Grice e Ponte: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale maschile – filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Lodi). Flosofo italiano. Lodi,
Lombardia. Studia a Genova. Insegna a Pontremoli. D'impostazione
tradizionalista, dopo gli studi classici vive a Pontremoli. Storico delle idee
e del diritto romano arcaico, studioso di simbolismo, fonda la rivista di
ispirazione evoliana Arthos -- cultura tradizionale, testimonianza tradizionale,
a cura d’Arya di Genova. Cura il Tractatus de potestate summi pontifices; La
Cronologia vedica in appendice a La dimora artica dei Veda. Tra i fondatori del
movimento tradizionale romano. Collabora attivamente con Arya, ispirate dall'O.
I. C. L. Altre saggi: Dei italici; Miti italici, Archetipi e forme della
sacralità romano-italica, Genova, Ecig; Il movimento tradizionalista romano, Scandiano,
Sear; La religione dei romani” (Milano, Rusconi); “Il magico Ur” (Borzano, Sear);
“I liguri: etno-genesi di un popolo” (Ecig, Genova); “La città degli dei”; “La
tradizione di Roma e la sua continuità” (Ecig, Genova); "Favete
Linguis!" Saggi sulle fondamenta del Sacro in Roma antica” (Arya, Genova);
"Ambrosiae pocula" (Tridente, Treviso); "Nella terra del drago"
note insolite di viaggio nel Regno del Bhutan (Tridente, La Spezia); “Il mondo
alla rovescia” (Arya, Genova); “In difesa della tradizione” (Arya, Genova); “Le
sacre radici del potere” (Arya, Genova); “La massoneria volgare speculativa” (Arya,
Genova); “Lettere ad un amico” (Arya, Genova); “Hic manebimus optime” (Arya,
Genova); “Etica aria” (Arya, Genova); “Aspetti del lessico pontificale: gli
indigitamenta”; “ “I LARI nel sistema spazio-temporale romano”; “Santità delle mura e sanzione divina,”; “Gl’arii”;
“Via romana agli Dei”; Centro studi La
Runa.IL MOVIMENTO TRADIZIONALISTA ROMANO: Studio storico
preliminare SeaR. Quanto segue è, nella sostanza, il
contenuto di una conferenza tenuta a Palermo presso l’istituto
Platone riprodotto con aggiunte note critiche e documentarie, per
le Dispense d’Arx di Messina, edite da Ruta. Il testo viene
ripresentato con maggiore dignità tipografica e tiratura, onde favorirne la
diffusione, con poche modifiche e aggiunte, in questa nuova collana della
Sear di Scandiano. Poiché è certamente la prima volta che con una
certa organicità viene affrontato questo argomento, il presente scritto
può a ben diritto definirsi una novità. Tuttavia, dal momento che il
nostro testo viene presentato come uno studio storico preliminare,
il lettore potrà dedurne che i dati storici, biografici e
letterari, le notizie contenute ed ogni altra informazione non sono frutto di
fantasia o di illazioni avventate, ma desumibili nella loro grande maggioranza
da fonti documentarie, come dimostrato dai stessi riferimenti; l’insieme
costituisce, d'altra parte, qualcosa di non definitivo, in quanto
suscettibile di essere ampliato ed ulteriormente specificato da successive
indagini e approfondimenti di maggior respiro. Bisogna peraltro
subito aggiungere che anche a molte notizie documentarie non sarei
pervenuto se non avessi tenuto conto, nel corso di più anni, di
indicazioni, suggerimenti, informazioni pervenutimi per via amichevole o
riservata. Quanto qui esposto, tuttavia, non fa parte di alcun segreto
esclusivo — come vorrebbero alcuni — bensì del patrimonio storico della
nazione italica e come tale lo offriamo alla meditazione di quei lettori
che vorranno o sapranno trovarvi spunto di interesse interiore, nonché
agli storici laici, perché almeno in questa occasione si rendano conto del tipo
di dimensione occulta che corre parallela e interferisce nelle vicende
della storia: nella fattispecie, prendano atto dell 'esistenza, sinora
ignorata, delle correnti esoteriche che tentarono di dare al FASCISMO quell’anima
priva di compromessi che non fu capace di far sua. Entrando il Sole
nei Gemelli. Nella prefazione da lui posta ad un recente lavoro dedicato
soprattutto alla cosiddetta nuova destra, il noto politologo Giorgio Galli, a
cui si deve senza dubbio riconoscere una notevole apertura mentale
e un’intelligente operazione culturale volta alla riscoperta di alcune
tematiche proprie della destra tradizionale, ha potuto osservare come
alla nuova destra sia mancata «precisamente una ri¬ lettura della
componente magica ed esoterica della cultura di destra. La nova destra si trova
anzi, attualmente, «in difficoltà sul piano propriamente politico forse anche
perché ha trascurato l’analisi di fenomeni ai quali si dimostra sensibile
la destra tradizionalista esoterica): tale fallimento, dunque, sarebbe
implicito nel «completo abbandono di un bagaglio culturale di indubbia
rilevanza. Tale diagnosi ci pare esatta e le acute osservazioni di Galli
(al quale si debbono anche tentativi di pe¬ netrare nel mondo oggi ancor
poco conosciuto, proprio perché poco adeguatamente studiato, dell’eso- [GALLI,
prefaz. a: MONICA ZUCCHINALI, A destra in Italia, Sugarco Edizioni, Milano. Tale
lavoro non merita, di per sé, alcuna annotazione di rilievo, essendo
molto superficiale e limitato nel settore dedicato alia «destra radicale» (e in
questo largamente superato da precedenti pubblicazioni, per quanto
decisamente a sini¬ stra, come La destra radicale, a cura di Ferraresi,
eccessivamente ampio e parziale nei confronti della cosiddetta «Nuova
Destra», mentre la «destra tradizionale» è pressoché inesistente. In sostanza,
ciò che dà rilievo al libro, sono le poche notazioni preliminari del
Galli, che peraltro suonano da campana a morto per i profeti della fine
del «mito incapacitante] terismo del III Reich), che ben difficilmente,
del resto, potrebbero essere recepite nella loro portata da quanto
sopravvive della nuova destra, proprio per la sua impostazione profana e
modernista (per non parlare della destra «tecnocratica» missina,
per sua intrinseca natura da sempre impermeabile ad ogni discorso
«intelligente»), potranno ser- [In una relazione sul tema tenuta a Torino
(pare per la Fondazione Agnelli), il cui testo abbiamo potuto leggere, il
Galli osserva come «la storiografia ufficiale e accademica abbia sempre
esitato a muoversi in questa direzione, appunto per il timore di spostarsi
dal piano della storia a quello della fantasia. Ciononostante Galli,
che dunque sembra muoversi tra i primi al di fuori di tale logica
paralizzante, afferma come vi siano sufficienti elementi per una riflessione
storica organica sulla componente esoterica soprattutto dei nazismo,
mentre per quanto riguarda il fascismo italiano questa riflessione
potrebbe con¬ cernere esclusivamente la personalità d’Evola. Il saggio dunque
amplia le prospettive conoscitive di Galli e di quanti altri si
interessino di tali tematiche proprio sull’ultimo punto, quello concernente il FASCISMO.
Circa poi le correnti esoteriche del nazismo, bisognerebbe intanto distinguere
fra ciò che ha preceduto la sua presa del potere, le gerarchie ufficiali dello
Stato ed alcuni settori delle SS. In base a ricerche che stiamo
effettuando, possiamo anticipare che tali correnti esoteriche poggiano su
fondamenta assai fragili, contrariamente a quel che potrebbe pensare Galli
stesso, che in que¬ sto caso pare essere rimasto vittima di alcune
«ingenuità» propalate sulla scia del famigerato Mattino dei Maghi di Pauwels e
Bergier. Per un discorso preliminare su quanto andiamo dicendo, si veda
ora il mio saggio su La realtà storica della società Thule, in introduzione
alla prima traduzione italiana di Prima che Hitler venisse di Rudolf von
Sebottendorff. Edizioni Delta-Arktos, Torino. Su Evola e certi ambienti delle
SS, pubblicherò in seguito documenti provenienti dall’archivio di stato tedesco
(Quartier Generale di Himmler), in cui tali tematiche saranno ulteriormente
trattate. In un recente articolo che vuole costituire una sorta di
recensione del libro della Zucchinali, un anonimo missino cosi sintetizza
gli interes- [virci qui da spunto iniziale per una breve indagine
preliminare, necessariamente per ora limitata, su una corrente di
pensiero indubbiamente assai minoritaria, ieri ed oggi, in Italia, ma come è
stato di recente sottolineato, «nel contempo assolutamente necessaria per
l’Italia, che ha svolto ed è destinata a svolgere ancora una funzione
molto importante, per non dire essenziale, per la nostra nazione:
quella della conservazione dtXV identità delle nostre radici. Essa,
se è stata opacizzata nelle masse e in una classe dirigente sclerotizzata
e corrotta per incapacità e colpevole negligenza, nondimeno persiste im¬
mutata, come presenze e immagini primordiali, negli archetipi divini che
presiedono alle nostre sorti. Il compito di tale minoranza, al di là
della pura e semplice azione conservativa, è stato quello di saper
ridestare nei momenti opportuni quelle immagini, sì che divenissero
presenze vive ed operanti, concretiz¬ zandole nelle nuove realtà della
nazione italica. Si tratta delle immagini primordiali e delle
epifa¬ nie divine del Lazio e dell 'Italia delle origini, ovvero
della Saturnia tellus: quelle che hanno reso possibile la manifestazione
sul nostro suolo della tradizione di Roma — che simboli, funzioni ed
attribuzioni si e i tentativi controcorrente del Galli: «A cosa
ciò possa condurre in concreto, è imprevedibile. Forse a nulla» (in
«Proposta» Conventum Italicum, comunicato anonimo in «Arthos] hanno reso
evidente essere emanazione della Tradi¬ zione primordiale (5) — ed il suo
rinnovellarsi attraverso i tempi. Il precedente riferimento del
Galli all’esoterismo è, nel nostro caso, più che pertinente, dal
momento che la trasmissione e perpetuazione della tradizione
romana, almeno negli ultimi quindici secoli, ha po¬ tuto avvenire, per
motivi ben comprensibili, per via segreta, cioè esoterica e di necessità
sotto forme e vie anche molto diverse. Se oggi si può parlare di
«de¬ stra» esoterica è soltanto perché, per circostanze sto¬ riche
particolari, in un ambito (peraltro, assai ri¬ stretto) della destra del
nostro secolo certe tematiche hanno potuto trovare parziale ospitalità:
va da sé — e non sarebbe il caso di insistervi sopra — che la
.tradizione di cui tali correnti sono portatrici si situa ben al di là e
al di sopra di ogni miserabile dialettica fra destra e sinistra, termini
e concetti di derivazione parlamentare moderna e quindi del tutto
inadeguati ad inquadrare forme di realtà spirituali quali quelle a
cui ci riferiamo. Tuttavia, dal momento che il presente intende
es¬ sere semplicemente uno «studio storico» su tale cor- [Per tali
evidenziazioni, debbo rimandare ad alcuni capitoli del mio Dèi e miti
italici. Il ed., ECIG, Genova, specialmente in connessione con le figure di
Giano e Saturno (con il ciclo a lui connesso. Si deve peraltro notare che ad
interessi esoterici inerenti anche alla tradizione romana non furono
aliene certe personalità della «sinistra storica» e nel corso della
nostra esposizione non mancherà un esempio concreto.] rente, dovremo fare
solo riferimenti indiretti e limi¬ tati al suo lato esoterico, quanto
invece insistere sui suoi riflessi politici, culturali e religiosi.
L’abbiamo definita «corrente tradizionalista romana nel Novecento:
un’élite che ha in ogni caso lasciato una sua impronta in una certa epoca
e che, nell’incertezza del pensiero debole attuale, potrebbe ancora
essere portatrice di un messaggio radicalmente alternativo, poiché
radicalmente (e qui l’espressione va intesa, con coscienza di causa,
nel suo pieno valore etimologico, a radicibus) orientata contro gli
pseudovalori che reggono la scena del mondo moderno. Non è
mio compito qui riassumere i termini della questione intorno alla
possibilità della trasmissione della sacralità e della tradizione di Roma
dall’epoca degli ultimi sapienti pagani sino ai nostri giorni: è
uno studio che, in riferimento soprattutto alle gentes dei Simmachi, dei
Nicomachi, dei Pretestati ed altri, abbiamo da anni iniziato in varie
riviste e pubblica- [Derivo l’espressione di «corrente tradizionalista
romana» dal poderoso (e ponderoso) lavoro di P. DI VONA, Evola e Guénon.
Tradizione e civiltà, Napoli in cui, nel cap. intitolato appunto Il
tradizionalismo romano, l’A. studia la «corrente romana del
tradizionalismo, ad opera di Reghini, Evola e De Giorgio». È evidente che
col termine «corrente» noi non intendiamo riferirci (se non in singo¬ li
casi, che ben preciseremo) ad una linea di pensiero omogenea, bene
organizzata in un gruppo unitario e compatto dalle caratteristiche co¬
muni, ideologicamente e politicamente parlando, ma ad una tendenza che
potè assumere aspetti e sfaccettature diverse, come proprio i casi di
Reghini, Evola e De Giorgio (e non sono certo gli unici) sono a
dimostrare. ] zioni e che non mancherà di ulteriori sviluppi.
In questa sede sarà sufficiente fare rapido riferimento a quell’epoca
gravida di grandi e decisive tra¬ sformazioni che fu il Rinascimento
italiano. È soprattutto nel corso del XV secolo che tradizioni occulte,
sopravissute per secoli nel più grande segreto, paiono ricevere nuova
linfa e l’impulso ad una nuova manifestazione dal contatto con personalità
del¬ l’Oriente europeo di altissima rilevanza intellettuale, come
quella di Giorgio Gemisto Pletone, il grande rivitalizzatore della
filosofia platonica negli ultimi anni dell’Impero d’Oriente e fondatore
di un cena¬ colo esoterico a Mistra, la medievale erede dell’antica
Sparta, all’interno del quale, oltre a conservare testi dell’antichità
pagana (come le opere dell’imperatore Giuliano, che vi venivano trascritte), si
celebravano veri e propri riti e si elevavano inni in onore degli dèi
olimpici. La figura e la funzione di Pletone sono ancora troppo
poco note in generale e, in Italia, non ancora studiate. In genere, ci si
limi- [Cfr. ad esempio: R. DEL PONTE, Sulla continuità della
tradizio¬ ne sacrale romana, parti I e II, in «Arthos»; vedi anche:
Q. AURELIO SIMMACO, RelazionesuH’altare della Vittoria, con un’introduzione di
R. del Ponte su Simmaco e isuoi tempi. Edizioni del Basilisco, Genova. Si tenga
conto che nel sud del Peloponneso sono attestati, a livello popolare,
culti nei confronti degli dèi classici sino al IX secolo della nostra
era. In lingua italiana mancano ancora del tutto studi approfonditi.] ta a
citare, a proposito di lui, la sua partecipazione al Concilio di Firenze
e l’istituzione dell’Accademia Platonica Fiorentina, che ebbe sede nella
villa di Careggi (o «delle Cariti», o «Muse»), concepita da Co¬ simo il
Vecchio e realizzata da Lorenzo il Magnifico su suggestione del Pletone.
Ma gli effetti dovettero essere ancora più interessanti e gravidi di
conseguenze, se si considerino i legami, ad esempio, Pletone e Malatesta.
Signore di Rimini: colui che ne sottrarrà il cadavere agli Ottomani, i quali avevano
occupato Mistra, onde deporlo pietosamente in un’arca marmorea del suo
famoso «Tempio Malatestiano. Lo stesso Malatesta dovette pure essere in
rapporto con la ben nota Accademia Romana di Pomponio Leto, propugnatore,
scrive il von Pa- stor, del «romanesimo nazionale antico». Il capo [Ci
si dovrà pertanto limitare a rimandare a: B. KIESZKOWSKI, Studi sul
platonismo del Rinascimento in Italia (vedi soprattutto cap. II),
Sansoni, Firenze 1936; P. FENILI, Bisanzio e la corrente tradizionale del
Rinascimento, in «Vie della Tradizione» (ci viene comunicato ora, che a
cura dello stesso P. Fenili è in corso di stampa un’antologia di brani di
Pletone, dal titolo «Paganitas», lo squarcio nelle tenebre, per Basala
Editore di Roma). Di recente, ci è ca¬ pitato di leggere in un’insolita
pubblicazione, una rivistina satirica di sinistra, un reportage da Mistra
singolarmente informato e documentato su Gemisto Pletone e la sua scuola
(cfr. P.LO SARDO, La repubblica dei Magi. Da Sparta alla Firenze del
'400, in «Frigidaire. Per mezzo del Platina (definito da Pomponio pater
sanctissi- mus), l’Accademia Romana intratteneva rapporti col Malatesta,
il quale dell’Accademia Romana, riporta il von Pastori
«spregiava la religione cristiana ed usciva in vio¬ lenti discorsi
contro i suoi seguaci... venerava il genio della città di Roma. Quale
rappresentante di queU’umanesimo, che gravitava verso il pagane¬
simo, si schierarono ben presto attorno a Pomponio un certo numero di giovani,
spiriti liberi dalle idee e dai costumi mezzo pagani. Gli iniziati
consideravano la loro dotta società come un vero collegio sacerdotale
alla foggia antica, con alla testa un pontefice massimo, alla quale dignità
fu elevato Pomponio Leto. Si noti che sembra certa l’adesione
alla cerchia del Leto del principe Francesco Colonna, Signore di
Pa- lestrina, l’antica Praeneste, dai più ritenuto l’autore della
celeberrima Hypnerotomachia Poliphili, un te¬ sto molto citato, ma molto
poco letto e soprattutto compreso, dove, in ogni modo, una sapienza ermeti¬
ca si sposa all’esaltazione, non tanto filosofica.] fu notoriamente nemico dei
papi e ammiratore del movimento pagano di Mistra (cfr. F. Masai, Pléthon
et le platonisme de Mistra, Paris. L’opera del Masai è a tutt’oggi la più
completa esistente sulla dottrina e la figura di Giorgio Gemisto
Pletone). Si noti che il Platina fu allievo a Firenze dell’Argiropulo,
discepolo di Pletone, e che un altro antico discepolo, il Cardinal
Bessarione, si prodigò per la liberazio¬ ne da Castel Sant’Angelo dei membri
dell’Accademia Romana, dopo che furono accusati dal papa Paolo II — non
senza fondamento — di paganesimo. 11 Masai si domanda se l’Accade¬
mia Romana «non fosse in qualche modo una filiale di quella di Mistra. L.
von PASTOR, Storia dei Papi, Roma] quanto mistica, del mondo della paganità
romano¬ italica, culminante nella visione di Venere Genitrice. Se si
rifletta al fatto che Francesco Colonna, realizzatore dell’imponente
palazzo gentilizio eretto sulle rovine del tempio di Fortuna Primigenia
(ancora oggi ben identificabili nelle strutture originali), vantava
discendenza diret¬ ta dalla gens Julia e quindi da Venere, si potrà
allora intravedere come l’apporto vivificante della corrente sapienziale
reintrodotta in Italia da Pletone si fosse incontrato col retaggio
gentilizio di una tradizione antichissima, gelosamente custodito nel
silenzio dei secoli col tramite di alcune fami¬ glie nobiliari italiane,
in ispecie laziali, generosamente fruttificando: nel senso di spingere ad un
rinnovamento tradizionale non solo l’Italia, ma persino, ad un certo momento,
lo stesso papato, se avventi. Risulterà forse sorprendente apprendere come i
Colonna possedessero ancora fino ai nostri giorni il «feudo» originale di
Giulio Cesare, Boville (Frattocchie d’Albano). E visibile nel giardino Colonna
al Quirinale l’aitare antico dedicato al Vediove della gens Julia
(notizie ricavate da: P. COLONNA, I Colonna, Roma. Tolomeo 1
Colonna ostentava il titolo di Romanorum consul excellentissimus e Julia
stirpe progenitus (cfr. P. FEDELE, s.v. Colonna, in «Enciclopedia
Italiana). Ha compiuto un’attenta analisi deWHypnerotomachia Poli¬ phili
(editio princeps nel 1499, presso Manuzio) come opera di France¬ sco
Colonna, M. CALVESI, Il sogno di Polifilo prenestino, Roma 1980. Si veda
anche: PELOSI, Il sogno di Polifilo: una quéte del¬ l’umanesimo, ed.
Palladio, s.l. 1978. A.C. Ambesi, in considerazione della dimensione
iniziatica dell’opera di Francesco Colonna, la conside¬ ra come
un’anticipazione cifrata del movimento dei Rosacroce (/ Rosacroce, Milano] ne
che poco mancò che salisse al soglio pontificio quel cardinale Giuseppe
Bassarione che fu discepolo diretto di Giorgio Gemisto Pletone, da lui
giudicato, come scrisse in una lettera privata ai figli del maestro dopo
la sua morte, «il più grande dei Greci dopo Platone.] Ma altri tempi tristi
dovevano giungere, tempi in cui sarebbe stato più prudente tacere, come
dimo¬ strò il bagliore delle fiamme in Campo dei Fiori, avvolgenti
nell’anno di Cristo il corpo, ma
non l’animo, di Bruno, rivivificatore generoso, ma impaziente, di
dottrine orfico-pitagoriche, che trovavano analoga eco — frutto di una
linfa non mai del tutto estinta nell’Italia Meridionale — nella
poesia e nella prosa dell’irruente frate calabrese Tommaso Campanella,
lui pure oggetto di odiose persecuzioni. Bisogna giungere sino
all’unità d’Italia, parzialmente realizzatasi con la fine della millenaria
usurpazione temporale dei papi, per trovare una situazione mutata. A
questo punto bisogna chiarire una volta per tutte, con la maggiore
evidenza, che dal punto di vista del tradizionalismo romano l’unità
d’Italia — indipendentemente dai modi con cui [Si dovrà ricordare che
Bessarione raccolse cum pietate nel suo studio le opere e i manoscritti
del maestro, in particolare alcuni frammenti apertamente pagani delle Leggi,
dotandone poi la Biblioteca Marciana da lui fondata, a Venezia. ] potè
in effetti verificarsi (modi spesso arbitrari e prevaricatori della
dignità e delle sacrosante autono¬ mie di diverse popolazioni italiche) e
dall’azione di certe forze sospette (Carboneria, massoneria e sette
varie) che per i loro fini occulti poterono agevolarla — era e rimane
condizione imprescindibile e necessaria per ritornare alla realtà geopolitica
dell’Italia au- gustea (e dantesca): quindi per propiziare il
rimani¬ festarsi nella Saturnia tellus di quelle forze divine che
ab origine a quella realtà geografica — consacrata dalla volontà degli dèi
indigeti — sono legate. È un dato che si dovrà tenere ben presente,
per meglio intendere certi fatti che avremo modo di esporre in
seguito. Intanto, è nell’aria qualcosa di nuovo e antico insieme, che
verrà avvertito dalle anime più sensibili. Fra queste, il grande
poeta Giovanni Pascoli, con un equilibrio ed una compostezza veramente
classici, valendosi di una sensibilità non inferiore a quella con cui in
quegli stessi anni conduceva l’esegesi di certi lati occulti della
dantesca Commedia, con il seguente sonetto (e col corrispondente testo in esame¬
tri latini, da noi non riprodotto) celebrava in una semplice aula
scolastica la solennità. L’aratro è fermo: il toro d’arar sazio, leva il
fumido muso ad una branca d’olmo; la vacca mugge a lungo, stanca, e
n’echeggia il frondifero Palazio. Una mano sull’asta, una sull’anca
del toro, l’arator guarda lo spazio: sotto lui, verde acquitrinoso il
Lazio; là, sul monte, una lunga breccia bianca. È Alba. Passa
l’Albula tranquilla, sì che ognun ode un picchio che percuote
nell’Argileto l’acero sonoro. Sopra il Tarpeio un bosco al
sole brilla, come un incendio. Scende a larghe ruote l’aquila nera
in un polverio d’oro. Allo scadere del secolo è un fatto nuovo di ordine
archeologico il punto di riferimento im¬ portante ed essenziale per il
secolo che sta per aprirsi: la scoperta nel Foro da parte di Boni (si veda) del
cippo arcaico sotto il cosiddetto Lapis Niger, in cui l’iscrizione in caratteri
antichi del termi¬ ne RECHI ( = regi) attesta documentariamente
l’effettiva esistenza in Roma della monarchia e, con quanto ne consegue,
la sostanziale fondatezza della tradizione annalistica romana, trasmessa
nel corso di innumerevoli generazioni, dai primi Annales Ma¬ ximi
dei pontefici sino a Tito Livio e, al termine del- [PASCOLI, Antico sempre
nuovo. Scritti vari di argomento latino, Zanichelli, Bologna. Il lettore
esperto potrà notare come in pochi versi il poeta abbia saputo
sapientemente concentrare particolari nomi evocativi di determinate
realtà primordiali dell’Urbe.] l’Impero d’Occidente, alle ultime gentes
sacerdotali ed a quegli estremi devoti raccoglitori e trasmettitori
della sapienza delle origini, come poterono essere un Macrobio ed un
Marziano Capella. È come se, fisicamente, una parte di tradizione
ro¬ mana si esponesse improvvisamente alla luce del sole a smentire
l’incredulità e l’ipercriticismo della scuola tedesca, che, in nome di un
presunto realismo scientifico, aveva respinto in blocco le più
antiche memorie patrie, e soprattutto dei suoi squallidi seguaci italiani,
come quell’Ettore Pais che nella sua Storia di Roma (ristampata
innumerevoli volte fino in piena epoca fascista) aveva negato ogni
tradizione da una parte, costruendo dall’altra fantastici castelli
in aria, senza alcuna base, né storica, né filologica. Risulta che
Giacomo Boni fu in corrispondenza con un altro principe romano, pioniere
degli studi islamici e deputato al parlamento nei banchi della
sinistra: Leone Caetani duca di Sermoneta, principe di Teano, marito di
una principessa Colonna. Suo nonno, Michelangelo Caetani, era stato
l’autore di un fortunato opuscolo di esegesi dantesca dove si sosteneva
l’identità di ENEA col dantesco «messo del cielo» che apre le porte
della Città di Dite con «l’aurea verghetta» degli iniziati di
Eieusi: quello stesso che fu il latore a Vittorio Emanuele II dei [Cfr.
M. CAETANI di SERMONETA, Tre chiose nella Divina Commedia di Dante
Alighieri, II ed., Lapi, Città di Castello] risultati del plebiscito che
sanciva l’unione di Roma all’Italia. Proprio Leone Caetani
sarebbe stato l’autorevole tramite attraverso cui si sarebbero
manifestate all’interno della Fratellanza Terapeutica di Myriam
(operativa proprio negli anni della scoperta del Lapis Niger) fondata da
Giuliano Kremmerz (cioè Ciro Formisano di Portici) — che la definì
talvolta come Schola Italica — determinate influenze derivanti
dall’antica tradizione romano-italica se, come scrive l’esoterista Marco
Daffi {alias il conte Libero Ricciardelli) è lui il misterioso Ottaviano (altro
riferimento alla gens Julia!) autore nella rivista Commentarium diretta dal
Kremmerz, di un articolo sul dio Pan e di una lettera di congedo
dalla redazione in cui egli riafferma in tali termini la proti?) «Sotto
tale pseudonimo si nascondeva persona veramente autorevole, autorevolissimo
collega di ricerche ermetiche di Kremmerz tanto da potere essere ritenuto
portavoce di sede superiore Don Leone Caetani, Duca di Sermoneta,
Principe di Teano» (M. DAFFI, Giuliano Kremmerz e la Fr+Tr+ di Myriam, a
cura di G.M.G., Alkaest, Genova). Gli scritti firmati da Ottaviano in
«.Commentarium» sono tre: La divinazione pantéa, Per Borri, Gnosticismo e
iniziazione. In quest’ultimo scritto, con¬ sistente in una lettera di
congedo come collaboratore della rivista, si rimanda all’opera di un altro
personaggio che, come Ottaviano, doveva riconnettersi allo stesso
ambiente iniziatico gravitante alle spalle dell’or¬ ganismo kremmerziano:
l’avvocato Lebano, autore di un curioso libretto intitolato Dell’Inferno:
Cristo vi discese colla sola ani¬ ma o anche col corpo? (Torre
Annunziata), in cui nuovamente si accenna al «ramoscello dorato del
segreto, ossia la voce mistica di con¬ venzione che Enea presenta a
Proscrpina.] pria fede pagana: non sono che pagano e ammiratore del
paga¬ nesimo e divido il mondo in volgo e sapienti volgo, che i miei
antenati simboleggiavano nel ca¬ ne e lo pingevano alla catena sul
vestibolo del Domus familiae con la nota scritta: Cave canem; cane perché
latra, addenta e lacera. In quegli tempi era cominciata l’attività
pubblicistica ed iniziatica di Reghini. La sua importanza fra i più
autorevoli esponenti europei della Tradizione, e del filone
romano-italico in particolare, risiede certamente non tanto nel tentativo, vano
e fatalmente destinato all’insuccesso, per quanto disinteressato,
di rivitalizzare la massoneria al suo interno, quanto nell’attenzione da
lui portata allo studio ed [OTTAVIANO, Gnosticismo e iniziazione. Tentativo
che si concretizzò soprattutto con la creazione del Rito Filosofico
Italiano, fondato da Reghini, Frosini ed altri (vi sarà accolto come
membro onorario Crowley), ma dall’esistenza effimera, dal momento che si
fuse con la massoneria di Rito Scozzese Antico ed Accettato di Piazza del
Gesù. Reghini seguirà le sorti e le direttive di Piazza del Gesù di Raoul
Palermi, molto favorevole nei confronti del fascismo, sino ai
provvedimenti contro le società segrete. Papini dedica alcune pagine nel
contempo pungenti e commosse ad Reghini di cui fu amico negli anni giovanili,
cosi concludendo: «Arturo Reghini visse, povero e solitario, una vita di
pensiero e di sogno: anch’e¬ gli difese e incarnò, a suo modo, il
“primato dello spirituale’’. Nessuno di quelli che lo conobbero potrà
dimenticarlo, Passato remoto, ed. L’Arco, Firenze] alla riscoperta della
tradizione classica e romana, che gli era stato dato in compito di
rivitalizzare in segreto, così come egli stesso si esprime in una lettera
inviata ad Augusto Agabiti e pubblicata nell’Ultra»: «sai bene come
il nostro lavoro, puramente metafisico e quindi naturalmente esoterico, sia
rimasto sempre e volontariamente segreto. In tal modo Reghini ben si
inseriva nel filone della corrente tradizionalista romana, in quella
sua variante che si può legittimamente definire «orfico-
pitagorica, col contributo di numerosi scritti, soprattutto sulla
numerologia pitagorica, sparsi fra molti articoli e opere impegnative,
come Per la resti¬ tuzione della geometria pitagorica, I numeri sacri
della tradizione pitagorica massonica, Aritmosofia. REGHINI, La «tradizione
italica», in «Ultra», Vili [Allo stesso modo, di tradizione ermetica egizio-ellenistica
si potrebbe parlare per il filone essenzialmente seguito dalla
corrente kremmerziana. È chiaro come nessuna di queste correnti possa
preten¬ dere di identificarsi con il filone centrale deWa tradizione
romana (come vorrebbero, ad esempio, certi continuatori del Reghini dei
nostri giorni), rappresentandone, semmai, corollari concentrici ed
espressioni validis¬ sime, ma essenzialmente periferiche. Il nucleo della
tradizione romana è altra cosa: può includere tutto ciò, ma al tempo
stesso ne è al di sopra nella sua essenza originaria. Per cercare di
comprendere la cosa, si dovrà riflettere sul simbolismo e sulla funzione
del dio Giano, non per caso divinità unica e propria della sacra terra
laziale.) ed il tuttora inedito Dei numeri pitagorici. Con questa attività egli
avrebbe perseguito la missione affidatagli da un’antica scuola iniziatica di
tradizione pitagorica della Magna Grecia allorché, ancora giovane e
studente a Pisa, fu avvicinato da colui che sarebbe divenuto il suo
maestro spirituale: Armentano (si veda), calabrese, ufficiale
dell’esercito all’epoca in cui lo conobbe il Reghini. Ad Armentano
apparteneva [Di recente, per il quarantesimo anniversario della scomparsa
del Reghini, è stata edita una raccolta di suoi scritti vari:
Paganesi¬ mo, pitagorismo, massoneria, ed. Mantinea, Fumari, a cura
dell’Associazione Pitagorica, un gruppo costituitosi con un poco iniziatico
atto notarile (sic), ma che vanta diretta discendenza dal gruppo del Reghini.
La raccolta è stata purtroppo eseguita con dilettantismo, senza criteri
ed inquadramenti storico-filologici e gli scritti reghiniani (uno
addirittura incompleto) non seguono nè un ordi¬ ne logico, nè
cronologico. Il saggio suW Interdizione pitagorica delle fa¬ ve si potrà
leggere ora completo in Arthos. DIOGENE LAERZIO ricorda come il pensiero di
Pitagora avesse trovato accoglienza presso gli Italioti della Magna Grecia. Come
dice Alcidamante tutti onorano i sapienti. Così i Pari onorano Archiloco,
che pur era blasfemo, e i Chii Omero, che era d’altra città e gli Italioti
Pitagora» (Die fragmente der Vorsokratiker, a cura di H. Diels-W. Kranz;
trad. ital. Bari. Per alcune notizie su Armentano (ed una sua foto), cfr.
SESTITO, A.R.A., il Maestro, in Ygieia, bollettino interno dell’Associazione
Pitagorica. Di Armentano si vedano le Massi¬ me di scienza iniziatica,
commentate dal Reghini in vari numeri d’Atanòr» ed Ignis. Negli anni Trenta
Armentano lasciò l’Italia per il Brasile, dove morì. È sintomatico come anche
Ottaviano in quel periodo si sarebbe allontanato dall’Italia stanziandosi a
Vancouver in Canada. ] quella misteriosa «torre in mezzo al mare. Una
ve¬ detta diroccata, su di uno scoglio deserto dove, con gran
dispiacere di Sibilla Aleramo, il giovane protagonista del romanzo Amo,
dunque sono (Mondadori, Milano), Lucian, alias Parise, avrebbe dovuto
«diventare mago» in compagnia di un amico non nominato, vale a dire
proprio il Reghini. Fu proprio nella torre di Scalea, in
Calabria, che il Reghini rivide il testo della traduzione italiana
deirOccw//flr Phylosophia di Agrippa, a cui premise un ampio saggio di
quasi duecento pagine su E.C. Agrippa e la sua magia. Vi scriveva, fra
l’altro. E perciò, in noi, il senso della romanità si fonde con quello
aristocratico e iniziatico nel renderci fieramente avversi a certe
alleanze, acquiescenze e deviazioni. Forse si avvicina il tempo in cui
sarà possibile di rimettere un po’ a posto le cose, e noi speriamo
che ci venga consentito, una qualche volta, di riportare alla luce qualche
segno dell’esoterismo romano. Quanto alla permanenza di una tradizione
romana, si vorrà ammettere che se una tradizione iniziatica romana pagana
ha potuto perpetuarsi, non può averlo fatto che nel più assoluto mistero. Non è
quindi il caso di interloquire con affermazioni e negazioni. ALERAMO, AMO;
DUNQUE, SONO. Cfr.: «Luciano, Luciano, e tu vuoi essere mago! M’hai detto
d’aver già operato fantastiche cose, fantastiche a narrarsi, ma realmente
accadute. REGHINI, E.C. Agrippa e la sua magia, in: E.C. AGRIPPA, [è un tempo
molto importante, sotto diversi aspetti, per i tentativi di
rivivificazione della tradi¬ zione italica. Nella Salamandra», in un articolo
dal titolo fortunato, poi ripreso da Evola, Imperialismo pagano, Reghini
coglieva occasione, scagliandosi contro il parlamentarismo ed il suffragio
universale che favoriva cattolici e socialisti, di riaffermare l’unità e
l’immutabilità della tradizione pagana in Italia, che, sempre ricollegata
nella sua visione al pitagorismo, si sarebbe trasmessa attraverso le figure di
alcuni grandi ini¬ ziati sino ai nostri giorni. In ottobre, dalle
pagi¬ ne di «Ultra», precisava nello stesso tempo, in un importante
articolo dottrinario, che: Il linguaggio e la razza non sono le cause
della superiorità metafisica, essa appare connaturata al luogo, al
suolo, all’aria stessa. Roma, Roma caput mundi, la città eterna, si
manifesta anche storica¬ mente come una di queste regioni magnetiche
del¬ la terra. Se noi parleremo del mito aureo e so¬ lare in
Egitto, Caldea e Grecia prima di occuparci della sapienza romana, non è
perché questa derivi da quella, ché il meno non può dare il più. Lm
Filosofia occulta o la Magia, Mediterranee, Roma] L’articolo fu poi
ripubblicato in Atanòr, Roma. REGHINI, Del simbolismo e della filologia in
rapporto alla sapienza metafisica, in «Ultra», Vili] Intanto, nella notte
del solstizio d’inverno, si era verificato un insolito episodio, gravido
di future conseguenze: in seguito a misteriose indicazioni, nei pressi di un
antico sepolcro sull’Appia Antica era stato rinvenuto, a cura d’Ekatlos,
accuratamente celato e protetto da un involucro im¬ permeabile, uno
scettro regale di arcaica fattura e i segni di un rituale. Ed il
rito — riporta Ekatlos — e celebrato
ogni notte, senza sosta. E noi sentimmo, meravigliati, accorrervi forze
di guerra e forze di vittoria; e vedemmo balenar nella sua luce le figure
vetuste ed auguste degl’eroi della razza nostra romana; e un segno che
non può fallire e sigillo per il ponte di salda pietra che uo¬ mini
sconosciuti costruivano per essi nel silenzio profondo della notte,
giorno per giorno. Il significato, le vere intenzioni e le origini di
tali [Lasciamo ogni responsabilità circa l’identificazione d’Ekatlos con
il principe Leone Caetani, già da noi incontrato, all’anonimo autore (si
tratta, peraltro, certamente di Mutti, fanatico integralista islamico) di
una postilla alla parziale traduzione francese della rivista evoliana
«Krur» (TRANSILVANUS, A propos de l’article d’Eka- tlos, seguito da una
Note sur Leone Caetani, in EVOLA, Tous les écrits de «Ur» & «Krur»,
111 [Krur], Arché, Milano. Ancor più lasciamo all’autore di tali tristi note
(in cui ancora una volta si dimostra come tra fanatismo religioso e via
iniziatica esista un divario invalicabile) la pesante responsabilità
delle poco ragguardevoli espressioni usate nei confronti del benemerito
principe romano. (30) EKATLOS, La Grande Orma: la scena e le
quinte, in Krur, GRUPPO di UR, Introduzione alla Magia, Roma] riti
pongono un problema», osserva il Di Vona, ma il loro fine immediato fu
esplicito, e come tale è stato dichiarato. Esso fu compiuto nel
dovuto modo da un gruppo che si propose di dirigere verso la
vittoria italiana la I Guerra Mondiale». Ma l’episodio ha un
seguito: il giorno in cui cade la festa romana del Tubilustrium, o
consacrazione delle trombe di guerra) fu fondato a Milano, nella famosa
riunione di Piazza Sansepol- cro, il primo Fascio di Combattimento, piu
tardi denominato Partito Nazionale Fascista. Fra gli astanti vi fu chi,
emanazione dello stesso gruppo che aveva riesumato l’antico rituale,
preannuncio a Benito Mussolini: Voisarete Console d’Italia. E fu la
stessa persona che, qualche mese dopo la Marcia su Roma, vestita di rosso,
offrì al Capo del Governo un’arcaica ascia etrusca, con le dodici
verghe di betulla secondo la prescrizione rituale le¬ gate con strisce di
cuoio rosso.] Con tale atto dal sapore sacrale, come è evidente. [VONA,
Evola e Guénon] EKATLOS. La notizia è riportata con altri particolari nel
Piccolo di Roma. Particolare curioso: la sera stessa Mussolini parti in
aereo alla volta di Udine, onde potere inaugurare il giorno dopo, l’anniversario
dell ’entrata in guerra, il monumentale cimitero di Redipuglia, alla
presenza del Duca d’Aosta. Quella sera, sulla via del ritorno verso Roma,
l’aereo fu costretto, da un inspiegabile guasto, ad un atterraggio di
fortuna nei pressi di Cerveteri, cioè l’antica etrusca Cere, donde forse
proveniva l’arcaico fascio.] le correnti più occulte portatrici della
tradizione romana avrebbero voluto propiziare una restaurazione in senso
«pagano» del fascismo. Altri episodi concomitanti concorrono a rafforzare
questa supposizione. E rappresentata sul Palatino la tragedia Rumori: Romae
sacrae origines, col beneplacito e la presenza plaudente di Benito
Mussolini. La tragedia (o, meglio, alla latina, il Carmen solutum)
risulta opera di un certo Ignis (pseudonimo sotto cui si celerebbe
l’avvocato Ruggero Musmeci Ferrari Bravo), che risulta godere di appoggi assai
influenti, come quello di Ardengo Soffici [cfr. Appendice 11], e appare,
specialmente in quel terzo carmen che fu recitato, più che una semplice
rappresentazione scenica, un vero e proprio atto rituale: un rito di
consacrazione, certamente denotante nell’autore, o nei gruppi restati
nell’ombra di cui egli era emanazione, una conoscenza non solo filologica
della tradizione romana (si pensi che in intermezzi scenici vengono
cantati, al suono di flauti, i versi ianuli e iunonii dei Fratres
Arvales), ma anche di certi suoi lati occulti, come lascia intendere il
rito di incisione su lamine auree dei nomi arcani deU’Urbe e l’esegesi,
volutamente incompleta, dei significati del nome di Roma.
Quest’azione, occulta e palese, sulle gerarchie fasciste affinché i
simboli da esse evocate, come l’aqui¬ la o il fascio, non restassero puro
orpello di facciata, continuerà sino al tempo in cui [Rumon verrà
pubblicata, in splendida edizione ufficiale, dalla Libreria del Littorio, con i
frontespizi ornati di caratteri arcaici romani, disegnati appositamente daBoni,
lo scopritore del Lapis Niger già da noi incontrato, il quale avrà il
privilegio poco dopo, alla sua morte, di essere inumato sul Palatino
stesso. Ancora noteremo come sintomatica l’uscita della Apologia del
paganesimo (Formig- gini, Roma) di Giovanni Costa, futuro
collaboratore delle iniziative pubblicistiche di Evola. Usceno le due
riviste di studi iniziatici Atanòr ed Ignis, dirette da Reghini, e in cui
iniziò una collaborazione il giovane Evola: affronteranno con un rigore
ed una serietà inconsuete, per l’eterogeneo ambiente spiritualista
dell’epoca, tematiche e discipline esoteriche di particolare interesse: vi
comparvero, per la prima volta in Italia, scritti di René Guénon, fra cui
a puntate, pri¬ ma ancora che in Francia, L'esoterismo di Dante. È
peraltro evidente come il contenuto di queste riviste non avesse un
valore puramente speculativo, come dimostrano gli scritti di «Luce»
suirO/7M5 magicum (Gli specchi - Le erbe) negli ultimi due numeri
di [E proprio Boni che, risalendo ai modelli d’origine, mise a punto il
prototipo del fascio romano (oggi al Museo dell’Impero) per il Regime
Fascista: è quello che compare sulle monete da due lire di quel periodo
(cfr. V. BRACCO, L’archeologia del Regime, Volpe, Roma] «Ignis», che preludono
a quelli del successivo Gruppo di Ur. Ma intanto l’auspicata svolta in senso pa¬
gano da parte del fascismo sperata dalla corrente tradizionalista romana
non solo stenta a verificarsi, anzi è messa pericolosamente in forse
dalle mene de¬ gli ambienti cattolici e clericali. In «Atanòr» Reghini
con parole di fuoco depreca alcune espressioni pronunciate da Mussolini
in occasione del Natale di Roma: Il colle del Campidoglio, egli ha detto,
dopo il Golgota, è certamente da secoli il più sacro alle genti civiir.
