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Wednesday, December 25, 2024

GRICE ITALO A-Z P PO

 

Grice e Ponte: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale maschile – filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Lodi). Flosofo italiano. Lodi, Lombardia. Studia a Genova. Insegna a Pontremoli. D'impostazione tradizionalista, dopo gli studi classici vive a Pontremoli. Storico delle idee e del diritto romano arcaico, studioso di simbolismo, fonda la rivista di ispirazione evoliana Arthos -- cultura tradizionale, testimonianza tradizionale, a cura d’Arya di Genova. Cura il Tractatus de potestate summi pontifices; La Cronologia vedica in appendice a La dimora artica dei Veda. Tra i fondatori del movimento tradizionale romano. Collabora attivamente con Arya, ispirate dall'O. I. C. L. Altre saggi: Dei italici; Miti italici, Archetipi e forme della sacralità romano-italica, Genova, Ecig; Il movimento tradizionalista romano, Scandiano, Sear; La religione dei romani” (Milano, Rusconi); “Il magico Ur” (Borzano, Sear); “I liguri: etno-genesi di un popolo” (Ecig, Genova); “La città degli dei”; “La tradizione di Roma e la sua continuità” (Ecig, Genova); "Favete Linguis!" Saggi sulle fondamenta del Sacro in Roma antica” (Arya, Genova); "Ambrosiae pocula" (Tridente, Treviso); "Nella terra del drago" note insolite di viaggio nel Regno del Bhutan (Tridente, La Spezia); “Il mondo alla rovescia” (Arya, Genova); “In difesa della tradizione” (Arya, Genova); “Le sacre radici del potere” (Arya, Genova); “La massoneria volgare speculativa” (Arya, Genova); “Lettere ad un amico” (Arya, Genova); “Hic manebimus optime” (Arya, Genova); “Etica aria” (Arya, Genova); “Aspetti del lessico pontificale: gli indigitamenta”; “ “I LARI nel sistema spazio-temporale romano”;  “Santità delle mura e sanzione divina,”; “Gl’arii”; “Via romana agli Dei”;  Centro studi La Runa.IL MOVIMENTO  TRADIZIONALISTA ROMANO: Studio storico preliminare     SeaR. Quanto segue è, nella sostanza, il contenuto di una  conferenza tenuta a Palermo presso l’istituto Platone  riprodotto con aggiunte note critiche e documentarie, per le  Dispense d’Arx di Messina, edite da Ruta. Il testo viene ripresentato con maggiore dignità tipografica e tiratura, onde favorirne la diffusione, con poche modifiche e aggiunte, in questa nuova collana della Sear di Scandiano. Poiché è certamente la prima volta che con una  certa organicità viene affrontato questo argomento, il  presente scritto può a ben diritto definirsi una novità. Tuttavia, dal momento che il nostro testo viene  presentato come uno studio storico preliminare, il  lettore potrà dedurne che i dati storici, biografici  e letterari, le notizie contenute ed ogni altra informazione non sono frutto di fantasia o di illazioni avventate, ma desumibili nella loro grande maggioranza da  fonti documentarie, come dimostrato dai stessi  riferimenti; l’insieme costituisce, d'altra parte,  qualcosa di non definitivo, in quanto suscettibile di essere ampliato ed ulteriormente specificato da successive indagini e approfondimenti di maggior respiro. Bisogna peraltro subito aggiungere che anche a  molte notizie documentarie non sarei pervenuto se  non avessi tenuto conto, nel corso di più anni, di indicazioni, suggerimenti, informazioni pervenutimi  per via amichevole o riservata. Quanto qui esposto,  tuttavia, non fa parte di alcun segreto esclusivo —  come vorrebbero alcuni — bensì del patrimonio storico della nazione italica e come tale lo offriamo alla  meditazione di quei lettori che vorranno o sapranno  trovarvi spunto di interesse interiore, nonché agli storici laici, perché almeno in questa occasione si rendano conto del tipo di dimensione occulta che corre  parallela e interferisce nelle vicende della storia: nella  fattispecie, prendano atto dell 'esistenza, sinora ignorata, delle correnti esoteriche che tentarono di dare al FASCISMO quell’anima priva di compromessi che non  fu capace di far sua.  Entrando il Sole nei Gemelli. Nella prefazione da lui posta ad un recente lavoro  dedicato soprattutto alla cosiddetta nuova destra, il noto politologo Giorgio Galli, a cui si deve  senza dubbio riconoscere una notevole apertura  mentale e un’intelligente operazione culturale volta  alla riscoperta di alcune tematiche proprie della destra tradizionale, ha potuto osservare come alla nuova destra sia mancata «precisamente una ri¬  lettura della componente magica ed esoterica della cultura di destra. La nova destra si trova anzi, attualmente, «in difficoltà sul piano propriamente politico forse anche perché ha trascurato  l’analisi di fenomeni ai quali si dimostra sensibile la destra tradizionalista esoterica): tale fallimento, dunque, sarebbe implicito nel «completo  abbandono di un bagaglio culturale di indubbia rilevanza. Tale diagnosi ci pare esatta e le acute osservazioni  di Galli (al quale si debbono anche tentativi di pe¬  netrare nel mondo oggi ancor poco conosciuto, proprio perché poco adeguatamente studiato, dell’eso-  [GALLI, prefaz. a: MONICA ZUCCHINALI, A destra in Italia, Sugarco Edizioni, Milano. Tale lavoro non merita, di  per sé, alcuna annotazione di rilievo, essendo molto superficiale e limitato nel settore dedicato alia «destra radicale» (e in questo largamente  superato da precedenti pubblicazioni, per quanto decisamente a sini¬  stra, come La destra radicale, a cura di Ferraresi, eccessivamente ampio e parziale nei confronti della cosiddetta «Nuova  Destra», mentre la «destra tradizionale» è pressoché inesistente. In sostanza, ciò che dà rilievo al libro, sono le poche notazioni preliminari  del Galli, che peraltro suonano da campana a morto per i profeti della  fine del «mito incapacitante] terismo del III Reich), che ben difficilmente, del  resto, potrebbero essere recepite nella loro portata  da quanto sopravvive della nuova destra, proprio per la sua impostazione profana e modernista  (per non parlare della destra «tecnocratica» missina,  per sua intrinseca natura da sempre impermeabile  ad ogni discorso «intelligente»), potranno ser- [In una relazione sul tema tenuta a Torino (pare  per la Fondazione Agnelli), il cui testo abbiamo potuto leggere, il Galli  osserva come «la storiografia ufficiale e accademica abbia sempre esitato a muoversi in questa direzione, appunto per il timore di spostarsi dal  piano della storia a quello della fantasia. Ciononostante Galli, che  dunque sembra muoversi tra i primi al di fuori di tale logica paralizzante, afferma come vi siano sufficienti elementi per una riflessione storica organica sulla componente esoterica soprattutto dei nazismo, mentre  per quanto riguarda il fascismo italiano questa riflessione potrebbe con¬  cernere esclusivamente la personalità d’Evola. Il saggio dunque amplia le prospettive conoscitive  di Galli e di quanti altri si interessino di tali tematiche proprio sull’ultimo punto, quello concernente il FASCISMO. Circa poi le correnti esoteriche del nazismo, bisognerebbe intanto distinguere fra ciò che ha preceduto la sua presa del potere, le gerarchie ufficiali dello Stato ed alcuni  settori delle SS. In base a ricerche che stiamo effettuando, possiamo anticipare che tali correnti esoteriche poggiano su fondamenta assai fragili, contrariamente a quel che potrebbe pensare Galli stesso, che in que¬  sto caso pare essere rimasto vittima di alcune «ingenuità» propalate sulla scia del famigerato Mattino dei Maghi di Pauwels e Bergier. Per un  discorso preliminare su quanto andiamo dicendo, si veda ora il mio saggio su La realtà storica della società Thule, in introduzione alla prima traduzione italiana di Prima che Hitler venisse di Rudolf von Sebottendorff. Edizioni Delta-Arktos, Torino. Su Evola e certi ambienti delle SS, pubblicherò in seguito documenti provenienti dall’archivio di stato tedesco (Quartier Generale di Himmler), in cui tali tematiche saranno ulteriormente trattate. In un recente articolo che vuole costituire una sorta di recensione  del libro della Zucchinali, un anonimo missino cosi sintetizza gli interes- [virci qui da spunto iniziale per una breve indagine  preliminare, necessariamente per ora limitata, su  una corrente di pensiero indubbiamente assai minoritaria, ieri ed oggi, in Italia, ma come è stato di recente sottolineato, «nel contempo assolutamente necessaria per l’Italia, che ha svolto ed è destinata  a svolgere ancora una funzione molto importante,  per non dire essenziale, per la nostra nazione: quella  della conservazione dtXV identità delle nostre radici. Essa, se è stata opacizzata nelle masse e in una  classe dirigente sclerotizzata e corrotta per incapacità e colpevole negligenza, nondimeno persiste im¬  mutata, come presenze e immagini primordiali, negli archetipi divini che presiedono alle nostre sorti.  Il compito di tale minoranza, al di là della pura e  semplice azione conservativa, è stato quello di saper  ridestare nei momenti opportuni quelle immagini, sì  che divenissero presenze vive ed operanti, concretiz¬  zandole nelle nuove realtà della nazione italica.   Si tratta delle immagini primordiali e delle epifa¬  nie divine del Lazio e dell 'Italia delle origini, ovvero  della Saturnia tellus: quelle che hanno reso possibile  la manifestazione sul nostro suolo della tradizione  di Roma — che simboli, funzioni ed attribuzioni    si e i tentativi controcorrente del Galli: «A cosa ciò possa condurre in  concreto, è imprevedibile. Forse a nulla» (in «Proposta» Conventum Italicum, comunicato anonimo in «Arthos] hanno reso evidente essere emanazione della Tradi¬  zione primordiale (5) — ed il suo rinnovellarsi attraverso i tempi.   Il precedente riferimento del Galli all’esoterismo  è, nel nostro caso, più che pertinente, dal momento  che la trasmissione e perpetuazione della tradizione  romana, almeno negli ultimi quindici secoli, ha po¬  tuto avvenire, per motivi ben comprensibili, per via  segreta, cioè esoterica e di necessità sotto forme e vie  anche molto diverse. Se oggi si può parlare di «de¬  stra» esoterica è soltanto perché, per circostanze sto¬  riche particolari, in un ambito (peraltro, assai ri¬  stretto) della destra del nostro secolo certe tematiche  hanno potuto trovare parziale ospitalità: va da sé  — e non sarebbe il caso di insistervi sopra — che la  .tradizione di cui tali correnti sono portatrici si situa  ben al di là e al di sopra di ogni miserabile dialettica  fra destra e sinistra, termini e concetti di derivazione  parlamentare moderna e quindi del tutto inadeguati  ad inquadrare forme di realtà spirituali quali quelle  a cui ci riferiamo.   Tuttavia, dal momento che il presente intende es¬  sere semplicemente uno «studio storico» su tale cor- [Per tali evidenziazioni, debbo rimandare ad alcuni capitoli del  mio Dèi e miti italici. Il ed., ECIG, Genova, specialmente in connessione con le figure di Giano e Saturno (con il ciclo a lui connesso. Si deve peraltro notare che ad interessi esoterici inerenti anche alla  tradizione romana non furono aliene certe personalità della «sinistra  storica» e nel corso della nostra esposizione non mancherà un esempio  concreto.] rente, dovremo fare solo riferimenti indiretti e limi¬  tati al suo lato esoterico, quanto invece insistere sui  suoi riflessi politici, culturali e religiosi.   L’abbiamo definita «corrente tradizionalista romana nel Novecento: un’élite che ha in ogni caso lasciato una sua impronta in una certa epoca e  che, nell’incertezza del pensiero debole attuale,  potrebbe ancora essere portatrice di un messaggio  radicalmente alternativo, poiché radicalmente (e qui  l’espressione va intesa, con coscienza di causa, nel  suo pieno valore etimologico, a radicibus) orientata  contro gli pseudovalori che reggono la scena del  mondo moderno.   Non è mio compito qui riassumere i termini della  questione intorno alla possibilità della trasmissione  della sacralità e della tradizione di Roma dall’epoca  degli ultimi sapienti pagani sino ai nostri giorni: è  uno studio che, in riferimento soprattutto alle gentes  dei Simmachi, dei Nicomachi, dei Pretestati ed altri,  abbiamo da anni iniziato in varie riviste e pubblica- [Derivo l’espressione di «corrente tradizionalista romana» dal poderoso (e ponderoso) lavoro di P. DI VONA, Evola e Guénon. Tradizione e civiltà, Napoli in cui, nel cap. intitolato appunto Il tradizionalismo romano, l’A. studia la «corrente romana del  tradizionalismo, ad opera di Reghini, Evola e De Giorgio». È evidente  che col termine «corrente» noi non intendiamo riferirci (se non in singo¬  li casi, che ben preciseremo) ad una linea di pensiero omogenea, bene  organizzata in un gruppo unitario e compatto dalle caratteristiche co¬  muni, ideologicamente e politicamente parlando, ma ad una tendenza  che potè assumere aspetti e sfaccettature diverse, come proprio i casi di  Reghini, Evola e De Giorgio (e non sono certo gli unici) sono a dimostrare. ] zioni e che non mancherà di ulteriori sviluppi.   In questa sede sarà sufficiente fare rapido riferimento a quell’epoca gravida di grandi e decisive tra¬  sformazioni che fu il Rinascimento italiano. È soprattutto nel corso del XV secolo che tradizioni occulte, sopravissute per secoli nel più grande segreto,  paiono ricevere nuova linfa e l’impulso ad una nuova manifestazione dal contatto con personalità del¬  l’Oriente europeo di altissima rilevanza intellettuale,  come quella di Giorgio Gemisto Pletone, il grande  rivitalizzatore della filosofia platonica negli ultimi  anni dell’Impero d’Oriente e fondatore di un cena¬  colo esoterico a Mistra, la medievale erede dell’antica Sparta, all’interno del quale, oltre a conservare  testi dell’antichità pagana (come le opere dell’imperatore Giuliano, che vi venivano trascritte), si celebravano veri e propri riti e si elevavano inni in onore  degli dèi olimpici.   La figura e la funzione di Pletone sono ancora troppo poco note in generale e, in  Italia, non ancora studiate. In genere, ci si limi- [Cfr. ad esempio: R. DEL PONTE, Sulla continuità della tradizio¬  ne sacrale romana, parti I e II, in «Arthos»;  vedi anche: Q. AURELIO SIMMACO, RelazionesuH’altare della Vittoria, con un’introduzione di R. del Ponte su Simmaco e isuoi tempi. Edizioni del Basilisco, Genova. Si tenga conto che nel sud del Peloponneso sono attestati, a livello  popolare, culti nei confronti degli dèi classici sino al IX secolo della nostra era. In lingua italiana mancano ancora del tutto studi approfonditi.] ta a citare, a proposito di lui, la sua partecipazione  al Concilio di Firenze e l’istituzione dell’Accademia  Platonica Fiorentina, che ebbe sede nella villa di Careggi (o «delle Cariti», o «Muse»), concepita da Co¬  simo il Vecchio e realizzata da Lorenzo il Magnifico  su suggestione del Pletone. Ma gli effetti dovettero  essere ancora più interessanti e gravidi di conseguenze, se si considerino i legami, ad esempio, Pletone e Malatesta. Signore di Rimini: colui che ne sottrarrà il cadavere agli Ottomani, i quali avevano occupato Mistra, onde deporlo pietosamente in  un’arca marmorea del suo famoso «Tempio Malatestiano. Lo stesso Malatesta dovette pure essere in  rapporto con la ben nota Accademia Romana di  Pomponio Leto, propugnatore, scrive il von Pa-  stor, del «romanesimo nazionale antico». Il capo [Ci si dovrà pertanto limitare a rimandare a: B. KIESZKOWSKI, Studi  sul platonismo del Rinascimento in Italia (vedi soprattutto cap. II),  Sansoni, Firenze 1936; P. FENILI, Bisanzio e la corrente tradizionale  del Rinascimento, in «Vie della Tradizione»  (ci viene comunicato ora, che a cura dello stesso P. Fenili è in corso di  stampa un’antologia di brani di Pletone, dal titolo «Paganitas», lo  squarcio nelle tenebre, per Basala Editore di Roma). Di recente, ci è ca¬  pitato di leggere in un’insolita pubblicazione, una rivistina satirica di sinistra, un reportage da Mistra singolarmente informato e documentato  su Gemisto Pletone e la sua scuola (cfr. P.LO SARDO, La repubblica  dei Magi. Da Sparta alla Firenze del '400, in «Frigidaire. Per mezzo del Platina (definito da Pomponio pater sanctissi-  mus), l’Accademia Romana intratteneva rapporti col Malatesta, il quale dell’Accademia Romana, riporta il von Pastori   «spregiava la religione cristiana ed usciva in vio¬  lenti discorsi contro i suoi seguaci... venerava il genio della città di Roma. Quale rappresentante  di queU’umanesimo, che gravitava verso il pagane¬  simo, si schierarono ben presto attorno a Pomponio un certo numero di giovani, spiriti liberi dalle  idee e dai costumi mezzo pagani. Gli iniziati  consideravano la loro dotta società come un vero  collegio sacerdotale alla foggia antica, con alla testa un pontefice massimo, alla quale dignità fu  elevato Pomponio Leto.   Si noti che sembra certa l’adesione alla cerchia del  Leto del principe Francesco Colonna, Signore di Pa-  lestrina, l’antica Praeneste, dai più ritenuto l’autore  della celeberrima Hypnerotomachia Poliphili, un te¬  sto molto citato, ma molto poco letto e soprattutto  compreso, dove, in ogni modo, una sapienza ermeti¬  ca si sposa all’esaltazione, non tanto filosofica.] fu notoriamente nemico dei papi e ammiratore del movimento pagano  di Mistra (cfr. F. Masai, Pléthon et le platonisme de Mistra, Paris.  L’opera del Masai è a tutt’oggi la più completa esistente  sulla dottrina e la figura di Giorgio Gemisto Pletone). Si noti che il Platina fu allievo a Firenze dell’Argiropulo, discepolo di Pletone, e che un  altro antico discepolo, il Cardinal Bessarione, si prodigò per la liberazio¬  ne da Castel Sant’Angelo dei membri dell’Accademia Romana,  dopo che furono accusati dal papa Paolo II — non senza fondamento  — di paganesimo. 11 Masai si domanda se l’Accade¬  mia Romana «non fosse in qualche modo una filiale di quella di  Mistra. L. von PASTOR, Storia dei Papi, Roma] quanto mistica, del mondo della paganità romano¬  italica, culminante nella visione di Venere Genitrice. Se si rifletta al fatto che Francesco Colonna, realizzatore dell’imponente  palazzo gentilizio eretto sulle rovine del tempio di  Fortuna Primigenia (ancora oggi ben identificabili  nelle strutture originali), vantava discendenza diret¬  ta dalla gens Julia e quindi da Venere, si potrà  allora intravedere come l’apporto vivificante della  corrente sapienziale reintrodotta in Italia da Pletone si fosse incontrato col retaggio gentilizio  di una tradizione antichissima, gelosamente custodito nel silenzio dei secoli col tramite di alcune fami¬  glie nobiliari italiane, in ispecie laziali, generosamente fruttificando: nel senso di spingere ad un rinnovamento tradizionale non solo l’Italia, ma persino, ad un certo momento, lo stesso papato, se avventi. Risulterà forse sorprendente apprendere come i Colonna possedessero ancora fino ai nostri giorni il «feudo» originale di Giulio Cesare, Boville (Frattocchie d’Albano). E visibile nel giardino Colonna al Quirinale  l’aitare antico dedicato al Vediove della gens Julia (notizie ricavate da:  P. COLONNA, I Colonna, Roma. Tolomeo 1 Colonna  ostentava il titolo di Romanorum consul excellentissimus e Julia stirpe  progenitus (cfr. P. FEDELE, s.v. Colonna, in «Enciclopedia Italiana). Ha compiuto un’attenta analisi deWHypnerotomachia Poli¬  phili (editio princeps nel 1499, presso Manuzio) come opera di France¬  sco Colonna, M. CALVESI, Il sogno di Polifilo prenestino, Roma 1980.  Si veda anche: PELOSI, Il sogno di Polifilo: una quéte del¬  l’umanesimo, ed. Palladio, s.l. 1978. A.C. Ambesi, in considerazione  della dimensione iniziatica dell’opera di Francesco Colonna, la conside¬  ra come un’anticipazione cifrata del movimento dei Rosacroce (/ Rosacroce, Milano] ne che poco mancò che salisse al soglio pontificio  quel cardinale Giuseppe Bassarione che fu discepolo  diretto di Giorgio Gemisto Pletone, da lui giudicato,  come scrisse in una lettera privata ai figli del maestro dopo la sua morte, «il più grande dei Greci dopo Platone.] Ma altri tempi tristi dovevano giungere, tempi in  cui sarebbe stato più prudente tacere, come dimo¬  strò il bagliore delle fiamme in Campo dei Fiori, avvolgenti nell’anno di Cristo  il corpo, ma non  l’animo, di Bruno, rivivificatore generoso,  ma impaziente, di dottrine orfico-pitagoriche, che  trovavano analoga eco — frutto di una linfa non  mai del tutto estinta nell’Italia Meridionale — nella  poesia e nella prosa dell’irruente frate calabrese  Tommaso Campanella, lui pure oggetto di odiose  persecuzioni. Bisogna giungere sino all’unità d’Italia, parzialmente realizzatasi con la fine della millenaria usurpazione temporale dei papi, per trovare una  situazione mutata. A questo punto bisogna chiarire  una volta per tutte, con la maggiore evidenza, che  dal punto di vista del tradizionalismo romano l’unità d’Italia — indipendentemente dai modi con cui [Si dovrà ricordare che Bessarione raccolse cum pietate nel suo  studio le opere e i manoscritti del maestro, in particolare alcuni frammenti apertamente pagani delle Leggi, dotandone poi la Biblioteca  Marciana da lui fondata, a Venezia. ] potè in effetti verificarsi (modi spesso arbitrari e  prevaricatori della dignità e delle sacrosante autono¬  mie di diverse popolazioni italiche) e dall’azione di  certe forze sospette (Carboneria, massoneria e sette  varie) che per i loro fini occulti poterono agevolarla  — era e rimane condizione imprescindibile e necessaria per ritornare alla realtà geopolitica dell’Italia au-  gustea (e dantesca): quindi per propiziare il rimani¬  festarsi nella Saturnia tellus di quelle forze divine  che ab origine a quella realtà geografica — consacrata dalla volontà degli dèi indigeti — sono legate.   È un dato che si dovrà tenere ben presente, per  meglio intendere certi fatti che avremo modo di  esporre in seguito. Intanto, è nell’aria qualcosa di nuovo e antico insieme, che verrà avvertito dalle anime più sensibili.   Fra queste, il grande poeta Giovanni Pascoli, con  un equilibrio ed una compostezza veramente classici, valendosi di una sensibilità non inferiore a quella  con cui in quegli stessi anni conduceva l’esegesi di  certi lati occulti della dantesca Commedia, con il seguente sonetto (e col corrispondente testo in esame¬  tri latini, da noi non riprodotto) celebrava in una  semplice aula scolastica la solennità. L’aratro è fermo: il toro d’arar sazio,  leva il fumido muso ad una branca  d’olmo; la vacca mugge a lungo, stanca,  e n’echeggia il frondifero Palazio. Una mano sull’asta, una sull’anca  del toro, l’arator guarda lo spazio:  sotto lui, verde acquitrinoso il Lazio;  là, sul monte, una lunga breccia bianca.   È Alba. Passa l’Albula tranquilla,   sì che ognun ode un picchio che percuote   nell’Argileto l’acero sonoro.  Sopra il Tarpeio un bosco al sole brilla,  come un incendio. Scende a larghe ruote  l’aquila nera in un polverio d’oro. Allo scadere del secolo è un fatto nuovo  di ordine archeologico il punto di riferimento im¬  portante ed essenziale per il secolo che sta per aprirsi: la scoperta nel Foro da parte di Boni (si veda) del  cippo arcaico sotto il cosiddetto Lapis Niger, in cui l’iscrizione in caratteri antichi del termi¬  ne RECHI ( = regi) attesta documentariamente l’effettiva esistenza in Roma della monarchia e, con  quanto ne consegue, la sostanziale fondatezza della  tradizione annalistica romana, trasmessa nel corso  di innumerevoli generazioni, dai primi Annales Ma¬  ximi dei pontefici sino a Tito Livio e, al termine del- [PASCOLI, Antico sempre nuovo. Scritti vari di argomento  latino, Zanichelli, Bologna. Il lettore esperto potrà notare  come in pochi versi il poeta abbia saputo sapientemente concentrare  particolari nomi evocativi di determinate realtà primordiali dell’Urbe.] l’Impero d’Occidente, alle ultime gentes sacerdotali  ed a quegli estremi devoti raccoglitori e trasmettitori  della sapienza delle origini, come poterono essere un  Macrobio ed un Marziano Capella.  È come se, fisicamente, una parte di tradizione ro¬  mana si esponesse improvvisamente alla luce del sole a smentire l’incredulità e l’ipercriticismo della  scuola tedesca, che, in nome di un presunto realismo  scientifico, aveva respinto in blocco le più antiche  memorie patrie, e soprattutto dei suoi squallidi seguaci italiani, come quell’Ettore Pais che nella sua  Storia di Roma (ristampata innumerevoli volte fino  in piena epoca fascista) aveva negato ogni tradizione  da una parte, costruendo dall’altra fantastici castelli  in aria, senza alcuna base, né storica, né filologica.   Risulta che Giacomo Boni fu in corrispondenza  con un altro principe romano, pioniere degli studi  islamici e deputato al parlamento nei banchi della  sinistra: Leone Caetani duca di Sermoneta, principe  di Teano, marito di una principessa Colonna.   Suo nonno, Michelangelo Caetani, era stato l’autore di un fortunato opuscolo di esegesi dantesca dove si sosteneva l’identità di ENEA col  dantesco «messo del cielo» che apre le porte della  Città di Dite con «l’aurea verghetta» degli iniziati di  Eieusi: quello stesso che fu il latore a Vittorio Emanuele II dei  [Cfr. M. CAETANI di SERMONETA, Tre chiose nella Divina  Commedia di Dante Alighieri, II ed., Lapi, Città di Castello] risultati del plebiscito che sanciva l’unione di Roma  all’Italia.   Proprio Leone Caetani sarebbe stato l’autorevole  tramite attraverso cui si sarebbero manifestate all’interno della Fratellanza Terapeutica di Myriam  (operativa proprio negli anni della scoperta del Lapis Niger) fondata da Giuliano Kremmerz (cioè Ciro  Formisano di Portici) — che la definì talvolta come  Schola Italica — determinate influenze derivanti  dall’antica tradizione romano-italica se, come scrive  l’esoterista Marco Daffi {alias il conte Libero Ricciardelli) è lui il misterioso Ottaviano (altro  riferimento alla gens Julia!) autore nella rivista Commentarium diretta dal Kremmerz, di un  articolo sul dio Pan e di una lettera di congedo dalla  redazione in cui egli riafferma in tali termini la proti?) «Sotto tale pseudonimo si nascondeva persona veramente autorevole, autorevolissimo collega di ricerche ermetiche di Kremmerz tanto  da potere essere ritenuto portavoce di sede superiore Don Leone  Caetani, Duca di Sermoneta, Principe di Teano» (M. DAFFI, Giuliano  Kremmerz e la Fr+Tr+ di Myriam, a cura di G.M.G., Alkaest, Genova). Gli scritti firmati da Ottaviano in «.Commentarium» sono tre: La divinazione pantéa, Per Borri, Gnosticismo e iniziazione. In quest’ultimo scritto, con¬  sistente in una lettera di congedo come collaboratore della rivista, si rimanda all’opera di un altro personaggio che, come Ottaviano, doveva  riconnettersi allo stesso ambiente iniziatico gravitante alle spalle dell’or¬  ganismo kremmerziano: l’avvocato Lebano, autore di un  curioso libretto intitolato Dell’Inferno: Cristo vi discese colla sola ani¬  ma o anche col corpo? (Torre Annunziata), in cui nuovamente si  accenna al «ramoscello dorato del segreto, ossia la voce mistica di con¬  venzione che Enea presenta a Proscrpina.] pria fede pagana:  non sono che pagano e ammiratore del paga¬  nesimo e divido il mondo in volgo e sapienti volgo, che i miei antenati simboleggiavano nel ca¬  ne e lo pingevano alla catena sul vestibolo del Domus familiae con la nota scritta: Cave canem; cane perché latra, addenta e lacera.   In quegli tempi era cominciata l’attività pubblicistica ed iniziatica di Reghini. La sua importanza fra i  più autorevoli esponenti europei della Tradizione, e  del filone romano-italico in particolare, risiede certamente non tanto nel tentativo, vano e fatalmente  destinato all’insuccesso, per quanto disinteressato,  di rivitalizzare la massoneria al suo interno,  quanto nell’attenzione da lui portata allo studio ed [OTTAVIANO, Gnosticismo e iniziazione. Tentativo che si concretizzò soprattutto con la creazione del Rito  Filosofico Italiano, fondato da Reghini, Frosini ed  altri (vi sarà accolto come membro onorario Crowley), ma dall’esistenza effimera, dal momento che si  fuse con la massoneria di Rito Scozzese Antico ed Accettato di Piazza  del Gesù. Reghini seguirà le sorti e le direttive di Piazza del Gesù di  Raoul Palermi, molto favorevole nei confronti del fascismo, sino ai  provvedimenti contro le società segrete. Papini dedica alcune pagine nel contempo pungenti e commosse ad Reghini di cui fu amico negli anni giovanili, cosi concludendo: «Arturo  Reghini visse, povero e solitario, una vita di pensiero e di sogno: anch’e¬  gli difese e incarnò, a suo modo, il “primato dello spirituale’’. Nessuno  di quelli che lo conobbero potrà dimenticarlo, Passato remoto, ed. L’Arco, Firenze] alla riscoperta della tradizione classica e romana,  che gli era stato dato in compito di rivitalizzare in  segreto, così come egli stesso si esprime in una lettera inviata ad Augusto Agabiti e pubblicata nell’Ultra»:   «sai bene come il nostro lavoro, puramente metafisico e quindi naturalmente esoterico, sia rimasto  sempre e volontariamente segreto. In tal modo Reghini ben si inseriva nel filone  della corrente tradizionalista romana, in quella sua  variante che si può legittimamente definire «orfico-  pitagorica, col contributo di numerosi scritti,  soprattutto sulla numerologia pitagorica, sparsi fra  molti articoli e opere impegnative, come Per la resti¬  tuzione della geometria pitagorica, I numeri sacri della tradizione pitagorica massonica, Aritmosofia. REGHINI, La «tradizione italica», in «Ultra», Vili [Allo stesso modo, di tradizione ermetica egizio-ellenistica si  potrebbe parlare per il filone essenzialmente seguito dalla corrente  kremmerziana. È chiaro come nessuna di queste correnti possa preten¬  dere di identificarsi con il filone centrale deWa tradizione romana (come  vorrebbero, ad esempio, certi continuatori del Reghini dei nostri giorni),  rappresentandone, semmai, corollari concentrici ed espressioni validis¬  sime, ma essenzialmente periferiche. Il nucleo della tradizione romana  è altra cosa: può includere tutto ciò, ma al tempo stesso ne è al di sopra  nella sua essenza originaria. Per cercare di comprendere la cosa, si dovrà  riflettere sul simbolismo e sulla funzione del dio Giano, non per caso  divinità unica e propria della sacra terra laziale.) ed il tuttora inedito Dei numeri pitagorici. Con questa attività egli avrebbe perseguito la missione affidatagli da un’antica scuola iniziatica di tradizione pitagorica della Magna Grecia allorché,  ancora giovane e studente a Pisa, fu avvicinato da  colui che sarebbe divenuto il suo maestro spirituale: Armentano (si veda), calabrese, ufficiale  dell’esercito all’epoca in cui lo conobbe il Reghini.  Ad Armentano apparteneva [Di recente, per il quarantesimo anniversario della scomparsa del  Reghini, è stata edita una raccolta di suoi scritti vari: Paganesi¬  mo, pitagorismo, massoneria, ed. Mantinea, Fumari, a cura dell’Associazione Pitagorica, un gruppo costituitosi con un poco iniziatico atto notarile (sic), ma che vanta diretta discendenza dal gruppo del Reghini. La raccolta è stata purtroppo eseguita  con dilettantismo, senza criteri ed inquadramenti storico-filologici e gli  scritti reghiniani (uno addirittura incompleto) non seguono nè un ordi¬  ne logico, nè cronologico. Il saggio suW Interdizione pitagorica delle fa¬  ve si potrà leggere ora completo in Arthos. DIOGENE LAERZIO ricorda come il pensiero di Pitagora avesse trovato accoglienza presso gli Italioti della Magna Grecia. Come dice Alcidamante tutti onorano i sapienti. Così i Pari onorano  Archiloco, che pur era blasfemo, e i Chii Omero, che era d’altra città e gli Italioti Pitagora» (Die fragmente der Vorsokratiker, a cura di H.  Diels-W. Kranz; trad. ital. Bari. Per alcune notizie su Armentano (ed una sua foto), cfr. SESTITO, A.R.A., il Maestro, in Ygieia, bollettino interno dell’Associazione Pitagorica. Di Armentano si vedano le Massi¬  me di scienza iniziatica, commentate dal Reghini in vari numeri d’Atanòr» ed Ignis. Negli anni Trenta Armentano lasciò l’Italia per il Brasile, dove morì. È sintomatico come anche Ottaviano in quel periodo si sarebbe allontanato dall’Italia stanziandosi a Vancouver in Canada. ] quella misteriosa «torre in mezzo al mare. Una ve¬  detta diroccata, su di uno scoglio deserto dove,  con gran dispiacere di Sibilla Aleramo, il giovane  protagonista del romanzo Amo, dunque sono (Mondadori, Milano), Lucian, alias Parise, avrebbe dovuto «diventare mago» in compagnia  di un amico non nominato, vale a dire proprio il  Reghini.   Fu proprio nella torre di Scalea, in Calabria, che  il Reghini rivide il testo della traduzione italiana deirOccw//flr Phylosophia di Agrippa,  a cui premise un ampio saggio di quasi duecento pagine su E.C. Agrippa e la sua magia. Vi scriveva, fra  l’altro. E perciò, in noi, il senso della romanità si fonde  con quello aristocratico e iniziatico nel renderci  fieramente avversi a certe alleanze, acquiescenze e  deviazioni. Forse si avvicina il tempo in cui sarà  possibile di rimettere un po’ a posto le cose, e noi  speriamo che ci venga consentito, una qualche volta, di riportare alla luce qualche segno dell’esoterismo romano. Quanto alla permanenza di una tradizione romana, si vorrà ammettere che se  una tradizione iniziatica romana pagana ha potuto perpetuarsi, non può averlo fatto che nel più assoluto mistero. Non è quindi il caso di interloquire  con affermazioni e negazioni. ALERAMO, AMO; DUNQUE, SONO. Cfr.: «Luciano, Luciano, e tu vuoi essere mago! M’hai detto d’aver già operato  fantastiche cose, fantastiche a narrarsi, ma realmente accadute. REGHINI, E.C. Agrippa e la sua magia, in: E.C. AGRIPPA, [è un tempo molto importante, sotto diversi  aspetti, per i tentativi di rivivificazione della tradi¬  zione italica. Nella Salamandra», in un articolo dal titolo fortunato, poi ripreso da Evola, Imperialismo pagano, Reghini coglieva occasione, scagliandosi contro il parlamentarismo ed il suffragio universale che favoriva  cattolici e socialisti, di riaffermare l’unità e l’immutabilità della tradizione pagana in Italia, che, sempre  ricollegata nella sua visione al pitagorismo, si sarebbe trasmessa attraverso le figure di alcuni grandi ini¬  ziati sino ai nostri giorni. In ottobre, dalle pagi¬  ne di «Ultra», precisava nello stesso tempo, in un  importante articolo dottrinario, che:  Il linguaggio e la razza non sono le cause della  superiorità metafisica, essa appare connaturata al  luogo, al suolo, all’aria stessa. Roma, Roma caput  mundi, la città eterna, si manifesta anche storica¬  mente come una di queste regioni magnetiche del¬  la terra. Se noi parleremo del mito aureo e so¬  lare in Egitto, Caldea e Grecia prima di occuparci  della sapienza romana, non è perché questa derivi  da quella, ché il meno non può dare il più. Lm Filosofia occulta o la Magia, Mediterranee, Roma] L’articolo fu poi ripubblicato in Atanòr, Roma. REGHINI, Del simbolismo e della filologia in rapporto alla  sapienza metafisica, in «Ultra», Vili] Intanto, nella notte del solstizio d’inverno, si era verificato un insolito episodio, gravido  di future conseguenze: in seguito a misteriose indicazioni, nei pressi di un antico sepolcro sull’Appia  Antica era stato rinvenuto, a cura d’Ekatlos,  accuratamente celato e protetto da un involucro im¬  permeabile, uno scettro regale di arcaica fattura e i  segni di un rituale. Ed il rito — riporta Ekatlos  — e celebrato ogni notte, senza sosta. E noi  sentimmo, meravigliati, accorrervi forze di guerra  e forze di vittoria; e vedemmo balenar nella sua luce le figure vetuste ed auguste degl’eroi della  razza nostra romana; e un segno che non può fallire e sigillo per il ponte di salda pietra che uo¬  mini sconosciuti costruivano per essi nel silenzio  profondo della notte, giorno per giorno.  Il significato, le vere intenzioni e le origini di tali  [Lasciamo ogni responsabilità circa l’identificazione d’Ekatlos con il principe Leone Caetani, già da noi incontrato, all’anonimo  autore (si tratta, peraltro, certamente di Mutti, fanatico integralista  islamico) di una postilla alla parziale traduzione francese della rivista  evoliana «Krur» (TRANSILVANUS, A propos de l’article d’Eka-  tlos, seguito da una Note sur Leone Caetani, in EVOLA, Tous les  écrits de «Ur» & «Krur», 111 [Krur], Arché, Milano. Ancor più lasciamo all’autore di tali tristi note (in cui ancora una  volta si dimostra come tra fanatismo religioso e via iniziatica esista un  divario invalicabile) la pesante responsabilità delle poco ragguardevoli  espressioni usate nei confronti del benemerito principe romano.   (30) EKATLOS, La Grande Orma: la scena e le quinte, in Krur,  GRUPPO di UR, Introduzione alla Magia, Roma] riti pongono un problema», osserva il Di Vona,  ma il loro fine immediato fu esplicito, e come tale  è stato dichiarato. Esso fu compiuto nel dovuto  modo da un gruppo che si propose di dirigere verso  la vittoria italiana la I Guerra Mondiale».   Ma l’episodio ha un seguito: il giorno in cui cade la festa romana del Tubilustrium,  o consacrazione delle trombe di guerra) fu fondato  a Milano, nella famosa riunione di Piazza Sansepol-  cro, il primo Fascio di Combattimento, piu tardi denominato Partito Nazionale Fascista. Fra gli astanti  vi fu chi, emanazione dello stesso gruppo che aveva  riesumato l’antico rituale, preannuncio a Benito  Mussolini: Voisarete Console d’Italia. E fu la stessa persona che, qualche mese dopo la Marcia su Roma, vestita di rosso, offrì al Capo  del Governo un’arcaica ascia etrusca, con le dodici  verghe di betulla secondo la prescrizione rituale le¬  gate con strisce di cuoio rosso.] Con tale atto dal sapore sacrale, come è evidente. [VONA, Evola e Guénon] EKATLOS. La notizia è riportata con altri  particolari nel Piccolo di Roma. Particolare curioso: la sera stessa Mussolini  parti in aereo alla volta di Udine, onde potere inaugurare il giorno dopo,  l’anniversario dell ’entrata in guerra, il monumentale cimitero  di Redipuglia, alla presenza del Duca d’Aosta. Quella sera, sulla via  del ritorno verso Roma, l’aereo fu costretto, da un inspiegabile guasto,  ad un atterraggio di fortuna nei pressi di Cerveteri, cioè l’antica etrusca  Cere, donde forse proveniva l’arcaico fascio.] le correnti più occulte portatrici della tradizione romana avrebbero voluto propiziare una restaurazione  in senso «pagano» del fascismo. Altri episodi concomitanti concorrono a rafforzare questa supposizione. E rappresentata sul Palatino la tragedia Rumori: Romae sacrae origines, col beneplacito e la  presenza plaudente di Benito Mussolini. La tragedia  (o, meglio, alla latina, il Carmen solutum) risulta  opera di un certo Ignis (pseudonimo sotto cui si  celerebbe l’avvocato Ruggero Musmeci Ferrari Bravo), che risulta godere di appoggi assai influenti, come quello di Ardengo Soffici [cfr. Appendice 11], e  appare, specialmente in quel terzo carmen che fu recitato, più che una semplice rappresentazione scenica, un vero e proprio atto rituale: un rito di consacrazione, certamente denotante nell’autore, o nei  gruppi restati nell’ombra di cui egli era emanazione,  una conoscenza non solo filologica della tradizione  romana (si pensi che in intermezzi scenici vengono  cantati, al suono di flauti, i versi ianuli e iunonii dei  Fratres Arvales), ma anche di certi suoi lati occulti,  come lascia intendere il rito di incisione su lamine  auree dei nomi arcani deU’Urbe e l’esegesi, volutamente incompleta, dei significati del nome di Roma.   Quest’azione, occulta e palese, sulle gerarchie fasciste affinché i simboli da esse evocate, come l’aqui¬  la o il fascio, non restassero puro orpello di facciata,  continuerà sino al tempo in cui [Rumon verrà pubblicata, in splendida edizione ufficiale, dalla Libreria del Littorio, con i frontespizi ornati di caratteri arcaici romani, disegnati appositamente daBoni, lo scopritore del  Lapis Niger già da noi incontrato, il quale avrà il privilegio poco dopo, alla sua morte, di essere  inumato sul Palatino stesso.  Ancora noteremo come sintomatica l’uscita della Apologia del paganesimo (Formig-  gini, Roma) di Giovanni Costa, futuro collaboratore  delle iniziative pubblicistiche di Evola. Usceno le due riviste di studi iniziatici Atanòr ed Ignis, dirette da Reghini, e in cui iniziò una collaborazione il giovane  Evola: affronteranno con un rigore ed una serietà  inconsuete, per l’eterogeneo ambiente spiritualista  dell’epoca, tematiche e discipline esoteriche di particolare interesse: vi comparvero, per la prima volta in  Italia, scritti di René Guénon, fra cui a puntate, pri¬  ma ancora che in Francia, L'esoterismo di Dante. È  peraltro evidente come il contenuto di queste riviste  non avesse un valore puramente speculativo, come  dimostrano gli scritti di «Luce» suirO/7M5 magicum  (Gli specchi - Le erbe) negli ultimi due numeri di [E proprio Boni che, risalendo ai modelli d’origine, mise a punto il prototipo del fascio romano (oggi al Museo dell’Impero)  per il Regime Fascista: è quello che compare sulle monete da due lire di  quel periodo (cfr. V. BRACCO, L’archeologia del Regime, Volpe, Roma] «Ignis», che preludono a quelli del successivo Gruppo di Ur. Ma intanto l’auspicata svolta in senso pa¬  gano da parte del fascismo sperata dalla corrente  tradizionalista romana non solo stenta a verificarsi,  anzi è messa pericolosamente in forse dalle mene de¬  gli ambienti cattolici e clericali. In «Atanòr» Reghini con parole di fuoco depreca alcune espressioni pronunciate da Mussolini  in occasione del Natale di Roma:  Il colle del Campidoglio, egli ha detto, dopo il  Golgota, è certamente da secoli il più sacro alle  genti civiir. In questo modo l’On. Mussolini, invece di esaltare la romanità, perviene piuttosto ad  irriderla ed a vilipenderla. Noi ci rifiutiamo di  subordinare ad una collinetta asiatica il sacro colle  del Campidoglio. E, dopo il delitto Matteotti:  ecco un clamoroso delitto politico viene a  sconvolgere la vita della nazione, ad agitare gli animi. Investito da popolari e da ogni gradazione  di democratici, a Mussolini non resterebbe che  battere la via dell’imperialismo ghibellino, se non  esistesse un partito che già lo sta esautorando tengano ben presente i nostri nemici che, nonostante la loro enorme potenza e tutte le loro prodezze, esiste ancor oggi, come è esistita in passato,  traendo le sue radici da quelle profondità interiori  che il ferro e il fuoco non tangono, la stessa catena  iniziatica pagana e pitagorica, inutilmente e secolarmente perseguitata.   L’ordine del giorno Bodrero e le successive leggi sulle società segrete tolgono ulteriore spazio all’attività pubblicistica del Reghini, che peraltro confluisce nel Gruppo di Ur, formalmente diretto d’Evola. A noi qui non interessa tanto esaminare il lavoro  di ricerca esoterico svolto dal Gruppo di Ur, cui parteciparono, come è noto, personalità appartenenti  alle principali correnti esoteriche operanti in quegli  anni in Italia, dai pitagorici ai kremmerziani, dagli  steineriani (antroposofi) ai cattolici eterodossi come  il De Giorgio, quanto sottolineare come in quella sede dovesse essere stato, almeno in parte, ripreso il  programma di influenzare per via sottile le gerarchie  del FASCISMO, nel senso già voluto dal gruppo manifestatosi con la testimonianza d’Ekatlos  (che, non lo si dimentichi, viene riportata proprio  nel terzo dei volumi che raccolgono le testimonianze  di tutto il gruppo — in apparenza slegata da esse —  successivamente apparse col titolo di Introduzione  alla Magia). In un inserto per i lettori comparso in Ur, Evola poteva scrivere: possiamo dire che una Grande Forza, oggi più che  mai, cerca un punto di sbocco in seno a quella barbarie, che è la cosidetta “civilizzazione” contemporanea — e chi ci sostiene, collabora di fatto ad una  opera che trascende di certo ciascuna delle nostre  stesse persone particolari. Del resto, molti anni più tardi, Evola stesso dichiarerà piuttosto esplicitamente nella sua autobio¬  grafia spirituale che l’intento del Gruppo era stato  quello, oltre a «destare una forza superiore dr servire d’ausilio al lavoro individuale di ciascuno», di far  sì che «su quella specie di corpo psichico che si voleva creare, potesse innestarsi per evocazione, una vera  influenza dall’alto», sì che «non sarebbe stata esclusa la possibilità di esercitare, dietro le quinte, un’azione perfino sulle forze predominanti nell’ambiente generale. Un’indagine ben più approfondita, come si vede, meriterebbe di essere svolta sugli  evidenti tentativi di rivitalizzazione, all’interno del  Grupo di Ur, delle radici esoteriche e dei contenuti iniziatici della tradizione romana: a parte i contributi dello stesso Evola (che firmerà come «EA» e,  pare, anche come «AGARDA» e «lAGLA»), di cui  ricordiamo l’importante saggio (nel HI volume) Sul sacro nella tradizione romana, ancora una volta  fondamentale resta l’apporto del Reghini (che firma  come «PIETRO NEGRI»): egli, nella relazione Sulla tradizione occidentale, sulla scorta di un’attenta  esegesi delle fonti antiche (soprattutto Macrobio) e  di personali acute intuizioni, nonché di probabili  «trasmissioni» iniziatiche, non esiterà ad indicare  nel mito di Saturno il «luogo» ove è racchiuso il senso e il massimo mistero iniziatico della tradizione  [EVOLA, Il cammino del cinabro, Milano. Un esame generale, storico-bibliografico, sul Gruppo di Ur è stato da me compiuto in lingua tedesca, come studio introduttivo alla versione tedesca del I volume di Introduzione alla Magia (Ansata Verlag,  Interlaken). Si tratta del notevole ampliamento, riveduto e corretto, di un mio precedente studio già apparso in «Arthos] romana, un’indicazione utilizzata e sviluppata ulteriormente nel nostro recente Dèi e miti italici.  