna
matematica pura): da cui si manifestò che Je scienze del numero e della
grandezza non erano giù primordiali — come si stimò lungo tem- po — ma che anzi
riposavano sopra dottrine di carat- [4 I, : PIRA, todi. À Po se i nn i == ir!
te; ti = = a tere piuttos ESS piuttosto logico che malematico, e sopra nozioni
che nulla. avevano di quantitativo (*) |? I | . Dall’ altro canto Ja Logica,
specialmente per opera di matematici, usciva proprio in quel tempo dal suo
torpo- re secolare (**). Dapprima, accorgendosi di non aver nem- meno esplorato
e dissodato l’intero campo, dove Aristo- tile l’avea circoscritta, scopriva nel
ristretto dominio delle relazioni d’inclusione fra concetti ben altre forme di
de- duzione, che i troppi famosi modi del sillogismo ; IV deì quali su XIX — e
cioè le forme in Darapti, Bramantip, Fesapo e Felapton — si trovaron FALLACI,
ove non si congiunga alle due premesse una certa PROPOSIZIONE ESISTENZIALE. Appresso,
ispirandosi ai metodi e al simbolismo dell’algebra, la logica formale si
costituiva, per la prima volta dopo Leibniz, sotto il duplice aspetto d’un calcolo
delle classî e d’un calcolo delle proposizioni: due indirizzi paralleli, dove
spuntano analogie mirabili; il primo dei quali è più elementare e si scosta
meno dalla logica classica, dove l’altro, che oggi tende a prevalere, è più
generale e va più lontano. Di più, considerando che la mente nostra — così
nella vita quotidiana, come nell’ investigazione scien- tifica — ha da operare
con ben altre relazioni, che non (*) Primo ad osser consapevole di codesta
verità è Boole (uno tra i fondatori del calcolo logico) che afforma «non
appartenere all'essenza delle matematiche l'idea di numero e di quantità (Laws of Thought, Profaziono. Couturat. V. p.
os. Mac Cont. La' Logique symbolique et ses applications’, Congrès intern. de
Phylos., Paris, free UE 1200.) a o di predicazione fra concerti, 1a notomizzare
classificare ogni atudiarno quelle proprietà formati, | vol di deduzione: 0
AMHumevk pertanto | { (° il carattere universale di Logica delle rebazioni nel
quale ; DE A gi va confermando ogni giorno, Mo gtiamo ni più prgn. Mae” do” i
lavori di Sonmonpen, Ponnskt, Wurwrenap, Rue 4 gle tri, E poichò le relazioni
più semplici è più suggestive | is sono appunto quelle, che intercedono fra gli
oggetti. pr A contorni ben definiti delle discipline matematiche, gi ape
Di 7 i ng pa dep) as a fia ali pf fg pù
pri pei rt | si, ff. ppt sie 4 = LIE, E mn. 1 lf La dt eo” proget È * td xa *%
carattere di per nossologion; fatti Geometrie indipendenti da. gempré d'accordo
con l'intuizione (Geometrie, dove sol per appross Ls non troppo den era LIEZE
eg ei deh an so 30 forze dipenda da tutto il movimento passato (ipotesi
suggerìta specialmente dai fenomeni d’isteresi)—oppure una ipotesi di solidartetà
, per la quale il campo di forze, lungi dall’essere indipendente dal punto
isolato che gi muove, subirebbe nel moto una variazione locale progressiva,
come se fosse occupato da un mezzo partecipe del movimento generato da quello
(ipotesi che appunto si affaccia nella muova dinamica degli elettroni). * dx *
Se nel considerare il lato puramente formale delle discipline matematiche sl
perde di vista — o addirittura si esclude —ogni materia reale o possibile delle
loro implicazioni, sì cade in quel difetto che chiaman nominalismo: la cuì forma
genuina consisterebbe nel credere o supporre di aver dinanzi un complesso di
simboli e di convenzioni arbitrarie, vuote di contenuto e senza alcun valore
oggettivo. Questa è infatti la taccia, nella quale incorrono più di frequente i
matematici, con la tendenza a foggiar da sè stessi il loro mondo, a riguardare
le idee matematiche come pure creazioni della mente. La formazione dei concetti
matematici è un atto pienamente libero, dice Cantor, salve soltanto la
compatibilità d'ogni concetto coi rimanenti. Se non che i matematici non sempre
si curarono di rispettare questa condizione alla lettera, la qual cosa avrebbe
fornito loro senz’al- troalcun che di esistente nella sfera di quei concetti.
Pur sarebbe ingiusto il tacere, che un tal peccato non [Grundl. e. alla.
Mannichfaltigheitslehre, Loipzig] potò mai partorire effettivamente alcun danno
alla pratica, hd alla dottrina: in grazia forse di quella certa armonia, che
(secondo SPINOZA) fa sì che le operazioni del nostro intelletto siano a priori intonate
coi fenomeni dell'universo. Per es. quegl’enti, che poi si chiamaron quantità
immaginarie, non eran dapprima che meri simbolì dì mon eststenza; e pretto
nominalismo fu l’ostinagione dei matematici nel conferire ai medesimi certe
proprietà formali è nell’operar su di essi, come se celassero qualche substrato
reale. Or bene, in oggi le interpetrazioni tangibili e le applicazioni positive
di que’ ‘ giuo chi dì parole non si contano più! Che cosa di più arbitrario e
convenzionale delle regole d’un giuoco, d’onde sì traggono spesso deduzioni su
deduzioni, prive d’ ogni senso reale? Eppure il calcolo delle probabilità
[KNEALE, citato da GRICE], così largo di aiuti all’esperienza e fondamento del
metodo statistico dei grandi numeri, ha origine da questioni relative a dadi e
a giuochi di carte. È fuor di dubbio che i matematici vanno assumendo, di
giorno in giorno atteggiamenti sempre più nominalistici. Ma non è più tempo
oramai di quel nominalismo grossolano ed empirico, che dall’ Hobbes sì
concepìva presso a poco nei termini che ho detto sopra; bensì del trattare e
maneggiar come simboli gli oggetti dell’investigazione matematica, ragionando
in questa maniera. Se nell’ universo fisico o mentale esiste un quid, ce i so
disfaccia alle condizioni da me imposte a que’ pinta per esso dovranno
verificarsi i tali e tali altri fatti da me dimostrati. Oppure. Le mie premesse
C) di iP » Pi bai Di Ce e ì tie free ì Lai © * #, > #.. Pi e = dei ci RI A n
RA Osono da 1 co per compatibili, sino a prova in sensanio. Ora è chiaro, che
altro è negare e disconoscere aì simboli qualsivoglia contenuto reale o
possibile, altro è — come quì—trascurare ogni loro interpetrazione speciale; e
operar su di essi prima ancora di conoscerne il senso reale, e senza
inquietarsi perchè non pajano aver corpo oggi, e non trovin per ora alcun
riscontro positivo nei fatti. Il peggio che possa accadergli —dice Voi, o
Signori— è di perdere il tempo. Ma il nominalista risponde, non senza ragione,
che il mondo immaginario in cui vive è pieno d’attrattive per lui; ch'egli fa
l’arte per l’arte, e che la soddisfazione e l’onore dell’ ingegno umano son
fini più che bastanti a giustificare qualunque ricerca scientifica. Nè io
saprei dargli torto. Voi fate la scienza del reale — egli dice—noi moviamo a
ricercare il possibile. A voi basta acconciarvi alle cose che esistono, così da
cavarne il miglior partito pei vostri bisogni; la vostra sapienza mira sopra
tutto a prevedere ciò che sarà per succedere, a somiglianza di quanto è
accaduto in addietro o che suole accadere al presente: noi per di più ci
occupiamo di quel che accadrebbe, se certe condizioni si avverassero, se tale o
tal altra parte della realtà si mo- dificasse. Negherete di darci ascolto,
proprio ora che da più parti si cerca di ridere a spese di quelle tali
objettività e realtà, che sapete? Meditiamo insieme, piuttosto, al ‘tu solo, o
ideal, sei vero’ del sommo poeta. Pig Ogni dottrina deduttiva ripete l’esser
suo, la sua vita da quel processo intellettuale che va sotto il nome generico
di SILLOGISMO (in senso lato) dot. o IMPLICAZIONE CONVERSAZIONALE (what an
utterer implies in conversation), ; renza; e che permette di trarre plicazione,
infe- due 0 più promesse. Or che big necessarie da conclusioni necessarie?
lovrà intendersi per «Adlo mitica presente della critica, non par che si po
rispondere in modo assoluto. Le varie tendenze sui che circa il modo di
concepir la natura e gl’uffici del x; ragione potranno dar forse qualche }lume
in proposito. Il matematico sospende il giudizio. Pago, se il paragone e
l’analisi dei vari tipi di raziocinio, sanzionati dall’uso, gli consentono di
riconoscere un certo numero di fatti generali e costanti come norme della
ragion deduttiva. E se può coordinarli in un tutto coerente ed armonico. Così è
che i logici-matematici — da Boole sino a Peirce, a Schroder, a PEANO (si veda),
a Russell — riuscirono dapprima a compilare un elenco, indi » formare un corpo
di nozioni e principî, da cui par che dipenda ogni efficacia e virtù di
ragionamento. I frutti migliori da lo studio delle varie fogge di
argomentazione e d'’illazione familiari alle scienze matematiche. Nè vi sono
ormai discrepanze fra i risultati, benchè l’opera non possa dirsi anche
perfetta. i È, credenza generale è ben fondata, che la matematica ipeta Ja sua
certezza dall’intima comunione con le leggi -omutabili della logica, ossin coi
principî costitutivi ne son sarebbe forse men Vero il s0g> po fe __
viceversa — la stabilità e permanenza di i ei a fl lungo tempo cimentati ©
tempra 9° SO: 0% 3 veli ira e FAZIONE Non si tratterebbe, se mai, d’ circolo
vizioso: e d’un intreccio di eventi capaci di determinarsi a vicenda; nel quale
parve anzi ad alcuno di ravvisare come un saggio eloquente e nativo di quel
processo, che i matematici chiamano per
approssimazioni successive. Non vediamo noi l’esperienza modificar senza tregua
i nostri concetti fisici. E questi, così modificati, condurre man mano a nuove
previsioni e e a nuove esperienze. E così, per via di approssimazioni
successive, i concetti divenir sempre più maneggervoli e le esperienze più
conclusive? Tutto sta che il processo sia convergente: e qui si può creder che
sia, per ragioni induttive e storiche. E chi sa che in modo simile a questo non
siasi costituito, afforzato ed affinato in noi stessi il poter deduttivo? Se
così fosse, anche gli assiomi logici avrebber carattere strumentale, e Ja loro
vantata necessità diverrebbe illusoria. Si adduce in proposito, che non di rado
anche uomini insigni, persino fra i matematici, dissentirono circa il valore o l’esattezza
di qualche ragionamento; e che certe fogge d’argomentare, avute un tempo per
buone, non appagano più le esigenze moderne. Per es., il grand’uso che si fa
una volta dell’intuizione geometrica e meccanica nel ricavar conseguenze, che
non si stimaron per questo meno apodittiche, o men necessarie delle altre. Se
non che il dissenso par che volgesse non tanto sulla bontà e verità dei principî,
quanto sull’ uso — non sempre di- [Bòcuer, The foundam. conceptions ele] sciplinato
e legittimo — che potò farsi di quelli. Così se oggi escludiamo che l’intuizione
possa giustificare una deduzione rigorosa, gli è solo perchè vogliamo, che il
ragionamento proceda secondo norme precise e leggi ben definite; dove
l'intuizione è sempre ribelle a codesta disciplina, rifuggendo per sua natura
da qualunque determinazione. Che delle successive conquiste della matematica
nessuna ha distrutto le precedenti; che nel progressivo sviluppo delle
discipline matematiche nulla vi è stato da rinnegare, nulla da mutare
sostanzialmente; che il trionfo di concetti nuovi non ha mai propriamente
infirmato le verità ciù acquisite. Questi fatti trovan la lor ragione nella
cura costante, che i matematici posero a non discostarsi mai da quei pochi
processi logici, che sono stati seguiti spontaneamente, naturalmente, senza
discussione e senza eccezione, da tutti gl’uomini, in tutti i tempi, in tutti i
luoghi. Ma con tutto ciò, si osserva, non è tolto assolutamente il pericolo,
che i modi e le forme di raziocinio, da noi ricevuti e adoperati con tanta
fiducia, ci facciano urtare un bel giorno in qualche contradizione: onde per lo
meno avverrebbe che certi assiomi logici, i quali ora stimiamo validi
universalmente, in realtà sarebber soggetti a qualche restrizione. Un tal
dubbio non è logicamente impugnabile; non avendosi pur troppo alcun mezzo di
escludere a priori (ossin con la stessa certezza di un teorema logico) la
possibilità d’ un evento [E. D' Ovipio, * Uno sguardo alle origini oto.]= — | =
OTT î dk così sgradevole. Non si può avere una certezza apoditica della
compatibilità o consistenza di tutte indice le premesse inerenti nl discorso;
in quanto per condude che gli assiomi logici A, B, €,... sono immuni da ogg
germe di contradizione, bisogni esser certi che i prineigg A', BI, C,.. su cui
poggia In dimostrazione sono es stessi compatibili. In qual cosa richiede a sua
volta ssa nuova dimostrazione; e così via senza speranza di veci ta, come il
cane che insegue la propria coda. A dar credito all’objezione suddetta molto ha
contri buito la recente scoperta di alcune antinomie e contradizioni nella
teoria degl’aggregati e dei numeri trasfiniti. Sono argomento di valorose
discussioni i paradossi di BURALI-FORTI, di Richard, di Zermelo-Kéonig. Ilustri
matematici e filosofi prendono parte alla disputa: e e qualcuno ne trasse
motivo a dichiarare il fallimento delle nuove tendenze logistiche. Se non che
bisogna guardarsi dall’ esagerar l'importanza d’un fatto tutt’ altro che nuovo
alla storia delle scienze. Antinomie occorsero in matematica più d’ una volta,
e tutte ricevvero prima © poi soluzione adeguata; in tutte si trovò, prima o
por, qualche errore di raziocinio. È celebre tra i filosofi greei la
contradizione di Zenone di VELIA d’Achille e della testuggine, dipendente dalla
relazione 1=/ +! ++... in infinito; dove )’ unità è posta eguale ad un numero,
che varia restando sempre minore di 1, È grande oggetto di controversia Ja
serie 1-1+t1-—1 +41. infinito, la cui somma vale .1, 0, !|» 0 non ha valore
plate» determinato, secondo il criterio che si adotta nel definire il
limite È î | vt ta? . in generale e la
somma d' infiniti numeri. In ambo gli esempì disparve ogni contradizione,
quando fu nota una esatta definizione del limite: ond' è verosimile, che la
presenza d'idee non ancora ben definite sia la sola cagione, che ci permette
talvolta di spinger qualche dottrina poco matura a conseguenze non conciliabili
fra loro. Tutte l’antinomie derivano, per un verso o per l’altro, dal
considerar l’infinito; che per ciò appunto alcuni (i finitisti, come Renouvier)
vorrebbero escluder senz’altro dal dominio della ragione. Consiglio prudente,
ma vano. Atteso che l'infinito è nella natura di troppe quistioni, e “ naturam
expellas furca, tamen usque recurret. Concetti d’ una sfera così vasta, che
parve giù sogno il presumere di segnarne con precisione i confini, son oggi
divenuti logicamente maneegevoli, e prestano ottimi servigi alla ragion
deduttiva. Certi altri — come tutto il pensabile, tutto ciò che non è numero, e
simili — par che abbiano ‘n sè veramente alcun che di vago e d’ indefinito. E
non è meraviglia, se partoriscono equivoci. Le concezioni ed operazioni
matematiche si estendono ad ogni classe finita d’enti, e a certe classi
infinite, che si posson chiamar transfinite. Ma è fuor di dubbio che esistono
ancora innumerevoli classi, a cui non sono applicabili. — rr” [PEANO, Supor
theorima do Cantor- Bernstein, Rev. do Math.] l pn h miglior nce) quasi tutti |
risultati del Caswrog: ma, quando anche non si giungesse ad escluder da queste
al foggo OENÌ traccia di contradizione,e ci convenise sfron- daro una parte
della dottrina dei numeri transfiniti, © rocidere qualche altro giovane
rampollo del grande 40 hero matematico, la Critica ci ha da gran tempo as-
vozzi a bon altri pontimenti 6 1 ben altre rinunzie! Ep- pure ci fu chi non
dubitò di ascrivere a demerito dei logici-matematici l’ aver concorso mettere
in luce co- deste difficoltà e ad agitarle; quasi che a loro fosse Im putabile l’esistenza
di così fatte antinomie. xMk Tutti sanno che ogni teorema di matematica è
subor- dinato a certe condizioni od ipotesi, — esplicite o no — che ne
definiscono il campo di validità. Un teorema è vero, qualunque volta ne sian
verificate le ipotesi: il che fa già intravedere il carattere logico, o
formale, delle verità matematiche, e il genere di valore che queste pos-
siedono — valore, che si potrebbe anche qualificare come una necessitd
ipotetica. Gli studi logico-matematici intorno alle varie discipline deduttive
cercano appunto di dar risalto a questo carattere © di scoprirlo dove non è
palese, organizzando ciascuna di quelle (fin dove è pos- sibile) secondo uno 0
più sistemi ipotetico-deduttivi. Un ordine di proposizioni, la verità delle
quali riposi unicamente SU certi postulati od ipotesi peculiari a cia- ©)
Couturat,* Lea prino pino. des Mathém *, (loc. cit.) pag. 4. È pd fel 6 r , i i
he » Ù x "Te o Pg di L) LL 24 PARTI PUNTALI da Pe fi.“ è : n e: ‘cuna
disciplina © sugli assiomi logici ; di Guisa che | ; de tutto si svolga per
virtù propria da questi soli va combinati algebricamente fra loro a tenor delle
dei canoni che informano il calcolo logico: ‘ sistema ipotetico-deduttivo ’,
ncipii, C88Ì e tale, , “ dipresso, ll Il processo algoritmico porta non solo a
distinen organicamente i giudizi a priori, o primitivi, da i derivati, o
dedotti — insomma gli assiomi e POstulati dai teoremi — ma così anche e nella
stessa misura (fra le nozioni intorno a cui versano questi giudizi) le jdee
primitive, o indecomposte, da quelle che ne sono ripro- duzioni e derivazioni
formali, e che insomma risultano effettivamente composte mediante le prime,
combinate fra loro e con le categorie della Logica. Le due distinzioni sono in
verità molto affini, e la seconda non è meno antica dell’ altra, nè par che le
spetti un valore molto diverso: ma con tutto ciò non l’è stata riconosciuta
’pra- ticamente un’ eguale importanza prima dei nostri tempi. Si cercava bensì
di ridurre al minor numero gli assiomi e i postulati, ma per lo più senza porre
studio di sorta nel definire tutti gli elementi che occorrono ad una trat-
tazione deduttiva col minor numero possibile d’ idee fon- damentali: onde il
vantaggio , che si acquistò per Ul lato, si perdè bene spesso dall’altro,
atteso il numero © la qualità delle idee primitive, a cui si volle raccomalt dato il sistema. (Così, per citare
un esempio, benchè ve fuor di dubbio oramai che gli oggetti della Geometri*
Cera Si posson comporre di due sole materie prime Ideali: per es. il punto e la
sfera, ovvero il punto i — “REI il moto: vedemmo pur non è molt DA simo ufficio
di “‘ Grundbegriffe der meno che le nozioni di Corpo rigido, Parte d'un coi
Spazio, Parte d’uno spazio, Occupare uno snai vg l pazio, Tem- po, Quiete,
Movimento). i do: Decorne ‘0gistiche da istituire intorno ni principii d’ una
disciplina deduttiva consiston pertanto in un du- plice lavoro di riduzione: e
cioè riduzione di tutti î con-- cetti a poche idee primitive per mezzo di
definizioni op- portune; e riduzione di tutte le proposizioni a un certo numero
di postulati o proposiz.' primitive attraverso il processo deduttivo. Lo studio
principale è sulla maggiore o minor
convenienza di questa o quella definizione, di tale o di tal altro postulato:
ed ha in sè tuttavia qualche cosa di soggettivo e d’ arbitrario, in quanto vi
sia sempre una certa libertà nella scelta delle nozioni e proposizioni da
assumere in officio di primitive. Se non che, giusta il nuovo modo di
considerare, non c’ è luogo a parlare d’ idee più semplici e di proposizioni
più evidenti’ che certe altre idee o proposizioni: non vi sono, in fin dei
conti, che idee non definite e prop. non dimostrate. È logici-matematici non
concepiscono la differenza fra altre che ne derivano at- come dovuta all’ esser
quelle 0) Proporre alm edo geometrie ’ niente le proposizioni prîmitive e le
traverso il processo deduttivo Li cf per sè stesse più evidenti, più credibili,
meno impugna bili: ma al contrario essi vedono nei postulati delle pro-
posizioni come tutte le altre; la cui scelta può, Saper di- versa, a tenor degli
scopi che Sl Ven raggiungere, ipa . to el paragone del vari aspetti anzi tutto
dal 1 lo il variar dell Mo | | M' (10) tl 0] ial4, » il trattato, 8600N e
Scelte, Ri — 1 i gu morelli i Na at rd IV wr si ndo an immagine nsgni felice di
(. VAILATI he, 00 i rapporti fra 1 postulati e Je proposi. diremo fis I int hà
‘ basarià a dipendono 8 potevano un tempo Daragona- zioni | ; v f lli che
intercedono fra il monarca ed i sudditi TU i (}l i : la NI, ? autocratico; ora
Invece 1 postulati, rinun- d'un governo ric fi A | siando a quella specie di
diritto divino, ba, cui pareva investirli la loro vantata evidenza, son
divenuti come | capi elettivi d'un regime democratico, Ja scelta dei quali sj
deve (0 Sì dovrebbe) alla riconosciuta capacità d’eser- citare per qualche
tempo una funzione nell’ interesse del pubblico. PASCA (si veda) dichiara che,
se la geometria vuol essere davvero una scienza deduttiva, bisogna che i suoi
schemi di raziocinio non dipendano dal significato degli enti geometrici — nel
modo stesso che non dipendono da questa o quella figura illustrativa — e che
soltanto le relazioni imposte a quegli enti dal postulati fondamentali abbian
peso e valore nella. dedu- ostia. Con ciò veniva Egli a dire in sostanza, che l’ente
primitivo di qualsivoglia sistema deduttivo. deve Wi da Mep 5. arbitrarie,
dentro certi col Neben, proposizioni primitive; in modo ché delle parole o dei SEGNI,
che RAPPRESENTANO quale i Malche soggetto primitivo, sia unicamente determinato
Voti Praa ui Fironzo, "EMI pi; Logica matem. ', nolla Rivista « Joonai*
Vorles, ‘ is dif ok tina a Te I 43 dalle proposizioni che versano intorno n] DI
. it il : anche, prima, per influenza di Gr medesimo, E ‘ La ® 10 Pr.ttok r Î)
familiare ni Geometri 1° uso d’ intendere ’ i ta già . n] P | ta Pe 9, MI |
linea o superficie come aggregato di parola La ‘Pa j di elementi À 3 “eMenti,
di eni non occorre specificar la natura, purchè gi sappia che si pog- Sd valo.
nori. ao di Go I | te parametri variabili. Codesta facoltà di astrarre da ogni
senso speciale dei con- cetti primitivi consente di operare simbolicamente
sopra espressioni di contenuto instabile; e però di abbracciar col discorso in
una sola dottrina generale éd astratta parecchi ordini di oggetti particolari e
concreti: a quel modo che la risoluzione d’un solo problema algebrico contempla
- sempre più casi, non solo diversi numerica- mente fra loro, ma altresì
differenti per la qualità dei loro dati. Come già dissi, ln verità o
consistenza di tutto il st stema delle premesse logiche non è dimostrabile. Il
carattere universale delle dottrine logistiche appare anche in ciò che — mentre
il più de’ sistemi filosofici dispitano intorno al criterio dell’esistenza —
quelle a pre» sumon dirci che cosa sia il dato. Ma si uerpoan parlar
d’esistenza (o della sua negazione, i ; logici come di un quid non definito,
cui gli gg impongono certe condizioni: di guisa che, P-**- arguir stenza nota o
supposta di certi oggetti si Pes" più su V esistenza di altri oggetti;
eoc: Ort che, i DI 44 sagione tutti convengano fra loro; jo mi rag mbo qualche
contradizione latente, è un ‘atto, che non gi può confermare Def CeGUZIONe 1
non ia ate: ad alcuni principi rispetto mi altri, di cu orse (I riori la
consistenza); un fatto, dal quale che una certezza induttiva o storica)
accolgano IN gro gi conceda 4 ] non si può avere A} contrario non è dimostrato
ancora che in un domi- nio di pura logica (inteso con qualche larghezza) non si
possa trovare un’ immagine o interpretazione dei concetti primitivi — poniamo
dell’aritmetica — per cui tutte quante le proposizioni di questa scienza
risultino verifi- cate. Allora — ove si conceda Ja compatibilità delle pre-
messe loriche—avrem’ottenuto senz'altro una vera e propria dimostrazione della
compatibilità di codesti assiomi aritmetici, sul fondamento di soli principii
logici. E una volta ammessa Ja consistenza degli assiomi aritmetici e logici,
resta poi molto agevole stabilir quella dei postulati inerenti ad altri sistemi
deduttivi. Molti stiman superflua, nella più parte dei casi, una dimostrazione
siffatta. Così, p. es., PEANO (si veda). La pro- che i postulati dell’
Aritmetica o della Geometria non pz ie di a no 8 pr ma li scegliamo di ui i ole
n pts (sia pure implicitamente) e proposizioni, a QONERE a di Geometria, La dui
on Vrntinta | d: RE 0 Sia Sira analisi dei principi di ques 0 P. i, «è Su Rev.
de Métaphyg, la compatibilità des aziomes de l’ Ari | a et de Morale, prio
19op- enni 45 scienze consiste nel ridurre Je afferm azioni gratui Ina ivi CORO
fogli it atutte al numero minore. possibile di giudizi necessarii î ©
sufficienti. metrici ò Sod- p unto, Possiede Geometria. Noi pensia- ino il
numero, dunque il numero esiste, Una prova di consistenza sarà per altro
opportuna, ‘allorquando i po- stulati siano epoteticî e non rispondenti a fatti
reali (i Che la logica — e forse anche l’aritmetica — oc- cupi un posto a parte
fra le varie discipline Ceduliiza appare altresì dal fatto, che per l'
intelligenza d’un ni stema ipotetico-deduttivo non è propriamente necessario il
sapere di che cosa si parli, cioè conoscere un senso dei varii concetti
primitivi. (basta percepire il nesso lo- rico e la concatenazione delle parti,
il valore dedotti x di ognuna, ecc.) e il tutto può 1r0g9S) SARE per simboli
logici: laddove, sotto pena di non . Sai conviene esser tutti d’ accordo circa
un us À “«.g 6 buire alle frasi come “ a e d sig È pia gr Logi- non d ,, e
simili, che dinotano di o a incon- ca; e alle radici stesse della Logica 3 o on
vige che tra barriere insormontabili, oltre a ge io credo, Il solo processo
empirico. (Per re le prime nozioni il Russel qualificava di costanti logie s
irreducibili, di cui non Si apprende s l’uso; cioè per mezzo d’ esempî ® °°
guaggio comune). | 1 da è in +, (34 Super theorema de Cantor-Bernstet ) Ora il
sistema dei postulati aritmetici 0 geo disfatto dall’ idea che del numero, o
de] ogni scrittore d’ Aritmetica o di loc. cit. i . ii ( Cai 40 Mae gta o til
enni TARA: smog 0 compatibilità delle | n consistenza © * ui Ile Dotegj | TO UL
I i ‘distinguono ancora © dimostrano lidi Dendoy, i (uso RAT TATE ‘ti 2 i za
sioni primitive (il fatto, che Nessuna gj sj esplicitamente a Spese delle Utre)
& N Jativa dei postulati (cioè che NesSUNO Agg" degli altri):
cONdizioni ce dovrebbe iutte concorrere In Un perfetto sintonia Ipotetico-deduti.
ma che non sono però necessarie al rigore geometri. so: in quanto dal
trascurarle non viene infirmato il nesso ingico delle varie proposizioni, nè si
toglie al sistema di \oter essere un tutto coerente e consequente a sè stesso,
Accade talvolta, che fra due interpretazioni quali che sjano de’ concetti
primitivi si può dimostrar che. inter- cede una corrispondenza perfetta, di
guisa che per certi rispetti si possan confondere in una le varie classi di
enti capaci di verificare il sistema: questo dicesi allora categorico, e nel
caso opposto disgiuntivo. Ad un siste- ma disgiuntivo è lecito sempre
congiungere nuove pro posizioni primitive (indipendenti dalle altre) così da
re- stringerne il dominio: esso lascia aperta una strada è diverse possibilità;
Jaddove qualunque proposizione vera, che si possa enunciare negli enti
primitivi d’ un sistema Catega IC , ® È a % . LI 44% di 271100, € Sempre
deducibile dalle proposizioni primitive 1 ([Uesto, pogisti va dello I* relati
iu se di definil capa ipendenz® ri VO. Un piccol humero di li escludere ide. lO
perciò di sa POSSANO, 0 no paragoni permette di constatare © “uivalenza ’ di
due dati sistemi: bastal” Pere, se i concetti primitivi dell’ uno si PA Pre
Droposizioni primitive di ciascuno sian de- += —aemsre ug si n il v iva eee ——
ne PTT, PESO quoibili, 0 1% da quelle dell’ altro, Distinzioni ed osservazioni
ignorate dalla Logica classica, e di cui la mo- jorna doo saper grado Mm
Matematici. Il nuovo concetto ai definizione possibile ha messo in chiara luce,
che privilegi attribuiti a certe proprietà così dette essenziali hanno un valore al tutto relativo,
Le differenze tra proposizioni affermative e negative, fra proposizioni.
generali e particolari, categoriche e ipotetiche, ecc., sono tutte assorbite da
una sola e fondamental distinzione fra proposizioni, che affermano la mutua
dipendenza di due o più fatti; e proposizioni esistenziali, che affermano la
possibilità dell’avverarsi di due o più fatti ad un tempo. Altre distinzioni
trasmesse dalla logica scolastica alle moderne teorie della conoscenza sono del
pari sottoposte ad una critica più rigorosa, e ne uscirono in certo modo
trasfigurate, restaurate ed arricchite di nuovi e più importanti significati —
p. es. quella fra giudizî categorici e giudizi ipotetici. A logici matematici
si debbono alcuni miglioramenti li non dubbia importanza, recati da poco tempo
alla teoria della definizione. E prima di tutto lo schema tradizionale, che fa consister
la definizione nell’ assegnare il genere e le differenze specifiche, — ossia
nel “ercar delle classi, onde quella che si vuol definire risulti per prodotto
logico — venne allargato in maniera Mito se il caso (molto più generale) lan A
"" definire si possa avere in funzione di classi (*) Q, | | n pat JE
I Vattam, Il Pragmatismo e la Logica matematica) pr Tr -——— Beans" 48 £- i
pera cao b; a n i operazioni quali che sano, Durchè “i ( Pe" riori, 0 in
‘altro modo aequisite: Poi ago ‘ci si dilataron per. altri versi, pri
soddisfare 4 VIBOBR che subiamo 8PEANO (si veda) ofinire non UN termine siii ma
pile Di frage, ar quel termine comparisca in uno Speciale atteggia. mento:
onde, sotto forma digit: e dii ie 81 confor. mara il fatto (intravisto già da
ATO, che Je definizioni di parole isolate appartengono, in qualità di semplici
modificazioni o casì speciali, alla grande categoria delle DEFINIZIONE EMPLICITE;
e st legittimaron quelle, che PEANO chiama definizione per astrazione, la quale
tolge motivo a creare un nuovo concetto da ciò, che una qualche relazione
manifesta di possedere alcune proprietà cardtimali dell'eguaglianza (come p.
es. dal fatto, che due quantità di merce, atte a permutarsi con una stessa
quantità di altra merce, si scambiano anche fra loro, nasce i concetto di
valore A ecc.). eis vpi non solo ha posto in chiaro, “ovare della definibilità
d’ una data parola o di x Male concetto è cosa priva di senso, fin tanto che
bon 5 8appia con Precisione di quali E, le o con- ‘AM BI vuo) far Uso nella d A
ni età, to Una spiegazione del ui definizione; SA Inoltre ha da Dortanti di
scienza 6 fil ‘ he parecchi termini molto na Melli, di cui non g; Osofia si
trovano appunto ag “e una d “rebbe ragionevole il chiedere 0 = definizion #3 a
scolastico: ed ha pé noto, n ori an0osso * priori, Uri È I esi più elast i n |
QUIS © IN senso oo bregiudizio agnostico, che di 00° li ‘ontribuito 6 ni Aa 1A
De 4) tie La TR RI 1 0g I I no, e a PE cApnertt hoy dello com (1), #4 La
fusione progrensiva della Logien con Ja Matoma: rica — cho ni compieva
Implieltamente, 6 quasi Pronti sciamente, nei Invori di Boole, Behrbder 6 €,
Petroo da an Into, è di Wolorstrass, Cantor e PEANO (si veda) dall'altro —
costituisce senz’ alcun dubbio un fatto di somma impor: tanza per la filosofia
delle matematiche, Una riforma di così gran conseguenza domandava un’
esposizione siste matica, che fosse come una sintesi dei molti studi, che hanno
concorso a produrla, Questa sintesi è stata ten- tata di fresco e con esito
nssai promettente, da Russell nei principii delle matematiche -- Cambridge -- la
quale ricapitola, discute e coordina i risultati d'un gran numero di ricerche
critiche sui fondamenti delle matematiche, e Je nuove teorie che son nate da
queste ricerche. È insomma un tentativo di ricostruzio logica di tutta quanta
Ja matematica ‘ puri | 4 la ‘ “| ì » 00 vd =" n E n LO p pe re | da LI = e
| na ai | A: ‘ P È x 2 è sà i Yi, % sd ; n 4 . i fi Ù da ah matematica in una ‘
definizione nom: dottrir iitivi di quella; per ognuno di quad pun sconveniente
interpretazione nel vasto Pitt, cane” “sioni logiche. In grazia, a codesto
artificio Ra se np opportuno in un lavoro di in Po purea concludere, che tutte
quante le i > ù matematica ci AERITANO ia A nove COMCEtt »rreducibili
(costanti logiche) e riposan su dodici propocìzioni ‘ndimostrabili; che sono
appunto le idee prime e gl’assiomi della logica, 0 (come altri direbbe) j datj
a priori, o ì principî costitutivi della ragione. La matematica (così 1’ A. sin
dall’ inizio dell’ opera) è Vin “ sieme di tutte le proposizioni o giudizî
della forma “ + p implica 9g "» «dove p e gq son proposizioni che con- “
templano, sì }' una che l’ altra, le stesse variabili, e “ non includon
costanti, da quelle logiche in fuori ,.Togliendo a materia, o soggetto, di
codeste inferenze logiche certi ordini di fatti naturali, si avrebber le
matematiche applicate. Benchè non appartenga alla matematica in sè il
riconoscere, sin dove que’ fatti si pieghino a Verificare i principî e le
ipotesi d’ una teoria matema- tica astratta. I Se non che fra quei canoni o
postulati della ragion deduttiva — i quali, secondo Russell, bastan da soli a I
sca - att matematico — non Agura Mr Stenziale; vale a dire nessun giudizio
gingola , del concetti prim fama 0 i f Rin > possibilità di ‘oggetti capaci
di comportarsi nel | Ul altro modo. Ipotesi di questa sorta occorronIn QUaAsi tutti
è _» AMT ! tutti i sistemi matematici, che da quelle mA*°ti 4 ® di 14 fl"
i L E d 2 i A "D per ) ro” Vidic E ditta ° Lo fe ii - 5a f 3553 è 3 € Ale
ES — ci iciii "5 ca ra 28288 Cn © >: = DR: ponti È poi - E CL. E = s È
3 É 5 E @ - ] inca . te r. eo P de] con PIPMESINORO SLI pari). Sotto RI } to
questa restrizione pare n A è legittima la conclusio re a le matematiche non
abbian d’ ne del R., che costituirsi ,..___—’— ‘Mobo di proprii assiomi ver
OSURWITSI deduttivamente; ma c) di pi; retierali n n Ia che bastino a ciò Je
più BeNerali premesse comuni e gi nuà a: i ° BI può dir necessarie ad ogni
umano discorso (ben g'intende. ove « | PROT, OA “He, Ove si congiungano a que-
ste le definizioni logiche dei vari; des egg sicchè, in fond “ anil concetti
matematici); co- tod I | °, Siano una sola e medesima cosa il meodo deduttivo
«€ ti Il uiiaià 0 logico e il metodo matematico. o discorso volge al suo
termine, e non ho che appena adombrato Je difficoltà che si elevano e i dubbi
che si muovono contro la concezione logica delle mate- matiche astratte; se non addirittura
contro tutto il nuovo indirizzo logistico, che vorrebbe escludere dal processo
dimostrativo qualunque elemento arbitrario ed autonomo, qualunque mezzo o
spediente anarchico; e bandire insomma ogni foggia di deduzione e ogni
strumento di analisi, che non siano debitamente censiti e qualificati. È sempre
in onore sino dai tempi del Kasr l’objezione -— oggi rinfrescata dall’autorità
d’un illustre scienziato — che se la matematica è veramente una disciplina
formale; dunque obbligata a procedere da un piccol numero d’idee fondamentali,
operando con norme fisse e inviolabili, ben numerate € distinte — se insom- #,%
| Vatis i I tia- ma le sue verità fozsaro analitiche in og I abi GT o jJorido
no — come avrebbe potuto mai consesiure
l fecondità di cui si vanta @ buon drit- sieme dei numeri me ben fondat
sviluppo e la e et l'hypothèse ®, p. 19. (+) Poincare, È La sc eru î ; è Mo # :
- 54 SR in dovrebbe piuttosto consistere jin Derpet to? O ne I in affermazioni
del tutto ovvie e ban Ue ri, ali, Con» ‘ntieitamente nelle premesse; e
risolvergi tenute implie itamente ] Isolversi Dertanto ‘n una vasta e infeconda
tautologia ? Dunque. gj petizioni, Stima che Mento la logica, senza riflettere
che il metodo logico non può la matematica null'altro sia che un prolung;
andare che dal generale al particolare 0 dall’ eguale a l’eguale, e che la
deduzione non può mai sollevargi dal
particolare al generale? D'onde verrebbero allora quelle stupende
generalizzazioni, di cut si fa bello ogni ramo della matematica? E un fatto, o
Signori, che l’aritmetica, la geometria e le altre discipline fin quì elaborate
con norme rigorosamente logistiche, contemplano le stesse cose, arrivano alle
stesse conclusioni e riproducono in somma gli stessi corpi di dottrine, di cui
s'ebbe già cognizione per vie più sollecite, con l’aiuto d’altri strumenti o di
mezzi più gros: solani. E un fatto si è, che persino la logica formale, com è
istituita, ad es, nel formulario mathematico di PEANO (si veda), è proprio
tutt'altra cosa che una pura e semplice TAUTOLOGIAt; chè anzi vi trovan posto
parecchie gen® 5 n sta tutto simili a quelle, che incontriamo Si ittiche (p,
es. nell’algebra) e in nessun M° Ss Via d’appelli all’intuizione 0 plt'etpatelo
Rica n Diutttosto da vedere come sia sorto Il ul le: + intanto Sterilità della
Logica e del sù; ci "0 dialettico; e cercar di spiegare la maraviglio Bil
fecondi : Ità della “ TRVero ben deona
ai e a “degna di meraviglia che’ — - SEZ SÒ discipline, dove l'intrecciarsi in
Ogni senso e il moltipli carsi all'mfinito di conseguenze ottenute per sola
virtà di raziocimo da poche proposizioiote ol ammesse per vers, costituisca un
mezzo euristico 8pesso più efficace e più valido, che non l’esperienza e
l'osservazione diretta (sia pur diligente e assistita da buoni strumenti); e
dove questo è anzi l'unico mezzo che serve, non solo ad evocar cose vecchie o
giù note, ma ben anche a scoprir nuove leggi e nuove relazioni. E che questi
rami di scienza, lungi dal mostrarsi a noi stazionarii o non progressivi, sian
proprio quelli, dove il crescere delle conoscenze è più rapido e 1 frutti ne
son più sostanziosi! Si ha un bel dire, a proposito dei SILLOGISMI onde risulta
una scienza così fatta (poniamo la geometria) che tutto ciò che si afferma
nelle conclusioni è già IMPLICITAMENTE contenuto nelle premesse. Che è questo,
insomma, se non ri- conoscere — per via d’ una rozza e poco appropriata
metafora — che le proposizioni tolte in ufficio di fondamentali bastano da sè
sole a produrre tutte quante le conclusioni, senza ulteriore concorso dei
sensi? E però quella massima non sanziona un difetto, ma piuttosto un pregio e
un vantaggio del processo deduttivo sol 'inditto vo; nè può aversi per
objezione contro l’uso del sillogismo- chè tanto varrebbe n dispregio dell’arte
scultoria Il tatua è già tutta IMPLICITAMENTE nel togliendo il superfluo, la
estrae gine del Buonarroti. dire, che una bella $ masso, d’onde l'artista, —
giusta la poetica imma i e strumento di ricerca (VAILATI a tarsi di ripetere in perpetuo ‘ A è A”, ‘ A
non è BE n A presso a poco. Qual mera viglia, se così AES e s’ingra indi. Da: A
oltre misura Ja distinzione tra giudizii analitici e sint etici? È Costretti
gli uni (i giudizii analitici) a restar negli angt & | sti confini di
cotali insulse ripetizioni, avvinti. alle Dr rili tautologie, che gi avevano
per patrimonio della | Lo — 5164 pura, era ben Naturale, che a tutti gli altri
si cer n. Casse una | cai | se una base fuori della ragione; che i primi. si 8
È, gi mein nti d spiegare il fees Sl: Il potere qj se ai giudizi sintetici. si
i - Duramente logic; ost le nontee cognizioni. A de az Sciute, hi n "70
sola capacità di esporre. NIRKES 2a contro, ; to e. *dagogi SCR di dattic: SE
de ve, P° % iu; ca si; lb Si arl e sempre l'effetto e iaia 57 di operazioni
extralogiche, svolgentisi nelle profondità misteriose ed oscure dell’intuizione
| Se non che questo modo di vedere pare oggi oltre-passato, e di buon tratto.
Le indagini logistiche misero in sodo, che i pochi principii a eni alludevo
poc'anzi sono radicalmente inetti a giustificare da sè soli Ja massima parte
dei raziocinii, che tutti riconosciamo per ortodossi e legittimi. Il meccanismo
della ragion deduttiva apparisce oggi assai più ricco d’ingegni e di ruote,
assai più complicato e più vario, che non si credesse nn tempo. Se così è, se
l'albero logico sorge in realtà da più ceppi e si nutre da molte radici, ben
s'intende come parecchi e varii principii associati in una stessa deduzione
possano dar conseguenze non implicate da alcuno di essi in particolare: dunque
più generali di ognuno. Non senza ragione Leibniz designava col nome di
combinatoria l’arte d’inventare per mezzo del raziocinio. Un matematico,
avvezzo alla straordinaria fecondità e alle sorprese del calcolo combinatorio,
non fa gran caso di udire ad es., che un piccol numero di postulati sia capace
di generar conseguenze inesauribili. Qualsivoglia deduzione logica ne arreca,
generalmente parlando, un’ economia di lavoro; € ci porge, nelle sue
conclusioni, qualche nuovo fatto — che altrimenti non conosceremmo, senza
l’aiuto di particolari esperienze. Dunque ci spinge avanti d’ un passo sulla
via del sapere, non meno d’ un risultato, che emerga dai laboriosi pro- cessi
dell’ induzione. Si dovrà perciò dire che quella Com- binatorin è un metodo
sintetico? Dicasi, e non faremo Rae esdreiài quistiono ilipurchè 8° intendano
sintesi p parole; ut rogrich® iptellettuali, che nulla ripetano. dall’ in n. ©
ogieh® ita sonsibiile; © quando PUT gi voglia be; loro ET i sn Re: : qualche
intuizione, sia questa un’ eretwizio n. a dire una apercezione di fit.
consognionze, © null’ altro. non gi possa disconoscere alla I certo potere di
generalizzazione, ( maggiore nella Logica applicata; 0 pai discipline, dove
intervengono postwta es consistenza e vigore al discorso. Uno dei e don tico
consi una ale, vale princi" 0 —— e-@ ai sul”.59 ‘in Geom. Projettiva, i
principî di Hamzlton e di Herz ‘n Meccanica—si prestino a rappresentare,
abbracciare e compendiare un numero immenso di fatti. Per certo non chiederemo
alla logica quello che non può dare. Come sarebbe il charirci intorno al fatto
psicologico dell’ invenzione. Ma in che si distinguerà l’invenzione vera dalla
falsa, se non perchè l’una si può, prima o poi, dimostrare e giustificare
logicamente? L'invenzione non acquista valore di verità, finchè non è
dimostrata. Ed anche sotto l’aspetto psicologico, il suggetto a cui si conosce
l'invenzione vera non è già l' esser questa generata da un capriccio
d’immaginazione e da fantasie, come tante ne vengono ai bambini ed ai matti. Ma
sì da una certa logica istintiva e prudente, che per essere inconsapevole, non
è meno conforme alla logica cosciente e riflessa. Quella non fa che anticipare,
con un | vago presentimento — che è come il fiuto della ragione — I gli atti
della logica discorsiva. Dunque nessuna opposizione fra l’euristica e la
dialettica; le quali anzi vanno d'accordo, secondo una certa armonia
prestabilita Ck La scoperta diretta e immediata per intuizione geniale, la
divinazione artistica, avranno sempre grande stato € potere nel regno della
conoscenza: ma opporre il fatto dell'invenzione ai progressi della logica
dimostrativa sa- [Courunat, La Logique et la Phylos. er do Métaphys. et du
Morale} vr PIL! d ii rp, fede e valore al contrappunto i ino 60 negar rebbo
com® Sion musicale. Nelle objezioni di «qu Ù : si A ; distingue abbastanza, io
credo, Do im sorta non" | assetto statico © razionale d’una dige tes a) i
PRA. alita operative © dinamiche, Le | gole sue d ts: vistiche (conviene
riconoscerlo) mirano: iù a statico delle varie discipline deduttive e: AA po di
verità stabilite, che alla landa a, na gcientifici tendenze 10 I° equilibrio
scienza, come cor operativa della scoperta scientifica. du xè si creda, che i
progressi. nell’assetto logi 4 0 delle C | matematiche siano per nuocere allo
sviluppo delle £ A tx intuitive ed artistiche. Perchè, mentre si fo sa Mi
cresce il dominio della ragione positiva, cresce fo mt i tempo e Si allarga Ja zona
di confine fra “que est £ le altre regioni del sapere (che nuovi ‘e maggio ori
a pe: & sti compensano del terreno ceduto) :. e così. al | ul ne
dell’istinto intellettuale , V attiv ità SMI IE! nio — che appunto. sì
esercitano sj 11 scenza più ev oluta—ungi dall 7 vale; m ‘esciranno anzi
accresciute in dii Di > si "OTe. d'or VELA, CATA Adi # È Ber # però dia
i Îi officio, © o si to prrzci alle sue operazioni. Per es. che ina Esa. E 2°
ne, potrebbe scortare e dirigere la: noetra messinesi ©a81, dove riman tuttavia
dell’ in cede © dalai come È radiati È Rini % pins ai quasto piut osto. hei
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RE URTI se Von 1 399, I > dr Pieri. Keywords: implicatura. Luigi Speranza,
“Grice e Pieri”. Pieri.
Grice e Pievani: la ragione conversazionale d’Enea
l’antenato, o l’implicature conversazionali dei maschi – la scuola di Gazzaniga
-- filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Gazzaniga). Filosofo italiano. Gazzaniga, Bergamo,
Lombardia. Grice: “Only in Italy, Dietelmo becomes Telmo –“ Grice: “I like
Pievani – he defends Darwin when everyone attacks him! Talk about rallying to the
defense of the under-dogma!” Studia
a Milano. Conduce ricerche in biologia evolutiva e filosofia della biologia,
sotto Eldredge e Tattersall presso l'American Museum of Natural History, New
York. Grice: “Some Italians would not consider him an
Italian philosopher seeing that he earned his maximal degree without (i. e.,
not within) Italy!” – Insegna a Milano. Bologna,
e Padova. Opere: “Il management dell'unicità (Guerini, Milano); “Homo sapiens e
altre catastrofi” (Meltemi, Roma); “Immagini del tempo nel cinema d'oggi” (Meltemi,
Roma); “Sotto il velo della normalità” (Meltemi, Roma); “Il cappellano del diavolo,
Scienza e idee, Milano, Cortina); “Introduzione alla filosofia della biologia”
(Laterza, Roma); La teoria dell'evoluzione. Attualità di una rivoluzione scientifica
(Mulino, Bologna); Chi ha paura di Darwin?, IBIS, Como-Pavia, Creazione senza il
divino, Einaudi, Torino; “In difesa di Darwin. Piccolo bestiario dell'anti-evoluzionismo
all'italiana” (Milano, Bompiani); “Perdere la libertà per sante ragioni. Dal
nascere al morire: la mano della chiesa sulla vita dei luterani (Milano,
Chiarelettere); Nati per Credere (Codice, Torino); La vita inaspettata. Il
fascino di un'evoluzione che non ci aveva previsto, Cortina, Milano, Introduzione a Darwin (Roma, Laterza); La
fine del mondo. Guida per apocalittici perplessi, Bologna, Mulino, Homo sapiens. Il cammino dell'umanità,
Atlante dell'Istituto geografico Agostini,
“Anatomia di una rivoluzione: la logica della scoperta scientifica”
(Mimesis); “Evoluti e abbandonati. Sesso, politica, morale: Darwin spiega
proprio tutto, Torino, Einaudi, Il
maschio è inutile. Un saggio quasi filosofico, Milano, Rizzoli, Libertà di migrare. Perché ci spostiamo da
sempre ed è bene così, Einaudi, Torino; Lectures, Giappichelli, Come saremo.
Storie di umanità, Codice, Torino, "Homo Sapiens Le nuove storie
dell'evoluzione umana", Geografica,
Imperfezione. Una storia naturale, Milano, Cortina, Perché siamo parenti
delle galline? E tante altre domande sull’evoluzione, Scienza, Trieste,; Sulle
tracce degl’antenati. L’avventurosa storia dell’umanità (Scienza, Trieste). Fanto
è vero, ammette Darwin, che "forse in nessun caso saprei dire con
precisione perché una specie abbia riportato la vittoria su un'altra nella
viande battaglia per la vita" (p. 143). La distinzione epistemologica con
le sienze fisico-matematiche tornerà in altri esempi cari a Darwin. Ciò che
conta. per il momento, è notare la forte accentuazione ecologica della sua
pauposta teorica, che da un lato smitizza l'immagine di un Darwin asserto-te
della guerra generalizzata tra i viventi e dall'altro rivaluta l'ambivalen-ta
tra competizione e dipendenza. tra lotta per le risorse e cooperazione, in una
rete intricata di relazioni tra fattori biotici e abiotici. Dalla lotta per
l'e-sistenza discende, in ultima istanza, "un corollario della massima
impor tanza" che riguarda anche i singoli caratteri delle specie: La
struttura di ogni essere organico è correlata, nel modo più essenziale ma anche
spesso difficile a scoprirsi, con quella di tutti gli altri esseri viventi con
i quali viene a trovarsi in competizione o per il cibo o per la dimora, o con
quella degli esseri da cui deve difendersi o di quelli che sono sua preda. (p.
144)* È da questa trama di relazioni ecologiche che nasce la celebre
immagine della "ripa lussureggiante" (tangled bank) della chiusa di
OdS: È interessante contemplare una ripa lussureggiante, rivestita da
molte piante di vari tipi, con uccelli che cantano nei cespugli, con vari
insetti che ronzano intorno, e con vermi che strisciano nel terreno umido, e
pensare che tume queste forme costruite in modo cosi elaborato, cosi differenti
l'una dall'altra, e dipendenti l'una dall'altra in maniera cosi complessa, sono
state prodotte da leggi che agiscono intorno a noi. (p. 553)* Il mondo di
Darwin è un mondo di relazioni, concorrenziali o di interdi-pendenza, plasmate
dal tempo. Nell'artiglio di una tigre, come nella zampa di un coleottero o in
un seme alato, sono scritte storie sedimentatesi per migliaia di
generazioni. 6. Un sottotitolo fuorviante In tale contesto, non è
ben chiaro perché Darwin abbia allora accettato il sottotitolo proposto in fase
di revisione dall'editore Murray: "la conservazione delle razze favorite
nella lotta per la sopravvivenza". Molti hanno cercato strumentalmente in
questa espressione il "lato oscuro" dell'evoluzione dar-winiana, la
possibile giustificazione storica e scientifica di atrocità su base razziale ed
etnica. In realtà la teoria discussa da Darwin in OdS è ben lontana da un'idea
di guerra tra "razze". La competizione è prevalentemente tra
individui singoli. non tra gruppi. Ancor meno essenziale è che questi gruppi
siano "razze" o non piuttosto tribù e famiglie. Circa le "razze
umane" in par-ticolare. Darwin ha parecchi dubbi persino sulla loro
oggettiva esistenza, dato che gli studiosi le hanno classificate nei modi più
diversi. e considera il termine troppo vago. A p. 108, paragona la razza al
"dialetto di una lingua". Per il resto. le razze umane in OdS
sono citate raramente e incidentalmente, come casi aggiuntivi. per esempio alla
fine del capitolo dodicesimo a proposito di gruppi umani molto isolati in zone
montuose (p. 458).Dietelmo Pievani. Telmo Pievani. Pievani. Keywords: il
maschio, maschile, maschilita, maschilita fascista, fascist masculinities, il
concetto di maschio, dysmorphismo sessuale – sessualita e mascolinita, il
maschio – uso del maschio in opposizione a sostantivi astratti come
mascolinita, o maschilita. i macchi, homosociale, Romolo Enea l’antenato. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Pievani” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Piovani: la ragione conversazionale d’Enea,
l’eroe al portico, o l’implicatura conversazionale assente – la scuola di
Napoli -- filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Napoli, Campania. Grice: “Like
Austin, and then again like me, Piovani could invent lingo. The whole point of
ordinary-language philosophy was an attack on ‘philosophical language,’ and
there we are, Austin, Grice and Piovani INVENTING unordinary philosophical
language! In Piovani’s case is ‘assenzialismo’!”
–Studia a Napoli. Insegna a Trieste, Firenze, Roma, Napoli. Dei lincei. Scrive
su alcuni fogli del regime. La sua ricerca filosofica ha avvio all'indomani
immediato della tragica conclusione della seconda guerra mondiale e di ciò
porta i segni anche nell'elaborazione della propria caratterizzazione
etico-politica, presto approdata alle ragioni del liberalismo democratico.
Dinanzi alla drammatica conclusione dell'esito volontaristico dell'attualismo,
la necessità di ripensare il modello idealistico lo induce ad un'intensa
riflessione sul significato e sul valore dell'individuo nel suo farsi persona.
Spazia dalla filosofia del diritto alla filosofia del concetto, soprattutto a
quello meridionale, ricopre incarichi nelle più importanti accademie italiane.
Fonda il centro di studi vichiani. Pratica una fenomenologia dell'individuale.
Per il pensatore napoletano l'individuo non è concepito come un'entità chiusa
ed ego-istica tendente all'assolutizzazione ma, al contrario, accettando egli
la sua natura di vivente limitato, afferma sé stesso nella responsabilità della
propria azione. Concorrono elementi esistenzialistici, l’analisi
dell’esperienza comune. Di ciò è documento “Norma e società” (Napoli, Jovene).