In questo modo l’On. Mussolini, invece di esaltare la romanità, perviene
piuttosto ad irriderla ed a vilipenderla. Noi ci rifiutiamo di
subordinare ad una collinetta asiatica il sacro colle del Campidoglio. E,
dopo il delitto Matteotti: ecco un clamoroso delitto politico viene
a sconvolgere la vita della nazione, ad agitare gli animi. Investito da
popolari e da ogni gradazione di democratici, a Mussolini non resterebbe
che battere la via dell’imperialismo ghibellino, se non esistesse
un partito che già lo sta esautorando tengano ben presente i nostri nemici che,
nonostante la loro enorme potenza e tutte le loro prodezze, esiste ancor oggi,
come è esistita in passato, traendo le sue radici da quelle profondità
interiori che il ferro e il fuoco non tangono, la stessa catena
iniziatica pagana e pitagorica, inutilmente e secolarmente perseguitata.
L’ordine del giorno Bodrero e le successive leggi sulle società
segrete tolgono ulteriore spazio all’attività pubblicistica del Reghini, che
peraltro confluisce nel Gruppo di Ur, formalmente diretto d’Evola. A noi
qui non interessa tanto esaminare il lavoro di ricerca esoterico svolto
dal Gruppo di Ur, cui parteciparono, come è noto, personalità
appartenenti alle principali correnti esoteriche operanti in quegli
anni in Italia, dai pitagorici ai kremmerziani, dagli steineriani
(antroposofi) ai cattolici eterodossi come il De Giorgio, quanto
sottolineare come in quella sede dovesse essere stato, almeno in parte, ripreso
il programma di influenzare per via sottile le gerarchie del FASCISMO,
nel senso già voluto dal gruppo manifestatosi con la testimonianza d’Ekatlos
(che, non lo si dimentichi, viene riportata proprio nel terzo dei volumi
che raccolgono le testimonianze di tutto il gruppo — in apparenza slegata
da esse — successivamente apparse col titolo di Introduzione alla
Magia). In un inserto per i lettori comparso in Ur, Evola poteva scrivere:
possiamo dire che una Grande Forza, oggi più che mai, cerca un punto di
sbocco in seno a quella barbarie, che è la cosidetta “civilizzazione”
contemporanea — e chi ci sostiene, collabora di fatto ad una opera che
trascende di certo ciascuna delle nostre stesse persone particolari. Del
resto, molti anni più tardi, Evola stesso dichiarerà piuttosto esplicitamente
nella sua autobio¬ grafia spirituale che l’intento del Gruppo era
stato quello, oltre a «destare una forza superiore dr servire d’ausilio
al lavoro individuale di ciascuno», di far sì che «su quella specie di
corpo psichico che si voleva creare, potesse innestarsi per evocazione, una
vera influenza dall’alto», sì che «non sarebbe stata esclusa la
possibilità di esercitare, dietro le quinte, un’azione perfino sulle forze
predominanti nell’ambiente generale. Un’indagine ben più approfondita, come si
vede, meriterebbe di essere svolta sugli evidenti tentativi di
rivitalizzazione, all’interno del Grupo di Ur, delle radici esoteriche e
dei contenuti iniziatici della tradizione romana: a parte i contributi dello
stesso Evola (che firmerà come «EA» e, pare, anche come «AGARDA» e
«lAGLA»), di cui ricordiamo l’importante saggio (nel HI volume)
Sul sacro nella tradizione romana, ancora una volta fondamentale
resta l’apporto del Reghini (che firma come «PIETRO NEGRI»): egli, nella
relazione Sulla tradizione occidentale, sulla scorta di un’attenta
esegesi delle fonti antiche (soprattutto Macrobio) e di personali acute
intuizioni, nonché di probabili «trasmissioni» iniziatiche, non esiterà
ad indicare nel mito di Saturno il «luogo» ove è racchiuso il senso e il
massimo mistero iniziatico della tradizione [EVOLA, Il cammino del
cinabro, Milano. Un esame generale, storico-bibliografico, sul Gruppo di Ur è
stato da me compiuto in lingua tedesca, come studio introduttivo alla versione
tedesca del I volume di Introduzione alla Magia (Ansata Verlag,
Interlaken). Si tratta del notevole ampliamento, riveduto e corretto, di un mio
precedente studio già apparso in «Arthos] romana, un’indicazione utilizzata e
sviluppata ulteriormente nel nostro recente Dèi e miti italici. Intanto,
una serie di articoli polemici sui nuovi rapporti tra fascismo e
chiesa cattolica, che Evola aveva pubblicato in «Critica fascista» di Bottai e
in «Vita Nova» di Leandro Arpinati, e la successiva comparsa di
Imperialismo pagano, che quegli articoli raccoglieva e sviluppava,
riversarono proprio sul Gruppo di Ur pesanti attacchi clericali, fra cui
è in¬ teressante segnalare quello particolarmente violento e
ambiguo, del futuro papa Paolo VI, Montini, allora assistente centrale
ecclesiasti¬ co della Federazione Universitari Cattolici Italiani, che
aveva come organo culturale la rivista Studium (redazione a Roma e a
Brescia). Dalle pagine di «Studium» il Montini accusava i maghi
riuniti attorno a Evola di «abuso di pensiero e di parola di aberrazioni
retoriche, di rievocazioni fanatiche e di superstiziose magie -- Filosofia: una
nuova rivista, Studium. Oltre che del futuro Paolo VI (certamente il più
nefasto fra i papi di questo secolo), apparvero in «Studium» anche gli
attacchi del futuro ministro democristiano del dopoguerra Gonella {Un difensore
del paganesimo; Il nuovo colpo di testa di un filosofo pagano, cui Evola replica
— dopo averlo definito «un tale il cui nome esprime felicemente che vesti
gli si confacciano più che non quelle della romana virilità —
nell'«Appendice Polemica» di Imperialismo paga¬ no. Contro Imperialismo
pagano (le nostre citazioni sono tratte dalla ristampa presso Ar di
Padova) si scomodò tutto l’entourage del giornalismo clericale, da
«L’Osservatore Romano a «L’Avvenire», [Imperialismo pagano fu l’ultimo deciso,
inequivocabile e tragico appello da parte di esponenti della corrente
tradizionalista romana, prima del triste compromesso del Concordato,
affinché il fascismo, come si esprimeva Evola, «cominciasse ad
assumere la romanità integralmente e a permearne tutta la co¬
scienza nazionale», così che il terreno fosse pronto per comprendere e
realizzare ciò che, nella gerarchia delle classi e degli esseri, sta più
su: per comprendere e realizzare il lato sacro, spirituale, iniziatico
della Tradizione» (p. 162). A questo scopo Evola non risparmiava
taglienti critiche alle gerarchie del Regime. Il FASCISMO è sorto dal
basso, da esigenze confuse e da forze brute scatenate dalla guerra
europea. Il FASCISMO si è alimentato di compromessi, si è alimentato di
retorica, si è alimentato di piccole am¬ bizioni di piccole persone.
L’organismo statale che ha costituito è spesso incerto, maldestro,
violento, non libero, non scevro da equivoci. Di più: Evola prevede
addirittura gli al «Cittadino» di Genova, nonché tutta la pubblicistica
fascista fautrice dell’intesa col Vaticano, d’Educazione fascista a
Bibliografia fascista, sino alla stessa bottaiana Critica fascista che ospita
i primi articoli evoliani.] esiti e gli sviluppi della Seconda Guerra
Mondiale. L’Inghilterra e l’America, focolari temibili dei pericolo
europeo, dovrebbero essere le prime ad essere stroncate, ma non occorre
di certo spendere troppe parole per mostrare che esito avrebbe una
simiie avventura sulla base dell’attuale stato di fatto. Data la
meccanizzazione della guerra moderna, le sue possibilità si compenetrano
strettamente con la potenza industriale ed economica delle grandi
nazioni. Era dunque necessario che il fascismo, che bene o male ha messo
su un corpo. Ma non ha ancora un'anima, si rivolgesse senza esitazioni
a quella della Roma precristiana prima che fosse troppo tardi, sì da
«eleggere l'Aquila e il fascio e non le due chiavi e la mitria a simbolo
della sua rivoluzione. Nostro Dio può essere quello aristocratico dei Romani,
il Dio dei patrizi, che si prega in piedi e a fronte alta, e che si porta
alla testa delle legioni vittoriose — non il patrono dei miserabili e
degli afflitti che si implora ai piedi del crocifisso, nella
disfatta di tutto il proprio animo. Il governo di Mussolini firma a nome del Re
d’Italia, considerato dai papi un usurpatore, il cosiddetto Coneordato
con la Chiesa Cattolica e nasce il monstrum giuri- [Che il
cosiddetto Concordato abbia sortito un effetto a dir poco nefasto sulle
sorti, non solo dello stesso fascismo (come le vicende stori- [dico della
Citta del Vaticano. Veniva con ciò tolta ogni speranza residua di azione
all’interno degli ambienti ufficiali, sia da parte di Evola che di Re-
ghini e di altri autorevoli esponenti, restati per lo più in ombra, del
«tradizionalismo romano»: alcuni di loro, come già si è accennato in
nota, abbandonaro¬ no per sempre l’Italia per il Nuovo Continente
nel corso degli anni Trenta. Resta il programma minimo indicato
ancora da Evola in Imperialismo pagano, secondo cui il FASCISMO avrebbe
dovuto: promuovere studi di critica e di storia, non partigiana, ma
fredda, chirurgica, sull’essenza del cristianesimo. Contemporaneamente
dovrebbe promuovere studi, ricerche, divulgazioni sopra il lato
spirituale della paganità, sopra la sua visione vera della vita.] che
successive ben presto dimostrarono, avvalorando i timori di Reghini e di
Evola), ma della stessa Italia del dopoguerra, lo sperimentiamo ancora oggi
sulla nostra pelle, dopo che un quarantennale dominio clericale-borghese
ha provveduto, quasi in ogni campo, ad addormenta¬ re la coscienza delle
«masse» ed a stroncare, con un autentico terrorismo di Stato, qualsiasi
velleità di reazione delle minoranze coscienti della necessità di mutare
uno stato di cose ormai incancrenito. [Mussolini non si era reso conto
che prima di lui uomini non solo autoritari, ma dal potere assoluto — gli
Ottoni, gli Svevi, perfino Carlo V ecc. — si erano dovuti pentire di ogni
intesa, patto e transazione con la Santa Sede.] ogni intesa tra Santa Sede e
Stato italiano avrebbe significato unicamente il riconoscimento giuridico
della validità [Chi avesse pensato che la «Scuola di Mistica Fa¬
scista», fondata significativamente poco dopo la «Conciliazione»,
nell’aprile 1930 nell’ambito del G.U.F. di Milano per opera di Nicolò
Giani, avrebbe svolto una funzione del genere, avrebbe dovuto ben
presto ricredersi amaramente. In realtà, il sentimento religioso dichiarato di
quella che avrebbe voluto costituire Vélite politico-intellettuale del
fascismo si configurava con precisione come cattolico. Lo di¬
chiara, in una maniera che non potrebbe essere più esplicita, lo stesso
fratello del «Duce», Arnaldo Mussolini, in un discorso tenuto alla Scuola:
La nostra esistenza deve essere inquadrata in una marcia solida che sente
la collaborazione della gente generosa e audace, che obbedisce al comando
e tiene gli occhi fissi in alto, perché ogni cosa nostra, vicina o
lontana, piccola o grande, contin¬ gente od eterna, nasce e finisce in
Dio. E non parlo qui del Dio generico che si chiama talvolta per
sminuirlo Infinito, Cosmo, Essenza, ma di Dio nostro Signore, creatore
del cielo e della terra, e del suo Figliolo che un giorno premierà nei
regni ultraterreni le nostre poche virtù e perdonerà, spe¬ riamo, i
molti difetti legati alle vicende della no¬ stra esistenza terrena.] dei
principii su cui si fonda l’ingerenza della Chiesa nelle questioni del¬
lo Stato italiano» (N. SERVENTI, Dal potere temporale alla repubblica
conciliare. Volpe, Roma 1974, p. 42). (39) Cfr. «11 Popolo
d’Italia. Sulla «Scuola di Mistica Fascista», si veda: D. MARCHESINI, La
scuola dei gerarchi, Feltrinelli, Milano] E il filosofo Armando Carlini,
discutendo della nuova mistica, ravvisava la nota più originale del
fa¬ scismo proprio nel suo presupposto «religioso, anzi cristiano,
anzi cattolico; perché «il Dio di Mussolini vuol essere quello definito
dai due dogmi fondamentali della nostra religione (...): il dogma
trinitario e quello cristologico. Quel programma che abbiamo detto
«minimo» cercherà Evola più tardi in parte di compiere con
l’organizzare il lavoro di alcuni suoi insigni collabo¬ ratori attorno al
«Diorama filosofico», la pagina speciale che, con uscita irregolare e
alterna, quindicinale e mensile, cura all’interno del quotidiano cremonese di
Fari¬ nacci, «11 Regime Fascista». La tematica della tradizione romana,
esaminata nei suo simboli, nei suoi miti, nella sua forza spirituale,
ritorna qui frequen¬ temente negli scritti dello stesso Evola, di Costa
(già da noi incontrato), di Massimo Scaligero e di diversi collaboratori
stranieri, come Dodsworth (appartenente alla famiglia reale britan¬ nica)
e lo storico tedesco Franz Altheim. Analoghe collaborazioni sono fornite
da Brelich, in quell’epoca sconosciuto, ma destinato nel dopoguerra a ricoprire
degnamente l’impor- [CARLINI, Mistica fascista, Archivio di studi
corporativi] ID., Saggio sul pensiero fUosofico e religoso del fascismo, Roma] tante
cattedra, che fu del Pettazzoni, di Storia delle Religioni
nell’Università di Roma, e da Guido De Giorgio, già collaboratore di «Ur»
e di altre iniziati¬ ve evoliane. Nel contesto della corrente da noi
defi¬ nita del «tradizionalismo romano» il De Giorgio occupa una
posizione piuttosto anomala e tale che il Reghini avrebbe visto con
sospetto: egli infatti concepisce in Roma la sede eterna, geografica e
storica, ma soprattutto metafisica, in grado di unire in sé stessa
la religione pagana e il cristianesimo, tesi ela¬ borata soprattutto ne
La tradizione romana. D’altra parte, è lo stesso De Giorgio a ribadire
con sorprendente sicurezza la persistenza del culto di Vesta in un
misterioso centro, nascosto e inaccessibile: «Il fuoco di Vesta
(...) arde inaccessibilmente nel Tempio nascosto ove nessuno sguardo
profano sa-[ L’uscita alle stampe di questa edizione (presentata come Ed.
Fla- men, Milano 1973) offre contorni alquanto misteriosi. In ogni caso,
il manoscritto dell’opera sarebbe stato consegnato all’autore della
nota introduttiva, «ASILAS» (che corrisponderebbe ad uno degli
ispiratori del «Gruppo dei Dioscuri» e nel contempo autore di due dei
fascicoli omonimi [si veda poi]), da un antico componente del Gruppo di
Ur, che noi sappiamo corrispondere al «TAURULUS, cioè Corallo
Reginelli, tuttora vivente. L’uscita della Tradizione romana, in
ogni modo, è stata 1 ’occasione per una salutare riflessione sul tema da
parte dell’ambiente tradizionali¬ sta nella prima metà degli anni
Settanta, sia da parte cattolica (si vedano il bollettino «Il rogo» e la
successiva rivista «Excalibur»), sia da parte propriamente «pagana» (si
veda P, Recensione dell’opera di Giorgio, confortata da un parere di
Evola, in Arthos: essenziale come punto di ripresa del discorso sulle
origini della tradizione romana). prebbe penetrare e a lui deve l’Europa
intera la sua vita e il prolungamento della sua agonia. Da questo
fuoco occulto partono scintille che alimentano le crisi e risollevano
periodicamente l’esigenza del ritorno alla Romanità attraverso le varie vicende
di cui s’intesse la storia delle nazioni europee conside¬ rata
geneticamente, internamente e non sul piano limitatissimo della contingenza dei
fatti e degli uomini. Queir immane conflitto, già previsto da Evola, e
che anche il De Giorgio giudicava del tutto inefficace, «se non
addirittura letale per lo spirito e il nome di Roma», avrà in effetti
come risultato più manifesto, per i fini dello studio che qui andiamo
conducendo, di occultare del tutto le fila della corrente di pensiero di
cui siamo andati ripercorrendo la trama. Solo verso la fine degli
anni Sessanta è proprio la ristampa dell’evoliano Imperialismo pagano (e
la scelta pare significativa), curata nel 1968 dal «Cen¬ tro Studi Ordine
Nuovo» di Messina, a tentare [G. DE GIORGIO). L’edizione,
ciclostilata, con copertina stampata in azzurro, venne tolta subito dalla
circolazione in quanto non autorizzata da Evola: la si può considerare
oggi una vera rarità bibliografica. ] di riannodare i termini di un antico
discorso. L’angoscioso grido d’allarme rivolto dall’Autore a Mussolini
per metterlo in guardia contro il ventilato proposito della cosiddetta conciliazione)
— si afferma nell’anonima introduzione — risuona oggi con inusitata attualità e
fa si che Imperialismo pagano venga guardato come un oracolo. Ed è
proprio provenendo dalle fila di Ordine Nuovo, un’organizzazione che lo
stesso Evola ha tenuto in buona considerazione — almeno fino a che la
sua ala borghese-modernista, condotta da Rauti, non confluì nel MSI — che
comincia ad agire, tra la fine degli anni Sessanta ed i primi anni
Settanta, il Gruppo dei Dioscuri, con sede principale a Roma e
dirama¬ zioni a Napoli e Messina. Pare assodato che all’interno del
«Gruppo dei Dioscuri» venissero riprese [Cfr. EVOLA, Il cammino del
cinabro. L’unico gruppo che dottrinalmente ha tenuto fermo senza scendere
in compro¬ messi è quello che si è chiamato AeWOrdine Nuovo. L’interesse
dei «tradizionalisti romani» nei confronti di Ordine Nuovo si esaurisce
sin dall’inizio degli anni Settanta, allorché, da una parte, la frazione
rautiana rientrata nei ranghi del MSI si isterilì in fatui ed estenuanti
giochi di potere (!?) all’interno del partito e in declamazioni
populistico-giovanilistiche (non a caso la cosiddetta Nuova Destra
proviene quasi esclusivamente da quell’ambiente torpido ed ambiguamente
compromissorio), dall’altra, la frazione movimentista ed extraparlamentare
condotta da Clemente Oraziani ed altri si smarrì nelle velleità
inconcludenti e pericolose della «lotta di popolo», con conseguente ed
inevitabile suo annientamento da parte del Potere vero tematiche e pratiche
operative già in uso nel Gruppo di Ur ed è perlomeno probabile che lo
stesso Evola ne fosse al corrente. Fatto sta che nei quattro
Fascicoli dei Dioscuri, usciti in quel torno di tempo, l’idea di Roma da
una parte e di un Centro nascosto dall’altra, a cui il tradizionalismo
dovrebbe far riferimento, ritornano con grande evidenza. Per
l’anonimo autore del primo Fascicolo dei Dioscuri, intitolato Rivoluzione
tradizionale e sovversione (Centro di Ordine Nuovo, Roma), il più grande
dei meriti di Evola è quello: di avere rammentato il destino di Roma
quale portatrice dell’Impero Sacro Universale e di avere tratto da
tale verità le necessarie conseguenze in ordine alle idee-forza che
devono essere mobilitate per una vera rivoluzione tradizionale. Qualche
anno dopo, al termine del terzo fascicolo intitolato Impeto della vera cultura
(tradotto poi anche in francese), il mito di Roma viene additato come
l’unico che sia in grado di condurre ad una superiore unità gli sforzi di tutti
i tradizionalisti italiani: a tutti i tradizionalisti, anziché proporre uno
dei tanti miti soggetti a rapido e facile logoramento, si può
ricordare la presenza di una forza spirituale perennemente viva e
operante, quella stessa che il mondo classico ed il medio-evo definirono
l’ÆTERNITAS ROMÆ. Il Gruppo dei Dioscuri ha notevole importanza come cosciente
riconnessione alle precedenti esperienze sapienziali e come indicazione,
per taluni elementi particolarmente sensibili dell’area della destra
radicale, di possibili indirizzi e sbocchi futuri del «tradizionalismo
romano», anche se la particolare via operativa scelta e, soprattutto, la
mancata qualificazione di taluni componenti, porterà ben presto
alla distruzione dall’interno del Gruppo stesso, di cui non si sentirà più
parlare già prima della metà degli anni Settanta (ci viene detto che
frange disperse del gruppo continuerebbero a sussistere so¬
prattutto a Napoli). È tuttavia da supporre che alcu¬ ni dei gruppi
periferici, sia pure trasformati, ne abbiano continuato il retaggio se, ad
esempio, a Messina, molto probabilmente nell’ambito di alcuni dei vecchi membri
del Gruppo dei Dioscuri viene elaborato un testo dottrinale ed operativo,
a circolazione interna, sotto forma di lezioni di un maestro a un
discepolo, piuttosto interessante. La via romana degli dèi. Diremo
anzitutto dell’essenza della tua religiosità, fornendo alla tua mente
profonda gli argomenti per una serie di esercizi di meditazione affinché
con saldo cuore, tu possa prepararti all’assolvimento del rito. La via romana
degli dèi. Istituto di Psicologia Superiore Operativa, Messina. E
certamente non priva di connessioni genetiche col gruppo romano appare la
sortita, improvvisa, verso la fine degli anni Settanta, nella stessa
Messina, del Gruppo Arx, successivamente editore della Cittadella e degli
omonimi quaderni, in cui senza alcuna attenuazione i possibili itinerari di
approccio alla via romana degli dèi sono indicati attraverso la cosciente
riappropriazione dell’animus romano-italico, rivissuto nel rito stesso, e
nel rigetto, sostanziale e formale, di ogni adesione a forme anche
esteriori del culto cristiano. Quanto segue è storia dei nostri giorni,
dal momento che proprio con l’inizio degli anni Ottanta vi è stata una
nuova cosciente ripresa del moderno «movimento tradizionalista romano»,
una cui rim nifestazione «pubblica» si estrinsicherà in una data ed in un
luogo alquanto significativi. Infatti nella data in cui iniziava l’anno
sacro romano, a Cortona, donde in epoca primordiale Dardano, figlio
di Giove, si sarebbe mosso alla volta della Troade, si tenne un
importante Convegno di studi sulla Tradizione italica e romana, che,
a [Gli Atti sono stati pubblicati nel numero speciale triplo d’Arthos
daU’omonimo titolo. Per una sintetica analisi sulla diversa valenza del
termine «italico» nei vari interventi, cfr. P., Che cos’è la tradizione itala,
in Vie della Tradizione parte l’emergenza di differenti prese di posizone
dei tradizionalisti presenti, ebbe il merito di riproporre la
questione — non puramente dottrinale o formale — di una cosciente
riconnessione aWaurea catena Saturni della tradizione indigena da parte
di chi, pur in quest’epoca di totale dissoluzione di ogni valore,
intenda coscientemente riassumere il fardello delle proprie radici
etniche e spirituali. Successivamente ad un nuovo Convegno, tenutosi a
Messina, sul Sacro in VIRGILIO, la rielaborazione dottrinale e la ridefinizione
concettuale dei valori difesi dagli attuali esponenti del
«tradizionalismo romano» (di cui è parte cospicua anche l’apparire
alle stampe di alcune collane di libri specifiche) si è spostata su un piano più interiore, ma
la loro presenza è destinata a riaffiorare a livello di influenza sottile
e indiretta di gruppi o ambienti eticamente sensibili di un’area
superante i limiti stessi del mon¬ do della «destra politica».
Il futuro dimostrerà se la funzione di questa mi¬ noranza (ben
cosciente di esserlo) si limiterà ad una [Gli Atti sono stati pubblicati in
buona parte nel numero speciale di «Arthos, daH’omonimo titolo. Ci
limiteremo a ricordare la collana 1 Dioscuri per le ECIG di Genova, in
cui figurano L’oltretomba dei pagani di C. Pascal, il mio Dèi e miti
italici. La religiosità arcaica dell ’Eliade di N. D’Anna e Arca¬ na
Urbis di M. Baistrocchi (in stampa); o quella di «Studi Pagani» del
Basilisco di Genova, in cui sono comparsi testi di antichi (Giuliano Augusto,
Giamblico, Simmaco, Porfirio) e di moderni (Guidi, De Angelis, Beghini,
Evola ecc.). pura e semplice azione di testimonianza, sia
pure scomoda per molte cattive coscienze. Il «mito capacitante» di Roma,
come l’antica fenice, è destinato a risorgere continuamente dalle sue ceneri,
poiché riposa nella mente feconda degli dèi archegeti di questa
terra. Da: «Il Piccolo» di Roma. Il Fascio littorio a MUSSOLINI Il giorno
scorso, presentata dall’esimia prof.a Regina Terrazzi, fu dall’on.
Mussolini ricevuta la dott.a prof.a Cesarina Ribulsi, che offriva al
Presidente del Consiglio come augurio un fascio littorio da lei
esattamente ricostruito secondo le indicazioni storiche e
iconografiche. L’ascia di bronzo è proveniente da una tomba
etrusca bimillenaria ed ha la forma sacra col foro per la legatura al
manico: alcuni esemplari simili sono conservati nel nostro Museo
Kircheriano. Le dodici verghe di betulla, secondo la prescrizione rituale,
sono legate con stringhe di cuoio rosso che formano al sommo un cappio
per poter appen¬ dere il fascio, come nel bassorilievo per la scala
del Palazzo Capitolino dei Conservatori. Il fascio ricomposto con
elementi antichissimi e nuovissimi è stato offerto al Duce come simbolo
della sua opera organica di ricostruzione dei valori della nostra stirpe
allacciando le vetuste origini alle forme più vibranti dell’attività gagliarda
e rinnovata che prende le mosse d’antico. La rudezza espressiva del
Fascio è ingentilita dal contrasto tra il verde della patina bronzea e il
rosso del cuoio che ricorda la stessa armonica tonalità che
producono le colonne di porfido presso la porta di bronzo àcWheroon di
Romolo, figlio di Massenzio, al Foro Romano. L’offerta era
accompagnata da una epigrafe latina dedicatoria composta dall’offerente,
la quale nell’università popolare fascista svolge una fervida opera di
propaganda di romanità viva. Il duce gradì l’augurio ed il voto
accogliendoli colla sua consueta serena nobiltà, non senza un segno della
vivacità del sorridente suo spirito latino:. Lei mi ha dato una lezione di
storia, osserva in tono scherzoso. Singolari parole in bocca di chi
dà e darà non poco a fare agli storici futuri. La notizia è
riportata in una rubrica dedicata a I solenni riti, senza
indicazione di paternità. Da: IGNIS, Rumori. Sacrae Romae origines,
tragedia in cinque carmi. Editrice Libreria del Littorio, Roma. LETTERA
DI SOFFICI A S.E. MUSSOLINI legge. Mio caro Presidente, permettimi ti
dia, scritte e sottoscritte anche da me, che ne resto garante, al¬
cune prove di pregi eccezionali della tragedia, che, in fondo, in un vero
poema epico delle origini, è l’esal¬ tazione di oggi della nostra stirpe.
Comincio da un mio giudizio, già a te noto; Rumori è tragedia romana che
può stare a paro col Giulio Cesare di Shakespeare ti fo osservare che il titolo
di Poeta di Roma, dato da Carrère ad ignis, si è dato solo a VIRGILIO e
ad ORAZIO: OTTAVIANO, vive, oggi, tra noi tutti in ispirito, più per questi due
poeti, da lui protetti, che per la sua politica imperiale. E
tu vedi come Rumori sia stato giudicato, prima ancora che esistessero
l’idea e la forza fascista, tra¬ gedia degna di Roma quando competenti
dai nostri a Carrère, ed a me che sono l’ultimo al giudizio — corrono
all’iperbolico per lodare Rumori di ignis bisogna concludere che ci si trova
da¬ vanti ad un’opera d’arte somma, e per fortuna nostra, d’arte italiana
— opera che è, anche per se stessa, di alto significato politico, e di spirito
fascista. Mi rileggo, e mi credo, caro Presidente ed amico carissimo, di
averti scritto una lettera storica. Fai che non sia stata scritta invano,
ma invece il tuo nome vada unito a quello della tragedia Rumori, al poema
di Roma e degno di Roma: e di questo lega¬ me in avvenire, spero che tu
possa essere un po’ grato al tuo affezionato amico e devoto SOFFICI. IL
MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI Caro Soffici, bisogna
assolutamente far marciare Rumori. Il governo appoggia fervidissimamente
l’iniziativa perché essa rientra nel grande quadro della rinascita
nazionale. Saluti fascisti e cordialissimi. f.to
MUSSOLINI Roma. Carme terzo: AUGURE Manifesto è dunque:
amor — essere — ROMA. Se tutte move, ed incende, le create cose legge si
è Amor dell’universo vita così, un tanto Nome, a noi predice: dono di
regno e potestà sovra ogni terra, e dello spirito, e d’imperio.
Confirmato si è, per te, prodigioso il vaticinio. Non
pronunciati mai più sien i Nomi occulti su la Città terribili chiamerebbero
fortune... Li trasmettano, oralmente, i Pontefici ai
Pontefici. Né mai più, tu, l’eccelso pronuncia Nome palese, se
concluso non avrai, prima, il solco sacro. Permesso e commesso mi è:
Nunziare, allora, in gran letizia, al Popolo... quel Nome che
licito non più mi è dire quando, già per tre volte, qui, in tre
diversi suoni, de la gran Madre nostra il Nome risonò.
{Dispiega le dita della sinistra, ad una ad una, per nu¬ merare i
significati del nome). Di significati cinque: È... ’l Nome
palese, latore, con l’occulto: Chiama la Città: Valentia...
Ròbure... Virtù! e ancor: Madre... Mamma... Alma Nutrice! Vostra —
nei nomi vostri oh Re! suoi fondatori... Come del grande Rumon: URBE: la
Città del Fiume! (Pausa) Ammirate! se gli Dei saputo abbiano
addensare, in così breve Verbo, sì pieni tanti arcani.
Mirifici! donando Nomi nove: in quattro occulti ed un — Medio
— palese, e quando, nove, siamo al Rito. Da: G. COSTA,
Apologia del paganesimo, A.F. Formìggini, Roma: Il pagano è, per
definizione, buono. Né un greco, né un romano avrebbero concepito che
l’uomo potesse esser qualcosa di diverso da ciò, che in lui liti¬ gassero
per così dire due nature, che la manifestazione esterna fosse diversa
dall’interna, che né nella vita individuale, né in quella sociale vi fossero
mezzi termini, transazioni, compromessi. Esso è quello che
naturalmente è, cioè buono, come ideale supremo della vita, come dovere, come
necessaria fatalità insita nelle cose umane. Egli vive quindi la vita
interamente, dolorosamente, gioiosamente a un tempo, con un pragmatismo
sano e forte che non ammette ipocrisie, doppiezze, scuse.
Solamente all’uomo cosiddetto moderno è stato concesso, per virtù
di dottrine religiose e culturali che si sono formate a lui d’intorno,
una distinzione ed una separazione del suo essere intimo,
spirituale, psicologico, dal suo essere apparente, esteriore, materiale.
All’antico quando di questa scissione apparve per un momento la possibilità,
egli ne cacciò da sé l’idea, ne biasimò perfino la concezione.
La concezione pagana della vita ha fatto perciò l’uomo tutto d’un
pezzo, ne ha affermato il carattere, ne ha provocato 1’azione. Ecco perché la
vita nel paganesimo ha avuto tutto il suo massimo sviluppo ed è
stata accettata non come un male, ma come un 60 bene
che bisognava con interezza di carattere vivere interamente e sanamente
per sé e per gli altri. Per stabilire l’equilibrio l’uomo deve tornare
al paganesimo poiché il cristianesimo si è mostrato divina opera cui le
sue spalle non sanno sottostare. Ma paganesimo è sincerità e l’uomo deve
ritornare ad essere sincero. Il cozzo a cui l’ha costretto per due
millenni il suo desiderio di seguire il messaggio cristiano e la sua
manifesta impotenza di non saperlo fare, deve risolversi in armonia se egli
vuol sanare in sé l’eterno dissidio. Lo spirito e la carne debbono
avere il medesimo valore ed il loro prevalere non può essere determinato
che da circostanze speciali di individuo, di momento e di luogo che l’uomo può
intravvedere, non deve violare con convinta testardaggine. L’equilibrio di
queste forze, l’esteriore e l’interiore, quindi, deve essere nella dottrina,
come nella vita, assoluto. Da: Im via romana degli dèi, ciclostilato
anonimo, Messina. L'immagine di un dio è lo stemma della Forza
che essa rappresenta. A tutti i fini pratici tali immagini sono
personae, perché qualsiasi cosa possano essere nella realtà esse sono
state personalizzate e forme di pensiero sono state proiettate su un
altro piano. Alcune di queste immagini e le loro attribuzioni sono così
antiche e sono state costruite con tanta ricchezza di lavoro sottile da
essere capaci di ricostruirsi da se stesse, durante l’eventuale lavoro di
meditazione, che l’allievo può fare su una divinità. Resta un minimo invito,
un minimo stimolo, perché il meccanismo scatti e l’immagine si ricomponga, sia
pure su un piano semplicemente psichico. Così, della limatura di ferro,
dispersa su un piano, si raccoglie intorno ad un magnete che venga
posto in mezzo. Se il magnete è forte esso attirerà i granelli
anche se essi sono pochi e molto distanti... AMKDKO R(K ( () ARMKM
ANO (im d’Ygieia Reghini. Piscio littorio a Mussolini n
florno If »cor*o. pr^eniaU dalla tsl- bjU prof.» Rcidna Trmiizl. fa
rtalTon. Maa. aOltnl rlotwta la doti.» pmf.» Osarina RI- baiai cba
offriva al Proatdanta dr’. Contiguo romo aufurln la data de) Mabfio «n falcio
littorio da lei eaattamcDte licoatndto lecoudo la lodicaslonl
atorictie e leooograflclia. l.‘aicla di bronra k prorenlenU
dm aoa tomba etmaca hlmtneoarta ed ba la forma aorra eoi foro per
la Vantura hi manico: alcool eaamplan slmili sono coosenrat: :.i!
nostro Ma.*«o Klrcberiamo. é La dodict verace di l>ctulla.
ascondo la prescrizione rit'iale. sono legala con tirisele ^ cuoio rosso
cba formano al tonimo ua cappio per poter appendere fi fascio, conta
nel ba.MorUiero per la acala del Palazzo Capitolino dd Conaenalori. Il
Fascio ricomposto con elementi antl- fhlHilmt a nuoTltaUnl k stato
offerto al Dora come simbolo della saa opera onrantea di rieoatruztona
del valori della no- Mra attrpa allacciando le veia«ie origini alla
fonn* più vibranti dell'attività gagiarda a rinnovata cha prendo la mosse. Là
rudezza espressiva dal Fascio è in- gantlHta dal contrasto tra (I verde
della patind bronsea e U rosso del molo che ricorda la stes.aa armonica
tonalità che pm- doeono le colonne di porfido presso la porta di bronzo
deD'brroon di Itomdlo, figlio 41 Massenzio al Foro Romano. L'oflerla
efa accompagnata da ani epl- graia latina dedicatoria composta
dall'orfarente. la quale nell'UntvcnUtà Popolare faartsta avolga una
fervida opera di pro- pafgada di romani Ih viva. n Duca gradi
raugorto a fi voto acro- Mlaodoll colla sua consueta serena nobiltà.
2«m senza tm segno della vivacità del sor> ridaots ano spirito latino:
Let mi ba dato nna testone di storia osserva In tono aehanoao.
Btngolart parole In bocca di r.hl db a darà non poca a fare agli storici
futnrl Riproduzione dal Piccolo. Renato del Ponte. Ponte. Keywords:
implicatura maschile, ario, gl’arii, I liguri, romani, antica roma, massoneria
volgare. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ponte” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Ponzio: la ragione conversazionale e il segno
dell’altro, o della semiotica filosofica – la scuola di San Pietro Vernotico --
filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (San Pietro Vernotico). Filosofo italiano. San
Pietro Vernotico, Brindisi, Puglia. Studia a Bari sotto SEMERARI (si veda). Insegna
a Bari. Cura ROSSI-LANDI (si veda). Studia la fenomenologia della relazione
interpersonale. Insegna a Brindisi, Francavilla Fontana, e Terlizzi. Studia scienze
dei linguaggi e linguaggi delle scienze, intert-estualità, inter-ferenze,e mutuazioni. Pubblica “Enunciazione e testo letterario
nell'insegnamento dell'italiano come lingua straniera” (Guerra, Perugia); Linguistica generale, scrittura letteraria e
traduzione, Da dove verso dove. L'altra parola nella comunicazione globale, A
mente. Processi cognitivi e formazione linguistica, Lineamenti di semiotica e
di filosofia del linguaggio; Introduzione a Bachtin (Bompiani); “Il discorso
amoroso” (Mimesis) e Bachtin e il suo circolo (Bompiani, collana “Il pensiero
Occidentale” diretta da Reale); Summule logicales (Bompiani); Manoscritti matematici
(Spirali); La filosofia come professione, come istituzione, presuppone una filosofia
propria del linguaggio, che si esprime nella tendenza del linguaggio al pluri-linguismo
dia-logico, alla correlazione dialogica delle lingue e dei linguaggi di cui
sono fatte, una filosofia del linguaggio, in cui ‘del linguaggio’ è da
intendersi come genitivo soggettivo: un filosofare del linguaggio, che consiste
nella pluri-discorsività dialogizzata. I campi di suo studio e di sua ricerca sono
la semiotica e filosofia del linguaggio. Filosofia del linguaggio è
l'espressione che meglio esprime l'orientamento dei suoi studi e come egli
affronta i problemi relativi alla semiotica dal punto di vista della filosofia
del linguaggio, alla luce degli sviluppi delle scienze dei segni, dalla
linguistica alla bio-semiotica. In tal senso, il suo approccio può
essere più propriamente definito come di pertinenza della semiotica generale,
anche se si occupa di semiotica generale, in termini di critica. La semiotica
generale supera l'illusoria separazione tra le discipline umanistiche, da una
parte, e quelle logico-matematiche e le scienze naturali, dall'altra,
evidenziando invece la condizione di inter-connessione. La sua ricerca
semiotica si riferisce a diversi campi e discipline, praticando un approccio
che è tras-versale e inter-disciplinare, o come direbbe lui stesso "in-disciplinato".
Si occupa di semiotica, di linguistica e delle altre scienze dei linguaggi e
dei segni, nel senso della filosofia del linguaggio, intendendo ‘del linguaggio’
non come indicazione dell'oggetto della filosofia, della filosofia che si
occupa del linguaggio, ma come “la filosofia” del linguaggio stesso, come la
sua attitudine al filosofare. Filosofia del linguaggio e intesa come filosofia
del dia-logo, apertura all'altro, disposizione all'alterità, arte dell'ascolto,
messa in crisi del mono-linguismo, del mono-logismo, inventiva, innovazione,
creatività che nessun ordine del discorso, nessuna de-limitazione dei luoghi
comuni dell'argomentare, può controllare o impedire. Il genere, come ogni
insieme, uniforma indifferentemente, cancella le differenze tra coloro che ne
fanno parte, e implica l'opposizione altrettanto indifferente con coloro che
fanno parte del genere opposto. Ogni genere a cui l'identità si appella per
affermare la sua appartenenza, per esempio comunitaria, etnica, sessuale,
nazionale, di credo, di ruolo, di mestiere, di condizione sociale, è in
opposizione a un altro genere: bianco/nero; uomo/donna; comunitario/extra-comunitario;
co-nazionale/straniero; professore/studente. Afferma che ogni
differenza-identità, ogni differenza di genere, al suo interno, è cancellazione
della differenza singolare e ogni genere. Ogni identità presuppone, in quanto
basato sull'indifferenza e sull'opposizione, prevede il conflitto.
L'unica differenza non indifferente e non oppositiva è la differenza singolare,
fuori identità, fuori genere, come d“sui generis” è l'alterità. Alterità intesa
come relazione con l'altro, alterità assoluta, di unico a unico, in cui
ciascuno è in-sostituibile e non indifferente. Un'alterità che l'identità
rimuove e censura, relega nel privato, ma che ciascuno vive e riconosce come vera
relazione con l'altro. Altre saggi “La relazione inter-personale” (Adriatica,
Bari), “L’altro” (Adriatica, Bari); “Linguaggio e re-lazioni sociali”
(Adriatica, Bari); Produzione linguistica e ideologia sociale (Donato, Bari); “Persone,
linguaggi e conoscenza” (Dedalo, Bari); “Filosofia del linguaggio e prassi sociale”
(Milella, Lecce); “Dia-lettica e verità -- Scienza e materialismo
storico-dialettico” (Dedalo, Bari); “La semiotica” (Dedalo, Bari); “Marxismo,
scienza e problema dell'uomo” (Bertani, Verona); “Scuola e pluri-linguismo
(Dedalo, Bari); “All’origini della semiotica” (Dedalo, Bari); “Segni e
contraddizioni” (Bertani, Verona);“Spostamenti, Percorsi e discorsi sul segno”
(Adriatica, Bari); “Lo spreco dei significanti. L'eros, la morte, la scrittura”
(Adriatica, Bari); -- Grice: “Implicatura come lo spreco” -- Fra linguaggio e
letteratura” (Adriatica, Bari); “Segni per parlare dei segni” (Adriatica,
Bari); Filosofia del linguaggio (Adriatica, Bari); Interpretazione e scrittura.