Intanto, una serie di  articoli polemici sui nuovi rapporti tra fascismo e  chiesa cattolica, che Evola aveva pubblicato in «Critica fascista» di Bottai e in «Vita Nova» di Leandro  Arpinati, e la successiva comparsa di Imperialismo pagano, che quegli articoli  raccoglieva e sviluppava, riversarono proprio sul  Gruppo di Ur pesanti attacchi clericali, fra cui è in¬  teressante segnalare quello particolarmente violento  e ambiguo, del futuro papa Paolo VI, Montini, allora assistente centrale ecclesiasti¬  co della Federazione Universitari Cattolici Italiani, che aveva come organo culturale la rivista  Studium (redazione a Roma e a Brescia). Dalle  pagine di «Studium» il Montini accusava i maghi  riuniti attorno a Evola di «abuso di pensiero e di parola di aberrazioni retoriche, di rievocazioni fanatiche e di superstiziose magie -- Filosofia: una nuova rivista, Studium. Oltre che del futuro Paolo VI (certamente  il più nefasto fra i papi di questo secolo), apparvero in «Studium» anche  gli attacchi del futuro ministro democristiano del dopoguerra Gonella {Un difensore del paganesimo; Il nuovo colpo di testa di un filosofo pagano, cui Evola replica — dopo averlo definito «un tale il cui nome  esprime felicemente che vesti gli si confacciano più che non quelle della  romana virilità — nell'«Appendice Polemica» di Imperialismo paga¬  no. Contro Imperialismo pagano (le nostre citazioni sono tratte dalla  ristampa presso Ar di Padova) si scomodò tutto l’entourage  del giornalismo clericale, da «L’Osservatore Romano a «L’Avvenire», [Imperialismo pagano fu l’ultimo deciso, inequivocabile e tragico appello da parte di esponenti della corrente tradizionalista romana, prima del triste  compromesso del Concordato, affinché il fascismo,  come si esprimeva Evola, «cominciasse ad assumere  la romanità integralmente e a permearne tutta la co¬  scienza nazionale», così che il terreno fosse pronto  per comprendere e realizzare ciò che, nella gerarchia  delle classi e degli esseri, sta più su: per comprendere  e realizzare il lato sacro, spirituale, iniziatico della  Tradizione» (p. 162). A questo scopo Evola non risparmiava taglienti critiche alle gerarchie del  Regime. Il FASCISMO è sorto dal basso, da esigenze confuse  e da forze brute scatenate dalla guerra europea. Il  FASCISMO si è alimentato di compromessi, si è alimentato di retorica, si è alimentato di piccole am¬  bizioni di piccole persone. L’organismo statale che  ha costituito è spesso incerto, maldestro, violento,  non libero, non scevro da equivoci. Di più: Evola prevede addirittura gli al «Cittadino» di Genova, nonché tutta la pubblicistica fascista fautrice  dell’intesa col Vaticano, d’Educazione fascista a Bibliografia fascista, sino alla stessa bottaiana Critica fascista che ospita i  primi articoli evoliani.] esiti e gli sviluppi della Seconda Guerra Mondiale. L’Inghilterra e l’America, focolari temibili dei  pericolo europeo, dovrebbero essere le prime ad  essere stroncate, ma non occorre di certo spendere  troppe parole per mostrare che esito avrebbe una  simiie avventura sulla base dell’attuale stato di fatto. Data la meccanizzazione della guerra moderna, le sue possibilità si compenetrano strettamente  con la potenza industriale ed economica delle  grandi nazioni. Era dunque necessario che il fascismo, che bene  o male ha messo su un corpo. Ma non ha ancora  un'anima, si rivolgesse senza esitazioni a  quella della Roma precristiana prima che fosse troppo tardi, sì da «eleggere l'Aquila e il fascio e non le  due chiavi e la mitria a simbolo della sua rivoluzione. Nostro Dio può essere quello aristocratico dei  Romani, il Dio dei patrizi, che si prega in piedi e  a fronte alta, e che si porta alla testa delle legioni  vittoriose — non il patrono dei miserabili e degli  afflitti che si implora ai piedi del crocifisso, nella  disfatta di tutto il proprio animo. Il governo di Mussolini firma a nome del Re d’Italia, considerato dai  papi un usurpatore, il cosiddetto Coneordato con  la Chiesa Cattolica e nasce il monstrum giuri- [Che il cosiddetto Concordato abbia sortito un effetto a dir poco  nefasto sulle sorti, non solo dello stesso fascismo (come le vicende stori- [dico della Citta del Vaticano. Veniva con ciò  tolta ogni speranza residua di azione all’interno degli ambienti ufficiali, sia da parte di Evola che di Re-  ghini e di altri autorevoli esponenti, restati per lo più  in ombra, del «tradizionalismo romano»: alcuni di  loro, come già si è accennato in nota, abbandonaro¬  no per sempre l’Italia per il Nuovo Continente nel  corso degli anni Trenta. Resta il programma minimo indicato ancora  da Evola in Imperialismo pagano, secondo cui il FASCISMO avrebbe dovuto: promuovere studi di critica e di storia, non partigiana, ma fredda, chirurgica, sull’essenza del cristianesimo. Contemporaneamente dovrebbe  promuovere studi, ricerche, divulgazioni sopra il  lato spirituale della paganità, sopra la sua visione  vera della vita.] che successive ben presto dimostrarono, avvalorando i timori di Reghini  e di Evola), ma della stessa Italia del dopoguerra, lo sperimentiamo ancora oggi sulla nostra pelle, dopo che un quarantennale dominio  clericale-borghese ha provveduto, quasi in ogni campo, ad addormenta¬  re la coscienza delle «masse» ed a stroncare, con un autentico terrorismo di Stato, qualsiasi velleità di reazione delle minoranze coscienti  della necessità di mutare uno stato di cose ormai incancrenito.  [Mussolini non si era reso conto che prima di lui uomini non solo autoritari, ma dal potere assoluto — gli Ottoni, gli Svevi, perfino  Carlo V ecc. — si erano dovuti pentire di ogni intesa, patto e transazione con la Santa Sede.] ogni intesa tra Santa Sede e Stato italiano  avrebbe significato unicamente il riconoscimento giuridico della validità  [Chi avesse pensato che la «Scuola di Mistica Fa¬  scista», fondata significativamente poco dopo la  «Conciliazione», nell’aprile 1930 nell’ambito del  G.U.F. di Milano per opera di Nicolò Giani, avrebbe  svolto una funzione del genere, avrebbe dovuto ben  presto ricredersi amaramente. In realtà, il sentimento religioso dichiarato di quella che avrebbe voluto  costituire Vélite politico-intellettuale del fascismo si  configurava con precisione come cattolico. Lo di¬  chiara, in una maniera che non potrebbe essere più  esplicita, lo stesso fratello del «Duce», Arnaldo  Mussolini, in un discorso tenuto alla Scuola: La nostra esistenza deve essere inquadrata in una  marcia solida che sente la collaborazione della  gente generosa e audace, che obbedisce al comando e tiene gli occhi fissi in alto, perché ogni cosa  nostra, vicina o lontana, piccola o grande, contin¬  gente od eterna, nasce e finisce in Dio. E non parlo  qui del Dio generico che si chiama talvolta per  sminuirlo Infinito, Cosmo, Essenza, ma di Dio  nostro Signore, creatore del cielo e della terra, e  del suo Figliolo che un giorno premierà nei regni  ultraterreni le nostre poche virtù e perdonerà, spe¬  riamo, i molti difetti legati alle vicende della no¬  stra esistenza terrena.] dei principii su cui si fonda l’ingerenza della Chiesa nelle questioni del¬  lo Stato italiano» (N. SERVENTI, Dal potere temporale alla repubblica  conciliare. Volpe, Roma 1974, p. 42).   (39) Cfr. «11 Popolo d’Italia. Sulla «Scuola di  Mistica Fascista», si veda: D. MARCHESINI, La scuola dei gerarchi,  Feltrinelli, Milano] E il filosofo Armando Carlini, discutendo della  nuova mistica, ravvisava la nota più originale del fa¬  scismo proprio nel suo presupposto «religioso, anzi  cristiano, anzi cattolico; perché «il Dio di  Mussolini vuol essere quello definito dai due dogmi  fondamentali della nostra religione (...): il dogma  trinitario e quello cristologico.   Quel programma che abbiamo detto «minimo»  cercherà Evola più tardi in parte di compiere con  l’organizzare il lavoro di alcuni suoi insigni collabo¬  ratori attorno al «Diorama filosofico», la pagina  speciale che, con uscita irregolare e alterna, quindicinale e mensile, cura all’interno del quotidiano cremonese di Fari¬  nacci, «11 Regime Fascista». La tematica della tradizione romana, esaminata nei suo simboli, nei suoi  miti, nella sua forza spirituale, ritorna qui frequen¬  temente negli scritti dello stesso Evola, di Costa (già da noi incontrato), di Massimo Scaligero  e di diversi collaboratori stranieri, come Dodsworth (appartenente alla famiglia reale britan¬  nica) e lo storico tedesco Franz Altheim. Analoghe  collaborazioni sono fornite da Brelich, in quell’epoca sconosciuto, ma destinato nel dopoguerra a ricoprire degnamente l’impor- [CARLINI, Mistica fascista, Archivio di studi corporativi] ID., Saggio sul pensiero fUosofico e religoso del fascismo, Roma] tante cattedra, che fu del Pettazzoni, di Storia delle  Religioni nell’Università di Roma, e da Guido De  Giorgio, già collaboratore di «Ur» e di altre iniziati¬  ve evoliane. Nel contesto della corrente da noi defi¬  nita del «tradizionalismo romano» il De Giorgio occupa una posizione piuttosto anomala e tale che il  Reghini avrebbe visto con sospetto: egli infatti concepisce in Roma la sede eterna, geografica e storica,  ma soprattutto metafisica, in grado di unire in sé  stessa la religione pagana e il cristianesimo, tesi ela¬  borata soprattutto ne La tradizione romana. D’altra parte, è lo stesso  De Giorgio a ribadire con sorprendente sicurezza la  persistenza del culto di Vesta in un misterioso centro, nascosto e inaccessibile:   «Il fuoco di Vesta (...) arde inaccessibilmente nel  Tempio nascosto ove nessuno sguardo profano sa-[ L’uscita alle stampe di questa edizione (presentata come Ed. Fla-  men, Milano 1973) offre contorni alquanto misteriosi. In ogni caso, il  manoscritto dell’opera sarebbe stato consegnato all’autore della nota  introduttiva, «ASILAS» (che corrisponderebbe ad uno degli ispiratori  del «Gruppo dei Dioscuri» e nel contempo autore di due dei fascicoli  omonimi [si veda poi]), da un antico componente del Gruppo di Ur, che  noi sappiamo corrispondere al «TAURULUS, cioè Corallo  Reginelli, tuttora vivente.   L’uscita della Tradizione romana, in ogni modo, è stata 1 ’occasione  per una salutare riflessione sul tema da parte dell’ambiente tradizionali¬  sta nella prima metà degli anni Settanta, sia da parte cattolica (si vedano il bollettino «Il rogo» e la successiva  rivista «Excalibur»), sia da parte propriamente «pagana» (si veda P, Recensione dell’opera di Giorgio, confortata da un parere di  Evola, in Arthos: essenziale come punto di ripresa del discorso sulle origini della tradizione romana). prebbe penetrare e a lui deve l’Europa intera la sua  vita e il prolungamento della sua agonia. Da questo  fuoco occulto partono scintille che alimentano le  crisi e risollevano periodicamente l’esigenza del ritorno alla Romanità attraverso le varie vicende di  cui s’intesse la storia delle nazioni europee conside¬  rata geneticamente, internamente e non sul piano limitatissimo della contingenza dei fatti e degli  uomini. Queir immane conflitto, già previsto da Evola, e che anche il De Giorgio giudicava del tutto  inefficace, «se non addirittura letale per lo spirito e  il nome di Roma», avrà in effetti come risultato  più manifesto, per i fini dello studio che qui andiamo conducendo, di occultare del tutto le fila della  corrente di pensiero di cui siamo andati ripercorrendo la trama.   Solo verso la fine degli anni Sessanta è proprio la  ristampa dell’evoliano Imperialismo pagano (e la  scelta pare significativa), curata nel 1968 dal «Cen¬  tro Studi Ordine Nuovo» di Messina, a tentare [G. DE GIORGIO). L’edizione, ciclostilata, con copertina stampata in azzurro, venne  tolta subito dalla circolazione in quanto non autorizzata da Evola: la si  può considerare oggi una vera rarità bibliografica. ] di riannodare i termini di un antico discorso. L’angoscioso grido d’allarme rivolto dall’Autore  a Mussolini per metterlo in guardia contro il ventilato proposito della  cosiddetta conciliazione) — si afferma nell’anonima introduzione — risuona oggi con inusitata attualità e fa si che Imperialismo pagano venga guardato come un oracolo.  Ed è proprio provenendo dalle fila di Ordine  Nuovo, un’organizzazione che lo stesso Evola ha  tenuto in buona considerazione — almeno fino  a che la sua ala borghese-modernista, condotta da Rauti, non confluì nel  MSI — che comincia ad agire, tra la fine degli  anni Sessanta ed i primi anni Settanta, il Gruppo  dei Dioscuri, con sede principale a Roma e dirama¬  zioni a Napoli e Messina. Pare assodato che all’interno del «Gruppo dei Dioscuri» venissero riprese  [Cfr. EVOLA, Il cammino del cinabro. L’unico  gruppo che dottrinalmente ha tenuto fermo senza scendere in compro¬  messi è quello che si è chiamato AeWOrdine Nuovo. L’interesse dei «tradizionalisti romani» nei confronti di Ordine  Nuovo si esaurisce sin dall’inizio degli anni Settanta, allorché, da una  parte, la frazione rautiana rientrata nei ranghi del MSI si isterilì in fatui  ed estenuanti giochi di potere (!?) all’interno del partito e in declamazioni populistico-giovanilistiche (non a caso la cosiddetta Nuova  Destra proviene quasi esclusivamente da quell’ambiente torpido ed  ambiguamente compromissorio), dall’altra, la frazione movimentista ed extraparlamentare condotta da Clemente Oraziani ed altri si smarrì  nelle velleità inconcludenti e pericolose della «lotta di popolo», con  conseguente ed inevitabile suo annientamento da parte del Potere vero tematiche e pratiche operative già in uso nel Gruppo di Ur ed è perlomeno probabile che lo stesso Evola ne fosse al corrente.   Fatto sta che nei quattro Fascicoli dei Dioscuri,  usciti in quel torno di tempo, l’idea di Roma da una  parte e di un Centro nascosto dall’altra, a cui il tradizionalismo dovrebbe far riferimento, ritornano  con grande evidenza.   Per l’anonimo autore del primo Fascicolo dei  Dioscuri, intitolato Rivoluzione tradizionale e sovversione (Centro di Ordine Nuovo, Roma), il  più grande dei meriti di Evola è quello: di avere rammentato il destino di Roma quale  portatrice dell’Impero Sacro Universale e di avere  tratto da tale verità le necessarie conseguenze in  ordine alle idee-forza che devono essere mobilitate  per una vera rivoluzione tradizionale. Qualche anno dopo, al termine del terzo fascicolo intitolato Impeto della vera cultura (tradotto  poi anche in francese), il mito di Roma viene additato come l’unico che sia in grado di condurre ad una superiore unità gli sforzi di tutti i tradizionalisti italiani:  a tutti i tradizionalisti, anziché proporre uno dei tanti miti soggetti a rapido e facile logoramento, si  può ricordare la presenza di una forza spirituale  perennemente viva e operante, quella stessa che il  mondo classico ed il medio-evo definirono l’ÆTERNITAS ROMÆ. Il Gruppo dei Dioscuri ha notevole importanza come cosciente riconnessione alle precedenti  esperienze sapienziali e come indicazione, per taluni  elementi particolarmente sensibili dell’area della destra radicale, di possibili indirizzi e sbocchi futuri  del «tradizionalismo romano», anche se la particolare via operativa scelta e, soprattutto, la mancata  qualificazione di taluni componenti, porterà ben  presto alla distruzione dall’interno del Gruppo stesso, di cui non si sentirà più parlare già prima della  metà degli anni Settanta (ci viene detto che frange  disperse del gruppo continuerebbero a sussistere so¬  prattutto a Napoli). È tuttavia da supporre che alcu¬  ni dei gruppi periferici, sia pure trasformati, ne abbiano continuato il retaggio se, ad esempio, a Messina, molto probabilmente nell’ambito di alcuni dei vecchi membri del Gruppo dei Dioscuri viene elaborato un testo dottrinale ed operativo, a  circolazione interna, sotto forma di lezioni di un  maestro a un discepolo, piuttosto interessante. La  via romana degli dèi. Diremo anzitutto dell’essenza della tua religiosità, fornendo alla tua mente profonda gli argomenti per una serie di esercizi di meditazione affinché  con saldo cuore, tu possa prepararti all’assolvimento del rito. La via romana degli dèi. Istituto di Psicologia Superiore  Operativa, Messina. E certamente non priva di connessioni genetiche  col gruppo romano appare la sortita, improvvisa,  verso la fine degli anni Settanta, nella stessa Messina, del Gruppo Arx, successivamente editore della Cittadella e degli omonimi quaderni, in cui senza alcuna attenuazione i possibili itinerari di approccio alla via romana degli dèi sono  indicati attraverso la cosciente riappropriazione dell’animus romano-italico, rivissuto nel rito stesso, e  nel rigetto, sostanziale e formale, di ogni adesione a  forme anche esteriori del culto cristiano. Quanto segue è storia dei nostri giorni, dal momento che proprio con l’inizio degli anni Ottanta vi  è stata una nuova cosciente ripresa del moderno  «movimento tradizionalista romano», una cui rim nifestazione «pubblica» si estrinsicherà in una data  ed in un luogo alquanto significativi. Infatti nella data in cui iniziava l’anno sacro  romano, a Cortona, donde in epoca primordiale  Dardano, figlio di Giove, si sarebbe mosso alla volta  della Troade, si tenne un importante Convegno di  studi sulla Tradizione italica e romana, che, a  [Gli Atti sono stati pubblicati nel numero speciale triplo d’Arthos daU’omonimo titolo. Per una sintetica analisi  sulla diversa valenza del termine «italico» nei vari interventi, cfr. P., Che cos’è la tradizione itala, in Vie della Tradizione parte l’emergenza di differenti prese di posizone dei  tradizionalisti presenti, ebbe il merito di riproporre  la questione — non puramente dottrinale o formale  — di una cosciente riconnessione aWaurea catena  Saturni della tradizione indigena da parte di chi, pur  in quest’epoca di totale dissoluzione di ogni valore,  intenda coscientemente riassumere il fardello delle  proprie radici etniche e spirituali. Successivamente  ad un nuovo Convegno, tenutosi a Messina, sul Sacro in VIRGILIO, la rielaborazione dottrinale e la ridefinizione concettuale dei valori  difesi dagli attuali esponenti del «tradizionalismo  romano» (di cui è parte cospicua anche l’apparire  alle stampe di alcune collane di libri specifiche)  si è spostata su un piano più interiore, ma la loro  presenza è destinata a riaffiorare a livello di influenza sottile e indiretta di gruppi o ambienti eticamente  sensibili di un’area superante i limiti stessi del mon¬  do della «destra politica».   Il futuro dimostrerà se la funzione di questa mi¬  noranza (ben cosciente di esserlo) si limiterà ad una [Gli Atti sono stati pubblicati in buona parte nel numero speciale  di «Arthos, daH’omonimo  titolo. Ci limiteremo a ricordare la collana 1 Dioscuri per le ECIG di  Genova, in cui figurano L’oltretomba dei pagani di C. Pascal, il mio  Dèi e miti italici. La religiosità arcaica dell ’Eliade di N. D’Anna e Arca¬  na Urbis di M. Baistrocchi (in stampa); o quella di «Studi Pagani» del  Basilisco di Genova, in cui sono comparsi testi di antichi (Giuliano Augusto, Giamblico, Simmaco, Porfirio) e di moderni (Guidi, De Angelis,  Beghini, Evola ecc.).  pura e semplice azione di testimonianza, sia pure scomoda per molte cattive coscienze. Il «mito capacitante» di Roma, come l’antica fenice, è destinato a risorgere continuamente dalle sue ceneri, poiché  riposa nella mente feconda degli dèi archegeti di  questa terra. Da: «Il Piccolo» di Roma. Il Fascio littorio a MUSSOLINI Il giorno scorso, presentata dall’esimia prof.a  Regina Terrazzi, fu dall’on. Mussolini ricevuta la  dott.a prof.a Cesarina Ribulsi, che offriva al Presidente del Consiglio come augurio un fascio littorio da lei esattamente  ricostruito secondo le indicazioni storiche e iconografiche.   L’ascia di bronzo è proveniente da una tomba  etrusca bimillenaria ed ha la forma sacra col foro  per la legatura al manico: alcuni esemplari simili sono conservati nel nostro Museo Kircheriano. Le dodici verghe di betulla, secondo la prescrizione rituale, sono legate con stringhe di cuoio rosso  che formano al sommo un cappio per poter appen¬  dere il fascio, come nel bassorilievo per la scala del  Palazzo Capitolino dei Conservatori. Il fascio ricomposto con elementi antichissimi e  nuovissimi è stato offerto al Duce come simbolo della sua opera organica di ricostruzione dei valori della nostra stirpe allacciando le vetuste origini alle forme più vibranti dell’attività gagliarda e rinnovata  che prende le mosse d’antico. La rudezza espressiva del Fascio è ingentilita dal  contrasto tra il verde della patina bronzea e il rosso del cuoio che ricorda la stessa armonica tonalità che  producono le colonne di porfido presso la porta di  bronzo àcWheroon di Romolo, figlio di Massenzio,  al Foro Romano. L’offerta era accompagnata da una epigrafe latina  dedicatoria composta dall’offerente, la quale nell’università popolare fascista svolge una fervida  opera di propaganda di romanità viva.  Il duce gradì l’augurio ed il voto accogliendoli  colla sua consueta serena nobiltà, non senza un segno della vivacità del sorridente suo spirito latino:. Lei mi ha dato una lezione di storia, osserva in  tono scherzoso. Singolari parole in bocca di chi dà  e darà non poco a fare agli storici futuri.  La notizia è riportata in una rubrica dedicata a  I solenni riti, senza indicazione  di paternità.  Da: IGNIS, Rumori. Sacrae Romae origines, tragedia in cinque carmi. Editrice Libreria del Littorio,  Roma. LETTERA DI SOFFICI A S.E.  MUSSOLINI legge. Mio caro Presidente, permettimi ti dia, scritte  e sottoscritte anche da me, che ne resto garante, al¬  cune prove di pregi eccezionali della tragedia, che, in  fondo, in un vero poema epico delle origini, è l’esal¬  tazione di oggi della nostra stirpe. Comincio da un  mio giudizio, già a te noto; Rumori è tragedia romana che può stare a paro col Giulio Cesare di Shakespeare ti fo osservare che il titolo di Poeta di Roma, dato da Carrère ad ignis, si è dato solo a  VIRGILIO e ad ORAZIO: OTTAVIANO, vive, oggi, tra noi tutti in ispirito, più per questi due poeti, da lui protetti,  che per la sua politica imperiale.   E tu vedi come Rumori sia stato giudicato, prima  ancora che esistessero l’idea e la forza fascista, tra¬  gedia degna di Roma quando competenti dai  nostri a Carrère, ed a me che sono l’ultimo al giudizio — corrono all’iperbolico per lodare Rumori di ignis bisogna concludere che ci si trova da¬  vanti ad un’opera d’arte somma, e per fortuna nostra, d’arte italiana — opera che è, anche per se stessa, di alto significato politico, e di spirito fascista. Mi rileggo, e mi credo, caro Presidente ed amico  carissimo, di averti scritto una lettera storica. Fai  che non sia stata scritta invano, ma invece il tuo nome vada unito a quello della tragedia Rumori, al  poema di Roma e degno di Roma: e di questo lega¬  me in avvenire, spero che tu possa essere un po’ grato al tuo affezionato amico e devoto SOFFICI. IL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI  Caro Soffici,   bisogna assolutamente far marciare Rumori. Il governo appoggia fervidissimamente l’iniziativa  perché essa rientra nel grande quadro della rinascita  nazionale. Saluti fascisti e cordialissimi.   f.to MUSSOLINI Roma. Carme terzo: AUGURE   Manifesto è dunque: amor — essere — ROMA.  Se tutte move, ed incende, le create cose legge si è Amor dell’universo vita così, un tanto Nome, a noi predice: dono di regno e potestà sovra ogni terra,  e dello spirito, e d’imperio.   Confirmato si è, per te, prodigioso il vaticinio.   Non pronunciati mai più sien i Nomi occulti su la Città terribili chiamerebbero fortune...   Li trasmettano, oralmente, i Pontefici ai Pontefici.  Né mai più, tu, l’eccelso pronuncia Nome palese, se concluso non avrai, prima, il solco sacro.  Permesso e commesso mi è: Nunziare, allora,  in gran letizia, al Popolo... quel Nome  che licito non più mi è dire   quando, già per tre volte, qui, in tre diversi suoni,  de la gran Madre nostra il Nome risonò.   {Dispiega le dita della sinistra, ad una ad una, per nu¬  merare i significati del nome).   Di significati cinque: È... ’l Nome palese, latore, con l’occulto:   Chiama la Città: Valentia... Ròbure... Virtù!  e ancor: Madre... Mamma... Alma Nutrice!  Vostra — nei nomi vostri oh Re! suoi fondatori...  Come del grande Rumon: URBE: la Città del  Fiume! (Pausa)  Ammirate! se gli Dei saputo abbiano addensare,  in così breve Verbo, sì pieni tanti arcani.   Mirifici! donando Nomi nove:   in quattro occulti ed un — Medio — palese,   e quando, nove, siamo al Rito.  Da: G. COSTA, Apologia del paganesimo, A.F. Formìggini, Roma: Il pagano è, per definizione, buono. Né un greco,  né un romano avrebbero concepito che l’uomo potesse esser qualcosa di diverso da ciò, che in lui liti¬  gassero per così dire due nature, che la manifestazione esterna fosse diversa dall’interna, che né nella vita individuale, né in quella sociale vi fossero mezzi  termini, transazioni, compromessi. Esso è quello  che naturalmente è, cioè buono, come ideale supremo della vita, come dovere, come necessaria fatalità  insita nelle cose umane. Egli vive quindi la vita interamente, dolorosamente, gioiosamente a un tempo,  con un pragmatismo sano e forte che non ammette  ipocrisie, doppiezze, scuse.   Solamente all’uomo cosiddetto moderno è stato  concesso, per virtù di dottrine religiose e culturali  che si sono formate a lui d’intorno, una distinzione  ed una separazione del suo essere intimo, spirituale,  psicologico, dal suo essere apparente, esteriore, materiale. All’antico quando di questa scissione apparve per un momento la possibilità, egli ne cacciò da  sé l’idea, ne biasimò perfino la concezione.   La concezione pagana della vita ha fatto perciò  l’uomo tutto d’un pezzo, ne ha affermato il carattere, ne ha provocato 1’azione. Ecco perché la vita nel  paganesimo ha avuto tutto il suo massimo sviluppo  ed è stata accettata non come un male, ma come un    60    bene che bisognava con interezza di carattere vivere  interamente e sanamente per sé e per gli altri. Per stabilire l’equilibrio l’uomo deve tornare al  paganesimo poiché il cristianesimo si è mostrato divina opera cui le sue spalle non sanno sottostare. Ma paganesimo è sincerità e l’uomo deve ritornare ad essere sincero. Il cozzo a cui l’ha costretto per  due millenni il suo desiderio di seguire il messaggio  cristiano e la sua manifesta impotenza di non saperlo fare, deve risolversi in armonia se egli vuol sanare  in sé l’eterno dissidio. Lo spirito e la carne debbono  avere il medesimo valore ed il loro prevalere non può  essere determinato che da circostanze speciali di individuo, di momento e di luogo che l’uomo può intravvedere, non deve violare con convinta testardaggine. L’equilibrio di queste forze, l’esteriore e l’interiore, quindi, deve essere nella dottrina, come nella  vita, assoluto. Da: Im via romana degli dèi, ciclostilato anonimo,  Messina.  L'immagine di un dio è lo stemma della Forza che  essa rappresenta. A tutti i fini pratici tali immagini  sono personae, perché qualsiasi cosa possano essere  nella realtà esse sono state personalizzate e forme di  pensiero sono state proiettate su un altro piano. Alcune di queste immagini e le loro attribuzioni  sono così antiche e sono state costruite con tanta ricchezza di lavoro sottile da essere capaci di ricostruirsi da se stesse, durante l’eventuale lavoro di  meditazione, che l’allievo può fare su una divinità.  Resta un minimo invito, un minimo stimolo, perché il meccanismo scatti e l’immagine si ricomponga, sia pure su un piano semplicemente psichico.  Così, della limatura di ferro, dispersa su un piano,  si raccoglie intorno ad un magnete che venga posto  in mezzo. Se il magnete è forte esso attirerà i granelli  anche se essi sono pochi e molto distanti... AMKDKO R(K ( () ARMKM ANO  (im d’Ygieia Reghini. Piscio littorio a Mussolini   n florno If »cor*o. pr^eniaU dalla tsl-  bjU prof.» Rcidna Trmiizl. fa rtalTon. Maa.  aOltnl rlotwta la doti.» pmf.» Osarina RI-  baiai cba offriva al Proatdanta dr’. Contiguo romo aufurln la data de) Mabfio «n falcio littorio da lei eaattamcDte  licoatndto lecoudo la lodicaslonl atorictie  e leooograflclia.   l.‘aicla di bronra k prorenlenU dm aoa  tomba etmaca hlmtneoarta ed ba la forma  aorra eoi foro per la Vantura hi manico:  alcool eaamplan slmili sono coosenrat: :.i!  nostro Ma.*«o Klrcberiamo. é   La dodict verace di l>ctulla. ascondo la  prescrizione rit'iale. sono legala con tirisele ^ cuoio rosso cba formano al tonimo  ua cappio per poter appendere fi fascio, conta nel ba.MorUiero per la acala del Palazzo Capitolino dd Conaenalori. Il Fascio ricomposto con elementi antl-  fhlHilmt a nuoTltaUnl k stato offerto al  Dora come simbolo della saa opera onrantea di rieoatruztona del valori della no-  Mra attrpa allacciando le veia«ie origini  alla fonn* più vibranti dell'attività gagiarda a rinnovata cha prendo la mosse. 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Grice e Ponzio: la ragione conversazionale e il segno dell’altro, o della semiotica filosofica – la scuola di San Pietro Vernotico -- filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (San Pietro Vernotico). Filosofo italiano. San Pietro Vernotico, Brindisi, Puglia. Studia a Bari sotto SEMERARI (si veda). Insegna a Bari. Cura ROSSI-LANDI (si veda). Studia la fenomenologia della relazione interpersonale. Insegna a Brindisi, Francavilla Fontana, e Terlizzi. Studia scienze dei linguaggi e linguaggi delle scienze, intert-estualità, inter-ferenze,e  mutuazioni.  Pubblica “Enunciazione e testo letterario nell'insegnamento dell'italiano come lingua straniera” (Guerra, Perugia);  Linguistica generale, scrittura letteraria e traduzione, Da dove verso dove. L'altra parola nella comunicazione globale, A mente. Processi cognitivi e formazione linguistica, Lineamenti di semiotica e di filosofia del linguaggio; Introduzione a Bachtin (Bompiani); “Il discorso amoroso” (Mimesis) e Bachtin e il suo circolo (Bompiani, collana “Il pensiero Occidentale” diretta da Reale); Summule logicales (Bompiani); Manoscritti matematici (Spirali); La filosofia come professione, come istituzione, presuppone una filosofia propria del linguaggio, che si esprime nella tendenza del linguaggio al pluri-linguismo dia-logico, alla correlazione dialogica delle lingue e dei linguaggi di cui sono fatte, una filosofia del linguaggio, in cui ‘del linguaggio’ è da intendersi come genitivo soggettivo: un filosofare del linguaggio, che consiste nella pluri-discorsività dialogizzata. I campi di suo studio e di sua ricerca sono la semiotica e filosofia del linguaggio. Filosofia del linguaggio è l'espressione che meglio esprime l'orientamento dei suoi studi e come egli affronta i problemi relativi alla semiotica dal punto di vista della filosofia del linguaggio, alla luce degli sviluppi delle scienze dei segni, dalla linguistica alla bio-semiotica.  In tal senso, il suo approccio può essere più propriamente definito come di pertinenza della semiotica generale, anche se si occupa di semiotica generale, in termini di critica. La semiotica generale supera l'illusoria separazione tra le discipline umanistiche, da una parte, e quelle logico-matematiche e le scienze naturali, dall'altra, evidenziando invece la condizione di inter-connessione. La sua ricerca semiotica si riferisce a diversi campi e discipline, praticando un approccio che è tras-versale e inter-disciplinare, o come direbbe lui stesso "in-disciplinato".  Si occupa di semiotica, di linguistica e delle altre scienze dei linguaggi e dei segni, nel senso della filosofia del linguaggio, intendendo ‘del linguaggio’ non come indicazione dell'oggetto della filosofia, della filosofia che si occupa del linguaggio, ma come “la filosofia” del linguaggio stesso, come la sua attitudine al filosofare. Filosofia del linguaggio e intesa come filosofia del dia-logo, apertura all'altro, disposizione all'alterità, arte dell'ascolto, messa in crisi del mono-linguismo, del mono-logismo, inventiva, innovazione, creatività che nessun ordine del discorso, nessuna de-limitazione dei luoghi comuni dell'argomentare, può controllare o impedire. Il genere, come ogni insieme, uniforma indifferentemente, cancella le differenze tra coloro che ne fanno parte, e implica l'opposizione altrettanto indifferente con coloro che fanno parte del genere opposto. Ogni genere a cui l'identità si appella per affermare la sua appartenenza, per esempio comunitaria, etnica, sessuale, nazionale, di credo, di ruolo, di mestiere, di condizione sociale, è in opposizione a un altro genere: bianco/nero; uomo/donna; comunitario/extra-comunitario; co-nazionale/straniero; professore/studente. Afferma che ogni differenza-identità, ogni differenza di genere, al suo interno, è cancellazione della differenza singolare e ogni genere. Ogni identità presuppone, in quanto basato sull'indifferenza e sull'opposizione, prevede il conflitto.  L'unica differenza non indifferente e non oppositiva è la differenza singolare, fuori identità, fuori genere, come d“sui generis” è l'alterità. Alterità intesa come relazione con l'altro, alterità assoluta, di unico a unico, in cui ciascuno è in-sostituibile e non indifferente. Un'alterità che l'identità rimuove e censura, relega nel privato, ma che ciascuno vive e riconosce come vera relazione con l'altro. Altre saggi “La relazione inter-personale” (Adriatica, Bari), “L’altro” (Adriatica, Bari); “Linguaggio e re-lazioni sociali” (Adriatica, Bari); Produzione linguistica e ideologia sociale (Donato, Bari); “Persone, linguaggi e conoscenza” (Dedalo, Bari); “Filosofia del linguaggio e prassi sociale” (Milella, Lecce); “Dia-lettica e verità -- Scienza e materialismo storico-dialettico” (Dedalo, Bari); “La semiotica” (Dedalo, Bari); “Marxismo, scienza e problema dell'uomo” (Bertani, Verona); “Scuola e pluri-linguismo (Dedalo, Bari); “All’origini della semiotica” (Dedalo, Bari); “Segni e contraddizioni” (Bertani, Verona);“Spostamenti, Percorsi e discorsi sul segno” (Adriatica, Bari); “Lo spreco dei significanti. L'eros, la morte, la scrittura” (Adriatica, Bari); -- Grice: “Implicatura come lo spreco” -- Fra linguaggio e letteratura” (Adriatica, Bari); “Segni per parlare dei segni” (Adriatica, Bari); Filosofia del linguaggio (Adriatica, Bari); Interpretazione e scrittura. Scienza dei segni ed eccedenza letteraria” (Bertani, Verona); eccedenza – spreco.  “Dialogo sui dialoghi (Longo, Ravenna); La filosofia del linguaggio (Adriatica, Bari); “La tartaruga” (Ravenna, Longo); “Filosofia del linguaggio”; “Segni valori ideologie” (Adriatica, Bari); “Dialogo e narrazione” (Milella, Lecce); “Tra semiotica e letteratura” (Bompiani, Milano); “La ricerca semiotica (Bologna, Esculapio); “Il dialogo della menzogna” (Roma, Stampa alternativa, Scrittura, dialogo e alterità” (Nuova Italia, Firenze); Fondamenti di filosofia del linguaggio (Laterza, Roma); “Responsabilità e alterità” (Jaca, Milano); “La differenza non in-differente. Comunicazione e guerra, Mimesis, Milano);  “Il segno dell'altro: eccedenza letteraria e prossimità” (Scientifiche, Napoli); I ricordi, la memoria, l'oblio. Foto-grafie senza soggetto (Bari, Sud); Comunicazione, comunità, informazione -- comunicazione mondializzata e  tecnologia (Manni, Lecce); “I tre dialoghi della menzogna e della verità (Scientifiche, Napoli); “La rivoluzione bachtiniana. Il pensiero di Bachtin e l'ideologia contemporanea” (Levante, Bari); “Metodologia della formazione linguistica” (Laterza, Roma); “Che cos'è la letteratura?” (Milella, Lecce); “Elogio dell'in-funzionale -- critica dell'ideologia della produttività” (Castelvecchi, Roma); “Semiotica della musica. Introduzione al linguaggio musicale” (Graphis, Bari); “La coda dell'occhio. Letture del linguaggio letterario” (Graphis, Bari); Basi. Significare, inventare, dia-logare” (Lecce, Manni); “La comunicazione” (Graphis, Bari); “Fuori campo: il segno del corpo tra rappresentazione ed eccedenza (Mimesis, Milano); Il sentire nella comunicazione” (Meltemi, Roma); Semiotica dell'io” (Meltemi, Roma); “I segni e la vita la semiotica” (Spirali, Milano); “Uomini, linguaggi, mondo” (Milano, Mimesis); “Il linguaggio e le lingue. Introduzione alla linguistica generale” (Bari, Graphis); “I segni tra globalità e infinità. Per la critica della comunicazione globale (Bari, Cacucci); “Semio-etica (Roma, Meltemi); “Linguistica generale, scrittura letteraria e traduzione” (Perugia, Guerra); “Semiotica e dia-lettica, Bari, Sud); “La raffigurazione letteraria (Milano, Mimesis); Semiotica globale. Il corpo nel segno (Bari, Graphis); Testo come iper-testo e tra-duzione letteraria, Rimini, Guaraldi); Tesi per il futuro anteriore della semiotica. Il programma di ricerca della Scuola di Bari-Lecce, (Milano, Mimesi); Dialoghi semiotici (Napoli, Scientifiche); “La cifre-matica e l'ascolto” (Bari, Graphis); “Fuori luogo. L'es-orbitante nella ri-produzione dell'identico” (Roma, Meltemi); “A mente. Processi cognitivi e formazione linguistica” (Perugia, Guerra); Lineamenti di semiotica e di filosofia del linguaggio (Bari, Graphis); Tre sguardi su Dupin” (Bari, Graphis); “Scrittura, dia-logo, alterità” (Bari, Palomar); “Linguaggio, lavoro e mercato” (Milano, Mimesis); “La dis-sidenza cifre-matica” (Milano, Spirali); Contexto, Da dove verso dove. La parola altra nella comunicazione globale (Perugia, Guerra); “La visione ottusa” (Milano, Mimesis); “L’analisi, la scrittura” (Bari, Graphis); Interpretazione e scrittura, Scienza dei testi ed eccedenza letteraria” (Multimedia, Lecce); “In altre parole, Mimesis, Milano); “La filosofia del linguaggio” (Laterza, Bari); “Marxismo e umanesimo. Per un'analisi semantica delle tesi su Feuerbach (Dedalo, Bari); “Manoscritti matematici” (Dedalo, Bari); Saggi filosofici (Dedalo, Bari); Marxismo e filosofia del linguaggio (Dedalo, Bari); Freudismo, Dedalo, Bari); Semiotica, teoria della letteratura e marxismo (Dedalo, Bari); Il linguaggio (Bari, Dedalo); “Linguaggio e classi sociali. Marxismo e stalinismo (Dedalo, Bari); Il metodo formale e la teoria della letteratura” (Dedalo, Bari); “L'a-lienazione come fenomeno sociale” (Riuniti, Roma); “Il linguaggio come pratica sociale” (Dedalo, Bari); “Poli-fonie” (Adriatica,  Bari); Scienze del linguaggio e pluri0linguismo. Riflessioni teoriche e problemi didattici” (Adriatica, Bari); Scienze del linguaggio e insegnamento delle lingue e delle letterature. Annali del convegno (Adriatica, Bari); “Tractatus. Summule logicales” (Adriatica, Bari); “La significanza del senso, in “Idee”,  “La genesi del senso”;  Il linguaggio questo sconosciuto. Iniziazione alla linguistica (Adriatica, Bari); Il linguaggio come lavoro e come mercato” (Bompiani, Milano); Segni (Laterza, Bari); “Umanesimo ecumenico (Adriatica, Bari); “Semiosi come pratica sociale” (Napoli, Scientifiche Italiane, Napoli); “Semiotica e ideologia” (Milano, Bompiani); “Uccelli, Stampa alternativa, Baria); “Il mio ventesimo secolo” (Adriatica Bari); “Sulla traccia del grice” “Idee”, Emmanuel Lévinas, Su Blanchot (Palomar, Bari); “Maschere. Il percorso bachtiniano fino alla pubblicazione dell'opera su Dostoevskij (Dedalo, Bari); Idea e realtà dell'Europa: Lingue, letterature, ideologie, “Annali della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere”, Schena, Fasano (Brindisi), Comunicazione, comunità, informazione” (Manni, Lecce); “Valéry, Cimitero marino, in “Athanor”,  Il Mondo/il Mare, e in “L'immaginazione”,  Problemi dell”opera di Dostoevskij  (Sud, Modugno (Bari); Behar, Al margine (Sud, Modugno Bari) Bachtin, Problemi dell'opera di Dostoevskij  Sud, Bari); “Significato, comunicazione e parlare comune” (Marsilio, Venezia); “La scrittura e l'umano, Saggi, dialoghi, conversazioni” (Bari, Sud); “Per una filosofia dell'azione responsabile” (Manni, Lecce); “Vivant, Riflessioni su Lévinas” (Bari, Edizioni dal Sud); “Marxismo e filosofia del linguaggio” (Manni, Lecce); “Il metodo della filosofia”; “Saggi di critica del linguaggio” (Graphis, Bari); “Disoccupazione strutturale, “Millepiani”, “Lingua, metafora, concetto”; “VICO e la linguistica cognitiva” (Sud, Bari); Meditazioni  (Sud, Bari); “Dall'altro all'io” (Meltemi, Roma); Vita, Athanor. Semiotica, Filosofia, Arte, Letteratura, Meltemi, Roma); “Linguaggio e scrittura” (Meltemi, Roma); “Trattato di logica. Summule logicales (Bompiani, Milano); “Il linguaggio come lavoro e come mercato” (Bompiani, Milano); “Basi della semiotica”; “Nel segno” (Bari, Laterza); “Mondo di guerra, Athanor; “Semiotica, Filosofia, Arte, Letteratura” (Roma, Meltemi); “Ideologia” (Meltemi, Roma); “Il freudismo” (Milano, Mimesis); Marx Manoscritti matematici, edizione critica con intruduzione (Spirali, Milano); Fucini, Le veglie di neri e All'aria aperta, ed. Critica, Sbrocchi (Bari, Dedalo); “Metodica filosofica e scienza dei segni” (Milano, Bompiani); “Semiotica e ideologia” (Milano, Bompiani); Qohélet: versione in idioma saletino e trad. italiana, Caputo, Lecce, Milella); In dialogo. Conversazioni (Milano, Esi, Athanor.  Umano troppo dis-umano (Roma, Meltemi); Linguaggi, Scienze e pratiche formative. Quaderni del Dipartimento di Pratiche linguistiche e analisi di testi, Lecce, Pensa Multimedia, La filosofia del linguaggio (Bari, Laterza); “La filosofia del linguaggio come arte dell'ascolto”; “Sulla ricerca scientifica” Bari, Edizioni dal Sud, Athanor. La trappola mortale dell'identità, Roma, Meltemi e letture critiche, Bari, Sud, Calefato, Logica, dia-logica, ideo-logica. I segni tra funzionalità ed eccedenza, Semiosi, in-funzionalità, semiotica” (Milano, Mimesis); “La filosofia del linguaggio come arte dell'ascolto”; “Sulla ricerca” (Bari, Sud,); Lingua e letteratura, conoscenza e coscienza”; “Identità e alterità nella dinamica della co-scienza storica”; “Tutto il segnico umano è linguaggio; Per Qohélet emigrato nel Sud è la vanità ad essere nienzi: dentr  il dialetto è straniera la parola dei re Nuessel, “Virtual; Dal silenzio primordiale al brusio della parola”; “Alla ricerca della parola “vissuta”; Tutt'altro”; “In-funzionalità ed eccedenza come prerogative dell'umano” (Milano, Mimesis). Augusto Ponzio. Ponzio. Keywords: il segno dell’altro, semiotica filosofica, segno, segnico, il segnico, l’amore, lo spreco del segno, Vico e la linguistica cognitiva; Landi; sottiteso, Grice, pragmatica, metafora, vailati. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ponzio” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Porta: la ragione conversazionale -- filosofia italiana -- there may be another!