Utilizza anche temi della prima azione blondeliana. La necessità di fondare la
persona grazie a un criterio o norma, che è la ragione dell’agire e del pensare
-- la logica della vita morale -- fa scoprire il tema di fondo della filosofia morale. Il soggetto è un volente
non volutosi -- vale a dire che il soggetto, per quanto approfondisca il
proprio essere che è il suo esistere, deve arrestarsi dinanzi alla
constatazione di essere dato, di non essersi voluto. L’alternativa esistenziale
dell’accettazione della vita ne riscatta, con la volontà di essere a fronte
della possibilità contraddittoria del suicidio, l’originaria datità. Ma questa
accettazione, che è la sola possibile fondazione della vita morale, rifiuta
ogni ostinazione singolaristica e comporta che la vita è vita di relazione,
dove questa non è conquista ma condizione consustanziale del soggetto che si
accetta e dunque accetta l’altro, a iniziare dalla propria alterità rispetto a
se stesso. L’essenziale instaurazione personalitaria consente la fondazione del
diritto e della morale. Entrambe formazioni storiche, fondate dinamicamente in
quanto capaci di comprendere ogni forma in cui si sostanzi l’attivo desiderio
dell’uomo di soddisfare l’insaziabile bisogno di valori, anch'essi costruiti
dalla scelta esistenziale dei soggetti storici. Sostiene che l'essere umano non
possa fare affidamento su alcun tipo di fondamento poiché, essendo un essere
limitato e storico, è di fatto costretto a fondare continuamente i suoi punti
di riferimento. A questo proposito assumono appunto un ruolo primario il valore, considerate non come assoluto
bensì prodotto della specificità individuale. Del resto proprio il valore
esalta la responsabilità dell'azione degl’individui, che, altrimenti, verrebbe mortificata
nel riferimento obbligato a qualcosa di assoluto. Si può dunque parlare di un
pluralismo etico che non significa relativismo ma relatività e, dunque,
rispetto. Una posizione che sembra chiaramente riprendere il pensiero di Kant
e, in particolare, il tema dell'agonismo etico. Per il ricorrere di questi
temi, la sua filosofia può riassumersi nella formula tra esistenzialismo
ri-pensato e storicismo ri-novato. Tra questi, un numero di “Gerarchia”, su cui
scrive riferendosi alla partecipazione
emotiva degl’italiani al conflitto. Questo modo di sentire e di interpretare
gl’eventi deve essere posto in luce perché esso indica che un ventennio di
regime fascista è riuscito a dare agl’italiani almeno quel senso di
pre-occupazione della tutela e della difesa dei propri interessi, che è il
presupposto indispensabile per la formazione di una autentica e completa
coscienza imperiale. Roma e Tirana, in Gerarchia, Evoluzione liberale, in
Biblioteca della libertà, P,, Enciclopedia filosofica di Gallarate, Bompiani,
Milano. Altre saggi: “Il significato del principio di effettività” (Milano,
Giuffre); “Morte e tras-figurazione
dell'Università” (Napoli, Guida);“Teo-dicea sociale” (Padova, Milani);
“Linee di una filosofia del diritto” (Padova, MILANI); “Gius-naturalismo ed
etica moderna” (Bari, Laterza); “Filosofia e storia delle idee” (Bari,
Laterza); “Conoscenza storica e coscienza morale” (Napoli, Morano); “Principi
di una filosofia della morale” (Napoli, Morano); “Oggettivazione etica ed
assenzialismo” (Napoli, Morano) – l’implicatura assente; “La filosofia nuova di
VICO” ((Napoli, Morano); “ Per una filosofia della morale” (Milano, Bompiani);
Tra esistenzialismo e storicismo: la filosofia morale (Napoli, Morano);
Tessitore, Napoli, Società nazionale di scienze lettere e arti, Jervolino,
Logica del concreto ed ermeneutica della vita morale. Newman, Blondel, Napoli,
Morano, Acocella, Idee per un'etica sociale. Soveria Mannelli, Rubbettino,
Amodio, degli scritti su P., Napoli,
Liguori, Lissa, Anti-ontologismo e fondazione etica (Napoli, Giannini); Nieddu,
Norma soggetto storia: saggio sulla filosofia della morale (Napoli, Loffredo);
Nieddu, Incontri blondellani”; “Volontà, norma, azione” (Cagliari, Editore);
Perrucci, L'etica della responsabilità” (Napoli, Liguori); Morrone, La scuola
napoletana: lettura critica e informazione bibliografica, Roma: Edizioni di
Storia e Letteratura (Sussidi eruditi); Olivetti, Enciclopedia, Appendice,
Roma, Istituto dell'Enciclopedia, Etica Enciclopedia, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia, Centro di studi
vichiani del Cnr di Napoli. La lezione etica più che mai attuale di Tessitore,
Il Messaggero, di Tessitore, Napoli, 1 studi vichiani. Pietro Piovani. Piovani.
Keywords: “i principi metafisici di Vico”, Vico, principio. Luigi Speranza,
“Grice e Piovani: I principi metafisici di Vico”, filosofia nuova di VIco, la
Gerarchia, Roma e tiranna – colletivo, guerra, esperienza condivisa, ventennio
del regime – il debito di Vico a Roma --- la Roma di Vico e la Roma antica –
interpretazione filosofica – idealismo, Hegel, implicatura assente,
assenzialimso --. The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Grice e Piralliano:
la ragione conversazionale del gruppo di gioco dell’accademia – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo italiano. A philosophical acquaintance of Elio Aristide.
Accademia.
Grice e Pirandello: all’isola -- la ragione conversazionale
-- e dov’è il copione? è in noi, signore – il dramma è in noi -- siamo noi – I
ciclopu – identita personale, l’uno, nessuno, decadentismo – reduzione
siciliana – la scuola di Girgenti -- filosofia siciliana – filosofia italiana
-- Luigi Speranza (Girgenti). Filosofo italiano. Girgenti,
Sicilia. Grice: “Pirandello would say he is no philosopher, but then I’m a
cricketer!” --. Medaglia del Premio Nobel Premio Nobel per la
letteratura. Per la sua produzione, le tematiche affrontate e l'innovazione del
racconto teatrale è considerato tra i più importanti drammaturghi del XX
secolo. Tra i suoi lavori spiccano diverse novelle e racconti brevi (in lingua
italiana e siciliana) e circa quaranta drammi, l'ultimo dei quali incompleto. Io
son figlio del Caos. E non allegoricamente, ma in giusta realtà, perché son
nato in una nostra campagna, che trovasi presso ad un intricato bosco denominato,
in forma dialettale, Càvusu dagli abitanti di Girgenti, corruzione dialettale
del genuino e antico vocabolo greco Kaos. Figlio di Stefano Pirandello e
Caterina Ricci Gramitto, appartenenti a famiglie di agiata condizione borghese,
dalle tradizioni risorgimentali, nacque in contrada Càvusu a Girgenti..Nell'imminenza
del parto che dove avvenire a Porto Empedocle, per un'epidemia di colera che
stava colpendo la Sicilia, il padre decide di trasferire la famiglia in
un'isolata tenuta di campagna per evitare il contatto con la pestilenza. Porto
Empedocle, prima di chiamarsi così, era la Borgata Molo. Quando si decide che
la borgata diviene comune autonomo. La linea di confine fra i due comuni venne
fissata all'altezza della foce di un fiume essiccato che taglia in due la
contrada chiamata u Càvuso o u Càusu, pantalone. Questo Càvuso appartene a metà
alla Borgata Molo e l'altra metà a GIRGENTI. A qualche impiegato dell'ufficio anagrafe
parve che non e cosa che si scrive che qualcuno e nato in un paio di pantaloni
e cangia quel volgare càusu in caos. Il padre, partecipa alle imprese
garibaldine. Sposa Caterina, sorella di un suo commilitone, Rocco Ricci
Gramitto. Il suo nonno materno, Giovanni Battista Ricci Gramitto, e tra
gli esponenti di spicco della rivoluzione siciliana e, escluso dall'amnistia al
ritorno del Borbone, fuggito in esilio a Malta dove muore. Il bonno paterno,
Andrea Pirandello, e un armatore e ricco uomo d'affari di Pra', ora quartiere
di Genova. La famiglia vive in una situazione economica agiata, grazie al
commercio e all'estrazione dello zolfo. La sua infanzia e serena ma, come
lui stesso racconta, caratterizzata anche dalla difficoltà di comunicare con
gli adulti e in specie con i suoi genitori, in modo particolare con il padre.
Questo lo stimola ad affinare le sue capacità espressive e a studiare il modo
di comportarsi degli altri per cercare di corrispondervi al meglio. Fin
da ragazzo soffre d'insonnia e dorme abitualmente solo tre ore per notte. E molto
devoto alla Chiesa cattolica grazie all'influenza che ebbe su lui una domestica
di famiglia, che lo avvicinò alle pratiche religiose, ma inculcandogli anche
credenze superstiziose fino a convincerlo della paurosa presenza degli spiriti.
La chiesa e i riti della confessione religiosa gli permettevano diaccostarsi ad
un'esperienza di misticismo, che cercherà di raggiungere in tutta la sua
esistenza. Si allontanò dalle pratiche religiose per un avvenimento
apparentemente di poco conto: un prete aveva truccato un'estrazione a sorte per
far vincere un'immagine sacra al giovane Luigi; questi rimase così deluso dal
comportamento inaspettatamente scorretto del sacerdote che non volle più avere
a che fare con la Chiesa, praticando una religiosità del tutto diversa da
quella ortodossa. Dopo l’istruzione elementare impartitagli privatamente,
fu iscritto dal padre alla regia scuola tecnica di Girgenti, ma durante
un’estate preparò, all’insaputa del padre, il passaggio agli studi classici. In
seguito a un dissesto economico, la famiglia si trasfere a Palermo. Frequenta
il regio ginnasio Vittorio Emanuele II e dove rimase anche dopo il rientro dei
suoi a Porto Empedocle. Si appassiona subito alla letteratura. Scrive “Barbaro",
andata perduta. Aiuta il padre nel commercio dello zolfo, e puo conoscere
direttamente il mondo degl’operai nelle miniere e quello dei facchini delle
banchine del porto mercantile. Studia a Palermo e Roma. Studia filologia sotto
Monaci. Studia Bücheler, Usener e
Förster. Scrive “Foni ed evoluzione fonetica del dialetto della
provincia di Girgenti.” Si trasfere a Roma, dove poté mantenersi grazie agli
assegni mensili inviati dal padre. Qui conobbe L. Capuana che lo aiutò molto a
farsi strada nel mondo letterario e che gli aprì le porte dei salotti
intellettuali dove ebbe modo di conoscere giornalisti, scrittori, artisti e
critici. Un allagamento e una frana nella miniera di zolfo di Aragona di
proprietà del padre, nella quale era stata investita parte della dote di
Antonietta, e da cui anche Pirandello e la sua famiglia traevano un notevole
sostentamento, li ridusse sul lastrico. Questo avvenimento accrebbe il
disagio mentale, già manifestatosi, della moglie di P., Antonietta. Ella era
sempre più spesso soggetta a crisi isteriche, causate anche dalla gelosia, a
causa delle quali o lei rientrava dai genitori, o Pirandello era costretto a
lasciare la casa. La malattia prese la forma di una gelosia delirante e
paranoica, che la porta a scagliarsi contro tutte le donne che parlassero col
marito, o che lei pensava che volessero avere un qualche tipo di rapporto con
lui; perfino la figlia Lietta susciterà la sua gelosia, e a causa del
comportamento della madre tenterà il suicidio e poi se ne andrà di casa. La
chiamata alle armi di Stefano nella Grande Guerra peggiorò ulteriormente la sua
situazione mentale. Solo diversi anni dopo, egli, ormai disperato,
acconsentì che Antonietta fosse ricoverata in un ospedale psichiatrico. Morirà
in una clinica per malattie mentali di Roma, sulla via Nomentana. La malattia
della moglie lo porta ad approfondire,
portandolo ad avvicinarsi alle nuove teorie sulla psicoanalisi di Freud, lo
studio dei meccanismi della mente e ad analizzare il comportamento sociale nei
confronti della malattia mentale. Spinto dalle ristrettezze economiche e
dallo scarso successo delle sue prime opere letterarie, e avendo come unico
impiego fisso una cattedra di stilistica dove impartire lezioni private di
italiano e di tedesco, dedicandosi anche intensamente al suo lavoro letterario.
Inizia anche una collaborazione con il Corriere della Sera. Il suo primo
grande successo fu merito del romanzo Il fu Mattia Pascal, scritto nelle notti
di veglia alla moglie paralizzata alle gambe. La critica non diede subito al
romanzo il successo che invece ebbe tra il pubblico. Numerosi critici non
seppero cogliere il carattere di novità del romanzo, come d'altronde di altre
opere di P.. Perché P. arrivasse al successo si dovette aspettare a quando
si dedica totalmente al teatro. Lo scrittore siciliano aveva rinunciato a
scrivere opere teatrali, quando l'amico N. Martoglio gli chiese di mandare in
scena nel suo Minimo presso il
Metastasio di Roma alcuni suoi lavori: Lumie di Sicilia e l'Epilogo. Acconsente
e la rappresentazione dei due atti unici ebbe un discreto successo. Tramite i
buoni uffici del suo amico Martoglio anche A. Musco volle cimentarsi con il
teatro pirandelliano: Pirandello tradusse per lui in siciliano Lumie di
Sicilia, rappresentato con grande successo al Pacini di Catania. Cominciò da
questa data la collaborazione con Musco che incominciò a guastarsi dopo
qualche tempo per la diversità di opinioni sulla messa in scena di Musco della
commedia Liolà nel novembre al teatro Argentina di Roma: «Gravi dissensi» di cui
Pirandello scrive al figlio Stefano. La guerra fu un'esperienza dura per
Pirandello; il figlio venne infatti imprigionato dagli austriaci, e, una volta
rilasciato, ritorna in Italia gravemente malato e con i postumi di una ferita.
Durante la guerra, inoltre, le condizioni psichiche della moglie si aggravarono
al punto da rendere inevitabile il ricovero in manicomio dove rimase fino alla
morte. Dopo la guerra, lo scrittore si immerse in un lavoro frenetico,
dedicandosi soprattutto al teatro. Fonda la Compagnia del Teatro d'Arte di Roma
con due grandissimi interpreti dell'arte pirandelliana: Marta Abba e Ruggero
Ruggeri. Con questa compagnia cominciò a viaggiare per il mondo: le sue
commedie vennero rappresentate anche nei teatri di Broadway. Nel giro di
un decennio arrivò ad essere il drammaturgo di maggior fama nel mondo, come
testimonia il premio Nobel per la letteratura ricevuto per il suo ardito e
ingegnoso rinnovamento dell'arte drammatica e teatrale. Degno di nota fu lo
stretto rapporto con Abba, sua musa ispiratrice, della quale Pirandello,
secondo molti biografi e conoscenti, era innamorato forse solamente in maniera
platonica. Molte delle opere pirandelliane cominciavano intanto ad essere
trasposte al cinema. Pirandello andava spesso ad assistere alla lavorazione dei
film; andò anche negli Stati Uniti d'America, dove famosi attori e attrici di
Hollywood, come Garbo, interpretavano i suoi soggetti. Nell'ultimo di questi
viaggi andò a trovare, su invito, Einstein a Princeton. In una conferenza
stampa difese con veemenza la politica estera del FASCISMO, con la guerra
d'Etiopia, accusando i giornalisti statunitensi di ipocrisia, citando il
colonialismo contro i nativi americani. Pirandello e la politica: l'adesione al
fascismo. Non aveva mai preso specifiche posizioni politiche, tranne
l'ammirazione per il patriottismo garibaldino di famiglia, unica certezza in
un'epoca di crisi. La sua idea politica di fondo e legata principalmente a
questo patriottismo risorgimentale. Una sua lettera apparsa sul Giornale di
Sicilia testimonia gli ideali patriottici della famiglia, proprio nei primi
mesi dallo scoppio della Grande Guerra durante la quale il figlio e fatto
prigioniero dagli austriaci e rinchiuso, per la maggior parte della prigionia,
nel campo di concentramento di Pian di Boemia, presso Mauthausen. Non riuscì a
far liberare il figlio malato neppure con l'intervento di Benedetto XV. Nella
sua vita condivise alcune delle idee dei giovani fasci siciliani e del
socialismo; ne I vecchi e i giovani si nota come la sua idea politica e stata
oscurata dalla riflessione umoristica. Per Pirandello, i siciliani hanno subìto
le peggiori ingiustizie dai vari governi italiani -- è questa l'unica idea
forte che ci presenta. Nella prima guerra mondiale e un interventista,
anche se avrebbe preferito che il figlio non partecipasse in prima linea alla
guerra, cosa che invece fa, arruolandosi volontario immediatamente e rimanendo
ferito e prigioniero degli austriaci, situazione che e estremamente angosciosa
per lo scrittore. Nel primo dopoguerra non adere subito ai fasci di
combattimento, tuttavia pochi anni dopo esplicita l'adesione al fascismo, ormai
istituzionalizzato. E ricevuto da Mussolini a Palazzo Chigi. Chiese
l'iscrizione al partito fascista inviando un telegramma a Mussolini, pubblicato
subito dall'agenzia Stefani. Eccellenza, sento che questo è per me il momento
più proprio di dichiarare una fede nutrita e servita sempre in silenzio. Se
l'E.V. mi stima degno di entrare nel partito nazionale fascista, pregerò come
massimo onore tenermi il posto del più umile e obbediente gregario. Con
devozione intera. Il telegramma arriva in un momento di grande difficoltà per
il presidente del consiglio dopo il ritrovamento del corpo di Matteotti. Per la
sua adesione al fascismo e duramente attaccato da alcuni intellettuali e
politici fra cui il deputato liberale G. Amendola che in un a saggio arriva a
dargli dell'accattone che voleva a tutti i costi divenir senatore del Regno. Pur
non ritrovandosi caratterialmente con Mussolini e molti gerarchi, che ritiene
persone troppo rozze e volgari, oltre che poco interessati al teatro, non
rinnega mai la sua adesione al fascismo, motivata tra le altre cose da una
profonda sfiducia nei regimi social-democratici, così come non si interessa mai
del marxismo, solo ne “I vecchi e i giovani” mostra un leggero interesse per il
socialismo -- regimi nei quali si andano trasformando la democrazia liberale,
che ritene a loro volta corrotta, portando ad esempio gli scandali dell'età
giolittiana e il trasformismo. Pova inoltre un deciso disprezzo per la classe
politica che avrebbe voluto vedere, nichilisticamente, cancellata dalla vita
del Paese, e una forte sfiducia verso la massa caotica del popolo, che anda istruita
e guidata da una sorta di monarca illuminato. E tra i firmatari del Manifesto redatto
da GENTILE. La sua adesione al FASCISMO e per molti imprevista e sorprende anche
i suoi più stretti amici. Sostanzialmente egli, per un certo conservatorismo
che comunque ha, guarda al duce come ri-organizzatore della società. Un'altra
motivazione addotta per spiegare tale scelta politica è che il fascismo lo
riconduce all’ideale patriottico ri-sorgimentale di cui e convinto sostenitore,
anche per le radici garibaldine del padre. Vede nelli una idea originale, che
dove rappresentare la forma dell'Italia destinata a divenire modello. Puo apparire
un punto di contatto colli fasci il sostenuto relativismo filosofico di
entrambi. Ben diverso pero è il relativismo morale dei fasci, fondato sull'attivismo
e il suo relativismo esistenziale che si richiama allo scetticismo razionale. Si
fa interprete di un relativismo pessimistico, angosciato, negatore di ogni
certezza, incompatibile con l'ansia attivistica o il relativismo ottimistico
dei fasci Sempre nel solco di Amendola e dei critici anti-fascisti vi è anche
un commento più pragmatico alla sua iscrizione al Partito fascista, la quale
avrebbe avuto origine nel suo ricercare finanziamenti per la creazione della
sua compagnia di teatro, che ha così il sostegno del regime e le relative
sovvenzioni. Il governo fascista, pero, perfino dopo il Nobel, gli prefiere
sempre Annunzio e Deledda, anche lei vincitrice del premio, come letterati
ideali del regime. Ha molta difficoltà a re-perire i fondi statali, che
Mussolini spesso non vuole concedergli. Non sono infrequenti suoi scontri
violenti con autorità fasciste e dichiarazioni aperte di a-politicità. Sono a-politic.
Mi sento soltanto uomo sulla terra. E, come tale, molto semplice e parco. Se
vuole potrei aggiungere casto. Clamorosoe il gesto narrato da C. Alvaro in cui a Roma
strappa la sua tessera del suo fascio davanti agli occhi esterrefatti del
Segretario Nazionale. Nonostante ciò, una rottura aperta col fascismo non
si onsume mai. Si conclude senza troppa fortuna l'esperienza del Teatro
d'Arte. Dopo lo scioglimento, in tacita polemica con il regime fascista che a
suo avviso era troppo parco di sostegno ai suoi progetti teatrali, si ritira. Forse
a parziale compensazione di questo mancato sostegno, e uno dei primi trenta accademici,
nominati direttamente da Mussolini, della neo costituita Reale Accademia
d'Italia – i reali italiani! In nome del suo ideale patriottico, partecipa
alla raccolta dell'oro per la patria donando la medaglia del premio Nobel. Questa
scelta di adesione ai fasci è stata spesso sia minimizzata sia accentuata dalla
critica. L’ideologia fascista non ha mai parte nella sua vita o nel suo teatro,
abbastanza avulse della realtà politica, così che non fu in grado di vedere e
giudicare la violenza dei fasci. Il contenuto anarchico, corrosivo, pessimista
e quasi sempre anti-sistema del suo teatro e guardato con sospetto da molti
uomini del partito. Non lo considerano una vera "arte fascista". La
critica non lo esalta, spesso considerando il suo teatro non conformi all’ideale
fascista. Vi si vede una certa insistenza e considerazione della borghesia
altolocata che i fasci condanno come corrotta e decadente. Gl’arzigogoli
filosofici dei personaggi dei suoi drammi borghesi sono considerati quanto di
più lontano dall'attivismo fascista. Anche dopo l'attribuzione del Nobel
parecchi teatro e accusato dalla stampa di regime di disfattismo tanto che
anche fine tra i controllati speciali dell'OVRA. Nonostante i suoi elogi al
capo del governo, il Duce fa sequestrare l'opera “La favola del figlio” cambiato,
per alcune scene ritenute non consone, impedendone le repliche. A lui e imposta,
per contrasto, la regia dell'opera dannunziana La figlia di Jorio! Le sue volontà
testamentarie, che negavano ogni funerale e celebrazione, metteranno in
imbarazzo i fascisti e lo stesso Mussolini, che ordina così alla stampa che non
ci fanno troppe celebrazioni sui quotidiani, ma che ne fanno data solo la
notizia, come di un semplice fatto di cronaca. Il rifugio di Soriano nel Cimino
ama trascorrere ampi periodi dell'anno nella quiete di Soriano nel Cimino, un'amena
e bella cittadina ricca di monumenti storici e immersa nei boschi del Monte
Cimino. In particolare rimase
affascinato dalla maestosità e dalla quiete di uno stupendo castagneto situato
nella località di "Pian della Britta", a cui volle dedicare
un'omonima poesia, che oggi è scolpita su una lapide di marmo posta proprio in
tale località. Ambienta a Soriano nel Cimino (citando luoghi, località e
personaggi realmente esistiti) anche due tra le sue più celebri novelle Rondone
e Rondinella e Tomassino ed il filo d'erba. A Soriano nel Cimino, è rimasto vivo
ancora oggi il suo ricordo a cui sono dedicati monumenti, lapidi e
strade. Frequenta anche Arsoli per molti anni, soprattutto durante i
periodi estivi, dove amava dissetarsi con una gassosa nell'allora bar Altieri
in piazza Valeria. Il suo amore per il paese si ritrova nella definizione che
egli stesso diede ad Arsoli chiamandola La piccola Parigi. Appassionato di
cinematografia, mentre assiste a Cinecittà alle riprese di un film tratto dal
suo romanzo Il fu Mattia Pascal, si ammala di polmonite. Ha già subito due
attacchi di cuore. Il suo corpo, ormai segnato dal tempo e dagli avvenimenti
della vita, non sopporta oltre. Al medico che tenta di curarlo, disse. Non
abbia tanta paura delle parole, professore, questo si chiama morire. La malattia
si aggrava e muore. Per lui il regime fascista vuole esequie di stato. Viene nvece
rispettate le sue volontà espresse nel testamento. Carro d'infima classe,
quello dei poveri. Nudo. E nessuno m'accompagni -- né parenti né amici. Il
carro, il cavallo, il cocchiere e basta. Bruciatemi. Per sua volontà il corpo,
senza alcuna cerimonia, e cremato, per evitare postume consacrazioni
cimiteriali e monumentali. Le sue ceneri furono deposte in una preziosa anfora
greca già di sua proprietà e tumulate nel cimitero del Verano. Camilleri e
altri quattro dettero il via a un lento e travagliato adempimento delle sue
ultime volontà (in caso non fosse stato possibile lo spargimento). Far
seppellire le ceneri nel giardino della villa di contrada Caos, dove e nato. Ambrosini
trasporta l'anfora in treno, chiusa in una cassetta di legno. A Palermo il
corteo funebre venne però bloccato dal vescovo di Agrigento Peruzzo. Camilleri
si reca al vescovo, che rimase inamovibile. Propose allora con successo l'idea
di inserire l'anfora in una bara, che venne appositamente affittata. Il corteo,
per un breve tratto a piedi e poi a bordo di una littorina, giunse a Girgenti. Dopo
una cerimonia religiosa, l'anfora con le ceneri e estratta dalla bara e riposta
nel Museo Civico di Agrigento, in attesa della costruzione di un monumento nel
giardino della villa. Solo dopo parecchi anni dalla morte, realizzata una scultura
monolitica di R. Mazzacurati, artista vincitore del concorso indetto,
costituita principalmente da una grossa pietra non lavorata, le ceneri vennero
portate nel giardino e versate in un cilindro di rame inserito nel terreno, che
venne chiuso da una pietra sigillata con del cemento. Una parte rimanente
delle ceneri, trovata anni dopo attaccata ai lati interni dell'anfora, non
essendo più contenibile nel cilindro ri-colmo e ri-aperto per l'occasione,
venne dispersa, rispettando il desiderio originario di lui stesso. Davanti agli
occhi di una bestia crolla come un castello di carte qualunque sistema
filosofico. (L. Pirandello, dai Foglietti). E convinto che qualunque filosofia e
fallita di fronte all'insondabilità dell'uomo quando in lui prevale la bestia
-- l'aspetto animalesco e irrazionale. La sua e una teoria della pluralità
dell'io. Pubblica i saggi “Arte e Scienza” e “L'umorismo” -- caratterizzati da
un'esposizione di stile colloquiale, molto lontana dal consueto discorso
filosofico. I due saggi sono espressione di un'unica identita artistica ed
esistenziale che ha coinvolto lo scrittore siciliano che vede come centrale
proprio la poetica dell'umorismo. In “L'umorismo” confluiscono idee, brani di
scritti e appunti precedenti. Sue varie chiose e annotazioni a L'indole e il
riso di Pulci di A. Momigliano e parti dell'articolo di Cantoni nella «Nuova
Antologia». Il suo umorismo si inserisce in un rigoglioso e più che secolare
campo di meditazione e ricerca sull'omonimo tema; e rappresenta il momento ri-epilogativo
probabilmente più soddisfacente di una serie di acquisizioni teoriche che la
cultura ha chiare e consolidate . Bisogna infatti aspettare il saggio di Genovese,
“Il Comico, l’Umore e la Fantasia o Teoria del Riso come Introduzione all’Estetica”
(Bocca, Torino) per avere un saggio di ampia informazione e documentazione, di
solido spessore speculative pur nell'ispirazione idealistica da cui prende le
mosse. Tecnicamente persuasivo, insomma, e con ben altre fondamenta teoretiche,
praltro, in un panorama di non rara fossilizzazione culturale, va detto che
l'opera di Genovese è stata appaiata forse soltanto dal coraggioso saggio, e
Homo ridens. Estetica, Filologia, Psicologia, Storia del Comico” (Firenze,
Olsckhi). Distingue il comico dall'umoristico. Il comico e definito come avvertimento
del contrario, nasce dal contrasto tra l'apparenza e la realtà. Vedo una
vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di qual orribile
manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d'abiti giovanili. Mi
metto a ridere. "Avverto" che quella vecchia signora è il contrario
di ciò che una rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta
e superficialmente, arrestarmi a questa espressione comica. Il comico è appunto
un "avvertimento del contrario. L'umorismo, il "sentimento del
contrario", invece nasce da una considerazione meno superficiale della
situazione. Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che
quella vecchia signora non prova forse piacere a pararsi così come un
pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente,
s'inganna che, parata così, nascondendo le rughe e le canizie, riesca a
trattenere a sé l'amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non
posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me,
mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro. Da
quel primo *avvertimento* del *contrario* mi ha fatto passare a questo *sentimento*
del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l'umoristico. Quindi,
mentre il comico genera quasi immediatamente la risata perché mostra subito la
situazione *evidentemente contraria* a quella che dovrebbe normalmente essere,
l'umoristico nasce da una più ponderata ri-flessione che genera compassione e
un sorriso di comprensione. Nell'umoristico c'è il senso di un *comune sentimento*
della fragilità dell’uomo da cui nasce un compatimento per la debolezze dell’altro
che e anche la propria. L'umoristico è meno spietato del comico che giudica in
maniera immediata. Non ci fermiamo alle apparenze, ciò che inizialmente ci
fa ridere adesso ci fa tutt'al più sorridere, o piantare. La filosofia dell'umoristico in nasce già quando pubblica
le due premesse de Il fu Mattia Pascal dove richiamandosi al “Copernico” di
Leopardi riprende l'ironia che attribusce l’eliocentrismo alla pigrizia del sole
stanco di girare attorno ai pianeti. Si vede una notazione dell’umoristico
nella contrapposizione di due sentimenti opposti. Dopo l’accettazione
dell’eliocentrismo, i terrestri accetano di essere una parte infinitesimale
dell'universo e nello stesso tempo la sua capacità di
compenetrarsene. L'analisi dell'identità condotta da lui lo porta a
formulare la teoria della crisi dell'io. Il nostro spirito consiste di
frammenti, o meglio, di elementi distinti, più o meno in rapporto tra loro, i
quali si possono disgregare e ricomporre in un nuovo aggregamento, così che ne
risulti una nuova personalità, che pur fuori dalla coscienza dell'io normale,
ha una propria coscienza a parte, indipendente, la quale si manifesta viva e in
atto, oscurandosi la coscienza normale, o anche coesistendo con questa, nei
casi di vero e proprio sdoppiamento dell'io. Talché veramente può dirsi che due
persone vivono, agiscono a un tempo, ciascuna per proprio conto, nel medesimo
individuo. Con gli elementi del nostro io noi possiamo perciò comporre,
costruire in noi stessi altri individui, altri esseri con propria coscienza,
con propria intelligenza, vivi e in atto. Paradossalmente, il solo modo per
recuperare la propria identità è la follia, tema centrale in molte opere, come
l'Enrico IV o come Il berretto a sonagli, nel quale inserisce addirittura una
ricetta per la pazzia: dire sempre la verità, la nuda, cruda e tagliente
verità, infischiandosene dei riguardi, delle maniere, delle ipocrisie e delle
convenzioni sociali. Questo comportamento porta presto all'isolamento da parte
della società e, agli occhi degli altri, alla pazzia. Abbandonando le
convenzioni sociali e morali l'uomo può ascoltare la propria interiorità e
vivere nel mondo secondo le proprie leggi, cala la maschera e percepisce se
stesso e l’altro senza dover creare un personaggio, è semplicemente “persona”. Esemplare
di tale concezione è l'evoluzione di Vitangelo Moscarda, protagonista di Uno,
nessuno e centomila. Ancora sulla crisi dell'identità del singolo
impotente con la sua razionalità di fronte al mistero universale che lo
circonda, in Il fu Mattia Pascal, espone metaforicamente la sua filosofia del
lanternino, tramite il monologo che il personaggio di Anselmo Paleari rivolge
al protagonista Mattia Pascal, in cui la piccola lampada rappresenta il
sentimento umano, che non riesce ad alimentarsi se non tramite le illusioni di
fede e ideologie varie ("i lanternoni"), ma che altrimenti provoca
l'angoscia del buio che lo circonda all'uomo, l'animale che ha il triste privilegio
di "sentirsi vivere. Nella lanternisofia, il lanternino che proietta tutto
intorno a noi un cerchio più o meno ampio di luce, di là dal quale è l'ombra
nera, l'ombra paurosa che non esisterebbe se il lanternino non fosse acceso in
noi, ma che noi purtroppo dobbiamo credere vera, fintanto ch'esso si mantiene
vivo in noi. Spento alla fine da un soffio, ci accoglierà la notte perpetua
dopo il giorno fumoso della nostra illusione, o non rimarremo noi piuttosto
alla mercé dell'Essere, che avrà soltanto rotto le vane forme della nostra
ragione? (Il fu Mattia Pascal, Il lanternino) La sua sfiducia verso la fede
religiosa tradizionale lo porta ad accentuare così il proprio vuoto spirituale,
che cercò di riempire, come il citato personaggio del Paleari, con l'interesse
personale verso l'occultismo, la teosofia e lo spiritismo, che tuttavia non gli
daranno la serenità esistenziale. Il contrasto tra vita e forma Luigi
Pirandello svolge una ricerca inesausta sull'identità della persona nei suoi
aspetti più profondi, dai quali dipendono sia la concezione che ogni persona ha
di sé, sia le relazioni che intrattiene con gli altri. Influenzato dalla
filosofia irrazionalistica di fine secolo, in particolare di Bergson,
Pirandello ritiene che l'universo sia in continuo divenire e che la vita sia
dominata da una mobilità inesauribile e infinita. L'uomo è in balia di questo
flusso dominato dal caso, ma a differenza degli altri esseri viventi tenta,
inutilmente, di opporsi costruendo forme fisse, nelle quali potersi
riconoscere, ma che finiscono con il legarlo a maschere in cui non può mai
riconoscersi o alle quali è costretto a identificarsi per dare comunque un senso
alla propria esistenza. Se l'essenza della vita è il flusso continuo, il
perenne divenire, quindi fissare il flusso equivale a non vivere, poiché è
impossibile fissare la vita in un unico punto. Questa dicotomia tra vita e
forma, accompagnerà l'autore in tutta la sua produzione evidenziando la
sconfitta dell'uomo di fronte alla società, dovuta all'impossibilità di fuggire
alle convenzioni di quest'ultima se non con la follia. Solo il folle, che pure
è una figura sofferente ed emarginata, riesce talvolta a liberarsi dalla
maschera, e in questo caso può avere un'esistenza autentica e vera, che resta
impossibile agli altri in quanto non è fattibile denudare la maschera o le
maschere, la propria identità (Maschere nude è infatti il titolo della raccolta
delle sue opere teatrali). Questa riflessione, che si rispecchia nelle varie
opere con accenti ora lievi ora gravi e tragici, è stata, ad opera soprattutto
dello studioso Adriano Tilgher, interpretata come un sistema filosofico basato
sul contrasto tra la Vita e la Forma, che talvolta ha fatto esprimere alla
critica un giudizio negativo delle ultime opere precedenti al "teatro dei
miti", accusate a volte di "pirandellismo", cioè di riproporre
sempre lo stesso schema di lettura. Il relativismo psicologico o conoscitivo
«La verità? è solo questa: che io sono, sì, la figlia della signora Frola Ah! E
la seconda moglie del signor Ponza Oh! E come? Sì; e per me nessuna! nessuna! Ah,
no, per sé, lei, signora: sarà l'una o l'altra! Nossignori. Per me, io sono
colei che mi si crede. Ed ecco, o signori, come parla la verità. -- Dialogo
finale di Così è (se vi pare)). Dal contrasto tra la vita e la forma nasce il
relativismo psicologico che si esprime in due sensi: orizzontale, ovvero nel
rapporto inter-personale, e verticale, ovvero nel rapporto che una persona ha
con se stessa. Gl’uomini nascono liberi ma il caso interviene nella loro
vita precludendo ogni loro scelta. L’uomo nasce in una società pre-costituita
dove ad ognuno viene assegnata una parte secondo la quale deve
comportarsi. Ciascuno è obbligato a seguire il ruolo e le regole che la
società impone, anche se l'io vorrebbe manifestarsi in modo diverso. Solo per
l'intervento del caso può accadere di liberarsi di una forma per assumerne
un'altra, dalla quale non sarà più possibile liberarsi per tornare indietro,
come accade al protagonista de Il fu Mattia Pascal. L'uomo dunque non può
capire né l’altro né tanto meno se stesso, poiché ognuno vive portando consapevolmente
o, più spesso, inconsapevolmente, una maschera dietro la quale si agita una
moltitudine di personalità diverse e inconoscibili. Queste riflessioni
trovano la più esplicita manifestazione narrativa nel romanzo Uno, nessuno e
centomila. Uno perché ogni persona crede di essere un individuo unico con
caratteristiche particolari. Centomila perché l'uomo ha, dietro la maschera,
tante personalità quante sono le persone che ci giudicano. Nessuno perché,
paradossalmente, se l'uomo ha centomila personalità diverse, invero, è come se
non ne possedesse nessuna, nel continuo cambiare non è capace di fermarsi
nel suo io". Il relativismo conoscitivo e psicologico su cui si basa la
sua filosofia si scontra con il conseguente problema dell'incomunicabilità tra i
siciliani. Ogni personaggio siciliano ha un proprio modo di vedere la realtà. Non
esiste un'unica realtà oggettiva, ma tante realtà quante sono i siciliani che
credono di possederla. Dunque, ognuno ha una propria verità. Questa incomunicabilità
produce quindi un sentimento di solitudine ed esclusione dalla società e
persino da se stesso. Proprio la crisi e frammentazione dell'io interiore crea un
altr’ io diverso e discordante. L’io consiste di frammenti che ci fanno
scoprire di essere -- uno, nessuno – molti -- centomila --. Il personaggio come
il Vitangelo Moscarda di “Uno, nessuno e – molti centomila e i protagonisti
della commedia ‘a fare’, “Sei personaggi in cerca di autore” di conseguenza
avverte un sentimento di “estraneità” –
alienazione o alterita – strano – etimologia -- dalla vita che lo fa sentire
forestiero della vita, nonostante la continua ricerca di un senso
dell'esistenza e di un'identificazione di un proprio ruolo, che vada oltre la
maschera, o le diverse e innumerevoli maschere, con cui si presentano al
cospetto della società o delle persone più vicine. Il peronaggio accetta
la maschera, che lui stesso ha messo o con cui gl’altro tende a identificarlo. Prova
ommessamente a mostrarsi per quello che lui crede di essere. Incapace di
ribellarsi, pero, o deluso dopo l'esperienza di vedersi attribuita una nuova
maschera, si rassegna. Il personaggio vive nell'infelicità, con la coscienza
della frattura tra la vita che vorrebbe vivere e quella che laltro lo fa vivere
per come esso lo vede. Il personaggio accetta alla fine passivamente il ruolo
da recitare che lui si attribuisce sulla scena dell'esistenza. Questa è la
reazione tipica del personaggio più deboli come si può vedere nel romanzo “Il
fu Mattia Pascal”. Il soggetto non si rassegna alla sua maschera. Accetta pero il
suo ruolo con un atteggiamento ironico, aggressivo o umoristico. Ne fanno
esempio varie opere come: Pensaci Giacomino, Il giuoco delle parti e La
patente. Rosario Chiàrchiaro è un uomo cupo, vestito sempre in nero che si è
fatto involontariamente la nomea di iettatore e per questo è sfuggito da tutti
ed è rimasto senza lavoro. Il presunto iettatore non accetta l'identità che gl’altro
gli ha attribuito ma comunque se ne serve. Va dal giudice e, poiché tutti sono
convinti che sia un menagramo, pretende la patente di iettatore autorizzato. In
questo modo ha un lavoro: chi vuole evitare le disgrazie che promanano da lui
dovrà pagare per allontanarlo. La maschera rimane – ma almeno se ne ricava un
vantaggio. L'uomo, accortosi del relativismo, si rende conto che l'immagine che
di sé non corrisponde in realtà a quella che l’altro ha di lui e cerca in ogni
modo di carpire questo lato inaccessibile del suo io. Vuole togliersi la
maschera che gli è stata imposta e reagisce con disperazione. Non riesce a
strapparsela e allora se è così che lo vuole il mondo, egli e quello che l’altro
credono di percipere in lui e non si ferma nel mantenere questo suo
atteggiamento sino all’ultima e drammatica conseguenza. Si chiude in una
solitudine disperata che lo porta al dramma, alla pazzia o al suicidio. Da tale
sforzo verso un obiettivo irraggiungibile nasce la voluta follia. La follia è
lo strumento di contestazione per eccellenza della forma fasulla della vita
sociale, l'arma che fa esplodere la convenzione e il rituale, riducendoli
all'assurdo e rivelandone l'inconsistenza. Solo e unico modo per vivere,
per trovare l’io, è quello di accettare il fatto di non avere un'identità, ma
solo frammenti -- e quindi di non essere uno ma nessuno -- accettare
l'alienazione completa da se stesso. Tuttavia il colletivo non accetta il
relativismo. Il soggeto chi accetta il relativismo viene ritenuto pazzo dal
colletivo. Esemplari sono i personaggi dei drammi Enrico IV, dei Sei personaggi
in cerca d'autore, o di Uno, nessuno e centomila. Divenne famoso proprio
grazie al teatro che chiama “teatro dello specchio”, perché in esso viene
raffigurata la vita vera, quella nuda, amara, senza la maschera dell'ipocrisia
e delle convenienze sociali, di modo che lo spettatore si guardi come in uno
specchio così come realmente è, e diventi migliore. Dalla critica viene definito
come uno dei grandi drammaturghi. Scrive moltissime opera, alcune delle quali
rielaborazioni delle sue stesse novelle, che vengono divise in base alla fase
di maturazione dell'autore: Prima faseIl teatro siciliano Seconda faseIl
teatro umoristico/grottesco Terza fase Il teatro nel teatro (meta-teatro)
Quarta fase Il teatro dei miti. Generalmente si attribuisce il suo interesse
per il teatro agli anni della maturità, ma alcuni precedenti mostrano come tale
convinzione necessiti di una rivalutazione. Compose alcuni lavori teatrali,
andati perduti poiché da lui stesso bruciati (tra gli altri, il copione de Gli
uccelli dell'alto). In una lettera alla
famiglia, si legge. Oh, il teatro drammatico! Io lo conquisterò. Io non posso
penetrarvi senza provare una viva emozione, senza provare una sensazione
strana, un eccitamento del sangue per tutte le vene. Quell'aria pesante chi vi
si respira, m'ubriaca: e sempre a metà della rappresentazione io mi sento preso
dalla febbre, e brucio. È la vecchia passione chi mi vi trascina, e non vi
entro mai solo, ma sempre accompagnato dai fantasmi della mia mente, persone
che si agitano in un centro d'azione, non ancora fermato, uomini e donne da
dramma e da commedia, viventi nel mio cervello, e che vorrebbero d'un subito
saltare sul palcoscenico. Spesso mi accade di non vedere e di non ascoltare
quello che veramente si rappresenta, ma di vedere e ascoltare le scene che sono
nella mia mente: è una strana allucinazione che svanisce ad ogni scoppio di
applausi, e che potrebbe farmi ammattire dietro uno scoppio di fischi! -- da
una lettera ai familiari. È in questa dimensione che si parla di teatro
mentale: lo spettacolo non è subito passivamente ma serve come pretesto per dar
voce ai "fantasmi" che popolano la mente dell'autore (nella
prefazione ai Sei personaggi in cerca d'autore Pirandello chiarirà di come la
Fantasia prenda possesso della sua mente per presentargli personaggi che
vogliono vivere, senza che lui li cerchi). In un'altra missiva, spedita
da Roma, sostiene che la scena italiana gli appare decaduta: «Vado spesso
in teatro, e mi diverto e me la rido in veder la scena italiana caduta tanto in
basso, e fatta sgualdrinella isterica e noiosa -- da una lettera ai familiari. La
delusione per non essere riuscito a far rappresentare i primi lavori lo
distoglie inizialmente dal teatro, facendolo concentrare sulla produzione
novellistica e romanziera. Pubblica l'importante saggio Illustratori,
attori, traduttori dove esprime le sue idee, ancora negative, sull'esecuzione
del lavoro dell'attore nel lavoro teatrale: questi è infatti visto come un mero
traduttore dell'idea drammaturgica dell'autore, il quale trova dunque un filtro
al messaggio che intende comunicare al pubblico. Il teatro viene poi definito
da P. come un'arte "impossibile", perché "patisce le condizioni
del suo specifico anfibio":: un tradimento della scrittura teatrale, che
ha di contro "il cattivo regime dei mezzi rappresentativi, appartenenti
alla dimensione adultera dell'eco. È in questo momento che Pirandello si
distacca dalla lezione positivista e, presa diretta coscienza
dell'impossibilità della rappresentazione scenica del "vero"
oggettivo, ricerca nella produzione drammaturgica di scavare l'essenza delle cose
per scoprire una verità altra (come è spiegato nel saggio L'Umorismo con il
sentimento del contrario). Fondò la compagnia del Teatro d'Arte di Roma
con sede al Teatro Odescalchi con la collaborazione di altri artisti: il figlio
S. Pirandello, O. Vergani, C. Argentieri, A. Beltramelli, G. Cavicchioli, M.
Celli, P. Cantarella, L. Picasso, Renzo Rendi, M. Bontempelli e G. Prezzolini
-- tra gli attori più importanti della compagnia figurano Marta Abba, Lamberto
Picasso, Maria Letizia Celli, Ruggero Ruggeri. La compagnia, il cui primo
allestimento risale con Sagra del signore della nave dello stesso Pirandello e
Gli dei della montagna di Lord Dunsany, ebbe però vita breve: i gravosi costi
degli allestimenti, che non riuscivano ad essere coperti dagli introiti del
teatro semivuoto costrinsero il gruppo, dopo solo due mesi dalla nascita, a
rinunciare alla sede del Teatro Odescalchi. Per risparmiare sugli allestimenti
la compagnia si produsse prima in numerose tournée estere, poi fu costretta
allo scioglimento definitivo, avvenuto a Viareggio. Prima faseTeatro Siciliano
Nella fase del Teatro Siciliano P. è alle prime armi e ha ancora molto da
imparare. Anch'essa come le altre presenta varie caratteristiche di rilievo;
alcuni testi sono stati scritti interamente in lingua siciliana perché
considerata dall'autore più viva dell'italiano e capace di esprimere maggiore
aderenza alla realtà. La morsa e Lumìe di Sicilia Roma, Teatro Metastasio,
Il dovere del medico, Roma, Sala Umberto, La ragione degli altri, Milano,
Teatro Manzoni, Cecè, Roma, Teatro
Orfeo, Pensaci, Giacomino, Roma, Teatro Nazionale, Liolà, Roma, Teatro
Argentina, Seconda fase: Il teatro umoristico/grottesco. Pirandello e Marta
Abba Mano a mano che l'autore si distacca da verismo e naturalismo,
avvicinandosi al decadentismo si ha l'inizio della seconda fase con il teatro
umoristico. Presenta personaggi che incrinano le certezze del mondo borghese:
introducendo la versione relativistica della realtà, rovesciando i modelli
consueti di comportamento, intende esprimere la dimensione autentica della vita
al di là della maschera. Così è (se vi pare), Milano, Teatro Olimpia, Il
berretto a sonagli, Roma, Teatro Nazionale, La giara, Roma, Teatro Nazionale, Il
piacere dell'onestà (Torino, Carignano) La patente, Torino, Alfieri, Ma non è
una cosa seria, Livorno, Rossini, Il
giuoco delle parti, Roma, Quirino, L'innesto, Milano, Manzoni, L'uomo, la
bestia e la virtù, Milano, Olimpia, Tutto per bene, Roma, Quirino, Come prima,
meglio di prima, Venezia, Goldoni, La signora Morli, una e due, Roma, Argentina.
Nella fase del teatro nel teatro le cose cambiano radicalmente. Il teatro deve
parlare anche agli occhi non solo alle orecchie, a tal scopo ripristinerà una
tecnica teatrale di Shakespeare, il palcoscenico multiplo, in cui vi può per
esempio essere una casa divisa in cui si vedono varie scene fatte in varie
stanze contemporaneamente. Inoltre il teatro nel teatro fa sì che si assista al
mondo che si trasforma sul palcoscenico. Abolisce anche il concetto della
quarta parete, cioè la parete trasparente che sta tra attori e pubblico. In
questa fase, infatti, tende a coinvolgere il pubblico che non è più passivo ma
che rispecchia la propria vita in quella agita dagli attori sulla scena. Ha
un incontro con Filippo. Conseguenza,
oltre alla nascita di un'amicizia e che Filippo sente come accadde in passato
per lui, il bisogno di allontanarsi dal regionalism dell'arte verista pur
conservandone però le tradizioni e le influenze. Incontra Eduardo, Peppino
e Titina De Filippo. Sei personaggi in cerca d'autore, Roma, Valle, Enrico IV,
Milano, Manzoni, All'uscita, Roma, Argentina, L'imbecille, Roma, Quirino, Vestire
gli ignudi, Roma, Quirino, L'uomo dal fiore in bocca, Roma, Degli Indipendenti,
La vita che ti diedi, Roma, Quirino, L'altro figlio, Roma, Nazionale, Ciascuno
a suo modo, Milano, Dei Filodrammatici, Sagra del signore della nave, Roma, Odescalchi,
Diana e la Tuda, Milano, Eden, L'amica delle mogli, Roma, Argentina, Bellavita,
Milano, Eden, O di uno o di nessuno,
Torino, di Torino, Come tu mi vuoi, Milano, dei Filodrammatici; Questa sera si
recita a soggetto, Torino, di Torino, Trovarsi, Napoli, dei Fiorentini, Quando
si è qualcuno, Buenos Aires Odeón, La favola del figlio cambiato, Roma, Reale
dell'Opera, Non si sa come, Roma, Argentina, Sogno, ma forse no, Lisbona, Teatro
Nacional. Alla fase del teatro dei miti ase si assegnano solo tre opera. La
nuova colonia Lazzaro I giganti della montagna Romanzi Copertina de Il
turno, Madella. Scrive sette
romanzi: L'esclusa, a puntate su La Tribuna (Milano, Treves); Il turno (Catania,
Giannotta); l fu Mattia Pascal, Roma, Nuova antologia. Suo marito, Firenze,
Quattrini. (poi Giustino Roncella nato Boggiolo, in Tutti i romanzi, Milano,
Mondadori, I vecchi e i giovani, Milano, FTreves. Quaderni di Serafino Gubbio
operatore, Firenze, R. Bemporad & figlio. Uno, nessuno e centomila,
Firenze, Bemporad; Novelle. Le novelle sono considerate le opere più durature.
I critici hanno cambiato tale opinione ritenendo le opere teatrali più degne di
essere ricordate. Fare distinzione tra il contenuto di una novello o romanzo e un dramma è difficile. Molte novelle sono
state messe in opera a teatro. “Ciascuno a suo modo” deriva dal “Si gira”. “Liolà”
ha il tema preso da “Il fu Mattia Pascal”; “La nuova colonia” e presentata in “Suo
marito”. Analizzando le novelle si puo renderci conto che ciò che manca è una
delineazione tematica, una cornice. Sono presenti un crogiolo di personaggi ed
eventi. Il tempo in cui una novella e ambientata non è definito. Alcune si svolgono nell'epoca umbertina, poi
giolittiana e del dopo-giolitti. Diversamente accade nella novella siciliana. Iil
tempo non è fissato. E un tempo antico, di una società che non vuole cambiare e
che è rimasta ferma. I paesaggi della novellistica sono vari. Per quella detta
siciliana si ha spesso il tipico paesaggio rurale. In alcune si trova il tema
del contrasto tra le generazioni dovuto all'unità d'Italia. Altro ambiente
delle novelle è la Roma umbertina o giolittiana. Il protagonista e sempre
alla presa con il male di vivere, con il caso e con la morte. Non si trova mai
rappresentanti dell'alta borghesia, ma quelli che potrebbero essere i vicini
della porta accanto: il sarto, il balie, il professore, il piccolo proprietario
di negozi che ha una vita sconvolta dalla sorte e dal dramma familiare. Il personaggio
ci viene presentato così come appaie. E difficile trovare un'approfondita
analisi psicologica. La fisionomia e spesso eccentrica. Per il sentimento del
contrario, il personaggio ha un carattere *opposto* a come si presenta. I
personaggi conversano nel presentarsi per come essi *sentono* di essere. Ma
alla fine, e sempre preda del caso, che li farà apparire diverso e cambiato.
Novelle per un anno -- è uno dei più grandi scrittori di novelle, raccolte
dapprima nell'opera Amori senza amore. In seguito si dedica maggiormente per
tutta la sua vita, cercando di completarla, alla raccolta Novelle per un anno,
così intitolata perché il suo intento e quello di scrivere 365. Novelle per un
anno, Firenze, Bemporad; Milano, Mondadori); Scialle nero (Firenze, Bemporad); La
vita nuda, Firenze, Bemporad, La rallegrata, Firenze, Bemporad, L'uomo solo,
Firenze, Bemporad, La mosca, Firenze, Bemporad, In silenzio, Firenze, Bemporad,
VII, Tutt'e tre, Firenze, Bemporad, Dal naso al cielo, Firenze, Bemporad, IX,
Donna Mimma, Firenze, Bemporad); Il
vecchio Dio, Firenze, Bemporad, La giara,
Firenze, Bemporad, Il viaggio, Firenze, Bemporad, Candelora, Firenze, Bemporad,
Berecche e la guerra, Milano, Mondadori, Una giornata, Milano, Mondadori). Si
svolge la produzione letteraria di Pirandello meno conosciuta dal grande
pubblico, quella delle poesie che, contrariamente alla composizione teatrale,
non esprimono alcun tentativo di rinnovamento sperimentale estetico, e seguono
piuttosto le forme e i metri tradizionali della lirica classica, pur non
rimandando a nessuna delle correnti letterarie presenti al tempo dello
scrittore. Nell'antologia poetica Mal giocondo, pubblicata a Palermo, ma
la cui prima lirica risale quando P. aveva appena tredici anni, emerge uno dei
temi dell'ultima estetica pirandelliana del contrasto tra la serena classicità
del mito e l'ipocrisia e la immoralità sociale della contemporaneità. Sono
presenti, come nota lo stesso P., anche toni umoristici, specie quelli derivati
dal suo soggiorno a Roma. “Mal giocondo” (Palermo, Libreria Internazionale
Pedone Lauriel); Pasqua di Gea, Milano, Galli (dedicata a Schulz-Lander, di cui
si innamora a Bonn, con una chiara influenza della poesia di Carducci. Pier
Gudrò, Roma, Voghera, Elegie renane, Roma, Unione Cooperativa) -- il cui
modello sono le Elegie romane di Goethe); Elegie romane, traduzione di Goethe,
Livorno, Giusti, Zampogna, Roma, Società Editrice Dante Alighieri, Scamandro,
Roma, Tipografia Roma, Fuori di chiave, Genova, Formiggini, Pirandello nel
cinema Inizialmente Pirandello non amava molto il cinema, considerato inferiore
al teatro, e questo interesse maturò lentamente, negli anni. Il rapporto tra P.
e il cinema fu complesso, ambiguo, conflittuale, a volte di totale rifiuto,
altre volte di grande curiosità. E fu certamente la curiosità per questa nuova
modalità di narrazione per immagini, che si era già strutturata come industria
cinematografica, che lo spinse a scrivere il romanzo Si gira, poi ripubblicato con
il titolo Quaderni di Serafino Gubbio operatore. In questo romanzo il suo
giudizio sul cinematografo è spietato sia quando teme che il pubblico abbandoni
i teatri per correre a vedere su uno schermo "larve evanescenti"
prodotte in maniera meccanica e fredda, sia quando descrive il mondo della
produzione cinematografica popolato di personaggi volgari impeg confezionare
prodotti commerciali per soddisfare il palato delle masse e gli interessi degli
uomini d'affari. Nello stesso tempo la struttura stessa del racconto letterario
e l'ipotesi, da lui stesso formulata, di trarne un film prefigurano un'idea di
linguaggio cinematografico di grande modernità: il film nel film. Momento
cruciale per la storia del cinema, nei primi decenni del suo sviluppo, fu
l'avvento del sonoro. Anche in questo caso ad un iniziale rifiuto seguì una
svolta significativa. In una lettera a Marta Abba, Pirandello scrisse. L'avvenire
dell'arte drammatica e anche degli scrittori di teatro è adesso là. Bisogna
orientarsi verso una nuova espressione d'arte: il film parlato. Ero contrario,
mi sono ricreduto" Pirandello sul set de Il fu Mattia Pascal con Pierre
Blanchar e Isa Miranda Il lume dell'altra casa di Ugo Gracci. Il crollo di M.