Scienza dei segni ed eccedenza letteraria” (Bertani, Verona); eccedenza –
spreco. “Dialogo sui dialoghi (Longo,
Ravenna); La filosofia del linguaggio (Adriatica, Bari); “La tartaruga” (Ravenna,
Longo); “Filosofia del linguaggio”; “Segni valori ideologie” (Adriatica, Bari);
“Dialogo e narrazione” (Milella, Lecce); “Tra semiotica e letteratura” (Bompiani,
Milano); “La ricerca semiotica (Bologna, Esculapio); “Il dialogo della menzogna”
(Roma, Stampa alternativa, Scrittura, dialogo e alterità” (Nuova Italia,
Firenze); Fondamenti di filosofia del linguaggio (Laterza, Roma); “Responsabilità
e alterità” (Jaca, Milano); “La differenza non in-differente. Comunicazione e guerra,
Mimesis, Milano); “Il segno dell'altro:
eccedenza letteraria e prossimità” (Scientifiche, Napoli); I ricordi, la
memoria, l'oblio. Foto-grafie senza soggetto (Bari, Sud); Comunicazione,
comunità, informazione -- comunicazione mondializzata e tecnologia (Manni, Lecce); “I tre dialoghi
della menzogna e della verità (Scientifiche, Napoli); “La rivoluzione
bachtiniana. Il pensiero di Bachtin e l'ideologia contemporanea” (Levante, Bari);
“Metodologia della formazione linguistica” (Laterza, Roma); “Che cos'è la
letteratura?” (Milella, Lecce); “Elogio dell'in-funzionale -- critica dell'ideologia
della produttività” (Castelvecchi, Roma); “Semiotica della musica. Introduzione
al linguaggio musicale” (Graphis, Bari); “La coda dell'occhio. Letture del
linguaggio letterario” (Graphis, Bari); Basi. Significare, inventare, dia-logare”
(Lecce, Manni); “La comunicazione” (Graphis, Bari); “Fuori campo: il segno del
corpo tra rappresentazione ed eccedenza (Mimesis, Milano); Il sentire nella
comunicazione” (Meltemi, Roma); Semiotica dell'io” (Meltemi, Roma); “I segni e
la vita la semiotica” (Spirali, Milano); “Uomini, linguaggi, mondo” (Milano,
Mimesis); “Il linguaggio e le lingue. Introduzione alla linguistica generale” (Bari,
Graphis); “I segni tra globalità e infinità. Per la critica della comunicazione
globale (Bari, Cacucci); “Semio-etica (Roma, Meltemi); “Linguistica generale,
scrittura letteraria e traduzione” (Perugia, Guerra); “Semiotica e dia-lettica,
Bari, Sud); “La raffigurazione letteraria (Milano, Mimesis); Semiotica globale.
Il corpo nel segno (Bari, Graphis); Testo come iper-testo e tra-duzione
letteraria, Rimini, Guaraldi); Tesi per il futuro anteriore della semiotica. Il
programma di ricerca della Scuola di Bari-Lecce, (Milano, Mimesi); Dialoghi
semiotici (Napoli, Scientifiche); “La cifre-matica e l'ascolto” (Bari, Graphis);
“Fuori luogo. L'es-orbitante nella ri-produzione dell'identico” (Roma, Meltemi);
“A mente. Processi cognitivi e formazione linguistica” (Perugia, Guerra);
Lineamenti di semiotica e di filosofia del linguaggio (Bari, Graphis); Tre
sguardi su Dupin” (Bari, Graphis); “Scrittura, dia-logo, alterità” (Bari,
Palomar); “Linguaggio, lavoro e mercato” (Milano, Mimesis); “La dis-sidenza
cifre-matica” (Milano, Spirali); Contexto, Da dove verso dove. La parola altra
nella comunicazione globale (Perugia, Guerra); “La visione ottusa” (Milano,
Mimesis); “L’analisi, la scrittura” (Bari, Graphis); Interpretazione e
scrittura, Scienza dei testi ed eccedenza letteraria” (Multimedia, Lecce); “In
altre parole, Mimesis, Milano); “La filosofia del linguaggio” (Laterza, Bari); “Marxismo
e umanesimo. Per un'analisi semantica delle tesi su Feuerbach (Dedalo, Bari); “Manoscritti
matematici” (Dedalo, Bari); Saggi filosofici (Dedalo, Bari); Marxismo e
filosofia del linguaggio (Dedalo, Bari); Freudismo, Dedalo, Bari); Semiotica,
teoria della letteratura e marxismo (Dedalo, Bari); Il linguaggio (Bari, Dedalo);
“Linguaggio e classi sociali. Marxismo e stalinismo (Dedalo, Bari); Il metodo
formale e la teoria della letteratura” (Dedalo, Bari); “L'a-lienazione come
fenomeno sociale” (Riuniti, Roma); “Il linguaggio come pratica sociale”
(Dedalo, Bari); “Poli-fonie” (Adriatica, Bari); Scienze del linguaggio e pluri0linguismo.
Riflessioni teoriche e problemi didattici” (Adriatica, Bari); Scienze del
linguaggio e insegnamento delle lingue e delle letterature. Annali del convegno
(Adriatica, Bari); “Tractatus. Summule logicales” (Adriatica, Bari); “La significanza
del senso, in “Idee”, “La genesi del
senso”; Il linguaggio questo
sconosciuto. Iniziazione alla linguistica (Adriatica, Bari); Il linguaggio come
lavoro e come mercato” (Bompiani, Milano); Segni (Laterza, Bari); “Umanesimo
ecumenico (Adriatica, Bari); “Semiosi come pratica sociale” (Napoli, Scientifiche
Italiane, Napoli); “Semiotica e ideologia” (Milano, Bompiani); “Uccelli, Stampa
alternativa, Baria); “Il mio ventesimo secolo” (Adriatica Bari); “Sulla traccia
del grice” “Idee”, Emmanuel Lévinas, Su Blanchot (Palomar, Bari); “Maschere. Il
percorso bachtiniano fino alla pubblicazione dell'opera su Dostoevskij (Dedalo,
Bari); Idea e realtà dell'Europa: Lingue, letterature, ideologie, “Annali della
Facoltà di Lingue e Letterature Straniere”, Schena, Fasano (Brindisi), Comunicazione,
comunità, informazione” (Manni, Lecce); “Valéry, Cimitero marino, in “Athanor”,
Il Mondo/il Mare, e in “L'immaginazione”,
Problemi dell”opera di Dostoevskij (Sud, Modugno (Bari); Behar, Al margine (Sud,
Modugno Bari) Bachtin, Problemi dell'opera di Dostoevskij Sud, Bari); “Significato, comunicazione e
parlare comune” (Marsilio, Venezia); “La scrittura e l'umano, Saggi, dialoghi,
conversazioni” (Bari, Sud); “Per una filosofia dell'azione responsabile” (Manni,
Lecce); “Vivant, Riflessioni su Lévinas” (Bari, Edizioni dal Sud); “Marxismo e filosofia
del linguaggio” (Manni, Lecce); “Il metodo della filosofia”; “Saggi di critica
del linguaggio” (Graphis, Bari); “Disoccupazione strutturale, “Millepiani”, “Lingua,
metafora, concetto”; “VICO e la linguistica cognitiva” (Sud, Bari); Meditazioni
(Sud, Bari); “Dall'altro all'io”
(Meltemi, Roma); Vita, Athanor. Semiotica, Filosofia, Arte, Letteratura, Meltemi,
Roma); “Linguaggio e scrittura” (Meltemi, Roma); “Trattato di logica. Summule logicales
(Bompiani, Milano); “Il linguaggio come lavoro e come mercato” (Bompiani,
Milano); “Basi della semiotica”; “Nel segno” (Bari, Laterza); “Mondo di guerra,
Athanor; “Semiotica, Filosofia, Arte, Letteratura” (Roma, Meltemi); “Ideologia”
(Meltemi, Roma); “Il freudismo” (Milano, Mimesis); Marx Manoscritti matematici,
edizione critica con intruduzione (Spirali, Milano); Fucini, Le veglie di neri
e All'aria aperta, ed. Critica, Sbrocchi (Bari, Dedalo); “Metodica filosofica e
scienza dei segni” (Milano, Bompiani); “Semiotica e ideologia” (Milano, Bompiani);
Qohélet: versione in idioma saletino e trad. italiana, Caputo, Lecce, Milella);
In dialogo. Conversazioni (Milano, Esi, Athanor. Umano troppo dis-umano (Roma, Meltemi); Linguaggi,
Scienze e pratiche formative. Quaderni del Dipartimento di Pratiche linguistiche
e analisi di testi, Lecce, Pensa Multimedia, La filosofia del linguaggio (Bari,
Laterza); “La filosofia del linguaggio come arte dell'ascolto”; “Sulla ricerca
scientifica” Bari, Edizioni dal Sud, Athanor. La trappola mortale
dell'identità, Roma, Meltemi e letture critiche, Bari, Sud, Calefato, Logica,
dia-logica, ideo-logica. I segni tra funzionalità ed eccedenza, Semiosi, in-funzionalità,
semiotica” (Milano, Mimesis); “La filosofia del linguaggio come arte
dell'ascolto”; “Sulla ricerca” (Bari, Sud,); Lingua e letteratura, conoscenza e
coscienza”; “Identità e alterità nella dinamica della co-scienza storica”; “Tutto
il segnico umano è linguaggio; Per Qohélet emigrato nel Sud è la vanità ad
essere nienzi: dentr il dialetto è
straniera la parola dei re Nuessel, “Virtual; Dal silenzio primordiale al
brusio della parola”; “Alla ricerca della parola “vissuta”; Tutt'altro”; “In-funzionalità
ed eccedenza come prerogative dell'umano” (Milano, Mimesis). Augusto Ponzio.
Ponzio. Keywords: il segno dell’altro, semiotica filosofica, segno, segnico, il
segnico, l’amore, lo spreco del segno, Vico e la linguistica cognitiva; Landi; sottiteso,
Grice, pragmatica, metafora, vailati. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ponzio” –
The Swimming-Pool Library.
Grice e Porta: la
ragione conversazionale -- filosofia italiana -- there may be another!
Grice e Porta (Castelnuovo Garfagnana).
Filosofo italiano. PORTA nascea Castelnuovo
Garfagnana e muore a Venezia. Pittore, matematico, astronomo e astrologo
italiano, studia a Roma, dove conosce il maestro Francesco SALVIATI (del quale
assunse il cognome), assieme al quale si trasferì poi a Venezia. Ivi, tra le
tante opere, si occupa della decorazione del soffitto della Marciana e affresca
la sala regia dei Palazzi vaticani a Roma. Nella prima parte del Codice
Marciano Porta affronta il tema del rapporto tra movimento degli astri e
linguaggio, indagando la formazione degl’elementi vocali, definendo
un'embrionale tassonomia dei suoni e prospettando la possibilità di una
loro riproduzione ARTIFICIALE attraverso appropriati dispositivi meccanici.Per
approfondimenti vedasi treccani.it/enciclopedia/giuseppe-porta Dizionario-Biografico,
a cura di Biffis. Giuseppe Porta, detto il Salviati o il
Salviatino (Castelnuovo di Garfagnana, 1520 – Venezia, 1575), è stato un
pittore italiano. Targa al pittore visibile sotto il Loggiato a lui
dedicato Biografia Si formò nella bottega del celebre Francesco Salviati, in
onore del quale decise di assumere proprio "Salviati" come nome
d'arte. Già nel 1535 era a Roma assieme al maestro, dove si dedicò alla
decorazione esterna delle facciate di vari palazzi; è in questo periodo che i
due poterono studiare da vicino le opere di Raffaello: sarà questo un fatto
centrale in quella definizione di maniera che così come stabilita dai due
artisti di concerto al Vasari guarderà alla maniera dello stesso Raffaello
oltre che di Michelangelo. Nel 1539 il Porta lasciò Roma per recarsi
prima a Firenze (dove ebbe appunto a conoscere il Vasari), poi a Bologna e
quindi, nel luglio dello stesso anno a Venezia. Il suo primo lavoro
autonomo fu quello che gli garantì la maggior fama, ovvero l'incisione posta a
frontespizio del volume Le sorti intitolate giardino d'i pensieri, libro
divinatorio pubblicato da Francesco Marcolini nel 1540, di cui il Porta curò
anche le illustrazioni interne: tali vignette formavano un repertorio di tipi e
di situazioni figurative a cui si ispirarono i maestri della nuova generazione
(Tintoretto, Bassano, ecc.); lo stesso frontespizio, di per sé, è da molti
studiosi considerato un vero e proprio manifesto del Manierismo. Alla
partenza di Francesco Salviati, nel 1541, il Porta cominciò a dedicarsi con maggior
costanza alla decorazione di palazzi veneziani, tra cui Palazzo Loredan a Santo
Stefano. Fu in quel periodo che lavorò alla splendida Sala della Libreria della
Biblioteca Marciana assieme, fra gli altri, al Veronese ed al Tintoretto: sono
del pittore castelnuovese una delle file di tondi del soffitto ed un Prometeo
sulla parete destra. Nel 1548 gli venne commissionata per la Basilica dei
Frari la pala d'altare Presentazione di Gesù al Tempio. Nel 1565 il Porta
tornò a Roma per completare gli affreschi vaticani, lasciati incompiuti dal
maestro Francesco Salviati; nell'anno successivo venne eletto membro effettivo
dell'Accademia del Disegno a Firenze. Tornato a Venezia, fu chiamato ad
affrescare un soffitto di Palazzo Ducale, oggi sfortunatamente perduto.
Negli ultimi anni si dedicò prevalentemente a studi di matematica.
Giuseppe Porta da Le vite del Vasari «Fu allievo di Francesco Salviati Giuseppo
Porta da Castel Nuovo della Carfagnana, che fu chiamato anch'egli, per rispetto
del suo maestro, Giuseppo Salviati. Costui giovanetto, l'anno 1535, essendo
stato condotto in Roma da un suo zio, segretario di monsignor Onofrio Bartolini
arcivescovo di Pisa, fu acconcio col Salviati, appresso al quale imparò in poco
tempo non pure a disegnare benissimo, ma ancora a colorire ottimamente. Andato
poi col suo maestro a Vinezia, vi prese tante pratiche di gentiluomini, che,
essendovi da lui lasciato, fece conto di volere che quella città fusse sua
patria; e così presovi moglie, vi si è stato sempre et ha lavorato in pochi altri
luoghi che a Vinezia. In sul campo di S. Stefano dipinse già la facciata della
casa de' Loredani di storie colorite a fresco molto vagamente e fatte con bella
maniera. Dipinse similmente a San Polo quella de' Bernardi, et un'altra dietro
a San Rocco, che è opera bonissima. Tre altre facciate di chiaro scuro ha fatto
molto grandi, piene di varie storie: una a San Moisè, la seconda a San
Cassiano, e la terza a Santa Maria Zebenigo. Ha dipinto similmente a fresco in
un luogo detto Treville, appresso Trevisi, tutto il palazzo de' Priuli, fabrica
ricca e grandissima dentro e fuori; della quale fabrica si parlerà a luogo
nella Vita del Sansovino. A Pieve di Sacco ha fatto una facciata molto bella;
et a Bagnuolo, luogo de' frati di Santo Spirito di Vinezia, ha dipinto una
tavola a olio; et ai medesimi padri ha fatto nel convento di Santo Spirito il
palco overo soffittato del loro refettorio, con uno spartimen to pieno di
quadri dipinti, e nella testa principale un bellissimo Cenacolo. Nel palazzo di
San Marco ha dipinto nella sala del Doge le Sibille, i Profeti, le Virtù
cardinali, e Cristo con le Marie, che gli sono state infinitamente lodate. E
nella già detta Libraria di San Marco fece due storie grandi, a concorrenza
degli altri pittori di Vinezia, de' quali si è ragionato di sopra. Essendo
chiamato a Roma dal cardinale Emulio dopo la morte di Francesco, finì una delle
maggiori storie che sieno nella detta sala dei Re, e ne cominciò un'altra; e
dopo, essendo morto papa Pio Quarto, se ne tornò a Venezia, dove gli ha dato la
Signoria a dipignere in palazzo un palco pieno di quadri a olio, il quale è a
sommo delle scale nuove. Il medesimo ha dipinto sei molto belle tavole a olio:
una in San Francesco della Vigna, all'altare della Madonna; la seconda nella
chiesa de' Servi all'altar maggiore; la terza ne' Fra' Minori; la quarta nella
Madonna dell'Orto; la quinta a San Zacaria, e la sesta a San Moisè; e due n'ha
fatto a Murano, che sono belle e fatte con molta diligenza e bella maniera. Di
questo Giuseppe, il quale ancor vive e si fa eccellentissimo, non dico altro
per ora, se non che, oltre alla pittura, attende con molto studio alla
geometria; e di sua mano è la voluta del capitel ionico che oggi mostra in
stampa come si deve girare secondo la misura antica; e tosto doverà venire in
luce un'opra che ha composto delle cose di geometria.» (Tratto da: Le
vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori di Giorgio Vasari,
pittore e architetto fiorentino del XVI secolo) Opere Circoncisione di
Gesù, 1570, collezione Luigi Grassi, Roma Ciclo d'affreschi sulla Passione
della Cappella del SS. Sacramento, chiesa di San Polo Frontespizio "Le
sorti", 1540, Fine Art Museum of San Francisco Presentazione di Gesù al
Tempio, 1550-1560 ca., pala d'altare, Santa Maria Gloriosa dei Frari, Venezia
Profeti, 1550-1560 ca., pala d'altare, Santa Maria Gloriosa dei Frari, Venezia
La Purificazione di Maria Vergine e santi, pala d'altare, Santa Maria Gloriosa
dei Frari, Venezia Madonna con Bambino e i santi Antonio Abate e Bernardo, pala
d'altare, San Francesco della Vigna, Venezia Santa Caterina d'Alessandria con i
santi Gerolamo, Giovanni Battista e Giacomo Apostolo, pala d'altare, San
Francesco della Vigna, Venezia Cristo Redentore tra san Giovanni Battista, san
Gerolamo, santa Caterina e san Tommaso, studio per pala d'altare, Getty Museum,
Los Angeles Ratto delle Sabine, disegno a penna e inchiostro bruno, Museo del
Louvre, Parigi Crocifissione, cappella della Trinità, Basilica dei Santi
Giovanni e Paolo, Venezia Cristo Risorto con gli apostoli Giacomo, Tommaso,
Filippo e Matteo, 1560, cappella della Trinità, Basilica dei Santi Giovanni e
Paolo, Venezia La Resurrezione, Nationalmuseum, Stoccolma Riconciliazione
dell'imperatore Federico Barbarossa, affresco, Palazzo Vaticano, Roma Guerriero
e tre donne attorno alla morente, disegno a penna e inchiostro bruno, Museum of
Fine Arts, Boston Ratto delle Sabine, olio su tela, Bowes Museum, Durham
Cacciata dal Paradiso, olio su tela, Musée des Augustins, Tolosa Presentazione
di Gesù al Tempio, basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari, Venezia
Presentazione di Gesù al Tempio, basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari,
Venezia Caterina d’Alessandria con i santi Gerolamo, Giovanni
Battista, Giacomo Apostolo , chiesa di San Francesco della Vigna, Venezia
Caterina d’Alessandria con i santi Gerolamo, Giovanni Battista, Giacomo
Apostolo , chiesa di San Francesco della Vigna, Venezia Vergine con
il Bambino, sant’Antonio Abate e san Bernardo, chiesa di San Francesco della Vigna
Vergine con il Bambino, sant’Antonio Abate e san Bernardo, chiesa di San
Francesco della Vigna Cristo Risorto con gli apostoli, basilica dei
Santi Giovanni e Paolo, Venezia Cristo Risorto con gli apostoli, basilica dei
Santi Giovanni e Paolo, Venezia Deposizione dalla Croce, chiesa di
San Pietro Martire, Murano (Venezia) Deposizione dalla Croce, chiesa di San
Pietro Martire, Murano (Venezia) Voci correlate Francesco Salviati Giorgio
Vasari Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o
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PORTA, Giuseppe, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 85, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 2016. Modifica su Wikidata Controllo di autorità VIAF
(EN) 52560725 · ISNI (EN) 0000 0001 1643 0484 · SBN BVEV051457 · BAV 495/138689
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(EN) n81086676 · GND (DE) 122036182 · BNE (ES) XX1769195 (data)
Portale Arte Portale Biografie Categorie: Pittori italiani
del XVI secoloNati nel 1520Morti nel 1575Nati a Castelnuovo di GarfagnanaMorti
a Venezia[altre] PORTA (Salviati),
Giuseppe. – Figlio di Ludovico e di una certa Maria de Rocca, nacque il 20
maggio 1520 (come riportato da Migliorini, 1899, p. 6, sulla scorta di
documenti non più rintracciati) a Castelnuovo Garfagnana, feudo estense in
territorio toscano. La famiglia paterna
costituiva una delle casate più autorevoli del centro garfagnino, annoverando
diversi membri impegnati nel campo dell’amministrazione e del diritto (Nesi,
2005, p. 290). Il padre fu più volte sindaco della Vicaria, mentre il cugino Francesco
è ricordato per aver ordinato e tradotto in volgare gli statuti cittadini,
nonché per essere l’autore di un poema di ispirazione dantesca intitolato La
visione (Firenze, appresso Giorgio Marescotti, 1577). È possibile che anche
Giuseppe, primogenito del ramo di Ludovico, abbia potuto contare in gioventù su
una prima educazione di stampo umanistico, di cui resterebbe traccia negli
interessi scientifici della sua maturità.
Stando a Giorgio Vasari, la sua formazione si svolse a Roma, dove giunse
nel 1535 accompagnato da uno zio «segretario del vescovo di Pisa» (1568, 1871,
p. 45) che lo mise a studiare con Francesco de’ Rossi, detto il Salviati, a
quel tempo una delle personalità emergenti nel panorama artistico romano. Qui, sempre secondo Vasari, il giovane Porta
evidenziò ben presto una naturale predisposizione pittorica, imparando in breve
tempo «non pure a disegnare benissimo, ma ancora a colorire ottimamente» (p.
45). L’apprendistato dovette plausibilmente svolgersi nel segno di una solida
pratica disegnativa, maturata a contatto con i tradizionali modelli
dell’antichità e con l’ambiente dei seguaci di Raffaello (soprattutto Perino
del Vaga e Polidoro da Caravaggio). Significativa fu senz’altro anche la
pratica come frescante, tecnica di cui in seguito il garfagnino sarebbe
diventato un riconosciuto maestro e da cui avrebbe derivato una peculiare
sensibilità cromatica, evidenziata anche dai critici seicenteschi («arricchì la
pittura di colori non ordinari», Boschini, 1674, pagina non numerata). Non sono finora note opere risalenti al
periodo romano, anche se è plausibile che egli possa aver collaborato con il
maestro in occasione di commissioni pubbliche degli anni Trenta, come nel caso
degli apparati temporanei per l’ingresso di Carlo V a Roma (1536), o
dell’affresco con la Visitazione della Vergine per l’oratorio dei Fiorentini,
sempre a Roma (1538; McTavish, 1981, pp. 22-29). Non si può inoltre escludere
che alcuni dei disegni giovanili di soggetto antiquario – come la Scena
classica di Windsor (Royal collection, inv. 5488; McTavish, 1981, p. 361) –
debbano essere riferiti a questo periodo di formazione. Nella primavera del 1539 intraprese, al
seguito di Francesco Salviati, un viaggio verso il Nord Italia, che lo condusse
prima a Firenze, poi a Bologna e infine a Venezia, dove i due artisti giunsero
ai primi di luglio del 1539 (Cheney, 1963).
Il soggiorno veneziano fu probabilmente propiziato da un invito da parte
dei Grimani, che in quegli anni stavano portando avanti un ambizioso programma
di rinnovamento decorativo del loro palazzo di Santa Maria Formosa,
coinvolgendo maestranze centro-italiane; esso si inquadra inoltre all’interno
del più vasto fenomeno di aggiornamento in chiave classicista della cultura
veneziana, che spinse tra terzo e quinto decennio del Cinquecento diversi
pittori e letterati a lavorare o a trasferirsi temporaneamente in laguna
(Hochmann, 2004). In questo contesto si
colloca l’esordio artistico di Giuseppe Porta che, nell’ottobre del 1540,
realizzò, firmandolo, il frontespizio illustrato de Le sorti intitolate
giardino d’i pensieri di Francesco Marcolini, vero e proprio «manifesto grafico
del manierismo veneziano» (Pallucchini, in Tiziano e la silografia, 1976, p.
XV), nonché alcune delle allegorie e dei ritratti di filosofi che adornano il
volume, che si distinguono per l’impostazione romanista nei gesti e nelle pose
(Mancini, 1993, pp. 2-6). Simili caratteristiche tornano anche nei primi lavori
pittorici che ci sono giunti, come nel caso della Resurrezione di Lazaro (Venezia,
Fondazione Giorgio Cini), oppure della tavola con La caduta della manna
(Milano, coll. privata; Pallucchini, 1975).
Alla partenza di Francesco Salviati, nel giugno del 1541, Porta prese la
decisione di fissare la propria residenza a Venezia, potendo contare, tra
l’altro, sul sostegno di non meglio precisati «gentiluomini» veneziani (Vasari,
1568, 1871, p. 45). Gli incarichi dei primi anni Quaranta testimoniano in
effetti un prevalente impegno nel campo della decorazione ad affresco,
soprattutto di ville e residenze nobiliari della terraferma; nonostante molte
delle opere ricordate dalle fonti debbano considerarsi perdute, alcuni disegni
superstiti consentono di definire temi e modelli prevalenti, mettendo in luce
il suo impegno per un rinnovamento in chiave classicista dei codici decorativi
nel campo dell’affresco (McTavish, 1985).
Tra i lavori di questo periodo vanno segnalati gli affreschi eseguiti
con Camillo Capelli, detto Camillo Mantovano, per una residenza rurale del
Padovano, da identificare con villa Saraceno ‘delle trombe’ di Agugliaro,
documentati nell’autunno del 1541 (Biffis, 2013a, pp. 11-15), le decorazioni
interne di villa Priuli a Treville, nel Trevigiano, compiute nel 1542 (Ridolfi,
1648, 1914, pp. 240 s.) oltre che «una facciata molto bella» a Piove di Sacco
(Vasari, 1568, 1871, p. 45). Tra le primissime opere vanno incluse inoltre
alcune sezioni degli affreschi con Uomini illustri della Sala dei Giganti a
Padova, attribuiti a Porta sulla base di serrati raffronti stilistici (Bodon, 2009).
Da scalarsi in progressione fino alla metà degli anni Cinquanta sono infine
altre imprese decorative compiute in prevalenza a Venezia, tra cui si
annoverano gli affreschi per Ca’ Bernardo a San Polo, quelli per un edificio a
San Rocco (pagamenti nel novembre 1551: McTavish, 1981, p. 206), e ancora
l’intera facciata di palazzo Loredan a Santo Stefano, decorata con Storie
romane e conclusa entro il 1556 (pp. 210-213). -ALT Attorno al 1544 viene tradizionalmente
fissata la commissione dei dipinti per il monastero di S. Spirito in Isola a
Venezia, a quel tempo oggetto di un ambizioso programma di riqualificazione
architettonica e pittorica, per il quale Porta realizzò le portelle dell’organo
con Il trionfo di David e David e Saul, come pure il telero con l’Ultima cena
per il refettorio e i tre tondi con scene del Vecchio Testamento (Elia nutrito
dall’Angelo; La raccolta della manna; Abacuc portato a Daniele). L’insieme, trasferito alla Madonna della
Salute a seguito della soppressione dell’Ordine nel 1657, testimonia un cauto
avvicinamento ai modi della pittura veneziana contemporanea, soprattutto sul
piano delle scelte volumetriche e cromatiche (Mc Tavish, 1981, pp.
128-140). Gli anni seguenti evidenziano
un progressivo incremento degli incarichi pubblici, in particolare per dipinti
d’altare commissionati da famiglie di ceto procuratorio e importanti ordini
religiosi; contemporaneamente si assiste anche a un crescente interesse da
parte della critica e del pubblico dotto, attestato, tra l’altro, dalla presenza
del suo nome nell’epistolario di Pietro Aretino nel maggio 1548 (Rossi, 1995,
pp. 187 s.). Tra i lavori più importanti
eseguiti a cavallo della metà del secolo, e di cui si conservano in certi casi
anche disegni preparatori con interessanti varianti iconografiche (Jaffé,
1955), vanno ricordati: la Presentazione di Gesù al Tempio e santi, eseguita
nel 1548 su commissione dei procuratori di S. Marco de Ultra per l’altare
Valier ai Frari (Maronese, 2013; Biffis, 2013b); la Deposizione dalla Croce per
S. Pietro Martire a Murano, risalente al 1548-50 circa (Zaru, 2014, p. 241);
l’Assunzione della Vergine per S. Maria dei Servi, del 1550-55 circa (ora ai
Ss. Giovanni e Paolo, cappella del Rosario; McTavish, 1981, pp. 159-162); le
pale con la Vergine e i ss. Antonio abate e Bernardo e i Ss. Girolamo,
Caterina, Giovanni Battista e Tomaso, rispettivamente per la cappella Dandolo e
Bragadin a S. Francesco della Vigna, databili intorno al 1550-56 (pp.
164-172). Attorno all’anno 1550 dovrebbe
risalire anche il matrimonio con la veneziana Andriana Fasuol, dalla quale ebbe
cinque figli (Biffis, 2013a, pp. 151-160), oltre che la definitiva e ufficiale
adozione del cognome Salviati, scelto «per rispetto del suo maestro» (Vasari,
1568, 1871, p. 45). Nel 1556 partecipò,
assieme ad altri sei colleghi (tra i quali Paolo Veronese, Andrea Schiavone e
Battista Franco), alla decorazione del soffitto della Libreria marciana di
Venezia, promossa dai procuratori di S. Marco a completamento dei lavori
dell’edificio sansoviniano destinato a conservare il patrimonio librario della
Repubblica. Porta contribuì con tre tondi allegorici raffiguranti Minerva, la
Fortuna e la Virtù, Le arti di fronte e Mercurio e Plutone ed Ercole e Bellona,
contraddistinti da una sequenza ordinata e metodica di personificazioni e
figure mitologiche, rese con misurati equilibri di forme e cromie (cfr. i più
recenti D. Gisolfi, On Renaissance library decorations and the Marciana, in
Ateneo veneto, s. 3, CXCVII (2011), pp. 7-21; Biffis, 2013a, pp. 75-126). L’intervento marciano contribuì a mettere in
luce le sue capacità nel settore dell’allegoria politica e civile, in seguito
nuovamente saggiate con la raffinata lunetta con l’Allegoria di Venezia come
Giustizia (Londra, National Gallery), realizzata per la Zecca e databile al
1558-59 (McTavish, 1981, p. 273). Tra le opere di questo periodo si ricorda
anche la pala con i Ss. Cosma e Damiano, Giovanni Battista e Zaccaria,
commissionata dal medico Benedetto Rinio, compiuta attorno al 1559 (Venezia, S.
Zaccaria; Pitacco, 2002). Più problematica è invece l’autografia delle quattro
Sibille per la chiesa di S. Maria del Giglio, per le quali è registrato un
modesto pagamento a suo nome di 14 ducati nel maggio 1560 (Rossi, 1982, p.
283). Nel giugno del 1562 giunse a Roma
su invito dell’ambasciatore Marcantonio da Mula per realizzare un affresco per
la Sala regia dei Palazzi vaticani con La pace di Venezia, per il quale
ricevette – assieme all’allievo Girolamo Gambarato – diversi pagamenti a
partire dal settembre del 1562 (McTavish, 1981, pp. 244-251). Secondo Vasari
(1568, 1871, p. 46), prima della morte di Pio IV fece a tempo a impostare anche
una seconda scena con La storia dei sette re in seguito andata distrutta, ma di
cui esiste un pregevole disegno preparatorio (Chatsworth House, Devonshire
Collection, inv. 16; McTavish, 1981, pp. 320 s.). Al ritorno a Venezia all’inizio del 1565
ricevette l’incarico di realizzare le tele con soggetti allegorici per il
soffitto della sala di Antipregadi a Palazzo ducale, per le quali fu pagato 660
ducati nel luglio del 1567 (McTavish, 1981, pp. 251-254). L’insieme, andato
perduto nell’incendio del 1574, è descritto in un poema latino di Francesco
Zannio, che si sofferma in particolare sulla spiegazione dei soggetti e sul
significato politico e istituzionale delle allegorie (Biffis, 2013c). Alla metà degli anni Sessanta si dovrebbe
collocare anche il progressivo avvicinamento alla figura di Jacopo Contarini di
Pietro, raffinato cultore di matematica e meccanica, nonché uno dei principali
mecenati veneziani del tardo Cinquecento (Hochmann, 1987). Alla sua committenza si devono diverse opere
della tarda maturità di Giuseppe Porta, tra cui l’allegoria sacra con
L’apparizione di Cristo risorto agli Apostoli (ora a Venezia, Ss. Giovanni e
Paolo) e un lungo fregio con figure allegoriche per il palazzo Contarini a S.
Samuele, andato disperso, ma di cui sono venuti alla luce diversi frammenti in
collezioni private (Hochmann, 2002; McTavish, 2012), che mostrano, rispetto ai
lavori giovanili, uno stile meno rifinito e monumentale, affine ad alcune
contemporanee sperimentazioni tizianesche sul tema della forma e del
volume. Simili caratteristiche tornano
anche in altre opere degli ultimi anni, come nel caso dei quattro teleri
eucaristici per la cappella del Sacramento di S. Polo a Venezia, databili verso
la fine degli anni Sessanta (McTavish, 1981, pp. 311-313), l’Annunciazione per
gli Incurabili (ora a S. Lazaro dei Mendicanti; pp. 299 s.) e il Battesimo di
Cristo per S. Caterina di Mazorbo, compiuto verso il 1572-73 su commissione di
Emilia Michiel (pp. 279 s.). Tra i lavori estremi va annoverata anche la
Presentazione al Tempio per S. Giorgio Maggiore, lasciata incompiuta al momento
della morte e portata a termine da Jacopo Palma il Giovane (Jestaz, 2000). Morì a Venezia tra il marzo 1575 – quando il
Senato gli rilasciò un privilegio per alcuni macchinari idraulici (Boucher,
1976) – e il 18 aprile 1575, quando il figlio Teseo gli subentrò nella titolarità
della casa a San Trovaso (Biffis, 2013a, p. 158). Oltre che per la sua attività pittorica e per
il suo contributo allo sviluppo in chiave classicista dello stile pittorico
veneziano, Porta è ricordato dalle fonti anche per la sua attività di studioso
e per le sue riconosciute competenze nel campo della matematica e
dell’astrologia. Sono numerose, in tal
senso, le testimonianze antiche che menzionano i suoi studi (Vasari, 1568,
1871, p. 46) o che ricordano l’ampiezza dei suoi interessi intellettuali, come
nel caso di Carlo Ridolfi, il quale evidenziò come egli avesse «buon
intendimento delle scienze» e fosse «buono studioso delle matematiche, delle
quali compose molti scritti e disegni» (1648, 1914, p. 244). Rilevanti furono
anche i riconoscimenti ufficiali o le attestazioni di stima, provenienti non
solo da colleghi e sodali (tra cui Danese Cattaneo: Rossi, 1995, p. 155 e
passim), ma anche da altri protagonisti della vita culturale veneziana del
Cinquencento, come Francesco Angelo Coccio, Ettore Ausonio, Francesco Patrizi,
Sperone Speroni, Bernardo e Torquato Tasso (Campori, 1872; Biffis, 2013a, pp.
127-143). Delle molte opere progettate,
l’unica a vedere effettivamente la luce fu la Regola di far perfettamente col
compasso la voluta et del capitello ionico…, stampata da Francesco Marcolini e
pubblicata nel giugno del 1552 con dedica a Daniele Barbaro. La breve plaquette
illustra un metodo per la costruzione della voluta o spirale ionica, concepito
come risarcimento di una celebre crux filologica vitruviana su cui si erano
cimentati in precedenza anche Alberti, Dürer, Philiader e Serlio; rispetto a
queste, la soluzione prospettata da Porta si distingue per l’eleganza formale e
la precisione descrittiva, evidenziata dall’adozione di un procedimento
matematico mutuato dal libro IV degli Elementi di Euclide (Losito, 1993). La testimonianza più importante del suo
«enciclopedismo esoterico» (Rossi, 1995, p. 148) resta comunque quella offerta
dal manoscritto marciano It.5094, che raccoglie – in forma di appunti, spesso
riuniti in modo disorganico – testi, commenti e schemi relativi alle ricerche
del pittore nel campo dell’astrologia e dell’acustica (Boucher, 1976; Biffis,
2013a). Il codice si compone di due parti principali: la prima affronta il tema
del rapporto tra movimento degli astri e linguaggio, indagando la formazione
degli elementi vocali, definendo un’embrionale tassonomia dei suoni e
prospettando la possibilità di una loro riproduzione artificiale attraverso
appropriati dispositivi meccanici; la seconda, organizzata attorno a un nucleo
di quattordici quaestiones, affronta invece temi più generali di astrologia
giudiziaria, relativi soprattutto all’influsso degli astri sul destino
individuale. Sul piano del metodo, il lavoro si caratterizza per l’ampio
ricorso a modelli descrittivi e all’esperienza empirica, mentre scarsi sono i
riferimenti teorici diretti, che si limitano di fatto alla sola citazione
dell’opera dell’astrologo bolognese Bartolomeo della Rocca. Annunciato come di
imminente pubblicazione da Francesco Patrizi nel 1562, il testo venne in
seguito abbandonato in una fase avanzata di stesura, forse anche a causa del
carattere decisamente eccentrico della materia trattata; il codice pervenne
quindi nelle mani di Jacopo Contarini, probabilmente come dono da parte dei
familiari del pittore, per essere infine incorporato nelle raccolte marciane
allo scadere del XVIII secolo (Boucher, 1976).
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite (1568), a cura di G. Milanesi, VII,
Firenze 1871, pp. 45-47. C. Ridolfi, Le
maraviglie dell’arte (1648), a cura di D.F von Hadeln, I, Berlin 1914, pp.
240-245; M. Boschini, Breve instruzione per intender in qualche modo le maniere
degli auttori veneziani, in Id., Le ricche minere della pittura veneziana,
Venezia 1674, pp. non numerate; G. Campori, G. P. detto il Salviati. Notizie
biografiche e artistiche, in Atti e memorie delle Deputazioni di Storia patria
per le provincie modenesi e parmensi, VI (1872), pp. 1-15; L. Migliorini, Gli
uomini illustri garfagnini, Castelnuovo della Garfagnana 1899, pp. 6-8; K.
Frey, Der literarische Nachlass Giorgio Vasaris, II, München 1930, pp. 382-385,
393 s., 438 s., 572 s.; R. Pallucchini, La giovinezza del Tintoretto, Milano
1950, pp. 41-46; M. Jaffé, G. P. il Salviati and Peter Paul Rubens, in The art
quarterly, XVIII (1955), pp. 330-340; I. Cheney, Francesco Salviati’s North
Italian journey, in The art bulletin, XLV (1963), pp. 337-349; F. Zava
Boccazzi, Due tele ritrovate di G. Salviati, in Arte veneta, XVII (1963), pp.
169-171; A. Ballarin, Jacopo Bassano e lo studio di Raffaello e dei Salviati,
ibid., XXI (1967), pp. 77-101; R. Pallucchini, Per gli inizi veneziani di G.
P., ibid., XXIX (1975), pp. 159-166; B. Boucher, G. Salviati, pittore e
matematico, ibid., XXX (1976), pp. 219-224; Tiziano e la silografia veneziana
del Cinquecento (catal., Venezia), a cura di M. Muraro - D. Rosand, Vicenza
1976, pp. 140-147; D. McTavish, G. P. called G. Salviati, New York-London 1981
(con bibl. precedente); P. Rossi, Una monografia su G. Salviati, in Arte
veneta, XXXVI (1982), pp. 278-284; D. McTavish, Roman subject matter and style
in Venetian façade frescoes, in Racar, XII (1985), pp. 188-196; M. Hochmann, La
collection de Giacomo Contarini, in Mélanges de l’école française de Rome.
Moyen âge-temps modern, XCIX (1987), pp. 447-489; M. Losito, La ricostruzione
della voluta ionica vitruviana nei trattati del Rinascimento, ibid., CV (1993),
pp. 133-175; M. Mancini, Lambert Sustris a Padova. La Villa Bigolin a
Selvazzano, Selvazzano Dentro 1993, ad ind.; M. Rossi, La poesia scolpita.
Danese Cataneo nella Venezia del Cinquecento, Lucca 1995, pp. 143-155, 187 s.;
C. Furlan, Un’aggiunta al catalogo di G. P., in Arte documento, XIII (1999),
pp. 164-167; B. Jestaz, Tintoret et Véronèse au secours de G. Salviati et de
Palma le Jeune…, in Revue de l’art, CXXVIII (2000), pp. 54-60; W.R. Rearick,
Francesco Salviati, G. P. and Venetian draftsmen of the 1540’s, in Francesco
Salviati et la Bella Maniera. Actes des Colloques de Rome et de Paris… 1998, a
cura di C. Monbeig-Goguel - P. Costamagna, Rome 2001, pp. 455-478; M. Hochmann,
G. P. e la decorazione di palazzo Contarini dalle Figure, in Arte veneta, LIX
(2002), pp. 238-246; F. Pitacco, Un prestito mai rifuso: la vicenda del ‘Liber
de simplicibus’ di Benedetto Rini, in Figure di collezionisti a Venezia tra
Cinque e Seicento, a cura di L. Borean - S. Mason, Udine 2002, pp. 11-23; M.
Hochmann, Venise et Rome 1500-1600: deux ècoles de peinture et leurs échanges,
Genève 2004, ad ind.; D. McTavish, Additions to the catalogue of drawings by G.
Salviati, in Master Drawings, XLII (2004), 4, pp. 333-348; G. Nesi, Castelnuovo
capitale della provincia estense di Garfagnana nel XVI secolo, Castelnuovo di
Garfagnana 2005, pp. 28, 114, 290; G. Bodon, Heroum imagines. La Sala dei
Giganti a Padova…, Venezia 2009, ad ind.; A. Imolesi Pozzi, L’attribuzione del
frontespizio de “Le sorti…”, in Un giardino per le arti…, a cura di P.
Procaccioli, Bologna 2009, pp. 269-294; L. Cellauro, G. Salviati’s ‘Allegory of
Architecture’ for Daniele Barbaro’s 1556 edition of Vitruvius, in Storie dell’arte,
CXXIX (2011), pp. 5-18; A. Maronese, La Pala della Purificazione di Giuseppe
Salviati: devozione, celebrazione famigliare, propaganda politica, in Venezia
Cinquecento, XXII (2012), 44, pp. 71-111; D. McTavish, Due nuovi dipinti
mitologici di G. P. detto G. Salviati, in Arte veneta, LXIX (2012), pp.
141-144; M. Biffis, G. Salviati a Venezia, 1540-1575. Indagini e ricerche sulla
produzione figurativa e sul lascito letterario, tesi di dottorato, Università
Ca’ Foscari, Venezia 2013a (tutor prof. A. Gentili, a.a. 2012-13); Id., Prima
di Salviati. L’altare dei Frari, i procuratori di San Marco e un documento per
Marco Basaiti, in Venezia Cinquecento, XXIII (2013b), 45, pp. 41-56; Id., Tra
poesia e pittura: versi di Francesco Zannio per G. Salviati, in AFAT, XXXII
(2013c), pp. 39-46; D. Zaru, Art and observance in Renaissance Venice: the
Dominicans and their artists (1391-ca. 1545), Roma 2014, ad indicem.Giuseppe
Porta. Keywords: deutero-esperanto – fonetica naturale, fonetica artifiziale. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Porta”.
Grice e Porta: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale magica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Studia BRUNO a Roma. Cura
“De umbris idearum” e il “Cantus Circaeus” in “Il nolese di ghiaccio” (Bompiani).
“Ti presento Sophia”Altri saggi: “La Magia”; “Coincidenze miracolose, Storia
della magia,e la trilogia di A come anima, A come amore e C come cuore; Dizionario
dell'inconscio e della magia” (Sperling); “Tu chiamale se vuoi coincidenze” (Lepre).