 

Grice e Porta (Castelnuovo Garfagnana). Filosofo italiano. PORTA nascea Castelnuovo Garfagnana e muore a Venezia. Pittore, matematico, astronomo e astrologo italiano, studia a Roma, dove conosce il maestro Francesco SALVIATI (del quale assunse il cognome), assieme al quale si trasferì poi a Venezia. Ivi, tra le tante opere, si occupa della decorazione del soffitto della Marciana e affresca la sala regia dei Palazzi vaticani a Roma. Nella prima parte del Codice Marciano Porta affronta il tema del rapporto tra movimento degli astri e linguaggio, indagando la formazione degl’elementi vocali, definendo un'embrionale tassonomia dei suoni e prospettando la possibilità di una  loro riproduzione ARTIFICIALE attraverso appropriati dispositivi meccanici.Per approfondimenti  vedasi treccani.it/enciclopedia/giuseppe-porta Dizionario-Biografico, a cura di  Biffis.   Giuseppe Porta, detto il Salviati o il Salviatino (Castelnuovo di Garfagnana, 1520 – Venezia, 1575), è stato un pittore italiano.   Targa al pittore visibile sotto il Loggiato a lui dedicato Biografia Si formò nella bottega del celebre Francesco Salviati, in onore del quale decise di assumere proprio "Salviati" come nome d'arte. Già nel 1535 era a Roma assieme al maestro, dove si dedicò alla decorazione esterna delle facciate di vari palazzi; è in questo periodo che i due poterono studiare da vicino le opere di Raffaello: sarà questo un fatto centrale in quella definizione di maniera che così come stabilita dai due artisti di concerto al Vasari guarderà alla maniera dello stesso Raffaello oltre che di Michelangelo.  Nel 1539 il Porta lasciò Roma per recarsi prima a Firenze (dove ebbe appunto a conoscere il Vasari), poi a Bologna e quindi, nel luglio dello stesso anno a Venezia.  Il suo primo lavoro autonomo fu quello che gli garantì la maggior fama, ovvero l'incisione posta a frontespizio del volume Le sorti intitolate giardino d'i pensieri, libro divinatorio pubblicato da Francesco Marcolini nel 1540, di cui il Porta curò anche le illustrazioni interne: tali vignette formavano un repertorio di tipi e di situazioni figurative a cui si ispirarono i maestri della nuova generazione (Tintoretto, Bassano, ecc.); lo stesso frontespizio, di per sé, è da molti studiosi considerato un vero e proprio manifesto del Manierismo.  Alla partenza di Francesco Salviati, nel 1541, il Porta cominciò a dedicarsi con maggior costanza alla decorazione di palazzi veneziani, tra cui Palazzo Loredan a Santo Stefano. Fu in quel periodo che lavorò alla splendida Sala della Libreria della Biblioteca Marciana assieme, fra gli altri, al Veronese ed al Tintoretto: sono del pittore castelnuovese una delle file di tondi del soffitto ed un Prometeo sulla parete destra.  Nel 1548 gli venne commissionata per la Basilica dei Frari la pala d'altare Presentazione di Gesù al Tempio.  Nel 1565 il Porta tornò a Roma per completare gli affreschi vaticani, lasciati incompiuti dal maestro Francesco Salviati; nell'anno successivo venne eletto membro effettivo dell'Accademia del Disegno a Firenze.  Tornato a Venezia, fu chiamato ad affrescare un soffitto di Palazzo Ducale, oggi sfortunatamente perduto.  Negli ultimi anni si dedicò prevalentemente a studi di matematica.  Giuseppe Porta da Le vite del Vasari «Fu allievo di Francesco Salviati Giuseppo Porta da Castel Nuovo della Carfagnana, che fu chiamato anch'egli, per rispetto del suo maestro, Giuseppo Salviati. Costui giovanetto, l'anno 1535, essendo stato condotto in Roma da un suo zio, segretario di monsignor Onofrio Bartolini arcivescovo di Pisa, fu acconcio col Salviati, appresso al quale imparò in poco tempo non pure a disegnare benissimo, ma ancora a colorire ottimamente. Andato poi col suo maestro a Vinezia, vi prese tante pratiche di gentiluomini, che, essendovi da lui lasciato, fece conto di volere che quella città fusse sua patria; e così presovi moglie, vi si è stato sempre et ha lavorato in pochi altri luoghi che a Vinezia. In sul campo di S. Stefano dipinse già la facciata della casa de' Loredani di storie colorite a fresco molto vagamente e fatte con bella maniera. Dipinse similmente a San Polo quella de' Bernardi, et un'altra dietro a San Rocco, che è opera bonissima. Tre altre facciate di chiaro scuro ha fatto molto grandi, piene di varie storie: una a San Moisè, la seconda a San Cassiano, e la terza a Santa Maria Zebenigo. Ha dipinto similmente a fresco in un luogo detto Treville, appresso Trevisi, tutto il palazzo de' Priuli, fabrica ricca e grandissima dentro e fuori; della quale fabrica si parlerà a luogo nella Vita del Sansovino. A Pieve di Sacco ha fatto una facciata molto bella; et a Bagnuolo, luogo de' frati di Santo Spirito di Vinezia, ha dipinto una tavola a olio; et ai medesimi padri ha fatto nel convento di Santo Spirito il palco overo soffittato del loro refettorio, con uno spartimen to pieno di quadri dipinti, e nella testa principale un bellissimo Cenacolo. Nel palazzo di San Marco ha dipinto nella sala del Doge le Sibille, i Profeti, le Virtù cardinali, e Cristo con le Marie, che gli sono state infinitamente lodate. E nella già detta Libraria di San Marco fece due storie grandi, a concorrenza degli altri pittori di Vinezia, de' quali si è ragionato di sopra. Essendo chiamato a Roma dal cardinale Emulio dopo la morte di Francesco, finì una delle maggiori storie che sieno nella detta sala dei Re, e ne cominciò un'altra; e dopo, essendo morto papa Pio Quarto, se ne tornò a Venezia, dove gli ha dato la Signoria a dipignere in palazzo un palco pieno di quadri a olio, il quale è a sommo delle scale nuove. Il medesimo ha dipinto sei molto belle tavole a olio: una in San Francesco della Vigna, all'altare della Madonna; la seconda nella chiesa de' Servi all'altar maggiore; la terza ne' Fra' Minori; la quarta nella Madonna dell'Orto; la quinta a San Zacaria, e la sesta a San Moisè; e due n'ha fatto a Murano, che sono belle e fatte con molta diligenza e bella maniera. Di questo Giuseppe, il quale ancor vive e si fa eccellentissimo, non dico altro per ora, se non che, oltre alla pittura, attende con molto studio alla geometria; e di sua mano è la voluta del capitel ionico che oggi mostra in stampa come si deve girare secondo la misura antica; e tosto doverà venire in luce un'opra che ha composto delle cose di geometria.»  (Tratto da: Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori di Giorgio Vasari, pittore e architetto fiorentino del XVI secolo)  Opere Circoncisione di Gesù, 1570, collezione Luigi Grassi, Roma Ciclo d'affreschi sulla Passione della Cappella del SS. Sacramento, chiesa di San Polo Frontespizio "Le sorti", 1540, Fine Art Museum of San Francisco Presentazione di Gesù al Tempio, 1550-1560 ca., pala d'altare, Santa Maria Gloriosa dei Frari, Venezia Profeti, 1550-1560 ca., pala d'altare, Santa Maria Gloriosa dei Frari, Venezia La Purificazione di Maria Vergine e santi, pala d'altare, Santa Maria Gloriosa dei Frari, Venezia Madonna con Bambino e i santi Antonio Abate e Bernardo, pala d'altare, San Francesco della Vigna, Venezia Santa Caterina d'Alessandria con i santi Gerolamo, Giovanni Battista e Giacomo Apostolo, pala d'altare, San Francesco della Vigna, Venezia Cristo Redentore tra san Giovanni Battista, san Gerolamo, santa Caterina e san Tommaso, studio per pala d'altare, Getty Museum, Los Angeles Ratto delle Sabine, disegno a penna e inchiostro bruno, Museo del Louvre, Parigi Crocifissione, cappella della Trinità, Basilica dei Santi Giovanni e Paolo, Venezia Cristo Risorto con gli apostoli Giacomo, Tommaso, Filippo e Matteo, 1560, cappella della Trinità, Basilica dei Santi Giovanni e Paolo, Venezia La Resurrezione, Nationalmuseum, Stoccolma Riconciliazione dell'imperatore Federico Barbarossa, affresco, Palazzo Vaticano, Roma Guerriero e tre donne attorno alla morente, disegno a penna e inchiostro bruno, Museum of Fine Arts, Boston Ratto delle Sabine, olio su tela, Bowes Museum, Durham Cacciata dal Paradiso, olio su tela, Musée des Augustins, Tolosa Presentazione di Gesù al Tempio, basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari, Venezia Presentazione di Gesù al Tempio, basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari, Venezia   Caterina d’Alessandria con i santi Gerolamo, Giovanni Battista, Giacomo Apostolo , chiesa di San Francesco della Vigna, Venezia Caterina d’Alessandria con i santi Gerolamo, Giovanni Battista, Giacomo Apostolo , chiesa di San Francesco della Vigna, Venezia   Vergine con il Bambino, sant’Antonio Abate e san Bernardo, chiesa di San Francesco della Vigna Vergine con il Bambino, sant’Antonio Abate e san Bernardo, chiesa di San Francesco della Vigna   Cristo Risorto con gli apostoli, basilica dei Santi Giovanni e Paolo, Venezia Cristo Risorto con gli apostoli, basilica dei Santi Giovanni e Paolo, Venezia   Deposizione dalla Croce, chiesa di San Pietro Martire, Murano (Venezia) Deposizione dalla Croce, chiesa di San Pietro Martire, Murano (Venezia) Voci correlate Francesco Salviati Giorgio Vasari Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Giuseppe Porta Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Giuseppe Porta Collegamenti esterni Mattia Biffis, PORTA, Giuseppe, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 85, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2016. Modifica su Wikidata Controllo di autorità VIAF (EN) 52560725 · ISNI (EN) 0000 0001 1643 0484 · SBN BVEV051457 · BAV 495/138689 · CERL cnp00567609 · Europeana agent/base/97572 · ULAN (EN) 500025137 · LCCN (EN) n81086676 · GND (DE) 122036182 · BNE (ES) XX1769195 (data)   Portale Arte   Portale Biografie Categorie: Pittori italiani del XVI secoloNati nel 1520Morti nel 1575Nati a Castelnuovo di GarfagnanaMorti a Venezia[altre]  PORTA (Salviati), Giuseppe. – Figlio di Ludovico e di una certa Maria de Rocca, nacque il 20 maggio 1520 (come riportato da Migliorini, 1899, p. 6, sulla scorta di documenti non più rintracciati) a Castelnuovo Garfagnana, feudo estense in territorio toscano.  La famiglia paterna costituiva una delle casate più autorevoli del centro garfagnino, annoverando diversi membri impegnati nel campo dell’amministrazione e del diritto (Nesi, 2005, p. 290). Il padre fu più volte sindaco della Vicaria, mentre il cugino Francesco è ricordato per aver ordinato e tradotto in volgare gli statuti cittadini, nonché per essere l’autore di un poema di ispirazione dantesca intitolato La visione (Firenze, appresso Giorgio Marescotti, 1577). È possibile che anche Giuseppe, primogenito del ramo di Ludovico, abbia potuto contare in gioventù su una prima educazione di stampo umanistico, di cui resterebbe traccia negli interessi scientifici della sua maturità.  Stando a Giorgio Vasari, la sua formazione si svolse a Roma, dove giunse nel 1535 accompagnato da uno zio «segretario del vescovo di Pisa» (1568, 1871, p. 45) che lo mise a studiare con Francesco de’ Rossi, detto il Salviati, a quel tempo una delle personalità emergenti nel panorama artistico romano.  Qui, sempre secondo Vasari, il giovane Porta evidenziò ben presto una naturale predisposizione pittorica, imparando in breve tempo «non pure a disegnare benissimo, ma ancora a colorire ottimamente» (p. 45). L’apprendistato dovette plausibilmente svolgersi nel segno di una solida pratica disegnativa, maturata a contatto con i tradizionali modelli dell’antichità e con l’ambiente dei seguaci di Raffaello (soprattutto Perino del Vaga e Polidoro da Caravaggio). Significativa fu senz’altro anche la pratica come frescante, tecnica di cui in seguito il garfagnino sarebbe diventato un riconosciuto maestro e da cui avrebbe derivato una peculiare sensibilità cromatica, evidenziata anche dai critici seicenteschi («arricchì la pittura di colori non ordinari», Boschini, 1674, pagina non numerata).  Non sono finora note opere risalenti al periodo romano, anche se è plausibile che egli possa aver collaborato con il maestro in occasione di commissioni pubbliche degli anni Trenta, come nel caso degli apparati temporanei per l’ingresso di Carlo V a Roma (1536), o dell’affresco con la Visitazione della Vergine per l’oratorio dei Fiorentini, sempre a Roma (1538; McTavish, 1981, pp. 22-29). Non si può inoltre escludere che alcuni dei disegni giovanili di soggetto antiquario – come la Scena classica di Windsor (Royal collection, inv. 5488; McTavish, 1981, p. 361) – debbano essere riferiti a questo periodo di formazione.  Nella primavera del 1539 intraprese, al seguito di Francesco Salviati, un viaggio verso il Nord Italia, che lo condusse prima a Firenze, poi a Bologna e infine a Venezia, dove i due artisti giunsero ai primi di luglio del 1539 (Cheney, 1963).  Il soggiorno veneziano fu probabilmente propiziato da un invito da parte dei Grimani, che in quegli anni stavano portando avanti un ambizioso programma di rinnovamento decorativo del loro palazzo di Santa Maria Formosa, coinvolgendo maestranze centro-italiane; esso si inquadra inoltre all’interno del più vasto fenomeno di aggiornamento in chiave classicista della cultura veneziana, che spinse tra terzo e quinto decennio del Cinquecento diversi pittori e letterati a lavorare o a trasferirsi temporaneamente in laguna (Hochmann, 2004).  In questo contesto si colloca l’esordio artistico di Giuseppe Porta che, nell’ottobre del 1540, realizzò, firmandolo, il frontespizio illustrato de Le sorti intitolate giardino d’i pensieri di Francesco Marcolini, vero e proprio «manifesto grafico del manierismo veneziano» (Pallucchini, in Tiziano e la silografia, 1976, p. XV), nonché alcune delle allegorie e dei ritratti di filosofi che adornano il volume, che si distinguono per l’impostazione romanista nei gesti e nelle pose (Mancini, 1993, pp. 2-6). Simili caratteristiche tornano anche nei primi lavori pittorici che ci sono giunti, come nel caso della Resurrezione di Lazaro (Venezia, Fondazione Giorgio Cini), oppure della tavola con La caduta della manna (Milano, coll. privata; Pallucchini, 1975).  Alla partenza di Francesco Salviati, nel giugno del 1541, Porta prese la decisione di fissare la propria residenza a Venezia, potendo contare, tra l’altro, sul sostegno di non meglio precisati «gentiluomini» veneziani (Vasari, 1568, 1871, p. 45). Gli incarichi dei primi anni Quaranta testimoniano in effetti un prevalente impegno nel campo della decorazione ad affresco, soprattutto di ville e residenze nobiliari della terraferma; nonostante molte delle opere ricordate dalle fonti debbano considerarsi perdute, alcuni disegni superstiti consentono di definire temi e modelli prevalenti, mettendo in luce il suo impegno per un rinnovamento in chiave classicista dei codici decorativi nel campo dell’affresco (McTavish, 1985).  Tra i lavori di questo periodo vanno segnalati gli affreschi eseguiti con Camillo Capelli, detto Camillo Mantovano, per una residenza rurale del Padovano, da identificare con villa Saraceno ‘delle trombe’ di Agugliaro, documentati nell’autunno del 1541 (Biffis, 2013a, pp. 11-15), le decorazioni interne di villa Priuli a Treville, nel Trevigiano, compiute nel 1542 (Ridolfi, 1648, 1914, pp. 240 s.) oltre che «una facciata molto bella» a Piove di Sacco (Vasari, 1568, 1871, p. 45). Tra le primissime opere vanno incluse inoltre alcune sezioni degli affreschi con Uomini illustri della Sala dei Giganti a Padova, attribuiti a Porta sulla base di serrati raffronti stilistici (Bodon, 2009). Da scalarsi in progressione fino alla metà degli anni Cinquanta sono infine altre imprese decorative compiute in prevalenza a Venezia, tra cui si annoverano gli affreschi per Ca’ Bernardo a San Polo, quelli per un edificio a San Rocco (pagamenti nel novembre 1551: McTavish, 1981, p. 206), e ancora l’intera facciata di palazzo Loredan a Santo Stefano, decorata con Storie romane e conclusa entro il 1556 (pp. 210-213). -ALT  Attorno al 1544 viene tradizionalmente fissata la commissione dei dipinti per il monastero di S. Spirito in Isola a Venezia, a quel tempo oggetto di un ambizioso programma di riqualificazione architettonica e pittorica, per il quale Porta realizzò le portelle dell’organo con Il trionfo di David e David e Saul, come pure il telero con l’Ultima cena per il refettorio e i tre tondi con scene del Vecchio Testamento (Elia nutrito dall’Angelo; La raccolta della manna; Abacuc portato a Daniele).  L’insieme, trasferito alla Madonna della Salute a seguito della soppressione dell’Ordine nel 1657, testimonia un cauto avvicinamento ai modi della pittura veneziana contemporanea, soprattutto sul piano delle scelte volumetriche e cromatiche (Mc Tavish, 1981, pp. 128-140).  Gli anni seguenti evidenziano un progressivo incremento degli incarichi pubblici, in particolare per dipinti d’altare commissionati da famiglie di ceto procuratorio e importanti ordini religiosi; contemporaneamente si assiste anche a un crescente interesse da parte della critica e del pubblico dotto, attestato, tra l’altro, dalla presenza del suo nome nell’epistolario di Pietro Aretino nel maggio 1548 (Rossi, 1995, pp. 187 s.).  Tra i lavori più importanti eseguiti a cavallo della metà del secolo, e di cui si conservano in certi casi anche disegni preparatori con interessanti varianti iconografiche (Jaffé, 1955), vanno ricordati: la Presentazione di Gesù al Tempio e santi, eseguita nel 1548 su commissione dei procuratori di S. Marco de Ultra per l’altare Valier ai Frari (Maronese, 2013; Biffis, 2013b); la Deposizione dalla Croce per S. Pietro Martire a Murano, risalente al 1548-50 circa (Zaru, 2014, p. 241); l’Assunzione della Vergine per S. Maria dei Servi, del 1550-55 circa (ora ai Ss. Giovanni e Paolo, cappella del Rosario; McTavish, 1981, pp. 159-162); le pale con la Vergine e i ss. Antonio abate e Bernardo e i Ss. Girolamo, Caterina, Giovanni Battista e Tomaso, rispettivamente per la cappella Dandolo e Bragadin a S. Francesco della Vigna, databili intorno al 1550-56 (pp. 164-172).  Attorno all’anno 1550 dovrebbe risalire anche il matrimonio con la veneziana Andriana Fasuol, dalla quale ebbe cinque figli (Biffis, 2013a, pp. 151-160), oltre che la definitiva e ufficiale adozione del cognome Salviati, scelto «per rispetto del suo maestro» (Vasari, 1568, 1871, p. 45).  Nel 1556 partecipò, assieme ad altri sei colleghi (tra i quali Paolo Veronese, Andrea Schiavone e Battista Franco), alla decorazione del soffitto della Libreria marciana di Venezia, promossa dai procuratori di S. Marco a completamento dei lavori dell’edificio sansoviniano destinato a conservare il patrimonio librario della Repubblica. Porta contribuì con tre tondi allegorici raffiguranti Minerva, la Fortuna e la Virtù, Le arti di fronte e Mercurio e Plutone ed Ercole e Bellona, contraddistinti da una sequenza ordinata e metodica di personificazioni e figure mitologiche, rese con misurati equilibri di forme e cromie (cfr. i più recenti D. Gisolfi, On Renaissance library decorations and the Marciana, in Ateneo veneto, s. 3, CXCVII (2011), pp. 7-21; Biffis, 2013a, pp. 75-126).  L’intervento marciano contribuì a mettere in luce le sue capacità nel settore dell’allegoria politica e civile, in seguito nuovamente saggiate con la raffinata lunetta con l’Allegoria di Venezia come Giustizia (Londra, National Gallery), realizzata per la Zecca e databile al 1558-59 (McTavish, 1981, p. 273). Tra le opere di questo periodo si ricorda anche la pala con i Ss. Cosma e Damiano, Giovanni Battista e Zaccaria, commissionata dal medico Benedetto Rinio, compiuta attorno al 1559 (Venezia, S. Zaccaria; Pitacco, 2002). Più problematica è invece l’autografia delle quattro Sibille per la chiesa di S. Maria del Giglio, per le quali è registrato un modesto pagamento a suo nome di 14 ducati nel maggio 1560 (Rossi, 1982, p. 283).  Nel giugno del 1562 giunse a Roma su invito dell’ambasciatore Marcantonio da Mula per realizzare un affresco per la Sala regia dei Palazzi vaticani con La pace di Venezia, per il quale ricevette – assieme all’allievo Girolamo Gambarato – diversi pagamenti a partire dal settembre del 1562 (McTavish, 1981, pp. 244-251). Secondo Vasari (1568, 1871, p. 46), prima della morte di Pio IV fece a tempo a impostare anche una seconda scena con La storia dei sette re in seguito andata distrutta, ma di cui esiste un pregevole disegno preparatorio (Chatsworth House, Devonshire Collection, inv. 16; McTavish, 1981, pp. 320 s.).  Al ritorno a Venezia all’inizio del 1565 ricevette l’incarico di realizzare le tele con soggetti allegorici per il soffitto della sala di Antipregadi a Palazzo ducale, per le quali fu pagato 660 ducati nel luglio del 1567 (McTavish, 1981, pp. 251-254). L’insieme, andato perduto nell’incendio del 1574, è descritto in un poema latino di Francesco Zannio, che si sofferma in particolare sulla spiegazione dei soggetti e sul significato politico e istituzionale delle allegorie (Biffis, 2013c).  Alla metà degli anni Sessanta si dovrebbe collocare anche il progressivo avvicinamento alla figura di Jacopo Contarini di Pietro, raffinato cultore di matematica e meccanica, nonché uno dei principali mecenati veneziani del tardo Cinquecento (Hochmann, 1987).  Alla sua committenza si devono diverse opere della tarda maturità di Giuseppe Porta, tra cui l’allegoria sacra con L’apparizione di Cristo risorto agli Apostoli (ora a Venezia, Ss. Giovanni e Paolo) e un lungo fregio con figure allegoriche per il palazzo Contarini a S. Samuele, andato disperso, ma di cui sono venuti alla luce diversi frammenti in collezioni private (Hochmann, 2002; McTavish, 2012), che mostrano, rispetto ai lavori giovanili, uno stile meno rifinito e monumentale, affine ad alcune contemporanee sperimentazioni tizianesche sul tema della forma e del volume.  Simili caratteristiche tornano anche in altre opere degli ultimi anni, come nel caso dei quattro teleri eucaristici per la cappella del Sacramento di S. Polo a Venezia, databili verso la fine degli anni Sessanta (McTavish, 1981, pp. 311-313), l’Annunciazione per gli Incurabili (ora a S. Lazaro dei Mendicanti; pp. 299 s.) e il Battesimo di Cristo per S. Caterina di Mazorbo, compiuto verso il 1572-73 su commissione di Emilia Michiel (pp. 279 s.). Tra i lavori estremi va annoverata anche la Presentazione al Tempio per S. Giorgio Maggiore, lasciata incompiuta al momento della morte e portata a termine da Jacopo Palma il Giovane (Jestaz, 2000).  Morì a Venezia tra il marzo 1575 – quando il Senato gli rilasciò un privilegio per alcuni macchinari idraulici (Boucher, 1976) – e il 18 aprile 1575, quando il figlio Teseo gli subentrò nella titolarità della casa a San Trovaso (Biffis, 2013a, p. 158).  Oltre che per la sua attività pittorica e per il suo contributo allo sviluppo in chiave classicista dello stile pittorico veneziano, Porta è ricordato dalle fonti anche per la sua attività di studioso e per le sue riconosciute competenze nel campo della matematica e dell’astrologia.  Sono numerose, in tal senso, le testimonianze antiche che menzionano i suoi studi (Vasari, 1568, 1871, p. 46) o che ricordano l’ampiezza dei suoi interessi intellettuali, come nel caso di Carlo Ridolfi, il quale evidenziò come egli avesse «buon intendimento delle scienze» e fosse «buono studioso delle matematiche, delle quali compose molti scritti e disegni» (1648, 1914, p. 244). Rilevanti furono anche i riconoscimenti ufficiali o le attestazioni di stima, provenienti non solo da colleghi e sodali (tra cui Danese Cattaneo: Rossi, 1995, p. 155 e passim), ma anche da altri protagonisti della vita culturale veneziana del Cinquencento, come Francesco Angelo Coccio, Ettore Ausonio, Francesco Patrizi, Sperone Speroni, Bernardo e Torquato Tasso (Campori, 1872; Biffis, 2013a, pp. 127-143).  Delle molte opere progettate, l’unica a vedere effettivamente la luce fu la Regola di far perfettamente col compasso la voluta et del capitello ionico…, stampata da Francesco Marcolini e pubblicata nel giugno del 1552 con dedica a Daniele Barbaro. La breve plaquette illustra un metodo per la costruzione della voluta o spirale ionica, concepito come risarcimento di una celebre crux filologica vitruviana su cui si erano cimentati in precedenza anche Alberti, Dürer, Philiader e Serlio; rispetto a queste, la soluzione prospettata da Porta si distingue per l’eleganza formale e la precisione descrittiva, evidenziata dall’adozione di un procedimento matematico mutuato dal libro IV degli Elementi di Euclide (Losito, 1993).  La testimonianza più importante del suo «enciclopedismo esoterico» (Rossi, 1995, p. 148) resta comunque quella offerta dal manoscritto marciano It.5094, che raccoglie – in forma di appunti, spesso riuniti in modo disorganico – testi, commenti e schemi relativi alle ricerche del pittore nel campo dell’astrologia e dell’acustica (Boucher, 1976; Biffis, 2013a). Il codice si compone di due parti principali: la prima affronta il tema del rapporto tra movimento degli astri e linguaggio, indagando la formazione degli elementi vocali, definendo un’embrionale tassonomia dei suoni e prospettando la possibilità di una loro riproduzione artificiale attraverso appropriati dispositivi meccanici; la seconda, organizzata attorno a un nucleo di quattordici quaestiones, affronta invece temi più generali di astrologia giudiziaria, relativi soprattutto all’influsso degli astri sul destino individuale. Sul piano del metodo, il lavoro si caratterizza per l’ampio ricorso a modelli descrittivi e all’esperienza empirica, mentre scarsi sono i riferimenti teorici diretti, che si limitano di fatto alla sola citazione dell’opera dell’astrologo bolognese Bartolomeo della Rocca. Annunciato come di imminente pubblicazione da Francesco Patrizi nel 1562, il testo venne in seguito abbandonato in una fase avanzata di stesura, forse anche a causa del carattere decisamente eccentrico della materia trattata; il codice pervenne quindi nelle mani di Jacopo Contarini, probabilmente come dono da parte dei familiari del pittore, per essere infine incorporato nelle raccolte marciane allo scadere del XVIII secolo (Boucher, 1976).  Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite (1568), a cura di G. Milanesi, VII, Firenze 1871, pp. 45-47.  C. Ridolfi, Le maraviglie dell’arte (1648), a cura di D.F von Hadeln, I, Berlin 1914, pp. 240-245; M. Boschini, Breve instruzione per intender in qualche modo le maniere degli auttori veneziani, in Id., Le ricche minere della pittura veneziana, Venezia 1674, pp. non numerate; G. Campori, G. P. detto il Salviati. Notizie biografiche e artistiche, in Atti e memorie delle Deputazioni di Storia patria per le provincie modenesi e parmensi, VI (1872), pp. 1-15; L. Migliorini, Gli uomini illustri garfagnini, Castelnuovo della Garfagnana 1899, pp. 6-8; K. Frey, Der literarische Nachlass Giorgio Vasaris, II, München 1930, pp. 382-385, 393 s., 438 s., 572 s.; R. Pallucchini, La giovinezza del Tintoretto, Milano 1950, pp. 41-46; M. Jaffé, G. P. il Salviati and Peter Paul Rubens, in The art quarterly, XVIII (1955), pp. 330-340; I. Cheney, Francesco Salviati’s North Italian journey, in The art bulletin, XLV (1963), pp. 337-349; F. Zava Boccazzi, Due tele ritrovate di G. Salviati, in Arte veneta, XVII (1963), pp. 169-171; A. Ballarin, Jacopo Bassano e lo studio di Raffaello e dei Salviati, ibid., XXI (1967), pp. 77-101; R. Pallucchini, Per gli inizi veneziani di G. P., ibid., XXIX (1975), pp. 159-166; B. Boucher, G. Salviati, pittore e matematico, ibid., XXX (1976), pp. 219-224; Tiziano e la silografia veneziana del Cinquecento (catal., Venezia), a cura di M. Muraro - D. Rosand, Vicenza 1976, pp. 140-147; D. McTavish, G. P. called G. Salviati, New York-London 1981 (con bibl. precedente); P. Rossi, Una monografia su G. Salviati, in Arte veneta, XXXVI (1982), pp. 278-284; D. McTavish, Roman subject matter and style in Venetian façade frescoes, in Racar, XII (1985), pp. 188-196; M. Hochmann, La collection de Giacomo Contarini, in Mélanges de l’école française de Rome. Moyen âge-temps modern, XCIX (1987), pp. 447-489; M. Losito, La ricostruzione della voluta ionica vitruviana nei trattati del Rinascimento, ibid., CV (1993), pp. 133-175; M. Mancini, Lambert Sustris a Padova. La Villa Bigolin a Selvazzano, Selvazzano Dentro 1993, ad ind.; M. Rossi, La poesia scolpita. Danese Cataneo nella Venezia del Cinquecento, Lucca 1995, pp. 143-155, 187 s.; C. Furlan, Un’aggiunta al catalogo di G. P., in Arte documento, XIII (1999), pp. 164-167; B. Jestaz, Tintoret et Véronèse au secours de G. Salviati et de Palma le Jeune…, in Revue de l’art, CXXVIII (2000), pp. 54-60; W.R. Rearick, Francesco Salviati, G. P. and Venetian draftsmen of the 1540’s, in Francesco Salviati et la Bella Maniera. Actes des Colloques de Rome et de Paris… 1998, a cura di C. Monbeig-Goguel - P. Costamagna, Rome 2001, pp. 455-478; M. Hochmann, G. P. e la decorazione di palazzo Contarini dalle Figure, in Arte veneta, LIX (2002), pp. 238-246; F. Pitacco, Un prestito mai rifuso: la vicenda del ‘Liber de simplicibus’ di Benedetto Rini, in Figure di collezionisti a Venezia tra Cinque e Seicento, a cura di L. Borean - S. Mason, Udine 2002, pp. 11-23; M. Hochmann, Venise et Rome 1500-1600: deux ècoles de peinture et leurs échanges, Genève 2004, ad ind.; D. McTavish, Additions to the catalogue of drawings by G. Salviati, in Master Drawings, XLII (2004), 4, pp. 333-348; G. Nesi, Castelnuovo capitale della provincia estense di Garfagnana nel XVI secolo, Castelnuovo di Garfagnana 2005, pp. 28, 114, 290; G. Bodon, Heroum imagines. La Sala dei Giganti a Padova…, Venezia 2009, ad ind.; A. Imolesi Pozzi, L’attribuzione del frontespizio de “Le sorti…”, in Un giardino per le arti…, a cura di P. Procaccioli, Bologna 2009, pp. 269-294; L. Cellauro, G. Salviati’s ‘Allegory of Architecture’ for Daniele Barbaro’s 1556 edition of Vitruvius, in Storie dell’arte, CXXIX (2011), pp. 5-18; A. Maronese, La Pala della Purificazione di Giuseppe Salviati: devozione, celebrazione famigliare, propaganda politica, in Venezia Cinquecento, XXII (2012), 44, pp. 71-111; D. McTavish, Due nuovi dipinti mitologici di G. P. detto G. Salviati, in Arte veneta, LXIX (2012), pp. 141-144; M. Biffis, G. Salviati a Venezia, 1540-1575. Indagini e ricerche sulla produzione figurativa e sul lascito letterario, tesi di dottorato, Università Ca’ Foscari, Venezia 2013a (tutor prof. A. Gentili, a.a. 2012-13); Id., Prima di Salviati. L’altare dei Frari, i procuratori di San Marco e un documento per Marco Basaiti, in Venezia Cinquecento, XXIII (2013b), 45, pp. 41-56; Id., Tra poesia e pittura: versi di Francesco Zannio per G. Salviati, in AFAT, XXXII (2013c), pp. 39-46; D. Zaru, Art and observance in Renaissance Venice: the Dominicans and their artists (1391-ca. 1545), Roma 2014, ad indicem.Giuseppe Porta. Keywords: deutero-esperanto – fonetica naturale, fonetica artifiziale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Porta”.