Gargiulo, Lo scaldino di Genina. Ma non è una cosa seria di Augusto Camerini, La
rosa di Arnaldo Frateili Il viaggio di Gennaro Righelli Il fu Mattia Pascal di
Marcel L'Herbier La canzone dell'amore di
Gennaro Righelli, primo film sonoro italiano è tratto dalla novella In
silenzio. Come tu mi vuoi di George Fitzmaurice con Greta Garbo Acciaio di Ruttmann.
Il fu Mattia Pascal di Pierre Chenal, Questa è la vita di Giorgio Pàstina, Aldo
Fabrizifilm a quattro episodi, tutti tratti da una novella: La giara, Il
ventaglino, La patente e Marsina stretta. Come prima, meglio di prima di J.
Hopper Liolà di A. Blasetti Il viaggio di Vittorio De Sica Enrico IV di Marco
Bellocchio Kaos di P. e Taviani, adattamento da Novelle per un anno, Le due
vite di Mattia Pascal di Monicelli Tu ridi di P. e Taviani, adattamento da
Novelle per un anno; La balia di Bellocchio, adattamento da Novelle per un anno;
P. nell'opera lirica La favola del figlio cambiato di Gian Francesco Malipiero,
Liolà di Giuseppe Mulè, Six Characters in Search of an Author di Hugo Weisgall,
Sagra del Signore della Nave di Michele Lizzi, Sogno (ma forse no) di Luciano
Chailly. Altre opere: Mal giocondo, Palermo, Libreria Internazionale Pedone
Lauriel); A la sorella Anna per le sue nozze, Roma, Tipo-Litografia Miliani e
Filosini, Pasqua di Gea, Milano,
Galli, Amori senza amore, Roma,
Bontempelli); Pier Gudrò, Roma, Voghera, Elegie renane, Roma, Unione
Cooperativa; Traduzione di Goethe, Elegie romane, Livorno, Giusti, Zampogna,
Roma, Società Editrice Alighieri, Beffe della morte e della vita, Firenze,
Lumachi, Lontano. Novella, in "Nuova Antologia", Quand'ero matto....
Novelle, Torino, Streglio, Il turno, Catania, Giannotta); Beffe della morte e
della vita. Firenze, Lumachi, Notizia letteraria, in "Nuova
Antologia", Dante. Poema lirico di G. Costanzo, "Nuova
Antologia", Bianche e nere. Novelle, Torino, Streglio); Il fu Mattia
Pascal, Roma, Nuova Antologia, Erma bifronte. Novelle, Milano, Treves); Prefazione
a Giovanni Alfredo Cesareo, Francesca da Rimini. Tragedia, Milano, Sandron, Studio
preliminare a A. Cantoni, L'illustrissimo. Romanzo, Roma, Nuova Antologia, Arte
e scienza. Saggi, Roma, Modes, L'esclusa, Milano, Treves, Umorismo, Lanciano,
Carabba); “Scamandro” (Roma, Tipografia); “La vita nuda” (Milano, Treves); “Suo
marito, Firenze, Quattrini); “Fuori di chiave, Genova, Formiggini, Terzetti,
Milano, Treves); “I vecchi e i giovani, Milano, Treves); Cecè. In "La
lettura", Le due maschere, Firenze,
Quattrini, Erba del nostro orto” (Milano, Studio Lombardo); “La trappola” (Milano,
Treves); “Se non così” "Nuova Antologia", Si gira ( Milano, Treves);
“E domani, lunedì” (Milano, Treves); “Liolà” ( Roma, Formiggini); Se non così Con
una lettera alla protagonista, Milano, Treves); “Un cavallo nella luna” (Milano,
Treves); Maschere nude, Milano, Treves, Pensaci,
Giacomino, Così è (se vi pare), Il piacere dell'onestà, Milano, Treves); Il
giuoco delle parti. Ma non è una cosa seria. Milano, Treves, Lumie di Sicilia.
Il berretto a sonagli. La patente. Milano, Treves, L'innesto. La ragione degli altri, Milano, Treves, Berecche e la guerra, Milano, Facchi, Il
carnevale dei morti. Firenze, Battistelli, Tu ridi. Milano, Treves); Pena di
vivere così, Roma, Libreria nazionale, Maschere nude” (Firenze, Bemporad); Tutto per
bene. Firenze, Bemporad, Come prima meglio di prima. Firenze, Bemporad); “Sei
personaggi in cerca d'autore -- commedia da fare” (Firenze, Bemporad); Enrico
IV (Firenze, Bemporad); L'uomo, la bestia e la virtù” (Firenze, Bemporad, La
signora Morli, una e due. Firenze, Bemporad, Vestire gli ignudi. Firenze,
Bemporad, La vita che ti diedi. Firenze, Bemporad, Ciascuno a suo modo.
Firenze, Bemporad, X, Pensaci, Giacomino! Firenze, Bemporad, Così è (se vi
pare). Firenze, Bemporad, Sagra del signore della nave, L'altro figlio, La
giara. Firenze, Bemporad); Il piacere dell'onestà. Firenze, Bemporad, Il berretto a sonagli. Firenze, Bemporad, Il giuoco delle parti. Firenze, Bemporad, Ma
non è una cosa seria. Firenze, Bemporad, L'innesto Firenze, Bemporad, La
ragione degli altri. Firenze, Bemporad, L'imbecille, Lumie di Sicilia, Cecè, La
patente.Firenze, Bemporad, All'uscita. Mistero profano, Il dovere del medico.
La morsa. L'uomo dal fiore in bocca.
Dialogo, Firenze, Bemporad, Diana e la Tuda. Firenze, Bemporad, L'amica delle mogli. Firenze, Bemporad, La
nuova colonia. Firenze, Bemporad, Liolà. Firenze, Bemporad, O di uno o di
nessuno. Firenze, Bemporad, Lazzaro (Milano, Mondadori); “Questa sera si recita
a soggetto” (Milano, Mondadori); “Come tu mi vuoi” (Milano, Mondadori); “Trovarsi”
(Milano Mondadori); “Quando si è qualcuno” (Milano, Mondadori); “Non si sa come”
(Milano, Mondadori); “Novelle per un anno, Firenze, Bemporad, Milano,
Mondadori, I, Scialle nero, Firenze, Bemporad, La vita nuda, Firenze, Bemporad,
La rallegrata, Firenze, Bemporad, L'uomo solo, Firenze, Bemporad, La mosca, Firenze, Bemporad, In silenzio,
Firenze, Bemporad, Tutt'e tre, Firenze, Bemporad, 1Dal naso al cielo, Firenze,
Bemporad, Donna Mimma, Firenze, Bemporad, Il vecchio Dio, Firenze, Bemporad, La
giara, Firenze, Bemporad, Il viaggio, Firenze, Bemporad, Candelora, Firenze,
Bemporad, Berecche e la guerra, Milano,
Mondadori, Una giornata, Milano,
Mondadori, Teatro dialettale siciliano, 'A vilanza, Cappiddazzu paga tuttu, con
Nino Martoglio, Catania, Giannotta, Prefazione a N. Martoglio, Centona.
Raccolta completa di poesie siciliane con l'aggiunta di alcuni componimenti
inediti, Catania, Giannotta, Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze,
Bemporad, Uno, nessuno e centomila, Firenze, Bemporad, Prefazione a E. Levi,
Lope de Vega e l'Italia, Florencia, Sansoni, Introduzione a S.D'Amico, Storia
del teatro italiano, Milano, Bompiani); In un momento come questo, in "Nuova
Antologia",Giustino Roncella nato Boggiolo, in Tutti i romanzi, Milano,
Mondadori, Tutti i romanzi, Milano, A. Mondadori, Novelle per un anno, Milano,
A. Mondadori, Maschere nude, Milano, A. Mondadori); Lettere a Marta Abba,
Milano, Mondadori, Saggi e interventi, Milano, A. Mondadori. Oltre al Nobel
ricevette diverse onorificenze: Cavaliere di Collare dell'Ordine equestre
del Santo Sepolcro di Gerusalemme nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di
Collare dell'Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme Arcade Minore
della Secolare Accademia del Parnaso Canicattinesenastrino per uniforme
ordinariaArcade Minore della Secolare Accademia del Parnaso Canicattinese —
Canicattì Intitolazioni. A lui è stato dedicato un asteroide. Enciclopedia
Italiana Treccani alla voce Girgenti. In A. Camilleri. Biografia del figlio
cambiato, Milano, Lettere da Palermo e da Roma, Bulzoni, Roma, Il risorgimento familiare.
Medicina e Insonnia. in.. Riferimenti autobiografici a questo problema che
affligge si trovano in numerose sue opere: Il turno, L'amica delle mogli, Il fu
Mattia Pascal, L'uomo solo, La trappola, La giara G. Bonghi, Biografia di P.., Edizione dei
classici italiani A. Camilleri, In
effetti, afferma in un lettera ai familiari da Roma. I professori di questa
università, nella facoltà mia, sono d’una ignoranza nauseante (Lettere giovanili
da Palermo e da Roma Bulzoni, Roma, difese pubblicamente durante una lezione un
suo compagno rimproverato ingiustamente dal rettore. M. Manotta, L. Pirandello, Pearson Italia
S.p.a., Da Album Pirandello, I Meridiani
Mondadori, Milano, A. Camilleri, Biografia del figlio cambiato, BU. La storia
di Luigi e Antonietta è infatti quella di un matrimonio di una Sicilia di fine
'800, combinato per interesse, da parte di due soci nel commercio dello zolfo.
Antonietta porta la dote che assicura ai giovani sposi sbarcati da Girgenti in
continente e approdati a Roma, una vita tranquilla e permette a Luigi di affermarsi
come scrittore. Il matrimonio d'interesse è sublimato grazie alla letteratura e
diventa un matrimonio d'amore con la moglie ideale (in Anna Maria Sciascia, Il
gioco dei padri. Pirandello e Sciascia, Avagliano, S. Guglielmino, H. Grosser,
Il sistema letterario Milano, Principato, Storia, G. Mazzacurati, Introduzione
e biografia, dalla Prefazione a Il fu Mattia Pascal, Einaudi; Vita di
Pirandello; Pirandello e la moglie Antonietta, G. GiudiceTipografico Torinese, M.
Manotta, Pearson Paravia Bruno Mondadori, L. P., S. P., A. P., Il figlio
prigioniero: carteggio tra L. e S. Pirandello durante la guerra Mondadori, Motivazione del Premio Nobel per la
Letteratura. TUTTI I NO DI MUSSOLINI A P.. L'arci-fascista non piace al Duce; G.
Afeltra, Mia cara Marta, l'amore platonico di Pirandello Tra Pirandello e M. Abba ottocento lettere di
emozioni Einstein e l'invito. Lo scontro
che nessuno vide L. Lucignani,
Pirandello, la vita nuda, Giunti, Pirandello e la prima guerra mondiale. Chiede
di entrare nei Fasci (La Stampa); F. Sinigaglia, I volti della violenza a teatro,
Lucca, Argot. Non e l'unico filosofo che si iscrive al partito fascista nel
pieno della vicenda Matteotti. Ungaretti si iscrisse appena nove giorni dopo il
funerale di Matteotti (Stato matricolare di Ungaretti, Università "La
Sapienza" di Roma. La sua adesione al fascismo, G. Giudice, Pirandello (POMBA
Torino); Pirandello e la politica, su atutta scuola. G. Lagorio, Troppi
idiotic. E P. partì; P., nudità e FASCISMO; P.. Gli anni del fascismo; Mussolini,
Nel solco delle grandi filosofie -- relativismo e fascismo, in Il popolo
d'Italia. Le idee di Mazzini e di Sorel influenzano profondamente il fascismo
di Mussolini e GENTILE (S. Zamponi, Lo spettacolo del fascismo, Rubbettino. Sorel
è veramente il notre maître (Mussolini, Il Popolo in Opera Omnia); Interviste:
parole da dire, uomo, agl’altr’uomini, Rubbettino; riportato da Giudice. Prefazione
alle Novelle per un anno, Milano, Storie dalla storia, L'oro alla patria Il
Sole 24 ORE M. Sambugar, Letteratura
italiana per moduli, Incontro. R. Dombroski, L'esistenza ubbidiente – la
filosofia sotto i fasci (Guida); L'Ovra a Cinecittà di Marino, Boringhieri, Il Post); I giganti della montagna,
taote. Così, in una bara in affitto,
riportammo a Girgenti le sue ceneri. Malgrado i divieti prima del gerarca, poi
del pre-fetto, e infine del vescovo. In Camilleri e lo strano caso delle ceneri
di Pirandello. N. Borsellino, Il dio di Pirandello: creazione e sperimentazione,
Sellerio, R. Alajmo, Le ceneri di Pirandello, Drago, in Saggi poesie, scritti
varii Mondadori, Milano). I filosofi hanno il torto di non pensare alle bestie
e davanti agl’occhi di una bestia crolla come un castello di carte qualunque
sistema filosofico. D. Marcheschi, L'umorismo, Milano, Oscar Mondadori, X. Marcheschi rivela che copia intere pagine del
saggio da opere precedenti di Dumont, Binet, Séailles, Negri, Marchesini,
nonché dalla Storia e fisiologia dell'arte di Ridere di Massarani. Vedi
articolo de Il Giornale, in “Caro P., ti ho beccato a copiare. P., L'umorismo e altri saggi, Giunti; S.
Guglielmino, H. Grosser, Il sistema letterario Milano, Principato, TP.: guida
al Fu Mattia Pascal, Carocci, Scrittori sull'orlo di una scelta spiritista
Sambugar, La sua filoofia s'inserisce in un contesto culturale in cui è
presente il concetto di relativismo: la teoria della relatività di Einstein, il
Principio di indeterminazione di Heisenberg, la teoria quantistica di M. Planck.
Simmel fonda il suo relativismo sulla convinzione che non esistono leggi
storiche obiettivamente valide. Dizionario di filosofia). E nelle arti
figurative il relativismo è ripreso dal cubismo caratterizzato da una
rappresentazione dell'oggetto considerato simultaneamente da diversi punti di
vista. S. Guglielmino, H. Grosser, Il sistema letterario Milano, Principato, Maschere
nude, Zorzi, Newton Compton); Providenti, Epistolario familiare giovanile Quaderni
della Nuova Antologia, Le Monnier, Firenze, Roberto Alonge, Pirandello,
Laterza, Bari, Elio Providenti, Luigi Pirandello. Epistolario, Quaderni della
Nuova Antologia, Le Monnier, Firenze); U. Artioli, L'officina segreta di
Pirandello, Laterza, RomaBari, Luigi Pirandello, una vita da autore, repubblicaletteraria.
C. Vicentini, Il disagio del teatro (Marsilio, Venezia). La prima
rappresentazione della commedia La morsa si ha a Roma, al Metastasio, ad opera
della Compagnia del "Teatro minimo" diretta da N. Martoglio che la
mise in scena assieme all'atto unico Lumie di Sicilia. Cedendo alle insistenze
di Martoglio acconsentì a che La morsa e Lumie di Sicilia sono rappresentate
nella stessa serata. I due atti unici hanno diverso esito presso il pubblico,
che accolge con favore La morsa, mentre non grade Lumie di Sicilia (in
Interviste, Parole da dire, uomo, agli altri uomini" di I. Pupo, Rubettino,
Legato a ricordi della fanciullezza di
Pirandello. Da. Savio, Il carnevale dei
morti. Sconciature e danze macabre nella narrative, Novara, Interlinea. l mio
primo libro fu una raccolta di versi, “Mal giocondo”. In quella prima raccolta
di versi più della metà sono del più schietto umorismo, e allora io non so
neppure che cosa e l'umorismo ("Le lettere"); “Il cinema di Amedeo
Fago P. NASA. Enrico 4., Firenze, Bemporad e figlio, Esclusa, Milano, Fratelli
Treves, Fu Mattia Pascal, Milano, Treves, I P.. La famiglia e l'epoca per
immagini, E. Zappulla, Catania, la Cantinella, R. Alonge, Roma-Bari, Laterza, U.
Artioli, L'officina segreta” (Bari, Laterza); Barilli, La linea Svevo-P.,
Milano, Mursia, E. Bonora, Sulle novelle per un anno in Montale e altro
novecento, Caltanissetta-Roma, Sciascia, N. Borsellino, Ritratto e immagini, Roma-Bari,
Laterza, N. Borsellino e W. Pedullà (diretta da), Storia generale della
letteratura italiana, Il Novecento, La nascita del Moderno, Milano, Motta, Michele
e Rössner, L’identità italiana, Atti del Convegno internazionale di studi
pirandelliani, Graz Pesaro, Metauro, Arcangelo Leone De Castris, Storia di Pirandello
(Bari, Laterza); A. Benedetto, Verga, Annunzio, Pirandello (Torino, Fògola); L.
Lugnani, L'infanzia felice (Napoli, Liguori); Macchia, “La stanza della tortura,
Milano, Mondadori, Pirandello e
dintorni, Catania, Maimone, F. Medici, Il dramma di Lazzaro. Asprenas, A. Pagliaro,
“U ciclopu, dramma satiresco d’Euripide ridotto in siciliano (Firenze,
Monnier); G. Podestà, "Humanitas",
F. Puglisi, L'arte; Messina-Firenze, D'Anna, F. Puglisi, P. e la sua lingua,
Bologna, Cappelli, Puglisi, P., Milano, Mondadori, F. Puglisi, P. e la sua
opera Catania, Bonanno, C. Salinari, Miti e coscienza del decadentismo
italiano. D'Annunzio, Pascoli, Fogazzaro, P.” (Milano, Feltrinelli); A. Sichera,
Ecce Homo!Nomi, cifre e figure di P. (Firenze, Olschki); Scrivano, La vocazione
contesa (Roma, Bulzoni, Taffon, Il gran teatro del mondo, in Maestri
drammaturghi nel teatro italiano. Tecniche, forme, invenzioni, Roma, Laterza, G.
Venè, “Fascista. La coscienza borghese tra ribellione e rivoluzione” (Venezia,
Marsilio); Veronesi (Napoli, Liguori); Vicentini, “Il disagio del teatro” (Venezia,
Marsilio); R. Vittori, Il trattamento cinematografico dei 'Sei personaggi' (Firenze,
Liberoscambio); Zappulla, P. E LA FILOSOFIA SICILIANA, Catania, Maimone, Filosofi
siciliani del secondo dopoguerra, Catania, Maimone. Casa d Fabbri Lanterninosofia
su Pirandello Treccani Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Conferenza Episcopale Italiana. nobelprize. Audiolibri
di Luigi Pirandello, su LibriVox. di P.,
su Internet Speculative Fiction Database, Al von Ruff.:etteratura fantastica,
Fantascienza. Movie
L., su Internet Broadway Database, The Broadway League. P., su
filmportal.de. Centro Nazionale Studi Pirandelliani, su cnsp. Istituto
di studi pirandelliani allo Studio P.. E. Licastro, Pirandello fra Spengler e
Wittgenstein. GIRGENTI(das alte AGRIGENTVM), einer der sieben Haupt- orte, in
welche sich Sicilien politisch teilt, liegt wenige Kilo- meter von der
südlichen Küste der Insel und zählt etwa 20 000 Einwohner. Gegen Norden
erstreckt sich seine Provinz bis Cammarata, westlich bis Sciacca, gegen Osten
bis an den Flufs Maroglio, und umfalst die Gegenden Aragona, Favara, Naro,
Canicattí, Casteltérmini, Cianciana, Cammarata, S. Stéfano, Ribera, Sciacca,
Bivona, Re- calmuto, Raffadali, Licata u. a. Die mundartlichen Grenzen
entsprechen aber nicht genau den Verwaltungs-Grenzen; wir finden deshalb, dals,
während es zwischen GIRGENTI und den kleinen es umgebenden Gegenden, wie z. B. PORTO
EMPEDOCLE, Siculiana, Montaperto, Aragona, Recalmuto, Favara, aufser einer
gewissen Dehnung der Aussprache nur sehr seltene oder fast keine
Verschiedenheiten giebt, man das- selbe von den Gegenden, die sich mehr von ihm
entfernen, nicht sagen kann. So z. B. Canicattí und Casteltérmini nähern sich
mehr der mundartlichen Gruppe des Innern der Insel (Caltanissetta), wo die
Aussprache im allgemeinen sehr gedehnt ist, und in ihren Gegenden bemerkt man
besonders die Diphthongierung des e (g, e) und des o (e, ?), welche in Girgenti
(Hauptort) und an den Küsten ganz unbekannt ist. So nähert sich auch Licata
etwas den Mundarten der Südost- spitze, namentlich in der Entwickelung des kz
(aus pl, cl, tl) zu & (canu, occu, veciu, wie in Noto, Múdica); ferner
gehört Sciacca fast ganz zu der mundartlichen Gruppe der westlichen Küste der
Insel, da in ihr die Hauptmerkmale selbst, die ge-wöhnlich in der ganzen
Provinz sind, fehlen: /+ Hiati =gy, statt =/ (filiu = figgyu, agrig. fitu);
Perfekt -avit = áu statt ú (purtáu, purtá); 9+a, 0, u=j: jammi, jaña (agrig.
gammi, gaña) u. s. w. Bei der Verfertigung dieser Arbeit habe ich besonders die
folgenden Werke benutzt: F. Diez, Grammatik der romanischen Sprachen.
Meyer-Lübke, Grammatik der romanischen Sprachen. Italienische Grammatik.
Leipzig 1890. H. Schneegans, Laute und Lautentwickelung des sicilianischen
Dialektes. Strafsburg; Hüllen, Vokalismus des alt- und neusicilianischen
Dialektes. Bonn; Giovanni, Cinquanta Canti, novelline, sequenze e scritti
popolari siciliani. Palermo; Giovanni, Venticinque Canti e novelline popolari
siciliane. Palermo] und manche andere, die ich in derselben nicht unterlassen
habe zu citieren. Sehr viel aber hat es mir auch geholfen, dals ich aus der
Provinz GIRGENTI gebürtig bin und in mir selbst die beste Grundlage meiner
Arbeit gefunden habe. Für die gütige Teilnahme an der Arbeit sage ich Foerster
hiermit meinen herzlichsten Dank; ferner mufs ich auch dem Herrn Prof. E.
Monaci, meinem hochver- chrten Lehrer in Rom, danken und den Freunden Prof. E.
Si- cardi von Palermo, Dr. Giovanni Taormina von Siculiana für die mir
liebenswürdig gesandten Nachrichten. Laute und Lautentwickelung der
Mundart von GIRGENTI. Halle a. S., Druck der Buchdruckerei des
Waisenhauses. Foerster in dankbarer Verehrung gewidmet. GIRGENTI
(das alte AGRIGENTVM), einer der sieben Hauptorte, in welche sich Sicilien
politisch teilt, liegt wenige Kilometer von der südlichen Küste der Insel und
zählt etwa 20 000 Einwohner. Gegen Norden erstreckt sich seine Provinz bis
Cammarata, westlich bis Sciacca, gegen Osten bis an den Flufs Maroglio, und
umfalst die Gegenden Aragona, Favara, Naro, Canicattí, Casteltérmini,
Cianciana, Cammarata, S. Stéfano, Ribera, Sciacca, Bivona, Recalmuto,
Raffadali, Licata u.a. Die mundartlichen Grenzen entsprechen aber nicht genau
den Verwaltungs-Grenzen; wir finden deshalb, dafs, während es zwischen Girgenti
und den kleinen es umgebenden Gegenden, wie z. B. Porto-Empe-docle, Siculiana,
Montaperto, Aragona, Recalmuto, Havara, aufser einer gewissen Dehnung der
Aussprache nur sehr seltene oder fast keine Verschiedenheiten giebt, man
dasselbe von den Gegenden, die sich mehr von ihm entfernen, nicht sagen kann.
So z. B. Canicattí und Casteltérmini nähern sich mehr der mundartlichen Gruppe
des Innern der Insel (Caltanissetta), wo die Aussprache im allgemeinen selir
gedehnt ist, und in ihren Gegenden bemerkt man besonders die Diphthongierung
des e (g, e) und des o (8, p), welche in GIRGENTI (Hauptort) und an den Küsten
ganz unbekannt ist. So nähert sich auch Licata etwas den Mundarten der
Südost-spitze, namentlich in der Entwickelung des liz (aus pl, c, tl) zu c
(canu, ou, veccu, wie in Noto, Módica); ferner gehört Sciacca fast ganz zu der
mundartlichen Gruppe der westlichen Küste der Insel, da in ihr die
Hauptmerkmale selbst, die ge-wöhnlich in der ganzen Provinz sind, fehlen: /+
Hiat i = gy, statt = 1 (filiu - figgyu, agrig. fitu); Perfekt -avit = áu statt
(purtáu, purtá); 9+a, 0, u-j: jammi, jaña (agrig. gammi, gana) u. s. w.
Bei der Verfertigung dieser Arbeit habe ich besonders die folgenden Werke
benutzt: F. Diez, Grammatik der romanischen Sprachen. Meyer-Lübke, Grammatik
der romanischen Sprachen; Italienische Grammatik. Leipzig; Schneegans, Laute
und Lautentwickelung des sicilianischen Dialektes. Strafsburg Hüllen,
Vokalismus des alt- und neusicilianischen Dialektes. Bonn. Giovanni, Cinquanta Canti, novelline,
sequenze e scritti popolari siciliani. Palermo; Giovanni, Canti e novelline
popolari siciliane. Palermo] und manche andere, die ich in derselben
nicht unterlassen habe zu citieren. Sehr viel aber hat es mir auch
geholfen, dals ich aus der Provinz GIRGENTI gebürtig bin und in mir
selbst die beste Grundlage meiner Arbeit gefunden habe. Für die gütige
Teilnahme an der Arbeit sage ich Foerster hiermit meinen herzlichsten Dank;
ferner mufs ich auch dem Monaci, meinem hochverehrten Lehrer in Rom, danken und
den Freunden Sicardi von Palermo, Taormina von Siculiana für die
mir liebenswürdig gesandten Nachrichten.Diakritische Zeichen.*
Vokalismus. ç = offenes e, e = geschlossenes r, i = sehr offenes i,
beinahe e, a = sehr offenes u, beinahe o, !. Halbvokale. Konsonantismus.
*Kons. = gedehnte Aussprache des Anlautes: dumama, decottu, bannera, ve,
"Roma, k? = fl: zuri (flore), xmmi (flumen), % = ts:
carraratu, 2= ds: vurza, i = palat. c, g = palat. g, J2
= ital. gh in ghiotto, $ = franz. ch in „cheval", del = Il (es
wird bei uns nicht mit Schneegans gebildet, „in-dem man die Zungenspitze nicht
wie bei d gegen die obere Zahnreihe drückt, sondern gegen die Gaumen-höhle,
nachdem man sie nach hinten umgeschlagen hat"; denn es ist nicht das
Gaumen-d der Sarden, klingt vielmehr palatal: es ist ein mit dem Zungen-rücken
auf dem Mittelgaumen hervorgebrachtes g, wobei die Zungenspitze den Rand über
den oberen Alveolen berührt, 4 = mouilliertes / (ital. gl), ñ =
mouilliertes n (ital. gn), += ti + Vok. - ist die stimmlose zu der
stimmhaften d!, Sf = sti+ Vok. — wobei die Zungenspitze sich gegen den
Mittelgaumen mehr nähert als bei s, i — faukales n in sanu
(sangue), le = ital. ch + Vok. im Hiat (liy = liz), 'm)
'n) = Vokm, Vok.n. *) Man entschuldige die Ungleichartigkeit
ciniger Zeichen mit dem Fehlen entsprechender Zeichen im Vorrat der
Druckersi. A bleibt in der Regel sowohl in GIRGENTI (Hauptort) als in der
Provinz unverändert: capu (caput); fava (faba); lizavi (clave); amu (hamu);
vraca (braca); lagu (lacu); paci (pace); vaggu (radiu); maju (maju); gratu
(gratu); gradu (gradu); nasu (nasu); manu (manu); bañu (*baneu); "raru
(raru); ala (ala); pata (palea); cavaddu (caballu); annu (annu); gattu (cattu);
passu (passu); parti (parte); arcu (arcu); árbulu (arbor); ama (arma); marba
(malva); áutu (altru); cáudu (caldu); fúusu (falsu); canta (cantat); canca
(cambiat); santu (sanctu); latte (lacte); matressa (metaxa); labbru (labru);
pati (patre). Besondere Fälle - lat. mälum. Im allg. Sicilianischen fehlt
die entsprechende Form zum ital. melo aus griech. melon (u82ov); statt ihrer
findet sich nur pumu; ammilatu, d.h. „del sapore o del colore d'una mela"
ist aus ital. melo geholt und wird metaphorisch wie in „parlari ammilatu"
gebraucht. Mu-luni (aus Angleichung des i an das tönende u) ist der ital.
mellone. Lat. gravis (ital. grave und greve, cf. Canello, Arch. glott. ital.)
ist allg. siz. gravi adjektivisch und ad-verbial, aber gelehrt, z. B. „casu
gravi, malatu gravi"; zun ital. greve „con valore puramente
materiale" entspricht agrig. gravisu; sonst hat *grevis in grevu
„geschmacklos" „dumm" und „pesante nello scherzo", deshalb
grizanza, und in grevia „mal' umore, pesantezza di spirito" seine Stelle
ein-genommen. Lat. alacer hat sich nur im Sinne von „pronto, attivo,
vivace" im ital. alacre, alacrità, alacremente, aber ge-lehrt und
entlehnt, erhalten; im Sinne von „lustig, fröhlich, freudig, heiter" ist
vulglat. *alécrus an seine Stelle getreten: ital. allegro, allg. siz. allegru,
oft bei dem Volke: allégiru, mit i - Einschiebung. Lat. ceraseus hat sich
im ganzen Sicilianischen sing. crasa, plur. crasi erhalten; cf. sard. kerasa,
neap.-röm. ierasa, ¿erase (nicht ierase, wie Meyer-L., Ital. Gram. schreibt).
Lat. Suffix -aria, -arius erscheint im allg. Sic. und im Agrig. als -ara, -aru;
als ara, -are; als -cra, -eri; als -er, - ergu. Beispiele:
panaru, picuraru, nutaru, vurdunaru, azaru, jin-naru, frivaru, murtaru u. a.
(echt volkstümlich); sigritarzu, calanar, ssafalaru, mancataru,
nivis-sargu u. a.; 1) vueri, giseri, camperi, lucanneri, luktigeri u.
a.; rifrigger, maggisterzu, virser u. a. Doppelformen: abbirsarm
entgegenstehend und virseru Widersacher, Teufel, adversarius; arginteri
Silberarbeiter und Argintaru Name eines Berges aus argentarius; cavaddaru
Führer der Lastpferde und cavaleri (die Landbewohner nennen cavalera eine
Mandel, die harte Schale hat) aus *caballarius; galera (auch galia Galere)
Gefängnis, z. B. „mannari 'ngalera" zur Zwangsarbeit verurteilen und
gallaría (?), cf. Canello, aus calaria von sãñov; quartara Krug „la quarta
parte d'un barile" und quarteri Stadtviertel aus quartarius; cannilaru
Lichtzieher und cannileri Leuchter aus *candela-rius u.a. Man konnte hier auch
svarzu, sbar (ital. svago) Belustigung und sgarru, sbatu (ital. sbaglio) aus
*ex-varius, varius = Badeós, cf. Canello, hinzufügen. Die volkstümliche
Entwickelung von -arius ist aber nur -aru, wie Schneegans gut erklärt
hat; - arzu ist besonders ital. Einfuhr, v. g. calendario, proprietario,
segretario, locatario „colvi che prende a pigione casa, bottega etc.",
Fan-fani, Voc. ital. neben locandiere „padrone d'una locanda" (statt
lucataru oder lucataru findet sich aber agrig. lucateri neben lucanneri in
demselben Sinne wie im Ital.); - eri, - eru sind besonders französisch oder
italianisierend auf franz. Ur-sprung, vgl. boucher, agrig. vucteri, altfrz.
jusier, agrig. giseri, prov. campier, agrig. camperi u. a. Allg. sic.
jittari, jetta, jittatu dürfte nicht auf ejéctat beruhen (Meyer-L., Ital.
Gramm.), sondern, wie im franz. *jecère, a durch j beeinflufst
sein. Lat. natare (ital. notare, nuota) ist in Girgenti natari, nata in
der Regel geblieben, und so auch aqua — acqua; caseu - cau (s + Hiat i). Zu dem
calab. miercu (Meyer-L.) entspricht agrig. mercu (ital. marco, marchio
Zeichen), miercu in Casteltermini, Canicatti, mircari (cf. altfranz. merc,
merchier). Lat. habeo = aju, neben e, eju; darüber ist zu bemerken:
a) e kann einfache Kontraktion von aju sein, vgl. t'e mannatu, l'e amatu
Licata = t'aju mannatu, l'aju amatu) e= aju a + Infinitiv (von aj'a...,
cf. franz. j'ai à ...). Die einfachen Formen des FVTVRVM sind in GIRGENTI
mundartlich ganz und gar ungewöhnlich: t'e fari moriri, t'e mannari a
"Roma = t'aj'a "fari moriri, t'aj'a mannari a "Roma (ital. ti
faró morire, ti manderó a Roma); y) die Form eju = aju, speziell aus
Casteltermini, kann so gebildet sein: zwischen e (gewöhn-liche, einfache
Kontraktion von aju) und a + Infin. ist ein j vorgekommen, vgl. z. B.
affirratu e janci (e = ai Artikel und hanéi, anci von ganci, ital.
gancio); ej a jiri = e a jiri; später wird ej a zu eja, wie in m'eja
namurari = m'aiu a "na- murari, danach wird eja zu aju analogisiert
eju. Sehr häufig ist ferner a von aju a, besonders in der Stadt Girgenti und an
den Küsten: m'a namurari, m'a fari 'stu piacri = mai a fari stu piaciri; d) die
literarischen Formen aja, ajamu, ajati, ajanu sind mundartlich ungewöhnlich;
nur in einer verwünschenden Ausrufung - "mannagga! (mal ne abbia) findet
sich agga von habea. Agrig. lizovu, covu in Licata, aus clavus ist nicht
klar; aber vielleicht läfst es sich aus clavr = clau-u = clau-v-u erklären. -
Lat. sapio (ital. so) ist in GIRGENTI saie (p+i im Hiat = ē) regelrecht
geworden. - Muncu (ital. monco) aus mancu ist nicht volkstümlich; statt seiner
sagt das Volk: ¿uncu (cf. ital. cionco), oder „sen:a manu", aber
mancari,mancu, mancanza (für monco neben manco im Ital., of. Canello). Suffix -abilis =
abili, abuli: curabili, maniatuli; öfters aber hat ital. -evole seine Stelle
eingenommen: ludevuli, cum- passiunevuli, durevuli u. a.
Suffix-aticum = aggu; cumpanaggu (ital. companatico); sarvaggu (silvaticu)
u. a. Gelehrtes -aticu is geblieben in: stallaticu (ital. stallatico, auch
stallaggio), viaticu, estaticu. Mlat. amandola (ital. mandorla) giebt
ménnula (cf. occ. amenlou). Neben kuarke (ital. qualche) aus
qualeque, findet sich uft, auch in agrig. lorki, vielleicht aus *kaurki;
möglich finde ich es, weil ich viele Male kaurkidunu (ital. qualcheduno),
be-sonders in Porto-Empedocle, gehört habe, obwohl das k sonst immer u an sich
zu ziehen pflegt; vgl. kuatela von kautela (auch cotela). Endlich,
der betonte Vokal a, sowohl in offener als in geschlossener Silbe, wird in
einigen Mundarten der Provinz, besonders in Aragona und Recalmuto, nach Guttur,
und Lab. in ua diphthongiert, z. B. guaddu, cuani, curcuari, puani. §2. e @ (= è
litt. lat.) bleibt gewöhnlich in GIRGENTI (Hauptort) und im allgemeinen
an den Küsten. Im Innern der Provinz, und besonders in einigen Gegenden, wie z.
B. Casteltermini, Canicatti, wird e zum Diphthong ie. e bleibt:
crepa (crepat); leva (levat); tema (tremit); prega (precat); nega (negat); deci
(decem); peju (pejus); meti (metit); pedi (pede); sedi (sedit); teni (tenit);
seru (seru); feli (fel); peta (petra); lebbru (lepore); nela (nebula); merlu
(merulu); ecklqu (vetulu); metu (melius); teña (teneat); menzu (medius);
ferru (ferru); beddu (bellu); pettu (pectus); setti (septe); sé sex); vespa
(vespa); festa (festa); jinessa (genestra), erba (herba); certr (certu);
perdi (perdit); sempri (semper); centu (centí). frieri, wieni, tieri,
nierier, miete, mienzu, viers, viene, bieni, liévitu, miévula, mierlu,
mienzu, viersu u.s. w. (Casteltermini, Canicatti). Dieser Diphthong
findet sich immerim Munde des Volkes, und er ist das bemerkbarste Kennzeichen
dieser Gegenden. Dafs die gebildeten Stände beim Spre- chen
versuchen ihn zu vermeiden, versteht sich, weil er immer einem Ohre, das an
gebildetes Sprechen gewöhnt ist, unangenehm auffällt. Und so wird es kommen,
dals eine gebildete Person, nehmen wir an in Casteltermini selbst, um nicht mit
dem Volke: „viersu, mienzu, mierlu" zu sagen, „versu, menzu, merlu"
sagen wird, was dann nicht die Mundart von Casteltermini, sondern gewöhnliches
Sicilianisch ist, das von jedem Gebildeten in Sicilien gesprochen wird. Die
Leute aus dem Volke, die die Wörter am meisten dehnen, sprechen: „viersu,
miensu, mierlu" in einer noch mehr offenen und gedehnten Weise aus, als
die besser Gebildeten, welche die Diphthongen doch immer aussprechen, aber in
einer weniger unangenehmen Weise. Damit will ich sagen, dals die
Diphthongierung des e existiert in einigen Gegenden des Innern der Provinz,
abgesehen von der Affektation und der Dehnung, mit welchen sie ausgesprochen
werden kann; und dals es, nach meiner Meinung, unverantwortlich ist, aus der
einfachen That-sache, dals die Gebildeten diesen Diphthong zu vermeiden suchen,
zu schliefsen, wie jemand es gethan hat, dals es die blofse Wirkung
affektischer Rede sei. Dals der Vokal, welcher die folgende Silbe
schliefst, einen Einfluls auf das e ausübt, finde ich sicher (cf. neap. und
calab.). Wir finden ½ B.: piettu, liettu, frummiente, priezza,
lamientu, bieddu, mienzu, viellzu, bieni, pietti, lamienti u.s.w. - und: erba,
beddo, petta, picuredda, palummedda, cublizaredda, petta, testa, terra, ichliga
u. s. w. Wenn wir hierauf keine Rücksicht neh- men, wie können wir
die zwei Formen: „bieddu" und „bed-da", „pietti" und
„petta", „vieklizu" und „velkza", „patum-mieddi" und
„palummedda" erklären? Anmerkungen. Linnina aus lens, lendis, mit
den calab. lindine, campob. linenc (dagegen im ital. lendine) scheint auf ein
& zurückzugehen. Vestice aus bestia (ital. bestga) würde zu Gunsten
eines g sprechen, ist aber nicht volkstümlich entwickelt. Lat. HERI (ital. ieri) ist agrig. ajeri,
wie im ganzen Sicil. (cf. span. ayer = ad heri). Bei múntua (ital.
méntova) ist e nach m zu a geworden. Ital. scendere, allg. sic. sinniri aus
lat. descendere (kaum vermischt mit discindere, wie Meyer-L., Ital.
Gramm.). 'Ntinna (wie das ital. antenna) scheint auf ein lateinisches
® zurückzuführen. e zu i im Hiat.: diu, auch "di (Deus): „Di
nun móta" Gott behüte; „pi l'amuri di di" um Gottes willen;
miu (meus); in Casteltermini findet sich ma = miu, mia (vgl. ia =
iu) „ma pati", „ma mati", in der ganzen Provinz aber auch me frati,
me mati, und fraturzu me neben fraturäll miu; endlich riu aus reus. §
3. alls vulglat. e = a) è, B) i, y) vulglat. i = kl. lat. i wird agrig.
i. a) aus lat. è: mi (me); ti (se); si (se); sivu (sebu); fici (fecit);
liggi (lege); sita (seta); cridi (credit); pisu (pesu); vini (renes); sira
(sera); tila (tela); cannila (candela). Besondere Fälle: Volkstümlich
(aber meist ital. Einflufs) e statt i zeigen die Wörter: statera, neben
statía (cf. ital. sta-dera); veru (veru); fera (feria); tettu (tectu), sirenu,
Unbe-wölktheit, heiterer Himmel (ital. sereno); kuatela (cautela); iercu,
cerki, cerca, cercanu, v. cercare; nettu (ital. netto); tirrenu (terrenu); -emu
(-emus); vulemu, facemu u. s. w.; ie (-U, i) in Casteltermini, Canicattí:
buliemmu, jemmu; vieru, niettu u. s. w. Ferner kuetu (quietus) vgl. ital.
queto, das Canello, Arch. glott. ital. „forma semi-popolare" nennt.
Findet sich auch e statt i in den folgenden ital. Lehn-wörtern: re (re); spera
(spera); velu (velo); frenu (freno); reñu (regno); sigretu (segreto); prufeta
(profeta); debitu (debito); sinceru (sincero); eredi (erede); cullega
(collega); essemu (estre-mo); misteru (mistero); ecu (eco); -esimu (-esimo);
primavera (primavera). aus lat. I: ficatu (ficatu); liga (ligat); siti (siti);
vidua (vidua); pilu (pilu); mitr (miliu); sajitta (sagitta); pinna (pinna);
friddu (frigidus); siklza (sitla); ssita (strigile); nivru (nigru); vitu
(vitru); pudditu (pullitru); vinti (viginta); capissu (ca-pistru); massu
(magistru); virga (virga); pasi (pisce); viscu (viscu); rissa
(rixa). Besondere Fälle. e statt i zeigen auch hier die Wörter:
veci und 'mmeci = in + vice, ital. invece (vice); stelu, gelehrt (stilu);
selva, gelehrt (silva) - ital. stelo, selva; fermu (fir-mu) wohl Eintlufs des
r; ferner vor n in menta (mintha); ssega aus ital. strega (striga); lenza
(lintea); menu (minus); cumenia (aber auch 'ncuminia); tenta (triginta): die
Form tinta ist mir ganz und gar unbekannt. Die niedrigen Leute zählen immer
nach zwanzigen und sagen z. B.: 'na vintina e deci, di vintini, du vintiari e
deci, ti bintini, um tenta, quaranta, cinquanta, sissanta zu sagen. E statt i
zeigen auch empru (impiu) gelehrt; vérgini, neben virgini als kirch-licher
Ausdruck: Vergini Maria. Neben rissa (rixa), findet sich ressa, gelehrt, wie im
Ital. (Canello); dema- nu gelehrt - Besitztum - neben duminzu ebenso
gelehrt - Herrschaft -, Doppelformen aus dominium. Dagegen i zu a oder ai, etwa
durch das franz., in ammáru, ammáina, aus adminare (altfranz. amaine), heute
amène, ist einfach unmöglich und mufs andern Ursprung haben, vgl.
Flechia Arch. Glott., Meyer-Lübke it. Gr.) aus lat. i: ripa (ripa); lisía
(lixiva); lima (lima); amicu (amicu); fatiga (fatiga); radici (radice); viti
(vite); nidu (nidu); ritu (risu); vinu (vinu); carina (carina); suspira
(su-spirat); filu (filu); viña (vinea); milli, oft auch mirza (mille, milia);
faidda (favilla), scrittu (scriptu), lintikhzu (lentiscu); cincu (quinque).
Anmerkungen. Es fehlen in Girgenti die entsprechenden Formen zu den ital.
trebbia (durch Vermischung von tribulum und tribula, Meyer-Lübke, op. cit. §
52), merxo (wenn es zu mitis gehört), segala, elce, stegola (stivula, stiva
Caix, Studi 595, wenn man nicht mit Mussafia Beitrag 111, 1 zu hasticula
stellt); vetrice, artetico (s. Meyer-L.): finden sichaber in der Regel crisima,
carina, lítica, ital. cresima, carina, letica (von litigare). In
Recalmuto, besonders bei den Landbewohnern, wird i fast zu e, mit groser
Dehnung ausgesprochen: decu (dicu); felu (tidu); venu (vinu); veña
(viña); durena (duzzina). $4. 8. ! (= ö litt. lat.) bleibt o in
Girgenti und im allgemeinen an den Küsten; wird in Casteltermini,
Canicattí in -uó- diph-thongiert. Beispiele: tova (*tropat); prova (proba);
novu (novu); vo (bovef); omu (homo); coc (cocu); jocu (jocu); coct
(cocit); rota (rota); sonu (sonu); soru (soror); scola (scola);
ópira (opera); sóggiru (soceru); folu (foliu); córe (coriu); oggi (ho-
die); okhiz (oclu), coddu (collu); fossa (fossa); notti (nocte); cosa (coxa);
postu (posto); nossu (nostru); forti (forte); corda (corda); or (ordeu); corpu
(corpu); corvu (corvu); porcu (por-cu); cornu (cornu); morsu (morsu); sonnu
(somnu); lonu (lon- gu) - und: uokki, suonnu, suonu, tuovu, ruoppu,
muoddu, muortu, juornu, buonu, suoru, tistimuoni, cuoddu,
cuornu, I. S. w., aber immer tova, ¿oppa, modda, morta, "bona,
cor-na, picotta, cosa, fora, u. s. w. Besondere Fälle. Agrig. munti,
frunti, funti (seltener fonti) scheinen auch auf ein vulglat. ont
zurückzugehen (im span. aber ?). Purpu, gruncu und gulfu, urma, gelehrt,
ent-sprechen den ital. polpo, grongo, golfo, orma; aber tornu, oni, forsi,
corpu ital. torno, ogni. forse, colpo (s. Meyer-Lübke Ital. Gramm. § 65). Zu
bemerken sind auch arrustu cf. sard. arrustu; atturru (torreo) cf. calab.
atturru, sursu, neap.-calab. sursu, ital. smso, aber grossu (sard. russu),
sorba (calab. surba, lecc. survia) - lat. cofinu (ital. cófano) ist agrig.
cufinu, durch die Versetzung des Accents vortonig und ge- schlossen
geworden. Lat post, po in Girgenti, unterliegt in Casteltermini
energischer Diphthongierung: à zu úa, pua. Endlich a statt o zeigen die Wörter:
nannu, nanna (Grofsvater, Grofsmutter), = ital. nonno, nonna, und vassa =
ital. costra signoria, „vassa si ni va", vassa veni ca'". -
Schnec- gans erklärt das durch die mit der Häufigkeit des
Gebrauches sich einstellenden Lässigkeit der Lautbildung.Aus vulglat. o =
a) litt. lat. ü, 8) i, d) vulglat. e = litt. lat. u wird agrig. u. a) aus
lat. ö: pumu (pomu); duga (doga); vuci (voce); nute (votum); cuti (cote); rudi
(rodit); spusu (sposa); via (hora); zzuri (flore); curuna (corona); curti
(corte); sulu (solu); tuttre (*tottus); furma (forma); curca (collocat, vgl.
altfranz. colche, ital. corica). 1 Anmerkungen. O statt u zeigen
die gelehrten Wörter vittora, groba (gloria), códici, nonu, nobili (nobuli bei
den Volke), mobili und doti, divoto, sacerdoti (sacardoti) schon
volkstümlich geworden. Neben ura (HORA) findet sich gra aus há hora,
Zeitadv., z. B. „pra veñu" (ital. ora vengo), „gra -¿i vajr"
(ital. ora ci vado). - Besonders zu bemerken ist auch "nomu (NOMEN, ital.
nome), cf. Romania. O ist auch in: prdini, firçõi, prontu, conta, 'Roma,
"Ragona, ripasu, pilu, tonaca, testimonu bemerkbar, und in den
ital. Lehnwörtern flora, votu, dom, conti, nodu (nicht mit p, wie
Schneegans sagt; - überhaupt ist die Aussprache ganz im Süden charakteristisch
immer offen und gedehnt). - -Onem, -ionem, mundartlich zu -uni: añuni
(angone); rub-buni (von robba Priestermantel); 'mrzacuni (von 'mracu, ebriacu);
raguni, caguni, staguni u. s. w., bleiben bei gelehr-ten Wörtern als -igni:
lustioni (ital. quistione), naxioni, pas-sioni, tintazioni, suggizioni,
affizzioni, uccasioni u. a. Neben forma Gestalt, gelehrt, findet sich regelrecht
furma, aber nur im Sinne von „Leiste". Dem ital. uovo (aus (vum)
entspricht agrig. quu. Auffällig ist endlich culossa (colostrum, s.
Meyer-Lübke, Gramm. d. rom. Spr.). 8) aus litt. lat. й: lupu (lupu); cuva
(cubat); guritu (cubita); guva (juvat); gúvini (juvene); jugu (jugu);
fuji (fugit); cruci (cruce); cútica (cutica); furza (furia); gula (gula); сии
(cuneu); rugga (rubia); puzzu (puteu); calunma (calumnia); uti (utre); supra
(supra); duppe (duplu); gulutu (glutu); stuppa (stuppa); russu (russu);
turri (turre); savurra (suburra); cunnuttu (con- 1) So Meyer-Lübke,
Fanfani hat corica.ductu); vucca (bucca); musta (mustu); crusta (crusta); curtu
(curtu); furca (furca); gurgu (gurge); turtura (turtura); surcu (sulcu);
vurpi (vulpe); súrfaru (sulphur); prúvuli (pulver); curpa (culpa); sunnu
(sunt); unna (unda); tuncu (truncu); runca (runcat); kumm (plumbu); unnici
(undeci). Anmerkungen. — ? statt u zeigen auch hier: docca (ductia);
satoll (satullu); lonta (ital. lontra) alle gelehrt, und die ital. Lehnwörter:
tossicu (tosco); lotta (lotta); conzu (conio, neben ruñu); vrigña (vergogna);
culonna (colonna); gottu (auch" bottu: un bottu d'acqua) ital. gotto. Moli
aus mulier (ital. moglie) ist gelehrt und sehr selten, ebenso gobbu aus gublus
(ital. gobbo); nozzi aus nuptias (ital. nozze); das Volk sagt: muléri
(muliére), jimmu, nguayyu oder spusalizzu. Zu bemerken ist Izoviri, lovi
(pluere - plovere, Grundform plovia, of. Foerster, Zs. f. R. Ph. III.): to, so
(tuus, suus — vgl. ital. tuoi, suoi, aus tü-i, sũ-i für tui, sui, Schneegans).
Colobra und colubra ist mir ganz und gar unbekannt. Unklar ist jornu aus
diurnus (Analogie zu notti? Mussafia). Zu dem ital. scuo-tere (excutere)
entspricht agrig. scotiri. Auffällig ist Suffix -uru)lum = okku
cunokka, finokkau, pidokku, gunoklizu. Fommu (fuimus), foru (fuerunt) und
die Formen des Condit. fora, foratu, fora, foramu, foravu, faramu sind nicht
klar. Zusatz. In Casteltermini, Canicattí wird dieses ó (+ u, i) in nó
diphthongiert: juornu, aber Plur. jorna, vollizu, nolli, Tinuokkau, piduokhau;
fuommu, tuoru u. s. w. y) aus vulg. lat. u = litt. lat. u: fumu (fumu);
sucu (sucu); suca (sugat); lue (luce); mutu (mutu); crudu (crudu); fus
(fusu); una (una); muru (muru); mulu (mula); purci, puer (pullice); guñu (juniu);
lulu (juliu); gula (acuc|ulla); gustu (gustu); fruttu (fructu); nuddu
(nullu), susu (sursum). Anmerkungen. - Statt -itu Partizipendung findet
sich fast immer -utu: tradutu, finutu, zzurutu, partutu, sintutu. Ganz
selten ist o statt y: unklar ist gró aus gruem; ebenso lordo aus luridus, was Ovidio
(Grundr.) als Anlehnung an sordo (?) erklärt. 1) Die Landbewohner sagen
junettu, wie altfrz. juignet.§ 6. griech. v. Griechisch i, i wird meist
durch u, seltener durch i wie-dergegeben; doch manchmal findet sich auch o und
e statt u, i, wie im Ital. Beispiele: vurza, grutta, cutuñu, tunnu, tuffu
(mustárau, crókkmula, mit Versetzung des Accents); aber torsu (ital. torsu,
thyrsus), martorzu geistliches Schauspiel in einigen Gegenden der Provinz während
der Passionswoche, neben martirz, gelehrt (Doppelformen aus martirium, wie im
Ital., cf. Canello, op. cit. 32f.); lonxa gelehrt (cf. ital. lonza); tollu
(ital. stollo); brutiru, aber libezin, ménnulr, cémmalu, gettu, die zwei
letzteren gelehrt. In tapúnu (toúravor) kann das a vom Verbum tapanari
verschleppt sein (Meyer-L., Ital. Gram. § 16, 16) oder aus Angleichung an
den folg. lat. Vokal: - tepúnu - tapinn. § %. ae, oe (schon
vulglat. e) sind agrig. als & behandelt: celu, fenu, fetu, neu (naevum);
¿ena, grecu, ebreu (Abbreu, Abbré), juden (judé), prestu, seralu, spera, tedmo,
fería, preda, eru, die vier letzteren gelehrt. (Foedus, laetus, suepes, taeda,
perit, quaesi, caccus fehlen). - In Casteltermini, Canicattí wird dieses g in
-ic- diphthongiert: fienu, fictu, griecu. lat. au. Es ist nicht
leicht, eine bestimmte Regel für die Entwickelung des lat. au festzustellen.
Man kann im allgemeinen sagen, dals im Sicil. LAT. AV, sowohl primär als
sekundär beibehalten ist, jedoch Ausnahmen fehlen nicht, obwohl viele durch
ital. Einflufs gebildet worden sind. Primäres au bleibt au: táuru,
addaure, vaucu, CAVSA (neben “cosa”, Doppelformen wie im Ital., cf. Canello),
lausu (neben lodi gelehrt), pause, gelehrt; canlu, Niculau, öfters bei Anreden
Niculá.Zusatz. — an wird oft zu aru agu verdehnt: túgurn, addáguru, cávusa,
rúcule u. s. w. au — 0: oca (ital. oca); robba (ital. roba), bei den
Landbewohnern ist robba das Landhaus; cos (ital. cosa); pocu, neben picca
(ital. pocn); póriru (ital. povero); cotu kann aus cautus kommen, obgleich es
keine entsprechende Form zu ital. chiotto, neap. hipte,' aus quietus |cf. Diez
(kaum) durch franz. coit] ist; oru (ital. oro); o (ital. 0, aut); goja (ital.
gioja); nolu (ital. nulo), godu, júdivi, neben udiri (ital. godo), lodi gelehrt
(ital. lode), lodr, loda, lúdane (ital. lodo, loda, lodano) - tisore, auch
fisoru, tisole bei dem Volke (ital. tesuro); parole, palore (ital. parola);
frori gelehrt (ital. frode), lúnare (ital. lodola), foci, gelehrt (ital. foce);
clanstrum, anru, unsu, planta, guute fehlen. Zusatz. — o diphthongiert in no: prore,
cuotu: (Casteltermini, Canicatti, puoru auch in Recalmuto). « - ar (ital.
al) vor m: rarma (sacua, ital. calma), sarme (sauma, ital. salma aus
oágua). Sckundäres - aut (Perfect - avit) ist in Girgenti (Haupt-ort) und
in der ganzen Provinz, aufser von Sciacca (-au), - geworden: amú, purtú, currú,
mannú etc. Das sekundäre aus al entstandene an hat in der Provinz von GIRGENTI eine
mehrfache Behandlung. Es ist merkwürdig. wie man in einer Gegend selbst, nehmen
wir an, in der Stadt GIRGENTI, zwei oder drei verschiedene Entwickelungen des
al hören kann: z. B. autu, ácute, neben utu, antu; srauzu, siu-vuzu, scuzu,
scanzu; sautu, sautu, satu, santu u. a. - Die volkstümliche Entwickelung des al
ist aber au: autu, scruzi; sautu, fausn, caudu u. s. w., das Zerdehnen des an
zu avu ist ganz gewöhnlich; die Formen atu, satu, scazu u.s. w. entstanden aus
áu, «(u) (autu = atu); wichtig ist die Form untu, santu, scanzu u.s.W., wo l zu
n geworden ist. Diese Form findet sich nur bei dem niedrigen Volke, besonders
Landbewohnern. Meyer-Lübke, Ital. Gram., er- 1) Ovidio (Arch. glott.)
erklürt das neap. kiuote aus dem lat, plotus, und Canello das ital, chiotto aus
dem neap. kivote.klürt die Form antu (altru) aus der Verbindung unaltro; aber
das, glaube ich, kann nicht auf fanzu, canza, santu u. s. w. bezogen werden.