“Ricerca sul mito” “Sulle orme degli
antenati” “Incontri nella notte, “Segnali”;
"Immagini da leggere"; “Bellitalia”. “Parlato semplice” “Bruno”, “Storia della Magia” “Storia della cavalleria” “Il mare di notte”, “Inconscio e Magia”,
“Inconscio e Magia Psiche”, “Guarire
insieme”. Studia il rapporto tra la filosofia antica romana e psicologia
junghiana. Collabora a “Abstracta”. “La Magia”; “L’Arte della Memoria” “Anima
Mundi” Insegna a Siena. Scuola di Psicoterapia Psicosintetica ed Ipnosi
Ericksoniana “H. Bernheim” di Verona, Istituto di Comunicazione Olistica
Sociale, Bari. Filoteo Giordano Bruno di Nola, Il canto di Circe, Roma,
Atanor, Ombre delle idee (Roma, Atanor); Itinerari magici d'Italia. Una guida
alternativa, Centro, Roma, Mediterranee, I grandi del mistero, Firenze, Salani,
Storia della magia mediterranea, Roma,
Atanor, Un'avventura nel Rinascimento” (Milano, Fiore d'oro); “L'essenza
dell'amore” (Roma, Atanor); Meyrink iniziato, Roma, Basaia); “Morte di un
bacio” (Roma, Lucarini); “I tarocchi di BRUNO Le carte della memoria” (Milano,
Jaca); “Racconti di tenebra” (Roma, Newton); “BRUNO: tra magia e avventure, tra
lotte e sortilegi la storia appassionante di un uomo che, ritenuto mago dai
contemporanei, fu condannato per eresie dall'Inquisizione e arso vivo sul rogo”
(Roma, Compton, La battaglia della montagna bianca, Chieti, Solfanelli, Fantasmi.
Storie e altre storie sulle orme di James” (Roma, Compton); L’incubo e del
terrore” (Roma, Compton); “Misteri di pietra” (Roma, Grapperia); “Racconti per
amore” (Roma, Lucarini); “BRUNO: avventure di un pericoloso maestro di
filosofia” (Milano, Bompiani); “Roma magica e misteriosa”; Dalla sedia del
diavolo ai fantasmi di villa Stuart, dalla cripta dei Cappuccini alla Porta
Magica di piazza Vittorio: un viaggio affascinante nel cuore segreto della città
eterna e dei suoi dintorni” (Roma, Compton); “Misteri. Quasi un manifesto della
letteratura del mistero e del segreto” (Milano, Camunia); Grandi castelli, grandi maghi, grandi roghi” (Milano,
Rizzoli); Storia della magia. Grandi castelli, grandi maghi, grandi roghi” (Milano,
Bompiani); “Il ritorno della grande madre” (Milano, Saggiatore); “La magia” (Roma,
Marsilio); “Coincidenze miracolose” (Roma, Idealibri); “Donne magiche” (Roma, Idealibri);
A come anima, Milano, Pratiche, La quiete del Terrifico, Fasano, Schena, C come
cuore. Pagine per lenire il mal d'amore, Milano, Pratiche, Intervista Ettore
Bernabei, Roma, Eri, S come seduzione; “Dizionario dell'eros e della sensualità”
(Milano, Saggiatore); P come passioni” (Dizionario delle emozioni e dell'estasi”
(Milano, Tropea); “Dizionario dell'inconscio e della magia” (Milano, Sperling);
L'armonia del dolore, Roma, Pagine, Agguato all'incrocio, Milano, Tu chiamale
se vuoi coincidenze. Quaranta storie realmente accadute” (Roma, Lepre); “Il
mistero di Dante”; "Qui trovo
libertà autentica", su ecoradio. Gabriele
La Porta. Porta. Keywords: implicatura magica, BRUNO, filosofia antica, Jung,
il mistero di Dante, il mistero d’Alighieri, Roma, etimologia di roghi, maestro
pericoloso, seduzione, sensualita, amore, estasi, storia della cavalleria,
Atanor, Roma. -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Porta” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e Porta: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale fisio-nomica – la scuola di Vico Equense -- filosofia campanese
-- filosofia italiana – Luigi Speranza (Vico Equense). Filosofo napoletano. Filosoo italiano.
Vico Equense, Napoli,
Campania. Grice: “He is the one with the funny illustrations of men and
animals! The Italian way to comment on Aristotle!”
Riceve le basi della sua formazione culturale in casa, dove si è soliti
discutere di questioni filosofiche, e dimostra immediatamente le sue notevoli
innate capacità, che poté sviluppare attraverso gli studi grazie alle
condizioni agiate della famiglia. La famiglia ha una casa a Napoli a via Toledo
-- il palazzo Della Porta -- una villa a Due Porte, nelle colline intorno a
Napoli, e la villa delle Pradelle a Vico Equense. Tra i suoi maestri vi sono il
classicista e alchimista PIZZIMENTI, e i filosofi ALTOMARE e PISANO. Pubblica “Magiae
naturalis sive de miraculis rerum naturalium”. Pubblica un saggio di
crittografia, il “De furtivis literarum notis” dove scrive un esempio di
sostituzione poli-grafica cifrata con accenni al concetto di sostituzione poli-alfabetica.
Per questo è ritenuto il maggiore crittografo italiano. Quando già la sua
fama è consolidata, presenta il suo saggio sulla crittografia a Filippo II e viaggia
in Italia. Ha un saggio, “Sull'arte del ri-cordare” – ars reminiscendi
(Sirri, Napoli). Fondato intanto “i
segrettari”, l'Academia Secretorum Naturae, Accademia dei Segreti, per
appartenere alla quale e necessario dimostrare di effettuare una scoperta.
L'accento viene tuttavia posto più sul meraviglioso che sul scientifico. Le
raccolte di segreti costituivano un genere letterario che incontra una
straordinaria fortuna con l'avvento della stampa a caratteri mobili. Per segreto
si intende conoscenza arcana, ma anche ricetta, preparazione di farmaci e
pozioni d’effetto straordinaro, riguardante un argomento di medicina, chimica,
metallurgia, cosmesi, agricoltura, caccia, ottica, costruzione di macchine,
ecc. Colui che insegna a padroneggiarli è
chiamato professore di segreti. I segrettari sono però sospettati di occuparsi
di temi riguardanti la magia e l'occultismo, sicché è indagato dall'inquisizione e il circolo dei
segrettari chiuso. A lui è tuttavia concesso di continuare gli studi di filosofia
naturale. Pubblica “Pomarium” sulla coltivazione degl’alberi da frutta.
Pubblica Olivetum. Entrambi inclusi nella sua enciclopedia
sull'agricoltura. Pubblica De humana physio-gnomonia, della fisionomia
degl’uomini (Cacchi, Vico Equense). Ritiene
che l'animo non è impassibile rispetto ai moti del corpo e si corrompe per la
passione. In “De ea naturalis physio-gnomoniae parte quae ad manum lineas
spectat” (Trabucco, Napli) studia con attenzione i segni delle mani dei
criminali. Un tale segno non è frutto del caso ma importante indizio per
comprendere appieno il carattere degl’uomini. Pubblica “Phyto-Gnomonica”
(Salviani, Napoli), dove evidenzia l'analogia tra piante e animali, stimolato
dai contatti con alcuni alchimisti, poderoso saggio sulle proprietà dei
vegetali messe in analogia con le varie parti del corpo umano, basato
sull'antica dottrina delle segnature. Corredata da tavole illustrate, estende
il concetto di “fisio-gnomica” alle piante -- elencandole a seconda della loro
localizzazione geografica. Ravvisa collegamenti occulti tra la morfologia
delle piante e quella dei minerali, degl’uomini, e persino, indirettamente,
degl’astri e dei pianeti dell'astrologia, in una sorta di zoo-morfismo. Affascinato
ed entusiasta per il gran Paracelso e per i suoi dottissimi seguaci perché la
spagiria produce al mondo rimedi non mai più per l'addietro caduti negl’umani
intelletti. Onde da solleciti investigatori de' secreti della natura applicati
a morbi, ritrovano soblimi ed infiniti rimedi, onde la medicina, così gran tempo
ristretta negl’angusti suoi termini, or, allargando fuori, ha ripieno il mondo
de' suoi meravigliosi stupori. La sua villa è frequentata da CAMPANELLA (si
veda). Amico di SARPI (si veda). Conosce anche BRUNO (si veda). Per ordine
dell'inquisitore veneziano doveri chiedere il permesso per le sue pubblicazioni
a Roma. Si incontra con SARPI e con GALILEI. Incontra i Cesi. Pubblica la “Taumatologia” (Sirri, Napoli);
“Cripto-logia” (Sirri, Napoli). Scrive ancora un saggio di ottica (“De refractione
optices"), uno di agricoltura (“Villae”), due di astronomia -- “Coelestis Physio-Gnomoniae”
(Paolella, Napoli) e “Della celeste fisonomia” (Paolella, Napoli) -- uno di idraulica e matematica -- “Pneumaticorum”
(Carlino, Napoli) --, uno di arte militare (“De munitione”), uno di
meteorologia -- “De aeris transmutationibus” (Paolella, Napoli) --, uno di chimica
-- “De distillatione” (Camerale, Roma) -- e uno sulla lettura della mano –
“Della chiro-fiso-nomia” (Napoli, Bulifon). Nel campo dell'ottica esercita
notevoli contributi, indagando le proprietà degli specchi concavi e convessi,
conducendo un minuzioso studio delle lenti descrivendo la costruzione di
ingenti apparecchi ottici, tra cui la camera oscura ed il tele-scopio. Intraprende
inoltre studi di chimica pratica che includono la fabbricazione di smalti, di
polveri da sparo e di cosmetici. I numerosi esperimenti che ci descrive indicano
un’attitudine che lo pone fra i principali chimici dell’epoca. I suoi studi
sono caratterizzati principalmente dalla ricerca di farmaci dagl’effetti
eccezionali, utili ad esempio per la memoria, per produrre sogni piacevoli o
incubi, rimedi contro l’impotenza e la sterilità. Dei lincei. Ri-vendica
l'invenzione del tele-scopio, resa nota da GALILEI (si veda). Fa parte anche di
un circolo dedicato alla letteratura dialettale napoletana (Schirchiate de lo
Mandracchio e 'Mprovesante de lo Cerriglio), e gl’oziosi. Raccogge esemplari rari
del mondo naturale e coltiva piante esotiche. La sua villa e visitata dai
viaggiatori e ispira Kircher a radunare una simile collezione nel suo palazzo a
Roma. Commediografo e scrive “Le commedie” (Stampanato, Bari, Laterza), in
prosa, una tragi-commedia, una tragedia e un dramma liturgico; “Claudii
Ptolomaei Magnae Constructionis” (Vivo, Napoli); “Il Teatro” (Sirri, Napoli); “Villae”
(Palumbo e Tateo, Napoli); “Elementorum
Curvilineorum” (Cavagna e Leone, Napoli); Accusato di plagio da Bellaso, che è stato il
primo ad aver proposto questo tipo di cifratura X anni prima. Eco, Fedriga,
Storia della filosofia” (Laterza Edizioni Scolastiche); Eamon, Il professore di
segreti. Mistero, medicina e alchimia nell'Italia del Rinascimento, Paci,
Carocci, Fumagalli, “Semplicisti e stillatori: l'arte degl’aromatari” (Milano,
SGS, Gnome, su treccani. Turinese, “Zoo-morfismo, fisio-gnomica e fito-gnomica:
antesignano della bio-tipologia in medicina, in “Il cenacolo alchemico”, Paolella e Rispoli
(Napoli, Il Faro di Ippocrate); Verardi, La scienza e i segreti della natura a
Napoli nel Rinascimento: La magia naturale” (Firenze); Paolella, La Spagiria, ne
Il Cenacolo alchemico, Paolella e Rispoli (Napoli, Il Faro di Ippocrate); Paolella,
Carteggio linceo, in "Bruniana & Campanelliana", Dizionario
biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia. Dizionario di
filosofia, Convegno di Vico Equense, Torrini, Napoli, Piccari (Milano,
Angeleli); Giudice, “II mago dell'arcana sapienza” (Milano, Via Senato);
Paolella, “I Meteorologica di TELESIO, P. e Cartesio -- tra credenza e
scienza, Roma, Associazione geo-fisica, Paolella, L’astrologia:
la Coelestis Physiognomonia (Poligrafici, Pisa), Atti del Convegno L’Edizione
nazionale del teatro e l’opera, Salerno Montanile, Paolella, Appunti di
filologia dellaportiana, Istituto italiano per studi filosofici, Napoli, Sirri,
Paolella, Convegno, Roma, Scienze e Lettere, Santoro, La "Mirabile" Natura.
Magia e scienza (Napoli-Vico Equense) Atti del Convegno, Pisa-Roma, Serra, Vivo,
Tecnica e scienza, Serra, Pisa-Roma, La "Mirabile Natura. Napoli-Vico
Equense Santoro. Serra, Pisa-Roma, La Mirabile Natura. Atti del Convegno, Vico
Equense, dei Segretarii. Treccani Istituto dell'Enciclopedia Italiana. P., neapolitano
autore (Neapoli, apud Ioa. Mariam Scotum); vulgò De ziferis, P., Neapolitano
auctore (Neapoli, apud Ioan. Baptistam Subtilem, vulgo de ziferis, altero libro
superaucti, et quamplurimis in locis locupletati. P., il mago dell'arcana
Sapienza. Filologia. Filologia dellaportiana.È famigeratissimo il Porta per la
sua opera della Fitonomia Umana, che prima compresa in quattro
libri, e poi arricchita di altri due, fu stampata in Napoli, in Francfort, in
Anversa, e tradotta ancora dal- l’originale latino in italiana favella:
del che può vedersi Chioccarelli nella citata sua opera, che
diligentemen- te al suo solito ne tratta. Della medesima io ho
vedute queste due edizioni; De hvmava phynognomonia libri
4. UrseUis, c l'italiana stampala in Venezia, che comprende tutti i
sei libri. I/autore crede, che sic- come dalla diversa figura delle
piante si potevano, secondo lui, arguire le varie proprietà delle medesime
; cosi del pari dagli esterni lineamenti di tutte le parti del
corpo umano, finanche dalle unghie, c dalla maggiore, o dalla minor copia
de’peli, si potessero rilevare le naturali disposizioni de’temperamcnti
degli uomini. Siccome poi avea bisogno di una norma per questa investigazione ,
perciò chiama in rassegna tutti quasi gl’animali, e confronta le configurazioni
delle parti de'loro corpi con le configurazioni di quelle dell’ uomo;
per quindi poter conchiudere, che sicno ne’ diversi uomini le
conosciute proprietà naturali di quelle bestie , alle quali si
assomigliano nella forma della faccia, della fronte, del collo, delle spalle,
del dorso, de’picdi, della boc- ca, delie labbra ec. ec. ec. A
questo fine esamina le medaglie, e le statue, che erano nel musco di suo
fratello Gio. Vincenzo; paragona le descrizioni, che gli antichi storici ci
lasciarono di que’ personaggi; corre al luogo, ove in que’tempi si
appiccavano alle forche i facinorosi, e conviene con Boia di lasciargli
esaminar le mani, i piedi, le spalle di que’ rei, credendo, che dalla
figura di queste parti si potesser conoscere i delitti, per i quali morirono;
lo stesso fa nelle pubbliche carceri, e nella Chiesa di s. Restituta, avendone
ottenuto permesso da coloro, che per carità seppellivano i morti.
Io però non ho potuto mai persuadermi, che le unghie rotonde sieno
segno di lussuria, ed il petto senza peli, argomento di sfacciataggine. E se
nelle piante non regge quest’analogia, molto meno può reggere, ed
applicarsi all’uomo, rispetto al quale noi siamo all'oscuro come mai si formino
le passioni; qual ne sia la sede; o finalmente non sappiamo con chiarezza
tutta l’economia dei cervello suo. Essendoci pertanto ignoti questi punti
fondamentali, io non veggo la ragione, per cui si possa dire, che il naso
a guisa di Rinoceronte in POLIZIANO, sia stato argomento dell’ alterigia
sua, simile a quella di quest’animale. Se Porta avesse conosciuto il
segreto di frenare il suo ingegno, portato sempre al maraviglioso, ci avrebbe
lasciata un’ opera in questo genere, come la desiderava il Verulamio
nel primo capitolo del libro quarto della sua opera De augmenlfs
scientiarum. Ma l’amor del sistema, e la fallace guida dell’esterna
analogia, lo cacciaron fuori del retto e sicuro cammino. Qualunque però
sia il merito di questa sua letteraria fatica, sarà anche per lui una
gloria l’aver preceduto in questa scienza i moderni, senza però aver
imitata l’irreligion di taluno tra essi; giacché P. confessa esser questa
scienza puramente di congettura; esistere nell’uomo la vera libertà
dell’arbitrio; poter questa essere aiutata dalla divina grazia, ebo
lo rinfranca da quelle ruinc, che recò all'uomo il peccato
originale, ch’egli altresì confessa. Appartengono poi alla stessa materia
la sua Chìrofìsonomia, e la sua Fisonomia celeste; essendo la prima una
parte delia presente opera; e la seconda un’applicazione de’medesfmi principii
contro agli astrologi, dimostrando, che dalle proprietà de’diversi
temperamenti, rilevate dalfesterne figure delle parti del corpo
umano, si potevano derivare, ed arguire tutte quelle cose, che gli
astrologi stranamente spiegavano colle stelle. Per quel che riguarda le
sue cognizioni intorno alla memoria artificiale, egli le raccolse nella
sua opera, che porta questo titolo: Ars reminùcendi. Neapoli. Raccomanda
in essa principalmente l’ordine nell’ apprender le cose , perchè è il
mezzo più efficace per ritenerne l’ idee; il che gli dà ftiogo nei
capitolo quarto a lodare le matematiche: mathematicae percepitone, et
praeiertim geometrica j quia ordine , et diligenti dis- posinone digesto
sunt, memoria facile continentur. Ubi non est ardo , ibi confusio. Suggerisce
poi il noto uso de’luoghi artificiali, in cui collocar l’idee; e
quello delle immagini, in cui associar le parole: nel che se fosse
stato più sobrio , si sarebbe incontrato perfettamente con quanto poi scrisse
Bacone intorno alla memoria artifiziale, alla fine del libro quinto della
sua opera De augmentis scientiarum. Ma arendo soverchiamente caricata di
queste tali immagini, e luoghi la sua esposizione nella quale è divisa
tutta l’opera, par che in vece d’esserne favorita la memoria, ne
venga oppressa dalla moltiplicità di queste medesime immagini, dall’uso de’
vari paradigmi di caratteri arbitrari, e dall’ esame, e, per cosi dire ,
rassegna di personaggi, di cose, di parole, con cui vuole egli, che
si trattenga ogni uomo nella regione della propria fantasia. Si potrebbe
dire, che P. non fa altro in tutto il corso della sua lunga vita, che immaginar
cifre: tanta n’è la moltiplice varietà da lui rac- colta nell’ opera : De
occulti s litterarum noti s , vulgo de Ziferis. Neapoli. Gli accidenti
della musica deter- minati ad alfabeti; le fiaccole, i suoni, i numeri,
le no- te musicali adoperate per lettere ; gli alfabeti comuni
raddoppiati, o accorciati; le diverse figure, con cui disporli; le varie specie
di geroglifici: tutto vi è esposto con una perpetua erudizione. Se l'opera
fosse stata un po’ più ristretta, ne riuscirebbe la lettura egualmente
piacevole, che quella di Bacone, che con sobrietà filosofica ba saputo disporre
le cose dette da P., sul principio del sesto libro de’ suoi aumenti delle
tcienze. Fabricio ba verificata la lagnanza di P. circa il plagio
fattogli da un francese , nell’ opuscolo, che appunto ha per titolo:
Centuria plagiariorvm. Nel catalogo dell’ opere del nostro filosofo
ne ho accennato alcune, che non erano ancora state pubblicate da lui
quando Io formò ; se poi 1’ avesse fatto in seguito , io noi so , per
quante diligenze vi abbia adoperate, e perciò non ne parlo. Dorrei però dir
qualche cosa di quell’ altro suo opuscolo citato più sopra col titolo di
Miracoli e maraviglioti effetti della natura. Ma oltre al non averlo potuto
aver tra le mani, me ne dispensa dal farne parola il giudizio del
medesimo P., il quale, come ci attesta SCOTTO (si veda) nella sua Magia
Universale, lo condanna col non aver ricordato nella sua magia le cose
strane, che ivi avea scritte ; al che anche aggiunse il non registrarlo
nel citato catalogo. Delle sue commedie poi non debbo parlare, perchè sempre ho
considerato in lui per tutto questo mio opuscolo, il filosofo, e non già il
poeta. Ma se di passaggio se ne bramasse da taluno un giudizio, dirò pure, che
elleno non sono l'ultime per que' tempi; che gii applausi, con cui
furono ricevute, e rappresentate per l’Italia, confermano un tal giudizio; e
che finalmente, se la scena vi è ingombrata di attori, se il prologo è
spesso freddo, ed il dialogo non sostenuto con dignità, bisogna
ricordarsi, che questi ed altri simili difetti si son sempre ritrovati in ogni
arte , quando appena incominciava ad uscir dalla sua culla. Nella
conclusione pertanto di questo opuscolo dovendo finalmente produrre il mio
sentimento sul merito di P., e suifutililà da lui recate alle scien-
ze, io non temo d’errare nel dire, ch’egli sarebbe stato veramente sommo
, se avesse meno cercato di esserlo. È fuor di dubbio, che a se stesso
dovette la vera cognizione de’canoni, onde filosofare sulla natura, e
quel che più importa, l’applicazion de’medesimi alle
naturali discipline. Era tra noi precedentemente apparito TELESIO,
acerrimo declamatore contro al Lizio; ma essendo stato ancor egli involto
nell’errore de'tcmpi, che per ben filosofare, bisognava
trascegliersi una guida tra gli antichi filosofi , non fece altro ,
che sostituire agli arbitrari principii de’suoi avversari, quel- li
similmente arbitrari di Parmenide di VELIA, senza che per questa
sostituzione ne conseguisse alcun vantaggio la Naturai Filosofia, che
cambia padrone, e non già muta servitù. Non così però P., che
sagacissimo, intraprendente, c saggiamente libero si volse alla
stessa natura, che è anteriore alle ipotesi dell’uomo. La lettura delle
opere degli antichi gli fece evidentemente conoscere, ch’eglino aveano
errato il cammino; perciocché dopo tanti secoli, e dopo tanti stenti di uomini
per altro sommi, non vi si era per niente avanzato lo spirito umano.
Quindi magnanimamente si risolvette; come ci fa sapere nella prefazione alla
sua Chirofiwnomiaj di cambiar metodo; e siccome quelli aveano stranamente
preteso di voler prescrivere coi loro intelletti le leggi alla natura,
cosi egli per contrario, conoscen- done la sublimità, e la grandezza, le
si diede a ministro, cercando di carpire dalle particolari esperienze i
generali principii delle sue leggi. La felicità de’ primi tentativi, la
novità delle cose, che di giorno in giorno scopriva, gl’inebriarono per
modo lo spirito, che lo precipitarono in un altro eccesso, qual si fu quello,
di volerne esplorare, e stringere in un corpo tutti i regni, nc’quali è
divisa la medesima natura. Questa intemperanza di brame, o come la chiama PLINIO
nella sua Storia, questo furore, fu cagione, che egli alcune volte
tentasse finanche quel che era impossibile, o si lasciasse sedurre da certe
osservazioni non sicuramente stabilite. In questo però merita
compatimento; perciocché oltre la felicità de’successi, e la sorpresa delle
tante maraviglie, che, alzato in parte il suo velo, gli disvelava la
natura; ognuno ben sa, eh’ eran questi i primi movimenti dello spirito
umano, che sottrattosi da’ceppi di Aristotile, di Parmenide, o di altro
antico filosofo, incominciava da se a contemplare: e questi primi
movimenti sogliono costantemente unire alla loro robustezza una certa
irregolarità di direzione. Appunto come avvenne nell’epoca del risorgimento
delle Belle Lettere in Italia, che disotterratisi i codici degli antichi
scrittori latini, i nostri italiani avidamente li divorarono con una irregolare
lettura , onde ne avvenne, che si formarono uno stile misto delle grazio
di CICERONE coi concetti di Seneca, e di PLINIO. Fu però utile alle
scienze questa scossa elettrica di P., affinchè dal grido, che menavano tante
metamorfosi portentose, e tante esagerate maraviglie, si destassero gl’altri a
percorrere ancor essi il cammino della natura; e quindi dalle replicate, e
meglio ponderate esperienze loro, si dissipasse la nube di tanti
incantesimi, e venisse finalmente l’umana ragione condotta alla sobrietà
delle sue ricerche, ed alla gloria de’suoi trionfi. Arte del ricordare,
dal latino al volgare – da Falcone -- Giovanni Battista Della Porta. Porta. Keywords:
implicatura fisionomica, filologia -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Porta” –
The Swimming-Pool Library.
Grice e Portaria: la
ragione conversazionale o -- Eurialo e Niso, ovvero, dello spirito – ma
non fia da Casal né d'Acquasparta, là onde vegnon tali alla scrittura, ch' uno
la fugge, e l'altro la coarta – la scuola di Todi -- filosofia umbra -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Todi). Filosofo italiano. Todi,
Perugia, Umbria. Grice: “I like Portaria, but then anyone with
an interest in Anglo-Saxon ‘soul’ should! – if a philosopher, that is! Unlike
Anglo-Saxon soul who God knews whence it comes, the Romans had spiritus, and
animus anima, which is cognate with animos in Greek meaning ‘wind’ – so that
leans towards a hyle-morphic conception where the body (corpus) is what has the
‘materia’ and the ‘breath’ is the ‘forma’ -- Italian philosophers would ignore this – and
more so now when Davidson is in vogue! – if it were not for Aligheri who has
Portaria in “Paradiso” – there is indeed a serious philosophical confrontation
between an ACCADEMIA and and a LIZIO conception of the soul as seen in the
controversy between AQUINO (si veda) and P.! P. uses the same linguistic tools:
is ‘spiritus’ synonym with ‘anima’? Or must we speak of ‘homonymy.’ And add
‘medium’ into the bargan! P. is less canonical than AQUINO and should interest
Oxonians much, oh so much, more!” – Unfortunately, he was from Todi and donated
all his manuscripts to Todi, which many skip in their Grand tour – although it
IS on the Tevere as any member of the “Canottiere del Tevere” will know!” -- Grice:
“My name is Grice – Paul Grice – Matteo’s name is Matteo Bentivgna dei Signori
d’Acquasparta e Portaria. Nacque
da una delle grandi famiglie delle Terre Arnolfe, quella dei Bentivegna,
feudatari di Acquasparta e Massa Martana, trasferitisi a Todi. Studia a Bologna. Insegna a Roma. Alighieri lo nomina, biasimandolo, tramite le parole
di Findanza in opposizione a Ubertino da
Casale: “Ma non fia da Casal né d'Acquasparta/là onde vegnon tali alla
scrittura/ch' uno la fugge, e l'altro la coarta” (Par.). Società dantesca. Treccani Dizionario biografico degl’italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia dantesca. Matteo
d’Acquasparta. Matteo Portaria d’Acquasparta. Portaria. Keywords: filosofi
citati d’Alighieri nella Commedia (Par.: ma non fia da Casal né d'Acquasparta,
là onde vegnon tali alla scrittura, ch' uno la fugge, e l'altro la coarta.),
logica, dialettica, Occam Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Portaria” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Porzio: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale nel lizio– la scuola di Napoli -- filosofia campanese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Napoli).
Filosofo italiano.
Napoli, Campania. Grice: “His surname is plain “Porta,” but in Latin that is
latinised as ‘portius,’ and then this vulgarized as ‘porzio’!” – But then who
wants to be called “door”?” Studia a Pisa sotto NIFO (si veda). Scrive sul
celibato dei preti (“De celibate”), sull'eruzione del Monte Nuovo (“Epistola de
conflagratione agri puteolan”i) e sul miracoloso caso di digiuno di una ragazza
tedesca (“De puella germanica”). I suoi saggi principali, fra cui il trattato
di etica, “An homo bonus vel malus volens fiat” e in particolare il “De mente
humana,” nel quale sostene la mortalità dell'anima secondo un'esegesi d’Aristotele
– LIZIO. Proprio queste sue dottrine mortaliste, troppo facilmente accostate e
sovrapposte a quelle sostenute da POMPONAZZI (si veda) nel “De immortalitate
animae”, contribuirono a creare una leggenda biografica secondo la quale egli
sarebbe stato allievo e quindi semplice epigono di PERETTO. In ogni caso, al di
là di una innegabile tendenza materialista nella sua esegesi d’Aristotele del
Lizio, evidente anche nel suo saggio, il “De rerum naturalium principiis,” sua
produzione è caratterizzata anche da interessi teo-logici del tutto svincolati
dai peripatetici del LIZIO e che sono particolarmente evidenti nei due commenti
al pater noster che probabilmente non estranei ai fermenti evangelici della
riforma italiana. Tra peripatetici, naturalisti e critici, "De’ sensi"
e il "Del sentire, studi ittio-logici. Græcæ lingue grammaticam ab
omnibus fere dixerim expectatam simul et expetitam, à quamplurimis
frustra promissam, à nonnullis vero quibusdam veluti delineamentis duntaxat
adumbratam, nec ab aliquo satis adhuc expressam, non tam explicaturus,
quam editurus aggredior. Grande
quidem ac perarduum opus nostrisque viribus impar; sed non inaccessum. Nec
enim omnium omnino difficultatum ambages, syrtesque superare contendimus,
sed faciliorem quandam ac brevem
hujusmodi Grece lingue notitiam methodum instituimus. Quoxiam
vulgaris hec grecorum lingua suam, ut par est, originem non inficitur, ac
fœcundam illam linguarum 1: parentem ἑλληνίδα διάλεκτον, matrem agnoscit, non mirum si ad ipsam tanquam ad
fontem existimem recurrendum, et plurima ex ipsa deprompta censeam
referenda. Habet igitur hæc quoque suas XXIV literas, ut illa,
paritérque dividit eas in vocales et consonantes. Vocales quidem VII
agnoscit -- a, e, n, t, o, v, ω -- ex quibus sex proprias diphthongos format at, av, ει, ευ,
ot, ov: ex impropriis tamen preter n, w, et νι, nullas alias admittit. Jam consonantes sunt XVII -- 8 9
60x Au vEmpoactoy d, ex quibus quaedam tenues r x r; quaedam aspiratæ 0 9
χι quedam medie f y 2; quedam duplices ὅ E ; quedam denique immutabiles À u ν p. et 20 25 Quod attinet ad
pronunciationem, miror quosdam doctos licet et non vulgari præditos
eruditionis varietate ed temeritatis devenisse, ut germanam, integram, ac πατροπχοάδοτον recentiorum Graecorum pronunciationem, chimericis
nescio 3 quibus ducti conjecturis, totis viribus ausi fuerint quam
sane temerario judicio, sic irrito conatu pervertere, ac deturpare.
Profecto si Grecis maternæ linguæ flexiones, et una cum lacte acceptos
haustosque sonos et accentus puros et intactos audes denegare, cur
barbariseos concedas, cur extero cui- ο que qui aliarum Nationum aecentus suo nativoque
accommo- dat, toto, ut aiunt, ccelo à recta earumdem Nationum
aberrans pronunciatione atque deflectens. Verum hæc obiter
tetigisse sat erit, pluribus enim prosequi, et vehementius in eos invehi
præsens prohibet institutum, ac brevitatis amor. Quare ut eo redeat, unde
parum aberravit oratio, dicam de literis in particulari, et primo quidem
de A, quæ ore debet proferri pleno, numquam depresso. Neutro omnia in
plurali hac litera terminantur, quidam etiam in singulari, præci-
puéque Verbalia, ut atvcux no0ti0 à «vo, πάλαια lucta à πα- Àxiée. Item omnia fere nomina substantiva, et non
verbalia fwminini generis, ut μοῦσα Musa, κάψα calor, dix sitis, etc. Est praeterea terminativa
Aoristi tam activi quam passivi modi Indicativi, ut ἔχαμα feci, ἐγοάφθηκα scriptus sum.Sic etiam desinunt omnia adverbia, ut
xx22 benè, σεφὰ doclà, &aímux es egregió, et
hujusmodi plura. B, effertur ut V Consonans, nec ponitur nisi in
medio vel initio dictionis, numquam in fine. Quod autem β sonet V Consonans ex hoc maxime constat, quod
Greci dum B Latinorum pronunciationem volunt exprimere, in nominibus præcipue
quibusdam ab ipsis Italis mutuatis, et à græcaliterali quam longe
distantibus non utuntur fj, sed uz, quod apud illos sonat b, ut videre
est in dictione bombarda quam nostri Græci sic scribunt µπομπάρδα. l', varie sonat pro varietate vocalium
quibuscum alligatur ; Na cum a, o, o, et ου, eodem prorsus effertur modo, quo, g Latinorum in
ga, go, et qu : At cum i, z, v, ot, e et αι editur ut gÀ, vel ghiè Italorum, et ut gue et gui
Gallorum. Jante aliam posita, et ante, sonat ut» ut ἄγγελος angelus, αγκαλλιόζω amplector. # A, densiori quodam spiritu, quam D
Latinorum edi debet. Hispani ad hanc pronunciationem maxime omnium
accedunt. E, valet E. In hanc vocalem terminantur præcipue Vocativi
singulares Nominum Masculinorum, quorum Nominativus est in ος, ut xa: bone, ἄτυχε improbe, etc. Item secundae
persone numeri pluralis Verborum cuiuscunque sint modi, sicut etiam
secunda persona numeri singularis Imperativi, ut «zu: fac, λέγε dic. Item
tertia persona Aoristi tam activi ; quam passivi numeri singularis modi
Indicativi. Græci nostri carent c clauso, uno namque sono, eóque aperto,
ut reliquas omnes vocales, edunt. Z, suaviuseffertur Latinorum Z,
æquivaletquesimplici 8, cum in medio dictionis ponitur, ut in hac voce,
Musa. Z 10 insuper post r, sonat c, ut in hac voce, ἔτζι constat, et in
aliis pluribus. H, sonat I, et non E, ut quibusdam placet,
eruditis quidem alioqui viris, at non Grecis, quibus inauditus est
hujusmodi sonus, et omnino peregrinus. Est terminativa nominum tantum
generis fœminini, et precipue adjectivorum, ut καλὴ bona, ἄσποη alba.
Item tertiæ persone numeri singularis Verborum modi Subjunctivi,
subscripta « ut διά νὰ κάωῃ ut faciat. 0, funesta litera, et
à solis fere Græcis proferenda, characteribus aliarum linguarum, vel vocibus
exprimi scriptis minime nequit, videtur tamen accedere ad prolationem
s, balbutientium. I, valet I, in quam desinunt omnia fere neutra,
quæ derivantur à græcoliterali in tov, ut ψωμί à φωμίον: κλαδὶ à
κλα- div. δακτυλίδι à ὁχκτυλίδιον. Item omnia diminutiva in κι, ut
ανθρωπαάκι homunculus, et alia innumera. K, æquivalet C, sed
diverso modo; nam cum a, o, o, ov, sonat ca, co, et cu : at cum i, v, €,
v, εἰ, ot, et αι, correspondet qui et que Gallorum, vel etiam italico chí
et chie. K, post y 5 ety, profertur ut g, verbi gratia τὸν κόσμον, et
αγκάλι͵ ton gos- mon, et angáli dicemus. A, valet L, ac semper
eundem retinet sonum ante quascunque vocales, et diphthongos posita, licet
quibusdam videatur aliter exprimenda ante «, voluntenim tunc idem prorsus
sonare, 3: quod gli Italorum, vel // Hispanorum. Utrumque sonum non
improbo. M, sonat M, quæ si ponatur anter, variat illius sonum, ita
ut proferatur ut b, ut constat in voce µπαμπακι, bambáki, id est
bombyx. N, quanvis ante a, €, ο. o, αι et ου, Sonet na, me, πο, nu;
attamen ante:, οι, ει et υ (in nobilioribus saltem presentis Grecis locis)
sonum gni Italorum, vel duplicis nn Hispanorum prz se ferre videtur. N, ante π
æquivalet m, et x b, exempli gratia τὸν πατέοα patrem. pronunciamus tom
batéra. Est insuper finalis accusativi singularis primæ et secundae
5 declinationis, et omnium genitivorum numeri pluralis, item- que
Nominum neutrorum in ον. E, effertur ut cs, non vero (ut perverse quidam)
tanquam gs. O, sonat O, ore aperto prolata. In hanc desinunt
quampluio rima nomina neutrius generis, ut ἄλογο equus, etc. quee deberent
terminari in ον, si spectetur eorum origo. II, valet P, sed post µ vel v, respondet B LATINORVM,
ut patet in dictione murs mitto, pémbo, et aliis. Vertitur ali-
quando in ο ut βλάπτω, βλάφτω noceo, γλύπτω γλύφτω scalpo, et 15 alia non pauca. P,
æquivalet R, initio dictionis semper spiritu aspero notatur, cum vero sunt duo
(ut fere contingit in medio alicujus dictionis) primum leni notatur
spiritu, secundumautem aspero. Ponitur interdum loco À, ut στέλνω otéws mitto ; sed hoc ni- + mis corrupte :
melius agitur dum p vertitur in À, præcipue in dictionibus externis
dicendo σκλίµα pro σκρίµα
Italico, id est gladiatura, etc. 3, sonum 8, refert cum
sibilo, estque terminativa omnium prorsus nominum ac participiorum
generis masculini, ut 25 ἀντώνιος Antonius, στέκοντας Slans : item accusativorum omnium tam masculini, quam
foeminini generis numeri plu- ralis, ut τοὺς 42205; bonos, ταῖς ἀτνχίχις iniquitates : itemque nominativorum
pluraliumgeneris fceminini, ut αρεταῖς virtutes, µανάδες matres, etc. Ponitur etiam in fine secundæ person:
3ο omnium Verborum activorum numeri singularis,
ut δέρνεις verberas, κλέγτεις furaris, et omnium temporum activa et passive
significationis eiusdem numeri (si imperfectum passivum excipias) ut &ov:;
verberabas, ἔδηρες verberasti,
éózo- θηκες verberatus es, et hujusmodi. 3s
T, mystica, ac salutaris litera sonat T, verum posita post v sonum 0,
assumit, ut ἄντρον antrum quasi andron,
et ἐναντίον contrarium
enandíon. Y, idem munus subit quod, I, estque finalis quorundam
gravitonorum generis neutrius, ut γλυχν dulce, βαρὺ grave : item # et eorum qua derivantur à
græcaliterali lingua in voy, ut dixzu à ὀέκτυον, et reliqua plura. $, sonum habet F, vel ph,
ut φέονω fero. X, sonus hujus literæ scriptura
nequit ostendi, qui tamen Florentinorum C noverit, ejusdem literæ
pronunciationem non ignorabit, quanvis non tam aspere sit edenda. Sane
si chi Gallicum careret sibilo, et Italicum sci, non longe dista-
rent à Greco y. V, valet ps, ut Ψαλμός Psalmus. Q, idem
przstat quod O, estque terminativa omnium Verborum activa significationis tam
presentis quam futuri, ut ayamà Qo, θέλω αγαπήσει amabo. Mutatur non raro
à Græca- literali in hac vernacula lingua in ov, ut ζωμίδιον
jusculum, Couuí, à πωλῶ Vendo, πουλῶ, et à μιμὼ simia, μαϊμοὺ, etc. Atque
heec de literis, jam nonnulla dicamus de Diphthongis. Αι, correspondet LATINÆ
diphthongo, c, in hanc terminantur prima, secunda, et tertia persona singularis
przesentis Verborum tam passivorum, quam deponentium. Item et tertia persona pluralis ejusdem temporis,
et nominativi pluralis nominum fcemininorum, et masculinorum prima, et
secundae declinationis. As, ut plurimum sonat af, ut αὐτὸς épse aftos, interdum vero a6, ut avr aula, quasi
An. Quare quoties post «v sequitur 8, ἔ, c, 7, 9, x, edenda erit ut a/, si vero post ipsam
ponantur vocales, vel cæteræ alive consonantes, supradictis exceptis
pronuncianda erit ut a6. Ει, facit 2, estque terminativa secunde et tertie
persons presentis, et futuri activi Verborum barytonorum, ut γρά- peus γράγει, et θέλεις γράψεις, θέλει γραψει. — Εν, effertur ut ef, modo ut :6. quando autem debeat
pronunciari ut ef, quando vero ut «5 observanda est supra- dicta regula
de αυ. Οι, æquivalet etiam i. Cuius terminationem amant
omnes nominativi plurales nominum terti: et quarte declinationis. Ον, correspondet ow Gallorum, ac sonat Italorum. Hanc
terminationem habet secunda persona imperfecti modi indi- cativi passive
significationis. item omnes fere genitivi singu- lares nominum masculini
generis, et neutrius, si barvtona excipias in 2; et 7;, et quæ desinunt
in «. Item nonnulla no- mina fœminina ut μαϊμοὺ simia, etc. III habet vernacula hæc Graecorum lingua ut
literalis accentus, acutum videlicet ut λόγος, gruvem ut zu, et 5 tandem eircumflexum ut
zu. Loci accentuum sunt quatuor, ultima, penultima, anteponultima,
et præantepenultima. Ultima tres recipit accentus, non quidem omnes simul
cum una dictio unius tantum sit capax accentus, sed potest vel acutum,
vel gravem, vel circumflexum, prout ratio exigit, suscipere. Accentum
gravem habent omnia monosyllaba ut τὶς, νὰ, δα, etc. Item adverbia in +, quæ derivantur ab
adverbiis græco-literalis linguæ in à; cireumflexe, ut cogz docte, À σονῶς, «ax bene, à )5:, et hujusmodi plura. Nomina
etiam neutra dis8vIlaba in 4, ut κεοὶ cera, voovi corpus, et alia.