 

Grice e Porta: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale magica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Studia BRUNO a Roma. Cura “De umbris idearum” e il “Cantus Circaeus” in “Il nolese di ghiaccio” (Bompiani). “Ti presento Sophia”Altri saggi: “La Magia”; “Coincidenze miracolose, Storia della magia,e la trilogia di A come anima, A come amore e C come cuore; Dizionario dell'inconscio e della magia” (Sperling); “Tu chiamale se vuoi coincidenze” (Lepre). “Ricerca sul mito”  “Sulle orme degli antenati”  “Incontri nella notte, “Segnali”; "Immagini da leggere"; “Bellitalia”. “Parlato semplice”  “Bruno”,  “Storia della Magia”  “Storia della cavalleria”   “Il mare di notte”, “Inconscio e Magia”, “Inconscio e Magia Psiche”,  “Guarire insieme”. Studia il rapporto tra la filosofia antica romana e psicologia junghiana. Collabora a “Abstracta”. “La Magia”; “L’Arte della Memoria” “Anima Mundi” Insegna a Siena. Scuola di Psicoterapia Psicosintetica ed Ipnosi Ericksoniana “H. Bernheim” di Verona, Istituto di Comunicazione Olistica Sociale, Bari.  Filoteo Giordano Bruno di Nola, Il canto di Circe, Roma, Atanor, Ombre delle idee (Roma, Atanor); Itinerari magici d'Italia. Una guida alternativa, Centro, Roma, Mediterranee, I grandi del mistero, Firenze, Salani,  Storia della magia mediterranea, Roma, Atanor, Un'avventura nel Rinascimento” (Milano, Fiore d'oro); “L'essenza dell'amore” (Roma, Atanor); Meyrink iniziato, Roma, Basaia); “Morte di un bacio” (Roma, Lucarini); “I tarocchi di BRUNO Le carte della memoria” (Milano, Jaca); “Racconti di tenebra” (Roma, Newton); “BRUNO: tra magia e avventure, tra lotte e sortilegi la storia appassionante di un uomo che, ritenuto mago dai contemporanei, fu condannato per eresie dall'Inquisizione e arso vivo sul rogo” (Roma, Compton, La battaglia della montagna bianca, Chieti, Solfanelli, Fantasmi. Storie e altre storie sulle orme di James” (Roma, Compton); L’incubo e del terrore” (Roma, Compton); “Misteri di pietra” (Roma, Grapperia); “Racconti per amore” (Roma, Lucarini); “BRUNO: avventure di un pericoloso maestro di filosofia” (Milano, Bompiani); “Roma magica e misteriosa”; Dalla sedia del diavolo ai fantasmi di villa Stuart, dalla cripta dei Cappuccini alla Porta Magica di piazza Vittorio: un viaggio affascinante nel cuore segreto della città eterna e dei suoi dintorni” (Roma, Compton); “Misteri. Quasi un manifesto della letteratura del mistero e del segreto” (Milano, Camunia);  Grandi castelli, grandi maghi, grandi roghi” (Milano, Rizzoli); Storia della magia. Grandi castelli, grandi maghi, grandi roghi” (Milano, Bompiani); “Il ritorno della grande madre” (Milano, Saggiatore); “La magia” (Roma, Marsilio); “Coincidenze miracolose” (Roma, Idealibri); “Donne magiche” (Roma, Idealibri); A come anima, Milano, Pratiche, La quiete del Terrifico, Fasano, Schena, C come cuore. Pagine per lenire il mal d'amore, Milano, Pratiche, Intervista Ettore Bernabei, Roma, Eri, S come seduzione; “Dizionario dell'eros e della sensualità” (Milano, Saggiatore); P come passioni” (Dizionario delle emozioni e dell'estasi” (Milano, Tropea); “Dizionario dell'inconscio e della magia” (Milano, Sperling); L'armonia del dolore, Roma, Pagine, Agguato all'incrocio, Milano, Tu chiamale se vuoi coincidenze. Quaranta storie realmente accadute” (Roma, Lepre); “Il mistero di Dante”;  "Qui trovo libertà autentica", su ecoradio.  Gabriele La Porta. Porta. Keywords: implicatura magica, BRUNO, filosofia antica, Jung, il mistero di Dante, il mistero d’Alighieri, Roma, etimologia di roghi, maestro pericoloso, seduzione, sensualita, amore, estasi, storia della cavalleria, Atanor, Roma. -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Porta” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Porta: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale fisio-nomica – la scuola di Vico Equense -- filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Vico Equense). Filosofo napoletano. Filosoo italiano. Vico Equense, Napoli, Campania. Grice: “He is the one with the funny illustrations of men and animals! The Italian way to comment on Aristotle!” Riceve le basi della sua formazione culturale in casa, dove si è soliti discutere di questioni filosofiche, e dimostra immediatamente le sue notevoli innate capacità, che poté sviluppare attraverso gli studi grazie alle condizioni agiate della famiglia. La famiglia ha una casa a Napoli a via Toledo -- il palazzo Della Porta -- una villa a Due Porte, nelle colline intorno a Napoli, e la villa delle Pradelle a Vico Equense. Tra i suoi maestri vi sono il classicista e alchimista PIZZIMENTI, e i filosofi ALTOMARE e PISANO. Pubblica “Magiae naturalis sive de miraculis rerum naturalium”. Pubblica un saggio di crittografia, il “De furtivis literarum notis” dove scrive un esempio di sostituzione poli-grafica cifrata con accenni al concetto di sostituzione poli-alfabetica. Per questo è ritenuto il maggiore crittografo italiano. Quando già la sua fama è consolidata, presenta il suo saggio sulla crittografia a Filippo II e viaggia in Italia. Ha un saggio, “Sull'arte del ri-cordare” – ars reminiscendi (Sirri, Napoli).  Fondato intanto “i segrettari”, l'Academia Secretorum Naturae, Accademia dei Segreti, per appartenere alla quale e necessario dimostrare di effettuare una scoperta. L'accento viene tuttavia posto più sul meraviglioso che sul scientifico. Le raccolte di segreti costituivano un genere letterario che incontra una straordinaria fortuna con l'avvento della stampa a caratteri mobili. Per segreto si intende conoscenza arcana, ma anche ricetta, preparazione di farmaci e pozioni d’effetto straordinaro, riguardante un argomento di medicina, chimica, metallurgia, cosmesi, agricoltura, caccia, ottica, costruzione di macchine, ecc.  Colui che insegna a padroneggiarli è chiamato professore di segreti. I segrettari sono però sospettati di occuparsi di temi riguardanti la magia e l'occultismo, sicché  è indagato dall'inquisizione e il circolo dei segrettari chiuso. A lui è tuttavia concesso di continuare gli studi di filosofia naturale. Pubblica “Pomarium” sulla coltivazione degl’alberi da frutta. Pubblica Olivetum. Entrambi inclusi nella sua enciclopedia sull'agricoltura.  Pubblica De humana physio-gnomonia, della fisionomia degl’uomini (Cacchi, Vico Equense).  Ritiene che l'animo non è impassibile rispetto ai moti del corpo e si corrompe per la passione. In “De ea naturalis physio-gnomoniae parte quae ad manum lineas spectat” (Trabucco, Napli) studia con attenzione i segni delle mani dei criminali. Un tale segno non è frutto del caso ma importante indizio per comprendere appieno il carattere degl’uomini. Pubblica “Phyto-Gnomonica” (Salviani, Napoli), dove evidenzia l'analogia tra piante e animali, stimolato dai contatti con alcuni alchimisti, poderoso saggio sulle proprietà dei vegetali messe in analogia con le varie parti del corpo umano, basato sull'antica dottrina delle segnature. Corredata da tavole illustrate, estende il concetto di “fisio-gnomica” alle piante -- elencandole a seconda della loro localizzazione geografica. Ravvisa collegamenti occulti tra la morfologia delle piante e quella dei minerali, degl’uomini, e persino, indirettamente, degl’astri e dei pianeti dell'astrologia, in una sorta di zoo-morfismo. Affascinato ed entusiasta per il gran Paracelso e per i suoi dottissimi seguaci perché la spagiria produce al mondo rimedi non mai più per l'addietro caduti negl’umani intelletti. Onde da solleciti investigatori de' secreti della natura applicati a morbi, ritrovano soblimi ed infiniti rimedi, onde la medicina, così gran tempo ristretta negl’angusti suoi termini, or, allargando fuori, ha ripieno il mondo de' suoi meravigliosi stupori. La sua villa è frequentata da CAMPANELLA (si veda). Amico di SARPI (si veda). Conosce anche BRUNO (si veda). Per ordine dell'inquisitore veneziano doveri chiedere il permesso per le sue pubblicazioni a Roma. Si incontra con SARPI e con GALILEI. Incontra i Cesi.  Pubblica la “Taumatologia” (Sirri, Napoli); “Cripto-logia” (Sirri, Napoli). Scrive ancora un saggio di ottica (“De refractione optices"), uno di agricoltura (“Villae”), due di astronomia -- “Coelestis Physio-Gnomoniae” (Paolella, Napoli) e “Della celeste fisonomia” (Paolella, Napoli) --  uno di idraulica e matematica -- “Pneumaticorum” (Carlino, Napoli) --, uno di arte militare (“De munitione”), uno di meteorologia -- “De aeris transmutationibus” (Paolella, Napoli) --, uno di chimica -- “De distillatione” (Camerale, Roma) -- e uno sulla lettura della mano – “Della chiro-fiso-nomia” (Napoli, Bulifon). Nel campo dell'ottica esercita notevoli contributi, indagando le proprietà degli specchi concavi e convessi, conducendo un minuzioso studio delle lenti descrivendo la costruzione di ingenti apparecchi ottici, tra cui la camera oscura ed il tele-scopio. Intraprende inoltre studi di chimica pratica che includono la fabbricazione di smalti, di polveri da sparo e di cosmetici. I numerosi esperimenti che ci descrive indicano un’attitudine che lo pone fra i principali chimici dell’epoca. I suoi studi sono caratterizzati principalmente dalla ricerca di farmaci dagl’effetti eccezionali, utili ad esempio per la memoria, per produrre sogni piacevoli o incubi, rimedi contro l’impotenza e la sterilità. Dei lincei. Ri-vendica l'invenzione del tele-scopio, resa nota da GALILEI (si veda). Fa parte anche di un circolo dedicato alla letteratura dialettale napoletana (Schirchiate de lo Mandracchio e 'Mprovesante de lo Cerriglio), e gl’oziosi. Raccogge esemplari rari del mondo naturale e coltiva piante esotiche. La sua villa e visitata dai viaggiatori e ispira Kircher a radunare una simile collezione nel suo palazzo a Roma. Commediografo e scrive “Le commedie” (Stampanato, Bari, Laterza), in prosa, una tragi-commedia, una tragedia e un dramma liturgico; “Claudii Ptolomaei Magnae Constructionis” (Vivo, Napoli); “Il Teatro” (Sirri, Napoli); “Villae” (Palumbo e Tateo,  Napoli);  “Elementorum Curvilineorum” (Cavagna e Leone, Napoli);  Accusato di plagio da Bellaso, che è stato il primo ad aver proposto questo tipo di cifratura X anni prima. Eco, Fedriga, Storia della filosofia” (Laterza Edizioni Scolastiche); Eamon, Il professore di segreti. Mistero, medicina e alchimia nell'Italia del Rinascimento, Paci, Carocci, Fumagalli, “Semplicisti e stillatori: l'arte degl’aromatari” (Milano, SGS, Gnome, su treccani. Turinese, “Zoo-morfismo, fisio-gnomica e fito-gnomica: antesignano della bio-tipologia in medicina,  in “Il cenacolo alchemico”, Paolella e Rispoli (Napoli, Il Faro di Ippocrate); Verardi, La scienza e i segreti della natura a Napoli nel Rinascimento: La magia naturale” (Firenze); Paolella, La Spagiria, ne Il Cenacolo alchemico, Paolella e Rispoli (Napoli, Il Faro di Ippocrate); Paolella, Carteggio linceo, in "Bruniana & Campanelliana", Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia. Dizionario di filosofia, Convegno di Vico Equense, Torrini, Napoli, Piccari (Milano, Angeleli); Giudice, “II mago dell'arcana sapienza” (Milano, Via Senato); Paolella, “I Meteorologica di TELESIO, P. e Cartesio -- tra credenza e scienza,  Roma,  Associazione geo-fisica, Paolella, L’astrologia: la Coelestis Physiognomonia (Poligrafici, Pisa), Atti del Convegno L’Edizione nazionale del teatro e l’opera, Salerno Montanile, Paolella, Appunti di filologia dellaportiana, Istituto italiano per studi filosofici, Napoli, Sirri, Paolella, Convegno, Roma, Scienze e Lettere, Santoro, La "Mirabile" Natura. Magia e scienza (Napoli-Vico Equense) Atti del Convegno, Pisa-Roma, Serra, Vivo, Tecnica e scienza, Serra, Pisa-Roma, La "Mirabile Natura. Napoli-Vico Equense Santoro. Serra, Pisa-Roma, La Mirabile Natura. Atti del Convegno, Vico Equense, dei Segretarii. Treccani Istituto dell'Enciclopedia Italiana. P., neapolitano autore (Neapoli, apud Ioa. Mariam Scotum); vulgò De ziferis, P., Neapolitano auctore (Neapoli, apud Ioan. Baptistam Subtilem, vulgo de ziferis, altero libro superaucti, et quamplurimis in locis locupletati. P., il mago dell'arcana Sapienza. Filologia. Filologia dellaportiana.È famigeratissimo il Porta per la sua opera  della Fitonomia Umana, che prima compresa in quattro  libri, e poi arricchita di altri due, fu stampata in Napoli, in Francfort, in Anversa, e tradotta ancora dal-  l’originale latino in italiana favella: del che può vedersi Chioccarelli nella citata sua opera, che diligentemen-  te al suo solito ne tratta. Della medesima io ho vedute  queste due edizioni; De hvmava phynognomonia libri 4. UrseUis, c l'italiana stampala in Venezia,  che comprende tutti i sei libri. I/autore crede, che sic-  come dalla diversa figura delle piante si potevano, secondo lui, arguire le varie proprietà delle medesime ;  cosi del pari dagli esterni lineamenti di tutte le parti  del corpo umano, finanche dalle unghie, c dalla maggiore, o dalla minor copia de’peli, si potessero rilevare le  naturali disposizioni de’temperamcnti degli uomini. Siccome poi avea bisogno di una norma per questa investigazione , perciò chiama in rassegna tutti quasi gl’animali, e confronta le configurazioni delle parti de'loro  corpi con le configurazioni di quelle dell’ uomo; per  quindi poter conchiudere, che sicno ne’ diversi uomini  le conosciute proprietà naturali di quelle bestie , alle  quali si assomigliano nella forma della faccia, della fronte, del collo, delle spalle, del dorso, de’picdi, della boc-  ca, delie labbra ec. ec. ec. A questo fine esamina le medaglie, e le statue, che  erano nel musco di suo fratello Gio. Vincenzo; paragona le descrizioni, che gli antichi storici ci lasciarono  di que’ personaggi; corre al luogo, ove in que’tempi si  appiccavano alle forche i facinorosi, e conviene con Boia  di lasciargli esaminar le mani, i piedi, le spalle di que’  rei, credendo, che dalla figura di queste parti si potesser conoscere i delitti, per i quali morirono; lo stesso fa nelle pubbliche carceri, e nella Chiesa di s. Restituta, avendone ottenuto permesso da coloro, che per  carità seppellivano i morti.   Io però non ho potuto mai persuadermi, che le  unghie rotonde sieno segno di lussuria, ed il petto senza peli, argomento di sfacciataggine. E se nelle piante  non regge quest’analogia, molto meno può reggere, ed  applicarsi all’uomo, rispetto al quale noi siamo all'oscuro come mai si formino le passioni; qual ne sia la sede; o finalmente non sappiamo con chiarezza tutta l’economia dei cervello suo. Essendoci pertanto ignoti questi punti fondamentali, io non veggo la ragione, per cui si  possa dire, che il naso a guisa di Rinoceronte in POLIZIANO, sia stato argomento dell’ alterigia sua,  simile a quella di quest’animale. Se Porta avesse conosciuto il segreto di frenare il suo ingegno, portato sempre al maraviglioso, ci avrebbe lasciata un’ opera in  questo genere, come la desiderava il Verulamio nel  primo capitolo del libro quarto della sua opera De augmenlfs scientiarum. Ma l’amor del sistema, e la fallace  guida dell’esterna analogia, lo cacciaron fuori del retto  e sicuro cammino. Qualunque però sia il merito di questa sua letteraria fatica, sarà anche per lui una gloria  l’aver preceduto in questa scienza i moderni, senza però aver imitata l’irreligion di taluno tra essi; giacché  P. confessa esser questa scienza puramente di congettura; esistere nell’uomo la vera libertà dell’arbitrio;  poter questa essere aiutata dalla divina grazia, ebo lo  rinfranca da quelle ruinc, che recò all'uomo il peccato  originale, ch’egli altresì confessa. Appartengono poi alla stessa materia la sua Chìrofìsonomia, e la sua Fisonomia celeste; essendo la prima  una parte delia presente opera; e la seconda un’applicazione de’medesfmi principii contro agli astrologi, dimostrando, che dalle proprietà de’diversi temperamenti,  rilevate dalfesterne figure delle parti del corpo umano,  si potevano derivare, ed arguire tutte quelle cose, che  gli astrologi stranamente spiegavano colle stelle. Per quel che riguarda le sue cognizioni intorno alla memoria artificiale, egli le raccolse nella sua  opera, che porta questo titolo: Ars reminùcendi. Neapoli. Raccomanda in essa principalmente l’ordine  nell’ apprender le cose , perchè è il mezzo più efficace per ritenerne l’ idee; il che gli dà ftiogo nei capitolo  quarto a lodare le matematiche: mathematicae percepitone, et praeiertim geometrica j quia ordine , et diligenti dis-  posinone digesto sunt, memoria facile continentur. Ubi non est ardo , ibi confusio. Suggerisce poi il noto  uso de’luoghi artificiali, in cui collocar l’idee; e quello delle immagini, in cui associar le parole: nel che se  fosse stato più sobrio , si sarebbe incontrato perfettamente con quanto poi scrisse Bacone intorno alla memoria artifiziale, alla fine del libro quinto della sua opera De augmentis scientiarum. Ma arendo soverchiamente caricata di queste tali immagini, e luoghi la sua esposizione nella quale è divisa tutta  l’opera, par che in vece d’esserne favorita la memoria,  ne venga oppressa dalla moltiplicità di queste medesime immagini, dall’uso de’ vari paradigmi di caratteri  arbitrari, e dall’ esame, e, per cosi dire , rassegna di  personaggi, di cose, di parole, con cui vuole egli, che  si trattenga ogni uomo nella regione della propria fantasia. Si potrebbe dire, che P. non fa altro in tutto il corso della sua lunga vita, che immaginar cifre: tanta n’è la moltiplice varietà da lui rac-  colta nell’ opera : De occulti s litterarum noti s , vulgo de  Ziferis. Neapoli. Gli accidenti della musica deter-  minati ad alfabeti; le fiaccole, i suoni, i numeri, le no-  te musicali adoperate per lettere ; gli alfabeti comuni  raddoppiati, o accorciati; le diverse figure, con cui disporli; le varie specie di geroglifici: tutto vi è esposto con una perpetua erudizione. Se l'opera fosse stata un po’ più ristretta, ne riuscirebbe la lettura egualmente piacevole, che quella di Bacone, che con sobrietà filosofica ba saputo disporre le cose dette da P., sul  principio del sesto libro de’ suoi aumenti delle tcienze. Fabricio ba verificata la lagnanza di P.  circa il plagio fattogli da un francese , nell’ opuscolo,  che appunto ha per titolo: Centuria plagiariorvm. Nel catalogo dell’ opere del nostro filosofo ne  ho accennato alcune, che non erano ancora state pubblicate da lui quando Io formò ; se poi 1’ avesse fatto  in seguito , io noi so , per quante diligenze vi abbia  adoperate, e perciò non ne parlo. Dorrei però dir qualche cosa di quell’ altro suo opuscolo citato più sopra  col titolo di Miracoli e maraviglioti effetti della natura. Ma oltre al non averlo potuto aver tra le mani, me ne  dispensa dal farne parola il giudizio del medesimo P., il quale, come ci attesta SCOTTO (si veda) nella sua Magia Universale, lo  condanna col non aver ricordato nella sua magia le cose strane, che ivi avea scritte ; al che anche aggiunse  il non registrarlo nel citato catalogo. Delle sue commedie poi non debbo parlare, perchè sempre ho considerato in lui per tutto questo mio opuscolo, il filosofo, e non già il poeta. Ma se di passaggio se ne bramasse da taluno un giudizio, dirò pure, che elleno non  sono l'ultime per que' tempi; che gii applausi, con cui  furono ricevute, e rappresentate per l’Italia, confermano un tal giudizio; e che finalmente, se la scena vi è  ingombrata di attori, se il prologo è spesso freddo, ed il dialogo non sostenuto con dignità, bisogna ricordarsi, che questi ed altri simili difetti si son sempre ritrovati in ogni arte , quando appena incominciava ad  uscir dalla sua culla. Nella conclusione pertanto di questo opuscolo dovendo finalmente produrre il mio sentimento sul merito di P., e suifutililà da lui recate alle scien-  ze, io non temo d’errare nel dire, ch’egli sarebbe stato  veramente sommo , se avesse meno cercato di esserlo.  È fuor di dubbio, che a se stesso dovette la vera cognizione de’canoni, onde filosofare sulla natura, e quel  che più importa, l’applicazion de’medesimi alle naturali discipline. Era tra noi precedentemente apparito TELESIO, acerrimo declamatore contro al Lizio; ma essendo stato ancor egli involto nell’errore de'tcmpi, che per ben filosofare, bisognava trascegliersi  una guida tra gli antichi filosofi , non fece altro , che  sostituire agli arbitrari principii de’suoi avversari, quel-  li similmente arbitrari di Parmenide di VELIA, senza che per  questa sostituzione ne conseguisse alcun vantaggio la  Naturai Filosofia, che cambia padrone, e non già muta servitù. Non così però P., che sagacissimo,  intraprendente, c saggiamente libero si volse alla stessa  natura, che è anteriore alle ipotesi dell’uomo. La lettura delle opere degli antichi gli fece evidentemente  conoscere, ch’eglino aveano errato il cammino; perciocché dopo tanti secoli, e dopo tanti stenti di uomini per  altro sommi, non vi si era per niente avanzato lo spirito umano. Quindi magnanimamente si risolvette; come ci fa sapere nella prefazione alla sua Chirofiwnomiaj di cambiar metodo; e siccome quelli aveano stranamente preteso di voler prescrivere coi loro intelletti  le leggi alla natura, cosi egli per contrario, conoscen-  done la sublimità, e la grandezza, le si diede a ministro, cercando di carpire dalle particolari esperienze i  generali principii delle sue leggi. La felicità de’ primi  tentativi, la novità delle cose, che di giorno in giorno  scopriva, gl’inebriarono per modo lo spirito, che lo precipitarono in un altro eccesso, qual si fu quello, di volerne esplorare, e stringere in un corpo tutti i regni,  nc’quali è divisa la medesima natura. Questa intemperanza di brame, o come la chiama PLINIO nella sua Storia, questo furore, fu cagione, che  egli alcune volte tentasse finanche quel che era impossibile, o si lasciasse sedurre da certe osservazioni non sicuramente stabilite. In questo però merita compatimento; perciocché oltre la felicità de’successi, e la sorpresa delle tante maraviglie, che, alzato in parte il suo  velo, gli disvelava la natura; ognuno ben sa, eh’ eran  questi i primi movimenti dello spirito umano, che sottrattosi da’ceppi di Aristotile, di Parmenide, o di altro  antico filosofo, incominciava da se a contemplare: e  questi primi movimenti sogliono costantemente unire  alla loro robustezza una certa irregolarità di direzione. Appunto come avvenne nell’epoca del risorgimento  delle Belle Lettere in Italia, che disotterratisi i codici  degli antichi scrittori latini, i nostri italiani avidamente li divorarono con una irregolare lettura , onde ne  avvenne, che si formarono uno stile misto delle grazio  di CICERONE coi concetti di Seneca, e di PLINIO. Fu però  utile alle scienze questa scossa elettrica di P., affinchè dal grido, che menavano tante metamorfosi portentose, e tante esagerate maraviglie, si destassero gl’altri a percorrere ancor essi il cammino della natura; e quindi dalle replicate, e meglio ponderate esperienze  loro, si dissipasse la nube di tanti incantesimi, e venisse finalmente l’umana ragione condotta alla sobrietà  delle sue ricerche, ed alla gloria de’suoi trionfi. Arte del ricordare, dal latino al volgare – da Falcone -- Giovanni Battista Della Porta. Porta. Keywords: implicatura fisionomica, filologia -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Porta” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Portaria: la ragione conversazionale o -- Eurialo e Niso, ovvero, dello spirito – ma non fia da Casal né d'Acquasparta, là onde vegnon tali alla scrittura, ch' uno la fugge, e l'altro la coarta – la scuola di Todi -- filosofia umbra -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Todi). Filosofo italiano. Todi, Perugia, Umbria. Grice: “I like Portaria, but then anyone with an interest in Anglo-Saxon ‘soul’ should! – if a philosopher, that is! Unlike Anglo-Saxon soul who God knews whence it comes, the Romans had spiritus, and animus anima, which is cognate with animos in Greek meaning ‘wind’ – so that leans towards a hyle-morphic conception where the body (corpus) is what has the ‘materia’ and the ‘breath’ is the ‘forma’ --  Italian philosophers would ignore this – and more so now when Davidson is in vogue! – if it were not for Aligheri who has Portaria in “Paradiso” – there is indeed a serious philosophical confrontation between an ACCADEMIA and and a LIZIO conception of the soul as seen in the controversy between AQUINO (si veda) and P.! P. uses the same linguistic tools: is ‘spiritus’ synonym with ‘anima’? Or must we speak of ‘homonymy.’ And add ‘medium’ into the bargan! P. is less canonical than AQUINO and should interest Oxonians much, oh so much, more!” – Unfortunately, he was from Todi and donated all his manuscripts to Todi, which many skip in their Grand tour – although it IS on the Tevere as any member of the “Canottiere del Tevere” will know!” -- Grice: “My name is Grice – Paul Grice – Matteo’s name is Matteo Bentivgna dei Signori d’Acquasparta e Portaria. Nacque da una delle grandi famiglie delle Terre Arnolfe, quella dei Bentivegna, feudatari di Acquasparta e Massa Martana, trasferitisi a Todi. Studia a Bologna. Insegna a Roma. Alighieri lo nomina, biasimandolo, tramite le parole di Findanza  in opposizione a Ubertino da Casale: “Ma non fia da Casal né d'Acquasparta/là onde vegnon tali alla scrittura/ch' uno la fugge, e l'altro la coarta” (Par.). Società dantesca. Treccani Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia dantesca. Matteo d’Acquasparta. Matteo Portaria d’Acquasparta. Portaria. Keywords: filosofi citati d’Alighieri nella Commedia (Par.: ma non fia da Casal né d'Acquasparta, là onde vegnon tali alla scrittura, ch' uno la fugge, e l'altro la coarta.), logica, dialettica, Occam Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Portaria” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Porzio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale nel lizio– la scuola di Napoli -- filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Napoli, Campania. Grice: “His surname is plain “Porta,” but in Latin that is latinised as ‘portius,’ and then this vulgarized as ‘porzio’!” – But then who wants to be called “door”?”  Studia a Pisa sotto NIFO (si veda). Scrive sul celibato dei preti (“De celibate”), sull'eruzione del Monte Nuovo (“Epistola de conflagratione agri puteolan”i) e sul miracoloso caso di digiuno di una ragazza tedesca (“De puella germanica”). I suoi saggi principali, fra cui il trattato di etica, “An homo bonus vel malus volens fiat” e in particolare il “De mente humana,” nel quale sostene la mortalità dell'anima secondo un'esegesi d’Aristotele – LIZIO. Proprio queste sue dottrine mortaliste, troppo facilmente accostate e sovrapposte a quelle sostenute da POMPONAZZI (si veda) nel “De immortalitate animae”, contribuirono a creare una leggenda biografica secondo la quale egli sarebbe stato allievo e quindi semplice epigono di PERETTO. In ogni caso, al di là di una innegabile tendenza materialista nella sua esegesi d’Aristotele del Lizio, evidente anche nel suo saggio, il “De rerum naturalium principiis,” sua produzione è caratterizzata anche da interessi teo-logici del tutto svincolati dai peripatetici del LIZIO e che sono particolarmente evidenti nei due commenti al pater noster che probabilmente non estranei ai fermenti evangelici della riforma italiana. Tra peripatetici, naturalisti e critici, "De’ sensi" e il "Del sentire, studi ittio-logici. Græcæ lingue grammaticam ab omnibus fere dixerim expectatam simul et expetitam, à quamplurimis  frustra promissam, à nonnullis vero quibusdam veluti delineamentis duntaxat adumbratam, nec ab aliquo satis adhuc  expressam, non tam explicaturus, quam editurus aggredior. Grande quidem ac perarduum opus nostrisque viribus impar;  sed non inaccessum. Nec enim omnium omnino difficultatum  ambages, syrtesque superare contendimus, sed  faciliorem  quandam ac brevem hujusmodi Grece lingue notitiam  methodum instituimus. Quoxiam vulgaris hec grecorum lingua suam, ut par est, originem non inficitur, ac fœcundam illam linguarum 1: parentem ἑλληνίδα διάλεκτον, matrem agnoscit, non mirum si ad  ipsam tanquam ad fontem existimem recurrendum, et plurima ex ipsa deprompta censeam referenda. Habet igitur hæc quoque suas XXIV literas, ut  illa, paritérque dividit eas in vocales et consonantes. Vocales  quidem VII agnoscit -- a, e, n, t, o, v, ω -- ex quibus sex proprias diphthongos format at, av, ει, ευ, ot, ov: ex impropriis  tamen preter n, w, et νι, nullas alias admittit. Jam consonantes sunt XVII -- 8 9 60x Au vEmpoactoy d,  ex quibus quaedam tenues r x r; quaedam aspiratæ 0 9 χι  quedam medie f y 2; quedam duplices E ; quedam  denique immutabiles À u ν p.  et  20 25   Quod attinet ad pronunciationem, miror quosdam doctos  licet et non vulgari præditos eruditionis varietate ed temeritatis devenisse, ut germanam, integram, ac πατροπχοάδοτον  recentiorum Graecorum pronunciationem, chimericis nescio   3 quibus ducti conjecturis, totis viribus ausi fuerint quam sane  temerario judicio, sic irrito conatu pervertere, ac deturpare.  Profecto si Grecis maternæ linguæ flexiones, et una cum  lacte acceptos haustosque sonos et accentus puros et intactos  audes denegare, cur barbariseos concedas, cur extero cui-   ο que qui aliarum Nationum aecentus suo nativoque accommo-  dat, toto, ut aiunt, ccelo à recta earumdem Nationum aberrans  pronunciatione atque deflectens. Verum hæc obiter tetigisse  sat erit, pluribus enim prosequi, et vehementius in eos invehi  præsens prohibet institutum, ac brevitatis amor.  Quare ut eo redeat, unde parum aberravit oratio, dicam  de literis in particulari, et primo quidem de A, quæ ore debet  proferri pleno, numquam depresso. Neutro omnia in plurali  hac litera terminantur, quidam etiam in singulari, præci-  puéque Verbalia, ut atvcux no0ti0 à «vo, πάλαια lucta à πα-  Àxiée. Item omnia fere nomina substantiva, et non verbalia  fwminini generis, ut μοῦσα Musa, κάψα calor, dix sitis, etc.  Est praeterea terminativa Aoristi tam activi quam passivi  modi Indicativi, ut ἔχαμα feci, ἐγοάφθηκα scriptus sum.Sic etiam  desinunt omnia adverbia, ut xx22 benè, σεφὰ doclà, &aímux  es egregió, et hujusmodi plura.   B, effertur ut V Consonans, nec ponitur nisi in medio vel  initio dictionis, numquam in fine. Quod autem β sonet V  Consonans ex hoc maxime constat, quod Greci dum B Latinorum pronunciationem volunt exprimere, in nominibus præcipue quibusdam ab ipsis Italis mutuatis, et à græcaliterali  quam longe distantibus non utuntur fj, sed uz, quod apud illos  sonat b, ut videre est in dictione bombarda quam nostri  Græci sic scribunt µπομπάρδα.   l', varie sonat pro varietate vocalium quibuscum alligatur ;   Na cum a, o, o, et ου, eodem prorsus effertur modo, quo, g  Latinorum in ga, go, et qu : At cum i, z, v, ot, e et αι  editur ut gÀ, vel ghiè Italorum, et ut gue et gui Gallorum.  Jante aliam posita, et ante, sonat ut» ut ἄγγελος angelus,  αγκαλλιόζω amplector. # A, densiori quodam spiritu, quam D Latinorum edi debet.  Hispani ad hanc pronunciationem maxime omnium accedunt. E, valet E. In hanc vocalem terminantur præcipue Vocativi singulares Nominum Masculinorum, quorum Nominativus  est in ος, ut xa: bone, ἄτυχε improbe, etc. Item secundae  persone numeri pluralis Verborum cuiuscunque sint modi,  sicut etiam secunda persona numeri singularis Imperativi,  ut «zu: fac, λέγε dic. Item tertia persona Aoristi tam activi ;  quam passivi numeri singularis modi Indicativi. Græci nostri  carent c clauso, uno namque sono, eóque aperto, ut reliquas  omnes vocales, edunt. Z, suaviuseffertur Latinorum Z, æquivaletquesimplici  8, cum in medio dictionis ponitur, ut in hac voce, Musa. Z 10  insuper post r, sonat c, ut in hac voce, ἔτζι constat, et in aliis  pluribus.   H, sonat I, et non E, ut quibusdam placet, eruditis quidem  alioqui viris, at non Grecis, quibus inauditus est hujusmodi  sonus, et omnino peregrinus. Est terminativa nominum tantum generis fœminini, et precipue adjectivorum, ut καλὴ  bona, ἄσποη alba. Item tertiæ persone numeri singularis  Verborum modi Subjunctivi, subscripta « ut διά νὰ κάωῃ ut  faciat.   0, funesta litera, et à solis fere Græcis proferenda, characteribus aliarum linguarum, vel vocibus exprimi scriptis  minime nequit, videtur tamen accedere ad prolationem s,  balbutientium. I, valet I, in quam desinunt omnia fere neutra, quæ  derivantur à græcoliterali in tov, ut ψωμί à φωμίον: κλαδὶ à κλα-  div. δακτυλίδι à ὁχκτυλίδιον. Item omnia diminutiva in κι, ut  ανθρωπαάκι homunculus, et alia innumera.   K, æquivalet C, sed diverso modo; nam cum a, o, o, ov,  sonat ca, co, et cu : at cum i, v, €, v, εἰ, ot, et αι, correspondet  qui et que Gallorum, vel etiam italico chí et chie. K, post y 5  ety, profertur ut g, verbi gratia τὸν κόσμον, et αγκάλι͵ ton gos-  mon, et angáli dicemus. A, valet L, ac semper eundem retinet sonum ante quascunque vocales, et diphthongos posita, licet quibusdam videatur  aliter exprimenda ante «, voluntenim tunc idem prorsus sonare, 3:  quod gli Italorum, vel // Hispanorum. Utrumque sonum non  improbo. M, sonat M, quæ si ponatur anter, variat illius sonum,  ita ut proferatur ut b, ut constat in voce µπαμπακι, bambáki,  id est bombyx. N, quanvis ante a, €, ο. o, αι et ου, Sonet na, me, πο, nu;  attamen ante:, οι, ει et υ (in nobilioribus saltem presentis Grecis locis) sonum gni Italorum, vel duplicis nn Hispanorum prz se ferre videtur. N, ante π æquivalet m, et x b,  exempli gratia τὸν πατέοα patrem. pronunciamus tom batéra.  Est insuper finalis accusativi singularis primæ et secundae   5 declinationis, et omnium genitivorum numeri pluralis, item-  que Nominum neutrorum in ον.  E, effertur ut cs, non vero (ut perverse quidam) tanquam  gs.   O, sonat O, ore aperto prolata. In hanc desinunt quampluio rima nomina neutrius generis, ut ἄλογο equus, etc. quee deberent terminari in ον, si spectetur eorum origo.   II, valet P, sed post µ vel v, respondet B LATINORVM, ut  patet in dictione murs mitto, pémbo, et aliis. Vertitur ali-  quando in ο ut βλάπτω, βλάφτω noceo, γλύπτω γλύφτω scalpo, et   15 alia non pauca.   P, æquivalet R, initio dictionis semper spiritu aspero notatur, cum vero sunt duo (ut fere contingit in medio alicujus  dictionis) primum leni notatur spiritu, secundumautem aspero.  