Merkwürdig ist auch an aus unbet. au in anceddi (Casteltermini). Vgl. altfrz.
ancun. In callu neben caudu (ital. caldo), falla (ital. falda), nur bei den
niedrigen Leuten zu finden, ist Id zu ll geworden. In Cianciana wird al vor d zu ai: caidu,
faida, so auch ale: caidára, caichúri. - S. Kons. Unbetonte Vocale.
Vortonige. Ohne Einflufs von Kons. bleibt a bewahrt als a: für die unter i
und u zusammengefallenen Vocale (e, e, й, 0, й, й) ist zu bemerken, dafs diese
i- und u-Laute (sowohl vortonig als nachtonig) nicht immer ein ganz reines i
und u sind, sondern ein Mittellaut (i, 4) zwischen e und i, o und u, cf.
Meyer-Lübke, Ital. Gram., Schneegans. Doch dieses Schwanken finde ich nicht so
ausgebreitet und zuchtlos, wie Schneegans leicht annehmen lassen würde. Auf die
gewöhnliche Schreibung des sicil. Dialektes mufs man sich im allgemeinen sehr
wenig verlassen, und die selbst von Schneegans dargereichten Texte zeigen es
deutlich; in der That: uno, subito, solito, danno, anno, successo (in den
Cicalate), impiegato, Municipio, saluto („le Maschere"), tanto,
spartavano, ognun, mode (bei Papanti), mio, argento, mano, lo esercixio,
pavento, eccidio, campo, immenso, obboé, dire, contento, dente, allegria, mascherati,
verità sind keine sicil. Wörter mehr, sondern ganz und gar italienische, mit
italienischer Schreibung. Wenn ich also kein Gewicht auf diese ungenaue
Schreibung lege, und mich nur an den echten Volksausdruck und meine natürliche
Aussprache halte, so finde ich, besonders in der Provinz von Girgenti: 1. dals
i und u im Auslaut den reinen und bestimmten Laut des i und u wirklich nicht
mehr haben, sie sind unklar, offen und fast lautlos: ital. anno ist sicil.
weder anno, noch annu, sondern annu; dals dieser Mittellaut zwi-schen e und i,
o und « besonders in gelehrten und italienischen Lehnwörtern mit e und o zu
bemerken ist, z. B. alligrin, prisenti, filici, riggimentu, sicunnu, cmlentu,
prepositu u. a. Formen wie scordatille machen keine Ausnahme, weil es ein
zusammengesetztes Wort ist (scorda+ti+ lu, vgl. ital. scorda+ te+lo) und das o
von seinem Accent (córda) aufgehalten ist, sonst scurdári, scurdústi, scurdátu.
Teátu (Schneegans) neben tijatu ist gelehrt (ital. teatro), ebenso mascherati
volkstümlich mascarati (durch Einflufs des r). Lat. au ist als au bewahrt
geblieben in den Wörtern aurikki, Laurenzu (oft zu Lagurenzu, daher Lagrenzu
bei dem Volke, besonders Landbewohnern), ferner in audaci, au-tunnu, rumentu,
nauszatu, cautela (neben cotela s. unten) gelehrt und Lehnwörter; sonst wird es
zu a: agustu, ascuta, ascutari, agur (wie schon im Vulglat. agustus, ascultare,
agurium), Agustinu, aceddu (anceddu Casteltermini); arikkini (ital. orecchini,
Ohrringe), xzatari (flautare), ladari, ladatu Castel-termini, Cianciana. Neben
aurikli, arikki, arilkini, Laurenzu, areddu, finden sich oft auch oribli,
orillini, Lorenu, oceddi, wohl vom Ital., wo anl. o unverändert blieb, während
es inl. zu u werden mufste in: pusari, ripusari, purureddu, gudiri (neben
gódir), lydari, rubári. - Beachte au in auliva, aulivi. Romanisches au
entstanden aus al-Kons. bleibt au, wie in autirra (altezza), oder durch
Einflufs des l, das u an sich zieht, wird au zu va in kuadara (caldaia),
kuacina (calcina), luadári (caldicare), aus kaudara, lavina, kaudzari; neben
diesen finden sich aber auch die Formen callara, callari, fal-laru, fallarinu
(deriv. v. falda), caidara, caidiari, faidduzza in Cianciana, fadali aus au
verkürzt. In cotela aus cautela und cocina aus caucina (calcina) ist au (primär
und sekundär) zu o geworden. Vor Labialen wird al nicht zu au, sondern zu
ar: par-ment (palmento), marva, arbulu, sara. Ferner in Girgenti vor Dentalen:
artaru (altare); farsari (falsare). Unter Einflufs von Kons. - Der Übergang der
unbetonten Vocale a, e, i zu a vor oder nach einer Labialis(s. Schneegans,
Meyer-L.) ist in Girgenti (Hauptort) sehr selten. Beispiele:
cannavi, nie cánnuru (cannabis), carrabbina, livari, rimita, rimiteddu,
seltener rumitu, rumiteddu (here-mita); birritta, carnalivari, arristitari,
misura, misurari, dimannari, addimanna neben dumannari, dumanna,
aubi- dienti, disublidienti, assimitari, súbitu, úrtimu,
annivuricúri, simenza, siminari, ammintuari, ammintuatu, addiminari,
milincana, rivirsari; aber duviri (debere); dumani (demane), cf. ital. dovere,
domani. Dagegen findet sich häufig u vor oder nach Labialis in einigen Gegenden
der Provinz, besonders in Licata, z. B. luvanti (levante); luvari, buvatuvilla
(ital. levare, levátevelo), rumitu, rumitedde, dumanna, burritta, pu-naru
(ital. paniere), musura (misura); ammuntuari, sulnitu (subitu); mulungana
(melengiana), annuvricari (anivricari), car- rubbina, sumenza, fumurar
(fimus + ariu), sduvacari (deva-care) - in Casteltermini: Musummulisi (die
Bewohner von Mussomeli), vutieddu (vitellu) u. a. Durch Einflufs
des folg. p ist a an die Stelle von urspring-lichem vortonigen e getreten in
sapurtura (ital. sepoltura); sre- purcru (ital. sepolcru). Einflufs
des v: a) e, seltener i, o + i= a + v: faraci (ferace); sarbari (servare);
kuarela (querela); sacardoti (sacerdote); arsira (hersera); Arasimu (Erasmus)
Cianciana; Sarafina (Seraphina); sarüzzu (ital. esercizio); viparedda (ital.
vi-perella); arruri (errore); carzaratu (ital. carcerato); purcaría (ital. porcheria);
massaria (ital. masseria); Castartermini (Castel-termini), viklareddu (ital.
vecchierello), battaria (batteria); sarvaggu (silvaticu); maravila (mirabilia);
arreprensilli (ital. irreprensibile); arasiluli (irascibile); marabinenne
(moribondo); tartuca (tortuca); partualle (Portogallo). Anmerkung.
In GIRGENTI, wie im allgemeinen im ganzen SICILIA, kann auch hier von den
Formen des Futurums keine Rede sein, weil keine eigentliche Form des Fut.,
sondern nur die Verbindung des Infinitivs mit den Verben aju, seltener rotu,
sich noch ganz deutlich in seinen zwei Teilen findet. - Formen wie arir, amiró,
saró u. a. sind Einfuhr der Schrift-sprache; doch habe ich manchmal amaró,
avaró (ameró, avró) gehört. 8) i, e + I = u + r in GIRGENTI: GURGENTI (Girgenti),
survigzu (servizio). p) r + e, seltener o = v + a: rapprisintari (v.
represen- tare); racenti (recente); raclúta (ital. recluta); raccoliri
(recol-ligere); valogu (horologiu); forasteri, Lehnwort (forestieri) u.
a. Dieses a wird zu ü in manchen gelehrten Wörtern, rütturi (rettore),
rüdattu (redatto), rütipunte (ital. dietropunto, retro-puntu), rättorica
(retorica). Einflufs des k auf au. Das k zieht u an sich: liun-dara,
kuacina, lundiari, kuatela. Einflufs des n: e, i + n werden a + n: antari
(ENTRARE), anconta (incontra), anutuli (inutile); ancumenãa (incomincia),
ssanuto (ital. sternuto), manziornu, manzió (ital. mezzogiorno); vorñ: añuranti
(ignorante), añumina (ignominia), añranza (ignoranza). Sporadische Veränderung:
suluczu sulusiari von singultu, singultare. otn=atn: eamusu, camsiri,
ermasatu (cognoscere); anuri (honore) ricanusenza (riconoscenza), disanuratu
(deshonoratu); anniputenti (omnipotente). Vor der Gruppe mm wird i zu a:
ammattutu (ital. imbattuto); masate (ital. imbasciata); cmenagrute (ital.
immagrito); Ammaculata (Immacolata). Vor m wird e zu i in: mümorga
(memoria) Lehnwort. Nachtonige. Ohne Einflufs von Kons. bleibt
nachtoniges a in-und auslautend bewahrt: stómacu, timpanu und tégula,
"rose, cosa, badda, cuda, canta, puma; für die unter i und «
4u-sammenfallenden Vocale (ẽ 7, i, 0, й, ù) s. Vorton. Kein auslautendes e in
cincu (quinque, ital. cinque); agrig. sunca (cf. altital. dunqua) bestätigt ein
schon im Vulglat. dun-qua aus dunque in Anlehnung an unquam. Ferner zu bemerken
sind puru (ital. pure); comu (ital. come, cf. senes. como): conta, fina =
cont'a, fin'a; fora = foras (ital. fuori und fuora); manu bleibt manu
auch im Plur. (cf. altital. le mano). Aus-laut. ae wird i: curuni, culonni;
auffillig ist die tonlose Par-tikel ca = ital. che (dafs) und ca — quae Pron.,
wie z. B.: Sacêu di tértu ca | du soru siti, Ca státi emmernu
'nrémmula abitati (Giov. Canti etc.
Cianciana.) und „vó ca veñu" (ital. vuoi che venga) u. dgl. -
Für die Weglassung einer Endsilbe Unter Einflufs von Kons. - Vor r wird
e, seltener o zu a: númaru (numeru); cámmara (camera); vipara (vipera);
ruccaru (ital. zucchero); vómmaru (vomere); Gásparu, neben Gaspinu
(Gaspero); Luñfaru (Lucifero); bifara (biffera); gámmaru (ital. gambaro);
misara Casteltermini (misera), cán-taru (ital. cantero); cólara (xohepa);
jüniparu (juniperu); Ettari (Ettore); Cristófaru (Cristoforo); cárcari (ital.
carcere) - nach i: érramu (onuos). Labialis +e, i = Lab. +u:
pruvuli (pulvere); murula (nubila); simuli (similis), súltu, urtumu,
Licata (subitu, ultimu); und Suffix -couli, -abuli, -ibuli (-abile,
-ibile). L verlangt u vor sich: áttula (dactilus, ital. dattero);
utuli (utilis), ácula (aquila), ménnula. Vor e findet sich a für i,
seltener o: calacu (calice), ca-nonacu, tonaca, cronaca, mantacu, sinnacu,
monacu, monaca, parracu, funacu, aber kúvica («f. ital. chiavica) neben
cluuca gelehrt, ital. cloaca - nie vor n: pampina, guvini, cufinu (ital.
cófano); órfan ist Lehnwort. Für den Schwund des tonlosen Mittelvokales. Die
Aphärese ist in Sicil. sehr häufig, weil alle Würter vokalisch
auslauten: a-Aphärese in einzelnen Wörtern: cttula, Castel-termini
(kleine Axt, ital. accetta); Ragona (Aragona), Gur-gentz (Agrigentum), sañaturi
Licata (lasañaturi, Rollholz, von lasaña); rina (arena), gula, Nadel (acucula),
ramu (aeramina), pretia (apotheca); sparau, sporaci (asparagus); - @) bei mit «
anlautenden Femininis, die mit den Artikeln la, 'no (una)zusammentreffen:
la'ffizioni (la affezione); la icetta (la accetta), 'na marena (una
amarena); - y) vor Nasalen: 'mmátula (am-matula, Adver. umsonst, von griech.
uárnv?) 'Ntonia,
'Ntuniktiza (Antonia, Antonietta), 'nüddi Porto-Empedocle (ital.
anguille), 'ncina (ital. angina); 'ncinala (ital. anguinaglia),
neuviceddi Porto-Empedocle (ital. acciughine); 'naría (ital angaria), 'narsári
(ital. angariare); 'mmasaturi (ital. ambasciatore); 'mminsilatu,
'mminsitari (amminsitatu, amminsitari, it. vezzeggiare); 'nusari (angosciare);
'ncunza (ital. ancudine); 'ntinna (antenna). i-Aphärese. a) in einzelnen
Wörtern: munnizza (im-monditia); rinnina (hirundina, aber hier scheint Umstellung
zu sein: hurindina statt hirundina); Nazzu (Ignatiu); - 8) bei Verben, vor
Nasalen: 'mmarazzari (ital. imbarazzare), 'mmarrari (ital.
imbarrare), 'mmasari (invasare); 'mmástiri (imbastire); 'ncarcari
(incalcare); 'nzzammari (inflammare); 'mpinciri (im-pingere) und 'nnucienti
(innocente); 'mmastu (ital. imbarazzo, impaccio); 'mmernu (inverno); 'mmeru (in
verso, verso, circa); mmesta (v. vesta, ital. federa); 'mminzioni (inventione);
'nien-tivre (incentivo); 'nienzu (incenso); 'néura (ingiuria); - y) in
formalhaft gewordenen präpositionalen Verbindungen: 'mpuntu (in puntu); 'mpresa
(in prescia); mpiñu (in pegno); 'mparu (in pare); 'mpixzu (in + pizzu, in
punta); 'mpró (in pro); 'ncapu (in capo, sopra); 'nkzaru (in chiaro); 'nima (in
cima) 'ncostre (accosto, in + costu); 'ncoddu (in collo); 'ncanir (in
cambio); 'nfunnu (in fondo); 'uninari (in denari); 'noceu (in cio'che) u.
a. 3. c-Aphäresc. a) in einzelnen Wörtern: rumitu, rimita (eremita),
rumitorzu, rimitorzu (eremitoriu), vispicu (episcopu), -réticu (ereticu),
limósina (Elenuocion); cillenza cillen:asi (eccellenza, eccellenza si); sarczzu
(esercizio); kgesa (ecclesia); ¿angel (evangeliu); - 8) vor Nasalen:
'mpiña (frz. empeigne) 'mmracu, mmracari (ebriacu). 0-Aphärese in:
spitali (hospitale), riganu (origanu), ralogu (horologiu), auch roggu
([lo]roggu); micidaru (homi-cidariu); miupáticu (omeopatico); la 'bbidienza
obbe-dienza). 1- Aphärese in: vindicu (umbilicu), 'na (una); napocu
(una + poco = etwas, z. B. nap d'acqua etwas Wasser,cf. una picca
Messina); lu 'ffizzu (lo ufficio); vor Nasalen 'nyuentu
(unguento). ae-Aphärese in: rúggini, rugga (aerugine); ram
(acramina), stimari (aestimare). Die Anreden und die Vornamen erleiden
oft stärkere Aphärese: ñuri und nu, ñura, ña von siñuri, sinura (Herr und
Herrin). Es ist aber zu bemerken, dafs diese zwei For- men sich nicht für
einen wirklichen Herrn und für eine wirk-liche Herrin passen, sondern für einen
Mann und ein Weib aus dem Volke. Ferner: ñuri taugt als Anrede eines
Kut-schers; —'mpari von cumpari (ital. compare), z. B. 'mpari Pé (compare
Giuseppe); - ñursi, murnó und nasi, nanó (Signor si, signor no). Die Eigennamen
erleiden fast immer Aphärese: Minicu (Domenico), Peppi (Giuseppe, cf.
ital. Beppe), Sare (Rosario), Tanu (Gaetano); Vanni (Giovanni) u. a
Besonders ist zu bemerken: mu, mullu gieb mir, gieb es mir (von dammi, dammelo:
dammüllu); sutu = nisutu (aus nesiri = ital. uscire, uscito); ncavà also (von
dunca, unca, 'nca + va, 3. Pers. Praes. Ind. von andare); emu (habemus);
tidicari kitzeln (von ital. titillare und solleticare, *(ti]tillicare); mótaca
(von una vota ca = ital. una volta che ...); tellia Cianciana (=
tantilika, ital. un tantino); ña! (von dunca, anca); ici, ña (dunca von
donique, cf. Foerster, R. E.). Die a-Prothese ist besonders von den mit ad
erweiterten Verben gebildet, die oft den Urverben, des Sinnes wegen,
an-geglichen worden sind; dadurch ist es entstanden, dafs dies a anderen Verben
vorgesetzt wird und endlich den Substantiven, auf welche sie Bezug haben (cf.
Meyer-L., Gramm. d. rom. Spr.). Wir haben also mit arl anlautende Verben, bei
welchen die Präposition nd einen reellen Wert hat, sogar oft ihren lateinischen
Wert: ldummisiri und dórmiri (cf. oudormisco und dormo); appurtari und purtari
(of. affero und fero); abbanuri cintauschen und riñari wässern, baden; uurnari
tagen von jornu, all'aymur-nute bei Tagesanbruch; aldumari Licht machen von
lumi;2. und Verben, bei denen die aus Angleichung vorge- kommene
Präposition ad ganz und gar schmarotzerisch ist: accumenta neben cumenia,
abballari neben ballari, addi-mannari neben dimannari, assapiri neben sapiri,
addifén- niri neben difenniri u. a. Substantive, auf welche diese
Verben Bezug haben: abballu, addimanna, addimanneri u. s. w. Ajeri,
apprima könnten auch ad einschlielsen. Die Resonanz des & entwickelt
oft ein a: arridiri (ridere); arriparu (riparu); arrinésiri (riuscire);
arripezzu (rappezzo): arraccuntari (raccontare) - fast alle Volksnovellen
beginnen: si cunta e s'arraccunta ...; arrazzimi (von razza); arrisettu
(risettu); arriccamari (ricamare); arriccamu (ricamo). ite bei Verben
wird fast immer zu ar, arra: arraccóliri (recolligere); arraccumannari
(ital. raccomandare); arrassumi-tari, arritiniri (retinere); arrispúnniri
(respondere); arristai (restare) u. a. Besonders ist zu bemerken:
ad attia Aragona (a lia = ital. a tc); unquániki Aragona = ital. qualche,
aber sicher von un + qualche; a-Prothese bei den femin. Substantiven auch ohne
Einfluls des Artikels la: aggenti, abbili, amenta, addan-nazioni; artá (etá);
ferner abboné = bonum est; accussi = cosi; abbasta = basta; accura = cura
findet sich nur in der Verbin- dung duna accura = ital. datti cura, es
kommt aber gewifs ron duna a + cura = ital. prendi a cura. Die Synkope
ertolgt sehr selten und nur unter Einflufs des halbrokalischen v. So wird es
kommen, dals, wenn das / zu & werden kann, die Synkope erfolgt, sonst nie,
½. B. póllici (pollice) und purci, puci. Ein schönes Beispiel giebt
uns »salicem" mit seinen zwei Formen: sálair; gelehrt, neben sarcu;
surer (sorice); spirda (spiriti); purpu (polpo). Inlautendes ¿ aus e
fällt vor r ab: o(i)ritá (veritá); pri-culu (pericolo); oprari (operare);
disperdri (disperdiri); krilhia (chierica); mráculu (miraculu); tati (tirati);
tari (tirare); vita-teddi Cianciana (ritirateddi); dettu (dettiru); mitti
(mettiri); vittu(vittiru) Licata. Auffällig ist in érramu (ital. ermo) e vor i
zu n geworden. Abfall des inlautenden u vor r: sapritu (sapuritu)
Licata; cruna (curuna); 'ncrunatu (incurunatu); frusteri (forestiere);
crusu (curiusu) Licata. Bei den Formen des Infinitivs + le (lo pronom.
Artikel) erfolgt die i-Syncope immer: mannarlu (= mannari + lu, ct. ital.
mandarlo); purtarlu (= purtari + lu, cf. ital. portarlo) u.s.w. Die Kontraktion
ist sehr häufig, besonders unter Auf-hebung des Hiats. Es ist hier zu bemerken,
dals dic Artikel lu, la, li nach da, di (de), pi (per); a ihr / verlieren
und dadurch haben wir: do = da lu von da 'u, du = di lu von
di 'u, da = di la von di'a, da = da la von da 'a, pa= per la
von pi(r) 'a, pu — per le von pi(r) 'u, pj = per li von pi(r) 'i,
U= a lu von a 'u, e= a li von a 'i. Beispiele: Do munti = da lu munti
(ital. dal monte); du mari = di le mari (ital. del mare); da mati = di la
mati (ital. della madre); pa genti — pi la genti (ital. per la gente);
pre menu = pi lu menu (ital. per lo meno); scupittinu pj denti = pi
li denti (ital. spazzolino pei denti); u forti ca = a lu forti ca...
(ital. una volta che ...); e vintunu = a li vintunu (ital. al ventuno
...). Für e, eju = aju. Fina, conta sind aus finu ta, contu + a (cf.
ital. contra, oltra) gezogen; ebenso sa aus sia, ava aus avía: „sa ladatu
"diu" ital. sia lodato dio; „ava jutu" = avia jutu (ital. era
andato) in Cianciana; ma aus miu und mia: „ma pati, ma mati " in
Casteltermini, Licata; au, za aus xiu, xia (ital. zio, zia). Ferner jencu
aus juvencu; orallannu = ora è l'annu; vosenia= vostra eccellenza; cossía,
vossa = ¿ostra signoria; Saru aus Saria (Rosario). Es ist zu hemerken,
dals der durch einen ausgefallenen Kons. hervorgerufene Hiat dagegen durch j
be-hoben wird in majisi (magese); pajisi (pagese); majulda (cf. ma-
gida); sajitta (sagitta); fajida (favilla); projiri (porrigere); fri-jüri
(frigere); rijuddu (regillu); fújiri (fugere) - beachte noch castzari
(castigare); und oj (hodie); raja (radia) - ferner frúula (fragola); aber
paúni (pavone). Sehr häufig bei der Proklise: a list' ura, a 'st'
ura =« ista ora; em' a-fari = emu « fari; aj", ej a + Infinitiv = ju
a, eju a etc:; $) nach betontem Vokale: di = dui (ital. due); jü
=jiu, in (ego); mi = mei (ital. noi); qua' = guai; Di = Diu (Deus); me' =
mcu, „me' pati, me' frati", auch me'= mea, „me' mati" und „fratursu
me'"; po'= puoi und poi (potes und post); -a'=-au (-avit): purta', liga,
curca; -i =-iu (-ivit): jiuniï, curri, muri; se'= sci (sex); assa'= assai
(satis); d) bei Anreden und Eigennamen: rumpa' (cumpari, ital.
compare); cura' (curatulu, ital. cur- torc, castaldo); piccil (picciliddi
Kinder); nu (nuri Kutscher): do, don (donnu: "do Matteu, don Cola,
aber donnu Mi- nicu); Sa und San (Santu: Sa Lenardu, Sa Luigi, Sa Lenil,
San Franiscu, San Petu, aber Sannu Minicu, sannu statt santu, wenigstens so in
manchen Texten geschric- ben, ich glaube aber, dals man San Numinicu =
San Duminicu (Domenico) lesen mufs, in der That wird nd immer zu un, vgl.
cannila = candela; ebenso vielleicht auch oben mufs donnu Minicu = don
Numinicu sein); pa, tr' (papa, tata); mả' (mama'); Li (Lina); Ti' (Tina);
Ste' (Stefanu); Anne' (Ametta); Nute' (Nuien u, 'Innocen:o); Ro' (Roccu);
Pe (Peppi) u. a.; d) besondere Fälle: in Licata statt voli
(ital. vuole); je Cianciana statt jeva (ital. giva): Giufa li je' mittennu
(Giovanni, Canti et cet. Cianciana); mide statt milemma (ital. mede-simo).
i-Epenthese zwischen Labiale + r: Sittemmiru, Ottúviru, Nevémmiru, Diemmiru
neben Sittemri, Otturru, Nuemru, Duemii; úmmira neben ummra (umbra); piruni
(prunu); 'mmirazza neben 'mmraxza (in brachiis); () 9+r: sóggiru, soggira schon
in früher Zeit socerus, ital. suocero; mágiru statt magru findet sich in
Girgenti sehr selten; allégiru neben allegru; s + m bei fremden Wörtern: Cósimu
(Cosmo); cataplasima (nataháoua); biasimu; spasimu; asima neben d) 9+1:
'ngilisi (inglese); Ingilitterra (Inghilterra) Casteltermini. Zusatz. Der
Einschub eines 2, wie er in ital. inchiostro, chioma, älter * inclaustrum,
*cloma vorliegt, findet sich nie in Girgenti: inlzossu, koma sind ganz gelehrte
Wörter; das Volk sagt inca, coma nur im Sinne von „sopore, disposizione al
sonno", z. B. „coma 'ntesta"; ferner scuma neben spuma (ital.
schiuma), rifutari, favu, furina (lat. fuscina, ital. fiócina). 2.
u-Epenthese, durch Guttural hervorgerufen, zwischen «) guranu (grano), néguru
(nigru), gulutu (gluttu); 8) c+*: neuruc, curucifissu (croce, crocetisso),
'ncgrustari (incrostare), curudu (crudo), curucelone (corbello). Die
Formen aut -ati, -uti an Stelle der ital. Substantiva auf -á, -ú (roci tronche)
sind nicht epithetisch. Sie kommen gerade von dem lat. vierten Falle auf -
ate(m), - ute(m) her: piatati (pietate), voluntati (voluntate); caritati
(caritate), cirtuti (virtute). In GIRGENTI sind diese Formen sehr selten, nur
bei dem Volke findet sich oft die Form auf -ái (von -«(1)i): aitai,
nicissitai (etú, necessitá). 2. Die Formen auf -aju, -au bei Verben
(ital. -ó, -o) sind auch nicht epithetisch: aju = habeo, saccu = sappio,
seju = sedeo; — staju, daju sind analogisch zu aju — neben daju findet
sich auch duñu analogisch zu suñu (sum).3. Die a-Epithese ist sehr häufig:
Neben Lúnidi, Már-tidi, Mércuri, Jóvidi, Vénniri, Silbatu, Dúminica (Namen der
Wochentage) finden sich: Lunidia, Martidia, Mercuridía, Juridia,
Venniridia, Sabbatulia, Duminicadia, cf. dia = dies span., prov.
Bei Pronomen: In Licata, Casteltermini findet sich jia von ji (ego), mia, tia
statt mi, ti — me, te (zur Vermeidung des Hiats mija, tija). - Gewöhnlich, bei
dem Volke, ist die Form Dia, Dija = Dii, Dei, Dee. In Casteltermini
findet sich ada = ad; vgl. sardisch. 1. Sehr häufig, immer bei dem Volke,
ist auch die ni- Epithese nach betonten Vokalen: a) bei Verben: eni
= é (est); pinsni = prinsú (ital. pensó); curcani = curcú (coricó), addivintani
= addivintá (diventú), funi = fu (fuit); $) bei Pronomen und
Zahlwörtern: jini = ji (iu ego), tini, seni, Casteltermini, — ti, sé (tre,
sei): d) bei Adverbien und Konjunktionen: nuni = line (plus);
rucussini - accussi (cosí); cúni — cú (qua); lani = da (lá): pirioni
(öfter pirco(n)i) = pirió (perció). Siddu, seddu in Licata = si †ildu
(ital. s'egli, si + illu). Vokalzusatz am Wortende zeigt auch das Sicil.
bei kon-sonantisch auslautenden Fremdwörtern: tammi (Tram), onni-bussi, lapisi,
gassi (gas), wie toscan. - c. Sonderbar und wichtig ist die Weise, in der
das Volk das geistliche Lateinisch in Gebeten ausspricht: „Stababat matri
ilclorosa | iusta croce lacrimusa | ed abbatti filiussu" (Dum pendebat
Filius), Casteltermini - „Oi cruxisi vada spissonia passionama tempori | piassi
cuci graxia | Reixi de la china" Casteltermini (Text: O Crux, ave spes unica,
- Hoc Passionis tempore - Plis adauge gratiam - Reisque dele crimina) -
„Posuarenti supra caputti causanti rexi o scrittu Jesusi Naxia-renu rexi joduro
omini (Text: Posuerunt super caput ejus causam ipsius scriptam: Jesus
Nazarenus, Rex Judaeorum), Giovanni, 50 Canti et cet. u. a.; Giovanni,
Canti et cet. Angleichung des anlautenden Vokals an den betonten
Vokal: a - á: piatá (daher piatusu), matassa, gazanti (gigante), valanza
neben vilanza (bilancia), cf. altirz. garant, frz. balance — aquali
(equale), aquannu (hoc annu). i - i: birritta (baritta), filinza
(fuligine?), ficili (fucile). U —ú: ruñuni, sutuzzu aus
*si(n)glutiu. f) Angleichung des nachtonigen Vokals an den betonten: á —
a: ánasu (anisu), cálacu, párracu, ássacu. i - i: tírici (tiraci), pítila
(pigliala) Licata. ù - U: disituti, anútui. %) Der pronom. Artikel lu
(lo) bei den Verbalformen hat den Wandel von unbetontem sekundären i zu u
hervorgerufen: facitulu, luvátulu, mittitulu, maritatulu (Licata). Ferner
ist die Angleichung des unbetonten sekundären Vokals an den Endvokal u
besonders in Licata sehr häufig: avissur, vitturu, avissumu, scannulu.
Zusatz. Aus Angleichung an die 1. Pers. Praes. (-4) findet sich in Licata: appu
statt appi (ital. ebbi), vittu statt vitti (ital. vidi), persu statt persi
(perdetti), vinnu statt vinni (venni) — in Girgenti aber appi, vitti u.s.
w. Der Vokal a drängt sich oft an die Stelle eines anderen anlautenden
Vokals: aserätu (esercito), assequiu gelehrt (osse-quio), assirvari
(osservare), asistiri (esistere): „un assisti "li" (non esiste piu),
afennir (ofiendere), affiru, gelehrt (officio), arcasioni (occasione), aduri,
adurari (odore, odorare), abbré, abbreu (ebreo), aternu (eterno), ammitu
(invito) u. a., s. Die Veränderungen, die der Konsonantenanlaut im Satz-innern
erleidet, hat schon Schneegans § 24, S. 145-50 sehr fleissig nachgewiesen und
erklärt. Es steht fest, dafs besonders ki (quid); a (ad); pi (per); e (et);
"kau (plus); fa (facit); va (vadit); sta (stat); si (es); é (est); ddú
(illac); ti (tres); 'nla (intra), wie übrigens alle vokalisch anlautenden
Oxytona, die Dehnung von p, 6, m, f, c, 9, d, t, n, s und die artiku-latorische
Verschiebung (wie Schneegans schreibt), von v - sowohl primär als sekundär — zu
b; j zu ge; d aus gi zu i;."— aus d— wieder zu d; n+j=n; n+o;n+6 =
m+ b = mm; bewirken: Beispiele - nach Schneegans loc. cit. Labiale:
p: = i ppezau di pani! a ppala:zu la ppinnin, a pperru a ppexsul.
b: — s. unten § 26. m: — pi mmati (per matrem) latti e mmeli. f: -
si ffoddi, ti fimmini. Gutturale: c: = ki ccosa: a ccasa! g: - a
gyamm a l'aria: Dentale: d: - dittu pi dditta; é dduci - s. unten.
t: — a ttia, é Hoppu — (é troppo). n: — ti notti, é menti. 8: — ddá
ssupra, lii ssonnu! (sowohl primäres als secundäres aus &
entstandenes wird b: uncora é biru; ste binenme; lizu bicinu; ...j wird zu ge =
ti gudici; te gorna, á grunta. ¿' aus gr entstanden wird zu vr: La mmidia
di li ggenti é rranni assá (GIRGENTI). mis donn in wie sei migans
meint: Imfermu mi la vita bedeutet nicht: Imfermu nni la vita, sondern:
mi liidda (illa, ital quella) vita; pri ddi junini, nicht pri li juvini,
sondern pri kiddi éuvini; trattamu a ddu siñuri! = a kiddu siñuri! pri ddi
mobili = pri liddi mobili. n tj=ñ: u ñardinu (un jardinu) u ñornu (un
jormi); do Nakinu (don Jakinu) u ñocu (un jocu). 1+01=m+6= mm:
'mmarca (in barca); 'mmucca n + 11 (in bocca) mmita (in vita) ni mmeñe
(non vengo). Doch eine wichtige Anmerkung habe ich bei Schneegans
nicht gefunden; nämlich, dals einige Konsonanten, besonders 6, d, r, g, manchmal
auch m, n, & schon im Anlaut eine gedehnte Aussprache haben, und dafür im
Satzinnern nicht mehr verstärkt werden. Das d, z. B. von decottu, duman-na,
dannatu, dugana, ist nicht dasselbe wie in deci, duñu, domu, dormiri, doti,
dori, durz; während dieses im Satz-innern verdoppelt wird: a deci, a deci (ich
schreibe im Anlaut d = dd) u. s. w.; bleibt jenes ganz und gar wie wenn
es isoliert gesprochen würde, weil es schon für sich selbst gedehnt ist. -
Zwischen decottu, so vereinzelt ausgesprochen, und decottre (ddecottu) in
E mmi vinni decotti Pi dormiri la notti giebt es gar keinen
Unterschied. Immer als *Ъ (bb) lautet das anlautende b: Tritturi, batia,
buttana, bestia, bagganc u. s. w. nur in Indienan, budienti, Aphärese aus
ubbudienza, ubirdienti u. dergl. findet sich das einfache b; wie obiges &
verhält sich auch i: "ie, riggina, veñu, rumitu, robba (in ranni, rossu,
arusa ist das & aus gi entstanden); g: gelu, ยู่เทน, "genti, gilu,
"golu;" nur in nome, nappa, norea, sonst nu (nos), masiri,
nespule n. s. W.; m nur in mermcar (marner)miraculu, mraculu, merda (ital.
merda), sonst mennula, menu, mari, munti u.s. w.; & nur in rippu, sonst
Ciccu, ruffu, celu, cima u. s. w. Über die Konsonanten im Auslaut ist
wenig zu sagen, da im allgemeinen das Sicil. sich hierin wie das Ital verhält.
Auffällig ist suñu = sum (vgl. neap. songo, donyo, stonyo, calab. ราทีห, *ponyo, *donyo). Lat. non
findet sich als nun, oft 'un: "'un ci volu jiri, un aju lii ti
fari", im Satzinnern wird das n t j zuñ: „pirli nu ñoki?" (ital.
perché non giochi?), n + 0 = mb = mm „nu meñu (non venio) - aber no,
Verneinungswort; in ist ni geworden, ada = ad findet sich in Cianciana,
„ada mia, ada tia" (ital. a ma, a te), con wird cu. In einsilbigen Wörtern
bleiben 1, &, nehmen aber wie im Italienischen ebenfalls einen Vokal an:
feli, meli. sali, cori, aber pj = per (pri, durch Umstellung er — ve tindet
sich nie in GIRGENTI), in mehrsilbigen Wörtern bleibt i nur in crru, marmaru,
sonst frati, soru, ebenso 1, bar-came (aus baccanal Ovidio Arch. Glott.. - Iu
sempri, quattu (wie schon im Vulglat.) findet sich die Umstellung -er, re,
welches oft nach st fällt, nicht nur in nossu, vossu, die doch bei dem
Volke ofters zu nosu, vosa werden; sondern auch in capissu, maissu, aber
auch masu. S fällt in einsilbigen Wörtern ab: nu, vu, ti, ve, "lu, po, sé,
ha, da' (neben duna) str; die Formen mit i: nui, rui, poi, sei. hai, düi sind
nicht volkstümlich (vgl. ital. noi, voi, poi, sei, has, das); -aut (avit) = -á
in GIRGENTI: purtá, amú, curcú; est =é, oft eni bei dem Volke; -nt verliert
sein t nur bei 3te Pers. Praes. amanu, vidina, lodane; sonst fallt es
ganz: amaru, rittira, ludar. Labiale. §1. P - a) Anlautend wird
gewühnlich beibehalten: passu, pati, puru, ponti, pilu, peta, pirnici
(perdice), putia ([a)potheca); puse (pulsu); pirani (prunu); pifania
(epiphania): - wird = 1 in badda, baddóttule (ital. palla,
vallottola),-busa (pasciá); ballaccuni (ital. pollaccone); bizzocca (ital.
pinzochera); buttana, buttaneri (ital. puttana, puttaniere); — wird o in
vastunaca (ital. pastinaca); vispicu (episcopu) durch Dissimilation (bemerken
auch die Umstellung vispicu statt piscopu, vgl. span. obispo). Inlautend
bleibt p: ripa, capu, lapa (apis + Artikel / zusammengewachsen); pipi, lupu,
scupa, sapiy in varvasapiu (zusammengesetztes Wort: varva-sapiy, vgl. ital.
barbas-súro) — wird = bb in cubbu (cupu z. B. arz cubbo = it. aere cupo),
cúbbula (cupola); lebbru, lebbiru (lepore); lebbra (lepra) - wird = v in
pouru, puritá - durch Binfluls des folgenden r, cf. Meyer-L. Cons. riciri
(recipere, cf. ital. ricevere). Vor dem Tone — e nur in arrivari, sti-
rari, cuverta Fläche des Schiffes, neben cuperta Decke, sti-vari ist auch zum
Seewesen gehöriges Wort — y mit f vertauscht in gulfu (ital. golfo), tufeu
(ital. trofeo), alle beide gelehrt. p + , im Hiat = ¿c: sicca (sepia), saccu
(sapio), arca (apium, apia), saccenti (sapiente); bleibt im Anlaut in
ital. Lehnwörtern piatusu, piaté, tempu, pir, duppre, impiassu, piuma,
esempiu u. a. • pp bleibt pp: stuppa, ssuppre (struppu); cippu (rip-pu);
lippu, puppa, scoppu. &) in Verbindung mit Kons. y + Dent. wird
gewöhnlich an diesen assimiliert in: pt = tt: attu (aptu); rutta
(ruptu); accatta (captat); setti (septe); grutta (crupta); cattivu (captivu),
volkstümlich nur im Sinne von „Witwer", cattiva, Witwe, vgl. dasselbe im
Sard. battíu, battía. - In pt, griech. Anlaut, füllt p ab: tisana (ptisana). ps = ss: jissu (gipsu); kissu
(eccum ipsum); scrissi (scripsi); = s in casa (capsea); - nach & fällt y
ab: scarsu (excarpsus) — im Anlaut sarmu (psalmus). /: crapa (CAPRA);
grúpiri (APRIRE); — wird zu 2 nurin liereri (cani livreri) gelehrt. vgl. ital.
lerriere, sonst supra, suprana, sapro u. s. v. Durch Einflufs eines
Nasals wird p oft zu l in Castel-termini: cumbitu (ital. compito), cambana
(campana), esembir (exemplu), timiniluni statt timpuluni (Maulschelle), bleibt
in Girgenti, tempu, rumpiri, tempru. Sporadisch sp - se in scantari, daher
scantu, scantusu, nach Traina, Sicil. Wtb. 872 ,viene da *spantari, che a sur
volta à scorciato de sparin-tari"; vgl. sard. ispantu, ispantusi; und
siche Schneegans S. 69. - Scattusu (nicht scuttica, wie Schneegans
schreibt) kommt nicht von dispettoso, sondern von scattari, ef. Traina.
Sic. Wtb. scattu 880, vgl. ital. schiattosn. Für rascari, neben
raspari, scuma neben spuma, vgl. ital. raschiare neben raspare, schiuma neben
spuma. Sonst sp bleibt: respa, vi- spanni, cripu, nespola, spata,
spalda, spissu, spusa, spusa U. S. W. Spl findet sich nur in
splumenti, splénnite, spleniri, splmuri, gelehrt und Lehnwörter, sehr selten im
Volksmunde, der shrannenti, sblémitu, sblemi, solénniri, shamári
aus-spricht. § in Verbindung mit 1. pl = lit: lzanu, laga, lattu, kummu,
lizazza, lioviri, lau, lizuma, culkia. - Volkstümlich in PORTO-EMPEDOCLE ist
„plaga" im Sinne von Erdstrich - Ufer - pilaija geworden, neben
kraga, Wunde. Mundartlich in Licata pl = c: canu (planu), caja
(plaga), ñummu (plumbu), coriri (plovere), canziri (plangere) u. s.
w. Zusatz. Scola (scoplus) mufs ital. Lehnwort sein (vgl.
scoglio). Pruculi ist nicht aus pluvure, sondern aus pur- ruli, mit
Metathesis des v. In entlehnten und gelehrten Wörtern bleibt pl: plausibili
(ital. plausibile); placari (ital. pla-care); plebi, cumplimente (rumblimentr
in Casteltermini): plácitu (ital. placido) u. a., - «) Anlautend, mit starker
und gedehnter aus-sprache, bleibt 1, in: "beddu, bedde, bon, bone,
boutire, bañn, bena, batia, batissa, basta, bastari, hitlivi, ballari; - bleibt auch in
entlehnten und fremden Wörtern, wie: hallakkinu, bagasa, battisimu, tuggacca,
bajunetta, balena,
baruni, battatuni, basalicó, 'bastardu, battaria, bannera, barrera, bamminu, botta,
-benna, borza, bar- cuni; - wird = e in vo (bove); vivu, viviri (bibere);
vucca (bucca); vancu, rastuni (bastone); vilanza (bilancea); vasari
(basiare); varca (barca); vasu (basso); vutti (botte); vestza (bestia); varba
(barba); varbarottu Kinn; vastasu (von BaGrá(u); vucceri (frz. boucher)
u. s. w. - wird = m: matu, mia- tiddu (beatu, beatu + illu); muniuré (t.
bot. stirax benzoin, ital. belgiuino). Inlautend, bleibt und wird
verdoppelt in den Lehn-wörtern: robba, nóbbili, débbuli, súbbatu, cible, (aber
vollis-tümlicher civu „pasto degli uccelli"), plebbi (plebe); sebba,
rabina, neben volkstümlichem ragga (ital. rabbia); parab-bula (parabula), aber
parola, palora - nach r: varba (barba); erba (herba); orbu (orbu); arbulu -
wird volkstümlich = 2: cuvari, cavaddu, duviri, lavuru, maravita, pru-
vari, aviri, cannavu, nuvula, fava, sivu, viviri, scrivu (ar-vule, neben
arbulu, ist sehr selten); guvitu, suvaru (suber). Von diesem o geht &
oft in u auf, wenn nach & ein u steht: neula (nebula); taula (tabula);
diaulu (diabolu); faula (fabula); parola, palora = paraula (parabula). -
Auffällig ist jimmu (gibbus); mmiucr (ebriacu), vgl. ital. imbriaco: calab.
imine (gibbus); rogu, gelehrt (rubus) entspricht dem ital. rogo - fabbro fehlt
im allg. sic.; ebenso ove (ubi); unni kommt von unde her. B wird zu m in
ssúmmula neben dem häufigen tottula (orgoußos), durch Einflufs des
vorhergehenden m. - Sporadisch / -- f in vifardu, ital. ribaldo. (ital.
nebbia, nibbio) können sich nur durch Abfall des b erklä-ren: neha, mihus
(miblius vgl. Wölflins Arch.), affiliari (ital. affibbiare) von
*affilare. - & + u = pp: «ppi (habui); appimu, appiru, rippi (*bibui);
cippi (bibuit); rippine, minppire. in Verbindung mit Kons. bt = tt:
suttirrangu (subterraneu); suttili (subtile); detta (deb'tu); sutta (subtu).
les := ss: assenti (absente); assólviri, gelehrt fällt vor st, se: sustanzn,
astiniri (abst.); scuru (obsc.); entlehnt osenu (obscoenu). - mb = mm: tumma
(tromba); gamma (gamba); rummáttivi (combattere); kumm (plumbu). - hr =
vi volkstümlich: uraco (braca); vraxzu (brachiu); aber labra, labbru, gelehrt,
in frevi, frivaru (febris, februarius) ist die Umstellung des i zu
bemerken. In Verbindung mit 1: Il = j in Sciacca janru, jan- lizz:a;
in GIRGENTI: Inancu, hiankia (vgl. ital. bianco, bian-chezza); agrig. gastima
(blasphema) ist mir nicht klar. Bl bleibt in fremden und gelehrten Wörtern:
blannu (blandu): ble, oft bili (frz. bleu); blusa (frz. blouse); problema
(pro-blema); aber Iunnu (ital. biondo). Volkstümlich in Porto-Empedocle findet
sich pilorca, pilotili? (ital. blocco, blocchi), pilaja (plaga). f. - im Anlaut
bleibt f: filu, fava, fusu, fim- mina, furnu, ferru, focu u. s. w. — wird
sporadisch zu b in -burietta, Iurcittata, hurcittuni (it. forchetta,
forchettata, for-chettone). buffet). Tafánu (ital. tafano, aus tabanus)
ist nicht volkstüm- lich. — f zu bo in carabba (arab. garâfi, ital.
caraffa), spora-disch. Im Inlaut findet sich f verdoppelt in: riffa (cast.
rifa), goffa (cast. gafa). Schneegans; aber “mafia,” ital. “matfia”. - Cunortu,
cunurtari, wohl von rum-hortari, nicht von conforto, confortare. In
Verbindung mit Kons. - fi bleibt fr: frenu, fra-pula, frati, friddu, frana,
frunna u. s. w. - f sogar zieht oft das & an sich: frevi (febris), frivaru
(februarius), friscari (fistulare, *fisclare, *fiscrare, - friscari),
frummicula, neben furmicula, sfrazcu (ital. sfarzo). - sf wird oft sp: spilari,
spolatura = sfilare, sfilatura; spunnari = sfunnari; spu- yari = sfogare;
spogu = sfogo; spari = sfare; spatte =sfatto. — of bleibt in Girgenti: 'nfami,
nfunnu (in fondo); cunfusu; nfattu (in fatto), 'nfernu (inferno) etc. — wird zu
mp in PORTO EMPEDOCLE: 'mpunnu (in fondo), 'mpami (in fame); 'mpattu (in
fatto) 'mpernu (infernu) - zu mb in Casteltermini: mbami, mbiernu, mbrimmitati
(infirmitate), 'mbattu. d) In Verbindung mit 1: f = x, mit starker
Aspiration bei dem Volke, beinahe $ im gebildeten Stande: xamma (flamma);
xzatu (flatu); zuri (flore); xzumi (flumen); xzumara (flumara), xasc (flascu),
x2águr (v. flagrare) etc., sporadisch zu ke in gunkari, gunkratu (ital.
gonfiare, gonfiato) neben vun-curi, vuncatu. In gelehrten Wörtern bleibt fl:
femma, flim-máticu, flussu, riflussu, flora, floridu, fluidu, fluttu,
flas-sioni, flaggellu, flotta, flautu. Anlautend, bleibt v: ventu, vuci,
vucca, vernu, vuturu, orddan, indir - mit einer sehr weichen Aussprache.
- Wird = m in mascu (vascu), minnitta (vin- dicta), minniña, minniñari
bei dem Volke, neben vinniña, vinniñari (vindemia, vindemiare), macabbunne
(ital. vagabondo), mocaveña neben vocaveña (vo + ca + veña, vuoi che venga,
ital. viavai). - Das deutsche w findet sich durch gu wieder-gegeben, aber schon
als gu, wie Schneegans richtig bemerkt, ist es aus dem Ital. nach Sicilien
gekommen: guerra neben verra Kinderwut, guastu, quastari, quai, guardari
gelehrt, guadañari, guadañu; - VAGINA, ital. guaina, ist aber agrig.
vajina. Im Inlaut bleibt v: navi, vivu, lavi, nivi, moviri, cava, favu,
lavari, novi (nove), leva (levat), novu (novu) - juvini (juvene) ist gelehrt
(ital. giovine), ebenso brevi (breve); - o schwindet in neu, vo (bove),
pau (pavo), pauni (pavone), paura, fauri (favore), Guanni (Giovanni); fajulda,
jina (avena), lisa (lixiva). - Übergang des o zu g in núgula neben nu-vula,
annugulatu neben annuvulatu, ragatusu (ravitosu); grugini (juvene), purguli,
pogir in Casteltermini; neben pau, paum, fauri, faurire finden sich oft pagu,
pagun, fagur, seltener pagura, Giuganni, wo sicher au zu agu verdehnt
wird, vgl. taguru (tauru), addaguru (lauru), Lagu-renzu (Laurentiu), agulivi
(aulivi). Unklar ist sinzli (gingiva) männlich, statt * sincia (sard. sinzia),
vgl. lisin; saliva fehlt im allgemeinen Sicil., statt seiner findet sich
spu-taxza; auch rivu fehlt. In addiminari (ital. indovinare) ist der Einflufs
des Nasallautes, der oft teilweise Assimilation aus-übt, i -n zu m-n (vgl.
minnitta, vindicta) zu bemerken. d) In Verbindung mit Kons. n+o=mm (durch ne):mmintari (inventare) 'mmidiari, 'mmidguse (invidiare, invi-dioso),
'mmidia (invidia), 'mmersu (inversus), cumméniri (con-veníre) 11. s. w. d
+ 0 = bb (durch 22): abbente (adventu), abbirsarzu (ad- versariu).
r+ i=*+b: sérbiri, sirbútu (servíre, servito), sarbari, sarbatu (servare,
servato). s+ x=s+0: sutar, sointariar (v. venter, ital. sven-trare),
sbummicari (s + vomicare, vomitare), sbinari, sbinatu ital. svenaro, senato,
shinniri (ital. svendere) u. s. w. § 5. m. - a) Anlautend bleibt m:
minutu, maturu, munita, maravita, mira, in marmaru, merda, mraculi (ital.
miracolo) hat m die gedehnte Aussprache des Anlautes — m zu 2, durch Dissimilation, in videmma,
vidé, neben midemma, midé (ital. medesimo) - sporadisch zu b in minaca (nach
Avolio 42, von arab. menaca) - m zu n in nespula (mespilu) gemeinrom.; nillza
(mitulu), cf. ital. nicchio, niechia, also wie in nite = ital. nibbio, worüber
bereits gehandelt worden ist. Im Inlaut bleibt m: nomu, ramu (ramu); fumu
(fumu); premi (premit); lima (limo); “amari” (AMARE) — wird sogar häutig
verdoppelt: fimmina, cummedia, cummidianti, com-maru, tommaru, nummaru,
cucummaru, cámmaru. 8) mti =ñ: vinniña (vindemia), vinniñari
(vindemiare); • siña, neben sima gelehrt (simia), sparañari (ital.
risparmiare); aber lmia (ital. lumia) neben limuncellu. scanneddu,
culouna, anniputenti, autunnu, sonnu; vgl. ital. ogni; balénu (BéDEuvOS, Diez,
ital. baleno) ist gelehrt.ml, nd = nt, un: contari, conti, sinteri gelehrt
(ital. sentiero, sem'tariu); nur nach Synkope des inneren
Vokales; sonst limitu (limitu); linnu, Ercumaru, circunnari. om bleibt rm: furmicula, furma,
furmari, fermu, firmari. Gutturale und Palatale. c. I. c ta, 0, U.
Anlautend bleibt gutturales c: cavaddu, casa, cornu, cantari, cantunera, cura,
cori, conta, cútina, cóppula etc. - wird zu y in: gattu, gámmaru, júvitu,
guvitata (neben vúvitu, cuvitata durch Assimilation), garófalu, garrubba,
ganiu, gamma, jagga (ital. gabbia, fi. cage, cf. Wölffins Arch.). - gulfu
(Ró2os) ist ge-lehrt, ital. golfo. Die Wörter cantu, piania, peria, piriari,
scurcari zeigen keine Palatalisierung des c vor a, sondern erklären sich, wie
schon Schneegans gesagt hat, aus französischer Herkunft: cantu (chantre),
piania (planche), perca (perche); piriari (percher); scuriari (ecorcher). ¿armu (charme), iar-mari (charmer) fehlen in
Girgenti; aus cheminée erklärt sich riminia. Franzosische Worter sind
ebenso tabare und tasen, taskettu, wo das c (cabaret, casque) zu t
geworden ist. - Famiari neben camiari „riscaldare il forno" ist nicht
klar; es kann keine Angleichung an flamma sein, da fl immer zu 2 wird
(flamma = xiamma); vielleicht aber an fum. P) Inlautend bleibt e nach dem
Accent: spica, littica, lattuca, fastuca, tartaruca, locu, focu, pocu, jocu,
sucu, dieu, ficatu; lagu (lacu) ist gelehrt (ital. lago), pregu (precor), pagu
nach Schneegans aus Angleichung an den Infinitiv prigari, pagari.