Accentum circumflexum suscipiunt genitivi tam singula- res, quam
plurales, in quorum recti ultima accentus est vel acutus, vel gravis, vel
circumflexus, ut 0co; Deus, θεοῦ, vw, honor, τιμῆς, Y, αρεταῖς virtutes,
τῶν αρετῶν. Eundem observant accentum accusativi plurales
nominum secundæ declinationis, et omnia verba circumflexa. Penultima etiam
duos admittit accentus acutum videlicet et cireumflexum: hunc suscipit
cum penultima est naturá longa, et ultima brevis in dictionibus plerunque
dissyllabis, i5 ut μοῦσα, θαῦμα, etc. item in iis, quæ terminantur in ovzs, ut αἰῶνας S@CUTUM, a, ὤνας certamen, et in participiis verborum
circumflexorum, ut χτυπῶντας verberans, αγαπῶντας amans, et sic de reliquis. Acutum vero
requirit cum utraque est vel brevis, vel 3) longa, ut λόγος verbum, γώρχις urbes, vel longa per appositionem, ut (άῤῥος fiducia. Omnia neutra plurisyllaba in «, habent
accentum acutum in penultima, ut παιγνίδι ludus, ἀνλρωπακι homunculus. Item omnia plurisyllaba cujus- cunque
sint generis, dummodo habeant ultimam longam 3; acuuntur in
penultima, sicuti et omnia verba quæ non sunt circumflexa, ut ὀννατώνο corroboro, σταλερώνω confirmo, et alia. Antepenultima
duntaxat acuitur, si ultima fuerit brevis, ut ἄνλρωπος lomo. Ceterum
nonnulli et recentioribus Græcis 1, non solent respicere ad ultimam
syllabam, sed LATINORVM more habita ratione quantitatis penultimæ,
antepenultimam acuunt si penultima fuerit brevis, ut ἁγιώτατη
sanctissima pro ἁγιωτάτη, ἄδικους injustos pro ἀθίκους, etc. Melius
tamen videtur et elegantius regulas accentuum observare
literalis grammaticæ, ad quam velim confugias. Præantepenultima vero
acutum agnoscit et circumflexum, acutum quidem in iis, quorum penultima
est in «x, ut ἀναγκάλλιασις exultatio, ἐνύχτιασεν nox facta, est, quasi
ια, unicam efficiat syllabam, et in προπαροξυτόνοι, quibus additur
particula νε, ut κάαμετε, χάμετενε facitis : circumflexum autem in 1 iis
quorum penultima circumflectitur, et iis additur articulus cum particula
νε, ut εἰδατονε vidi illud. Jam spiritus in hac ipsa lingua iidem
penitus sunt qui in græca literali, lenis videlicet, et asper, iisque
eodem modo in utraque lingua utendum est. Quare non parum sumet uti-
15 litatis, et commodi tam in orthographia, quam in nominum
declinatione, inflexionéque verborum is, Qui grainmaticam græcam apprimè
calluerit. Cux VIII sint ORATIONIS PARTES, Articulus scilicet, Nomen,
Pronomen, Verbum, Participium, Propositio, et Conjunctio, de iis
singillatim habendus erit sermo, si prius dixerimus quot casus ac numeros
vernacula Græcorum lingua admittat. IV igitur in quocünque numero
casus agnoscit, nominativum, genitivum, accusativum, et vocativum. Genitivus
ultra propriam significationem retinet etiam Dativi, ut σοῦ δίδω tibi do.
Accusativus vero non raro ponitur loco genitivi, et præcipue pro articulo cà»,
ut % τιμήτους pro ἡ τιμήτων honor illorum, et dicunt ἕνα κομμάτι dou pro
bou, idest, so Jrustulum panis. II tantum sunt numeri tam verborum
quam nominum, SINGVLARIS videlicet, et PLVRALIS: respuit namque dualem numerum
h:ec lingua, utpote solis Atticis proprium, à quorum melliflua suavitate
quanvis longe distet, suas tamen ss habet et Musas et gratias.
Articuli nominibus præfigi debent; sed quando
: hoc opus hic labor est. Cæterum vel usus optimus erit præceptor,
vel tua temet materna lingua docebit. Nam si tua lingua articulis
utitur, ubi eos ponere in ipsa conaberis, ibidem collocabis in : greca.
Exempli causa, si Gallice loquens dicas, la feste de Nostre Dame, eadem
græce vertens enunciabis cum articulo ἡ ἑορτὴ τῆς θεοτόκου: 8i vero dicas, nous avons grande s Feste absque
articulo, dices etiam græcè, ἐμεῖς ἔχομεν μεγάλην ἑορτὴν, nullo præposito articulo. Adverte tamen in nomine, ::;,
semper præponendum esse articulum, quanvis in aliis linguis non
praeponatur, di- cendum enim semper est ó θεὸς cum articulo, unde cum dicunt gloria tibi Deus,
addentes articulum aiuntdezx σοι ὁθες.
Adverte etiam Grecos vulgares carere articulis postpositivis, pro quibus LATINORVM
more relativis qui, quce, quod, utuntur, postponentes ὁποῖος, ὁποῖα, ὁποῖον, ac præfigentes articulos, ὁ, 7», τὸ, ut ὁ Πετρος 6 ónoio; Petrus qui. i$ Tres sunt articuli
præpositivi, à quibus genus nominum dignoscitur, ó masculini generis, ἡ foeminini, et τὸ neutrius. Sic
autem flectuntur, Masc. Fam. Neut. Sing. No. ohic. No. hac. No. ro
hoc. 20 Ge. τοῦ Ge. ri Ge. τοῦ Acc. toy AC. Tv AC. To Voc. © Voc. © Vo.
«© (P.22)Pl.No. ci hà ^ No. ai vel ἡ να No. τὰ hcc Ge. τῶν Ge. τῶν Ge. τῶν 25 Ac. TOUS Ac. ταῖς vel τῆς AC. Ta Vo. © Vo. o Vo. à Ex his
facile colligi potest quam malé alii notent in plurali articulum
f@mininum per οἱ diphthongum, quæ soli masculino
generi convenire debet. 5 vel τῆς videtur Ionica loquutio, 30 cujus est
mutare in η, nec temere usurpari potest pro αἱ et Tai. Qv.x de Nominum divisione inseri
hoc loco possent, utpote as Satis dilucida ex aliorum grammaticis, ne in
iis recensendis tempus terere videar prætermittam. Dicam tantum qu:
propria censeo in hac lingua.Variæ igitur multiplicésque sunt nominum
terminationes, quæ varias etiam sortiuntur declinationes, quarum numerus
licet communiter quaternarius assignetur, à me tamen majoris claritatis ergo
sextuplex tradetur. Erunt quippe declinationes quatuor ἰσοσύλλαξοι, id est parisyllabæ, una par- tim ἰσοσύλλαξος, et partim περιττοσύλλαξος, quæ in plurali tantum 5 incrementum suscipit,
altera demum omnino περιττοσύλλαθος, qui in utroque numero incrementum
admittit. I nominum declinatio est tantum masculinorum in a; et ης, quorum genitivus in ov, licet satis barbare, et
nimis corrupte apud vulgus exeat in a, vel in η, juxta terminatio- 10 nem nominativi, cum id
proprie contingat in accusativo ad- dito y, quam tamen nonnulli
abjiciunt. Pluralis est in auc, ge- nitivus in à»,
accusativus et vocativus, ut nominativus. Exemplum ín az. Sing.
Plur. 15 No. ὁ τχµείας
promus. .. No. οἱ ταμείχις Ge. τοῦ ταμείου Ge. τῶν ταμειῶν ACC. Toy ταμείαν Αο. τοὺς ταµείαις Voc. à ταμεία Vo. à ταµείαις Exemplum n ης. 20 Sing. Plur. Nom. ὁ κλέφτης fur. Nom. οἱ χλέφταις Gen. τοῦ χλέφτου Gen. τῶν κλεφτῶν Acc. Toy χλέφτην Acc. tous «Jta; Voc. ὦ κλέφτη Voc. ὦ κλέφταις 25 Adverte quædam nomina propria in ας oxytona posse termi- nare genitivum singularem et
in ov, et in a, ut ὁ Πυλαγορας, τοῦ
Πυθαγόρου, et Πυθχγόρα, quædam vero in a; circumflexa retinere tantum x
in genitivo, ut ó Λουκᾶς, τοῦ Λουκά, etc. II declinatio foemininis duntaxat gaudet
nominibus, 3o quorum nominativus est in x vel », genitivus in ας vel v; juxta recti vocalem. Accusativus autem in ἂν vel vy prout fuerit ultima vocalis
nominativi. Exemplum £n a. Sing. Plur. No. 49Jíz amicitia. Nom.
» φιλιαῖς Ge. τῆς φιλιᾶς ! Gen. τῶν φιλιῶν Dans l'édition originale, le texte porte της φιλιᾶς et x φιλιαῖς. AC. | rhv qUuxy Acc. ταῖς φιλιαῖς Vo. © φιλιά Voc. © suis | Exemplum in η. Sing. Plur. Nom. ἡ γνώμη opinio. No. 5$ γνώµαις
Gen. τῆς γνώμης Ge. τῶν γνωμῶν Acc. τὴν γνώµην AC. ταῖς γνώμαις Voc. c γνώµη
Vo. © γνώμαις. Nota híc vocativum singularem et pluralem similem
esse utrique nominativo ; quod non contingit in prima declinatione, in qua
vocativus singularis amittit. Item genitivum pluralem notari semper
accentu circumflexo, ut fit etiam in prima. III declinatio omnia
genera nominum complectitur, quorum masculina, muliebria, et communia
terminationem habent in ος, neutra vero in ον, vel in o, genitivus sin-
gularis in ov, accusativus in ov, et vocativus in e. Exemplum masculinorum
ín os. Sing. Plur. No. 6 λογισμὸς cogitatio. No. οἱ λογισμοὶ
Ge. roù λογισμοῦ Ge. . rà» λογισμῶν Acc. toy λογισμὸν Ac. τοὺς
λογισμοὺς Voc. ὦ λογισμὲ Vo. à λογισμοὶ Exemplum fœmininorum
in os. 25 Sing. Plur. No. ἡ ἔρημος Solitudo. Nom. ἡᾗ ἔρημοι
Ge. τῆς ερήμου Gen. τῶν ἑρήμων Acc. τήν ἔρηαον Acc. rai; ἐρήμους
Voc. ὦξρημε Voc. à ἔρημοι ο Hoc eodem modo flectuntur communia additis
præpositivis articulis ó et 2, ut ὁ et % παρθένος tírgO, τοῦ καὶ τῆς
παρθένου, etc. Exemplum neutrorum in ον. Sing. Plur. No. ro ὀένδρον arbor. Nom. τὰ δένδρα 35 Ge. τοῦ δένδρου Gen. τῶν δένδρων AC. τὸ 0cyJpoy Acc. τὰ ὄκνδρα Voc. à δένδρον Voc. à δένδρα. Sciendum autem hic est nomina neutra tres casus
habere similes in quocünque numero, rectum videlieet, accusativum
et vocativum ; quod non tam verum est in hac declinatione, quam etiam in
cæteris aliis, quæ neutra nomina continent. QvanTA declinatio est
masculinorum in ας et ης, quorum flexio partim convenit cum nominibus
prim:e declinationis, partim vero cum nominibus tertie. Horum igitur
genitivus singularis est in ου, accusativus et vocativus in « vel η juxta terminationem nominativi. Exemplum
in ας. Sing. s Plur. No. 6 σχλιχκας cochlea. No. οἱ σαλιάχοι Ge. τοῦ σχλιάκου Ge. τῶν σαλιάκων Acc. toy σᾶἄλιακα Ac. τοὺς σαλιάκους Voc. c σᾶλιακχα Vo. o σαλιάχοι Exemplum £n ης. Sing.
Plur. No. 6 µάστορικ artifex. Νο. οἱ µαστόροι Ge. τοῦ µαστόρου Ge. τῶν µαστόρων AC. τὸν µαστορη AC. Ἅτοὺς µαστόρους Vo. Ó µάστορη Vo. à µαστόρη Animadvertas velim in hac declinatione semper
nominati- vum, et vocativum pluralem debere acui in penultima: vocativum
vero singularem acui in antepenultima si nomen sit trisyllabum, si vero
quadrisyllabum in præantepenultima, sive quod idem est servare semper
accentum sui nominativi, ut ex allatis exemplis licet colligere. V
declinatio amplectitur tam masculina in az et 7; barytona, quam in τς ὀζύτοναχ, et foeminina in +, quorum obli- qui singulares
retinent.recti vocalem ablata ς in masculinis, et addita in foemininis.
Pluralis vero nominativus est pluri- syllabus in ade; vel οὔδες, genitivus in ων, accusativus et voca- tivus similes sunt
nominativo. Exemplum ín as, Sing. Plur. N. — ó
µασκαρὰς nugator. N. οἱ 202020 G. τοῦ µασκαρὰ α. τῶν µασκαράδων Δ. τὸν µασκαρὰ Α. τοὺς µασκαράδες V. ὦ µασχαρὰ γ. ὦ µασκαραθες. MEYER. GRAMM. GRECQUE] Exemplum in
xs. Sing. Plur. No. 6 χριτῆς judez. No. οἱ χριταθες Ge. τοῦ xp Ge. τῶν κριτάδων s ACC. Toy χριτὴ Acc. τοὺς χριτάδες Voc. ῥὦ κριτή Voc. ó κριτάδες, Exemplum ὃν ις. Sing. Plur. No. 6 xps domínus. No. oi χυροῦθες 10e. τοῦ χύρι Ge. τῶν κυρούδων Acc. τὸν χύρι Acc. τοὺς κυροῦδες Voc. à χύρι Voc. & χυροῦδες Adverte composita ex isto nomine χύρις ut νοιχοκύρις; Χαραθο- χύρις, etc. formare nominativum pluralem in ide; non in οὔδες, 15 dicimus enim νουιοχύριδες, καραβοκύριδες retinentes t, in omnibus obliquis.
Exemplum feminini in a. Sing. Plur. No. #ucyx mater.
No. * µανάδες s) Ge. τῆς μάνας Ge. . tà» μανάδων Acc. hy μάνα Ac. ταῖς µανάδες Voc. ὦ µάνα Vo. ὠμανάδες Ex quibus colligi potest nomina in ας et ης masculina, et foeminina in « habere
nominativum pluralem in ἄδες
sola e; vero masculina in & in oie. Sexta, et ultima declinatio
continet tantum nomina περιττοσύλλαθα neutrius generis, quorum terminatio est α vel :, genitivus plurisyllabus in ου, ac cæteri casus ut nominativus. His addi
possunt nomina neutra in v. Exemplum in a. Sing. Plur. Νο. ro κρίμα peccatum. No. tà κρίµατα Ge. roù κριµάτου Ge. τῶν κριμάτων AC. To χρίµα AC. τὰ xpipata 35 Vo. c χρίµα Vo. à κρίµατα Adverte hzc nomina desinentia in x, posse etiam
terminare genitivum singularem in ος juxta regulam græcoliteralis grammaticæ, ut si
quis pro χριµάτου diceret κρίµατος, pro στοµάτου στὀµατος, et sic de reliquis. Exemplum in ι. Sing. Plur. Nom. τὸ rx puer. Νο. τὰ παιδιὰ $ Gen. τοῦ παιδιοῦ Ge. . rà» παιδιῶν Acc. τὸ παιδὶ Acc. τὰ παιδιά Voc. o παιδί Voc. c παιδιὰ Observandum est hoc loco apud quosdam non
circumflecti genitivum singularem, et pluralem nominum desinentium in i
quum dicunt τοῦ παιδίσυ, et τῶν παιδίων cum accentu acuto. Verum communis usus utrósque circumflectit, quem
etiam sequendum esse censemus, cum ipse hac in re non minimi sit
ponderis, ac momenti. HETEROCLYTA nomina dicuntur, qu: vel novam
sortiuntur flexionem in plurali diversam à singulari, vel genus mutant aut
accentum, vel peculiarem quendam declinandi modum, irregularem tamen
constituunt. Ad primum genus hete- 1ο roclvtorum revocari possunt omnia nomina foeminina
in ες, quorum flexionem unius exemplo satis
ediscere poteris. Exemplum n s. Sing. Plur. Nom. 7 πίστις fides. No. nn πίσταις i5 Ge. τῆς πίστις Vel πίστεως Ge. τῶν πίστεων Ac. τὴν πίστιν Acc. tais; πίσταις Vo. © πίστι Voc. o πίσταις Ex nominibus masculinis in ος, nullum reperio quod sit heteroclytum, prater
nomen λόγος, quod in singulari mascu- ao lini est
generis, in plurali veró neutrius, et sic declinatur. Sing. Plur.
No. 6 Àdyos verbum. No. ra λόγια Ge. roù λόγου Ge. τῶν λογίων Acc. τὸν λόγον Acc. τὰ λόγια Voc. Joy: Voc. à λόγια. Huic addi potest nomen fœmininum ὄξοδος, quod cum sit tertie declinationis, variat tamen
in plurali terminationem accusativi, communiter enim pro cai; ὄ-οδους, ponitur cai; ózo- da, quæ est terminatio
accusativi pluralis secundæ declinationis. At vero neutra omnia in
os, ut à/o; flos, κέρδος lucrum, etc.
et nonnulla in ον, ut δέν2ρον
arbor, loco « in nominativo plu- rali reponunt »; dicimus enim 2» lores, γέρδη lucra, et δέν- en arbores, quorum genitivus est in à»
circumflexe. ο. Nomen ῥίγας Ret, quanvis quinte declinationis, quia ta- men
accentum mutat, et terminationem in genitivo singulari, ideo non immerito
inter heteroclyta annumeramus. Dicetur igitur in genitivo pro τοῦ ῥίγα
juxta regulam τοῦ pro; caeteri casus tam singulares,
quam plurales sequuntur flexionem quintze declinationis. Nomina
propria virorum in οὓς et
ως, ac mulierum in ov et à, non
declinantur nisi in singulari, et retinent ου vel ω in omnibus obliquis. At vero
substantiva in o2; in utroque nu- mero declinantur. Singula propriis exemplis elucescent. 20 Evemplum
virorum in οὓς et w:. Sing. Sing. No. 0 [ησοῦς Jesus. No. ὁ Mivyo; Minos. Ge. roù [ησοῦ Ge. ro0Mówg — Ac. τὸν [ησοῦν Αο. τὸν Μίνων 2: Vo. o [ησοῦ Vo. à Mw Exemplum mulierum in ov et
o. Sing. Sing. No. 7" μαϊμοὺ simia. No. 75» Avo Latona. Ge. Tr μαϊμοὺ Ge. τῆς Aro 30 AC. τὴν μαϊμοὺ Ac. την Λιτὸ Vo. à μαϊμοὺ Vo. ὦ Λιτὼ Exemplum substantivorum in οὓς Sing. Plur. Nom. ὁ νοῦς mens. Nom. οἱ νόοι Gen. τοῦ νοῦ Gen. τῶν νόων Acc. τὸν vov Acc. τους νόους Voc. ὦ vou Voc. ὦ νόοι Nomen item nou; et πολὺ heteroclytum est, licet foemininum πολλὴ nequaquam sit, cum observet regulas secundæ
declina- tionis. Quare sit exemplum
masculini πολὺς, et neutrius πολὺ. Sing. Plur. Nom. ὁ πολὺς multus. No. οἱ πολλοὶ Gen. τοῦ πολλοῦ Ge. τῶν πολλῶν 5 Acc. Toy row Ac. τοὺς πολλοὺς Voc. o πολὺ ' Vo. © root. Sing. Plur. No. τὸ πολυ
muwultwm. Νο. τὰ πολλὰ (49. τοῦ πολλοῦ Ge. τῶν πολλῶν 10 Acc. ro πολὺ Acc. τὰ πολλὰ Voc. o πολὺ Vo. ὦ πολλὰ His adde omnia nomina in u; barytona ut βαρὺς, γλυὺς, et alia, qua sic flectuntur. Sing. Plur.
45 No. ὁβαρὺς gravis. No. οἱ βαρεῖς Ge. τοῦ βαρυοῦ Ge. τῶν βαρυῶν Acc. roy βαρὺν Acc. τοὺς βαρεῖς Voc. à βαρὺ Voc. o βαρεῖς. Neutra eorum in v, non sunt irregularia
sed pertinent ac » reducuntur ad ultimam declinationem, et eodem modo
declinantur quo desinentia in i. atque hæc de heteroclytis.
Verbalia quædam deducuntur à presente versa o in r, si aliqua
praecedat consonans, vel simplex vocalis, sic à v:xo formatur νίκη victoria, et à βοῶ for clamor : si vero vocalem o, ss praecedat
diphthongus ευ, tunc ο, mutatur in a, et v inc, unde à ὀρυλεύω fit δουλεία servitus, et à φτωχεύω φτωχεία paupertas. Verum siante o, ponaturov diphthongus,
o quidem vertitur in nat vu abjicitur, ut zxow» audio, a«or,
auditus. Ex verbis in γω, quorum penultima est ευ, formantur 30 etiam verbalia in », rejecta v, ut
ex φεύγω φυγή fuga. Ea vero quæ vel solam e habent, vel junctam
cum in penultima, mu- tant o in oc, ε in ο, et abjiciunt « ut λέχω λόγος verbum, σπείοω σπόοος Semen. Sunt etiam alia verba in γω, quorum penultima est in x, et hiec verbale
formant in t, ut ozye φαγὶ,
cibus, et ss additione ro, φαγιτὸ. Verba etiam in ὁῶ circumflexa verbalia habent in t, ut τραγουδῶ CAO, τραγοῦλι cantus, et lolo da floreo, λουλοῦδι flos. At in νῶ, et 0o formant verbalia in ος, ut πονῶ do- leo, πόνος dolor, et ποθῶ desidero, πόθος desiderium. Tandem ex verbis in uw effingi possunt
verbalia in µα rejecta v, ut à κάμνω facio, κάµωμα
factum. Quædam autem suam desumunt originem ab aoristo activo, et
hæc vel desinunt in ux et uo;, vel in i, velin ua. S Verbalia in ya et µός formantur à prima persona aoristi - primi,
qui si fuerit in σα verborum barytonorum formabit guum
verbale ponendo inter set x, u, ut ἀνούω audio, aoristus primus est ἄχουσα, hinc interposita u, inter c et a, fit ἄχουσμα auditio, et versa ux in uo; ακουσμὸς nominis fama. Dixi verborum barvtonorum, quia. aoristi
verborum circumflexorum mutant simpliciter ox in uz, et rejiciunt c, si
fuerit augmen- tum syllabicum, ut κινῶ, ἐκίνησα; ox in ua, et ablato e, aug- mento syllabico,
xéaux motus. Verbum δένω ligo, quanvis barytonum, et aoristum habeat in σα, ejus tamen verbale exit in ux, et non in cua, ut ἔδεσα, Œua vinculum, et additione τι, δεμάτι fasciculus. Si ultima aoristi fuerit in λα, vel ρα formanda erunt verbalia in ua, et voc,
interpositione u, εἰ ablatione augmenti, quod si ejus
penultima fuerit ει, rejicienda est ι. si vero n 0 tantum verti debet in α, ut σπείρω semino, ἔσπειρα. antpux Se- men, δαίρνω verbero, ἔδηρα, ὀαρμός verberatio. Tandem verbalia in τς, τα,
et wo deducuntur à secunda per- sona ejusdem aoristi mutando ε in :, et abjiciendo e, si fuerit augmentum
syllabicum, ut ab εκίησες, Ἀίνησις motus, ab ἐπορπάτησε: Gmbulasti, ποοπατησιὰ ambulatio, et ab ἔκλεψες furatus es, Χλεψιμιό furtum. Adverte tamen caracteristicam v, ver-
tendam esse in c, ut*ab éxcues judicasti fit κοίσις judicium, mutata v in £,e in ν et rejecto augmento. Atque hæc de
derivatione verbalium substantivorum, nam 30 de adjectivis infra
suo loco dicendum. Illud tantum addo ex ipsis substantivis derivari alia
nomina substantiva in ox, έζα, οὔλα,
et όπουλον, quæ diminutionem
significant, ut à ματι
OCUÎUS, µατάκι OCellus, à καρδιὰ cor, καρδίζα corculum, à ψυχη anima, ψυχούλα animula, et ab εὐκγγέλιον evangelium, εὐχγγελιόπουλον evangeliolum, etc. Jam dicamus de numeralibus,
quorum aliqua sunt cardina- lia, ut loquuntur, alia ordinis.
Cardinalia sunt hæc: Masc. Fam. Neut. 10 Sing. Ν. ἕνας
unus. µία una. ἕνα UNUM. (1. ἑνὸς vel ἐνοῦ μιᾶς ἑνοῦ À. ἕναν vel ἔνχνε. μίαν ἔνχ. Hinc composita masculini generis καθένας unusquisque, xavé- vas nullus, vel κανεὶς à literali εἷς, et foeminini πασαµία
unaqueæ- que, et χαµία nulla, et neutrius καθένα, et per syncopem xat unumquodque, et χανένα mullum, eodem prorsus modo flec- tuntur, quo
primitiva ἕνας, µία, ἕνα
paritérque carent numero 5 plurali, et vocativo. Avo duo, est omnino
indeclinabile omnisque generis, cum dicatur οἱ, αἱ καὶ τὰ δύο, in omnibus casibus solos articulos variando; reperitur
tamen interdum genitivus τῶν duo duorum. Τρεῖς tres, est commune, cujus genitivus cpu, acc. τρεῖς. Neutrum habet τὰ τρία
tria. ge. τριῶν. acc. τρία. Técoape; quatuor, etiam est masculini ac
fceminini generis, ge. τεσσάρων. acc. técoapes. Neutrum est τὰ τέσσαρα. ge. τεσ- σάρων. acc. τέσσαρα. Atque ab his usque ad ἑκατὸν centum sunt is indeclinabilia, ut πέντε quénque, & sex, ἑφτὰ septem, óxzo octo, one novem, déxa decem, ἔνδεκα undecim, δώδεκα duodecim, (ὁριατρία vel δεκατρεῖς tredecim, δεκατέσσαρα Vel δεκατέσσαρες qua- tuordecim, apud modernos Grecos declinantur,)
δεκαπέντε quindecim, δεκάξη sexdecim, δεκαφτὰ septemdecim, δέκα ὀκτὼ
30 decem et octo, δέκα ἐννειὰ decem et movem, εἴιοσι viginti, εὔνοσι ἕνα
viginti unum etc. τριάντα triginta, σαράντα quadra- ginta, πενήντα quinquaginta, ἑξήντα sexaginta, ἑδδομήντα sep- tuaginta, ὀγδοήντα octoginta, ἑνενήντα nonaginta, ἑκατὸ cen- tum. Hinc jam incipiunt declinari oi διακόσιοι, n διακόσιαις, τὰ
ss διακόσια ducenti, etc. τριακόσιοι trecenti, etc. χίλιοι, χίλιαις, χίια mille, hinc δύο χιλίαδε duo mille, τρες χιλιάδες tria millia, récoures χιλιάδες quatuor millia, etc. usque ad ἕνα μιλιοῦνι millionem generis neutrius, unde déo μιλιούνια duo milliones et sic deinceps. Ordinalia sunt
πρῶτος primus, δεύτερος secundus, τρίτος tertius, τέταρτος quartus, πέµπτος
quintus, ἔχτος sextus, ἔδδομος septimus, ὄγδοος octavus, ἔννατος nonus, δέχατος decimus, ἐνδέ- χατος wndecimus, δωδέκατος duodecimus, δέκατος τρίτος tertius decimus, δέκατος τέταρτος decimus quartus, etc. εἰκοστὸς vige- s; simus, εἰκοστὸς πρῶτος vigesimus primus, etc. τριακοστὸς trigesimus, τεσσαρακοστὸς quadrigesimus, πεντηκοστὸς quinqua- gesimus, ἑξηκοστὸς Sexagesimus, ἑβδομηκοστὸς septuagesimus, 1., ligne 12 de l'édition originale,
le texte porte μιλῶν, puis μιλιούνια. —, 1. 6, il a διακοσιστὸς. Dans un cas comme dans l'autre ce sont de simples
fautes d'impression. ὀγδοηκοστὸς OCtuagesimus, ἐννενηκοστὸς nomagesimus, ἑκατοστὸς centesimus, δικκοσιοστὸς ducentesimus, τριακοσιοστὸς trecente- Simus, τετρχκοσιοστὸς quadringentesimus, etc. χιλιοστὸς mille- simus, χιλιοστὸς πρῶτος millesimus primus, et quæ sequuntur. AnjECTIVA
Sunt quae propriis ac substantivis nominibus præfiguntur : horum
autem quedam sunt in ος,
quædam in ης: alia in a5, alia in ig, alia denique in υς. De uniuscujusque terminatione singillatim agendum
hoc loco. Et primo quidem adjectiva in o; pertinent ad
tertiam declinationem, quorum si terminatio fuerit in o; purum,
quod Scilicet non subsequitur consonans, sed vocalis, aut diphthongus,
foeminina desinent in «, ut ἄγριος ferus, &yovx fera, ἄγριον Jerum. Unum excipe óydoo; octavus, ὀγδόη octava. Si vero Sint in o; non purum, habebunt
fceminina in v, ut καλὸς, xa35,. καλὸν bonus, bona, bonum, qux ad secundam declinationem
revocari debent, neutra vero in ov tertize declinationis. e;
Adjectiva in ης quædam sunt prime, quaedam quintæ
declinationis, utraque fœmininum formant vel in pu secunde declinationis,
ut κλέφτης fur, κλέγτρια. ἀκαμάτης negligens, ἄχαµάτρια: Vel in σα illud addendo, ut χωράτης rusticus, χωριάτησσα rustica, etc., quæ semper retinent accentum
penultimæ sui s»; masculini, ut patet in exemplis allatis, exceptis
duntaxat adjectivis in ϱης,
quorum fœminina non observant accentum penultimæ, ut διχκονάρης mendicus, διακοναριὰ mendica et ψωµατάρης Tnendazx, ψωµαταριὰ, etc. atque hsc omnia neutris carent. ᾿ x» At vero in ας sunt quinte declinationis, et formant fœmnina aliquando
in αινα ut pxyxs VOTAX, φάγαινα voraz; Sæpissime in ica, ut βασιλιὰς Imperator, βασίλισσα Imperatriz, ῥίγας Rex, ῥίγισσα Regina, et alia plura quæ neutrum penitus
ignorant. Que desinunt in & ad sextam declinationem referuntur,
et habent fceminina in iz secundæ declinationis, neutra vero in ,
sextæ declinationis, ut pæzpis, µαχριὰ, μακρὶ longus, longa, longum. Nomen κύρις Dominus, foemininum habet χυρὰ, non vero κυρία, nec format neutrum inc | 40 Tandem
adjectiva in w sunt etiam sextæ declinationis, ex quibus for(P. 47)mantur
fœminina in eix secund: declina- tionis, et neutra in ? sextæ, ut γλυκὺς, γλυκεῖα, γλυκὺ dulcis, et dulce. Bzpu;, xotix, βαρὺ gravis, et grave, et hujusmodi plura.
Jam Comparativa in repos, et Superlativa in raro; ex iis præcipue
deducuntur adjectivis, quorum terminatio est in ος, ες,
et v; ; alia enim explicant sua comparativa, vel per πλέα vel per µεγαλήτερος; », o», Superlativa vero per µεγαλώτατος, n, ov, ut cum dicimus πλέα ἀκαμάτης negligentior, µεγαλώτατος φαγὰς edacissimus, et ó µεγαλήτερος ἄοχοντας τῆς χώσας tota urbe nobilior. Quá tamen ratione Comparativa, et
Superlativa formentur ab adjectivis in ος, «c, et us, quaeve litera dematur, mutetür- que
vocalis sequentibus clarum fiet exemplis. ( ἄγριος ἀγριώτερος &ypworzros sylvestris ος $ ἔνδοζος ἐνθοξότερος ἐνδοξότατος gloriosus 15 σοφὸς, σοφώτερος, σοφώτατος, SUDIENS. ις | μακρίς, µακρίτερος, µακρίτατος, longus. u; | βαρὺς, βαρύτερος, βαρύτατος, gravis. Ex his facile colligere
potes, adjectiva in ος, quorum pe- nultima est longa, servare o, in
comparativis ac superlativis ; mutare vero in o, cum sit brevis.
Adverte etiam in hac lingua, ex adjectivis in o; non purum, formari
quidem comparativa in τερο:, et superlativa in raros, sed mutari o in η,
in solis comparativis : sic à καλὸς bonus fit χαλήτερος ?elior, à γοντοὺς
CTASSUS, χοντρήτερος C'assior, à usya- λος Magnus, µεγαλήτερος major,
etc. Posset aliquis dicere hujus- modi comparativa desumi à foemininis
καλη, χοντρή, et µεγάλη addito recos, sed tunc cave ne dicas superlativa
«a4Zracos, χον- τρήτατος, et µεγαλήτατος, hæc enim semper respiciunt masculina;
quare dicendum erit καλώτατος optimus, χοντρότατος crassissimus, et μεγαλώτατος
maximus. Adverte item adjectivum φίλος non habere comparativum in
τερος, et Superlativum in τατος, sed illa exprimere per µεγαλήτε- pos, et
µεγαλώτατος, Ut pod εἶνχι τοῦτος µεγαλήτερος φίλος οδί hic mihi magis
amicus, et µεγαλώτατος φίλος amicissimus. Ex adjectivis in uz, πολὺ: tantum est
irregulare, hujus enim comparativum est vel πολλότερος à moo; inusitato,
vel περισ- σότερος à περισσὸς, undein plurali περισσότεροι major pars,
vel plerique : superlativum vero πολλότατος quan multus à πολλ2ς. Atque hæc de gradibus comparativis et superlativis,
super- 4o est ut nonnulla dicamus de adjectivorum derivatione, ut
completam de illis habeamus doctrinam. Adjectiva quaedam sunt primitiva ut
χαλὸς bonus, quædam derivata ut Tewxónow
parvus Turca. À primitivis deducuntur alia, quæ diminutiva dicuntur, quorum
ter- minationes sunt in ούτζυιος, n, ov, et in όπουλος, α;
ov, ut καλὸς s bonus, καλούτζιχος, n, ον, subbonus, a, um. et ῥωμπὸς græcus, ῥωμηόπουλος, α, ον, greculus, a, um, et similia. A substantivis
feminini generis in «, modo exeunt adjec- tiva in as, ut à γλῶσσα lingua, γλωσσὰς loquax : modo in κὸς ut à καρδιὰ COT, καρδιακὸς cordialis : modo in pw ut à βάρκα ιο cymba, βαρκάρης portitor: modo in ov, ut à γυναῖκα mu- lier, γυναικούλης muliebris: modo in τερὸς, ut a ζημιὰ dam- num, ζημιατερὸς damnificus ; et tandem in vos, ut à χαπέλα sacellum, καπελάνος sacrarii custos. Item præstandum est si à
neutris deducenda sunt adjectiva, cum hac tamen differentia, quod
nominativo plurali addenda sint, p;, roc, ινὸς et paxo;, ubi in foemininis soli nominativo singulari
imponebantur, sic à χέρατα cornua, additione v, fit κερατὰς cornutus, à παραμύθια fabulæ, additione pns, παραμνθιάρης fabulosus, à γέεια barba, γενειάτος barbu- so tus, à ψώματα mendacia, ψωμµατωὸς, et ψωματάραος mendax, et hujusmodi plura.
Substantiva foeminina in », modo sua formant adjectiva in ηρὸς, ut τόλμη audacia, τολμηρὸς audax ; modo in ερὸς, ut βλάβη noxia, βλαθερὸς noxius; modo in repos, ut λύπη tristitia, λυπη- as τερὸς tristis : modo in τικὸς, et vc, ut cum honor, τιμητοιὸς et τί- µιος honorificus, et denique in pa; verso v in «, ut µήτη nasus, µηταρας nasutus. Sic etiam à substantivis in o;
deduci possunt adjectivain ερὸς, ut à dodo; dolus, δολερὸς dolosus, à φόθος timor, φοθερὸς timendus 30 etc. in οιὸς, ut à τέλος finis, τελιχὸς finalis, τόπος locus, (P. 52) το- rexos localis, et alia : in vc, ut ab οὐρανὸς calum, οὐράνιος cælestis : in εινος, ut ab aeco; aquila, ἀετεινὸς aquilinus: in vos, ut ab ἄνθρωπος homo, ἀνθρωπωὸς humanus; et tandem in ιάροιος, ut à ῥόζος nodus, ῥοζιάρικος NOOSUS, κμπος κομπιάρικος, et similia. ss À neutris in ον fiunt adjectiva in ένιος et ενος, ut à ξύλον lignum, ξυλένιος, et ξύλινος ligneus : item in coc, ut à πρόσωπον persona, προσωπικὸς personalis. At neutrorum in «, adjectiva exeunt
vel in dom, ut ypœu accipiter, γερακάρης accipitra- rius : vel in ἄτος, ut μουστάκι MyStAT, µουστακάτος mystacem 0 habens magnum : vel in ταος, ut σχυλὶ canis, σχυλίτοιος σαπέ-
nus : vel sæpissime in ac, ut ψάρι páscís, ψαρὰς piscator, µου- λάρι mulus, μουλαρὰς mulio, et hujusmodi plura. Fœminina in &, quæ
non sunt verbalia habent adjectiva simpliciter in ræos,ut πόλις urbs, πολιτινὸς urbanus, verbalia vero si sint in os mutant ç in v, ut χίνησις motus, κινητυκὸς motivus ; si vero in φις, vel Ex. i vertetur in g, et E in x, ut βλάψις (quod tamen non est in usu) βλαντικὸς damnificus, et s φύλαζις conservatio, φυλακτικὸς conservativus. Sunt etiam non exigui numeri
adjectiva, quæ suam des- umunt originem à verbis, quorum alia sunt in
aro;, alia in prog, alia in χρὸς, quædam in της, et Tes, alia demum in τὸς; ho- rum autem formationem is omnium optime
tenebit, qui græcoliteralem grammaticam in primis calluerit: Verum ne
rudis et Tyro, et τῶν ἑλληνικῶν µαθηµάτων penitus ἄγευστος ab hac nostra Græco-vulgari lingua longe videatur
arceri, has sibi regulas observandas proponat. Primum
adjectiva in aro; derivari à presenti mutato ω in 15 a, et addita τος, ut à φεύγω fugio, φευγαάτος fugitivus :
item in »oo; mutato o in », ut a πνίγω Su[foco, πνιγηρὸς suffocato- rius: item in µος, et precipue a verbis in do versa ζω in pros, ut à γνωρίζω COJNOSCO, γνώριμος cognitus : item in xo; muta- tione ω in «, ut à γράφω scribo, γραφυὸς, qui pertinet ad so scripturam.
Secundoadjectiva in τυκὸς, τῆς et
vo; deduci à prima persona aoristi activi versa ultima syllaba in ræos, τῆς et τὸς, rejectó- que augmento, ut ab ἐκίνησα movi, fiunt κινητικὸς motivus, κωητὴς MOVENS, et κωητὸς Mobilis, ἀγάπησα amavi, ayamncos t5 amabilis, ἀγαπητῆς amans, ἀγαπητιαὸς amatorius, unde ἄγα- run amasia, et similia. Quod si ultima aoristi
exierit in £a, vel da,tunc in formandis adjectivis E verti debet in x et ψ, in vel φ et a, in τικὸς, τῆς et
τος, ut ab ἔσμιχα miscui, fit σμικτὸς mixtus, σμικτικὸς admixlivus, et ouixrns miscens sic ab ἔγραψα 30 deduci possunt γραπτὸς scríptus, yp&(P.55)prn; scriptor, et γραφτικὸς qui scribi potest, et ita de reliquis. Ῥποπονινα
dividi solent in primitiva, possessiva, demon- ss strativa, relativa,
composita, interrogativa, et infinita. Primitiva sunt tria, ἐγὼ
prim» persons : ἐσὺ {u, Secun- dz persons; τοῦ sui, tertiæ persons. Hæc
autem sic flec- tuntur. Sing. Nom. εγὼ ego. Gen. poo mei, et
mihi. Acc. é£u£yx vel μὲ me. Plur. Nom. ἐμεῖς nos. 5 Gen. ἐἑμῶν et ἐμᾶς mostrum vel nobis. Acc. ἐμᾶς νε] μᾶς nos. Sing. Nom. cv tu. Gen. σοῦ tui et tibi. Acc. ῥἐτένα vel oc te. 10 (P. 56) Plur. No. ἐσεῖς VOS. Gen. ἐσᾶς vel σᾶς vestrum et vobis. Acc. ἐσᾶς vel σᾶς vos. Sing. Gen. τοῦ sui vel sibi. Acc. 1680. 45 Plur. Gen. τῶν suorum vel sibi ipsis. ACC. cov; SUOS.
Ubi adverte duo priora primitiva habere genitivum plura- lem
similem accusativo; posterius vero carere utroque nomi- nativo, atque hac
omnia tria privari vocativo. Item accusa- «0 tivum τὸν, quum
postponitur alicui verbo assumere :, ut εἴδατον vidi illum, εἴδατονε.
Possessiva sunt sex, ἐ)ιιόσμου, ἐδικήμου, ἐδικόμου, meus, mea, meum
: ἐδικόσσου, ἐδικήσου, ἐδικόσου tuus, tua, tuum: ἐδιιόσ- του, ἐδικήτου, ἐδικότου
SUUS, δα, SUUM : ἐδικόστου quum ad fce- :; minina tantum refertur
assumit non ineleganter pro του, της, Videlicet ἐδιχόστης, εδικήτης, ἐδικότης,
non solum in singulari, sed etiam in pluraliéduxóguas, ἐδιχήμας, doux;
noster, nostra, nostrum : ἐδικόσσα:, ἐλικήσας, ἐλικόσας vester, vestra,
vestrum : ἐδικόστων, ἐδικήτων, ἐλικότων vel ἐδιχόστους, &ui-
τους, ἐδικότους €0rum, earum, eorum. Horum masculina, et neutra ad
tertiam pertinent declinationem, fœminina vero ad Secundam, et µου, σου,
του, µας, σας, των et τους, remanent im- mutata in omnibus obliquis, ut ἐδιχόσμου,
ἐδικαῦμου, ἐδιχόνμου, etc. Dicitur etiam éCwósuov,' δικήµου, δικόµου,
ablata e, si præ- 3; cipue preecedat vocalis, vel diphthongus, ut εἶναι
δικόµου τὸ χαρτι, liber est meus. Demonstrativa sunt duo, τοῦτος
vel ἐτοῦτος hic, ἐκεῖνς vel χεῖνος ille, tertiæ declinationis, quarum
fœminina τούτη h&c, et εκείνη illa, secundae ; et neutra τοῦτο, et ἐχεῖνο
hoc, et illud # tertiæ. Animadvertas rogo, genitivum singularem et
plura- lem juxta regulam non debere circumftlecti,
cireumflecti tamen apud quosdam vel additione alicujus syllabæ, ut fit
in genitivo singulari τούτου Aujus, τουτουνοῦ, τούτης, rournvis, et
in plurali τούτων horum, couzow ; vel sine ulla additione, ut quum dicunt
ἐχεινοῦ pro éxeivou, ἐκεινῆς pro ἐχείνης, et ἐκεινῶν pro ἐχείνων.
Relativa quatuor enumerari possunt αυτὸς, αὐτὴ, «vro ἔρδο, ipsa,
ipsum, quod interdum sumitur pro £y», ἐσν et exeivos : ἔποιος, ἔποιχ, ὅποιον,
vol ἔγοιος, Éyoux, ὅγοιον quicunque, queæ- cunque, quodcunque : ὁποῖος, ὁποῖα,
Onoicy Qui, qua, quod, et correspondet articulo literali ὃς, 7, 0 et ἔστις
quisquis, cujus genitivus ὄτωος, accusat. ὅτια, et non plus ultrà.
Ex relativo αὐτὸς, αὐτὴ, αὐτὸ deducuntur composita tria. Prime
persone ἁπατόσμου vel ἁατόσμου eo ipse, αἀτήμον vel ἁπατήμου, ego ipsa.