Ponitur interdum loco À, ut στέλνω otéws mitto ; sed hoc ni-   + mis corrupte : melius agitur dum p vertitur in À, præcipue in  dictionibus externis dicendo σκλίµα pro σκρίµα Italico, id  est gladiatura, etc.   3, sonum 8, refert cum sibilo, estque terminativa omnium  prorsus nominum ac participiorum generis masculini, ut   25 ἀντώνιος Antonius, στέκοντας Slans : item accusativorum omnium tam masculini, quam foeminini generis numeri plu-  ralis, ut τοὺς 42205; bonos, ταῖς ἀτνχίχις iniquitates : itemque  nominativorum pluraliumgeneris fceminini, ut αρεταῖς virtutes,  µανάδες matres, etc. Ponitur etiam in fine secundæ person:   3ο omnium Verborum activorum numeri singularis, ut δέρνεις  verberas, κλέγτεις furaris, et omnium temporum activa et  passive significationis eiusdem numeri (si imperfectum passivum excipias) ut &ov:; verberabas, ἔδηρες verberasti, éózo-  θηκες verberatus es, et hujusmodi.   3s T, mystica, ac salutaris litera sonat T, verum posita post v  sonum 0, assumit, ut ἄντρον antrum quasi andron, et ἐναντίον  contrarium enandíon.   Y, idem munus subit quod, I, estque finalis quorundam gravitonorum generis neutrius, ut γλυχν dulce, βαρὺ grave : item   # et eorum qua derivantur à græcaliterali lingua in voy, ut dixzu à ὀέκτυον, et reliqua plura.   $, sonum habet F, vel ph, ut φέονω fero. X, sonus hujus literæ scriptura nequit ostendi, qui tamen  Florentinorum C noverit, ejusdem literæ pronunciationem  non ignorabit, quanvis non tam aspere sit edenda. Sane si chi Gallicum careret sibilo, et Italicum sci, non longe dista-  rent à Greco y.   V, valet ps, ut Ψαλμός Psalmus.   Q, idem przstat quod O, estque terminativa omnium Verborum activa significationis tam presentis quam futuri, ut  ayamà Qo, θέλω αγαπήσει amabo. Mutatur non raro à Græca-  literali in hac vernacula lingua in ov, ut ζωμίδιον jusculum,  Couuí, à πωλῶ Vendo, πουλῶ, et à μιμὼ simia, μαϊμοὺ, etc. Atque  heec de literis, jam nonnulla dicamus de Diphthongis. Αι, correspondet LATINÆ diphthongo, c, in hanc terminantur prima, secunda, et tertia persona singularis przesentis Verborum tam passivorum, quam deponentium. Item et tertia  persona pluralis ejusdem temporis, et nominativi pluralis nominum fcemininorum, et masculinorum prima, et secundae  declinationis. As, ut plurimum sonat af, ut αὐτὸς épse aftos, interdum  vero a6, ut avr aula, quasi An. Quare quoties post «v sequitur 8, , c, 7, 9, x, edenda erit ut a/, si vero post ipsam ponantur vocales, vel cæteræ alive consonantes, supradictis  exceptis pronuncianda erit ut a6. Ει, facit 2, estque terminativa secunde et tertie persons  presentis, et futuri activi Verborum barytonorum, ut γρά-  peus γράγει, et θέλεις γράψεις, θέλει γραψει. —   Εν, effertur ut ef, modo ut :6. quando autem debeat  pronunciari ut ef, quando vero ut «5 observanda est supra-  dicta regula de αυΟι, æquivalet etiam i. Cuius terminationem amant omnes  nominativi plurales nominum terti: et quarte declinationis. Ον, correspondet ow Gallorum, ac sonat Italorum. Hanc  terminationem habet secunda persona imperfecti modi indi-  cativi passive significationis. item omnes fere genitivi singu-  lares nominum masculini generis, et neutrius, si barvtona  excipias in 2; et 7;, et quæ desinunt in «. Item nonnulla no-  mina fœminina ut μαϊμοὺ simia, etc. III habet vernacula hæc Graecorum lingua ut literalis accentus, acutum videlicet ut λόγος, gruvem ut zu, et  5 tandem eircumflexum ut zu.   Loci accentuum sunt quatuor, ultima, penultima, anteponultima, et præantepenultima. Ultima tres recipit accentus,  non quidem omnes simul cum una dictio unius tantum sit  capax accentus, sed potest vel acutum, vel gravem, vel circumflexum, prout ratio exigit, suscipere. Accentum gravem habent omnia monosyllaba ut τὶς, νὰ, δα,  etc. Item adverbia in +, quæ derivantur ab adverbiis græco-literalis linguæ in à; cireumflexe, ut cogz docte, À σονῶς, «ax  bene, à )5:, et hujusmodi plura. Nomina etiam neutra dis8vIlaba in 4, ut κεοὶ cera, voovi corpus, et alia.   Accentum circumflexum suscipiunt genitivi tam singula-  res, quam plurales, in quorum recti ultima accentus est  vel acutus, vel gravis, vel circumflexus, ut 0co; Deus, θεοῦ,  vw, honor, τιμῆς, Y, αρεταῖς virtutes, τῶν αρετῶν. Eundem observant accentum accusativi plurales nominum secundæ declinationis, et omnia verba circumflexa. Penultima etiam duos admittit accentus acutum videlicet  et cireumflexum: hunc suscipit cum penultima est naturá  longa, et ultima brevis in dictionibus plerunque dissyllabis,   i5 ut μοῦσα, θαῦμα, etc. item in iis, quæ terminantur in ovzs, ut  αἰῶνας S@CUTUM, a, ὤνας certamen, et in participiis verborum  circumflexorum, ut χτυπῶντας verberans, αγαπῶντας amans, et  sic de reliquis.   Acutum vero requirit cum utraque est vel brevis, vel   3) longa, ut λόγος verbum, γώρχις urbes, vel longa per appositionem, ut (άῤῥος fiducia. Omnia neutra plurisyllaba  in «, habent accentum acutum in penultima, ut παιγνίδι  ludus, ἀνλρωπακι homunculus. Item omnia plurisyllaba cujus-  cunque sint generis, dummodo habeant ultimam longam   3; acuuntur in penultima, sicuti et omnia verba quæ non sunt  circumflexa, ut ὀννατώνο corroboro, σταλερώνω confirmo, et  alia. Antepenultima duntaxat acuitur, si ultima fuerit brevis,  ut ἄνλρωπος lomo. Ceterum nonnulli et recentioribus Græcis   1, non solent respicere ad ultimam syllabam, sed LATINORVM more habita ratione quantitatis penultimæ, antepenultimam  acuunt si penultima fuerit brevis, ut ἁγιώτατη sanctissima  pro ἁγιωτάτη, ἄδικους injustos pro ἀθίκους, etc. Melius tamen  videtur et elegantius regulas accentuum observare literalis grammaticæ, ad quam velim confugias. Præantepenultima vero acutum agnoscit et circumflexum,  acutum quidem in iis, quorum penultima est in «x, ut  ἀναγκάλλιασις exultatio, ἐνύχτιασεν nox facta, est, quasi ια, unicam efficiat syllabam, et in προπαροξυτόνοι, quibus additur  particula νε, ut κάαμετε, χάμετενε facitis : circumflexum autem in 1  iis quorum penultima circumflectitur, et iis additur articulus  cum particula νε, ut εἰδατονε vidi illud.   Jam spiritus in hac ipsa lingua iidem penitus sunt qui in  græca literali, lenis videlicet, et asper, iisque eodem modo  in utraque lingua utendum est. Quare non parum sumet uti- 15  litatis, et commodi tam in orthographia, quam in nominum  declinatione, inflexionéque verborum is, Qui grainmaticam græcam apprimè calluerit. Cux VIII sint ORATIONIS PARTES, Articulus scilicet, Nomen,  Pronomen, Verbum, Participium, Propositio, et Conjunctio,  de iis singillatim habendus erit sermo, si prius dixerimus quot  casus ac numeros vernacula Græcorum lingua admittat.   IV igitur in quocünque numero casus agnoscit, nominativum, genitivum, accusativum, et vocativum. Genitivus ultra propriam significationem retinet etiam Dativi, ut  σοῦ δίδω tibi do. Accusativus vero non raro ponitur loco genitivi, et præcipue pro articulo cà», ut % τιμήτους pro ἡ τιμήτων  honor illorum, et dicunt ἕνα κομμάτι dou pro bou, idest, so  Jrustulum panis. II tantum sunt numeri tam verborum quam nominum, SINGVLARIS videlicet, et PLVRALIS: respuit namque dualem numerum h:ec lingua, utpote solis Atticis proprium, à  quorum melliflua suavitate quanvis longe distet, suas tamen ss  habet et Musas et gratias.   Articuli nominibus præfigi debent; sed quando : hoc opus  hic labor est. Cæterum vel usus optimus erit præceptor, vel  tua temet materna lingua docebit. Nam si tua lingua articulis  utitur, ubi eos ponere in ipsa conaberis, ibidem collocabis in :  greca. Exempli causa, si Gallice loquens dicas, la feste de  Nostre Dame, eadem græce vertens enunciabis cum articulo ἑορτὴ τῆς θεοτόκου: 8i vero dicas, nous avons grande  s Feste absque articulo, dices etiam græcè, ἐμεῖς ἔχομεν μεγάλην  ἑορτὴν, nullo præposito articulo. Adverte tamen in nomine, ::;, semper præponendum  esse articulum, quanvis in aliis linguis non praeponatur, di-  cendum enim semper est ó θεὸς cum articulo, unde cum dicunt gloria tibi Deus, addentes articulum aiuntdezx σοι ὁθες. Adverte etiam Grecos vulgares carere articulis postpositivis, pro quibus LATINORVM more relativis qui, quce, quod,  utuntur, postponentes ὁποῖος, ὁποῖα, ὁποῖον, ac præfigentes articulos, , 7», τὸ, ut Πετρος 6 ónoio; Petrus qui.  i$ Tres sunt articuli præpositivi, à quibus genus nominum  dignoscitur, ó masculini generis, foeminini, et τὸ neutrius.  Sic autem flectuntur,  Masc. Fam. Neut.  Sing. No. ohic. No. hac. No. ro hoc.  20 Ge. τοῦ Ge. ri Ge. τοῦ  Acc. toy AC. Tv AC. To  Voc. © Voc. © Vo. «©  (P.22)Pl.No. ci hà ^ No. ai vel να No. τὰ hcc  Ge. τῶν Ge. τῶν Ge. τῶν  25 Ac. TOUS Ac. ταῖς vel τῆς AC. Ta  Vo. © Vo. o Vo. à    Ex his facile colligi potest quam malé alii notent in plurali  articulum f@mininum per οἱ diphthongum, quæ soli masculino  generi convenire debet. 5 vel τῆς videtur Ionica loquutio,   30 cujus est mutare in η, nec temere usurpari potest pro αἱ et  Tai.  Qv.x de Nominum divisione inseri hoc loco possent, utpote as Satis dilucida ex aliorum grammaticis, ne in iis recensendis tempus terere videar prætermittam. Dicam tantum qu:  propria censeo in hac lingua.Variæ igitur multiplicésque sunt nominum terminationes, quæ varias etiam sortiuntur declinationes, quarum  numerus licet communiter quaternarius assignetur, à me tamen majoris claritatis ergo sextuplex tradetur. Erunt quippe  declinationes quatuor ἰσοσύλλαξοι, id est parisyllabæ, una par-  tim ἰσοσύλλαξος, et partim περιττοσύλλαξος, quæ in plurali tantum 5  incrementum suscipit, altera demum omnino περιττοσύλλαθος,  qui in utroque numero incrementum admittit. I nominum declinatio est tantum masculinorum in a;  et ης, quorum genitivus in ov, licet satis barbare, et nimis  corrupte apud vulgus exeat in a, vel in η, juxta terminatio- 10  nem nominativi, cum id proprie contingat in accusativo ad-  dito y, quam tamen nonnulli abjiciunt. Pluralis est in auc, ge-  nitivus in à», accusativus et vocativus, ut nominativus.  Exemplum ín az.  Sing. Plur. 15  No. τχµείας promus. .. No. οἱ ταμείχις  Ge. τοῦ ταμείου Ge. τῶν ταμειῶν  ACC. Toy ταμείαν Αο. τοὺς ταµείαις  Voc. à ταμεία Vo. à ταµείαις  Exemplum n ης. 20  Sing. Plur.  Nom. κλέφτης fur. Nom. οἱ χλέφταις  Gen. τοῦ χλέφτου Gen. τῶν κλεφτῶν  Acc. Toy χλέφτην Acc. tous «Jta;  Voc. κλέφτη Voc. κλέφταις 25    Adverte quædam nomina propria in ας oxytona posse termi-  nare genitivum singularem et in ov, et in a, ut Πυλαγορας, τοῦ  Πυθαγόρου, et Πυθχγόρα, quædam vero in a; circumflexa retinere  tantum x in genitivo, ut ó Λουκᾶς, τοῦ Λουκά, etc.  II declinatio foemininis duntaxat gaudet nominibus, 3o  quorum nominativus est in x vel », genitivus in ας vel v;  juxta recti vocalem. Accusativus autem in ἂν vel vy  prout fuerit ultima vocalis nominativi. Exemplum £n a. Sing. Plur. No.  49Jíz amicitia. Nom. » φιλιαῖς  Ge. τῆς φιλιᾶς ! Gen. τῶν φιλιῶν  Dans l'édition originale, le texte porte της φιλιᾶς et x φιλιαῖς.  AC. | rhv qUuxy Acc. ταῖς φιλιαῖς  Vo. © φιλιά Voc. © suis  | Exemplum in η.  Sing. Plur.  Nom. γνώμη opinio. No. 5$ γνώµαις  Gen. τῆς γνώμης Ge. τῶν γνωμῶν  Acc. τὴν γνώµην AC. ταῖς γνώμαις  Voc. c γνώµη Vo. © γνώμαις. Nota híc vocativum singularem et pluralem similem esse utrique nominativo ; quod non contingit in prima declinatione, in qua vocativus singularis amittit. Item genitivum  pluralem notari semper accentu circumflexo, ut fit etiam in prima. III declinatio omnia genera nominum complectitur, quorum masculina, muliebria, et communia terminationem habent in ος, neutra vero in ον, vel in o, genitivus sin-  gularis in ov, accusativus in ov, et vocativus in e. Exemplum masculinorum ín os. Sing. Plur. No. 6 λογισμὸς cogitatio. No. οἱ λογισμοὶ  Ge.  roù λογισμοῦ Ge. . rà» λογισμῶν  Acc. toy λογισμὸν Ac. τοὺς λογισμοὺς  Voc. ὦ λογισμὲ Vo. à λογισμοὶ   Exemplum fœmininorum in os. 25 Sing. Plur.  No. ἡ ἔρημος Solitudo. Nom. ἡᾗ ἔρημοι  Ge. τῆς ερήμου Gen. τῶν ἑρήμων  Acc. τήν ἔρηαον Acc. rai; ἐρήμους  Voc. ὦξρημε Voc. à ἔρημοι ο Hoc eodem modo flectuntur communia additis præpositivis  articulis ó et 2, ut ὁ et % παρθένος tírgO, τοῦ καὶ τῆς παρθένου, etc. Exemplum neutrorum in ον.  Sing. Plur.  No. ro ὀένδρον arbor. Nom. τὰ δένδρα  35 Ge. τοῦ δένδρου Gen. τῶν δένδρων  AC. τὸ 0cyJpoy Acc. τὰ ὄκνδρα    Voc. à δένδρον Voc. à δένδρα. Sciendum autem hic est nomina neutra tres casus habere  similes in quocünque numero, rectum videlieet, accusativum  et vocativum ; quod non tam verum est in hac declinatione,  quam etiam in cæteris aliis, quæ neutra nomina continent.   QvanTA declinatio est masculinorum in ας et ης, quorum  flexio partim convenit cum nominibus prim:e declinationis,  partim vero cum nominibus tertie. Horum igitur genitivus  singularis est in ου, accusativus et vocativus in « vel η juxta  terminationem nominativi.  Exemplum in ας.   Sing. s Plur.  No. 6 σχλιχκας cochlea. No. οἱ σαλιάχοι  Ge. τοῦ σχλιάκου Ge. τῶν σαλιάκων  Acc. toy σᾶἄλιακα Ac. τοὺς σαλιάκους  Voc. c σᾶλιακχα Vo. o σαλιάχοι    Exemplum £n ης.  Sing.  Plur.  No.  6 µάστορικ artifex. Νο. οἱ µαστόροι  Ge. τοῦ µαστόρου Ge. τῶν µαστόρων  AC. τὸν µαστορη AC. Ἅτοὺς µαστόρους  Vo.  Ó µάστορη Vo. à µαστόρη Animadvertas velim in hac declinatione semper nominati-  vum, et vocativum pluralem debere acui in penultima: vocativum vero singularem acui in antepenultima si nomen sit trisyllabum, si vero quadrisyllabum in præantepenultima,  sive quod idem est servare semper accentum sui nominativi,  ut ex allatis exemplis licet colligere. V declinatio amplectitur tam masculina in az et  7; barytona, quam in τς ὀζύτοναχ, et foeminina in +, quorum obli-  qui singulares retinent.recti vocalem ablata ς in masculinis,  et addita in foemininis. Pluralis vero nominativus est pluri-  syllabus in ade; vel οὔδες, genitivus in ων, accusativus et voca-  tivus similes sunt nominativo.    Exemplum ín as,    Sing. Plur.  N. — ó µασκαρὰς nugator. N. οἱ 202020  G. τοῦ µασκαρὰ α. τῶν µασκαράδων  Δ. τὸν µασκαρὰ Α. τοὺς µασκαράδες  V. µασχαρὰ γ. µασκαραθες. MEYER. GRAMM. GRECQUE]  Exemplum in xs.    Sing. Plur.  No. 6 χριτῆς judez. No. οἱ χριταθες  Ge. τοῦ xp Ge. τῶν κριτάδων  s ACC. Toy χριτὴ Acc. τοὺς χριτάδες  Voc. ῥὦ κριτή Voc.  ó κριτάδες,  Exemplum ὃν ις.  Sing. Plur.  No. 6 xps domínus. No. oi χυροῦθες  10e. τοῦ χύρι Ge. τῶν κυρούδων  Acc. τὸν χύρι Acc. τοὺς κυροῦδες  Voc. à χύρι Voc.  & χυροῦδες Adverte composita ex isto nomine χύρις ut νοιχοκύρις; Χαραθοχύρις, etc. formare nominativum pluralem in ide; non in οὔδες,  15 dicimus enim νουιοχύριδες, καραβοκύριδες retinentes t, in omnibus  obliquis.  Exemplum feminini in a.  Sing. Plur.  No.  #ucyx mater. No.  * µανάδες  s) Ge. τῆς μάνας Ge. . tà» μανάδων  Acc. hy μάνα Ac. ταῖς µανάδες  Voc. µάνα Vo. ὠμανάδες    Ex quibus colligi potest nomina in ας et ης masculina, et   foeminina in « habere nominativum pluralem in ἄδες sola  e; vero masculina in & in oie.  Sexta, et ultima declinatio continet tantum nomina  περιττοσύλλαθα neutrius generis, quorum terminatio est α vel :,  genitivus plurisyllabus in ου, ac cæteri casus ut nominativus.  His addi possunt nomina neutra in v. Exemplum in a.  Sing. Plur.  Νο. ro κρίμα peccatum. No. tà κρίµατα  Ge.  roù κριµάτου Ge. τῶν κριμάτων  AC. To χρίµα AC. τὰ xpipata  35 Vo. c χρίµα Vo. à κρίµατα Adverte hzc nomina desinentia in x, posse etiam terminare  genitivum singularem in ος juxta regulam græcoliteralis grammaticæ, ut si quis pro χριµάτου diceret κρίµατος, pro στοµάτου στὀµατος, et sic de reliquis.    Exemplum in ι.  Sing. Plur.  Nom. τὸ rx puer. Νο. τὰ παιδιὰ $  Gen. τοῦ παιδιοῦ Ge. . rà» παιδιῶν Acc. τὸ παιδὶ Acc. τὰ παιδιά  Voc. o παιδί Voc. c παιδιὰ  Observandum est hoc loco apud quosdam non circumflecti  genitivum singularem, et pluralem nominum desinentium in i quum dicunt τοῦ παιδίσυ, et τῶν παιδίων cum accentu acuto. Verum communis usus utrósque circumflectit, quem etiam  sequendum esse censemus, cum ipse hac in re non minimi sit  ponderis, ac momenti. HETEROCLYTA nomina dicuntur, qu: vel novam sortiuntur  flexionem in plurali diversam à singulari, vel genus mutant aut accentum, vel peculiarem quendam declinandi modum,  irregularem tamen constituunt. Ad primum genus hete- 1ο  roclvtorum revocari possunt omnia nomina foeminina in ες,  quorum flexionem unius exemplo satis ediscere poteris. Exemplum n s. Sing. Plur.  Nom. 7 πίστις fides. No. nn πίσταις i5  Ge. τῆς πίστις Vel πίστεως Ge. τῶν πίστεων  Ac. τὴν πίστιν Acc. tais; πίσταις  Vo. © πίστι Voc. o πίσταις Ex nominibus masculinis in ος, nullum reperio quod sit  heteroclytum, prater nomen λόγος, quod in singulari mascu- ao  lini est generis, in plurali veró neutrius, et sic declinatur. Sing. Plur.  No. 6 Àdyos verbum. No. ra λόγια  Ge.  roù λόγου Ge. τῶν λογίων  Acc. τὸν λόγον Acc. τὰ λόγια Voc. Joy: Voc. à λόγια. Huic addi potest nomen fœmininum ὄξοδος, quod cum  sit tertie declinationis, variat tamen in plurali terminationem  accusativi, communiter enim pro cai; -οδους, ponitur cai; ózo-  da, quæ est terminatio accusativi pluralis secundæ declinationis.   At vero neutra omnia in os, ut à/o; flos, κέρδος lucrum, etc.  et nonnulla in ον, ut δέν2ρον arbor, loco « in nominativo plu-  rali reponunt »; dicimus enim 2» lores, γέρδη lucra, et δέν-  en arbores, quorum genitivus est in à» circumflexe.   ο. Nomen ῥίγας Ret, quanvis quinte declinationis, quia ta-  men accentum mutat, et terminationem in genitivo singulari,  ideo non immerito inter heteroclyta annumeramus. Dicetur  igitur in genitivo pro τοῦ ῥίγα juxta regulam τοῦ pro; caeteri  casus tam singulares, quam plurales sequuntur flexionem  quintze declinationis. Nomina propria virorum in οὓς et ως, ac mulierum in  ov et à, non declinantur nisi in singulari, et retinent ου vel ω in  omnibus obliquis. At vero substantiva in o2; in utroque nu-  mero declinantur. Singula propriis exemplis elucescent. 20 Evemplum virorum in οὓς et w:.  Sing. Sing.  No. 0 [ησοῦς Jesus. No. Mivyo; Minos.  Ge.  roù [ησοῦ Ge. ro0Mówg —  Ac. τὸν [ησοῦν Αο. τὸν Μίνων  2: Vo. o [ησοῦ Vo. à Mw    Exemplum mulierum in ov et o.    Sing. Sing.  No. 7" μαϊμοὺ simia. No. 75» Avo Latona.  Ge. Tr μαϊμοὺ Ge. τῆς Aro  30 AC. τὴν μαϊμοὺ Ac. την Λιτὸ  Vo. à μαϊμοὺ Vo. Λιτὼ    Exemplum substantivorum in οὓς    Sing. Plur.  Nom. νοῦς mens. Nom. οἱ νόοι  Gen. τοῦ νοῦ Gen. τῶν νόων Acc. τὸν vov Acc. τους νόους  Voc. vou Voc. νόοι Nomen item nou; et πολὺ heteroclytum est, licet foemininum  πολλὴ nequaquam sit, cum observet regulas secundæ declina-  tionis. Quare sit exemplum masculini πολὺς, et neutrius πολὺ.  Sing. Plur.  Nom. πολὺς multus. No. οἱ πολλοὶ  Gen. τοῦ πολλοῦ Ge. τῶν πολλῶν 5  Acc. Toy row Ac. τοὺς πολλοὺς  Voc. o πολὺ ' Vo. © root.  Sing. Plur.  No. τὸ πολυ muwultwm. Νο. τὰ πολλὰ  (49. τοῦ πολλοῦ Ge. τῶν πολλῶν 10  Acc. ro πολὺ Acc. τὰ πολλὰ  Voc. o πολὺ Vo. πολλὰ    His adde omnia nomina in u; barytona ut βαρὺς, γλυὺς, et  alia, qua sic flectuntur. Sing. Plur. 45  No. ὁβαρὺς gravis. No. οἱ βαρεῖς   Ge. τοῦ βαρυοῦ Ge. τῶν βαρυῶν   Acc. roy βαρὺν Acc. τοὺς βαρεῖς   Voc. à βαρὺ Voc. o βαρεῖς.    Neutra eorum in v, non sunt irregularia sed pertinent ac »  reducuntur ad ultimam declinationem, et eodem modo declinantur quo desinentia in i. atque hæc de heteroclytis.   Verbalia quædam deducuntur à presente versa o in r, si  aliqua praecedat consonans, vel simplex vocalis, sic à v:xo formatur νίκη victoria, et à βοῶ for clamor : si vero vocalem o, ss  praecedat diphthongus ευ, tunc ο, mutatur in a, et v inc, unde  à ὀρυλεύω fit δουλεία servitus, et à φτωχεύω φτωχεία paupertas.  Verum siante o, ponaturov diphthongus, o quidem vertitur  in nat vu abjicitur, ut zxow» audio, a«or, auditus. Ex verbis in γω, quorum penultima est ευ, formantur 30  etiam verbalia in », rejecta v, ut ex φεύγω φυγή fuga. Ea vero  quæ vel solam e habent, vel junctam cum in penultima, mu-  tant o in oc, ε in ο, et abjiciunt « ut λέχω λόγος verbum, σπείοω  σπόοος Semen. Sunt etiam alia verba in γω, quorum penultima  est in x, et hiec verbale formant in t, ut ozye φαγὶ, cibus, et ss  additione ro, φαγιτὸ. Verba etiam in ὁῶ circumflexa verbalia  habent in t, ut τραγουδῶ CAO, τραγοῦλι cantus, et lolo da floreo,  λουλοῦδι flos. At in νῶ, et 0o formant verbalia in ος, ut πονῶ do-  leo, πόνος dolor, et ποθῶ desidero, πόθος desiderium. Tandem ex verbis in uw effingi possunt verbalia in µα rejecta v, ut à  κάμνω facio, κάµωμα factum. Quædam autem suam desumunt originem ab aoristo activo,  et hæc vel desinunt in ux et uo;, vel in i, velin ua. S Verbalia in ya et µός formantur à prima persona aoristi   - primi, qui si fuerit in σα verborum barytonorum formabit  guum verbale ponendo inter set x, u, ut ἀνούω audio, aoristus  primus est ἄχουσα, hinc interposita u, inter c et a, fit ἄχουσμα  auditio, et versa ux in uo; ακουσμὸς nominis fama. Dixi verborum barvtonorum, quia. aoristi verborum circumflexorum  mutant simpliciter ox in uz, et rejiciunt c, si fuerit augmen-  tum syllabicum, ut κινῶ, ἐκίνησα; ox in ua, et ablato e, aug-  mento syllabico, xéaux motus.   Verbum δένω ligo, quanvis barytonum, et aoristum habeat in σα, ejus tamen verbale exit in ux, et non in cua, ut ἔδεσα,  Œua vinculum, et additione τι, δεμάτι fasciculus.   Si ultima aoristi fuerit in λα, vel ρα formanda erunt verbalia  in ua, et voc, interpositione u, εἰ ablatione augmenti,  quod si ejus penultima fuerit ει, rejicienda est ι. si vero n   0 tantum verti debet in α, ut σπείρω semino, ἔσπειρα. antpux Se-  men, δαίρνω verbero, ἔδηρα, ὀαρμός verberatio. Tandem verbalia in τς, τα, et wo deducuntur à secunda per-  sona ejusdem aoristi mutando ε in :, et abjiciendo e, si fuerit  augmentum syllabicum, ut ab εκίησες, Ἀίνησις motus, ab ἐπορπάτησε: Gmbulasti, ποοπατησιὰ ambulatio, et ab ἔκλεψες furatus  es, Χλεψιμιό furtum. Adverte tamen caracteristicam v, ver-  tendam esse in c, ut*ab éxcues judicasti fit κοίσις judicium,  mutata v in £,e in ν et rejecto augmento.   Atque hæc de derivatione verbalium substantivorum, nam   30 de adjectivis infra suo loco dicendum. Illud tantum addo ex  ipsis substantivis derivari alia nomina substantiva in ox,  έζα, οὔλα, et όπουλον, quæ diminutionem significant, ut à  ματι OCUÎUS, µατάκι OCellus, à καρδιὰ cor, καρδίζα corculum,  à ψυχη anima, ψυχούλα animula, et ab εὐκγγέλιον evangelium, εὐχγγελιόπουλον evangeliolum, etc. Jam dicamus de numeralibus, quorum aliqua sunt cardina-  lia, ut loquuntur, alia ordinis.   Cardinalia sunt hæc:  Masc. Fam. Neut.  10 Sing. Ν. ἕνας unus. µία una. ἕνα UNUM.  (1. ἑνὸς vel ἐνοῦ μιᾶς ἑνοῦ   À. ἕναν vel ἔνχνε. μίαν ἔνχ. Hinc composita masculini generis καθένας unusquisque, xavé-  vas nullus, vel κανεὶς à literali εἷς, et foeminini πασαµία unaqueæ-  que, et χαµία nulla, et neutrius καθένα, et per syncopem xat  unumquodque, et χανένα mullum, eodem prorsus modo flec-  tuntur, quo primitiva ἕνας, µία, ἕνα paritérque carent numero 5  plurali, et vocativo. Avo duo, est omnino indeclinabile omnisque generis,  cum dicatur οἱ, αἱ καὶ τὰ δύο, in omnibus casibus solos articulos variando; reperitur tamen interdum genitivus τῶν duo  duorum. Τρεῖς tres, est commune, cujus genitivus cpu, acc. τρεῖς.  Neutrum habet τὰ τρία tria. ge. τριῶν. acc. τρία.   Técoape; quatuor, etiam est masculini ac fceminini generis,  ge. τεσσάρων. acc. técoapes. Neutrum est τὰ τέσσαρα. ge. τεσσάρων. acc. τέσσαρα. Atque ab his usque ad ἑκατὸν centum sunt is  indeclinabilia, ut πέντε quénque, & sex, ἑφτὰ septem, óxzo octo,  one novem, déxa decem, ἔνδεκα undecim, δώδεκα duodecim,  (ὁριατρία vel δεκατρεῖς tredecim, δεκατέσσαρα Vel δεκατέσσαρες qua-  tuordecim, apud modernos Grecos declinantur,) δεκαπέντε  quindecim, δεκάξη sexdecim, δεκαφτὰ septemdecim, δέκα ὀκτὼ 30  decem et octo, δέκα ἐννειὰ decem et movem, εἴιοσι viginti,  εὔνοσι ἕνα viginti unum etc. τριάντα triginta, σαράντα quadra-  ginta, πενήντα quinquaginta, ἑξήντα sexaginta, ἑδδομήντα sep-  tuaginta, ὀγδοήντα octoginta, ἑνενήντα nonaginta, ἑκατὸ cen-  tum. Hinc jam incipiunt declinari oi διακόσιοι, n διακόσιαις, τὰ ss  διακόσια ducenti, etc. τριακόσιοι trecenti, etc. χίλιοι, χίλιαιςχίια mille, hinc δύο χιλίαδε duo mille, τρες χιλιάδες  tria millia, récoures χιλιάδες quatuor millia, etc. usque  ad ἕνα μιλιοῦνι millionem generis neutrius, unde déo μιλιούνια  duo milliones et sic deinceps. Ordinalia sunt πρῶτος primus, δεύτερος secundus, τρίτος  tertius, τέταρτος quartus, πέµπτος quintus, ἔχτος sextus, ἔδδομος  septimus, ὄγδοος octavus, ἔννατος nonus, δέχατος decimus, ἐνδέχατος wndecimus, δωδέκατος duodecimus, δέκατος τρίτος tertius  decimus, δέκατος τέταρτος decimus quartus, etc. εἰκοστὸς vige- s;  simus, εἰκοστὸς πρῶτος vigesimus primus, etc. τριακοστὸς  trigesimus, τεσσαρακοστὸς quadrigesimus, πεντηκοστὸς quinqua-  gesimus, ἑξηκοστὸς Sexagesimus, ἑβδομηκοστὸς septuagesimus, 1., ligne 12 de l'édition originale, le texte porte μιλῶν, puis  μιλιούνια. —, 1. 6, il a διακοσιστὸς. Dans un cas comme dans l'autre  ce sont de simples fautes d'impression.  ὀγδοηκοστὸς OCtuagesimus, ἐννενηκοστὸς nomagesimus, ἑκατοστὸς centesimus, δικκοσιοστὸς ducentesimus, τριακοσιοστὸς trecente-   Simus, τετρχκοσιοστὸς quadringentesimus, etc. χιλιοστὸς mille-   simus, χιλιοστὸς πρῶτος millesimus primus, et quæ sequuntur.  AnjECTIVA Sunt quae propriis ac substantivis nominibus   præfiguntur : horum autem quedam sunt in ος, quædam in ης: alia in a5, alia in ig, alia denique in υς. De uniuscujusque  terminatione singillatim agendum hoc loco.   Et primo quidem adjectiva in o; pertinent ad tertiam  declinationem, quorum si terminatio fuerit in o; purum, quod  Scilicet non subsequitur consonans, sed vocalis, aut diphthongus, foeminina desinent in «, ut ἄγριος ferus, &yovx fera, ἄγριον  Jerum. Unum excipe óydoo; octavus, ὀγδόη octava. Si vero  Sint in o; non purum, habebunt fceminina in v, ut καλὸς, xa35,.  καλὸν bonus, bona, bonum, qux ad secundam declinationem  revocari debent, neutra vero in ov tertize declinationis.   e; Adjectiva in ης quædam sunt prime, quaedam quintæ declinationis, utraque fœmininum formant vel in pu secunde  declinationis, ut κλέφτης fur, κλέγτρια. ἀκαμάτης negligens, ἄχαµάτρια: Vel in σα illud addendo, ut χωράτης rusticus, χωριάτησσα  rustica, etc., quæ semper retinent accentum penultimæ sui   s»; masculini, ut patet in exemplis allatis, exceptis duntaxat adjectivis in ϱης, quorum fœminina non observant accentum  penultimæ, ut διχκονάρης mendicus, διακοναριὰ mendica et ψωµατάρης Tnendazx, ψωµαταριὰ, etc. atque hsc omnia neutris  carent. ᾿ x» At vero in ας sunt quinte declinationis, et formant fœmnina aliquando in αινα ut pxyxs VOTAX, φάγαινα voraz; Sæpissime in ica, ut βασιλιὰς Imperator, βασίλισσα Imperatriz,  ῥίγας Rex, ῥίγισσα Regina, et alia plura quæ neutrum penitus  ignorant. Que desinunt in & ad sextam declinationem referuntur, et  habent fceminina in iz secundæ declinationis, neutra vero in  , sextæ declinationis, ut pæzpis, µαχριὰ, μακρὶ longus, longa,  longum. Nomen κύρις Dominus, foemininum habet χυρὰ, non  vero κυρία, nec format neutrum inc |   40 Tandem adjectiva in w sunt etiam sextæ declinationis, ex  quibus for(P. 47)mantur fœminina in eix secund: declina-  tionis, et neutra in ? sextæ, ut γλυκὺς, γλυκεῖα, γλυκὺ dulcis, et  dulce. Bzpu;, xotix, βαρὺ gravis, et grave, et hujusmodi  plura.   Jam Comparativa in repos, et Superlativa in raro; ex iis præcipue deducuntur adjectivis, quorum terminatio est in ος, ες,  et v; ; alia enim explicant sua comparativa, vel per πλέα vel  per µεγαλήτερος; », o», Superlativa vero per µεγαλώτατος, n, ov, ut  cum dicimus πλέα ἀκαμάτης negligentior, µεγαλώτατος φαγὰς edacissimus, et ó µεγαλήτερος ἄοχοντας τῆς χώσας tota urbe nobilior. Quá tamen ratione Comparativa, et Superlativa formentur  ab adjectivis in ος, «c, et us, quaeve litera dematur, mutetür-  que vocalis sequentibus clarum fiet exemplis.  ( ἄγριος ἀγριώτερος &ypworzros sylvestris  ος $ ἔνδοζος ἐνθοξότερος ἐνδοξότατος gloriosus 15 σοφὸς, σοφώτερος, σοφώτατος, SUDIENS.  ις | μακρίς, µακρίτερος, µακρίτατος, longus.  u; | βαρὺς, βαρύτερος, βαρύτατος, gravis. Ex his facile colligere potes, adjectiva in ος, quorum pe-  nultima est longa, servare o, in comparativis ac superlativis ;  mutare vero in o, cum sit brevis.   Adverte etiam in hac lingua, ex adjectivis in o; non purum,  formari quidem comparativa in τερο:, et superlativa in raros,  sed mutari o in η, in solis comparativis : sic à καλὸς bonus fit  χαλήτερος ?elior, à γοντοὺς CTASSUS, χοντρήτερος C'assior, à usya-  λος Magnus, µεγαλήτερος major, etc. Posset aliquis dicere hujus-  modi comparativa desumi à foemininis καλη, χοντρή, et µεγάλη  addito recos, sed tunc cave ne dicas superlativa «a4Zracos, χον-  τρήτατος, et µεγαλήτατος, hæc enim semper respiciunt masculina; quare dicendum erit καλώτατος optimus, χοντρότατος crassissimus, et μεγαλώτατος maximus. Adverte item adjectivum φίλος non habere comparativum in  τερος, et Superlativum in τατος, sed illa exprimere per µεγαλήτε-  pos, et µεγαλώτατος, Ut pod εἶνχι τοῦτος µεγαλήτερος φίλος οδί hic  mihi magis amicus, et µεγαλώτατος φίλος amicissimus. Ex adjectivis in uz, πολὺ: tantum est irregulare, hujus enim  comparativum est vel πολλότερος à moo; inusitato, vel περισ-  σότερος à περισσὸς, undein plurali περισσότεροι major pars, vel  plerique : superlativum vero πολλότατος quan multus à πολλ2ς. Atque hæc de gradibus comparativis et superlativis, super- 4o  est ut nonnulla dicamus de adjectivorum derivatione, ut completam de illis habeamus doctrinam. Adjectiva quaedam sunt primitiva ut χαλὸς bonus,  quædam derivata ut Tewxónow parvus Turca. À primitivis deducuntur alia, quæ diminutiva dicuntur, quorum ter-  minationes sunt in ούτζυιος, n, ov, et in όπουλος, α; ov, ut καλὸς   s bonus, καλούτζιχος, n, ον, subbonus, a, um. et ῥωμπὸς græcus,  ῥωμηόπουλος, α, ον, greculus, a, um, et similia.   A substantivis feminini generis in «, modo exeunt adjec-  tiva in as, ut à γλῶσσα lingua, γλωσσὰς loquax : modo in κὸς ut  à καρδιὰ COT, καρδιακὸς cordialis : modo in pw ut à βάρκα   ιο cymba, βαρκάρης portitor: modo in ov, ut à γυναῖκα mu-  lier, γυναικούλης muliebris: modo in τερὸς, ut a ζημιὰ dam-  num, ζημιατερὸς damnificus ; et tandem in vos, ut à χαπέλα sacellum, καπελάνος sacrarii custos.   Item præstandum est si à neutris deducenda sunt adjectiva, cum hac tamen differentia, quod nominativo plurali  addenda sint, p;, roc, ινὸς et paxo;, ubi in foemininis soli nominativo singulari imponebantur, sic à χέρατα cornua, additione  v, fit κερατὰς cornutus, à παραμύθια fabulæ, additione  pns, παραμνθιάρης fabulosus, à γέεια barba, γενειάτος barbu-   so tus, à ψώματα mendacia, ψωμµατωὸς, et ψωματάραος mendax,  et hujusmodi plura.   Substantiva foeminina in », modo sua formant adjectiva in  ηρὸς, ut τόλμη audacia, τολμηρὸς audax ; modo in ερὸς, ut βλάβη  noxia, βλαθερὸς noxius; modo in repos, ut λύπη tristitia, λυπη-   as τερὸς tristis : modo in τικὸς, et vc, ut cum honor, τιμητοιὸς et τί-  µιος honorificus, et denique in pa; verso v in «, ut µήτη nasus,  µηταρας nasutus.   Sic etiam à substantivis in o; deduci possunt adjectivain ερὸς,  ut à dodo; dolus, δολερὸς dolosus, à φόθος timor, φοθερὸς timendus   30 etc. in οιὸς, ut à τέλος finis, τελιχὸς finalis, τόπος locus, (P. 52) το-  rexos localis, et alia : in vc, ut ab οὐρανὸς calum, οὐράνιος cælestis : in εινος, ut ab aeco; aquila, ἀετεινὸς aquilinus: in vos, ut  ab ἄνθρωπος homo, ἀνθρωπωὸς humanus; et tandem in ιάροιος,  ut à ῥόζος nodus, ῥοζιάρικος NOOSUS, κμπος κομπιάρικος, et similia.   ss À neutris in ον fiunt adjectiva in ένιος et ενος, ut à ξύλον lignum, ξυλένιος, et ξύλινος ligneus : item in coc, ut à πρόσωπον  persona, προσωπικὸς personalis. At neutrorum in «, adjectiva  exeunt vel in dom, ut ypœu accipiter, γερακάρης accipitra-  rius : vel in ἄτος, ut μουστάκι MyStAT, µουστακάτος mystacem   0 habens magnum : vel in ταος, ut σχυλὶ canis, σχυλίτοιος σαπέ-  nus : vel sæpissime in ac, ut ψάρι páscís, ψαρὰς piscator, µουλάρι mulus, μουλαρὰς mulio, et hujusmodi plura. Fœminina in &, quæ non sunt verbalia habent adjectiva  simpliciter in ræos,ut πόλις urbs, πολιτινὸς urbanus, verbalia vero si sint in os mutant ç in v, ut χίνησις motus, κινητυκὸς  motivus ; si vero in φις, vel Ex. i vertetur in g, et E in x, ut  βλάψις (quod tamen non est in usu) βλαντικὸς damnificus, et s  φύλαζις conservatio, φυλακτικὸς conservativus.   Sunt etiam non exigui numeri adjectiva, quæ suam des-  umunt originem à verbis, quorum alia sunt in aro;, alia in prog,  alia in χρὸς, quædam in της, et Tes, alia demum in τὸς; ho-  rum autem formationem is omnium optime tenebit, qui græcoliteralem grammaticam in primis calluerit: Verum ne rudis  et Tyro, et τῶν ἑλληνικῶν µαθηµάτων penitus ἄγευστος ab hac nostra  Græco-vulgari lingua longe videatur arceri, has sibi regulas  observandas proponat.   Primum adjectiva in aro; derivari à presenti mutato ω in 15  a, et addita τος, ut à φεύγω fugio, φευγαάτος fugitivus :  item  in »oo; mutato o in », ut a πνίγω Su[foco, πνιγηρὸς suffocato-  rius: item in µος, et precipue a verbis in do versa ζω in pros,  ut à γνωρίζω COJNOSCO, γνώριμος cognitus : item in xo; muta-  tione ω in «, ut à γράφω scribo, γραφυὸς, qui pertinet ad so  scripturam.   Secundoadjectiva in τυκὸς, τῆς et vo; deduci à prima persona  aoristi activi versa ultima syllaba in ræos, τῆς et τὸς, rejectó-  que augmento, ut ab ἐκίνησα movi, fiunt κινητικὸς motivus,  κωητὴς MOVENS, et κωητὸς Mobilis, ἀγάπησα amavi, ayamncos t5  amabilis, ἀγαπητῆς amans, ἀγαπητιαὸς amatorius, unde ἄγα-  run amasia, et similia. Quod si ultima aoristi exierit in £a,  vel da,tunc in formandis adjectivis E verti debet in x et ψ, in  vel φ et a, in τικὸς, τῆς et τος, ut ab ἔσμιχα miscui, fit σμικτὸς  mixtus, σμικτικὸς admixlivus, et ouixrns miscens sic ab ἔγραψα 30  deduci possunt γραπτὸς scríptus, yp&(P.55)prn; scriptor, et  γραφτικὸς qui scribi potest, et ita de reliquis. Ῥποπονινα dividi solent in primitiva, possessiva, demon- ss  strativa, relativa, composita, interrogativa, et infinita.   Primitiva sunt tria, ἐγὼ prim» persons : ἐσὺ {u, Secun-  dz persons; τοῦ sui, tertiæ persons. Hæc autem sic flec-  tuntur. Sing. Nom. εγὼ ego.  Gen. poo mei, et mihi.  Acc.  é£u£yx vel μὲ me.  Plur. Nom. ἐμεῖς nos.  5 Gen. ἐἑμῶν et ἐμᾶς mostrum vel nobis.  Acc. ἐμᾶς νε] μᾶς nos.  Sing. Nom. cv tu.  Gen. σοῦ tui et tibi.  Acc. ῥἐτένα vel oc te.  10 (P. 56) Plur. No. ἐσεῖς VOS.  Gen. ἐσᾶς vel σᾶς vestrum et vobis.  Acc. ἐσᾶς vel σᾶς vos.  Sing. Gen. τοῦ sui vel sibi.  Acc. 1680.  45 Plur. Gen. τῶν suorum vel sibi ipsis.  ACC. cov; SUOS.    Ubi adverte duo priora primitiva habere genitivum plura-  lem similem accusativo; posterius vero carere utroque nomi-  nativo, atque hac omnia tria privari vocativo. Item accusa-   «0 tivum τὸν, quum  postponitur alicui verbo assumere :, ut  εἴδατον vidi illum, εἴδατονε.   