Inlautendes e vor dem Accent zu g: pagari, prigari, arrigurdari, arrigurdanti,
lagusta, addugari (adlocare); Sira-yusa; aber carricari, vucari (ital. vogare),
affucari (adfaucare, ital. affogaro), asucari (exsucaro, ital. asciugare),
cicala (cicada), sicuru (securu), jucari. - C schwindet in putia. II.
c+e, i = ie, ci. a) Im Anlaut: centu, cerou, cra, cmiri, ¿erca, cincu,
cimici, riveddu, ccir, tima, cu,cirasa etc. - è wird zu g in fremden und gelehrten
Wörtern: ginisi (span. ceniza), gileccu (span. chaleco), gitá, Licata
(cittá), gafaluni (cefaglione). 8) Inlautend bleibt ic, ii: viünu,
radici, paci, nuüi, dei, pici, cuci, cruci ete. Unklar ist kirkiri (ital.
cicerchia = cicercula, nach Avolios wahrscheinlich richtiger Erklä-rung Rest
der alten gutturalen Aussprache des c, vgl. sardisch). Sporadisch è zu
& in babalusi, Licata (span. baba + lueir, ital. lumaca). — è zu & in
sóggiru, sóggira, wohl weil Propar- oxytonon (soceru). Ee, e im
Hiat. = ix: aaru, fasia (facio), laziu (laceu), mustarola, abbracari,
eraru, risu (ericiu), jarill (glacies); ¿occu (ecco hoe), -axu (-accus):
ramurazza, ca- tinain, vista, gintari, sicca,u, mula:u, cudar:u; -
ux21 (-uceus): sanguzzu, santurru, curviäu, piduzau ete; aber face
(facies), minacer gelehrt. In Verbindung mit Kons. c+f(-x-) = ss:
matassa, rissr, tossicu, tessiri, fissu, lissu, lassari; - wird -s in
Lisannaru, Lisannara (Alexandru, Alexandria), lisia (lixiva), nésiri (exire),
cosa (coxa): seliri (exeligere), salari (exh.), asu- rari (exsuc.),
masidda, - als s findet sich in esempru, spiri-mentu (exper.), esilu gelehrt
(vgl. ital. esempio, esperimento, esilio). c+t=It: fattre, notti, otte,
pettu, fruttu, dotta, di- fette, aspettu, vettr etc. c+*= gr:
grassu, gradila, gridari, cunsagrari, sigri- tarm, sigretu; nach dem
Accent in agru, magru, sagru, aber auch agru, magre, sagiru. né =
ni: cunzari (ital. conciare) ammunciddlari (amon- cellare), dun«ellu
(do'n'cella), vilanza (bilancia), lanza (lancea), unza (uncia). In
Verbindung mit 1 + Vok. cl = liz: ohkzu, lizovu, logavi, kesa, kzaru,
lanu, lavi, lugiri, finokkzu, kizamari ete. Mundartlich wird è in Licata
(vgl. & in Noto, Modica); anu, caru, cesa, covu, cav, camar, speciu
(speclujlu), macca (macla) etc. - In einigen gelehrten Wörtern bleibt cl:
clamurusu,clamuri, clavicula, aber lizossu; cli, clac zu 1: quali, spirali,
juli, graditi, armiti, nie zu ye: quayga, gradigga, vie z. B. in
Palermo. §7. qu. a) Im Anlaut bleibt qu in quattu, quaranta, quannu,
quantu, quinnici. Vor o wird oft zu cu, cutilan (quotidian). - Für corki neben
quarki, corkidunu, auch cor- runu neben quarkidunu, quarkunu, s. 1, §
1. Vor e, i bleibt qu nur in gelehrten Wörtern: quarela, questura,
questurinu, quistioni, querannari u. a. Das Volk sagt aber oft: curela,
custura, custioni. Auffallig ist quetu, volkstümlich. QVID (ital. che) ist lie'
geworden; cu muls, wie Schneegans gut bemerkt, auf cui Dat. beruhen. Qu durch DISSIMILAZIONE
zu è in cersu, úncu, cinquanto. Inlautend bleibt qu in gelehrten Wörtern:
ossequzu, ossequari, equipaggu; wird aber zu y in cunsiyuiri (ital.
conseguire), cunsiguenza (ital. conseguenza), aguali (ital. eguale). Mit
verdoppelter Tenuis findet es sich in acqua (ital. acqua). “qv” zu “c” in “acula”,
“aquila”, sicutari (sequitari); niculizia (ital. liquirizia), cincu (cinque),
cocu (coquus), licori (liquore), anticu, sunca (dunqua) — vor e zu è in cociri,
toriri. §8.. I. y +0, 0, U: a) im Anlaut bleibt ya, go, yu:
gaddu, gaddina, gódiri, yustu, yula etc. Nur im Satzinnern wird y manchmal zu
h: ¿aju hustu, piccatu di la hula be-sonders in Licata; jaddu, jaddina, justu
(gustu); jabbari, jabbatre, jabbillotu (von gabella), nur in den
Mundarten von Sciacca und Casteltermini. Häufig auch in Girgenti, wie in
vielen anderen Mundarten der Insel, findet sich die Prothese des y vor
gutturalen Vokalen: gunu, juna (unu, una), gómini (omini), gavutu, yavutizia
(altu, altezza); in li gulivi (autivi), li yuriklie, könte aber in letzterem
Fall Aphärese des a sein, of. au zu ayu verdehnt. In grapu, grapi, grapiri,
graputu (von aperire) ist auch die Metathesis des i zu
bemerken. Inlautend wird y +«, o, u in GIRGENTI gewöhnlich
beibehalten: ruga, laya, fayu, magu, fragula, liya, ligaturi, juyu, prigatoru,
prigari (von preyare aus precare), rinneyu,rinnigate, rinnigari, rigale,
arrigulari, annegu, annigari, figura, figurine, figurari. Seltene Fälle: allg.
sieil. ist h aus g in litica (litigat), wie ital. lética; in PORTO EMPEDOCLE findet
sich pilaja (Erdstrich, Ufer) neben lzaga (plaga) und in GIRGENTI gayanti neben
gaganti (gigante). Ego (nach Schneegans) wird zuerst zu eju, dann eu (wie z. B.
in Ribera), dann, mit j-Prothese jec, und aus jeu —jüu, wie Deu--Diu, meu, miu.
In GIRGENTI findet sich nur in (ef. ital. io), mit vanni, 50 und 25 Canti
etc.) auslautend u mit a vertauscht. - Auf älteres & führt garn
„blafs", vgl. ital. giallo, wie denn auch im span. portug. ein lautwidriges
& vorausgesetzt wird; nur im fiz. jaune ist es berechtigt. II.
y te, i = ge, gi. a) Im Anlaut wird y to, i volkstümlich zu j: jenniru
(generu), jissu (gipsu), jimmu (gibbu), jinessa (genista); bleibt ge, gi in
gelehrten und fremden Wör- tern: genti, genu, goa, gilatina,
"gilatu, gebbia, giru, galle, gestu, gergu, ginia, gilusía, gilusu, gelu,
géniri, ginirali u.a. Auffällig ist agrig gunokly, gunoklya, ayyunik-lizari,
agyunilhzatu (also älteres *gunuclu durch Vokalharmonie) neben dinokkzu (DISSIMILAZIONE
bei Ähnlichkeit y - k zu d - li). Sporadisch zu s in sincili (gingiva),
cf. sard. sinzia. 8) Inlautend schwindet y te, i und wird i zu j: majisi,
majissu, majidda, pajísi, sajimi, sajitta, jitr (digitu), projii, rigiri
(regere), frigri (frigere); fujiri (fugere), fuj (fugit), rigiddu (regillu),
bleibt als de, gi in gelehrten Wörtern: priguni, vir-gini, virginitá,
virtiggini, riggissu, riggissari, greggi, leg-giri, riggina, magissatu,
furmagiu, tragie u. a. d) In Verbindung mit Kons. n + g nach dem Ton = i:
saiu (sangue); staña (stanga); linua (lingua); gana Zahn; fanu (fango);
loir (longu); zu ñ aber in añuni (angone); zu ni nur in san- csuca
(sanguisuga) - n+ ge, gi = ni: kjanciri (plangere); ssincri (stringere);
tinciri (tingere); finüri (fingere); nura (in-giuria); ancilu (angelu); munciri
(mungere); nicñu (ingeniu); funca (*fungea). Nur in Licata bleibt ng: mungiri,
pungiri, punigusu, ligangiri, tiniiri u.s. w.g + n verbindet sich zu ñ: puñu,
mañu (magnu), reñu, sinu, añeddu, liñu, stañu, cuñatu, piñu, diñu. Canusiri
(ef. ital. conoscere) kommt von dem vulglat. * conoscere, cf. Meyer-L. — ngi zu
ni in sponia, nzunza (ital. spugna, sugna). - ngl zu i in ciña, uña, ciñali,
gelehrt (ital. cigna, ugna, cignale). yin = mm: domma, enimma,
frammentu, flemma, gelehrt. go bleibt go: griddu, granatu, granula,
grecu, gro (grue), gradu, gren, grivanza - manchmal fällt y in gra: ranni,
raufa, ravusu, rasta (grasta), radu, ranatu. Im Inlaut, neben agru,
mayru, allegru, findet sich agiru, mayiru, alle- giru, s. § 18; ferner
nigure, xaguru (nigru, flagrore). gl. = t: lommaru (glomere); alannara
(glande), abuttiri (glutire); qualari, vilari, ssiari, ssia, - ylobu,
ylora sind gelehrt, ebenso giarza, ital. ghiaccio. j. Anlautend bleibt j:
jencu (juvencu); jiniparu (juniperu), jittari, jettitu, jittena (s.
jecere), jugu, jocu, ju-culanu, jucari, jucata, jovidi, jumenta, juntri, judici
etc. - In gelehrten entlehnten Wörtern wird j zu g: ga (jam), guvini
(juvene); gustu, gustizza (justu, justitia), gudixm, gu-dicari, gurari neben
jurari, volkstümlich. Für Gesú, Gesuziu, Guvanni, ital. Gesù, Giovanni. In den
Mundarten von Cian-ciana und Casteltermini (manchmal auch in GIRGENTI) findet
sich statt j: grugini Casteltermini (juvene), gustizia, gustu, garnu,
grattena, agruccu, agruccatu, agruccari (v. guccu) (vgl. frz. juc). - So
wird j - ge auch in den adverbialen Verbindungen, wie z. B. a gocu, a giettito,
a grunta, pi giunta u. s. w. Inlautend wird j volkstümlich auch als j
bewahrt: peju neben peigu (pejus) gelehit, majuri neben magguri (ital.
mag-giore); maju (maju), dijunu, dijunari. - Von dem golehiten & wird durch
Einflufs des n, zu è in 'niuga (ital. ingiuria).Dentale. Sowohl im Anlaut
als im Inlaut bleibt t gewöhnlich unverändert: tantu, tauru, tu, tortu, tila,
tempu, talari, tizzuni; - viti, vita, latu, cuntata, batia, putia, ba-tissa,
legitimu, ssata, siti, rota etc. Tonloses t vor dem Tone =d nur in padedda, gridari, rudeddu,
gradita (vgl. ital. pa-della, gridare, budello, gradella); gelehrt ist grada,
cf. ital. grada (grata); tt bleibt tt: gatta, sajitta, batti
(battit), gutta neben yuccia, cf. ital. goccia (*guttea). - It gekürzt in t:
matinu (ital. mattino). ut statt it findet sich in mintiri, minti, mintutu
(mittere) durch Einflufs des Nasals des Anlauts. y) in Verbindung mit
Kons. it bleibt rt: porta, marteddu, morti, murtaru, mur-tidda etc. -
wird zu rd in spirdi (spiriti). ut=nt: lisantu, lianta, cente, frunti,
munti, funti ete. st = st (nie st): agustu, mustu, gustu, testa, castedu
etc. ti=t: pati, mati, vite, tovati, quattu, metu, uti etc. str =
ss: ssata, assu, massu, nossu, rossu, culossa ete.; bei den niedrigen
Leuten findet sich manchmal & statt $$: masu neben massu (maistru),
noss (nostru), voss (vostru), ásacu neben ássacu (astracu, ital.
terrazzo). t=lil: veklzu, silliza, niklia; in fist'lare (ital. fischiare)
ist das l zu r geworden: fiscrare und dann durch TRASPOSIZIONE o Metathesis
friscari statt fishzari. Mundartlich in Licata i =й: vei, sicia, nicca; cf. cl,
pl=. t, volkstümlich = iñ: peru, maxa, ssaari (ex-tractiare), palar,
prezal, accarizari. Suffix - antia = spiranza, luntananza, crianza,
mancania a.sV entia - crsa: prisenza, sensa, sintenza, simenza, cusenza,
pruvidenza; - itia = ira: duczza, cuntintizia, frankirza; - atium =
azzU: minurza, palazau; - itiun = irzu: timulizzu, capizzu u. s. w. (s.
Schneegans). - (angustiare), ef ital. angosciare. Rasuni, stasuni u. dgl.
sind, wie Schneegans gut bemerkt, eine Popularisierung der fremden Form mit
& - doch hört man sie sehr selten - Sir-vizu neben sirvizzu, prisenza neben
prisenza, stazioni neben stazzuni, oxzu, privinzioni sind alles gelehrte
Wörter. Unklar sind paien:a (patientia, ital. pazienza), wobei Schnee-gans
an eine volksetymologische Ableitung von paci denkt, und scorca (scortea), das
Avolio von écorce ableiten möchte. d: Im Anlaut bleibt gewöhnlich d: donu,
duru, deci, dormiri, dinari, durari, doti, dari, mit weichem Ausdruck im
Gegensatz zu decottu, dugana, duguneri, dannari, dumannu, s. II: Cons. -
Sporadisch d zu t in tusellu (span. dosel); zu s in sunca (dunqua); fällt in
attula (dactylus). f) inlautend wird d auch beibehalten: nidu, nudu,
gra-du, fidi, pedi, cuda, sehr weich ausgesprochen, aber nie in ? übergehend -
doch manchmal verstärkt es sich in t, bes. bei Proparoxytona: tispitu, stúpitu,
ácitu, vgl. ámitu. - D zu n, durch Dissimilation in lónara ([alaudula), sporadisch
zu / in ricala (vgl. ital. cicala, franz. cigale); schwindet in 'ncúnia
(incudine). dd zu on in rénniri, vgl. ital. rendere. d) in Verbindung mit
Kons. dr = t in quatu, citu (ital. quadro, cedro). id bleibt id:
tardu, pirdutu, pérdiri, virdi u. s. w. Id = Il in calle (caldu),
calliari ('caldicare), falla, ful- larr, fallarinu (v. falda); callara,
callaruni (caldaja), nur bei den niedrigen Leuten. nd = nn: camila, funu, quann, bunnu,
cunfún-niri, mannari u. s. W. &) in Verbindung mit Hiat. i: de
volkstümlich = j: jorme (diurnu), seju (sedeo), viju (video), raja (sing. raju
sehr selten, radiu), criju, ligeju (cludeo); oji (hodie); caju, appoju,
appu-jari (v. podiu). - In gelehrten, entlehnten Wörtern bleibt dị: darule,
dialugu, dialette, mediu, rimedre u. a. — Segga (sedia), Keine Umstellung
des d findet sich in mpatidiri, da es nicht von impallidiri, wie Meyer-L. (It.
Gram.) glaubt, sondern von patedde (Schalmuschel) kommt, das heisft,
,restringersi, per paura o per freddo, coma und patella."raggu, gurnali,
gurnalista, gurnaleri sind ital. Wörter, ebenso pranzu, manzu (mandium), roxzu,
shixzu, frizzu. - Auffällig ist orzu (ordeu) volkstümlich. In menzu, mazzornu,
man-inó (mezzo giorno) ist der Einflufs des Nasales des Anlautes zu finden. s.
a) im Anlaut bleibt s gewöhnlich: sali, sucu, siti, sonu, se (sex), soru,
suitta, sudari, simen:a, sava, surfaru, sampuña (sambagna), sirina ete. - wird zu
& nur in sorba (sorba), salbara (arab. sebbara). - Simia, neben siña,
siroceu sind ital. Lehnwörter. - Nur st, sp, sc, nie & () inlautend
wird s auch beibehalten: risu, fusu, casa, rasu, spusu, misi, cosa, rosa ete.
Die Form riciñolu, Nach-tigall, ist in Girgenti unbekannt, statt seiner findet
sich vi-siñol, gelehrt (cf. ital. rosignuolo). y) ss bleibt ss: russu,
grossu, passaru, passu, grassi, missa, passari etc. - Porau (possum) mufs, wie
Schneegans bemerkt, analogisch zu fazu sein. Vasu, grasa, nisun beruhen auf
si. in Verbindung mit Kons. sc vor oder nach Palatal-vokalen =$: camúsiri
etc.. rs bleibt rs: ursu, cursa, scarsu, pirsuna, pirsuasu etc. -
wird zu rz in vurza (bursa). ns = nz: pinzari, 'nzémmula (insimul), lunitu,
'nziñari, 'ncusu (insursum), 'nzumma (in summa) etc. &) in
Verbindung mit Hiat. i. Schneegans hat kaum recht, nach meiner Meinung,
zu sagen, dafs s + Hiat. i = e (ital. g) wird. Diejenigen Beispiele, die
er giebt, beweisen die Thatsache nicht; denn occasionem, prehensionem,
phasianus lauten nicht cacuni, pricuni, facani, sondern prisuni, casuni,
fasanu, alle drei sind aber aus dem Ital., prigione, cagrone, fagiano, entlehnt
und sehr wenig gebraucht. Camisia lautet nicht camica (wie im Ital.), sondern
cammisa; *asium (ital. agio) nicht au, sondern asu. Also lautet von allen
Beispielen bei Schneegans nur caseus = cazu und dieses ist auch gelehrt (vgl.
ital. cacio), da das Volk statt seiner immer tumaxzu sagt.Welches ist nun die
volkstümliche Entwickelung von s + Hiat i? Ich lasse es bei den Beispielen
bewenden: cam-misa (camisia); vasu (basiu); vasari (basiare); ginisi
(cinisia); ¿irasa (cerasea); lizesa (ecclesia); riversu (ital. rovescio);
fasola fasoli (phaseolus) alle volkstümlich; dann cau gelehrt, asu,
rasune, fasam, prisuni Lehnworter) im Anlaut wird n beibehalten: nodu, nasu,
nudu, novu, niguru (nigru), nidu, natali etc.; — schwindet gewöhnlich in nun
(non): „un sacõu nenti, un ti ni volu dari, un ti porzu ajutari, un & é
bersu" u.s. W. - Zusatz eines n findet sich in nesiri (exire), nguanta
(ital. guanto), nita Geschwür, nxiru (seria). - Für nomu, "nappa,
"nocca siehe II. inlautend, bleibt n auch fast immer: luna, gaddina,
fini, lana, manu, pani, jina, fenu, bona, finessa, minutu, finokkau. etc. -
N-n, durch Dissimilation, in 1-n in vi-lenu, cunfaluni; n-m zur -m in arma
(anima), armali (animale) – DISSIMILAZIONE [cf. H. P. GRICE, ‘soot’, ‘suit’ –
DISTINCTIVE FEATURES]. 8) in Verbindung mit Kons. n vor s schwindet, wie
allg. rom.
isula, misura, spusu, spusa, misi etc. d) nn bleibt nn: annu, pinna,
nannu, nanna, pannu etc. 8) nị =ñ: cuñu, suñu, duñu, tiña, viñu. - In
gelehrten Wörtern bleibt n: calunma, crimoma, querimonia u. a. Auffällig ist
ssamu, ssamari, ssamatu (von extraneu), volkstümlich. § 14. l. a) im
Anlaut: liu, loda, lumi, locu, liggi, lattuca, luntanu, littica etc. - l zu g
durch Dissimilation in gitu, golu (aber schon vulglat. jilium, jolium). - I zu
& in rimarra (limarra von limu), rusiñolu (cf. ital. rosignuolo). B)
inlautend bleibt l zwischen Vokalen: gula, pala, mula, pilu, gelu, cuturi,
pilucca etc. - Wechsel des / und & miteinander in palora (parola), grola
(gloria), ¿artiri (barile), acqua-loru (acquarolo), rogu aus lorogu (horologu).
- 1- 1 zu r-1 in fragelle (flagellu), caramedda (frz. chalemel). - I zu t in
úmitre (amylum), cf. ital. ámido. - 1-1 zun - 1 in canollia (aber schon
volkslat. conucla); Filmena (für Filumela).d) Il = dd [für die Aussprache s.
Diakr. Zeichen]: idda (illa), -beddu, -ada (bellu, -a), sedda (sella); midudda
(medulla); cipudda (cepulla), nuddu (nullu), griddu (grillu), cavaddu
(ca-ballu), foddi (folle), peddi (pelle), stidda (stella) etc. - In ge-lehrten,
italianisierenden Wörtern wird Il beibehalten: bell, bella, billia neben beddu,
bedda, biddixza, pullu, satollu, valli, aber vadduni, abbaddatu (ital. vallone,
arvallato), villa (villa), aber viddanu, sogar milli (mille); beim Volke findet
sich aber öfters mira (milia). Ferner balla (frz. balle) neben badda. (ital.
palla Kugel), fratellu Klosterbruder neben frateddu Vetter; coll Last neben
coddu Hals (s. Schneegans). U—1 zu un - 1, durch DISSIMILAZIONE, in pinnula
(ital. pillola). d) I vor Kons., im Silbenauslaut. I + Labialis zu r:
tarpa (talpa), purpa (pulpa), corpu (colpu), curpa (culpa), purpu (polpu),
sarpari (salpare), vurpi (vulpe); arba (alba), sarvaggu (silvaticu); sariza
(salvia), sarvari (salvare); surfaru (sulfaru), parmentu (palmentu), parma
(palma), ermu (elmo). -— In pru-vuli ist die TRANSPOSIZIONE o Metathesis des r (aus
/ + Lab.) zu bemerken. l + Gutturalis zu r: arcova (ital. alcova); surcu
(sulcu); sapurcru (sepuleru); carcañu (calcaneu); 'ncarcari (incalcare);
barcuni (balcone); quarki, corki (qualisque, ital. qualche); curcari
(collocare) - cravaccari von cavarcari (cavalcare). 1+c= r in purci (pulce);
sarõu (salice); farci (falce). - l+ ¿ vocalisiert in caucu (ital. calcio);
quacina (aus caucina calcina). - I + & schwindet in puci neben purci, duci
(dulce), ducizza (dulcitia); - l+i = n in fanci (falce) bei den
Landbewohnern. l + Dental. 1. l + Dent. = v: artaru (altare); Marta
(Malta); Car- taggiruni (Caltagirone); surdatu (soldato); sordu (soldo);
ger-suminz (gelsomino); farsari (falsare); sarsa (salsa); nurtu (insultu);
garnu (afrz. jalne). Anmerkung. Wenn jemand aus dem Volke, der einen
Anstrich von Bildung hat, entweder durch Schulbesuch oder Dienstzeit, mit einem
aus höherem Stande spricht, wird er immer liardu (caldu), mortre (molto), artu
(altru), martempu (maltempo), farda (falda), sarsica (salsiecia), sarte
(saltu),sartari (saltart) u.s. w. sagen, in der Meinung italienisch, oder
wenigstens ein feines Sicil. zu sprechen. - Wirklich volkstümlich ist aber
artaru (altare), nie otaru, neben ataru; die anderen Wörter sind entlehnt und
fremd. 2.1 + Dent. vocalisiert: autu (altu), autu (altru), sau-tari
(saltare), sautu (saltu), fauda (falda), fausu (falsu), ceusa
(gelsu), meusa (milsa). - In diesem Fall ist die Einschiebung des o, 9 sehr
häufig: avutu, avutu, sagutu, cavudu, favusi, cevusu. In Cianciana findet sich
/ + Dent. in ¿ vokalisiert: fúida (falda), caidára (caldaja), cáidu (caldu),
caidiari (caldi-care), caidiatu caldic + atu) - nur bei den niedrigen Leuten
geht / + d in ll über, wie in falla, fallaru, fallaririnu, callu, calliári,
callara, callaruni. - Formen wie atz, atu, satu, satari, sasixxa, caxi
sind sicher contrahiert (ar = (), ebenso in pusu (pulsu), vuturu
(vulture), voxi (volsi), ascutari (auscultari), cuteddu (ital. coltello).
1. bei dem niedrigen Volke, besonders Landbewohnern, wird / + Dent. zu n: antu
(altu), antu (altru), santu (saltu), santari (saltare), fanzu (falsu), canzi
(calx), ascunta (auscul-tat), punsu (pulsu), sanzizza (salsiccia), monta
(volta), auch mota. / + Hiat. i. h = 7 in der ganzen Provinz, ausser
von Sciacca und Ribora: fitu, mitu, gitu, golu, mutúri, pita, tata, vota,
cun-rilu, famila, olu, melu u. s. w. ohne Ausnahme. r - a) im Anlaut findet
sich nur als scharf gerolltes alveolares y (v): re, renniri, ridiri, russu,
ris-tari, rasu, Roma, rosa u. s. w.; - ranni, varusu, rat-tari sind aus gr
entstanden. 8) inlautend, bleibt & gewühnlich als weiches
ungerolltes vaibberi (barbierc), feimmu (fermu) - nach Labialen schwindet
o in derselben Mundart: fevi (sicil. frevi), firaru (sicil. frivuru), pimu
(primu), pivari (privare). - Aus Dissimilation schwindet i aber in der ganzen
Provinz in crivu (vgl. kalab.neap. krivu). Zutritt eines &, fast immer bei
auslautendem t erfolgt in: anata (cf. ital. anatra), inhiossa, gelehrt, (ct.
ital. inchiostro), cilessi (ef. ital. vilestre), jinessa (genista) - nach
anlautendem t in tisolu (tesauru), tuniari, vgl. Diez Wtb. trono. - /-zur
- 1, durch Dissimilation in: arbulu (arbore), in- ruca, rasola (rasoriu).
Sporadisch & zu n in Gaspanu (Gaspar), fisini (viscere); r zu l in siloccu
neben siroccu. Metathesis der y in: prevula (pergula), sfrazzu (ital.
star. 20), ssanutu (stirnutu), scravalu (scarabeu), vrigoña (ital.
vergogna), friscari (fiserare), prevuli (purvure), tubbu (torbido), proji
(porrigere), prummettiri (ital. permettere), cravuni (carbone) - crapa (capra),
crastu (castru), frevi (febris), frivaru (februariu), graniu (cancru),
catteda (cathedra). - Dagegen stehen furmentu (frumentu), purpama (propagine),
tirdinari (tredenari). d) or bleibt er: ferru (ferru), terra
(terra), carrettu (v. carTu), cord (currit), turri (turre) u. s.
w. 0) / + Hiat. i. 1? + Voc. =• + Voc: argu= arus. §1 - fera
(feria), munaster (monasteriu), cannilaru (*candelaria), syarra (*ex-
variu), axxaro, jinnaru, fricara, murtare, panare, nularu, rurdunaru,
panaru u. s. w. In gelehrten Wörtern bleibt : coru, sigritarn, mug-
gisterzu, messaru, rifriggerne u. a. — Auffallig ist virsérge (adversariu)
volkstümlich.-Im letzten Augenblicke, als ich eben diesen meinen ersten kleinen
Versuch nicht ohne einiges Bangen in die Welt hinausschicken und den
Fachgenossen vorlegen wollte, langte in Bonn eine neue Arbeit über die
sicilianischen Mundarten an von meinem durch eine Reihe sprachvergleichender
Arbeiten hochverdienten Landsmann, Gregorio aus Palermo, unter dem Titel, Appunti
di fonetica siciliana, Palermo. Indem ich dieses Zusammentreffen als einen
besonders günstigen und glücklichen Umstand betrachte und nicht wenig darauf
stolz bin, dals meine süfse Muttersprache Gegenstand einer solch vertieften und
andauernden Forschung zu sein gewürdigt ist, so habe ich noch andere Gründe,
mich des Erscheinens dieses wichtigen Buches zu freuen. Ich sehe nämlich, dafs
wir nicht nur in fast allen Punkten, wo wir uns mit unserem unmittelbaren
Vorgänger, der vortrefflichen Arbeit von Heinrich Schneegans, dieselbe
stellenweise berich-tigend, beschäftigen, jedesmal zusammentreflen, was sich
durch unsere Kenntnis des Sicilianischen als Muttersprache ohne weiteres
erklärt, sondern obendrein wir uns beide in demselben Gedanken begegnet sind,
unsere Arbeiten Foerster) Die Hindernisse, die das endliche Erscheinen des nach
dieser Jahreszahl offenbar schon länger als ein Vierteljahr fertiggedruckten
Buches so lange verzögert haben, sind in der Einleitung nicht angedeutet. Durch
die Güto des Foerster konnte ich das oben eingetroffene Wid-mungsexemplar
sofort benutzen. - Meine Arbeit wurde bei der hohen philosophischen Fakultät
der Universität Bonn als Doktor-dissertation eingereicht und angenommen. Die
Korrektur des letzten Bogens erhielt ich in Bonn zu widmen, der bereits vor
acht Jahren die erste wissenschaftliche Bearbeitung des Sicilianischen nach den
in Deutschland allein erreichbaren Schriftdenkmälern veranlalst hat in der
Bonner Dissertation von Hüllen und welcher der Untersuchung der Mundarten
unserer beiden grofsen italienischen Inseln seit Jahren liebevoll seine Kräfte
widmet. Durch die bis jetzt erschienenen Arbeiten steht die Laut-Ichre
des heutigen Sicilianischen im grofsen und ganzen fest und fertig da; allein
bei der unendlichen Mannigtaltigkeit der Lautentwickelung, die fast mit jedem
Orte wechselt, ist es klar, dals ein vollständiger Aufbau erst dann wird
vorgenommen werden können, wenn eine möglichst grofse Anzahl von
Einzelnuntersuchungen über die lautlich irgend wichtigeren Punkte unserer
herrlichen Insel, und zwar möglichst von Sicilianern, erschienen sein werden,
wozu ich mit dieser Arbeit mein bescheidenes Scherflein beizutragen gewagt
habe. Auf eine eingehendere Würdigung der Arbeit Gregorio's kann ich mich hier
nicht einlassen. Ich bemerke nur nebenhin, dals ich in einigen Punkten, wie
Erklärung des grevia von graivius - ai kann sicil. unter diesen Bedingungen nie
e geben -, der analogischen Erklärung des - oklin aus uculu durch Anlehnung an
culu, Ableitung von bruicetta von broccus - ich kenne nur burietta, das ja
irgendwo in brucetta umgestellt sein könnte, das aber von furca kommt und dem
ital. forchetta genau entspricht, während natürlich brocca zu broccus gehört -,
Anwendung des Zeichens ti statt des einfachen t für lat. ti (ich wenigstens
kenne es blols als einen einzigen Laut !, welcher bestimmt der stimmlose zu dem
stimmhaften da ist), die Annahme, dals lat. -ss- allein & geben könnte in
grasu u.s.f. - meiner Ansicht nach ist
stets ein folgendes i im Spiel, auch in casa, vgl. frz. causse, portug. caixa
-, die Ableitung des porzu von possum (statt von potio, die Auwendung des
Doppelzeichens ij statt des einfachen n, da man nach ñ nichts einem / ähnliches
hören kann, u.ä; nurin einem Punkte möchte ich, weil es meine Heimat betrifft,
wiedersprechen: Auf wird gesagt, dals in GIRGENTI sich manchmal die
Diphthongierung des & und des p findet, was aber nie der Fall ist.
Thatsächlich sind nämlich caétuóf-fuli, suoddi keine agrig. Wörter; statt ihrer
sagt man immer und nie anders als cacóciuli, sordu, sordi. Bonn. L. P.Luigi Pirandello. Pirandello. Keywords: e dov’è il
copione? è in noi, signore – il dramma è in noi -- siamo noi – R Chiede
d’entrare nei fasci, La Stampa, Gentile e Sorel, Mussolini e Nietzsche,
Mussolini e Sorel. – ridotto in siciliano. U ciclopu, decadentismo, identita
personale, l’io e la societa, il collettivo, l’intersoggetivo. Refs: Luigi
Speranza, “Grice e Pirandello” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Pirro: la ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale rovesciata nel’idealismo di Gentile – la scuola
di San Severo -- filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (San Severo). Filosofo italiano. San Severo, Foggia,
Puglia. Studia a Roma sotto SPIRITO (si veda). Studia ALLMAYER sotto PLEBE. Insegna
a Perugia e Palermo. Studia GENTILE (si veda). Pubblica “L'attualismo di
GENTILE e la religione” (Sansoni, Firenze). Fra i suoi saggi si ricordano anche
“Filosofia e politica in CROCE” (Bulzoni, Roma). Si interessa alla ricerca
storio-grafica e svolse numerosi saggi su Terni. Esponente di spicco della vita
culturale della città umbra, studia gl’aspetti poco indagati di quella che fino
ad allora era una città ancorata ad una dimensione prettamente industriale. Sotto
la giunta di Ciaurro, co-ordina il progetto per la realizzazione di un museo
archeologico nel convento di S. Pietro sotto. Peroni. Nei suoi studi di
storia ricostrusce prima della pubblicazione de Il sangue dei vinti di PANSA, episodi
della guerra civile tra cui l'assassinio del sindacalista CARLONI e del
dirigente d'azienda CORRADI. Fonda il "Centro di studi storici",
un'associazione culturale di ricerca storica a cui viene collegata la rivista
“Memoria” L'obiettivo di “Memoria” è
quello di porre fine all'amnesia organizzata, facendo conoscere a tutti le
vicende di una città figlia non solo dell'industrializzazione. Accanto ad un
nuovo sguardo per le vicende passate “Memoria” inaugura una stagione di
storiografia libera da condizionamenti ideologici e basata sulle fonti.
Suscita critiche per la ricostruzione d’alcuni episodi di violenza avvenuti
durante la resistenza anti-fascista, critiche di storici locali, che lo
accusano di revisionismo. In realtà il suo lavoro è sempre suffragato dalla
presenza della fonte documentale. Le vicende ricostruite, come ad esempio quella
dell'uccisione di CORRADI o URBANI, ad opera dei partigiani non sono mai
trattate dalla storio-grafia ufficiale. Consigliere dell'stituto per la storia
dell'Umbria e dell'stituto di cultura della storia dell'impresa Momigliano,
dell’istituto per la storia del risorgimento. Il saggio “Regnum hominis: l'umanesimo di GENTILE” fa parte
della collana della Fondazione SPIRITO e FELICE di Roma. Un saggio dedicato al risorgimento
pubblicato da Morphema intitolato “Risorgimento.” Un saggio "Dopo GENTILE dove
va la scuola italiana" (Firenze, Lettere). Il consiglio comunale di
Terni delibera di dedicare la sala Tacito di Palazzo Carrara in Terni a P.. Con
l'occasione si presenta il carteggio "La vita come Ricerca, la vita come
Arte, la vita come Amore", titolo riferito all’omonimo saggio di SPIRITO In
occasione delle celebrazioni della fondazione del Liceo Tacito di Terni, gli
viene dedicate nell'atrio della scuola, una targa con una dicitura tratta da
una poesia di Gibran. Altre saggi: "Italia e Germania", raccolta
di saggi da “Studi Politici". Pubblica una raccolta di memorie di scritti
di garibaldini intitolata "Corre l'anno” “Terni e l'affrancamento di Roma
nelle memorie dei garibaldini; il saggio "Filosofia e Politica e GENTILE"
(Aracne). Il comune di Terni delibera la posa di una targa in memoria presso la
dimora di P.. La soprintendenza archivistica
dell'Umbria e delle Marche dichiara il suo archivio di notevole interesse culturale
ai sensi del T.U. dei beni cultural. Viene scoperta sulla casa a Piazza Clai a
Terni una targa commemorativa. Viene pubblicato da Intermedia "L'unica
via è il Pensiero: scritti in memoria". Altre saggi: “Una missiva a SPIRITO”“Filosofia
e politica in GENTILE” (Firenze, Sansoni); “La riforma GENTILE e il Fascismo”, Giornale
critico della filosofia italiana” (Firenze, Sansoni); La politica dell’idealismo
italiano” (Firenze, Sansoni); “La prassi come educazione nella gentiliana
interpretazione di Marx” (Firenze, Sansoni); “Cultura e politica” (Firenze,
Sansoni); “Filosofia e politica: il problematicismo” (Roma, Bulzoni); “La
repubblica fascista”; “Per una storia dell'Umbria durante la repubblica
fascista” (Perugia, IRRSAE); “Terni nell'età rivoluzionaria e napoleonica,”Arrone,
Thyrus, Terni e la sua Provincia durante
la repubblica sociale” (Arrone, Thyrus); Ugolini, Petroni, dallo Stato
Pontificio all'Italia unita” (Scientifiche, Napoli); “Interamna Narthium materiali
per il museo archeologico di Terni” (Arrone, Thyrus); Le acque pubbliche gl’acquedotti
di derivazione e l’utilizzazioni idrauliche del territorio di Terni nei sommari
riguardi: tecnico, legislativo e storico” (Terni-Giada, ICSIM); Una scuola una
città: il liceo ginnasio di Terni” (Arrone, Thyrus); “Terni nel risorgimento” (Arrone,
Thyrus); “Sull'avvenire industriale di Terni, scritti di L. Campofregoso;
Perugia: CRACE/ICSIM, “Garibaldi visto da GENTILE” (Roma, Istituto per la
storia del Risorgimento Italiano); "Per Garibaldi" (Arrone, Thyrus);
“I giustizieri, La brigata GRAMSCI tra Umbria e Lazio, di Marcellini, Mursia,
Regnum hominis, L'Umanesimo di GENTILE” (Collana Scientifica Fondazione SPIRITO
e FELICE, Roma, Nuova Cultura); “Scritti sul Risorgimento” (Furiozzi), Terni,
Morphema); La vita come ricerca, la vita come arte, la vita come amore” (Terni,
Morphema); “Italia Germania” Saggi di Filosofia Politica, Amazon, Filosofia e
Politica in GENTILE” (Aracne, Roma); Carloni: Storia e Politica (Intermedia, Orvieto);
Manifesto del convegno su Petroni; Garibaldi Terni Mostra documentaria e
pubblicazione Istituto della storia del risorgimento Petroni, Dallo Stato
Pontificio all'Italia unita. Convegno di Studio Terni, La Rivoluzione Francese,
Terni, La nascita della Repubblica e gl’anni della ri-costruzione”; Biblio-media-teca,
Terni, 7ricerca storico documentaria; sezione della mostra in collaborazione
con archivio di stato di Terni e Biblioteca comunale di Terni; in
collaborazione con centro per la promozione, istituto per la storia dell'Umbria
contemporanea (Arrone, Thyrus); Intorno alle miniere di ferro e alle ferriere
dell'Umbria meridionale, scritti di Vaux et al.; Terni: CRACE/ICSIM; Passavanti,
Atti del Convegno di studi (Terni) (Arrone: Thyrus); Convegno dei lincei (Terni),
Cesi e i primi lincei in Umbria, atti del Convegno dei lincei: Terni” (Arrone: Thyrus);
dei lincei, “MAZZINI nella cultura italiana:”, atti del Convegno di studi,
Terni” (Arrone: Thyrus); Magalott, erudito, giureconsulto, docente di diritto” (Arrone:
Thyrus); “Per Garibaldi” (Arrone: Thyrus); Valentino patrono di Terni, atti del
Convegno di studi: Terni (Arrone: Thyrus); “La vita come arte” (Sansoni,
Firenze); “La vita come amore” (Sansoni Firenze); “La riforma della scuola” (Sansoni,
Firenze); “Il problema dell'unificazione del sapere”; “Dal mito alla scienza” (Sansoni,
Firenze); “La mia ricerca” (Sansoni, Firenze); “Dall'attualismo al problematicismo”
(Sansoni, Firenze); di GENTILE; Il
concetto di “pedagogia, in Scuola e Filosofia” (Sandron Palermo); “Giornale critico
della filosofia italiana” (Sansoni, Firenze); “La scuola laica” (Vallecchi, Firenze);
“Sistema di logica’ (Laterza, Bari); “La scuola” (Vallecchi, Firenze); “Che
cos'è il fascismo”; Discorsi e polemiche” (Vallecchi Firenze); “Saggi critici”
(Vallecchi, Firenze); Scritti pedagogici” (Treves, Milano); “Origini e dottrina
del fascismo” (Istituto Fascista, Roma); di Croce Contributo alla critica
di me stesso (Napoli); Conversazioni critiche (Laterza, Bari); “La letteratura
d’Italia” (Laterza, Bari); “Cultura e vita morale” (Laterza, Bari); “Etica e
politica” (Laterza, Bari); “Pagine sparse” (Laterza, Bari); “La guerra civile”;
“Memoria” (Thyrus, Arrone); “La storia rovesciata” – cf. PISONE – implicatura
rovesciata -- ; “L'umanesimo di GENTILE”
(Cultura, Roma); “L'uomo e la storia” (Thyrus, Arrone). Il percorso storico,
"Regnum hominis". L'ospite di passaggio, la difesa. Sull'avvenire
industriale di Terni; Rassegna storica del Risorgimento. La vita come ricerca,
la vita come arte, la vita come amore. Vincenzo
Pirro. Pirro. Keywords: l’idealismo di Gentile, Istituto Nazionale Fascista,
Origini e dottrina del fascismo, che cosa e il fascismo – discorsi e polemiche
vallecchi, Firenze, Mazzini, per una storia dell’umbria durante la repubblica
fascista, la repubblica fascista, gentiliana interretazione di Marx; la
filosofia di Gentile, filosofia e politica in Gentile, Gentile nella grande
guerra, il partito ha un capo che e dottrina vivente, Gentile e Mussolini, il
concetto di stato, il concreto di Mussolini nel astratto dello stato, Pirro
interprete di Gentile – la universita fascista di Bologna, la formazione dei
dirigenti del regime – la repubblica fascista, storia e filosofia, la critica
de Pirro alla damnatio memoriae di Croce, lo studio della filosofia nel
veintennio fascista, l’origine del fascismo filosofico – Gentile, filosofo del
fascismo – dizionario filosofico del fascismo, stato, spirito nazionale,
italianita, romanita, propaganda, democrazia, repubblica, Italia, stato
italiano -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pirro” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Pirrone: la
ragione conversazionale della diaspora, da Crotona a Meta-ponto – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Metaponto). Filosofo italiano. A Pythagorean, cited by Giamblico.
Grice e Pisone: la
ragione conversazionale del portico dell’orto – il gruppo di gioco del Vesuvio
-- Roma -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Ricordato come seguace della filosofia del
portico un Pisone, che si è identificato con Lucio Calpurnio P. *FRUGI*,
tribuno della plebe, pretore e console della repubblica romana, combatte la
rivolta degli schiavi in Sicilia e la doma. P. ottenne la censura. P. lascia un’opera storica -- "Annales"
-- che si estende dalle origini. In essa, P. combatte le tendenze che si
introduceno in Roma e il ri-lassamento morale. Della gente Calpurnia. Politico,
militare e storico romano. Talora detto
Censorino – cf. P. Cesorino -- tribuno della plebe, si fa promotore della lex
Calpurnia de repetundis, la prima legge romana che vuole punire l’estorsioni
compiute nelle province dai governatori. Pretore. Dopodiché, eletto console con
PUBLIO MUZIO SCEVOLA (si veda) e gli fu comandato dal senato di restare in
Italia per domare una rivolta di schiavi. P. riusce a sconfiggerli, senza però
ottenere una vittoria definitiva e dove passare il comando a PUBLIO RUPILIO. Autore
di “Annales”, un'opera in almeno VII libri, che andava dalle origini e che sono
tra le fonti precipue di LIVIO (si veda) e Dionigi d'Alicarnasso. Gl’Annales --
di cui restano una quarantina di frammenti -- si propone di descrivere la
pretesa onestà dell'epoca antica, contrapponendola alla contemporanea
corruzione operante a Roma. Che si tratta però di un'opera a tesi pre-costituite
lo dimostra il fatto che, durante il suo consolato, avvenne l'assassinio di TIBERIO
GRACCO, e che, nonostante l'estrema gravità del crimine -- che tra l'altro
viola il sacro obbligo dell'incolumità personale che s'accompagnava alla
tribunicia potestas – P. e l'altro console non prendessero alcun provvedimento
in merito. Smith, Dictionary
of Greek and Roman Biography and Mythology, Boston: Little, Brown and Company. Cicerone,
Brutus; In Verrem, De officiis, Catalogo Perseo; Cornell-Bispham, The fragments
of roman historians, Oxford, Historicorum Romanorum reliquiae, Hermann Lipsiae,
in aedibus Teubneri; discussione su vita, opere e frammenti). Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia, Dizionario
di storia, PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute, Predecessore Console
romano Successore Gaio Fulvio Flacco e Publio Cornelio Scipione Emiliano II con
Publio Muzio Scevola Publio Popilio Lenate e Publio Rupilio V · D · M Storici
romani, Portale Antica Roma Portale
Biografie Categorie: Politici romani, Militari romani Storici romani Militari, Storici,
Consoli repubblicani romani Calpurnii. P. is the father-in-law of GIULIO CESARE and spends
years of his political life trying to prevent the civil war. He is a follower
of L’ORTO, under Filodemo’s tutelage. Filodemo lives in P.’s villa at
Herculaneum -- his library has been discovered there. Pisone – Roma – filosofia italiana
(Herculaneum). Pisone Cesonino. When he moves to Rome, Filone becomes friends
with Pisone Cesonino, who gives Filodemo a room at his villa at Herculaneum in which to live. At the villa, Filodemo co-ordinates P.’s ‘gruppo di
gioco’. Filodemo composes
poems and a history of philosophy. After he died, Filone’s parchments remain in
P.’s villa, where they were subsequently buried by the eruption of Vesuvio. With
the excavations, a number of parchments from the library are recovered. More remain buried. Lucio Calpurnio Pisone Cesonino. Lucio
Calpurnio Pisone Censorino. Lucio Calpurnio Pisone Frugi. Kewyords: Portico.
Grice e Pisone:
la ragione conversazionale del DE FINIBVS o del lizio romano – Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza. (Roma)
Del Lizio, con mescolanze del portico e dell’accademia -- cioè eclettico --
trionfa della Spagna, ed e console. Detto eloquentissimo e dottissimo, scrive V libri
"DE FINIBVS" He is a friend of CICERONE, although they
eventually fall out. Cicerone uses him in his ‘On moral ends’ to articulate the
philosophy of the Portico. P.’s tutors had been Antioco and STEASEA di Napoli. Marco Pupio Pisone Calpurniano. Marco Pupio Pisone
Frugi Calpurniano.
Grice e Pitea: la
ragione conversazionale della filosofia ligure -- Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He settles in Marseglia, and
achieves fame as a philosopher.
Grice e Pitodoro:
la ragione conversazionale della la setta di Velia -- Roma – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Velia).
Filosofo italiano. Velia, Campania. A pupil of Zenone – il Velino. Grice: “We know who
Parmenide’s lover – beloved – was: Zenone. And P. is Zenone’s. Cf. Grice,
“Aristotle – and the LIZIO – on the multiplicity of BEING.” IZZING.
Nella bimillenaria tradizione filosofica occidentale il termine essere ha
giocato un ruolo decisivo, e questo ha contribuito a rendere a poco a poco del
tutto incomprensibile il significato originario dei frammenti che ci restano
del poema di Parmenide di VELIA e suoi scolari, Zenone, e P.. Ho già notato che
la contrapposizione folkloristica di Parmenide di VELIA, guru dell'essere
e d’Eraclito, guru del divenire, è degna dei giochi televisivi a quiz, ed ha lo
statuto epistemologico della canzoncina della Vispa Teresa. Tuttavia, è
bene ricordare al lettore almeno alcuni significati principali assunti
dal termine essere nel pensiero occidentale dalle origini ad
oggi. Trascurando qui gli antichi Greci, il primo significato rilevante d’essere
è quello che lo identifica prima con l’uno dei neoplatonici e poi con il divino
monoteista. Si tratta di una vera e propria onto-teologia unificata, come dice
poi Heidegger. A questa onto-teologia unificata, mirabilmente
sistematizzata d’AQUINO (si veda) e dalla teologia domenicana medioevale
— che risacralizza così in forma razionale l’unità ontologica del macrocosmo
naturale e del microcosmo sociale —, reagì fortemente prima il nominalismo sia
laico (Abelardo) che religioso (Guglielmo di Occam), e poi il panteismo
rinascimentale (Bruno). Il periodo storico della costituzione formalistica
del soggetto, da Cartesio a Kant, è un periodo di declino storico della
onto-teologia, e questo non certo a caso, in quanto l’onto-teologia
consacra in quel periodo storico il dominio simbolico delle vecchie classi
signorili e tardo-feudali, e la borghesia nascente era interessata ad
infrangere razionalmente il nucleo metafisico di questa onto-teologia, e
cioè l’unità delle categorie dell'essere e delle categorie del pensiero.
Il grande filosofo Kant infranse questa unità ontologica, sostituendo la
nuova religione gnoseologica borghese alla vecchia religione onto-teo-logica
tardo-feudale e signorile, e si acquistò così la riconoscenza perenne di tutto
il nuovo clero universitario. La restaurazione della categoria d’essere
da parte di Hegel è basata sull’attribuzione all'essere di una genericità
assoluta, che si concretizza e si determina progressivamente mediante una
logica dialettica (Scienza della logica, ecc.). Per Marx e poi per Lukécs
il termine essere non può che significare l’insieme pensabile concettualmente
della totalità espressiva della società e della storia. L'uno-tutto non è
però più declinato in modo religioso e bimondano - come per Plotino ed i
neoplatonici - ma è costruito concettualmente con l'intreccio della permanenza
ontologica -- ciò che è, ed è eternamente -- e della determinatezza storica: il
proprio tempo appreso nel pensiero. È questo l’unico possibile ritorno a
Parmenide di VELIA, non certo la ripetizione ieratica e sapienzale (più
esattamente: pseudo-jeratica e pseudosapienziale) secondo cui è da pazzi (e
tutto il mondo moderno sarebbe pazzo, al di fuori di un professore
universitario in pensione di Brescia) ritenere che le cose possano mutare
nel tempo. Parmenide, di cui presuppongo qui l'appartenenza alla scuola di
CROTONE nella CALABRIA, già ampiamente attestata dalle fonti classiche,
pensa radicalmente un numero solo, il numero uno. Sostenendo la
cosiddetta sfericità dell'essere, non bisogna pensare che alluda ad una
sorta di palla splendente in cielo. Il termine sfairikòs significa
infatti congiuntamente sferico ed anche congiuntamente globale, totale e
“complessivo”. In greco moderno, duemila e cinquecento anni dopo Parmenide di
VELIA (la non conoscenza del greco moderno, custode semantico
incomparabile dei significati originari della filosofia classica, rappresenta
uno dei più pittoreschi elementi di ignoranza dei professori europei di
filosofia), il termine sfairikòs continua ad avere lo stesso doppio
significato semantico. Ssi dice, ad esempio, un'idea globale del problema
-- mia sfairikì andilipsi tou provlimatos. Non avrei fatto questa
deviazione semantica se non avessi voluto sottolineare il fatto che il termine
parmenideo di sfericità dell'essere non allude ad un gigantesco pallone
aerostatico in cielo, ma metaforicamente connota semanticamente e
concettualmente lo stesso oggetto teorico che Hegel e Marx (senza contare anche
Adorno, Marcuse e Lukacs) hanno più tardi connotato in termini di
totalità espressiva. Certo, sarebbe sbagliato attualizzare eccessivamente
questa analogia, perché da un lato Parmenide di VELIA non puo ancora
isolare l'essere sociale dall'essere naturale, ma li pensava in
strettissima unità ontologica -- questo isolamento, parzialmente anticipato dal
LIZIO, dovve aspettare l’illuminismo borghese per poter essere concettualizzato
e sviluppato -- e dall'altro non puo ovviamente ragionare sulla base
della distinzione kantiana e della successiva ridefinizione hegeliana di
intelletto – Verstand -- e di ragione -- Vernunft. È quindi chiaro che il
concetto di sfericità di Parmenide di VELIA ed il concetto di totalità in Hegel
e Marx non ricoprono esattamente lo stesso spazio teorico. E tuttavia,
pur non ricoprendolo, sono largamente comparabili, e questa comparabilità deve
essere messa alla base del ragionamento. Ma qual è l'esatta
natura storico-genetica ed ontologico-sociale del concetto parmenideo d’essere?
Di quale sfericità, cioè di quale totalità è il riflesso astrattizzato?
Ammetto che non possiamo saperlo con certezza. Non possiamo arrivarci con il
metodo deduttivo diretto, e neppure con il metodo induttivo indiretto. Dovremo
arrivarci con quello che Peirce chiama il metodo abduttivo, e cioè non il
metodo del LIZIO -- la deduzione -- o il metodo di Mill -- l’induzione --,
ma il metodo di Sherlock Holmes e di Hercule Poirot. Succede X, un fatto
straordinario ed inesplicabile. Se però Y è vero, X smette di essere
straordinario ed inesplicabile, e diventa invece razionalmente
spiegabile. L'essere di Parmenide di VELIA è un tipico esempio di
sfida all'abduzione. È infatti straordinario decidere di chiamare essere
la totalità sferica di tutto ciò che può essere pensato. È allora
plausibile che ci sia un sostrato sociale che fa da riferimento materiale a
questa concettualizzazione ideale. Si tratta di discutere spregiu- [L'Essere
di Parmenide come metafora della stabilità e della permanenza nel tempo della
buona legislazione] dicatamente tutte le ipotesi che ne possono essere date,
scartare le meno plausibili, ed accettare la più plausibile. Rethel,
che è stato uno dei grandi fondatori del metodo della deduzione sociale delle
categorie filosofiche (e che appunto per questa ragione è oggi trascurato
e dimenticato), cerca di dare una spiegazione materialistica della
categoria parmenidea di’essere. Rethel nota acutamente che il concetto d’essere
in Parmenide di VELIA è caratterizzato da una totale genericità indeterminata --
è infatti indeterminato come l’apeiron d’Anassimandro --, e si chiede allora
che cosa possa aver causato questa indeterminatezza astratta assoluta. Se
infatti io penso in modo astratto — sostiene Rethel — ci vorrà qualcosa
di astratto che faccia sì che io pensi astrattamente. E Rethel ritiene di
individuare la sorgente materiale e sociale di questa astrattezza nella
moneta coniata, moneta coniata originatasi prima in Lidia, poi passata
dalla Lidia alle isole greche di Chio e di Egina, e progressivamente diffusasi
in tutto lo spazio economico e culturale greco. La moneta implica il
passaggio dal baratto concreto allo scambio astratto, perché con una
moneta si possono comprare le cose più diverse, indipendentemente dai
materiali con cui sono costruite. Non c'è dubbio che la
moneta, insieme con la fusione dei metalli (e del ferro in particolare),
abbia giocato un ruolo decisivo nella costituzione materiale della civiltà
greca a VELIA, nella CAMPANIA d’ITALIA. La moneta è stata anche un fattore
primario per il sorgere dell’economia schiavistica antica, perché ha permesso
di comprare gli schiavi come si comprano tutte le altre merci, mentre prima ci
volevano guerre di conquista di tipo assiro-babilonese. E tuttavia a mio
avviso Rethel si sbaglia. E si sbaglia di grosso, nonostante il fatto che
almeno ci ha provato, e gli sciocchi che continuano a proporre un concetto
indefinibile, ieratico, sapienziale, sacerdotale e falsamente profondo, come dice
Hegel, d’essere non gli arrivano neppure alle caviglie. Chi ci prova può
sbagliare, ma chi non ci prova neppure rest asempre a pestare sul suo
quadratino di terra, come un tempo facevano i soldati nel cortile delle
caserme. Rethel sbaglia perché proietta nel lontano passato della CAMPANIA
dell’ITALIA – a VELIA -- l’importanza che la forma merce— e quindi il
denaro come merce astratta per eccellenza - ha assunto nell’Europa,
importanza che ha determinato prima l'economia politica di Smith e poi la
critica dell'economia politica di Marx. Per gl’anticihi, ed in particolare per
i Greci del tempo di Parmenide di VELIA, ciò che conta non era la forma
astratta del valore di scambio e della moneta coniata che ne era la
portatrice astratta, ma era proprio l'esatto contrario, e cioè la buona
legislazione comunitaria che ne permette la limitazione e la sua sottomissione
al metron. Come si vede, la realtà storica e concettuale è invertita
rispetto a come se la rappresenta Rethel. Il concetto
generale ed astratto d’essere, infatti, presumibilmente non deriva dalla
proiezione della funzione mercantile-astratta della moneta coniata, la
cui introduzione nel mondo greco equivale appunto (e qui Sohn-Rethel ha
ragione) all’irruzione del Nulla nel mondo dell'essere, ma proprio al
contrario, e cioè dal concetto di buona legislazione comunitaria, che
essendo “buona” è pensata come non migliorabile e non modificabile, e
quindi eterna, stabile e permanente. Parmenide allude certamente alla sua
polis di VELIA, ed i suoi frammenti descrivono proprio le cavalle che
salgono sulla akropolis della sua città per un sentiero erto e difficile.
E sono queste cavalle concrete le portatrici materiali del concetto
astratto d’essere inteso come proiezione metafisica della buona
legislazione comunitaria, dotata per ciò stesso di stabilità e di
permanenza, e quindi d’eternità. Riflettere su Parmenide di VELIA in
modo ieratico-sapienziale, destoricizzato, desocia- lizzato (e quindi
privato di ogni chiave di interpretazione semantica) e pomposo-
giornalistico non serve a niente, se non ad incrementare quella particolare
forma di idiozia presente in molti filosofi di professione fondata
sull'idea che meno ci si fa capire, più si è profondi. Se invece ci si
accosta a Parmenide di VELIA in modo storico-genetico ed ontologico-sociale,
allora si guadagnano molti punti di vista illumi- nanti, nuovi ed
inediti. In primo luogo, che i filosofi classici pensano in modo
sferico, sulla base cioè dell'idea di totalità espressiva, e questo modo
sferico è esattamente quello che verrà poi restaurato in forma storica da
Hegel e da Marx. In secondo luogo, che la permanenza e la stabilità
eterna della buona legislazione comunitaria sta alla base dell'idea
sociale d’eternità della cultura occidentale. In terzo luogo, che tutte
le forme di sensismo e di empirismo non possono giungere a questo tipo di
comprensione, e nonostante si presentino come più concrete sono paradossalmente
molto più astratte della stessa idea d’essere, perché questa idea allude
alla cosa più concreta di tutte, e cioè all'idea della coesione sociale e
comunitaria, mentre l’empirismo sacralizza invece concettualmente la
dispersione caotica degli atomi sociali individualizzati. In quarto
luogo, infine, che il concetto d’uno non ha bisogno necessariamente di un
supporto teologico per essere pensato (il Dio monoteistico), perché l’uno
stesso è del tutto au- tonomo ed autofondato in modo logico ed
ontologico. Bisogna quindi rispettare l'onto-teo-logia, ed io la rispetto
mille volte di più dell’empirismo e del sensismo, ma essa non può essere l’ultima
parola di una trattazione ontologica dell’essere. In quanto a Parmenide
di VELIA (ed affermo volutamente una cosa paradossale e provocatoria!) la sua
trattazione dell'essere socia- le del suo tempo è filosoficamente del
tutto omogenea alla trattazione che ne farà Lukécs (e sulla sua scia, ma
più modestamente, chi scrive) nel suo tempo. In entrambi i casi, l'essere
sociale è pensato in modo unitario con una categoria sferica. La differenza
ovviamente sta nel fatto che in Parmenide di VELIA non può esistere la
storia, intesa come concetto universalistico di tipo
trascendentale-riflessivo (concetto sorto nell’Europa sulla base di una
genesi ideologica borghese), e per questa ragione la buona legislazione
comunitaria, concepita in modo pitagorico, viene rappresentata nella
forma della stabilità, della permanenza e della eternità temporale. Oggi,
sulla scorta d’Eraclito, sappiamo invece che il polemos non si può
esorcizzare. Pitodoro. Keywords: VELIA, VELINO. Pitodoro.