Secundæ personæ ἁπατόσσου vel ἀτόσσου iu ipse, ἁπατήσου tu ipsa : et
tertie personæ ἁπατόστου vel ἀτόστου Se 2pse, ἁπατήτου vel ἁπατήτης ipsa. Hec pronomina solum habent
utriusque numeri rectum, obliquis carent, et genere neutro, verum id
tantum admittit tertia persona, cum reperiatur ἁπατότου et ἁπατάτα. Cæteri casus desumi debent à sequentibus. Et quidem
prim: persona. Sing. Gen. ἐμαυτοῦμου met ipsius. ACC. ἐμαμτένμου Me ipsum. Plur. Gen. ἐμαυτοῦμας nostrum ipsorum. ACC. ἐμαυτόνμας mos {ρδοδ. II persona. Sing. Gen. ἐμαντοῦσου fui ipsius. Acc. ἐμαυτόνσου Le ipsum. Plur. Gen. ἐμαυτοῦσας vestrum ipsorum. ACC. ἐμαντόνσας VOS $psos. III verd persons. Sing. (Gen. ἐμαυτοῦτου sui ipsius. Acc. ἐμκχυτόντου Se ipsum. Plur. Gen. ἐμαυτοῦτους vel éuavroëruv. Acc. ἐμαυτόντους Vel ἐμαντόντων. Nota hujusmodi pronomina primæ, et secundæ
per- sonæ communia esse maribus ac foeminis immutato prono- mine µου et σου : tertiæ vero non item, cum pro του foeminina Sibi adsciscant της, ut τοῦ ἐμχυτοῦτης, et τὸν ἑμαυτόντης, atque id tantum fieri debet in singulari, nam in
plurali utriusque generis nomina omnino conveniunt. Interrogativa
pronomina sunt haec τὶς
quis et qua, com- munis generis: ri quid? neutrius ποῖο vel mot; quis saut qualis? omnis generis ita ut
fcemininum exeat in a, ut ποῖα QUO ? et neutrum in ον, ut ποῖον, quale? de flexione ποῖος, nulla potest esse difficultas, ideo ponemus
tantummodo declinationem τὶς et «i. Masc. et Fœm. ιο Séng. N. ris quis et quæ? Plur. N. rives qui? G. τίνος G. τίνων À. τίνα À τήας. (5. 61) - Neut. Sing. Nom. τὶ quid? 45 Gen. τίνος Acc. rti. Neutrum plurali caret, pro quo
usurpatur ποῖα, ut ποῖα πραγ-
para qua res? Differt τις à τοὰς non tantum syllabis in recto, et in obliquis
accentu, cum τωὰς habeat genitivum ro, et ac-cusativum rox,
verum etiam significatione, nam cruz; significat aliquem, vel nullum, nec est
interrogativum, ut «is. A pronomine ποῖος derivatur κάποιος, χάποια, χάποιον aliquis : ἔποιος vel ὅγοιος quisquis, et à τις ὅστις quicunque, quæ reti- nent suorum, ut ita dicam,
parentum declinationem. :3 Demum tria sunt pronomina que dicuntur
infinita, δεῖνα talis et tale, omnis generis. gen.
deivoz. acc. dx, caeteris ca- Tet. τέτοιος, τέτοια, τέτοιον lalis, et ταδεποιὸς, ταδεποιὰ, ταδεποιὸ talis et fale, atque hæc declinantur integré per
omnes casus et numeros, masculina quidem et neutra juxta tertiae, fœminina
vero juxta secundæ declinationis modos, ac for- mam. Illud
observatione dignum hoc loco censui μοῦ, σοῦ, τοῦ, μὲ,
σὲ, τὸν, τῶν, τῆς et τοὺς: enclyticas appellari voces, quod vel pro- prium
amittant accentum, vel illum ad præeuntem, ac præcedentem syllabam remittant.
Hoc autem tribus modis, ut plurimum potest contingere. Primo si
antepenultima præcedentis dictionis acuatur, vel penultima accentum
habeat circumflexum, ut τὰ
»piuat& µου peccata mea, ἡ Μοῦσα σου
Musa tua, τὰ λόγια του
verba sua, etc. SecundoSsi vox antecedens enclyticam accentum habeat acu-
tum in penultima, vel gravem in ultima, pronomina illa penitus quidem suum
deponunt accentum, at gravis transit in acutum, ut ó λόγος του
verbum suwm, τὸ πουλίµου
avis mea: circumflexus tamen remanet immutatus, ut κινῶ cc mo- veo te : idem præstatur si ultima prioris
vocis acuatur. Tertio et ultimo usus obtinuit in enclyticis
pronominibus; suum ipsorum accentum retinere, quando
præpositionibus conjunguntur, vel conjunctionibus disjunctivis, ut διὰ σὲ
propter te, non διά σε, et ñ μὲ σκοτώνω ἡ σέ ἐλευθερώνω vel me occido, vel te libero, et similia. Ur
facile est hodiernae Grecs lingue Verborum conjugationes exponere, cum
multiplicem illam tot temporum, modorümque respuerit distinctionem, ita quoque
perarduum esse constat eadem in certas distribuere classes, certísque
5 sedibus collocare, tam ob defectum futuri, quam propter diversam
finalium characteristicarum varietatem, ne dicam corruptionem. Ceterum
antequam ad istam terminationum farraginem deveniamus, non abs re
videbitur nonnulla præmittere, quæ ad faciliorem Verborum notitiam requiruntur.
so Verba igitur omnia vel sunt activa, quorum nota est o, et formant
passiva in µαι, vel passiva ab activis deducta, vel
neutra qux desinunt in «e, sed nullum efficiunt passivum in µαι, vel demum deponentia, quæ vocem ac sonum habent
passivum, at significationem activam; rejiciantur ss ergo ab hac lingua
verba communia, seu, ut Grammatici loquuntur, media. Sunt etiam alia
verba quas dicuntur impersonalia, non quod nullius sint persons, cum efferantur
in tertia persona; sed quod ad nullam certam, et deter- minatam personam
referantur, ut quum dicimus πρέπει νὰ ἀκολουθήσωμεν τὴν ἀρετὴν, καὶ νὰ ἀφήσωμεν τὴν χακίαν Oportet ut virtutem sequamur , vititmque
relinquamus, illud "pere: nullam habet personam, quam certo et
definite respiciat. Dividuntur supradicta verba duas in partes, quarum una
ss nuncupatur barytonorum, altera circumflexorum, verba nanque in
ut, nec per somnium quidem vidit unquam praesens Grecia. Utraque verba
duos habent, ut nomina, numeros singularem et pluralem, tres personas,
quinque tempora, quorum tria sunt simplicia Præsens, Imperfectum, et Perfectum,
duo vero composita, Plusquam-perfectum, et Futurum, modos item quinque
Indicativum, Imperativum, Optativum, Subjunctivum, et Participium. Carent
Infinitivo s pro quo utuntur Subjunctivo. Verba quc vulgo
appellantur auxiliaria, quibus supradicta illa tempora composita
exprimuntur duo precipue sunt θέλω volo, et ἔχω habeo, hoc quidem utimur ad exprimendum
Plusquam-perfectum, illo vero Futurum et præsens Optativi, per suum
Imperfectum ἤθελα vellem. Jam barvtonorum
Conjugationes tradamus, quarum numerus à varia Perfecti, seu aoristi
terminatione colligi debet. Cum igitur Perfectum modo exeat in φα, modo in £a, et cx, modo in quatuor liquidas À, u,
v, o, pro hujusmodi is quadripartita Perfecti desitione, quatuor etiam nos
barytonorum conjugationes instituemus. Prima est in (o, βγω, πω,
qu, et cro, ut αλείθω ungo, νίόγω lavo, λάμπω fulgeo, γράφω scribo, ἀνάφτω accendo, perfectum habet in dz, ut ἄλεψα unti, ἔνιψα ο lavavi, ἔλαυψα affulsi, ἔγραψα scripsi, ἄναψα accendi. Ad hane conjugationem revocari possunt
verba in eu» vel εὔχω et πώγω, ut βασιλεύω vel βασιλεύγω regno, et σκηύγω inclino, quorum perfectum apud quosdam Græcos exit
in ja, ut εδασί- Asa pro εξασίλευσα regnavi, et ἔσκνψα inclinavi, fortassis . >; Similitudo soni
ευσα et ex, eos in hujusmodi mutationem,
vel potius errorem induxit. Secunda in γω, xo, Χνω, Χτω, χω; yv», σσω et ζω precipue trisyllabum et dissyllabum, et quod ante
£ assumit «, ut πνίγω Suffoco, πλέκω mnecto, δείκνω ostendo, τρέχω curro, pixco 404040; σποώχνω impello, ów»ro persequor, τάσσω pro- mailto, κράζω et φωνάζω voco seu clamo, perfectum habet in £a, üt ἔπνξα suffocavi, ἔπλεα meri, ἔθειῖα ostendi, ἔτρεξα cucurri, &iza jeci, ἔσπρω2z impuli, ἔλιωζα persequutus Sum, ἔταία promisi, ἔχραζα et ἐφώναξα vocavi, seu clamavi. x; lertia in do,
0», o purum, et in ζω
quadrisyllabum, et precipue quod habet ι ante 5, ut προδίλω prodo, ἀλέθω molo, ακούω QUO, σκοτειιαζω adumbro, et γνωρίζω cognosco, per- fectum efficit in σα, ut ἐπρόλωσα prodidi, ἄλεσα molui, ἄχουσα QUdivi, εσκοτείνιχσα aduinbravi, et ἐγνώρισα cognovi. # Ad hanc conjugationem spectant
omnia verba in ώνω à græco-literali deducta in όω, et omnia illa quæ in Græco-vulgari assumunt v
ante o, ubi prius desinebant in o purum, ut τελειώνω perficio, ἐτέλειωσα perfeci, dem ligo, ἔδεσα ligavi, ἐνλύνω Vestio, &iusx vestivi, et alia quae per o purum
scri- bebantur, ut raie, δέω, et ἐνδύω. Quarta denique continet verba in 4», po,
vo, co, ut νάλλω canto, κάµνω
facio, κρίνω judico, «cito corrumpo, perfectum vero in
/z, ua, vx, cz, ut &ixAx cantavi, ἔκαμα feci, &oux judicavi, &usx corrupi. Ubi
adverte quum duplex est aux in presente, perfectum primum tantum
ser- vare, ut evo ver bero, ἔδηια verberati, etc. MODUS CONJUGANDI T)
VERBA BARYTONA. Verbi Activi Indicativi. Pres. Sing. γράφω, γράφεις, γράγει Scribo. Plur. yoxqous, γράφετε, γράφουσι, vel γράφουνε. Tertiæ persons pluralis numeri, quod in : desinit,
1: additur more Attico v, si precipue subsequatur vocalis.
Imp. Sing. έγραφα, ἔγραφες, ἔγραφε Scribebam. Plur. ἐγράφομεν, ἐγράγετε, cypAqast vel ε εγράφανε. Perf. Bing. ἔγραψα, ἔγραψες, ἔγοαψε, scripsi. 20 Plur. efiam ἐγράφε TE M ird vel ejoa. Plusq. Sing. είχα γοάφψει, εἶγες γράψει, i yoxyat scripseram. Plur. εἴχαμεν Ὑοάψει, εἴχετε ypxLe, εἴχασι vel εἴχανε 7px a. Vel alio modo. Sing. εἶχα γραμμένα, εἶχες γραμμένα, etys γραμμένα Scrép- seram. Plur. εἴγαυεν γραμμένα, εἴγετε γοαμμένα, εἴγασὶ Vel εἴγανε . γραμμὲνχ. Fut. Sing. θέλω γράφει, θέλεις γράψει, θελει γράψει scribam. J'lur. 0έλομεν γράψει, Deere γράφει, θἔλουσι γράψει. Vel aliis magis corrupté. Sing. 0ὲ px Vo, 0: γράψεις, 6& γράφει scribam. Plur. 0 γράφομεν, 0€ γράφετε, 0: γράβονσι. MEYER. GRAMM. GRECQUE.
Imperativi. Pres. Sing. γράφε scribe. 25 γοάψει scribat. Plur. à;
yoxbouss, γράψετε, ἃς γράψονσι. Formatur à tertia persona perfecti
Indicativi ablato 5 e augmento Svllabico : caret proprió prima
persona, cam tamen mutuatur ab optativo addita particula ας, ut as
οάψ scribam, et significationem habet indetermi- natam, et
indifferentem. Optativi. 10 Pres. Sing. ἄνποτες νὰ vel as yoXbe, ἄμποτε
νὰ γράψης, νὰ yox uténam scribam. Plur. ἄμποτες νὰ γράψωυεν, νὰ
γράψετε, νὰ γραψουσι. Imper.Sing. Y0:x γράψει, Ἴρελες γράψει, Ίθελε
γράψει scri- berem. Plur. Ἰθέχαμεν Ύραψει, θέλετε yodba, Ἰθέλασι
γοάγει. Dicitur etium ἅμποτες νὰ &yox?z, vel a; ἔγραφα, et tunc
idem est cum imperfecto indicativi. Sic etiam reliqua tempora eadem sunt
cum supradictis indicativi appo- sita tantum particula a; vel aumo:zez
va. Suljunctivi. Pres. Sing. νὰ γράφω, νὰ γράφῃς, vx yoxyn
"t scribam. Plur. νὰ Ὕοάγωμεν, νὰ γράφετε, νὰ ynxoust.
Est etiam aliud præsens ab aoristo, seu perfecto indicativi formatum,
cujus significatio non est aded præsens ac determinata ut prior, sed
indifferens maxi- méque in usu apud recentiores Græcos, hoc modo.
Sing. vx ypxlo, νὰ yox Voz, νὰ ypxbr ut scribam. Plur. νὰ ypxbœuer, νὰ
γράφετε, νὰ γράψουσι. Reliqua tempora sunt eadem, quæ in
indicativo 30 additis tantüm particulis νὰ, et διὰ νὰ, ut ἂν δὲ,
αἀγκαλὰ καὶ licet, ὅταν cin, et ἀνισωσγαὶ δὲ. Nota tamen
plusquam-perfectum, præter illum mo- dum quo exprimitur in indicativo
posse etiam sic efferri, scilicet ἂν Ίθελα γράψει δὲ scripsissem, et
tunc jj idem est cum imperfecto optativi. Futurum etiam
diversis modis, præter illum decantatum indicativi, pro varietate
sermonis usurpatur. Nam cum Latine dicimus, cun scripsero, Græcè
vertetur ὅταν θέλω γράψει vel où γράφω, χαλὰ xxi θέλω ἔχει yoxu-
T μένα licet scripsero, et reliqua. Infinitivi.
Præsens, et alia tempora eadem omnino sunt cum temporibus subjunctivi, retenta
sola particula να, ut vx yzxlo scribere, νὰ ἔγραφα,
etc. Participii. Præsens, et alia tempora duobus modis exprimuntur
vel Præs. simpliciter, et indeclinabiliter mutando o præsentis
indicativi in o, etaddita syllabay:zs, ut γράφω scribo, ypz- φοντας
SCribens, et hoc participium est omnis generis, vel mutuando participium ἔστοντας,
et praesens subjunctivi, ut ἔστοντας καὶ vx γυάψω scribens, vel cuin.
scriberem, ita ut verbum νὰ γράφω varietur quod numerum, et personam cum opus
fuerit. Reperitur etiam apud nonnullos Græcos quoddam participium in
µενος, quod licet vocem habere videatur passivam, revera tamen
activam sibi vindicat significationem, formatur ab imperfecto activo
indicativi ablato augmento, et addita syllaba μενος, ut à πηγαίνω 60, ἐπήγαινα
' ibam, fit participium myxwxuevos iens. Verbi Passivi
Indicativi. Sing. γράφουαι, γοάφεσαι, γράφεται Scribor. Plur.
γραφουμεσΏεν vel γραφόμεβα, γραφοῦσθε Vel /ράγεσθε, γράφονται. Imp. Séng. ἐγράφουμουν,
éyoxmouoou, ἐγοάφουνο vel ἐγράφετον scribebar. Plur. ἐγραγούμεσθεν,
ἐγραφοῦσθε vel εγράφεσύε, ἐγραφουντον vel ἐγραφονούντασι Perf. Sing. ἐγράφρηκα,
εγράφθικες, ἐγράφθηκε Scriptus fui. Plur. ἐγραφθήκαμεν, ἐγραφθήκατε, ἐγραφθήκασι
vel ἐγραφθή- κανε. Vel alio modo elegantiore. Sing. ἐχράφθην, ἐγράφθης,
ἐγοάφη. Plur. ἐγράφθηµεν, ἐγράφθητε; ἐγραφθησαν. 1. , I. 18, l'édition
originale porte ἐγραφονύντασι. de l'édition originale, le texte porte eus
029i, ai /AUEY Πραφθή, θελεις 402301, θέλει γραφθή, θέλουσι ypag95, ἴβελε
γοαφθὴ. L'iota souscrit est tombé dans
l'impression. Cf. p. 25 de l'éd. princeps, plus haut p. 15, qui
correspond à la p. 25 de l'éd. Plusq. Sing. εἶχα γραφθῇ, εἶχες 7paQ0h, εἴχε γραφθῇ scriptus eran vel fueram. Plur. εἴχανεν γραφθῇ, εἴχετε γραφθῇ, εἴχασι γραφθὴ. Fut. Sing. θέλω γραφθῇ, θελεις γραφΏῇ, θέλει γραφθῇ scribar. 5 Plur. θέλοµεν γοαφθῇ, θέλετε γραφθῇ, θέλονσι γοαφθῇ. Imperativi. Pres. Sing. γράφου scribare, xs γραφθῇ scribatur. Plur. a; Ὑραφθοῦμεν (γραφβῆτε) s Ὑραφθοῦνε vel ἆς γραγθοῦσι. 10 Optativi. Pres. et Imp. Síng. #chx γραφθῆ, fürs; γραφθῇ, ἴθελε γραφθὴ utinam. scriberer. Plur. Ἰθέλαμεν γραφθῇ, θέλετε γραφθῇ, Ἰθέλασι γραφθῇ. Reliqua tempora sunt eadem cum indicativo
appositis 15 tantum particulis ἄμποτε vx vel a;. Adde tamen plusquam-perfectum posse
etiam exprimi hoc modo. Plusq. Sing. à; ἵμουν γραμμένος, n, ον, &s Yrou γραμμένος, &s ἦτον γραμμένος, tinam scriptus essem. Plur. à; Ἴμεσθεν γραμμένοι, ax, a. à ἤσθενε γραμμένοι, 20 ἃς ἤτονε γραμμένοι.
Subjunctivi. Pres. Séng. νὰ γραφθῶ, νὰ γραφθῆς, νὰ γραφθῇ ut scribam. Plur. va γραφθοῦμεν, vx γραφθῆτε, vx γραφθοῦσυ. Reliqua ut in indicativo cum particulis illis νὰ, διανα, ἂν, σὰν,
etc. Infinitivus convenit cum subjunctivo. Participii. Pres. Sing. γραμμένος, γραμμένη, γραμμένον Scriptus, a, um. Plur. γραμμἔνοι, γραμμέναις, γραμμένα scripti, ta, ta. Desumitur hujusmodi participium à
perfecto passivo participii græcoliteralis ablato augmento
syllabico, utà γεγραμμµένος
ablato γε, remanet γοαμμένος, sic à νενιχη- µένος victus ablato νε fit wxruévos, et sic de omnibus passivæ
vocis. De Verbis Circumflexis. s | Due sunt verborum circumflexorum
conjugationes, quarum prima est in εις ete, secunda vero in & et à. Utraque habet
perfectum in σα, sed penultima modo est e, modo x,
modo denique «. Pro quo Adverte in prima Conjugatione
penultimam perfecti tunc assumere η, quando penultima præsentis est longa, ut τραγουδῶ CGnO, ἐτραγούδησα Cecini, πατῶ Calco, ἐπάτησα calcavi. Excipe χωρῶ capio, ἐχώρεσα cepi. Quando vero est brevis, penultimam perfecti
exire in e, saltem ut plurimum, ut πονῶ doleo, ἐπόνεσα dolui, καλῶ voco, ἐκάλεσα vocavi, βαρῶ per- s culio, ἐδάρεσα percussi, etc. In secunda conjugatione
penultima perfecti sæpissime est in », ut αγαπῶ GO, ἀγάπησα απιαυὲ, νικῶ
VÍnCO, ἐνίκησα vici, et alia
innumera; excipe γελῶ rideo, ἐγέλασα Τ18ὲ, διφῶ
sitio, ἐδίψασα sitivi, πεινῶ esurio, ἐπείνασα esurivi, χαλῶ desiruo, ἐχάλασα destruxi, σχολὼ vaco, ἐσχόλασα vacavi, ῥιγῶ frigeo, ἐρίγασα frigui, quoa consumo, ἐφύρασα consumpsi : et quadam verba in ερνῶ, ut ζερῶ vomo, ἐξέασα VOMUI, κερῶ infundo, ἐκέρασα infudi, περνῶ Supero, ἐπέρασα SUpe- ravi : item monosyllaba ut exo disrumpor, ἔσκασα disruptus sum, σπῶ vello, ἔσπασα velli, quorum composita retinent eandem
penultimam. ἐπαινῶ vero, et καταφρονῶ habent c, in penultima preteriti ut ἐπαίεσα laudavi, ἐκαταφρόνεσα contempsi. Hzc autem sunt penitus anomala βαστῶῷ duro vel tolero, ἐδάσταζα duravi vel toleravi, πετῶ volo, ἐπέταξα volavi, et ejus composita. Exemplum Verbi
Circumflexi in εἲς. Verbi Activi Indicativi.
Pres. Sing. πατῶ, πατεῖς, πατεῖ calco. Plur. πατοῦμεν, πατεῖτε, πατοῦσι Vel πατοῖνε. Imp. Sing. ἐπάτουν, ἐπάτειες, ἐπάτειε calcabam. Plur. ἐπατούσαμεν, ἐπατεῖτε, ἐπατοῦσαν. Perf. Sing. ἐπάτησα, ἐπάτησες, ἐπάτησε, calcavi. . Plur. ἐπατήσαμεν, ἐἑπατήσατε, ἐπάτησαν vel ἑπατήσασι. Plusq. Sing. εἶχα πατήσει, εἶχες πατήσει, εἶχε πατήσει calcaveram. xo Plur. εἶχαμεν πατήσει, εἴχετε πατήσει, εἴχασι πατήσει. Fut. Sing. θέλω πατήσει, θέλεις πατήσει, θέλει πατῆσει calcabo. Plur. θέλοµεν πατήσει, θέλετε πατήσει, θέλουσι πατήσει. Imperativi. Pres. Sing. πάτησε calca tu. à; πατήση calcet ille. 35 Plur. à; πατήσωµεν, πατήσετε, ἃς πατήσουνε. 1., 1. 15, l'édition originale porte a; et à.— P.
79,1. 7, penulti. à la fin de la ligne, avec un point. Cæteri modi
et tempora conveniunt cum Indicativo, additis de more particulis
illis διακριτικαῖς vx, διανὰ, ἄνποσες, etc. ut constat ex Darytonis.
Participii. s Pres. πατῶντας, omnis generis et indeclinabile formatur à
Pres. Imp. Plusq. Fut. præsenti indicativi addita tantum
syllaba vraz, ut πατῶ, πατῶντας calcans. Verbi circum/lexi Passivi
Indicativi. Sing. πατοῦωαι, πατειέσαι͵ πατεῖται Vel πατειέται calcor.. Plur. πατειούμεσθεν, πχτειοῦσθε vel πατειέσθε, πατειοῦνται. Sing. ἐπατειούµουν, ἐπατειούσου; ἐπατειοῦντο Vel ἐπατειέτον calcabar. | Plur. ἐπατειούμεσθεν; ἐπατειοῦσθε Vel ἐπατειέσθε, επχτειοῦνταν. Sing. επατήθηνα vel ἐπατήθην, ἐπατήθηκες vel ἐπατήθης, ἐπατήθηκε vel επατήθη calcatus fui. Plur. ἑπχτηβήκαμεν vel ἐπατήθωμεν, ἐπατηθήκατε vel έπατήθητει ἐπατηθήκασι vel ἐπατήθησαν. Sing. εἶχα πατηθῆ, εἶχες πατηθῆ, εἶχε πατηθὴ calcatus fue- Tam. Plur. εἴχαμεν πατηβῆ, εἴχετε πατηθῆ, εἴχασι πατηθῇ. Sing. θέλω πατηβῆ, θέλεις πατηβῆ, θέλει πατιθῆ calcabor. Plur. θέλοµεν πατηθῇ, θέλετε ravra, θέλουσι πατηθη. Imperativi. Pres. Sing. πατήσου calcare lu. à; nazv95, calcetur ille. Plur. xs πατηθοῦμεν, πατηθῆτε, a; πατηθοῦνε vel πατηθοῦσι. et reliqua ut in γράφοµαι. Participii. Pres.
πατηµένος, πατηµένη, marruévoy, calcatus, a, um. à Græco-literali πεπατηυένος priore syllaba recisa : vel (ut morem geram iis qui
Græco-literalem grammaticam non legerunt,) ab ἐπάτησα perfecto activo indicativi, mutata σα in µενος, quia penultima est longa, nam quum est brevis
remanet c, et vertitur tantuma in µενος, ut patet in ἐκάλεσα VOCAVI, καλεσμένος vocatus. quod etiam verum est in Verbis barytonis,
quorum præte(P. 84)ritum est in σα, ut ὁμόνοιασα conveni, ὁμονοιασμένος qui cum alio convenit : quorum autem preteritum
est in Ya, $ vertunt in µ et « in µενος ut ἔγραψα scripsi, γοαμμένος Scriptus : quorum in £x (dummodo non ve- niant ab
aliquo præsente in £o) mutant Ein y, et a in µενος, ut ἐδιάλεία selegi, Φιαλεγωένος selectus; dixi dum- modo non veniant ab aliquo
presente in ζω, quia tunc £ transit in z, ut à κράζω 9000, É«oata, χρασµένος,
φωνάζω Clamo, ἐφώναία, φωνασμένος clamatus, etc. imo in iis, quæ derivantur à verbis
in σσω mutant E præteriti in 4, ut τάσσω promitto, ἔταξα, ταµμµενος
promis- sus. Tandem ubi sunt immutabilia À et p, observantur
mutatione « in μένος, et ablatione augmenti syllabici si
fuerit, ut éjaAa (P. 85) cecini, 'aXu£vo; cantatus, ἔσ- πειρα Semáinavi, enzoucvos seminatus. Ubi duo
adverte primum penultimam perfecti in ρα, verti semper in α in
participio passivo, ut patet in exemplo posito, et in aliis infinitis.
Secundum verbum yaiooux leor, ex- cipi ab hac regula, utpote anomalum,
cujus perfectum est ἐχάοηκα lavtatus sum, participium autem passivum χαρούμενος
lœtus. Sola præterita in px formant participia passiva in µενος mu-
tando α in e, ut ἔκαμα feci, καμωμένος factus. Sed in vx vertunt v in p, et α
in μένος ut ἔχρυα judicavi, χριµένος judicatus. Hic modus formandi participia
passiva à perfecto activo facilior sinecontroversia, aptiórque ad instruendum
tyronum animos videtur illo, quem tradidit P. Hieronymus Germanus οὔ
Societatis Jesu in Dictionario suo Italo-Græco animadversione 4. de formatione
participiorum, nam cum dicat participium passivum formandum esse à
presente passivo mutando αι in e, et addendo vs, ut à 7ozgoua inquit,
fieri de- bet yoxpouevos. Deinde vertendo qo in p, ypauuévos Scriptus,
non unum nobis effingit participium, sed plura, præterquam quod etiam non
tradit regulam generalem pro omnibus aliis verbis, ut patet in σθείροµαι
corrumpor, cujus participium est φθαρµένος corruptus, et in χαλοῦμαι
destruor, cujus participium χαλασμένος destructus, nec potest dici quomodo
formari possint à præsente. Hæc autem obiter dixi non ut talis tantíque
Viri auctoritati derogarem, qui optime omnium nostris hisce seculis arcana
hujus Grece linguæ penetravit, multósque nobis Gordianos nexus mira
dilucidáque brevitate dissolvit, sed ut faciliorem meo judicio,
incipientibus viam aperirem ad participiorum passiva: vocis
efformationem. Circumflexorum in à; Exemplum. Verbi Activi
Indicativi. Pres. Sing. ἀγαπῶ, ayxr2;, cyxni amo. Plur. αγαποῦμεν,
αγαπάτε, ἀγαποῦσι vel αἀγαποῦνε. 5 Imper. Sing. αγάπουν, αγαπας, ἄγαπα.
amabam. Plur. ἀγαπούσαμεν, ayant, αγαποῦσαν. Perf. Sing. ἀγάπησα,
αγάπησες, ἄγάπησε amavi. Plur. αγαπήσαµεν, αγαπήσατε, αγαπήσασι vel ἀγαπήσανε.
Plusq. Síng. cya αγαπήσει, εἶχες ἀγχπήσει, εἶχε ἀγαπήσει
απια- veram. Plur. εἴχαμεν ἀγαπήσει, εἶχετε ἀγαπήσει, εἶχασι
αγαπήσει. Fut. Séngy. Jo ἀγαπήσει, θέλεις αγαπήσει, θέλει αγαπήσει
amabo. Plur. θέλοµεν αγαπήσει, θέλετε αγαπήσει, θέλουσω ἀγαπήσει.
Imperativi. Pres. Sing. αγάπησε vel αγάπχ ama tu. à; ἀγαπήσῃ amet
ille. Plur. x αγαπήσωμεν, ἀγαπήσετε vel ἀγαχπᾶτε, as αγαπή- cow. Cetera
vide ut in barvtonis. Participii. Pres. Sing. ἀγαπῶντας amans. ab
αγαπῶ accentu immutato, et addito tantum vrac, est omnis generis, et
numeri. Verbi Passivi Indicativi. Pres. Sing. ἀγαποῦμαι, ἀγαπᾶσαι,
αγαπᾶται Qmor.Plur. ἀγαπούμεσθεν, ayxnào0:, αγχποῦνται. Imp. Sing. ἀγαπούμουν,
ἀἄγαπουσου, œyxroïro, Vel ayznárov amabor. Plur. αγαπούμεσθεν, ἀγαπᾶσθε,
γαποῦνταν. Perf. Sing. ἀγαπήθηκα, αγαπήθηλες, αγαπήθηκε amatus
fui. Plur. αγαπηθήκαυεν, αγαπηθήκατε, αγαπηθήκασι. Plusq. Sing. sx ἀγαπηδὴν
εἶχες αγαπηθὴ, εἶχε ἀγαπηθὴ amatus fueram. Plur. εἴχαμεν
αγαπηθη, εἴχετε cyan, εἴχασιν xyxnrfin. 1., lignes 7-8 de
l'édition originale, le texte porte εἴχες 7yorx9z, eus ἀγαπχθᾳ. De même &yarr0, sans iota souscrit, à tout le
paradigme du plur. du plusq., du futur et de l’impér. prés., où le texte
donne aussi fac ut amaris, —P.90 et 91, on lit σταθῃ dans le texte, à tout le paradigme. Fut. Sing. θέλω ἀγαπηθῇ, θέλεις œyarrôn, θέλει αγαπιθῇ amabor. Plur. Θέλομεν ἀγαπυβῇ, θέλετε ἀγαπηθὴ, θέλουσιν yaris. Imperativi. Pres. Sing. ἀγαπήσου fac ut ameris. a; αγαπηθῇ ametur ille. Plur. à; αἀγαπιβοῦμεν, αἀγαπηβῆτε, às αγαπιβοῦν. Reli- 5 qua ut in Barytonis.
Participii. Pres. ἀἂγαπημενος, ἀγαπημένη, ayamrutvo amatus, a, um. vide quæ diximus in
participio verbi πατοῦμαι. Atque hzc de
circumflexis. De VERΒΟ
SUBSTANTIVO εἶμχι. DE AUXILIARIBUS θέλω ET ἔχω, ALIÍSQUE VERBIS ANOMALIS. Verbi S'ubstantivi
Indicativi. Præs. Sing. eux, εἶσαι, εἶναι Sum. Plur. εἴμεσθεν, εἶσθε, εἶναι. 15 Imp. Sing. ἥμουν, ἤσουν, ἦτον
eram. Plur. ἦμεσθεν, rate, ἦταν vel ἧσαν. Perf. Sing. ἐστάθικα, ἑστάθγχες, ἑστάθηκε fui. Plur. ἐσταθήκαμεν, éorafiaate, ἐσταθήχασι vel ἑσταθήκανε. Plusq. Sing. εἶγχα σταθῇ, εἶχες σταθῇ, εἶχε σταθῇ fueram. 20 Plur. εἴχαμεν aza05, εἴχετε σταθῇ, € yav: σταθῇ. Fut. Sing. θέλω σταθῇ, θέλεις σταθῇ, θέλει σταθῇ ero. Plur. θέλοµεν σταθῇ, θέλετε σταθῇ, θέλουσι σταθῇ. Dicitur etiam non incongrué : Sing. θέλω emma, θέλεις tsar, θέλει εἶναι. 25 Plur. θέλοµεν εἶσθαι, θέλετε εἴσλχι, θέλουσιν εἰσθαι. Imperativi. Pres. Sing. à: εἶσχι sis tu. à; etvx sit ille. Plur. ἂς εἴαεσθεν, a; εἶσθε, a; εἶνχι͵ et cætera ut in Indicativo. Participii.
Pres. ὄντας cum sim, omnis generis, numeri, et
personæ. Dicitur etiam ἔστοντας vel ἔσσοντας, sed uná cum par- ticula xai, et aliquo
verbo. Verbi θέλω Indicativi. Præs. Sing. θέλω, ἠέλεις vel Οἳς, θέλει vel 6: volo. Plur. θέλοµεν
vol θέωεν, θέλετε vel (PD. 0902) θέτε, βέλουσιν vel θεσι͵ et dou vel μα ὁ Imper. 2111. ἔθελα vel Ἰθελα, ἔθελες, ἔθελε volebam. Plur. ἐθέλαμεν, ἐθέλετε, θέλανε vel εθέλασι. Perf. Sing. ἐθέλησα vel ἠθέλησα, ἐθέλησας, ἐθέλησε volui. Plur. εθελήσαμεν, ἐθελήσατε; ἐβελήσανε vel εθέλησαν, vel ἐθελήσασι. Plusq. Séng. etyx θελήσει, εἶχες θελήσει, εἶγε θελήσει. volueram, etc. Fut. Sing. θέλω θελήσει, θέλεις θελήσει, θέλει θελήσει volem, etc. Imperativi. Pres. Sing. rue vx θέλης fac ut velis. az wxun vx θέλη velit ille. Plur. A; wxumuzs νὰ θἔλωμεν, κάμε νὰ θελετε; Ga κάμουν νὰ
θέλουνε, vel &; γάμουσι νὰ θέλονσι. Dicitur etiam in secunda persona singulari κάμε vx θε- Añons, etc. «o Participü. Pres. θέλοντας, volens. omnis generis, numeri, ac persona. Verbé
£y» Indicativi. Ῥγωβ. S'ing. Exo έχεις, ἔχει
habeo. Plur. 2422221 ἔχετε, ἔχονσι VO] ἔχουνε. 2; Imp. Sing. είχα, ειχες, ειχε
habebam. Plur. εἴγαμεν, εἴχετε, εἶχανε Vel εἴχατι. Perfecto proprio, et plusquam-perfecto caret, pro
quibus utitur perfecto, et plusquam-perfecto verbi κοατῶ teneo, ut ἐκράτησα habui veltenui, εἶχα κοατήσει habueram, 30 vel tenueram. Fut.
Sing. θέλω ἕ ys θέλεις ἐ ἔχειν θέλει ἔχει
habebo. Plur. ο λομεν à ἔχει, θέλετε ἔχει, 0έλουσιν ἔχει.
Imperativi. Praes. Sing. ἔχε habe. Z; &ya habeat ille. jb Plur. ας ἔχωμεν, ἔχετε, a5 ἔχουσι Vel ἔχουνε, Participii. Pres. ἔχοντας habens. omnis generis, numeri, ac persons. Age jam
anomalorum aliorum precipua flexiones in medium afferamus. Anomala,
quæ potui in hac lingua notare, quanvis ordine alphabetico ad
majorem eorundem cognitionem, ac distinctionem collegerim, ac distribuerim,
generatim tamen reduci s possunt ad illa, quae desinunt in zv», quorum
perfectum in σα,
Ut ἁμαστάνω pecco, ἁμάρτησα peccavi.ltem in αίνω quorum perfectum modo est in v«z, modo in σα ut inferius patebit. item in ένω, quorum perfectum in εσα, et denique omnia composita verbi ἔχω, quæ eandem cum illo sortiuntur conjugationem. Jam
singula ordine literarum exponamus. A Ἀμαρτανω pecco. perf. ἁμάρτησα peccavi. Ανηξαίνω ascendo. perf. ὠνέδηια ascendi. imperativi praesens ἀνέθα ascende. Nota βαίνω simplex non reperiri, sed ejus composita
frequenter apud nostros Græcos usurpari; quæ tamen omnia sunt
anomala. Avyxerew) Tresuscito alios. perf. ἀνάστησα resuscitavi. At ἀνχστένουαι Surgo. perf. habet αναστάθηκα suriexi, et imperativum ἀνχστάσου Surge. Αποζγαίνω finem. sortior. perf. ἀπόθγα vel αποθγῆκα, val ar rex finem sortitus sum. Adam
augeo. perf. αὔξησα et αὐξαίνω, πὔξησα. | Ἀφήνω, relinquo. perf. ἄφησα, reliqui. 25 B
Βάξω, βάλλω vel favo pono. perf. ἔθαλχ posui. et imperat. βαλε
pone. Βιζάνω sugo. perf. εξίζασα suxi. Βλέπω video. perf.
ειδα vidi. unde fut. θελω εἰδῇ videbo. Βόσκω pasco. perf. ἐθόσκησα pascui.
[όσκομαι vero pascor. | perfectum habet ἐδοσκήθηκα pastus sum.
r Γδήνω spolio. perf. ἔγδησα spoliavi. A 35
Δένω lígo. perf. ἔδεσα ligavi. Δίόω vel δίω do. perf. ἔδωκα
vel ἔλοσα dedi. imperat. + , 1. 3 de l'éd. orig., le texte
porte sidz. — P. 97, 1. 10 de l'éd. orig., le texte porte εὐτύχησα. do;
da. et in plurali dore date. passivum δίδοµαι habet ἐλώθηχα datus sum.
imper. ὁόσου tradaris. Διαθαίνω transeo. perf. éduerxa transii. cujus
secunda per- gona ἐδιάθηκες et ἐδιάδης, et tertia εδιάθηκε vel ἐδιάθη.
atque hoc s observandum est in omnibus compositis verbi
βαίΐνω. E Εμπαίω éngredior. perf. ἦμπα vel ἐμπῆχα ingressus
sum. imperativus ἕαπα ingredere. Entruyziyo acquiro. perf. ἐπίτυχα
acquisivi. Ἑὐγαίνω 63160. perf. wvya vel εὐγῆκα exivi. fut. θέλω εὔχει.
imperat. εὖγα été. Εὐρίσκω invenio. perf. wwox vel nüoma inveni.
fut. θέλω ever inveniam. imperat. eux. Eodem modo conjunguntur ejus composita, ut ζανανρίσκω reperio. perf. ἐξαναῦύμα Te-perí, etc. Εὐτυχαίνω feliciter ago. perf. evroyvaa feliciter egi.
Z Ζεσταίνο calefacio.
inperfectum habet εζεσταυα et ἐζέστανα calefaciebam. perf. εζέστασα culefeci. et participium passivum ζεσταμένος calefactus. H Hzeopo scio. perf. ἔμαθα scivi. fut. θέλω µαθει
sciam. imper. ἤξευρε Vel µαάθε scias, vel xaus vx uaonc fac ut scias. subjunct. νὰ µάθω,
vel νὰ Ἠξεύρω, ut sciam. participium passivum µαθηµενος
SOlitus vel assuefactus. K Καίω «ro. imperfectum ἔχαια urebam et xavyo. uro. imperf. ἔκανγα. perfectum habent ἔκαψα ussi. passivum xzioux uror. habet imperf. ἐκαίουμουν urebar. et 30 καύγομαι, ἐκαύγουμουν, at perfectum utriusque est ἐκάηκα usius sum. imperat. xæbou urere, e; καῇ uratur ille. subjunct. να xxy& ut urar. partic. καμμµένος
ustus. Καταθχίνω vel κατηθαίω descendo. perf. ἐκατήθηκα descendi. vide quz diximus in διαθαίνω. 3$ Καταλαμθάνω comprehendo. perf. ἐκατάλαθα comprehendi. imper. χατάλαθε comprehende. Keodaíwo lucror. perfect. ἐκέρησα vel éxépóewea lucratus sum. 1. de l'éd. or., κατά finit la 1, et λαθε commence la ligne 15, mais au lieu de trait
d'union, il y a écrit κατά.
avec un point. À λαθχίνω lateo. perf. ἐλαθα latui. Aayaiw» sortior. per. ἔλαχα sortitus sum. Λέγω dico. perf. einx dixi. fut. θέλω eine: dicam. M 5 Μαζώνω colligo. perfect. éuxburx collegi. Μαθαίω disco. perfect. Eux9x didici. imperat. µαθε disce. subjunct. yx uxo ut discam. Μεταλάθω communico et communicor. perf. ἐμετάλαδα com-munionem dedi vel accepi. pat C» Ἐκναθλαστάνω vel ζανχθλασταίνω germino. perf. ἐξαναθλάστησα germinavi. Ἐαναθλέπω iterum video. perf. ἐζανᾶδα iterum vidi. imperat. ἔαναειδε iterum vide. Ξαναλέγω repeto. perf. ἐξαναπα repetii. Ἐαναψυχαίνω hilaresco. perf. ἐξαναψύχησα exhilaratus sum. Ἐαπερνῶ &xcello. perf. ἐξαπέρασα excellui. imperat. ξαπέρασε excelle. Ἐεθυμαίνω animo deficio. perf. ἐξεθύμησα animo defeci. 20. Ἐεπέφτω prœterlabor. perf. ἐξέπεσα præterlapsus sum.Ξερνῶ evomo. perf. ἐξέρασα evomui. Ἐεχάνω obliviscor. perf. &éyacx oblitus sum.
Il Παγω, πχγαίνω Vel πηγαίω eo. imperf. ἐπήγαινα ibam. perf. 25 eria ivi. imperat. us, 1. subjunct.