Possessiva sunt sex, ἐ)ιιόσμου, ἐδικήμου, ἐδικόμου, meus, mea,  meum : ἐδικόσσου, ἐδικήσου, ἐδικόσου tuus, tua, tuum: ἐδιιόσ-  του, ἐδικήτου, ἐδικότου SUUS, δα, SUUM : ἐδικόστου quum ad fce-   :; minina tantum refertur assumit non ineleganter pro του,  της, Videlicet ἐδιχόστης, εδικήτης, ἐδικότης, non solum in singulari, sed etiam in pluraliéduxóguas, ἐδιχήμας, doux; noster,  nostra, nostrum : ἐδικόσσα:, ἐλικήσας, ἐλικόσας vester, vestra, vestrum : ἐδικόστων, ἐδικήτων, ἐλικότων vel ἐδιχόστους, &ui-   τους, ἐδικότους €0rum, earum, eorum. Horum masculina, et  neutra ad tertiam pertinent declinationem, fœminina vero ad  Secundam, et µου, σου, του, µας, σας, των et τους, remanent im-  mutata in omnibus obliquis, ut ἐδιχόσμου, ἐδικαῦμου, ἐδιχόνμου, etc.  Dicitur etiam éCwósuov,' δικήµου, δικόµου, ablata e, si præ-   3; cipue preecedat vocalis, vel diphthongus, ut εἶναι δικόµου τὸ  χαρτι, liber est meus.   Demonstrativa sunt duo, τοῦτος vel ἐτοῦτος hic, ἐκεῖνς vel  χεῖνος ille, tertiæ declinationis, quarum fœminina τούτη h&c,  et εκείνη illa, secundae ; et neutra τοῦτο, et ἐχεῖνο hoc, et illud   # tertiæ. Animadvertas rogo, genitivum singularem et plura-  lem juxta regulam non debere circumftlecti, cireumflecti tamen apud quosdam vel additione alicujus syllabæ, ut fit in  genitivo singulari τούτου Aujus, τουτουνοῦ, τούτης, rournvis, et  in plurali τούτων horum, couzow ; vel sine ulla additione, ut  quum dicunt ἐχεινοῦ pro éxeivou, ἐκεινῆς pro ἐχείνης, et ἐκεινῶν pro  ἐχείνων.   Relativa quatuor enumerari possunt αυτὸς, αὐτὴ, «vro ἔρδο,  ipsa, ipsum, quod interdum sumitur pro £y», ἐσν et exeivos :  ἔποιος, ἔποιχ, ὅποιον, vol ἔγοιος, Éyoux, ὅγοιον quicunque, queæ-  cunque, quodcunque : ὁποῖος, ὁποῖα, Onoicy Qui, qua, quod,  et correspondet articulo literali ὃς, 7, 0 et ἔστις quisquis,  cujus genitivus ὄτωος, accusat. ὅτια, et non plus ultrà.   Ex relativo αὐτὸς, αὐτὴ, αὐτὸ deducuntur composita tria.  Prime persone ἁπατόσμου vel ἁατόσμου eo ipse, αἀτήμον vel  ἁπατήμου, ego ipsa. Secundæ personæ ἁπατόσσου vel ἀτόσσου  iu ipse, ἁπατήσου tu ipsa : et tertie personæ ἁπατόστου  vel ἀτόστου Se 2pse, ἁπατήτου vel ἁπατήτης  ipsa.   Hec pronomina solum habent utriusque numeri rectum, obliquis carent, et genere neutro, verum id tantum admittit  tertia persona, cum reperiatur ἁπατότου et ἁπατάτα. Cæteri  casus desumi debent à sequentibus. Et quidem prim: persona. Sing. Gen. ἐμαυτοῦμου met ipsius. ACC. ἐμαμτένμου Me ipsum. Plur. Gen. ἐμαυτοῦμας nostrum ipsorum.  ACC. ἐμαυτόνμας mos {ρδοδ.  II persona.  Sing. Gen. ἐμαντοῦσου fui ipsius.  Acc. ἐμαυτόνσου Le ipsum.  Plur. Gen. ἐμαυτοῦσας vestrum ipsorum.  ACC. ἐμαντόνσας VOS $psos. III verd persons.  Sing. (Gen. ἐμαυτοῦτου sui ipsius.  Acc. ἐμκχυτόντου Se ipsum.  Plur. Gen. ἐμαυτοῦτους vel éuavroëruv.  Acc. ἐμαυτόντους Vel ἐμαντόντων. Nota hujusmodi pronomina primæ, et secundæ per-  sonæ communia esse maribus ac foeminis immutato prono-  mine µου et σου : tertiæ vero non item, cum pro του foeminina  Sibi adsciscant της, ut τοῦ ἐμχυτοῦτης, et τὸν ἑμαυτόντης, atque id tantum fieri debet in singulari, nam in plurali utriusque  generis nomina omnino conveniunt.  Interrogativa pronomina sunt haec τὶς quis et qua, com-  munis generis: ri quid? neutrius ποῖο vel mot; quis  saut qualis? omnis generis ita ut fcemininum exeat in  a, ut ποῖα QUO ? et neutrum in ον, ut ποῖον, quale? de flexione  ποῖος, nulla potest esse difficultas, ideo ponemus tantummodo  declinationem τὶς et «i. Masc. et Fœm.  ιο Séng. N. ris quis et quæ? Plur. N. rives qui?  G. τίνος G. τίνων  À. τίνα À τήας.  (5. 61) - Neut.  Sing. Nom. τὶ quid?  45 Gen. τίνος  Acc. rti. Neutrum plurali caret, pro quo usurpatur ποῖα, ut ποῖα πραγ-  para qua res? Differt τις à τοὰς non tantum syllabis in recto,  et in obliquis accentu, cum τωὰς habeat genitivum ro, et ac-cusativum rox, verum etiam significatione, nam cruz; significat aliquem, vel nullum, nec est interrogativum, ut «is.   A pronomine ποῖος derivatur κάποιος, χάποια, χάποιον aliquis :  ἔποιος vel ὅγοιος quisquis, et à τις ὅστις quicunque, quæ reti-  nent suorum, ut ita dicam, parentum declinationem.   :3 Demum tria sunt pronomina que dicuntur infinita, δεῖνα  talis et tale, omnis generis. gen. deivoz. acc. dx, caeteris ca-  Tet. τέτοιος, τέτοια, τέτοιον lalis, et ταδεποιὸς, ταδεποιὰ, ταδεποιὸ  talis et fale, atque hæc declinantur integré per omnes  casus et numeros, masculina quidem et neutra juxta tertiae, fœminina vero juxta secundæ declinationis modos, ac for-  mam.   Illud observatione dignum hoc loco censui μοῦ, σοῦ, τοῦ, μὲσὲ, τὸν, τῶν, τῆς et τοὺς: enclyticas appellari voces, quod vel pro-  prium amittant accentum, vel illum ad præeuntem, ac præcedentem syllabam remittant. Hoc autem tribus modis, ut  plurimum potest contingere. Primo si antepenultima præcedentis dictionis acuatur, vel  penultima accentum habeat circumflexum, ut τὰ »piuat& µου  peccata mea, Μοῦσα σου Musa tua, τὰ λόγια του verba sua, etc. SecundoSsi vox antecedens enclyticam accentum habeat acu-  tum in penultima, vel gravem in ultima, pronomina illa penitus quidem suum deponunt accentum, at gravis transit  in acutum, ut ó λόγος του verbum suwm, τὸ πουλίµου avis  mea: circumflexus tamen remanet immutatus, ut κινῶ cc mo-  veo te : idem præstatur si ultima prioris vocis acuatur. Tertio et ultimo usus obtinuit in enclyticis pronominibus;  suum ipsorum accentum retinere, quando præpositionibus  conjunguntur, vel conjunctionibus disjunctivis, ut διὰ σὲ  propter te, non διά σε, et ñ μὲ σκοτώνω σέ ἐλευθερώνω vel me  occido, vel te libero, et similia. Ur facile est hodiernae Grecs lingue Verborum conjugationes exponere, cum multiplicem illam tot temporum, modorümque respuerit distinctionem, ita quoque perarduum  esse constat eadem in certas distribuere classes, certísque 5  sedibus collocare, tam ob defectum futuri, quam propter diversam finalium characteristicarum varietatem, ne dicam corruptionem. Ceterum antequam ad istam terminationum  farraginem deveniamus, non abs re videbitur nonnulla præmittere, quæ ad faciliorem Verborum notitiam requiruntur. so Verba igitur omnia vel sunt activa, quorum nota est o,  et formant passiva in µαι, vel passiva ab activis deducta,  vel neutra qux desinunt in «e, sed nullum efficiunt passivum in µαι, vel demum deponentia, quæ vocem ac sonum  habent passivum, at significationem activam; rejiciantur ss  ergo ab hac lingua verba communia, seu, ut Grammatici  loquuntur, media. Sunt etiam alia verba quas dicuntur impersonalia, non quod nullius sint persons, cum efferantur in tertia persona; sed quod ad nullam certam, et deter-  minatam personam referantur, ut quum dicimus πρέπει νὰ ἀκολουθήσωμεν τὴν ἀρετὴν, καὶ νὰ ἀφήσωμεν τὴν χακίαν Oportet  ut virtutem sequamur , vititmque relinquamus, illud  "pere: nullam habet personam, quam certo et definite respiciat. Dividuntur supradicta verba duas in partes, quarum una ss  nuncupatur barytonorum, altera circumflexorum, verba  nanque in ut, nec per somnium quidem vidit unquam praesens  Grecia. Utraque verba duos habent, ut nomina, numeros  singularem et pluralem, tres personas, quinque tempora, quorum tria sunt simplicia Præsens, Imperfectum, et Perfectum, duo vero composita, Plusquam-perfectum, et Futurum, modos item quinque Indicativum, Imperativum, Optativum, Subjunctivum, et Participium. Carent Infinitivo  s pro quo utuntur Subjunctivo. Verba quc vulgo appellantur  auxiliaria, quibus supradicta illa tempora composita exprimuntur duo precipue sunt θέλω volo, et ἔχω habeo, hoc  quidem utimur ad exprimendum Plusquam-perfectum, illo vero Futurum et præsens Optativi, per suum Imperfectum ἤθελα vellem. Jam barvtonorum  Conjugationes tradamus, quarum  numerus à varia Perfecti, seu aoristi terminatione colligi  debet. Cum igitur Perfectum modo exeat in φα, modo in £a,  et cx, modo in quatuor liquidas À, u, v, o, pro hujusmodi is quadripartita Perfecti desitione, quatuor etiam nos barytonorum conjugationes instituemus. Prima est in (o, βγω, πω, qu, et cro, ut αλείθω ungo,  νίόγω lavo, λάμπω fulgeo, γράφω scribo, ἀνάφτω  accendo, perfectum habet in dz, ut ἄλεψα unti, ἔνιψα   ο lavavi, ἔλαυψα affulsi, ἔγραψα scripsi, ἄναψα accendi. Ad  hane conjugationem revocari possunt verba in eu» vel εὔχω  et πώγω, ut βασιλεύω vel βασιλεύγω regno, et σκηύγω inclino,  quorum perfectum apud quosdam Græcos exit in ja, ut εδασί-  Asa pro εξασίλευσα regnavi, et ἔσκνψα inclinavi, fortassis .   >; Similitudo soni ευσα et ex, eos in hujusmodi mutationem,  vel potius errorem induxit.   Secunda in γω, xo, Χνω, Χτω, χω; yv», σσω et ζω precipue  trisyllabum et dissyllabum, et quod ante £ assumit «, ut  πνίγω Suffoco, πλέκω mnecto, δείκνω ostendo, τρέχω curro, pixco   404040; σποώχνω impello, ów»ro persequor, τάσσω pro-  mailto, κράζω et φωνάζω voco seu clamo, perfectum habet  in £a, üt ἔπνξα suffocavi, ἔπλεα meri, ἔθειῖα ostendi, ἔτρεξα  cucurri, &iza jeci, ἔσπρω2z impuli, ἔλιωζα persequutus  Sum, ἔταία promisi, ἔχραζα et ἐφώναξα vocavi, seu clamavi.   x;  lertia in do, 0», o purum, et in ζω quadrisyllabum, et  precipue quod habet ι ante 5, ut προδίλω prodo, ἀλέθω molo,  ακούω QUO, σκοτειιαζω adumbro, et γνωρίζω cognosco, per-  fectum efficit in σα, ut ἐπρόλωσα prodidi, ἄλεσα molui,  ἄχουσα QUdivi, εσκοτείνιχσα aduinbravi, et ἐγνώρισα cognovi.   # Ad hanc conjugationem spectant omnia verba in ώνω à græco-literali deducta in όω, et omnia illa quæ in Græco-vulgari  assumunt v ante o, ubi prius desinebant in o purum, ut τελειώνω perficio, ἐτέλειωσα perfeci, dem ligo, ἔδεσα ligavi,  ἐνλύνω Vestio, &iusx vestivi, et alia quae per o purum scri-  bebantur, ut raie, δέω, et ἐνδύω.   Quarta denique continet verba in 4», po, vo, co, ut νάλλω  canto, κάµνω facio, κρίνω judico, «cito corrumpo, perfectum vero in /z, ua, vx, cz, ut &ixAx cantavi, ἔκαμα feci,  &oux judicavi, &usx corrupi. Ubi adverte quum duplex  est aux in presente, perfectum primum tantum ser-  vare, ut evo ver bero, ἔδηια verberati, etc. MODUS CONJUGANDI T)   VERBA BARYTONA. Verbi Activi Indicativi.    Pres. Sing. γράφω, γράφεις, γράγει Scribo.  Plur. yoxqous, γράφετε, γράφουσι, vel γράφουνε. Tertiæ persons pluralis numeri, quod in : desinit, 1:  additur more Attico v, si precipue subsequatur vocalis.  Imp. Sing. έγραφα, ἔγραφες, ἔγραφε Scribebam.  Plur. ἐγράφομεν, ἐγράγετε, cypAqast vel ε εγράφανε. Perf. Bing. ἔγραψα, ἔγραψες, ἔγοαψε, scripsi. 20  Plur. efiam ἐγράφε TE M ird vel ejoa.  Plusq. Sing. είχα γοάφψει, εἶγες γράψει, i yoxyat scripseram.  Plur. εἴχαμεν Ὑοάψει, εἴχετε ypxLe, εἴχασι vel εἴχανε  7px a.  Vel alio modo. Sing. εἶχα γραμμένα, εἶχες γραμμένα, etys γραμμένα Scrép-  seram.  Plur. εἴγαυεν γραμμένα, εἴγετε γοαμμένα, εἴγασὶ Vel εἴγανε  . γραμμὲνχ.  Fut. Sing. θέλω γράφει, θέλεις γράψει, θελει γράψει scribam. J'lur. 0έλομεν γράψει, Deere γράφει, θἔλουσι γράψει.  Vel aliis magis corrupté.    Sing. 0 px Vo, 0: γράψεις, 6& γράφει scribam.  Plur. 0 γράφομεν, 0€ γράφετε, 0: γράβονσιMEYER. GRAMM. GRECQUE. Imperativi.  Pres. Sing. γράφε scribe. 25 γοάψει scribat.  Plur. à; yoxbouss, γράψετε, ἃς γράψονσι.  Formatur à tertia persona perfecti Indicativi ablato  5 e augmento Svllabico : caret proprió prima persona,  cam tamen mutuatur ab optativo addita particula ας, ut  as οάψ scribam, et significationem habet indetermi-  natam, et indifferentem. Optativi. 10 Pres. Sing. ἄνποτες νὰ vel as yoXbe, ἄμποτε νὰ γράψης, νὰ  yox uténam scribam.  Plur. ἄμποτες νὰ γράψωυεν, νὰ γράψετε, νὰ γραψουσι.  Imper.Sing. Y0:x γράψει, Ἴρελες γράψει, Ίθελε γράψει scri-  berem. Plur. Ἰθέχαμεν Ύραψει, θέλετε yodba, Ἰθέλασι γοάγει.  Dicitur etium ἅμποτες νὰ &yox?z, vel a; ἔγραφα, et tunc  idem est cum imperfecto indicativi. Sic etiam reliqua  tempora eadem sunt cum supradictis indicativi appo-  sita tantum particula a; vel aumo:zez va. Suljunctivi.   Pres. Sing. νὰ γράφω, νὰ γράφῃς, vx yoxyn "t scribam.  Plur. νὰ Ὕοάγωμεν, νὰ γράφετε, νὰ ynxoust.   Est etiam aliud præsens ab aoristo, seu perfecto  indicativi formatum, cujus significatio non est aded præsens ac determinata ut prior, sed indifferens maxi-  méque in usu apud recentiores Græcos, hoc modo.  Sing. vx ypxlo, νὰ yox Voz, νὰ ypxbr ut scribam. Plur. νὰ ypxbœuer, νὰ γράφετε, νὰ γράψουσι.   Reliqua tempora sunt eadem, quæ in indicativo   30 additis tantüm particulis νὰ, et διὰ νὰ, ut ἂν δὲ,  αἀγκαλὰ καὶ licet, ὅταν cin, et ἀνισωσγαὶ δὲ.   Nota tamen plusquam-perfectum, præter illum mo-  dum quo exprimitur in indicativo posse etiam sic  efferri, scilicet ἂν Ίθελα γράψει δὲ scripsissem, et tunc jj idem est cum imperfecto optativi.   Futurum etiam diversis modis, præter illum decantatum  indicativi, pro varietate sermonis usurpatur. Nam  cum Latine dicimus, cun scripsero, Græcè vertetur  ὅταν θέλω γράψει vel où γράφω, χαλὰ xxi θέλω ἔχει yoxu-   T μένα licet scripsero, et reliqua.   Infinitivi.  Præsens, et alia tempora eadem omnino sunt cum temporibus subjunctivi, retenta sola particula να, ut vx yzxlo  scribere, νὰ ἔγραφα, etc. Participii. Præsens, et alia tempora duobus modis exprimuntur vel Præs. simpliciter, et indeclinabiliter mutando o præsentis  indicativi in o, etaddita syllabay:zs, ut γράφω scribo, ypz-  φοντας SCribens, et hoc participium est omnis generis,  vel mutuando participium ἔστοντας, et praesens subjunctivi, ut ἔστοντας καὶ vx γυάψω scribens, vel cuin. scriberem, ita ut verbum νὰ γράφω varietur quod numerum, et personam cum opus fuerit. Reperitur etiam  apud nonnullos Græcos quoddam participium in µενος,  quod licet vocem habere videatur passivam,  revera tamen activam sibi vindicat significationem,  formatur ab imperfecto activo indicativi ablato augmento, et addita syllaba μενος, ut à πηγαίνω 60, ἐπήγαινα ' ibam, fit participium myxwxuevos iens.  Verbi Passivi Indicativi. Sing. γράφουαι, γοάφεσαι, γράφεται Scribor. Plur. γραφουμεσΏεν vel γραφόμεβα, γραφοῦσθε Vel /ράγεσθε, γράφονται. Imp. Séng. ἐγράφουμουν, éyoxmouoou, ἐγοάφουνο vel ἐγράφετον  scribebar.  Plur. ἐγραγούμεσθεν, ἐγραφοῦσθε vel εγράφεσύε, ἐγραφουντον  vel ἐγραφονούντασι Perf. Sing. ἐγράφρηκα, εγράφθικες, ἐγράφθηκε Scriptus fui.  Plur. ἐγραφθήκαμεν, ἐγραφθήκατε, ἐγραφθήκασι vel ἐγραφθή-  κανε. Vel alio modo elegantiore. Sing. ἐχράφθην, ἐγράφθης, ἐγοάφη.  Plur. ἐγράφθηµεν, ἐγράφθητε; ἐγραφθησαν. 1. , I. 18, l'édition originale porte ἐγραφονύντασι.  de l'édition originale, le texte porte eus 029i, ai /AUEY Πραφθή,  θελεις 402301, θέλει γραφθή, θέλουσι ypag95, ἴβελε γοαφθὴ. L'iota souscrit est  tombé dans l'impression. Cf. p. 25 de l'éd. princeps, plus haut p. 15, qui  correspond à la p. 25 de l'éd. Plusq. Sing. εἶχα γραφθῇ, εἶχες 7paQ0h, εἴχε γραφθῇ scriptus  eran vel fueram.  Plur. εἴχανεν γραφθῇ, εἴχετε γραφθῇ, εἴχασι γραφθὴ.  Fut. Sing. θέλω γραφθῇ, θελεις γραφΏῇ, θέλει γραφθῇ scribar.  5 Plur. θέλοµεν γοαφθῇ, θέλετε γραφθῇ, θέλονσι γοαφθῇ.  Imperativi.  Pres. Sing. γράφου scribare, xs γραφθῇ scribatur.  Plur. a; Ὑραφθοῦμεν (γραφβῆτε) s Ὑραφθοῦνε vel ἆς  γραγθοῦσι.  10 Optativi.  Pres. et Imp. Síng. #chx γραφθῆ, fürs; γραφθῇ, ἴθελε γραφθὴ  utinam. scriberer.  Plur. Ἰθέλαμεν γραφθῇ, θέλετε γραφθῇ, Ἰθέλασι γραφθῇ. Reliqua tempora sunt eadem cum indicativo appositis  15 tantum particulis ἄμποτε vx vel a;. Adde tamen  plusquam-perfectum posse etiam exprimi hoc modo.  Plusq. Sing. à; ἵμουν γραμμένος, n, ον, &s Yrou γραμμένος,  &s ἦτον γραμμένος, tinam scriptus essem.  Plur. à; Ἴμεσθεν γραμμένοι, ax, a. à ἤσθενε γραμμένοι,  20 ἃς ἤτονε γραμμένοι.  Subjunctivi.  Pres. Séng. νὰ γραφθῶ, νὰ γραφθῆς, νὰ γραφθῇ ut scribam.  Plur. va γραφθοῦμεν, vx γραφθῆτε, vx γραφθοῦσυ. Reliqua ut in indicativo cum particulis illis νὰ, διαναἂν, σὰν, etc. Infinitivus convenit cum subjunctivo. Participii.  Pres. Sing. γραμμένος, γραμμένη, γραμμένον Scriptus, a, um. Plur. γραμμἔνοι, γραμμέναις, γραμμένα scripti, ta, ta.  Desumitur hujusmodi participium à perfecto passivo participii græcoliteralis ablato augmento syllabico,  utà γεγραμμµένος ablato γε, remanet γοαμμένος, sic à νενιχη-  µένος victus ablato νε fit wxruévos, et sic de omnibus  passivæ vocis. De Verbis Circumflexis.  s | Due sunt verborum circumflexorum conjugationes, quarum prima est in εις ete, secunda vero in & et à. Utraque  habet perfectum in σα, sed penultima modo est e, modo x, modo  denique «. Pro quo   Adverte in prima Conjugatione penultimam perfecti tunc  assumere η, quando penultima præsentis est longa, ut τραγουδῶ  CGnO, ἐτραγούδησα Cecini, πατῶ Calco, ἐπάτησα calcavi. Excipe χωρῶ capio, ἐχώρεσα cepi. Quando vero est brevis,  penultimam perfecti exire in e, saltem ut plurimum, ut πονῶ  doleo, ἐπόνεσα dolui, καλῶ voco, ἐκάλεσα vocavi, βαρῶ per- s  culio, ἐδάρεσα percussi, etc.   In secunda conjugatione penultima perfecti sæpissime est  in », ut αγαπῶ GO, ἀγάπησα απιαυὲ, νικῶ VÍnCO, ἐνίκησα  vici, et alia innumera; excipe γελῶ rideo, ἐγέλασα Τ18, διφῶ  sitio, ἐδίψασα sitivi, πεινῶ esurio, ἐπείνασα esurivi, χαλῶ desiruo, ἐχάλασα destruxi, σχολὼ vaco, ἐσχόλασα vacavi, ῥιγῶ  frigeo, ἐρίγασα frigui, quoa consumo, ἐφύρασα consumpsi :  et quadam verba in ερνῶ, ut ζερῶ vomo, ἐξέασα VOMUI,  κερῶ infundo, ἐκέρασα infudi, περνῶ Supero, ἐπέρασα SUpe-  ravi : item monosyllaba ut exo disrumpor, ἔσκασα disruptus sum, σπῶ vello, ἔσπασα velli, quorum composita retinent  eandem penultimam. ἐπαινῶ vero, et καταφρονῶ habent  c, in penultima preteriti ut ἐπαίεσα laudavi, ἐκαταφρόνεσα  contempsi. Hzc autem sunt penitus anomala βαστῶῷ duro  vel tolero, ἐδάσταζα duravi vel toleravi, πετῶ volo, ἐπέταξα volavi, et ejus composita. Exemplum Verbi Circumflexi in εἲς.    Verbi Activi Indicativi.  Pres. Sing. πατῶ, πατεῖς, πατεῖ calco.  Plur. πατοῦμεν, πατεῖτε, πατοῦσι Vel πατοῖνε. Imp. Sing. ἐπάτουν, ἐπάτειες, ἐπάτειε calcabam.  Plur. ἐπατούσαμεν, ἐπατεῖτε, ἐπατοῦσαν.  Perf. Sing. ἐπάτησα, ἐπάτησες, ἐπάτησε, calcavi.   . Plur. ἐπατήσαμεν, ἐἑπατήσατε, ἐπάτησαν vel ἑπατήσασι.  Plusq. Sing. εἶχα πατήσει, εἶχες πατήσει, εἶχε πατήσει calcaveram. xo  Plur. εἶχαμεν πατήσει, εἴχετε πατήσει, εἴχασι πατήσει.   Fut. Sing. θέλω πατήσει, θέλεις πατήσει, θέλει πατῆσει calcabo.  Plur. θέλοµεν πατήσει, θέλετε πατήσει, θέλουσι πατήσει. Imperativi.  Pres. Sing. πάτησε calca tu. à; πατήση calcet ille. 35  Plur. à; πατήσωµεν, πατήσετε, ἃς πατήσουνε. 1., 1. 15, l'édition originale porte a; et à.— P. 79,1. 7, penulti.  à la fin de la ligne, avec un point.  Cæteri modi et tempora conveniunt cum Indicativo, additis    de more particulis illis διακριτικαῖς vx, διανὰ, ἄνποσες, etc.  ut constat ex Darytonis.    Participii.    s Pres. πατῶντας, omnis generis et indeclinabile formatur à  Pres.  Imp. Plusq.  Fut. præsenti indicativi addita tantum syllaba vraz, ut πατῶπατῶντας calcans. Verbi circum/lexi Passivi Indicativi.    Sing. πατοῦωαι, πατειέσαι͵ πατεῖται Vel πατειέται calcor..    Plur. πατειούμεσθεν, πχτειοῦσθε vel πατειέσθε, πατειοῦνται.  Sing. ἐπατειούµουν, ἐπατειούσου; ἐπατειοῦντο Vel ἐπατειέτον  calcabar. |  Plur. ἐπατειούμεσθεν; ἐπατειοῦσθε Vel ἐπατειέσθε, επχτειοῦνταν.  Sing. επατήθηνα vel ἐπατήθην, ἐπατήθηκες vel ἐπατήθηςἐπατήθηκε vel επατήθη calcatus fui.   Plur. ἑπχτηβήκαμεν vel ἐπατήθωμεν, ἐπατηθήκατε vel έπατήθητει ἐπατηθήκασι vel ἐπατήθησαν. Sing. εἶχα πατηθῆ, εἶχες πατηθῆ, εἶχε πατηθὴ calcatus fue-  Tam.   Plur. εἴχαμεν πατηβῆ, εἴχετε πατηθῆ, εἴχασι πατηθῇ.  Sing. θέλω πατηβῆ, θέλεις πατηβῆ, θέλει πατιθῆ calcabor. Plur. θέλοµεν πατηθῇ, θέλετε ravra, θέλουσι πατηθη.    Imperativi. Pres. Sing. πατήσου calcare lu. à; nazv95, calcetur ille.  Plur. xs πατηθοῦμεν, πατηθῆτε, a; πατηθοῦνε vel πατηθοῦσι.  et reliqua ut in γράφοµαι. Participii. Pres. πατηµένος, πατηµένη, marruévoy, calcatus, a, um. à Græco-literali πεπατηυένος priore syllaba recisa : vel (ut morem geram iis qui Græco-literalem grammaticam non legerunt,) ab ἐπάτησα perfecto activo indicativi, mutata  σα in µενος, quia penultima est longa, nam quum est  brevis remanet c, et vertitur tantuma in µενος, ut patet  in ἐκάλεσα VOCAVI, καλεσμένος vocatus. quod etiam verum  est in Verbis barytonis, quorum præte(P. 84)ritum  est in σα, ut ὁμόνοιασα conveni, ὁμονοιασμένος qui cum  alio convenit : quorum autem preteritum est in  Ya, $ vertunt in µ et « in µενος ut ἔγραψα scripsi,  γοαμμένος Scriptus : quorum in £x (dummodo non ve-  niant ab aliquo præsente in £o) mutant Ein y, et a in  µενος, ut ἐδιάλεία selegi, Φιαλεγωένος selectus; dixi dum-  modo non veniant ab aliquo presente in ζω, quia  tunc £ transit in z, ut à κράζω 9000, É«oata, χρασµένος,   φωνάζω Clamo, ἐφώναία, φωνασμένος clamatus, etc. imo  in iis, quæ derivantur à verbis in σσω mutant E præteriti in 4, ut τάσσω promitto, ἔταξα, ταµμµενος promis-  sus. Tandem ubi sunt immutabilia À et p, observantur  mutatione « in μένος, et ablatione augmenti syllabici  si fuerit, ut éjaAa (P. 85) cecini, 'aXu£vo; cantatus, ἔσπειρα Semáinavi, enzoucvos seminatus. Ubi duo adverte  primum penultimam perfecti in ρα, verti semper in α  in participio passivo, ut patet in exemplo posito, et in  aliis infinitis. Secundum verbum yaiooux leor, ex-  cipi ab hac regula, utpote anomalum, cujus perfectum est ἐχάοηκα lavtatus sum, participium autem passivum χαρούμενος lœtus.  Sola præterita in px formant participia passiva in µενος mu-  tando α in e, ut ἔκαμα feci, καμωμένος factus. Sed in vx vertunt v in p, et α in μένος ut ἔχρυα judicavi, χριµένος judicatus. Hic modus formandi participia passiva à perfecto activo facilior sinecontroversia, aptiórque ad instruendum tyronum  animos videtur illo, quem tradidit P. Hieronymus Germanus οὔ  Societatis Jesu in Dictionario suo Italo-Græco animadversione 4. de formatione participiorum, nam cum dicat  participium passivum formandum esse à presente passivo  mutando αι in e, et addendo vs, ut à 7ozgoua inquit, fieri de-  bet yoxpouevos. Deinde vertendo qo in p, ypauuévos Scriptus, non unum nobis effingit participium, sed plura, præterquam  quod etiam non tradit regulam generalem pro omnibus aliis  verbis, ut patet in σθείροµαι corrumpor, cujus participium  est φθαρµένος corruptus, et in χαλοῦμαι destruor, cujus participium χαλασμένος destructus, nec potest dici quomodo formari possint à præsente. Hæc autem obiter dixi non ut talis  tantíque Viri auctoritati derogarem, qui optime omnium nostris hisce seculis arcana hujus Grece linguæ penetravit,  multósque nobis Gordianos nexus mira dilucidáque brevitate  dissolvit, sed ut faciliorem meo judicio, incipientibus  viam aperirem ad participiorum passiva: vocis efformationem. Circumflexorum in à; Exemplum.  Verbi Activi Indicativi.  Pres. Sing. ἀγαπῶ, ayxr2;, cyxni amo.  Plur. αγαποῦμεν, αγαπάτε, ἀγαποῦσι vel αἀγαποῦνε.  5 Imper. Sing. αγάπουν, αγαπας, ἄγαπα. amabam.  Plur. ἀγαπούσαμεν, ayant, αγαποῦσαν.  Perf. Sing. ἀγάπησα, αγάπησες, ἄγάπησε amavi.  Plur. αγαπήσαµεν, αγαπήσατε, αγαπήσασι vel ἀγαπήσανε.  Plusq. Síng. cya αγαπήσει, εἶχες ἀγχπήσει, εἶχε ἀγαπήσει απια- veram.  Plur. εἴχαμεν ἀγαπήσει, εἶχετε ἀγαπήσει, εἶχασι αγαπήσει.  Fut. Séngy. Jo ἀγαπήσει, θέλεις αγαπήσει, θέλει αγαπήσει  amabo.  Plur. θέλοµεν αγαπήσει, θέλετε αγαπήσει, θέλουσω ἀγαπήσει.  Imperativi. Pres. Sing. αγάπησε vel αγάπχ ama tu. à; ἀγαπήσῃ amet  ille. Plur. x αγαπήσωμεν, ἀγαπήσετε vel ἀγαχπᾶτε, as αγαπή-  cow. Cetera vide ut in barvtonis. Participii. Pres. Sing. ἀγαπῶντας amans. ab αγαπῶ accentu immutato,  et addito tantum vrac, est omnis generis, et numeri.    Verbi Passivi Indicativi.  Pres. Sing. ἀγαποῦμαι, ἀγαπᾶσαι, αγαπᾶται Qmor.Plur. ἀγαπούμεσθεν, ayxnào0:, αγχποῦνται.  Imp. Sing. ἀγαπούμουν, ἀἄγαπουσου, œyxroïro, Vel ayznárov  amabor.  Plur. αγαπούμεσθεν, ἀγαπᾶσθε, γαποῦνταν.  Perf. Sing. ἀγαπήθηκα, αγαπήθηλες, αγαπήθηκε amatus fui. Plur. αγαπηθήκαυεν, αγαπηθήκατε, αγαπηθήκασι.  Plusq. Sing. sx ἀγαπηδὴν εἶχες αγαπηθὴ, εἶχε ἀγαπηθὴ amatus  fueram.    Plur. εἴχαμεν αγαπηθη, εἴχετε cyan, εἴχασιν xyxnrfin.    1., lignes 7-8 de l'édition originale, le texte porte εἴχες 7yorx9z,  eus ἀγαπχθᾳ. De même &yarr0, sans iota souscrit, à tout le paradigme du  plur. du plusq., du futur et de l’impér. prés., où le texte donne aussi fac  ut amaris, —P.90 et 91, on lit σταθῃ dans le texte, à tout le paradigme. Fut. Sing. θέλω ἀγαπηθῇ, θέλεις œyarrôn, θέλει αγαπιθῇ amabor. Plur. Θέλομεν ἀγαπυβῇ, θέλετε ἀγαπηθὴ, θέλουσιν yaris. Imperativi. Pres. Sing. ἀγαπήσου fac ut ameris. a; αγαπηθῇ ametur ille.  Plur. à; αἀγαπιβοῦμεν, αἀγαπηβῆτε, às αγαπιβοῦν. Reli- 5  qua ut in Barytonis.  Participii.  Pres. ἀἂγαπημενος, ἀγαπημένη, ayamrutvo amatus, a, um. vide quæ diximus in participio verbi πατοῦμαι. Atque  hzc de circumflexis. De VERΒΟ SUBSTANTIVO εἶμχι. DE AUXILIARIBUS θέλω ET ἔχω,  ALIÍSQUE VERBIS ANOMALIS. Verbi S'ubstantivi Indicativi. Præs. Sing. eux, εἶσαι, εἶναι Sum.  Plur. εἴμεσθεν, εἶσθε, εἶναι. 15  Imp. Sing. ἥμουν, ἤσουν, ἦτον eram.  Plur. ἦμεσθεν, rate, ἦταν vel ἧσαν.  Perf. Sing. ἐστάθικα, ἑστάθγχες, ἑστάθηκε fui.  Plur. ἐσταθήκαμεν, éorafiaate, ἐσταθήχασι vel ἑσταθήκανε.  Plusq. Sing. εἶγχα σταθῇ, εἶχες σταθῇ, εἶχε σταθῇ fueram. 20  Plur. εἴχαμεν aza05, εἴχετε σταθῇ, € yav: σταθῇ.  Fut. Sing. θέλω σταθῇ, θέλεις σταθῇ, θέλει σταθῇ ero. Plur. θέλοµεν σταθῇ, θέλετε σταθῇ, θέλουσι σταθῇ.  Dicitur etiam non incongrué :  Sing. θέλω emma, θέλεις tsar, θέλει εἶναι. 25  Plur. θέλοµεν εἶσθαι, θέλετε εἴσλχι, θέλουσιν εἰσθαι.  Imperativi.  Pres. Sing. à: εἶσχι sis tu. à; etvx sit ille.  Plur. ἂς εἴαεσθεν, a; εἶσθε, a; εἶνχι͵ et cætera ut in  Indicativo. Participii.  Pres. ὄντας cum sim, omnis generis, numeri, et personæ. Dicitur etiam ἔστοντας vel ἔσσοντας, sed uná cum par-  ticula xai, et aliquo verbo. Verbi θέλω Indicativi.  Præs. Sing. θέλω, ἠέλεις vel Οἳς, θέλει vel 6: volo.  Plur. θέλοµεν vol θέωεν, θέλετε vel (PD. 0902) θέτε, βέλουσιν vel  θεσι͵ et dou vel μα  Imper. 2111. ἔθελα vel Ἰθελα, ἔθελες, ἔθελε volebam.  Plur. ἐθέλαμεν, ἐθέλετε, θέλανε vel εθέλασι.  Perf. Sing. ἐθέλησα vel ἠθέλησα, ἐθέλησας, ἐθέλησε volui.  Plur. εθελήσαμεν, ἐθελήσατε; ἐβελήσανε vel εθέλησαν, vel  ἐθελήσασι. Plusq. Séng. etyx θελήσει, εἶχες θελήσει, εἶγε θελήσει. volueram, etc.  Fut. Sing. θέλω θελήσει, θέλεις θελήσει, θέλει θελήσει volem, etc.  Imperativi.  Pres. Sing. rue vx θέλης fac ut velis. az wxun vx θέλη velit  ille.  Plur. A; wxumuzs νὰ θἔλωμεν, κάμε νὰ θελετε; Ga κάμουν νὰ  θέλουνε, vel &; γάμουσι νὰ θέλονσι.  Dicitur etiam in secunda persona singulari κάμε vx θε-  Añons, etc. «o Participü.  Pres. θέλοντας, volens. omnis generis, numeri, ac persona.  Verbé £y» Indicativi.    Ῥγωβ. S'ing. Exo έχεις, ἔχει habeo.   Plur. 2422221 ἔχετε, ἔχονσι VO] ἔχουνε.  2; Imp. Sing. είχα, ειχες, ειχε habebam.  Plur. εἴγαμεν, εἴχετε, εἶχανε Vel εἴχατι.  Perfecto proprio, et plusquam-perfecto caret, pro quibus  utitur perfecto, et plusquam-perfecto verbi κοατῶ teneo,  ut ἐκράτησα habui veltenui, εἶχα κοατήσει habueram,   30 vel tenueram.   Fut. Sing. θέλω ys θέλεις ἔχειν θέλει ἔχει habebo.   Plur. ο λομεν à ἔχει, θέλετε ἔχει, 0έλουσιν ἔχει.  Imperativi.  Praes. Sing. ἔχε habe. Z; &ya habeat ille.  jb Plur. ας ἔχωμεν, ἔχετε, a5 ἔχουσι Vel ἔχουνε,  Participii.  Pres. ἔχοντας habens. omnis generis, numeri, ac persons. Age jam anomalorum aliorum precipua flexiones in  medium afferamus.  Anomala, quæ potui in hac lingua notare, quanvis ordine   alphabetico ad majorem eorundem cognitionem, ac distinctionem collegerim, ac distribuerim, generatim tamen reduci s  possunt ad illa, quae desinunt in zv», quorum perfectum in  σα, Ut ἁμαστάνω pecco, ἁμάρτησα peccavi.ltem in αίνω quorum perfectum modo est in v«z, modo in σα ut inferius  patebit. item in ένω, quorum perfectum in εσα, et denique  omnia composita verbi ἔχω, quæ eandem cum illo sortiuntur conjugationem. Jam singula ordine literarum exponamus.  A Ἀμαρτανω pecco. perf. ἁμάρτησα peccavi. Ανηξαίνω ascendo. perf. ὠνέδηια ascendi. imperativi praesens ἀνέθα ascende. Nota βαίνω simplex non reperiri, sed  ejus composita frequenter apud nostros Græcos usurpari; quæ  tamen omnia sunt anomala. Avyxerew) Tresuscito alios. perf. ἀνάστησα resuscitavi. At  ἀνχστένουαι Surgo. perf. habet αναστάθηκα suriexi, et imperativum ἀνχστάσου Surge. Αποζγαίνω finem. sortior. perf. ἀπόθγα vel αποθγῆκα, val  ar rex finem sortitus sum.   Adam augeo. perf. αὔξησα et αὐξαίνω, πὔξησα. |   Ἀφήνω, relinquo. perf. ἄφησα, reliqui. 25   B   Βάξω, βάλλω vel favo pono. perf. ἔθαλχ posui. et imperat.  βαλε pone.  Βιζάνω sugo. perf. εξίζασα suxi.   Βλέπω video. perf. ειδα vidi. unde fut. θελω εἰδῇ videbo. Βόσκω pasco. perf. ἐθόσκησα pascui. [όσκομαι vero pascor. |  perfectum habet ἐδοσκήθηκα pastus sum.   r   Γδήνω spolio. perf. ἔγδησα spoliavi.   A 35   Δένω lígo. perf. ἔδεσα ligavi.   Δίόω vel δίω do. perf. ἔδωκα vel ἔλοσα dedi. imperat.    + , 1. 3 de l'éd. orig., le texte porte sidz. — P. 97, 1. 10 de  l'éd. orig., le texte porte εὐτύχησα. do; da. et in plurali dore date. passivum δίδοµαι habet  ἐλώθηχα datus sum. imper. ὁόσου tradaris.  Διαθαίνω transeo. perf. éduerxa transii. cujus secunda per-  gona ἐδιάθηκες et ἐδιάδης, et tertia εδιάθηκε vel ἐδιάθη. atque hoc  s observandum est in omnibus compositis verbi βαίΐνω. E   Εμπαίω éngredior. perf. ἦμπα vel ἐμπῆχα ingressus sum.  imperativus ἕαπα ingredere.  Entruyziyo acquiro. perf. ἐπίτυχα acquisivi. Ἑὐγαίνω 63160. perf. wvya vel εὐγῆκα exivi. fut. θέλω εὔχει.  imperat. εὖγα été.   Εὐρίσκω invenio. perf. wwox vel nüoma inveni. fut. θέλω  ever inveniam. imperat. eux. Eodem modo conjunguntur  ejus composita, ut ζανανρίσκω reperio. perf. ἐξαναῦύμα Te-perí, etc.  Εὐτυχαίνω feliciter ago. perf. evroyvaa feliciter egi.  Z   Ζεσταίνο calefacio. inperfectum habet εζεσταυα et ἐζέστανα   calefaciebam. perf. εζέστασα culefeci. et participium passivum ζεσταμένος calefactus.  H   Hzeopo scio. perf. ἔμαθα scivi. fut. θέλω µαθει sciam. imper.  ἤξευρε Vel µαάθε scias, vel xaus vx uaonc fac ut scias. subjunct.  νὰ µάθω, vel νὰ Ἠξεύρω, ut sciam. participium passivum µαθηµενος SOlitus vel assuefactus.  K   Καίω «ro. imperfectum ἔχαια urebam et xavyo.  uro. imperf. ἔκανγα. perfectum habent ἔκαψα ussi. passivum xzioux uror. habet imperf. ἐκαίουμουν urebar. et   30 καύγομαι, ἐκαύγουμουν, at perfectum utriusque est ἐκάηκα usius  sum. imperat. xæbou urere, e; καῇ uratur ille. subjunct.  να xxy& ut urar. partic. καμμµένος ustus.   Καταθχίνω vel κατηθαίω descendo. perf. ἐκατήθηκα descendi.  vide quz diximus in διαθαίνω.   3$ Καταλαμθάνω comprehendo. perf. ἐκατάλαθα comprehendi.  imper. χατάλαθε comprehende.   Keodaíwo lucror. perfect. ἐκέρησα vel éxépóewea lucratus  sum.    1. de l'éd. or., κατά finit la 1, et λαθε commence la ligne 15,  mais au lieu de trait d'union, il y a écrit κατά. avec un point.      À    λαθχίνω lateo. perf. ἐλαθα latui.  Aayaiw» sortior. per. ἔλαχα sortitus sum.  Λέγω dico. perf. einx dixi. fut. θέλω eine: dicam.    M 5 Μαζώνω colligo. perfect. éuxburx collegi.   Μαθαίω disco. perfect. Eux9x didici. imperat. µαθε disce.  subjunct. yx uxo ut discam.   Μεταλάθω communico et communicor. perf. ἐμετάλαδα com-munionem dedi vel accepi. pat  C» Ἐκναθλαστάνω vel ζανχθλασταίνω germino. perf. ἐξαναθλάστησα  germinavi.   Ἐαναθλέπω iterum video. perf. ἐζανᾶδα iterum vidi. imperat.  ἔαναειδε iterum vide. Ξαναλέγω repeto. perf. ἐξαναπα repetii.   Ἐαναψυχαίνω hilaresco. perf. ἐξαναψύχησα exhilaratus sum. Ἐαπερνῶ &xcello. perf. ἐξαπέρασα excellui. imperat. ξαπέρασε  excelle.   Ἐεθυμαίνω animo deficio. perf. ἐξεθύμησα animo defeci. 20.   Ἐεπέφτω prœterlabor. perf. ἐξέπεσα præterlapsus sum.Ξερνῶ evomo. perf. ἐξέρασα evomui.   Ἐεχάνω obliviscor. perf. &éyacx oblitus sum.    Il   Παγω, πχγαίνω Vel πηγαίω eo. imperf. ἐπήγαινα ibam. perf. 25  eria ivi. imperat. us, 1. subjunct. νὰ rayo ut eam. πάγω  autem fit per syncopen à παγαίνω, unde retinet syncopen in  omnibus personis, et numeris, ut πάγω, πᾶς, nz. plur. πᾶμενπᾶτε, πᾶσι Vel πᾶνεΠαθαίνω patior. perfect. ἔπχθχ passus sum. imperat. mate   vel πάθχυε patiare. Hanc eandem flexionem sequuntur ejus  composita χακοπαθχύω mala, tolero, etc.   Πέφτω cado. perf. ἔπεσα cecidi. Sic omnia ejus composita.  Πιάνω accipio. perf. ἔπιχσα accepi. imperat. ruse et ἔπαρε,  accipe. item et ejus composita. 35  Πίνω bibo. perf. ἥπιχ vel ἔπιχ bibi (P. 101). imperat. ru   bibe. subjunct. yz πιῶ ut bibam.   Πνεω $piro. perf. ἔπνευσα spiravi.   Ποδαίνω vel ποδήνω ocreas induo. perfect. ἐπόδῃσα ocreas  indui.     P  Pryxo» ad regulam dirigo. perf. ἐριγάρησα ad regulam  direxi. Est verbum Italicum à Græcorum vulgari lingua  usurpatum; Sicut et sequens.  5 Páuzxoo discriméni ezpono. perfect. ἐῤῥιξικάρησα discri ini    e. posui.  by    Σθειῶ extinguo et extinguor. perf. ἔσθησα extinzi et extinclus Sum. at actyo, ἔσέισα IDEM SIGNIFICAT. Σιανω accomiorlo. perf. ἔσιασα accommodavi.  Σχχώγω incurvor. perf. ἔσκνψα incurvatus sum, tanquam  à σκυγτωΣταννιάρω Stanno illino. imperfect. ἐσταννιάρζα. perf. ἐσταννιάρισα stanno illinivi. B |  4$ Ὑτεχομαι Sto. perf. ἑσταβηχα steti. imperat. στέχον  vel στάσον sta. subj unct. yx σταθώ ut stem.  Σωπχίνω taceo. perf. ἐσώπασα (acui. imperat. σῶπα lace.  subjunct. νὰ σωπασω ut taceam.  T  ων Ἰασσάρω lao. imper. ἑτασσάρζα taxabam. perf. ἑτασσχρισα  ἰαταυὲ. est verbum mutuatum ab Italis. |  Toy» Mmanduco preter propriam, germanämque flexio-  nem, hanc quoque sibi communiter usurpat. τοώγω, τοῶς;  sp». plur. τρῶμεν, cw», τωῶσι Vel -τοῶνε. imperf. ἔτρογα  a; mandiucabanmn, ἔτρως, ἔτρο. plur. ἐτρώγαμεν, ετρῶτε, ἐτρώγοσι  vel ἐτρώγχνε. perf. £jxyx manilitcavi, £yxz;, £x. plur. ελάγαμεν.  Entre, ἐφάγανε vel ἐνᾶτι. fut. θέλω φάγει manducabo. imperat.  GXJE manducea, a2; 92 manducet ille. subjunct. νὰ y,  ut manducen.  30 Y  Ὑπαγω €0, dicitur per syncopen πάγω. imperf. ἐπήγχινα ibam,  à πηγαίνω. perf. ἐπῆγα ivi, etc. vide supra in mzye.-  o.  Φεύγω fi gio. perf. ἔφνγα figi. imperat. 927e futJe.   — düxy» vel οτανω assequor. perf. ἔθασα assequutus sum.  X  Xay» perdo. perf. ἔχασα perdidi.  X204» ore aperto conjicio. imperfectum £/zcxa, et non plus  ultra. , 1. 15 de l'éd. orig., le texte porte ἐτρ" y.at.  : Xopzatyo Saturo. perf. ἐχόρτασα saturavi.  Χύνω effundo. perf. ἔχυσα effudi.    y  V7» concoquo. perf. ἔψησα concozi. Q 5  Οφεαίνω adjuvo. perf. ὠφέλισα adjuvi ab ὠφελῶ. Atque hiec  omnia sunt fere anomala verba, quorum praeterita,  vel alia tempora propri: conjugationis præcepta non observant, vel aliquo alio modo à communi ceterorum regula,   et forma deficiunt.De Temporum Grece lingue vulgaris efformatione.    Posr rudem, simplicémque temporum cognitionem, recta  instituti postulat ratio, ut ampliorem clariorémque de illis  methodum tradamus, ac non solum de generali eorum formatione, sed etiam de speciali doctrinam proponamus. Ut autem ab iis, qua omnibus veluti propria sunt et  communia, suum sibi sumat initium præsens tractatus, illud  tanquam certum, immotümque constituere placet, omnia  preterita tempora, quorum nomine proprie appellanda censeo imperfectum, et perfectum, nullum aliud præter  Syllabicum, quod vocant augmentum admittere.   