Grice e Pizzi: la ragione conversazionale e la regola
conversazionale di Boezio – la causa della cosa – adduzione e prova – filosofia
lombarda -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Milano). Filosofo italiano. Milano, Lombardia. Grice: “About time an Italian philosopher
takes ‘la regola di Boezio’ seriously!” Studia a Milano. Grice: “At Oxford, the Wykeham
professorship of logic is hardly considered philosophy – recall that in the
middle ages, logic was part of the Faculty of Arts – hence required study for
lawyers, etc. – not necessarily philosophers. Oxford now has the Sub-Faculty of
PHILOSOPHY – and Logic is actually studied WITHOUT (not WITHIN it) at the
“institute of mathematical logic” on St. Giles. ‘He is a logician” implicates,
as mucas “he is a theologian” does – that he is NOT a philosopher. I distinguish
between logic and PHILOSOOPHICAL LOGIC. But a philosophical logician is (via
grammtical trasformation) a PHILOSOPHER who philosophises on what people
(non-philosophers) are doing at the Institute of Logic at St. Giles! Studia il condizionale contro-fattuale. Insegna a Calabria e Siena, “Logica della
prova” a Milano. Cura Hughes e Cresswell, ed offre una panoramica completa e
aggiornata della logica intensionale. Ampliando questa linea di ricerca,
compila due antologie con introduzioni. Una dedicata al tempo e una dedicata al
condizionale (se-ismo). Compone una serie di saggi in cui viene introdotta una
logica dell'implicazione consequenziale. Il scopo della logica dell’implicazione
con-sequenziale è riformulare le basi della logica connessiva nel quadro della
logica modale. Questa traduzione consente di assiomatizzare un sistema G-HP che
risulta complete e decidibile mediante tableaux con un sviluppo verso una
generalizzazione di questi risultati. Altri temi di ricerca sono il problema
della definizione a della reduzione della necessita ai termini di contingenza,
l'applicazione del quadrato dell’opposizione e del cubo dell’opposizione al
modo, l'approccio al modo in termini di multi-imodo, cioè mediante l'impiego di
un linguaggio base avente come primitivi una moltitudine d’operatori modali –
contro la tesi dell’aequi-vocita di Grice. Nel campo della scienza il tema su
cui filosofa in modo preminente è stato quello del contro-fattuale della causa,
a cui dedica saggi destinati a un pubblico interessato all'epistemologia
giudiziaria alla Hart/Honoré– causation in the law. If you are looking for the
cause of what he did, what he did was very wrong – implicature! Sempre in questo settore compone un saggio
sull’adduzione, dove analizza un caso giudiziario controverso, il disastro di
Ustica. Sul tema di Ustica compone un saggio che contiene una discussione
metodologica delle indagini ancora aperte sul caso, in merito alle quali cura
attualmente un blog. Altre saggi: “Introduzione alla logica modale”
(Saggiatore, Milano); “La logica del tempo” (Boringhieri, Torino); “Leggi di
natura, modalita, ipotesi” (Feltrinelli, Milano); “Eventi e cause: na
prospettiva condizionalista” (Giuffre, Milano); “Diritto, abduzione e prova”
(Giuffre, Milano); “Ripensare Ustica, Createspace); “Implicazione logica”; “Causalità (filosofia) “Adduzione”; “Strage
d’Ustica, claudio pizzi it. wordpress.com. The kind of implicature –
“implicazione conversazionale” -- known as connerive implication has been the
focus of an original research program. The
main formal contributions in this area are due to Robert Angel and Storrs
McCall (8), but the basic idea of connexive implication was clearly outlined by
Everett Nelson in the Thirties (13). Nelson was critical of the so-called law
of simplification, viz. the principle that, for every p and every 4, the
conjunction of p with q implies each one of the conjuncts. Clearly inferences
of this form are valid when p and q are jointly consistent. But what should we
say when they are not, for instance when q is just -p or when q is
-(P→P), which states that p cannot imply itself'? The idea of connection
which Nelson was trying to capture is characterized by the property that, if we
have the truth of A - B (where "-" relation of connexive implication)
we cannot also have the truth of A 4 -B. If we accept the logical principle A →
B- -(A → -B) - which we shall name “LA REGOLA DI BEOZIO” following Kielkopf?-
along with unrestricted substitution, then this leads to a rejection of
Simplification in the form (p^q) → q. If we had, in fact, (pAg) → g as a law of
logic, we would have by Uniform Substitution both (pAp) - p (asan instance of A
→ B) and also (pA-p) - -p (as an instance A → -B), a result: which is
incompatible with LA REGOLA DI BOEZIO, If we assume that p → pis a
valid formula, and there seems no reason not to do so, and we accept it
as an instance of A - B, then by applying Boethius Rule we obtain what is known
as Aristotle's Thesis: -(p - -p). Aristotle's Thesis is the cornerstone of
connexive implication, since it states a new version of the Principle of
Non-Contradiction. Indeed, in connexive logic p — -p is the paradigm
contradiction. If L is a symbol for an arbitrary contradiction, then it follows
from Aristotle's Thesis that L- p cannot be a connexive thesis since p could be
exactly L, that is, an arbitrary tautology (Henceforth we will symbolize an
arbitrary tautology by T). It is thus clear that connexive logies are
"non-Scotian" in the sense that in such logics contradictions can
imply only contradictions while tautologies are implied only by
tautologies. What is the correct formulation of Boethius' Rule in the
object language? In the first papers written by Angell and MeCall we find the
law : (p → q) - -(p → -g)-Angell's original system PAI (see (1]) was
axiomatized as follows. (p→4)→(19→7→0p→7) (р→
-(gA)) - ((дЛр) → пг)) (р - q) → ((рАг) → (г Л)) (рА
(q Аг)) → (дА (рАг)) (р → q) → -(р → -q) -(pA-(p/p)) (p → q) - -(p→ 7g) (g→p)→(p→g пр - р Transformation Rules: RL. IfF SandPS → S' then I S' R2. If S and F S' then FS
NS' R3. If S and v is a propositional variable occurring in S, and S' is
obtained by Uniform Substitution of any t for u, t S' RA If S, and S' is
got by replacing any part, or all, of S by an erpression equivalent through
rules of abbremation, then 5' It should be noted that Modus Ponens is
formulated in terms of "—" and the same holds for R4, which amounts
to a Rule of Replacement for - -equivalents. Axiom 3 is a strong version
of the so-called Factor Law (Factor for short). If we define S and = as
usual in terms of A, - and V; we obtain the standard propositional
calculus PC as a sub-system. Notice that Axiom 5 is equivalent to (p → q) →
(pD 9). Thus, thanks to R1, any theorem of the form A - B also holds in
the weaker form A B. We then have at our disposal the derived rule A ++
B/A = B, but we do not have the converse rule, which would amount to
having as a rule Replacement of Proved Material Equivalents. This restriction
leads to some paradoxical results, for example that (pAp) cannot be replaced by
p since (pAp) - p is not a theorem of PAL (Note that we cannot derive this wff
by using (pAg) - q since the latter is not a theorem of connexive
logic).McCall's system CC1 (see (9]) turns out to be equivalent. to a system
obtained by extending PAI with the following axioms: p - (pAp) Ap) (pAp) - ((p- p) - (pAp)) ((p → q) → q) - g) (q Aq) - (р - р) pV
(((p→ p) → p) V ((gq) → p))) For a detailed criticism of PAI and CC1 the reader
is referred to (11]. These criti-cisins were accepted by Angell (see [2]), but
the attempt to overcome the difficulties pointed out by Montgomery and Routley
involves extending the formal language of connexive logic as it was initially
formulated, McCall's recent reformulation of connexive logic - named CFL in 9)
- also requires a reformulation of the language of the original formal system
since its formation rules prohibit wifs with iterated 2. Analytic and
synthetic consequential implication The logic of consequential
implication (see [15]) differs from the logic of connex-ive implication in a
number of respects, which can be outlined as follows: Firstly. The rule of
BOEZIO (that great Italian master!) is represented in the object language by (p
→ q) D -(p - -q) and not by (p → g) - -(p → -q). We will distinguish
these two wits by calling the first the Weak Boethius' Thesis (WBT) and
the second the Strong Boethius' Thesis (SBT). Secondly, Factor holds only
in the following weakened form: (WWE)→(T→ →PAT))→((p→9)3(p^r)→(qAr)).
Thirdly, a distinction is drawn between the logic of "analytical" and
"syntheti-cal" conditionals. The latter are conditionals whose truth
depends on a set of true statements which are contextually understood but not
explicitely stated. Counter-factual conditionals are paradigm examples of
context-dependent statements, and so they should be formalized as synthetical
consequential conditionals. However, intuitions concerning the logical
properties of synthetical conditionals are not clear. It appears that in
ordinary language such as Oxonian, or ITALIAN as spoken at BOLOGNA, we have a
whole family of different condition-als, whose logical properties we frequently
confuse. To clarify the situation we can state two minimal properties of the
so-called "circumstantial operator «** , which can be read as
"ceteris paribus" ("other things being equal") or
"rebus sie stantibus" ("things being thus and so")%.
The minimal requirements for the logic of this operator are axiomatized as
fol- lows: (i) (i) (*ート)3 (p→上). The most natural definition of a synthetical
conditional is A > B = D/ *A - B. But many other definitions are
possible which satisfy the properties required forconsequential implication.
The weakest connective of this family is defined as fol-lows: 1 > B =
D/ (T → (*A 5 В)) A (-(Т → -В) Л-(Т→ - * А)) 3. Translations between logics of
consequential implication and standard modal logics If we want to stress
the similarities between connexive implication and consequential implication,
we should note that they are both compatible with Nelson's informal treatment
of implication. Historically speaking they both have a com-mmon ancestor in
Chrysippus conception of conditionals and so may be called Chrysippean
conditionals'. If, however, we want to stress the differences,
apart from the analytical/synthetical distinction which is mirrored by
the proposed extension of the object language, the most important difference
between the two formal theories is just their attitude toward Factor.
Intuitions about Factor are not clearly related to Aristotle's Thesis and
Beethius' Rule and they should be subjected to a specific analysis. Indeed it
may be claimed that Factor is implausible in the light of the underlying
motivations for introducing the notion of connexivity. To see why consider the
following argument. Suppose that p→ q stands for "If Smith is a
bachelor is a male" pAr stands for "Smith is a bachelor and
married" gAr stands for "Smith is a male and is married".
Then p → q stands for a statement describing a necessary connection
and pAr stands for a contradiction, while q Ar stands for a contingent
statement. Since the conjunction of p and r in this particular example is
consistent, deriving r by application of Simplification is connexively sound.
So along with (p - q) D ((pA) → (gr)) (Factor), we have also (gAr) → r and so,
by transitivity of *-*", (p +q) → ((р\т) - r). So assuming the necessary statement p - q we
conclude that "Smith is bachelor and married" (pAr), connexively IMPLICATES
(via “implicazione conversazionale”) "Smith is married" (r). But this
result is connexively unsound, since the conjunction symbolized by pAr is
inconsistent while r is not. This argument could of course be questioned
since it relies on the presupposition that some instances of Simplification
should be accepted. Now it does seem plausible that at least the following
weakened version of simplification should be a theorem of connexive logic,
since it states that Simplification holds provided the antecedent is not
equivalent to a contradiction and the consequent is not equivalent to a
tautology: (WS) (-(IHPAS)AT(TAT))3(0Ar)-) In fact, this law can be
proved even in the weakest calculus of consequential implication in the class
of systems which will be introduced in the next section".It should be
pointed out that consequential implicature (“implicazione conversazionale”) has
different origins from connexive implication since it originated in modal logic
as a variant. of strict implication. Given that contradictions may imply and be
implied only by contra-dictions, and tautologies imply and are implied only by
tautologies, the key idea of consequential implication can be expressed by
saying that it connects two propositions A and B when we have: (i) A
strictly implies B: 0(A B) (ii) A and B have the same modal status. The
sense of (ii) is that if A → B is to hold then A and B are both necessary, or
both impossible, or both possible, or both not-necessary. Summing up, a
relation of consequential implication holds between A and B when we have C(A
> B) A(0A = 0В) A (0A = 0В) A (-DA = -OB) A (-0A = -OB), which is equivalent
to •(AD B) A (DA = OB) A (04 = 0B), a wif which in normal modal systems
equals the simple D(AS B) A (OBS DA) A (OB O QA). The equivalence between A → B
and the latter formula suggests that we look for a translation between the
languages of modal logie and consequential implication. At this point it
is useful to set out some results about the interrelations between modal
systems and systems of consequential implication. For sake of simplicity we
will confine ourselves to the analytical fragment of logics of consequential
implica- Let Lo be the set of wifs resulting from standard combinations
of propositional variables p, q.r, parentheses (.), the primitive functors {L,
5, ) and the standard definitions of -, A, v. 0. Let L. be a language
which is like Lo with the only difference that replaces Let us define two
mappings: @ from L.., to Lo and a from Lu to L., by the following
conditions: 1a, pip)=p 28.中( )=上 3a. o(AD B) =・A)コo(B) 1a. 0(4-B)=0((A) (B)^
(0(B)>0())^(0(B)0(A) 1b. 4(p) = p 2b. (上) 上 36.2(A3B)=4(4)つ(B)
4b. 0(0A)=T= 0(A) A normal system in L_ is a set X C L containing all the
truth-functional tautologies and the wiis derived from the following
axioms: (PC). All the theorems of the classical propositional calculus
PC (a) (p→q4→r))(pir) (b) (T → (рал -(Т → -р) Л -(Т → 9)) Р (р → q) (с) - (Т → - (рАг)) > ((р→ g) Р ((рАт) → (дЛг)) (d) (Jp→g)2(9→ (p → 1) D (1→p) (1→ p)D (p→L) p. - p The rules are Uniform Substitution (US), Modus
Ponens (MP) and Replacement of Proved Material Equivalents (Eq). We shall
call the smallest normal system of consequential implication CIw. If we add the
Weak Boethius Thesis (p - q) D -(p → -q) (WBT) to CIw then we obtain a system
which we shall call CI, and if we add (p → q) (pS q) we obtain another system
which we shall call CIO. Let us now consider the weakest normal system of
modal logic, i.e. the well known system K which is axiomatized by adding to the
standard propositional calculus PC K1. 0(p)q D (Op 3 0g) with
MP,US, Nec (F A → - DA) as the only rules of inference. We now define a
translation between the systems X C L. and between Y C Lo as
follows: We say that X translates Y when, for every A € L... we have A €
X iff ф(A) € Y. We will say that (A) is the modal
counterpart of A. We say that Y translates X when, for every A € Lo, we
have A € Y iff 4(A) € X. 4(A) will be called the consequential counterpart of
A. Using these definitions we can prove the following metatheorems
[19]): If Y translates X and X is normal in L..,
then Y is normal in Lo. If Fk
4 then Fciw #(A) If X translates Y and Y is normal in La
then X is normal in L... If
FCiw A then Fk (A) For
all A € L, Fciw A = 4(ó(A)) For
all A € La, Fa A =ф(@(A)) K translates CIw and CIw translates K If X is normal in L., and Y is normal in L, then X
translates Y iff Y translates X. Suppose
that X° C L.., Y" C Lo and X is the smallest normal system L_, such that
X" § X; Y is the smallest normal system in Lo such that Y° CY; (a) € Y
whenever a € X"; 4(a) € X whenever a € Y. Then X and Y translate each
other. The proposition states that and induce a one-one embedding between the
theses of any normal system of modal logic and the theses of the system of
consequential implication which translates it. Hence we can show that there is
a one-one translation between CI = CIw + (p → q) D -(p→ -g) and K + Op 3 Op
(ie. the deontic system KD) and also a one-one translation between CIO = CIw +
(p → 9) D(pOg) and K+Op 3 p, i.e. KT. Since -(p → -p) is equivalent
to (p→q) D-p→ ng), CI is the weakest system containing Aristotle's Thesis®.These
results about translations provide us with a decision procedure for all
extensions of CIw whose modal translation is decidable. Tableaux methods which
are appliable to normal modal logics turn out to be practical methods to test
the validity of consequential wifs. A remarkable by-product of this modal
translation is that it provides us with a tool for analyzing typically
connexive wifs, and for studying the properties of systems which are
intermediate between systems of connexive implication and systems of consequential
implication. An example of the kind of investigation which can be
carried out in this way concerns what we labelled earlier the Strong Boethius'
Thesis SBT (which is axiom 8 of Angell's PAI). The first question to ask is, of
course, whether SBT is a theorem of the basic systems of consequential implicature
– “implicazione conversazionale” -- CIw, CI, and CI.O. This question was
anwered negatively. In fact, the system KT has the so-called double
cancellation property (DCP), which we can state as follows: (DCP) If X is
a normal modal system, -x CA = OB and -x 0A = B, then -x A = B. Let
us suppose that (p → q) - -(p- -g) is a theorem of CI.O; then, by Reductio, in
KT we should have @(p → q) 3 (-(p → -q)) as a theorem, hence also (T - p) =
(-(T → -p)), which we know to be impossible, since the latter wif is
equivalent to the non-theorem Op = Op. The Strong Boethius' Thesis SBT
cannot then be a theorem of any system at least as strong as CIO. Let us call
e-normal every normal modal system such that the "erasure
transformation" yields valid PC-wffs (see [4], P. 23). Then, since
Op Op is consistent with every e- normal modal system, SBT is also
consistent with any consequential system which translates an e-normal modal
system. The next question is: since SBT is consistent with CIw, which is
the modal system translating CIw + SBT? The answer is as follows. Let us call
the required system CIw- and let us call the smallest fragment of La which
contains the following Kdf: (1D) OT (2F) 00p 3 00p The
semantic properties of Kdf are obtained by standard correspondence theory and
can be described as follows: Quasi-seriality: Wwva(wRy 3y aRy)
ofunctionality Vutzty (wRy AaRya(ヨr(wRがへ♥ぱRつ2=3))The latter wif is equivalent to the simpler VwVrVy(wRy
AzRy AaRa 52 =By an application of the Henkin technique for completeness
proofs, we obtain the following completeness result: THEOREM. A is a
theorem if and only A holds at all the frames which are quasi-serial and
O-functional. This characterization result allows us to find a
quasi-serial and (Q-functional frame which refutes the converse of SBT. We have
thus: THEOREM. -(p → ~g) → (pq) is not a CIw→ theorem. This result
is not a trivial one, since in the light of the application of (DCP) we have,
for system CI.O. (a) Fcio A - Biff Icio B = A from which it follows
by replacement of material equivalents that (b) Fcto A → Biff Icio B →
A. We thus have the rather unwelcome result that if SBT were added to
CI.O the system would contain its converse as well, and also the equivalence +
(A → B) - -(A → -B). Even if not strictly trivial, Ciw→ has
properties which throw a negative light on the Strong Boethius Thesis. For
example, it can be proved that the Denecessitation Rule (- DA → A) is
admissible in any modal system X iff Modus Ponens for + (If Fcro A → B and Fcio,
Fcro B) is an admissible rule of its consequentialist translation. Now in
Kdf we have a proof of the wff (Op = p), while (Op = p) is refuted (see
(18)). This proves that Kdf does not admit denecessitation, and hence
that CIw- does not admit Modus Ponens for →. But it can be proved that every
extension of CIw- which admits Modus Ponens for -, (such as CI.O) contains the
undesirable equivalences (p → q) = (g - p) and (p → q) = -(p → -q).
Having Modus Ponens for "—" means the possibility of
interpreting "—" as an implication connective, but this
destroys the very possibility of entertaining non-trivially the Strong Boethius
Thesis. It can also be proved that adding the characteristic axiom of CI.O,
namely (p → q) D (p D4), to CIw-, yields the equivalence p = (T = p),
whose modal counterpart is the collapse - formula P= Op). 5. Factor
and consequential implication - Let us now consider the formula which
distinguishes connexive logic from consequential logic, namely Factor. In
systems of connexive logic we find two variants of this law, which we we will
call "Strong Factor" (SF) and "Weak Factor" (WF).
(SP) (p → q) → ((р^т) → (gAr)) (For the latter see, for instance,
(9]). An equivalential variant of WE may also be found in the literature,
viz. which is of course equivalent to (p - q) ((pAr) - (g))(see for
instance (2]). WFEq is unproblematic, since it can be shown that it is a
theorem of even the minimal system CIw. Since K is the modal translation of
CIw, it may be proved that the following wils are K-valid (where "_"
is the symbol for strict equivalence).((pニタコロ((p/r)→(9^z)) (E)((ニタ)^(ロp=D4))2(0(g^7)2口(pAr)) (m)((#=4)^(0p^04)) 2(0(g^r)3Q(p/r)) Thus by applying the so-called Theorema
Praeclarum ((PS q)A(r 5 s)) 5 ((PAr) D (gAs)) it turns out that (p → q) 5Ф(рЛг) - (gAr)) is K-valid, and hence that (p +q) 3((рлг) → (gA)) is a CI-theorem. The problem of derivability
then concerns the two wffs SF and WF The first result to be noticed is
that SF is inconsistent with any system of consequential implication which
contains the Weak Boethius Thesis or, which amounts to the same thing, Aristotle's
Thesis. If SF were a theorem of CI, in fact, we would have the following
proof: (р - -р) - ((рЛ-р) - (-рЛ тр)) (р- -р) - ((рАтр) - -р) 3) (p→ Jp) =1 1-
((рА-р) → тр) 1→
(p - T) SF(-P/g) 1), PC + -(p--p) = T, Eq , 2), Eq ,
Az. (d) The modal counterpart of line 5) is the wif -OOp, which is inconsistent
with every normal system containing OT, namely with the modal counterpart of
Aristotle Thesis. In fact an instance of it is -QOT, while in KD from T we
have However, it is to be noted that WF is consistent with every
extension of CIw translating some e-normal system. This can be easily proved by
replacing every occurrence of "—" with "=" in the axioms
and checking that the resulting wifs are PC-valid and (ii) the rules preserve
the PC-validity of the transformed wffs. If we now apply the
transformation to WF we obtain (P=q) > ((pAr) = (gA)). which is a
PC-thesis. Thus, by a standard argument, we can prove that WE is
consistent with CIw and with every extension of CIw whose axioms have
PC-valid The problem with WF is indeed not inconsisteney but the fact
that adding WF to Cl yields counterintuitive results, which may be compared to
the result of adding Strong Boethius Thesis to system admitting
Denecessitation. It is remarkable, in fact, that by adding WE to CI we lose the
asymmetry of the arrow, since we may prove the equivalence between (p → q) and
(q p). This may be seen looking at the following proof, in which A and A are
introduced by the two definitions: (Def) 0A =DJ -(T→-A).Thanks to such
definitions (one of which is of course redundant) and to the mentioned
embedding results, we know that every theorem of K belongs to CI + DefO.It is
useful to recall that in CI + DefO (we have the equivalence (→)(口(pコg)^(コ(p) ^ (0g 3ロp)) =n→q We may
then exhibit the following proof: 1) (p→9)3((pAr)→(9^r))
(р → q) 3 ((р\-р) → (gA-р)) (р → q) D (1→ (g-р)) WF , тр/г ,
1= (р.Л-р) ,
(d), (e), (f) (→) ,
5), Defu K 7), (-) 6), 8). 6)(p→g)コロ(p=q) 7)ロ(p=4つ((ロp3ロ/)^(Op3^4) ^ロ(92p))
8) 0(p=q) > (9-p) 9) (p→9) 3(91p) A simple consequence of 9) is the theorem
(1)(p→g)=(g→p) which asserts the equivalence between → and
-. On the other hand, suppose we add (S) (p - g) 3 (g -p) as
an axiom to CI, so to obtain a system CI+S. Obviously we have (-) as a theorem
of CI+S. But since we already know that (p - q) > ((pAr) → (qA)) is a
theorem of CI, we have by replacement (p → 4) - ((р\г) - (gA)), i.e. WF, as a theorem of CI+S. So, if X is
any system containing CI, CIW is equivalent to CI+S. Factor and a
non-contrapositive variant of consequential implication An interesting
property of systems of consequential implications is that by introducing the
definitions of the modal operators in terms of the arrow we may define
different arrow-operators which are variants of the standard arrow operator
which have the minimal properties originally required for connexive
implication. For example, we may define a new arrow in terms of O as
follows (→)4→B=Dロ(43B)^(QB3>4)
and also define a second couple of modal operators as (ロロ4=D/T=4 (ペ)4=Dr→ロ4、 Of course we have that A - B imples A → B but
not vice-versa, while it is straightforward to prove that D°A is equivalent to
CA and 0°A is equivalent to •A' The logie of = can be proved to be
slightly different from the one of →, even if it is clearly a logic of a
connective endowed with the properties of consequential implication. Among its
theorems we have in fact (WB→)(p=9) 3ー(p= -9)(AT →)
-(p→ p) (1→)((p34)^(p) コ(p=g)
(2=)(1=4=(4→1) We lose Contraposition for → in its standard
form but we have the advantage that Simplification holds in the manageable
variant (S →0(pAq) D((pAq) → q). It may be proved (but we will not
do so now) that the fragment of CI containing only truth-functional wffs, and
→-wfis can be axiomatized in a system which we will name CI→, and that the
truth-functional and →-fragment of CIO, CI.O=, is definitionally equivalent to
CI.O itself*. What we want to do now is to extend CI not with WF but with
its →-variant which is (WF →)(p → q) 3 ((рАг) → (9Л г)). Since (Og A Op) implies (gAr) @(pAr), a
straightforward result of this new axiomatization is that (3 →) ((р » q) A(0q> D)) О ((рАт) → (дЛг)) ЛО(дАт) рО(рЛг)) is a theorem (by Theorema Praeclarum). But
since (3 →) is indeed equivalent to (WF) thanks to (-), we have that every
theorem of CI+WF is also a theorem of CI+WF=. What we may now prove is
that there is a one-one embedding between CI= +WF and a modal system which in
the literature is known as KD!, where KD! is KD +045 DA. An established result
concerning KD! is that KD! is characterized by the class of the frames
whose accessibility relation is both functional: Vryz(rRy AaRz Sy = 2)
and serial: VaZycRy. Now we can prove the following two theorems:
MTI: If -KD: A then Fci»+ WE WA MT2: If -cI»+WP A then F-KD: ' A MT1 The
proof is by induction on the length of the proofs. We already know that the
consequential counterparts of axioms of KD are theorems of CI→+WF and that the
rules of KD preserve such a property. What we have to add to what is already
known is the proof that Op D Opie.-(T → -p) (T → p) is a theorem of CI+WF→. The
proof is as follows: 1) (p→4)3((p^r)→(g^r)) (p
→ 4) Р ((рА тр) → (g Л -р)) (р → q) D (1→ (фЛ -р)) (p→q)
00(93 p)) 5) 0(pハリ→う(T→(9つ(P^q)) 6) 0(pAg) → (pAq) →9)) 7) 0((p^4)つ(T→(92p^g)))WF, пр/т ,
1= (pA-p) 3.Dejo' 4)p Ag/p (S →) 6), 5)0p 2 0p 7)T/9,DefD%,F
D°p=Op MT2 (Sketch of the proof) We simply have to show that the modal
counterparts of the axioms of CI+ WF→ are valid in all serial and functional
frames, that is in all serial and functional models. We already know that the
modal counterpart of the axioms of CI hold in all serial models, so a fortiori
in all serial and functional models. We have simply to show that the modal
counterpart of WF→ is valid in every serial and functional model. This
fact is established by the following closed tableaux, where the first world w
sees one and only one world w10, w' The above wif is then KD!-
valid and, by the completeness of KD!, a KD!-theorem. Thus, since the wff
D(p 5 q) 5 0((pAr) 5 (gAr)) is a theorem of all normal systems of modal
logic, (Op 3g)^(ogコ 0p)) 3 (口((pAr) コ(gAr))^(>gAr)コ•(pAr)) is a KD! theorem. But this formula is the modal
counterpart of WF→. This completes the proof of the definitional
equivalence of the two systems. The partial collapse of modal distinctions
which occurrs in KD! is mirrored by a counterintuitive theorem of CI+WF→: as we
can easily check by using the KD!-tableaux, a theorem of CI+ WF → is the
converse of Boethius Thesis, namely (CB) -(p→ ng) > (p → q) which can
be proved also in a -version. The preceding negative result about weak and
strong Factor Law casts a shadow over all systems of consequential implication
containing WE. The analytic fragment of the system named CA*1 in [14) contains
WF and, being closed under the replacement of material equivalents, it can be
proved to contain also the undesirable equivalence (p → q) = (q → p). This
system then has an interest only as a limit case of a
connexive-consequential system. Another example is given by McCall's system CFL,
whose language does not allow the iteration of arrows, CFL is axiomatized as
follows: 1.(p-42((*→p)2(→g2(p34)つ(19コt)2(par)) 3. (p→9)コ((pAr)→(rAg))
(pA(g^r))→((p^q) ^r)) (pA-p)
- (qA-q) p - (pAp) (рАр) - р 9, -p → P ((p/9)→(P^→P)^(pV→4)) 3(p→g)) (р - 9) 3 -(р- -q) (9
→ -p) 5 (p--g) pコ(p→ (pap)(p → (pp)) Рр The only primitive rules are Uniform Substitution and
MP for 3. In CFL p → (pOp) is assigned the meaning of "p is
true" (not [p is necessary]) and p - q turns out to be equivalent to (T →
(p q)) A (q p). In Meyer showed that if
we define the arrow in this way: (*)A → B =Dj (A - 3B) ^ (A = B)
then the first degree fragment of the systems S1-S5 is exactly CFL. The result
is unwelcome, since the arrow seems to identify a particular subclass of
material equivalences. On this subject, note also that we have (A - B) > (B
5 A) and ((A - B) A B) D A. So, if we want to interpret "—" as
an implicature connective (“implicazione conversazionale”), we have to face
something which recalls the fallacia consequentis. McCall sees two
possible ways to solve this problem: dropping the restriction to first degree
wils, or introducing axioms which are not equivalential. It is worth
noticing that the minimal system of consequential implication CIw satisfies
both McCall's conditions. Its formation rules are here unrestricted, while
axiom (f), ie. (L-p) > (p -L), is a simple example of a wff which does not
admit Meyer's interpretation: the wff ((1 -3p) Ap =1) 3 ((p- 3 1) Ap al) is in
fact underivable even in S5, so that (f) is not a theorem of CFL. However, a
more direct move would be to remove the factor law WE and replace it with some
of its weakened variants. If we introduce this modification it is no
longer true that the resulting system is coincident with the first degree
fragment of S1-S5. Note that (p - q) D ((pAr) - q) is neither a law of
connexive logics, nor of the logics of consequential implicature (“implicazione
conversazionale”). If it were, by substituting p for q we would have (pAr) - p,
which is not a theorem of consequential implication logics. If we call (p → q)
> (pAr) - q) the principle of monotonicity, we can then say that → symbolises
a particular kind of monotonic implicature (“implicazione conversazionale”). Add
that also Weak Factor may justifiably be said to express a monotonicity
principle of implicature. Thus the representation of the arrow as a symbol for
aparticular kind of non-monotonic implication receives a support from the fact
that we have to exclude Factor Law from logics of consequential implications
and to work only with suitable modifications of it. ANGELL, A propositional logic
with subjunctive, not indicative, conditionals, Journal of Symbolie
Logic. ANGELL, R.B. Tre logiche dei condizionali congiuntivi in Pizzi,
cur. Leggi di Natura, Modalità, Ipotesi,
Feltrinelli, Milano; AQVIST, L. Modal Logic with Subjunctive Conditionals and
Dispositional Properties, Journal of Philosophical Logic, CHELLAS, Modal Logic,
Cambridge KIELKOPE, C. Formal Sentential Entailment, Univ, Press of America,
Washington, LEWIS, Counterfactuals. Oxford, Blackwell, LOWE, If 4 and B then A, Analysis, McCALL, S.
Connexive Implicature and the Syllogism, Mind. MeCALL, S. Connexive
implicature in Anderson and Belnap, Entailment. The logic of relevance and
Necessity, Princeton U.P., MEYER, R.K. The Poorman's Connexivo Implicature,
Relevant Logic Newsletter, MONTGOMERY, H. e ROUTLEY, On systems Containing
Aristotle's Thesis, Journal of Symbolic Logic, VINCENTIS, Implicature del
Portico and Stoic Modalities, in Corsi, Mangione, MUGNAI (si veda),Le teorie
delle modaliti, Bologns, CLUBB, NELSON, Intensional Relations, Mind, P., BOEZIO’s Thesis and conditional logic, Journal of
Philosophical Logic, P., Decision Procedures for Logics of Consequential
Implication, Notre Dame Journal of Formal Logic, P. Varieties of Non-Monotonie
Conditionals, in Carsetti, Mondadori, Sandri, Semantica, complessitá e linguaggio
naturale, CLUEB, Bologna, P., Weak vs. Strong, BOEZIO Thesis: a Problem in the
analysis of Consequential Implication, in A. Ursini and P. Agliano, Logi and
Algebra, Dekker P., C. Implicazione, implicatura crisippen
e dipendenza contestuale, Diancia, P. e WILLIAMSON,
Strong Boethius' Thesis and Consequential Implication, Journal of Philosophical
Logic, THOMPSON, Why is conjunctive simplification invalid?, Notre Dame journal
of Formal Logic, BENTHEM, Essays in Logical Semantica, Reidel, Dordrecht. WILLIAMSON
Verification, Falsification and Cancellation in KT, Notre Dame Journal of
Formal Logic. Claudio Pizzi. Pizzi. Keywords: la regola
di Boezio, la tragedia d’Ustica, il se, condizionale contro-fattico, Grice, il
modo, operatore di modo, cubo di Aristotele, il cubo dell’opposizione,
opposizione quadratica, opposizione cubica, prova, causa, probabilita, l’idea
di causa, ‘Actions and Events’ – causa ed aitia – il significato di causa in
Cicerone – di causa a cosa – causa come latinismo – uso di cosa come causa –
evoluzione della cosa dalla causa – della causa della cosa – implicazione,
interplicazione, explicazione, interplicazione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Pizzi” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Grice e Pizzorno: la ragione conversazionale -- J.
Grice è la politica assoluta – filosofia del sindacato, filosofia fascista – filosofia
veneta -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Trieste). Filosofo italiano. Trieste, Friuli,
Venezia Giulia. Studia a Torino. Insegna ad Urbino, Milano e Fiesole. Oltre agl’importanti
studi sulla materia sociologica conduce ricerche di sociologia economica e
politica, in special modo sulle organizzazioni sindacali e il conflitti di
classi sociali, sulla politica e i suoi aspetti, sui rapporti tra sistemi
politici ed economici nella società. Saggi: “Le V classi sociali” (Il Mulino);
“Comunità e razionalizzazione” (Einaudi); “Lotte operaie e sindacato”, “Le
regole del pluralismo”; “I soggetti del pluralismo”; “Classi, partiti,
sindacati (Bologna); “Le radici della politica assoluta” (Feltrinelli): “Il
potere dei giudici” ("Il nocciolo", Laterza); “Il velo della
diversità: studi su razionalità e ri-conoscimento (Feltrinelli); “Sulla maschera”
(Il Mulino). Treccani, Istituto
dell'Enciclopedia. Grice: “The reason why Pizzorno – bless his soul – does not
criticise fascism, is that he possibly finds his theory of ‘communitarianism,
razionalization and community, and the appeal to Tonnies’s community, almost
too fascist to be true! – it’s the ‘bund’ – and other fascist conceptions against
which i sindacati had to fight during the ventennio fascista!”. Grice: “The
pity with P. is that he focuses on sindacati as from 1968, when he was getting
drunk in Paris! He should have studied the sindicati during the veintennio
fascista!” -- Grice: “I am pleased that P. quotes me. He apparently says that
he is not into ‘conversation’ in the *sense* (senso) of Grice. Footnote there.
When the index was compiled, P., who is at Oxford at the time and could have
asked (or axed), had no idea what my Christian name was, so he follows
Speranza’s advice: ‘when you do not know the first name or Christian name use
‘John’’ – so he did. (The corollary to Speranza’s corollary is: when you don’t
know the surname, use ‘Smith’). So
Grice, J. I became in his name index!”. Avrei dovuto annotarmi il giorno
esatto, in fondo cambio la mia vita (se mai si può dire che ci sono giorni che
cambiano la vita di una persona), ricordo solo che era l'estate del 1953, e che
era la prima volta in assoluto che andavo a un colloquio di assunzione. Probabilmente
ero intimidito, ma non poi moltissimo, anzi, piuttosto distaccato, perché
quello che mi stava accadendo, o meglio, che si disegnava come un'assai
evanescente possibilità che acca-desse, apparteneva a un mondo cosi diverso da
quello cui le mie vicende avevano appartenuto fino ad allora, che il suo
realizzarsi o meno non solo lo tenevo per incommensurabile con i riferimenti di
cui disponevo, ma non arrivava a suscitarmi nessuna precisa emozione. La
stagione parigina per il momento era inevitabilmente da chiudere. Non avevo più
lavoro fisso (da un anno non ero più lettore d'italiano ai licei Louis Le Grand
e Henry IV, e ci stavamo mantenendo, mia moglie Anne e io, con il suo stipendio
di giovane ingegnere in un laboratorio di disegno acronautico e con miei
incarichi saltuari e lezioni private). Concluso tra un anno il mio diploma a
Hautes Études, cosa avrei poi fatto? Mi avevano offerto un incarico di Histoire
et ciilisation italienne all'Università di Algeri. Non avevo detto di no ed ero
pronto ad accet-tarlo, un vagabondaggio dispersivo in più, dopotutto, come lo
erano stati gli anni di Vienna e di Parigi, ma questa volta assai più per
ripiego che per entusiasmo o curiosità; e speravo che mi capitassero altre
occasioni. Non erano quelli anni in cui le «occasio-ni» ti capitavano addosso
mentre camminavi per la strada, ma una me ne capito. Il colloquio me lo
aveva procurato un'amica dei tempi del-l'università. Olivetti sta cercando
giovani laureati, mi scrisse, per aiutarlo a mettere in piedi un'organizzazione
culturale. Quando vieni a Torino ti vedrebbe volentieri. Mi trovai così
dall'altra parte di un tavolo al quale era seduto Adriano Olivetti, che mi
guardava, in quel modo che poi capii era il suo naturale, non dritto in faccia,
ma quasi di sottecchi, con uno sguardo che si muoveva qua e là verso il basso,
timidamente, si sarebbe detto, ma di cui si capiva la cura di essere insieme
gentile e seriamente interrogativo, e forse celava un'attenzione a non
imbarazzare l'altro. Gli raccontavo di quello che avevo fatto a Pari-gi, il
lettorato, le ricerche alla VIème Section di Hautes Etudes. Non ricordo
se accennai al lungo lavoro antropologico-teatrale sulla «maschera», frutto di
quelle ricerche, e che avevo appena fi-nito. Se non lo feci, malgrado mi
stipasse ancora piena la mente, fu forse perché ero trattenuto dall'incongruità
di quel tema rispetto al mondo nel quale attraverso quell'intervista mi si
prospettava di farmi penetrare. Ma se la ragione era questa sbagliavo.
Non soltanto perché quel mondo, scopri poi, includeva personaggi dai più vari e
multicolori trascorsi culturali; ma anche per-ché, in due sensi più specifici,
uno facile da intuire, uno invece del tutto imprevedibile, come si vedrà,
proprio quel mio lavoro sarebbe stato una sorta di chiave di entrata in quel
mondo. Ritenni invece più appropriato raccontargli che nel 1948-49, con lo
pseudonimo di Andrea Marini, avevo scritto diverse corrispondenze da Parigi per
«Comunità», allora settimanale, e che negli anni suc-cessivi, quando ero a
Vienna, per «Comunità» mensile avevo scritto alcuni articoli di critica d'arte.
Lui mi chiese se avessi mai sentito parlare di «Economie et Humanisme», la
rivista dei domenicani di sinistra, le cui idee, seppi poi, erano molto vicine
alle sue. No, non ne avevo mai sentito parlare, e lui, per non imbaraz-zarmi,
attenuò subito il rilievo di quella circostanza. Cercò di spiegarmi a quale
incarico mi avrebbe destinato se fossi andato a Ivrea. Sarei stato assunto in
fabbrica, ma il compito non avrebbe avuto a che fare con le attività
produttive, si sarebbe trattato piuttosto di un compito culturale, fuori della
fabbrica, non era ancora ben definito, lo si sarebbe definito un po' alla
volta. Non siesprimeva del tutto chiaramente, ma pensai che fosse logico per me
non capire situazioni così lontane dall'esperienza che avevo avuto fino ad
allora, e non feci troppe domande. Invece le ragioni della non chiarezza erano
altre, lo avrei capito in seguito, e quando lo capii mi trovai davanti, come
dirò, a scelte non facili. Nei giorni seguenti non dico che dimenticai
l'intervista, ma non ci pensai troppo, non contavo che avrebbe avuto seguito, e
poi, come succede in questi casi, anche per chi non abbia pratica
dell'eserciziario stoico, si mette in marcia la premeditatio malo-rum, quell'operazione
mentale che censura ogni pensiero sui possibili eventi desiderabili, in modo da
evitare che ci si debba sentire delusi se poi tutt'altro succede. Andai a Roma,
dov'erano i miei, che volevo far conoscere a mia moglie, che avevo sposato in
Fran-cia, e anche per riuscire io a conoscere qualcuno, dopo anni che di fatto
mancavo dall'Italia. Inoltre, avevo mandato a «Nuovi Ar-gomenti», se ben
ricordo consigliato da Franco Lucentini, mio compagno di disoccupate
riflessioni nei caffè della rue de Tour-non, quel saggio sulla «maschera» di
cui ho appena parlato. Mi avevano risposto che il saggio era piaciuto, ma era
troppo lungo e poco adatto alla rivista. Era la solita risposta, mi ero detto;
ma poi aggiungevano che l'avevano passato a un loro lettore, Bobi Baz-len, il
quale ci teneva a parlarmene, eventualmente per consigliarmi cosa fare.
2. Bobi Bazlen Si è scritto a iosa, a parer mio esageratamente e
imprecisamente, sul ruolo che ha avuto per una certa cultura italiana questa
sirena ombrosa e misteriosa, si è detto della sua influenza su Montale per la
scoperta di Svevo e di altre sue scoperte di scrittori marginali e fuori della
via maestra, e del suo gusto per l'inedito, l'anomalo, l'inconsueto, il
prezioso. Se ne è scritto molto, dicevo, e negli anni è capitato anche a me di
leggerne, ma allora, rientrando in Ita-lia, pur montaliano e sveviano di
adolescenza com'ero, questo personaggio mi era sconosciuto. Ne chiesi a
Giampiero Carocci (credo che anche a lui fossi stato indirizzato da Lucentini, perché
in quei giorni, rientrando in Italia dopo anni, andavo un po' a
ten- toni, soprattutto fuori da Torino, quanto a incontrare persone
in-teressanti); e lui mi parlò con molte, anche se sibilline, esclamazioni
elogiative, di questo Bobi Bazlen, delle sue vastissime letture in molte
lingue, del suo gusto raffinato e sicuro, della sua intuizione critica e via
discorrendo. Concludendo che era certo la persona più appropriata per giudicare
il mio saggio. I grandi elogi che Bobi Bazlen profondeva su quel mio
testo, quando, sorridente e cortesissimo, mi ricevette nel suo appartamentino
di via Margutta (o era via del Babuino?), per le vaste letture antropologiche
che vi trasparivano, di un tipo che nessuno in Italia, diceva, si sognava di
fare (ragione per la quale, del resto, era difficile pensare a una rivista
nella quale pubblicarlo...), per l'interesse della tesi che esponevo e via
discorrendo, mi lusingarono certamente assai; ma, senza sapere veramente il
perché, e pur ringraziando ripetutamente e con il dovuto imbarazzo, rimanevo,
come dire, un pochino sulle mie. Bazlen aveva letto bene il mio testo - senza
darlo a vedere avevo manovrato il discorso in modo da accertarmene -, ma non
volle entrare nella discussione del conte-nuto, Il suo, capii, era un apprezzamento
di gusto, di pelle. E, forse influenzato dall'impressione di quell'incontro,
quando lessi molti anni dopo alcuni suoi scritti, Lettere all'editore (o un
titolo simile), mi sembrò di capire che quello era in genere il suo modo di
giudicare. Apparteneva, ne dedussi, a quel tipo di persone che leggono
voracemente di tutto, senza qualche piano preciso, e hanno la capacità di
intuire immediatamente quali siano le cose di qualità e quali le altre, o
meglio, quali avranno successo e quali no, ma non sanno articolarne le ragioni.
Sanno mostrare, in un testo, dove stia la pepita d'oro e dove la spazzatura, e
quando te lo mostrano non puoi che dargli ragione, ma si astengono poi dal
tradurre i loro giudizi in un linguaggio critico. Probabilmente perché rifiutano
di costringere le loro intuizioni in concetti discipli-nati, concetti, voglio
dire, che siano ricevibili da una disciplina cri-tica, e quindi sortoponibili a
un uditorio non familiare, in grado, per dir così, di valutarli autonomamente,
staccandosi dal dialogo diretto con la persona che li formula. Destinano i loro
giudizi a pochi intimi, sottovoce, quasi in a parte, pronti a ritrarsi di
fronte a chi li metta in discussione; che poi diresti che si sentirebbero
of-fesi, se, ascoltandoli, ti venisse di chiedergli «perché?» perché quel testo
lo ritengano di gran valore, e invece quell'altro buttar via; potrai tutt'al
più mormorate qualche sfumato accenno didissenso, questo lo sopportano, anche
se con esclamazioni di meraviglia per tale inaspettata non concordanza; o con
congedante freddezza, se il dissenso dovesse venir reiterato; ma la domanda di
spiegazioni no, non puoi farla, perché non saresti più uno dei loro, uno per il
quale le ragioni dei giudizi debbono rimanere ov-vie, intese tra affini, sigillanti
l'implicita comune appartenenza. Chi abbia conosciuto Bobi Bazlen meglio
di me (io gli parlai a lungo solo quel pomeriggio, e poi un'altra volta, in
casa di amici, ma stava in un angolo sorridente e silenzioso, mi accorsi che
forse era timido), magari dissentirà da questa mia caratterizzazione. Ma
il tipo che mi sembrava di aver riconosciuto era quello. Ed è un tipo che
ritrovo in altri amici miei, pur diversissimi per più di un tratto da Bobi
Bazlen. Mi viene in mente, e la collego con il tipo che sto cercando di
ricostruire, una indimenticabile performance di Fruttero e Lucentini in sei
trasmissioni televisive, di alcuni anni fa. Gli era stato dato l'incarico di
commentare per il pubblico televisivo, ogni serata, un certo numero di libri,
recenti e no. Lo facevano pantofolando con grande agio e ironia da una stanza
all'altra di casa Fruttero, da uno scaffale all'altro, prendendo un libro -
potevano essere i Promessi Sposi, piuttosto che la Cousine Bette o Il mondo
secondo Garp o invece un romanzo appena uscito - lo tenevano in mano qualche
secondo, se lo mostravano scambiandosi esclamazioni di compiacimento,
approva-zione, entusiasmo o visibilio appena trattenuto, raccontavano un po la
trama, ma non più che in due parole, indicavano quali erano i passaggi più
straordinari, da non mancare, e quando avevano riposto il libro su di un tavolo
non si era ancora capito perché mai lo dovessimo ritenere un bel libro. Uno
spettacolo, fatto di nien- te, ma a modo suo esilarante. Uscii
contento degli elogi ricevuti, si è sempre contenti quando qualcuno ti dice
anche solo di aver letto con interesse un testo che hai appena scritto, e che
magari sei insicuro che valga; ma senza che avessi l'impressione, per dirla un
po' volgarmente, di aver intascato un granché. Il saggio non mi aveva detto
dove avrei potuto pubblicarlo (me ne dimenticai, e solo alcuni anni dopo Edgar
Morin, a cui l'avevano dato da leggere, lo passo ai «Cahiers Madeleine
Renault-Jean Louis Barrault», che lo fecero tradurre in francese e lo pubblicarono),
né mi aveva fatto altre proposte di collaborazione o incontri. Insomma ero al
punto diprima. Ripensavo soprattutto, andandomene verso piazza di Spa-gna, a
quella specie di elogio della «non professionalità» sul quale Bazlen si era
dilungato con esclamazioni e giudizi che mi argomentava e amplificava come se
fosse ovvio che dovessi condividerli (e non erano giudizi estetici, in questo
caso, ovviamente, ma etici; o forse, è vero, etico-estetici). Essendo al
corrente delle mie peregrinazioni fuori d'Italia, ed essendo al corrente di
quel mio, dopo tanto andare, essere ancora senza un mestiere (e lo avevo
informato che aspettavo una risposta da Adriano Olivetti per una possibile
assunzione), credette forse di mostrarmi amicizia dicendo che anche lui era stato
sempre senza un me-stiere, perché appena si accorgeva che in qualche modo stava
per venire imprigionato nella gabbia anche dorata di un mestiere si ritraeva,
come per istintiva renitenza. E cosi che aveva sempre conservato la sua
libertà, concludeva. Io sorridevo annuendo, ma senza contribuire con miei
argomenti, perché di quel tipo di libertà mi sembrava di aver già goduto in
eccesso, e mi sentivo ben disposto a non ritrarmi se si fosse aperta la porta
di qualche gabbia dorata, come quella dell'Olivetti, appunto. Ma forse la vera
ragione, di fronte al suo elogio della non professionalità, della mia renitenza
ad andare al di là di quel mio annuire un po' stac- cato, era che
quel mio testo stesso su cui ci eravamo incontrati, pur non strettamente
accademico, rifletteva per me chiaramente una tensione verso qualche cosa che
sarebbe proprio potuto diventare mestiere (anche se poi il mestiere che ho
acquisito, o che credo di aver acquisito, è stato un po' diverso), frutto
com'era di lunghi mesi di letture concentrate su un preciso tema, giornate
intere alla biblioteca del Musée de l'Homme, a pranzare con un panino, storzi
di chiarezza nell'esporre una tesi, rigore, o speranza di rigore, nello
sceverare la letteratura antropologica attendibile da quella che non lo era. E
in fondo ciò cui io ambivo era proprio di impadronirmi meglio di quel mestiere.
Sarebbe ora stata interrotta, quella mia tensione, nel caso fossi entrato
all'Olivetti? L'incontro con Bobi Bazlen mi aveva lasciato al punto di prima. O
così mi pareva. Ma mi sbagliavo, come si vedrà. Quando si ha, era il mio
caso, un gran rispetto per le vie segrete del destino, ci si deve astenere
dallo sforzo ibristico di immaginarne le tracce prima di calpestarle
veramente.Una settimana o due più tardi ricevetti una lettera che mi convocava
a Ivrea. Arrivai in questa città un po' sformata, cosi fuori dal mondo in cui
avevo vissuto fino a qualche mese prima, ma che sarebbe stata per tre anni la
mia - non so quanto capace, durante quei tre anni, di infondermi il sentimento
che vi appartenessi, ma certo anche oggi, dopo più di quarant'anni, rimasta ben
distinta e pesante nella mia memoria -, lasciai la valigia all'albergo Dora,
che avrei imparato esser luogo celebrato nel folklore del mondo dirigenziale
Olivetti per incontri, intrighi, sollazzi e imbarazzi, ritornai sui mici passi,
oltrepassai la stazione, per imboccare la ben acciottolata via Jervis,
costeggiai la lunghissima facciata di vetro della fabbrica, mi sembrava di
scivolare lungo una pagina di «Do-mus» o «Casabella», e salii al Sancta
Sanctorum, cioè negli uffici della presidenza. Adriano Olivetti era già da
qualche tempo ma- lato, mi dicono, ma intanto avrei potuto incontrare
qualche diri-gente, Mi conduce prima degli altri nel suo ufficio, gentilissimo,
Ignazio Weiss, direttore del Servizio pubblicità, e il primo nome che mi fa è,
sorpresa! sorpresa!, quello di Bobi Bazlen, suo caro amico, mi dice, il quale
gli aveva parlato di me e del bel saggio che avevo scritto. Mi fa i complimenti
per i miei studi, si augura che io possa entrare all'Olivetti, ma che stessi in
guardia, mi avverte, il lavoro che mi avrebbero assegnato poteva anche non
corrispondere alle mie aspettative (non ne avevo), poteva essere più semplice
di quello che io ero in grado di fare (e io a quel punto non mi sentivo davvero
capace né di fare lavori semplici, né di farne di complicati), ma proprio per
questo anche noioso e magari deludente. Incoraggiato da quell'accoglienza che
lasciava prevedere un esito positivo del processo dal quale senza merito e
senza manifesta volontà ero ormai risucchiato, gli strologai una complicata
risposta sul fatto che anche quando i compiti appaiono più facili di quanto si
sia in grado di assolvere, rappresentano pur sempre una sfida, perché il
passare da impegni difficili a impegni facili può in un certo senso
considerarsi cosa difficile, e via cosi in-garbugliando. Spero che abbia
creduto che il mio ragionamento contenesse concetti più profondi di quelli che
in realtà contene-va, poiché, tradotto in soldoni, credo consistesse nel dire
niente più che quando a qualcuno fanno fare un lavoro poco interessan-te è una
bella noia per lui accettarlo, e se lo accetta, ma questo punto era lasciato
fuori dal concettoso ragionamento, lo fa solo perché lo pagano bene. Poi
passai nell'ufficio di Geno Pampaloni, che allora non sapevo ancora fosse colui
che esercitava il vero potere nei rapporti tra il mondo della cultura e
Adriano, e cioè la vera eminenza grigia di costui (o era forse soltanto
eminenza ligia, come sussurravano gli infaticabili ideatori di maliziosi
calembours aziendali? Ideatori del resto non da poco, avrei ben presto
imparato: erano Libero Bigiaretti, Franco Fortini, Egidio Bontante e simili, i
quali si divertivano a prendere di mira più di altri proprio il povero e
potente Pampaloni). Anche lui assai cordiale (ma la cordialità, si sa, è
l'immancabile sigla di questo tipo di incontri), mi disse che si era andato a
leggere con attenzione tutti i miei articoli su «Co-munità», che gli erano
piaciuti, erano ben scritti, soprattutto le corrispondenze del 1948-49 dalla
Francia, aggiunse qualche altro complimento, e poi incominciò a spiegarmi
all'ingrosso cosa mi sarebbe stato chiesto di fare nel caso venissi assunto. Il
presidente (incominciavo a imparare che a Ivrea questo era il nome con cui
designarlo in colloqui ufficiali, «Adriano» quello parlando tra amici) voleva
dare impulso a una rete di centri sociali con biblio-techine che andava creando
in vari paesi del Canavese, e appoggiandosi su di queste voleva far nascere una
specie di movimento culturale - non politico, diceva, anche se naturalmente
Olivetti una tendenza politica l'aveva, di sinistra, ma né comunista né
de-mocristiana, forse vicina a quella che era stata del Partito d'Azio-ne, e
aveva appoggiato Unità popolare contro la legge truffa (era- no, come
sbagliarsi!, le stesse mie posizioni) e poi aveva le sue idee su come
trasformare il governo locale, l'idea di piccole comunità, che io del resto
conoscevo, e via discorrendo. Pensai che avrei capito meglio quando l'avventura
fosse incominciata, e tornai a Ro-ma. Dopo pochi giorni arrivò la notizia che
ero stato assunto. Di fatto. Ma prima sembra che occorresse un ulteriore
passaggio formale, e di che natura fosse me lo chiari (ma «chiarire», si vedrà
subito, non è il verbo appropriato) un episodio che mi resta ruttora
insondabile, e che mi limiterò a raccontare esattamente come è avvenuto (o come
me lo ricordo, devo naturalmente di- re; ma mi sforzerò di mettere
all'opera tutta la mia perspicacia mnemonica, facilitato del resto dal racconto
che a più di un ami-co feci immediatamente dopo, quando speravo ancora che me
lo decifrassero loro). Manca ancora un colloquio con il capo del per-sonale, mi
disse Pampaloni, vai nell'ufficio del dottor Z. Il dottor Z. mi
aspettava, mi fece subito entrare, si sedette al suo tavolo, mi fece sedere su
di una sedia dall'altra parte del tavolo, io dissi: sono A.P., mi hanno
indicato di passare da lei. Sì lo so, rispose, e mi guardò. Aspettavo che mi
facesse qualche domanda, mi desse qualche istruzione, o insomma mi dicesse
qualche cosa, ma lui si limitava a guardarmi. Aveva sulla bocca un sorriso
stereotipato che non capivo bene se significasse incoraggiamento per me, o
imbarazzo per se stesso, Io gli restituivo lo sguardo, con un dovuto sorriso
timido, ma lui taceva. Cominciai a muovere lo sguardo sugli oggetti del tavolo,
sempre mantenendo il sorriso timido, che non avici saputo come mutare, ma lui
continuava a tacere e a sorridere enigmaticamente. Adesso mi dirà qualcosa,
pensavo, è già passato qualche minuto, e spostavo di quando in quando lo
sguardo anche sui mobili o sulle pareti. O forse che gli devo dire io qualcosa,
mi chiedevo, ma cosa posso dirgli? I minuti passavano, il silenzio totale
continuava. Forse si tratta di un test, mi dissi, vuol veder come reagisco al
silenzio, come mi comporto in una situazione imbarazzante (in quei giorni si
parlava molto di test strani cui venivano sottoposti futuri dirigenti
aziendali, per verificare come si comportavano in situazioni inattese). Ma più
che restare zitto non mi sembrava di poter fare. Forse gli devo raccontare
qualcosa di me, ma se lui non mi fa domande sarebbe sgarbato da parte mia
aprire il discorso. Dirgli che son contento di essere assunto all'Olivetti può
essere fuori luogo, perché ufficialmente l'assunzione non si è ancora
perfezionata. Così continuavo a tacere. E taceva lui. Il mio disagio
cresceva. Forse anche il suo? Come ca-pirlo, la situazione continuava ad
apparire inscrutabile. Passarono diversi minuti. Quanti? Non potevo ovviamente
guardare l'orologio. Erano molti, moltissimi, nella mia percezione soggetti-va.