νὰ rayo ut eam. πάγω autem fit per syncopen à παγαίνω, unde retinet syncopen in omnibus personis, et
numeris, ut πάγω, πᾶς, nz. plur. πᾶμεν, πᾶτε, πᾶσι
Vel πᾶνε. Παθαίνω patior. perfect. ἔπχθχ passus sum. imperat. mate vel πάθχυε patiare. Hanc eandem flexionem sequuntur ejus
composita χακοπαθχύω mala, tolero,
etc. Πέφτω cado. perf. ἔπεσα cecidi. Sic omnia ejus composita. Πιάνω accipio. perf. ἔπιχσα accepi. imperat. ruse et ἔπαρε, accipe. item et ejus composita. 35 Πίνω bibo. perf. ἥπιχ vel ἔπιχ bibi (P. 101). imperat. ru bibe. subjunct.
yz πιῶ ut bibam. Πνεω $piro. perf. ἔπνευσα spiravi. Ποδαίνω vel ποδήνω ocreas induo. perfect. ἐπόδῃσα ocreas indui. P Pryxo» ad
regulam dirigo. perf. ἐριγάρησα ad regulam direxi. Est verbum Italicum à Græcorum
vulgari lingua usurpatum; Sicut et sequens. 5 Páuzxoo discriméni
ezpono. perfect. ἐῤῥιξικάρησα discri
ini e. posui. by Σθειῶ extinguo et extinguor. perf. ἔσθησα extinzi et extinclus Sum. at actyo, ἔσέισα IDEM SIGNIFICAT. Σιανω accomiorlo. perf. ἔσιασα accommodavi. Σχχώγω incurvor. perf. ἔσκνψα incurvatus sum, tanquam à σκυγτω. Σταννιάρω Stanno illino. imperfect. ἐσταννιάρζα. perf. ἐσταννιά- ρισα stanno illinivi. B | 4$ Ὑτεχομαι Sto. perf. ἑσταβηχα steti. imperat. στέχον vel στάσον sta. subj unct. yx σταθώ ut stem. Σωπχίνω taceo. perf. ἐσώπασα (acui. imperat. σῶπα lace. subjunct. νὰ σωπασω ut taceam. T ων Ἰασσάρω lao. imper. ἑτασσάρζα taxabam. perf. ἑτασσχρισα ἰαταυὲ. est verbum mutuatum ab Italis. | Toy» Mmanduco
preter propriam, germanämque flexio- nem, hanc quoque sibi communiter
usurpat. τοώγω, τοῶς; sp». plur. τρῶμεν, cw», τωῶσι Vel -τοῶνε. imperf. ἔτρογα a; mandiucabanmn, ἔτρως, ἔτρο.
plur. ἐτρώγαμεν, ετρῶτε, ἐτρώγοσι vel ἐτρώγχνε. perf. £jxyx manilitcavi, £yxz;, £x. plur. ελάγαμεν. Entre, ἐφάγανε vel ἐνᾶτι. fut. θέλω φάγει manducabo. imperat. GXJE manducea, a2; 92 manducet
ille. subjunct. νὰ y, ut manducen. 30 Y Ὑπαγω €0, dicitur per syncopen πάγω. imperf. ἐπήγχινα ibam, à πηγαίνω. perf. ἐπῆγα ivi, etc. vide supra in mzye.- o.
Φεύγω fi gio. perf. ἔφνγα figi. imperat. 927e futJe. — düxy» vel οτανω assequor. perf. ἔθασα
assequutus sum. X Xay» perdo. perf. ἔχασα perdidi. X204» ore
aperto conjicio. imperfectum £/zcxa, et non plus ultra. , 1. 15 de
l'éd. orig., le texte porte ἐτρ" y.at. : Xopzatyo Saturo. perf. ἐχόρτασα
saturavi. Χύνω effundo. perf. ἔχυσα effudi. y V7»
concoquo. perf. ἔψησα concozi. Q 5 Οφεαίνω adjuvo. perf. ὠφέλισα
adjuvi ab ὠφελῶ. Atque hiec omnia sunt fere anomala verba, quorum
praeterita, vel alia tempora propri: conjugationis præcepta non
observant, vel aliquo alio modo à communi ceterorum regula, et
forma deficiunt.De Temporum Grece lingue vulgaris efformatione.
Posr rudem, simplicémque temporum cognitionem, recta instituti postulat
ratio, ut ampliorem clariorémque de illis methodum tradamus, ac non solum
de generali eorum formatione, sed etiam de speciali doctrinam
proponamus. Ut autem ab iis, qua omnibus veluti propria sunt et
communia, suum sibi sumat initium præsens tractatus, illud tanquam
certum, immotümque constituere placet, omnia preterita tempora, quorum
nomine proprie appellanda censeo imperfectum, et perfectum, nullum aliud
præter Syllabicum, quod vocant augmentum admittere. Hoc autem
augmentum iis tantum preteritis addi con- suevit, quorum presens incipit
à consonante, ut λέγω dico, &zyx dicebam. Hoc ipsum augmentum ὁ
syllabico fieri interdum solet temporale, quum videlicet vertitur € in »,
dicendo 7/syx pro ἔλεγα. Verum id Græcos est imitari literales ac
veteres, non autem recentiorum Grecorum linguá loqui vernaculá.
Illud etiam non te lateat, Verba, quæ initio presentis ao
scribuntur p, illam reduplicare post ε, augmentum syllabi- cum, in
omnibus preteritis, ut ῥαντίζω aspergo, ἑῤῥαντιζα aspergebam, et ἐῤῥαντισα
aspersi. Animadverte tandem in verbis compositis ex aliqua præ-
positione, quæ incipiat à consonante, semper in præteritis illis augmentum
svllabicum fieri ante ipsam præ- positionem, nullá penitus præpositionis
elisá vocali, ut καταθέχοµαι iJNOT, ἐκαταδέχουμουν dignabar, εἰ ἑκαταδέχθηκα dignatus
sum. Hxc quidem in communi, jam singula in particulari examinemus, et in
primis activa. Præsens, quod potissima est totius verbi radix, et cardo,
sad cujus characteristicam reliqua tempora, tanquam ad immotum axem,
amussfinque suspiciunt, quum activum est exit in «», quod deinde mutatum
in ο, format passivum in µαι. Ab illius finali consonante dependet
characteristica preteriti, ut vidimus in Conjugationibus, et ab
ejusdem 10 inchoativa præteritorum nascitur augmentum
syllabicum. Imperfectum à præsente deducitur mutando o in a, et
addendo cum ratio postulaverit, augmentum syllabicum, ut γοάφω Scribo, ἔγραγα
scribebam. Caeterum id tantum verum est in verbis barytonis, nam in
circumflexis aliter prorsus dicendum, cum o, presentis transeat in ow in
imperfecto, ut ru honoro, ετίµουν honorabam. id vero commune est
quibuslibet imperfectis, propriam sui presentis characteristicam observare et
penultimam, excipe ἔχω, εἶχα in cujus penultima additur ε. De
Perfecto, seu Aoristo. Perfectum, quod vicem gerit Aoristi, cujus olim
apud illa Græciæ vetusta lumina, ac sapientie decora non infrequens usus
fuit, augmentum habet idem cum imperfecto; si presens incipiat à consonante, ut
γράφω scribo, ἔγραψα scripsi : observat item eandem penultimam,
utpote ab eodem praesente deductum, mutatione ω in α, et charac-
teristicæ presentis in characteristicam preteriti qua septu- plex est ψ,
E, e, À, p, v, p, ut supra diximus in conjugatio- sonibus
barytonorum, pro quibus tantum hæc regula traditur. Nota tamen perfectum
in quarta Conjugatione, cum duplex fuerit finalis consonans presentis,
postremam abjicere, sic Yu cano, habet ἔψαλα cecini : «apw» facio, Exaux
feci : géov fero, ἕφερα tuli. et alia hujusmodi. Rursusquum
penultima 3; presentis ejusdem Conjugationis est per αι
diphthongum, quam deinde sequatur duplex liquida pv, vertitur in v
in perfecto, ut daíow) verbero, &vox verberavi : hoc ipsum
observat πέρνω accipio, licet penultima sit per e, habet enim perfectum ἐπῆρα,
accepi. Caeterum αι ante unicam ν, vel amittit x in perfecto, ut χλαίω
tepesco ,' &xyx ἱεριιὲ, vel vertitur sepissime in vy, Ut óouvopzxtw
OTRO, Opopyryx ornavi, Ὑοντραίνω crassum fucio vel crassus flo,
εχόν- zpryx, etc. Verbum γενω sano, habet perfectum ἔγιανα sunavi,
ne coincideret cum ἔγενα sanabam imperfecto. Reliqua præterita irregularia vide
in anomalis. In dissyllabis quarte conjugationis ε praesentis, si
praecipue deriventur à Graco- literalibus, observatur quidem in perfecto
sed assumitur ulterius «, ut μένω Slo, &uswz. Steti , στέλνω mitto, ἔστειλα
misi, σπέονω SEMNO, ἔσπειρα Seminavi, etc. De præteritis cir- cumflexorum fusius egimus supra
exponentes eorum Conjugationes. Plusquam-perfectum conflatur ex imperfecto
εἶχα verbi Eye, et par(P. 10)ticipio
passivo neutro, quod remanet sine flexione, ut εἶχα Joxuusyx SCcripseram, Gallice J avois escrit. eyx Sicut avois variatur quidem in omnibus numeris,
et personis, at “γραμμένα et escrit manent penitus immutata. Vel etiam eidem
imperfecto εἶχα addendo γράψει item invariatum, aliud effinges plusquam-perfectum,
frequens et ipsum apud recentiores Graecos. Futurum (proh teihporum
vicissitudinem) ubi quondam apud veteres Grecos parens quodammodo
reliquorum erat, et αοχτὰὸν Aoristi, cujus vicem in hac lingua praeteritum gerere
superius insinuavimus; modo emendicatam aliunde tenet significationem,
atque ab eodem Aoristo deriva- tionem. Duplici autem modo
potest à praeterito futurum effingi. Primo ablato augmento syllabico, et
versa à in ω, ac addendo particulam 6, ut ab éypzlx
scripsi, facies GE γὐάψω scribam, ita ut γραφω varietur per singulos numeros et personas,
invariata particula. Vel Secundo sumendo verbum θέλω, et addendo tertiam per- Sonam supradicti futuri,
ita ut θέλω flectatur per omnes numeros, et personas;
minime vero quod additur, ut θέλω yoxpa scribam, γυάψει remanet immutatum ubique. Penultima futuri est
semper eadem cum penultima perfecti, excipe παγω et πέρνω, quorum perfectum penultimam habet in », sed
futurum in x, ut énzyx ivi, θέλω πάγει vel θὲν w πάγω bo, et ἐπῆρα accepi, ^w παρει vel (tv πάρω accipiam. MEYER. GHAMM. GRECQUE. Appendix de
particula 0: vel Ge. Quanvis frequentior sit apud hodiernos Grecos
usus futuri secundo modo explicati, et particula 6: vel 6:4 aut θέν per syncopen ita dicatur, sicut et #% pro ήθελα volebam, quia tamen non raro reperies futurum
primo modo traditum, quod affinitatem quandam cum Græcoliterali futuro
præseferre videtur, iccirco pauca de dictarum particularum usu
censeo disserendum. Est igitur particula θὲ, sicut et verbum θέλω, quando absoute ponitur, nullique particula superaddita,
specialis nota futuri. Dixi, absoluté, nam si cum particula νὰ conjungatur, ut θέλω νὰ
yox lo, non denotat futurum, sed definitam quandam animi constitutionem
ad scribendum. Dicitur autem 6:, quum verbum incipit à consonante,
m, 1; duntaxat excepta, ante quam ponitur θέν, ut θὲν πάρω
accipiam. Quod si verbum inchoet à vocali, vel diphthongo, tunc utendum
erit particula 6€”, ut 66A ἀγαπήσω amabo. Observes obiter rogo, hujusmodi
particulam 6t, vel verbum θέλω, quum construuntur, reponi ante pronomina, et
articula, ut id. tibi faciam, si juxta Graecorum vulgus loqui
velimus, dicemus θέλω σου τὸ κάμει Vel θὲ σου τὸ xau. De Passivis, ac primiim de Prosente.
Activorum sic exposita figuratione, par est, ut etiam ad passiva
gressum faciamus, et in primis de primario eorum ο” tempore, videlicet de presente quam paucissimis
agere aggrediamur. Præsens ergo passivum desinit semper in µαι ab activo deductum, cujus w si sit verbi barytoni
mutatur in o, si vero circumflexi in οὗ diphthongum, et additur pu, ut θέρνω verbero, δέονουαι verberor, »wà moveo, κινεῦμαι moveor. Secunda persona est in ox, quomodo imitatur
flexionem verborum in µι passive vocis Græcoliteralis grammatice : Formatur
in barytonis à prima presentis passivi, mutando o in e, et uat in ox, ut
zozcouat SCribor, γοάφεσαι scriberis. Dixi
in barytonis, quia in circumflexis secunda persona præ- sentis passivi
formari debet à secunda præsentis activi, cum hoc tamen discrimine, quod
in prima conjugatione circum- flexorum post ει, addenda sit ε cum accentu acuto, et post s, αι, Ut πουλεῖς vendis, πουλειέσαι venderis : in secunda vero w facile fiat
addendo tantum αι, ut ayxra; amas, αγαπᾶσαι amaris. Tertia fit à secunda, mutata σαι in ται, ut θέρεσαι verbe- raris, δέρνεται verberatur, πουλειέσαι venderis, πουλειέται venditur, etc. Prima pluralis est.
semper in ούμεσθεν, mutato ubi fuerit
o in ου, et µαι in µεσθεν, ut γράγομαι, Ὑγραφουμεσθεν, vel retento o, 5 ut γράφοµαι, Ὑραφόμεσθεν, his enim duobus modis exprimitur prima persona
pluralis. Secunda fit à prima pluralis ablata µε et v, ac retenta σθε, ut γραφούμεσθεν, γραφοῦσθε : vel à secunda singularis, mutando σαι in σθε, ut γράφεσαι, ypxqes0s, possumus namque uti utraque ad
libitum. Tertia deducitur à secunda pluralis vertendo σθε in νται, ut γραφοῦσθε, γραφοῦνται: vel à prima singularis mutatione µαι in vrat, Ut γράφομαι, /οάφονται. De Inperfecto passivo.Imperfectum passivum est
semper in ouuow, à prima pluralis presentis passivi mutando µεσθεν in pov», et addendo augmentum syllabicum, si
verbum incipiat à consonante, ut ραφούμεσθεν, ἐγράφουμουν SCribebar. Secunda est in σου à prima ejusdem mutata pow in σου, ut ἐγράγουνυοων, ἐγράφουσου. Tertia vero à
secunda mutando σου in vro, ut ἐγράφουτου, ἐγράφουντο. Vel alias à tertia singularis presentis, vertendo
ται in τον addendóque syllabicum augmentum, ut γράφεται, ἐγοάγετον. Prima pluralis fit à prima singularis,
addito σθεν, et mutato ουν in €, ut ἐγοάγουμονν, ἐγραφούμεσθεν. Secunda à prima pluralis ablata µε et v, ut ἐγοαφούμεσθεν, ἐγωαφοῦσθε. Vel à secunda singularis mutando «cose» in eo, ut
ἐγράφουσον, ἐγράφεσθε. Tertia denique à tertia singularis vertendo ον in ave, Vel aot, ut ἐγράφουντον, ἐγραφούντανε, vel ἐγραφούντασι. De Perfecto Passivo. Perfectum passiva vocis, quod
Aoristo penitus passivo veterum Græcorum non tam significatione
respondet, quam flexione ab activo formatur hoc modo. Debet prius verti x
in 0r«z vel Gw, quae est propria terminatio omnium penitus præteritorum
passivæ vocis, tum si fuerit ) verti in », si £ in y, si ; debet tolli,
preterquam in verbis tertiæ conjugationis, si ν etiam ejicienda, si vero À et o retinendæ, quantum ad
p, raro reperiuntur perfecta activa in µα, Sed si fuerint, ut &aux feci, carebunt tamen
perfecto passivo quare ut dica- inus, fictus Sum non utimur verbo κάμνομαι, Sed yivvouuat, cujus perfectum est &yzv//rza.
Jam penultima perfecti passivi eadem est cum penultima activi, ut ἔγραγα scrépsé, ἐγοάφθηκα ὅ vel ἐγράφθη» scriptus sum : εφύλαξα Custodivi, ἐφνλάχθηκα vel £u) Xy ry custoditus fui, &tvrax Movi,
&uyr rz vel ἐἑχι- νήθην motus sum. ὀνομάτισα noménavi. ὀνοματίσθηκα vel ovo- µατίσθην nominatus fui, ëbaix cantavi, ἐφαάλθηκα cantatus fui, etc. Id quidem ita fere contingit;
sed quia nonnulla sunt perfecta passiva quie. penultimam activi non
retinent, ideo hie singillatim referam verba, quorum perfecti activi
et passivi eadem est cum presente penultina. Verba activa in απω, αξω, αφω : etm. εξω Ec): Οπω. Gov, vy», retinent in utroque perfecto vocalem,
quæ in præsente ιν procedit β, π.
2. idem faciunt in zz», axym, αχω : exm, ym, εχω : ατως, x00, xm) : Em. Ed, Ot εἶω. Verba autem in aZ», εζω, ζω, οζω, Em, et vo, vel In duo σσ, quorum perfectum activum est in σα, observant quidem ubique eandem penultimam, sed
assumunt ; ante θα, ut 20 (P. 119) κολάζω punio, ἐκόλασα punivi, ἐκολάσθηκα punitus sum, etc. quorum vero perfectum activum
est in £z, candem etiam habent in utroque penultimam, sed assumunt zy
ante Graz, Ut κραζω UOCO, ἔκραξα COCA, Exoxy'mex vocatus fui. Verba in eo»
vel ενω barytona diversam habent in . 25
utroque perfecto penultimam, nam in activo e presentis, ut plurimum
additur ;, vel rarius mutatur in x, in passivo vero semper vertitur in x,
ut sim Seméno, ἔσπειρα SCminavi,
4 PIS εσπάρρηκα sennalus fui, στέλνω illo, ἔστευα uisi, ἐσταλ-- θηκα issus Sun : Ct πέρνω accipio, ἐπῆρα accepi, ἐπάορηκα 30 acceptus fui. φέρνω autem porto, et ejus composita habent ἔρερα portavit, et ἐέρύηκα portatus fui. Verba in a» faciunt perfeetum
passivum in άλμα, in ανω, in rex; et verba in ew» habent oz, praeter γώνω abscondo, quod habet ἐχώσθηκα assumpta ; ante Ora: 35 in xi» vero
perfectum formant in ἄσθηκα, ut λαθαύω, xs (21. Tandem circumflexa, quorum
activum perfectum est in zzz, passivum est in θα : quorum in εσα, modo.in εθηκα, modo in sx, si precipue penultima præsentis sit
brevis : quorum 40 autem activum est in «zz, passivum est in
ao0rxx, ut γελῶ de- 1. 1. 4 de l'ed. orig., le
texte porte élabasüge. ] cipio, ἐγέλασα decepi, ἐγελάσθηκα deceptus fui. Ceterum hujus temporis flexio, cum
sit facilis et eadem omnino cum illa per- fecti activi et Aoristi primi
passivi Græcoliteralis, retice- bitur, et lectores ad illa remittentur.
Anomala vide supra suo loco. Superest fortassis aliquid
dicendum de plusquam perfecto, et futuro passivo : Verüm quia hæc
conveniunt cum activis, mutata tantum voce activa Verbi in passivam
scilicet yoxha in 7pxy)i [sic], lectorem admonemus, ut adeat illa, ficque
finem imponimus temporum formationi. Posr tractatum de Verbis adverbiorum
sequitur expositio, ita quippe se habere videntur adverbia ad ipsamet
verba, ut epitheta vel adjectiva ad substantiva; quare sicut hæc 1:
sine substantivis, sic illa sine verbis consistere nequeunt. Adverbia
igitur. ut plurimüm desinunt in x, à nominibus neutrius generis desumpta,
ut ἐξαίσιχ egregie, καλὰ bene, etc. pauca in ως, ut ὡσκαθὼς quemadmodum o; ut, ὀμπρῶς ante, vel coram. quam exigua in o, ut ἔπανω surswm, χάτω infrà : rarissima vero in ου, ut ἀξάηνον derepente, πιτακτοῦ data opera, etc. Est quidem ex adverbiis
aliud quantitatis interrogativum, ut πόσον, quantum? cui respondet τόσον tantum, πολὺ Thultum, ὀλίγο parum, χαμπόσον Vel καμποσάκι aliquan- 35 tulum. Sunt etiam quædam Ordinis, seu
Ordinalia, ut ποῶτον vel πρῶτα primo, δεύτερον secundO, τρίτον, tertio, etc. Est item aliud quantitatis
adverbium compositum ex goox vel βολὰ, et aliquo numerali nomine, vel adjectivo, ut µία goox Semel, duo φοραῖς bis, τρὶς oxi; ter, συχναὶς φομαὶς fre-3) quenter, πολλαῖς βολαῖς multoties, et alia plura. Aliud dicitur
qualitatis interrogativum, ut πῶς quomodo? cujus redditivum est, ἔτζι sic. aliud veluti signum, ot nota, ut καλα ben?, ὀρθὰ rectè, xx«x male, ἄτνγα prave, et his si- milia. 35 Jam
czetera adverbia vel sunt Temporis, ut σήμερον hodie, αὔριο cras, μεθαύ post crastinum: heri,
ποοχθῖς nudiustertius,
τώρα nunc, «oyx Sero, απέχει postea, πέουσι anno superiore, παρενονς slatim, et quæ sequuntur. vel Loci, ut εκεῖ vel aus (bi, απεεὶ vel απαντοῦ inde, ποὺ ubi, πούπετας alicubi, απάνω sursum, 2470 deorsum, ὀμπροστὰ vel ὀαπρῶς ante, αποπίσο retrorsum, £o híc, et alia. vel Hortandi,
sut ἐλάτε venite, a; eia, γειάσου euge. vel Similitudinis, ut ᾠσγαθὼς quemadinodum, ὡς sicut, ὧσὰν vel σὰν, ὡσκαθὼς tanquam : vel Intensionis (sic; ut πολλὰ multum, dura vehe- menter, ὑπεοπεμίσσα superabundanter : vel Remissionis, ut αγχαμνα V€nmisse, ayxhx Sensi, μετὰ βίας
vir : vel Dubitandi, ut. ἂν an, τάγα forle, τὸ λοιπὸ) igitur. vel Afftr- mandi, ut vai vel ναίσκε certe : vel Asseverandi, ut ὁλότελα penitus, ἁπαληθηνα vere : vel. Negandi, ut ὄχι vel ὅσνε, et ὄγεσκε Non, o£) vol dE non, uz vel μὴν ne, μήτε vel απδὲ neque, GUTE 1161116, azour, VOL zx«oux
nondum. i5.Reperies quiedam adjectiva neutra in v, que
transeunt in adverbia, ut τὸ ταχὺ
mane, τὸ [ox22 vespere, et nonnullos etiam
accusativos singulares, ut την νύχτα noctu, την YXu:ox) die, etc. His adde interjectiones yov, et ὀϊμενα hei mihi, et alia. ου . Izres est expers recens hæc Græcorum lingua
gravissimæ difficultatis, quam antiqua literalis suis in
præpositionibus experitur ob innumeras fere variásque illarum
significationes, ac casus, quibus cum alligantur. Nostre siquidem præ- positiones,
quæ octo precipue recensentur, eundem semper casum, accusativum videlicet
optant, unicimque vel ad plurimum duplicem sibi significationem asciscunt.
Sunt autem hz, εἰς, πρὸς, μετὰ
vel μὲ, aro, διὰ vel γιὰ, κατὰ,
30 δίχως vel χωοῖς, ὡς.
EG regit accusativum, et significat ên, motum scilicet in locum, ac
statum in loco, ut εἰς τὸν 2voxvoy idem valet ac £n cœlum, et ên ccelo, εἰς ἔπχινόν του in
suam. laudem, εἰς την Pour, lom. 3 Πώς quanvis literalis, non construitur tamen in hac
lingua nisi cum accusativo, significitque ad, erga, vel adversus,
ut π.ὸς &uzyx AU ine, erga me, adversus me, etc. i 1,
1, 5 de l'éd. originale, le texte porte οὐρανον. Μετὰ, et per syncopen μὲ correspondet præpositione cum, ut µετὰ κείνους Cum illis, μὲ πολλοὺς cum multis. Adverte tamen ut plurimum tunc uti µετὰ, quum ponitur ante nomina, quae incipiunt à
vocali, μὲ vero quum incipiunt à consonante.
Aro idem valet quod a vel ab, e vel ex, et quanvis Græco- 5
literalis, non observat tamen eundem casum, sed accusativo gaudet,
eliditürque ipsius o, si nomina præeat quorum principium est vocalis,
secus autem si sit consonans, ut απ᾿ éxtiyou; QD illis, ἀπὸ τὸν θεὸν ἔρχονται ἕλα τὰ καλὰ, à
Deo omnia bona procedunt. 10 Aux, et corrupte γιὰ significat per, ob, vel propter, ut du vel yx τὰ τοονέσι« γίνεται κάθε ποᾶγμα per, vel propter pecu- niam omnia fiunt. Solet
autem interdum addi particula τα, præpositioni διὰ vel γιὰ, quum precipue præcedit prono- mina, ut διὰ τὰ
pas propter mos, διά τ ἐκείνους οὗ
illos; vel 15 etiam λόγου, cum pronominibus tantum, et genitivis μοῦ, σοὺ, τοῦ, τῆς, τῶν, σᾶς, μᾶς,
etc. ut dix τοῦ )όγουμου propter me, διὰ τοῦ λόγουσας propter vos, et sic de reliquis, quo in casu
tantum genitivum gubernat. Kara nunquam significat contra, sed
secundium, vel juxta, 3 sempérque postulat accusativum, ut κατὰ τὸν τρόπον secundum modum, ἔκαμες γατὰ τὴν γνώμην uou fecisti juxia meam opi- nionem. Δίχως vel χωρὶς æquivalet absque, vel sine, ut δίχως danpx Sine pecunia, χωρὶς ἐλπίδα absque spe, χωρὶς ἄλλο
35 absque dubio. Ὡς denique valet usque, ut ñ φωνή σον ἔσωσεν ὡς τὸν οὐρανὸν clamor tuus usque ad celum pervenit. videtur
desumpta à Graeca literali, ἕως. Hæ quidem sunt præpositiones, quibus maxime
vulgaris 30 Grecorum lingua in simplici oratione uti consuevit;
sunt tamen alie à Greca literali mutuate, que in composita duntaxat
oratione reperiuntur, in primis avri, ut ὠντιστέκομαι resisto, πρὸ ut ποοφέρνω offero : παρὰ, ut παρακούω non obedio: σὺν Ut σύντροφος SOCiUS, et συντρέχω CONCUTTO : &yx, ut 35 ἀναπείθω persuadeo : ἐν, ut ἐγκαρθιώνω animum. confirmo, et ἐγκασδιακὸς intimus, seu ex corde : περὶ, ut περικυκλώνω obsideo : et ὑπὲρ, Ut ὑπερπερίσσα satis supérque, et alia. Cæterum ut Latinas
possis præpo(P. 128)sitiones Græco- vulgares efficere, non abs re erit
illas in medium proferre a 4o vel ab et abs. e vel ex ἀπὸ, ut supra. Absque δίχως vel χωοὶς, ut supra. Ad ποὸς vel εἰς. Apud κοντὰ vel aw adverbia loci, PORTII quae
conjuncta cum pronominibus prime, secundæ, et tertiæ personæ regunt
genitivum, ut χοντά σου tpud Le, κοντα του
apud illum swzas2 apud me : cum aliis vero exigunt accu- sativum addita
praepositione εἰς, ut χοντὰ εἰς τοὺς παλαιους αρλκῖ "5 antiquos. Hxc tamen praepositio εἰς amittit ει diphthongum, et σ eonjuncta cuin articulo subsequente, ut κοντὰ στην πόοταν apud portam, σιιὰ στὸν χάωπον prope campum. Ante ὀμπρυστὰ Vel ὀμπιῶς adverbia, quie juncta cum supradictis pronominibus
amant genitivum, ut ὀμποοσταμου ante me, 10 ὀμποῶς σου
ante te, etc. cum aliis autem, accusativum apposita item præpositione εἰς, ut ὀαποοστὰ εἰς τὸν κόσμον ante mowurndum,óunpàs; εἰς τὰ αάτιχμου ante meos oculos. Antequam, ποὶν vx cum subjunctivo, ut ποὶν νὰ
«zuo, antequam faciam. Clam, κρυγὰ Vel χωστὰ adverbia, quæ cum pronominibus illis regunt
genitivum, ut γωστάμου clam à me; cum
reliquis vero accusativum adjuncta praepositione amo, ut ἐπβρατο κρυφὰ «mo τοὺς d)Àou; accepi illud clam ab aliis. Contra, ἐναντίον adverbium, quod optat genitivum cum dictis
pronomi- nibus, ut ἐναντίον σου
contra te, accusativum vero cum reliquis 2 addita item præpositione eig,
ut εναντίον ets τὸν οὐρανὸν contra ccelum. Coram, ὀμποιστὰ vel ὀαπρῶς, vide ante. Circa, circiter, et circum, τριγνοου adverbium, quod postulat geni- tivum cum supra
recensitis pronominibus, ut τοιγνρου µου
circa me; accusativum autem cum reliquis apposita item præpositionc εἰς, ut τρι/ύρου
ei; την χώραν Circa, vel circum regionem. Cis, vel citra, ἀαπεθὼ aro cum accusativo, ut ἀπεδὼ ἀπὸ ταῖς Άλπαις CÍS, vel citra. Alpes. Citm, µετὰ vel με, ut supra. µαζι vel avzxux adverbia, quæ cum pronomini- bus illis
volunt genitivum ; cum reliquis vero accusativum adjuncta przepositione μὲ vel μετὰ, ut µαζι μὲ τοὺς ἄλλους Una cum aliis. ἀντάμα μὲ τὸν ἄνδρα της
Simul cum, viro suo. De, τοιγύνου, vide quæ diximus supra in circum, et cérca. E vel
ex, vide, a vel ab. Erga rco; vide ad. Extra, ὅτω vel &o adverbium, quod dupliciter construitur
vel absolute cum accusativo, ut ὄξῳ τὰ
uazix σου extra sint lui oculi quod fit quum
imprecamur alteri, vel cum præpositione ἀπὸ, ut ὄξῳ ἀπὸ τοῦτο Eye χάθε πρᾶγμα, Cvlra id omnia habeo, et hic modus loquendi
frequentior est, et æquivalet, preter. In ci, ut suprà. Inter, ἄνχμεσα adverbium, quod positum cumdictis pronominibus genitivum
gubernat, ut avapsoz του énter illum, cum aliis vero accusativum, interposita
præpositione εἰς, ut ἀνχμεσα εἰς τὸν λχὸν
inter populum, ἀνάμεσα εἰς τοῦτο inter hoc, id est interim. Infrà, ἀπὸ κάτω
adverbium loci ponitur cum genitivo ante pronomina μοῦ, σοῦ, τοῦ, τῶν;
τοὺς. etc. cum accusativo vero ante reliqua
nomina appo- sita præpositione ἀπὸ, ut αποκάτω «m5 τὸν fiyx infra Regem, etc. Intra, µέσα genitivo gaudet cum relatis pronominibus; cum cæteris
aecusativo addita praepositione εἰς, ut µέσα εἰς τὴν Καρθίαν µου
intra, cor meum. Ob διὰ
vel γιὰ, vide in dux. Per, et
propter, διὰ vel γιὰ. vide δια, ut suprà. Post vel pone, ὕστεα adverbium, quod cum illis sæpius repetitis pronominibus
genitivum adoptat, ut ὕστερά σου
post te; cum aliis vero, accusativum, apposita item præpositione ἀπὸ, ut Ἴλθα ὕστερχ an ὅλους post omnes veni. Proter, vide extra. Palam, vide
coram. Prae, vide supra, vel super. Pro, quum significat defensionem,
dicitur διὰ vel γιὰ 15 cum accusativo, ut ài σένα πολεμῶ propter te pugno : quum vero idem sonat quod vice,
vel loco alterius, utimur his vocibus, εἰς τὸ ποδάοι, Vel ei; τὸν τόπον cum genitivo, ut ó πάπας εἶναι εἰς τὸ ποδάρι, Vel εἰς τὸν τόπον τοῦ Θεοῦ εἰς τὴν γῆν
Papa vicem Dei gerit in terris. utimur interdum etiam præpositione
» αντὶ, Sed hoc modo, exempli causa, pro pisce
dedit mihi car- nem, avi vx pod Juan ψάοι, μ᾿ ἔλωκε xpéxs. Procul, μακρὰ cum genitivo, si præcedat toties enumerata
pronomina, ut µακοά µου procul à me, cum accusativo vero, si cætera
antecedat, interposita præpositione ἀπὸ, ut uaxox ἀπὸ τὰ µάτιαωου procul a; ab oculis meis. Sub, vel
subter, vide infra. super, et suprà ἐπάνω vel απάνω adverbium. construitur cum genitivo, si
præfigatur pronominibus prime, secunde, et terti? personæ. ut απανωμου Supra, me, επάνω σου
Supra te, etc. cum accusativo vero, si aliis preponatur, interposita
prwepositione «ei, Ut εἶχεν az els τὸ χεφάλι του ἕνα στεφάνι, habebat supra caput suum, coronam.
Tenus, vel usque, ὡς
vide suprà in ὡς. Versus πρὸς cum accusativo. Ultra, vel trans ἀπέκει απὸ
35 cum accusativo, ut απεκεῖ ἀπὸ τὸ mozzuc ultra, vel trans flu- vium. Dicitur etiam απόπερα, vel réox cum genitivo, ut απόπερα, Vel πέρα τοῦ
rorauco trans flumen. Post exactam præpositionum inquisitionem, superest
jam ut extremam omnium orationis partem, ac minimam que conjunctio
dicitur, ob illius præcipuum munus, connectendi scilicet reliquas Orationis
partes, absolvamus. Sunt autem ex conjunctionibus quzdam copulativæ, ut
xat et aur vel uz sed, αἀκόμι etiam. aliæ vero disjunctivæ, ut η vel. Aliæ Continuativze ανισωσχαὶ δὲ,
zv vel x an. Quaedam sub-continuativae, ut ἐπειδῇ vel ἐπειδὴ καὶ
quoniam seu quandoquidem, ex postquam. Nonnullæ Causales, ut διὰ we vel νὰ ut, διὰ τὶ
vel γιὰ zi enim aut quia. Alite Dubitativæ, ut τάχα forte, τάχα νὰ un
numquid, τὸ λοιπὸν igitur. Alie Collectivæ, ut τὸ λοιπὸν ergo, διὰ vel γιὰ τούτο propterea. Quaedam denique expletivæ, quae tantum
ad ornatum orationis spectant ac numerum, NON AD SIGNIFICATIONEM, ut dx x, etc.
Atque hæc de omnibus orationis partibus singillatim sumptis. De
Syntaxi Lingue Grece Vulgaris. Vidimus jam singulas orationis partes
examinantes, quomodo dividantur, flectantur, ac conjungantur, quásve in
partes secentur, ac quibus in classibus collocentur; nunc qua ratione cum
aliis jungi, ac inter se connecti debeant, quà polliciti sumus brevitate
sermonem instituemus.Tres etiam assignamus in hac lingua Concordantias,
ut apud Latinos. Prima est nominativi cum Verbo in numero, et
persona, ut ἐγὼ yox» 6/0 scribo, ἐκεῖνος παίζει ille ludit, ἐσεῖς μιλεῖτε VOS loquimini. Secunda est Adjectivi cum substantivo, ut
σοφὸς ἄνθρωπος homo doctus, xxx rox boni adolescentes, καλῆς συντροφιᾶς bonc conversationis, etc. Substantiva quae materiam
significant solent sæpissime accusativo efferri cum praepositione απὸ, loco adjectivorum, ut ζώνη «mo πετζὶ pro nezGirom cingulus ex pelle, ῥοῦχον ἀπὸ τρέχαις pro τρίχινον vestis ex pilis ; quod fit per ecclipsin
participii subintelligendo χαµω-
µένη Vel καιωμένον facta vel factum. Adjectiva semper præ- poni
debent substantivis unà cum articulo, ut τὸ μικρὸ παιδὶ paruus puer, ὁ πρῶτος dy)owro; primus homo : Quod si ali- quando
postponatur, duplicandus est articulus, et apponendus tam substantivo,
quam adjectivo, ut φέρεµου τὸ ῥοῦχο τὸ
xoxxtyoy affer mihi vestem purpuream. Tertia Relativi cum
antecedente, in genere, et numero, ut εἶδα τὸν Πέτρον, τοῦ ὁποίου ἐμίλησα, vidi Petrwm quem alloquutus fui. et aliquando in
casu, ut τὰ λόγια, τὰ ὁποῖα verba, qua. Si ponaturrelativum inter dua nomina
substantiva diversorum generum potest his duobus modis construi, exempli
causa, sydus quod, vel quam vocant Capream, communi Graecorum lingua
dices τὸ ἄστρον, τὸ ὁποῖον Vel ὁποῦ (quod est relativum indeclinabile, omnis generis,
et numeri) κράζουν αἶγα Vel τὸ ἄστρον ὁποῦ τὸ χράζουν Vel vv» xoxbouv ἁι/χ. E
duobus substantivis ad diversa pertinentibus, si in ora- tione ponantur
aliud est nominativi casus, alterum vero genitivi, ut τὸ xocui τοῦ Πέτρου, corpus Petri, τὸ πετδὶ τοῦ
βουδιοῦ bovis pellis.
Interdum tamen iste genitivus transit in 25 accusativum, ut 7 τωήτους pro n τιαήτων honor eorum, ἕνα ποτήρι νερὸ
pro νεροῦ poculum aqueæ, et similia. De
Pronominibus μοῦ, σοῦ, τοῦ, ἐμένχ Vel μὲ, ἐσένα vel ot, ἐμᾶς Vel μᾶς, ena; vol σᾶς, τὸν, την, τὸ, τῶν», τοὺς, ταῖς,
ta. Horum pronominum unà cum Verbis constructio, quoniam
aliquantulum difficilis esse videtur, cum certa quædam regula tradi non possit,
quando preponenda sint vel postponenda, seu quando ε ἐμένκ potius dicendum quam yz, vel ἐσενκ quam σε, ut ἐσᾶς quam σᾶς, idcirco de his nonnulla observatione digna
exponere merito judicavi.Certum itaque in primis, monosyllaba illa pronomina
sive primæ sint, sive secundæ, sive tertiæ personæ nunquam ipso
orationis initio collocari, sed elegantiüs semper post ipsum verbum poni,
vel post aliquod nomen, vel post particulam dev vel de non, ut ἀγαπῶτα, ἀγαπῶτους, etc. amo illa «o vel illos, etc. ἐγὼ σᾶς
uzx ego dixi vobis, δὲν μοῦ Ἄάμνει χρεία, non est mihi opus, βλεπει µε
videt me, et hujusmodi plura. Certum secundo primos illos accusativos
primae, et secunde personæ eusyx videlicet et ἐαᾶς, ésivx et εσᾶς, poni semper
in ipso orationis, periodíque principio unà cum μὲ et μᾶς, σὲ et
σᾶς, Ut ἐωένχ μὲ ἂγητᾶ 0 πατέρας µου me
amat pater meus, ἐσένα σὲ wo
te odio habet, ἐμᾶς μᾶς κοάζει παιδιά του
nos vocat filios suos, ἐσᾶς σᾶς χράζει ἐχθρούς του
vos appellat inimcos 81108. quæ loquutiones correspondent Italicæ phrasi
vel Gallicæ, cum quibus habet maximam affinitatem, quum dicunt. α noi ci chiama sui flgliuoli, il nous appelle ses
enfans, et similia. Vides igitur hujusmodi accusativos cum :, conjungi
cum monosyllabis μὲ, σὲ, ua; et σᾶς, qui statim illos subsequuntur. Nominativi tamen ἐμεῖς et ἐσεῖς, ponuntur abso- 15 lute initio periodi, ut eueis ψωμὶ dev ἔχομεν καὶ ἡ κάτα πίτα σύρνει ΠΟ ΏαπιεΏὲ non habemus, et felis trahit placentam, est
adverbium ! Græco-vulgare in filios, qui bona patris pau- peris lautius
quam par sit profundunt, et opipare vivunt. Certum insuper µονοσύλλαθα illa pronomina μοῦ, 20 Go0, τοῦ, μᾶς, σᾶς, τῶν,
et τους, etc. Si simul esse contingant cum
aliquo adjectivo, poni inter adjectivum, et substantivum, ut ὁ πρῶτος µας φίλος primas noster amicus, αἀγαπημένε µου
vis Πέ mi dilecte, % γακαῖς τους γλώσσαις male illorum lingua, etc. Item sumi pro pronominibus
possessivis ἐδικόσμου; ἐδικόσσου, ἐδικόστου 136115, tuus, suus, etc. Verum tunc non ponuntur
absolute, ut possessiva, sed uná cum alio nomine, ut quum dicimus, liber
meus, zo βιξλίον uo», at cum
dicimus, hic liber est meus, quia meus est solus et non cum alio
no- mine, nos dicemus, ἐτοῦτο τὸ βιέλίον εἶνχι δικόμου, et non τοῦτο τὸ
βιθλίον uoo εἶναι. | "ertum quarto monosyllabos illos
accusativos μὲ et μᾶς, σε
οἱ σάς, ταῖς et
τοὺς, tam ante verbum collocari posse, quam
post, Ut ἐγὼ σᾶς τὸ ἐδιάξασα τὸ γράμμα, et ἐγὼ ἐθιάξασά σας τὸ γράμμα. eo vobis legi epistolam. Quod si hujusmodi
accusativi particulae 35 isti δὲν vel δὲ non, ὡσὰν vel σὰν sicut, vel adverbiis «202; quemadmodum, été sic, σήµερον
hodie, αὔοιον Cras, τώρα nunc, et aliis adverbiis loci jungantur, tunc
verbo postponi minimé (Sic). Lisez proverbium. — De même plus haut, ligne
6, il faut lire probablement zyarzz pour αγητᾷ que porte le texte. Une ligne plus bas, l'original
donne μισᾶ. — Enfin, le texte porte, au lieu de 4
mous appelle, nous nous appelle. possunt, sed tantum præponi, ut δὲν μᾶς τὸ ἔστειλες τὸ βιθλ΄ον non nisisti nobis librum, σήμερον σᾶς εἶπα νὰ μὴν ευγαίνετε hodie vobis diré ne exeatis, nec enim bene
dicemus, δὲν τὸ ἔστειλές µας, NEC σήμερον εἶπχ σας. De quibusdam Nominibus qua (sic) genitivum regunt,
vel accusativum, ubi etiam de ablativo absoluto. Omnia nomina Comparativa,
si praecipue cum pronominibus primitivis construantur, verbalia item in τικὸς una cum nominibus, qua dignitatis habent
significationem, ignorarationis, participationis, similitudinis, ac
communicationis, tv et utilitatis genitivum adoptant, ut εχεῖνος εἶνχι σοφώτε:ός µου ile est sapientior me; ἐτοῦτο εἶναι φανε ρωτικὸν τῆς ἀγαπης |, id est significativum amoris : ὁ ispéxs εἶναι ἄξιος τιμῆς Sacerdos est dignus honore; ἁμαθῆς τῶν ἑλληνικῶν γοχμµατων ignarus Grecarum literarum, σύντρογος καλῶν ἀνθρώπων bonorum hominum socius, ὅμοιος τοῦ λεονταριοῦ Leoni similis, τὰ καλὰ
εἶναι xotyx τῶν φίλων bona sunt amicis communia, et similia. Ea
item quæ dicuntur numeralia ordinis genitivum requirunt, ut Φεύτερός µου
mihi secundus, πρῶτος των primus inter illos, etc. Quæ tamen construi etiam
possunt cum accusativo posità praepositione amo, ut ὕστερος ar” ὅλους postremus omnium, πρῶτος ar ὅλους primus omnium, et sic de reliquis. Profecto, ut uno
verbo dicam, omnia sive Comparativa sint, sive superlativa, sive
plenitudinem significent, vacuitatem, utilitatem, et similia, si cum
pronominibus jungantur, utplurimuni postulant genitivum, si cum aliis nominibus
accusativum cum præpositione aro, ut απ) Sous τοὺς ἕλληνας, ὅπου
fav εἰς τὴν Τροίαν, δυνατώτενος, Vel δυνατώτατος ἦτον ὁ Αχιλλεύς, OM- nibus Grecis qui extiterunt in expeditione
Troiana fortior fuit, vel omnium Græcorum fortissimus fuit Achilles. No-
3; men γεμάτος, ut plurimum habet
post se accusativum sine ulla præpositione, ut γεότος ἔννοιχις curarum plenus: At evxvzio; contrarius genitivum
amat cum primitivis pronominibus, cum aliis vero accusativum uná cum
praepositione εἰς, ut εἶναι &yxyzioz µου 63 mihé contrarius. et εναντίος εἰς
Soo; COn- 35 trarius omnibus. φίλος denique semper reperitur cum geni- tivo, ut sic: τοῦ 0ευὺ
amicus Dei. Instrumentum, causa, modus, et excessus debent in
hac [Le texte ici porte ἀγότης. Cf. p. 60, note 1.] lingua exprimi accusativo, cum
præpositione, uz, vel μετὰ,
vel etiam interdum cum διὰ,
vel γιὰ, si preesertim causam significare
velimus, ut ἐκτύπησα cou! μὲ τὸ ῥᾳθδὶ baculo illum percussi, τὸν εἶδα μὲ w2)ó par oculo illum vidi 5 benigno, ἐσκότωσε τὸν ἐχθούν του μὲ τὸ σπαθὶ hostem suum gladio interemit; νικᾶ Sous μὲ την φωνήν του
sua voce reliquos superat; διὰ τῆν δειλιὰν, Vel γιὰ τὸν φόξον ἔχασε v. ἅρματά τον
PTŒ pavore perdidit arma. Tempus item, et mensura tam loci,
quam ponderis simpliciter accusandi casu efferuntur, ut τὴν ἡμέραν xal τὴν νύκτα δὲν χάωνει ἄλλο παρὰ νὰ
dudar, die, ac nocte nil aléud facit quam legere, ἡ Ῥώμῃ εἶνχι parca ἀπὸ τὴν Φράντζαν ἐκατὸ λέγαις Roma distat à Gallia centum leucis, βαρεῖ τριάντα λίτραις est ponderis triginta librarum. 5
Jamablativum absolutum, pro quo Græci literales utuntur genitivo, nostri
Græco-vulgares penitus ignorantes, nec genitivum usurpant, nec alium
casum, sed vel ipso nudo nominativo utuntur, ut υισεύοντας ἐγὼ ἀπὸ τὴν εκλησίαν ἔπεσεν ñ στέγη τοῦ σπιτιοῦ σου
(liscedente me ab Ecclesia cecidit tectum fie domus, vel loquutionem
resolvunt per ἔταν vel σαν, po- nentes verbum in imperfecto, ut ὅταν vel aav ἐμίσευα ἀπὸ τὴν ἐκκλησιὰν ἔπεσεν, etc. cum discederem ab Ecclesia cecidit, etc.