Hoc autem augmentum iis tantum preteritis addi con-  suevit, quorum presens incipit à consonante, ut λέγω dico,  &zyx dicebam. Hoc ipsum augmentum ὁ syllabico fieri interdum solet temporale, quum videlicet vertitur € in »,  dicendo 7/syx pro ἔλεγα. Verum id Græcos est imitari literales  ac veteres, non autem recentiorum Grecorum linguá loqui  vernaculá.   Illud etiam non te lateat, Verba, quæ initio presentis ao  scribuntur p, illam reduplicare post ε, augmentum syllabi-  cum, in omnibus preteritis, ut ῥαντίζω aspergo, ἑῤῥαντιζα  aspergebam, et ἐῤῥαντισα aspersi. Animadverte tandem in verbis compositis ex aliqua præ-  positione, quæ incipiat à consonante, semper in præteritis illis augmentum svllabicum fieri ante ipsam præ-  positionem, nullá penitus præpositionis elisá vocali, ut  καταθέχοµαι iJNOT, ἐκαταδέχουμουν dignabar, εἰ ἑκαταδέχθηκα dignatus sum. Hxc quidem in communi, jam singula in  particulari examinemus, et in primis activa. Præsens, quod potissima est totius verbi radix, et cardo,  sad cujus characteristicam reliqua tempora, tanquam ad  immotum axem, amussfinque suspiciunt, quum activum est  exit in «», quod deinde mutatum in ο, format passivum  in µαι. Ab illius finali consonante dependet characteristica  preteriti, ut vidimus in Conjugationibus, et ab ejusdem  10 inchoativa præteritorum nascitur augmentum syllabicum. Imperfectum à præsente deducitur mutando o in a, et  addendo cum ratio postulaverit, augmentum syllabicum, ut  γοάφω Scribo, ἔγραγα scribebam. Caeterum id tantum verum est in verbis barytonis, nam in circumflexis aliter prorsus  dicendum, cum o, presentis transeat in ow in imperfecto,  ut ru honoro, ετίµουν honorabam. id vero commune est  quibuslibet imperfectis, propriam sui presentis characteristicam observare et penultimam, excipe ἔχω, εἶχα in cujus penultima additur ε.    De Perfecto, seu Aoristo. Perfectum, quod vicem gerit Aoristi, cujus olim apud  illa Græciæ vetusta lumina, ac sapientie decora non infrequens usus fuit, augmentum habet idem cum imperfecto; si presens incipiat à consonante, ut γράφω scribo,  ἔγραψα scripsi : observat item eandem penultimam, utpote  ab eodem praesente deductum, mutatione ω in α, et charac-  teristicæ presentis in characteristicam preteriti qua septu-  plex est ψ, E, e, À, p, v, p, ut supra diximus in conjugatio-   sonibus barytonorum, pro quibus tantum hæc regula traditur.  Nota tamen perfectum in quarta Conjugatione, cum duplex  fuerit finalis consonans presentis, postremam abjicere, sic  Yu cano, habet ἔψαλα cecini : «apw» facio, Exaux feci :  géov fero, ἕφερα tuli. et alia hujusmodi. Rursusquum penultima   3; presentis ejusdem Conjugationis est per αι diphthongum,  quam deinde sequatur duplex liquida pv, vertitur in v in  perfecto, ut daíow) verbero, &vox verberavi : hoc ipsum  observat πέρνω accipio, licet penultima sit per e, habet enim  perfectum ἐπῆρα, accepi. Caeterum αι ante unicam ν,  vel amittit x in perfecto, ut χλαίω tepesco ,' &xyx ἱεριιὲ,  vel vertitur sepissime in vy, Ut óouvopzxtw OTRO, Opopyryx  ornavi, Ὑοντραίνω crassum fucio vel crassus flo, εχόν-  zpryx, etc. Verbum γενω sano, habet perfectum ἔγιανα sunavi,  ne coincideret cum ἔγενα sanabam imperfecto. Reliqua præterita irregularia vide in anomalis. In dissyllabis quarte  conjugationis ε praesentis, si praecipue deriventur à Graco-  literalibus, observatur quidem in perfecto sed assumitur  ulterius «, ut μένω Slo, &uswz. Steti , στέλνω mitto, ἔστειλα misi,  σπέονω SEMNO, ἔσπειρα Seminavi, etc. De præteritis cir-  cumflexorum fusius egimus supra exponentes eorum Conjugationes. Plusquam-perfectum conflatur ex imperfecto εἶχα verbi  Eye, et par(P. 10)ticipio passivo neutro, quod remanet sine  flexione, ut εἶχα Joxuusyx SCcripseram, Gallice J avois escrit.  eyx Sicut avois variatur quidem in omnibus numeris, et  personis, at “γραμμένα et escrit manent penitus immutata.  Vel etiam eidem imperfecto εἶχα addendo γράψει item invariatum, aliud effinges plusquam-perfectum, frequens et ipsum apud recentiores Graecos.  Futurum (proh teihporum vicissitudinem) ubi quondam  apud veteres Grecos parens quodammodo reliquorum erat,  et αοχτὰὸν Aoristi, cujus vicem in hac lingua praeteritum gerere superius insinuavimus; modo emendicatam aliunde tenet significationem, atque ab eodem Aoristo deriva-  tionem.   Duplici autem modo potest à praeterito futurum  effingi. Primo ablato augmento syllabico, et versa à in ω, ac addendo particulam 6, ut ab éypzlx scripsi, facies GE  γὐάψω scribam, ita ut γραφω varietur per singulos numeros et  personas, invariata particula. Vel   Secundo sumendo verbum θέλω, et addendo tertiam per-  Sonam supradicti futuri, ita ut θέλω flectatur per omnes numeros, et personas; minime vero quod additur, ut θέλω  yoxpa scribam, γυάψει remanet immutatum ubique. Penultima futuri est semper eadem cum penultima perfecti, excipe παγω et πέρνω, quorum perfectum penultimam  habet in », sed futurum in x, ut énzyx ivi, θέλω πάγει vel θὲνπάγω bo, et ἐπῆρα accepi, ^w παρει vel (tv πάρω accipiam. MEYER. GHAMM. GRECQUE. Appendix de particula 0: vel Ge.  Quanvis frequentior sit apud hodiernos Grecos usus  futuri secundo modo explicati, et particula 6: vel 6:4 aut θέν  per syncopen ita dicatur, sicut et #% pro ήθελα volebam, quia  tamen non raro reperies futurum primo modo traditum, quod  affinitatem quandam cum Græcoliterali futuro præseferre  videtur, iccirco pauca de dictarum particularum usu censeo  disserendum.   Est igitur particula θὲ, sicut et verbum θέλω, quando absoute ponitur, nullique particula superaddita, specialis nota  futuri. Dixi, absoluté, nam si cum particula νὰ conjungatur,  ut θέλω νὰ yox lo, non denotat futurum, sed definitam quandam  animi constitutionem ad scribendum.   Dicitur autem 6:, quum verbum incipit à consonante, m,   1; duntaxat excepta, ante quam ponitur θέν, ut θὲν πάρω  accipiam. Quod si verbum inchoet à vocali, vel diphthongo,  tunc utendum erit particula 6€”, ut 66A ἀγαπήσω amabo.   Observes obiter rogo, hujusmodi particulam 6t, vel verbum  θέλω, quum construuntur, reponi ante pronomina, et articula,  ut id. tibi faciam, si juxta Graecorum vulgus loqui velimus,  dicemus θέλω σου τὸ κάμει Vel θὲ σου τὸ xau. De Passivis, ac primiim de Prosente.   Activorum sic exposita figuratione, par est, ut etiam ad  passiva gressum faciamus, et in primis de primario eorum   ο” tempore, videlicet de presente quam paucissimis agere  aggrediamur.   Præsens ergo passivum desinit semper in µαι ab activo  deductum, cujus w si sit verbi barytoni mutatur in o,  si vero circumflexi in οὗ diphthongum, et additur pu, ut θέρνω verbero, δέονουαι verberor, »wà moveo, κινεῦμαι moveor. Secunda persona est in ox, quomodo imitatur flexionem  verborum in µι passive vocis Græcoliteralis grammatice :  Formatur in barytonis à prima presentis passivi, mutando  o in e, et uat in ox, ut zozcouat SCribor, γοάφεσαι scriberis. Dixi in barytonis, quia in circumflexis secunda persona præ-  sentis passivi formari debet à secunda præsentis activi, cum  hoc tamen discrimine, quod in prima conjugatione circum-  flexorum post ει, addenda sit ε cum accentu acuto, et post s,  αι, Ut πουλεῖς vendis, πουλειέσαι venderis : in secunda vero   w facile fiat addendo tantum αι, ut ayxra; amas, αγαπᾶσαι  amaris. Tertia fit à secunda, mutata σαι in ται, ut θέρεσαι verbe- raris, δέρνεται verberatur, πουλειέσαι venderis, πουλειέται  venditur, etc.   Prima pluralis est. semper in ούμεσθεν, mutato ubi fuerit o  in ου, et µαι in µεσθεν, ut γράγομαι, Ὑγραφουμεσθεν, vel retento o, 5  ut γράφοµαι, Ὑραφόμεσθεν, his enim duobus modis exprimitur  prima persona pluralis.   Secunda fit à prima pluralis ablata µε et v, ac retenta σθε,  ut γραφούμεσθεν, γραφοῦσθε : vel à secunda singularis, mutando  σαι in σθε, ut γράφεσαι, ypxqes0s, possumus namque uti utraque ad libitum. Tertia deducitur à secunda pluralis vertendo σθε in νται,  ut γραφοῦσθε, γραφοῦνται: vel à prima singularis mutatione µαι  in vrat, Ut γράφομαι, /οάφονται. De Inperfecto passivo.Imperfectum passivum est semper in ouuow, à prima pluralis  presentis passivi mutando µεσθεν in pov», et addendo  augmentum syllabicum, si verbum incipiat à consonante,  ut ραφούμεσθεν, ἐγράφουμουν SCribebar. Secunda est in σου à  prima ejusdem mutata pow in σου, ut ἐγράγουνυοων, ἐγράφουσου.  Tertia vero à secunda mutando σου in vro, ut ἐγράφουτουἐγράφουντο. Vel alias à tertia singularis presentis, vertendo  ται in τον addendóque syllabicum augmentum, ut γράφεταιἐγοάγετον.   Prima pluralis fit à prima singularis, addito σθεν, et mutato ουν in €, ut ἐγοάγουμονν, ἐγραφούμεσθεν. Secunda à prima  pluralis ablata µε et v, ut ἐγοαφούμεσθεν, ἐγωαφοῦσθε. Vel à  secunda singularis mutando «cose» in eo, ut ἐγράφουσονἐγράφεσθε. Tertia denique à tertia singularis vertendo ον in    ave, Vel aot, ut ἐγράφουντον, ἐγραφούντανε, vel ἐγραφούντασι. De Perfecto Passivo. Perfectum passiva vocis, quod Aoristo penitus passivo  veterum Græcorum non tam significatione respondet, quam  flexione ab activo formatur hoc modo. Debet prius verti x in  0r«z vel Gw, quae est propria terminatio omnium penitus præteritorum passivæ vocis, tum si fuerit ) verti in », si £ in y,  si ; debet tolli, preterquam in verbis tertiæ conjugationis,  si ν etiam ejicienda, si vero À et o retinendæ, quantum ad p,  raro reperiuntur perfecta activa in µα, Sed si fuerint, ut  &aux feci, carebunt tamen perfecto passivo quare ut dica-  inus, fictus Sum non utimur verbo κάμνομαι, Sed yivvouuat,  cujus perfectum est &yzv//rza. Jam penultima perfecti passivi  eadem est cum penultima activi, ut ἔγραγα scrépsé, ἐγοάφθηκα    vel ἐγράφθη» scriptus sum : εφύλαξα Custodivi, ἐφνλάχθηκα  vel £u) Xy ry custoditus fui, &tvrax Movi, &uyr rz vel ἐἑχινήθην motus sum. ὀνομάτισα noménavi. ὀνοματίσθηκα vel ovo-  µατίσθην nominatus fui, ëbaix cantavi, ἐφαάλθηκα cantatus  fui, etc. Id quidem ita fere contingit; sed quia nonnulla sunt perfecta passiva quie. penultimam activi non retinent, ideo  hie singillatim referam verba, quorum perfecti activi et  passivi eadem est cum presente penultina.   Verba activa in απω, αξω, αφω : etm. εξω Ec): Οπω. Gov,  vy», retinent in utroque perfecto vocalem, quæ in præsente   ιν procedit β, π. 2. idem faciunt in zz», axym, αχω : exm, ym,  εχω : ατως, x00, xm) : Em. Ed, Ot εἶω. Verba autem in aZ», εζω, ζω, οζω, Em, et vo, vel In duo  σσ, quorum perfectum activum est in σα, observant quidem  ubique eandem penultimam, sed assumunt ; ante θα, ut   20 (P. 119) κολάζω punio, ἐκόλασα punivi, ἐκολάσθηκα punitus  sum, etc. quorum vero perfectum activum est in £z, candem  etiam habent in utroque penultimam, sed assumunt zy ante  Graz, Ut κραζω UOCO, ἔκραξα COCA, Exoxy'mex vocatus fui.   Verba in eo» vel ενω barytona diversam habent in   . 25 utroque perfecto penultimam, nam in activo e presentis, ut  plurimum additur ;, vel rarius mutatur in x, in passivo vero  semper vertitur in x, ut sim Seméno, ἔσπειρα SCminavi,    4  PIS    εσπάρρηκα sennalus fui, στέλνω illo, ἔστευα uisi, ἐσταλ--  θηκα issus Sun : Ct πέρνω accipio, ἐπῆρα accepi, ἐπάορηκα   30 acceptus fui. φέρνω autem porto, et ejus composita habent  ἔρερα portavit, et ἐέρύηκα portatus fui.   Verba in a» faciunt perfeetum passivum in άλμα, in  ανω, in rex; et verba in ew» habent oz, praeter γώνω abscondo, quod habet ἐχώσθηκα assumpta ; ante Ora:   35 in xi» vero perfectum formant in ἄσθηκα, ut λαθαύω, xs  (21.   Tandem circumflexa, quorum activum perfectum est in zzz,  passivum est in θα : quorum in εσα, modo.in εθηκα, modo in  sx, si precipue penultima præsentis sit brevis : quorum   40 autem activum est in «zz, passivum est in ao0rxx, ut γελῶ de-    1. 1. 4 de l'ed. orig., le texte porte élabasüge. ] cipio, ἐγέλασα decepi, ἐγελάσθηκα deceptus fui. Ceterum hujus  temporis flexio, cum sit facilis et eadem omnino cum illa per-  fecti activi et Aoristi primi passivi Græcoliteralis, retice-  bitur, et lectores ad illa remittentur. Anomala vide supra  suo loco.   Superest fortassis aliquid dicendum de plusquam perfecto,  et futuro passivo : Verüm quia hæc conveniunt cum activis,  mutata tantum voce activa Verbi in passivam scilicet yoxha in 7pxy)i [sic], lectorem admonemus, ut adeat illa,  ficque finem imponimus temporum formationi. Posr tractatum de Verbis adverbiorum sequitur expositio,  ita quippe se habere videntur adverbia ad ipsamet verba,  ut epitheta vel adjectiva ad substantiva; quare sicut hæc 1:  sine substantivis, sic illa sine verbis consistere nequeunt.   Adverbia igitur. ut plurimüm desinunt in x, à nominibus  neutrius generis desumpta, ut ἐξαίσιχ egregie, καλὰ bene, etc.  pauca in ως, ut ὡσκαθὼς quemadmodum o; ut, ὀμπρῶς ante,  vel coram. quam exigua in o, ut ἔπανω surswm, χάτω infrà : rarissima vero in ου, ut ἀξάηνον derepente, πιτακτοῦ data  opera, etc. Est quidem ex adverbiis aliud quantitatis interrogativum, ut πόσον, quantum? cui respondet τόσον tantum,  πολὺ Thultum, ὀλίγο parum, χαμπόσον Vel καμποσάκι aliquan- 35  tulum. Sunt etiam quædam Ordinis, seu Ordinalia, ut ποῶτον  vel πρῶτα primo, δεύτερον secundO, τρίτον, tertio, etc.   Est item aliud quantitatis adverbium compositum ex goox  vel βολὰ, et aliquo numerali nomine, vel adjectivo, ut µία  goox Semel, duo φοραῖς bis, τρὶς oxi; ter, συχναὶς φομαὶς fre-3)  quenter, πολλαῖς βολαῖς multoties, et alia plura.   Aliud dicitur qualitatis interrogativum, ut πῶς quomodo?  cujus redditivum est, ἔτζι sic. aliud veluti signum, ot nota,  ut καλα ben?, ὀρθὰ rectè, xx«x male, ἄτνγα prave, et his si-  milia. 35   Jam czetera adverbia vel sunt Temporis, ut σήμερον hodie,  αὔριο cras, μεθαύ post crastinum: heri, ποοχθῖς  nudiustertius, τώρα nunc, «oyx Sero, απέχει postea, πέουσι anno superiore, παρενονς slatim, et quæ sequuntur. vel Loci,  ut εκεῖ vel aus (bi, απεεὶ vel απαντοῦ inde, ποὺ ubi, πούπετας  alicubi, απάνω sursum, 2470 deorsum, ὀμπροστὰ vel ὀαπρῶς  ante, αποπίσο retrorsum, £o híc, et alia. vel Hortandi,   sut ἐλάτε venite, a; eia, γειάσου euge. vel Similitudinis,  ut ᾠσγαθὼς quemadinodum, ὡς sicut, ὧσὰν vel σὰν, ὡσκαθὼς  tanquam : vel Intensionis (sic; ut πολλὰ multum, dura vehe-  menter, ὑπεοπεμίσσα superabundanter : vel Remissionis, ut  αγχαμνα V€nmisse, ayxhx Sensi, μετὰ βίας vir : vel Dubitandi, ut. ἂν an, τάγα forle, τὸ λοιπὸ) igitur. vel Afftr-  mandi, ut vai vel ναίσκε certe : vel Asseverandi, ut ὁλότελα  penitus, ἁπαληθηνα vere : vel. Negandi, ut ὄχι vel ὅσνε, et  ὄγεσκε Non, o£) vol dE non, uz vel μὴν ne, μήτε vel απδὲ neque,  GUTE 1161116, azour, VOL zx«oux nondum.   i5.Reperies quiedam adjectiva neutra in v, que  transeunt in adverbia, ut τὸ ταχὺ mane, τὸ [ox22 vespere,  et nonnullos etiam accusativos singulares, ut την νύχτα noctu,  την YXu:ox) die, etc. His adde interjectiones yov, et ὀϊμενα  hei mihi, et alia.    ου . Izres est expers recens hæc Græcorum lingua gravissimæ  difficultatis, quam antiqua literalis suis in præpositionibus  experitur ob innumeras fere variásque illarum significationes, ac casus, quibus cum alligantur. Nostre siquidem præ-  positiones, quæ octo precipue recensentur, eundem semper  casum, accusativum videlicet optant, unicimque vel ad plurimum duplicem sibi significationem asciscunt. Sunt  autem hz, εἰς, πρὸς, μετὰ vel μὲ, aro, διὰ vel γιὰ, κατὰ,   30 δίχως vel χωοῖς, ὡς.   EG regit accusativum, et significat ên, motum scilicet in  locum, ac statum in loco, ut εἰς τὸν 2voxvoy idem valet ac £n  cœlum, et ên ccelo, εἰς ἔπχινόν του in suam. laudem, εἰς την  Pour, lom.   3 Πώς quanvis literalis, non construitur tamen in hac lingua  nisi cum accusativo, significitque ad, erga, vel adversus, ut   π.ὸς &uzyx AU ine, erga me, adversus me, etc. i 1, 1, 5 de l'éd. originale, le texte porte οὐρανονΜετὰ, et per syncopen μὲ correspondet præpositione cum,  ut µετὰ κείνους Cum illis, μὲ πολλοὺς cum multis. Adverte tamen  ut plurimum tunc uti µετὰ, quum ponitur ante nomina, quae  incipiunt à vocali, μὲ vero quum incipiunt à consonante.   Aro idem valet quod a vel ab, e vel ex, et quanvis Græco- 5  literalis, non observat tamen eundem casum, sed accusativo  gaudet, eliditürque ipsius o, si nomina præeat quorum  principium est vocalis, secus autem si sit consonans, ut απ᾿  éxtiyou; QD illis, ἀπὸ τὸν θεὸν ἔρχονται ἕλα τὰ καλὰ, à Deo omnia  bona procedunt. 10   Aux, et corrupte γιὰ significat per, ob, vel propter, ut du  vel yx τὰ τοονέσι« γίνεται κάθε ποᾶγμα per, vel propter pecu-  niam omnia fiunt. Solet autem interdum addi particula τα,  præpositioni διὰ vel γιὰ, quum precipue præcedit prono-  mina, ut διὰ τὰ pas propter mos, διά τ ἐκείνους οὗ illos; vel 15  etiam λόγου, cum pronominibus tantum, et genitivis μοῦσοὺ, τοῦ, τῆς, τῶν, σᾶς, μᾶς, etc. ut dix τοῦ )όγουμου propter me,  διὰ τοῦ λόγουσας propter vos, et sic de reliquis, quo in casu  tantum genitivum gubernat.   Kara nunquam significat contra, sed secundium, vel juxta, 3 sempérque postulat accusativum, ut κατὰ τὸν τρόπον secundum  modum, ἔκαμες γατὰ τὴν γνώμην uou fecisti juxia meam opi-  nionem. Δίχως vel χωρὶς æquivalet absque, vel sine, ut  δίχως danpx Sine pecunia, χωρὶς ἐλπίδα absque spe, χωρὶς ἄλλο 35  absque dubio. Ὡς denique valet usque, ut ñ φωνή σον ἔσωσεν ὡς τὸν οὐρανὸν  clamor tuus usque ad celum pervenit. videtur desumpta  à Graeca literali, ἕως.   Hæ quidem sunt præpositiones, quibus maxime vulgaris 30  Grecorum lingua in simplici oratione uti consuevit; sunt  tamen alie à Greca literali mutuate, que in composita  duntaxat oratione reperiuntur, in primis avri, ut ὠντιστέκομαι  resisto, πρὸ ut ποοφέρνω offero : παρὰ, ut παρακούω non obedio:  σὺν Ut σύντροφος SOCiUS, et συντρέχω CONCUTTO : &yx, ut 35  ἀναπείθω persuadeo : ἐν, ut ἐγκαρθιώνω animum. confirmo, et  ἐγκασδιακὸς intimus, seu ex corde : περὶ, ut περικυκλώνω obsideo :  et ὑπὲρ, Ut ὑπερπερίσσα satis supérque, et alia.   Cæterum ut Latinas possis præpo(P. 128)sitiones Græco-  vulgares efficere, non abs re erit illas in medium proferre a 4o  vel ab et abs. e vel ex ἀπὸ, ut supra. Absque δίχως vel χωοὶς,  ut supra. Ad ποὸς vel εἰς. Apud κοντὰ vel aw adverbia loci, PORTII    quae conjuncta cum pronominibus prime, secundæ, et tertiæ  personæ regunt genitivum, ut χοντά σου tpud Le, κοντα του  apud illum swzas2 apud me : cum aliis vero exigunt accu-  sativum addita praepositione εἰς, ut χοντὰ εἰς τοὺς παλαιους αρλκῖ  "5 antiquos. Hxc tamen praepositio εἰς amittit ει diphthongum,  et σ eonjuncta cuin articulo subsequente, ut κοντὰ στην πόοταν  apud portam, σιιὰ στὸν χάωπον prope campum. Ante  ὀμπρυστὰ Vel ὀμπιῶς adverbia, quie juncta cum supradictis  pronominibus amant genitivum, ut ὀμποοσταμου ante me,  10 ὀμποῶς σου ante te, etc. cum aliis autem, accusativum apposita  item præpositione εἰς, ut ὀαποοστὰ εἰς τὸν κόσμον ante  mowurndum,óunpàs; εἰς τὰ αάτιχμου ante meos oculos. Antequam,  ποὶν vx cum subjunctivo, ut ποὶν νὰ «zuo, antequam faciam. Clam, κρυγὰ Vel χωστὰ adverbia, quæ cum pronominibus illis regunt genitivum, ut γωστάμου clam à me; cum reliquis  vero accusativum adjuncta praepositione amo, ut ἐπβρατο  κρυφὰ «mo τοὺς d)Àou; accepi illud clam ab aliis. Contra,  ἐναντίον adverbium, quod optat genitivum cum dictis pronomi-  nibus, ut ἐναντίον σου contra te, accusativum vero cum reliquis  2 addita item præpositione eig, ut εναντίον ets τὸν οὐρανὸν contra  ccelum. Coram, ὀμποιστὰ vel ὀαπρῶς, vide ante. Circa,  circiter, et circum, τριγνοου adverbium, quod postulat geni-  tivum cum supra recensitis pronominibus, ut τοιγνρου µου  circa me; accusativum autem cum reliquis apposita item præpositionc εἰς, ut τρι/ύρου ei; την χώραν Circa, vel circum  regionem. Cis, vel citra, ἀαπεθὼ aro cum accusativo,  ut ἀπεδὼ ἀπὸ ταῖς Άλπαις CÍS, vel citra. Alpes. Citm, µετὰ vel  με, ut supra. µαζι vel avzxux adverbia, quæ cum pronomini-  bus illis volunt genitivum ; cum reliquis vero accusativum adjuncta przepositione μὲ vel μετὰ, ut µαζι μὲ τοὺς ἄλλους Una  cum aliis. ἀντάμα μὲ τὸν ἄνδρα της Simul cum, viro suo.  De, τοιγύνου, vide quæ diximus supra in circum, et cérca.  E vel ex, vide, a vel ab. Erga rco; vide ad. Extra, ὅτω  vel &o adverbium, quod dupliciter construitur vel absolute cum accusativo, ut ὄξῳ τὰ uazix σου extra sint lui oculi quod  fit quum imprecamur alteri, vel cum præpositione ἀπὸ, ut  ὄξῳ ἀπὸ τοῦτο Eye χάθε πρᾶγμα, Cvlra id omnia habeo, et hic  modus loquendi frequentior est, et æquivalet, preter.  In ci, ut suprà. Inter, ἄνχμεσα adverbium, quod positum cumdictis pronominibus genitivum gubernat, ut avapsoz  του énter illum, cum aliis vero accusativum, interposita præpositione εἰς, ut ἀνχμεσα εἰς τὸν λχὸν inter populum, ἀνάμεσα εἰς  τοῦτο inter hoc, id est interim. Infrà, ἀπὸ κάτω adverbium  loci ponitur cum genitivo ante pronomina μοῦ, σοῦ, τοῦ, τῶντοὺς. etc. cum accusativo vero ante reliqua nomina appo-  sita præpositione ἀπὸ, ut αποκάτω «m5 τὸν fiyx infra Regem, etc. Intra, µέσα genitivo gaudet cum relatis pronominibus; cum cæteris aecusativo addita praepositione εἰς, ut  µέσα εἰς τὴν Καρθίαν µου intra, cor meum. Ob διὰ vel γιὰ, vide  in dux.   Per, et propter, διὰ vel γιὰ. vide δια, ut suprà. Post vel  pone, ὕστεα adverbium, quod cum illis sæpius repetitis pronominibus genitivum adoptat, ut ὕστερά σου post te; cum  aliis vero, accusativum, apposita item præpositione ἀπὸ,  ut Ἴλθα ὕστερχ an ὅλους post omnes veni. Proter,  vide extra. Palam, vide coram. Prae, vide supra, vel  super. Pro, quum significat defensionem, dicitur διὰ vel γιὰ 15  cum accusativo, ut ài σένα πολεμῶ propter te pugno : quum  vero idem sonat quod vice, vel loco alterius, utimur his  vocibus, εἰς τὸ ποδάοι, Vel ei; τὸν τόπον cum genitivo, ut ó πάπας  εἶναι εἰς τὸ ποδάρι, Vel εἰς τὸν τόπον τοῦ Θεοῦ εἰς τὴν γῆν Papa vicem  Dei gerit in terris. utimur interdum etiam præpositione »  αντὶ, Sed hoc modo, exempli causa, pro pisce dedit mihi car-  nem, avi vx pod Juan ψάοι, μ᾿ ἔλωκε xpéxs. Procul, μακρὰ cum  genitivo, si præcedat toties enumerata pronomina, ut µακοά  µου procul à me, cum accusativo vero, si cætera antecedat,  interposita præpositione ἀπὸ, ut uaxox ἀπὸ τὰ µάτιαωου procul a;  ab oculis meis.   Sub, vel subter, vide infra. super, et suprà ἐπάνω vel  απάνω adverbium. construitur cum genitivo, si præfigatur pronominibus prime, secunde, et terti? personæ.  ut απανωμου Supra, me, επάνω σου Supra te, etc. cum accusativo vero, si aliis preponatur, interposita prwepositione «ei,  Ut εἶχεν az els τὸ χεφάλι του ἕνα στεφάνι, habebat supra caput  suum, coronam.   Tenus, vel usque, ὡς vide suprà in ὡς.   Versus πρὸς cum accusativo. Ultra, vel trans ἀπέκει απὸ 35  cum accusativo, ut απεκεῖ ἀπὸ τὸ mozzuc ultra, vel trans flu-  vium. Dicitur etiam απόπερα, vel réox cum genitivo, ut  απόπερα, Vel πέρα τοῦ rorauco trans flumen. Post exactam præpositionum inquisitionem, superest jam  ut extremam omnium orationis partem, ac minimam que  conjunctio dicitur, ob illius præcipuum munus, connectendi scilicet reliquas Orationis partes, absolvamus. Sunt  autem ex conjunctionibus quzdam copulativæ, ut xat et aur  vel uz sed, αἀκόμι etiam. aliæ vero disjunctivæ, ut η vel. Aliæ Continuativze ανισωσχαὶ δὲ, zv vel x an. Quaedam sub-continuativae, ut ἐπειδῇ vel ἐπειδὴ καὶ quoniam seu quandoquidem, ex postquam. Nonnullæ Causales, ut διὰ we vel νὰ  ut, διὰ τὶ vel γιὰ zi enim aut quia. Alite Dubitativæ, ut τάχα  forte, τάχα νὰ un numquid, τὸ λοιπὸν igitur. Alie Collectivæ,  ut τὸ λοιπὸν ergo, διὰ vel γιὰ τούτο propterea. Quaedam denique expletivæ, quae tantum ad ornatum orationis spectant ac numerum, NON AD SIGNIFICATIONEM, ut dx x, etc. Atque hæc de  omnibus orationis partibus singillatim sumptis. De Syntaxi Lingue Grece Vulgaris. Vidimus jam singulas orationis partes examinantes, quomodo dividantur, flectantur, ac conjungantur, quásve in  partes secentur, ac quibus in classibus collocentur; nunc qua  ratione cum aliis jungi, ac inter se connecti debeant, quà  polliciti sumus brevitate sermonem instituemus.Tres etiam assignamus in hac lingua Concordantias, ut  apud Latinos. Prima est nominativi cum Verbo in numero, et  persona, ut ἐγὼ yox» 6/0 scribo, ἐκεῖνος παίζει ille ludit, ἐσεῖς  μιλεῖτε VOS loquimini. Secunda est Adjectivi cum substantivo, ut σοφὸς ἄνθρωπος  homo doctus, xxx rox boni adolescentes, καλῆς  συντροφιᾶς bonc conversationis, etc. Substantiva quae materiam significant solent sæpissime accusativo efferri cum  praepositione απὸ, loco adjectivorum, ut ζώνη «mo πετζὶ pro  nezGirom cingulus ex pelle, ῥοῦχον ἀπὸ τρέχαις pro τρίχινον vestis  ex pilis ; quod fit per ecclipsin participii subintelligendo χαµω-  µένη Vel καιωμένον facta vel factum. Adjectiva semper præ-  poni debent substantivis unà cum articulo, ut τὸ μικρὸ παιδὶ  paruus puer, πρῶτος dy)owro; primus homo : Quod si ali-  quando postponatur, duplicandus est articulus, et apponendus  tam substantivo, quam adjectivo, ut φέρεµου τὸ ῥοῦχο τὸ xoxxtyoy affer mihi vestem purpuream.   Tertia Relativi cum antecedente, in genere, et numero, ut  εἶδα τὸν Πέτρον, τοῦ ὁποίου ἐμίλησα, vidi Petrwm quem alloquutus  fui. et aliquando in casu, ut τὰ λόγια, τὰ ὁποῖα verba, qua.  Si ponaturrelativum inter dua nomina substantiva diversorum generum potest his duobus modis construi,  exempli causa, sydus quod, vel quam vocant Capream,  communi Graecorum lingua dices τὸ ἄστρον, τὸ ὁποῖον Vel ὁποῦ  (quod est relativum indeclinabile, omnis generis, et numeri) κράζουν αἶγα Vel τὸ ἄστρον ὁποῦ τὸ χράζουν Vel vv» xoxbouv  ἁι/χ. E duobus substantivis ad diversa pertinentibus, si in ora-  tione ponantur aliud est nominativi casus, alterum vero  genitivi, ut τὸ xocui τοῦ Πέτρου, corpus Petri, τὸ πετδὶ τοῦ  βουδιοῦ bovis pellis. Interdum tamen iste genitivus transit in 25  accusativum, ut 7 τωήτους pro n τιαήτων honor eorum, ἕνα  ποτήρι νερὸ pro νεροῦ poculum aqueæ, et similia.  De Pronominibus μοῦ, σοῦ, τοῦ, ἐμένχ Vel μὲ, ἐσένα vel ot,  ἐμᾶς Vel μᾶς, ena; vol σᾶς, τὸν, την, τὸ, τῶν», τοὺς, ταῖς, ta.    Horum pronominum unà cum Verbis constructio, quoniam aliquantulum difficilis esse videtur, cum certa quædam regula tradi non possit, quando preponenda sint vel  postponenda, seu quando ε ἐμένκ potius dicendum quam yz, vel  ἐσενκ quam σε, ut ἐσᾶς quam σᾶς, idcirco de his nonnulla observatione digna exponere merito judicavi.Certum itaque in primis, monosyllaba illa pronomina sive  primæ sint, sive secundæ, sive tertiæ personæ nunquam  ipso orationis initio collocari, sed elegantiüs semper post  ipsum verbum poni, vel post aliquod nomen, vel post particulam dev vel de non, ut ἀγαπῶτα, ἀγαπῶτους, etc. amo illa «o     vel illos, etc. ἐγὼ σᾶς uzx ego dixi vobis, δὲν μοῦ Ἄάμνει χρεία,  non est mihi opus, βλεπει µε videt me, et hujusmodi plura.  Certum secundo primos illos accusativos primae, et secunde  personæ eusyx videlicet et ἐαᾶς, ésivx et εσᾶς,  poni semper in ipso orationis, periodíque principio unà cum μὲ et  μᾶς, σὲ et σᾶς, Ut ἐωένχ μὲ ἂγητᾶ 0 πατέρας µου me amat pater  meus, ἐσένα σὲ wo te odio habet, ἐμᾶς μᾶς κοάζει παιδιά του nos  vocat filios suos, ἐσᾶς σᾶς χράζει ἐχθρούς του vos appellat inimcos 81108. quæ loquutiones correspondent Italicæ phrasi vel Gallicæ, cum quibus habet maximam affinitatem, quum  dicunt. α noi ci chiama sui flgliuoli, il nous appelle ses  enfans, et similia. Vides igitur hujusmodi accusativos cum :,  conjungi cum monosyllabis μὲ, σὲ, ua; et σᾶς, qui statim illos  subsequuntur. Nominativi tamen ἐμεῖς et ἐσεῖς, ponuntur abso-  15 lute initio periodi, ut eueis ψωμὶ dev ἔχομεν καὶ κάτα πίτα  σύρνει ΠΟ ΏαπιεΏὲ non habemus, et felis trahit placentam,  est adverbium ! Græco-vulgare in filios, qui bona patris pau-  peris lautius quam par sit profundunt, et opipare vivunt.  Certum insuper µονοσύλλαθα illa pronomina μοῦ,  20 Go0, τοῦ, μᾶς, σᾶς, τῶν, et τους, etc. Si simul esse contingant  cum aliquo adjectivo, poni inter adjectivum, et substantivum,  ut πρῶτος µας φίλος primas noster amicus, αἀγαπημένε µου vis  Πέ mi dilecte, % γακαῖς τους γλώσσαις male illorum lingua, etc. Item sumi pro pronominibus possessivis ἐδικόσμουἐδικόσσου, ἐδικόστου 136115, tuus, suus, etc. Verum tunc non  ponuntur absolute, ut possessiva, sed uná cum alio nomine,  ut quum dicimus, liber meus, zo βιξλίον uo», at cum dicimus,  hic liber est meus, quia meus est solus et non cum alio no-  mine, nos dicemus, ἐτοῦτο τὸ βιέλίον εἶνχι δικόμου, et non τοῦτο τὸ  βιθλίον uoo εἶναι. |  "ertum quarto monosyllabos illos accusativos μὲ et μᾶς, σε  οἱ σάς, ταῖς et τοὺς, tam ante verbum collocari posse, quam post,  Ut ἐγὼ σᾶς τὸ ἐδιάξασα τὸ γράμμα, et ἐγὼ ἐθιάξασά σας τὸ γράμμα. eo  vobis legi epistolam. Quod si hujusmodi accusativi particulae  35 isti δὲν vel δὲ non, ὡσὰν vel σὰν sicut, vel adverbiis «202;  quemadmodum, été sic, σήµερον hodie, αὔοιον Cras, τώρα nunc,  et aliis adverbiis loci jungantur, tunc verbo postponi minimé  (Sic). Lisez proverbium. — De même plus haut, ligne 6, il faut  lire probablement zyarzz pour αγητᾷ que porte le texte. Une ligne plus  bas, l'original donne μισᾶ. — Enfin, le texte porte, au lieu de 4  mous appelle, nous nous appelle.  possunt, sed tantum præponi, ut δὲν μᾶς τὸ ἔστειλες τὸ βιθλ΄ον  non nisisti nobis librum, σήμερον σᾶς εἶπα νὰ μὴν ευγαίνετε hodie  vobis diré ne exeatis, nec enim bene dicemus, δὲν τὸ ἔστειλές  µας, NEC σήμερον εἶπχ σας. De quibusdam Nominibus qua (sic) genitivum regunt, vel accusativum, ubi etiam de ablativo absoluto. Omnia nomina Comparativa, si praecipue cum pronominibus primitivis construantur, verbalia item in τικὸς una cum  nominibus, qua dignitatis habent significationem, ignorarationis, participationis, similitudinis, ac communicationis, tv  et utilitatis genitivum adoptant, ut εχεῖνος εἶνχι σοφώτε:ός µου ile  est sapientior me; ἐτοῦτο εἶναι φανε ρωτικὸν τῆς ἀγαπης |,  id est significativum amoris : ispéxs εἶναι ἄξιος τιμῆς Sacerdos  est dignus honore; ἁμαθῆς τῶν ἑλληνικῶν γοχμµατων ignarus  Grecarum literarum, σύντρογος καλῶν ἀνθρώπων bonorum  hominum socius, ὅμοιος τοῦ λεονταριοῦ Leoni similis, τὰ καλὰ  εἶναι xotyx τῶν φίλων bona sunt amicis communia, et similia.   Ea item quæ dicuntur numeralia ordinis genitivum requirunt, ut Φεύτερός µου mihi secundus, πρῶτος των primus inter  illos, etc. Quæ tamen construi etiam possunt cum accusativo posità praepositione amo, ut ὕστερος ar” ὅλους postremus omnium,  πρῶτος ar ὅλους primus omnium, et sic de reliquis. Profecto, ut uno verbo dicam, omnia sive Comparativa sint,  sive superlativa, sive plenitudinem significent, vacuitatem,  utilitatem, et similia, si cum pronominibus jungantur, utplurimuni postulant genitivum, si cum aliis nominibus accusativum cum præpositione aro, ut απ) Sous τοὺς ἕλληνας, ὅπου   fav εἰς τὴν Τροίαν, δυνατώτενος, Vel δυνατώτατος ἦτον Αχιλλεύς, OM-  nibus Grecis qui extiterunt in expeditione Troiana fortior  fuit, vel omnium Græcorum fortissimus fuit Achilles. No- 3;  men γεμάτος, ut plurimum habet post se accusativum sine ulla  præpositione, ut γεότος ἔννοιχις curarum plenus: At evxvzio;  contrarius genitivum amat cum primitivis pronominibus,  cum aliis vero accusativum uná cum praepositione εἰς, ut  εἶναι &yxyzioz µου 63 mihé contrarius. et εναντίος εἰς Soo; COn- 35  trarius omnibus. φίλος denique semper reperitur cum geni-  tivo, ut sic: τοῦ 0ευὺ amicus Dei.   Instrumentum, causa, modus, et excessus debent in hac [Le texte ici porte ἀγότης. Cf. p. 60, note 1.] lingua exprimi accusativo, cum præpositione, uz, vel μετὰ,  vel etiam interdum cum διὰ, vel γιὰ, si preesertim causam  significare velimus, ut ἐκτύπησα cou! μὲ τὸ ῥᾳθδὶ baculo illum  percussi, τὸν εἶδα μὲ w2)ó par oculo illum vidi   5 benigno, ἐσκότωσε τὸν ἐχθούν του μὲ τὸ σπαθὶ hostem suum gladio  interemit; νικᾶ Sous μὲ την φωνήν του sua voce reliquos superat;  διὰ τῆν δειλιὰν, Vel γιὰ τὸν φόξον ἔχασε v. ἅρματά τον PTŒ pavore  perdidit arma.   Tempus item, et mensura tam loci, quam ponderis simpliciter accusandi casu efferuntur, ut τὴν ἡμέραν xal τὴν νύκτα  δὲν χάωνει ἄλλο παρὰ νὰ dudar, die, ac nocte nil aléud facit  quam legere, Ῥώμῃ εἶνχι parca ἀπὸ τὴν Φράντζαν ἐκατὸ λέγαις  Roma distat à Gallia centum leucis, βαρεῖ τριάντα λίτραις est  ponderis triginta librarum. 5 Jamablativum absolutum, pro quo Græci literales utuntur  genitivo, nostri Græco-vulgares penitus ignorantes, nec  genitivum usurpant, nec alium casum, sed vel ipso nudo nominativo utuntur, ut υισεύοντας ἐγὼ ἀπὸ τὴν εκλησίαν ἔπεσεν ñ  στέγη τοῦ σπιτιοῦ σου (liscedente me ab Ecclesia cecidit tectum  fie domus, vel loquutionem resolvunt per ἔταν vel σαν, po-  nentes verbum in imperfecto, ut ὅταν vel aav ἐμίσευα  ἀπὸ τὴν ἐκκλησιὰν ἔπεσεν, etc. cum discederem ab Ecclesia cecidit, etc.    De Constructione Verbi Activi. Nonnimis laborandum erit in tradendis regulis verborum  activorum. Omniasiquidem verba activæ significationis postulant ante se nominativum agentem, et post se accusativum,  vel genitivum patientem. Genitivum quidem utuntur hujusmodi Græciæ regiones Peloponesus, Creta, Chius, Zacynthus, et omnes penitus Græciæ insule. Accusativo vero gaudent  Attica, Thessalia, Macedonia, Thracia, et omnes prorsus  Continentis provincie, atque incola. Quum igitur verseris in  Insulis, utere post verbum genitivo, accusativo vero quum  fueris in Continente. Adverte tamen, quanvis iis? qui in Insulis sunt post verbum  activum genitivum, quem person: vocant, admittant (res enim apud omnes, ac semper ubique ponitur in [Il faut évidemment lire τόν. Leçon de l'original pour zi. 'l'oute cette phrase est d'une construc-  tion pénible et confuse. Postverba doit être lu en deux mots. accusativo, ut axoo» τὰ λόγια σου, non τῶν λόγιων Gov,.QUdio  tua verba) id verum esse precipue, quum postverba se-  quuntur pronomina illa primitiva μοῦ, σοῦ, τοῦ, et tantum in  numero singulari, ut δὲν μοῦ a«os: non me audit; nam in plu-  rali dicunt cum accusativo, δὲν uz; εἶπε τίποτες, niil nobis s  dixit, licet in singulari dicerent, δέν uoo eine τίποτες!. Quod si  alia subsequantur pronomina, vel nomina, modo genitivum  ponunt, modo accusativum, ut ακούω τὸν llézpoy non τοῦ  Πέτρου audio Petrum, et ui τοῦ Μάρκου, et non τὸν Maoxov,  nisi dicas μὲ τὸν Μάρχον, alloquor Marcum, vel loquor cum  Marco.   