Dieci, quindici? Come finirà, mi chiedevo, cercando di rilassarmi
interiormente, e aspettando la fine. Che non potrà manca-re, mi ripetevo. La
frasetta che pronunciò alzandosi, l'unica, non la ricordo esattamente, sarà
stata del tipo «le auguro buon lavo-ro», o «spero che si troverà bene». Mi
strinse la mano e mi accompagno alla porta. Il silenzio era finito. Ero assunto
alla Ico (In- gegner Camillo Olivetti) spa. (Gli amici cui raccontai
l'episodionon seppero spiegarmelo, e, stranamente, mi sembrò che non gli
dessero importanza, Esclusero l'ipotesi del test. Il dottor Z. lo ritrovai anni
dopo, in una circostanza anch'essa un po' imbaraz-zante, come racconterò, ma di
altro tipo.) Ero quindi diventato impiegato di un'azienda industriale di
gran prestigio, con regolare contratto del settore metalmeccanico. Quanto
era esattamente il mio stipendio? 120.000 lire al mese, poi quasi subito aumentate
a 140,000 se ricordo bene (nello stesso periodo sembra ci fossero stipendi, fra
i dirigenti, anche cinque o sei volte superiori, e più); ma, fossero state
anche meno, si trattava di uno stipendio contrattualmente stabilito, il primo
di questo tipo nella mia vita. Tutto ciò senza che potessi dire di aver
veramente scelto, o senza che fossi in grado di spiegare, se mi fosse capitato
di aprirmi con un amico, la parte che questa vicenda poteva rappresentare in un
mio progetto di vita. Forse avrei detto che si trattava di un'«esperienza»,
termine magico, si sa, che è sempre possibile invocare per giustificare a se
stessi e accreditare di fronte agli altri ogni attraversamento di giorni
difficili o strani. Almeno per chi - è per lo più il mio caso - è riluttante a
sovrapporre lo schermo del «progetto di vita» alla figura velata, ma riposante,
del «destino». 4. Lavoro manuale, ma non davvero Una regola per gli
impiegati nuovi assunti, esclusi gli amministra-tivi, voleva che prima di venir
assegnati alla loro specifica mansione dovessero lavorare per un mese come
operai. Era un modo per far loro imparare a conoscere bene l'oggetto (che
allora era costituito dai vari tipi di macchine per scrivere - e che non si
dicesse da scrivere, veniva raccomandato - e per calcolo) che l'organizzazione
di cui entravano a far parte era impegnata a produrre e vendere. Si trattava di
un'esigenza di apprendimento, per dir così terminologico, sapere cosa
significavano i termini che designavano le centinaia di pezzi di cui questo o
quel tipo di macchina era composto; e naturalmente sapere come funzionavano.
Perché sarebbe potuto occorrere che ognuno, nel compito specifico che svolgeva,
vi si dovesse riferire. Ma si trattava anche, più o meno esplicita, di
un'esigenza moralistica: aver fatto provare a tutti i di-pendenti di che natura
fosse il lavoro manuale della «produzione» (parola mitica, questa, del
linguaggio aziendale, con connotazioni moralistiche il cui pieno valore avrei
ben presto imparato ad ap-prezzare), quello da cui, come impiegati, ricevevano
il contenuto ultimo del loro compito, e simbolicamente quindi parificare i
lavoratori del braccio e quelli della mente. Era insomma una sorta di rito di
passaggio che siglava l'appartenenza di tutti alla stessa comunità, in nome
della moralità della produzione. Cosi fui messo anch'io a lavorare
manualmente in un reparto dove si aggiustavano macchine difettose. Me ne stavo
seduto a un banco, insieme con qualche diecina di altri operai in un grande
stanzone, a smontare e rimontare, macchine, secondo precise istruzioni, senza
far nessuna fatica fisica, e semmai, soprattutto all'inizio, con qualche fatica
intellettuale perché dovevo sforzarmi di capire le istruzioni che ricevevo su
come andavano rimessi insieme tutti quei pezzi. Non c'erano costrizioni
temporali per completare la mia parte di lavoro. Avevo anche pochi rapporti con
gli operai che lì intorno facevano, meglio di me, il mio stesso lavoro, e
l'unica cosa che mi accomunava a loro era la bottiglietta di chinotto, bevanda
di cui avevo ignorato l'esistenza fino a quel giorno, e che adesso avevo
imparato a tenere sul bancone vicino alla macchina, sorseggiandola di tanto in
tanto; e non perché avessi sete, ma perché mi permetteva, facendo finta di
bere, ma in realtà limitandomi a bagnare la lingua, di interrompere di tanto in
tanto il lavoro. Insomma, non sentivo di essere coinvolto in un esperimento
serio. L'unica costrizione, importante è vero, viste le mie abitudini parigine,
era quella di entrare in fabbrica e firmare il cartellino alle sette e trenta
in punto. La sveglia mattutina, le otto ore di lavoro giornaliero, l'andarmi a
coricare presto la sera, la sospensione del lavoro intellettuale, avevano così
ben regolarizzato il mio ritmo fisico, che in un mese, ricordo esattamente,
ingrassai di due chili (da 60 a 62, o da 62 a 64, non ricordo esatta-mente, ma
giù di li). Davvero non un'esperienza stremante. In quei giorni so che
anche in altre fabbriche era d'uso la stessa pratica di iniziazione degli
impiegati nella comunità aziendale. E probabile che da tempo se ne sia
perso ovunque, nonché l'uso, il ricordo. Già all'Olivetti quando vi fui
sottoposto io era molto discussa per quella vaga tinta di ipocrisia che la
colorava. È vero che se fosse stata fatta seriamente avrebbe accresciuto fra
gli altrimembri della comunità aziendale la conoscenza delle condizioni in cui
lavoravano gli operai. Lavorare al montaggio, per esempio, sotto costrizione di
tempo, poteva dar l'idea di che cosa si provasse a fare quel lavoro - ma
questo, d'altra parte era difficile chiederlo a impiegati nuovi assunti, che
avrebbero ritardato il lavoro della linea (quella che in linguaggio
giornalistico si chiamava a quer tempi la «catena») in cui li si tosse
inseriti. L'ipocrisia stava nel far credere che chi lavora in un posto sapendo
che ci resterà solo un mese, passi attraverso la stessa esperienza di chi
lavora a quello stesso posto ma sapendo che ci resterà anni. E inoltre nel
voler credere che l'esperienza operaia che contava fosse quella delle
condizioni tecnologiche, che si fa durante le ore passate sul luogo del lavoro,
e non quella delle condizioni economiche, che si fa sui luoghi della vita,
nelle ore dell'intera giornata e degli anni. Una mattina chiesi un
permesso, dissi che dovevo andare in un ufficio lontano, o qualcosa di simile,
sarei stato via una mezz'oret-ta, e appena fuori mi intrufolai invece, quasi di
soppiatto, nella bi-blioteca, che era proprio li, vicino all'uscita
dell'officina dove la- voravo. Avevo voglia di interrompere quelle ore di
forzata assenza di pensiero con un minima parentesi di attenzione
intellettua-le. Mi ricordo ancora nitidamente cosa lessi: era il dibattito, in
«Nuovi Argomenti» e in un altro paio di riviste appena uscite, tra Ernesto De
Martino e i suoi critici, sull'antropologia, se dovesse essere storicistica o
meno. Era estraniante leggere di questo dibattito tra un montaggio di macchine
e un altro. Ma era estraniante per me anche per un'altra ragione. Negli anni
precedenti in cui, a Hautes Études, i miei studi erano stati essenzialmente di
antropologia culturale, mai mi ero trovato di fronte a un dibattito di quel
tipo, così lontano dalla letteratura antropologica inter-nazionale, così
impasticciato di terminologia crociana, preoccupato più di definire i rapporti
con Croce che con la ricerca che si sviluppava nelle discipline antropologiche
dove queste erano più avanzate e scaltrite. Per cui, scuotendo la testa, tornai
in officina, più incerto che mai su cosa sarebbe successo di me in questo
sovrapporsi di mondi diversi. Dopo circa un mese, si avvicinava la fine
del rito di passaggio, Pampaloni mi chiamò e mi disse che lo si poteva
concludere e che mi avrebbe mandato in giro per il Canavese, sotto la guida di
un dirigente locale del Movimento di Comunità, per farmi visitare lebiblioteche
comunali che si stavano organizzando, più qualche altra delle iniziative del
Movimento. Si sarebbe trattato di una specie di ispezione e alla fine avrei
dovuto scrivere un rapporto. Durante questa esperienza di visite «sul campo»,
che durarono qualche settimana, mi furono presentate altre persone che
avrebbero potuto orientarmi sulla realtà sociale della fabbrica. Mi accorsi ben
presto che sia l'ambiente dirigenziale, sia quello intellettuale, intorno ad
Adriano Olivetti, erano radicalmente divisi. Chi mi prese per mano a farmi
percorrere e ricostruire i nervi del governo olivettiano, che Pampaloni si
limitava a delinearmi a fior di pel-le, fu Franco Momigliano, che allora
reggeva quella che si chiamava la Direzione delle relazioni interne, comprendente
Servizio del personale, Servizi sociali e altre funzioni affini.
Momigliano era responsabile sindacale del Partito d'Azione quando conobbe
Adriano Olivetti, che lo assunse per occuparsi delle relazioni del personale
nella fabbrica di Ivrea, Era un liberal-socialista, di colorazione vagamente
marxista, ma senza nessuna ortodossia, semplicemente incline a quella generica
concezione economicistica, che più o meno tutti avevamo nella pelle in quel
periodo. Le categorie con cui analizzava la situazione della fabbrica e dei
rapporti tra proprietà e maestranze mi sembrarono subito molto familiari ed
efficaci, le conclusioni dell'analisi, però, ina-spettate. Per spiegare il
senso della mia sorpresa sarà utile che io qui ricostruisca l'atmosfera di
quegli anni nell'industria italiana. 5. L'eccezionalismo
olivettiano Erano gli anni di quella che si può convenire di chiamare,
col gergo allora usato, la «controffensiva padronale». Le elezioni del 1953,
con il fallimento della cosiddetta «legge truffa», avevano bloccato il
tentativo politico di emarginare le sinistre e di escluderle da ogni
interferenza sul governo del paese. Ma l'esigenza di chi guidava la
ricostruzione capitalistica dell'economia restava quella di annullare, nei
luoghi della produzione, l'autonomia che le maestranze avevano conquistato
durante gli anni immediatamente successivi alla liberazione. L'offensiva
fallita a livello elettorale si era quindi diretta verso i luoghi dove si
concentrava la classe operaia di persuasione comunista. Lo richiedevano le
esi-genze del buon ordine produttivo, lo richiedevano soprattutto gli Stati
Uniti, che erano indignati, come si sforzava di far capire la famigerata
ambasciatrice Vera Luce, che nelle fabbriche italiane, anche quelle che
godevano di commesse americane, gli operai fossero rappresentati da
sindacalisti comunisti o loro alleati. O così almeno sembrava, e si diceva.
Anche se una domanda era lecita: erano veramente gli americani, cioè gli uomini
d'affari americani che trattavano con gli italiani, a essere così preoccupati,
o non piuttosto gli industriali italiani che volevano far intendere che fossero
gli americani a premere in quel senso? Mi ricordo che mi posi la questione un
giorno - alcuni mesi dopo che ero arrivato - quando Pampaloni, nel discutere i
risultati delle elezioni della Commissione interna, che avevano di nuovo
registrato una maggioranza della Cgil, mi disse con tono allusivo, quasi fosse
una cosa di cui non bisognava parlare in giro, che questo risultato avrebbe
creato difficoltà all'Olivetti con gli americani. Lì per lì rimasi
impressio-nato, ma subito dopo mi chiesi se quell'aria di segreto non avesse
proprio lo scopo di farmi andare in giro a divulgare la notizia. Ero però, lo
sappiamo oggi, più diffidente del necessario, e avrei dovuto credere alle
convergenti allusioni di parte padronale e rumorose denunce delle sinistre: il
ricatto americano c'era, ed era esplicito e pesante, e operava, fra l'altro,
condizionando le commesse alle fabbriche italiane (ma l'Olivetti ne aveva meno
bisogno di al-tre) e soprattutto della Fiat, alla loro capacità di eliminare
l'ege-monia della Cgil nelle commissioni interne e fra le maestranze!
Sostanzialmente il risultato che si voleva ottenere in quegli anni era quindi
la pace sociale nei luoghi della produzione, anche a costo di accettare una
limitata forma di condivisione del poterecon l'opposizione nei luoghi
istituzionali. Condivisione (si sarebbe chiamata poi, negli anni Settanta,
«consociativismo», quando il fenomeno divenne più esplicito) che era inevitabile:
la Costituzione repubblicana assegnava al Parlamento un ruolo centrale, così
che una minoranza forte, com'era quella delle sinistre già in quegli anni, era
in grado, volendolo, di bloccare i lavori parlamentari e quindi l'opera del
governo; senza contare il potere di scambio che poteva far pesare sulla
bilancia un partito che controllava le regioni rosse. Scambi di favori
legislativi e amministra-tivi, al centro e alla periferia, tra maggioranza e
opposizione, servivano a smussare il conflitto, che sarebbe diventato
drammatico se si fosse messo in opera con coerenza quanto era contenuto nelle
premesse dell'ideologia proclamata. Certo, servivano anche per, come dire,
ingrassare la macchina della politica, e ci potevano guadagnare gli uni e gli
altri, pur a spese della maggioranza dei cittadini, Dapprima limitati e
coperti, più tardi, negli anni Settan- ta, tali rapporti sarebbero
diventati la regola. Nelle fabbriche, invece, gli interessi si
contrapponevano con immediatezza e l'offensiva era senza quartiere,
probabilmente anche animata da personali sentimenti di vendetta da parte delle
dirigenze industriali che, nei non lontani anni successivi alla libera-zione,
avevano visto sfidata la loro autorità, quando non anche ferita la loro dignità.
Da qui, in molte di esse, il moltiplicarsi di licenziamenti arbitrari di membri
di Commissione interna e di attivisti sindacali in genere (fu a proposito di
uno di questi casi che udii in quegli anni per la prima volta il nome di un
operaio della Riv, che, quindici o venti anni dopo, mi sarebbe diventato
collega e molto amico, Aris Accornero), e anche di umiliazioni agli operai
comunisti, messi a spazzare i locali quando magari erano vecchi operai abili
nel loro lavoro specializzato, e contemporaneamente di corruzione di
sindacalisti. Leggendaria in quegli anni era la vicenda del cosiddetto «reparto
confino» (ufficialmente Officina sussidiaria ricambi) della Fiat. La
direzione vi aveva raccolto gli operai sindacalmente attivi, quasi tutti
comunisti, isolandoli completamente dal resto delle maestranze, obbligandoli,
operai qualificati o specializzati che erano, ai lavori più umili e inutili e
sottoponendoli ad angherie di ogni genere. Questi metodi erano possibili
sia perché perdurava (e andrà avanti almeno fino ai primi anni Sessanta) una
disoccupazioneche, pur decrescente, era sufficiente a mantenere alto, per un
ope-raio, il timore di perdere il posto; sia perché, come ho accennato prima,
si era formata una separazione tra livello politico e livello sindacal-industriale
nella strategia dell'opposizione. Come avrei imparato ben presto, appena
entrato in contatto con gli ambienti della Cgil, e come mi era stato invece
assolutamente impossibile capire quando vivevo all'esterno del mondo
industriale, il Partito comunista si interessava della situazione delle
fabbriche meno di quanto i sindacalisti di base, che erano isolati e depressi e
in perdita di consenso (era iniziata la serie di sconfitte nelle elezioni per
le commissioni interne sui luoghi di lavoro), sentivano di aver bi-sogno.
Togliatti viene a Torino e ci parla della situazione interna-zionale, mentre
alla Fiat funziona il reparto confino, mi disse un giorno un sindacalista
comunista. E ricordo ancora vividamente, alla fine degli anni Cinquanta, quando
partecipavo a un semina-tio organizzato dalla Società umanitaria nella sua sede
di Meina, con quadri operai della Cgil, il racconto di un operaio comunista che
qualche anno prima era stato arrestato dalla polizia di Scelba. Mi rimane
nella memoria la sua particolareggiata descrizione delle torture che la polizia
infliggeva agli arrestati: alcuni venivano picchiati, ad altri schiacciavano i
testicoli, mi preciso. In questo clima generale la Olivetti era
l'eccezione. Non licenziamenti arbitrari, non reparti confino, non
maltrattamenti psicologici di operai, non corruzione di sindacalisti, non
interruzione degli incontri regolari tra la direzione e la Commissione
in- terna, nella quale continuava a venir eletta una maggioranza della
Cgil, senza che la direzione prendesse provvedimenti repressi-vi, come appunto
era comune in altre fabbriche. Assunto in maniera così improvvisa ed enigmatica
in questa azienda, ero curioso di capire a cosa fosse dovuta la sua
eccezionalità, di cui avevo già sentito parlare. Soltanto alla bontà e onestà
del padrone? Al suo successo economico che sembrava folgorante? I
colloqui che avevo con Momigliano (e naturalmente anche con altri «in-
tellettuali di fabbrica», che un po' alla volta venivo a conoscere, soprattutto
Michele Ranchetti, che era l'assistente di Momiglia-no, e poi Libero
Bigiaretti, Luciano Codignola, Roberto Gui- ducci, Antonio Carbonaro,
Luigi Ortina, che era il capo dell'ot-ficina in cui avevo svolto il mio
tirocinio di lavoro materiale, e lui stesso figlio di un imprenditore, e
qualche altro), mi permette-vano un po' alla volta non solo di dare una prima
risposta all'ingenuo quesito iniziale, ma anche di delineare un quadro per
molti versi inaspettato. La tradizione di buoni rapporti tra padrone e
maestranze risaliva ai tempi di Camillo Olivetti, fondatore dell'azienda e
padre di Adriano. Ingegnere geniale, imprenditore ardito, padrone bona-rio, di
idee socialiste (aveva organizzato la fuga di Turati in Svizzera nel 1926), la
sua grande figura barbuta era rimasta leggendaria tra i vecchi operai, e più
d'uno, quando cominciai ad andare in giro per la fabbrica per il mio lavoro, mi
raccontava in tono affettuoso buffi aneddoti su questo vecchio, morto una
decina di anni prima. Adriano, al suo ritorno dalla Svizzera dopo la guerra,
aveva ripreso in mano l'azienda (che durante gli anni di guerra era stata
diretta dall'ingegner Gino Martinoli, altro dirigente industriale di
riconosciuto carisma, fratello della moglie di Adriano) e continuato una
politica di buone relazioni con il personale. Adriano aveva, sì, dato un forte
apporto innovativo all'azienda nella riorganizzazione degli anni Trenta e
continuava a darlo soprattutto con le sue intuizioni originali nel campo
pubblicitario e delle relazioni pubbliche, ma la considerava piuttosto uno
strumento per i suoi interessi di natura generalmente cultural-politica. O
almeno, questo era il rimprovero che dall'interno dell'azienda gli veniva
fatto, soprattutto da quello che si poteva chiamare il partito degli ingegneri.
Non che costoro fossero nella loro maggioranza reazionari e mirassero ad
assimilare lo stile dei rapporti politici interni all'Olivetti a quello delle
altre grandi aziende italiane. Si trattava di dirigenti in gran parte
selezionati da Camillo, i più vec-chi, o dallo stesso Adriano, o da altri
selezionatori che condividevano le sue posizioni. Ma essi ritenevano che
Adriano sacrificasse l'efficienza della fabbrica ai suoi scopi di innovatore
culturale, e questi li giudicavano un po' troppo grandiosi, sia in relazione
alla realtà eporediese (imparai allora che questo era l'aggettivo che si
riferiva alla città di Ivrea), che Adriano voleva trasformare facendone un
laboratorio esemplare di buon governo locale, sia soprattutto in relazione alle
sue ambizioni di giocare un ruolo trascinatore nel mondo della cultura italiana
e internazionale. Chi difendeva Adriano sosteneva che l'attività
culturale di Oli-vetti, i suoi rapporti con il mondo dell'arte,
dell'architettura e dell'urbanistica, cosi come delle scienze sociali e della
letteratura,producevano una tale ricaduta pubblicitaria, che tutto quello che
veniva sottratto agli investimenti in fabbrica ritornava dall'espansione di
mercato che in quel modo si otteneva. Mi ricordo che un giorno un operaio con
il quale parlavo dei progetti di Adriano mi obiettò, non capii se con ingenuità
o con cinismo, che tutto quello che si faceva era buona pubblicità che serviva
all'azienda, perché in fondo, cosa produceva la fabbrica? macchine per
scrivere, no? e chi doveva comprarle, se non quella gente li, gli
intellettua-li, insomma! Altri sostenevano che soltanto rendendo la città di
Ivrea sopportabile a una borghesia colta si poteva far accettare al tecnici
d'elite di cui una fabbrica così avanzata aveva bisogno il sacrificio di
abitarvi (non c'erano ancora autostrade in quegli anni e la pendolarità con
Torino non era pensabile). Ma erano, come si vede, poco convincenti, o in ogni
caso parzialissime, giustificazioni funzionaliste. 6. Dialettica contro
paternalismo L'analisi di Momigliano muoveva da sinistra, ma concludeva
su posizioni che lo collocavano in qualche modo sulla stessa linea del partito
degli ingegneri. La sua critica era rivolta al paternalismo implicito, anche se
accorto e non sfacciato, di Adriano. Adriano, per i suoi fini, a volte dà agli
operai anche quanto non chiedono, mi diceva. In questo modo implicitamente li
corrompe, desta il sentimento di gratitudine, e per gli operai non è bene
sentirsi legati da gratitudine al padrone. Questi operai finiscono per essere
non soltanto dei privilegiati, ma anche dei viziati. Mi citò una volta un
episodio di alcuni rappresentanti operai della Cgil (di tendenza anarchica, se
ricordo bene) che dovevano andare a Torino al funerale di un sindacalista eroe
della resistenza. Sai cosa hanno chiesto alla direzione? esclamò: di essere
portati a Torino con una macchina dell'azienda! Te li immagini operai anarchici
o comunisti di quaranta o cinquanta anni fa chiedere favori di questo tipo al
«nemico di classe»! Occorreva invece, mi diceva, che i dipendenti
dell'azienda si ponessero con la direzione in rapporto dialettico (decisamente
avrei dovuto riabituarmi all'uso abbondantemente polisemico di questo termine
che avevo imparato come servisse ai miei amicifrancesi per ironizzare sul
linguaggio politico italiano), attraverso i loro rappresentanti, che questi
avanzassero le loro rivendicazio-ni, e se la direzione gliele concedeva, bene;
se no, e se se la senti-vano, che entrassero in vertenza. La direzione, d'altra
parte, doveva dare quello che il mercato le permetteva di dare, non offrire il
non richiesto, soltanto perché in certi momenti il padrone aveva determinati
motivi di politica personale per fare il generoso. Il mio compito qui, mi
diceva, è di governare il personale facendo gli interessi di questa azienda sul
mercato, e insieme rendere possibile ai dipendenti di perseguire gli interessi
loro autonomamen-te, assicurando, fino a che mi è possibile, che non vengano
alterate le regole del gioco: e cioè impedendo sia ogni forma di repressione
sindacale, come quelle che si verificano nelle altre fabbriche italiane; sia
ogni forma di corruzione dei dipendenti da parte del padrone. (Fu del resto in
uno di questi colloqui che mi accenno alla possibilità, ancora non ben
definita, che Adriano intendesse formare un suo sindacato, inglobando, che in
termini crudi voleva dire comprando, quello che restava della Uil locale,
collegarlo con il Movimento di Comunità e cosi rovesciare l'egemonia della
Cgil. In questo caso lui si sarebbe rifiutato di concedere qualsiasi trattamento
di favore a questo nuovo sindacato padronale, anche se Adriano, come era
probabile, glielo avesse chiesto.) In altre pa-role, Momigliano vedeva il suo
ruolo come quello del rigido guardiano delle regole quali l'ordine giuridico
del capitalismo le aveva stabilite. All'interno di quest'ordine i capitalisti
dovevano fare i capitalisti, gli operai fare gli operai, e formarsi la loro
coscienza di classe antagonista grazie al confronto, appunto, dialettico nelle
trattative sindacali. Mentre mi esponeva le sue idee non mi fu difficile
riconoscerle come quelle di un lettore assiduo di Sorel (io stesso lo ero
sta-to). Glielo dissi, e riconobbe infatti non soltanto che da giovane aveva
letto appassionatamente Sorel, ma che suo padre era stato sindacalista
rivoluzionario e seguace del pensatore francese. Non gli dissi invece che la
sua strategia mi ricordava un'altra figura, di cui probabilmente lui non aveva
sentito il nome (e mi sarebbe stato troppo complicato, e non interamente
lusinghiero, illustrar-glielo), quella di Bug Jargal, il protagonista di 1793,
il romanzo di Victor Hugo sulla rivoluzione di Haiti. Bug Jargal era il
capo-ciur-ma dei lavoratori schiavi del maggiore proprietario agricolo
delpaese. Esercitava il suo compito in nome del padrone, nella maniera più
rigida e crudele, non risparmiava una sola delle fustigazioni o altre punizioni
che la legge del luogo prescriveva, e verso la quale in tal modo attirava
l'odio degli schiavi. Quando la rivoluzione scoppia, viene alla luce che Bug
Jargal ne era l'ideatore e il cape. E il successo della rivoluzione sarà dovuto
proprio all'odio contro i padroni stranieri che i modi tirannici di Bug Jargal
avevano contribuito ad attizzare tra la popolazione. Non leggo quel romanzo da
oltre cinquant'anni, e forse il mio riassunto non corrisponde esattamente alla
trama, ma cosi me la ricordo, e cosi è rimasta in me da allora come metafora
del dilemma drammatico di chi vuol conseguire il bene passando per il male, e,
più precisa- mente, di chi vuol risvegliare la coscienza di quelli che
ama, presentandosi come il male che in tal modo, facendosi odiare, insegna a
odiare. Dilemma che si affaccia, anche se copertamente, in più di un rapporto,
che voglia essere eroico, di amore e formazio-ne, fra genitore e figlio, per
esempio, o fra maestro e allievo, che Nietzsche più di ogni altro ha
scandagliato, e che Sorel appunto ha saputo intravedere anche nella costruzione
della politica rivo-luzionaria. Naturalmente l'abbraccio in cui scoprivo
allacciati gli operai dell'Olivetti e il direttore Momigliano non aveva questa
drammaticità. Non solo perché Momigliano non faceva fustigare nessun operaio,
né, fosse anche venuto il momento, avrebbe capeggiato nessuna rivoluzione, ma
soprattutto perché le regole cui quei rapporti con il personale ubbidivano non
istigavano odi né impulsi rivoluzionari. Il merito di Momigliano era appunto
quello di saper mantenere i rapporti su quel tono di corretta intransigenza e
di osservanza di regole trasparenti. Ammiravo Momigliano e lo sentivo
congeniale quando discu-tevamo. Mi piaceva la sua moralità secca, senza
pleonastici ricami ideologici o fervori umanitari, una moralità laica per
eccellenza. II realismo delle sue analisi derivava dalle categorie economiche
che usava per determinare i moventi dell'agire dei soggetti con i quali aveva a
che fare, il realismo delle sue scelte personali derivava dalle categorie
giuridiche che usava per definire i ruoli suo e degli altri. Pensavo che fosse
giusto il suo modo di vedere la situazione e il modo di muoversi in essa. Che
poi occorresse anche prevenire che tra gli operai nascesse gratitudine verso il
padrone mi giungeva come un giudizio rivelatore cui non mi era difficile
ade-rire in teoria (avevo già a suo tempo riflettuto sul caso Bug Jargal), ma
sul quale potevo aver qualche esitazione in pratica. L'opposizione al formarsi
di qualsiasi sindacato giallo, invece, coincideva con le mie convinzioni di
sempre, e non avevo dubbi che sarei stato dalla parte di Momigliano e contro
Adriano se l'evento si fosse verificato (e vedremo che cosi fu). 7.
Rifiuto Comunità Queste analisi della situazione politica della fabbrica
influenzavano ovviamente l'animo con cui stavo conducendo il mio compito di
ispezione dei centri comunitari del Canavese. Certo non era senza una qualche
attrazione per un intellettuale capitare in quel di Aglie o Pavone o Strambino
(eravamo, si ricordi, nel 1953) ed entrare in una sala pulita e ben illuminata,
con tavoli e seggiole, a volte anche qualche persona che leggeva, e vedere
negli scaffali alle pareti allineati i volumi delle edizioni Einaudi o Laterza
o Editori Riuniti o altri di quel genere. Ma poi parlavo con il responsabile
del centro e mi accorgevo che non molto vi succedeva, che se c'era qualche
segno di vita associativa, mostrava ben poca vivacità e autonomia, e che se un
significato poteva avere la presenza di quella biblioteca in quel paesetto,
era, oltre che di farci venire al sabato qualche operaio della fabbrica che
pendolava gli altri giorni con Ivrea, quello di attrarvi qualche giovane che in
fabbrica non ci andava ancora, ma sperava di potersi far assumere un giorno
proprio grazie al mostrarsi interessato alle attività del centro co-
munitario del suo paese, Segretario del Movimento di Comunità del
Canavese era allora Barolini, uno scrittore colto e gentile, sposato a
un'americana, il quale non aveva più voglia di fare quel mestiere e voleva
tor-narsene in America (probabilmente, ma non ricordo bene, con una posizione
nella Olivetti americana, che si andava sviluppando in quegli anni). Si era
mostrato subito cordialissimo con me; capii più tardi, però, scontata la sua
naturale gentilezza, il senso di quella cordialità immediata, quando mi accorsi
che Adriano, o, meglio, Pampaloni, aveva in mente di offrire a me la sua carica,
e Barolini non vedeva di meglio che qualcuno arrivasse presto a so-stituirlo.
Ma un po' per le ragioni che ho già detto, un po' per co-me nel frattempo, con
l'aiuto di Momigliano e degli altri amici, riuscivo, o mi sembrava di riuscire,
ad analizzare la situazione complessiva, e in particolare i rapporti tra il
movimento culturale e l'azienda in quanto tale, io andavo rapportando a
Pampaloni valutazioni abbastanza negative di quello che osservavo, e quando a
un certo punto, dopo qualche settimana, lui mi propose di diventare segretario
di Comunità nel Canavese e impegnarmi a risollevare la situazione trovando modi
di ravvivare l'attività dei centri, gli risposi che non ero interessato e che
preferivo svolgere qualche compito nel quadro dell'azienda vera e propria. Mi
ricordo che alla fine di quel colloquio alzò la cornetta del telefono, chiamò
Momigliano e gli disse: «Hai vinto tu anche questa volta». Poi continuò dicendo
che ora si poneva la questione di assegnarmi qualche mansione
nell'organizzazione aziendale e che a questo doveva pensarci la Direzione delle
relazioni interne, quindi lui, Momigliano. A guardar bene, questa
mia vicenda era stata scandita da un doppia finzione. Olivetti mi aveva assunto
per un compito che al momento di assumermi non aveva chiarito bene in che cosa
con-sistesse, e questo perché non voleva farmi capire che, con uno sti--pendio
pagato dalla società, in realtà voleva farmi svolgere un lavoro funzionale ai
suoi fini privati, che poi sarebbero diventati, nel lungo periodo, fini politici.
Né era stato molto più trasparente Pampaloni quando mi aveva indicato il
compito specifico per quelle prime settimane di rodaggio. Io d'altra parte,
rifiutando un incarico che si era andato chiarendo dopo che ero stato assunto e
assunto con un contratto di impiegato metalmeccanico, mi facevo forte della
posizione sicura in cui ero stato messo da quel con- tratto. Mi sono
spesso domandato se avrei avuto lo stesso coraggio di rifiutare nel caso in cui
l'alternativa fosse stata non il riassorbimento nell'organizzazione aziendale,
bensi il licenziamento e quindi la disoccupazione nuda e cruda. (Vero è che,
come racconterò fra poco, la scelta mi si ripresento implicitamente tre anni
dopo, e non esitai a scegliere una assai probabile, e poi, ahimè!, realizzatasi,
condizione di disoccupato. Ma allora erano passati tre anni decisivi, in cui mi
ero rafforzato, avevo acquistato amici che sapevano apprezzare le scelte che
facevo, non ero più il tremante studente di Hautes Études, che aveva appena
lasciato la buia stanza dell'Hotel Marignan, in rue du Sommerard, nel
Cinquième.)In ogni caso presi quella decisione senza troppo riflettere sulle
conseguenze. L'unica difficoltà fu nel rimanere fermamente negativo durante il
colloquio con Pampaloni, per il quale provavo simpatia, anche se di un tipo del
tutto diverso da quella che provavo per Momigliano. Come del resto diversissime
erano le due personalità. Di finissima cultura letteraria ed elegante critico,
a Pampaloni era del tutto estranea la moralità contrattualistica rigorosa che
guidava Momigliano. Non mirava a metterti con le spalle al muro per via di
logica, piuttosto a sedurti con allusioni, ed era dovuto probabilmente a questo
stile il suo successo con Adriano, del cui cuore tenne in mano per un periodo
entrambe le chiavi. Sembrava allo stesso tempo capace di tortuose strategie
volte all'accrescimento del suo potere e di autodistruttivi, imbarazzanti
coinvolgimenti sentimentali. E l'avversione che poteva provocare il suo
machiavellismo veniva coperta dalla simpatia con cui si guardava alla sua
ingenuità, in fondo generosa. Cattolico di sinistra tormentato, quasi figura
uscita da un romanzo di Berna-nos o di Mauriac, non era chiaro se si trovasse
più a suo agio nei nidi di vipere o nei nidi di colombe. Lui, a dir il vero,
preferiva dichiarare la sua ispirazione a Péguy, il cui cattolicesimo impegnato
e vicino a idee socialiste offriva un modello di più immediato riferimento per
il mondo entro il quale Pampaloni in quegli anni voleva muoversi. Ma sia il suo
stile letterario - così diverso dal tono alto, a respiri lunghi, di Péguy - sia
le vicende politiche e giornalistiche in cui finirà per trovarsi coinvolto,
hanno finito per pot-tarlo lontano anni luce dall'immagine eroico-sacrificale
che ci è rimasta dello scrittore francese. A lungo rimasi incerto su come
va-lutarlo, o, meglio, su come capirlo. Qualche hanno fa vidi in libreria e
immediatamente comprai un suo libro, Fedele alle amici-zie, che è una raccolta
di suoi articoli ordinati in modo da comporre una specie di autobiografia.
Ritrovai la sua prosa sapientemente evocativa, lo stretto controllo di ogni
narcisismo, il suo raccogliere le «cose viste» e offrirle come un servizio al
lettore. Un lungo pezzo sulla «saga degli Olivetti», impeccabile per le cose che
diceva, deludente per quelle che taceva, lui che tanto aveva visto e avrebbe
potuto dire, Allora capii qualcosa del suo doppio modo di stare al mondo.
Quello di viverne, senza troppo discrimina-re, le strategie, gli intrighi, come
anche gli impegni generosi di parte e di amicizia; e quello, invece, di
rappresentarlo agli altri at-traverso la letteratura, scegliendo con tocchi
leggeri ed evocativi gli aspetti che proteggano il lettore, e in conclusione se
stesso, da ogni scavo della realtà che sia un po' meno accessibile di quella
che non sta proprio li sotto i nostri occhi. Cosi evita possibili
drammatizzanti faccia a faccia con l'inaspettato e il discrepante, e può invece
passare alla pagina che segue con il sorriso dell'accomodante e un po' ironica
nostalgia. Non so se ho raccolto i frammenti giusti di questa persona che in
fondo ho conosciuto assai poco. So però che le due o tre volte che lo
reincontrai dopo Ivrea provai una non forzata simpatia, e che quando mi disse
che aveva letto alcuni mici scritti e me li elogiò, me ne inorgoglii. 8.
Spiegare la fabbrica Ero rimasto senza compiti precisi e Momigliano ebbe
l'idea di af-fidarmene uno nel quale erano falliti, nel corso degli anni, tutti
quelli che ci si erano provati: redigere il manuale di fabbrica. Molte aziende
americane, e qualche azienda italiana, avevano pubbli-cato, in una forma o
nell'altra, e distribuito ai dipendenti, un li-bretto, la cui funzione
consisteva nel cercar di far conoscere agli operai la fabbrica nella sua
complessità; con l'idea che, al di la di quel settore con cui ognuno si trovava
direttamente in contatto per le sue mansioni, l'insieme della struttura
produttiva era probabile restasse a molti abbastanza misteriosa. Cosi l'operaio
si sarebbe sentito parte della fabbrica, e chissà che anche la produttività non
ne avrebbe ricevuto vantaggio. O cosi si immaginava potesse essere. La gran
parte delle aziende italiane mancava di questo manuale perché non era
interessata, anzi probabilmente era contraria, a che gli operai avessero una
conoscenza della fabbrica più ampia di quella strettamente funzionale al loro
lavoro specifi-co. I sindacati d'altra parte temevano che l'azienda descrivesse
la realtà della fabbrica in maniera diversa da come la descrivevano loro, e gli
sottraessero quel monopolio, per dir così, delle definizioni della realtà
produttiva che per lo più detenevano. All'Oli-vetti, invece, più di un
dirigente, e Adriano stesso, ritenevano utile che l'azienda si fornisse di un
simile strumento, ma i timori su come esso si potesse presentare erano molti, e
così i timori che i sindacati reagissero negativamente, e ne nascessero grane
inutili.Momigliano mi illustrò tutte queste difficoltà, mi raccontò dei vari
tentativi andati a male, mi forni una pila di manuali di fabbriche americane di
vario genere e di altra documentazione già esistente sull'Olivetti e mi elencò
le qualità che il prodotto che mi era stato affidato doveva possedere. Doveva
essere assolutamente obiettivo e neutro, senza valutazioni negative o positive
di questa o quella situazione lavorativa, doveva descrivere le diverse
componenti del processo produttivo e i rapporti di interdipendenza fra di esse,
e la loro rispettiva posizione nel flusso della progetta-zione, fabbricazione,
montaggio e distribuzione del prodotto. Linguaggio secco, senza fioriture
e tanto meno imbonimenti (di cui abbondavano i manuali americani che mi lessi
rapidamente senza troppo frutto) e tecnicamente preciso, ma semplice, alla
portata di un operaio comune. Mi son chiesto poi se Momigliano, che già
nell'illustrarmi le difficoltà aveva a malapena nascosto il suo pessimismo
sulla realizzabilità dell'impresa, non avesse gia deciso che quel manuale era
meglio non si facesse, e mi avesse proposto di lavorarci per trovarmi un
compito che mi tenesse nella sua Direzione, e nel frattempo mi permettesse di
impadronirmi dei dettagli dell'organizzazione aziendale, Avrei infatti dovuto
andare in giro per la fabbrica, capire la natura delle lavorazioni e della
logica produttiva, parlare con chiunque potesse farmi capire questo o
quell'aspetto dell'organizzazione aziendale, ingegneri, capi intermedi e operai
(ma con gli operai non avrei potuto parlare senza passare per il capo reparto),
e discutere sia del loro lavoro specifico, sia della visione d'insieme che si
facevano dell'organizzazione e della posizione produttiva in cui erano
collocati. Di tutte queste informazioni, era il compito, traessi
l'essenza e mi mettessi a scrivere un limpido manualetto! Mi fu subito chiaro
che, qualunque fosse stato l'esito, il valore di apprendimento che avrebbe
avuto per me il compito in cui stavo impegnandomi sarebbe stato assai superiore
al possibile valore che il prodotto avrebbe potuto avere se mai fosse arrivato
nelle mani di altri. Avevo tutte le ragioni visibili di mettermi
all'opera con entu-siasmo. Se ne aggiungeva però anche una invisibile, che la
memoria è ora quasi riluttante a far affiorare tanto si presenta con la
parvenza di un'improbabile testimonianza di ingenuità. Ma tant'è, perché ancora
una volta non cedere alla sollecitazione maieuticache ogni scrivere del proprio
passato esercita sui sentimenti più remoti? La ragione cui mi
riferisco è questa. Intorno ai sedici-vent'an-ni (spero di non sbagliarmi
troppo indicando quell'età) io mi ritrovai a provare un intenso e, ora mi
sembra, inspiegabile e quasi incredibile desiderio di capire esattamente,
voglio dire, nel dettaglio dei gesti, in che cosa consistessero esattamente gli
atti del «la- vorare». Non avevo infatti mai visto una persona nell'atto
di fare un lavoro produttivo. Del resto l'attributo «produttivo» è troppo
specifico, e non credo che allora mi fosse presente. Era il lavoro fisico in
quanto tale che non sapevo che apparenza avesse. Si noti che a quell'età,
differentemente da tanti mici compagni, trovandomi in Eritrea del tutto isolato
per molti anni dalla mia famiglia, io avevo già lavorato per guadagno, avevo
lavorato come dattilografo in uno studio di avvocato, poi come produttore di
una piccola agenzia di pubblicità, avevo fatto il capo-magazzino e capo-
zona in un'organizzazione di lotta contro le cavallette nel bassopiano
sudanese, avevo dato lezioni private di storia e filosofia per il liceo. Ma
evidentemente non consideravo che quello fosse lavo-ro. Né, prima, consideravo
che tosse lavoro quello che vedevo tate a mio padre, o a tutti quelli che
lavoravano con lui negli uffici che, quando andavo a prenderlo, visitavo. Si
potrebbe quasi dire che avessi - e senza averlo ricevuto dai libri, perché
nessuno mi aveva certo spiegato Marx al liceo - un senso innato della
distinzione marxiana tra lavoro produttivo e lavoro improduttivo. Di che gesti
era fatto, insomma, il lavoro materiale? Gli anni passati all'università tra
filosofi o a Vienna tra artisti o a Parigi tra antropologi e antichisti non
solo non mi avevano ovviamente dato la risposta (eppure era solo un'immagine
che chiedevo, non avrei avuto bisogno dopo tutto di vedere più che qualche
documentario, ma a quei tempi non ne giravano su questo tema, o erano
irreali-stici); ma avevano semmai ispessito l'arcano di quella mia curio-sità.
Ecco che ora mi veniva assegnato proprio il compito di descrivere il lavoro
materiale dell'uomo, e nella sua forma più mo-derna. Avrei non soltanto
osservato la variegata tipologia dei possibili gesti del lavoro, ma avrei
imparato che esistono metodi per descriverli e misurarli scientificamente
(sarei cioè entrato in contatto con quella sorta di metalavoro che svolgono
coloro che operano all'Ufficio tempi e metodi, di cui incominciavo a sentir
parla-te come di una realtà misteriosa e dominante); avrei capito, o cercato di
capire, i problemi che il lavoro generava per la persona che lo compiva e per
chi doveva coordinarlo. Mi tardava di mettermi all'opera. Pensai di farmi
anzitutto un'idea d'insieme dell'organizzazione parlando con qualche ingegnere
che fosse in posizione un po' meno specializzata di altri, al quale mi
avrebbero presentato Mo-migliano o Ranchetti. La mia ignoranza della realtà di
un'azienda era assoluta. Persino apprendere che un'organizzazione aziendale si
divideva in amministrazione, produzione, distribuzione, che ognuna di queste
componenti dipendeva da una direzione sepa-rata, che la produzione era composta
di progettazione, attrezzag-gio, fabbricazione e montaggio; che la
progettazione era il cervello dell'azienda, dove lavoravano gli ingegneri più
originali e presti-giosi, artisti del disegno di macchine; che l'attrezzaggio,
dove si costruivano le macchine utensili, cioè le macchine per costruire
macchine, era l'officina dove lavoravano gli operai specializzati, i migliori
operai della fabbrica, per preparare i quali, lungo cinque anni di studio
teorico e manuale, l'azienda possedeva un apposito severissimo istituto tecnico
per meccanici, e che questi operai erano anch'essi da considerare un po' come degli
artisti nel loro mestiere, guardati con ammirazione e invidia dagli altri
operai, e non soltanto per la loro posizione salariale, ma perché la loro
figura appariva quasi come quella di un'élite leggendaria nel folklore
aziendale; che la fabbrica era divisa in officine, le officine in reparti, i
reparti in squadre - persino queste nozioni elementari, che avrei potuto quasi
tutte apprendere dalla lettura di qualche libro di testo di organizzazione
aziendale (di cui del resto incominciavo a fornirmi, e che mi proponevano
letture, non sto a dirlo, cosi stridentemente discrepanti rispetto a tutte
quelle che avevo fatto fino ad allora), erano una scoperta viva per me. Mi
inoltravo passo a passo in questo ambiente, che, familiarissimo a tutti coloro
che mi attorniavano, si presentava invece a me come una terra incognita e
avvincente. Avvicinavo con apprensione dirigenti di questa o quella
divi-sione, capi-officina e, con ancor più interesse, perché erano di origine
operaia e avevano asceso la gerarchia aziendale, capireparto e capisquadra -
timoroso che le domande che avrei fatto potessero tradire la mia ignoranza, o
che addirittura mi venisseopposta preliminarmente l'inutilità del lavoro che
andavo facen-do. A volte, essendomi prima informato di chi fosse la persona da
cui sarei andato, e avendone ricevuto giudizi di rispetto e notazioni sul
prestigio di cui costui godeva in fabbrica, si acuiva il mio interesse a
parlarle, ma anche la mia timidezza nel presen-tarmi. In questo modo andavo
costruendo un po' alla volta l'ambiente della fabbrica come una cerchia di
riconoscimento (per usare un termine che non usavo allora, ma che mi è
familiare oggi come appartenente alla teoria nella quale, continuando a pensare
a quelle cose, sono andato ingrovigliandomi), cioè come un ambiente in cui le
persone si muovevano quasi davanti a sguardi virtuali dai quali si sentivano
valutati e dai quali il loro lavoro riceveva senso e ambizione. Un
intellettuale senza radici - come mi sentivo certamente io in quel momento,
essendo state oramai trascinate via da successivi venti le esili radici che mi
avevano tenuto precariamente fisso a questo o quel terreno, negli anni
dell'università a Torino o in quelli di Vienna o di Parigi - un intellettuale
senza radici, dicevo, è generalmente capace soltanto di immaginare cerchie di
riconoscimento che siano pubbliche, che appaiono forti e ambite solo appunto
perché pubbliche, cioè sanzionate attraverso comunicazioni che circolano
apertamente tra tutti, per giornali, libri, premi, onori, celebrazioni, nomine
isti-tuzionali. Più tardi avrei imparato che anche per gli intellettuali
esistono, e tali da vincolarli intimamente, cerchie locali, assai limitatamente
aperte al pubblico: gli studenti, i colleghi di un'università o di un istituto
di ricerca o di un giornale, i propri pari di una determinata disciplina. Ma li
trovavo una cerchia che si chiudeva all'interno di una fabbrica e del suo
intorno formato da una piccola città più qualche paese, e chiuso in questa
cerchia vedevo costituirsi un sistema di moralità forte, in cui le persone, per
la qualità del loro lavoro, ma non solo, venivano giudicate, am-mirate, imitate
o evitate, fatte oggetto di affabulazioni e leggende e motteggi, cui
conseguivano rispetto o disprezzo, deferenza o dileggio o noncuranza, ma senza
che tutto questo fuoriuscisse, trovasse corrispondenza in cerchie estranee, si
comunicasse a persone non coinvolte. Cosi mi sorprendevo a speculare su come
fosse diverso per i Pampaloni, i Momigliano, i Michele Ranchet- ti, i
Libero Bigiaretti, i Luciano Codignola, i Marco Forti, gli Ot-tiero Ottieri, i
Giovanni Giudici, il senso di ciò che facevano inquella fabbrica, del prestigio
che vi potevano godere, dei riconoscimenti da cui si facevano definire. La loro
vera identità si era costituita, o, almeno, mirava a costituirsi, in un mondo
diverso, tra intellettuali, cioè tra professionisti del far circolare il nome
dei degni di riconoscimento tra una cerchia larga di pubblico anche remoto;
quell'identità ognuno di loro avrebbe poi potuto arric-chirla, ma a suo
beneplacito, se gli fosse convenuto, con i giudizi che riceveva da quanto
faceva nella fabbrica. Come era diffe-rente, voglio dire, il senso
dell'attività che costoro andavano svolgendo quotidianamente dal senso del
lavoro dell'operaio attrezzista Giovanni Bovero, del caporeparto Giorgio
Pautasso, dell'ingegner Carlo Corniglia e così via e così via, tutto
racchiu-so, quel senso, nella tensione verso il prestigio che un po' alla volta
si era formato fra i compagni di lavoro, fra i superiori, nella loro officina,
poi per «voci» nelle altre officine, poi magari tra qualche conoscente fuori
fabbrica: ché era questa la realtà che gli permetteva di pensare a se stessi
con un po' di orgoglio, pur senza che nulla si trasmettesse a chi era fuori portata
di quelle «voci». E mi sembrava di poter estendere queste considerazioni
alla situazione esistenziale dello stesso Adriano Olivetti e all'ambiguità
dell'immagine che di lui si disegnava in azienda (in ditta, come si usava
dire), al cui riconoscimento in qualche modo egli sfuggiva. per la molteplicità
delle cerchie remote, ed estranee alla ditta, davanti alle quali, da gran
signore della cultura internazionale, egli andava rappresentandosi. Apparteneva
troppo poco a loro, ai suoi dipendenti, intendo, quel personaggio, troppo ricco
di un patrimonio simbolico che andava cumulando per il mondo senza che loro vi
partecipassero, e neppure ne capissero esattamente la natura, quando pur lui
utilizzava il patrimonio materiale che proprio il loro lavoro gli forniva.
Andavo facendo queste riflessioni, o mi sembra che andassi facendo allora
queste riflessioni, mentre entravo in contatto con una realtà che chiunque
avrebbe considerato delle più normali; ma io mi trovavo in quello stato d'animo
stupito e prensile, proprio di chi viaggia per un paese sconosciuto di cui ha
sentito a lungo e vagamente parlare e ogni osservazione che va raccogliendo gli
offre l'occasione per completare qualche percorso cognitivo già tracciato a
casa propria, ma rimasto sospeso fino all'affiorare di questo o quell'inedito
frammento di realtà.Ho sottolineato che quelle riflessioni «mi sembrava» che le
fa-cessi, perché è probabile che allora non ci fosse nulla di più preciso che
il sentimento nebuloso che avrei potuto farle. Soltanto in seguito maturerà
lentamente in me la curiosità di capir meglio la vera natura del fenomeno della
reputazione, del prestigio, della fama, che è poi a dire, con un termine
comprensivo, del riconoscimento con cui gli altri ci definiscono, e
dell'effetto che questo riconoscimento, o l'ambizione di esso, hanno su di noi,
su quello che miriamo di compiere e sull'idea che riusciamo a farci di noi
stessi. In quei giorni tutto restava in nuce, in uno stato d'animo di
attenzione acuta, ma insieme di rinvio a sperate, più chiare comprensioni
future. Non potevo parlare con gli operai - «era meglio che non lo
fa-cessi», mi era stato detto - per la doppia ragione che non andavano
disturbati nel loro lavoro, il quale era quasi sempre a cottimo. cioè pagato
per la quantità di produzione completata ogni ora, e ci avrebbero rimesso se li
avessi costretti a interromperlo; e poi perché qualunque cosa dicessi avrei
potuto esser visto come un membro della direzione che interpellava direttamente
un operaio, e così commetteva un interferenza sia nei confronti del capo del
reparto in cui quell'operaio lavorava, sia nei confronti dei sindacati, i quali
erano l'altro organo autorizzato a parlare in fabbrica con gli operai. Li
osservavo lavorare passando lungo le file delle lavora-zioni, dei montaggi, mi
soffermavo davanti a questa o quella ope-razione, cercando di mostrare
interesse più per la tecnica che per i gesti e il ritmo, ma dedicando
attenzione nascosta proprio a quel- li. Mi informavo poi con i
capisquadra, o all'Ufficio tempi e meto-di, dei dati esatti relativi ai ritmi.
Purtroppo non li ricordo più ora con sicurezza, anche se in quei giorni me ne
ero impressi molti a memoria. Non erano ritmi chapliniani, né alle lavorazioni,
né ai montaggi, i gesti sembravano calmi. Unanime poi era l'opinione -
confermatami da sindacalisti e da operai con cui in seguito parlai - che
l'operaio preferiva fare operazioni di minor durata, e ripetere sempre la
stessa operazione meccanicamente, piuttosto che variare operazione, o farne di
più complesse da ripetere soltanto dopo passato un certo periodo di tempo. Le
operazioni brevi e sempre le stesse rendevano possibile un atteggiamento
meccanico verso il lavoro e assicuravano l'assenza assoluta di impegno mentale,
e permettevano di pensare ad altro mentre si compivano quei ge-sti meccanici
(«penso alle cose da fare a casa» - «penso alla parti-ta», dicevano: le
distrazioni generalmente non mettevano a rischio l'esattezza di una
operazione). Era l'opposto di quanto andavano scrivendo, su giornali e riviste,
gli intellettuali ben intenzionati che proponevano di riformare il lavoro nelle
fabbriche. Ed era invece in linea con quanto sostenevano i sindacalisti,
soprattutto di estrema sinistra, i quali consideravano che grazie
all'esecuzione meccanica dei gesti lavorativi l'operaio manteneva la sua
autonomia e il suo non coinvolgimento in quello che faceva, che non costituiva
il suo lavoro, ma sempre inevitabilmente il lavoro del padrone. Un altro
rovesciamento dialettico su cui meditare!? Erano tutti d'accordo invece
nel sostenere che si doveva affrettare l'eliminazione di quelle operazioni che
si prestavano a venire eseguite così meccanicamente da poter essere affidate a
una macchina. E infatti, in certi casi potevo osservare che la stessa
operazione che in un'officina qualche operaia eseguiva manualmen-te, veniva già
affidata a una macchina nell'officina vicina. Un'operaia prendeva da un
cestello un bulloncino, lo collocava su di un altro pezzo già preparato nel
quale doveva venir incorporato, con una leva spostava la testa di una pressa,
col piede azionava un pe-dale, la pressa schiacciava il bulloncino e
l'operazione era com-pletata. Erano passati dieci o quindici secondi. E subito
l'operaia ricominciava, prendeva dal cestello un bulloncino, lo collocava sul
pezzo... e avanti così (questo voleva dire che nella giornata di otto ore
quell'operaia aveva ripetuto quella stessa operazione circa duemila volte). In
un'officina vicina avevo visto l'identica operazione eseguita non dal braccio
di un operaio, ma da un braccio incorporato in una macchina e totalmente
automatico, che prendeva il bulloncino, lo collocava sopra il pezzo già
preparato e così via. Li un operaio si limitava a sorvegliare diverse di queste
mac-chine, e a intervenire solo quando s'inceppavano. Si trattava diuna tase di
transizione, mi spiegavano, tutte le operazioni di quel tipo sarebbero state
ben presto interamente automatizzate. Lo scopo dell'Ufficio tempi e metodi era
proprio quello di ridisegnare il lavoro di fabbricazione e di montaggio in operazioni
sempre più elementari, fino al punto che per eseguirle il braccio umano poteva
venir agevolmente sostituito da un braccio automatico disegnato all'uopo.