De Constructione Verbi Activi. Nonnimis laborandum erit in tradendis
regulis verborum activorum. Omniasiquidem verba activæ significationis
postulant ante se nominativum agentem, et post se accusativum, vel
genitivum patientem. Genitivum quidem utuntur hujusmodi Græciæ regiones
Peloponesus, Creta, Chius, Zacynthus, et omnes penitus Græciæ insule. Accusativo
vero gaudent Attica, Thessalia, Macedonia, Thracia, et omnes
prorsus Continentis provincie, atque incola. Quum igitur verseris
in Insulis, utere post verbum genitivo, accusativo vero quum fueris
in Continente. Adverte tamen,
quanvis iis? qui in Insulis sunt post verbum activum genitivum, quem
person: vocant, admittant (res enim apud omnes, ac semper ubique ponitur
in [Il faut évidemment lire τόν. Leçon de l'original pour zi. 'l'oute cette phrase
est d'une construc- tion pénible et confuse. Postverba doit être lu en
deux mots. accusativo, ut axoo» τὰ λόγια σου,
non τῶν λόγιων Gov,.QUdio tua verba) id verum esse precipue, quum
postverba se- quuntur pronomina illa primitiva μοῦ, σοῦ, τοῦ, et tantum in numero singulari, ut δὲν μοῦ
a«os: non me audit; nam in plu- rali dicunt cum accusativo, δὲν uz; εἶπε τίποτες, niil nobis s dixit, licet in singulari dicerent, δέν uoo eine τίποτες!. Quod si alia subsequantur pronomina, vel nomina,
modo genitivum ponunt, modo accusativum, ut ακούω τὸν
llézpoy non τοῦ Πέτρου audio Petrum, et ui τοῦ Μάρκου, et non τὸν Maoxov, nisi dicas μὲ τὸν Μάρχον, alloquor Marcum, vel loquor cum Marco.
Quando autem statuendus sit post verbum activum geni- tivus, vel
accusativus optima regula est, si animadvertamus ad linguam Gallicam, vel
Italicam. nam si post verbum activum ponatur particula à, tunc semper in Græco
vulgari reponi debet post verbum genitivus, ut /'ay dit à Francois, ἐγὼ εἶπα τοῦ Φραγκίσκου, non τὸν Φραγκίσχον. Si vero talis particula non ponatur, utendum tunc
erit accusativo, vel genitivo juxta distinctionem Græciæ locorum
superius insinuatam, ut je vous ay fait la grace, ego vobis gratiam feci,
secundum Insularum habitatores dices, ἐγὼ σοῦ τήν ἕκαμα τήν χάοιν, et secundum Continentis incolas, ἐγὼ σὲ τήν ἔχαμα τὴν yXow, qua loquutio correspondet huic Italice, la
gratia ve l'ho fatta. Prætereà sciendum, verba, quæ apud Latinos,
vel Grecos literales exigunt post accusativum rei dativum persons, apud
Grecos vulgares usurpare pro dativo persons, vel genitivum ut loquuntur
Insularum cultores, vel accusativum ut Continentis incolæ, exempli causa, ego
dedi tibi librum dices, vel éyà σοὺ τὸ ἔδωχα τὸ βιθλίον, velso ἐγὼ σὲ τὸ ἔδωχα τὸ βιθλίον. Rursus verba, quie duos sibi accusativos
adsciscunt apud Latinos, et ἕλληνας, apud vulgares Graecos, vel ambos retinent, ut
loquitur omnis Continens, aut mutant accusativum per- sonæ in genitivum,
ut phrasis est omnium Insularum, verbi 35 gratia, ego te doceo
grammaticam, dicetur ἐγὼ σὲ, vel σοῦ μαθαίνω τὴν γραμματικήν. Jdem fit aliquando, si verba apud Latinos regant
ablativum cum praepositione a vel ab, et accusativum, ut aufero à
te vestem, ἐγὼ σὲ, vel σοῦ πέονω τὸ ῥοῦγον. dixi aliquando, quia ut w ]Voyez au commentaire
pour l'établissement du texte.] plurimüm pro ablativo ponitur accusativus cum
præpositione aro, ut «accepi à Petro tuas literas, ἐγὼ ἔλαξα ταῖς γραγαῖς σου
ani τὸν Πέτρον, il habeo à te, € χω το ar
ἐσένχ, et alia. Idem etiam præstari debet ,
Si verbum apud Latinos accusa- ; tivum regat et genitivum, vel ablativum
sine ulla præpo- sitione, ut empleo ollam denariorum, γελίζω τὸ :ζουκάλι amo τορνέσια, et émpleo vas aquá, γεμίζω τὸ αγγεῖον ἀπὸ
woo. in quibus tainen sape sæpius reticetur aro, dicendo sim- pliciter τορνέσια et νερὸ. De Constructione Verbi passivi, neutri, ac
Deponentis. Quemadmodum activae vocis verbum exigit ante se
nomi- nativum agentem, et post se accusativum patientem, ita é
contra passivæ vocis verbum postulat ante se nominativum patientem, post
se vero accusativum agentem uná cum i5 preepositione απὸ, ut τὸ &uzzt τραθιζεται ἀπὸ τὰ dÀojx CUTTUS trahitur ab equis. Semper igitur in
passivis casus personæ verbi activi, quum videlicet duplicem requirit
casum post se, vertendus est in nominativum, manente altero
immutato, Ut εγὼ σὲ uaÜziw τὴν yrauuarwry, passive redditur, ἐσν µαθαίνεσαι 20m ἑμένχ τὴν γηαμματικὴν, tu doceris à me grammaticam, etc. VT APVD LATINOS. Ex
verbis neutris, vel Deponentibus, quaedam absolute ponuntur sine ullo
casu, ut Er vivo, πορπατῶ am- bulo, στέκοµαι
S00, οιμούμαι dormio : quidam vero
requirunt post se aliquem casum, ut ἀρέσκει µου
placet mihi, τὶ φαὐεταίσας, quid. vobis videtur, et alia, quie genitivum, aut
accusativum postulant pro diversitate præsentis Grecis regionum, si eosdem
casus, vel alios requirant Latinorum verba vel neutra, vel deponentia. Et
tunc Constructio erit eadem quam jam recensuimus in verbis
activis. De Verbis εἶμαι, φαίνοµαι,
et aliis, tum de verbo impersonali, de Modis, Gerundiis, ac quibusdam
loquutionibus. Verbum εἶμαι sum duos habet nominativos ante, et post se,
ut ó Αοιστοτέλης ἅτονε μεγαλος φιλόσοφος, Aristoteles erat magnus Philosophus. eodem modo
construitur verbum φαίνομαι t ideor, λέγουαι dicor, oxzopzt vocor, λογοῦμαι nuncupor, et similia, quæ preeter illos duos nominativos
admittunt etium genitivum, vel accusativum juxta supradictam locorum
Græciæ distinctionem, sicut Latina dativum, ut αὐτὸς pod εἶναι, Vel φαίνεταί µου καλοπίγερος ἄνλρωπος ipse mihi est, vel videtur vir idoneus. Vel etiam
accusativum cum præpositione aro, si Latina regant ablativum cum
praepositione à vel ab, ut justus ab omnibus vocatur, vel reputatur
beatus, ὁ δίκαιος χράξεται͵ Y, κρατειέται µακάριος am’ 02095. Verbum impersonale duplicis est
speciei activae nimirum et passivæ. Utrunque impersonalis verbi genus,
vel ponitur absolute sine ullo casu, ut βρέχει pluit, λέγουνε fertur ; vel cum aliquo casu ut apud Latinos,
verbi gratia, pertinet ad me, ἐγγίζει µου,
non licet vobis, δὲν σᾶς πρέπει, mon curatur de anima, δὲν ἐννοιάζεται διὰ τὴν ψυχήν. Ubi adverte verba impersonalia utplurimum sumi à tertia
persona plurali prze- sentis indicativi activi, ut pro scribitur dicunt γράφουνε scribunt, pro vivitur, ζοῦνε vivunt, et alia. Dixi ut plurimüm quia reperitur
interdum, et quidem raro aliquod impersonale desumptum à tertia persona
plurali presentis indicativi passivi, ut κοιμοῦνται dormitur. Modorum usus pervius est unicuique ut
apud Latinos. In usum tamen hi precipue veniunt INDICATIVVS, imperativus,
et subjunctivus, qui vicem gerit infinitivi, et exprimitur per particulam
νὰ, ut Θέλω νὰ τὸ «auo volo illud facere : cui interdum praeponitur
articulus τὸ, et ponitur loco nominis, ut τὸ vx χάμεις pro τὸ κάνωμα σου
tuum factum. Similem loquutionem habent Græci literales, ut τὸ ποιεῖν pro
ποίηυα, et Itali, 25 il fare, pro il fatto. Hujusmodi modus semper
ponitur post aliud verbum, sicut infinitivus apud Latinos; vel alias
resol- vitur per ἔτι vel πῶς, ut scio te fecisse hoc, vulgo
possumus dicere, ἠξεύρω πῶς, vel ὅτι τὸ ἔκαμες, quod ἔτι et πῶς videtur
correspondere Italico che vel Gallico que. Ponitur 3o etiam zat pro ὅτι,
ut λογιαζω vat τὸ ἔμαθες, pro ὅτι τὸ ἔμαθες, puto te illud didicisse. Jam
quaenam particula, vel Conjunctio unicuique modorum tribuatur, et quomodo
inter se discrepent, vide supra in Conjugationibus barytonorum. Gerundiis
caret utraque Greca lingua, fruitur vero Latina. Ea autem sic in vernaculam
Graecorum dialectum vertenda censemus. Gerundia in do, resolvuntur in
participia, ut amando αγαπῶντας, dicendo λέγοντας, etc. Gerundia in
dum exprimuntur aliquando per dix νὰ, si illa praecedat praepositio
ad, ut ad habendum διὰ νὰ ëyr : aliquando per oz, vel 4o zyxuzgx onov, Si
præcedat praepositio inter, ut inter ambulandum, σὰν ἐπορπάτουνα, id est dum
ambularem : inter [MEYER. GRAMM. GRECQUE.] dicendum ἀνχμεσα ὁποῦ ἐμῶμε cum
loqueretur, et similia. et aliquando per πρέπει, si à Latinis efferantur
abso- lute sine ulla praepositione, ut faciendum mihi est, πρέπει νὰ
άνω, tObis agendum, πρέπει vx Ἰάμετε, etc. Hic modus loquendi non aberrat
à modo loquendi Italorum, vel Gallorum, dum dicunt, mi bisogna fare, il me faut
faire, cum hoc tamen discrimine, quod in dictis linguis verbum
consequens est infinitivi modi, et nunquam mutatur, at in Graeca vulgari
verbum quod subsequitur πρέπει est subjunctivi modo, variatürque ac construitur
cum personis, quie comitantur gerundia in dum, ita ut si persona sit
singu- laris, et prima, verbum etiam erit primæ persone numeri
singularis, et sic de reliquis. Tandem gerundia in di, simpliciter efferuntur
per vx cum subjunctivo, ut lempus est i5 und, 22160; εἶναι yx naue!
sciendi sum cupidus, επιθναῶ va µεθω, etc. Veniamus jam ad
peculiares, quasdam loquutiones. QVVM LATINE DICIMVS, quod tibi scripserim,
vernaculo Graecorum sermone sic efferemus, διὰ τί σοῦ £yoxlx, vel ὃτι σοῦ
ο0 ἔγραγα, Vel τὸ vx σοὺ Eyux pz, Vel ἔστοντας καὶ νὰ σοῦ ἔγραφα,
prior et secundus loquendi modus conformior Latinæ loquutioni
videtur. De nonnullis adverbiis, ac particulis, quæ vel nominibus,
vel Verbis præjfiguntur. a; Uttotum communis Grece linguæ syntaxeos
absolvamus tractatum, brevibus precurremus nonnullas voces, quarum
notitia non parum juvatur is, qui aditum sibi fieri vult ad hujusmodi
linguæ Græcæ svntaxim. Dicamus ergo prius de Xunoes inam, quod adverbium
est optandi, ponitürque s) unà cum νὰ, et constituit in verbis
peculiarem modum, qui dicitur optativus, reperitur cum perfecto, et
imperfecto, ut ἄμποτες νὰ τὸν ἔκραξες, utinam. illum. vocasses, ἄμποτες νὰ
τὸν ἔθλεπα, utinam illum viderem. ‘Av, vel à fit à Græcoliterali sw,
sé, ac pariter regit 3; subjunctivum, tempus amat id, quod nos in
verbis barytonis diximus habere indifferentem quandam, ac
indeterminatam significationem, ut ἂν σὲ πιέσω δὲ te capiam, non & σὲ
πιάνω: ἂν σὲ εὑρήσω δὲ Le. reperiaan, non ἂν σὲ εὑρίσκω. Conjungitur præ- [Certainement pour πάμενε] voyez page 159 de l'original, plus loin p. 68, 1.
7 sqq. terea cum omnibus preeteritis, ut xv &xux δὲ feci, ἂν ἔγραφε, δὲ
scribebat, ἂν θέλει 2ώσει δὲ dabit, et reliqua. Aro, quanvis praepositio
significans a vel ab, in compo- sitione tamen alicujus verbi, vel nominis
non semper eandem retinet significationem; nam interdum denotat
perfectionem, ut arocs)swm perficio, τελειώνω quippe simplex füure tantum significat, sed cum
aro perfecte finire, utque Latini dicunt, rem reddere omnibus numeris
absolutam. interdum vero finem quodammodo præ se ferre videtur, ut αγοτοώγω finem. comedendi facio, unde adverbia αποφαγχ post prandium, et απόθειπνα post canam. ct tandem penitus, seu de, ut anses
penitus amputo, et ἀποχεφαλίδω decollo, et alia. *A; adverbium
hortandi, si ponatur cum imperfecto efficit modum optandi, ut a: ἔθλεπα utinam viderem; caeterum ας nota est imperativi, seu potius subjunctivi, ut 2;
κάμη faciat. Videtur autem derivari à
Græcoliterali ἄφες, unde per synco- pen z:. quare quum
dicimus 2; 1% idem valet ac sine ne, ut videam, qui quidem loquendi modus
frequens est in sacris paginis, praecipue in Evangelio, ds: ἴδωμεν, εἰ ἔργεται Ηλίας σώσων αὐτὸν, quem imitati Græci- -vulgares dicunt, a; ἰδοῦμεν ἂν
ἔρχεται ὁ Has διὰ νὰ τὸν ἐλευβερώσῃ. Adverte tamen hujusmodi ἄς,
non poni in secunda persona imperativi, sed tantum in prima, et tertia.
Quia videlicet, aptior imperandi persona videtur secunda, non prima,
et tertia, unde et Itali quum magnates alloquuntur solent ob-
sequii, et revereniP. 15K)tiæ causa uti tertia persona, ne loquentes
secundá persona, videantur aliquomodo illis impe- rare. Est igitur a4;
subjunctivi potius nota, quam imperativi. A&, vel 3. deductum
fortasse fuit ab se ablata diph- thongo ου. Dicitur autem 05», quum ponitur
ante vocales et " diphthongos, imo οἱ ante aliquas consonantes,
videlicet ante B, 7; ὃ, 0, 4.0, 7,9, y : d vero ante reliquas
consonantes. Regit indicativum tantum, quia in reliquis modis non utimur
οὲν, sed uz», vel uz, ut uz» κάµης ne facias. Να aliquando
est adverbium demonstrandi, et regit geni- tivum si praecedat pronomina
primitiva numeri singularis, ut νά σου ecce tibi, accusativum vero si
sint numeri pluralis, et ante alia nomina, ut vx σας ecce vobis, νὰ τὸν
Mézos» ecce Petrum. Aliquando est conjunctio causalis, ab ἵνα
deducta, unde ut illa subjunctivum expostulat, qui, ut diximus,
vicem etiam gerit infinitivi. Atque
hinc fit, ut aliqui dicant conjunctionem vz signum esse, ac notam
infinitivi. Verum quo firmo, stabilíque nitantur fundamento non video.
Inter- dum denique νὰ solet esse particula repletiva, et ornatus causa
maxime apud Chios, qui dicunt ἐκεινὰ pro exi, τουτονὰ 5 pro τοῦτον, quam etiam replicantes satis molliter sonant
&xewavz, et τουτονανα. Νε item particula est quæ nihil significat, et tantum ad
or- natum ponitur orationis, idque duntaxat à Chiis, non in qui-
buslibet nominibus, sed tantum in articulis et pronominibus ιο masculinis et foemininis, ubi reperiatur finalis litera
v, ac in prima, secunda, et tertia persona verborum numeri
pluralis, ut pro εἴλατιν, εἴδατηνε Dro τοῦτον, τούτονε, DTO τούτων, τουτωνῶνε, pro γράφοµεν, γράγομενε, pro λέγετε, λέγετενε, et sic de reliquis. Ωσάν demum vel ox, aut ez, idem significat quod Latine
i5 CUm, vel post quam, ac postulat subjunctivum, ut σὰν yox|yn; cum scripseris, σὰν ἔλθω
postquam venero, et similia. Interjectio ὄχου, veloiusvx hei mihi regit accusativum, ut ὀϊμένα τὸν
xaxouooy heu me infelicem. At ὦ modo requirit so nominativum, vel vocativum,
ut ὦ πεγχλη duoruyix Ó magnam calamitatem, ὦ καλὲ ἄνβρωπε Ó bone vir, modo vero geniti- vum, et tunc vim
habet admirationis, ut à τοῦ θαύματος Ó rem admirandam, idest Papæ. Atque haec de
Syntaxi linguæ Græcæ communis, methoο” dicáque ejusdem institutione, majore qua potui
dilucidäque brevitate, ac studio ad Dei omnipotentis gloriam, Fidei
Catho- licae propagationem, Proximorum utilitatem, nec non ad φιλογλώσσων περιεργείαν. Porta.
Portius. Porcius. Simone Porzio. Porzio. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Porzio” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Possenti: la ragione conversazionale e la
conversazione di Romolo e Remo – radice dell’ordine civile – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Studia a Torino. Insegna a Venezia. Dei Aquinensi. Fonda l’Annuario
di filosofia. Centro di ricerca sui diritti umani. Attrato dalla storia delle
civiltà, ispirato da VICO (si veda). Studia l’idea d’un assoluto impersonale.
Incontra l'istanza metafisica e umanista attraverso AQUINO (si veda), intuendo
le possibilità speculative e liberanti incluse metafisica dell'essere. Tre sono
gl’ambiti primari della sua ricerca: metafisica, pensiero teoretico e ritorno
al realismo; personalismo; filosofia politica. Studioso d’AQUINO, del tomismo. Professore
della grande tradizione della filosofia dell'essere, orienta l'attenzione
critica verso GENTILE, il neo-parmenidismo italiano di SEVERINO nel suo ritorno
a VELIA e il VELINO, ricercando una razionalità attenta alla storia ma non
consegnata interamente alla furia del tempo. Dunque il ritorno all'eterno
invece che l’eterno ritorno di Nietzsche e la ripresa del tema della creatio ex
nihilo, assente in molta filosofia. Il suo approccio legge meta-fisica e
nichilismo come due nuclei che tendono ad escludersi – i veliani -- di cui il
primo è la fisio-logia e il secondo la pato-logia. Individua pertanto nella
destituzione dei valori e nella riduzione della ragione a volontà l'esito
ultimo del nichilismo. Questo vuole liberare Italia dalla metafisica, ritenuta
distrutta dal criticismo, ma il compito della filosofia dell'essere è preparare
una ripresa della metafisica dell'esistenza, tale che possa di nuovo tenere un
posto nella storia della civiltà. Una presentazione ampia della sua è in “Storia
della filosofia”; Filosofi italiani, Antiseri e Tagliagambe, Bompiani, si veda
anche nichilismo e filosofia dell'essere, intervista, a c. di Mura, “Euntes docete.”
La riscoperta della meta-fisica esistenziale è un tentativo di mettere in luce
la parzialità di non poche posizioni che hanno proclamato la fine della
metafisica occidentale: GENTILE, e SEVERINO. Essi hanno operato come reagente
per la riconquista della metafisica e per la critica del nichilismo, di cui
offre una determinazione diversa da quelle di Nietzsche e di Heidegger -- con
applicazioni anche all'ambito del nichilismo giuridico. Il rigetto del
nichilismo e l'analisi dell'anti-realismo, del logicismo, del dialettismo e del
razionalismo che affliggono la filosofia, gli conducono a giudicare concluso e
senza possibilità di ripresa il ciclo della meta-fisica nel cammino di GENTILE.
La base prima della filosofia dell'essere sta nell'asserto ‘l'ente è'. Questo
il grande tema da cui occorre partire. Dall'ente appunto e non dall'essere
vuoto dei moderni. In tal modo crollano l'identità tra logica e meta-fisica del
razionalismo, l'idea di dialettica come generazione logico-apriorica del
sapere, e l'idea di divenire come entrare-uscire dal nulla. Qui opera un'adeguata
semantizzazione dell'essere (dell'ente), rigettando l'errore primordiale di
trattare la questione dell'essere come questione di essenza, il che presuppone
la negazione della potenzialità. Ma se questa è presente, niente in senso
proprio va in nulla ma si trasforma. Si svolge verso un positivismo in cui
la filosofia è capace di progresso. È andata così delineandosi la tesi che
nello svolgimento della meta-fisica dagl’antichi a noi sia emersa, dopo la
seconda navigazione nell’ACCADEMIA (vedi Fedone), proseguita e perfezionata da
Aristotele al LIZIO, una terza navigazione che si esprime nella
Seinsphilosophie che ha toccato un punto di apogeo in AQUINO e nei grandi
tomisti. In tale prospettiva è possibile tracciare un'essenziale storia della
meta-fisica quale progressiva penetrazione della verità dell'essere, culminante
nella metafisica dell'actus essendi. Si tratta di una metafisica trans-ontica
che, prendendo le mosse dall'ente, procede verso l'essere stesso -- esse ipsum per
se subsistens -- e che individua la struttura originaria nella partecipazione
dell'ente all'essere. Le sue posizioni sono consegnate alla trilogia “Nichilismo
e Metafisica. Terza navigazione, Il realismo e la fine della filosofia moderna,
e Ritorno all'essere. Addio alla metafisica moderna. Esse sono discusse da XVIII
autori in, “La navicella della meta-fisica. Dibattito sul nichilismo e la terza
navigazione (Armando, Roma) Cottier, Dummett, Berti, Riconda, e poi in Realismo
Metafisica Modernità. “In margine al realismo e la fine della filosofia
moderna”, Dalfino e Pozzo, CNR-Iliesi, Roma. La possibilità di guadagni per sempre rigetta
l'idea fallibilista -- Popper et alii --, secondo cui ogni sapere -- riportato
poi solo a quello delle scienze -- riposa su palafitte perennemente
rivedibili. La meta-fisica ha per oggetto non il concetto di essere, ma
l'esistenza. Il filosofo deve sempre e nuovamente ribattezzarsi nelle sue
acque, fuggendo l'oblio dell'essere e liberandosi dal sistema che intende
racchiudere in sé la totalità. Un problema centrale per lui è la possibilità di
una conoscenza filosofica autonoma, che non proceda solo sull'imbeccata che
possano darle le scienze ed altre forme di conoscenza, nonostante la necessità
del dialogo tra filosofia e scienza, in quanto non esiste un solo sapere.
L'unità plurima o polivalente della ragione si applica anche al nesso tra
filosofia e il culto sacro. Nell'incontro tra compito della ragione e elezione
del cristianesimo si individua un criterio di apertura e stimolo per la
filosofia nella sua ricerca di senso. Il principio della persona è più fondamentale
del principio della responsabilità (Jonas) e del principio-speranza (Bloch), e
a fortiori delle filosofie dell'impersonale o inter-soggetivo. Il concetto di
persona si presta efficacemente in una serie di problemi in cui le nozioni di
individuo, di soggetto, di coscienza risultano inadeguate. La persona è
originaria e primitiva, e raggiunge una profondità e permanenza che non hanno
le altre categorie appena citate o l'uso che spesso ne è stato fatto. Si veda il
dossier sul “Principio Persona” con contributi di Grandis, Ivaldo, Madricardo,
Pera, in “Studium”, L'idea di persona è
essenziale per maneggiare le grandi difficoltà insite nell'antropologia, in
specie da quando in Occidente si cerca di elaborare un'etica procedurale di
norme senza base antropologica, che è il grande equivoco dei moderni. Fa
parte del vasto movimento del personalismo, volto alla riscoperta integra della
persona. Compito del personalismo ontologico è di valorizzare ed integrarele
filosofie del personalismo incompiuto -- Habermas, Rawls, BOBBIO, Ferry, Parfit
-- allontanandosi da quelle dell'esplicito anti-personalismo, Nietzsche e
Foucault in specie, ma pure Hegel, Heidegger, SEVERINO nei quali forte è
l'empito anti-personalistico. Le assise della persona vanno ricercate
nell'ontologia, onde essa è una sostanzialità aperta alla relazione, ma non
riducibile a sola relazione. Le persone sono nuclei radicali di vita e realtà
che non possono essere dedotti da alcunché e che anzi fonda l'agire e lo
sperare dell'essere umano Esse come
totalità concrete è alla base di una filosofia che oggi deve fare i conti con
la centralità del tema antropologico, con le problematiche bio-etiche (ad es.
concernenti lo statuto dell'embrione), e con le concezioni in cui il soggetto e
la natura umana non sono intesi come un presupposto ma come un prodotto della
prassi. Il personalismo quale insieme di scuole e correnti filosofiche
che assegnano speciale valore e dignità alla persona, non è in senso proprio
un'invenzione, ma originariamente della patristica, del medio-evo, e dell'umanesimo.
Qui sono state elaborate in certo modo per sempre le idee fondamentali sulla
persona e dischiuso come nuovo guadagno il suo spazio di realtà. L'epoca
dell'antropocentrismo non è stata un'epoca di riscoperta della persona. Un
antropo-centrismo sicuro di sé non può dare risposte a molte domande della vita
ed è tanto più impotente, quanto più le domande sono profonde, Se la
controversia sulla persona si accende di nuovo in molti ambiti, è perché
l'idea-realtà di persona attraversa un momento d’eclissi e richiede nuovamente
la fatica del concetto. Assolutamente primario è il nesso persona-tecnica, in
cui la seconda è spesso animata da volontà di potenza, valendo come una potenza
senza etica. La presenza nel comitato di bio-etica gl’induce a dedicare
attenzione ai temi di bio-tecnologie, la rivoluzione bio-politica, l'influsso
pervasivo del materialismo e del biologismo. Il personalismo si declina poi
in ambito sociale come concezione egualitaria e comunitaria -- personalismo
comunitario -- quale fondamento dell’ordine politico proiettato verso la
cosmopoli, la pace e il rispetto dei diritti umani. Entro un dialogo
critico con le tradizioni del liberalismo e dell’illuminismo, opera per
mostrare il contenuto di nozioni centrali del politico come quelle di ragion
pratica, bene comune, popolo, democrazia, legge naturale, diritti dell'uomo,
laicità, ai fini di una rinnovata filosofia pubblica in pari col suo oggetto.
Uno specifico rilievo è stato assegnato al problema teologico-politico secondo
due direttrici: la ripresa post-moderna di un ruolo pubblico per le grandi
religioni; l'idea che la loro deprivatizzazione anche in Occidente può
contribuire ad un positivo rapporto fra religione e politica, nella prospettiva
di una piazza pubblica non agnostica ma attenta alla matrice teologica della
società civile. Con la filosofia politica si opera il passaggio dal piccolo
mondo dell'io al grande mondo' della società, verso la società aperta della
famiglia umana. Sulla scia di diagnosi -- Arendt, Maritain, Strauss, Simon,
Voegelin -- ritiene che la filosofia politica vada riportata al suo compito
primario di pensare la buona società, lottando contro la crisi concettuale che
procede all'ingrosso da Weber e dall'attacco al diritto naturale. In
particolare è stata condotta una critica radicale a Kelsen, alla sua concezione
relativistica dei valori e della democrazia, al suo intento di dissolvere
l'idea di ragion pratica, tolta la quale l'ambito della prassi precipita
nell'irrazionalismo e tutto è affidato al volere. Cfr. il dossier Liberalismo --
“Humanitas”, con interventi di Campanini, Zanone, Esposito, Ivaldo. Esso
raccoglie parte del dibattito sollevato da “Le società liberali al bivio” che
vide interventi di Savona, Vigna, Cubeddu,
Berti, Pellicani, e Scarpelli. Si sostiene l'importanza della filosofia
e dell'antropologia per la democrazia, sulla base dell'idea che la costruzione del
cosmo umano è compito della ragion pratica. Insufficiente risulta una sfera
pubblica moralmente neutrale, consegnata al binomio del diritto positivo e la morale
procedurale. La rinascita della filosofia politica avviene riprendendo
competenza sui suoi problemi, tra cui massimo è quello della pace: la pace
necessaria che non c'è e la guerra inammissibile che c'è. Occorre disarmare la
ragione armata: ciò suggerisce che vada cercata un'organizzazione politica del
mondo oltre la sovranità degli stati-nazione verso un'autorità politica
mondiale o cosmo-politica, di cui l'ONU è lontana immagine. Altre saggi: “Frontiere
della pace” (Milano); “Filosofia e società. Studi sui progetti etico-politici
contemporanei, Massimo, Milano Giorgio La Pira e la filosofia d’AQUINO, Studia
Universitatis sancti Thomae in Urbe, Roma; “La Pira tra storia e profezia. Con AQUINO
maestro, Marietti, Genova-Milano; La buona società. Sulla ricostruzione della
filosofia politica (Vita e Pensiero, Milano); Una filosofia per la transizione.
Metafisica, persona e politica in Maritain” Massimo, Milano); “La filosofia
dell'essere” (Vita e Pensiero, Milano); Tra secolarizzazione e nuova
cristianità” (EDB, Bologna); “Le società liberali al bivio”; “Lineamenti di
filosofia della società” (Marietti, Genova); “Oltre l'Illuminismo”; “Il
messaggio sociale” (Paoline, Roma); “Razionalismo critico e metafisica”; “Quale
realismo?” (Morcelliana, Brescia); “Dio e il male, Sei, Torino); “Cattolicesimo
e modernità. Balbo, Del Noce, Rodano (Ares, Milano); “Approssimazioni
all'essere. saggi di metafisica e di morale” (Poligrafo, Padova); “Il
nichilismo teoretico e la morte della metafisica” (Armando, Roma); “Terza
navigazione. Nichilismo e metafisica” (Armando, Roma); “Filosofia e Rivelazione”
Città Nuova, Roma); “La filosofia dopo il nichilismo” (Rubbettino, Soveria); “Religione
e vita civile. Il cristianesimo nel postmoderno” (Armando, Roma); “L'azione
umana. Morale, politica e Stato in Maritain” (Città Nuova, Roma); “Essere e
libertà” (Rubbettino, Soveria); “Radici dell'ordine civile” (Marietti, Milano);
“Il principio-persona” (Armando, Roma); “Profili. Bobbio, Noce, La Pira,
Lazzati, Sturzo (Effatà, Cantalupa); “Le ragioni della laicità” (Rubbettino, Soveria);
“L'uomo post-moderno”; “Tecnica, religione e politica” (Marietti, Milano); “Dentro
il secolo breve. Paolo VI, La Pira, Giovanni Paolo II, Mounier, Rubettino,
Soveria Nichilismo giuridico. L'ultima parola? Rubbettino, Soveria. La
rivoluzione biopolitica. La fatale alleanza tra materialismo e tecnica, Lindau,
Torino. Pace e guerra tra le nazioni. Kant, Maritain, Pacem in terris, Studium,
Roma. I volti dell'amore, Marietti, Milano-Genova. Il realismo e la fine della
filosofia moderna (Armando, Roma); “Diritti umani”; “L'età delle pretese”
(Rubbettino, Soveria); “Ritorno all'essere. Addio alla metafisica” (Armando,
Roma); “La critica del marxismo” (Massimo, Milano); “Epistemologia e scienze umane” (Massimo,
Milano); “Storia e cristianesimo” (Massimo, Milano); “Contemplazione evangelica
e storia” (Gribaudi, Torino); “Maritain oggi, Vita e Pensiero, Milano); “La
filosofia dell'essere” (Cardo, Venezia); Nichilismo Relativismo Verità. Un
dibattito” (Rubbettino, Soveria); “Laici o laicisti? Dibattito su religione e
democrazia” (liberallibri, Firenze); “La questione della verità. Filosofia,
scienze, teologia” (Armando, Roma); Ragione e verità. L'alleanza
socratico-mosaica” (Armando, Roma);” Nostalgia dell'altro. La spiritualità di Pira”
(Marietti, Milano); Pace e guerra tra le nazioni” (Guerini, Milano); “Natura
umana, evoluzione, etica” (Guerini, Milano); Governance globale e diritti
dell'uomo” (Diabasis, Reggio Emilia); “Ritorno della religione? Tra ragione,
fede e società” (Guerini, Milano); “Diritti Umani e libertà” (Religiosa,
Rubbettino); in onore (Armando); Perché essere realisti? Una sfida filosofica (Mimesis,
Milano-Udine. Giuliano, Filosofi a un bivio. Ora rialziamo lo sguardo, su
avvenire, A. Lavazza, Neuroscienziati, cercate l'anima. Vittorio Possenti.
Possenti. Keywords: radice dell’ordine civile – romolo e remo -- il principio speranza,
prima navegazione, seconda navegazione, terza navegazione, Gentile, comunita,
Severino, Aquino, umanesimo, seconda navigazione --. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Possenti” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Pozza: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale – la scuola di Taranto -- filosofia pugliese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Taranto).
Filosofo italiano.
Taranto, Puglia. Grice: “I like Pozza; he uses ‘pragmatic’ quite a bit, by
which he means Grice, of course!” Durante
gli studi al liceo di Taranto, Tommaso, un insegnante di matematica di stile
tradizionale gli stimola il gusto per i problemi matematici e per l'eleganza formale
delle dimostrazioni. Studia a Bari dove si laurea con una tesi su SERRA (si
veda) avendo come relatore Vallone. Coniuga l'amore per i sistemi formali con
l'amore per Leopardi, Carducci -- maestro di Serra -- e Annunzio -- e tra i
classici predilisse Tasso e Vita nuova di Alighieri. Studia a Bari -- sotto
Landi -- Pisa, e quindi metodi formali a Milano. Una svolta nella sua carriera filosofica
è segnata dalla partecipazione agl’incontri di S. Giuseppe organizzati a Torino
da BOBBIO. A partire da qui sviluppa idee in filosofia del diritto, specie –
ovviamente -- su Kelsen, e sulla formalizzazione della logica deontica con
particolare attenzione all'assiomatizzazione dei principi di una teoria
generale del diritto in collaborazione con
Ferrajoli per i suoi “PRINCIPIA IVRIS”. Organizza a Taranto gl’incontri
Info IVRE TARAS, logica informatica e diritto, al quale partecipano alcune
delle figure più rappresentative del diritto, dell'informatica e della logica,
tra cui Martino, Ferrajoli, Conte, Busa, Comanducci, Jori, Filipponio, Elmi,
Guastini, e Sartor. Insegna a Taranto, mantenendosi scientificamente attivo e
partecipando a conferenze di società filosofiche italiane -- specialmente la
Società italiana di logica e filosofia della scienza e la Società italiana di
filosofia analitica, dal convegno nazionale fino al convegno di Genova. Insegna
a Lecce. Tra le principali influenze nei suoi studi di linguistica e semiotica
testuale vi sono quella di Petöfi.
Insegna a Verona, Padova, Bolzano e, per le sue lezioni di logica deontica, a Petöfi
e Kelsen. L’influenza maggiore viene dalle grandi opere di Frege, Russell e Carnap,
ai cui dedica uno studio, con
particolare attenzione alla visione filosofica. Pubblica un contributo di
sapore positivista, discutendo e formalizzando alcune argomentazioni in fisica
quantistica. Un legame tra i suoi interessi in linguistica e il suo lavoro in
logica formale è dato dalla sua teoria formale degl’atti linguistici basata su
una connessione originale tra logica intuizionistica, usata per gl’atti
linguistici assertori, e logica classica, usata per i contenuti proposizionali.
Presentando la sua teoria di una formalizzazione della “pragmatica,” define un
modello Frege-Reichenbach-Stenius per il trattamento formale dell’asserzione,
mostrando che il problema principale di questa teoria è la limitazione
introdotta da Frege -- e accettata da Dummett -- per cui il segno di asserzione
si può usare solo per formule elementari assertorici. Ma, come molti filosofi sostengono,
esistono atti linguistici composti. Per permettere il trattamento di un atto
linguistici composto o molti-modale e ovviare alla limitazione del modello Frege-Reichenbach-Stenius,
introduce un connettivo pragmatico che permette la costruzione di una formula
assertiva complessa. Il contenuto della formula assertiva è dato
dall'interpretazione classica e dai connettivi vero-funzionali. Il connettivo pragmatico,
fra DUE atti linguistici assertori semplice in uno complesso, ha invece una interpretazione intuizionistica.
Il connetivo pragmatico non ha cioè un valore di verità – o sattisfazione
fatica -- ma un valore di giustificazione. In fatti, un atto assertivo non è,
in quanto *atto*, vero o falso, ma può essere “giustificato” o non
giustificato. In questo modo, il sistema formale distingue l'asseribilità di un
atto assertorio dal valore di verità della proposizione asserita. Oltre a
spiegare l'irriducibilità del segno fregeano di asserzione a un trattamento in
termini di logica classica e introdurre una fondazione formale della teoria dell’atto
linguistico, dà anche una soluzione originale del problema della compatibilità
tra logica classica (Grice) e logica non-classica (Strawson) o
intuizionista. A questo studio seguono
altri sulla logica erotetica, deontica, e sub-strutturale. La sua
filosofia suscita interesse in diversi campi, dalla filosofia del linguaggio
alla filosofia della fisica alla logica e all'informatica -- specie a partire dalla
sua collaborazione con Bellin. Alla sua teoria formale della “pragmatica,” oltre
ai saggi di Anderson e Ranalter è dedicato un numero di Fondamenta
Informaticae. La sua influenza si estende così oltre che alla filosofia della
fisica e alla filosofia del linguaggio anche alla logica e all'informatica,
specie con convegni in suo onore organizzati a Verona. Ricordi di personalità
internazionali e di amici sono raccolti in suo onore. Altre saggi: “Un'interpretazione
pragmatica della logica proposizionale intuizionistica”; “Problemi fondazionali
nella teoria del significato (Olschki, Firenze); “Una fondazione pragmatica
della logica delle domande”; “Parlare di niente”; “Termini singolari non
denotanti e atti illocutori”; “Idee”; “Una
logica pragmatica per la concezione espressiva delle norme”; “Logica delle norme” (S.E.U., Pisa); “Il
problema di Gettier: osservazioni su giustificazione, prova e probabilità”
(SIFA, Genoa); “Come distinguere scienza e non-scienza”; “Verificabilità,
falsificabilità e confermabilità bayesiana” (Carocci, Ferrajoli); Principia
juris. Teoria del diritto e della democrazia.
La sintassi del diritto” (Bari: Laterza). Carlo Dalla Pozza. Carlo
Pozza. Pozza. Keywords: Grice. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pozza”.
Grice e Pozzo: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale nel ginnasio – filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Milano). Filosofo italiano. Milano, Lombardia. Sudia a Milano.
Consegue il dottorato a Saarlandes (“a reason why Italians don’t consider him
Italian” – Grice) e la abilitazione a Trier – Grice: “A reason why Italians
don’t consider him an Italian philosopher, since he earned his maximal degree
without, and not within, Italy.” Insegna
a Verona e Roma, all’Istituto per il lessico filosofico – (Grice: “Yep –
Italians have an ‘istituto’ for EVERYTHING!”). Studia il LIZIO, la storia della
logica o dialettico dal rinascimento, la storia delle idee e la storia dell’università
di Bologna (“l’unica chi conta a Italia”) -- ha portato avanti la creazione di
infra-strutture di ricerca per una migliore comprensione dei testi filosofici e
che hanno plasmato il patrimonio culturale. Caratteristica specifica del suo
approccio alla lessicografia è l’uso della IT per la documentazione e
l’elaborazione di dati linguistici e testuali in italiano. Hegel:
Introductio in Philosophiam: Dagli studi ginnasiali alla prima logica (Firenze:
Nuova Italia). Associazione per l’Economia della Cultura “Storia storica e
storia filosofica della,” Schiavitù attiva, proprietà intellettuale e diritti
umani. Riccardo Pozzo. Pozzo. Keywords: il ginnasio – implicature, identita
nazionale, filosofia italiana, patrimonio italiano, storiografia filosofica,
storia della filosofia italiana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pozzo” – The
Swimming-Pool Library.
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