Quando autem statuendus sit post verbum activum geni-  tivus, vel accusativus optima regula est, si animadvertamus  ad linguam Gallicam, vel Italicam. nam si post verbum activum ponatur particula à, tunc semper in Græco vulgari reponi debet post verbum genitivus, ut /'ay dit à  Francois, ἐγὼ εἶπα τοῦ Φραγκίσκου, non τὸν Φραγκίσχον. Si vero  talis particula non ponatur, utendum tunc erit accusativo, vel genitivo juxta distinctionem Græciæ locorum superius  insinuatam, ut je vous ay fait la grace, ego vobis gratiam feci, secundum Insularum habitatores dices, ἐγὼ σοῦ τήν ἕκαμα  τήν χάοιν, et secundum Continentis incolas, ἐγὼ σὲ τήν ἔχαμα  τὴν yXow, qua loquutio correspondet huic Italice, la gratia  ve l'ho fatta. Prætereà sciendum, verba, quæ apud Latinos, vel Grecos literales exigunt post accusativum rei dativum persons,  apud Grecos vulgares usurpare pro dativo persons, vel  genitivum ut loquuntur Insularum cultores, vel accusativum ut Continentis incolæ, exempli causa, ego dedi tibi  librum dices, vel éyà σοὺ τὸ ἔδωχα τὸ βιθλίον, velso  ἐγὼ σὲ τὸ ἔδωχα τὸ βιθλίον. Rursus verba, quie duos sibi accusativos adsciscunt apud  Latinos, et ἕλληνας, apud vulgares Graecos, vel ambos retinent,  ut loquitur omnis Continens, aut mutant accusativum per-  sonæ in genitivum, ut phrasis est omnium Insularum, verbi 35  gratia, ego te doceo grammaticam, dicetur ἐγὼ σὲ, vel σοῦ  μαθαίνω τὴν γραμματικήν. Jdem fit aliquando, si verba apud Latinos regant ablativum  cum praepositione a vel ab, et accusativum, ut aufero à te  vestem, ἐγὼ σὲ, vel σοῦ πέονω τὸ ῥοῦγον. dixi aliquando, quia ut w ]Voyez au commentaire pour l'établissement du texte.] plurimüm pro ablativo ponitur accusativus cum præpositione  aro, ut «accepi à Petro tuas literas, ἐγὼ ἔλαξα ταῖς γραγαῖς σου  ani τὸν Πέτρον, il habeo à te, € χω το ar ἐσένχ, et alia.  Idem etiam præstari debet , Si verbum apud Latinos accusa-  ; tivum regat et genitivum, vel ablativum sine ulla præpo-  sitione, ut empleo ollam denariorum, γελίζω τὸ :ζουκάλι amo  τορνέσια, et émpleo vas aquá, γεμίζω τὸ αγγεῖον ἀπὸ  woo. in quibus tainen sape sæpius reticetur aro, dicendo sim-  pliciter τορνέσια et νερὸ.  De Constructione Verbi passivi, neutri, ac Deponentis.    Quemadmodum activae vocis verbum exigit ante se nomi-  nativum agentem, et post se accusativum patientem, ita é  contra passivæ vocis verbum postulat ante se nominativum  patientem, post se vero accusativum agentem uná cum   i5 preepositione απὸ, ut τὸ &uzzt τραθιζεται ἀπὸ τὰ dÀojx CUTTUS  trahitur ab equis. Semper igitur in passivis casus personæ  verbi activi, quum videlicet duplicem requirit casum post se,  vertendus est in nominativum, manente altero immutato,  Ut εγὼ σὲ uaÜziw τὴν yrauuarwry, passive redditur, ἐσν µαθαίνεσαι   20m ἑμένχ τὴν γηαμματικὴν, tu doceris à me grammaticam, etc. VT APVD LATINOS. Ex verbis neutris, vel Deponentibus, quaedam  absolute ponuntur sine ullo casu, ut Er vivo, πορπατῶ am-  bulo, στέκοµαι S00, οιμούμαι dormio : quidam vero requirunt post se aliquem casum, ut ἀρέσκει µου placet mihi, τὶ  φαὐεταίσας, quid. vobis videtur, et alia, quie genitivum, aut  accusativum postulant pro diversitate præsentis Grecis regionum, si eosdem casus, vel alios requirant Latinorum verba  vel neutra, vel deponentia. Et tunc Constructio erit eadem quam jam recensuimus in verbis activis. De Verbis εἶμαι, φαίνοµαι, et aliis, tum de verbo impersonali, de Modis, Gerundiis, ac quibusdam loquutionibus. Verbum εἶμαι sum duos habet nominativos ante, et post se,   ut ó Αοιστοτέλης ἅτονε μεγαλος φιλόσοφος, Aristoteles erat magnus Philosophus. eodem modo construitur verbum φαίνομαι t ideor, λέγουαι dicor, oxzopzt vocor, λογοῦμαι nuncupor, et similia, quæ preeter illos duos nominativos admittunt  etium genitivum, vel accusativum juxta supradictam locorum Græciæ distinctionem, sicut Latina dativum, ut αὐτὸς  pod εἶναι, Vel φαίνεταί µου καλοπίγερος ἄνλρωπος ipse mihi est,  vel videtur vir idoneus. Vel etiam accusativum cum præpositione aro, si Latina regant ablativum cum praepositione  à vel ab, ut justus ab omnibus vocatur, vel reputatur  beatus, δίκαιος χράξεται͵ Y, κρατειέται µακάριος am’ 02095.   Verbum impersonale duplicis est speciei activae nimirum  et passivæ. Utrunque impersonalis verbi genus, vel ponitur  absolute sine ullo casu, ut βρέχει pluit, λέγουνε fertur ; vel cum  aliquo casu ut apud Latinos, verbi gratia, pertinet ad me,  ἐγγίζει µου, non licet vobis, δὲν σᾶς πρέπει, mon curatur de  anima, δὲν ἐννοιάζεται διὰ τὴν ψυχήν. Ubi adverte verba impersonalia utplurimum sumi à tertia persona plurali prze-  sentis indicativi activi, ut pro scribitur dicunt γράφουνε scribunt, pro vivitur, ζοῦνε vivunt, et alia. Dixi ut plurimüm  quia reperitur interdum, et quidem raro aliquod impersonale  desumptum à tertia persona plurali presentis indicativi  passivi, ut κοιμοῦνται dormitur. Modorum usus pervius est unicuique ut apud Latinos. In  usum tamen hi precipue veniunt INDICATIVVS, imperativus, et subjunctivus, qui vicem gerit infinitivi, et exprimitur per  particulam νὰ, ut Θέλω νὰ τὸ «auo volo illud facere : cui  interdum praeponitur articulus τὸ, et ponitur loco nominis,  ut τὸ vx χάμεις pro τὸ κάνωμα σου tuum factum. Similem loquutionem habent Græci literales, ut τὸ ποιεῖν pro ποίηυα, et Itali, 25  il fare, pro il fatto. Hujusmodi modus semper ponitur post  aliud verbum, sicut infinitivus apud Latinos; vel alias resol-  vitur per ἔτι vel πῶς, ut scio te fecisse hoc, vulgo  possumus dicere, ἠξεύρω πῶς, vel ὅτι τὸ ἔκαμες, quod ἔτι et πῶς  videtur correspondere Italico che vel Gallico que. Ponitur 3o  etiam zat pro ὅτι, ut λογιαζω vat τὸ ἔμαθες, pro ὅτι τὸ ἔμαθες, puto  te illud didicisse. Jam quaenam particula, vel Conjunctio  unicuique modorum tribuatur, et quomodo inter se discrepent, vide supra in Conjugationibus barytonorum. Gerundiis caret utraque Greca lingua, fruitur vero Latina. Ea autem sic in vernaculam Graecorum dialectum vertenda censemus. Gerundia in do, resolvuntur in participia, ut  amando αγαπῶντας, dicendo λέγοντας, etc. Gerundia in dum  exprimuntur aliquando per dix νὰ, si illa praecedat praepositio  ad, ut ad habendum διὰ νὰ ëyr : aliquando per oz, vel 4o  zyxuzgx onov, Si præcedat praepositio inter, ut inter ambulandum, σὰν ἐπορπάτουνα, id est dum ambularem : inter [MEYER. GRAMM. GRECQUE.] dicendum ἀνχμεσα ὁποῦ ἐμῶμε cum loqueretur, et similia.  et aliquando per πρέπει, si à Latinis efferantur abso-  lute sine ulla praepositione, ut faciendum mihi est, πρέπει  νὰ άνω, tObis agendum, πρέπει vx Ἰάμετε, etc. Hic modus loquendi non aberrat à modo loquendi Italorum, vel Gallorum, dum dicunt, mi bisogna fare, il me faut faire,  cum hoc tamen discrimine, quod in dictis linguis verbum  consequens est infinitivi modi, et nunquam mutatur, at  in Graeca vulgari verbum quod subsequitur πρέπει est subjunctivi modo, variatürque ac construitur cum personis,  quie comitantur gerundia in dum, ita ut si persona sit singu-  laris, et prima, verbum etiam erit primæ persone numeri  singularis, et sic de reliquis. Tandem gerundia in di, simpliciter efferuntur per vx cum subjunctivo, ut lempus est  i5 und, 22160; εἶναι yx naue! sciendi sum cupidus, επιθναῶ va  µεθω, etc.   Veniamus jam ad peculiares, quasdam loquutiones. QVVM LATINE DICIMVS, quod tibi scripserim, vernaculo  Graecorum sermone sic efferemus, διὰ τί σοῦ £yoxlx, vel ὃτι σοῦ   ο0 ἔγραγα, Vel τὸ vx σοὺ Eyux pz, Vel ἔστοντας καὶ νὰ σοῦ ἔγραφα, prior  et secundus loquendi modus conformior Latinæ loquutioni  videtur. De nonnullis adverbiis, ac particulis, quæ vel nominibus,  vel Verbis præjfiguntur. a;  Uttotum communis Grece linguæ syntaxeos absolvamus  tractatum, brevibus precurremus nonnullas voces, quarum  notitia non parum juvatur is, qui aditum sibi fieri vult ad  hujusmodi linguæ Græcæ svntaxim. Dicamus ergo prius de  Xunoes inam, quod adverbium est optandi, ponitürque   s) unà cum νὰ, et constituit in verbis peculiarem modum, qui  dicitur optativus, reperitur cum perfecto, et imperfecto, ut  ἄμποτες νὰ τὸν ἔκραξες, utinam. illum. vocasses, ἄμποτες νὰ τὸν  ἔθλεπα, utinam illum viderem. ‘Av, vel à fit à Græcoliterali sw, sé, ac pariter regit   3; subjunctivum, tempus amat id, quod nos in verbis barytonis  diximus habere indifferentem quandam, ac indeterminatam  significationem, ut ἂν σὲ πιέσω δὲ te capiam, non & σὲ πιάνω: ἂν  σὲ εὑρήσω δὲ Le. reperiaan, non ἂν σὲ εὑρίσκω. Conjungitur præ- [Certainement pour πάμενε] voyez page 159 de l'original, plus loin  p. 68, 1. 7 sqq. terea cum omnibus  preeteritis, ut xv &xux δὲ feci, ἂν ἔγραφε, δὲ  scribebat, ἂν θέλει 2ώσει δὲ dabit, et reliqua. Aro, quanvis praepositio significans a vel ab, in compo-  sitione tamen alicujus verbi, vel nominis non semper eandem retinet significationem; nam interdum denotat perfectionem, ut arocs)swm perficio, τελειώνω quippe simplex  füure tantum significat, sed cum aro perfecte finire, utque  Latini dicunt, rem reddere omnibus numeris absolutam.  interdum vero finem quodammodo præ se ferre videtur, ut  αγοτοώγω finem. comedendi facio, unde adverbia αποφαγχ  post prandium, et απόθειπνα post canam. ct tandem  penitus, seu de, ut anses penitus amputo, et ἀποχεφαλίδω  decollo, et alia.   *A; adverbium hortandi, si ponatur cum imperfecto efficit  modum optandi, ut a: ἔθλεπα utinam viderem; caeterum ας  nota est imperativi, seu potius subjunctivi, ut 2; κάμη faciat.  Videtur autem derivari à Græcoliterali ἄφες, unde per synco-  pen z:. quare quum dicimus 2; 1% idem valet ac sine ne, ut  videam, qui quidem loquendi modus frequens est in sacris  paginis, praecipue in Evangelio, ds: ἴδωμεν, εἰ ἔργεται Ηλίας  σώσων αὐτὸν, quem imitati Græci- -vulgares dicunt, a; ἰδοῦμεν ἂν  ἔρχεται Has διὰ νὰ τὸν ἐλευβερώσῃ.   Adverte tamen hujusmodi ἄς, non poni in secunda persona  imperativi, sed tantum in prima, et tertia. Quia videlicet,  aptior imperandi persona videtur secunda, non prima, et  tertia, unde et Itali quum magnates alloquuntur solent ob-  sequii, et revereniP. 15K)tiæ causa uti tertia persona, ne  loquentes secundá persona, videantur aliquomodo illis impe-  rare. Est igitur a4; subjunctivi potius nota, quam imperativi.   A&, vel 3. deductum fortasse fuit ab se ablata diph-  thongo ου. Dicitur autem 05», quum ponitur ante vocales et  " diphthongos, imo οἱ ante aliquas consonantes, videlicet ante  B, 7; ὃ, 0, 4.0, 7,9, y : d vero ante reliquas consonantes. Regit  indicativum tantum, quia in reliquis modis non utimur οὲν,  sed uz», vel uz, ut uz» κάµης ne facias.   Να aliquando est adverbium demonstrandi, et regit geni-  tivum si praecedat pronomina primitiva numeri singularis,  ut νά σου ecce tibi, accusativum vero si sint numeri pluralis,  et ante alia nomina, ut vx σας ecce vobis, νὰ τὸν Mézos» ecce  Petrum. Aliquando est conjunctio causalis, ab ἵνα deducta,  unde ut illa subjunctivum expostulat, qui, ut diximus, vicem  etiam gerit infinitivi. Atque hinc fit, ut aliqui dicant conjunctionem vz signum esse, ac notam infinitivi. Verum  quo firmo, stabilíque nitantur fundamento non video. Inter-  dum denique νὰ solet esse particula repletiva, et ornatus  causa maxime apud Chios, qui dicunt ἐκεινὰ pro exi, τουτονὰ   5 pro τοῦτον, quam etiam replicantes satis molliter sonant &xewavz,  et τουτονανα.   Νε item particula est quæ nihil significat, et tantum ad or-  natum ponitur orationis, idque duntaxat à Chiis, non in qui-  buslibet nominibus, sed tantum in articulis et pronominibus   ιο masculinis et foemininis, ubi reperiatur finalis litera v, ac in  prima, secunda, et tertia persona verborum numeri pluralis,  ut pro εἴλατιν, εἴδατηνε Dro τοῦτον, τούτονε, DTO τούτων, τουτωνῶνε,  pro γράφοµεν, γράγομενε, pro λέγετε, λέγετενε, et sic de reliquis.   Ωσάν demum vel ox, aut ez, idem significat quod Latine   i5 CUm, vel post quam, ac postulat subjunctivum, ut  σὰν yox|yn; cum  scripseris, σὰν ἔλθω postquam venero, et  similia.   Interjectio ὄχου, veloiusvx hei mihi regit accusativum, ut  ὀϊμένα τὸν xaxouooy heu me infelicem. At modo requirit   so nominativum, vel vocativum, ut πεγχλη duoruyix Ó magnam  calamitatem, καλὲ ἄνβρωπε Ó bone vir, modo vero geniti-  vum, et tunc vim habet admirationis, ut à τοῦ θαύματος Ó rem  admirandam, idest Papæ. Atque haec de Syntaxi linguæ Græcæ communis, methoο” dicáque ejusdem institutione, majore qua potui dilucidäque  brevitate, ac studio ad Dei omnipotentis gloriam, Fidei Catho-  licae propagationem, Proximorum utilitatem, nec non ad  φιλογλώσσων περιεργείανPorta. Portius. Porcius. Simone Porzio. Porzio. Keywords: implicatura.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Porzio” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Possenti: la ragione conversazionale e la conversazione di Romolo e Remo – radice dell’ordine civile – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Studia a Torino. Insegna a Venezia. Dei Aquinensi. Fonda l’Annuario di filosofia. Centro di ricerca sui diritti umani. Attrato dalla storia delle civiltà, ispirato da VICO (si veda). Studia l’idea d’un assoluto impersonale. Incontra l'istanza metafisica e umanista attraverso AQUINO (si veda), intuendo le possibilità speculative e liberanti incluse metafisica dell'essere. Tre sono gl’ambiti primari della sua ricerca: metafisica, pensiero teoretico e ritorno al realismo; personalismo; filosofia politica. Studioso d’AQUINO, del tomismo. Professore della grande tradizione della filosofia dell'essere, orienta l'attenzione critica verso GENTILE, il neo-parmenidismo italiano di SEVERINO nel suo ritorno a VELIA e il VELINO, ricercando una razionalità attenta alla storia ma non consegnata interamente alla furia del tempo. Dunque il ritorno all'eterno invece che l’eterno ritorno di Nietzsche e la ripresa del tema della creatio ex nihilo, assente in molta filosofia. Il suo approccio legge meta-fisica e nichilismo come due nuclei che tendono ad escludersi – i veliani -- di cui il primo è la fisio-logia e il secondo la pato-logia. Individua pertanto nella destituzione dei valori e nella riduzione della ragione a volontà l'esito ultimo del nichilismo. Questo vuole liberare Italia dalla metafisica, ritenuta distrutta dal criticismo, ma il compito della filosofia dell'essere è preparare una ripresa della metafisica dell'esistenza, tale che possa di nuovo tenere un posto nella storia della civiltà. Una presentazione ampia della sua è in “Storia della filosofia”; Filosofi italiani, Antiseri e Tagliagambe, Bompiani, si veda anche nichilismo e filosofia dell'essere, intervista, a c. di Mura, “Euntes docete.” La riscoperta della meta-fisica esistenziale è un tentativo di mettere in luce la parzialità di non poche posizioni che hanno proclamato la fine della metafisica occidentale: GENTILE, e SEVERINO. Essi hanno operato come reagente per la riconquista della metafisica e per la critica del nichilismo, di cui offre una determinazione diversa da quelle di Nietzsche e di Heidegger -- con applicazioni anche all'ambito del nichilismo giuridico. Il rigetto del nichilismo e l'analisi dell'anti-realismo, del logicismo, del dialettismo e del razionalismo che affliggono la filosofia, gli conducono a giudicare concluso e senza possibilità di ripresa il ciclo della meta-fisica nel cammino di GENTILE.  La base prima della filosofia dell'essere sta nell'asserto ‘l'ente è'. Questo il grande tema da cui occorre partire. Dall'ente appunto e non dall'essere vuoto dei moderni. In tal modo crollano l'identità tra logica e meta-fisica del razionalismo, l'idea di dialettica come generazione logico-apriorica del sapere, e l'idea di divenire come entrare-uscire dal nulla. Qui opera un'adeguata semantizzazione dell'essere (dell'ente), rigettando l'errore primordiale di trattare la questione dell'essere come questione di essenza, il che presuppone la negazione della potenzialità. Ma se questa è presente, niente in senso proprio va in nulla ma si trasforma. Si svolge verso un positivismo in cui la filosofia è capace di progresso. È andata così delineandosi la tesi che nello svolgimento della meta-fisica dagl’antichi a noi sia emersa, dopo la seconda navigazione nell’ACCADEMIA (vedi Fedone), proseguita e perfezionata da Aristotele al LIZIO, una terza navigazione che si esprime nella Seinsphilosophie che ha toccato un punto di apogeo in AQUINO e nei grandi tomisti. In tale prospettiva è possibile tracciare un'essenziale storia della meta-fisica quale progressiva penetrazione della verità dell'essere, culminante nella metafisica dell'actus essendi. Si tratta di una metafisica trans-ontica che, prendendo le mosse dall'ente, procede verso l'essere stesso -- esse ipsum per se subsistens -- e che individua la struttura originaria nella partecipazione dell'ente all'essere. Le sue posizioni sono consegnate alla trilogia “Nichilismo e Metafisica. Terza navigazione, Il realismo e la fine della filosofia moderna, e Ritorno all'essere. Addio alla metafisica moderna. Esse sono discusse da XVIII autori in, “La navicella della meta-fisica. Dibattito sul nichilismo e la terza navigazione (Armando, Roma) Cottier, Dummett, Berti, Riconda, e poi in Realismo Metafisica Modernità. “In margine al realismo e la fine della filosofia moderna”, Dalfino e Pozzo, CNR-Iliesi, Roma.  La possibilità di guadagni per sempre rigetta l'idea fallibilista -- Popper et alii --, secondo cui ogni sapere -- riportato poi solo a quello delle scienze -- riposa su palafitte perennemente rivedibili.  La meta-fisica ha per oggetto non il concetto di essere, ma l'esistenza. Il filosofo deve sempre e nuovamente ribattezzarsi nelle sue acque, fuggendo l'oblio dell'essere e liberandosi dal sistema che intende racchiudere in sé la totalità. Un problema centrale per lui è la possibilità di una conoscenza filosofica autonoma, che non proceda solo sull'imbeccata che possano darle le scienze ed altre forme di conoscenza, nonostante la necessità del dialogo tra filosofia e scienza, in quanto non esiste un solo sapere.  L'unità plurima o polivalente della ragione si applica anche al nesso tra filosofia e il culto sacro. Nell'incontro tra compito della ragione e elezione del cristianesimo si individua un criterio di apertura e stimolo per la filosofia nella sua ricerca di senso. Il principio della persona è più fondamentale del principio della responsabilità (Jonas) e del principio-speranza (Bloch), e a fortiori delle filosofie dell'impersonale o inter-soggetivo. Il concetto di persona si presta efficacemente in una serie di problemi in cui le nozioni di individuo, di soggetto, di coscienza risultano inadeguate. La persona è originaria e primitiva, e raggiunge una profondità e permanenza che non hanno le altre categorie appena citate o l'uso che spesso ne è stato fatto. Si veda il dossier sul “Principio Persona” con contributi di Grandis, Ivaldo, Madricardo, Pera, in “Studium”,  L'idea di persona è essenziale per maneggiare le grandi difficoltà insite nell'antropologia, in specie da quando in Occidente si cerca di elaborare un'etica procedurale di norme senza base antropologica, che è il grande equivoco dei moderni.  Fa parte del vasto movimento del personalismo, volto alla riscoperta integra della persona. Compito del personalismo ontologico è di valorizzare ed integrarele filosofie del personalismo incompiuto -- Habermas, Rawls, BOBBIO, Ferry, Parfit -- allontanandosi da quelle dell'esplicito anti-personalismo, Nietzsche e Foucault in specie, ma pure Hegel, Heidegger, SEVERINO nei quali forte è l'empito anti-personalistico. Le assise della persona vanno ricercate nell'ontologia, onde essa è una sostanzialità aperta alla relazione, ma non riducibile a sola relazione. Le persone sono nuclei radicali di vita e realtà che non possono essere dedotti da alcunché e che anzi fonda l'agire e lo sperare dell'essere umano  Esse come totalità concrete è alla base di una filosofia che oggi deve fare i conti con la centralità del tema antropologico, con le problematiche bio-etiche (ad es. concernenti lo statuto dell'embrione), e con le concezioni in cui il soggetto e la natura umana non sono intesi come un presupposto ma come un prodotto della prassi.  Il personalismo quale insieme di scuole e correnti filosofiche che assegnano speciale valore e dignità alla persona, non è in senso proprio un'invenzione, ma originariamente della patristica, del medio-evo, e dell'umanesimo. Qui sono state elaborate in certo modo per sempre le idee fondamentali sulla persona e dischiuso come nuovo guadagno il suo spazio di realtà. L'epoca dell'antropocentrismo non è stata un'epoca di riscoperta della persona. Un antropo-centrismo sicuro di sé non può dare risposte a molte domande della vita ed è tanto più impotente, quanto più le domande sono profonde, Se la controversia sulla persona si accende di nuovo in molti ambiti, è perché l'idea-realtà di persona attraversa un momento d’eclissi e richiede nuovamente la fatica del concetto. Assolutamente primario è il nesso persona-tecnica, in cui la seconda è spesso animata da volontà di potenza, valendo come una potenza senza etica. La presenza nel comitato di bio-etica gl’induce a dedicare attenzione ai temi di bio-tecnologie, la rivoluzione bio-politica, l'influsso pervasivo del materialismo e del biologismo.  Il personalismo si declina poi in ambito sociale come concezione egualitaria e comunitaria -- personalismo comunitario -- quale fondamento dell’ordine politico proiettato verso la cosmopoli, la pace e il rispetto dei diritti umani.  Entro un dialogo critico con le tradizioni del liberalismo e dell’illuminismo, opera per mostrare il contenuto di nozioni centrali del politico come quelle di ragion pratica, bene comune, popolo, democrazia, legge naturale, diritti dell'uomo, laicità, ai fini di una rinnovata filosofia pubblica in pari col suo oggetto. Uno specifico rilievo è stato assegnato al problema teologico-politico secondo due direttrici: la ripresa post-moderna di un ruolo pubblico per le grandi religioni; l'idea che la loro deprivatizzazione anche in Occidente può contribuire ad un positivo rapporto fra religione e politica, nella prospettiva di una piazza pubblica non agnostica ma attenta alla matrice teologica della società civile. Con la filosofia politica si opera il passaggio dal piccolo mondo dell'io al grande mondo' della società, verso la società aperta della famiglia umana. Sulla scia di diagnosi -- Arendt, Maritain, Strauss, Simon, Voegelin -- ritiene che la filosofia politica vada riportata al suo compito primario di pensare la buona società, lottando contro la crisi concettuale che procede all'ingrosso da Weber e dall'attacco al diritto naturale. In particolare è stata condotta una critica radicale a Kelsen, alla sua concezione relativistica dei valori e della democrazia, al suo intento di dissolvere l'idea di ragion pratica, tolta la quale l'ambito della prassi precipita nell'irrazionalismo e tutto è affidato al volere. Cfr. il dossier Liberalismo -- “Humanitas”, con interventi di Campanini, Zanone, Esposito, Ivaldo. Esso raccoglie parte del dibattito sollevato da “Le società liberali al bivio” che vide interventi di Savona, Vigna, Cubeddu,  Berti, Pellicani, e Scarpelli. Si sostiene l'importanza della filosofia e dell'antropologia per la democrazia, sulla base dell'idea che la costruzione del cosmo umano è compito della ragion pratica. Insufficiente risulta una sfera pubblica moralmente neutrale, consegnata al binomio del diritto positivo e la morale procedurale. La rinascita della filosofia politica avviene riprendendo competenza sui suoi problemi, tra cui massimo è quello della pace: la pace necessaria che non c'è e la guerra inammissibile che c'è. Occorre disarmare la ragione armata: ciò suggerisce che vada cercata un'organizzazione politica del mondo oltre la sovranità degli stati-nazione verso un'autorità politica mondiale o cosmo-politica, di cui l'ONU è lontana immagine.  Altre saggi: “Frontiere della pace” (Milano); “Filosofia e società. Studi sui progetti etico-politici contemporanei, Massimo, Milano Giorgio La Pira e la filosofia d’AQUINO, Studia Universitatis sancti Thomae in Urbe, Roma; “La Pira tra storia e profezia. Con AQUINO maestro, Marietti, Genova-Milano; La buona società. Sulla ricostruzione della filosofia politica (Vita e Pensiero, Milano); Una filosofia per la transizione. Metafisica, persona e politica in Maritain” Massimo, Milano); “La filosofia dell'essere” (Vita e Pensiero, Milano); Tra secolarizzazione e nuova cristianità” (EDB, Bologna); “Le società liberali al bivio”; “Lineamenti di filosofia della società” (Marietti, Genova); “Oltre l'Illuminismo”; “Il messaggio sociale” (Paoline, Roma); “Razionalismo critico e metafisica”; “Quale realismo?” (Morcelliana, Brescia); “Dio e il male, Sei, Torino); “Cattolicesimo e modernità. Balbo, Del Noce, Rodano (Ares, Milano); “Approssimazioni all'essere. saggi di metafisica e di morale” (Poligrafo, Padova); “Il nichilismo teoretico e la morte della metafisica” (Armando, Roma); “Terza navigazione. Nichilismo e metafisica” (Armando, Roma); “Filosofia e Rivelazione” Città Nuova, Roma); “La filosofia dopo il nichilismo” (Rubbettino, Soveria); “Religione e vita civile. Il cristianesimo nel postmoderno” (Armando, Roma); “L'azione umana. Morale, politica e Stato in Maritain” (Città Nuova, Roma); “Essere e libertà” (Rubbettino, Soveria); “Radici dell'ordine civile” (Marietti, Milano); “Il principio-persona” (Armando, Roma); “Profili. Bobbio, Noce, La Pira, Lazzati, Sturzo (Effatà, Cantalupa); “Le ragioni della laicità” (Rubbettino, Soveria); “L'uomo post-moderno”; “Tecnica, religione e politica” (Marietti, Milano); “Dentro il secolo breve. Paolo VI, La Pira, Giovanni Paolo II, Mounier, Rubettino, Soveria Nichilismo giuridico. L'ultima parola? Rubbettino, Soveria. La rivoluzione biopolitica. La fatale alleanza tra materialismo e tecnica, Lindau, Torino. Pace e guerra tra le nazioni. Kant, Maritain, Pacem in terris, Studium, Roma. I volti dell'amore, Marietti, Milano-Genova. Il realismo e la fine della filosofia moderna (Armando, Roma); “Diritti umani”; “L'età delle pretese” (Rubbettino, Soveria); “Ritorno all'essere. Addio alla metafisica” (Armando, Roma); “La critica del marxismo” (Massimo, Milano);  “Epistemologia e scienze umane” (Massimo, Milano); “Storia e cristianesimo” (Massimo, Milano); “Contemplazione evangelica e storia” (Gribaudi, Torino); “Maritain oggi, Vita e Pensiero, Milano); “La filosofia dell'essere” (Cardo, Venezia); Nichilismo Relativismo Verità. Un dibattito” (Rubbettino, Soveria); “Laici o laicisti? Dibattito su religione e democrazia” (liberallibri, Firenze); “La questione della verità. Filosofia, scienze, teologia” (Armando, Roma); Ragione e verità. L'alleanza socratico-mosaica” (Armando, Roma);” Nostalgia dell'altro. La spiritualità di Pira” (Marietti, Milano); Pace e guerra tra le nazioni” (Guerini, Milano); “Natura umana, evoluzione, etica” (Guerini, Milano); Governance globale e diritti dell'uomo” (Diabasis, Reggio Emilia); “Ritorno della religione? Tra ragione, fede e società” (Guerini, Milano); “Diritti Umani e libertà” (Religiosa, Rubbettino); in onore (Armando); Perché essere realisti? Una sfida filosofica (Mimesis, Milano-Udine. Giuliano, Filosofi a un bivio. Ora rialziamo lo sguardo, su avvenire, A. Lavazza, Neuroscienziati, cercate l'anima. Vittorio Possenti. Possenti. Keywords: radice dell’ordine civile – romolo e remo -- il principio speranza, prima navegazione, seconda navegazione, terza navegazione, Gentile, comunita, Severino, Aquino, umanesimo, seconda navigazione --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Possenti” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Pozza: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Taranto -- filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Taranto, Puglia. Grice: “I like Pozza; he uses ‘pragmatic’ quite a bit, by which he means Grice, of course!” Durante gli studi al liceo di Taranto, Tommaso, un insegnante di matematica di stile tradizionale gli stimola il gusto per i problemi matematici e per l'eleganza formale delle dimostrazioni. Studia a Bari dove si laurea con una tesi su SERRA (si veda) avendo come relatore Vallone. Coniuga l'amore per i sistemi formali con l'amore per Leopardi, Carducci -- maestro di Serra -- e Annunzio -- e tra i classici predilisse Tasso e Vita nuova di Alighieri.  Studia a Bari -- sotto Landi -- Pisa, e quindi metodi formali a Milano. Una svolta nella sua carriera filosofica è segnata dalla partecipazione agl’incontri di S. Giuseppe organizzati a Torino da BOBBIO. A partire da qui sviluppa idee in filosofia del diritto, specie – ovviamente -- su Kelsen, e sulla formalizzazione della logica deontica con particolare attenzione all'assiomatizzazione dei principi di una teoria generale del diritto in collaborazione con  Ferrajoli per i suoi “PRINCIPIA IVRIS”. Organizza a Taranto gl’incontri Info IVRE TARAS, logica informatica e diritto, al quale partecipano alcune delle figure più rappresentative del diritto, dell'informatica e della logica, tra cui Martino, Ferrajoli, Conte, Busa, Comanducci, Jori, Filipponio, Elmi, Guastini, e Sartor. Insegna a Taranto, mantenendosi scientificamente attivo e partecipando a conferenze di società filosofiche italiane -- specialmente la Società italiana di logica e filosofia della scienza e la Società italiana di filosofia analitica, dal convegno nazionale fino al convegno di Genova. Insegna a Lecce. Tra le principali influenze nei suoi studi di linguistica e semiotica testuale vi sono quella di  Petöfi. Insegna a Verona, Padova, Bolzano e, per le sue lezioni di logica deontica, a Petöfi e Kelsen. L’influenza maggiore viene dalle grandi opere di Frege, Russell e Carnap, ai cui  dedica uno studio, con particolare attenzione alla visione filosofica. Pubblica un contributo di sapore positivista, discutendo e formalizzando alcune argomentazioni in fisica quantistica. Un legame tra i suoi interessi in linguistica e il suo lavoro in logica formale è dato dalla sua teoria formale degl’atti linguistici basata su una connessione originale tra logica intuizionistica, usata per gl’atti linguistici assertori, e logica classica, usata per i contenuti proposizionali. Presentando la sua teoria di una formalizzazione della “pragmatica,” define un modello Frege-Reichenbach-Stenius per il trattamento formale dell’asserzione, mostrando che il problema principale di questa teoria è la limitazione introdotta da Frege -- e accettata da Dummett -- per cui il segno di asserzione si può usare solo per formule elementari assertorici. Ma, come molti filosofi sostengono, esistono atti linguistici composti. Per permettere il trattamento di un atto linguistici composto o molti-modale e ovviare alla limitazione del modello Frege-Reichenbach-Stenius, introduce un connettivo pragmatico che permette la costruzione di una formula assertiva complessa. Il contenuto della formula assertiva è dato dall'interpretazione classica e dai connettivi vero-funzionali. Il connettivo pragmatico, fra DUE atti linguistici assertori semplice in uno complesso,  ha invece una interpretazione intuizionistica. Il connetivo pragmatico non ha cioè un valore di verità – o sattisfazione fatica -- ma un valore di giustificazione. In fatti, un atto assertivo non è, in quanto *atto*, vero o falso, ma può essere “giustificato” o non giustificato. In questo modo, il sistema formale distingue l'asseribilità di un atto assertorio dal valore di verità della proposizione asserita. Oltre a spiegare l'irriducibilità del segno fregeano di asserzione a un trattamento in termini di logica classica e introdurre una fondazione formale della teoria dell’atto linguistico, dà anche una soluzione originale del problema della compatibilità tra logica classica (Grice) e logica non-classica (Strawson) o intuizionista. A questo studio seguono  altri sulla logica erotetica, deontica, e sub-strutturale. La sua filosofia suscita interesse in diversi campi, dalla filosofia del linguaggio alla filosofia della fisica alla logica e all'informatica -- specie a partire dalla sua collaborazione con Bellin. Alla sua teoria formale della “pragmatica,” oltre ai saggi di Anderson e Ranalter è dedicato un numero di Fondamenta Informaticae. La sua influenza si estende così oltre che alla filosofia della fisica e alla filosofia del linguaggio anche alla logica e all'informatica, specie con convegni in suo onore organizzati a Verona. Ricordi di personalità internazionali e di amici sono raccolti in suo onore. Altre saggi: “Un'interpretazione pragmatica della logica proposizionale intuizionistica”; “Problemi fondazionali nella teoria del significato (Olschki, Firenze); “Una fondazione pragmatica della logica delle domande”; “Parlare di niente”; “Termini singolari non denotanti e atti illocutori”; “Idee”;  “Una logica pragmatica per la concezione espressiva delle norme”;  “Logica delle norme” (S.E.U., Pisa); “Il problema di Gettier: osservazioni su giustificazione, prova e probabilità” (SIFA, Genoa); “Come distinguere scienza e non-scienza”; “Verificabilità, falsificabilità e confermabilità bayesiana” (Carocci, Ferrajoli); Principia juris. Teoria del diritto e della democrazia.  La sintassi del diritto” (Bari: Laterza). Carlo Dalla Pozza. Carlo Pozza. Pozza. Keywords: Grice. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pozza”.

 

Grice e Pozzo: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale nel ginnasio – filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo italiano. Milano, Lombardia. Sudia a Milano. Consegue il dottorato a Saarlandes (“a reason why Italians don’t consider him Italian” – Grice) e la abilitazione a Trier – Grice: “A reason why Italians don’t consider him an Italian philosopher, since he earned his maximal degree without, and not within, Italy.” Insegna a Verona e Roma, all’Istituto per il lessico filosofico – (Grice: “Yep – Italians have an ‘istituto’ for EVERYTHING!”). Studia il LIZIO, la storia della logica o dialettico dal rinascimento, la storia delle idee e la storia dell’università di Bologna (“l’unica chi conta a Italia”) -- ha portato avanti la creazione di infra-strutture di ricerca per una migliore comprensione dei testi filosofici e che hanno plasmato il patrimonio culturale. Caratteristica specifica del suo approccio alla lessicografia è l’uso della IT per la documentazione e l’elaborazione di dati linguistici e testuali in italiano. Hegel: Introductio in Philosophiam: Dagli studi ginnasiali alla prima logica (Firenze: Nuova Italia). Associazione per l’Economia della Cultura “Storia storica e storia filosofica della,” Schiavitù attiva, proprietà intellettuale e diritti umani. Riccardo Pozzo. Pozzo. Keywords: il ginnasio – implicature, identita nazionale, filosofia italiana, patrimonio italiano, storiografia filosofica, storia della filosofia italiana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pozzo” – The Swimming-Pool Library.

 

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