Dopo qualche settimana avevo girato la fabbrica in largo e in lungo e
paradossalmente la conoscevo meglio di molti che ci lavoravano dentro da anni e
sul serio. Quando arrivavano visitatori illustri mi chiedevano di accompagnarli
perché gli spiegassi le varie lavorazioni e funzioni. Avevo oramai parlato con
qualche decina di ingegneri, funzionari amministrativi e capi-operai, e con
alcuni di essi cominciavo ad avere, relativamente al mio compito, un rapporto
di familiarità. Mi accorgevo che alcuni si erano fatta del mio ruolo - al di là
dell'impegno che avevo in quel momento di redigere il manuale di fabbrica -
un'impressione tutta sbaglia-ta. Non al corrente del mio rifiuto di adattarmi
al compito originariamente assegnatomi da Adriano (preludio di ovvia e prossima
caduta in disgrazia cortigiana), e vedendomi andare in giro per la fabbrica con
la benedizione della presidenza, si figuravano che fossi nelle grazie del
presidente stesso, e che questi mi avrebbe de-stinato, dopo una mansione
ovviamente di iniziazione, a incarichi dirigenziali importanti. Li lasciavo
pensare cosi (a meno che non gli scappasse qualche allusione sul tema, in
questo caso smentivo animatamente) e approfittavo della loro buona disposizione
per trar vantaggi per il mio lavoro, Malgrado però tale circostanza
fa-vorevole, e malgrado avessi letto e riletto manuali di fabbrica i più esotici,
e incominciato a buttar giù pagine di questo o quel previsto capitolo, cercando
di semplificare, appianare, ammorbidire, distendere, sciogliere la mia prosa,
abituata a un anno di attorci-gliamenti intorno al significato delle maschere
dei Dogon o della tragedia greca, il lavoro procedeva molto a rilento. 9.
Adriano Intanto era ritornato Adriano. Non mi disse nulla riguardo al mio
rifiuto di occuparmi delle sue biblioteche e centri comunitari. Miinvito a
qualche riunione con visitatori stranieri che volevano conoscere la realtà
aziendale, e due o tre volte, probabilmente su suggerimento di Pampaloni, mi
chiese di scrivergli discorsi che doveva fare agli operai o a qualche altro
uditorio. È difficile ricostruire ora l'atteggiamento che si andava formando in
me nei confronti di Adriano Olivetti mano a mano che lo conoscevo meglio e che
si scioglievano i reciproci atteggiamenti iniziali, di cortesia un po'
convenzionale da parte sua e di silenziosa deferenza da parte mia. A casa sua,
durante qualche ricevimento, o in casa di ami-ci, i Momigliano, i Pampaloni,
avevo avuto qualche occasione di parlargli a tu per tu di cose non attinenti al
lavoro, ma senza mai andare a fondo degli argomenti avviati. Una volta, a un
gruppetto di persone in casa di amici - c'era anche, ricordo, Vasco Pra-tolini,
tutto sorridente e sperso in quella realtà per lui nuova e verso la quale si
sforzava di mostrare una diligente curiosità di neorealistico visitatore -,
Adriano parlava delle sue idee sulla riforma sanitaria, e sosteneva, mi
ricordo, che quando gli operai erano in assenza per malattia avrebbero dovuto
venir pagati più che con la loro paga solita, perché dovevano sostenere
maggiori spese. Gli ascoltatori annuivano tra il cortese e il perplesso,
nessuno notava ad alta voce come fosse paradossale che proprio un imprenditore
parlasse così, o osservava che in ogni caso la soluzione andava raggiunta con
altri mezzi. Quando non parlava a un piccolo pubbli-co, durante i ricevimenti
Adriano si sprofondava in un angolo di divano, in silenzio, mentre la gente
chiacchierava intorno a lui, guardava nel vuoto tenendo in bocca l'indice di
una mano, e ar-cuandolo, probabilmente perché non gli scivolasse via dalla
boc-ca, sì che nella guancia gli appariva una sorta di rigonfiamento.
Erano le occasioni in cui provavo per lui una non ben determinabile simpatia,
lo vedevo personaggio ricco e famoso e potente e insieme insicuro, tormentato;
ideatore di opere capaci di dura-re, ma anche continuamente ansioso di fare più
cose di quante gli riuscisse di ben definire; seduttore con il gusto di
attrarre a sé e influenzare (e, alcuni dicevano, «intimamente corrompere») le
persone che lo incuriosivano, o che gli era capitato di ammirare fuggevolmente,
per poi magari sentirsi in diritto di lasciarle scivolar via per i rivoli non
importa se fangosi del mercato; e insieme persuaso di essere un incompreso, e
quindi timido e sospet-toso; calcolatore machiavellico e insieme
compassionevole e ge-neroso; e lo vedevo li su quel divano, circondato da persone,
assai poche delle quali gli erano in qualche modo familiari, in verità
totalmente solo, forse consapevole che le forze per fare quello che avrebbe
voluto fare stavano declinando malattia dopo ma- lattia, forse incerto se
quello che gli restava da fare valesse la pena di essere intrapreso. Si
diceva di lui che fosse rimasto profondamente colpito da giovane dalla
preferenza che il padre, fondatore della fortuna fa-miliare, aveva mostrato
verso il fratello più giovane, Massimo, dalla personalità geniale anche se
labile, e morto precocemente subito dopo la fine della guerra. Si diceva anche
che al momento delle leggi razziali la famiglia Olivetti si fosse riunita e il
patriarca avesse deciso che uno di loro si sarebbe dovuto sacrificare e
iscrivere al Partito nazionale fascista, indicando all'uopo Adriano, il quale
del resto legalmente non era definibile come ebreo, la madre essendo
protestante (il nonno era un pastore valdese). Così Adriano, pur furioso contro
il padre, si era dovuto iscrivere. La leggenda è solo in parte vera. I rapporti
di Adriano col fascismo, e più specificamente con la tendenza corporativa di
sinistra che faceva capo a Bottai, risalivano ai primi anni Trenta ed erano
funzione dei suoi progetti di pianificazione urbanistica e di riordino sociale
in genere. Erano parte, cioè, di quell'onda di speranza che aveva avvicinato al
regime architetti e urbanisti e altri intellettuali fascisti che si sentivano
di sinistra e che immaginavano di poter influire sulle intenzioni corporatiste
e pianificatrici intravedibili nel regime in quegli anni. Adriano vi vide
qualche segnale di contiguità con le sue idee e ne scrisse su riviste quali «Il
Lavoro fa-scista», «L'Ordine Corporativo», e fondò infine una rivista di
tendenza corporativista, «Tecnica e Organizzazione», che continuò anche dopo la
guerra. Dopo 1'8 settembre era passato in Svizzera, lasciando la
direzione dell'azienda a Gino Martinoli, suo cognato (era fratello di Natalia
Ginzburg, oltre che della prima moglie di Adriano), il quale l'aveva diretta
con molta abilità e molto consenso tra le maestranze e i dirigenti; tanto che
al ritorno Adriano, sempre secondo «voci», era diventato geloso dell'ascendente
del cognato e, con l'accordo della famiglia, gli aveva fatto abbandonare la
direzione. Martinoli, che poi conobbi e con cui collaborai in diverse
occa-sioni, persona dolcissima e in qualche modo ingenua, ne rimaseassai
ferito. Continuò poi una brillante carriera di alto dirigente industriale e,
quando in pensione, di generoso organizzatore di ricerche sociali. In
Svizzera Adriano era andato elaborando le sue idee politi-che, aveva redatto un
progetto di Stato comunitario che aveva inviato per lettera a una serie di
personalità allora rifugiate in Svizzera come lui, e (mi raccontava anni dopo
l'allora vicepresidente, e poi presidente, dell'Eni Boldrini, il quale tra gli
altri aveva ricevuto la lettera) immaginato persino la bandiera che questo
Stato avrebbe dovuto inalberare, non mi ricordo il colore (forse era pur sempre
tricolore), ma mi ricordo lo stemma, una campana, la stessa che diventerà poi
il marchio di Comunità; ed era disegnata a mano in chiusura della lettera.
Verosimilmente quella lettera conteneva l'abbozzo del progetto che Olivetti
avrebbe pubblicato subito dopo la fine della guerra nell'elegantemente curato
volume L'ordine politico delle Comunità (dello Stato secondo le leggi
dello spirito), uno dei primi della nuova casa editrice da lui appena fondata
con l'aiuto di Luciano Fuà. Ne ebbi subito una copia, quando arrivai, e così
l'avevano tutti gli intellettuali e semi-intellettua-li, lì intorno, ma tutti
ostentavano di non averlo letto, e sorridevano (a meno che non fossero true
believer comunitari, e ce n'erano pochi), se uno glielo chiedeva. Come sempre
in ambienti che vivono sotto l'ombrello di un personaggio carismatico,
circolavano le battute sul linguaggio olivettiano; e così bisognava star
attenti, in un salotto di Ivrea, a non informarsi di che misura avrebbero
dovuto essere le dimensioni di qualche oggetto, piatto, mobile, edificio,
macchina o territorio o altro di cui si parlasse, perché la risposta era già
sulla punta della lingua dell'eventuale ben informato interlocutore: «né troppo
grande, né troppo piccolo», che era appunto la dimensione che Olivetti
insisteva dovesse essereassai ferito. Continuò poi una brillante carriera di
alto dirigente industriale e, quando in pensione, di generoso organizzatore di
ricerche sociali. In Svizzera Adriano era andato elaborando le sue idee
politi-che, aveva redatto un progetto di Stato comunitario che aveva inviato
per lettera a una serie di personalità allora rifugiate in Svizzera come lui, e
(mi raccontava anni dopo l'allora vicepresidente, e poi presidente, dell'Eni
Boldrini, il quale tra gli altri aveva ricevuto la lettera) immaginato persino
la bandiera che questo Stato avrebbe dovuto inalberare, non mi ricordo il
colore (forse era pur sempre tricolore), ma mi ricordo lo stemma, una campana,
la stessa che diventerà poi il marchio di Comunità; ed era disegnata a mano in
chiusura della lettera. Verosimilmente quella lettera conteneva l'abbozzo del
progetto che Olivetti avrebbe pubblicato subito dopo la fine della guerra
nell'elegantemente curato volume L'ordine politico delle Comunità (dello
Stato secondo le leggi dello spirito), uno dei primi della nuova casa editrice
da lui appena fondata con l'aiuto di Luciano Fuà. Ne ebbi subito una copia,
quando arrivai, e così l'avevano tutti gli intellettuali e semi-intellettua-li,
lì intorno, ma tutti ostentavano di non averlo letto, e sorridevano (a meno che
non fossero true believer comunitari, e ce n'erano pochi), se uno glielo
chiedeva. Come sempre in ambienti che vivono sotto l'ombrello di un personaggio
carismatico, circolavano le battute sul linguaggio olivettiano; e così
bisognava star attenti, in un salotto di Ivrea, a non informarsi di che misura
avrebbero dovuto essere le dimensioni di qualche oggetto, piatto, mobile,
edificio, macchina o territorio o altro di cui si parlasse, perché la risposta
era già sulla punta della lingua dell'eventuale ben informato interlocutore:
«né troppo grande, né troppo piccolo», che era appunto la dimensione che
Olivetti insisteva dovesse esserezione giusta, Olivetti a un certo punto si
spazientisse e volesse metter mano alla cazzuola, ma, bloccato al suo tavolo,
finisse per ritrovarsi bambino a combinare i cubetti del Lego. Si presentò con
il suo Movimento, diventato apertamente politico, e alcuni al-leati, alle
elezioni del 1958, e dopo una campagna costosissima ottenne un seggio di
deputato, quello del capolista, il suo, invece dei sette-otto, più almeno tre
di senatore, che si aspettava. I maligni sussurravano che con metà dei soldi
che aveva speso la De di seggi gliene avrebbe dati ben di più. In realtà
trattative per presentarsi alle elezioni nelle liste della democrazia cristiana
se ne erano avute a più riprese, e la segreteria romana, che era favorevole,
aveva dovuto cedere all'opposizione dei democristiani locali che invece non ne
volevano sapere (probabilmente anche per timore di dover cedere seggi; questo
era soprattutto il caso di Pella, che non voleva vedersi capitare Olivetti nel
suo biellese). Adriano, del re-sto, aveva molta ammirazione per Fanfani; e
inoltre era recente la sua conversione al cattolicesimo. Da documenti ritrovati
dopo la morte si è visto che quella conversione non era soltanto funzionale al
matrimonio religioso con la nuova moglie, come molti pen-savano, ma rispondeva
a un reale atteggiamento di ammirazione per il cattolicesimo come dottrina di
ordine socialet Dopo qualche mese si stancò di fare il deputato, si
dimise e lasciò il suo seggio a Franco Ferrarotti, che aveva avuto il secondo
posto nella lista grazie a una campagna elettorale molto attiva e abile nel
Canavese. Negli anni prima di morire Adriano lottò contro la malattia e
contro la famiglia che voleva togliergli il controllo della società, temendo
che ne sperperasse le risorse per le sue fantasie politiche. Seppi della
sua morte a Teheran, dove mi trovavo per il primo lavoro che mi era stato
offerto dopo gli oltre due anni di disoccupazione seguiti al licenziamento
dall'azienda. Qualcuno mi disse che era morto viaggiando verso la Svizzera,
dove andava a trovare la figlia bambina, e che quando si era accorto
dell'attacco al cuore si era trascinato per il corridoio, sballottato per gli
urti del treno in corsa, da uno scompartimento all'altro, senza che dapprima i
viag-giatori che lo vedevano agitarsi capissero bene di che cosa quell'uomo
stesse in quel modo strano andando in cerca. 10. Organizzazione aziendale
o corte del principe? Armanda Guiducci, letterata pura, era sempre
presente e attiva alle nostre discussioni culturali e politiche, ma restava
assolutamente estranea a tutto quanto riguardasse la fabbrica e non capiva come
invece noi, pur fondamentalmente formati in una cultura filosofica e
letteraria, ne potessimo essere coinvolti, mostrandoci appassionati a
interpretare quanto vi succedeva. Si stupì assai quando, avendomi chiesto come
giudicassi l'esperienza che stavo attraversando, io le dissi che la consideravo
fondamentale, un po' come una mia seconda università. Me ne chiese il perché, e
le parlai della straordinaria, almeno per me, esperienza che era quella di
operare quotidianamente all'interno di un'organizzazione produttiva a vincoli
forti, dall'ordine rigoroso, dove ogni mossa è finalizzata a precise e
prevedibili conseguenze, dove è necessario entrare in questo gioco di
ricostruzione delle aspettative diffuse riguardanti il proprio comportamento se
non si vuole che esso risalti subito non soltanto come insipiente, ma come
diretto a vuoto, vano, poco serio, egotistico. L'osservazione delle
interdipendenze produttive, delle prevedibilità incorporate nel più minuto
operare di ogni persona, della coerenza tra ambiente tecnico e mosse umane, mi
aveva aperto un mondo che era estraneo, sì, a quello nel quale mi ero formato,
ma che si mostrava capace di affascinarmi quanto più mi accorgevo che stava
diventando naturale muovermi in esso; quasi si aprisse davanti a me, mi occorse
ironicamente di pensare, in maniera analoga a come si erano elettronicamente
aperte davanti ai miei passi le portiere che dividevano uno dall'altro i
reparti della fabbrica, suscitandomi, la prima volta che le avevo attraversate,
una stupita incredulità (erava- mo, si ricordi, nel 1953), che mi aveva
fatto sostare di botto, ritornare indietro, esaminare tutto intorno gli
stipiti, poi guardare in alto, riattraversare due o tre volte, improvviso e non
mimato Jacques Tati, per fortuna in quel momento senza spettatori, prima di
capir bene (ma l'ho mai capita bene?) la diavoleria. E ri-cordo l'infantile
vanità di ostentare confidenza con l'ambiente tecnico, durante la visita di un
mio vecchio amico parigino che condussi in giro per la fabbrica. Passammo per
quelle stesse porte che ci si spalancavano davanti, io con una naturalezza che
intendevo sottolineare stando attento a trattenermi dal far com-menti, ché
dovevo mostrare come per me fossero superflui, mentre però spiavo con la coda
dell'occhio le contenute espressioni di sorpresa dell'amico, che anche lui si
trovava per la prima volta di fronte a quel tipo di marchingegno. Ma
c'era di più, nell'esperienza che si faceva all'Olivetti, che non i calcoli
dell'organizzazione e gli stupori della tecnica. Almeno per chi girasse negli
ambienti della presidenza e dell'alta diri-genza, la Olivetti non era soltanto
una per quegli anni modernissima organizzazione produttiva, era anche una
corte. A chi mi avesse chiesto come meglio prepararsi per andarci a vivere,
prima dei lavori di Herbert Simon o Jim March, gli avrei consigliato di
leggersi attentamente il Castiglione o le memorie del duca di Saint
Simon. Un'atmosfera di corte la percepisci ai primi imbarazzi. Ti accorgi
che qualcuno si comporta nei tuoi confronti in maniera che non ti aspettavi e
capisci, o credi di capire, o credi che ti vogliano far capire, che quel nuovo
comportamento va riportato a qualche evento che ha alterato i tuoi rapporti con
una terza persona da cui lui e te in qualche modo dipendete. Se tardi a capire,
allora è lui che ti ci conduce con qualche innuendo. Se la terza persona cui si
allude, cui si sembra alludere, risulta essere «il presidente» - che è come
dire «il principe» - gli effetti di questo comportamento inatteso non sono da
prendere alla leggera, te li ritrovi addosso per giorni. Vai a parlare con
altri, cerchi di capire, sempre il più obliquamente che puoi, se hai proprio
visto giusto, se sei irrimediabilmente in «disgrazia», a che cosa ciò possa
essere dovuto, se intorno a te gli altri pensano che questa situazione durerà.
Rivedo una pagina di diario in cui raccontavo di un amico che si era accorto di
essere in disgrazia: A. mi racconta - scrivevo - dei modi con cui il
Presidente gli esprime il suo malgarbo, o scarsa simpatia, oppure indifferenza.
Capita che saluta tre o quattro persone in mezzo alle quali si trova lui, e lui
lo sca-valca, e poi magari, come ripensandoci, ritorna indietro e gli dà la
ma-no, ma assai frettolosamente. Alcuni amici gli hanno riferito che il
Presidente si è lamentato con loro perché lui aveva svolto male il lavoro che
gli era stato affidato. E evidente che ad A. costa molto parlare con altri,
anche suo amici, quale sono io, di questi segni della sua 'disgra- zia',
e che a lungo si è sforzato di tenersela per sé. Mi dice: le racconto a te
queste cose perché tu sai di che natura sono, sai che cosa significa 'essere in
disgrazia. Se mi guardo dentro con attenzione - continuavo in quella
pagina di diario - mi accorgo di sentire una punta di soddisfazione
ascoltan-dolo. Malgrado mi sia amico e lo abbia in simpatia e sia riconoscente
della gentilezza che mi dimostra anche essendo io, appunto, in disgrazia [...]
mi urta la sproporzione tra quanto lui dà mostra di credere di sé e quanto in
realtà vale. Adesso, vederlo riabbassato dalla sua disgrazia lo giudico un
riequilibrio dovuto. Ma mi rimprovero immediatamente di questo sentimento, che
per fortuna resta tenuissimo e scompare. Occorre dare importanza a giudizi più
fondati nei nostri rapporti con gli altri. Si tratta di una pagina, è
chiaro, il cui interesse non sta tanto in ciò che racconta, quanto in ciò che
implicitamente rivela; poiché illustra la tortuosità delle situazioni
cortigiane: scritta da una persona che si trovava «in disgrazia», come era
appunto il mio ca-so, la quale annotava gli stati d'animo di un amico a sua
volta «in disgrazia», e osservandoli si faceva tentare da sentimenti di
approvazione della disgrazia altrui, subito però vergognandosene e cercando,
con più o meno successo, di espellerli. In simile clima si sviluppavano
poi strane tecniche di rapporti burocratici. Ti capitava di essere molto in
confidenza con qualcuno, e aver con lui rapporti normali e cordiali. Un giorno
lo vai a trovare, ti risponde appena, non ti guarda, se sei nel suo ufficio ti
fa capire, o ti dice esplicitamente, che non ha tempo per parlarti e che è
meglio che te ne esci. Lo incontri dopo qualche giorno e magari lui è ritornato
alla cordialità di prima. Incominci a guardarti meglio in giro e ti accorgi che
questa tecnica del caldo e freddo non è sporadica, la scopri in altri casi, la
trovi applicata sistematicamente, te la senti, insomma, tutt'intorno come una
pellicola che ti si può appiccicare addosso quando meno te lo aspetti e hai
terrore di restare poi incapace di spiccicartene. Capisci allora che si
tratta di una tecnica che ha la funzione di permettere a chi pur non sia
collocato in posizione gerarchica-mente eccelsa di auto-attribuirsi il potere
di determinare «micro-disgrazie» e «micro-fortune», sia facendo credere di
possedere autonomamente questo potere, sia alludendo che si tratta di un potere
che costui riceve dai suoi contatti con la fonte ultima di tutti i poteri
aziendali. E questo ti umilia ancora di più, perché ti rendi conto che a lui
non costa nulla comportarsi in quel modo offensivo con te, non teme tue
rappresaglie, quindi tu sei poco più che spazzatura, e neppur ha senso che te
la prendi con lui, la colpa evidentemente sta in te. 11. L'illuminismo
magico Aggiungi, altro tocco, come dire, rinascimentale, la presenza di
una dimensione che ti sfuggiva, nei confronti della quale tutt'al più potevi
difenderti ironizzando, una dimensione misteriosa, quella dei riferimenti
magico-religioso-junghiani di Adriano. Negli ambienti intorno ad Adriano se ne
scherzava, ma si sapeva anche che quei riferimenti, e le tecniche di
valutazione umana che ne derivavano, influenzavano i giudizi che Adriano si
formava delle persone che lo interessavano, e persino le decisioni su chi
assu-mere. Si diceva che Adriano si servisse di due grafologi (non intendo assolutamente
affermare che la grafologia sia magia, ma spesso chi bazzica con l'una bazzica
anche con l'altra), in due città differenti, e che mandava a entrambi le
domande di assunzione di dirigenti e collaboratori vicini (si era
imperativamente richiesti di scriverle a mano). I grafologi consultati erano
due perché, non si sa se per residuo di spirito scientifico o per diffidenza,
Adriano li controllava uno con l'altro. Un giorno, quando Adriano era via,
capito che alcuni amici che lavoravano agli uffici della presidenza avessero in
mano le chiavi degli schedari dove erano conservate le analisi grafologiche.
Vennero da me e da altri a raccontarcelo ri-dacchiando. Avevano visto tra le
altre anche la mia. Curiosissimo, chiesi subito cosa conteneva. «E buona, è
buona..» - «Ma cosa contiene esattamente?», cercai di insistere. Non me lo
vollero di- re, ripetendo solo «si, si, è molto buona». Ne dedussi che
doveva contenere anche qualche malevolo negativo giudizio, ma lasciai andare,
oramai i giochi erano fatti, ero già assunto, e da tempo «in disgrazia», in
ogni caso.Potrà sembrar strano che una persona come Adriano Olivetti. di
formazione tecnica, oltre che di ampia cultura moderna, frequentatore di
letterati, filosofi e intellettuali laici in genere, si muovesse poi,
privatamente, quasi nascostamente, entro questo «sce-nario magico-religioso»,
come lo descrive Pampaloni in quel suo ricordo che ho citato prima, nel quale
qualche riga dopo definisce Olivetti «uno strano illuminista» («magico»). Ma
bazzicando in quegli anni, per ragioni di lavoro, tra la letteratura (libri e
liberco-li, riviste, opuscoli) di cui si pascevano i dirigenti industriali e
gli imprenditori, mi accorsi che la cosa era poi meno eccezionale di quanto a
prima vista si sarebbe potuto credere. Astrologia, erme-tismo, cultura magica
varia abbondavano tra le letture dei capi della nostra industria in quegli anni
(e oggi?). Cercai di darmene spiegazione congetturando che il grande,
incontrollato potere umano (potere sul destino di altri uomini) di cui quella
classe di persone arrivava a godere, a volte, per vicende varie, senza
esserselo aspet-tato, e quasi sempre senza esservi umanamente e culturalmente
preparati - preparati, voglio dire, a capire e osservare le regole che quello
specifico tipo di rapporti umani comportava - li lasciasse spesso assai incerti
sulla natura di quel potere, e sulla legittima-zione, non soltanto giuridica,
con cui giustificarlo. Ne scaturiva un desiderio di spiegazioni facili e rapide
(è gente che non ha molto tempo libero, si sa) del mondo in generale (magari
dei mondi, ancor più in generale), e quindi anche del loro ruolo nel pezzo di
mondo in cui qualche destino li aveva condotti a operare e co-mandare. Quel
tipo di letteratura glielo soddisfaceva. In quel mondo, dunque, o ai suoi
margini, mi andavo muo-vendo, cercando di spiegarmi le sue sottigliezze e i
suoi giuochi, in termini augurabilmente più razionali di quelli
dell'astrologia, non con l'ambizione di teorizzarlo, ma semplicemente per
sentir-mi, e apparire, meno impacciato, quando non sapevo se entrare
nell'ufficio di un incerto amico o non entrarvi; se salutare il potente
direttore amministrativo che faceva finta di non vederti o far finta di non
vederlo a tua volta, e rivolgergli, o no, la parola quando stavate quei
terribili secondi insieme nell'ascensore; se ritenerti offeso da qualche
sgarbo, o invece no, perché in realtà quell'atto nel codice di corte sgarbo non
era, e in ogni caso, poi, cosa avresti veramente fatto, una volta che avessi
deciso che era sgarbo, e che, si, ti dovevi sentire offeso?Mi resi conto ben
presto che anche a capirne il gioco non bastava a liberartene veramente. Fossi
rimasto qualche anno ancora, presagivo con un certo, non so quanto palesato a
me stesso, spa-vento, anch'io, nel mio piccolo, se devo dir cosi, pur restando,
cioè, per quel rifiuto iniziale di collaborare con «Comunità», nella mia
situazione di originaria e non superabile cortigiana «di-sgrazia», avrei finito
per omologarmi, avrei cioè adottato le stesse superflue strategie, le stesse
mosse felpate, le stesse calcolate cau-tele, e sarei stato percorso dalle
stesse subitanee agitazioni, e adombramenti segreti, e poi piccole agognate
soddisfazioni, che vedevo rivelarsi negli sguardi delle persone attorno a me.
Forse è anche per questo, senza rendermene conto chiaramente, che colsi
l'occasione di rompere radicalmente con quel mondo quando partecipai alle
elezioni del Consiglio di gestione contro il sindacato del padrone. O forse non
solo per questo, vedremo, ma, in- somma, così andò. 12. I primi
passi «miei» Prima però occorre che dedichi qualche riga all'unico lavoro
serio che riuscii a portare a termine in quella fabbrica. Stabilito, per
ammissione di tutti, che un manuale di fabbrica che accontentasse insieme il presidente,
gli ingegneri, i capi, la Commissione in-terna, e servisse poi agli operai, era
impresa impossibile, si pose il problema di cosa altro farmi fare. La
soluzione, per la direzione, fu semplice. Mi dissero: hai ormai esperienza
sufficiente della situazione organizzativa dell'azienda: pensa tu a un servizio
che possa essere utile, facci tu una proposta, compila un ordine di ser-vizio,
con un buon memorandum che ne illustri le ragioni. Mi chiusi
nell'ufficetto che mi avevano assegnato e mi misi a pensarci su. Si noti che
non mi dettero una scadenza, potevo prendermi tutto il tempo che volevo. Ero un
po' preoccupato, perché dovevo dedurne che la mia presenza contava poco, era
vista come un sopportabile costo e niente più. Ne parlai con amici, che però mi
rassicurarono: sappi che l'ingegner B. (uno dei dirigenti carismatici dei
«Progetti»), quando fu assunto, anni fa, restò sette-ot-to mesi senza che gli
dicessero cosa l'avessero preso a fare. Poi la sua carriera svetto. Sorrisi
all'idea che la mia carriera potesse maisvettare, ma pensai che era in ogni
caso nel mio interesse avere una mansione precisa al più presto possibile. Mi
informai di cosa fosse veramente un «ordine di servizio» mirante a istituire un
nuovo ufficio, come dovesse esser redatto, e dopo qualche tempo ne produssi uno
con il quale, in cinque o sei pagine, proponevo la costituzione dell'Ufficio
studi relazioni sociali (nome un po' barzotto, al quale però si dovette
arrivare dopo negoziati e veti vari) - praticamente un centro di ricerca di
sociologia del lavoro (ce n'era già uno per le applicazioni della psicotecnica,
ma non per ricerche che restassero autonome dalle richieste della direzione del
perso-nale). Con mia, e non solo mia, sorpresa (avevo già capito abbastanza di
come funzionasse l'organizzazione aziendale per non essermi armato del
necessario corazzante scetticismo), la mia proposta fu accolta, e ricevetti
persino lodi per come era redatto il me- morandum. Mi assegnarono
uffici e personale, e non mi sognai di lamentarmi anche quando ben presto mi
accorsi che si trattava sia di uffici sia di personale che non si sapeva come
altro impiegare. Gli uffici erano nel cosiddetto «convento» (immagino che
esista ancora - era appunto stato originariamente un convento), luogo sacro
nella tradizione della famiglia Olivetti, poiché era servito da abitazione a
Camillo, che da li aveva guidato i primi passi del-l'azienda, una quarantina di
anni prima. Nessuno voleva andare a lavorarvi perché era collocato in un posto
un po' staccato dalla fabbrica e dalla direzione, e ciò rendeva difficili i
rapporti quotidiani con gli altri uffici. Ma a me stava alla perfezione, tre o
quattro grandi stanze, in pieno verde, bosco e campi da tennis vicini. dove
potevo andare appena finito il lavoro. Quanto al personale, era anch'esso
«residuo», per dir così, erano cioè impiegati che nessun altro ufficio
desiderava tenersi. La segretaria, mi informarono amici, era considerata una
specie di strega (un po' ne aveva l'aria, pur dovendo essere stata una bella
donna da giovane), che litigava con tutti e veniva quindi immancabilmente
trasferita da un ufficio altro. Ma con me andò d'accordo, fu gentilissima e
lavorò senza una pecca, o senza una pecca grave che io ricordi, al-meno. Era la
prima volta in vita mia che avevo una segretaria a mia disposizione, e
probabilmente ero particolarmente gentile anch'io (ma non è stato diverso negli
altri otto o dieci casi in cui mi capito di avere segretarie che hanno lavorato
per me). Quanto all'assi-stente, era un impiegato sulla quarantina, laureato
credo in legge (e, anche scontando il basso livello delle università italiane
del do-poguerra, mi domando per quali mai vie traverse), giudicato da chi lo
conosceva, e non se lo voleva vicino, un tipo un po' stram-bo, con vaghe ubbie
culturali. Devo dire che non riuscii a utilizzarlo del tutto efficientemente,
ma ci andai d'accordo, ogni tanto entrando con lui persino in discussioni
culturali, nelle quali mi spiegava le sue teorie del mondo, il quale mondo, mi
accorsi una volta, secondo lui esisteva dal 4000 a.C. (la persona, si noti, non
era credente). Quando gli obiettai che, a quanto si poteva sapere, esisteva da
molto più tempo, mi rispose che intendeva dire che era l'uomo che esisteva da
quelle sei migliaia di anni. Debolmente insistei che anche per l'origine
dell'uomo la data andava di molto anticipata. Sembrava pronto a negoziare anche
la data dell'origine dell'uomo, ma almeno qualcosa che ci fosse soltanto dal
4000 a.C. gli sembrava necessario trovarlo. Il linguaggio? Anche su quello, gli
dissi... Infine gli proposi di considerare che quella poteva essere una buona
data per fissare all'incirca l'origine della scrittura, e lui sembrò pacificato
e pronto a riprendere il ragiona-mento; che non ricordo quale fosse, cioè che
cosa mirasse a dedurre da quella datazione, una volta impietosamente
sottrattogli il riferimento ad Adamo ed Eva. Avevo insomma di fronte un
interessante caso di disordinato provinciale desiderio di sapere - o meglio,
bisogno di sistemare un certo scarso numero di disparate informazioni - che si
muoveva da un'incredibile assenza di basi culturali elementari, supplita al più
da alcune nozioni bibliche ricevute forse in catechismo e non più corrette. Ne
dovetti concludere che in ben poche situazioni avrei potuto da lui farmi
as-sistere. Bloccata l'ansia del mio assistente di discutere sull'origine
del mondo, negoziai con la direzione (cioè, in questo caso, Momi-gliano, ma
credo che lui si consultasse con Pampaloni) il lancio di una ricerca sui
cosiddetti «capi-intermedi». In gran parte della letteratura aziendalistica di
allora la «questione dei capi» era considerata cruciale per l'andamento di una
buona organizzazione aziendale. Costituivano la mediazione indispensabile tra
la direzione che dava gli ordini generali e la mano d'opera che doveva
eseguire. Se di origine operaia, come era spesso il caso, non conoscevano i
metodi nuovi di organizzazione, o non li credevanonecessari. Se di origine
tecnica (alcuni capiofficina erano inge-gneri, la gran parte erano periti
tecnici industriali) potevano trovare difficoltà ad avere rapporti sciolti con
gli operai. La riuscita di eventuali innovazioni organizzative o tecniche (che
erano con- tinue) dipendeva inevitabilmente da loro. E da loro dipendeva
anche il cosiddetto «morale» dell'azienda, quell'entità che resta in-
definibile, malgrado gli sforzi definitori della letteratura azienda-listica,
ma che è assai facile, passati alcuni giorni in un'azienda a guardare e
parlare, capire se sia alto o sia basso: Lavorai diversi mesi e alla fine
consegnai un rapporto di ricerca di una cinquantina di pagine, corredato da
diverse decine di pagine di protocolli d'interviste. Credo di aver riletto per
la prima volta quel rapporto ieri, dopo - quanti sono ormai? - 43 an-ni! Mi
aspettavo di peggio, è ancora leggibile. E ho scoperto persino alcune cose
interessanti che avevo dimenticato. Feci, tutte io (mica potevo fidarmi
di mandarci il mio cosmo-gonico assistente), più di 50 interviste (34 scelte
con regolare cam-pionamento, le altre a informatori qualificati), a operai, a
capi, a dirigenti. Mi si rivelò allora quanto fosse forte in me il gusto
del- l'intervistare. Da allora per anni e anni, a ogni occasione di
ricer-ca, mi sono organizzato per intervistare io stesso il maggior numero
possibile di persone, e nel corso della mia vita di lavoro sociologico calcolo,
all'ingrosso, che avrò fatto, tra l'una o l'altra ri-cerca, da solo o con
aiuti, diverse centinaia di interviste. Ricordo l'ultima, quattro o cinque anni
fa, insieme con Donatella della Porta, e con solo iniziale imbarazzo, a un
politico locale in attesa di sentenza definitiva di condanna per corruzione.
Nella situazione di intervista «non strutturata» (così si chiamano nel nostro
gergo le interviste in cui non si usa un questionario predeterminato, ma
soltanto una traccia che puoi adattare a seconda di come procede il colloquio)
ti attrae il gusto di far parlare una persona che non conosci su temi che tu
scegli, e su cui magari lei all'inizio non capisce bene di cosa esattamente si
tratta, ma dopo un po' ti accorgi che le viene voglia di dire più cose di
quanto tu le chiedi, perché si trova di fronte a un'occasione rara: qualcuno
che sta ad ascoltarla su argomenti che lei conosce, o crede di conoscere, e che
la lascia parlare. Ti si apre così la possibilità di penetrare nella nicchia
delle immagini familiari di una persona (pensai una volta di chiamare questa
attrazione il «complesso di Asmodeo», ri-cordando il diavolo che scoperchia i
tetti delle case, caro a François Mauriac), scavando al di sotto dei riassunti
vaghi, che lei di primo acchito sarebbe pronta a darti, ma che tu ti sei
preparato a non accettare ciecamente per buoni, delle situazioni che
t'interessano, per arrivare ai gesti, agli atti visibili che le hanno create,
alle connessioni inattese con altre situazioni; e mentre l'ascolti cercar di
trarre da sé il più presentabile di sé, la vedi poi finir per rivelarti ciò che
lei stessa arriva a capire mano a mano che ti parla. La ricerca fece
venire alla luce - tra altre cose che ora hanno perduto il loro interesse - che
anche in un'organizzazione tanto attenta al cosiddetto «fattore umano», qual
era l'Olivetti, i germi dell'autoritarismo erano vivi, e cosi l'insofferenza
per esso. Ma la protesta oscura che veniva alla luce non era tanto quella contro
l'autoritarismo del comando aspro o ingiusto, piuttosto, invece, quella contro
l'esercizio dell'autorità che rende possibile l'indif-ferenza, il non ascolto,
lo sprezzo per la collaborazione offerta, il non riconoscimento della tua
esistenza. E capivi che quella forma di «potere culturale» (come altro
chiamarlo?), di cui si fa forte chi ti tiene condiscendentemente a distanza, si
rifiuta di prendere in considerazione ciò che chiedi o che proponi, ti ignora o
non ti par-la, ti esclude, mostrando la tua irrilevanza, dalle decisioni che
riguardano il modo in cui tu devi lavorare, insomma ti fa «sentire una merda»,
come mi si diceva, perché non sai quello che solo sa chi sa - era quel potere a
creare dispetto, o ribollimento interiore, e umiliazione. Mentre il puro
comando gerarchico, prevedibile, apparentemente anonimo, quasi prodotto da una
macchina, che non fa emergere responsabili contro cui indignarsi, è uguale per
tutti, stabilisce automaticamente chi deve ubbidire e chi corrispondentemente
deve comandare, si presenta come assai meno offensivo dell'altro, e tutt'al più
provoca risentimenti astratti. Forse in quelle deplorazioni e querele veniva a
galla una certa nostalgia dei rapporti paternalistici che avevano retto
l'azienda fino a poco tempo prima, e ancora vigevano qua e là, pur perdendo
terreno di fronte all'introdursi di rapporti gerarchici più freddi e
distanti. Ma c'è dell'altro, credo, in questo processo dello
stratificarsi soggettivo in termini di sapere, che lo fa più escludente e più
offensivo di altre forme di distanza sociale. Lo ritroverò quando, anni do-po,
condurrò ricerche nelle sezioni dei partiti di sinistra, e me ne rioccuperò con
più attenzione.Nello stesso tempo si manifestava, in chi aveva l'età per
con-frontare, la consapevolezza che gli atteggiamenti impositivi fossero assai
mitigati rispetto a prima della guerra, e che erano assai rari i casi di
scortettezza da parte dei capi; anche se si riconosceva che pure durante il
fascismo all'Olivetti il rispetto degli operai si era in qualche modo
mantenuto. Del resto, durante il fascismo, la dialettica interna di fabbrica,
come sembrava di poterla ricostruire dai ricordi di chi era stato operaio
allora, non era così linearmente determinabile come ce la si può immaginare
sulla base dei luoghi comuni. Il ricordo era che i fiduciari dei sindacati
fascisti (e questo mi sarà confermato in colloqui che ebbi altrove con operai
anziani della Cgil), quando c'erano controversie con la direzione,
intervenivano spesso, non senza effetto, in favore degli operai.
Ritornando all'importanza del possesso di sapere come criterio duro di
separazione sociale, mi andavo domandando se il prestigio che all'Olivetti
veniva attribuito dall'alto agli intellettuali non percolasse giù fino ai
livelli inferiori dell'organizzazione e rafforzasse la separazione tra chi
vedeva incluso nei suoi compiti quello di conoscere, informarsi, accrescere il
suo sapere, fosse pure non immediatamente funzionale alle sue mansioni, e chi
di questa possibilità era privo. Simile atteggiamento rafforzava anche quel
contrasto, che è consueto in tutte le organizzazioni, tra line e staff: o
volendo italianizzarlo con la più espressiva terminologia milita-re, tra
comando e stato maggiore (di cui staff, si sa, è la traduzione inglese). Lo staff
include chi dice come si deve lavorare; la line chi comanda che si deve
lavorare. Nello staff risiede il sapere, e la responsabilità di accrescerlo;
nella line c'è il rapporto tra persone, o, come ci si esprime con un certo
orgoglio usando la terminologia militare, il comando di uomini, con relativo
possesso del-l'ascendente necessario per farsi ubbidire. E non ci si meravigli
se mi servo della terminologia militare; non è soltanto per confronti che ho
personalmente avuto occasione di poter fare, ma anche perché si dà caso che lo
stesso Adriano Olivetti non trascurasse di notare le analogie tra una fabbrica
e un'unità militare. Pensava in particolare alla nave da guerra; tanto che
aveva assunto, per farli diventare dirigenti, una certa quantità di ex ufficiali
di marina (che nel dopoguerra si trovavano ovviamente in abbondanza sul
mercato). Uno di questi, l'ingegner Tufarelli, che arrivò poi ai vertici
aziendali non solo dell'Olivetti, ma anche, successivamente,della Fiat a cui
era passato, fu assunto lo stesso giorno in cui ero stato assunto io, e
restammo a lungo amici, comunicandoci i nostri primi disvelamenti della
fabbrica; e mi diceva appunto come Adriano gli avesse sostenuto l'importanza di
quell'analogia, perché nave e fabbrica richiedono insieme, per esser guidate
bene, sapere tecnico e capacità di comando di uomini. Per parte mia, mi
colpiva una diversa analogia, la quale richiama piuttosto una fondamentale
capacità umana, la capacità di investire di valore una situazione che in
partenza appare di inferio-rità. Cerco di spiegarmi. L'appartenere allo staff,
allo stato mag-giore, proprio per il prestigio del possesso di «sapere» che lo
ca-ratterizza, comporta, a parità di altre condizioni, una presunzione di
superiorità, e quindi un potenziale atteggiamento di spregio per chi non vi
appartiene. Corrispondentemente, lavorare nella li-ne (nel caso dell'esercito,
«con la truppa») comporta lo svolgimento di compiti altrettanto indispensabili
di quelli dello staff, ma assai meno prestigiosi. Per evitare frustrazioni e
malcontenti occorre riequilibrare le attribuzioni di prestigio. Ciò avviene
attraverso un processo di reinterpretazione dei significati dei compiti
organizzativi. Di quelli che rischiano di venir sviliti si mettono in risalto
qualità arcanamente preziose, più innate che acquisibili, la «capacità di
conoscere gli uomini», il «saper come si risolvono situazioni umanamente
difficili», il «saper motivare i dipendenti», e, in una parola, appunto, il
possedere ‹«l'arte del comando di uo-mini». La capacità di distinguersi in
quelle posizioni organizzative viene allora apprezzata per un suo valore
intrinseco, e genera prestigio, che si può contrapporre allo stesso sapere
tecnico, quasi a permettere di tenerlo, o di pretendere di tenerlo, a vile; e
chi svolge quei compiti potrà inorgoglirsi. Si capisce meglio, considerando
questo meccanismo psicologico, anche il fallimento del fordismo prima maniera,
che, nella fabbrica, aveva mirato a ridurre tutti i rapporti gerarchici a
rapporti funzionali. Queste osservazioni trasparivano nei colloqui che
andavo fa-cendo, anche se non le ripresi esplicitamente nel rapporto che
scrissi. Nel quale, pur marginalmente, trattai invece di un'osservazione
curiosa che, dopo decenni di lontananza da quegli ambienti, mi sono accorto che
avevo scordato, e che leggendo il rapporto mi è ritornata nella sua vivezza e
nella sorpresa che mi aveva provo-cato: che la capacità o meno di usare il
disegno industriale distingueva due classi di lavoratori, e l'accedervi
rappresentava l'ambizione maggiore degli operai non specializzati che ne erano
privi. Era quasi commovente ascoltare come tra molti di quegli operai
l'idea di imparare un giorno a usare il disegno si ponesse come una meta di
emancipazione dal lavoro bruto cui erano in quel momento impiegati. Esser
capaci di disegnare una macchina, un meccanismo, un processo produttivo, e
operare poi con quel di- segno, rappresentava la possibilità di avere a
che fare con una realtà della mente, invece che con la realtà delle mani, del corpo,
con cui aveva invece a che fare il loro lavoro di operai comuni. Era una
manifestazione emotiva del riconoscimento di superiorità che l'astratto gode
sul concreto. E non era soltanto perché il possederlo poteva rappresentare
promozione sociale. Nelle loro parole si esprimeva forte l'esigenza di
liberarsi dall'indecifrabilità bruta della macchina, e ridurre a segni ordinati
la materia che li so- vrastava. Consegnai il rapporto, fu lodato.
Occorreva ora, mi si disse, discuterlo in gruppi più ampi, organizzare riunioni
con capi e diri-genti. Ma tutto questo non avvenne. Stava succedendo
dell'altro. Per qualcuno, il finimondo. 13. Il finimondo Il
Movimento di Comunità si era trasformato da culturale in politico . Partecipa
alle elezioni amministrative, ottenendo una clamorosa vittoria nel Canave-se, e
Adriano Olivetti era diventato sindaco di Ivrea. Contemporaneamente viene
fondata, col nome di Autonomia operaia (sic!), l'organizzazione sindacale del
Movimento, che assorbe la socialdemocratica Uil. Contro il parere di
Momigliano, che ne era il superiore diretto, viene allontanato il capo del
personale operai, Filiberto Pomo, un ex capo partigiano carismatico, e il suo
assi-stente, accusati di porre ostacoli all'introduzione in fabbrica del
sindacato di Comunità. A Franco Momigliano vengono sottratte gran parte delle
sue competenze (alcuni mesi dopo verrà trasferito a un ufficio studi economici
dell'Olivetti a Milano). Luciana Momigliano Nissim, moglie di Franco,
reduce da Auschwitz, pe-diatra, che aveva a lungo diretto l'asilo ed era
diventata da poco direttrice dei servizi sociali, viene licenziata. In
un'assemblea di fabbrica aveva attaccato la politica di Comunità. Si
rovesciavano amicizie di un decennio. Mancavano pochi mesi alle
elezioni della Commissione interna e del Consiglio di gestione; un organismo,
questo secondo, che non aveva potere effettivo di negoziare per le maestranze,
ma che conservava un certo valore simbolico, poiché l'Olivetti era una delle
poche aziende che l'aveva mantenuto in vita dai tempi della sua diffusa
introduzione nel dopoguerra. Si poteva prevedere che la campagna elettorale
sarebbe stata assai calda. Non c'era da meravigliarsi che le riunioni allargate
per discutere il mio rapporto di ricerca tardassero a venir convocate. Un giorno
vennero a trovarmi in ufficio tre rappresentanti sindacali della Cgil; tra di
loro c'era quella che nella memoria Olivetti resterà poi come «la mitica
Bertolè», un'ex partigiana comunista, dal grande ascendente sugli operai e
dall'abile capacità negoziatrice negli incontri con la direzione aziendale. Mi
chiesero se accettavo di presentarmi alle elezioni del Cdg con la loro lista.
Mi ricordo che non stetti molto a pensarci su, dissi subito di si. Perché
lo feci, e con tanta immediatezza? Forse pesò (come in numerose altre
occasioni, quando mi sia capitato di accettare proposte di mutamento di lavoro
o di residenza, o anche per decisioni più intimamente personali)
l'interiorizzazione di una regola di condotta (chi sa per quali stratagemmi
educativi instillatami) che non manca mai di impormisi in questo genere di
situazioni, secondo la quale è doveroso, includibile, di fronte a una sfida che
ti si presenta improvvisa, rispondere senza stare a pensarci su, senza mostrare
di calcolare le conseguenze, ché a indugiare a calcolare ti sembrerebbe
mancanza di coraggio, grettezza, non sentiresti più di essere quello che ti eri
immaginato di essere. Non la ritengo una qualità positiva. Probabilmente deriva
da qualche oscuro timore che a prender tempo per deliberare calcolando non
saprei tenere in mano con chiarezza le fila dei criteri con cui determinare
vantaggi e svantaggi. E che forse dovrei accorgermi che quei criteri non ci
sono veramente e mi sperderei. Naturalmente, per tanta prontezza, che non è,
dunque, sicurezza, della decisio-ne, il contenuto ha da non essere disaccetto.
Questa volta la scelta rispondeva al bisogno di fare cose di sinistra, dopo
avere perdiatra, che aveva a lungo diretto l'asilo ed era diventata da poco
direttrice dei servizi sociali, viene licenziata. In un'assemblea di fabbrica
aveva attaccato la politica di Comunità. Si rovesciavano amicizie di un
decennio. Mancavano pochi mesi alle elezioni della Commissione interna e
del Consiglio di gestione; un organismo, questo secondo, che non aveva potere
effettivo di negoziare per le maestranze, ma che conservava un certo valore
simbolico, poiché l'Olivetti era una delle poche aziende che l'aveva mantenuto
in vita dai tempi della sua diffusa introduzione nel dopoguerra. Si poteva
prevedere che la campagna elettorale sarebbe stata assai calda. Non c'era da
meravigliarsi che le riunioni allargate per discutere il mio rapporto di
ricerca tardassero a venir convocate. Un giorno vennero a trovarmi in ufficio
tre rappresentanti sindacali della Cgil; tra di loro c'era quella che nella
memoria Olivetti resterà poi come «la mitica Bertolè», un'ex partigiana
comunista, dal grande ascendente sugli operai e dall'abile capacità
negoziatrice negli incontri con la direzione aziendale. Mi chiesero se
accettavo di presentarmi alle elezioni del Cdg con la loro lista. Mi ricordo
che non stetti molto a pensarci su, dissi subito di si. Perché lo feci, e
con tanta immediatezza? Forse pesò (come in numerose altre occasioni, quando mi
sia capitato di accettare proposte di mutamento di lavoro o di residenza, o
anche per decisioni più intimamente personali) l'interiorizzazione di una
regola di condotta (chi sa per quali stratagemmi educativi instillatami) che
non manca mai di impormisi in questo genere di situazioni, secondo la quale è
doveroso, includibile, di fronte a una sfida che ti si presenta improvvisa,
rispondere senza stare a pensarci su, senza mostrare di calcolare le
conseguenze, ché a indugiare a calcolare ti sembrerebbe mancanza di coraggio,
grettezza, non sentiresti più di essere quello che ti eri immaginato di essere.
Non la ritengo una qualità positiva. Probabilmente deriva da qualche oscuro
timore che a prender tempo per deliberare calcolando non saprei tenere in mano
con chiarezza le fila dei criteri con cui determinare vantaggi e svantaggi. E
che forse dovrei accorgermi che quei criteri non ci sono veramente e mi
sperderei. Naturalmente, per tanta prontezza, che non è, dunque, sicurezza,
della decisio-ne, il contenuto ha da non essere disaccetto. Questa volta la
scelta rispondeva al bisogno di fare cose di sinistra, dopo avere pertanto
tempo espresso opinioni di sinistra. Aggiungi il sentimento di voler mostrare
solidarietà con le persone che in quei giorni venivano colpite, alcune di loro
molto amiche; forse il desiderio di acquisire valore ai loro occhi. Per
il Cdg si votava separatamente secondo settori organizza-tivi. Quello in cui mi
presentavo io era chiamato «Uffici della pre-sidenza» e contava 61 elettori.
Formato da personale scelto o direttamente da Adriano o da suoi assistenti, era
ovviamente ritenuto un covo di comunitari. Ma andando in giro per parlare con
questo o quel conoscente (non si doveva trattare ufficialmente di propaganda
elettorale) mi accorsi che ero guardato con sorrisi di simpatia, e quasi con
ammicco. Il giorno successivo al voto il giornale di fabbrica della Cgil, il
«Tasto», annuncio che io ero risultato eletto con 31 voti. Il risultato era
cosi inaspettato che i comunitari chiesero una riconta, la quale concluse che
io avevo ricevuto 30 voti, non 31, e quindi non risultavo eletto. Non me ne
preoccupai più di tanto, la carica non era attraente, mi bastava il successo
ottenuto, molti venivano a complimentarsi, e del resto complessivamente nella
fabbrica il sindacato di Comunità era stato sconfirto. Poi ci ho ripensato:
fossi stato eletto, la direzione avrebbe avuto difficoltà ad allontanarmi da
Ivrea e poi licenziar-mi. Che invece fu proprio quanto avvenne qualche mese
dopo. Mi fu dato un anno di tempo per trovare un altro lavoro e nel frattempo
fui assegnato al Centro di ricerca operativa dell'Università Bocconi (era
finanziato in gran parte dall'Olivetti) come assistente del professor Francesco
Brambilla, che lo dirigeva, spirito geniale e bizzarro dal quale, nell'anno che
ci lavorai insieme, imparai un po' di statistica, ma non molta. Il primo
novembre 1956. 'I di dei mort alegher!, caricatici sulla Topolino che avevo
comprata a Ivrea di seconda mano, mia mo-glie, mia figlia di due anni, io e un
po' di valigie, ci dirigemmo verso Milano. A Rho al sole si sostitui un
chiarore lattiginoso sporco, impenetrabile, e, per mesi e mesi, piogge a parte,
tale sostanza plano tra il cielo e la città, tanto da convincermi che in quella
Milano dai camini ancora non filtrati, quello e nient'altro era da chiamarsi
«sole». Ma in qualche giorno di aprile anche il sole come usa nel resto
d'Italia riapparve. Si conclusero così quei tre anni di un'esperienza che
più inaspettata per me non avrebbe potuto essere, durante la quale di-ventai,
in qualche definizione di questo termine, sociologo, acquisii conoscenze
dirette del funzionamento di quella che veniva allora marxisticamente chiamata
la struttura dei rapporti di pro-duzione, strinsi amicizie alcune delle quali
durarono a lungo. A uno degli amici di allora, l'ingegnere che era stato
direttore delle costruzioni dell'azienda, che, malato da anni, usavo andare a
trovare quando mi capitava di passare da Milano, una sera raccontai che avevo
intenzione di scrivere delle memorie sul periodo all'Oli-vetti. Si mostrò
stupito, ma certo voleva leggerle appena le avessi scritte. Sul pianerottolo,
dove mi aveva accompagnato con fatica, lo salutai battendogli una mano sulla
spalla: «Ciao, vecchio», gli dissi. «Ciao, vecchio? Ciao morto, devi dire» mi
ribatté, in una delle sue abituali, esplosive esclamazioni di ironia. Era
Roberto Guiducci, il miglior amico tra i sopravvissuti degli anni di Ivrea, eta
l'ultima volta che lo avrei visto, gli posso solo dedicare, non far leggere,
queste pagine, che non ho scritto in tempo. Alessandro Pizzorno. Pizzorno.
Keywords: politica assoluta, razionalita e riconoscimento, razionalizzazione,
soggetti del pluralism, lotta operaia, sindacato, la politica assoluta,
fascismo -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pizzorno” – The Swimming-Pool
Library.
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